ce crei SO TIE SI Piadena sini FINE CISERER SI) Lo 10 Pubplicazione bimensile. Ioma 8 gennaio 1905. Nek ATPI( ce > REALE ACCADEMIA DEI LIN CHI XRENO CAO DELLA 1005 Se, dee, WE INIL CA. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta dell'8 gennaio A905. Volume XIV. — Fascicolo L° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1905 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PEl LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli dalle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare ' pagine di stampa: Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 ‘agli estranei: qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi» cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - «‘ Colla semplice pro- posta dell’invio della M:.noria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segrera. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5.L’'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. N Mm 2a ORA DI DELLA REALE ACCADEMIA DEI ALI ANNO CCCII. SS SFERE REED TURBEENI UE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME XIV. f 1° SEMESTRE. DI ANT hS Li D fac ì ORE” ge“ \ ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1905 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MAN _—-_- - DS Seduta dell’8 gennaio 1905. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Osservazioni della nuova cometa Borrelly. Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICH, La cometa, assai minuscola ma con nucleo stellare di 10 grandezza, fu scoperta dall'astronomo Borrelly a Marsiglia il 29 dicembre decorso. La sera del 31 il dott. E. Bianchi la ritrovò coll’equatoriale di 39 cm. d'apertura, e a lui si debbono tutte le posizioni fin ad ora eseguite all’ Os- servatorio, meno la prima del 3 gennaio che fu fatta da me. 1904 dicembre 31 QMID2 NS R.C.R. e apparente cometa 1 16 7.58 (9.465) L) ” 8°22' 43”.0 australe (0.812) 1905 gennaio 1 6h 7m 235 R.C.R. e apparente cometa 1 17 15.73 (82.717) d ” 7940" 15” 4 australe (0.824) 1905 gennaio 2 PETELIE R.C.R. © apparente cometa 1 18 39.13 (8.920) D) » 6048" 527.2 australe (0.818) 1905 gennaio 3 5h 50m 545 R.C.R. o apparente cometa 1 19 56.27 (82.875) D) ” 6° 2" 467.0 australe (0.813) RI Naturalmente la via più ovvia per arrivare allo scopo sarà quella di ricorrere alla disposizione di un voltametro allo scopo di mantenere costante il numero di ioni nella soluzione, e di confrontare il peso di un dato ele- mento che viene decomposto da una determinata quantità di elettricità, col peso di un altro elemento deposto dalla stessa quantità di elettricità in un voltametro campione. Uno dei pesi atomici che fu, e che è più caldamente discusso, e che ha perciò solleticato la laboriosità di molti sperimentatori, è senza dubbio il peso atomico del 7'e/lurzo. Esso è stato determinato la prima volta da Berzelius nel 1813, che lo trovò uguale a 129,2. Più tardi nel 1835 lo stesso A. riprese le sue determinazioni e trovò per peso atomico 128,28. Nel 1857 Hauer (!) mediante la preparazione e l'analisi del bromuro doppio di Fe e K indica come peso atomico il numero 127,93. Nel 1879 il Wills (2) ottiene dei ri- sultati assai variabili, Clarke (*), Meyer e Seubert hanno continuato lo studio di tale questione che fu ripresa più recentemente dal Brauner (‘), Stauden- meyer (°), Metzner (5), Pellini (7), Steiner (8), Gutbier (9), Kothner (!°) ed altri. Dalla precedente relazione apparisce quali numerose ricerche abbia eccitato la determinazione del peso atomico del Tellurio. L'interesse che spetta a queste ricerche è soprattutto teorico. Si sa infatti che nella classificazione del Mendeleiew, il Tellurio deve avere un peso atomico minore di quello dell’ Iodio, fissato dai lavori classici dello Stass e da altri A. e dal Ladenburg (!!) a 126,85. Orbene, ad eccezione delle misure di Clarke e di quelle di Meyer e Seubert, tutti gli altri osservatori hanno trovato dei valori superiori a 127. Tutti questi comuni metodi analitici richiedono una lunga serie di ope- razioni chimiche e meccaniche (precipitazioni, filtrazioni, evaporazioni, cristal- lizzazioni, ecc.), che rendono i risultati delle analisi dipendenti troppo dalla abilità dell'operatore; la determinazione dell'equivalente elettrochimico invece, quando sia accuratamente eseguita, ha il grande vantaggio di presentare un numero molto minore di cause d'errore, in quanto che con esso per lo più i corpi che si vogliono determinare si possono ottenere direttamente, e non sotto forma di altre combinazioni. (1) Hauer, Journ. prak. Chem., 79, 98, 1858. (2) Wills, Ann. chem. pharm., Lieb., 202, 242, 1890. (8) Clarke, Constant. of natur. Pr. V. Washington, 1882-83. (4) Brauner, Berich. chem. Gesells. 16, 3054, 1883; id. Journ. chem. Soc., 382, 1889, e id. Journ. chem. Soc., 67, 549, 1895. (*) Staudenmeyer, Zeitr. f. anorg. Chem., 10, 189, 1845. (6) Metzner, Compt. Rend., 126, 1716, 1898. (7) Pellini, Berich. chem. Gesells., 84, 3807, e Gazz. chim. ital., XXXII, P. I, 1902. (8) Steiner, Berich. chem. Gesells., 34, 570. (9) Gutbier, Ann. chem. pharm. Lieb. 320, 52, 1904. (10) Kéthner, Liebig*s Ann. 819, 1, 58. (11) Ladenburg, Berich., chem. Gesells. 35, 2275. RenpIcoNTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 4 TINI To mi sono proposto di procedere con questo metodo alla determinazione del peso atomico del Tellurio. Parte sperimentale. Come voltametro campione io ho impiegato un voltametro di Ag nella modificazione proposta da Richard, Collins ed Heimrod (!). L’anodo del voltametro costituito da un bastoncino di Ag, della lun- ghezza di 5 cm. e dello spessore di 1 cm., viene introdotto in un piccolo cilindro, di porcellana porosa di Pukal. Il cilindretto viene sospeso per mezzo di due fili Pt ad un anello di vetro, e la soluzione nell'interno del cilindro viene mantenuta, mediante un sifone, ad un livello inferiore di quello del liquido esterno. L’elettrolita consta di una soluzione di Ag NO; al 10 °/, preparato di fresco. Sia l’Ag, che l’Ag NO; erano stati da me preparati allo stato di purezza. Terminata l'elettrolisi si lava un paio di volte con acqua pura, aspirando ogni volta con una pipetta; un terzo riempimento vi si lascia per una o due ore, ed un quarto per una notte. Al mattino si ripete ancora nna volta il lavaggio con H:0, si tratta due volte con alcool assoluto, si es- sicca in istufa a 160°, si lascia per due ore in essiccatore in cuì si pratica il vuoto, e quindi si pesa. La acque di lavaggio vengono tutte raccolte in cro- giuolo di Gook e l'eventuale aumento di peso di questo viene aggiunto poi al peso dell’Ag deposto. La bilancia impiegata era un'ottima bilancia Sartorius, a braccia corte, sensibile ad '/»o di mmg. Mentre negli altri voltametri comuni anche delle piccole differenze nella grandezza dell’anodo o del catodo determinano grandi differenze nei risultati, invece le più svariate modificazioni nel voltmetaro a cella porosa non mo- dificano i risultati, in quanto che le reazioni anodiche che costituiscono i più importanti fattori perturbatori vengono eliminate per il fatto che il liquido reso impuro dai prodotti secondarî rimane chiuso nella cella. Da esperienze eseguite poi dagli stessi autori, fu riscontrato che il de- posito di Ag può trattenere sempre, nonostante i lavaggi, un po’ d’acqua madre, la cui quantità raggiunge in media il valore di 0,018 °/,. Io impiegai sempre due voltametri ad Ag in serie; la media dei due precipitati veniva quindi sottoposta a due correzioni: la prima per ridurre la pesata al vuoto; la seconda per dedurre dal peso trovato il peso dell’acqua madre che ‘viene trattenuta in proporzione del 0,018 °/,. Come esperienza preliminare io volli verificare se l'equivalente elettro- chimico del Cu, determinato colle necessarie precauzioni, corrisponda all'equi- valente elettrochimico dell’Ag ottenuto nelle suddette condizioni, nelle pro- (*) Richard, Collins ed Heimrod, Zeitscr. f. phys. Chem., 32-321. O. porzioni volute dalla teoria. È noto dalle numerose esperienze che sono state eseguite sopra i voltametri a Cu, che le condizioni necessarie per eliminare le anormalità che presentano tali voltametri, sono le seguenti: 1° La solu- zione deve venire acidificata per impedire l'idrolisi. 2° L'aria deve essere eliminata con ogni cura per evitare l'ossidazione. 3° La temperatura deve essere mantenuta più bassa possibile per dimimuire la solubilità del Cn nella soluzione di CnSO,. 4° La densità di corrente non deve stare al disotto di 2, nè al disopra di 20 milliamper per cm?. La disposizione adottata è quella proposta dagli stessi autori Richard, Collins ed Heimrod ('). L'elettrolita costituito da una soluzione di CuSO, acido per H.S0, e HNO; era mantenuto a O ed in un'atmosfera di H. Introdussi poi una cor- rezione per la solubilità del Cu nella soluzione di CuS0,. Si è trovato spe- rimentalmente che il peso di Cu precipitato è approssimativamente una fun- zione lineare della superficie dei catodi, o in altre parole la soluzione del Cu nel CuSO, è all'incirca proporzionale alla superficie di Cu esposta. Impie- gando due catodi di grandezza diversa noi possiamo dalla differenza di peso del Cu deposto sulle due lamine calcolare la quantità di Cu che si deposi- terebbe sopra una superficie = 0. Difatti, indicando con: À = peso di Cn deposto sulla lamina. . . . + grande A ’ 7 7 ML piccola S = superficie della lamina . . . ... . + grande Si 7 Mi e. e il niccola q = la quantità di Cn che si deposita sopra un punto 4 = un coefficiente di proporzionalità avremo : O) q_- As= A 2) qeAst= A e moltiplicando la 1) per s' e la 2) per s; e sottraendo: 3) q(s —s) = As — A's da cui: 4) pesa ASS A Sia Di s—s s—_s formula che ci darà il valore del Cn corretto. Superficie dei crogiuoli dei due voltametri ad Ag ua Ci di, Superficie delle due lamine di Pt costituenti i ca- | N.1 = cm? 39,70 todi nei voltametri a Cu (N2= » 952 Intensità totale di corrente = 0,12 A. (3) Loc. cit. Peso del Cu Ag = media | Equi- 5 Durata aio Peso del Cu | Ag nel Ag nel Cu corretta valente Peso Kc) ELL AMIR, sulla nel vuoto |delCu/| atomico | 4 | inore Gra = I volt. II volt. corretto IRE Sana del ( 5 | 1 | 1.35 | 0.21765 | 0.21795 | 0.73945|0.7396 |0.21805 | 0.73937 | 31,83| 63.66 QI (2050 0.27015 | 0.27120 | 0.9207 |0.9209 |0.27153| 0.92062 | 31.82 | 63.65 63.5: DO) 1.25’ | 0,18976 | 0.18995 |0.6459 |0.6457 |019001]| 0.64571 | 31.76| 63.52 4 | 2.55" | 0.39545 | 039575 |1.34595 | 1.34615|0 39585 | 1.34578 | 31.75 | 68.50 Si vede dunque che il peso atomico del Cu così dedotto si avvicina assal a quello che fu determinato analiticamente e che fu trovato = 63,60. Chimica. — Swi sali di Roussin. Nota di I. BeLLUCCI € D. VENDITORI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Pochi argomenti della chimica minerale sono stati oggetto di così nu- merose ricerche come i nitrosolfuri di ferro, composti ai quali è tuttora legato il nome di Roussin che li scoprì nel 1858. Sono tanti i metodi di preparazione finora adoperati per ottenere questi nitrosolfuri, tante le formole e le interpretazioni diverse date loro anche in Memorie recenti, che oggidì in quel campo regna una grande confusione specie per quel che riguarda l'incertezza circa i varî tipi di nitrosolfuri che esiì- stono realmente. L'intraprendere tuttavia, come noi abbiamo fatto, uno studio sulla costi- tuzione dei sali di Roussin, per quanto il problema si mostri ben arduo a risol- versi completamente, presentava e presenta, a parer nostro, una notevole im- portanza potendo da esso derivarne nuove conferme o nuove vedute sulla vera funzione che nella costituzione dei sali inorganici esercitano le molecole di biossido di azoto (NO). La presenza di queste molecole, finora singolarmente ristretta ad alcuni pochi composti complessi derivati dai tre omologhi ferro, rutenio ed osmio, trovasi infatti esplicata in massimo grado nei nitrosolfuri doppi di ferro, in alcuni dei quali suole ammettersi fino ad oggi l'esistenza di ben sette molecole di NO (es. Fe4(NO)"S®K). A rendere più difficili le nostre ricerche, oltre l’accennata complessità delle molecole dei nitrosolfuri, si aggiungeva d'altro lato la stabilità molto limitata di questi sali, i quali, anche nelle ordinarie condizioni, hanno grande tendenza a decomporsi, specie sotto l'influenza della luce. Ed è ciò che spiega in gran parte come lo studio della costituzione dei sali di Roussin non abbia fino ad oggi attirato che in modo del tutto superficiale l'attenzione dei chi- mici, tanto che può ben dirsi che a tale riguardo esiste una completa lacuna. = O Prima di iniziare però un tale studio era assolutamente necessario che noi eseguissimo un lavoro di riordinamento, sia critico che sperimentale, di tutte le discordanti cognizioni che trovansi accumulate in riguardo alla preparazione ed alla composizione dei sali di Roussin, onde trarne anzitutto delle conclusioni sul vero valore da attribuirsi a tutte le diverse formole assegnate a questi sali. In questa prima Nota, limitandoci a ciò, diamo infatti in una parte storica un ragguaglio cronologico, nel modo più breve che ci sarà possibile, dei metodi di preparazione e delle formole che sono state attribuite dai varî chimici ai sali di Roussin. Nella nostra esposizione terremo solo di mira i nitrosolfuri che prendono origine direttamente nella reazione di Roussin e non i prodotti delle loro demolizioni (tra cui molto importanti quelli che si ottengono per azione degli idrati alcalini), che solo potranno interessarci quando ci addentreremo nello studio della loro costituzione. Facciamo seguire poi una prima parte sperimentale nella quale abbiamo ripetuto ove occorreva i metodi seguiti dai varî chimici per preparare i sali di Roussin, analizzando i prodotti che rispettivamente se ne ottengono. In tal modo, basandoci in parte sulle conoscenze che già si avevano e sull'esame critico di queste, in parte sulle nostre ricerche, abbiamo potuto concludere, in questa prima fase del nostro lavoro, che ì varî metodi di preparazione finora adoperati da Roussin in poi, portano tutti direttamente ad un tipo unico di nitrosolfuri. Siamo così riusciti a limitare nettamente il materiale di studio per le nostre ulteriori ricerche, eliminando ogni altro tipo di composto, la cui esistenza ed inter- pretazione si doveva, come vedremo, o a difetto di preparazione, o a deficenza di metodi analitici, o soprattutto ad insufficiente purificazione dei prodotti ottenuti prima di sottoporli all'analisi. PARTE STORICA. Nel 1858 Roussin (') mescolando due soluzioni, l'una di solfidrato di ammonio, l’altra di nitrito di potassio e versando in questo miscuglio una soluzione di solfato ferroso, notò che, scaldando prolungatamente all’ebolli- zione, quasi tutto il voluminoso precipitato nero dapprima formatosi entrava in soluzione e da tale liquido intensamente colorato deponevasi per raffredda- mento una grande quantità di cristalli neri. Questo nuovo composto, caratteriz- zato da una grandissima solubilità nell’etere etilico, conteneva Fe. S, NO, H. Roussin, in base alle sue analisi, gli attribuì la formola : Fe(NO)* S° H°, chiamandolo nitrosolfuro di ferro. (1) Ann. de chim. et phys. [3] 32, 285; Bull. Soc. Chim., febbr. 1860. LEN (VI Nel 1863 Porzezinsky (') modificò il metodo di preparazione di questo composto. Egli saturò una soluzione di solfato ferroso con biossido di azoto: vì aggiunse quindi fino a reazione neutra una soluzione di solfidrato sodico. Dopo aver riscaldato tale miscuglio a 100° filtrò ed ottenne così il composto nero cristallino, cui assegnò però la formola: Fe?(NO)' S*, 2H°0 . Nel 1865 J. O. Rosenberg (*) ripreparò il nitrosolfuro di ferro secondo il metodo Roussin. In base a numerose analisi stabilì per esso l’altra formola: Fe*(NO)!° S5, 4H?0. Nel 1879 Demel (8) preparò anche esso il nitrosolfuro di ferro seguendo il metodo di Roussin. L'A. notò però che in tale composto l’azoto non tro- vavasi combinato soltanto con l'ossigeno, come i chimici precedenti avevano fino allora ammesso, ma anche con l'idrogeno e ciò per il fatto che il nitro- solfuro scaldato con soluzione di idrato potassico svolgeva forti quantità di ammoniaca (egli aveva, come Roussin, adoperato nella preparazione SO4Fe, NO°K, SHNH*). Determinò quindi l'azoto sia col metodo di Dumas, sia con quello di Will e Warrentrapp e trovò che la quantità di azoto risultante da questo ultimo metodo analitico, richiedeva, onde formare dei gruppi ammidici, esattamente la quantità di idrogeno che la sostanza, a mezzo della combu- stione con cromato di piombo, aveva realmente dimostrato di contenere. Demel ritenendo così provata l’esistenza dei gruppi ammidici assegnò perciò al nitrosolfuro la formola: Fe (NO)S (NE?). Nel 1879 J. O. Rosenberg (4) in una seconda Memoria mette in rilievo per il primo un fatto del più alto interesse, sfuggito a lui stesso in prece- denza ed a tutti gli altri chimici citati, e che cioè il mitrosolfuro di ferro preparato con la reazione tripla di Roussin (NO?K, SO4Fe, SHNH*) con- tiene sempre una parte del suo azoto sotto forma di ammonio. Si ottiene cioè col metodo di Roussin un nitrosolfuro di ferro e di ammonio e sosti- tuendo nella preparazione al solfuro di ammonio i solfuri di sodio o di po- tassio, si giunge rispettivamente ai sali di sodio e di potassio dello stesso tipo del sale ammonico. A questi sali, e per essi consideriamo il sale potas- sico, Rosenberg assegnò la nuova formola : F'es(NO)1®S® K3, LOH=0% (2) Ann. der Pharm. 2/25, 302. (2) Acta Universit. Lundens. 2, III, 1-28; Berichte 3, 312. (3) Berichte der Wiener Akad. 78, 660; Berichte /2, 461. (4) Berichte 12, 1715. SEA] Rosenberg espone poi delle osservazioni critiche sulla Memoria di Demel, sopra citata. Egli giustamente fa notare come il quantitativo di azoto otte- nuto col metodo di Will-Warrentrapp può in egual modo derivare tanto dai gruppi ammonici che dagli ammidici, ma non esclusivamente da questi ultimi come Demel ha ritenuto. Rosenberg perciò, mettendo in rilievo che il sale originario di Roussin (preparato con SHNH') contiene sicuramente dei gruppi ammonici, consiglia di accogliere col massimo riserbo la formola ammidica di Demel. Nello stesso anno 1879 Pawel(') preparò il sale di Roussin ponendo a reagire SO“Fe, NO?°K ed SHNa (non SHNH', come avevano impiegato i chimici precedenti): ottenne in tal caso un nitrosolfuro di ferro e di potassio confermando così, in accordo con Rosenberg, la presenza di una base alca- lina nel sale di Roussin. L'A. indica in questa Memoria alcune modificazioni introdotte per migliorare il rendimento del metodo Roussin e pone per primo delle grandi cure nella purificazione del prodotto. Egli non confermò però la formola di Rosemberg, ma dette per il sale di potassio da lui preparato la formola: Fe?(NO)!? S5 K?, 2H°0.. Secondo Pawel le differenze così grandi trovate dai chimici precedenti nei dati relativi alla composizione del sale di Roussin, hanno la loro spiega- zione nel fatto che Roussin, Rosemberg e Demel avevano sottoposto all'analisi un sale (preparato da SO*Fe, NO°K, SHNH*) che in realtà non era che un miscuglio impuro e già decomposto dei sali di potassio e di ammonio, mentre Porzezinsky (aggiunta di SHNa ad una soluzione di NO nel SO‘Fe) aveva analizzato un sale di sodio impuro di solfo e già parzialmente decomposto. Vale a dire, secondo Pawel, coni metodi di Roussin, Porzezinsky, Rosenberg e Demel si giunge ad un miscuglio di diversi sali (di potassio e di ammonio) dello stesso acido, unito ad impurezze di solfo e più o meno alterato, sovrat- tutto per i metodi non opportuni di purificazione e di essiccamento. Anche Pawel, a somiglianza di Rosenberg, combatte la formola di Demel, asserendo che questi doveva necessariamente esser giunto ad un miscuglio dei sali di potassio e di ammonio. A queste critiche di Rosenberg e di Pawel replica con una breve Nota Demel (?). Questi, insistendo tuttavia nella sua prima opinione, mette in rilievo come le percentuali delle sue analisi, eseguite su prodotti di diversa preparazione escludano con la loro grande concordanza l'ipotesi di un miscuglio, tanto più che egli non ha mai riscontrato, come vorrebbe Pawel, la presenza del potassio nei sati da lui analizzati. Egli conferma perciò la sua formola ammidica. (1) Berichte /2, 1407. (2) Berichte /2, 1948. = DI Sempre nello stesso anno 1879, Pawel (!) pubblica una seconda Memoria relativa al sale di Roussin, nella quale indica altre condizioni anche migliori per preparare questo sale. Mettendo a reagire in speciali condizioni solfato ferroso, nitrito sodico e solfuro sodico Pawel ottenne il sale sodico: Fe'(NO)!® S5 Na, 4H?0 di tipo perfettamente eguale al sale potassico già da lui precedentemente analizzato. Così agendo invece che col solfuro sodico, col solfuro di ammonio ottenne il sale ammonico Fe?(NO)!*S*(NH*)°, 2H?O, dal quale, per riscal- damento con i rispettivi idrati, potè preparare i sali di calcio, di bario e di magnesio, che Pawel però non analizzò a causa della loro grande decompo- nibilità. Agendo poi sul sale di bario con i rispettivi solfati, si giunge ai sali dei metalli pesanti, i quali parimenti si decompongono con estrema fa- cilità. Pawel considerò in ogni modo tutti questi nitrosolfuri come sali di un unico acido, appartenenti al tipo Fe?(NO)!? S5 X", , #H?°0. Nel 1882 comparisce ancora una terza Memoria di Pawel(?) nella quale esso, pur seguendo sempre la reazione tripla di Roussin, modifica ancora ed in modo rilevante le condizioni di preparazione dei nitrosolfuri. In questa Memoria Pawel dà per il sale potassico la formola: Fe'(NO)" S*K, H?0 differente, come vedesi, da quella che egli aveva stabilito per questo sale nelle due Memorie precedenti. E così per i sali di ammonio e di sodio sta- bilisce le nuove formole: Fe'(NO) S* NH‘, H?0 Fe*(NO)? S*Na, 2H?0. Pawel preparò anche un sale di tallio Fe'(NO)"S°T1I, H?0, per precipi- tazione del sale sodico con solfato talloso. Pur adoperando nella preparazione dei nitrosolfuri il solfocarbonato di sodio od il sale di Schlippe (che si decompone in Sb°S° + SNa?) Pawel (8) ottenne nitrosolfuri dello stesso tipo Fe*(NO)"S8X", «H®0. Dopo questi interessanti lavori di Pawel si giunge fino al 1892 nel quale anno Marchlewski e Sachs (4) prepararono di nuovo il sale di Roussin seguendo .sempre il metodo di questo con le modificazioni indicate da Pawel (") Berichte /2, 1849. (*) Berichte /5, 2600. (3) Mentre Lòw (Chem. Centralblatt /865, 948), in eguali condizioni di reazione, credette di aver ottenuto il composto Fe*S3C(N0O)9, e con il sale di Schlippe il composto (Fe*S(NO)., Sh?S5). (4) Zeitschr. fiir anorg. Chem. 2, 175. SL nella sua ultima Memoria. Ottennero in tal modo un sale potassico ed uno talloso : Fe4(NO)"S8K Fe*(NO)"S"T1, H?0 che chiamarono eptanitrosolfuri doppi di ferro, confermando così, come vedesi, le formole date da Pawel per questi sali nella sua ultima Memoria (ad eccezione, per il sale potassico, di una molecola di acqua). Questi A., con metodi di purificazione e con analisi molto accurate, stabilirono poi che realmente questi sali sono composti unici e ben definiti. Essi si posero quindi a ricercare, se i prodotti ottenuti da Roussin e Rosen- berg fossero identici a quelli da loro ottenuti, ossia eptanitrosolfuri di ferro più o mero impuri, ovvero fossero effettivamente di tipo diverso. Seguendo accuratamente per la preparazione dei nitrosolfuri i metodi indicati da ognuno dei chimici ora accennati, stabilirono che nelle singole reazioni si ottengono miscugli, più o meno impuri, di sali (di potassio e di ammonio) tutti appar- tenenti però al tipo degli eptanitrosolfuri Fe4(NO)"S°X", «H°0. Marchlewski e Sachs, a simiglianza di Pawel, conclusero cioè che i ni- trosolfuri ottenuti finora direttamente col metodo di Roussin, più o meno modificato, corrispondevano tutti alla formola generale ora accennata. Seguono nel 1895 Hoffmann e Wiede (') i quali analizzarono alcuni nitro- solfuri che ottennero parimenti del tipo Fe*4(NO)"S5X", xH?0. Così oltre il sale di tallio Fe*(NO)"S®T1 analizzarono anche un sale di cesio ed uno di rubidio, pochissimo solubili in acqua delle formole rispettive : Fe‘(NO)"S*Cs, H?0 Fe‘(NO)"S3Rb, H°0 ottenuti per precipitazione con i rispettivi cloruri dal sale sodico. Gli A. stessi facendo passare una corrente di NO in una sospensione acquosa di solfuro di ferro, ottennero notevoli quantità del sale ammonico Fe*(NO)"S*?(NH*), H?O senza che nella reazione vi fosse stato aggiunto alcun composto ammonico. L'ammoniaca erasi in tal caso formata, secondo gli A., per parziale riduzione dell’ NO a mezzo del solfuro di ferro. Hofmann e Wiede prepararono anche lo stesso sale ammonico facendo agire una corrente di NO su un miscuglio di idrato ferroso e di solfuro di carbonio saturato con ammoniaca, ovvero anche su un semplice miscuglio di idrato di ferro e di solfuro di carbonio. L'ultima Memoria relativa ai nitrosolfuri comparisce nel 1896 per opera di Marie e Marquis (?). Questi impiegando per la preparazione del sale di Roussin un miscuglio di SO*Fe, NO?Na, SNa?, assolutamente neutri(?), (1) Zeitschr. fir anorg. Chem. 9, 295. (2) Compt. Rend. 222, 137. RenDICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. (n eo notarono che non si formavano tracce di nitrosolfuri, ma che bastava aggiun- gere una goccia di un acido qualunque per ottenerne subito una copiosa formazione. Deducendo da ciò che il processo Roussin non dà risultati che in solu- zione leggermente acida (e sarebbe allora, secondo essi, l'acido nitroso libero che agirebbe sul solfuro di ferro) prepararono il nitrosolfuro sospendendo del solfuro di ferro di fresco ottenuto in una soluzione di nitrito sodico: mante- nendo poi tale miscuglio su b. m. vi fecero agire per più ore una corrente di anidride carbonica fino a che tutto il solfuro di ferro era scomparso. Dalla soluzione così ottenuta, ricavarono un composto nero cristallino cui assegna- rono la formola : Fe3S?N>0° + 1,5 H?0 giungendo in tal modo ad un composto esente di alcali. Per formarsi un concetto maggiormente sintetico della parte storica sovra esposta troviamo opportuno fare un breve riassunto di essa, insieme ad alcune osservazioni. Riassumiamo anzitutto i varî metodi di preparazione del sale di Roussin, fermandoci prima a quegli A. che hanno seguita, più o meno modificata, la reazione tripla di Roussin. Nel quadro qui sotto riportiamo le quantità delle sostanze (solfato ferroso, nitrito alcalino, solfuro alcalino), messe in rea- zione dai singoli chimici, riferite a 100 p. di solfato ferroso. SO4Fe, 7H20 NO?K NO?Na SNa? SH NH* SHK Roussin 100 60 = 43 = — Demel 100 60 _ — 120cme.(!) — Rosenberg 100 76 — — 570 cme. _ Pawel I 100 114 _ 48 — _ Pawel II 100 114 _ 57 —_ _ Pawel III 100 —_ 22 — —_ . 39 March. e Sachs 100 — 22 _ — 35 Appariscono a prima vista le notevoli diversità che corrono nelle singole preparazioni tra le proporzioni relative delle tre sostanze reagenti, senza por mente alle grandi differenze di diluizione nell'acqua e di temperatura a cui furono effettuate le varie reazioni. Pawel che ha stabilito nella sua ultima Memoria le proporzioni delle tre sostanze reagenti, secondo le quali si ha finora il miglior rendimento nella preparazione del sale di Roussin, fa giustamente notare che se in tale preparazione si eccede con una qualunque delle tre sostanze non si ha che un rendimento minimo, sempre molto impuro, e pos- sono anche non ottenersi traccie di nitrosolfuro. Ciò ben spiega come i primi chimici sien giunti in proposito ad interpretazioni così differenti. (‘) Preparato da NH* conc. saturata con gas solfidrico. o Alla reazione tripla di Roussin debbonsi poi aggiungere i metodi di: Porzezinsky : azione di NO su soluzione di SO*Fe e neutralizzazione successiva con solfuro sodico. su solfuro di ferro sospeso in acqua Hofmann e Wiede: azione di NO ‘ su idrato ferroso + S°C saturato con NH? su idrato di ferro 4 S°C . Marie e Marquis: azione di CO? su un miscuglio di NO?Na + SFe. Diamo ora uno sguardo alle formole attribuite dai vari A. ai nitrosolîuri ottenuti con i suddetti metodi: Roussin . NONSROEe: (NES ZH? Porzeziaskyi NA He: (NOSS?, 2H20 Rosenberg I Fe*(NO)':S3, 4H°0 ID Ce RE CEE e (NO)ISI(NHE) Rosenberg II . 5 Fes(NO)!8S°K8, 19H?0O Powell: eee ee He (NOS 2K2 2H20 Fe‘( Pawel III . ; NO)"S5K, H°O Marchlewski e Sachs . Fe‘(NO)"S*K Hofmann e Wiede . . Fe‘(NO)'S°NH*, H°0 Marie e Marquis. . . Fe?N°098?, 1,5H?0 dalle quali apparisce come a giungere fino a Rosenberg (II) non si fosse ancora ammessa nei sali di Roussin, come realmente vi esiste, la presenza costante di una base alcalina. Potremmo ora far seguire in un quadro il riassunto di tutte le percen- tuali ottenute dai suddetti chimici, analizzando i sali di Roussin. Fino alle Memorie di Pawel troveremmo per esse le più forti discordanze, fatta ecce- zione delle percentuali relative al dosaggio del ferro, le quali offrono una relativa concordanza e rendono possibile un raffronto. Ciò che facciamo qui sotto : Pawel Marchlewski Hofmann Marie _— e — sr —, e e e Roussin Porzezinsky Demel Rosenberg I II Sachs Wiede Marquis Fe°/o . 37,0 39,9 37,12 38,7 38,26 37,92 838,30 39,8 38,64 È qui a notare poi che i nitrosolfuri analizzati da questi A. non erano tutti della stessa base alcalina, ma, a seconda della varietà impiegata di nitrito e di solfuro alcalino contenevano sodio, potassio od ammonio od anche miscugli di queste basi. Si hanno tuttavia, come vedesi, valori oscillanti nelle percentuali del ferro da un minimo di 37 ad un massimo di 39,9. Esa- og minando in raffronto i varî calcolati del ferro per i nitrosolfuri : Feo/? (WEles(NO){Saeenn: 09198 ( Fe'(NOY'S8K, H?0. . . 38,12 Fe*(NO)"S?Na, 2H?0 . . 38,00 Res(NO)"SANIHE CHEN 039200 possiamo, come infatti lo dovremo, basandosi anche su questa relativa con- cordanza delle percentuali del ferro, ritenere realmente come ben certo che i sali di Roussin analizzati fino ad oggi, direttamente ottenuti con metodi così svariati, appartengano tutti allo stesso tipo, per ora rappresentato dalla formola: Fe4(NO)"S*X", «H°0. Dopo questo rapido sguardo ai dati storici passeremo ora come si è detto ad esporre una prima parte sperimentale del nostro lavoro. Chimica. — Sw nitrosolfuri di ferro. Nota di I. BELLUCCI e D. VENDITORI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisiologia. — Arcerche sulla meccanica dell'apparato dige- rente del pollo. Eccitabilità e innervazione dello stomaco. Nota del dott. GrLBERTO Rossi, presentata dal Socio G. FANO. In tre precedenti Note mi sono occupato delle funzioni motrici dello stomaco ed ho analizzato i meccanismi per mezzo dei quali si compie l'atto della « masticazione gastrica » (!). Espongo ora nella presente Nota i risul- tati delle mie ricerche sulla eccitabilità dello stomaco e sulla sua innerva- zione estrinseca. Irritabilità dello stomaco. Quanto ai metodi di studio rimando alla descrizione che ho dato di essi a proposito dell’ingluvie (*). Ivi si possono trovare descritti l'apparecchio di registrazione ed i metodi dei quali mi sono servito per far arrivare nel- l'organo i varî agenti stimolanti. (1) G. Rossi. Questi Rendiconti, 1904, II, pag. 356, 402, 473. (2) G. Rossi. Questi Rendiconti, 1904, II, pag. 120. 2 Gr a) Stomaco ghiandolare. A stimoli meccanici di moderata intensità, prodotti aumentando di qualche cm. la pressione dell'acqua nel palloncino, lo stomaco ghiandolare risponde aumentando di ampiezza e di numero le sue contrazioni; a stimoli molto intensi risponde arrestandosi. Stimoli termici. — L'introduzione di qualche cc. di acqua da 20°-50° ha azione eccitomotrice, al di sopra di 50° e al di sotto di 10° ne ha invece una inibitrice. Stimoli chimici. — Soluzioni (un cc.) di acido cloridrico all’ 1-6 °/o provocano ampie contrazioni; le soluzioni acide al di sopra di questo titolo e le soluzioni alcaline producono una diminuzione e un arresto dei moti pre- esistenti. Stimoli elettrici. — Stimoli faradici deboli (un accumulatore e slitta semiabbassata) fanno insorgere forti contrazioni nelle pareti dello stomaco ghiandolare; stimoli forti (due o tre accumulatori) non fanno insorgere con- trazioni e al contrario fanno cessare quelle che eventualmente esistessero. Le correnti continue producono al momento di chiusura o di apertura una contrazione di ampiezza variabile, più forte durante la digestione, meno, durante il riposo. Spesso con stimoli elettrici della più svariata intensità non si riesce ad eccitare lo stomaco ghiandolare. 5) Stomaco muscolare. Stmoli meccanici. — Non tutta la superficie interna dello stomaco mu- scolare è ugualmente irritabile; la parte che corrisponde ai ventri muscolari FiG. 1. — (Metodo del palloncino). Aumento progressivo dell’ ampiezza delle contrazioni dello stomaco muscolare prodotto da stimoli di me- diocre intensità sulla superficie interna dei ventri muscolari. lo è assai meno di quella che corrisponde ai rigonfiamenti, nella quale bastano stimoli meccanici minimi (come la variazione di quaiche cm. di pressione di eo acqua nel palloncino) per produrre aumento dell'ampiezza delle contrazioni ed acceleramento del ritmo; stimoli della stessa intensità portati invece sulla mucosa che riveste i ventri muscolari, restano senza effetto. Stimoli meccanici di mediocre intensità prodotti da squilibri di pres- sione di 30-35 cm. d’acqua nel palloncino, sono eccitomotorî sulla superficie dei ventri (fig. 1), inibitorî su quella dei rigonfiamenti (fig. 2). Stimoli mec- Fr. 2. — (Metodo del palloncino). Diminuuzione progressiva dell’ampiezza delle contrazioni dello stomaco muscolare prodotta da stimoli meccanici di mediocre intensità, sul rigon- fiamento craniale. canici molto intensi, quali possono essere quelli che si ottengono imprimendo movimenti bruschi alla sonda, hanno ovunque effetti inibitorî e possono pro- durre non solo rallentamento del ritmo e diminuzione della ampiezza delle contrazioni, ma anche un arresto che perduri qualche minuto. Quanto ho detto vale per uno stomaco che non si trovi nel periodo della digestione, poichè du- rante questa, la irritabilità dello stomaco muscolare è molto maggiore. Stimoli termici. — Anche per questi si riscontra che sono eccitomotorî se deboli, inibitorî se forti: infatti qualche cc. di acqua dai 45° ai 55° pro- vocano ampie e frequenti contrazioni, sopra i 55° fanno invece arrestare le preesistenti. L'introduzione di acqua sotto i 15° produce rallentamento e ir- regolarità nel ritmo delle contrazioni, l'ampiezza delle quali diminuisce mol- tissimo. Stimoli chimici. — Soluzioni di acido cloridrico fanno aumentare il numero e l'ampiezza dei movimenti se sono a un titolo del 1-6 °/s0, al di sopra del quale hanno azione inibitrice. Le soluzioni alcaline fanno indistin- tamente rallentare l’attività dello stomaco muscolare. Stimoli elettrici. — Occorrono stimoli faradici intensissimi (3 accumu- latori e slitta chiusa) per ottenere qualche effetto che consiste in abbassa- mento del tono e diminuzione di ampiezza delle contrazioni; mai potei met- tere in evidenza un'azione eccitomotrice. L'apertura e la chiusura di correnti continue, anche molto intense, restano il più delle volte senza effetto. Talora la corrente provoca una o al più due contrazioni se è applicata in un mo- mento di riposo. Durante la digestione si ottengono effetti eccitomotorî ed inibitorî con stimoli (di qualunque natura sieno) di intensità notevolmente inferiore a quella che occorre nei periodi di riposo. Forti stimoli portati in qualunque parte del corpo, come punture, cor- renti faradiche intense, bruciature, fanno arrestare le contrazioni dello stomaco muscolare, e l'arresto, se lo stimolo è molto forte, può durare a lungo; le contrazioni riappariscono poi bruscamente e non gradatamente e le prime sono molto più ampie del consueto (fig. 3). FIG. 3. — (Metodo del palloncino). Effetti di due forti punture a una zampa. Effetti del taglio dei nervi vaghi. Il problema è stato fatto scopo di molteplici indagini, io mi sono però occupato soltanto della forma e del ritmo delle contrazioni dello stomaco dopo il taglio dei nervi vaghi. Tagliati i nervi al collo, registravo con il so- lito metodo i movimenti contrattorìî delle varie porzioni dello stomaco, il primo giorno ogni sei ore, poi ogni dodici ore fino alla morte degli animali che è sempre avvenuta con i sintomi ben noti (*). Tanto la porzione ghiandolare che quella muscolare dello stomaco restano completamente inerti le prime ore (cinque a dieci), cominciano poi a pre- sentare rare contrazioni isolate (una ogni mezzora circa) (fig. 4), che diven- gono in seguito sempre più frequenti e più ampie e si raccolgono in grup- petti di due o tre. Molto caratteristici sono i tracciati dello stomaco muscolare negli animali che sopravvivono due. o tre giorni alla sezione dei nervi (fig. 5): il tono si eleva lungo tempo lentamente, subisce un rapido inalzamento ac- (1) Zander, Folgen der Vagusdurschneidung dei. Vogeln. Arch. f. gesch. Phys., pag. 263, 1874. e O — compagnato da due o tre contrazioni e si riabbassa repentinamente per rico- minciare la sua lenta ascesa fino a un nuovo periodo contrattorio. Fre. 4. —- (Metodo del palloncino). Contrazioni dello stomaco muscolare 35 ore dopo la sezione di nervi vaghi. Il tempo impiegato per scrivere il tracciato è di venti minuti. La sezione di uno solo dei nervi vaghi provoca rallentamento e irrego- larità nel ritmo delle contrazioni gastriche, solo per poche ore. Fia. 5. — (Metodo del palloncino). Contrazioni dello stomaco muscolare 3 giorni dopo il taglio dei due nervi vaghi (20 minuti). Stimolazione dei nervi vaghi. L'argomento fu fatto oggetto di studio accurato per parte del Doyon (1), ho creduto nonpertanto di ripetere le ricerche sperando che le maggiori cono- scenze sulla funzione meccanica dello stomaco mi permettessero di mettere in evidenza qualche nuovo fatto. Lo stomaco ghiandolare e quello muscolare si comportano alla stessa maniera rispetto alla stimolazione in parola, che può avere effetti eccitomo- torî ed inibitorî; per i due organi esistono inoltre periodi di assoluta refrat- tarietà verso stimoli di qualunque intensità. (1) M. Doyon, Recherches expérimentales sur l'innervation gastrique des oiseaua. Arch. de physiol. normale et pathologique, XXVI, 1894, pag. 887. DA Se uno dei nervi vaghi è ancora integro e l'altro è tagliato da qualche ora, lo stomaco ghiandolare e quello muscolare posseggono ancora presso a poco un tipo di contrazioni uguale a quello normale: in tali condizioni sti- molando il moncone periferico del nervo tagliato, con leggeri stimoli fara- dici, si ottiene un leggero acceleramento del ritmo; con stimoli forti si arresta al contrario l'attività motrice dello stomaco; le modalità di questo > Fic. 6. — Centrazioni dello stomaco muscolare registrate col metodo del palloncino. Vago destro integro. Stimolazione del moncone periferico sinistro con stimolo faradico forte iniziato durante una pausa. arresto sono differenti secondo che lo stimolo si porta durante una contra- zione o durante una pausa: nel primo caso questa contrazione è più ampia del normale ed è seguita da un periodo di rilasciamento accompagnato da Fi. 7. — Come sopra. Lo stimolo è iniziato durante la fase di rilascia- mento di una contrazione. un forte abbassamento del tono che dura quanto la stimolazione (fig. 6), nel secondo caso prima dell'arresto si presenta sempre un'ampia contrazione; una contrazione supplementare si ha anche quando lo stimolo sì porta durante la fase discendente di un movimento contrattorio (fig. 7). Con stimoli di media intensità, l’azione inibitrice del vago si mani- festa solo dopo due a cinque contrazioni, e non è assoluta poichè perman- RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 6 e, — gono ancora piccole ondulazioni sul tracciato (fig. 8). L'azione eccitomotrice del nervo vago si mette molto meglio in evidenza subito dopo il taglio dei due nervi quando lo stomaco è assolutamente inerte; in tal caso con correnti faradiche di moderata intensità si provocano per ogni stimolazione una o due Fre. 8. — Come sopra. Stimolo di mediocre intensità ampie contrazioni, che non sì ripetono però neppure se si seguita a far agire a lungo la corrente (fig. 9). FI. 9. — Come sopra. I due nervi vaghi tagliati. Stimolazione dei due monconi periferici con correnti faradiche di mediocre intensità. Effetti della stimolazione del simpatico. Le ricerche del Doyon (!) sul pollo, sul piccione e sull'anitra, mostrano che la stimolazione del simpatico può avere azione eccitomotrice sullo sto- maco. Seguendo il metodo di questo autore, curarizzo l’animale e sottopo- stolo alla respirazione artificiale, faccio un'apertura lungo la colonna verte- (‘) Doyen M., Recherches expérimentales sur l'innervation gastrique des viseaur. Arch. de Physiol. normale et pathologique, 5° série, vol. VI, 1894, pag. 887-898. CL (CGA brale e vado ad eccitare i filetti nervosi lungo l’A celiaca. La stimolazione del simpatico ha azione inibitrice nello stomaco in attività ed eccitomotrice nello stomaco in riposo. Anche per il simpatico come per il vago esistono, sia durante l'attività, che durante il riposo, periodi nei quali non si ottiene alcun effetto anche adoperando tutte le gradazioni di intensità di stimolo. CONCLUSIONI. Gli effetti degli stimoli sullo stomaco ghiandolare e in quello musco- lare si possono riassumere così: stimoli di mediocre intensità sono eccito- motorî, forti inibitorî; quegli stimoli che durante il digiuno non sono abba- stanza intensi per produrre effetti, lo sono invece abbastanza per produrne durante la digestione. L'attività dello stomaco è influenzata dagli stimoli portati in qualunque regione del corpo. Nel gioco degli stimoli va cercata, più che nella protezione esercitata dalla cuticola, la ragione della meravigliosa immunità dello stomaco mu- scolare, così bene messa in evidenza dallo Spallanzani (!), verso i corpi taglienti e puntuti, che naturalmente o ad arte possano essere introdotti nella cavità di quest'organo. Quando un corpo irrita troppo la superficie dello stomaco muscolare questo arresta le sue contrazioni e ogni lesione è impossibile. Sup- poniamo per esempio che un pezzetto di vetro sì trovi disposto con i suoi margini taglienti verso i ventri muscolari; appena insorge una contrazione esso stimola fortemente la muccosa e le contrazioni cessano per ricominciare prima deboli poi gradatamente più intense; in molti casi queste piccole contrazioni saranno sufficienti per far disporre il frammento di vetro in una posizione più favorevole in modo da permettere l'insorgenza di potenti con- trazioni che lo riducano in frammenti più piccoli. Se però la posizione non cambia, i piccoli moti contrattorî eseguiscono un lavoro preparatorio; il con- tinuo attrito con le pietruzze frammiste al contenuto gastrico smussa gli angoli del vetro e li arrotonda finchè essi non irritano più la muccosa e non impediscono più allo stomaco di contrarsi con forza. Gli effetti della stimolazione del vago e del simpatico sono simili; tutti e due i nervi possono essere cioè eccimotorî ed inibitorî a seconda dello stato di attività in cui si trova lo stomaco. Dopo la sezione dei nervi vaghi lo stomaco, benchè con un ritmo enor- memente rallentato, seguita a funzionare. Fisica. — Ze sesse nel lago di Garda. Nota preliminare del dott. EmiLio TeGLIO, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (1) Spallanzani L., Expériences sur la digestion de l'homme et de différentes ex- pèces d'animaur. Genève, Chez Barthélemy Chirol, 1783, pag. 30-60. PERSONALE ACCADEMICO Il Socio A. RòITI legge la seguente Commemorazione del Socio prof. EMILIO VILLARI. Emilio Villari, mio amico carissimo, noto pel suo valore scientifico ai fisici di tutto il mondo, è sconosciuto, si può dire, a tutti nel suo alto va- lore morale. Nacque a Napoli il 25 settembre 1836, l’anno del colèra, che lo privò del padre; onde forse, per le ansie patite durante la gestazione dalla ottima sua madre, egli soffrì sin da fanciullo di epilessia: ed il suo illustre fra- tello Pasquale mi narrava come non poche sere, interrotto ne’ suoi lavori scolastici, dovesse accorrere ai lamenti di lui che dormiva nella camera attigua. Per tutta la vita si risentì il povero Emilio di tali condizioni patolo- giche le quali, pur senza travagliarlo con frequenti crisi spasmodiche, lo rendevano taciturno e sfiduciato così che, nell'adolescenza e nella giovinezza, non valevano a scuoterlo ed a rinfrancarlo nemmeno le cure materne della sorella Virginia, l’angelica moglie di Domenico Morelli. E negli anni maturi, i compagni di lavoro ed i pochi amici ch'egli si scelse riconoscevano pur troppo i suoi giorni di scoramenti silenziosi e di paturne in cui bisognava lasciarlo a sè, e per cui dagli estranei era ritenuto burbero e perfino mi- santropo, mentre nella intimità si rivelava invece affettusamente espansivo non senza bagliori di lepidezza. Ben pochi sono i privilegiati ai quali egli aprì l'animo suo altero, indi- pendente, leale e generoso; ma non tanto pochi coloro che nelle commissioni o negli altri uffici accademici ed universitarî, o nei negozi della vita comune, debbono averne ammirato l'imparzialità e l’intemerato carattere. Alcuni ri- cordano ancora come in una di quelle competizioni che fra professori possono farsi rabbiose al pari quasi che fra ecclesiastici, il dente della calunnia si spuntasse contro la sua adamantina purezza, e come il tentativo di denigra- zione si rivolvesse in una solenne dimostrazione di alta stima tributatagli da un'eletta schiera di colleghi con a capo il Carducci. Fortemente egli sentiva il dovere ed inesorabilmente voleva che quanti da lui dipendevano il proprio dovere eseguissero, per cui un dì fu aggredito da un operaio, riportandone una ferita d'ascia fortunatamente non grave: e ricambiò il colpevole beneficando largamente la famiglia di lui durante i tre anni di carcere cui fu condannato. Emilio Villari fu studiosissimo; frequentò nella prima giovinezza tre scuole private di quel genere singolare che era proprio di Napoli, la scuola ESA letteraria di Leopoldo Rodinò, la scuola matematica di Achille Sànnia e la scuola di fisica del Palmieri. Le lasciò per raggiungere suo fratello in Toscana, ed a Pisa, avendo studiato fisica col Felici, prese la laurea in medicina. Principiò la sua carriera d’insegnante nel Collegio medico-chirurgico di Napoli, dove fu fatto chiamare nel 1860 da Camillo De Meis; ma poco vi rimase, che l’anno di poi, ministro il De Sanctis e segretario generale Quin- tino Sella, ritornò a Pisa quale professore di fisica e chimica in quel liceo. Interruppe l'insegnamento per tutto l'anno 1864 che passò a Berlino nel laboratorio del Magnus. Dal 1865 al 1871 insegnò fisica a Firenze: prima nel Liceo Dante, poi nell'Istituto tecnico. Quindi fu nominato per concorso professore ordinario all’Univerità di Bologna. Concorse anche all'Istituto di studî superiori riuscendo primo, com'era naturale, mentrio ebbi l'onore di essere classificato subito dopo di lui; e se mi trovo a Firenze, lo devo alla sua perplessità di lasciare Bologna, ove rimase infatti sino al 1889, quando passò a Napoli. Nelle sue cose egli era irresolutissimo talchè prese moglie già sessage- nario; e la notizia, ch'egli non diede, si sparse destando stupore in chiunque non vivesse nella cerchia de’ suoi parenti. Per ispiegare come mai finisse col decidersi, bisogna richiamare le pagine commoventi che Pasquale Villari dedicò alla memoria di Domenico Morelli fermandosi là dove egli inneggia all’eroica abnegazione delle donne napoletane che per la famiglia sono sempre pronte a dare il tempo, la salute, la pace, tutto il proprio essere; e bisogna sapere che la sposa del povero Emilio, Maddalena Luccio, era sua biscugina dal lato materno, la primogenita d'una numerosa famiglia per la quale faceva le veci della madre da lungo tempo inferma. Essa, cui la vita era missione di dovere e di sacrificî passò nel nuovo stato per continuarvi il suo pietoso ufficio di suora della carità. Così il povero Emilio ebbe due angeli tutelari: la sorella che gli addolcì i primi anni della triste esistenza, e la moglie che lo confortò negli ultimi divenuti ancor più penosi dacchè le solite per- turbazioni dei nervi erano esacerbate da frequenti disturbi gastrici per cui gli veniva meno financo il beneficio del sonno. Senza l'atmosfera di calma affettuosa e di assidua assistenza ond'egli oramai si trovava circondato nella casa, non avrebbe certamente potuto, con tutta la sua meravigliosa forza di volontà, tener fronte agli acciacchi e com- piere in laboratorio ed in iscuola la mole di lavoro che gl’incombeva e che egli s'imponeva. Tenacemente impegnato nelle sue ricerche sulle modificazioni recate dai raggi di Rontgen alle proprietà dei gas, vi dedicava tutte le ore e tutti i giorni di vacanza lasciatigli disponibili dai tre corsi che si credeva in obbligo di fare, cioè uno per la Facoltà di scienze e di medicina, un se- condo per le Scuole di farmacia e di veterinaria ed il terzo di spettroscopia speciale. La fatica di tante lezioni date scrupolosamente, senza mancarne una, davanti a scolaresche numerose ed irrequiete, la tensione intellettuale zio, — e il disagio materiale della indagine scientifica, non mai interrotta da un giorno di svago, avrebbero fiaccato la fibra più robusta; ed è sorprendente davvero che un uomo già inoltrato negli anni, di salute vacillante, eccitabile e nervoso abbia potuto resistervi più d'un quinquennio. Ma nell’anno scolastico 1902-903 il Villari dovè darsi vinto e chiedere un congedo di parecchi mesi facendosi supplire per la prima volta nell'inse- gnamento. L'inazione forzata e la sempre più chiusa concentrazione in sè stesso gli tolsero ogni distrazione dai proprî mali, e l’anno seguente il dolore di aver abbandonato il suo laboratorio in cambio della cattedra, meno gra- vosa, di fisica terrestre, lo ridusse in uno stato veramente compassionevole. Non intervenne alle nostre adunanze dei primi di giugno perchè molestato da dolori artritici; tuttavia nessuno pensava ch'ei si trovasse in pericolo. Invece i suoi mali s'incrudirono rapidamente e si complicarono in guisa da rendere impossibile ai medici una diagnosi sicura. I sintomi furono però strazianti: nelle ultime settimane i dolori allo stomaco si fecero così acuti e le soffe- renze agli arti così insopportabili che il povero Emilio invocava di continuo ed ansiosamente la morte e, sempre padrone di sè, fu esaudito alle ore 5 del 20 agosto. Egli lascia un’ultima prova di mente equilibrata e di rettitudine nelle sue disposizioni testamentarie, ove nulla trascura e tutti rammenta favorendo, senza riguardo a simpatie od antipatie, i parenti meno agiati e lasciando agli altri dei semplici ricordi personali. La sua eredità scientifica è stata da me inventariata con ogni diligenza nella lista per ordine cronologico, che qui presento, delle sue pubblicazioni. La lista è lunga, ma per farsi un'idea adeguata della grande somma di lavoro ch'egli ha compiuto in quasi vent'anni d’indefessa applicazione, conviene pen- sare che tutte queste Memorie consistono in relazioni d’esperienze originali, ed esaminandole una ad una, si trova che quasi tutte contengono lunghe serie di numeri come risultato di misure delicate, pazienti e ripetute in condizioni varie ma sempre ben definite, per eseguire le quali egli ha dovuto procu- rarsi non senza gravi difficoltà e prepararsi con lungo studio l'acconcio ma- teriale, ideare e mettere insieme apparati ed attrezzi, ed al lume di pazienti tentativi provocare con sicurezza i fenomeni, e poi osservarli quantitativamente. A ciò egli dedicava tutte le ore del giorno riservandosi a coordinare e cal- colare di notte i dati dell’osservazione diretta, ed a predisporre nuove osser- vazioni pel giorno seguente, senza mai concedersi una tregua, fosse a Pisa, a Firenze, a Bologna od a Napoli. Il rigore delle sue determinazioni è tale che non una, fra tante, fu mai trovata in difetto dagli altri che coll’andar del tempo ripresero a studiare i medesimi fenomeni. E non v'ha campo della fisica ov'egli non abbia gettato qualche seme fecondo. Mio — Abbiamo di lui uno studio sull’attrito che si oppone al fluire del mercurio pei cannelli di vetro; abbiamo delle eleganti esperienze d’acustica ed una delicata analisi, collaboratore il prof. Carlo Marangoni, sui limiti della per- cezione uditiva; di carattere fisiologico abbiamo pure delle ricerche sul come varia la temperatura del corpo umano per effetto del movimento. Inoltre ab- biamo le sue accurate determinazioni delle proprietà termiche ed elettriche dei diversi legni; e poi alcuni studî sulla elasticità e sui fenomeni termici che l’accompagnano; e nell'ottica degli altri studî interessanti sulla fluore- scenza; ed ancora la sua indagine, che è già divenuta classica, sul calore irraggiato dai varî corpi alla temperatura di 100°. Con essa fu accertato, fra l'altro, che l’emissione non è un fenomeno meramente superficiale, poichè varia con la natura e la grossezza dello strato involgente quei corpi. Sorvolando sulle utili modificazioni ch'egli ha portato a varî strumenti come elettrometro, bussola reometrica, commutatore automatico delle correnti, pila a gas, macchina elettrica per influenza, e sulle Lezioni di fisica speri- mentale che aveva impreso a pubblicare, dobbiamo restare ammirati del copioso contributo da lui recato alla conoscenza dei fenomeni elettrici e ma- gnetici. Qui ci ha dato le acute riprove dell’analogia di contegno fra conden- satore ed elettroforo; e quel che più monta le laboriosissime misure sul calore svolto dalla scarica elettrica nei varî punti del circuito: scintilla più o meno lunga, semplice o multipla, archi di varî conduttori, dielettrico della hat- teria, ecc.; misure così estese e minute da poter far pensare in quel tempo che l'argomento fosse esaurito. Ci ha dato altresì i lunghi e svariatissimi con- fronti fra il calore prodotto dal passaggio della elettricità nei diversi metalli sia sotto forma di scarica, sia di corrente continua, interrotta o indotta, mettendo in evidenza la parte che vi ha ed i fenomeni che determina la ma- gnetizzazione circolare destata per ciò nel ferro, nell'acciaio e nel nichelio. Ma per importanza supera forse ogni altra cosa la scoperta che porta appunto il nome del Villari e riguarda l'inversione dell'effetto esercitato dalla trazione longitudinale sulla magnetizzazione del ferro. L'aumento, già osservato dal Matteucci, diventa via via minore al crescere del campo magnetico nel quale il ferro si trova, e quando il campo supera una certa intensità, invece del- l'aumento si produce una diminuzione. Importantissimi sono pure i fatti scoperti dal Villari verso la fine della sua ostinata operosità, e sui quali egli fu invitato a riferire nell'ultimo Con- gresso internazionale di fisica che ebbe luogo a Parigi. Essi sono relativi alla deionizzazione dei gas ed alle proprietà che i gas ionizzati hanno di comu- nicare o sottrarre ai conduttori le cariche elettriche d'un segno o dell'altro: aspettano ancora di essere interpretati in modo che soddisfaccia a pieno. In fine per debito di equità debbo accennare ad una interpretazione non corretta ch'egli diede della sua ingegnosa e difficile esperienza istituita tren- tacinque anni fa coll’intento di vedere se e quanto tempo sì richieda a che MES AR, il flint assoggettato ad una forza magnetizzante acquisti il potere rotatorio per la luce. Egli fece girare rapidamente un disco di questo vetro fra i poli di un’elettrocalamita e, come si aspettava, osservò che il piano di polarizzazione della luce, attraversante il disco lungo un diametro, veniva meno deviato al crescere della velocità: e ne concluse che un ritardo nella magnetizzazione veramente ci fosse. Anche quest'esperienza, al pari di tutte le altre sue, in- contrò piena conferma; non così però la conclusione, poichè l’effetto osservato sì spiega colla diminuzione cui deve andar soggetto il potere rotatorio in grazia della birifrangenza destata dalla forza centrifuga; e d'altro canto espe- rienze istituite molto più tardi con metodo affatto diverso hanno messo fuori di dubbio che quel ritardo è, se mai, incomparabilmente minore. Al tempo che il Villari si pose il problema, chiunque altro, anche se versatissimo nelle matematiche, avrebbe risposto probabilmente come lui; ma un matematico avrebbe poi ripreso la questione quando furono studiati da Gibbs prima, indi da Gouy gli effetti simultanei del potere rotatorio e della doppia rifrazione. Il difetto di cultura matematica apparisce qua e là nella produzione del Villari come pure nella scelta dei soggetti, e spiega la sua diffidenza nell'accettare i portati della teoria, per cui sovrabbondava nelle prove e ri- prove puramente sperimentali prendendo troppo alla lettera l'antico motto dell’Accademia del Cimento. Privo del più poderoso strumento d'indagine e conscio che il semplice buon senso è timone mal fido, si peritò a spiegar le vele della fantasia, e navigò sempre a forza di remi. Maggiore dev'essere adunque la nostra ammirazione se riuscì ad esplorare tanti lidi ed a racco- gliervi sì ricchi tesori. Emilio Villari non cercò gli onori, ed invero fu fatto appena appena cavaliere della Corona d'Italia sebbene fosse riconosciuto per unanime con- senso come un valoroso scienziato. Questa illustre Accademia lo accolse fino dal 16 giugno 1880, e le altre Accademie d'Italia fecero a gara per averlo Socio: l'Istituzione Reale della Gran Brettagna e la Società fisica di Londra lo elessero membro onorario. Il suo nome andrà per le bocche di tutti i fisici avvenire; ma un tal nome, oltre che essere simbolo di verità scientifiche, è per me evocazione di umana virtù, ed io con affetto riverente m' inchino alla memoria dell’Amico mio, che fu uomo di grande carattere. ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI del prof. EMILIO VILLARI. 1865. « Intorno alle modificazioni del momento magnetico di una verga di ferro e di ac- ciaio, prodotte per la trazione della medesima e pel passaggio di una corrente at- traverso la stessa ». — Pogg. Ann., CXXVI, 87; Berl. Monatsber. Juli 1865, p. 380; N. Cimento, XX, 817; Phil. Mag. (4) XXXI, 239. Mero: e 1866. « Intorno ad alcuni fatti singolari di elettromagnetismo, ed alla ipotesi di Weber sulle elettrocalamite ». — N. Cimento, XXI-XXII, 415; Pogg. Ann., CXXXIII, 322; Archives Genève (2) XXXII, 67; Annales de Chim. (4) XV, 485; Phil. Mag. (4) XXXVI, 79. 1867. « Ricerche sperimentali intorno alcune proprietà fisiche del legno tagliato parallela- mente o perpendicolarmente alle sue fibre ». — Atti Acc. Napoli (1) III; N. Cim,, XXV, 399; Pogg. Ann., CXXXIII, 400; Ann. de Chim. (4) XIV, 503. 1868. « Intorno al magnetismo trasversale del ferro e dell’acciaio ». — N. Cim., XXVII, 329; Pogg. Ann., CKXXVII, 569; Annales de Chim. (4) XVIII, 468. 1869. « Influenza della magnetizzazione sulla conducibilità elettrica del ferro e dell’ac- ciaio ». — N. Cim. (2) I, 24; Rend. Lomb. (2) I, 853. — « Nuove ricerche sulle correnti indotte tra il ferro ed altri metalli ». — N. Cim. (2) I, 217; Rend. Lomb. (2) II, 449, 571. — « Sulla elasticità del caoutchuc ». — N. Cim. (2) I, 332, 361; Pogg. Ann., CXLIII, 88, Anno 1871. — «Studi acustici sulle fiamme ». — N. Cim. (2) I, 352; Pogg. Ann., UXL, 588. — « Ricerche sul limite della percezione dei suoni in riguardo colla loro durata » (in col- laborazione con C. Marangoni). — N. Cim. (2) I, 382; Rend. Lomb. (2) II, 719. —- «Sul calorico sviluppato nel caoutchuc per effetto della trazione ». — N. Cim. (2) II, 301; Rend. Lomb. (2) II, 767; Pogg. Ann., CXLIV, 274; Phil. Mag. (4) XLIII, 157. -— « Sulla forza elettromotrice del palladio nelle pile a gas ». — N. Cim. (2) II, 382; Rend. Lomb. (2) II, 1085; Pogg. Ann., CLI, 608. 1870. « Sul tempo che impiega il flint a magnetizzarsi ». — N. Cim. (2) III, 373; Rend. Lomb. (2) III; Pogg. Ann., CIL, 324; Archives Genève (2) XLIII, 105. — « Notizie sulla resistenza elettrica dei gas compressi e sulle modificazioni spettrosco- piche che soffre la scintilla che li attraversa ». — N. Cim. (2) IV, 78; Rend. Lomb. (2) III, 594. — «Sui fenomeni che si manifestano quando la corrente elettrica si stabilisce nel ferro ed in altri metalli ». — N. Cim. (2) IV, 287, 359. 1871. « Studi d’alcuni fenomeni d’induzione elettrodinamica ». — Rend. Lomb. (2), IV, 25. 1872. « Sulla composizione ottica dei movimenti vibratorî di due o più coristi oscillanti in piani paralleli od ortogonali ». — Rend. Bologna, 1871-72; Mem. Bologna (3) II, 295; N. Cim. (2) VII-VIII, 141. — « Nuove esperienze per osservare i battimenti prodotti da due coristi ». — Mem. Bo- logna (8) II, 309. 1873. « Ricerche sulle correnti interrotte ed invertite, studiate nei loro effetti termici ed elettrodinamici ». — Mem. Bologna (3) IV, 157; N. Cim. (2) XI, 63. — « Descrizione di un inversore automatico a mercurio ». — Mem. Bologna (8) IV, 363; N. Cim. (2) XI, 266. 1874. « Sulla diversa tensione delle correnti elettriche indotte fra circuiti totalmente di rame od in parte di ferro ». — Mem. Bologna (8) IV, 449; N. Cim. (2) XI, 201. 1875, Maggio, 20. « Sull’efflusso del mercurio per tubi di vetro di piccolo diametro n. — Mem. Bologna (3) VI, 487; N. Cim. (2) XV, 263; XVI, 23; Comptes Rendus, 84, 88, genn. 1877. 1876. « Sui fenomeni di fosforescenza e fluorescenza prodotti da diverse luci ». — Rend. Bologna, 1875-76, pag. 132. — «Sulla conducibilità elettrica dei varî metalli misurata colla scarica della bottiglia di Leida». — Rend. Bologna, 1875-76, pag. 133. 1877, Dicembre, 27. « Sul potere emissivo e sulla diversa natura del calorico emesso da diverse sostanze riscaldate a 100° ». — Mem. Bologna (3) IX, 145; N. Cim. (3) IV, 5. ReNDICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 7 e) 1878. « Studi sul calorico svolto dalla scintilla elettrica esplodente in varî gas». — N. Cim. (3) III, 270. 1879, Gennaio 28. « Intorno alle leggi termiche e galvanometriche che governano la for- mazione della scintilla elettrica nei gassi. Sunto ». — Rend. Bologna, gennaio 79; N. Cim. (3) V, 49. — Gennaio 23. « Intorno alle leggi termiche e galvanometriche della scintilla elettrica che si forma nei diversi gassi ». Memoria Prima. — Mem. Bologna (3) X, 147. — Marzo 81. « Sur les lois thermiques et galvanométriques de l’étincelle électrique pro- duite dans les gaz ». — Comptes Rendus, 88, 706. — Maggio 15. « Nuove ricerche sul calorico svolto dalle scintille elettriche dei conden- satori e dei rocchetti d’induzione ». Due Note anticipate. — Rend. Bologna, 15 mag- gio 1879; N. Cim. (8) VI, 115, 128. — Maggio 15. « Sulle leggi termiche e galvanometriche delle scintille delle scariche di induzione ». Memoria Terza. — Mem. Bologna (4) I, 49; N. Cim. (3) VII, 203. — Giugno 1. « Ricerche sulle leggi termiche e galvanometriche delle scintille elettriche prodotte dalle scariche complete, incomplete e parziali dei condensatori ». Memoria Seconda. — Mem. Lincei (3) IV, 49; N. Cim. (3) VI, 235, VII, 5. — Novembre 27. « Osservazioni sulla variazione di temperatura del corpo umano prodotta dal movimento ». — Mem. Bologna (4) I, 39; N. Cim. (3) VIII, 155. 1880. Leggi relative alle dimensioni delle scintille elettriche dei condensatori ». Nota an- ticipata. — Rend. Bologna, 1880. — Luglio, 29. « Sui fenomeni termici e luminosi che si manifestano nelle bottiglie di Leida nel momento della loro scarica ». — Rend. Lomb., XIII, 541. — Novembre, 11. « Sulle scariche interne dei condensatori elettrici ». Memoria Quarta. — Mem. Bologna (4) II, 101; N. Cim. (3) X, 5; Phil. Mag. (5) XI, 541; Compt. Rendus, 92, 872 (Aprile 1881). 1881. Marzo, 6. « Intorno alle leggi termiche della scintilla eccitatrice dei condensatori ». Memoria Quinta. — Mem. Lincei (3) IX, 118. — Marzo, 21. « Observations sur les variations de température du corps humain pen- dant le mouvement ». — Comptes Rendus, 92, 762. — Aprile, 3. « Sulla carica dei coibenti, sulla teoria dell’elettroforo, e sulla sua analogia coi condensatori ». — Trans. Lincei (3) V, 195; N. Cim. (3) X, 69; XI, 50 (con mo- dificazioni ed aggiunte). — Giugno, 21. « Sur les lois thermiques de l’étincelle excitatrice des condensateurs », — Comptes Rendus, 92, 1449. — Dicembre, 4. « Sulla carica dei coibenti » (in collaborazione con A. Righi). — Trans. Lincei (3) VI, 47; N. Cim. (8) XI, 42. 1882. Marzo, 5. « Sulla lunghezza d’una o più scintille elettriche di un condensatore e sulle modificazioni che esse subiscono per effetto delle varie resistenze introdotte nel circuito di scarico ». Memoria Settima. — Mem. Lincei (3) XIII, 274; N. Cim. (3) XIII, 140, 232; Journ. de Phys. (2) III, 529. — — — «Influenza delle diverse resistenze elettriche sulle dimensioni della scintilla ec- citatrice dai condensatori ». — Trans. Lincei (8) VI, 176. — Maggio, 11. « Delle figure elettriche dei condensatori ». — Mem. Bologna (4) III, 663. — Maggio, 15. « Sur la longueur des étincelles de la décharge d’un condensateur électri- que n. — Comptes Rendus, 94, 1350. — Novembre, 10. « Ulteriori ricerche sulle figure elettriche dei condensatori ». — Mem. Bologna (4) IV, 395: Journ. de Phys. (2) III, 525. — — — «Intorno ad un singolare effetto meccanico della scarica elettrica ». — Mem. Bologna (4) IV, 507; N. Cim. (8) XIV, 215; Journ. de Phys. (2) III 552. sr cotti LEI 1883. Aprile, 7. « Ricerche microscopiche sulle tracce delle scintille incise su] vetro e sui diametri delle scintille stesse ». — Mem. Napoli (2) I, 1; N. Cim. (3) XV, 43; Journ. de Phys. (2) III, 527. — Aprile, 22. « Sul calorico totale svolto da una © più scintille generate dalla scarica di un condensatore ». — Mem. Bologna (4) IV, 624; N. Cim. (8) XV, 145, 211; Journ. de Phys. (2) III, 529. — Giugno, 17. « Sul calore svolto nei liquidi dalle scariche dei condensatori ». — Trans. Lincei (3) VII, 297; N. Cim. (8) XIX, 14. 1884. Febbraio, 24. « Ricerche sulle scariche interne ed esterne dei condensatori ». — Mem. Bologna (4) V, 683; N. Cim., (3) XIX, 143, 193. 1885. Dicembre, 20. « Sul potere emissivo delle scintille elettriche e sul vario aspetto che esse presentano in alcuni gas ». — Mem. Bologna (4) VI, 769. 1887. Aprile, 17. « Studi ed osservazioni intorno alle macchine elettriche ad influenza e descrizione di una nuova e grande macchina ad otto dischi ». — Mem. Bologna (4) VIII, 245. 1888. « Ricerche sulla scarica interna dei condensatori ». — L’ Elettricità. Milano, 1888, pag. 38. — Giugno, 2. « Sulla diversa resistenza elettrica opposta da alcuni circuiti metallici alla scarica dei condensatori ed alla corrente della pila ». — Mem. Napoli (2) III, 56; N. Cim. (8) XXV, 261; XXVI, 90, 149. 1889. Maggio, 16. « Sulla resistenza dell’idrogeno e di altri gas alla corrente ed alle scariche elettriche, e sul calorico svolto in essi dalle scintille ». — Rend. Lincei, V, 730; N. Cim. (3) XXVII, 52. 1890. Aprile, 27. « Osservazioni intorno ad alcuni fenomeni di fosforescenza e fluore- scenza ». — Mem. Bologna (4) X, 697; N. Cim. (8) XXIX, 36. — « Ricerche sulla lunghezza dell’arco voltaico ». — L’ Elettricità. Milano, 1890, pag. 230. 1891. Aprile, 26. « Intorno ad alcune esperienze di acustica ». — Mem. Bologna (5) I, 673. 1892. Febbraio, 14: « Intorno all’azione del magnetismo ordinario sul trasversale studiata nel ferro e nell’acciaio ». — Mem. Bologna (5) II, 443. — Agosto, 9. « Intorno ad alcune modificazioni dell’elettrometro a quadranti del Thomson ». — Incoragg. Napoli (4) V, 11; N. Cim. (3) XXXII, 239. — Dicembre, 11. « Azione del magnetismo trasversale sul magnetismo ordinario del ferro e dell’acciaio ». — Mem. Bologna (5) III, 153; N. Cim. (3) XXXIII, 152, 193, 268; XXXIV, 49. 1895. Aprile, 21. « Di una bussola a torsione di sensibilità variabile, e nuove misure fatte con la medesima». — Mem. Bologna (5) V, 401; N. Cim. (4) III, 169. 1896. Febbraio, 15. «Sui raggi Ròntgen ». — Rend. Napoli; N. Cim. (4) III, 191. — Marzo, 7. « Sui raggi Rontgen ». Nota II. — Rend. Napoli; N. Cim. (4) III, 228. — Marzo, 14. «Sui raggi X e sulle scariche elettriche da essi prodotte ». Nota III. — Rend. Napoli; N. Cim. (4) III, 306. — Aprile, 12. « Sui raggi catodici e sui raggi Réntgen ». — Mem. Bologna (5) VI, 117. — Maggio, 9. « Sul modo col quale i raggi X propagano la scarica dei corpi elettriz- zati ». Nota IV. — Rend. Napoli; N. Cim. (4) III, 370. — Maggio, 17. « Sulle cariche e figure elettriche alla superficie dei tubi del Crookes e del Geissler ». — Rend. Lincei (5) V, 377; N. Cim. (4) III, 359. — Giugno, 13. « Dell’azione dei tubi e dei dischi metallici sui raggi X ». Nota V. — Rend. Napoli; N. Cim. (4) IV, 112; Comptes Rendus, /24, 109. — Giugno, 16. « Sul modo col quale i raggi X facilitano la scarica dei corpi elettriz- zati ». — Rend. Lincei (5) V, 419. — Giugno, 6 e 21. « Del ripiegarsi dei raggi X dietro i corpi opachi ». — Rend. Lincei (5) V, 419, 445; N. Cim. (4) IV, 117; Comptes Rendus, /23, 418. SEA 1896. Luglio, 4. « Del modo col quale i raggi X scaricano i corpi elettrizzati, e della ma- niera con la quale itubi opachi ne scemano l'efficacia ». Nota VI. — Rend. Napoli; N. Cim. (4) IV, 114; Comptes Rendus, /23, 106, 107. — Luglio, 4. « Della scarica provocata pei raggi X dai conduttori circondati da coibenti solidi, liquidi e gassosi ». Nota VII. — Rend. Napoli; N. Cim. (4) IV, 170; Comptes Rendus, /23, 446. — Luglio, 19; Agosto, 2. « Dell’azione dei tubi opachi sui raggi X, del come questi sca- ricano i conduttori elettrizzati, e delle differenze che essi raggi manifestano quando vengono studiati con l’elettroscopio o con la fotografia ». — Rend. Lincei (5) V, OMO — Agosto, 6. « Sulle proprietà scaricatrice e conduttrice prodotte nei gas dai raggi X e dalle scintille elettriche ». — Incoragg. Napoli (4) IX, n°. 6; N. Cim. (4) IV, 234. — Settembre, 4. « Osservazioni sulla dispersione elettrica provocata dall'aria calda delle fiamme e sull’isolamento degli elettroscopi ». Nota IX. — Rend. Napoli. — Ottobre, 18. « Della proprietà scaricatrice svolta nei gas dai raggi X e dalle scin- tille, e della sua persistenza nei medesimi ». — Rend. Lincei (5) V, 281; N. Cim. (4) IV, 234. — Ottobre, 19. « De l'action de l’effluve électrique sur la propriété des gaz de décharger les corps électrisés ». — Comptes Rendus, /23, 599. — Ottobre. « Commemorazione del prof. Luigi Palmieri ». — Acc. di Napoli. — Dicembre, 7. « Sur la propriété de décharger les conducteurs électrisés, communiquée aux gaz par les rayons X, par les flammes et par les étincelles électriques n. — Comptes Rendus, /23, 993. — Dicembre, 12. « Dell’azione dell’ozonatore su alcuni gas attivati dai raggi X ». Nota IX (sic). — Rend. Napoli. — Dicembre, 20. « Dell’azione dell’ozonatore su alcuni gas attivati dai raggi X». Rend. Lincei (5) V; Rend. Napoli, N. Cim. (4) V, 203. 1897. « Influence of Rontgen rays upon electrical conductivity ». — Nature, 56, 91. — Gennaio, 3 e 17. « Dell’azione dell’ozonatore sui gas attivati dai raggi X ». — Rend. Lincei (5) VI, 17, 48. — Febbraio, 7. « Dell’azione dell’ozonatore sulla proprietà scaricatrice destata nei gas dalle scintille e dalle fiamme ». — Rend. Lincei (5) VI, 91; N. Cim. (4) V, 459. Febbraio, 22. « Sul potere refrigerante svolto nei gas dalle scintille elettriche n. — Rend. Napoli (3a) III, 52. Marzo, 15. « De l’action de l’effluve électrique sur les gaz ». — Comptes Rendus, 124, 558; N. Cim. (4) IV, 370. — Aprile, 3. «Intorno alle azioni delle diverse cariche elettriche sulla proprietà scarica- trice destata nell'aria dai raggi X». — Rend. Napoli; Comptes Rendus, /25, 167 — Maggio, 1. « Sullo stato elettrico dei prodotti elettrolitici dell’acqua, e sulla conden- sazione dei vapori d’acqua per le scintille ». — Rend. Napoli. — Giugno, 5. « Delle azioni dell'elettricità sulla virtù scaricatrice indotta nell’aria dai raggi X ». — Rend. Lincei (5) VI, 343; N. Cim. (4) VI, 113; Compt. Rend. /25, 167. — Luglio, 10. « Sulla proprietà scaricatrice prodotta nei gas dall’uraninite ». — Rend. Napoli; N. Cim. (4) VII, 46. -- «Sui raggi X ». — L’Elettricista. Anno V, n°. 10 e seg. 1898. Gennaio, 16. « Sul potere refrigerante dei gas attraversati dalle scintille elettriche e sul diffondersi del fumo nei medesimi ». — Rend. Bologna (N) II, 59; N. Cim. (4) IX, 77. — Aprile, 17. « Dell’azione dei tubi opachi sui raggi X ». — Rend. Lincei (5) VII, 225; N. Cim. (4) VII, 270. —_ TE 1898. Giugno, 11. « Le ombre dei raggi X studiate con la fotografia ». — Rend. Lincei (5) VII, 291; N. Cim. (4), VIII, 57. — Novembre, 20. « Come i tubi scemano la virtù scaricatrice dei raggi X ». Rend. Lin- cei (5) VII, 261; N. Cim. (4) IX, 147. — Novembre, 20. « Su una Nota del prof. de Heen dell’ Università di Liegi ». — Rend. Lincei (5) VII, 272; N. Cim. (4) IX, 157. 1899. Gennaio, 29. « Ricerche sulla conducibilità termica dei prodotti di combustione delle fiamme ». — Rend. Bologna (N) III, 60. — Luglio, 10. « Dell’azione dell’elettricità sull’aria attivata dai raggi X ». — Rend. Na- poli (3a) V, 145. 1900. Gennaio, 20. « Di alcune nuove proprietà dell’aria attivata dai raggi X ». — Rend. Napoli (3) VI, 46. — Gennaio, 28. « Dell’azione dell’elettricità sulla virtù scaricatrice dell’aria ixata ». — Rend. Bologna; N. Cim. (4) XII, 17. — Aprile, 22. « Come l’aria ixata perde la sua proprietà scaricatrice, e come svolge ca- riche di elevati potenziali ». — Rend. Lincei (5) IX, 288; N. Cim. (4) XII, 91. Giugno, 23. « Osservazioni intorno ad un lavoro di F. Kurlbaum sul potere emissivo ». — Rend. Napoli (3) VI, 136; N. Cim. (4) XI, 486. — Giugno, 28. «Intorno ad un lavoro del prof. E. Riecke sulle figure elettriche n. — Rend. Napoli (3) VI, 155; N. Cim. (4) XI, 4388. | — «Lezioni di fisica sperimentale. Magnetismo ed Elettricità: I ». — Napoli 1900. — « Les charges électriques et les gaz ionisés ». — Congr. intern. de phys., III, 152. Paris, 1900. 1901. Gennaio, 12. « Osservazione su una Nota di F. Kurlbaum relativa al potere emis- sivo ». Rend. Napoli (8) VII, 26; N. Cim. (5) I, 186. — Febbraio, 22. « How Air subjected to X-rays loses its Discharging Property, and how it produces Electricity ». — Proc Phys. Soc. London, XVII, 674; Phil. Mag. (6) I, 535. — Marzo, 10. « Di alcuni notevoli fenomeni osservati con una corrente di aria attivata dai raggi X (ixata)». — Rend. Bologna; Rend. Napoli (3) VII, 130; N. Cim. (5) II, 131. — « Intorno ad una Nota del sig. prof. E. Dorn, dal titolo: Di una possibile spiegazione delle cariche elettriche osservate dal sig. prof. E. Villari svolte dall'aria ròntge- nizzata ». — N, Cim. (5) I, 206. 1902. Aprile, 13. « Sul riscaldamento polare prodotto dalle scintille elettriche e sulla resistenza che esse incontrano ». — Rend. Bologna (N) VI, 101. — «Lezioni di fisica sperimentale. Magnetismo ed Elettricità II. (Galvanismo ed Elettro- magnetismo) ». — Napoli, 1902. 1903. « Ueber die durch elektrische Funken erzeugte polare Erwirmung und iber den Widerstand, den dieselben in Wasserstoff finden ». — Phys. Zeitsch., IV, 262. — Maggio, 10.« Di alcune esperienze sull’abrasione degli elettrodi, prodotta dalla scin- tilla ». — Mem. Bologna (5) X, 585. 1904. Marzo, 19. « Confronto fra i raggi Roòntgen e le emanazioni emesse dal radio tel- lurico ». — Rend. Napoli. 20003 pn PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando un lavoro del Socio straniero PFLUEGER; i frammenti concernenti la Geofisica dei pressi di Roma, pubblicazione fatta in omaggio alla memoria di Filippo Keller; un volume edito dalla Commissione della Carta geologica della Spagna; e l'opera: The State of Missouri, dono della Commissione del Missouri World's Fair. A nome del Socio Foà, il Segretario GRASSI offre un volume, di cui dà notizia, contenente i Lavori dell’ Istituto di Anatomia patologica di Torino, diretto dal prof. Foà suddetto. Il Socio VoLTERRA presenta a nome dell’autore prof. Le Bon, un: Zxtrazt du plan d'une bibliographie analytique des éerits contemporains sur l’ Histoire de l’Astronomie. CONCORSI A PREMI Il Presidente BLASERNA dà comunicazione di una lettera di S. E. il Ministro della R. Casa, il quale informa l'Accademia che S. M. iL Re ha approvato la proposta dell’Accademia stessa, di rimettere a concorso pel 1905 il premio Reale per la Matematica, non conferito, del 1903. Il Segretario CeRRUTI comunica gli elenchi dei lavori presentati per prender parte ai concorsi scaduti col 31 dicembre 1904. Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio di S. M. il Re per la Mineralogia e Geologia. (Premio L. 10,000. Scadenza 81 dicembre 1904). 1. DE ANGELIS D'Ossat GioAccHINO. 1) « Zoantari fossili dei dintorni di Roma » (st.). — 2) « Il pozzo artesiano di Marigliano » (st.). — 3) «I Corallarî dei terreni terziarî dell’ Italia settentrionale » (st.). — 4) « Il Ahe- noceros (Coclodonta) etruscus Falc. nella provincia romana» (st.). — 5) « Contribuzione allo studio della fauna fossile paleozoica delle Alpi Car- niche. I Coralli e Briozoi del Carbonifero » (st.). — 6) «I dintorni di Ra- polano (Siena) » (st... — 7) «Corallarî neogenici di Sardegna» (st.). — 8) « Mammiferi fossili dell’antico lago del Mercure » (st.). — 9) « L'alta valle dell'Aniene. Studio geologico-geografico » (st.). — 10) « L'alta valle SN dell'Aniene. Studio paleontologico » (st.). — 11) «Seconda contribuzione allo studio della fauna fossile paleozoica delle Alpi Carniche » (st.). — 12) « Le sorgenti di petrolio a Tocco di Casauria» (st.). — 18) II contributo allo studio del Miocene nell’Umbria » (st.). — 14) «I ciottoli esotici nel Miocene del Monte Deruta» (st.). — 15) L'origine dei ciottoli esotici nel Miocene del Monte Deruta » (st.). — 16) «Studio geologico sul materiale raccolto da Maurizio Sacchi » (st.). — 17) III contributo allo studio del Miocene nel- l'Umbria » (st.). -— 18) « Escursione geologica alla miniera Marganai (Igle- sias) » (st.). — 19) « Terza contribuzione allo studio della fauna fossile pa- leozoica delle Alpi Carniche » (st.). — 20) « Appunti sopra alcuni minerali di Casal di Pari» (st.). — 21) « Un nuovo giacimento di cinabro presso Sa- turnia » (st... — 22) « Sopra i giacimenti petroliferi della zona neogenica della Rumenia» (st.). — 23) « Zoantari miocenici dell’ Hérault » (st.). — 24) «Il Clistophyllum Thildae n. sp. nel Parà» (st.). — 25) «Il giaci- mento di cinabro presso Saturnia » (st.). — 26) « La resistenza specifica elet- trica delle rocce e dei terreni agrari» (st.). — 27) « Zoantari del Terziario della Patogonia » (st.). — 28) « Brano di logica formale della geologia. Stra- tigrafia » (st.). — 29) « Filoni metalliferi nelle rocce trachitiche della Sar- degna occidentale » (st.). — 30) « Sulle condizioni sfavorevoli per i pozzi artesiani tra Roma ed i Colli Laziali » (st.). — 31) « Coralli del Cretacico inferiore della Catalogna » (ms.). 2. MARTELLI ALESsANDRO. 1) « Paxos e Antiparxos nel Mare Jonio » (st.). — 2) « Le formazioni geologiche e i fossili di Paxos e Antipaxos » (st.). — 3) « L'isola di Lagosta (Dalmazia meridionale) » (st.). — 4) «I terreni num- mulitici di Spalato in Dalmazia » (st.). — 5) «I fossili dei terreni eocenici di Spalato in Dalmazia » (st.). — 7) «Il Muschelkalk di Boljevici nel Mon- tenegro meridionale » (st.).. — 8) «Il Nysch del Montenegro sud-orientale » (st... — 9 « Osservazioni geografico-fisiche e geologiche sull’isola di Lissa » (st.). — 10) «Il livello di Wengen nel Montenegro meridionale » (st.). — 11) « Cefalopodi triasici di Boljevici presso Vir nel Montenegro » (st.). — 12) « Studio geologico sul Montenegro sud-orientale e littoraneo. Carte geolo- giche alla scala di 1:75000 ». 8. PARONA CarLo Fagrizio. 1) « La fauna fossile (Calloviana) di Acque Fredde, sulla sponda veronese del Lago di Garda » (st.). — 2) « Nuove osservazioni sopra la fauna e l'età degli strati con Posidonomya alpina nei Sette Comuni » (st.). — 3) « Fossili albiani d'Escragnolles, del Nizzardo e della Liguria occidentale » (in collab. con G. BoNARELLI) (st.). — 4) « Descri- zione di alcune ammoniti del Necomiano veneto » (st.). — 5) « Contribu- zione alla conoscenza delle ammoniti liasiche di Lombardia » (st.). — 9) « Note sui Cefalofodi terziari del Piemonte » (st.). — 7) « Sopra alcune IE rudiste senoniane dell'Appennino meridionale » (st.). — 8) « Le rudiste e le camacee di S. Polo Matese » (st.). — 9) « Diaspri permiani a radiolarie di Montenotte (Liguria occidentale) » (st... — 10) «I fossili del Lias infe- riore di Saltrio in Lombardia » (st.). — 11 «Sulla presenza dei calcari a Toucasia carinata nell'isola di Capri » (st.). — 12) « Osservazioni sulla fauna e sull'età del calcare di scogliera presso Colle Pagliare nell’Abruzzo aquilano » (st... — 13) « Una rudista della scaglia veneta » (st.). — 14) « Nuove osservazioni sui massi di calcare rosso a brachiopodi del Lias medio compresi nelle argille scagliose di Lauriano » (st.). 4. Sacco FepERICcO. 1) « Schema orogenetico dell'Europa » (st.). — 2) « L'Appennino settentrionale e centrale » (st.). — 3) « La Valle padana » (st.).. — 4 «I Molluschi terziarî del Piemonte e della Liguria» (st.). — 5) «I Brachiopodi terziarî del Piemonte e della Liguria » (st.), — 6) « Il Delfino pliocenico di Camerano» (st.). Elenco dei lavori presentati per concorrere ai premi del Ministero della P. I. per le Scienze matematiche. (Due premi del valore di L. 2,650. — Scadenza 31 dicembre 1904). 1. ALASIA CRISTOFORO. « Saggio terminologico-bibliografico sulla recente geometria del triangolo » (st.). 2. Biasi GiovannI. 1) « Di due definizioni contestate di Euclide » (st.). — 2) « Sopra un'estensione del teorema di Wallace » (st.). — 3) « Di due nuove forme del teorema di Wallace nelle sue estensioni » (st.). — 4) « Sul postulato dell’equivalenza » (st.). — ©) « Coordinate di grado 2” » (st.). — 6) « Saggio di Geometria analitica di grado superiore al primo » (ms.). 3. CHini Mineo. 1) « Teoria dell'equazione di Laplace » (lit.). — 2) « Lezioni di calcolo infinitesimale (Teorie d'’introduzione) » (lit.). — 3) « Corso speciale di matematiche » (st.). — 4) « Sopra una particolare equazione del 1° ordine » Note 1-2 (st.). 4. Ciani EpeaRDO. 1) « Sopra i gruppi finiti di collineazioni quater- narie, oloedricamente isomorfi con quelli dei poliedri regolari » (st.). — 2) « Sopra i gruppi finiti di collineazioni quaternarie dotate di cubiche gobbe invarianti » (st.). — 3) « La prospettiva Cavaliera a 45° » (st.). — 4) « Sopra alcuni gruppi quaternari dotati di quartica o quintica gobba razionale inva- riante » (st.). — 5) « Le curve gobbe razionali di 5° ordine invarianti rispetto a gruppi finiti di collineazioni quaternarie » (st.). e 5. PironpINI GeminIANO. 1) « Generalizzazione di alcune proprietà del- l'elica cilindro-conica » (st.). — 2) « Nota geometrica sulle superficie di Monge » (st.), — 3) « Symétrie tangentielle par rapport è une surface de révolution » (st... — 4 « Sulle evolventi successive d'un cerchio » (st.). — 5) « Integrazione di alcune differenziali » (st... — 6) « Proprietà caratteri- stiche di alcune linee piane, o a doppia curvatura » (st.). — 7) « Sui fasci d'elicoidi aventi l’asse in comune » (st.). — 8) « Della simmetria obliqua rispetto a un asse o a un piano » (st.).. — 9) « Una speciale trasformazione geometrica dello spazio » (st.). — 10) « Saggio di una teoria analitica delle linee piane e a doppia curvatura, esposta con nuovo metodo » (ms.). Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio Carpe. (Premio di L. 900. — Scadenza 31 dicembre 1904). EnRIQUES PaoLo. « Contributi alla fisiologia comparata del fegato » (ms.). CORRISPONDENZA Il Presidente BLaseRNA dà lettura del seguente telegramma da lui inviato, a nome dell’Accademia, al Socio Senatore G. CARDUCCI: Professore Senatore CARDUCCI, Bologna. Sono lieto aver potuto dare mio voto alla legge di riverente affetto che La riguarda; e a nome Reale Accademia Lincei, che si onora averla suo Socio, Le invio caldi e affet- tuosi augurî di felicità e di lunga e prospera vita serena. Presidente BLASERNA. Il Segretario CERRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti; la R. Accademia delle scienze di Lisbona; l'Accademia delle scienze di Nuova York; la R. Accademia di scienze e lettere di Danimarca ; la Società geologica di Sydney ; la Società zoologica di Tokyo; i Musei di storia naturale di Amburgo e di Nuova York; l'Istituto Smithsoniano di Washington; la Società degli Spettro- scopisti italiani di Catania; l'Osservatorio di San Fernando; le Università di Lione e di Cambridge Mass. V. C. “An, Publicazioni della R. Accademia del Lincei. Serie 1® — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIIT. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1373-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1 TRANSUNTI. 2° MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. EV. W. WESNIE: VIII. Serie 3° — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRiE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. Y. (1,2). — IL (1, 2). — DEXIX. Memoriz della Classe di scioenge ‘morali, storiche è filologiche. Vol. I-XIIL. Serie 4* — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe. di scienze. morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fase 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. (1892-1904). Fase. 1°-8°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. Vol. V. Fasc. 1°-2°. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. XI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. #0; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHerR & C.° — Roma, Torino e Firenze. urico MoepLi. — Milano, P:sa e Napoli. RENDICONTI — Gennaio 1905. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta dell'8 gennaio 1905. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Millosevich. Osservazioni della nuova cometa Borrelly . . . . asia Lauricella. Sulle derivate della funzione potenziale di doppio crt e dal Socio Vol- ARCO ; BRE AA Tedone. Sul problema dell'equilibrio fia di un o di san (aa 14) 0 APEIARL,. Orlando. Integrazione della 4, fra due piani paralleli (pres. dal Corrisp. MIdOOE Cera Abraham. Sopra un'applicazione del metodo di Riemann alla integrazione delle equazioni dif- ferenziali della teoria degli elettroni (pres. dal Socio Volterra) . . . ; DIGA Guglielmo. Intorno ad alcuni semplici strumenti per l'esatta verificazione iui MS nà Socio Blaserna) . . . È sp Puccianti. Spettri di 0 dell’ Jodio e È Dt (A dal Sa Roiti) O. RENE Fantappiè. Studio cristallografico del Peridoto di Montefiasconè (pres. dal Socio Stréver). » > Millosevich. Nuove forme e nuovo tipo cristallino dell’anatasio della Binnenthal (pres. 74.) (*)» 28 Gallo. Equivalente elettrochimico del Tellurio (pres. dal Socio Cannizzaro). . ./... n°» ‘Bellucci. e Venditori: Sul sali MROnSssit RR RR o Id. Id. Sui nitrosolfuri di ferro (pres. /4.) (8)... pio Rossi. Ricerche sulla meccanica dell'apparato digerente del Sol Eccitabilità e innervazione dello stomaco (pres. dol Socio Haro) ©. . . BEI SO Teglio. Le sesse nel lago di Garda (pres. dal Hob Voltarna) C) A PERSONALE ACCADEMICO Roiti. Commemorazione del'Socionamwio Vino | OOO A PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono; segnalandone una inviata dal Socio straniero Pueger; i «Frammenti concernenti la Geofisica dei pressi di Roma»; un volume edito dalla Commissione della Carta geologica della Spagna; e l’opera: « The State OfMMISSOUTI MUSO È G E I Grassi (Segretario). Offre un Ci. Li dal Socio Fod e ne 196 RR Se Volterra. Presenta una pubblicazione a nome dell’autore prof. Ze Bon...» CONCORSI A PREMI Blaserna (Presidente). Annuncia che S. M. il Re ha approvato che il premio Reale per la Matematica del 1903, non conferito, sia rimesso a concorso pel 1905... ../...» » Cerruti (Segretario). Comunica gli elenchi dei lavori presentati per concorrere al premio Reale per la Mineralogia e Geologia, a quelli del Ministero della P. I. per le ,Scierze matematiche: e al’premiotCarpy del 19006680: RE, Rn, CORRISPONDENZA Blaserna (Presidente). Dà lettura di un telegramma da lui inviato, a nome SI, al Socio sen. Carducci . . . . c sl SIA Cerruti (Segretario). Dà conto della Griso SE "l caio ded Atti: alte o (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. I i Pubblicazione bimensile. lomaNeelgennaio 1905. N. 2. vt DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCGCII. TSD5 FP Bret Bti iQ, U IRE A. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 22 gennuio 1905. Volume XIV. — Fascicolo 2: 1° SEMESTRE: ROMA ” 7 TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA D Ì LINCEI | PROPRIE/'A DEL CAV. V. SALVIUCCI i: 1905 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse querta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. oltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna dell'edue Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti ; 1.1 Rendiconti della Classe di scienze; fi- siche matematiche e naturali si pubblicano \re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono: un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon: denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Je Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. l. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - @) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia 0 in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - e) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall" art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. i 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. Tao ii 4 ROTAIA ITA LITZIONE RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 22 gennaio 1905. F. D'Ovipro, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Paleontologia. — Nuove osservazioni sulla fauna dei calcari con ellipsactinidi dell’ isola di Capri. Nota del Corrispondente C. F. PARONA. In una mia precedente Nota (Rend. fasc. 49, vol. XIII, 1° sem. 1904) co- municai la scoperta, dovuta alle ricerche del dott. I. Cerio di Capri, nei calcari con ellipsactinidi, che attraverso la Punta del Capo dalle rovine del Palazzo di Tiberio si stendono alla spiaggetta di Caterola, di alcuni fossili, fra i quali io riconosceva la Toucasia carinata (Math.), la Towuc. transversa Paquier, la Nerinea gigantea d' Hombre Firmas: la presenza delle quali specie mi induceva a ritenere questi calcari di Capri corrispondenti ai calcari urgo- niani. Nella stessa occasione accennai inoltre al fatto, che la roccia fossili- fera, compatta, grigio-cerea, assume qua e là struttura oolitica, e che risulta spesso di detriti arrotondati di gasteropodi e di bivalvi, con corallarî e spon- giarî, con notevole abbondanza di piccoli foraminiferi, segnatamente miliolidi, e mancanza di orbitoline. Le attive e fortunate ricerche dello stesso dott. Cerio lo condussero alla scoperta di numerosi altri fossili nello stesso giacimento ed in altra località più meridionale, a Venassino, che è segnato sulla carta geologica di Oppen- RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 8 CENA heim, nella massa calcare che lo stesso egregio geologo ascrive al Titonico (!). Lo scopritore colla consueta cortesia, per la quale rinnovo i ringraziamenti, mi trasmise in esame buona parte della sua collezione, fatta nelle due loca- lità di Capo di Sopra e di Venassino, procurandomi il vantaggio di poter ora comunicare, quale risultato del mio studio, prima l'elenco dei fossili rico- nosciuti, dei quali parecchi sono ora per la prima volta citati per giacimenti italiani, e poi qualche considerazione sul significato delle faune dei calcari con ellipsactinidi di Capri. Phylloceras infundibulum (d'Orb.): è un piccolo esemplare ben riconoscibile come appartenente a questa specie per i suoi caratteri di forma e di ornamentazione. Il Phyll. infundibulum, secondo Simionescu e secondo Sarasin e Schòndelmayer, spetta al Hauteriviano ed al Barremiano, e nel Barremiano, come informa Paquier, si presenta col massimo di frequenza. In Italia fu riconosciuto nell’ Infracretaceo delle Prealpi Venete == Venassino. Haploceras (Zissoceras) Grasi (d'Orb.): riferisco un esemplare pure di piccole dimensioni e del pari ben caratterizzato a questa specie, la quale, secondo Simionescu, Sarasin e Schòndelmayer, sarebbe propria del Neocomiano, limitatamente alle sue divisioni del Valanginiano e del Hauteriviano: Kilian lo indica come caratteristico del Berriasiano (infravalanginiano), ma Paquier lo cita, oltrechè per il Berriasiano, per il Titonico superiore. Anche lo Haploe. Grasi è noto per l’ Infracretaceo del Veneto, come lo è per quello della Si- cilia (*). Particolare degno di nota si è, che sullo stesso frammento di roccia che porta lo Hapl. Grasi sta infissa la valva sinistra di una piccola Mono- pleura (M. sp. gr. M. varians Math.) = Venassino. Da una serie di fotografie, di modelli in gesso e di esemplari comu- nicatami dal dott. Cerio, posso arguire che la fauna a gasteropodi del cal- care con ellipsactinidi di Capri è assai più ricca di quanto non risulti dagli studî finora fatti. Parmi che le forme in gran parte non siano riferibili a specie già note sopragiurassiche o infracretacee. Lo studio degli esemplari avuti in esame, riferibili con sicurezza o con dubbio a specie conosciute, ebbe il seguente risultato. (1) P. Oppenheim, Beitr. 2. Geol. des Insel Capri u. d. Halbinsel Sorrent. Zeitschr. d. Deutsch. Geol. Ges., 1889. (2) J. Simionescu, Synops. d. Amm. néocom. Trav. du Labor. de Géol., Grenoble, 1900, pagg. 34-61; Ch. Sarasin et Ch. Schòndelmayer, Zt. monogr. d. Amm. de Crét. inf. d. Chatel-Saint-Denis. Mém. Soc. Pal. Suisse, Genève, 1901-02, pagg. 11-21; V. Pa- quier, Rech. géol. dans le Diois et les Baronnies orient., Trav. du Lab. de Géol., Gre- noble, 1900, pagg. 206, 238, 298; W. Kilian, Not. s. quelg. points du Royans etc., ibid. Grenoble, 1901, pag. 598; C. F. Parona, Sopra alcuni fossili del biancone veneto. Atti r. Ist. Veneto 1890. MEI — Nerinea gigantea d Hombre Firmas; specie urgoniana già citata nella Nota precedente e che dev'essere comune nel calcare con ellipsactinidi a giudicare dai materiali raccolti a Capo di Sopra. Probabilmente lo studio completo di questi materiali permetterà di distinguere un’altra grande /e- rinea a giri più alti= Capo di Sopra. Nerinea cfr. carpathica Zeuschn. Questa specie del Giurassico su- periore fu già citata da Oppenheim ('). Gli esemplari in esame sono pic- coli e di forma più allungata in confronto di quelli figurati da Gemmel- laro (®?) = Venassino. Nerinea Schloenbachi Gemm. Un esemplare incompleto, un mo- dello in gesso e la fotografia di un altro esemplare ben conservato, sono somigliantissimi ad una delle figure (16) colle quali Gemmellaro (8) illustra questa nerinea del Titonico di Sicilia = Verassino. Nerinea quinqueplicata Gemm. (2) Esemplare in cattivo stato di conservazione, che nelle dimensioni e nell'andamento della spira somiglia assai alla specie citata del Titonico di Sicilia (4). = Verassino. Itieria biconus Opp.(°). Pochi esemplari ed assai corrosi: appunto il cattivo stato di conservazione non permette di escludere che si tratti piuttosto delle /. aculiuseula Gemm. (5) = Venassino. ltieria utriculus Gemm. (7) À questa specie, che presenta notevoli affinità nella forma della conchiglia colla /. Renevieri Loriol del Titonico, riferisco numerosi esemplari = Verassino. Fimbria corrugata (Sow). Pict. et Camp. (= Corbis cordiformis d'Orb.). Non è inopportuno il notare che questa forma ha qualche affinità colla /. subelathratoides Gemm. del Titonico di Sicilia: ma poichè il nostro esemplare accompagna nello stesso pezzo di roccia la Zoucasia ca- rinata, parmi non siavi da esitare a riferirlo alla specie urgoniana = Capo di Sopra. Agria (2) sp. Al genere Agria Math., affine al genere Monopleura, va riferito secondo Paqaier (8) la Sphaerulites Blumenbachi Studer del- (1) P. Oppenheim, Neue Fossilf. auf Capri, Zeitschr. d. Deut. geol. Ges., 1897, pag. 204. (2) G. G. Gemmellaro, St. paleont. s. fauna d. cale. a Ter. janitor del Nord di Sicilia, 1860-1876, II, pag. 31, tav. II bis, figg. 11-13, tav. V, fig. 10-11. (3) G. G. Gemmellaro, op. cit., II, pag. 14, tav. II bis, (4) Idem, ibidem, pag. 13, tav, II bis, fig. 9. (5) P. Oppenheim, op. cit., 1889, pag. 459, tav. XIX. (3) G. G. Gemmellaro, Monogr. del gen. Itieria Matheron, Giorn. d. r. Ist. d’Inco- raggiamento, Palermo, 1863, pag. 12. tav. I, fig. 6. (7) G. G. Gemmellaro, Mem. cit., 1863, pag. 12, tav. I, fig. 7. (8) V. Paquier Note prélimin. sur quelg. Chamidés nouv. de VUrg. C. R. Soc. géol. de France (5), 1895. gd) l'Urgoniano. Alla figura 1 data da Pictet e Campiche (!) per questa forma corrisponde un modello interno, il quale tuttavia non può bastare per sta- bilire con sicurezza neppure la determinazione generica. Nè, mancando il controllo dei caratteri interni, si può determinare un altro più grosso fram- mento di modello interno (valva inf.) parzialmente circondato da guscio di notevole spessore, del quale in piccola parte resta allo scoperto la superficie esterna con ineguali coste longitudinali e con pieghe lamellari trasverse, a carattere di ornamentazione quasi embricata. Qui torna opportuno di ricor- dare che Di Stefano ebbe già a notare la presenza di Sphaerulites nei cal- cari con ellipsactinidi di Capri (?), che la presenza della Sph. Blumenbachi fu ritenuta probabile nell' Urgoniano dei monti di Lagonegro in Basilicata (?), e che la stessa specie fu citata da Gemmellaro fra i fossili caratteristici, insieme alle Requienia Lonsdalei (= Touc. carinata), della seconda zona da lui distinta nella serie cretacea della Sicilia (4) = Venassino. Caprinula n. f. Un grande e bello esemplare di valva inferiore, al- quanto curvato all'estremità inferiore, che appartiene senza dubbio a questo genere, come verificai, con opportuna e ben riuscita sezione, in confronto coi risultati dello studio fatto su questo genere da Douvillé (°). Per quanto mi risulta, vere Caprinulae fimora non furono riscontrate in piani più antichi del Turoniano inferiore: ricordo tuttavia che Paquier (5), il quale riconobbe nelle assise zoogene a chamacee del Barremiano e dell’Aptiano i rappresen- tanti di quasi tutti i tipi cenomaniani, trovò delle caprinine affini alle Ca- prinulae, e che contfrontò col gen. Schiosia. Percui, specialmente per questo interessante fossile, occorrerà di verificare il livello preciso di giacitura: il dott. Cerio me lo comunicò insieme ad una valva superiore di Zouc. car: nata della stessa provenienza = Venassino. Caprotina. Nella Sphaerulites paradoxa Pict. et Camp. e nella Sph. erratica Pigt. et Camp. (7) si riconoscono i primi tipi di vere caprotine del- l’Urgoniano, ed è noto che Paquier (3) fece della Sph. paradoza il tipo del suo gen. Pachytraga prossimo del gen. Sellaca Di Stef., dal quale differisce (1) F. J. Pictet et G. Campiche, Descript. d. foss. d. terr. crét. des envir. de Sainte- Croix, 4. part., 1868-71, PI. CXLVIII. (*) C. Di Stefano, IZ Malm in Calabria (Riv. Ital. di Paleont.), 1900, pag. 41. (8) G. De Lorenzo, Le montagne mesoz. di Lagonegro. Mem. r. Acc. di Napoli, VI, 1894, pag. 69. (4) G. G. Gemmellaro, Terr. cret. d. Sicilia, Giorn. di Sc. Nat. ed Econom.. Pa- lermo, 1878 (n. 7). (5) H. Douvillé, Zt. s. 2. Caprines, Bull. Soc. Géol.,, Frang., XVI, 1888, pag. 705. (6) V. Paquier, Mem. cit., 1900, pag. 349. (7) F. J. Pictet et Campiche, op. cit., PI. CXLIX, CL. (8) V. Paquier, Rech. géol. dans le Diois ecc. 1900, pag. 340 e seg.; Maunes de Rudistes urgon. de Bulgarie, de Suisse et de France, Bull. Soc. Géol. de France, I, 1901, pag. 286; Sur la prés. du gen. Caprina dans l'Urgonien, C. R. Ace. Sc., 1901. gg — essenzialmente perchè la valva inferiore manca o presenta rudimentali i ca- nali esterni all’impressione miofora anteriore, e quella superiore manca della cavità accessoria che accompagna la cresta miofora posteriore. Negli esem- plari avuti in esame ho riconosciuto la Pachytraga paradoxa, appog- giandomi ai dati sui caratteri interni messi in evidenza da Paquier: qualche dubbio mi rimane riguardo alla Pachytraga erratica, avendo dovuto limitare il confronto delle valve inferiori di Capri colle figure di Pictet e Campiche rappresentanti l'aspetto esterno. La Sph. paradoxd fu citata con dubbio per l’Urgoniano di Sicilia (!) = Venassino. \ Valletia Tombecki Munier-Chalmas (2). Trascurando i frammenti forse riferibili a questa specie, mi limito a considerare due sole valve ben conservate nei loro caratteri essenziali, generici e specifici. La valva libera, assai corrosa all’esterno, per la conformazione del dente cardinale anteriore ben corrisponde alla fig. 5 del succitato autore: la valva fissa è pure assai sciupata, ma anch'essa ebbe rispettato il dente antero-cardinale, elevato, aurico- liforme, arcuato, e l'attigua fossetta cardinale anteriore profonda, ellittica e che presenta nel suo fondo la piccola cavità secondaria caratteristica del genere. La Valletia Tombecki è fossile del. Neocomiano inferiore. = Ve- NASSino. Monopleura sp., gr. M. varians Math. La somiglianza colle figure dell'interno delle due valve date da Zittel nel suo Trattato di Paleonto- logia (II, pag. 75, fig. 107) per questa specie urgoniana, mi lascia credere che le valve isolate avute da Capri spettano ad una forma strettamente affine, se non alla stessa Moropl. varians. La non perfetta conservazione degli esem- plari mi consigliò questo riserbo sul riferimento specifico; ritengo del resto probabile la coesistenza di altre forme di questo stesso genere nel calcare di Venassino. Matheronia Virginiae (A. Gras.). Dispongo di una sola valva su- periore di piccole dimensioni, nella quale mi riuscì di porre allo scoperto l'apparato cardinale. Ben considerati i caratteri differenziali fra la Math. Virginiae e la Math. Munieri, quali furono rilevati da Paquier (8), parmi non vi possa essere dubbio sulla spettanza della nostra valva alla prima delle citate specie. Il dente cardinale posteriore è relativamente basso e molto largo, come appunto si presenta nella Math. Virginiae, mentre è (1) L. Baldacci, Descriz. geol. d. Sicilia. Mem. descr. della Carta geol. d’Italia, I, 1886, pag. 76. (2) Munier-Chalmas, Zt. crit. sur les Rudistes. Bull. Soc. Géol. de France. X, 1882, pag. 488, PI. XI, figg. 2-5. (3) V. Paquier, Zes Rudistes urgoniens, 1 part. Mèm. Soc. Géol. France, XI, 1903, pagg. 20 e 23; Pictet e Campiche, op. cit., 4 part. PI. CXLIII, fig. 2b; H. Douvillé, Sur quelgq. form. peu connue de la fam. des Chamidés, Bull. Soc. Géol. de France, XV, 1887, pag. 762, fig. 1. gd — stretto e molto alto nella Math. Munieri Paq.; così mentre è spiccata la so- miglianza dell'esemplare di Capri colla fig. 2 a pag. 21 dell'opera di Pa- quier, che rappresenta l'interno della valva superiore della specie di (Gras, differisce notevolmente dalle figure di Pictet e Campiche e di Douvillé, che riproducono i caratteri interni della valva superiore della Math. Munieri. Secondo le indicazioni di Paquier la Ma/h. Virginiae appartiene all'Aptiano; ora siccome tutti gli altri fossili di Capri accennano a piani più antichi, non mancai di verificare se la valva in discorso non dovesse essere piut- tosto riferita al sottogenere Momnieria Paquier (') del Titonico superiore, e posso escludere questo sospetto = Venassino. Toucasia carinata Math. e Toucasia transversa Paquier. I nuovi esemplari avuti in esame mi permettono di riconfermare le determi- nazioni già esposte nella mia Nota precedente, anche in base all’esame par- ziale dell'apparato cardinale. È noto chela 7. carinata fu riconosciuta nel- l'Urgoniano di molte località dell'Appennino Meridionale e della Sicilia = Capo di Sopra, Venassino. Requienia ammonia (Goldf.). Un solo grande esemplare di valva inferiore (sinistra), spezzato in vicinanza della commessura colla valva su- periore, in modo che non si possono verificare i caratteri della cerniera. Tut- tavia lo sviluppo e la conformazione caratteristica della valva contorta a spira ed anche lo stato del guscio in buona parte conservato nel suo strato esterno, mi lasciano ritenere sicuro il riferimento a questa specie, propria dell'Urgo- niano inferiore e superiore = Capro di Sopra. Diceras. Si riconoscono due forme distinte, che rispettivamente hanno grande somiglianza col Diceras Beyrichi var. communis Boehm e col D. (Heterodiceras) Luci Defr. var. communis Boehm (?). I tentativi per met- tere allo scoperto la cerniera e le sezioni fatte dei campioni tutti tenace- mente impietriti, hanno avuto sinora scarsi risultati, e bisogna quindi rimet- tere all'esame di altri campioni, che meglio sì prestino alla preparazione del- l'apparato cardinale, il precisare il grado dei rapporti dei Diceras di Capri colle specie titoniche suaccennate: certo è che, se bastasse il confronto dei caratteri esterni, potrei dare come sicura la presenza dell’Meterod. Zuci, in considerazione della stretta somiglianza di uno di questi esemplari di Capri ben conservato con uno degli esemplari di Stramberg illustrati da Boehm (Tav. 54, fig. 17, 18). A proposito dei quali Diceras si ricorda che Paquier ebbe occasione di riconoscere l'associazione, nei calcari a rudiste della Da- brogea, di due forme di Diceras, paragonabili alle due specie citate ed asso- ciate a Matheronia del gruppo delle M. gryphotdes, a Valletia sp. ati. Tom- (1) V. Paquier, Sur quelg. Diceratinés nouveaua du T'ithonique, Bull. Soc. Géol. d. France, XXV, 1897, pag. 845. (2) G. Boehm, Die Bivalo. d. Stramb. Schicht. (Palaeontogr. Supp. II, 4 Abth, 1883). pag. 527 seg., tav. LIV seg. Mg ve becki, a Monopleura sp. aff. M. imbricata: associazione di tipi caratteristici del Neogiurassico (Diceras e Heterodiceras) con altri del Cretaceo, ch'egli propenderebbe a riferire provvisoriamente alla base del Cretaceo (Berriasiano o Valanginiano inferiore) (!1) = Capo di Sopra. Lithodomus avellana d’Orb.: ritengo sicuro il riferimento di un buon esemplare a questa specie neocomiana ed urgoniana (?). Secondo Boehrn questa specie fa parte anche della fauna cenomaniana del Col dei Schiosi nel Veneto (3) = Capo di Sopra. Pecten nebrodensis Gemm. et Di Blas (?), e Pecten anasto- moplicus Gemm. et Di Blas. (?) (‘'). Sono due valve che hanno qualche affinità rispettivamente col Pecten Rhodani Pict. et Roux dell’Albiano e col Pecten Goldfussi Desh. del Neocomiano medio: ma la somiglianza colle specie del Titonico siciliano è senza confronto assai più stretta. Tuttavia lo stato di conservazione degli esemplari, e segnatamente la mancanza di ogni traccia delle orecchiette, non permette un sicuro riferimento — Capo di Sopra. Terebratula moutoniana d'Orb.: Oppenheim (?) cita fra i fossili di Capri la 7. zrasignis Ziet. del Giura superiore, alla quale somiglia anche un piccolo esemplare che tengo in esame; ma, specialmente per la poca altezza del deltidio e per la grandezza del forame, trovo ch'essa meglio corrisponde alla 7. mowtoniana dell'Urgoniano e segnatamente alla forma con questo nome distinta da De Loriol (°). = Venassino. Terebratula faba Sow. (?). È un piccolo esemplare che parmi si possa avvicinare alla specie di Sowerby, la quale è spesso associata alla T. moutoniana. Bene le corrisponde per i caratteri dell’apice assai alto ; ne differisce per l’assottigliarsi della conchiglia nella regione frontale. — Ve- NASsino. Il prof. C. Airaghi ha pronta per la stampa una Nota suì resti di echinodermi, avuti in comunicazione dal dott. Cerio; per gentile informazione (1) V. Paquier, Sur la faune et l’ige des calcaires à rudistes de la Dabrogea. Bull. Soc. Géol. de France, 1, 1901, pag. 473. (2) A. d’Orbigny, Pal. frane., Terr. crét., t. 3, 1843, pag. 291, PI. 344, figg. 13-15. (3) G. Boehm, Beitr. 2. Kenntn. d. Kreide in d. Sùdalp., Palaeontogr., XLI, 1894, pag. 98. (4) G. G. Gemmellaro, op. cit., 1868-76, pagg. 57, 59, tav. IX. (5) P. Oppenheim, op. cit., 1889, pag. 457. L’A. cita anche la Waldheimia maga- diformis Zeusch., alla quale non appartiene un piccolo esemplare mal conservato di Wal- dheimia inviatomi dal dott. Cerio. (6) P. De Loriol et V. Gilliéron, Monogr. paléont. et stratigr. de Vét. urgonien infér. du Landeron (Canton de Neuchatel), Mém. Soc.:Helv. d. Sc. Nat., XXIII, 1869, pag. 30, tav. II, fig. ». del distinto echinologo posso arricchire il mio elenco di fossili col nome delle forme da lui riconosciute. Esse sono: Ortopsis sp. ind., genere del Giurassico e dell’ Infracretaceo. Salenia prestensis Desor, degli strati a Toucasia carinata. Pseudocidaris clunifera (Agass.) del Neocomiano e dell'Urgoniano. Rabdocidaris tuberosa (A. Gras) del Valanginiano e Hauteriviano. Cidaris muricata Roemer, del Neocomiano. Cidaris Lardyi Desor, del Neocomiano e dell’ Urgoniano. Apiocrinus sp. ind., gen. del Giurassico e dell’ Infracretaceo. Se teniamo presente la distribuzione che le suaccennate specie presen- tano altrove, in regioni dove la serie è stratigraficamente e paleontologica- mente ben conosciuta, ci avvediamo che esse si possono raccogliere in tre gruppi, dai quali, almeno per ora, converrà escludere la Caprinula n. f. Il gruppo più importante, che comprende P7y0. infundibulum, Neri- nea gigantea, Fimbria corrugata, Toucasia carinata, T. transversa, Re- quienia ammonia, Matheronia Virginiae, Monopleura sp. gr. M. varians, Agria (?) cfr. Blumenbachi, Pachytraga paradoxa, Pachytr. erratica, Tere- bratula moutoniana, Ter. faba (?), Salenia prestensis, Pseudocidaris cluni- fera, Cidaris Lardyi, ha senza dubbio il significato di fauna urgoniana e più precisamente dell’ Urgoniano inferiore, corrispondente al Barremiano; in quanto che una sola forma Matheronia Virginiae spetterebbe all Urgoniano superiore, che coincide coll’Aptiano inferiore (Bedouliano). Questo carattere di fauna dell’ Urgoniano inferiore potrebbe forse spiegarci la mancanza finora notata di orbitoline, le quali nel Delfinato caratterizzano due zone, delle quali l’in- feriore separa appunto l’Urgo-barremiano dall’ Urgo-Aptiano ('). Un secondo aggruppamento comprende ZMaploceras Grasi, Lithodomus avellana, Valletia Tombecki, Rabdocidaris tuberosa, Cidaris muricata, che dagli autori sono citati per il Neocomiano. Ma è degno di rimarco il fatto, già accennato, che lo Zapl. Grasi è associato sullo stesso pezzo di roccia ad una. valva di Monopleura. Un terzo gruppo è costituito da fossili di tipo titonico e sono: MVerinea cfr. carpatica, N. Schloenbachi, N. quinqueplicata (?), Pecten nebroden- sis (2), Pecten anastomoplicus (?), Diceras, sp., sp., ai quali occorre aggiun- gere le specie citate da Oppenheim, quali P(ygmatis pseudobruntutana Gemm., Itieria austriaca Ditt., I. obtusiceps Zitt., Cryptoplocus Zitteli Gemm., Lima (Ctenoides) ctenoides, Boehm, Waldheimia magadiformis Zeuschn., Terebra- tula insignis Ziet.. omettendo qualche altra determinazione data come dubbia. : () Ved. l’istruttivo diagramma del passaggio delle assise fangose a cefalopodi al- l'Urgoniano nell’opera di Paquier sul Diois e le Baronnies orientales (1900, pag. 342). SA AA In quanto ai diceratidi, dei quali è rimarchevole il numero degli esem- plari, ho già ricordato che forme simili si rinvennero associate ad una fauna a rudiste della Dabrogea, con Matheronia, Valletia, Monopleura, che Paquier rapporta provvisoriamente alla base del Cretaceo. Ma agli altri fossili ora citati non possiamo disconoscere il carattere titonico. Nè è da dimenticare, a questo riguardo, che il Pratz riconobbe di tipo giurassico i coralli trovati a Capri dal Walther (!). Dalle notizie suesposte risulta dimostrata l'età infracretacea dei calcari con ellipsactinidi di Capri, ma resta d'altra parte confermata la presenza di fossili titonici nella serie dei calcari stessi. Lo stato di conservazione dei fossili titonici, riconosciuti in numero non trascurabile, non è meno buono o peggiore di quello dei fossili infracretacei; così che se si può avanzare il sospetto, che i fossili titonici si trovino accidentalmente neila roccia infracre- tacea, come fossili rimestati in giacimento secondario, non abbiamo d'altra parte prove sicure per avvalorarlo e per accogliere senz'altro l'opinione del prof. Di Stefano (2), che la presenza di qualche specie di origine titonica sia dovuta verisimilmente al fatto, che i calcari fossiliferi si sono formati a spese di altri calcari titonici. È una questione importante, che i muovi rin- venimenti del dott. Cerio rendono ancora più interessante senza risolverla defi- nitivamente. La presenza di rudiste nei calcari di Capri fu rimarcata già da Walther e da Oppenheim e fu argomento nella discussa questione dell'età dei calcari con ellipsactinidi della regione mediterranea, come sappiamo dalla dotta trat- tazione fatta dal Canavari (3). Ora non mi propongo di riaprire la discussione sull'età dei calcari con ellipsactinidi, ma soltanto di ricordare, a proposito di Capri, che il Walther si era formato un concetto esatto, osservando che la fauna era in generale di tipo cretaceo e ritenendo anche possibile che i cal- cari a rudiste comprendessero diverse zone. In seguito l’Oppenheim (4) con- cludeva le sue osservazioni sul calcare di Capri esprimendo l’idea, che esso risultasse di due formazioni uniformi nel riguardo geologico, di graduato pas- saggio per successione stratigrafica e per comunanza di qualche specie, delle quali formazioni l’inferiore corrispondente al Titonico di Stramberg e la supe- riore alla Creta inferiore. Considerava poi i calcari di Capri, come in gene- rale quelli con ellipsactinidi della regione mediterranea, quali sedimenti coral- (1) J. Walther, / vulcani sottomarini del Golfo di Napoli. Boll. R. Comit. Geol., 1886, XVII, pag. 364. (2) Di Stefano, Il Malm in Calabria, 1900, pag. 42. (3) M. Canavari, /drozoi titoniani della regione mediterranea appartenenti alla fam. delle Ellipsactinidi, Mem. R. Comit. Geol., V, 1893. (*) P. Oppenheim, Mem. cit., 1889, Die Geol. d. L Capri, Zeitschr. d. Deutsch. geol. Ges., 1900 = ZVeb. das Alter d. Ellips.-kalkes in alp. Europa, ibid., 1891 = Neue Fossilfunde auf Capri, ibid., 1897. RenpicontI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 9 3 QI ligeni sincroni a quelli di Stramberg, depositatisi alla fine del Giurassico ed al principio del Cretaceo, ad un dipresso fino al Hauteriviano, per modo che la separazione fra il Giurassico ed il Cretaceo coinciderebbe col Barremiano inferiore, col quale piano avrebbe principio l' Infracretaceo. È ormai dimostrato che gli ellipsactinidi si trovano in posto anche in calcari del Cretaceo e dell’ Eocene ('), e però non si possono considerare come fossili caratteristici per la determinazione cronologica delle rocce che li com- prendono. Ad ogni modo a Capri essi ed i fossili di tipo titonico si trovano con pochi fossili neocomiani e con maggior numero di fossili barremiani, con facies evidente dell’ Urgoniano inferiore e con indizio del superiore e cioè del Bedouliano od Aptiano inferiore. Vale a dire, la serie, che si vorrebbe tito- nica, comprende buona parte dell’ Infracretaceo ed è caratterizzata da un insieme notevole di rudiste urgoniane: supera quindi i limiti entro i quali l’Oppenheim estenderebbe il Titonico. Senza dubbio i legami stratigrafici e litologici fra il Titonico superiore ed il Neocomiano sono in generale assai stretti, ed in Italia ne è prova l'in- tima connessione che le assise rispettive presentano nella mazolzea lombarda, nel diancone veneto e nel calcare rupestre dell'Appennino Centrale. Così in Sicilia, come osserva Baldacci, l’Urgoniano, quando non ha struttura di lu- machella, è affatto simile al calcare titonico che gli sta sempre sotto, di modo che spesso può non esserne stato distinto nelle carte geologiche (?). Questi legami furono posti in evidenza anche pel Delfinato da Paquier (8), il quale conclude le sue considerazioni a questo riguardo, notando che fra i cal- cari a Phyll. Lory e Waagenia Beckeri ed il Titonico inferiore vi ha un più stretto legame paleontologico che non fra il Titonico inferiore ed il superiore, del quale le affinità sono maggiori col Berriasiano, prima zona ad affinità netta- mente cretacee. Infatti non solo si hanno affinità per comunanza di generi, ma si citano anche delle specie di ammoniti (ad es., Lytoceras quadrisulcatum, Lyt. Liebigi, Haploceras Grasi, Olcostephanus Groteanus) e di brachiopodi ( Tere- bratula diphya, Ter. janitor, Ter. triangulus, Ter. euganensis) che sono co- muni ai due piani. Così, se non si può accertare la presenza delle specie tito- niche di Diceras nel Neocomiano inferiore, è sicura la presenza in questo piano di forme strettamente affini; così si avverte il caso della faces recifale e zoogena del Giurassico superiore, che si estende in altezza fino al Berriasiano (infravalangiano). E, d'altra parte, devesi anche tenere presente il fatto che nel Titonico compaiono le matheronie col sottogenere Monnieria (4). Ne viene (1) G. Di Stefano, Mem. cit., 1900. (2) L. Baldacci, op. cit., pag. 76. (3) V. Paquier, Rech. géol. d. l. Diois, ecc., 1900, pag. 208. (4) V. Paquier, Sur quelq. Diceratinés nouv. d. Tithonique, 1897; W. Kilian e P. Lory, Notic. géol. s. div. points d. Alp. frane. Trav. d. Labor. de Géol., Grenoble, 1901, pagg. 586, 594. SIG secondo Paquier che, considerando solo i caratteri della fauna nella provincia mediterranea, il limite paleontologico fra il Giurassico ed il Cretaceo sta sopra il Titonico inferiore: di guisa che il Titonico superiore in unione col Berria- siano costituirebbe un piano con due zone paleontologiche e per esso avrebbe principio il Cretaceo inferiore. Vi ha per tal modo contrasto nelle vedute di Oppenheim e di Paquier, perchè il primo vuole estendere i limiti del Neogiurassico invadendo l’Infracre- taceo, mentre l'altro tende a collegare il Titonico superiore al Neocomiano; ma si accordano nel riconoscere le sfumature paleontologiche, litologiche e stratigrafiche dal Titonico al Neocomiano. Soltanto le ricerche dettagliate nella serie calcare di Capri potranno verificare l'esatta posizione, associazione e successione stratigrafica dei fossili di diverso significato cronologico dagli autori raccolti o citati per l'Isola; e converrà attendere questo accurato studio stratigrafico prima di procedere alla descrizione completa, definitiva dei fossili. Allo stato attuale delle nostre cognizioni, mentre dobbiamo riconoscere la presenza di fossili di tipo titonico, dobbiamo inoltre ritenere, se non accer- tato, probabile assai, anche per quanto abbiamo detto sui rapporti fra il Tito- nico superiore ed il Neocomiano, che in parte la serie dei calcari con ellipsac- tinidi di Capri sia realmente titonica. L'opinione di Di Stefano e De Lorenzo, i quali dopo avere visitato accuratamente Capri si convinsero, che nell'unica massa di calcare non si possono distinguere degli strati titonici e cretacei (!), mi rese esitante a persuadermi della presenza del Titonico nell’ Isola; ma ormai di fronte al notevole numero di fossili titonici non mi pare che sì possa più dubitarne. Le carte geologiche di Capri, pubblicate dopo quella rilevata da Oppen- heim, riferiscono al Cretaceo i calcari dell’ Isola, che si estendono nell'attigua penisola di Sorrento, dove si appoggiano trasgressivamente al Trias superiore. Ma non credo troppo arrischiata la supposizione, che nella potente massa di questi calcari della penisola non manchi completamente la serie giurassica e liassica, come si è verificato nella serie calcare dei monti di Gaeta; e può darsi che il progredire delle ricerche paleontologiche rendano necessaria la ricomparsa del Giura-liassico anche sulle carte geologiche di quest'orlo me- ridionale della infranta sinclinale (?) mesozoica ed eomiocenica, che include la Campania Felice. (1) G. Di Stefano, Mem. cit., 1900, pag. 41. (2) G. De Lorenzo, Mist. of. vole. Action in the Phlegraean Fields, Quart. Journ. Geol. Soc., 1904, PI. XXVI, XXVII; L’attiv. vulcan. nei Campi Flegrei, Rend. R. Accad. Sc., Napoli, 1904, pag. 2. Fisica matematica. — Sulle derivate della funzione poten- ziale di doppio strato. Nota del prof. G. LAURICELLA, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 1. Sia / la funzione densità di un doppio strato W distribuito su di una superficie S, la quale superficie soddisfi alle seguenti condizioni : 1°. Ammette un piano tangente determinato in ogni punto, variabile con continuità al variare con continuità del punto di contatto; 2°. Esiste una lunghezza fissa D tale che, preso un punto p qual- siasi di S e considerato il cilindro circolare di raggio D, avente per asse la normale alla superficie in questo punto, la porzione Sp di $ interna a questo cilindro sia incontrata in un punto al più dalle parallele alla detta normale ; x 3°. Esiste un numero fisso positivo « tale che, indicando con + l'an- golo acuto che la normale in p fa con la normale in un altro punto qual- siasi p' e indicando con 7 la distanza pp’, si abbia: I< ar. Si consideri un punto arbitrario po di S; si riferiscano i punti dello spazio ad una terna (x ,y,<) di assi cartesiani ortogonali con l'origine nel punto po e di cui l’asse < coincida con la normale ad S nel punto po; sì indichi con /, il valore della funzione / nel punto po; e si ponga: 1 277 RS q=Q008W , y=osenw ; zl f(o,W)dy= f. Il sig. Liapounoff nella sua importante Memoria (!): Sur certaznes questions qui se rattachent au problème de Dirichlet, dimostra l'esistenza della derivata normale del doppio strato W nel punto p,, supposto che la funzione / sia finita e continua e che inoltre soddisfaccia alla condizione: (1) ir fol < def} con d, 8 numeri positivi indipendenti da g. L'importanza di questo risultato consiste nel fatto che la condizione sufficiente (1), posta per la funzione /, non riguarda i possibili prolunga- menti di essa funzione in uno spazio circostante la superficie S, contraria- mente a quanto capita in altre dimostrazioni della esistenza della derivata normale di W; però essa condizione, almeno per la forma sotto cui si pre- (1) Journal de Mathématiques pures et appliquées, s. 5%, t. IV, 1898. —_ 71- senta, è tale che difficilmente può venire utilizzata. Il metodo, che qui vado ad esporre, conduce a dimostrare l’esistenza della derivata normale di W, ammesso che la funzione f dei punti di S sia finita e continua insieme alle sue derivate prime rispetto ai parametri u e v di un sistema di coordinate curvilinee qualunque su S, ma tale che le sue linee ammettano una tangente determinata in ogni punto variabile con continuità al variare con continuità del punto di contatto, e che le derivate seconde di f rispetto ai detti parametri siano finite ed atte all'integrazione (). 2. Sia Po=(0,0,6) un punto situato sulla normale in po, M=(@,7,2) un punto arbitrario di Sp: +, l'angolo acuto delle due normali in po e in un altro punto p qualsiasi di So. In forza delle condizioni poste per la super- ficie S, la 2 del punto variabile M sarà funzione univalente finita e continua di 2,y e inoltre si avrà (2), indipendentemente dalla posizione di po, (2) 1—- cos <2a'e , |e|<2a0° , dE 3 < 4ao. Siano ancora: @ l'angolo che la normale x in un punto p qualsiasi di S, fa con la direzione pP,; D, l'angolo che la normale in po fa con la direzione P,p; 4 ciò che diviene ® per Î=0; e si ponga: Ri—e+G—0, rimo+e. Supposto di avere fissata la lunghezza D (ciò che può sempre farsi) in modo che sia 1— 2a* D° > 0; in forza della continuità della funzione f in in tutti i punti di S, data una quantità positiva arbitrariamente piccola 0, si può determinare un segmento d non superiore a D e tale che, indicando con Sa la porzione di S interna al cilindro circolare di raggio d, avente per asse la normale nel punto po, si abbia nel campo S3, indipendentemente dalla scelta di po, et cea fo 81r(12a*D° + 564D+ 12)" Ora si ha: 159 Pr = Ù RAS = sdé du (7 fo) d8 If ga n TE ; n] di — d* — A d d7 0 - + ne (1) Condizioni meno restrittive si possono enunciare, come sarà osservato nel seguito. (2) Cfr.: Liapounoff, loc. cit., $$ 1 e 20. PO: — ed è chiaro che, fissato d, si può fissare un segmento positivo 7° tale che per |5'|;|5"| inferiori ad 7 si abbia: a li (4) LA Ro PA SI d Ro ci o pe da 3 (& E) (nel Si ha ancora: RES, Resi a°mi È Ro __ cos + 3 cos D cos D, UO — 8 c08°D dé dn dn Rî Rì cpr così — 1 8 cosD(cosD, + cos D) po (COS) (COCOS Lora COSE Ri e poichè ('): 1 IriVe®a cosp = }r, cos + È cost = ilo cost, + È cosd, (1) Ro costo ( de Dr Ro ° de Rie n COSE ® = —- dii cosD, + cos® R + Ri (6) eÉ cosd (0088. risulterà : o I d°R j Ro _c09-1, dé dn dn? Rî 5) DS d - i in) IG -0( — cosd,) + 0 So 009% In questo modo, osservando che è: R=o , R=|:—-Îî|, potremo scrivere: 1 1 d — prEN d Ro ( la Sh) dé dn ar pi È “a at Rî cli ipa? +7 < 2A af +50 e mn (1) Cfr. Liapounoff, loc. cit., $ 20. Es 77 e quindi, indicando con g' i valori di © corrispondenti ai punti del contorno della proiezione di Ss sul piano tangente in g, ed avendo riguardo alla disuguaglianza : cosd, >1—-2a° 0° >1— 2a? D°, risulterà per qualunque valore non nullo di &: cl | pill d dn nd 0. | fa8/40) “IC (dî dn nl i a Pel i ui il lac dn et n (È sale de = o ( Jo » Men o Sie D+ 560 Dott ede+s608 [* e ee ee È utile osservare che, data o ad arbitrio, la (5) vale indipendentemente dalla posizione del punto po su S, e il segmento ' sì può fissarlo in modo che anche la (4) valga indipendentemente dalla posizione di po. 8. Dalla condizione 3* posta per la superficie S risulta che, fissato un valore qualsiasi di $ diverso dallo zero e preso un punto p generico di S (che potrebbe anche essere il punto po), si può considerare nello spazio un intorno del punto p talmente piccolo che il punto P, risulti esterno a questo intorno e che da un punto M qualsiasi di detto intorno si possa condurre alla porzione di superficie S, interna all’intorno stesso, una normale x ed una solamente; allora, fissando la direzione positiva di tale normale, potremo al punto M, qualunque esso sia, far corrispondere sempre un determinato valore (positivo, negativo o nullo) del parametro ed il sistema (w,v) dei valori delle coordinate sopra S del piede della normale da esso condotta: in questo modo la posizione del punto M dell’intorno di p risulterà deter- minata dalle coordinate curvilinee %,v,%. Ora se indichiamo con 4*® il parametro differenziale di 2° ordine di una funzione W delle variabili u, 0,7 e con 4° ® il parametro differenziale di 2° ordine di & rispetto alle sole variabili w,v si ha, come è facile verificare, 1 so db dbD=d' bH dre > e poichè: 1 d i 1 s 1 Ro O pei Vi n Î = I 0 si 0 È di Ro dn? i SEI, Ne e quindi si potrà serivere per & diversa da zero: 1 de 3 ; e LEALI Allora, indicando con s la linea contorno di Ss e con v la normale su Ss alla linea s diretta verso l'interno dell'area Ss, rammentando che la funzione f ha le derivate prime rispetto « e v finite e continue e le deri- vate seconde finite ed atte all'integrazione su S, avremo per qualunque valore non nullo di é, in forza della formola di Green estesa alle super- ficie gobbe ('), 1 1 dim i lay dr A E A E DR 0 ss dn Urlo) Ja ni di Da dv Clo) dv dia Da questa formola risulta che si può fissare, indipendentemente dalla posizione di po, un segmento 7" tale che per |î'|,|2"| inferiore ad g” si abbia: 1 1 PA ei ero Il (È î) (‘ ) sgili\ det Art dn ita Indicando con 7 il minore dei due segmenti 7", 7", e tenendo conto della formola precedente e delle (3), (4), (5), risulterà per |î'|,|t"| inferiori ad n e diverse dallo zero: (e8) Mies) d Ro diri di (1% eg dé 5 o) (f— fo) dS <0. lo) (= | 1, mentre, se l’ellissoide è schiacciato, 7 e % sono da ritenersi immaginarî puri. Ponendo ora, in ogni caso: (4) = hot, y=hE=1)(1= 0) cosy , #=h{(@=1)(1—#) sony saranno 0,7, un sistema di coordinate curvilinee ortogonali ('). Nel caso di un ellissoide allungato, oltre a supporre 4 reale, faremo anche le ipotesi che @ sia reale con |o| = 1 e che |t]| <= 1, mentre, nel caso di un ellissoide schiacciato, oltre alla ipotesi che % sia puramente immaginario, faremo anche le altre ipotesi che anche @ sia puramente immaginario e che |{| = 1. Con queste convenzioni, nel sistema di coordinate @0,%,%, l'equazione (3) del- l’ellissoide, sarà sempre o=7r. Se poniamo allora i valori di una qualunque funzione 4 dei punti della superficie (3), soddisfacente alle note condizioni generali che qui non staremo ad enunciare, sotto la forma (5) x > (Ami COS TW + Bi Sen2W) Pini (4) dove (I ts 140 Pmi (= (1-0) ERO, Puo) = Pal) e le P,() sono le solite funzioni di Légendre, sarà, com'è noto: 47T “+1 "2 Bag dEi Ari di f de de 4 Pr (1), 47t o (Md)! DJ 58 (6) opera Am, i deg] dt do p Py, (€) COSTw 4rt Lise i {i ’ 2m£1 ein Di dr do p Pmi(t) sento, mentre la funzione ® armonica e regolare nell'interno dell’ellissoide che sulla superficie Ar i valori g, sarà data dalla formola (7) xo (Ami 0804 + Bini seni) pr! .; Pmi (0). In tutti e due i casi in quistione, in quello cioè dell’ellissoide allungato e in quello dell'ellissoide schiacciato, poniamo per convenzione: vid FiyeTi, iEp= 11: Ne viene allora che, in entrambi questi casi, Pm,;(0) @ Pm;i(7) sono funzioni ben determinate tali che il loro quoziente è reale. Inoltre P,n,;;(7) è diverso da zero per qualunque valore di 72 e di <. (1) Se stabiliamo dî dare a @ soli valori positivi, se è reale, o valori positivi al coefficiente dell'immaginario, se è immaginario, mentre £ possa assumere valori positivi e negativi e w varî da zero a 277, ad ogni sistema di valori di 0 ,t,y corrisponderà un solo punto dello spazio, e viceversa. Te — Per esporre la soluzione del nostro problema nel modo più spedito, notiamo le formole seguenti di cui faremo uso quasi esclusivo e che sono, almeno in parte, ben note: (0-0) TE (+ DLP) — Pars (01, ) ( (2 +1) Pu()= (+1) Pa (0) + Par (0, 0 Po) = Pi (d | (@m +1) P_()= È PA Pa 01M io | da cui si deducono facilmente le altre : (1—-#) = — MIPm(0) + (m+ è) Pmi (6), (27m 4-1) (Pmzi(0) = (Mm —tH4-1) Psi (0) + (M+4 0) Pmi (6), (2m 4 1)VICEPm:;()=Phoimn0)— Pira0= =—(m—i+1)(m—t+2)Pmayia(0) Vail (mi —1)Pmia(0), di mi Pa m=l;i+1 o) MITE Pmi) +i tr _ —(m+)(m+d—1)Pmrin(d), TREE LISR(( (0) P.nsi(t) Sd Rete i(0) Pri(0). up - in +9) Lantis)» (n-i=24)! (m+d! (m_-i+2)! (m+iT— 2%)! | APmri (4) dt AES (8) < Pins (0) Pazari(0) Mm_ Vita } ; . M_- dove [37] indica il massimo intero contenuto in Con l’aiuto di queste formole possiamo intanto calcolare le derivate parziali della funzione ® rispetto ad x ,y,z. Abbiamo infatti: — 79 — eli tane SH ria vr (M+tdMm_iKD) i h(0* — 1?) 5 DI Im (2m +4 1) P_i(®) (An c0874 + Bm,;; sen 1W) x Xx ir, (0) Pini(6) ca Prn+1,i(6) Pim-r,i(0)], DO ta) (e È_ IP) _ sen y DI «TREIA 13) hV(ee=1)(1—-#) 2w 1 Sd Do 211008 (ra A Br Ept RES DAZA (@Qm2+1)PaiMV=1 X Diana (0) Emonisi (4) un lO) Peo (0)] Spa dii. I » vl (me) (mti—1)(m_i+1) (m_i+2)[Am,i 608(7-1) W+-Bm,i sen(i—1)w] % FO Ra (2m+1) Pai) V/= 1 x RE (0) Pn (4) — P.ti (4) Prestaa(0)55 3 _Ve —bD1—-?) O __,3D cos "DD. % h(o° — 1°) = de rasi Ig) TIE SS Ami Sen(é + TCA I Ti ai (2m +1) r)V=1 X iran (0) E (4) miss: lan di me l,i+1 (0)] nl © € (mti)(mti-1)(m_41)(m-:+2)[Amisen(:-1)yw- By cos(i-1)w] Tare 0) "= Zi (2041) Pan (0) = 1 Î XxX geni (0) Pil (4) Te TT (4) Pmonizi (0)] ) dove l'accento, sulle sommatorie rispetto ad 7, indica che per é#=0 manca il fattore +. E con l’aiuto dell'ultima delle (8'), queste espressioni delle derivate possono ridursi alla forma (7) stessa di ®. 2. Soluzione del problema. — Per quello che è stato detto possiamo porre: L dG DOGS Pmi (0) (0) lg, do = DI DI (Ami COS ÎW + Dmzi SEN i) FS JO Es(0)o LE SS Pini (2) (10) wi do rei si 160974 + d,; SON W)5 0) PE DI 00 00 Pa ; RC) Di do = Yi; n (01 c086y To dita SEN MW) ", Pe) 0 i dove le a, n ;a',b';a",b" sono da ritenersi costanti note. a anche che la funzione armonica 0 sia data dalla stessa espressione (7) di ® in modo che i presunti valori che 0 assume su o sieno dati dalla (5), e cer- chiamo di calcolare gli altri termini che compaiono nelle (1). Per mezzo delle (6) e delle formole (8) e (8'), è facile porre i valori che : E0=hrt0 , n0=hyr—1/1—-?#0,t0=hyr—11—#6 SR) — assumono su o sotto la forma (5) e si trova così: AG c Marta! } 1 fsote do = bb. gut 3ari bi sg Rigi af più bura (m4iî4+1)(m+4i+-2) 47T = ly Lise] Do Da 2m + 9 AT eroi (m_—i0-D pic ARTI dec A EG ei (m+i+1) (m+i+2) AL, + DI un 3 Bmyrziti “n om= 1 Bin-i,iti Tai (11) Bri im Bini i) i (0) mv Jo» Vo ica Je 1, DI A 2m + 3 m+Lyi+1 TT @0%E 1) (m—?) Bra, i- Brita po CR 2m—=1 Bro Larga 2 — Te (tit) @bi+2), iddio dm Si 3 Am+ritr — VASI M=1;i+1 ATA AG . ) Psi ( ) n | ue ins) 2m dimodochè si può scrivere: A PP E al 2m +[ dm 2 Le (e, od (ta i ngi a u) Pel) Pa00 =D} I (a mi EVE been ai a ra i” m (m_—-i— 1) (m — t) Ameri 1 Am_1,î1 È e I Mppeo deren Pia gi tese ra )] univ fel el ott [ate a 7 2u 2m + 3 i (m—-i-1)(m— î p Brotati Bre i i 1 Me mit Tam t3 2m—1i i) ce +[ 2, So. Bue +5 rà n, me: (ma rn O) m+LLim1 Amori A) Pmi (0) fi = Spr par] A mea; i+) +e ar De To = )) | sen Wp Da ( P mii (6) î ngi — Il problema è ora ridotto a determinare le costanti A, B per mezzo delle costanti note a,06;4",0;@",b" in modo che sia identicamente sod- disfatta l'equazione (2). ALE ora questa equazione per 0° —?° ed osservando che: - zip it%) SO N AA Me e (@0)0= IS Cm 3) n mi COS 74 + Bmji SON CW) X X Pi i (0) E ms(0) FF Presi (4) Pai (0)] 00 00 7 ;; (m+-)(mH4i—--1) 3 i — ), —______1+. Amy COSÌ By, Sen dW) X Din ment DE, dl iv) x ERT(0 ) Pim-azi(0) — Pmi (6 ) Puoi (0)], 6 D (0) (e +9 +23) een e + (1-0) SS: >» mm_-i+1)(mT_-i+2 (Ami 087% + By, senzyw) x ‘4 (2m +-1)(2m4-3) Pmi (7) XK RP, M+2;ì (0 Pa (9) nor Pressi(6) Pmi (0)] 3P DI ca e Ami C0StW + Bm,i sen iw) X ea. (0) Provi ()— Pas OPucsc (0). si trova subito che, Sr questa equazione (2), si può scrivere: DI Di sa e a OLI | (erIZO St pil Smog Amygi — Fei] cos tw + (18) SI pe 41 2 ; 5 SAIL m+2,i Bm+oi — a] sen iu x È } X eg (0) Bei (4) ToR Tio (4) RE (0)] =0) in CU: Ro SSA) pi a) E a Uci Vi=r _(nm+i+b)Mm+i+2)/1=-? 2Pmerii (7) 2Pm+riti (7) I O A) MR, M+2,i (4 + u) Pmesi(1) TE A (7) di AES her — A) (Ie (14) 2 lean, 1 (7) Dieter +1 (7) Am+1, _ Umpri_ dn diga Tu = apo) Mt D+ pento ee). (ei (an!) (m+i+-2) (m (= a11)(m_042) n È Tei Prese (7) ; uu . 9 Das __m+ri Diet; i=l TESS sil a MT Dm + TR _ (mt +1) (mtéi4+2)(m_ +1) (M7042) (Gra tnenint |, Y—1 Pmi (®) , de: = mig e l'accento, sulla sommatoria rispetto ad %é, indica che per i primi due valori di 2: Rino Rm: Sm+z,0,-.. Si allontanano alquanto dalla legge generale. Se ora torniamo a dividere per 0° —* e teniamo conto dell'ultima delle (8') la formola (13) si porrà, facilmente sotto la forma SS A[Bmdm + 2041) (2 e (m+ I (Mm—- i+ 24)! X (Sm+ztzi sl Rin+2k,1) pae (mC _(m4i4-2%)! i Mi e no tn Tuoi [eoe#+ as MAPEI] + | Fmi Beit @m + 1) E i Br T Xx (Sm+zryi sha Rm+ok,i) n ri pr — (2m+ pre mr i 7 ni n 25] sen iv) Pr (0x0 06 Per determinare le A corrispondenti ad un dato valore dell'indice 7 ab- biamo quindi le equazioni: (md! (m + 14-20)! CES rt DET: 14 26) Amn+okii RU SER (15) X (Suez + Brest) a pap i _Y _(M+Li+248)! SARO wi ce: prep) m+2k,i MI VIRUS ed equazioni analoghe abbiamo per determinare le B corrispondenti a quel valore dell'indice 7. Cadiamo così nella teoria dei determinanti infiniti. Però possiamo evitare di far uso di questa teoria notando che, se i coeffi- cienti di cosyw e senéw nella (13) sono nulli, le (15) sono identicamente soddisfatte e poichè sappiamo che il problema comporta una sola soluzione, ne deduciamo che, fra le nostre incognite, sono soddisfatte le seguenti equazioni: (m—-i+1)(m_-i1+2) a I pei uh (044 MFi+9 9 At 2m +5 Sm+osi Am+o,i = Tsi e le analoghe nelle B. Ora dalla (16) ricaviamo facilmente: Lt (me 420)! Ames (m_- i+ 24)! @m+4k +10 =(— 1) (1 + è)! Rmsono, ; Rmronsi Sia Romi Ami sa (mn ‘Tea 2) Sartok, Sm+2k-2;i Omtzti 2Mm în 1 IN Lo) 2 na (m+2%—2h+d)! pla DA wrap 7 mE 2%Xx—-2h+2—1)! È Rcrest ì Ronn Ig: Rin+2k-2h+3,i A ont Smtgkii Omtehnoi Om+2k-2h+4,i Sirene quindi, sostituendo nella (15), si ha subito: lia hi Ri n da( De I) (Sm+ohi + Rieti) a Seloleni. Sm+okri Brit, Fn TED Ami _ (18) Sm+rk-2;i Sm+2,i (m SF 2)! 2m Fia 1 di (mH4 4-24)! va s pri (m+2%X—- 25140)! Zam sean qa)i mesi 2a e 1) (m+2%k— 2h+2=59)! IENE n Rm+ok-2h+9,i Ttrtoni s (Smart t Rantata) SUOI . Si 300 9 Ser STORAto Sm+ok=2h+2,î ° Da formole analoghe sono determinate le B,,;. In una prossima occasione ci proponiamo di esaminare più particolarmente la validità di questa soluzione. 3. Accenno al caso în cui in superficie sono date le tensioni. — Il nuovo problema, a volerlo trattare direttamente, con i principî da me sfruttati in altri casi, presenterebbe difficoltà di calcolo non lievi. Il proce- dimento più semplice per risolverlo, consiste, a mio avviso, nel costruire le espressioni : TL UL du 403 + 2u (1 fo ‘490 — 502) |, du il dU (19) 1% 15 Sb CS SEI essendo le u,v, quelle determinate nel problema precedente, e nel trasfor- mare queste espressioni, opportunamente, in modo che i loro valori in super- ficie risultino sviluppati in serie di funzioni sferiche, il che si può ottenere servendosi delle (8) e (8'). Osservando che i valori che così si ottengono sono anche i valori di (20) uf E " Se 7 EEC + E: ) ny + te :__ ]} dove L,M,N sono le date tensioni in superficie, resterà allora a sviluppare RenpICcONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 11 SS in serie di funzioni sferiche le espressioni (20) e a determinare le costanti a,b;a',6;a",0" che compariscono nelle espressioni di %,0,w, in modo che sulla superficie dell'ellissoide le espressioni (19) diventino eguali alle corrispondenti espressioni (20). 4. Osservazioni. — Questi procedimenti che contengono come caso par- ticolare un nuovo metodo per risolvere i problemi di equilibrio elastico per la sfera e le due sfere concentriche, possono essere evidentemente estesi a risolvere il problema dell'equilibrio elastico di un corpo limitato da due ellissoidi di rotazione confocali.. Fisica. — Spettri di incandescenza dell’ Iodio e del Bromo. (!) Nota del dott. I. PuccIANTI, presentata dal Socio A. ROTTI. La lettura di una interessante Nota dei signori R. Nasini e F. Ander- lini (*) intitolata: Osservazioni spettroscopiche ad altissime temperature, in cui sono descritte alcune belle esperienze ed è fatto cenno di un tenta- tivo per ottenere lo spettro di emissione per temperatura dell'iodio, mi ha persuaso ad anticipare la comunicazione di alcuni avvertimenti circa il modo di osservare gli spettri di incandescenza, e di alcune esperienze da me ese- guite un anno fa, e comunicate allora alla Commissione esaminatrice per la mia libera docenza. Esse erano destinate a un più ampio scritto di spettro- scopia, che verrà pubblicato fra non molto. Rimando il lettore al cenno storico che forma la prima parte della Nota di Anderlini e Nasini; solo voglio aggiungere quanto segue: L'Evershed (3) nelle sue esperienze eseguite sui vapori di miolti metal- loidi tra cui iodio e bromo fortemente scaldati in tubi di vetro, osservò uno spettro di bande per assorbimento e uno spettro continuo per emissione, e ne concluse che si trattasse di una emissione di temperatura sì, ma per la quale non valesse esattamente la legge di Kirchhoff. Ora ciò, come osserva giustamente il Pringsheim (4), è inammissibile, e se il risultato dell’ Evershed fosse rispondente al vero, bisognerebbe ammettere trattarsi di luminescenza. Ma poichè almeno per il bromo e l’iodio non si può trovare una verosimile fonte di luminescenza (*), a me sembrava più logico (') Lavoro eseguito nel R. Istituto di Studî superiori in Firenze, dicembre 1904. (2) Questo periodico. 73, 59, 1904. (3) Phil. Mag. (S. 5), 29, 460, 1895. (4) Rapports pres. au Congr. Int. de Physique. Paris, 1900, tome. II©, 100. (") Se non è raggiunta la temperatura di completa dissociazione della molecola bia- tomica in atomi liberi si potrebbe pensare alla reazione Ja =2J oppure Br: = 2 Br come origine della luminescenza. Ma quando la temperatura rimane costante, essa non è che una reazione reversibile in equilibrio, e quindi la variazione dell’energia che potrebbe = ritenere senz'altro erroneo il risultato dell’ Evershed, e giusto quello del Konen (') che ha visto le bande anche nello spettro di emissione dell’ iodio; tanto più che il primo è in ultima analisi un resultato negativo e il secondo un resultato positivo. Ma meglio che da tale presunzione la discrepanza doveva esser decisa e spiegata con nuove esperienze che io perciò intrapresi. Prima di descriverle è opportuno riferire alcune semplici osservazioni teoriche sulla visibilità degli spettri di incandescenza, le quali mi hanno gui- dato nel compiere le esperienze, e sono state da queste pienamente confermate. Cerchiamo quali sono le cause che possono fare apparire come continuo uno spettro di bande emesso da un vapore riscaldato; cioè attenuare il risalto di esse fino al punto di non lasciarle più scorgere. a) Quella a cui si pensa più facilmente è dovuta alla presenza di vapore più freddo tra il vapore emittente e lo spettroscopio. Esso col suo assorbimento abbassa i massimi di emissione fino a distruggerli, e può anche dar luogo ad una completa autoinversione, per cui si mostra addirittura lo spettro di assorbimento (come nel tentativo di Anderlini e Nasini). Questa causa di errore non si può evitare operando con tubi osservati longitudinalmente e scaldati in parte come faceva Evershed. Il miglior modo di eliminarla è di procurarsi un recipiente molto tra- sparente e refrattario, scaldarlo tutto e osservare traverso alle pareti da una parte che certo non sia meno calda del resto. Si prestano ottimamente i palloncini di quarzo fuso costruiti da W. C. He- raeus di Hanau. Essi resistono a riscaldamenti molto forti e a sbalzi molto violenti di temperatura, e il quarzo di cui sono costruiti è così trasparente (e si man- tiene tale a temperature molto elevate) che non emette quasi punta luce anche scaldato moltissimo. 5) Se lo spessore (o la densità) del vapore è soverchio, a parte ogni altra causa d'errore, l'apparive di uno spettro sensibilmente continuo per emis- sione e di uno spettro spiccatissimo di bande per assorbimento, invece di essere in contraddizione colla legge di Kirchhoff, ne è una conseguenza, come si può facilmente riconoscere partendo dalla legge esponenziale dell’assorbimento. Consideriamo le posizioni spettrali corrispondenti a un massimo ed un minimo consecutivi di assorbimento che saranno, almeno per i corpi di cui ci occupiamo, assai vicini nello spettro. I respettivi coefficienti di tra- smissione sieno @, e @», e potremo ammettere che nemmeno il maggiore di dar luogo a luminescenza chimica è nulla: non rimangono che l’energia termica e la rag- giante capaci di trasformarsi l’una nell'altra, cioè è soddisfatta la ipotesi fondamentale della legge di Kirchhoff. (1) Wied. Ann. 65, 257, 1898. essi «, sia co, se nemmeno per le posizioni spettrali ove vi ha un minimo di assorbimento questo manchi del tutto, come è il caso per esempio dell’iodio almeno nella parte visibile dello spettro. L'intensità della luce trasmessa da uno spessore d sarà per una delle due radiazioni Di More e per l’altra Cao SIMO indicando con 731 € dos rispettivamente le intensità iniziali, che se la luce incidente è bianca saranno quasi uguali fra loro; e quindi il rapporto delle intensità trasmesse sarà espresso da ri= e (0, — a,)d e che tende a co con d. Ma il rapporto dei poteri assorbenti è dato da 7 1l—-et% l_—-e7%° e il rapporto dell'intensità dei raggi emessi è essendo «, e e, i poteri emissivi corrispondenti del corpo mero, e se, come abbiamo supposto, si tratta di due posizioni vicinissime dello spettro, — sarà 2 pochissimo diverso dall'unità, cioè avremo approssimativamente che per d=0 tende ad * e per d = co tende all'unità. 2 Ciò significa che il risalto dello spettro di assorbimento cresce sempre collo spessore, purchè si disponga di una sorgente abbastanza intensa, mentre il risalto dello spettro di emissione, aumentando indefinitamente d, tende a svanire. E quando lo spessore sia abbastanza grande per ridurre sensibilmente a zero la intensità di tutte le radiazioni trasmesse, lo spettro di emissione non differisce sensibilmente da quello del corpo nero, cioè è sensibilmente continuo. Bisogna dunque, se si vuol conoscere la vera natura dello spettro di emis- sione, evitare che lo spessore sia troppo grande, come probabilmente era nelle esperienze di Evershed. ego Usando i palloncini di quarzo abbiamo a nostra disposizione spessori più grandi o più piccoli a seconda che si prende in esame la luce emessa vicino al centro o vicino al contorno apparente. c) Molta importanza per il buon successo dell'osservazione ha la scelta opportuna dello spettroscopio, specialmente quando la po iperatura: del vapore non è molto elevata, e quindi la luce è poco intensa. La dispersione naturalmente non deve essere troppo piccola, ma nem- meno troppo grande, chè indebolirebbe troppo la luce, e sopra tutto bisogna che sia moderato l'ingrandimento del canocchiale a fine di ottenere le migliori condizioni di luminosità possibili. Se la luminosità è troppo debole, l'occhio non ne distingue le disuguaglianze, e lo spettro si può giudicare come continuo. Seguendo questi concetti, che in sostanza non sono nuovi, ma furono in generale o mal conosciuti, o male applicati nell'eseguire e nell'interpretare le esperienze, ho ripreso l'esame dagli spettri di incandescenza dell’iodio e del bromo. Iodio. Pochi cristallini di iodio ripetutamente sublimato venivano posti entro un palloncino di quarzo di circa 3 cm. di diametro, a collo lungo e strozzato. Il palloncino veniva riscaldato fortemente con un grande becco di Bunsen o con una lampada a soffieria, e la luce emessa era esaminata collo spettroscopio. E riconobbi in pratica di quale importanza fosse la scelta del- l'apparecchio spettrale per non ingannarsi sulla natura dello spettro. Uno spettroscopio del tipo di Kirchhoff di grande modello con uno o con due prismi di flint faceva vedere uno spettro apparentemente continuo per emissione, eun bello spettro a colonnato per assorbimento, come appunto osser- vava l’Eversbed, mentre uno strumento più piccolo e di minore dispersione, ma di maggiore chiarezza, permetteva di riconoscere le discontinuità anche nello spettro di emissione, sia che il palloncino fosse scaldato col becco di Bunsen, sia colla soffieria. Questa naturalmente dava un maggior rilievo a causa della maggiore intensità di emissione dovuta alla temperatura più alta. E quindi essa fu scelta per eseguire le misure per le quali la disposizione era la seguente : La luce era emessa dall’iodio contenuto nel palloncino P (fig. 1), il quale era scaldato da una lampada a soffieria, e circondato da un vaso di terracotta, che concentrava il calore, e impediva che la luce si spandesse in quantità nella stanza. L'obbiettivo O proiettava un'imagine reale del palloncino sulla fendi- tura dell'apparecchio spettrale (costruito da Steinheil) munito di un eccel- lente prisma del Browning con solfuro di carbonio, il quale permetteva per l'appunto la separazione delle due righe D, D». Per rilevare lo spettro ser- viva il solito metodo della scala. RENE Per esaminare lo spettro di assorbimento era posta dietro il palloncino in posizione opportuna una lampada Auer A. Accendendo e spengendo questa alternativamente e lasciando sempre in azione la soffieria, osservavo alterna- tivamente lo spettro di emissione e di assorbimento, e potevo riscontrare che al posto occupato nel primo da una banda chiara, veniva nell’altro una banda scura e viceversa. es Il resultato di molte serie di misure alternative sull’emissione e sull'as- sorbimento è rappresentato nella figura 2 che mostra la parte dello spettro, 20 10 0 10 Pi1csi2e in cui le bande di assorbimento sono più larghe e spiccate e quelle di emis- sione sono visibili distintamente. La scala è una riproduzione di quella usata nelle osservazioni: D corrisponde allo zero, C al 28,2 a sinistra ed E al 39 a destra. La parte superiore rappresenta lo spettro di assorbimento, l’' inferiore lo spettro di emissione. Nelle altre parti dello spettro le bande di assorbimento sono più deboli e più strette, e quelle di emissione, almeno col mio spettroscopio, non si arri- vavano a distinguere. Il risalto dello spettro di emissione è assai minore di quello dello spettro di assorbimento; ma ciò è sufficientemente spiegato dalle considerazioni svolte sopra (5). Queste esperienze mi hanno dunque permesso di confermare nel modo più sicuro le conclusioni del Konen, e mi hanno inoltre chiarito che il risul- tato negativo dell’ Evershed non dipende da altro che dalle condizioni poco favorevoli in cui furono effettuate le sue esperienze. ERO Bromo. Le esperienze su questo elemento furono coudotte in modo simile; soltanto non potrei garantire che il bromo usato fosse del tutto esente da acqua. Ciò del resto non ha importanza, perchè i composti alla cui formazione si potrebbe pensare, è noto come sì scindano a temperature assai inferiori di quelle a cui io portavo il palloncino. Questo anzi era più piccolo del precedente (1,5 cm. di diametro), e quindi raggiungeva una temperatura anche più elevata. Lo spettro di emissione si vedeva distintamente, e presentava delle scan- nellature nel rosso deciso e delle altre più belle nel giallo e verde; nell'aran- ciato, ove lo spettro di assorbimento dei vapori «di bromo è-solcato da bande molto strette e di non grande rilievo, lo spettro di emissione apparisce continuo, o meglio non si riesce a vederne le discontinuità. Lo stesso si dica per la parte più rifrangibile dello spettro. Siccome queste esperienze furono condotte con temperature più elevate e spessori più piccoli, si incontrò difficoltà a invertire lo spettro. Ciò non ostante prendendo in esame le bande più belle, riscontrai che la relazione di inversione esisteva anche in questo caso. Sono riuscito a fare alcune fotografie (') dello spettro di incandescenza del bromo, munentdo un grande spettroscopio di Kirchhoff a due prismi di flint, di una camera oscura a lungo tiraggio con un obiettivo Steinheil di quasi un metro di distanza focale. Per tali prove fotografiche occorsero esposizioni di due a quattro ore. Fotografando sulla stessa lastra lo spettro di assorbimento dei vapori di bromo a temperatura ordinaria, potei ancora osservare come questo è l' inverso dello spettro di emissione. Sia per il bromo come per l'iodio le bande di emissione più belle lascia- vano riconoscere l'orlo netto dalla parte del violetto e la sfumatura dalla parte del rosso, prendendo in considerazione la parte chiara; mentre quelle di assor- bimento presentano, come è ben noto, la disposizione contraria; e ciò è in accordo col principio di Kirchhoff. Concludendo risulta da queste esperienze che i vapori di bromo e di iodio fortemente riscaldati emettono radiazioni luminose che sono da ascrivere alla sola temperatura, e presentano uno spettro dé bande di cui i ben noti spettri di assorbimento sono gl'inversi. L'osservazione ad occhio e più ancora la fotografia di questi spettri ri- chiede speciali cure, senza le quali si può facilmente incorrere nell'errore di giudicarli spettri continui. Ringrazio il prof. Antonio Ròiti che ha messo a mia piena disposizione ì copiosi mezzi del suo laboratorio. (1) Saranno riprodotte in una prossima pubblicazione. Erg Fisica. — Sopra un nuovo sistema di telegrafia senza filo. Notizia estratta da una lettera dell’ing. ALessanpRo ARtoM al PRESIDENTE. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Ze sesse nel lago di Garda (1). Nota preliminare del dott. EmiLio TeGLIO presentata dal Socio V. VOLTERRA. La Società italiana di Fisica fin dal 1898, stabiliva di iniziare in Italia lo studio delle sesse. Si cominciò dal lago di Garda (Benaco). Venne dap- prima collocato a Salò un mareografo modificato e ridotto a limnigrafo al- l’Istituto Fisico dell'Università di Modena. Ma l'istrumento non era molto sensibile, inoltre era collocato in una insenatura del lago, separata da un gruppo di isolette dal bacino principale, sicchè i moti particolari del piccolo bacino turbavano i fondamentali. Le curve ottenute a Salò non possono dunque servire ad uno studio preliminare dei fenomeni del lago. Più tardi, e precisamente nell'ottobre 1901, venne collocato a Desen- zano (estremità sud dell'asse longitudinale del lago) un limnigrafo Sarasin, e fu affidato alle cure del prof. Cozzaglio, direttore di quell’Osservatorio meteorologico. Debbo alla benevolenza del prof. Chistoni l'aver potuto stu- diare i limnogrammi ottenuti con quell’istrumento. Queste curve sono ben lontane dall'essere complete: presentano anzi troppo spesso larghe interruzioni, sicchè quantunque abbraccino un periodo di quasi quattro anni, tuttavia non costituiscono una serie sufficiente di os- servazioni. In particolare è da dolersi che manchino quasi completamente le osservazioni contemporanee a quelle fatte dal Valentin (2) per cura del’Ac- cademia delle scienze di Vienna, con un limnigrafo Sarasin posto a Riva, estremità nord dell'asse longitudinale del lago. Mancano anche osservazioni locali meteorologiche contemporanee al pre- sentarsi delle sesse, che pure sarebbero interessanti per lo studio delle cause o dei fenomeni concomitanti le oscillazioni delle acque del lago. Riservandomi quindi a ritornare più ampiamente sull'argomento quando si abbia un più ricco e completo materiale d'osservazione (*), non credo inu- tile esporre intanto i risultati che si possono dedurre da un attento esame dei (1) Lavoro eseguito nell’Osservatorio geofisico della R. Università di Modena. (2) J. Valentin, Veder die stehenden Seespieg, in Riva am Gardasee (Wien. Ber. 1908). (3) Da poco tempo è stato collocato un limnigrafo a Toscolano sulla riva occiden- tale del lago. SB 0) limnogrammi ottenuti fin qui. Questi risultati si possono ridurre ai punti seguenti: I. La massa d’acqua che costituisce il lago di Garda (calcolabile a km* 49,76 circa (') è quasi ininterrottamente sottoposta a pronunciatissimi moti oscillatorî. II. Si verifica un’oscillazione della durata di 42,5 a 43 minuti. Questo valore coincide con quello trovato dal Valentin. È la sessa longitudinale uninodale del Garda, e corrisponde con molta approssimazione alla durata del periodo dedotta con la nota formola di Mérian: Ras; Vai quando però si consideri soltanto il bacino occidentale, quello di Desenzano, come ha fatto anche il Valentin. Difatti il bacino orientale di Peschiera ha una piccola profondità rispetto alla profondità media del lago (in media 40 metri di fronte a 136 metri circa) ed è separato dal bacino principale per una scogliera subacquea. III. Un'oscillazione della durata di 22,5 a 23 minuti che deve essere considerata come la dinodale longitudinale. IV. Oscillazioni di 30 minuti, di 16 minuti, di 8 minuti di durata, che sì presentano con sufficiente frequenza, ed accompagnano talvolta le due pre- cedenti. Non è da escludersi che quella di 30 minuti possa essere le sessa trasversale; le altre debbono considerarsi come plurinodali. V. Si sono verificati parecchi tipi di sesse dicrote che talvolta se- guono il presentarsi di un'oscillazione semplice. Altre volte si hanno curve molto complicate dalle quali, stante il poco materiale disponibile, non mi è stato possibile dedurre quali tipi di sesse abbiano interferito. VI. Oltre le sesse si hanno anche le vibrazioni, oscillazioni di pic- colissima durata ed ampiezza, più o meno regolari, che accompagnano di frequente le sesse (°). Nei limnogrammi si presentano sotto forma di dentel- lature delle curve. VII. Il succedersi ininterrotto di una serie di sesse può continuare per parecchi giorni. VIII. Serie di oscillazioni poco persistenti danno curve deboli e male sviluppate che spesso non permettono neppure di riconoscere un periodo; le serie più lunghe cominciano con oscillazioni irregolari che poi si vanno fa- cendo più distinte e più sviluppate. IX. L'ampiezza delle oscillazioni è variatissima anche per lo stesso tipo di sessa; è però indipendente dalla durata. (1) I dati numerici relativi al lago sono dedotti in parte dalla Carta idrografica del Benaco edita dall’ Ufficio Idrografico della R. Marina sotto la direzione del Capitano di vascello Cassanello, in parte dal libro /l lago di Garda di G. Jolitro (Bergamo, Istituto Arti Grafiche, 1904). (2) Cfr. Forel, Ze lac Léman, vol. II, pag. 214. RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 12 = 92= X..Si presentano sesse fino a 115 mm. di ampiezza, come nella serie che va dall'11 al 12 dicembre 1901. Il tipo di sessa corrispondente: a questa ampiezza non è ben’ definito, per le forti vibrazioni che l'accompagnavano e perchè lo strumento funzionava allora con una piccola velocità per la carta (1) (20 mm. all’ora) insufficiente per la forma complicata delle curve. Si presentarono anche ampiezze di 127 mm. come’ nella serie di sesse uninodali che va dal:28 febbraio al 1° marzo 1902. XI. Durante una serie di sesse l'ampiezza diminuisce. regolarmente solo quando le oscillazioni sono ben pronunziate e regolari. XII. Dai dati finora avuti in esame non si può stabilire in quali cir- costanze si presentino le sesse nel lago di Garda, e tanto meno quando un tipo piuttosto che un altro; sembra però che la maggior frequenza ed inten- sità sì abbiano nei periodi di più forti perturbazioni atmosferiche. Si ebbero sesse anche in tempo di fenomeni sismici. Mineralogia. — Nuove forme e nuovo tipo cristallino del- l’anatasio della Binnenthal. Nota di FepERICO MiLLosEvICH; pre- sentata dal Socio G. STRivER. Dopo la classica monografia di C. Klein (*) sopra l'anatasio della Bin- nenthal non pareva probabile che questo giacimento dovesse offrire qualche cosa di nuovo ad ulteriori osservazioni. In seguito invece V. von Zepharo- vich (3), G. Selismann (‘), H. Baumhauer (*), per dir solo dei principali, ci fecero conoscere nuove forme e nuovi tipi cristallini oltre quelli descritti da Klein; ed ora con il presente lavoro aggiungo alcune nuove osservazioni sopra cristalli di anatasio provenienti da questo giacimento, che sembra debba offrire ad ogni studioso inesauribile messe di forme e di combinazioni non ancora conosciute. Il campione, che è oggetto del presente studio, fu acquistato a Goschenen dal capitano Alberto Pelloux e fa parte della sua privata collezione. Egli si accorse che i cristalli di anatasio differivano notevolmente nell’abito da quelli di tutti gli altri campioni da lui posseduti ‘0 osservati nei musei o presso i negozianti e, pensando che potessero essere degni di accurate osser- (1) Convien rammentare che il limnigrafo Sarasin offre due velocità per la carta, l’una di 1j3 di mm. al minuto, l’altra di 1 mm. al minuto, più conveniente. (2) C. Klein, Beitrdge zur Kenntniss des. Anatas. Neues Jahrbuch Min. 1875, (337-368). (3) V. von Zepharovich, Aratas aus dem Binnenthale. Zeitsch. Kryst. VI (240-243). (4) G. Seligmann, Anatas aus dem Binnenthale: Neues Jahrbuch Min. 1881, II, 269; idem, Anatas von der Alp Lercheltini im Binnenthal. Zeitsch. Kryst. XI (337-343)... (3) H. Baumhauer, Die Arystallstructur des Anatas. Zeitsch. Kryst. XXIV 555. — 93 — vazioni, volle gentilmente affidarmene lo studio; e di ‘ciò vivamente lo ringrazio. Nel campione da me esaminato i cristalli di anatasio sì trovano sopra un gneiss molto ricco di mica e alquanto alterato e sono accompagnati da numerosissimi cristalli di quarzo, da pochi cristalli di adularza e da abbon- dantissima clorite. L'anatasio è evidentemente il più recente dei minerali che con lui si accompagnano: infatti i suoi cristalli si trovano sopra quelli di. quarzo e, quando ne sieno staccati, rimane in alcuni di essi un incavo regolare corrispondente alla parte dei cristalli di quarzo su cui si erano appoggiati. Questi caratteri di paragenesi e di giacimento sono propri dei campioni di Alp Lercheltiny, nome di provenienza più esatto e più appro- priato di quello troppo generico di Binnenthal. I cristalli di anatasio da me esaminati presentano dimensioni variabili e giungono fino a 4 mm. di lunghezza e 2°/, mm. di larghezza; hanno colore giallo miele o giallo bruno, variabile talora nello stesso cristallo in cui, come sarà chiarito meglio in seguito, una parte è colorata in giallo miele assai chiaro, mentre l’altra parte Presenta 1 una tinta assai più scura. La lucen- tezza è quasi adamantina. Le forme osservate sono le seguenti: c_}001| R.33.0.104 *. E }203{* e}101% g}201f 9}701t w}1:1.14 #}113} K}112f H}3324* w }221( RESO ez 313 MLE25 E Le forme H}332:, E}203:. R}3.0.10{, T}11.2.12:, L}25.11.5]. sono nuove per l’anatasio. Le forme w }1.1.14 e g}201} sono nuove per il giacimento di Alp Ler- cheltiny. Nel seguente quadro riassumo le misure, che servirono alla determina- zione delle forme già note, poste a confronto con i valori calcolati secondo il rapporto parametrico di Miller 1:1,7771 adottato dalla maggior parte degli autori. Osservati Angoli n Calcolati Limiti Medie (101) : (001) 4 | 60% 382° — 60° 51° | 60° 44 60° 38° (101) : (112) 1 — SSN 88 I (201) : (001) 3 | 74 16 — 74 40 TA 27 7417 (201) : (021) 1 _ 85 40 85 471 (701) : (001) 2185. 8 — 85 28 85. 18 85 24 (112) : (001) 1500 0015) O DE) 5) 51. 261 D.1829 (118) : (001) 4|39 51 — 40 14 AO? SONoT (113) : (113) 1 -— «64 18 5400] (221) : (001) BAN NR20RNe78 51 7844 78 45 (1.1.14) : (001) 2] 9 53 .— 10 14 10. 31 10, 103 (813) : (001) 5 |\Gli da = eg 6l 58 | 61 541 (313) : (813) 1 _ 38227 32) (24 Logi — La nuova bipiramide tetragonale di 1° ordine H}332{ si presenta con facce discretamente grandi e lucenti: il suo simbolo fu potuto determinare con esattezza per mezzo delle seguenti misure: (332):(001)= limiti di3 misure 74° 57’ — 75° 15" media 75° 4' calcolato 75° 84 (332): (101) =» (»2 n 43049 —44° 3°». 43°56" » | 43950! Si presenta con facce predominanti nella zona delle piramidi di 1° or- dine corrispondentemente ad una delle estremità dell'asse di simmetria prin- cipale. È da osservare che invece, la protopiramide di simbolo }223{ predo- mina nei cristalli del tipo IV di Klein (*) e quella di simbolo }335} in uno di quelli descritti da von Zepharovich (?). Il simbolo della nuova bipiramide tetragonale di 2° ordine E }203{ risulta dalle zone [(001):(010)] e [(313):(113)]. Si presenta con faccettine assai piccole corrispondentemente ad una delle estremità dell'asse di sim- metria quaternaria, con facce estese, ma piuttosto opache e striate corrispon- dentemente all'altra estremità. Queste ultime danno riflessi pallidi e mul- tipli, dovuti forse alla presenza di facce vicinali e quindi le misure su di esse sono poco esatte, come si vede dal seguente risultato : (203):(001)= limiti di 4 misure 48° 20" — 50° 37' media 49° 23' calcolato 49° 50' (203):(113)= » »2 » 82°15'—388°17 » 32°46'" » 32° 42' Nel secondo angolo il discreto accordo fra il valore medio misurato e il calcolato non è che casuale, come appare dai limiti delle osservazioni. Il simbolo }203j quindi merita conferma, perchè potrebbe anche essere sostituito da uno molto vicino a indici più complicati; caso che non è raro nell’anatasio, dove accanto a simboli come }221!, }112{, }114}, }1154, 31176, si trovano simboli come }15.15.8{, }5.5.11!, }5.5.12}, }5.5.194, 344.214, }3.3.20{ e dove invece di }104{ si trova }5.0.19| (3). La nuova bipiramide tetragonale di 2° ordine R }3.0.104 si presenta con due sole facce, però abbastanza estese, ad una estremità di un cristallo; esse permisero due buone misure e quindi il simbolo si può ritenere sicuro: (3.0.10):(001)==limiti di 2 misure 28° 5' — 28° 10" media 28° 7'4 calcolato 28° 4° Le nuove bipiramidi a base ottagona T}11.2.12} e L}25.11.5! furono determinate per mezzo delle seguenti misure sufficientemente esatte: (1) Loc. cit., pag. 352, figg. 7-8. (2) Loc. cit., pag. 240, fis. 6. (3) Vedi: Brezina, Aryst. Studien an Wiserin Xenotim, u. s. w. Tschermak's Min. Mitth. 1872, pag. 15; Groth, Strassburger Sammlung, pag. 109; von Zepharovich, loc. cit., pag. 242; Baumhauer, loc. cit., pag. 555 e seg. | MO) — Osservati Angoli n ene i Calcolati Limiti Medio (11.2.12) : (001) 4 | 58° 84" — 58° 560 | 580 47/ 58° 52° (LUO) (Lo) ir 9 17 44 TWRASIZ (11.2.12) : (113) OSL — 07 Ri A) 31 581 (112.12), : (813) 1 _ 250 25 MILZI9: (295) — 5818 9803 (25.11.5) : (001) Mes 84 16080082 10 zio, (Q510R5) (2515) | 020046 (56 47 14 ATEO. 47 14 (25.11.5) : (113) DNA Ti 290 47 47080047 88 47 361 (11.25.5) : (813) 1 _ 82 31 82 331 Non è da far meraviglia per i simboli alquanto complessi, che spettano a queste due nuove forme, quando si ritletta che è proprietà spiccata del- l'anatasio, quella di presentare facce con. simboli molto complicati e che perciò una serie piuttosto lunga di forme siffatte, e in modo speciale fra le bipiramidi ditetragonali, è stata ripetutamente e sicuramente osservata. Nè i simboli da me fissati sono certo fra i più complessi. D'altra parte quelli più semplici ad essi vicini cioè (616) o (516) e (521) non danno la dovuta corrispondenza fra misura e calcolo, come ho avuto agio di constatare. Credo degno di nota il fatto che l'indice 11, che entra nel simbolo di ambedue queste forme nuove, ricorre sovente nelle forme dell’anatasio: sono già cono- sciute infatti le forme }5.5.11!, }11.1.4{, }11.3.44{, }11.3.45. La bipiramide }201}, comune in altri giacimenti, non era ancora cono- sciuta nei cristalli della Binnenthal: si presenta con facce piccole, ma perfette. Le facce della bipiramide }1.1.14f si presentano, come sottili listerelle fra 5112 e la base: anche questa forma è nuova per la Binnenthal, essendo stata osservata soltanto da Des-Cloizeaux (') in cristalli di Minas Geraés. L'abito, che i cristalli da me osservati presentano è assolutamente nuovo. Essi hanno un aspetto che non si esiterebbe a classificare come emimorfo : infatti terminano molto diversamente alle due estremità dell'asse di simmetria princi - pale (le figure 1 e 2 rappresentano appunto la parte superiore e la parte infe- riore di un medesimo cristallo). Ad una di queste estremità mostrano un abito tabulare per predominio della base; all'altra estremità invece hanno la base assai ridotta e un abito piramidale con predominio di piramidi acute, tanto da giustificare più che mai il classico nome di anatasio. Mentre la parte (1) Des-Cloizeaux, Minéralogie, II, pag. 200. LSM 0) gps superiore non ha alcuna affinità con i tipi conosciuti nei giacimenti di Bin- nenthal e ricorda forse i cristalli di Minas Geraés o quelli descritti da Jere- mejew della Russia asiatica ('), la parte inferiore invece per il predominio di bipiramidi ottagonali fra cui la }313! e della hipiramide tetragonale }113{ ricorda uno dei tipi descritti da von Zepharovich (2), sebbene ne differisca per tanti altri caratteri, che saltano subito agli occhi da un esame compa- rativo della figura data da questo autore e della qui unita figura 2. Nella Pa. 2. parte superiore oltre la base hanno maggior sviluppo le forme }203{ e 332], mentre tutte le altre sono subordinate; nella parte inferiore predominano soprattutto la }221}, meno la }113{ ed, ora una ora l’altra, secondo gli ottanti, delle tre bipiramidi ditetragonali. Come ho detto in principio i cristalli più grandi, che sono quelli ap- punto che presentano quest'abito, per così dire emimorfo, sono diversamente colorati; cioè, in corrispondenza della parte superiore, dove la base è assai più estesa, presentano colore giallo bruno piuttosto scuro, mentre la parte inferiore è trasparente e di color giallo miele chiaro. Si deve ammettere che, durante la formazione del cristallo, la soluzione che lo generava abbia leg- germente mutato di natura o che si sieno mutate leggermente le condizioni fisiche che accompagnavano la cristallizzazione del biossido di titanio. Ciò spiegherebbe il fatto della diversità di colore e della diversità di forma corrispondentemente alle due parti diversamente colorate. La parte più chiara è quella che continua ed in parte racchiude la più oscura. Si ricordi a questo proposito che G. Seligmann (3) ha descritto cristalli di anatasio della Bin- (3) P..W. Jeremejew, Aratas und Brookit aus den Lindereien der Orenburgischen Kasaken (sunto nella Zeitsch. Kryst., XII, pag. 201); idem, Beschreibung einiger Mi- neralien aus den Goldseifen der Lindereien der Orenburgischen Kasaken (sunto ibidem, XV, pag. 541). (2) Cfr. la fig. 6 del citato lavoro. (3) Zeitsch. Kryst., XI, pag. 342. a i e nenthal di color giallo chiaro, che ne racchiudono completamente altri di color bruno scuro e di forma diversa, ma in associazione perfettamente parallela. Non è precisamentre il nostro caso, ma qualche cosa di simile. * x%x x G. Seligmann nel suo citato lavoro enumera le nuove forme di anatasio descritte dopo la pubblicazione della monografia di C. Klein (1875) e che, aggiunte a quelle note precedentemente, sommano in tutto a 49. Egli avrebbe dovuto computarne 54, perchè non tenne conto delle }5.0.19}, }5.5,11{, }5.5.12 di Groth ('), della 5801} di Klein (?), della }3.3.20f di von Zepharovich (8) già note alla data del suo lavoro. i In seguito furono aggiunte le seguenti nuove forme: o, }11.3.44{ — K. Busz (*) — Bourg d'Oisans. Dauphiné. }3.2.4f — Penfield, Kunz (°) — Placerville. California. }11.3.45f — G. Boeris (9) — Scipsius (S. Gottardo). SIETE RE ’ E 7 H }3.3.2: — F. Millosevich — Binnenthal. RIO ’ = ; Resco e ’ da ’ pro o ’ DE , L }25.11.5} — 7 — 7 Alle quali devono aggiungersi le molte forme vicinali determinate da Baumhauer (loc. cit.). Compio il dovere di ringraziare il prof. L. Bucca per l'ospitalità con- cessami nel Gabinetto di mineralogia della R. Università di Catania, nel quale ho eseguito il presente lavoro. (1) Loc. cit., pag. 109. (3) Briefliche Mittheilung. Neues Jahrbuch Min., 1875, pag. 851. (8) Loc. cit., pag. 242. (4). K. Busz, Anatas von Bourg d’Oisans (Dauphiné). Zeitsch. Kryst., XX, pag. 507. (®) G. F. Kunz, MNotizen “ber Brookit, Anatas, Quarz und Rubin. Sunto nella Zeitsch. Kryst. XXIII, pag. 520. (6) G. Boeris, Sulla ottaedrite di Scipsius (S. Gottardo). Atti Soc. ital. sc. nat. Milano, 1902, XL, pag. 389. DO Chimica. — Sui nitrosolfuri di ferro (*). Nota di I. BeLLuoci e D. VENDITORI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. PARTE SPERIMENTALE I. Le accurate ricerche di Pawel e soprattutto di Marchlewski e Sachs (loc. cit.) hanno posto fuori di dubbio che con i metodi seguiti da Roussin, Demel e Rosenberg si giunge ad un miscuglio più o meno impuro di sali tutti appartenenti al tipo: Fe‘ (NO) S5X',«H?0 (X=K,NH?). Questi ultimi tre A., a simiglianza di quello che poi fecero Pawel e Mar- chlewski e Sachs, hanno preparato, come si è visto, i nitrosolfuri facendo agire, sebbene in quantità diverse, sul solfato ferroso un nitrito alcalino (di sodio o di potassio) ed un solfuro o solfidrato alcalino (di sodio, ammonio o potassio). Era logico ammettere anche @ prior? che, data l'eguaglianza in linea generale della reazione, dovessero questi chimici giungere, a parte la purezza del prodotto ed il maggiore o minor rendimento, allo stesso tipo di nitrosolfuri. Spetta a Pawel il merito di avere stabilito per il primo, a forza di ri- petuti tentativi e sempre mantenendosi fedele alla reazione primitiva di Roussin, le proporzioni più opportune delle tre sostanze reagenti, seguendo le quali si ha veramente un buon ricavato di nitrosolfuro. Noi abbiamo creduto anzitutto opportuno di preparare il sale di Roussin secondo le norme indicate da Pawel per il sale potassico, nella sua ultima Memoria (2). Il bellissimo prodotto nero cristallino, che così si ottiene, ricri- stallizzato per tre volte dall'acqua, sempre con l'aggiunta di poche gocce di potassa diluita, venne conservato sopra cloruro di calcio, al riparo dalla luce. In queste condizioni si mantenne inalterato e potè così sottoporsi all'analisi, (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Roma. (®) Si aggiungono ad una soluzione bollente di gr. 35 di NO?Na in 400 cm*. di acqua eme. 400 di solfidrato di potassio (preparato da gr. 44 di KHO): si riscalda di nuovo fino ad incipiente ebollizione e si aggiunge a poco a poco ed agitando frequentemente una soluzione di gr. 159 di SO*4Fe, 7H*O in 1200 em?. di acqua addizionata di una goccia di SO*H? diluito. Si pone poi tale miscuglio su bagnomaria bollente per circa mezz'ora, agitando frequentemente. Si filtra rapidamente per separare il precipitato verde-scuro for- matosi e si lascia il filtrato in riposo per 48 ore, dopo avervi aggiunto un po’ di solu- zione di potassa. Il sale cristallino depostosi viene cristallizzato due volte dall'acqua a 70°: viene raccolto dopo 48 ore e protetto dalla luce. Si ottengono così circa 30 gr. di sale puro. (Pawel, Berichte /5. 2600). (9g — Circa i metodi da noi impiegati per analizzare il nitrosolfuro, dobbiamo notare che: 1. Il ferro ed il potassio si determinarono arroventando debolmente il composto, aggiungendo poi qualche goccia di acido nitrico e riportando a secco. Si calcinava quindi in presenza di acido solforico: si aveva così un re- siduo costituito da Fe°0%-|- SO4K° che si lisciviava con acqua, pesando l'Fe°0? rimasto indisciolto, ed il solfato alcalino asportato. Ovvero si dosava il ferro, trattando ripetutamente la sostanza su bagnomaria con acqua regia, e precipitando poi con ammoniaca. 2. L'azoto col metodo Dumas, mescolando bene la sostanza insieme a cromato di piombo, con lungo strato di Cu0O e con grandi guardie di rame ridotto (in forma di truccioli e spirali). L'azoto svoltosi non dava reazione col solfato ferroso. 3. Lo zolfo come solfato di bario, ossidando la sostanza in tubo chiuso con acido nitrico concentrato e riprendendo il residuo con acido cloridrico 4. L'acqua arroventando la sostanza in lenta corrente di anidride car- bonica (in presenza di cromato di piombo e di spirali di rame ridotto) e raccogliendola in tubi a cloruro di calcio. L’acqua svoltasi aveva reazione neutra. Riferiamo qui i risultati analitici da noi ottenuti: TI Sost. gr 0,4184 — gr. 0,2284 Fe?03 — gr. 0,0583 SO4K? II ” » 0,4650 —> n 0,2566 ” > n» 0,0680. » urea n» 0,5046 > » 0,5943 S0*Ba, IV» » 0,3659 > » 0,4388 > V ” » 0,2151 — cm. 30,8 N(a 159,5 ed a 758,2 mm.) VAL a n 13560 — gr. 0,0504H°0. Trovato Trovato da Calcolato per ——_vt—__PP_ vs Pawel (III) Fe'(NO)"S*K,H20 I II III IV V II Fe 38,21 38,63 — — — — 1 37,92 38,12 S = — 16,20 16,52 — — _ 16,42 16,37 N — — —_ —_ 16397 —MiBIi6!5S 16,73 Kegini O: 2010 (61507 — —_ —_ — 6,60 6,66 H°0 — — — —_ — 3,72 8,06 3,06 Il sale di Roussin preparato adunque con le norme indicate da Pawel nella sua ultima Memoria porta realmente ad ammettere per esso, come una delle probabili, la formola Fe*(NO)" S°K , H°O, stabilita per il primo da Pawel e poi confermata dai lavori di Marchlewski e Sachs (per quanto questi ultimi abbiano dato per il loro sale potassico la formola anidra Fe'(NO)” S8K). Pawel però nelle due prime Memorie, in cui asserisce di avere prepa- rato questo sale adoperando altre proporzioni di nitrito e di solfuro alcalino, RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 13 — 100 — aveva stabilito, come si è visto, per i sali di potassio e di sodio le formole : Fe? (NO)! S5K?, 2H°0 . Fe” (NO)!? S° Na?, 4H?°0 . Nell'ultima Memoria egli trasforma queste formole, senza dirne le ra- gioni, nelle altre: Fe!(NO)' SK, H?0 Fe*(NO)” S° Na, 2H?0 le quali apparentemente si presentano ben differenti, ma è facile vedere come sieno basate su percentuali quasi concordanti. Si hanno infatti i se- guenti calcolati: ee Term AT — ie TT TI E -—_—_—TCT=imm __ —t_ 1999 epia — __ Fe"(NO)!*S°K®,2H*0 Fe4(NO)"S°K,H?0 Fe"(NO):® Ss Na?,4H?0 Fe*(NO)"S°Na,2H?0 Fe 38,17 38,12 38,06 88,00 S 15,61 16,37 15,53 14,54 N 16,41 16,73 16,31 16,67 K 7,62 6,66 —_ — Na se 2 4,46 3,91 H?0 901 3,06 7,00 6,11 dal che può sicuramente dedursi che i sali di potassio e di sodio descritti da Pawel nelle prime due Memorie sono identici a quelli descritti nell’ul- tima Memoria. Trattasi solo di interpretazione differente, secondo l'una o l’altra delle due formole, basate su percentuali analitiche quasi identiche, nel mentre i sali analizzati da Pawel nel corso delle sue ricerche erano sempre gli stessi. Tutti i chimici (Roussin, Demel, Rosenberg, Pawel, Marchlewski e Sachs) che hanno impiegato la reazione tripla di Roussin, sono perciò giunti ad ot- tenere unicamente nitrosolfuri del tipo Fe'(NO)" S° X', x H°0. Nitrosolfuri di tipo perfettamente eguale abbiamo visto che hanno pure ottenuto Hofmann e Wiede (loc. cit.) impiegando metodi differenti di preparazione. Rimanevano perciò a controllare soltanto, come discordanti da questo tipo, i dati di Por- zeziasky e quelli recenti di Marie e Marquis. Fermiamoci per primo al metodo di preparazione seguito dal Porzezinsky (aggiunta di solfidrato sodico ad una soluzione di NO nel solfato ferroso). Pawel, senza basarsi su alcuna esperienza, ammette che Porzezinsky abbia in tal modo ottenuto il sale sodico (del tipo Fe'(NO)" S° X, < H°0) impuro di solfo e già parzialmente decomposto. Anche Marchlewski e Sachs ammettono ciò, senza però darne neppure essi alcuna ratifica sperimentale. Abbiamo creduto perciò necessario di ripetere il metodo di Porzezinsky. Vale a dire si è saturata a temperatura ordinaria una soluzione di solfato ferroso (SO*Fe, 7H°0; al 20 °/) con NO fino a rifiuto e quindi vi sì è — 101 — aggiunta una soluzione di solfidrato sodico (ottenuta saturando con gas solfi- drico una soluzione al 10 °/ di idrato) fino ad ottenere reazione neutra. Tale miscuglio lentamente evaporato su bagnomaria, mentre sì decompone in gran parte, dà con rendimento molto scarso un insieme di cristalli setacei, neri, lucenti, aventi perfettamente l'aspetto e le proprietà del sale sodico Fe*(NO)"S? Na, 2H°0). Il prodotto ricristallizzato per due volte dall'acqua, seccato bene tra carta, venne prontamente analizzato, avendo esso notevole tendenza a decomporsi. I Sost. gr. 0,45398 — gr. 0,2452 Fes0® — gr. 0,0600 SO'Na? Ilojig » n 03814 > a 0,2052 » —- =» 0,0487 > TRE ETINE, n 04711 > > 02576 » — =» 0,0640 » TIVANTRIE n 0,6100 — » 0,6621 S0*Ba. Trovato da Calcolato per I I III IV Porzezinsky Fe*(NO)"S®Na, 2H?0 Fe 37,82 37,66 38,28 — 39,90 38,00 S — — — 14,93 21,04 14,54 Na 4,28 4,14 4,40 — — 3,91 Rimane così da noi dimostrato, come avevano supposto Pawel e Mar- chlewski e Sachs, che anche Porzezinsky era giunto ad un nitrosolfuro dello stesso tipo Fe‘(NO)" S° X', 7H?0, adoperando un metodo che non si presta certamente, dato il rendimento molto scarso, alla preparazione di tali nitro- solfuri. Rimaneva a controllare la formola di Marie e Marquis, che a prior? trovavasi in troppo forte contrasto con tutte le conoscenze finora note in riguardo ai nitrosolfuri. Marie e Marquis hanno sospeso, come sì è sa del solfuro di ferro di fresco preparato in una soluzione di NO?Na (una parte di FeS e tre parti di NO? Na) e mantenendo tale miscuglio su bagnomaria vi hanno fatto agire per più ore una corrente di CO? fino a che tutto il solfuro di ferro era scomparso. Al composto nero cristallino che così ottennero gli A. assegnarono la formola Fe? N50°S° + 1,5H°0O, vale a dire Marie e Marquis sarebbero giunti in tali condizioni ad ottenere un composto esente di alcali in contra- dizione con tutto quello che da Pawel in poi sì conosce sui nitrosolfuri di ferro. Noi abbiamo ripetuto, seguendolo in tutti i dettagli, il metodo di Marie e Marquis e siamo giunti così ad ottenere con buon rendimento, in bellissimi aghi setacei, il nitrosolfuro di ferro e di sodio: Fe*(NO)" S° Na, 2H° 0 di tipo perfettamente identico a quello generale Fe*(NO)" S° X', < H°O che — 102 — abbiamo visto costantemente formarsi. Non si comprende come a Marie e Marquis sia sfuggita la presenza del sodio nel composto da essi ottenuto ed abbiano assegnato al prodotto la formola Fe? N5 06 S° + 1,5H? O asserendo a sostegno di essa che questa formola è molto vicina a quella data da Ro- senberg nella sua prima Memoria (Fe°(NO)'° S5, 4H° 0). Marie e Marquis, che si sono spinti anche a dare al loro composto una formola di costituzione in base a prove del tutto insufficienti, hanno così mostrato di ignorare tutti gli estesi lavori eseguiti in proposito dal 1879 in poi, sia dallo stesso Ro- senberg (2% Memoria), sia dal Pawel, da Marchlewski e Sachs, da Hofmann e Wiede. Che il prodotto ottenuto da Marie e Marquis appartenga al tipo di nitro- solfuri Fe'(NO)"S*X',xH?0 lo dimostra anche a priori la molto notevole concordanza delle percentuali che, ad eccezione ben si intende del sodio, si calcolano per l'una e l’altra formola: Calcolato per: FesN50°S? + 1,5H?20 Fe*(NO)"S*Na , 2H*0 (Marie e Marquis) Fe 38,64 38,00 S 15,50 14,54 N 16,36 16,67 Na — 3,91 H?0 6,62 6,11 Quello che manca per completare la somma delle percentuali è da Marie e Marquis calcolato per differenza come ossigeno (22,88 °/, di ossigeno). Riportiamo le analisi da noi eseguite sul sale sodico preparato col me- todo di Marie e Marquis, analisi che vennero condotte con le stesse norme accennate per il sale potassico. I Sost. gr. 0,4819 —> gr. 0,2609 Fe?03 —> gr. 0,0625 SO*Na? II ’ ai 24I — Mm 02449201 nl SR 0:05 SA IRON » 04112 —> » 0,4487 S0‘Ba TIVO » 0,1849 — cm. 25,7 diN(a15° ed a 759,7 mm.) V ’ » 13121 — gr. 0,0864H?0. Li ZA + {FMONARO), | i Calcolato per I II III IV V Fe4(NO)"S*Na , 2H°0 Fe 37,90 37,79 — —_ — 38.00 S — —_ 15,01 — _ 14,54 N — _ — 16,30 —_ 16,67 Na 4,21 4,19 —_ _ _ 3,91 HO — = dd n 6,58 6,11 — 103 — Per quanto le analisi qui riportate lo dimostrino all'evidenza, tuttavia per provare ancora maggiormente che il nitrosolfuro di Marie e Marquis ap- partiene al tipo generale Fe‘(NO)"S°X®,xH?0, noi abbiamo precipitato a temperatura ordinaria dalla soluzione di quel nitrosolfuro, il sale di tallio, pochissimo solubile, a mezzo di una soluzione di solfato talloso. Il sale di tallio, come si è visto, è stato per il primo preparato da Pawel (III) e poi ripreparato da Marchlewski e Sachs ed infine da Hofman e Wiede, sempre partendo dal sale sodico o potassico per doppio scambio con una soluzione tallosa. Il sale di tallio si ricristallizzò sciogliendolo in poco alcool e mante- nendo la soluzione nel vuoto. Fu analizzato con i metodi usati da Pawel e poi nuovamente seguiti dagli altri A. accennati. La soluzione cioè della sostanza, debolmente acida per acido cloridrico, fu trattata con zinco: il tallio separatosi sciolto in acido solforico diluito e precipitato, previa neutra- lizzazione della soluzione, con ioduro potassico. Nel filtrato, separato dal tallio, si fece agire l'idrogeno nascente e si dosò il ferro con soluzione N/10 di Mn0O*K. I Sost. gr. 0,2988— gr. 0,1306 JT — cm'. 15.4 Mn0*K N/10 pet 0 ROSA i 00 a ’ a n 1,2480-> =» 0,0338 H°0 Sl re E TIO o I Calcolato per ; Îi III Fes(NO)"ST1,H°0 Fe 29,31 29,40 _ 29.78 TI 27,41 26,74 “gg 2010 HS sa da ai 239 Al nitrosolfuro di ferro e tallio da noi ottenuto in tal caso appartiene adunque la formola Fe*(NO)"S*TI, H?O (in concordanza con quello che hanno trovato Pawel (III) e Marchlewski e Sachs). Ciò che conferma in modo indubbio che il nitrosolfuro preparato col metodo di Marie e Marquis è del tipo Fe‘(NO)"?S°X , xH?0 ('). (1) A proposito del sale di tallio dobbiamo notare che Hofmann e Wiede hanno dato per esso la formola anidra Fe*(NO)"S?T1. Il contenuto di una molecola di acqua per un composto di così alto peso molecolare non importa, come qui sotto vedesi, che diffe- renze ben minime nelle percentuali del ferro e del tallio: Calcolato per: Fes(NO)"S®T1 Fes(NO)"S®TI, H°0 (Hoffmann e Wiede) (Pawel III, Marchlewski e Sachs) Fe 30,50 29,78 TI 27,80 27,10 H?°0 — 2,39 Le determinazioni di acqua da noi eseguite, scaldando la sostanza con cromato di piombo, in lenta corrente di anidride carbonica, unite alla concordanza delle percentuali, ci hanno fatto attribuire al nostro sale di tallio la formola idrata Fe*(NO)"?S3T1, H*0. — 104 — Possiamo perciò concludere che tutti i chimici che si sono occupati della preparazione dei sali di Roussin sono giunti sempre ed unicamente ad otte- nere sali della formola generale: Fe‘(NO)"S*X!, xH?0, tipo che abbiamo visto costantemente formarsi anche con metodi e con con- dizioni di preparazione molto differenti. Tale formola rappresenta per ora unicamente la composizione centesi- male dei sali di Roussin; non è da escludersi che possa essa subire delle modificazioni, specialmente per quel che riguarda l’esistenza in essa di sette gruppi NO. La presenza dei gruppi NO nelle molecole dei nitrosolfuri è stata, come si è visto, ammessa generalmente da tutti i chimici a partire da Roussin, ma, come vedremo in seguito, trovasi ancora basata su prove del tutto superficiali ed insufficienti. Abbiamo poi visto che tutti i nitrosolfuri (di Na, K, NH*, Rb, Cs, TI), anche se ottenuti per precipitazione e perciò pochissimo solubili (RbOs, T,1!), hanno generalmente nella loro composizione almeno una molecola di acqua. Si considera per ora quest'acqua come di cristallizzazione, ma niente può escludere che essa, con la sua presenza costante, non intervenga a far parte della costituzione dei nitrosolfuri, nè può essere un criterio per ammetterla come acqua di cristallizzazione il fatto che essa si allontana generalmente a 100°, quando già a 70°-80° i nitrosolfuri cominciano a decomporsi svol- gendo prodotti nitrosi. Come d'altro lato non è improbabile che entri in giuoco nella costituzione dei nitrosolfuri, ad es., qualche altro atomo di ossigeno, la cui presenza non porterebbe che sbalzi inapprezzabili nelle per- centuali di composti a così alto peso molecolare. Tutto ciò non potrà essere chiarito che dallo studio della costituzione (e dalla determinazione della grandezza molecolare) di questi singolari com- posti, studio che, come vedremo, può affrontarsi per numerose vie sia di indole genetica che analitica. Di esso torneremo prossimamente ad occuparci, paghi per ora di aver potuto nettamente delimitare il materiale di studio per le nostre successive ricerche. Chimica. — Equivalente elettrochimico del Tellurio. Nota di Gino GALLO, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Il Tellurio da me impiegato nelle esperienze che ho descritto in una Nota precedente ('), era stato provveduto da Kahlbaum e fu sottoposto a purificazione per fusione con KCN puro, precipitazione dalla soluzione di questo con corrente d’aria, lavaggio, trasformazione in nitrato basico e Te0», (1) V. pag. 23. — 105 — e TeO;, precipitazione dal Te con corrente di SO, dalla soluzioue cloridrica di lavaggio, essiccamento, fusione in atmosfera di H e infine distillazione ripe- tuta per tre volte nel vuoto. Il Te si presenta allora cristallizzato in aghi, con lucentezza e splendore metallico, di colore simile a quello dell’Ag. Ad imitazione del lavoro eseguito da Hittorf(!) sul Cr, e da Marino (2) sul Va, io credetti opportuno e necessario di ricercare prima con quale grado di combinazione il Te passi in soluzione nei diversi elettroliti, sotto 1’ in- fluenza di una corrente esterna (3). Allo scopo di stabilire quantitativamente il grado di ossidazione che si originava nella cellula elettrolitica in cui il Te funzionava da anodo in elettroliti in cui alla temperatura ordinaria esso sì mostra indifferente, ricorsi presso a poco alla disposizione proposta da Hittorf (‘), inserendo nel circuito di 4 accumulatori la cellula a forma di un tubo a V con anodo di Te e catodo di Pt, due voltametri ad Ag, ed un reostato. Quando la corrente era passata per un tempo sufficiente, determinavo la perdita di peso dell’anodo, mentre d'altra parte pesava la quantità di Ag deposto. Nella maggior parte dei casi però la cellula si polarizzava, e la intensità di corrente andava diminuendo sempre più, fino a mantenersi costante ad un valore assai basso; talvolta, come nel caso dell’ H,SO,, il Te diven- tava completamente inattivo, e l’anodo stesso aumentava di peso. Ho potuto constatare che questa inattività era dovuta alla formazione di un ossido molto basso di Te, probabilmente TeO, che ne rivestiva la superficie, impedendo il passaggio della corrente, fatto presso a poco analogo a quello dell'A], che impiegato come elettrodo in un voltametro, non lascia passare la corrente alternata che quando funziona da catodo. Io potevo però con HCl bollente asportare lo strato di ossido formatosi, e riottenere la superficie luceute ed attiva del Te metallico. Nei casì quindi in cui si aveva formazione di ossido, per poter stabilire la perdita di peso dell’anodo corrispondentemente alla quan- tità di Ag deposta, pesavo una I volta l’anodo appena terminata l'elettrolisi, ed una II dopo trattamento con HCI, ritenendo quest'ultimo come il vero valore della perdita di peso. Quantunque questo metodo di determinazione possa sembrare poco esatto, la coincidenza fra i valori trovati e quelli cal- colati è troppo evidente perchè possa essere casuale. (1) Hittorf, Zeitschr. f. phys. Chem., XXV, 729. (*) Marino, Zeitschr. f. anorg. Chem., 39-152. (3) Una Nota preliminare su questa parte fu già da me pubblicata nei Rendiconti della Società chimica di Roma, nella seduta del 24 luglio u. s. (4) Loc. cit. — 106 — DIGI: Variazione ; da pote |a | |Vorsioi Oto nie Elettrolita in degna dopo STO ‘SERGSDORto I pes. o Te 1/4 Te 1/6 II pes. (") HO EIRAnE 6 | 0.8485 [4 0.011 |— 01100|— 0.1032| — HCN gg TOTO: 58/4 | 10110 |— 0.2014 _ _ 0.1993 IIIa avo 23 0.6011 |— 0.0519 | 0.12831 —_ 0.1184 K.504 10%/0. 00 61/3] 0.4495 |#- 0.006 |— 0.1382|— 0.1327 _ KENO R10/0 RO 6/2] 0.8396 |— 0.0106|— 0.1609 — 0.1654 Na OHI6O CErSSÀ 5 1.3630 |— 0.4075 _ — 0.4828 I — HCI (10 cc.)+- pirofosf. di Na 10%/0..... 22 0.2616 |— 0.0500 —_ — | 0.1515 H.S0, (10 cc.) + pirof. | CIEN ASL 00 EI 22 01026 |— 0.0247!— 0.0305|— 0.0303 = Na0H (6 °/0) + pirof. MNIO9 0 61/2] 0.5248 |— 0.1405|— 0.1468|— 0.1550 = KENEOIO/ S I I 3/2] 0.4915 |— 0.1213|— 0.1405|— 0.1452 = BUIO 6 0 a 7 1.48385 |— 0.4328 — | 0.4292 —_ HF+- pirof. di Na 10°/ aUOOLE OD COLO 5 0.8763 |— 0.2548 — | 0.2591 _ Hs SO, + pirof. di Na TONE GI 00 00ì 4t/al 0.6986 |— 0.0047|— 0.1987|— 0.1972 _ (*) In questa colonna la linea in bianco sta ad indicare che in quel caso l’anodo, in seguito a trattamento con HCl, non ha subìto perdita alcuna. Da questa tabella si deduce che per azione della corrente elettrica, il Te non passa mai in soluzione come ione bivalente, ma quasi sempre come ione tetravalente, e qualche volta anche come ione. esavalente, ciò che dai rapporti voltametrici si è potuto stabilire in soluzione di HC]-KC1 e KNO.. La forma più stabile di combinazione che dà quindi il Te è = TeX.,. La deposizione del Te al catodo in condizioni tali da rendere possibile una determinazione presenta delle difficoltà. Prima il Pellini (!) arrivò a deporne circa 17 centg., operando a caldo in presenza di HCl e bitartrato NH,. Successivamente io studiai di poter ottenere un deposito più abbondante ed in condizioni più favorevoli, ciò che ho potuto ottenere in presenza di H,S0, e pirofosfato di Na (2). In seguito a questa mia Nota il Pellini (3) si affret- tava a pubblicare nel settembre scorso la seconda Nota, alla quale io accennai in principio di questo lavoro (V. nota, pag. 23). In essa il Pellini introduce delle opportiine modificazioni al suo metodo primitivo, impiegando esso pure ('*) Gazz. chim. ital., XXXV, P. I, fasc. II, pag. 128. (2) Gallo, Rendiconti della R. Accademia Lincei, vol. XIII, 1° sem., 1904, fasc. 12. (3) Loc. cit. — 107 — l'H:S0,, e conservando il bitartrato NH,. Adotta poi la disposizione di Gook e Medway (!) del catodo rotante costituito da un bicchiere cilindrico di Pt, o superficie opaca, mosso da un motorino ad aria calda, ed elettrolizza alla temperatura di 60°. Riporta quindi tre determinazioni, in una delle quali arriva a deporre in tempo relativamente breve fino a gr. 1,12 di Te. Ancora prima di questa nota io avevo osservato che anche il metodo da me proposto, in causa della presenza di H.SO,, non si poteva applicare impie- gando un anodo di Te, perchè abbiamo veduto infatti nella determinazione della forma di combinazione, che con l’ H,S0, solo, o in presenza di piro- fosfato di Na, l'anodo di Te si ricopre ben presto di uno strato inattivo che interrompe in breve tempo la corrente. Dall'esame della tabella a pag. 8, si deduce che ciò non avviene in presenza di HCl, NaO0H ed HF; ma mentre coll’impiego dei primi due, non si può ottenere un deposito di Te aderente al catodo, coll'impiego del HF il deposito è invece di un'aderenza e di una compattezza tale da non lasciare nulla a desiderare, e la quantità che si può deporre, molto maggiore. L'operazione, a differenza dei metodi proposti finora, si fa semplicemente alla temperatura ordinaria, essendo evitata in questo modo la sorveglianza continua che si rende necessaria nei metodi suddetti, per mantenere la tem- peratura costante a 60° e per sostituire l’acqua che evapora. Così l'operazione può continuare anche di notte. To operavo così: una quantità pesata di Te0, pura, veniva disciolta in poco HF nella capsula di Classen a superficie opaca; si diluiva con H:0 distillata e si elettrolizzava alla temperatura ordinaria con una densità di corrente NDi0o = 0,06 — 0,05 A. Quando, mediante la nota reazione con SuCl,, si può escludere la pre- senza del Te, nella soluzione, si interrompe la corrente, si lava il precipitato con acqua bollita e raffreddata in corrente di CO, quindi con alcool si essicca a 100, si conserva per due ore circa nel vuoto, e quindi si pesa. Te0 Te = 127.6 Densità 3 A Chlcolato ozio TEA Prg, pi Aspetto del deposito Zi per ore gr. gr. gr. gr. 100 cmq. 1 0.4624 0 3697 0.3694 |— 0.0003 | 0.06-0.05 | 9 Grigio-nero opaco 2 0.7429 0 5940 0.5938 |— 0.0002 ” 15 ” » 3 0.7995 0.6393 0.6390 |— 0.0003 ”» 16 ” ”» 4 0.9610 0.7671 0.7664 |— 0.0007 ” 191/4 ” ” 5) 1.0043 0.8019 0.8025 |— 0.0004 ”» 201/2 » » 6 19891 1.5903 1.5890 I— 0.0013 ” 40 D) ” (‘) Gook e Medway, Zeitscr. f. anorg. chem. 35-414. RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 14 — 10383 — Ma nessuno dei tre metodi proposti può adattarsi alla determinazione dell'equivalente elettrochimico, in quanto che la presenza dei singoli elettro- liti necessarî per ottenere il Te ben aderente implicano una causa di errore nella suddetta determinazione. Fra essi è preferibile certo il metodo all’HF perchè il più semplice e poi perchè il Te che funzioni come anodo in solu- zione di HF, non si ossida affatto, ma conserva la sua superficie brillante e metallica fino a soluzione completa. In seguito a numerose prove eseguite, io ho preferito di procedere nel seguente modo alla preparazione dell’elettrolita. Una certa quantità di TeO, pura veniva disciolta entro capsula di Pt, in HF, e la soluzione veniva quindi evaporata ripetutamente a secco a bagnomaria, riprendendo ogni volta con acqua, allo scopo di eliminare l'eccesso di HF. Infine si riprendeva con un certo volume di acqua, ed il liquido lattiginoso che si ottiene per l'ossifiuo- ruro che così si forma, sì tratta agitando e riscaldando a goccia a goccia con HF fino a soluzione completa. La soluzione così ottenuta si sottoponeva una prima volta all'elettrolisi con anodo di Te, ottenendosi così un deposito di Te troppo basso, relativamente all'Ag, e ciò per la presenza dell’ HF. La soluzione che era stata sottoposta per una volta all'elettrolisi, veniva impiegata per 4 volte nel voltametro a Te, per la determinazione dell’'equi- valente elettrochimico. È importante notare come per l’elettrolisi così del TeF, anche escludendo la presenza dell’HF, il deposito di Te fosse ade- rente, compatto, lucente, molto simile a quello ottenuto per distillazione nel vuoto. Istituli in questo modo 3 serie di determinazioni sottoponendo, come si disse per ciascuna serie lo stesso elettrolita a 4 determinazioni successive. L'anodo di Te veniva preparato fondendo nel vuoto entro navicella di por- cellana del Te in polvere, e il bastoncino così ottenuto veniva legato solida- mente ad un grosso filo di Pt. Come catodo venne sempre impiegata la capsuia di Classen a superficie matta; il lavaggio del precipitato venne fatto nel modo solito, e le pesate vennero ridotte al vuoto. Ogni determinazione, richiedeva due giorni; l'uno per il deposito del metallo, l’altro per lavaggi, essiccazione, conservazione nel vuoto e pesate. Tutti gli apparecchi erano dili- gentemente isolati dal tavolo del lavoro e i due voltametri ad Ag e quello a Te erano riuniti in serie mediante fili aerei dal serrafilo di partenza a quello di arrivo della corrente dal quadro distributore. Nella I serie ven- nero disciolti 4 gr. di Te0O,, nella II 8, nella III 6. Naturalmente il tenore in TeF, rimaneva entro certi limiti costante nelle soluzioni in seguito a cia- scuna elettrolisi in quanto che l'anodo forniva quasi esattamente la stessa quantità di Te che veniva corrispondentemente deposta al catodo. — 109 3 Media , Equivalento h 2 | È Ag Ag Lcdel A en Te corretto del Te Peso Serie E 8 nel nel Te deposto vuoto nel rispetto . | atomico) Media ICE] ira [in gas Di t SSA ISIOT E vo 5 È per L'acqua vuoto — 107,93 | del Te 1 |81/, 0.7414 | 0.74115| 0.2184 |0.74117: | 00218412) 31.896 | 127.22 À 2 (83/, 1.08825 | 1.03820 | 0.3045 |1.03801 |0.304514| 31.663 | 126.65 I Serie. .< 127.88 s_]8 0.91725 | 0.91720| 0.27255 | 091704 |0.27256 32.077 | 128.8( 4 |9 1.0412 | 10417 | 0.3071 |1.041101|0.307117| 31.839 n 1 È t/, 1.09095 | 1.0908 | 032195 | 1.09064 |0.321952| 31.857 | 127.42) i 2 1101.1680 | 1.1635 | 03458 |1.16302 |0,34582 32.04 Hal II Serie .. | , 127.64 3 2/, 0.96915 | 096885 | 0 28645 | 0.968903) 0.286146 81.91 | 127.64 4 |14 1.51925| 1.5188 | 044765 |1.518712] 0.44767 81.82 | 127.28 1 |91/, 0.90655 | 0.90695 | 0.26835 | 0.906561| 0.26836 31.94 | 127.76 ; 2 93/4 0.9958 | 0.99565 | 029585 | 0.990511|0.29586 32.07 | 128.28 IIl Serie. / 127.8 3 (81/» 0.8661 | 0.8662 | 0.25655 | 0.86596 |0.25656 31.97 | 127.90 4 (91, 1.1132 | 1.1129 | 0.8283. |1.11282 |0.828318 31.86 | 127.44 Media = 127.61 Dall'esame della tabella si deduce subito che i valori ottenuti concor- dano fra di loro più che non i valori che si possono ottenere coi comuni metodi analitici. Io credo quindi che, allorquando nella determinazione del- l'equivalente elettrochimico ci possiamo mettere in condizioni tali da esclu- dere con certezza qualunque causa di errore, ciò che può richiedere, come in questo caso, un lungo e laborioso periodo di preparazione, io credo che il metodo della determinazione del peso atomico, fondato sulla legge di Faraday, possa venire utilmente applicato. Il valore da me ottenuto per il peso atomico del Te concorda ancora una volta in modo sorprendente colle ultime e più attendibili determinazioni che fissano il suo peso = 127,6. Per cui un'altra prova è venuta a confer- mare la sua esattezza, ed ad avvalorare d'altra parte la grave obbiezione che con tale elemento viene fatta alla classificazione del Mendeleiew. Ora io non voglio entrare in merito alla questione, mi accontento di avere con queste esperienze portato un debole contributo alla attendibilità che merita il numero 127,6 come vero peso atomico del Te, e ad esprimere col profes- sore Piccini la speranza che metodi diversi e fra loro indipendenti finiscano per darci una tabella dei pesi atomici, tale che i diversi valori abbiano tutti presso a poco lo stesso grado elevato di probabilità. — 110 — Chimica. — Sulla trasformazione del pirrolo in indoli. Sin- tesi del Ba:1-4-dimetilindolo. Nota di G. PLANcHER ed A. Ca- RAVAGGI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Zlettrosintesi nel ygruppo dei ciano-derivati. Nota di C. ULPIANI e G. A. Ropano, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Attualmente non si hanno esempi di accoppiamento elettrolitico degli anioni nel gruppo dei ciano-derivati. Invero Weems aveva fatta l’elettrolisi del sale sodico dell'etere ciana- cetico, ma riotteneva l'etere cianacetico inalterato, accanto a un po' d'acido cianacetico, « senza avere alcun accenno alla formazione di etere dicianosuc- cinico » (1). Noi abbiamo ripetuta l’esperienza di Weems, variandone in molti modi le condizioni, senza ottenere alcun risultato positivo. Invece, partendo dal sale sodico dell'etere cianomalonico COO0C? H° | NaCT—CN | COOC? H° potemmo giungere con ottimo rendimento al prodotto appaiato dovuto all'unione elettrolitica degli anioni e rispondente alla formula: Et 00C COO Et ne NC-C_-C0— CN naz Et 00C_C00 Et Sottoposto infatti all'elettrolisi il sale sodico dell'etere cianomalonico in soluzione acquosa, si otteneva, alla fine dell'operazione, un prodotto ben cristal- lizzato, che fu riconosciuto come l'unione elettrolitica degli anioni, per le seguenti ragioni: (‘) American chemical Journal, vol. 16, pag. 569. — lll — 1° L'analisi dà una percentuale di carbonio, idrogeno, azoto e di CN, quest'ultimo determinato sotto forma di cianuro d’argento e d'argento me- tallico, corrispondente alla formula data. 2° L'etere cianomalonico è liquido: il prodotto ottenuto dopo l'azione della corrente elettrica è solido, benissimo cristallizzato in rombi, che, se la cristallizzazione non viene disturbata, raggiungono la dimensione di un mezzo centimetro di lato. 3° L'etere cianomalonico acidificato dè con una goccia di percloruro di ferro una intensissima colorazione rossa: il prodotto da noi ottenuto — nelle medesime condizioni — non dà alcuna colorazione col cloruro ferrico. 4° L'etere cianomalonico è solubile negli alcali: il nostro prodotto è insolubile. 5° Il peso molecolare del prodotto elettrosintetico (determinazioni crioscopiche in benzolo) è doppio di quello dell'etere cianomalonico. Sperimentalmente si procedette così: Il sale sodico dell'etere cianomalonico fu preparato secondo il metodo indicato da Haller('), sciogliendo etere cianacetico in alcool assoluto, aggiun- gendo a questa soluzione alcoolato sodico ed etere elorocarbonico. Le propor- zioni stechiometriche sono calcolate secondo la seguente reazione: H CI COOC*H? H | Ai | ri + co = NaCl{NC—C—Na + H—C—CN COOC?H" OC*H* COOH" COOC*H" Unica modificazione apportata al metodo di Haller è stata la seguente: distillato l'alcool del miscuglio e ripreso il residuo con acqua; Haller sug- gerisce di lasciar la soluzione a sè sotto ad una campana ad essiccazione fino ad ottenere da essa la cristallizzazione del derivato sodico COOG? H° | NC-CT— Na | COOC? H°, ma l'attendere che questo precipitato aghiforme si presenti è cosa estrema- mente lunga; noi attendemmo più di 15 giorni senza ottenere il minimo accenno di cristallizzazione. Si ricorse perciò all'evaporazione diretta: si formò (*) Annales de chimie et de physique, 6° série, vol. 16, pag. 426. — 112 — tosto un olio rosso, denso, che quindi si rapprese riducendosi ad una massa cristallina e trasmise la cristallizzazione a tutta la massa liquida. Osserva- zioni microscopiche ed una determinazione d'azoto ci confermarono la purezza del sale sodico ottenuto. Questo sale fu sciolto in acqua e quindi sottoposto alla corrente elettrica. La cellula elettrolitica era formata di un semplice Becker in cui erano immerse due lamine di platino. Al chiudersi del circuito si osservava che, mentre avveniva un forte svolgimento di idrogeno, al polo positivo non si sviluppavano che minime tracce di ossigeno, fenomeno questo che sempre accom- pagna i processi elettrosintetici e che quindi subito ci dava a divedere come un processo elettrosintetico realmente avvenisse. Infatti dopo breve tempo apparirono alla superficie del liquido elettro- lita delle goccioline d'olio giallastro che aumentavano mano a mano e quindi si condensavano, si raggrumavano e finivano per diventare una massa cristal- lina. Anche all’ele.trodo positivo si conglomeravano parecchie di queste goc- cioline densissime, solide quasi, mentre altre erano sparse per l'elettrolita, altre infine erano cadute in fondo alla cellula elettrolitica. Tolto meccanicamente questo prodotto, lo si distese su una mattonella porosa abbandonandolo per qualche tempo a sè. Si otteneva alla fine un prodotto cristallino, bianchissimo, insolubile in acqua, solubilissimo in alcool, etere, cloroformio e benzolo. Qui giova osservare. come il rendimento di tal prodotto varî con l'in- tensità della corrente che agisce durante l’elettrolisi e la concentrazione del- l'elettrolita. Quando la concentrazione dell'elettrolita è piuttosto forte, il prodotto elettrolitico si presenta oleoso e stenta a cristallizzare, anche disteso su mat- tonella, ove, evidentemente, parte del prodotto va perduta. Diminuendo la concentrazione si va mano a mano ottenendo un prodotto che si mostra più facile alla cristallizzazione, e si può giungere al punto da ottenerlo cristal- lino e bianco, quindi di un grado di purezza già rimarchevole, nella stessa cellula elettrolitica. Le condizioni migliori che abbiamo potuto accertare per la nostra elet- trolisi sono le seguenti: Intensità di corrente Concentrazione 0,2 — 0,25 ampères TERNO In tali condizioni il rendimento è del 21°/,. Come mezzo di soluzione per la purificazione del prodotto scegliemmo l'alcool al 60°/,. Dopo due cristallizzazioni ottenemmo un prodotto benis- simo cristallizzato; dal punto di fusione costante a 56°-57°. — 113 — Tale composto fu sottoposto all’analisi: I. gr. 0,2685 dettero ce. 16,2 di N alla temperatura di 16°,5 ed alla pres- sione di 757 mm. II. gr. 0,2504 dettero cc. 15,7 di N alla temperatura di 20°,5 ed alla pres- sione di 762,6 mm. III. gr. 0,2479 dettero gr. 0,4423 di CO, e gr. 0,128 di H?0. ‘l'rovato Calcolato per ANI, H°C°00C.C00C?H5 C:48,609/ — — 48,64 apt SONA e :00 H: 5.820 000) Deosug i H°C°00C _COOC?H> Ni: 1730880 6,99 7,17 — Però siccome l'acqua di cristallizzazione non può determinarsi, poichè a 100° la sostanza non resiste, si decompone e non raggiunge mai un peso costante, così poteva rimanere il dubbio che non si trattasse più di un ciano- composto, ma eventualmente di un'amide, cioè che il gruppo CON si fosse trasformato in un gruppo CONH?, sicchè la sostanza fu sottoposta ad un'ana- lisi di acido cianidrico. Seguendo il metodo di Feldhaus ('), quantità pesata della sostanza fu trattata con nitrato d'argento ammoniacale. La sostanza presentava difficoltà grande a sciogliersi, nè si giungeva a discioglierla se non con un prolungato riscaldamento a bagno maria e con un fortissimo eccesso di ammoniaca, segno questo che il gruppo « ciano » presentava resistenza a staccarsi dal nucleo totale della molecola. Poscia, a freddo, il cianuro d'argento fu precipitato mediante acidifica- zione con acido nitrico. Quindi su filtro seccato a 100° fu determinato il cia- nuro d'argento, che, calcinato, fu poi controllato allo stato d'argento metallico. I. gr. 0,3482 di sostanza dettero gr. 0,2288 di Ag. CN. II. gr. 0,3482 di sostanza dettero gr. 0,1839 di Ag. Trovato Calcolato per TANO II H5C°00C = C00C? |}5 Ag. CN: 67,84%/ 65,47 °/ oi NU GIL. ON otte H°0 i H50°000. COOC?|1> Ag. 54,689/, 52,81% Del nostro prodotto abbiamo inoltre fatto due determinazioni di peso molecolare (determinazioni crioscopiche in benzolo): (1) Fresenius, 7raité d'analyse chimique quantitative, première partie, pag. 415. — 114 — Punto di congelazione del benzolo: + 59,72. I. gr. 0,3108 di sostanza, disciolti in gr. 13,0380 di benzolo, portano il punto di congelazione di questo a + 5,40°. II gr. 0,4038 di sostanza disciolti in gr. 13,0380 di benzolo, ne portano il punto di congelazione a 4- 5,32°. Peso molecolare calcolato per Trovato H°C°00C —C00C°H> I, II. 1666 NC-C-CT—CN + 14 H°0 395 364 377 lastei H5C°?00C COOC?H° Il nostro prodotto fu anche sottoposto alla distillazione; ma questa non potè effettuarsi nè a pressione ordinaria, nè nel vuoto, poichè esso si decom- componeva con violenza. Chimica. — Su di un ossifluoruro di Uranio ('). Nota di F. GIo- LITTI e Gm. AGAMENNONE, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Quando si trattano con acido fluoridrico le soluzioni di sali uranosi (Ux',), o quando si riducono le soluzioni di sali di uranile (UO: x'») in presenza di acido fluoridrico, si ottiene un precipitato di un bel color verde, a struttura polverosa e quasi completamente insolubile nell'acqua e negli acidi diluiti. Questo composto che, (come uno di noi ha mostrato) (2), si presta assai bene alla determinazione quantitativa dell'uranio, deve evidentemente essere, per il suo modo stesso di formarsi, della forma Ux',. In fatti UF1, fu appunto la formola che pel primo Bolton (3) assegnò a questo composto: bisogna però notare che tale formola fu dedotta dal Bolton in base a risultati analitici molto discordanti (fino ad aversi differenze del 5-6 per 100 nella determi- nazione dell'uranio e del 3-4 per 100 in quella del fluoro), discordanza per- fettamente spiegabile quando si tenga conto della difficoltà che presenta la purificazione del fluoruro uranoso preparato facendo agire l'acido fluoridrico sull’ossido salino di uranio U30s. Il Bolton osserva che, trattando l’ossido salino di uranio U303 (UO, + 2U0:) con soluzione di acido fluoridrico, si ottiene una soluzione gialla contenente un ossifluoruro dell'uranio esavalente, e una polvere verde che egli riconosce per un fluoruro dell'uranio tetravalente e a cui, come dicemmo, dà la formola (1) Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico della R. Università di Roma, giugno 1904. (2) Gazz. Chim. It., t. XXXIV, II, pag. 166. (3) Jahresberichte 1866, pag. 209; Zeitschr. f. chem. [2] 353. i — UFI,. La reazione si spiega allora in modo assai semplice: Il Bolton ottenne anche un fluoruro di uranio verde, simile al precedente, trattando con acido fluoridrico una soluzione di cloruro uranoso UCÌ,. A questo fluoruro egli dà la formola UFI,.H:0, dedotta però soltanto dalla determina- zione dell'uranio. Più tardi il Ditte (*) ristudiò questi fluoruri, ai quali assegnò (senza però indicare nei diversi lavori nè i metodi d'analisi seguiti, nè i risultati anali- tici ottenuti) formole totalmente diverse, e (crediamo lo sì possa affermare) assai poco verosimili. Egli infatti pel fluoruro verde, insolubile, propone la formola UO,Fl,, mentre al sale giallo che rimane disciolto, dà la formola UFI;.8HFI. Mettendo poi in relazione il passaggio di un atomo di uranio dell’ossido salino (UO, #4- 2U0;) dalla formola tetravalente alla esavalente. con lo sviluppo di idrogeno, che egli avrebbe constatato con certezza nella reazione fra acido fluoridrico e ossido uranoso-uranico, propone per la reazione stessa la equazione: U.0, - ISHFl = 2(UF];:2HF1) + UO.*RL | 6H,0 + H;. Nel 1883 lo Smithells (*) ripetendo le esperienze di Bolton e Ditte e le analisi dei prodotti ottenuti, ritornò alle formole del Bolton. Però anche le analisi dello Smithells non sono concordanti: basti ricordare che, le due de- terminazioni di fluoro, sulle quali egli si basa per confermare la formola di Bolton UFI, pel sale verde, dànno rispettivamente le percentuali di fluoro 24,94 e 26,53, mentre il numero calcolato sarebbe, per UFI1,, 24,05. Tale discordanza può dipendere sia dalla impurezza del sale analizzato, sia dall'imperfezione del metodo analitico usato (riscaldamento con carbonato sodico e precipitazione con cloruro di calcio del liquido di lisciviazione). Come si vede, sulla composizione di questi corpi non esistevano sin qui dati sicuri; ed è appunto per ciò che (dato soprattutto l'interesse che il fluoruro uranoso può presentare nell'analisi dei composti dell'uranio) cercammo di portarvi un po' di luce, usando metodi di analisi migliori e cercando di preparare i sali studiati con metodi che ne permettessero la purificazione più completa. Quanto al metodo di analisi per la determinazione dell'uranio, notiamo che, nel nostro caso, non avendo altre sostanze fisse, bastava calcinare forte- mente la sostanza fino a peso costante in crogiuolo aperto per pesare il residuo come U30;, oppure far la calcinazione in corrente di idrogeno per ottenere l'ossido uranoso UO:. I risultati ottenuti coi due metodi si coincidono sempre assai bene fra loro, cosicchè il secondo metodo fu sempre usato come con- trollo. (1) Comptes Rendus, 91, pagg. 115 e 166. (2) Journ. Chem. Soc., XLIII, pag. 125. RenpIcONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 15 — 116 — La determinazione del fluoro fu fatta col metodo di Pennfield ('), trat- tando cioè la sostanza secca con silice e acido solforico concentrato, racco- gliendo il floruro di silicio nella soluzione di cloruro di potassio in una mi- scela a parti uguali di alcool ed acqua e titolando con soluzione N/10 di idrato sodico l'acido cloridrico che si libera. Il metodo, provato con fluoruri di composizione nota, diede buoni risultati. Preparammo prima di tutto il fluoruro uranoso seguendo esattamente il metodo indicato successivamente da Bolton, Ditte e Smithells. L'ossido salino U:0,, preparato calcinando fortemente in contatto dell’aria, fino a peso co- stante, l’acetato di uranile, o il carbonato doppio di uranile e di ammonio (sali che meglio di tutti si prestano a essere perfettamente purificati per cristallizzazione), fu trattato in porzioni di 5-10 grammi con un eccesso di soluzione di acido fluoridrico al 30°/. La reazione avvenne con sensibile riscaldamento, senza però che sì potesse notare il più piccolo sviluppo di gas; e, dopo circa due ore, l’ossido era totalmente trasformato in una polvere verde insolubile, tanto fine da passare attraverso i filtri a fibra più compatta, mentre in soluzione era passata una sostanza gialla. La polvere verde era evidentemente formata di due parti differenti, al- meno per le loro proprietà fisiche: infatti, agitando il liquido in cui si era formata, e lasciandolo a sè qualche minuto, se ne raccolse rapidamente sul fondo della capsula una parte di colore verde-giallo, assai pesante, mentre l'altra parte, più fina, di colore verde-azzurro, rimase sospesa nel liquido per molte ore: decantando questa sospensione e ripetendo l'operazione più volte, sì riuscì a separare le due parti, che, lavate lungamente per decantazione (fino a che le acque di lavaggio evaporate su lamina di platino non dessero più residuo fisso), furono asciugate fra carta, seccate a 100° e analizzate se- paratamente. Per la parte leggera si ottennero i seguenti risultati : I) Per gr. 0,2763 di sostanza, tratta col metodo di Pennfield, si impiegarono cem* 6,23 di soluzione N/10 di idrato sodico, corrispondenti a gr. 0,0355 di fluoro. II) Per gr. 0,3270 di sostanza, trattata come sopra, si impiegarono cm? 7,15 di soluzione N/10 di idrato sodico, corrispondenti a gr. 0,0407 di fluoro. IlI) (da un'altra preparazione). Per gr. 0,3585 di sostanza, trattata come prima, si impiegarono cm? 7,15 di soluzione N/10 di idrato sodico, pari a gr. 0,0407 di fluoro. IV) Gr. 0,2974 di sostanza diedero gr. 0,2449 di UO, pari a gr. 0,2159 di uranio. V) Gr. 0,2605 di sostanza diedero gr. 0,2130 di UO., pari a gr. 0,1878 di uranio. (1) Am. Chem. Journ., 1879, (27). — 117 — VI) Gr. 0,3070 di sostanza diedero gr. 0,2499 di UO,, pari a gr. 0,2203 di uranio. Riassumendo : Calcolato per UOFI:».2Hs0 °|o Trovato I JI III FI io 12,81 12,14 11,36 IV V VI U 72,60 72,61 72,09 71,75 Queste analisi, sebbene un po discordanti fra di loro, non possono lasciar dubbio sulla composizione del fluoruro verde, il quale è perciò un ossifluoruro uranoso. A confermare che in questo sale l'uranio entri come tetravalente e non come esavalente, come vorrebbe il Ditte, vale la titolazione come per- manganato potassico della sua soluzione solforica. Una quantità pesata del fluoruro verde, asciugato solo fra carta e contenente il 70,90 °/, di uranio, fu sciolta a caldo in acido solforico diluito e alla soluzione verde ottenuta fu aggiunta, dopo raffreddamento, tanta soluzione titolata di permanganato po- tassico, da ottenere una leggiera colorazione rosea permanente, il cui apparire è facilmente distinguibile dal color giallo-chiaro che la soluzione assume quando la maggior parte del sale uranoso sì è trasformata in sale di uranile. I risultati sono i seguenti: I) Per gr. 0,5425 di sostanza, corrrispondenti a gr. 0,3846 di uranio, si impiegarono cm* 77,2 di soluzione di permanganato potassico, della quale ogni cm* conteneva gr. 0,000333 di ossigeno attivo: cioè in tutto furono ceduti gr. 0,0257 di ossigeno. II) Per gr. 0,2984 di sostanza, corrispondenti a gr. 0,2115 di uranio, si impiegarono cm? 42,4 della stessa soluzione di permanganato potassico, cioè furono ceduti gr. 0,0141 di ossigeno. Quantità di ossigeno necessaria per trasformare il sale UOFI,.2H,0 in fluoruro di uranile : Calcolata Trovata I) gr. 0,0258 gr. 0,0257 II) » 0,0142 » 0,0141 Resta perciò stabilito con certezza, che la parte insolubile più leggera del prodotto della reazione fra l’ossido salino di uranio e l'acido fluoridrico è costituita da un ossifluoruro uranoso. È notevole il fatto che da questa sostanza non ci è mai riuscito di otte- nere per calcinazione, comunque variassimo le condizioni di esperienza, i cri- stalli bianchi che lo Smithells indica come f. fluoruro di uranile; cristalli che invece (come diremo in seguito), ottenemmo da fluoruri di costituzione analoga a questo. L'ossifluoruro uranoso ottenuto nel modo indicato, si tra- — 118 — sforma sempre, per moderata calcinazione, in una polvere rossa, che non avemmo il tempo (') di analizzare, ma che peri suoi caratteri e per il rap- porto del suo peso a quello dell'ossifluoruro dal quale si forma, crediamo poter affermare sia triossido di uranio UO;. Infatti: I) Gr. 0,2974 diedero gr. 0,2604 della polvere rossa. II) Gr. 0,3328 diedero gr. 0,2908 della polvere rossa. Peso di ossido UO; corrispondente a UOFl,.2H,0: Calcolato %o Trovato %Yo I II 87,21 37,96 87,98 La polvere verde pesante (che non si può certo separare completamente dall'altra più leggera) diede all'analisi i seguenti risultati : I) Per gr. 0,2828 di sostanza, trattata secondo il metodo di Pennfield, si impiegarono cm? 6,93 di soluzione N/10 di idrato sodico, corrispondenti a gr. 0,0395 di fluoro. II) Gr. 0,3925 di sostanza diedero gr. 0,3080 di ossido salino di uranio, pari a gr. 0,2715 di uranio. Cioè : I) Fluoro LSI9NA0 II) Uranio 6900 Ciò mostra che, nella reazione fra l'ossido U30g e l'acido fluoridrico, si forma anche qualche composto che contiene più fluoro dell’ossifluoruro: forse anche il composto UFI, di Smithells: non potemmo però mai isolare un corpo di tale composizione. Analizzammo anche il residuo giallo che si ottiene eva- porando la soluzione gialla formatasi nella reazione fra U30z e HFI. Esso corrisponderebbe alla formola UO,Fl,.2H,0. Infatti: I) Gr. 0,3740 di sostanza diedero gr. 0,2960 di UO,, pari a gr. 0,2610 di uranio. II) Per gr. 0,6157 di sostanza si impiegarono cm? 11,7 di soluzione N/10 di idrato sodico, pari a gr. 0,0657 di fluoro. Cioè: Calcolato °|o per UO,Fl:.2H:0 Trovato ÙU 69,24 IDRA) FI 11,03 II) 10,26 Resta così nettamente stabilita la natura di questi composti e l’anda- mento della reazione fra l’ossido salino di uranio e l’acido fluoridrico: U: 0g + 6HFl = UOFIl, + 2U0;,FL +4 3H;0 (1) Dovendo le presenti ricerche servire per tesi di laurea di uno di noi. — 119 — Mentre le formole dello Smithells rendono ragione in modo più esatto della reazione, perchè attribuiscono al fluoruro verde la composizione di un sale uranoso, come è richiesto necessariamente dal fatto del suo formarsi per riduzione dei sali di uranile (Bolton), tuttavia si avvicinano molto più al vero le analisi del Ditte: per persuadersene basta confrontare le composizioni centesimali prima riferite, per l’ossifluoruro UOFl;.2H:0 e pel fluoruro di uranile UO,Fl,. Chimica. — Preparazione elettrolitica del nitrato cerico-am- monico (‘). Nota di G. PLANCHER e G. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Tra i composti più notevoli del cerio è certo da annoverarsi il nitrato cerico-ammonico Ce (NO:), . 2NH, NO;. Esso serve a separare il cerio dal lantanio, dal neodimio, dal praseo- dimio e dal samario ed ha assunto grande importanza (*) soprattutto per la preparazione dei sali di cerio puri, richiesti dall'industria delle reticelle Auer per l'illuminazione. La sua preparazione presenta diverse difficoltà quando lo si voglia otte- nere mescolando i due sali: nitrato cerico e nitrato ammonico. Bisogna anzi- tutto preparare il nitrato cerico partendo dall’ idrato corrispondente, giacchè l'ossido cerico puro è insolubile in acido nitrico. L'idrato cerico si ottiene o da un sale cerico, o dall’idrato ceroso a mezzo di un ossidante, per esempio l'acqua ossigenata, nel qual caso il perossido idrato dapprima formatosi deve essere ricondotto ad idrato cerico scaldandolo a 130°. Questi procedimenti presentano l'inconveniente che l'idrato cerico si filtra difficilmente, e perciò difficilmente e solo dopo ripetuti lavaggi si può liberare dai sali solubili che lo accompagnano. La soluzione poi dell’idrato cerico in acido nitrico avviene con parziale riduzione e riduzione si ha pure nella concentrazione della soluzione. Tutto ciò diminuisce il rendimento in nitrato cerico-ammonico. Il quesito di preparare il nitrato cerico-ammonico per ossidazione di- retta del nitrato ceroso-ammonico che si ottiene assai facilmente, fu posto la prima volta da Schottlànder (*). I mezzi ossidanti da lui consigliati, l’acqua ossigenata, ed il biossido di piombo, non sono convenienti allo scopo. L'acqua (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica agraria della R. Scuola Superiore di agraria della R. Università di Bologna. (*) Auer v. Welsbach, Monatsh. f. Ch., 5-508. (3) Ber. d. deutsch. Chem. Gesell., 25, 379. — 120 — ossigenata non agisce sui sali cerosi a reazione acida; dalle soluzioni neutre precipita solo parte del cerio allo stato di perossido, e d'altra parte in am- biente acido ridurrebbe i sali cerici a sali cerosi. L'impiego del biossido di piombo, che realmente trasforma con buoni rendimenti i sali cerosi in sali cerici, presenta il grave danno di introdurre nella miscela una impurità difficilmente eliminabile. Noi abbiamo tentato di operare l'ossidazione del nitrato ceroso-ammo- nico, per mezzo della corrente elettrica, già impiegata con successo per scopi analoghi da A. Piccini('), da I. L. Howe e O. Neal (2). L'elettrolisi viene eseguita nel modo seguente: come anodo s' impiega una larga lamina di platino, che avvolge un sottile vaso poroso da. pile. Nello spazio anodico si pone la soluzione concentrata e fortemente nitrica di nitrato ceroso-ammonico (50 gr. di nitrato ceroso, 25 gr. di nitrato ammo- nico in 200 cm. di soluzione), e nell'interno del vaso poroso dell'acido ni- trico in cui sta immerso il filo di platino che funge da catodo. Per l'elettrolisi basta una corrente 0,1-0,2 di ampère per decimetro qua- drato di anodo. Appena chiuso il circuito la soluzione sì colora in rosso aran- ciato, poi in rosso-cupo; e quindi si deposita sull'anodo una sostanza rossa cri- stallina sotto forma di fogli sottili sovrapposti, che, agitando l’anodo, si staccano e vanno al fondo del bicchiere sotto forma di polvere cristallina. Separata questa sostanza dalle acque madri per decantazione, lavata alla pompa aspi- rante su filtro di amianto con acido nitrico, spremuta e seccata nel vuoto in presenza di acido solforico e di potassa caustica, mostra all'analisi di es- sere nitrato cerico-ammonico: Calcolato per Trovato Ce (NOx). . 2NH, NO; I. iu III. Ce 0, 31,39 9/0 81,19 81,26 —_ NH; 621 |» Sa se 6,10 L'ossidazione è quantitativa. Svaporando l'acqua madre si ottengono le ulteriori porzioni di nitrato cerico-ammonico. Questo metodo, oltrechè offrire il mezzo di trasformare rapidamente un sale ceroso in sale cerico, può servire assai bene per eliminare dai sali di cerio il lantanio, il neodimio ed il praseodimio, giacchè questi ultimi non hanno che una forma di ossidazione, quindi non vengono influenzati dall’os- sigeno anodico e restano in soluzione mentre il cerio si separa. Esperienze ulteriori già intraprese diranno se il metodo è suscettibile di applicazione industriale in concorrenza dei procedimenti di purificazione attualmente in uso. (1) Z. f. Anorg. Chem., 20, 12. (2) Journ. Am. Ch. Soc., 20, 759. — 121 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta dell’8 gennaio 1905. Delacroix P. — Joseph Vallot et son ceuvre (Extr. de la Revue iUustrée) S. l., 1904. 4°. Guerrini G. — Di una ipertrofia secondaria, sperimentale della ipofisi — Contributo alla patogenesi dell’acromegalia (Scuola di Patol. gen. del R. Istit. di studî super. di Firenze). Firenze, 1904. 8°. Id. — Sulla funzione della ipofisi (Arch. di Biol. norm. e patol., anno LVIII, fasc. V). Firenze, 1904. 8°. Kalecsintzky A. v. — Ueber die Akkumulation der Sonnenwérme in verschie- denen Fliissigkeiten (Sonderabd. aus dem mathem. und naturw. Berichte aus Ungarn XXI). Leipzig, 1904. 8°. Keller F. — Frammenti concernenti la Geofisica dei pressi di Roma. Con prefazione e cenni necrologici del dott. G. Folgheraiter. Spoleto, 1904. 4°. Lavori dell'Istituto di Anatomia patologica diretta dal prof. Pio Foà, 1904. Torino, 1904, 8°. Lebon E. — Extrait du plan d'une bibliographie analytique des écrits con- temporains sur l'histoire de l’Astronomie (Atti del Congr. intern. di Scienze stor. Roma, 1903, vol. XII, Sez. VIII). Roma, 1904. 8° Meyer M. — Die Behandlung der Lungenleiden vom Darm aus (Fortschr. der Medizin. 22. Jahrg. 1904). Berlin, 1904. 8°. Id. — Unhygienisches im Alltagsleben. Miinchen, s. a. 8°. Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte in provincia di Macerata nel- l’anno 1900. Roma, 1902. 8°. Id. — Osservazioni geologiche fatte al confine dell'Abruzzo Teramano con la provincia di Ascoli nell'anno 1896. Roma, 1898. 8°. Id. — Le bocche eruttive dei vulcani Sabatini. Roma, 1896. 8°. Id. — Il nuovo lago e gli avvallamenti di suolo nei dintorni di Leprignano (Roma) (Dal Boll. del R. Com. geolog., anno 1896, n. 1). Roma, 1896. 8°. Id. — Osservazioni geologiche fatte nei dintorni di Cingoli in provincia di Macerata nel 1901. Roma, 1902. 8°. Id. — Note geologiche preliminari su i dintorni di Leonessa in provincia di Aquila. Roma, 1901. 8°. Id. — Osservazioni geologiche fatte nell'Umbria e nel Piceno durante gli anni 1897 e 1898 — Con appendice sul terremoto di Rieti. Roma, MS99N2: Id. — Osservazioni geologiche fatte nel 1899 al piede orientale della catena dei Sibillini. Roma, 1900. 8°. — 122 — Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte nell’Abruzzo Teramano durante l’anno 1894. Roma, 1896. 8°. Id. — Contribuzione allo studio dei vulcani Vulsini (con carta geologica e vedute). Roma, 1904. 8°. Palazzo L. — La Stazione Limnologica di Bolsena (Soc. geog. ital.). Roma, 1904. 8°. Id. — Primi esperimenti di palloni-sonde in Italia (Bull. della Soc. Aeron. Italiana. Anno I, n. 2). Roma, 1904. 8°. Id. — Appunti storico-bibliografici sulla cartografia magnetica italiana (Atti del Congr. intern. di Scienze storiche. 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Bolo- ona 9015880: : Id. — Sur les couches à orbitoides du Piémont (Bull. de la Soc. géol. de France, 4%° série. Tome I. 1901). Paris, 1901. 8°. Il. — Observations géologiques relatives à un projet de captage et d’adduc- tion d'eau potable des vallées de Lanzo pour l’alimentation de la ville de Turin (Bull. de la Soc. Belge de Géologie, de Paléont., etc. Tome XV, 1902). Bruxelles, 1901. 8°. Id. — La frana di Mondovì. Torino, 1901. 8°. Id. — Collezione petrografica Cossa. Torino, s. a. 8°. Id. — Gli anfiteatri morenici del Veneto. Torino, 1899. 8°. Id. — I molluschi dei terreni terziarî del Piemonte e della Liguria (Boll. dei Musei di Zool. ed Anat. comparata della R. Univ. di Torino, n. 409, vol. XVI). Torino, 1901. 8°. Id. — Essai d'une classification générale des Roches (Extr. du Compte rendu du VIII Congrès géol. intern., 1900). Paris, 1901. 8°. — 123 — Sacco F. — I Molluschi dei terreni terziarî del Piemonte (Boll. dei Musei di Zool. ed Anat. comparata della R. 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I, fasci- coli IV-V). Genova, 1903. 8°. Id. — La frana di Sant'Antonio in territorio di Cherasco — Considerazioni di geologia applicata. Torino, 1903. 8°. Id. — Sulla istituzione di un corso di perfezionamento per ingegneri delle miniere in Torino (Estr. dal periodico L’ingegneria civile e le arti ind., vol. XXVIII). Torino, 1903. 8°. Id. — Considerazioni geologiche sopra un progetto di bacino artificiale per irrigazione in territorio di Carmagnola. Torino, 1903. 8°. Sacco F. e Grugnola G. — Città di Torino. Relazione sulle condizioni geologiche e costruttive di un serbatoio in prossimità del Piano della Mussa sopra Balme (Valle di Ala, Stura di Lanzo). Torino, 1903. 4°. The State of Missouri. An Autobiography edited for the Missouri Commis- sion to the Louisiana Purchase Exposition by W. Williams. S. 1., 1904. 8°. Tommasina Th. — Constatation d'une radioactivité induite sur tous les corps par l'émanation des fils métalliques incandescents (Comptes rendus de l’Ac. des Sciences). 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Stemssen G. — Die Entwicklung der landwirtschaftlichen Verhàltnisse dreier Rittergiter Mecklenburgs wahrend des 19. Jahrhunderts. Halle, 1903. 8°. Stajitsch U. M. — Der Einfluss des Feuchtigkeitsgehaltes des Bodens auf die Keimung der Samen. Halle, 1903. 8°. Thomas G.— Untersuchungen iber die Geschichte der Zolltarife und Han- delsvertrige der Vereinigten Staaten von Nordamerika seit 1875. Halle, 1904. 8°. Tubandt C. — Die Inversionsgeschwindigkeit des Menthons. Halle, 1904. 8°. Valentiner S. — Ueber die Abhingigkeit der Verhaltnisses = der spezifischen Wiîirmen vom Druck bei der Temperatur der fliissigen Luft. Miinchen, 1904. 8°. Wallis T. — Geschwindigkeit der Oxydation von Piperidin und Diaethy- lamin. Halle, 1904. 8°. Weber P. — Quaestionum Svetonianarum capita duo. Halle, 1903. 8°. Wien J. — Einige Feststellungen bei griin- und gelbkòrnigem Roggen, inshe- — 126 — sondere iber die Beziehungen zwischen Kornfarbe, Klebergehalt und Backfahigkeit. Halle, 1904. 8°. Witte H. — Ueber die gewichtsanalytische Stàrkebestimmung in Kartoffeln, Mehl und Handelsstirke. Halle, 1904. 8°. Wiist E. — Untersuchungen iber die Decapoden-Krebse der germanischen Trias (Ausgewablte Abschnitte). Jena, 1903. 4°. Zimmer E. — Leukamische und pseudoleukàmische Tumoren. Halle, 1904. 8°. Vo. | Publicazioni della R. Accademia del Lincgi. Serie 1* — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXEV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2° MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Ciasse di scienze morali, i storiche e filologiche. Vol&viev VISSVIESMELE Serie 33 — Transunri. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE. della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). —HEXIX. MemorIiE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIE. Serie 4* — RenpIcontI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della (Classe di scienze. morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — ReNDpICOINTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV.:(1892-1905). Fase 2°. RENDICONTI della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. (1892-1904). Fasc. 1°-8°. MemoRIE della, Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. VoloisEVe Nol AVosbase. 1°-268 Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AT RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULRrIco HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Gennaio 1905. I NIDITCE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 22 gennaio 1908. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Parona. Nuove osservazioni sulla fauna dei calcari con ellipsactinidi dell'isola di Capri. Pag. 59 Lauricella. Sulle derivate della funzione potenziale di doppio strato (pres. dal Socio Vol VARE ONE ; GT MONTI, Tedone. Sul problema dell oduilibiio Bet, di un cisshide di (ita ai MI) = SE MITAANA OI Puccianti. Spettri di incandescenza dell’ Todio e del Bromo (pres. dal Socio Rom). . . » 84 Artom. ‘Sopra: un muovo sistema diuelegrafia senza lE Ne Teglio. Le sesse nel lago di Garda (pres. dal Socio Volterra) . ... mpg ET LISA IN Millosevich. Nuove forme e nuovo tipo cristallino dell’anatasio della Binienthal (pres. dal Socio Strwver) . . . % Sinn (IRE A 7 E Bellucci e Venditori. Sui idiota di ferro hrs a fuea i; SRO ZAN Gallo. Equivalente elettrochimico del Tellurio (pres. Id.) 0. +. » 104 Plancher e Caravaggi. Sulla trasformazione del pirrolo in indoli. Sintesi del Bz- I Adimeti- lindolo (pres. dal Socio Ciamician) (*). . 0. . Sa Li) Ulpiani e Rodano. Elettrosintesi nel gruppo dei ciano- i ma Gi Sedia Pater CASO) Giolitti e Agamennone. Su di un ossifluoruro di Uranio (pres. /d.) . . .. da Plancher e Barbieri. Preparazione elettrolitica del nitrato cerico-ammonico i 1 ,l Socio Ciamiciani: sN E ORIO 0 AO AI I BULLETTINO BIBLIOGRARIGO.i 1 2000 + Le I 0. 7A E N IE DUO LA i rdlegc 8 ia si io Y TR 0 ITSkeot 1908 Le. rete (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. ‘sf i Gb eda . E: Mancini Segretario d'ufficio; nesponsabile. pt ii ; Egr Hbo Pubplicazione bimensile. Roma 5 febbraio 1695. N. è. AL Lo REALE AOCADEMTA DEL LINCEI | ANNO CCQGII. 505 STEREO QQ, UNTIL A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 febbraro 1905. Volume XIV. — Fascicolo 33° 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI \ PROPRIETA DEI CAV. V. SALVIUCCI ! 1905 PTC IZ TI VI SOI 0 RIA E TETTE EE TI DIES ESTRA""TO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche enaturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispor denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis al Soci e Corrispondenti, e 50. agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi» cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con nna proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - è) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei, La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa e carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NANNA ----- Seduta del 5 febbraio 1905. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Un teorema sulla teoria della elasticità. Nota del Socio Vito VOLTERRA. Art. I. 1. Il prof. Weingarten ha pubblicato qualche tempo fa in questi Ren- diconti (') una interessante Nota sulla teoria della elasticità. Egli osserva che possono esistere dei casi in cui un corpo elastico, pur non essendo sog- getto ad alcuna azione esterna, ossia, senza essere sottoposto nè a forze di massa, nè a tensioni superficiali, nondimeno può non trovarsi nello stato naturale, ma essere in uno stato di tensione il quale varia continuamente e regolarmente da punto a punto. Casi pratici di corpi in simili condizioni sono facili a trovarsi. Tale è un anello a cui sia stata tolta una sottile fetta trasversale e se ne siano risaldati poi fra loro i due capi. 2. Nella Nota del Weingarten resta sospesa però una questione. Oltre gli anelli ed altri corpi che occupano spazii più volte connessi possono esi- stere casi di corpi semplicemente connessi i quali si trovino nelle condizioni suddette? A prima vista la questione non è facile a risolversi, ma intuitivamente si sarebbe condotti a dare una risposta affermativa. Infatti può sembrare che, anche nel caso di corpi semplicemente connessi, facendo una fenditura ed introducendovi a forza un elemento cuneiforme, oppure risaldando le due (1) Sulle superficie di discontinuità nella teoria della elasticità dei corpi solidi. Serie V, vol. X, 1° semestre 1901. ReNDICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 16 — 128 — faccie della fenditura dopo avere asportata una sottile fetta del corpo si possano ottenere stati di equilibrio senza forze esterne nei quali la tensione e la deformazione variano senza discontinuità e regolarmente da punto a punto al pari che nei corpi a connessione multipla. Il Weingarten dà le con- dizioni che dovrebbero verificarsi in questi casi, qualora essi esistessero! 3. Scopo di questa Nota è di mostrare, col sussidio di una semplice osservazione analitica, la impossibilità di essi quando si ammetta che la continuità della deformazione sia estesa anche alle derivate prime e seconde degli elementi caratteristici della deformazione stessa. Ciò stabilisce uno stretto riscontro fra la questione di elasticità e una questione analoga di idrodinamica. Il teorema di idrodinamica a cui ci riferiamo è il seguente: n /luido incompressibile finito, che si trova racchiuso entro pareti rigide e fisse e nel quale non esistono vortici, deve stare în quiete se lo spazio da esso occupato è semplicemente connesso (aciclico), mentre può essere in movi- mento se lo spazio occupato è più volte connesso (ciclico). Ecco ora le proprietà analoghe per la elasticità. Diremo che una deformazione di un corpo elastico è regolare quando le sei caratteristiche della deformazione (lo st7azx secondo la denominazione degli Inglesi) sono funzioni finite continue monodrome, aventi le derivate del primo e del secondo ordine pure finite continue e monodrome. Potremo allora enunciare il seguente teorema: Se un corpo elastico occupa uno spazio finito semplicemente connesso (aciclico) e subisce solo deformazioni regolari, esso si troverà allo stato naturale quando non sarà soggetto nè a forze di massa nè a tensioni su- perficiali. Invece: Un corpo elastico, che occupa uno spazio finito più volte connesso (ci- clico), potrà non essere nello stato naturale, potrà trovarsi cioè în uno stato di tensione, anche quando non è soggetto nè a forze di massa nè a tensioni superficiali, pure essendo la sua deformazione regolare. Questa proposizione stabilisce una essenziale differenza fra le proprietà dei corpi elastici che occupano uno spazio semplicemente connesso (aciclico) e quelle dei corpi elastici che occupano spazii più volte connessi (ciclici). Se ci riferiamo ai casi pratici sopra ricordati ciò significa che, se la connessione è semplice, la introduzione di uno strato cuneiforme, o l'aspor- tazione di una sottile fetta, risaldando poi le faccie della fenditura, ingenera sempre nel sistema elastico una deformazione non regolare o qualche lacuna; mentre l'opposto può aversi quando la connessione sia multipla. In generale potremo dire che, se si ha un corpo non soggetto ad azioni esterne ed in istato di tensione, o esso occupa uno spazio più volte connesso o esso ha in qualche regione la deformazione non regolare. — 129 — L'articolo seguente sarà consacrato alla dimostrazione della proposizione enunciata ed il successivo alla esposizione di due esempii analitici relativi a corpi elastici più volte connessi soggetti a tensioni e non sottoposti a forze esterne. Art. II. 1. Denotiamo con y, , Y22; Y38 Y23 + 731, Yie Sei funzioni delle variabili X,Y,8, monodrome finite, continue e aventi le derivate del primo e del secondo ordine pure monodrome, finite e continue entro un campo a tre di- mensioni S semplicemente connesso. Tracciamo entro S una linea regolare s le cui coordinate rappresenteremo con 4, ,z, mentre chiameremo 0, Y0)%0; E1,Y1,, Quelle degli estremi A, e A. La direzione positiva di s sia da A, ad A,. I valori delle y; in Ao e A; si rappresenteranno respettivamente con y e y. Supporremo Yrs= Yse. Poniamo (1) u=w +3 (yi pr) 4 +3 (70 — go) (c1 — 20) + al GG ui {ont EP) O) o=v+308+r) + STES Mt tea et +[1e+@ 94 mote [LL +|eae- a) (7) pote St (1) w=w+5 (8 +41 2)+308 2) Mv + Sfar] +| E) (e de) (È dI dé d? de +[is+@-a9® Da Ly 20h mi in cui %0, Vo, Wo) Po; 40,7 Sono quantità costanti. — 130 — Cerchiamo le condizioni affinchè v,v, w non dipendano dalla linea di integrazione s; ma solo dai due estremi A e A,, ossia, supponendo A, fisso, cerchiamo le condizioni affinchè v,v,w siano funzioni di z1,%1,%- 2. A tal fine basterà supporre la linea s chiusa, ossia i punti Ap e A, coincidenti e determinare le condizioni perchè gl'integrali estesi alla linea s siano nulli. Il teorema di Stokes, allorchè la linea s è chiusa, trasforma i detti integrali in Le Bi » 3 © | cos na + IG — e)F AEDCZE a | cos ny + +| -m6+E7A cosa Si[e-o8+®755] cos n% + aa el F ZA | cos ny + TL, [@ Bai pa x °8 | cos ne do , do , S[Lm-o8+®5%0 | cos na +| @w_ar+ ou c | cos ny + a bi Len |cosns {do in cui o è una superficie avente per contorno s ed interna allo spazio S, n denota la normale a o scelta in un verso conveniente e UDITO 3 die dY23 9 dYn ne I° Y32 d Ya2 d°Y33 3 = = al gi ea oa FI ’ dr \ dY da dI dEdY dYy de de” dY° pes d {dae | Oasi TO dra F Divo ao da dy \ de da dY dI De0 A meo (CIS d ( dY23 ap dY31 dYie bo d°Y33 d° Ya IR di Yu WA d° Yer dsl da dY de dIyda dA dY dy° da? Ne segue che le condizioni necessarie e sufficienti affinchè %,0,w siano indipendenti dal cammino s d'integrazione sono (II) A=B=(=E=F=G0=0. 8. Supponiamo verificate le precedenti equazioni; x ,v,w saranno fun- zioni di <1,%1,%1: Per calcolare le derivate dovremo tener conto che queste quantità com- pariscono esplicitamente sotto il segno di integrazione e sono nello stesso ti mn TANN) TT I Ia — 131 — tempo le coordinate di un estremo del cammino d' integrazione. Fatta questa osservazione le ordinarie regole del calcolo conducono subito alle formule DONE COZIIORO 0) CAV (1) 1) da: Aa yù ’ Yi ara Va ’ dei Gu Y33 ’ dv dw dWw du dU dU AGCA SI pg Lt (1) RAEA O) | dI dY1 SI dII sd dB LO © dY1 DEA ris Possiamo quindi concludere che, quando le y,s soddisfano le equazioni (II), si possono trovare le tre funzioni «,v,w che verificano le (1), ossia che le y,s si possono considerare come le caratteristiche della deformazione di un mezzo elastico. La proposizione reciproca si verifica immediatamente. 4, Le formule (I), (I°), (I”) sono notevoli, perchè ciascuna di esse dà modo, con una semplice quadratura, di ricavare una delle componenti dello spostamento dalle caratteristiche della deformazione. Kirchhoff (!) e Love (*) hanno espresso ciascuna delle derivate di w,0,% per mezzo di una analoga quadratura. Si può passare, mediante facili in- tegrazioni per parti, dalle formule di Kirchhoff e Love alle (1), (T°), (1”). In esse compariscono le sei costanti arbitrarie wo, Vo, Wo ; Vo dor 70) CIOÈ i valori delle componenti dello spostamento nel punto A, e quelli delle com- ponenti del vettore chiamato da Maxwell rotazione. Le (II) non sono altro che le ben note formule del De Saint-Venant. 5. Le equazioni (II) esprimono le condizioni affinchè i valori di v,0,w dati dalle (I), (I°), (I°) siano indipendenti dal cammino d'integrazione, al- lorchè lo spazio S è semplicemente connesso; ma se lo spazio S fosse più volte connesso, potrebbero i detti valori dipendere dal cammino d’ integra- zione, pur essendo soddisfatte le (II). Ricordiamo infatti che la dimostra- zione della indipendenza del cammino sui valori di %«,v,%w si è ricavata nel $ 2, quando lo spazio è semplicemente connesso, dal fatto che ogni linea chiusa s dello spazio può ritenersi contorno di una superficie o ap- partenente allo spazio stesso. Ma se lo spazio è più volte connesso, questo fatto non si verifica più per ogni linea s, e di quì segue che il cammino può influire sui valori di vx,v,w%. Avremo dunque il teorema seguente: Un corpo elastico che occupa uno spazio semplicemente connesso e la cui deformazione è regolare, si potrà sempre ricondurre allo stato natu- rale mediante spostamenti finiti continui e monodromi dei suoi punti. Invece potremo dire: Se un corpo elastico occupa uno spazio più volte connesso e la sua deformazione è regolare, gli spostamenti dei punti non saranno mecessa- riamente monodromi. (*) Mechanik, XXVII Vorl. $ 4. (*) Math. Theory of elasticity, vol. I, $ 66. — 132 — Riduciamo semplicemente connesso lo spazio ciclico mediante un sistema di sezioni. Nello spazio sezionato esisterà un sistema di spostamenti finiti continui e monodromi che corrispondono alla data deformazione. I valori di questi spostamenti potranno però non riattaccarsi con continuità lungo le dette sezioni. Quando ciò avviene, volendo ricondurre il corpo allo stato naturale, converrà togliere la connessione della materia lungo le dette sezioni e ivi far nascere delle fessure o asportare della materia o far scorrere l'una sul- l'altra le due faccie della fenditura. (Vedi gli esempii dell'Art. successivo). 6. Ricordiamo ora la dimostrazione che si fa per provare che un corpo elastico, il quale non è soggetto a forze esterne, si trova nello stato natu- rale. Essa presuppone implicitamente che i punti del corpo elastico subiscano spostamenti finiti continui e monodromi e la deformazione del sistema sia rego- lare. Ne segue che se sappiamo che la deformazione è regolare ed il corpo occupa uno spazio semplicemente connesso, potremo ricavare dall'assenza di forze esterne la conseguenza che il sistema non dovrà essere soggetto ad alcuna tensione interna; ma se il corpo occupa uno spazio più volte connesso la de- formazione regolare potrà coesistere con una polidromia degli spostamenti e quindi il corpo stesso potrà essere soggetto a tensioni. Di qui resulta il teorema che abbiamo enunciato nell'Art. I. 7. Da questo teorema può dedursi facilmente un corollario importante. Note le tensionisuperficiali e le forzedi massa agenti sopra un corpo elastico, ladeformazionesarà individuata se lo spazio occupato dal corpo sarà semplicemente con- nesso,ma non sarà determinata se lo spazio stesso sarà più volte connesso, a meno che non si sappia a priori che il sistema può portarsi allo stato naturale mediante sposta- menti finiti continui e monodromt. La dimostrazione di questo corollario discende immediatamente da quella del sopra ricordato teorema. L'interesse di questa proposizione consiste in ciò, che la ordinaria teoria matematica della elasticità va modificata nel caso dei corpi che oc- cupano spazii più volte connessi, giacchè la teoria stessa è appoggiata tutta sul fatto che le forze di massa e le tensioni superficiali determinano la defor- mazione del corpo. La teoria ordinaria si conserva però nel caso dei corpi che occupano spazii semplicementi connessi, oppure in generale quando si sappia a priori che il sistema è riconducibile allo stato naturale mediante spostamenti monodromi. 8. È facile ricavare dalle formole (I), (I°) e (I°) la natura delle disconti- nuità che presentano le x,v,w lungo le sezioni che rendono lo spazio occu- pato dal corpo semplicemente connesso. Chiamando wa 0a, wa i valori da — 133 — una parte di una di queste sezioni e vg, vg, 0g i valori dell'altra parte, e posto ug—ua=U,vg—va=V,w&g—wa=W e denotando con /,7,#,p,q,7 sei quantità costanti lungo ciascuna se- zione, avremo (III) U=/+ryT-qe, V=m+pe-ra, W=n+4 qa PY come per altra via aveva trovato il Weingarten. Nel caso dunque di un corpo più volte connesso, ad ognuno dei tagli che servono a ridurre lo spazio semplicemente connesso si possono far corri- spondere sei costanti che individuano la polidromia degli spostamenti calco- lati mediante le formule (I), (1°) e (I”). Queste costanti, per analogia a ciò che si fa nella teoria delle funzioni, si possono chiamare le se; costanti di ciascun taglio. La proposizione fondamentale della teoria dell’elasticità va allora enun- ciata nei termini seguenti: Se un corpo elastico occupa uno spazio più volte con- nesso, e la sua deformazione è regolare; questa sarà de- terminatadalle forzedimassa, dalle tensioni superficiali e dalle sei costanti relative a ciascuno dei tagli che ser- vono a ridurre lo spazio semplicemente connesso. ART. III. 1° Esempio. 1. Poniamo _Ba° —ay° , B 5 5 A VE n= PIEgp tg 198 (€ + 7°) de 2 orga by ea? , 8 LE vr a+ y? +9 198 (d° + y°) fui pae 2 XI Visa — y log (2° 4- y°) Yi = 2(e + È) #4y in cui @,f#,y sono quantità costanti. È facile verificare che le equazioni (II) di De Saint Venant sono sod- disfatte. Queste funzioni non hanno altre singolarità che per «=y=0, ossia lungo l’asse coordinato z. Escludendo quindi con un cilindro avente per asse < questo luogo singolare, in tutto lo spazio rimanente queste sei quan- tità potranno essere interpretate come le caratteristiche di una deformazione regolare T. — 134 — Gli spostamenti corrispondenti si calcolano facilmente. Chiamandone u,,w le componenti, queste resulteranno (a meno di uno spostamento ri- gido arbitrario) date dalle formule | u= ay arco igl ia log (4° + y°) 2 3 (2) | v= — ax 2100 ig È + È) log (a° + y°) w= ye log (2° + y°) Le funzioni u e v sono polidrome e l'asse di diramazione è l'asse . 2. Ciò premesso immaginiamo un corpo isotropo omogeneo C che occupi uno spazio S limitato fra due cilindri di rivoluzione 0, e 0, aventi per asse 4 ei cui raggi sono R, e R» e fra due piani normali all'asse 4. Supposte nulle le forze di massa, le equazioni indefinite dell'equilibrio e A) (3) K4°v + (L+ Do È pe de) DI DI de d /dUu dV dw Kstw+(L+D3 ( ++) 0 na saranno soddisfatte dalle (2) quando sia verificata l'equazione Ka +(L+2K)84(L+K)y=0, la quale a sua volta sarà soddisfatta prendendo Va 0 B i pr . Il calcolo delle corrispondenti tensioni superficiali non presenta difficoltà. Sulla superficie o, troviamo una tensione uniforme normale a o, diretta verso l'interno della massa data da To, = (1 +E)(14i ope) dU sopra 0, una tensione pure uniforme e diretta verso l'interno della massa data da T,,=@(L+K) 1 JESI R DI ( L42100 ) mentre sopra le due basi normali a < troviamo le tensioni normali dirette sempre verso l'interno aL scanio o) in cui 7 denota la distanza dell'asse &. — 135 — 8. Immaginiamo ora un corpo fittizio della stessa natura del corpo €, il quale occupi lo stesso spazio del corpo C, ma che si trovi nello stato na- turale. Senza togliere in alcun modo la connessione al corpo stesso, sollecitia- molo mediante le tensioni T;,,T;, e T. sopra le superficie laterali e sulle due basi. Denotiamo con w',v",w' le componenti corrispondenti dello spo- stamento. Queste saranno funzioni finite, continue e monodrome, e se prendiamo Uda pareoigi ir aloge +9) e "_pyT_-p— = 7 0) DIS — 2 DI eur v=v—- Vv =a|, warco ig — 2 +2? 198 +0] v === otterremo un sistema di spostamenti del corpo C i quali sono diversi da zero e differiscono da uno spostamento rigido. Agli spostamenti «",",w" corrisponderà quindi una deformazione diversa da zero e regolare e in con- seguenza una tensione interna; ma le tensioni superficiali e le forze di massa saranno nulle. Se denotiamo con y;; le caratteristiche della deformazione T” corrispondente agli spostamenti w',v', 0°, quelle della deformazione I” cor- rispondente a wu”, ,w%" saranno y{ = Yis — Vis: 4. Le funzioni «" , 0", w" sono polidrome al pari delle u,v,w ed hanno per asse di polidromia l’asse <. Chiamiamo w, , 0, ,wy i loro valori in un punto situato lungo il piano #2 dalla parte positiva dell'asse x. Partendo da questo punto ruotiamo intorno all'asse 2 compiendo un intiero giro e pren- diamo i successivi valori di w”,0"”,w" che si seguono con continuità lungo il cielo che si percorre. Denotando un ug , vg, wg i valori con cui si torna al punto di partenza, avremo u—u,=0 , v—v=—2mvax , ug—wy=0. 5. Ne segue che se « è positivo, lo stato di deformazione regolare 1°" del corpo potrà ottenersi prendendo il corpo il quale occupi nello stato na- turale il cilindro cavo precedentemente considerato, eseguendo quindi un taglio lungo il piano «x: dalla parte positiva dell'asse x, ed infine interponendo fra le due faccie del taglio un sottile strato la cui grossezza varii proporzional- mente alla distanza dell’asse. Se « è negativo per ottenere lo stato di tensione corrispondente con- verrà invece togliere lungo il piano #2, dalla parte delle x positive, una sottile fetta, la cui grossezza varii proporzionalmente alla distanza dell'asse, quindi attaccare fra loro le due faccie della fenditura. Renpiconti. 1905. Vol. XIV, 1° Sem. 17 — 136 — 2° Esempio: 6. Poniamo Va=0., yea=0 , 73=0 RONN (OM... di Y23 osa a + DE ’ Y31 ann x + y? ’ V12 sca 9 Le equazioni (II) del De Saint-Venant saranno soddisfatte e le prece- denti funzioni non avranno altra singolarità che lungo l’asse 2. Gli spostamenti corrispondenti verranno (a meno di uno spostamento rigido) (4) UT 0 0 w=aacotgi. w resulterà quindi polidromo e avrà per asse di diramazione l’asse 2. Immaginiamo un corpo il quale occupi lo stesso spazio costituito dal cilindro cavo S, come nell'esempio precedente. Gli spostamenti (4) soddisfa- ranno le equazioni (3) e le tensioni lungo le superficie laterali 01 e 03 resul- teranno nulle, mentre le forze agenti sulle basi avranno respettivamente per componenti, sull’una a K y aKa Xo= — 23 E UV, yi e erge a 0 sull'altra PCI IO0; ; aKa Tgedti 0 DE VE geni VA = Prendiamo adesso un corpo fittizio della stessa sostanza, allo stato natu- rale, che occupi il cilindro cavo S e senza togliere la connessione assoggettia- molo alle forze di torsione precedenti agenti sulle due basi. Si chiamino %', v', w0' gli spostamenti che ne conseguono. Questi saranno funzioni finite continue e monodrome; e posto uit, dae-d, w'=w-w a questi spostamenti corrisponderà uno stato di tensione interna del corpo, mentre le tensioni esterne e le forze di massa saranno nulle. La deformazione sarà evidentemente regolare. 7. È facile vedere come si può produrre questo stato di tensione. Preso il corpo allo stato naturale che occupi lo spazio racchiuso entro il cilindro cavo S, lo si tagli lungo il piano #2 dalla parte positiva dell'asse #; quindi sì facciano scorrere lievemente le due faccie del taglio l’una rispetto al- l'altra parallelamente all’asse z, in modo che il cilindro assuma una forma — 137 — leggermente elicoidale. Ciò fatto si saldino le due faccie l’una all'altra nei punti prospicenti. Le due basi verranno così ad acquistare una dentellatura lungo il piano zz della parte delle x positive, ma essa sarà infinitesima e senza alterare le condizioni del sistema potremo immaginarla tolta appianando le basi stesse. Astronomia. — Osservazioni del nuovo pianetino PS 1905 fatte all’equatoriale di 39 cm. Nota del Corrispondente E. Mir- LOSEVICH. Il pianetino, scoperto dal dott. Gotz col metodo fotografico l'8 gennaio all’Istituto astro-fisico di Konigsthul, interessante perchè sono oggidì ecce- zioni le scoperte di pianetini lucenti (circa di 10" /,), fu trovato dal dott. Bianchi l’11 gennaio e fu osservato da lui e da me fino a ieri come segue: Data T. Medio R.C.R. « apparente pianeta —dapparente pianeta Osservatore 1905 gennaio Il 9152m 85 ghg0m215.60 (92.541) ; + 18°4020”.7 (0.618) 3 » 12 743 19 829 25.21 (92.658); + 184152. 0(0.713) 3 » 12 743 19 829 25.27 (92.658); + 184152. 0(0.718) ; » 14 951 10 827 12.88(92.517); + 184536. 6(0.608) ” ” 22 955 27 818 27.10(92.416) ; 4-19 016. 9(0.574) » » 28 9 2 39 811 57.16(92.473) ; + 191039. 1(0.587) 1905 febbraio 4 915 50 8 4 52.67 (92.337) ; + 19 2056. 9 (0.556) ERERBDPN Lo splendore (grandezza) venne stimato nel seguente modo: COMI Ai IO ” Ir. 02 D) TA ee a i 0, en 0L7 ” MA en) CS MI 0 0 ” POM IR i, e 0: Febbralot4 nta. LR 08 Fisiologia. — I. Dimostrazione dei centri respiratori spinali per mezzo dell’acapnia. — II. Differenze individuali nella resi- stenza alla pressione parziale dell'ossigeno. — III Depressione barometrica e pressione parziale del CO, nell'aria respirata. — IV. Za pressione del sanque nell’aria rarefatta. Note del Socio AnceLo Mosso. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. — 138 — Fisica terrestre. — Studi sulla radioattività dei soffioni bo- raciferi della Toscana e sulla quantità di emanazione in essi con- tenuta. Nota preliminare del Corrispondente R. NASINI, e dei dottori F. AnpERLINI e M. G. Levi. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Matematica. — Sopra alcune funzioni ausiliari. Nota di Luciano ORLANDO, presentata dal Corrispondente G. A. MAGGI. L'integrazione della 4, in un campo S, quando i soliti dati la ren- dano possibile, può ritenersi generalmente eseguita, se noi sappiamo deter- minare, per il campo S, la funzione n° di Green; ma la ricerca di questa funzione, anche per corpi di forma semplicissima, è molto difficile, quasi altrettanto quanto il problema proposto. Limitandoci, per evitare troppi calcoli, ma senza pregiudizio dei casi più generali, alla 4, e alla 4, noi definiremo invece alcune funzioni ausi- liari, che hanno lo stesso ufficio della funzione di Green, ma contengono alcuni elementi arbitrarî, dei quali si può approfittare per rendere più facile la stessa ricerca di queste funzioni ausiliari, nei singoli casi. Sia indicato con A, un polo, di coordinate x,,%1,4, in S; e A, di coordinate 4 ,y,4, rappresenti un punto del medesimo spazio S. Denoti 7 la distanza fra A ed A). Se «(x ,y,) è Hi(4,y,8) rappresentano due funzioni regolari in $, valgono le due formule note al 4rtu(x, »Y1 Nn) Je do fi 4, udS, dove le derivate su x denotano derivate di direzione secondo la normale interna a S, nei punti del contorno 0; e gl'integrali in do, dS sono rife- riti a elementi intorno al punto A, e rispettivamente estesi a tutto il con- torno o ea tutto il campo S. Per sottrazione, ricaviamo gi dBi\ (1 d ® smteno=SL Re -J[(f-m)4e-v4% [68 — 139 — Noi diremo che H, è la nostra prima funzione ausiliaria, se la grandezza 1 E È ; 6 iau in ogni punto del contorno, e la grandezza 4.H,, in ogni punto del campo, sono indipendenti da %,,%,,:, cioè non variano, comunque si sposti nel campo il solo punto A,. Se « è nota al contorno e 43% nel campo, la formula (1) determina « nel polo, a meno della costante 1 du la quale si determina subito, facendo tendere il polo verso un arbitrario punto del contorno. Se X, è una funzione regolare in S, tale che la grandezza ug ang, ] in ogni punto del contorno, e la grandezza 4 X,, in ogni punto del campo, siano indipendenti dal polo, diremo invece che X, è una funzione analoga alla prima funzione ausiliare. Una formula analoga alla (1) mostra, in questo caso, che; se della funzione « è noto il 4, nel campo, e, sul con- torno, colla condizione d fido 4 fs 08, sono noti i valori di da Pe singoli punti; basta la conoscenza di X, perchè sia determinata v nel polo, a meno d'una costante, che non è, in generale, determinabile. Passando al caso della 4,, vediamo che valgono le due formule note di d 8reu(L1,Y1 81) — f(e mn — 4, di) do + +f(404 RL, rl de — fr r4,ud$, di, H du o=f(«eGl 40) de+ +f(1uG a do fi ziutua, H,) d$, se H, denota una funzione regolare in S. Noi chiameremo H> seconda fun- zione ausiliare, se la grandezza 4,H,, nel campo, e le due grandezze dr H, AO 5 3 rT—H; e pria sul contorno, sono indipendenti dal polo. Il solito criterio lascia stabilire una formula, per la quale, se è nota, per un campo, : L ; du la funzione H,, è anche nota la funzione v nel polo, dato w e Ta al contorno. — 140 — Vogliamo fare alcuni esempî. Se, in coordinate cartesiane ortogonali, le equazioni «=/%,,ax=—h , y=h,y=—h , 2z=h,,3=— kg rappresentano le sei facce d'un parallelepipedo rettangolo, le grandezze rime=le — 2ah —(— 1) a +[y—20h—(- 1°uP+ +[a— 2h —(— 1)°a,}, oî,0,e = [e — 2ah + [y — 26hx]? + [e — 2eh3]? rappresentano rispettivamente i quadrati delle distanze di A dalle immagini di A, e del centro di figura, rispetto ai piani delle facce. È, in particolare, Po,o,0 =7, Se conserviamo tutte le precedenti notazioni. Le funzioni Ca) Co) (ce) 1 1 H= APRO | a+b+c+1 IISSR : ; A VI; Da ( ) (nr min) Kill 2. Dole ew b=—=% a==% Ta,b,c Oa,b,c (a +68 + +0) sono rispettivamente una prima funzione ausiliare, e una funzione analoga alla prima funzione ausiliare. La convergenza delle serie risulta da noti criterî, già adoperati da Riemann. Noi vogliamo soltanto notare che è 4, K,=0 nel campo, e che vale la formula dE, dn gel come agevolmente si vede. Un esempio, sul quale vogliamo, invece, insistere, sarà dato dalla deter- minazione della seconda funzione ausiliare per lo spazio S, contenuto da due piani paralleli, 0, e 02. Denotino 7,,%2,73,..... le distanze di A dalle immagini successive di A,, rispetto ai piani limiti, nell'ordine 0,,0,,0,,..... , e, invece, DARA N le distanze di A dalle successive immagini di A,, rispetto al piani limiti, nell'ordine 0,,0,,02,..... Denotino ancora 01,02,03;-.... È ONORI CECI le analoghe distanze di A dalle analoghe immagini di un punto, equidistante da 0,,0, scelto come origine delle coordinate, indipen- dente da A,. Siano 2=% e #=— A le rispettive equazioni di 0, , 07. Un procedimento, che abbiamo già adoperato (!), mostra che, se poniamo (1) Noi ci riferiamo a una Nota Sulla deformazione d'un solido isotropo limitato da due piani paralleli, pubblicata nei Rend. di Palermo. In quella Nota sono contenute alcune inesattezze, ma si capisce che ora approfittiamo soltanto di ciò che vi è di esatto; e poi, dalla convergenza di (4), risultano subito convergenti anche tutte le serie ivi ado- perate, il che conferma le conchiusioni ivi ottenute. — ldl — u=7y— @, la serie o. (JI DIN) 2n+2 Tee fi = (Z(m —1)11(2n)|_de+? 3Ert3 gere N 2(6 E i) ss NALE Uan+amr T gr? na (4h)? Im + 2n) he TO ne II(m i 1) I1(2n + 1) qu Uan+am TS 2(e pr h) a Uan+2m + perte + FVIZZE bonemmer | catmeni ’ sommata con un’altra, T', ottenuta da T col mutamento di 4 in — }, se T è in ogni punto di S assolutamente convergente, rappresenta una funzione H:, soluzione regolare in S della 44=0, e tale che sul contorno diventi r—o, e che la derivata normale coincida colla derivata normale di 7 — 0; dunque H, verifica le condizioni richieste per essere una seconda funzione ausiliare. Giacchè l’importanza di queste mado ausiliari consiste nelle appli- cazioni che possono farsene, noi vogliamo insistere sulla convergenza assoluta della serie che adoperiamo. Ci basterà assodare la convergenza di o © I(mMm+2n—1)| 3: à DI = e gl 2n S = n==0 II(m — 1) 22(2n) pern+? Uam+2n=1 (4h) e la convergenza assoluta di tutte le altre risulterà dalle cose che diremo per questa. Osserviamo che si può scrivere PIA dIy marnce=a( 2) +o(2) ba(D), dove l'indice m è soltanto un simbolo di valor medio. Si deduce che la convergenza della serie (2) conseguirà dalla convergenza in ogni punto di S, di una serie come l’altra che qui scriviamo: e I(m+2n—-1) == I(m_-1)11(2n) ner (3) gras T2m+2n-1 (41)? . | Questo zoo innalzamento dell'ordine di derivazione non si avrebbe, se non avessimo inserito le derivate di — o, (indipendenti dal polo) nella serie. Il procedimento stesso che seguiremo dimostrerà il vantaggio. i; 7 È ; Z Osserviamo che la prima derivata di 7, rispetto a #, ha la forma Fao, È dove è facile vedere che cosa indichiamo con Z. Applicando la formula di — 1422 — Leibniz al prodotto di Z per — P , e notando che le successive derivate di Z Ty, sono tutte nulle, tranne la prima che è uguale all'unità, otteniamo DI d' Z z DI Sh Il 1 —-m= = v = Polesine) (0. O n Ciò mostra che la convergenza di (3) può dedursi da quella di un'altra i n 2 2 } serie che differisce da (3) per avere ppi al posto di 72r+2m-1, € UNa 2n+2m=1 derivazione d'ordine 2x + 1 invece di una d'ordine 22 --3, nel termine generale. Ma è facile a verificarsi la relazione 1 EDO "AIA Per applicazione della formula di Leibniz, se ne deduce a n PS de pYyal Tp Ì sO ds Pu fetta a na DET? ru Il procedimento d'induzione mostra che esiste un valore di v, oltre il quale è sempre giusta la relazione De de Tu s'I(v— 1) RR 9 e, giacchè si può agevolmente stabilire la formula, per v abbastanza grande, 2» I(M)N-0H + MgBr 4 Mg (08); Z1IL5 CsH; Con i composti ossigenati dello zolfo, Moureu non è riuscito ad ottenere dei prodotti ben definiti: reagiscono molto energicamente, e la decomposizione con l'acqua è addirittura violenta con formazione di prodotti solforati molto volatili e di odore sgradevole. Nessun altro caso è stato studiato, a quanto io sappia, con questi com- posti ossigenati dello zolfo od altri, eccetto il solfato di metile ('), il quale con le combinazioni organo-magnesiache miste dà come prodotto principale gli idrocarburi: CH3 SO,(CH3)» + CH3—Mg—I = $S0;(CH;)MgI + i 3 Io ‘allora ho voluto studiare l’azione del cloruro di solforile. Per le sue proprietà di eliminare facilmente cloro, esso poteva darci anzi- tutto l'eliminazione della parte minerale con formazione del sulfone: ; ; CI (0) R X\aZ vi EM SO Vi a 4h Ed gCl, + MgX. 4 SR Poteva avvenire poi che anche l’O pigliasse parte alla reazione, analo- gamente ai composti carbonilici ed arrivare così per ulteriore azione dell’acqua (1) Ber. deusch. chem. Ges. 37. 488. — 71 — all'acido solfinico: Cl..,0 ; C / 7 Lasi aMeC — Mx Meat OMgX OH RR (+ HE _ DRESS, RSC L'esperienza ha dimostrato che è quest’ultima reazione che si compie quasi unicamente. Parte sperimentale. Gr. 32 di monobromobenzolo diluito di circa otto volumi d’etere anidro vengono messi a reagire con gr. 4 di magnesio in trucioli insieme a qualche frammento di iodio in un pallone chiuso con un turacciolo a due fori, per uno dei quali passava la canna di un refrigerante messo a ricadere e per l'altro un imbuto a rubinetto. Dopo che il magnesio si è tutto disciolto, s'immerge il pallone in un miscuglio di ghiaccio e sale, indi servendosi dell’imbuto, si fa cadere a lente goccie gr. 13,7 di cloruro di solforile diluito del doppio suo volume d'etere anidro (!). La reazione fra i due corpi da principio avviene molto vivamente: ogni goccia produce cadendo un sibilo come di ferro rovente immerso nell'acqua con formazione di una sostanza gialla che tosto, agitando, si muta in un olio di colore bruno. Questa trasformazione in seguito diventa sempre più lenta e bisogna agitare per bene per ottenerla. Allorchè tutto il miscuglio è stato introdotto nel pallone, si abbandona per alcune ore alla temperatura ambiente, agitando frequentemente. Non sì nota nessun cambiamento: si ha sempre l'olio sottostante all’etere legger- mente colorato in giallo. Facendo agire il composto organo-metallico sulla soluzione eterea di cloruro di solforile raffreddato con ghiaccio e sale, la reazione non cambia: sì ottiene da principio una sostanza gialla, amorfa, che si deposita al fondo del pallone; dopo però che si è aggiunto quasi la metà della soluzione ete- rea del composto organo-metallico, essa incomincia a trasformarsi nel solito olio, il che viene a dimostrare esattamente la duplice fase della reazione. (*) Il cloruro di solforile reagisce a temperatura ordinaria con l'etere; nelle propor- zioni da me usate però non ottenevo un sensibile riscaldamento che dopo un tempo rela- tivamente lungo. — 172 — In un primo tempo cioè, una molecola di bromuro di magnesio-fenile agisce sul cloruro di solforile eliminando la parte minerale e sostituendo al posto del cloro il radicale idrocarburato con formazione del cloruro del- l'acido benzensolfonico : AC Ù Mei È Mel 0, » sl NGI \GH, Val In un secondo tempo un’altra molecola di composto organo-metallico entra in reazione: il cloro rimasto si elimina sotto forma di clorobenzina, mentre il radicale — MgBr si attacca ad uno degli ossigeni del gruppo SO; : CH, LEONA se Br Nu SE Me < NO OMgBr n Ò NO, Questa duplicità di reazione, mi è stata anche confermata dal composto piridico che ne ho preparato. Quando sull’olio liberato dall’etere primitivo della reazione e lavato con altro etere anidro, si aggiunge della piridina, si forma una sostanza bianco-sporca, amorfa, alterabile all'aria ed insolubile in tutti i solventi neutri. Sottoposto all'analisi però dà dei risultati del tutto discordanti. Se sì separa l'olio dall'etere per mezzo di un imbuto a rubinetto, si avverte fortemente odore di anidride solforosa, non si rapprende col miscuglio frigo- rifero di ghiaccio e sale, ma si forma, anche a temperatura ordinaria, alla superficie una pellicola dovuta evidentemente a parziale decomposizione, pro- vocata dall'umidità. Se si distilla a pressione ridotta, prima ancora che s'incominci a riscal- dare, man mano che si forma la rarefazione si ha un tumultuoso sviluppo di etere e di anidride solforosa e l'olio si rapprende in una massa bianca mu- cillaginosa analoga all’acido fosforoso, per ritornare nuovamente sotto forma di olio appena cessi la rarefazione. Riscaldando a 11 mm. di pressione a bagno di lega ho ottenuto diverse frazioni, che ridistillate convenientemente non mi diedero che della bromo- benzina e del difenile, ed un residuo minerale nel pallone. Azione dell’acqua. — Quando si tratta l'olio con dell’acqua a tempe- ratura ordinaria si ottiene un rapido sviluppo di anidride solforosa, si forma della magnesia, ed acidificando fino a soluzione di questa, precipita al fondo del recipiente pochissimo liquido denso che separato dall'acqua ed abbando- nato all'aria si rapprende dopo alcuni giorni in una sostanza cristallina dal punto di fusione 74°-78°. — 173 — Se si cristallizza ripetutamente dall'alcool acquoso, ho notato che il punto di fusione piuttosto che innalzarsi, va sempre diminuendo fino ad arrivare quasi costantemente a 51°. Per questo fatto che devesi appunto all'ossidazione dell'acido benzensol- finico, come ha dimostrato Otto (*), bisogna operare con molta cautela nella cristallizzazione. A reazione finita si separa la maggior parte dell'etere soprastante all'olio per decantazione e si raffredda il pallone con un miscuglio frigorifero di ghiaccio e sale. Indi servendosi dell’imbuto a rubinetto si fa cadere dell’acqua fortemente raffreddata e si lascia in digestione per circa mezz'ora. Si ottiene così a poco a poco della magnesia e non si sviluppa quasi affatto anidride solforosa. Per disciogliere infine la magnesia, si aggiunge dell'acido cloridrico di- luito e raffreddato, tenendo sempre il pallone immerso nel ghiaccio e sale: si hanno in questo modo due strati: l’uno acquoso, l’altro etereo. Lo strato etereo lasciato all’aria, dopo poco tempo lascia depositare dei bei cristalli lamellari. Lavati ripetutameute con etere e poi cristallizzati, da esso fondono a 89°-84°. Analizzati dopo essiccamento nel vuoto hanno dato i seguenti risultati: Sostanza impiegata gr. 0,2868: CO, gr. 0,5298; H:0 gr. 0,1120. Sostanza impiegata gr. 0,2246: BaS0O, gr. 0,3626. Trovato °/ Calcolato per C5HsS0s (0, 50,98 20,60 H 4,33 4,26 S 22,20 22,55 La combustione venne fatta con un miscuglio di ossido di rame e di cromato di piombo; la determinazione di solfo col metodo Carins La parte acquosa estratta con etere mi fornì nuovo acido benzensolfinico. L'etere primitivo venne trattato con acqua ed acido acetico. Lavato ripetutamente con carbonato sodico e distillato dopo averlo asciu- gato su cloruro di calcio fuso, mi fornì della clorobenzina e del difenile. La presenza del difenile, come ha dimostrato Grignard, si deve nella preparazione del composto organo-metallico, come prodotto secondario che risulta, analogamente a quanto ho detto avanti, dall'unione dei due alchili, agendo cioè sul prodotto organo-magnesiaco formatosi, il resto dell'etere alo- genato che non ha ancora reagito col magnesio: CoHs Mg + C@H;Br = GH-GH, + MgBr, Br? (1) Liebg*s Annalen 145, 817. — 74 — Questa reazione secondaria avviene in modo più sensibile col crescere della complessità della formola dell’alchile. Per azione dell'ioduro di magnesio-etile si ottiene analogamente dell'acido etilsolfinico con rendimenti che variano tra il 55 e 60 °/, della teoria. In definitiva l’azione del cloruro di solforile sulle combinazioni organo- magnesiache si riduce quindi a quella che eserciterebbe l'anidride solforosa. Tale conclusione era necessaria perchè l'anidride solforosa viene assorbita dai zinco-derivati con formazione del sale di zinco dell'acido solfinico. Chimica agraria. — Sopra l’uso della torba per la trasfor- mazione della calciocianamide in composti ammoniacali. Nota di R. PeROTTI, presentata dal Socio KE. PATERNO. Da precedenti esperienze di concimazione con calciocianamide da altri ed anche da me eseguite ('), è sufficientemente messo in chiaro che l'im- piego di questo prodotto industriale dell'aria atmosferica per l'agricoltura è subordinato alla preliminare trasformazione di esso in composti ammoniacali. I risultati fino ad ora ottenuti concordano con quanto è noto intorno alla veneficità dell'azoto unito con triplo legame al carbonio. che d'altra parte offre una notevole resistenza a distaccarsi ed a passare in altro legame facil- mente assimilabile dalle piante, sia per il dispendio di energia che di regola si richiede come per l'impossibilità, a quanto pare, che possa su di esso esercitarsi un’azione specifica microbiologica. Tuttavia è facile osservare come dopo un periodo di tempo, di regola abbastanza lungo, che al terreno è stato aggiunto il concime a base di cal- ciocianamide, la vegetazione che sulle prime aveva subito un'azione oltremodo dannosa, se non letale, riprende il suo sviluppo forse con un certo vantaggio: il che sta ad indicare l'avvenuta spontanea trasformazione del concime stesso. Non essendo però senza rischio l’eseguire una tale diretta somministrazione alle culture da cui si attende un reddito agrario, ho voluto intraprendere uno studio per giungere ad una agevole trasformazione della calciocianamide, la quale eventualmente potesse avere anche un valore industriale, e qui sotto riferisco i migliori risultati che ho fino ad ora ottenuto con l'uso della torba. Nel ricercare il processo della trasformazione mi ha guidato il fatto, già rilevato nel mio citato lavoro, dell'influenza che in esso ha il contenuto umico del suolo così da lasciar supporre che trasportandosi da un mezzo che aveva solo circa il 5°/, di sostanze umide in un altro come la torba che nel mio caso ne conteneva fino l'83,83 °/,, il fenomeno si sarebbe convenientemente (!) Staz. agrarie ital. 1904, vol. XXXVII, fasc. IX, dalla pag. 787 alla pag. 805. — 175 — accelerato. E difatti così accade nell'esperienza da me nel modo seguente disposta : In due grandi Erlenmeyer dal contenuto di 1000 cm? ho posto, dopo averli bene rimescolati, in una gr. 250 di « Kalkstickstoff » e gr. 250 di torba grossolanamente stacciata, nell'altra gr. 125 di « Kalkstickstoff » e gr. 375 della medesima torba, risultandone così in un caso il miscuglio al 50°, nell'altro al 25 °/, del concime suddetto. Ad ambedue i recipienti ho poi aggiunto tanta acqua marcia quanta poteva esserne assorbita, e cioè cm? 300 in ciascuno lasciando con essa macerare i miscugli. In tali condizioni la calciocianamide subisce una relativamente rapida idrolisi senza che si verifichino perdite tali da elevare il prezzo unitario del- l'azoto residuo. Ho seguito l'andamento di questa idrolisi comparativamente nei due miscugli, operando titolazioni periodiche della calciocianamide su piccoli pre- levamenti della massa del concime in via di trasformazione nel seguente modo: Dopo un accurato rimescolamento del miscuglio ho preso un determinato peso di esso dividendolo in due parti: in una vi ho determinato l’acqua essic- candola in stufa a 110° C fino a costanza di peso, nell'altra la calciocianamide facendola digerire a freddo per 24h. in una nota quantità di acqua distil- lata, poi filtrando e precipitando la cianamide argentica con una soluzione DI di Ag NO; ammoniacale ('). La determinazione dell'acqua mi occorreva per riferire i risultati al peso secco dei miscugli. Il « Kalkstickstoff » impiegato conteneva: Azoto totale 15,400 Calciocianamide = 9,35% La torba proveniente dalle bonifiche Ferraresi: Azoto totale 191895 Sostanze uniche = 83,83 °/ In base a questi dati analitici i due miscugli al principio dell'espe- rienza risultavano della seguente composizione calcolata: Miscuglio al 50 °/,. Miscuglio al 25 °/. Kialkstiekstoff .\.-.. gr. 250 | Kalkstickstoffl. 0... gr. 125 [epr oa e i 260r e Torba: | MESE 0! cena oviim01875 En eg eee E di 0419000 Humus. ARM. 0 162:8610/% Calciocianamide. . . . 4,67% | Calciocianamide. . . . 2,93°/% Azononitora CRAS 8851 Azoto totale dt 10 4,8105 L'impianto fu eseguito il 4 novembre 1904. (1) Rendic. Soc. chimica di Roma, vol. II, n. 19, 1904, RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 22 e—_____________________________________________—_——_—_—=5>==<=<<«“«=“==«=<*=*=*+=="=F=>F"===<<«== — 176 — I risultati delle periodiche determinazioni eseguite sui prelevamenti dei miscugli sono stati i seguenti: Miscuglio al 25 Yo | Miscuglio al 50 °|, DETERMINAZIONI DELL'ACQUA | DETERMINAZIONI DELLA C.CIANAMIDE Prele- 7 3 ? 1 Digeriti| H20 |AgNOsz DATA vamento |Essiccati] Perdita | Residuo | Acqua s e N/100 ; a Mus pre- CN2 Ca 0/0 a 110 {in peso | secco olo acqua | piegata | cipitato gr. gr. gr. gr. gr. gr. em3 em8 7 novembre 1904 | 13,86 | 5,04| 3,28| 1,76 cari 8,32| 100 | 145,9 2,03 21 novembre 1904 | 15,57 DAN M8L16) 1906700046 50 | 138,2 1,38 18 dicembre 1904 | 22,52 | 7,52) 4,69) 2,83|62,371| 15,00) 100 | 116,0 0,82 14 gennaio 1905 | 35,50 | 17,75) 10,98| 6,77 di 17,75 50 77,5 0,45 8 novembre 1904 | 15,91 4,53 2,80|. 1,73 ||6584|.11,38|,100 | mon {Tracce indetermi: apprez- | nabili svelate da zabile un leggero color giallognolo del liquido. 23 novembre 1904 9,67| — -- _ — 9,67 90 | id sensibili. Da questi apparisce manifesto che una proporzione notevole della ciana- mide di calcio mescolata alla torba subisce una pronta trasformazione, in modo che se la sua percentuale nel miscuglio si aggira intorno al 2,5 si può dire ch'essa scompaia immediatamente. Quando al contrario la percen- tuale è superiore, la scomposizione oltre il 2,5 °/ della calciocianamide pro- segue graduale, continua e neppure troppo lentamente. E che il risultato ottenuto sia completo ed interamente sicuro per la pratica applicazione, ho voluto provarlo con il mezzo più sensibile della reazione fisiologica. È noto per i miei surricordati lavori che la presenza di tracce anche minime di calciocianamide dà luogo nella pianta in via di sviluppo, quando abbia potuto seguirne la germinazione, a dei fenomeni patologici che pur non essendo specifici di una determinata affezione, come accade in patologia vege- tale, attestano sempre dell’esistenza della medesima. Tra essi ho indicato, oltre la mancata germinazione, il contorcimento ed il nanismo delle giovani piantine per relativamente forti dosi di calciocianamide ed il disseccamento progressivo verso la base dell'apice fogliare per dosi anche tenuissime. Or bene, in due piccoli vasi dal diametro di 12 cm. versai gr. 500 di terra magra e rispettivamente in ciascuno gr. 10 dei due miscugli con cui aveva sperimentato, seminadovi in contatto del concime a 3 cm. di profon- dità 5 cariossidi di frumento: ciò il 25 novembre 1904. Mentre nel vaso con il miscuglio al 50 °/, seguì solo l' 80 °/, della germinazione e si palesò il disseccamento dell’apice fogliare negli individui germinati, nell'altro vaso con il miscuglio al 25 °/, lo sviluppo fu assolutamente normale. Tracce anche meno PTC e 2 PE a Ara — 177. —- Ad esperienze finite, analizzati nuovamente i due miscugli, che in origine avevano l'uno 8,35 °/,, l’altro 4,81 °/, di azoto totale, trovai rispettivamente il 7,88 ed il 4,74°/,, ciò che corrisponde ad una perdita nel primo caso del 0,47, nell'altro del 0,07 °/, di azoto. Che un così semplice processo di trasformazione della calciocianamide in composti ammoniacali possa avere la sua pratica applicazione sul luogo per opera degli agricoltori medesimi, eseguendosi la macerazione in specie di vasche a pareti impermeabili con miscugli nelle proporzioni volute dalla presente esperienza e basate sulla percentuale in CN,Ca ed in humus, mi sembra indubitato. Che poi il processo possa anche avere un'applicazione industriale nel senso che per mezzo di esso riesca possibile di mettere in commercio il prodotto anzichè sotto forma inassimilabile e venefica per le piante, in forma di composti ammoniacali, comprimendo allo scopo il miscuglio, dopo lasciatolo macerare, ed impiegando l’acque ammoniacali che ne derivano per la trasformazione di una seconda partita, e quelle di questa per una terza, e così via fino ad ottenere un miscuglio arricchito in azoto tanto quanto lo comporti il potere assorbente della torba e compensi le aumentate spese di trasporto, sarà quel che interesserà di stabilire alle società produttrici. Ad ogni modo a me sembra che, per il fatto della decomposizione della calciocianamide, per l'assorbimento dei prodotti ammoniacali da parte della torba, per l'utilizzazione dei vari componenti e specialmente dell’azoto che questa stessa contiene reso meno inerte dal processo di macerazione, l’esposto metodo debba riuscire sommamente giovevole. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle del Corrispondente Pascat, dei Soci stranieri CnHauveaU, DE LaAPPARENT, LanGLEY, Lockyver, PrLueGER e del prof. De-Toni; il vol. 13° delle Opere complete di Laplace; il fasc. 28° contenente i Risul- tati delle campagne scientifiche del Principe di Monaco. Lo stesso SEGRE- TARIO presenta inoltre varie Memorie a stampa del prof. J. BENETTI, e la pubblicazione: Beziehungen des du Bois-Reymondschen Mittelwertsatzes zur Ovaltheorie del dott. H. BRUNN, e ne discorre. Il Presidente BLAsSERNA fa particolare menzione di sei volumi conte- nenti una raccolta quasi completa dei lavori del Socio straniero A. CoRNU, inviati in dono dalla vedova del Socio stesso. Presenta inoltre, dandone no- tizia, il primo volume, offerto in dono dal Socio Mosso, in cui trovansi riu- niti i lavori eseguiti durante il 1903, nel laboratorio scientifico internazio- nale del Monte Rosa. —_178 — Il Segretario GRASSI presenta, a nome dell'autore prof. DE GIOVANNI, l’opera: Commentarii di Clinica medica desunti dalla Morfologia del corpo umano, e ne parla. CORRISPONDENZA Il Segretario CERRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Scuola Navale di Genova; l'Accademia delle scienze di Nuova York; l'Accademia di scienze naturali di Filadelfia; la Società zoologica di Tokyo; la Società geologica di Sydney; il Museo di storia naturale di Am- burgo; il R. istituto geodetico di Potsdam; l'Osservatorio di San Fernando. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 febbraio 1905. Alberto di Monaco. — Résultats des campagnes scientifiques accomplies sur son yacht. Fasc. XXVIII. Méduses provenant des campagnes des yachts « Hirondelle » et « Princesse-Alice », par Otto Maas. Monaco, 1904. Association International of Academies. Second general assembly held in London, May 25-27 1904. (Report of Proceedings). London, 1904. Bassani F. — Gaetano Tenore. 1904. Brunn He. — Beziehungen des Du Bois-Reymondschen Mittelwertsatzes zur Ovaltheorie. Berlin, 1905. Chauveau A. — L'énergie dépensée par le travail intérieur des muscles dans leurs divers modes de contraction. Paris, 1904. Id. — « Animal thermostat ». 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Bondy R. — Ueber Gesetzmàssigkeiten bei der Entstehung und Umwand- lung acylierter Amidoderivate und Hydrazone von Phenolen und aroma- tischen Oxyaldehyden. Greifswald, 1903. 8°. Bremer J. — Ueber Spontanfracturen und Knochenmetastasen maligner Strumae suprarenales aberratae. Greifswald, 1904. 8°. Birger O. — Ueber Isomerien bei acetylierten Phenylhydrazonen aromati- scher Oxyaldehyde. Greifswald, 1904. 8°. Cammin O. — Ueber die therapeutische Verwendung gestielter Bindehautlap- pen. Greifswald, 1904. 8°. Davis E. — Die geometrische Addition der Stibe in der hyperbolischen Geometrie. Greifswald, 1904. 8°. Doepper H. — Die kinstliche Unterbrechung der Schwangerschaft an der Greifswalder Frauenklinick 1885-1903. Greifswald, 1904. 8°. Elbert J. — Die Entwicklung des Bodenreliefs von Vorpommern und Riigen, sowie den angrennzenden Gebieten der Uckermark und Mecklenburgs wéihrend der letzten diluvialen Vereisung. Greifswald, 1903. 8°. Eras J. G. — Die Dauer der III. Geburtsperiode. Greifswald, 1903. 8°. Franck O. — Weitere Erfahrungen uber die Behandlung der perforierenden, infizierten Augapfelverletzungen mit hohen Quecksilbergaben. Hamburg, 1904. 8°. Freytag M. — Ueber ein ungenwohnlich grosses « Osteom » eines Sesanbeims am Daumen traumatischen Ursprungs. Greifswald, 1904. 8°. Germer P. — Zwei congenitale Tumoren des Vorderarmes. Greifswald, 1904. 8°. Giesebrecht A. — Ueber Erblindung auch des zweiten Auges bei Aderhauf- sarcom. Greifswald, 1904. 8°. Haase G. — Kasuistik des Schuchardt-Schnittes. Greifswald, 1904. 8°. — 181 — Hausmann A. — Hernia muscularis des Musculus tensor fasciae latae. Greifswald, 1904. 8°. Heiler A. — Ueber den Schwund der Harnblase durch tuberkulòse Geschwiire. Greifswald, 1903, 8°. Hellwig A. — Aneurysmen der Arteria tibialis anterior. Greifswald, 1904. 8°. Heymann A. — Ein Beitrag zur Radikaloperationen der Hydroazele testis mittelst Tunica-Reffung. Greifswald, 1904. 8°. Heymann R. — Ueber einen Fall von sog. Pseudolebercirrhose, Leberschwel- lung und Ascites ohne Oedem der Beine hei Verwachsung des Herrbeutels. Greifswald, 1904. 8°. Hochheim H. — Zur Casuistik der doppelseitigen congenitalen Choanalatre- sien. Greifswald, 1903. 8°. Huwe J. — Ueber ein Lipo-Fibro-Myosarcoma retroperitoneale. Greifswald, 1904. 8°. Joppich 0. — Ueber einen Fall von primàren Angeosarkom des Rilckenmarks. Greifswald, 1903. 8°. Kaminski B. — Ein Beitrag zur syphilitischen Darmstenose. Greifswald, 1904. 8°. Kiessling M. — Ueber den Einfluss kòrperlicher Arbeit auf den Blutdruck. Greifswald, 1903. 8°, Kips C. — Ueber Kondensationsprodukte von Dibrom-p-oxypseudocumylbro- mid und anderen Pseudophenolen mit organischen Basen. Greifswald, li9034n89: Kobylinski A. — Ueber primire Sarkome in der Lunge. Greifswald, 1904. 8°. Koritkowski B. — Vier Falle von Chorea gravidarum. Greifswald, 1904. 8°. Kuhlo K. G.— Ein Neuer Fall von cavernòsem Aderhaut-Angiom. Greifswald, 1904. 8°. Kunze G. — Ueber die Haufigkeit des Vorkommens der puerperalen Mastitis and der Greifsw. Frauenklinik in den Jahren 1883-1903. Greifswald, 1903. 8°. Laufer A. — Spontangangrin des Vorderarmes. 4) durch Muskelsarkom, 5) durch Kompression. Greifswald, 1904. 8°. Lipski J. — Ueber Thiophenochinone. Ein Beitrag zur Konstitution der Phenochinone. Greifswald, 1904. 8°. Lòwe R. — Statistiches und Klinisches zur Kenntnis der Actinomycose des Wurmfortsatzes und des Coecums. Greifswald, 1904. 8°. Ludewig Ch. — Ein Beitrag zur Kasuistik der Osteomyelitis des Kreuz- beins. Greifswald, 1904. 8°. Majo (M. d.). — Ueber Sulfone der cyklischen Ketone. Greifswald, 1904. 8°. Martin E. — Ein Lithokelyphos. Greifswald, 1904. 8°. Meissner C. — Die Chondrome der Finger. Greifswald, 1904. 8°. Meyer G. — Die Behandlung der Oberschenkelbriche mit frihzeitigen Be- wegungen. Greifswald, 1904. 8°. — 182 — Miller H. — Die Leitung der Geburt in der Greifswalder Kònigl. Univer- titàts-Frauenklinik im Jahre 1903. Greifswald, 1903. 8°. Mummert R. — Beitrag zur Aetiologie der Blutungen in Pons und Kleinhirn. Greifswald, 1904. 8°. Noesske P. — Geburtshilfliche Zerstiicklungsoperationen an der Hand von Fallen aus der Greifswalder Frauenklinik. Greifswald, 1904. 8°. Otto H. — Historische und kritische Darstellung unserer Kenntnis von den parametritischen Abscesses. Greifswald, 1904. 8°. Pentrup W. — Die Statistik der Talma'schen Operation. Greifswald, 1903. 8°. Pingel E. — Zur Behandlung des Plattfusses. Greifswald, 1903. 8°. Randow (A. v.) — Der Einfluss der Schutzpockenimpfung auf Schwangere, Wochnerinnen Neugeborene und Kranke. Greifswald, 1904. 8°. Rasch F. — Ueber Fremdkéòrpereinkeilung im Pylorus, insbesondere iber die Moglichkeit, dem Fremdkòrper durch die Bauchwand zu palpieren und durch Magenfillung zu mobilisieren. Greifswald, 1904. 8°. Reimann 0. — Untersuchungen iber Tuberkulose der Gaumentonsillen. Greifswald, 1904. 8°. Retzlaff O. — Ueber Carcinome des Nierenbeckens. Greifswald, 1904. 8°. Rohde E. — Ueber Krebse im jugendlichen Alter. Greifswald, 1904. 8°. Rosenberg J. — Ueber Aneurysmen der Gehirnarterien. Greifswald, 1904. 8°. Riichel H. — Beitrag zur Kenntnis des Verhaltens der Leucocyten bei der Blutgerinnung. Greifswald, 1903. 8°. Rumpen J. — Beitràge zur chirurgischen Behandlung und Heilungsstatistik von Bauchverletzungen. Greifswald, 1903. 8°. Sawatzki M. — Beitrag zur Rectoperineoplastik. Greifswald, 1904. 8°. Schnitgen R. — Onychographische Studien. Greifswald, 1903. 8°. Schrenk A. — Ueber Kondensationsprodukte von Dibrom-p-oxymesitylbromid und anderen Pseudophenolen mit organischen Basen. Greifswald, 1903. 8°. Schroeder H. — Die Operationserfolge bei angeborenem Star. Greifswald, 190380: Schròter 0. — Ueber Pseudophenole aus p-Oxytriphenylcarbinol, Salicylal- dehyd und o-Nitrophenol, sowie einige ihrer Umwandelungsprodukte. Greifswald, 1904. 8°. Siegel P. — Die Ehrlichsche Diazoreaction und die Gruber-Widalsche Ag- glutinationsprobe in ihrer Bedeutung bei Typhus abdominalis. Greifs- wald, 1904. 8°. Stappenbeck M. — Ueber die Geschosswirkung kleinkalibriger Mantelge- schosse. Greifswald, 1904. 8°. Steimann H. — Ein Beitrag zur Kasuistik der Oberkieferbriiche. Greifswald, 1904. 8°. Teller R. — Beitrige zur Kenntnis der Retroperitonealtumoren. Greifswald, 1904. 8. — 183 — Thiele JI. — Ueber die Ursachen der Spontangangiàn der Extremitàten. Greifswald, 1904. 8°. Tscharno J.-S. — Ueber das Verhalten von ungesattigten Kohlenwasser- stoffen. Greifswald, 1904. 8°. Weber A. — Klinische Untersuchungen iber febrile Albuminurie. Greifs- wald, 1904. 8°. Wermer S. — Ueber schwefelhaltige Derivate ungestttigter Ketone. Greifs- wald, 1903. 8°. Wex H. — Zur Kasuistik der Papillitis lingualis (Duplaix) und der Glos- sitis exfoliativa chronica (Mollersche Glossitis). Greifswald, 1904. 8°. Wiistenberg W. — Die Ovariotomie an der Greifswalder Universitàts- Frauenklinik vom 1. April 1899 bis 15 November 1903. Greifswald, 1903. 8°. Zauleck M. — Leberabscesse bei Blinddarmentzindung. Greifswald, 1904. 8°. Zimmermann W. — Beitrige zur Aetiologie und pathologischen Anatomie der Perimetritis. Greifswald, 1904. 8°. Zschech B. — Versuche iber die Entstehung von Hautalterationen und Gly- kosurie bei der Sibkutanen Anvendung der Nebennierenpraparate. Greifs- wald, 1904. 8°. II. — RosTocx. Albrecht E. — Ueber Diabetes insipidus. Rostock, 1904. 8°. Aletter F.— Die Ionenkonzentrationen ternirer Elektrolyte. Rostock, 1904. 8°. Bachner L. — Ueber die Kondensation des Phenoxyacetaldehyds mit Ben- zaldehyd, Furfurol und Acetaldehyd. Rostock, 1903. 8°. Bender F. — Ueber ein Phenylketon des 1-Phenyl-3-Methyl-5-Chlorpyrazols sowie iber ein Bipyrazol und dessen Derivate. Rostock, 1903. 8°. Berlin H. — Ueber intraoculare Galvanokaustik. Rostock, 1903. 8°. Bernstein A. — Einwirkung von Chloriden des Phosphors auf einige sub- stituierte Phenole. Rostock, 1903. 8°. Besson A. — Ueber das Thiometylpyrazol und dessen Homologen. Rostock, 1903. 8°. Beyer B. — Ueber die Beziehungen zwischen Pseudoleukimie und Lym- phosarkom, auf Grund von anatomischen Untersuchungen. Schònberg, 1904. 8°. Bischoff W. — Zum klinischen Verhalten des Magenskirrhus. Rostock, 1903. 8°. Blanckmeister M. — Ueber die Hamilton'sche Funktion als Grundlage der geometrischen Abbildungstheorie insbesondere iber die Herleitung der allgemeinsten Bedingung der aberrationsfreten Abbildung von Punkt- paaren. Rostock, 1904. 8°. RenpicontI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 23 — 184 — Bohem G. — Beitrige zur vergleichenden Histologie des Pankreas. Rostock, SAMasMo0: Brandenburg C. — Zur Kenntnis der Hydrocele bilocularis abdominalis. Rostock, 1904. 8°. Brandenburg E. — Die Wirkung des lackfarbenen Blutes auf das isolierte Froschherz. Rostock, 1904. 8°. Brodersen J. — Die Verinderungen der Niere nach zweistùndiger Unter- bindung der Arteria renalis als Folgen einer veriànderten Durchstròmung des Gefàsses. Rostock, 1904. 8°. Bruckner E. L. — Zur Pseudologia phantastica. Rostock, 1903. 8°. Brust E. — Ueber die Einwirkung von Ammoniak, sowie von primiren und secundàren aliphatischen Aminen auf das Chlormethylat des 1-Phenyl- 3- Methyl-5-Chlorpyrazols und einige Homologe desselben. Rostock, 1903. 8°. Carlau O. — Ein Beitrag zur Kenntnis der Leberverinderungen durch Gifte. Rostock, 1903. 8°. Coulon L. — Zur Kenntnis der Polyneuritis. Rostock, 1903. 8°. Czigler (1. W. v.) — Die Behandlung der Melaena neonatorum und ana- loger Blutungen mit Hydrastinin. Rostock, 1903. 8°. Dempwolff C. — Ueber die Wanderung der Jonen im Methylalkohol als Lòsungsmittel. Rostock, 1903. 8°. Donath P. — Ueber u-a-N-Imidazole und einige Derivate. Rostock, 1904. 8°. Dragendorff 0. — Experimentelle Untersuchungen iber Regenerationsvor- ginge am Auge und an der Linse bei Hiihnerembryonen. Rostock, L90398 Duntze E. — Ueber Selenopyrine und deren Pseudoderivate. Rostock, 1903. 8°. Ehrle A. — Ueber die Einwirkung des Natriumathylats auf Bromide des Isosafrols und gebromte Isosafrole. Rostock, 1904. 8°. Geinite E. — Die Entwicklung der mecklenburgischen Geologie. Gustrow, 1904. 8°. Goerlich R. — Ueber das 1-Phenetyl 3-Methyl-5 Chlorpyrazol und einige Derivate desselben. Rostock, 1903. 8°. Gritering P. — Zur Symptomatologie und Diagnostik des Aortenaneurysma. Rostock, 1903. 8°. Gitschow O. — Zur Kenntnis der weiblichen Epispadie. Rostock, 1904. 8°. Harm C. — Ein Fall von Sklerodermia diffusa et circumscripta mit Skle- rodaktylie bei einem neunjàhrigen Midchen. Neustrelitz, 1903. 8°. Heidecke P. — Untersuchungen iber die ersten Embryonalstadien von Gam- marus locusta. Jena, 1903. 8°. Hermann P. — Ueber Anglesit von Monteponi. Leipzig, 1904. 8°. Heyden R. — Das Chlorom. Wiesbaden, 1904. 8°. Hiller R. — Die Absorptionsstreifen des Blutes und seiner Derivate im ul- traviolett. Rostock, 1904. 8°. — 189 — Hohmann Ch. — Zur Kenntnis des p-Oxy-m-nitrobenzylchlorids. Rostock, 1903. 8°. Hof? J. — Einige Versuche iber die Anwendung kalkhaltiger Salzlosungen zur Infusion. Rostock, 1904. 8°. Huth E. VP. — Ueber Entmagnetisierune durch schnelle elektrische Schwin- gungen und ihre Verwerdung zur Messung elektromagnetischer Strahlung. Rostock, 1904. 4°. Jkeda E. — Hydroa vacciniformis (Bazin). Rostock, 1904. 8°. Jirss F. — Beitrige zur Kenntnis der Wirkung des Oleum Thujae aethe- reum. Rostock, 1903. 4°. Kablitz R. — Ein Beitrag zur Frage der Epidermolysis bullosa traumatica (hereditaria et acquisita). Rostock, 1904. 8°. Kaute L. — Ueber das 1-p-Tolyl-2, 3-dimethy1-2, 5-thiopyrazol oder Tolyl- Thiopyrin. Rostock, 1903. 8°. Kemnitz P. 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Kohlhase F. — Beitrag zur operativen Behandlung der habituellen Schul- tergelenkslusation. Rostock, 1904. 8°. Kohlrausch F. — Untersuchungen ùberinnere Warmeleitung und elektrisches Leitvermògen von Flissigkeiten. Rostock, 1904. 8°. Kopsel A. — Ueber die Genauigkeit der Lingen- und Winkelmessungen in Stàdten. Rostock, 1904. 8°. Kossow F. — Zur Scheitelpunktsbestimmung des Paraboloids. Rostock, 1902. 8°. Krause E. — Ueber Hornhauterosionen und ihre Folgen. Rostock, 1903. 8°. Kuhn G. — Ueber die Entwicklung des Herzens der Ascidien. Leipzig, 1903. 8°. — 180 — Lassahn K. — Ueber eine grosse einkammerige Cyste des Mediastinum. Rostock, 1904. 8°. Lindner F. — Beitràge zur Kenntnis der Phenmorpholinderivate. Rostock, LO02A880 Martiny E. — Wirkung magnetischer Querkràfte auf einen Gleichstrom- lichtbogen mit gradliniger Strombahn. Rostock, 1904. 8°. Mara A. — Uceber die Messung von Luftgeschwindigkeiten. Miinchen, 1904. 8°. Mayer C.—- Einwirkung von organischen Sàurechloriden auf 3-und 5-Py- razolone, sowie auf Isoxazolone. Rostock, 1903. 8°. Morinami L. — Beitràge zur Therapie und Diagnostik der Augentuberku- lose. (1. Lufteinblasungen in die vordere Kammer bei Iritis tubercu- losa. 2. Diagnost. Tuberkulininjektionen bei Keratitis parenchymatosa). Rostock, 1903. 8°. Mottek L. — Ueber die Einwirkung von Aethoxylphosphorchlorir auf secun- dire aliphatische Amine. Rostock, 1903. 8°. Miller A. — Ueber Flussigkeitsmembranen. Rostock, 1904. 8°. Nesper E. — Strahlung von Spulen. Rostock, 1904. 4°. Niewerth R. — Die elektrische Leitfihigkeit des Humor aqueus. Rostock, 1904. 8°. Oetker E. — Ueber das 6-Oxymethyl]-Cumarin und seine Umwandlung in einen Alkohol des Cumarons. Rostock, 1904. 8°. Opitz P. — Anwendung der elliptischen Funktionen auf ein Problem aus der Theorie der Rollkurven. Dresden, 1904. 8°. Paepeke H. — Klassifikation der Oberflichen zweiten Grades bei Cauchy, Plicker, Hesse. Rostock, 1904. 8°. Penschke G. — Ueber Sensibilitàtsstorungen der Cornea nach Trauma. Rostock, 1904. 8.° Peters E. — Combination von Phthise und Carcinom. Stralsuld, 1904. 8°. Petri J.— Theorie der aplanatischen Fliche und Versuche, sie auf Flaàchen zweiter Ordnung zu reduzieren. Rostock, 1904. 8°. Pohle R. — Planzengeographische Studien iber die Halbinsel Kanin und das angrenzende Waldgebiet. S. l. et a. 8°. Radeboldt W. — Ueber Einwirkung von Rontgenstrahlen auf Flussspat. Rostock, 1903. 8°. Rademacher 0. — Ueber das Bis-Thiopyrin und das Thio-Antipyrin. Rostock, 1903. 8°. Rahtjen Ph. — Versuche uber die Virulenzschwankungen von Streptokokkus equi mit Bericksichtigung des Alkalescenzgekalts seines Nahrbodens. Rostock, 1904. 8°. Rossmann J. — Ueber die Diathylderivate des Aethylen-, Propylen - und Trimethylendiamins sowie deren Oxydationsprodukte. Rostock, 1904. 8°. — 187 — Roth J. — Ueber subunguale Sarkome. Rostock, 1903. 8°. Ròmer O. — Untersuchungen iber den feineren Bau einiger Muschelschalen. Leipzig, 1903. 8°. Sabbath S. — Zur Kenntnis der Konstitution der Silberammoniakverbin- dungen. Rostock, 1903. 8°. Sarai T. — Untersuchungen iber die Lage der Bogenginge des Labyrin- thes im Schédel und iber die Flissigkeitsverschiebung in den Bogen- gangen bei Kopfbewegungen. Wiesbaden, 1903. 8°. Sehàffer M. — Ueber einige 1-Acylcumarone und die Aufspaltung des Acetylcumarons. Rostock, 1904. 8°. Schucht F. — Beitrag zur Geologie der Wesermarschen. Halle, 1903. 8°. Schirmann K. — Beitriàge zur Kenntnis der. monatlichen Drehung der Winde nach 16 jihrigen Beobachtungen der meteorologischen Stationen in: Wilhelmshaven, Hamburg, Kiel, Berlin, Wustrow, Neufahrwasser, Memel. Rostock, 1903. 8°. Schware H. — Ueber zirkulare und elliptische Polarization von Schwall- wellen. Rostock, 1903. 8°. Seligsohn A. — Ueber congenitale Erkrankungen des rechten Herzens. Rostock, 1904. 8°. Spengemann K£. — Das typische Verhalten und die héaufigsten Varievàten des Musculus extensor digiti V. proprius des Menschen. Rostock, 1903. 8°. Stolsenburg E. — Ueber Thiopyrin. Rostock, 1903. 8°. Straatmann F. — Zur Lehre von der spastischen Spinalparalyse. Rostock, 1903. 8°. Sturm A. — Der spezifische elektrische Widerstand und dessen Tempera- turkoeffizient bei Aluminium-Zink-Legierungen von verschiedenem Mi- schungsverhiltnis. Aachem. S. a. 8°. Tenner Th. — Ueber Phosphorhaltige Derivate des 1- Phenyl - 3 - Methy]l - 5 - Chlorpyrazols. Rostock, 1904. 8°. Tischner R. — Versuch einer Theorie der Phosphor-Intoxication. Rostock, 1904. 8°. Tirk W. — Zur Pathologie Diagnose und Behandlung des Plattfusses nach Erfahrungen aus der Kéniglichen Kirurgischen Universitàts-Poliklinik zu Berlin. Berlin, 1903. 8°. Uller K. — Beitràge zur Theorie der Elektromagnetischen Strahlung. Ro- stock, 1903. 4°. Voigi E. — Ueber elliptische Polarisation bei Interferenz zweier monochro- matischer bipolarer polerisierter Lichtwellensysteme. Rostock, 1904. 8°. Voss W. — Klinisch-statistischer Beitrag zur Frage der sogen.-kaumatischen Lokal-Tuberkulose, speziell der Knochen und Gelenke. Rostock, 1903. 8°. Waterstradi H. — Ueber ultraviolette Strahlung. Rohtock, 1904. 8°. — 188 — Weber O. — Ueber die Einwirkung anorganischer Verbindungen auf das Drehungsvermogen von Dextrose und Livulose. Rohtock, 1904. 8°. Walther H. — Ueber das Methylendithiopyrin und einige Derivate des Me- thylendiantipyrins. Rohtock, 1903. 8°. Weise G. — Atmospharisch-Elektrische Stròome in vertikalen Leitern unter Bericksichtigang meteorologischer Elemente. Sternberg, 1904. 8°. Zepf P. — Ueber die Wirkung von Cephaélinum hydrochloricum und Eme- tinum hydrochloricum auf Menschen. Greifswald, 1903. 8°. Zihlke O. — Dioptrische Abbildung einer Kugel in einem gegebenen Ober- fiichenelement eines Rotationsellipsoides. Rostock, 1903. 8°. III. — TUBINGEN. Bantlin D. — Ueber einen Fall von Lebercirrhose im Kindesalter. Tiibingen, 1903. 8°. Barchet E. — Ueber die Beziehungen zwischen Mischkrystallen und Dop- pelsalzen. Stuttgart, 1904. 8°. Bauer L. — Ueber den Einfluss von Temperatur und Jahreszeit auf den Ausbruch des acuten primiren Glaucomanfalls. Tilbingen, 1903. 8°. Bischoff E. — Experimentelle Untersuchungen iber die Beeinflussung asso- ciativer Vorginge durch die Menstruation. Tiibingen, 1904. 8°. Blumhardt H. — Beitrag zur diàitetischen Behandlung der Epilepsie. Cann- statt, 1904. 8°. Bòllen E. — Ueber Formylbernsteinsiuremethyl-und Aetkylester. Hannover, TI08 SO. Brattmater H. — Ein Beitrag zur Physiologie und Histologie der Verdau- ungsorgane bei Vogeln. Tuùbingen, 1904. 8°. Brauhduser M. — Die Diluvialbildungen der Kirchheimer Gegend. (Wiùrt- temberg). Stuttgart, 1904. 8°. Breyer H. — Ueber die Wirkung verschiedener einatomiger Alkohole auf das Flimmerepithel und die motorische Nervenfaser. S. 1. 1903. 8°. Daiber A. — Zur Kenntuis der pathologischen Schlafzustinde. Tibingen, 1903. 8°. Detglmayr I — Ueber Kondensations-Produkte aus mehrwertigen Phenolen mit substituierten 1,3 - Diketonen. Wiirzburg, 1903. 8°. Dietrich W. — Aelteste Donauschotter auf der Strecke Immendingen-Ulm. Stuttgart, 1904. 8°. Eberhardt E. — Ueber eine Kondensation von Diazobenzolimid mit Malon- sàureester und mit Oxalessigester. Tòbingen, 1903. 8°. Eifert. — Forstliche Sturm-Beobachtungen im Mittelgebirge. Eine Einzel- Studie aus dem nordòstlichen wiùrttembergischen Schwarzwald. Darmstadt, 1903. 8°. — 189 — Frey F. X. — Beitrag zu Casuistik der retrochorioidealen Blutung nach Star- operation. Tilbingen, 1903. 8°. Friedmann H. — Ueber den Befund von Hornperlen und ihre diagnostische Bedeutung. Tibingen, 1903. 8°. Fetzer M. — Ueber die Widerstandsfihigekeit von Klangen, insonderheit von Vocalklingen gegeniber schàdigenden Einflissen. Tilbingen, 1903. 8°. Gaar H. — Ueber die Einwirkung von Cyankalium auf Phtalid bei hòherer Temperatur. Wiirzburg, 1904. 8°. Ganghofer A. — Ueber Mesoxalsiurephenylydrazon und Derivate desselben, hergestellt aus Diazobenzolchlorid und Malonsàureester. Augsburg, °° IDOSRTES, Gockeler F. — Weitere vier Fiîlle von praeretinaler Blutung. Tibingen, 1904. 8°. Goetjes H. — Beitràge zur Frage der Leukocytose bei Perityphlitis. Min- chen, 1903. 8°. Groschopf K. E.— Ein Beitrag zur Histogenese der Nebenhodentuberkulose. Tibingen, 1903. 8°. Ginzler H. — Ueber direkte Verletzung des Opticus durch Querschisse der Orbita. Tilbingen, 1904. 8°. Haack W. — Ueber Mundéhlendrisen bei Petromyzonten. Leipzig, 1903. 8°. Hafner B.— Binige Beitràge zur Kenntnis des Invertins der Hefe. Wirzbusg, 1903. 8°. Hamlyn-Harris R. — Die Statocysten der Cephalopoden. Jena, 1903. 8°. Hartmann F. — Weitere Mitteilungen iber Bindehauttransplantation. Tù- bingen, 1904. 8°. Hirschkowitz P. — Zur Frage iber die Natur der Grundsubstanz in den Exsudanten bei Bronchitis fibrinosa und deren Beziehungen zur Lungen- tuberkulose. Wiirzburg, 1904. 8°. Hoffmann C. — Zur Kasuistik der indirekten Verletzungen des Sehnerven. Tibingen, 1904. 8°. Kappis A. — Die Aneurismen der Arteria occipitalis. Tiùbingen, 1903. 8°. Koch A. — Ueber die aus dem griinen Chromehlorid- (Bromid)Hydrat durch silbersalze fallbaren Chlormengen. Leipzig, 1904. 8°. Koch B. — Ueber die Einwirkung von Phtalylchlorid auf. Benzoylaceton und iber die Iondensation von Phtalylbenzoylaceton mit Resorcin. Wirzburg, 1903. 8°. Kunsemiiller FP. — Zur Kentniss der polycephalen Blasenwirmer, insbeson- dere des Coenurus cerebralis Pandolphi und des Coenurus serialis Gervais. Jena, 1903. 8°. Leopoli G. — Kasuistischer Beitrag zur Kenntnis des Herpes- zoster ophthal- micus. Tibingen, 1904. 8°. Leipffert 0. — Ueber das Hygrom der Bursa trochanterica profunda. Tiibin- gen, 1903. 8°. — 190 — Leube M. — Ueber den Einfluss autolytischer Organprodukte auf die Blut- gerinnung. Tibingen, 1904, 8°. Lonhard E. — Bericht iber die Wirksamkeit der Universitats - Augen- klinik in Tùbingen, in der Zeit vom 1. Januar bis zum 31. Dezember 1903. Tibingen, 1904. 8°. Oehler J. — Ueber die Hauttemperatur des gesunden Menschen. Naumburg, 1904. 8°. Pfeiffer W. — Weitere Beobachtungen iber die haemolytische Fahigkeit des Peptonblutes. Leipzig, 1903. 8°. Mock E. — Beitrag zur Kasuistik der Stauungspapille. Tibingen, 1904. 8°. Metzger H. — Ueber multiple Darmdivertikel. Tilbingen, 1903. 8°. Meyer W. — Ein Fall von Cilynderepithelcarcinom des Oesaphagus. Tù- bingen, 1903. 8°. Miller K. — Ueber die Aciditatsdifferenz mehrbasischer Carbonsàuren. Tiù- bingen, 1903. 8°. Neumann H. — Ein Beitrag zur Kenntnis des induzierten Izreseins. Tiibin- gen, 1904. 8°. Ney W. — Ueber den Zusammenhang von Farbe und Konstitution bei tautomeren Verbindungen untersucht an den Fluorenoxals&ureestern. Wirzburg, 1903. 8°. Nottbohm E. — Ueber Kondensations-Produckte aus Oxalsiureester mit P-Amidoacetophenon und Abkòimmlingen desselben. Wirzburg, 1903. 8°. Rapp C. — Zur Casuistik der direkten Verletzungen 'des Sehnerven in der Augenhéhle. Tiùbingen, 1903. 8°. Reich A. — Ueber Leukocytenzahlungen und deren Verwertbarkeit bei chi- rurgischen Affektionen. Tubingen, 1904. 8°. Reinòhl F. — Die Variation im Andréceum der Stellarie media Cyr. S. L, J:9.03E808 Reichter J. — Ueber die habituelle Adhirenz der Placenta. Tibingen, 1904. 8°. Riess G. — Ueber das 3. 5-Dimethoxy-benzoylacetophenon und ùber Chinoide Abkommlinge des 1. 4-Benzopyranols. Tiùbingen, 1903. 8°. Ròmer H. — Ueber die histologischen Initialverinderungen bei Lungen- phthise und ihre Verwertung fir die Theorie des Infektionsweges. Tù- bingen, 1904. 8°. Sautermeister C. — Condensation mehrwertiger Phenole mit 2. 4. Diaethoxy- benzoylaceton zu 1. 4. Benzopyranolen und Synthese des Resaceteîns. Tibingen, 1904. 8°. Schairer G. — Ein Fall von Schleimgeriistkrebs dar Glandula submaxillaris. Tibingen, 1903. 8°. Schlipmann E. — Zwei Falle von pulsierenden Exophthalmus geheilt durch Unterbindung der Carotis communis. Tibingen, 1904. 8°. — 10 — Sehmidhduser F. — Retinitis pigmentosa und Glaucom. Tiibingen, 1904. 8°. Seibold W. — Anatomie von Vitrella Quenstedtii (Wiedersheim) Clessin. Stuttgart, 1904. 8°. | Steber H. — Ueber die Drainage der Beckenbauchhòhle auf Grund von 315 dieshezigl. Fallen aus der Frauenklinik Tiùbingen. Tuùbingen, 1903. 8°. Staht H. — Zwei neue Desmotropiefàlle in der Triazolreihe. Stuttgart. 1904. 8°. Stutzer 0. — Geologie der Umgegend von Gundelsheim am Nekar. Kònigs- berg, 1904. 8°. Taute M. — Ueber todliche Blutungen im Gefolge der Tracheotomie. Tii- bingen, 1903. 8°. Veiel E. — Ueber Beziehung zwischen Motilitàtsstorungen des Darm und des Magens. Tiilbingen, 1904. 8°. Werfer A. — Kritische Zusammenstellung der in den Jahren 1897-1902 in der Tibinger Poliklinik zur Behandlung gekommenen Fille von croupàser Pneumonie. Tibingen, 1904. 8°. Wetzel A. — Ein Beitrag zur Frage des toxischen Eiweisszerfalls beim Car- cinom. T'ibingen, 1904. 8°. Zohn E. — Ueber die hereditàren Verhiltnisse bei Buphthalmus. Tibingen, 1904. 8°. Zeller E. — Ueber primire Tuberkulose der quergestreiften Muskeln. Tiù- bingen, 1903. 8°. Zoeppritz B. — Ueber die Resultate der Exstirpation des tuberkulòsen Sehnen- scheidenhygroms der Hand. Tibingen, 1903. 8°. MEI, i [O dì Di EA 0 I Publicazioni della R. Accademia del Lincsi. Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIIT. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, - storiche e filologiche. MoliVeve VIE SVIESVTIDE Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). Memorie della Classe di scienze. fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — DE-XIX. Memoria della Classe di scienze. morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpicontI Vol. I-VII. (1884-91). Memorie della. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5% — RENDICO)NTI della Classe di scienze fistche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fasc 82 RENDICONTI della Clusse di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. (1892-1904). Fase. 19-89. MemoRIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. Vol. V. Fasc. 3°. MemorIE della Classe di screnze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche | e naturali della R. Accademia dei Limeei si pubblicano due | volte ai mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta lItaha di L. f1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti .editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — ftoma, Torino e: Firenze. ULrIco HoepLi. — Milano, ‘isa e Napoli. RENDICONTI — Febbraio 1905. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 febbraio 1905. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Volterra. Un teorema sulla teoria della elibficità BE Que . Pag. Millosevich. Osservazioni del nuovo pianetimo PS 1905 fatte Me di 89. CIO ORO Mosso. I. Dimostrazione dei centri respiratorî spinali per mezzo dell’acapnia. — II. Diffe- renze individuali nella resistenza alla pressione parziale dell'ossigeno. — III. Depressione barometrica e pressione parziale del CO3 nell'aria respirata. -— IV. La pressione del sangue nell’aria rarefatta (#). . . i SU) Nasini, Anderlini e Levi. Stadi Long radioattività dei soffioni bisi della FOR, e sulla quantità di emanazione in essi contenuta (*) . . . .. RIMA e Orlando. Sopra alcune funzioni ausiliari (pres. dal Corrisp. Mari Suite vito o Levi-Cwvita. Sulla ricerca di soluzioni particolari dei sistemi differenziali a dal Socio Valter ET A Cipolla. Sul numero dei punti di Weibrclil fra f.co dista cl una curva ib di ge- nere v. (pres. dal'‘Socio Bertin?) (8). VM. RI Artom. Sopra un nuovo sistema di televrafia senza filo . . ... » UChistoni. Risultati pireliometrici ottenuti coll’attinometro di Violle ia anni 1900. e 1901 al R. Osservatorio Geofisico di Modena (pres. dal Socio Blaserza) . . . RIdit SD lraina. Sull'Anglesite dei a metalliferi della Provincia di Messina res dal Socio STUCCO Mr ARRONE ARIA Bruni e Tornani. Sui picrati e su altri ti fe. di composti non io (pres. dal Socio Giamician). . 0.0 ì ” Plancher e Caravaggi. Sulla imeformbricni dal pinoli in indoli. Sintesi del Ba 1-4dimeti- Tin dolos(presi/4) ea 30 8 ; : Ea o) Id. e Carrasco. Sull’azione del elorofa@ti o -B- di e De ire del pirrolo ‘in piridina (pres. /d.). Sa... I AI AIROLA Id. e Ravenna. Sull’ossìidazione del pitrolo ad immide nale i 14) O. NATA DRS Giolitti e Agamennone. Sui fluoruri dell’ Uranio tetravalente (pres. dal Socio Paternò) . » Id. Sulla basicità normale dei perjodati alcalini (pres. 0) ©)... 00 Rio. Oddo. Azione del cloruro di solforile sulle combinazioni organo-magnesiache miste qui Id)» Perotti. Sopra l’uso della torba per la trasformazione della calciocianamide in composti am- moniacali (pres: 4) 1% 080 0A RO ERO) PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono; segnalando quelle del Corri- spondente Pascal, dei Soci stranieri Chauveau, De Lapparent, Langley, Lockyer, Pflueger e del prof. De- Toni; il vol. 13° delle « Opere complete di Laplace»; il fasc. 28° conte- nente i « Risultati delle campagne scientifiche » del Principe di Monaco. Presenta inoltre varie Memorie a stampa del prof. Beretti e una pubblicazione del dott. Brunn, e ne parla » Blaserna (Presidente). Fa particolare menzione di una raccolta di pubblicazioni del defunto Socio straniero Corzu, e di un volume inviato in dono dal Socio //osso, relativo ai lavori eseguiti nel Laboratorio del Monte Rosa, durante il 1903... . . STRRETOAOA » Grassi (Segretario). Presenta una de a nome dell’autore prof. De ‘Giovi dhe) CONE MOVZIARE AA prc RR e CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti... » BULLETTINO):BIBLIOGRAFICO.: li WU SAS I IO SII VET CIRCE) (*) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. 127 Roma D9 febbraio 1555. N. 4. DEA TOnO AT TP REALE ACCADEMIA DEI LINCHI L205 Pig Li O, Use LL: A: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 febbraio A905. Volume XIV. — Fascicolo -1° 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI i i | 1905 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate (da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, 6/50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. : 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di unnumero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. re ann Seduta del 19 febbraio 1905. F. D'Ovipio, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sull’equilibrio dei corpi elastici più volte connessi. Nota del Socio Vito VOLTERRA. Art. I. 1. In una Nota precedente (') ho mostrato la possibilità di stati di equi- librio di un corpo elastico che occupa uno spazio più volte connesso diversi da quelli che si hanno nel caso di corpi elastici i quali occupano spazî sem- plicemente connessi. Essi consistono in stati di deformazione interna regolare del corpo, senza che questo sia sollecitato da tensioni esterne nè da forze di massa. Immaginiamo tracciate le sezioni che rendono semplicemeute connesso lo spazio occupato dal corpo. A ciascuna di esse corrispondono sez costanti che abbiamo chiamato le costanti del taglio. Di queste è facile stabilire il significato meccanico per mezzo delle formule (III) della Nota citata. Eseguiamo infatti materialmente i tagli lungo le dette sezioni, lasciando che il corpo riprenda lo stato naturale; e se nel riprendere il detto stato certe parti del corpo venissero a sovrapporsi fra loro, supponiamo tolte le parti sovrabbondanti. Allora le formule (III) della Nota precedente ci dicono che Ze particelle situate dalle due parti di una medesima sezione e che (1) Seduta del 5 febbraio 1905. RenpICONTI. 3905. Vol. XIV. 1° Sem. 24 — 194 — prima del taglio erano a contatto, subiscono, în virtù del taglio stesso, uno spostamento relativo resultante di una traslazione e di una rotazione e tali traslazioni e rotazioni sono eguali per tutte le coppie di particelle adiacenti ad una stessa sezione. Prendendo per centro di riduzione l'origine, le tre componenti della traslazione e le tre componenti della rotazione, secondo gli assi. coordi- nati, sono le sei caratteristiche del taglio. Reciprocamente preso il corpo elastico più volte connesso allo stato na- turale, si potrà eseguire la operazione inversa per condurlo allo stato di tensione; cioè sezionarlo in modo da renderlo semplicemente connesso, quindi spostare le due faccie di ciascun taglio, l'una relativamente all'altra, in modo che gli spostamenti relativi delle varie coppie di particelle (che aderivano fra loro e che il taglio ha separate), siano resultanti di eguali traslazioni e di eguali rotazioni. Finalmente ripristinare la connessione e la continuità lungo ogni taglio togliendo o aggiungendo quella materia che sarà necessaria e risaldando le parti tra loro. L'insieme di queste operazioni, relative ad ad ogni singolo taglio, si potrà chiamare una destorsione del corpo, e le sei costanti di ciascun taglio le caratteristiche della distorsione. In un corpo elastico più volte connesso, la cui deformazione sia rego- lare e che abbia subìto un certo numero di distorsioni, l'ispezione della de- formazione non può in alcun modo rivelare i luoghi ove i tagli e le conse- guenti distorsioni sono avvenute, appunto in virtù della regolarità stessa. Ma si può dire ancora qualche cosa di più, ed è che le sei caratteristiche di ciascuna distorsione non sono elementi dipendenti dal luogo dove il taglio è stato eseguito. Infatti, lo stesso procedimento che ci ha servito per stabilire le for- mule (III) della Nota precedente, prova che, presi due tagli del corpo, tra- sformabili l’uno nell'altro con deformazione continua, le costanti relative al- l'uno sono eguali a quelle relative all’altro. Ne segue che /e caratteristiche di una distorsione non sono elementi specifici di ciascun taglio, ma dipendono esclusivamente dalla natura geo- metrica dello spazio occupato dal corpo e dalla deformazione regolare di cui esso è affetto. Il numero delle distorsioni indipendenti a cui un corpo elastico può assoggettarsi è evidentemente eguale all'ordine della connessione (ciclosi) dello spazio occupato dal corpo meno I. In conformità di ciò che abbiamo trovato, due tagli trasformabili l'uno nell'altro con deformazione continua si chiameranno equivalenti. Diremo che una distorsione è nota quando ne conosceremo le caratteristiche ed il taglio relativo 0 altro taglio equivalente. 2. Ciò premesso si presentano naturalmente le due questioni seguenti: — 195 — 1) A distorsioni scelte arbitrariamente, corrisponderà sempre uno stato d'equilibrio ed una deformazione regolare del corpo, allorchè si suppongono nulle le azioni esterne? 2) Note le distorsioni, quale è questo stato di deformazione? Per ricondurre questi problemi ad altri noti, dimostreremo il teorema: In ogni corpo elastico isotropo più volte connesso, preso un insieme arbitrario di distorsioni, si potranno calcolare infinite deformazioni regolari del corpo ad esse corrispondenti ed equilibrate da tensioni superfi- ciali (che denoteremo con T) aventi resultante nulla e momento nullo rispetto ad un asse qualunque. Volendo dunque riconoscere se in un corpo isotropo le date distorsioni corrispondono ad uno stato di equilibrio senza forze esterne, e determinare questo stato, basterà vedere se le tensioni T mutate di segno e applicate al contorno del corpo dato, allorchè questo non è soggetto ad alcuna distor- sione, determinano in esso uno stato di deformazione regolare che equilibrii le tensioni stesse e trovare questo stato di deformazione. Infatti chiamiamo T la deformazione relativa alle distorsioni date e alle tensioni superficiali T trovate, e Z° quella determinata da queste tensioni mutate di segno, allorchè il corpo non subisce alcuna distorsione. La defor- mazione I” resultante di Z e di Z° corrisponderà alle date distorsioni ed a forze esterne nulle. La questione è quindi ricondotta a vedere se esiste la deformazione I" ed a trovarla, ossia ad un problema di elasticità quando mancano le distor- sioni, ad un problema cioè ordinario della elasticità. Ora le tensioni superficiali T, in virtù del teorema enunciato, sono tali che si equilibrerebbero fra loro se il corpo fosse rigido; ne segue che esse soddisfano alle condizioni fondamentali necessarie per la esistenza della de- formazione 1”. Ma, come è noto, non si può dire se le dette condizioni sono sufficienti, giacchè il teorema di esistenza per la elasticità non è stato an- cora stabilito definitivamente. Perciò la esistenza della deformazione I° e quindi della deformazione IT” non può ritenersi provata. Nondimeno si può prevedere che, salvo condizioni relative alla forma geometrica dello spazio occupato dal corpo elastico (condizioni che non si sanno oggi precisare), T' e I°” esisteranno sempre. Colle dette riserve quindi si potrà rispondere affermativamente alla prima questione nel caso dei corpi isotropi. La seconda questione posta è relativa al caso in cui il corpo non sia soggetto ad azioni esterne; ma essa può generalizzarsi e si può supporre che siano date le distorsioni ed il corpo sia sollecitato da forze esterne date. — 196 — Allora, se il corpo, è isotropo, per risolvere il problema basterà sovrapporre alla deformazione 7, determinata dalle distorsioni e dalle tensioni T, quella prodotta dalle azioni esterne date e dalle tensioni superficiali-T nella ipotesi che le distorsioni manchino. In certo modo il teorema enunciato serve, in tutti i casi di isotropia, ad eliminare le distorsioni, sostituendovi delle tensioni superficiali, e perciò esso riconduce le questioni riguardanti distorsioni a questioni ordinarie della elasticità. Se il corpo fosse anisotropo si vedrebbe facilmente che lo stato di de- formazione I° sarebbe equilibrato da tensioni superficiali e da forze di massa, quindi sarebbe facile anche allora. eliminare le distorsioni e ricondurre le varie questioni che possono presentarsi ai problemi ordinari della elasticità. L'art. II sarà consacrato alla dimostrazione del teorema sopra enunciato e l’art. III all'esame di un caso particolare. Art. II. 1. Per dimostrare il teorema enunciato nell' Art. precedente ci converrà stabilire alcune formule preliminari (!). Denotando con 7 la distanza fra due punti (x, y, 2) e (E, 7, È) poniamo col Somigliana (*) DI Di MM ol A I 29793 GIOR adr CIPE Ugo 9 ’ = è W 9 È 2 9Y dE +53: i 2 de RA Di, ELLE Da Si D' dEi I 2A I a Le precedenti funzioni non hanno singolarità altro che per «=, y=N,8=6 e sono simmetriche rispetto alle coppie di variabili 4, é ; y,7; 2,5. L+K L+ 2K lo spazio, (escluso il detto luogo singolare) le NR: differenziali Ko'u+(E +1) > (SE 433) d (du 1 | Kd?°v Kee a Li 0) + K+ 2 (pre d ( dU dv dw K4°w K+L{|+— Di = Fo] (++ de (1) Esposi queste formule in un corso sulla teoria della elasticità che tenni in Pisa nel 1892 ed esse vennero già citate dal prof. Lauricella nella sua dissertazione (Annali della Sc. Normale di Pisa, 1894). (2) Annali di Matematica, T. XVII, S. II Se a=— ciascuna terna di funzioni us, vs , ws Verifica in tutto — 197 — e le (1°) che possono ricavarsi dalle (1) sostituendo £, 7,6 ® 4,7, . Perciò Us, Us, ws possono interpretarsi come componenti degli spostamenti delle par- ticelle d'un mezzo elastico isotropo ed omogeneo e non soggetto a forze di massa, tanto considerandole funzioni di 4,y,z quanto di È ,7,É. Preso nel punto £, 7,6 un elemento d'area d$, la cui normale sia x, denotiamo con X;, Ys,Zs le componenti della tensione unitaria (corrispon- dente agli spostamenti ws , vs , ws) che esercita, lungo , la regione del mezzo elastico la quale giace dalla parte da cui esce la normale x sopra quella situata dalla parte in cui entra la normale stessa. Il calcolo di X;, Ys, Zs non presenta difficoltà. Sia ora wo, %0,%, una soluzione delle (1) regolare entro lo spazio S limitato da una superficie . Xo, Yo, Zo le componenti della tensione superficiale corrispondente. Le for- mule del Somigliana danno 1 reali No. + Yovw + Zow1) dE + 1 + renali NO:ST + Mib + Z1%o) dz = Uo(£ 1Y, 8) Il recdi N: + Yod: - ZoWs) dS + 1 sl 4rK Sao în Yao + Zowo) CSA 4), I 4XK fo + Yos + Z0%03) dE + 1 ua 47K [ec + Ysvo + Z3%0) dE=Wwl£,Y,8), nella ipotesi che il punto #,y, sia interno ad S e £, 7, rappresentino le coordinate dei punti di X. Nel calcolare Xs, Ys,Zs si supporrà la nor- male diretta dall’ esterno verso l'interno di S. Invece se il punto x,y, fosse esterno, i secondi membri delle equa- zioni precedenti resulterebbero nulli. 2. Poniamo ora nelle formule precedenti (2) w=l+ry—q , vvaem+pe—ra , w=n+ ge — py, ove /,m,n ,P,q,7 sono quantità costanti. Le (1) saranno soddisfatte, ed Xo, Yo,Zo resulteranno nulle. Avremo quindi che gl'integrali 1 ui fa + Yo + Ziw) dE Il Ve zi feto + Yo Vo + ZzWo) dI 1 W = a fo + VED + Z3wo) d5 os — saranno respettivamente eguali a {+ ry— ge, m+p—re,n+qcr— Py, se il punto 72 ,Y, sarà interno allo spazio S, e saranno nulli se il punto stesso sarà esterno (1). Finalmente si vede subito che calcolando QU ri av dW Sani Mm 9 RIA 22), dz = T33 SW dW QU SU dV tin 3iono Do: =D , 3 a Mi dé dY dI de dY dI le Ts saranno nulle, tanto se x,y, sarà interno, quanto se sarà esterno allo spazio S. Potremo dunque concludere che, attraversando la superficie X le U, V, W saranno discontinue, mentre le 7,, non avranno discontinuità. Chiamando U;, Vi, W; i valori di U, V, W lungo X dalla parte interna, e U., V., W, i loro valori dalla parte esterna avremo U—-U=/+ry—-qe, V—-VW=m4 para, W-W,=n+qga— py. 3. Ciò premesso spezziamo la superficie X in due parti o e o' e po- niamo 1 Ì UuU== recai 0SC = Yhoo + Zi Wo) do Il (3) VE Xn ile Uo + YoU + Zwo) do 1 WE reo (0.* Uo + a + Z3W%o) do A= a + Y,vo + Z1w00) do' (3') ER JA + Ya Vo + ZsWo) do' wie rd (X3u0 + Yavo + Z3w0) do. È facile vedere che wu, v,w0;w,v', w' godono delle proprietà seguenti : 1° escluso o, in tutti gli altri punti dello spazio u,v,w sono fun- zioni finite continue monodrome e aventi derivate di qualsiasi ordine; 2° escluso 0, le x,v,w soddisfano le (1), quindi possono interpretarsi come componenti di spostamenti di un mezzo elastico isotropo omogeneo non soggetto a forze di massa; (1) Eguagliando nei due membri delle equazioni precedenti i coefficienti di /,m,%, P,4, si trovano delle relazioni integrali analoghe alle formule di Gauss nella teoria del potenziale. Cfr. la Memoria citata del Lauricella, cap. III, $ 3. — 199 — 8° w', 0", w' godono delle stesse proprietà di u,v,w, purchè si sosti- tuisca 0° a 0. 4° Avremo finalmente U=a+4«u , V=vtv , W=w+w. Ora « ,v',w' lungo o sono continue, mentre U, V, W sono discontinue; ne segue che u,v,w avranno lungo o la stessa discontinuità di U, V, W. Formiamo ora dU FO ONE dw 3E UA 9 yY 0) 2200015 DE — 330) dV dW dWw d dU dv da + Y V230, i + 3) ’ n Va du È 30 h dw', >w ADS 7 = Y22 , da ° Y33 > PD, dw' È ? du de i E li V Ve 3 05 4 Y31 > 77 uso iv? Sarà Vai MW — OP Ma le ys si mantengono regolari (!) attraversando la superficie o (escluso tutto al più il contorno di o) quindi anche le y,s godranno della stessa proprietà. Sostituendo nelle (3) 2 %0, vo, wo i valori (2) e ordinando le (8) rispetto al,m,n,P,q,Y si giunge dunque al teorema seguente: Presa una superficie 0 e posto f an (O) FS (C) EEE : = ae fado APT e frdo > A = pr) Mise fera, nei (EZ; — (xi) do, Be Tfr =AMIPAOMHKYAO n + Bi p+B9 q4+ Br Co ASDIPAD m PAS n+- BO p+B9g+B0 7 w= AMITLAP MAM n4+- BT p+ BO g+B0 7 peroni I (e x_ — nn (1) Vedi Nota citata, Art. 1, $ 3. — 200 — în cui l,m,n,p,qQ,7 sono costanti arbitrarie, leu,v,w possono inter- pretarsi come componenti dello spostamento di un meszo elastico isotropo ed omogeneo non soggetto a forze di massa la cui deformazione è regolare in tutto lo spazio, escluso tutto al più il contorno L di o; mentre le u,v,w stesse saranno discontinue lungo o e le discontinuità saranno indi- viduate dalle equazioni (4) wu—-u=l+ry—-q, v—-vu=m+pa— ra, wTwaent+ 9% — PY, dove u,, Ve, we, denotano i valori di u,v,w dalla parte da cui esce la normale alla superficie 0 e w, vi, w; è valori dalla parte in cui la nor- male stessa entra. Da questa proposizione si ricava che, partendo dalle caratteristiche della precedente deformazione, e calcolando mediante le formule (I), (I°), (I°) della Nota citata le quantità u,v,w, queste resulteranno polidrome allorchè la superficie o sarà aperta; la linea, o le linee di diramazione saranno costituite dal contorno L di o, e la polidromia di w,v,w sarà individuata dalle formule (4). 4. Supponiamo dato un corpo x -+1 volte connesso S ed eseguite 7 sezioni che lo rendano semplicemente connesso. Chiamiamo 0,,0,...0, n superficie formate dalle dette sezioni prolun- gate comunque fuori di S. Posto u= DI e AE ASÙ m mi; + N o sul BI p po Be + Boo 21) (n) (v= DI [AS & + ASSO mi + ASS + BE p+ BE + BI | w=S [ASL PAS A+ BI 4 BO AB] __ dU =, dU __ dw (e , Cr >y 5) (33i== >: , dv dWwW dwW dU dv dU teca og LV - gina dy in cul Li, Mm, NW, Pi, di, sono costanti arbitrarie; la deformazione T = (Yu ; Y22 3 Y33 3 Y23 + Y31 » Yi) Sarà regolare entro S e corrisponderà a distor- sioni arbitrarie eseguite lungo le dette sezioni. Le forze di massa corrispondenti saranno nulle. Se calcoliamo le tensioni superficiali, che sollecitano il contorno di S, si vede subito che esse avranno resultante nulla e momento nullo rispetto ad un asse qualunque, giacchè tale è la proprietà di ogni insieme di tensioni superficiali applicate ad un con- — 201 — torno chiuso, allorchè nell'interno la deformazione è regolare e le forze di massa sono nulle. Il teorema enunciato nell’ Art. I è quindi dimostrato. ART. III 1. Abbiasi una superficie o semplicemente connessa e finita nel piano e, la quale non incontri quest’ asse. Mentre il piano xz ruota intorno a 2, o si deformi e si sposti comunque senza mai incontrare 2, ritornando dopo un giro completo nella configurazione primitiva. Verrà così generato un solido anulare due volte connesso concatenato coll’ asse 2. Supponendolo riempito di materia elastica isotropa ed omogenea, vogliamo studiare la distorsione più generale che supporremo eseguita lungo un taglio formato da un piano passante per 2. 2. È noto che gli integrali delle (1) debbono essere funzioni biarmoniche. Ora, se /,m,n,P,9,7 sono sei costanti arbitrarie le funzioni Y ni 1 1 dr ((—q+ 7y) arco tg 5 la (m— rx + pe) arco tg 1 55 (#—py +92) arco tg È sono biarmoniche ed hanno la polidromia corrispondente ad una distorsione di caratteristiche /,m,2,p,9,7. Però le funzioni precedenti non soddisfano le (1). Prendiamo quindi aa cool! U=57 (2 — qa +. ry) arcotg 7 +4 ui cool i dI (m—ra 4 pe) arcotg + # & Sh; Varo = 3 (MY ge) arcotg + e cerchiamo di verificare le (1) mediante funzioni 4,4, v monodrome. Poniamo A= (ax 4 by 4-ea +e )log(e°4-y?) u=(0x +by +2 +e )log(e°+-y°) v= (02 +0y+ + e) log(2° +2) De costanti a, 0, c,e, da ,b'.,c,e, age si calcolano facil- mente e si trova in tal modo RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. DI (Dad — Moe u= 35 U -0+ 19) 0g +35(- m—-pi— pp e)tge+#) on m—-rx + pa) arcotg 2 +3 (1-47 gp!)ele+) wie Da (a —py+ 44) arcotg® Et 3 (pe + qu) logo +00) È facile riconoscere che la deformazione corrispondente è regolare, e si possono pure ottenere senza difficoltà le tensioni superficiali. Nel caso dunque del solido esaminato la deformazione I° e le tensioni T dell'Art. I sono senz altro trovate qualunque sia la distorsione a cui si sottoponga il solido stesso. 3. Le formule che abbiamo dato nell’Art. ITI della Nota precedente sono state ricavate come caso speciale delle espressioni precedenti. Infatti le (2) della Nota citata si ottengono, quando y="0, prendendo l=m=tMh=p=q=0,r=270c, e le formule (4) della Nota stessa ponendo I=m=p=qg=r=0,n=27ma. Fisiologia. — ZL’anidride carbonica come rimedio del male di montagna, e perchè nelle ascensioni aereostatiche questa debba respirarsi coll’ossigeno. Nota del Socio AnceLo Mosso. Chimica. — Sopra una reazione delle ammine secondarie. Nota del Corrispondente AnceLO ANGELI e del dott. Vincenzo CA- STELLANA. Le precedenti Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 203 — Matematica. — Sulla ricerca di soluzioni particolari dei sistemi differenziali. Nota di T. Levi-CrvirA, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Alcuni anni or sono ebbi ad indicare (') una regola costruttiva di so- luzioni particolari dei sistemi canonici, in base alla conoscenza di loro in- tegrali o relazioni invarianti. Mi propongo ora di far vedere, generalizzando e semplificando insieme, che risultati analoghi sussistono per i sistemi differenziali di forma qualunque. All'uopo mi basterà precisare analiticamente quest'unica osservazione, quasi immediata dal punto di vista geometrico: Nello spazio rappresentativo delle curve integrali di un generico sistema differenziale si prenda a considerare una qualunque varietà V invariante, cioè formata da curve integrali. La sottovarietà W, luogo dei punti doppi di V, risulta — ecco l’os- servazione — invariante essa pure. Nota V, si ha senz'altro W, e la conoscenza di una tale varietà più ristretta facilita ovviamente la determinazione di quelle soluzioni particolari (curve integrali), che ne sono le generatrici. Per il caso speciale dei sistemi canonici, si viene così ad aggiungere qualche cosa alla regola ricordata da principio; tra altro se ne abbraccia una estensione, già ottenuta dal prof. Burgatti (2) per via interamente diversa. 1. Sia un generico sistema differenziale (8) SE: (gian, dai) (=1,2,..,2) colle X; — quasi è superfluo avvertirlo — funzioni uniformi e regolari dei loro argomenti nel campo, che si considera. Conveniamo di designare con dx; degli incrementi infinitesimi delle x;, compatibili colle equazioni differenziali (S), atti cioè a far passare da una soluzione delle (S) ad altra soluzione infinitamente vicina. Questi dx;, che chiameremo per brevità spostamenti virtuali, sono, per loro definizione, integrali delle così dette equazioni alle variazioni (8) ® n . (1) mai i); eli (1) In questi Rendiconti, ser. 5°, vol. X, 6 gennaio 1901. (2) In questi Rendiconti, ser. 5°, vol. XI, 20 aprile 1902. (8) Cfr. Poincaré, Zes méthodes nouvelles de la mécanique céleste. T. I, nn. 53-54. — 204 — in cui naturalmente le 4 sono a ritenersi definite dalle (S). Essi godono della proprietà caratteristica di essere invertibili colla operazione LIA di ddx; da; A DA A dl l) v: Ne viene più generalmente, per qualsiasi funzione /(41,%2,.34n;0), (1) esprimono infatti che DIRT «er, È la derivazione rispetto a # dovendo essere fatta in base alle (S), (1). Così in particolare ci sta per DM. © dI di ate Da Kia 1 DI; Ad ogni soluzione «;(t) delle (S) fa riscontro un sistema 00” di spo- stamenti virtuali, potendosi risguardare arbitrari quelli che si riferiscono ad un (particolare, ma del resto qualunque) valore di #: è ciò che risulta dal- l’essere le dx; integrali delle (1). 2. Ciò premesso, sia (A) H(w1,2,.., &n;t)=0 una relazione invariante di fronte al sistema (S), o addirittura un integrale, immaginando in questo caso la costante inclusa in H. Si suppone bene in- teso che H sia uniforme e regolare, e la (A) risolubile univocamente ri- spetto ad una (almeno) delle x. Mi propongo di stabilire il seguente teorema: a) Si aggiungano alla (A) le equazioni in termini finiti derivanti dal porre (B) HT 0 per tutti gli spostamenti virtuali, cioè le (B.) Se le (A),(B.) sono compatibili (se cioè — per un valore qualunque di # — esistono delle x, atte a renderle soddisfatte), esse costituiscono ne- cessariamente un sistema invariante di fronte ad (S). — 205 — Dimostrazione. In primo luogo la ipotesi che (A) sia invariante si tra- duce in formule mediante una identità del tipo dH con w funzione regolare (!). Si ha d'altra parte, pure per identità (rispetto a tutte le lettere 7, Hi, dx) d dB di dErLE dò — di Sostituiamovi, al posto di OH, la sua espressione esplicita Nic sa xi, 1 Hi al posto di di, il valore (2). Otterremo © qQNYH 2 23 H dda; Le Pal (0) Dit > nz eriagih4 delirio rt: RZ Quando si tien conto delle (A), (B,) (2), il secondo membro si annulla e resta la quale, dovendo sussistere per tutti gli spostamenti virtuali, si scinde nelle d? Hd dt dai; =0 ((=1,2,..,2). (1) Si tratta infatti d’esprimere che el si annulla, se non identicamente, almeno dt in virtù di H=0. Ora basta immaginare assunta H come variabile al posto di una delle 2, e pensare allo sviluppo della “i in serie di potenze della H, per concludere che deve mancarvi il termine indipendente da H, il che equivale appunto al sussistere della (2). Va notato tuttavia che, poggiando il ragionamento sulla sostituzione della H ad una delle : ; i mali . dH %, rimangono esclusi quei valori, in cui ogni a colarmente interessano. Effettivamente non si può senz'altro asserire (come logica conse- guenza della supposta invarianza) che la 4 debba, anche per essi, comportarsi in modo regolare. Ma noi, per semplicità, converremo di limitarci a questo caso. (2) Tener conto delle (A), (B.) significa in sostanza riferirsi a valori delle &;, i quali rendano simultaneamente soddisfatte le (A), (B:), per un generico valore di £. Ecco come interviene la condizione di compatibilità, espressa nell’enunciato del teorema. si annulla, valori che a noi parti- — 206 — Le derivate dei primi membri delle (B,) vanno dunque a zero, in virtù della (A ) e delle (B,) stesse. CAD: Importa aggiungere che: a') Se la (A) è un vero integrale, dig identicamente nulla, e le equa- zioni (Bi) costituiscono un sistema invariante di per sè sole. Lo si desume dalla (3), tenendo conto che si ha in questo caso u= 0. Osservazione. Le equazioni (A),(B,) sono in numero di x +- 1, mentre le x; sono appena 7. La loro compatibilità appare così come una circostanza puramente eccezionale. Non però nel caso a’). Allora basta evidentemente occuparsi delle (B,), il cui numero non supera quello delle x, ; la (A) risulta di necessità soddisfatta per opportuna determinazione della costante arbitraria. 3. Consideriamo più generalmente un sistema (1) Hi =0RCRR=10KtR5=0 9000) E=0 di m +1 equazioni complessivamente invarianti di fronte ad (S); H,F,, F.,..., Fm essendo uniformi, regolari ed indipendenti. Lo sono allora in particolare le F, sicchè potremo, senza pregiudizio della generalità, imma- ginarle sostituite ad ‘altrettante x; ad 4,,%2,..,&%m per es. Il sistema (S), nelle variabili ERESSE ini ren, assumerà l'aspetto ($) = 5; (MAST 970) le £ comportandosi rispetto alle nuove variabili come le X rispetto alle primitive. L'ipotesi che le (I) costituiscono un sistema invariante implica che E "gguigpi gi annullino in virtù delle (I) stesse, cioè che sus sistano identità della forma dH da Sr e N (4) + MF, di dF, m (3) a NHE+),NF (=1,2,.,), 1 colle M ed N funzioni regolari (!). (1) Per giustificarlo, non c'è che da riportarsi alla nota della pag. 205 estendendo quelle osservazioni in modo. ovvio. — 207 — Ciò posto, designiamo con f ciò che diventa una generica funzione (cr, da, %n3t) quando la si riduce a mezzo delle ii=0 ee 0. — 0. quando cioè, se / si risguarda espressa nelle variabili trasformate, si pon- gono le prime m eguali a zero. La (4) permette di asserire che H=0 è una relazione invariante di fronte al sistema ridotto (8) Ga, eulci Partiamoci infatti dalla espressione di DI valutata in base ad (S), 0, ciò che è lo stesso, in base ad (S'). Essa è dH __2H, © dHdP, di ae tp di RI ni Ponendovi F,=0 (r=1,2,...,72) e tenendo conto delle (4), (5), si ricava di e Sin La er Zi= Mt di oo wr a 2 dr: Il primo membro non è che la derivata di H rispetto a 7, calcolata in base alle (S); nel secondo c'è H a fattore. L'asserto è così dimostrato. Per il teorema a), il sistema costituito da cioè, esplicitando, da è invariante di fronte ad ($). Questa conclusione si può anche interpretare, dicendo : a') È invariante di fronte ad (S) (purchè, si intende, vi sia compati- bilità) 2 sistema costituito dalle (I) e dalle equazioni in termini finiti esprimenti che (0) dH=0, per tutti gli spostamenti conciliabili con F,=0,F,=0,...,Fn=0. — 208 — Dimostrazione. Immaginando sempre di adottare come variabili F,, Fo... Em, mx 15, 00 chiaro ‘intanto che. le, equazioni 3H (=m+1,.,2), Rev SLnt dall'annullarsi condizionato di dH, coincidono, per F;=F.= Cri —Wwcolle DE}, d%; Posto, per brevità di scrittura 5, — 2dH (con che Hj = DO avremo le identità dI; E LA e GONE È, dF, o ar DE dai Ì dove È è calcolato in base ad (S') e può quindi anche intendersi riferito al sistema equivalente ($). Per F,=0 9 IE=40) CORE) Fn =90, la quantità in parentesi si presenta come la derivata Di di H;, calcolata con referenza ad (S). Ora, se si tien conto anche di | HE o. Hi—=0 (GTI 090) (il che è quanto dire, sussistendo già le F.=F,=..=Fn=0, delle Do no dH; . È HTCORHE0) Ta si annulla, perchè, come abbiamo osservato, le equa- zioni H=9,H;=0 sono invarianti di fronte ad ($). D'altra parte il primo sommatorio D 2H; dF, = F, di va pure a zero in virtù delle (5), tostochè siano soddisfatte le (I). — 209 — NE SIZE È In definitiva dunque ogni di È annulla, quando si tenga conto delle (Io (Col C. D. D. Come al numero precedente, se ne trae un corollario: d') Se alcune delle (I) — in numero di k, diciamo — sono veri in- tegrali, è di per sè invariante il sistema costituito dalla equazione dH = 0 (condizionata come sopra) e dalle m+-1—% rimanenti (1). Le equazioni, che debbono essere compatibili, sono allora in numero di n+1—*%, cioè le dette n4-1—%, più le x — m, che provengono da e =0 4. Soluzioni particolari (stazionarie). Riferiamoci all’enunciato 2') in cui possono ritenersi compresi il teorema 0) (X= 0), il teorema a) (m=0, k=0), e il suo corollario a’) (m=0,%=1). Le n-+1—% equazioni, per ipotesi compatibili, equivarranno a n+1—%k— K' distinte (4° = 0). Si potranno supporre risolute rispetto ad altrettante 4, e, riducendo in conformità il sistema (S), si avrà, per definire le rimanenti, un sistema di ordine X + /%'— 1. Di questo però si conoscono già % integrali [provenienti coll’accennata riduzione da quelli, che, per ipo- tesi, figurano tra le (I)]. In definitiva resterà così da integrare un sistema d'ordine %' — 1; integrato che sia, esso fornisce cof+#-! soluzioni del si- stema (S) proposto. È ben giustificato chiamarle stazionarie, rispetto alla funzione H, che interviene nella loro definizione, in quanto, per tali soluzioni, si ha (colla debita relatività) 9H=0: H assume dunque un valore massimo, o minimo, o più esattamente stazionario, in paragone di quelli che (per uno stesso va- lore di #) gli competono sopra un'altra qualsiasi soluzione infinitamente vi- cina, appartenente anch'essa alla varietà F=F,=..=Fn=0. 5. Caso dei sistemi canonici. Se si suppone che il sistema (S) abbia forma canonica, che le funzioni F sieno in involuzione e indipendenti da #, e che H, pure indipendente da /, coincida, a meno di una costante addi- tiva arbitraria, colla funzione caratteristica del sistema canonico, si è ricon- dotti alla proposizione, che ho avuto l’onore di comunicare all'Accademia nel 1901. Se poi nelle enunciate condizioni addizionali, si scambia H con una delle F e 7 con una delle variabili canoniche, si ritrova il risultato del prof. Burgatti. Questi casi presentano però particolare interesse, non solo per le appli- cazioni meccaniche, che ne conseguono, ma anche per il grado di generalità delle soluzioni corrispondenti. Si dimostra infatti in entrambi i casi che /' è di necessità > mm; mentre, per un (S) qualunque, non si hanno analoghe limitazioni. RENDICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. DI D Silone Matematica. — Su! numero dei punti di Weierstrass fra loro distinti di una curva algebrica di genere p. Nota della sig." dott. Isa- BELLA CIPOLLA, presentata dal Socio E. BERTINI. Il sig. Segre nella Nota Iu/orno ai punti di Weierstrass di una curva algebrica, pubblicata in questi Rendiconti (1899), ha trovato una limitazione (maggiore di quella data dall’ Hurwitz) pel numero dei punti di Weierstrass fra loro distinti sopra una curva algebrica di dato genere non iperellittica. Egli ha osservato, cioè, servendosi dei teoremi di Riemann-Roch e di Clifford per le serie speciali, che, indicando rispettivamente con 7,4%, ,%». în-3 ; ip-e la molteplicità che il punto di W. ha per 002-?, co?-3, cof-4,.. co, 1 gruppi canonici (') che lo contengono, si ha z="1 (poichè la curva è non iperellittica) e per gli altri numeri < valgono le limitazioni : (ro dosi per li — Me eine A) i Qp--2 iS 2p == 2 o Con le notazioni adottate, dalla formula generale che dà 1’ influenza di un punto qualunque sul numero dei punti (r + 1)="2" di una g7, si ha che la molteplicità del punto di W. in discorso fra i punti p"" della serie canonica resta espressa da : Wat disagi feta) 1) onde sostituendo alle 7 i loro valori massimi dati dalle A) si ha per W la limitazione : ch'è la limitazione del Segre. Ma il Segre stesso nella Nota in discorso osserva che si può forse, procedendo ad uno studio più accurato dei valori assumibili dai numeri /, abbassare il limite superiore da lui dato per W, e indica anzi la via da tenersi per procedere a questo studio. Egli dice infatti che in corrispondenza a detti numeri ; si ha che sulla curva considerata devono esistere particolari serie di determinato ordine e determinata dimen- (?) Veramente il Segre nella Memoria in discorso in luogo dei numeri 7, usa le espressioni 1-}- @,... + ax essendo le due @ i successivi ranghi nel punto di W. della curva canonica corrispondente alla data. Noi per brevità di discorso adoperiamo qui le %. — 211 — sione senza punti fissi, e rileva come l'esistenza di queste serie può portare una limitazione pel genere della curva che si considera. Raccogliendo quest'idea, sono effettivamente riuscita ad abbassare il limite di W dato dal Segre, e scopo di questa mia Nota è appunto di esporre i risultati a cui sono pervenuta. Dalle limitazioni del Segre dunque si trae che si avrebbe un punto di Weierstrass offrente la massima molteplicità quando nelle formule A) valesse il segno eguale, ossia quando s'avesse che in quel punto (hke iper k=1, 266660 —3 Feo) — 2. Supponiamo, s'è possibile, che un tale punto esista, e anzi più in gene- rale supponiamo ch'esista un punto di Weierstrass sopra una curva non iper- ellittica di genere pin cui una qualunque delle 7 p. e. la 2, (escluso il valore di k=p — 2) abbia il valore 2k +1. Allora dovrà esistere sulla curva che si considera una g5x+s senza punti fissi e con un punto (2k +4 1) 2% nel punto di W, zor composta. Ch'esista la 95x+, senza punti fissi segue dal fatto che pel teorema di riduzione (ix + 1)=2k + 2 è un ordine mancante nel punto di W., e (îx-1 4-1) = 2k (per le (A)) è l'ordine mancante che immediatamente lo precede (1), onde 2k 4+- 1 è certo un ordine esistente che corrisponde a una serie lineare completa di dimensione k pel teorema Rie- mann-Roch. Che poi questa serie non possa essere composta si vede nel se- guente modo: supponiamo dapprima che, essendo le altre 7 qualunque, sia però zx2-1== 2k — 1 (suo limite superiore secondo le (A)); per quanto fu detto sopra dovrà esistere allora una 95; completa senza punti fissi con un punto (2k — 1) 2 nel punto di W. ch'è il resto del punto di W. contato due volte rispetto alla g5x+, menzionata di sopra; di qui segue che un gruppo gene- rico di detta 95x+, contenente il punto di W. lo contiene come punto doppio, d'onde si trae che la g5x+, non potrebbe che essere composta con un'involu- zione del 2° ordine, il che è assurdo poichè 2k-+1 è un numero dispari. Se poi la %z-, è inferiore a 2k — 1 il massimo ordine mancante nel punto di W. inferiore all'ordine esistente 2k 4 1 è minore di 2k (essendo eguale a în-1-+ 1) onde 2k è un ordine esistente corrispondente a una 95; com- pleta con un punto 2k° nel punto di W. non fisso. L'esistenza di questa 93! indica che un gruppo gererico della 95x+, per il punto di W. lo con- (*) Notiamo per la chiarezza del testo che con le parole ordini mancanti nel punto di W. intendiamo gli ordini delle p serie complete d’ordine m con un punto m*2° nel punto di W. c22 hanno in esso un punto fisso (gli ordini mancanti sono p pel Liskensatz di Weierstrass). Questi vrdini mancanti nel punto di W. sono evidentemente l’unità e i numeri % cresciuti ognuno di un’unità (V. Segre, /ntroduzione alla geometria, ecc. Annali di Matematica, t. XXII, pag. 91). Gli ordini delle serie complete d’ordine # con un punto mo non fisso nel punto di W. li chiamiamo invece ordini esistenti.) — 212 — tiene come punto semplice, d'onde segue che detta g$x+. non può essere composta. Possiamo dunque dire in generale: L'ipotesi che nel punto di W. una delle in(k=1,2...p—38) abbia il valore 2k +4- 1 trae seco di necessità l’esistenza sulla curva data di una serie completa (speciale) senza punti fissi d'ordine (2k 4 1) e dimensione k con un punto (2k 4-1) "20 nel punto di W. che non può essere in nessun caso composta. Ma allora per k >1 possiamo applicare a questa serie un teorema di Castelnuovo (') riguardante il massimo genere di una curva conte- nente una g7, (7 > 1) qualunque, purchè non composta. Questa formula è, chia- n_-2 mando X la parte intera di - 200 9 Lei o B) p=X}u=r i «n= 2 2k_1 Il Per la nostra g95x+1 è e 81 Pf 6 k>2 è X=2, mentre per k==2 è X=3. Distinguiamo i due casi. Supponiamo dapprima k > 2, allora siha p=k-+3 ossia k=>p—3, ovvero solo per k=yp —3 {chè k non va per ipotesi oltre questo numero) si può supporre in=2k+1, per valori di k maggiori di 2 e minori di p— 3 dev'essere în diverso da 2x +1, ossia minore di questo numero almeno di un'unità. Supponiamo ora k=2, si ha allora X==3 e la B) diventa: p= 6, onde per p > 6 non può essere 7z=5, ma dev'essere 7° < 5. Concludiamo dunque che, se p >6 pei numeri ;; da k=2 a k=p—4 si hanno le seguenti limitazioni : 0) in <=2k MPerk=2,3...p—-4. Confrontandole con le limitazioni A) del Segre si vede che il limite superiore di W dato da questi viene così abbassato di p — 5 unità, si ha cioè : D) ws WED 022 pie. Per p= 6 essendo p—3 = 3 le limitazioni di sopra non valgono. Si può però egualmente per p= 5 e p= 6 nuovamente abbassare il limite del Segre per W applicando un teorema di Hurwitz. Il teorema è il seguente: Se @ e B sono due ordini esistenti a + B esiste anch'esso (*). Ora basta notare (1) G. Castelnuovo, Sui multipli di una serie lineare, ecc. Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, 1893. (*) Per via geometrica la dimostrazione è ovvia. Basta osservare che se ga e gg sono due serie complete che hanno nel punto considerato un punto rispettivamente a*200 e punto — 213 — che, supponendo di dare sia per p= 5 che per p= 6 alle 2 i valori mas- simi fornitici dalle formule A) del Segre, risulterebbe in entrambi i casi che 3 è un ordine esistente nel punto di Weierstrass, mentre 6 manca, per conclu- cludere che una tale successione di valori delle 7 non è ammissibile. Se ne deduce che una qualunque successione ammissibile è diversa da quella dei valori massimi delle 7, epperò che il limite superiore di W sia per p=5 che per p=6 dev'essere diminuito almeno di un unità ossia ridotto a (ob p_2) 2 Lo stesso criterio conduce poi ad abbassare di nuovo di un'unità il limite superiore D) di W da noi trovato per p > 6 quando sia p > 7. E per vero, sep > #7, questo limite superiore D) corrisponde alla successione d’ordini mancanti nel punto di W.: 1 RE DAS ASS la quale non è ammissibile, risultando da essa esistente il 3 e mancante il 9. Se ne trae con ragionamento affatto analogo a quello fatto sopra perp=6 ep =5, che sep >7 si può affermare che sarà : pl r1)_I Per p=3 e p=4 invece la limitazione per W è precisamente quella data dal Segre e si può anzi dimostrare (come risulterà dalla mia tesi di laurea, presentata nel dicembre scorso alla R. Università di Pisa, che si pub- blicherà negli Annali di quella R. Scuola normale superiore) che esistono effettivamente curve del genere 3 e 4 che posseggono punti di W. cui com- petono i valori massimi assumibili dalle 7 secondo le limitazioni A) del Segre. Essendo in generale il numero complessivo dei punti di W. sopra una curva di genere p espresso da p (p° — 1) ne conchiudiamo che: per p > 7 è punti di W. fra loro distinti sono almeno: RE Ii IM (At) (0 -B) ZIO >) EZIO per p="7 i punti di W. fra loro distinti sono almeno: 2p(p_1) 2p(pî —1) 9 =) SEE) ERA 4 per entrambe non fisso, la serie completa 9a+g individuata da un gruppo Go+g = Ga + Gg somma di due qualunque gruppi Ga e Gg delle due serie in discorso è una serie completa senza punti fissi che contiene entrambe le due date e ha il punto considerato come punto (a +guro. — 214 — per p=5, 6 i punti di W. fra loro distinti sono almeno: I AMZ9.003P1) 2p (p_ sE (pi Dip 2) » vip2 ossia rispettivamente 20 e 21; per p=3, 4 i punti di W fra loro distinti sono almeno : 2 (#@ = DIE) ossia rispettivamente 12 e 15. Chimica. — Sull'ossidazione del pirrolo ad immide maleica. Nota di G. PLANCHER 6 0. RAVENNA, presentata dal Socio G. Cra- MICIAN. In una Nota presentata a questa Accademia da uno di noi col dott. F. Cat- tadori ('), venne riferito che ossidando il pirrolo con la miscela di Beckmann, cî ottiene la immide dell'acido maleico. Le ricerche che fanno oggetto di questa icta, furono dirette a caratterizzare la immide maleica ed il suo com- portamento; inoitre essa fu trasformata nell’acido maleico. Ossidando nuove qcantità di pirrolo, ci procurammo una discreta quantità di maleinimmide e se ne confermò il punto di fusione a 93°. Se ne fece la determinazione del peso molecolare dalla quale risultò che essa è monomo- lecolare. o Il prof. G. Boeris si incaricò dell'esame criztallografico e ci comunica i seguenti risultati: Sistema cristallino: triclino. a: b: e="1,0686:1:0,8648 a = 909,15" b = 105,7 y= 108,58" Forme osservate }100} 5010 }001! }1T0{ 3011} }0116 (’) Questi Rendiconti, vol. XII, 1° sem., pag. 489. i — 215 — Angoli Mis, Calc. (001):(011) 389,58 a) (100): (110) 56,6 ci (001) :(010) 84,25 + (001) :(100) 73,55 o (100):(010) 70,20 È (001):(011) 43,30 439,51" (011):(010) 52,30 51,44 (001) :(110) 81,23 81,19' (100) :(011) 89,45 89,6' La maleinimmide da noi preparata, non è identica ad un corpo della stessa composizione ottenuto dal malato d’ammonio e chiamato fumarimmide ; perciò abbiamo voluto determinarne bene la costituzione, scindendola in ammo- niaca ed in acido maleico. Scaldando in soluzione acquosa due molecole di soda con una molecola di maleinimmide, si svolge tosto ammoniaca. Si fa bollire per pochi minuti, indi si raffredda, si acidifica con acido solforico diluito e si estrae ripetu- tamente con etere. L'etere evaporato lascia un residuo incoloro, che ricri- stallizzato dallo stesso solvente per concentrazione, si separa in cristalli opachi e bianchi che sono di acido maleico. L'identità fu constatata col punto di fusione e mescolandolo con acido maleico puro proveniente dalla casa C. A. F. Kahlbaum. Analisi: Calcolato per CH, 0° Trovato C 41,38 41,63 H 3,45 3,77 Volevamo vedere se l'immide maleica presentasse qualcuna delle pro- prietà chetoniche, ma essa ha dimostrato di comportarsi altrimenti. L'abbiamo — 216 — trattata con idrossilammina in presenza di alcoolato. Notammo che il corpo reagisce, ma non potemmo separare niente di purificabile. Sottoponemmo allora la maleinimmide all’azione della fenilidrazina. Una molecola di maleinimmide ed una di fenilidrazina vennero scaldate a bagno maria per qualche tempo. Si ottenne una massa sciropposa che per raffred- damento solidifica; cristallizzata dall'alcool, si separò in cristalli giallo-chiari che fondono a 147°-148°. All’analisi corrisposero alla formula bruta C,0 Hi1 N3 03. Analisi: Calcolato per C,0 H11 Ns 02% Trovato C 8,94 08,46 H 0,36 5,71 N 20,49 20,60 Questi risultati corrispondono alla formula dell'ammide-fenilidrazide del- l'acido maleico H,NT-CO0—CH=CH—C0— NH—NHC,H; Per portare un appoggio a questa formula, facemmo agire anche l'ani- lina. Si operò nelle stesse condizioni. Il prodotto ottenuto venne cristalliz- zato dal benzolo. Fonde a 173°-175°; si presenta in cristalli giallo chiari. Analisi: Calcolato per Cio Hio Na 0a Trovato C 63,16 63,43 H 5,206 5,44 N 14,74 14,86 Analogamente a quanto è detto sopra, è probabile che si tratti qui del- l’ammide-anilide dell’acido maleico. H,NT-CO0—CH=CH— C0—NHG, H; Resta però da stabilire se questi due derivati corrispondono all'acido fumarico, o veramente al maleico; questione che non crediamo di avere risolta. Crediamo utile studiare ulteriormente le proprietà della maleinimmide e in breve tempo faremo noti i risultati relativi. Resta così stabilito il passaggio dal pirrolo all'acido maleico. So — Chimica. — Sulla basicità normale dei perjodati alcalini. Nota di F. GioLITTI ('), presentata dal Socio E. PATERNO. In un lavoro pubblicato due anni or sono (?) mi occupai del problema della « basicità normale » dell’acido perjodico, dal punto di vista puramente chimico, cercando di verificare sui perjodati di piombo e di rame i fatti osservati da Rosenheim e Liebknecht (3) per quelli d'argento. I risultati ottenuti mostrarono quanto incerte siano le deduzioni che si possono trarre da tale ordine di ricerche: infatti, mentre i caratteri e le condizioni di for- mazione dei sali d’argento di Rosenheim e Liebknecht indicherebbero come « normale » per l’acido perjodico la pentabasicità, lo studio dei perjodati di piombo la escluderebbe nettamente, rendendone probabile al più la tri- basicità. I varî metodi fisici che hanno portato preziosi contributi alla soluzione di tanti problemi chimici, sono stati applicati anche a questo da varî spe- rimentatori, come ho avuto occasione di accennare nel lavoro prima citato. Se tali metodi non hanno #u//7 condotto a risultati completamente concor- danti, e quindi decisivi, è però notevole che la maggior parte di essi por- tano ad ammettere come normale per l'acido perjodico la bibasicità. Un metodo fisico assai ingegnoso che, per quanto io sappia, non è stato applicato al problema del quale mi occupo, è quello proposto dal Bòottger (4) e fondato sull’uso dell'elettrometro come indicatore nell’alcalimetria e nel- l'acidimetria. Non mi dilungo ad esporre il metodo nei suoi particolari, chè già il Bottger nella Memoria citata ne fa una trattazione completa, sia nei suoi fondamenti teorici, sia nei dettagli tecnici delle sue varie applica- zioni: farò soltanto notare che nel caso degli acidi polibasici l’elettrometro usato come indicatore può rivelare due o più « hasicità », mentre con gli ordinarî indicatori non si può avere nel corso della titolazione di qualunque acido, che l'indicazione di wro degli stati di saturazione. Questo fatto m' in- dusse ad approfittare dell'occasione offertasi di servirmi degli stessi apparecchi già usati dal Bottger, per aggiungere ancora qualche dato a quelli già noti su questo argomento. Come ho detto, gli apparecchi di cui mi servii furono gli stessi già usati dal Béottger; una sola modificazione mi fu necessario introdurvi. Il (') Ricerche eseguite nel laboratorio di Chimica Fisica dell’ Università di Lipsia. Agosto 1904. (®) Gazz. Chim. It., XXXII, II, 340. (3) Lieb. Ann. 308, pag. 40. (4) Zeitschr. f. physik. Chem., B. 24, pag. 253. RenpicontI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem, 27 — 218 — Bottger usava per gli elettrodi ad idrogeno lamine d’oro leggermente pla- tinato o palladiato, come quelle che, per la loro scarsa permeabilità, permet tevano di raggiungere ad ogni osservazione più presto valori costanti della forza elettromotrice. La rapidità colla quale l'acido perjodico viene ridotto dall'idrogeno in presenza del nero di platino o di palladio, mi costrinse a servirmi invece di lamine di platino a superficie naturale, liscia. LT, Va È Impiegai acido perjodico puro della fabbrica Kahlbaum, avendo potuto constatarne la purezza assolutamente sufficiente: ne preparai le varie solu- zioni sciogliendone quantità pesate e controllandone il titolo acidimetricamente, usando come indicatore la soluzione di eliantina. Debbo osservare a questo proposito che, mentre la titolazione dell'acido perjodico con idrato sodico dà risultati nettissimi quando si usa come indicatore l’eliantina, usando invece la fenolftaleina non dà alcuna indicazione esatta: il cambiamento di colore è in quest'ultimo caso graduale e lentissimo, cosicchè riesce impossibile co- gliere il punto preciso della neutralizzazione. È questa la causa che mi rese impossibile il verificare l'osservazione di Miolati e Mascetti ('), secondo i quali la fenolftaleina svela nell'acido perjodico neutralizzato con idrato sodico una basicità doppia di quella che è rivelata dal metilarancio. (1) Gazz. Chim. It. 1901, XXXI, I, pag. 93. — 219 — Gr. 11,16 di acido perjodico biidrato (H, JO) furono sciolti in un litro di acqua pura. A 15 cm* di questa soluzione di H:- JO al 1,116 °/, cor- rispondono em? 14,7 di soluzione !/» N di idrato sodico, usando come in- dicatore l'eliantina. Tale quantità di idrato sodico è precisamente quanto occorre per saturare u74 basicità dell'acido perjodico: infatti in questo caso si calcola un contenuto di gr. 0,16746 di H. JO; nei 15 cm? di soluzione im- piegata, in luogo di gr. 0,16740 dedotti dalla pesata diretta dell'acido discioltovi. Le determinazioni elettrometriche furono ripetute più volte dando sempre i medesimi risultati: riferisco quelli di una di esse, facendo notare che, non offrendo alcun interesse il valore assoluto delle forze elettromotrici, queste sono espresse in numeri empirici, rappresentanti frazioni di una forza elet- tromotrice di compenso, presa come unità. Le titolazioni furono fatte su 5 cm° della soluzione al 1,116°/ di H; JO, diluiti con acqua fino a cm'. 50, cosicchè ad ogni 4,9 cm? della soluzione N/», di idrato sodico usati, veniva saturata una basicità dell'acido. I risultati stessi sono poi rappresentati graficamente in coordinate orto- gonali, riportando le forze elettromotrici come ordinate e come ascisse le quantità di idrato sodico: cm3 di idrato sodico Forza elettromotrice Mol. di idrato sodico aggiunti osservata per una mol. di acido 0,00 0.019 0,00 1,22 0,020 0,25 2,45 0,017 0,50 3,68 0,015 0,75 4,40 0,008 0,89 4,90 0,102 1,00 5,25 0,158 1,07 9,70 0,207 1,16 6,50 0,261 1,33 7,99 0,294 1,50 8,18 0,338 1,67 8,97 0,401 1,83 9,35 0,448 1,90 9,60 0,515 1,96 9,80 0,609 2,00 10,30 0,670 2,10 10,78 0,687 2,20 11,77 0,694 2,40 13,10 0,690 2,67 14,20 0,680 2,90 14,70 0.680 3,00 15,20 0,683 3,10 16,15 0,690 3,90 17,15 0,685 3,50 — 220 — Credo superflua la discussione dettagliata di tali risultati, poichè in base al principî già esposti dal Béottger nella Memoria citata, essi dimostrano la bibasicità dell'acido perjodico, confermando i risultati delle misure calori- metriche di J. Thomsen (') e delle determinazioni di conducibilità elettrica di Miolati e Mascetti (loc cit.). Anche la soluzione acquosa di acido perjodico si comporterebbe dunque come la miscela di acido cloridrico e di acido acetico studiata dal Bottger (loc. cit.), presentando un fenomeno analogo a quello osservato per l'acido fosforico: ammettendo in soluzione acquosa la presenza del triidrato, vi si compirebbero successivamente le due trasformazioni : oe ge Senj SS Ori OO e Sen 0 Or È noto che anche per l'acido fosforico il fatto è confermato dai dati calorimetrici di J. Thomsen. Mineralogia. — Sul! Anglesite dei giacimenti metalliferi della Provincia di Messina (£). Nota di EuGENIO TRAINA, presen- tata dal Socio G. STRÙVER. Nel ricco materiale rappresentante i minerali metallici dei giacimenti della provincia di Messina, esistente nel Museo mineralogico di questa R. Uni- versità, osservando i campioni di galena provenienti da diverse località, mi fu dato notare, in alcuni di essi, delle piccole geodette di cristallini, che per i caratteri cristallografici e chimici ho potuto riferire ad Anglesite, e che spesso sono ricoperti da una patina di limonite polverulenta. Tali cristallini si presentano quasi sempre incolori o con leggera tinta grigiastra, a dimensioni generalmente piccolissime, non sorpassando, che rara- mente, il millimetro. Le faccette sono piuttosto ben delimitate, ma poco splendenti. Qualche volta ne rinvenni associati a cristallini granuliformi di colore verde-giallastro chiaro, che ho potuto riferire a Pyromorfite. Il prof. G. La Valle, che in una recente monografia (*) ha trattato dei materiali metallici che si rinvengono nella provincia di Messina, accenna alla esistenza di cristallini di Anglesite in qualche campione di galena prove- niente dai territorî di Novara (Sicilia) e di Antillo. (') Ber. d. d. Chem. Ges. 1873, 2. (?) Lavoro eseguito nell’Istituto di Mineralogia della R. Università di Messina. Gennaio, 1905. (8) G. La Valle, / giacimenti metalliferi di Sicilia in provincia di Messina. Mes- sina, 1899-1904. — 221 — Ora io, avendo potuto isolarne alcuni, ho creduto utile farne lo studio cristallografico, tanto più che, per quanto io sappia, nulla è stato fatto su tale specie minerale della nostra regione, che io ho rinvenuto in campioni di galena di diverse località (!). I cristalli studiati sono quattro, scelti fra i migliori. Di essi il primo presenta la massima dimensione di 5 mm. secondo l'asse «, gli altri mai ud (hi JOSE Data la poca bontà delle facce ed il piccolo numero dei cristalli che ho potuto isolare, forse sarebbe stato sufficiente dar solo la descrizione delle forme osservate; ma trattandosi di un giacimento nuovo, per tale specie minerale, ho creduto utile determinare le costanti più probabili, onde para- gonarle con quelle di altri autori. Ecco intanto una succinta descrizione dei quattro cristalli, staccati: il primo, da un campione di galena del territorio di Novara (Sicilia); il secondo, il terzo e il quarto, da un campione di galena del territorio di Antillo. Primo cristallo, (fig. 1). Presenta la combinazione: (001) (100) (011) (102) (122) (111). Sviluppato vi è il prisma (011), a cui tengono dietro in ordine decre- scente la piramide (122) e l’altro prisma (102). Secondo cristallo, (fig. 2). Combinazione osservata: (011) (111) (122). Predomina l'abito piramidale essendovi molto sviluppata la (122). Terzo cristallo, (fig. 3). Sì discosta completamente dal precedente per la combinazione delle forme, la quale è data da: (100) (110) (102). (1) Nei territorî di: Montalbano, S. Angelo di Brolo, Roccalumera. — 222 — Quarto cristallo. Presenta l’istesso abito e la stessa combinazione del secondo. In esso ho potuto misurare un minor numero di angoli, sia per la imperfezione delle facce, sia per essere più incompleto degli altri. RIGRIE Fic. 3. Fic. 2. La seguente tabella riunisce gli angoli misurati, le medie delle misure dei quattro cristalli, prese insieme, e le differenze fra osservazioni e calcolo. Angoli N. (1) |P. (2) Limiti delle misure Medie ! Calcolo Differenza 011:122 | 11 | 36 25° 7° — 27°138' 26° 33” 20” Da 0 011:122 | 3 | 14 | 102°50/20%—102°55/58” | 102°5421% | 102°49 5% |+ 5°16% 001:011 DU 20 51° 27’ 40”— 52°28’ 20” | 52°10’49” 0 001:122 | 3 6 56° 35/10/— 56°46/ 30” | 56°44’367 | 5694411” | + 0"25” 122:111 65) 5 18° 30 40”— 20° 720” | 19° 4/16” | 18°25"57/ | + 38/197 122:102 | 3 | 12 44° 50 55/— 45° 1/40” | 44°55/51/ | 44°57/84% | — 143% 111:100 1 1 ——_ 44°46/ 10” | .45° 0/48” | — 14° 33” 102:001 OI) | RT 89°20/ 3072 39° 23507 | 39022” 47% | 39°10759% | <= 117 5% 110:100 3 9 37°51/20”— 38°10' 40” 98° 1/14” | 38919 6% I 170527 110:102 1 9 —_k 59° 56° 60°17/ 4” | — 21” 4" (1) Numero degli angoli misurati. (*) Pesi. Per la determinazione delle costanti ho scelto gli angoli: 011:122—= 26° 33' 20” 00101 = 52° 10 40% ritenuti buoni perchè misurati su tre cristalli, ed ho avuto: a: b: 0 40790271 : L : 1,288250, con le quali l’errore medio risultò di 11' 15”. — 223 — Applicato il metodo dei minimi quadrati, ottenni: DONNA] : 1: 1292042 per le quali l'errore medio fu ridotto a 10' 14”. La differenza fra l'osservazione e il calcolo con le costanti più proba- bili, può vedersi nella seguente tabella. Medie delle misure Calcolo con le cost. più probab. Differenze Angoli 011:122 | 26°38/20” | 26°35" G4|— 1'46” 011:122 | 102°54/21” | 102°57’ 457 | — 3/24” 001:011 | 52°10/49” | 52015’ 48% | — 459” 001:122 | 56°44/36” | 56°49 37 |— 427” 122:111 19° 4/16” | 18°27’35% | + 36" 41” 122:102 | 44°55' 51” | 45° 0'38% |— 442” 111:100 | 44°46' 10% | 44°58/30% | — 12’ 20” 102:001 39022” 4% | 39°16' 244 | 4 5° 40” 110:100 | 88° 1°14% || 38°18' 49% | — 17° 35% 110:102 | 59°56” 60°13/ 13% | — 17’ 13” Paragonate le costanti da me ottenute con quelle riportate da Gold- schmidt (') per i diversi autori, esse risultarono più vicine a quelle del Miller, del Krenner e del Sella, i quali danno: GIOECE=MRTIIIELZIZA A togliere il dubbio che potesse trattarsi di qualche minerale isomorfo con l’Anglesite, riporto le reazioni caratteristiche ottenute nella prova per via umida. Staccati alcuni cristallini, badando bene di non asportare alcuna parti- cella di galena, e polverizzati in mortaio d’agata, li ho sottoposti alla disgre- gazione con carbonato potassico. La soluzione della miscela in acido nitrico diluito, ha dato le seguenti reazioni : con solfuro d'ammonio: precipitato bruno-nero; con joduro di potassio: precipitato giallo-chiaro, solubile in acqua bollente ; con cromato potassico: precipitato giallo ; con cloruro di bario: precipitato bianco di solfato di bario. Non resta dunque alcun dubbio che il minerale debba riferirsi ad Anglesite. (') V. Goldschmidt, Index der Krystallformen der Maineralien. Berlin, 1886. — 224 — Geologia. — Sopra una trivellazione eseguita presso Roma sulla via Casilina. Nota dell’ ing. ENRICO CLERICI, presentata dal Socio V. CERRUTI. Dall'ing. Luigi Perreau, ben noto per i lavori di perforazione del suolo, ebbi una serie di piccoli campioni dei materiali da lui estratti con una tri- vellazione praticata, nell'agosto dello scorso anno, al fondo di un pozzo si- tuato nei locali della Società Romana dell'alcool, a mezzo chilometro da Roma sulla via Casilina. La trivellazione, fatta allo scopo di aumentare la portata del pozzo onde sopperire ai bisogni della distilleria, fu spinta fino alla profondità di m. 76 dal suolo che ivi trovasi a quota di circa m. 46; perciò l'ultimo saggio raggiunse la quota di m. 30 sotto il livello del mare. Parendomi interessante di conoscere, almeno sommariamente, la natura dei singoli campioni, ho istituito sui medesimi alcune ricerche, cioè: esame allo stato naturale, esame del residuo della stacciatura in acqua, esame della parte sottile nonchè di quella sabbiosa dopo eliminazione della parte cal- carea con acido diluito, separazione meccanica dei minerali pesanti mediante liquido di Thoulet, oppure con tetrabromuro di acetilene. Nel render conto, qui appresso, dei principali risultati, al numero d'or- dine dei campioni faccio seguire i due numeri indicanti in metri le profon- dità fra le quali è compreso il materiale da cui proviene il campione stesso, quindi le parole forte oppure fezero che indicano il rn di resistenza opposta alla trivella durante la perforazione. I. Da m. 25,50, fondo del pozzo, a m. 29,00: forte. Tufo vulcanico ter- roso, color tabacco. Deve appartenere al gruppo o complesso del tufo granu- lare; infatti vengo assicurato che, verso il fondo, il pozzo è intagliato nel tufo granulare. Nella parte grossolana, separata per decantazione, ho notato augite verde-bottiglia, biotite, magnetite, apatite, sanidino, granato brunastro (melanite) e qualche frammento di spicule silicee di spugne. II. 29,00-31,50: forte. Argilla di colore volgente al giallastro, affatto priva di calcare. Contiene rari frammenti logorati di spicule di spugne. III. 31,50-34,00: tenero. Marna giallastro-chiara, molto ricca di calcare: nel residuo di stacciatura vi sono molte concrezioni calcaree, tubulari, sot- till e qualche foraminifera. La parte sabbiosa contiene frammenti logorati di spicule anche triradiate, corpuscoli rotondi di geodie. Nella parte sottile piccoli frammenti delle dette spicule logorate, spicule intere e ben conser- — 225 — vate di potamospongie, resti di radiolarie; diatomee intere e frammentate, fra le quali ho notato le seguenti specie : Cymbella cistula Hempr. ” cymbiformis Ehr. Stauroneis acuta W. Sm. Navicula major Ktz. ” viridis Ktz. ” limosa Ktz. ” iridis Ehr. ” sculpta Ehxr. ” elliptica Ktz. Gomphonema capitatum Ehr. Cocconeis placentula Ehr. Epithemia turgida Ktz. ” granulata Ktz. ” vertagus Ktz. ” Westermanni Ktz. ” argus var. amphicephala Grun. ” gibberula Ktz. Eunotia gracilis Sm. Synedra subaequalis Grun. ’ capitata Ehr. Cymatopleura elliptica Ktz. Surirella spiralis Ktz. Campylodiscus hibernicus Ehr. Melosira arenaria Moore. ” granulata Ralfs. Cyclotella Meneghiniana Ktz. IV. 34,00-35,20: tenero. Marna di colore giallastro sporco con fram- menti di molluschi continentali, opercoli di Bythinzsa cfr. tentaculata Lin.; nella sabbia frammenti logorati di spicule anche triradiate e corpuscoli di geodie. Nella parte sottile diatomee intere e frantumate come nel campione precedente; spicule intere ben conservate di potamospongie, anfidischi di Ephidatia fluviatilis Jobnst. V. 35,20-39,00: tenero. Argilla bigio-scuretta; fa alquanto effervescenza cogli acidi, il che avviene, in diverso grado, per tutti i successivi campioni e lo avverto qui una volta per tutte. Contiene foraminifere (rotalidi, testila- ridi), frammenti logorati di spicule anche triradiate; pirite in piccoli ottaedri isolati. RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. — 226 — VI. 39,00-44,50: tenero. Argilla bigia con frammenti di molluschi con- tinentali; frammenti di spicule anche triradiate, corpuscoli di geodie; niente diatomee. Nel residuo di stacciatura un cristallino intatto di leucite. VII. 44,50-47,20: forte. Argilla bigia, alquanto scura, con frammenti di vegetali, carboniosi; molluschi continentali frantumati fra cui pezzi di Z2wm- naea, un esemplare intero di Caryehium minimum Mill. ed altro, incom- pleto, di Planorbis cfr. umbilicatus Mill. Niente diatomee, niente forami- nifere: frammenti logorati di spicule. VIII. 47,20-49,00: tenero. Sabbia argillosa bigia con foraminifere (glo- bigerinidi), frammenti di spicule, corpuscoli di geodie. IX. 49,00-50,30: forte. Argilla sabbiosa bigia, con foraminifere (globi- gerinidi), frammenti logorati di spicule: molta mica argentina, la quale del resto, insieme alla biotite, è presente in tutti i campioni dal II al XXI. Fra i minerali pesanti ho notato: pirite, zircone, rutilo, glaucofane (raro). X. 50,30-51,80: forte. Argilla sabbiosa bigia con foraminifere (globige- rinidi) e frammenti logorati di spicule e rari frammenti di molluschi conti- nentali. Nella parte sabbiosa: quarzo, feldspato. Fra i minerali pesanti: pi- rite, limonite, forse ematite, magnetite, zircone, tormalina, granato incoloro o roseo, augite verde-bottiglia scarsissima, XI. 51,80-52,00: tenero. Sabbia argillosa cenerognola, quarzosa, con fo- raminifere e frammenti di spicule. XII. 52,00-53,00: tenero. Sabbia come la precedente, ma un poco più argillosa, con foraminifere e frammenti di molluschi continentali. Nel residuo di lavatura piccole concrezioni calcaree tubulari e ciottolini piccolissimi. XIII. 53,00-54,35: tenero. Sabbia come la precedente, forse meno ar- gillosa; qualche foraminifera, frammenti di spicule, corpuscoli di geodie. XIV. 54,35-56,00: forte. Ghiaia composta di calcari diversi e di piromache in pezzi bene arrotondati. XV. 56,00-57,70: forte. Ghiaia come sopra con sabbia di colore volgente al bigio. Foraminifere, leucite, e fra i minerali pesanti: augite verde-botti- glia, relativamente abbondante, in frammenti di cristalli, in cristalli mul- tipli, zircone come sempre in nitidi cristalli, pirite in masserelle concrezio- nate in cui luccicano faccie triangolari, ottaedriche, tormalina in frammenti di cristalli, rara; glaucofane, rarissimo. XVI. 57,70-59,00: forte. Ghiaia consabbia come nel precedente cam- pione. XVII. 60,00-62,90: forte. Ghiaia con sabbia come nei due numeri pre- cedenti. XVIII. 62,90-63,50: tenero. Argilla sabbiosa bigia, Nel residuo sab- bioso qualche frammento di spicule logorate, corpuscoli di geodie, pirite. XIX. 63,50-70,00: tenero. Argilla bigia con foraminifere. Nel residuo della stacciatura vi sono ciottolini di calcare e di piromaca come quelli dei pe me” — 227 — precedenti campioni di ghiaia sabbiosa. Fra i minerali pesanti: augite verde- bottiglia, pirite, zircone, rutilo, granato. XX. 70,00-73,00: tenero. Argilla bigia come la precedente. Augite verde, magnetite, pirite, zircone, rutilo, glaucofane, tormalina. XXI. 73,00-76,00: tenero. Argilla bigia con foraminifere specialmente globigerinidi. Nel residuo di lavatura qualche ciottolino. Tra i minerali pe- santi, augite verde rara, grani magnetici, zircone, glaucofane, tormalina. Dato lo scopo pel quale venne fatta la trivellazione ed il modo come il lavoro è condotto in simili casi, non è affatto esclusa la possibilità che i varî saggi tolti dalla trivella possano essere inquinati da materiali propri ai campioni precedenti che sono restati aderenti ai tubi o alle aste, oppure furono trascinati da infiltrazioni d'acqua o vi caddero dall'esterno. Ma sotto certi rapporti, se vi furono inquinamenti, questi non possono influire sulle conclusioni: così ad esempio le foraminifere ed i frammenti di spicule di spugne trovati in quasi tutti i campioni, appartengono senza dubbio ai me- desimi. Il quarzo, il calcedonio, la biotite, la muscovite e, molto subordina- tamente, il feldspato, entrano pure in tutti i campioni dal II al XXI. Anche i minerali pesanti, la cui costatazione fu resa agevole colla se- parazione meccanica, entrano costantemente, sebbene in dose piccolissima, nella composizione dei campioni nei quali li ho rinvenuti. L'augite, scarsa fra i minerali pesanti degli ultimi campioni, è più abbondante nel campione n. XV, tanto che non pare dubbio vi appar- tenga. A meglio chiarire questo punto ho voluto esaminare allo stesso modo due campioni provenienti dalla nota trivellazione di Capo di Bove e portanti 1 numeri d'ordine 27 e 40 nella collezione del R. Ufficio Geologico. Il primo, tolto fra le quote m. 14,95 e 17,20 sotto il livello del mare, è ricchissimo di augite tanto che, senza bisogno di separazione meccanica, è agevolmente visibile, anche in preparati estemporanei, insieme a leucite con inclusioni, biotite e bei cristalli di apatite. L'altro, che è l’ultimo della trivellazione, trovato fra le quote m. 44,50-45,90 sotto il livello del mare, contiene fra i minerali pesanti: zircone, rutilo, tor- malina, granato, glaucofane, magnetite e qualche cristallo di augite verde- bottiglia. Quanto ai fossili ho bene avvertito che le spicule di spugne sono gene- ralmente in frammenti e per lo più di tipi certamente marini; ma sono lo- gorate (colla superficie come fosse stata smerigliata) e gli esseri ai quali appartennero non vissero mentre si andava formando il sedimento nel quale restarono sepolti, e provengono dalla denudazione e dilavamento di terreni di epoche anteriori. Mentre le spicule intere di potamospongie dei campioni III e IV, essendo — 228 — perfettamente conservate, non possono avere la stessa provenienza delle altre, ma sono contemporanee alla formazione dei campioni stessi. Le foraminifere non permettono da sole di giungere ad alcuna conclu- sione; ma per i campioni superiori anche esse provengono certamente da an- teriori formazioni. Per le dette spicule logorate e per le foraminifere (dei campioni meno profondi) adotto dunque la stessa conclusione che già più volte ho cercato di dimostrare per molti sedimenti dei dintorni di Roma col diuturno esempio delle torbide del Tevere ('). I molluschi continentali indicati nei campioni meno profondi, vennero frantumati durante la trivellazione e sono contemporanei ai campioni che li contengono e che si deposero in acque nelle quali potevano vivere Bythinza, Limnaea e Planorbis. Dal confronto fra i campioni di questa trivellazione con quelli della trivellazione di Capo di Bove, pur non essendovi esatta corrispondenza fra i singoli campioni, risulta una certa analogia nell'ordine di successione @ specialmente notevole è il fatto che anche qui, sotto a tutta la serie tufaceo- vulcanica, vi sono sedimenti che contengono diatomee d’acqua dolce. Bacteriologia agraria. — Di una modificazione al metodo d'isolamento dei microorganismi della nitrificazione (°). Nota di kh. PeROTTI, presentata dal Corrispondente G. CuBONI. La difficoltà di ottenere culture pure dei microorganismi della nitrifi- cazione è stata molto discussa. Come il Winogradsky ha dimostrato, la diffi- coltà è dovuta alla presenza di tracce anche minime di sostanza organica. Per l'isolamento dei detti microorganismi è necessario quindi valersi di substrati completamente minerali, e le mire costanti degli sperimentatori furono rivolte alla ricerca dei mezzi nutritivi i quali rispondessero allo scopo, pur presentando per quanto fosse possibile i vantaggi delle comuni piastre a base d'agar e di gelatina. (1) Altro esempio, oltre quelli che ho addotto nei miei scritti, è fornito dai sedi- menti del lago di Como studiati recentemente dal prof. Artini (Z sedimenti attuali del lago di Como, Rend. R. Istituto lombardo, vol. XXXVI, 1903, pagg. 796-802) il quale in tutti i campioni rinvenne avanzi di spongiari e di radiolari provenienti dai calcari del lias inferiore, e trovò inoltre foraminifere ben conservate in due campioni presi rispet- tivamente alla profondità di 100 e di 160 m. Egli ritiene che queste foraminifere pro- vengano « dalla erosione del lembo pliocenico di Pontegana, presso Balerna » (pag. 799, Mem. cit.). (2) Lavoro eseguito nel Laboratorio della R. Stazione di Patologia vegetale in Roma. — 229 — Prima di tutti il Winogradsky propose l'uso delle sue classiche gelatine siliciche in cui la solidificazione della soluzione nutritiva è ottenuta mediante la coagulazione dell'acido silicico di recente dializzato (!). Ma un tale sub- strato, volendo pur prescindere dalla difficoltà e lentezza della preparazione, si dissecca facilmente, specialmente dovendo mantenerlo ad una temperatura piuttosto elevata e per un tempo alquanto lungo, quali si richiedono per lo sviluppo delle colonie dei microorganismi in questione. Omeliansky apportò una modificazione a queste gelatine impiegando il gesso per coagulare il carbonato di magnesio — già riconosciutosi meglio adatto dei carbonati alcalini — e gli altri sali minerali (?). Egli prepara le sue Gyps-Magnesia-platten le quali, oltre una più sicura e rapida preparazione, offrono il vantaggio di poter ovviare al loro disseccamento rifornendo nuova soluzione nutritiva. Tuttavia non si volle completamente abbandonare l'idea di giovarsi degli incontrastati vantaggi dell'agar e perciò il Beijerinck in seguito trovò con successo l’uso di gelatina a base di agar comune privato in precedenza di tutta la parte organica solubile lasciandolo in sottile strato immerso in acqua fre- quentemente rinnovata (3). L’Omeliansky però, trova questo terreno meno buono. Di più, Stutzer, modificando alquanto il substrato, usa agar senza alcun speciale trattamento, non si comprende bene quanto in accordo con la sup- posta azione sfavorevole della sostanza organica (4). Comunque, mentre il problema per quel che si riferisce ai nitricanti (°), che tollerano la presenza di sostanza organica, è stato risolto dal Winogradsky stesso con la preparazione del suo w//774-agar (6), esso seguita tuttavia ad interessare gli studiosi in quanto riguarda l'isolamento dei nitrosanti. Recentemente l’Omeliansky propose un altro metodo consistente nel for- mare dei piccoli pacchi con dischi di carta da filtro mantenuti umettati con la soluzione nutritiva che occupa il fondo della scatola di Petri (7). Con la presente Nota infine, vengo ad esporre un metodo il quale in sostanza non è forse che una modificazione dei precedenti, ma che trovo facile, speditivo e rispondente allo scopo. (3) Ann. de l’Inst. Pasteur, 1891, pag. 92. (2) Cent. f. Bakt.,, 2, V, 1899, pag. 652. (3) Cent. f. Bakt., Bd. XIX, 1896, pag. 258. (4) Cent. f. Bakt., 2, VII, 1901, pag. 168. (9) Il termine di ritrificanti è generico. Si usa indicare con nitrosanti quei micro- organismi che causano il primo grado di ossidazione dell’ammoniaca, che, cioè, la tras- formano in acido nitroso: con mitricanti quei che, in secondo grado di ossidazione, trasformano l’acido nitroso in nitrico. In questa Nota non mi riferisco che ai primi; volendo applicare il metodo che espongo agli altri si dovrebbe sostituire nella soluzione citata, al solfato ammonico gr. 1 °/oo di nitrito sodico (Merck). (6) Cent. f. Bakt. 2, Il, 1896, pag. 425. (7) Cent. f. Bakt., 2, VIII, 1902, pag. 785. — 230 — Consiste questo nel valersi dei blocchi di carbonato di magnesio del commercio i quali conservano la loro coerenza, così da poter essere steriliz- zati e mantenuti a lungo immersi in parte nel liquido nutritivo, senza richie- dere speciali aggiunte. Tali blocchi si possono foggiare a piastre od a parallelepipedi, le une per tenersi in capsule di Petri, gli altri in tubicini. Per ottenere le piastre si sega il blocco in più lamine dello spessore di circa un centimetro mediante un sottile spago, poi si leviga la super- ficie superiore di ciascuna con un vetro non arruotato ed infine si passa su di esse con il polpastrello di un dito. Inferiormente la piastra si foggia a calotta e s interrompe da un lato la continuità del margine che la fa poggiare sul fondo della scatola che deve contenerla. Tagliata tutt'intorno la piastra con un coltello in modo che tra essa e la parete verticale della capsula resti lo spazio di circa 4-5 millimetri, si fa completamente imbevere del liquido nutritivo che si ottiene mescolando nel momento dell'uso le tre seguenti soluzioni: T.iSolfatorammonisofte: iano 220 Fosfatoodir potassio c! iis ciano ao Solfato di magnesio. . . ... » 0-5 Acqua ‘distillata. supino: sel dla v9100020 TT. “Solfato! ferrosoziaii o vo a sioidond Xi pa is250, Acquardistillatamient: ovo saette» 82010,050 TIT. Cloruro “di sodio. onda atisoluzione satura Le proporzioni sono: cm3 50 della soluzione I ed una goccia per cia- scuna delle altre II e III. Nel recipiente deve rimanere un eccesso del liquido, in modo che il blocco di magnesio sia immerso in esso per metà del suo spessore. Allora la capsula può sterilizzarsi in corrente di vapore. I parallelepipedi, della lunghezza di cm. 10-12, larghi cm. 2,5, spessi cm. 1, si tagliano con un coltello dalle lastre precedentemente segate dal blocco di carbonato di magnesio e si levigano come sopra, prima con il vetro poi con il dito. Introdotti nei tubicini, si versa, in questi tanto della solu- zione nutritiva quanto basti perchè, dopo imbevutisene i pezzi, restino ancora al fondo del tubo 5-10 cm di liquido. Allora si sterilizza in corrente di vapore. Tanto in un caso che nell'altro si riesce ad ottenere un subtrato solido, a superficie perfettamente levigata, che conserva un grado costante di umi- dità. Il liquido che per capillarità sale dalla riserva che è al fondo dei recipienti di vetro, impedisce il disseccamento e lo screpolamento dei blocchi poichè difficilmente può venir a mancare la soluzione nutritiva e molto como- damente se ne può aggiungere della nuova. fr — 291 — Allo scopo di rendere anche meno frequenti le aggiunte di liquido risponde bene la forma inferiormente scavata dalle piastre, che per tal modo possono a lungo mantenersi in termostato alla temperatura di 28°-30° C. L'innesto si opera facendo scorrere sulla superficie solida già bagnata la necessaria quantità del liquido, più o meno diluito, contenente i microorganismi. Dopo un periodo di tempo variabile a seconda dello stato di virulenza o meglio di a//ività delle culture, si presentano sulla superficie del car- bonato di magnesio delle piccole e regolari escavazioni nelle quali la sostanza della piastra è modificata sensibilmente presentando una colorazione giallo- sporca. All'esame microscopico si riscontrano ivi numerosissimi bacterî appar- tenenti ad una unica specie assai somigliante alla Mitrosomonas europaea di Winogradsky. Tali bacteri si debbono ritenere causa delle suddette cavità dovute allo scioglimento del carbonato di magnesio per opera dell'acido nitroso formatosi, come è facile assicurarsi facendo la nota reazione della difenilammina. Eseguiti numerosi passaggi di tali microorganismi in soluzioni a base di solfato ammonico, questo ha subîto una rapida nitrosazione. Nella seguente fotografia è rappresentato un piccolo blocco di carbonato di magnesio sul quale può osservarsi l'aspetto che assumono le colonie di un nitrificante da me ottenuto. Mediante il metodo esposto come anche con il vecchio metodo delle gelatine Winogradsky, sono riuscito ad isolare da un terreno di Roma una forma di microorganismo nitrosante sulla quale quanto prima riferirò. og — Patologia vegetale. — Intorno alla nebbia 0 mal bianco dell Evonymus japonica. Nota del dott. Virrorio PEGLION, presentata dal Corrispondente G. CuBonI. L' Evonymus japonica, è uno dei sempreverdi più largamente diffusi nei giardini, nei parchi, nei pubblici passeggi, venendovi allevato a macchie ornamentali ovvero a siepi. Pochi anni or sono una cocciniglia, la Chionaspis Evonymi ebbe a recare danni gravissimi, e non sempre le irrorazioni con insetticidi e le pratiche colturali riuscirono ad impedire il disseccamento delle intere piantagioni. Sembra ora che il provvidenziale intervento di un minuscolo imenottero, parassita delle femmine di Chionaspis, abbia limitata ed in alcune località annientata addirittura la moltiplicazione di questo infesto parassita, così che le piantagioni di Evonimo possono considerarsi praticamente immuni da infezione siffatta. Tuttavia le condizioni vegetative di questo sempreverde continuano in generale a mantenersi tutt'altro che floride: già da tempo è stata rilevata la presenza di un parassita critto- gamico che determina un rapido disseccamento del fogliame e dei teneri germogli. Il prof. Arcangeli sino dal 1900 dava ragguagli intorno a questa micosi dell’ Evonimo, dovuta a parere suo ad una forma o varietà di Oidlium leucoconium e descriveva eziandio un parassita di esso oidio col nome di Cicinnobolus Evonymi japonicae. Ulteriori studî del prof. Sac- cardo, hanno portato a considerare questo parassita come specie a sè, diversa dalla Sphaerotheca pannosa, della quale l'O. Zeucoconium rappresenta lo stadio imperfetto o conidiale. Poichè del parassita dell’ Evonimo è nota soltanto la forma conidiale, non è possibile per ora di definirne la esatta posizione sistematica e conviene accettare il nome specifico proposto da Saccardo ed Arcangeli, di Oidium Evonymai-japonicae. Questa micosi dell’ Evonimo merita di essere succintamente illustrata, perchè si tratta di infezione diffusissima ed assai dannosa alle piantagioni contro la quale non si sogliono ancora usare i rimedi specifici: i giardi- nieri, tuttora memori della cocciniglia anzidetta, continuano ad usare i pro- cedimenti valevoli contro questo parassita ma poco o punto efficaci contro l'oidio. Inoltre, non essendosi rinvenuto da alcuno, tracce di fruttificazioni ascofore rimane dubbio, incerto il modo di conservazione del parassita durante il periodo di avversa stagione. A questi due quesiti relativi alla cura della malattia ed al modo di svernamento del parassita, procuro di rispondere esaurientemente nella presente Nota. — 233 — Tutti gli organi erbacei dell’Evonimo sono soggetti all'invasione: le foglie, i getti, le infiorescenze si mostrano ricoperti da larghe chiazze bian- cheggianti, farinacee, facilmente detergibili. Ho visto delle spalliere situate in tratti ombrosi del parco Aventi in Ferrara, ove l'umidità ristagna, così intensamente infette che la minima scossa impressa agli arbusti provocava una vera pioggia di conidi che ricopriva il terreno sottostante di un sottile straterello bianco-opaco. Quando l'infezione assuma siffatta intensità e non venga debitamente contrastata, la defoliazione delle piante è completa ed accade nel volgere di pochi giorni. Le energiche e ripetute solforazioni con zolfo ramato al 3 °/, mi hanno permesso anche in casi così gravi di ricondurre la vegetazione delle piante in condizioni soddisfacenti. Occorre però ripetere più volte la somministra- zione dello zolfo se si vuole debellare stabilmente la malattia, ed integrare l’azione del rimedio mediante somministrazioni di piccole dosi di nitrato sodico al terreno cosicchè venga facilitata la emissione di nuove cacciate. Le più accurate indagini, estese a diverse regioni d'Italia, ma continuate metodicamente nei giardini di Ferrara, non mi hanno mai permesso di rin- venire fruttificazioni ascofore del parassita. I ragguagli forniti colla consueta benevolenza dall’illustre micologo di Padova, prof. Saccardo, mentre hanno confermata l'eccezionale diffusione del parassita in Italia ed in Francia, sono del tutto negativi rispetto alla conoscenza di una forma evoluta di fruttifica- zione, atta a conservare la specie durante la cattiva stagione. Nei mesi invernali, sulle foglie dell’ Evonimo si rinvengono tracce in- dubbie del parassita: sono macchie distribuite su entrambe le pagine, che un esame superficiale dimostrerebbe identiche a quelle che siì osservano du- rante il periodo vegetativo dell'ospite. L'esame microscopico svela invece che si tratta di avanzi disorganizzati del micelio e dei conidi, avanzi privi di ogni vitalità. Detergendo queste zone da tali avanzi i tratti di foglia così liberati, spiccano sul resto, perchè parzialmente scoloriti. Praticando delle sezioni trasversali in questi tratti di tessuto e sottoponendole ai consueti processi microtecnici, è facile osservare che nelle cellule epidermiche di entrambe le pagine, esistono delle produzioni miceliali conformate in guisa da render plausibile l'ipotesi che si tratti di organi quiescenti. Sono gli austori globulari o lobati tanto sviluppati in alcuni casi da ostruire quasi comple- tamente il lume della cellula. La parete di tali austori è notevolmente svi- luppata, e l'impressione prima che si ricava si è di trovarsi di fronte a spore ibernanti, a clamidospore. Non tutti questi austori possono dirsi dotati di tali caratteri che conce- dano di ritenerli vitali: tuttavia mediante opportune colorazioni è facile dimostrare che la maggior parte di essi contiene del plasma finamente granuloso. RenpiconTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 29 — 234 — Se si isolano mediante macerazione nel liquido di Schultze le epider- midi delle zone occupate da vecchie macchie di oidio, e poscia si colorano con iodio in ioduro potassico o con soluzione acquosa di bleu di anilina acidi- ficata con acido lattico, le zone stesse fissano assai avidamente tali sostanze e l'esame microscopico rivela l'estrema abbondanza di lati austori all'interno delle cellule stesse. Mi riserbo di illustrare più minutamente tali organi che per ora sono indotto a ritenere come destinati a conservare il parassita durante i mesi di riposo della vegetazione. Com’ è noto, di recente G. di Istvanffi ha segnalato la possibilità che l’oidio della vite possa conservarsi in vita durante l'inverno mediante austori e frammenti miceliali. Il prof. Ravaz ha contestato tale ipotesi, non com- prendendosi come mai gli austori, che, nel caso della vite, sono inclusi nei tessuti morti dei sarmenti, possano svolgersi non avendo a loro portata le sostanze nutritive necessarie per costituire la massa protoplasmatica di un conidio o di un filamento miceliale. Tale obbiezione non sarebbe giustificata invece nel caso dell'oidio che colpisce l' Evonimo, inquantochè parassita e tessuti ospiti sono entrambi quiescenti ma vivi, e la ripresa di vegetazione dell'ospite pone a disposizione del parassita i materiali plastici necessari. Comunque, a convalidare o meno l'ipotesi che a tali produzioni mice- liali possa attribuirsi il compito di provvedere allo svernamento del paras- sita, varranno le ulteriori osservazioni che mi propongo di continuare allor- quando si inizierà la ripresa della vegetazione. Sarà allora possibile di controllare se i trattamenti proposti dallo stesso Istvanffi sieno efficaci anche contro il parassita dell’Evonimo, cosicchè possa essere integrata la lotta che per ora dovrebbe basarsi sulle ripetute solforazioni. CORRISPONDENZA Il Socio FERRARIS ricorda ed elogia la bella iniziativa presa da S. M. il RE per la fondazione di un Istituto internazionale di studî sull’agricol- tura, ed enumera i vantaggi che si otterranno da siffatta iniziativa. Fa quindi la proposta che l'Accademia, la quale annovera nel suo seno rappresentanti delle scienze agronomiche ed economiche, si unisca al plauso generale con cui l'iniziativa del Re venne accolta. La proposta del Socio Ferraris, messa ai voti dal vicepresidente D'OvIDIO, risulta approvata all'unanimità. Il Presidente BLAsERNA dichiara d'essere ben lieto della deliberazione dell’Accademia, e aggiunge che si farà un piacere e un dovere di darne co- municazione a S. M. il Re. — 239 — Il Corrispondente CuBonI osserva che il nuovo Istituto, con grande van- taggio per l'agricoltura, potrà dare impulso agli studî destinati a combat- tere le malattie delle piante e le sofisticazioni agricole. La deliberazione dell'Accademia venne trasmessa dal Presidente a $. M. il Re, col ‘seguente telegramma indirizzato a S. E. Il Ministro della R. Casa: La R. Accademia dei Lincei, nella sua prima riunione dopo l’altissima iniziativa di Sua Maestà, con voto unanime, applaude alla proposta fondazione di un Istituto Inter- nazionale per gli studî sull’agricoltura. Augura a Sua Maestà pieno soddisfacimento dei Suoi voti, che sono in pari tempo i voti della principale nostra produzione. L'Accademia con tanto maggior compiacimento rende questo doveroso omaggio, in quanto accoglie nel suo seno rappresentanti delle scienze agronomiche ed economiche, che da quelli studî si ripromettono un largo incremento. Il Presidente P. BLASERNA. A questa comunicazione S. M. faceva rispondere col telegramma seguente: Senatore BLASERNA, Presidente della R. Accademia dei Lincei, Roma. Arrecava viva compiacenza a S. M. il Re l'adesione fatta alla sua iniziativa dalla R. Accademia dei Lincei, che raccoglie nel proprio seno autorevoli cultori delle scienze agrarie ed economiche. L’Augusto Sovrano cordialmente ringrazia dei voti espressi e del cortese, apprezzato omaggio. Ministro Ponzio VAGLIA. DISSERTAZIONI ACCADEMICHE DELLE UNIVERSITÀ DI FRrEIBURG, HALLE-WITTENBERG, HEIDELBERG. I. — FreEIBURG 1. BR. Altmaras J. — Ein fall von Situs transversus partialis. Freiburg, 1904. 8° Alvensleben A. — Ueber die Methoden, den Harn jeder Niere getrennt auf zufangen. Konstanz, 1904. 8°. Arnsperger B. G. — Zur Kasuistik der plastischen Operationen am Streck- apparat des Unterschenkels. Freiburg, 1903. 8°. Baader W. — Ein Beitrag zum Vorkommen des intraocularen Cysticercus in Baden. Freiburg, 1904. 8°. Baerlocher M. — Beitrige zur Kenntnis einiger Derivate des para-Oxychi- nolins und des ana-Brom-p-Oxychinolins. Freiburg, 1903. 8°. Barth H. — Ueber Vorkommen, Nachweis und Bestimmung der Oxalsàure im Harn. Stuttgart, 1903. 8°. Bauer V. — Zur innern Metamorphose des Centralnervensystems der In- secten. Jena, 1904. 8°. — 236 — Baur E. — Untersuchungen iber die Entwickelungsgeschichte des Flechten- apotherien. I. S. 1., 1904. 49. Beha R. — Lur Kenntnis «des Echinoccocus alveolaris. Freiburg, 1904. 8°. Bergdolt A. — Die Titrimetrie der Erdalkalimetalle und des Magnesiums. Freiburg, 1904. 8°. Brandenstein S. — Ueber die Behandlung des Plattfusses. Freiburg, 1904. 8°. Brandt L. — Ueber Jodoso-, Jodo- und Jodiniumverbindungen des 1-Methyl- 8-aethyl-4-jodbenzols. Freiburg, 1904. 8°. Brombach F. — Beitrag zur Kenntnis der Trias am sildwestlichen Schwarz- wald. Heidelberg, 1903. 8°. Brucker T. — Vier Falle von Tuberkulose des Myocards. Freiburg, 1903. 8°. 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Heidelberg, 1904. 8°. Schorn P. — Beitrige zur Kenntnis der Brassidin-und Elaidin-Séiure. Hei- delberg, 1903, 8°. Schweydar W. — Untersuchung der Oscillationen der Lotlinie auf dem astrometrischen Institut der grossherzogl. Sternwarte zu Heidelberg von Juli 1901 bis Juli 1902. Leipzig, 1904. 8°. Seiler L. — Ueber Uterus subseptus. Heidelberg, 1903. 8°. Sendele W. — Ueber Derivate der «-Bromheptylsàure C,H,3 Br 0.. Hei- delberg, 1004. 8°. Stinghof L. — Ueber die Gefassbilndelverlauf in den Blumenblittern der Iridaceen. Jena, 1903. 8°. Sowade J. — Ueber seròse Cysten des Scrotums, Hodens und Samenstranges. Hamburg, 1904. 8°. Sprenger M. — Ueber den anatomischen Bau der Bolbophyllinae. Heidel- berg, 1904. 4°. Staatsmann K. — Ueber Einklemmung des Wurmfortsatzes. Karlsruhe, 1904. 8. Stephan C. — Ueber Metalltrennungen mit Hydrazin und Wasserstoffsu- peroxyd in ammoniakalischer und natronalkalischer Lòsung. Heidelberg, 1903. 8°. Stiegeler H. — Ueber Anlagerung von Halogenwasserstoff an ungesàittigte Carbonsiuren. Heidelberg, 1903. 8°. Thomà X. — Ueber Dibenzoylhydrazidehlorid. Heidelberg, 1904. 8°. Velden (R. v. den). — Icterus gravidarum. Leipzig, 1904. 8°. Walter L. — Zur kondensierenden Wirkung organischer Basen. Heidelberg, 1903. 8°. Walton J. H. jr. — Die Jodionen-Katalyse des Wassertofisuperoxyds. Leipzig, TOO e Weinberger L. — Die totlich verlaufenen Krkrankungen in der Heidelberger Universitàts-Ohrenklinik wahrend der Jahre 1901 und 1902. Wiesba- den, 1904. 8°. Weinmayr J — Die Quecksilberkatalyse des Wasserstoffsuperoxyds. Heidel- berg, 1903. 8°. Wewer H. — Ueber die Reduktion des Metachlorbenzaldazins. Heidelberg, 1903. 8.. Wiengreen F. — Ueber das Hydrazid und Azid der Paranitrophenylessig- siure. Heidelberg, 1904. 8°. Wittenstein O. — Gewinnung und Benutzung leerer Ràume ohne Luftpumpe. Heidelberg, 1903. 8°. Zòrnig H. — Beitrige zur Anatomie der Coelogynen. Leipzig, 1903. 8°. Zugmayer E. — Ueber Sinnesorgane an den Tentakeln des Genus Cardium. Leipzig, 1904. 89. VOL: DIANO tl sten, fig punto Me ; j BORE cSuodilibiotE SESEEI idonee) Smog. (DIS sn Le nnt A MI) > SaLn TESE) Me SII (A. KE: te Ì tI n cl re sii al rale sarti eri: me Rei: Ta: dal siatatoCh rodot ri WU i "RSS tu lar | ; teobati “een ul nada, cura socia iter dit a i Cobb rat FP sac ce ante cn ® rAblatota todd Wursat Vul sadaeltinia frost an Ci EIA | bosone LORIS PIITAL III ICIOOTI N faz ; FAESRONO EE AR QUO ROLE UA RIVEIIIEIOVICA LT) SLA SEAN No FA ca de NRE aci RRONA FIATO A } x È ° Ti RT di MERCI ISNIA TRI III ROIO o fo (is te RATA sbtind ser GOOP LS LOR #7 tac stante n ii MT) DR ORI 4 $ dat LORI Opa cp RTRT Ri sedie so pi. 0 to gal nat or quieta - PRE sup: SA PECOCE arto CERERE LR AGRO a Publicazioni della R. Accademia del Lincei. . Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. I. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MemMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. WalSKIVo Wi VISOVEES VIII Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2). — II-XIX. MemoRrIiE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpiconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5® — RenpICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fasc 4°. RENDICONTI della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. (1892-1904). Fase. 1°-8°. MEMORIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. .IIV. Vol. V. Fasc. 3°. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della IR. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti «editori-librai : Ermanno Lorscuer & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico HoeeLi. — Milano, Pisa e Napoli. © RENDICONTE — TPebbidio 190545111 IMIRICE i Classe di scienze fisiche, matematiche. e. e naturali in! ille 14 LOS FA Seduta delag Fobbraio 19.057 i AU un MEMORIE, E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Volterra. Sall'equilibrio dei corpi elastici nil volte connessi ELA RADI CNG Pag. 193 Mosso. L'anidride carbonica come rimedio del male di montagna, e DEE nelle ascensioni ©’ aereostatiche questa debba respirarsi coll’ossigeno (3) SEA RS A A A A “ingeli e Castellana. Sopra una reazione delle ammine secondarie ©). <> Levi-Civita. Sulla ricerca di soluzioni particolari dei sistemi differenziali. (pres. dal Socio Volterra Eee Mete. Cipolla. Sul numero dei pinta di Weierstoa fra Bio distinti di una curva alidbiica di ge-, nere p (pres. dal Socio Bertini)... . ; ) MN (0, Plancher e Ravenna. Sull’ossidazione del paolo ad immifi dita (a nor Sicio Cia- ICONA) TSE 5 5 BRA VI NZ AZINRE Giolitti. Sulla Tuca 00 dei period în Dl son Socio pi az Traina. Sull'Anglesite dei giacimenti metalliferi della Proyincia di Messina (pres. dal Socio Strùver) . . . 3 Re, ; BRONZO Clerici. Sopra una Llano Sar presso iS a via Casilina cn dal Socio CANIAS Me. MA 20) Perotti. Di una Modica 3 odo d isolamento dei microorganismi della nica (pres. dal Corrispo Caboni i ARIA ERO a A ARI Peglion. Intorno alla nebbia o mal bianco Mori japonica e Idi)x;:< 00282 CORRISPONDENZA Ferraris. Ricorda ed elogia l'iniziativa di S. M. il Re per la fondazione di un Istituto di studî sull’agricoltura, e propone che l’Accademia si associ al plauso generale con cui l’ini- ziativa stessa venne accolta. — Deliberazione dell’Accademia . . . A Blaserna (Presidente). Dichiara che si affretterà è comunicare il voto dell'Agdadenta a S.Min' » Cuboni. Fa alcune osservazioni sui vantaggi che si otterranno dal nuovo Istituto . . . » 285 Testo del telegramma trasmesso dal Presidente a S. M. il Re, e della risposta fatta inviare» da;S.-M.all'Accademiavit a ARR AR CAO SO AIN OI VO BUDLETTINO BIBLIOGRARIGCO/ 30 sort «0 SSR i ROOT OI (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. K. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 5 marzo 1595. N. 5. AGI 1 DELLA REALE ACCADEMIA DEL LINCET ANNO CG@II. 905 Siege Ut EA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 marzo 1905. Volume XIV. — Lascicolo 5 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SAIVIUCCI 1905 Si Aa institution, “N ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi» cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. | 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.L° Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. de. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANNA Seduta del 5 marzo 1905. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisiologia. — Dimostrazione dei centri respiratori spinali per mezzo dell’acapnia. Nota del Socio AnceLo Mosso. SUL L'anidride carbonica ha un'azione eccitante sulle cellule nervose; quando per mezzo di una rapida ventilazione polmonare, facciamo diminuire la quan- tità di anidride carbonica contenuta nel sangue, si producono dei fenomeni di depressione che erano già noti e che desidero rammentare per metterli meglio in rapporto coll’acapnia, quale si produce per la depressione baro- metrica. Fino dal 1872 quando ero allievo del prof. M. Schiff a Firenze. ho potuto assistere a degli sperimenti nei quali per mezzo della ventilazione pol- monare si otteneva una depressione profonda dell'attività dei centri nervosi e la cessazione del respiro. Citerò le parole stesse di M. Schiff ('): « Si pos- sono far cessare, in un animale normale, passaggermente tutte le azioni riflesse, mentre che i nervi motorî in questo stato hanno conservato la loro eccitabilità. Si deve fare la respirazione artificiale, con grande frequenza, au- mentando sempre più la pressione dell’aria; così si arriva ad un grado di pressione in cui l’animale par morto; non vi è più per qualche minuto respirazione spontanea; l'occhio non si chiude più al contatto; la faringe (!) M. Schiff, Lezioni di fisiologia sperimentale. Seconda edizione 1873, pag. 530. RenpIcoNTI. 1905. Vol. XIV, 1° Sem. 31 — 250 — non sì contrae più quando si tocca la sua muccosa. Quando in questo stato s interrompe la respirazione artificiale, dura sempre un certo tempo questo stato di morte apparente, finchè ritorna la respirazione automatica ». M. Schiff trovò pure che dopo una forte ventilazione polmonare diviene ineccitabile la corteccia cerebrale, così che le correnti elettriche applicate sulle regioni motrici non producono più alcun effetto, mentre che i nervi motorî conser- vano l'eccitabilità normale (!). Prima però vi era già stata la scoperta di Rosenthal nel 1867 (2), il quale trovò che durante l’apnea scompariscono i movimenti riflessi: ed è tanto grande la diminuzione dell’eccitabilità del midollo spinale, che la stricnina ed altri veleni convulsivanti perdono la loro azione durante l’apnea. Le esperienze di Kronecker e Markwald (*) misero meglio in evidenza l'azione deprimente che la ventilazione prolungata e forte dei polmoni esercita sul centro respiratorio: mostrando che durante l’apnea diventano senza azione gli eccitamenti elettrici della midolla allungata. Questa azione deprimente venne dopo studiata dal Knoll (4) con una serie di esperienze fatte sui conigli, dalle quali risultò che la ventilazione profonda dei polmoni, fa diminuire l'eccita- bilità dell'apparecchio respiratorio. Gad fece un'esperienza che ha un interesse grande per la questione che qui esamino (°): egli levava lo sterno ad un coniglio, senza aprire la pleura; facendo poi la respirazione artificiale in modo da produrre l’apnea, vide che dopo la pausa il respiro cominciava spontaneo, quando il colore del sangue nell'orecchietta sinistra del cuore era molto più scuro che normalmente. La diminuzione della eccitabilità del centro respiratorio egli l’attribuisce però a delle cause meccaniche, e ad un'azione diversa che non sia la diminuzione del CO, nel sangue. Knoll fermò pure la sua attenzione su questo fatto già osservato da K. Franz che il sangue nelle arterie, quando dopo la pausa del- l’apnea comincia il primo moto respiratorio, è più scuro, cioè più venoso, che non sia nelle condizioni normali. Prima che comincino i moti respiratorî dopo l'apnea, vide nei conigli a traverso le pareti dell'addome come si producano dei moti vivaci nelle intestina dipendenti dalla eccessiva venosità del sangue. Finita la pausa, quando comincia il respiro e il sangue torna arterioso, questi movimenti cessano. La diminuzione della eccitabilità dei centri respiratorî è così grande, secondo le esperienze di Knoll, che l’anemia del cervello prodotta colla chiusura delle arterie, che portano il sangue al cervello, produce ancora le convulsioni, ma non riesce più ad eccitare i movimenti del respiro. (1) M. Schiff, Recueil des Mémoires physiologiques. Tome III, pag. 556. (2) Rosenthal, Comptes rendus, LXIV, pag. 1142. (3) Kronecker e Markwald. Arch. f. Physiologie 1879, pag. 593. (4) Ph. Knoll, Veder Apnoè. Sitzungsberichte K. Akad. d. Wiss. zu Wien, Bd. 86, 1882, s. 103. (9) J. Gad, Veber Apnoè. Wurzburg, 1880. — 2561 — Dobbiamo quindi riconoscere che durante l'apnea sono meno eccitabili i centri del respiro, perchè quando dopo la pausa ricomincia la respirazione spontanea, il sangue e l'organismo si trovano in uno stato di asfissia; questo è interessante per la dottrina dell’acapnia essendo dimostrata la diminuzione del CO, nel sangue dopo una rapida ventilazione. Prima lo vide nelle sue analisi P. Hering (‘), dopo lo confermarono Pfliger ed Ewald, quindi L. Fre- dericq ed io stesso con altre analisi del sangue durante l’apnea. 82 Riconosciuto che per mezzo dell’acapnia si può paralizzare completa- mente il midollo allungato, per quanto riguarda la funzione sua respiratoria, pensai di servirmi di questo metodo per eliminare la sua azione e vedere cosa può fare da solo il midollo spinale. sapendo che questo resiste meglio all’azione deprimente dell'acapnia. Siccome la respirazione artificiale fatta coi soffietti ordinarî modifica troppo la circolazione polmonare, quando si adopera una forte pressione per rendere più attiva la ventilazione polmonare, ho prefe- rito adoperare il mio apparecchio per la respirazione artificiale ad aria com- pressa e rarefatta (2). Avevo così il vantaggio di poter fare un grande nu- mero di respirazioni piccole ed attive, e rendere la ventilazione polmonare molto più intensa, senza distendere troppo il polmone e mettere colla pres- sione positiva un impedimento alla piccola circolazione. Per essere sicuro di registrare i più piccoli movimenti del torace e del diaframma, adoperai un metodo di registrazione che supera in sensibilità tutti gli altri pneumografi. Messa una cannula nella trachea per la respirazione artificiale e legatala strettamente, chiudevo durante l’apnea questa cannula con un piccolo tappo di gomma il quale, per mezzo di un tubo di vetro che lo attraversava, metteva in comunicazione l’aria contenuta nei polmoni con un timpano registratore di Marey. Si poteva a questo modo esser certi che ogni più piccola contrazione del diaframma, o dei muscoli toracici, verrebbe registrata. 25 gennaio 1904. — Un cane del peso di 9300 gr. viene addormen- tato con tre grammi di cloralio iniettato nella cavità addominale. Si appli- cano due pneumografi, uno sul torace e l’altro sull’addome e scrivesi il re- spiro. Nella fig. 1 in alto il tracciato T è quello del respiro toracico, sotto vi è il respiro diaframmatico Ad. Avevo fatto prima la tracheotomia e messo una cannula nella trachea per la respirazione artificiale col mio apparecchio ad aria compressa e rarefatta. In P P_comincia il respiro artificiale che dura (1) Buchheim, Veder die therapeutische Verwendung des Sauerstoff. Arch. f. exp. Path. und Pharmak. IV B. pag. 143. (2) A. Mosso, Archives ital. de Biologie, Tome XLI, pag. 192. Ad — 252 — 2 minuti con 120 respirazioni al minuto. Avverto che la penna P inferiore non trovasi sulla stessa verticale della superiore; ma è spostata a sinistra; nella fiv. 4 dovrò ricordare questa circostanza. Cessata la respirazione artificiale, metto il tappo di somma nella cannula e faccio comunicare la cavità pol- Fic. 1. monare con un timpano registratore. Il tempo fu scritto sotto le figure in secondi. La fig. 2 scritta a questo modo lascia vedere nella linea superiore T il polso dovuto ai cambiamenti di volume del cuore: nella linea Ad vediamo Ad Aces? che il diaframma è immobile come il torace e anche in questo tracciato ap- paiono le sistoli del cuore. La fig. 2 non si continua immediatamente colla fig. 1, perchè ho soppresso 10 secondi di tracciato identico a quello che vediamo nel principio della fig. 2. Ad Lo53 — Dopo qualche tempo, cioè 40 secondi, che era cessata la respirazione arti- ficiale, cominciano a muoversi col ritmo del respiro entrambe le estremità posteriori, e si produce una leggera contrazione col ritmo del respiro anche nei muscoli dell’addome, come si vede alla fine della fig. 2. Sebbene i moti delle gambe siano abbastanza forti, il diaframma e i muscoli toracici restano in completo riposo, come risulta dalla fig. 2. È dunque dimostrato che i centri spinali sono i primi che riprendono la loro funzione durante l’apnea, e che il moto delle gambe e dei muscoli addominali si compie col ritmo della re- Fic. 4. spirazione (cioè 4 ogni 10 od 11 secondi). Perchè non nasca dubbio su questo fatto, nella fig. 3 dove è segnato A scrivo colla penna sul cilindro un segno butte le volte che l'animale muove le gambe; raffrontando, trovasi che tali segni corrispondono alla contrazione leggera dei muscoli addominali e delle — 254 — zampe. Stabilito questo fatto, levo il tappo dalla trachea e faccio comunicare il pneumografo del torace col timpano registratore aspettando che si ristabi- liscano le funzioni del respiro. Per brevità venne soppressa una porzione del tracciato che comprende 45"; in questo tratto cominciarono poco per volta a manifestarsi i moti del torace e li vediamo bene distinti nella fig. 4, dove il ritmo è come quello che prima si manifestava nelle contrazioni delle gambe. Ad ogni dilatazione Hremio: del torace le pareti dell'addome si abbassano perchè il diaframma è ancora inerte e si lascia tirare in posizione espiratoria verso il torace. Per il raf- fronto esatto devesi confrontare la posizione delle penne P P nella fig. 1, dove si vede che la penna che scrive i movimenti addominali è spostata circa 2 mm. verso sinistra. Nella fig. 5 verso la fine del primo terzo in B improvvisamente sì fanno più rapide le inspirazioni del torace e anche il diaframma comincia a con- trarsi; da questo punto possiamo considerare come ristabilite completamente le funzioni del midollo allungato. La depressione dei centri nervosi che si produce nell'acapnia fu così intensa in questo cane, che solo dopo 2' 53” che era cessata la respirazione artificiale, cominciarono nuovamente a funzionare in modo normale tutti i centri del respiro. In questa esperienza, come in molte altre che ho già pubblicato, ap- pare evidente l'indipendenza fra la funzione dei centri respiratorî toracici e i centri dei moti diaframmatici, cosicchè entra prima in funzione il to- race e comincia dopo la respirazione addominale; e nella depressione pro- dotta dall'acapnia vediamo una rassomiglianza col sonno naturale dove se- condo le mie osservazioni esiste uno stato paretico del diaframma, mentre funzionano bene i centri toracici del respiro. Che il midollo allungato soffra più intensamente dei centri spinali lo si prova col fatto qui osservato e da ciò — 259 — che possiamo ottenere dei riflessi nelle gambe comprimendo forte le zampe quando l'animale non respira ancora spontaneamente. L'esperimento ora esposto è tanto facile a ripetersi e tanto evidente che io credo inutile riferirne degli altri simili. In un capitolo speciale del mio scritto Sulla fisiologia dell’apnea studiata nell'uomo (') mostrai con nuove esperienze come la ventilazione polmonare diminuisca l’eccitabilità dei centri respiratorî: ed in una Nota precedente (*) riprodussi i tracciati della respirazione quali si ottengono nel gatto dopo la separazione completa del midollo allungato dal midollo spi- nale. Sebbene i tracciati scritti sul gatto nella Nota ora ricordata ab- biano risolto in modo definitivo la questione tanto discussa dei centri re- spiratorî spinali, il metodo che ora presento, essendo di più facile esecuzione, credo potrà servire assai più facilmente per dimostrare nella scuola l’esi- stenza dei centri respiratorî spinali. I movimenti delle gambe e dei muscoli addominali compariscono col ritmo del respiro, quando siamo sicuri che è pa- ralizzato il midollo allungato, onde io credo con questa Nota di recare un nuovo contributo alla dottrina dei centri respiratorî sostenuta da P. Roki- tanski, da Schrof, Langendorfi, Wertheimer, e negata invano da altri speri- mentatori più numerosi e non meno valenti. Fisiologia. — Differenze individuali nella resistenza alla pressione parziale dell'ossigeno. Nota del Socio AnceLo Mosso. S, iL Succede negli animali quanto abbiamo veduto nell'uomo alla Capanna Regina Margherita (3) dove alcune persone sentono in quell’altitudine la fame dell'ossigeno ed altre non la sentono ancora, dove la respirazione in alcune non cambia, ed altre anche nella veglia hanno la respirazione perio- dica di Cheyne Stokes. Le differenze individuali per l'acapnia si manifestano evidentissime nei cani e nei conigli per la facilità maggiore, o minore, colla quale si ottiene l’apnea per mezzo della ventilazione rapida dei polmoni, dopo aver tagliati entrambi i nervi vaghi. Vi sono degli animali in cui non sì riesce a produrre l’apnea dopo il taglio dei vaghi, per quanto sia forte la respirazione artificiale; mentre in altri si ottiene facilmente in condizioni eguali un arresto del respiro. (") A. Mosso, Archives de Biologie. Tome XL, pag. 10, (2) A. Mosso, Rendiconti R Accademia dei Lincei. Vol. XII, fasc. 12, 2° sem. 1903; Archives de Biologie. Tome XLI, pag. 169. (3) A. Mosso, La respirazione periodica, quale si produce sulle Alpi per effetto ° dell’acapnia. R. Accad. delle scienze di Torino. Memorie, 19 giugno 1904, $ 7. — 256 — Le differenze individuali nell’eccitabilità del centro respiratorio le mostrò Lindhagen nei cani ('); tagliando i vaghi alcuni respirano un volume mag- giore di aria, ed altri uno minore; questo succede tanto negli animali pro- fondamente cloralizzati, quanto nei cani normali. Sono del resto note le dif- ferenze enormi che presentano le differenti specie di uccelli all'asfissia; ed anche nell'uomo sappiamo quanto ad essa resistano di più i neonati in confronto degli adulti. Le cause delle differenze individuali sebbene ci siano ignote nell'origine loro, sono però uno dei fatti che tutti ammettono senza discussione; e queste si osservano specialmente nel male di montagna. Facendo un grande numero di esperimenti sull’aria rarefatta, mi capi- tarono dei casi veramente singolari di indifferenza per l'ossigeno, mentre era modificata profondamente la funzione del respiro, ed è su questi casi che vorrei chiamare l’attenzione dei fisiologi. Il metodo seguito era semplice ed esente da ogni causa di errore, perchè sull’animale addormentato col cloralio, scrivevo il respiro sotto la campana pneumatica: ed una volta producevo sotto la campana una depres- sione barometrica con aria atmosferica, e l’altra, dopo aver prodotto la stessa depressione barometrica, lasciavo penetrare sotto la campana una determi- nata quantità di ossigeno, che misuravo prima, mentre essa passava, e ana- lizzavo dopo prendendone un campione nella campana mentre durava la de- pressione. ESPERIENZA I. Ad un cane del peso di 4 chilogrammi, inietto il 21 marzo 1903, gr. 2,5 di cloralio nella cavità addominale. RIEN Quando l’animale è addormentato faccio la tracheotomia e lego nella trachea una cannula con una scanalatura laterale per la quale passa l’aria, mentre un tappo messo nella cannula lascia per mezzo di un tubo di vetro comunicare la corrente dell’aria respirata con un timpano registratore di Marey. Nell'inspirazione la linea scende, e si alza nella espirazione (fig. 1). (!) Lindhagen, Skand. Archiv. f. Physiologie, vol. 4, pag. 308. nti — e «de nni LEA i — 257 — Il primo pezzo a sinistra rappresenta il tracciato normale del respiro. L'animale è messo sotto la grande campana di vetro della capacità di 50 litri, il motore Baltzar funziona di fuori della campana, come ho già descritto in altre Note. Il tempo è scritto sotto in secondi; ogni linea verticale segna 1”. La pressione barometrica = 753 mm. Temp. = 15°. In A comincia la de- pressione barometrica. imnannnnnannnanaannnannnanni. Fic. 2. Per economia di spazio ometto un pezzo del tracciato. In B fig. 2, la pressione barometrica è 250 mm. che corrisponde all’altitudine di 8866 m. Fic. 3. quanto è alto il monte Everest. Vediamo che la frequenza del respiro non è cambiata, ma che la profondità delle respirazioni è notevolmente più pic- cola. Dopo B fermo la pompa e penetrando aria, la pressione torna come era prima a 753 mm., ed il respiro, come si vede nella fig. 3, torna esso pure normale. La prima idea che viene guardando queste figure è che sia mancato l'ossigeno per effetto della depressione barometrica: ma vedremo subito che vi deve essere un'altra causa che agisce, e per assicurarcene riferisco una serie di esperienze nelle quali tenni costante la pressione parziale dell’'os- sigeno. 82 Dopo 10 minuti nello stesso cane ripeto una esperienza colla rarefazione dell'aria, quale si vede nella linea 1 della fig. 4. La frequenza del ritmo è RenpIcoNTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 32 — 258 — un poco maggiore, forse perchè era divenuta meno intensa l’azione del clo- ralio. Nel punto segnato @ comincia a funzionare la pompa e scema la pres- sione sotto la campana: in corrispondenza della lettera A, essa è 400 mm. La frequenza non è cambiata, solo la profondità è minore. Fermo le pompe e lascio penetrare aria in modo che ritorna normale la pressione; ciò mal- grado la profondità del respiro non torna come prima, rimanendo alquanto più piccola. L'azione deprimente dell’apnea dura un certo tempo, come si vede ancora nel principio della linea 1, fig. 5, che è la continuazione del tracciato. Nel punto B, linea 1, fig. 5, comincia un'altra depressione barometrica, ma questa volta aggiungo dell'ossigeno, mettendo in comunicazione il tubo che dà l'accesso all'aria con un cilindro pieno di ossigeno compresso a 10 atmo- sfere. La somministrazione comincia nel punto segnato 2; ed io regolo la uscita dell'ossigeno dal cilindro in modo che funzionando la pompa, la pres- sione barometrica dentro la campana non cambi e resti a 400 mm. Sapevo già per esperienze precedenti che col moto ordinario della pompa bisognava aggiungere 85 litri di ossigeno onde avere per 400 mm. di pres- sione barometrica la quantità di ossigeno che dava la stessa pressione par- ziale. Nella linea 1, fig. 5, vediamo che penetrando questa quantità di ossi- geno non cambia il ritmo e non aumenta la forza del respiro. In principo della linea 2, fig. 4, in C prendo un campione d'aria per mezzo di due pipette piene di mercurio, riunite con un lungo tubo di gomma, in modo da poter estrarre il gas dalla campana, malgrado la pres- sione di 400 mm. Fatta l'analisi trovo che contiene 38% di 0,, così che la pressione parziale sarebbe 152 mm. Hg, mentre che alla pressione normale è 158 mm. Visto che l'ossigeno non serve per ristabilire le condizioni normali del respiro, lascio penetrare aria sotto la campana appena preso il campione in C e vediamo che il respiro torna gradatamente come prima. Nella linea 2 della fig. 5 facciamo un’altra esperienza colla rarefazione e vediamo che il respiro diminuisce di ampiezza. Giunti al segno O, la pressione era nuova- mente 400 mm. e faccio passare altri 35 litri di ossigeno sotto la campana, anche questa volta senza effetto. In D penetra nuovamente aria sotto la campana e si torna alla pres- sione di 753 mm. ed il respiro torna a rinforzarsi. Nella linea 3, fig. 4, ripeto una esperienza coll’aria e dopo ne faccio un’altra coll'ossigeno nella linea 3 della fig. 5 che continua nella linea 4, fig. 4, colla depressione ba- rometrica di 400 mm. L'ossigeno viene amministrato nel punto O; linea 3, fig. 5, e dove c'è il segno linea 4, fig. 4, prendo un campione d'aria dalla campana, il quale analizzato contiene 37 °/, di O, così che la pressione parziale era 148 mm. Hg. Dopo © lascio penetrare aria e si tornò alla pressione normale. Fic. 4. Vediamo in queste ultime esperienze 4, 5 (come nei tracciati precedenti) nancare ogni effetto dell'ossigeno ed agire invece con prontezza l'aumento della Fic. 5. Corradini rpessione barometrica, sebbene questa colla penetrazione dell’aria faccia dimi- nuire la pressione parziale dell'ossigeno. — 261 — È importante notare come in tutta questa serie di esperienze grafiche manchi il più piccolo accenno ad un aumento di eccitabilità quando co- mincia ad agire la depressione barometrica. La mancanza della dispnea ci fa riconoscere che l'azione deprimente dell’aria rarefatta si estrinseca con una diminuzione nella forza dei movi- menti respiratorî senza che preceda un'azione eccitante. La singolarità di questo fenomeno credo non possa spiegarsi, se non per mezzo dell'acapnia che fa scemare l'intensità dell’eccitamento respiratorio, senza modificare la nutrizione delle cellule nervose nei centri respiratorî. I risultati di queste esperienze confermano quanto avevo già pubblicato in una precedente Nota (') studiando le scimmie deste senza la depressione dei centri nervosi che produce il cloralio, ed in quelle esperienze vidi che la diminuzione della pressione parziale dell'ossigeno non basta per spiegare il sonno ed altri fenomeni che si producono nelle forti depressioni barome- triche. Non mi fermo in altri raffronti, perchè un semplice sguardo dato a questi tracciati dimostra che siamo in pieno disaccordo coll’affermazione di P. Bert « La diminution de la pression barométrique n’agit sur les étres vivants qu'en diminuant la tension de l'oxygène dans l’air qu'ils respirent » (?). Devo pure soggiungere che gli animali i quali presentano una tale in- differenza all’ossigeno sono delle eccezioni e che nel maggior numero dei cani osservai nelle forti depressioni un effetto benefico coll’aggiunta dell’os- sigeno. 8 3. Uno dei fatti che più si impongono nello studio del male di montagna e che ho potuto constatare molte volte nella mia lunga vita di alpinista, è la pochezza dell’altitudine nella quale può in alcune persone prodursi un malessere per rarefazioni relativamente poco notevoli dell’aria. Non riferisco per brevità gli appunti che presi in molte capanne e rifugi durante le mie escursioni sulle Alpi, ma posso stabilire come media che moltissime per- sone soffrono già dei disturbi all'altitudine di 3000 metri. Perchè non si creda che questo sia un effetto della fatica, potrei riferire esempi di persone che restarono un giorno o due nelle capanne in completo riposo senza che migliorassero le loro condizioni. Per dimostrare che senza la complicazione della fatica bastano delle pressioni barometriche relativamente deboli per produrre dei disturbi, ricor- derò l'esempio di P. Bert che ad una depressione inferiore all’altitudine del Monte Rosa, provò i seguenti sintomi nella campana pneumatica: « 3" 32% pression 485 mm. Ayant voulu, sans quitter ma chaise, élever la jambe (1) A. Mosso, Archives de Biologie. Tome XLII, pag. 23. (°) P. Bert, Za pression barométrique, pag. 1153. — 262 — droite, celle-ci est prise de temblements convulsifs dans les muscles du mollet et de la cuisse, tremblements que je ne puis maîtriser avec la main »(!). Kronecker ricorda l'esempio di suo fratello, il celebre matematico, che a Pontresina non poteva tollerare l'altitudine di 1800 m. perchè bastava già questa rarefazione dell'aria per impedirgli di dormire (*). Se nell'altitudine di 3000 m. si trovano delle persone che soffrono di nausea, che perdono l’ap- petito, ed accusano una depressione grande delle forze, con cefalea, palpita- zione ed insonnia, bisogna ammettere che la causa di questi disturbi non sia la diminuita razione dell'ossigeno; e dobbiamo escludere la fame di ossi- geno, perchè sappiamo che in queste altitudini respiriamo relativamente meno aria che in basso, perchè sappiamo che non se ne sente il bisogno e nulla accenna alla mancanza di ossigeno per la nutrizione del cervello. L'esempio classico delle differenze individuali, che rimane, a parer mio, inesplicabile, se non si ammette l’acapnia, è l’ascensione del l’aereostata Ze- nith compiutasi a Parigi nel 1875. Entrarono nella navicella Sivel, Croce Spinelli e Tissandier, e salirono rapidamente in 2 ore fino all'altezza di 8600 m. Avevano portato delle provviste di ossigeno, ma non ebbero tempo di servirsene, perchè forse sfuggì loro dalle mani il tubo del gas. Tutti tre perdettero la coscienza: Croce Spinelli e Sivel morirono prima di toccare la terra. 84 Più interessanti per mostrare l’inefficacia dell'ossigeno ad evitare com- pletamente i disturbi che si producono nelle forti depressioni barometriche, sono le osservazioni dei prof. Sùring e Berson, fatte nella più grande ascensione aereostatica che siasi fino ad ora compiuta. Credo utile riferire sommaria- mente i disturbi che si producono nelle ascensioni quando l’uomo si spinge arditamente nelle regioni più elevate dell'atmosfera, L'ascensione dell'aereo stata Preussen compiutasi a Berlino nel luglio 1901 da Berson e Sùring i quali raggiunsero l'altezza di 10,800 m., è un avvenimento di tale impor- tanza che rimarrà celebre nella storia dell'atmosfera. Il pallone Preussen della capacità di 8400 m. c. venne riempito con 5400 m.c. di idrogeno: potendo esso sollevare oltre il proprio peso circa 7000 kg., Siring e Berson portarono una grande provvista di ossigeno com- presso in quattro cilindri d'acciaio della capacità di 1000 litri. Partirono il 21 luglio del 1901 dalla stazione aereostatica militare di Berlino. Fino a 9000 m. le condizioni degli aereonauti furono buone; solo erano un po' son- nolenti. La stanchezza produsse poco per volta un’apatia non indifferente, e poi diventarono più sonnacchiosi, ma chiamandosi reciprocamente e scuo- tendosi si rimettevano del tutto; ed erano così desti da riprendere con un (1) P. Bert, Pression barométrique, pag. 751. (2) H. Kronecker, Die Bergkrankeit, pag. 93. — 263 — po' di sforzo le loro osservazioni. Le inalazioni di ossigeno fatte ripetutamente bastavano per ravvivarli. Nessun disturbo serio dell’intelligenza, nessun sin- tomo morboso comparve fino all'ultima serie di osservazioni compiutasi a 10250 m. Il barometro a mercurio e l’aneroide poterono leggersi fino al de- cimo di millimetro. Le note scritte non erano punto diverse da quelle che furono prese a piccole altitudini. Solo la spossatezza diveniva più rapida per ogni piccolo lavoro muscolare. Essi però stavano come al solito, onde crede- vano, essendo bene protetti dal freddo e respirando l’ossigeno, di poter resi- stere ad una maggiore depressione; ma il loro organismo non era più nel- l'equilibrio; e qui cito la relazione del prof. Siring per mostrare come siansi aggravate rapidamente le lore condizioni (!). « Sopra a 10,250 m. di altitudine scompare la ricordanza di ciò che sia avvenuto, sebbene fino a quel momento ne sia rimasta chiara la memoria. Le ricordanze sono alquanto discrepanti fra noi due. È certo però che Berson tirò la valvola, e che iniziò la discesa del pallone. Poco prima egli aveva dato un'occhiata al barometro e letta la pressione di 202 mm. che corri- sponde ad un'altezza di 10500 m. Naturalmente il pallone non si è subito fermato, e per varie ragioni crediamo di essere saliti fino a 10800 m. Berson tirò la valvola perchè chiamandomi e scuotendomi non ottenne alcuna ri- sposta e temette una catastrofe: lo sforzo compiuto nel tirare la valvola esaurì le sue forze, ed egli cadde in uno svenimento lungo e grave. Io mi ricordo di aver trovato il mio collega seduto che dormiva, quando io (probabilmente in buone condizioni) mi rivolsi a lui per fare insieme una nuova serie di osservazioni. Non riuscendo a nulla collo scuoterlo, gli misi in bocca il mio tubo dell'ossigeno, e gliene diedi in abbondanza: ma egli rimase immobile. Volli allora tirare la valvola, la corda era alquanto lontana per afferrarla e dovetti tornare indietro onde prendere il tubo dell'ossigeno che avevo la- sciato presso Berson. Ho la ricordanza sicura che le forze diminuivano rapi- damente, ma che riuscii ancora ad afferrare il tubo dell'ossigeno, e dopo cessò la coscienza. Se questo successe prima che Berson tirasse la corda della val- vola ha poca importanza, poichè tutti due abbiamo finito con uno svenimento. Frattanto il pallone scendeva, e dopo mezz'ora, o tre quarti d'ora, ci sve- gliammo quasi contemporaneamente a 6000 m. ». S 5. I fatti ora esposti sono importanti per lo studio che facciamo. Ho scritto al prof. Siring pregandolo di spiegarmi come era capitato che avendo in bocca il tubo dell'ossigeno fosse ciò nullameno caduto in deliquio ; e gli feci la pro- posta di adoperare d'ora innanzi dell'ossigeno compresso il quale contenesse (1) R. Sùring, Schriften der Maturforschenden Gesellschaft in Danzig. N. F. XI Bd. 1 Heft 1903, — 264 — dall'8 al 10 per cento di anidride carbonica. Egli mi rispose gentilmente con due lettere del 12 e 17 marzo 1904, senza però aggiungere maggiori parti- colari a quelli che trovansi stampati (!). Nell'ultima lettera il prof. Sùring mi scrisse: « Posso affermare che nella nostra ascensione del 1901 la respirazione dell'ossigeno fu insufficiente. Perchè secondo il mio parere lo svenimento successe solo per circostanze sfavorevoli (impiego inutile di forze) ed una respirazione migliore di ossigeno avrebbe bastato per impedire lo svenimento. « Ora viene ancora un secondo punto. Ripetutamente nelle mie confe- renze espressi il rincrescimento che malgrado una buona respirazione di ossi- geno e sebbene si adoperino tutte le cautele, ciò nullameno manca qualsiasi voglia e l'attenzione necessaria per fare delle osservazioni un poco fuori dell'ordinario. Questo lo confermarono senza eccezione tutti gli aereonauti. Sopra i 7000 m. sono riuscite fino ad ora impossibili tutte le osservazioni fisiche, o meteorologiche, un poco difficili, malgrado un'abbondante respira- zione di ossigeno. Io spero molto che questo grave inconveniente possa evi- tarsi per mezzo dell'aggiunta da Lei proposta di acido carbonico all’ossigeno che deve respirarsi nelle ascensioni ». Mettendo questi gravi accidenti in rapporto colle osservazioni che ho fatto sulle scimmie, dobbiamo concludere che l'ossigeno da solo non basta per mantenere intatte le funzioni del cervello nelle fortissime depressioni ba- rometriche, pur riconoscendo che l'ossigeno sia capace di ravvivare le fun- zioni depresse dell'organismo, quando nelle grandi altezze diviene insufficiente l'ematosi. Le osservazioni fatte dagli aereonauti vanno pienamente d'accordo con quanto osservai nelle scimmie che sottoposte alla pressione barometrica di 250 mm. corrispondenti all'altezza del Monte Everest (cioè ad 8000 m.) erano prese dal sonno, la loro faccia diventava meno espressiva, era scom- parsa la vivacità dei loro movimenti, chiudevano gli occhi per dormire, sem- bravano stanche ed abbattute, quantunque fosse inalterata la pressione par- ziale dell'ossigeno a 150 mm. Hg, perchè respiravano un'aria la quale conteneva tre volte più di ossigeno, cioè 53 °/, (2). Dimostrerò in una prossima Nota gli effetti benefici che si possono otte- nere dall’aggiunta dell’anidride carbonica all'ossigeno nel male di montagna. (1) Ergebnisse der Arbeiten am Aéronautischen Observatorium. Berlin 1902, pag. 228. (2) A. Mosso, Archives ital. de Biologie, tome XLII, pag. 24. A O ili È. 1 A E 0 e NH che lasciammo interrotte alcuni anni addietro. Allora ci limitammo a pre- parare il tetrazone : C:Hio NH + NH(0H), ES C:Hio N . NH(0H) a (C;Hio No): 9 che si dimostrò identico con quello preparato da Knorr (3): C;HpN.N:N.NC;Hio (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio farmaceutico dell’Università di Palermo. (2) Angeli A. Questi Rendiconti, vol. IX, 2° sem., pag. 180; Angeli A. e Angelico F. Questi Rendiconti, vol. X, 1° sem., pag. 164. (3) Liebio’s Annalen, 221, 811. — 273 — per ossidazione della piperilidrazina con ossido di mercurio: C:Hio N ° NH, . Il tetrazone si forma con grande rapidità ed il liquido acquoso da cui sì separa, riduce fortemente il nitrato d'argento ammoniacale ed il liquore di Fehling. Ma non ci fu possibile, malgrado i numerosi tentativi fatti, isolare il derivato dell’idrossilammina, il quale perciò deve essere instabilissimo; invece riuscimmo ad ottenere, dopo avere superate grandi difficoltà, una serie di sostanze che fra di loro stanno in rapporto molto semplice e che si pos- sono rappresentare per mezzo delle formole: (C5 Na Ho) (C:Ns Hun): (0; N: Ho): (C No Hs):. La terza è identica col tetrazone sopra accennato; la prima corrisponde senza dubbio alla piperilidrazina, ottenuta pure da Knorr, riducendo la nitro- sammina corrispondente ('). Si riscalda una soluzione acquosa e concentrata di quantità equimole- colari di cloridrato di piperidina e di sale sodico dell'acido nitroidrossilam- minico. Dopo qualche istante il liquido, dapprima limpido, si intorbida e va separandosi un olio denso che per raffreddamento solidifica. È identico col piperiltetrazone di Knorr. La sua grandezza molecolare corrisponde realmente alla formula rad- doppiata, come risulta dalla seguente determinazione che dobbiamo alla cor- tesia del prof. Giuseppe Bruni, dell’Università di Bologna. Solvente: Benzolo (K = 51). Solvente Sostanza (oncentrazione Abbassamento Peso molecolare 7,87 0,0568 0,721 09,185 199 7,62 0,0698 0,916 0,23 203 ” 0,2292 3,008 0,73 210 Peso molecolare calcolato per C1oHsoNi = 196. La soluzione da cui venne separata la precedente sostanza si sottopone a distillazione in corrente di vapore; passa un liquido di reazione alcalina che a caldo riduce il liquore di Fehling; evaporando il distillato, reso neutro con acido cloridrico, si ottiene un cloridrato cristallino, costituito da un mi- scuglio che non ci fu possibile purificare. Ci giovammo quindi di un artifizio allo scopo di caratterizzare la sostanza basica che viene trasportata dal va- (1) Liebig's Annalen, 221, 299, RenpIconTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 34 — 274 — pore d’acqua: una porzione, resa alcalina: con soda caustica, la trattammo con cloruro di benzoile ed ottenermmo un prodotto che, purificato dall'alcool bollente, si presenta in cristalli incolori che fondono a 198°. Senza dubbio è identico con la benzoilpiperilidrazina C5HoN . NH .CO.C:H; descritta per la prima volta da Knorr, sebbene questo autore assegni nn punto di fusione di qualche grado più basso. Gr. 0,1001 diedero c. c. 11,4 di azoto a 14° e 761 mm. (corretta). In 100 parti: Trovato Calcolato N 13,58 13,72 Un'altra porzione del distillato venne agitata con aldeide benzoica, che dapprima si emulsiona; dopo qualche tempo si separano squamme incolore che ricristallizzate dall'alcool fondono a 68°. I caratteri del prodotto così ottenuto corrispondono a quelli della ben- zilidenpiperilidrazina di Knorr C;HoN.N:CH.CH; sebbene anche in questo caso vi sia una lieve divergenza nel punto di fusione riferito dalla letteratura (62-639). Gr. 0,1553 di sostanza diedero c. c. 19,8 di azoto a 16° e 768 mm. (corretta). In 100 parti: Trovato Calcolato N 14,9 14,9 Non ci fu possibile isolare l’idrazina da cui derivano: si forma in piccola quantità, è volatile e solubilissima nell'acqua. Quando l’alcalinità del liquido che distilla accenna a scomparire, si in- terrompe l'operazione e la soluzione rimasta viene sovrasaturata con carbonato potassico secco e si estrae con cloroformio a freddo. Ripetuto alcune volte questo trattamento, si ottiene un olio denso, che dopo breve tempo in gran parte cristallizza; si riprende più volte questo residuo con ligroina bollente, e per concentrazione e successivo raffreddamento si separano grandi aghi in- colori. La parte insolubile nella ligroina contiene altre sostanze basiche che finora non ci fu possibile definire. Quando si cerca di purificare il prodotto così ottenuto, sempre dalla li- groina, ci si accorge che la sostanza, dapprima di aspetto omogeneo, è costi- tuita a sua volta da altri due prodotti, l'uno più solubile e l’altro meno, che verrà descritto più avanti. Ripetuto un grande numero di volte lo stesso trat- tamento, sì perviene ad un composto che si presenta in grandi aghi incolori — 275 — e che vennero alla fine purificati da pochissima acqua, nella quale sono molto solubili anche a freddo. Si ottengono così magnifici cristalli incolori, che nel vuoto, sopra cloruro di calcio, perdono ben presto il loro splendore per dive- nire alla fine completamente opachi. Fonde a 98°. Sopra la sostanza venne eseguita una determinazione di azoto; invece per l’analisi completa preferimmo trasformarla nel picrato. A tale scopo si tratta la soluzione alcoolica della sostanza con una soluzione pure alcoolica di acido picrico; si separa imme- diatamente il sale che venne purificato ricristallizzandolo più volte dall'alcool bollente, nel quale è pochissimo solubile. In tal modo si ottengono aghettini gialli che fondono con decomposizione a 175°. Gr. 0,0760 di sostanza diedero c. c. 18,3 di azoto a 16° e 768 mm. (corretta). In 100 parti: Trovato Calcolato per (C:HiNz)a N 28,25 28,28 Gr. 0,1474 del picrato diedero gr. 0,2172 di CO, e gr. 0,0592 di H,0 . Gr. 0,1452 del picrato diedero c. c. 26,2 di azoto a 14° e 768 mm. (corretta). In 100 parti: Trovato Calcolato per (C:H1:Ns)a, 205H3N30 C 40,18 40,24 H 4,46 4,27 N 21,20 21,30 Evidentemente la sostanza corrisponde alla formula (C; Hu N.): e la sua struttura più probabile è quella di una dipiperilidrazina C;H,N. NH.NH.NO;H,. Come tale, a caldo riduce fortemente il liquido di Fehling; reagisce con cloruro di benzoile, cianato di potassio e henzaldeide per dare prodotti che non ci fu possibile studiare in causa della scarsa quantità di materiale che avevamo a nostra disposizione. La sua formazione si può naturalmente spiegare in più modi; noi però incliniamo a ritenere che la sostanza debba la sua origine all’azione della pepirilidrazina, che più sopra abbiamo riscontrata, sopra l’ossipiperilidrazina che senza dubbio si forma in una prima fase: C:Hyo . N. NH(0H) + C;HN.NH,= C;HpN.NH. NH.N.C;H,, + H.0. L'altra sostanza che contemporaneamente si forma ed alla quale abbiamo prima accennato, è assai meno solubile nella ligroina e da questo solvente si separa anche quando la soluzione è molto diluita. É costituita da grandi cri- — 276 — stalli incolori, splendenti che fondono verso 154°. Allo stato di maggiore pu- rezza si ottiene trattando il miscuglio primitivo, estratto con cloroformio, e cristallizzato un paio di volte dalla ligroina bollente, con poco ossido di mer- curio in soluzione eterea e diluita. Dopo circa una mezz'ora di ebollizione, l'ossido è stato in gran parte ridotto e per concentrazione del solvente si ottengono cristalli che sono identici a quelli prima descritti. Venne purifi- cato per successive cristallizzazioni dall'etere, nel quale a freddo è pochis- simo solubile. Gr. 0,1500 di sostanza diedero gr. 0,3400 di CO» e gr. 0,1288 di H,0. Gr. 0,10530 di sostanza diedero c. c. 25 di azoto a 13° e 767 mm. (corretta). In 100 parti: Trovato Calcolato per (C3HsNs): C 61,80 61,85 H 9,54 9,28 N 28,70 28,86 Per trattamento con acido picrico, in soluzione alcoolica, fornisce un picrato che fonde verso 174°. Gr. 0,1568 di sostanza diedero c. c. 29 di azoto a 15° e 764 mm. (corretta). In 100 parti: Trovato Calcolato per (C;HsNs):, 2C;HzN307 N 21,80 21,48 Per azione del cloruro di benzoile, in presenza di alcali, dà un derivato benzoilico. Riduce a caldo il liquido di Fehling. Resta ancora da chiarirsi se una parte di questa sostanza si formi per azione dell’ossido di mercurio sopra l'idrazina prima descritta : (C:H1No)a, ovvero se l’ossido di mercurio si limiti a decomporre quest’ultima, lasciando l’altra che l'accompagna in uno stato di maggiore purezza. Per ossidazione dell’idrazina dovrebbe probabilmente formarsi anche il tetrazone di Knorr; si ottiene infatti una sostanza che per trattamento con acidi concentrati si decompone con sviluppo di azoto; ma la quantità troppo piccola e la grandissima solubilità in tutti i solventi, ancora non ci permi- sero di identificarlo in modo sicuro. Comunque però si voglia. interpretare questa reazione, resta sempre il fatto che nella formazione del prodotto (C:HoNo): ha dovuto necessariamente concorrere un atomo d'idrogeno dell'anello pipe- ridinico; le ‘possibilità sono naturalmente numerose, ma la maggiore probabi- SR — lità di reagire spetta senza dubbio ad un metilene unito direttamente al- l'atomo di azoto. Tenendo conto poi del fatto che la sostanza riduce il liquido di Fehling e che fornisce un derivato benzoilico, è necessario ammettere che nella sua molecola sia contenuta la catena: >N—T—NH— ovvero — ._H-NH— e che perciò si sia stabilito un doppio legame fra carbonio e carbonio. Non crediamo di andare lontani dal vero attribuendo alla sostanza la seguente struttura : NH NH CH, N MS A DA Hof Do _Y0H: H,C CH, H;,C CHy Da quanto abbiamo esposto risulta che la biossiammoniaca reagisce sopra la piperidina (e sopra le ammine secondarie in generale) per dare origine a numerose sostanze fra le quali esiste una parentela molto intima. Il prodotto primo dovrebbe essere costituito dall'ossiderivato: C;HoN . NH(OH) che ancora non ci fu possibile isolare perchè, perdendo acqua, subito si tras- forma nel tetrazone di Knorr. La comparsa degli altri prodotti, alcuni dei quali contengono più idro- geno del tetrazone ed altri meno, dimostra chiaramente che la reazione prin- cipale è accompagnata da processi correlativi di riduzione e di ossidazione, che noi ci riserbiamo di studiare appena celo consentiranno i mezzi di cui possiamo disporre. Chimica. — / concetti del Berthollet e del Guldberg sulla stechiometria delle combinazioni chimiche, esaminati dal punto di vista della loro verifica sperimentale. Nota del Corrisp. R. Nasmni. Meccanica. — Sull’equilibrio elastico di un corpo limitato da un cono di rotazione. Nota di OrAZIO TEDONE, presentata dal Socio V. VOLTERRA Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 278 — Fisica. — Campo elettromagnetico dovuto ad una corrente costante, elicotdale. Nota di G. PiccratI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Sulla variazione di isteresi nei corpi magnetici in campi Ferraris sotto l’azione di correnti interrotte ed alter- nate e di onde hertziane (). Nota del prof. RiccARDO ARNÒ, presentata dal Socio G. CoLomBo. In una Nota precedente da me presentata a questa R. Accademia (?) ed in una susseguente comunicazione da me fatta all'Associazione elettrotecnica italiana (3), ho esposto i risultati di alcune ricerche sperimentali sulla varia- zione dell’isteresi magnetica in un disco o cilindro di materiale magnetico sospeso in un campo Ferraris, allorquando il disco o cilindro stesso è sotto- posto all'azione di un sistema di onde hertziane: ed ho dimostrato che, nelle condizioni delle esperienze descritte, si ottiene un notevole aumento di iste- resi nel materiale magnetico su cui si sperimenta. In seguito, in una recente comunicazione fatta al R. Istituto lombardo di scienze e lettere (‘) ho riferito i risultati di una serie di nuove ricerche intese a studiare il comportamento dei corpi magnetici in un campo Ferraris, sotto l’induzione di correnti alternate di ordinaria frequenza e di correnti interrotte: ed ho trovato che, anche in questo caso, nelle condizioni delle mie esperienze, si ha un aumento sensibilissimo del ritardo col quale la magne- tizzazione del cilindro di materiale magnetico segue la rotazione del campo Ferraris, in cuì il cilindro stesso è collocato. Tutti i miei esperimenti posero anzi in chiaro un altro fatto importante, e cioè che l'aumento del ritardo di magnetizzazione è, a parità di altre con- dizioni, tanto più grande quanto maggiore è la frequenza della corrente alter- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di elettrotecnica del R. Istituto tecnico superiore di Milano (Istituzione Carlo Erba), in collaborazione col signor assistente, ing. Giuseppe Comboni. (2) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XIII, 1° sem. 1904, pag. 272. (3) Atti dell’Associazione elettrotecnica italiana: Comunicazione fatta alla Sezione di Milano nella seduta del 25 maggio 1904. (4) Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, 1905, serie II, vol. XXXVIII, pag. 142. — 279 — nata o quanto maggiore è il numero delle interruzioni al 1” della corrente interrotta su cui si sperimenta. D'altra parte Ewing e Walter (!), ricorrendo ad un apparecchio che in sostanza non differisce dall'ordinario isteresimetro di Ewing, con cui l’isteresi viene misurata per mezzo della coppia che nasce allorchè viene fatto rotare un magnete in presenza del corpo magnetico su cui si sperimenta, hanno trovato: 1° Se si lancia un sistema di onde hertziane attraverso ad una spi- rale, le cui spire siano ad angolo retto col piano del corpo magnetico fog- giato a forma di anello, si ottiene una piccolissima variazione nella devia- zione dovuta all’isteresi normale, e precisamente una diminuzione nella devia- zione stessa. L'apparecchio fu ancora provato con una corrente alternata di circa 100 periodi in luogo delle oscillazioni, ed in questo esperimento la de- viazione dovuta all’isteresi normale scomparve quasi interamente ; 2° Se un sistema di oscillazioni elettromagnetiche di alta frequenza viene fatto passare attraverso lo stesso materiale magnetico, che è allora conseguentemente costituito da una spirale di filo di ferro o di acciaio con- venientemente isolato, si ottiene una notevole variazione nella deviazione do- vuta all'isteresi normale, e precisamente ciò che concorda coi risultati delle mie precedenti ricerche — un aumento nella deviazione stessa: il che è quanto dire un aumento di isteresi nel materiale magnetico sperimentato. Ora è ancora noto che allorquando un corpo magnetico, soggetto ad una variazione ciclica del suo stato magnetico, viene contemporaneamente sotto- posto all’azione di una corrente alternata di frequenza ordinaria (?) o di un sistema di oscillazioni elettromagnetiche di alta frequenza (*), il valore della intensità di magnetizzazione differisce sempre notevolmente da quello che al- trimenti si otterrebbe, allorchè il campo magnetico su cui si sperimenta fosse semplicemente sottoposto alla variazione magnetica ciclica principale. Risulta, anzi, che tanto nel caso in cui il corpo magnetico viene sotto- posto all’induzione di correnti alternate di frequenza ordinaria, quanto nel caso in cui esso è sottoposto all’azione di un sistema di onde hertziane, la curva normale di magnetizzazione, che altrimenti si otterrebbe allorchè non sì avesse a considerare che la magnetizzazione principale, lentamente e cicli- (3) Proc. Roy. Soc., febbraio 1904. Vedi anche The Electrician, 4 marzo 1904. (2) Gerosa e Finzi, Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, 1891, serie II, pag. 677; Gerosa e Mai, Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, 1891, serie II, pag. 951; Franklin e Clarke, Physical Review, t. VIII, 1899, pag. 304. (3) Rutherford, Proc. Roy. Soc., 1896, vol. 60, pag. 184; Philosoph. Trans. of the Roy. Soc., 1897, vol. 189, pag. 1; Miss Broaks, Philosophical Magazine, 1901, vol. 2, pag. 92; Wilson, Report of the British Association at Belfast, 1902; Marconi, Proc. Roy. ‘ Soc., 1902, vol. 70, pag. 341; Maurain, Comptes Rendus, 30 novembre 1903, pag. 914. — 280 — camente variata, si altera fortemente, sì che l’area di isteresi risulta note- volmente diminuita, e può anche essere annullata. i Noi ci troviamo quindi in presenza di due serie di esperimenti eseguiti con lo scopo di studiare gli effetti di correnti alternate di frequenza ordinaria e di alta frequenza sulla magnetizzazione di un corpo magnetico, sotto l’azione sia di un campo magnetico ciclicamente variabile, sia di un campo magne- tico rotante. Nel primo caso tutte le esperienze concordano nel dimostrare che si ha una diminuzione della isteresi nel materiale magnetico su cui si sperimenta; nel secondo caso, invece, le esperienze dimostrano che in speciali condiziori si ha come risultato un aumento del lavoro di isteresi, È scopo di questa Nota il riferire i risultati di una serie di nuove ri- cerche intese a studiare il fenomeno della variazione di isteresi in un dato cilindro di materiale magnetico sotto l’azione di una corrente interrotta od alternata o di un sistema di onde hertziane, per varî valori — compresi fra i limiti più estesi possibili — dell'intensità del campo Ferraris in cui il cilindro è collocato ('). Ho posto perciò due cilindri cavi di acciaio perfettamente identici aventi ciascuno 33 mm. di altezza, 22 mm. di diametro e 5/100 mm. di spessore, rispettivamente in due campi Ferraris di uguale intensità, aventi la mede- sima frequenza e rotanti in senso inverso. Dei due cilindri, uno soltanto si trova nell'interno di una spirale cilindrica S, con l'asse normale al piano in cui ruotano le linee di induzione magnetica del corrispondente campo Ferraris: tale spirale essendo destinata ad essere percorsa dalla corrente alternata od interrotta, o dal sistema di onde hertziane, su cui si vuole sperimentare. Per poter aumentare notevolmente l'intensità dei due campi Ferraris, ho disposto le cose in modo che un albero verticale di ottone, a cui sono resi solidali i due cilindri, sia capace di rotare intorno al proprio asse su perno a punta sferica in un sostegno di base a pietra d’agata concava; ed ho inoltre sostituito all'ordinario sistema dei tre elettromagneti producenti l'uno dei due campi Ferraris, un sistema di tre spirali avvolte sopra un nucleo di ma- teriale magnetico avente la forma di un anello: tale sistema risultando così costituito siecome un ordinario induttore di un piccolo motore trifase. Final- mente, per poter far variare facilmente e fra estesi limiti l'intensità dei due campi rotanti, ho inserito nei rispettivi circuiti delle spirali generanti i campi stessi, corrispondenti reostati, mediante i quali io poteva opportunamente mo- (1) È qui ovvio osservare che le condizioni delle esperienze già furono modificate nelle mie precedenti ricerche nel senso di far variare la frequenza del campo Ferraris: e che sempre ancora ottenni, nelle condizioni in cui vennero instituite le esperienze stesse, il medesimo effetto, e cioè un aumento — in tutti i casi sensibilissimo — della deviazione dell'equipaggio mobile dell’apparecchio. — 281 — dificare la resistenza dei singoli circuiti di dette spirali, e conseguentemente l'intensità delle correnti percorrenti le spirali stesse. Ciò premesso, supposto in ogni caso portato al riposo l'albero portante i due cilindri — ciò che appunto si ottiene allorquando l'uno dei due campi Ferraris esercita sul corrispondente cilindro un'azione assolutamente eguale e contraria a quella che l'altro campo esercita sull'altro cilindro —: se si manda nella spirale S una corrente interrotta od alternata, od un sistema di onde hertziane, si ottiene: 1° In corrispondenza di campi Ferraris di debole intensità, quali fu- rono sempre quelli con cui ho sperimentato nelle precedenti mie ricerche, sempre sì ottiene una rotazione dell'equipaggio mobile dell'apparecchio nel medesimo verso in cui avviene la rotazione del campo Ferraris, in cui si trova il cilindro sottoposto all’azione della corrente percorrente la spirale S. Questo risultato, come già ebbi ad osservare nelle mie precedenti Note sovracitate, è assai notevole, inquantochè dimostra che, in tali condizioni delle mie espe- rienze, si ha un aumento del ritardo, col quale la magnetizzazione del cilindro di acciaio segue la rotazione del campo Ferraris, in cui il cilindro stesso è collocato ; 2° In corrispondenza di campi Ferraris di maggiore intensità, come furono forse quelli con cui hanno sperimentato Ewing e Walter nella prima serie delle loro esperienze, sempre si ottiene una rotazione dell’ equipaggio mobile dell'apparecchio in senso contrario a quello in cui avviene la rotazione del campo Ferraris, in cui si trova il cilindro sottoposto all’azione della corrente interrotta od alternata, o del sistema di onde hertziane su cui sì sperimenta. Questo nuovo risultato dimostra dunque che nelle dette condizioni delle mie esperienze si ha, non più un aumento, ma bensì una diminuzione del ritardo di magnetizzazione nel cilindro di materiale magnetico; 3° Esiste sempre, a parità di tutte le altre condizioni in cui si spe- rimenta, un valore critico della intensità del campo Ferraris, nel quale è col- locato il cilindro sottoposto all’azione della corrente percorrente la spirale S, per cui non si ottiene alcuna rotazione dell'equipaggio mobile dell'apparecchio. Tale risultato pone quindi ancora in chiaro che, in tali condizioni, non si ha più nè aumento, nè diminuzione di isteresi nel materiale magnetico speri- mentato. Chimica. — Sulla sintesi del 2-3-5-trimetilpirrolo. Nota di G. KorscHun, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. RenpIconNTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 85 — 282 — Fisiologia vegetale. — Sulla traspirazione di alcune piante a foglie sempre verdi. Nota preventiva del dott. M. PuGLISI, pre- sentata dal Socio R. PrRroTTA. Occupandomi da qualche tempo dello studio della traspirazione vege- tale, mi sono particolarmente proposto di venire a conoscenza del valore e del significato da attribuire a questo importante processo fisiologico, durante la stagione invernale, nelle piante a foglie persistenti, sieno esse piante in- digene della nostra regione mediterranea, siano esotiche, ma coltivate in pie- n'aria, da noi. Le ricerche, di cui do qui notizia, e che fanno parte di un lavoro più esteso, sono state da me compiute su una serie di piante oriunde quasi tutte del Giappone, quali: /7cus erecta Thunh, Aucuba japonica Thunh, FPatsia japonica Decne et Planch, Yatsia papyrifera Benth et Hook, Photinia serrulata Sieb. et Zucc., Rhododendron decorum Franch. e coltivate nel R. Giardino Botanico di Roma. Persuaso inoltre che non può riuscir privo d'interesse il rapporto tra i valori dell'attività traspiratoria, durante i rigori dell'inverno e gli eccessi opposti della estate, in due epoche, cioè, di uno stesso anno, nelle quali gli agenti esteriori, che notoriamente influenzano il fenomeno, hanno valori re- lativi tanto disparati, ho condotto le mie osservazioni anche nella stagione calda, compresa tra il maggio e il luglio, inclusivamente. Essendo poi ve- nuto in tempo a conoscenza della recente pubblicazione di Kusano sulla traspirazione invernale di una ricca serie di piante nipponiche, tra le quali alcune di quelle già da me assunte in esame, ho stimato opportuno di dare al mio lavoro un indirizzo, direi, parallelo a quello tenuto dal Botanico giap- ponese, col fine di poter quindi utilmente istituire qualche confronto tra i suoi dati sperimentali, ottenuti a Tokio, e quelli ricavati da me a Roma. Ammesso come indubbio che la funzione traspiratoria nei vegetali, tut- tochè più o meno attenuata, persiste anche in pieno inverno, massime nelle piante a foglie persistenti e nei paesi temperati, e fatta una rapida rivista delle altrui osservazioni in proposito, dichiaro anticipatamente di non aver mai trovato nelle piante in istudio, come accadde in alcuni casi a Lindforss, delle cellule stomatiche prive affatto di amido; e di non aver mai consta- tato, per la durata delle osservazioni, la chiusura ermetica e stabile di tutti gli stomi, così da dover invocare, per l'organismo, un'abitudine ereditaria di difesa, determinata, come vorrebbe in certo modo Stahl, dall’influenza — 283 — duratura di uno o più agenti (freddo, scarsezza di luce ecc.), sfavorevoli alla traspirazione. Quanto ai metodi di misura, ho adottato la prova di Stahl, il notissimo metodo di Garrau e quello del potetometro, avendo per quest’ultimo, prefe- rito il tipo dato da Mohl, con qualche lieve modificazione, sulla quale, come sull'uso e sui relativi inconvenienti dei potetometri in genere, ho fatto qualche rilievo e delle osservazioni che mi vennero suggerite dall'esperienza. Alla ricerca sperimentale ho fatto precedere uno studio morfologico delle piante in questione, ed un accurato esame anatomico delle loro parti verdi traspiranti, con speciale riguardo al numero, alla distribuzione ed ai singoli caratteri degli apparecchi stomatici. Ho premesso altresì, riportandoli dal- l’Annuario statistico italiano, (1902) del nostro Ufficio centrale di meteoro- logia e geodinamica, delle brevi notizie e dei dati statistici sulla climato- logia del Lazio, e particolarmente di Roma, a fine di potere opportunamente interpretare la condotta dei miei soggetti di studio in funzione colle sva- riate condizioni ambienti. Una prima serie di esperienze, compiute con l’apparecchio di Garrau, forniscono i valori della traspirazione totale di una intera giornata, presa quasi sempre da un tramonto all’altro. Una seconda serie di ricerche ha per base l’uso del potetometro; in questa ciascun periodo di osservazione non si protrasse oltre gli otto giorni all'incirca, per evitare che la filtrabilità, il potere assorbente della superficie di sezione del ramo o della foglia non fos- sero soverchiamente attenuati dalle condizioni anormali imposte alla super- ficie stessa. Lasciando dei particolari riguardanti la condotta delle esperienze, mi limito ad accennare che accanto ai dati traspiratorî venne sempre registrato, oltre l'epoca e l'ora, la temperatura locale, l'umidità relativa, l'esposizione, lo stato del cielo e dell'atmosfera ecc., i quali dati mi servirono poi per giudicare dei valori dell’attività traspiratoria, sia presi in senso assoluto, che riportati all'unità di superficie traspirante. Le deduzioni fatte precipuamente sulla guida delle tavole sperimentali a questo modo compilate, non sono prive d interesse, ed io le ho raggrup- pate in due parti, relative alle due principali categorie di esperienze. — Colla prima di esse si rileva che la traspirazione conserva per tutto l’in- verno un valore sufficientemente apprezzabile e non subisce, nel suo anda- mento, delle forti oscillazioni. — Controllando colla prova del cobalto, anche in ore abbastanza fredde di mattini invernali, la caratteristica reazione, no- nostante in alcuni casi, come per l'Aucuda japonica, la Photinia serrulata e il Rhododendron decorum, sia stata molto lenta, mi accusò sempre in modo indubbio sulle foglie l’esistenza della traspirazione; la qual cosa potei del resto volta per volta confermare coll’ esame microscopico degli stomi. — 284 — Secondo Kusano, la traspirazione, sulle piante da lui studiate, raggiun- gerebbe un minimo d'intensità verso la fine di gennaio, dopo il quale ter- mine essa andrebbe rilevandosi, fino a divenire 3-6 volte più attiva agli ultimi di marzo. — Nel mio caso è da notarsi, tra i dug termini estremi dell'inverno, un periodo analogo, ma il dislivello è molto meno forte. Com- putando infatti per superficie traspiranti un dm?, mi risulta che la quantità di acqua eliminata in una giornata di marzo supera quella di una giornata di gennaio, nelle misure che mi piace qui appresso riportare, in un pro- spetto in cui il valore traspiratorio di gennaio viene fatto uguale all'unità. Nome della pianta Rapporto per la pagina Rapporto per la pagina superiore inferiore Aucuba japonica . ly. Por ele Fatsia japonica 1:1,09 . IRR9R0 Fatsia papyrifera TEBAIETiD a TR ILO7 Photinia serrulata . . 1R:350 CA Jile5? Raphiolepis japonica IAT 1:2,58 Rhododendron decorum. Lele) 1.:2,02 Fra le intensità minime di traspirazione, considerate in gennaio, fra le massime intensità raggiunte in marzo, ho notato differenze spiccate e diffe- renze trascurabili: non posso adunque, per le piante da me studiate, ammet- tere, che quelle differenze siano ordinatamente minime nel periodo di più debole attività traspiratoria, e più forti come più si eleva l'attività mede- sima, secondo afferma nel suo studio il Kusano. — L'intensità di traspirazione del resto non appare nei miei casi discorde dalla struttura, dai caratteri ana- tomici degli organi traspiranti; caratteri che in generale non trovo dissimili da quelli che Kusano descrive per le piante di cui tratta nel suo lavoro. — Un’eccezione degna di nota sta nel numero degli stomi, e a questo disaccordo fa riscontro, ma in modo particolare, la condotta della traspirazione. Così la Fatsia japonica che a Tokio possiede 182 stomi per mm? di superficie fogliare, a Roma ne conta invece 344; mentre poi la traspirazione giorna- liera per la foglia di Yafsîa raggiunge a Tokio gr. 0,495 — fine di gennaio —, e gr. 2,464 — fine di marzo — per dm? di superficie, a Roma una foglia di uguale età traspira, in tempo e a superficie uguale, per un valore di gr. 1,59 (quasi il triplo) — già ai primi di gennaio, ma solo di gr. 1,84 a metà di marzo. Pare adunque che da noi la traspirazione di piante sempre verdi, nel cuore dell'inverno, in generale superi notevolmente in attività quella di piante affini nel medio Giappone, e, se ci si permette di estendere, nei paesi che col Giappone abbiano comuni i caratteri principali dell'ambiente; — ma che viceversa poi, quell'energia, procedendo verso la stagione buona, vada elevan- dosi molto più rapidamente ed in più alta misura a Tokio, che non da noi, a Roma, — 285 — Dal secondo ordine di esperienze, quelle col potetometro si rileva che l'aumento iniziale del volume di acqua assorbita dal ramo in esperimento, supera di molto in rapidità ed in grandezza assoluta, quello dei giorni suc- cessivi; e la cosa, a mio giudizio, può attribuirsi solo in parte alla pressione negativa dei gas nel ramo poco dopo isolato. Per il resto ritengo che sul ramo, separato, sia pure con tutte le note cautele, dalla pianta madre, il potere di assorbimento a tutta prima si arresta, se non affatto, in massima parte, mentre l'eliminazione di acqua dagli organi aerei continua con intensità normale. Questo imprescindibile disaccordo fra perdita e rifornimento di acqua, reso sovente più forte dalla temperatura ambiente, specie da quella del nuovo mezzo in cui il ramo viene a pescare, trae seco una certa prostrazione del- l'organo e quindi il cadere dell'attività traspiratoria; fino a che la capacità di assorbimento del ramo grado a grado si rileva, la traspirazione si riattiva, e il soggetto riprende lentamente la sua condotta normale, A questa neces- sità di reintegrare il potere traspiratorio, di restituire l'equilibrio tempora- neamente turbato, si dovrebbe, secondo me, imputare la causa precipua del forte e intempestivo elevarsi iniziale dell'attività assorbente del ramo. In tesi generale la traspirazione invernale nelle mie piante sempre verdi è relativamente energica e supera per intensità quella delle piante studiate in epoca uguale da Kusano a Tokio. Qui infatti la media giornaliera per dm? di superficie fogliare è computata di gr. 0,48; nelle mie esperienze invece, per l’Aucuba japonica e la Photinia serrulata che ci offrono i minimi rela- tivi di traspirazione invernale — (dicembre-gennaio) — la media giornaliera è di gr. 0,67 per dm?, e sale, per le altre specie, a gr. 1,26. Per il periodo estivo i miei risultati sperimentali non rivelano un suffi- ciente accordo dell'attività traspiratoria colle progredite condizioni meteoriche, come elevazione della temperatura ambiente. cresciuta intensità e durata della radiazione solare ecc. — Secondo Kusano il rapporto di traspirazione per le sue tipiche piante a foglie sempre verdi, esaminate nel freddo inverno e nel periodo estivo, è di 1-20 rispettivamente; il rapporto analogo, da me rica- vato per le mie specie, invece di 1-3,10 circa. — Mentre però a Tokio il valore di traspirazione invernale veniva registrato ad una temperatura domi- nante di circa 0° C., a Roma, nel corso delle mie esperienze, rare volte si discese sotto i 4° C. Sui miei soggetti in esame di notte la traspirazione non viene affatto abolita, neanche nelle notti invernali più inclementi; sui risultati delle mie osservazioni, anzi, credo di poter affermare che i valori delle perdite di acqua nell'intervallo fra il crepuscolo serale e le prime ore del giorno successivo, se si rapportano al difetto od all'assenza di luce, alla cresciuta umidità atmosferica, nonchè al raffreddamento dell’aria e del suolo, conseguenti, ci si dimostrano quasi superiori a quelli del pieno giorno, massime nel periodo ‘ estivo ed all’epoca in cui il ramo in esperimento non gode più di tutto il — 286 — suo vigore vitale. Mi è stato facile anche notare che la traspirazione not- turna si accentua sotto condizioni ambienti definibili, come nelle notti serene e fresche che seguono a giornate afose e torride, nella calma che tien dietro sovente al cadere di giornate ventose o temporalesche, e persino in quelle fredde ma limpide notti invernali, nelle quali, accanto ad un’alta pressione barometrica, regna un'atmosfera tranquilla e relativamente asciutta. Rilevo in fine che, salvo le modalità minute, da attribuirsi evidente- mente alla variabilità nei fattori meteorici e nella attività funzionale delle piante studiate, in queste piante a foglie sempre verdi, la traspirazione va sempre crescendo di energia col progredire dall'inverno alla stagione calda, e in niun caso non mi è stato fatto . notare, neanche sotto gli eccessi del luglio, una riduzione effettiva di quella energia. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI R. ScHIirr-GiorGINI. Ricerche sulla tubercolosi dell'ulivo. Pres. dal Cor- rispondente G. ARCANGELI. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CeRRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Corrispondenti PAscAaL e ARCANGELI, e dai Soci stra- nieri KLEIN, PicARD, THomsEN; fa inoltre particolare menzione di un volume del prof. C. Guipi intitolato: Teoria dell'elasticità e resistenza dei materiali; dell’opera The Nile in 1904 del sig. WiLLcoKSs, trasmessa a nome dell'autore dalla Società Kediviale di Geografia del Cairo; e della pubblicazione e- port to the Government of Ceylon on the Pearl Oyster Fischeries of the Gulf of Manaar del sig. HERDMAN. Il Presidente BLASERNA presenta una serie di numerose pubblicazioni del Socio straniero, di nomina recente, prof. G. K. GiLgERT, delle quali l'autore ha fatto omaggio all'Accademia. Il Socio Cramicran offre le due sue pubblicazioni seguenti: Z problemi chimici del nuovo secolo. Lo sviluppo della chimica del Pirrolo nell'ul- timo quarto di secolo. CORRISPONDENZA Il Presidente BLASERNA presenta un piego suggellato, inviato dal sig. G. Posirano DE VINCENTS, perchè sia conservato negli archivi accademici. — 287 — Il Segretario CERRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; la Società goolo- gica di Sydney; il Museo di storia naturale di Amburgo; la Società zoolo- gica di Tokyo; il Museo Britannico di Londra; l'Osservatorio di Vienna; la Scuola Politecnica di Zurigo. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 marzo 1905. D'Achiardi G. — Cenni sa di una Anfibolite orneblendica nel granito di S. Piero in Campo (Elba). Pisa, 1905. 8°. Id. — I minerali dei marmi di Carrara. I. Calcite, Dolomite, Malachite, Azzurrite. Pisa, 1905. 8°. Id. — Zeolite probabilmente nuova dell’isola d'Elba. Pisa, 1905. g°. Al Professore Zezlio Guareschi in occasione del XXV anniversario d’ inse- gnamento nella R. Univ. di Torino (Red. del Giorn. di Farmacia e Chi- mica, Torino). Torino, 1905. 8°. Arcangeli A. — Appunti sul tallo della Wsnea sulphurea Fr. Pisa, 1904. 8°. Arcangeli G. — Di nuovo sugli avvelenamenti per funghi. (Dagli Atti della R. Accad. dei Georg. Quinta serie, vol. I). Firenze, 1904. 8°. Arcangeli A. — Il mimetismo nel regno vegetale. Pisa, 1903. 8°. Arcangeli G. — Per l'inaugurazione della esposizione regionale dei Crisan- temi tenuta in Pisa, 1904. Discorso. Firenze, 1904. 8°. Id. — Sopra alcuni funghi e sopra un caso di-gigantismo. (Dal Bull. della Soc. Bot. Italiana. Ad. della Sede di Firenze, 8 febbraio 1903). s. 1. et a. 8°. Id. — Sopra alcuni manoscritti del dott. Vincenzo Carmignani. Pisa, 1904. 8°. Id. — Sopra varie piante ed alcuni minerali raccolti di recente. (Dai Proc. Verb. della Soc. Tosc. di Scienze Nat. 29 nov. 1903). s. L et a. 8°. Id. — Sulla ricerca microchimica del fosforo nei tessuti vegetali. Pisa, 1902. 8°. Arcangeli A. —Sulla struttura dell’ Usnea articulata Ach. (Proc. verb. della Soc. Tosc. di Scienze Nat., genn. 1904). s. 1. et a. 8°. Arcidiacono S. — Il terremoto di Niscemi del 13 luglio 1903. Modena, 1904. 8°. Id. — Principali fenomeni eruttivi avvenuti in Sicilia e nelle isole adia- centi durante l’anno 1901. Modena, 1904. 8°. Balbi V. e Volta L. — Passaggi dei lembi della Luna e determinazione dell’ascensione retta del cratere Mosling A, osservati al Circolo Meri- pa diano di Torino negli annî 1901 e 1902. (Accad. k. delle Scienze di Torino, 1902-1903. R. Osserv. Astron.). Torino, 1903. 8°. Carnera L. — Le condizioni climatiche di Torino nell’anno 1899. Torino, 1900. 8°. Ciamician G. — I problemi chimici del nuovo secolo. (Attualità scienti- fiche. N. 2). Bologna. 1905. 8°. Id. — Ueber die Entwickelung der Chemie des Pyrrols im letzten Viertel- Jahrhundert. (Berichte von der Deutschen chem. Gesellsch. 5. Nov. 1904). Berlin, 1904. 8°. Clerici E. — Cenno sommario delle riunioni ed escursioni fatte dalla So- cietà Geologica Italiana nel settembre 1994. (Boll. della Soc. Geol. Ital. Vol. XXIII, fasc. IM). s. 1. et a. 8°. Id. — Sul giacimento diatomeifero di S. Tecla presso Acireale. (Boll. della Soc. Geol. Ital. Vol. XXIIT, fase. TII). s. 1. et a. 8°. Id. — Una escursione a Nord di Roma. (Dal Boll. della Soc. Geol. Ital. Vol. XX fasc) MS et ‘a. (80. Gilbert G. X. — A new Method of measuring Heights by means of the Barometer. (From the Annual Report of the Director of the U. S. Geol. Survey 1880-81). Washington, 1882. 4°. ld. — Bowlder-Pavement at Wilson, N. Y. (The Journal of Geology. Nov.- Dec. 1898). Id. — Continental Problems. (Bull. of the Geol. Soc. of America. Vol. 4°). - Rochester, 1893. 8°. Id. — Edward Orton, Geologist. ( Science. Friday, January 5, 1900). ld. — Glacial sculpture in Western New York. Dislocation at thirtymile point, New York. Ripple-Marks and Cross-Bedding. (Bull. of the Geol. 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Vol. I-XIIIL Serie 4* — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. “Serie 58 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fasc 5°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. (1892-1904). Fasc. 1°-8°. MEMORIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. Vol. V. Fasc. 3°. MemORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINOFI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche ‘e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- «denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. f9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti «aditori-librai : Ermanno LoescHErR & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco Hoepi. — Milano, Pisa e Napol. RENDICONTI — Marzo 1905. I NDBEC E nt e Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 marzo 1905. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Mosso. Dimostrazione dei centri respiratorî spinali per mezzo dell’acapnia. . . . . Pag. 249° Id. Differenze individuali nella resistenza alla pressione parziale dell’ossigeno. . . . . » 255 Ciamician e Salber. Azioni chimiche della luce . . . . + LAo R 05 Angeli e Castellana. Sopra una reazione delle ammine sccondlanità TREIA c AT? Nasini. I concetti del Berthollet e del Guldberg sulla stechiometria delle a anioii chi- miche, esaminati dal punto di vista della loro verifica sperimentale (*) . . ..... » 277 ledone. Sull’equilibrio elastico di un corpo limitato da un cono di rotazione (pres. dal Socio Wta) Ei 3 " È) ”» Picciati. Campo I dio = una Priente con Sugo (pali dal Sai VETTA SAMRRIS >> CAMPANO 28 Arno. Sulla variazione di isteresi nei corpi magnetici in campi nose subto Maglie di cor- renti interrotte ed alternate e di onde hertziane (pres. dal Socio Colombo) . . ..v° » KForschun. Sulla sintesi del 2-3-5-trimetilpirrolo (pres. dal Socio Ciamician) () . . .. » 281 Puglisi. Sulla traspirazione di alcune piante a foglie sempre verdi (pres. dal Socio Pirotta) n 282 MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Schif-Giorgini. Ricerche sulla tubercolosi dell’ulivo (pres. dal Corrisp. Arcangelt) . . » 286 PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono; segnalando quelle dei Corri- spondenti Pascal e Arcangeli, dei Soci stranieri Alein, Picard, Thomsen, del prof. C. Guidi e dei signori Willcoks e Herdman. . . . BOO Blaserna. Presenta varie pubblicazioni del Socio xiero Gilbert, du quali Laion ha fatto omaggio all'Accademia . . . Et: > RM eo oe DM Ciamician. Offre due sue i € NEPAL A E) CORRISPONDENZA Blaserna (Presidente). Presenta un piego suggellato, inviato dal sig. Positano de Vincentiis perchè sia conservato negli Archivi dell’Accademia . . . ia ARI Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al iu dosi Atti Ro e DS BULLETTINO-=BIBLIOGRAFICO": 23 Gn Us oa fee RR NO I I (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. K. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 19 marzo 1905. N. 6. Le DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCGII. 905 Ste © UMeN:-T' A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 marzo 1905. Volume XIV. — Fascicolo 6° 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI ROMA PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI | 1905 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quirta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchò il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l'autore ne desideri nn numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi» cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’ invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. l 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.L° Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di unnumero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. i a O. 3 AR n Cote rido RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. aa, Seduta del 19 marzo 1905. F. D’'Ovipro, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisiologia. — Depressione barometrica e pressione parziale del CO, nell’aria respirata. Osservazioni fatte sulle scimmie. Nota del Socio AnceLo Mosso. SU Nelle ricerche fatte sulla vetta del Monte Rosa intorno a questo argo- gomento incontrai tali difficoltà, che la prima Nota (') deve considerarsi come la pubblicazione di un abbozzo. Si vide però con evidenza che la sensibilità per l'anidride carbonica inspirata diminuisce sulle montagne: e la stessa cosa venne confermata nelle esperienze fatte nel laboratorio sugli animali; (?) ricorderò come esempio la figura 3, dove avendo amministrato ad un coniglio una mescolanza di CO, = 13,83 °/, nell'aria comune colla pressione barome- trica di 7831 mm., si vide che producendo una rapida depressione, mentre respirava tale mescolanza di CO, la profondità del respiro diveniva meno forte che non respirando l’aria normale. Questo non avrebbe dovuto succedere se non vi fosse stata una diminuzione dell'eccitabilità nei centri respiratorî, perchè malgrado che la pressione barometrica fosse diminuita a mezza atmosfera, vi era sempre una pressione parziale considerevole del CO». Prima era 99,75 mmHg. dopo era ancora 55,86 mmHg, e quindi sufficiente per produrre una (1) A. Mosso, Archives italiennes de Biologie. Tome XLI, pag. 426. (2) A. Mosso, Archives ital. de Biologie. Tome XLI, pag. 441. RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 36 — 292 — eccitazione dei centri respiratorî, se non fosse diminuita la sensibilità per l'anidride carbonica. Ho voluto ripetere queste esperienze con altro metodo: preparo in un grande gasometro della capacità di 500 litri una mescolanza di anidride carbonica con aria: messa una scimmia sotto una grande campana di vetro che chiude ermeticamente sopra una tavola di marmo, faccio passare dentro la campana la mescolanza contenuta nel gasometro, e noto bene gli effetti che essa produce sull’animale. In una seconda esperienza preparo un’altra mescolanza di CO, ed aria che contenga la dose doppia di CO, e messo lo stesso animale a mezza atmosfera di pressione barometrica gli sì fa respirare l’aria del gasometro. Perchè non scemi troppo la proporzione dell'ossigeno adoperando forti quantità di C0,, aggiungevo nel gasometro una quantità corrispondente di ossigeno perchè l’aria respirata mantenesse la proporzione normale di questo gas. Ho fatto queste esperienze sopra le scimmie perchè sentono meglio l'azione dell'aria rarefatta che non la sentano i cani; e ado- perai un Papio anubis venuto dall’ Eritrea che pesa 5300 gr. il quale tro- vasi da oltre un anno nel laboratorio. È un animale molto buono ed affe- zionato sul quale ho già fatto una serie di ricerche sulla pressione parziale dell'ossigeno ('). ESPERIENZA 1°. Ore 2,15. Si mette la scimmia sotto la campana e per mantenere l’aria pura si fa una corrente col soffietto. Ore 2,32’. Scrivo il tracciato del respiro linea 1, fig. 1. Il metodo adoperato in questa registrazione è semplice, esso consiste nell’applicare un timpano registratore di Marey ad uno dei tre tubi che stanno nel collo della campana. Il cambiamento di volume del torace, nel quale l’aria si dilata pel riscaldamento e il tempo perduto fra la dilatazione polmo- nare per effetto della diminuita pressione negli alveoli e la penetrazione dell’aria am- biente nell’albero respiratorio, bastano per dare una differenza che si trasmette al tim- pano registratore, sebbene la campana abbia la capacità di 50 litri. Il tempo è scritto in secondi, e come si vede dal tracciato, la frequenza del respiro è 42 al minuto. Ore 2,34". Comincia a passare la mescolanza dal grande gasometro di 600 litri. L’ana» lisi fatta prima diede CO, = 9,45 °|o— O2= 21 °|o. La pressione barometrica = 746 mm. Temp. della stanza = 14°,5: A misura che l’aria sotto la campana diviene più ricca di CO» cresce la profondità del respiro. Ore 2,47. Sono già passati 145 litri della mescolanza CO sotto la campana. Il re- spiro è divenuto profondo ed affannoso. La scimmia ha la faccia sofferente, i movimenti sono divenuti incerti con oscillazioni del capo. Respiro 80 al minuto. Si contraggono anche i muscoli dell'addome nella espirazione attiva. La linea 2, fig. 1, fu scritta col timpano di Marey innestato sopra un tubo della campana, mentre da un altro arriva la corrente del gas dal contatore, e dall’altro tubo può uscire l’aria dalla campana. Ore 3,10. La scimmia sta male, si appoggia colle braccia sul fondo della camera pneumatica tanto è forte la dispnea; oppure si mette sulle quattro zampe con atteggia- {') A. Mosso, Archives ital. de Biologie. Tome XLII, pag. 23. — 293 — mento di sofferenza, mentre respira. profondamente; perde l’orina e le feci. Poi torna a sedersi, ma ‘poggia il dorso delle mani sulla tavola di marmo con un, atteggiamento in- solito, Chiude gli occhi e vacilla. Sono passati 260 litri della mescolanza di CO» sotto la campana. Frequenza del respiro 74. Ore 3,13’. Si scrive la linea 3 della fig. 1. Frequenza del respiro 78 al minuto con dispnea profonda. La scimmia è profondamente apatica, con espressione di sofferenza nella faccia. Chiamata non risponde e tiene la testa rovesciata fortemente indietro. La respira- x zione dispnoica è profondissima, ad ogni dilatazione del torace si affonda un poco l'addome Do Fre. 1. e vedesi l’espirazione attiva. La motilità attesta una forte depressione, la scimmia si ap- poggia alle pareti della campana per non cadere. Ore 3,15. Si solleva la campana quando erano passati 810 litri. L'animale scende spontaneamente; sembra un po’ meno agile, subito dopo sì rimette e mangia una noce. Frattanto si era preparata una nuova miscela di aria, la quale contenesse il doppio di CO» e di O, della precedente. L'analisi fatta dava 18,83°|o COs e 41,09 °|o Oa. Ore 4,12’. Si mette la scimmia sotto la campana e comincia la depressione baro- metrica. Ore 4,26’. La pressione è ridotta a metà atmosfera, cioè 373 mm.; si fa passare l’aria del gasometro sotto la campana alle ore 4,27. Ore 4,34’. Sono passati 100 litri della miscela. Le respirazioni divenute profonde ed affannose, sono 84 al minuto. L'animale sta discretamente bene e le sue funzioni psi- chiche sembrano normali. Ore 4,40”. Passarono 185 litri della mescolanza di aria con CO: ed ossigeno nella campana. Mi sembra che il respiro sia meno profondo, ma è più frequente, contiamo 84 respirazioni al minuto. Le forze dell'animale sono meno depresse, la posizione delle estremità normale. La scimmia sta accoccolata e non prese mai degli atteggiamenti di una dispnea intensa. Pupilla normale. Ore 4,43". Sono passati 215 litri. Si muove bene. L'animale soffre meno che nella esperienza precedente; gira e si volta sotto la campana senza appoggiarsi come faceva l’altra volta alle pareti della campana. Ore 4,45. Sono passati 290 litri. Il respiro è meno profondo, sono migliori le con- dizioni generali. Respira 80 volte al minuto. Si dà nuovamente aria mentre si fermano le pompe, e l’animale torna lentamente alla pressione di 746 mm. — 294 — Dalle due precedenti esperienze risulta che questa scimmia, quando si mantiene eguale la pressione parziale dell'anidride carbonica nell'aria rare- fatta, presenta dei sintomi di avvelenamento meno gravi che non nella pres- sione barometrica normale. 82. Dopo aver confermato quanto avevo già veduto sull'uomo, sperimen- tando nella Capanna Regina Margherita (!) cercai come avevo già fatto al- lora aumentando la pressione parziale del CO, di stabilire quanto fosse grande la resistenza per questo gas nell'aria rarefatta; queste indagini ri- chiedono una serie molto maggiore di esperienze di quanto siami rimasto tempo da consacrarvi e per ciò mi limito ad accennarle. ESPERIENZA 2°. Lo stesso Papio anubis viene messo sotto la campana di 50 litri. La mescolanza di CO» fatta nel grande gazometro con l'aggiunta di ossigeno analizzata dà CO = 10,55 “| — Oa= 22,10 °|o. La frequenza del respiro dopo 20 minuti che la scimmia stava tranquilla sotto la campana nella quale per mezzo delle pompe facevasi circolare l’aria è 32 al minuto. Pres- sione barom. 756 mm. Temp. = 14°. Ore 2,10”. Comincia a passare la mescolanza sotto la campana. Ore 2,18. Passarono circa 100 litri di aria con CO». I movimenti del respiro diven- tarono profondi, sono 60 al minuto. Ore 2,27’. Passarono 168 litri. L'animale è sofferente. Barcolla, tiene la bocca aperta. Espirazione attiva. Le orecchie sono rosse come al solito, la muccosa delle labbra e della bocca non è cianotica. Ore 2,30”. Sta male, cade, si rialza a stento, rovescia indietro la testa; sono passati 200 litri. Respiro 84 al minuto. Torna a cadere accasciato cogli occhi chiusi. Ore 2,34. Temendo che muoia, alziamo la campana quando erano passati 220 litri. Appena respira l’aria normale l'animale sta meglio, salta giù dalla tavola, sembra per un istante meno svelto e subito dopo si rimette. Frattanto avevamo preparato un’altra mescolanza che contiene un poco più del doppio di CO,. L'analisi diede CO. = 23,79 °/, — 0,=" 89,01%. Messa la scimmia sotto la campana il respiro è tanto debole e super- ficiale che può contarsi solo con stento: sono 45 inspirazioni al minuto. Ore 3,2°. Si chiude un poco l’accesso dell’aria e le pompe che già funzionavano fanno scemare la pressione barometrica nella campana. Si giunge lentamente a mezza atmosfera. (‘) A. Mosso, Archives ital. de Biologie. Tome XLI, pag. 426. — 295 — Ore 3,27. Dopo 10 minuti che abbiamo raggiunto la pressione di 380 mm. comincia a passare l’aria del gasometro con 23,79 °]o di COa. Ore 3,307. Sono passati 140 litri della mescolanza mentre la pressione si mantiene a 3880 mm. Frequenza del respiro 78. Ore 3,38%. Passarono 220 litri. Respirazione affannosa, inspirazioni profonde. Di quando in quando l’animale cambia di posizione, si regge però bene sulle gambe. Sta attento e grida quando vede qualcuno entrare nella camera. Ore 3,50’. Passarono 300 litri. La dispnea sempre meno grave che nell’ esperienza precedente alla pressione barometrica normale. Non sono cambiate di colore le muccose della bocca e delle labbra. Frequenza del respiro 78 in un minuto. Mostrandogli una noce la scimmia stende la mano per prenderla. Ore 3,51”. Respiro 81 al minuto. L'animale sta indubbiamente meglio che nella espe- rienza precedente, non è mai caduto, non si appoggia alle pareti della campana, l’atteg- giamento delle estremità è poco diverso dal normale; eccetto la dispnea, il suo aspetto poco diverso dal normale. Facendo il calcolo della pressione parziale del CO, nelle due esperienze, vediamo che alla pressione normale di 756 mm. la pressione parziale del CO, = 10,5 °/, era 79,38 mmHsg., mentre alla pressione di 380mm. essen- dovi 23,7 °/ di CO, la pressione parziale di questo gas era 90,06 mmHg. Dobbiamo quindi conchiudere che anche quando la pressione parziale del CO, è maggiore sono minori gli effetti, se agisce la depressione baro- metrica. Questo risultato viene a confermare quanto avevo già osservato sulle Alpi nell'uomo. Ricordo le esperienze fatte sopra di me a Torino (come si vede nel tracciato 5 e 6, pag. 431 Archives ital. de Biologie, tome XLI); re- spirando dell’aria che conteneva 2,3 °/, di CO, ottenevasi un aumento nel- l'altezza delle respirazioni toraciche. Arrivato alla Capanna Regina Marghe- rita devo respirare una mescolanza del 13,1°/ di CO, nell’ossigeno per produrre un effetto un poco più marcato sul respiro (come risulta dalla fig. 12 pag. 437). Le pressioni parziali del CO» stanno fra di loro come 17,2 mmHg. a 56,8 mm. (cioè circa 1:3:) malgrado questa prevalenza della pressione parziale del CO, nell'aria rarefatta a 480 mm. si vede che nella Capanna Regina Margherita è meno intensa l’azione del CO». Sperimentando con pressioni maggiori di CO» prendono tale sviluppo i fenomeni dovuti all'azione velenosa di questo gas, che diviene meno evidente la differenza nell’aria rarefatta. Un'altra esperienza ricorderò ancora che venne fatta su L. Magnani. A Torino colla pressione di 750 mm. con 1,85 di CO, si produce un aumento del respiro e la pressione parziale del CO» è 13,87 mmHg. Sul Monte Rosa colla pressione di 430 mm. e 4°/ CO; nell'ossigeno la pressione parziale del CO, è 17,20 mmHg. e si produce un rallentamento del respiro e una diminuzione nell'ampiezza delle inspirazioni. Sono il primo ad ammettere che tali raffronti presentano delle gravi — 1296 — difficoltà, ma è però certo che esiste una differenza e che la stessa pressione parziale di CO, produce effetti meno intensi nell'uomo e negli animali quando l'aria è rarefatta. Altre esperienze vennero fatte dal dott. Aggazzotti sull'orang-utang, che è una scimmia più sensibile alle depressioni barometriche, e queste osser- vazioni verranno pubblicate iu una prossima Nota. Due sono le cause per cui gli animali respirando forti dosi di CO, stanno meglio nell’aria rarefatta che non alla pressione normale, sebbene sia uguale la pressione parziale del CO. La prima sta nella minore eccitabilità dei centri respiratorî, dimostrata con molteplici esperienze nelle mie precedenti Note: la seconda trova il suo fondamendo nelle ricerche recenti di Bohr intorno all'influenza che la ten- sione del CO; esercita sull'assorbimento dell'ossigeno. Bohr (!) ha dimostrato che il contenuto di anidride carbonica del sangue esercita una iniluenza notevole sulla combinazione dell'ossigeno coll’emoglo- bina; e che quando la pressione parziale dell'ossigeno è diminuita, l'anidride carbonica agisce mettendo in libertà dell'ossigeno dal sangue. Bohr spiega a questo modo l’effetto benefico che produce l'anidride carbonica quando si respirano delle mescolanze gassose nelle quali è piccola la pressione parziale dell'ossigeno. I risultati delle esperienze da me fatte sulle Alpi e nella campana pneumatica respirando l'anidride carbonica, vanno pienamente d'accordo con questa importante scoperta del Bohr. Fisiologia. — Za pressione del sangue nell'aria rarefatta. Nota del Socio AnceLo Mosso. SO La pressione sanguigna nell’aria rarefatta non fu ancora studiata, per quanto io sappia, col metodo grafico. In questa Nota mostrerò come si pos- sano superare le difficoltà che presenta tale registrazione manometrica. P. Bert che primo tentava lo studio della pressione sanguigna nella decompressione, malgrado i mezzi dei quali disponeva, si limitò a far poche esperienze nel suo grande cilindro di ferro, ma in causa dei coaguli che si formavano, le 08- servazioni di P. Bert rimasero molto incomplete; onde egli disse: « Les rares constatations que j'ai pu faire ne m’ont montré que de faibles diminutions »(?). Nell'esperienza CCXIX nella quale raggiunse una depressione barometrica (?) Centralblatt fir Physiologie Bd. XVII, 1903, pag. 662. (2) P. Bert, Za pression barométrique. Paris, 1878, pagg. 719 e 707. — 297 — di 260 mm. la pressione sanguigna si mantenne immutata, cioè come era prima alla pressione barometrica normale. Frinkel e Geppert(') studiarono con maggiore successo la pressione del sangue nell’aria rarefatta: il metodo che essi adoperarono non permetteva di scrivere il polso e le variazioni della pressione sanguigna, onde si limitarono a leggere sulla scala del manometro la differente altezza della colonna di mer- curio. Essi trovarono che la pressione del sangue non cambia per depressioni molto considerevoli. Quando queste erano tali da mettere in pericolo la vita, come in una esperienza nella quale il barometro segnava 215 mm., osserva- rono un forte aumento della pressione con rallentamento del polso. La pres- sione saliva nelle altre esperienze di 2 centimetri quando la depressione arri- vava a 400 mm. Lazarus e Schyrmunsky fecero nel 1883 delle ricerche coll’apparecchio di v. Basch nella camera pneumatica e tentarono anche delle esperienze sugli ani- mali, ma con risultati poco chiari (*). G. Liebig nel 1895 si servì del mio sfigmo- manometro (3) studiando l’uomo nella camera pneumatica; ma in due persone trovò un aumento e in due altre una diminuzione. Egli lavorava però con deboli depressioni di 543 mm. a 425 mm. che corrispondono appena all'altezza del Monte Rosa. Altre misure fatte da R. Heller, W. Mayer e H. v. Scròtter (4) col manometro di v. Basch sulle montagne nell’attitudine di 2210 diedero un aumento della pressione. A. Loewy studiando col metodo di Zuntz (°) la velocità della corrente sanguigna nell'aria rarefatta a metà atmosfera, trovò che nel riposo non cambia la velocità della circolazione quando diminuisce la pressione par- ziale dell'ossigeno nell'aria degli alveoli, fino al limite dove comincia a ma- nifestarsi la mancanza dell'ossigeno nei tessuti. Questa comunicazione preli- minare (°) non fu corredata che io sappia dalla pubblicazione di particolari esatti delle esperienze fatte. Nelle spedizioni che feci al Monte Rosa studiai la pressione sanguigna servendomi dello sfiwmomanometro, ma per l'altitudine di 4560 m. quando era esclusa la fatica, non osservai alcuna differenza (7). (1) Frinkel und Geppert, Veder die Wirkungen der verdinnten Luft. Berlin, 1883, pag. 65. (2) Lazarus e Schyrmunski, Veder die Wirkungen des Aufenthaltes in verdiinnter Luft. Zeitschrift fir klin. Medicin, VII, 1883. (3) G. v. Liebig, Der Zuftdruck Braunschweig, 1898, pag. 77. (4) Zeitschrift fi klin. Medicin, Bd. 33. (9) Zuntz, Archiv. f. d. ges. Physiologie, tome 55. (6) A. Loewy, Veber die Resorption und Circulation unter verdiinnter und verdichter, squerstoffarmer und sauerstoffreicher Luft. Archiv. f. d. ges. Physiologie, 1894, tome 58, . pag. 409. (7) A. Mosso, Fisiologia dell'uomo sulle Alpi, pag. 74. — 298 — 8 2. Il metodo che adoperai è semplice. Sotto una grande campana di vetro che poggia sopra una tavola di marmo e chiude ermeticamente per mezzo del grasso, si mette il cilindro affumicato (come si vede nella fig. 56, pag. 317 del mio libro Fisiologia dell'uomo sulle Alpi). L'asse del cilindro attraversa la tavola di marmo scorrendo a dolce fregamento in un cilindro di ottone che lo abbraccia e chiude a tenuta ‘d’aria. Quest'asse può alzarsi ed abbassarsi per mezzo di una vite che sta sotto la tavola. Un sistema di carrucole messe in movimento da un motore Baltzar servono ad imprimere la velocità di rota- zione più conveniente al cilindro. Avendo osservato nelle prime esperienze fatte sui cani che la pressione sanguigna non cambia per depressioni corrispondenti all’altitudine del Monte Rosa, tentai subito in altre esperienze una rarefazione dell'aria corrispondente alla montagna più elevata che siavi sulla terra, il monte Everest, alto 8900 m. Fra quelle che feci a tale depressione, ne scelgo una dove fu molto rapida la depressione ed egualmente rapida la ricompressione, e riproduco questo trac- ciato che mi sembra più interessante degli altri. EsPERIENZA Î. 8 gennaio. Un cane giovane che pesa 2800 gr. riceve a dosi ripetute tre grammi di cloralio nella cavità addominale, quindi si prepara la carotide che si mette in comunicazione col manometro a mercurio che sta sotto la campana. Alle ore 10,33' si comincia a scrivere il tracciato della pressione ‘sanguigna normale che era 135 mm. fig. 1. Non riproduco l'ascissa reale dello zero per economia di spazio; nel trac- ciato si vedono le oscillazioni respiratorie della pressione. In A. dove trovasi un'interruzione fermo il cilindro'e comincia la decompressione: prima la pompa funzionava con largo accesso dell’aria, cosicchè il manometro segnava 0 per la pressione atmosferica che era 728 mm. Quando la rarefazione dell’aria è tale che il manometro segna 228 mm. che corrisponde all'altezza di 9600 m., metto in moto nuovamente il cilindro. Per questa fortissima depressione pari a 9600 m. la pressione sanguigna è divenuta solo 4 mm. minore. La frequenza del respiro si è alquanto accelerata, come vedesi nel mezzo del tracciato, dopo la pressione tende a diminuire: ma la differenza è appena di 8. mm. alla fine della fig. 1. i Trascorsi sette minuti dal momento che cominciò la depressione vedendo che il respiro è divenuto più lento, come osservasi in principio della fig. 2, dò libero accesso all'aria nel punto segnato «; dopo 1 minuto si ristabilì la pressione normale di 728 mm. Le pulsazioni diventarono più ampie e diminuì Fic. 1. RenpICcONTI, 1905. Vol. XIV, 1° Sem. — 800 — la frequenza delle sistoli. Si vede qui nella circolazione quanto abbiamo os- servato per i movimenti respiratorî nei tracciati che ho pubblicato nella Nota L’apnea prodotta dall’ossigeno (') dove per le rapide decompressioni si pro- dusse un arresto completo della respirazione. i L'azione sul cuore che rassomiglia ad una eccitazione dei vaghi dura circa due minuti, e dopo si ristabiliscono le condizioni primitive della cir- colazione. Questi mutamenti della pressione come l'arresto del respiro che osservasi nelle rapide discese alla pressione ordinaria, sono un fatto impor- tante che merita di essere studiato in rapporto alle ascensioni aereostatiche. Nella Nota sull’apnea prodotta dall’ossigeno pubblicai le modificazioni che succedono nel respiro passando da un regime povero di ossigeno ad uno più ricco: qui vediamo i mutamenti che succedono nel cuore e nella pressione sanguigna per un processo analogo. Come la respirazione può fermarsi per due o tre minuti in una rapida discesa dalle grandi altezze alle pressioni normali, vediamo qui le alterazioni che produconsi nella circolazione contem- poraneamente a quelle del respiro. Le presenti esperienze dimostrano come possano prodursi delle modifi- cazioni profonde nella nutrizione dei tessuti e specialmente nelle cellule ner- vose, senza che apparisca un'alterazione immediata nella loro funzione, e questi mutamenti risaltano con evidenza quando si ristabiliscono le condi- zioni normali dell'ambiente primitivo. i ‘ Posso ritenere questa come una legge che dimostrai coi tracciati del respiro diminuendo la razione dell'ossigeno (*) constatando che nei centri re- spiratorî si produceva un'alterazione profonda senza che si modificasse in modo corrispondente la funzione del movimento. Qui comparisce ora lo stesso feno- meno nei mutamenti della funzione cardiaca e della pressione sanguigna. Certo, guardando il tracciato in principio della fig. 2, mentre la pressione era ancora 228 mm. nessuno poteva supporre che tornando alla pressione nor- male da & in w si sarebbe prodotta una modificazione tanto profonda nei bat- tit cardiaci e nella pressione sanguigna. Queste osservazioni sono interessanti per un altro riguardo. Tissandier per due volte nella rapida discesa aereostatica dello Zenith si è svegliato quando (*) giunse circa a 6000 m.: e la seconda volta mentre scendeva dal- l’altezza di 8600 m. trovò morti nella navicella i suoi due compagni Sivel e Croce Spinelli. Il ritardo a riprendere la coscienza fu anche maggiore nel- l'ascensione aereostatica di Siring e Berson, perchè essi scendevano dall’al- titudine di 10,500 m. e sì svegliarono tutti due quasi contemporaneamente nell'altitudine di 6000 m. mentre nel salire erano stati bene fino a 10,000 m. Per spiegare una così grande differenza tra la salita e la discesa dobbiamo tener conto dei disturbi circolatorî che si vedono nella fig. 2. (1) A. Mosso, Archives italiennes de Biologie, tome XLI, pag. 146. (2) A. Mosso, Archives ital. de Biologie, tome XL, pag. 188. (3) P. Bert, Za pression barométrique, pag. 1066 = 801 — SE; Ho già studiato (') in un altro mio scritto le alterazioni che si produ- cono nel tessuto polmonare in seguito alle forti decompressioni e sono d’ac- cordo col prof. Kronecker che nell'aria rarefatta succedono delle alterazioni polmonari. Kronecker afferma (?) che il male di montagna sia causato dalle stasi che si producono nella circolazione dei polmoni per effetto dell’aria rarefatta. L'aver osservato in questa esperienza che alla pressione barometrica di 228 mm. corrispondente all'altitudine di 9600 m. non si è modificata la pressione sanguigna, ci impedisce di ammettere che la depressione barome- trica agisca in modo meccanico sulla circolazione polmonare. Volendo conoscere i disturbi circolatorì che si producono nella morte, quando la depressione barometrica diviene così intensa da riuscire fatale, spingo la rarefazione dell’aria fino a 128 mm. che corrisponde all’altitudine di 14,200 m. EsPERIENZA II. Alle ore 11, dopo aver lasciato il cane tranquillo per circa 15 minuti, torniamo ad amministrargli un grammo di cloralio e comincia il tracciato della fig. 3, dove vediamo che il polso è divenuto un poco più lento e l'ani- male respira solo 8 volte al minuto. Scritto il tracciato normale linea 1, fig. 3, comincia ina la depressione barometrica e muovo leggermente il cilindro per fare un segno; la curva continua nel tracciato seguente. In w linea 1, fig. 4 la pressione nella campana è solo 128 mm. corrispondente all’altitudine di 13,039 metri. È importante vedere come dopo w, malgrado la rapida e forte depres- sione cui fu soggetto questo cane, che la forza delle contrazioni cardiache e la pressione sanguigna siano poco diverse dalle condizioni normali in prin- cipio della linea 1, fig. 3. Certo in base a questa esperienza non possiamo attribuire il male di montagna ad un disturbo meccanico che succeda nella circolazione polmonare per effetto della depressione barometrica. I moti del respiro sono divenuti più lenti e ve ne sono 10 ogni minuto, poi improvvisamente verso al fine della linea 1, fig. 4, si rallenta la frequenza dei battiti cardiaci. Nella linea 2 della fig. 3 continua questo stato anormale delle sistoli cardiache simile ad una eccitazione del nervo vago; ma la pres- sione non diminuisce fino a che le sistoli diventano molto rare, come osser- vasi nella linea 2 della fig. 4. (1) A. Mosso, Archives ital. de Biologie, tome XLI, pag. 384. (3) H. Kronecker, Die Bergkrankheit, pag: 114 — 802 — Mantengo costante la pressione barometrica a 128 mm. perchè ero deciso ad uccidere l'animale colla depressione; ma questa altitudine di 14,200 m. non Mer 8 + oc) i n basta. Nella linea 2, fig. 3 vediamo che le condizioni non peggiorano. Nella li nea 3, fig. 4 il respiro era divenuto molto raro; in RR R R sono segnate le respirazioni che il cane fa boccheggiando, come succede nell’agonia. Malgrado che il cane fosse agli estremi non si osservò nei suoi muscoli alcun moto | convulsivo paragonabile a quelli caratteristici dell'asfissia. a Per provare se l'animale giunto a questo estremo poteva ancora sal- varsi, ristabilisco rapidamente la pressione; il respiro cessa completamente. Ritornato alla presssione normale di 728 mm. in 1°80" il cuore continua a bat- tere lentamente e poco per volta le sistoli diventano più frequenti, dopo 1’,15 se- condi che si trova alla pressione normale ricomincia lentamente il respiro, e 4 minuti dopo che trovasi alla pressione normale scrivo la linea 4 della i fig. 3. — 304 — La pressione, sanguigna che era scesa a 100 torna a 120 mm. Il polso è più lento e dicroto; nel mezzo della curva in @ dove muovo il cilindro per fare un segno comincia una seconda depressione; alla fine della linea non si raggiunsero ‘ancora 120 mm. ma il polso ha modificato la sua forma: i vasi sem- brano aver acquistato una tonicità maggiore, perchè il dicrotismo tende a scom- parire, ma la frequenza del polso rimane la stessa e la pressione sanguigna non cambia. Per brevità tralascio di ricordare le modificazioni che osservansi nel cuore e nei vasi sanguigni durante l’asfissia spinta rapidamente agli estremi; ma bastano questi tracciati delle figg. 3 e 4 per concludere che i mutamenti osservati nella circolazione sanguigna durante una rapida e fortissima depres- sione sono diversi da quelli che si producono nell’asfissia e ciò contrariamente all'affermazione di P. Bert (*), il quale disse: «J'ai déjà insisté à plusieurs reprises sur le parallèle entre les phénomènes de la décompression et ceux de l’asphyxie en vase clos, parallèle qui se poursuit jusque dans les moindres détails ». $ 4. Ho fatto altre due esperienze le quali diedero i medesimi risultati e resta così confermato che nelle forti depressioni barometriche non cambia nè la pressione sanguigna, nè la frequenza delle sistoli cardiache. Il centro vasomotorio sente poco l'azione dell’aria rarefatta, mentre che i centri della respirazione sono influenzati, ma non vi è la dispnea caratteristica dell'asfis- sia, eccetto nell'agonia. Anche quando il cuore ed il respiro erano prossimi a fermarsi non comparvero le convulsioni. È però da notarsi che tali esperienze vennero fatte su animali profondamente cloralizzati, il che fa variare certo i risultati che avremmo ottenuti in un cane non profondamente assopito. In altri due cani in condizioni eguali osservai un aumento della pres- sione come esporrò nel seguente esperimento. EspERIENZA III. 5 gennaio. Un cane giovane del peso di 4800 gr. viene addormentato per mezzo del cloralio, del quale vengono successivamente iniettati 3 grammi nella cavità addominale. Pressione barometrica 728 mm. Nella fig. 5 si scrive il tracciato normale dove la pressione letta nella scala è 100 mm. Non faccio l’ascissa a zero bastando questa indicazione; nel tracciato sono visibili le oscillazioni respiratorie. In @ si sposta il cilindro per fare un segno dove comincia la depressione barometrica; nel punto se- gnato w la pressione è 228 mm. L'aumento della pressione sanguigna fu di 30 mm. da 100 mm. a 130 mm. (1) P. Bert, Pression barométrique, pag. 740. — 305 — Un'altra esperienza identica fatta su questo cane diede lo stesso risul- tato. Nell'altro cane l'aumento della pressione sanguigna per una depressione di 228 mm. pari a 9600 m. di altitudine fu minore. Riepilogando si dovrebbe confessare che i risultati sono poco soddisfacenti. Queste esperienze servono per dimostrare che animali della medesima specie reagi- scono in modo diverso ai cambiamenti di pressione; e queste discrepanze le esposi meglio in una Nota col titolo: Differenze individuali in rapporto colla pressione parziale del CO, e dell'O, nell'aria ra- refatta. Le differenze individuali che si osser- vano nell’apnea per cui alcuni individui della stessa specie (tanto nell'uomo quanto negli animali) sono più sensibili ed altri meno, sono causa delle discordanze che trovansi fra gli autori che studiarono la pressione del sangue nell’apnea. Mentre Filehne affermò che nell’apnea diminuisce la pressione sanguigna (*): « Wir mussen sowohl das Aufhòren der Athmung als auch die sich hieran schliessende Drucksenkung fiùr eine apnoische Erscheinung erklaren » Knoll sostenne l'opinione contraria e disse: « Die Blutdruckcurve steigt wahrend der Apnoe » (?). = i == ci 3 = = 3 ti È or = =" = Fic. 5. $ 5. Però anche negli animali che sem- brano meglio resistere alle forti depres- sioni, sì possono osservare dei mutamenti profondi nella funzione dei centri vaso- motorî e del cuore, pur rimanendo costante la pressione sanguigna: questo lo vediamo nel seguente esperimento. EspERIENZA IV. 11 gennaio. Un cane del peso di 5000 gr. viene cloralizzato profondamente; la (1) W. Filehne, Archiv f. exp. Path. u. Pharmak. X Bd. pag. 457. (2) Ph. Knoll, Sitzungsberichte d. k. Ak. d. Wiss. zu Wien, vol. 86, pag. 103. = 306 — pressione sanguigna è 130 mm. nel principio della fig. 6. Sono ‘eviden- tissime le ondulazioni della pressione sanguigna dovute all'azione del centro vaso motore. Durante 5 minuti queste ondulazioni rimasero costanti nella loro forma come vedesi nella curva inferiore del presente tracciato fig. 6. In @ comincia la depressione, e da 780 mm. scende (nella seguente fig. 7 che ne è la continuazione) in wa 230 mm.; già prima che siasi raggiunta questa de- pressione il cuore ha modificato le sistoli e il polso che prima era più ampio sul vertice delle ondulazioni ora è divenuto uguale. Essendo rimasta invariata la. pressione sanguigna è meno probabile che tale effetto si debba attribuire ad un aumento di tonicità dei vasi sanguigni. Nella fig. 7, linea 1, vediamo che le ondulazioni si allungano e diventano meno forti. Nella linea 2 delle figg. 6 e 7 le ondulazioni diventano sempre più deboli e scompariscono nell'ultima parte della linea 2 fig. 7. La pressione e la frequenza dei battiti cardiaci non cambiano. Nella linea 3 della fig. 7, il respiro diviene più forte e scompari- scono nel tracciato manometrico le ondulazioni. Nel timore che il cloralio potesse rendere meno evidente l’azione della depressione barometrica adoperai in altre esperienze il cloralosio, che come è noto, non modifica la forza ed .il ritmo dei battiti cardiaci. In questa parte del mio studio se ho confermato quanto ho già esposto precedentemente, ho potuto d'altronde osservare l'influenza della depressione barometrica sul mi- dollo spinale. Il cloralosio produce una sovraeccitazione del midollo, cosicchè gli animali presentano dei movimenti convulsivi che rassomigliano alle contra- zioni stricniche. Appena un: cane avvelenato col cloralosio viene portato ad una pressione di 330 mm. 0 350 mm. cessa il tremito e l'agitazione. In questa altitudine che corrisponde a 6000 metri il cloralosio agisce in modo diverso e le funzioni del midollo vengono alquanto depresse. Completerò l'esame dei tracciati manometrici sopra esposti, con uno studio sui movimenti cardiaci nell'aria rarefatta che pubblicherò in una pros- sima Nota. Io sono stato nella camera pneumatica ad una depressione barometrica corrispondente ad 11,600 metri(') e Siring con Berson nella loro ascensione aereostatica sono giunti fino a 10,500 metri; questo prova che i disturbi nelle forti depressioni barometriche non succedono per una causa meccanica. Il primo concetto per spiegare il male di montagna fu quello di Haller (?) il quale credeva che l’aria rarefatta non dilatasse abbastanza bene i polmoni. Ho già dimostrato nel mio lavoro sull'ossido di carbonio (*) che l’aria penetra (1) A. Mosso, Fisiologia dell'uomo sulle Alpi, pag. 395. (*) A. Haller, Elementa physiologiae. Tomus III, pag. 196. (3) A. Mosso, Za respirazione nelle gallerie e l’azione dell’ossido di carbonio. Mi- lano, 1900, pag. 316. Archives italiennes de Biologie, Tome XXXV, pag. 99. — 307 — e distende fino al massimo grado i polmoni senza incontrare alcuna resistenza nei minimi bronchi e negli alveoli. tig MAMA (tit \ gini DI z di Fic. 6. È Queste esperienze sulla pressione sanguigna dalle quali risultò che anche nella depressione enorme di 128 mm. corrispondenti all’altitudine di 14,200 m. la pressione sanguigna è poco diversa dal normale, servono a stabilire in modo definitivo che la depressione barometrica non agisce in senso meccanico, ma in senso chimico sull'organismo per produrre il male di montagna. RenpIcONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 9 (0.0) Fia. 7. = 105 Fisiologia. — L'anidride carbonica come rimedio del male di montagna, e perchè nelle ascensioni aerecostatiche questa debba respirarsi coll’ossigeno. Nota del Socio AnceLo Mosso. Sali Ho consigliato agli aereonauti di aggiungere dall'8 al 10 per cento di anidride carbonica all’ossigeno compresso che portano nelle ascensioni, perchè l'ossigeno non basta da solo per rimediare ai danni che subisce l’orga- nismo durante le forti depressioni barometriche. Questa proposta derivava come una proposizione dimostrata dalle mie esperienze e trovava una conferma nel fatto che Sivel, Croce-Spinelli e Tissandier non approfittarono dell’os- sigeno che avevano portato seco nell’ascensione dello Zéz%4h; che Berson era sonnolento malgrado che respirasse dell'ossigeno nelle altissime regioni dell'atmosfera (') e che Siiving in altre ascensioni trovò che l'ossigeno non era sufficiente per ristabilire le condizioni normali dell’ attenzione e del sistema nervoso (°). Le analisi del sangue fatte l’anno prima sulla vetta del Monte Rosa (*) mi avevano indicato questa applicazione dell’ani- dride carbonica. L'entità dei preparativi che feci per tale impresa, quando mi accinsi alla spedizione del 1903 sul Monte Rosa, prova come io consi- derassi questa applicazione come il problema più importante fra quelli che volevo risolvere. Portai ottomila litri di ossigeno nella Capanna Regina Mar- gherita insieme a tremila litri di anidride carbonica. Le provviste di ossi- geno erano contenute in due cilindri di acciaio che pesavano 21,5 chilog. cia- scuno, pieni di ossigeno compresso a 120 atmosfere: avevo due altri cilindri di ferro (così detti bidoni) alti 70 centim. del diametro di 22 centim., che servivano come recipienti pei gas fino alla pressione di 12 atmosfere e poi avevo quattro cilindri più maneggevoli alti 40 centimetri col diametro di 8,5 per dare agli alpinisti che soffrissero il male di montagna. Non avendo consu- mato queste provviste di ossigeno, e di acido carbonico liquido, rimangono nella Capanna Regina Margherita 3000 litri di ossigeno compresso in un cilindro intatto, insieme ad un altro cilindro pure intatto di acido carbonico liquido. Avverto i colleghi che desiderassero ripetere queste esperienze, che lasciai a loro disposizione non solo queste provvigioni di ossigeno e di CO;, ma che troveranno nella Capanna Regina Margherita, insieme ai cilindri, (3) R. Asmann und A. Berson, Wissenschaftliche Luftfahrten. BA. II, pag. 418 (*) Vedi nota precedente, Atti R. Accad. dei Lincei, 5 febbraio 1905. (8) Mosso e Marro, Archives ital. de Biologie. Tome XXXIX, pag. 395. —.309 — quanto occorre per travasare ì gas, insieme ai manometri per far le miscele e gli apparecchi di Hempel per le analisi. Il metodo che adoperai consisteva nel far le mescolanze (servendomi di un grande manometro Bourdon controllato) nei bidoni contenenti 375 litri a 12 atmosfere, e da questi le travasavo nei cilindri più piccoli che davo agli alpinisti. Fatte le mescolanze colle indicazioni manometriche, le rettificavo e le correggevo per mezzo dell'analisi servendomi delle burette di Hempel. Per regolare la velocità dell'efflusso non volli portare apparecchi speciali: è facile sentendo il suono che produce la corrente del gas di prenderne solo la quan- tità che occorre, e maneggiando la chiavetta si rende un poco maggiore l’aper- tua quando diminuisce la pressione del gas nel cilindro. Riferisco le osservazioni fatte per conoscere l’azione del CO; che discu- teremo dopo. 1® Osservazione nella Capanna Regina Margherita (4560 m.). 18 agosto 1903. Arriva una comitiva di quattro alpinisti e due guide. La notte avevano dormito male nella Capanna Gnifetti. dove pel cattivo tempo si erano rifugiate 24 persone: durante l’ascensione furono molestati dalla nebbia, ed arrivarono molto stanchi. Quando giunsero alla Capanna Regina Margherita uno di essi, G. F., aveva nausea e voglia di vomitare, era abbattuto e molto pallido: non avendo appetito stette tutto il giorno a letto lagnandosi di mal di capo: fu specialmente nella notte che venne mole- stato dal vomito così che dovette alzarsi e il custode gli fece una tazza di caffè. Il giorno dopo alle 7, i suoi colleghi mi pregano di esaminarlo: aveva passata la notte insonne: si lamentava della molesta sensazione come di un cerchio attorno la fronte: aveva 117 pulsazioni al minuto e 23 respirazioni: trovavasi in uno stato di apatia grande e di stanchezza. Gli feci respirare la mescolanza di CO» 8°/ nell’ossigeno e mi disse di averne sollievo. Poco dopo gli diedi l'altro cilindro coll’ossigeno compresso: egli aveva imparato subito a maneggiare il robinetto e a regolare la cor- rente del gas secondo la sonorità del sibilo e stando seduto sul letto respi- rava tenendo l’imbuto davanti al naso ed alla bocca. Dopo aver respirato per un minuto l'ossigeno, disse che preferiva l'altro cilindro perchè lo faceva star meglio. Ripetemmo alternativamente la prova e sempre collo stesso suc- cesso. Alzatosi, mi assicurò che sentivasi meglio in forze. Consumò un terzo cilindro della miscela di CO: °/, e ripartì coi suoi compagni. Seppi dopo che fermatosi alla Capanna Gnifetti in buone condizioni volle proseguire per Gressoney. 2% Osservazione nella Capanna Regina Margherita (4560 m.). 23 agosto 1903. Enrico Francioli, un ragazzo di 15 anni, il figlio del custode della Capanna Regina Margherita, fece la sua prima ascensione sul Monte Rosa. — 310 — Dopo aver dormito la notte precedente nella Capanna Gnifetti arrivò con suo padre in buone condizioni alle ore 9: si coricò e alle 18 alzatosi mangiò poco e senza appetito: si lagnava di mal di capo e tornò a letto. Alle 19 alzatosi perchè soffriva di nausea, vomitò; subito accorsi per soccor- rerlo e raccolsi circa 300 ce. di liquido bilioso frammisto a sostanze alimen- tari; il polso era 106 al minuto, il respiro irregolare da 22 a 24. Avendo pronti i due cilindri, uno coll'ossigeno compresso a 10 atmosfere, e l’altro coll'8°/, di CO», cominciai coll’ossigeno. Alle ore 19,30' quando feci questa prima esperienza il polso era 104, il respiro 24 al minuto: prese l'ossigeno in abbondanza per 1 minuto e dopo, mentre continua l’inalazione, il polso scese a 90 e il respiro a 20 al minuto. Si continua la somministrazione del- l'ossigeno; dopo due altri minuti conto polso 98 e respiro 22; il polso dovevo contarlo alla carotide, tanto era debole nell’arteria radiale che non si sentiva. Cessata l’inalazione dell'ossigeno dopo due minuti il polso è 106 e il respiro 26 al minuto. 19,50". Ritornate le condizioni come erano prima gli faccio respirare una mescolanza di 10 °/, CO» nell’ossigeno. Il polso che era 106 al minuto scende a 100, il respiro da 26 a 24: le inspirazioni sono visibilmente più ampie: dopo 1 minuto si sospende. Enrico Francioli dice che questo rimedio lo ha sollevato, che si sente meglio. 19,55". Gli facciamo respirare per due minuti la miscela 10 °/ CO» nel- l'ossigeno; il polso che prima non potevasi contare alla radiale ora è dive- nuto così forte che abbandoniamo la carotide. I vasi sanguigni della faccia che erano dilatati si restringono alquanto durante le inalazioni del CO». Il ragazzo ci avverte che è cessato il male di capo, il polso scende a 96, il respiro rimane a 24 ed è profondo. 20,15'. Ricomparsa la nausea, torniamo a dargli un cilindro pieno della mescolanza del 10 °/, di CO; nell'ossigeno; e lasciamo che egli se ne serva da solo dopo esserci assicurati che tornavano a ripetersi i mutamenti del polso e del respiro sopra esposti e che scompariva la nausea durante le ina- lazioni col CO.. 3% e 4* Osservazione nella Capanna Regina Margherita (4560 m.). 24 agosto 1903. Alle ore 10 arrivano otto persone che avevano dormito all’Albergo del Col d'Olen, ma poco e male, perchè c'era molta folla: sì coricarono tardi, si alzarono presto e vennero su in fretta, così che erano stanchi: due soffrivano il mal di montagna, con cefalea, avevano una grande frequenza del polso e nausea. Si coricarono tutti e dopo due ore si alzarono per far colazione: due però non avevano appetito e stettero a letto; essendo miei amici e conoscenti, cominciai alle ore 13 le osservazioni coll’ossigeno puro e colla mescolanza di CO» 8°/, nell’ossigeno. — 311 — Avevo quattro cilindri piccoli, due contenenti l'ossigeno compresso e due altri con le mescolanze di CO» 8°/ e O». Dopo tre ore di riposo la fre- quenza del polso era in uno 112 e 110 nell'altro, il respiro 26 nel primo e 24 nel secondo ad ogni minuto. Colle inalazioni di ossigeno puro dimi- nuiva un poco la frequenza del polso e del respiro; ma l'effetto era molto più evidente colla mescolanza 8 °/, di CO, e 0, tanto che dopo aver pro- vato e l'uno e l’altro cilindro senza che io dicessi nulla per non suggestio- narli, tutti due preferirono di respirare solo dal cilindro che conteneva la mescolanza. Si vedeva infatti che il respiro diveniva profondo e questo dava loro un sentimento di benessere e dicevano che cessava il male di capo. Il polso scendeva in entrambi da 18 a 20 pulsazioni, senza che diminuisse in modo corrispondente il ritmo del respiro che diveniva affannoso e profondo. In due altre osservazioni che tralascio per brevità non ebbi un risultato favorevole, sia respirando l'ossigeno puro, sia respirando la mescolanza del- l'8°/ CO» nell'O;; in un'altra persona si ebbe un miglioramento; cessò la nausea, ma non il mal di capo, quantunque consumasse due cilindri della miscela. Questo alpinista si era lagnato di sonnolenza al ghiacciaio del Grenz venendo su da Zermatt; a circa 4000 m. cominciò la stanchezza, la nausea che poi cessò. Giunto alla Capanna Regina Margherita molto esaurito, mi assicurò che il CO, gli dava un grande benessere e che respirando meglio scompariva il senso di oppressione e di fatica che lo teneva accasciato. Questi risultati sono soddisfacenti. Sapendo che il male di montagna è un fenomeno tanto complesso, e che le difficoltà dell'ascensione fanno preva- lere i fenomeni della fatica, io ero certo che le inalazioni di anidride carbo- nica non potevano essere sempre efficaci. La molestia che recava a molti entrando nella capanna l’odore della cucina e il caldo delle stufe, la grande eccitabilità e l’esaltamento in cui si trovano alcuni alpinisti alla fine di una ascensione, specialmente se il tempo era cattivo, ma più che tutto i disturbi della circolazione che si manifestano colla cianosi, fanno comprendere quanto siano complesse le cause del male di montagna. Mi ricordo di un alpinista il quale mi diceva che al colle del Lys aveva bastato la nebbia per dargli il vomito. Di notte quando ero molestato dalla respirazione periodica, o per altre cause non potevo dormire, tenni sotto il capezzale un cilindro con ossigeno compresso e 8 /° CO., quando mi svegliavo aprivo leggermente la chiavetta in modo che uscisse una debole corrente di gas che respiravo coll’imbuto di guttaperca messo vicino alla faccia e spesso mi addormentai in questo modo sentendone un grande sollievo. — 312 — 82. Somministrazione del 00, nelle forti depressioni barometriche. ESPERIENZE SULLE SCIMMIE. Nell'intento di promuovere le applicazioni del CO, nelle ascensioni aereo- statiche sperimentai sulle scimmie. Il dott. A. Aggazzotti studiò sopra un orang-utang (.Sémia satyrus) le mescolanze di CO, quando la rarefazione del- l’aria giunge a tali estremi da mettere in pericolo la vita e pubblicherà in una prossima Nota i risultati di queste esperienze: qui mi limito a dire quanto osservai sulle scimmie scegliendo alcuni esempi fra le molte prove che feci in riguardo. 16 marzo 1904. Pressione 740 mm. Temperatura 18°. Una scimmia maschio della specie Macacus sinicus che pesa 4 chilog. arrivata da Genova tre giorni prima, viene messa sotto la campana; è un animale molto vispo e selvaggio, col quale dobbiamo lottare non poco per condurlo dalla stalla nel laboratorio e metterlo sotto la campana. Aspettiamo 15 minuti perchè si calmi; ma anche sotto la campana batte il capo contro le pareti cer- cando di fuggire. Non potendo contare il respiro, cominciamo la rarefazione dell'aria alle ore 9,32. Ore 9,40". Pressione 859 mm. Respiro 50 al minuto. Comincia a dormire. Di quando in quando chiude gli occhi, si appoggia alle pareti della campana e sbadiglia. Ore 9,42". Frequenza del respiro = 58 al minuto, dorme bene, sta incurvata all’in- nanzi colla testa fra le gambe. Ore 9,48". Diamo COx. Il respiro diviene più forte e frequente. L'animale si sve- glia, e sta meglio. Lasciamo che la pressione diminuisca, essa giunge fino a 280 mm., mentre si continua ad amministrare il COs e le condizioni della scimmia non peggiorano, la fre- quenza del respiro è 64 al minuto. Ore 9,45”. Pressione = 239 mm. che corrisponde all'altezza di 9497 m. La scimmia sta bene. Frequenza del respiro 72 al minuto. Prendiamo un campione di aria colle due pi- pette piene di mercurio. Fatta l’analisi troviamo 12% C0s; pressione parziale 28,6mm. Hg. Cessata l’amministrazione di COs lasciamo che funzionino le pompe; a misura che l’aria si rinnova e scema la pressione parziale del COs tornano a peggiorare le condizioni della scimmia. Ore 9,52. La scimmia cadde poco per volta accasciata, ora giace distesa, e dorme, se apre gli occhi il suo sguardo è istupidito. Frequenza del respiro 70 al miuuto; pressione = 830 mm. Ore 9,56". Continua a dormire. Frequenza del respiro 62 in un minuto. Ore 10,5%. Lasciai che la scimmia rimanesse per circa 20 minuti alla pressione di 239 mm. per vedere se le condizioni sue cambiassero, ma non vidi alcun mutamento. La scimmia aveva un atteggiamento insolito stando sulle quattro zampe, mentre col naso toc- cava l’asciugamani messo sulla pietra di marmo, sulla quale poggia la campana. Frequenza del respiro 48 in un minuto. Ore 10,15. Continua la depressione a 239 mm. la corrente dell’aria dentro la cam- pana è forte. La scimmia continua a dormire, non ha cambiato di posizione, qualche volta 3g apre gli occhi, ma è apatica. Picchiando colla nocca delle dita sulla campana guarda, ma senza interessarsi a ciò che succede. Ore 10,16". Amministriamo l’ossigeno. La scimmia non si sveglia. La frequenza del respiro che era 40 al minuto scese a 36 al minuto. Questa fu la sola differenza, lo stato di torpore e di sonno non si è modificato: non cambiò posizione e non si è svegliata. Ore 10,26”. Continua a passare l’ossigeno insieme all’aria in modo da avere una cor- rente ricca di questo gas sotto la campana, il respiro scende a 34 al minuto, ma l’animale non si sveglia. Prendiamo un campione di aria colle pipette piene di mercurio. Fatta l’analisi troviamo 41 °|o O». La pressione parziale era 97 mm. Hg., invece che era 155 mm. Hg nell'atmosfera a 740 mm. Ore 10,37. Respiro 44 in 30. Dorme sempre nella stessa posizione. Lasciamo che si rinnuovi l’aria e sospendiamo la somministrazione dell'ossigeno. Facciamo un’altra esperienza per conoscere l'azione del CO,. Riempio di questo gas una boccia graduata della capacità di 3 litri la quale comu- nica con altra boccia uguale piena di acqua satura di cloruro sodico: un tubo di gomma messo sul fondo delle due boccie permette di far passare con facilità il CO, sotto la campana. Ore 10,45’. Pressione 220 mm., frequenza del respiro 42 al minuto: la scimmia è accucciata, il sonno tanto profondo che non riusciamo a destarla battendo colla nocca delle dita sulla campana. Le somministriamo tre litri di CO»: subito cambia di aspetto, il respiro diviene profondo, 64 al minuto. L'animale non solo si è destato, ma gira per la campana con atteggiamenti normali e sembra che la spossatezza sia scomparsa. Ore 10,48”. Finita l’amministrazione dei tre litri di CO», lasciando che funzio- nino le pompe si rinnova l’aria, e poco per volta la scimmia si rimette a dormire, dopo di essere prima divenuta più calma ed apatica. Respiro 62 in un minuto, oscillazioni del tronco e della testa, movimenti anormali delle braccia fino a che la scimmia cade. Pres- sione 220 mm. Ore 10,52’. Cessa l’esperienza e si ritorna alla pressione normale. Riepilogando: in questa scimmia non si è prodotto il vomito nell’altitu- dine di 9225 m., invece lo vedremo succedere in altre due scimmie per delle altezze molto minori: questo è quanto osservasi nell'uomo che nelle ascen- sioni aereostatiche il vomito può talora mancare anche quando si toccano i 10,000 metri, mentre in altre circostanze viene ad altezze notevolmente più basse. La depressione delle forze e la sonnolenza si producono nelle scimmie come nell'uomo quando agisce l’aria rarefatta. L'anidride carbonica fa scom- parire questo malessere, e ristabilisce le funzioni psichiche nella loro integrità, mentre che l'ossigeno da solo non produce un eguale miglioramento. Ripetendo queste esperienze sulla medesima scimmia ed in altre, osservai che l'azione dell'anidride carbonica si svolge molto più presto che non quella dell'ossigeno. Il ritardo che constatai nel miglioramento delle scimmie quando ‘amministravamo l'ossigeno, si può forse spiegare pensando che l'anidride car- — 314 — bonica eccita immediatamente la cellula nervosa nella sua costituzione attuale, mentre che l'ossigeno deve anzitutto ricostituire la sostanza della cellula nervosa, e forse provvedere alla distruzione di prodotti tossici poco ossidati. 8 3. Esperienze sotto la campana pneumatica fatte sulle due scimmie che portai al Monte Rosa ('). 1° settembre 1903. Pressione 749 mm. temp. 23. Scimmia femmina messa sotto la grande campana: alle ore 3,10’ fa 44 respirazioni al minuto dopo essere rimasta 15 minuti tranquilla. Ore 3,13‘. Incomincia la rarefazione dell’aria, alle ore 3,23’ la pressione è di 459 mm. e la scimmia ha ripetutamente degli sforzi di vomito senza rigettare il contenuto dello stomaco. È importante vedere che questa scimmia la quale non aveva mai vomitato nella Capanna Regina Margherita a 425 mm. e 430 mm., ora vomita a 459 mm. Ciò prova che passando rapidamente (cioè in 10 minuti) dalla pressione di 749 mm. all’altezza infe- riore al Monte Rosa succede il vomito, mentre questo manca quando gli animali hanno tempo ad acclimatarsi. Ore 3,30". Facciamo passare del CO» sotto alla campana mentre funzionano le pompe e rimane costante la pressione a 459 mm., il vomito cessa e la respirazione diviene più forte. La scimmia che prima sembrava abbattuta diviene più sveglia ed allegra e si inte- ressa ad un cane che trovasi nella stanza. Ore 3,44”. Continua a passare contemporaneamente la corrente del CO: insieme al- l’aria mentre rimane costante la pressione. Un campione d’aria preso con le pipette piene di mercurio, unite da un lungo tubo in modo da superare la depressione barometrica, con- tiene CO. = 1,44 °/o. Ore 3,45”. Rendesi maggiore la depressione diminuendo l’accesso dell’aria mentre le pompe funzionano come prima; arrivata a 409 mm. mentre continua l’accesso del CO» la scimmia sta bene, si sceglie fra i peli le pulci ed ha l’aspetto normale. Ore 3,65’. Si fa crescere lentamente la pressione sino che siasi tornati a 749 mm. Scimmia maschio. Facciamo immediatamente dopo una esperienza uguale sul maschio. Frequenza del respiro 50 al minuto. Si aspetta 10 minuti finchè sia in riposo. Ore 4,85". Comincia la rarefazione dell’aria, 4,47 pressione 379 mm. Respiro 54. Appena giunta a questa depressione la scimmia fece un movimento fuori del comune, come di vertigine, forse fu uno degli oscuramenti della vista che succedono nella cam- pana pneumatica e che soffrono gli aereonauti a grandi altezze; la scimmia allunga le mani e le braccia come se cercasse un appoggio, ma subito dopo tornò come prima stando seduta ed immobile; a 219 mm. di pressione sembrò dar segno di nausea, allungò un poco il muso, ma non successe altro. La faccia era meno espressiva ed un po’ son- nolenta. (1) A. Mosso, Archives ital. de Biologie. Tome XLI, pag. 397. SE NO CE OE PM EI n CI — 315 — Ore 4,53’. Pressione 269 mm. Nausea. Vomito ripetuto con materie non digerite. Dopo la scimmia si mostra abbattuta e tiene gli occhi chiusi; di quando in quando abbassa la testa. Respiro superficiale 55 al minuto. Ore 4,54. Diamo l’anidride carbonica, il respiro si rinforza ma non si accelera. Cessa il vomito: la faccia diviene più intelligente, scompare la sonnolenza: il respiro diviene ansante. Si prende un campione nel solito modo e fatta l’analisi troviamo CO, = 9,25 °/o. Lasciamo funzionare le pompe senza aggiungere C0», l’aria si rinnova, e tornando a diminuire la tensione del CO. la scimmia diviene sonnolenta. Ore 5,16. Vomita ripetutamente alla stessa pressione di 269 mm. Ore 5,17. Diamo CO e la scimmia subito sta meglio, diventa più vivace ed intel- ligente, non ha più nausea, nè vomito. Respira profondamente 99 volte al minuto. Ore 5.20’. Lasciamo funzionare le pompe fino a che l’aria sia rinnovata e ricomparisce la sonnolenza. Ore 5,23’. Produco una depressione barometrica maggiore = 230 mm.: la scimmia ricade in un malessere grave con sintomi di nausea e sforzi di vomito ripetuti. Ore 5,24. Invece del CO» somministro dell’ossigeno. Pressione = 300 mm. Vomita ancora mentre penetra l’ossiseno: però subito dopo sta meglio. Ore 5.28. Continua a passare l’ossigeno, pressione 800 mm. Non è più tornato il vomito ; la scimmia è meno abbattuta, è scomparsa la sonnolenza ; indubbiamente sta meglio dopo che facemmo aumentare la pressione parziale dell’ossigeno. Ore 5,80. Prendiamo un campione per mezzo delle pipette a mercurio : fatta l’analisi dell’aria troviamo che conteneva 38,95 °/ 0». La pressione parziale dell'O, = 116 mm. Hg mentre prima nell’aria libera era = 157 mm. Hg. Le grandi differenze individuali per la facilità più o meno grande colla quale si produce il vomito risultano evidenti. La femmina soffrì il vomito alla pressione di 459 mm.: il maschio dovette giungere alla depressione di 269 mm. prima che sì ottenesse il medesimo effetto: vedemmo pure che la rapidità colla quale succede la depressione barometrica ha una influenza sui disturbi che essa produce; perchè mentre la scimmia femmina fu portata sulla vetta del Monte Rosa senza che soffrisse mai il vomito, messa sotto la campana pneumatica e arrivata in 10 minuti alla stessa pressione, essa vomita. La somministrazione del CO, alle scimmie quando soffrono per la depres- sione barometrica si è mostrata efficace come rimedio in tutte le esperienze qui riprodotte, perchè cessava non solo il vomito quando le scimmie respi- ravano dell'aria ricca di CO,, ma scomparivano la depressione delle forze, e la sonnolenza, e le scimmie prendevano un'espressione più allegra e vivace. Anche l'ossigeno amministrato alle scimmie mentre soffrivano per la depressione barometrica ed era comparso il vomito, si mostrò efficace. To avevo già fatto queste esperienze nel 1903 quando il 30 gennaio 1904 Bohr pubblicò nel Centralblatt fur Physiologie le sue indagini sulla influenza che la tensione dell'anidride carbonica esercita sull'assorbimento dell'ossigeno, nel sangue. Mentre alla pressione ordinaria dell'atmosfera anche dosi notevoli ‘ di CO, hanno debole influenza sull’assorbimento dell'ossigeno, Bohr trovò che RenpiICcONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 39 — 316 — nell'aria rarefatta quando è piccola la tensione dell'ossigeno, il CO, esercita invece un'azione intensa sull’assorbimento dell'ossigeno nel sangue. Per dare un esempio del modo col quale la somministrazione del CO, serve in certo qual modo ad estrarre l'ossigeno del sangue, ricorderò qualche cifra presa dalle tabelle del Bohr. Il sangue con 20 mm. di tensione dell’ 0, sopra 67 °/, di O; è già saturo quando la tensione del CO, è 5 millimetri; se invece la tensione del CO, è uguale a 80 millimetri, bastano solo 17 per cento di 0» onde saturare il sangue. Secondo questa legge scoperta dal Bohr l'aggiunta di CO, all’aria respi- rata diviene utile quando è debole la pressione parziale dell'ossigeno, perchè a questo modo si utilizzano delle provviste di questo gas nel sangue, che prima rimanevano inerti. Un'altra causa rende utile il CO, nell'aria rarefatta, e questa è la dimi- nuita tensione che ha l'anidride carbonica nel sangue quando diminuisce fortemente la pressione barometrica. Le analisi del sangue che feci col dott. Marro nella Capanna Regina Margherita non lasciano dubbio su questo fatto (!) perchè in quell’altezza diminuiscono contemporaneamente l'ossigeno e il CO, del sangue arterioso. Si aggiunge una terza ragione trovata dal prof. Galeotti. Sappiamo dalle determinazioni dell’ alcalinità del sangue (?) sulla vetta del Monte Rosa che la diminuzione dell’alcalinità del sangue nel- l'uomo e sugli animali scende al 36 e al 44°/,. Anche questa modificazione profonda della crasi sanguigna mostra perchè sia utile l'aggiunta di CO, nell'aria respirata per compensare l'anidride carbonica deficiente nel sangue. Meccanica. — Sull’equilibrio elastico di un corpo limitato da un cono di rotazione. Nota di OrAZIO TEDONE, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 1. Caso în cui in superficie son dati gli spostamenti. — Fra i casì in cui il problema dell'equilibrio elastico si risolve abbastanza semplice- mente, applicando i soliti principii di cui ci siamo serviti molte altre volte (?), si deve annoverare anche quello di un corpo isotropo, limitato da un cono di rotazione. In questa Nota ci proponiamo appunto di indicarne la solu- zione rapidamente. Ricordiamo che, se sulla superficie di un corpo elastico, isotropo, defor- ()) Mosso e Marro, Archives ital. de Biologie. Tome XXXIX, pag. 395. (2) Galeotti, Archives ital. de Biologie. Tome XLI, pag. 80. (3) Vedi p. es.: Sul probl. dell’equil. elast. di un cilindro circol. indef.; Sul probl. dell'equil. elast. di un elliss. di rotaz. (Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. XII, 1° sem. 1904, pag. 232, e vol. XIV, 1° sem. 1905, pag. 76. — 317 — mato e in equilibrio sono dati gli spostamenti %,v,w, il problema consiste nel costruire l’espressione È MIL 44 44 | dG = — Sere — (1) U “ Ta do — ao L0 + za Do a do e le analoghe in v e w, nell'ipotesi che la funzione armonica @ (dilata- zione elementare), inerente al problema, sia momentaneamente nota e nel determinare poi 6 in modo che sia identicamente: 3456 9 2-4 w no De (2) ANDE (e SM i Sia ER De be (2 (od pa "a 7 do 200 Id 16 Si MALI, nl ai nf mn de at an do) Il significato dei simboli, in queste formole, è quello solito: o è la superficie del corpo, G la funzione di Green il cui uso qui, come nelle Note citate, è limitato a rappresentare speditamente una funzione armonica che in superficie acquista dati valori, x la normale interna a 0, 4 e & le costanti di Lamé, e &£,7,6 i valori di «,y,2 suo. Supponiamo ora che il nostro cono abbia per asse di rotazione l’asse x e per vertice l'origine delle coordinate e limitiamoci a considerare il caso in cui il corpo elastico sia limitato da quella falda della superficie co- nica che contiene nell'interno la direzione positiva dell'asse 4, sebbene, lo avvertiamo subito, questa soluzione si estenda, senza difficoltà, al caso più generale in cui il corpo elastico è limitato, in un modo qualunque, solo da superficie coniche di rotazione aventi lo stesso vertice e lo stesso asse. Introduciamo il sistema di coordinate curvilinee : (3) e=et,y=eV1—tcosw,z2=e/1—tsenw, 0 + -f@ ES — to + to Da COS w) Gi do — 2u 8 À la —_ n= — senw Gdo, ‘ dove L,M,N sono le date tensioni e G, la funzione di Neumann. Le (10) — 322 — non sono altro che le formole fondamentali (8) della prima Memoria: Saggio di una teoria generale ecc. ("), in cui sono state introdotte le nostre ipotesi particolari. Possiamo ora sempre porre: 1 ao EA) ; 11 Mencdoees- === DI = dl da ml Su Tara 2 Tv 2 (00) ld dio 0 [L(0) cosmyw + L(0) sen my] cosi(7 — o) de e due formole analoghe per 1 fMG1d ; [NG do le quali si otten- gano dalla precedente ponendo M(o), M(0) ; N(e), N(0) rispettivamente per L(0), L(o). Partendo ora dai valori (4) e (9) di 0;w,, 0; 0; in su- perficie, è facile costruire tutti i termini che compaiono nelle (10) e la soluzione completa del problema è ridotta alla determinazione delle fun- zioni incognite 0,n, Om ; Di,my Wi,m dalle equazioni: U dV \ Petar , (12) su dWw dv dU dWw dv dU Î 20, = — 2% 0. Si supponga l’elica percorsa da una corrente di inten- sità costante; se si indicano con F,U,V,W i potenziali elettrostatico e vettore relativi a questa corrente (indipendenti dal tempo), è noto (?) che le componenti della forza elettrica (X, Y,Z) e magnetica (L, M, N) secondo (‘) V. per es, Ròiti, Elementi di Fisica, vol. IT; 0, per maggior dettaglio, il Cours d'Electricité par H. Pellat, T. II, Paris, 1908. (*) Vedi T. Levi-Civita, Sur le champ électromagnétique ecc., Annales de la Faculté des sciences de Toulouse, ser. III, t. IV, 1902. RenpIcONTI. 1905, Vol. XIV. 1° Sem. 40 — 324 — tre assi ortogonali, orientati nel modo solito, sono: dl dP dP 0) i: da ir, — SAMBA dz dy È dW dU 2 CANIAS, (2) da oz dU dv L'equazione a cui i potenziali F,U,V, W debbono soddisfare si riduce a 4,=0, e per il principio della conservazione dell’elettricità deve inoltre sussistere fra loro la relazione 3 GUERIN. dAW. (3) da n dy no de Riferiamoci a coordinate elicoidali legate alle cartesiane dalle relazioni (4) a = Q1 60808 , y=01 Seno: , = 0, + mos , (m>0) e corrisponda l’elica data ai valori o1=R,g3=0; supponendo in essa la corrente diretta in modo da formare un angolo acuto con la direzione posi- tiva dell'asse 2. Se I è la misura della intensità di corrente in unità elet- tromagnetiche, le componenti u,v,w dell'intensità, in unità elettrostatiche, secondo 4, ,g, Sono RI È RI mI ipesie__haggb nas _— ==; VR? + m? VR? + m? VR mi quindi, essendo inoltre la densità (lineare) della distribuzione elettrica nei punti del filo data da e=I, avremo che i potenziali relativi alla corrente, che per un momento immaginiamo limitata al tratto d’elica compreso fra i valori gog= — 0,,05= 0, sono: = 608 0, Aw= (5) r=1yR4w (” i e] Ù = ud iu e ni (* sE gg (6) ipa -(* soit, Die MS 00895 1or ui (E e E fe = — 325 — essendo 7 = yR°+ oì — 2Roi cos(os — 0) + [0:-+ m(03— 03) la distanza del punto potenziato P, di coordinate (0, ,0», 03), dal generico punto poten- ziante (R,0,03) dell'elica; E, E. le cariche degli estremi del tratto con- siderato, 71,7» le loro distanze da P. I coseni che le direzioni 0, , 02,03 — Q1 SEN@3 @1 COS 03 Voî+m? ‘Vo + mè se indichiamo le componenti del potenziale vettore secondo 0,0», 03 formano con # y 2 essendo coso; , seno3,0;0,0,1; Vert con V,, V:, Vz3, fra esse ed UV W avremo: U=V, dira ll / o + m 0, COS 03 V= V,sen a 4 (7) 1 TI Em 3 Wevee" _ vi dara" quindi per le (6) otteniamo 9» sen(o Wenfi È mene) DIA, 035 0% 0, — (8) vi Le des P cos(03 — 03) Ag 2 2 (0a Di ei culo Sg La determinazione di F, V,, V., V3 ci fa quindi conoscere per le pre- cedenti e per le (1) e (2) il campo elettromagnetico prodotto dalla corrente. Si noti che l’equazioni in coordinate elicoidali a cui sono soggette F, V,,Va, Vs sì possono facilmente dedurre da quelle a cui sono soggette, in coordinate cartesiane, F,U,V.W. 2. Passiamo ora al caso limite di un'elica indefinita; per il potenziale elettrostatico F, che si riduce alla funzione potenziale di una massa ad una dimensione distribuita sopra l'elica, si ha (') un'espressione in serie distinta in due tipi, valevoli uno per i punti interni al cilindro, l’altro per i punti esterni. Posto o=ì si ha: F=IVR°4+m?°. (1) Vedi la mia Nota: Sulle funzioni potenziali elicoidali. Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. XIII, dicembre 1904. — 326 — essendo (9) o=-ijlgR—7), ;ro| 28) (0) cosn0i per 01 (Ao + A,) 00824. cos n.0. n=1 Si ricordi ora che per una notevole formola di Sonin (') si ha SII ratio i C+ ari pg (9, quindi anche ren. 4 fo cos nÀ . dd af, MEEMZI 2 po (m?4° + R? +-gB)}t+2"-# qr+r-3 ‘Tn i VR? SESIA I Ss 1-2n-4Y n+27_-< peo rstirttiizà 6a AA i or Y/R + di) gn+2r-4 T(n + dp — 4) 1 Mm (1) Nielsen, Handbuch der Theorie der Cylinderfunetionen, Leipzig, 1904, pag. 221. — 328 — perciò otteniamo 00 B=f A, c08n4.dA4= 0 DOS 1 ( ino, ji oi Hi (È LR ei) ma 1+ mR mM 00 Baio =f AGE COS 7 À . dà = 0 mi 1 ( inRo, mi (fa VR? + ©) i al tei o i m Dalle (12) abbiamo perciò (14) \ w=2 DI (B,.. — B,) sen z.0 (15) | 03 = 240, Ag da 42 (B+: + B,) cos 2.0. (1) n=1l Per poter dare alle espressioni di w, ed ©wz una forma più semplice ed elegante, ricorriamo ora alle equazioni a cui esse debbono soddisfare. 8. Si ricordi che F,U,V,W debbono soddisfare, in coordinate xy <, all’equazioni dU ONE n CA d,F=0 ’ A,U=0 ’ d,V=0 ) A,.W=0 , premi e che fra esse e le V,, V., V3 sussistono le relazioni (7). Inoltre per le (8), (9), (11) si ha (16) P_IVRFaî.0,Vi-IRo,, V.— Ino), 1 IRYeî tm, 01 Va i con @,w;,, 3 funzioni delle sole 0,,9; quindi essendo, per le (4), in coor- dinate elicoidali d? ld Tao 0, de, 29 gran ca) li de Di 1 d (ta) ma m do dé des * oì del’ si ottengono per w, ,3, posto m°\ 1 d do 2 ml +) L È, e tenendo conto che 45ww=0, le seguenti equazioni 6 0) DI a da ’ (17) 1 oi d0 4 SITA 03 2 do, ou oî oî dé Ù) do, ON 1 do; 1 dw 18 pnt bite LT (18) aan, — Dalle prime due si ricava per L= 03 + 7%, l'equazione ; Q .2 da onde, posto 00 Q=ctie4 D [en e +e ei] 1 con €,,6, funzioni di g,, si ha dalla (19) di 1de m*\ n° c ci Sme AI] . 0î Qi de, (i 3 Ve. Cn i nr 2); ed analogamente per c;, c,. Si trae intanto b È i do co= 0 + — ’ o=a0+ = Qi Qi con 40, 4,00, d costanti: inoltre, posto me ha d°cn 1 den e Da Mi de TE de +|! quindi per c,,c, otteniamo Cn = On TY (22) to, yn+i i ; = at,J"> Si Lyn (Z0 cOn @n,0n,40,,0, costanti. Le espressioni di , ed @; assumono quindi, per la posizione fatta, la forma 03 = 400, + - + D (an3* + by Y"+! Lap J1 + 8,Y"-1) cosmo, 1 1 = 40 + di + D (and + o YH1 — ,J°1 — br Y"-1) sen n, 1 1 — 930 — l'argomento delle funzioni cilindriche essendo È; restano però da deter- minare i coefficienti costanti che in esse compariscono. Questo è reso assai facile per il confronto fra le espressioni (20) e le (15); è necessario però distinguere i due casi in cui è oo R. Sia dapprima 0, < R; restando <©,,wz regolari insieme alle loro derivate anche per 0,=0 dovremo nelle (20) fare 0v=%=0n=d,=0, onde escludere la singolarità in e, = 0. Il confronto fra le (20) e le (15) dà allora (0.0) he 0) 9, mwe=2 f A, dà, () Un Ju+! iS = DiBroo ° al, Jr val => DB à mM Mm Per l'espressione di A» che si ha dalla (13) resulta intanto =; sì ha inoltre nie ne) | "Me |> Se] Doe bip: 01 pa=0 ossia Di 1 le tti 1 ( in n+1 Hei al ; (2 -+ 1)! \2m m(n+1)!\2m m quindi, avendosi una formula analoga per a,, si ha an Ho D) no (5) — m m m m Le espressioni di w,,w, sono quindi: O, = To DE [ue Dc) Ju+il (di EF m m 1Elaa (a) Jin Si sen 2.0 (21) ; per or R: fissato 0, supponiamo R variabile; data la sim- metria di è, ,03 in R e og; esse dovranno essere in R, per R<@1, dello — 03l — stesso tipo che in 0,, per 01 < R, ed inoltre regolari per B= 0; onde sì ha mi < ner (N01) na CER = ).| HI (ES) (5) 2 Ia: lg i) Jul DI sen n0 mM mo (22) per o > R R 0 — ino, ink SASA SALANI is || ES n+1 [fe Si; a Za = (2): ) Di RR ar la o de” SI cos 20 Si osservi che in ambedue i casi le espressioni così determinate di ©, ©}, 03 verificano la (18). Riepilogando: le (16) ci fanno conoscere i potenziali del campo dovuto alla corrente sia per 01 < R mediante le (9) (21), sia per 0, > R_ mediante le (10) (22). Per R=0 otteniamo in quest'ultimo caso i noti potenziali di una corrente costante rettilinea indefinita. Si hanno ora tutti gli elementi per procedere all'esame del campo prodotto dalla corrente; a questo si prestano meglio le componenti. delle forze elettromagnetiche secondo «7,4. Le espressioni di queste componenti X,Y,Z, L,M,N si ottengono facilmente dalle (1) (2) tenendo conto delle formole di trasformazione (4) e delle (7), (16): in esse compariscono le © ,@©,,03z. La sostituzione ad ©, ©, , 3 dei corrispondenti valori (9) e (21) per 01 R dà i valori cercati delle forze elettromagnetiche per i punti interni od esterni al cilindro su cui è tracciata l'elica. Non potendo dilungarmi ('), mi limito solo ad osservare che per i punti dell'asse o ad esso vicinissimi, cioè per 0,="0 od infinitesimo, il campo presenta la particolarità accennata nella prefazione. Così se si considera il caso in cui il passo 27m sia infinitesimo rispetto a 277R, in modo da essere E trascurabile, essendo però nel tempo stesso una quantità finita Il 1 A, : È . —=2nl1-—=27xlIwu, indicando w il numero delle spire per unità di m 271M lunghezza, si ritrovano, valendosi degli sviluppi assintotici delle funzioni cilindriche (?) per valori grandissimi dell'argomento, le note proprietà dei rocchetti (*): cioè per i punti interni il campo magnetico è uniforme, parallelo all'asse del cilindro, alla sinistra dell'osservatore di Ampère rivolto verso l'asse, e di intensità 47Iu; all’esterno è nullo. (*) Mi propongo di esporre in seguito nei loro particolari le proprietà del campo di un solenoide. (2) Nielsen, 1. c., pag. 156. (3) Pellat, 1. c., pag. 64 e seg. RenpicontI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 41 — 3932 — Fisica matematica. — Sulla teoria del solenoide elettrodi- namico. Nota del prof. GiusePPE PICCIATI, presentata dal Socio Vito VOLTERRA. Fisiopatologia. — Sull’evoluzione della sensibilità nelle ci- catrici, nelle plastiche e negli innesti. Nota di Guipo LERDA, presentata dal Socio A. Mosso. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisica. — Sull'osservazione spettroscopica della luce di inten- sità periodicamente variabile. Nota del dott. 0. M. CoRBINO, pre- sentata dal Corrispondente D. MacaLUSO. 1. Facendo subire a un fascio di luce, primitivamente omogenea, altera- zioni periodiche molto rapide nell’intensità, si debbono produrre dei cam- ‘ biamenti nello spettro della luce medesima. La previsione di tali cambiamenti conduce però ad alcune difficoltà quando si voglia tener conto delle proprietà reali dello spettroscopio, oltre che della sua funzione teorica, di scomporre, cioè, in componenti sinusoidali di Fourier lo stato vibratorio che si ha sulla fenditura. Mi propongo in questa Nota di esaminare il problema e di discutere le condizioni sperimentali che permetterebbero di ritrovare gli interessanti fenomeni previsti. 2. Una vibrazione luminosa primitivamente sinusoidale, cui si faccia subire una variazione periodica nell’ampiezza si può porre, nel caso più gene- rale, sotto la forma (1) s= g(t) sen wi indicando con (i) una funzione periodica di cui sia T'=— il periodo. (09) La (1) è rappresentabile graficamente con una sinusoide ad ampiezza /enta- mente variabile, in tutti i casi in cui g(?) varia pochissimo durante il periodo T= — di senw/; ciò avviene sempre per i fenomeni luminosi. (02) Scomponendo (#) in serie di Fourier, ponendo cioè p(t) = im Um cos(mw'é + dm) — 333 — sì avrà S= Îm Am c0s(mw't + @) sen wt di cui il termine generale è equivalente a (2) An }sen[(0 4 mo')t + am] + sen[(o— mo) t — am]i cioè a due vibrazioni persistenti di pulsazioni w+ mo", © — mo', cui cor- rispondono due righe simmetricamente poste rispetto alla riga della luce primitiva e a distanze da questa proporzionali a m%'. Ai varî armonici di g(t) corrisponderanno quindi delle coppie di righe simmetriche rispetto alla primitiva, di intensità proporzionale a quella dell’ armonico relativo nella funzione (%), risultandone da entrambe le parti, uno spettro discontinuo a righe fisse equidistanti. 3. Tutto ciò presuppone però nell'apparato spettroscopico un potere sepa- ratore infinito (che cioè in ogni punto dello spettro si abbia soltanto luce sinusoidale di un periodo unico), o per lo meno un potere separatore tale che le diverse righe calcolate siano separate completamente. Ben diverse possono essere le condizioni degli spettroscopi ordinari, cuì corrispondono, per una determinata luce sinusoidale incidente, luci disperse in tutti gli azimut, con ampiezze presentanti dei massimi più o meno netti, a seconda del potere separatore dello spettroscopio medesimo. In ogni punto dello spettro si sovrappongono con ciò luci di periodi notevolmente diversi, che si influenzano mutuamente; può quindi avvenire che per forme particolari della funzione g(/), cui corrisponda una non com- pleta separazione delle varie righe dianzi previste, si abbiano nello spettro apparenze del tutto diverse. Conviene pertanto ricercare se non sia possibile un altro modo di scom- posizione della vibrazione di ampiezza periodicamente variabile, che non sia quello fondato sull'uso della serie di Fourier ma che si adatti meglio alle proprietà reali dello spettroscopio, quando esso non sia sufficiente alla sepa- razione completa degli armonici di questa serie. Se si pone, nell'ipotesi @({)< 1, (3) s=g(t) senof= sen[wo + arc cos g(4)] + sen[wf — are cos g(0)] sì può dimostrare che tale scomposizione, analiticamente legittima, identifica la luce di intensità variabile con un fenomeno di battimenti tra due luci aventi numeri di vibrazioni periodicamente variabili, e cui corrispondono, in certi casi, due righe oscillanti nello spettro. Consideriamo infatti, la prima delle due vibrazioni componenti. Essa è rappresentata da una funzione la quale si annulla a intervalli successivi di T . £ 3 È 1 . tempo = tali che vi corrisponda un accrescimento di 7 nell’argomento 2 — 334 — wt + arc cosg(t); così se il seno si annulla successivamente per i due valori del tempo { e {t + 2 sarà (4) ot + are cos g(1) = pr (5) o((+9)+arecoss((+9)= (+12 ove p denota un numero intero. Di. Tak i T ATEI : L'intervallo DI è molto prossimo a 33% (semi-periodo di sen 0) data la lenta variazione di g() col tempo in confronto della variazione di seno. Si può quindi considerare come piccolissimo l'accrescimento di g(t), e RENEE IU ; 3 £ quindi di arc cosg(/), nel tempo DI e calcolare questi accrescimenti con lo sviluppo in serie di Taylor limitato al secondo termine. Si avrà con ciò: s(( la n =g()+ 3 g'(1) are cos AC + =) =_a1cicos [sl (4) +È 90 | Ti at gp(d) = arc 008 @ (1) + == VI= (1) — g (4) Sostituendo nella (5) e tenendo presente la (4) si ha quindi la quale confrontata con ove T è il periodo di senw/, e tenuto presente che, nel problema di cui ci occupiamo, il secondo termine della parentesi è sempre molto piccolo di fronte al primo, diviene TRBLSoIO) Î 6 T= Ti SI Ù | Te/i= 90 L'intervallo T, è quindi funzione periodica del tempo, avente per periodo quello ‘di (8). — 335 — In modo analogo si trova per l’altra componente (4) 7 Tue po i Res: em In un spettroscopio di potere separatore sufficientemente elevato, queste due luci di numeri di vibrazioni variabili dovrebbero dare uno spettro discon- tinuo con righe di intensità costante. Ma può darsi, invece, che la g(/) abbia una forma tale da risultarne per le due componenti un periodo che cambia lentamente, pur avendosi una ampiezza di variazione notevole. In tal caso con uno spettroscopio ordinario, per l'azione mutua delle varie componenti che si sovrappongono in ogni punto dello spettro, la luce considerata darà anzichè uno spettro a molte righe fisse, un semplice doublet a componenti oscillanti. Si immagini, per esempio, che sia (8) g(t)= sen[& seno] | con Eroe 05 In questa ipotesi la g ha per periodo se, cioè 1/10 di minuto secondo, e quindi le varie componenti di Fourier della vibrazione s= g(t) sen vt in cui, per la luce del sodio, è Wi_dox 105 e che avranno (v. $ 2) le pulsazioni © + mo', cioè o+o,0+ 20,04 30,... non possono venir separate da nessuno spettroscopio; nè è facile prevedere l’effetto della sovrapposizione delle componenti contigue. Ricorriamo invece alla scomposizione data dalla (3). Le (6) e (7) diven- gono allora: Ie È + z ko COS o" | (9) mat È = i ko! cos o | le quali ci dicono che la riga primitiva si scompone in un dowblet, di cui ciascuna componente è una luce di periodo lentamente variabile, tale cioè — 036 — che il numero di vibrazioni in un decimo di secondo, subisce una variazione ; Si L'ot 2 massima di n ko = 1000 : Or è evidente che ognuna delle componenti sarà una riga mobile nello spettro (!), e precisamente una riga che oscilla dieci volte in un secondo intorno alla riga normale, con un'ampiezza eguale circa al doppio della distanza tra le righe del sodio. Può quindi avvenire che la g(/), pur essendo di periodo molto grande, determini delle modificazioni spettrali notevoli ben diverse da quelle che la semplice scomposizione di Fourier farebbe prevedere. 4. Si osservi che nell'esempio precedente l'ampiezza di oscillazione di una delle due righe mobili, cioè ha) dipende dal prodotto X%w'; cosicchè fa- cendo variare % e c' in modo che il prodotto si mantenga costante, ma @' vada sempre crescendo, le oscillazioni della riga, conservando la stessa am- piezza, sì andran facendo sempre più rapide. Supponiamo di giungere, con ciò, a molto grandi valori di @'; data la rapidità delle oscillazioni, la riga mobile si vedrà come una banda, e sembra che le apparenze debbano re- stare identiche anche se ' è già divenuto tanto grande che, facendo la decomposizione con la serie di Fourier, le righe corrispondenti alle com- ponenti dianzi calcolate siano completamente separate. Per intendere come avvenga questa trasformazione di una banda gene- rata da una riga mobile, in uno spettro a righe fisse, mentre w' cresce in modo continuo, si pensi che anche per oscillazioni lente della riga, tali oscillazioni sono un effetto apparente dell’interferenza tra le varie compo- nenti che si sovrappongono, almeno in parte, in ogni punto dello spettro; interferenza che genera lo annullamento della luce in tutti i posti, tranne uno, quello cioè per cui passa, in quell’istante, la riga mobile osservata. In altri termini la riga oscillante è una manifestazione dell’annullamento periodico e con diversa fase delle varie righe in parte sovrapposte. Si intende quindi che tale manifestazione debba cessare quando le varie righe siano completamente separate. 5. La forma attribuita alla 4 nella eguaglianza (8) e la costanza del prodotto X@' non è d'altra paite una semplice astrazione analitica, ma cor- risponde a un fenomeno che è possibile realizzare. Una sorgente di luce monocromatica, capace di dar luogo al fenomeno Zeeman, si trovi in un campo magnetico di intensità variabile, come quello prodotto da una bobina percorsa da scariche oscillanti, e si consideri la luce emessa normalmente al campo, estinguendo con un nicol le vibrazioni paral- lele alle linee di forza. (*) Basta pensare all'osservazione del fenomeno Zeeman dovuto a un campo lenta- mente variabile. —_e-—eeemeeTr- — 337 — Per un campo costante si avrà allo spettroscopio un dowblet le cui componenti si trovano a una distanza proporzionale all’ intensità del campo. Per un campo variabile sinusoidalmente con pulsazione w' i periodi delle componenti saranno espressi quindi da relazioni analoghe alle (9), e vi cor- risponderanno due righe oscillanti con pulsazione w'. Al crescere di @', se il valore massimo del campo resta costante, le due righe tracceranno con velocità crescente una banda di ampiezza costante. Tale banda, per w' grandissimo, dovrebbe poi scindersi in un sistema di righe equidistanti. Si noti però che, nel caso attuale, non è possibile giungere a tale scomposizione; bisognerebbe infatti che l'apparato spettrale riuscisse a separare le righe corrispondenti alle pulsazioni ot+o , 0120, 0+39, Or anche ammesso che le qualità della luce normale emessa dalla sor- gente e la potenza dell'apparato spettroscopico permettessero di scomporre due righe come quelle corrispondenti a w,w-- 10-50 si dovrebbe avere per w' o = 10-50 cioè o = 2rX5x 108 con che la bobina dovrebbe essere traversata da onde elettriche della lun- ghezza di 50 centimetri, la qual cosa deve ritenersi come impossibile data l’induttanza della bobina. 6. Ritornando al caso delle luci intermittenti, si può riconoscere senza difficoltà che nessun mezzo meccanico di alterazione dell'intensità di un fascio di luce può essere così rapido da determinare modificazioni spettrali rivelabili agli spettroscopi di cui noi disponiamo. Un risultato migliore sì otterrebbe profittando della istantaneità del fenomeno della birefrangenza elettrica, quale risulta dalle belle esperienze di Abraham e Lemoine e dalle altre posteriori di James ('); e che suggerisce un metodo molto comodo per avere fasci di luce rapidissimamente intermittenti. SI sostituisca infatti, nel dispositivo di Abraham e Lemoine, alla luce della scintilla un fascio di luce ordinaria, si tolga il prisma birefrangente e si orienti il secondo nicol a 90° dal primo, cioè all’oscurità. Inoltre si faccia traversare il condensatore da oscillazioni elettriche di grande frequenza. L'ampiezza della vibrazione luminosa emergente varierà come sen LIE ove 4 indica la differenza di cammino tra il raggio ordinario e straordinario (! Ann. d. Phys. Bd. /5, fasc. 15, 1904. — 338 — generata dal campo variabile. Se le oscillazioni elettriche sono della lun- ghezza d'onda di 1 metro, il che non sembra difficile a ottenere, il fascio emergente sarà interotto 600 milioni di volte a secondo, cosicchè nessun mezzo cinematico ne potrebbe rivelare la non continuità. La funzione g() ear di secondo; e le componenti più interne dello sviluppo in serie di Fourier dato al $ 2, disterebbero quindi avrebbe in tal caso come periodo 2 È tra loro di circa 1000 della distanza tra le due righe del sodio. Se il potere separatore dello spettroscopico è inferiore a questo limite, converrà ricorrere alla scomposizione discussa al $ 3. Supponiamo che il campo H varî sinusoidalmente con periodo —-, che sia cioè (0) H=H_H;senw'". La differenza di cammino, indicando con K una costante, è data allora da òo— KH? sen? w'/ e la luce emergente si potrà rappresentare con o) sen 77 > senwl — sen [A sen® 0'/] sen w0/ ove si è posto a K Hî È an La (6) e la (7) divengono, data questa forma di g(2), PI" È DE sa A sen 2u/ | T-t|1-CAsn2ot | . (63) Adunque la riga primitiva si trasformerà in un double? di cui le compo- nenti, mantenendosi simmetriche rispetto alla prima, oscillano pendolarmente r È i TT i 5 (O) intorno ad essa con periodo gi° © On ampiezza corrispondente ad ÀA—. - w Data la rapidità di queste oscillazioni l'occhio riceverà l'impressione di una I î (60) banda avente la larghezza corrispondente a 2A — . (10) Nel caso di oscillazioni elettriche di un metro di lunghezza d’onda, e di un effetto Kerr di 0.12 4, quale sarebbe prodotto da due armature lunghe 20 cm., distanti 1 mm. e con differenza di potenziale massima eguale a — 339 — 4000 Volt, l'ampiezza della banda sarà quindi solo di appena mezzo mil- lesimo della distanza tra le due righe del sodio. 7. Un maggior numero di intermittenze per secondo può essere ottenuto ricorrendo alla luce stessa delle scintille negli oscillatori elettromagnetici, poichè la scintilla, finchè le velocità raggiunte con gli specchi giranti, han permesso di risolverla, è costituita da un fenomeno luminoso discontinuo. Molto interessante, dal punto di vista che ci occupa, è il lavoro del Décombe ('), che riuscì a fotografare scariche oscillanti del periodo 2 x 107”, discutendo con grande cura le condizioni necessarie perchè le singole scin- tilline siano quanto più numerose e brillanti è possibile. Una differenza rilevante si ha tra le scintille scoccanti nell'aria e quelle scoccanti in un dielettrico quale l'olio di vasellina suggerito dal Righi. Nel secondo caso la scintilla, decomposta dallo specchio girante, oltre che più luminosa, è costituita da tratti rettilinei che in tutta la loro lun- ghezza seguono, col loro splendore, le variazioni della corrente di scarica; mentre nell'aria i segni della discontinuità sono sopratutto evidenti agli elettrodi, come risulta dalle bellissime fotografie di Battelli e Magri. Intanto con oscillatori anche di piccola lunghezza d'onda, e scintilla scoccante nell'olio di vasellina, non è da escludere a priori che siano visi- bili le righe degli elettrodi. Nell'ipotesi della loro visibilità, possiamo pre- vedere come esse debban modificarsi qualora la luce sia veramente discontinua. Con un piccolo oscillatore producente onde di 1 cm., il periodo delle intermittenze luminose, e quindi di (£), sarebbe di ; le successive 1 3 X 1010 componenti in cui si scinde la luce normale saranno quindi a una distanza 1 eguale a 15 di quella delle due righe del sodio, e le due più drterne, dal- l'una e dall'altra parte, disteranno di 2 di quella distanza. Tale notevole modificazione delle righe normali deve quindi potersi constatare facilmente anche con un ordinario reticolo di Rowland, rivelando la discontinuità della luce che lo specchio girante non perviene a risolvere, a meno che le perturbazioni spettrali che secondo diversi autori, tra cui il Wilsing (*), accompagnano la produzione delle scintille nei liquidi, non ma- scherino completamente il fenomeno. Mi riservo di comunicare all'Accademia i risultati delle esperienze che intendo eseguire in proposito. (1) Ann. d. Ch. et d. Phys. Serie 7, T. 15, pag. 156, 1898. (2) Wilsing, Veber die Deutung des typischen spectrums der neuern Sterne. Berl., Ber. 1899, pag. 426; Kayser, Mand. d. Spectrosc. 1 Band, pagg. 227-228. RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 42 — 340 — Fisica |terrestre. — Sul Pireliometro a compensazione elet trica dell’’Angstròm. Nota di Ciro CHISTONI, presentata dal Socio P. BLASERNA. Nell'eseguire le misure pireliometriche a Corleto, a Modena, a Sestola ed al Monte Cimone dal 1898 al 1901 (*), non ebbi solo per iscopo di tro- vare dei valori pireliometrici, ma anche di esaminare i varî apparecchi pro- posti per le ricerche di questo genere. Impegnato, prima come membro della Commissione internazionale per le osservazioni della radiazione solare (2), poi come membro del Comitato della Società degli Spettroscopisti italiani per lo studio del Sole (*), ad intrapren- dere una serie lunga di misure pireliometriche, credetti mio dovere anzitutto di decidere, fra i varî proposti, quale strumento avrei preferito (4). Quando presi parte alla discussione nella riunione della Commissione della radiazione solare a Parigi nel settembre del 1900 (5), non aveva ancora avuto campo di studiare praticamente il pireliometro a compensazione elettrica dell’Àng- stròm; ed è stato in quell'occasione che il sig. Edelstam ebbe la cortesia di mostrarmi il pireliometro e di interessarsi poi presso il sig. prof. Angstròm perchè potessi avere sollecitamente uno di detti apparecchi (5). (1) Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, serie 5%, vol. XI, 1° sem. 1902, pagg. 77, 479 e 539; vol. XII, 1° sem. 1903, pagg. 53, 258 e 625; vol. XIV, 1° sem. 1905, pag. 147. (2) rapport de la Conférence météorologique internationale ; réunion de Paris, 1896, pag. 24. Paris, Gauthier-Villars, 1897. (3) Memorie della Soc. degli spettroscopisti italiani, vol: XXXIII (1904), pag. 211. (4) Dalle notizie relative a studî solari pubblicate dal prof. A. Riccò (Mem. Soc. spet. ital., vol. XXXIII (1904), pag. 249) rilevo che il Comitato centrale per gli studî sul Sole desidera conoscere quale apparecchio o quali apparecchi adotta ogni membro dei Comitati parziali per le sue speciali ricerche. (9) Congrès international de météorologie. Paris, 1900 (pag. 58), Paris, Gauthier- Villars, 1901. (5) Per conoscere il principio scientifico sul quale è basato il pireliometro a com- pensazione elettrica dell’Àngstròm e per comprendere come è costruito questo apparecchio, si possono consultare: ine elektrische Kompensationsmethode zur quantitativen Bestim- mung Strahlender Wirme, von Knut Àngstrom (Nova Acta regiae Societatis Scientiarum upsalientis; serie tertiae; vol. XVI, 1893; ed anche: The physical Review, I, 365, 1893). K. Angstròm, Veber absolute Bestimmungen der Wirmestrahlung mit dem elektrischen Compensationspyrheliometer, nebst einigen Beispielen der Anwendung dieses Instrumen- tes (Wied. Ann. der Phys. und Ch. neue Folge; Bd. LXVII (1899) ed anche: Astrophysical Journal, vol. IX (1899), pag. 334). — K. Angstròm, Intensité de la radiation solaire è différentes altitudes; recherches faites à Ténériffe 1895 et 1896 (Nova Acta, ete., 2/VII, 1900). — Rapport du Comité météorologique international; réunion de St. Pétersbourg, — 341 — Per le ragioni che esporrò, ho stimato che questo istrumento debba cor- sispondere meglio di ogni altro per intraprendere una serie di misure, che dovrebbe durare per diversi anni. Il pireliometro Angstròm, oltre che essere fondato sopra un saldo prin- cipio scientifico, offre molti vantaggi sugli altri apparecchi attinometrici e pireliometrici proposti precedentemente da altri scienziati e dallo stesso Àng- strom; e vedo con soddisfazione che di questo parere è anche una distinta persona, che contribuì non poco al progresso degli studî della radiazione so- lare, il Violle, il quale con saggio criterio, degno della sua alta intelligenza, riconosce che il pireliometro Angstrom è preferibile al suo attinometro ('). Il pireliometro Angstròm, come dice bene il Violle, non richiede corre- zioni per perdite di calore dovute alla radiazione, alla convezione ed alla conduttività. Per prontezza, l'apparecchio supera tutti gli altri; bastano dieci secondi perchè le striscie pireliometriche raggiungano la temperatura stazio- naria. Un altro vantaggio pratico, che non può sfuggire a chi ha fatto misure di radiazione solare, si è che l'apparecchio Angstròm dispensa dall'uso di un delicato misuratore degli intervalli di tempo; ed è questa, credo, la ragione principale per cui questo pireliometro può essere usato anche da chi sia stato soltanto istruito a fare con cura le osservazioni meteorologiche correnti, o da un meccanico intelligente, che sia vissuto per qualche anno in un Istituto di Fisica. Non bisogna però credere che il pireliometro a compensazione elettrica sia uno strumento da potersi trattare con poca cura; tutt'altro, le parti che lo compongono (pireliometro propriamente detto, galvanometro, amperimetro di precisione, termometro ecc.) sono delicate e vogliono essere tenute © trattate con cura. Il vento, dirò anzi, i movimenti sentiti dell’aria, influiscono sull’apparecchio (*) e non si riesce a compensare stabilmente il pireliometro, se non si opera in luogo dove l’aria sia quieta. Sta all'avvedutezza di chi lo deve adoperare, di disporre le cose in modo che tutto proceda convene- volmente. Perciò, se è possibile confidare la manualità di alcune osserva- zioni a persone, che non appartengono al personale di concetto di un Isti- tuto scientifico, bisogna che chi si assume la responsabilità dei risultati, 1899 (pag. 59); réunion de Southport, 1903 (pag. 83). Paris, Gauthier-Villars, 1900 e 1904. Bericht des internationalen Meteorologischen Komitees. Versammlungen zu Paris, 1900 und zu Southport, 1903, S. 67. Berlin, A. Asher et C., 1905. — Congrès international de météorologie; Paris, 1900 (pag. 29). Paris, Gauthier-Villars, 1901. (1) Rapport, ete., réunion de Southport, 1903, pag. 83. — Bericht des intern. Met. Kom., ete. S. 67. (2) Non si creda che gli altri attinometri o pireliometri vadano esenti da questo inconveniente; lo stesso attinometro Violle, che ha il termometro pireliometrico protetto più di ogni altro istrumento, va soggetto a repentine variazioni nelle indicazioni, se non è riparato convenientemente dal vento. DI SMUONZE esamini di sovente ed attentamente il complesso degli istrumenti che vanno uniti al pireliometro, curi la collocazione di essi ed in ispecie si accerti che quando il pireliometro viene esposto, non sia sottoposto a correnti d'aria. Talvolta avviene che riesce difficile la compensazione esatta mediante la corrente elettrica, così da ridurre a zero il galvanometro, che si mostra perturbato da continue e rapide variazioni, senza che si possa attribuire la causa di questo fatto a correnti d'aria. In tali casi, chi ha la pazienza di indagare con cura ed attenzione lo stato del cielo, finisce coll’accorgersi che in quella parte di atmosfera’ attraversata dai raggi solari che finiscono al pireliometro, vagano dei tenuissimi veli di vapore acqueo, che assorbendo con irregolarità i raggi solari, fanno variare incessantemente la temperatura della striscia esposta al sole. Questo fatto dimostra che il pireliometro Angstròm è anche dotato di una grande sensibilità (!). Un inconveniente che ho verificato in tre anni di continuo uso del pi- reliometro a compensazione elettrica e che mi sono fatto premura di segna- lare subito all’Angstròm stesso, è il seguente: col tempo le laminette di rame della doppia coppia termoelettrica si allontanano dalle striscie pirelio- metriche in modo da lasciare incerti nelle indicazioni. A questo inconveniente che mostrarono i primi pireliometri, oggi si rimedia con una disposizione più accurata delle striscie pireliometriche e delle laminette di rame. Per quanto la costruzione degli amperimetri di precisione sia ora giunta a tale grado di perfezione da non lasciare dubbî sulle loro indicazioni, pure sarà sempre prudente un accurato esame dell'amperimetro che va unito al pireliometro, poichè un errore di 0,001 di Amp. può arrecare un errore di circa 0,005 di caloria-grammo nel risultato delle misure (*). Gli amperimetri dei quali feci uso in questi ultimi tre anni nelle mi- sure pireliometriche, sono stati confrontati con un amperimetro di preci- sione costruito dalla Casa Hartmann & Braun di Francoforte sul Meno, del tipo Wa, che è controsegnato dai N. 131913/1293. La Casa stessa si assunse l'esame accurato dell’apparecchio, verificando le indicazioni dell’am- (1) Si sottintende che l’operatore deve essere sicuro e deve sempre accertarsi che la coppia elettrica o le coppie elettriche delle quali fa uso, non vadano soggette a variazioni di forza elettromotrice, poichè se ciò fosse, non riuscirebbe possibile in nessun caso di mantenere a zero il galvanometro per un certo tempo, od almeno per quel che. necessita per fare con accuratezza la lettura dell’amperimetro. Come pure resta inteso che durante l'operazione si deve procurare incessantemente che il tubo del pireliometro sia esattamente rivolto verso il sole. (*) Veggasi a questo riguardo: C. F. Marvin, Zhe measurement of Sunshine and the preliminary examination of Angstròm’s Pyrheliometer (Mont. Weather Review; volume XXIX; october 1901, pag. 454). — Harvey N. Davis, Observations of Solar radia- tion with the Angstròm pyrheliometer at Providence. R. I. (Id. vol. XXXI; june 1903, pag. 275. — H.H. Kimball, Observation of Solar radiation with the Angstròm pyrhe- lometer at Asheville and Black Moutain. N. C. (Id. july 1903, pag. 320). — 343 — perimetro (tenuto orizzontale e disposto così, che la freccia indicatrice incisa sullo strumento fosse diretta verso nord) mediante un potenziometro della stessa Casa, che era stato verificato esatto dall’imperiale Istituto Fisico- tecnico di Charlottemburg (!). La scala dell’amperimetro è segnata da 0 a 100, e mediante un com- mutatore si può ottenere che ogni divisione corrisponda od a 0,005 Amp. oppure a 0,01 Amp. Nel primo caso la resistenza interna dell'apparecchio è di 0,254 Ohm, nel secondo caso di0,160 Ohm., Durante i confronti, la tem- peratura dell’aria ambiente era di 21° C. ed i coefficienti di temperatura trovati (0,000022 nel primo caso e 0,000088 nel secondo, per amp. e per grado) sono tali da esonerare di tenere conto delle correzioni dovute alla temperatura, quando si pensi che coi pireliometri dell’AÀngstròm ben difficil- mente la corrente elettrica necessaria arriva a 0,45 Amp. e che non sì può richiedere una precisione maggiore di 0,001 Amp. Le indicazioni notate nel seguente quadro, che sono i risultati dei con- fronti, si intendono riferite ad una collocazione esatta dell'indice sullo zero della scala, quando per l’amperimetro non passi la corrente elettrica. Posizione dell'indice | Intensità della corrente che passa per lo strumento Valore medio Il ] dell’i ità C sulla scala O GOTI da 0lad il AT ell’intensità della corrente 0,005 oppure 0,01 X 10 0,005 X 9,946 Amp. | 0,01 x 9,937 Amp. 9,942 Amp. 20 19,996 19,993 19,995 30 30,016 30,006 30,011 40 40,014 39,999 40,007 50 50,018 50,007 50,013 60 59,980 59,973 59,997 70 69,952 69,942 69,947 80 80,006 80,016 80,011 90 89,994 89,973 89,984 100 99,996 99,990 99,993 Valendomi di questo amperimetro ho trovato, mediante quattro confronti, fatti tanto per la scala da 0a 0,5 Amp. che per la scala da 0 ad 1 Amp. i seguenti valori in Amp. corrispondenti alla graduazione dell'amperimetro N. 150947/1582 della stessa Casa Hartmann & Braun, costruito come il pre- cedente. La temperatura dell'ambiente durante i confronti è stata di circa 14° ed i confronti vennero eseguiti il 30 ed il 31 marzo 1904. (1) Physikalische Zeitschrift; I Jahrgang (1899-1900). S. 167-168. — 344 — L'indice, mentre non passava corrente per l'apparecchio, era stato pre- ventivamente ridotto a 0; e tale si mantenne durante i due giorni suddetti. Posizione dell’indice Valore in Ampòères sulla scala da 0 a 0,5 Amp. da 0 ad 1 Amp. 10 0,04887 0,09988 20 0,09996 0,20003 30 0,15000 0,30006 40 0,20000 0,40006 50 0,25004 0,50007 60 0,30002 0,60000 70 0,35000 0,70000 80 0,40000 0,80004 90 0,45000 0,90003 100 0,50000 1,00004 Dal 4 al 6 aprile 1903 (essendo 15° gradi circa la temperatura dell’am- biente) si fecero confronti fra l'amperimetro Hartmann et Braun 131913/1293 e il Milli-Volt-Amperimetro della Casa Siemens et Halske N° 66235, con applicatavi la derivazione '/s Ohm N° 14895, per modo che ogni divisione della graduazione corrispondesse a 0,01 Amp. In questo Amperimetro l'in- dice (mentre non passava la corrente nell’istrumento) segnava + 0,3 di di- visione, e di questo spostamento si è sempre tenuto conto nelle letture della scala; o per meglio dire, i risultati dei confronti valgono solo nel caso che sì siano corrette le indicazioni dell'amperimetro dallo spostamento dello zero, indicato dall'indice. Durante i confronti lo spostamento dell'indice si man- tenne costantemente + 0,3. I confronti sono stati cinque, e si limitarono nell'intervallo da 0 a 0,5 Amp., non dovendo l'apparecchio servire che per le misure pireliometriche. Credo affatto inutile fare parola del come sono costruiti e montati i Milli-Volt-Amperimetri Siemens & Halske, poichè sono usati generalmente negli Istituti scientifici e negli Istituti industriali. Finiti i confronti col precedente apparecchio, nei giorni 6 e 7 aprile 1903, sempre essendo 15° circa la temperatura dell'ambiente, ho esaminato il Milli- Volt-Amperimetro Siemens & Halske N° 66234 colla derivazione '/, Ohm N° 14894. In questo apparecchio l'indice, mentre non passava la corrente segnava — 0,2 di divisione, e lo spostamento (del quale si tenne sempre calcolo) non subì variazioni durante i confronti. Nei giorni 1 e 2 aprile 1904 ho esaminato un terzo Milli-Volt-Amperi- metro Siemens & Halske N° 53352 con derivazione '/; Ohm N° 12320. Questo istrumento si trova a Modena fino dai primi mesi del 1901 e non ebbe mai spostamento d'’indice, nè lo ha, quantunque a più riprese sia stato — 345 — portato da Modena a Sestola e da Sestola al monte Cimone. La temperatura x dell'ambiente durante i confronti è stata di 16° circa. I risultati ottenuti coi tre amperimetri Siemens & Halske stanno riu- niti nel seguente quadro: Posizione dell'indice sulla scala N° 66235 con der. 14895 Valore in Ampères N° 66234 con der. 14894 N° 53352 con der. 12320 5 0,0505 10 0,1006 15 0,1509 20 0,2016 25 0,2511 30 0,8012 35 0,8513 40 0,4014 45 0,4515 50 0,5015 0,0502 0,1008 0,1504 0,1996 0,2496 0,2994 0,3493 0,3988 0,4487 0,4987 0,0496 0,0986 0,1488 0,1991 0,2493 0,3001 0,3494 0,3993 0,4493 0,4983 Facendo uso degli amperimetri suindicati, ho esaminato cinque pirelio- metri dell’Angstròom controsegnati coi Nî. 19; 29; 38; 39 e 39 bis, dei quali le costanti stanno riunite nel seguente specchio: Resistenza elettrica delle striscie per cm. a 20° (r) in Ohm . . Coeff. di variazione della resi- stenza colla temperatura . . . Larghezza delle striscie (0) in cm. Potere assorbente della super- GO (0) cia sana N° 19 0,0682 0,00045 0,1486 0,98 0,07933 (1) 0,0 0,1 0,9 N° 29 0045 498 (0.0) N° 38 0,0661 0,00045 0,15 0,97 L'intensità della radiazione è data dalla relazione ri* 00 LO I N° 39 0,0679 0,00045 0,15 N° 39 bis 0,2952 zero 0,149 0,98 gr. — cal. per min. e per cm? (f= int. della corr. in Amp.) che può essere messa sotto la forma Q=%??, avendo 7% i seguenti valori per le corrispondenti temperature e per il corrispondente pireliometro : (!) La resistenza del N° 29 corrisponde a 17° di temp. | 02 | 0° | 10° | 20° | 30° | 40° N° 19 6,65 6,68 6,71 6,74 6,77 N° 29 7,69 7,72 7,75 7,78 7,81 N° 38 6,42 6,45 6,48 6,51 6,54 6,57 INSHS9 6,61 6,64 6,67 6,70 6,73 6,76 N° 39 bis | 29,0 29,0 29,0 29,0 29,0 29,0 In altra Nota darò conto dei risultati dei confronti fatti coi pireliometri suindicati. VERO: I I TT astro ri ì PES to integra at Publicazioni della R. Accademia del Lincei. ‘Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. «Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 22 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. VOLI VA EAIINIO «Serie 3* — TransuntTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMmoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. i Serie 4* — RenpiconTI Vol. I-VII. (1884-91). MremorIE della Classe ‘di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMmorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5® — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e noturali. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fase 6°. ReENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. (1892-1904). Fasc. 1°-8°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. Vol. V. Fasc. 3°. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche «e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- -denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta TItalia di L. 210; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti «editori-librai : “Ermanno LorscHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. UrrIco HoeprLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Marzo 1905. INDI CE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 marzo 1905. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Mosso. Depressione barometrica e dr parziale del CO» nell'aria respirata. Osservazioni fatte sulle scimmie . . ME RARI a Id. La pressione del sangue ott aria rareftt 05) SUE : 50% Id. L'anidride carbonica come rimedio del male di mono e parc nelle ascensioni aereostatiche questa debba respirarsi coll’ossigeno . . . o Eta Tedone. Sull’equilibrio elastico di un corpo limitato da un cono di ui ia dal Socio Volterra). . . , Si DNS . . Picciati. Campo dna 0 ad una hont costei io È Id. ) GURO Id. Sulla teoria del solenoide. elettrodinamico (MRESER/A.) (0) OT ”» Lerda. Sull’evoluzione della sensibilità nelle cicatrici, nelle plastiche e da a oi dal'iSocio Mosso) OE ; » Corbino. Sull’osservazione spettroscopica della luce di citersita peridiicanitie DT a dal Corrisp. Macaluso)-.. < ... +» » Chistoni. Sul Pireliometro a compensazione bettica dell into Gre da sufi vi, O) (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 2 aprile 1995. Ns A'TÙ DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINOEI ANNO CCGGII. 25 Street iO, OBEEN TESA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 aprile 1905. Volume XIV. — Fascicolo 7° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI sp ELLE PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI a 1905 — sonno, ESTRA"TTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche enaturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti von riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. i 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5.L’Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa 2 carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 aprile 1905. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Geometria. — La geometria non Archimedea. Una questione di priorità. Nota del Socio G. VERONESE. È noto che nell’introduzione dei miei Yondamenti di geometria, pub- blicati nel 1891 ('), seguendo il metodo sintetico astratto, ho svolto una teoria del continuo lineare che non soddisfa al postulato d’Archimede, teoria che mi servì per stabilire negli stessi Fondamenti la geometria non archimedea. Così ho risolto la secolare questione del segmento infinito e in- finitesimo attuale, della quale si erano occupati insigni filosofi e matema- tici, non mai risolta perchè non era stata mai bene posta (*). È pure noto che io dovetti sostenere da principio alcune discussioni, anche con (G. Cantor perchè egli aveva affermato in una sua pubblicazione sui suoi numeri transfi- niti l'impossibilità del segmento infinitesimo attuale, senza però darne una dimostrazione completa (8). (1) Tradotti in tedesco da A. Schepp nel 1894, ed. Teubner. Vedi anche A., // continuo rettilineo e l'assioma d’Archimede. Rend. della R. Acc. dei Lincei, 2° sem. 1890. (2) Vedi l’apppendice ai miei Fondamenti, nota IV. (3) A., Fond., Intr. Cap. VI, $ 3. Appendice, nota IV. Osservazioni sopra una di- mostrazione contro il segmento infinitesimo attuale. Atti del Circ. mat. di Palermo, ‘1902. Intorno ad alcune osservazioni sui segmenti infiniti e infinitesimi attuali. Math. Ann. Bd. 47. RenpicontI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 43 = Bio — To dimostrai invece che coi numeri transfiniti di Cantor non si può co- struire una geometria non archimedea, e perciò non è possibile costruire con questi numeri un segmento infinitesimo attuale. Ma ho esplicitamente rile- vato nell’introduzione stessa, ed anche in altre pubblicazioni, che i miei numeri infiniti e infinitesimi attuali, sono di natura affatto diversa da quelli del sig. Cantor ('). E mentre io seguii il metodo sintetico nulla ammet- tendo di noto, il Levi-Civita, nel 1893 e poi nel 1898 (?), svolse, comple- tandola, la teoria dei miei numeri partendo da concetti puramente aritmetici valendosi per la loro costruzione dei numeri reali ordinari. Ebbene, il Poin- caré in una relazione sull'opera: Grurdlagen der Geometrie dell’ Hilbert, pubblicata nel 1899, scritta in occasione del conferimento del premio Lo- batschewsky (3) esprime dei giudizi sulla mia teoria e sulla priorità della geometria non archimedea che non sono esatti. E sebbene di qualche critica e di qualche recensione (‘) non mi sia occupato, pure è tanta l'ammirazione che ho dell’illustre matematico francese, Socio di questa nostra Accademia, e tale è la sua autorità, che non posso tacere, tanto più che questi giudizi sono stati riportati anche dall’ Halsted, matematico americano, ben noto per i suoi lavori sui principî della geometria. Non posso dunque lasciare che tali giudizi si divulghino e danneggino l'opera mia, per quanto modesta essa sia. Il Poincaré a pag. 3 della sua relazione dice: « Enfin je dois citer le livre de M. Veronese sur les fondements de la « géométrie où l'auteur applique pour la première fois à la géométrie les « nombres transfinis de Cantor ». E a pag. 14 e seguenti: « Mais la conception la plus originale de M. Hilbert c'est celle de la « Géométrie non archimédienne, où tous les axiomes restent vrais, sauf celui « d'Archimède. Pour celle il fallait d'abord construire un système de nombres «non archimédiens c'est-à-dire un système d'éléments entre lesquels on pùt « concevoir des relations d’égalité et d’inégalité et auxquels on pùt appli- « quer des opérations correspondant è l’addition et è la multiplication arithmé- (1) L. c. (®) Sugli infiniti ed infinitesimi attuali quali elementi analitici. Atti R. Istituto Veneto, 1903. Sui numeri transfiniti. Rend. R. Acc. Lincei, 1° sem. 1898. (8) Rapport sur les travaua de M. Hilbert, Kazan 1904. Questa relazione mi fu favorita recentemente dal prof. Wassilief di Kazan. (4) Così non mi sono occupato ad es. della recensione di poche righe stampata nel- l’Encyklopidie der Mathematik, nella quale il sig. Schoenflies ripete dei dubbi ai quali era stato risposto da me e dal Levi-Civita in questi Rendiconti (1898), e nella quale egli insiste a voler distinguere nei suoi dubbi la teoria del Levi-Civita dalla mia, mentre il Levi-Civita stesso non riconosce una tale distinzione. — 349 — « On voit quelle est la portée de cette invention et en quoi elle con- « stitue dans la marche de nos idées un pas presque aussi hardi que celui « que Lobatschewsky nous a fait faire; la géométrie non euclidienne respec- « tait pour ainsi dire notre conception qualitative du continu géométrique « tout en bouleversant nos idées sur la mesure de ce continu. La géométrie « non archimédienne détruit cette conception, elle dissèque le continu pour « y introduire des éléments nouveaux. « Dans cette conception si audacieuse Hilbert avait eu un précurseur. « Dans ses fondements de la géométrie Veronese avait eu une idée analogue. « Le chapitre VI de son introduction est le développement d'une véritable « arithmétique et d'une véritable géométrie mon-archimédiennes où les «nombres transfinis de Cantor jouent un role prépondérant. Toutefcis par « l'élégance et la simplicité de son exposition, parla profondeur de ses vues « philosophiques, par le parti qu'il a tiré de l'idée fondamentale, Hilbert a « bien fait sa chose de la nouvelle géometrie ». Da quanto ho sopra esposto risulta invece che non solo i numeri transfi- niti di Cantor non hanno un ufficio preponderante nella mia teoria, ma che anzi i miei numeri sono di natura affatto diversa. Nella mia introduzione vi è, è vero, un paragrafo nel quale ho trattato dei numeri di G. Cantor, ma l'ho scritto appunto per far rilevare la differenza delle due teorie e l'errore in cui era caduto il Cantor affermando l'impossibilità del segmento infini- tesimo attuale. La priorità poi della geometria non archimedea debbo reclamarla intera. La mia geometria è più completa di quella dell’ Hilbert, il quale, nella prima edizione nelle sue Grundlagen, chiama assioma della continuità il postulato d’Archimede, e nella seconda edizione e nella traduzione francese vi aggiunse un altro assioma (detto der Vollstàndigkeit) che corrisponde appunto per la retta con quello di Archimede al postulato del continuo di Dedekind. In ciò esiste una sostanziale diversità nell’interpretazione del continuo tra me e il sig. Hilbert, perchè per me l'assioma d'Archimede non è quello della con- tinuità, anzi io ho reso questo indipendente dal primo, sì da costruire una geometria continua non archimedea (!). E in questo senso parmi interpreti il continuo anche il Poincaré colle parole sopra citate. Ma v' ha di più. Il sig. dott. Bindoni pubblicò nel 1902 in questi Rendiconti una Nota nella quale fece vedere come si possano mettere i miei numeri sotto la forma funzionale di quelli dell’ Hilbert, onde trasse la conclusione che la geometria dell'Hilbert è una parte della mia. Riconosco non solo il valore ma anche l'eleganza e la semplicità della esposizione di Hilbert; bisogna porre mente però nel confronto dei metodi, che io non volli avere a mia disposizione le risorse dell'analisi, costruendo le (1) Vessasi anche // postulato della continuità. Questi Rendiconti, 2° sem. 1897. — 350 — prime forme matematiche, ed anche gli infiniti e infinitesimi, partendo invece da alcuni fatti e operazioni semplicissime del pensiero logico, e scomponendo, più che mi fu possibile, i varî concetti, senza far uso di alcun algoritmo già noto. È da notare inoltre che scopo primo, se non il principale, dei miei Fondamenti, dopo la pubblicazione del mio lavoro sugli iperspazi ('), fu quello di stabilire i principî della geometria del mio spazio generale (che ha un numero infinito di dimensioni) per via puramente sintetica, come quelli della geometria ordinaria. È naturale dunque che per le molte questioni in essi trattate e per il metodo seguito, forse più filosofico di altri perchè più con- forme alla natura delle cose, il libro riuscisse voluminoso e poco elegante. È anche vero però che mentre analisti insigni convengono che il metodo migliore per trattare i principî della geometria è quello sintetico (*), avviene poi che questo metodo è il più trascurato (3). Un'altra cosa desidero far rilevare, in cui parmi discostarmi dai signori Poincaré ed Hilbert, i quali, trattando la geometria più con le vedute del- l'analisi che con quelle dell’intuizione spaziale, sono portati a dare alla geo- metria un'estensione maggiore di quella che secondo l'intuizione essa possa e debba avere. L'introduzione dei miei Fondamenti è una parte dell'Ausdehnungslehre, ossia la teoria dei gruppi di elementi trattati col metodo sintetico astratto. In questa teoria ogni ipotesi matematicamente possibile è ammissibile e dà luogo a nuove forme; ma non sempre a queste forme corrispondono delle forme geometriche. Nella prefazione dei Mondamenti, e negli Elementi e altrove (4), ho sta- bilito quali sono, a mio avviso, i caratteri degli assiomi e dei postulati geo- metrici. E ripeto anche qui che per me i veri assiomi sono quelle proposi- zioni che valgono nel campo limitato della nostra osservazione esterna, ed anche quando tali proposizioni si estendono allo spazio illimitato (che non possiamo osservare) bisogna dimostrare che tale estensione è matematicamente possibile. Vi sono invece proposizioni (propriamente postulati) le quali non contraddicono ai precedenti assiomi, nè si contraddicono fra loro, e che pure sono geometricamente ammissibili. Tali sono ad esempio le varie forme del postulato del continuo sotto la forma data da Dedekind o sotto quella data da me indipendentemente dall’assioma d'Archimede, i postulati che servono a costruire gli spazi superiori, ecc. che servono a completare o a limitare il (1) Behandlung der project. Verhdltnisse der Riume von Mehreren Dui, ete. Math. Annalen, 1881. (*) Vedi pref. dei Mondamenti. (3) È noto ad es. la sorte toccata per questo all'Ausdehnungslehre del 1844 del Grassmann. (4) Les postulats de la géom. dans l’enseignement. (trad. par Duporeq et Brocard). Atti del Congresso mat. intern. di Parigi 1900. + — 351 — campo geometrico. Possibili sono dunque geometricamente, la geometria non euclidea, la geometria iperspaziale, la geometria non archimedea. In queste geometrie i dati dedotti dall'esperienza sono mantenuti. Ma un assioma che stabilisce ad esempio che la linèa più semplice (cioè la retta) è determi- nata da tre punti indipendenti anzichè da due, sarebbe ammissibile nel- l'Ausdehnungslehre, ma non nella geometria. Ecco ad esempio che una geome- tria piana nella quale non valga il teorema di Desargues, o non argué- sienne, per me non esiste; esiste soltanto una forma astratta alla quale può corrispondere anche una forma geometrica ma non un piano. Ciò non toglie però che nell’analisi dell'indipendenza dei postulati sia utile tralasciarne alcuni sostituendoli astrattamente con altri e costruendo così nuove forme astratte, come ha fatto in modo ammirabile il sig. Hilbert. Matematica. — Sulle distorsioni dei solidi elastici più volte connessi. Nota del Socio Vito VOLTERRA. 1. In due Note precedenti (') ho mostrato che le leggi dell’ equilibrio dei corpi solidi elastici i quali occupano spazî più volte connessi (ezelzez) si differenziano da quelle dei solidi elastici che occupano spazî semplicemente connessi (aczelzei), ammesso in ambo i casi che le deformazioni siano regolari. Se lo spazio occupato dal solido è ciclico sono possibili delle dzst07- szont le quali determinano uno stato di tensione nel corpo anche in mancanza di forze esterne. Tali distorsioni invece non si possono avere quando il corpo elastico occupa uno spazio aciclico. Nel caso dunque in cui il corpo elastico occupa uno spazio ciclico si presenta tutta una serie di problemi che interessa risolvere; i problemi cioè di determinare gli stati di tensione dei corpi dovuti a date distorsioni ad essi applicate. Onde facilitare la risoluzione di questi problemi, preparando la via a trasformarli convenientemente, esporremo molto brevemente in questa Nota alcune considerazioni d’indole generale. 2. Cominciamo dal calcolare la energia di un solido elastico soggetto a date distorsioni. Denotiamo con #11, £22) #33; f23, f31, fis le Sei caratteristiche della ten- sione di un solido elastico deformato (lo stress secondo la denominazione degli Inglesi) e con yu; 722) Y35 3 Y23: Y31 Y1e le sei caratteristiche della deforma- zione (lo strazn). (*) Sedute del 5 e del 19 febbraio 1905. — 352 — Chiamando il potenziale elastico unitario esso sarà una funzione omo- genea di secondo grado delle y,; e avremo d J "pmi. , pP=Ttrstrso onde la energia del sistema sarà Îl E=_i(o4 Yrs dS , 2Is denotando con S lo spazio occupato dal solido. Supponiamo S più volte connesso (cielzco) e la deformazione regolare. Immaginiamo tracciate le sezioni 0, ,0,,... 0, che rendono S semplicemente connesso. Mediante semplici integrazioni per parti e denotando con %,v,w le componenti degli spostamenti dei punti del solido elastico a partire dallo stato naturale, avremo: | sl DERE % da dla +3 Sett cosne tr: cosny+-t13008n2)+ v(t21 608% +22 0082Y4- #23 60878) + + w (ts, cos na + t35 cos ny + £33 COS ne) do +3 Sui 3 (va — ug) (41008 vid + tia COS Vi Y + t13 COS Vi è) + + (va — vg) (fa 008 vi & + 20 008 vi Y 4- 23 008 vi £) + (wa — we) (#31 008 vi @ + 432 008 vi y + L33 608v; 2) { do; in cui o è il contorno di S, n la normale a o diretta verso l'interno di S, mentre »v; è la normale a 0; € va, Va, wa i valori di u,v,w sopra o; dalla parte adiacente alla regione in cui entra v;, e ug, vg, wg i valori dell’ altra parte. Supponiamo nulle le forze di masse e le tensioni superficiali. Chiamiamo poi Li, mi, Wi, Pi, di, Ti le sei caratteristiche della distorsione relativa al taglio o; e X;, Y:,Z; le componenti della tensione unitaria che sollecita ciascun elemento della sezione 0;. Resulterà allora oi +ry—q2)X4+(m+pie—r&0)YtM+%a—piy)bido; Auf x do; +mf %i 00:41: f 2; do; +pi f (ts — Ziy) do; + + gf (e—X5) do trif iy—%2) doi |, — 353 — onde posto Li =fx do,, Mi; Sh do;, N; =[ doi, Pi = — Li Y) do; A Qi fe — X; 4) do; ò R; =f (X;y — Y; x) do; sarà IL n LOI (Li lid Mi mA Ni ni 4- Pipi + Qi + Ri 73). Per semplicità potremo indicare le 67 caratteristiche delle distorsioni CON S1, S2,... Sen @ i corrispondenti coefficienti loro nella precedente espres- sione con E, , E», ... Eon. Avremo allora ca t.ho 8. Diremo distorsione elementare una distorsione che corrisponde a tutte le ss=0 una sola eccettuata ed eguale ad 1. Supponiamo che la sola s, sia diversa da zero ed eguale ad 1 e chia- miamo E;, i corrispondenti valori delle E;. Si riconosce immediatamente che allorquando i valori delle caratteristiche delle distorsioni sono s1,%s2,... Sen resulterà I° 6n k= De Ein Shy 1 per conseguenza Il 6 6r ETà. DIE Ein Si Sn 1 4. È facile stabilire il significato delle quantità E; ed E;. Perciò osserviamo che L;, M;, N;, sono le componenti della forza resul- tante e P;,Q;, R; le componenti della coppia resultante delle tensioni agenti sulla sezione o; quando si prenda per centro di riduzione l'origine degli assi. Potremo dunque chiamare L;, M;, N;, P;,Q;, Ri gli sforzi che solle- citano la sezione 0; o genericamente diremo che E,,E.,.. Es, sono gli sforzi relativi alla distorsione 81,52, Sen - Quanto alla E, essa potrà denotarsi colla denominazione di s/0rz0 d'ordine è indotto dalla distorsione elementare d’ ordine h o anche sem- plicemente si potranno chiamare le Ein è coefficienti degli sforzi. 5. Il teorema di reciprocità del Betti vale allorchè si tratta di corpi elastici i cui punti subiscono dallo stato naturale spostamenti monodromi. ‘ Infatti le integrazioni per parti necessarie per stabilire questo teorema non possono applicarsi nel caso della polidromia come lo sono in quello della — 354 — monodromia. Cerchiamo dunque a qual resultato conduce il procedimento del Betti allorchè si applica al caso di un corpo elastico che abbia subìto distorsioni e non sia sollecitato da forze esterne. Consideriamo due distorsioni s1, ss; . Sen; S1352; + Sin applicate succes- sivamente al corpo elastico S. Siano y,;, ys le caratteristiche delle due diverse deformazioni che ne seguono e w,v,w ; w',v',w' le corrispondenti compo- nenti degli spostamenti. Con facili calcoli avremo 23% > 7 rs AS lo- Vis ds = Da in cui g' denota la funzione g nella quale sono state sostituite le y,; alle y,s. Dalla precedente eguaglianza segue: Zi _M&—4g) (111 0080; --d13 008 0; y 1130087; + de vg) (da COSV;L + t92 COSV; Y + £33 COSV; 2) + A (W,— Wp) (t31 cos vid + £32 COS vi y + #33 COS vi 2){ do = DI 3 (0a — ug) (ti c08 vi 2 + His cOS vi y + His 008 vi 8) + di + (va — vg) (ta cO8 Wi @ 4- ts2 cOS vi y + ds COS vi; 2) + + (102 — wp) (ta c08 vi & E 32 COS vi Y + ts3 608 vi 2){ do; in cui le notazioni sono le stesse di quelle usate nella formula (1). Quindi 6n (2) Yla= DEs. Abbiamo dunque il teorema: Se in un corpo elastico più volte connesso due sistemi di distorsioni generano due sistemi di sforzi, la somma dei prodotti degli sforzi del primo sistema per le caratteristiche del secondo sistema di distorsioni è eguale al prodotto degli sforzi del secondo sistema per le caratteristiche del primo sistema di distorsioni. 6. Dalla eguaglianza (2), tenendo presente che s1 , Sa; +. Sen 5 S1, 88.9 Sn sono quantità arbitrarie, sì ricava (3) Ein = Eni per tutti i valori degli indici 7 e ». Reciprocamente da queste eguaglianze discende come conseguenza la (2). Ne segue che il precedente. teorema di reciprocità potrà enunciarsi ancora nei termini seguenti: — 355 — Lo sforzo d'ordine i indotto dalla distorsione elementare d’ ordine h è equale allo sforzo d’ ordine h indotto dalla distorsione elementare d’ or- dine i. In tal modo il teorema assume un aspetto simile al teorema fondamen- tale della induzione elettrostatica. Una forma ancora più semplice che può darsi al teorema è questa: I coefficienti degli sforzi non cambiano valore per una trasposizione degl indici. 7. Date le applicazioni del teorema di reciprocità enunciato non è inu- tile esaminarlo ancora sotto un altro aspetto. Prendiamo due sezioni qualunque 0, e 0, del corpo elastico. Non escludiamo il caso che esse possano anche coincidere. Eseguiamo dapprima una distorsione consistente in una traslazione rela- tiva T,, nella direzione %,, degli elementi delle due faccie del taglio 0,, quindi calcoliamo la proiezione Sy in una direzione #» della resultante delle tensioni che vengono a sollecitare la sezione 03. Eseguiamo poi, invece della precedente, una distorsione consistente in una traslazione relativa T,, nella direzione 4», degli elementi delle due faccie del taglio 0», e calcoliamo la proiezione S, lungo /, della resultante degli sforzi che vengono a sollecitare la sezione 0°. Pel teorema di reciprocità avremo Ss o — Sì 15 e quindi &_S e E: cioè Ze protezioni dei due sforzi nelle direzioni delle due traslazioni sono proporzionali alle grandezze delle traslazioni stesse. Un teorema perfettamente analogo si ha sostituendo alla traslazione T, una rotazione T, attorno alla retta %,, purchè si sostituisca alla proiezione S, della resultante delle tensioni che sollecitano gli elementi di 0,, il momento delle tensioni stesse per rapporto alla retta #,. Finalmente un terzo teorema pure analogo si ha facendo simili sosti- tuzioni per Ts e S.. Queste tre proposizioni equivalgono al teorema di reciprocità enunciato già in varî altri modi nel paragrafo precedente. 8. Dalla (3) si ricava che RenpIcONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 44 — 356 — onde chiamando e;s i coefficienti della forma reciproca della forma Z; n Ein Si Sh 3 avremo un altro modo di esprimere la energia del sistema mediante la formula E=Z Zen Di Ba. 9. Nella Nota precedente (') abbiamo dimostrato che, data una defor- mazione di un sistema più volte connesso, a due tagli equivalenti corri- spondono eguali distorsioni. Vogliamo ora completare questa proposizione provando che a due tagli equivalenti corrispondono anche eguali sforzi. Infatti, per definizione, la. sezione 0, si può ridurre ad una sezione 0% equivalente mediante deformazione continua. Mentre tale riduzione avviene, la superficie o, genera un solido S, che costituisce una parte del corpo elastico S. Il solido S, sarà limitato da 0,,0, e da una superficie laterale w . Noi possiamo ora immaginare S, in equilibrio sotto l’azione delle sole tensioni che agiscono sopra 0, e 0,. Di qui resulta l’ eguaglianza degli sforzi. Gli sforzi dunque, al pari delle distorsioni, non sono elementi specifici di ciascun taglio, ma dipendono esclusivamente dalla natura geometrica dello spazio occupato dal corpo e dalla deformazione regolare di cui esso è affetto. Il primo problema fondamentale che ci potremo proporre nello studio delle distorsioni dei solidi elastici più volte connessi sarà il seguente: Daze le 6n distorsioni determinare i 6n sforzi, supponendo nulle le forze esterne. Questa questione è equivalente a quella di determinare i coefficienti degli sforzi. Noi consacreremo una Nota successiva all'esame di varî casi parti- colari. Matematica. — Aicerche sulla sestica binaria. Memoria del Corrispondente ERNESTO PASCAL. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Matematica. — Sull’arbitrarietà delle caratteristiche nelle formole di addizione delle funzioni 3 di una variabile. Nota del Corrispondente ALFREDO CAPELLI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (2) Art. I, 8.1. — 357 — Meccanica celeste. — Relazioni fra i momenti di inerzia di un corpo del quale la funzione potenziale è simmetrica intorno ad un asse. Nota del Corrispondente P. PizzETTI. 1. È ben noto come la espressione della funzione potenziale esterna di un pianeta sia perfettamente determinata quando sia data la massa totale M e sia pure assegnata una superficie S di equilibrio, esteriore alla massa, vogliamo dire una superficie chiusa in ogni punto della quale la normale interna segni la direzione della gravità nel punto stesso, ossia della risul- tante della forza attrattiva del pianeta e della così detta forza centrifuga dovuta al moto di rotazione del pianeta. E sebbene la determinazione di quella funzione potenziale, all’esterno di S, avvenga indipendentemente da ogni particolare ipotesi intorno al modo di distribuzione della massa nell'interno del pianeta, epperò, reciprocamente, nè la conoscenza della detta superficie d'equilibrio, nè la valutazione speri- mentale della gravità siano dati sufficienti per assegnare la formula E 089) che esprime la densità 4 nel punto interno (4,0,c), è chiaro tuttavia che quei dati debbono pur servire a stabilire qualche limitazione, ossia delle equazioni di condizioni cui la funzione £(4,d,c) deve soddisfare. Così, nella ipotesi che di solito si ammette per la nostra Terra, cioè che un ellissoide di rotazione schiacciato rappresenti una delle superficie di equilibrio esterne, si dimostra che il modo di distribuzione interna della massa deve essere tale, che le seguenti due condizioni siano soddisfatte: 1° che il centro di tutta la massa coincida col centro di figura dell’ellis- soide; 2° che l'asse di rotazione del pianeta sia asse principale d'inerzia e che gli altri due assi principali d'inerzia siano fra loro eguali. Ora queste due conseguenze della ipotesi sferoidica vengono di solito dimostrate partendo da valutazioni approssimate della funzione potenziale esterna; esse hanno quindi l'aspetto di conclusioni approssimate. Vogliamo qui dimostrare come quelle proprietà siano invece esatte è necessarie con- seguenze della ipotesi che la superficie di equilibrio assegnata è di rivolu- zione intorno all'asse della rotazione diurna ed è simmetrica rispetto ad un piano normale all'asse (equatore). E vogliamo, più generalmente, cercare le ‘ relazioni che fra i momenti di inerzia di grado superiore al 2° si deducono dalla ora detta ipotesi. — 358 — DI Poichè la funzione potenziale della forza centrifuga 5 (2° + y°) (indi- cata con w la velocità angolare) è simmetrica rispetto all'asse (e) ed è in- dipendente dalla coordinata , è ben chiaro che, nella ipotesi ora detta (dell'essere la superficie S di rivoluzione attorno all'asse < e simmetrica ri- spetto al piano # y), anche la funzione potenziale dell'attrazione V dovrà godere delle due simmetrie intorno all'asse < e rispetto al piano « y. Sicchè, senza più tener conto della rotazione, la nostra ricerca si riduce a quella di trovare quali relazioni debbano esistere fra ì momenti di inerzia di grado qualsiasi di un corpo, affinche la funzione potenziale esterna di esso sia simmetrica intorno ad un asse, e rispetto ad un piano normale all'asse. 2. Siano a,d,e le coordinate cartesiane di un elemento dr di volume di un corpo, % la densità nel punto (a, è, c); 2,7, le coordinate di un punto esteriore P. Sian poi 7°, 0", coordinate polari di dz, ed 3 ,0,v quelle di P definite dalle relazioni Il a=?' send@' cos v' = 7 9en0 coso LA r r 1 (1) b=r' send' cosv y= 7 sen9 senv ; o cod c=="7r così IT LISA, \ Posto o = così coso' -+ sen 0 sen@' cos(v — v), la funzione potenziale del corpo sul punto P è v—uf i Vivus 2r' uo ove l'integrale (come avverrà dei seguenti) è esteso a tutto il corpo. Se chiamiamo g;, la massima distanza dei punti del corpo dall'origine delle coordinate, allora per tutti i valori positivi di inferiori ad esiste lo Q m sviluppo (2) Va Lun |". P,.k. de n=0 È dove P,, è il polinomio di grado n di Legendre, IRR > DICA Pra n! a I (3) nn—-1)(o—-2)(n—-4) on-4 CARRO, 3) 99, — Segue dalla (2) che, considerata la V come funzione delle quantità u,0,v,i valori delle derivate parziali della V rispetto alla variabile «, hanno, per u=0, i valori dati dalla formola generica cu) 1 = 1 ! 7 . DS . k . ) » ( Quit /UZ0 x LI ) 2 j si Nel caso in cui la V sia simmetrica intorno all'asse della 2, sì essa che le sue derivate risulteranno indipendenti da v. Dovrà dunque aversi per ogni valore intero positivo di (4) r".P,.k.dr indipendente da v. Ponendo successivamente x = 1, n=2, poichè Pp=0, 2P,= 30° — 1. e osservando che b c (5) = 0080 0080 +3 cos 6 senv + cos$ la (4) conduce in modo ovvio alle condizioni (6) fak.de=o0 i fo.a.de=o, fede= fbhde (7) | fab.rde= fre.k.de— (ca.h.de=o0, delle quali le (6) esprimono che l’asse di rotazione contiene il centro di gravità della massa, per modo che l'origine delle coordinate può sempre farsi coincidere col centro di massa. Le (7) dimostrano quindi che l’asse < è asse principale di inerzia e che l’ellissoide d'inerzia è di rotazione intorno a 2. Queste conseguenze si deducono dalla sola ipotesi che la f° p° V sia simmetrica intorno all’asse z. Che se ad essa ipotesi si aggiunge quella della simmetria rispetto al piano xy, per modo che la V e le sue deri- vate non cangino col cangiare 6 in 180° +@, alle condizioni (6) viene ad aggiungersi la fi c.k.de=0 ossia: il piano di simmetria contiene il centro di massa. Poniamo per semplicità di scrittura (8) farete de. — 360 — Per 21=3, osservando che 2P3 = 50? — 30, ove per o si ponga la espressione (5), si trova facilmente che, perchè l'integrale r°.Ps.k.dv sia indipendente da v bisogna e basta che le seguenti sez relazioni passino fra i momenti di 3° grado Vi = I VAREDO [osta] =*3ipvea]o Ga] 3 [@0g|=0: La ipotesi della simmetria rispetto al piano x y dà luogo a quest'altra condizione ieai=" 3g 3. Per valori di x superiore a 3, la sostituzione diretta della espres- sione (5) in (3), e quindi in (4) e la ricerca delle condizioni di indipen- denza da v riescono laboriose. Conviene invece ricorrere alla espressione di P,, pei coseni e i seni degli archi multipli di v; la quale espressione è ('). ui sen 0 sen° 0 d'M, diN : eo n —__ _—_—___r 11 ._': ; > 4 . O) Di +2Z ee], (n+%) du° dv e) È qui indicato con M, N, ciò che diventa P, (formula 3) quando vi si pongano le lettere w e v rispettivamente in luogo della o, e si intende che dopo eseguite le operazioni indicate nella (9), si ponga u= 0080 , v= così. Sostituendo l’ espressione (9) di P,, nella (4), abbiam per ogni valore di n le seguenti 2 equazioni n ; iN, °e_r fe seni 91 a coso .k.de=0 (10) fr jan id 0 In particolare per # = x, la derivata 7” della N, riducendosi ad una costante le (10) sommate, dopo aver moltiplicata la seconda per Y/ —1 dànno IA sen” 0/(cosv + y/— 1 senv')".k.dr, (1) V. p. es. Tisserand, I/éc. cél., II, pag. 274. — 361 — ossia (11) Sl@+ pe 10). 4. ad che si spezza nelle due Co] = (5) Cala: (1) [o 99] Berto ito (1) [am] + (3) Car? ]4+-..=0. Se la V deve essere anche simmetrica rispetto al piano 4g, bisogna che il termine indipendente da v nell'espressione (4) il quale termine, per la (9), è M, (r°.Na.4.dr, non cangi col mutare di 0 in 180° + @. E poichè M,, è funzione pari o di- spari di cos @ secondo che x è pari o dispari, dovrà essere per ogni va- lore dispari di n (12) feta de=0. Esempio: per 7= 4, la N, e le sue derivate sono, a meno di fattori numerici dei quali è inutile qui tener conto, i=0 35 cos* 0" —-30 cos? 0" + 3 1 7 cos? 0' — 3 cosd' 2 7 c0osì0' — 1 3 cos é' 4 Tha epperò la prima delle condizioni (10) dà fe 0'(7 cost 8' — 3 cos@') coso .r".k.de=0 fee 8'(7 cos? 0' — 1) (cos°v' — sen? v') 7! £.dr=0 fee 8' cos 9'(cos" v' —'3 sen? v' cosv') 7°. k.dr=0 fee 9'(cos*v' — 6 sen? v' cost v' + sentv) r'".k.dr=0 e altre quattro analoghe si deducono dalla seconda delle (10); donde senza difficoltà, passando dalle coordinate polari alle cartesiane, COE:|Ca= ea [be]=[88c]=3[a?dc] [da8]=[a6*]= 3[adce®] Lat] + [5*]= 6a? 2°] Cat] — [54] = 6[a°e"] — 6[8* e]. — 362 — Nessuna condizione nuova, per x = 4, è introdotta dalla ipotesi della simmetria rispetto al piano «yg. 4. La ipotesi della simmetria della fe p® V intorno all'asse z conduce pertanto a 27 equazioni di condizione fra i momenti di inerzia di grado x. Interessa di paragonare queste condizioni, con quelle, naturalmente assai più restrittive, che si deducono dalla ipotesi che la massa sia effettivamente distribuita simmetricamente intorno all'asse e, ossta che la densità k sia indipendente da v'. In questa ipotesi, posto a= 0 c08v' b=esenv nell’integrale (8), l'espressione Ne: cos” v'.sensv' e'.k.dv (+s+t=7n) (ove X non dipende da v') resterà invariata col dare a v' un incremento ar- bitrario. Per questo bisogna, e basta, che a for cos'*10 sen'-10..c'.Wdua=r ha cos'-10.sen'*!.0.c'.k.dt ossia che (13) Silio bS71 (GA = n fata bs+1 c'] ; Per s==0 si trova ezea=0 (+=) e così generalmente si trovano nulli tutti quei momenti di inerzia nei quali uno o entrambi gli esponenti di 4, sono dispari; il che è un’ovvia con- seguenza della ipotesi sulla distribuzione della massa. Posto in generale 7 4-s = «, per dati valori di v e di #, le condizioni (13) sono in numero di «+ 1 se « è dispari ed esprimono che tutti i mo- menti si annullano. Se « è pari le (13) sono in numero di u; di esse, 9 esprimono l’annullarsi di quei momenti ove a e 2 hanno esponenti di- spari, le altre 9 stabiliscono relazioni fra i rimanenti momenti di inerzia. Così per u=4,#=="1 le condizioni sono [fa® belli Eadici]i=0 al=e.ibrazeli=[faa)]; (14) — 363 — Ue un 2 = WAEtt GA i Tutti gli altri momenti di 5° grado si annullano. Per un dato valore di 2, dando ad « i valori da 0 ad x si hanno in tutto i Mm+2n-2)+--+2.2= ma t2) condizioni se 7 è pari (n +41)? AO A DER: ” » dispari Il numero dei differenti momenti di inerzia di grado è VELI) La condizione della simmetria della massa attorno ad un’asse lascia quindi arbitrarii 50 + 1)(m+2)— i n(n +4 2) = c- momenti di grado 7 se 7 è pari 3@+)@+29-3@+ n=. ;* dispari Laddove la condizione di simmetria della f® p® esterna V lascia arbi- trarii i valori di aC +1)+2)-2x= pl —n +2) momenti di grado x. La ipotesi della simmetria della densità rispetto al piano xy esige che siano nulli tutti i momenti di inerzia nei quali e ha esponente dispari, il che non aggiunge alle condizioni enumerate in (14) nessuna nuova condi- n+4 1 2 zione se x è pari; ne aggiunge invece se n è dispari. In questo caso tutti i momenti d'inerzia di grado x debbono essere nulli. 5. Ammesso, come è ragionevole, che la generale distribuzione delle masse nell'interno della terra sia simmetrica intorno all'asse di rotazione, e che questa regolare distribuzione sia, soltanto in punti isolati o in regioni più o meno estese, alterata da difetti o eccessi di masssa, le formole precedenti possono servire di base per lo studio almeno approssimato (vo- gliam dire collo sviluppo della funzione potenziale limitato fino a un dato termine) delle configurazioni che questi difetti o eccessi possono assumere senza alterare sensibilmente la simmetria della superficie di equilibrio esterna. Il campo della ricerca è oltremodo esteso. A. titolo di esempio pos- siamo dimostrare che: quelle irregolarità non possono essere distribuite in un piano perpendicolare all'asse di rotazione. Per questo occorre e basta dimostrare che un disco piano nel quale la densità non sia simmetrica in- RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 45 — 364 — torno al centro non può dar luogo ad una funzione potenziale simmetrica intorno all'asse del disco. Infatti, quando la massa attirante sia tutta distribuita nel piano yg, dovremo nelle formole (10) porre 0' = 3; Ed osservando che la espressione diN, dvi (v= cosÙ') per v=0, si riduce a zero o ad una costante differente da zero, a seconda che n —? è dispari o pari, la 12 della (10) darà (15) frtcosiv ik. de=0 per tutti i valori interi e positivi di x e per tutti i valori interi, positivi e pari di » — 7. La (15) può anche scriversi (16) fem. cosmo'.k.de=0 per tutti i valori interi e positivi di m e di s. Ora la densità 4 può espri- . mersì colla serie di Fourier 2 co k= a+ d am cosmo + > bm senmo' 1 1 dove 40 @m Um sono funzioni finite di 7’. Sostituendo questa espressione nella (16) e ponendo da =7r".dv' dr' ; si ottiene, colla integrazione, rispetto a o, fra i limiti 0 e 2rr: R M+1+25 (17) Ji A Atm DIANO (1) dove R è il massimo valore di 7". Questa, dovendo essere verificata per ogni valore intero e positivo di s, esige che sia am = 0 ('). Similmente si dimostra che dm =0; per modo che la % risulta funzione soltanto di 7", ossia la distribuzione della massa deve essere simmetrica rispetto al centro, come si voleva dimostrare. (1) È facile dimostrare che, affinchè si abbia O m+2s J Gi. [ada (dove i limiti a e è non siano di segno diverso) per tutti i valori interi e positivi di s, è necessario che la /(x) sia identicamente nulla nell'intervallo (a, 3) eccettuati tutt'al più quei punti dell'intervallo stesso nei quali la funzione / presentasse delle discontinuità. — 365 — ®» Fisiologia. — Sull’esaurimento e restauro der centri ner vosi delle rane. Nota del Socio straniero U. KRONECKER. Matematica. — Sui gruppi di movimenti. Nota del dott. Eu- GENIO ELiA Levi, presentata dal Socio Lurer BIANCHI. Matematica. — Muove applicazioni dei metodi di Riemann e Picard alla teoria di alcune equazioni alle derivate parziali. Nota del prof. Guipo FuBINI, presentata dal Socio U. DInI. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Matematica. — Un contributo all'analisi delle funzioni. Nota di G. ViraLi, presentata dal Socio S. PINCHERLE. Il sig. Lebesgue osserva (!) che le funzioni classificate dal sig, Baire (2), e che noi chiameremo brevemente funzioni di Baire, sono funzioni misu- rabili B. Io qui voglio dimostrare la proposizione reciproca, dopo di che si potrà dire che: Condizione necessaria e sufficiente perchè una fun- zione sia una funzione di Baire è che sia misurabile B. 1. Cominciamo col richiamare la nozione di gruppo misurabile B. Consideriamo le operazioni: I. « Fare la somma di un infinità numerabile o di un numero finito «di gruppi ». II. « Prendere la parte comune a tutti i gruppi di una famiglia con- « tenente un numero finito o un infinità numerabile di gruppi ». Chiamiamo inoltre gruppi fondamentali B i gruppi formati da tutti i punti che riempiono un segmento, gli estremi compresi o no. (1) Zecons sur l’'intégration etc. par Henri Lebesgue, pagg. 111-112, Paris, Gauthier- Villars, 1904. (2) Tesi di R. Baire, Annali di Matematica, 1899; Zegons sur les fonctions discon- tinues par René Baire, Paris, Gauthier-Villars, 1905; ZLegons sur les fonctions de varia- bles réelles, par Emile Borel, pagg. 149-158, Paris, Gauthier-Villars, 1905. — 366 — «I gruppi misurabili B sono tutti quelli che si ottengono applicando «le operazioni I e II sui gruppi fondamentali B e su quelli che così via « via sì ottengono ». Consegue che: | « Applicando le operazioni I e Il su gruppi misurabili B si hanno «gruppi misurabili B » ('). Ora facciamo la seguente importante osservazione: Una proposizione relativa ad un gruppo sarà dimostrata per tutti i gruppi misurabili B se sarà vera per ogni gruppo fondamentale B e se si prova che, nell'ipotesi che sia vera per una famiglia di gruppi, è vera per ogni gruppo che si ottiene applicando a gruppi di quella famiglia le operazioni I e II. 2. Sia / una funzione e siano p e 9g due numeri reali e p< g. Indicheremo con }/{4 la funzione uguale ad / nei punti in cui p=f= 9, ed uguale a p nei punti in cui f< p, ed uguale a 9g nei punti in cui />q. Noi vogliamo dimostrare che « se / è una funzione di Baire anche « la }f{A è una funzione di Baire ». Il teorema è manifestamente vero. se / è di classe 0, perchè se / è continua lo è pure la }/{. Per dimostrarlo in generale basterà che noi pro- viamo che se è vero per ogni funzione / di classe minore di v (v essendo il tipo ordinale di un gruppo bene ordinato finito o numerabile) è vero pure per ogni funzione di classe ». Supponiamo adunque che il teorema sia vero per ogni funzione di classe’ minore di v e sia f una funzione di classe ». i La f è limite di una successione di funzioni ciascuna di classe mi- nore di v: MV; aaa Le funzioni TE 0 EIN] Io 00 sono dunque tutte funzioni di Baire. Inoltre esse convergono manifestamente verso }/{7, dunque }/{2 è una funzione di Baire. Osservazione. Il metodo di dimostrazione ci porterebbe anche a pro- vare che se / è di classe », la }/{f è di classe v o minore. Ma ciò ora a noi non interessa. 8. Ora mi propongo di dimostrare che: Se (a,b) è un intervallo, se G è un gruppo di punti di (a, 6) misu- rabile B e se m ed n sono due numeri reali, la funzione f che è uguale (1) Enuncio questa proposizione specialmente per chiarire il senso della definizione precedente. — 367 — ad m nei punti di G ed uguale ad n mei rimanenti punti di (a, D) è una funzione di Baire. La dimostrazione è suggerita dall’osservazione che chiude il $ 1. Se G è un gruppo fondamentale B, la / ha al massimo due punti di discontinuità e quindi è certo una funzione di Baire. Supponiamo ora che il teorema sia vero per una famiglia F di gruppi. Io dico che è vero per ogni gruppo che si ottiene applicando le operazioni I e II sui gruppi di F. Siano G, e G, due gruppi di F. Sia /, la funzione uguale ad # in G, e zero nei rimanenti punti, ed /. la funzione uguale ad m in G, e zero nei rimanenti punti. La funzione /1 + /» è 27 nei punti comuni a G, e Gy è m nei punti appartenenti ad uno solo di questi gruppi ed è nulla nei rimanenti. La funzione 4 uguale ad }/1 + /.(7° se m >0 0d a }n+ /2f% se m<0 è uguale ad w nei punti di G,-| G» e nulla nei rimanenti. Inoltre, essendo le /1,/, funzioni di Baire, anche g è una funzione di Baire. Così pure m — g è una funzione di Baire ed anche la funzione w= n (m— g). La + è nulla nei punti di G, + G, ed uguale ad 7 nei rimanenti, e quindi la funzione / uguale ad 7 nei punti di G, + G, e ad 7 nei rima- nenti, è la somma di gp e w e perciò è una funzione di Baire. Di qui segue subito che se G1,G2,...G, sono 7 gruppi di F, la funzione uguale ad m nei punti di Gi+ Go + ---4+ Gr, e ad 7 nei rimanenti è una funzione di Baire. Ancora: se Cee, Gre è un gruppo numerabile di gruppi di F, le funzioni /, uguali ad m nei punti di G, 4+-G. +---4-G, e ad x nei rimanenti sono funzioni di Baire formanti una successione che tende alla funzione / che è m nei punti di C++ +64 ed 7 nei rimanenti. Questa /f è dunque una funzione di Baire. Si può così dire che applicando ad F l'operazione I si ottengono gruppi pei quali vale il teorema. L'operazione II applicata a F si riduce alla I applicata ai complemen- tari dei gruppi di F, pei quali vale il teorema. Dunque il teorema vale anche pei gruppi che si ottengono da F applicando l’operazione II. Il teorema è così dimostrato. 4. Se un intervallo (a,b) è diviso in una famiglia di gruppi misu- rabili B (costituita da un numero finito 0 numerabile di gruppi) e se a — 368 — ciascun gruppo Gi di quella famiglia si fa corrispondere un numero mi, la funzione che assume in ogni punto il valore del numero corrispondente al gruppo cui appartiene il punto, è una funzione di Baire. Difatti essa è la somma delle funzioni /; che sono uguali ad m; nei punti di G; e nulle nei rimanenti, e le /; sono funzioni di Baire. 5. Una funzione misurabile B è una funzione di Baire. — Sia f(x) una funzione misurabile B, 0 un numero positivo qualsiasi, 2 un numero intero positivo o negativo, /, il gruppo dei punti in cui no =f<(n+1)0. T,, è un gruppo misurabile B. La funzione 45 che è uguale ad xo in ogni punto di T,, qualunque sia #, è una funzione di Baire, ed in ogni punto è 0=f—- gps <0. Sia ora 01502, 0.0... una successione di numeri positivi e tendenti a zero. Sarà lim Por = f r=0%0 in ogni punto, e quindi / è una funzione di Baire. Fisica. — Sugli effetti di correnti continue interrotte ed alternate e di onde hertziane sul ritardo di magnetizzazione nei corpi magnetici in campi Ferraris (!). Nota del prof. RIccARDO ARNÒ, presentata dal Socio. G. CoLomBo. In una Nota testè presentata a questa R. Accademia (?) ho riferito i risultati di una serie di ricerche intese a studiare il fenomeno della varia- zione di isteresi in un cilindro di acciaio in campi Ferraris di diversa inten- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Elettrotecnica del R. Istituto Tecnico Supe- riore di Milano (Istituzione Carlo Erba) in collaborazione con l’egregio signor Assistente ing. Giuseppe Comboni. (2) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, seduta del 5 marzo 1905. Vedi anche i miei precedenti lavori rispettivamente pubblicati nei Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1° semestre 1904, pag. 272; negli Atti dell’Associazione elettrotecnica italiana (Comunicazione fatta alla Sezione di Milano nella seduta del 25 maggio 1904); e nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, 1905, Serie II, vol. XXXVIII, pag. 142. sità, sotto l'azione di correnti interrotte ed alternate e di onde hertziane; ed ho dimostrato che nelle condizioni dei miei esperimenti: a) In corrispondenza di campi Ferraris di debole intensità, si ha un aumento del ritardo col quale la magnetizzazione del cilindro di acciajo segue la rotazione del campo Ferraris in cui il cilindro è collocato. Tutti gli esperimenti posero anzi in chiaro che l'aumento del ritardo di magnetizzazione è, a parità delle altre condizioni, tanto più grande quanto maggiore è la frequenza della corrente alternata o quanto maggiore è il numero delle interruzioni al 1°” della corrente interrotta su cui si speri- menta; 5) In corrispondenza di campi Ferraris di maggiore intensità, si ha una diminuzione del ritardo di magnetizzazione nel cilindro di materiale magnetico: tale diminuzione essendo tanto più grande, quanto maggiore è l'intensità del campo Ferraris in cui è collocato il cilindro di materiale magnetico su cui si sperimenta; c) Esiste sempre — a parità di tutte le altre condizione in cui si sperimenta — un valore dell’intensità del campo Ferraris, in cui è collocato il cilindro sottoposto all'azione della corrente interrotta od alternata o del sistema di onde hertziane, per cui si ha il massimo aumento di isteresi; ed un valore dell'intensità del campo Ferraris per cui non si ha più nè aumento, nè diminuzione di isteresi nel materiale magnetico sperimentato. Intanto, in questi giorni, essendomi proposto di studiare il comporta- mento dei corpi magnetici in campi Ferraris di diversa intensità, sotto l'azione di una corrente continua ('), ho ancora dimostrato che: d) Tutto quanto è stato provato in relazione agli effetti di correnti interrotte ed alternate e di onde hertziane sul ritardo di magnetizzazione nei corpi magnetici in campo Ferraris, si verifica allorquando i corpi ma- gnetici vengono sottoposti all’azione di correnti continue; e) A parità di tutte le altre condizioni in cui si sperimenta, se vi ha aumento di isteresi, questo è notevolmente più piccolo nel caso in cui sì sperimenta con correnti continue che allorquando il corpo magnetico è sottoposto all’azione di correnti interrotte ed alternate; e se, d'altra parte, sì ha diminuzione di isteresi, questa è invece notevolmente più grande se sì sperimenta con correnti continue, di quella che altrimenti si ottiene con correnti interrotte od alternate; f) Allorquando, sottoponendo il cilindro di materiale magnetico alla azione di una corrente continua, si ha, in certe determinate condizioni, nè aumento, nè diminuzione di isteresi, si ottiene, sperimentando in quelle stesse condizioni con correnti interrotte ed alternate, aumento di isteresi. (1) Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, seduta del 23 marzo 1905. or: Viceversa, allorquando, sottoponendo il cilindro di materiale magnetico all’azione di una corrente interrotta od alternata, si ha, in certe determinate condizioni, nè aumento, nè diminuzione di isteresi, si ottiene, sperimentando in quelle stesse condizioni con correnti continue, diminuzione di isteresi; g) Può finalmente ancora accadere che, sperimentando con correnti continue ed avendo diminuzione di isteresi, si abbia invece — sperimentando con correnti interrotte od alternate e mantenendo inalterate tutte le condi- zioni dell'esperimento — aumento del ritardo di magnetizzazione nel cilindro di materiale magnetico. Continuando le mie ricerche in quest'ordine di idee, ho pensato di modificare ancora le condizioni degli esperimenti facendo variare, fra estesi limiti, l'intensità del campo magnetico secondario generato dalla corrente continua, interrotta od alternata, alla cui azione viene sottoposto il cilindro di acciajo collocato nel campo magnetico rotante. Essendo quindi, a tale scopo, le esperienze disposte in quella stessa guisa che furono descritte nelle mie precedenti Note sopracitate, con l'ag- giunta però di opportuni reostati, destinati a far variare l’intensità della corrente continua, interrotta od alternata su cui si sperimenta, e conseguen- temente l'intensità del campo magnetico secondario generato da tale cor- rente, ho ancora constatato quanto segue: 1° Allorquando si sperimenta con campi Ferraris sufficientemente intensi, e che conseguentemente sempre si constata diminuzione del ritardo di magnetizzazione nel cilindro di materiale magnetico, accade che tale di- minuzione di isteresi è tanto più grande quanto maggiore è l’intensità del campo magnetico secondario, alla cui azione il cilindro è sottoposto; 2° Allorquando si sperimenta con campi Ferraris di debole intensità, si constata — come già più sopra è stato detto — aumento del ritardo di magnetizzazione; ma ciò solo fino a che l'intensità del campo magnetico secondario non ha superato un certo determinato valore: a partire dal quale, e per tutti i valori ad esso superiori, si constata invece diminuzione di isteresi ; 8° Allorquando si sperimenta con campi Ferraris di debole intensità, esiste sempre — in corrispondenza di una data intensità del campo magne- tico rotante e a parità di tutte le altre condizioni in cui sì sperimenta — un valore della intensità del campo magnetico secondario per cui si ha il massimo aumento di isteresi; ed un valore della intensità del campo ma- gnetico secondario per cui non si ha più nè aumento, nè diminuzione di isteresi nel materiale magnetico sperimentato. — 341 — Fisica. — Sul comportamento della conduttività termica dei vapori di pentacloruro di fosforo (!). Nota del dott. C. FELICIANI, presentata dal Socio P. BLASERNA. In una Memoria pubblicata poco tempo fa (2) mostrai il comportamento della conduttività termica dei vapori d’ipoazotide e feci vedere come esistesse, per quel gas, una relazione semplice fra la conduttività termica assoluta e la sua dissociazione. Questo fatto notevole mi spinse ad estendere le ricerche ad altri gas dissociabili e scelsi questa volta il pentacloruro di fosforo, che, come sì sa, si dissocia nell'intervallo 145°-300° in P, Cl; + Cle. L'apparecchio di cui mi son servito è simile all’altro, che impiegai nelle precedenti ricerche. Il pentacloruro trovavasi allo stato solido entro una storta di corto braccio, saldata al pallone, la quale veniva scaldata sufficientemente in tutta la sua lunghezza allorchè si doveva svolgere il gas. Le dimensioni dell'apparecchio sono: Taggio del'pallone . . . . . . 71=72,5028 cm. raggio interno del bulbo termom. . r;=0,6358 » raggio esterno ” ” . @d-=-0;6826. in pesoRdelWmereurio tt. 0.0. 14,640 gr. peso del vetro del bulbo. . . . 0,7157 » I bagni impiegati in queste ricerche sono due: uno di vasellina per l'intervallo 140°-200° e l’altro una lega di Wood per l'intervallo 200°-300°. Partendo da 140° elevavo la temperatura del bagno di 20 in 20 gradi circa e osservavo nei singoli intervalli il tempo di raffreddamento del termometro. La temperatura del bagno si cercava di mantenere costante e uniforme, cir- condando il recipiente con un secondo bagno e agitando continuamente la massa liquida. L'esperienza era condotta come già nelle precedenti ricerche e veniva ripetuta parecchie volte; dei valori ottenuti prendevo poi la media. Le pressioni scelte sono due, una l’atmosferica e l'altra di 100 mm. La prima non ci permette di determinare i valori assoluti della conduttività termica stante la convezione del gas che entra in gioco; ma è stata scelta per fare uno studio comparativo fra la velocità di raffreddamento sconosciuta del pentacloruro e quella nota dell'idrogeno. Per questo entrambi i gas erano (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio dell’Istituto fisico della R. Università di Roma. (2) N. Cimento, serie V, volume VII, gennaio 1904. RenpiconTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 46 — 372 — introdotti successivamente nello stesso pallone e venivano sottoposti alle stesse condizioni di temperatura e di pressione; si osservavano poi i tempi di raffreddamento negli stessi punti del termometro. Si ammette qui implicita- mente che la convezione sia uguale o poco diversa per entrambi i gas rac- chiusi nello stesso pallone e sottoposti alle medesime condizioni. Alla pressione di 100 mm. ho poi trovato la conduttività assoluta, essendo trascurabile a tale pressione l'influenza delle correnti convettive. La formola che anche qui ho applicata e che mi dà la velocità media vm è: _nZ0log(t—t)—Z0Zlog(t—t) or (Do? — n30° dove n indica il numero delle temperature # alle quali osservavo i tempi di raffreddamento 6 in ciascun intervallo, e # la temperatura del bagno. A questa velocità media corrisponde una temperatura media /, data dalla formola (!): ipo CORSO 0. 4 £ (0, + 03... 9a) I valori di v, riportati nella 3* e 5* colonna, indicano le velocità di raffreddamento di tre in tre gradi circa rispettivamente del pentacloruro e del- l'idrogeno. Pentacloruro di fosforo | Idrogeno Bagno 140° — press. atm. (751) t | 0 | v | C'e | v 162.0 0 — 0 — 158.8 81 0.002202 15 0.004551 155.6 66 2262 32 4666 152.4 110 2264 55 4527 149.2 165 2295 82 4617 Bagno 161° — press. atm. (760) 181.2 0 —_ 0 Mer 178.0 sl 0.002416 14 0.005350 174.8 70 2364 sl 9338 171.6 126 2223 55 5092 168.4 214 2038 81 5384 (?) Wied. Annal., 11, pagg. 480-81, 1880. — 373 — + '__——_—r__—T—__—r——_—_—rrr———r—r=—èÈèi©€«€©«lllllÈ@ÈÈP-P —..éiii{{È{f&lli Pentacloruro di fosforo I Idrogeno Bagno 180° — press. atm. (759) É | 0 | v ee | ioni a v 200.4 0 — 197.2 27 0.002745 13 0.005700 194,0 60 2725 29 5638 190.8 104 2656 51 5416 187.6 174 2464 79 5428 Bagno 200° — press. atm. (756) 219.6 0 — 0 = 216.4 23 0.003666 13 0.005955 213.2 49 3504 28 6132 210.0 82 3564 50 5845 206.8 129 3564 82 5607 Bagno 220° — press. atm. (755) 241.0 0 — 0 _ 238.0 18 0.003719 12 0.005579 235.0 39 3744 25 5840 232.0 65 3739 41 5928 229.0 95 3873 63 5977 Bagno 240° — press. atm. (750) 263.4 0 _ 0 _ 260.2 18 0.003548 10 0.006386 257.0 38 3652 21 6608 253.8 62 3690 35 6552 250.6 96 3582 54 6369 Bagno 260° — press. atm. (758) 285.3 0 — 0 _ 282.2 13 0.004367 9 0.006308 279.1 28 4360 18 6783 276.0 46 4326 81 6419 273.0 66 4381 48 6153 Bagno 280° — press. atm. (760) 307.4 0 — 0 —_ 304.2 14 0.003852 8 0.006742 301.1 30 3782 17 6675 297.9 48 3852 28 6603 294,8 68 3934 42 6369 — 374 — Dal confronto di questi valori si scorge facilmente che la velocità di raffreddamento, e quindi anche la conduttività termica del pentacloruro di fosforo, ha un andamento diverso da quello dell’idrogeno, la quale, come si vede, va leggermente aumentando colla temperatura, come del resto avviene per tutti i gas non dissociabili. Per determinare direttamente i valori assoluti di questa conduttività ho eseguite analoghe esperienze alla pressione di 100 mm. ed ho ottenuto : ==" == 0.001750 1697 1660 1661 0.002270 2267 2240 2181 0.002316 2404 2381 2318 0.002669 2641 2633 2657 Pentacloruro di fosforo Bagno 140° — press. 100 mm. 0 Essendo 0 — z6= 505” 19 | G.003593 Zlog(t —t)=5.86691 | 41 3641 si ha: 68 3662 Um = 0.00165 102 8712 Bagno 161° — press. 100 mm. Essendo 0 —_ 210} 4310 20 | 0.003745 Zlog(t--t)=5.57022 || 43 3848 si ha: 73 3836 Um = 0.00218 113 3859 Bagno 180° — press. 100 mm. Essendo 0 — z0= 401” 20 | 0.003705 Zlog(t—t)=5.60592 || 42 3893 si ha: 71 3891 Um = 0.00233 109 3934 Bagno 200° — press. 100 mm. Essendo 0 = z0=378! 19 | 0.004074 Z log(t—t)=4.56018 | 41 4187 si ha: 72 4059 Um = 0.00265 110 4180 Idrogeno È | Essendo 0 = 2807 Zlog (t — t') = 5.86691 si ha: Um = 0.00376 Essendo z0 = 249" Z log (f—)= 5.57022 si ha: Um = 0.00386 Essendo DU0I_1942 Zlog (t — t°) = 5.60552 si ha: Um = 0.00394 Essendo DIOT_2424 Zlog(t — #)=5.46018 si ha: Um = 0.00416 > dora Pentacloruro di fosforo | Idrogeno Bagno 220° — press. 100 mm. Î | (o) v | | () IO) | 241.0] 0 — Essendo 0 _ Essendo 238.0] 22 0.003043| 20 = 266” 16 | 0.004184| x°0 = 1907" 235.0 | 46 3174] Zlog(t — #)=5.78700 || 34 4295 | Zlog(t—#)=5.78700 232.0] 79 8077 si ha: 55 4419 | si ha: 229.0 |:119 3092 | vm = 0.00309 85 4329 | &m = 0.00436 Bagno 240° — press. 100 mm. 263.4] 0 _ Essendo 0 — Essendo 260.2] 22| 0.002903| x 0 = 270” 14 | 0.004562| 20 = 168” 257.0] 48 2891 | Zlog(f=#)=6.07021 || 29 4796| Zlog(t—t')= 6.07021 253.8 | 80 2867| si ha: 49 4680| si ha: 250.6 | 120 2867 | vm = 0,00286 76 4525 | ®m = 0.00445 Bagno 260° — press. 100 mm. 285.3 | 0 — Essendo 0 —_ Essendo 282.2 | 18| 0.003154| 2x6 = 207” 12 | 0.004731 | x0= 141” 279.1 | 38 3213| Zlog(t—t)=6.34856 || 26 4703 | Zlog(t — t#) = 6.34856 276.0 | 62 3210 | si ha: 42 4734| si ha: 273.0 | 89 3249 | vm = 0.00825 6l 4754 | vm = 0.00474 } Bagno 280° — press. 100 mm. 307.4] 0 — Essendo 0 = Essendo 304.2% 19| 0.002839| x0—= 221” 11 | 0.004903| > 6 = 128” | 301.1] 40 2837 | Zlog(t—t)=6.56895 || 23 4933 | Zlog (£—t) =6.56895 297.9] 66 2802 | si ha: 88 4866 | si ha: 294.8] 96 1780| vm = 0.00278 56 4777| tm = 0.00479 — 376 — Fatto un buon vuoto nel pallone, son passato poi a determinare nello stesso modo la velocità d'irradiazione ed ho ottenuto i seguenti voleri medi v}, : Vin Dm Tempo totale di raffredd. to i) Tempo totale di raffredd. 148° | 0.00049| 773” da 162°. a 149°.2 | 227°|0.00107| 344” da 241° a 229° 170°| 0.00061| 715” n 181°.2 n 168°.4 || 248°| 0.00123| 2807 » 263°4 » 2500.6 187° | 0.00072| 596” n 200°%4 » 187°.6 | 270°| 000139] 208” » ‘285°.3 » 273° 207°| 0.00098| 495” » 219°.6 n 206°.8 || 291°| 0.00150| 175” n 307°4 » 294°.8 Per il prodotto Pc; che indico con C, ho avuto: Ciso° aa 0.729 Cis casi 0.751 C194° = 0.775 C213° == 0.800 Ca31° = 0.832 Co37° = 0.867 C280° 0.902 Cson° = 1.938 | Applicando ora la formola g_—©—*) (Om — vm) 1 4rTe log e trovo per K i seguenti valori: Pentacloruro di Ph | Idrogeno ml Magi. > 148° 0,0001651 0.0004654 168° 2302 4765 187° 2436 4872 207° 2686 5045 227° 3155 5344 248° 2759 5620 270° 3275 5899 291° 2344 6025 I valori ottenuti pel coefficiente di conduttività termica dell'idrogeno sono abbastanza concordanti con quelli che risultano dalla formola del Meyer (*) K=3.5(1+-0.0024 7) 10-* e questo c'induce a ritenere esatti quelli relativi al pentacloruro. Il coefficiente di conduttività termica del pentacloruro ha, come si vede, un andamento irregolare, presentando un massimo a circa 230°, un minimo a 250° e quindi un massimo a 270°, dalla quale temperatura diminuisce per (1) O. E. Meyer, Kinetische Theorie, 2° ediz., pag. 294, 1899. — 377 — raggiungere, a dissociazione completa, un valore di poco variabile colla tem- peratura. Dal semplice confronto di questi valori con quelli che si ottengono dalla seguente tabella (!) per il coefficiente di dissociazione, si rileva che l'andamento dei due coefficienti è pressochè uguale; ai massimi e minimi I. Coefficiente di conduttività termica del pentacloruro di fosforo. II. Coefficiente di dissociazione del pentacloruro di fosforo. nell’una curva (v. figura) corrispondono a un dipresso i massimi e minimi nell'altra, per quanto la scarsità dei punti non permetta di tracciare le curve con soddisfacente sicurezza. Qui però siamo ben lungi dall'avere una proporzionalità fra i due coeffi- cienti, come trovammo, sebbene in via approssimata, per l’ ipoazotide. aumento medio (EEA ot e della dissociazione nella dissociazione RA TERI, 182° 5.08 41.7 I 190° 4.99 44.3 dò 200° 4,85 48.5 6.3 230° 4.30 67.4 6.3 250° 4.00 80.0 3.1 274° 3.84 87.5 62 2880 3.67 96.2 0,9 300° 3.65 97.3 In conclusione, da queste e dalle precedenti ricerche resta assodato che per i gas dissociabili studiati la conduttività termica ha un comportamento irregolare per l'influenza esercitata su quel fenomeno dalla dissociazione, e inoltre che esiste un parallelismo fra i due fenomeni. Queste conclusioni sono in perfetta armonia colle conseguenze dedotte dalla . teoria cinetica dei gas, le quali trovano così una conferma nei risultati ottenuti. (1) Annal. der Chemie und Pharmacie, Supplement Band 5, pagg. 348-49, 1867. — 378 — Fisica terrestre. — Su pireliometro a compensazione elet- trica dell’ Angstròm. Nota di Crro CHISTONI, presentata dal Socio P. BLASERNA. ‘Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sulla costituzione di alcuni piombati (*) Nota di I. BeLLucci e N. PARRAVANO, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Le ricerche eseguite da uno di noi sui platinati (2) e da entrambi sugli stannati (3) hanno messo per la prima volta in luce l’esistenza di ossisali complessi del tipo [Pt(0H)°]X", ed [Sn(0H)]X', legati da stretti rapporti di genesi -con i rispettivi clorosali [Pt C1°]X'» ed [Sn C1°]X"». Le misure cristallografiche eseguite gentilmente per nostro invito dal dott. Zambonini hanno dimostrato che esiste isomorfismo tra le forme romboedriche dei due sali [Pt(OH)5]K® ed [Sn(0H)°]K®. L'esistenza di questi ossiplatinati ed ossistannati ci ha indotto ad esten- dere analoghe ricerche ai piombati del tipo del cosidetto metapiombato di potassio Pb 0* K?, 3H?0, al quale, per l'analogia che regna tra i composti dello Sn'" e del Pb!, non era improbabile spettasse invece la costituzione [Pb(OH)°]K®. Vale a dire anche in questo caso, in rapporto con quello che già noi avevamo dimostrato per gli stannati del tipo SnO? X',,3H°O, le tre molecole di acqua fossero da riguardarsi non di cristallizzazione, ma come facenti parte integrante della costituzione del piombato. D'altra parte le no- tizie cristallografiche che finora si conoscevano in riguardo al piombato Pb 0° K?°, 3H°O rendevano incerta questa nostra interpetrazione. Non era infatti ancora nettamente definito il sistema cristallino al quale appartiene questo sale, poichè Fremy lo credette romboedrico, mentre Seidel lo descrisse cristallizzato in forme del sistema dimetrico. Questa incertezza, che avrebbe tolto valore alla dimostrazione della costituzione del piombato secondo la formola [Pb(OH)5]K®, ci ha indotti a far ripetere lo studio cristallografico di questo sale. Dopo lunghi tentativi siamo riusciti ad ottenere dell'ottimo materiale per studî cristallografici. Il dott. Zambonini, cui abbiamo fornito questo materiale per lo studio cristallografico, ci ha cortesemente comunicati i risultati delle sue misure, in base alle quali risulta in modo indubbio che anche il piombato di potassio cristallizza in forme del sistema romboedrico (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Chimica generale della R. Università di Roma. (2) Bellucci, Zeit. anorg. Chemie, 44, 168, 1905. (3) Bellucci e Parravano. Questi Rendiconti, vol. XIII. (II) fase. 6, 7, 8. im ai — 379 — e presenta con il platinato [ Pt(OH)°]K® e con lo stannato [Sn(0H)°]K?® strette relazioni di isomorfismo. Di tali misure cristallografiche, in base alle quali si stabilisce questo isomorfismo, ci occupiamo dettagliatamente altrove. Questo risultato presenta un certo interesse poichè grandemente avvalora la nuova interpretazione secondo la formola [ Pb(0H)5]X'; che noi, in base alle prove chimiche di cui ora passeremo ad occuparci, siamo indotti à dare al piombati presi a trattare. PARTE SPERIMENTALE. A differenza degli stannati ed ancor più dei platinati, si conoscono varî tipi di piombati. Noi prendiamo in considerazione soltanto i piombati rife- ribili al tipo Pb 0° X,, 3H°O e ci soffermiamo anzitutto al sale di potassio che è il più caratteristico e stabile. Questo sale fu preparato per primo da Fremy (') nel 1844, fondendo il biossido di piombo con eccesso di potassa, sciogliendo la massa fusa in poca acqua ed evaporando nel vuoto. Fremy gli assegnò la formola Pb 0° K°, 3H°0. Seidel (2) lo ripreparò poi nel 1879 con lo stesso metodo e confermò la formola di Fremy. Seguendo le indicazioni piuttosto vaghe lasciateci da questi autori, non è possibile preparare facilmente questo sale. Ci sono occorsi numerosi tenta- tivi per poter definire le condizioni nelle quali riesce agevole la preparazione del piombato potassico. Noi abbiamo precisamente operato così. A 100 grammi di idrato di potassio si aggiungevano in capsula di argento 20-30 gr. di acqua e si cominciava a scaldare: nel mentre progrediva la soluzione della potassa si aggiungevano alla massa tenuta continuamente agitata delle pic- cole porzioni di una poltiglia acquosa di biossido di piombo. Durante l'ope- razione il riscaldamento va fatto con un semplice becco Bunsen, procurando che la temperatura non si elevi troppo. Man mano che si procede nell’ag- giunta del Pb O°, il liquido fuso si satura di piombato di potassio che si depone al fondo della capsula come polvere micro-cristallina, di un bianco leggermente sporco. Si sospende l'aggiunta del Pb 0? allorchè questo rifiuta di sciogliersi. La massa fusa si riprende con poca acqua, e si filtra: il fil- trato si pone a cristallizzare nel vuoto su acido solforico dopo avervi semi- nato un cristallino di stannato o platinato di potassio. In capo a breve tempo si ha così un buon rendimento di piombato di potassio, ben cristallizzato. Qualora nella preparazione si ecceda con la temperatura, o non si osservino le concentrazioni dell’alcali suindicate, una porzione del PbO?® si riduce a PDO, il quale si scioglie a sua volta nell’ idrato potassico dando col piom- (1) Ann. de chim. et phys. [8] 12, 488. (2) Journ. prakt. Chemie 20, 200. RenpIcoNTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 47 — 380 — bato di potssio già formatosi piombato di piombo sotto forma di una polvere amorfa, insolubile, di un giallo aranciato. La formazione di questo preci- pitato, data la fortissima concentrazione dell’alcali, non è immediata; onde è che anche da un filtrato limpido, qualora non si sieno osservate le opportune condizioni di preparazione, invece di cristallizzare il piombato di potassio si ha talora formazione o esclusivamente di piombato di piombo o di questo frammisto al sale alcalino. Il piombato di potassio così ottenuto in piccoli cristalli incolori, lucenti, veniva da noi raccolto, lavato qualche volta rapidamente con alcool assoluto e spremuto bene tra carta. Si conservava in essicatore su potassa per impe- dirne più che fosse possibile la sua decomposizione a contatto dell'anidride carbonica atmosferica. Questo sale subisce in acqua un’ immediata idrolisi: si separa in prima fase acido piombico, che in seguito torna a sciogliersi allo stato colloidale ('). T. Sost. gr. 0,5432 — gr. 0,4208 Pb SO®4 —> gr. 0,2516 K° SO. TI a 05318 011138 > » 0,2449 >» Trovato I II Trovato da Fremy Calcolato per Pb 0? K?, 3H?0.. Pb 52,91 59,15 02,57 53,43 K 20,80 20,68 20,67 20,22 H°0 — = 14,40 13,96 A lato delle nostre analisi sono riportate le percentuali trovate da Fremy, dalle quali risulta che a questi sarebbe riuscito di dosare esatta- mente l’acqua nel sale. Noi non possiamo invece dare nessun valore per le percentuali dell’acqua. per le ragioni che qui esponiamo. Il piombato di potassio mantenuto a lungo alla temperatura di 100°, in ambiente di gas inerte, non perde quantità apprezzabili del proprio peso, (sost. gr. 0,9423 — gr. 0,0031 = 0,32 °/,). Elevando la temperatura esso comincia a perdere acqua, ma contemporaneamente la sua molecola si de- molisce con separazione di potassa e di PbO?, il quale passa poi a PbO. Arroventando il sale, sempre in ambiente di gas inerte, le perdite massime che siamo riusciti ad ottenere oscillano tra il 13,65-14,26 °/,. Come ve- desi, i numeri da noi trovati mostrerebbero una certa concordanza con la per- centuale di acqua trovata dal Fremy e con quella che si calcola per 3H°0O. Il residuo però dell’arroventamento non è PbO®K?, come fa supporre il dato di Fremy. Infatti questo residuo ripreso con acido nitrico non palesa affatto la presenza di PbO?, presenta il colore giallo del litargirio e comunica al- l'alcool la reazione alcalina dovuta all’idrato di potassio. Tale residuo non (‘) Bellucci e Parravano, Chemik. Zeitung, 1904, pag. 1254. — 381 — è adunque che un miscuglio di litargirio e di potassa e la demolizione del piombato per azione del calore è completa secondo lo schema seguente: [Pb(0H)°]K®° = PbO + 2KOH + 0 + 2H?0 Arroventando il piombato in ambiente inerte secondo la nostra equa- zione dovrebbesi avere adunque una perdita di peso corrispondente a 2H° 0 + O. Si calcola infatti in questo caso una perdita del 13,42 °/ abbastanza concordante, date le difficoltà dell’ esperienza, con quelle trovate da noi (13,65-14,26 °/0). Il comportamento del piombato di potassio sotto l’azione del calore è quindi perfettamente analogo a quello dello stannato Sn(0H)° K® e del pla- tipato Pt(OH)° K?. Giova anzi qui ricordare che Fremy nel caso dello stan- nato Sn(0H)° K?, per azione spinta del calore non riuscì ad ottenere una perdita di peso corrispondente a 8H°O, e di ciò noi abbiamo dato (loc. cit.) sufficienti spiegazioni. Nel caso del piombato Pb(OH)° K? egli troverebbe invece dati concordanti con i calcolati per 3H?0, senza tenere conto però della demolizione che il sale subisce e quindi della perdita di ossigeno da parte del PbO?, perdita di ossigeno che non si verifica nel caso del SnO° prodottosi nell’ identica demolizione dello stannato. Il che spiega sufficien- temente perchè Fremy abbia creduto di poter dosare per perdita di peso l'acqua nel piombato, e non nel caso dello stannato di potassio. È appunto da questo comportamento del piombato di potassio sotto l’azione del calore che deduciamo una prima prova in favore della formola di costituzione Pb(OH)° K° che noi assegniamo a questo sale. Nel caso dei platinati e degli stannati ci siamo occupati anche del sale sodico. Adoperando lo stesso metodo di preparazione del piombato potassico, si giunge ad avere una soluzione di piombato sodico, la quale abbando- nata nel vuoto su acido solforico, solo in presenza di qualche cristallino di stannato potassico (i quali vi crescono dentro) mostra una debolissima ten- denza a deporsi come polvere finemente cristallina, con rendimento però mai sufficiente da permetterci delle analisi. Le stesse difficoltà incontrò Seidel (loc. cit.) in analoghi tentativi ('). (1) Héhnel (Archiv. fir Pharm., 232, 223) dice di avere preparato un piombato sodico PbO?Na?,4H?0, ossidando una poltiglia di PbO con perossido di sodio, ed esau- rendo la massa con alcool a diverse concentrazioni. Noi abbiamo ripetuto la preparazione di Héhnel ed abbiamo potuto constatare che non si riesce a purificare completamente il sale senza andare incontro alla sua idrolisi. Riportiamo i dati analitici di Hohnel: Trovato Calcolato per -—— re en! — ou 2 I II PbO3 Na?, 4H*0.. PbO? Na?,3H?0 Pb 55,43 54,20 55,5 98,27 Na 14,07 14,21 12,33 12,98 — 882 — Altro criterio importante per la dimostrazione della formola Pb(0H)° K? era quello della composizione dei sali che da questo potevano derivarne per doppio scambio. Data la profonda idrolisi che subisce il piombato di po- tassio in soluzione acquosa, era necessario mantenerlo in ambiente fortemente alcalino, ed erano possibili doppi scambi soltanto con le soluzioni degli os- sidi metallici solubili nell’ eccesso dell’ idrato alcalino. Dei varî precipitati che possono ottenersi con le soluzioni metalliche in queste condizioni ecce- zionali, l’unico che abbiamo potuto sottoporre all'analisi è stato quello di Pb". Sale di piombo [Pb(0H)°]Pb. Fremy (loc. cit.) mescolando la soluzione alcalina del piombato potassico con una soluzione alcalina di PbO, ottenne un precipitato giallo che erro- neamente interpretò come minio idrato, senza però dare di esso alcuna ana- lisi nè formola. Seidel (loc. cit.) ripreparò nelle identiche condizioni tale composto e si accorse che si trattava di un idrato del Pb? 0° e non del Pb? 04. Gli assegnò perciò la formola Pb? 0°, 3H?0, considerandolo come sale di piombo PbO*? Pb, 3H°O dell’acido metapiombico PbO? H?. Noi abbiamo ripreparato questo composto. Ad una soluzione di piom- bato potassico preparata estemporaneamente ed alcalina per idrato di po- tassio, onde evitare l’ idrolisi, si aggiunse una soluzione di PbO nella po- tassa, lasciando il tutto in riposo in recipiente chiuso. A seconda delle con- centrazioni la precipitazione del piombato di piombo procede più o meno ra- pida: con soluzioni concentrate la precipitazione avviene col tempo, con le diluite immediatamente. Il precipitato è amorfo, di un colore giallo aranciato. Raccolto e lavato fu seccato su acido solforico. Era esente da carbonati. I. Sost. gr.0,8821 — gr. 0,3079 Pb. IL» » 0,4789 — gr. 0,2054 PbO — gr. 0,2831 Pb SO*. ILL » >» 0,6265 — cc. 148 di 0 (7642 mm.; 179,9). IV.» »0,5127 — gr. 0,0514 H?0. Come vedesi se le percentuali trovate dall’ Hòhnel si accostano per il piombo alla for- mola PbO? Na?, 4H?0, ne sono ben lungi per il sodio, ciò che dimostra che il sale era ancora impuro di alcali, il quale ha naturalmente abbassato i trovati del piombo. Consi- derando ancora che l’acqua è stata dall’ Hohnel calcolata per differenza, non può dirsi affatto sicura la formola PbO® Na?, 4H?0 da esso stabilita. Tutto fa credere che qualora così sì riuscisse ad avere un prodotto analizzabile, esso ricadrà nello stesso tipo di piom- bati da noi discusso. — 383 — Trovato Calcolato per Pb(0H)6 Pb I II III IV Pb (totale) 80,59 — — _ 80,22 IPY = 39,82 = — 40,11 Pb” = 40,38 = — 40,11 (0) si == 3,18 — 3,1 H°0 = - = 10,03 10,48 Il sale di piombo corrisponde adunque alla formola Pb(0H)5 Pb. Sot- toposto all'azione del calore questo sale a 170° perde soltanto il 3,62 °/ di H?0 e col progressivo elevarsi della temperatura si riesce ad allontanare tutte tre le molecole di acqua. Non è sicuro il dosare, come ha fatto Seidel (loc. cit.) l'acqua in questo sale per arroventamento all'aria, e quindi per sola perdita di peso, perchè, sebbene Seidel sostenga che il sale arroventato al rosso non sviluppa ossigeno, noi abbiamo invece potuto constatare che alla stessa temperatura alla quale vanno via le ultime porzioni di acqua, comin- ciano già ad allontanarsi piccole quantità di ossigeno, ed al rosso il sale trovasi completamente trasformato in PbO. Altri piombati insolubili non ci è stato possibile ottenere per doppio | scambio dal sale potassico, in uno stato di purezza sufficientemente necessario per l'analisi. La soluzione alcalina del piombato di potassio trattata con so- luzione di nitrato talloso dà un precipitato rosso-marrone, il quale però su- bisce idrolisi durante i lavaggi. Fu tuttavia raccolto e seccato su acido solfo- rico. Varie preparazioni mostrarono che esso contiene sempre dell’acqua che non perde che in quantità minime a 100° e per riscaldamento essa si allon- tana quando già il tallio comincia abbondantemente a volatilizzare. Le ana- lisi fatte su questo sale non mostrarono tra di loro sufficiente concordanza e dettero tutte un contenuto di piombo maggiore di quello che si calcola per la formola Pb(OH)° T1?, evidentemente a causa dell’ idrolisi sopraddetta. Trovansi descritti nella letteratura altri piombati insolubili PbO? X", x H°0. Così i metapiombati, preparati da Gritzner ed Hòhnel (!). di zinco, manganese, argento e rame ottenuti non in condizioni nette di doppio scambio, ma facendo digerire per più ore una poltiglia di metapiombato di calcio con le soluzioni dei rispettivi acetati o nitrati metallici. Come è evidente, non toc- cava a noi di prendere in considerazione questi sali perchè non preparati in condizioni che ci permettessero di trarne delle conclusioni per lo scopo del nostro lavoro, quando anche, ciò che è quasi impossibile, con il metodo di li preparazione su accennato, fossero potuti ottenersi in stato analizzabile. (!) Archiv. der Pharmacie, 233, 512; 294, 397. — 384 — È opportuno ad ogni modo notare che quasi tutti questi sali, come trovansi descritti, contengono maggiori o minori quantità di acqua, la quale presenta in taluni di essi una resistenza al calore davvero straordinaria (1). Se i piombati ora ricordati non potevano essere preparati per doppio scambio dal piombato di potassio, per le condizioni di alcalinità in cui bi- sogna agire, l'avere ad ogni modo potuto ottenere in tali condizioni un sale di piombo Pb(OH)° Pb, dimostra che nelle soluzioni del piombato esiste l’anione [Pb(0H)°]". Nel caso dei platinati Pt(0H)° X', è stato dimostrato che con un acido sì può mettere in libertà il rispettivo acido Pt(OH)° H?, sufficientemente stabile all'aria; nel caso degli stannati Sn(0H)? X', si pone invece in libertà un acido stannico che anche nelle condizioni più blande di essicamento non supera mai il grado di idratazione corrispondente ad Sa(0H)4; nel caso in- fine dei piombati Pb(0H)°X',, la molto minore stabilità di questi sali, in confronto dei precedenti, ci si palesa anche nella minore stabilità del grado di idratazione dell’acido piombico che può da essi separarsi. Noi abbiamo aggiunto infatti ad una soluzione di piombato di potassio, ben raffreddata con ghiaccio, dell’acido acetico diluito e pure raffreddato, fino ad avere reazione neutra: si ottiene così dapprima un precipitato fioc- coso di colore più chiaro dell'idrato ferrico, ma che poi va man mano im- brunendosi. Raccolto su filtro e seccato all'aria, assume il colorito marrone- scuro del biossido di piombo, e le analisi fatte su questo prodotto, seccato soltanto all'aria, ci hanno mostrato che col tempo esso raggiunge la forma anidra PbO?. Evidentemente alla variazione del colore è logico ammettere corrisponda anche la diminuzione e scomparsa del grado di idratazione, col- legata a cambiamenti di proprietà. Infatti nel mentre l'acido piombico appena precipitato nelle condizioni sopraddette si scioglie con grande facilità nelle soluzioni di idrato alcalino, allorchè è stato raccolto ed il suo colore è diventato più scuro la resistenza all’alcali diventa sempre più notevole finchè giunti al PbO?® anidro bisogna ricorrere alla fusione. Abbiamo adunque questa diminuzione progressiva del grado di idratazione degli acidi in cor- rispondenza con la diminuzione di stabilità dei rispettivi ossisali : Pt(0H)° X', Sn(0H)° X', Ph(0H)° X', Pt(OH)° H? Sn(0H)* PbO? La diminuzione di stabilità di questi ossisali corre del resto parallela a quella dei rispettivi clorosali. Mentre infatti l'acido cloroplatinico Pt C1° H° (') Griitzner ed Hohnel (Archiv. der Pharm., 233, 514). Kassner id. id. 237, 409. — 589 — è stabile e dai suoi sali è possibile avere per doppio scambio dei cloropla- tinati insolubili, l'acido clorostannico Sn C1° H?, come noi abbiamo potuto dimostrare, si riduce anche all'aria ad Sn C1' ed i clorostannati trovansi in soluzione acquosa scissi molecolarmente ed idroliticamente e nell’ impossibi- lità quindi di fare doppi scambi; l’acido cloropiombico non è noto infine che sotto forma dei suoi sali, i cloropiombati, che a contatto dell’acqua subiscono un'immediata e totale decomposizione. È a notare però che anche nel caso del Pb!, come del Pt e dello Sn!, risulta la maggiore stabilità dei com- plessi ossidrilati di fronte ai complessi clorurati: quella cioè del [Pb(0H)°]", che pur ci ha permesso nettamente un doppio scambio, di fronte a quella labilissima del [ Pb C1°]". Questo paragonare, come noi abbiamo fatto ora, composti di metalli ‘ quali il Pt", lo Sn'” ed il Pb”, potrebbe sembrare azzardato qualora non sì pensasse che questo paragone noi lo stabiliamo soltanto per composti che posseggono uno stretto isomorfismo che si riflette in una grande analogia di comportamento e nella più perfetta identità di costituzione chimica. Ai piombati da noi presi in considerazione in questa Nota spetta adunque la formola Pb(0H)6 X',. Mentre nel caso dei platinati il tipo Pt(OH)° X", può ben dirsi che sia fino ad oggi l'unico rappresentante di essi, e nel caso degli stannati (tipo «) appaiono soltanto accanto al tipo Sn(0H)° X'; gli stannati Sn 0° X” ottenuti finora soltanto per via secca, per i piombati a lato del tipo Pb(OH)° X', appaiono due altri tipi fondamentali Pb(OX')f e PhO? X',. Riassumendo genericamente si hanno perciò peri tre metalli considerati i tre tipi salini: 1) [Me(0H)°]X", 2) Me(0X')' 3) Me0(0X')? - che si possono considerare derivati o dall’ortoidrato Me(0H)* o dal metai- drato Me0(0H)?: 1) Me(OH)' - 2X0H 2) Me(0H)' + 2X0H 3) Me0(0H)? + 2XOH [Me(OB)*]X": Me(OX')f + 2H*0 Me0(0X') + 2H®0 LI nel 1° caso però con fenomeno di addizione e formazione di sale complesso ossidrilato, nel 2° e 3° caso con fenomeno di sostituzione. In questa serie di tre tipi salini ben differenti, per quello che finora è noto, non si può passare dal tipo 1 al tipo 2, ma bensì lo sì può in molti casi dal tipo 1 al tipo 3. Noi torneremo tra breve a pubblicare i risultati di altre nostre ricerche di indole generale che stiamo compiendo intorno a questo nuovo tipo di 0s- — 386 — sisali [Me(0H)5]X, onde renderne sempre più indiscussa l’esistenza. Ci ha sembrato per ora opportuno rendere noto che esiste un tipo di piombati Pb(0H)° X', analogo a quello da noi precedentemente dimostrato per gli stannati Sn(0H)° X', e per i platinati Pt(OH)° X',. Chimica. — Sopra una nuova serie di sali isomorfi. Nota di I. BeLLucci e N. PARRAVANO, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — .Sull'impiego del solfato d’idrazina nelle analisi gasometriche ('‘). Nota di EnRICo Rimini, presentata dal Socio E. PA- TERNÒ. Con questo medesimo titolo, alcuni mesi or sono è apparsa nel Bulletin de la Société chimique de Paris (tom. XXXI, pag. 905), una Nota dei sige. de Girard e de Saporta, della quale ho creduto opportuno occuparmi per alcune interpretazioni ed eguaglianze in essa contenute che io ritengo erronee e che applicate potrebbero condurre a gravi errori analitici. In primo luogo i succitati signori rivolgono la loro attenzione al dosaggio dei sali di rame coll’idrazina. Che i sali di rame si prestino per l’analisi quantitativa dell'idrazina è cosa nota sin da quando il Petersen (?) propose un metodo per dosare gaso- metricamente questa base servendosi del liquido di Fehling. In seguito il Purgotti (3) cercò di invertire il problema e di utilizzare cioè l'idrazina per la determinazione quantitativa del rame. Operando con un apparecchio Schultz-Tiemann modificato, ebbe ad accor- gersi che tale dosaggio a caldo ed in soluzione alcalina non era effettuabile per lo svolgimento continuato di bollicine di azoto dovute, secondo il Pur- gotti, alla ulteriore distruzione dell’eccesso della base per opera di nuove quantità di sali di rame che si formerebbero a spese dei sali alcalini pre- senti e del rame già ridotto. Per questo motivo appunto il Purgotti pensò di operare in alcuni casì in soluzione neutra, in altri in presenza di un eccesso di cloruro sodico, con (') Questa Nota fu pubblicata in parte nel n. 19, anno II, dei Rendiconti della Società chimica di Roma. (2) Julius Petersen, Veber die quantitative Bestimmung des Hydrazins in Hydra- zinsalzen. Zeit. anorg. Chem. 5, pag. 1. (3) Attiglio Purgotti, Sopra un nuovo metodo di determinazione di alcune sostanze per mezzo del solfato d'idrazina. Gazz. Chim. Ital., 36, II, pag. 559. — 387 — che il sale di rame viene a ridursi a cloruro rameoso il quale si combina col cloruro sodico in eccesso per formare un sale doppio solubile, oppure si discioglie nell’acido cloridrico che si libera nella reazione, dando una solu- zione incolore. A quanto sembra i sigg. de Girard e de Saporta non hanno ben com- preso lo scopo dell'aggiunta del cloruro di sodio, nè hanno tenuto conto del fatto che il Purgotti agisce a caldo. È bensì vero che allorquando si mescolano le soluzioni dei solfati di rame e di idrazina si ha la formazione del sale cuproidrazinico del Curtius, poco solubile anche a caldo, come pure è vero che l'aggiunta di un eccesso di cloruro non impedisce a freddo la precipitazione e la stabilità del suddeto sale; ma è altresì vero che scaldando prolungatamente tale miscela, il sale si decompone, si svolge azoto ed il liquido diviene incolore e limpido. Necessaria è quindi la presenza del cloruro sodico specialmente nel caso dei sali di rame ad acido ossigenato, ed esatta e completa è da ritenersi la sotto riportata equazione del Purgotti: 4CuSO, + 10NaC1 -- N;H, . H.$0, = 2Cu,C1, + 5Na,$0, + GHC1 + 2N I sigg. de Girard e de Saporta hanno creduto di migliorare il metodo di analisi operando a freddo in presenza di una soluzione di soda, in condizioni cioè pressochè identiche a quelle da me (') suggerite due anni or sono per per il dosaggio gasometrico dei sali di mercurio; e ritengono che il feno- meno corrisponda esattamente alla seguente eguaglianza : 4(CuS0, +5H0) + N3H,.H,S0,+10Na0H=2Cu,0+N,+5Na,S0,+28H;0 cioè che per quattro molecole di solfato di rame si svolga una molecola di azoto. Che l'ossidulo di rame potesse resistere in presenza di un eccesso di idrazina libera mi parve cosa assai dubbia e per ciò volli controllare la veridicità di tale asserzione. Le numerose esperienze eseguite mi hanno dimostrato che applicando la formola di de Girard e de Saporta sì troverebbe assai più rame di quello realmente impiegato, e mi hanno convinto che essa non corrisponde affatto al- l'andamento della reazione. Questa infatti sembra avvenire in due tempi; il primo di essi è carat- terizzato da uno svolgimento istantaneo di azoto, il secondo da una produ- zione lenta e continuata dello stesso gas, mentre il precipitato formatosi da rossiccio che era, diviene brunastro, poi nero, avendosi talvolta un deposito brillante di rame metallico. (1) E. Rimini, Sul dosaggio dell'idrazina e di alcuni suoi derivati. Rendic. Acc. Lincei, 12, 2° sem. 1903, pag. 376. Gazz. Chim. Ital., 84, I, pag. 224. RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 48 — 388 — Si sarebbe quindi indotti a supporre che nella prima fase della reazione il sale di rame si riduca allo stato di ossido rameoso, e che nella seconda fase la riduzione proceda oltre sino a rame metallico. Eseguendo per altro la lettura del volume di gas svoltosi nel primo tempo, si trova che esso è sempre in quantità maggiore di quello che do- vrebbe essere se la riduzione del sale di rame si fosse arrestata ad ossidulo; come dimostrano le tre seguenti esperienze le quali furono eseguite mesco- lando, con tutte le cautele consigliate dai su citati autori, le qui appresso indicate quantità di sostanza: I. 10 ce. di una soluzione di solfato di rame del titolo 6,9278 °/. 30 ce. di una soluzione di solfato di idrazina circa al 3 °/o . 10 ce. di una soluzione di soda al 15 °/o. Si svolsero cc. 18,4 di azoto misurati a 17° e 761 mm. di pressione. II. 10 ce. della soluzione di solfato di rame. 20 ce. della soluzione di solfato d’idrazina. 10 ce. della soluzione di soda. Si svolsero cc. 18,4 di azoto misurati a 17° e 761 mm. di pressione. III. 10 cc. della soluzione di solfato di rame. 20 ce. della soluzione di solfato d'idrazina. 10 cc. della soluzione di soda. Si svolsero cc. 18,2 di azoto misurati a 17° e 761 mm. di pressione. Tenuto conto che secondo la equazione di de Girard e de Saporta a 28 parti di azoto ne corrisponderebbero 998 di solfato di rame, si avrebbero i seguenti risultati : In cento parti: Trovato Calcolato Loi CuS0, + 5H:0 6,9278 7,62 7,62. 7,938 Ciò prova che anche nel primo tempo una parte del sale ha subìto una riduzione più avanzata dell'ossidulo, giungendo evidentemente a rame metal- lico e per ciò l'equazione di de Girard e de Saporta è incompleta ed inesatta. Era sperabile che alla fine della seconda fase della reazione, cessasse lo sviluppo gassoso essendo tutto il sale di rame ridotto a rame metallico, così che si sarebbe potuto operare un dosaggio in base all’eguaglianza: 20uS0O, + NH, . H:S0, + 6Na0H = 2Cu + N; + 3Na,S0, 4 6H,0. Per altro le molteplici esperienze eseguite e che io credo superfluo ripor- tare, hanno dimostrato che anche a freddo a spese dell’idrazina in eccesso e per mezzo del rame ridotto, si svolgono nuove quantità di azoto che variano col variare della durata dell’esperienza, della temperatura a cui si opera e della quantità e concentrazione del sale d'idrazina impiegato. I DI — Se questo fenomeno non fu dato di osservare ai sigg. de Girard e de Saporta, ciò si deve presumibilmente al fatto che i 15 cc. della loro solu- zione di solfato d'idrazina erano già insufficienti a ridurre a rame metallico i due grammi di solfato di rame impiegato. Contrariamente poi a quanto asseriscono questi chimici, anche il liquido di Fehling reagisce a freddo coll’idrazina svolgendo azoto; occorre per altro un tempo maggiore specialmente qualora si operi con una soluzione di sol- fato d’idrazina. Dopo quanto è stato premesso ne consegue che anche il dosaggio indi- retto del glucosio proposto da de Girard e de Saporta non può essere esatto e quindi è inapplicabile. Secondariamente i sigg. de Girard e de Saporta propongono l’impiego del solfato d'idrazina pel dosaggio gasometrico del nitrito sodico. L'azione dell'acido nitroso sull’idrazina già da molto tempo è stata oggetto di studio da parte di eminenti chimici. Per primo il Curtius (!) dimostrò come, facendo gorgogliare i vapori nitrosi attraverso una soluzione fredda e diluita di idrato d'idrazina, si per- venga ad una soluzione di acido azotidrico. Poco dopo Angeli (?) indicò un modo per ottenere direttamente il sale d'argento dell'acido azotidrico, mescolando una soluzione di solfato d'idrazina con una satura di nitrito d'argento. Questa reazione è facile al punto da prestarsi per esperienza di lezione. In seguito Dennstedt e Gohlich (*), dovendo preparare per loro ricerche una certa quantità di acido azotidrico, mescolarono una soluzione di nitrito potassico con una di solfato acido d’idrazina (solfato d’idrazina del commercio). Essi notarono un forte svolgimento di gas che da principio ritennero costituito totalmente da azoto; ma che analisi successive dimostrarono essere un miscuglio di azoto e di notevoli quantità di ossigeno e protossido di azoto. Cercarono di determinare le proporzioni relative dei gas della miscela con quella approssimazione che era possibile, date le difficoltà che tale pro- blema analitico presenta, ed i risultati li condussero all'ipotesi che la rea- zione procedesse secondo la seguente eguaglianza: Non si comprende, come dopo tutti questi studî, i sigg. de Girard e de (1) Th. Curtius, Azo?mid aus Hydrazinhydrat und salpetriger Siure. Ber. d. B. chem. G., 26, pag. 1263. a: (2) Angelo Angeli, Sopra un modo di formazione del sale argentico dell'acido azo- | . tidrico. Gazz. Chim. Ital., 23, pag. 292. (8) M. Dennstedt und V. Gohlich, Fine einfuche Art der Darstellung der. Stick- stoffwasserstoffsiure. Chemiker-Zeitung, 21, pag. 876. — 390 — Saporta abbiano pensato di poter dosare gasometricamente il nitrito sodico col solfato acido d’'idrazina e rappresentare la reazione tra questi due sali nel seguente modo: 2NaNO, + N.H, è H,S0, = No + Na,S0, + 2NOH so ZEO: È ovvio altresì che il sale d'argento da essi ottenuto per precipitazione, con nitrato d'argento, del liquido residuo della reazione e ritenuto a causa delle sue proprietà esplosive per iponitrito d'argento, non fosse altro che azo- tidrato d’argento o per lo meno una miscela di azotidrato e di iponitrito. Essendo mia intenzione eseguire alcune ricerche per mezzo del solfato cuproidrazinico cui è stato accennato nel principio di questa Nota, procedetti anzitutto ad una analisi di detto sale; ma ebbi risultati i quali non concor- davano con quelli richiesti dalla formula proposta da Curtius e Schrader (!). Per questo ho sottoposto a ripetute analisi il sale preparato in varie condizioni, ed ho potuto così constatare che i miei risultati erano sempre sufficientemente concordanti fra loro e con quelli ottenuti la prima volta. Preparazione I. — Si mescolò una soluzione di CuS0, 4 5H:0 al 69 °/so con una di N,H,.H,S0, al 25°/ in modo che l’idrazina non fosse in eccesso. Si raccolse e si lavò il precipitato accuratamente con acqua fredda. Dopo averlo spremuto ripetutamente fra carta bibula, lo sì pose in essicatore su acido solforico. 1) gr. 0,4738 di sale diedero gr. 0,6696 di BaSO,. 2) gr. 0,3804 di sale diedero gr. 0,5362 di BaS0,. 3) gr. 2,0066 di sale diedero gr. 0,4876 di Cu O. In cento parti: Trovato 1) 2) 3) H.S0, 59,44 59,25 — Cu —_ — 19,39 Preparazione II. — Fu ripetuta nelle condizioni precedenti ed il sale mante- nuto nel vuoto sino a peso costante. 1) gr. 0,6141 di sale diedero gr. 0,8634 di BaSO0,. 2) gr. 0,7312 di sale diedero gr. 1,0346 di BaSO,. 3) gr. 1,2778 di sale diedero gr. 0,3062 di Cu O. 4) gr. 1,8032 di sale diedero gr. 0,435 di Cu O. (1) Th. Curtius und F. Schrader, Metalldoppelsalze des Diammoniums und Diamids. J. prakt. Chem. 50, pag. 322. — 391 — In cento parti: Trovato 1) 2) 3) 4) H,S0, 59,13 59,51 _ — Cu — —i 19412601925 Preparazione III. — Una soluzione contenente il 6 0/5 di CuSO, + 5H0 venne trattata colla quantità necessaria di N,H,. H,S0, in soluzione al 6,5 °/co- Il precipitato dopo essere stato ripetutamente lavato con acqua bollente e per decantazione, fu raccolto e lavato di nuovo su filtro, pressato fra carta bibula ed asciugato all'aria. Una parte di questo sale fu mantenuta in essicatore su acido solforico per circa due mesi, l’altra nel vuoto fino a costanza di peso. Dalla prima porzione si ebbero i seguenti risultati : 1) gr. 0,2562 di sale diedero gr. 0,3638 di BaS0,. 2) gr. 0,5556 di sale diedero gr. 0,7898 di BaS0,. 3) gr. 0,7152 di sale diedero gr. 0,1722 di Cu 0. 4) gr. 0,7912 di sale diedero gr. 0,1914 di Cu0. In cento parti: Trovato 1) 2) 3) 4) H,S0, 59,62 59,69 — —_ Cu _ — 19,244 19,33 Dalla seconda porzione sì ebbero i seguenti: 1) gr. 0,4992 di sale diedero gr. 0,7096 di BaS0,. 2) gr. 0,8742 di sale diedero gr. 0,2120 di Cu O. In cento parti: ‘l'rovato 1) 2) H:S0, 59,66 _ Cu — 19,37 Dalle analisi riportate emerge che, conformemente a quanto avevano già verificato il Curtius e lo Schrader, il variare della concentrazione delle solu- zioni impiegate non influisce sulla composizione del sale risultante. Peraltro le percentuali da me ottenute, in ispecial modo quelle del- l'acido solforico, si discosterebbero da quelle che si calcolano in base alla formula di Curtius e Schrader CuSO, . (N:H;),S0, — 392 — per la quale si ha: Oui s1970 H,S0, = 61 ma sarebbero più in accordo coi calcolati corrispondenti ad una formula doppia con una molecola di acqua in più, cioè: (CuS0,(N:H;), $0,), + H,0 per la quale si avrebbero le seguenti percentuali : Cui G10Al6 H,S0, = 59,34. Chimica. — Sulla sintesi del 2-3-5-trimetilpirrolo ('). Nota di G. KoRrscHun, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Facendo agire il metil-a-cloroetilchetone sull’ etere sodioacetacetico si forma l'etere a-f-diaceto-n-butirrico (etere metilacetonilacetacetico). CH; — CH-CI Na-CH— 00,-0,H; CH;—CH—CH—C0;:C,H; | Re = | | +Na C1. CH; — CO CO — CH; CH; — COMCOSEH Per azione dell'’ammoniaca su questo composto, si produce l'etere del- l'acido 2-3-5-trimetilpirrol-4-carbonico. Lo stesso etere pirrolico si forma anche col metodo di Hantzsch (*), cioè per azione dell'ammoniaca sopra la miscela di etere acetacetico e del metil-a.cloroetilchetone. F. Feist (3) suppone che le sintesi pirroliche col metodo di Hantzsch si possano spiegare colla formazione intermediaria di composti di costituzione analoga a quello soprascritto (4). C.H;0,C — CH C1.CH : CO-CH; C,H;-0,C —- CH — CH(CH:).CO.CH, H, C duri C Der O:NH, CH, H;C cr C i (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Agraria della R. Università di Bologna. (2) Ber. d. deutsch. Chem. Gesell. 23, 1474 (1890). (3) Ibid. 35, 1537 (1902). (4) Io pure ero presso a poco di questa opinione. Ibid. 37, 2197 (1904). — 393 — Però, facendo agire l'ammoniaca sopra una miscela dell'etere metilico dell'acido acetacetico e del metil-@-cloretilehetone, a freddo si forma solo l'etere metilico dell'acido 8-amminocrotonico CH;-C-(NH,) = CH-C0,0H;; e soltanto riscaldando la miscela si ottiene il derivato pirrolico corrispon- dente. Questo fatto non s'accorda colla ipotesi di F. Feist, giacchè non è probabile che l'etere amminocrotonico, per riscaldamento circa a 100° con ammoniaca, dia luogo alla formazione di etere acetacetico o eventualmente del corpo CH;. CCONH,)=CH.CO, CH;. Di conseguenza la reazione deve essere spiegata collo schema di Hantzsch ('), che è il seguente: CH; CH; | C—NH, Cl-CH(CH;):C0-CH; —> C— NH; => NH | | LAN CH C—CH(CH:)CO-CH} —CH;—C CT—CH; | sii CO.CH; C0,CH; CH;:0,C—C-—CT—CH; Anche impiegando l'etere etilico dell'acido acetacetico è necessario riscaldare coll'ammoniaca per avere buoni rendimenti di derivato pirrolico; è quindi probabile che anche in questo caso la formazione del derivato pir- rolico avvenga secondo lo schema di Hantzsch. Secondo le ricerche di F. Feist (2) era d’aspettarsi che nella sintesi col metodo di Hantzsch si formasse oltre al derivato pirrolico, anche il derivato furanico. I derivati furanici secondo G. Plancher e S. Albini (3) si formano secondo lo schema seguente: RO,C—CH, CO—R, RO.C—C=C—R RO.C—-C—C—-R, — = Ul | 9a H;C—C0 CI—CH—R,, H;CT—C0 CH—R H30—C C—_ Ri, Li VA Cl O mentre nella sintesi dall’etere sodioacetacetico ed un clorochetone si ottiene il derivato furanico (1) Vedi anche M. Conrad e W. Epstein (Ber. d. deutsch. Chem. Gesell. 20, 3052, (1887).) che hanno preparato una serie di derivati CH;-C(NH:)= CR-CO,CH; dal com- posto CH, — C(NH:.)=CNa — COCH; coi joduri alcoolici. (2) Loco citato. (8) Questi Rendiconti, vol. XIII, 1° sem. pag. 40. — 394 — In questo caso speciale essendo R, = R,,= CH; i due derivati fura- nici sono identici. Siccome io spero in seguito di poter preparare più como- damente il furanderivato dall’etere diacetobutirrico, nel caso presente mi sono risparmiato il lavoro di isolarlo. Saponificando l'etere trimetilpirrolcarbonico, si ottenne il 2-3-5-trime- tilpirrolo. Parte sperimentale. L'etere diacetobutirrico fu preparato in modo analogo a quello con cui J. Ossipoff ed io ottenemmo l'etere diacetopropionico ('). Grammi 12,5 di sodio ('/» grammimolecola) finamente tagliuzzato, posti nell’etere seccato sul sodio vennero trattati, agitando e riscaldando con apparecchio agitatore a ricadere (°), con 67 gr. (invece di gr. 65,5) di etere acetacetico. Compiutasi la reazione si aggiunse un eccesso (60 gr. invece di 52,75) di metil-a-clo- retilchetone e sì scaldò il liquido all’ebullizione per due giorni. Il prodotto della reazione fu lavato ripetutamente con acqua; lo strato etereo venne separato e seccato con solfato di magnesio calcinato. Dopo aver scacciato l'etere per distillazione, il residuo fu distillato a pressione ridotta, e fu così isolata una frazione, che bolliva entro pochi gradi. Pel momento il prodotto non venne analizzato. Il metil-a-cloretilchetone impiegato, era stato ottenuto col metodo Deémètre-Vladesco, da me alquanto modificato (3): Il metiletilchetone raffred- dato fortemente venne saturato con cloro secco fino a che l'aumento di peso del recipiente in cui era contenuto, e di quello in cui si faceva assorbire dall'acqua distillata l'acido cloridrico svoltosi, raggiungeva 1'80 °/, del peso del chetone impiegato. Contemporaneamente al cloro e per lo stesso tubo adduttore, si faceva passare una corrente secca di anidride carbonica per asportare l’acido cloridrico. Il prodotto, lavato ripetutamente con acqua, che ne asporta il chetone inalterato, fu seccato, e distillato due volte a pres- sione ridotta con un deflegmatore molto attivo. Il clorochetone bolle a 26° a 18 mm., a 32° a 40 mm. e a 116° a 770 mm. di pressione. Si ottiene il 55 °/, del rendimento teorico. L'etere diacetobutirrico preparato nel modo sopradetto reagisce lenta- mente coll'’ammoniaca. Solo dopo averlo lasciato per giorni e giorni in con- tatto con ammoniaca acquosa, si separa il derivato in forma cristallina. Scaldandolo invece leggermente, tutta la massa oleosa in breve tempo si fa solida. Il corpo gialliccio, cristallino, così ottenuto, viene cristallizzato tre volte dall'alcool diluito ed altrettante dall'etere di petrolio, dopo di che si (1) Journ. russ. phys-chem. Ges. 35,635; Chem. Central-Blatt. (1903), II, 1281. (2) G. Plancher, Gazz. Chim. It., XXXIII-1-512. (8) Bull. Soc. chim. de Paris, 32° Serie, 76, 404, 807 (1891). — 395 — presenta in una massa filamentosa di cristalli aghiformi. Fonde a 101,5°-102,5°. Grammi 0,2026 di sostanza diedero gr. 0,4914 di CO, e gr. 0,1546 di H,0 ” 0,2812 ” ” ce. 18,8 diUNgagel lotte 58 mm: Cio Hi; NO, Calcolato °/, C — 66,23; H — 8,96; N — 7,75 Trovato =» »— 66,15; » —8,48;» — 7,93 È poco solubile in acqua, alquanto in ligroino ed etere di petrolio; negli altri solventi comuni è assai solubile. È volatile al vapore d’acqua, e scaldato con calce viva dà dei vapori che arrossano in modo ben distinto il fuscello di abete intriso in acido cloridrico. Per ottenere lo stesso derivato col metodo di Hantzsch ho operato nel modo seguente: Quantità equimolecolari del clorochetone e di etere aceta- cetico vengono posti con dell’ammoniaca acquosa satura in un ampio pallone e riscaldati a ricadere per circa un'ora in corrente di ammoniaca gassosa; bisogna fare attenzione che il derivato pirrolico, che viene formandosi e viene trasportato dai vapori, non ostruisca la canna del refrigerante. Raffred- dandosi, la massa oleosa diventa cristallina e dalla soluzione acquosa sotto- stante si separano pure dei cristalli. La massa bruna cristallina viene sepa- rata per filtrazione e distesa su piastre porose per separarla dall'olio di cui è intrisa. Quindi, viene cristallizzata dall’etere di petrolio. Si ottiene il 26 °/, e più del rendimento teorico. Quando la massa oleosa, in operazioni mal riuscite, non diventa cristallina nemmeno dopo lungo riscaldamento, si distilla al vapor d'acqua fino a chè nella canna del refrigerante comincia a solidificarsi della sostanza. A questo punto il contenuto del pallone, raffreddato, si soli- difica e lo si può purificare come è detto sopra. Agitando una miscela dell'etere metilico dell'acido acetacetico con metil-e-cloretilchetone ed ammoniaca acquosa, il liquido si riscalda e per raffreddamento depone dei grossi cristalli, che allo stato greggio danno, appena distinta, la reazione del fuscello d'abete. Cristallizzati due volte dall’etere di petrolio fondono a 82°-84°. Gr: 0,1538 di sostanza diedero gr. 0,0992 di H30 e gr. 0,2622 di CO, » 0,1494 ” ” i OIOZIOREA o » 0,2590 ” » 0,1422 ” ” » 0,0988 ” » 0,2752 ” » 0,1607 ” ” cc. 16,5 di N a 7° e 761 mm. (13°) » 0,2450 ’ ; n 249 » 27° e 765 mm. (13°) C; H, NO, Calcolato”/, C — 52,12 H— 7,90 Trovato Miao 2I65E 52070; 52, 700, LA 7072. N— 12,19 » 12,39;12,91. RenpIconTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 49 — 396 — Dai risultati analitici e dal punto di fusione si deduce che la sostanza è l'etere metilico dell'acido f-amminocrotonico probabilmente commisto a piccole quantità di derivato pirrolico. Se invece la miscela dell'etere metilico dell'acido acetacetico e del clo- rochetone coll’ammoniaca, viene scaldata in corrente di ammoniaca, nel modo anzidetto, la reazione conduce al derivato pirrolico corrispondente. In questo caso per avere un derivato cristallizzabile, ho dovuto ricorrere alla distilla- zione col vapor d'acqua, essendo riuscite insufficienti le piastre assorbenti di porcellana. Cristallizzato ripetutamente dall'alcool diluito, fonde a 125°-126°. All'analisi corrisponde all’etere metilico dell'acido trimetilpirrolcarbonico Gr. 0,2343 di sostanza diedero gr. 0,5562 di CO, e gr. 0,1710 di H:0 » 0,3037 ” "Mnice 21,1 di Nations mo Cs Hi3 N Calcolato °/, C — 64,61;H— 7,85; N — 8,46 Trovato » — 64,74; » — 8,11; » — 8,37 La sostanza è quasi insolubile in ligroino, etere di petrolio ed acqua, molto solubile negli altri solventi. L'etere etilico dell'acido 2-3-5-trimetilpirrol-4-carbonico non si sapo- nifica che in minima parte con potassa alcoolica bollente, perciò si tentò di saponificarlo in tubi chiusi. Al di sotto di 110° sembra che la sostanza non venga attaccata; sopra questa temperatura viene, benchè lentamente, saponi- ficata. Fu scaldata per 50 ore a 120°-125°; anche dopo questo trattamento restano piccole porzioni di etere non saponificato. L'acido, che così si forma, a queste temperature non è stabile ed eli- mina anidride carbonica. Perciò si ottiene, in sua vece, il trimetilpirrolo libero; per separare il quale si opera nel seguente modo: Si diluisce il con- tenuto dei tubi con tre volumi di acqua con che si separò uno strato oleoso ed un precipitato cristallino. Lo strato oleoso fu separato, e quello acquoso, dopo filtrazione dei cristalli, estratto con etere. L'estratto etereo unito all'olio separato come in seguito frazionato con deflegmatore a pressione ridotta, ed indi a pressione ordinaria in corrente lenta di idrogeno secco. Passò sotto forma di olio quasi incoloro a 180° e 768 mm. (12°); a 14-15 mm. bolle a 75°-76°. Gr. 0,1528 di sostanza diedero gr. 0,4302 di CO, e gr. 0,1423 di H:0 » 0,1615 ” ” cc. 7,2 di Nia I° tei (03) CH, N Calcolato °/, C — 76,96; H— 10,21; N — 12,85 Trovato » — 76,78; » — 10,35; » — 12,81. Il rendimento è piuttosto scarso giacchè nella saponificazione avviene ] una considerevole resinificazione. — 397 — Il 2-3-5-trimetilpirrolo da me ottenuto è il primo C-trimetilpirrolo ben conosciuto. Ciamician e Dennstedt (') hanno isolato dall'olio animale di Dippel una miscela di omologhi del pirrolo che corrispondono alla compo- sizione del trimetilpirrolo, ma non poterono separarne i singoli isomeri. Anche L. Knorr (?) distillando a secco l'acido 2-5-dimetilpirrol-4-carbon-3-ace- tico, ottenne un olio rosso, che ha le proprietà degli omologhi del pirrolo ed è probabilmente il 2.3-5-trimetilpirrolo; però non potè nè purificarlo, nè farne l'analisi. Fisiologia vegetale. — Sull'accrescimento in qgrossezza delle foglie persistenti di alcune Conifere. Nota preventiva del dott. Do- MENICO Di PERGOLA, presentata dal Socio R. PIROTTA. Per la mia tesi di laurea eseguita nell'Istituto Botanico diretto dal prof. R. Pirotta ho iniziata una serie di osservazioni intorno ai cambiamenti che avvengono nella struttura delle foglie delle piante sempre verdi, collo scopo principale di conoscere quali rapporti esistano fra questi cambiamenti e l'età della foglia. Rivolsi anzitutto la mia attenzione al gruppo delle Conifere, tra le quali ho potuto esaminare esemplari adulti di specie, le foglie delle quali durano in vita da tre a quindici anni, e precisamente: Torreya californica (Torr.) della famiglia Tazaceae, con foglie di uno a tre anni. Podocarpus nereifotia D. Don, della famiglia Zaraceae, con foglie di uno a quattro anni. Dammara australis Lamb., della famiglia Araucariaceae con foglie di uno a dodici anni, e Araucaria Bidwillit Hook. pure della famiglia Araucariaceae, con foglie da uno a quindici anni. Procedendo allo studio comparativo delle foglie di uno stesso ramo nei diversi individui della medesima specie che ebbi a mia disposizione, ho potuto constatare che ha sempre luogo un aumento nello spessore della foglia e che esso è graduale dal primo agli ultimi anni. Siffatto aumento di spessore è dovuto a due ordini di cause, cioè: 1° ad aumento nel numero degli elementi istologici; 2° ad accrescimento notevole in lunghezza delle cellule del tessuto a palizzata, che si mantiene sempre invariato per il numero delle cellule. (1) Ber. der deutsch. Chem. Gesell. /4, 1838 (1881). (2) Ibid. 79, 49 (1886). 39 3i= L'aumento nel numero degli elementi col volgere degli anni è già stato osservato, ed io mi limito a questo riguardo ad accennare ora che l'ho con- statato nel fascio sia nella porzione vascolare che nella cribrosa e nei suoi tessuti meccanici, e nell’ipoderma (?). Voglio invece fermarmi ora particolarmente sul mesofillo e specialmente sul tessuto a palizzata. Questo forma nelle specie da me studiate una o due serie di cellule, la quali si mantengono uniche o doppie anche nelle foglie che raggiungono una considerevole età, cioè, nelle mie osservazioni, fino a quindici anni. Però queste uniche o doppie serie di cellule coll’au- mentare degli anni, aumentano di spessore, perchè le singole cellule che le costuitiscono, si allungano man mano aumentano gli anni, cosicchè ad es. in una foglia di Araucaria Bidwillii di quindici anni lo spessore dello strato formato dal tessuto a palizzata diventa circa tre volte lo spessore dello strato della foglia di un anno. Mentre mi riservo di esporre in modo particolareggiato come le cose procedono nelle piante da me studiate, mi limito ora a registrare alcuni dati di fatto principali. Torreya californica (Torr.). 1° anno. Il tessuto a palizzata è differenziato in due serie. 3° anno. Le cellule del tessuto a palizzata subiscono un forte aumento in lunghezza, mantenendosi il tessuto sempre costituito di due serie. 1° anno. Spessore del tessuto a palizzata . . . . mm. 0,985 3° anno. Spessore del tessuto a palizzata . . . . oz Aumento » 0,167 Podocarpus nereifolia Don. 1° anno. Il tessuto a palizzata è costituito da una sola serie di cellule. 4° anno. Il tessuto a palizzata conserva unica la serie delle cellule, che però crescono nel senso della loro lunghezza. 1° anno. Spessore del tessuto a palizzata . . . . mm. 0,952 4° anno. Spessore del tessuto a palizzata . . . . » 1,018 Aumento . . . . » 0,066 Dammara australis Lamb. 1° anno. Cellule del tessuto a palizzata in una sola serie. (1) Le particolarità anatomiche e istologiche saranno descritte e illustrate da disegni nel lavoro che verrà pubblicato negli Annali di Botanica del prof. R. Pirotta. — 899 — 7° anno. Conservasi unica la serie del tessuto a palizzata, ma le cellule aumentano in lunghezza. 12° anno. Si conserva unica la serie delle cellule, ma continua l’accresci- mento in lunghezza fino a raggiungere circa il doppio di quella del primo anno. 1° anno. Spessore del tessuto a palizzata . . . . mm. 0,417 7° anno. Spessore del tessuto a palizzata . . . . » 0,754 12° anno. Spessore del tessuto a palizzata . . . . » 0,751 Aumento MAN 00804 Araucaria Bidwillii Hook. 1° anno. Cellule del tessuto a palizzata brevi, in una serie unica. 3° anno. Le cellule si mantengono in una serie unica, ma crescono quasi del doppio in lunghezza. 10° anno. Persiste l’unica serie di cellule, e continua l’aumento in lun- ghezza. 15° anno. La unica serie rimane, ma continua a crescere in lunghezza fino a raggiungere quasi tre volte quella delle cellule del primo anno. 1° anno. Spessore del tessuto a palizzata . . . . mm. 0,367 5° anno. Spessore del tessuto a palizzata . . . . » 0,601 10° anno. Spessore del tessuto a palizzata . . . . » 0,885 15° anno. Spessore del tessuto a palizzata . . . . >» 1,119 Aumento, Se 0752 Appare dunque evidente da quanto precede, che l'aumento nello spessore della foglia delle Conifere ricordate, si deve essenzialmente ad un lungo e duraturo accrescimento degli elementi primarii costituenti il tessuto 4 paliszata. Patologia vegetale. — Wteriori ricerche sopra i batteri che st trovano nell’ intestino della larva della Mosca olearia. Nota di L. PETRI, presentata dal Corrispondente CuBONI. In una Nota precedente (') ho già riferito sopra la presenza costante di un batterio nei quattro ciechi proventricolari della larva del Dacus Oleae, riassumo ora brevemente i resultati principali delle ricerche (*) istituite per (1) Sopra la particolare localizzazione di una colonia batterica nel tubo digerente della larva della Mosca olearia (Rend. Acc. Lincei, vol. XIII, 2° sem. 1904). (2) La descrizione dettagliata di queste ricerche verrà pubblicata insieme alla parte riguardante altri rapporti che intercedono. fra i diversi stadî del ciclo biologico della Mosca e i batteri in questione. — 400 — determinare i caratteri colturali, il riferimento sistematico e l’attività meta- bolica di questi batteri in relazione alla biologia della larva stessa e più particolarmente in rapporto a una funzione digestiva che questi microorga- nismi eventualmente potessero compiere, mancando, come dimostra l'osserva- zione diretta, qualsiasi conseguenza patologica di questo loro enorme accu- mulo nel tubo digerente. Caratteri colturali. — Questi batteri sono coltivabili sopra i terreni ordinari per aerobî, le colture per anaerobî fatte da diluizioni del contenuto dei ciechi gastrici sono restate sempre sterili. Le colonie che si ottengono sopra agar-agar peptonizzata dopo 15-24 ore a 30° C. sono a contorno circo- lare e intero, salienti, di 1 mm. al massimo di diametro, gialle ocracee, sempre provviste di un conglomerato centrale costituito da elementi capsulati che dopo 4-6 giorni si mostrano per lo più straordinariamente moltiplicati e riu- niti in zone concentriche, più o meno regolari, limitate verso l'esterno da bacilli mobili; le capsule però che si formano successivamene con lo svilup- parsi delle colonie hanno origine indipendentemente dagli elementi capsulati centrali; il periodo d'incapsulamento s intercala con ritmo regolare alle ordi- narie generazioni di batteri liberi. Lo sviluppo su gelatina è assai lento, la gelatina è poi liquefatta. I caratteri presentati dalle colonie sopra agar-agar costituiscono una nota dia- gnostica sicurissima; è per questo che nel presente riassunto tralascio la descrizione degli altri caratteri colturali. Le colonie gialle sono formate da un bacillo assai corto d'aspetto quasi cocciforme (w 1 -1,5 X 0,5 - 0,75), la sua lunghezza sopra i terreni ordinari non è che un quarto circa di quella che esso presenta sotto l'influenza di un nutrimento costituito essenzialmente da sostanze grasse, un tale allungamento subisce pure nell'intestino della larva. Gli elementi mobili presentano, coloriti col metodo di Van Ermengem ('), cinque lunghe ciglia disposte ugualmente intorno al corpo. Il pigmento giallo non è solubile, esso fa parte integrante della membrana cellulare. Riferimento sistematico. — La presenza di capsule voluminose racchiu- denti uno 0, più frequentemente, un numero grande di batteri, talvolta para- gonabili a vere zooglee, fa riportare questo microorganismo a quel gruppo di bacilli capsulati per i quali Babes aveva stabilito il genere Ascobacte- rium {*); nel qual gruppo attualmente si conoscono, oltre la specie descritta da questo autore, il Bacillus citreus Eisenberg (3) (Ascobacillus citreus Unna (1) Cfr. W. Kuntze, Zinige Bemerkungen tiber die Fàrbung der Geisseln, beson- ders ber das Verfahren von van Ermengem. (Centrbl. f. Bakt. I Abt. Bd. XXXII, 1902, pag. 550). (2) Cornil et Babes, Zes Bactéries, 3° édit., 1890. (3) Bakt. Diagnostik, 3 Aufl. 1891, pag. 73. Migula, System der Bakterien, 1900, pag. 842. — 401 — e Tommasoli), il Baci/lus capsulatus roseus Ajtay e il B. capsulatus Tri- folii Petri('). Il bacillo isolato dalla larva della mosca olearia è da riportarsi a que- st'ultima specie, i caratteri morfologici e colturali della quale ho già lunga- mente descritto nel lavoro citato e che coincidono quasi totalmente con quelli dell'Ascobacterium luteum e con quelli del Bacdllus citreus; con ogni pro- babilità si tratta di varietà o semplicemente di forme della specie primiera- mente studiata da Babes. È un bacillo molto comune nei terreni ricchi di sostanze umiche, si trova costantemente nel suolo degli oliveti ed è stato isolato anche dalla corteccia dei rami delle stesse piante di olivo (2); non l’ho mai potuto tro- vare nel pericarpio delle olive sia sane che attaccate dalla larva, nei casi d'incrisalidamento nel frutto stesso però questo bacillo si può ritrovare nella galleria scavata dalla larva come un prodotto dell’escrezione effettuata alla fine del periodo larvale. Il pericarpio dell'oliva non costituisce un terreno favorevole allo sviluppo del bacillo, degenerandovi molto presto per l'acidità che sopravviene. Nei periodi larvali che ho potuto esaminare esso non è mai ingerito insieme al nutrimento. Le larve della lunghezza di 14 mm. mostrano gia i quattro ciechi com- pletamente pieni di bacilli racchiusi nell’intima intestinale. È degno di nota che questo accumulo di batteri costituisce circa un decimo del volume totale del corpo della larva, ed è pure degno di nota il fatto della loro localizza- zione in una regione dell'intestino eminentemente ghiandolare. D'altra parte la loro omogenea e forte colorabilità coi reattivi coloranti in tali condizioni di vita e i resultati colturali (3) dimostrano che nei ciechi proventricolari non avviene mai una batteriolisi. Il polimorfismo che si osserva nei terreni colturali vien mostrato dal bacillo anche nella sua vita intrain- testinale, le capsule si formano sempre in seguito ad arresto nell’alimentazione della larva per cause patogene indipendenti dalla presenza dei batteri. Prima d'incrisalidarsi la larva si svuota completamente di questi ultimi. Le piastre inoculate con le diluizioni dei prodotti d’istolisi della ninfa sono restate sempre sterili, egual resultato hanno dato diluizioni derivate dagli organi genitali e dall’intestino dell'insetto perfetto. L'analisi batteriologica venne fatta però nel mese di dicembre e le mosche femmine esaminate erano prive di uova; se quest'ultime contengano già i bacilli della larva, sara oggetto di ulteriori ricerche. (1) Di un nuovo bacillo capsulato e del significato biologico delle capsule. Nuovo Giorn. Bot. It., vol. X, 1903. (2) Per cortese comunicazione del dott. R. Schiff-Giorgini. (3) Le piastre corrispondenti alla 82 diluizione di una parte del contenuto delle tasche ‘gastriche dànno comunemente 20 colonie del B. capsulato per cm?. senza alcuna im- purità. — pes Attività metabolica del bacillo. — Per ossidazione delle sostanze idro- carbonate produce grandi quantità di acido ossalico, non riduce la laccamutfa, nè produce indolo. È un acidificante assai energico, ma neutralizzando gli acidi man mano che vanno formandosi, si può porre in evidenza una minima quantità di ammoniaca nelle colture liquide di peptone di carne. Nel periodo d'incapsulamento produce una sostanza di consistenza mucillagginosa che ha le proprieta della mucina e della pectina. La sua resistenza agli acidi è debolissima; basta il 0,01 °/, di acido tartarico per arrestarne o impedirne qualsiai sviluppo. La sua resistenza agli acidi grassi è molto più grande. Secerne un enzima proteolitico disciogliente la gelatina e peptonizzante il latte. Le ricerche fatte per stabilire la sua azione sopra l’olio di oliva hanno condotto ai seguenti risultati. Colture in una soluzione di questa compo- sizione : Peptonetsecco digeamene Me e Or ClorurofdiSOdIOMMMEMNS.. . en] Acqua ‘distillataf*liaztot. -. ee RO) a cui viene aggiunto il 3 °/, di olio di oliva e un'opportuna quantità di car- bonato di calcio precipitato, al 5° o 6° giorno presentano l'olio d'aspetto schiumoso facilmente divisibile in goccie che gradatamente si trasformano in grumi irregolari, bianchi che al 12° o 15° giorno cadono al fondo. Il liquido colturale è ora limpido, i batteri trovandosi totalmente accumulati sopra le goccie d'olio. L'analisi delle colture fatta secondo il metodo indicato da Schreiber (1) permette di stabilire alcuni dati importanti; riporto qui sotto due dei resul- tati ottenuti, che possono essere considerati come termini estremi di una stessa serie. Olio prima dell’esperienza Olio dopo l’ esperienza Durata dell’ esperienza È Acidi grassi È } Acidi grassi Olio Olio neutro liberi Somma Olio neutro ROS O AA Somma distratto | grammi grammi grammi grammi grammi grammi grammi 12 giorni... | 3,98520 | 0,06480 | 405000 | 3,41480 0,62040 | 4,03520 | 0,01430 40 giorni... | 4,47720 | 0,07280 | 4,55000 || 0,49520 1,41000 | 1,90520 | 2,64480 Da questa tabella si rileva che lo sdoppiamento del trigliceride non è proporzionale alla quantità della sostanza grassa riassorbita per parte del bacillo; infatti il tenore in acidi grassi liberi dopo i primi 12 giorni sale da 1,60 °/, a circa il 15°/ corrispondentemente a una distruzione di olio del 0,36 °/,, mentre dopo 44 giorni gli acidi grassi liberi rappresentano (1) Schreiber K., Fettzerseteung durch Mikrorganismen (Archiv fir Hygiene, 1902, pag. 328). — 403 — il 74°/ in peso dell'olio rimasto, e quello distrutto è il 58 °/, di quello primitivo. Questi dati fanno supporre che l’azione lipolitica dei batteri si effettui per mezzo della secrezione di un ectoenzima diffondentesi nel li- quido colturale. Infatti quest'ultimo, filtrato e messo a contatto di monobu- tirrina, mostra un potere lipolitico assai energico, con un opt/mum d'azione a 58°-60° C. A 80° C. cessa qualsiasi produzione di acido butirrico. Il liquido colturale filtrato e bollito non agisce sopra la monobutirrina. La curva d'azione seguìta per 36 ore ha un andamento che coincide con quello di una logaritmica, essa segue quindi la legge degli enzimi in generale, e in particolare coincide coi dati ottenuti da Hanriot(!) con le lipasi estratta dal siero del sangue e dal succo pancreatico. Quest'azione idrolizzante dei batteri sopra l’olio d'oliva scomparisce negli individui delle vecchie colture; in tal caso si ottiene un emulsionamento costante e l'olio prende l'aspetto di un latte. Quest'azione emulsiva non è di natura lipolitica, piuttosto è da riportarsi alla produzione di minime quan- tità di ammoniaca. L'analisi fatta di una delle colture ha dato questi resultati: Olio prima dell'esperienza Olio dopo l'esperienza Durata dell'esperienza 3 Acidi grassi È Acidi grassi Olio 1 t SÌ ] tr Sì CE nt DR ONORE E tg TISANE distrutto grammi grammi grammi grammi grammi grammi grammi 30 giorni... | 2,98644 | 0,04856 | 3,03500 || 2,91520 0,11280 | 3,02800 | 0,00700 La quantità d'olio distrutto rientra negli errori d'analisi. L'azione lipolitica dedotta dal tenore di acidi grassi posti in libertà alla fine dell’esperienza è minima; il liquido colturale filtrato non ha azione apprezzabile sulla monobutirrina. I processi di antolisi secondo il metodo di Levy e Pfersdorff (2) dànno un prodotto con lieve potere idrolizzante; la pre- senza di un ectoenzima venne ancora dimostrata col metodo colturale di EijEmann (8). Il valore dell'azione lipolitica dei batteri studiati da Rubner (') e da Schreiber è assai inferiore a quello raggiunto dal bacillo della Mosca olearia, come si può facilmente assicurarsene confrontando la prima tabella con quelle date da Shreiber per specie isolate del terreno. Ma il fatto importante e per quanto io sappia posto in luce per la prima volta, è la secrezione abbondante di una lipasi da parte di batteri. Questo fatto posto in relazione all’altro, (!) Soc. de Biologie, 1896, 97. (2) Centralbl. fiir Bakl. (I) Bd. 29 pag. 841. (3) Deutsche med. Wochenschr. Bd. 28. (4) Archiv ftir Hygiene Bd. 38. RenpIcONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 50 — 404 — cioè della localizzazione di questi microrganismi nell'intestino della larva della Mosca olearia il cui nutrimento è costituito in gran parte da sostanze grasse, fa credere che fra larva e batteri esista un rapporto simbiotico basato sulle proprietà metaboliche supplementarie dei due organismi. Per quanto alcuni dei resultati ai quali sono giunto facciano ritenere probabile una tale conclusione, la dimostrazione ne sarà possibile soltanto con ulteriori ricerche ora in corso. Patologia vegetale. — Intorno alla malattia del Riso detta Brusone. Nota del dott. Uco BrIzI, presentata dal Corrispon- dente G. CUBONI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisiologia. — Sw disegni cutanei dei vertebrati in rapporto alla dottrina segmentale(*). Nota preliminare del dott. G. van RyNBERK, presentata dal Socio L. LUCIANI. L'importanza dello studio dei disegni risultanti dalla varia pigmenta- zione della cute e delle appendici cutanee degli animali, è stata già rico- nosciuta da Charles Darwin (2), e dopo di questi da A. Weisman. Essi con- sideravano i disegni cutanei specialmente come fenomeni d'ordine biologico generale e come interessanti esponenti dell'evoluzione morfologica delle specie. Ma Teodoro Eimer è stato il primo a dedicare ai disegni cutanei una serie di ricerche apposite e sistematiche in base alle quali egli ha potuto formu- lare un corpo di dottrine riguardanti il significato biologico e l'evoluzione filogenetica dei disegni nelle più svariate classi d'animali. Nei suoi numero- sissimi lavori sull'argomento egli emise una tesi assai attraente sull'ufficio protettivo dei disegni in rapporto a determinate condizioni dell'ambiente e specialmente in rapporto alla natura della vegetazione. Poi fissò e descrisse i quattro tipi principali del disegno e stabilì alcune leggi sull'evoluzione di questi tipi in rapporto all'evoluzione delle condizioni primitive della vege- tazione paleofitica. Queste leggi, desunte da confronti filogenetici, cercò poi di mostrar esatte anche in base agli elementi d'osservazione forniti dal ciclo ontogenetico percorso in diverse specie animali dalla pigmentazione cutanea. Qui non posso dilungarmi sulle dottrine dell’ortogenesi, della genepistasi ecc. che Eimer emise e trattò specialmente in base ai suoi studî sui disegni ed (1) Lavoro eseguito dall'Istituto Fisiologico della R. Università di Roma. (2) La bibliografia verrà data per esteso nel lavoro completo. — 405 — in prima linea su quelli delle farfalle. Mi limito a ricordarle ed a rilevare che tutta una serie d'’autori posteriori affrontarono sulle traccie di Eimer i problemi svariati e profondi da lui per primo delineati. Fra questi sono da nominarsi tre suoi allievi: Maria von Linden, Jonathan Zenneck e C. Fickert, poi Franz Werner, L. Kerschner, A. Sokolowsky, H. Gadow, G. Tornier. Tutta questa scuola però ha lavorato sui disegni cutanei dal punto di vista della dottrina filogenetica e della sistematica zoologica. In gran parte indi- pendenti dai precedenti, altri invece studiarono con indirizzo diverso il deter- minismo diretto, morfologico e funzionale che regola la configurazione a di- segno del pigmento cutaneo. Primo tra questi diede un importante contributo l'americano Harrison Allen, che indicò un gran numero di curiose correlazioni tra le peculiari condizioni di determinate regioni della cute (spazi intermusco- lari, decorso di nervi, zone ricche di glandole sebacee ecc.) e la frequente localizzazione di speciali pigmentazioni e pelosità. Altri, come Jacques Loeb e Zenneck, credettero poter dimostrare l’esistenza d'un rapporto tra la distribu- zione dei vasi sanguigni embrionali ed il depositarsi di pigmento in speciali zone di cute. A Graf, in alcune specie d’irudinee, dimostrò che la configu- razione delle strie di pigmento corrisponde in quelle forme agli spazi inter- musculari. Tornier, in un ampio lavoro sugli amfibi, crede poter escludere che vasi o nervi abbiano alcuna importanza nella configurazione a disegno del pigmento cutaneo. Io, in un lavoro sui pescicani (.Scyllium Catulus e Sc. Camicula) credetti poter dimostrare che la disposizione e l'estensione delle strie trasversali scure presentate da quegli animali, corrispondano a dei gruppi di metameri cutanei più pigmentati dei rimanenti. A questo punto stava il problema del determinismo morfologico e fisio- logico dei disegni cutanei. Come si vede le poche ricerche relative discor- dano pienamente nei loro risultati, cosicchè l'aver io ripreso la questione mi sembra 4 priori giustificato. L'importanza dei rapporti tra il sistema nervoso e la pigmentazione cutanea sì è andata affermando sempre più negli ultimi decenni. Ricordo qui soltanto gli esperimenti antichi di G. Pouchet sull’ufficio regolatore esercitato dal sistema nervoso sul pigmento cutaneo di svariate specie animali, e la polemica che seguì la loro pubblicazione. Ricordo ancora le osservazioni di casi di precoce canizie intervenuta nel volgere di poche ore in persone sane in seguito ad acuti patemi d'animo. Oltre a ciò la dermatologia (Blaschko) e la neuropatologia (Head) hanno accumulato le prove dimostranti l' influenza esercitata dal sistema nervoso sul trofismo cutaneo. Finalmente l' istologia ha scoperto la ricchezza in fibre nervose delle cellule pigmentate nella cute, specialmente dei pesci. Tutto ciò rendeva razionale una ricerca intesa a veri- ficare se i rapporti tra sistema nervoso e trofismo cutaneo si manifestano anche nella configurazione a disegno del pigmento. — 406 — Preludendo a quanto esporrò in appresso, dirò già fin d'ora che io credo d'aver potuto mettere in evidenza che le linee generali della distribuzione del pigmento cutaneo presentano in una serie di casi delle peculiarità del tutto simili a quelle della innervazione segmentale (metamerica) della cute. La corrispondenza in alcuni di questi casi è tanto grande che si impone logi- camente la necessità d'ammettere l'esistenza d'un nesso causale tra i due or- dini di fatti, nel senso che la distribuzione del pigmento cutaneo è regolata dal sistema nervoso centrale (radici e segmenti spinali, gangli intervertebrali e della catena del G. simpatico, nervi encefalici e loro nuclei e gangli). Per dimostrare che realmente lo schema fondamentale della pigmenta- zione cutanea è in molti casi l'espressione delle peculiarità topografiche e funzionali della innervazione metamerica della cute, è indispensabile rias- sumere almeno in brevi parole il complesso delle nostre cognizioni attuali su quest'argomento, perchè risultanti da ricerche in parte assai recenti e non molto conosciute. L'innervazione metamerica, radicolare, spinale o segmentale della cute risulta dalla distribuzione seriale in essa delle fibre afferenti (sensitive), dei gangli intervertebrali (e delle radici posteriori) e delle fibre efferenti (pilomotrici vasomotrici, secretrici ecc.), dei gangli della catena del G. simpatico (delle radici anteriori e dei segmenti spinali). Queste fibre si recano ad innervare rispettivamente delle aree cutanee continue, disposte serialmente in correla- zione all'ordinamento seriale metamerico dei segmenti, delle radici, dei gangli e dei nervi spinali. La topografia delle aree innervate dai gangli intervertebrali (radici posteriori), i cosidetti « dermatomi » (Kollmann e Bolk) è in massima uguale a quelle delle aree dipendenti dai gangli simpatici corrispondenti, ma quelle sono assai più estese di queste (Langley, Sherrington). Sul collo, sul tronco e sulla codai dermatomi assumono la forma di bande circolari che fa- sciano il corpo dalla linea mediana dorsale a quella mediana ventrale, in modo che il loro asse dorso-ventrale giace presso a poco perpendicolare all'asse longi- tudinale del corpo. Sulle estremità la disposizione dei dermatomi è alquanto diversa; essi sono « migrati » dal tronco sull'arto ed hanno perduto il contatto colle linee mediane dorsale e ventrale. Invece si stendono tra due linee equi- valenti a quelle: le due linee assiali degli arti (Sherrington), le quali giacciono sulla faccia dorsale e ventrale d'essi, decorrenti perpendicolari all'asse lon- gitudinale del corpo, dalla base degli arti fin verso il loro apice. L'ordinamento seriale dei dermatomi è mantenuto lungo queste linee assiali. Da quanto pre- cede appare che sul collo, sul tronco e sulla coda i confini tra due derma- tomi immediatamente successivi nell'ordine seriale sono costituiti da linee semi-circolari che a dus a due cingono il corpo. Sugli arti invece da linee semi-circolari che dalla linea assiale dorsale vanno a quella ventrale dell'arto. Sul collo e sul tronco le linee mediane dorsale e ventrale rappresentano i confini tra i dermatomi di destra e di sinistra. Sugli arti invece le linee — 407 — assiali separano dermatomi non immediatamente successivi nell'ordine seriale (limiti di differenziazione di Bolk). Questi confini non hanno però nulla di assoluto perchè i dermatomi si ricoprono reciprocamente in parte (Eckhard, Sherrington) sicchè tutt'al più si può parlare di confini medi dei ‘derma- tomi. Fin qui alcuni dati generici sulla disposizione dei dermatomi. In quanto alla peculiarità funzionale di queste unità metameriche, è da rilevarsi quanto segue. Per studiare il modo di funzionamento intimo delle unità metameriche si segue il metodo dell’« isolamento » d’un dermatoma: si tagliano cioè tre o quattro radici posteriori cranialmente ed altrettante caudalmente ad una, la cui area di distribuzione si vuole studiare (metodo della sensibilità persi- stente, Sherrington). Sulla cute si ottiene allora un'area ove la sensibilità persiste, circondata da aree insensibili. L'area sensibile è il dermatoma iso- lato che corrisponde alla radice lasciata intatta; le aree insensibili corrispon- dono alle radici tagliate. Una lunga serie di ricerche del neurologo d'Amster- dam, Winkler, alle quali ho avuto l'onore d'esser stato associato, ha messo a profitto questo metodo per studiare le peculiarità dell’innervazione cen- trale nei singoli dermatomi. La prima e più importante conclusione alla quale noi siamo arrivati in quello studio, è che l’estensione e la forma dell'area sensibile isolata nei mammiferi non corrisponde mai del tutto alla forma ed all'estensione che il dermatoma reale possiede secondo le ricerche anatomiche sull'uomo (Bolk) e secondo quelle sperimentali sul pescecane (Van Rynberk). Ciò ne condusse a contradistinguere nel dermatoma un'area centrale la quale è rappresentata dall'area sensibile isolata, ed una zona marginale rappre- sentata dal resto del dematoma divenuto insensibile. La seconda conclusione nostra fu che l’estensione e la forma dell’area centrale isolata dipendono da due fattori: dalla maggiore o minore conducibilità rimasta alla radice iso- lata dopo il trauma operatorio (fattore incostante), e dalle peculiari condizioni dell'innervazione periferica costituite dal numero, decorso e lunghezza dei rami nervosi cutanei (fattore costante in ogni specie animale). I particolari di questa conclusione si possono formulare come segue: 1. L'area centrale assume varia forma ed estensione a seconda dell’in- tensità dell’innervazione radicolare isolata. [ Trauma della radice — caricatura del dermatoma (Winkler)]. 2. Le caricature del dermatoma possono consistere in un graduale restrin- gimento od in una frammentazione dell’area centrale. 8. Il numero di frammenti corrisponde al numero dei rami nervosi cu- tanei destinati ad un dermatoma, che si staccano dal nervo misto. 4. In ogni frammento esiste un massimo d' innervazione che corrisponde al punto ove il ramo nervoso cutaneo perfora la fascia e penetra nel sotto- cutaneo. (Nel cane vi sono tre di questi massimi: uno ventrale, uno laterale, ed uno dorsale il quale è il più forte di tutti). — 408 — 5. L'esistenza di questi « massimi » è l’espressione della legge generale che in un territorio cutaneo sensibile i punti più lontani del centro nervoso (i più eccentrici quindi) posseggono meno intensa innervazione, mentre i punti più vicini al centro posseggono massima sensibilità (Van Rynberk). 6. Nei mammiferi l'intensità funzionale dei singoli dermatomi del tronco è maggiore nelle aree dorsali che in quelle laterali e ventrali. A queste ricerche e conclusioni noi aggiungemmo un’altra serie per stu- diare l’importanza dell'ufficio d'ogni dermatoma nella serie normale dei me- tameri cutanei. Ciò noi studiammo abolendo col taglio d'una, due, tre radici posteriori la sensibilità in uno solo, in due, in tre dermatomi. I risultati furono: 7. L'abolizione della funzione d'una sola radice posteriore dà sul tronco un piccolo territorio ventrale d'insensibilità avente forma triangolare. 8. L'abolizione della funzione di due radici successive dà sul tronco un lembo dorsale ed un lembo ventrale d' insensibilità. 9. L'abolizione di tre 0 più radici successive dà sul tronco una zona continua d'insensibilità a fascia intorno al corpo. In base a queste risultanze ci fu possibile affrontare anche il problema complesso e difficile della disposizione dei dermatomi sulle estremità. Le nostre conclusioni per quel che interessano l'argomento che mi occupa oggi, sono: 10. Sull'estremità « migrano » soltanto le aree laterali dei dermatomi. 11. Le aree dorsali e ventrali restano sul tronco in corrispondenza delle linee mediane dorsale e ventrale. Sono ridottissime e le prime mancano ai metameri apicali (7° ed S° cerv. nell’arto anteriore). Un altro fatto importante per il mio argomento fu scoperto dall’anato- mico di Leyden, Langelaan, il quale trovò che 12. Nell'uomo alcune zone di cute in corrispondenza ai confini medi dei dermatomi sono normalmente ipersensibili. Nelle mie ricerche sui disegni io ho seguìto la divisione dei quattro tipi d' Eimer, cioè degli animali a manto uniforme, a striatura trasversale, a stria- tura longitudinale, a manto maculato. Prima però di dare le conclusioni alle quali sono arrivato, è necessario premettere alcuni cenni intorno ad un pro- blema di primaria importanza che riguarda la definizione stessa dell'oggetto del mio studio, cioè il significato da attribuirsi alla parola, « disegno ». In un animale qualunque il disegno risulta dall'azione, in un certo modo di con- trasto, di almeno due colori o tinte presenti sulla sua cute. Quando esiste una grande sproporzione nell’estensione dei due colori, pare in un certo modo evidente di definire come « fondo » del manto il colore più esteso, e come disegno quello meno. Così in un cane bianco avente due macchie nere sim- metriche sul capo sembra evidente che il bianco rappresenta il colore del fondo, ed il nero il colore di contrasto, il colore di « stacco » (Allen), il « disegno » insomma. Parimente in un cavallo nero avente una stella bianca sul — 409 — petto, il colore nero rappresenta il colore di fondo e la stella bianca lo «stacco » o disegno. Ma quando l'estensione in superficie dei due colori è pressochè eguale, è difficile decidere, come nei casì citati, quale colore rap- presenti il fondo e quale il disegno. Zenneck ha dimostrato che non sì può prendere come regola fissa di considerare come fondo quello più esteso e come disegno quello meno. Io aggiungo che è parimenti assurdo di prendere come regola la foralità del colore e ritenere, per esempio, disegno il colore più scuro. I criteri estetici non possono dunque risolvere il problema. Rimangono quindi i criteri biologici, morfologici e funzionali. Applicando questi criteri io credo di poter dimostrare dall'osservazione ed analisi di una serie di casi che la semplice distinzione antitetica « disegno » e « fondo » non basta alla interpretazione razionale delle svariate modalità della pigmenta- zione cutanea e della sua configurazione. Credo che conviene distinguere al- meno tre elementi, dalla cui combinazione completa o parziale risulta il « di- segno » preso in senso lato. La distinzione di questi tre elementi è ottenuta dall'aver introdotto nel problema un criterio quantitativo. Dato il primo esempio ora citato, è evidente che le orecchia nere del cane bianco rappre- sentano un in più di pigmentazione; quindi ciò che io chiamo uno stacco isolato d'eccesso. Invece la stella bianca sul petto del cavallo nero rappre- senta un in meno rispetto al resto del corpo; quindi lo chiamo uno stacco isolato di difetto. Quando poi si ha per esempio un animale a manto pre- valentemente fulvo ma con poche macchie nere e bianche, è chiaro che si trovano allora riuniti non meno di tre elementi diversi: il colore fondamen- tale, gli stacchi d'eccesso e quelli di difetto. Questi stacchi poi possono de- finirsi più dettagliatamente secondo la loro forma, estensione e topografia. Così chiamerò per esempio stacchi d’eccesso seriali e trasversali le strie scure della zebra, stacchi d'eccesso seriali e longitudinali le strie scure di Gali- dietis, ecc. i Chiarito una volta questo punto di fondamentale importanza, il complesso delle mie osservazioni s'espone facilmente. Infatti posso dire senz'altro che ho trovato che in una larga serie di casi gli stacchi d'eccesso, cioè quei punti o zone di cute presentanti un in più di pigmentazione, sembrano trovarsi precisamente in quei punti o zone ove è più forte anche l’innervazione cu- tanea secondo i risultati delle ricerche più sopra esposte; così le strie nere della zebra si trovano situate in corrispondenza ai confini medi dei derma- tomi ove l'innervazione sensitiva presenta normalmente una sommazione in- termetamerica (Langelaan). Altre volte gli stacchi d'eccesso posseggono esten- sione, forma e topografia che ricordano da vicino le aree centrali dei metameri cutanei, sicchè sorge spontanea l'ipotesi che quegli stacchi d’eccesso siano l'espressione d'una maggior pigmentazione dei segmenti relativi in confronto ai ‘rimanenti metameri del corpo. D'altra parte ho potuto dimostrare parimenti che gli stacchi di difetto spesso si trovano in punti di cute assolutamente iI VE o relativamente eccentrici, ove, come ho esposto sopra, l’innervazione centrale è meno intensa, e che essi presentano altre volte forma, estensione e topo- grafia identiche alle zone d'’insensibilità cutanea consecutiva all'abolizione dell’innervazione in uno o più metameri. Così, per dare un esempio, è fre- quente nei cani e nei cavalli scuri trovare le zampe anteriori bianche ed una stella bianca sul petto. La posizione di questi stacchi di difetto corrisponde dunque esattamente a quella delle aree laterali e ventrali dei metameri api- cali dell'arto. Da tutto ciò traggo argomento a ritenere che gli stacchi di eccesso e di difetto rappresentano nei singoli casi degli in più e degli in meno di pigmentazione dipendenti da una azione nervosa regolatrice della pigmentazione cutanea, la quale presenti tutte le peculiarità dell'innervazione centrale, segmentale o metamerica della cute. Quanto ho esposto fin qui renderà, credo, intelligibile le seguenti con- clusioni sintetiche del mio studio, che sarà pubblicato tra breve. Conclusioni sintetiche. 1. La configurazione a « disegno » del pigmento cutaneo nei vertebrati ò, nei casì presi in esame, l’espressione delle peculiari modalità dell’ inner- vazione metamerica della cute. 2. Nel « disegno » cutaneo inteso in senso lato si possono distinguere tre elementi: il colore del fondo, un colore di contrasto o di « stacco » più scuro (stacco d'eccesso) ed un colore di contrasto più chiaro (stacco di difetto). 3. Negli animali a manto uniforme o quasi, il colore di contrasto più scuro costituisce gli « stacchi isolati d'eccesso » i quali spesso corrispondono : Per la testa: a) a determinati territorî nervosi (stacco d'eccesso del trigemino) od a speciali punti entro quei territorî (punto d’ingresso del nervo nell’'ipoder- mide, stacco d’eccesso ex introîtu, mosca sopraorbitaria). Per il resto del corpo: 6) a determinati metameri cutanei isolati, più pigmentati od a speciali loro parti (massimo dorsale, ecc.). ( Variazione segmentale o metamerica di eccesso; stacchi metamerici d’eccesso); c) a zone di sommazione intermetamerica (linea mediana dorsale degli asini). 4. Il colore di contrasto più chiaro costituisce in quegli animali gli « stacchi isolati di difetto » i quali spesso corrispondono: a) a speciali zone assolutamente o relativamente più eccentriche in riguardo dell’innervazione centrale della cute. (Punta della coda, delle orecchia, ventre; stacchi di difetto per eccentricità); 4) a determinati metameri cutanei non pigmentati. ( Variazione seg- mentale 0 metamerica di difetto; stacchi metamerici di difetto). — 4ll — 5. Il tipo della striatura trasversale di Eimer va diviso in due sotto-tipi. a) a strie scure, larghe, meno numerose dei metameri del corpo (pesci, sauri, serpenti). Corrispondono di solito a gruppi di metameri più pigmen- tati alternanti con gruppi meno pigmentati. (Stacchi metamerici seriali e trasversali d’eccesso); db) a strie scure, strette, più numerose dei metameri del corpo (mam- miferi, zebre). Corrispondono apparentemente a zone di sommazione intermeta- merica. (Stacchi intermetamerici seriali, trasversali d'eccesso). 6. Il tipo della striatura longitudinale di Bimer (stacchi seriali longi- tudinali) comprende: a) pesci, nei quali le strie o le macchie seriali scure sembrano cor- rispondere per numero e per posizione ai rami nervosi periferici che penetrano nell’ipodermide (Stacchi d'eccesso ex dn6rodtu); 5) rettili ed amfibi. A questi forse è pure applicabile l'ipotesi pre- cedente; c) mammiferi. Nei viverridi la striatura longitudinale sembra risultare dalla confluenza in senso longitudinale di macchie isolate disposte nelle zone d'interferenza intermetamerica. (Pseudo striatura longitudinale). 7. Il tipo maculato d’ Eimer comprende: a) mammiferi a manto irregolarmente pezzato. In questi si tratta di fenomeni ereditarî di variazione segmentale (metamerica) d’eccesso e di difetto; 6) mammiferi a manto uniformemente picchiettato. In questi si può trattare di strie frammentate le quali nei generi affini si presentano continue (leopardi). PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLasERNA dà il triste annunzio della morte del Socio nazionale Pietro TAccHINI, mancato ai vivi il 24 marzo 1905; apparte- neva il defunto all'Accademia sino dal 15 dicembre 1882. Il Presidente informa anche la Classe della parte presa ai funerali dell’estinto dall’Acca- demia, la quale fu rappresentata dal Socio CAPELLINI. Il Corrispondente MiLLosevicH legge la seguente commemorazione del defunto Accademico PieTtRo TACCHINI: In una sua villa, a Spilamberto in provincia di Modena, nelle prime ore della sera del 24 marzo decorso, in età di 67 anni e 3 giorni, spegnevasi, dopo lunghe sofferenze epatiche, Pietro TACCHINI (!). (*) L'atto di nascita, comunicatomi dal prof. Chistoni, indica la data 22 marzo 1838 alle ore 33 pom. [Parrocchia S. Maria Pomposa (resa immortale da Muratori) e S. Mi- chele]. Ma poichè il battesimo sarebbe indicato in egual giorno, devesi ritenere che il dì di nascita sia 21 marzo 8h: pom., come sempre asserì il defunto. RenpIcoNTI. 1905, Vol. XIV. 1° Sem. 51 — 412 — A me, suo successore nella direzione del R. Osservatorio astronomico al Collegio Romano, tocca in sorte l'onore, per gentile pensiero dell'illustre nostro Presidente, di dire di Lui davanti a Voi, cari colleghi, e come uomo di scienza e come cittadino; che se brevità di tempo e imperizia di sintesi menomassero la figura di Lui, vogliate essermi larghi di cortese compati- mento. Figlio di numerosa e modesta famiglia, dopo avere nell'Archiginnasio patrio, in Modena, colta in verde età la laurea d'ingegnere, chiamato per vocazione allo studio del cielo, ebbe istruzione astronomica alla Specola di Padova, guidato da Giovanni Santini e più ancora da Virgilio Trettenero. Nell'autunno del 1859, mutata la forma di Governo a Modena, l'astro- nomo Giuseppe Bianchi volle lasciare la direzione dell' Osservatorio, e le autorità locali d'allora chiamarono Pietro Tacchini, nell'età di 21 anni e mezzo, a reggere quell’ Istituto, ma, dietro consiglio di Giovanni Virginio Schiaparelli, nell'autunno del 1863 lasciò il posto di direttore dell’Osserva- torio di Modena, dove i mezzi mancavano per produzione profittevole, e accettò quello di astronomo aggiunto all'Osservatorio di Palermo, la direzione del quale era allora tenuta da Gaetano Cacciatore. Col cerchio meridiano di Pistor e Martins, Tacchini osservò 1001 stelle australi, fra 18° e 29° 39’, nelle loro coordinate equatoriali apparenti durante gli anni 67, 68 e 69; questo è il lavoro d’'astronomia di posizione il più importante che egli abbia compiuto anche per il tempo nel quale venne ese- guito; solo la riduzione a forma di catalogo assai tardò, perchè soltanto nel 1885 il P. Hagen ridusse le eccellenti posizioni all'equinozio medio del 1850,0. Scarsa è l'astronomia di posizione fatta da Tacchini a Modena e a Pa- lermo, più numerosa quella che meco fece a Roma al Collegio Romano, pe- rocchè l'indole del suo ingegno e soprattutto il fortunato contatto che egli ebbe con Angelo Secchi, quando splendida sorgeva l'aurora dell’astro-fisica, diressero la sua attività verso la fisica del sole. Tuttavia qui devesi ricordare che, col concorso del defunto prof. Arminio Nobile, egli fece tutte le osservazioni necessarie per la determinazione della differenza di longitudine fra l'Osservatorio di Palermo e quello di Capodi- monte a Napoli. Dopo il memorando eclisse del 18 agosto 68 i metodi d'osservazione spettroscopica della cromosfera solare e delle prominenze divennero metodi giornalieri. Il desiderio di strappare i segreti, che in sè asconde l'astro del dì, animò una pleiade di scienziati, fra i quali il nostro defunto. Un'occasione propizia per l'Osservatorio di Palermo di arricchire la sup- pellettile scientifica d'un adatto spettroscopio da essere applicato all’equato- riale di Merz, da non lungo tempo montato, occorse proprio allora, chè — 413 — l'ombra della luna coprì, il 22 dicembre 70, la Sicilià da Terranova ad Augusta. Questo è il primo eclisse totale di sole osservato da Tacchini; anche il nostro venerato Presidente prese parte alla spedizione scientifica allora orga- nizzata. È propriamente col principio del 1871 che Tacchini, col nuovo spettro- scopio a visione diretta, incomincia quella serie giammai interrotta di osser- vazioni e di bellissimi disegni della cromosfera e delle prominenze in legame spirituale con Angelo Secchi e con altri astronomi. Di filamenti lucidi, piuttosto che d'uno strato lucido e continuo, subito a Lui apparve formata la cromosfera, e stretto legame ben presto accertò fra facole, macchie e prominenze. Lo studio della inversione delle righe di Fraunhofer nella osservazione delle diverse prominenze all’orlo solare lo condusse alla classificazione e alla distinzione ben nota delle medesime. Il suo studio giornaliero sul sole consisteva nell'osservare per proiezione, come usava il P. Secchi, la fotosfera solare, nel disegnare le macchie e fa- cole che su essa si scorgevano, e nell'esaminare l'orlo del sole collo spettro- scopio, o a prismi o a reticolo, per cogliere nella cromosfera le prominenze, di cui assegnava l'altezza e identificava le righe invertite. Abile disegnatore felicemente riproduceva quanto gli era dato di vedere. Poco dopo l’eclisse di Sicilia, a Secchi e a Lui parve venuto il mo- mento che un organo collettivo delle forze spettroseopistiche italiane fosse necessario, d'onde la creazione della Società degli Spettroscopisti italiani, che trovò appoggio anche materiale dal Governo, e questo per opera di Tacchini. Il primo volume delle Memorie è apparso nel 72. Egli amò questa, si può ben dir, sua Istituzione, e, nel dirigere la pubblicazione, conscarò buona parte della sua attività e a Palermo e, dal IX volume, a Roma. Quando nel 1899 parve a Lui esser venuto il tempo d'un relativo ri- poso, chiamò alla direzione del periodico insieme a Lui il ch. prof. Annibale Riccò, e la pubblicazione delle Memorie, col volume XXVIII, cominciò a Catania. Nei trenta volumi delle suddette Memorie, fra 1872 e 1901, il numero delle Note di Tacchini è stragrande, numerosissimi e graziosi i disegni. Il più gran numero di queste sono statistiche delle sue osservazioni solari di macchie, facole e prominenze; egli aveva assunto un tipo di conteggio e di presentazione dei risultati delle sue osservazioni, che giammai sostanzialmente mutò, mentre generalmente sobrie e corte sono le conchiusioni, benchè, spe- cialmente nei primi anni, e quando collaborava nelle Memorie Angelo Secchi, non manchino polemiche con altri cultori di fisica solare. | Le sue statistiche solari, oltre trovar posto nelle Memorie della Società degli Spettroscopisti Italiani, figurano in brevi riassunti nei Rendiconti del- — 414 — l'Accademia di Francia e più tardi in quelli della nostra Accademia. Nelle Memorie dell'Ufficio Centrale di Meteorologia, quando l'Osservatorio astrono- mico era una sezione, e molto più tardi nelle Memorie dell'Osservatorio, quando questo ritornò Istituto autonomo, sono esposti nei particolari, anno per anno, i risultati numerici con annessi disegni. L’immutato metodo, la continuità e il lungo periodo dànno gran pregio alle sue serie di osservazioni, ed è questo un contributo, fornito dall'attività d'un sol uomo, considerevolissimo, tanto più che è così ribelle la fisica solare al buon volere degli studiosi, armati, come sono oggidì, di mezzi di ricerca varî e poderosissimi e agguerriti nelle alte speculazioni di fisica superiore che, all'infuori dei grossi e sostanziali acquisti conseguiti fin da principio dall'analisi spettrale, una teorica completa e soddisfacente della costituzione fisica del sole è soltanto un desiderio, e può sorgere il dubbio che quanto noi sappiamo o possiamo congetturare per analogia sia al proposito insuffi- ciente. Sono perciò di grande portata tutti gli sforzi che gli uomini, donati all'astro-fisica solare, fecero, fanno e faranno, affinchè l’abbarbagliamento spi- rituale, che deriva, si direbbe volentieri, dalla troppo viva luce del sole, sia tolto un giorno di mezzo. Disegnatore, come dicemmo, felice, in varî tempi produsse disegni del disco di Giove e tentò quelli del disco di Venere, ma è noto che, sì o no, veggonsi in Venere incerte e fugaci sfumature, tanto che la definitiva risolu- zione della durata della rotazione non può essere sperata che dal metodo di Doppler-Fizeau. Nel 1874 egli inizia la serie dei viaggi nell'occasione del celebre pas- saggio di Venere sul disco del sole, che egli osservò a Muddapur, in India, in compagnia del defunto Alessandro Dorna, dell’attuale direttore dell'Osser- vatorio di Arcetri Antonio Abetti e colla collaborazione di altri due osservatori. I tempi dei contatti del lembo di Venere col lembo del sole, osservati col metodo spettroscopico e col metodo ordinario soltanto nell’uscita di Ve- nere dal sole, paragonati coi tempi assegnati dalla teoria costituiscono un argomento di studio importante, e il metodo. spettrale usato in tal genere di osservazione, la quale diede luogo a tante discussioni a proposito dei pas- saggi del secolo XVIII, aggiunge pregio alla Memoria, che fu pubblicata nel 1895 a Palermo. 1 Più tardi, nell'altro passaggio di Venere del 1882, che osservammo nelle entrate assieme a Roma, è risultato ad evidenza che il metodo spettrale riesce più preciso del metodo ordinario nell’osservazione del primo contatto, mentre in incerta vittoria gareggia con questo nel secondo contatto. Non ritornò subito Tacchini in Europa dopo il passaggio di Venere del- l' 8 dicembre 1874, ma, associatosi ad una spedizione inglese, il 6 aprile 1875 si recò a Camorta, nelle isole Nicobar, per osservare l’eclisse totale di sole, che aveva una durata notabile di circa 4"!/,, ma il cielo fu avverso, e non permise di osservare proprio nel periodo della totalità. — 415 — Nel Bullettino Meteorologico del R. Osservatorio di Palermo ricerche meteoriche e climatiche locali e dell’isola occuparono il nostro defunto, e il suo spirito attivo e naturalmente disposto all’organizzazione di cose nuove lo attirò a Roma quando, dopo il Congresso meteorico internazionale, sorse l’idea, nel 79, di creare un Ufficio Centrale di Meteorologia sul modello di quelli altrove esistenti, benchè già da parecchi anni esistesse in Italia, e alla dipendenza del Ministero d’Agricoltura e Commercio, un servizio meteorico. Sotto gli auspici dei quattro Ministeri della Marina, dell’ Istruzione Pubblica, dei Lavori Pubblici e dell'Agricoltura e Commercio fu creato 1 Uf- ficio Centrale di Meteorologia. Egli accettò l’offertogli carico di Direttore colla condizione che l’Istituto trovasse posto al Collegio Romano, sottraendo ai Gesuiti l'Osservatorio astro- nomico che ad Angelo Secchi, ‘già allora da 16 lune trapassato, Ruggero Bonghi aveva lasciato in cura. Il Ministro dell'Istruzione Pubblica d'allora fece paghi i desiderî del nostro Tacchini, e l'Osservatorio astronomico al Collegio Romano divenne una Sezione dell'Ufficio Centrale di Meteorologia per acquistare un'altra volta la propria autonomia nel luglio 1891. Appena sistemato il nuovo Istituto, Tacchini curò la creazione di nuovi servigi, d'onde nacquero il Bollettino meteorico giornaliero, oggi entrato nel 27° suo anno di vita, la Rivista meteorico-agraria decadica, il servizio dei temporali, le osservazioni necessarie per la costruzione d’una carta magne- tica d'Italia, dovute prima a Ciro Chistoni, poi a Luigi Palazzo, e finalmente gli Annali dell'Ufficio Centrale di Meteorologia. Il 17 maggio 82 Tacchini osservò a Sohage in Egitto in condizioni ec- cellenti l’eclisse totale di sole in compagnia delle missioni inglese e fran- cese; in questa circostanza egli potè applicare il metodo spettrale nell'osser- vazione di tre sui quattro contatti con vantaggio in confronto del metodo ordinario. È in questo eclisse, durante la totalità, che videsi un pennacchio iso- lato in vicinanza del sole, pennacchio che venne allora giudicato non esser altro che una cometa. Una missione francese, organizzata dall'Accademia delle scienze, offrì il mezzo a Tacchini di prendere parte alle osservazioni dell’eclisse totale di Sole all'isola Carolina nel Pacifico Australe, il 6 maggio 83. Collo spettroscopio a reticolo osserva il primo contatto coll’ equatoriale di Plòssl di 5 pollici d'apertura, mentre col cercatore di Cooke osserva il secondo; durante la totalità esamina lo spettro d'una grande protuberanza, indi coll’osservazione diretta scorge due regioni di alti getti fini argentati, cioè è sicuro di vedere due prominenze bianche; la questione se questi getti argen- tati, o vogliansi dire prominenze bianche, appartengano alla cromosfera colle sue ordinarie espansioni rosee e radiazioni monocromatiche o piuttosto alle — 416 — basse e vive regioni della corona io credo non sia risoluta, e forse, come sospettò Tacchini stesso, la creduta cometa, di cui sopra accennammo, potrebbe altro non essere che uno di codesti getti bianchi argentei. Da S. Giorgio di Grenada, in data 4 settembre 1886, Tacchini inviava una lettera al Presidente della nostra Accademia, colla quale lo informava dell'esito delle osservazioni da lui eseguite durante l’eclisse totale di sole del 29 agosto; era la quarta spedizione da lui compiuta col consueto proposito. Questa volta erasi associato alla spedizione inglese guidata da Lockyer. Anche in questo eclisse, come nel precedente, il nostro caro collega accerta l’esistenza di prominenze bianche; anzi egli dice che le prominenze, che si veggono soltanto durante la totalità, sono bianche almeno nelle parti le più elevate, e che durante la totalità, certamente si veggono prominenze invisibili col metodo spettroscopico consueto in pieno sole. Ometto di dire alcun che delle altre due spedizioni in Russia ed in Al- geria, ambedue in compagnia di Annibale Riccò, perchè la prima ebbe av- verso il cielo, e nella seconda, che raggiunse lo scopo, la corta durata della totalità, il 28 maggio 1900 a Ménerville in Algeria, non permise ricerche nuove ed importanti. Gli studî sismici in Italia, nati per iniziativa individuale, lentamente trovarono nell'ultimo ventennio del secolo scorso appassionati cultori, così che ben presto essi entrarono nell'orbita ufficiale per impulso di Tacchini e del Consiglio Direttivo di Meteorologia, d'onde l'Ufficio Centrale di Meteorologia divenne anche di Geodinamica. Osservatori sismici nacquero in Italia per iniziativa del Governo, o apparecchi sismici si affidarono ad Osservatorî me- teorici. I buoni principî di meccanica applicati alle macchine sismiche resero possibile la registrazione delle vibrazioni del suolo anche provenienti da pa- rosismi lontanissimi; di qui un cumulo di notizie frequenti di terremoti, di qui la necessità di pubblicazioni rapide per uso degli studiosi. In aiuto del Governo Tacchini iniziò la Società Sismologica Italiana, della quale tenne la Presidenza fino al giorno della sua morte. È sua l’idea di erigere, come fu eretto, l'Osservatorio Etneo, il più ec- celso degli Osservatorî di montagna, che sorsero sotto la sua Direzione. L’Os- servatorio astro fisico di Catania, strettamente all’ Etneo collegato, sotto un'unica ed illuminata Direzione entrambi, ebbe l’onorifico carico della foto- grafia celeste (Carta e Catalogo) per la zona fra + 46° e + 55° dietro ini- ziativa di Tacchini, che presenziò, come Delegato per l'Italia, il Comitato in- ternazionale creato per quel proposito. La suppellettile scientifica del R. Osservatorio astronomico al Collegio Romano ebbe, per opera di lui, radicale trasformazione, e da Enrico Santoro, mecenate illustre, ebbe i 39 centimetri di Steinheil, che insieme al Cooke di Cerulli, occupa il secondo posto in Italia fra gli oggettivi delle nostre — 417 — specole. Predilezione assidua ebbe per il Museo astronomico, dove depose, a titolo di dono, le miscellanee scientifiche, che egli possedeva. Tale è, amati colleghi, in brevissime linee riassunta l’attività di pen- siero e di esecuzione di cose di quest'uomo, che aveva la rarissima qualità di organizzatore di imprese ed istituzioni scientifiche e la tenacia di volerle attuate, locchè domanda la scienza del reggimento degli uomini e delle cose. La rapida e fortunata carriera lo abituò fin da giovane al comando, e il suo carattere, atavicamente forte, fu dalle circostanze rinforzato. Il Governo, le Accademie e le Società scientifiche ricompensarono il suo valore; ricordo qui soltanto, per brevità, che egli era Cavaliere dell'Ordine Civile di Savoia; membro di insigni Accademie ed Istituti Italiani oltre l'essere Socio Nazionale nella nostra Accademia; membro della Società dei XL e delle Società astronomiche tedesca, francese e belga; era editore associato del gior- nale Astrofisico di Chicago, ed ebbe la medaglia d’oro di Rumford per le sue assidue osservazioni solari. Visse celibe, e fu sobrio come tutti gli uomini di forte volere; amò intensamente fratelli, sorelle e nipoti, a cui fu largo di aiuto e di consiglio ; sentì l'amicizia e seppe beneficare, ebbe spirito liberale senza pregiudizi ed accostò uomini insigni. Ti porgono l'estremo saluto per mezzo mio, o Pietro, i tuoi colleghi e 1 tuoi amici; essi, nel prendere da te commiato, si sovvengono della frase memorabile che gli uomini muoiono, ma che le Istituzioni da essi create non muoiono. Il Presidente BLAsERNA aggiunge le particolari sue notizie sull'opera del Socio Tacchini, parlando de’ suoi lavori sulla spettroscopia del sole, e ricordando i meriti che egli ebbe nell'impianto del servizio meteorologico in Italia. E rammenta del pari i preziosi servizi che il Socio Tacchini rese all'Accademia come Amministratore attivissimo ed accorto, tutelandone effi- cacemente gl' interessi. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle dei Soci TARAMELLI e PINcHERLE, dei Corrispondenti PASCAL, Rayna M., Saccarpo, del Socio straniero AuWERS; e dei signori RosEN- 2uscH, NorpGAARD e JORGENSEN. Il Presidente BLASERNA, presenta diciassette volumi del Catalogo in- ‘ternazionale della letteratura scientifica, rilevando la importanza di questa pubblicazione. — 418 — Il Corrispondente PizzeTTI fa omaggio di una copia del suo: Trattato di Geodesia teoretica e ne parla. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI R. ALMmaGIÀ. Za dottrina della marea nell'antichità classica e nel Medio Evo. Presentata dal Socio CERRUTI. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Corrispondente CuBonI, a nome anche del Socio PIROTTA, legge una Relazione sulla Memoria del dott. R. ScHirF-GIORGINI, avente per titolo: Ricerche sulla tubercolosi dell'olivo. La Relazione conclude col proporre la inserzione del lavoro negli Atti accademici. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, posta ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. CORRISPONDENZA Il Segretario CeRRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: L'Accademia delle scienze di Nuova York; l'Accademia di scienze ed arti di Barcellona; la Società fisico-chimica russa di Pietroburgo; le Società zoologiche di Amsterdam e di Tokyo; le Società geologiche di Ottawa e di Sydney; la Società degli agricoltori italiani di Roma; il Museo di storia naturale di Nuova York; il Museo di scienze ed arti di Filadelfia; l' Isti- tuto Smithsoniano di Washington; gli Osservatorî di San Fernando e di Cambridge Mass.; la Scuola Politecnica di Zurigo. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 2 aprile 1905. Agamennone G. — La determinazione dei bradisismi nell'interno dei con- tinenti per mezzo della fotografia (Sonderabd. aus dem Bericht der II Intern. seismol. Konferenz). Leipzig, 1904. 8°. Angelis d’Ossat (G. de). — Maurizio Alfonso Stibel, i suoi viaggi e la sua — 419 — teoria dei vulcani (Dalla Rivista geogr. ital. anno XII, fasc. I, II). Firenze, 1905. 8°. E Amvers A. — Vierzehn unbekannt gebliebene Kénigsberger Zonen und Ca- talog von 1309 darin beobachteten Sternen fiùr das Aequinoctium 1825. Aus den Abhand. der K. Preuss. Akad. des Wissensch vom Jahre 1908). Berlin, 1904. 4°. Balp S. — Dati statistici ed eziologici sull’endemia gozzo-cretinica nella provincia di Torino (Giorn. della R. Accad. di Medicina di Torino, vol. X, fasc. 4°). Torino, 1904. 8°. Id. — Risultati di alcune esperienze di tiroidismo sperimentale (Giornale della R. Accad. di Medicina di Torino. vol. X, fasc. 9, 10). Torino, 1904. 8°. Battaglia M. — Alcune ricerche sopra due Tripanosomi. Trypanosoma Vespertilionis-Trypanosoma. Lewiis (Dagli Annali di Medìcina navale, anno X°, vol. II, fasc. V). Roma, 1904. 8°. Id. — Alterazioni traumatiche primitive della cellula nervosa (Dagli An- nali di Medicina navale, anno X, vol. II, fasc. VI). Roma, 1904. 8°. Benetti J. — Alcune nuove equazioni per la teoria generale delle turbine idrauliche motrici ed operatici. Bologna, 1903. 4°. Id. — Formole fondamentali di applicazione generale per le turbine motrici e per le pompe centrifughe elevanti. Bologna, 1899. 4°. Id. — Il calcolo dei camini per i generatori di vapore. Bologna, 1900. 8°. Id. — I principî scientifici per le turbine a vapore. Bologna, 1904. 8°. Id. — La legge empirica della trasmissione del calore attraverso la super- ficie riscaldata delle caldaie a vapore. Bologna, 1898. 4°. Id. — Le irrigazioni dell’ Egitto (con tre carte annesse). Appendice alle Memorie illustrative della Carta idrografica d'Italia, 13 (Min. d. Agr. Ind. e Comm.). Roma, 1892. 8°. Id. — Sulle ruote idrofore a pale e specialmente sulla ruota di recente invenzione olandese denominata Ruota-pompa. Padova, 1899. 8°. Id. — Teoria fondamentale delle turbine idrauliche. Bologna, 1902. 4°. Id. — Teoria generale delle pompe centrifughe. Bologna, 1886. 4°. Berlese A. — Apparecchio per raccogliere presto e in gran numero piccoli artropodi (Dal Redza, vol. II, fasc. I). Firenze, 1905. 8°. Boccardi G. — Sulla precisione delle posizioni delle stelle ottenute mediante la fotografia. Roma, 1903. 8°. Id. — Orbita definitiva del pianeta (347) « Pariana ». Torino, 1904. 8°. Colonna A. — Mimecarpia e Mimespermia. Ariano, 1904. 8°. Congresso geologico. Catania, settembre 1904 (Soc. Geol. Italiana). Roma, T905. 8°. - Di Paola G. — Fenomeni geo-fisici osservati durante l'attività esplosiva del Vesuvio nel settembre 1904. Napoli, 1905. 8°. RenpicontI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 52 — 420 — Faccin D. I. — Nuovo planisfero ad uso della Marina (Dalla Rivista di Fis. Mat. e Scienze nat. Pavia, anno VI, n. 62). Pavia, 1905. 8°. Favre J. A. — Observations sur les glaciers du Massif de la Vanoise, pen- dant l'été de 1903 (Comm. Frangaise des Giaciers). Paris, 1904. 8°. Ferrero E. — Sul terzo massimo invernale nell'andamento diurno del baro- metro. Torino, 1904. Girardin P. — Rapport sur les observations glaciaires en Maurienne, Va- noise et Tarentaise (21 aoùt-24 sept. 1903 — Comm. Frangaise des Glaciers). Paris, 1904. 8°. Jorgensen E. — The protist Ptankton and die Diatoms in Bottom Samples (Hydrographical and biolog. Investigations in Norwegian Fiords by 0. Nordgaard. Bergens Museum). Bergen, 1905. 4°. Melt R. — Discorso pronunciato nella seduta inaugurale dell'adunanza ge- nerale estiva tenuta in Catania il 19 sett. 1904 dalla Soc. Geol. Italiana. Roma. 1905, 8°. Id. — Materiali per una bibliografia scientifica del Littorale romano, com- preso tra la foce dell’ Incastro presso Ardea e la foce del fiume Astura. Roma, 1904. 8°. Meli R. — Sulla pretesa meteorite di Corchiano nella provincia di Roma. Roma, 1905. 8°. Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte alle falde dell'Appennino fra il Potenza e l’ Esino (Marche). Roma, 1904. 8°. Monte (E. A. del). — La tormenta tropical de octubre de 1904 y la ar- monia entre dos centros tempestuosos. Habana, 1905. 8°. Mougin P. — Observations sur l’enneigement et sur les chutes d’Avalanches, exécutées par l’Administration des Eaux et Foréts dans les Départements de la Savoie (Comm. Frang. des glaciers). Paris, 1904. 4°. Pascal P. — Sulle condizioni invariantive perchè una binaria biquadratica abbia per fattore una cubica. Nota II (Dai Rend. del R. Ist. Lomb. di Scienze e Lett. vol. XXXVIII). Milano, 1905. 8°. Pensig 0. et Saccardo P. A. — Diagnoses fungorum novorum in ;insula Java collectorum. Series prima, secunda et tertia. Genova, 1897-1902. 8°. Pincherle M. S.— Sur les fonctions déterminantes (Extrait des Annales scient. de l’Ecole norm. sup. Troisième Série. Tome XXI, |année 1905). Paris, 1905. 4°. Rajna M. — Nuovo calcolo dell’effemeride del Sole e dei crepuscoli per l'orizzonte di Bologna. Bologna, 1904. 4°. Rajna M., Pirazzoli R. e Masini A. — Osservazioni meteorologiche fatte durante l’anno 1903 nell’Oss. della R. Univ. di Bologna. Bologna, 1904. 4°. Rosenbusch H. — Mikroskopische Physiographie der Mineralien und Gesteine. Ein Hiilfsbuch bei mikroskopischen Gesteinsstudien. Bd. I, Erste Hàlfte : — 4221 — Die petrographisch wichtigen Mineralien. Allgemeiner Teil. Vierte vòllig umgestatete Auflage von D. E. A. Wiilfing. Stuttgart, 1904. 8°. Saccardo P. A. — Augusto Napoleone Berlese. Cenno storico (Dal Mal- pighia, anno XVII, vol. XVII). Genova, 1903. 8°. Id. — De diagnostica et nomenclatura mycologica. Admonita quaedam (Se- parat-Abd. aus Annales mycologici, vol. IT, n. 2). S. 1. 1904. 8°. Saccardo P. A. — I codici botanici figurati e gli erbarî di Gian Gir. Zanni- chelli, Bart. Martini e Gius. Agosti esistenti nell’ Ist. Botanico di Pa- dova, con un'Appendice sull’ Erbario di L. Pedoni. Venezia, 1904. 8°. Id. — La Iconoteca dei Botanici del R. Istituto botanico di Padova. Sup- plemento (Dal Malpighia, anno XV, vol. XV). Genova, 1902. 8°. Id. — Le reliquie dell’erbario micologico di P. A. Micheli (Dal Boll. della Soc. bot. it. Adunanza nella sede di Firenze, 8 maggio 1904). SAllrenita 80: Id. — Mycetes Sibirici - Pugillus tertius. (Dal giorn. Il Malpi ghia, anno X). Genova, 1896. 8°. Jd. — Progetto di un Lessico dell’antica nomenclatura botanica comparata alla linneana ed elenco bibliografico delle fonti relative (Dal Malpi- ghia, anno XVII, vol. XVII). Genova, 1903. 8°. Id. — Sulla più antica pubblicazione di Plantae essiecatae (Dal Bull. della Soc. bot. it. Riunione gen. di Venezia, 10 sett. 1899). S. 1. 1899. 8°. Id. — Sul rinvenimento di un antico erbario dell’abate conte Gius. Agosti (Dagli Atti dell’Acc. scient. veneto-trentino-istriana, nuova serie, vol. I). Padova, 1904. 8°. Id. — Una malattia crittogamica nelle frutta del mandarino (A/ternaria tenuîs,, forma chalaroides Sacc.) (Separat. Abd. aus Annales mycolo- gici, vol. I, n. 3). Id. e Beguinot A. — Giacomo Petiver e l'invenzione delle Plantae essie- catae. Nuove ricerche (Dal Bull. della Soc. bot. it. Riunione gen. in Siena, 7 giugno 1901). S. 1. 1901. 8°. Id., Peck C. H. and Trelease W. — The Fungi of Alaska. S. L et a. 8°. Id. e Traverso G. B. — Micromiceti italiani nuovi o interessanti (Dal Boll. della Soc. bot. it. Adunanza della sede di Firenze, 8 maggio 1904). SAMMAL90582. Schincaglia G. — Fenomeni provocati da scintille elettriche su di altre e perturbazioni prodotte da dielettrici solidi. (Dal Nuovo Cimento, serie V, vol. VIII, ag. 1904). Pisa, 1904. 8°. Id. — Ricerche sopra alcune proprietà delle radiazioni. S. 1. ed a. 8°. IJd. — Un'opportuna disposizione sperimentale per esperienze di corso. S. 1. CdMaaso: Taramelli T. — Alcune altre osservazioni stratigrafiche sulla Valtravaglia (Dai Rend. del R. Ist. Lomb. di scienze e lett. vol. XXXVIII, 1905). Milano, 1905. 8°. SE}99 Taramelli T. — Alcune considerazioni geologiche a proposito dell'acquedotto Milano, 1905. 8°. Id. — La linea direttissima da Genova alla valle del Po (Giorn. di Geol. pratica, anno III, fasc. I). Perugia, 1905. 8°. Id. — Le condizioni idrologiche de’ dintorni di Bassano (Giorn. di Geol. pratica, anno II, fasc. IV). Perugia, 1904. 8°. Id. — Osservazioni geologiche ed idrologiche sulla Valletta di Rio Frate, presso Broni (Dal Giorn. di Geol. pratica, anno II, fasc. III). Pe- rugia, 1904. 8°. Volta L. — Riassunto delle registrazioni geodinamiche del grande Sismo- metrografo Agamennone dell’Osservatorio astronomico della R. Università di Torino durante l'anno 1901. Torino, 1901. 8°. DISSERTAZIONI ACCADEMICHE DELLE UNIVERSITÀ DI Bonn, CormBra E MARBURG. I. — Bonn. Abdi O. — Ueber einen Fall von shronischer Arthritis ankylopsetica der Wirbelsaule, Fraktur der Wirbelsiule und Quetschung der Cauda equina. Hamburg, 1903. 8°. Bachem K. — Untersuchungen iber die Giftigkeit des Phosphorsesquisulfids. Bonn, 1904. 8°. Bartholomé F. — Ueber Sterilitàt bei Myomkranken. Bonn, 1904. 8°. Berg H. — Ueber Muskelatrophie bei Thomsen'scher Krankheit. Bonn, 1904. 8°. Bernartz H. — Ueber Magnetoperationen am Auge. Bonn, 1904. 8°. Bòoshagen A. — Ein Fall von Hypertrophie der linken Kopfhàalfte. Bonn, 1903. 8°. Brahms W. — Ueber die mechanische Erweiterung der Cervix nach Bossi. Bonn, 1904. 8°. Bufe E. — Ein Beitrag zur Kenntnis der Torsion des funiculus spermaticus. Bonn, 1904. 8°. Burger H. — Beitriàge zur Kenntnis der Uranyldoppelsalze. Bonn, 1904. 8°. Busch E. — Ueber die Resultate der Vaporisation des Uterus in der Bonner Frauenklinik. Bonn, 1903. 8°. Conrat Y. — Helmbholtz' Verhaltnis zur Psychologie. Halle, 1903. 8°. Daniel F. — Beitrag zur Lehre von den retroperitonealen Hernien. Bonn, 1904. 8°. Danne H. — Die Acetiologie der Lebercirrhose. Limburg, 1904. 8°. Dicke O. — Der Kaiserschnitt an verstorbenen Schwangern. Bonn, 1903. 8°. — 423 — Dix H. — Zur Pathogenese des Rechtumprolapses. Bonn, 1904. 8°. Edenhuisen H. — Ueber Albuminurie bei Schwangeren und Gebérenden. Bonn, 1903. 8°. Fobry H. — Bei Fille von Stirnhirntumoren. Bonn, 1904. 8°. Falkenstein S. — Ein Beitrag zur Pathologie des Zwerchfelles. Bonn, 1904. 8°. Forschbach J. — Zur Behandlung der Bubonen nach dem Langschen Ver- fahren. Bonn, 1903. 8°. Freytag K. — Ist das Fieber ein niitzlicher Reaktionsvorgang oder nicht? Bonn, 1903. 8°. Firth E. — Wasserbruch und Unfall. Bonn, 1904. 8°. Geis P. — Beitrag zur Entstehung von Geisteskrankheiten nach und durch Korperverletzungen. Bonn, 1904. 8°. Gerharte H. — Anatomie und Sekretions-Vorginge von Samenblase und Harnleiter der Batrachier. Bonn, 1904. 89. Grineberg L. — Ueber kiinstliche Frihgeburt. Bonn, 1904. 8°. Hammes F. — Beitrag zur Kenntnis der diagnostisch Wichtigen Komplika- tionen des Uterusmyoms und der Peritonealtuberculose. Bonn, 1904. 8°. Hindrichs O. H. — Ueber Messungen u. Gesetzmassigkeiten in der vierten Kohlebande. Bonn, 1904. 8°. Holling A. — Das Verhàaltnis der Milchsiurebakterien zum Streptococcus Lanceolatus (Pneumoniecoccus, Enterococcus u. s. w.). Bonn, 1904. 8°. Immel T. — Ueber Centralruptur des Dammes. Bonn, 1903. 8°. Jungbluth F. — Ueber Gesetzmissigkeiten und Eigentiimlichkeiten in der Strucktur der dritten Cyanbandengruppe. Leipzig, 1904. 8°. Kannitzer H. — Ein Beitrag zur Eklampsiefrage. Koln, 1904. 8°. Kellner J. — Das Lanthanspektrum. Bonn, 1904. 8°. Kirch H. — Ueber die Prognose der Eklampsie. Bonn, 1904. 8°. Klotz M. — Typhus abdominalis im Verlauf von 15. Jahren 1889 bis 1903/4 auf der Bonner medizinischen Universitàts-Klinik. Bonn, 1904. 8°. Koerver W. — Ueber die Erfolge der Ovariotomieen an der Kgl. Univer- sitàts-Frauenklinik zu Bonn. Bonn, 1904. 8°. Kroeber E. R. — Statistik der Kropfoperationen an der Bonner chirurgi- schen Klinik vom 1 April 1899 bis 1 April 1904. Bonn, 1904. 8°. Kunz L. — Die spezifische Wirme des Kobhlenstoffs bei hohen Temperatu- ren. Bonn, 1904. 8°. Lanzrath W. — Ueber das Bandenspektrum des Kupfers in der Knallgas- fiamme. Bonn, 1904. 8°. Liesen P. — Ueber das Vorkommen von Ascaris lumbricorides im menschli- chen Kérper speciell in der freien Bauchòhle. Bonn, 1904. 8°. Lewe F. — Ueber Neu- und Ruckbildung im Ovarium vom Maifisch. (Clupea Alosa Cur.). Bonn, 1903. 4°. — 424 — Loewenstein S. — Ueber einen Fall von Diabetes insipidus. Bonn, 1904. 8°. Lòwenberg E. — Kernsynthesen mit (3,5)-Dibromsalicylsàurechlorid. Bonn, 1904. 8°. Lutz J. — Ueber einen Fall von Nierenfistel im Anschluss an einem Fremd- kòrper. Bonn, 1904. 8°. Macke W. — Ueber Dipsomanie. Ein casuistischer Beitrag Heiligenstadt, 1903. 8°. Marock G. — Einige statistische Bemerkungen iber die Eclampsiefàlle von 1893 bis 1902. Bonn, 1904. 8°. Mennicken L. — Ueber einem Fall von traumatischer gestielter Gelenkmaus im Kniegelenk. Bonn, 1904. 8°. Meyerheim P. — Ueber das Bandenspektrum del Wasserdampfes. Bonn, 1904. 8°. Milner R. — Ueber Blutpigmentbildung und organisation besonders in einem extraduralen Himatom. Berlin, 1903. 8°. Molinens G. F. G. — Ein Beitrag zur Behandlung der Bauchschussverlet- zungen. Bonn, 1904. 8°. Neu K. — Ueber cir ulire Resektion der Speiser6hre. Bonn, 1904. 8°. Nothen H. — Beitràge zur bakteriologischen Prifung von Desinfektionsmit- teln. Bonn, 1904. 8°. Oster H. — Ueber Mammakarzinom und Graviditàt. Bonn, 1904. 8°. Plassmann J. — Untersuchungen iber den Lichtwechsel des Granatsterns u Cephei. Miinster, 1904. 8°. Richter A. — Beitrag zur Lehre von den gutartigen Geschwilsten der Zunge insbesondere den Adenomen. Bonn, 1903. 8°. Rings T. — Ueber Paraffinprothesen. Bonn, 1904. 8°. Rittershaus E. — Fehldiagnosen bei Carcinom. Ein Beitrag zur Statistik der nicht diagnostizierten Krebse. Bonn, 1904. 8°. Rocholl B. — Ein Beitrag zur Lehre von der Paralysis agitans. Bonnn, 1904. 8°. Schieffer K. — Beitrag zur Shockwirkung bei Schrotschissen. Bonn, 1904. 8°. Schmidt G. N. J. — Ueber den Einfluss der Temperatur und des Druckes auf die Absorption und Diffusion des Wasserstoffes duch Palladium. Bonn, 1903. 8°. Schmitt J. — Ueber die Bedeutung des Kathodenmaterials fiùr die electro- lystische Reduktion des meta- und para-Nitrotoluols. Bonn, 1904. 8°. Schmita FP. — Ueber Abkimmlinge der (3,5) Dijodsalicylsàure, Bonn, 1904. 8°. Schmitz 0. — Die maritime Politik der Habsburger in den Jahren 1625- 1628. Bonn, 1903. 8°. Schmitz R. — Ein Fall von Polyposio recti mit maligner Degeneration. Bonn, 1904. 8°. Schoenen G. — Statistische Beitràge zur Beziehung zwischen Alkoholismus und Geistesstorung. Bonn, 1904. 8°. :, "i MR Leda | — 425 — Schommerte T. — Die Erfolge der Naht des frischen Dammrisses. Bonn, 1904. 8°. Schroeder H. — Zur Statolithentheorie des Geotropismus. Jena, 1904. 8°. Spdther J. — Die angeborenen Stenosen und Atresien des Darmes. Bonn, 1904. 8°. Stern E. — Trauma und Lungentuberkulose. Bonn, 1903. 8°. Stuchtey C. — Ueber Glimmentladung in Luft und Wasserstoff bei At. mosphàarendruck. Bonn, 1904. 8°. Stuckmann W. — Macht ein einmaliges Ueberstehen der Eklampsie gegen eine gleiche Erkrankung bei spàteren Schwangerschaften immun ? Bonn, 1903. 8°. Sturm J. — Die Kirchhoff'sche Formel iber Schallgeschwindigkeit in Rohren. Bonn, 1904. 8°, Tappe A. — Zur pharmakologischen Kenntniss einiger Kondensationsprodukte des Chlorals. Bonn, 1903. 8°. Tewildt F. — Ueber den Einfluss kérperlicher Bewegungen auf die Pulszahl beim Gesunden. Bonn, 1903. 8°. Treita W. — Ueber die Fortpflanzungsgeschwindigkeit des Schalles in ei- nigen Dimpfen. Bonn, 1903. 8°. Zimball FP. — Ueber Fissura sterni congenita. Bonn, 1904. 8°. Zurhelle E. — Ein Beitrag zur Lehre von der Entstehung der Zwerchfellsbrii- che. Bonn, 1904. 8°. Zurhellen W. — Darlegung und Kritik der zur Reduktion photographischer Himmelsaufnahmen aufgestellten Formela und Methoden. Bonn, 1904. 8°, Wilde H. — Bericht iber 28 Falle von Rectumcarcinom, ein Beitrag zur Statistik und Therapie desselben. Bonn, 1903. 8°. II. — CormBRA. Almeida (L. d'). — A Pharmacia e o exercicio profissional. Coimbra, 1904, 8°. Ayres Mora V. — O Chi, sua composigào chimica, preparagao e falsificacaò. Coimbra, 1904. 8°. Barbosa Tamagnini de Mattos Encarnacào E. — Mechanica do systèma sanguineo dos vertebrados. Coimbra 1904. 8°. Collaco Alves Sobral J.— 0 phosphoro e seus principaes compostos. Coimbra, 1904. 8°. Fernandes Costa M. J. — Hypericum Androsaemum, L. Coimbra, 1904. 8°. IFerraz de Carvalho A. — Phenomenos magneto-opticos. Coimbra, 1901. 8°. Fonseca A. — A Peste. Porto, 1902. 4°. | Rodrigues Diniz J. C. — Solanaceas medicamentosas portuguezas — Mei- mendros (Hyosciamus niger L. Hyosciamus albus L.). Coimbra, 1904. 8°. — 4260 — Santos Viegas L. d. — O Corpo thyroide. Estudios de physiologia e de therapeutica. Coimbra, 1901. 8°. Silva Basto (A. J. de). — Ligdes de Estereochimica. 2* ed. Coimbra, 1901, 8°. TII. — MarBURG. Ascher M. — Die bei Erkrankungen des Corpus striatum beobachteten Sym- ptome mit besonderer Bericksichtigung der okularen Symptome. Mar- burg, 1904. 8°. Becké A. — Die bei Erkrankungen des Hinterhauptlappens beobachteten Erscheinungen mit spezieller Bericksichtigung der okularen Sympthome. Marburg, 1903. 8°. Becker C. — Die neueren Bestrebungen zur Sicherung einer aseptischen Losstossung des Nabelschnurrestes. Marburg, 1903. 8°. Bergh G.-— Beitràge zur Kenntnis der Lupinenalkaloide. Marburg, 1903. 8°. Bòrner C. — Ein Beitrag zur Kenntnis der Pedipalpen. Marburg, 1904. 4°. Brauns D. H. — Ueber Quercitrin, Sophorin und Cappern-Rutin. Marburg, 1904. 8°. Buschmann F. — Ueber die Behandlung der Osteomyelitis acuta und ihrer Folgezustinde mit besonderer Berilcksichtigung zweier Falle von totaler Tibia-Osteomyelitis. Marburg, 1903. 8°. Dey O. — Die pracipitirten Geburten der Marburger Entbindungsanstalt. Marburg, 1903. 8°. Eich G. — Zur Frage des kinstl. Abortes bei Phthisis pulmonum. Marburg. 1904. 8°. Fisenbach C. — Das iberweite Becken. Coblenz, 1904. 8°. Gaebel W. — Ueber Kondensationsprodukte aus m-Kresol und p-Kresol mit Aceton. Marburg, 1903. 8°. (reibeù W. -— Ueber Bromderivate des p-Oxystilbens. Marburg, 1903. 8°. Gorich W. — Zur Kenntnis der Spermatogenese bei den Poriferen und Colenteraten nebst Bemerkungen iber die Oogenese der ersteren. Mar- burg, 1903. 8°. Happe C. — Uebergrosse Entwicklung der ganzen Frucht oder einzelner Teile als Geburts-Hindernis. Marburg, 1904. 8°. Haupt E. — Ueber die ferromagnetischen Eigenschafter von Legierungen unmagnetischer Metalle. Marburg, 1903. 8°. Henking R. — Ueber Carcinom der ektopierten Blase nebst Urinuntersu- chungen in zwei Fallen von Blasenektopie. Marburg, 1904. 8°. Hesper B. — Ein Fall von Ileus bei einer Schwangeren im 10. Monat mit glicklichem Ausgang fir Mutter und Kind als Beitrag zur Ileusoperation bei Schwangeren. Marburg, 1904. 8°. Hommerich K. J.— Die Resultate der Allgemeinuntersuchung in der Marburger I — 427 — Universitàts-Augenklinik vom 1. Oktober 1900 bis zum 1. Juni 1903. Marburg, 1904. 8°. Hop} W. — Ueber die Ursachen des Ileus mit besonderer Beriicksichtigung der Compression des Darmes an der Duodenojejunalgrenze durch die Mesenterialwurzel. Marburg, 1903. 8°. Hunke L. — Ueber die Einwirkung von tertiàren Aminen auf Tetra- chlor-p-Kresolpseudobromid. Marburg, 1904. 8°. Hlke T. — Ueber Ketohalogeverbindungen des Phenols un der Kresole. Marburg, 1903. 8°. Kehr G. — Formanomalien der Placenta und ihr Einfluss auf den Ver- lauf der Schwangerschaft, der Geburt und des Wochenbetts. Marburg, 1904. 8°. Keller 0. — Ueber das Damascenin. Marburg, 1903. 8°. Klipfel C. — Untersuchung des Uebergangs elektrischer Stròme zwischen Flussigkeiten und Gasen. Marburg, 1904. 8°. Krauss W. — Zur intraokularen Desinfection mit besonderer Bericksichti- gung des Jodoformus. Marburg, 1904. 8°. Kriger A. H. — I. Die bei Erkrankungen des Schlafenlappens beobachte- ten Symptome mit besonderer Beriicksichtigung der okularen Symp- tome. — II. Die bei Erkrankungen des Stirnlappens beobachteten Symptome mit besonderer Berilcksichtigung der okularen Symptome. Marburg, 1903. 8°. Ledeganek L. — Dreissig Jahre Hasenschartenchirurgie 1871-1891. Mar- burg, 1904. 8°. Lincio G. — Beitràge zur krystallographischen Kenntniss des Quarzes. Mar- burg, 1903. 8°. Leiteendorff J. — Ueber die Spaltung des Dijodkohlenstoff's (Dijodacety- len) in Kohlenstoff und Tetrajodithylen. Marburg, 1904. 8°. Lohmann A. — Zur Automatie der Briickenfasern und der Ventrikel des Herzens. Leipzig, 1904. 8°. Lòwenstein L. — Der Schutzballon. Celle, 1904. 8°. Luecke H. — Ueber das Nitril der a-Phenyl-p-oxyzimmtsàure. Marburg, 1904. 8°. Lucken X. — Ueber den Einfluss hochgradiger Blutungen nach Geburten auf den miitterlichen Organismus. Marburg, 1903. 8°. Moller W. — Ueber die Einwirkung von Pyridin auf Dinitrochlorbenzol und Dinitrobromtoluol. Marburg, 1903. 8°. Muhlhausen G. — Untersuchungen iber p-Dioxy-dibenzalaceton und p-Oxy- benzalacenton. Marburg, 1904. 8°. _ Muller H. — Ueher die Behandlung mittelschwerer u. schwerer frischer Puerperalfeiberfille durch conservative Methoden. Marburg, 1903. 8°. Nacht A. — Die bei Erkrankungen der Meningen beobachteten Erscheinun- — 428 — gen mit spezieller Bericksichtigung der okularen Symptome. Berlin, 1904. 8°. Neide E. — Botanische Beschreibung einiger sporenbilden den Bakterien. Marburg, 1904. 8°. Nòlke F. — Uebersicht iber die Theorie der Abelschen Funktionen zweier Variabeln. Marburg, 1903. 8°. Paehler FP. — Ueber die Morphologie, Fortpflanzung und Entwicklung der Gregarina ovata. Marburg, 1904. 8°. Parkinson J. H. — Ueber eine neue Culmfauna von Kénigsberg umveit Giessen und ihre Bedeutung, fir die Gliederung des rheinischen Culm. Marburg, 1903. 8. Peters F. — Pharmakologische Untersuchungen iber Corydalisalkaloide. Leipzig, 1904, 8°. Reinhardt A. — Die Hypochorda bei Salamandra maculosa. Leipzig, 1904, 8°. Roth G. G. — Ueber die subjectiven Beschwerden im Beginn der Phthise. Marburg, 1903. 8°. Schmid E. — Die Cauchy sche methode der Auswertung bestimmter Inte- grale zwischen reellen Grenzen. Stuttgart, 1903. 4°. Schnabel H. — Ueber die Embryonalentwicklung der Radula bei den Mol- lusken. — II. Die Entwicklung der Radula bei den Gastropoden. Mar- burg, 1903. 8°. Schwantke A. — Die Basalte der Gegend von Homberg a. d. Ohm ins- besondere der Dolerit des Hohen Berges bei Ofleiden. Marburg, 1994. 8° Sehweikart A. — Beitriàge zur Morphologie und Genese der Eihullen der Cephalopoden und Chitonen. Marburg, 1903. 8°. Stiebert K. — Einwirkung von Phenol und p-Kresol auf o-Nitrobenzaldehyd bei Gegenwart von Salzsàure. Marburg, 1903. 8°. Stemon W. — Weitere Beitrige zu den Beziehungen zwischen Gehirn und Auge. — I. Die bei Erkrankungen des Lobus parietalis beobachteten Erscheinungen mit besonderer Bericksichtigung der ocularen Symptome. II. Die bei Erkrankungen des Corpus callosum beobachteten Erscheinun- gen mit besonderer Beriicksichtigung der ocularen Symptome. Marburg, 1903. 8°. Stein P. — Ueber die Resultate der Dihrssenschen Uterustamponade hei Blutungen im Anschlusse an die Geburt. Marburg, 1903. 8°. Take E. — Magnetische Untersuchungen: I. Untersuchung der Magnetisier- barkeit der bei den Spandauer Gravitationsmessungen verwendeten Ma- terialien. Mit zwei Anhingen. — II. Historisches und theoretisches iber Umwandlungspunkte. — III. Bestimmung von Umwandlungspunk- ten Heuler'scher Mangan-Aluminium-Bronzen. Marburg, 1904. 8°. Thesing C. — Beitrige zur Spermatogenese der Cephalopoden. Marburg, 1903. 8°. — 429 — Thimme K. — Ueber die Einwirkung von Chlorwasserstoff auf wéasserige Formaldehydlòsung und Trioxymethylen. Reaktionen der Chlormethyl- alkylather. Marburg, 1904. 8°. Torhorst H. — Die histologischen Verinderungen bei der Scklerose der Pul- monalarterien. Marburg, 1904. 8°. Unverzagi W. — Ueber die Einwirkung von Brom auf Di-p-oxytolyl-dime- thylmethan. Marburg, 1904. 8°. Wagner H. — Untersuchung iber Tetrachlor-p-Dioxytolan. Marburg, 1903. 8°. Weber A. — Beitràge zur Lehre von den Zwillingen. Marburg, 1904. 8°. Westphal W. — Uebertragung einer Dreiecksaufgabe auf das Tetraeder. Marburg, 1904. 8°. Zickgraf G. — Die Oxydation des Leims mit Permanganaten. Marburg, 1904. 8°. Zimmermann F. — Ueber die Spaltung des Kohlenoxydes. Marburg, 1904. 8°. We E ne sa AR e LT “ORE i su PAR À na pai PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono; segnalando quelle dei Soci Taramelli e Pincherle, dei Corrispondenti Pascal, Rajna M., Saccarda, del Socio stra- niero Auwers; e dei signori Rosenbdusch, Nordgaard e Jorgensen. . . . . . . Pag. Blaserna (Presidente). Presenta diciassette volumi del « Catalogo » internazionale della let- teratura scientifica e ne parla 3 ” Pizzetti. Fa omaggio di un suo lavoro e ne discorre MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Almagia. La dottrina della marea nell’antichità classica e nel Medio Evo (pres. dal Socio Cerruti) » ” RELAZIONI DI COMMISSIONI Cuboni (relatore) e Pirotta. Relazione sulla Memoria: « Ricerche sulla tubercolosi dell’olivo » del dott. &. Schiff-Giorgini . ” CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti . BULLETTINO BIBLIOGRAFICO . RENDICONTI — Aprile 1905. PNEBMEC'E Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 aprile 1905. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Veronese. La geometria non Archimedea. Una questione di priorità . . . . . . . Pag. Volterra. Sulle distorsioni dei solidi elastici più volte connessi... /././.0/... 4.» Pascal. Ricerche sulla sestica binatia (È)... . . Maid ” Capelli. Sull’arbitrarietà delle caratteristiche nelle in di i delle o 9 di una variabile (**) . . . . . ” Pizzetti. Relazioni fra i momenti di inerzia di un corpo gori dai Ù fafizione polo è simmetrica intorno ad un asse |... 3 i Nea i Kronecker. Sull’esaurimento e restatiro dei da nervosi dollc rane o Ge e Levi. Sui gruppi di movimenti (prés. daliSociosz varchi) (0) E È i» Fubini. Nuove applicazioni dei metodi di Riemann e Picard alla a di A equazioni alle derivate parziali (pres. dal Socio Did) ©) . . ..°. dl EE CA Re ARI Vitali. Un contributo all'analisi delle funzioni (pres. dal Socio Piceni BUE » Arnò. Sugli effetti di correnti continue interrotte cd alternate e di onde hertziane sul Sio di magnetizzazione nei corpi magnetici in campi Ferraris (pres. dal Socio Colombo) . » Feliciani. Sul comportamento della conduttività termica dei vapori di pentacloruro di fosforo (pres. dal Socio 2/aserna). . % . 2 6 n SIA Chistoni. Sul pireliometro a compensazione ottica dla e Lo o) SA Bellucci e Parravano. Sulla costithzione di alcuni piombati (pres. dal Socio Cannizzaro) » Id. Id. Sopra una nuova serie di Sali isomorfi (pres. /d.) 9)... } N) Rimini. Sull’impiego del solfato d’idrazina nelle analisi gasometriche (pres. dal Soc Polenag)È Korschun. Sulla sintesi del 2-3-5 trimetilpinrolo (pres. dal Socio Ciamician) . . 0.» Di Pergola. Sull’accrescimento in grossezza delle foglie persistenti di alcune Conifere (pres. dal Socio Pirotto)i tt. A à » Petri. Ulteriori ricerche sopra i beni ED si i i i 500 ari Dam Mosci olearia (pres. dal Corrisp. Cudoni). . . e Brizi. Intorno alla malattia del Risb detta Bus sone in Id) e) IONE ; D) Van Rynberk. Sui disegni cutanei cei vertebrati in rapporto alla dottrina scema ca dal Socio, Auctanii a 53 BR O O E PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio nazionale Pietro Z'acchini, e della parte presa dall'Accademia ai funerali dell’estinto . . . SETTI ie ROIO IRON Millosevich. Commemorazione del defunto accademico Pietro Wacciani ani, ” Blaserna (Presidente). Asosiunge alcune notizie sull’ opera scientifica del Socio Tocchi sui servi da ilui resil'all'Accademnialicone Amm nistro RR 417 (Segue în terza pagina) (*) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. (**) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Itoma 16 aprile (dC ll DELLA ANINO CGQE 1905 I ! | SHRTAHE Q UTEN'TIA RENDICONTI , | Classe di scienze fisiche, matematiche Seduta del A6 aprile 1905) Volume XIV. — "obi S' 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1905 REALE ACCADEMIA DEI LINCEI naturali. ESTA"TO DAL REGOLAMENTO INTERNO KR LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziataa Serte quinta delle pubblicazioni della R. Academia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti dellnuova serie formano una pubblicazione distintaer ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti dla Classe di scienze fisiche, matematiche e natuali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della %lasse di scienze fi- siche matematiche e naturii si pubblicano re- golarmente due volte al mse; essi contengono le Note ed i titoli delle Meiorie presentate da Soci e estranei, nelle due sdute mensili del- l’Accademia, nonchè il boll;tino bibliografico. Dodici fascicoli compogono un volume, due volumi formano un’annta. 2. Le Note presentate d.Soci o Corrispon- denti non possono oltrepasare le 12 pagine di stampa. Le Note di estraei presentate da Soci, che ne assumono la reponsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per quete comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’auto3 ne desideri un numero maggiore, il sovrappù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riprducono le discus- sioni verbali che si fanno nl seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, cle vi hanno preso parte, desiderano ne sia fata menzione, essi sono tenuti a consegnare alsegretario, seduta stante, una Nota per iscritt II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi» cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. INNI SS Seduta del 16 aprile 1905. F. D'Ovipro, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle distorsioni der corpi elastici simmetrici. Nota del Socio Viro VOLTERRA. 1. In questa Nota studieremo un caso particolare di distorsioni par- tendo dai principî che abbiamo stabiliti in una Nota precedente ('). Vedremo come questi principî permettano di approfondire il meccanismo delle distor- sioni e rivelino dei fatti che sono ben lontani da quelli che 4 préori si sarebbero potuti prevedere esaminando intuitivamente la questione. Il resul- tato si otterrà d'altra parte senza ricorrere a procedimenti d'integrazione delle equazioni differenziali, ma colla semplice ed elementare discussione della espressione dell'energia di un sistema elastico che ha subìto date distor- sioni. Per dare brevemente un'idea dei resultati ritorniamo al primitivo esempio da cui siamo partiti nella prima Nota (°). Abbiamo supposto di togliere ad un anello una sottile fetta trasversale la cui grossezza varii proporzionalmente alla distanza dall'asse di simmetria; quindi a forza riavvicinare fra loro le due faccie del taglio e saldarle. Il corpo abbandonato a sè cessa di essere allo stato naturale: assume uno stato di (1) Seduta del 2 aprile 1905. (2) Vedi Nota presentata nella seduta del 5 febbraio 1905, art. I, $ 1. RenpIconTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 53 — 432 — deformazione regolare ei suoi elementi vengono sollecitati da forze elastiche. Ci si può quindi chiedere quali azioni si esercitino sulle faccie saldate. Sembrerebbe evidente che esse dovessero essere tese: ma così non è. Vi è sempre una parte tesa ed una parte compressa; anzi la somma delle forze di tensione è eguale alla somma delle forze di compressione. A questo teorema e ad altri analoghi, che gettano una luce inattesa sulla distribuzione degli sforzi elastici generati dalle distorsioni nei corpi, viene consacrata questa Nota. 2. Cominciamo dal dare alcune definizioni. Nella Nota precedente abbiamo espressa la energia elastica di un corpo soggetto a distorsioni mediante la formula = Bi; si. Y 6n > DINI DI in cui E; denotano gli sforzi ed s, le caratteristiche delle distorsioni. Chia- meremo E, lo sforzo coniugato alla caratteristica s, della distorsione. Scelto il centro di riduzione, la distorsione applicata ad ogni taglio può decomporsi in una traslazione ed in una rotazione relative degli elementi delle faccie del taglio. Servendosi dello stesso centro di riduzione le azioni che sollecitano gli elementi delle faccie del medesimo taglio (composte come se fossero applicate ai punti di un sistema rigido) danno luogo ad una forza resultante e ad una coppia resultante. Questa forza e questa coppia resul- tanti costituiscono lo sforzo totale applicato alla sezione (cfr. Nota prece- dente $ 4). In virtù della precedente definizione, le componenti, secondo gli assi coordinati, della forza resultante sono coniugate delle corrispondenti proie- zioni della traslazione; e le componenti della coppia resultante sono conzu- gate delle corrispondenti proiezioni della rotazione. Se la distorsione è elementare, una sola delle caratteristiche e quindi una sola delle precedenti proiezioni, sarà diversa da zero: la componente della forza 0 la componente della coppia coniugata a questa caratteristica si potrà senz'altro chiamare lo sforzo coniugato alla distorsione elementare. 3. Un solido di rivoluzione si potrà immaginare generato dalla rotazione di un'area piana (area generatrice) attorno ad una retta del suo piano. Sia x l'ordine di connessione dell'area generatrice. Se l’asse di rotazione è esterno ad essa, l'ordine di connessione del solido sarà # +1; ma se l'asse costi- tuisce una parte del contorno dell’area generatrice, l'ordine di connessione del solido resulterà eguale ad 7. Mediante x —1 tagli lineari riduciamo semplicemente connessa l’area generatrice. Colla rotazione questi tagli generano altrettante superficie che possono considerarsi come sezioni del solido. Nel secondo caso bastano queste — 433 — sezioni per render semplicemente connesso il solido, mentre nel primo caso per ottenere la connessione semplice converrà fare ancora un taglio trasver- sale, per esempio un taglio che coincida con una delle posizioni che l’area generatrice assume nella rotazione. Quest'ultimo taglio, o un altro qualsiasi equivalente, si dirà di prima specie; ognuno degli altri, o uno qualsiasi equivalente, si dirà di seconda specie. Supponiamo di avere un solido simmetrico due volte connesso. Allora due casì potranno presentarsi: 1) l'area generatrice è semplicemente connessa ed è esterna all'asse di simmetria; 2) l’area generatrice è due volte con- nessa ed è in parte limitata dall'asse di simmetria. Per ridurre semplicemente connesso il solido faremo nel primo caso un taglio di prima specie e nel secondo caso un taglio di seconda specie, e diremo nel primo caso che il corpo è due volle connesso di prima specie e nel secondo caso che è due volte connesso di seconda specie. 4. Studiamo ora le distorsioni di un corpo elastico simmetrico due volte connesso di prima specie, ammettendo che la simmetria non sia limitata alla forma soltanto, ma, nella ipotesi della anisotropia, la simmetria sussista anche relativamente alla costituzione del corpo elastico. La distorsione si supporrà eseguita sopra un taglio o fatto lungo una delle posizioni che l'area generatrice assume nella rotazione. Porremo l'origine in un punto dell'asse di simmetria e prenderemo come asse 2 quest'asse. La energia del sistema verrà espressa dalla formula (Vedi Nota prece- dente, $ 3). 1 Cso (00) Mes dd, Ein Si Sh+ IT 1 in cui sSi=l,S=M, SN, S4=P , 85=9 , S&=f denoteranno le caratteristiche della distorsione secondo le notazioni usate nella Nota precedente. Ciò premesso osserviamo che, a cagione della simmetria, la energia del sistema non cambierà se applichiamo la identica distorsione, anzichè alla se- zione primitiva o, ad un'altra sezione che formi con questa un angolo 6 qualsiasi. Ora la sezione primitiva e la nuova sezione sono equivalenti, quindi avremo che la energia del sistema sarà la stessa, tanto se applichiamo al sistema lungo la sezione o la distorsione S13 S2) 83) S4 S51 S6) — 434 — quanto se applichiamo, lungo la stessa sezione, la distorsione si=s,c080+ ss sen0 , ss = —s,sen0+4s, 0096, s= s.=s,c080+ s; sen 0 , ss — ssen0 + s; c0s0 , ss = S6 In altri termini: or 6 (2) E=3): Da Ein Si Sh dovrà essere indipendente da 6, ossia dE Ba Ma de, dA ii CETRA I) SAMO agri i quindi dk IACSIA r2 r2 TASTI/ VT = 0 Bu — Esa) 8 PE (59 — s1°) + E13 80.53 — B2351 854 + (Bu — E55) 5455 + Bus (85° — 80°) 4 Hus 85 86 — Bso 848 + + (E — Es5) (80504 815) + (Ba + Bs) (65-89) + + Ei6 53 56 — E26 81 86 + Hg4 84 st — E35 83 84. Le si, st, s5, si, Ss, sg sono arbitrarie; ne segue che En= Eee ’ Eu, = Bs; , E,,j= Hs5 ’ E=— 5 E=Bh3=B3=E5=Es= Es = Hbo= Ego = Eu = E35= 0 e per conseguenza l'espressione (2) di E si ridurrà a: (3) E=;}Bn (st + s5) + Es3 5 + Bu (st + 56) + Esse ss + Nim +- 24 (81 54 + sa 85) + 22 (52 8, — S1 85) + 236 83 S6 {- Prendiamo come piano della sezione e il piano x 4 ed esaminiamo la distorsione elementare d'ordine 6, cioè quella dovuta ad una sola rotazione relativa degli elementi delle due faccie del taglio o attorno all'asse <. — 435 — È evidente che la deformazione del corpo dovrà resultare simmetrica rispetto al piano x <, e perciò l'ellissoide d'’elasticità e la superficie direttrice (!) in ogni punto di o dovranno avere x < per piano di simmetria. In altri termini le azioni elastiche che si esercitano sugli elementi di o dovranno essere normali a o. Componendo queste azioni e prendendo per centro di riduzione l'origine non si potrà ottenere che una resultante normale a o (ossia avente la direzione y) ed una coppia resultante il cui asse è parallelo a o. Ne segue che Bre = bg, = Es=0 onde sarà 1 3 À ET Eu (st + 53) + E33.53 + Bu (st + 85) + Esse sé + + 2Eu (S1 S4 + Ss 85) + 2Eo4 (8284 — Sì 85) . Nello stesso modo, consideriamo la distorsione elementare d'ordine 2, ossia quella dovuta ad una sola traslazione relativa degli elementi delle due faccie del taglio o parallelamente all’asse y. L'ellissoide d’elasticità e la superficie direttrice, in ogni punto di o, resulteranno simmetriche rispetto al piano x 4. Da ciò discendono, come conseguenza di un ragionamento analogo a quello che abbiamo ora fatto, le condizioni Er on DES = E; =0, Ma Bu = Es» ’ quindi E 5 |Pus (142) + Bo S + Bu (614) + Bat + (n + 2Ba (52 Sa Sì 85) . Ora osserviamo che il coefficiente E,, = E: non può esser nullo, altri- menti la energia dovuta ad una distorsione elementare d'ordine 1, oppure d'ordine 2, resulterebbe nulla, il che è assurdo. Ne segue che, componendo tutte le azioni che sollecitano o in virtù della distorsione elementare d’or- dine 2, deve ottenersi una resultante diversa da zero la cui linea d'azione incontra l’asse 2 in un punto £. Infatti tutte queste azioni equivalgono alla forza Es» applicata all'origine ed alla coppia di momento Es avente per asse l'asse «. (1) Vedi Clebsch, 7'Aéorie de l’élasticité des corps solides. Paris, 1883, chap. I, $ 6 — 436 — Ma se prendiamo il centro di riduzione nel punto £ si avrà E,y=0, quindi otterremo finalmente: (mar ©) B=g)Hn 049) +Ensi4+Bu@+8)+Easîl. 5. Passiamo alle distorsioni dei corpi simmetrici due volte connessi di seconda specie. Supporremo che le distorsioni siano applicate ad un taglio di seconda specie simmetrico rispetto all'asse di simmetria del corpo. La energia del sistema avrà sempre la forma (1) e, se prendiamo come asse 2 l'asse di simmetria, per una rotazione di un angolo 6 degli assi «, y nel loro piano non deve alterarsi l’espressione dell'energia stessa. Anche in questo caso dunque la (2) deve resultare indipendente da 0 e quindi E dovrà assumere la espressione (3). Ma, in virtù della simmetria, E non deve mutare cambiando ss in — sg, allorchè sì suppongono s1=s, = s4=s;=0; quindi Es6 == 0. Anche per uno scambio degli assi x, y fra loro E non cambierà, ossia E deve conservarsi la stessa scambiando contemporaneamente s, con s; e sy con — ss. Ne viene che E, =0 e per conseguenza E dovrà avere la forma (4). Ora un ragionamento analogo a quelle fatto nel $ precedente, prova che. scegliendo convenientemente l'origine in un punto £, può rendersi Ex, 0, quindi anche nel caso in cui la duplice connessione è di 2* specie l'espressione dell'energia può ridursi alla formula (5). Il punto £ si dirà il punto centrale dell'asse di simmetria. 6. La formula (5), allorchè si tien conto del principio dei tagli equi- equivalenti, racchiude il teorema seguente: In un corpo elastico simmetrico due volte connesso, ogni distorsione elementare induce îil solo sforzo contu- gato, allorchè si prende il centro di riduzione nel punto centrale dell’asse di simmetria. Da questo teorema segue il corollario: Lo sforzo totale indotto da una distorsione consistente in una trasla- zione relativa degli elementi delle faccie del taglio, è una forza la cui linea d'azione pussa per il punto centrale dell’usse di simmetria. Lo sforzo totale indotto da una distorsione, consistente in una rota- zione relativa degli elementi delle faccie del taglio intorno ad un asse passante pel punto centrale dell'asse di simmetria, è una coppia. Sarebbe poi facile dimostrare : Se il corpo elastico ha un piano di simmetria normale all'asse di simmetria, il punto centrale è il luogo di intersezione dell'asse di sim- metria col piano di simmetria. e 4 SRER 4 — 437 — 7. Esaminiamo il caso in cui la duplice connessione sia di prima specie e la distorsione di ordine 6. Allora lo sforzo si riduce ad una coppia avente per asse l’asse di simmetria, quindi se consideriamo le azioni elastiche che sollecitano una faccia del taglio la loro resultante sarà nulla e di qui re- sulta il teorema enunciato nel S 1. Sarebbe facile completare questo teo- rema mostrando che rispetto all'asse di simmetria il momento delle forze di tensione supera quello delle forze di compressione e precisamente della quantità gs. In modo analogo supponiamo che il taglio sia condotto lungo il piano 4 4 e consideriamo la distorsione d'ordine 2. Lo sforzo indotto consisterà in una forza normale al taglio e la cui linea d'azione incontrerà l’asse di simmetria. Quindi anche in questo caso dovranno esistere elementi delle faccie del taglio soggetti a compressione, altri a tensione. Ritornando all'esempio del $ 1 potremo enunciare la proposizione: se all’anello togliamo (anzichè una fetta di grossezza proporzionale alla distanza dell'asse di simmetria) una fetta di grossezza uniforme e poscia saldiamo le faccie della fenditura, parte di esse saranno tese e parte compresse. Le tensioni supereranno le pressioni (e precisamente di E,,), me INT TOSO 1}i+ Petar U Vit: rl 1 QI AT Mega 12 ZAR SS mas ro to ita Iata ne YyYoV3 m=l R=1 r=l PAT Rain Papa ecc. ecc., dove è T=% +24: + tn. Sia ora S una superficie e sia R una regione tale, che le rette uscenti da un suo punto generico A coi coseni di direzione proporzionali ad 4; , dix, 4ig la incontrino in un punto e in un punto soltanto. Il metodo delle approssimazioni successive dimostra che in R esiste ed è finito e continuo insieme a tutte le derivate che occorre considerare un integrale x dell’equa- zione F(w)=0, il quale su X assume valori prefissati a piacere, insieme alle sue derivate di ordine 1,2,...© —1. Basta a tal uopo che questi va- lori dati su X siano scelti in modo compatibile. Sia A un punto di R; le parallele ai tre assi coordinati, condotte dal punto A, incontrino ® in tre punti A,, A», A3. Supporremo che AA, , AA», AA; siano orientate nel verso positivo, e che le X,, X,, X3 siano state scelte in guisa che nessuna delle dix Sia negativa. Supporremo che le «2» siano legate da alcune condizioni, che si possono esprimere concisamente così: Nel tetraedro a base curva AA, A3 Az esiste una funzione W(4,, 42,43) finita e continua, insieme alle derivate di ordine 1,2,...,v —-1la quale svi piani z;= 0 soddisfa rispet- tivamente alle equazioni D = 0(; <= + —r, —t:— 03) e sugli assi — 44l — x;= &%x = 0 soddisfa rispettivamente alle equazioni Di = Ali) (TAR +a at —-t3)(eZtL+a—-t, — to — 03) € RETI In altre parole, le condizioni in discorso tra i coefficienti è ci esprimono che queste limitazioni, imposte a una funzione w sugli assi e sui piani coordi- nati, non sono contradittorie. Equazioni, per cui queste condizioni sono sod- disfatte, sono p. es. le seguenti: _dîu __d°(Au) dim) dv) E +4 mus D- dYy dE d8 dA Jay DI lp (I°) 9° (eu) di(au) | d°(du) , d°(cu) ta TRA Ye az dda ii e agi tosti i e tiu=0 dove z,%,4 sono le variabili indipendenti, X,u,v,A,B,C,g, a,8,€, P,9,7,t sono funzioni regolari di queste variabili, e di più sono soddisfatte le equazioni : u dd dora b= eu + ; a= "€ St (II°) Il i (005% -+ Ue 3 xi dis 2, u4+ Mu=0 i=1 de dove le 4 sono costanti, le 4,7, sono le variabili indipendenti, M è una funzione regolare di x,y ,2. Questi infatti sono i tipi più semplici di equazioni, cuì si possono ap- plicare le seguenti considerazioni. Noi supporremo di essere sempre nel caso, in cui esiste una funzione w, soddisfacente alle condizioni più sopra accennate. Il metodo delle approssimazioni successive dimostra che: Mel fetraedro AAA Az esiste una funzione v, che sulle faccie piane e sugli spigoli rettilinei del tetraedro soddisfa alle condizioni, testè imposte alla w; questa funzione v è poi entro il tetraedro finita e continua, insieme « tutte le derivate che occorre considerare, eccetto che su quelle porzioni di piano, che sono limitate da uno degli assi coordinati e da uno dei raggi e — di:t,— af:a3 — = di: Gio: dig (€ = 4) (x; > 0) dove con (2,9) indico le coordinate del punto A. Su queste porzioni di piano la v è continua insieme alle derivate di ordine 1,2,..., r—3. Se noi — 442 — nelle (2) al posto di v, v poniamo gli integrali in discorso delle equazioni F(«)=0,@®(0)=0, il primo membro risulterà nullo: sarà quindi nullo il secondo membro di (2) e sarà quindi nullo anche l’integrale [GERA dI dI2 d‘3, esteso al volume S del tetraedro. Si d7720s/7a ora che anche nel easo attuale è lecita l'integrazione per parti; cosicchè indicando con 0,,0,,03 rispetti- vamente i triangoli AA, A3, AAZ A, , AAA» sarà o= f li dog) (1a do: + L3 dog + (4) + f, cosvra, + Ls cosvaes + L3 cos vez) dE dove con v indico la normale a X. Degli integrali, che compariscono nel secondo membro di (4), l’ultimo è noto in virtù delle condizioni iniziali, imposte alla v. Il terzo degli integrali, che compariscono nel secondo membro della (4) (Ls d03) si riduce (poichè su 03 abbiamo che Z3= 0) all’inte- grale: A 3 (i 1) ( Dai ll 31 +3 dr: i Un) + (0+33 Zisa){ das da, . Facciamo una nuova integrazione per parti: questo integrale si muta in un integrale esteso al contorno del triangolo AA, A», ossia si trasforma nella somma di tre integrali: Il primo di essi è un integrale esteso al lato curvilineo A, A» e rap- presenta una quantità nota in virtù delle condizioni iniziali imposte alla « Aa su 3; il secondo è l'integrale 3 | (2 Spe Ze) das; ora, poichè sul 2 A QI segmento AA» si ha che Z3;=0, questo integrale diventa sf da, (1) des = [Zw (As 2) — Zias(A)] dove con Z23 (Ae) ;Zies (A) indico i valori, che Z,33 assume rispettivamente nei punti A,, A. Si ricordi che Z,s3 (A:) è una quantità nota in virtù delle condizioni iniziali imposte alla « su 2. Ora notiamo che analoghe considerazioni si possono fare sull'integrale (esteso al segmento AA,) f (+3 hd AAL 3% 5) da, e che quanto abbiamo — 443 — detto per l'integrale fLz 403 si può ripetere per gli integrali SL, d01; SL d0:. Otterremo in conclusione che la (4) diventa 0=Z% (A)+H dove H è una certa espressione, completamente nota in virtù delle condi- zioni iniziali, imposte alla « su: 2. In conclusione quindi il metodo di Riemann ci determina il valore che Z,33 ha in un punto generico A di R, o, in altre parole, riduce l'integrazione dell’equazione F(v)= 0 all'integra- zione dell'equazione Zi3(A)=H che è un'equazione di ordine inferiore. Per le equazioni I°, p. es., il me- todo di Riemann riduce l'integrazione a sole quadrature; per un'equazione, in cui sia m=5,%,=1(= 5), il metodo di Riemann riduce l’integrazione all'integrazione di un'equazione, che con un cambiamento proiettivo di va- riabili si può trasformare in un'equazione differenziale in due variabili indi- pendenti del secondo ordine di tipo iperbolico. In tutti questi casi dunque il metodo di Riemann, oltre a trasformare l'equazione in un'equazione più semplice, dimostra contemporaneamente i teoremi di unicità: nel caso ge- nerale questi teoremi risulteranno dimostrati con una successiva applicazione del metodo di Riemann. Fisica matematica. — Su/la teoria del solenoide elettrodi namico. Nota del prof. GrusePPE PicciATI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Secondo il concetto di Ampère un solenoide è costituito da un sistema di correnti chiuse, tutte di uguale intensità, piane, geometricamente uguali, equidistanti e disposte normalmente ad una linea, retta o curva, luogo dei loro centri di figura, e che dicesi asse del solenoide. In pratica ci si con- tenta di realizzare un sistema che si comporta come un solenoide avvolgendo ad elica sopra un cilindro un filo metallico isolato. Se il passo è abbastanza piccolo si considera ogni spira costituita di un circuito piano circolare e di un tratto rettilineo di collegamento, in modo che si può dire che l'elica percorsa da corrente equivale ad un solenoide e ad una corrente rettilinea parallela all'asse del cilindro. Riconducendo il filo parallelamente all'asse, da un estremo all’altro dell’elica, si neutralizza l’effetto di questa corrente rettilinea: è ciò che si fa nei solenoidi con i quali si vogliono mettere in evidenza le analogie fra i campi generati da correnti e quelli prodotti da — 444 — magneti. In generale però l'effetto del tratto di corrente rettilinea parallela al- l’asse è così piccolo che si può trascurare, e riguardare quindi una elica come un semplice solenoide. Nei trattati di Fisica si studia il campo prodotto da un solenoide cilindrico rettilineo così costituito, limitatamente però al caso in cuì la distanza fra due spire consecutive sia infinitesima rispetto al raggio del cilindro, ricorrendo alle proprietà del campo prodotto da una corrente cir- colare, ed al principio della equivalenza fra una corrente in circuito chiuso ed una lamina magnetica avente lo stesso perimetro. Valendosi invece delle proprietà del campo prodotto da una corrente costante elicoidale indefinita (') si può effettuare in generale lo studio del campo prodotto da un solenoide o rocchetto, teoricamente indefinito, pratica- mente assai lungo rispetto al raggio. Oltre il ritrovare, quando il passo sia infinitesimo rispetto al raggio, le proprietà dei rocchetti delle quali, come è noto, spesso ci si vale per otte- nere campi magnetici sensibilmente uniformi, altre se ne ricavano, quando invece il passo non sia troppo piccolo, per i punti dell'asse o vicinissimi a lui. Si ha cioè per questi: la forza elettrica e magnetica sono fra loro orto- gonali; quella elettrica è diretta secondo la normale all’elica, quella magne- tica ha inclinazione costante sull'asse. Nell'intervallo di ogni passo la forza magnetica, e quindi anche la sua componente normale all'asse, compiendo una rotazione di 360°, essa può imprimere un moto rotatorio ad un ago magne- tico piccolissimo il cui baricentro scorra sull'asse del cilindro (vedi il $ 2). $ 1°. Si consideri un conduttore filiforme indefinito disposto ad elica di parametro m > 0, immerso in un dielettrico indefinito, isotropo, impolarizza- bile ed in quiete. Riferendoci a coordinate elicoidali, legate alle cartesiane dalle relazioni (1) x=Q 00803 , y=" 0; Seno, = 0. + mos =m(0+ 93), corrisponda l'elica data ai valeri 0o1= R,g0,=0, e sia percorsa da una corrente diretta in modo da formare un angolo acuto con la direzione po- sitiva dell'asse 2. Se I indica la misura della corrente in unità elettroma- gnetiche, le componenti della forza elettrica X,Y,Z, e della magnetica L,M,N secondo 4yz sono date (2) dalle seguenti formole: I —— —- (d Td enni damn ro ——- (do 1 de ) Arefili ? a | do cala (2) Y=—1I/R +m ip Go Dna C080s: di VR? + m? do \ Amani m do (1) Vedi la mia Nota, Rend. Acc. dei Lincei, vol. XIV, 1° sem. 1905. (2) Vedi Nota citata. — 445 — L=I Di DE eng — den) TEO TdO Ugo Sa (2% m d0 Sn GE, if do | Rido, do _Rd0).,, (3) ooo ar di DA 3 )coses| dog 1 do, ) NES CTR Cota D a In esse le @,@0,,03, quando ci riferiamo a punti interni al cilindro su cui è tracciata l'elica, sono: MT I TL on 008 No, N E | )o :l )- UO = Mm mM n-r(aR\ 1, (70 (4) — H° (3) Jj (Cel cos 0, (01 < R) Q TL nt ink n+ mne = +) | Ki i )o ‘le no) 4 + Hi le) Je (I cos no, mentre per i punti esterni si ha 9 2rr ino 2R i Para > d © ali Li )a (E) crono ii ny i 1 ae ) JT I) peo mM 4 6) edi: His Ca Ju (HM sen n.0 (0, > R) Mm mM utt R “A = pen Mor n+1 ink ra taZi[! 1) a + HI" CI LR ( ni cos 2.0 indicando le J le funzioni cilindriche di 1* specie e le H, funzioni cilin- driche di 3* specie o di Hankel. 2. Esaminiamo dapprima il campo per i punti interni al cilindro; dovremo nelle (2)(3) sostituire per ©, ©, 3; le espressioni (4); se allora — 446 — facciamo uso delle relazioni fra le funzioni cilindriche in generale, dO*(a Da 2 o ) = (BRM) Oa), dC‘ (a v 2 2% _ + dele) )__ glo ia) = O*(2) — OH (2), possiamo dare alle componenti delle forze elettromagnetiche la forma seguente : __2r1j/R? + m? (R cosos < . Hai n+1 n+1l Xen dea re > in(H eos api ) cos n.0 sq lO, > inBin e, sennb) 1 ) 2r7I VR? + mt ;R sen 03 N) Hal n+l n+1 id “+ m° (Ri senos be 6 (O) 0 x im d-' Ha Arta I, ) cos n MESS in H SOR sona oa vo (4 2 2 00 n= ce Jp senz0, (0) | TI= È Veose, D_ Vin Dif Ja e To, DI È Hi USE Ha i sl sen n0 mM i ori iù (HH )( Litio To ) cos 0 (7) < ui sen 03 > en E ESSA È E Mi Ha Ts )] sen 20 ge Urb 03 DIL fo leoni ) Jo Da at ) cos 0 I n 2I aIRo n+ n-1l n+ ne tn el. nf — Hi Dr avendo, per brevità, posto y{inR DE TTÒ y MO LOST 3 LE E ( na |a VESTI ( A o per vraen—-1l,n,n+1. Esaminiamo ora il comportamento del campo per i punti dell'asse del cilindro od a lui vicinissimi. Per le (1) si possono individuare i punti del- l’asse come quelli per i quali o,=0,0=0, ossia x=0,y=0,2=wmgg: ricordando che ed inoltre che le (6) (7) divengono: I IR\/R? DI I{/R? z R X= sali e 2 (a + HS) cos 03 == Li ti) COS 03, (8) IRV/R®° + m? IVR°+m? pi/iR Y= lita i(Hin + Hx) seno = sa H() Sen 05, Z=0, nxIkR tI (R: le (2) (3) danno, mediante le (5), per le forze elettromagnetiche, le espressioni: 21/R? + m? cosos YCE= 3 +X, 13 2 ( ) Vee 21V/R? + m? tm? mo vali m AZ Dili ì he % + L', (14) god 21 muse +W, m Ne= n (1) Vedi il Cours d’Electricité par H. Pellat, pag. 66. — 450 — nelle quali X', Y', Z', L', M', N' indicano le espressioni stesse (6) (7), dopo ink v v pa ) ed alle Tip, 10 Hp, che in esse si è sostituito alle H', le J= »( = Hi i pr rvraen—-1l,n,n+1. Consideriamo poi il caso in cui è 5 trascurabile, mentre i = 2a è una quantità finita; la (11), scambiato in essa R con @, e viceversa, ci mostra che si può trascurare nH'° 3) (È di quando si escluda, per la ragione detta prima, la considerazione dei punti vicinissimi al cilindro. Onde, con l'ordine di approssimazione considerato, le (13) (14) danno COS 03 Sen 03 X = 4nluR —S , Y= 4nluR (15) i ang] AV cioè, come è noto, il campo magnetico del rocchetto all'esterno è nullo. Le (15) esprimono inoltre il modo di variare della forza elettrica per i punti esterni al rocchetto. 5. Quando si voglia mettersi nelle condizioni di quei solenoidi nei quali il filo è ricondotto parallelamente all'asse del cilindro da un estremo all’altro della elica, basta aggiungere il campo dovuto ad una corrente rettilinea, indefinita, della stessa intensità, parallela all'asse, alla distanza R e diretta nel senso negativo dell'asse z. Supposta nel piano 3, il campo da essa prodotto è e 0 Sn (16) \xi- (ci R) and ì (e — R)? + y° ’ Zi 0 MR, ge {1 (= appa i = pete 0 quindi l'aggiunta delle (16) alle corrispondenti componenti già determinate per i punti interni od esterni al cilindro dà le forze del campo dovuto al solenoide così costituito. Quando si riguardi R trascurabile, mentre — = 27riu è una quantità finita, l’azione dovuta alle (16) è trascurabile, restando giustificato il riguardare praticamente un'elica a spire molto ser- rate come un semplice solenoide. — 451 — Fisica terrestre. — Sul pireliometro a compensazione elet- trica dell’Angstrim. Nota di Ciro CHisTONI, presentata dal Socio P. BLASERNA ((). Il pireliometro n. 19 era arrivato a Modena fino dalla primavera del 1901, ed avendo verso la metà di giugno 1902 ricevuto il n. 39, pensai subito di metterli a confronto. Indicherò con Q, i risultati ottenuti con quest’ultimo e con Q, i risultati ottenuti col n. 19. A questo venne applicato l’amperi- metro 53352 con derivazione 12320; ed al n. 39 l’amp. 66234 con der. 14894. Il quadro seguente contiene i risultati dei confronti. Ora QuQa Ora Qu Giorno o | @ Qa | QQ | Giorno 30 giugno | 9.19] 0,962| 0,970|— 0,008 || 1° luglio | 9.20| 1,066| 1,070 0,004 1902 11.19| 1,002 | 0,996 | + 6 1902 10.20 | 1,148 | 1,154 12.19] 1,018 | 10,23 | — 5) 11.20 | 1,165 | 1,160 12.20 | 1,176| 1,178 14.20 | 1,166| 1,159 15.20 | 1,064| 1,062 16.20 | 0,984 | 0,989 17.20 | 0,878 | 0,886 00 UT JMD rar Nello stesso anno 1902 ricevetti a Sestola il pireliometro n. 38, che confrontai subito col n. 19, che teneva con me. Al n. 19 stava unito l’amp. su citato ed al n. 38 venne unito lamp. 66235 colla der. 14895. Tre altri confronti li feci il 25 luglio 1903. Con Q, vengono designati i risultati che si ottennero col pireliometro n. 38. 25 agosto 1902 26 agosto 1902 24 agosto 1902 Ora |. Qi Qa | Qs-Qi Ora | Qi | Qe Qs-Q1 Ora | Qi Qa QQ 9.21| 1,205|1,197| — 0,008 | 8.21|1,145|1,136| — 0,009 821111986 1,086} = 0,000 10.21| 1,218] 1,221| + 3 | 8.49] 1,145|1,148| + 3 | 8.51|1,146|1,142| — 4 11.21| 1,229] 1,227| — 2 | 9.21] 1,190|1,187| — 3 || 9.21| 1,162] 1,159] — 3 12.21) 1,241| 1,245] + 4 | 10 21| 1,218| 1,210] — 8 | 10.21] 1,196|1,188| — 8 14.21| 1,197| 1,195] — 2 || 11.21] 1,197|1,205| + 8 | 10.52| 1,208| 1,205] — 3 15.21| 1,162| 1,154] — 8 | 11.52] 1,225|1,223| — 2 |11.21| 1,219] 1,222| + 3 16.21] 1,049] 1,051] + 2 | 12.21] 1,196] 1,194| — 211.51] 1,242) 1,234| — 8 |1421 1,015] 1,020] + 5 |12.20| 1,265] 1,262] — 3 mm 14.19] 1,218| 1,221] + 8 25 luglio 1903 15.19] 1,185| 1,199] + 14 SEI 16.19] 1,070] 1,071] + 1 Ora | Qi Qa | Qa-Qi 9.28] 1,140| 1,141| + 0,001 10.28] 1,179] 1,180| + 1 11.15] 1,205| 1,214] + 9 (‘) V. la Nota precedente a pag. 340 di questo volume. — 452 — T confronti seguenti vennero fatti fra il n. 39 ed il n. 29, i risultati del quale sono indicati con Q3. Al primo era unito l’amp. 66234 e der. 14894; al secondo l'amp. 66235 con la der. 14895. 18 febbraio 1903 24 marzo 1903 Ora Qs Qua Qa-Q Ora Qi | Qi | Qs-Q 11. 0|0,983| 0,994] -— 0,011 | 11.16| 1,091|1,084| + 0,007 11.15] 0,995| 0,995| + O | 11.34| 1,097|1,106| — 9 11.30] 1,007| 1,000] + 7 |11.50{ 1,104|1,112| — 8 11.40| 1,012| 1,011/ + 112. 0|1,115| 1,118) — 3 15.19] 0,846! 0,847| — 1 | 14.15|1,007| 1,010| — b) 15.30] 0,831| 0,832] — 1 | 14.35] 0,940] 0,945] — 5) 15.37] 0,836] 0,832| + 4 | 14.52] 0,957| 0,955] + 2 15.23| 0,903! 0,895] + 8 In maggio e in giugno 1903, tenni a confronto il n. 19 col n. 39; il primo con amp. 66235 e der. 14895 il 9 maggio e con amp. 53352 e der. 12320 negli altri giorni; il secondo con amp. 66234 e der. 14894. Ot- tenni i risultati seguenti: i Ù À | Giorno Ora | Qs | Qu-Qa Giorno. | Ora Qu | Qe. Qu-Qa 9 maggio | 12.13| 1,122| 1,130| — 0,008 [26 maggio| 12.13| 1,066| 1,066| = 0,000 22» 11.84| 0,995 | 1,000] — 5) ” 15.13| 0,966 | 0,962 | + 4 ” 12.13 | 1,044| 1,040| + 4 (29 giugno | 9.19| 0,922| 0,916] + 6 ”» 15.13] 0,975| 0,969|+ 6 ” 12.19] 1,033| 1,035] — 2 ” 15.19 | 0,968 | 0,974] — 6 Nel luglio 1903 si ripeterono i seguenti confronti fra il n. 39 ed il n. 29. Il primo con amp. 66234 e der. 14894; il secondo con amp. 53352 e der. 12320. 11 luglio 1903 12 luglio 1903 Ora | ® Qi QQ Ora | Qs Q QRs-Q 14. 0) 1,082] 1,083] — 0,001 | 12.21] 1,132] 1,129] + 0,003 14.10) 1,066) 1,057] 4- 9 | 13.52] 1,084| 1,085f — 1 14.21| 1,108| 1,112| — 4 ll 14.16] 1,068] 1,059| + 9 14.38] 1,055] 1,047] + 8 || 14.26] 1,156] 1,158| — 2 14.43] 1,050] 1,052 — 2 || 14.40] 1,074! 1,076 — 2 15.21| 1,055| 1,052| + 3 || 14.50] 1,091| 1,103] — 0,012 15.35] 1,027] 1,026] + 1 — 453 — Alla fine di agosto feci una visita accurata al pireliometro n. 39 (che si adoperava per le osservazioni pireliometriche dal 25 giugno 1902) ed a tutte le parti accessorie e trovai che tutto procedeva in regola. Ripetuta la visita il 27 settembre 1903 mi accorsi che le laminette di rame del doppio elemento termo-elettrico non erano più così bene aderenti alle striscie pireliometriche, come erano precedentemente. Conveniva quindi fare di nuovo un confronto fra il n. 29 ed il n. 39; e poichè io doveva assen- tarmi da Modena, affidai la cosa al sig. dott. Emilio Teglio assistente all'Isti- tuto fisico della R. Università. Col n. 39 stava sempre l’amp. 66234 e der. 14894; e col n. 29 l’amp. 53352 e der. 12320. I risultati ottenuti dal Teglio nell'ottobre 1903 sono riuniti nel seguente quadro: Ora Giorno Ora Giorno Qo-Q e | @ 7 | 11.80| 1,035] 0,971] 0,064| 1,0668 19 | 11.30| 1,084| 1,014| 0,070| 1,069 11.45| 1,047| 0,987] 60| 60 11.45| 1,108| 1,080) 73 71 io 174] 1180 sell bi 12. 2| 1,109) 1,086] 73 70 19 | 10.10| 1,021| 0,946| 75| 79 15. 2| 0,908| 0,845| 63 74 10.20 | 1,049| 0,982| 67| 68 15.15| 0,871] 0,808| 63 77 10.30) 1,054| 1,008f 51) 52 15.30| 0,824| 0,772| 52 68 10.45] 1,072] 1,023] 49| 48 16. 0| 0,694| 0,654| 40 61 11.1] 1,072| 1013] 59] 59] 20 | 12.2] 1,096| 1041] 55 53 Nello stesso mese di ottobre 1903 il dott. Teglio fece alcuni confronti fra il n. 39 ed il n. 19 applicando a questo l’amp. 131913/1293. Ottenne: Giorno| Ora Qi Qu | QQ È Giorno] Ora Qa | Qi 50 “E 4 4 21 9. 1| 0,857] 0,819] 0,038| 1,047| 24 15. 1| 0,802| 0.761| 0,041] 1,054 11.5]| 1,027] 0,980| 0,047| 1,048) 25 9. 0] 0,896| 0,858| 0,038| 1,044 12. 1| 1,054} 1,011| 0,043| 1,042 12. 0| 1,117] 1,068] 0,049] 1,046 15. 1| 0,772] 0,734] 0,038| 1,052 15. 0| 0,898| 0,853| 0,045| 1,053 | 26 | 9. 0] 0,762] 0,728] 0,084] 1,047 La differenza fra la media aritmetica dei valori di & e di il mi fece so- 4 4 spettare che anche le striscie pireliometriche del n. 19 si fossero un po’ alterate: avrei desiderato di fare subito dei confronti fra il n. 19 ed il n. 29, ma per diverse circostanze dovetti rimettere la cosa a più tardi. Intanto verificai, tratto, tratto, lo stato delle striscie pireliometriche del n. 19 e mi parve che l’aspetto della superficie assorbente sì fosse un po' modificato, ma — 454 — non trovai allontanate sensibilmente le laminette delle coppie termo-elet- triche dalle striscie pireliometriche. Verso la fine di aprile 1904 essendomi accorto che una delle striscie del n. 39 (che aveva servito dal 25 giugno 1902 per le osservazioni cor- renti) si era un po’ arcuata, e visto che l'aspetto delle superfici assorbenti sì era un po mutato, sostituii al n. 39 il n. 19; ed al n. 39 vennero in seguito cambiate le striscie completamente e si distinse da allora col n. 39 ds. Avrei potuto sostituire al n. 39 il n. 29, che, come si vedrà, non aveva fino allora sofferte delle alterazioni, ma non mi fidai perchè il n. 29 era l’unico campione che mi rimaneva a Modena; e se colla continua esposizione si fosse alterato, mi sarei trovato nell’imbarazzo di non sapere più a quale campione ridurre le misure quotidiane. Nel maggio 1904 feci una lunga serie di con- fronti fra il n. 19 (Q») ed il n. 29 (Q); il primo con amp. 66234 e der. 14894, il secondo con amp. 53352 e der. 12320. Ottenni i risultati seguenti: Giorno] Ora Qi Qo no da Giorno| Ora O |a 2-0 | So Qa | | Qa 2 11.38 | 1,125| 1,012 | 0,113| 1,112! 17 11.44| 1,169| 1,053| 0,116| 1,110 11.58 | 1,110] 0,999 | 0,111| 1,111 11.57 | 1,196] 1,074] 0,122] 1,114 12.13 | 1,147| 1,005 | 0,142| 1,141 12.12 | 1,202| 1,070| 0,132| 1,123 15. 5| 1,085 | 1,003 | 0,082| 1,082 14.12 | 1,163| 1,047 | 0,116| 1,111 5 11.46| 1,233| 1,112| 0,121) 1,109 14.27 | 1,095 |-0,985 | 0,110 | 1,112 12. 3| 1,267| 1,142| 0,125| 1,109 1448 | 1,114| 1,001 | 0,118| 1,113 12.138| 1,297] 1,165| 0,132| 1,114 15.12] 1,077| 0,971] 0,106| 1,109 14.13 | 1,234| 1,104| 0,130) 1,118| 26 11.56 | 1,189| 1,074| 0,115| 1,108 14.85 | 1,225| 1,092| 0,138| 1,121 12. 7| 1,208| 1,090| 0,118| 1,109 14.51] 1,219] 1,098| 0,126| 1,115 11.59| 1,118| 1,010| 0,108| 1,107 15.13 | 1,195| 1,067 | 0,128| 1,120) 29 12.13 | 1,178] 1,059| 0,119| 1,113 16 14.19] 1,151] 1,035] 0,116| 1,113 Prima del 16 maggio, tornando a visitare attentamente il pireliometro n. 19, verificai che non c’era più la solita aderenza delle lamine di rame colla carta di seta che le separa dalle striscie pireliometriche, ma non per questo le indicazioni del pireliometro rispetto al n. 29 si erano cambiate; difatti dai confronti dei giorni 2 e 5 si avrebbe Q3= 1,114Q: e dai con- fronti dei giorni 16, 17, 26 e 29 si avrebbe Q3= 1,112 0Q.. La differenza nei due coefficienti è tale da portare la differenza di qualche millesimo nel risultato finale; ossia la differenza è dell'ordine dell’errore di osservazione. La prova che i risultati che si ottenevano col pireliometro n. 19 erano inferiori al vero e che il n. 29 si era conservato inalterato, l’ebbi dai se- guenti confronti fatti in giugno 1904, non appena potei disporre del pirelio- metro n. 39 dis. Confrontai il pireliometro n. 19 (con amp. 53352 e der. 12320) — 459 — col n,,39dis (con amp. 66234 e der. 14894) i risultati del quale sono indi- cati da Q;; ed ottenni: Giorno| Ora 1 (11:87 11.47 12.17 14,33 14.48 15. 5 23 | 11.18 Contemporaneamente, in giugno 1904, feci i seguenti confronti n. 29 ed il n. 39%7s, mantenendo a questo il solito amperimetro ed Qi 1.036 1,064 1,070 1.007 1,008 0,987 1,047 E 1,148| 0,112| 1,109] 24 1,188 | 0,119| 1,112 1,188 | 0,113 | 1,106 1,126 | 0,119| 1,119 1,126 | 0,118| 1,118 1,108 | 0,116| 1,118 1,160] 0,113| 1,109 Q5-Qa ® |Giorno cando al n. 29 l’amp. 53352 con der. 12320. Giorno | Ora 16 28174 ASL 17 ORI A 1998 ol 18 Ce UA ,129 | 1,137|+ 0,008 ,071| ,080|+ 9 SOR ag] RESI ,025| 1,0961+. 11 Q3 Qs | QQ Giorno | Ora Qe | Qi Qs-Qe ni 2 11.20] 1,006 | 1,114| 0,108| 1,108 11.35 | 1,017| 1,126| 0,109| 1,108 11:45: 1,023:| 1,137 | 0,114| 1,111 14.20 | 1,026| 1,148| 0,122| 1,119 14.45 | 0,997 | 1,103| 0,106| 1,106 15.15 | 0,940| 1,047 | 0,107| 1,114 15.80] 0,930 | 1,036 | 0,106] 1,114 fra il appli- Ora Q3 Q QQ; 9.18 | 1,125| 1,126| + 0,001 9.19) 1,070.| 1,069] — 1 TRO AO 2 Ro 0x7 E= 5 15.19 | 1,142 1,148] + 6 Confronti del genere di quelli ora citati, vennero fatti dall'Angstròm (!), dal Marvin (2) e dal Kimball (3); e seguendo il loro giusto modo di vedere, sì deve ritenere che fino verso la metà di settembre 1903 i pireliometri n. 19, n. 29, n. 38 e n. 39 andavano pienamente d'accordo. Il n. 39 dopo un anno e tre mesi di continuo lavoro, aveva incominciato ad alterarsi. Anche il n. 19 (che era stato adoperato a Sestola nel 1901, al Cimone nel 1902 e nel 1903) nell'autunno 1903 aveva incominciato ad alterarsi; ed un’al- terazione sensibile, ma costante, aveva raggiunto nella primavera del 1904. — Il n° 29 poi, forse perchè è stato meno adoperato, forse per altra causa, a tutto l'estate 1904 non aveva subìto alterazione, tanto è vero che in giugno 1904 dava risultati uguali al n° 38 dis di recente costruzione. (1) Intensité de la radiation solaire è différentes altitudes, ecc. (2) Loc. (3) Loc. cit. cit. RenpicontI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 56 — 4560 — Dalla metà di settembre 1903 i valori che si ricavarono col pirelio- metro n. 39 vogliono essere moltiplicati per 1,064. Quanto al pireliometro n. 19, riferendosi al n. 29 avrebbe dalla fine di aprile 1904 per coeffi- ciente 1,113; e 1,112 riferendosi al n. 39 dis. La quasi perfetta uguaglianza fra i due coefficienti, assicura che i risultati che si ricaveranno dalle osser- vazioni fatte nel 1904 col n. 19 non lascieranno a desiderare. Qualche cosa di simile a ciò che avvenne per i pireliometri n. 19 e n. 39 pare che sia successo anche al pireliometro n. 28, stando ai risultati dei confronti fatti dai signori Marvin e Kimball. Questi piccoli inconvenienti che non sono che meschinità, di fronte alla garanzia scientifica ed alla comodità che offre il pireliometro Angstròm, è bene che siano stati avvertiti fino da principio, poichè si troverà facilmente modo di evitarli. E poichè dai risultati dei confronti suesposti risulta che col pireliometro Angstròm, quando sia adoperato con cautela, si può ottenere, da una misura completa, il valore dell'intensità della radiazione con una approssimazione di un centesimo di caloria-grammo per minuto e per cm?; così, e per il grado di precisione che si ottiene nei risultati, e per la relativa comodità pratica che offre l'apparecchio, ho creduto preferirlo agli altri per intraprendere il lungo lavoro di misure pireliometriche, che mi sono assunto, come coopera- tore del Comitato per gli studî sul sole. Geologia. — Osservazioni sui sedimenti del Monte Mario an- teriori alla formazione del tufo granulare. Nota dell'ing. ENRICO CLERICI, presentata dal Socio V. CERRUTI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 457 — Chimica. — Sopra una nuova serie di sali isomorfi('). Nota di I. BeLLUCCI e N. PARRAVANO, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. In Note precedenti (*) noi ci siamo occupati della costituzione che compete alle tre serie di ossisali: [Pt(0H)°]X">, [Sn(0H)°_X":, [Ph(OH)°]X, per i quali abbiamo dimostrato le formole sopraddette, basandoci sopra numerosi fatti di indole chimica. Fra le varie considerazioni che ci hanno indotto ad assegnare ad essi la costituzione ora indicata, abbiamo accennato anche all'esistenza di isomorfismo tra i sali di potassio delle tre serie. È appunto in questa Nota che ci occupiamo dettagliatamente di tali relazioni cristallografiche. È noto come le numerose ricerche intraprese da che Mitscherlich ebbe formulata la sua legge sull'isomorfismo, abbiano dimostrato che dalla somi- glianza delle forme cristalline non può sempre dedursi analogia di costitu- zione chimica, essendosi trovata somiglianza di costanti cristallografiche fra le sostanze più eterogenee. Quest'ultima coincidenza casuale che si comprende sotto il nome di isogonismo, non va però confusa con il vero isomorfismo il quale stabilisce gli stretti rapporti che corrono tra forma cristallina e costi- tuzione chimica. Ed è appunto nel rostro caso che si manifesta un vero iso- morfismo, il quale concorre nel modo più valido a dimostrare per le tre serie di sali da noi studiate quell’analogia di costituzione che ci è risultata dalle prove chimiche. Che trattisi realmente di isomorfismo lo dimostra anzitutto il fatto che 1 tre sali di potassio, i quali, come sotto si vedrà, cristallizzano nel sistema romboedrico, mostrano una coincidenza notevolissima nei valori angolari, coincidenza che supera di molto quella osservata nella serie dei carbonati romboedrici e che è dello stesso grado di quella strettissima che si riscontra per ì solfati della serie magnesiaca. Riportiamo infatti i valori angolari rife- ribili ad alcuni carbonati e solfati, scelti fra i più concordanti, ponendo a lato quelli dei nostri ossisali: CaC08 74055 MgS0*,7H°0 89026 Pt(OH)°K® 74° 48 MnC0* 73°09 ZnS0*,7H*0. 89022 Sn(OH)°K® 75°14 FeC0® 73°00 NiSO*,7H°0 88°56 Pb(OH)6K® 75°19 (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di chimica generale della R. Università di Roma. (2) Bellucci, Zeitsch. anorg. Chemie, 44, 168, 1905; Bellucci e Parravano. Questi Rendiconti, XIII (II), fasc. 6, 7, 8; XIV (1), fasc. 7. — 458 — Ben si vede come la differenza tra i valori estremi delle singole serie qui riportate sia per i carbonati di 1° 55’, per i solfati di 0° 30", e per i nostri ossisali di 0°31'. La differenza che corre tra i valori angolari della nostra serie è adunque ben minima, e ciò apparirà di tanto maggior momento ricordando, ad esempio, che nella serie dei carbonati romboedrici, di cui noi abbiamo riportato solo gli esempi più concordanti, fra i termini estremi CaC0* e ZnCO? esiste una differenza angolare di 2° 35‘. Il che farebbe quasi escludere l’'isoformismo tra questi due ultimi carbonati, se esso non fosse appoggiato dall'esistenza di tutta la serie dei carbonati iutermedî e non si conoscessero delle varietà di carbonati che contengono calcio e zinco in quan- tità variabili. Altro fatto che parla in favore dello stretto isomorfismo che esiste fra i nostri tre ossisali è che i cristalli di platinato, stannato e piombato potas- sico crescono vicendevolmente nelle soluzioni l'uno dell'altro e ne provocano la cristallizzazione. Ricordiamo così che il platinato ed in specie il piombato di potassio, che da soli cristallizzano tanto difficilmente, si possono agevol- mente ottenere in bei cristalli seminando nelle loro soluzioni alcaline qualche cristallino di stannato potassio. Talora ci è occorso con soluzioni soprasature di piombato di potassio, che un cristallino di stannato o platinato aggiunto ad esse ne provocava immediatamente la cristallizzazione quasi come una vera precipitazione cristallina. Come è noto, sono questi fra i criteri più rigorosi per stabilire che trattasi di un vero isomorfismo. Esponiamo ora qui sotto le misure cristallografiche, eseguite per nostro invito su questi sali dal dott. F. Zambonini, quali ci vengono da esso comu- nicate, riservandoci in ultimo di fare alcune altre considerazioni. Noi ci sen- tiamo in dovere di porgere al dott. Zambonini i nostri migliori ringrazia- menti per la cortesia con cui ha corrisposto al nostro invito. PARTE CRISTALLOGRAFICA. Dei tre composti Pb(0H)6K®, Sn(0H)*K®, Pt(0H)°K®, sono stati stu- diati cristallograficamente finora soltanto i due primi. Fremy (!) che li scoprì ritenne che fossero ambedue romboedrici: Marignac (?) confermò più tardi il sistema cristallino per lo stannato, del quale però non potè avere a propria disposizione che cristalli con facce un po’ curve, cosicchè le misure non pote- rono essere che approssimative. Marignac osservò che i cristalli avevano spesso l’apparenza di prismi obliqui (come più tardi notò anche il Rammelsberg), per lo sviluppo anor- (*) Annal. de chim. et phys. [3] 12, 488, 1844. (2) Oeuvres complètes, I, 645. — 459 — male di due facce del romboedro: sono spesso geminati secondo una faccia del romboedro e presentano netta sfaldatura basale. Per ciò che riguarda il piombato Pb(0H)°K® Regnault osservò cristalli ottaedrici; Seidel (*) fece studiare quelli da lui ottenuti dal Klien, il quale ritenne che appartenessero al sistema dimetrico: essi sarebbero la combina- zione di un ottaedro con spigoli terminali di 104° 30' e laterali di 119° 52, con l'ottaedro di secondo ordine, e presenterebbero inoltre i due prismi, di primo e secondo ordine, e la base. In seguito a questi risultati il Seidel concluse affermando che i due composti PbO3K?,3H?O ed Sn0*K?, 3H?0 (come venivano allora indicati) non erano isomorfi. Ecco ora i risultati delle mie ricerche: Stannato potassico Sn(0H)°K?. Sistema cristallino: romboedrico a= 70° 0' 44° (ic. —#1eMt9588) Forme osservate: "j100} , s{110{, ©}111{, P}101{. Quest'ultima non è ricordata dal Marignac ed è quindi nuova. Queste forme si riuniscono nelle seguenti combinazioni : a) }100| 5) }100} }110| c) }100 }111 d) }100t }110} {111} e) }100f 5110} }101 f) }100} {110% 31014 }111{ I cristalli di stannato da me studiati hanno sviluppo del tutto irrego- lare e variabilissimo. Frequenti sono quelli che presentano il romboedro }100| N@eih isolato, quasi sempre con due facce parallele dominanti sulle altre: molto frequente è pure la combinazione e), ma anche in questa }100 presenta di solito due facce parallele molto più sviluppate delle altre e la base invece poco estesa; }110{ è discretamente comune, non ha mai tutte le sue facce, (1) Journ. prakt. Chemie, 20, 200, 1879. — 460 — spesso ne possiede una o due soltanto. Lo stesso accade per il prisma }101{ che però è raro. Assai rari sono i cristalli tabulari secondo la base. La fig. 1 rappresenta uno dei tipi più frequenti. Molto comuni sono i geminati aventi per asse di geminazione la nor- male ad una faccia di }100{ ed anche questi sono straordinariamente irre- gelari. Tutte le facce sono abbastanza piane e splendenti ed hanno permesso buone misure, ad eccezione della base che fornì soltanto pessime immagini, e di }101} che ne dette solo di mediocri. Spigoli misurati Limiti delle misure N. Media Cale. (100) (010) 4057 mp0 7/0 eo A 01 = (100): (10), 52/10 Moog 80 5200230300M05200220, (100) : (100) 2913 — 29 42 6 29 3130 29 31 COLO ae i spe 3732 37 3871/, La sfaldatura secondo la base è netta e facile. Doppia rifrazione abbastanza energica, positiva. Nessuna traccia di ano- malie ottiche. I cristalli di Sn(0H)°K? sono incolori o leggermente giallognoli, tra- sparenti. Stando all'aria diventano rapidamente bianchi, opachi. Piombato potassico Pb(0H)°K?. Sistema cristallino: romboedrico a = 70° 10' 26" (GRO==20L9518) Forme osservate "{100} $}110} °}111}, le quali si riuniscono in due com- binazioni }100f }111{ e 3100} {110 }1I1{, delle quali l'ultima è molto più € Meo frequente dell'altra, che è decisamente rara. I cristalli sono tutti più o meno tabulari secondo la base, e spesso si riducono a sottilissime laminette. La base è sovente sostituita da facce curve poco discoste dalla sua posizione e solo di rado presenta facce ben misurabili. Dopo la base la forma più sviluppata è generalmente }100(; qualche volta }100{ e {110 hanno all'incirca uguale grandezza; }110{ spesso ha solo una parte delle sue facce. Geminati secondo 3100} sono rari. Le figure 2 e 3 rappresentano i due tipi più comuni. — 461 — Le facce di }100{ e }110{ sono molto piane e splendenti ed hanno. for- nito ottime misure. Spigoli misurati Limiti delle misure N. Media Calcolato (100): (010) 75° 9" — 75033" 12 75° 19' 45" — (111) :(100) 66 2 — 66 13 6 66 8 66° 41/3 (100):(110) 52 10 — 52 32 7 52 19 30 52 20 (100):(011) 65 27 — 65 38 2 65 32 30 65 303/, (100) :(100) — 1 29 16 29 201/, Sfaldatura abbastanza netta secondo la base. Doppia rifrazione discretamente energica, positiva. Anche qui nessuna traccia, nelle sezioni basali, di anomalie ottiche. TR) (CASH I cristalli di piombato potassico sono incolori, ma appena tolti dalla so- luzione in cui si sono formati, ingialliscono rapidamente, poi più lentamente diventano bruno-rossigni, opachi, finchè perdono ogni splendore e diventano friabili e di colore marrone-scuro. Come si è detto sopra, Regnault ha osservato degli « ottaedri », e se- condo Klien i cristalli di piombato sarebbero dimetrici. È chiaro che un romboedro combinato con la base acquista l’aspetto di un ottaedro, se le otto facce sono tutte all'incirca egualmente estese, come avviene anche in alcuni cristalli di Sn (0H)° K?. I cristalli misurati da Klien sono identici ai miei, come dimostrano i suoi angoli. Lo spigolo terminale del suo ottaedro (104° 32’) corrisponde benissimo all’angolo del romboedro }100{ da me osservato (104° 40'15”), mentre lo spigolo laterale di 119°52' si avvicina molto all’an- golo (100):(110). I cristalli quindi esaminati da Klien dovevano presentare delle irregolarità nello sviluppo, così da simulare l'habitus dimetrico, mentre quelli da me studiati sono sicuramente romboedrici, come è dimostrato net- tamente e dall’habitus e dalle numerose misure eseguite in cristalli regolar- mente formati. D'altronde basterebbe il fatto, constatato da Bellucci e Parravano, che nelle soluzioni di piombato potassico la cristallizzazione è provocata dalla introduzione di un cristallino di stannato, per rendere più che probabile l’ iso- — 462 — morfismo tra i due composti, che è messo del resto fuori di dubbio dalle misure. Platinato potassico Pt (0H)° K?. Sistema cristallino: romboedrico e — 090 (@20= 1810055): Forma osservata }100t. I cristalli di questo composto sono per lo più riuniti in gruppi, avendo una grande tendenza all'associazione più o meno perfettamente parallela ed anche irregolare. I cristalli di questi gruppi sono abbastanza grandi, ma hanno le facce curve e spezzettate. Vi sono però anche dei cristallini picco- lissimi (spesso inferiori ad 1 mm.) che sono invece di una regolarità vera- mente ideale e forniscono delle misure esattissime. Nei cristalli grandi generalmente due facce parallele del romboedro do- minano sulle altre, mentre nei piccoli e nei piccolissimi tutte le forme sono egualmente estese. Spigoli misurati Limiti delle misure N. Media (100) : (010) 74° 320 — 7595! 40 74° 48' Sfaldatura netta secondo la base, difficile però ad ottenersi, essendo i cristalli fragilissimi. Doppia rifrazione positiva, meno forte, sembra, che nello stannato e nel piombato. Il colore dei cristalli è giallo-oro. Anche i cristalli di platinato potassico ora studiati furono ottenuti pro- vocando la cristallizzazione della soluzione mediante l'introduzione in essa di due cristallini di stannato. Dalle ricerche cristallografiche del dott. Zambonini, ora riportate, ri- sulta che i tre composti Pt (OH) K?, Sn(0H)° K? e Pb (0H)° K° sono tra loro isomorfi. Vale a dire il platino, lo stagno ed il piombo, nelle forme tetravalenti, possono a vicenda sostituirsi in questo tipo di sali ossidrilati Me (0H)5 X',, senza portare notevoli variazioni nelle costanti geometriche, costituendo realmente una nuova serie di sali isomorfi. Relazioni cristallografiche tra Pt', Sn!" e Pb! erano state sin qui tro- vate unicamente nel caso dei clorosali del tipo Me C15 X',, ma ciò, come è noto, non ha gran valore probante perchè tali clorosali cristallizzano nel si- stema monometrico. — 463 — Nel caso nostro si viene perciò a dimostrare per la prima volta l’esi- stenza di composti isomorfi tra Pb! e Pt! e viene a riaffermarsi l’ isomor- fismo tra Pb! e Sn!” che finora posava sopra pochissime osservazioni ed era stato negato dal Retgers (!), il quale parlando infatti dei composti Me C1° X", così si esprime: «... indem nicht bloss Elemente, wie Silicium, Zinn und Blei, welche durchaus nicht isomorph sind ....», e più oltre: «... das Blei, welches mit Ca, Sr und Ba isomorph ist, stellt man in die Reihe des Kohlenstoff und Zinn, mit welchen es keine Isomorphie zeigt ...». A quanto ci indica anche lo Zambonini, non si conoscono in proposito che le combinazioni tetrafeniliche di Pb, Sn e Si scoperte dal Polis (?) e stu- diate cristallograficamente dal Dising e da Arzruni, ed il fluopiombato po- tassico 3KF, HF, PbF4 scoperto da Brauner (3), per il quale Urba dimostrò l'isomorfismo col composto corrispondente di stagno, descritto da Marignac. Lo stretto isomorfismo fra i tre ossisali da noi studiati conferma adunque in modo indubbio l'analogia di costituzione di essi e si viene ad aggiungere alle numerose prove chimiche, sulle quali noi finora l'avevamo poggiata. Nella nostra serie di ossisali si paragonano composti di Pt, Sn!" e Pb", di elementi cioè che appartengono a due gruppi tanto differenti del sistema periodico, fatto del resto che si riscontra generalmente in tutte le serie di sali isomorfi che ci offre la chimica cristallografica. Potrebbe sembrare strano questo paragone che sorge fra composti del piombo e dello stagno con quelli del platino, qualora si volesse tener fermo uno stretto nesso tra l’ isomorfismo ed il sistema periodico. Però se da una parte vi è una gran congerie di fatti che parla in favore delle relazioni tra isomorfismo e sistema periodico, dall'altro è pur vero che vengono sempre scoprendosi nuove relazioni di isomorfismo che il sistema periodico quasi escluderebbe. Ha ben ragione quindi il Retgers (loc. cit.) di dire che oggi si opera abbastanza arbitrariamente prendendo a volte sì, a volte no, l’ isomorfismo a sostegno del sistema periodico, il che è certo molto comodo, ma è anche antiscientifico. Quello che appare finora si è che il vero isomorfismo si riscontra nei casi in cui vi è somiglianza di costituzione chimica, indipendentemente dai rigorismi del sistema periodico; nè deve quindi sorprendere la completa analogia, chimica e cristallografica, che salta fuori nel nostro caso fra com- posti dei tre elementi Pt, Sn! e Pb!, per i quali finora non se ne conosceva alcuna. (1) Zeitschr. fir anorg. Chemie, /2, 105, 110, 1896. (2) Berichte /9, 1016 (1886); 22, 2918 (1889). (3) Zeitschr. fiùr anorg. Chemie. 7, 1 1894. RenpIcontI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 57 — 464 — Chimica. — Sopra un nuovo sale cobaltico ('). Nota prelimi- nare di Gruseppe BARBIERI e FiLippo CALZOLARI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Del cobalto si conoscono pochi sali normali al massimo. Nella lettera- tura si trovano descritti il solfato (*), gli allumi di ammonio (*), potassio (2), rubidio (3), cesio (*) e il seleniato (‘). Nessun composto cobaltico alogenato fu sinora ottenuto allo stato libero. R. J. Meyer e H. Best (°) trattando il sesquiossido di cobalto con acido cloridrico sciolto in alcool assoluto otten- nero una soluzione di color verde cupo, che per filtrazione su carta si ridu- ceva diventando azzurra e nella quale ammisero l’esistenza del cloruro cobaltico. Noi ci siamo proposti di preparare il fluoruro cobaltico nella previsione ch’esso sarebbe stato più stabile e meno solubile del cloruro. È noto infatti che nelle combinazioni col fluoro i metalli e metalloidi dimostrano più facilmente la loro valenza massima che non in quelle con gli altri alogeni. Basta ricordare il fluoruro cerico unico composto alogenato del cerio tetra- valente e l’esafluoruro di zolfo ch'è tra i composti più stabili che si conoscano. Inoltre, per la stretta analogia ch'’esiste tra il cobalto e il ferro era pre- vedibile che il fluoruro cobaltico, analogamente al fluoruro ferrico ch'è assai meno solubile in acqua del cloruro, sarebbe stato meno solubile del cloruro cobaltico e quindi forse isolabile allo stato solido. I tentativi di preparare il fluoruro cobaltico per trattamento a freddo dell'idrato cobaltico con acido fluoridrico non ci diedero buoni risultati. L'idrato cobaltico viene attaccato assai lentamente dall’acido fluoridrico fumante: si forma una soluzione bruna che a poco diventa rosea. Del resto anche i sali cobaltici su ricordati non vennero ottenuti per azione degli acidi sull’idrato, ma per ossidazione elettrolitica dei corrispondenti sali cobaltosi. Quando si sottopone all'elettrolisi una soluzione cobaltosa acida per acido fluoridrico si ha, secondo F. W. Skirrow (6), separazione all'anodo di idrato cobaltico, mentre in presenza di acido solforico non si osserva alcun precipitato. Noi abbiamo eseguito l’elettrolisi del fluoruro cobaltoso senza setto poroso, im- piegando come anodo la capsula di platino contenente la soluzione e come ca- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della L. Università di Ferrara. (2) H. Marshall, J. chem. Soc. 59 421. (3) Hove, O°Neal, J. Am. Chem. Soc. 20 759. (4) Copeaux, Traité de Ch. min. H. Moissan, 1905, tom. IV, 186. (>) Z. f. anorg. Ch. 22 169. (6) Z. f. anorg. Ch. 83 25. — 465 — todo un filo di platino immerso appena nella soluzione stessa. La densità di corrente alla superficie anodica venne mantenuta di circa un ampère per deci- metro quadrato. In soluzioni debolmente fluoridriche osserrammo all’anodo la formazione d'idrato cobaltico notata da Skirrow, ma essa non aveva più luogo in presenza di un eccesso d'acido. Impiegando soluzioni sature di floruro cobaltoso in acido fluoridrico fumante (al 40 °/,) e raffreddando fortemente la capsula, si osservò depositarsi sulla parete interna di questa una polvere verde cromo, che non si ridiscioglieva togliendo la corrente. Questa polvere venne separata dall'acqua madre e lavata con acido fluoridrico fumante per decan- tazione, quindi seccata all'oscuro nel vuoto su acido solforico e ossido di calcio. Nell’essiccatore essa può conservarsi alcuni giorni inalterata. All’aria diventa a poco a poco grigia poi rossastra. Per aggiunta di poche goccie di acqua annerisce perchè si separa idrato cobaltico. È solubile in acido solforico con- centrato e la soluzione bruna diventa verde per diluizione. Tanto la soluzione solforica che l’acqua madre diventano rosse per lieve riscaldamento o a freddo per aggiunta di riducenti come alcool, nitriti, sali d'idrossilamina e d'idra- zina. Anche l’acqua ossigenata riduce le soluzioni verdi istantaneamente e a freddo. All'analisi qualitativa la polvere verde mostra contenere cobalto e fluoro. Si tratta dunque evidentemente di un sale di cobalto al massimo. L'analisi quantitativa completa di un composto così instabile presentò difficoltà assai grandi. Noi ci limitammo a determinare il rapporto to eil fluoro attivo. Per la determinazione del fluoro venne seguito il metodo Rose. gr. 0,2624 della sostanza diedero gr. 0,0827 di cobalto e gr. 0,1572 di fluo- ruro di calcio corrispondenti a gr. 0,0767 di fluoro. Tl rapporto co calcolato per CoF3 = 1,023 per CoF, 1,549, trovato 1,078. gr. 0,2533 della sostanza trattati con joduro potassico e acido cloridrico diluito liberarono gr. 0,1702 di iodio e diedero gr. 0,0818 di cobalto. Iodio calcolato (un atomo di iodio per un atomo di cobalto) gr. 01759. L'elettrolisi del fluoruro del Nickel eseguita nelle stesse condizioni diede risultato completamente negativo. Chimica. — Sopra la ricerca di alcuni acidi ('). Nota di V. CASTELLANA, presentata dal Corrispondente A. ANGELI. Le reazioni che si impiegano per la ricerca dell’acido borico (e dei borati) si basano quasi tutte sopra la proprietà che ha questa sostanza di impartire alla fiamma il color verde caratteristico. Alcune sono anche molto (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica farmaceutica della R. Università di Palermo. — 466 — sensibili, ma non sempre conducono a risultati sicuri, sopratutto quando ci sì trova in presenza del rame e di composti alogenati. Quella di Turner consiste nel riscaldare sul filo di platino la sostanza da esaminare polverizzata e mescolatà a bisolfato potassico e fioruro di calcio; per fusione della massa si forma floruro di boro che colora la fiamma in verde puro. Però questa reazione non dura che pochi istanti ed è necessaria quindi molta attenzione e poi non è caratteristica per il solo acido borico, giacchè se vi è presente rame, si forma floruro di rame, volatile anch'esso, che co- lora la fiamma in verde intenso. La reazione di Iles (') è molto buona, ma di esecuzione piuttosto lunga e complicata e non si evita del tutto l'inconveniente dovuto alla presenza del rame. Un po’ di sostanza viene umettata su lamina di platino con acido solforico e sì evapora l'eccesso di acido per riscaldamento; portando il re- siduo, impastato con glicerina, nella fiamma, col filo di platino, si ottiene un bel colore verde. Se c'è rame bisogna operare in altro modo, che per brevità tralascio di descrivere. Umettati con nitrato di cobalto, i borati danno nell’occhiello del filo di platino un vetro azzurro; però la reazione viene pure data dai fosfati e si- licati alcalini. Bellissimi sono i saggi fatti coll'alcool etilico ed acido solforico concen- trato. Anche in questo caso peraltro se vi è presente rame, i risultati riescono incerti, perchè anch'esso colora la fiamma in verde, e perciò lo si deve eli- minare per mezzo dell'idrogeno solforato. E poi le sostanze organiche clorurate ed i cloruri metallici, per il fatto che danno cloruro di etile, che impartisce alla fiamma un colore azzurrastro, possono rendere molto dubbia od impacciare del tutto la reazione. In tal caso bisogna riscaldare la sostanza in esame con eccesso di acido solforico fino a secchezza, con che si eliminano i cloruri ed i prodotti organici. Alcuni sostituiscono in questa reazione l'alcool metilico all’etilico, per il vantaggio che si ha di ottenere etere boro-metilico più volatile, che si dissocia a temperatura più bassa dell'etere boro-etilico. Ma in questo caso il verde è meno puro ed è molto simile a quello dato dal cloruro di etile. Non ho mai avuto fiducia nella reazione presentata dalla cartina di cur- cuma, ammessa come buona da diversi autori. Quando l'acido borico sia solo in traccie, le cartine non lo rivelano ed allora bisogna ricorrere alla tintura di curcuma, sebbene questa reazione sia meno caratteristica della precedente, perchè impedita parzialmente o del tutto dalla presenza di clorati, cromati, lodati, nitriti e sali ferrici, che perciò bisogna eliminare prima di eseguire il saggio. (1) Zeitschrift fir analitysche Chemie, /8, 269; Gilm, Berichte, //, 712; Rosenbladt, Zeitschrift, 26, 19. — 467 — Anche l'acido cloridrico concentrato impartisce alla curcuma a 100° il colore bruno. Per togliere tali inconvenienti, ho immaginata una nuova reazione per l’acido borico, la quale non viene turbata, nè resa incerta dalla presenza del rame, dei composti clorurati, nè da alcuna delle altre sostanze sopra accennate. Si pone in tubicino chiuso ad una estremità il miscuglio della sostanza da esaminare con eccesso di etilsolfato potassico e si scalda alla fiamma fino a che dal tubetto escano i primi vapori, che facilmente si accendono con fiamma i cui margini esterni sono nettamente colorati in verde. In tal modo il saggio si effettua con la massima facilità e senza tema di inconvenienti; si evita l’uso dell'acido solforico, dell'alcool e degli altri reattivi finora usati, giacchè tutto si riduce ad un semplice saggio per via secca. La reazione è caratteristica per il solo acido borico e talmente sensi- bile, che permette di svelare anche traccie di borati. Colla stessa reazione ho potuto riconoscere il boro anche nei composti organici e nelle sostanze alimentari, p. es. nel latte. In tal caso si calcina con nitrato potassico il residuo ottenuto dall’eva- porazione di 5-10 cc. di latte previamente agitato (l'acido borico potrebbe essersi depositato allo stato di borato calcico) e sulla cenere si eseguisce il saggio; in tal modo si evita il lungo procedimento proposto da I. Brand (1). Si può svelare mezzo milligrammo di acido borico. L’etilsolfato potassico si presta inoltre molto bene a riconoscere, sempre per via secca, alcuni acidi organici quali: il formico, l'acetico, il butirrico, il valerianico, il pelargonico, l’ossalico, il benzoico, il salicilico, il cinnamico, ed anche il f-naftolo. Basta scaldare con cautela gli acidi o meglio i loro sali con etilsolfato per avvertire l'odore caratteristico dei loro eteri. Chimica. — Sulla natura del ioduro d'amido (@). Nota di M. Papoa e B. Savark, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. La reazione cromatica del iodio con la salda d'amido della quale si fa uso nella iodometria, è stata oggetto di numerose esperienze e discussioni dirette ad interpretarne la natura. Vi ha infatti chi sostiene che la sostanza colorata che il iodio dà coll’amido sia un composto, e chi per contrario ritiene che la colorazione sia dovuta ad un modo speciale di soluzione del (!) Zeitschrift fùr dass gesammte Brauwesen, /5, 426. (2) Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bo- loona. — 463 — iodio. Fra i primi conviene citare principalmente Mylius (‘) il quale dimo- strò che non si forma il ioduro d'amido se non sono presenti acido iodidrico o dei ioduri, e diede una formula per rappresentare la composizione del ioduro da lui analizzato; il Kiister(?) al contrario nega la formazione di un composto, e mettendo in presenza quantità variabili di amido e di iodio, ne ottiene dei ioduri d’amido di composizione pure largamente variabile. Troppo lungo sarebbe far parola di tutti i lavori pubblicati sull’argo- mento; sarà sufficiente ricordare che in alcuni, ammettendo l’esistenza del composto o di più composti, si sostiene che l'acido iodidrico è uno dei com- ponenti e si cerca di determinare il rapporto HI :I; in altri si esclude che l'acido iodidrico sia un componente; in altri ancora si crede di notare una diversa facoltà per le varie qualità di amido di combinarsi al iodio. Ma in generale si osserva che manca qualsiasi concordanza nei risultati dei varî osservatori, e ciò non si può negare che sia una buona ragione in sostegno del- l'opinione del Kiister; ora noi pensiamo che tali risultati contradditorî siano dovuti ai tentativi fatti di isolare i prodotti di addizione fra iodio e amido. Infatti se anche tali prodotti sono dei composti, è facile comprendere che debbono essere molto instabili: se dunque si prepara il ioduro d'amido da salda, d'amido e soluzione di iodio e. si precipita il presunto composto con un acido (così si operò nella maggior parte dei casi) è vano pretendere che la sostanza separata sia il composto puro; inoltre, avendo a che fare con sostanze amorfe, queste nel separarsi dal liquido certamente trascinano seco una certa quantità di acque madri, dalle quali non si può liberarle lavando, perchè il composto eventualmente formato è evidentemente assai dissociabile. Simili considerazioni inducono a dubitare dei risultati di chi ammette il composto, ed anche di quelli di chi non lo ammette. Dopo ciò ci sembrò opportuno di esaminare la questione con metodi indiretti, senza cioè tentare di isolare il ioduro d’amido. Come prima via si presenta quella di determinare i punti di congelamento di una salda di amido a cui sì aggiungono varie quantità di soluzione di iodio in ioduro potassico; e già venne eseguita qualche esperienza in proposito (3) senza però giungere a sicuri risultati. Noi abbiamo tentato di ottenere una curva di congelamento dalla quale si potesse concludere per l’esistenza o meno di composti, operando nel seguente modo: ad una soluzione d'amido di titolo noto, che aveva il punto di congelamento esattamente a 0°, aggiungemmo a varie riprese piccole quantità di soluzione titolata di iodio, determinando ogni volta il punto di congelamento. Abbiamo così ottenuta una serie di (1) Berichte XX (1887), 688. (2) Liebigs Annalen, 283 (1894), 360. (8) Friedenthal, Centralblatt 1899, I, 1162. — 469 — punti di congelamento dai quali si può ricavare una curva di cui l’anda- mento non accenna a formazione di composti. Senonchè gli abbassamenti del punto di congelamento così ottenuti sono tanto piccoli (e non si potrebbe operare con soluzioni più concentrate a causa della piccola solubilità del- l'amido) che su di essi non si pùò fondare un giudizio sicuro. Perciò omet- tiamo di riportare i dati relativi a queste esperienze. Fra le altre proprietà fisiche di cui l'esame avrebbe presentato migliori probabilità di buoni risultati, ci sembrò che fosse soprattutto la conducibi- lità elettrica. È noto che nelle soluzioni di iodio nel ioduro potassico, il primo si trova in parte ionizzato allo stato di I3; questo fatto dedotto per via indiretta da Noyes e Seidensticker (') venne poi confermato recentemente a mezzo di determinazioni di conducibilità e della velocità di migrazione degli ioni da Burgess e Chapmann(?). Se si misura la conducibilità di una soluzione di ioduro potassico e la si confronta con quella di una soluzione di iodio in ioduro dello stesso titolo, si trova che il ioduro potassico iodu- rato presenta maggiore resistenza. Ora noi ci siamo proposti prima di tutto di vedere se veramente quando si forma il ioduro d’amido venga legato oltre al iodio del ioduro potassico; perciò abbiamo paragonato le conducibilità di una soluzione di ioduro, e di un’altra soluzione dello stesso ioduro in cui si era sciolta una data quantità di iodio. Poi, ad una parte dell’acqua solvente abbiamo sostituito ugual volume di salda d'amido, ed abbiamo ancora misu- rata la conducibilità. Potevano accadere due cose: o il iodio soltanto veniva legato dall'amido, ed allora per ciò che si è detto, la conducibilità doveva essere maggiore di quella della soluzione di iodio, oppure oltre al iodio anche del ioduro si univa all'amido, ed in tal caso la conducibilità sarebbe diminuita (8). Abbiamo eseguito le esperienze nel modo seguente: impiegammo un recipiente avente una capacità di resistenza di 0,4128; le misure sì facevano tutte a 18°. La salda d’amido si preparava dall'amido solubile del Kahlbaum procedendo così: si scioglieva l'amido nell'acqua facendovi passare una cor- rente di vapore; poi sì precipitava l'amido con alcool, si decantava, si ridiscio- glieva e così successivamente per tre volte, a fine di eliminare le impurità che potevano esser presenti; della soluzione limpida così ottenuta (dalla quale col vapor d'acqua tutto l'alcool veniva eliminato) si determinava il con- tenuto d'amido col polarimetro. La esperienza sopra descritta diede i seguenti risultati: (1) Centralblatt, 1598, II, 1164. (2) Ibidem, 1904, I, 1241. (3) Che il iodio e il ioduro che partecipano alla, formazione del ioduro d'amido siano sottratti alla conduzione, risulterà anche da considerazioni che faremo in se- guito. — 470 — Soluzione impiegata Resistenza in ohm N 20 cem. KI 10 + 20 ccm. salda 1,40 9/ 97,0 id. id. :-+ 20 cem. acqua 97,0 TION 10 cem. KI 10 + 20 cem. acqua 144,8 NUTELAN 10 cem. ( KI 10 nl 50) + 20 cem. acqua 156,4 id. id. -+ 20 cem. salda ATA Dalla prima coppia di misure si rileva che l'amido non influisce in modo apprezzabile sulla conducibilità del ioduro potassico, e quindi che le due sostanze non si uniscono affatto da sole; dalle ultime tre determinazioni si deduce, per quanto abbiamo già detto, che nella formazione del ioduro di amido oltre che il iodio anche del ioduro potassico viene sottratto alla con- duzione e quindi in qualche modo legato. La stessa esperienza ripetemmo altre volte con identico risultato. Una volta constatato questo fatto, occorreva trovare il modo di vedere se esiste un rapporto molecolare costante fra iodio e ioduro potassico nel ioduro d'amido; a tal fine ad una salda di titolo noto aggiungemmo a più riprese piccole quantità di soluzione titolata di I in KI e ogni volta si determinava la conducibilità. Ora, aggiungendo queste pic- cole quantità di iodio si era certi che tutto il iodio si univa all’amido (tro- vandosi questo in eccesso); e quindi la conducibilità osservata si poteva attribuire tutta a ioduro potassico con l’ione I, e da essa dedurre la quan- tità di KI rimasta libera: in tal modo era possibile determinare il rap- porto KI:1 ('). Inoltre, seguitando ad aggiungere della soluzione di iodio, sarebbe arrivato il momento, se il composto esisteva, in cui questo si sarebbe trovato in eccesso: il ioduro potassico si trova in eccesso molto prima del iodio perchè la quantità del primo che viene assorbita è certamente piccola, come si rileva dalle precedenti esperienze. A questo punto, cessato l'assor- bimento del iodio, sarebbe pure cessato quello del ioduro e quindi avremmo notato il fatto da una certa deviazione nei valori delle conducibilità osser- vate. Ciò posto abbiamo eseguita una prima serie di misure impiegando una soluzione di I si in KI R che veniva aggiunta ad una salda all'1,80 °/, per mezzo di una pipetta graduata. (1) Per questi calcoli ci siamo basati sulla conducibilità della soluzione decirormale fe 30 ROMAE 0, SA OSARE di KI che era, pel recipiente impiegato, di 11168 I° ohm. — 471 — SERIE I. Todio Resistenza Rapporto ) Soluzioni (%) sull’amido in ohm JTE-Net: 10 cem. salda 1,80 °/ + gr. 0,02537 di I 14,10 89,87 4,55 ” n + » 0,03806 » 21,14 69,50 3,68 ” ” + » 0,05125 » 28,96 55,04 3,80 7 n + » 0,0639383 » 39,92 46,30 4,04 ” ” + » 0,07662 » 42,56 40,10 4,41 ” ” + » 0,09691 » 53,94 34,12 4,77 ” ” + » 0,11594 ». 64,41 30,22 5,24 ) ” + » 0,1413831 » 78,51 27,00 5,98 Si vede che il rapporto fra iodio e ioduro potassico non si mantiene costante; esso diminuisce dapprima fino ad un 20 °/, circa di iodio sul- l’amido, poi torna a crescere. Per osservare meglio la cosa, abbiamo fatto altre esperienze sia per vedere ciò che avviene con percenti più piccoli di iodio, sia ancora per con- statare l'eventuale effetto prodotto da una variazione nella concentrazione della salda. Nelle due serie di esperienze che ora riporteremo si aggiungeva la soluzione del iodio pesata ogni volta a mezzo di un picnometro. Il iodio ed il ioduro erano in soluzione 2 so SERIE II. Todio Resistenza Rapporto Soluzioni (°/,) sull’amido in ohm I: KI 10 cem. salda 2,50 °/, + gr. 0,00969 di I 3,02 219,07 3,63 ” ” + » 0,01796 » 6,91 125,20 3,40 ” » + » 0,0269598 » 10,22 87,96 3,39 ” ” + » 0,03516 » 13,52 12,19 2,98 ” ” + » 0,0538382 » 20,70 01,57 2,79 ” ” + » 0,07298 » 28,07 37,93 8.22 ” ” + » 0,0903835 >» 34,75 30,42 3,72 Queste misure furono eseguite con lo stesso recipiente impiegato nella serie I; nelle determinazioni della serie III impiegammo un recipiente in GUI AIEOÌ RI presentava una resistenza di 49,2 ohm. RENDICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 58 — 472 — SERIE III. Todio Resistenza Rapporto Soluzioni (°/) sull’amido in ohm TR-gSti 30 cem. salda 1,25 °/ + gr. 0,01411 di I 3,61 1539,10 8,12 , ” +» 0,02600. » 6,70 869,81 6,95 ” ” Hd n 003783» 9,70 607,56 6,90 ” ” H4- n 0,0493831 » 12,64 479,27 6,68 ” + in 005840... » 14,97 406,45 6,63 ” ” +» 0,07114 » 18,24 339,37 6,57 ” ” + in 0,08623. » 22,05 294,06 5,68 ” ” H+» 0,09735. » 24,96 257,62 6,99 ” ” - eR0M0983. n 28,16 229,10 6,72 ” -+- n» 013686 .» 35,09 189,11 6,33 ” Ho n 0714925 >» 38,27 174,53 7,14 ” ” -L 200107329. » 44,43 151,89 7,89 ” ” + in 0,18659 » 47,83 140,97 8,96 Dal confronto delle tre serie di esperienze si rileva: 1° che il rapporto I:KI non solo varia per ogni serie, ma varia ancora a seconda della con- centrazione della salda, e precisamente si osserva che è tanto maggiore la quantità di ioduro assorbita, quanto più è concentrata la salda; 2° che i va- lori di quel rapporto vanno sul principio diminuendo per poi aumentare e che il punto in cui il rapporto è minimo è situato, qualunque sia la con- centrazione della salda, in corrispondenza di circa un 20 °/, di I sull’amido. Questo fatto, che non è certamente una pura coincidenza, sta a provare secondo il nostro avviso la formazione di un composto. Ed infatti l'inter- pretazione giusta di questi risultati è a parer nostro la seguente. Il ioduro d'amido essendo un composto facilmente dissociabile, le prime quantità di iodio aggiunto non rimangono interamente combinate; la dissociazione andrà diminuendo aggiungendo successivamente del iodio e cesserà quando questo si trovi in eccesso; così sì spiega che i rapporti I:KI vadano sul principio diminuendo. In seguito, oltre il 20 °/, di iodio aumentano e ciò dimostra che il ioduro potassico che si aggiunge al di là di quel limite partecipa interamente alla conduzione ('). Per rendere più chiaro l'andamento del fe- nomeno, abbiamo rappresentato graficamente i risultati delle tre serie di esperienze portando come ascisse le concentrazioni del iodio e come ordinate (!) Si noti che il rapporto I:KI una volta altrepassato il limite di assorbimento del iodio per parte dell’amido, non ha più un valore come rapporto molecolare, ma come indice della quantità di ioduro che va ad aumentare la conducibilità più di quello che farebbe se venisse ancora in parte legato all’amido. — 473 — i valori dei rapporti I:KI. Si vede che il minimo per ogni curva corri- sponde ad un percento di iodio che è leogermente più elevato per le salde più diluite (1,25 e 1,80 °/,) di quello che sia per la salda al 2,50 °/,. Ciò viene a confermare quanto si è già detto se si pensa che il ioduro d’amido, sarà tanto più dissociato, quanto maggiore è la diluizione della soluzione. Rapporto I: KI T. Salda 2,50.0/ Iodio °/y sull'amido II » 1,80 » DI D) 1,25 » Dalle nostre esperienze si deduce pel ioduro d'amido un contenuto di iodio che sta intorno al 19°/,; ciò sta assai bene in accordo con la esperienza di Mylius il quale diede per questa sostanza la formula }(CsH100;).I {HI la quale appunto corrisponde al 19,59 °/ di I sull'amido, escluso il I dell’HI. Senonchè dalle nostre esperienze non risulta costante il rapporto I:KI che secondo l'A. citato, dovrebbe essere 4; ciò non significa secondo il nostro avviso che il ioduro potassico non sia un componente del ioduro d’amido, anzi esporremo delle ragioni che tale lo fanno ritenere. La ragione per cui, neppure in soluzione, quel rapporto non si mantiene costante, risiede proba- bilmente nel fatto che oltre al ioduro che rimane combinato coll'amido e col iodio, una parte di esso viene ‘mpigliata dalla sostanza colorata che va — 474 — formandosi; questa parte di ioduro meccanicamente sottratta alla conduzione si comprende che sia tanto maggiore, quanto più è concentrata la salda d'amido. Molti autori sostennero che oltre il composto bleu, al quale appunto si riferisce la formula di Mylius, si formi anche un ioduro di amido rosso che conterrebbe maggior quantità di iodio; tale opinione era fondata sul fatto che se si aggiunge ad una soluzione bleu di ioduro d'amido della soluzione di iodio in eccesso, la colorazione passa al rosso. Dalle nostre esperienze non risulta alcun indizio per ritenere che esista anche questo ioduro rosso; anzi abbiamo qualche ragione negativa. È noto che aggiungendo alla solu- zione bleu del ioduro d'amido una certa quantità di ioduro potassico la so- luzione arrossa; per cui è probabile che l'arrossamento che viene anche ot- tenuto con un eccesso di ioduro iodurato, sia soltanto dovuto ai KI, mante- nendovisi estraneo il iodio. Noi abbiamo cercato di vedere se l’accennata variazione di colore corrisponda ad un mutamento nella composizione del ioduro d'amido. Perciò preparammo una soluzione di ioduro d'amido con un eccesso di iodio; di questa soluzione si determinò la conducibilità: poi ag- giungemmo successivamente per tre volte quantità di KI corrispondenti ad egual numero di molecole di quelle contenute nella soluzione iniziale. Ogni aggiunta produceva un aumento di conducibilità; supponendo che tutto il loduro aggiunto partecipasse alla conduzione e non venisse cioè assorbita dall’amido, si poteva calcolare questo aumento di conducibilità: ora dalle seguenti misure si rileva che le conducibilità calcolate e quelle trovate si corrispondono. Gli aumenti calcolati si dedussero dalla conducibilità di de 49,2 o ) N O rec. ohm della soluzione di KI 10 nello stesso recipiente. Soluzioni Res. in ohm. Conducibilità calcolato trovato cem. 30 salda 1,25 °/, + cem. 5 È n 204,50 — 0,004890 » b) | 1 mol. KI 97,55 0,010362 0,010250 » » |a 63,69 0,016150 0,015700 » ” | So 46,40 0,021840 0,021550 Ciò dimostra che il ioduro in eccesso benchè modifichi la colorazione non viene sensibilmente assorbito dall’amido, e fa ritenere che si tratti soltanto di una modificazione fisica del ioduro d’amido ('); inoltre è da notarsi che una volta cessato l'assorbimento del iodio per parte dell’amido, anche il ioduro ulteriormente aggiunto rimane interamente libero: ciò è importante per quel che riguarda le tre serie di esperienze sopra riferite. (1) Le conducibilità trovate sono leggermente inferiori alle calcolate, perchè il iodio che si trovava in lieve eccesso contribuiva ad aumentare la resistenza. — 475 — Ci rimane ora da render conto di alcune ‘altre esperienze fatte sullo stesso argomento. Abbiamo detto che il iodio e il ioduro combinato all'amido non possono partecipare alla conduzione della corrente elettrica; di questo fatto ci rendemmo conto nel constatare il trasporto delle particelle di ioduro d'amido per opera della stessa corrente. È noto che in questi ultimi anni, specialmente per opera del Bredig, si sperimentò un nuovo metodo di dia- gnosi delle soluzioni colloidali che venne denominato cataforesi. Quando si sottopone una soluzione di un colloide metallico (ed in genere tutte le so- spensioni) all’azione di una corrente continua che presenti fra gli elettrodi una differenza di potenziale di 20 e più volts, :si osserva che le particelle del corpo sospeso vengono trasportate ed accumulate intorno ad uno dei poli. Per quelle pseudosoluzioni che non sono delle sospensioni come le soluzioni di amido, non si ha questo trasporto. Così sottoponendo la salda d'amido a questo processo si ottiene soltanto la separazione dell'’amido dal liquido, mentre con dell'oro colloidale si ottiene distintamente una concentrazione della soluzione metallica. Da ciò un metodo per distinguere i colloidi in varie categorie. Ora noi abbiamo voluto con questo mezzo cercare di trarre qualche indizio intorno alla natura delle soluzioni di ioduro d'amido. Perciò impiegammo la corrente di una piccola dinamo a corrente continua a 25 volts condotta con elettrodi di platino attraverso la soluzione posta in un tubo ad U; per vedere se la disposizione era adatta, sperimentammo dapprima con buon esito con soluzioni di oro colloidale. Le soluzioni di ioduro d'amido sì preparavano con soluzione di iodio in HI; escludemmo il ioduro potassico per evitare la formazione di potassa che avrebbe agito sul iodio. In tal modo abbiano constatato che il ioduro d'amido viene trasportato al polo positivo dove si osserva una intensa colorazione, mentre rimane scolorato il liquido dalla parte del polo negativo. Questo comportamento fa ritenere che le so- luzioni del ioduro d'amido siano delle sospensioni; probabilmente si otter- rebbero buoni risultati esaminando queste soluzioni con l’ultramicroscopio. In ogni modo crediamo di potere affermare la diversa struttura delle soluzioni di amido e di ioduro d’amido. Ciò è anche confermato dalla se- guente esperienza: se si aggiunge a del ioduro d’amido in soluzione del solfato di bario precipitato e lavato e si filtra, si ottiene un liquido inco- loro; ora è noto che questo comportamento si verifica appunto per i colloidi metallici e in generale per le sospensioni (Stoeckel e Vanino), mentre che’ l'amido non viene trascinato dal solfato di bario, come abbiamo potuto ve- dere operando con due porzioni di una stessa soluzione e confrontandole al polarimetro dopo avere trattato col solfato di bario una delle porzioni. Abbiamo anche voluto constatare se l’amido che si può riottenere dal ioduro, è alterato rispetto al primitivo, cosa che alcuni hanno affermato. Perciò a 10 cm. di salda (3,20 °/,) aggiungemmo 2 cm. di Do, poi to- — 476 — gliemmo il iodio con una certa quantità di iposolfito: la soluzione così ot- tenuta dava al polarimetro una rotazione di 4°,97. Ad altri 10 cem. della stessa salda aggiungemmo la soluzione ottenuta, trattando separatamente 2 cem. dello stesso iodio con la corrispondente quantità di iposolfito ; questa seconda soluzione diede una rotazione di 4°,94. In tal modo, ovviando alle cause d'errore dovute alle variazioni del potere rotatorio cagionate dalle sostanze inorganiche disciolte (Walden), abbiamo rilevato che l’'amido riotte- nuto dal ioduro è inalterato. Finalmente abbiamo cercato di trar partito dal principio generale del- l’azione di massa per ricavarne qualche conferma dell’esistenza del composto di cui ci occupiamo. È ben noto che la colorazione del ioduro d’amido scomparisce col riscal- damento, e ricomparisce raffreddando; ora si può constatare: 1° che la tempe- ratura alla quale la colorazione sparisce è tanto più elevata quanto più è concentrata la soluzione del ioduro d'amido ('); 2° che a parità delle altre condizioni la temperatura alla quale la sostanza colorata sparisce (prescin- dendo dalla colorazione bleu o rossa) è più elevata per quelle soluzioni che contengono un eccesso di amido, o di iodio, o di ioduro potassico. Se si ri- ferisce tutto questo a quanto abbiamo detto sui mutamenti di colore prodotti da un eccesso di ioduro potassico, bisogna ammettere che tale comportamento del ioduro d'amido presenti i caratteri di una vera dissociazione e il ioduro potassico ne sia un componente. Per riassumere, le nostre conclusioni sono le seguenti: 1° Il ioduro d'amido deve essere considerato come un prodotto di addizione di iodo, amido e KI (o HI); in esso il rapporto molecolare fra iodio e amido (C;H,,0;) è di 4: non è possibile per ora determinare un rapporto costante I:HI. 2° Noi abbiamo constatato l’esistenza di un solo prodotto di addi- zione fra i detti componenti: le modificazioni della colorazione sono ‘proba- bilmente modificazioni fisiche delle particelle del ioduro d’amido; quest’ultimo forma delle soluzioni che presentano i caratteri delle sospensioni. (*) Si sa che riscaldando fiuo all’ebullizione ed a lungo una soluzione di ioduro di amido anche concentrata, la colorazione sparisce; ma ciò è dovuto al fatto che il iodio reagisce con l’amido ed in tal modo la soluzione si impoverisce rispetto al ioduro d’amido, fino a che si giunge ad una concentrazione tale che tutta la sostanza colorante possa rimanere dissociata. Veio. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. i VoLSIVASVESvIS=VWEISGVIETE Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — DII-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpiconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fase 8°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. (1892-1904). Fase. 1°-8°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. Vol. V. Fasc. 19-40. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : | Ermanno Loescner & C.° — fioma, Torino e Firenze. ULrIco HoepLi. — Jlilano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Aprile 1905. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta el 16 aprile 1905. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Volterra. Sulle distorsioni dei corpi elastici simmetrici . . . ; TA Fubini. Nuove applicazioni dei metodi di Riemann e Picard alla i di alcune equazioni alle derivate parziali (pres. dal Socio Dini) . . . . RSS 1) Picciati. Sulla teoria del solenoide elettiòdinamico (pres. dal SR alata) BPrrne o gp DI Chistoni. Sul pireliometro a compensazione elettrica dell’Àngstrom (pres. dal Socio Blaserza) » Clerici. Osservazioni sui sedimenti del Mbnte Mario anteriori alla formazione del tufo granu- lare (pres. dal Socio Cerruti) ). . i... RA) Bellucci e Parravano. Sopra una nuova, serie di Cali (sommati usi dali Sonid cia ” Barbieri e Calzolari. Sopra un nuovo sale cobaltico (pres. dal Socio Ciamician) . . . » Castellana. Sopra la ricerca di alcuni acidi (pres. dal Corrisp. Angeli). .\/. 0.» Padoa e Savarè. Sulla natura del ioduto d’amido (pres. dal Socio Ciamician) . . . . » (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. 431 438 443 451 456 457 464 465 467 Pubblicazione bimensite. Roma ? maggio 1995. N. 9. o DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCII. 1905 STB IExBir.®, Ube:N5 5A; RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 maggio 1905. Volume XIV.° — Fascicolo 9! 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1905 ESTRA"TO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze |fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta 2 suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi» cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa diunnumero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ADD rn Seduta del 7 maggio 1905. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sull’arbitrarietà delle caratteristiche nelle formole di addizione delle funzioni 9 di una variabile. Nota del Corrispondente ALFREDO CAPELLI. Le formole più importanti relative all’addizione delle funzioni 3 di una variabile: RE? TiO nad “hori nat 242 n=} | e ( 5) 2 ( 2) ( 2) per valori interi delle caratteristiche, cioè le formole analoghe alle formole fondamentali di Jacobi, le formole di addizione propriamente dette, le rela- zioni a tre termini, ecc., si possono riassumere in poche formole generali, dalle quali si deducono poi tutte immediatamente con semplici particolariz- zazioni delle caratteristiche. Mi è sembrato importante di ricercare fino a qual punto queste formole generali, pur mantenendone /a forma possibilmente inalterata, possano sus- sistete anche per valori non interi delle caratteristiche. ‘In ciò che segue mi propongo appunto di dimostrare come tali formole sussistano inalterate ReNnDICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 59 — 4738 — salvo alcune lievi restrizioni, anche per valori reali od imaginari quali si vogliano delle caratteristiche. Così, ad esempio, le formole analoghe alla formola fondamentale di Jacobi sono tutte contenute (cfr. $ III) nell'unico tipo: p=4 r n fi li (Chen, e LEO, a p=4 o=4 + (1)ers+et+n” I yet gg 4 (27) ttt (— E FAeTSMe i I Ty nell gl (65) p=l p=l essendo le £, dei numeri interi opportunamente scelti, le 7,9 (0==1,2,3,4) dei numerì interi qualisivogliano e gli argomenti , (e°,9”)=(£,9) (mod. 2) Rammentiamo che in tutte queste formole le caratteristiche y, go (0=1,2,3,4) sono assoggettate alle sole condizioni che tntrtrt4r)=0 ed 4(9+9+94+9)=5 siano numeri interi. — 483 — IV. 1. Lasciando affatto arbitrarie le yi, y:, 91,9» € prendendo: ViM MN MI Joe Ga Mm scl_u , y=l=m dove w ed m siano due zrferî qualisivogliano, pel momento non entrambi =1 (mod. 2), cosicchè: OZ , SE=Mj ponendo inoltre EGP gia, == dimodochè : A r r , &,=V 9 Bo=—%V ) &g=—-—U ’ BgT= —-U, la formola (III) ci dà: [i]eros[]eeeGEzgdJo-[]o= Ae ie Rea va] ee XI ti dio Del resto questa formola sussiste poi senza eccezioni qualunque siano gli interi m e u; giacchè per m=u=1 (mod. 2) si riduce all'identità. 2. Fatte le stesse posizioni, la formola (III) ci dà invece: 9[7 |u+0).9[# ]u-o.e|[HTA_% [0:9|5]0= cmnsTrigle-Cl Xd tal] + 9 aL 9» gg di], elI(nIl+m) 9 vi 3 sa V). d NÉ Yj tl mr 2) pl ) È +” ) ge4 | ZA atiae cla &!" crt gle Rio — 484 — Osservando però che: [teen ree [fi] —(-_]jmer “ee ] (O sì scriverà meglio come segue: TIC nai po] LE Lele vi old scorte Cetra Rammentiamo che in queste formole (') i numeri interi «", 77, #”, 7" debbono scegliersi in modo che le quattro coppie: (0,0): (eci siano fra loro distinte (mod. 2). 3. Tenendo presente quanto si è detto in fine del precedente $, è facile riconoscere che le formole (IV) e (IV)' sono contenute nell'unico tipo più generale: i È, i Cagli Li Lila ae oa Jen matr ]oe[rtr]e Spa Ae —grems| AES [RT ]ed A IC ES (!) Il fatto che le formole (IV) e (IV) sussistono non solamente per valori interi, ma anche per valori reali od imaginarii qualisivogliano delle caratteristiche 71,72 ,91,92; è già stato oggetto di poche parole da me dette, senza però. entrare nelle relative dimo- strazioni, nella sezione di Analisi del III Congresso internazionale dei matematici (Hei- delberg, Agosto 1904). — (485 — dove i segni superiori corrispondono al caso di: e"=l—u , g"=1—m (mod. 2) ze, y=q, e gli inferiori al caso in cui (c,)) , A_uw,l_-m),, sono quattro coppie di numeri interi fra loro distinte (mod. 2) (8, n) 3 (6 AE 0) VE 1. Ritornando alla formola del $ II: e DE o A! 3 ()= Le ro 240 (GOE |} i (62) X [5 log] (ar “| Li] in cui le y,,9 (0=1,2,3,4) sono assoggettate alle sole condizioni che o=i(ntrtrtr) , s=4(@+9+9494) siano numeri interi ed #', 7 sono due interi affatto arbitrarii, poniamo BgaE=W_-U sii, e, = — WU, cosicchè: Al BE {rtevo Cite: xo[tpr] fu E) [ile a o eo x9[}; palrena: [É Li]eo. sz=— WED, s=W—_-d. Otteniamo : Se poniamo invece: WE N VE Vv cosicchè : ea iene her Velo ie 60 RenpIcONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. — 486 — otteniamo, essendo s” ed »" due interi arbitrarii: 29 R A W+d).9 er nl sal W_-Î)X Lir]o[t]e-o (2) DI 200) “E: ul er :L i a [id oLileo 2. Incominciamo con prendere nelle (1) e (2): EU È y=y" i yas= 0 5 g=0. Poichè allora: Pti]o-a=:[C{]w-o= cme] ]e=a, si avrà, sottraendo la (2) membro a membro dalla (1) e scrivendo poi #,7 in luogo di #", 7, la relazione: LrtrleeoCotileno [tea ]e-o- ee ag xs[E{]e-4.s[]e-0= — (- 1)@+0a+rto |} » n +9. 70 Li] U—1)X xo|J: 8) wo). 1] (W— 0). In questa relazione s ed 7 sono due interi qualisivogliano. I numeri y1,y2, Y3:91192:93 Sono poi assoggettati alle sole condizioni che: o=3(Y1 + yet 73) ed s= (914 924 93) siano interi. 3. Supposto in secondo luogo nelle (1) e (2) la coppia («", 7) distinta (mod. 2) dalla coppia («”, 7") e ponendo ancora come sopra y;= g4a="0, — 487 — si deduce sommando o sottraendo membro a membro: [0 ro: | |e-ox ideale (8) Mi Lipeloto. Li Tle-ox Bisi CLIC un): È 9 x} palesa o[j]e=» dove si è posto per brevità : Aen = (— EER) + (— Renn Si può anche scrivere, come è facile di riconoscere: r /l Tyne” , LEA (4) À: = (— Te I Tt(— 1992 +me’+en’+me’’+em (— Tse +eM)+e/n'+e/n 4 Imponiamo ora alle coppie (8, 7°) ed (£",77) le condizioni: “y=0, e"q"=0 (mod. 2); e sia (s”,x") la terza coppia di numeri interi, perfettamente determinata (mod. 2), che è distinta dalle (£°, 7) ed (e”,7") e soddisfa del pari alla condizione : en =0 (mod. 2). Nella sommatoria che figura nel secondo membro di (3), la coppia (8,7) dovrà percorrere i quattro sistemi: (eg (66 (675) BE 90) Per i primi tre sistemi l'esponente che si presenta in (4): en + ne +e" + ne" 4 eq prende rispettivamente i valori (mod. 2): «+y+40+41, ef4af , +e i quali, come è facile riconoscere, sono congrui fra loro (mod. 2), 6 per il quarto sistema (=, ) prende il valore (mod. 2): e" Da nl , DS e! " de ns vu_— g + vh + e! + n" (mod. 2) — 488 — Se dunque nella formola (3) noi scegliamo il segno = secondochè ( TP Mi 0°) sia uguale a 4- 1 ovvero a — 1, otteniamo: Ain == A erin ES Acta = 0 Ae nunz= 9 (— 1) Arengo — — 2 (— DEE) cosicchè dalla (3) moltiplicata per (— MENA tenendo presente che 9 Ei (O0—-u=(— 1)"9 ES (u—v)=d a (u— v), ecc., si ha la relazione: sfido RE Mr pap M4n+set 9 CH € +(- here g[M Te, [+9 a| TE, ea Ya +8” cAUd xo[ ni —w—0).9|. i v—- w). It ) Ù) | ) In questa formola le y,,Y2Y3%1392,93 devono essere tali che le semi- somme: o=i(nt+retr) s=t%4+9+%) siano numeri interi ('); nel mentre che le tre coppie di numeri interi (1) Nel caso particolare in cui si ritengano dover essere intere le stesse y1,72,73; 91 92,93, le formole (V) e (V)Y equivalgono al sistema delle relazioni date dal sig. Study nella sua monografia: Sphdrische Trigonometrie; orthogonale Substitutionen und elli- ptische Functionen (Abhandl. der k. Sichsischen Ges. der Wiss. Band XX, 1893, pag. 195). Cfr. anche Krazer, Lehrbuch der Thetafunctionen (Leipzig, Teubner 1903), pagg. 323-325. — 459 — (e, n), (2%,") , (e, n") devono essere distinte fra loro (mod. 2) e sod- disfare alle condizioni: eN=e n =e"y" (mod. 2). Si vede pertanto che la (V)' equivale sostanzialmente alla relazione: Paga (4g (01) 0) dv) Ta Pirgiti (w0 "ln t) s di s,ga+1 (w ST) t) p d;,93+1 (i Vea u) È do (u ca v) "ll POI Uol). Patologia — Uro sguardo alle nostre ricerche sul gozzo e sul cretinismo endemici. Quinta Nota preliminare del Socio B. GRASSI e di L. MuNARON. Notoriamente il gozzo e il cretinismo endemici formanti un'unica entità morbosa, che si può denominare brevemente tiroidismo endemico, erano stati collocati in un medesimo gruppo colla malaria e supposti come questa ori- ginati da miasmi. Dopo le nuove scoperte sulla malaria, noi credemmo opportuno di affron- tare l'argomento del tiroidismo endemico, tanto più che Grasset aveva descritto dei parassiti simili a quelli della malaria, da lui riscontrati nel sangue di soggetti colpiti da gozzo endemico. Le nostre ricerche, fatte in quest'ultimo triennio, ci permettono di riassu- mere nei termini seguenti lo stato attuale della questione. * x X Abbiamo intrapreso una prima serie di ricerche dirette a dimostrare se sussistesse anche per il gozzo endemico una contagiosità diretta, ovvero indi- retta, vale a dire paragonabile a quella della malaria. Dopo molte e svariate prove noi siamo arrivati a queste conclusioni: 1.° Il gozzo, ancorchè di recente sviluppato, non si può coll’ innesto riprodurre in altri animali della stessa specie; nè si può propagare coll’in- nesto dell'ipofisi o del sangue, e neppure somministrando opportunamente per bocca contenuto intestinale degli animali infetti. Queste nostre ricerche fatte sui cani, vengono confermate da esperienze di innesti tiroidei intrapresi per altri scopi sull'uomo da Cristiani. Tutti insieme i fatti or detti tendono ad escludere la supposta analogia tra la malaria e il gozzo. ; 2.° Un animale infettatosi anche di recente, chiuso in ambiente dove il gozzo non sia endemico, con animali indenni, non li contagia. Le osserva- — 490 — zioni cliniche di Combe a tutta prima sembrano contrarie a questi speri- menti, ma noi crediamo che esse possano interpretarsi in modo differente da quello sostenuto dal medico svizzero. 3.° Il gozzo sì sviluppa anche con una temperatura aggirantesi attorno a 0°, quale è quella delle case non riscaldate sulle alte Alpi, nel cuore del- l'inverno. 4.° La possibilità dell'intervento di ospiti intermedî, in ogni caso si limiterebbe alle pulci e ai pidocchi. Che questi possano trasmettere il gozzo, ci sembra escluso dai nostri esperimenti. 5.° Nol non abbiamo riscontrato i parassiti di Grasset, che, data la grande facilità dell'esame, non dovevano sfuggirci. 6.° Anche sotto altri aspetti il gozzo non si comporta come una ma- lattia infettiva. Se si porta un cane col gozzo evidentemente in progresso di sviluppo, in un luogo dove la malattia non è endemica, prontamente il gozzo diminuisce e, se era non di antica data o non molto sviluppato, finisce quasi per scomparire. Fatti simili erano già noti per l’uomo; si conoscono infatti casi nei quali in uno stesso individuo si osserva uno spiccato impiccolimento del gozzo, per effetto del soggiorno in luogo sano, e un nuovo incremento col ritorno nella zona di endemia. Questi fatti verificabili con matematica esattezza, non si possono con- fondere colle oscillazioni della grandezza della tiroide, che normalmente pos- sono occorrere in località dove il gozzo è endemico. Il gozzo sì sviluppa soltanto dopo un soggiorno più o meno prolungato nella località gozzigena e, perdurando il soggiorno, di regola subisce un accre- scimento lento, ma continuo. 7.° Il gozzo è una malattia ereditaria anche per gli animali, analo- gamente a quanto si sapeva per l’uomo. Noi abbiamo avuto notizia di casi, in cui l'ereditarietà si doveva rite- nere avvenuta in luogo dove il gozzo non è endemico, e soltanto per parte del padre; almeno nello stato attuale delle nostre cognizioni, noi non pos- siamo interpretare diversamente i dati da noi raccolti, per quanto critica- mente vagliati. I fatti riferiti sotto i numeri da 1 a 6 ci convincono che il tiroidismo endemico non può aver posto tra le malattie infettive, e tanto meno tra quelle contagiose. Il fatto n. 7, non implica di necessità una contraddizione con questa induzione. Concludendo dunque, escludiamo che il gozzo e il cretinismo endemici siano malattie infettive e contagiose, e, cioè, derivanti da parassiti. Zué/i % fatti finora riferiti sembrano invece spiegabili, ammettendo che il gozzo sia l’effetto di avvelenamento lento, prodotto dall'ambiente esterno. — CO Il concetto che il gozzo sia trasmesso dall'acqua è molto più radicato che non fosse un tempo quello della trasmissione delle febbri intermittenti per mezzo della mala acqua. Tutti citano sorgenti che producono il gozzo e le distinguono da altre che non lo producono; si ricordano anche molti fatti che sembrano dimostrare che veramente l’acqua sia un veicolo della malattia in discorso. Noi abbiamo fatto un’altra serie di esperimenti, i quali mentre da un lato corroborano sempre più il nostro concetto che il gozzo non è una ma- lattia parassitaria, dall'altro lato dimostrano come le acque le più temute siano inefficaci a produrre il gozzo in luoghi dove questo non è certamente endemico. Gli esperimenti prolungati per oltre un anno su molti animali, cer- tamente predisposti al gozzo, ci diedero infatti risultato costantemente negativo. Altre due serie di esperimenti vennero da noi fatte in luoghi di ende- mia. Colla prima serie in tre differenti gruppi di animali si ebbe la produ- zione del gozzo, in un tempo relativamente breve non ostante che l’acqua si somministrasse esclusivamente bollita e i cibi fossero sempre cotti. Colla seconda serie abbiamo ottenuto lo sviluppo del gozzo ad onta che si somministrasse ai cani acqua e cibi provenienti non più dal luogo dove si faceva l'esperimento, ma da luogo immune. A buon conto si faceva ancora bollire l’acqua e cuocere i cibi. Senza voler negare che l'acqua possa in determinate condizioni diventare mezzo di propagazione del gozzo, noi dobbiamo però in ogni caso ad essa concedere un'importanza di gran lunga minore a quella finora ammessa. Gli esperimenti di Carle e Lustig, a tutta prima in contraddizione coi nostri, vengono da noi spiegati colla circostanza che a Torino l'endemia, almeno negli animali, vige in una certa misura. x x x Dopo i primi esperimenti, ci parve di poter ragionevolmente supporre, che la malattia fosse originata da veleni prodotti da microbi viventi nel ter- reno e nelle immondizie. Il fatto che dovunque c'è gozzo, ivi non mancano mai terreni umidi, ci confortava in questa nostra ipotesi, non sembrandoci che essa venisse infirmata dal trovare terreni umidi senza endemia di gozzo. Questa supposizione ci condusse a due serie di esperimenti. Noi cer- cammo, cioè, di produrre il gozzo in luoghi sani, per mezzo di fango, paglia, immondizie, patate fracide, fette di patate esposte per parecchi giorni nel- l'ambiente gozzigeno, gelatine ugualmente esposte, ecc. Questi esperimenti vennero fatti a Rovellasca (provincia di Como) e a Roma — due luoghi che dobbiamo ritenere immuni. — A Rovellasca i risultati furono costantemente negativi; a Roma molti esperimenti diedero risultato negativo; però special- — 492 — mente in due cani, abbiamo potuto ottenere un ingrandimento della tiroide, non molto rilevante, ma bene evidente; purtroppo il primo cane morì di altra malattia e nel secondo, dopo qualche mese, il fenomeno scomparve. A noi sembra proprio di dover ammettere che in questi due casi siasi ottenuto lo sviluppo della malattia, ci sembra anzi che nel primo caso lo sviluppo abbia avuto speciale rapporto col tatto, che sì erano messi nell’am- biente dove stavano gli animali, immondizie provenienti dalle case di Cogne, e nel secondo caso, colla circostanza, che si erano aggiunte al materiale so- lito, patate, come sopra si è detto. Riflettendo su tutte le circostanze, ci siamo fatta l'opinione che i risul- tati positivi ottenuti a Roma dovessero collegarsi col fatto che a Roma gli animali vivevano in ambiente chiuso, mentre a Rovellasca stavano in am- biente aperto. Tentammo perciò di metterci anche a Rovellasca nelle stesse condizioni di Roma, ma l'esperimento non si è potuto continuare a sufficienza. L'altra serie di esperimenti consistette nel tenere i cani in gabbie di ferro sollevate dal suolo, evitando, cioè, il contatto col terreno. Fu appunto in questa serie di esperimenti che si usarono l'acqua e i cibi provenienti da luoghi immuni, come sopra si è detto. Non ostante che si evitasse con grande cautela il contatto col suolo, il gozzo sì produsse negli animali in esperimento; sembrerebbe dunque in questo caso che fosse stata l'aria il veicolo della malattia. Ammettendo che fosse l’aria, dovremmo cercarne la causa nei materiali in essa sospesi. Certamente una tale conclusione presta il fianco alla critica e noi stessi ci proponiamo, se non ci faranno difetto i mezzi, di ripetere l'esperimento. disinfettando molto più di quanto si sia fatto nel precedente esperimento, sì gli animali, che la gabbia. Si rifletta però che gli esperimenti precedenti, che escludono trattarsi di una malattia parassitaria, danno molto minore im- portanza di quanto parrebbe a tutta prima, alla incompleta antisepsi; e difatti, evidentemente, l'ambiente che produce il gozzo, non esplica la propria azione che lentamente, a grado a grado e cumulativamente, sommandosene in pro- gresso di tempo gli effetti. A questo proposito noi dobbiamo aggiungere che da ripetuti esperimenti fatti a noi risulta che tale azione riesce di gran lunga meno intensa nei suoi effetti sui cani viventi in libertà. * x*x x Arrivati a questo punto noi abbiamo creduto necessario di riprerdere in minuto esame la letteratura della questione, per vedere se veramente non ci fosse nulla di usufruibile nella vecchia ipotesi dello iodio. Tutti sanno che da molto tempo si è osservato che lo iodio ha un'in- fluenza curativa sul gozzo. Fu Chatin che nel sesto decennio del secolo — 493 — scorso partendo da questa osservazione intraprendeva estese ricerche compa- rative sull'acqua, sull'aria, sui cibi, ecc., tanto in luoghi di endemia, quanto in luoghi indenni, venendo alla conclusione che lo sviluppo del gozzo fosse subordinato alla diminuzione o mancanza di iodio. La dottrina di Chatin è stata però oppugnata per il fatto che sonvi località dove lo iodio manca, e non vi è gozzo; e altre dove lo iodio abbonda e il gozzo si presenta frequente. Perfino l’eco della nuova dottrina sembrava perciò spento, quando Baumann inaspettatamente le infondeva nuova vita, scoprendo che nella tiroide vi è una sostanza specifica da lui detta iodotirina, per l'abbondanza di iodio in essa contenuto, sostanza mancante o deficiente nella tiroide ingros- sata per effetto del gozzo. Si veniva così, per un’altra via, a confermare quanto aveva sostenuto Chatin. Gli studî sull'argomento presto si moltiplicarono e si arrivò alle seguenti conclusioni : 1. Vi sono dei gozzi in cui veramente lo iodio è scarsissimo. 2. Ve ne sono però altri, nei quali la quantità di iodio assoluta è maggiore di quella contenuta in una tiroide normale; essa può diventare anche molto maggiore, somministrando iodio al paziente. 8. Viceversa però la quantità relativa di todio, vale a dire lo iodio contenuto in equal quantità di peso di tiroide normale e di tiroide goz- zuta, è minore in questa che in quella. 4. La iodotirina risiede nella sostanza colloide. In questa Oswald distin- gue due corpi proteici: un nucleoproteide e la tireoglobulina; nel gozzo col- loide è relativamente più abbondante la tireoglobulina: questa può essere iodata o no: quanto più grosso è il gozzo, tanto minore è la quantità re- lativa di tireoglobulina iodata. Era sembrato che il secondo dei quattro fatti ora citati da solo definiti- vamente gettasse un’altra volta nella polvere la dottrina di Chatin, senonchè d'un tratto siamo stati ricondotti alla domanda se non si dovesse invece rimettere sull'altare. Prima di rispondere a questa domanda, crediamo opportuno accennare alle ricerche di Cyon, il quale, battendo una via sua propria e precisamente partendo dalle sue vedute fisiologiche sulla funzione della tiroide, credette di poter sostenere che il gozzo si possa produrre sia per difetto, sia per eccesso di iodio, data una causa specifica che egli ammette esistente nel- l'acqua. Precisando, secondo Cyon, quando nell'acqua vi siano troppi sali iodici, il tiroidismo può svilupparsi per avvelenamento iodico, verificantesi per la incapacità da parte della tiroide di trasformare e così neutralizzare tanta quantità di sali iodici in iodotirina (in questi casi l’iperplasia della tiroide sarebbe benefica). RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 61 — 494 — Quando lo iodio nell'acqua è manchevole, non potendosi produrre iodo- tirina in quantità sufficiente, la tiroide verrebbe messa fuori di funzione, donde accumulo di quei materiali di disassimilazione, che normalmente coo- perano nella produzione della iodotirina. Con ciò Cyon non intende di asse- rire che l’acqua potrebbe produrre il gozzo direttamente per mancanza o eccesso di iodio: egli suppone che in essa sianvi materie, verosimilmente inorganiche, che impediscano la trasformazione dello iodio in iodotirina. Tutto sommato, egli crede che ci potremmo rendere ragione anche dei fatti che sembravano in contradizione colla dottrina di Chatin. Dobbiamo anche aggiungere che Oswald, ritornando sulla questione, notò come l'iperplasia che avviene nella ghiandola tiroide (moltiplicazione delle cellule glandulari) non si potrebbe spiegare senza l'intervento di un agente specifico, il quale costituirebbe la causa prima del gozzo. A noi sembra però che, anche tenuto calcolo dei dati di Cyon e di Oswald, si possa ritornare alla dottrina di Chatin senza invocare quell’agente specifico che Oswald crede indispensabile e del quale invece i nostri esperi- menti ci obbligano a disfarci. Richiamiamo a questo riguardo l’attenzione sulle interessantissime ricerche di Gautier e di Bourcet sullo iodio. Special- mente il primo ha dimostrato che bisogna distinguere bene tre stati nei quali si può trovare lo iodio, cioè in condizione inorganica, in condizione orga- nica (sciolto) e in condizione organizzata (insolubile, fissato dagli esseri vivi). Nell'atmosfera Gautier trova soltanto polveri iodate, e precisamente iodio organizzato, ossia « principî iodati complessi, forse contenuti in alghe, licheni, muschi, schizofiti o spore in sospensione ». Poichè questi sono tra i materiali più leggieri sospesi nell'atmosfera, egli rinviene la maggior quantità di iodio nelle polveri raccolte a una certa altezza dal suolo. Considerando il problema da tutti i lati, a noi sembra che la distin- zione di Gautier tra iodio inorganico e iodio organico abbia un valore non inferiore a quella fatta da uno di noi, a proposito della malaria, tra gli ano- feli e le altre zanzare. A noi sembra che la questione del gozzo e del cretinismo endemici si trovi in un momento poco differente da quello nel quale era il problema malarico nel 1898. Tutti ammettevano che le zanzare avevano a che fare con la malaria, nonostante che la distribuzione delle zanzare non coincidesse con quella della malaria, mancanza di coincidenza, per effetto della quale la teoria delle zanzare malarifere, era stata un tempo messa in disparte, pre- cisamente come accadde alla teoria di Chatin. È impossibile formulare una teoria precisa sullo iodio, considerato come causa di gozzo, nello stato attuale delle nostre cognizioni, come, nello stato della scienza fino al 1898, era impossibile prevedere come agissero le zan- zare malarifere; in quella stessa maniera però che allora è stato utile di presentare, come direbbero i tedeschi, un'ipotesi di lavoro, del pari oggi noi — 495 — riteniamo che sia opportuno il farlo per l'argomento del gozzo, e del creti- nismo endemico. Noi ci limitiamo al gozzo perchè siamo persuasi che nes- suna ipotesi sull'origine di questo può pretendere un certo grado di verosi- miglianza se nel medesimo tempo non offre anche la spiegazione del creti- nismo. A noi sembra che l’attenzione debba specialmente fissarsi sullo iodio con- tenuto nell'atmosfera. È vero che la quantità di esso è minima, ma, nello stato attuale delle nostre cognizioni, non è inammissibile che anche una quantità minima eserciti una grande influenza. A questo riguardo richiamiamo anche la famosa discussione avvenuta in seno all'Accademia di medicina di Parigi, nel sesto decennio del secolo scorso, a proposito di quanto sosteneva Rilliet, che, cioè, minime quantità di iodio possono produrre effetti inaspettati. L'acqua, il terreno, i cibi potranno forse influire nella produzione del gozzo a seconda del loro contenuto in iodio; non sembra però che il movente fondamentale del fenomeno, di cui cerchiamo la spiegazione, debba risiedere in essi. Noi supponiamo che nei luoghi dove esiste l’endemia di gozzo, manchi o sia deficiente la polvere iodata atmosferica (iodio organizzato) e che tale deficienza non venga riparata dai cibi o dall'acqua. Il perchè della supposta deficienza dovrebbe forse ricercarsi o in speciali organismi, che moltiplican- dosi enormemente consumano la provvista ordinaria dell'atmosfera, o nel complesso della fauna e della flora, che viene a produrre lo stesso effetto. Data questa deficienza di iodio, la tiroide cercherebbe ripararvi con uno di quei fenomeni che noi conosciamo molto bene, cioè con un adattamento funzionale; da ciò l’iperplasia dapprima e l'aumento consecutivo di sostanza colloide. Se partiamo dalla supposizione che la quantità di iodio usufruibile per la produzione della iodotirina sia diminuita, si può ammettere che la tiroide coll’ingrandirsi pervenga per così dire a estrarre la stessa quantità di iodio di prima, usufruendo, s'intende, maggior quantità di materiale per la estrazione. Per servirsi di un confronto, avverrebbe nella tiroide, come in un opi- ficio, dove un certo numero di operai lavorassero per estrarre dal materiale opportuno una determinata quantità di iodio. Se il materiale contenesse rela- tivamente una minor quantità di iodio per diminuire la produzione, occor- rerebbe impiegare un maggior numero di operai, dovendosi per l'estrazione usufruire maggior quantità del materiale in discorso. Si verrebbe così a guadagnare in estensione quello che si era perduto in intensità. Considerato da questo punto di vista, il gozzo endemico viene ad essere fino ad un certo momento, non più una malattia vera e propria, ma un feno- mene di compensazione, come se ne conoscono molti altri. Che questa com- — 496 — pensazione riesca imperfetta, non ci deve far meraviglia, quando si rifletta ciò che succede per gli altri organi. Rimangono da spiegare la ereditarietà del gozzo e il cretinismo. Se si ammettesse la ereditarietà delle proprietà acquisite, la spiegazione si trove- rebbe facilmente. D'altra parte bisogna confessare che l'argomento della ere- ditarietà riguardo al gozzo e al cretinismo è troppo poco studiato; il fatto però che quando una madre di parecchi cretini passa in un luogo immune, non ha più figli cretini, condurrebbe a credere che la stessa causa che agisce sulla tiroide della madre agisca anche sulla tiroide del feto, ma di questo argomento si occupa più specialmente uno di noi (Munaron) in una Nota che viene presentata contemporaneamente alla presente. Riunendo insieme quanto abbiamo fin qui detto, ci sembra di poter conchiudere che nello stato attuale delle nostre conoscenze la causa diretta del gozzo deve cercarsi nella quantità di iodio contenuto nell'ambiente e più particolarmente nella polvere atmosferica, e che questa causa diretta deve alla sua volta rapportarsi agli organismi conviventi nello stesso am- biente, in cui stanno gli animali nei quali si manifesta il gozzo endemico. La questione, messa in questi termini, offre certamente un grandissimo interesse scientifico e noi speriamo di poter ottenere i pochi mezzi necessarî per svolgerla ulteriormente. Matematica. — Sw gruppi di movimenti. Nota del dott. EUGENIO ELIA LEVI, presentata dal Socio Luroi BIANCHI. 1. Il gruppo dei movimenti di uno spazio euclideo ad x dimensioni è un gruppo ad sinti) parametri che ha per operazioni infinitesime generatrici le traslazioni Ti Id poi pa e le rotazioni Ra %dee Di EE Si avrà Ra= — Rx. Le formule che danno la composizione del gruppo sono (T,T-)=0(RxT)=0(RxT)=—T (Ra Rm) = 0 (Rx Ra) = — Ra (î,k,l,m essendo indici diversi). Chiameremo traslazione una combinazione lineare di traslazioni, rotazione una combinazione lineare di rotazioni. Con un conveniente movimento reale — 497 — si può portare (') la più generale operazione infinitesima del gruppo nella forma RR RO I OL. Se una operazione X/ è portata nella forma (1) o più generalmente nella forma xX/= Y dux Raw + D dorsi Torsi (bm "— dan), SÌ vede chiara- hk<=%2r i n-2P mente che essa trasforma in sè gli S,-, di equazione > &2,+;Zay4i = 0 dove 22 cè una costante arbitraria e le «;,,; sono tali che 24, &o,r4;= 0. E vice- versa. Se quindi chiamiamo e/zehe le traiettorie di un gruppo ad un para- metro di movimenti, perchè le eliche di X/ appartengano all’S, ambiente e non ad uno spazio lineare subordinato, è necessario che non esistano Sn-1 trasformati in sè da X/, e quindi che in (1) 7 sia il massimo intero contenuto in A e che nessuno del coefficienti h,@ sia nullo. 2. I gruppi a due parametri. — Ci proponiamo di mostrare che 09m sottogruppo reale a due parametri del gruppo dei movimenti è abeliano. Incominciamo dal trattare alcuni casi particolari. È bene evidente che la cosa è vera se il gruppo è generato da due traslazioni. Supponiamo che il gruppo sia generato da una traslazione e da una rotazione: supponiamo che la rotazione sia portata nella forma (1) AL Rei-1%; e che Ja traslazione 4 n sia 7= ) a; T,. Siccome le traslazioni formano un sottogruppo invariante nel 41 gruppo dei movimenti, sarà (R7) =07. Ma l'equazione (R7)= (Sn Ri, va, n) EI Di Gi) hi TORE Va ie DI a; €; sì spezza nelle altre lia, Mi—00,: hi Gg = — Q02i-1r (È <= 7) o=00(kK> 2r). Quindi o sarà o= 0 ax;-1= 4; = 0(2 27. Oppure dalle prime equazioni si dedurrà e?=-—1 e quindi il gruppo non sarà reale. Quindi ogni gruppo reale ge- nerato da una traslazione e da una rotazione è abeliano; se la rotazione è n—2P della forma R= Dohi Rs;-19; la traslazione è della forma 7= DI rs asso 1 1 (1) Cfr. Bemporad, Su. gruppi dei movimenti, pag. 13. Annali della R. Scuola Nor- male Sup. di Pisa, tomo IX, od anche Schoute, Ze deplacement le plus général de l'espace à n dimensions. Annales de l’Ecole Polytechnique de Delft, tomo VII, 1891. — 498 — Supponiamo ora che il gruppo sia generato da due rotazioni X ed R,; 2r supponiamo di più che £ sia della forma (1): EZIO Rs;-12; e che sia 4 (= Da Rak (Dar = — bah 9 bah = 0) . Se non è (R O) = ok sostituendo a R, una conveniente combinazione lineare di e , si può supporre che si abbia (RR) =@0f,. Ora (2) (RR)=d Mb Rriigt Dik Doioj-r Roi api — D hi boi-1 9; Roigj — ESP ij CC Din baia 2j=1 Re;9j-1 a Dhi boin Rein — Dhi Dairk Reix =r k=2r (A R,) non contiene quindi termini in Ro;zi_, e quindi non può essere uguale a oR. Sia (RR) =oeR,. Uguagliando i coefficienti di una stessa rotazione in (2) ed in 0A, si ottiene: \ hi deioj a hj Bai19j-1 == Oboi-19j DI) i 8) | hi bei-ragr — dj boigg = — Ob2ioja =") (4) h; Daisj=a + hj Doi-19j esi Ob2i-19j=1 ) (i sj 3 7) hi boi-195 + hj deioj=a = Qbsi9; ) (5) hi Dein = @boi-1h hi boi-m = — Qbaik (= 6227) (6) = bn (h O k > 2r) Ò Dalle (6) si deduce o=0 0 dx =0. Se o=0 il gruppo è abeliano; le (5) ci dicono dex = da;-a= 0 (£=r,%>2r):in A, non esistono quindi che operazioni Rxx con ambedue gli indici <= 27 od ambedue > 27: potremo porre R:= R/+ RI. RI sarà una qualunque combinazione lineare di ope- razioni R,x per cui Re X sono > 27. Quanto ad i esso potrà contenere le operazioni Rs,-1; con coefficienti qualunque ; le altre operazioni della forma Re,-19j, Rejoj... (d,7 =7) dovranno avere coefficienti che soddisfacciano le (3) , (4) che in questo caso divengono hi dbaioj a hj Dai-19j1 =0 hi Doioj=1 + hj boi19j == 0 (3) hi Doirogj 4 Vj doisj-r =" 0 hi Dairaj-r — hj boigg = 0 Si È ben evidente che questi due sistemi di equazioni non possono essere soddisfatti che quando h,= = %;. Quindi A; oltre alle operazioni Rs;-19; potrà solo contenere le operazioni (Rs;>; = Re;-12j-1) + (Re;12j = Reigj_1) e CIÒ quando in £ sia f,= = #; (si debbono prendere tutti ì segni superiori o tutti i segni inferiori contemporaneamente). — 499 — Se e non è 0, il gruppo non è reale. Ciò risulta evidente dalle (5) quando non sia de;g= de; =0 poichè allora si ha o0?=—1. Se poi bon = dri-n= 0, sì consideri il sistema di equazioni lineari omogenee nelle Boi-19j-1 3 Voi-19j > D2i9j > Daioj-r formati dalle (3) e (4): affinchè questi coeffi- cienti è non siano nulli, o deve essere soluzione dell’equazione | 0. 0 hi > hj A ad Lee a hi — h ==i0 0 9 ; hj hi 0 —o | hi hy |} h; hi Ora questa equazione ammette solo radici nulle od immaginarie ('); talchè, se si richiede che il gruppo sia reale, non si potrà supporre che o= 0. Infine se fossero nulli tutti i coefficienti ds, 22;-1% d2;-19j d2igj «-- È, non po- trebbe contenere che le operazioni Rs;-19; per =7 e le Rag per h& > 2r e quindi £, sarebbe permutabile con £. Concludiamo che il gruppo è an- cora abeliano quando è formato da due rotazioni: se di più una delle rota- zioni è della forma (1), la precedente discussione ci dà di quale forma deve essere l’altra rotazione. Veniamo al caso generale. Siano X/=R-+ 7, Xf=R+7 le operazioni generatrici: si avrà (XX) =aXf+X:f. Ma (XX)=(RR)+ +[(27)+(7£.)]:(24,) è una rotazione, (RP 7) 4+(7£,) una trasla- zione: quindi dovrà essere (RR.)=aR-+ fR, (R7)+(7R)=arT+ + 87,. La prima equazione ci dice che R, £, formano un gruppo, esso sarà abeliano e quindi o sarà a=$ =0 ed X/,X,f genereranno esse pure un gruppo abeliano, oppure sostituendo al più ad X,f la combinazione lineare aXf+ BX,f, si potrà supporre che sia R,=0. Allora, essendo X,f una traslazione 7,, sì dovrà avere (XX.)=$ X.f ossia (R 7.)= 7: quindi R, T, genereranno un gruppo che ancora dovrà essere abeliano, ed ancora abeliano sarà il gruppo generato da X/ ed X,f. Il teorema è quindi dimo- strato. 8. Possiamo ad esso dare la forma seguente: Ze superficie a due di- mensioni immerse in uno spazio euclideo ad n dimensioni che ammettono un gruppo a due parametri di movimenti dello spazio ambiente sono svi- luppabili (a curvatura nulla) e le trazettorie del gruppo sono le geodetiche della superficie. Non è questo che un caso particolare di un teorema del prof. Bianchi (?) (1) Questa proprietà è vera per tutte quelle equazioni che si ottengono come la pre- cedente sostituendo agli zeri della diagonale principale di un determinante emisimmetrico l’incognita 0 ed uguagliando a 0. (*) Bianchi, Sugli spazi a 3 dimensioni che ammettono un gruppo di movimenti. Memorie della Società Italiana delle Scienze, 1898, $ 15. == SUE per cui se uno spazio ad % dimensioni ammette un gruppo abeliano ad 7 pa- rametri è a curvatura nulla e le traiettorie delle operazioni del gruppo rap- presentano le geodetiche dello spazio. Nel nostro caso per quanto precede il gruppo a due parametri di movimenti dello spazio ambiente è abeliano; quindi il teorema. 4. Possiamo aggiungere alcune osservazioni circa le operazioni genera- trici del gruppo. Supponiamo che Xf = R + 7 sia della forma (1). Dovrà essere, posto, come prima, Y/=,+ 7,,(RR)=0 (RT)H4+(TR)=0; quindi, come risulta dalle discussioni del n. 2, R; sarà della forma Ri + Ri dove £, contiene soltanto indici = 27 ed £j solo indici > 27. D'altra parte (RT) non può contenere che T, con indici <= 27, (7 R,)=(7£) non con- tiene che T; con indici > 27; affinchè(£ 7.) +(7 R,)=0 deve essere partita- mente (R 7,)=0 (7R,)=0. Perla prima equazione risulterà dalle discus- sioni del n. 2 che 7, non contiene che indici >27, poichè A è della forma (1). Quindi i + 7, è una operazione che opera sulle sole variabili 42,4;; e con un conveniente movimento su tali variabili, che non cambierà £, Ri e tra- sformerà 7 di nuovo in una traslazione sulle #3,+;. si potrà portare in forma analoga alla forma (1), in cui cioè la traslazione e la rotazione non hanno indici comuni: supponiamo che dopo ciò i contenga solo gli indici = 27, e 7, solo indici >27;(r,= 7). Anche 7 non potrà allora contenere che in- dici > 271, poichè (7A) = (24) =0: Cosicchè, riassumendo, con un conveniente movimento noi potremo ri- durre le operazioni generatrici del gruppo Xf=R-+T,Xf=R\+4 T contemporaneamente in tal forma che R ed R, non contengano che indici =2r, e T e T, non contengano che indici >2r,. Sia dunque n_2r1 n—-2P1 Xf=R+ D dor +i Tor,+i Dif=R14 D bar +i Tor, 4i; il gruppo trasformerà 1 in sè quegli Sy_1 T&or 4i Cor, 4i = € dove c è una costante arbitraria e gli Car +i soddisfano le equazioni 24, + Gar 4i = 0 Zbar + Cor 4 =0. A ffinchè tali S,_, non esistano, e quindi il luogo dei punti in cui un punto dato è portato dalle operazioni del gruppo xX/,_X,/ non appartenga ad uno spazio lineare subordinato, sarà necessario che le due ultime equazioni scritte non ammettano soluzione. Perciò deve essere 2, (XxX3))=(X:(X.X:))=0. X:f,-X3f non possono es- sere entrambe traslazioni perchè altrimenti (X..X3)=0. Supponiamo quindi che sia X.f= R. + 7: una operazione della forma (1) e che sia R, +0. Potrà essere R3= 0 od R34+ 0. Sia R3=0: si ponga i dba Tar dba Toi db T,; 41 1 ki=2r sarà: Xf=(%, T3)=(R,T)=— Do baia hi Tr; 4 D bai hi Tri, 1 I Quindi sarà pure X,f una traslazione. Si dovrà avere inoltre 0= (Ko Xi) = (Le Xi) ari Zbair hi Tri oz Thsi hi Ties . Dovrà quindi essere boi-n hi = 0 bei héî= 0 (= r) e cioè dDai-1= dai =0 (£#=7). Si deduce di qui che (X, 73) =0: quindi X,f sarà nulla. L'ipotesi 23=0 è quindi assurda. Sia R3+0: e precisamente R3:= Z2nx Bar (00x41 = — dan) - Dall’ ipotesi (XY. X3) = X.f si dedurrà (R. R:) = A,, d'altra parte come già al n. 2 si avrà (formula (2)) È, oi (Rs = Zia boioj Rei-19; t d hi Daigj-1 Roi-12j1 “puri Doha doi-19j Re;,; — = ESP UE= Zr pra D hi Dai-19j=1 Re2j1 Sar z hi Dei1k Roik mp 2h Daik Ra1k- i = Sr dE=1 i=r k= 2r k=2r RenpIcoNTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 62 — 502 — L'equazione 0=(X: X,) ci darà similmente 0=(R:£,), quindi dovrà essere 0= (PR. Ri) wr Z3hî Baio; R2i9; TE Zhi Daizj=i Reisj1 Foa Zhî Boi-12j Rsi-195 a Va Zhî Doi19j=1 Rei-19j-1 + Îh; hj Daisj Roi-.gj1 ar Th; hj Doigj=1 Rei-12; sai — Th hj bai-19j Roig de Ehi dj Dairoja Reioj — SN Dein Roin — Shi dai Roia Si hanno così le equazioni (7) hè Doik = hî Doi-1k =0 (K > 2 esi r) nz MIMMO n (8) boia; (hi + hi) 4 hi Di baia 293-1 0 (ji <= r) 2h; hj bois; Fa (hî + hi) boi-roj1 = (9) Deiajr (Rî + hi) + 2h; h; bring = 0 G=7) 2 hi hj baioj-r + (04 hf) being = 0 Le (7) ci dicono dsx = dgi11="0 quindi 3 si spezzerà in due parti Ri Ry: luna Ri contenente solo R,, con indici < 27; l’altra £3 conte- nente solo Rax con indici >27 e quindi permutabile con A». Quanto ai ai coefficienti di A; essi dovranno soddisfare le (8) (9). Affinchè queste equa- zioni siano risolubili dovrà essere _|R&EA44j 2h; — l2hh (G+h) Sarà quindi 2;= = %; e si dedurrà d;2;= ® dei-19j-1 Dei-127= * daigja - Ma queste sono le soluzioni di (3') (4) che esprimono che A, ed &3 sono per- mutabili: quindi la condizione (R2R,)=(R:(R:8£:))=0 porta seco l'altra R,=(R.R3)=0. Essendo 2; permutabile con R, porremo Rs = R3 + 3 come precedentemente; e si avrà Y\f=(X.X3)= (Rs 73) +(7. 83) poichè (7. R3) =0. (Rs T:) sarà una traslazione non contenente che indici < 2r; (7: R5) sarà una traslazione non contenente che indici > 27 e quindi sarà permutabile con R,. Quindi si avrà 0=(X:(X:X3))=(:(R:7:)) poichè (R:(T.R3))=0. Ma la discussione fatta precedentemente dell'equazione (X2(X X3)) = 0 pel caso in cui R3=0 ci dice allora che (R, 73) =0; e quindi si avrà che Xf=(X,X3)=(7.£:) è una traslazione contenente soltanto indici >2r. L'equazione (XY, .Y,})=0 sarà allora identicamente soddisfatta, ma dovrà ancora essere soddisfatta l'altra (X,} X3)=0 ossia, ((7- 5) R:)=0. Ricadiamo così nel caso precedentemente trattato scam- biati gli indici 2 e 3, e quindi ancora si dedurrà (7. £3) = 0. Le equazioni (Xs(X: X3))=0 (X3(X:%3))=0 conducono a conchiu- dere (XY. X3)=0: quindi è dimostrato completamente il teorema enunciato. Più generalmente potremo enunciare il risultato del presente numero nel modo seguente: Zra operazione del gruppo derivato di un gruppo di 0 = (12-44) — detfj=(M— — 503 — movimenti non è permutabile con tutte le operazioni del gruppo (più pre- cisamente essa non è permutabile neppure con tutte le operazioni tali che alternate con una operazione conveniente del gruppo, dànno l'operazione stessa). 6. In modo analogo possiamo ormai dimostrare che se 20 gruppo deri- vato è a due parametri le operazioni del gruppo sono traslazioni. Siano infatti X,f, X:f le due operazioni del gruppo derivato, esse sono permutabili in virtù del n. 2. D'altra parte pel teorema precedente non deb- bono essere permutabili con ogni operazione del gruppo: supponiamo che X,f non sia permutabile con X3/, e supponiamo di più che (X, X3), — che è diversa da X,/ poichè altrimenti X,f X:/ genererebbero un gruppo a due parametri non abeliano, — sia X3f:(X X:) = Xzf. Siccome si ha (XX) = =(X.(X,-X3))=0 non potrà essere (Xx X:)=((X, 43) X3)=0 per quanto si vide nel n. 5; nè potrà essere (X, X:)= #X. pel n. 2; quindi si avrà (X.X3)=((XX) X3) = aXf+BX:f con «+0. Ne segue che X;/ non può essere una traslazione, altrimenti X,f = (XX) sarebbe una traslazione pure essa ed (X,X3)=0. Ma allora, ragionando sull'equazione (X,(X,%3))=0 come nel numero precedente sulla (X:(X: X:))=0, segue che le rotazioni PR, R3z sono permutabili, onde viene che X.f è una traslazione. Ma allora anche (X. X3) = @X,f + B.Xf è una traslazione e quindi X,f non può es- sere che una traslazione essa pure. Resta così dimostrato il teorema. Ma ora è facile mostrare di più che è 8=0, onde verrà che, supposto che il gruppo derivato di un gruppo di movimenti sia un gruppo a due parametri ge- nerato dalle operazioni X,f, Xsf, esiste nel gruppo una operazione Xsf tale che (XXa)= Xf (XX). Infatti noi abbiamo visto che X.f ed X,/ sono due traslazioni e che esiste una operazione X:/ tale che (DA) = Lf (A X)=@aXf+8f (a40). Perchè queste equazioni possano essere soddisfatte da movimenti non dovranno potersi trovare dei coefficienti reali 4, w tali che (X3 4%, + UA) = 0(4X:f + uXaf). È facile vedere che perchè ciò accada è necessario che sia a= È. Sarà quindi a > 0 e chiamando X,f X;f le operazioni Ya X,f, 7 X;f si avrà (XX) = Xf (X:X)=Xf+ Of (4=*=0). Supponiamo X3f ridotto alla forma (1); dalla prima di queste equazioni ‘segue, ricordando che X,f ed X,/ sono traslazioni, che X.7 non contiene — 504 — che indici <= 27, e dalla seconda che lo stesso vale quindi per X,f. Sia Xif= bs; Tar + Zbo;-1 Toi. Come nel n. 5 si avrà Yof=> (Ln Va) + Sbsi-r Mi Tai — Zbx; hi Tai, Xf + BXxf = Z(b2; + B boia hi) Ti + S(b2i-1 — Pooh) Trian = Ta (X3 Xa) = Thai hî Tria + DIE hî To. Quindi si dedurranno le equazioni doi + Bbria hi = bai hi dai-r Toù B dai hi ion) Baia hi O Affinchè queste equazioni lineari in ds; dg;-, siano risolubili deve aversi MA l4e— (2-8) +1=0. Bhi h 1 Affinchè hî non sia immaginaria dovrà quindi essere 0= (2 EA — (67 che unito alla limitazione 0 = 8? <= 4 darà 8° =0 o 8° = 4. Se #°=4 è h:=—1 e quindi 4; immaginario; quindi deve essere 8° = 0: ne risulta dimostrato il teorema. 7. I gruppi a tre parametri. — Il prof. Bianchi (') ha classificato le composizioni dei gruppi a tre parametri diverse per isomorfismi reali: dai tipi di gruppi ivi indicati si vede facilmente che i soli gruppi che non hanno che sottogruppi reali a due parametri non abeliani, sono quelli che hanno la composizione seguente : (1) (AA) 0 (II (INI eaoiZO (26026) 26) = 0 I) (=2)=0 IATA) OE (IV) (Kb)= Lf (XA)=Lf (&L)= of. Un gruppo di movimenti a tre parametri deve essere di uno di questi tipi. Ma il teorema del n. 5 esclude il tipo (II). I teoremi del n. 6 ci di- cono che si hanno gruppi di movimenti del tipo (III) solo quando 4 = 0. D'altra parte i ragionamenti stessi del n. 6 dànno il modo di costruire un gruppo del tipo (III) per R=0; il gruppo formato da tre traslazioni è un gruppo del tipo (1); il gruppo formato dalle tre rotazioni di un S3 subor- dinato è un gruppo del tipo (IV), quindi possiamo raccogliere il seguente teorema: i Nel gruppo dei movimenti dello spazio ad n dimensioni esistono solo sottogruppi reali a tre parametri aventi le composizioni seguenti : (XX) =0 (X.X3)=0 (X4:X)=0 (XX) =0 (XA)=Xf (3 X)= Xf (Xf,Xf sono traslazioni) (X Xo)=Xf (14 X3)=Xf (4X)= Lf (2). (1) Bianchi, Sugli spazi a tre dimensioni che ammettono gruppi di movimenti. Me- morie della Società Italiana delle Scienze, 1898, $ 13. (2) Si può chiedere se esisteranno gruppi a tre parametri colle operazioni non in- 8. / sottogruppi a due e tre parametri del gruppo di movimenti dello spazio a curvatura costante positiva. — Se noi consideriamo che il gruppo dei movimenti di uno spazio a curvatura costante positiva ad x dimensioni è in isomorfismo reale col gruppo delle rotazioni di uno spazio euclideo ad n-+1 dimensioni, dai teoremi dimostrati nei numeri precedenti dedurremo: Nel gruppo dei movimenti di uno spazio a curvatura costante positiva: 1°) è sottogruppi reali a due parametri sono abeliani; 2°) è sottogruppi reali a tre parametri hanno la composizione (Xx X.) = X:f, (Xx. X3)= Xf, (X3 Xx) = Xf del gruppo dei movimenti della sfera 0 sono abeliani; 3°) il gruppo derivato di un sottogruppo reale qualunque non è mai ad uno 0 due parametri soltanto. Fisica. — Sulla luminescenza dei cristalli. Nota di A. Po- CHETTINO, presentata dal Socio P. BLASERNA. In una Nota precedente (') ho riferito i risultati di alcune esperienze sulla catodo-luminescenza di alcuni cristalli naturali intese a completare ed estendere le ricerche sullo stesso soggetto compiute da Maskelyne(?) e da G. C. Schmidt (3). Prima di esporre i risultati delle ricerche d’indole quan- titativa sulla polarizzazione parziale che, in alcuni cristalli, è caratteristica di questa luminescenza, credo opportuno riferire qui alcune ulteriori ricerche qualitative da me compiute sulla luminescenza prodotta in certi cristalli arti- ficiali e naturali dalle radiazioni del Radio e dai raggi del Réntgen, e nel vetro deformato meccanicamente dai raggi catodici. Per le esperienze colle radiazioni del Radio ho potuto disporre di 20 mil- ligrammi di bromuro di Radio del Giesel, chiusi al solito modo in una capsu- letta di ebanite munita di una piccola finestra di mica; il cristallo, fissato in una determinata orientazione veniva completamente ricoperto con carta nera, meno una piccola porzione circolare (circa 3 millimetri di diametro) in corrispondenza della faccia del cristallo che si voleva studiare; la capsula contenente il bromuro di Radio veniva accostata a questa porzione scoperta del cristallo fino a produrvi una luminescenza sufficientemente vivace che veniva osservata al solito modo con un Nicol analizzatore. dipendenti, per cui, cioè, le varietà di intransitività siano superficie a due dimensioni. Da un.teorema dimostrato nel secondo capitolo della mia tesi di laurea (che sarà pubblicata negli Annali della Scuola Normale Sup. di Pisa) risulta che questo non accade altro che quando il gruppo si può con un movimento ridurre ad operare su due o tre sole varia- bili. Le varietà di intransitività sono allora piani o sfere dello spazio ordinario. (1) Rend. Ace. Lincei, XIII (5), pag. 301, 1904. (2) Roc. Roy. Soc. London, 28, pag. 477, 1879. (3) Wied. Ann., 60, pag. 740, 1897. — 506 — I raggi Ròntgen vennero prodotti con un tubo /ocus, rinchiuso in una scatola di cartone annerito, ed alimentato da un rocchetto d'induzione da 5 cm. di scintilla; il cristallo, ricoperto come nelle esperienze col Radio di carta nera, veniva fissato nell’orientazione voluta su apposito sostegno in vici- nanza della parete della scatola di cartone posta di fronte all’anticatodo, di modo che se ne poteva osservare la fluorescenza in qualunque direzione. Per alcuni cristalli ho pure analizzata la fluorescenza prodotta dai raggi violetti, come già fecero Sohncke(!) e Schmidt (?), adoperando la luce pro- veniente da una lampada ad arco filtrata attraverso un filtro di Wood. Ecco senz'altro il risultato di queste ricerche: I. Cristalli artificiali. 1. Platinocianuro di Magnesio. (Sistema dimetrico). a:c = 1:0,58683 (8). Ho potuto disporre di un bel cristallo presentante le forme }001{, }100%, {010{ e }111}, dalle dimensioni 10 X 10 X 6 millimetri rispettivamente secondo gli assi 2, y, 4. Sottoposto ai raggi del Radio emette luce debole di colore rosso-scarlatto sulle faccie delle forme }100{ e }010{, più vivace, ma dello stesso colore sulle faccie delle forme {001} e }111{, scomparente subito dopo allontanato il Radio. Questa luminescenza è pochissimo polarizzata; per estinguere questa pic- cola parte di luminescenza polarizzata occorre disporre la diagonale minore del Nicol analizzatore secondo l'asse del cristallo. Esposto ai raggi Ròntgen esso sì comporta come sotto i raggi del Radio; la luminescenza emessa in queste condizioni è pure rosso-scarlatta. Un altro cristallo della stessa sostanza presentante le forme }100}, }010% e }001: e dalle dimensioni: 11 X 11 X 4 millimetri rispettivamente secondo gli assi x, y, 4 diede, cimentato nello stesso modo del precedente, gli stessi risultati. 2. Platinocianuro di Potassio e Litio. (Sistema trimetrico). @:b:e = 0,4417:1:0,7166. Vennero esaminate le forme }010% e }011{ di un crì- stallo quasi tabulare limitato da dette forme e troncato irregolarmente alle estremità. Le dimensioni dell'esemplare sono le seguenti: secondo l’asse y = 10 millimetri, secondo l'asse z= 20 millimetri, lunghezza fra le due estre- mità troncate= 22 millimetri. Esposto ai raggi del Radio diede su tutte le faccie una luminescenza arancio-verdastra vivissima, scomparente subito dopo allontanato il Radio, (?) Sitz. ber. K. B. Ak. Wiss. Minchen, 1896,I, pag. 75. (2) Loc. cit. (3) Rammelsberg, Aryst. Phys. Chem., IL, pag. 24. — 507 — dotata di polarizzazione sensibile, per estinguer la quale occorreva disporre la diagonale minore del Nicol analizzatore secondo lo spigolo [110]. La lu- minescenza emessa dalle due estremità troncate del cristallo non presenta traccie di polarizzazione. Esposto ai raggi Rontgen lo stesso cristallo, diede parimente su tutte le faccie una luminescenza arancio-verdastra debole e senza traccia di polariz- zazione sensibile. Sottoposto ai raggi violetti non diede traccia alcuna di fluorescenza. Lo stesso risultato diede un altro cristallo della stessa sostanza presen- tante le faccie delle forme }010{, }011} e }001f e su per giù delle stesse dimensioni del precedente. 3. Platinocianuro di calcio. (Sistematrimetrico). a:d:c=0,90:1:0,3365. Di questa sostanza vennero esaminati quattro diversi cristalli: 1° Di forma quasi tabulare, presentante le forme }100{, }010t e }120}, le estremità sono troncate irregolarmente. Le dimensioni di questo esemplare sono: secondo l’asse y=8 millimetri, secondo l'asse 7. = 23 millimetri, lunghezza = 35 millimetri. 2° Di forma prismatica allungata, presentante le forme {010t e 31204; le dimensioni sono: secondo l’asse y = 5 millimetri, secondo l’asse 7 = 7 mil- limetri, lunghezza fra le due estremità troncate irregolarmente = 10 mil- limetri. 3° Come il precedente, su per giù colle stesse dimensioni. 4° Come i due precedenti colle dimensioni: secondo l'asse y= 5 mil- limetri, secondo l’asse 7 = 9 millimetri, lunghezza = 34 millimetri. Esposti ai raggi del Radio tutti e quattro gli esemplari diedero su tutte le faccie una luminescenza vivissima di colore verde puro, scomparente subito dopo allontanato il Radio, con polarizzazione marcatissima per estinguer la quale occorreva disporre la diagonale minore dell’analizzatore secondo lo spi- golo [001]. La luminescenza emessa dalle estremità irregolarmente troncate non presenta traccia sensibile di polarizzazione. Esposti ai raggi Rontgen essi diedero ancora su tutte le faccie una lumi- nescenza molto vivace dello stesso colore verde-brillante con traccie sensibi- lissime di polarizzazione parziale nello stesso modo di quella rilevata sotto l'azione del Radio. Alla luce violetta venne cimentato il solo cristallo 1°. Facendo colpire dalla luce eccitante le due estremità troncate irregolarmente ed osservando la fluorescenza così eccitata sia attraverso le faccie della forma }010{ che a quelle delle forme }100} e {120t. si osservò sempre una luminescenza verde vivissima marcatamente polarizzata in modo che per estinguerla occorreva disporre la diagonale minore dell’analizzatore secondo lo spigolo [001]. 4. Platinocianuro di Potassio e Sodio. (Sistema monoclino). a:d:c = 0,8516:1:0,4713. Di questa sostanza vennero esaminati due cristalli am- — 508 — bedue presentanti le forme }100{, 5001} e }110}. Le dimensioni principali sono per l'uno: secondo l'asse 4«= 11 millimetri, secondo l’asse y= 19 mil- limetri e per l'altro rispettivamente 6 e 25 millimetri. Esposti ai raggi del Radio diedero ambedue una fluorescenza verde leg- germente giallastra scomparente subito dopo allontanato il Radio, vivacissima su tutte le faccie. Quella emessa dalle forme }100} e {110} è marcatamente polarizzata in modo che per estinguerla occorre disporre la diagonale minore del Nicol analizzatore secondo lo spigolo [001]. La luminescenza emessa dalla forma }001{ non presenta traccie sensibili di polarizzazione alcuna. Esposti ai raggi Rontgen, i due cristalli si comportarono come sotto l'azione dei raggi del Radio. 5. Platinocianuro di Bario. (Sistema monoclino). a:b:c=0,8698:1 :0,4794. Vennero esaminate le forme }100}, }110} e 5010} in un cristallo di forma a prisma troncato irregolarmente dalle dimensioni: secondo l'asse 4 = 8 millimetri, secondo l'asse y = 24 millimetri, altezza = 12 millimetri. Esposto ai raggi del Radio diede una luminescenza vivissima di color verde scomparente subito dopo allontanato il Radio, marcatamente polarizzata per modo che per estinguerla occorreva disporre la diagonale minore del Nicol analizzatore secondo lo spigolo [001]. Ai raggi Rontgen lo stesso cristallo si comportò del tutto analogamente. Esposto ai raggi violetti in modo che il fascio eccitante cadesse su una delle testate del prisma e osservando la fluorescenza prodotta, di colore verde, attraverso le faccie delle forme }110} e }100!{, venne trovata sensibilmente polarizzata in modo che per estinguerla occorreva disporre la diagonale mi- nore del Nicol analizzatore secondo lo spigolo [001]. 6. Platinocianuro di Erbio. (Sistema trimetrico). a:b:e = 0,8962:1 :0,619. Venne studiato un cristallo dalle dimensioni 15 X 11 X 17 millimetri formato dalle quattro faccie del prisma 3110} e dalle sue basi 3001. Esposto ai raggi del Radio e ai raggi Ròntgen non diede traccia alcuna di luminescenza. Alla luce violetta incidente su una base diede una fluorescenza rosso- scarlatta che, osservata attraverso una delle faccie del prisma si rivelò essere quasi totalmente polarizzata per modo che per estinguerla occorreva disporre la diagonale minore dell'analizzatore secondo l’asse del prisma. Illuminando invece una delle faccie del prisma ed osservando attraverso una delle basi, si ha una luminescenza ancora rosso-scarlatta, ma prima di qualsiasi traccia sensibile di polarizzazione. 7. Platinocianuro di. Ittrio. (Sistema trimetrico). a:d:c=0,892:1 :0,6157. Venne studiato un cristallo simile al precedente di platinocianuro di Erbio, di dimensioni: 22 X 15 X 12. millimetri, il quale cimentato: nello stesso modo del precedente diede gli stessi risultati (1). (1) E mio dovere ringraziare vivamente il prof. C. Montemartini alla : cui: cortesia debbo l'aver avuto a mia disposizione questa collezione di Platinocianuri. — 509 — II. Cristalli naturali. I cristalli, di cui si fa menzione qui, sono gli stessi già descritti nella mia Nota precedente più su ricordata. 1. Scheelite (sistema dimetrico). Sotto i raggi Rontgen tutti i cristalli diedero una luminescenza debolis- sima di colore bleu, scomparente istantaneamente; la luminescenza emessa dalle faccie della forma }111} (vennero studiate solo queste perchè più grandi) presenta deboli traccie di polarizzazione per estinguere la quale occorre disporre la diagonale minore dell’analizzatore normalmente all’asse 2. Sotto i raggi del Radio tutti i cristalli diedero una luminescenza debole, parimenti di colore bleu, senza traccie sensibili di polarizzazione. Questa luminescenza non scompare subito dopo allontanato il Radio, ma come venne osservato nella. Kunzite dal Baskerville ('), dura per un certo tempo. Questa durata della luminescenza dipende dalla durata dell'esposizione ai raggi del Radio fino ad un certo limite, al di là del quale, qualunque sia il tempo di esposizione, la durata della luminescenza non varia più. Ecco per esempio i dati relativi ad un ottaedro di Scheelite: Durata dell'esposizione IE SECON A ST? 2 0055020 Durata della lumine- Scenza ng secon die n 0 noi AL 50 Questa sostanza non presenta, almeno nei campioni da me esaminati, alcuna traccia di fluorescenza ordinaria quando viene sottoposta ai raggi violetti. 2. Fosgenite (Sistema dimetrico). Esposto ai raggi Rontgen il cristallo da me studiato, non diede traccia di luminescenza su nessuna faccia. Esposto ai raggi del Radio dà una luminescenza di colore bleu, molto debole e non presentante traccia alcuna di polarizzazione. Come la radiolumi- nescenza della Kunzite e della Scheelite, presenta anche quella della Fosge- nite la proprietà di durare per un certo tempo anche dopo allontanato il Radio. I seguenti numeri corrispondenti ad osservazioni fatte sulla faccia }001} danno un'idea del fenomeno: Durata dell'esposizione in SECONCIRA E TON 2600692048 60 20) Durata della luminescenza INMSECONdiM, SONO e 8 1688206027096 (1) Science, sett. 4, 1003. RenpICcONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 63 — 510 — 3. Cerussite (Sistema trimetrico). Venne studiato il primo dei due cri- stalli menzionati nella Nota citata. Esposto ai raggi del Radio diede una luminescenza di colore bluastra, debolissima, istantanea. Quella emessa dalle faccie delle forme }110 e }100{ presenta deboli traccie di polarizzazione per estinguere la quale occorre dis- porre la diagonale minore del Nicol analizzatore secondo l’asse 2; quella emessa dalla faccia }001{ non presenta traccia alcuna di polarizzazione sensibile. Esposto ai raggi Rontgen non diede luminescenza sensibile. 4. Apatite (Sistema esagonale). La fluorescenza prodotta dai raggi del Radio è molto debole, di colore giallo-verdastro, istantanea, presentante sulle faccie delle forme }011{ e }211{ una debolissima traccia di polarizzazione per estinguere la quale occorre disporre la diagonale minore dell’analizzatore secondo l’asse del prisma esa- gono; la luminescenza emessa dalle faccie della forma }111t è completamente priva di polarizzazione. Su uno di questi cristalli ho voluto ripetere le esperienze compiute dal Sohneke colla luce dell'arco voltaico; cioè ho studiato lo stato di polariz- zazione della fluorescenza: @) eccitata da un raggio normale alla faccia 31114 osservandola attraverso una faccia del prisma esagono; 5) eccitata da un raggio normale ad una faccia del prisma esagono, osservandola attraverso una faccia della forma }111{. Conformemente ai risultati del Sohncke, ho trovato che la fluorescenza, pure di colore verde-giallastro, nel primo caso è polarizzata quasi totalmente in modo che per estinguerla occorre disporre la diagonale minore dell’analizzatore secondo l’asse del prisma esagono; nel se- condo caso è completamente priva di polarizzazione. Operando coi raggi Ròntgen non ho potuto osservare fluorescenza di sorta. III. Vetro deformato meccanicamente. Già nella mia Nota precedentemente citata avevo notato come un'ani- sotropia prodotta artificialmente in un corpo amorfo, produce una polarizza- zione più o meno parziale nella sua catodo-luminescenza, e come per estin- guere la parte polarizzata di questa occorre disporre la diagonale minore del Nicol analizzatore parallelamente alla direzione di trazione e normalmente alla direzione di compressione. L’interesse notevole che può presentare tale diversità di comportamento fra un corpo teso e un corpo compresso, mi ha indotto a ripetere le espe- rienze cercando di eliminare tutte le possibili cause d'errore tanto più te- mibili in quanto si tratta di un fenomeno di estrema delicatezza. Ho operato quindi così: Presa una lamina di ottone dello spessore di due millimetri e — bll — delle dimensioni 100 X 25 millimetri, venne ripiegata due volte ad ‘angolo retto come nella figura A CB, poco sotto le due estremità vennero praticate due scanalature trasversali Ae B, nelle quali venivano introdotte due lamine sottili di vetro da coprioggetti, larghe ciascuna 10 mm., mediante poi la vite V si facevano accostare le estremità A e B della lamina di ottone e allora le due lamine di vetro si flettevano ed era facile disporre le cose in modo che una L' si flettesse colla convessità in alto, l’altra L con la convessità in basso; in tali condizioni evidentemente lo strato superficiale superiore della lamina L' si trova in uno stato di tensione, con l’asse se- condo la linea mediana A B, mentre lo strato superficiale superiore della lamina L sì trova in uno stato di compressione con l’asse nella stessa direzione. L'apparecchio, così montato veniva introdotto nel tubo catodico altrove già descritto, in modo che il fascio di raggi catodici battesse contemporanea- mente sulle due lastrine. Osservando con un Nicol analizzatore la lumine- scenza proveniente dalle due lastrine, questa venne trovata debolmente pola- rizzata, ma per estinguere quella proveniente da L' occorreva disporre la diagonale minore dell’analizzatore secondo AB, mentre per estinguere quella proveniente da L bisognava disporre la diagonale minore dell’ analizzatore normalmente ad A B. Analoghi risultati ottenni osservando dei pezzi di gomma tesì o compressi e cimentati ai raggi catodici. In tal modo venne nuovamente riconfermato quanto esponevo nella Nota già citata. In un lavoro recente (') il sig. G. T. Beilby studiando la fosforoscenza prodotta dai raggi f e y del Radio, e l'alterazione che subisce la superficie specialmente del Platinocianuro di Bario quando sia sottoposta per un certo tempo all'azione di quei raggi, richiama l'attenzione sulla analogia stretta (1) Nature, marzo 16, 1905, pag. 476. — 12 — che vi è fra l’effetto delle radiazioni del Radio e quello prodotto da un cambiamento dallo stato cristallino allo stato amorfo. Seguendo questo concetto ho voluto studiare lo stato di polarizzazione della luce di fluorescenza emessa da un cristallino di Platinocianuro di Calcio esposto per lungo tempo all’azione dei raggi del Radio. Naturalmente non ho potuto fare misure fotometriche sulla quantità di luce polarizzata e per la debolezza della luce da studiare e per il deterio- ramento che subisce la superficie emittente durante la misura, mi sono quindi limitato ad apprezzare così ad occhio; malgrado la rozzezza di queste determinazioni ho potuto però constatare che di pari passo colla diminuzione della fluorescenza si nota pure una diminuzione nella quantità della luce polarizzata, tanto che dopo cinque giorni di esposizione non è più facile neppure decidere se la luce emessa contenga o no una porzione polarizzata. Questo fatto, mi sembra, potrebbe andare in appoggio alle vedute del sig. Beilby. Fisica. — Sugli effetti di correnti continue interrotte ed al- ternate e di onde hertziane sul ritardo di magnetizzazione net corpi magnetici in campi Ferraris ('). Nota del prof. RiccARDO ARNÒ, presentata dal Socio CoLomBo. In correlazione ad alcuni miei precedenti lavori sugli effetti di correnti continue, interrotte ed alternate, e di onde hertziane, sul ritardo di magne- tizzazione nei corpi magnetici in campi Ferraris (2), ho stabilito una nuova ricerca sperimentale con lo scopo precipuo di studiare il comportamento di un cilindro di acciaio in un campo magnetico rotante sotto l’azione di una serie di correnti alternate e di correnti interrotte della stessa intensità, ma rispettivamente di frequenza diversa e con un numero variabile di interru- zioni (3). (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di elettrotecnica del R. Istituto Tecnico Supe- riore di Milano (Istituzione Carlo Erba) coll’assistenza del sig. ingegnere Giuseppe Comboni. (*) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1° sem., 1904, pag. 272; Atti del- l'Associazione elettrotecnica italiana (Comunicazione fatta alla sezione di Milano nella seduta del 25 maggio 1904; Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, 1905, serie II, vol. XXXVIII, pag. 142; Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1° sem,, 1905, pag. 278; Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, 1905, serie II, vol. XXXVIII, pag. 438; Rendiconti della R. Accademia dei Lincei (Seduta. del 2 aprile 1905). (3) Osservo che per tenere conto della variazione della resistenza induttiva della spirale S — destinata ad essere percorsa dalla corrente alternata su cui si sperimentava — 6513 — Quivi in appresso sono esposti i nuovi fatti che ho constatato, e che credo bene riassumere facendo contemporaneamente una completa sintesi di tutti gli altri fatti risultanti dai miei precedenti studî e già resi noti nelle varie mie Note sovracitate. I risultati principali, succintamente riepilogati, di queste ricerche intese a studiare il fenomeno della variazione di isteresi in un cilindro di acciaio in campi Ferraris, sotto l’azione di correnti continue, interrotte ed alternate, e di onde hertziane, sono i seguenti: 1.° In corrispondenza di campi Ferraris sufficientemente intensi, sempre si constata una diminuzione del ritardo di magnetizzazione nel cilindro di materiale magnetico: tale diminuzione di isteresi essendo tanto più grande quanto maggiore è l'intensità del campo Ferraris, in cui è collocato il ci- lindro su cui si sperimenta, e quanto maggiore è l'intensità del campo ma- gnetico secondario generato dalla corrente su cui si sperimenta. ed alla cui azione il cilindro stesso è sottoposto. 2.° In corrispondenza di campi Ferraris di debole intensità, sì può avere aumento o diminuzione del ritardo col quale la magnetizzazione del cilindro di acciaio segue la rotazione del campo in cui esso è collocato; e precisamente si ha aumento di isteresi fino a che l'intensità del campo magnetico secondario non ha superato un certo determinato valore, a partire dal quale, e per tutti i valori ad esso superiori, si constata invece diminu- zione di isteresi. 3.° Esiste sempre, a parità di tutte le altre condizioni in cui si spe- rimenta, un valore della intensità del campo Ferraris, in cui è collocato il cilindro sottoposto all’azione della corrente continua interrotta od alternata, o del sistema di onde hertziane, per cui si ha il massimo aumento di isteresi; ed un valore della intensità del campo Ferraris per cui non si ha più nè aumento, nè diminuzione di isteresi nel materiale magnetico spe- rimentato. 4.° Allorquando si sperimenta con campi Ferraris di debole intensità, esiste sempre — in corrispondenza di una data intensità del campo magne- tico rotante e a parità di tutte le altre condizioni in cui si sperimenta — un valore della intensità del campo magnetico secondario per cui si ha il massimo aumento di isteresi; ed un valore della intensità del campo ma- gnetico secondario per cui non si ha più nè aumento, nè diminuzione di iste- resi nel materiale magnetico sperimentato. — dovuta alla variazione della frequenza della corrente, veniva in ogni singolo esperi- mento opportunamente modificata la resistenza ohmica addizionale inserita nel circuito della spirale S: per modo che in ogni caso l’impedenza del circuito della spirale stessa avesse a risultare assolutamente invariata. — 514 — 5.° A parità di tutte le altre condizioni in cui si sperimenta, se si ha aumento di isteresi, questo è notevolmente più piccolo nel caso in cui si sperimenta con correnti continue che allorquando il corpo magnetico è sottoposto all'azione di correnti interrotte od alternate; e se, d'altra parte, si ha diminuzione di isteresi, questa è invece notevolmente più grande se si sperimenta con correnti continue di quella che altrimenti si ottiene con cor- renti interrotte od alternate. 6.° Allorquando sottoponendo il cilindro di materiale magnetico al- l’azione di una corrente continua, si ha, in certe determinate condizioni, nè aumento, nè diminuzione di isteresi, si ottiene, sperimentando in quelle stesse condizioni con correnti interrotte od alternate, aumento di isteresi. Viceversa, allorquando sottoponendo il cilindro di materiale magnetico all'azione di una corrente interrotta od alternata, si ha, in certe determinate condizioni, nè aumento, nè diminuzione di isteresi, si ottiene, sperimentando in quelle stesse condizioni con correnti continue, diminuzione di isteresi. 7.° Può ancora accadere che, sperimentando con correnti continue ed avendo diminuzione di isteresi, si abbia invece — sperimentando con cor- renti interrotte od alternate e mantenendo inalterate tutte le condizioni del- l'esperimento — aumento del ritardo di magnetizzazione nel cilindro di ma- teriale magnetico. 8.° L'aumento del ritardo di magnetizzazione è, a parità delle altre condizioni, tanto più grande quanto maggiore è la frequenza della corrente alternata, o quanto maggiore è il numero delle interruzioni al 1” della cor- rente interrotta su cui si sperimenta. 9.° La diminuzione del ritardo di magnetizzazione è, a parità delle altre condizioni, tanto più grande quanto minore è la frequenza della cor- rente alternata, o quanto minore è il numero delle interruzioni al 1” della corrente interrotta su cui sì sperimenta. 10.° Allorquando sottoponendo il cilindro di materiale magnetico al- l’azione di una corrente alternata di una data frequenza, od interrotta con un dato numero di interruzioni, sì ha, in certe determinate condizioni, nè aumento, nè diminuzione di isteresi, sì ottiene, sperimentando in quelle stesse condizioni con correnti alternate di frequenza maggiore od interrotte con maggior numero di interruzioni, aumento di isteresi. Viceversa, allorquando sottoponendo il cilindro di materiale magnetico all’azione di una corrente alternata di una data frequenza, od interrotta con un dato numero di interruzioni, si ha, in certe determinate condizioni, nè aumento, nè diminuzione di isteresi, si ottiene, sperimentando in quelle stesse condizioni con correnti alternate di frequenza minore od interrotte con minor numero di interruzioni, diminuzione di isteresi. 11.° Può finalmente ancora accadere che, sperimentando con una corrente alternata di una data frequenza od interrotta con un dato numero — 515 — di interruzioni, ed avendo diminuzione di isteresi, si abbia invece — spe- rimentando con correnti alternate di frequenza maggiore od interrotte con maggior numero di interruzioni, e mantenendo inalterate tutte le condizioni dell'esperimento — aumento del ritardo di magnetizzazione nel cilindro di materiale magnetico. E così può ancora accadere che, sperimentando con una corrente alter- nata di una data frequenza, od interrotta con un dato numero di interru- zioni, ed avendo aumento di isteresi, si abbia invece — sperimentando con correnti alternate di frequenza minore, od interrotte con minor numero di in- terruzioni, e mantenendo inalterate tutte le condizioni dell'esperimento — dimi- nuzione del ritardo di magnetizzazione nel cilindro di materiale magnetico. Fisica. — Relazione fra la costante dielettrica e la densità dell’arta. Nota del dott. Augusto OccHIALINI, presentata dal Cor- rispondente A. BATTELLI. Fisica terrestre. — £sultati pireliometrici ottenuti dall’ot- tobre 1901 al 16 luglio 1902 al R. Osservatorio Geofisico di Modena. Nota di Crro CHISTONI, presentata dal Socio P. BLASERNA. Cristallografia. — Studio cristallografico di alcune sostanze organiche. Nota del dott. FRANcESCO RANFALDI, presentata dal Socio G. STRUEVER. Le precedenti Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Geologia. — Osservazioni sui sedimenti del Monte Mario an- teriori alla formazione del tufo granulare. Nota dell’ ing. ENRICO CLERICI, presentata dal Socio V. CERRUTI. Nelle sabbie quarzose giallastre di Bravetta, che precedettero la forma- zione del tufo granulare propriamente detto, trovai uno strato di materiale caoliniforme che mi fornì diatomee ed abbondanti spicule di potamospongie, che già feci conoscere con apposita comunicazione (Boll. Soc. Geol. It., vol. XIX, 1900, pag. 722). Dipoi, pensando che quel materiale poteva avere origine più o meno diretta dall'alterazioné e dal disfacimento di una roccia feldspa- tica, poichè infatti conteneva frammenti di feldspati, mi proposi di ricercare se in altra-località i componenti della supposta roccia vi si mostrassero più appariscenti 0 meglio conservati. — bo L'esame microscopico di quelle sabbie, per lo studio dei fossili, mi fece constatare la presenza di minerali fino allora neppur accennati che mi invogliarono ad esaminare mineralogicamente molti altri saggi di sabbie e di argille dei dintorni di Roma. Nella presente Nota riassumo i risultati ottenuti nel doppio genere di ricerche che mi ero proposto, riferendoli in particolar modo al Monte Mario e sue adiacenze. Per esser breve, e per meglio fissare le cose, prendo per base tre sezioni rilevate rispettivamente nella valle dell'Inferno, alla Farnesina e nella valle della Rimessola. Nell’esame delle sabbie ho eliminato la parte calcarea, con acido clori- drico diluito, e la parte sottile, che come è noto non è utilizzabile ottica- mente, mediante successive lavature e decantazioni. Sul residuo ho operato la separazione meccanica, con liquido di densità poco superiore a quella del berillo, per raccogliere la parte più pesante della quale principalmente mi sono occupato. Qualche volta ho determinato il peso della parte affondata per sapere in quale proporzione i minerali pesanti si trovino nel materiale già decalcificato e preparato per la separazione. La valle dell’Inferno permette di riconoscere la costituzione del Monte Mario nei suoi fianchi occidentale e meridionale, particolarmente per le nu- merose cave di argilla da laterizi le quali mostrano altrettante sezioni quasi identiche. La sezione rappresentata nella fig. 1, diretta presso a poco nord-sud, è visibile nell'ultima cava ora attiva a sinistra risalendo la valle. La metà inferiore della sezione presenta una serie di strati « di diverso spessore e di colore ora bigio azzurrognolo, ora cenerognolo, ora volgente al giallastro, formati alternativamente di argilla, e di argilla sabbiosa o di sabbia appena cementata da un po’ d'argilla. Tutti i saggi contengono al- quanto calcare. I fossili macroscopici vi sono piuttosto scarsi: per solito non vi si rinviene che qualche gruppo di peteropodi, qualche radiolo di Cidaris — 517 — remiger Ponzi, qualche Dentalium elephantinum Lin. e pezzi di legni. Vi abbondano talora le foraminifere: globigerinidi, cristellarie, nodosarie. Le spicule di spugne vi sono assai scarse ed in frammenti. Per la separazione meccanica ho preferito prendere campioni da quattro strati sabbiosi: i minerali pesanti vi si trovano in quantità molto diversa: strato bigio presso il piano della cava — min. pes. 32 per 1000; strato bigio ad elementi relativamente grossi, a m. 1,50 dal piano della cava — min. pes. 16 per 1000; grosso strato giallognolo, a due terzi dell'altezza (a destra) di tutta la formazione — min. pes. 17 per 1000; strato giallognolo ad elementi fini, presso al termine (a destra) della formazione — min. pes. 9,4 per 1000. Fra i minerali pesanti dei primi due abbonda la piri/e in masserelle formate da gruppi cristallini che spesso hanno modellato foraminifere: negli altri due vi sono analoghe masserelle e gli stessi modelli di foraminifere ma sono di /;monzte la quale ritengo derivata per epigenesi dalla pirite. Per gli altri minerali non mi sembra vi siano differenze notevoli fra i quattro saggi. Alcuni minerali richiamano subito l’attenzione per le marcate proprietà ottiche o perchè si presentano anche in nitidi cristalli. Noto principalmente i seguenti: <%rcone, abbondante in cristalli prismatici terminati da piramidi ad ambedue le estremità, incolori e leggermente rosei; 77/0, pure abbon- dante ma più in frammenti che in cristalli interi; formalina, abbastanza frequente, in prismi rotti alle estremità, oppure terminati da faccie romboe- driche ad una estremità e talvolta ad ambedue, debolmente colorata in gial- lognolo o in verde, prerde nella direzione di massimo assorbimento colora- zioni intense in toni del bruno, marrone, verde sporco; granato, incoloro 0 roseo ip rombododecaedri, talvolta modificati da faccie icositetraedriche. Meno frequenti sono: magnetite, staurolite, attinolite, cianîte, epidoto, glaucofane con marcato pleocroismo dall’azzurro al violaceo. Abbondanti sono le miche, muscovzte 6 biotite, in parte cloritizzata, in lamine a contorno sempre irregolare e stracciato. La biotite ha colore dal giallo-verdastro, al giallo-bruno, angolo di assi ottici variabile. In questa cava gli strati sono inclinati ed attraversati qua e là da faglie, di cui non ho tenuto conto nella figura, con spostamenti anche di qualche decimetro; ma in altre cave gli spostamenti e la variazione d’inclinazione sono più evidenti. La superficie terminale di questa formazione, nota colla denominazione di argille vaticane, taglia dappertutto nettamente ed obliquamente la serie degli strati e quindi non è dubbia la discontinuità o sconcordanza colla for- mazione sopragiacente costituita principalmente da sabbie. RenpIcONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 64 — 518 — Il banco 2 che ricopre immediatamente le argille è di sabbia giallognola, quasi sciolta, ad elementi non troppo fini. Comincia con uno straterello, forse appena di un decimetro, tutto inzuppato e pieno di conchiglie frammentate e disfatte che fanno supporre quivi la presenza di un lembo assai assotti- gliato delle sabbie gialle ricche di fossili del noto giacimento esistente nella stessa valle 2 km. più a monte, a sinistra del fosso (min. pes. 15 per 1000). Segue poi una striscia, di un mezzo metro circa, ricca di ciottoli calcarei e silicei. Dalla separazione meccanica ho ricavato 19 per 1000 di minerali pesanti, con cristalli più grossi di quelli trovati nei precedenti saggi, quindi alcuni sono più appariscenti, tale è il caso per il zireone e la magnetite. La pirite e i modelli di fossili vi mancano, gli altri minerali delle argille vi sono tutti rappresentati. Alcune lamine di biotite mostrano parte dell'orlo esago- nale. Certamente poco frequenti, sono notevoli cristalliti e qualche intero cri- stallo verdognolo ad estinsione sempre retta di iperstene. Su questo banco, con sfumature di passaggio, riposa altro banco c di pic- cole ghiaie di calcari e di piromache con molta sabbia, qua e là tenacemente cementate in lastroni, racchiudenti vestigia di conchiglie. Da questi lastroni ho tolto di fra la ghiaia alcuni ciottoli ben rotondati di un centimetro a due di massimo diametro, che non ho tardato a riconoscere essere costituiti dallo stesso materiale lavico bigio a feldspati macroscopici che già, per primo, rinvenni nelle ghiaie di Decima (Boll. Soc. Geol. It., vol. XVI, 1897, pag. 275). I minerali pesanti di queste sabbie sono abbastanza grossi, ma i cristalli interi non vi sono così frequenti come nelle sabbie precedenti. Su queste ghiaie sta un altro banco 4 di sabbia quarzosa omogenea di bel colore giallo-chiaro, priva affatto di calcare ed analoga alle ricordate sabbie di Bravetta. Oltre ai minerali più volte nominati in dose del 12 per 1000, che in frammenti o in cristalli presentano spigoli un po’ arrotondati, noto l'orneblenda basaltica di colore rosso-bruno e marcatissimo pleocroismo. La fig. 2 è ricavata da una mia fotografia del 1889, presa in una grande cava di argilla ora abbandonata, nella valle della Farnesina, ed offre un'altra interessante sezione del M. Mario diretta presso a poco est-ovest. La parte inferiore a, che attualmente è nascosta da frane, mostrava la continuazione delle argille a pteropodi del Vaticano e della valle dell’ In- ferno, come era facile persuadersi visitando successivamente le varie cave di queste località, la fornace S. Lazzaro, la strada Trionfale presso il 2° km., la grande cava Du Houx ed altre minori. Vi si rimarcava una bella faglia per la quale gli strati da una parte apparivano, nella sezione, quasi oriz- zontali, e nell'altra molto inclinati verso il monte della Farnesina. Ho esa- minato i minerali pesanti su campioni raccolti in questa cava quando era at- tiva, nella cava Du Houx e nell’affioramento ancora visibile alla base del monte della Farnesina. Per essi non avrei che a ripetere quanto ho riferito per i corrispondenti campioni della valle dell’ Inferno. — 519 — Stratificata orizzontalmente e perciò in discordanza, segue un'argilla bigia 3, ricca di glauconite, con molti fossili. Fra i minerali pesanti, in dose del 40 per 1000, il più abbondante è la pirife in nitidi e relativamente grossi cristalli ottaedrici isolati o raggruppati; fra gli altri i più frequenti sono al solito e2rcone, formalina. In concordanza segue un banco di un paio di metri di sabbia grigia azzurrognola c qua e là tenacemente cementata, gremita di fossili, che insieme a quelli pure abbondanti alla parte inferiore delle susseguenti sabbie gialle RIG. 2: costituiscono il giacimento classico della Farnesina. Fra i minerali pesanti la pirite, in cristalli e gruppi più piccoli dei precedenti, ed in modelli di fossili, prevale tanto che è utile sbarazzarsene con acido nitrico per osser- vare comodamente gli altri: eircone, rutilo, tormalina, cianite, granato, glaucofane, staurolite, ecc. Il banco di sabbia gialla fossilifera 4 contiene molta parte ocracea e molti modelli di fossili limonitizzati: gli altri minerali sono un po più grossi ed appariscenti di quelli delle sabbie grigie. Alla parte superiore si impoverisce tanto di fossili maeroscopici, che si può anche notare sulla sezione uno strato di sabbia gialla sterile e il quale è susseguito da ‘altro f, pure sterile, ma in- tensamente colorato in giallo. In questo la limonite è molto abbondante: i minerali pesanti, in dose del 13 per 1000, sono più piccoli di quelli della sabbia fossilifera. La biotite mostra talvolta parte del suo contorno esagonale. La rimanente parte della sezione presenta un grosso banco 4 di sabbie di color giallo, ora più ora meno marcato, con netta stratificazione orizzontale, ora quasi sciolte, ora cementate in numerose croste di forme variate e hiz- zarre che si dissero priapoliti, lance, pugnali, ora con qualche ghiaiuzza, ora con molte ostriche e poche altre specie, fra loro cementate in strati di pic- — 020 — colo spessore. Sopra uno di tali strati di ostriche, il secondo in g, la sabbia giallo-chiara è cosparsa di abbondanti macchie nere che la farebbero somi- gliare alle sabbie augitiche di altre località. Le macchie però sono velature di ossidi di ferro e di manganese. Minerali pesanti 17 per 1000. Fra i due ultimi strati di ostriche, la sabbia con qualche fossile spatizzato ha 18 per 1000 di minerali pesanti. Quella un po' argillosa dell'ultimo strato di ostriche ha 17 per 1000, con molti modelli di fossili limonitizzati. Nella sabbia della parte più alta della sezione abbonda la biotite: min. pes. 30 per 1000. La sezione rappresentata dalla fig. 3 è, nelle sue parti, visibile lungo il fosso della Rimessola e delle colline alla sua sinistra, quindi schematica. ‘ m ù AI TITTIE @ D È "e Free rtesri ==aT-/-OE rar È Bb? ;»y®®®®®° ( &\ SS —- iu 0 __o__Òg b IRLCRNSA Gli strati più bassi sono costituiti dalle sabbie gialle fossilifere, un po' ghiaiose 4, del noto giacimento di Acquatraversa. I minerali pesanti sono un po' grossi, e fra i più appariscenti: granato, formalina, zircone, rutilo, glaucofane. Seguono sabbie giallognole grossolane è, senza fossili macroscopici, a 3 per 1000 di minerali pesanti, con glaucofane, tormalina, staurolite, cia- nile, ecc., che sostengono uno straterello c di sabbia marrone-scuro quasi nero, a 18 per 1000 di minerali pesanti, con granuli un po’ sporcati. Sullo strato bruno ritornano sabbie gialle 4, nelle quali ho raccolto un bel dente di Carcharodon Rondeleti M. e H., qua e là cementate nelle ricordate forme bizzarre e in lastroni e contengono pure ghiaiuzze. Viene di poi un'argilla bigia e con Cardium Lamarcki Reeve, con stra- terelli ricchissimi di Bittium reticulatum Da Costa, var. paludosa B. D. D. di Neritina, Nematurella e Melanopsis. Segue l'argilla sabbiosa azzurrognola / dei cui fossili detti ragguaglio in una Nota: Za formazione salmastra nei dintorni di Roma, pubblicata in questi Rendiconti, vol. II, 1° sem., 1893.-I minerali pesanti sono 11,2 per 1000. Vi abbonda la pirztein pallottoline a superficie cristallina ed in altri modelli di fossili; vi abbondano pure la diotite e la muscovite. Gli altri minerali hanno dimensioni minori di quelli degli strati precedenti. — 521 — Su questa argilla giace una potente formazione di sabbie gialle g, ora ghiaiose, ora sciolte, ora cementate, ora sterili di fossili macroscopici, ora abbastanza ricche di fossili dei quali però fu disciolto il guscio lasciante una impronta ocracea, ora inframmezzate di straterelli argillosi mostranti qua e là impronte ocracee di foglie. Stratificazioni tutte che si possono se- guire ed annotare risalendo un angusto solco pel quale scolano le acque pio- vane, di contro al fontanile della Rimessola. Da uno strato cementato ricco di fossili a guscio disciolto ebbi 15 per 1000 di minerali pesanti. Su questa formazione sabbiosa presso la sommità della collina, detta pure colle S. Agata, rinvenni il desiderato materiale caolinico % la cui potenza non è ora esattamente misurabile, maggiore però di due metri. Ha colore bianco sporco; è a grana non molto fina, sparso di abbondanti punteggiature scure luccicanti di biotite, e, liberato con lavature dalla parte caolinizzata, lascia molto feldspato, parte sanidino, parte plagioclasio, e poco quarzo. La parte pesante è costituita da: magnetite in nitidi cristalli d'abito ottaedrico o rombododecaedrico, alquanto resistente all’acido cloridrico bol- lente, perciò in parte titanifera; . Fa- scicoli 2° e 3° 1905). Napoli, 1905. 8°. Rajna M. — Circostanze dell'eclisse solare del 30 agosto 1905 calcolate per tutta Italia e regioni circonvicine. (Estratto dalle « Memorie della Società degli spettroscopisti italiani ». Vol. XXXIV, anno 1905. Catania, 1905. 4°. Jd.— Pietro Tacchini. Commemorazione letta nell'adunanza del 9 aprile 1905. (Estratto dal « Rendiconto delle sessioni della R. Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna. Anno accademico 1904-1905). Bologna, 1905. 8°. Id. — Sull'eclisse solare del 30 agosto 1905. Nota letta alla R. 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Loerrach, 1904. 8°. — 535 — Finkbeiner E. — Die ersten 1010 Falle der Basler Heilstitte fur Brust- kranke in Davos-Dorf. Basel, 1904. 8°. Fischer E. — Ueber Umlagerungserscheinungen hei der partiellen Reduktion nitrirter Azofarbstoffe. Budapest, 1903. 8°. Forcart M. K. — Ein Beitrag zur Frage des Antagonismus zwischen Bacte- rium coli und den Harnstoff zersetzenden Bakterien. Leipzig, 1903. 8°. Frank T. — Cultur und chemische Reizerscheinungen der Chlamydomonas tingens. Leipzig, 1904. 4°. Friolet H. — Beitrag zum Studium der menschlichen Placentation. Leipzig, 1904. 8°. Graeter A. — Die Copepoden der Umgebung von Basel. Genève, 1903. 8°. Hafner G. — Ueber natirlich vorkonmende und synthetisch dargestellte gemischte Fettsiureglyceride. Karlsruhe, 1904. 8°. Half J. — Die marantische Thrombose der Duralsinus (autochthone Sinus- trombose). Basel, 1904. 8°. Herzog J. — Ueber die Einwirkung der Salpetersiure auf Dihydroasaron. Rostock, 1903. 8°. Heyser R. — Beitràge zur Kenntnis der Phenetidide und Anisidide der Thioglykolsaire. Braunschweig, 1905. 8°. Hugelshofer A. — Ueber Spondylitis mit besonderer Berilcksichtigung des spàteren Verlaufs derselben. Berlin, 1904. 8°. Human A. — Ueber Dichlorhydrochinondisulfosiure und uber Azoxybenzal- dehyde. Basel, 1904. 8°. Kaeck M. — Geologisch-petrographische Untersuchung des Porphyrgebietes zwischen Lago Maggiore und Valsesia. Lausanne, 1903. 8°. Kay Thompson M. de. — Studien zum Siemensschen Kupfergewinnungs- Prozess. Leipzig, 1903. 8°. Koch A. A. — Beitrag zur Bestimung des Fluors in Wein, Bier und Mine- ralien. Zilrich, 1904. 8°. Kuhn C. — Ueber einige amidierte Amidosulfone der aromatischen Reihe. Loerrach, 1904. 8°. Lateko \W. — Ueber fy-Diphenylvinylessigsàure und ihre Verwandten. Basel, 1904. 8. Lotz W. — Uber Doppelbildung und Drehungsvermigen. Basel, 1903. 8°. Martin R. — Die vergleichende Osteologie der Columbiformes unter beson- derer Berucksichtigung von Didunculus strigirostris. Basel, 1904. 8°. Mastiger A. — Ueber Osteomalacie. Zirich, 1903. 8°. Meerwein H. — Das Verhalten von Herz und Zunge bei den primàren Myopathien speziell bei der Pseudomuskelhypertrophie der Kinder. Basel, 1904. 8°. i Molle B. — Ueber die Zusammensetzung des atherischen Lorbeeròles und zur Kenntnis seines Hauptbestandteiles des Cineols. Berlin, s. a. 8°. — 536 — Minter Y. — Ueber den Einfluss der Doppelbildung auf das Drehungsver- mògen einiger optisch aktiver hydrocyklischer und Benzol-Derivate. Basel, 1904. 8°. Nikitinsky J. — Ueber die Beeinflussung der Entwicklung einiger Schim- melpilze durch ihre Stoffwechselprodukte. Leipzig, 1904. 8°. Osstpow N. — Ueber histologische Verànderungen in Spàtstadien der Mu- skeltrichinose. Basel, 1903. 8°. Oswald E. — Ueber Uterusruptur bei manueller Placentarlòsung. Leipzig, 1903. 8°. Padova R. M. &. — Ueber Nitroformazyl und Aminoformazyl. Zurich, 1903882 Pfeiffer H. — I. Ueber Metaoxyaethyl-Benzoésiure. — II. Condensation- sprodukte aus Aldehyden und Amidodiaethylanilin. Heidelberg, 1903. 8°. Reese H. — Ueber einen Fall von Nierenvenenthrombose bei Chlorose. Basel, li903430ì Rosenberger G. — Beitrige zur Kenntnis der von Fettsàuren sich ableiten- den Imidazole. Munchen, 1904. 8°. Rosset 0. — Beitrag zum Nachweis von Blut bei Anwesenheit anderer auorganischer und organischer Substanzen in klinischen und gerichtli- chen Fallen. Naumburg, 1903. 8°. Roth I. — Ueber intramolekulare Umlagerungen. Strassburg, 1904. 8°. Schelle P. — Beitràge zur Kenntnis der chemischen Bestandteile der Ei- chen-Gallen. — Ueber die Cyklogallipharsàure, eine neue, in den Gall- apfeln vorkommende, eyklische Fettsiure. Leipzig, 1903. 8°. Scherb H. — Beitràg zur Pathologie und Therapie der Cystitis tuberculosa. Basel, 1903. 8°. Schwars G. L. M. — Zur Keuntnis der Beiden u-Methylnaphtothiazole. Basel, 1904. 8°. Speiser F. — Ueber Cinnamoyllaevulinsàure und ihre Reduktionsprodukte. Basel, 1904. 8°. Strobel M. — Beitràge zur Kenntnis del 10-Phenanthrenderivate. Basel, 1903. 8°. Topalow W. — A. Ueber die Thiapyronine. — B. Eine Beitrag zur Kon- stitution der Rhodole. Basel, 1903. 8°. Troller V. — Beitràge zur Chirurgie der Sehne. Luzern, 1904. 8°. Tschudin E. — Ueber das Anilidrocitraconanil und seine Verwandten. Basel, 1903. 8°. Urech W. — Beitrige zur Kenntnis der Oxazinverbindungen. — Ueber einige substantive Farbstofte der Oxazolreihe. Basel, 1904. 8°. Vischer A. — Ueber Sarcomiibertragungversuche. Tibingen, 1904. 8°. Voigt M. — Die Rotatorien und Gastrotrichen der Umgebung von Plòn. Stuttgart, 1904. 8°. — bo7 2 Vollenbruck A. — Ueber Fluorindine der Naphtalinreihe. Basel, 1904. 8°. Walther G. — I. Methylather des 2,6-Dinitrohydrochinons und einige De- rivate. — II. p-Amidothiophenol und einige Derivate. — III. Eine Modi- fikation des Beckmannschen Siedeapparates fùr Heizung mit stromendem Dampf. Heidelberg, 1904. 8°. Webanck P. — Sur les dérivés bromés des orthoxylidines. — Sur quelques nouvelles Triazines. Basel, 1903. 8°. Widmer C. — Ueber Scheidendrissen und Scheidencysten. Leipzig, 1903, 8°. Willmann A. — Ueber Synthesen von p-Dialkyldioxychinonen durch Ring- schluss. Loerrach, 1904. 8°. Wyss A. A. — Beitràg zur Kenntnis der cystischen Pankreastumoren. Biel, 1904. 8°. Wiss O. — Ueber einen neuen anaéroben pathogenen Bacillus-Beitrag zur logie der akuten Osteomyelitis. Jena, 1904. 8°. Zeller H. — Beitràg zur Frage der Ernahrung bei Typhus abdominalis. 1904. 1. 1. 8°. II. JENA. Andreae E. — Inwiefern werden Insekten durch Farbe und Duft der Blu- men angezogen? Jena, 1903. 8°. i Apel R. — Ueber Trophoneurosen. Gotha, 1903. 8°. Bahrmann F. — Ueber die Einwirkung von Alkalien auf den Stoffwechsel fleischgefitterten Hilhner. Jena, 1904. 8°. Bliedner E. — Philosophie der Mathematik bei Fries. Coburg, 1904. 4°. Berger F. — Ueber Beschéftigungsneurosen und Beschaftigungsneuritiden, Blankenhain i. Thiir. 1904. 8. Buchel W. — Zur Topologie der durch eine gewohnliche Differentialglei- chung erster Ordnung und ersten Grades definierten Kurvenschar. Leipzig, 1903. 8°. Buse A. — Ueber akute Darmwandbriiche. Jena, 1904. 8°. Connar J. Me. — Beitrige zur Kenntnis der Pyrazole. Jena, 1904. 8°. Deye S. — Ueber Wolfsrachen. Jena, 1904. 8°. Freydag R. — Beitrige zur Kenntnis der Livulinsàure. Rostock, 1903. 8°. Firbringer. J. — Ueber Phosphornekrose auf Grund der vom Jahre 1896 bis 1902 in der chirurgischen Universitàtsklinik zu Jena beobachteten Falle. Coburg, 1904. 8°. Glinzel K. — Ueber das Verhalten des Blutdrucks wahrend der Lachgas- Mischnarkose, vom Beginn der Inhalation bis zum Eintritt des Tole- ranzstadiums. Jena, 1903. 8°. Glésel V. — Enterospasmus unter dem Bilde des Ileus. Erfurt, 1904. 8°. — 538 — Gossnite W. v. — Sechs Fille von linksseitigem Zwerchfellsdefekt. Jena, 1903. 8°. Graul 0. — Beitrag zur Inversio uteri durch Geschwiilste. Jena, 1904. 8°. Grindler W. — Ein Fall von vaginalem Kaiserschnitt bei vitium cordis. Jena, 1903. 8°. Hall A. A. — Beitrige zur Kenntnis der Diazoanhydride. Jena, 1903, 8°. Hirter M. — Die doppelseitige Implantatione der Ureteren in die Blase und ihre Methodik. Jena, 1904. 8°. Hurtung M. — Welche Massnahmen sind zu treffen zur Vermeidung des postoperativen Ileus? Jena, 1904. 8°. Hartwig E. — Ueber einen Fall von Eisensplitterverletzung mit nachfolgender Infektion (Heuebazillen) und iùber die dabei gemachte Erfahrung betr. Einfihrung von Jodoformplattchen. Jena, 1903. 8°. Hawthorne J. — Beitràge zur Kenntnis des Morphins. Jena, 1903. 8°. Hecker 0. — Petrographische Untersuchung der Gabbrogesteine des oberen Veltlin. Stuttgart, 1903. 8°. Henker O. — Ueber die Anomalie, die der longitudinale Elastizitàtsmodul einiger Borosilikatgliser bei wachsender Temperatur zeigt. Jena, 1903. 8°. Hesse H. — Beitràge zur Morpbologie und Biologie der Wurzelhaare. Greussen, 1904. 8°. Kaufmann K. — Klinisch-statistische Zusammenstellung der perforierenden Verwundungen des Augapfels an der Jenaer Augenklinik. Jena, 1904, 8°. Knoch R.-— Ein Beitrag zur Kenntnis der cerebrospinalen Lues. Jena, 1904. 8°. Kessel H. — Ueber einen Fall von Doppelperforation des Auges durch Ei- sensplitter. Jena, 1903. 8°. Koch Y. — Ueber perinephritische Abszesse. Jena, 1903. 8°. Koch KE. — Ueber Myomenucleation. Leipzig, 1903. 8°. Kopitesch H. — Ueber das Thiodiazol und einige seiner Abkimmlinge, Jena, 1904. 8°. Kriger P. — Uuber Sulfosàuren der Pyrazolreihe. Leipzig, 1903. 8°. Kuban O. — Zwei Falle von cystischer Degeneration der Ovarien hei Bla- senmole. Jena, 1904. 8°. Kindig H. — Ueber die Viskositàt des menschlichen Blutes bei Schwitz- prozeduren. Jena, 1903. 8°. Lincke H. — Ueber das dreissigjàhrige Verweilen eines Eisensplitters im Auge mit anatomischem Befunds. Jena, 1903. 8°. Lindeman F. P. — Casuistischer Beitrag zur Frage der angeborenen klap- penformigen Verengerung der pars prostatica urethrae. Jena, 1904. 8°. Lindenhayn H. — Beitrige zur Kenntnis der Diazoverbindungen. Jena, 1903. 8°. Loening Y. — Ueber Oxydation von Eiweiss mit ilbermangansauren Salzen. Jena, 1903. 8°. — 539 — Lohmann C. E. J. — Beitrag vur Chemie und Biologie der Lebormoose. Jena, 1903. 8°. Maclaren N. H. W. — Beitràge zur Kenntnis einiger Trematoden (Diple- ctanum aequans Wagener und Nematobothrium molae n. sp.). Jena, 1903. 8°. Pankow O. — Ueber das Verhalten der Leukocyten bei gynakologischen Erkrankungen und wàahrend der Geburt. Berlin, 1904. 8°. Rauther M. — Ueber den Genitalapparat einiger Nager und Insektivoren, insbesondere die akzessorischen Genitaldrisen derselben. Jena, 1903. 8°. Reinhard H. — Ueber einen Fall von Leucosarcom der Iris. Lichtenheim, 1904. 8°. Sagianz G. -— Die Leukocytose und das Verhalten der Leukocyten bei der Pleuritis. Jena. 1904. 8°. Salkowski E. — Zur Bewegung eines Punktes auf Rotationsfiàchen. Berlin, 1904. 8°. Sauerbrey L. — Ein kasuistischer Beitrag zur Torsion des Leistenhodens. Jena, 1904. 8°. Sehdtzel J. D. — Welche Ursachen bedingen den Rickgang des Tabakbaues in der Pfalz und wie wire eine Hebung desselben zu ermòglichen? Jena, 1903. 8°. Schreiber E. — Ueber Mesotan. Jena, 1904. 8°. Schwabe 0. — Ueber das Bornylendiamin. Jena, 1903. 8°. Schweig M. — Untersuchungen iber die Differentiation der Magmen. Stutt- gart, 1903. 8°. Sessous G. — Ueber die bei der Diingung mit Ammoniaksalzen entstehenden Stickstoffrerluste. Berlin, 1903. 8°. Sprockhoff M. — Beitrige zu den Beziehungen zwischen dem Krystall und seinem chemischen Bestand. Stuttgart, 1903. 8°. Stahl E. — Matthias Jakob Schleiden. Jena, 1904. 4°. Steuer E. — Zur Kenntnis der tertiàren Pyrazole. Jena, 1903. 8°. Streitberger 0. — Ueber die Implantation des Ureters in die Harnblase. Rudolstadt, 1904. 8°. Stiber F. — Ein Fall von Akromegalie mit schwerem Diabetes und Ka- tarakt. Jena, 1903. 8. Tempelhoff H. — Weiterer Beitrag zur Kenntnis der subkonjunktivalen Bul- busrupturen. Jena, 1903. 8°. Wagner O. — Die Elastizitàtszahlen w (Verhaltnis der Querkontraktion zur Lingendilatation) des Stahls und des Flusseisens. Jena, 1903. 8°. Wagner P. —- Ueber das Verhalten der oberflàchlichen und tiefen Reflexe bei der Hysterie. Jena, 1903. 8°. Wartapetian S. — Ueber Morphium- Scopolamin-Halbnarkose in der Ge- burtshilfe. Jena, 1904. 8°. — 540 — Wendler G. — Untersuchungen uber Zusammensetzung und Diingebedirfnis bestimmter typischer Bodenarten Thiringens und iiber die Wirksamkeit der im Gefligeldinger enthaltenen Pflanzennahrstoffe auf diesen Boden. Miinchen, 1904. 8°. Wolff M. — Das Nervensystem der polypoiden Hydrozoa und Seyphozoa. Jena, 1903. 8°. Ziolkowki C. — Der suprasymphysire Fascien-Querschnitt. Jena, 1904. 8°. Zweig E. — Ein Fall von Deciduoma malignum im Anschlusse an Blasen- mole. Jena, 1903. 8°. VR! Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1373-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 35 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Molg Ve VesVE. VIVERE Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — HII-XIX. MemorIiE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fasc 9°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. (1892-1904). Fasc. 9°-12°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. Vol. V. Fasc. 1°-5°. AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCRI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco Hoerri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Maggio 1905. I NWDIFC E Classe di scien2è fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 maggio 1905. MEMORIE E NOT DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Capelli. Sull’arbitrarietà delle caratteristiche nelle formole di addizione delle funzioni 4 di Una svaniapule eee srone : ; - NE ono eo e e Ira. Grassi e Munaron. Uno SA IO lic mae lcgho n gozzo e fi cretinismo endemici » Levi. Sui gruppi di movimenti (pres. dal Socio Bianchi) . . . . MR Mio Sion 7) Pochettino. Sulla luminescenza dei cristalli (pres. dal Socio Bia ol ni Ato VISTA SMONTATO? Arnò. Sugli effetti di correnti continue, interrotte ed alternate e di onde hertziane sul ritardo di magnetizzazione nei corpi magnétici in campi Ferraris (pres. dal Socio Colombo) . » Occhialini. Relazione fra la costante dielettrica e la densità dell’aria 0 dal Corrisp. BUD I SEO Chistoni. Risultati pireliometrici uit ‘dalleltobre 1901 5 16 luglio ‘1902. di R Osserva- torio Geofisico di Modena (pres. dal Socio Blaserna) (È) . /./. ” Ranfaldi. Studio cristallografico di alcune sostanze organiche (pres. dal Sd “Striiver) ( DÌ ” Clerici. Osservazioni sui sedimenti del Monte Mario anteriori alla formazione del tufo sranu- lare (pres. dal Socio Cerruti) . . 3 Sri 0) Mazzucchelli. Sopra la preparazione di coma tti del Stio con de dop legomi consecu- tivi (pres. dal Socio Paterno) ©)... . É E SA Mingazzini. Un Gefireo pelagico: Pelagosphaera LA oysii n. gen. n. sp. CEE dal SOCIO MOTAN) MO) PRE e SC SIENA SAI Lerda. Sull’evoluzione della scnciialiti toh «Sr (IS (01 Sio so) ola Munaron. Sui fenomeni di temporaneo scompenso funzionale nel decorso del sozzo endemico (pres. dal Socio Grass ME e RR A O A I PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Dà annuncio della morte del Corrispondente Augusto Piccini... » MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Zambonini. Ricerche su alcune zeoliti (pres. dal Socio Striver) L00000 Battaglia. Tripanosoma Vespertilionis (pres. dal Socio Todaro). . . /./....0..» PRESENRPAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Corri- spondenti Puscal e S0InLI M., del sio. Briquet, del principe Alberto di Monaco, e del prof. Marcolongo <.<. ) SOB Ae e A o) Luciani. Fa omaggio di una sua bb el ine: parla) (0 Sn eZE Cannizzaro. Offre due volumi del prof. U/oissan . . MM. CONCORSI A PREMI Cerruti (Segretario). Partecipa che il prof. A. Bardèra si è ritirato dal concorso al premio Reale, ‘del'al903; Perla SAS T0LOGUA A RIME 0 N RN AO CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti... » BULLETTINO BIBLIOGRARIOO%: ue IR I n SCE CNIT e OOO (7) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Seyretario d’ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Itoma 21 maggio 1905. N. 10. Ar REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCII. 1=/9S SEERERIASET.O, USENSELA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 maggio 1905. Volume XIV. — Fascicolo 10° 1° SEMESTRE. ROMA . TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUGCI 1905 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei - qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. : 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 maggio 1905. F. D' Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle superficie deformate per flessione del- l’iperboloide rotondo ad una falda. Nota del Socio Lurci BIANCHI. 1. È noto come partendo dai teoremi fondamentali sulla deformazione delle quadriche rotonde, dati da Guichard nel 1899, si è andata recente- mente sviluppando una feoria delle trasformazioni per le superficie appli- cabili su queste quadriche. Ma la teoria svolta fin qui, quando si voglia restare nel campo reale, si applicava soltanto all’ellissoide allungato ed al- l’iperboloide rotondo a due falde, per il legame che i teoremi di Guichard stabiliscono fra le deformazioni di queste quadriche e quella della sfera. Per le altre due forme di quadriche rotonde: l’ellissoide schiacciato e l’iper- boloide ad una falda, mancava finora una teoria analoga. Qui mi propongo di dar notizia di alcune mie nuove ricerche le quali permettono di costruire, per le superficie applicabili sull'iperboloide rigato rotondo, una teoria delle trasformazioni affatto analoga a quella delle tras- formazioni di Backlund delle superficie pseudosferiche. L'una e l’altra teoria sì fondano invero, come si vedrà, sulla medesima circostanza geometrica e cioè sulla esistenza di congruenze rettilinee W (!). le cui due falde focali (1) Col nome di congruenze W sì indicano le congruenze rettilinee sulle cui due falde focali si corrispondono le linee assintotiche. RenpIcONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 67 — 542 — sono applicabili l’ una sull'altra e sopra una medesima superficie di rotazione. In certo modo la teoria delle trasformazioni si presenta così più semplice per l’iperboloide rigato rotondo che non per le altre due forme quadriche di rotazione prima considerate. La proposizione fondamentale della nuova teoria si ha nel seguente: TreoREMA I. Ogni superficie X applicabile sull’iperboloide rotondo rigato appartiene, come prima falda focale, ad x? congruenze rettilinee W, la cui seconda falda focale è applicabile sul medesimo iperboloide. Nota che sia una deformata 2 dell’iperboloide, nelle seconde falde focali di ciascuna delle indicate congruenze si hanno oo? nuove deformate , del- l'iperboloide stesso: il passaggio da X a 2, costituisce una delle nostre trasformazioni. La determinazione delle o0° trasformate X, di una data superficie X applicabile sull’iperboloide, dipende dall’integrazione di un sistema lineare di equazioni ai differenziali totali che qui non occorre specificare più da vicino. Osserverò ancora di passaggio che, oltre le deformate dell'iperboloide rigato rotondo, godono della proprietà stessa, espressa dal teorema I, varie altre classi di superficie applicabili sopra superficie di rotazione, e precisa- mente quelle applicabili sui tipi seguenti: 1° la pseudosfera ordinaria, 2° la pseudosfera accorciata od allungata, 3° il catenoide ordinario, 4° il catenoide accorciato od allungato, 5° il sinusoide iperbolico. Ed anzi non è escluso che il teorema I valga anche per altre classi di superficie applicabili sopra superficie di rotazione, per le quali si potrà allora costruire una corrispon- dente teoria delle trasformazioni. 2. Ritornando alle deformazioni dell’iperboloide, indico qui la via indi- retta per la quale sono dapprima pervenuto alla proposizione fondamentale enunciata. Essendo Va 2? 1 a l'equazione dell’iperbola meridiana, il quadrato dell'elemento lineare del- l’iperboloide, generato dal rotare di questa iperbola attorno all'asse delle % (asse immaginario), è dato da: Lat Halbb)r* at 2 2 Jp)? US «i-a) dr° + r? dv e per la curvatura K della quadrica si ha quindi SADE N etnea — 543 — Si consideri ora una qualunque superficie X applicabile su questo iper- boloide, e siano @, i parametri delle linee assintotiche sopra X. Dalle formole di Lelieuvre e dalla teoria delle deformazioni infinitesime risulta che, se si pone: _lEFARZA Fra (1) EAST so siva ist GE TA VARE RIVE: solette, ge ela, dove X,Y,Z denotano i coseni di direzione della normale a X, queste quattro funzioni È di a, sono soluzioni di una medesima equazione di Moutard d°E (2) SFR —Mé, essendo M una conveniente funzione di «, f. Ora le quattro & sono visibilmente legate dalla relazione quadratica (3) t+S+5&—-S= 1; ci troviamo così nel campo delle equazioni di Moutard dotate di un 97uppo di quattro soluzioni quadratiche. Della teoria generale delle trasformazioni (ortogonali) di queste equazioni mi sono già occupato l'anno scorso in questi Rendiconti ('), e più diffusamente in una Memoria ora stampata negli Atti della Società dei XL (?). Le particolari equazioni di Moutard che ammettono gruppi di quattro soluzioni legate dalla relazione (3) si presentano, come ivi ho dimostrato. nella teoria delle superficie di Voss dello spazio iperbolico, di quelle super- ficie cioè, immerse nello spazio di curvatura costante negativa, sulle quali esiste un doppio sistema coniugato di linee geodetiche. La teoria delle tras- formazioni per queste superficie che ho svolto alla fine della Memoria ora citata si traduce appunto, mediante le osservazioni superiori, nella teoria delle trasformazioni delle superficie applicabili sull’iperboloide rigato di cui ci stiamo occupando. 3. La trasformazione colla quale si passa, secondo il teorema I, da una deformata nota > dell’iperboloide ad una nuova X, dipende da due costanti arbitrarie. Una di queste dà il valore dell’angolo costante che nello spazio (1) Sulle equazioni di Moutard con gruppi di soluzioni quadratiche, volume XIII, fasc. 6, settembre 1904. (2) Sulle varietà a tre dimensioni deformabili entro lo spazio euclideo a quattro dimensioni, Atti, serie 3*, t. XIII (1905) — 544 — iperbolico forma ogni coppia di piani tangenti in punti corrispondenti delle due superficie di Voss che corrispondono a Z,X,. Indicheremo questa co- stante con o e la trasformazione stessa col nome di trasformazione Bs. Dopociò possiamo enunciare per le attuali trasformazioni un secondo teorema che corrisponde perfettamente al feorema di permutabilità per le trasfor- mazioni di Bicklund delle superficie pseudosferiche: TEOREMA II. Se ad una superficie ®, applicabile sull’iperboloide rigato rotondo, sono contigue due superficie Z,, Z, della medesima specie per mezzo di due trasformazioni Bi, , Bo, , @ costanti 0, , 0» differenti, esiste una quarta superficie 33, applicabile sopra X, Z, , Za, e contigua, come E, alle due X,,X> per mezzo di due trasformazioni B's, ,B'a,, colle mede- stime costanti 0,,0, invertite. Quando le tre superficie X°, X,, X, siano note, la quarta 33 se ne deduce in termini finiti, senza alcun calcolo d'integrazione. Dal teorema di permutabilità si traggono ora le stesse conseguenze come negli altri casi analoghi, in particolare questa principale, che: Vel- l'applicazione successiva ed illimitata delle trasformazioni per le defor- mate dell'’iperboloide basta avere integrato una prima volta il sistema delle equazioni differenziali per la trasformazione della superficie primi- tiva X nelle contigue, dopo di che saranno senz'altro integrati i sistemi analoghi per tutte le nuove superficie derivate. 4. In altro modo arriviamo ai risultati enunciati collegandoli alle tras- formazioni di Backlund di una certa classe di superficie pseudosferiche ém- maginarie. Essendo, come sopra al n. 2, > una qualunque superficie applicabile sull’iperboloide rotondo ad una falda, si consideri il sistema co? di sfere coi centri nei punti di X e col raggio R dato dalla formola TR DAVOS I Ea L’'inviluppo di questo sistema 00° di sfere reali consta di due falde S, Ss che sono superficie ‘immaginarie coniugate e di curvatura costante negativa Prendasi ora la superficie X complementare di X rispetto alle geode- tiche deformate dei meridiani dell’iperboloide. Questa X è alla sua volta applicabile sull’iperboloide stesso e forma con X la superficie focale completa di una particolare congruenza W (normale) appartenente alla specie consi- derata nel teorema I. — 545 — Il sistema co? di sfere descritte attorno ai punti di X come centri, e colla legge stessa assegnata sopra per X, ha per falde dell’inviluppo due nuove superficie immaginarie coniugate S, , Ss colla curvatura costante K=— Do. Queste superficie pseudosferiche S,,S, sono legate tanto alla S che alla S3 da una trasformazione di Bicklund, secondo il teorema di per- mutabilità (!). Quattro punti M, M,, M,, M; corrispondenti delle quattro superficie segnano i vertici di un quadrilatero sghembo, i cui lati hanno la lunghezza costante puramente immaginaria ASA , e l'angolo @ che for- mano i piani M M, M,,M3M, M, tangenti a $S,S3 con quelli M, M M;, M.,MM; tangenti a S,, Ss è pure una costante puramente immaginaria, il cui coseno è eguale a DPL, Come si vede, la teoria della deformazione dell’iperboloide rotondo ad una falda viene così a dipendere da quella di una certa classe di superticie pseudosferiche immaginarie. Si può dire che la difficoltà della ricerca si riduce a caratterizzare queste speciali superficie pseudosferiche immaginarie ed a presentare quindi, sotto forma definitiva reale, le formole finali per le trasformazioni. Questo sarà l'oggetto di un più ampio lavoro, ove la teoria qui appena accennata riceverà un adeguato sviluppo. Matematica. — Sugl integrali semplici appartenenti ad una superficie irregolare. Nota del Corrispondente G. CASTELNUOVO. Quando si tenta di estendere alle superficie algebriche i risultati otte- nuti, nella teoria delle curve, da Riemann, Clebsch, Brill e Nòther, si incontrano, accanto ad affinità previste, singolari anomalie. Il Cayley, per primo (1871), ne segnalò una. Si parta da una superficie / d'ordine x, do- tata di una curva doppia con un numero finito di punti tripli, che siano pure tripli per la superficie. E si voglia il numero py delle superficie (a9- giunte) indipendenti d'ordine x — 4, che passano semplicemente per la detta curva; g è (come fu osservato da Clebsch e Néther) un invariante della superficie /, il genere geometrico. Ora, se, per calcolare p,, si applicasse alla ipotesi v= x —4 quella formola, che dà il numero delle superficie indipendenti, di ordine v abbastanza elevato, passanti per la curva nominata, sì troverebbe, in certi casi, un risultato p, inferiore al valore esatto py. Questa discordanza, che non si presenta mai nel problema analogo (vr = n — 3) (1) Lezioni, vol. II, pag. 411 seg. — 546 — relativo alle curve piane, fu rilevata dal Cayley nel caso delle superficie rigate a sezioni di genere 77 > 0; qui infatti si trova py=0,p,=—q. Riconosciuto dallo Zeuthen e dal Nòther il carattere invariante (rispetto alle trasformazioni birazionali) del numero p,, genere aritmetico, si fu con- dotti a distinguere le superficze regolari, per cui p, = pa (tali sono ad es. le superficie razionali, la superficie generale d'ordine 7, ecc.), e le superficie irregolari, per cui pa < py-. Di queste ultime superficie si trovarono presto altri esempi, oltre le rigate irrazionali; i quali esempi condussero a pensare che ogni superficie dotata di un sistema algebrico di curve, non conte- nuto totalmente in un sistema lineare, fosse irregolare. Cougettura questa, di cuì io stesso, in un caso particolare ('), e l' Enriques, in generale (?), riconoscemmo l'esattezza. Mentre da un lato la teoria delle superficie si svolgeva con mezzi alge- brici, si cercava d'altro lato di estendere ad esse quei procedimenti trascen- denti, che sì erano rivelati così fecondi nella teoria delle curve, secondo il Riemann. Il Clebsch e il Nother pensavano che gli integrali doppi di fun- zioni algebriche (cui è legata la definizione trascendente di py) costituissero la più naturale estensione del concetto di integrale abeliano di una curva. Il Picard ebbe invece l’idea (1885) di esaminare gli integrali di differen- ziali totali (o integrali semplici) algebrici, che appartengono ad una data superficie. Detto di prima specie un integrale, che si conservi finito sopra tutta la superficie, il Picard si accorse che le superficie, riguardate come generali sotto l'aspetto proiettivo (ad es. la superficie priva di singolarità), non posseggono integrali semplici di prima specie. Vi sono però tipi di super- ficie aventi integrali siffatti, ad es. le rigate irrazionali e le superficie iperel- littiche (p.= —1,py="1). In seguito (1893) l' Humbert (3) dimostrò, in modo elegante, che ogni superficie possedente un sistema aigebrico di curve, non contenuto totalmente in un sistema lineare, ammette integrali sem- plici di prima specie. L’analogia evidente di questo risultato con quello che precede, relativo alle superficie irregolari, fece pensare che la famiglia delle superficie irre- golari e la famiglia delle superficie dotate di integrali semplici di prima specie non fossero, in realtà, distinte tra loro. Per giungere ad una siffatta conclusione sarebbe bastato poter invertire i due teoremi citati. Un primo passo in questa direzione fu fatto dall’ Enriques (1901), il quale dimostrò (‘) (‘) Alcuni risultati sui sistemi lineari di curve....., n. 10, Memorie della Società Italiana delle Scienze, s. IIT, t. X (1894-96). (2) Una proprietà delle serie continue di curve....., Rend. del Circolo Matem. di Palermo, t. XIII (1899). (3) Journal de Mathématiques (4° s.), t. X, pag. 190. (4) Annales de la Faculté des Sciences de Toulouse, 2° s., III, pag. 77. Un'altra dimostrazione del teorema si trova nella Nota del Severi, Osservazioni sui sistemi con- tinui......, Atti della R. Accad. d. Scienze di Torino, 1904. — 540 — che una superficie dotata di p integrali semplici, distinti, di prima specie, con 2p periodi, possiede un sistema algebrico di curve non contenuto total- mente in un sistema lineare, ed è quindi irregolare. Solo recentemente (settembre 1904) riuscì al Severi (!) di dimostrare, per una via affatto di- versa, e senza ulteriori ipotesi, che ogni superficie dotata di integrali sem- plici di seconda specie è irregolare; risultato, in cui è incluso quello che a noi interessa, perchè gli integrali di prima specie rientrano tra gl’inte- grali di seconda specie. Poco dopo (dicembre 1904) potè l’ Enriques (?) costruire, in modo sem- plice, sopra ogni superficie irregolare, un sistema algebrico di curve non contenuto in un sistema lineare; e di qua egli concluse che, inversamente, ogni superficie irregolare è dotata di integrali semplici di prima specie. Risolta, mediante queste ricerche, la questione qualitativa concernente la identità delle due famiglie di superficie più volte nominate, rimaneva aperta la questione quantitativa: « quale relazione passa tra la irregolarità Pa Pa di una superficie ed il numero degli integrali semplici, distinti, di prima specie della superficie? » Il Severi, nell'ultimo lavoro citato, era giunto alla disuguaglianza r—qQEPy— Pa, dove r e q sono i numeri degl'integrali semplici, distinti, di seconda e di prima specie della superficie. In seguito, il Severi stesso e contemporaneamente il Picard (*) dimostrarono l'uguaglianza 7 ——q = py— Pa. Pochi giorni dopo mi riuscì di compiere l’ultimo passo in questa direzione (‘), deducendo dall'ultimo teorema di Enriques la relazione g = p, — pa, dalla quale, tenuto conto della disuguaglianza di Severi, o dell'uguaglianza di Picard-Severi, seguono facilmente le relazioni g = py — Pa, # = 2(99 — Po). La prima di queste ci dice che /rregolarità di una superficie uguaglia il numero degli integrali semplici, distinti, di prima specie appartenenti alla superficie. Di questo teorema il Severi diede in seguito una dimostrazione più semplice, ed il Picard indicò pure una via interamente diversa per giungere a quel risultato (°). Altre strade si intravvedono ancora, che devono condurre alla stessa meta, partendo, come il Severi ed io, dal teorema di Enriques. (4) Rend. della R. Accad. dei Lincei, fasc. 5°, 2° sem. 1904. (2) Rendiconto delle sessioni della R. Accad. d. Scienze di Bologna, 1904; Comptes Rendus de l’Acad. des Sciences, Paris, 16 gennaio 1905. (3) Si veda, in uno stesso fascicolo dei Comptes Rendus de l’Ac. d. Sc. (16 gen- naio 1905), il lavoro citato di Enriques ed una Nota del Picard. Si veda inoltre il lavoro del Severi, Sulla differenza tra i numeri degli integrali di Picard....., Atti della R. Ac- cademia delle Scienze di Torino, 22 gennaio 1905. (4) Comptes Rendus, ecc., 23 gennaio 1905. (5) Le due dimostrazioni sono pubblicate in uno stesso fascicolo dei Comptes Ren- dus, ecc., 3 aprile 1905. — 548 — Credo tuttavia opportuno di pubblicar qui, per disteso, la mia prima ‘dimostrazione, di cui un semplice cenno si trova nei Comptes Rendus. Mi sembra infatti che le considerazioni, sulle quali la mia dimostrazione si ‘appoggia, presentino interesse pari a quello del risultato a cui si giunge. Alludo alla notevole relazione, che viene a stabilirsi, fino dalle prime pagine, fra l'insieme dei sistemi lineari di curve contenuti in un sistema algebrico, sopra una superficie irregolare, e le varietà che ammettono un gruppo tran- sitivo di trasformazioni birazionali in sè stesse, permutabili a due a due; relazione, che lega dunque una superficie avente l'irregolarità p ad un si- stema di funzioni, 2p volte periodiche, di p variabili. Per chiarire questo legame, e metterne in luce l'interesse, che esso ha per la teoria delle fun- zioni algebriche di una o più variabili, mi si permetta di fermarmi un momento sul caso notissimo delle curve algebriche. Sopra una curva /(x,y)==0, di genere p, si fissi un gruppo di n= p, punti generici, dando, ad es., le equazioni g(x) —=0,vw(y)=0 dei gruppi di rette proiettanti quei punti parallelamente agli assi coordinati. Le 7 costanti, da cui il gruppo dipende, possono dividersi in due classi. Le co- stanti della prima classe, il cui numero (2 — p) è fissato dal teorema di Riemann-Roch, entrano razionalmente nei coefficienti di g e w, e sono tali che, al variare di esse, il gruppo varia in una serie lineare. Le costanti della seconda classe, il cui numero p non dipende dal gruppo scelto, ed è quindi un invariante della curva, entrano irrazionalmente nei detti coeffi- ‘cienti. Di qual natura è la irrazionalità che qui sì presenta? La risposta è nota: la irrazionalità in questione è della stessa natura di quella, che interviene (secondo Weierstrass) quando, date p funzioni distinte, 2 volte periodiche di p variabili, cogli stessi periodi, si voglia esprimere, mediante quelle, una nuova funzione dotata degli stessi periodi. In altre parole: i coefficienti di 4 e w si possono esprimere razionalmente mediante i valori, che certe p-- 1 funzioni abeliane assumono, in relazione ai sistemi di valori delle p variabili contenute in esse. Questo risultato, come dicevo, è noto, giacchè esso discende immedia- tamente dal procedimento di inversione applicato da Jacobi agli integrali abeliani. Ma è interessante rilevare che la via seguita nel presente lavoro premette di giungere allo stesso risultato, senza ricorrere agli integrali abe- liani della curva, valendosi soltanto delle prime proprietà delle serie lineari, e di un teorema del Picard sulle varietà algebriche, che ammettono gruppi di trasformazioni birazionali in sè stesse. Ora la stessa via si applica, senza cambiamenti, alle superficie, ed anche alle varietà algebriche a quante si vogliano dimensioni. Ad es., le equazioni di una curva algebrica sopra una superficie contengono un certo numero di costanti, alcune delle quali entrano razionalmente, e variano mentre la curva varia in un sistema lineare; le altre costanti, il cui numero p è — 549 — un invariante della superficie (la <7regolarztà), entrano in modo irrazionale, e precisamente nel modo abelzano, di cui sopra si è discorso. La inversione delle funzioni abeliane (in senso esteso), che qui intervengono, permette di formare p integrali, semplici, di prima specie appartenenti alla superficie (o alla varietà algebrica a più dimensioni); e permette pure di indagare gli eventuali casi di riducidilità, che quegli integrali possono presentare. La ricerca, che segue, è divisa in tre Note. In questa prima Nota io stabilisco la relazione, che passa tra i sistemi algebrici di curve di una super- ficie irregolare ed una varietà V, a p dimensioni, dotata di un gruppo tran- sitivo co? di trasformazioni birazionali in sè, permutabili a due a due. Nella seconda Nota esaminerò alcune particolarità che la V può presentare, delle quali occorre tener conto nella terza Nota, dove vengono dedotti, dai p inte- grali semplici, di prima specie, della V, i p integrali analoghi che la super- ficie data possiede. 1. La dimostrazione che segue si appoggia sopra un importante teorema del sig. Enriques (*), secondo il quale una, superficie irregolare possiede sistemi algebrici di curve non contenuti in sistemi lineari. In modo preciso: sì consideri sulla superficie data (1) f(@,4,8)=0, avente i generi py, 7a, un sistema lineare, completo, regolare, |C| di curve; cioè un sistema tale, che fra la dimensione 7, il genere 77 della curva gene- rica, ed il grado 7 (cioè il numero delle intersezioni di due curve generiche) passi la relazione (2) a_i Lio infiniti sistemi regolari esistono, come è noto, sulla superficie. Si costruisca poi il più ampio sistema a/gedrico contenente il sistema Zireare |C|; quel sistema, composto di curve avente lo stesso ordine delle C, è completamente determinato dal sistema lineare |C|(?). Ora il sig. Enriques dimostra che il detto sistema algebrico ha la dimensione VA pa Pa=n_-T-41H4 py. (1) Sulla proprietà caratteristica delle superficie algebriche irregolari; Rendiconto delle Sessioni della R. Accademia di Bologna, 11 dicembre 1904; cfr. Comptes Rendus de l’Acad. d. Sciences, Paris, 16 gennaio 1905. Si veda pure una dimostrazione del Severi nei Rend. del Circolo Matem. di Palermo, t. XX. (2) Si veda a questo proposito una osservazione del sig. Severi al n. 6 della sua Nota: Osservazioni sui sistemi continui di curve....., Atti dell’Accad. delle Scienze di Torino, febbraio 1904. ReNDICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 68 Se indichiamo con (8) PE Py Pa > 0 l'irregolarità della nostra superficie, il sistema algebrico, di cui stiamo par- lando, potrà essere indicato con S,,,. Esso contiene per ipotesi il sistema lineare |C|, co”; ma, in virtù della stessa costruzione che dà 1° Enriques di S,.,, esso contiene pure ogni sistema lineare completo |C,|, che sia determinato da una curva C, di S,+p. I sistemi lineari |C,| formano una successione continua, cui appartiene |C|; essi hanno quindi tutti lo stesso genere 7, lo stesso grado 7, la stessa dimensione, poichè questi caratteri sono numeri interi; (va inteso però che, nel valutare genere e grado, si deve far astrazione da eventuali punti base del sistema considerato, i quali non siano base per S,.,). Per quanto riguarda la dimen- sione, non sì può escludere veramente che particolari sistemi tra quelli ab- biano una dimensione superiore alla dimensione 7, del sistema |C,| generico. Perciò, tenuto conto che il sistema di partenza ha la dimensione 7, si è condotti alla relazione 7 = 7,. Che però debba qui prendersi il segno di uguaglianza, segue dal teorema di Riemann-Roch relativo alle superficie, il quale dice che 7, non può essere inferiore al secondo membro della (2), cioè ad 7. Riunendo in un solo enunciato questi varî risultati, concludiamo: Sopra una superficie, avente la irregolarità p, un sistema lineare regolare o", è contenuto in un sistema algebrico co'*P; questo è costituito da co? sistemi lineari o”. Ogni curva del sistema algebrico appartiene ad uno, e ad uno solo, di questi sistemi lineari. 2. Il teorema precedente riduce lo studio del sistema algebrico S,4 allo studio delle relazioni, che passano tra gli oo? sistemi lineari contenuti in quello. Conviene dunque riguardare questi sistemi come unztà, od elementi, di una varietà algebrica co. Volendo una rappresentazione geometrica più sensibile dello stesso concetto, si immagini di fissare sulla superficie f un gruppo di 7 punti generici. Ciascuno dei sistemi lineari 00%, |C|,|Ci|,..... componenti S,+,, fornirà una determinata curva C,C,,..... passante per quegli 7 punti, la qual curva potremo dire che rappresenta il sistema, cui appartiene. Queste curve rappresentanti formano un sistema algebrico o0?, che indicheremo con S,, il quale gode la proprietà che la sua curva gene- rica C non appartiene ad alcun sistema lineare contenuto in Sp; in altre parole, la curva C non è equivalente a nessuna altra curva di Sp. Ci converrà poi, nel seguito, riguardare i sistemi lineari |C|] di S,+,, 0 le curve C di S,, come punti di una varietà algebrica V, a p dimensioni. A questa varietà si giunge così. La curva generica C di S, può immagi- narsi segata, sulla superficie f= 0, da due o più superficie, che siano razio- nalmente determinate, data la C. I coefficienti, che entrano nelle equazioni — 551 — di queste, dipenderanno a/gedbricamente da certi p parametri 1, $2,..,ép, e quindi razionalmente da p 4-1 parametri £,, 2, $ép+1, legati da una relazione algebrica (4) Meo) JUVE Questa definisce una varietà algebrica V, a p dimensioni. Ad ogni punto È della V, corrisponde una determinata curva C del sistema Sy, 0, se si vuole, un determinato sistema lineare |C| entro S,.,. E si può supporre scelti i parametri £ in modo, che, viceversa, a [C|, od a C, corrisponda un deter- minato punto di V,. Per ragioni che verranno spiegate in seguito, noi di- remo che V, è la varietà di Picard connessa colla superficie irregolare assegnata. Osservazione. — Poichè la curva generica C di S, non ha alcuna curva equivalente in S,, segue che essa non può formar parte di una serie 00° razionale di curve entro ad Sp; giacchè le curve di una tal serie sarebbero equivalenti tra loro (*). Questo fatto dà luogo al seguente enunciato, che. ci sarà utile tra poco: un punto generico della varietà di Picard non appar- tiene ad alcuna curva razionale giacente in quella varietà. 3. Ritorniamo a considerare gli co? sistemi lineari, che compongono il sistema algebrico S,+p. Siano |C|,|C|,|C1l tre di questi sistemi, distinti o anche, in parte, coincidenti. Formiamo il sistema lineare |C"| definito dalla relazione (5) (CES) | Il sistema |C'| si comporrà dunque di ogni curva, che, presa insieme ad una curva di C,, dia una curva equivalente alla curva composta C+ Ci. I ca- ratteri del sistema |C'| (dimensione, genere, grado) possono calcolarsi in fun- zione dei caratteri (7,77, 7) dei sistemi di partenza, ricorrendo a formole note. Ma qui il calcolo è superfluo. Si osservi infatti che, se nella (5) si fa variare con continuità il sistema |C,| entro al sistema algebrico S}+p,; varierà |C'|, ma i suoi caratteri, che son numeri interi, non potranno alte- rarsi. Ora se |C;|=[C1|, risulta |0"|=|C|. Dunque i caratteri di |C'| coin- cidono coi caratteri di |C|. Risulta inoltre di qua che, variando |C,|, il si- stema lineare |C'|, definito dalla (5), varia entro ad un sistema algebrico, anzi entro al sistema algebrico S,+,, che è già pienamente determinato da |C|. Conviene ora riguardare la (5) come atta a definire una trasformazione, mediante la quale ogni sistema |C| di S,.., vien mutato in un altro sistema |C| di S,-,. Questa trasformazione, che verrà indicata col simbolo |C{ — (|, muta, ad es., il sistema C, nel sistema Ci. (!) Enriques, Wn'osservazione relativa alla rappresentazione parametrica....., n. 4; Rendic. del Circolo Matem. di Palermo, t. X. — 592 — La detta trasformazione è pienamente nota, quando siano dati i due sistemi |Ci|,|C,|. Ma la stessa trasformazione è determinata da infinite altre coppie di sistemi lineari contenuti in S,+,. Infatti, dalle leggi formali che reggono le addizioni e sottrazioni di sistemi lineari, segue che due trasfor- mazioni |C — C;| e |0'— C| coincidono, che è dunque simbolicamente |Ci— Ci]=|0— C|, quando sia \Co + 0|=|C+ Gi], od anche quando risulti \c]=|c+0— ail, quando dunque |C'| sia il trasformato di |C| mediante la prima trasforma- zione. Ne viene che, dati due sistemi lineari ad arbitrio entro S,4p, è individuata la trasformazione che muta l'uno nell'altro. Ne viene ancora che tutte le trasformazioni tra gli co? sistemi lineari di S,,, possono rap- presentarsi col simbolo |C'— C|, ove si tenga fermo il sistema |C| e si faccia variare |C'| entro S,+,. Le dette trasformazioni formano dunque una serie 00”. Questa serie è un gruppo. Premesso, infatti, che la serie contiene la trasformazione identica |C — C|, e, di ogni trasformazione |C' — C| contiene la inversa, si osservi che, date due trasformazioni, le quali potranno sempre rappresentarsi con |0" — C| e |C" — C'|, il prodotto di quelle è la trasfor- mazione (*) [ISCR], che appartiene pure alla serie. È inoltre CC i CI |[CAZC]E donde si conclude che il gruppo si compone di trasformazioni permutabili a due a due. Per enunciare questi risultati sotto la forma più semplice, giova pre- mettere l'osservazione seguente. Noi abbiamo applicato sinora le trasforma- zioni |C' — C| ai sistemi lineari |C| contenuti entro $,p. Ma questa limi- tazione non è necessaria. Si parta da un sistema regolare qualsiasi |D|, 08, sulla superficie, e si consideri il sistema algebrico Ss+p che esso determina. La trasformazione |C"— C| muta |D| in un altro sistema D|=|D-+0— ci (*) Dato il simbolo da noi adottato per rappresentare una trasformazione, il prodotto di trasformazioni viene indicato col segno + — 553 — di Ss+p. Questa affermazione si giustifica col ragionamento già adoperato: si tengano fissi i sistemi |D| e |C|, e si faccia variare con continuità |C'| entro al sistema algebrico S,+, che lo contiene. Il sistema |D'|, definito della relazione precedente, varierà con continuità entro ad un sistema alge- brico contenente |D|, precisamente entro S;.,, che è individuato da |D|. Possiamo dunque asserire che: Ad una superficie di irregolarità p è legato un gruppo transitivo co di trasformazioni, permutabili a due a due, ciascuna delle quali muta ogni sistema lineare regolare di curve sulla superficie în un altro sistema lineare, avente gli stessi caratteri, ed appartenente a quel sistema alge- brico, che è determinato dal sistema lineare primitivo. Una trasforma- zione del gruppo è individuata, quando si conoscano due sistemi, che siano mutati Vuno nell'altro da quella trasformazione. 4. Lo stesso teorema si può presentare sotto un'altra forma. Si ricordi che gli co sistemi lineari, componenti un sistema algebrico $,+,, furono rappresentati sui punti di una varietà algebrica V,, la varietà di Picard. Una trasformazione algebrica biunivoca tra quei sistemi, come è la |C'— O], ha per immagine una trasformazione birazionale entro la varietà di Picard. Dunque: La varietà di Picard V, ammette un gruppo transitivo oP di tras- formazioni birazionali in sè stessa, permutabili a due a due. Una di queste trasformazioni è individuata, quando si conoscano due punti cor- rispondenti. Fissato un punto O della varietà V,, come origine, ad ogni trasfor- mazione del gruppo corrisponde quel punto di V,, in cui O si muta mediante la detta trasformazione. Si può dire, in conseguenza, che la varietà di Picard rappresenta, coi suoi punti, le trasformazioni del gruppo nominato. Questo gruppo verrà chiamato gruppo di Picard legato alla superficie /, o alla varietà V,, e verrà indicato con Gp. Risulta poi, da tutte le considerazioni fatte, che la varietà di Picard non dipende affatto dal sistema lineare |C| e dal relativo sistema algebrico $,+,, di cui ci siamo serviti per costruirla. In termini precisi: fissato sulla superficie f un qualsiasi sistema algebrico, il quale contenga co? sistemi lineari distinti, si può stabilire una corri- spondenza birazionale tra i detti sistemi ed i punti della varietà di Picard annessa alla superficie. Data la superficie 7, la varietà di Picard è pienamente determinata, quando si faccia astrazione da trasformazioni birazionali ('). (1) I sistemi lineari |C|,|D|,..., di cui ci siamo serviti finora, erano supposti rego- lari. Questa restrizione non è veramente essenziale, ed ha solo lo scopo di render sempre possibile l'applicazione di operazioni del tipo |C — C|, mentre, ove |D| non fosse rego- lare, potrebbe non esistere il sistema |D'|=]D+C —C|. A questo inconveniente si potrebbe ovviare con opportune convenzioni, le quali però complicherebbero, senza scopo, la trattazione. — 504 — 5. Siamo dunque condotti allo studio delle varietà algebriche V,, a 7 dimensioni, che ammettono un gruppo transitivo co? di trasformazioni bira- zionali, permutabili a due a due. Ora la determinazione di queste varietà (a parte il caso p=1, che, secondo lo Schwarz, conduce alle curve ellit- tiche o razionali) è uno dei più brillanti risultati ottenuti, in questo campo, dal sig. Picard. L’illustre geometra esaminò anzitutto l'ipotesi p=2, e giunse così a scoprire quelle interessanti superficie, che furono chiamate iperellittiche (!). In seguito il sig. Picard estese il suo metodo di ricerca al caso di p qualsiasi, ottenendo il seguente teorema (*): Una varietà algebrica a p dimensioni (4) V(Er,t2, 0 Ep) = 0 la quale ammetta un gruppo transitivo co di trasformazioni birazionali in sé, permutabili a due a due, possiede p integrali distinti di differen- ziali totali: (6) n PO dip ode tg, (E, A dove le P sono funzioni razionali delle variabili È, $2,...,Ép+1, legate dalla relazione (4). L’inversione degli integrali (6) permette di esprimere le È mediante funzioni uniformi, 2p volte periodiche, di p variabili: (7) IEZZO è 900090) (= IG QRS ADE Chiameremo le (7) funzioni abeltane, secondo la denominazione adottata dagli analisti francesi. È essenziale per noi rilevare che, nel caso presente, gl’integrali (6) sono tutti di prima specie, cioè sì conservano finiti in tutti i punti (é) della V,. Ciò risulta dalla profonda analisi, a cui il sig. Painlevé ha assog- gettato la ricerca del sig. Picard, esaminando in particolare il caso p="2, e facendo poi vedere come il suo procedimento si estenda ad ogni valore di p (8). Il sig. Painlevé dimostra infatti che, se i p integrali (6) non sono tutti di prima specie, si può, mediante opportune trasformazioni birazionali sulle £ e lineari sulle x, fare in modo che tutte le È si esprimano razio- nalmente in funzione di «,, 0 di «= e%, Ora, in entrambi i casi, la curva Us = COSÌ. ,...,Up= c0stÌ. (1) Mémoire sur la théorie des fonctions algébriques de deux variables, Chap. III; Journal de Mathématiques, 1889. (2) Rendiconti del Circolo Matem. di Palermo, t. IX. (8) Sur les fonctions qui admettent un théorème d’addition, Acta Mathematica, t. 27 (1903). — 509 — della V, sarebbe razionale: e di curve siffatte ne passerebbe una per ogni punto di V,, il che venne escluso nell’Oss. al n. 2. 6. La rappresentazione parametrica (7) della varietà di Picard V, per- mette di definire analiticamente, nel modo più semplice, le co? trasforma- zioni del gruppo di Picard Gy. È noto infatti che una, generica, di queste è rappresentata da congruenze del tipo (8) u=u + hi, (Ci ATE) dove %;,w; sono i parametri relativi a due punti (v),(w') corrispondenti, le A; sono p costanti, e le congruenze scritte hanno come moduli i 2p periodi relativi all'integrale «. Il fatto che le (8) definiscano una trasformazione algebrica (birazionale) entro V,, è l'interpretazione geometrica del teorema d'addizione relativo alle funzioni abeliane. Se una stessa trasformazione (8) della V, in sè stessa muta i punti (u), (0) nei punti (2°), (0°), sarà uu Vi (RO D'altra parte, se a quei punti di V, corrispondono, ordinatamente, sulla super- ficie f i sistemi lineari |C|,|D],|0'|,|D'|, contenuti entro al sistema alge- brico S,p, Sarà |C— C|=|D'— Dj. Le due relazioni scritte esprimono adunque uno stesso fatto, in simboli ana- litici la prima, geometrici la seconda. Segue la perfetta equivalenza delle due relazioni uto=u+v, |C4D'|= [C+ D], donde si traggono alcune interessanti considerazioni. Sì osservi infatti che la varietà V, possiede, oltre alle co? trasforma- zioni birazionali (8) (di prima specie), costituenti il gruppo G,, una seconda serie (non gruppo) di trasformazioni birazionali (di seconda specie), che sono involutorie, e vengono definite da congruenze del tipo wbu®= ki, (== dove le 7; sono costanti. Le coppie di punti, corrispondentisi in una trasfor- mazione di seconda specie, formano, come diremo, una involuzione 93 sulla Vp; dove l'indice superiore 1 non sta ad indicare la dimensione della invo- luzione, ma esprime che, dato «2 punto arbitrario di V,, è individuata la coppia che lo contiene. Alle coppie di una 93 corrispondono sulla superficie / coppie di sistemi lineari |C|,|C®]|;]|D],|D®|;... Ora risulta dalle cose dette che sistemi accoppiati danno, come somma, un unico sistema lineare: RO e — 556 — Se si ricorda che i punti di V, sono anche immagini delle 00? curve C,C0°,... del sistema algebrico S, (composto di curve non equivalenti), si può esprimere la stessa osservazione, dicendo che, a coppie della invo- luzione 93, corrispondono coppie di curve del sistema Sp, le cui somme C+ C®, ecc., sono equivalenti. Queste considerazioni si estendono facilmente, col metodo da x ad 7.41. Definita sulla V, una 2mvoluzione gi mediante congruenze del tipo wbun+. A = ki, (= 20 si dimostra che ai gruppi della 9g?" corrispondono, su /, gruppi di si- stemi lineari, le cui somme danno un sistema lineare invariabile al variare del gruppo; 0, se si vuole, corrispondono, entro al sistema Sp, gruppi di % curve, le cui somme C+ CM +... 4 CD, ecc. sono equivalenti. Di queste involuzioni 97 interessano, per il seguito, alcune proprietà, che discendono immediatamente dalla definizione analitica: 1) una 97 * è pienamente determinata, quando si conosca uno dei suoi gruppi; 2) dati 2 — 1 punti generici di V,, è individuato il punto che con quelli forma un gruppo di una 97 assegnata; 3) una 97 possiede un numero finito v(= n°) di punti 22", defi- niti dalle congruenze nu = ki ((=1,2,.--12); questi punti formano un gruppo Y,, che è pienamente determinato, quando sì conosca uno dei suoi punti; 4) ogni trasformazione di G, muta una 977 in una 97, ed il gruppo T, relativo alla prima involuzione nel gruppo Ty relativo alla seconda. Fisica. — Sull'elettrizzazione prodotta dai raggi del radio. Nota del Socio Augusto RiHI. È noto che i corpi, su cui cadono le radiazioni del radio emettono nuovi raggi, detti raggi secondari, i quali, per quanto se ne sa, sono almeno in massima parte della stessa natura dei raggi catodici e dei raggi #, ossia consistono nell’emissione di elettroni negativi. Se, come avviene nella maggior parte dei casi, i raggi « del radio non arrivano sino al corpo, perchè assorbiti nel loro tragitto dall’aria o da sot- tili lamine solide, l'effetto è dovuto solo ai raggi 8 e y; e siccome l'effetto prodotto da questi ultimi è relativamente assai piccolo, così può dirsi che — 557 — quei raggi secondarî sono principalmente generati dai raggi f, ossia dagli elettroni negativi emessi dal radio. I corpi colpiti da quei raggi sono dunque esposti a due cause di elet- trizzazione antagoniste, giacchè essi tendono a caricarsi negativamente per opera degli elettroni, che ad essi invia il corpo radioattivo, e positivamente in causa dell'emissione dei raggi secondarî. Di solito la prima causa predo- mina, cosicchè il corpo si elettrizza negativamente, mentre è noto che si ot- tiene invece una carica positiva, allorchè si fanno agire raggi X o raggi ultravioletti. La produzione di una carica positiva nei corpi (dielettrici o conduttori) colpiti da radiazioni ultraviolette fu dapprima da me dimostrata operando nell'aria all’ordinaria pressione; mentre per quella dovuta ai raggi X fu ne- cessario operare nel vuoto, onde evitare la conduzione dell’aria, che dai raggi stessi verrebbe ionizzata. Nel caso dei raggi del radio si deve per lo stesso mo- tivo fare altrettanto, e cioè rarefare il più possibile l’aria che circonda il corpo, di cui si studia la carica. Ecco un cenno sommario dei risultati ricavati finora da alcune mie espe- rienze, istituite allo scopo di studiare appunto le cariche generate in varî corpi dai raggi # del radio. Apparecchio. — Un recipiente di vetro, nel quale l’aria ha una pres- sione non maggiore di un millesimo di millimetro, e che è internamente ri- vestito da una rete metallica in comunicazione col suolo, contiene un disco di 5 centimetri di diametro formato dalla sostanza in esame, comunicante con un elettrometro a quadranti. La parete di fronte al disco ha un foro di 2 centimetri di diametro, chiuso da una laminetta di alluminio di 85 mil- lesimi di millimetro di spessore, la quale resiste benissimo alla pressione atmosferica (ed anzi vi resisterebbe, pur incurvandosi, anche se fosse alquanto più sottile). Contro la laminetta e all’esterno del recipiente viene collocata, al momento opportuno, la capsuletta d’ebanite. chiusa da una lastrina di mica e contenente, nel caso mio, quindici milligrammi di bromuro di radio puro. I raggi 8, che ne partono, attraversata la lamina di alluminio, cadono sul disco, che si trova ad una distanza da essa variabile a piacere, ma che generalmente si conservò eguale ad un centimetro. Alcune grosse lastre di piombo riparano dai raggi del radio il filo, che va all'elettrometro, e che d'altronde occupa l'asse d'un lungo tubo metallico comunicante col suolo. i Per valutare l’effetto prodotto sui dischi delle varie sostanze ho adot- tato il metodo seguente. Caricato il disco ad un debole potenziale positivo, per esempio a + 0,4 volta, misuro il tempo necessario affinchè il disco me- desimo acquisti il potenziale — 0,4 volta, e calcolo, in base a questi dati, la variazione di potenziale per ogni minuto secondo. RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 69 — 558 — Effetto ottenuto con dischi di diverse sostanze. — I risultati medî ottenuti con tali misure sono registrati nella seguente tabella, la prima co- lonna della quale contiene il nome della sostanza di cui era formato il disco, la seconda il peso atomico della medesima, la terza lo spessore del disco, e la quarta la variazione di potenziale per secondo in millesimi di volta: Sostanza Peso atomico Spessore na O=16 in millivolta mm Carbone... . 12,003 10 — 53 AVI RITO RAMAS 27,08 5,87 — 46 SOLO RAR 32,063 4 — 45 Herros to Me cHara 56 2 — 43 Nichel REA 58,5 5 — 4l Rame LE 63,44 2 — 40 ZINCO 65,98 1R9 — 40 ANENBON' SUSA 107,938 2 — 33 Sta ono 118,10 5,6 = 82 Talon o o 25 2 — 27 PIAtINOR CENA 194,83 0,1 — (21) ROMPE 206,911 2 — 26 BISMUVO FIATO 208,5 2 — 23 Se si fa astrazione dal risultato avuto col platino, si vede che i numeri dell'ultima colonna sono in ordine decrescente, mentre quelli della seconda furono disposti in ordine crescente. Ma è da notarsi che il platino era assai sottile, sì che esso certo lasciava passare buona parte dei raggi f, mentre lo spessore di tutti gli altri dischi era sufficiente, come potei verificare espe- rimentando con dischi di varie grossezze, per trattenere la maggior parte dei raggi che li colpivano. Qualche riserva si deve fare altresì per lo zolfo e pel tellurio. Questo era in forma di lastrina a contorno irregolare, e la sua superficie era assai minore di quella dei dischi formati colle altre sostanze, per cui si dovette confrontare la carica, da esso acquistata, con quella di una lastra di allu- minio avente eguale superficie. Quanto allo zolfo, per il fatto che non è conduttore, pensai di rivestirlo con una sottilissima foglia metallica, la quale tuttavia, come si vedrà fra poco, non può sensibilmente modificare il risultato. Con un simile artificio mi sarà possibile misurare la carica acquistata da qualsiasi altro dielettrico solido. Siccome l'ottenersi in un dato tempo una maggior carica negativa nel disco indica evidentemente, che meno abbondante è l'emissione dei raggi se- condarî, così si può dire, che un corpo emette tanto più abbondantemente — 559 — questi raggi, quanto più è grande il suo peso atomico. L'influenza di questo nei fenomeni radioattivi era stata, del resto, già da altri segnalata, e, per ciò che riguarda l'emissione di raggi secondarî, recentemente da Mac Clel- land ('), per alcuni dei metalli designati nella tabella precedente, ed in base ad esperienze d'altro genere. Influenza dello spessore. — È verosimile che una parte degli elettroni costituenti i raggi # del radio si riflettano sul disco, e che altri lo attra- versino, se il suo spessore non è troppo grande. Naturalmente nè gli uni, nè gli altri possono contribuire alla carica del disco. Per rendere conto di questa occorre quindi prendere in considerazione quegli elettroni, i quali restano trattenuti dal disco, come pure i nuovi elettroni costituenti ì raggi secon- darî, che probabilmente sono staccati dal corpo colpito in seguito all'urto dei primi contro i suoi atomi. Poichè il disco si elettrizza negativamente, bisogna ritenere che il numero degli elettroni costituenti i raggi secondarî, sia minore del numero degli elettroni formanti i raggi # e trattenuti dal disco medesimo. Ora è da prevedersi che, aumentando lo spessore di questo, divenga maggiore tanto il numero degli elettroni trattenuti, quanto il nu- mero di quelli nuovamente formati, ma che non riescono ad uscire dal disco. In altre parole è da presumere, che l'aumento dello spessore abbia per con- seguenza un maggior assorbimento, non solo dei raggi # incidenti, ma anche dei raggi secondarî generati nelle parti profonde, e quindi un aumento della carica negativa acquistata dal corpo in un dato tempo. Ciò venne confermato da apposite esperienze, delle quali è esposto nella seguente tabella un esempio. Variazione Sostanza Spessore di potenziale in millivolta Alluminio . . . |gfoglia sottilissima — 0 ” ATO 0,009 mm. — 4 ” QUI E 1,47 D) — 495 » PRE 5,88» — 46 CArboness ee 2 ” — 49 SNO ERRATI 10 ” — 58 Come si vede, quando il corpo è in forma di sottilissima foglia, la carica da esso acquistata è sensibilmente nulla. Questo è quanto ho potuto consta- tare, non solo coll'alluminio, ma anche con altre foglie metalliche e in par- ticolare colle usuali foglie d'oro. Di qui l'opportunità di formare con tali foglie sottilissime un rivestimento conduttore per la misura delle cariche acquistate dai dielettrici colpiti dai raggi del radio. In una prossima ed estesa pubblicazione saranno descritti dettagliatamente gli apparecchi adoperati, ed esposti in modo più completo i risultati ottenuti. (1) Phil. Mag. february 1905. — 5600 — Meccanica. — Sulle equazioni della deformazione delle piastre elastiche cilindriche. Nota del prof. GrusePPE LAURICELLA, presen- tata dal Socio V. VOLTERRA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica terrestre. — Aisu/tati pireliometrici ottenuti dall’ot- tobre 1901 al 3 luglio 1902 al R. Osservatorio Geofisico di Modena. Nota di Ctro CHISTONI, presentata dal Socio P. BLASERNA. Nell'ottobre 1901 venne collocato all'Osservatorio geofisico di Modena (lat. bor. 44°.38/.53”; long. E da Gr. 0%.43m,425) il pireliometro Angstròm a compensazione elettrica n. 19 e con questo si fecero osservazioni a tutto il 22 giugno 1902. Il 23 giugno 1902 venne sostituito al n. 19 il pirelio- metro n. 39('). — Dall'ottobre 1901 a tutto il 22 giugno 1902 servi l'am- perimetro S. H. 53352 con der. 123230; dopo servì l'amperimetro 66234 con der. 14894. L'apparecchio pireliometrico sì trova a metri 30 sul suolo ed a metri 64 sul livello del mare, in una stanza con finestre, che permettono di vedere il Sole dal nascere al tramontare. — Chiudendo alcune finestre ed apren- done altre, è quasi sempre stato possibile di proteggere l'apparecchio dai movimenti dell’aria. Solo in casi eccezionali, come ad es.: è avvenuto il giorno 11 luglio 1902, si sono dovute sospendere le osservazioni per non potere proteggere convenientemente l'apparecchio dai moti dall'aria. Le due finestre alle quali (a seconda dell'ora) viene. solitamente esposto il pireliometro sono nel torrione orientale del palazzo Reale (R. Scuola Mi- litare) e sono volte una verso ESE e l’altra verso SSW; la prima guarda dalla parte delle scuderie e del giardino della Scuola Militare, la seconda verso l'ampio Piazzale Reale. I fabbricati che stanno al di là del piaz- zale non arrivano all'altezza di 20 metri sul suolo; così che il pireliometro è affatto libero ed in posizione da non sentire l'influenza del fumo e dei vapori che si possono sollevare dalla città. Si noti poi che gli opificii cittadini sono tutti distanti dall'Osservatorio. — Talvolta avviene, che mentre la città e la circostante campagna sono coperte dalla nebbia, all'Osservatorio si gode di un bel sereno (*). (1) Nella Nota: Sul pireliometro a compensazione elettrica dell’Àngstròm (Rend. della R. Accad. dei Lincei; vol. XIV, 1° sem. 1905, pag. 340) si trovano riportati i coef- ficienti di questi due apparecchi. (2) Il prof. Knut Angstrim onorò di una sua visita questo Osservatorio il giorno 23 maggio 1903 e trovò che l'esposizione del pireliometro è stata fatta convenientemente. — 561 — Il metodo di osservazione è stato quello adottato a Sestola nel 1901 ('). I valori di 7 (int. della corr. elettrica compensatrice in amp.) riportati nei seguenti quadri sono i risultati della media aritmetica delle singole osser- vazioni. La pratica mi persuase che in questo genere di misure è inutile tentare di tenere calcolo dei diecimillesimi di amp. ed è per questo che i valori di 7 nei quadri che seguono sono indicati con sole tre cifre decimali. Essendomi poi anche persuaso, che l'incertezza nel risultato finale Q (espresso in cal.-gr.-min. per cm°) arriva parecchie volte a 0,005 e può talvolta anche essere maggiore, quando durante il tempo dall'osservazione (per quanto breve) cambiano le circostanze di trasparenza dello strato d’aria compreso fra il pire- liometro ed il Sole, ho semplificato il calcolo, adottando le tavole logaritmiche a quattro decimali. Lo stato del cielo, in ispecie in prossimità del disco solare, si osservò sempre colla massima cura, e facendo uso di adatti vetri colorati (?). (1) Misure pireliometriche fatte a Sestola nell'estate del 1901 (Rend. della R. Accad. dei Lincei, vol. XI, 1° sem. 1902, pag. 77). ® Credo non del tutto inutile spiegare alcuni termini, che ho adottato per indicare lo stato del cielo, per ciò che riguarda le misure pireliometriche. — I termini sono: lucido, bello, biancastro, bianchiccio, caliginoso e velato. Lucido = Quella parte del cielo che si stima lucida, vuole essere di un azzurro ben netto. Bello = Quando il cielo è di colore celeste. Biancastro = Quando il cielo è celeste con tendenza verso il bianco. Bianchiccio = Quando la tendenza al bianco è più accentuata. Il fondo celeste sembra quasi che sia stato cosparso con un colore del genere di quello che assume l’acqua di calce, quando è assai allungata. Caliginoso = Quando la luce solare tende al rosso, essendo il cielo cosparso da tenuis- sima caligine. Velato = Quando vagano per l’atmosfera, e negli strati relativamente bassi, dei filamenti bianchi sottilissimi, costituiti da vapore acqueo, e che si intrecciano così da for- mare come un velo a lunghe maglie. Questi veli si vedono con difficoltà nelle re- gioni del cielo circostanti al Sole, e l’osservazione viene facilitata, facendo uso di un vetro giallo. Chi non è ben pratico ad osservare lo stato del cielo, confonde quasi sempre questi veli coi cirri esilissimi, che raramente si vedono nell'atmosfera e che sono sempre situati a grandi altezze. Chiamo sereno il ‘cielo, quando è privo di nubi ed in generale è bello, ossia di colore celeste. — Devo confessare che in trent'anni da che mi occupo di meteorologia e faccio osservazioni, non mi venne mai dato di osservare il cielo sereno e lucido, cioè completamente azzurro e senza nubi. Quando anche il cielo, in luoghi meridionali del- l’Italia, o sui monti, mi si presentò privo di nubi ed in buona parte azzurro, rimanevano sempre delle parti di colore celeste; ed in generale alcune parti prossime all'orizzonte, mi lasciavano incerto se fossero celesti o biancastre. Che non sia facile vedere la vòlta del cielo completamente azzurra, lè dove l’oriz- zonte è libero, mi convinsi, quando alla riunione della Commissione per le ricerche della radiazione solare, tenutasi a Parigi nel 1900, si parlò della trasparenza dell’atmosfera. — 562 — Nelle tavole che seguono, l'ora è data in tempo medio dell'Europa cen- trale ed % esprime l'altezza media del Sole durante il tempo dell'osserva- zione. L'approssimazione in % è di circa due decimi di grado sessagesimale. Con 0 è espressa la temperatura media indicata dal termometro unito al pireliometro; con B la pressione atmosferica in millimetri di mercurio a 0°, diminuita però di 700 mm. con # la temperatura dell’aria; con / la forza elastica del vapore acqueo e con v l'umidità relativa dell'atmosfera, Mopena 1901 Giorno Ora | t Annotazioni e|» 25 ottobre 12.0 33,3 24,0|0,409|1,124| 56,4| 16,5) 7,7|55| © libero; Cu sparsi 2 novembre |12.0 | 30,6] 17,0/0,403|1,088| 68,7) 9,4| 3,9|46| Sereno 3) 4 5 12.0 | 30,8] 18,0/0,405|1,100| 66,1| 10,1 4,8|52} Ta. 3 12.0 | 30,0} 15,5/0,411|1,131| 63,7| 9,0) 4,8/49| Td. ) 12.0 | 29,7| 15,5|0,398|1,060| 66,5| 9,4| 5,7|651 Id. ”» 12.0 | 29,4| 16,0|0,392/1,029| 65,8| 8,2) 5,2|651 Id. » 12.0 | 28,0] 13,9/0,357/0,853| 56,6) 10,5| 6,6|/70) Col vetro giallo si scorgono veli vicini al® ” 12.1 | 27,7| 17,6/0,395]|1,046| 55,4] 12,4| 6,3|59) Sereno ” 12.4 | 24,4] 11,5|0,341[0,777| 60,6) 5,1| 3,6|55| Cielo bianchiccio ” 12.4 | 24,1] 12,8/0,404|1,092| 57.7) 4,9) 8,8|57) Sereno dicembre |12.5 |23,6|14,2/0,413|1,141| 61,6) 9,1) 4,6|58|] Sull’orizzonte Ci vaganti; @ libero ” 12.6 | 23,4] 10,5/0,871(0,920| 62,9) 8,0) 5,6|71| Ci-S intorno al @ » 12.6 | 23,3] 10,9/0,374/0,935| 60,9) 7,6) 6,0177| Ci-S vaganti; @. libero » 12.7 | 28,0] 11,2|0,368|0,905| 62,9] 5,7) 4,6|66| Cielo bianchiccio; aureola intorno al @ » 12.7 | 22,9] 10,1/0,362|0,875| 61,7) 4,0 4,472) Cielo biancastro ” 12.8 [22,7] 7,5/0,406|1,100| 62,5| 1,8) 3,6/70 Sereno | ” 12.19| 29,2] 10,5|]0,417|1,162| 60,8| 4,2) 3,9/63 Id. ” 12.20| 22,2) 9,5/0,405/1,096| 67,8) 4,5) 2,540 Qualche Ci vagante Accennandosi appunto ai rari momenti, nei quali il cielo è veramente sereno, cioè privo di nubi e quasi per intero azzurro, uno dei presenti (non ricordo chi fosse) accertò che in un'oasi del deserto di Sahara nella quale egli si trattenne per qualche tempo, gli venne dato di osservare per alcuni momenti la vòlta del cielo completamente azzurra. Sarebbe interessante che chi ha l’occasione di fare osservazioni nelle regioni meridionali dell’Italia, stando in luoghi che permettono di vedere libero l’orizzonte, notasse le rare circostanze nelle quali gli fosse dato di vedere la vòlta del cielo completamente azzurra. — 563 — MopENA 1902 Giorno Ora| | 60 î Q | B t fi | Annotazioni 1 gennaio 920] 10.8| 5,5/0,8570,850 65,1] 1,0 3,7|75| Cielo bianchiccio Na 12.20 22,3] 8,40,895/1,041| 63,9 5,4| 4,4[65] Sereno 4 ” 9.21| 11,0) 8,0/0,353/0,832| 61,8| 3,2) 3,766) Cielo bianchiccio ”» » 12.21| 22,5] 11,1|0,345|0,796| 62,4| 7,4) 4,3|55 Id. SILA N: 15.21| 11,0| 11,4(0,838/0,741| 61,8| 9,4| 4,856 Id. 6 D) 12.22] 22,7| 10,5|0,3873/0,930| 64,9) 7,0) 6,1/83 Id. ” ”» 15.22) 11,2) 11,8/0,363/0,881| 64,3] 8,4| 6,275 Id. ml 12.23] 22,8| 11,6|0,423|1,196| 62,9) 7,3| 3,4146| Sereno ”» ” 15.23) 11,3| 14,5|0,376(0,946| 62,9) 9,6) 3,5/40| Cielo bianchiccio 8 D) 12.23| 23,0 12,1|0,391|1,022| 69,5] 6,6) 4,7164| S e Ci vaganti ” » 15.23] 11,4| 14,5/0,834/0,747| 68,8) 7,6| 4,761 Id. 9 D) 9.23| 11,5) 6,4/0,318|0,674| 69,2) 2,4 4,0|75| Sereno ” ” 12.23] 23,1| 10,5|0,399/1,064| 68,8] 5,2| 4,1/63 Id. D) ” 15.23] 11,5| 12,5/0,359|0,862| 67,5] 6,8| 4,057 Id. 10 » 9.24| 11,6) 5,20,335/0,748| 66,9) 2,6] 3,972 Id. ” ” 12.24) 23,2] 10,9/0,401|1,075| 66,3] 6,6| 4,5/63 Id. ” ” 15.24| 11,6] 13,9/0,344|0,792| 65,3] 8,0] 4,8/59 Id. ll D) 9.24| 11,7| 5,1|0,842/0,780| 64,0) 0,0} 4,1|89 Id. ” ”» 12.24) 23,4| 11,9/0,870/0,915| 63,4] 4,0] 4,6|77| Ci sparsi 15 ” 12.26| 24,0| 11,9|0,386/0,996| 70,4] 5,8] 4,1[60| Cielo biancastro ” » 15.26| 12,8) 10,5|0,360|0,866| 70,7| 5,8| 1,8/27 Id. 18 2) 15.27| 12,8| 12,910,320|0,685| 61,4| 7,6] 5,5169| Cielo bianchiccio e aureola intorno al @ 27 D) 15.28| 14,5| 11,20,365/0,890| 51,0) 7,0| 1,216] Ci in vicinanza al @ 28 D) 9.27| 14,7 6,0|0,290/0,561| 52,7| 1,0) 3,3/68 Caliginoso 29 ” 15.27) 15,0 13,2:0,869/0,911| 50,61 7,0) 4,1/55| Cielo bianchiccio 19 febbraio. |15.80| 20,5| 15,5/0,386|0,998| 54,3 9,6} 5,8/64| Ci e Cu vaganti 2 marzo 9.28) 24,2] 15,0/0,384|0,987| 54,3) 10,0| 6,672) Sereno » ” 12.28] 38,1| 20,5|0,420|1,184| 55,3| 12,5| 7,670 Id. ”» ”» 15.28) 24,2) 23,0:0,400|1,075| 55,4) 13,2] 7,364 Id. 5 ” 9.28] 25,2) 15,3/0,393|1,034| 58,5] 8,2) 5,2/65 Id. ” ” 12.28) 39,3| 17,4/0,421|1,188| 58,9| 11,3] 5,050 Id. » » 15.28] 25,2| 18,4/0,385/0,994| 58.7 12,8| 4,9/44| Ci e Cu vaganti 8 » 12.27] 40,4| 17,0/0,430/1,239| 47,5) 10,0| 4,650) Sereno » D) 15.27| 26,1| 22,8|0,401|1,080| 46,6| 11,8} 4,847 Id. 10 ” 9.27) 26,8| 16,0)0,427|1,221| 45,9) 11,8] 3,634 Id. » ” 12.27) 41,2| 19,8|0,445|1,329| 46,1| 14,3) 1,714 Id. » » 16.27| 17,7| 21,0/0,405|1,101| 45,9 14,6| 1,210 Ia. 11 ” 9.27| 27.1| 15,0(0,414|1,147| 54,8| 6,5] 3,0/42| C ed S sparsi — 564 — Mopena 1902 Annotazioni Giorno Ora| kh | # i | Q | B 5 Tini ia | 11 marzo 11.27 398 15,3/0,434|1,261| 55,1| 9,1] 2,4|28| Sereno D) D) 12.27| 41,61 20,3/0,434|1,264| 55,1] 9,4| 2,1|26 Id. ” ” 15.27| 27,1, 20,1/0,407|1,112| 54,0) 10,6| 1,9/20| Cielo bianchiccio; Ci sparsi I 9.26| 27,8 16,0/0,885/0,993| 59,8| 5,6| 5,4|78| Aureola intorno al @ » » 11.26| 40,5] 15,0/0,405/1,098| 60,1| 8,1| 5,2|68| Aureola rossastra intorno al @ ” ” 12 26| 42,4! 15,9[0,411|1,131| 60,1] 10,0| 5,5/61| @ libero; Cu in vicinanza ”» ” 15.26] 27,8 21,5/0,382/0.980| 59,9| 11,6] 3,7|38| Cielo bianchiccio;; Cu sparsi Io 9.25] 29,0 14,6/0,411/1,131| 55,7) 9,0) 3,4|41| Sereno » ” 12.25] 43,9 18,2 0,431/1,245 55,9| 12,4| 2,5/22 Id. ina: 15.25| 29,0 22,0/0,407/1,112| 55,3| 14,2 1,210 Id. » » 16.25| 19,8 23,0/0,378/0,960| 55,6| 14,1| 1,6|12 Id. 18 ” 11.25 424 14,5/0,428|1,226| 60,4|11,0| 4,4|44| Aureola intorno al @; Ci in vicinanza a 12.25| 44,3 23,7|0,434|1,266| 60;2| 11,4| 4,5|48 Id. FICO UGÌ D) D) 15.25 29,4 23,8/0,407|1,114| 59,1|12,4| 3,8|36| Cielo bianchiccio So, 16.25 20,1 18,5|0,3871,004| 59,1|12,3| 3,8/36 Ia. 19 » 9.24 29,7 17,0|0,403/1,088| 59,2| 9,4| 48/49 Aureola rossastra intorno al @ So 15 24|29,7 21,0|0,411|1,134|57,8| 16,2) 3,8/28| Orizzonte nebbioso » » 16.24) 20,4 22,7/0,377/0,955| 57,2|15,8| 4,0/30 Id. 20 D) 9.23| 30,0 17,4/0,410|1,127! 56,9| 14,8] 5,9!46| Cielo bianchiccio » ”» 11.23] 43,2 24,1|0,422|1,197| 56,6| 15,2) 4,7|87| Sereno » » |12.23|45,1|25,0/0,426/1,220| 56,1|16,0| 4;8|33| Gielo bianchiccio » D) 14.23|.38,2| 20,8[0,409|1,123| 55,5|16,8| 4,3/29 Id. » » 15.23] 30,0) 27,0/0,399|1,072| 55,1|17,2| 3,9/28 Id. DE) 16.28| 20,7| 23,8/0,355/0,847| 54,8|17,2| 3,927 Id. | 24 » 10.28] 39,8] 18,7|0,423|1,200| 47,7|10,4| 5,2/55 Id. | D) D) 12.28| 46,7 22,8/0,434|1,266| 48,0] 10.7] 2,8|28 Id. 27 ” 9.22 | 32,8 15,3/0,400|1,071| 56,2) 11,4| 4,4|44 Id.; Ci sparsi Ma 15.22| 32,3] 23,3/0,394|1,043| 54,4| 15,2] 2,3|18| sereno » ” 16.22] 22,7| 17,7|0,362|0,878| 53,8] 15,3) 2,6|20 Id. 23M 9.22| 32,6| 19,6/0,396/1,052| 52,4| 11,4| 6,0|62 Id. TAR 11.22| 46,3 20,1(0,419|1,178| 52,2/13,5| 9,1|79 Id. LG 12.22| 48,3/ 24,2/0,414|1,152| 59;0|15,0| 9,8|77 Id. 29 » 9.21| 32,9] 20,1|0,358[0,860] 54,5]12,2| 7,976 Aureola intorno al @; cielo bianchiccio 30 » 12.21] 49,1| 20,0[0,424]|1,206| 45,5] 18,3]: 7,952 Id. e Ci vicini al ® » ” 15.21] 38,2] 28,0[/0,413|1,149| 44,9] 20,8). 4,5|/25 Id. » » 16.21] 23,6| 24,1[/0,385|0,996| 44,9| 20,6 4,0/23| Veli intorno al @ sl ” 9.21] 33,5| 19,0|0,409/1,121| 49,6] 12,2) 4,2/41| Aureola intorno al @; cielo bianchiccio o 12.21] 49,5|20,4|0,420[1,184| 49,6|14,8] 7,0|57| Cu e Ci vicini al © — 569. — MopENA 1902 Giorno Ora | 4 | 6 Annotazioni re |oo]s|e]:]o[s]e]e|:| o csseesioni 55,7|922,1| 8,0|39| Sereno 55;5| 29,9] 7,7|37 Id. 58;4| 238,0] 7,3/39 Id. 58,0 19,2] 8,2/50 Id. 57,9|19,4| 6,8|42 Id. 56,1| 20,6| 5,5|30 Id. » » 11.15| 55,0| 23,1/0,429|1,237; ” ” 12.15| 57,5| 30,5/0,425|1,217 D) ” 15.15| 39,8| 30,5/0,397|1,063 25 » 11.14| 56,0] 20,0/0,425|1,212 » ” 12.14| 58,5] 22,4/0,434|1,266 » ” 15.14| 40,5] 23,5/0,418|1,174 81 marzo 15. 21 33) 5| 25,3/0,409 1,125| 49,1|15,8| 5,6/42| @ bianchiccio ” ” 16.21] 23,9] 28,4/0,391 1,030| 49,1|16,2| 5,2|38 Id. 1 aprile 9.20] 33,8| 18,0|0,370 0,918| 52,7| 11,8] 6,3|63| Ci-S all’orizzonte, cielo bianchiccio ” ” 15.20| 33,8] 22,4/0 405.1, ,104| 52,4| 17,2) 4,631] Sereno » ” 16.20| 24,2 20,0/0,8871, 006] 52,1| 17,8) 4,8/33 Id. ” » 17.20| 13,8| 21,3|0,346 0,804 592,0172 4,5|81 Id. » 17.19] 14,6] 28,7/0, ‘3190 684| 52,6| 19,6) 8,1|48| @ libero; cielo bianchiccio O) 9.19| 35,3 18,40,3810, ,973| 53,6|15,8| 9,7|47| Ci sparsi; @ libero 7 » 9.19| 35,6| 18,0 0,401/1. 077| 50,2|16,8| 9,1|64| Ci-Cu in vicinanza del @ ” D) 11.19| 49,9] 21,3/0 ‘430 ,242| 50,3|18,0| 3,1|19| Sereno; nebbia all'orizzonte ” ” 12.19| 52,1| 28,5|0,436|1,280| 50,3|19,5| 2,5|15| © libero; Cu a sud » 9.18] 35,91 18,0/0,395 1,046| 58,6|11,6| 5,8|57| Cu in vicinanza al @ 9 ” 9.18] 36,2) 16,6(0,414|1,148|] 58,9|12,2| 4,4|41| Sereno ” ” 11.18| 50,6| 17,0/0,424/1,204| 58,7|12,7| 3,8|35 Id. ” ” 12.18] 52,9) 25,1|0,422 1,198| 58,6) 14,0| 3,6/29 Id. » » 15.18| 36,2] 24,4/0,405|1,103| 57,7|15,0| 4,0|32| Ci-Cu vaganti; aureola intorno al @ ” ” 16.18] 26,4 21,0/0,381|0,974| 57,1|15,1| 3,9/32| Aureola intorno al @ ” ” 17.18] 15,9| 22,910,333/0,745| 57,0| 15,0| 4,0|33 Id. 4» 9.16] 36,6 22,0.0,406|1,108| 52,8) 18,0 8,7|56| Sereno ” ”» 11.16 52,4) 20,4/0,379/0,964| 52,8| 19,2] 9,1|55 Id. 19.» 9.16|39,0| 22,5/0,389/1,016| 58,5|17,8| 9,1|62| Aureola intorno al ®@ ”» » 15.16| 39,0| 28,3/0,403|1,093| 57,9| 20,3] 5,2/29 Id. 200000; 11.15| 54,4| 25,0/0,424|1,209| 60,6) 18,8| 6,642} Sereno ” » 12.15| 56,8) 30,0/0,426|1,223| 60,5] 20,2) 6,3|39 Id. ” ” 15.15| 39,3) 26,3/0,409|1,126| 59,6| 21,8| 5,6|30| Ci-S all'orizzonte; © libero ” ” 16.15| 29,2) 25,310,397(1,060| 59,6) 21,8| 4,8|26| Cielo bianchiccio ” ” 17.15| 18,7) 23,5/0,351/0,828| 59,7|2I,3| 5,2/28 TOl 2» 9.15|89,5| 23,7/0,397|1,059| 60,6 21,2] 8,0|43| Sereno ” ” 11.15| 54,7 23,5(0,414|1,152| 60,0 21,6| 8,1|43 Id. 210: E, 12.15] 56,1) 30,1/0,418/1,178| 59,8|22,0| 7,036 Id. DI E 15.15| 39,5) 26,4|0,399/1,071| 58,3| 23,2| 6,3|30| Ci intorno al @ 22 ” 9.15| 39,8! 25,4/0,409|1,125| 55,9|19,6| 8,0|47| Aureola rossastra intorno al ® RenpIcoNTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 70 Giorno 25 aprile ” » 1 maggio » » 2 ” 1 4 » 24 ” »” » ”» ” 26 ” ” ” n» ” 28 ” ” ” 29 ” » b}} ” » » » n ” 2 giugno ” »n »” ” » 15 » 18 »” n» n» 19 ”» »” » ” n» » ” » » ” n ” » n » 21 ” — 566 — MopENA 1902 Oral kh | è i | QI LEO Annotazioni io | 16.14| 30,4| 23,7/0,394|1,043| 55,7|20,6| 6,4/35| Sereno 17.14| 19,8] 23,8/0,357/0,857| 55,6| 20,4| 6,0|37 Id. 11.13] 57,8] 16,2/0,415|1,153] 51,0| 15,2] 4,1/33| Cielo biancastro 12.13| 60,4| 18,2/0,415|1,154| 50,7|16,2| 4,0|29 Id. 12.13] 60,7|19,5|0,428|1,228| 45,8| 18,1) 6,4/40| Aureola intorno al @; cielo bianchiccio 11.13] 61,1|19,8|0,433]|1,258| 49,8| 16,4] 4,8/35| Sereno 9.13] 46,0] 19,0/0,429|1,234| 62,3) 15,4| 5,9[45 Id. 12.13] 66,1] 23,5|0,398|1,064| 62,4| 16,9 4,6/32| @ libero; Cu in vicinanza 17.13| 24,9] 21,0/0,388/1,010| 61,6) 18,4| 3,9/25| Aureola intorno al @; Cu vaganti 11.13] 63,4| 18,5/0,426|1,217] 59,7| 20,3] 7,0|39| Cielo bianchiccio; Cu all’orizzonte 12.13] 66,5] 20,5|0,427|1,224| 59,5| 21,2 5,631 Id. 15.13] 46,3| 26,2/0,407|1,114| 58,1|23,0| 6,2|29| Sereno intorno al @; Cu all'orizzonte 9.13} 46,5] 20,0/0,387]|1,005| 58,0| 21,0| 10,5|57| Cielo bianchiccio 12.13] 66,8| 29,0/0,389/1,020| 57,5] 23,2] 10,4|48 Id. 9.13] 46,6| 27,5|0,412|1,142] 58,31 23,2} 7,435] Sereno 11.13] 63,8| 26,0/0,419|1,181| 58,3] 23,9] 7,8|34 Id. 12.13| 66,9| 30,2]0,424|1,212| 58,3] 24,38] 6,8/32 Id. 15.13] 46,6] 29,6|0,403/1,094| 57,5] 25,2] 6,8|29 Id. 16.13| 36,1| 27,0/0,386|1,003 57,3] 25,2| 6,928 Id. 9.14] 47,0] 28,5/0,405]|1,105| 57,4) 20,2] 12,269} Qualche velo intorno al @ 11.14] 64,5| 26,0[0,403|1,092| 56,0| 26,1| 9,4|38| Aureola intorno al ®@; cielo biancastro 12.14| 67,6] 27,5|0,406/1,110| 55,9|27,0| 9,4[/86! Cielo biancastro; caligo all'orizzonte 15.14| 47,1| 28,5[0,382/0,983| 54,7/27,8) 9,1|32| © fra Ci rarissimi 9.16 47,7 25,0|0,400|1,076| 52,4|20,0| 7,5|43| Sereno: aureola intorno al @ 12.17| 68,8] 22,8/0,400|1,075| 52,4|22,3| 7,1|36| Ci in vicinanza al ® 15.17| 47,8] 24,0[0,408/1,119| 51,7|23,4| 4,6/21 Id. 9.17| 47,8] 24,5[0,415]1,158] 53,4| 28,2) 6,3|30] Sereno 10.17] 57,6] 23,5/0,421/1,191| 53,4|22,7| 5,5/27 Id. 11.17) 65,5] 27,6/0,422]|1,199| 53,3|23,0| 5,2/25 Id. 12.17| 68,8| 28,8|0,426|1,2283] 52,9|23,7| 5,4/25 Id. 14.17 57,6| 26,5/0,421|1,198| 52,0] 25,0] 5,1/22 Id. 15.17| 47,8] 28,4|0,408|1,121| 51,7|25,4| 5,6/23 Id. 16.17] 37,3] 27,6/0,396|1,055| 51,2|25,6| 6,1|24| Leggera aureola intorno al © 17.17] 26,6] 28,0/0,371|0,927| 50,8| 25,2] 6,4|27 Id. e qualche Ci sparso 14.17] 57,7) 25,2/0,410/1,131| 53,9| 21,6] 8,6/45| Leggera aureola intorno al @® 15.17] 47,8] 25,7/0,413]1,148| 53,9] 22,8] 8,2/40 Id. 16.17] 37,3] 23,0/0,403|1,091| 53,8|24,0| 8,2/37| Sereno 17.17] 26,6] 26,0/0,391/1,029| 53,3|24,0| 7,936 Id. LI — MopENA 1902 Giorno Ora| % | 6 i Q | Base | Annotazioni 22 giugno 9.18 478 26,1/0,405|1,104| 57,9] 23,2|10,3/49| Aureola intorno al @; Ci e S sparsi » ” 12.18| 68,8| 25,5/0,417|1,169| 58,6 24,8] 9,6|42 Id. e Cu prossimi al @ » D) 15.18] 47,8] 29,6/0,407|1,116) 58,1| 25,6) 7,7/32| @ libero; Cu in vicinanza » ” 16.18| 37,3| 27,0|0,398|1,066] 57,7| 25,7| 6,5|27| Sereno » ” 17,18] 26,6| 28,3/0,378|0,962| 57,4| 25,7] 6,527 Id. 25 » 12.19] 68,7| 32,3|0,426|1,223| 54,9 23,7] 9,946] Aureola intorno al @; cielo bianchiccio 28 ” 9.19] 47,7) 30,3|0,393|1,040| 63,2) 24,0] 10,1|46| Sereno » ” 10.19| 57,5| 28,5/0,418|1,148| 63,2] 24,6| 9,7|43 Leggera aureola intorno al @); cielo bianchiccio » ” 11.19| 65,4) 27,4/0,415|1,157| 63,2 24,1] 9,041 Id. 29 ” 9.19) 47,7] 26,5/0,379|0,965| 61,2] 24,2|.9,7/43| Aureola intorno al @; cielo bianchiccio » ” 10.19] 57,5) 27 5|0,415/1,158| 60,9) 25,2) 8,8/36| Qualche raro Ci intorno al @ 30 D) 9.19] 47,7| 31,8/0,378/0,962| 59,0 26,2] 9,1/36| Aureola intorno al @ » ” 11.19) 65,8) 29,7|0,386/1,002| 58,7| 26,2) 8,8/35 Id. ” ” 12.19] 68,5| 29,0/0,389/1,018| 58,6| 26,5| 8,3/33 Id. 1 luglio 9.20| 47,6 30,1/0,398/1,066| 56,3| 27,4| 10,539 Sereno; leggera aureola attorno al @ D) ” 10.20| 57,4| 28,5|0,413|1,148| 56,1| 27,9] 10,4|37 Id. » » 11.20| 65,2| 20,50,416]|1,165] 55,8) 27,9) 10,1|36 Id. » D) 12.20) 68,5| 30,4/0,418/1,176| 55,8) 28,3] 10,5/37 Id. e cielo biancastro » ” 13.20| 65,2] 32.5/0,416|1,166| 54,9) 29,8| 10,1|32 Id. ” ” 14.20) 57,4| 32,5/0,416|1,166| 54,6| 29,6] 9,3'30 Id. Dj ” 15.20| 47,6] 37,5 0,897 |1,064| 54,3| 30,4| 9,7/30 IGR ” ” 16.20) 37,1| 34,6/0,382/0,984| 54,2) 30,6| 9,8)30 Id. ” ” 17.20) 26,5| 33,5|0,361/0,878| 53,5| 31,0] 10,0|30 Id. 2 ” 9.20) 47,6] 29,0|0,413/1,148| 52,8| 27,6| 11,1/40| Sereno ” ” 10.20| 57,4| 30,3/0,418|1,176| 52,8) 27,81 9,737 Id. » ” 11.20| 65,2) 28,610,4231,203| 52,8) 28,8| 8,8/33 Id. ” ” 12.20) 68,4| 31,6/0,423]|1,205| 52,6) 29,5| 8,6/29 Id. D) ” 13.20| 65,2 33,0/0,421|1,195| 52,2) 30,7| 8,3/27 Id.; qualche Cu all’orizzonte sud ” E) 14.20| 57,4| 33,6/0,412/1,144| 52,0) 30,5| 8,3|27 Leggera aureola attorno al @); cielo bianchiccio ” » 15.20| 47,6 34,0/0,402/1,090) 51,5 30,4| 9,4|29 Id. ” ” 16.20) 37,1| 34,5/0,386/1,005| 51,4| 30,6| 9,429 Id. ” ” 17.20) 26,4) 32,5/0,369/0,918| 51,2/ 30,6] 8,4|26 Id. 3 ” 8.20] 37,0) 26,8/0,408|1,091|56,4|24,3| 11,852) Sereno » » 9.20) 47,5| 29,5|0,415|1,159| 56,8) 26,2] 11,646 Id. ” ” 10.20] 57,8) 29,0[0,429/1,238| 57,0) 26,2) 10,3|41 Id. » ” 11.20] 65,1] 29,5|0,429|1,288| 57,2| 26.0] 10,040] @ libero; Cu sparsi ” » 15.20] 47,5| 31,5|0,413/1,149| 57,3) 26,8] 10,0/38 Id. ” ” 16.20] 37,0| 32,4|0,402|1,089| 57,3| 26,8| 11,4|45 Id. — 5608 — Fisica. — Sv di un nuova apparecchio per la misura asso- luta dell'attrito interno dei gas. Nota del dott. S. CHELLA, pre- sentata dal Corrispondente A. BATTELLI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sopra la preparazione di composti del carbonio con due doppi legami consecutivi. Nota di ARRIGO MAZZUCCHELLI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Si sa che in chimica organica sono assai rari i composti con due doppi legami consecutivi, secondo lo schema U_U che può chiamarsi a//erico dal nome del rappresentante più semplice di questo tipo, l’allene C3 H,. E ciò per la difficoltà che vi è a stabilire il secondo legame non saturo, perchè questo tende a formarsi nello stesso luogo del primo, dando luogo a derivati acetilenici, ogni volta che ve ne sia la possibilità strutturistica; mentre d'altronde non è neppure facile trovare condizioni di formazione tali, che la produzione di isomeri acetilenici sia assolutamente esclusa. I derivati allenici presentano tuttavia un interesse speciale, oltre che per la singolarità del legame in essi contenuto, anche pel fatto che quelli del tipo ANDA la a DT e tanto più i derivati di sostituzione ulteriore devono esser capaci di pre- sentare casi di stereoisomeria, come è stato da un pezzo preveduto teorica- mente dal van't Hoff, ma non mai finora sperimentalmente verificato (v. La- gerung...., 2° Aufl., 75). Peraltro uno studio di carattere generale su questi composti non è stato finora intrapreso, ove se ne eccettui il lavoro di Ipatieff sull'idrocarburi al- lenici (Journ. prakt. Chem., 59, 517). Qualche anno fa Zelinski e Doro- schewski proponendosi appunto di studiare la speciale isomeria dei derivati allenici cominciarono a pubblicare un interessante lavoro sull’acido allente- tracarbonico (Ber. 27, 3374); ma a questo non hanno fatto seguito ulteriori comunicazioni. — 569 — Consigliato ad occuparmi della preparazione di simili composti dal prof. Nasini, che mi è grato ringraziare anche qui della. ospitalità accorda- tami nel suo laboratorio, iniziai qualche anno fa dei tentativi da cui è ri- sultata la poca tendenza che vi è alla formazione del legame allenico, e che perciò non credo inutile di pubblicare, intendendo tornare ancora sull’ar- gomento. A differenza di altri sperimentatori, che han preparato derivati allenici per isomerizzazione di acetilenici (Faworski, Ipatieft) o per copulazione di residui malonici (acido allentetracarbonico di Z. e D., acido allentricarbo- nico [ Goldschmiedt e Knòpfer, Monatsh., /7, 508]) si tentò di stabilire il secondo legame accanto ad un primo già esistente, agendo su composti del tipo R, hi, )en—cci=c[ Ro Rs i quali, se la eliminazione di HCl decorre normalmente, non possono portare che a derivati allenici. Il migliore materiale per un simile studio è fornito forse dai derivati alkilici dell'acido acetondicarbonico, preparati dal Pechmann, i quali trat- tati con pentacloruro di fosforo danno derivati dell'acido cloroglutaconico, stabilendosi già durante la clorurazione un primo legame etilenico (Petrenko Kritschenko ed Ephrussi, L. Ann., 289, 52), ad es. Et .CO Nomore CH; \C;H; Tutto dunque si ridurrebbe a cercare di stabilire anche il secondo doppio legame. Ma deve dirsi subito che questa, che pare cosa facile a prima vista, presenta invece, nella pratica, difficoltà per ora non superabili. L’atomo di cloro non è attaccato affatto, o se lo è, non si elimina direttamente, ma va al suo luogo un ossidrile con riformazione del primitivo derivato acetondi- carbonico, oppure questo, per azioni più energiche, soggiace alla scissione acida o chetonica. Ecco quanto da me si è fatto sperimentalmente. Si preparò dall’acido citrico l'acido acetondicarbonico, da questo l'etere etilico, da questo il deri- vato dietilsostituito seguendo i processi descritti con tanta precisione dal Pechmann. Da gr. 375 di ac. citrico si ottennero gr. 241 circa di aceton- dicarbonico, da questo gr. 125 di etere; il derivato dietilico fu frazionato tre volte, la prima tra 195° e 220° a 13 cm., la seconda. tra .195-217° a 12 cm., la terza tra 205-210° a 8-7. cm., ottenendo. così gr. 67 di com- posto la cui purezza risulta dalle seguenti analisi: — 570 — Gr. 0,2032 diedero 0,1585 H.0 e 0,4522 C0,. Gr. 0,2212 diedero 0,1738 H.0 e 0,4907 CO... Trovato Calcolato per C.3 Ha: 05 II C 60,69 60,48 60,46 H 8,66 8,72 8,99 Questo etere dietilacetondicarbonico fu clorurato con PC]; (una prova fatta mostrò che qui come in tanti altri casi il P Cl: non serve affatto) scal- dandolo a ricadere a bh. m. per 8 ore con un po’ più della quantità calco- lata di pentacloruro, poi gettando l'olio risultante in acqua fredda, lavandolo due o tre volte ancora con acqua, poi con soluzione di soda per eliminare interamente gli acidi, poi ancora con acqua (per gli ultimi trattamenti si trovò conveniente riprendere l'olio con etere etilico) infine essiccando su Ca Cl, e distillando l’etere. I rendimenti furono i seguenti: da gr. 23 ottenni gr. 22, poi da gr. 25, gr. 23,6, poi da gr. 17,4 gr. 15, cioè in media 92 °/, in va- lore assoluto. All’analisi si ebbero i risultati seguenti: Gr. 0,2943 (bruciati con spirale di argento) diedero 0,2039 H:0 e 0,5983 CO... Gr. 0,3185 (ossidati con acido nitrico) diedero 0,1692 Ag CI. Gr. 0,1753 (altra preparazione) diedero 0,1263 H.0 e 0,3584 C0;. Trovato di Calcolato per C,3 Hz, O4C1 CO 557. 55,74 56,42 H 7,69 8,00 7,60 Cl 13,13 — 12,83 L'eccesso di cloro e il difetto di carbonio si spiegano col fatto, già 0os- servato da Petrenko-Kritschenko, che una parte del PC]; agisce come clo- rurante, trasformandosi in PCl;; infatti si potè dimostrare la presenza di PO3H; nelle acque di lavaggio del prodotto greggio. Si tentò quindi purificare questo etere dietilcloroglutaconico per frazio- namento; ma questo non riesce bene. Operando a 27 mm. di pressione il termometro sale in modo continuo da 160° a 170°; inoltre ogni volta si ha formazione di HCl e di prodotti volatili a odore cloroformico, e ciò che passa si colora un po' in giallo, onde non conviene insistere colla distillazione. Anche quel certo frazionamento che pure si ha lasciando indietro le ultime porzioni non giova a migliorare il prodotto, come lo mostra questa analisi: Gr. 0,2952 diedero 0,1985 H,0 e 0,5991 CO.; onde per cento C 55,85; Hoizi45: Si usò quindi l'etere dietilcloroglutaconico così com'era. I primi tentativi furono diretti a prepararne l'acido libero per eliminare poi da questo HCI, analogamente a quanto fece il Pechmann per l'acido glu- — 571 — tinico ('); e si cominciò dal provare la potassa alcoolica, la quale accanto al- l’azione saponificante possedendo la declorurante, oltre che al sale dell’acido dietilcloroglutaconico, a seconda delle condizioni di reazione poteva condurre alla formazione dell'etere dietilallendicarbonico o magari del dietilallendi- carbonato potassico addirittura. Di conseguenza si estesero le indagini tanto ai sali che si precipitavano insolubili durante il decorso della reazione quanto a ciò che restava nel liquido alcoolico. Si usò soluzione diluita di potassa in alcool assoluto, a freddo e alla ebollizione, e concentrata, solo a freddo. L'alcali diluito, e cioè 75 cc. di soluzione al 3,50 °/, v. contro 3,1 gr. di etere (ciò che corrisponde circa a 4 molecole contro una) saponifica a freddo in modo incompleto, anche dopo tre giorni di azione: si ha un precipitato contenente carbonato, cloruro, e il sale di un acido estraibile con etere dalla soluzione acidulata con H»S0,, che cristallizza in aghi raggiati, fonde a 105°, e fu trovato identico coll’acido etilmalonico che si ottenne in quantità maggiore nella preparazione seguente. Bollendo poi il liquido soprastante per terminare la saponificazione, si de- pone soprattutto carbonato alcalino, mentre nella soluzione restano resine non ulteriormente lavorabili. La potassa alcoolica concentrata (92 ce. all'11 °/,r. contro 12 gr. di prodotto, corrispondenti ancora a 4 molecole contro una) agisce più vivamente, tanto che nella prima mescolanza si ha un certo innalzamento di tempera- tura. Dopo quattro giorni fu raccolto il precipitato formatosi, che conteneva carbonato e cloruro potassico, lavato bene con alcool, poi sciolto in acqua aci- dulata, ed estratto con etere. L'estratto etereo fu essiccato su Ca Cl,, poi eliminatone l'etere a bassa temperatura restando circa 0,3 gr. di un acido in cristalli raggiati, facilmente solubile in acqua, che fondeva inalterato a 105-110°, su lamina di platino si volatilizzava senza carbonizzarsi, con odore di burro rancido. Ne fu fatta una combustione : Gr. 0,1542 diedero 0,0887 H.0 e 0,2626 CO.. Trovato °/ Calcolato per Cs Hs 04 OC 46,44 45,4 H 6,39 6,1 Dai numeri risulterebbe trattarsi di acido etilmalonico, per cui si cal- colano le percentuali soprariportate, e che fonde a 111°; le discrepanze che sì osservano nei valori trovati, come anche il punto di fusione un po’ basso, si spiegano colla presenza di un po’ di acido butirrico, che contiene C °/, 54,5; H 9,1. Questi due acidi devono essersi formati per scissione acida del deri- (1) Ber. 20, (145-149). —- 2 — vato dietilacetondicarbonico rigeneratosi per azione della potassa sul dietil- cloroglutaconico, secondo l'equazione 700:H CO:H-CH-CO-CH-CO.H + H,0 = C;H;-C0.H + CH [GO C.H; C.H; CH; Quanto al liquido alcoolico esso fu diluito con acqua, l'olio così sepa- rato raccolto con etere, questo essiccato ed eliminato poi per distillazione, restando una sostanza oleosa, abbastanza volatile anche a b. m., contenente appena piccole quantità di cloro, e che restava quasi inalterata bollita a ri- cadere per circa due ore con una soluzione di Na HO; nel liquido acquoso colla reazione dell’ iodoformio si potè riscontrare alcool. Vi era dunque un poco di etere etilico dell'acido dietileloroglutaconico o d'altro. Una combustione diede questi risultati : Gr. 0,3567 diedero 0,3134 H,0 e 0,8537 CO... Trovato °/ Calcolato per C7H140 65:54 73,61 H 9,75 12,28 Le proprietà neutre della sostanza fan supporre trattarsi di propilche- tone, per cui si calcolerebbero i numeri soprariportati. Le percentuali troppo basse dipendono probabilmente dalla presenza di un po’ di etere dietilace- tondicarbonico o dietileloroglutaconico inalterato. 1l propilchetone si deve es- sere formato per idrolisi dell'etere dietilacetondicarbonico, prodottosi a sua volta a spese del diacetilcloroglutaconico. Poichè la potassa in alcool etilico sembra agire troppo energicamente, distruggendo l'ossatura della molecola, o non agire affatto, se ne provò la soluzione in alcool metilico. Gr. 4,5 di etere dietilcloroglutaconico furono trattati con 90 cc. di potassa metilica, al 2,385 °/, cc., a temperatura ordinaria. Entro pochi minuti si formò un precipitato bianco cristallino costituito es- senzialmente di KCl; poco dopo la soluzione venne diluita con acqua, e l’olio che così si rese insolubile fu raccolto con etere, essiccato e, dopo elimina- zione dell'etere, analizzato. Gr. 0,2070 diedero 0,1618 H,0 e 0,4599 CO,, corrispondenti a C °/ 60,60 e H 8,68. Inoltre conteneva cloro in quantità non indifferente. Si vede così che l’azione della potassa metilica fu realmente più blanda, poichè consistè so- pratutto in una eliminazione di HCl, ma le percentuali mostrano che si ri- tornò così, per sostituzione al Cl di OH, all'etere dietilacetondicarbonico. I numeri anzi corrisponderebbero quasi perfettamente a quelli calcolati per — 978 — questo composto, ma tale coincidenza deve ritenersi casuale, poichè la pre- senza del cloro mostra che ci era ancora del composto cloroglutaconico, e forse anche del dipropilchetone, di cui non potè tentarsi la separazione per frazionamento a causa delle piccole quantità di sostanza ottenute. Visto così che le saponificazioni in mezzo alcoolico non davano risultato soddisfacente, si tentò la saponificazione in soluzione acquosa, nelle condi- zioni in cui Ceresole riuscì a preparare l'acido dall’etere acetilacetico, che pure ha tanta tendenza a subire la idrolisi acida e la chetonica ('). Gr. 4 di etere dietileloroglutaconico si posero a reagire con 100 cc. di potassa acquosa al 2,6 °/, cc., agitando frequentemente; dopo tre giorni si interruppe l’azione: erano rimasti circa 0,6 gr. di sostanza indisciolta. Il liquido acquoso fu aci- dulato con H,S0,, esaurito con etere, questo essiccato su Ca Cl,, poi elimi- nato nel vuoto a temper. ordinaria, restando così circa 2 gr. di un olio denso, poco solubile in acqua, a reazione acida, che diede all'analisi i seguenti risultati : Gr. 0,1569 diedero 0,0888 H.0 e 0,2845 CO.. Gr. 0,6370 arroventati con calce viva diedero poi 0,2412 AgCI1. Trovato Calcol. per Cs H,3 0, C1 Calcol. per Cs H140; C 49,40 48,97 03,45 H 6,30 5,92 6,93 CI 9,41 16,08 —_ Questa volta, come si vede, la saponificazione fu più regolare, e si ot- tenne realmente un acido dicarbonico; dai numeri analitici però risulterebbe che non era dietilcloroglutaconico puro, ma conteneva circa 2/5 di acido die- tilacetondicarbonico, come si vede dalle percentuali dei due acidi, che sono sopra riportate. Anche qui dunque per l’azione prolungata della potassa, resa necessaria dalla lenta saponificazione dell'etere, si era sostituito una parte del cloro coll'ossidrile. Del resto la presenza di un chetoacido era indicata anche dal colore rosso-sangue che la soluzione dava con cloruro ferrico. Questo acido così ottenuto fu sottoposto al trattamento con potassa al- coolica nelle condizioni in cui Pechmann preparò con successo l’acido glu- tinico. Gr. 1,10 sciolti in poco alcool assoluto furono aggiunti a 20,6 cc. di potassa alcoolica al 4,06 °/, cc. (cioè una molecola contro tre di alcali) alla temperatura di 55° che si mantenne per 5 o 6 minuti. Si formò gradual- mente una certa quantità di precipitato, che fu subito separato per filtra- zione, lavato con alcool, sciolto in acqua acidulata ed estratto con etere: conteneva carbonato potassico e una quantità notevole di cloruro, e dalla so- luzione eterea si depose per evaporazione una piccola quantità di sostanza (1) Ber., /5, 1327, RenpICcONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. all — 574 — in cristalli raggiati, che fu identificata per acido etilmalonico dal punto di fusione 110°, dalla stabilità al calore, dall'odore di acido butirrico che emet- teva nel volatilizzarsi. Perciò, nonostante le precauzioni prese, contempora- neamente all’eliminazione di HCl aveva avuto luogo la scissione acida. Si tentò anche di saponificare l'etere al di fuori dell'influenza, ricono- sciuta così nociva, degli alcali, bollendo con HCl concentrato, come appunto fece il Pechmann per un omologo dell’attuale, per l'etere cloroglutaconico; e gr. 4,1 di etere furono bolliti con 68 gr. di HCl fumante per 3 ore, poi dopo aggiunta di altri 12 gr. di HCl per altre 7 ore, senza risultati sod- disfacenti. Infatti più della metà dell'etere (gr. 2,5) era rimasta inalterata, e concentrando la soluzione cloridrica si ottenne accanto a molte resine solo poco acido dietilacetondicarbonico, riconosciuto, fra altro, alla sua reazione con cloruro ferrico. Coll’etere che aveva resistito al trattamento con HCl si provò il trat- tamento con PCI, a temperatura elevata per vedere se così si avesse una cloroanidride del dietilcloroglutaconico (come ciò ha luogo ad es. nel caso dell'etere acetilacetico e suoi alkilderivati) (') sebbene ciò apparisse poco pro- babile, dato quanto ha osservato Petrenko Kritschenko nel caso dell'etere tetrametilacetondicarbonico. Effettivamente a temperature sopra 100° non si ebbe azione, fino che avendo spinto poi la temperatura oltre 150° si osservò una parziale carbonizzazione. Rinunciando allora alla saponificazione, si tentarono altre vie per cui si potesse eliminare direttamente HCl dall'etere dietileloroglutaconico. Il Volhard (*) potè eliminare HCr in modo quasi quantitativo dall’etere bromosuccinico scaldandolo con acetato sodico e carbonato di calcio. Analo- gamente nel caso attuale gr. 9,4 di etere dietilcloroglutaconico furono scal- dati con gr. 5,8 di acetato sodico secco e 2,7 di carbonato di calcio prima a 97°, poi, vedendo che non reagivano, a 130° per un'ora, poi, essendosi ri- scontrata ancora quantità notevole di cloro nell'etere, di nuovo a 130° per un'ora e mezzo. Si estrasse così dalla massa un olio, che fornì all’analisi i seguenti risultati: Gr. 0,2245 diedero 0,1536 H,0 e 0,4791 CO.; cioè su cento 0 58,22; H 7,60. Gr. 0,6216 arroventati con calce diedero 0,1269 Ag CI, e in cento Cl 5,05. Queste percentuali se non concordano bene con quelle di nessuno dei composti che si possono formare di una simile reazione, sembrano però ac- cennare con sufficiente chiarezza ad un miscuglio di etere dietilclorogluta- conico inalterato con etere dietilacetondicarbonico riformatosi secondo il so- (1) Isbert, L. Ann, 234 (181-198). (3) L, Ann, 242, 160. — 575 — lito meccanismo, mentre resterebbe esclusa la presenza di etere dietilallen- dicarbonico in quantità sensibili. Le percentuali rispettive sono infatti queste: Etere dietilcloroglutaconico . . . © 56,42 H 7,60 » dietilacetondicarbonico. . . » 60,46 » 8,58 » dietilallendicarbonico . . . » 65,00 » 8,93 Si provò allora se poteva aversi una eliminazione di cloro più completa, e con risultati più vicini ai desiderati, operando a temperatura più alta. Gr. 5,6 vennero scaldati con eccesso di acetato sodico (peso uguale) e car- bonato calcico a 155° per due ore. Come risultato si ebbe formazione di una certa quantità di resine insolubili, inoltre l'olio estrattone con etere aveva assunto una colorazione bruna, segno che si cominciava a passare il limite di stabilità di quei composti, senza ottenere nessun vantaggio in riguardo all'eliminazione di cloro, che fu trovato ancora presente in quantità notevole. Da tutto questo risulta che non è possibile passare dall’etere dietilelo- roglutaconico a un derivato allenico, a causa delle azioni secondarie che ac- compagnano sempre la eliminazione di HCI. Per vedere se a sorte il processo sì compiesse più regolarmente sostituendo al cloro l’jodio, si tentò preparare il derivato jodurato, bollendo 15 gr. di etere dietilcloroglutanico con 10 gr. di KJ in 100 ce. di alcool assoluto per 9 ore, poi dopo aggiunta di altri 3 gr. di KJ per altre 9 ore. Per diluizione con acqua, scoloramento con iposolfito sodico ed estrazione con etere si ebbe un olio che fornì i seguenti risultati analitici: Gr. 0,2081 diedero 0,1496 H,0 e 0,4333 CO,. Gr. 0,7528 arroventati con calce viva diedero 0,2237 tra joduro e cloruro di argento, contenenti 0,1538 Ag. Trovato °/: C 56,80 H 7,98 Cl 7,24 JR2ZIODE Si vede cioè che solo una ben piccola parte aveva subìto la sostituzione Jodurata, mentre una parte si era, al solito, trasformata in etere dietilace- tondicarbonico. Ad ogni modo, si fecero su questo miscuglio i soliti saggi, trattando 3,04 gr. a freddo con 75 cc. di potassa metilica al 2,11 °/, ce. Si ebbe così una separazione di parte del cloro, e di tutto l’jodio, ma il risultato non fu molto migliore; perchè sì ritornò soprattutto all'etere die- tilacetondicarbonico. E ad analoghi risultati sì giunse scaldando gr. 2,8 di etere con 1,7 di acetato sodico alla temperatura di 140°. In queste ultime prove, attesa la piccola quantità di prodotti su cui si lavorava, si ricercò la presenza di composti non saturi allenici basandosi soprattutto sulla pro- prietà, che ad essi non doveva mancare, di scolorare l’acqua di bromo, ad- dizionando questo. E del resto questo saggio fu fatto anche in tutti i ten- tativi precedenti, dove si poteva ricorrere pure al controllo della analisi quantitativa. — 576 — Se ora ci facciamo a indagare i motivi per cui, nonostante la molte- plicità degli espedienti tentati, la reazione non decorre mai nel seuso vo- luto, troviamo che probabilmente due sono le cause che determinano questo risultato. Da una parte vi è quell'insieme d'influenze, ancora non molto chiarite nel loro meccanismo, che il Bischoff ha riunite nella sua teoria delle collisioni, e che consistono in una diminuzione della reagibilità di certe fun- zioni chimiche coll'aumentare della complessità sterica, 0, più genericamente parlando, del peso molecolare dei gruppi alkilici ad essi vicini. Così Pe- trenko-Kritschenko ed Ephrussi hanno provato che appunto negli eteri ace- tondicarbonici la reagibilità rispetto al pentacloruro di fosforo e alla fenil- idrazina va diminuendo coll’aumentare della sostituzione alkilica. E questo spiegherebbe la difficile eliminazione del cloro e la stentata saponificazione. D'altra parte occorre considerare quella instabilità del legame allenico a cui già altri chimici hanno accennato (Pechmann, Faworski), ricordando in par- ticolare la facilità con cui l'etere allentetracarbonico forma prodotti di ad- dizione ossidrilati con rottura di uno dei doppi legami. Nessuna meraviglia quindi che nel caso attuale, quando finalmente ha luogo la eliminazione del cloro, sì verifichi contemporaneamente una sostituzione di ossidrile. E una volta riformatosi così il gruppo chetonico questo può facilmente soggiacere alla scissione idrolitica. Peraltro non si vede bene come si potrebbe eliminare questi ostacoli senza esporsi, per esempio, alla formazione di isomeri acetilenici. Forse potrà presentare probabilità di successo la introduzione di altri gruppi atomici, meno capaci di collisioni, intorno all'aggruppamento fondamentale: DOH Cc Patologia vegetale. — Intorno alla malattia del riso detta Brusone. Nota del dott. Uao BRIZI, presentata dal Corrispondente G. CUBONI. La causa che produce la malattia del riso detta brusone 0 carolo, così frequentemente dannoso, nonostante i numerosi studi di botanici ed agronomi, dal Garovaglio in poi, è ancora totalmente ignota poichè nessuna delle diverse teorie che attribuiscono la malattia, sia al parassitismo di varî fungilli o di bacteri, sia a disturbi per cause meteoriche avverse, ci dà piena ragione di tutte le sue manifestazioni, e nessuna ci ha finora indicato una via sicura per difendersene. Tra i caratteri che vengono comunemente dati come proprî del bru- sone pochissimi degli autori che l'hanno studiato hanno data importanza, salvo il Voglino, all'esame diligente del sistema radicale delle piante di riso ammalate. — 577 — Chi ha osservato attentamente i caratteri del brusone sa benissimo che, quando anche la malattia è ancora in stadio iniziale, e che il brusone attacca le piantine di riso precocemente, molto prima che emetta la spiga, le piante colpite si svellono facilmente senza sforzo, e che molte delle radici affastellate che costituiscono il sistema radicale del riso sono o imbrunite o annerite. Siccome talvolta, quando per lo meno l'infezione non sia molto pronunciata, mescolate alle radici imbrunite ve ne sono delle sane, e siccome e in generale le radici ammalate e fragili si rompono e restano perciò nel terreno, su questo carattere molti autori sorvolano completamente. Il carattere che presentano le piante brusonate di svellersi con. molta facilità, fu anche notato, e messo in chiaro per la sua costanza, dalla Com- missione ministeriale che nel 1891-93 studiò il brusone, la quale accennò alle « gravi alterazioni che si manifestano sulle radici che mostransi in via di decomposizione, cosicchè le piante, date per brusonate, si lasciano svellere senza offrire la dovuta resistenza, fatto che accennerebbe a disturbi fisiolo- gici di tutta la pianta » (Boll. Notiz. Agr., 1892, I, pag. 690). Analoga osservazione pure fece Montemartini, il quale riconobbe come caratteristica delle piante brusonate la facilità con cui si lasciano svellere per la rottura delle radici, le quali hanno i tessuti dissociati e privi d'amido. In tutti i casi di brusone tipico osservati nell’anno decorso, ho potuto riconoscere che, costantemente, qualche alterazione più o meno propunciata del sistema radicale sì accompagna al brusone fin dal suo primo manifestarsi sotto forma di carolo o brusone minore, quando cioè le foglie cominciano appena ad arrossare ed appassire. Quando poi la malattia raggiunge uno stadio più avanzato, che si manifestano le note macchie e gli altri segni di malattia sul culmo e che la pianta intera è stremenzita, allora le lesioni sulle radici, che molti autori ritengono soltanto manifestazioni o secondarie o accidentali, sono invece tanto gravi che al più leggero sforzo tutte le radici si rompono, e quelle che si lasciano estrarre non raggiungono una lunghezza poco superiore al decimetro. Io credo perciò che l'esame delle sole radici che restano attaccate alle piante brusonate che in tali condizioni si strap- pano dalla risaia, abbia potuto ingenerare un concetto non esatto delle even- tuali lesioni del sistema radicale, giacchè il riso approfondisce e diffonde molto le sue radici nel terreno e quando la pianta si svelle, la maggior parte e la più importante, fisiologicamente, del sistema radicale resta nel terreno. Anzichè svellere le piante caratteristicamente brusonate, ho cercato di toglierle con quanta più terra fosse possibile, scavando assai profondamente, in modo d'avere il sistema radicale, se non completo, almeno con radici intere lunghe fino ed oltre 60 centimetri. L'esame minuzioso dopo lavate e isolate accuratamente le radici delle piante brusonate, mi ha dimostrato che la massima parte delle radici pro- — 078 — fonde, e sopratutto le sottili estremità che fungono da organi assorbenti, pre- sentano manifesti e costanti segni di deperimento. Infatti le sottilissime radicelle, cominciando da quelle aventi un dia- metro di mm. 0,25, fino a quelle di mm. 0,50, sono imbrunite od anne- rite, il che ho osservato non avviene invece mai nelle numerosissime piante di riso perfettamente sane e normali esaminate per controllo, e nelle località più disparate. Questo carattere è stato sempre di una costanza veramente impressionante su tutte le piante esaminate. L'esame microscopico rigoroso, con la tecnica odierna, ha in tutti i casi dimostrato : che le radicelle le quali si presentano così imbrunite hanno le pareti cellulari alterate ed in inizio di disorganizzazione che ne modifica profon- damente le proprietà fisiche, che non si ritrova nell'interno dei tessuti mai traccia di parassiti animali, nè di filamenti miceliari, nè di bacteri, o di altri microrganismi, almeno nello stadio descritto, cioè all’inizio della ma- lattia. I caratteri del contenuto cellulare, sopratutto delle cellule epidermiche e del cilindretto centrale delle radicelle, dimostrano gravi disturbi fisiologici; il citoplasma è più o meno scollato dalla membrana e imbrunito, non sempre però con i caratteri di vera plasmolisi perchè manca la contrazione caratte- ristica, almeno nell’'inizio; il nucleo è frammentato o scompare completa- mente; spesso nei casì più gravi di deperimento, e nelle radicelle già dive- nute nere, l’intero citoplasma è coartato e ridotto a una massolina amorfa, generalmente eccentrica. Questi caratteri di sofferenza meritano a parer mio una attenta consì- derazione. La presenza di radicelle così sofferenti e senza alcun dubbio non funzionanti, in un numero spesso grande, talvolta grandissimo anche nelle piante in cui s'inizia appena lo sviluppo del brusone, è carattere, ripeto, costante. Per conseguenza queste lesioni che finiscono col distruggere intera- mente le radicelle, la quale distruzione o perdita di funzionalità di estende poi man mano anche alle radici di maggior diametro, ragionevolmente la- sciano adito a credere che da tale distruzione possano appunto iniziarsi le sofferenze o i disturbi fisiologici che danno origine prima al brusone. Il fatto è innegabile, quantunque non osservato a dovere o messo in dubbio dai più, e chiunque abbia soltanto un poco di pazienza, può ripetere e controllare le osservazioni e convincersi della importanza di questo fatto. È indubitabile dedurre da ciò che, se alle piante di riso, o nell’inizio dello sviluppo, od anche al momento della fioritura, venga sottratto al nor- male funzionamento un numero più o meno grande di radicelle assorbenti, le piante stesse non possano non risentire grave danno, quando anche sì tengano presenti due considerazioni di fondamentale importanza. La prima che la pianta di riso, esigentissima, ha necessità di sfruttare un gran volume di terreno, al che infatti la pianta provvede con uno sviluppo molto grande della superficie assorbente. — 579 — La seconda poi che non è punto vero, come molti sostengono, che il riso, essendo pianta acquatica possa assorbire oltre che dalle sottili radicelle estreme che funzionano da organi assorbenti, essendo rari o mancanti i peli, anche dalle radici più grosse. Infatti, a parte che il riso è pianta palustre e non acquatica e che perciò può vivere benissimo e prosperare anche a secco, essa ha le stesse esigenze delle piante terrestri e assorbe allo stesso modo di queste, e non ha davvero, come le piante nettamente acquatiche, il sistema radicale ridotto, ma invece abbondanti radici affastellate, lunghis- sime, numerose, molto ramificate e diffuse profondamente nel suolo. Occorre poi tener conto che le radici del riso non possono assorbire l’acqua, coi sali minerali necessarî, se non dalle radicelle molto sottili e non superiori almeno a mm. 0,25 di diametro, poichè, come è noto, le radicelle di diametro appena superiore hanno le pareti esteriori delle cellule epidermiche già cutinizzate, quindi quasi impermeabili all'acqua 0, per lo meno, rese assolutamente im- proprie alla estrinsecazione dei complicati fenomeni osmotici. Stabilito questo fatto importante, per rendermi possibilmente conto della origine delle lesioni che ho riscontrate costantemente nelle radicelle del riso brusonato ho tentate numerose esperienze di laboratorio, alcune delle quali, che qui descrivo, mi hanno permesso di rilevare in proposito un fatto che credo abbia una certa importanza. Raccolsi verso i primi di giugno molte piantine di riso perfettamente sane e ancora assai poco sviluppate, in una risaia di secondo anno, sita in un appezzamento che si mantenne poi, durante tutto l’anno, senza manife- stare traccie di brusone. Queste piantine furono poste in laboratorio a vege- tare in vasi di vetro a tappo forato, nel modo solito ad usarsi nelle culture in soluzioni acquose, colle radici immerse in una soluzione nutritiva com- pleta [Ca(NO:)., gr. 0,50; MgS0,, gr. 0,50; KH3PO,, gr. 0,50; Fe, traccie; per 1000 gr. di acqua distillata ]. Tutte le piantine così tenute, alla temperatura del laboratorio (18°-25°) continuarono nei giorni successivi a svilupparsi benissimo senza dare alcun segno di sofferenza, senza presentare foglie appassite o macchiate o traccia alcuna di malattia ; le radici presero un notevole sviluppo ramificandosi abbon- dantemente e producendo innumerevoli sottilissime radicelle. Dopo circa otto giorni rinnovai la soluzione nutritizia a tutte le piante in esperimento ma, per alcune di esse, il liquido stesso prima di essere usato, fu sottoposto ad una ebullizione prolungata, per circa venti minuti, in modo da togliere completamente l’aria disciolta nel liquido. Cessata l’ebullizione, con il liquido ancora bollente, furono riempiti alcuni dei vasi chiudendoli ermeticamente. Appena raffreddato il liquido alla temperatura dell'ambiente vi posi di nuovo le piantine di riso, con le solite precauzioni, assicurandomi però che il tappo forato chiudesse ermeticamente entrando nel collo del vaso — 1580 — stesso sino a toccare la superficie del liquido. La chiusura ermetica fu com- pletata lutando i vasi con paraffina e collodion. In tal modo il liquido nutri- tizio privato colla ebullizione dell’aria disciolta, non trovandosi in facile con- tatto con nuova aria, si manteneva a lungo desaerato completamente. Le piante poste in tali condizioni, da non avere ossigeno sciolto a disposizione delle radici o per lo meno averne in quantità estremamente piccola, furono tenute a tutte condizioni perfettamente pari delle altre piante, alle quali la soluzione nutritizia fu rinnovata senza preventiva ebullizione. Poche ore dopo l'inizio dello esperimento, alcune delle più sottili radici delle piantine di riso immerse nel liquido nutritizio desaerato cominciarono a perdere il loro colore bianco argentino facendosi lentamente di colore bruno sopratuttto verso le estremità. L’imbrunimento continuò lento e progressivo successivamente il giorno dopo, estendendosi per lunghi tratti, su molte radi- celle e manifestandosi poi a poco a poco nei giorni successivi su quasi tutte le sottilissime radici a diametro non superiore a ?/» millimetro, le quali finirono poi, più o meno rapidamente, col diventare quasi tutte di un colore nerastro. La parte aerea delle piante sottoposte all'esperienza fino al terzo giorno non diede manifesti segni di sofferenza conservando anzi un bel colore verde, ma nei giorni successivi le foglie, sopratutto le inferiori, poi man mano tutte le altre, si coprirono di macchie giallastre che diventarono subito di color rosso vivo, mentre frattanto era facile seguire nelle piante sperimentate il procedere dei sintomi di sofferenza e di disorganizzazione, oltre che delle radici più sottili, a mano a mano anche di quelle di diametro maggiore. Tra il 10° e il 12° giorno le piante intere erano già più o meno completamente stre- menzite e disseccate, dopo aver tentato di resistere ai gravi disturbi deri- vanti dalla progressiva perdita di funzionalità del sistema radicale, emettendo delle radici avventizie aeree al disotto della guaina del primo internodio. Evidentemente, non può sorger dubbio che i caratteri di sofferenza e la morte delle sottili radici siano dovute a fenomeni di asfissia per mancanza di ossigeno, giacchè in nessuna delle altre piante tenute per controllo a pari condizioni, ma nelle quali il liquido nutritizio non fu desaerato nel modo sopradetto, si manifestò, neppure inizialmente, un simile fenomeno, giacchè nessuna radice imbrunì, ma invece conservarono tutte il caratteristico colore bianco-argenteo; neppure la parte aerea manifestò alcun sintomo di sofferenza nè subito nè in seguito, e le piante crebbero benissimo sino ad emettere la spiga. Queste esperienze, per quanto non prima eseguite per il riso, in linea generale, non insegnano cose nuove, perchè la dimostrazione sperimentale che le radici muoiono in un ambiente privo di ossigeno, si ha fino dalle classiche ricerche di Déherain, Vesque, Bonnier e Mangin, Van Tieghem, ecc. Ciò che invece è singolarmente importante, a parer mio, è la perfetta e impressionante analogia che si riscontra tra le lesioni che si manifestano sulle radici sottoposte alle descritte esperienze in ambiente privo o quasi di ossigeno, con quelle che costantemente si rinvengono sulle piante colpite da brusone. — 581 — Infatti l'esame delle sottili radici delle piante sperimentate, mostra carat- teri macroscopici e microscopici che collimano perfettamente con quelli de- scritti per le piante brusonate. La parete delle cellule epidermiche si mostra imbrunita, il citoplasma in parte scollato, profondamente alterato, in causa probabilmente di fenomeni di respirazione intramolecolare, il nucleo frammen- tato e quasi scomparso ecc., e molte altre particolarità di struttura che de- scriverò poi ampiamente in un lavoro futuro. Affinchè poi i risultati dell'esperienza fossero meglio controllati, quantun- que non sarebbe stato strettamente necessario per il fatto accennato, che le piante tenute in condizioni rigorosamente uguali per controllo, non presenta- rono affatto i fenomeni d'asfissia descritti, ho ripetute le medesime prove con piante di riso, non raccolte direttamente in risaia, ma nate invece da seme e ottenute facendo germinare il risone in termostato a 25°. I risultati furono identici al caso precedente poichè solo nelle piantine con le radici immerse nel liquido desaerato, si notò, salvo leggere modalità e differenze, costantemente, come nel primo esperimento, l’imbrunimento pro- gressivo delle radici, seguito poi da sintomi più o meno rapidi e gravi di sofferenza nella parte aerea e sopratutto nelle foglie, che arrossavano all'apice o ai bordi, assumendo verz e propri caratteri di piante brusonate. Spingendo poi l'esperimento un po’ più a lungo, dopo pochi giorni tutte le radicelle fini- vano con l’imbrunire, mentre l'intera pianta anch'essa disseccandosi moriva. Nessun dubbio, come nel caso precedente, che effettivamente trattisi d'asfissia delle radici giacchè un'esperienza di controllo assai semplice lo con- fermò poi anche meglio. Infatti, se in taluna delle piante in esperimento questo si interrompa quando i caratteri di imbrunimento delle sottili radici appena si iniziano, facendo gorgogliare attraverso il liquido nutritizio mediante un aspiratore, per un certo tempo una corrente d'aria, le radici già imbrunite finiscono col morire, ma le altre continuano ad essere perfettamente normali, nuove radicelle si riproducono rapidamente e la pianta non accentua più oltre i sintomi di sofferenza nelle foglie e si sviluppa, anche in seguito, normalmente. Da queste poche esperienze non credo di poter senz'altro stabilire che causa del brusone sia l'asfissia delle radici, ma, data la costanza delle lesioni riscontrate nelle radicelle delle piante brusonate, la loro perfetta analogia anche anatomicamente e istologicamente con quelle delle radicelle asfissiate, dato un grandissimo numero di osservazioni, che qui non posso neppure bre- vemente riassumere (') che, dimostrando insostenibile la teoria parassitaria, (1) La relazione completa degli studii eseguiti sul Brusone nel 1904, è in corso di stampa nell’Annuario della Istituzione Agraria Dott. A. Ponti, presso la R. Scuola Superiore di Agricoltura di Milano, alla quale Istituzione debbo, principalmente, i mezzi necessarii per compiere le presenti ricerche. Vi concorsero anche la Società Agraria di Lombardia e il Ministero dell'Agricoltura. A tutti mi è grato tributare doverosi ringraziamenti. U. B. RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 72 — 582 — appoggerebbero questo modo di vedere, dati i molti fatti relativi allo svilup- parsi e all'andamento della malattia, inesplicabili e controversi finora, che troverebbero così una probabile spiegazione, ne deriva una ipotesi molto ra- gionevole e logica, che le successive ricerche spero confermeranno, che cioè una parte importante o predominante nello insorgere dei disturbi che deter- minano o preparano la via al brusone, possa avere la eventuale mancanza o deficienza di ossigeno a disposizione delle radici assorbenti. Fisiopatologia-chirurgica. — Sull’evoluzione della sensibilità nelle plastiche e negli innesti. Nota di Gurpo LERDA, presentata dal Socio A. Mosso. Se lo studio del comportamento della funzione sensoriale nei processi di cicatrizzazione per seconda intenzione (*), non è privo d'interesse specialmente nei riguardi della fisiopatologia, più interessante ancora esso riesce in quelle artificiali riparazioni dei tegumenti, che la chirurgia può conseguire mediante le plastiche e gli innesti. Nel caso di innesti — cutanei, o dermo-epidermici — si ha infatti un elemento nuovo; la questione che riguarda la sorte delle terminazioni ner- vose esistenti nel pezzo innestato. E questo fatto assume ancora una maggiore importanza nel caso di pla- stiche all'italiana, in cui non solo le terminazioni nervose vengono ad essere trapiantate, ma interi filuzzi nervosi, colle terminazioni che ne dipendono. Anche quest'argomento è stato assai poco studiato, e le conclusioni degli autori sono spesso contradditorie. È Xx x Y Per gli innesti dermo-epidermici alla Thiersch non mancano accuratis- simi studî istologici, ma, nel maggior numero dei casi, gli autori hanno concentrato la loro attenzione sul comportarsi dell'epitelio e delle fibre ela- stiche, senza occuparsi affatto delle fibre nervose. Sulla sensibilità delle zone ricoperte da innesti dermo-epidermici alla Thiersch s' intrattiene incidentalmente il Goldmann (?), che, studiando la sorte dei lembi trapiantati, istituì pure ricerche sul ristabilimento della sen- (*) V. Lerda, Sulla evoluzione della sensibilità nelle cicatrici, Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, fasc. 9°, 1° sem. 1905. (®) Goldmann, Veber das Schicksal der nach Verfahren von Thiersch verpfianzten Hautstiucke, Beitrage zur klin. Chir., Tuùbingen, 1894, B. XI, H. 1. site ct — 583 — sibilità tattile, termica e dolorifica, e la vide ritornare dopo alcuni mesi, in linea generale dagli orli della ferita, talora in punti isolati che poi conflui- vano. Egli anche istologicamente potè talora osservare delle fibre nervose, ma soggiunge però di aver sperimentato, a questo riguardo, su di un mate- riale troppo scarso per poter giungere a conclusioni definitive. Forgue (') dice di sfuggita che la sensibilità ci mette molto tempo a ritornare. Durante (*) afferma che « la rigenerazione del tessuto nervoso termi- nale sensitivo sul pezzo innestato manca affatto, o avviene in stretti limiti, per cui, toccandolo, l'individuo che lo porta lo percepisce come un corpo estraneo ». Riguardo poi agli innesti cutanei alla Krause traggo dal Marchand (*) le seguenti osservazioni. Krause dice che la sensibilità vi si stabilisce tardi e viene essenzialmente dalle parti laterali, per cui al centro il tatto può mancare anche per anni. Wagner la trovò in parte ritornata agli orli dopo 6-8 settimane. Braun dopo 11 mesi e mezzo trovò che la sensibilità era minore di quella delle parti circostanti. Ollier dopo quattro anni e mezzo constatò il ritorno completo della sensibilità. Finalmente Stransky osservò la successiva propagazione della sensibilità dai margini, e più specialmente il successivo procedere, prima della sensibilità tattile, poi della dolorifica e termica. Sul comportamento della sensibilità nei lembi autoplastici si ha un antico lavoro di Friedberg (‘), in cui questi riporta l'osservazione clinica di Bardeleben che in una rinoplastica in seconda giornata, pungendo sul naso vide localizzare il dolore vicino al naso, e riporta pure l'osservazione anatomica di Busch e Weber di un filuzzo nervoso staccatosi dal sottorbitale ed inner- vante un lembo rinoplastico frontale, ciò che contrasterebbe colla osserva» zione di Jobert, che, in un’altra rinoplastica, non potè osservare che i nervi circostanti fossero entrati nel nuovo naso. Friedberg poscia studia tre casì di rinoplastica (metodo Langebeck) e ne conclude che solo agli orli si ha dapprima la giusta localizzazione delle percezioni, poi questa va estenden- dosi, entro anni; che il ritorno della sensibilità si ha tanto meglio, quanto più rapida è stata la guarigione; e che si direbbe che i varì filuzzi nervosi funzionano ciascuno per conto suo (5). (*) Forgue, Za technique des greffes de Thiersch, Sem. Med. 1899, pag. 243. (2) Durante, op. cit. pag. 171. (*) Marchand, Der Process der Wundheilung mit Einfluss der Transplantation, Stutt- gart. 1901, Enke, pag. 420. (4) Friedberg, Weber die Innervation der durch Ueberpfianzung gebildeten Nase, Virchow's Archiv. Vol. XVI, 1858, pag. 540. (5) Vedi anche: V. Enri, Veder die Raumwahrnehmungen des Tastsinnes. 1898, pag. lol e seg., e pag. 203. — 584 — Recentemente poi Vaschide e Vurpaz (') riferirono di aver trovato, in un caso di autoplastica con pelle dell'addome, conservata la sensibilità tat- tile, algesica, la localizzazione e la reazione vasomotrice per abbassamenti di temperatura. * x x Avendo avuto occasione di osservare e seguire un certo numero di questi artificiali processi di riparazione, non mancai di studiarli dal punto di vista psico-fisiologico, cogli stessi criterî che mi avevano guidato allo studio del- l'evoluzione della sensibilità nelle cicatrici pure e semplici. * Xx Riguardo agli innesti alla Thiersch, potei osservarne quindici casì di cui due praticati col metodo classico, previo raschiamento delle granulazioni, gli altri adagiando semplicemente i lembi dermo-epidermici sul tessuto di granulazione, metodo da lungo tempo praticato, con ottimi risultati, dal prof. Isnardi. In generale essi si comportano come le cicatrici, sia per il modo di procedere della sensibilità, sia per il suo progressivo perfezionarsi: anche la dissociazione della sensibilità si presenta frequentemente, e talora anche più evidentemente che nelle cicatrici. Però in parecchi casì in cui potei osser- vare accoppiati i due processi di riparazione, spontanea e per innesti, ebbi a notare che il tessuto di cicatrice si fa sensibile più rapidamente che non quello innestato. Negli innesti fatti lasciando le granulazioni, questo fatto sì presenta con evidenza maggiore che in quelli in cui le granulazioni erano state raschiate: in questi casi inoltre potei notare più frequentemente il for- marsi di aree isolate di sensibilità, indipendentemente dai bordi della ferita. Non sarebbe difficile il cercare le probabili ragioni di questi fatti, ma si dovrebbe restare sul campo delle ipotesi, per cui preferisco attenermi alla semplice constatazione dei fatti. Del resto, l’avanzarsi della sensibilità dai bordi resta sempre la regola; ed in un caso di innesti multipli praticati da sei anni in seguito a flem- mone del braccio, potei osservare in tre delle cicatrici da innesti — larghe quasi 4 cm. per 6 di lunghezza — la sensibilità tattile, dolorifica e termica ugualmente sviluppate, sebbene alquanto più ottuse che non nelle parti cir- costanti; nella quarta, più ampia — cm. 6 per 9 — c'era una zona cen- trale in cui, pure esistendo un discreto grado di sensibilità tattile (4 g/mm), ‘sì aveva quasi completa anestesia termica e dolorifica. Quest’ ultima poi era TO) Vaschide et Vurpaz, Recherches sur. la physiologie de la peau dans un cas d’autoplastie, Sem. Med. 1903, pag. 13, e C. R. de l’Acad. des Sciences de» Paris; 15 janv. 1903. — 5859 — evidente in un caso di ampia superficie innestata da due anni e mezzo, in cui si aveva tuttavia un discreto grado di sensibilità tattile e termica. * x x Ho poi avuto ancora occasione di esaminare due casì di plastica all’ita- liana: l'una, datante da quattro anni, presa dal polpaccio per ricoprire una larga breccia traumatica del collo del piede; l’altra, datante da due anni e mezzo, era stata praticata in un caso di grave trauma alla faccia dorsale dell'avambraccio: la perdita di sostanza venne colmata mediante un ponte cutaneo dissecato dalla faccia anteriore del tronco, sotto al quale si infilò, come in un manicotto, l’avambraccio leso; i due peduncoli vennero sezionati successivamente in ottava e dodicesima giornata. In ambi i casi la perdita di sostanza risultante dall’ operazione venne colmata da innesti, cosicchè io potei stabilire il confronto tra i due processi di riparazione. Tale confronto fu sempre a tutto vantaggio delle plastiche; nelle quali, eccezion fatta per qualche piccola zona isolata, trovai sempre una sensibilità poco o nulla in- feriore a quella delle regioni corrispondenti, e una buona localizzazione delle varie specie di sensazioni; mentre gli innesti corrispondenti restavano in loro confronto evidentemente inferiori. Io non ho potuto seguire nella loro evoluzione queste plastiche, ma sa- rebbe certo interessante il seguirle, ed indagare per qual meccanismo si.abbia il restauro della sensibilità: se cioè si abbia la degenerazione delle fibre nervose preesistenti, con successive rigenerazioni di nuove fibre e termina- zioni sensoriali; 0 se piuttosto non si debbano verificare anastomosi tra i fasci nervosi del lembo anaplastico, e quelli del tessuto basale della ferita, sufficienti a permettere un certo grado di funzione. Certo si è che nei due casì osservati io non potei osservare una differenza di sensibilità tra gli orli del lembo anaplastico e le sue parti centrali. * Xx x* Ma quelle che più presto e meglio riacquistano il loro potere sensitivo sono le plastiche per torsione, e più ancora quelle per scorrimento. Delle prime esaminai tre casi: uno preso dal collo per riparare ad una perdita di sostanza consecutiva all'escisione d'un cancro della guancia, l'altro dal fronte per coprire un'orbita svuotata per sarcoma, il terzo dalla guancia per una escisione di cancro del labbro inferiore. In tutti potei osservare che le.zone centrali e le più prossime al peduncolo conservano la normale sensibilità, mentre gli orli restano talora per qualche tempo come stupefatti, e vanno in seguito riacquistando la loro sensibilità, sia dalla parte centrale che dalla . pelle circostante, ritornando ben presto al loro stato normale. Così pure, la localizzazione che nei primi tempi tende manifestamente a portarsi. verso l'antica. sede, ritorna presto ad essere normalmente precisa. — 586 — Riguardo poi alle plastiche per scorrimento, di cui osservai 6 casi, esse in genere non perdono la loro sensibilità, e in poco tempo localizzano per- fettamente le percezioni. * x x Dall'assieme dei fatti osservati si potrebbe adunque concludere che: 1° Negli innesti dermo-epidermici alla Thiersch la sensibilità si rista- bilisce in modo essenzialmente analogo a quello che abbiamo osservato per i processi di cicatrizzazione per seconda intenzione: dapprima insensibili, essi vanno di poi assumendo la sensibilità quasi esclusivamente dai bordi della ferita; anche qui si può spesso riscontrare quella dissociazione della sensibilità che abbiamo osservato nelle cicatrici; anche qui è constatabile, nel processo del tempo, un successivo perfezionarsi delle sensibilità specifiche. 2° In confronto delle cicatrici, gli innesti riacquistano più tardi la sensibilità, per lo meno di tanto quanto essi hanno abbreviato il periodo di cicatrizzazione. 3° Nei processi autoplastici la localizzazione della sensibilità sì fa buona e corretta in un tempo relativamente più breve. 4° Dal lato della sensibilità funzionale, fra tutti i processi di ripa- razione, le plastiche per scorrimento e per torsione, ed anche quelle all’ita- liana, offrono più rapidamente e meglio un buon grado di sensibilità. Patologia. — Sui feromeni di temporaneo scompenso funzio- nale nel decorso del gozzo endemico. Nota del dott. Lurcr Mu- NARON, presentata dal Socio B. GRASSI. Da un triennio — poichè da tal tempo ho l'onore di collaborare col pro- fessore Grassi intorno alle ricerche dirette a precisare la causa del gozzo e del cretinismo endemici — durante i lunghissimi soggiorni in Valle d'Aosta e in Valtellina, necessari a presenziare gli esperimenti, i rapporti fra lo sviluppo e le vicende del gozzo endemico, e lo stato di salute individuale, avevano già attratta la mia attenzione. L'argomento, appena adombrato nelle ricerche degli autori, appariva di grande interesse quale complemento necessario dei nostri studi, e le prime indagini ne chiarirono infatti subito la importanza. Pur sussistendo, in generale, il fatto che nelle regioni dove regna l'en- demia in un grandissimo numero di individui, l'evoluzione organica non subisce apparenti deviazioni dal normale e i danni apportati dal gozzo non vanno oltre alle conseguenze che eventualmente possono derivare dalle alte- rate condizioni meccaniche, pure era ragionevole il dubbio che in certi casi —————_———_—_—-_c — 587 — l'affezione locale, più o meno intensa, dato l'elevato còmpito della ghiandola, potesse dar luogo a fenomeni imputabili a variazioni nella attività funzio- nale di essa. Circoscritto così il campo e il fine della ricerca, per tradurla in atto, conveniva rispondere a due domande: in primo luogo, quali fenomeni si po- tevano interpretare come espressione della alterata funzionalità della ghian- dola; in secondo luogo, come si poteva provare che in determinati casì, la interpretazione data al fenomeno morboso era esatta. Rispetto al primo obiettivo, le diverse opinioni che corrono intorno alla funzione della tiroide, non porgevano una guida che si potesse considerare sicura; nè pareva agevole poter distinguere nelle manifestazioni della mor- bilità delle località affette dalla endemia, qualche sintomo proprio, specifi- camente differente da quelli, che abitualmente sì riscontrano nei luoghi in- denni, per quanto una lunga pratica professionale esercitata in questi, potesse essermi di aiuto nella comparazione. Mi parve però, che la indagine potesse essere resa più facile, e i fatti risaltare con maggiore chiarezza ed evidenza, durante quei periodi della vita, nei quali la tiroide per consenso comune si trova nella sua maggiore attività, e in quelle fasi, quando si svolgono funzioni intercorrenti, delle quali è notoria la grande influenza che esercitano su di essa. Al primo ordine di fatti appartiene il periodo di crescenza; al secondo appartengono la mestruazione e la gravidanza. Quanto alla prova di controllo, le conoscenze attuali permettevano di usufruire soltanto dei preparati della ghiandola stessa, conforme alle recenti applicazioni della opoterapia. Sia nella valle d'Aosta che in Valtellina, ebbi il campo aperto a nu- merosissime indagini in tale direzione; e mi preme di avvertire subito che il fine di portare qualche luce che, direttamente o indirettamente, giovasse alle nostre ricerche, dava a tali indagini il carattere più squisitamente obiet- tivo. Si trattava adunque in effetto, di verificare se nelle predette circostanze alcuni fatti morbosi fossero riferibili a variazioni nella funzione della tiroide; delle osservazioni fatte accenno qui sommariamente i risultati. 1. Primo oggetto di osservazione furono tre fanciulli fra il decimo e l'undecimo anno di età, appartenenti a famiglie diverse, e nati da genitori gozzuti ma sani nel senso del tipo costituzionale del luogo. In paragone del- l’età i tre fanciulli presentavano uno sviluppo minore del consueto, sia in altezza, sia in espansione scheletrica. In tutte e tre sussistevano i dati anamnestici che dieci o undici mesi prima, con un più rapido sviluppo dei fenomeni locali del gozzo — il quale in tutti tre, era nel momento dell’ esame discreto, ma molle e uniforme — aveva coinciso uno stato generale di malessere, la pelle del volto si era fatta un po' gonfia, erano divenuti disamorati dello studio, un po’ apatici; e da — 588 — allora, avevano cessato di crescere, mentre prima la crescita era stata nor- male e progressiva. L'esame degli organi, nulla pose in evidenza di morboso: nè mi parve che la pelle avesse più il carattere, accennato specialmente da una delle madri, e che per l'opposto apparisse solo un po’ arida. È ovvio — lo dico subito, per la importanza della questione — che io aveva escluso, colla considerazione di tutti i dati qualunque dubbio, che i casì che avevo dinanzi agli occhi, appartenessero a forme che hanno una lontana parentela coi fatti del cretinismo; ero invece certo che ‘essi rappre- sentavano anche per la famiglia, il tipo medio sano della località. In luogo di ricorrere ai ferruginosi e ai ricostituenti in genere, come ne sarebbe stata l'indicazione, volli somministrare a piccole dosi la. tiroi- dina, e l'esito che ne ebbi fu così rapidamente soddisfacente, che in capo a un mese i fanciulli sì erano già rimessi nella condizione generale. Il migliora- mento continuò a progredire senza ulteriore somministrazione del rimedio e dopo alcuni mesi (sette circa) io poteva constatare che la crescenza procedeva normalmente, ciò che i genitori erano stati naturalmente i primi a rilevare. 2. Quattro ragazze, presentatesi in periodi diversi alla mia osservazione, dell'età circa fra i tredici e quattordici anni, normalmente sviluppate, e in precedenza, di. carattere piuttosto vivace, e delle quali i dati gentilizi erano simili a quelli dei tre fanciulli citati (e la scelta era stata fatta colle cautele già accennate), dopo essere state regolarmente mestruate circa un anno prima, avevano notato da alcuni mesi (3 o 4) un repentino aumento del gozzo preesistente. Veramente le madri accennavano che prima non c'era quasi traccia di gozzo, ma la pratica fatta in luogo mi lasciava nella con- vinzione opposta, ben sapendo per esami fatti, come meno in rarissimi casì, ed anzi vorrei dire eccezionali, l’ ingrossamento della tiroide sussiste sempre. Al notato repentino aumento del gozzo era seguito un certo deperimento generale, svogliatezza, e sospensione delle mestruazioni. Le apparenze delle giovani, erano quelle di un leggiero stato di clorosi. Le funzioni della digestione, meno attive del solito; il carattere era dive- nuto meno chiassoso e vivace; nessuna lesione organica però si rendeva manifesta all'esame. i Nessun risultato avevano raggiunto, la cura ferruginosa e le piccole mi- gliorie del vitto quotidiano; ricorsi anche in questi casi al trattamento con piccole dosi di tiroidina, e dopo un tempo che variò nelle singole pazienti, da trentacinque a cinquanta giorni, le mestruazioni ricomparvero normal- mente, lo stato generale migliorò rapidamente, e il. progresso del meglio continuò senza ulteriore intervento della cura. 3. Uno speciale caso di gravidanza ebbi occasione di osservare, e soltanto per breve tempo, abitando la paziente lontano. Era una giovane di 22 anni, ben costituita: per la prima volta gestante — 589 — — e nel principio del terzo mese — nella quale, dopo l’inizio della gravi- danza, il gozzo già prima discretamente sviluppato, era divenuto quasi mo- lesto, accompagnandosi l’ingrossamento a fatti di debolezza generale. To constatai. veramente, un gozzo discretamente voluminoso e un evi- dente cambiamento rapido in tutte le apparenze esteriori, che contrastava visibilmente colla solida struttura che aveva dinanzi a me e colla anteriore robustezza decantata dal marito. Somministrai anche in questo caso piccole dosi di tiroidina; rividi la paziente dopo venti giorni col gozzo ridotto e migliorata in modo assai no- tevole, tanto che il marito si profuse in ringraziamenti, ma disgraziatamente non potei seguirne ulteriormente la osservazione, perchè non si presentò più, nè mi venne fatto di rintracciarla. Però da ciò che avevo rilevato nella seconda visita e dal non essersi la paziente più recata da me rimasi per- suaso che i fatti morbosi non si dovevano essere più ripresentati. Accanto a questi fatti osservati colla maggiore accuratezza consentita dalle circostanze, i quali hanno contorni precisi, io potrei citare altre e numerose osservazioni, che se non possono assumere la consistenza di fatti, valgono però in questioni di questo genere a guidare e a raffermare la con- vinzione personale e contribuiscono, per la loro parte, alle brevi considerazioni intorno ad essi, che faccio seguire. Nelle ricerche cliniche, che mirano a nuove constatazioni di fatti, non è già la quantità che ne costituisca il maggior valore, poichè basta talvolta che un tipo morboso venga delimitato nelle sue linee generali, perchè gli os- servatori possano riconoscerlo e moltiplicarne gli esempi. È da vedere perciò se il numero anche scarso dei fatti esposti, permette di trarne qualche conclusione. Il rilievo delle note più caratteristiche di essi, dà adito a constatare: primo, che in tutti i casi il gozzo ha subìto, o repentinamente o molto solle- citamente, un aumento di volume cui seguì un peggioramento nella condizione generale dei pazienti — nei maschi un brusco interrompersi dello sviluppo fisico e nelle femmine la sospensione della mestruazione — secondo, che la somministrazione dei preparati di tiroide, ricondusse l'organismo nelle condi- zioni normali di sviluppo e di funzione; sono inoltre da notare la rapidità del miglioramento e la mancanza di qualsiasi altra cura. In cospetto di tali risultati, a me sembra che i fenomeni morbosi osservati e quelli che si presentano in casi consimili, certamente assai numerosi, debbano essere interpretati come effetto di un temporaneo scompenso funzionale avvenuto nella tiroide, già affetta da gozzo endemico. Noi sappiamo che il gozzo endemico si presenta come una modificazione di un organo nel quale si istituisce un processo di compensazione, sufficiente a ristabilire l'equilibrio fra la funzione e il tessuto incaricato di compierla, in guisa che non ne resta turbata la salute dell’ individuo. Ma noi sappiamo RenpicontTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 73 — 590 — anche del pari, che rispetto a qualche funzione, il bisogno fisiologico del- l'organismo può variare a seconda delle epoche; e che tutto fa ritenere, che la tiroide sia destinata ad esercitare in più larga misura la sua azione, specialmente nel periodo di crescenza, nella mestruazione, e nella gra- vidanza. Ora negli individui affetti da gozzo endemico, le condizioni sono meno favorevoli, perchè le necessità fisiologiche conseguano il loro adempimento; onde quando queste aumentino da parte dell'organismo, il terreno funzionale può in singoli casi non adeguatamente rispondere; conforme a ciò si isti- tuisce un comportamento speciale della morbilità delle regioni invase dalla endemia, del quale sono ancora troppo poco notati i fatti che lo rappre- sentano, confusi come furono, con affezioni comuni, non esattamente inter- pretate. Ma i fatti di temporaneo scompenso funzionale della tiroide e le consi- derazioni che precedono, possono anche illuminare una delle questioni più oscure, che abbiano connessione col gozzo. È noto che la comune opinione degli autori, benchè espressa in modi diversi, a seconda delle vedute personali, acconsente intorno al punto fonda- mentale, di ritenere unica la causa del gozzo e del cretinismo endemici. Il concetto di tale identità non poteva a meno di sorgere e di predomi- nare dato il modo di distribuzione delle due endemie — delle quali la più grave, il cretinismo coincide, ordinariamente colla intensificazione delle lesioni che sono in effetto inerenti alla endemia gozzigena —, malgrado che data la ignoranza della causa di questa, nessun fatto positivo venisse a convalidare siffatto modo di vedere. I nuovi fatti, le considerazioni precedenti, e il concetto della insuffi- cienza tiroidea e paratiroidea già acquisito alla scienza, possono condurre per altra via, a dare una diversa e forse più razionale interpretazione della pato- genesi del cretinismo. Del perchè nei siti di endemia gozzigena, dalle stesse madri, sia che conducano la vita nelle condizioni più miserabili, sia che vivano nell'agia- tezza, e senza apparente cambiamento nelle circostanze esteriori, nascano figli sani e figli cretini (per citare termini estremi), era grandemente difficile dare adeguata spiegazione. Se si voglia invece considerare che il cretinismo, in tutta la varietà delle sue forme e delle sue manifestazioni, e le lesioni mi- nori che costituiscono l'impronta speciale che l’endemia imprime alla orga- nizzazione, rappresentino gli effetti di diversi gradi di temporaneo scompenso nella funzione della tiroide materna — durante il periodo di gravidanza — molte oscurità si dileguano. Nulla vieta di ritenere che, sia nelle madri apparentemente sane, sia, con maggior ragione, in quelle che hanno già tratto dalla eredità, impronte più o meno gravi della endemia, tale stato di scompenso funzionale possa — 591 — avvenire, rimanendo nel sangue materno le sostanze di cui la tiroide sarebbe destinata a ridurre l'attività morbigena, ovvero mancando in maggiore o minor misura il prodotto specifico della funzione. Ognuno comprende come questa condizione anomala, pure insufficiente a' ledere gravemente la madre, possa alterare più o meno profondamente il prodotto del concepimento. Non diverrebbe dunque mixedematosa la madre, ma sì costituirebbero nel feto le anomalie del cretinismo; onde un nuovo concetto patogenico, sul quale in- tendo portare tutto il contributo che mi è possibile, di studî e di ulteriori osservazioni. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio CERRUTI presenta in omaggio all'Accademia un volume dal titolo: Lezioni di Geometria projettiva del prof. F. AmopEo, e ne parla. VAC: e ICI AD gti ‘Rlagd da 3 Publicazioni della R. Accademia dei Lincei.. Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIIT. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. TIT. (1875-76). Parte 1 TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, È storiche e filologiche. VOLE NEVE E VIE Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). 'MeMmoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — IL (1, 2). — HII-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. . MemorIE della (Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5® — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fase 10°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. (1892-1904). Fase. 9°-12°. . MemoRrir della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IV. Vol. V. Fasc. 1°-5°. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCRI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. f£®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : 3 Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoepri. — Milano, Pisa e Napoli. Tr $ À RENDICONTI — Maggio 1905. INDICE Classe di scienze fiSiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 maggio 1905. MEMORIE E NOTE DÌ SOCI O PRESENTATE DA SOCI % Bianchi. Sulle superficie deformate per fle&dione dell'iperboloide rotondo ad una falda. Pag. Castelnuovo. Sugli integrali semplici appattenenti ad una superficie irregolare . . . . » Righi. Sull'elettrizzazione prodotta dai raggi doleradio one sal Lauricella. Sulle equazioni della deformazione delle piastre io Quirico (pres. dal SOCIOMVO Nereo a e o Chistoni. Risultati pireliometrici an dall'ottobre 1901 al 3 luglio 1902 al R. Osserva- torio Geofisico di Modena (pres. dal Sadlo Blaserna) SATO D) Chella. Su di un nuovo apparecchio per la misura assoluta dell'attrito sia dl gas i dallCorrisp92C/C/0 ORC Lo Mazzucchelli. Sopra la preparazione di cotfbosti nr i con °° dop legali consecu- tivi (pres. dal Socio Paternò). . aa Brizi. Intorno alla malattia del riso detta dici o dal Cori Guia) Bee Lerda. Sull’evoluzione della sensibilità nelle Plastiche e negli innesti (pres. dal Socio Mosso). » Munaron. Sui fenomeni di temporaneo scompenso funzionale nel decorso del gozzo endemico (pres.ssidaliSocio. Grassi) REM eee e) I PRESENTAZIONE DI LIBRI x Cerruti. Fa omaggio all'Accademia di un volume del prof. Amodeo e ne parla . a) 591 (©) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 3 giugno 1905. N. 11. CU. DELLA REALE ACCADEMIA DBI LINCEI ANNO . CCCII. 195 SB U IENE UA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 giugno 1905. Volume XIV. — Fascicolo 11° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1905 LA SIR ‘LA \nstitutiay (è î ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE 1. Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazionedistinta per ciascuna delle due | Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze o fi- siche matematiche e naturali si pubblicano. re- golarmente due volte al mese; essi contengono | le Note ed i titoli delle Memorie presentate da | . Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono ‘un volume, ‘ due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci 0-Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine . di stampa. Le Note di estranei presentate da : Soci, che ne assumono la responsabilità, sono | portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni . 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 i agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è © i posta a suo carico. i 4.I Rendiconti non riproducono le'discus- . | sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- | demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso — parte, desiderano ne sia fatta menzione, ‘essi. sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta : stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro -priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com-. missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- . mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio: di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra-. ziamento all'autore. > d) Colla semplice pro-' posta dell'invio della Memoria agli Archivi. dell’ Accademia. I 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre cedente, la relazione è letta in seduta Dub ioaA nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame. al Ì data ricevuta con lettera, nella quale si avverte | che i manoscritti non vengono restituiti agli. autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 È dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au-. ‘tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se; estranei. La spesa di unnumero di copie in più. che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. | i TA RR RIONE RETE E CI sedtitni ni lucani RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. AAS<<-<—_—-- Seduta del 3 giugno 1905. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DIES IO [CURO BIRaEISE INVIA TIERRIDIARES OC Matematica. — Sugli integrali semplici appartenenti ad una superficie irregolare. Nota del Corrispondente G. CASTELNUOVO. 7. Una varietà algebrica, a p dimensioni, (4) Vee 0. la quale ammetta un gruppo oo”, G,,. di trasformazioni birazionali in sè, permutabili a due a due, può presentare certe particolarità notevoli, che è opportuno esaminare, prima di riprendere la questione che ci ha condotto ad introdurre quella varietà. In questa seconda Nota (*) noi faremo dunque astrazione dalla superficie /, da cui siamo partiti; e della V,, rappresentata dalla (4), ci basterà ricordare che, nelle ipotesi in cui ci siamo posti, essa possiede p integrali semplici, distinti, di prima specie U1($) wo(8), ..., Up($), l'inversione dei quali permette di esprimere le È mediante funzioni (abeliane) uniformi delle v; (n. 5). Ricordiamo inoltre che ogni trasformazione del gruppo G, è rappresentata dalle congruenze (8) del n. 6, che ora scriveremo sotto la forma (8') u(E)= wi) + i, (MZ) dove le 7; sono costanti, e le £, é" sono coordinate di due punti corrispondenti. (!) V. la prima Nota a pag. 545 di questi Rendiconti. RenpiconTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 74 — 594 — Supponiamo ora che il punto £ della V, vari sopra una curva, o super- ficie,..., o varietà algebrica a d

d dimen- sioni, Wa,, contenuta in V,. Qui si noti che tutti punti della Wa, soddi- sfanno, colle loro coordinate, alle (11), in virtù delle (8”). Ne viene che la dimensione d, non può superare g: sicchè d1), la detta scelta di integrali si può fare per la V',. Ritornando alla — 598 — V,, sì può affermare soltanto che, tra gl’ integrali semplici di prima specie di V,, si possono trovare g integrali distinti, 77duc/dili ad integrali con 2g periodi, ed altri p — 9 integrali, distinti tra loro e da quelli, che sono ridu- cibili ad integrali con 2(p —9) periodi (!). Matematica. — Sulle formole generali di addizione delle funzioni > di più argomenti. Nota del Corrispondente ALFREDO CAPELLI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Geologia. — / protetti di Leucotefrite nei Campi Mlegrei. Nota del Socio CARLO DE STEFANI. La presenza di rocce leucitiche nella regione vulcanica dei Campi Flegrei a ponente di Napoli è stata accennata assai raramente, quantunque tali rocce sieno così abbondanti al Somma e componenti esclusive al Vesuvio. Lo Scacchi ne indicò a S. Maria del Pianto e nel Monte di Procida, cioè nei due estremi opposti della regione Flegrea; il Roth ne trovò nel tufo giallo al Vomero e rispettivamente alla Torre Lupara presso Astroni; il La- croix in un frammento con le pomici e in un proiettile a Humboldtilite nel Colle dell’Imperatrice pure agli Astroni. Quale componente molto accessorio è indicata la Leucite da Riva e De Lorenzo nella trachite augitica sia olocristallina, sia ipocristallina degli Astroni. In realtà solo a nord dell’Averno, nel fondo Maglioni, sulla via di Cuma, in mezzo al tufo pomiceo, e con trachite augitica olocristallina, a due o tre riprese, trovasi una certa quantità di massi grandi al più circa 1 me., di Leucotefrite, trovata ed accennata primieramente da Abich, Hoffmann, Hum- boldt, non rivista da Rath e Guiscardi, nuovamente descritta da Kalkowski, poi anche ritrovata da De Lorenzo e da me. Altrove le rocce leucitiche sono soltanto in frammenti sporadici e rari, in proietti o talora in ghiaie; ma (1) L'aggettivo riducibile va inteso nel senso convenuto nella teoria degli integrali abeliani; esso esprime che, ad es., i 2p9 periodi dei g integrali nominati di V, sono combinazioni lineari, a coefficienti interi, dei 29? periodi relativi ai g integrali corrispon- denti di V/,; quei coefficienti non variano al variare dell’integrale che si considera tra i q di Vp, ma varia al variare del ciclo, cui si riferiscono i periodi di quell’integrale. Si veda, ad es., la Memoria del Poincaré sopra citata. — 599 — avendole trovate un poco dappertutto, oltre che nei luoghi già indicati, è certo che verranno fatti in seguito nuovi ritrovamenti. Lo Scacchi a S. Maria del Pianto indicò dei Leucitofiri. Manasse ha descritto alcuni esemplari di Leucotefrite mandatigli da me, raccolti in altre parti, verosimilmente dello stesso vulcano, cioè a S. Maria del Monte con altri proietti trachitici, sopra il tufo giallo e sotto un banco di pomici di trachite augitica, a S. Maria del Cavone in ghiaiette con altre rocce vul- caniche di svariatissima natura, nel tufo grigio sopra le pomici predette. I proietti di S. Maria al Monte hanno struttura olocristallina, granu- lare, microlitica, con tendenza talora a struttura fluidale; sono costituiti da microliti geminati talora con estinzioni ondulate di Labradorite acida vicina all'Andesina, Augite verde chiara in parte alterata, Magnetite in parte alterata in Ematite e Limonite, Leucite fresca, isotropa in grani o cristalli con le solite inclusioni. Accessorî sono granuli di Olivina, Apatite e forse Ferro titanato. Fra gl'inclusi è qualche raro cristallo di Labradorite basica. In qualche esemplare è della Sodalite, confermata dal saggio chimico. La per- centuale della silice è di 49,08 a 49,34. La Leucotefrite delle ghiaiette di S. Maria del Cavone ha la stessa costituzione, ma è alquanto più basica, avendo il 46,85 per 100 di silice. Procedendo verso ponente, nel tufo grigio del Vomero il Roth trovò Leucotefrite fonolitoide grigio-chiara con massa fondamentale di Sanidino e Augite, e inclusi di Magnetite, alquanto Plagioclasio e scarsa Leucite con corona di Augiti. Nel tufo giallo sopra la Breccia-Museo a Camaldoli ho trovato rari frammenti della stessa roccia, compatta, rossastra, con massa fondamentale parzialmente vetrosa, microliti di Sanidino con disposizione fluidale; miero- liti alquanto più allungati e sovente geminati di Labradorite, e raramente di Anortite; di Magnetite talora alterata in Ematite; di Augite verde. Fra gl'inelusi sono: Olivina accompagnata talora da Magnetite, verde, irregolar- mente screpolata, a superficie rugosa, a forte rilievo, a pleocroismo debole; Anortite rara; Leucite assai abbondante in cristalli idiomorfi quasi affatto trasparenti, con inclusioni vetrose e di Apatite disposte a zone periferiche; Augite. Roth raccolse a ponente della Torre Lupara che è nella parte setten- trionale del recinto degli Astroni, entro il tufo grigio, un frammento gra- nuloso costituito da microliti di un Plagioclasio, Leucite, Magnetite e forse Nefelina. Agli Astroni stessi, a destra del viottolo che venendo dalla Torre d’ In- gresso e traversata la strada rotabile va verso il Colle dell’ Imperatrice, il Lacroix notò, a contatto con delle pomici, un frammento di Leucotefrite con Leucite, Hauyna, grani di Augite gialla e lunghi cristalli di Augite verde-scura nella zona di contatto. — 600 — La Leucotefrite dell’Averno, secondo il Kalkowski manca di massa fon- damentale vetrosa, ed è costituita da un Plagioclasio, Augite, Magnetite, Leucite talora in cristalli isolati assai grandi, cosa che non si vede altrove nei Campi Flegrei, raramente Apatite, e secondo Hoffmann anche Olivina. Nel Monte di Cuma, nel tufo grigio fra la Trachite e le sovrastanti scorie ho trovato, fra altri, frammenti angolosi della Leucotefrite fonolitoide. Ha massa fondamentale scarsamente vetrosa, con abbondanti microliti di Sanidino, semplici o geminati, e poco meno di Anortite con estinzioni di + 22,30 a + 45 sull'allungamento, o di Labradorite. Abbondanti, ma meno assai de Feldspati, sono microliti di Augite basaltica con estinzione su (010) di 53° e sulle lamine di sfaldatura di 30° a 36°; che per dimensioni passano gradatamente agl’inclusi, aventi i medesimi caratteri: frequente è il piano di geminazione secondo (100); frequenti i geminati secondo (101), più frequenti secondo (122). I cubetti di Magnetite, mancante fra gl'in- clusi, sono pari in numero ai microliti di Augite. La Leucite forma gran parte della massa, con duplice generazione, cioè in grani o cristalli isolati o raggruppati, di minime dimensioni, ed in inclusi più grandi. Nel tufo giallo inferiore alla Punta di Pennata, nel cratere del Porto di Miseno con grandi pezzi di pomici, scorie, trachiti, takora certamente al- quanto ruzzolati, ho raccolto pure scarsamente la stessa Leucotefrite fono- litoide, compatta, cerulea, un po’ cariata, alquanto alterata, con abbondanti cristallini di Leucite, che sono gli unici iuclusi visibili a occhio. La parte vetrosa è scarsissima; tra i microliti è scarso il Sanidino: abbondano invece gli aciculi geminati di Labradorite e di Anortite; vi sono minutissime opa- citi di Magnetite, ed aureole di Ematite, più raramente di Limonite. Gl'in- clusi sono di Labradorite, zonati, con inclusioni vetrose; qualche cristallo ha estinzioni ad angoli più alti della Labradorite. Vi è poi Biotite raris- sima, e manca l’Augite, forse per riassorbimento. La Leucite è in abbon- danti e grosse sezioni ottagone o granose, fin di 50 4, variamente aggruppate, biancastre alquanto opache, o verdastre, talora traversate da fessure compe- netrate da idrossido di ferro o da Ematite. La roccia è quasi identica ad esemplari della Punta dell’ Inferno nel Monte di Procida. In quest'ultima località la Leucotefrite fonolitoide è meno rara che al- trove. Lo Scacchi l'aveva citata col nome di Leucitofiro; ma il Kalkowski non ne vide traccia. Fa parte della Breccia incoerente a svariatissimi ele- menti angolosi, ma non senza traccia di ruzzolamento, ravvolti da un tufo scuro, Breccia che sta sopra scorie e tufi grigi e sotto pomici e tufo giallo. La roccia presenta molte varietà. È per lo più grigia-cenerognola, chiara o cerulea, con inclusi di Pirosseno verde-scuro, e con gruppi di cristalli del diametro fin di 5 mm., di Leucite, bianchi, leggermente cerulei o verdastri, opachi, disposti a rosette, formati attorno a cristalli di Magnetite più o — 601 — meno alterata o di Pirosseno. Al microscopio nella massa fondamentale la parte vetrosa è scarsissima o mancante, e vi sono: 1. Plaghette allotriomorfe o cristalli abbondanti, sottili, di rado affatto aciculari, di Sanidino, i più semplici, altri geminati secondo le leggi di Karlsbad o di Manebach, con debolissimi colori d'interferenza, che si estin- guono a 0°. 2. Un feltro di più grandi ed alquanto meno abbondanti microliti di Labradorite e talora di Anortite, lunghi 14 a 20 w, larghi talora almeno 5 w, talora alquanto più grandi, isolati, idiomorfi, tutti freschi e con abito di Microtino, a struttura polisintetica, però con geminazioni non troppo fitta- mente ripetute, a lamelle larghe, con colori d'interferenza vivaci. In alcuni esemplari sono sferoliti formati da 5 o 6 o più cristalli di Plagioclasio irre- golarmente compenetrati fra loro e raggiati. A volte mancano completamente i microliti di Sanidino e vi sono invece abbondantissimi microliti di Labra- dorite con estinzione costante di — 22° a —23°,30 su (010), di 6° a 13° su (001): in tal caso si ha una Leucotefrite basaltoide più vicina a quella del Vesuvio. Gl'inclusi feldspatici in alcuni frammenti mancano; in altri sono rarissimi Sanidino e Plagioclasio; in altri solo Labradorite o anche Anortite. Alcuni cristalli di Plagioclasio hanno regolare struttura a zone, or più acide or più basiche alla periferia; alcuni sono rotti e coi frammenti spostati ma vicini, o sono soltanto curvi. Vi si nota pure la estinzione ondulata. Con- tengono microliti di Apatite. 3. L'Augite manca talora completamente; il più spesso manca tra i microliti. Si trovano però talora scarsi ma grossi inclusi di Augite basaltica con c:c a 54° ed estinzione a 46° su (010), serepolata, con più deboli colori d'interferenza presso le fessure, verosimilmente per sottrazione di ossido di ferro. 4. Intrecciati coi precedenti sono cristalli di Orneblenda bruna, oppure vicini all'Orneblenda verde, verdi-scuri, pleocroici, che si estinguono a 6° sulle linee di sfaldatura secondo (110), con inclusioni di Labradorite, Apa- tite, bolle vetrose più che l’Augite. 5. Rari grossi cristalli di Magnetite contigui all’Augite, o che ser- vono di nucleo alla Leucite, e microliti diffusi, talora accumulati in forme prismatiche come scheletri di Mica, cinti o tutti alterati in Limonite bruna o giallastra che dà il colore alla roccia, e più di rado in Ematite. 6. Leucite bianca che costituisce talora gran parte della massa; in sezione è trasparente, isotropa, con tracce di sfaldatura, idiomorfa, però a contorno per lo più molto irregolare, talora arrotondato. Talora ne sono dei grani allotriomorfi. Per lo più i cristalli sono variamente aggruppati, di rado isolati, sempre molto screpolati da fessure irregolarissime talora empite da ossidi di ferro, e tra una fessura e l’altra occupati da sferette concentriche, RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 75 — 602 — quasi si direbbe a struttua perlitica, certo rispondenti a gradi d’alterazione. Alcune delle fessure sono empite da sottilissimi aggregati, con colori d'inter- ferenza abbastanza vivaci, di Caolino, prodotto d'alterazione. Vi sono minu- tissime inclusioni di minerale biasse, probabilmente Augite. 7. In alcuni esemplari ho veduto sezioni quadrate, assai poco traspa- renti, bianco-rossastre per riflessione, con un orlo abbastanza ampio, e con qualche macchia interna di materia bruna d’idrossido di ferro, e credo sieno di Noseana. 8. La Biotite è rarissima in alcuni esemplari, talora in minutissime lamine ed assai alterata in Limonite; ma altra volta è abbondante ed ac- compagnata sempre da microliti di Magnetite. In certi esemplari nei quali l'alterazione per via idrica e forse per azione solfatarica è assai avanzata, il Plagioclasio è accompagnato o sostituito da una materia bianca, poco trasparente, senza tracce di sfaldatura, che a debole ingrandimento potrebbe parere vetro; in ogni cristallo, ridotto a scheletro, le inclusioni e le fessure sono ripiene di questa materia che talora forma pure un nucleo assai nettamente limitato nell'interno di qualche cristallo. Questa materia, a ingrandimenti forti, da 145 diam. in su, si decompone in aggre- gati ed in rosette iridiscenti, a debole birefrazione, perciò diverse dalla Mu- scovite e riferibili a Caolino. Si nota dunque in tali esemplari l’alterazione incipiente nei Feldspati calciferi. Alcuni esemplari meritano particolare menzione. Essi sono compatti, di color cinereo, a minutissime macchie bianche e nere, con appena qualche cristallo, scuro, di Orneblenda (*); pieni di cavità occupate da concrezioni nere di Ematite e Limonite manganesifera, e da cristalli isolati, aggruppati, di Biotite color rame, di Ortose, di Anortite e probabilmente di altri mine- rali coperti da sottile patina bianca. Al microscopio vedesi la massa fonda- mentale costituita da microliti di Labradorite, cui si aggiungono abbondanti microliti cubici di Magnetite, talora trasformati o contornati da Ematite, ed altrettanto abbondanti microliti d'una varietà speciale di Augite. Sono microliti semplici, prismatici, perchè compaiono parallelamente al piano di simmetria, con le facce (111) terminali, quasi trasparenti, verdi-azzurrognoli, quasi niente pleocroici, con piccolissimo assorbimento e forti colori d'inter- ferenza. L'estinzione, quando si può osservare nei cristalli più grandi e più isolati su (010) è di 38°,44°; ma nel massimo numero dei casi di 46°. Il colore di questi cristalli, dovuto forse a leggero contenuto di Titanio, non vidi altrove nelle rocce Flegree. Gl'inclusi o fenocristalli sono assai rara- mente di Sanidino, di Biotite rara, alterata sui margini, di Leucite in grossi grani e cristalli allotriomorfi, che costituiscono quasi tutta la massa, di Or- (1) Il prof. Liberto Fantappiè ha osservato in tali cristallini la seguente combi- nazione: (100) (110) (010) (031) (011) (121) (101). istette — 603 — neblenda bruna, rara. Questa è in cristalli più grandi assai dei microliti au- gitici, assai pleocroica. da c bruno-scuro a b bruno-giallastro, ad a verde- giallastro, con assorbimento molto ragguardevole c >b > a. Appartiene alle più antiche secrezioni del magma. Rispondenti alle cavità sono le concrezioni di Ematite già osservate, a luce diretta brune o rossastre, con evidente strut- tura concrezionare a sottili zone parallele, opache nelle sezioni grosse, di co- lore rosso, per trasparenza, nelle sezioni più sottili. La Leucotefrite, in proietti e talora in ghiaie, ad eccezione dell’Averno, trovasi dunque di preferenza nelle estreme zone ad est od ovest dei Campi Flegrei, a S. Maria del Pianto, S. Maria del Cavone, S. Maria dei Monti, indi a M. di Procida, a Miseno, a Cuma. È assai più scarsa nella regione centrale. Stratigraficamente è più abbondante nelle zone inferiori del tufo grigio e nel tufo giallo, anche insieme a proietti di tufo verde, specie infe- riormente, il che significa che probabilmente quivi, come al M. Somma, nel sottosuolo più profondo, appartenente ai primi tempi della vulcanicità flegrea, ne esiste qualche colata abbastanza ragguardevole. La tipica Leucotefrite basaltoide (Averno, Torre Lupara, Colle dell’Imperatrice, Sante Marie) pre- valente nella regione orientale, è la stessa roccia del Somma e del Vesuvio che sono immediatamente adiacenti. La Lencotefrite fonolitoide (Vomero, Ca- maldoli, Cuma, Miseno, Monte di Procida) prevalente nella regione occiden- tale è una roccia più rara, che somiglia a quella del Tavolato e di altri punti del Vulcano Laziale. Patologia vegetale. — Za Brusca dell'olivo nel territorio di Sassari. Nota del Corrispondente G. CuBONI. In occasione del recente Congresso degli Agricoltori in Sardegna, ho avuto l'opportunità di esaminare le malattie crittogamiche che, con intensità veramente grave e allarmante, danneggiano gli olivi in varie plaghe del- l'isola. Riservandomi di esporre in altra occasione i fatti da me osservati, credo opportuno non ritardare a dare notizia di una malattia da me trovata molto diffusa nelle vicinanze di Sassari, malattia che corrisponde perfettamente alla cosidetta Busca, finora conosciuta soltanto in provincia di Lecce e pre- cisamente nella penisola Salentina. Il nome di Brusca, per quanto si sa, è stato usato per la prima volta da Cosimo Moschettini e da Giovanni Presta, due scrittori di cose agrarie nella seconda metà del secolo XVIII, per indicare una malattia dell'olivo che sì ritiene identica a quella che negli ultimi quindici anni ha recato danni gravi agli olivi della penisola Salentina, annientando quasi completamente il prodotto. — 604 — Sulla natura di questa malattia sono stati pubblicati recentemente di- versi lavori dal prof. Comes, da me, dal prof. Brizi. Mentre il Comes attri- buisce la malattia al marciume delle radici o alla gommosi delle radici, dei rami e del tronco, prodotta dai repentini sbalzi di temperatura, io ed il prof. Brizi, abbiamo ritenuto che la causa più probabile della malattia fosse lo sviluppo di un fungillo, la Stielis Panizzei De Not. che costantemente si riscontra sulle foglie degli olivi colpiti dalla Brusca. La storia di questo fungillo è abbastanza singolare. Raccolto e studiato per la prima volta da De Notaris a S. Remo in Liguria fino dal 1842 e poi raccolto una seconda volta da Caldesi nel 1863 a Spezia, questo fungo non era, per quanto si sa, più stato osservato da alcuno, quando nel 1899 fu riscontrato sopra alcune foglie di olivo provenienti dai dintorni di Lecce, inviate per esame alla R. Stazione di Patologia vegetale di Roma. Dopo di allora tanto da me quanto dal prof. Brizi il fungo è stato cer- cato nelle diverse regioni d'Italia ed è stato rinvenuto soltanto nella Liguria nei dintorni di S. Remo, dove già per la prima volta lo aveva scoperto il De Notaris, però sempre raro, allo stato, come si dice, sporadico e, per quanto sembra, senza importanza come causa patogenetica per l'olivo. A Sassari invece la Stietis Panizzei l'ho trovata diffusissima, come ebbi ad osservare a Lecce nel dicembre 1901, quando la Brusca infieriva colla massima intensità. Tutte le foglie cadute a terra, senza eccezione, sono interamente rico- perte dalle minute protuberanze nere formate dagli apoteci del fungo. La malattia ha spogliato quasi totalmente gli olivi che sembrano di- ventati alberi a foglia caduca. Anche sulle rare foglie rimaste attaccate ai rami, ho riscontrato copiosissimo il fungo in uno stato più 0 meno avanzato di sviluppo; soltanto le foglie novelle ne appariscono prive. L'identità fra la malattia di Sassari e la cosidetta Brusca di Lecce appare evidente sia nelle cause, sia negli effetti prodotti. Dalle notizie fornitemi dal sig. Giuseppe Carta che mi ha gentilmente accompagnato nelle escursioni, questa malattia infierisce da circa dieci anni ed ha quasi totalmente distrutto il prodotto in varie località dei dintorni di Sassari. Finora la malattia della Brusca si supponeva limitata in una piccola zona della Provincia di Lecce; il sapere che esiste altresì intensamente dif- fusa in Sardegna è un fatto importante che merita di essere segnalato. Per considerazioni che qui è inutile di esporre io ritengo che la Stzezzs Ponizzei diventi infesta agli olivi soltanto quando questi si trovano soggetti a speciali condizioni meteoriche o del terreno, disadatte alla vegetazione della pianta. Quali sieno precisamente le influenze degli agenti meteorici o delle con- — 605 — dizioni del terreno che influiscono sullo sviluppo della Brusca non è stato ancora possibile, nè a me nè ad altri di determinare. lo confido che lo studio comparativo della malattia in due territorî così differenti per l'esposizione, la natura geologica del suolo, ecc., come sono Lecce e Sassari, potrà portare luce nell’importante problema e far avanzare le nostre conoscenze sulla natura di una malattia che giustamente preoccupa gli olivicultori. Meccanica. — Sulle equazioni della deformazione delle piastre elastiche cilindriche. Nota del prof. GrusePPE LAURICELLA, presen- tata dal Socio V. VOLTERRA. Nella presente Nota dimostro alcuni teoremi generali sulle equazioni della deformazione delle piastre elastiche cilindriche di grossezza qualunque (in particolare delle membrane elastiche), dai quali emerge una notevole differenza tra le proprietà di queste equazioni e le proprietà delle equazioni analoghe della deformazione dei corpi elastici di forma qualsiasi. Dò ancora l'estensione del concetto di funzione armonica coniugata alle equazioni del- l'equilibrio delle membrane elastiche. 1. Il prof. Boggio dimostra in una sua recente Nota (') l' importante teorema che l'integrazione delle equazioni, dalle quali dipende la ricerca della deformazione di una piastra elastica cilindrica di grossezza qua- lunque, per date forse agenti sulla superficie laterale della piastra paral- lelamente alle basi, si può sempre ricondurre alla integrazione della equa- zione doppia di Laplace nel campo formato dalla sezione retta della piastra, per dati valori della funzione incognita e della sua derivata normale nei punti del contorno di detto campo. Per altro ho dimostrato, in un lavoro in corso di pubblicazione, che esiste l'integrale della equazione doppia. di Laplace (per dati valori della funzione incognita e della sua derivata normale nei punti del contorno del campo che si considera) per tutti quei campi convessi per î quali o si dimostra il principio di Dirichlet col me- todo di Neumann o si conosce la funzione di Green; quindi risulta dimo- strata l'esistenza degli integrali delle equazioni della deformazione delle piastre elastiche cilindriche di grossezza qualunque, che hanno per sezione retta uno qualunque di detti campi convessi. 2. Sussiste il seguente teorema reciproco a quello del prof. Boggio: l'integrazione della equazione doppia di Laplace si può sempre ricondurre alla integrazione delle equazioni delle piastre elastiche cilindriche. (1) Sulla deformazione delle piastre elastiche cilindriche... Rendic. della R. Acc. dei Lincei; vol. XIII, 2° sem. 1904. — 606 — Sia infatti o un'area piana, limitata da una linea s; 7 la normale nei punti di s nella direzione che entra nell’area 0; x,y le coordinate carte- siani ortogonali di un punto qualsiasi del piano di o; e V l'integrale re- golare delle equazioni: (nei punti di 0). 4°(14°V)=0, 1h) dV | | (nei punti dis) V=f, Tp rei DÉ Di ida ; ; . APE De a ; INTE dove 3 —- ay e dove ancora /, ,/» sono due funzioni arbitrarie dei punti di s, aventi la prima le derivate dei due primi ordini rispetto ad s, la seconda la sola derivata prima rispetto ad s. Si ha nei punti di s: dfi _>Vde , N dy \aVde Vdy Duna” SET È be da per cui sarà: AT, O VANI OTT e quindi, derivando rispetto ad s e facendo uso delle note formole: da dy dy — de ds a a otteniamo : ICAO hO ANS ASA ABS dn eV az aV dy © Vday) PV de i Sis Di DE y, ds © zine a dI d a da a ds 3; eds. \ dsl dano i __3*V de 3'Vdy __ VV dy , 2Vde ganz» TORE TP do Se sì pone: US CU (3) Uate4i dll vg Tdi pTa=0T; d cé da ia) und (di LIM, i: (8) niet) sari (5) — 607 — con d coefficiente costante, risulterà, in forza della prima delle (1), DAVE AVETE AITI0E A iu i ET gr O e quindi: 3 T T iL T sio de Dc d'a ag ra “i 4°T=0, 3 n da di È (121403, ot + (11 +: lito s SÌ 2A dy SS —= ||ieÉ ) (RESO dove ®, ® soddisfanno alle condizioni : fida de) 1 _ Pi re ih) do ; Lig ab; OI na CRON I as Seo ds Sea dda È ds Sl ln ) = (id dida n di dae (dÎ dy A ds dn ds ds (È du DE; ) ha (E = -J x ds=0. Poniamo: ppi — 2 eg 77 e __ dd dv (NE Hi __ 39 | IV (6) Tu dI + dY 6) Tie 9 (S + da ’ (22 i da + dY ’ con h costante non negativa qualsiasi e con x costante qualsiasi diversa da le — 1. Come si può verificare, le condizioni di integrabilità delle equazioni (6) nelle g,w, sono contenute nelle prime tre delle equazioni (4); quindi, so- — 608 — stituendo nelle medesime equazioni (4) le espressioni (6) di T,,,T,2, Ta, avremo: RARA [eee da Da dany (4) < |a) e] a) a dy sel) Di ia dn con ®D, D funzioni che soddisfanno alle note condizioni di equilibrio (5). E queste equazioni sono appunto quelle dell'equilibrio di una piastra ela- stica cilindrica, di cui % è lo spessore e x la costante di elasticità. Note adunque le funzioni /,,/2, che entrano nelle equazioni (1), ecco come si può procedere per integrare le (1) stesse: per mezzo delle (3) st calcolino le espressioni D, D, si integrino poi le (4), e in fine, serven- dosì delle (6) e delle (3), si calcoli (con sole quadrature) la funzione V. Si può osservare che, quando in un modo qualsiasi sì è riusciti a determi nare per mezzo delle equazioni (4) o (4) la sola (dilatazione) funzione T (operando ad es. secondo è indicato nel noto metodo del Betti), sì conosce- ranno della funzione V: i valori di 4*?V=T nei punti di o e i valori di IV 3 Vaf, ini i nei punti di s; sicchè, ricorrendo alla nota /ormola di (À Vr Id 1 22.9 ESE dwL si DI, (nei punti di 0) (nei punti di s) Green, potremo determinare con sole quadrature la funzione V in un punto qualsiasi di o. 8. Im virtù del teorema del prof. Boggio, l'integrazione delle equazioni (4) per x ed 4 costanti qualsiasi (x diversa da 1 e — 1) equivale sempre, a meno di quadrature, all'integrazione delle equazioni (1); per altro l' in- tegrazione delle equazioni (1), in virtù del teorema del $ precedente, equi- vale sempre alla integrazione delle equazioni (4) per x ed « costanti qual- siasi (x diversa da 1 e — 1); quindi si avrà che, dr/egrate în un modo qualsiasi le equazioni (4) per un particolare valore di a e per un par- ticolare valore di x (diverso da 1 e — 1), st possono sempre determinare con sole quadrature gli integrali delle medesime equazioni (4) per qual- stasi altro valore di a e per qualsiasi altro valore di x (diverso da 1 et 1) — 609 — Se rammentiamo poi che, nota la funzione T, corrispondente a due date funzioni dei punti di s: ®, P, l'integrazione delle equazioni (1) è ricon- dotta alle quadrature, avremo ancora, in virtù del teorema del prof. Boggio, il seguente teorema generale relativo alla integrazione della (4): mota ?n un modo qualsiasi la funzione T (dilatazione), corrispondente alle date funzioni D,® dei punti di s, gli integrali p,w delle equazioni (4) per qualsiasi valore di a (il caso a=0 delle membrane incluso) e per qual- stasi valore di x (diverso da 1 e —1) si possono ottenere con sole quadrature. Il teorema analogo per i corpi elastici di forma qualsiasi, come è no- torio, non sussiste in generale. Dalle considerazioni precedenti risulta che Za funzione T (dilatazione) è indipendente dai valori delle costanti a, x. Questo si può anche pro- varle direttamente, osservando che si ha T= 4*V, che la funzione V di- pende unicamente dalle funzioni i, /2, e che queste funzioni alla loro volta dipendono solo dalle funzioni ® , ® [cfr. le formole (15), (15),, (16) della Nota del prof. Boggio]. 4. I sigg. Cosserat (') hanno dimostrato, almeno per il caso della sfera, il seguente teorema: gli integrali delle equazioni dell'equilibrio dei corpi elastici isotropi, per date tensioni in superficie, sono funzioni analitiche uniformi del parametro x, le quali hanno una serie infinita di poli del primo ordine in un gruppo semplicemente infinito di punti dell'asse reale della variabile x. Per ciascun valore di x, corrispondente ai punti di questo gruppo, esistono integrali regolari delle equazioni dell'equilibrio elastico (soluzioni eccezionali), di cui le componenti di deformazione sono generalmente diverse dallo zero, mentre le componenti delle tensioni in superficie sono nulle. Questo teorema non sussiste più nel caso delle membrane elastiche e delle piastre elastiche; giacchè gli integrali delle equazioni (4) sono fun- zioni regolari del parametro x (i valori x=1,—1 esclusi, che sono singolari per le equazioni (4) stesse) e del parametro a. Infatti rammen- tiamo anzitutto che la funzione V, come fu osservato alla fine del $ pre- cedente, è indipendente dai parametri x ed «4. Osserviamo poi che le funzioni T,1, T12, T:», espresse per mezzo della V, sono lineari nel para- metro db = i, [ cfr. le form. (3)]; gli integrali , w delle(6), espressi per mezzo delle T,,,T,2,T:>, sono [cfr. le form. (17), (18), (19), (20) della Nota del prof. Boggio ] funzioni regolari di x (per x diverso da 1 e — 1); quindi, come si voleva dimostrare, le g,w sono funzioni regolari tanto ri- (1) Sur la déformation infiniment petite d'un corps élastique... Comptes rendus,} o aott 1901. RenpIcoNTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 76 rametro 4. Si verifica poi facilmente che, se®= d—=0 dn lutti i punti di s, gli integrali regolari T,,,T,,, Ts, delle equazioni (4) sono dovunque nulli. La ragione della diversità dei risultati precedenti dal risultato dei sigg. Cosserat, sopra enunciato, risiede nel fatto che, mentre nel caso nostro le condizioni di integrabilità delle equazioni (6) rientrano nelle prime tre delle (4), nelle quali non compariscono i parametri x ed 4, invece nel caso dei solidi elastici isotropi le condizioni di integrabilità delle equazioni ana- loghe alle (6) dànno luogo, oltre che alle equazioni analoghe alle prime tre delle (4), ad altre equazioni indefinite nelle quali comparisce esplicitamente il parametro x. 5. Facciamo a=0 (h=0) nelle equazioni (4). Esse divengono allora le equazioni delle membrane elastiche. Se indichiamo con #8 una costante qualsiasi, le prime tre delle equa- zioni (4) si possono scrivere: | Fai calli 1x9 ala (14 0. — 610 — spetto al parametro x (per x diverso da 1e— 1), quanto rispetto al pa- | = Rise î perc ee: a) |+ 1_—-x +2 DEL ]mo dI ® (nei punti di 0) Rimpiazziamo le altre tre delle equazioni (4), nelle quali supponiamo di avere già posto a=0, con le equazioni: Ei DE di * (nei punti di 5) Ra HE) +(1te is) a una, che per #=1 coincidono appunto con quelle rimpiazzate. — 611 — Se @,% sono integrali delle equazioni indefinite (4){, si può porre: o 4(_ = ©) da 2 di) DIO dw Tare IRA O SH 2 PS Ea le In RN AA n: (SARI A ‘ig (E pod)— Dea) 2 (i+ 005) — dwy Allora le (4) divengono: dv de do dy _ dode wdy_ dv ; | dg oa do Lo e, ds (8) du dy du da Nulda% uMdy du LE _ Le e =— C_%, de da dy dn Da Mast ygilos ds Risolviamo le (7),(7)' rispetto a dP_dIP_IW IV gi DE. IOBMRIAZI ha: dv 1+x ni du 1+x 1—-x\ dv « OCRA deo Dane. (re pt) 0 1 I n] i; 9 9 2 2 de I vw È IP Aes 3 E adotti (di Need = peo n) 8°) e quindi, esprimendo le condizioni di integrabilità di queste equazioni nelle ,w ed indicando con X un parametro costante, si trovano per le funzioni u,v le seguenti equazioni: d ( dA [20442( Aut k (4); (nei punti di 0) che sono della stessa forma delle (4);. du dV n 2 U dv dI +3) ni: Ciò premesso, ecco come si può procedere nella integrazione delle equa- zioni (4), (4), nelle quali ®, ® sono funzioni note, che soddisfanno alle solite condizioni di equilibrio. Si determinino (con quadrature) due funzioni vs, us dei punti della linea s, le cui derivate rispetto ad s coincidano rispet- tivamente con le funzioni D, — P, e si integrino le equazioni (4); con le — 612 — condizioni nei punti di s: (4)5 u=Us , Vv=W. Esistono certamente (') per |X| <= 1 gli integrali u,v delle equazioni (4), (4) e questi integrali anche per X= — 1 soddisfanno nei punti di o alla equazione: dU dv 9 4° —}=0 0) ‘> % zi Dopo si determinino (con quadrature) gli integrali p,w delle equa- zioni (7), , (7), le quali equazioni in virtà delle (4); soddisfano alle condizioni di integrabilità. Queste funzioni g, w sono gli integrali delle equazioni (4), (4). Infatti le 4, w sono certamente integrali delle equazioni (7), (7) equivalenti alle (7), (7)1; e le equazioni (7), (7), considerate come equazioni nelle fun- zioni x,v, devono soddisfare alle condizioni di integrabilità, che sono rap- presentate appunto dalle (4). Inoltre le funzioni v,v soddisfanno nei punti di s alle condizioni (8), e queste, tenuto conto delle (7),, (7), dànno luogo alle (4);. Le funzioni «,v precedentemente introdotte sono, rispetto alle fun- zioni pg, w, la naturale estensione delle /urzioni armoniche coniugate. Nei casi in cui i denominatori ai secondi membri delle (7), , (7)1 si annul- lano, le precedenti considerazioni in generale non sono più valevoli. Ora nel caso appunto di #=1 (caso delle membrane elastiche soggette a date ten- sioni al contorno) i denominatori delle (7); si annullano; però siccome in questo caso si ha X= — 1, risulterà dalle (4), (9) (?): » “MD dI dY dI dY e quindi le equazioni (7), (7) saranno ancora compatibili, e le funzioni @, w, che possiamo da esse dedurre con quadrature, soddisferanno ancora alle equa- zioni (4), (4);. Matematica. — Sulle superficie W applicabili sopra super- ficie di rotazione. Nota del dott. ARcADIO TAGLIAFERRI, presen- tata dal Socio L. BIANCHI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (3) Cfr. mio cit. lavoro, $ 19. (*) Cfr. mio cit. lavoro, $ 20. — 6013 — Fisica. — elazione fra la costante dielettrica e la densità dell’aria (*). Nota del dott. AuGusto OccHIALINI, presentata dal Cor- rispondente A. BATTELLI. Le prime ricerche sopra la costante dielettrica dei gas furono dirette alla verifica della legge di Maxwell. Con questo intendimento il Boltzmann (+) intraprese lo studio di alcuni gas, fra i quali l’aria, trovando una concordanza perfetta fra i valori della costante dielettrica e quelli del quadrato dell’ in- dice di rifrazione. Ayrton e Perry (*) sperimentando con alcuni dei gas stu- diati dal Boltzmann, trovarono valori non concordanti con la legge di Maxwell, e superiori a quelli dal Boltzmann stesso. Ma questi ultimi ebbero una piena conferma nelle misure ripetute dal Klemencic (‘). Il Lebedew (°) e il Badeker ($) studiarono la costante dielettrica anche in rapporto alla densità; ma essi limitarono lo studio ai gas liquefatti o ai vapori vicini al punto di ebullizione. Quindi manca uno studio diretto della costante dielettrica dei gas col variare della densità; io mi sono proposto di iniziare questo studio per pres- sioni crescenti fino a 200 atmosfere, e in questa Nota dò un cenno delle mie ricerche, riservando una più completa esposizione delle medesime a una pub- blicazione che sarà prossimamente fatta sul Nuovo Cimento. Fino ad ora ho limitato le ricerche all'aria, ma in seguito sperimenterò con altri gas, cercando di studiarne il comportamento allo stato critico e di indagare le possibili relazioni fra la costante dielettrica dei miscugli e dei composti, e quella dei loro componenti. Descrizione del metodo. — Per le mie misure ho usato un confronto di capacità modificando il metodo del Gordon con una disposizione già ado- perata dal Lecher (”). Ognuno dei due condensatori C,C' da confrontarsi (fig. 1) ha un’armatura in comunicazione con un polo di un piccolo rocchetto d'induzione I; le altre due armature sono collegate colle due coppie di qua- dranti di un elettrometro Mascart E, il cui ago è in comunicazione con la terra insieme all’altro polo del rocchetto. Uno dei condensatori ha per dielettrico quello di cui si vuol misurare il potere induttore; l’altro è nell'aria, e la sua capacità si può variare spo- (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica dell’ Università di Pisa. (2) Wien. Ber. 69, 795, 1874. (8) Asiatic Soc. of Japan, apr. 18, 1877. (4) Wien. Ber., (2) 91, 1, 1885. (5) Wied. Ann. 44, 288, 1891. (6) Zeitschr. f. Phys. Chem. 36, 305, 1901. (7) Wied. Ann. 42, 149, 1891. — 614 — stando una delle armature. Così le variazioni di capacità prodotte nel primo sono compensate e calcolate da quelle del secondo. In definitiva l'applicazione di questo metodo richiede una /. e. m. rapi- damente alternata, un condensatore a capacità variabile che chiamerò di confronto, e un condensatore di dimensioni fisse immerso nel dielettrico che si studia: sarà designato col nome di condensatore sperimentale. lerra (E) a V terra ei Per ottenere una f. e. m. alternata ho usato un alternatore ad alta frequenza, del tipo Lamme (') che fu costruito dall'ing. Santarelli di Firenze con la più grande accuratezza. Questo alternatore può dare una corrente di 10 ampère a 110 volta con 10000 alternanze per secondo. Nelle mie espe- rienze ho adoperato una corrente di circa 0,5 ampère con settemila alternanze al secondo, trasformandola convenientemente per mezzo di un piccolo rocchetto d' induzione. L'uso di quest'ottimo apparecchio ha dato alle misure una grande speditezza ed una grande regolarità. Il condensatore a capacità variabile è costituito da due lastre da specchio lunghe m. 1,50, larghe m. 0,30 argentate, ma non verniciate. L'argentatura è stata raschiata sui bordi in maniera da lasciarne sol- tanto una striscia centrale di cm. 10 di larghezza e di m. 1,30 di lun- ghezza. Una delle lastre è fissata sopra un apposito banco di cui nella figura 2 si vede la sezione trasversale; sugli orli porta tanti pezzi di legno duro della forma della fig. 3. I pezzi distano l’uno dall'altro di m. 0,25 e ognuno di essi è fissato alla lastra dentro il vano « per mezzo di due viti di pressione v,v. Sopra il ripiano è posa l’altra lastra che è perfetta- (1) Trans. of Am. Inst. of Elect. Eng. 21, 405, 1904. — 615 — mente libera di scorrervi sopra; il battente che limita il ripiano impedisce alla lastra ogni movimento laterale. È chiaro che la distanza fra le due lastre del condensatore è determi- nata dall’altezza del tratto di legno che sta fra il piano 4 e il vano a, e per averla uguale in tutti i sostegni, questi furono costruiti con una pial- latrice meccanica sopra uno stesso pezzo di legno e poi segati. La lastra Pes 2 INIE SL mobile è collegata ad una delle estremità con dei morsetti di legno ad una vite che permette di darle spostamenti abbastanza piccoli. Questi sono co- municati dall'esterno, e la posizione della lastra mobile è definita dalla lettura / fatta sopra una scala di vetro che scorre con essa, e che si può leggere mediante cannocchiale munito di reticolo attraverso a un prisma a riflessione totale. Il condensatore è chiuso in una custodia di vetro ed è difeso dalle azioni elettrostatiche mediante una rete metallica che avvolge tutta la custodia. Il condensatore sperimentale è costituito da una serie di dischi sovrap- posti; i dischi d'ordine pari infilati sopra una colonna d’ottone formano una delle armature, quelli d'ordine dispari infilati in un’altra colonna, l’altra armatura. A tale scopo ogni disco ha due fori, uno più piccolo, l’altro più grande; il primo serve ad infilarlo nella propria colonna sostegno; il più grande dà passaggio all'altra colonna, che così non è a contatto col disco. Ho fissato le due colonne a una base di vetro, ho interposto fra i dischi di una stessa serie dei cilindretti di ottone infilati nella rispettiva colonna e ho serrato le due serie con un dado all'estremità. Così nessun dielettrico è in- tervenuto nella costruzione dell'apparecchio. Compressione dei gas e misura della densità. — La compressione dei gas si effettua "dentro un recipiente di acciaio di forma cilindrica del dia- metro interno di cm. 10 e dell'altezza di 50 cm. (fig. 4). Sul fondo posa — 616 — la base del condensatore sperimentale, le armature del quale comunicano con due molle 7 d'ottone fisse alle pareti del recipiente e da queste isolate con un cerchio di ebanite. Il recipiente è chiuso da un tappo nel quale si innesta il tubo di comunicazione con la pompa di compressione. La comunicazione elettrica con l'esterno si ottiene per mezzo di due fili di ottone isolati con ebanite, che attraversano le pareti del recipiente IBIGNIDÌ e vanno a toccare le molle di comunicazione mm. La difficoltà consiste nel- l’ottenere un isolamento rigoroso con una perfetta tenuta a pressioni elevate, e fu superata nel modo seguente: ogni bacchetta di ebanite è forata lungo l’asse per lasciar passare l’anima metallica, e verso la metà della sua lun- ghezza porta un ingrossamento come indica la fig. 5. Per mezzo di questo ingrossamento la bacchetta di ebanite è serrata dentro la cavità di un pezzo di acciaio per mezzo di un premistoppe. Il pezzo di acciaio è poi avvitato al recipiente con una guarnizione di fibra rossa. Il filo di ottone che attraversa la bacchetta di ebanite è masticiato con ceralacca all’estre mità interna, e questo basta per assicurare la tenuta. I particolari della costruzione sono indi- cati nella figura. Per la misura della densità mi sono servito dell'apparecchio usato dal prof. L. Magri nel suo lavoro: Relazione fra l'indice di rifrazione e la densità dell’aria ('), al quale rimando per la descrizione dell’ apparecchio e per il modo di far le misure. (‘) Rend. Accad. Lincei, vol. XIII, 1° sem., 1904, pag. 473. — 617 — Il compressore che ho adoperato è mosso da un motore da 7 cavalli e permette di arrivare a 200 atmosfere. L'aria compressa, dopo essere stata liberata dall'anidride carbonica e dall’acqua, passa in un tubo di rame che la distribuisce nel recipiente di compressione e nel densimetro. Andamento delle esperienze. — La formula che deve servire per il cal- colo della costante dielettrica si stabilisce molto facilmente. Sia Co la capacità del condensatore sperimentale e 4 la posizione cor- rispondente all'equilibrio della lastra mobile del condensatore di confronto. Immaginiamo che per una causa qualunque la capacità del condensatore spe- rimentale subisca una variazione, talchè essa divenga C;: sia {1 la posizione corrispondente della lastra mobile del condensatore di confronto. Se suppo- niamo che le variazioni di capacità C siano proporzionali alle variazioni di lunghezza /, allora la capacità corrispondente a qualunque lettura / del con- densatore di confronto sarà OG Ch 0 DI sa DA (2 TE lo) Se C, rappresenta la capacità del condensatore sperimentale quando il suo dielettrico ha una costante K,, e C quella dello stesso condensatore quando la costante è K, allora KO Ci - Co Ma oo Co li—- lo. Dunque per fare la misura della costante dielettrica col metodo da me C, AA Co Co(l Artt lo) valori C, e Co comprendenti l'intervallo in cui sì svolgono le misure, poi ac- certarsi della proporzionalità già ammessa fra le variazioni di capacità e gli spostamenti della lastra mobile del condensatore di confronto. Per fare la determinazione suddetta ho sostituito il condensatore speri- mentale con un condensatore ausiliario di capacità calcolabile costituito da due lastre di vetro ben piane argentate sulle due facce. Una di esse è fissa orizzontalmente, l'altra è mantenuta parallela alla precedente ed è sospesa ad una vite micrometrica che permette di darle spostamenti verticali. Si allon- tana la lastra mobile da quella fissa di una certa distanza do e si determina la corrispondente posizione di equilibrio /, del condensatore di confronto. Poi si varia la distanza delle lastre del condensatore per mezzo della vite micrometrica: sia d, la nuova distanza e sia /, la corrispondente posi- zione di equilibrio del condensatore di confronto. adottato, occorre prima determinare il valore del rapporto Ci =" si calcola con la formula 0 GG i (92 Il valore del rapporto (078 di RenpIcoNTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 77 — 618 — dove 4 indica il lato di ognuna delle lastre del condensatore ausiliario. Il secondo termine fra parentesi è relativo alla correzione per gli orli (!). Ecco un esempio di tale determinazione di |b-d & | bh | 1 0 1.989 0.1. | 35.96| 41.37 110.24 5) ” 35.95 | 41.35 | 110.09 » ” 35.96 | 41.35 109.88 ” » 35.96) 41.35 109.88 » | 0.05. | 38.65| 4140) 109.39 » » 88.61 | 41.37 109.79 ’ » | 38.65| 4140 109.79 Il termine 0, LOR (21 — do) è riferito alla posizione 4 del condensa- tore di confronto. In questa serie le prime quattro determinazioni furono fatte variando la distanza iniziale di un millimetro; le successive variandola di 0.5 mm. La concordanza dei risultati è tale da far ritenere verificata la proporziona- lità fra gli spostamenti della lastra mobile del condensatore di confronto e le variazioni della capacità, almeno nel tratto in cui si svolgono le esperienze. Furono eseguite molte altre determinazioni dello stesso rapporto e la media di tutti i risultati riferiti alla divisione 33 della scala del condensa- tore di confronto è 101.50. Dunque la formula che ci servirà per il calcolo della costante dielet- trica è L— lo ott). con K, indicando il valore della costante dielettrica dell’aria nelle condizioni in cui è stata fatta la lettura 4, ossia alla pressione atmosferica. È da notarsi che per inserire il condensatore ausiliario bisogna aggiungere due pezzi di filo; inoltre nella determinazione precedente è necessario tener conto delle comunicazioni che attraversano i tappi e che rappresentano una notevole capacità. Il calcolo di queste parti sarebbe stato certamente illusorio, quindi esse furono lasciate al loro posto tanto durante la precedente deter- minazione, quanto durante le misure. Per la prima operazione si svitarono i tappi dal blocco fino a togliere la comunicazione con le armature del con- densatore sperimentale e furono stabilite le comunicazioni col condensatore ausiliario. Per le misure si riavvitarono i tappi, si escluse il condensatore (1) Maxwell, v. I, $ 293. — 619 — ausiliario, ma i fili di comunicazione si lasciarono isolati nella posizione che avevano precedentemente. Tutte le determinazioni della costante dielettrica furono fatte per pres- sioni decrescenti, e d'ordinario l'intervallo fra due determinazioni successive fu di 25 atmosfere. Risultati. — Nella tabella seguente sono riportate le medie dei valori di sette serie con l'errore medio di ogni determinazione. In essa ho anche calcolato l'espressione io D che secondo la teoria del Mossotti dovrebbe restar costante, ed ho riportato i valori del quadrato dell'indice di rifrazione trovati dal Magri. Per il valore Ko della costante dielettrica dell’aria alla pressione atmosferica è stato assunto quello dato dal Boltzmann: 1,00059. La temperatura media delle esperienze è di 11°. ; Quadrato GL Dona Densità | 1 K—1 (dell’indice di lelettrica medio di D K-2| rifrazione K ne 1.0101 | 0;4:10=? 20 169.107 1.0116 TRON NA E074:11031 40 1162.107358 1.0237 1.0294 | = 0,6-1073 60 162.108 1.0357 10387 |\2210,6-10=3 80 l59.108 10477. 1.0482 | = 0,6-1073 100 158.107 1.0601 TRO TIM ISMO7103 120 158.107 1.0721 1.0674 | = 0,9-107? 140 1'54.LO7nt 1.0845 1.0760. | = 0,9-1078 160 154.1076 1.0971 1.0845 | = 1,0-10=8 180 152.10=° 1.1092 Discussione dei risultati. — Il calcolo della costante dielettrica dipende da due elementi: dalla lettura / — % fatta sul condensatore di confronto, e dalla costante — (1 — do) che si determina una volta per sempre. lie 0. In quanto alla prima dirò che una lettura isolata del condensatore di confronto si fa a meno di 0,02 cm., e questo vuol dire che una variazione di 0,0002 nel valore della costante dielettrica sfuggirebbe all'osservazione, e che perciò i risultati, per quanto riguarda la sensibilità del metodo, si devono ritenere incerti nelle cifre del quart’ordine. Il calcolo della costante —. STR (CL — Lo) trova la maggior causa Temi 20; d'errore nelle imperfezioni della vite micrometrica che serve per misurare la distanza d — do. La vite suddetta ha un passo di mezzo millimetro e per- mette la lettura del 1/00 di millimetro. Avendola confrontata con un’altra — 620 — vite che permette la lettura di !/sco di mm., l'ho trovata concordante. Pre- sumibilmente l'errore non oltrepassa 0" 05, e questo introdurrebbe nella determinazione suddetta un errore di 0,5, e nel valore di K — 1 un errore relativo di °/1000, che è quanto dire un'incertezza di quattro unità del quar- t'ordine nel massimo valore di K. Oltre a questi errori provenienti da limitata sensibilità o da imperfe- zione degli apparecchi, ci sono quelli che derivano da variazioni della pres- sione e della temperatura. La pressione altera le dimensioni del condensatore sperimentale; ma prendendo come coefficiente di compressibilità lineare del- l'ottone 3,6 X 107° si avrebbe per duecento atmosfere un avvicinamento fra le lastre del condensatore minore di ’/,c000 della distanza totale, e quindi un errore che non arriverebbe ad intaccare la quarta cifra nel massimo valore di K. In quanto agli errori introdotti dalle variazioni di temperatura non è possibile nemmeno una valutazione approssimata. Del resto in questo riguardo tutte le esperienze furono fatte in condizioni quasi identiche. Credo perciò di non esagerare la precisione dei miei risultati ritenen- doli esatti a meno di un'unità del terz'ordine. Conclusioni. — Dalla tabella precedente si desume che il rapporto di . KT1 1 , 3 Mossotti — — non resta costante, ma decresce, di mano in mano che K+42 D la pressione aumenta di quantità che non rientrano negli errori d'osservazione. La tabella sudetta porta anche i valori del quadrato dell'indice di rifra- zione. Essendo quest'ultimo elemento riferito ad una lunghezza d'onda dello spettro visibile (4 = 04,54623), non può essere uguale alla costante dielet- trica; gli scostamenti che si verificano rappresentano la dispersione crescente con la densità del mezzo. Ritenendo verificata la formula del Mossotti (il che si può fare soltanto in prima approssimazione) la dipendenza fra la costante dielettrica e la den- sità del mezzo sarebbe rappresentata dalla formula ul (an | 1 ip 0,00016. —- Se si prova a calcolare per mezzo di questa formula la costante die- lettrica dell’aria liquida assumendo come densità di questa rispetto all'aria nelle condizioni normali il valore 871, si ha K = 1,475 che è poco discosto da quello trovato dal Dewar 1,495. Naturalmente per dare il giusto peso a questo confronto, oltre alle riserve sopra l’estrapolazione, bisogna tenere in mente che l'aria liquida è di com- posizione diversa dall'aria atmosferica, e che forse non è lecito tener conto delle bassissime temperature soltanto con la densità. — 621 — Fisica. — Su/la misura di piccoli coefficienti d’autoinduzione (*). Nota del dott. MicagLE LA Rosa, presentata dal Corrispondente D. MA- CALUSO. Gravi difficoltà si presentano nella misura di piccoli coefficienti d' auto- induzione, per sormontare le quali diversi espedienti sono stati suggeriti da parecchi fisici. Il Wien (?) per il primo è riuscito a misurare coefficienti d’autoinduzione piccolissimi, per mezzo del ponte di Wheatstone, impiegato però col suo tele- fono ottico e con correnti alternate di elevata frequenza. Dopo di lui il Prerauer (3) con metodo analogo, riuscì a misurare il coefficiente d'autoinduzione di fili rettilinei di 50 cm. di lunghezza; e lo stesso Wien (‘), in un lavoro successivo, tornò sulla misura di coefficienti assai piccoli di circuiti piani con forma geometrica molto semplice. Le misure di entrambi diedero valori che concordano bene con quelli che dalle formole teoriche sì deducono per gli stessi circuiti. Però non è facile riprodurre la disposizione da essi adottata per la difficoltà tanto di procurarsi il telefono ottico, che del funzionamento di questo apparecchio, a causa della perfetta sintonizzazione da realizzare fra il telefono e l'interruttore a corda vibrante che serve alla produzione della corrente alternata. Ulteriori misure di piccoli coefficienti furono fatte da Seiler (°), con la determinazione del periodo delle oscillazioni prodotte nella carica di un con- densatore; ma si tratta di una ricerca molto delicata che non può trovare posto fra i metodi rapidi ed essenzialmente pratici di misura. Puluj (5) e Troje (7) avevano cercato di servirsi di un metodo, prima ideato da Oberbeck e fondato sull'azione mutua di due bobine, disposte l’ una dentro l’altra, come quelle di un elettrodinamometro e percorse da correnti sinusoidali di alta frequenza; però la necessaria conoscenza del periodo rende di non facile impiego questo metodo, del resto non abbastanza sensibile, per la misura di piccole induttanze. {1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Fisica della R. Università di Palermo. (2) Max Wien, Wied. Ann., vol. 44, pag. 689, 1891. (3) Osw Prerauer, Wied. Ann., vol. 53, pag. 772, 1894. (4) Max Wien, Wied. Ann., vol. 53, pag. 928, 1894. (*) Seiler, Wied. Ann., vol. 61, pag. 31, 1897. (8) Puluj, Electrotek. Zeitschr., vol. 12, pag. 396, 1891. (7) Troje, Wied. Ann., vol. 47, pag. 501, 1892. — 622 — Migliori furono i risultati conseguiti dal Martienssen ('), con un appa- recchio che si fonda pure sullo spostamento di fase di due correnti sinusoidali in due bobine derivate sullo stesso circuito e disposte come precedentemente. Annullando lo spostamento di fase con un circuito ausiliare, di resistenza variabile, avvolto in parte su una delle due bobine, si può calcolare la indut- tanza di queste. Tale metodo richiede, oltre un apparecchio apposito, l’im- piego di correnti sinusoidali e la conoscenza della frequenza, qualora questa oltrepassi un certo limite (intorno a 500 alter.). Il dott. Manzetti (2) ha recentemente introdotto un’ utile semplificazione nell’apparecchio del Martienssen, annullando lo spostamento di fase con un condensatore derivato agli estremi di una resistenza non induttiva, variabile, ed attaccata in serie con una delle bobine; così ha potuto misurare, con molta esattezza, delle induttanze dell’ ordine 0,002 henry. Però sono anche in questo caso necessarî un apparecchio apposito ed una corrente sinusoidale. Un altro metodo semplice è stato suggerito dal Janet (3), basato sul- l’impiego delle correnti di Duddell, supposte sinusoidali e col periodo deter- minato dalle condizioni di risonanza. L'induttanza viene dedotta dalla forza elettromotrice efficace, esistente ai poli della bobina e dall’intensità efficace della corrente che la percorre. uli errori in queste misure, per le variabili condizioni dell'arco cantante, sono molto notevoli e, come risulta da uno studio del prof. Corbino (‘), possono raggiungere il 20 °/. Questi metodi più o meno complicati ed indiretti sono stati sostituiti ai metodi classici e semplici fondati sull'impiego del ponte di Wheatstone, perchè si è generalmente ritenuto che il ponte, anche opportunamente impie- gato, non sì presti alla misura di piccoli coefficienti d'autoinduzione. Il Graetz (*) in un lavoro sulla misura di auto- e mutue-induzioni afferma che i metodi derivati da quello di Maxwell possono dare un risultato, sola- mente quando si tratta di induttanze abbastanza grandi e falliscono del tutto per piccoli valori. Il Martienssen nel lavoro sopra citato dice: « I metodi conosciuti per la misura assoluta del coefficiente d' autoinduzione di un conduttore secondo Maxwell col ponte di Wheatstone, come anche le modificazioni di essi dovute (1) Martienssen, Wied. Ann., vol. 67, pag. 95, 1899. (2) Manzetti, Atti A. E. I., vol. VI, pag, 877, 1902. (3) Janet, C. R., vol. 134, pag. 462, 1902. (4) Corbino, Atti A. E. I., vol. 7, pag. 597, 1903. (5) « Und doch ist die Messung und Vergleichung von Selbstpotentialen bisher noch eine recht schwierige Aufgabe der messenden Physik. Die von Maxwell herrùhrenden Me- thoden ftir diese, sei es absoluten, sei es relativen Messungen, setzen ein iusserst empfind- liches Galvanometer und giinstige iussere Umstinde voraus und liefern auch bei relativen Messungen durch recht miihsame doppelte Abgleichung nur dann ein Resultat, wenn es sich um ziemlich grosse Werthen des Selbstpotentials handelt; bei kleinen Werthe dess- elben versagen sie ganz ». Graetz, Wied. Ann., vol. 50 pag. 766, 1893. — 623 — a Kohlrausch, Graetz, Himstedt, falliscono totalmente per induttanze minori di 105 cm. ». Ed il dott. Manzetti dice: « Quando si debbano misurare coefficienti di autoinduzione molto piccoli, al disotto di !/,00 0 !/r1000 di henry, i metodi ordinarî di Maxwell, Pirani ecc. presentano gravi difficoltà, se non /7mpos- sibilità assoluta di eseguire la misura ». Lo stesso Prerauer, il quale si serve del ponte di Wheatstone, sente bisogno di avvertire che « per piccole autoinduzioni non si può lavorare con un solo impulso della corrente ed il galvanometro, bisogna invece ricorrere alle correnti alternate . ..». Avendo dovuto io misurare alcuni piccoli coefficienti d’ autoinduzione e non disponendo dei mezzi speciali sopra citati, ho voluto esaminare fin dove potesse servire il ponte ed ho trovato che, scegliendo opportunamente le resi- stenze dei lati ed un galvanometro abbastanza sensibile, il ponte può impie- garsi per la misura di coefficienti assai piccoli, della medesima grandezza di quelli misurati dal Wien e dal Prerauer che sono i più piccoli finora sperimentalmente determinati. In conferma di ciò mi permetto di pubblicare, insieme con alcune osser- vazioni sulla scelta più conveniente delle resistenze, qualche risultato delle mie misure. Ja 73 Siano 7,72,73,74 le resistenze dei quattro lati di un ponte di Wheat- stone, dei quali solo quello di resistenza 7, abbia una induttanza L. Sia g la resistenza del galvanometro ed R quella della pila, sia inoltre <, l’inten- sità della corrente a regime permanente nel lato 7,. La frazione g della quantità d’ elettricità, messa in moto dall’ induttanza L e che passa per il galvanometro, è data, come si sa (*), dalla relazione: NE Li, rit ro i er) E 13 i PA gioia Pe (1) Gerard, Mes. Electr, pag. 275. — 624 — che scritta nella forma: È mn io Qje= mostra che la quantità g d'elettricità è tanto più grande, per un valore costante di Li,, quanto più grande è 7,--7:, e quanto più piccole sono 9, edr3 47. Inoltre l'effetto prodotto dalla pila sarà massimo quando è soddisfatta la relazione: e poichè R dev'essere piccola, impiegando come è opportuno, una piccola f. e. m., dovrà non solo essere grande la somma 7, +7: e piccola la 73-+ 74, ma ancora piccola dev essere una delle somme 7,4 74, 724 73 e per conse- guenza una delle due quantità 71,7». Dall’ altro canto, siccome la g cresce al crescere di z,, è evidente che piccola dovrà scegliersi la 7, . Si vede perciò che nella misura di un’induttanza col ponte, per avere una grande sensibilità, è necessario che i tre lati 7, , 73,74 siano di piccola resistenza, al più dell’ordine di grandezza della resistenza interna della pila e del galvanometro, ed il quarto lato 7., cioè quello opposto all’ induttanza, di grande resistenza. Il Wien ed il Prerauer invece hanno applicato alle misure d’induttanza le condizioni di massima sensibilità del ponte per le misure di resistenze, scegliendo tutti e sei i lati poco resistenti; da ciò dipende l'impossibilità dell'uso del galvanometro messa in rilievo dal secondo nelle parole che sopra ho riportato. Se nella misura in esame col ponte, si vuole compensare l’ effetto del- l’induttanza per mezzo di una capacità in derivazione (metodo di riduzione a zero), conformemente a quanto sopra si è detto, è da scartare il metodo di Pirani che richiede l’impiego di una resistenza notevole nel ramo stesso dell’induttanza da misurare, ed è invece da preferire il medoto di Sumpner, secondo il quale la forte resistenza va introdotta nel ramo opposto all’ in- duttanza. Di quest’ultimo appunto mi sono giovato nelle numerose misure che ho eseguito e sulle quali riferisco in seguito brevemente. Nelle mie determinazioni sperimentali le due resistenze 7, ed 7» erano formate da bobine, senza autoinduzione, di una cassetta di resistenze e sta- — 625 — vano sempre nel rapporto di uno a cento. La 73 era data da un’ altra cassetta, nella quale la resistenza poteva farsi variare per decimi di ohm, e da un reocordo con due fili di rame molto vicini e contatto scorrevole a mercurio; la 7, era infine la resistenza del circuito di cui si doveva misurare l’in- duttanza. Agli estremi della 7, era derivato un ottimo condensatore con dielet- trico di mica, a capacità variabile da 0,001 ad 1 microfarad. La misura di L si otteneva realizzando prima l'equilibrio nel galvanometro a regime permanente regolando la resistenza 73, e poi l'equilibrio a regime variabile mutando solamente la capacità. Il valore di L viene allora espresso, come è noto, dalla relazione: he= 0a dove C denota la capacità necessaria per avere nel ponte l’ equilibrio completo. I coefficienti d’autoinduzione da me misurati furono compresi tra 3:10° e 5-10° cm. Per i più grandi ho potuto impiegare un galvanometro a telaio mobile Hartmann e Braun, con resistenza interna di 30 ohm ed una durata di oscillazione di 8". Sopra una scala, a 168 cm. di distanza, si aveva una deviazione di un millimetro per il passaggio attraverso al galvanometro della quantità di elettricità 2:-10-5 coulomb. Il vero ponte era costituito da questo galvanometro unitamente ad una resistenza di 100 ohm, la quale, pur facendo perdere in sensibilità, serviva a diminuire lo smorzamento eccessivo. La per- fetta stabilità di questo apparecchio permetteva di apprezzare nettamente una deviazione di qualche decimo di divisione. La corrente era fornita da due accumulatori. L'errore nella misura di L si poteva ritenere dipendente soltanto dal- l’incertezza inerente alla determinazione di C, essendo tutti gli altri errori possibili certamente compresi nei limiti di tale incertezza, come facilmente sì riconosce, pensando che le deviazioni al galvanometro (a regime variabile) sì mantenevano inapprezzabili anche quando la C si faceva variare di un ventesimo del suo valore totale. Per ottenere in tale determinazione una grande esattezza si notavano, per valori sempre crescenti della capacità, le deviazioni galvanometriche corrispondenti, le quali dapprima decrescevano, in seguito diventavano inap- prezzabili e poi tornavano a manifestarsi crescenti ma invertite di senso. La curva delle deviazioni successive in funzione delle capacità non era sim- metrica rispetto all'asse di queste, pure dentro limiti ristretti si poteva con- siderare come tale e dedurre, interpolando fra deviazioni molto piccole, il valore C corrispondente all’ equilibrio con un errore che l'esperienza dimostrò non superiore all’ 1°/,. Riporto, come esempio, una di tali misure presa a caso dal mio qua- derno (sistema industriale). RenpIcontI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 78 Mi ga 25 2500 47,12 |0,345-10-%|0,406-10=2 15 1500 47,20 [0,570 » [0,404 » 12 1200 47,25 [0,720 » [0,407 » 25 2500 47,13 |0,848 » |0,404 » Essa mostra che le divergenze si mantengono dentro il Jimite detto, anche quando vengono mutate le condizioni in cui è fatta la misura. La disposizione sopraindicata non si prestava a determinazioni di coeffi- cienti inferiori a 2 X 104cm. Per poterle realizzare, a quello di Hartmann e Braun fu sostituito un galvanometro di Du Bois e Rubens con equipaggio leggerissimo, protetto da corazze di ferro dolce, e con una resistenza interna di dieci ohm. Sopra una scala distante 168 cm. si aveva la deviazione di 1 mm. per il passaggio della quantità d' elettricità 1:10:-° coulomb, quando la sua du- rata d’oscillazione era, come fu sempre, di 5”. Una maggiore astatizzazione riusciva dannosa per la facilità con cui allora si smorzavano le oscillazioni. Ai due accumulatori fu sostituita una semplice pila Grenet. In queste condizioni la sensibilità del metodo era quasi 200 volte mag- giore che nelle precedenti ('). Dovetti perciò molto preoccuparmi dell’ induttanza propria della combi- nazione e cercai di renderla quanto più piccola era possibile, disponendo i quattro vertici del quadrilatero vicinissimi fra loro, e ciascun lato in modo che, ad ogni suo elemento ne corrispondesse un altro (dello stesso lato) ad esso parallelo e molto prossimo, percorso in senso inverso dalla corrente. Ciò non ostante una piccola induttanza residua rimaneva sempre. Cer- cai determinarla con l’esperienza, riunendo insieme gli estremi del cordon- cino (di lunghezza notevole) al quale solevo attaccare l’induttanza da misu- rare e procedendo come di solito. Come media di molte prove risultò una induttanza residua di 250 cm. circa. A causa del piccolo ma continuo moto dell'equipaggio del galvanometro, dovuto ai tremiti incessanti in questo laboratorio per la sua ubicazione, non sì poteva garentire nelle letture delle deviazioni un’approssimazione supe- (1) Scaricando la stessa quantità di elettricità nei due galvanometri, osservati nelle medesime condizioni, si aveva nel galvanometro di Du Bois e Rubens una deviazione 20 volte maggiore che in quello di Hartmann e Braun. Questo rapporto diventava uguale a 15 se invece i due galvanometri venivano shuntati in condizioni simili a quelle delle esperienze. In queste però il rapporto delle due sensibilità diventava quasi 200 per la mutata resistenza del ponte. — 627 — riore ad una mezza divisione. Ciò produceva un errore assoluto quasi costante per tutte le misure, e quindi si aveva un’ esattezza tanto minore quanto più piccola era la grandezza misurata. Così mentre era facile misurare un’ indut- tanza di 30000 cm. con un errore inferiore a 3 per mille, dovetti conten- tarmi di errori anche superiori al 6 0 7 °/, per induttanza inferiore a 1000 cm. Così per alcuni circuiti di una sola spira di rame di forma circolare si è trovato (unità comune il cm.): L L differenza misurato calcolato in °/o raggio del circolo raggio della sezione 0,056 18,50 1250 1220 + 2,5 0,135 15,44 975 1012 LB 7 0,056 20,00 1466 1557 — 6,0 0,054 8,57 534 582 220) Con un quadrato di 101 cm. di perimetro di filo di rame, con sezione di raggio 0,071, ho trovato con la misuraîL = 1060 e col calcolo 1082. Misure più esatte avrei potuto ottenere lavorando a tarda notte, ma ciò non feci perchè il còmpito pretissomi era semplicemente quello di accertare la possibilità di misurare coefficienti d’autoinduzione così piccoli col ponte ed il galvanometro. Fisica terrestre. — £isultati pireliometrici ottenuti. dal 3 luglio al 21 agosto 1902 al R. Osservatorio Geofisico di Modena. Nota di Ciro CHISTONI, presentata dal Socio P. BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Cristallografia. — Studio cristallografico di alcune sostanze orgamiche. Nota del dott. Francesco RANFALDI, presentata dal Socio G. STRUEVER. Acido 4-acelilamino- 6-nitro-1.3-metatoluico CH; (1) <000H (3) SNHC,H;0 (4) NO; (6) CsHo (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Messina. mio Ottenuto dal prof. G. Errera della R. Università di Messina, come uno fra i numerosi prodotti di ossidazione del 4-biacetilamino-6 -nitro-1.3- metaxilene (!). Fonde a 223°-225° decomponendosi. Sistema cristallino: rzelzno a:b:e= 1,6623:1:1,0340 GAZIERZ e = MZ 1099 Forme osservate: 3100}, j010t, 3001}, }111t,}111t Combinazioni osservate : 1° }100t }O10f {001} }111; (aa) 2% 3100} SO10} 40014 $111{ {111{ (v. fig. 2) ! 1010 i [oso LIO USE x E Î \ IMiesil MIUR DIFFERENZE ANGOLI |N. CALCOLATI Limiti Medie | esp. — calc. (e) r o] r (o) 4 001:010 | 4 920 MASON 79.40 — = 001:100 | 4 63.396 — 64.16 64. 4 — = 001:111 | 2 49.17 ,— 04923 49.20 _ = 10011 |2 98010 — Massa 98.14 — — 100:010 | 6| 104.58 — 106.33 105.33 —_ | = , TÀ "I 111:010 | 1 LL 35:96. 5513940 MSI DIEOOR|E oi —MM56:36, SII 55. 8.45 + 28.15 111:010 | 4 PMO i SEO 32.46 32.56.14 — 10.14 111:100 | 5 IDO AN NODI, 72.49 Tab SLI — 14.18 (!) Ancora inedito. — 629 — I cristalli misurati presentano dimensioni massime di 1-2mm. circa, e se ne ottennero di poco più grandi. Essi sono costantemente allungati secondo [001] e non di rado, specie i più grandi, alquanto schiacciati secondo [100]. Il loro abito più frequente è rappresentato dalla fig. 2, rarissimi sono quelli rappresentati dalla fig. 1. Presentano la combinazione di tutte le forme osservate ad eccezione di pochissimi, sui quali non si riscontra la }111}, la quale è sempre subordi- nata alla }001}. Le {100} ,}010{,}111} sono le forme costantemente pre- dominanti. Le faccie, specialmente quelle di maggiore ampiezza, presentano molto spesso poliedria, dimodochè, pur mostrandosi brillanti, al goniometro riflettono immagini doppie, triple, spesse volte multiple, a contorni più o meno definiti. Sfaldatura facile e perfetta secondo (001). I cristalli sono di colore giallo zolfo, a splendore vitreo e trasparenti. Bisettrice acuta LI (001). Doppia rifrazione negativa. Non furono possibili ulteriori osservazioni ottiche. Etere acetilentetracarbonico (!) Ottenuto dal dott. G. Romeo (?) nella preparazione dell'etere metilma- lonico col metodo di Zublin (*), il quale non aveva rilevata la formazione di questa sostanza; mentre gli scopritori di essa, Conrad e Bischoff (‘) l’ebbero per azione dell'etere cloromalonico sopra l’etere sodiomalonico, e Conrad e Guthzeit (®) per riduzione dell'etere dicarbontetracarbonico. Punto di fusione 74°-75°. I cristalli da me studiati furono ottenuti una sola volta in condizioni indeterminate, e poichè la }001{ si presenta costantemente a facce incurvate e scabre, si presta alla misura solo la zona [001], dove si riscontra la combinazione }110} }100{. Le numerose prove tentate per avere buoni cristalli diedero sempre individui aghiformi, fortemente striati, con estremità indeterminabili e tali (') La sostanza non è nuova, ma a quanto mi risulta, pare non ne sia stato fatto lo studio cristallografico. (2) Gazz. Chimica ital., t. XXXYV, parte I, 1905. (3) Berichte d. deutsch. chem. Gesell., 1879, 1113 (4) Ann. 214, 68. (9) Ber. 16, 2632. 2 (090= da rendere impossibile qualsiasi misura, perciò mi sono dovuto limitare al solo riconoscimento del sistema cristallino, che ritengo dimetrico per le se- guenti osservazioni, le quali furono le sole possibili: Dalla zona misurata in diversi cristalli, rilevasi: MISURATI ANGOLI N. | Limiti | Medie Pera (o) y, o) , (o) r LA 110:110 | 10 | 89.48 — 90.17 | 89.59. 1 100:110 8| 4441 — 45.13 | 44.59.23 Le direzioni di massima estinzione osservate su (110) e (100) si pre- sentano rispettivamente parallele agli spigoli di esse facce. Una lamina del cristallo tagliata secondo (001) si mostra monorifran- gente e su di essa si riscontra la figura d'interferenza caratteristica delle sostanze monoassi. Infine la sfaldatura si è riscontrata, facile e perfetta, secondo le due direzioni delle facce del prisma }110f. I cristalli, la cui dimensione varia da 4 a 2 mm. circa, sono abbastanza regolari, con abito prismatico, un po’ allungati secondo l’asse <. Presentano una fine striatura secondo [001], che, mentre è visibilis- sima nei icristalli di maggiori dimensioni, non sì riscontra affatto nei più piccoli. Le facce del prisma }100{ sono sempre poco sviluppate ed in tutti i cristalli osservati non esistono le parallele alle (100) e (010). Le facce della base hanno una curvatura massima verso l'intersezione loro con quelle dei prismi. I cristalli piccoli sono incolori e semitrasparenti, mentre i grandi, pur conservando la trasparenza, hanno un colore roseo carnicino. Tutti hanno splendore vitreo. — 631 — Etere p-nitrobenzilmetilmalonico C00-C,H; | CH, CH,-C,H,N0, COO-C,H; C< Ottenuto dal dott. G. Romeo (*) facendo agire il cloruro di p-nitrobenzile sopra l'etere sodiometilmalonico. Punto di fusione 59°-60°5”. Sistema cristallino: monoclino a:b:c=0.98532:1:1,15785 BI=66%517 46) Forme osservate: }110} .}011{, 3100}. Combinazioni osservate: 12 }110% }O11{ 22 3110} 3011: }100t (v. fig. 4). Fic. 4. MISURATI DIFFERENZE ANGOLI CALCOLATI Limiti Medio Cna — Gale (o) ,r (0) , (o) , 110:100 Lollo 49x18 (49:10 #. sas 100:011 Wale — RUS 20 La ra 011:001 > 46.49 da Ne O RRITZINNITTT, VARI 011:110 46:18 — 4642‘ 46.30 4680.48 | — 0:48 011:110 72.52 — 73.8 | 72.57.30) 73.328) — 5.58 È tI 110:110 95.28.20 — 95.29.20 | 95.28.50 | 95.36 — 7.10 Le facce della zona [001] si presentano quasi sempre incurvate nel senso della zona stessa, perciò gli angoli su cui fu fondato il calcolo per la determinazione delle suddette costanti, furono misurati tutti su di un cristallo scelto fra i migliori; ma anche tutte le misure discrete eseguite (1) Gazzetta Chim. ital., t. XXXV, parte I, 1905. = Uso — sopra altri cristalli vanno abbastanza di accordo con quelle prese per fonda- mentali, come rilevasi dai seguenti valori: x MISURATI ANGOLI CALCOLATI 2° cristallo | 8° cristallo (o) mr (e) IA IA uno — 16.23 | 46.30.48 ol1:I10 |. 7812 | 7258 | 73.328 Î10:110 | 95,1 di 95.36 I cristalli raggiungono una dimensione massima di mm. 7 circa e sono sempre allungati nel senso dell'asse [001]. La 1* combinazione è la più frequente e nei cristalli in cui si presenta la faccia (100) non ho mai riscontrata la sua parallela. La forma predominante è sempre la }110|, seguono in ordine decrescente il prisma }011{ ed il pinacoide }100|. Sfaldatura perfetta in lamine sottili e pieghevoli || (110). I cristalli sono incolori, trasparenti, a splendore vitreo. Una direzione di massima estinzione fa sopra (110), e verso destra, con lo spigolo (110):(100) un angolo di 9° circa. Chimica. — Sulla indolina. Nota di G. PLANCHER e 0. Ra- VENNA ('), presentata dal Socio G. CIAMICIAN. L'indolina o diidroindolo, la sostanza madre degli alcaloidi indolici, abbenchè ne siano noti numerosi suoi derivati anche dei più semplici, non è stata finora preparata. Gli omologhi indoli si riducono facilmente ad indoline sostituite, ma l’indolo resiste agli stessi mezzi idrogenanti, e per questa via non si potè ottenere l’ indolina fondamentale. Eppure, ci pare interessante conoscere primieramente le sue proprietà; conosciute le quali reputiamo cosa più facile vedere quale sia la ragione per cui la idrogenazione dell’ indolo presenta le note difficoltà (?) e avvisare ai modi di rimuoverle. La prima parte di questo programma costituisce l'oggetto di questa comunicazione. (') Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica agraria della R. Università di Bologna. (2) Ciamician e Zatti, Gazz. Chim. it., 20, 96. Questi Rendiconti, serie IV, vol. V, 2° sem. 1889, pag. 105. i — 633 — Abbiamo ottenuta l’indolina per via indiretta, partendo dall’ N-metil- indolina. È noto che quest’ultima base si ottiene facilmente riducendo con zinco ed acido cloridrico l’N-metilindolo ('), il quale si prepara condensando il me- tilfenilidrazone dell'acido piruvico e distillando l'acido N-metilindol-a carbo- nico così formatosi (*). Trattando la N-metilindolina in tubo chiuso con acido jodidrico e fosforo essa perde l’ N-metile e dà l’ indolina. Le proprietà dell’ indolina dovrebbero essere, come lo fanno supporre le ricerche di Ciamician, di Bamberger e di A. von Baeyer sulla idrogenazione dei nuclei acromatici, e la conoscenza delle indoline omologhe, quelle di un'etilanilina come risulta dalle due seguenti formole: o ) SII]; 4 } CH, | VI \AN0 N N H H Indolina Etilanilina Così è difatti, salvo qualche differenza, tra le quali è notevole quella che, mentre l’etilanilina è poco stabile all’aria e si colora rapidamente, l’ in- dolina invece resiste assai e si serba lungamente inalterata. Anche nell’odore non si discosta dal debole odore anilico. Ossidata col metodo di Tafel dà l’indolo (8). Smetilazione della N-metilindolina. Questa base (1 gr.) fu chiusa in tubo con 1 gr. di fosforo rosso e 8 gr. di acido jodidrico bollente a 127°, e venne scaldata per 24 ore a 210°-230°. In capo a questo tempo il fosforo era completamente scomparso, il contenuto dei tubi perfettamente incoloro e in qualche caso cosparso di cristalli di joduro di fosfonio, oltre una piccola quantità di cristalli aciculari, forse del jodidrato di indolina. Esso venne riunito diluito con acqua e sottoposto, tale e quale, alla corrente di vapor d'acqua per scacciarne lievi quantità di derivati non basici, non che l’idro- geno fosforato formatosi nella reazione. In seguito, il residuo alcalizzato for- temente con soda, libera una base incolora meno leggera dell’acqua, di debole odore, che estratta con etere e seccata nel solvente con potassa fusa bollì a 220°-221°. Il rendimento fu quasi quantitativo. (*) Wenzing, Ann. d. Chemie 239, 246. (2) E. Fischer e 0. Hess., Ber. d. deutsch. Chem. Gesell., /7, 562. (3) Kann und T'afel, Ber. d. deutsch. Chem. Gesell. 27, 826. RenpIconTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 79 — 634 — Questa base si salifica assai facilmente, e si conserva a lungo inalte- rata, solo dopo molto tempo si imbruna alquanto. Al contrario dell'N-metil- indolina la sua soluzione solforica diluita non si colora con acido nitroso (vedi più avanti). Per caratterizzarla ne furono preparati alcuni sali e il benzoilderivato, e per stabilire la sua natura secondaria se ne fece la nitroso- ammina, di cui fu anche determinato il peso molecolare che risultò corri- spondente alla formola semplice. Il punto di ebullizione (la N-metilindolina bolle a 216°), la facile reazionabilità e la sudetta ultima circostanza ci rendono certi che la indolina, non è, ciò che prima era temibile, una polimera della formula C3 Hy N. Picrato. Fu preparato trattando la base con soluzione alcoolica satura di acido picrico. Si separa sotto forma di un corpo giallo chiaro voluminoso, che cristallizzato ripetutamente dall'alcool assoluto, in cui è poco solubile a freddo e discretamente a caldo, si separa in minutissimi cristalli che riem- piono tutta la massa del solvente e fondono a 174°. Analisi: I) gr. 0,1412 di sostanza diedero gr. 0,2493 di CO; e gr. 0,0484 di H,0 II) gr. 0,1374 » 1) 7 cc. 91 INI NE 069) Calcolato per Ci4 Hia N4 07°/o Trovato °/o C 48,24 C 48,15 H 3,47 H 3,86 N 16,13 INfiL:0275 Dal picrato, con alcali, si libera la base che, distillandola al vapor d'acqua, può aversi purissima. i Il picrato di N-metilindolina è già stato descritto da Wenzing (1. cit.); che cristallizzatolo dal benzolo lo ebbe in grossi cristalli d'aspetto romboidale fondenti a 155°, ma non fu analizzato. Noi lo ripreparammo. Picrato di N-metilindolina. Ottenuto in modo identico al sopradescritto e cristallizzato dall'alcool si ebbe simile nell'aspetto a quello dell’ indolina, ma fondente invece che a 155° (come dice Wenzing) a 165°. Per maggior sicurezza lo analizzammo. gr. 0,1761 di sostanza diedero ce. 22,2 di N (£f=7; p=760 mm.). Calcolato per Cis Hia N4 07 °/o Trovato °/ N 15,50 N 1591 Anche per la solubilità in alcool differisce poco dal precedente. — 635 — ° Cloridrato e cloroplatinato di indolina. Evaporando la soluzione clo- ridrica dell’ indolina si ottiene con cloridrato incoloro, che cristallizza dal- l'alcool. La soluzione cloridrica acquosa trattata con acido celoroplatinico dà un precipitato giallo che presto diventa roseo. Raccolto su filtro e lavato alla pompa aspirante, fu seccato nel vuoto a peso costante. Scaldato in tu- bicino, prima di fondere, verso 180° si decompone. Analisi : gr. 0,2500 di sostanza lasciarono per calcinazione gr. 0,0756 di Pt. Calcolato per (Cs Hs N): Ha Pt Cls °/o Trovato °/o Pt 30,15 12% 30,24 Ossalato. Questo sale dell’indolina si forma aggiungendo la base ad una soluzione eterea satura di acido ossalico, si separa in bei cristalli incolori che ricristallizzati dall'alcool fondono a 128° (il sale corrispondente della N-metilindolina fonde a 103°-105° [Wenzing]). È un ossalato acido come risulta da una determinazione di acido ossalico. Con gr. 0,3208 di sostanza si ebbero gr. 0,0864 di CaO corrispondenti a gr. 0,1389 di acido ossalico. Calcolato per Cio Hii NO, °/o Trovato °/o (C.H.0,) 43,04 (C:Hs0,) 43,29 gr. 0,1485 di sostanza diedero gr. 0,3126 di CO, e gr. 0,0724 di H,0. Calcolato per Cio Hio NO, °/o Trovato °/ CU 57,38 0 57,41 H 9,90 H d,45 N-Benzoilindolina. Agitando fortemente il cloruro di benzoile aggiunto a goccia a goccia, con una emulsione della base in soda al 10°/, mante- nuta raffreddata con acqua dell'acquedotto, si separa a poco a poco una massa solida. Estratta con etere e lavato l'estratto etereo con acido cloridrico di- luito e quindi con carbonato sodico diluito, lo si seccò su carbonato potassico calcinato. Distillando l’etere rimane un residuo cristallino quasi incoloro. Ricristallizzato dall'etere acetico ripetutamente, fonde a 118°-119°. Si pre- senta in cristalli d'aspetto prismatico incolori e rifrangenti. Analisi: 1) gr. 0,1623 di sostanza diedero gr. 0,4780 di CO. e gr. 0,0893 di H,0 2) » 0,1478 ” ’ » 0,4354 » » 0,0810. > Calcolato per Ci5 H13 NO» °/o Trovato °/o C 80,68 CU 80,32; 80,34 H 9,89 HI 6,15; 6,13 — 636 — Dalla formazione di questo derivato risulta la natura secondaria di questa base. Per metter la quale in maggior evidenza preparammo la nitrosoammina. Nitrosoindolina. Si ottiene trattando una soluzione concentrata della base in acido solforico al 10°/ tenuta ben fredda, con nitrito potassico in soluzione acquosa concentrata. Il liquido non si colora, si separa invece un olio giallo chiaro dapprima emulsionato, che tosto cristallizza in belle sca- gliette lucenti gialliccie, che estratte con etere e lavate in soluzione con carbonato sodico diluito e con acqua, furono seccati con carbonato potassico calcinato. L'estratto etereo secco, lievemente giallo, lascia un residuo cristal- lino, che ripreso con etere di petrolio secco bollente in cui non è molto solu- bile, si depone per raffreddamento in squame appena colorate in giallo che fondono ad 83°-84°. Analisi: I gr. 0,1580 di sostanza diedero cc. 26,4 di N (£=15,8; p= 160). II » 0,1570 ” » gr. 0,3735 diC0, e gr. 0,0784 di Hz0. Calcolato per Cs Hg N20 0/0 Trovato °/ C 64,82 C 64,88 FRo:45 Hi (15,59 N 18,96 N° 19,32 Essa ha la formola semplice come dimostra la seguente determinazione del peso molecolare: Solvente : Benzolo (K= 51) P. mol. C}Hs N30 = 148 Concentrazioni Abbassamenti P. mol. trovato I 1,431 0,495 JET II 2,47 0,85 143. Questa nitrosoammina dà la reazione di Liebermann e quella colla so- luzione solforica di difenilammina, distinte quantunque un po’ a stento. Trat- tata con cloridrato di idrossilammina ridà l’indolina: quantità equimolecolari di cloridrato di idrossilammina e di nitrosoindolina in soluzione alcoolica concentrata, furono bollite a ricadere per tre o quattro ore. Il liquido si co- lorò intensamente; addizionato di qualche goccia di acido cloridrico e scac- ciato l’alcool, il residuo cristallino e bruniccio del cloridrato di indolina for- matosi fu distillato a vapore d'acqua a reazione alcalina per soda. Passò così l’ indolina che estratta con etere fu trasformata nel picrato, il quale risultò identico a quello ottenuto dall’ indolina primitiva, vale a dire fonde a 174°. Analisi : gr. 0,1547 di sostanza diedero gr. 0,2744 di CO, e gr. 0,0490 di H,0. Calcolato per C14 Hi Na 07 °%/o Trovato °/ C. 48,24 Od: 81917 H 3,47 H 3,94 — 637 — Resta perciò attestata la vera natura di N-nitrosoderivato di questo corpo, e di riverbero con tutta sicurezza la natura secondaria dell’ indolina. Da quanto è esposto risulta che l' indolina è un corpo stabile ai reattivi comuni e che perciò non possono dalla sua natura dipendere gli ostacoli che si incontrano nella idrogenazione dell’indolo, alla quale rivolgeremo ulteriormente la nostra attenzione. Queste esperienze furono eseguite col concorso del laureando sig. Tiziano Archetti. Chimica. — Azione del cloroformio sull’a-8-N trimetilin- dolo. Nota di G. PLANCHER ed 0. CARRASCO, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Chimica. — Trasformazioni dei nitrosopirroli. Nota di FRAN- cesco AncELICO, presentata dal Corrispondente A. ANGELI. Zoologia. — Di un nuovo protozoo. Nota della dott. Anna Foà, presentata dal Socio B. Grassi. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Patologia vegetale. — Di alcuni caratteri colturali della Stietis Panizzei De Not. Nota di L. PETRI, presentata dal Cor- rispondente G. CUBONI. Questo piccolo discomicete, la cui vita parassitaria sulle foglie dell’olivo dà origine nel Leccese alla malattia denominata Brusca, fu già coltivato sopra substrati artificiali dal prof. Brizi ('), il quale però non ottenne che uno sviluppo più o meno abbondante di un micelio sterile. Ripresi attualmente i tentativi di coltura, credo utile riportare qui sotto l primi risultati ottenuti. Per germinazione delle ascopore della Stictis Pamizzei deriva un mi- celio che generalmente sui terreni contenenti glucosio e in particolare sul- (3) Sulla malattia degli olivi denominata Brusca (Boll. Uff. Min. Agr. 1903). — 638 — l'agar preparata col decotto di foglie d'olivo addizionato di glucosio all’ 1°/ forma dopo 8-12 giorni (temp. media 18°) una fruttificazione picnidica. Quasi tutto il micelio viene a costituire un corpo stromatico emisferico a superficie bianca, d'aspetto pruinoso, poi di colore giallo-zolfo, cosparso di abbondanti goccie del liquido di traspirazione. I picnidi si formano dapprima nello strato periferico dello stroma, più tardi anche più profondamente. Le spore quasi cilindriche, bacillari, ialine, incostantemente un po' in- curvate si formano sopra sporofori semplici o raramente ramificati; esse mi- surano u 3-4 = 0,5-0,8. Questa fruttificazione picnidica può essere inclusa nel gen. Cytospora Ehrenh. ma la sua identità con una delle forme note è per ora molto in- certa, è probabile però che un simile stadio metagenetico del fungo si ve- rifichi normalmente in natura, anzi sia la forma di diffusione più attiva rap- presentando l’ascospora il periodo ibernante. Ho ottenuto dopo poco più di un mese la fruttificazione ascofora colti- vando la Stictis sopra agar preparata al decotto di foglie di olivo senza aggiunta di ghicosio. Gli apoteci in queste colture non sono preceduti dalla forma picnidica, la quale invece si. mostra costantemente e assai presto nei terreni ricchi di ghicosio. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLasERNA dà il triste annuncio della perdita del Socio na- zionale prof. FepbERICo DELPINo, mancato ai vivi il 14 maggio 1905. Ap- parteneva il defunto all'Accademia, per la Botanica, sino dall’11 luglio 1900. La Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, accogliendo la domanda fatta dal Socio Borzi e dal Corrispondente SaccaRDo, approva il passaggio di ambedue dalla Sezione di Agronomia a quella di Botanica. E la stessa Classe decide, su proposta della Sezione di Fisica, di dare temporaneamente il posto di Socio nazionale ora vacante nella Sezione anzi- detta, e che ebbe in via provvisoria dalla Sezione di Cristallografia e Mi- neralogia, alla Sezione di Chimica. Finalmente l'Accademia procede, a termini dello Statuto, alla rinnova- zione delle cariche di Amministratore e di Amministratore aggiunto. Il PRESIDENTE comunica all'Accademia che il Socio VoLTERRA, fin qui Amministratore, domanda con insistenza di essere esonerato, per ragioni di salute, dalla sua carica. — 639 — Il risultato della votazione è il seguente: Per Amministratore: Votanti 39. GATTI voti 39. Eletto GaTTI. Per Amministratore aggiunto: Votanti 39. DaLLa Vepbova voti 38. Bopro 1. Eletto DaLLA VEDOVA. Su proposta del Presidente BLASERNA, l'Accademia approva unanime un voto di plauso e di ringraziamento all’Amministratore uscente prof. VoL- TERRA, per l’opera attiva ed efficace da lui prestata in vantaggio dell’Acca- demia durante la sua amministrazione. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio G. DALLA VEDOVA, a nome anche del Socio G. SCHIAPARELLI, relatore, legge una Relazione colla quale si propone la inserzione negli Atti accademici della Memoria del dott. RoBERTO ALMAGIA, avente per titolo: Lo dottrina delle maree nell'antichità classica e nel Medio Evo. Il Socio G. STRÙVER, relatore, a nome anche del Socio L. BALBIANO, lesse una Relazione sulla Memoria del dott. FERRUCCIO ZAMBONINI, intito- lata: Azcerche su alcune zeoliti, concludendo col proporre la inserzione del lavoro negli Atti Accademici. Le conclusioni delle due Commissioni esaminatrici, poste ai voti dal Presidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. CORRISPONDENZA Il Segretario CERRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona: l'Accademia delle scienze di Nuova York; la Società Reale di Londra; la R. Società delle scienze di Upsala; la Società geologica di Sydney; la Società zoologica di Tokyo; i Musei di storia naturale di Amburgo e di Nuova York; il Museo di scienze ed arti dell’ Università di Filadelfia; l'Osservatorio di San Fernando. VETO Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1% — Atti dell’Accademia poîitìficia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. IIL (1875- 76). Parte 1% TRANSUNTI. 2 MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 33 MEMORIE della Classe di scienze morali, i storiche e filologiche. Me Vol. IV. V. VI. VII: VIII. Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIL. (1876- 84) pun ‘Memorie della: Glasse di scienze fisiche, Du cmaliche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. e porte della Classe ‘di scienze. morali, storiche e filolagiche. N Serie 4° — RenpiconTI Vol. I-VII. (1884-91). . °° MemorRIE della Classe di scienze fisiche, CODICI e ‘naturali. TOI Vol. I- VII. SOTA - MewoRIE della Classe di scienze morali , TI ‘e filologiche. e Vol J-xX Serie 5a — Tamponi (ao ‘Classe di scienze: fisiche, matematiche e naturali. ee Vo ICXIVa(189251905). Base ioni i Pin, \ îèl.«.. -RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ©... + Vol: IX. (1892-1904). Hase. 190-120. i ui EerRo della: Classe di selenise fisiche, matematiche e naturali. DRS Vol. EIV. Vol. V. Fasc. 19-50. ca INA MexoriE della ‘olsse di scienze oe. serie e filologiche. ira DE Di ia i SANA ‘ CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI fu s ..- - ;- © +. DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI * 1 Rendiconti della Classe di scienze lisiche, matematiche ce naturali della R. Accademia, dei. Lincei si pubblicano | due volte al mese; Essi formano due volumi. all’ anno, peo ‘denti ognuno ad: un' semestre. |‘ . > Il prezzo di. associazione per ogni: -volume e per tutta italia di L. 19; per gli altri paesi lc spese di posta in più. Le associazioni si ricevono Miamente dai cogli editori-librai : «Ermanno LorscneR &C.° — Roma, li e Firenze. Utrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. & . RENDICONTI — Giugno 1905. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 giugno 1905. MEMORIE K NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Castelnuovo. Sugli integrali semplici appartenenti ad una superficie inregolare . . . Pag. Capelli. Sulle formole generali di addizione delle funzioni 4 di più ANZOnICg Or De Stefani. I proietti di Leucotefrite nei Campi Blegrei .i 0.0. 0. LL a Cuboni. La Brusca dell'olivo nel territorio di Sassari . . . 5 IERI Lauricella. Sulle equazioni della deformaziolie: delle piastre dectiche cilindriche Da dal Socio Volterra) . . . i MB) Tagliaferri. Sulle superficie w olii sopra ico di E CIO ch Socio bianco Se SL ; BEAR, Occhialini. Relazione fra la cine dietetici e Lì do dell'aria (ua ti Corrisp. BARA Si SUR MRO La Rosa. Sulla misura di Hiicoli coeficicati de oiduzione (viel! dal Gui esilso ” Chistoni. Risultati pireliometrici ottenuti dal 3 luglio al 21 agosto 1902. al R. Osserva- torio Geofisico di Modena (pres. dal Socio Blaserna) (È) . . . + e A) Ranfaldi. Studio cristallografico di alcune sostanze organiche (pres. dal Susi Struver)i . » Plancher e Ravenna. Sulla indolina (pres. dal Socio Ciamician) . <. .... 0. ” Id. e Carrasco. Azione del cloroformio sull'è-8-N trimetilindolo (pres. /d.)(*). ‘n Angelico. Trasformazioni dei nitrosopirroli (jires. dal Corrisp. Angel) (È) . . . . ”» Foà. Di un nuovo protozoo (pres. dal Socio (@rassè) (È). . . . + Futa Petri. Di alcuni caratteri colturali della Stictis Panizzei (nes. dal Sorin dI) ” PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio nazionale Federico Delpino . » Deliberazione della Classe, relativa al passaggio del Socio Borzì e del Corrisp. Saccardo alla Sezione di Botanica, e alla concessione temporanea di un posto di Socio nazionale Ni della Sezione di Fisica, a quella di Chimica Da Meg E ing i Medio Elezione del Socio Gatti ad Amministratore dell’Accademia e del sot Dani Wool ad Amministratore aggiunto . . . . i 5 SU RI Blaserna (Presidente). Propone un voto di tileiiteto di pro Volfgiià, Amimisietes uscente. — Deliberazione dell’Accademia... . +. A E A RELAZIONI DI COMMISSIONI Dalla Vedova e G. Schiaparelli. Relazione sulla Memoria del dott. Almagià, intitolata: «La dottrina delle maree nell’antichità olassica e nel Medio Evo»... .... » Striver e Balbiano. Relazione sulla Memoria del dott. Zambonini, intitolata: « Ricerche su alcune zeoltin e e A CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispo}igenza relativa al cambio, degli Atti . . . » (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prassimo fascicolo. K. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. coma 18 giugno 1905. N. 12. ATI REALE ACCADEMIA DEL LINCHI ANNO CQCCII. 1905 SERBE QQ BENT A: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 giugno 1905. Volume XIV. — Fascicolo 12° e Indice del volume. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI perc SI al HIGUTUt), PROPRIETÀ DEI CAV. V. SALVIUCCI pd vu È cs a 1905 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci © da Corrispondenti, Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se: guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desideric di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. sc estranei. La spesa diunnumero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NANNA _-_----- Seduta del 18 giugno 1905. F. D'Ovipro, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Contributo allo studio delle distorsioni dei solidi elastici. Nota del Socio Vito VoLTERRA. 1. Uno dei resultati a cui sono giunto nelle Note precedenti (*) relative all'equilibrio dei solidi elastici più volte connessi è stato il seguente. Fic. 1. — Fessura radiale. Fic. 2. — Fessura uniforme. Abbiasi un anello simmetrico rispetto ad un asse (fig. 1). Se ne asporti in AA' BB' una sottile fetta, la cui grossezza varii proporzionalmente alla distanza dall'asse (chiameremo ciò fare una /essura radiale), quindi si acco- stino le faccie AA' e BB' della fessura, si saldino e si lasci libero l'anello. (1) Sedute del 5 febbraio, 19 febbraio, 2 aprile, 16 aprile 1905. RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. i 80 — 642 — Le faccie saldate non sono tese, ma in parte tese ed in parte compresse e la somma delle forze di compressione è eguale alla somma delle forze di tensione (vedi Nota IV, $$ 1, 7). Anche se asportiamo in AA' BB' (fig. 2) una sottile fetta a faccie paral- lele ed equidistanti dall'asse dell'anello (fessura uniforme) e saldiamo le faccie, abbandonando a sè il corpo, si ha che le faccie sono in parte tese ed in parte compresse. Senonchè le condizioni del corpo in equilibrio nel secondo caso sono essenzialmente diverse che nel primo (Nota IV, $ 7). Nel primo caso lo stato di deformazione del corpo è simmetrico rispetto all'asse, in modo che il medesimo stato sì sarebbe ottenuto eseguendo, invece che nella primitiva sezione, in un’altra sezione retta qualunque dell'anello (per esempio in quella diametralmente opposta C'C) (fig. 1) la stessa fes- sura radiale e saldando quindi le faccie. Nel secondo caso per ottenere lo stesso stato di deformazione operando una distorsione, anzichè in AA'BB' (fig. 2), nella regione diametralmente opposta, sarebbe convenuto fare un taglio in C'C e duterporre fra le faccie del taglio una zeppa di grossezza uniforme, come si rileva dal principio dei tagli equivalenti (vedi Nota II, art. I, $ 1). Inoltre la distribuzione degli sforzi è completamente diversa nei due casi. Nel primo caso, se esaminiamo le azioni che AA' esercita sopra BB', dopo la saldatura, e componiamo fra loro tutti gli sforzi di compressione e quindi componiamo fra loro tutti quelli di tensione, abbiamo che la Zizea d'azione della resultante dei primi giace verso la regione interna del- l’anello, cioè dalla parte AB, la linea d'azione della resultante degli altri sforzi giace verso la regione esterna, cioè dalla parte A'B'. In virtù della simmetria si troverebbe l'analogo resultato in ogni altra sezione retta del- l'anello. Infatti abbiamo trovato (vedi Nota IV, $ 7) che la resultante degli sforzi di tensione eguaglia in intensità quella degli sforzi di compressione, ma il momento della prima rispetto all'asse di simmetria supera il momento dell'altra. Nel secondo caso invece, facendo una simile composizione, si ha che /@ linea d'azione della resultante degli sforzi di compressione agenti sulla faccia BB', dopo la saldatura, giace verso la regione esterna dell'anello, cioè dalla parte A'B'; mentre Za linea d'azione degli sforzi di tensione giace verso la regione interna, cioè dalla parte AB. Ma l'opposto si trova se ese- guiamo l’analoga ricerca in CC, vale a dire la linea d'azione della resultante degli sforzi di compressione giace dalla parte interna, ossia verso C e la linea d'azione della resultante delle tensioni è dalla parte opposta, cioè verso C'. Infatti noi abbiamo dimostrato (Nota IV, $ 7) che, nel caso del taglio uniforme, in ogni sezione trasversale dell'anello gli sforzi di tensione supe- — 643 — rano quelli di compressione e la resultante degli uni e degli altri incontra ortogonalmente l’asse di simmetria dell'anello. In altri termini nel primo caso della fessura radiale, le fibre circolari dell'anello stirate sono in prevalenza verso la regione esterna e quelle com- presse verso la regione interna e ciò lungo tutto l'anello, mentre, nel caso della fessura uniforme, le fibre circolari dell'anello dalla parte destra di esso (fig. 2) sono in prevalenza stirate nella regione interna e compresse nella regione esterna, ed il contrario avviene dalla parte opposta di sinistra dell'anello. Questi diversi resultati che abbiamo enunciati si ricavano facilmente, sia dal principio dei tagli equivalenti, sia dalla legge di composizione degli sforzi che abbiamo ottenuto nelle Note precedenti. Colla semplice intuizione male si arriverebbe a priori ai resultati stessi, anzi alcuni di essi ci ap- paiono come inaspettati e la ragione di ciò si comprende, quando si osservi che l'esperienza quotidiana ci abitua in generale ad intuire le deforma- zioni che un corpo subisce allorchè è sollecitato da sforzi conosciuti. Qui invece nessuno sforzo esterno si esercita sul corpo elastico: gli sforzi che lo sollecitano sono solo interni e, per dir così, nascosti all’osservatore, tanto che essi figurano, al pari della deformazione, come incognite del pro- blema. 2. Ho desiderato avere la conferma sperimentale di alcuni dei resultati ottenuti operando sopra solidi di caoufehove coi quali è facile ottenere de- formazioni molto sensibili. Onde poter fare un confronto fra i resultati del calcolo e le esperienze, ho voluto approfondire principalmente in questa Nota il primo degli esempî svolti nella Nota I, cioè il caso corrispondente alla distorsione di ordine 6 (vedi IV Nota) dovuta quindi ad una fessura radiale in un cilindro cavo di rivoluzione, caso che dal punto di vista analitico presenta le minori dif- ficoltà. 8. Le formule (2), in cui si suppone y=0, della Nota I esprimono gli spostamenti corrispondenti ad una distorsione di ordine 6 (fessura radiale) quando il cilindro sia soggetto respettivamente ad azioni uniformi lungo le superficie cilindriche che formano il contorno laterale del corpo e a tensioni che ne sollecitano le basi. Le prime si eliminano facilmente componendo gli spostamenti (2) della Nota I cogli spostamenti x Y ud tua , v=4-;tUy , w=0, e scegliendo convenientemente le costanti 4 e p. — 64i — In tal modo si giunge agli spostamenti u=—@ ganco gi 5 alogre + L+K ? Ie Do Rî log ci mo È ) 7; o Rî — RÈ Ji LE i oineror Sai 0 Ri 090) nilo RE Ri — Rs at 4 Ri log Rî — Rs log R3 ]) ++ Re Rî ali (1) v=—al—2aeotgt— ( w= 0 i quali corrispondono alla ipotesi di una distorsione (d’ordine 6) dovuta ad una fessura radiale la cui apertura angolare è 27re, mentre il corpo è sollecitato da sole azioni agenti sulle due basi, le quali azioni servono a mantenere le dette basi piane ed alla loro primitiva distanza (1). Si possono calcolare facilmente le sei caratteristiche delle tensioni (s7742%) che corrispondono agli spostamenti (I) ed esse resultano: a(L + K)K i 06 (1) da = TT, 9K osti egg —_ Ri Rs (log Ri — log Rs) ( 1 2° “)_ Ri log Ri — Rs log R5 ; e ene STI sn ee e ZE Rî — Ri n RESR: a(L + K)K DIE @ n= Tpg Mi a Ri Rs(log Ri — log R$) — iL) di Ri log Rî — R$ log R3 ) RI SR; - pa, Ri — Ri ) ha dr AMI oo (4) lo3 = 0 (5) t31 — 0 (6) 4 ____2@(L + K)K 2y 1 Ri Rs(log Rî — log Rs) 1) LEcoRo o IRE IR r3 \ (1) Si noti che in queste formule, come in tutte le successive i logaritmi sono me- periani. — 645 — L'esser nulle 23 e #3; prova che le forze che si esercitano sulle due basi agiscono normalmente alle basi stesse. Tale azione sulle basi, assunta come positiva quando è diretta dal- l'esterno verso l’interno del cilindro, e come negativa quando ha la direzione contraria e riferita alla unità d’area, è espressa da LE II > RilogRi — Rslog R; (II) Pa lac gg] l+er mi “= Abbiamo dunque il teorema: Un cilindro cavo di rivoluzione che ha subìto una distorsione (distor- sione di ordine 6) dovuta ad. una fessura radiale di apertura 2rra con- serva le sue basi piane ed alla loro distanza primitiva mediante delle forze normali agenti sulle basi stesse date dalla formula precedente (II), nella quale BR, e BR» rappresentano è raggi delle superficie cilindriche la- terali e r la distanza dell’asse dai varii punti delle basi. 4. Ciò premesso, calcoliamo le azioni che si esercitano sopra gli ele- menti della sezione o del cilindro eseguita con il mezzo piano spiccato dal- l'asse del cilindro e che forma col piano «2 l'angolo ff. Le (1), (2) e (6) ci forniscono subito le componenti secondo gli assi dell’azione unitaria relativa ad ogni elemento della sezione. Esse sono: —Fsen8 , Fcosf , o in cui Be OE _» Ri Rs(logRi—log R,) 1 ei a a __Rilog R, — Rilog R, ) Ri — Rî ) Questo prova che ogni elemento di o è sollecitato da una forza normale la cui grandezza unitaria è F. Un calcolo elementare ci dà: R, Reg 105 Ra Ne segue che, componendo tutte le azioni che si esercitano sugli ele- menti di o, si trova una forza resultante nulla. Questo resultato verifica, nel caso particolare che trattiamo, il teorema generale dimostrato nella Nota precedente (Nota IV, $ 6). Infatti esso prova che la somma delle compressioni che si esercitano sopra o è eguale, in valore assoluto, alla somma delle tensioni, e tale con- dizione evidentemente dovrà seguitare a sussistere anche quando non solle- citeremo più le basi del cilindro cavo mediante la forza P. — 646 — Si può calcolare facilmente il momento rispetto all'asse e delle azioni che sollecitano gli elementi di o. Esso sarà, denotando con % l'altezza del cilindro : n fran = OTO MOR _U R> (log Ri — log Raf}, R : maso ZI RIN ) 5. Poniamo: SR Rî Rs(log R, — log R:) 1 Ri log R, — Ri log R, (7) f(@)=1+4logr— R° — R? pe R°— R? * La funzione /(7) è crescente e siccome O c=Oa così resulta che l'equazione 7059, ha una sola radice 0, compresa fra Rs e R,, e avremo che /(r) sarà nega- tivo per i valori di 7 compresi fra R: e 0, e sarà positivo per i valori compresi fra 0, e Ri. Questo prova che le fibre circolari del cilindro aventi per asse l’asse del cilindro e il cui raggio è compreso fra R. e 0, sono compresse, mentre quelle il cui raggio è compreso fra 0, e R, sono stirate. Le fibre neutre hanno il raggio o, . Dall’equazione /f (7)= 0 si ricava RPDa: Ri RI Rs Ana si DEI Va Mi VR. R. 3 Ml SI Do 1 e, posto pai Melog NE =} avremo (8) g= Et ele tlogen1. Sia pi Lu Ra — Rs & Ri avremo 0 ) 1 _ Rilog R, — RslogR, segue R? Ra log ii È (== i e (a ode) R, — Considerando :2—y come una quantità piccolissima del primo Ri ordine, con facili calcoli otteniamo, ponendo 7 = 0, + $£ dE 1 RR. O (i + AR) ) | (#8) trascurando quantità del secondo ordine. Ne segue ZORO 25 pio E | e oe a Tata 2ESAAAT ARDIRE ( 4 + e) ì 2 — 648 — Sia E il modulo di elasticità e 4 il coefficiente di Poisson. Avremo Ce L+2K = 41—»9) e, chiamando @ l’apertura angolare del taglio radiale, sarà (ira , quindi Do) ox leso in cui @ è la media (aritmetica o geometrica dei raggi), e s la differenza dei raggi, ossia lo spessore del cilindro cavo. 7. Passiamo adesso ad esaminare la legge di distribuzione delle forze P., sulle basi del cilindro. Poniamo Ri log Rî — Rs log R5 puristi 2 ae TO Ti ST, . (9) w(r)=1+ logr? — RR? ; con un calcolo elementare si dimostra che (10) fiv alpe (0) ne segue che l'equazione w(7)= 0 dovrà avere una radice compresa fra R, e R,; e siccome w(r) è una funzione crescente, così questa radice sarà unica, onde chiamandola 0», avremo che w (7) sarà negativa per 7 compresa fra R. e 0. e positiva per 7 compresa fra 0, e R,. ; R+R È facile mostrare che eil Abbiamo infatti Rî log Rî — Rs log R$ __ 7 . 2 (11) 1 + log o ESE d'onde Ri Rs log—= 20» Ro) È Ro R, be Re, Ri ir gt 1982 e posto I RI 203 | 3 = ] = vi | magi i pern x(8) I log & È | e rei O Ne segue | 1 e—--—2loge I . D CORO I SI), | — 649 — Scrivendo come precedentemente ($ 5) y= 1 —l e sviluppando il lo- garitmo e quindi y'(s) in serie di potenze di y si ha 1 (e+.)0-» |, (12) 0 TT cu in cui i termini successivi al primo contengono potenze superiori di y. Se ne deduce | 76 (e):aa == x(£)ea = 0 v'(£) = (1 a SÌ. ‘onde w (e), e per conseguenza y(s), sono positive per e > 1. Dunque y (e) per es > 1 è una funzione crescente. Ma lim yx(s)=0, dunque e=l Ma 203 log RISR 08 ossia R R. Fr: Siccome yx(e):-1="0 dalla (12) si ricava NC) = 7 aio e quindi O, de Ra Jero = gain d'onde cb (7) l , . Ò . RA se 2 Do trascurando nell’ espressione di o, le potenze di — Ro Superiori alla 1 seconda. Possiamo perciò concludere che 2/ cerchio dl quale separa la regione tesa dalla regione compressa in ciascuna base ha per raggio la media arit- metica dei raggi estremi, a meno di quantità del secondo ordine. 8. Dalle (9) e (11) segue quindi per la (II) po liga 2 RenpIcoNTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 81 — 650 — ed introducendo il modulo di elasticità, il coefficiente di Poisson e l’aper- tura angolare 0 della. fessura radiale (cfr. $ 6) En 0 7 II! ci q = — (II°) È SMI n RT, Dunque per mantenere piane ed alla primitiva distanza le due basi del cilindro bisogna comprimerle nella regione compresa fra i cerchi di raggi R». e 0. e stirarle nella regione compresa fra i cerchi di raggi 0» e Ri - Dalla formula (10) si ricava che, presa una striscia radiale qualunque di una delle basi la somma algebrica di tutte le forze agenti sulla striscia stessa è eguale a zero, ossia la resultante delle tensioni ha la stessa in- tensità della resultante delle pressioni. L'insieme quindi di tutte le forze agenti nella striscia radiale è equivalente ad una coppia. 09 Ponendo 7 = 0».4+- $ avremo =, giacchè 0. > RALE (vedi $ 7), quindi sarà possibile sviluppare il log a in serie di potenze di ù 2 2 onde la (II) si scriverà E RO. VTACINETARIET A Se lo spessore del cilindro è piccolo, trascurando i termini del secondo ordine avremo En ONES 1—-y? 2r 0, (I1”) Po = 9. Supponiamo ora di non sottoporre le due basi del cilindro alle azioni P» e di lasciarle libere e vediamo quale forma assumerà il cilindro. Cer- chiamo cioè la forma che prende il cilindro in virtù della sola distorsione, allorchè nes- suna forza esterna lo sollecita. A tal fine basterà applicare i principii generali che abbiamo dati nella Nota II, art. I, $ 2, cioè converrà sovrapporre alla de- formazione (I) quella dovuta alle forze — Py agenti sulle basi del cilindro. Ma la deforma- zione (I) conserva al corpo la forma cilin- Fio. 3. drica di rivoluzione, basterà quindi esaminare la deformazione di un cilindro soggetto sulle due basi alle azioni — Pu. La figura 3 rappresenta una delle basi del cilindro. — 651 — Il cerchio maggiore e il cerchio minore sono i due orli della base; il cerchio punteggiato è la linea di separazione della regione che deve esser tesa dalle forze — P. (la quale è stata tratteggiata) dalla regione che deve essere compressa dalle forze — P» (la quale è stata lasciata in bianco). Consideriamo ora (fig. 4) una fetta longitudinale ABCDEFGH in- finitamente sottile del cilindro cavo, ed immaginiamola staccata dal rima- nente del corpo. Secondo ciò che abbiamo trovato nel $ 8 la somma delle compressioni agenti sulla base superiore ABCD sarà eguale alla somma delle tensioni e il medesimo avverrà alla base inferiore EFGH, quindi le due basi saranno rispetti- vamente sollecitate dalle coppie P,,— P,; Pa, — Ps. Ne segue che /a fetta si fletterà in modo che le generatrici della fascia DOGH si curveranno assumendo una concavità e le generatrici della faccia ABFG si curveranno pure, ma divenendo convesse. Nello stesso tempo la regione della base superiore ABCD adiacente ad AB si so//everà e la regione della base stessa adiacente a CD si abbasserà. L’inverso avverrà alla base inferiore. È facile calcolare dalle formule ordinarie della flessione il solleramento e l'abbassamento e la freccia di flessione relative alla fetta considerata. Prendiamo per piano di riferimento il piano normale all'asse condotto per il mezzo dell’asse stesso, avremo: Sollevamento dei punti della base superiore AGO oil 1 e Aa e A Abbassamento dei punti della base inferiore ot Da ama 10) Sho (o Sisal co peo o, Freccia di flessione pene 7 0 nh (14) dee nelle quali formule % denota l'altezza del cilindro. Lo stesso avverrebbe per ogni altra striscia longitudinale infinitamente sottile del cilindro se fosse separata dal resto del corpo. Il collegamento — 652 — mutuo delle varie striscie altererà i detti sollevamenti ed abbassamenti rim- picciolendoli e specialmente diminuendo la freccia di flessione, ma l'anda- mento della deformazione rimarrà evidentemente inalterato e le correzioni da farsi nei valori trovati saranno tanto più piccole quanto più basso sarà il cilindro e minore lo spessore rispetto ai raggi delle basi (!). Il primitivo cilindro, che si è rappresentato colla fig. 5, assumerà quindi, in virtù della distorsione, la forma rappresentata dalla fig. 6, nella quale si sono esagerate le deformazioni per renderle più manifestamente visibili. Fic. 5. R 1885 , Secondo le formule (13), (13'), (14), e prendendo = EE al tezza totale assunta dopo la distorsione dalla superficie laterale limitante il solido internamente sarebbe YI 0 RR: Feo pp e l'altezza totale della superficie laterale limitante il solido esternamente sarebbe divenuta N 0 R, = Rs de RR quindi la differenza d'altezza delle due superficie limiti interna ed esterna sarebbe I) 2 0 169 n 5 (lo) dn 1—-x 2a R+R, he mentre la freccia di flessione sarebbe I $i amori ARE (16) (2) Questo risultato, che ci manca qui lo spazio di sviluppare, può raggiungersi con molta facilità ponendo in equazione il problema mediante le equazioni dell’elasticità tras- formate in coordinate cilindriche. — 653 — 10. Ho fatto l'esperienza con un cilindro cavo di caoutchove delle di- mensioni seguenti R, — 9Qgmm È 5 — ]jgmm } h — 2gmm e ho fatto un taglio radiale di 68°.30'. Dopo la distorsione sî manifestarono tutte le particolarità prevedute dal calcolo; la differenza d'altezza delle superficie limitanti internamente ed EDIGIO esternamente il solido fu misurata e resultò di 2" 1 e la freccia di fles- sione fu pure misurata e risultò di 0"",35. Fatto il calcolo mediante le for- mule (15) e (16) e prendendo p= + resultò H=-differenza d'altezza = 2,6 g = freccia di flessione = 09,53. L'accordo quindi fra il calcolo e le misure dirette sono molto soddi- sfacenti. L'ing. Jona di Milano ebbe la gentilezza di farmi preparare allo sta- bilimento Pirelli un cilindro cavo di caoutehove delle dimensioni R, = 5. R,=2°,95. h= 13°, a cui fece eseguire un taglio radiale dell’ampiezza angolare di 78°. Siccome la saldatura tendeva ad aprirsi, onde fissare la forma del solido deformato, ne feci fare uno stampo in gesso che è riprodotto fotograficamente nella fig. 7. — 654 — Questo solido mostra in modo manifesto tutte le particolarità che il calcolo aveva prevedute, cioè l'allungamento interno, il raccorciamento esterno e la flessione laterale, come lo indica la fig. 8, in cui per rendere evidente il fenomeno fu fatta la fotografia del cilindro a cui venne posto Fic. 8. Meo accanto a sinistra una squadra. Nelle figure 7 ed 8 si vede benissimo il luogo ove il taglio e la conseguente saldatura furono eseguiti. La tig. 9 rappresenta la fotografia dello stampo in gesso dell'anima del cilindro. Avendo posto accanto a sinistra un regolo, la curvatura interna ri- sulta chiaramente visibile. A cagione della grande altezza di questo cilindro per rapporto ai raggi della base le formule (15) e (16) non sono applicabili in questo caso. Debbo esprimere al prof. Sella ed al dott. Zambiasi dell’ Istituto fisico di Roma i più vivi ringraziamenti per le riproduzioni fotografiche e le mi- sure eseguite ed al prof. Pittarelli per i disegni cortesemente fatti. FT I — 655 — Matematica. — Sugli integrali semplici appartenenti ad una superficie irregolare. Nota del Corrispondente G. CasrELNUOVO. 10. Riprendiamo ora in esame la superficie irregolare (') (1) f(@,y,8)=0, ed un sistema algebrico S, di curve sopra di essa (n. 2), sistema dotato della proprietà, che una sua curva C generica non è equivalente a nessun'altra curva di Sp. Le curve di S, si possono rappresentare, come fu già detto, sopra i singoli punti della varietà di Picard a p dimensioni (4) ME) 108 la quale possiede p integrali semplici, distinti, di prima specie (6) (E) us(E) 01, (8). Se il punto & descrive una curva algebrica y entro V,, gli integrali (6) divengono integrali abeliani, di prima specie, relativi alla curva y. Ora ai punti di y corrispondono sulla superficie / le curve di un sistema algebrico col, che indicherò con S,. Per ogni punto (x) di / passano certe curve C;, Co. €, (dove m =) di S,, cui corrispondono i punti éD, Fl)... E della curva y. Formiamo la somma (12) mE) +(E0) ++ ilf9), G=1,2,..;p). Questa, tenuto conto delle relazioni che passano tra le coordinate (2,y,4) del punto (#) di /, e le È, si trasforma in un integrale semplice di 1° specie della superficie (1) ZI L= [Ai(2,9,9)d0 +Bi(2,9,4)dy, dove A;, B; sono funzioni razionali (?). Attribuendo ad % i valori 1,2,...p, abbiamo così p integrali sem- plici, di prima specie, della superficie /, integrali i cui periodi sono combi- nazioni lineari, a coefficienti interi, dei periodi di w,,%2,...,%p, rispetti- vamente. (‘) V. le due Note sullo stesso soggetto a pag. 545, 593 di questi Rendiconti. (2) Questo procedimento, applicato a tutti gli integrali abeliani di prima specie della curva y, permette al sig. Humbert (Mem. citata, Journal de Mathématiques 4° s., t. X) di concludere che una superficie, contenente un sistema come S,, possiede almeno un integrale semplice di prima specie. — 656 — Ora, se le (12) forniscono effettivamente p funzioni di +,y,4, che siano linearmente distinte tra loro, noi otteniamo, col procedimento indicato, un sistema di p integrali semplici, linearmente distinti, della superficie /=0, e giungiamo senz'altro al risultato cui tendiamo. ‘ Ma si può sospettare: 1) che le somme (12) forniscano tutte delle costanti; 2) che qualcuna delle somme (12) sia costante; 3) che le p funzioni di 2,7, fornite dalle (12) non siano tutte distinte, ma possano esprimersi linearmente in funzione di 4 di esse, dove 0 pi. +1, la w,, è una costante. Le K,;, dove 7,s sono indici compresi tra p,-1-+1 e p, sono funzioni qualsiasi di &p,_,+13p,_,+25 «+3 Gy: Se p=p-1+ 1, allora di tali K,s havvene una sola, a cui si può dare il valore 1. Infine nei fattoriali Z7 (Wo, — Wp), j percorre tutti i valori 1,2, n—-m+ 1, eccetto che il valore j=/. 2. A un elemento lineare del tipo (1) noi daremo il nome di elemento lineare di Levi-Civita. Una questione intimamente connessa alla precedente è la seguente: Trovare tutte le varietà geodeticamente applicabili su una varietà (1) di Levi-Civita. È evidente, per quanto abbiamo detto, che questa questione è equivalente alla seguente: Dato un elemento lineure (1), st riconosca se esistono dei cambiamenti di variabili coordinate, che trasformino l’ele- mento (1) di Levi- Civita in un altro elemento lineare pure di Levi- Civita, e, în caso affermativo, si determinino tutti questi cambiamenti di variabili. — Me È infatti ben chiaro che a ogni riduzione di un elemento lineare (1) al tipo di Levi-Civita corrisponde, per il teorema precedente, una classe di elementi lineari (varietà) geodeticamente applicabili su (1). Questa questione è importante per la teoria dei sistemi olonomi, e per la teoria delle geodetiche: essa fu risoluta nel modo più brillante dal Kéonigs per il caso della superficie (varietà a due dimensioni) (cfr. la Nota di Ko- nigs nel 4° volume della Théorie des surfaces di G. Darboux) (*). Noi ora risolveremo in due modi lo stesso problema per gli spazî a 7 dimensioni (->2), usando altri metodi, e di più caratterizseremo invariantiva- mente gli spazi del tipo (1): i risultati sono semplicissimi. Comincieremo dal caso 7=3; gli elementi di Levi-Civita sono di uno dei tipi: (A) ds'= (41 — da) (i — wa) dat + (0 — V4) (Wa — 1) det + + (Vs — 1) (Wa — Ya) dz; dst=(W—hdxi+(h— w,)(Eda:+2F dx, dx3 4 Gdz3), dove w; è funzione di. <;, % è costante, E, F, G sono funzioni di x», 3. Il secondo di questi elementi lineari sì può con un cambiamento di coor- dinate ridurre al tipo: (B) dst= daî 4, u(dx3 4 d&x3) dove w è funzione di 2,3. Indicherò al solito con (ij, X) (£,j,/,#=1,2,8) i noti simboli a quattro indici di prima specie di Riemann. Come è noto, essi sono nulli, se =, oppure /=%; essi cambiano di segno, permutando 7 con 7, 0 con %; è intine (£j,/4#)=((£,tj). Tanto per l'elemento (A), quanto per l'elemento (B) è (21,23)=(81,32)=(21,23)=0; quindi affinchè in ogni punto la varietà sia a curvatura costante 4, è necessario e sufficiente che: (3) (12 ) 12) cl ka, Ugg (23 * 23) rar kao: 0433 = (31 , 31) Cal ka33 di == 0. In tal caso, per un teorema di Schur, % è una costante effettiva. Con ix indico al solito il coefficiente di dx; dx, in (A) o in (B). Esista ora un cambiamento di variabili, che porti (A) o (B) in un elemento lineare del tipo (A) o (B). Indichiamo con y;, con dix, con (jé,/%), le nuove varia- (1) In questo caso l'elemento (1) si riduce a un elemento lineare di Liouville dst=(U,+ Ua)(de7 +4 d25) (U; funzione di ;). Si potrebbe dare il nome di elementi di Liouville agli elementi ds*= > U;> dxîi (,&#=1,2,...%) (U; funzione di #;) e î ki chiedere quando esiste una trasformazione di coordinate che muta un elemento di Liou- ville in un altro di Liouville. La questione si risolve nel modo più semplice, osservando che una tale trasformazione dovrebbe essere una trasformazione conforme per l'elemento lineare euclideo > dz} (questa condizione non è evidentemente sufficiente). — 680 — bili, i nuovi coefficienti, i nuovi simboli a 4 indici del nuovo elemento lineare. Porrò poi oa I) dee) Spena e lee le Indicherò con J l'Jacobiano, certamente non nullo, delle x rispetto alle y. È ben noto che (4) (ij, Le)yj= > (08,79) (a, 0) (8,9) (10) (0, 4). ad Di più, poichè &x=0 per ##+%, avremo che: (5) a(1,8) (1,4) + 022,49) (2,4) + 4:(3,9(8,4)=0 Oe=1 2,99 050) Sostituendo in (4) a (<7, 2%), successivamente i simboli (21, 23),,, (31, 32),, che sono chiaramente nulli, e ricordando le relazioni, accennate più sopra tra i simboli. (a8 , yd) avremo che: 0 0-[0 2 (IG 0 TA +[02,19)(25) J(12) © 0-[082 (+0 JA +[02,12)(25)](15). Confrontando le (6), (7) con le identità Gb(£)+eD(i+ ed) 02,90 otteniamo tosto, poichè J+ 0: (23,23) (53):(81.31) (3 LO 12)(3. 3)=(,1:@,1):8,1). Siccome poi le (1,1),(2,1),(3,1) non possono essere contemporaneamente nulle (perchè J= 0), potremo quindi scrivere: (28,23)(£3)=e@,1):(1.3) (33) =el,1); (12,12) (33) =0(8;1) (1) Queste due equazioni costituiscono, si ricordi, due relazioni distinte tra le (k,1) (K=1,2,8); chè, se ciò non fosse, sarebbe (per noti teoremi sui determinanti) J=0. — 681 — dove 0, è una quantità finita. Poniamo ora nella (5) successivamente = 1, k=2 e 2=1,k==3. Otterremo, risolvendo le equazioni così ottenute rispetto alle a;;(7,1), che 23 (31 12 (0) an (1,1) =01(33) ta: (2,1)=0:(33) a(8, 1)=%1(5) dove o, è un fattore di proporzionalità, nè nullo, nè infinito. (Se o,=0 Saro npo (ei (2600) (SKI) =0Sfe quindi (0% selon =/00,sa- o ivo 53) (dI i) e quindi J=0). Ricordando questo fatto, confrontando le (8), (9) e osservando che certamente 4; +0, otteniamo: (10) [an (23 , 23) — x 0,9] (1 , 1) =|[03(31 3 31) o 0,01] (2 ò 1) = :=[433(12, 12) — 9,0,](3,1)=0. Valgono evidentemente equazioni analoghe, che si ottengono rotando gli Imdrei di 21/80 3. Per comodità di discorso, noi diremo elemento (B) un elemento, che sì possa considerare insieme del tipo (A) e del tipo (B). Noi escluderemo senz'altro che l'elemento considerato sia a curvatura costante: questo caso non c'interessa per nulla, perchè è ben noto, da teoremi del Beltrami, che gli spazî applicabili geodeticamente su uno spazio a curvatura costante sono tutti e soli gli spazî pure a curvatura costante. Studieremo anzitutto il caso (B); è allora (12 ,,12)=(31,31) e 42» = 433. Supponiamo dapprima che (2,1)=(3,1)=0; allora, poichè J+ 0, sarà (1,1) #0; e, poichè a1# 0, avremo dalle (5) [dove si faccia successivamente /=1,%=2 e dB che die) der Sarà quindi x,1= <1(Y1); £2= 2(Y3, Ya); &3= 43(Y»; ys). Una tale trasformazione non può portare un elemento (B) in un elemento di tipo (A), ma soltanto in un elemento di tipo (B): ciò che avviene soltanto se === y1+ cost e se la «= #2(Y2, 73), 4a = £3(Y2: 3) è una trasfor- mazione conforme per de + dai. Ponendo x, = <1, 424 043 = 42, 1a — d&3= 3, potremo dire che la nostra trasformazione deve intanto trasformare in sè il sistema delle 2, = cost, Col-iCOStROG3 — COST. Supponiamo ora che almeno una delle (2,1), (3,1) non sia nulla; supponiamo p. es. che (2,1)=#-0. Per le (10) sarà 4,:(31,31)= 0101. Se fosse anche @1(23,23)= 9,0, allora, poichè @3»(31,31) = 433(21, 21), 2,91 di dog A33 remmo nel caso escluso di spazî a curvatura costante. E perciò 4,1(23,23)#910,; e quindi, per le (10), sarà (1,1)=0. Poichè J+0, almeno una delle RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 85 sarebbero soddisfatte le (3), dove si ponesse £ = ; e quindi noi sa- — 682 — (1,2),(1,3) è differente da zero. Sia p. es. (1,2) +0. Sostituendo nelle (10) gli indici 2,3,1 agli indici 1,2,3, otterremo: (10) 0=[a,:(23,23) — 0202](1,2)=[::(31,31)— 0,0,](2,2)= = [4:(12,12) — 0303](3,2). E quindi sarà @,1(23, 23) =0,0,. Ma poichè, come dicemmo, @,1(23 , 23) * 432(12,12), avremo che (2,2)=0 e analogamente (3,2)=0. Se ora fosse anche (1,3) #0, si dimostrerebbe analogamente che (2,3) =(3,3)=0 e se ne trarrebbe J—=0. È dunque (1,3) =0 e la nostra trasformazione è del tipo: q1= X1(Y2) ; 2= «2(Y1: 93) ;((=2,8). Essa non può chia- ramente portare un elemento (B) in un elemento (A); se essa portasse l’ele- mento (B) in un altro elemento di tipo (B), sarebbe: (11) (@,1)(2,39)+,1)(8,89)=0;(2,1°+@,1°=1; (1,2)}=(2,3) +(3,3)?. Poichè (1,1)=0, J+0, almeno una delle (2,1), (3,1) non è nulla: quindi per la prima delle (11) traggiamo (indicando con 4 una costante finita): (12) (373) =: 7080270) —=2(6500 L'ultima delle (11) diventa in virtù della seconda delle (11) e delle (12) 22=(1,2)?. Dunque 4 è funzione soltanto di y, e quindi [per le (12)] essa è una costante effettiva. L'elemento trasformato di (B) è perciò dyi + 4°(dyì + dy5) (A= cost), ed è perciò euclideo; altrettanto avverrebbe quindi di (B): ciò che noi abbiamo già escluso dalle nostre ricerche. 4. Studieremo ora il caso (A). È fondamentale l'osservazione: I simboli (21,23), (31,32), (12,13) sono nulli; la quantità di[az(ik, ik) an(ij, ij))j (i>j*k) è simmetrica negli indici 1,2,3 (come dimostra il calcolo effettivo); cosiechè, se @11(23,23)= 432(31,31), è anche a33(12,12) = 41(23,23) e quindi sono verificate le (3), ossia lo spazio è a curvatura costante. Escluso questo caso, le 4,1(23,23) — 010,', @22(81,31)— 0,101, 033(12,12) — 0,0, sono a due a due distinte: una sola è quindi al mas- simo uguale a zero; e quindi per le (10) almeno due delle (1,1),(2,1), (3,1) sono nulle. Così pure almeno due delle (1,2), (2,2), (3,2) e almeno due delle (1,3), (2,3), (3,3) sono nulle. Poichè J+0, ne traggiamo subito che la nostra trasformazione si riduce a una permutazione delle schiere di superficie 4, = cost , 73 = cost , 73 = cost. Convenendo di dire che per (A) le #;= cost e per B le z;=cost (cfr. $ 3) formano un sistema di Levi-Civita, potremo riassumere i nostri risultati nel modo se- guente : —-683 —. Una varietà a tre dimensioni, che contiene più di un sistema di Levi-Civita è a curvatura costante; escluso questo caso, una trasforma- zione, che porti un sistema di Levi-Civita in un sistema di Levi-Civita può al massimo soltanto permutare le tre schiere di superficie, che costi- tuiscono il sistema. Ora, perchè uno spazio V a tre dimensioni, che ammette un gruppo G geodetico, contiene un sistema di Levi-Civita ('), trasformato da almeno una trasformazione di G in un sistema pure di Levi-Civita, avremo: Zn tale spazio V, 0 è a curvatura costante, 0 possiede uno e un solo sistema di Levi-Civita, invariante per il gruppo G. Questo è il teorema fondamen- tale della mia Mem. citata. 5. Interpetreremo ora geometricamente le nostre considerazioni. Il primo teorema del $ 4 ci dice in sostanza: Per uno spazio (A) le linee coordi- nate dr, %2,%3 formano le tre conquenze principali (nel senso di Schur e Ricci); le curvature principali corrispondenti sono a due a due distinte, se lo spazio non è a curvatura costante. Cor. I). Ne discende tosto che (esclusi gli spazî a curvatura costante) uno spazio (A) non può possedere più di due sistemi di Levi-Civita del tipo (A), perchè (essendo le curvature principali a due a due distinte) /e congruenze principali sono determinate. Cor. II). Affinchè una metrica sia riducibile al tipo (A) è condi- zione necessaria e sufficiente che essa sia a curvatura costante (nel qual caso le x, = cost formano un sistema di quadriche confocali (cfr. loc. cit.)) oppure che le curvature principali siano a due distinte, le congruenze principali siano normali, e, assunte come linee coordinate, diano all’ele- mento lineare precisamente la forma (A). Queste condizioni sono znva- riantive si possono facilmente scrivere coi simboli del prof. Ricci. Uno spazio B invece ha uguali due delle curvature principali: esso non può quindi essere riducibile al tipo (A), se non è a curvatura costante. Le congruenze principali non sono quindi univocamente determinate; ma invece le z,= così, zag = così, 3 = cost sono determinate senza ambiguità. Perciò anche uno spazio (B) non contiene più di un sistema di Levi- Civita. Condizione necessaria e sufficiente affinchè uno spazio sia riduci- bile al tipo B, è che una terna di congruenze principali si possa assumere come terna di congruenze coordinate, e che l'elemento lineare diventi in tal guisa del tipo (B). Anche questa è una condizione invariantiva. Dello sviluppo dei concetti precedenti per il caso di spazî a più che 3 dimensioni io mi occuperò in un'altra Nota.” we (*) Cfr. la Mem. dell’A.: Sui gruppi di trasformazioni geodetiche, Mem. dell’Ac- cademia di Torino, 1903. — 684 — Matematica. — Su//e superficie W(') applicabili sopra super- ficie di rotazione. Nota del dott. ArcaDIO TAGLIAFERRI, presen- tata dal Socio L. BIANCHI. Riferendo la superficie generica di questa classe che noi vogliamo stu- diare al sistema isotermo (uv) formato dalle deformate dei meridiani e dei paralleli, potremo supporre, come è noto, l'elemento lineare ridotto alla forma: (1) ds° = 4°(du? + do), dove 4 è una funzione della sola x. Calcolando la curvatura assoluta otterremo : (2) ka, quindi K sarà funzione di x soltanto. Come è noto, per ogni superficie W dovrà essere soddisfatta identica- mente la relazione: 29H IK __?3HIK (3) n'e ie rali) dove H e K indicano rispettivamente la curvatura media e quella assoluta della superficie W; ed v e v sono due variabili indipendenti qualunque. Nel caso nostro la (3) diviene: (4) cioè H funzione della sola x. Prendiamo le equazioni di Codazzi: 12 RD O Ac (IRSA e LL PST i ine du TL ia) O +49 0 ei ae). (22) 106 (12) O er ea (1) Come è noto, si indicano col nome di superficie W quelle superficie i cui raggi principali di curvatura sono funzioni l’uno dell’altro. — 685 — Osservando che nel nostro caso abbiamo: __(12)_14 SMABER2IZ,, (RT ZO | (2 (22) ___1d4 (lO IA a, i 22 _0 Pr dw du di (6) 3 Pn 7 wu Quo ddu”. Mao Dall’equazione di Gauss e dall’espressione della curvatura media rica- viamo le due relazioni: (7) DO —- D'° = KA, (8) Deli 78 Ora, come abbiamo osservato poco prima, H e K e così pure la quan- tità 4 sono funzioni della sola %, se dunque sì pone: e A+ Bcosw (9) ‘9 =Bsenw epc 2 2 (dove at e B_(g_-E) v) anche A e B saranno funzioni della sola «, mentre w sarà generalmente funzione di u e di v. Dall'equazione differenziale delle linee di curvatura: du — 2 cotgo dudv — dv = 0, si riconosce subito che « rappresenta il doppio dell'angolo che un sistema di linee di curvatura formano colle linee v = cost. Eliminando 9, 9, I" dal- l'equazione (7) mediante le (9) e ponendo inoltre per K il suo valore dato dalla (2) avremo: 4° d° log A — n B°— A?. (10) — 686 — Dalle (9) ricaviamo: ID dw = —Bsenm— , dv dv POI dB —— S —— ——. > CO o o 5 O' SR B cos — , dv I" dA ——— =: _—— n ——@@ > o — eg + Bse D- do dw dB B (coso 224 sen dell smo A B (seno dé — coso 20) —eso + n de dU dU du CO I ovvero: B(cosw dì + sense) — seno , d d (12) A do do dB SDIS4 B{seno — — coso —|= cosm— —4° — . ( dU sl du du Poniamo: B=qAÀ , A=— 02°, donde si riconosce facilmente che d è la metà della curvatura media. La (10) diviene: id E i a (13) Ge pP_A 0) , e le (12) si scriveranno: Da DI Io N | cosaS; cp selle nei o n Ci | dw 0 dlog Ag . 4 dò senw — — coso — = (0560 —__ Lt, d dv du g du dalle quali ricaviamo facilmente: TO) À dò \ — =. sen 15) dU p du ( I dw dlog Ag 4 dd == = —== c08 0. DO du du — 687 — Ora, esprimendo la condizione d'integrabilità : Id (20) _d (d° PRAIA sini, p du CARAT: otterremo : 2 dé dlogàp _d(44d8\) pdu du (34) +( In generale questa equazione per un medesimo sistema di valori di A,d, fornisce un solo valore di coso, ed affinchè il problema ammetta soluzioni deve questo valore soddisfare le (15). A meno che la (16) non sia una identità in cos nel qual caso le (5) integrate forniscono per w una funzione contenente una costante arbitraria. Nel caso in cui la (16) sia identicamente soddisfatta in cos ®; la super- ficie ammette una deformazione continua in cui rimane costante la curva- tura media d, ed il problema si riduce a quello risoluto dal Bonnet (’). Se l'equazione (16) non si riduce ad una identità, ci resta ancora da esaminare il caso in cui il valore di cose ricavato da questa equazione possa soddisfare alle (15); in questo caso essendo w funzione di « soltanto anche d, D', 9" saranno funzioni della sola %, e quindi le superficie sa- ranno elicoidi, e reciprocamente ogni superficie elicoidale è una superficie W applicabile sopra una superficie di rotazione. Come conclusione di questo breve studio possiamo dunque enunciare il teorema seguente : Le uniche superficie applicabili sopra superficie di rivoluzione, e cot raggi principali di curvatura funzioni l'uno dell'altro, sono le superficie elicoidali e quelle superficie, determinate dal Bonnet, che ammettono una deformazione continua, nella quale restano invariati è raggi principali di curvatura. Fisica. — Acumetro telefonico a solenoide neutro. Nota di ANNIBALE STEFANINI, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (*) Journal de l’Ecole Polytechnique, 42° Cahier, 1867, pag. 72. — 6838 — Mineralogia. — Analisi ponderale e spettroscopica di nuove blende sarde('). Nota del dott. C. RimaTORI, presentata dal Socio G. STRUEVER. Come accennai in una Nota precedente (?), il risultato ottenuto dal- l’analisi spettrale di alcune blende di Sardegna, mi ha incoraggiato a pro- seguire tali ricerche, tanto più che il metodo, per la sua comodità e notevole semplicità, sì raccomanda sopra ogni altro per riconoscere quantità, anche piccolissime, di molti elementi rari. Approfittando di parecchi nuovi campioni di blende, che da diversi direttori di miniere vennero inviati al prof. Lovi- sato, ho voluto anzitutto completare le ricerche già iniziate altre volte sullo stesso minerale, prima di dedicarmi allo studio di altre specie, delle quali mi occuperò quanto prima. Le analisi quantitative e le ricerche spettroscopiche furono questa volta eseguite su quindici esemplari, che verrò successivamente indicando con numeri progressivi, accompagnando, come feci altra volta, i dati dell'analisi con cenni relativi a qualche carattere fisico del minerale, al suo modo di presentarsi ed alla località donde esso deriva. Campione n. 1. — Questo insieme ai cinque seguenti, fu inviato al direttore di questo Museo dall’ Ing. Emilio Jacob; appartiene alla miniera di « Sos Enatos » (territorio di Lula); presenta la blenda in concentrazioni od in vene quasi pure, non si notano cristalli distinti, ma delle faccie di sfaldatura più o meno estese. Il colore è generalmente grigio rossastro chiaro; rosso giacinto o giallo melato nei frammenti piccoli, quello della polvere è bianco sporco. Densità a 1192 = 4,00 Durezza 3,5 Composizione centesimale : Sf: CR, 02198 Ci a mura cce Cd e e RT racco Hier, e o cla DE MO RBOEOO, 99,74 Campione n. 2. — Deriva dalla stessa miniera « Sos Enatos »; fu preso però in una località diversa da quella del precedente; differisce molto da (1) Lavoro eseguito nel Museo di Mineralogia e Geologia della R. Università di Cagliari. (2) Su alcune blende di Sardegna, Rend. Acc. Lincei, 20 marzo 1904. — 6389 — questo nell’aspetto, poichè costituisce una massa pressochè compatta di color quasi nero, ed abbastanza pura; è accompagnata soltanto da rare e piccole mosche di calcopirite; la polvere è grigio rossastro chiara. Densità a 20° — 4,02 Durezza 3,5 Composizione centesimale: Str ndo (ogni: cs SNO Curt ina: + \Giigracce (ORIO TASt TASTI Tom mai@aieito, | (OCCHI RO ei Me CHO IDR e... MONO 100,00 Campione n. 3. — Proviene dalla località denominata « Mamoina » (Gadoni); il minerale si presenta in piccole vene in mezzo ad una roccia chiara; il colore della massa è nero, quello della polvere rosso scuro. Densità a 17°,4= 3,98 Durezza 4 Composizione centesimale : Sr IR e Sue SISI) Curse n... rr UBROROIO Cee, 0 Rega A BIZI0O MI eee, o aiinece ET e 21 99,34 Campione n. 4. — È il secondo esemplare di Gadoni della conces- sione /strizzu-Talesi ; differisce dal precedente, perchè la sostanza, a grana piuttosto fina, è quasi intimamente mescolata con un roccia verdastro scura ed è spesso unita a pirite e galena; non differisce invece per il colore della massa e della polvere; la durezza non è determinabile. Densità a 17°,6=4,13 Composizione centesimale: Seco. 00, Cui An. tracce Causes ara 0. (ino He neeon - A0O, MI a acco VARE OT CAIO IS ERMINIO DTD) 99,59 RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 86 — 69) — Campione n. 5. — Anche questo è di Gadoni, località « Sa Ruta S' Orroili ». Mostra delle vene più o meno sottili di solfuri misti (blenda, molta galena, pirite e calcopirite) in uno schisto nero che sporca le dita. La puri- ficazione della sostanza ha in questo caso presentato maggiori difficoltà che negli esemplari precedenti. Per tale motivo e per la limitata quantità di blenda contenuta in tutti i pezzi, che sono stati a mia disposizione, non ne ho potuto trar fuori quanta ne sarebbe stata necessaria per le ricerche spettroscopiche, ma solo lo stretto necessario per l'analisi quantitativa. Anche ne minuti frammenti presenta color nero, la polvere è rosso scura; durezza non determinabile. Densità a 189,5 = 3,95 Composizione centesimale : SM | Cu .. PMO FE a reitracce Cd. «Sos o 0065 Pe. ca 05 Mn. See e tracce Zn.: CE SATA 100,01 Campione n. 6. — Proviene da Villaputzu, località « Spilloncargiu » (Sarrabus). La blenda, accompagnata qua e là da mosche di galena, com- parisce in vene in mezzo ad una roccia verdastra oscura. È di color nero e talvolta iridescente nella parte esterna del campione; la polvere è rosso scura; durezza non bene determinabile. Densità a 129,5 = 8,97 Composizione centesimale: Sit E AME 0) (ORI oi ie TOO Cdl E A RL] ” Bi. Se ” Rie. e ei aa Mn. (È Sese a etracce Zn. Fee 00, 99,24 I Campione n. 7. — Mandato al Museo dall'ing. Carlo Floris-Thorel con questa indicazione: « Su Suereddu » (territorio di Aritzo). Ad eccezione di qualche piccola vena quasi pura, del resto la blenda è generalmente disse- minata nella ganga, comprendente anche minerali di rame. Il colore della — 691 — massa è quasi nero, quello della polvere grigio rossastro chiaro. Non essen- dosi potuto effettuare una sufficiente purificazione della sostanza, ne è deri- vato un valore troppo elevato per il ferro, il quale in parte potrebbe prove- nire anche da sostanze accompagnanti la blenda, poichè il colore dei fram- menti puri di questa, e quello della sua polvere escluderebbero che si tratti in questo caso della varietà marmatite. La durezza non è determinabile. Densità a 13°2 = 4,05 Composizione centesimale: Sto SO 0 Cda 0) iera ce en ReNg e RR O, CLIO 4 IMnisconbse a 0 Caio RS OLA ei o 55 2 99,65 Campione n. 8. — Inviato dallo stesso ingegnere con la scritta: « Ca- nali Serci » (territorio di Villacidro). È una mescolanza di solfuri, ne’ quali la blenda apparisce con grana piuttosto fina e colorata in nero; la polvere rosso senra; durezza non determinabile. Densità a 11°,1 = 4,06 Composizione centesimale: SIR. NANO (GURS So I MORE Cisano e. ” Fiere er GININSO Mies a SE FASE RT SO 5 RnB. > DID 98,89 Campione n. 9. — Ho creduto necessario esaminare i due campioni di blenda di Rosas, mandati ultimamente dall'ing. Cappa, non solo perchè l’altra volta per mancanza di materiale non potei farne l’esame spettrosco- pico, ma anche perchè essi provengono da punti diversi della stessa miniera. Questo, che appartiene al giacimento assai complesso detto Nortuna, è me- scolato alla galena, talvolta con individui cristallini distinti e alquanto svi- luppati da ricordare il primo esemplare già esaminato, altre volte i due solfuri son mescolati in una massa a grana più o meno fina. Il colore dei cristalli è nero; la polvere è rossastra chiara. — 692 — Densità a 19%8=AN01 Durezza 3,5 Composizione centesimale: Sio E Re I o. 08297 Cain SANSONE e OI AT tracce Hier: PRMERTA coco GSNMEZAIS Mipf.! STRA 10 0h 0548 Zi RI 100,00 Campione n. 10. — Quest'altro esemplare di Rosas deriva dal giaci- mento di minerali misti del cantiere Asproni; ancor esso è una miscela di galena e blenda, però in nessun punto del blocco, che ho avuto fra le mani, sì presentano cristalli o masse isolate. Per tale motivo la separazione non sì è potuta effettuare perfettamente; ma dal piombo trovato nell'analisi ho calcolato la quantità di galena mescolata, e le quantità dei componenti tro- vate furono riferite al peso della sostanza impiegata meno il solfuro di piombo. Il colore è quasi nero; polvere rossastra chiara. Densità a 14° = 4,01 Durezza 3,5 Composizione centesimale : Si 0) Cd: e e A 028 Pe. (RA a OO] Min. RO e MALA CCE VAVRRRIBE ES o DOO 100,02 Campione n. 11. — È un piccolo blocco di minerale quasi puro, donato dal sig. Libois, che l’ha tolto dalla sua miniera di « Mitza Sermentu » presso Rosas. È a grana alquanto minuta e presenta color nero e notevole iridescenza nella superficie esterna. La polvere è di un rosso molto scuro. Densità a 11°,8 = 3,94 Durezza 3,5 Composizione centesimale : SI ce SM 35 AS CU. e e CO, Cd. Se e tracce Fi6;..:; POSTI CO Re TaRO Mn. ere a SETA CCA ZAR AS 98,87 — 693 — Campione n. 12. — Donato dallo stesso sig. Libois, appartiene al gia- cimento di antimonio di Genna Gurèu (limiti fra Orroli e Nurri), giacimento interessante per i composti di tungsteno. In alcuni esemplari di quella loca- lità si osservano de’ piccoli cristalli isolati di blenda, in quello esaminato invece costituiva una piccola massa facilmente purificabile dalla pirite, che l'accompagnava. Però la quantità di sostanza estratta è stata sufficiente soltanto per l’analisi quantitativa. Il color scuro nella massa, divien rosso chiara ne’ frammenti piccoli; la polvere è rosso chiara. Densità a 189,8 = 4,03 Durezza 3,5 Composizione centesimale: SIE O i. SSLASS Cus. n DIAGCE Cleese OI Re ZO ZO OONI 99,79 Campione n. 13. — Della località denominata « Sa Barita » fra Fonni e Correboi. Presenta raramente delle mosche di pirite, la maggior parte è a grana fina impastata in una roccia pirossenica; il colorito è nero anche nelle masse sottili, polvere rosso scura. Densitana 1203498 Durezza 4 Composizione centesimale : SPR AR. OGNI Cda Soia 1 HO OT i e 20 MRO ZORO ON TONO 99,74 Campione n. 14. — Deriva da « Su Porru » medesimamente tra Fonni e Correboi; il suo aspetto ricorda la blenda d®Riu Planu Castangias esa- minata altra volta, che si dimostrò relativamente ricca di indio. Il colore è nero, la polvere rosso bruna. Densità a 26° = 3,99 Durezza 4 Composizione centesimale: SA ee e SO PR I i CA ee e. TRACCE n. I Bee... SIONI MIR eo A i a SAN DOT 99,98 — 694 — Campione n. 15. — Appartiene al giacimento argentifero, ora esaurito di Correboi. È mescolata a molta galena, pirite e piccole quantità di cal- copirite e presenta la fluorina, ganga caratteristica dei filoni argentiferi. Raramente si notano delle vene di sostanza pura, che è generalmente a grana fina e di color nero. La polvere è rosso scura; durezza non determi- nabile. Densità a 149,2 = 3,89 Composizione centesimale: St. ME A0 Pi. OSE e I Ca. oi dico (OC ee 1,66 Fei i AO) Man Ie racco ZI IRE 02 99,31 Per questi tre ultimi campioni il prof. Lovisato va riconoscente al cav. Giuseppino Moro, ex-sindaco di Fonni, ed al sig. Michele Cicalò Car- boni, che furono così gentili d'andare in quei tre punti, di raccoglierne una certa quantità e di inviargliela, non avendo egli che frammenti delle blende di quelle tre località. Esame spettroscopico. Queste ricerche furono eseguite con lo stesso apparecchio e con lo stesso metodo descritto nella Nota precedente, e già ricordata; dapprima furono sperimentate soluzioni di circa due grammi di sostanza. In 13 campioni furono constatate soltanto le righe appartenenti agli elementi trovati; in due soltanto, cioè nella ble@da di « Su Porru » (n. 14) e di Correboi (n. 15) si osservò la riga un po debole dell’indio. Preparate le soluzioni con quan- tità molto maggiori di sostanza, si ottennero i risultati indicati nel seguente quadro dove ogni riga è rappresentata dalla corrispondente divisione della scala, ed in ogni colonna comprendente quella data riga trovasi il simbolo del metallo, al quale essa appartiene. — 695 — ‘otpur [19p eUSIt e[ 1ed oquegros osn oqez 9 IS 1U0IZ -©9Ipur QwTm egsenb Iq ‘oquer[nigq esi (;) oqund 11 0 o[oqep esit eIrp ]OnA p eI9gge] €] OuguI ‘tetos è|[ep @QUoISIAIP 0quepuodsI1109 E] egRoItpuI eqoA EUM 0]0s Q IS ‘Ejlaorq 10d ‘oend eljop “eSti erlop ezuosesd e] rogiusis («) ouSes JI ‘ezzoguoo uoo exgresuoo Is1990d uou ep o|oqep Isoo e emmddo ‘eoutui eSIt e] omo eorpur (—) oufes IT (1) a “ — (cal “ «|_ “ Gee (CCI “« “« « “« “ G||={||= “ (1 “ IT GI = «| _- “ CCR i E NI (CCR LC « « « Gil loe=a|=a@a|e=iuali=|p=@ «Il |_-|—--]| « “ « 06 TI st EDI i “ Gia (CCI) | i | LC gie. |||] | do @ == | CCNI ENI “ “ GE SI iii “« Gul “« « (Gal==> “« “ “ “ “ “K “ « “ “« “« “ “ “« “« “ “ “ “ IStA JRE — == “ ani EA “ (gel = “« (|a ie {lie= «| u|T-|_ “ “« Qi= “ (4 “ “ 08 OT ila “ —_ SO Go|= “ (illalallZàiea AAT == Qt {pe aialo@& “ “ 06 6 COR RC Gi == Ge (CCNI TONCO ia ===] « “ “ “ “ “« (1 06 8 —|&|_-|l_-]|—-| « “« u|—| « ul (AR i e NEI ul | (Ce 0 u||_ | « « « 0E )) —_ppagie=|=za||e {e OG. “ « [OT] « Ci |{[|T_-{|— “ Go = “ (1 “« “« (CCA “ “ “ “ 06 9 —|_-|--[fe«el[-|_-[|_-[|_|—- | « Gill | «elIlT_|l—-|l— | 4 “ « « “ o {=_= {e « “ (A s7 = larleiic=leaata «lu « « ci | CONIARE « “ “ “« “ “ « “ “ “ “ “ ZI 8 « |p«| « [g6r| — [gox|ecr] pe|ese| « | « | —| «| « [eceleselezeloggi « | «|-|e|e|—| «| Ino «||| 88 G OL9/6I9/FIG| — | = |=|= |S66| — |(GFE|06S| — |206/SOG| — | — | = | = |6Fe|0Fe|Le6|cs6|0cc|ATe|eST|erI| — || 88|68| SZ eg118 I Ì | (1) eg|ul|to|eg|94|N9 no | ur |no uz|uziig|po|uzjno|no|no|no|po|no|eg|[no|no od | od nono no |uz vo | H | tqeodope 1uodueo VZUegsos 10p mnuopuodsitioo eu$ÀSLI © I[[e]jou1 T10p ITOUuIS IAS Sa enesiont CECHI OIOUNN — 696 — Dai risultati ottenuti rimane sempre confermata la presenza costante del cadmio nelle blende sarde, altrettanto non può dirsi per il rame, seb- bene questo vi apparisca assai spesso. Questa volta ho trovato molti esem- plari (3, 5, 6, 8, 11, 14, 15) che contengono una quantità di ferro supe- riore al 10°/, e costituiscono perciò la varietà Marmatite. Fra questi si distingue il campione 14 per la ricchezza in manganese, che, a quanto io sappia, nessuna blenda ha finora dimostrato in tale quantità. Due campioni (6 e 14) contengono anche tracce di bismuto, molto più sensibili nel primo, in cui, dirò più giustamente, ne son contenute piccole quantità, che avrei determinato, se avessi avuto a mia disposizione maggior quantità di sostanza. Consultando le analisi pubblicate dall’ Hintze, trovo che soltanto una, la blenda di Joachimsthal, analizzata da Meyer, ha accusato presenza di tracce di bismuto (*). Riguardo agli elementi rari, che generalmente accompagnano le blende, risulta che soltanto in due campioni (1 e 2) sono contempora- neamente contenuti l’indio e il gallio, mentre più frequentemente si riscontra il solo indio, poichè, oltre che in questi esemplari, lo si è notato anche in altri sei (6, 7, 8, 13, 14, 15). Gli ultimi due (14 e 15) lo manifestano anche in poca quantità di sostanza, perciò in uno di essi (14) ne determinai la quantità che ammonta al 0,0243 °/,. Per il secondo non mi sembrò ne- cessario ripetere questa operazione perchè l'intensità della riga @ dell’indio, in quantità non molto diversa di sostanza (circa due grammi), non appare più intensa di quella manifestata dall’altro esemplare. Desidero esprimere di nuovo la mia riconoscenza verso il prof. Lovisato per i suoi consigli e per il materiale gentilmente messo a mia disposizione. Mineralogia. — Za Centrolite nel giacimento cuprifero di Bena (de Padru presso Ozieri (Sassari). Nota di DomENICO LovisaTto, presentata dal Socio G. STRUEVER. Ritorno per la terza volta sopra l'interessante giacimento cuprifero di Bena (d)e Padru presso Ozieri, che ha regalato alla scienza insieme a molti minerali di rame la Mimetite, la Vanadinite, la Descloizite e la Stol- zite (2), specie che non si conoscevano ancora non solo per altre località dell’isola bella, ma neppure per tutta Italia, per segnalare qualche cosa di nuovo. (1) Hintze, Handbuch der Mineralogie. Vierte Lieferung, $ 592-594, 1900. (2) Non posso a meno di qui ricordare, che la Stolzite, questa rarissima specie minerale isolana, ha avuto recentemente una splendida illustrazione cristallografica dal chiarissimo collega prof. Artini, che nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Sc. e Lett., serie II, vol. XXXVIII, 1905, pagg. 573-8, descrive i rari cristalli e frammenti di cristalli, che a lui aveva inviato per lo studio. — 697 — Esaminando il materiale quarzoso inviatomi da lassù e derivante dalla galleria scavata per cinque metri rimpetto alla prima, quindi anch'essa per- pendicolare alla principale e che come ricordai nella mia seconda Nota ('), mi offerse anche da questa parte la Mimetite, vidi sopra qualche cam- pione di quel quarzo, generalmente decomposto, dei gruppetti cristallini, a struttura zonata, formanti quasi delle sferulette, di una sostanza bruno-ros- sastra o quasi nera, dalla polvere color cioccolata, che mi fece pensare subito alla pirolusite, così frequente in Sardegna, od a qualche altro composto del manganese. Queste sferulette sono isolate, più raramente aggruppate in modo da dare dei piccoli aggregati, nei quali allora nella frattura od in qualche sfaldatura si osserva la lucentezza submetallica, che nelle sferulette isolate non compare punto, essendo come appannate: in qualche aggruppamento si scorge l'intreccio di parti cristalline. La perla col borace mi confermò nella sostanza la presenza del man- ganese, ma sul carbone, oltre la facile fusibilità, vidi netta l’aureola gialla dell'ossido di piombo, e successivamente potei constatare anche la presenza del ferro. Ma non avendo che pochissima sostanza a mia disposizione, passai alla rottura dei pezzi di roccia quarzosa inviatimi e potei ottenere sufficiente quantità da procedere alla sua analisi quantitativa, che al dott. Rimatori su quasi mezzo grammo di sostanza, purificata meglio che si è potuto, ha dato: SO n II TEO): A OB COLO CO. Mira ccie ERO e 1,55 MAO 0. BS Cao a 0593 Mel e TAC CIO ROSE oc 1,79 100,27 Quest'analisi avvicinandosi molto a quella data dal Dana (?) e che qui riporto : SO age e MOMENIECOO Mae e 1.06 FEBO Rest e e 5,59 PpO ‘ssa Mraz. MENO 2 MRO e Reg... 02 3,05 Cao a vini. . SE 0,91 99,53 (1) Vanadinite, Descloizite, Mimetite e Stolzite della miniera cupri- fera di Bena (d)e Padru presso Ozieri (Sassari). Rend. R. Acc. dei Lincei, vol. XIII, 2° sem., serie 5°, fasc. 1°, 1904, pag. 50. (2) A System of Mineralogy, pag. 1039. RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 87 — 693 — ci dice che la nostra sostanza è una varietà di Cerzrolite, silicato di piombo e manganese di Lingban in Isvezia. Non possedendo il Museo di Minera- logia, da me diretto, un campione minerale di quella specie e di quella località, volli acquistarlo, sebbene sapessi che lassù era la Cerzrolite me- scolata intimamente con braunite, richterite in barite. Ma, se oggi il Museo di Mineralogia di Cagliari possiede un esemplare di più, la nostra Certrolite nulla ha da vedere pel suo modo di presentarsi colla specie svedese, sempre cristallizzata e sempre lucentissima. L'Hintze non può riportare l’analisi data superiormente ed eseguita dal Flink, uno dei più noti e benemeriti mineralisti della Svezia, per la ragione che il 3° fascicolo della sua opera (*), che comprende la Centrolite, fu chiuso nell'agosto 1890, mentre il lavoro di Flink (*) fu presentato da Brògger all'Ac- cademia di Stoccolma solo il 20 novembre 1890 e pubblicato nel 1891; riporta invece semplicemente quella della prima Cenzrolite (*), che faceva parte di una collezione di minerali venuti in Germania dalla parte meridio- nale del Chilì, quindi di località non sicura, determinata dal vom Rath fino dal 1880 ed analizzata dal Damour (‘) e che sarebbe: SÌ0.,. Col. Cene 05 Mp0; © e e 050) PhO; . Se 09, 100,24 Certamente la Cenirolite sarda per la sua composizione s'avvicina più alla specie svedese che alla primitiva tipica del Chilì, alla quale però pei pochi cenni, che si hanno, forse rassomiglia di più esteriormente, sembrando essere anche quella su ganga di quarzo. La durezza, che è data per la Centrolite in 5, è assai più bassa per la nostra di Sardegna, che non arriva al 4° grado, per essere scalfita dalla fluorina. Anche il peso specifico n'è inferiore, essendosi ottenuto solo 5,34 alla temperatura di 16,3°: però devo osservare che la sostanza esaminata era impura, perchè inquinata di quarzo; ed essendo questa impurità eguale a 3,37 °/, ed attribuendo al quarzo il peso specifico di 2,66 e facendo le correzioni dovute, arriviamo a 5,43 circa, valore, che, anche tenendo conto della quantità d’acqua trovata nella composizione della nostra in 1,79, è (1) Handbuch der Mineralogie. Zweiter Band. Silicate und Titanate. 1889-1897. () G. Flink, Mineralogische Notizen III, z. Kentrolith von Làngbanshyttan. Bihang- till K. svenska vet. akad. handlingar. Band. 16. Afd. II. 2° 4. pagg. 14-20. Stockholm 1891. Vedi anche relazione estesa in Groth, Zeitschrift. Bd. XX. pag. 370. 1892, (3) Opera citata, pag. 407. (4) A. Damour und G. vom Rath, Ueber den Kentrolith, eine neue Mineralspecies, in Groth, Zeitschrift. Bd. V. Heft 1, pag. 32. 1880. — 699 — troppo basso per una Cer/rolite, per la quale Dana ed Hintze danno 6,19 per la specie americana, tacendosi dal Dana il peso specifico per la prove- nienza svedese, per la quale il Flink dà 6,068 offrendo la durezza = 5. Nel tubo chiuso si vede un leggero appannamento, senza però forma- zione di goccie d'acqua. Sul carbone fonde facilmente in vetro nero, dapprima bolle, si gonfia, ma cessato il bollore si restringe in globulo nero, vedendosi chiaramente l'aureola gialla dell'ossido di piombo: attorno all’aureola gialla vè un'aureola bianca. Schiacciando in un mortaino il globuletto, ottenuto alla fiamma riducente, si vedono striscie di piombo metallico, che si ottiene più facilmente colla soda sul carbone. Col borace la perla è rossastra a caldo, violetta a freddo. Col sal di fosforo la perla è giallognola a caldo e bianca a freddo, mostrandosi solo la reazione del ferro, però con un residuo bianco non fuso, che è la silice: col nitro la perla diviene violetta, ma opaca; arroventandola fortemente perde il violetto, diviene gialla a caldo e ver- dastra a freddo, quando si sia adoperato molto nitro; con poco nitro invece la perla è gialla a caldo e bianca a freddo. Nell'acido nitrico concentrato si scioglie in parte, dando una soluzione nera con separazione d'ossido di manganese e silice: coll’acido cloridrico, particolarmente a caldo, si mette in libertà del cloro, che si vede e si sente. Pei caratteri chimici si accorda la nostra sostanza colla Centrolite del Chilì; ne differisce alquanto da questa e da quella di Svezia pel modo di presentarsi, per la durezza, pel peso specifico, e nella composizione chimica per essere la nostra più ricca in piombo e più povera in ferro ed in calce, oltrechè per contenere dell'acqua e traccie di magnesia. Chimica. — Trasformazioni dei nitrosopirroli (1). Nota di Francesco AncELICO, presentata dal Corrispondente A. ANGELI. Per completare le ricerche, iniziate tre anni or sono col prof. Angeli (?), sull'azione dell'idrossilammina sui nitrosopirroli, ho creduto opportuno studiare il comportamento, rispetto a questo reattivo dei nitrosoderivati del pirrolo, metilfenilpirrolo, difenilpirrolo e trifenilpirrolo, allo scopo di chiarire la strut- tura del nitrosopirrolo e di determinare l'influenza esercitata sulla stabilità dell'anello pirrolico dalla posizione e dalla natura dei radicali sostituenti. Nitrosopirrolo. Al nitrosopirrolo preparato sei anni or sono (*), per azione del nitrito (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica farmaceutica della R. Università di Palermo. (*) Angeli, Angelico e Calvello, Accad. Lincei 1902, vol. XI, 2° semestre, pag. 16. (3) Angeli e Spica, Gazz. chim. 29-I1-500 (1899). — Spica Angelico, Gazz. chim. 29, TI, 49 (1899). — 700 — d'amile sul pirrolo in presenza di etilato sodico fu assegnata fin d'allora la struttura : de Certi HC\ 7CH N giacchè non era improbabile che l’isonitrosopirrolo derivasse da una forma tautomera del pirrolo HC CH LO __(GNAf N] Ea C\ /0H HC\ 7CH NH N analogamente a quanto si era osservato per gl’indoli aventi libero il posto in #. Però se questo può ammettersi nel caso di pirroli o d'indoli sostituiti in a, non può escludersi, che, nel caso del pirrolo, in cui tutti i posti sono liberi, l'idrogeno imminico concorra alla formazione del metilene nel posto @ e di conseguenza al nitrosopirrolo potrebbe anche spettare la struttura HC CH Hc lor c_/CNOH Per decidere a quali dei due schemi fosse da dare la preferenza, venne studiata l’azione dell’idrossilammina. Infatti dalla prima formula era da aspettarsi una triossima, dalla seconda una diossima o loro derivati. L'espe- rienza ha confermate le previsioni giacchè trattando con idrossilammina la soluzione alcalina del nitrosopirrolo si arriva ad un composto che contiene tre atomi di azoto e che differisce dalla triossima HC(NOH). CH; .C(NOH). C(NOH)H per una molecola di acqua in meno. Questo fatto si verifica anche in altri casi come sì vedrà in seguito. La soluzione acquosa ed alcalina si tratta con eccesso di idrossilammina, si lascia in riposo alcune ore e quando il liquido non si scolora ulteriormente si distilla nel vuoto fino a secchezza. Il residuo mescolato con bicarbonato di sodio viene estratto ripetutamente con acetone ed evaporando il solvente rimane indietro una massa bruna che cristallizzata più volte dall'acqua, in presenza di nero animale, fornisce aghetti bianchi splendenti che fondono decomponendosi a 248°-250°. mol = Per la formula C, H; N; 03. Rrovato Mio H 4,42 N 32,80 32,84 32,76 Calcolato C 37,50 (H3:99 N 33,07 Bollita con acido solforico diluito cede idrossilammina. B-nitrosometilfenilpirrolo. Si operò in maniera analoga, cioè trattando la soluzione acquosa alca- lina del nitrosometilfenilpirrolo con forte eccesso d'idrossilammina. Il liquido dapprima bruno, e dopo un paio di giorni quasi del tutto scolorato, per trattamento con acido acetico separa la triossima che, cristal- lizzata dall'alcool, si presenta in minuti aghetti bianchi che fondono con decom- posizione a 205°. Per la formula ©,; Hi3 N303. Trovato 0 56,22 H 5,80 N 17,60 Calcolato C 56,17 ESS N 17,87 Per questa triossima sono possibili due formule diverse, a seconda che l’isonitrosogruppo va dalla parte del fenile o del metile, e precisamente CH; . CNOH) . C(NOH) . CH; . C(NOH) . CH; C:H; . C(NOH) . CH, . C(NOH) . C(NOH) . CH; Di fronte ai reattivi si comporta in maniera del tutto analoga alla trios- sima proveniente dal nitrosodimetilpirrolo (*). Come questa, fornisce un tri- benzoilderivato che, purificato dall'alcool, si ha in minuti cristalli che fon- dono a 156°. Azoto per Cs» H.; N30, trovato 7,60 calcolato 7,67, e per breve riscaldamento con acido solforico diluito dà un prodotto che differisce dalla triossima per una molecola d'idrossilammina in meno. Azoto per Ci, Hio Na 03, trovato 13,70, calcolato 13,86. La nuova sostanza cristallizza dal benzolo e si ottiene in laminette colo- rate lievemente in giallo che fondono a 170°, solubili negli alcali, e per azione del cloruro di benzoile col metodo di Baumann e Schotten fornisce un mono- benzoilderivato che dall'alcool si separa in minuti cristalli bianchi. Fonde a 158°-159°. Azoto per C,3 His Na 03, trovato 9,28 calcolato 9,15. (1) Angelico e Calvello, Gazz. chim., vol. 84, p. I, pag. 38. — 702 — Sottoposta a prolungata azione dell'acido solforico diluito, elimina ulte- riormente idrossilammina dando origine ad un composto di natura chetonica che cristallizza dall'alcool in fogliette bianche, che fondono a 105°. Azoto per C,; Hs NO,, trovato 7,66 calcolato 7,56. La soluzione acetica trattata con acetato di p-nitrofenilidrazina fornisce il corrispondente idrazone, che cristallizzato dall'alcool si presenta in mi- nuti aghetti intensamente colorati in giallo i quali fondono con decomposizione verso 200°. Azoto per C,, H.,j N, 03, trovato 17,90 calcolato 17,38. La triossima riscaldata a lungo con acqua dà origine ad un liquido colorato in bruno che per raffreddamento solidifica. Depurandolo dall’etere del petrolio si ha in piccoli cristalli prismatici che fondono a 88° e che differiscono dalla triossima per una molecola di acqua in meno. Azoto per C,1H,,/N3 03, trovato 19,60 calcolato 19,35. Questa nuova sostanza, per riscaldamento con acido solforico diluito, a sua volta cede idrossilammina, dando un chetone che cristallizzato anch'esso dall’etere del petrolio sì presenta in lunghi aghi bianchi che fondono a 95°. Azoto per C,1 Hio N20», trovato 13,90 calcolato 13,86. Trattato con p-nitrofenilidrazina, in soluzione acetica, dà il corrispondente idrazone che dall'alcool si separa in sottili aghetti fortemente colorati in giallo e che fondono decomponendosi verso 202°. Azoto per C,, Hi; N5 03, trovato 21,20 calcolato 20,77. B-nitrosodifenilpirrolo. Questa sostanza fu sottoposta ad analogo trattamento; però la reazione in questo caso procede più lenta ed assieme ad un derivato che differisce dalla triossima per una molecola di acqua in meno, si ottengono altri due corpi, insolubili negli alcali e molto caratteristici. Data la scarsezza del materiale, non è stato possibile studiarli; solo accennerò al fatto che uno è molto solu- bile in alcool, dal quale solvente si separa in cristalli rossi che sembrano rubini, l’altro meno solubile è giallo, però per sfregamento, o per prolungata ebullizione con alcool, passa in soluzione e concentrando si separa in cristalli rossi simili ai precedenti. Il derivato anidrico della triossima purificato dal benzolo fornisce bel- lissimi cristalli rombici lievemente colorati in giallo. (Fonde a 141°-142°). Azoto per C,6 Hi3 N3 03, trovato 15,10 calcolato 15,05. — 703 — Dà un monobenzoilderivato che dall’etere petrolico si separa in minuti cristalli bianchi. Fonde a 123°. Azoto per C23Hi7 N3 03 trovato 11,10 calcolato 10,99. Per trattamento a caldo con acido solforico diluito, il derivato della trios- sima perde idrossilammina dando origine ad un prodotto, probabilmente di natura chetonica, che non ho potuto analizzare per deficienza di sostanza. B-nitrosotrifenilpirrolo. Il p-nitrosotrifenilpirrolo per azione dell’idrossilammina a freddo rimane inalterato; se però si pone a ricadere in soluzione acquosa alcoolica, in pre- senza di alcali, dopo circa un paio di ore il liquido rosso bruno appare sco- lorato, mentre si separa una sostanza bianca fioccosa che non è altro che am- minotrifenilpirrolo. Il liquido filtrato ed acidificato con acido acetico dà una piccola quan- tità di sostanza gialla, molto alterabile, e della quale non è stato possibile occuparmi. Allo stesso amminoderivato si arriva riducendo il nitrosotrifenilpirrolo con polvere di zinco ed acido acetico. Da ciò ne segue che l'idrossilammina in questo caso agisce soltanto da riducente. Il prodotto si ottiene, cristallizzato dal benzolo, in sottilissimi aghetti bianchi che fondono a 184°-185°. Per la formula C,, His Ne. Trovato C 85,55 H 6,38 N 9,13 Calcolato © 85,20 H 5,80 N 9,08 L’amminotrifenilpirrolo, sciolto in piridina, addizionato della quantità teorica di cloruro di benzoile, dà un monobenzoilderivato che purificato dal benzolo si ha in minuti cristalli che fondono con decomposizione a 123°. Azoto per C.9 H3, N30, trovato 6,72 calcolato 6,76. Trattato con cianato di potassio fornisce la corrispondente urea che cri- stallizzata, dall'alcool fonde decomponendosi a 238°. Azoto per C.3 Hig N30, trovato 11,90 calcolato 11,90. Dal comportamento dei nitrosopirroli sostituiti si osserva chiaramente che l'introduzione di radicali fenilici ritarda od ostacola l’idrolisi dell'anello pirrolico, ma d'altra parte la presenza dell'isonitrosogruppo favorisce l’aper- tura dell'anello; infatti il prof. Ciamician (!) avendo, molti anni or sono, sottoposto ad analogo trattamento i corrispondenti pirroli liberi, trovò che dal metilfenilpirrolo si hanno soltanto piccole quantità della diossima, mentre il difenilpirrolo ed il trifenilpirrolo rimangono inalterati. Continuerò lo studio di queste interessanti sostanze. (1) Ciamician, Gazz. chim., vol. 21, p. I, pag. 245. — 704 — Chimica. — Azione del cloroformio sull’ a-8-N trimetilindolo. Nota di G. PLancaer ed 0. CarRASco ('), presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Le Note pubblicate da uno di noi con G. Testoni, ed alcune altre nostre (?), oltre a chiarire il meccanismo della trasformazione dei nuclei pirrolici in nuclei piridici, hanno messo in evidenza che il cloroformio, in una prima fase, rea- gisce perfettamente come i joduri alcoolici, sugli indoli. In una Nota precedente facendo agire il cloroformio sull'a-8-dimetilin- dolo, ottenemmo la «-f-dimetil-6-diclorometilindolenina (3): CH; CH Cl, e da questa con joduro di metile il jodometilato corrispondente vale a dire il jodidrato della 8-N-dimetil-8-diclorometil-a-metilenindolina. CH, CH Cl, Ve dA 0; LC Daga NZ CH; Con perfetta corrispondenza colla trasformazione della £-8.a-trimetilindo- lenina nella #.8-N-trimetil-a-metilenindolina (4). Per completare l'analogia, restava a vedere, ciò che ancora non è stato fatto, come si comporta il cloroformio cogli indoli terziari. È noto che il joduro di metile reagisce a temperatura ordinaria col trime- tilindolo e lo trasforma nella trimetilmetilenindolina suddetta (°) e che ana- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica agraria della R. Università di Bologna. (2) G. Plancher, Questi Rendiconti vol. IX, 1° sem., pag. 121; Idem, Ibid. IX, 1° sem. 222; Idem e G. Testoni, Ibid. X, 1° sem. 308; Idem e O. Carrasco, lbid. XIII, 1° sem., pag. 573. (3) G. Plancher e O. Carrasco, ibid. XIII, 1° sem., pag. 574, 636, e XIV, 1° sem., 162-165. (4) Gazz. chim. it. 28-2-428. (>) Ciamician e Boeris, Questi Rendiconti — 705 — losamente reagiscono il joduro di metile e di isopropile sullo stesso indolo, nonchè il joduro di metile sul #.N-dimetil-a-etilindolo (!). In base alla analogia anzidetta il cloroformio cogli indoli terziarî, pur essendogli preclusa la via all'ulteriore trasformazione nelle clorochinoline cor- rispondenti doveva dare delle diclorometilmetilendoline, e nel caso speciale del trimetilindolo quella diclorometildimetil-a-metilenindolina di cui si ot- tenne il jodidrato nel modo anzidetto. La esperienza ha dato risultati corrispondenti alle nostre speranze, e di ciò appunto tratta questa Nota. Azione del cloroformio sul trimetilindolo. B-diclorometil-a-metilen-8-N-dimetilindolina. 10 grammi di trimetilindolo, sciolti in una soluzione di etilato sodico pre- parata con 2 gr. di sodio e 50 gr. di alcool assoluto, vennero trattati con 20 gr. di cloroformio secco, a goccia a goccia evitando assolutamente che la temperatura salisse oltre i 50° o discendesse sotto ai 40°. Si separò a poco a poco un abbondante precipitato di cloruro di sodio. Terminata la reazione si scacciò a bagno maria il cloroformio e l'alcool. Intanto la massa venne colorandosi sempre più in verde. La massa residua fu estratta rapidamente con acido cloridrico al 5°/, sbattuta con etere, ed il cloridrato, dopo averne scacciato completamente l’etere e dopo filtrato venne decomposto con soda. Si liberò una base liquida che venne estratta con etere di petrolio, e distillata in corrente di vapore. Questa base resta per distillazione dell'etere come un olio che arrossa all'aria. Il rendimento è scarso. Data anche la alterabilità di questa base, rinunciammo ad analizzarla. Per determinare la composizione ne facemmo il picrato. La base greggia trattata con soluzione alcoolica satura di acido picrico depone un picrato pastoso e nerastro, che a poco a poco va solidificando e può essere ridotto in polvere. Cristallizzato dall'alcool assoluto, le prime volte si separa oleoso e bruno, in seguito sì separa cristallino in aghetti di colore giallo intenso, che alla fine fondono costanti a 146°-147°. Analisi: gr. 0,1520 di sostanza diedero gr. 0,2567 di CO, e gr. 0,0507 di H;0 Ce JRE NC, È Co H, (N03); OH= (Ge His N, 0, 15 Calcolato °/ C 45,86 H 3,40. Trovato °/ C 46,06 Ho NI9E (3) Ciamician e Boeris, Gazz. chim. it. 27-@-83; G. Plancher, Questi Rendiconti XI, 2° sem., pag. 183 e 185. RenpICONTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 88 — 706 — Questa analisi conferma che la formola che spetta alla diclorobase ottenuta è Cig His NCl,; che essa sia identica con quella ottenuta per l’altra via an- zidetta lo provammo trasformandola in jodidrato, che risultò infatti identico al jodometilato di -diclorometil-a-8-dimetilindolenina. Infatti liberata la base dal picrato e seccatala in soluzione eterea, la sottoponemmo ad una corrente secca di acido jodidrico. Si separò tosto un Jodidrato cristallino ed incoloro che fu tosto separato e ricristalizzato dal- l'alcool assoluto. Si ottenne in fine fondente con decomposizione a 220°-221° come quello già descritto ('). Tutti e due si colorano con eguale facilità in rosso dapprima e quindi in bleu. Chimica. — Sulle combinazioni della 8-fenilidrossilammina colle aldeidi aromatiche. Nota di G. PLANcHER e G. PICCININI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisiologia. — £sperienze fatte sopra di un orang-utang colla rarefazione dell’aria (€). Nota del dott. ALBERTO AGGAZZOTTI, presentata dal Socio A. Mosso. In questa e nelle seguenti Note riferisco gli studî che feci sopra un orang-utang che teniamo nel Laboratorio di fisiologia a Torino e che fu rega- lato al prof. Mosso l'estate scorsa dal conte Mario Peracca. Questo orang- utang che proviene dall’ Isola di Borneo, è un maschio di soli tre anni e mezzo. Nel mese di gennaio, quando incominciai le esperienze, esso pesava kg. 10.200, dopo quattro mesi è aumentato di due chilogrammi circa. È un animale di indole buonissima ed intelligente, così che potemmo fare su di lui molte esperienze. Soltanto le prime volte che volemmo metterlo sotto alla campana pneumatica od applicargli apparecchi registratori, incontrammo una certa difficoltà; si ribellava, voleva sfuggirci e cercava con tutte quattro le mani il modo di strappare e di rompere gli apparecchi; ma quando si rese conto di ciò che gli sì faceva, non si oppose più, anzi esso stesso facilitava l'ap- plicazione degli strumenti, alzando, per esempio, le braccia quando volevamo passare il nastro del pneumografo sotto le ascelle attorno al torace. Preso (!) G. Plancher e O. Carrasco, Questi Rendiconti XIV, 1° sem. 164, (in detta Nota per errore di stampa si legge « fogliette » invece che « pagliette ». (2) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisiologia della R. Università di Torino. — 707 — sulle ginocchia rimaneva per delle ore tranquillo e immobile, e spesso finiva per addormentarsi. La domesticità di questo animale è così grande, che sempre vorrebbe essere in compagnia di qualcuno e a malincuore si assoggetta a rimanere Fi. 1. solo colle altre scimmie. Quando entro nella sua stalla, subito viene incontro e si arrampica su per le gambe in modo che io lo prenda in braccio e mi accarezza, nel suo viso vi si vede la contentezza, spesso allungando le labbra in atto di baciare, ed emette un suono speciale che però io non sono capace — 708 — di distinguere da quelli che emette quando invece è contrariato o quando soffre. Per studiare l’azione dell’aria rarefatta su questo orang-utang, lo mettevo sotto una grande campana di vetro alta 52 centimetri e larga 38: affinchè l'animale potesse starvi più comodamente, la campana non appoggiava su un piano, ma sul bordo di un cilindro di ghisa incavato. Questo cilindro di ghisa essendo profondo 21 cm., l'altezza complessiva della campana si può ritenere di 75 cm., e la sua capacità è tale da permettere all’orang-utang di essere libero in ogni movimento. Una doppia pompa mossa da un motore elettrico aspira aria dalla parte alta della campana producendovi la rarefazione: questa può essere regolata, manovrando un robinetto applicato sul fondo del cilindro di ghisa, cioè au- mentando più o meno la corrente d'aria che entra nella campana, mentre le pompe funzionano. Essendo le pompe molto potenti, questa corrente d'aria rimane sufficientemente forte per mantenere l'aria pura anche nelle più forti rarefazioni. Per conoscere i mutamenti della pressione, la campana sta in comuni- cazione con un manometro. La maggior parte delle esperienze furono fatte al mattino e quando l'orang- utang era ancora a digiuno. La stanza dove esse si facevano veniva apposita- mente riscaldata a 18°-20°, e nelle giornate più fredde riscaldavo anche l’aria che entrava sotto alla campana, essendo l'animale molto sensibile al freddo. Nelle prime esperienze, volli studiare l'azione delle deboli rarefazioni, perciò in esse non sorpassai i 450 mm. di pressione. Sino a questo limite l'animale mostrò di non risentirsi affatto dell’aria rarefatta, e durante tutta l'esperienza rimaneva tranquillo, generalmente seduto, osservando attentamente ciò che si faceva intorno a lui, talora raccoglieva colle unghie le briciole di grasso rimaste aderenti al bordo della campana e le mangiava. L'unico fenomeno che potei osservare, fu lo sbadiglio che compariva ripetutamente durante l’esperienza: la pressione di 660 mm. era già sufficiente a provo- carlo. L’orang-utang non soffriva durante la rvicompressione per ritornare alla pressione normale, purchè la pressione non aumentasse più di 70-80 mm. Hg. al minuto primo. Se la ricompressione era più rapida vi era un accenno di dolore alle orecchie, perchè lo si vedeva introdurre nel condotto uditivo esterno un dito ed agitarlo rapidamente. Le altre scimmie sono molto più sensibili al cambiamenti di pressione e, anche quando questa aumenta non molto rapidamente, spesso danno di cozzo contro alle pareti della campana e hanno convulsioni. Ciò indica che nell'orang-utang più facilmente si ristabilisce l'equilibrio tra l'orecchio medio e l'esterno, oppure che l'orang-utang, come l'uomo, sa meglio approfittare della deglutizione, per aprire la tromba d'Eu- stachio e far comunicare l'orecchio medio colla cavità faringea e quindi coll’esterno. — oen= L'orang-utang nella pressione di 450 mm. diveniva più tranquillo, il suo sguardo si faceva meno vivo, talora triste e tutta la fisonomia assumeva un certo che di apatico e di malinconico. Solo alla pressione di 340 mm. circa si può dire che incominciassero i veri sintomi di malessere: l’ orang-utang diventava sonnolento, le palpebre gli cadevano sugli occhi, l'aspetto era instu- pidito, non si interessava più di ciò che avveniva intorno a lui e prima che la rarefazione scendesse a 300 mm. s’'addormentava. Se la pressione non subiva più cambiamenti, esso rimaneva in questo stato di torpore profondo, solo si svegliava se si chiamava la sua attenzione battendo contro aila cam- pana, allora guardava come inebetito, e poi di nuovo si riaddormentava. Quando comparisce il sonno, non solo l’attività psichica, ma anche il sistema muscolare si trova in uno stato di depressione evidente. L'orang-utang si mostra spossato e privo di forze, assume una posa caratteristica in cui è massimo il rilasciamento muscolare, sta seduto, curvo sul tronco, le braccia incrociate sulle ginocchia, la testa inclinata in avanti spesso non può più reggersi e deve appoggiarsi alle pareti della campana. I movimenti sono lenti e tremo- lanti, le braccia sollevate ricadono come paretiche. Se la rarefazione aumenta oltre 300 mm. il sonno diventa più profondo e non si riesce a svegliare l’orang-utang percuotendo contro la campana. La respirazione diventa dispnoica e stentata, la bocca rimane sempre aperta, le narici fanno dei movimenti ritmici col respiro, la fisonomia è sofferente. Alcune volte può superare la rarefazione di mezza atmosfera senza addor- mentarsi, diventa bensì sonnolento e le palpebre di tanto in tanto gli cadono sugli occhi, ma sembra non possa prender sonno, è in continua agitazione, non può tenere una posizione fissa, allunga le labbra, deglutisce, fa smorfie, si lamenta e piange. L’'orang-utan in questi casi è tormentato dalla nausea, infatti quanto presenta questa sintomatologia esso finisce per vomitare. Sopra una trentina di esperienze in cui sottomisi l'orang-utang alla rarefazione del- l'aria, soltanto due volte ebbi questo quadro e l’animale vomitò una volta alla pressione di 312 mm., e un'altra volta alla pressione di 270 mm. In alcune esperienze ho spinto la rarefazione fino a 270 mm., ma & questa forte rarefazione, corrispondente ad un'altezza di 8253 metri, l'orang- utang era tanto sofferente da far temere per la vita. A questa pressione l’ani- male cade sul fondo della campana privo di sensi, più non reagisce agli stimoli acustici che si possono fare dall’ esterno percuotendo contro alla campana. La respirazione diventa ancor più difficile e stentata. Le modificazioni del respiro cominciano alla pressione di 450 0 470 mm. con un aumento della frequenza e una diminuzione della profondità. Alla pressione minore di 400 mm. la respirazione diventa anche più profonda e avvicinandosi a 300 mm. di pressione si fa irregolare e comincia la dispnea. Si osservano dei periodi in cui il respiro è molto frequente, ed altri in cui è lentissimo, l’espirazione avviene a scatti e talora si hanno delle pause re- — 710 — spiratorie di parecchi secondi; generalmente la pausa si osservava dopo una inspirazione. Queste pause però non si susseguono regolarmente, come nella respirazione a periodi, descritta dal Mosso nell'uomo sul Monte Rosa, ma saltuariamente, senza ordine. Quanto più forte è la rarefazione e quanto più sofferente è l'orang-utang, tanto più esse sembrano frequenti; quando il re- spiro è così irregolare non si può nemmeno contarlo dall'esterno della campana. Per meglio studiare i mutamenti che avvengono nel ritmo e nella pro- fondità del respiro dell'orang-utang per effetto della rarefazione, ho fatto al- cune esperienze in cui presi il tracciato della respirazione alla pressione normale, e poi nell'aria rarefatta e dopo di nuovo alla pressione normale. Fre. 2. — Respirazione toracica dell’ Orang-utang alla pressione normale. Tempo = 1 minuto secondo. In queste esperienze andavo io stesso coll'orang-utang sotto una grande campana pneumatica di ferro, in cui potevo comodamente maneggiare gli ap- parecchi registratori. La ventilazione anche sotto questa grande campana ri- maneva sufficientemente forte per impedire un accumulo di anidride carbonica, anche la temperatura non aumentava durante tutta l’esperienza che di uno o due gradi. La trasmissione ad aria coi timpani ha l'inconveniente di compiersi meno bene nell'aria rarefatta, ma non arrivando in queste esperienze ad una grande rarefazione, l'errore può essere trascurato. Per brevità, riporto qui solo i tracciati di una esperienza, essendo i ri- sultati delle altre simili a questi. L'esperienza fu fatta al mattino, quando l'orang-utang era ancora digiuno, la temperatura della stanza era 15° e la pressione 737 mm. Dopo aver applicato il pneumografo doppio intorno al torace dell’orang-utang, mi ero seduto sotto alla grande campana pneumatica, prendendo l’animale sulle ginocchia. Perchè restasse più tranquillo gli feci prendere la posizione supina e lo ricopriù con una coperta di lana. Attesi alcuni minuti, poi messo in comunicazione il pneumografo col timpano scri- vente sul cilindro affumicato, presi il tracciato della respirazione toracica del- l'orang-utan alla pressione normale: di esso ne è riprodotto un tratto nella fig. 2. La respirazione dell'orang-utang, quando è sveglio, anche se apparente- mente tranquillissimo e immobile, come in questo caso, è sempre irregolare, gli atti respiratorìî sono tutti diversi gli uni dagli altri, vi sono continue Sil — oscillazioni nella tonicità dei muscoli toracici del respiro. La frequenza delle respirazioni è di 20 al minuto. Preso il tracciato del respiro alla pressione normale, feci segno al mec- canico di incominciare la rarefazione, contemporaneamente tolsi la comuni- cazione fra il pneumografo e il timpano scrivente per non rompere le mem- brane. L'orang-utang stava sempre immobile nella stessa posizione. In dieci minuti la pressione diminuì a 437 mm. di Hg, regolando la ventilazione feci in modo che essa vi rimanesse stazionaria. L’orang-utang era divenuto sonnolento, di tanto in tanto chiudeva gli occhi. Misi di nuovo in comunicazione il pneumografo col timpano scrivente Fic. 3. — Respirazione toracica dell’ Orang-utang alla pressione di 437 mm. di Hg. Tempo = 1 minuto secondo. e presi il tracciato del respiro alla pressione di 437 mm. che riproduco in parte nella fig. 3. La respirazione è divenuta molto più regolare, le oscillazioni della to- nicità sono scomparse, ciò probabilmente dipende solo dal fatto che l’ani- male si è addormentato, non dalla rarefazione dell'aria. Infatti questa rego- larizzazione del respiro si osserva costantemente anche alla pressione normale quando l'orang-utang passa dalla veglia al sonno. L'abbassamento del tracciato che si osserva nella fig. 3 non dipende da un aumento della tonicità dei muscoli toracici respiratorî, ma da una lieve diminuzione di pressione nell'aria del pneumografo. La frequenza del respiro alla pressione di 437 mm. è aumentata a 25-27 al minuto primo, contemporaneamente la profondità del respiro è molto dimi- nuita. Queste modificazioni nella frequenza e profondità del respiro sono pro- dotte dalla rarefazione dell’aria, non dal sonno, perchè sappiamo che questo tende invece ad aumentare la respirazione toracica e a diminuire la respirazione ad- dominale. Dopo di aver scritto il tracciato del respiro nell'aria rarefatta, aumentai l'afflusso dell’aria nella campana per ritornare alla pressione normale. Eravamo rimasti dodici minuti nell'aria rarefatta. La ricompressione av- venne lentamente e l'orang-utang continuò a dormire. Non appena la pres- sione fu di nuovo 737 mm., scrissi un altro tracciato della respirazione (fig. 4). — 712 — Il respiro, cessata l’azione dell'aria rarefatta, aumenta un po in profon- dità, e diventa molto più lento 16-17 atti al minuto primo. Se confrontiamo poi questo tracciato con quello della fig. 2, vediamo che la respirazione non è ritornata normale, ma dopo l'azione dell'aria rarefatta è meno frequente e meno profonda. Ciò conferma quanto dimostrai nell'uomo ('), che cioè dopo il soggiorno nell'aria rarefatta si respira un volume d'aria minore, forse per effetto della diminuzione del CO, nel sangue e nei tessuti. Fra isintomi presentati dall’orang-utang nell'aria rarefatta, debbo ancora accennare ai crampi muscolari e alle paralisi. In una esperienza mentre l’ani- Fic. 4. — Respirazione toracica dell’ Orang-utang cessata la respirazione. Tempo = 1 minuto secondo. 5 male si trovava nell'aria rarefatta alla pressione di 324 mm. e non si risen- tiva della forte rarefazione perchè respirava un'aria sovraossigenata col 45,09 °/ di 0,, improvvisamente mentre giuocava con un termometro che era sotto alla campana, si lasciò cadere a sedere emettendo delle grida di lamento, ed esprimendo nel viso un profondo dolore, colle mani si prendeva il piede destro cercando muoverlo. Dopo due minuti tutto era passato, l’orang-utang si alzava e riprendeva l'aspetto normale. Pel modo improvviso con cui si è manifestato il dolore, per l’immobilità del piede in contrattura, pel fatto che il dolore aumentava quando colle mani imprimeva qualche movimento all’arto, io credo che l'orang-utang avesse dei crampi muscolari. Questo disturbo lo rilevai una volta soltanto, durante tutte le esperienze. In un'altra esperienza si ebbe per azione dell’aria rarefatta una para- lisi di tutto l'arto inferiore sinistro. La pressione era di 304 mm. di Hg, l'orang- utang era sofferente, dormiva con respiro profondamente dispnoico, ma nulla faceva sospettare avesse una paralisi in una gamba; non appena la pressione fu ritornata normale e volli togliere l'animale da sotto alla campana, mi accorsi che esso non poteva muovere la gamba sinistra e che messo in terra cammi- nava trascinandosela dietro: dopo due minuti, l'orang-utang camminava nor- malmente. Non saprei perciò dire se questo disturbo si è manifestato durante la forte rarefazione, eppure se debba considerarsi come un'azione postuma dell'aria rarefatta. (1) A. Aggazzotti, R. Acc. dei Lincei, vol. XIII, 2° sem., pag. 208. — 713 — Non ho osservato nell'orang-utang un adattamento ed una resistenza pro- gressivamente maggiore all’azione dell’aria rarefatta; i sintomi di malessere, aspetto sofferente, sonno, spossatezza muscolare, dispnea si presentarono sempre allo stesso grado di rarefazione, fra la pressione di 300 e 344 mm. di Hg. Poichè le esperienze venivano fatte per molti giorni di seguito, spesso tutte le mattine e talora anche due volte nella stessa giornata, data la costante resistenza dell'orang-utang, dobbiamo ammettere che la rarefazione graduale dell’aria e la lenta ricompressione, non lasciano lesioni apprezzabili o che almeno queste lesioni erano tanto leggere da scomparire poco tempo dopo che la pressione era ritornata normale. Vi furono, a metà circa delle esperienze, alcuni giorni durante i quali l'orang-utang si mostrò meno resistente all’azione dell'aria rarefatta e già alla pressione di soli 400 mm. stava molto male, ma soffrendo egli allora di dissenteria, credo doverne attribuire la causa all'in- debolimento generale dell'organismo. Da quanto abbiamo detto sul modo di reagire dell'orang-utang alla ra- refazione dell’aria, si può concludere che l’azione esercitata da una progres- siva e relativamente rapida diminuzione di pressione su questa scimmia è assal somigliante a quella che si verifica sugli altri animali e specialmente sull'uomo. Zoologia. — Un Gefireo pelagico: Pelagosphaera Aloysii n. gen. n. sp. Nota di Pro MINGAZZINI, presentata dal Socio F. To- DARO. Nella raccolta di animali pelagici marini, eseguita dagli ufficiali della R. Marina Italiana, dott. comm. Achille Cavalli e tenente cav. Gino Ducci, durante il viaggio di cireumnavigazione intorno al mondo negli anni 1903-905 della R. Nave Liguria, sotto il comando di S. A. R. il principe Luigi di Savoia, Duca degli Abruzzi, tra le altre interessanti e numerose forme da essi pescate, diligentemente fissate e conservate in formalina, munite dei dati necessarî a questo genere di ricerca zoologica e donate a questo Museo di Zoologia degli animali invertebrati di Firenze, ve ne ha una che si presenta degna di grande interesse, sia perchè del tutto nuova alla scienza, sia perchè fornita di tali particolarità morfologiche, da dover esser resa nota colla maggior sollecitudine agli studiosi di Zoologia, ai quali credo di far cosa grata pubblicando su di essa le seguenti notizie. Si tratta di un animale, per ora sfortunatamente rarissimo, perchè pe- scato in esemplare unico nel Pacifico australe, e precisamente nella Sta- zione XX di questa spedizione planctonica italiana, i cui caratteri anatomici corrispondono a quelli che presentano quei Vermi che sono inclusi nella classe RenpiconTI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 89 Mii dei Gefirei e più specialmente alle forme appartenenti all'ordine dei Sipun- culidi. I dati forniti dagli ufficiali della detta nave per la pesca eseguita nella Stazione in cui è stato trovato, sono i seguenti: STAZIONE XX. Data della pesca e durata della medesima: 18 luglio 1904; dalle 13.30 alle 14.30. Direzione della rotta: In navigazione da Noumea (Nuova Caledonia) ad Auckland (Nuova Zelanda). Località della pesca: Lat. 28°,20' sud; long. 170°,05' est Greenwich. Direzione della nave durante la pesca: 150°,30' vero. Temperatura dell’acqua alla superficie: 20° C. Densità dell'acqua: 1,0268: Salsedine della medesima: 2,53592. Stato del mare: Leggermente mosso; stato del cielo: sereno. Velocità della nave durante la pesca: 3 miglia. Corrente superficiale. Pesche eseguite: Due, cioè una superficiale colla reticella del Muller, l’altra profonda col bertovello. Questo Gefireo venne trovato colla pesca profonda. Il bertovello ebbe 600 metri di cavo filato e fu affondato con zavorra; può approssimativamente calcolarsi che la profondità da esso raggiunta sia stata di 4-500 metri. Il prodotto delle pesche, come al solito, venne fissato con formalina in soluzione debole, all'1°/,, e conservato con formalina al 4°/,, secondo la formula più in uso per la conservazione degli animali mediante il detto rea- gente, e pervenne a destinazione in ottimo stato di conservazione, in modo che anche questo Gefireo potè essere con facilità esaminato, disegnato e stu- diato, per quanto lo poteva permettere lo stato d’integrità nel quale ho vo- luto lasciarlo per venir conservato nel Museo insieme agli altri rappresen- tanti della raccolta. Nei Gefirei non è questa, del resto, la sola specie che sia stata finora raccolta e studiata in un solo esemplare, ma per citare un esempio di altre forme assai interessanti di animali di questa classe pescate e studiate in un solo esemplare, citerò fra gli altri il Saecosoma vitreum, che sebbene appar- tenga all'ordine degli Echiuridi, pure si avvicina per certe particolarità a questo Gefireo e che venne trovato dalla Norska Nordavs-Expedition a 639,22" lat. nord e 5°,29' ovest Greenwich, in un fondo sabbioso, alla profondità di 2222 m. e fu descritto da Danielssen e Koren; come pure le specie di Phascolosoma pescate a grandi profondità dal Travailleur e dal Talisman, cioè il Ph. approximatum, scutiger e vitreum, anch'esse descritte, da un solo esemplare, dal Roule, per non citare diverse altre specie che qui sarebbe — 715 — troppo lungo di enumerare. Varie specie di (Gefirei sembrano rarissime e con probabilità sono da considerare in via di estinzione nell'epoca attuale; altre poi abitano località marine non ancora bene esplorate, come parte di quelle percorse dalla Zigurza, e per esse è ancora prematuro il pronunziarsi sulla loro frequenza e rarità. Tutti i Gefirei fin qui conosciuti sono indicati come animali bentonici : moltissimi si approfondano nella sabbia; altri vivono nelle cavità delle roccie; altri sulle superficie dei fondi marini. Questo da me descritto è invece essen- zialmente pelagico, e tale lo designa non solo il reperto fatto dal bertovello, ma più ancora la sua forma e la qualità dei tessuti di cui è composto. La figura di questo animale è infatti perfettamente sferica; cioè esso possiede quella configurazione che è la più adattata al galleggiamento, che si ri- scontra in quelle specie pelagiche le quali si sono più modificate in tal senso ed hanno ridotti in gran parte gli organi locomotori speciali, o, non aven- done, hanno semplicemente modificato la loro configurazione primitiva in una sfera. Così dai Protozoi ai Vertebrati si riscontrano talune forme nelle quali sì è compiuto questo perfetto adattamento alla vita pelagica e ricorderò qui soltanto la Moctiluca ed il Radiozoum tra i Flagellati; i Collozoum e gli Sphaerozoum tra i Radiolari; la Trochosphaera tra i Rotiferi; il Mimo- nectes fra gli Anfipodi e varie specie di Plectognati (Tetrodontidae) fra i pesci. A mio parere perde la 7rochosphaera aequatorialis Semper, quel grande valore filogenetico che Semper, Hatscheck ed altri, le hanno voluto dare; e la sua forma e la speciale disposizione dei suoi organi, va sempli- cemente attribuita alla configurazione esattamente sferoidale presa dal suo rivestimento esterno, in seguito al suo perfetto adattamento alla vita pela- gica. Infatti, una conformazione analoga a quella della 7rochosphaera si trova in questo Gefireo il quale mantiene però la disposizione e la confi- gurazione dei suoi diversi organi secondo l’organizzazione della Classe alla quale appartiene, molto diversa da quella dei Rotiferi, mentre la somiglianza fra queste due forme è notevolissima. L'altra qualità che dimostra il carattere pelagico di questa specie è la sua trasparenza ('). Tutti i tessuti che compongono i suoi organi sono tra- sparenti; hanno un aspetto completamente vitreo il tegumento, i muscoli, i nervi e le pareti del tubo digerente; sono alquanto opachi invece i nefridi e le gonadi; del resto il canale digerente, come avviene in molte altre forme pelagiche, si rende ben visibile per il suo contenuto alquanto opaco, formato (!) Vi è fra i Gefirei questo fatto notevole, che cioè alcune forme sono del tutto odin parte trasparenti. Cosi fra i Sipunculidi, il Sipunculus nitidus Sluiter è in parte trasparente, il ,S. pellucidus Sluiter (della spedizione del Siboga) è quasi del tutto vitreo. Fra gli Echiuridi il Saccosoma vitreum è quasi del tutto trasparente. Per questa ed altre caratteristiche, non è improbabile che diversi degli attuali Gefirei siano stati, in epoche non molto lontane dalle attuali, planetonici. — 716 — principalmente da residui indigeriti e resi opachi di altri animali marini pelagici e alghe pelagiche, quali Crostacei, Anellidi e Diatomee. Per una tacita convenzione intervenuta fra gli zoologi, queste forme a vita pelagica, la quale può dirsi aberrante rispetto a quella bentonica della totalità o quasi della classe alla quale appartengono, sono state indicate con un nome generico in cui la parola Pel/a90s serve di radicale (vedi ad es. i Nemertini e le Oloturie). Per conseguenza dovendo denominare con un termine generico nuovo questa forma di Gefireo, ho adottato quello di Pe/agosphaera per indicare le due sue caratteristiche essenziali; e la designo col nome spe- cifico di A/oysti, per dedicare questa forma a S. A. R. Luigi di Savoia, Duca degli Abruzzi, che ha voluto impiegare una parte del tempo assegnato al viaggio della nave da Lui comandata, in vantaggio della scienza zoologica. La Pelagosphaera Aloysii, adunque, è un Gefireo sferico, perfettamente trasparente, del tutto incoloro e del diametro di circa 6 millimetri. La sola colorazione che esso presenta è quella dei detriti degli alimenti svariati rac- chiusi entro il suo intestino. Si mostra però leggermente iridescente e questo fenomeno si osserva sia quando l’animale è immerso nella formalina, sia quando si trova nell'acqua o nell’alcool forte e tale iridescenza è simile a quella che si vede talvolta sulla superficie delle bolle di sapone sebbene vi sia, fra ì diversi colori, una prevalenza nel giallo a riflesso metallico. Essa serve, al pari della trasparenza, a rendere questo Gefireo sempre più mimetico coll'acqua nella quale vive; ma del resto si osserva anche in altri Gefirei ed è piuttosto spiccata nel Sipunculus nudus. A mio parere, l'iridescenza è do- vuta non a speciali colori proprî dell'animale che la presenta, ma è causata da fenomeni d'interferenza che subisce la luce nel passare attraverso i tegumenti di questi esseri trasparenti o semitrasparenti e privi di colore proprio. In- fatti questi tegumenti nella Pelagosphaera, come nel Sipunculus nudus, sono formati in gran parte da due strati di fibre muscolari liscie, tutte uguali e molto ravvicinate fra loro, disposte assai regolarmente, e attraverso le quali la luce subisce i fenomeni d'interferenza, che dànno un aspetto iridescente al tegumento stesso. Altre forme animali marine, quali ad es. talune Synapta, diversi Policheti ecc., che presentano una conformazione consimile nella disposizione della muscolatura dei loro tegumenti, mostrano una simile iride- scenza, la quale si osserva altresì sulla superficie esterna di organi (ad es. tubo digerente di moltissimi vertebrati) rivestiti da una trama regolare e potente di fibre muscolari liscie assai ravvicinate fra loro. Il sistema digerente, bene sviluppato, si presenta con le due aperture piut- tosto ravvicinate fra loro, cioè, più precisamente, coll'ano situato verso la parte anteriore del corpo ed in posizione dorsale. Sulla superficie ventrale si notano lateralmente, e situati verso la parte anteriore, due distinti organi segmentali, larghi, sacciformi, leggermente convoluti, del tipo generale di quelli così caratteristici dei Gefirei. Esiste lungo la linea mediana della superficie ven- — 717 — trale stessa, un lungo e regolare cordone nervoso, che emana lateralmente a distanze uguali, in direzione obliqua, numerose paia di nervi che ben presto scompaiono, perchè si perdono fra i muscoli della parete del corpo, che anteriormente sembrano più lunghi perchè il cordone ivi non sta aderente allo strato muscolare e si dirige intorno alla faringe ove forma l'anello ca- ratteristico il quale dorsalmente si congiunge coi due gangli cerebroidi. Queste parti non sono rappresentate nelle fivure, perchè nascoste dalle inter- sezioni dei muscoli retrattori. Posteriormente il cordone nervoso ventrale termina con un leggiero rigonfiamento, del tutto simile a quello che presenta il cordone nervoso del Sipurculus e tale rigonfiamento designa il punto della superficie della sfera che corrisponde all'estremità posteriore del corpo, che negli altri Gefirei, i quali hanno forma cilindrica o cilindroide è determinato dall’estremità posteriore del cilindro. L'intestino forma una curvatura generale ad ansa a causa della vici- nanza delle sue aperture; in prossimità di queste è cilindrico, nel resto si mostra più o meno rigonfiato. Sebbene questa specie presenti bene svilup- pate e conformate le gonadi, tuttavia io non posso sicuramente asserire che essa sia giunta a completo sviluppo e non si debba considerarla come in uno stato ancora giovanile. Ciò ha influenza sulla conformazione del sistema digerente, come ha dimostrato Hatschek per il Sipunceulus nudus, nel quale l'avvolgimento a spira delle anse intestinali nel giovane è molto minore che nell'adulto. L’ansa semplice che forma il sistema digerente della Pelago- sphaera ricorda in qualche modo una condizione che si trova nelle larve dei Sipunculida, che potrebbe però avere persistito nello stato adulto di talune forme di quest'ordine, da considerarsi meno modificate delle altre. Una conformazione assai caratteristica e morfologicamente molto impor- tante, è quella che presenta la bocca di questa Pelogosphaera. Essa è una apertura perfettamente circolare sulla quale si vedono piccole sfrangiature piuttosto regolari del contorno, posta su un leggiero rialzo a tronco di cono che si erge sulla superficie della sfera e la deprime alquanto per una pic- cola area all’ intorno. Tale rialzo, comprendente la bocca, corrisponde alla estremità anteriore dell'animale; esso è formato da un anello di muscoli circolari più sviluppati per grossezza e per numero di quello dello strato dei muscoli circolari del tegumento ai quali appartengono; inoltre possiede mu- scoli longitudinali i quali si continuano con quelli corrispondenti ai longitudi- nali del tegumento e che si vedono partire dalla detta formazione come i meridiani di una sfera. Tale formazione essenzialmente muscolare, corrisponde morfologicamente alla porzione anteriore di quel caratteristico organo che si trova nell’estremità anteriore del corpo dei Gefirei e che viene indicato col nome di Tromba. Io non posso decidere se nell'animale vivente tale forma- zione non sia un poco più protuberante di quella che si vede nell'animale fissato, poichè talvolta anche un liquido il quale, come la formalina, non — 718 — induce sensibili deformazioni generali nella configurazione e aspetto della maggioranza dei delicatissimi animali marini pelagici, cagiona in determi- nate parti, specialmente in quelle in cui prevalgono gli elementi muscolari, leggiere contrazioni e deformazioni. Non sembra che attorno alla bocca vi meg siano tentacoli, ma non posso decidere se siano retratti e poco sviluppati o manchino del tutto non avendo fatto sezioni dell'esemplare; la sfrangiatura del contorno boccale potrebbe rappresentare un accenno alla formazione ten- tacolare. Del resto la famiglia 7ylosomidae fra i Sipunculidi è caratte- rizzata da specie prive di tentacoli. Alla bocca fa seguito una faringe anteriormente cilindrica, posterior- mente alquanto dilatata a tronco di cono. Segue poi un tratto rigonfiato, che s'innesta bruscamente sulla faringe, e presenta anteriormente una fila di tuberosità semisferiche molto ravvicinate fra loro. Nella parte posteriore esso sì restringe alquanto e quindi segue l’ intestino, il quale è assai largo e nella sua parte media s'incurva ad ansa e poscia si dirige anteriormente. Nella sua parte terminale si continua con un retto di forma cilindrica, il quale sbocca mediante l'apertura anale all’esterno, nella superficie dorsale, — 719 — a non grande distanza dalla bocca. All’interno dell'ano i muscoli sono al- quanto più numerosi ed ispessiti che nel resto del tegugmento. Un apparato assai sviluppato di questo Gefireo è quello dei muscoli retrattori, che sono numerosi e formati da fasci molto sviluppati e potenti. Fi. 2. Spiegazione delle figure. — A ano; B bocca; G gonadi; M muscoli retrattori; m mu- scoli longitudinali boccali; T muscoli circolari boccali; N cordone nervoso; Nf ne- fridi; R rigonfiamento terminale del cordone nervoso; S sostanza adiposa. Essi s’ inseriscono con una estremità sulla parte rigonfiata della faringe, e coll’altra su una zona della faccia interna del rivestimento muscolo-cu- taneo, non molto distante dalla linea equatoriale della sfera. Alcuni hanno un’attacco più anteriore, altri alquanto posteriore. Si possono distinguere in dorsali, laterali e ventrali: due sono ventrali, quattro laterali e quattro dorsali; inoltre se ne vedono altri meno sviluppati intercalati fra i prece- denti. Vi è altresì bene sviluppato il così detto muscolo fusiforme qui rappresentato da varî fasci, che nascono nella regione posteriore del corpo, in vicinanza cioè del rigonfiamento terminale del cordone nervoso ventrale, che servono a fissare l'intestino alla parete muscolo-cutanea e in gran parte s'inseriscono sull’apice della curva dell’ansa intestinale. Infine ricordo qui i due nefridi ben sviluppati e sboccanti sulla super- ficie latero-ventrale della parte anteriore del corpo; le gonadi in numero di — 020 — due, poste quasi allo stesso livello dei nefridi, formate da due glandole pi- riformi ravvicinate e situate sui due lati del piano mediano, inserite sulla faccia ventrale della faringe, tra questa e il cordone nervoso ventrale, piene di elementi sferoidali, alquanto opachi, che sembrano ova; ed in ultimo vanno segnalate numerose sferule di sostanza apparentemente adiposa, che sì trova accumulata nella cavità generale del corpo di questo Gefireo, dietro l'ansa intestinale. Il rivestimento esterno di questo animale è costituito da una cuticola trasparente che ricopre un ipoderma cellulare e sotto di questo vi sono i due caratteristici strati muscolari regolarissimi che determinano snlla superficie del corpo, nei punti in cui sono più sviluppati dei rilievi quadrangolari regolari. Non ho potuto constatare sulla superficie esterna del corpo alcun rivestimento di ciglia vibratili. Dalla descrizione qui data risulta che la Pelagosphaera Aloysii Ming., appartiene alla classe dei Gefirei, ordine Sipunculitda e probabilmente rap- presenta una nuova famiglia. Fisiologia vegetale. — Pressione e tensione delle cellule dh lievito. Nota del dott. E. PANTANELLI ('), presentata dal Socio R. Pi- ROTTA. Nigeli (?) per il primo speculò su le condizioni diosmotiche del lievito, sopratutto su la sua permeabilità, ma non fece misure in proposito. Egual- mente Prior (*) ed il suo allievo Elliesen (‘) giudicano la permeabilità del lievito da la rapidità con cui i diversi zuccheri vengono fermentati, un cri- terio abbastanza dubbio, e d'Arsonval (°) ritiene che nell’interno delle cellule di lievito regni una pressione osmotica enorme, forse di qualche migliaio di atmosfere, perchè ha visto che cellule di lievito plasmolizzate con diverse soluzioni saline muoiono nel congelo, a differenza delle cellule intatte, le quali notoriamente resistono anche a — 90° (5). Mancava dunque qualsiasi misura diretta del turgore del lievito, allorchè intrapresi queste ricerche, in continuazione a i miei studî analoghi su funghi pluricellulari, ma or è un mese è comparsa su questo tema una Memoria (®) Lavoro eseguito nel R. Istituto Botanico di Roma, 15 giugno 1905. (2) Nigeli, C. v., ZhReorie der Girung, 1879, pagg. 39-42, 93, 105. (3) Prior, E., Centralbl. f. Bakteriol. (2), I, pagg. 445-446 (1895); Ibidem, II, pag. 322 (1896); III. Ibidem, pag. 568; IV. Physiologie und Chemie des Malzes und des Bieres, 1896. (4) Elliesen, M., Centralbl. f. Bakteriol, (2), VII, pag. 500 (1901). (5) D’Arsonval, Comptes rendus, CXXXIII, pag. 84 (1901). (6) Pfeffer, Pflanzenphysiologie, II, pag. 306 (1901). Tal: — di Swellengrebel (!), ciò che mi ha incitato a far noti senza indugio i miei resultati (2). Il lavoro di Swellengrebel, che ha ripetuto fedelmente per cellule di lievito le ricerche che io avevo due anni or sono eseguito su le muffe, tocca varie delle questioni, che io pure ho studiato. Ma siccome le mie esperienze vennero disposte in modo diverso, anzitutto con scopi diversi da quelli di Swellengrebel, così non è a meravigliarsi, se i miei resultati non sempre collimano con quelli di Swellengrebel. Inoltre egli non ha adoperato culture pure di determinate razze, si è servito del NaCl come sostanza plasmolitica, mentre per questo sale le cellule di lievito sono leggermente permeabili, e sopratutto non ha tenuto conto della fenszone delle cellule, così che le sue misure di pressione prive della correzione dovuta a la tensione hanno un valore relativo (3). Siccome il metodo crioscopico non è applicabile a le cellule di lievito, perchè non se ne può cavare completamente il succo (4) e questo è tanto ricco di protoplasma, glicogeno, gomma ed altri colloidi, che la misura della sua pressione osmotica non è sicura, come ha dovuto riconoscere Swellengrebel, il quale sperava di poter applicare a le cellule di lievito i metodi da me escogitati per i funghi pluricellulari, così ho dovuto io pure fare uso del solo metodo plasmolitico. Questo consiste notoriamente nel portare le cellule in soluzioni di diversa concentrazione, finchè si trova quella che basta a fare uscire acqua da la cellula, ciò che nel nostro caso si riconosce o per il distacco del protoplasto da la parete o per lo meno per una visibile diminuzione di volume della cellula e dei suoi vacuoli. Metodi. — Su i metodi di cultura e di semina, come pure su la con- dotta delle esperienze rimando a la Memoria diffusa. Qui dirò solo che la plasmolisi fu ottenuta con soluzioni di CaCl, differenti fra loro di 0,25 2s. (?), (!) Swellengrebel, Centralbl. f. Bakteriol., (2), XIV, pag. 374 (1905). (*) Del resto avevo già preannunziato in un mio lavoro, datato da Berlino il 28 gingno 1904, e comparso in Annali di Botanica, II, pag. 195 (10 gennaio 1905), che mi occupavo del lievito. — La presente Nota è il sunto di una Memoria, già consegnata a la stampa. (3) Sul significato di questi termini e considerazioni vedi Pantanelli E., Nuovo Giornale Botanico, (2), XI, pag. 337 (1904); Jahrbiicher f. wiss. Botanik., XL, pag. 314 (1904). (4) Cfr. Fernbach A., Annales d. Institut Pasteur, IV, pag. 651 (1890). Anche con il metodo di Buchner (Zymasegirung, 1903, pag. 65) si ottiene solo il 60 °/ del contenuto cellulare. () Sul significato di questa unità osmotica vedi Pantanelli E., Malpighia, XVIII, pag. 102 (1904). Un is. è la pressione osmotica di 0,1 Mol. KNO:, equivale quindi a 4,51 kg. cm 7? o 4,367 atm. — Il calcolo della concentrazione osmotica (Hamburger, Osmotische .Druck- und Jonenlehre, 1902, I, pag. 14) delle soluzioni di CaCl» venne fatto su i valori di Dieterici, cfr. Pantanelli, Jahrb. f. wiss. Bot., 1. c. pag. 306. ResmpicontI. 1905, Vol. XIV, 1° Sem. 90 — 722 — per il qual sale la cellula di qualsiasi lievito è assolutamente impermeabile. Anche la tensione delle cellule fu misurata con il metodo plasmolitico (!). Soluzioni nutritizie. — Come tipo (soluzione normale) venne preso non il mosto di vino o di birra, la cui composizione è oscillante e non comple- tamente nota, ma una soluzione contenente 1°/, NH, NO;, 0,5 °/, KH, PO, 0,25 °/ MgS0, (0,52 °/ MgS0,+- 7 aq.). A questa soluzione aggiungevo 5 -10°/ saccarosio cristallizzato o glucosio Merck, come pure sali diversi o altre sostanze in quantità svariate. Lasciando da parte una lunga serie di esperienze preliminari, parlerò qui dei resultati principali di alcune serie di esperienze. La razza di lievito adoperata fu per lo più una razza isolata da me da lievito in fermentazione di pane casalingo romano. Essa è a fermentazione alta (in parte), è proba- bilmente un Cerevisiae (*), ha cellule grandi, tondeggianti, forma facilmente spore (una per ogni cellula) a 29°, se coltivata in sciroppo di zucchero su blocchetti di gesso. Alcune misure vennero inoltre eseguite con diverse razze di Sacch. ellipsoideus isolate da vini italiani, poi con Sacch. apiculatus, Schisosaccharomyces Pombe e Torula (lievito rosa). Prima SERIE. Culture non aereate, chiuse con colmatore ad Hz SQ}. Sostanza fermentiscibile: saccarosio. — In soluzione normale (v. sopra) il turgore sale subito dopo la semina, per effetto della fornitura di alimento, e si mantiene pressochè costante nei primi 3-4 giorni di fermentazione. Ma poi, con la produzione di alcool, glicerina, acidi ecc. aumenta la concentra- zione esterna e il turgore sale leggermente, per mantenersi di nuovo costante qualche settimana. In seguito con l’esaurimento dei materiali alimentari, diminuisce di nuovo. Di tutte queste variazioni non si è affatto accorto Swel- lengrebel. Egli porta in proposito un'esperienza, in cui il suo lievito impuro venne coltivato su decotto di uva secca: in tre giorni il turgore non si mosse, e ciò bastò a l'A. per troncare l'esperienza. Quanto a la tensione (grado di distensione elastica) delle cellule, essa subisce un forte aumento subito dopo la semina, poi diminuisce, allorchè la gemmazione rallenta per l’azione narcotizzante dell'alcool e dell’ CO, pro- dotti nella fermentazione, e torna poi ad aumentare più o meno distinta- mente quando la fermentazione è cessata. Mettendo in relazione i valori della tensione con quelli del turgore, si trova che la pressione non varia parallelamente a i valori plasmolitici, ma deve continuamente salire dal momento della semina durante la fermentazione fino a che questa è finita ed allora diminuire di nuovo. Questa variazione (1) Ibidem, pag. 815. (2) Il lievito della fermentazione panaria si suole ascrivere a ì Cerevisiae, ciò che fa per lo meno meraviglia, p. es. da noi, dove la fabbricazione della birra non esiste o è stata importata negli ultimi anni. Anche Beijerinck nega che il lievito del pane sia un Cerevisiae e lo chiama Sacch. panis. — 723 — del potenziale cellulare è evidentemente dovuta a l'aumento continuo della concentrazione esterna per la produzione di alcool ed altre sostanze a piccola molecola. Per le soluzioni concentrate colpisce il fatto, che il turgore del lievito si lascia influenzare non solo da la quantità, ma anche da la qualità della sostanza aggiunta, così che ad irritazioni isosmotiche prodotte da sostanze diverse corrispondono reazioni osmotiche di altezza diversa. Così la glicerina e gli zuccheri svegliano reazioni molto molto più ampie (da 6-7 is. a 15-17 ss. per un aumento esterno da 3 a 13 s.) dei sali inorganici, fra cui i più impermeabili (CaCl, e MgS0,) svegliano le reazioni minime (da 6-7 is. a 11-12 is. per un aumento esterno da 3 a 13 zs.). La tensione è minima in soluzioni con molto CaCl, o MgS0,, ma in KNO: è ancor maggiore che in glicerina o zucchero. Essa però varia con l’età un po’ diversamente nelle diverse soluzioni: particolarità che qui ometto. Un fatto generale è però che tanto il turgore come la tensione variano con l'età nello stesso modo in soluzioni concentrate come in soluzioni diluite. Seconpa SERIE. Culture aereate (a la pompa). Sostanza fermentisci- bile: saccarosio. L'aereazione cambia notevolmente l'andamento delle reazioni osmotiche del lievito. In soluzione normale il turgore aumenta continuamente fino al 12° giorno da la semina, per poi diminuire. La tensione invece sale solo fino al 5° giorno, diminuisce notevolmente fino al 12° giorno e risale dopo, con la vecchiaia. Da ciò risulta che la pressione sale ancora fra il 5° e il 12° giorno. Siccome poi la tensione non è in generale maggiore nelle culture aereate rispetto a le corrispondenti culture non aereate, così il maggior turgore nelle prime è realmente da ascriversi ad una pressione superiore. Anche in soluzioni concentrate si osservano pressa poco gli stessi fenomeni, per cui non v'ha dubbio, che l’aereazione favorisca le regolazione osmotiche del lievito di pane romano, al pari che nelle muffe. Swellengrebel invece (1. c. p. 486) ha trovato che il suo miscuglio di lieviti, coltivato su gelatina, aero- bicamente e anaerobicamente ha lo stesso turgore. Il lievito da me adoperato si comporta decisamente in altro modo, come mostra anche la Terza SERIE. Culture su gelatina glucosata, in scatole Petri, quindi perfettamente aereate. Si ebbero valori di turgore addirittura enormi (fino a 36 2s. su gelatina normale + 10 zs. (13,9 °/,) glicerina), molto maggiori che nelle corrispondenti culture in liquido non aereate (vedi serie seguente), mentre la tensione si mantenne press'a poco a la stessa altezza. Quarta SERIE. Culture non aereate (con colmatore). Sostanza fermen- liscibile: glucosio. — Furono fatte più che altro per paragonarle con quelle della precedente serie. Dettero risultati analoghi a quelli della prima serie. Risultava dunque fin qui in modo non dubbio, che la razza di lievito in parola compie meglio le reazioni osmotiche se è bene aereata. Nè è da obbiettarsi, che nella seconda serie il maggior turgore fosse dovuto a lo sco- — 724 — timento delle cellule per il passaggio delle bolle d'aria (‘), perchè nelle cul- ture su gelatina si ebbe un turgore anche superiore. Ad ogni modo per togliere ogni fondamento a questa obbiezione, vennero fatte esperienze in corrente di gas inerti, quali l'idrogeno e l’azoto, e di un gas importantissimo nella vita del lievito, l'acido carbonico. Quinta SERIE. Culture in corrente di idrogeno. Sostanza fermenti- scibile: saccarosio 0 glucosio. — In soluzione normale, il turgore sale dal 2° a l'S° giorno, mentre la tensione aumenta un poco dopo la semina, poi diminuisce fino al 4° giorno, per risalire leggermente in seguito. Dunque tanto il turgore come la tensione variano in corrente di idrogeno come in culture non aereate (1% e 42 serie). In soluzioni concentrate (ipertoniche al momento della semina), il tur- gore sale fino al 2° o anche fino al 4° giorno per poi diminuire. La tensione, da minima che è in principio perchè la cellula appena seminata rimane plasmo- lizzata e solo dopo un giorno o due — forse in seguito alla produzione di alcool — riesce a deplasmolizzarsi, sale continuamente, ma si mantiene sempre minore che in soluzioni diluite. In generale, nell’idrogeno i valori del tur- gore e della tensione si mostrano quasi eguali a quelli delle corrispondenti culture non aereate. Bisogna però considerare, che l'effetto deprimente della mancanza d’aria viene in parte compensato da l'allontanamento dell’ CO, (cfr. 7 serie) e di una gran parte dei prodotti volatili della fermentazione per opera della corrente d’'idrogeno che se li trascina con sè (°). Sesta SERIE. Culture în corrente d'asoto (*). Sostanza fermentiscibile : glucosio. — Vennero osservati gli stessi fatti come nella serie precedente. Tutto ciò mostra adunque, che la maggiore ampiezza della reazione osmotica in culture aereate a la pompa (2 serie) non è dovuta a lo scoti- (1) Su l’effetto dello scotimento su la moltiplicazione del lievito e la fermentazione gli autori non sono concordi. Lo scotimento è sfavorevole secondo Horvath, Arch. f. ges. Physiol., XVII, pag. 125 (1879), Ray, Comptes rendus, CXXIII, pag, 907 (1895), Rapp, Ber. chem. Ges., XXIX, pag. 1893 (1896), Buchner e Rapp, Zymasegàrung, 1903, pag. 375; indifferente secondo Nageli, Theorie der Garung, 1879, pag. 88, Chudjakow, Landw. Jahrbicher, XXIII, pag. 428 (1894); favorevole, purchè moderato, secondo Hansen, Comptes rendus du Labor. d. Carlsberg, I. pag. 271 (1879) e Delbriick, Dingler's Poly- technisches Journal, CCLXIII, pag. 530 (1887). Probabilmente le diverse razze si compor- tano diversamente. Per i bacteri, vedi Galli-Valerio, Centralbl. f. Bakteriol., (1), XXXVII, pag. 151 (1904), e Horvath, l. c. (8) Su la moltiplicazione del lievito e la fermentazione in atmosfera d’idrogeno cfr. specialmente Chudjakow, 1. c.; Rapp, l. c.; Korff, Centralbl. f. Bakteriol., (2), IV, pag. 465 (1898); Buchner e Rapp, Zeitschr. f. Biol.,, XXXVII, pag. 82, (1899); Buchner, Zymasegirung, pag. 368 e segg. (8) L’azoto fu adoperato per scacciare l’aria solo da Iwanowski e Obrastzow, Cen- tralbl. f. Bakteriol, (2), VII, pag. 305 (1901), e Kostytchew, Jahrb., f. wiss. Bot., XL, pag. 563, (1904). — 725 — mento, che non mancava nelle esperienze della 5* e 6 serie, ma a l'influenza benefica dell'aereazione. Di speciale interesse è poi la SETTIMA SERIE. Culture in corrente di acido carbonico. Sostanze fer- mentiscibili: saccarosio 0 glucosio. — È un fatto ormai assodato, che l'acido carbonico sviluppato nella fermentazione ha -un’azione narcotizzante su le cellule stesse che lo producono, al pari dell'altro principale prodotto della fermentazione, l'alcool (‘). La cellula di lievito cade in uno stato di anestesia : la gemmazione sì arresta, i vacuoli scompariscono, il protoplasma si fa omo- geneo e splendente. Le cellule perdono i nessi di gemmazione e si isolano nel liquido, mentre la zimasi, indifferente a le condizioni di anestesia della cellula che l’ha prodotta, continua indisturbata il suo lavorìo di riduzione dello zucchero. Può Ja cellula di lievito reagire osmoticamente in atmosfera di C0,? Ho ottenuto diversi risultati con le varie razze di lievito. Nelle cellule di lievito di pane romano, a fermentazione alta, la facoltà di reagire agli stimoli osmotici è molto ridotta o addirittura soppressa in atmosfera di CO». Se si seminano le cellule di detta razza in soluzione iper- tonica attraversata da la corrente di CO:, la plasmolisi non scomparisce da le cellule neppure in 8 settimane. Anche in soluzioni ipotoniche, diluite, le oscillazioni del turgore e della tensione, che abbiamo visto compiersi normal- mente, sono assai ristrette, però non mancano del tutto. La gemmazione non comincia mai, e il lievito si agg/utina tenacemente per escrezione di molto muco (?), che si può facilmente dimostrare, oltre che precipitandolo con acido tannico o zucchero di piombo, anche in preparati al violetto di metile, vio- letto di genziana o bleu di metilene. Una gran parte dello zucchero rimane indecomposto. Evidentsmente oltre a la zimasi che già contenevano le cellule prima della semina, non se ne forma più in atmosfera di CO.. Invece altri lieviti a fermentazione bassa, per es. il lievito del vino Lambrusco di Modena, che è spiccatamente anaerobio, compiono in corrente di CO, reazioni osmotiche con la stessa ampiezza come in culture con col- matore o con tappo d'ovatta e non si agglutinano. Questi lieviti si compor- (1) Vedi specialmente Ortloff, Centralbl. f. Bakteriol., (2), VI, pag. 676 (1900). Secondo questo A., 1' CO, danneggia la moltiplicazione del lievito, ma favorisce la fermentazione, evidentemente per pura azione ionica su la zimasi; Boussingault, Agronomie, VII, pag. 82 (1884), aveva già trovato, che l'asportazione dell’alcool e dell’CO. favorisce in complesso la fermentazione. (2) Su l’agglutinazione del lievito vedi Will, Centralbl. f. Bakteriol., (2), IV, pag. 130 (1898); Macfadyen, Ibidem, (1), XXX, pag. 368 (1901); Barendrecht, Ibidem, (2), VII, pag. 623 (1901). Il muco che viene escreto dalle cellule di lievito è senza dubbio quello che forma normalmente nelle vecchie culture il « gelatinòse Netzwerk » descritto e figurato da Hansen. Su le sostanze albuminali o simili emesse in diverse circostanze dal lievito vedi Pasteur, Ann. chim. et phys., LVIII, pag. 323 (1858); Niàgeli, 1. c., pag. 93; Prior, l. c. (1896); Beéchamp, Comptes rendus, LXXXVIII, pag. 474 (1879); Lintner, Centralbl. f. Bakteriol., (2), V, pag. 793 (1899); Issajew, Zeitschr. ges. Brauwesen, XXIII, pag. 796 (1900). — 726 — tano dunque come il lievito di Swellengrebel, il quale, con troppa fretta, enuncia come fatto generale che « il turgore del lievito è indipendente da l'aereazione ». Egli non ha del resto indicato, se il suo lievito è a fermen- tazione alta o bassa. Regolazioni osmotiche. — Infine venne studiato il potere regolatore delle cellule di lievito di fronte a variazioni improvvise della concentrazione esterna. In complesso, il lievito da me adoperato si comporta come quello di Swellengrebel quanto a l'ampiezza e la velocità della catatonosi e della anatonosi, che si compiono nel lievito assai più adagio che nelle muife, e quindi non mostrano le oscillazioni susseguenti ('). Però nel lievito di pane in questione il turgore oltrepassa sempre nel primo periodo dell'anatonosi (20 tre ore dopo l'aumento della concentrazione esterna) il valore di equi- librio finale, per poi ridiscendere lentamente ad esso, ciò che Swellengrehel (1. c. pagg. 484-485) nega per il suo lievito. Un fatto importante è che il potere di regolazione del turgore, sia in aumento, sia in diminuzione, va riducendosi con l'età. Per eliminare la fonte di errore proveniente dal fatto. che con l'aggiunta di nova soluzione nutritizia o no si cambia la concentrazione degli alimenti e dei prodotti, e quindi sì modificano radicalmente le condizioni dell'attività cellulare, ho disposto sempre culture doppie, parallele, seminate di egual quantità di un medesimo lievito. Una delle due culture veniva filtrata al momento dell'esperienza e il liquido filtrato, che si trovava quindi a lo stesso punto di fermentazione del liquido dell'altra cultura, ma conteneva 10 zs. di un sale in più o in meno, veniva aggiunto a l’altra cultura, così che il lievito si trovava esposto a la sola variazione di == 5 /s. di sale, mentre la concentrazione di tutte le altre sostanze restava invariata. Con questo metodo ho potuto stabilire, che mentre il 2°-4° giorno dopo la semina l'ampiezza di regolazione arriva a = 6-7