F. di Pubblicazione bimensile. Roma 6 gennaio 1907. 2/2, 1. | 408 4 i { ARTI Col, REALK ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO GCCIV. 1L9O7 SERIE QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 gennaio 1907. Volume X V 1.° 7 Fascicolo 1° 1° SEME TRE. Nfr.C O 078 O, 14050 | i TIPOGRAFIA DELLA R. A{CADEMIA DEI LINCEI p 104 0 6 f p Î ] | «dÉ | PROPRIETÀ DEI. CAX V. SALVIUCCI Ta ! Co” mA | 190/ : i rn nen nn" ——r—_—e—r_ | | | | | Ì | sa = Fas 3 ha ESTRATTO DAL DR ro INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IL Col 1892 si è iniziata la Serie quanta delle | pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. | | Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano | | una pubblicazione distinta per ciascuna delle due | Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze | fisiche, matematiche e naturali valgono le norme | seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi-. siche matematiche e naturali si pubblicano ro- | Î golarmente due volte al mese; essi contengono | | le Note ed i titoli delle Memorie presentate da. | Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- || l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. | | Dodici fascicoli compongono un volume, {| due volumi formano un'annata. | 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- | denti non possono oltrepassare le 12 pagine ‘| di stampa. Le Note di estranei presentate da | Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste Cagnola 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della dicon è | posta a suo carico. | 4.1 Rendiconti non riproducono le discus sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso, parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta. | stante, una Nota per iscritto. II . E. Le Note che oltrepassino i limiti indi» cati. al paragrafo precedente, e le Memorie pro ‘pi.amente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o | xd& Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- ' guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di | stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica | nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data. ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è morsa a carico degli autori. SI) di DELLA REALE ACCADEMIA DEL LINCEI ANNO CCOCIV. 1907 Str UNIEÀA i RENDICONTI agi EROE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME XVI. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 2/9080 PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1907 idiozia RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NANNI Seduta del 6 gennaio 1907. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0, PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sopra l'estensione agli sviluppi assintotici di un teorema del sig. Hurwitz. Nota del Socio S. PINCHERLE. È noto come le serie di potenze, anche se divergenti, possano servire a rappresentare una funzione quando esse abbiano quella proprietà studiate dal Borel col nome di sommabilità esponenziale, o quando diano lo sviluppo assintotico della funzione nel senso del Poincaré; casi fra i quali, per altro, intercede uno stretto legame, come ho mostrato in altrà occasione (*). Ma, mentre per gli sviluppi convergenti in serie di potenze la successione dei coefficienti racchiude in sè, per così dire, tutte le proprietà della funzione e permette in molti casi di metterne in evidenza le singolarità, come risulta da molte e svariate ricerche (*), non si hanno, ch'io sappia, proposizioni analoghe per gli sviluppi assintotici. La presente Nota dà appunto un legame fra la legge di formazione dei coefficienti in uno sviluppo assintotico, e la singolarità della funzione rappresentata, e credo perciò che possa presentare qualche interesse. (1) Questi Rendiconti, 15 maggio 1904. (*) Vedine il riassunto nell’opera di J. Hadamard, La série de Zaylor et le prolonge- ment analytique. Paris, C. Naud, 1901. pet ao re re ” Luella er e P di a n; = + - me—mteen——e_tInt‘Lo—=—aitinene nin —————_——L Me gi L’Hurwitz dava nel 1899 una proposizione (!), facente riscontro ad un noto teorema dell'Hadamard, dal quale risulta, almeno nel caso delle singo- larità polari, « che se le serie «sono gli sviluppi nell'intorno di 4 = co di due funzioni analitiche uni- « formi, singolari rispettivamente nei punti p; e g;, la serie ai Cn n D guri sa Ono Dn + na, RS | (5) 07) Ono + VEE + An do « rappresenta una funzione analitica regolare per 4 = co, le cui sole singo- « larità sono nei punti p; + 9; ?, teorema ch'io ho dimostrato poi in altro modo ed esteso alle singolarità più generali (?). Mi propongo qui di dimo- strare il teorema per il caso in cui gli sviluppi (1) non siano più conver- genti, ma rappresentino assintoticamente due funzioni @(x),£(4), ora non più regolari per 2 = 00, le quali tendano a zero almeno del prim'ordine quando 4 tende all'infinito in tutte le direzioni del piano, una sola eccet- tnata che sia per esempio quella nel senso dell'asse reale negativo. Con- sidererò per semplicità il caso speciale che tanto @(x) che £(#) abbiano al finito un solo punto singolare, p per la prima e 9 per la seconda, ma l’e- stensione ad un caso più generale non presenterebbe difficoltà essenziale. I I, I Poniamo «= £+#- ir, e sia @ un angolo compreso fra iii er le ipotesi fatte, è noto che @«(x) e f(x) ammettono le funzioni generatrici rispettive «(4), d(u), tali che nel semi-piano i cui punti ($,») verificano rispettivamente le condizioni Ecos0—nsen0 >d , Ecos0—pnsen0>d' le @(x),(x) sono espresse da di 2 00 ci 2 00 gi0 (1) ela) esca(u) dui, ba) | e"? b(u) du, v0 0 O e d' essendo determinati in modo che le rette di equazione (2) Ecos6—nsen0=d , 5cos0—pnsen0=d' passino rispettivamente per i punti p e g (*). Sotto condizioni note per le !) Comptes rendus de l’Académie des sciences, 6 février 1890. (1) (*) Questi Rendiconti, 5 marzo 1899 e 2 giugno 1906. (8) V. la mia Nota nei Rendiconti dell’Acc. di Bologna, 29 novembre 1903. FEO: funzioni generatrici, le @(«),#(<) avranno rispettivamente gli sviluppi as- sintotici v by a(x) i S a ’ B(2) rr D alal dove ay, 2, sono i valori, per u=0, delle derivate v"° delle funzioni ge- neratrici «(u), &(u). Formiamo ora l’espressione (3) ino e"? a(u) b(u) du: questa, che è la funzione determinante del prodotto a(u), d(v), sarà notoria- mente regolare sotto la condizione (4) Ecosé— ysen8>I+d, ed ammetterà lo sviluppo assintotico x S 1 S (4 by “iP VAI by + (2) da by-s + uu + Ay n) ga y=0 quando # va all'infinito nel senso normale alle rette E così —nsen0=c dalla parte di c crescente. Quanto precede vale per ogni valore di 0, ec- cettuati i valori estremi © 5 onde, al variare di 0, le rette che limi- tano la convergenza dell'integrale (3) saranno della forma (5) Ecos0é—nsen0=d+d, Ma, posto p=4+iu,g=Z% + iw, la prima delle (2) è soddisfatta dalle coordinate Z,u e la seconda dalle coordinate 4’, w, onde la (5) sarà soddisfatta da 74 4", u + w' cioè dalle coordinate del punto p+- 9g, qua- lunque sia il valore di @ entro i limiti indicati. Per ciò le rette (5) invi- luppano il punto p+ 9g, che sarà pertanto ('), punto singolare per la fun- zione rappresentata da (3), e che ne sarà il solo. 7 (1) Nota citata. crt \l hi __rrrzT RITA Gir es patire ei rn 16 ia RAEE AIA Matematica. — Paragone fra due triangoli geodetici a lati uguali. Nota del Corrispondente P. PIZZETTI. 1. Ho recentemente dimostrato, nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino (!), come, dato un triangolo geodetico T sopra una por- zione S, opportunamente limitata, di superficie a curvatura positiva, è sempre possibile sopra due sfere di curvatura uguale rispettivamente al massimo e al minimo valore della curvatura assoluta di S, tracciare due triangoli sfe- rici T,,T:, tali che i sei elementi (angoli e lati) del triangolo T siano, in grandezza, ordinatamente compresi fra i sei elementi di T, e quelli di T;. Questa proposizione ha speciale interesse per le ‘ricerche relative ai limiti superiori degli errori che si commettono nella risoluzione numerica approssimata dei triangoli geodetici. Voglio qui dimostrare come, precisamente, si possano i triangoli sferici T,,T; assoggettare alla condizione di avere i tre lati ordinatamente uguali a quelli del triangolo geodetico T: in questo caso i tre angoli di T risul- tano ordinatamente ?rferzori a quelli del triangolo T, descritto sulla sfera di curvatura massima, e superiori a quelli del T, descritto sulla sfera di curvatura minima. Basta per questo dimostrare che se sé considerano due superficie, 0 por- zione di superficie S,S, tali che la curvatura assoluta in un qualsiasi punto di S sia non maggiore di quella che in ogni punto di S: (?), descritti sulle due superficie due triangoli geodetici di eguali lati, gli angoli del 1° riusciranno ordinatamente minori di quelli corrispondenti del 2°, Tn- tendiamo, naturalmente, per angoli corrispondenti quelli opposti a lati eguali. 2. Sulla superficie S siano 0, @ le coordinate polari geodetiche di un punto A rispetto a un polo P. Sarà ds? =do? 4-9? . da? l'espressione del quadrato dell'elemento lineare. La 9 esprime la così detta lunghezza ridotta dell'arco geodetico AP, e soddisfà alle relazioni (1) Pa De ’ e g d0° (2) (9)e-o n 0 o) Di I) d0/6—0 (:) Intorno al grado di approssimazione che si raggiunge nel risolvere i triangoli geodetici sopra una superficie qualunque (Mem. Accademia R. delle Scienze di Torino, serie II, tom. LVII). (?) Escludiamo qui, e poi, il caso in cui entrambe le superficie siano a curvatura costante. sn dove 4 è la curvatura assoluta di S in A. Riguardo a questa 4 supporremo che essa sia finita in ogni punto; essa potrà presentare discontinuità ordi- narie nel passaggio attraverso linee della superficie. Se la superficie è a curvatura negativa, la (1) dimostra che la deri- 2 vata = è, in ogni punto, dello stesso segno di 9, e quindi la Li è cre- scente finchè g > 0. D'altra parte, in causa delle (2), la g assume valori positivi per valori abbastanza piccoli di o. Dunque per ogni valore di o (eccettuato o = 0) sarà di aeeo=0). Riguardo alle superficie a curvatura positiva, ovvero in parte positiva in parte negativa, ci varremo della SNregnlno di 9 dda (nuo: g=Rsent +Rf ge (kh lex) sen © data nella citata Memoria, dove %, è una quantità positiva finita qualsiasi edibri— LiV/Qa ; Yx ® kx indicano le espressioni di % e g, ove in luogo della lettera o si ponga la x. La (3) dimostra che, se la curvatura % si mantiene algebricamente inferiore a 7,, la g non può annullarsi per un arco o = rkR. Derivando la (3) abbiamo II cos + f de(lt, — had cos ST” da la quale (insieme colla osservazione ora detta riguardo a 9) dimostra che, È . 5 d 7 nella ipotesi fatta riguardo a X, la 5; non può annullarsi per un arco o =7nR:2, ossia per (4) = TT 2V/ki Quando, pertanto, la superficie non sia tutta a curvatura negativa, inten- deremo che gli archi di geodetica da prendere in considerazione siano, in lunghezza, limitati secondo la (4). Con questa limitazione la curvatura geodetica, nel punto A, della cir- conferenza geodetica di centro P, espressa da sarà finita e negativa in ogni punto (eccettuato in P). Si consideri ora una seconda superficie, o porzione di superficie, S,, sulla quale assumiamo un punto P, come polo di coordinate polari e fac- ciamo corrispondere al punto A(0,@) della S il punto A, di eguali coordi- ti —_ —_ a Ti g ì, È, di Wi, , 14 4 n ei "4 / (=== - o an - - A SIA — a "e NIN MER DI Pet Ciad RT Aa n GO R REC E GI SEI Micra nate o, @. Indichiamo, pel punto A,, con K,G,H le cose analoghe alle k,9,h. Posto liwg i. 195G I “SR: gdo 190 avremo d e Dego 3a (ASD) = Gdr IE: Ora il prodotto 7GD si annulla per o = 0. Esso sarà quindi positivo per ogni valore di o se si suppone K > 7. Se dunque supponiamo che la curvatura assoluta della S, sia, in ogni punto dell'arco A, P,, maggiore di quella della S nel corrispondente punto dell'arco AP, la curvatura geodetica in A della circonferenza di centro P sarà, in valore assoluto, maggiore di quella della corrispondente circonferenza in A,. E, tenuto conto del segno, (5) h 3 DE d° d° = — |. (++ (Queste sei equazioni si ottengono combinando le equazioni (1) colle altre du dI du dv 1 dy 2 TE 2(14-4) ta, ecc., (E= cost. = modulo di elasticità) (3) 1 i poll + 4) tn — dI: , che legano le componenti «,v,w degli spostamenti alle tensioni. Sono appunto le (2) quelle relazioni fra le tensioni interne a cui ac- cenno sopra, e delle quali più volte mi son valso. Non ho però mai dimostrato che qua/vrgue sistema di sei funzioni re- golari 711, ti»... soddisfacenti alle equazioni (1) e (2), corrisponde ad un mao possibile stato di deformazione del corpo: che, cioè, se le equazioni (1) e (2) sono soddisfatte, esistono sempre tre funzioni u,v,w legate alle Tix, Tr... dalle formule (3). Sebbene la dimostrazione non presenti alcuna difficoltà, credo utile esporla in questa breve Nota. 2. Denotiamo con £,; , 18... i secondi membri delle formule (3); ossia poniamo REI, Seno es = 52(1+4) 1a, eco. sla La condizione necessaria e sufficiente per l'esistenza di tre funzioni u,v,w, che soddisfino le (3), è espressa dalle sei equazioni : d°ers — d°ess | disse E 2 È = S0IGCG: (5) dY dI dY° 8 Dei (6) EL e a DEAL mecc! del dY de 25) dYy de Si tratta dunque di dimostrare che queste sei equazioni, sostituendo alle e le loro espressioni date dalle formule (4), e tenendo conto delle equa- zioni (1) e (2) risultano identicamente verificate. 3. Consideriamo l'equazione (5) sopra scritta. Tenendo conto delle (4) : i Il È e sopprimendo il fattore E ess diventa d° 123 DI DI 0) = ! = È == uo 2 20+2) e gr (+90 ATI OA A, ovvero n d° C23 | D°T33 d L22) (Dal DEL) 7 2 (1 = (142). LC - 7 ( ) 2( "a DE DE ( 4 ), I° sla 32° ) (dy° “a DA) Ora deriviamo la prima delle equazioni (1) rispetto ad , la seconda rispetto ad y, la terza rispetto a #, e sottragghiamo dalla prima le altre due. Ot- terremo: PAT d' L29 dÒT33 d°T23 LE Si via 22] dE° dyY° de° icagine °T93 Ia : ERI o ar A8Ò, : Quindi, sostituendo nella (7) l'espressione di 2 ricavata da questa: NPNLATI dit d°I33) (1 dots )) (da Wii dwy} ia 2 (capi ( DE T33 DO T2> ) Mo DEL DIAL ) RR aieliioanvoi SI NPT dh i E; } tH ij ossia: I Ù La DECO (d° DICO d°L20) Di (D°T33 dh d P€33) À d°T 2°T) | i 4 ee) LI? Nel primo membro aggiungo e tolgo ij te 223. avrò ì GI LAI d°T OR (I all svi If, Sostituendo a 4°7,.» e 4°733 le loro espressioni WE SOS Ti ill 14739? re TO | | Lo fornite dalla (2), l'equazione precedente si riduce a 4°T=0: equazione gel che è verificata, come si riconosce dalle stesse (2), sommando le prime tre dIT membro a membro. | ill 4. Consideriamo ora l'equazione (6), che diventa, tenendo conto delle (4), dl MP dT PIA dI cieli 147) — 3} © n) 15 144) tr — 4T NN 2049) ie pare ei o 2 +2 27], il ovvero Ibi] (8) IS 2 iL dT 12 DR cl sr dt TO6 À DIAL | i \ dY de dI dy da 144 9dYy 93 | lo Dalla equazione (1), derivando la terza rispetto ad y, la seconda ri- IN spetto a e, e sommando, si ricava: MANO ii) di cd IE dI 1° Jr d' (12° + T33) a d°T23 | d°T23 =. I) we URI ina Vai 5 Î Aggiungo e tolgo Dre. | DEI Qt; dI d°(T T3: si de iL (Tao + a de dI dy de d e dY Dal confronto di questa colla (8) si ricava: 2 d(T3s + Tag) d° TAO 7) 2°T A T93 lA rss —— —_—_—____ dY E dyda 14 4 dy de i dt + tao + 133) du À Del Dil Di dYy de 1+ 7 93yda age CT | TI-pA9g9a N 14% ya i sì ottiene, cioè, una delle equazioni (2). \ RenpIconTI. 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 4 Ù 1 (TI Hp Ul, ti Ni 44 14 tà all 9 gi Quello che si è dimostrato per le equazioni (5) e (6) vale per le altre analoghe. Esistono dunque le funzioni v,v,w. Quindi, conoscendo le ten- sioni che agiscono sulla superficie di un solido elastico isotropo, soggetto @ forze di masse costanti, noi ci possiamo proporre di determinare le tensioni interne in modo che in tutti i punti del solido siano soddisfatte le equa- zioni (1) e (2), e in superficie le tensioni assumano i valori assegnati. Le equazioni (2), rispetto ad altri gruppi d' equazioni di cui si può ugualmente far uso (per es. le nostre (7) ed (8) e le loro analoghe), pre- sentano il vantaggio di esser tutte della stessa forma. Se denotiamo con 13,13 le coordinate #,7,, possiamo rappresentare le sei equazioni (2) mediante l’unica formula: È 1 DEL A°ti; Ti US: e 14 4 dz: dI; Meccanica. — Sopra una classe particolare di deformazioni a spostamenti polidromi dei solidi cilindrici. Nota del prof. E. Au- ManSI, presentata dal Socio Viro VOLTERRA. 1. Si consideri un solido elastico isotropo che occupi uno spazio cilin- drico S. Diciamo o le sezioni piane normali all'asse del cilindro (luogo dei baricentri delle sezioni stesse), 0 e 0” le due sezioni estreme. pd G II O li TS dA 4 n P Cc / 3 Si 2 / bi de RIG Lo spazio S sia a connessione multipla: una sezione o sarà limitata da un certo numero di linee chiuso, che denoteranno con s1,$2,..-, Sn (fig. DE Riferiamo i punti dello spazio al una terna di assi ortogonali, pren- dendo come asse delle s l’asse del cilindro. Noi ci proponiamo di determinare lo stato più generale di deformazione del solido supponendo: 1°, che i suoi elementi non siano soggetti a forze di massa; Soi 2°, che gli elementi della sua superficie esterna paralleli all'asse (sup. laterale) non siano sollecitati ; 3°, che le tensioni interne dipendano dalla sola variabili 4,7. Troveremo che la deformazione più generale soddisfacente a queste con- dizioni si può scomporre in una deformazione Do, che rientra nei casì esa- minati dal Saint-Venant, ed a cui corrisponderanno, per conseguenza, com- ponenti di spostamento m0z0drome; e in una deformazione D per cui tale condizione non è verificata. Nella deformazione D le sei tensioni interne fon- damentali sono espresse dalle formule Y°D 7 Y°D YO (1) ie 22 = — a , ta =44°®, dY dI 2 dI dI dg I (2) ST , dpr LL dY dI ove P è una funzione bi-armonica (4°4°® = 0) delle variabili #,7;g una funzione delle stesse variabili che verifica l'equazione 4°g=% = cost.; 4 il coefficiente di contrazione ("). 2. Le sei tensioni interne devono verificare le tre equazioni dT13 dE dI dT12 dI dY/ + ==) e le altre sei 12 SITE, AE ne Il 2 enon T=tn4+- ta + 33. ZPINEZIOA HH Ii Dil LZ og (S) 2 d’tg,= — ove Da queste ultime si ricava Poichè le tensioni non devono contenere la variabile s, le nove equa- zioni precedenti diventeranno: dI dig dT21 DLES 3 ona Leg) 3 (9) xy 4 35 a, 9, di) dT32 4 e —_ — (4) = ua 2y 0, al DET 1 d Il DEL dr =— gp (5) AT = DE 3 (6) A°t33=0, ’ 4°, =0, 7] ieeza VEE AR IE R40Zz000 (1) Sulla teoria delle deformazioni regolari a spostamenti polidromi, veggansi le Note del prof. Volterra nei Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, a. 1904, Da d°vg=— A°t3=0, MEO e Nei punti della superficie laterale (che per ipotesi non è sollecitata), se cosa, cos? e 0 denotano i coseni della normale (esterna o interna) si dovrà avere : T,, C0O6S@ + 7,3 cost =0, (7) To, C0SAa + 12, cosp=0, | T3, C06a + 733 cosf =0. 3. In virtù delle equazioni (3) potremo porre: dYD' dD' {At a) i ea ; dY da PD" PD" To, = , 22 ST , dY dI ove D' e D" sono funzioni delle variabili #,y. Poichè 7,:=%a, dovrà IDRO. - O D ® essre — —— = —— , quindi ® SA] DE RSA la ® essendo una dI dY dY dA nuova funzione delle stesse variabili. Onde avremo: d°D d°D d°D (8) Udi rr o ia DR: dY da da dY Ricordiamo ora che si ha 4°T = 4°(v + too + 033) = 0, è, per l'ul- tima delle (6), 4°z33=0; quindi 4?(7,, + 73) = 0, e tenendo conto delle formule (8): dI D °D A? == ovvero, trattandosi di funzioni delle sole variabili , y (9) AA°D=0. Dalle equazioni (8) si ricava: 24° D 2? 4° D 24? PAZ 2 ’ se AO È saio dY Di dI °A°® ° 4° i ; e dalla (9): D se o -—. Perciò potremo scrivere: dY dI° 24° ® VA D ; VA D O 3 » dta= ig ZO In gr 22 VE da dI Dal confronto di queste equazioni colle (5), posto (10) T=(1-4-2)420+G, G=G(2,7) "ji N 4 O ig ni ii | f — 29 — id ' abbiamo: di i, DIGI Da Ga DICO, Mit Daf “© 5 dY° cc ; dA dY Ta j i! i) loli? Dovrà dunque essere G= me + ny + p, ove m,n,p denotano delle co- Ro ' stanti; e per la formula (10): Il J T=(14-2)4°®D4+-mx +ny+ p. ch Ma T=%n +4 t20+ €33, e, per le (8), 2,1 + cv: =4°®; quindi: | ta3=44°® +4 me + ny + p Ora notiamo che il sistema di tensioni t3=mx+ny+ p , ti = To = = t,3 = €33 =t33=0 corrisponde ad una deformazione del cilindro che rientra nei casi esaminati dal Saint-Venant. Poichè a noi interessa solo con- siderare la deformazione D (v. $ 1), non la Do, tralascieremo il termine me+ny + p, ed avremo: T33 = A4° ® . Finalmente, per la formula (4) potremo serivere dP d ce E rale ’ =P(d;Y). T31 y 3 % g= (2,9) Le (6), 12 e 2*, diventeranno A? A? E e WyY da ossia dovrà essere A°p=k, k denotando una costante. Le nove equazioni (3), (4), (5) e (6) risultano così verificate. Le ten- sioni interne sono espresse dalle formule (1) e (2) c.v.d. 4. Teniamo conto ora delle condizioni ai limiti. Le formule (7), sosti- tuendo alle tensioni le espressioni trovate, diventano: d°D 3 D d°D d°D pl B=0, 3 c08a — cos'pi— 03 — dY° pro dY i dI dWY SE dI dP —— cosa — — cospf=0. dY da Dovremo dunque avere in ogni punto di una qualsiasi s; delle 7 linee chiuse che costituiscono il contorno di una sezione 0, se con s; denotiamo pure l'arco di quella linea misurato da un punto fisso: {ID (0) ie) dY dI dI = i, LL BIS ds; di (11) —- = co eee Aa (12) Arsa Sia s, quella delle x linee s; che racchiude tutte le altre. Rendiamo semplicemente connessa la sezione o mediante n —1 tagli congiungenti i punti P,P3,...; Pa delle limeess, 535, Spr, COL PUN bi Re della linea s,. Le tensioni ,,,T1;.,..., quindi per le formule (1) e (2), le derivate prime della 4 e le derivate seconde della ®, dovranno esser funzioni ad nn sol valore, in tutti i punti di 0; mentre a 5 Da potranno aver va- DE 9Y lori diversi dalle due parti dei tagli. Le formule (11) esprimono la condizione che le funzioni @, DE 3 De, dA dY devono aver dei valori costanti in ciascuno dei sesmenti in cui le 7 linee chiuse s; sono divise dai punti P che limitano i tagli. Ma le 7 —1 linee s,,52,...; Sn, contengono ciascuna un sol punto P: SR 3 ade IP NP , 5 quindi per ognuna di esse le tre funzioni Price dovranno ridursi a L° dY delle costanti. Poichè le derivate prime della , e le derivate seconde della @ sono funzioni ad un sol valore in tutti i punti di o, la differenza fra i valori È IP di P, sa in tutti i punti del taglio, e quindi nulla, essendo nulla nel punto P; che appartiene ad una delle x — 1 linee interne s1,82,.-,Sn1- ID NI? Dunque anche pg, — , dI dY ® DE i 5 dalle due parti di un taglio P, P; dovrà essere la stessa sono funzioni ad un sol valore in tutti i punti di o, compresa la linea s,. E in una qualunque s; delle n linee Sì, 523003 Sn dovrà essere ID 2®_ dr dY pa di , ove di, di, di rappresentano, per la linea s,, delle costanti. Dalle formule (12) si ricava (assegnato convenientemente un verso posi- tivo a ciascuna linea s;): dD dI —=b;cosa— a cosf = ad; di di __ da + dig) ni dSi dY Ni di di ossia: ID —- ad — by) 0 di Con un ragionamento analogo al precedente troveremo che: D— g;e — — biy deve essere una funzione ad un sol valore in tutti i punti di 0, e nt da Rogi costante su ciascuna delle 7 linee 5), 52, ....s,. Onde avremo per la linea 5;: (13) ®= ax diy 4 ci ((c.i=lcost): Dalle formule (12), chiamando v;, nei punti di s;, la normale rivolta verso l'interno di o, si ricava anche: ID _ duet by +e) di dI; i (14) Le condizioni (13) e (14) possono esser sostituite alle (12). 5. Consideriamo la costante (15) Mi= fe = Yz) do (momento torcente) Se si compone la deformazione da noi esaminata con una semplice /orszone del cilindro (ciò che non modifica affatto le nostre formule, come si riconosce avendo presenti quelle relative alla torsione semplice) si potrà fare in modo che risulti Mor Aggiungiamo questa nuova condizione, che in virtù delle formule (15) e (2), potremo scrivere ORI DICA Dom (16) NE 23) o) do =0. v/ 6 Essa stabilisce una relazione fra le costante % e gi, come si vede fa- cilmente ponendo g= Xg' + gg", ove g' rappresenti la funzione che verifica nell'area o /' eq. 4° g'=1 e si annulla al contorno, quindi g” la funzione armonica che sulle linee s; assume i valori gi. Per completare il nostro studio, vogliamo dimostrare che, quando sia soddisfatta anche la condizione (16), la deformazione da noi considerata non può essere una deformazione a spostamenti monodromi, a meno che tutte le tensioni non siano nulle. 6. Perciò teniamo conto delle formule dU E°” IV B nn == — —_— = 5 È = eee] Urdu BI, > dnizy, 2A, ecc. (A, B= cost, = 2) che legano le componenti di deformazione alle tensioni. Introduciamo una funzione armonica (4,7) che soddisfi all'equazione "= =Gw n e rn SET = = pica C-<=# ai ì E E i £ as i SA È sempre possibile determinare una tal funzione in un’area 0, limitata da un segmento rettilineo s' parallelo all'asse delle y (fig. 2), da due seg- menti s"”,s" (eventualmente nulli) pure rettilinei e paralleli all'asse delle , e da una linea s”” che sia incontrata in un sol punto da ogni parallela al detto asse. E si potrà sempre decomporre l’area o in un certo numero di aree come 0°. Sulle linee di separazione fra le aree 00, la funzione @, e le sue deri- vate potranno presentare delle discontinuità. /, = 4 s (ord di (o) Birgso; Introduciamo anche la funzione g»(4,7) legata alla @(2,y) dalle equazioni che sono compatibili fra loro, poichè 4°g=%. Sarà facile verificare che le formule (17) risultano verificate quando sì ponga E. A da A- toni, (18) SI ) CUBI i o BA 25) dY dY A — B w= 2A > Supponiamo di rendere semplicemente connesso lo spazio S occupato dal cilindro, mediante n — 1 tagli T; formati da superficie > parallele all'asse e passanti per le linee P; Pi (S 4) tracciate sopra o. Poichè le ten- sioni interne, e quindi le componenti di deformazione, sono monodrome, noi potremo disporre dell’arbitrarietà che permane nelle funzioni 4, e g: in modo che gli spostamenti %,©,w non presentino discontinuità fuori delle superficie SI badi» MEROGI I Per dimostrare che %,v,w non possono esser continue in tutta l’area 0, a meno che tutte le tensioni non siano nulle, consideriamo la quantità es- senzialmente positiva o nulla dU .dV dWw a=/.}m wa rt) uv AVRO dWw dv du QdW dU i: GS v Dt 6 +72)+n È n 3) ot che si riduce a zero solo coll’annullarsi di tutte le tensioni. Dico che se %,V,w sono continue, dovrà essere Q= 0. Si ha infatti in tale ipotesi come si riconosce integrando per parti, e tenendo conto delle equazioni (3) e (4), e delle condizioni (7) ai limiti. Inoltre, per la formola (18), o Aky, SI Aka, deo) ; dE dE dI quindi Q=A% [yen t) do=—AkXM=0, (v.$ 5) CHEVAMIOO Matematica. — sperienze iWustrative per la teoria del Volterra su l'equilibrio dei corpi elastici più volte connessi. Nota di Lurcr RoLLA, presentata dal Socio V. VoLTERRA. Matematica. — £ncore une observation sur les fonctions dérivées. Nota di HENRI LEBESGUE, presentata dal Socio C. SEGRE. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. O MPV Rs Storia della scienza — Zeonardo da Vinci. Lettera indiriz- zata al PresipenTE dal prof. S. DUHEM. Je vous serais très reconnaissant de bien vouloir, en mon nom, faire hommage è l'Académie d'un ouvrage intitulé: Etudes sur Léonard de Vinci, ceur quil a lus et ceux qui l'ont lu Première série. Ces études ont pour objet, d'une part, de mettre en évidence l’influence exereée sur les découvertes de Léonard par sa connaissance très profonde de la science du moyen-fge et, d'autre part, de découvrir. par quels heureux plagiats plusieurs de ces découvertes ont penétré dans la science du XVI° siècle. | La présente série étudie seulement trois des sources auxquelles Léonard a puisé; ce sont un traité De ponderzbus fort lu au moyen-àge, et les éerits de deux maîtres qui enseignaient au XIV° siècle, à l'Université de Paris: Albert de Saxe et Thémon le fils du Juif. Elle a également occasion de dénoncer trois savants du XVI? siècle comme ayant emprunté aux notes de Léonard; ce sont J. B. Villalpand, Bernardino Baldi et Girolamo Cardano. Parmi les découvertes suggérées è Léonard par l'étude de la science médiévale et qu'il a, à son tour, suggérées à la science moderne, nous pouvons mentionner la notion du centre d'oscillation, le principe de Pascal, enfin les idées fondamentales de la stratigraphie. Je serais heureux que l'Académie jugeàt que l’intérét de ces études excuse la témérité que j'ai eue de les lui offrir. Geologia. — Avanzi preistorici nel travertino dell’ Acqua dei Corsari presso Palermo. Nota del dott. EMANUELE SALINAS, presentata dal Socio G. STRiVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. O Fisica. — Ze correnti di Foucault nel nucleo conduttore in- terno ad un solenoide percorso da corrente alternata. Nota di F. ProLa, presentata dal Corrispondente A. SELLA. I signori Battelli e Magri hanno studiato matematicamente (') come l'intensità di una corrente sinusoidale, percorrente un solenoide, venga mo- dificata dalla presenza di un'anima di ferro nel solenoide stesso. Essi hanno trattato in particolare modo i casi limiti di frequenze molto piccole e molto grandi, ed hanno sottoposto quest'ultimo caso ad esperienze (*) usando, per produrre le correnti oscillatorie, scariche di condensatori e trascurando lo smorzamento delle oscillazioni stesse, ed hanno ottenuto conferma alle loro illazioni. L'influenza che il nucleo esercita sull'intensità della corrente che per- corre il solenoide dipende, oltre che dalla sua permeabilità, dalle correnti di Foucault che si generano nel nucleo le quali fanno che gli strati esterni esercitino una azione di schermo al penetrare del campo negli strati pro- fondi, schermo insormontabile, come ha mostrato il Maxwell (3) nei mezzi di conducibilità elettrica infinita. Questa azione fa che il flusso di induzione magnetica non si distribuisca uniformemente nella sezione e molti fisici si sono proposti di determinarlo sperimentalmente: scopo della presente Nota è de- terminarlo teoricamente in forma finita, in ampiezza e fase, nel caso che la corrente sia dovuta ad una f. e. m. sinusoidale. In altra prossima Nota sarà trattato il caso nel quale la corrente sia dovuta a scarica di un conden- satore. Le ipotesi che ammetteremo saranno le solite e cioè: a) che il campo magnetico sia parallelo all'asse del nucleo cilindrico, supponendo quindi che fra il nucleo ed il solenoide esista uno spazio suffi- ciente per poter trascurare l'andamento vorticoso delle linee di forza magnetica. 5) che sia costante la permeabilità del mezzo. Il nucleo sia formato da un fascio di v fili uguali lunghi / e ciascuno del raggio di ” cm. La sostanza della quale sono fatti i fili abbia la per- meabilità “, supposta costante, e la resistenza specifica d. Il solenoide, lungo quanto i fili, e della sezione retta S abbia spire disposte unifor- memente per modo che per ogni cm. se ne abbiano: n ii è (1) Rend. Lincei, XV, 2° sem., 1906, pag. 153. (2) Rend. Lincei, XV, 2° sem. 1906, pag. 397. (3) Paris, 1887, T. 2°, pag. 326. n= sii Tags a i Ts * PA i SS Foa "I vii | setti | i e e e e a meo La frequenza» della corrente, per quanto elevata, sia tale che la lun- ghezza d'onda ad essa relativa superi notevolmente la lunghezza del filo che costituisce il solenoide e quindi si possa considerare il campo magnetico ri- sultante come avente la stessa fase in tutta la lunghezza del nucleo. Il campo magnetico nell’interno di un conduttore soddisfa alla nota equazione differenziale (1) ) SETA di avendo posto 4rtu (2) dir an Indicate con X, Y,Z le componenti del campo rispetto a tre assi orto- gonali e preso quello delle x coincidente coll’asse del solenoide sarà, per le ipotesi fatte : (3) oe e dI Se i fili sono abbastanza lunghi per poter trascurare nello spazio com- preso fra essi l’azione smagnetizzante degli estremi, il campo magnetico nel- l'interno di ciascun filo sarà simmetrico intorno all'asse del filo stesso, che è parallelo all'asse delle 4, e quindi la (3) potrà scriversi, in coordinate ci- lindriche, / (4) SS INOX Du IX de 0 d0 di dove 0 rappresenta il raggio vettore nella sezione retta di ciascun filo. Il flusso di induzione magnetica, traversante la sezione retta del sole- noide, si potrà considerare come dovuto alla somma N = N, + N; dei flussi traversanti rispettivamente l'aria ed il ferro. Sarà (5) N =4ann(S— var?)j= Li j ed (6) N, = nuv fx avendo indicato con j la corrente elettrica traversante il solenoide, con s la sezione di ciascun filo del nucleo e con L, il coefficiente di autoinduzione corrispondente alla porzione di sezione retta non occupata dai fili. PERO oo L'integrale che comparisce nella (6) può essere trasformato in altro ri- spetto al tempo che meglio si presta al calcolo. Infatti, derivando rispetto a e ricordando la (3), avremo: x 0 {ta if D'altra parte, È teorema di Green relativo a 2 variabili, fexa= | 3 s PI de dove - è la derivata di X, secondo la normale al contorno 4 della se- zione, presa verso l’eslerzo, e l'integrale del 2° membro si intende esteso al contorno stesso. Ma, tutto essendo simmetrico rispetto all'asse del filo, IX î 3 o: ZI sarà costante lungo il cammino di integrazione ed avremo : le DI pes gi, DE NIRO ROTA d2 per cui i dI mo de ed infine: To) si Ns = SE0 log Ss mi de a meno di una costante arbitraria (costante non solo rispetto a f ma anche a g). La (6) potrà allora scriversi: (8) NE |3fe | Mm de i. Alla superficie dei fili il campo è quello dovuto al solenoide e quindi (9) Xo-r= 47m j - Indicata con « la f. e. m. esterna applicata agli estremi del rocchetto e con R la resistenza elettrica effettiva, nel senso dato da lord Kelvin a questa parola, avremo alla superficie, cioè per o = 7 SOZANI AN dN TR = Rj + UA Pra ; e per la (9) potremo scrivere R Li dX , 2arnva IX 10 =, | (10) ina; o de Ponendo Lì =4annp.v.nr°, ossia indicando con L, il valore che avrebbe il coefficiente di auto-induzione in corrispondenza alla porzione di sezione retta occupata dai fili se il campo in essi sì distribuisse uniformemente, la (10) diverrà: IX 200 (11) [px ++ oi i Il 2° termine dal 1° membro della (11) potrà trascurarsi tutte le volte che l’area della sezione occupata dai fili e la permeabilità di essi sarà grande, rispetto all'area occupata dall'aria ed alla permeabilità di questa. In tal caso saremo quando il fascio sarà ridotto ad un solo nucleo massiccio di ferro occupante tutto il solenoide. Supponendo la f. e. m. periodica, potremo esprimere questa con una serie della forma pz pz (12) cea DI € = » Ji e wi p=ir p=l con A, costante complessa, w costante reale che rappresenta la frequenza # corrispondente al periodo più lungo, ed ? simbolo dell'immaginario. A f. e. m. periodica corrisponderà campo magnetico pure periodico e potremo scrivere: = pz (13) X= ) X,= ) Bpew® yet con B, espressione complessa indipendente da #. Nella (18) ciascun termine dovrà soddisfare alla (4) ed è facile vedere che questa condizione sarà sod- disfatta quando ciascuna B, soddisfi alla equazione differenziale : d°B 1 dBp do Milo do Ho == pm, o, ponendo: q/=pmwo?, per cui È V/pma È — MM È == mM ww — dp 1 do ? p do 1 dip alla: dela, || “ai = (BI di qdg ©® Questa ammette per integrale generale (14) By = Xop Jo(dp) + Yop Ko(4) (*) dove Xop ed Yo sono costanti ed J, e K, sono le funzioni, rispettivamente in- terna ed esterna, di Bessel d'ordine zero dell'argomento 1,=Vipino e Poichè a noi interessa lo spazio occupato da ciascun filo, cioè quello spazio nel quale può divenire 0, e quindi g, zero, sarà Y,,= 0 e l’inte- grale generale si ridurrà al solo 1° termine della (14) nel quale alla co- stante X,, dovrà essere dato il valore che risulterà dalle condizioni ai limiti. Avremo: p=o ; (15) X= DI Ko (0p) CE sr La condizione alla superficie espressa dalla (11) diverrà Seco ù (16) di Rea > H+L me dolo Amx e [0 ossia : | 2 dJ (17) DA | Soj(R+ip0 L1) Jo(49) +90 Lo do nai 47 n, A, | PIA) e dovendo essere verificata per qualunque valore di #, avrà nulli tutti i coeffi- cienti dei singoli esponenziali per cui darà tante equazioni quanti saranno i termini che vorremo considerare nelle serie. Ora il coefficiente di Xp nella (17) non può essere nullo poichè ciò verrebbe a dire che il corrispondente termine della espressione del campo, nel quale è immerso il nucleo, dovrebbe essere indipendente dal tempo, contro l'ipotesi, il che si vede chiaramente supponendo L, = 0 e pensando alla analogia della (16) colla equazione alla superficie nella trasmissione del calore (*), dove al rapporto fra la conduttività esterna ed in/erna sia (1) J.J. Thomson, Rec. Researches, pag. 263. (*) Fourier, Opere, t. 1°, cap. 6°. il È An 40 pe ni] | iii lio IRR È i i stato sostituito 9L,° Da questa osservazione deriva che, se una Ay è nulla, | 2 | lo sarà la corrispondente Xp, e se tutte le A,, meno una, saranno nulle, ul ossia se la f. e. m. sarà sinusoidale, sarà pure sinusoidale il campo magne- aL’ tico da essa prodotto. Campo magnetico. Nell'ipotesi sinusoidale le (12), (15), (17), ponendo | p=1, diventano : = as asa dove s'è scritto «, al posto di A, ed X, al posto di xo: Inoltre s'è indi- cato con Ji la derivata di J i (18) si== ciol | (19) X pasti E 1 gio! i i i (20) x, i iolifi Col, di Coi i | I )or i i ti | ment pig 1 TEZie rispetto a g dove: U) Jo=berg + bei g=Je% con n I LT 00 END 39) gii 6 I A ba do: 2 601 ra 60810) avendo adottato le notazioni di lord Kelvin (') ed avendo posto J=yber®g+ beig e tgyw= Dea ber g Nel seguito indicheremo con ber'9 e bei'g le derivate prime, rispetto all'argomento 9, rispettivamente di berg e beig. Poichè per t=0 e o=0 la (19) diventa x= Xo ’ X, non è che il campo magnetico sull'asse del cilindro al tempo zero. Dalla (20), separando la parte reale dalla immaginaria ed indicando cen g la fase di X, rispetto ad e, ossia del campo sull'asse rispetto a quella della f. e. m., facilmente si trae: 4,7tn, Mod. «o, mod XX, == 21 DEAN ;\)? FO V/igpeno (Libeini e ) sr \Rbei + (Lu ber+Ls Spe ) ( COM ALTA q /) per o=7 9 hei' Rbei + (1 bor sl LS (22) ep SM on Rber— (1, boi — 1, 2) (!) Mathematical and Physical Papers, vol. III, pag. 491. pe) AA La (19) può scriversi: (23) X=JX,; eît@ot+® da cul: (24) mad X = J mod Xy e w differenza di fase fra il campo in un punto qualsiasi del cilindro e quello sull'asse. Dalla tav. I, calcolata coi dati tratti dalle tavole di lord Kelvin, si scorge chiaramente come J vada rapidamente crescendo con q= lino o 0, in altre parole, l'ampiezza del campo vada rapidamente dimi- nuendo, come è noto, col penetrar nell'interno del cilindro e tanto più quanto più elevata è la frequenza, la permeabilità e la conduttività. La tavola stessa ci mostra come tg w vada, coll’aumentare di 7, e quindi di 0, cambiando alternativamente di segno, spiegando le magnetizzazioni di segno opposto ri- scontrate da più sperimentatori, sciogliendo in un acido un nucleo di ferro magnetizzato per mezzo di correnti alternate di grande frequenza. Tav. I q OMINIO5I ST eis 20 25) lol 8,540) 450 5/0 (05)5 do 80 100 150 200 J 1,00 1,00 1,02 1,08 1,23 1,51 1,96 2,58 3,44 4,62 6,23 8,45 11,50 41 150 4200 50000 tg O 0,06 0,25 0,61 1,29 3,64-8,75-1,91-0,89-0,39-0,02 0,35 0,83 -1,67 0,40 1,00 0,24 FLUSSO DI INDUZIONE. Il flusso di induzione magnetica traverso una se- zione retta di raggio 0, fatta in uno dei fili, lo otterremo dalla (8) nella quale si introduca il valore (19) del campo e si faccia v="1. Avremo: dove s'è fatta =0 la costante intesa nella (7) poichè, al limite per o= 0, deve essere N = 0. Confrontando la (25) colla (19) potremo scrivere: > Ndq ber q + è bei g a 20 ber g + i bei g od anche: se 5 2(bei'g — î ber'9) (26) Nixon oben, gno) Ponendo: O JI =|ber?g + bei'?g ed indicando con ® la differenza di fase fra il flusso N ed il campo X al contorno, avremo: (27) Md NOLO TOS ber ber' +- bei bei” (28) Aaa ber bei' — bei ber!‘ RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 6 ma — se pedi ag - TTIE5 sI= igor La (27) ci indica che l'ampiezza del flusso magnetico è quella che si avrebbe, se il campo avesse in tutta la sezione del filo il valore che ha al contorno, ma moltiplicato per il numero: __2J! 27/ber? + bei? dn qVber® + bei? (29) La (28) esprime il ritardo ® col quale il flusso segue il campo al con- torno del nucleo. Nella Tav. II sono calcolati alcuni valori di 9 e tg ® e si vede come, col crescere di 9,9 vada rapidamente diminuendo e tg ® avvicinandosi al- l'unità, cioè lo sfasamento ad sd periodo. Tav. II. 10 20 DI Li Do (46) da (ni DI 00 00 (PAG 9g 1,00 0,99 0,8: 0,61 0,46 0,37 0,32 0,24 OX1LORANO;01 —19% 0 0,14 0,44 0,71 0,82 0,85 0,87 0/91 s0;9388 (0397 Poichè tanto 9 che ® sono funzioni della sola g, si vede che per ridurre il flusso nello stesso rapporto o per ottenere uguali sfasamenti, con cilindri di sostanze differenti e con oscillazioni della stessa frequenza, occorre prendere ; È È d le sezioni di quelli proporzionali a ne Per avere lo stesso effetto con la stessa sostanza ma con frequenze differenti, le sezioni dovranno essere in ra- gione inversa delle frequenze. In particolare, prendendo pel ferro d = 10* e u= 10°, per cui ‘- 10, Lidi i 9 e pel rame di=1600%e u— Devper cui dol 1600 si otterrà la stessa ri- duzione di flusso, che si ottiene con un cilindro di ferro, prendendone uno di rame avente una sezione 160 volte maggiore, ossia un raggio 12,65 volte maggiore. Con frequenza di 50 oscillazioni al 15 avremo pel ferro = y/mo = VE .2r.50 0= 20.0 circa e con frequenza 5.10 q==2000 o circa, per cui per ridurre il flusso (Tav. II) a circa È del va- lore che avrebbe se il campo avesse in tutta la sezione il valore che ha al contorno, occorre un cilindro di ferro del diametro di 5 mm. con frequenza : DR di mm. con frequenza di 9 milione. 5 D e bast ail eos 50, e ne basta uno di 100 > adi Se invece di considerare un solo filo del nucleo considereremo tutti i v fili, ampiezza del flusso verrà moltiplicata per v, ma la /use rimarrà in- variata. Ne segue che variando il numero di fili tutti ugnali contenuti in un solenoide non veniamo ad influire sulla fase del flusso magnetico ma solo sulla sua ampiezza, e di ciò sarà tratto partito nella verifica sperimen- tale alla quale intendo sottoporre questi calcoli. In alcuni casi limiti le formule che abbiamo scritte assumono una forma molto semplice ed esprimono proprietà note. Per w molto piccolo, 9g riesce pure molto piccolo, e poichè, per 7="0, si ha: berg= 1 bel gi=0 2 ber” 2 hei' DEA L.1 beig__}, [ q il radicale che entra nella (21) si riduce sensibilmente a V/R° + ©° (L, + Lo)? ossia: « Per oscillazioni molto lente il campo sull'asse del nucleo ha lo stesso « valore che avrebbe se il nucleo non esistesse ». Per © molto grande, g lo sarà pure e poichè ber g e beig non diven- tano contemporaneamente infinitamente piccoli, il radicale diverrà molto grande e però: « Per oscillazioni sufficientemente rapide il campo sull’asse s del nucleo è nullo ». Quando la resistenza specifica cresce infinitamente, g diviene infinitesimo, e però: diet oi" In tal caso il nucleo non viene a produrre alcuna influenza, ossia il campo in un punto interno qualsiasi ha lo stesso valore di quello al contorno: infatti mancando il conduttore interno al solenoide le correnti di Foucault non possono nascere ed è eliminata l’azione di schermo. Fisica. — Ze correnti di Foucault nella scarica di un con- densatore. Nota di F. ProLa, presentata dal Corrispondente A. SELLA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. aL 7/17 pp Fisica. —. Sulla radioattività delle lave del Vesuvio (*). Nota di 0. ScARPA, presentata dal Corrispondente M. CANTONE. 1. Fra le poche misure della radioattività delle lave e dei prodotti vulcanici pospliocenici, sono anzitutto da notare quelle di Elster e Geitel (?), specialmente interessanti poichè mostrarono attivissime le terre superficiali di Capri (*), provenienti in gran parte dalle eruzioni dei Flegrei. Gli A. usando 125 gr. di sostanza osservarono le seguenti dispersioni: Solfato di uranile e potassio . . . . 8600 volt all’ora Cenere vulcanica di Ischia. ... . . 11,4 ” ” ” dellibitnaga rac 20 Mo LapillivdelliEfitna; o. Ain e dl ” Lavasdi Nicolosi (Etra) een 2,7 7 Terre-arabiliadi Caprie ee Ne 2.618 ” Argille superficiali di Capri . . . . 101,8 ” Pozzolana:di Capri | Age 08 ” Il prof. Sella e il dott. Martinelli (‘) studiarono i prodotti vulcanici della Campagna romana; operando con 20 gr. di sostanza essi trovarono le dispersioni : Nitrato..di uranile.. (et E 240070 ao) Pozzolane dei pressi di Roma . . . 123 ” Duino: » «SM n Ta ” Dave ata e CR 0A ” I prodotti dell'Etna furono specialmente studiati dal dott. Trovato Ca- storina () che in due serie di misure ottenne in unità empiriche: JE Terra.‘arabile di. Capri (@F0-i... 5204381 e. 125 (Argile. get 8 ” Po. \ Pozzolane.: «. ». .1560:12096 ” I Sabbie, 1a2 ” lì Laveno. Radl52 ” (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di fisica tecnica della R. Scuola superiore politecnica di Napoli. (2) Phys. Z. 5, 1904. (3) Il Giesel, Phys. Z. 1905, operando su 40 kg. di terra di Capri, ha potuto estrarre una sostanza del peso di 0,15 g. che dava all’elettroscopio di E. e G. la dispersione di 192000 volt all'ora. (4) Rendiconti R. Acc. Lincei, 1904, due Note. (3) Atti Acc. Gioenia, Catania, LXXXIV e LXXXVI, 1905. (5) Questa è la stessa terra arabile studiata da Elster e Geitel. rc di È i LI ut IL. gli MeratarabileNdi Capri e... MT 0 2605 Dl: TAO EN o CS (A RU. MR HA 20 i I REGIONE ETNEA 3: i pu Pomici, scorie e lapilli. . . 0a8 | Agile anse. en 1028 Il sig. Tommasina (') esaminò i prodotti della eruzione del Vesuvio del 1904; ma disgraziatamente egli non dà le caratteristiche dei suoi strumenti, e nemmeno riporta esperienze eseguite con sostanze di nota radioattività. I prodotti della eruzione vesuviana dell'aprile di questo anno furono studiati dal sig. Becker (*) e dal prof. Nasini (#) che pur esaminò numerose lave più antiche; ma il Becker, che usò un elettroscopio di Curie, operò con quantità molto variabili in peso, e talvolta con sostanze persino non polverizzate. Ecco alcuni dei suoi risultati : Sostanza Corrente di saturazione riferita a 1 g. di sostanza Solfato di uranile e potassio (g. 3,2). . . . . 8338.1075 Amp. Cenere 8/9 aprile raccolta a Ischia (g. 14). . . 0,076 ” 0 GONO ” ” (02029) A 0:065 ” Lavaf(d'orre Annunziata) (e. 80) . . .. 0 .. 0,057 ” b) » ” (g. 68) Ge RIE o. o . 0,045 L) ” ” ” (isso). aa 0:064 ” Il prof. Nasini operò invece col metodo di E. e G. su 125 g. di so- stanza polverizzata e asciutta; e misurò le correnti di saturazione, che in parte ho ricalcolate riferendole a un g. della sostanza. Uranio metallico (4) NIMAIA Ei: SCOLO AMPI Sabbie e lapilli dell'eruzione aprile 1906 (?) . da 0,14 ” QIMOR27 ” Blocchi e lave rigettate ora dal cratere... . (<0,036.10-!5 Amp.) Lave della presente eruzione. . . . . . ” Lave, sabbie e lapilli del 1872. . . . . da 0,08.10-° Amp. a 0,10 ” (1) Phys. Z. 6, 1905. (2) Annalen der Physik, 20, 3, 1906. (3) Nasini e Levi, Atti R. Acc. Lincei, ottobre 1906. (4) Da una misura su 5 g. (5) Due fra le ultime ceneri diedero rispettivamente 0,11.10-15 e 0,068.10-15 Amp. ig lo Lave di eruzioni precedenti (1631-1767-1858- da 0,08.10-! Amp. I368-1895=1899) E ida 101088 ” a! /0;18 ” Prodotti antichi del Somma e del Vesuvio. . da 0,07 ” a 0,08 ” Tufi di Ercolano e di S. Domenico (Somma). . da 0,63 7 a 0,40 ” Il prof. Nasini quindi conclude facendo osservare la inattività delle lave attuali, che contrasta con quella dei prodotti antichi, e specialmente con quella delle ceneri e dei lapilli della presente eruzione: i quali però (come è ben noto) provengono per la massima parte da prodotti di eruzioni precedenti accumulati nel condotto del vulcano. 2. Io ho sperimentato, negli scorsi mesi di maggio e di agosto, con parecchi campioni di ceneri, di lapilli e lave della eruzione dell'aprile 1906 e con qualcuno di quella del settembre 1904 che, secondo i vulcanologi, fa pur parte del ciclo eruttivo ora chiuso. Le ceneri furono raccolte sul Vesuvio e a Napoli, quelle sul Vesuvio le raccolse il prof. Mercalli su un tavolo di marmo nell'orto dell'albergo « L'eremo » nella escursione che il 13 aprile u. s. (cioè mentre durava la vio- lenta fase vulcaniana della eruzione) abbiamo compiuta spingendoci fin presso alla stazione inferiore della funicolare cioè alle falde del gran cono. Là abbiamo incontrati i residui della enorme frana che ne distrusse quattro giorni prima il fabbricato, e questi mi fornirono campioni di lava coeva e di grossi lapilli. Le altre lave le raccolsi io pure a Torre Annunziata, a Bosco tre Case e altrove, quella tolta dalla bocca inferiore di Bosco Cognoli la devo alla cortesia del dott. T. Viglino. I prodotti della eruzione del 1904 furono invece raccolti dal prof. R. Mat- teucci che li donò anni or sono a questo Istituto di Fisica tecnica. Per le esperienze ho usato un elettrometro a induzione (') costituito da due dischi di ottone, paralleli e coassiali e disposti in piani verticali, fra i quali pende un dischetto di alluminio (l'ago) che è sospeso nel punto mediano del sistema con un bifilare di bozzolo. Posi la cassa e uno dei dischi a terra, l’altro lo unii invece al piatto isolato di un condensatore ad aria, di cui l’altro piatto (posto a terra) so- stiene la sostanza (quasi sempre 100 g.) finemente polverizzata. L’ago è disposto col suo piano a 45° su quello dei piatti, cosicchè le sue deviazioni, che osservai con scala e cannocchiale, sono proporzionali al qua- drato della differenza di potenziale esistente fra i dischi. (1) Prof. L. Lombardi, Fenomeni di polarizzazione in un campo elettrostatico uni- forme. Memorie della R. Accademia di Torino, Serie II, 1895. 7 FI Caricai il sistema con la differenza di potenziale della rete stradale a 220 volt, e osservai le perdite di carica, con e senza la sostanza, nell’ inter- vallo di un'ora partendo sempre dalla stessa deviazione iniziale (corrispon- dente a 210 volt). Se C indica la capacità del sistema (piatti e elettrometro) nel quale il potenziale diminuisce di dv nel tempo di, la corrente di scarica è data in ogni istante da e poichè si conviene di misurare la radioattività delle sostanze mediante le perdite di carica che in certi sistemi causano le loro radiazioni in un dato tempo, quando la corrente di scarica ha e mantiene il valor limite che si chiama corrente di saturazione, la precedente equazione integrata con la condizione 7 = costante, permette senz’ altro di calcolare la corrente di scarica che è proporzionale alla detta perdita. È questa corrente che io ho assunta come misura della radioattività, riferendola però all'unità di peso delle sostanze agenti. I piatti del dispersore hanno 8,5 cm. di raggio, sono distanti 4,1 cm.; la capacità totale del sistema, nelle stesse condizioni delle esperienze è di 0,92 10-!! Farad. Il seguente schema dà un'idea della disposizione sperimentale. I valori medî delle serie di osservazioni sono: PRODOTTI DELL'ERUZIONE DI APRILE 1906. Sabbia nericcia raccolta sul Vesuvio. Caduta il A Snap) in cei 030010715 Amp. Sabbia rossiccia raccolta sul sno (strato IMicEmedio 0,13 ’ Sabbia più chiara raccolta n Mio cade (al, 12 aprile cia 5 0,09 ’ Sabbia nericcia raccolta a Napoli iL Licio dl A odapulet 0. 0,07 ” Sabbia rossiccia raccolta a Naoi i giorni 12 ORlogapoileli 0 See. , el 0,06 (?) » (1) Misura eseguita con 35 g. di sostanza. I — 48 — Lava raccolta sulla bocca di Bosco Cognoli ai ‘= 0,30.10-!5 Amp. primi di maggio. . . 0,12 7 Lava raccolta a Torre And giata il 16 e 0,05 ” Lava raccolta sopra Boscotrecase il 16 aprile 0,04 (?) > Lava .coeva tolta da un blocco (bomba?) della frana vicino alla stazione inferiore della funicolare vile aprite 0,06 ’ Lapilli e scorie tolte dalla stessa fu il 13 aprile L90610 A 0,10 ” Lapilli raccolti a Ottaiano . . . sto 0,15 7 Lapilli raccolti sulla vetta del sunt al primi del oiueno: (1906 (0) eda 0,09 a 0,06 PRODOTTI DELL'ERUZIONE DEL SETTEMBRE 1904. Sabbia it e A 0 AS AO A ao) Tava ra corde e o Ceo Re ai00O ” Lava.\SCORACORi i, e e, ORO ” Bomba dilava ‘coeva... Vee n 020 ) Ho anche sperimentato con dell'ossido verde di uranio (Us 03) che ho preparato arroventando l'urarato di ammonio in corrente di ossigeno (*); esso mi diede in media la corrente di saturazione: i= 765.105 Amp. riferita al solito a 1 g. di sostanza 3. Non è però facile, e purtroppo non è nemmeno {possibile con un certo rigore, di confrontare fra di loro i precedenti risultati, poichè le di- spersioni e le correnti di saturazione che dipendono, e in misura ignota, dallo spessore della sostanza cimentata (e probabilmente pur dalla forma del campo elettrostatico del sistema dispersore) furono misurate usando differenti quan- tità delle sostanze. Così per i composti puri di uranio ricordo ad esempio che il prof. Nasini ottenne la corrente di saturazione 376.10-!° Amp. riferita a 1 g. con del- l’uranio, e il Becker ottenne 338.107! Amp. riferita a 1 g. con il solfato 9 È MAI, i ; È 2 di uranile e potassio (*); la signora Curie (4) ottenne invece 7 =38 come rapporto delle loro radioattività, mentre il rapporto stesso calcolato in base alle quantità di uranio contenuto sarebbe 2,4! E, infatti, è noto quanto è il | (1) Ne furono esaminati due campioni differenti. | (2) Zimmermann, Liebig*s Annalen, COXXXII, 1886. : i) (8) Essi ottennero rispettivamente 1880 10-15 Amp. con 5 g. di uranio a 1080 10-18 il Amp. con 3,2 g. di solfato di uranile o potassio. i . (£ S. Curie, Recherches sur les substances Radioactives, Paris 1904, pag. 14. Ù Soi grande l'assorbimento che i composti di uranio esercitano sulle loro radia- zioni (!). Un fenomeno simile avviene anche per le sostanze ‘del tipo delle terre, per le quali sono da ricordare le ricerche che il prof. Vicentini compì nel suo accuratissimo studio sui materiali dei colli Euganei. Da una tavola grafica esistente in una delle sue Note (*) io ho dedotto p. e. i seguenti valori: FanGHI DI MonTEGROTTO. Apparecchio di Elster e Geitel leggermente modificato (B) Massa di fango Spessore | Dispersione Dispersione g. mm. volt per ora calcolata per 1 gr. di fango 1 "È 5) 9 10 1(?) 13 15 50 8) 45 0,9 100 5,9 78 0,78 150 îo 105 0,70 990 30 209 0,38 E perciò come è possibile di confrontare rigorosamente i risultati di spe- rimentatori che usarono, anche per i campioni, qualità e quantità di materia tanto differenti e con spessori tanto diversi? Ma è evidente (sebbene fin'ora pare sia sfuggito) che senza un confronto, almeno grossolano, i precedenti risultati hanno assai poco significato. Do- vendo scegliere un unico termine di confronto, ho creduto conveniente di riferire la radioattività delle sostanze cimentate a quella dell'uranio, usu- fruendo perciò delle misure che i diversi autori hanno pur eseguito sui suoi composti; cosa possibile poichè essendo l’uranio un elemento radioattivo, si può (per analogia con i fenomeni studiati nei composti del radio) ammet- tere che la sua attività e quella dei suoi composti sia proprietà del suo atomo. Quindi io ho eseguito il rapporto fra le dispersioni (o le correnti di saturazione) causate dai prodotti vulcanici, e quelle ipotetiche che sarebbero state invece causate da un egual peso di uranio. Ma mi affretto a ripe- tere che tali calcoli sono soltanto utili per dare un'idea dell'ordine di gran- dezza delle attività delle sostanze esaminate. Eccone ad esempio alcuni: Elster e Geitel trovarono i rapporti delle radioattività (misurate dalle dispersioni) di ceneri e lave e di eguali pesi di solfato di uranile e potassio (1) S. Curie, ibid., pag. 15. (3) Atti Istituto Veneto, LXIV, 2, 1904-1905. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 7 — Rea (SO, UO; . SO, Ks.2H:0) varianti da arrivando per le terre JI È 10 3600 53600 1 È Il ; 1 î ST. : di Capri fino a sio circa. Gli stessi rapporti calcolati rispetto a eguali pesi di uranio divent da col a n ACLLIE pesi di uranio diventano da 73000 ® 10000 Î2° ® 16000: E valori simili ottenne a quanto pare il Castorina per i prodotti dell’ Etna. Becker ottenne invece per eguali quantità di ceneri e lave del Vesuvio a 33800 © 33800 1 SIOSG 10000 © 10000 Il prof. Nasini confrontando le sostanze direttamente con dell'uranio ottenne dei risultati dai quali si possono calcolare per eguali quantità in peso i rapporti: per le sabbie e i lapilli della presente eruzione DAS 1.4 7 3.7 3760 © 3760 “0è da xoo00 è 10000 (ultima eruzione) e dello stesso sale, rapporti compresi fra che calcolati rispetto all’ uranio rispettivamente diventano : da invece egli trovò le lave recenti inattive, cioè per esse un rapporto minore di 10000? mentre per le lave delle precedenti eruzioni, i rapporti si aggi- rano intorno @ SELE 10000” Io, confrontando le ceneri ele lave della presente eruzione con l’ossido verde di uranio, ottenni per eguali quantità in peso rapporti compresi fra 3 È 0.5 7650 7650 che, calcolati rispetto all’ uranio, diventano: ia EB gd 10000 © 10000 ‘ Dalle esperienze del prof. Sella e del dott. Martinelli sui prodotti vul- canici della Campagna romana confrontati col nitrato di uranile ((NO:) UO,.. i 3 1 6H,0), si ottengono i rapporti da —— a -—— che, ricalcolati rispetto al- " Sia 0,, SREROrAA 2400 © 2400 D ih 9 3 È l’uranio, dànno da — a = di 10000. 10000 ;) Ricapitolando si ha approssimativamente : Il RADIOATTIVITÀ DEI PRODOTTI DELLA RECENTE ERUZIONE DEL VESUVIO. i Secker (ceneri e lave) da 1.1074 a 0.5.10-4 rispetto all'uranio ti | 4 Scarpa (ceneri, lapilli e lave) da 3.3.1074 a 0.5.1074 — » Nasini (ceneri e lapilli) da 7.107* a 3.7.1074 ” ai (dave) = 1074 piz. Pi — ea sr RADIOATTIVITÀ DI PRODOTTI VULCANICI DIVERSI. Terre di Capri più attive (E. e G.) 1101074 rispetto all’uranio Campagna romana (S. e M.) da 9.107*a 3.1074 i) Cenere vulcanica di Ischia (E. e G.) 12.107 ” Etna vecchie e recenti eruzioni (E. e G. e Castorina) da 22.10-4 a 1.10-4 rispetto all’ uranio. Vesuvio precedenti eruzioni (Nasini) 3.107 rispetto all’ uranio ’ ’ ” (Scarpa) 2,5.10-4. ’ Disposti così i risultati riesce evidente che: 1°) Salvo le terre eccezionali di Capri, én generale questi prodotti vulcanici hanno radioattività comprese fra circa un millesimo e un mezzo decimillesimo di quella dell'uranio. 2°) Sembra confermata la maggiore attività dei prodotti delle vecchie eruzioni. È poi da osservare che la radioattività di questi prodotti vulcanici è superiore a quella che dovrebbe competere in media alle roccie superficiali per il radio che esse contengono. Strutt infatti (!) e Eve (*) trovarono rispettivamente che ogni cm? della crosta superficiale della terra contiene in media 2,5.107!? e 1,06.107! g. di radio. Supponendo che la attività del radio sia circa 10” volte quella dell’ u- ranio (*) ne viene che, in causa dell’'assorbimento delle radiazioni esercitato dalla stessa sostanza (‘), la radioattività media delle roccie superficiali sa- rebbe, per quanto riguarda il radio, certamente inferiore a un decimillesimo di quella dell’ uranio. . Ma evidentemente non è possibile di dedurre dai risultati precedenti (come fece il Becker) la quantità di radio contenuta in ogni cm? delle lave o degli altri prodotti vulcanici; tanto più che siccome l’analisi rivela (spe- cialmente per il Vesuvio) l'esistenza di un numero enorme di elementi, torna lecito il dubbio che pur varie sieno le sostanze radioattive. (1) Proc. R. Soc. Londra, maggio e settembre 1906. Io ho corretto il risultato di Strutt (5,1071° g. per cm*), poichè 1 g. di uranio deve supporsi in equilibrio con 3,8.107? g. di radio (Rutherford e Boltwood, Le Radium, luglio 1906. Eve, Phyl. mag., sett. 1906) e non già con 7,4.107? come prima era ammesso. (2) Phyl. mag., 6, XII, 1906. (3) Dai risultati della signora Curie e da quelli di Rutherford e Boltwood (loc. cit.). (*) Rutherford, Radioactivity, Cambridge, 1904. ros gua se È Chimica-fisica. — /r/lvenza della formalina sul potere rotatorio del glucosio in rapporto alla teoria della multirotazione ('). Nota di GABRIELE LANDINI, presentata dal Socio A. RoItt. 1. L'aggiunta di formalina a soluzioni di saccarosio, oltre che rallentare l'azione catalitica degli H*-ioni sulla inversione, produce delle notevoli ano- malie, in quanto che l'andamento della reazione Cie Ho On + H:0 = 206 Hg 0; non è più esprimibile colle note formule delle reazioni monomolecolari. Per consiglio del dott. Ugo Grassi impresi a studiare a quali cause potesse attribuirsi questa singolare discordanza. Le esperienze in proposito furono condotte osservando il potere rotatorio delle soluzioni col sussidio di un polarimetro di Laurent, a due campi (pre- cisione 1°), il cui tubo era chiuso in un manicotto entro al quale si faceva circolare, a mezzo di una turbina, l’acqua di un termostato, regolato con termoregolatore a xilolo. La temperatura del tubo subiva così delle oscilla- zioni di + 0°,1 al massimo. Sperimentato dapprima su di un sistema costituito da 25 cm? di una soluzione al 20°/ di saccarosio cristallizzato, ai quali si aggiungevano 20 em? di acido cloridrico (1.081 N) e 10 cm? di formalina (40 °/5), si ot- tennero i seguenti valori: d (o) Gi Lettura Temperatura K Tempo in minuti | 1 polarimetro | d’osservazione gm || 21300 29,95 10—? 2,277 9 20,533 ” n. 2,120 14 20,000 ” AZZ] 20 19,167 ; n°. (QU05 24 18,567 ” MINE2:504 32 17,467 3 n 2,569 45 15,893 ” ni :21662 134 7,567 5 su Co -- 3,507 D) 2a (1) Le ricerche furono eseguite nel Laboratorio di Fisica del R. Istituto di Studî superiori in Firenze lic re La costante d'inversione / fu calcolata colla nota formula ein de) Cigldn da) — 0,4343 X nella quale si è introdotto per la rotazione corrispondente allo stato finale il valore: dx = — 89,567 che si è dovuto determinare sperimentalmente conservando alla temperatura 0 d'osservazione, per circa nove giorni, un sistema uguale al precedente, in fiala saldata alla lampada; poichè in questo caso non si poteva ricorrere alla formula (!): 4x =4(0,44 — 0,005 6) La costante / d'inversione mostra da 14" in poi un aumento progres- sivo che non è certamente attribuibile ad errori di osservazione, ma piut- tosto ad una azione esercitata dalla formalina o direttamente sul saccarosio o sui suoi prodotti di scissione. Anche in soluzioni di saccarosio, senz'aggiunta di acido cloridrico, si riscontra già il fenomeno come risulta dalla seguente tabella: 40 cm? formalina + 10 cm? soluzione di saccarosio (50 °/,) d 6 d Tempo Lettura Tempo Lettura 9 al polarimetro Fiom peratura al polarimetro | Temperatura (e) (e) gui + 26,667 40° DO 28,539 40° 4 27,000 E) 50 29,233 D) 10 27,450 D) 137 30,033 ”» E l'aumento del potere rotatorio è tanto più singolare, in quanto che la formalina usata presenta alla barite (indicatore fenolftaleina) un'acidità pari a 0.0105 N che, per la sua azione catalitica, avrebbe dovuto favorire la in- versione, facendo così diminuire, o almeno rimanere pressochè costante il potere rotatorio dello zucchero. | 2. Di più facile interpretazione dovevano riuscire le esperienze fatte sul solo glucosio o levulosio. Si hanno già delle esperienze abbastanza complete dovute a Ina A. Milroy (°) intorno all’azione esercitata da alcoli, aldeidi, acetoni e da acidi (1) Ostwald-Luther. Messungen, 1902. (?) Z. f. phys. Chem. 50, 1904. }—_====erre"= rana SS en noe RESTO DATI SERIE I dal - rosa = a — "er" x Lx pere SETTE: Sn = > = me ri iieteno omega rr - = ——» x. ZZZ Pane O e sali minerali sul potere rotatorio degli zuccheri. I risultati di tali ricerche sì possono in breve così riassumere. Gli acidi inorganici ed i sali che reagiscono, sia neutri che acidi, pro- ducono un lieve aumento della rotazione. Sostanze organiche neutre agiscono alla stessa maniera, colla sola diffe- renza che la variazione avviene in modo più lento. Le basi organiche, o i sali con reazione basica, producono invece una diminuzione. La formalina era peraltro esclusa da questo studio di Milroy, e fu perciò istituita una serie di ricerche allo scopo di precisarne l'influenza tanto più che, trattandosi del primo termine delle aldeidi della serie grassa, il suo comportamento poteva per avventura differenziarsi da quello delle aldeidi omologhe. Il glucosio presenta notoriamente il fenomeno della multirotazione: ossia il suo potere rotatorio molecolare, che è inizialmente 105°, scende col tempo a 52°,5 seguendo la legge logaritmica di Wilhelmy ('). È noto che, in base specialmente a ricerche di Tanret (!), si è venuti nella idea che esistano del glucosio tre modificazioni isomere @, 8 e y; la- bili la prima e l'ultima, e stabile la 8. Talchè una soluzione fresca di [105°] o di y[25°,2] si trasforma spontaneamente fino a contenere la sola forma stabile f. Le ricerche di Milroy si riferiscono sempre a soluzioni contenenti la modificazione f. Una prima serie delle presenti ricerche si riferisce pure a soluzioni di glucosio che hanno raggiunto il valore definitivo. Le soluzioni adoperate erano daprima separatamente portate alla tem- peratura di osservazione, alla quale si trovava già il tubo polarimetrico, ove si introducevano appena mescolate, e i tempi si contavano dal momento in cui era fatta la miscela. 25 cm? soluz. di glucosio (10 °/) + 25 cm? formalina (acidità 0,0105 N) Tempo i LI poleinaoo lodata | 480 101] lati Co I 4m | + 10,818 | 40° 2 208% | 12,760 40° | 10-28,216 9 10,648 | » |10-*9406 | 268 | 12,973 n » 2,997 20 10,811 , » 4598 | 885 | 13014 " » 3,197 35 11,000 |» 005,997 | 898 |. 13270 n » 2,980 ‘56 1:27000 0006, n 2,890 | 488 | ‘13,285 9 » 2,504 31 11,646 | ‘> n 3,066 | co 13,485 " 2 103 11,908 | |.» n 8059] — SI Le D (!) Landolt, Das optische Drehungvermogen, 1898. (2) C. R. t. 120, pag. 1060. 25 cm? soluz. glucosio (10 °/,) + 25 cm* formalina (acidità 0,021 N) de no e Gm | + 10,500 | 40° 08, 1850 | 13,100 400° | 10-® 6,291 23 11,038 | » | 10-25,395 | 365 | 13,217 5 » 4,256 34 so n 5,601 | 480 | 18,288 » » 3,420 54 11,983 |» » 6,904 | co 13,300 n » pit 6.599 No du i di I numeri sotto il segno X rappresentano i valori della espressione : i Il do Td — lg do Td [1] g( Ii ( 1) 1 0 e dovrebbero essere costanti nella ipotesi che una molecola della forma f (che secondo la teoria solita della multirotazione dovrebbe esistere da sola nella soluzione di glucosio adoperata) entrasse a costituire colla formalina, che si trova in grande eccesso, un composto qualsiasi la cui natura non è il caso di precisare. + W | 3 0 4 \ Ta DI Sei 7 n à È A I A S Je È 7 : ] : 11° ZAR ; i i 07 Cempo in irinuli SEZIAE Pa i EZZIZHO n 3007 sù sapa VOZ) Elesgli E neppure, ammessa l'analogia tra queste esperienze e quelle di Milroy, può accettarsi la spiegazione di un semplice spostamento dell’equilibrio tra le forme @ e f, giacchè nell’un caso e nell'altro, per le leggi che regolano la cinetica delle reazioni monomolecolari, la espressione [1] dovrebbe esser costante. Un'altra spiegazione, che resulta immediatamente dall'esame delle due curve (fig. 1) rappresentanti l'andamento del fenomeno e che non sembra È 6] sia stata ancora suggerita, è la funzione catalitica degli H*-ioni, assai ana- loga a quella che interviene nella multirotazione. Difatti nella curva I che a parità delle altre condizioni, è ottenuta con un'acidità doppia che non per la II. si tende al valore finale con maggior rapidità che non nella curva II ottenuta con l'acidità esistente nella formalina usata, pari a 0,0105 N. Ma le esperienze che sembrano decidere anche maggiormente circa alla ipotesi di Milroy sono quelle ottenute con soluzioni di glucosio contenenti la forma a. La prima esperienza fu condotta neutralizzando parzialmente (circa ?/3) con Na OH, l’acidità preesistente nella formalina. 25 em? soluz. fresca di glucosio (10°/,) 4-25 cm? formalina (acidità 0,0035 N) fingo |P tette [0 nio] a i 10m | + 177200 40° 55m 13/800 40° 19 16,700 n 65. 13,483 > 25 16,017 ; 85 13,183 » 35 15,083 x 110 12,950 3 45 14,967 » 230 12,667 ” 25 cm? soluz. fresca di glucosio (10 °/,) + 25 cm* formalina (acidità 0,0105 N) = TA Ae 5m | 18,467 40° 6gm | 190433 40° 10 17,417 ” 83 121393 ” 15 16,400 : 98 12,367 ; 20 15,283 ’ 118 12,500 3 98 14,100 ’ 138 12,567 3 38 13,200 ’ 168 12,817 ; 48 12,600 a 208 13,000 ; 58 12,467 ’ S 13,717 3 eden — sicizicela acne — 57 — 25 cm° soluz. fresca di glucosio (10 °/,) + 25 cm? formalina (acidità 0,021 N) = Romno OLE Tem- | Tonno LEE, Tem- al polarimetro. ||. peratura al polarimetro | peratura 5® | 4 18167 40° 59m 127717 40° 7 17,038 7 67 12,700 3 10 16,417 a 97 12,900 ; UU 15,517 5 207 13.117 ; 19 14,717 ; 297 13,133 i 25 13,967 ” | 482 13,150 » 39 13,367 3 co |: 18,00 ; 40 12,950 ; DI Di Ci Le curve corrispondenti, che sono distinte coi numeri I, II e III della fig. 2, presentano, oltre alla solita azione catalitica degli H*-ioni, un anda- 1 | | | jest] sl [ IeRo dana 00 DO lp i iii i or deb I fap LI Pi | DID | STETESE BD e) | Ù ya ICI nelro è, Ù Selhera al pe 2007 Jov 37 E 100, Cempo in imiiali INENA x mento che non è assolutamente conciliabile con una semplice trasforma- zione della modificazione @ del glucosio nella modificazione f, qualunque sia la ipotesi che si voglia fare intorno ai valori delle costanti di equilibrio. RenpiconTI. 1907, Vol. XVI 1° Sem. 8 E serie —_i rotte Te "Tr—TTT=za SII 2 e QI 5. In un recente lavoro Jungius (*) avanza la idea che, come fu tro- vato sperimentalmente per gli zuccheri lattici da Hudson (*), anche per il glucosio, le soluzioni della forma chiamata #8 da Tanret, consistano in uno stato di equilibrio 22completo tra le due forme isomere @ e y del glucosio. Si tratterebbe in ultima analisi di sostituire all'idea dell'equilibrio completo, per il quale dalla forma «@ si dovrebbe passare totalmente alla f, quella di equilibrio incompleto tra la @ e la y; idea che trova un appoggio nel fatto che le due costanti che regolano le due trasformazioni igon= (ICHINO, rn 1 hanno lo stesso valore (*). Accettata tale ipotesi, si avrebbe nel caso nostro che una delle due forme « e y, coesistenti in equilibrio nella soluzione, o ambedue, darebbero origine, con la formalina aggiunta, a nuovi composti la cui natura non è necessario precisare; e la variazione del potere rotatorio osservata sarebbe dovuta alla loro graduale formazione. Lo studio, che il dott. Grassi ha già in corso, della variazione col tempo del potere rotatorio di soluzioni di glucosio contenenti aldeide ace- tica, sussidiato dalle note formule della chimica cinetica, potrà forse portare ad una conferma della idea di Jungius, che per ora sembra la più pro- babile. Chimica. — Analisi dei prodotti siderurgici ad elevato te- nore în Cromo (). Nota di Gino GALLO, presentata dal Socio E. PA- TERNÒ. La determinazione del cromo nei prodotti siderurgici, ha acquistato una notevole importanza da quando si sono riconosciute le buone qualità che questo elemento comunica all’acciajo. Nell'analisi di tali prodotti però è necessario distinguere due casi: quando cioè il cromo entra in proporzioni basse come dal 0,2 al 4°/; € quando invece, come nei ferri cromati, la sua proporzione giunga perfino al 75%. Nel primo caso il metallo è attaccato facilmente dagli acidi, e nella soluzione ottenuta si può dosare il cromo separandolo dal ferro e dagli altri elementi, mediante sua ossidazione a cromato per via secca o per via umida con un agente ossidante; nel secondo caso invece, di leghe ricche in Ingegneri di Roma. rg cromo, la soluzione riesce molto difficile, poichè queste non vengono com- pletamente attaccate dagli acidi, ed è quindi necessario ricorrere alla di- sgregazione per via secca con un fondente speciale. La ricerca di un fon- dente più adatto al trattamento di tali leghe, ha interessato diversi speri- mentatori e parecchi sono i reattivi che furono proposti. La fusione con bisolfato potassico (') che viene spesso impiegato riesce solo con acciai al 15-20 °/, di Cromo; oltre a questo si ricorre anche al miscuglio di nitrato sodico e carbonato sodico, di idrato potassico e ni- trato potassico (*), di idrato potassico e clorato (*), alla magnesia sodata (4), ed infine al perossido di sodio. Questo ultimo reattivo, impiegato di recente, permette di ottenere in modo molto rapido un attacco completo del ferro cromato, e la trasformazione contemporanea del cromo in cromato. Però esso presenta l'inconveniente di attaccare fortemente il crogiuolo in cui si fa la operazione; il platino disciolto per ogni fusione varia da 100 a 150 mmg. L'impiego di ur crogiuolo di argento sarebbe più economico, ma quando il tenore in cromo oltrepassa il 35 °/,, il grande svolgimento di calore che ac- compagna l'ossidazione del metallo, provoca la fusione del crogiuolo stesso; fu proposto più vantaggiosamente l’impiego di un crogiuolo di nichel, ma in tal caso, l'operazione riesce molto più complicata, perchè bisogna ricor- rere a delle lunghe e noiose separazioni del nichel, non si può procedere alla determinazione di questo elemento quando esso sia contenuto nel me- tallo da analizzare, e ad ogni modo un crogiuolo non può servire per più di 8 o 10 fusioni. Dallo studio di questi varî metodi proposti per le analisi di leghe ricche in cromo, si possono dedurre le seguenti osservazioni: 1) Il metallo deve essere finissimamente polverizzato e setacciato, 2) si deve ricorrere a due e più fusioni, 3) icrogiuoli vengono in generale profondamente attaccati. La polverizzazione minuta quale è richiesta di un ferro cromato, è una operazione oltremodo lunga e difficile, data l'estrema durezza di tali prodotti; non si può ammettere poi, che il setacciamento a cui comunemente si ri- corre, ci possa fornire una polvere perfettamente corrispondente al campione, perchè è naturale che per fenomeni di liquazione possano esistere dei no- duli a diversa concentrazione in cromo, di durezza per conseguenza diversa, e che quindi resistendo più a lungo all’azione triturante, vengono separati mediante il setaccio dal resto della polvere proveniente dalla massa metal- lica meno dura e quindi meno ricca in cromo. Le fusioni poi per via secca, riescono sempre noiose e difficili; la massa rigonfia spesso e sale lungo le pareti del crogiuolo fino ad uscirne; gli (1) Zeigler, Dyngler polyt. Jour. CCLXXV, pag. 91. (2) Id. 1891, pag. 163. (*) Laboratorio dello Stab. St. Jacques a Mont Lugon, (4) Clark, Stahl und Eisen, 1893, pag. 393, SE = i SALE anca => cr I Ln "_e—==_===">S == == e —r_—==css== i erre === E = — n Enna ee Mii n le 7 @-oa _S&_F ——- -& k i i —__—_f_+< = 211) fe schizzi, che inevitabilmente si hanno specialmente negli attacchi rapidi e vivaci, conducono hene spesso a perdite che costringono a ricominciare l'operazione; nella maggior parte dei casi è necessario ripetere parecchie volte la fusione del residuo, senza raggiungere qualche volta lo scopo del- l'attacco completo. Infine il deterioramento che vengono a subire i crogiuoli di platino, specialmente quando, come qualcuno propone, si fa l'attacco con idrati alcalini, è di un'entità tale, che certo merita di esser preso in con- siderazione, dato l'enorme prezzo attuale di questo metallo. Fu in seguito a tutto questo che io mi proposi di studiare un metodo di attacco dei ferri cromati, più semplice e più economico di quelli cono- sciutì finora. Il metodo che io propongo si fonda sul seguente principio. Sottoponendo all’elettrolisi, alla temperatura di 80°-85° una soluzione di cloruro potassico al 15 °/,, leggermente alcalina per idrato potassico, im- piegando come polo negativo un filo di platino, e come polo positivo il me- tallo da analizzare, quest ultimo si decompone completamente, e tutto il ferro sl precipita allo stato di idrato ferrico mentre il cromo resta in soluzione allo stato di cromato. Le reazioni che avvengono in tali condizioni sono le seguenti: Al polo positivo il cloroione mettendosi in libertà agisce nel seguente modo: ( 2Fe + 3C1, = 2FeC], è FeCl; + 3KOH = Fe(0H); + 3KC1 2Cr+ 301, = 201 Ck \c Cr de Ni 3KOH = 3KC1 + Cr(0H); + SKOH = Cr(0K); + 3H:0 c) Vu + 301, + 4KOH = 6KC1+- 2H,0 4- 2K, Cr 0, e nel caso in cui siano presenti contemporaneamente altri elementi come il manganese ed il nichel, questi reagiscono nel seguente modo: [OX Tao) SE Mn + Cl, = Mn Cl, Mn Cl, + 2KOH = Mn Nn(0H), + 2KCI 2988 — 2KC1+ H.0 + Mn & So | Mn(0H), + 2K | Ni + Cl,= Ni CI; NiCl, + 2KOH = Ni(0H); + 2KC1 3Ni(OH)» + 2KOH + CI, = 2Ni(0H); + 2K C1 SI pi A sua volta il potassio-ione, portandosi al polo negativo e mettendosi qui in libertà, reagisce con l’acqua 2K + 2H,0=2K0H -- H; Allo scopo quindi di evitare che l' idrogeno che si svolge al polo nesa- tivo per questa reazione secondaria, eserciti un'azione riducente sul cromato che va formandosi, s' introduce il polo negativo stesso, costituito da un filo di platino avvolto a spirale, entro un cilindretto di porcellana porosa di Pukal. Quanto al metallo che si deve attaccare, e che viene impiegato come polo positivo, è necessario distinguere il caso in cui esso si abbia allo stato di trucioli o grani, oppure allo stato di bastoncino compatto. In questa s4 conda condizione, basta sospendere il bastoncino nell'interno della soluzione, mediante un filo di platino, che stabilisce la comunicazione col polo po- sitivo. Nel caso più comune invece, in cui il campione risulti costituito da trucioli o da grani di dimensioni diverse, ho trovato dopo oppor- tune modificazioni, che può servire bene il seguente semplice appa- recchino. Si ricorre ad un tubo di vetro piegato ad U (vedi fig.) di cui il braccio più corto è allargato alla parte superiore, e termina inferior- mente a forma di cono dal cui vertice esce la punta di un filo di platino, che dall'altra parte mediante mercurio stabilisce la comuni- cazione col polo positivo. In questo allargamento s’ introduce il me- tallo pesato, destinato alla soluzione, avendo l'avvertenza di adattarlo bene sul fondo, in modo che stabilisca un buon contatto colla punta di filo di platino, e funzioni quindi esso stesso da elettrodo positivo. Al di sopra del metallo, si adatta un piccolo disco di porcellana forato, che si può ricavare intagliando uno dei dischi che servono per i cro- giuoli di Gook. Questo disco ha lo scopo di evitare che le bollicine / dei gas che si svolgono, trascinino con sè i granelli più piccoli del ‘metallo fuori del tubo che lo contiene. Il disco stesso può essere te- nuto compresso mediante un tubicino di vetro, collocato verticalmente nell'interno, il quale agisce continuamente col proprio peso. La quantità di soluzione di cloruro potassico da impiegarsi è di circa 50 cc. per ogni decigrammo del metallo; impiegandone una quantità minore, il volume del precipitato che va formandosi, e che è spesso molto grande, rende la soluzione così densa da turbare l'andamento regolare dell’elettro- lisi. Per ogni 100 cc. della soluzione si aggiungono poi circa 2 cc. di solu- zione di idrato potassico al 20 °/. La soluzione viene introdotta in un bic- chiere di grandezza conveniente, ed in essa si fanno pescare da una parte il metallo da analizzare in comunicazione col polo positivo, dall’altra il polo == e 3 e e resi = = cè, aa re = i sz RIA i nti ———ecce. ln = # eee a MURO negativo che peschi solo per 2 0 3 cm., ed introdotto, come dissi già, in un cilindretto di Pukal. Si copre il bicchiere con un vetro d'orologio tagliato in modo da lasciare il passaggio agli elettrodi e ad un termometro. Disposte così le cose, quando la soluzione ha raggiunto la tempera- tura di 80°, si fa passare la corrente. Tosto si ha un'abbondante forma- zione di idrati diversi che intorbidano la soluzione. Il cromo stesso si se- para dapprima allo stato di idrato, ma mano a mano che l'operazione procede e che il cloro che si svolge in eccesso agisce come ossidante, la colorazione verde dell’idrato di Cromo scompare, per dar luogo alla colorazione rossa- bruna dell'idrato ferrico, mentre il liquido va assumendo la colorazione gialla propria del cromato potassico. Impiegando una intensità di corrente di 0,5 Amp. (non è qui il caso di parlare di densità di corrente, data la forma variabile ed incostante degli elettrodi) con una differenza di potenziale di 8-10 Volt, si può in 4 ore portare in soluzione 1 gr. di metallo. Il tempo necessario però può venire di molto ridotto, aumentando opportunamente l'intensità di corrente; ma per un buon andamento dell’elettrosi, non è conveniente di oltrepassare 1 Amp., quando il metallo sia in trucioli o grani, perchè altrimenti lo sviluppo gassoso è troppo vivace, e allora può succedere facilmente un trascinamento di parte del metallo fuori dell'apparecchino, parte che non può allora subire più l'azione della corrente, e non può quindi passare in soluzione. Si fa passare la corrente fino a soluzione completa del metallo. Quando si abbia a che fare con un metallo in trucioli o granelli, si protrae l'azione della corrente, fino a che introducendo la punta di un filo di platino nel tubicino contenente il metallo non si verifichi più la presenza di alcun granello resistente. : Ad ogni modo, dopo decantata la soluzione, ci sì può assicurare se lo eventuale residuo nero in polvere finissima contenga ancora del metallo inat- di taccato, sottoponendolo in un piccolo bicchiere all’elettrolisi, con nuova so- luzione di cloruro potassico. Non deve formarsi precipitato in seno al liquido, nè il liquido stesso deve dare più reazione di cromo. Il residuo mero che talvolta si riscontra nel fondo del tubicino, nel caso di metallo in granelli, è costituito da carbone, e si può verificare col fatto che fuso con nitrato di potassio e carbonato sodico, brucia completamente e non dà reazione di —_—_—_—_——————_n11momoemenmé[Ée oc ei = n n cromo. i La soluzione insieme al precipitato, si porta all’ebollizione per assicu- rare l'ossidazione completa del cromo a cromato, ed inoltre allo scopo di i| eliminare l'eccesso di cloro libero presente, si lascia quindi raffreddare, si i porta a volume noto in recipiente graduato, e si ha così il liquido ed il | precipitato, pronti per diverse determinazioni. Nella condizione in cui ci troviamo di avere cioè il ferro allo stato di idrato insolubile ed il cromo allo stato di cromato in soluzione insieme alla gol silice ed all’allumina eventualmente presente, si può ricorrere a diversi me- todi di determinazione del cromo. I metodi volumetrici, offrono un grande vantaggio, dal punto di vista della rapidità, sui metodi ponderali, ma sia gli uni che gli altri, per dare dei buoni risultati, esigono certe condizioni, alle quali non è sempre facile soddisfare, in seguito alle operazioni prece- dentemente effettuate. Per applicare il metodo per pesata sì ricorre più convenientemente alla precipitazione del cromo allo stato di idrato mediante solfuro ammonico, previa riduzione del cromato con acqua ossigenata. A tale scopo si filtra per filtro secco una parte aliquota del liquido, sì aggiungono 3-5 gr. di nitrato ammonico, e si porta fino quasi a secco a Db. m. mantenendo la soluzione alcalina, allo scopo di eliminare la silice e l’allu- mina; si riprende con acqua, e si filtra. Si acidifica leggermente il filtrato con HCI, e vi si aggiunge, a goccia a goccia, dell'acqua ossigenata; il liquido si colora in bleu più o meno in- tenso, quindi si decolora e passa al verdastro; quando una nuova aggiunta di acqua ossigenata non produce più alcuna colorazione bleu, tutto il cromo è ridotto a sale di cromo. Si fa allora passare nel liquido una corrente di HS per distruggere l'eccesso di acqua ossigenata, poi si aggiunge dell'am- moniaca, e si porta all’ebollizione fino ad eliminare l'eccesso di ammoniaca preferibilmente in recipiente di platino, o almeno di porcellana. Si lava bene il precipitato per decantazione, e quindi sul filtro con acqua calda conte- nente del nitrato ammonico; è prudente ridisciogliere il precipitato in HCÌ, e riprecipitare una seconda volta con ammoniaca, senza impiegarne un eccesso. Sì filtra, si lava, si calcina il precipitato allo stato umido in crogiuolo di platino tenuto coperto dopo la combustione del filtro, (per evitare delle per- dite per proiezioni, quando l’ossido di cromo diventa incandescente) e sì pesa. La determinazione per mezzo di un liquido titolato allorquando il cromo si trova allo stato di cromato, è molto più rapida che un dosaggio ponderale. Essa si fonda sempre su una riduzione operata in liquido acido. I riduttori più comunemente impiegati sono: 1) l'acido ossalico; 2) il sale di Mohr, e 3) l'ioduro potassico. Nel nostro caso speciale in cui ci troviamo in presenza di cloruri, è preferibile quest'ultimo metodo. Esso si fonda sulla reazione seguente. Trattando una: soluzione acida per acido cloridrico, di ioduro po- tassico con un cromato alcalino, l'acido cromico viene ridotto a freddo e quan- titativamente in sale di cromo, mettendo in libertà una quantità equivalente di iodio. 2 KrsCr0, + 6KI + 16HC1= 10KC1-+ 2CrC1; 4+- 8H,0 + 6I. Si titola quindi l’ iodio messo in libertà con soluzione di iposolfito so- dico R in presenza di salda d’amido. La soluzione di iposolfito sodico 4 può venire titolata o con iodio purissimo e secco (conservato entro essicca- tore non ingrassato con cloruro di calcio), oppure con soluzione di bicromato potassico puro e disseccato a 130°, di cui gr. 4,9083 vengono disciolti in un litro. Una parte aliquota del liquido contenente il cromato viene filtrata per filtro secco: si acidifica debolmente con HCl, e quindi dopo diluizione con acqua si riscalda debolmente a b. m., allo scopo di eliminare le ultime traccie di cloro; si neutralizza possibilmente l' HCI1, e quindi si versa la soluzione stessa imbevuta, contenente da 1 a 2 gr. di ioduro potassico purissimo, di- sciolto nella minor quantità possibile d'acqua ed addizionato di 5 ce. di HCI. (1:5) (È necessario versare la soluzione del cromato sull’ioduro e non in- versamente). Tosto il cromato passa al sale di cromo, mentre si mette in libertà l'iodio. Si diluisce fortemente il tutto con acqua, fino a circa 500 ce., ed agitando continuamente si fa gocciolare nel liquido la soluzione i di iposolfito. Quando l'intensità della colorazione gialla dell'iodio è molto de- bole, si aggiungono 2-3 ce. di salda d'amido (*), e quindi ancora l'iposolfito a goccia a goccia, fino a che la colorazione passa dal bleu dell'ioduro d'amido al verde chiaro del sale di cromo. Il calcolo che si deve fare è semplicissimo; 1 ce. di soluzione di ipo- solfito Ri corrisponde a gr. 0,012685 di iodio, e siccome ad ogni due atomi di cromo (52,1 X 2= 104,2) corrispondono sei atomi di iodio, 1 cc. di ipo- solfito î corrisponderà pure alla sesta parte di 0,01042, cioè a gr. 0,001736 di cromo. In luogo di questo metodo, si può anche e con maggior esattezza pre- cipitare il cromo allo stato di idrato previa riduzione con acqua ossige- nata, o con anidride solforosa, nel modo descritto nel metodo per pesata, di- sciogliere quindi il precipitato in pochissimo acido solforico, e dosare in questo il cromo ossidandolo con permanganato potassico in soluzione alcalina, fino all'apparizione della colorazione giallo d’oro del cromato, secondo il metodo proposto dal Giorgis (°). Riporto qui i risultati dell'analisi di n. 8 ferri cromati: Per 100: Ferro cromato n. 1: Cromo per pesata MONO ” volumetr. con KI — 0509 (1) È necessario impiegare presso a poco la stessa diluizione e la stessa quantità di salda d’amido impiegata nella titolazione della soluzione dell’iposolfito. (3) G. Giorgis, Dosamento del cromo nei prodotti siderurgici. Rend. Acc. Lincei, vol. I, 2° sem. 1892. ligzi Ferro cromato n. 2: Cromo per pesata —i61;38 ” volumetr. con KI 101092 ” metodo Giorgis = 61,43 Ferro cromato n. 3: Cromo per pesata —=70,62 ” volumetr. con KI 0120) » metodo Giorgis — 70,95 Nel precipitato contenente il ferro ed eventualmente il nichel ed il man- ganese, sì possono dosare questi elementi, applicando i metodi soliti di sepa- razione e di determinazione. Nel caso del nichel, però, invece di trattare il precipitato con ammoniaca, filtrare, lavare e riprecipitare il nichel, mi sembra si possa più rapidamente e forse anche più esattamente, ricorrere al metodo elettrolitico di separazione del ferro dal nichel. Il processo Vortmann è basato sul fatto che l idrato ferrico in sospensione in un liquido non è punto decomposto dalla corrente elettrica, e d'altra parte la presenza del precipitato non impedisce affatto il deposito elettrolitico di altri metalli, come il nichel, il cobalto ecc. Impiegando quindi il mio metodo di soluzione di un acciajo al cromo e nichelio, si raccoglie il precipitato di idrati di ferro e di nichel su un filtro, si lava, si discioglie in poco acido solforico diluito, si aggiungono 6-8 gr. di solfato ammonico, poi ammoniaca in leggero eccesso, e si sottopone al- l’elettrolisi il liquido in capsula di platino, con una densità di corrente da 0,4 a 0,8 Amp; dopo tre ore tutto il nichel è precipitato, e ci si può assicu- rare prelevando una piccola quantità del liquido chiaro e trattandolo con sol- furo ammonico. Durante l'operazione il liquido deve conservarsi sempre am- moniacale, ma nello stesso tempo bisogna evitare un eccesso di ammoniaca. Si lava quindi il precipitato con acqua fredda, poi tre volte con alcool, si dissecca in istufa fra 70°-90° e si pesa. Per il manganese si può invece disciogliere il precipitato lavato come sopra in acido solforico, neutralizzare il grande eccesso di acido con carbo- nato sodico, precipitare il ferro con ossido di zinco, e nel liquido filtrato do- sare volumetricamente il manganese con permanganato potassico. Ma piuttosto che su questi elementi, m'interessa in particolar modo di richiamare l’attenzione sullo zolfo e sul fosforo, contenuti nei ferri cromati, e negli acciaj ad alto tenore in cromo, e per la cui determinazione non esì- stono finora dei metodi sufficientemente pratici ed esatti da applicarsi in questi casi speciali (*). (5) Un’ossidazione elettrolitica dello zolfo negli acciaj fu proposta recentemente dal dott. Gasparini (Rass. miner., vol. XXII, n. 9, 1905), impiegando come ossidante l’acido RenpicontI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 9 LS TI e Qualora si impieghi del cloruro potassico purissimo, e sì abbia l’avver- tenza di portare in soluzione una quantità sufficiente di metallo, per l’azione ossidante del cloro che si svolge sul metallo da analizzare, tutto lo zolfo in esso contenuto viene ossidato ad acido solforico, e tutto il fosforo ad acido | fosforico. Di questi due il primo rimane in soluzione insieme al cromato allo il stato di solfato potassico, mentre tutto l'acido fosforico si trova nel precipi- tato allo stato di fosfato basico di ferro. Si può quindi procedere ad una determinazione esatta di questi due elementi, nel seguente modo. Per lo zolfo si filtra una parte aliquota della soluzione: in essa si se- para prima il cromo ('), precipitandolo allo stato di idrato; a tal uopo si acidifica fortemente la soluzione con HCI, si aggiunge dell'alcool e si fa bol- lire fino ad eliminazione completa di questo: si precipita ‘quindi con ammo- | niaca pura in leggiero eccesso, si fa bollire per qualche tempo in recipiente | di platino o di porcellana, si filtra, si lava il precipitato, e nel liquido fil- i trato si procede alla precipitazione dell'acido solforico con cloruro di bario, previa acidifiazione con acido cloridrico. Per il fosforo, si raccoglie il precipitato di idrato ferrico su un filtro e dopo lavaggio si scioglie in acido cloridrico, si porta a secco la soluzione per rendere insolubile la silice, sì riprende con acqua ed acido cloridrico, sì filtra; il liquido filtrato contiene l'acido fosforico e si potrebbe precipitare direttamente col reattivo molibdico; ma è più prudente di eliminare l’ec- cesso dei cloruri presenti, ricorrendo ad una precipitazione con ammoniaca; il precipitato di ossido di ferro, insieme al fosfato di questo metallo, si lava fino ad eliminazione del grande eccesso di cloro, e quindi si discioglie sul filtro colla minor quantità possibile di acido nitrico diluito e bollente. Nella soluzione neutralizzata ed acidificata quindi leggermente con acido nitrico sì precipita l'acido fosforico col metodo ordinario e colle necessarie precauzioni allo stato di fosfomobidato ammonico (*). Da numerose analisi di confronto compiute coi metodi usuali sopra acciaj ordinari ho potuto accertare che le determinazioni di zolfo e fosforo in tal modo eseguite, danno dei risultati veramente soddisfacenti; per cui non è escluso che il metodo di attacco con cloruro potassico non possa impiegarsi, anche per il dosaggio dello zolfo e del fosforo, in tutti i prodotti siderurgici, in luogo dei metodi comunemente adottati a tale scopo. i| nitrico; anzi l’autore si riserva di completare lo studio data la difficoltà che egli pure | ha incontrato nell’attacco del metallo mediante l’acido nitrico. I (1) La precipitazione dell’acido solforico in un liquido contenente un cromato, o un i sale di cromo, riesce sempre affetta da errore, perchè il precipitato di solfato di bario, ul trascina sempre con sè un po’ di cromo, e il precipitato calcinato contiene una certa quan- Ì tità di ossido di cromo. di (*) Treadwell, Lehrbuch der analytischen Chemie, III ediz., pag. 323. il bi sil Ni NI a ei AN Concludendo, il metodo esposto permette di procedere in maniera abba- stanza facile e comoda all'analisi di leghe ricche in cromo, e ci offre il modo inoltre di eseguire con una sola presa di saggio la determinazione del cromo, dello zolfo, del fosforo, ed eventualmente anche del manganese e del nichel (?). i Bacteriologia agraria. — Per l'esame bacteriologico-agrario del terreno. Nota del dott. R. PeROTTI (°), presentata dal Socio G. CUBONI. Col progredire delle nostre conoscenze sul significato dell'attività bacterica per la nutrizione delle piante agrarie, si venne a stabilire come le ricerche dalle quali si volle fin qui desumere la fertilità di un terreno, presen- tassero un lato veramente manchevole. Invero, sebbene non debba cadere alcun dubbio sull'importanza dell’analisi fisica e dell'analisi chimica per la determinazione del valore agrario dei terreni, tuttavia non può disconoscersi che per mezzo, di esse non si acquista un'idea giusta dello stato di dina- mismo in cui gli elementi nutritivi delle piante vi si trovano e del quale è noto che le piante stesse grandemente si giovano. Le così dette « prove di vegetazione » le quali erano appunto indirizzate allo scopo di mettere in evidenza sotto questo punto di vista le proprietà di un terreno mediante lo sviluppo di cui su di esso erano capaci le piante, per la limitatezza dello spazio e del tempo in cui debbono eseguirsi non possono essere decisive, nè i risultati, ai quali con esse si addiviene, permet- tono una completa analisi dei fatti così da mettere in evidenza la causa più o meno immediata delle anormalità verificantesi. All'esame bacteriologico-agrario del terreno sì rivolse quindi l'attenzione degli studiosi nella convinzione che dalla conoscenza dello stato bacteriolo- gico di esso sì potesse acquistare un concetto di quello stato di mobilità degli elementi nutritivi della quale i bacteri sono i grandi fattori e che costituisce essenzialmente la fertilità del suolo. Nei metodi di tale esame, non ostante numerosi e pregevoli studi in proposito, bisogna però riconoscere che non si sono realizzati grandi progressi. Il vecchio metodo della numerazione dei germi su culture in piastre di gelatina di carne, agar nutritivo, ecc., che sortì le sue origini negl'istituti d'igiene, pur servendo più o meno egregiamente ai fini ai quali essi mira- rono, non può davvero ritenersi che sia riuscito di una grande utilità nelle ricerche di bacteriologia quando s'incominciarono ad applicare all'agricoltura. (1) Esprimo i miei ringraziamenti al prof. G. Giorgis, che mi fu largo di consigli nello svolgimento di questo mio lavoro. (*) Lavoro eseguito nella R. Stazione di Patologia Vegetale di Roma. Mg Caron fu il primo a valersene nelle sue ricerche bacteriologico-agrarie (’); e dopo di lui Hiltner (°), Koch e Thiele (*), Hoflich ('), Gottheil (5), Neide (°), ed altri lo usarono o per la numerazione dei germi o per la deter- minazione delle specie bacteriche del terreno. Ma i risultati non furono sempre quei desiderati. La stretta dipendenza del numero delle colonie dalla natura del substrato, l'influenza delle diluizioni, la poca sicurezza nella numerazione: i particolari fenomeni dovuti alla secrezione degli enzimi pro- teolitici in alcune specie, od alla elettività saprofitica di alcune altre; sono tutte circostanze le quali hanno fornito vasto argomento di critica allo stesso metodo applicato all'esame bacteriologico delle acque potabili e che acqui- stano un valore molto maggiore allorchè lo si vuole estendere all'esame bacte- riologico del terreno. È noto a tale riguardo come un’intera categoria di microrganismi, la cui funzionalità è della massima importanza nel suolo, non possono svilupparsi negli ordinari mezzi di cultura; sono:initroso- ed i nitro-bacteri del Winogradsky, gli oligonitrofili del Beyerinck. Secondo Hiltner anche il radicicola di alcune leguminose (lupino, serradella) richiede alcune speciali condizioni perchè se ne ottenga lo sviluppo nelle culture in piastre. Per tutti gli accennati inconvenienti che presenta la numerazione dei germi volle il Remy (") proporre un nuovo metodo di esame bacteriologico- agrario basato su di un principio molto giusto, la cui applicazione si deve tuttavia far risalire attraverso gli studi dell'Omelianski su gli Azotobacter e del Winogradsky su i nitrificanti fino alle osservazioni del Leeuwenhoek su gl'infusori dell'acque putride. Consiste esso nell'esame dell’azioni bacteriche nelle soluzioni nutritive; e, benchè non permetta l'osservazione e la deter- minazione delle specie, si deve convenire che è molto rispondente al fine pro- postosi dagli sperimentatori di determinare lo stato di mobilità degli ele- menti nutritivi nel terreno. Scarsa letteratura possediamo ancora sull'argo- mento: tuttavia essa ci apprende che il metodo non difetta di mende le quali hanno suggerito i miglioramenti che sono stati già proposti dal Lohnis (8) e dall'Ehrenberg (°). (*) Landw, Versuchs-Station, v. 45, pag. 400. Jahrbicher der Deut. Land. Ges., v. 15, pag. 43. (*) Veber neuere Ergebnisse auf dem Gebiete der Bodenbakteriologie. Mitt. d. vkon. Ges. Konigr. Sachsen, 4. 1901-02, pag. 2. (3) Protokoll der Sitzung des Sonderausschusses der Deut. Landw. Ges. 10 Feb. 1903. i: (4) Vergleichende Untersuschungen'uber die Denitrifikationsbakterien. Cent. f. Bak., Ù | II, VIII, 1902, pag. 404. i (5) Botanische Beschreibung ciniger Bodenbakaterien. Cent. f. Bak. II, VII, pag. 480. | (5) Botanische Beschreibung ciniger sporenbildenden Bakterien. Cent. f. Bak, II, o XII, pp. 1, 161, 337, 599. \ (*) Ein Beitrag zur Methodik der bakteriologischen Bodenuntersuchung. Cent. f. Ù | Bak., II, XII, pp. 262, 448 e II, XIV, pag. 1. )l (8) Bodenbakteriologische Studien. Cent. f. Bak., II, VIII, pag. 657. i} (°) Die bakterielle Bodenuntersuchung in ihrer Bedeutung fiir die Feststellung der MEL TRONo Questi lasciano sperare che al detto metodo sia riserbato un non lontano avvenire: tuttavia per ora dobbiamo limitarci a notare come esso non possa sostituire quello antico della numerazione dei germi per il vantaggio che questo presenta con la determinazione delle forme e la molto maggiore sem- plicità di procedimento. i Il metodo, per quanto difettoso, della numerazione dei germi costituisce uno di quei mezzi di tecnica bacteriologica, cui, anche nei rapporti con la agraria, non si può assolutamente rinunziare. Perciò io intesi di migliorarlo in modo da poter conferire ad esso il maggior sigrificato agrario possibile; e mi fu guida in ciò un fatto accertato dal Lòhnis, per il quale la cultura dei microbi del terreno si ottiene in modo egregio usando substrati prepa- rati con estratto acquoso di Terra (’). Andando più in là, proposi di valermi dell’estratto preparato con la torba, che, essendo un fattore del terreno vege- tale, mi lasciava presumere che avrebbe realizzato nei substrati artificiali le condizioni di sviluppo dei microbi terricoli le quali più si avvicinassero a quelle naturali. La torba, adunque, come prodotto di una più o meno avanzata decom- posizione di piante morte in seno all’acqua, la quale ne impedì la completa carbonizzazione, è un materiale ancora notevolmente ricco di composti azotati e carbonati che rappresentano gradi differenti della naturale evoluzione che subisce la sostanza organica vegetale morta. Una buona torba, seccata all'aria, . con il 15-20 °/, di acqua, contiene, dall'1 al 2°/ di azoto, dal 0,05 al 0,1°/ di acido fosforico e potassa. Il campione di cui mi servii nel presente studio proveniva dalle boni- fiche ferraresi e, seccato all'aria, risultò della seguente composizione: per cento : ACQUA gr ee n. LA n Sostanza organica = Azoto totale . i do, Celico e i 1 Bodenfruchtbarkeit. Landw, Jahrb., v. Dr. Thiel, v. XXXIII; Stickstoff verluste in fau- enden Peptonlòsungen, cin Beitrag cur Methodik der bakteriellen Bodenuntersuchung. Cent. f. Bak., II, XV, pag. 154. (1) V. loco citato: Cent. f. Bak., II, XII, pag. 461 e II, XIV, pag. 6. Ti si DÌ Se SS ca «o 39 roi La soluzione delle ceneri, ottenuta mediante ebullizione moderata per due ore con acido cloridrico di densità 1.10, fornì gli altri dati; per cento: SR pi: EMO TZ, Anidride fosforica LIS ’ solforica 1, f 1.28 Ossido ‘di potassiont, ni een ne 1.30 3.82 » calcio i (8.50 0. . Lg 06 Sesquiossidi di ferro e di alluminio t 11.47 Alla preparazione dell'estratto procedei nel seguente modo: Gr. 100 della torba, seccata all'aria, si fecero bollire a fiamma diretta per due ore insieme a cm. 500 di acqua, ed altri 100 gr. della stessa sì lasciarono digerire per due ore in autoclave a 120° C con altri cm? 500 di acqua. Filtrato il liquido, ch'era di color rosso vinoso scuro, si pressò il residuo, aggiungendo un poco di acqua di lavaggio, e sì riunì il nuovo liquido al primo determinando nel risultante l'estratto secco. Questo dette: sostanze minerali ed organiche 6,10 °/0; sostanze minerali 4,25 °/50- In base a questi dati diluiì il liquido fino al contenuto dell’1°/,0 di sostanze minerali ed esso risultò di un bel color giallo paglierino, avente reazione leggermente acida e che agitato formava della schiuma. All'analisi risultò contenere piccole quantità di azoto, anidride fosforica, solforica e potassa. Fu sterilizzato nella stufa a vapore acqueo circolante. Una prima serie di prove con terreni di cultura in piastre a base di estratto di torba preparato nel modo su descritto, fu indirizzata allo scopo di determinare in qnali proporzioni sì ottenesse lo sviluppo dei germi del terreno su di esso, comparativamente allo sviluppo di cui i medesimi sono capaci nei substrati di ordinario uso. Agarizzai una parte dell'estratto lasciandolo con la sua naturale e leg- gerissima acidità ed un'altra parte l'agarizzai rendendola leggermente alca- lina con carbonato sodico. Preparai con questi due substrati, con gelatina di carne, con agar nutritivo e con albumose di Heyden (Hesse e Niedner (!)) culture in piastre secondo il metodo ordinario, inoculandole con uguali e note quantità di liquido ottenuto dalla diluizione di uno stesso campione di terreno vegetale (gr. 1.0). Dopo alcuni giorni, durante i quali le piastre (1) Die Metodik der bakteriologischen Wasseruntersuchung. Zeit £. Hygiene, XXXIX, 1898, pag. 454. Er — furono mantenute a temperatura ambiente (15-20° C°), procedei alla conta delle colonie sviluppatesi, che risultò la seguente: È COMPOSIZIONE N. dei germi per gr.3 del campione di terreno dopo: Sis del substrato nutritivo E 5 giorni 10 giorni 20 giorni 1| Estratto di torba naturale | 3.300.000 Pe 3.625.000 2 » ” ” 3.080.000 — 3.410.000 3 ” ” ” 2.640.000 = 2.835.000 4 ” » legg. alcalino | 2.200.000 _ 3.190.000 5) ” ” ” 1.980.000 — 2.860.000 6 D) ”» ” 1.720.000 cs 2.970.000 7| Albumose di Heyden . .| 2.087.000 3.100.000 3.740.000 8 ” ” So 440.000 1.980.000 3.100.000 oi PAcartnutritivoi it 870.000 950.500 ) >» non aumentarono 10) > PO EC C0!000 830.000 | MRNGelatmatdritcarne «0 475 | » non fu possibile l'ulteriore conta 12 5 2 AE 330 | Da questi primi risultati giova subito dedurre che il numero dei germi del campione di terreno esaminato svelati dalle culture con gelatina di carne ed agar nutritivo fu senza confronto inferiore a quello fornito tanto dalle piastre preparate con estratto di torba quanto da quelle con albumose di Heyden. Eliminando senz’altro dalle ulteriori ricerche i primi terreni che sì rivelarono subito impari allo scopo prefissomi, anche per alcune altre ragioni che in appresso esporrò, limitai una seconda prova a meglio stabilire il valore relativo degli ultimi. Soltanto con essi ripetei il procedimento su esposto pervenendo ai seguenti risultati : E COMPOSIZIONE N. dei germi per gr.3 del campione di terreno dopo: ic del substrato nutritivo ® 5 giorni 10 giorni 20 giorni 1| Estratto di torba naturale | 2.220.000 3.350.000 8.520.000 2 ” » ” 1.860.000 2.800.000 3.300.000 3 ” » legg. alcalino | 2.540.000 3.395.000 3.960.000 4 ” ” ” 2.420.000 2.750.000 2.860.000 5| Albumose di Heyden . .| 2.500.000 3.150.000 3.850.000 6 ” ” si R:9.00:000 2.930.000 3.080.000 cu pra Si scorge da questi come i due substrati a base di estratto di torba non presentino notevoli differenze nel loro comportamento e, benchè substrati certamente più poveri dell’albumose di Heyden, dal punto di vista del numero dei germi, non forniscono alcun argomento per stabilire di fronte ad esso la loro inferiorità. Anzi è utile notare a questo punto che, mentre tutte le colonie le quali sì sviluppano sull’agar di torba acquistano uno sviluppo sen- sibilmente uguale, alcune di quelle sviluppantesi sul'albumose, perchè aventi maggiore elettività saprofitica, tendono ad assu mere uno sviluppo prepon- derante sulle altre: fatto che, per il significato agrario dell'esame, potrebbe nuocere. Ulteriori prove indirizzai al miglioramento del substrato all’estratto di torba procurando di favorire da un lato lo sviluppo dei microrganismi oligo- nitrofili, aggiungendo ad esso alimento carboidrato (glucosio), dall'altro dei polinitrofili aggiungendo al medesimo alimento azotato (albumose). Ottenni due nuovi substrati della seguente composizione: ll: ‘Estratto ‘acquosonidi torba. . iei00 « Nébrstoffs' Heyden» . . . 1.9 ARA: «0.0. AEREO IO LAINO SERA 1.5 2. Estratto acquoso di torba . . . . 100 Glucosio... Ca 1.0 AGNES 1.5 Con essi, con i due terreni al solo estratto di torba e con albumose di Heyden preparai altre culture in piastre secondo il procedimento su esposto e pervenni a questi nuovi risultati : E COMPOSIZIONE N. dei germi per gr.9 del campione di terreno dopo: È e ea” 5 giorni 10 giorni 20 giorni 1| Estratto di torba naturale 4.840.000 5.030.000 5.588.000 2 ” » ” 4 620.000 4.900.000 5.280.000 3 ” » leeg. alcalino | 3.520.000 3.880.000 3.960.000 4 ” » ” 4.730.000 4.840.000 5.060.000 5 ” » con glucosio | 8.360.000 9.240.000 9.900.000 6 ” ” ”» 7.920.000 8.880.000 9.420.000 7 ” e néhrstoffs’ Hey. | 6.160.000 6.600.000 6.820.000 8 ” ” ” 6.380.000 7.040.000 7.470.000 9| Albumose di Heyden . .| 4.500.000 5.110.000 5.200.000 10 ” ” . . | 8.970.000 4.250.000 4.450.000 So Un evidente vantaggio numerico si ottenne in questa prova dall’im- piego dell'estratto di torba migliorato con « nàhrstoff s° Heyden » e più ancora da quello migliorato con glucosio. Dal primo si ottennero alcune specie le quali assunsero uno sviluppo predominante: nell'altro lo sviluppo delle colonie fu presso a poco uguale per tutte le forme fra le quali vi era una larga rappresentanza di ifomiceti ai quali nei rapporti dell'esame bacte- riologico-agrario del terreno deve attribuirsi non poca importanza. A conferire un maggiore significato all’uflicio dell'estratto nei substrati di cui sopra instituii un'ulteriore prova comparativa fra il terreno all’estratto di torba addizinato di glucosio ed un uguale terreno in cui all’estratto era sostituita l'acqua di condottura. I risultati ottenuti furono : e z COMPOSIZIONE Ndolipermi persgr.? 25 del campione di terreno = del substrato nutritivo dopo 20 giorni usi A Beto 1| Acquadicondottura e glucosio 1°/, 600 ) Ri oclosivaneto 9 È È 790 ) ifomiceti i 3| Estratto di torba ” 2.640.000 ti) 4 ” ” 2.420.000 i hi | Infine, volli anche esaminare il comportamento delle specie anaerobie sopra i terreni ad estratto di torba ed allestit alcune culture in piastre Îi che mantenni sotto campana in atmosfera d'idrogeno. I risultati ottenuti il sono riportati nel seguente quadro: i i‘ IR) z MEI fl E COMPOSIZIONE | Db f6° (FaN O, CRE ui SE RE del campione di terreno i | | Sg del substrato nutritivo dopo 20 giorni | | | S| ital (T 1|Estratto di torba naturale... 1.755.000 VI 2) » ” ” ARIA 1.510.000 Il i 3 ” » legg. alcalino . . 48.750 4 ” D) ” I, 57.500 5 » >» e‘n&hrstoffs’ Hey. 2.047.500 6 ” » ” 1.657.000 7 È) » e glucosio . . . 1.365.000 8 » » » LEA 1.565.500 Da essi rilevasi un uguale comportamento dei vari substrati all'estratto di torba di fronte allo sviluppo degli anaerobi, qualora sì eccettui il sub- ReNnpICONTI, 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 10 LS 7 strato alcalino. I migliori risultati che si ottennero nelle culture aerobie con l'estratto di torba al glucosio mi sembra che debbono ascriversi allo sviluppo dei microrganismi nitrofili i quali nelle condizioni dell'ultimo espe- rimento non potevano svilupparsi. Riassumendo, da tutti i sopra rilevati fatti sì può trarre la seguente conclusione: Il numero dei germi che nell'esame bacteriologico del terreno si ottiene dalle culture in piastre con substrati nutritivi preparati con estratto di torba all'1°/o di sostanze minerali ed aggiunta dell'1 °/, di glucosio è ordi- nariamente molto superiore a quello dato dai substrati di gelatina di carne e di agar nutritivo ('). Per il loro comportamento si avvicinano di più a quel substrato l’albumose di Heyden e l'estratto di torba addizionato di « néhrstoff3' Heyden » non presentandosi tuttavia in questi ultimi uno sviluppo molto uniforme delle colonie. Nel medesimo substrato una larga rappresentanza dei microrganismi rivelati spetta agl’'ifomiceti. L'utilità dell'impiego dei substrati culturali « magri » per l'esame bacte- riologico del terreno, fu già rilevata dal Faelli (?) e dal Frassi (*) che usa- rono nelle loro richerche con notevole vantaggio l'albumose di Heyden. Essa risulta molto evidente dai miei studi, con i quali si viene per di più a con- ferire un significato agrario all'impiego del nuovo substrato a base di estratto di torba per una lunga serie di considerazioni. Anzitutto l’impiego di un terreno magro, consentendo lo sviluppo dei germi abituati ad un substrato molto povero di sostanze albuminoidi ed azotate in genere, permette di rivelare in numero preponderante i microrga- nismi nitrofili. In secondo luogo lo sviluppo d’ifomiceti che si ottiene egre- giamente nel substrato di torba permette di apprezzare in modo adeguato un altro fattore della fertilità del terreno sul quale fino ad ora non fu bene attirata l'attenzione. Deve ritenersi che le muffe, abbondantissime nel suolo mediante la loro secrezione acida, abbiano una non piccola parte nei feno- meni di solubilizzazione che avvengono nel terreno agrario. Pur escludendo che l'intensità degli effetti, di cui esse sono capaci, eguagli o solo si avvi- cini a quella dei bacteri, non può disconoscersi che l’inferiorità dalle mede- sime posseduta sotto tale rapporto deve essere convenientemente compensata dalla incomparabilmente maggiore estensione del loro corpo vegetativo. (1) È giusto riconoscere che per alcuni terreni i risultati numerici dell'esame bacte- riologico eseguito con substrati ricchi di sostanze organiche, ed in particolare azotate, possano essere superiori a quelli ottenuti con substrati magri; tuttavia non si può fare a meno di notare come ciò possa verificarsi soltanto in condizioni molto speciali e limitate, le quali non sono certo quelle che si presentano ordinariamente nel terreno agrario. (*) /ticerche di Batteriologia Agraria fatte nell’Agro Romano. Arch. Farm. sperim., I iasc i (*) Osservazioni circa la flora batterica del sottosuolo. Riv. d'Igiene e San. Pubb. XVII, 1900: Or, Infine, alcuni fatti di cui siamo attualmente in possesso autorizzano a rivolgersi sempre con fiducia all’uso della torba. Come io stesso dimostrai, la torba favorisce grandemente il processo di ammonizzazione della calcio- cianamide nel quale, insieme ad azioni fisiche e chimiche ha gran parte l’attività bacterica ('). (V. anche gli studi del Lòhnis (*)). Mintz e Lainé, inoltre, riuscirono a segnalare un altro fatto non meno importante per il quale la torba sarebbe capace di favorire la produzione intensiva dei nitrati, riuscendo essa un mezzo assai propizio al funzionamento dei nitrificanti (*). Tutto ciò, adunque, induce a ritenere con buon fondamento che i microbi, cui spetta una funzione agricola, trovino molto opportune condizioni di svi- luppo nella torba, prodotto delle molteplici e complesse azioni degli agenti naturali esercitantesi lentamente e gradualmente su la sostanza vegetale morta. Tuttavia non dissimulo a me stesso che il metodo della numerazione dei germi, sia pure migliorato come ho sopra proposto, presenta grandi lacune, come in sè, così anche nelle sue applicazioni agli studi di agraria. Infatti, se in esso si realizzano le condizioni migliori per lo sviluppo degli oligoni- trofili non si ottengono qnelle più favorevoli ai polinitrofili. Permane molto grave la questione se in un substrato di quella natura contenente sostanza organica, possano svilupparsi i nitrosanti. Peraltro, in mancanza di mezzi di tecnica migliori, è mio avviso, che in molti casi non si possa rinunziare al metodo di esame bacteriologico in questione special- mente poi quando si consideri che, per il miglioramento proposto, favoren- dosi in esso lo sviluppo degli oligonitrofili, si ha modo di porre in evidenza il primo termine del ciclo dell'azoto in natura, che è di base al funziona- mento delle principali forme bacteriche viventi nel terreno alle quali spetta l'elaborazione dei materiali assimilabili dalle piante superiori. Fisiologia vegetale. — Esperienze di selezione ed ibridazione sul frumento e sul granturco. Nota preventiva del dott. N. StRAm- PELLI, presentata dal Socio G. CUBONI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (1) Sopra l’uso della torba per la trasformazione della calciocianamide in com- posti ammoniacali. Rend. Ace. Lincei, 1905, XIV, pag. 174. (2) Se la scomposizione della calciocianamide possa avvenire per mezzo dei bacteri. Arch. Farm. sperim., V, 1906. (3) Veber die Zersetzung des « RalkstickstoffF». Cent. f. Bak., II, XIV, nn. 3-4, 12-18. (4) L'utilisation des tourbières pour la production intensive des nitrates. Compt. Rendu, 112, pag. 1239. gu = rca ! RA A IA e ia APT SERI! 3 RENE - MI SI PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLasERNA dà il triste annuncio della morte del Socio prof. G. B. FaveRo, mancato ai vivi il 29 dicembre 1906; apparteneva il defunto all'Accademia, per la Meccanica, sino dal 1° agosto 1887 come Corrispondente, e dal 9 agosto 1899 come Socio nazionale. Lo stesso PRESIDENTE dà anche annuncio della morte del benemerito comm. ExnRrIco SanTORO, avvenuta in Costantinopoli il 23 dicembre scorso. Ricorda la liberalità del defunto, che volle istituire un premio biennale di L. 10 mila da assegnarsi dall'Accademia; e accenna alla deferenza colla quale il Santoro accolse tutte le proposte fattegli dall'Accademia, per rendere i concorsi da lui istituiti praticamente profitteroli agli studiosi e al progresso della scienza applicata. Il Socio CERRUTI legge la seguente Commemorazione del Corrispondente prof. E. Cesìro. Onorevoli colleghi, Nel pomeriggio del dì 12 del passato mese di settembre periva misera- mente a Torre Annunziata il nostro Socio Corrispondente Ernesto Cesàro, vit- tima di uno slancio di amore paterno per togliere uno dei figliuoli alle onde furiose del mare in tempesta. Vano riusciva lo sforzo, e padre e figlio disce- sero insieme nel sepolcro. Il tragico evento suscitò negli animi gentili di ogni parte d'Italia larga commiserazione, sebbene pochi forse abbiano potuto misurare in tutta la sua grandezza la grave sciagura toccata alla scienza in quel giorno disgraziato. Essa fu tale, che ben a ragione il nostro egregio Presidente mostrò il desi- derio che se ne tenesse qui particolare discorso, Ed io, che ebbi la fortuna di noverare il Cesàro tra i miei discepoli, e di essergli legato, da oltre venti anni, d'amicizia affettuosa, non esitai ad assumere il pietoso ufficio di portare alla sua memoria un ultimo tributo di gratitudine e di ammirazione. 23 SEE? I casi della vita del Cesàro si potrebbero restringere in poche parole, ma sono talmente intrecciati colle vicende de' suoi studi e della sua opera scientifica, che non giova il farne parola separata. Nacque in Napoli il dì 12 marzo del 1859 da Luigi, comodo possidente di Torre Annunziata e dalla seconda moglie Fortunata Nunziante. Ebbe la prima educazione nel Convitto nazionale Vittorio Emanuele della città nativa, dove seguì i corsi secondarî din fino alla quarta classe del ginnasio: indi, e ciò fu nel 1874, passò a Liegi per continuare la sua istruzione nella Scuola delle miniere. Ivi era stato preceduto, al medesimo scopo, dal fratello maggiore Giuseppe, il quale, fissa- tosi poi nel Belgio, vi conquistò bella riputazione nella scienza ed al presente vi onera il nome italiano come dotto e stimato professore di mineralogia nell'Università di Liegi. Aiutato dal fratello ottenne la iscrizione alle classi preparatorie per la Scuola delle miniere dopo un brillante esame di prova riuscendo primo tra i compagni. Xx * x Senonchè, fin dai primi anni della sua dimora a Liegi, rovesci di fortuna ingoiarono la sostanza famigliare e le sue condizioni economiche diventarono subitamente difficili. Il disagio crebbe alla morte del padre avvenuta nel 1879, ed al disagio andò compagna anche la interruzione degli studi, segui- tati irregolarmente e non compiuti, che nell'anno scolastico 1882-83. Nel frattempo egli vagò tra Liegi e Torre Annunziata, fermandosi tra l'altro un anno a Parigi, dove conquistò la stima e la benevolenza di Hermite. Trascinato da forza prepotente verso le matematiche pure perdette ogni pas- sione per la carriera d'ingegnere e non si presentò agli esami per il diploma finale. Nel 1883 si ridusse a Roma: chiese, e gli fu concesso, di iscriversi all'ultimo anno di corso quale aspirante alla laurea in matematiche. Giunse qua nudo di beni di fortuna, con moglie ed una bambina di pochi mesi, prov- veduto, come unico mezzo di sussistenza, di un assegno decretatogli dal Muni- cipio di Torre Annunziata per aiutarlo negli studi, ma con fama assicurata di un ingegno portentoso per le matematiche e di una potenza di lavoro veramente singolare. Il Cesàro si presentò a noi con lettere di calda raccomandazione di un suo maestro, il prof. Eugenio Catalan, che era allora giustamente consi- derato come il migliore ed il più attivo fra i cultori della matematica nel Belgio. Il giudizio lusinghiero, che il Catalan formava sul valore del Cesàro, era ampiamente confermato dalla produzione scientifica già notevole del gio- vane geometra, il quale aveva saputo attirare sopra di sè l’attenzione di matematici eminenti, ed in specie dell’Hermite, con numerosi lavori su qui- stioni spinose di aritmetica e particolarmente di aritmetica asintotica, sulle probabilità geometriche, sulla serie armonica, sulla formula di Stirling, sui poliedri, sui numeri bernoulliani; lavori inseriti negli ultimi volumi della « Nouvelle Correspondence mathématique », pubblicata dal Catalan; ne’ primi volumi della nuova Rivista « Mathésis » edita a cura dei professori Neuberg e Mansion; e nelle « Nouvelles Annales de Mathématiques » di Parigi. Ma sovra tutti eccelleva una grossa Memoria di 350 pagine dal titolo modesto: Sur diverses questions d’arithmétique, stampata tra quelle della Società delle Scienze di Liegi con rapporto favorevole del Catalan. Nella quale Memoria, i gg ETA su === C° = = S/SE mr > è vm =_= Sii SI MT SCO Lia oltre a vari risultati sommamente ingegnosi appartenenti in proprio all'au- tore, è la prima dimostrazione sistematica, subordinata ad un unico concetto, di una quantità sterminata di proposizioni relative alla teoria dei numeri semplicemente enunciate da Liouville ne' primi tomi della seconda serie del suo giornale, e di altri teoremi di aritmetica asintotica scoverti dal sig. Berger, e che dal Catalan erano stati riprodotti nella « Nouvelle Correspondance Ma- thématique » colla qualificazione di teoremi straordinarî. Xx x X A Roma il Cesàro frequentò con diligenza esemplare i corsi delle Ma- tematiche superiori, e dalle cose apprese a lezione andava traendo materia a nuove ricerche sue personali: fra esse piacemi segnalare alcune su’ gruppi di sostituzioni, ed altre sugli zeri delle funzioni olomorfe, nelle quali ultime con rara eleganza si trovano felicemente ampliate alcune proprietà studiate dal Laguerre. Sebbene dotato di ingegno vivacissimo e versato in ogni ramo delle matematiche, sebbene non gli facesse davvero difetto la maestria dell’espo- sitore, come n’aveva dato prove non dubbie nelle corferenze, che io solevo tenere co’ miei allievi, pure mi confessò più volte, che il pensiero degli esami lo tormentava e non sapeva risolversi a subirne il cimento. Difatti si pre- sentò al solo esame di Analisi superiore con esito, non è a dire, splendi- dissimo. Terminato l’anno scolastico si ritirò a Torre Annunziata per prepararsi in quiete agli esami speciali, che ancora gli rimanevano a dare, e per alle- stire la dissertazione di laurea. Soggetto della dissertazione era il calcolo isobarico: l’autore prendeva le mosse da' risultati già noti per gli studi sulle funzioni simmetriche delle radici delle equazioni algebriche, ma colla sua mente elastica allargando la forma e il contenuto del calcolo faceva rientrare nel suo dominio la teoria dei numeri di Eulero e di Bernoulli, la serie di Lagrange, il calcolo alle differenze finite e delle equazioni alle differenze miste. Sebbene la dissertazione non sia mai stata pubblicata per intero e forsanco non mai terminata, larghi saggi di essa comparvero nel Giornale matematico di Napoli e nelle « Nouvelles Annales de Mathématiques ». Ma la compilazione della tesi di laurea non lo assorbiva completamente: attesochè vanno riferiti a quel tempo altri svariati lavori sull’aritmetica asin- totica, sulle serie e sulla Geometria cinematica. I quali studi di Geometria cinematica meritano particolare considerazione, perchè contengono il primo accenno all'impiego de’ metodi, che il Cesàro costituì poi in un corpo di dot- trina col titolo di Geometria intrinseca. i Naturalmente tutta questa esuberanza di produzione, caratteristica di mente irrequieta, lo distolse per sempre dall'adempiere alle formalità per il conseguimento della laurea e del titolo dottorale. O * x x Nel 1886, quantunque sfornito di gradi accademici, seguendo il consiglio degli amici, si presentò a concorsi banditi per cattedre di Matematica vacanti ne Licei e nelle Università, confidando che il merito de’ suoi lavori avrebbe incontrato equa estimazione presso le persone chiamate a giudicarlo. E non s'ingannò, perchè riuscì vittorioso in entrambe le gare. Con decreto reale del 1° ottobre 1886 fu nominato professore titolare di Matematica nel r. Liceo Mamiani di Roma, e con altro decreto reale del 29 novembre successivo elevato, a decorrere dal 1° dello stesso mese, al grado di professore ordinario di Al- gebra nell'Università di Palermo. In seguito a questi successi, uniformandosi alla proposta della Facoltà di Scienze e con autorizzazione del Ministero, il Rettore dell'Università di Roma conferiva per titoli al Cesàro il diploma di laurea in matematiche pure. * x x Una volta entrato nell’arringo universitario cominciò pel Cesàro una vita nuova. Egli aveva trovato la sua via: era nato professore e nell'esercizio del magistero fu veramente insuperabile e per zelo e per intelligenza, con poca soddisfazione forse degli svogliati, ma con sommo gaudio ed insigne profitto degli operosi. A Palermo, oltre l’Algebra, insegnò per cinque anni, colla qualità di incaricato, anche la Fisica matematica. Nel 1891 passò professore ordinario di Calcolo infinitesimale a Napoli dove successivamente fu anche incaricato prima dell'Analisi superiore e poi delle Matematiche superiori. Con decreto reale del 18 agosto 1906, per secondare un suo desiderio, fu destinato professore ordinario di Meccanica razionale a Bologna. Ma la inopinata sua fine impedì che il provvedimento avesse materialmente effetto. Nell'insegnamento dell'Algebra uscì subito dal cammino che era diven- tato tradizionale nelle nostre Università. Nel tracciare il nuovo indirizzo si inspirò alla celebre Introdwuetio in Analysin infinitorum di Eulero ed al Cours d'Analyse algébrique di Cauchy, per quanto lo comportavano le con- dizioni attuali della scienza. Anche nell'insegnamento del Calcolo infinitesi- male seppe portare dell’originalità, se non nell'indirizzo, certamente nella ric- chezza e nella scelta sapiente delle applicazioni. I due corsi di Analisi alge- brica e di Calcolo infinitesimale videro la luce per le stampe: anzi il secondo ebbe due edizioni. Entrambi poi vennero fusi insieme in una traduzione tedesca. L'eleganza della forma, la semplicità de' mezzi impiegati anche negli argo- menti più ardui e spinosi, la grande varietà delle applicazioni li rendono di studio dilettevole e suggestivo. Questi pregi li faranno sempre consultare con profitto da’ giovani, i quali amano procurarsi una coltura da un lato soda ed estesa, dall'altro lontana da una critica esagerata ed intempestiva, che spenga l'attitudine alla ricerca originale. GO) — Come insegnante di Fisica matematica e di Matematiche superiori, il Cesàro tenne dei corsi sulla teoria matematica dell’elasticità, sulla teoria ma- tematica del calore, sull'idrodinamica, sulla geometria intrinseca, sulla geo- metria non euclidea e sull’aritmetica asintotic@ Egli si proponeva di venirli mano mano pubblicando, ma non ebbe tempo ‘di farlo che per due, vale a dire per la Teoria matematica dell’elasticità e per la Geometria intrinseca. Nell’opuscolo suila Teoria matematica dell’elasticità non è propriamente no- vità di risultati, ma vi brillano le doti di concisa perspicuità, che distinguono tutti i lavori del Cesàro, e vi sono condensati in breve spazio i risultati più importanti conseguiti da scienziati italiani, fino al tempo in cui l'opuscolo venne alla luce, in una via aperta da due celebri Memorie del Betti e del Beltrami. Il libro sulla Geometria intrinseca, che ebbe anche una traduzione te- desca, con miglioramenti ed aggiunte all'originale italiano, rappresenta la sintesi di ricerche diuturne ed originali dell’autore, dirette a rifondere in una trattazione metodica ed uniforme gli svariatissimi problemi, i quali cadono nel dominio della Geometria differenziale intesa in senso lato. Ignoro se tra i manoscritti, che egli ha lasciato, sia il materiale per gli altri corsi. Sarebbe deplorevole che non vi si trovassero per esempio le lezioni sull’aritmetica asintotica; su questo soggetto il Cesàro si poteva ben dire un creatore, e so, da lettere scrittemi in diverse occasioni, delle fatiche che egli andava durando per dare alle lezioni stesse forma definitiva per la stampa. DAI x x Ma le occupazioni richieste od occasionate dagli obblighi dell’insegna- mento non rappresentavano che una parte secondaria nell'attività intellettuale del Cesàro. Dalla nomina a professore sino al giorno della morte mise fuori parecchie centinaia di Memorie sopra quasi tutti i rami delle matematiche, che riesce pressochè impossibile a classificare con sicurezza. Procedendo all'ingrosso se ne possono formare quattro gruppi. Un primo gruppo abbraccia i lavori di aritmetica asintotica, a' quali si collegano le ri- cerche sul calcolo della probabilità e sue applicazioni a quistioni disparatis- sime di aritmetica, di geometria e di analisi. Un secondo gruppo comprende le Memorie che hanno per obbiettivo le operazioni infinite, o in qualche modo vi si connettono, come le indagini sui limiti, sulle serie, sui prodotti infiniti, sui numeri bernoulliani ed euleriani. In un terzo gruppo vanno collocate le Memorie sulla Geometria intrinseca e nel quarto finalmente quelle sulla Fisica- matematica e sulla Meccanica. * X x Sarebbe impresa lunga ed in questo momento superflua l'entrare in un’ana- lisi anche sommaria di tanta e così eterogenea produzione scientifica: nol Vl consentono nè il tempo, nè il luogo. Del resto quale sia il giudizio che ne hanno recato gli studiosi, gli intelligenti comprenderanno quando sappiano che nel 1888 la Società italiana delle Scienze gli assegnava la medaglia d’oro su rapporto favorevole di un3, Commissione composta di Betti, Brioschi e Bel- trami; che era aggregato ol echò alla nostra Accademia, all'Accademia delle Scienze fisiche e matematiche della Società Reale di Napoli, all'Accademia Pontaniana della stessa città, alla Società italiana delle Scienze (detta dei XL), alla Società delle Scienze naturali ed economiche di Palermo, alle Accademie delle Scienze di Torino, di Bruxelles, di Lisbona e alla Società delle Scienze di Liegi. Guardando alla straordinaria fecondità scientifica del Cesàro, alla somma versatilità del suo ingegno, alla fertilità di espedienti che gli permetteva di trarre dalla più modesta esercitazione conseguenze inaspettate, alla abilità nella composizione di trattati didattici di lunga lena, la mente ri- corre subito ad Eulero, nè parrà alle persone discrete sproporzionato o indegno il paragone: a lui nocque soltanto la brevità della vita, che la robusta costi- tuzione prometteva lunga, e che un lagrimevole incidente troncò nella sua piena maturità. Ed ora due parole sull'uomo. Era il Cesàro nelle cose della vita comune di una ingenuità e di una buona fede veramente straordinarie: su questo capitolo si potrebbero raccontare di lui aneddoti appena credibili, che gli procurarono amarezze infinite. Tre passioni lo dominavano: la scienza, l’in- segnamento e la famiglia. Per procurare alla famiglia un'esistenza meno tra- vagliata, tentò a varie riprese di trovare un collocamento nel Belgio, negli Stati Uniti e nell’Australia, dove gli si erano fatte balenare speranze di un trattamento meno modesto di quello che è fatto agli scienziati italiani nel loro paese. Il passaggio dall'Università di Napoli a quella di Bologna egli lo cercò convinto che a Bologna più che a Napoli avrebbe avuto co- modità per dare a’ figli un'educazione seria. Privo di censo e ricco di prole, più vicino alla povertà che lontano dall’agiatezza, viveva contento degli emo- lumenti che gli derivavano dagli uffici universitari ed accademici. Non brigò cariche o mansioni remunerato, nè posizioni pubbliche che lo mettessero in mostra, o in qualche modo gli sottraessero tempo e forze a’ doveri d'inse- gnante ed agli ideali di scienziato. D'indole ritrosa e quasi selvatica, rari erano coloro che fossero in grado di apprezzarne tutta la nobiltà del carattere, salvo gli intimi, a’ quali apriva interamente il suo cuore e fra questi bisogna certamente collocare i migliori fra gli allievi e gli antichi suoi maestri. Io che ebbi con lui per lunghi anni dimestichezza e continuo carteggio, non senza profonda commozione sono RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 11 _=e==<«-vFECCTÙÒ==# 7 care = Ty. = == = > = e = = sc a Pas a. Ea o andato rileggendo ne’ giorni passati le lettere riboccanti di entusiasmo nelle quali mi veniva esponendo la tela de’ lavori in corso di esecuzione e di quelli orditi per l'avvenire. Ed ora non so rassegnarmi al pensiero che di tanta vita non resti più che un mesto ricordo! PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Presidente BLASERNA presenta una raccolta di pubblicazioni di cui ha fatto omaggio il Socio straniero, di recente nomina, prof. ERIKSSON. Lo stesso PRESIDENTE richiama inoltre l’attenzione dei colleghi su di un libro inviato in dono dal prof. DuHEM e avente per titolo: Zfudes sur Léonard de Vinci — Ceua quil a lus et ceua qui l'ont lu, e dà comu- nicazione di una lettera colla quale l’autore ha accompagnato il dono del suo lavoro. Presenta poi un volume pubblicato in ricordo del 70° anno di vita del Socio straniero prof. LieBEN; e aggiunge che alle onoranze tributate in questa occasione all’illustre chimico, prese parte anche l'Accademia rappre- sentata dal Socio straniero SuEss. Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia, segnalando un opuscolo del Corrispondente BERLESE, una Commemorazione del prof. E. Cesàro del prof. Amonko, e la pubblicazione Museo Mineralogico Borromeo fatta in occasione del 50° anniversario della fondazione della Società italiana di scienze naturali di Milano. CONCORSI A PREMI Il Segretario MiLLosevicH comunica gli elenchi dei lavori presentati ai concorsi aj premi Reali e Ministeriali, Santoro e Carpi, scaduti col 31 dicembre 1906. Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio di S. M. il Re per la Mistica. (Premio L. 10000. — Scadenza 31 dicembre 1906). 1. Arnò Riccarpo. 1) « Rivelatore di onde hertziane a campo Fer- raris =. Note I, II. (st.). — 2) « Sulla variazione di isteresi nei corpi ma- gnetici in campi Ferraris sotto l’azione di correnti continue, interrotte ed alternate e di onde hertziane». Note I-VII. (st.). — 3) « Sulla variazione di isteresi nei corpi magnetici in campi Ferraris sotto l’azione di correnti interrotte ed alternate di minima intensità, ed in particolare di correnti te- lefoniche » (st.). — 4) « Galvanometro telefonico » (st). — 5) « Apparecchio a campo magnetico rotante, per la misura delle correnti di alta frequenza i e e delle correnti indotte (correnti faradiche) usate per scopo medicale » (ms). — 6) « Sopra una nuova disposizione del rivelatore di onde hertziane a campo Ferraris » (ms.). 2. BatTELLI AncELo. 1) « Densità. dell'etere, del solfuro di carbonio e dell'alcool liquidi, sotto la pressione dei propri vapori saturi » (st.). — 2) « Sulle scariche oscillatorie » (st.). — 3) « La scarica oscillatoria nei fili di ferro » (st.). — 4) « La scarica oscillatoria nei solenoidi con anima di ferro » (st... — ©) « Ricerche sperimentali sulle scariche in solenoidi con anima di ferro » (st... — 6) « L’isteresi magnetica nel ferro per cor- renti di alta frequenza » (st.). — 7) « Sulle scariche oscillatorie (parte III) » (st.). — 8) « Ricerche teoriche e sperimentali sulla resistenza elettrica dei solenoidi per correnti di alta frequenza » (st.). — 9) « La scarica elettrica nel campo magnetico » (ms.). — 10) « Se le emanazioni radioattive siano elettrizzate » (st.). — 11) « Studi di radioattività » (st.). — 12) « Sulla natura della pressione osmotica » (st.). — 13) « Relazione fra la pressione osmotica e la tensione superficiale » (st.). — 14) « Sul calore specifico dei liquidi che solidificano a temperatura molto bassa » (st.). 3. CanovETTI Cosimo. « Ricerche sulla resistenza dell’aria » (ms). 4. MAJORANA QuiRINO. 1) « Su due fenomeni magneto-ottici osservati normalmente alle linee di forza » (st.). — 2) « Sul metodo e sulle sostanze da adoperarsi per osservare la birifrangenza magnetica » (st.). — 3) « Sulla birifrangenza magnetica e su altri fenomeni che l'accompagnano » (st.). — 4) « Sulle rotazioni bimagnetiche del piano di polarizzazione della luce » (st.). — 5) « Sulla rapidità con cui si manifesta la birifrangenza magnetica » (st.). — 6) « Sul fenomeno Majorana » (st.). o. PALLADINO Pietro. 1) « Sulla unità delle forze e della materia » (ms.). — 2) « Nuova dimostrazione del principio d'Archimede » (ms.). 6. Somma RAFFAELE. « Il cannocchiale geometrico in relazione all'ottica fisiologica » (ms.). 7. AnonIMO (col motto « Dio è il nostro Padre ecc. »). « Cosa è l'Elet- tricità » (ms). Ì Elenco dei lavori presentati per concorrere ai premi del Ministero della P.I. per le Scezenze naturali. (Due premi del valore complessivo di L. 2600. — Scadenza 31 dicembre 1906). 1. ArioLa Vincenzo. 1) « Rigenerazione naturale eteromorfica dell’'oftal- mopodite in Palinurus Vulgaris » (st.). — 2) « La merogonia e l'ufficio del centrosoma nella fecondazione merogonica » (st.). — 3 « La merogonia e l'ufficio del nucleo nella fecondazione » (st.). — 4) « Simbiosi e parassitismo nel regno animale » (st.). — 5) « Due pesci abissali del Mediterraneo » (st.). rea sr LS — na dal ee cri sa = Ii dl: IENEÌ RE | HE i \ sli | I di — 6) « Pesci nuovi e rari per il golfo di Genova » (st.). — (7 « Appunti il sulla Fillossera della vite in Liguria » (st.). — 8) « Sono le tenie metage- niche? » (st... — 9) «I Cestodi e la metagenesi » (st). —- 10) « Due nuovi | i Trematodi parassiti dell’uomo » (st.). — 11) « Pressione osmotica e potere fe- i condante nei nemaspermi » (st.). — 12) « Polielmintiasi umana da Plerocer- coide » (st.). — 13) « Monostoma filicolle e Distoma okeni » (st.). — {| 14) « Ricerche sulla digestione nelle Aplisie » (st.). î| 2. BeLLINI RAFFAELE. 1) « L’elveziano nelle colline di Chivasso presso il Torino » (st.). — 2) « Alcuni nuovi fossili Sinemuriani dell'Appennino cen- | trale » (st.). — 3) « The freshwater Shells of Naples and the neighbourhood » (st... — 4 « La faune des mollusques fossiles néogènes du périmètre du golfe de Naples » (st.). — 5) « L'influenza dei mezzi come causa di varia- zioni e di dispersione nei molluschi » (st.). — 6) « Le varie facies del mio- cene medio nelle colline di Torino » (st.). — 7) « Les ptéropodes des terrains tertiaires et quaternaires d'Italie » (st.). — 8) « Osservazioni paletnologiche i sull’isola di Capri » (st.). I 3. CaccramaLI G. B. 1) « Fascio stratigrafico Botticino-Serle » (st.). — 2) « Studio geologico della regione Botticino-Serle-Gavardo » (st.). — 3) « Sorgenti dei dintorni di Brescia » (st.). — 4) « A proposito del calcare Majolica » (st.), — 5) « Rapporti tra il Lias ed il Giura in provincia di Brescia » (st... — 6) « Rilievo geologico tra Monticello, Ome, Sajano e Gus- sago » (st... — 7) « La punta d'Oro presso Iseo » (st.). — 8) « Rilievi geo- tectonici tra lago d'Iseo e Val Trompia » (st.). Il 4. CheLussi IraLOo 1) « Note di geologia marchigiana » (st.). — i 2) « La Barra di Visso » (ms.). — 3) « Nuove note di geologia marchigiana » LI (ms.). — 4 « Studio petrografico di alcuni ciottoli cristallini erratici nelle Marche » (ms.). | 5. CurRERI Giuseppe. 1) « Sulle cause normali delle differenze tra | fratelli, indipendentemente dal sesso di essi » (st.). — 2) « Metodi nuovi I e semplici per fissare e ritrovare dei punti interessanti di preparati micro- il scopici » (st.). — 3) « Metodi vecchi e nuovi per determinare e ritrovare la | posizione di uno o più punti interessanti di preparati microscopici » (st.). | 6. FAntAPPIE LiBERTO. « Studio cristallografico del Peridoto di Monte- i fiascone » (st.). Ni 7. FERRO ANGELO AntoNIO. 1) « L'origine delle terre gialle veronesi » (st... — 2) « L'acqua nell’ heulandite di Montecchio Maggiore » (st.). — 3) « Contributo alla conoscenza dei fenomeni di metamorfismo di contatto nell'alta valle Zebrù » (st.). 8. GRrIFFINI AcHILLE. 1) « Gli uccelli insettivori non sono utili al- l'agricoltura » (st.). — 2) « Sui Lucanidi e sulla grande variabilità dei loro maschi » (st.). — 3) « Studî sui Lucanidi. 1°. Considerazioni generali sulla grande variazione di caratteri nei maschi dei Lucanidi » (st.). — 4) « Lu- RS canidi raccolti da L. Fea nell'Africa occidentale » (st.). — 5) « Studî sui Lucanidi. 2°. Sull’Odontolabis Lowei Parr. » (st.). — 9) « Ortotteri raccolti da L. Fea nell’Africa occidentale » (st.). — 7) « Studî sui Lucanidi. 3°. Sul- l'Hexarthrius Buqueti Hope » (st.). i 9. MartEL Epoarpo. 1) « Contribuzione all'anatomia del fiore delle Ombrellifere » (st... — 2) « Contribuzione all’anatomia del fiore dell'Hedera helix, dell’Aralia Sieboldii e del Cornus sanguinea » (ms.). 10. PLataNIA GAETANO. 1) « Aci Castello; ricerche geologiche e vul- canologiche » (st.). — 2) « Sulla velocità dei microsismi vulcanici » (st.). — 3) « Origine della 7impa della Scala; contributo allo studio dei burroni vul- canici » (st.). — 4 « Su un moto differenziale della spiaggia orientale del- l'Etna » (st.). — 5) « Sur les anomalies de la gravité et les bradysismes dans la région orientale de l'Etna » (st.).. — 6) « Effets magnétiques de la foudre sur les roches volcaniques » (st.). (in collab. con Giov. Platania). — 7) « Sul magnetismo prodotto da fulminazioni » (st.) (id.)) — 8) « Sul- l’acclimazione del the in Sicilia » (ms.). — 9) « Sopra il magnetismo delle lave e dei mattoni, prodotto da fulminazioni» (ms.). — 10) « Sull’ordina- mento degli studi geologici in Italia» (ms.). 11. SquinAaBoL SENOFONTE. 1) « Radiolarie Cretacee degli Euganei » (st... — 2) « Pseudofossili dei Gneiss e dei Micascisti » (st.). — 3) « Due Grotte del Veneto » (st.). — 4) « Notizie sulla frana tra il Venda e l'Or- sara » (st... — 5) « Les Chaudrons du Brenton » (st.). — 6) « Studio geo-fisico delle Isole Tremiti» (ms.). 12. TraBUCcco Giacomo. 1) « Le applicazioni della Geologia nell'Agri- coltura moderna » (st.). — 2) « Fossili, stratigrafia ed età dei terreni della Repubblica di S. Marino » (st.). — 3) « Stratigrafia, età e chimica costitu- zione delle argille galestrine (94@/estr:) nel bacino di Firenze » (st.). — 4) « Stratigrafia, età e chimica costituzione dell'arenaria Maligno e degli scisti argilloso-arenacei (bardellone) della prov. di Firenze » (st.). — 5) «I terreni della prov. di Firenze » (st.). — 6) « Fossili, stratigrafia ed età del calcare di Acqui (Alto Monferrato) » (ms.). — 7) « Carta &eognostico-geolo- gica di Lamporecchio». — 8) « Carta geognostico-geologica di Carmignano » . — 9) « Carta geognostico-geologica di Boscoluzgo ». — 10) « Carta geo- gnostico-geologica di S. Marcello Pistoiese ». — 11) « Carta geognostico- geologica di Serravalle Pistoiese ». — 12) « Carta geognostico- geologica di Buggiano ».. 13. UcoLINI Riccarpo. 1) « Contribuzione allo studio delle roccie del- l'alto Egitto » I-II. (st.). — 2) « Di una Eufotide a Saussaurite dei dintorni di Castiglianello nei monti livornesi» (st.). — 3) « Descrizione geologica dei monti d'oltre Serchio » (st.). — 4) « Ricerche sopra il coefficiente d'im- bibizione di alcuni materiali edilizi dei dintorni di Pisa e di Livorno » (st.). — 5) « Il Rhinoceros Mercki Jaeg. dei terreni quaternari della Val di Chiana » (st.). pesi e n - e We er ra cis aree x gli P- dis scsi irene Sigg —- 14. UcoLINI UcoLIno. 1) « Nota botanico-agraria sulle forme di stagione delle piante » (st... — 2) «Ifenomeni periodici delle piante bresciane » (st.). — 3) « Quinto elenco di piante nuove o rare pel bresciano » (st.). — 4) « Nota preliminare sui fenomeni della fioritura nelle piante bresciane » (st). — 5) « Curiosità della flora bresciana: La Margheritona grande (CArysantemum amplifolium A. Fiori)» (st.) — 6) « Saggio di studî sulla vita iemale delle piante » (st.). — 7) « Contributo alla florula arboricola della Lombardia e del Veneto » (st.). 15. Zoppa Giuseppe. 1) « Sull’ispessimento dello stipite di alcune palme » (st.). — 2) « Le briofite del messinese » (st.). — 3) « Sulla vege- tazione del messinese; saggio di ecologia botanica » (st.). — 4) « Dell’ap- plicazione di alcuni metodi grafici in geografia botanica » (st.). Elenco dei lavori presentati per esser presi in considerazione per la Fondazione Santoro. 1. Gosro BarroLomeo. « Studi sulle bioreazioni dell'arsenico, tellurio e selenio, e loro applicazioni pratiche » (st.). 2. Masorana QuIRINO. « Ricerche ed esperienze di Telefonia elettrica senza filo » (ms.). - 3. VANGHETTI GIULIANO. « Plastica e protesi cinematiche. Nuova teoria sulle amputazioni e sulla protesi » (st.). 4. AnonImo (col motto: « Mai sono tanto vicino » ecc.). « Cosa è la Gravità » (ms.). Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio Carpi per la Zoologia. (Premio L. 900. — Scadenza 31 dicembre 1906). VAN RyNBERK GERARDO. « La metameria somatica, nervosa, cutanea e muscolare dei vertebrati » (ms.). CORRISPONDENZA Il Segretario MiLLosevicH dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: Le Società Reali di Londra e di Melbourne; la R. Accademia delle scienze di Lisbona; l'Accademia delle scienze di Nuova York; le Società zoologiche di Amsterdam e di Tokyo; le Società geologiche di Londra, di Manchester e di Washington; il Museo di storia naturale di Nuova York; gli Osservatorii di San Fernando e di Cambridge Mass. E. M. uu SETE E > Spie di ir Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2% — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875- 76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 38 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. 3 MolSIVo Ve VIS NVIESVIE Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2). — II-XIX. MremorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIL. — Serie 4* — ReNDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze ‘fisiche, a e naturali. Vol. I-XVI. (1892-1907). Fasc. 1°. : RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1906). Fasc. 5°-6°. MemoRIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturale. Vol. I-VI. Fasc. 1°-8°. MemMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. PeWol. aggiungendo che probabilmente a questo tipo corrispondevano: nel campo della chimica inorganica i composti di due molecole di anidride arseniosa con una di ioduro di potassio studiati da Schiff e Sestini (') e da Ridorff (?), ed in quello della chimica organica il composto di ossido di etilene e di bromo ottenuto dal Wiirtz (*), per i quali potevano scriversi le formole: AI0 CH, ao” OK i Ct A10 CH (1) Gazz. Chim., t. XV, pag. 156. (2) Berichte 1885, pp. 86 e 88. (*) Annales de Ch. et de Phys. t. 69, pag. 321. RenpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. i; 12 roc = == iosa Telnne = STZZZA — pre mmiog:i Ammesse queste formole ne veniva che il polimero dell’ossido di etilene descritto dal Wirtz e generalmente rappresentato con la formola CH, — CH O0 i an =“ 5 0) — il raffreddamento si rapprende in una massa incolore. Abbiamo fatto l’ana- lisi di questo composto per via ponderale e per via volumetrica. Gr. 0,0685 di sostanza ci hanno fornito gr. 0,086 di solfato di bario, ossia Acido solforico per 100 . . . 52,84 gr. 0,2014 di sostanza sciolta in acqua consumarono c. c. 21,5 di Na OH ; : gr. 0,2047 consumarono c.c. 22 di soda n onde Acido solforico per 100. . . . 52,88 52,66. Per la formola (CX H,0): H:SO, si calcola: Acido solforicogt 0... 52168! Il diossietilene si combina con la maggiore facilità col cloruro mer- curico e fornisce il composto (Cs H, 0), Hg CL». Si prepara mischiando la soluzione di sublimato con diossietilene, e si ottiene immediatamente sotto forma di un precipitato bianco, solubile nell'acqua calda, nell’alcool, nel- l'etere e può aversi ben cristallizzato. Per lo scaldamento sublima. All’analisi abbiamo avuto i seguenti risultati: Gr. 0,2754 di sostanza fornirono gr. 0,2150 di Ag CI, e perciò Cloro 19/01: Si ie OZ mentre.si calcola... .. 519778 Fra le varie reazioni che abbiamo tentato ci ha dato risultati degni di attenzione l’azione dell'acido jodidrico concentrato sul diossietilene a 140° in tubi chiusi. Si separa dell’jodio e nel prodotto ottenuto ci è stato possi- bile di riconoscere la presenza di un joduro alcoolico, probabilmente joduro di etile, e la formazione di acido acetico, che fu riconosciuto alle sue rea- zioni e preparandone ed analizzandone il sale di argento. Saturando il pro- dotto acquoso che distilla fra 100-105° con carbonato d’argento, filtrando dal AgI, e svaporando a b. m. si ebbero degli aghi splendenti che diedero i seguenti risultati : Gr. 0,2788 diedero gr. 0,2137 di AgCl onde per 100 Agr n, Le SAL ON mentre si calcola per l’acetato Agri: «I LOTO: Questa reazione si può spiegare facilmente ammettendo che il diossi- etilene si scinda secondo la linea punteggiata e che il gruppo si trasformi per trasposizione in acido acetico, mentre il CH. | CH, — addizionando HI fornisca il joduro di etile. Abbiamo pure fatto dei tentativi per preparare il composto del diossieti- lene col cloro e con l'acido cloridrico, ma finora non abbiamo avuto risultati degnì di nota. Abbiamo anche fatto agire su di esso l’acido ipocloroso ed il Joduro di cianogeno senza miglior frutto. Il diossietilene si combina al percloruro di fosforo; riscaldando in tubi chiusi con percloruro e ossicloruro di fosforo reagisce, e fra i prodotti della reazione si ottiene del cloruro di etilene. Ossidato col permanganato potassico fornisce acido carbonico col acido ossalico. Queste esperienze, dalle quali così chiaramente risulta che il diossie- tilene ha il comportamento dei composti contenenti un doppio legame, e dal- l'altro lato quello tipico dei composti contenenti l'ossigeno basico, ci face- vano propendere per la formola ossonica che abbiamo sopraccennato, quan- tunque non potessero considerarsi come decisive, ed in questo senso ci siamo espressi nella comunicazione fatta alla Società Chimica il 10 dicembre 1905. Ma prima di procedere oltre abbiamo voluto esaminare se la supposi- zione annunziata molto tempo addietro dal Laurengo della identità dell’ani- dride dietilenica (p. eb. 95°) col diossietilene del Wiìrtz (!) fosse confermata, e perciò abbiamo preparato un poco del prodotto della reazione del bromuro di etilene col glicol in tubo chiuso a 140°. Il composto ottenuto si combina col bromo per dare il bromuro così caratteristico del diossietilene, e perciò è senza dubbio con esso identico. Questo risultato è evidentemente di una grande importanza per il problema che studiamo. Non può mettersi in dubbio che l'anidride dietilenica del Lau- rengo, la quale si forma dal glicol dietilenico CH, . CH;.0H O» Limnaca palustris Miller. Rumina decollata Lin. » peregra ” Cionella lubrica ” specie tutte adesso viventi nel vicino fiume Oreto ed in un laghetto proprio confinante col deposito in questione. RenpIcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 15 — 112 — La parte superiore del travertino potente metri 2,50 è resistente, dura, concrezionata come l’inferiore e sembra a prima vista formata da un'unica massa, mentre invece risulta di due strati quasi eguali in potenza divisi da uno straterello potente in media 40 centimetri formato da humus di natura calcarea e molto nerastro. Ricercando in questa zona mediana ho trovato dei pezzetti d’ossidiana, qualche coccio preistorico, valve di patelle, una serie di gusci di molluschi terrestri eduli ed avanzi di carbone. Con l’aiuto della Direzione del Museo Nazionale di Palermo ho proce- duto ad un saggio facendo eseguire una fossa profonda m. 2,50 dal terreno coltivato soprastante; tolta la terra ed il travertino superiore potente m. 1,25, pervenuti allo strato terroso, nella sezione naturale del quale avevo tro- vato gli avanzi preistorici, abbiamo rinvenuto un'accetta di fattura molto grossolana, una punta di raschiatoio d'ossidiana, un coltellino e pezzi informi dello stesso minerale, gusci di patelle ed elici, diversi frammenti di terre- cotte e molti ciottoli più o meno manufatti. La posizione veramente singolare di questi avanzi, e che esclude pos- sibili rimaneggiamenti del terreno per azione dell'uomo o degli agenti esterni, consiglia di eseguire in primavera uno scavo più esteso dal quale potranno ricavarsi elementi preziosi per la preistoria; per ora, dando notizia di questo studio iniziato, mi limito a porre in rilievo come la potenza notevole del travertino soprastante costituisca per me una prova indiscutibile dell'antichità grandissima di questa stazione umana. Fisica. — L’isteresi magnetica del ferro per correnti di alta frequenza. Nota di 0. M. CorBINO, presentata dal Corrispondente D. MacaLUSO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — // fenomeno dell'arco cantante în un circuito, che non ha un periodo proprio d'oscillazione. Nota del dott. MIicHELE La Rosa, presentata dal Corrispondente D. MacaALUSO. Nello studio del fenomeno dell’arco cantante, è stato sinora generalmente ritenuto, che le oscillazioni possono solamente prodursi, se il circuito deri- vato ai suoi poli ha un periodo proprio. È stato però anche osservato, che spesso il periodo delle oscillazioni prodotte, non è quello, che con le leggi della elettrodinamica si ricaverebbe dalle costanti del circuito stesso, e che dipende, inoltre, dalla lunghezza dell'arco e dall’intensità della corrente d'alimentazione. — 113 — Questo comportamento, recentemente rischiarato dalle belle ricerche del prof. Simon ('), induce a pensare, che l'arco non serva soltanto a riparare alle perdite di energia che hanno luogo nel circuito derivato, ma che esso intervenga direttamente nella produzione del fenomeno, imponendo delle con- dizioni dipendenti dal suo funzionamento. Può quindi sorgere il dubbio, che l'arco, per sè solo, abbia facoltà d’'intrattenere delle oscillazioni nel circuito derivato ai suoi poli, anche quando questo non abbia un periodo di oscilla- zione proprio. La relazione che rilega l'intensità della corrente nell’arco con la diffe- renza di potenziale ai suoi poli, è assai complessa e dipendente anche dalla rapidità con cui mutano questi elementi (*); non è perciò facile dedurre con un calcolo anche approssimato la possibilità di tali oscillazioni. Un ragio- namento sintetico ci permette, però, di ottenere qualche utile indicazione sul riguardo. Supponiamo l'arco già acceso, ed in quelle condizioni di funzionamento, che corrispondono al tratto della sua caratteristica, in cui, il rapporto fra le variazioni della differenza di potenziale ai poli e le corrispondenti varia- zioni dell'intensità, è molto grande; e supponiamo che, in un certo istante, si schiuda il circuito derivato ai suoi poli, inizialmente interrotto, e nel quale si trova un condensatore. A causa della differenza di potenziale ai poli dell'arco, il condensatore comincia a caricarsi, a spese dell'intensità è (*) (éo rimane sensibilmente costante per la grande induttanza del ramo d'alimentazione); ed allora di- minuisce rapidamente la corrente nell'arco, e cresce la differenza di poten- ziale ai suoi poli. Il condensatore si va perciò caricando con differenze di potenziali, superiori a quella iniziale dell'arco. A misura che il condensatore si carica la corrente va riprendendo la sua via attraverso all’arco, la differenza di potenziale ai poli di questo di- ° minuisce, ed il condensatore comincia a scaricarsi. L'intensità della corrente e la differenza di potenziale nell’arco acquistano valori rispettivamente, su- periori ed inferiori a quelli del regime iniziale; ma siccome al crescere di 7, CTPPVA OI SMRMERTE 6 ul dv È le variazioni di vanno diventando sempre più piccole, e il di Varia sempre più lentamente, il condensatore a un certo punto cesserà di fornire elettricità, la corrente nell'arco tornerà a decrescere, la differenza di potenziale a cre- scere, ed il condensatore a ricaricarsi. Così il fenomeno potrà riprodursi identicamente come prima. (1) Simon, Phys. Zeitschr., vol. VII, n. 13, luglio 1906. (?) Simon, Phys. Zeitschr., vol. VI, pag. 297, 1905. (*) Al piede delle lettere che indicano le grandezze elettriche nel circuito d’alimen- tazione, nell’arco, e nel ramo derivato porremo rispettivamente gli indici 0,1,2. =: = rs © = — ll4 — Perchè ciò avvenga, è necessario che l’arco rifornisca al circuito deri- vato ai suoi poli, l'energia (*), che in questo si dissipa sia nella fase di carica che in quella di scarica. Questa stessa è la nota condizione che deve essere soddisfatta, per avere onde persistenti nell’ordinaria disposizione di Duddel. Concludiamo che, in un sistema che comprenda una capacità ed un arco voltaico, si possono produrre delle variazioni periodiche d’ intensità e di differenza di potenziale, e perciò delle oscillazioni (armoniche o no), qualunque sia la sua autoinduzione, purchè la sua resistenza sia tale, che l'energia dissipata durante una carica ed una scarica, resti inferiore, o al massimo uguale, all'energia che l’arco può fornire al sistema. Nel precedente ragionamento, si suppone che-i mutamenti nelle condi- zioni dell’arco, siano tali da non alterarne il comportamento. Alla stessa conclusione possiamo pervenire anche per un'altra via. L'energia elettrostatica inizialmente accumulata nel condensatore, si divide, durante la scarica, in tre parti: la prima, in virtù dell’ induttanza del circuito, si trasforma in energia elettromagnetica, la seconda viene assor- bita dall'arco, e la terza è dissipata dalle resistenze ohmiche del sistema. Ora, se in questo avvengono delle oscillazioni permanenti, è necessario che l'arco possa, da una parte, restituire ogni volta l'energia (*) che ha assorbita, e dall'altra riparare alle perdite avvenute; cioè, esista o no nel circuito deri- vato un'induttanza, l'arco si comporta sempre come se disimpegnasse questi due uffici: 1° immagazzinare energia mentre il condensatore ne cede; 2° sup- plire con la propria l’energia dissipata. È evidente che la sua prima funzione è analoga a quella di un'induttanza; ed è perciò possibile, che nel sistema prendano origine delle oscillazioni, anche quando questa manchi, o, in gene- rale, quando il sistema non è capace, per sè stesso, d'oscillare. La legge che regolerà le vibrazioni, sarà intimamente collegata con la legge di variazione dell'intensità 7, = #0 — %» nell'arco in funzione del tempo; e quindi dovrà dipendere anche dalle costanti elettriche del circuito derivato; ‘ (1) Sebbene quest’energia provenga in ultima analisi dalla sorgente che alimenta l’arco, pure si può con ragione dire che essa viene presa immediatamente da questo. In- fatti l'intensità della corrente e la differenza di potenziale nell’arco si possono, in questo caso, supporre dati da: = a es=e— ea in cui i ed e sono costanti ed 7» ed es sono in generale somme di seni (serie di Fourier). L'energia spesa nell'arco durante un periodo dell’oscillazione fondamentale è data da au IT eii,= @%0T — 69 is dt 0 (o) e quest’ultimo integrale, come è noto, è positivo ed uguale all’energia dissipata nel cir- cuito derivato (vedi Simon, Phys. Zeitsch. vol. VII, loc. cit.). () Cfr. nota precedente. — 115 — perciò, se questo ha un periodo proprio d’oscillazione, le vibrazioni che si producono tendono ad assumere il periodo assegnato dalle leggi elettrodina- miche; anzi dovremmo trovare che lo assumono effettivamente, se fosse pos- sibile portare in conto il comportamento completo dell'arco. Se il sistema non possiede periodo proprio, la durata delle possibili oscillazioni dovrà essere uguale al tempo (in pratica sempre finito) richiesto per la carica e per la scarica del condensatore, le quali procedono con legge esponenziale; pertanto il periodo dell’oscillazione sarà tanto più piccolo, quanto più grande è lo smorzamento; e potremo addirittura ammettere, che il periodo sia a questo inversamente proporzionale. Consideriamo il caso limite, in cui l’induttanza del circuito derivato ai poli dell'arco sia nulla. Con un calcolo approssimato, analogo a quello che si suole condurre nel caso in cui il sistema abbia un periodo proprio (trascurando cioè l'influenza dell'arco), possiamo ottenere il valore di questo smorzamento. La scarica, o la carica, del condensatore si farà con la legge: E sio che dà MS (1) i= Ae 3° il periodo delle oscillazioni da noi supposte dovrà essere in questo caso pro- porzionale a RC, cioè le oscillazioni saranno tanto più rapide, quanto più piccole sono la resistenza e la capacità del circuito. Se in questo stesso circuito, introduciamo un’ induttanza L, che soddisfi alla nota condizione L 2 se R°<4G le oscillazioni, tendono a prodursi col periodo 41°C(0 — 9 —s———<""“ 73 È STR il quale per L= + R°C, è minimo ed uguale a — RARO. Questo tempo è poco differente dal doppio di quello nel quale si può praticamente ammettere che avvenga la carica o la scarica del condensatore, vale a dire dal periodo di una delle oscillazioni ammesse. Infatti ponendo circa del suo valore nella (1), p. es. t= 5RC, la % diventa uguale ad 150 iniziale. rrr—————= cf — 116 — In altri termini, è lecito aspettarsi, che il periodo delle oscillazioni, che sì possono produrre quando manca l’'induttanza, è compreso fra i periodi proprî più piccoli che lo stesso sistema può acquistare per tutti i possibili valori di L. Inoltre le oscillazioni prodotte avranno in questo caso ampiezza mag- giore, non solo per la diminuzione dell’impedenza, ma anche perchè, simul- taneamente, diminuisce il periodo (*), e cresce la quantità di elettricità che circola. Le precedenti supposizioni furono verificate nel modo seguente: In un circuito rilegato alla rete urbana (differenza di potenziale di 150 volt) fu introdotto un reostato a lampade, un’induttanza di qualche decimo trai J LI ) l Ù J I I Il Ù Tali di henry, un arco orizzontale fra carboni omogenei di 11 mm. di diametro, ed un amperometro. Ai poli dell'arco fu rilegato mediante 45 cm. di cordoncino di rame (diametro 1,2 mm.) un condensatore con capacità regolabile da 1 a 10 microfarad. L'induttanza fu ridotta al minimo possibile; era quella delia piccola area compresa fra i carboni ed i capi del cordoncino ad essi rilegati. Supponendo quest'area di forma rettangolare, e delle dimensioni (massime) 25 X 2 em., ed i fili dello stesso diametro dei carboni, il valore dell'induttanza risulterebbe uguale a 140 cm. Ammettendo che, anche lungo il cordoncino e nell'attacco col condensatore, si aveva una piccola induttanza, (1) La diminuzione di periodo porterebbe evidentemente un accrescimento nell’am- piezza anche se la quantità di elettricità che circola restasse costante. Ma quest’accre- scimento, allontanando i limiti entro cui oscilla l'intensità della corrente nell’arco, allon- tana i limiti corrispondenti della differenza di potenziali ai poli di questo e perciò del condensatore, el accresce per conseguenza la quantità di elettricità messa in moto in ciascuna carica o scarica. — 117 — si potrebbe, esagerando, raddoppiare il numero precedente. Saremo perciò cer- tamente nel vero, assumendo l’induttanza residua come inferiore a 500 cm. Accendendo l'arco si producevano con facilità delle oscillazioni di fre- quenza ed ampiezza assai grandi, anche quando nel ramo derivato, veniva introdotta una resistenza non induttiva di alcuni ohm. Il suono dato dal- l'arco era, specialmente con capacità grandi, assai puro, stabile ed intenso. La sua altezza variava molto al variare della capacità, o della resistenza del ramo derivato, poco quando si escludeva una parte dell’induttanza del ramo principale (1). La produzione delle oscillazioni non poteva attribuirsi all'esistenza di un periodo proprio del ramo derivato, a causa della piccola induttanza residua. Infatti, le oscillazioni nell'arco si producevano ancora, quando il circuito derivato ai suoi poli possedeva una resistenza rigorosamente non induttiva di sette ohm (*) (misurata a freddo), ed una capacità di 10 o 5 microfarad. Il valore limite dell’induttanza dato dalla relazione R° = 4L/C, per R=70hm e C= 10 microfarad è uguale a 12 - 104 cm. cioè, all'incirca, 240 volte maggiore di quella induttanza che, con esagera- zione si è supposta esistere nel circuito. Questi risultati non ci permettono ancora di concludere, che l’arco possa produrre oscillazioni in un sistema senza periodo proprio. Infatti, tutta la disposizione rappresentata dalla figura, forma un sistema elettrico con due gradi di libertà, ed è possibile, che il sistema intero abbia un periodo proprio, anche quando le sue parti, separatamente considerate, non l'abbiano. Si potrebbe quindi dubitare che le oscillazioni osservate di- pendessero da questa proprietà del sistema. La teoria generale dei sistemi vibranti (*), che può bene essere appli- cata a questo caso particolare, nell'ipotesi ordinaria che l'arco si comporti come una semplice resistenza, ci permette di eliminare questo dubbio. In generale come è noto, la legge delle oscillazioni si ottiene coll’ inte- grazione di due equazioni differenziali, che possono essere o ricavate diret- tamente per mezzo delle leggi dell’elettrodinamica, o dedotte dalle espres- sioni dell'energia cinetica, potenziale e dissipata. (1) L’induttanza esclusa era una frazione sconosciuta dell’induttanza totale, perchè in questa era compresa l’induttanza della rete urbana. (®) Nella consueta disposizione di Duddel, la resistenza del circuito derivato difficil- mente può oltrepassare due ohm. Nel caso mio ha resistenza, in filo d’argentana, era certamente molto superiore a sette ohm, perchè, per il passaggio della corrente oscillante si riscaldava tanto da bruciare la sua copertura di seta. (*) Raylegh, Teorie of Sound. — 1183 — Nel caso del sistema rappresentato dal nostro schema, le equazioni diffe- renziali sono: picco ° dh da + Roo + R,01= È sad Li + Rsi,=0 Ria + î — ta = do dalle quali, eliminando 7, e derivando rispetto al tempo, si hanno le d* vo dio dis PR, Lia dt* + (R+R) di — Ri di 0 La Ce (i 4r) e rie Eliminando ancora l'una o l’altra delle 7. si ottiene: di Lo La 0 4 [Iy(B: + Re) + Le(Ro + R)] De + # Ro + Ri di (1) + + R(R +B) +RR | gt a La caratteristica di questa equazione è: 2 +| A+ Mal [a+ Pl ORE RISIERI dla ae ml: © O cioè di 8° grado; ma i suoi coefficienti sono delle funzioni piuttosto com- plicate delle costanti del sistema, e mal si prestano ad una discussione. Però, nel caso nostro, potremo introdurre una semplificazione, ponendo L.=0. Allora la (1) diventa: IR; + Ra) DE p[ 4 nm + +1 + ERE con la caratteristica di 2° grado: R, Re TR +| Tata trat |:+ogr dk Queste formole (!) ci dicono che l’intero sistema si comporta, a meno di quantità costanti, come un sistema elettrico con un solo grado di libertà, (*) Formole analoghe, per il caso più particolare in cui anche Rs="0 sono state date dal sig. Mizuno. — Drude Ann., vol. IV, pag. 811, 1901. — 119 — che abbia la stessa induttanza L, del sistema dato, e resistenza e capacità espresse rispettivamente da: (REZZE R, Ro > Lo Soi, ni INEESE R, + Re C ik, è Questo sistema sarà capace d'’oscillare, se è soddisfatta la condizione: Calcolando i valori di R' e C’' per mezzo delle costanti note del cir- cuito, supposta sempre sostituita all'arco una resistenza ohmica equivalente (dal punto di vista della ripartizione dei potenziali), risulta, in unità pra- tiche: R°= 160.000 4 n = 58.000; quindi nelle condizioni delle nostre esperienze, il sistema non poteva avere periodo proprio. Del resto anche quando la condizione superiore fosse soddisfatta, le oscillazioni corrispondenti al periodo proprio del sistema sarebbero molto più lente, di quelle ottenute nelle precedenti esperienze. Infatti la frequenza delle oscillazioni proprie del sistema è data da: 1 1 16 o on ia essa risulta più piccola della frequenza delle oscillazioni, che si produrreb- bero nel sistema, con un solo grado di libertà, al quale si riduce il nostro sopprimendo il ramo dell'arco; perchè mentre la C' differisce poco da C (essendo le R poco differenti fra loro), la R' è molto più grande della Ro, a causa principalmente del termine Lo/C(R, + Rs) (?). Calcolando la frequenza di quest'ultimo sistema, si ottiene all'incirca, 1 p = 160; e le possibili oscillazioni dell'intero circuito dovrebbero essere ancora più (1) Nel caso delle mie esperienze, essendo, in misura assoluta, Lo dell’ordine di grandezza 108, C, al massimo, dell’ordine 107! e le R dell'ordine 10°, la R' risulta uguale ad R, più un termine il cui ordine di grandezza è almeno 10* Ro. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 16 — 120 — lente. La misura, fatta con l'aiuto di un sonometro, nelle condizioni speri- mentali per le quali vale il risultato precedente, diede invece = 7800; Fall= ossia un numero 50 volte più grande del limite massimo a cui può tendere la frequenza delle oscillazioni proprie del sistema, supposto che esistano. Possiamo perciò legittimamente affermare che, l'arco elettrico può in- trattenere delle oscillazioni persistenti, in un sistema che non ha un pe- riodo proprio d'oscillazione. Le vedute precedenti ci portarono alla conclusione che, per Ls nulla, il periodo delle oscillazioni dev'essere proporzionale al prodotto R,C, e quindi a C, per R» costante. Riportiamo alcuni numeri ottenuti, quando il circuito derivato possedeva la piccola induttanza residua, di cui sopra è parola, la sola resistenza costante del cordoncino d'attacco, e le capacità sottoindicate: i 7 10 7300 5) 10200 3 16500 2 22900 1 oltre il limite di percettibilità Questi numeri confermano, approssimativamente, la nostra deduzione. Nè un migliore accordo poteva aspettarsi, non avendo potuto tener conto, non solo della influenza dovuta e alla piccola autoinduzione residua, e alla variazione della capacità con la frequenza, ma, soprattutto, delle proprietà speciali del- l'arco. Il periodo T veniva anche modificato dalla resistenza del circuito deri- vato; ma non si potè fare una verifica approssimata analoga alla precedente, perchè non si poteva conoscere con sufficiente esattezza la resistenza com- plessiva del circuito, per la presenza dell’arco. Venne (grossolanamente) determinata anche l'ampiezza delle oscilla- zioni, per mezzo di un amperometro termico introdotto nel circuito derivato, e, conformemente a quanto fu detto in precedenza, si osservò che essa cre- sceva notevolmente quando si sopprimeva l’ induttanza. Così, mentre con una capacità di 10 microfarad ed un rocchetto d'in- duttanza 0,533 millihenry e di resistenza 0,22 ohm, si otteneva all'ampe- rometro una indicazione massima di 4,5 amp. efficaci, quando la % era — 121 — uguale a 2,8; con la stessa corrente %,, la stessa capacità, l’induttanza residua degli attacchi, ed una resistenza addizionale non induttiva di 3 ohm, sì otteneva una indicazione di 6 amp. Colla sola resistenza degli attacchi. se ne aveva una di 11 amp. i Come la frequenza, anche l'ampiezza dipendeva dalla capacità e dalla resistenza del circuito derivato, ed entrambe variavano molto al variare della lunghezza dell’arco e dell’intensità della corrente d'alimentazione (*). Spero potermi occupare in seguito di tutti questi particolari del fenomeno. Prima di concludere riferiamo ancora un'esperienza, la quale dimostra in modo, direi quasi sensibile, che l’induttanza, non solo non è necessaria per la produzione delle oscillazioni, ma che la sua presenza, come nel caso generale di vibrazioni forzate, tende ad ostacolare le oscillazioni stesse. Alla scarica del condensatore, derivato ai poli dell'arco, erano offerte due vie: l'una attraverso al rocchetto di resistenza 0,22 ohm, e d’induttanza 0,533 millihenry; l’altra attraverso ad una resistenza non induttiva, poco superiore a quattro ohm. Quest’ ultima era inizialmente interrotta, e le oscil- lazioni si stabilivano perciò attraverso al solo rocchetto. Alla chiusura della seconda via, si aveva un grande accrescimento nella frequenza e nell’ampiezza, e la scarica passava quasi totalmente per questa derivazione; sì poteva in- fatti interrompere la prima via senza avere una modificazione sensibile. Le considerazioni esposte si possono riassumere nelle conclusioni seguenti: Il fenomeno dell’arco cantante è in origine un fenomeno di carica e scarica del condensatore derivato ai poli dell'arco; esso è dovuto alle pro- prietà caratteristiche di questo. La produzione delle oscillazioni è indipendente dalla facoltà d’oscillare che il circuito derivato ai poli dell'arco può possedere; però le oscillazioni devono adattarsi alle leggi che l’elettrodinamica impone per il circuito in cui esse hanno sede. La frequenza e l'ampiezza delle oscillazioni si accrescono notevolmente colla soppressione dell’induttanza del circuito derivato. Tale soppressione potrà essere vantaggiosa nelle applicazioni recentemente tentate dell'arco cantante. Mi sia permesso esprimere pubblicamente la mia gratitudine al ch.mo prof. Macaluso per i consigli ed i mezzi largamente prodigatimi. (*) In tutte l’esperienze riferite in questa Nota fu sempre i eguale a tre amp. circa. e: =—cra sr a. = ur aim — 122 — Fisica. — Ricerche ulteriori sopra la conducibilità termica a basse temperature. Nota del dott. Prertro MACCHIA presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. Fisico-chimica — icerehe sopra solventi inorganici a basse temperature. Disposizione sperimentale. Nota di G. MAGRI, pre- sentata dal Corrispondente A. BATTELLI. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisica. — Scarica di un condensatore attraverso un solenoide abbracciante un mezzo conduttore. Nota di F. ProLA, presentata dal Corrispondente A. SELLA. In una Nota precedente (') ho esaminato come si distribuisce, sia il campo magnetico che il flusso di induzione, in un fascio di fili cilindrici conduttori posti nell'interno di un solenoide, parallelamente all'asse di questo. Nel caso particolare esaminato in quella Nota, la differenza di potenziale attiva agli estremi del solenoide era alternata sinusozdale, ora invece si suppone che essa sia dovuta alla scarica di un condensatore. L'equazione che, in generale, deve essere verificata alla superf. di ciascuno dei cilindri costituenti il fascio è (°): | IX 2 9dX \ Sa fc cei (1) 47Tn, E RX+L, Si + L er dove e =f(t) = forza elettromotrice X=/(t,0)= campo magnetico. L= coeff. di autoinduzione del solenoide corrispondentem. alla porzione di sezione non occupata da materia conduttrice. L= valore che assumerebbe il coeff. di autoinduzione corrispondentem. alla porzione di sezione occupata dalla materia conduttrice se anche in questa (1) Rend. Lincei, XVI, 1° sem. 1907, p. 35. (2) Back — 123 — il campo si distribuisse uniformemente come nella non conduttrice, ossia se non si avessero le correnti di Foucault. R= resistenza effettiva del circuito elettrico r == raggio di ciascuno dei fili del fascio n= "Numero spire per ogni cm. 4rrw me E con w e d rispettivamente permeabilità e resistenza specifica dei fili. Detta Q la carica al tempo # del condensatore di capacità C che si scarica e y la intensità della corrente al tempo stesso, avremo: @) 27 AQ, Cda (3) eo, Cn Introducendo le (2) e (3) nella (1) e derivando rispetto a # avremo : PRO, OA mr dda 1 IX dX (4) citR7 tb et per o=7. Poniamo nell'intervallo compreso fra o=0 e o=7, come fece il Fou- rier (*) nella propagazione del calore : h=% Ue (3) x= > AJ (SE ne n=l dove le Jo sono le funzioni di Bessel, di 1* specie e d’ordine zero, dell’ar- lol È : SI gomento de , le 0, hanno i valori che si ricavano dalla (4) e le A, sono costanti opportunamente scelte colle condizioni ai limiti che, in particolare, potranno essere, al tempo #=0: 1° che il campo magnetico X abbia valore nullo in tutta la sezione di ciascun filo del nucleo; 2° che il flusso di indu- zione traverso la sezione di ogni filo sia nullo; 3° che la carica iniziale Qo del condensatore sia data ; inoltre, per qualunque valore del tempo; 4° che il campo non diventi infinito. Introducendo la (5) nella (4) avremo per qualunque valore del tempo : 2 4 3 - 3 Vba ili +) Jl e mr 25) la 0 Cra: gi (1) Oeuvres, Paris 1888, vol. 1°, cap. 6°. tai — 124 — per cui le o, dovranno soddisfare alla equazione: (6) (113— RL Ro c°=0 On avendo posto Consideriamo due casì limiti. Supponiamo da prima che L, sia tanto grande da poter trascurare in confronto del termine che lo contiene gli altri termini dell'equazione (6). Le soluzioni saranno allora approssimativamente quelle della equazione: (7) J(c)=0 che sappiamo essere infinite e tutte reali, ossia (1): oi—=3., SM 10, 213,82 Se invece Ls è molto piccolo, caso che si avvererà quando in un sole- noide di grande raggio vi siano pochi fili sottili, la (6) si sdoppia nelle altre due : (8) Jo (0) =0 (9) CL, af—CRz+1=0 la prima delle quali ammette infinite soluzioni tutte reali e cioè (°): 0° = IRA. (8; 711082 mentre la 2* non è che l'equazione che lord Kelvin ottenne supponendo che nella scarica del condensatore il fiusso di induzione magnetica si distri- buisse uniformemente nel mezzo abbracciato dal circuito di scarica. Essa indica come è noto che, quando si ha: (10) R<2j/a, il fenomeno è osczllatorio smorzato. È da notare che l’aver supposto Ls trascurabile, non implica aver sup- posto mancar assolutamente il mezzo conduttore nel solenoide, poichè in tal caso le correnti di Foucault non esisterebbero ed il campo magnetico nel- l'interno sarebbe uniforme o, in altre parole, mancherebbero nella (5) i fat- tori J, e quindi l'equazione (8) non avrebbe più significato: le sole soluzioni accettabili sarebbero quelle della (9). (1) Lommel, Bessel’schen Functionen. Leipzig 1868, Tafel I. (*) Lommel, loc. cit. — 125 — In generale la (6) ammette un numero infinito di radici reali poichè il suo 1° membro, al crescer di o da 0 ad co, cambia di segno un numero infinito di volte. Infatti poichè fra 2 valori successivi 0, e 0, di 0, fra gli infiniti reali che rendono Jo(0) = 0, ne esiste uno, od un numero dispari, che rendono Jj(0) = 0 (teorema di Rolle), fra i 2 valori 0, e 0, il 1° membro della (6), cambierà di segno. le regioni nelle quali cadono le successive radici reali sono facilmente determinabili poichè il 1° membro della (6) ha ì segni seguenti: pei o= 2,4 5,5 8,6... + + Ma, quando la resistenza del circuito non sia troppo grande, altre radici interessano più di quelle sopraindicate ed è di queste che, nel seguito, più specialmente vorremo occuparci. Per valori molto grandi di o (') si ha: r=—iI(0). Introducendo questa condizione nella (6) e ponendo o=i(] mr Y, dividendo per Jo(0), si scorge che altre soluzioni potranno esistere oltre quelle considerate e saranno approssimativamente quelle della equazione alge- brica di 4° grado: I (11) ii ge thy SO Vini C e tanto più vicine al vero quanto più elevato sarà il valore delle radici stesse. Supponendo di essere nelle condizioni nelle quali si può trascurare L, e ponendo: 2 (2) = ——— L (0; (12) ° Vmr ai RG a, de; la (11) diviene: (13) 8+pe4g=0 (1) Heine, Augelfunetionen, Berlin 1878, vol. 1°, pag. 248; J. J. Thomson, Rec. Res., Oxford 1893, pag. 348. rerorne E cs 3sgar === 50- — 126 — | con: ill HLA __ 2a 4 2765 PT eg!) 274 Ora: Mi edo LTT il è sempre positivo, quindi la (13) ammette sempre una radice reale #0 e 2 complesse coniugate 2" e <". Avremo: ‘ossia: | 07 dA) È Il — = —_ 2 page MI 340 ol — =h+ ik mr o (oli E | ag =h_tk | Mr | da cui: | TA pra pu. 60 = ivmr (2u 3) avendo posto: con: ed 3 /. AB 3 q M = ILVA N V 4 4 n Per le radici complesse coniugate è facile dimostrare che si ha sempre: TARE er EIEENSO oa a ame YmrR mr mod (a + (8) > ol 6L: + per cui, qualunque siano i valori della resistenza e dell’autoinduzione del — 127 — circuito, sì potrà sempre scegliere la capacità C del condensatore tanto pic- cola da rendere mod (@ # 78) grande ad arbitrio. Determinazione dei coefficienti. — La condizione che il campo non diventi infinito, per qualunque valore del tempo, ci permette intanto di porre uguale a zero nella (5) il coefficiente relativo alla soluzione 00, poichè A nà 2 risulta sempre positivo. mr In quanto alle 2 radici complesse si trova che la parte reale /#, della espressione che compare a moltiplicare il tempo nell'esponenziale, è negativa, fino a quando si ha: (14) R<3jf zia 25 mr? C e solo quando questa disuguaglianza sarà verificata, i coefficienti dei 2 ter- mini complessi dovranno essere presi differenti da zero. La verificazione della (14) starà ad indicare che lo sviluppo (5) del campo conterà 2 termini periodici smorzati rispetto al tempo, ossia che la scarica del condensatore sarà periodica smorzata. È notevole la differente forma che assume il criterio, per giudicare sulla esistenza o meno delle oscillazioni in questo caso della produzione di correnti indotte nella massa ed in quello nel quale tali correnti non si abbiano (10). La verifica speri- mentale di questo risultato sarà oggetto di un prossimo studio. I coefficienti A" e A” dei termini complessi saranno quantità complesse coniugate, poichè sono tali le funzioni di Bessel di variabili complesse co- niugate che li moltiplicano e poichè la somma dei termini stessi deve essere reale. Porremo : A'=A+:(B , AU=A—-(B rr (POETA, (7) Jo(0°) =U + Vo , To(0") =U—iVo ed indicheremo, al solito, con un apice le derivate prime. Le 3 condizioni che devono essere verificate per #=0 daranno le 8 equazioni: I NA:J: e; + 2AU(0) — 2BV(0)=0 per qualunque valore di 0, NE e(AU — BV) + P(AVOH4- BU) _ I DI LA Js(93) " 2 a + 8° = A; h(AU, — BV.) + A(AV BU.) Tr: S o Jo (05) — 2 n Mirano RENDICONTI, 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 17 rese = si HE O cieli ecs U I | | | E i L_ = — 123 — ‘avendo indicato con le o; le. soluzioni reali della (6) e con @ la carica iniziale del condensatore. | Dalle II e III ricaveremo i valori di A e B, che introdotti nella I ci daranno una equazione contenente le sole A; che dovrà essere verificata per qualunque valure di o. La determinazione delle A; potrà essere fatta con artifici dei quali si hanno frequenti esempi nella analisi, ma su di esse per ora non intendiamo fissare la nostra attenzione. Campo oscillatorio. — Quando è verificata la condizione (14) per la quale % riesce negativa, le soluzioni complesse della (6) ci indicano che il campo magnetico, per ogni punto del nucleo, è osezllatorio smorzato con periodo 27 (15) Te vb In quanto allo smorzamento non potremo dire sia dato da % poichè per esso dovranno contribuire anche tutti gli altri termini aperiodici della serie (5). Il periodo TSE MS » ” ” ecm 15,8 di N, misurato sull’acqua a 16° e 748 mm. Calcolato °/0 per Co Hs ON * Trovato °/o C 75,43 75,99 H 5,70 5,81 N 8,82 8,71 La formola quindi corrisponde a quella della aldeide del metilchetolo. La sostanza è solubile nell'acqua a caldo, in alcool, etere, etere acetico, non molto in benzolo. Dall’etere acetico, che abbiamo accertato essere il migliore solvente per ricristallizzarla, si depone in aghetti aggruppati a ro- sette, incolori se purissimi, ma che con estrema facilità acquistano una tinta rosea e che occupano tutto il volume della soluzione. Degno di nota è il (1) La combustione fu eseguita col metodo Carrasco-Plancher. ni “A dA a St, n ———_ _—_e —_*ec: 1 TR a — 132 — fatto che a poco a poco, cominciando dai loro centri di irradiazione si vanno corrodendo ed al loro posto, restano dei cristallini, prossimi alla forma cu- bica, di notevoli dimensioni, perfettamente incolori. La trasformazione è lenta, e, per lo più richiede qualche giorno. Le due forme fondono alla stessa tem- peratura, e per miscela non modificano reciprocamente il loro punto di fu- sione; inoltre sono identiche dal lato chimico perchè tanto dall'una quanto dall'altra si ottengono gli stessi derivati. La forma che si ottiene a caldo, lenta- mente si trasforma a freddo in quella a cubetti, e questa alla sua volta, disciolta a caldo, lascia cristallizzare la prima forma. Sembra che si tratti di dimor- fismo e che la forma in cubetti si trasformi per riscaldamento in quella a piumette, sicchè il punto di fusione che- sì osserva, verosimilmente, sarà quello di quest'ultima. Non mancammo di dubitare che vi potesse essere un caso di tautomeria, fra la forma aldeidica e l’ossimetilenica. A decidere queste questioni è in corso lo studio di questo corpo dal lato cristallografico e chimico fisico. La sostanza è insolubile a freddo negli acidi diluiti, bollita con acido solforico diluito dà una colorazione, prima gialla e poi rossa caratteristica e dalle soluzioni si separano dei cristallini aghiformi, di un bel colore rosso aranciato, come ha trovato Ellinger (!) per la indolaldeide. È solubile in potassa concentrata e dà col fuscello d'abete ed acido cloridrico una lieve colorazione rossa. In soluzione alcoolica con acido picrico, dà un picrato giallo aranciato, assai solubile in alcool bollente, pochissimo a freddo, e che fonde anneren- dosi e scomponendosi a 181°. Non riduce nemmeno dopo ebollizione prolun- gata il liquido di Fehling. Dà in soluzione alcoolica, con soluzione pure alcoolica di p- nitrofenilidrazina, per aggiunta di alcune goccie di acido ace- tico glaciale, prima una colorazione rossa intensa, poi si separano dei cri- stallini rossi a magnifici riflessi verdi metallici, di un nitrofenilidrazone, che fonde quasi nettamente a 273°, quando lo si riscaldi rapidamente intro- ducendolo in un bagno che sì trova già a 250°. Con cloridrato di semicarbazide, in soluzione acquosa alcoolica, colla quantità equimolecolare di acetato potassico, dopo permanenza in stufa per due giorni a 40°, dà un semicarbazone che cristallizza dall'alcool diluito in pagliette bianche che fondono a 224° scomponendosi. All’analisi diede i se- guenti numeri: gr. 0,1620 di sostanza diedero cm? 35,6 di N, misurato sull'acqua a 13° e 757 mm. Calcolato °/, per C11H1: ON4 Trovato °/o N 25,97 259,75 Risultati che corrispondono a quelli del relativo semicarbazone. (1) Loc. cit. — 133 — Dà pure un semiossammazone che non fu studiato. La sostanza trattata secondo il metodo Doebner (') per caratterizzare le aldeidi, con acido piruvico e £- naftilammina dà il no acido 8- naftocinconinico col radicale metilindolico in @: N ARS CHI Crolle | a COOH Questo acido fonde a 270° circa, e da esso per riscaldamento al punto di fusione ottenemmo la naftochinolina sostituita che gli corrisponde, la quale in soluzione solforica diluita dà, come le altre chinoline il caratteristico bicromato. Questa reazione è caratteristica per le aldeidi. Però questo corpo non dà la reazione delle aldeidi di Angeli, nè ado- perando l'acido nitroidrossilamminico, nè coll'acido benzosolfoidrossammico di V. Piloty (?). Non resta tuttavia alcun dubbio che la sostanza da noi preparata sia la aldeide del metilchetolo della struttura CHO d CHÉ Ne-cH 6 Syd Sì Noi ne operammo l'ossidazione colla quantità calcolata di permanganato, in soluzione diluita, leggermente alcalina, a 60° circa. Separato il biossido di manganese, la soluzione fu ripetutamente estratta con etere, acidificata con acido solforico diluito e nuovamente estratta con etere. Scacciato questo dal residuo giallastro, che è certamente un miscuglio di difficile purificazione, dopo ripetute cristallizzazioni dal benzolo secco bol- lente, si ottennero degli aghetti bianchi splendenti, che fusero a 185°. Essi sono solubili nell'acqua calda, e trattati con acqua di bromo dànno un bromo- derivato, assai meno solubile, che cristallizza dall’aleool diluito in sottilis- simi aghi, fondenti a 214-215°. Queste caratteristiche corrispondono all’acido acetilantranilico ed al suo bromoderivato (3). Una certa quantità del prodotto (1) Ber. d. deutsch. chem. Gesell. 27, 1, 352. (*) Angeli e Angelico, Gazz. chim. ital. 20, I 41; Rimini, questi Rendiconti 20, I, 355; V. Piloty, Ber. d. deutsch. chem. Ges. 29, 1560. (*) Jackson, Ber. d. deutsch. chem. Ges. 4, 1, 879 e seg. een n nn a A ni Sl —. — o Se cc — 134 — mescolato con acido acetilantranilico puro che possederamo, fuse ugualmente a 185°. Il che dimostra la completa identità delle due sostanze. Non siamo riusciti a limitare l'ossidazione alla formazione dell’acido metilindolcarbonico di Ciamician e Magnanini (') COOH CHO e e COOH AN CH Noe-cH, — GHeNo-cHi end ea SA 3 6 7° U 3 6 Sa C 3 H H H mo neo) Anche operando a freddo non si può arrestare l'ossidazione a questo punto. Si ottengono traccie dell'acido metilindolcarbonico (I) sensibili alla reazione col fuscello per riscaldamento del prodotto con calce. Non è però priva di interesse la formazione dell’acido acetilantranilico (II), in quanto che ci di- mostra che il gruppo aldeidico è entrato, come era fuori d'ogni dubbio, nel nucleo tetrolico. Non è tuttavia da escludersi che con mezzi d’ossidazione più blandi si possa ottenere l'acido di Ciamician e Magnanini, ciò non sarà tanto facile perchè esso perde con grande facilità ed anche a temperatura relati- vamente bassa anidride carbonica (*), dando luogo a metilchetolo, di cui l'acido acetilantranilico è il prodotto caratteristico di ossidazione. Seguendo il metodo di preparazione suddescritto per questa aldeide, molta parte del metilchetolo si converte in clorochinaldina. Per aumentare il rendimento in aldeide operammo con potassa in soluzione acquosa (8). Però i risultati non furono migliori. Il metodo che si mostrò più acconcio fu quello seguito da Ellinger (‘) per la -indolaldeide, operando cioè col metilchetolo sciolto in alcool al 95 °/, mescolato con eccesso di cloroformio e facendo gocciolare, a poco a poco, nel liquido bollente, la soluzione acquosa alcoolica di potassa. Il rendimento in tal caso è assai buono. Da 22 grammi di metilchetolo ottenemmo circa 16 grammi di aldeide grezza. Si forma, anche in questo caso, una certa quantità di #- clorochinaldina, che abbiamo separata estraendo ripetutamente con acido cloridrico diluito l'estratto etereo del distillato in corrente di vapore. L’identificammo per mezzo del suo pi- crato, quasi insolubile in alcool freddo e fusibile a 223° (5). Dalla metilindolaldeide abbiamo cercato di avere a mezzo del penta- cloruro di fosforo il dicloruro corrispondente. Invero l’aldeide reagisce col pentacloruro di fosforo per lieve riscaldamento e dà una piccola quantità di (1) Ciamician e Magnanini, Gazz. chim. ital. 18, 58 e 380, (3) Loco citato. (*) Bamberger e Djierdjian, Ber. d. deutsch. chem. Ges. 23, I, 596. (4) A. Ellinger, loc. cit. (9) 5) Magnanini loc. cit. — 135 — prodotto basico, ma la reazione si fa molto energica e dà luogo prevalente- mente a resina. Il passaggio che noi volevamo realizzare è il seguente: HCl : 7000 È E CI % dI N \A0-0H3 H H V Speriamo che moderando la reazione con un solvente si possa verificare, Appendice. — Dallo scatolo anche noi operando, sia come Magnanini, che come Ellinger, abbiamo sempre ottenuta la f#- cloro-y-metilchinolina, come già quest’ ultimo ha pubblicato (!). Veramente però la soluzione rimasta nel pallone dà una leggerissima reazione colla p- nitrofenilidrazina. Viceversa abbiamo ottenuto le rispettive aldeidi dall’a-a- dimetilpirrolo e dal metilfenilpirrolo. Su questo riferiremo in altra Nota fra breve; intanto continuiamo ad occuparci dello studio delle suddescritte reazioni, e delle trasformazioni dei loro prodotti. In queste ricerche ci siamo giovati della solerte collaborazione del signor Corrado Labisi. Fisiologia vegetale. — Esperienze di selezione e di ibridazione sul frumento e sul granturco. Nota preventiva del dott. N. STRAM- PELLI, presentata dal Socio G. CuBONI. Per conseguire progressi reali e permanenti nella cerealicultura, oltre l'adozione di razionali avvicendamenti, di perfezionati lavori culturali e di opportune concimazioni, occorre poter disporre di varietà di cereali, che per- mettano l'utilizzazione completa dell'aumentata fertilità del suolo. La ricerca o creazione, quindi, di frumenti, adatti ai nostri climi ed alle moderne esigenze culturali, è il compito principale che, in qualità di direttore della Cattedra sperimentale di granicoltura in Rieti, mi sono imposto. Le migliori varietà esotiche, anche quelle, che permettono nei paesi, più del nostro progrediti in granicultura, il conseguimento delle famose ed invi- diate produzioni, importate da noi hanno date e danno cattive prove spe- cialmente per i danni che loro infligge la ruggine. Il frumento di £7eti, coltivato da tempo immemorabile in quella vallata, eccezionalmente favore- vole allo sviluppo della ruggine, è andato acquistando, traverso i secoli, (1) Ellinger, Ber. d. deutsch. chem. Ges. 39, 4388. RenpIconTI. 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 18 — 136 — proprietà tali da non aver pari nella lotta contro il detto parassita; ma questo frumento facilmente alletta e tanto più quanto è maggiore la fer- tilità del terreno ove viene coltivato. Tali fatti imponevano evidentemente da una parte il cercare di migliorare il pregevole grano reatino, e dall'altra il cercare anche di acclimatare all’eccezionale ambiente della pianura di Rieti, coltivandole e selezionandole ripetutamente per anni ed anni, le mi- gliori varietà esotiche, le più produttive, le più resistenti all’allettamento, onde possibilmente renderle resistenti anche alla ruggine. Diametri 42. (4 Fic. 1. — Sezione ('/,) di culmo di frumento Rieti (poco resistente all’allettamento). Ho potuto riunire, da ogni parte del mondo, ben 240 varietà di fru- menti, ed in alcuni di essi, divenuti di terza riproduzione per la Vallata reatina, si nota già qualche favorevole risultato in proposito. Diametri 42. Fic. 2. — Sezione (1/4) di culmo di frumento Herisson mutico (resistente all’allettamento. Osservazioni fatte al microscopio su sezioni di culmi di frumenti resi- stenti all'allettamento e di altre sezioni di culmi di frumento Azeti, mi mo- strarono come in questo frumento si abbiano fasci libero-legnosi piccoli, in numero limitato e disposti in una sola serie, mentre negli altri si abbiano i detti fasci più numerosi, più sviluppati, con forma allungata, nel senso dei raggi, e spesso disposti su due serie alternate. Dette osservazioni mi indussero a credere: 1° che la resistenza all'allettamento dovesse essere subordinata al numero, alla forma, alla disposizione dei fasci libero-legnosi; — 137 — 2° che per dare al Azef: quella resistenza che gli manca fosse ne- cessario modificare numero, forma, disposizione dei detti fasci, cosa consegui- bile forse soltanto con giudizioso lavoro d'ibridazione. Non ostante, però, che fossi convinto di dover basare le mie speranze sulla creazione di varietà nuove. a mezzo di ibridi, pure volli non trascu- rare la selezione fisiologica e metodica del grano di Rieti. Diametri 42. Fic. 3. — Sezione ('/3) di culm> di frumento Vittoria d'autunno (resistente all’allettamento). Sin dall'autunno 1903 intrapresi tale lavoro di selezione seguendo il classico metodo di Hallett; ma nel giugno successivo potei mostrare anche Diametri 42. Fic. 42. — Sezione (‘/4) di culmo di frumento Poulard S. Apollinare È (resistente all’allettamento). al chiar. prof. Giuseppe Cuboni (il quale ebbe la bontà di onorare, in quel- l'epoca, con una sua prima visita i mei Campi sperimentali) come il fru- mento del campo di selezione, a differenza dei circostanti, perfettamente immuni, fosse stato spietatamente attaccato dalla ruggine. Tale fatto attribuii al ritardo di maturazione, dovuto alla forte distanza, che, per il metodo Hallet, è consigliato di lasciare fra pianta e pianta; per tale ritardo i tessuti delle piante, non ancora induriti al momento delle forti nebbie della vallata reatina, restarono più esposti e più facilmente danneg- giati dai ripetuti attacchi del parassita. == —_—-s>- ss nc: — 1338 — Alla semina successiva, naturalmente, volli ridurre la distanza; e che in ciò io non abbia errato lo hanno dimostrato successive esperienze. L’aver poi constatato che i fiori laterali di ciascuna spighetta, della parte mediana di ciascuna spiga, sono i primi a fecondarsi e che le granella, che ne risul- tano, sono anche le prime a maturare e sono le più ben costituite, le più pesanti e le più ricche in azoto, mi ha suggerito di scegliere per la semina soltanto queste granella. Ora da tale selezione, così da me modificata, vado ottenendo buoni risultati in riguardo alla bellezza dei cesti, alla lunghezza delle spighe ed alla loro ricchezza in semi; ma, come prevedevo, nulla ancora ho guadagnato in merito alla resistenza all’allettamento. Nel 1904 mi dedicai al lavoro d'ibridazione ed, in quell’anno, tentai la fecondazione artificiale su 2720 fiori, riuscendo ad ottenere 1089 semi e 58 ibridi, i quali però dal forte rigore dell'inverno successivo, essendosi gelati i vasi ove erano stati seminati, furono ridotti a 34. Nella primavera 1905 i fiori fecondati artificialmente furono 3692, l'attecchimento ebbe luogo su 2879 e gli ibridi riusciti furono 112. Nell'anno appena chiusosi (1906) ho tentato di fecondare 4195 fiori, ottenendo attecchimento su 3387 e la riu- scita di 134 ibridi. Sommando gli ibridi da me ottenuti nei tre anni ed aggiungendo anche l’ibrido Noè y Rieti (ottenuto nel 1900), sono 300 gli ibridi da me creati sino ad ora; togliendo a questi, però, i 19 morti nell'inverno 1904, ne re- stano presentemente 281. In questi ibridi il ze: è entrato 125 volte come elemento maschile e 144 volte come elemento femminile; mentre come elemento opposto ho fatto funzionare successivamente le migliori varietà di frumenti teneri (mutici ed aristati), turgidi, duri ed amilacei, nonchè alcune spelte, qualche segale, orzo, ecc. Solo in 12 ibridi il Azef non ha preso parte alcuna. I 34 ibridi creati nel 1904, si sono trovati, in questa ultima annata 1906, nel primo anno di sdoppiamento o di disgiunzione e sono da essi venuti fuori, complessivamente, migliaia e migliaia di tipi. Ad esempio nel- l’Herisson mutico y Rieti troviamo che fra i due genitori corrono almeno 14 caratteri antagonistici facilmente visibili; raggruppando questi caratteri in tutte le combinazioai possibili di gruppi di 14 caratteri ciascuno, ma in maniera che di ciascuna coppia non sia mai presente più di un antagoni- stico, le forme possibili in questo poliibrido sono 16348. E tante, credo, averne avute, ma io non sono arrivato a studiarne che le 413, da me rite- nute più interessanti. Anche negli altri 33 ibridi, in cui ha avuto luogo la prima dzsgiun- zione, ho studiate le forme più interessanti, proporzionandone, per ciascuno, il numero all'importanza dell'incrocio ed alla quantità di caratteri antago- — 139 — nistici presentati dai loro genitori, per modo che complessivamente i tipi studiati sommano a 1567. Le granella di ciascuna spiga, rappresentante ciascuno dei tipi, sono state seminate separatamente in tante ‘aiuole contraddistinte. Se a queste 1567 aiuole si aggiungono le 236 occupate dalle masse e dalle spighe di- stinte degli ibridi del 1905, (i quali nella nuova stagione avranno la prima disgiunzione), e le 134 parcelle seminate con i prodotti della fecondazione artificiale del 1906, sono ben 1937 le aiuole destinate, in questo anno, agli ibridi di frumento ed altrettante quindi sono le partite, più o meno piccole, cui devesi tener dietro. Il lavoro d’ibridazione, poi, lho anche esteso al granturco; allo scopo di ottenere una varietà molto precoce e, contemporaneamente, assai produt- tiva, nel 1904 inerociai un buon mazs nostrale a spighe grandi e ben piene di granelle con altri granturchi a maturazione fortemente precoce ma a spighe assai piccole e povere di semi, come il cinquantino, il 15 agosto, il giallo precoce, il precoce di Motteaux ecc. Presentemente dei tipi ottenuti ne ho scelti una dozzina e su questi proseguirò la selezione per qualche anno an- cora, sino a che non avrò fissata quella forma che reputo più rispondente al fine prefissomi. Durante questi lavori d'ibridazione specialmente sul frumento, ho avuto campo di fare parecchie osservazioni e qui mi piace accennare a qualcuna delle principali. Sin dalla raccolta delle cariossidi, ottenute dalla fecondazione artificiale eseguita nel 1904, mi accorsi che l'elemento maschile aveva manifestamente già esercitata la sua influenza sui caratteri di quelle cariossidi. Per brevità riporto un solo esempio, e cioè le granelle avute per la fecondazione di pistilli di frumento Azel con polline di Herisson mutico; esse, come lo mostrano le figure 5, 6 e 7, hanno, persino, forma più simile a quelle dell’ Herisson che a quelle del Rieti. Con ciò si dimostra che anche nel frumento l’ibridazione dell'embrione è accompagnata dall’ibridazione dell’endosperma, giusta la teoria della doppia fecondazione nell'interno del sacco embrionale. Avendo poi fecondato pistilli di frumento con polline di loglio ed anche con polline di mais, ed avendo ottenuti da quelli ovari ingrossatisi corpi simili a delle granella, che però non furono capaci di germinare, non è forse lecito supporre che in tali casi il polline abbia potuto avere: azione fecon- dante solo sul nucleo del sacco embrionale e non sull’oosfera? Come già il Biffen, anch'io ho trovata riconferma delle geniali leggi del Mendel. puranche nell’ibridazione del frumento. —

, NDS mente selezionato per tre anni, non si scorge alcuna modificazione in pro- posito. Queste brevi notizie, che, in attesa di mezzi possibili per poter fare una pubblicazione dettagliata e corredata di illustrazioni riproducenti le numerose fotografie già preparate, ho così succintamente esposte, hanno sol- tanto lo scopo di dare un cenno della bellezza dei miei studi d'ibridazione, per i quali ho viva speranza di potere arrivare, in un tempo più o meno lungo, ad ottenere varietà di frumenti e di altri cereali rispondenti ai desi- deri ed alle esigenze della moderna agricoltura. Fisiologia vegetale. — .Su/la scoperta dell’aldeide formica nelle piante. Nota di Gino PoLLACccI, presentata dal Socio GIOVANNI BRIOSI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI L. TeNncHINI e P. CavatoRTI. Sulla morfologia della ghiandola tiroide normale nell'uomo. Presentata dal SEGRETARIO. A. Russo. Modificazioni esperimentali dell’elemento epiteliale dell’ovaia dei Mammiferi, da servire come base per la determinazione artifi- ciale del sesso femminile e per la migliore interpretazione della legge Mendel sulla prevalenza degl’ ibridi. Presentata dal Socio B. Grassi. CONCORSI A PREMI Il Segretario MiLLosevicH annuncia che all'elenco dei concorrenti ai premi del Ministero della Pubblica Istruzione, del 1906, per le Scierze na- turali, devesi aggiungere un altro, che in tempo utile trasmise i titoli se- guenti: VogLIno PieTRO. 1) « Ricerche intorno allo sviluppo ed al parassitismo delle Septoria graminum Desm. e Glumarum Pass. » (st.). — 2) « Contri- buzione allo studio della PhyMactinia corylea (Pers.) Karsten » (st.). — 3) « Osservazioni sulle principali malattie crittogamiche sviluppatesi nel- — 143 — l'anno 1904 sulle piante coltivate nella provincia di Torino e regioni vicine » (st.) — 4) « Sullo sviluppo e sul parassitismo del Clasterosporium carpo- philum (Lév.) Ad. » (st.), — 5) «I funghi più dannosi alle piante osservati nella provincia di Torino e regioni limitrofe nel 1905 » (st.). — 6) « Sullo sviluppo della Ramularia aequivoca (Ces.) Sacc. » (st.).. — 7) « Ricerche intorno al polimorfismo della Botrytis cinerea in relazione colla B. parasi- tica» (ms.). RenpIcoONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 9 È emepeeeenanzo fc mere S | — 144 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 20 gennaio 1907. AcHiarpI G. (D’). — I minerali dei marmi di Carrara. Parte terza: Epidoto, Mi- che, Anfiboli, Albite, Scapolite. Pisa, 1906. 8°. ALorst P. —- Contributo allo studio petro- grafico delle Alpi Apuane. Rocce gra- nitiche, eufotidiche, diabasiche e ser- pentinose. Roma, 1906. 8°. Amopro PF. — Ernesto Cesaro. (Cenni necr., dal Period. di Mat. vol. XXII, fase. II). Sl aredna 88: Amopro F. — I trattati delle sezioni co- niche da Apollonio a Limson. (Annali del R. Ist. Tecnico, XXIII). Napoli, 1905. 8°. Amopeo F. — Sul corso di storia delle scienze matematiche nella R. Univer- sità di Napoli. (Bibliotheca mathema- tica. Zeitschrift fr Geschichte der Math. Wissenscheften III Folg. VI, B.). Leipzig, 1904. 8°. Anprews E. C. — Mineral resources n. 11. Molybdenum. (New South Wales-De- part. of Mines. Geol. Survey) Sydney, 1906. 8°. Bari V. e VoLta L. — Passaggi dei lembi della luna e determinazione dell’ascen- sione retta dal cratere Mòttig A. os- servati al Circolo Meridiano di Torino negli anni 1901 e 1902. (Accad. R. delle sc. di Torino. 1902-1903). Torino, 909088 BaLpanI L. — Il giacimento solfifero della Lousiana (Stati Uniti d'America). Mi- nistero di Agr., Ind. e Comm. Dire- zione gen. dell’Agricoltura. Pubblicato dal Corpo reale delle Miniere). Roma, 1906. 8°. BeLAR. A. — Bodenbewegungen und die Stabilitàt der Bauten. (Neuest Erdbe- ben Nachrichten. Beilage der Monats- schrift « Die Erdbebenwarte » Jahrg. II. Neue Folge, n. 2). Laibach, 1906-07. 99 BeRrLESE A. e SiLvestRrI F. — Descrizione di un nuovo genere e di una nuova specie di « Lecanite » vivente sull’oli- vo. (Dal Redia, vol. III, fasc. 2°). Fi- renze, 1906. 8°, BoccarpIi G. — Apparenza del pianeta Marte (dalle Mem. della Classe di sc. della R. Acc. degli Zelanti, 3. serie, vol. IV). Acireale, 1906. 8°. Boccarpi G. — Orbita definitiva del pia- neta (347) « Pariana ». (Accad. R. delle scienze di ‘Torino 1903-04). Torino, 1904. 8°, Borromeo G. — Museo Mineralogico Bor- romeo. Note illustrative pubblicate in occasione del 50° anniv. della fonda- zione della Soc. ital. di scienze nat. di Milano. Milano, 1906. 8°. Bra M. — Recherches microbiologiques sur l’Epilepsie. (Publ. du Progrès Mé- dical Arch. de Neurologie, 1905). Paris, 1905. 8°. Cavara F. — Bacteriosi del Fico. (Isti- tuto bot. della R. Università di Ca- tania). Catania, s. a. 8°. Cavara PF. — « Gusssonea ». Giardino al- pino sull’Etna. (Nuovo (Giorn.. bot. ital. Nuove teorie, XII, 4). Catania, 190b.08% Cavara F. — Influenza del coperto di neve sullo sviluppo della Scilla bifolia alle Madonne. (Nuovo Giorn. bot. ital. Nuova serie, XII, 4). Catania, 1905. (ope Cavara F. — Risultati di una serie di ricerche crioscopiche sui vegetali II. (Dall’Ist. Bot. di Catania agosto 1905). Catania, 1905. 8°. Cvisic J. — Eléments de Geographie et de Géologie de la Macédoine et de la Vieille Serbie I, II. Belgrad, 1906. 4°. Davenport C. R, — Inheritance in Poul try. (Carnegie Inst. of Washington). Washington, 1906. 8°. i. Eriksson J. — Einige Bemerkungen uber das Mycelium des Hexenbesenrostpil- zes der Berberitze (Sonderabd. aus d. Berichten der Deut. Bot. Gesellschaft, Jahrg. 1897, XV,.4). Berlin, 1897. 8°. Eriksson J. — Studier 6fver Berberisbus- kens Hexqvastrost Puccinia Ar- rhenatheri Kleb. (Meddelanden fran K. Landtbruks-Akad. Experim. n. 45). Stockholm. 1897. 8°. Eriksson J. — Studier och Iakttagelser Ofver vira sidesarter. II Bidrag till det odlade hvetets systematik. (Med- delanden fran K. Landtbruks-Akad. Experiment. n. 17). Stockholm, 1898. 8°. Eriksson J. — Ein parasitischer Pilz als Index der inneren Natur eines Pflanzenbastards. 1895. s. 1 8°. Eriksson J. — Fungi parasitici scandi- navi exsiccati. Index universalis. Fasc. 1-10, sp. 1-500. s. 1. et a. 8°. FRIKSson J. — Wie soll ein Internatio- nales Phytopathologisches Versuchs- wesen organisirt werden? Stockholm, 1891380) Eriksson J. — Welche Rostarten zersté- ren die australischen Weizenernten ? (Sonderabd. aus der « Zeitsch. filr Pflanzenkrankheiten ». VI, 3). Stutt- gart, s. a. 8°. Eriksson J. — Einige Beobachtungen iber den stammbewohnenden Kiefernblasen- rost, seine Natur und Erscheinungwei- se. (Abd. aus dem Centralblatt f. Bak- teriologie, II Abt.). Jena. 1906. 8°. Eriksson J. — Om lige temperaturgra- ders. gynsamma inverkan pi-vissa svampsporers groning. (Meddelanden fran K. Landtbrucks. Akad. Experi- ment. n. 34). Stockholm, 1895. 8°. Eriksson J. — Qu'ont fait jusqu'àè présent les gouvernements de l’ Europe en vue de favoriser l’étude des maladies des plantes importantes en vue de réduire les effets des tracteurs de ces mala» dies? Que peut-on et doit-on faire encore dans ce sens? (Internat. land-und forst- wirthschaftlicher Congress zu Wien, 1890). Wien, 1890. 8°. Eriksson J. — Ueber das Urmeristen der Dikotylen-Wurzeln. (Separat-Abdruck aus Pringsheims Jahrb. f. wiss. Bot. B. XI. H. 8). Leipzig. 1897. 8°. Eriksson J. — Ueber Wirmebildung durch intramolekulare Athmung der Pflanzen. (Separat-Abdruck aus « Un- tersuchungen aus dem botan. Institute in Tubingen »). Leipzig, 1881. 8°. Eriksson J. — Bidrag till kinnedomen om vira odlade vixters sjukdomar. I. (Meddelanden frin K. Landtbruks.Akad. Experim. n. 1). Stockholm, 1885. 8°. Eriksson J. — The researches of Prof. H. Marshall Ward on the Brown Rust on the Bromes and the Mycoplasm Hypo- theses (Arkiv for Bo tanik. B. I). Sto- ckholm, 1903. 8°. Eriksson J. — Zur Frage der Entste- hung und Verbreitung der Rostkrank- heiten der Planzen. Kritische Bemer- kungen. (Arkiv. for Botanik. B. 5, n. 3). Uppsala. 1903. 8°. Eriksson J. — Comment organiser des travaux internationanx de. pathologie végétale ? Stokholm, 1900. 8°. Eriksson J. — Ueber den Berberitzen- strauch als Tràger und Verbreiter. von Getreiderost. (Die landwirtschaftlichen Versuchs-Stationen. Band XLIX). Ber- lin, 18978180, Eriksson J. — Nya Jakttagelser ròrande kronrostens natur orle forekomst(Mede- landen frin K. Landtbruks. Akad. Experim. n. 48). Stockholm, 1897. 8°. Erixsson J. — Der heutige Stand der Ge- treiderostfrage. (Sonderabd. aus d. Be- richten der Deutschen Botanischen Gesellschaft. Jahre. 1397, XV, 3). Ber- lin, 1897. 8°. Eriksson J. — Om frukttridsskorf och frukttridsméogel samt medlen till dessa sjukdomars bekàmpande (Meddelanden ‘friin. Landtbruks. Akad. Experiment. n. 76). Stockholm, 1903. 8°. Eriksson J. — On the vegetative life of Uredinae. (Annals. ef Botany. XIX, n. MO). tras 08%; Erixsson J. — Zur Kenntnis der Winter- festigkeit der Winterweizensorten (Son- — 146 — derabd. aus der Naturwissensch, Zeit- schrift fir Land-und Forstwirtschaft .Heft 4. Jahrg. 1903). Stuttgart, s. a. 80. Eriksson J. — Om uppkomst och sprid- ning af sidesrost ur och genom utsi- deskor. (Meddelanden frin K. Landt- bruks. Akad. Experim. n. 72). Stoc- kholm, 1902. 8°. Eriksson J. — Ueber die Spezialisierung des Getreideschwarzrostes in Schwe- den und in anderen Lindern. (Abruck aus dem Centralbl. fiir Bakteriol. Pa- rasitenkunde und Infektionskrankhei- ten. Zweite Abt. IX. Band. 1902). Jena, 1902. 89. ErIKksson J. — Fortgesetze Studien iber die Hexenbesenbildung bei der ge- woòhnlichen Berberitze. (Beitr. zur Bio- logie der Pflanzen, Bd. VIII, H. II). Breslau, s. a. 8°. Eriksson J. — Nouvelles études sur la rouille brune des céréales (Annales des sciences nat. Septieme série). Paris, SMa.e90: Eriksson J. — Étude sur le Puccinia Ribis DC. des groseilliers rouges. (Extr de la Revue Générale de Bota- nique. T. X, 1908). Paris, 1898. 8°. Eriksson J. — Ueber die Dauer der Keim- kraft in den Wintersporen gevisser Rostpilze. (Abd. aus dem Centralblatt fir Bakter. Parasitenkundec. IV. Bd. 1898). Jena, 1398. 8°. Eriksson J. — Principaux résultats des recherches sur la rouille de céréales exécutées en Suède. (Ext. de la Revue gén. de Botanique. T. X, 1898). Paris 1898. 8°. Eriksson. J. — Weitere Beobachtungen iiber die Specialisierung des Getrei- deschwarzrostes. (Sonderabd. aus der «Zeitschrift fir Pflanzenkrankheiten ». VII Bd. 3. H.) Stuttgart, s. a./8°. Erixsson J. — Zur Charakteristik des Weizenbraunrostes. (Abd. aus. dem Centralblatte fiir Bakter. etc. II Abd., 2 B). Jena, 1897. 8°, Eriksson J. — Der amerikanische Sta- chelbeermeh]tau in Europa, seine jet- zige Verbreitung und der Kampf ge- gen ihn. (Sonderabd. aus der « Zeit- schr. fiur Pflanzenkrank. XVI, 2). Stutt- gart, s. a. 8°. Eriksson J. — Der Kampf gegen den amerikanischen Stachelbeermeltau in Schweden. Deutsche landwirtschaftl Presse. Sonderabd. aus n. 69, 1906). Berlin, s. a. 8°. Eriksson J. — Kgl. Landtbruks. Akade- miens véartfysiologika fo6rsòksanstalt ill upplysning och vigledning for utstallningsbesòkande. (Tjugonde all- minna Swenska Landtbruksm. i Norr- kòping 1906). Stochkolm, 1906. 8°. Eriksson J. — Klumprot sjuka à kal. En alltmer tilltagande sjukdom & vira halvixter. (K. Landt. Akad. FI. n. 4. Apr. 1906). istokholm, 1906. 8°. Eriksson J. — Landtbruksbotanisk be- rittelse of ir 1906. (Afgif. vid, K. Landtbr. Akad. hogtidsdag ben 28. Jan. 1906). Stockholm, 1906. 8°. Eriksson J. — Un Institut international d’ agriculture et la lutte contre les maladies des plantes cultivées. Que- stion soumise è l’Assemblée de délé- gués, réunie àè Rome). Stockholm. 1905. 8°. Eriksson J. — Den amerikanska Krus- biirsmj61daggen pa-Svensk mark. (Med- delanden fra K. Landtbruks-. Akad. Experim. n. 87). Stockholm, 1906, 8°. Eriksson J. — Amerikanska krusbàrs- mjéldaggen i Swerige. Ett gifakt till vara krusbirsodlare (K. Landtbr. Akad. FI. n. 1). Stockholm, 1906. 8°. Eriksson J. — Einige Studien iber den Wurzeltiter. (Rhizoctonia violacea) der Mòhre, mit besonderer Riicksicht auf seine Verbreitungsfihigkeit (Abd. aus dem Centralbl. f. Bakteriologie, Para- sitenkunde u. Infektionskrank. II, Abt.) Jena, 1903. 8°. Eriksson J. — Ist es wohlbedacht den Beginn einer planmiissigen internatio- nalen Arbeit zum Kampfe gegen die Pflanzenkrankheiten noch immer auf- zuschieben? Eine den Behòrden des Pflanzenbaues in den europàischen — 147 — Staaten vorgelegte Frage. Stockolm, 1905. 8°. Erirsson J.— Moderna stròmningar inom den utlindska maltkornodlingen samt i friga om vardesittningen i maltkorn. (Foredrag, hallet vid VIII almiinna Svenska bryggaremòtet i Malmò den 11 Aug. 1905). Stokholm. 1905. 8°. Erixsson J. — Landtbruksbotaniskt for- siksvisen utomlands, dess organisation och arbetsriktningar. (Reseberàttelse afgifven till Kungl. Landtbruksstyrel- Sen) isoletta 89, Eriksson J. — Sur l’appareil végétatif de la rouille jaune des céréales. Compt. rend. des Séances de l’Acad. des scien- ces). Paris, 1903. 40. Erigsson J. — Nouvelles recherches sur l’appareil vegetatif de certaines Ure- dinées. (Compt. rend. des Séances de l’Acad. d. Sciences). Paris, 1904. 4°. EriKsson J. — Studier éfver legumino- sernas rotknòlar. (Akademisk Afhand- ling, som med tillstand af vidtberomda filosofiska fakulteten i Lund). Lund, 1894. 49, ERIKSsson J. und HENNING E. — Die Haupt- resultate einer neuen Untersuchung îiber die Getreideroste. (Sonderab. aus d. «Zeitschrift fir Pflanzenkrank- heiten », IV, 2.) Stuttgart, 1894. 8°. Erixsson J. u. TiscaLeR G. — Uber das vegetative Leben der Getreiderostpil- ze. — I. Puccinia glumarum (Schm.) Eriks. und Henn. in der heranwachsen- den Weizenplanze. — II. Puccinia di- spersa Eriks. in der heranwachsenden Roggenpflanze. — III. Puccinia glu- marum (Schm.) Erikss, und Henn. in den heranwachsenden Gerstenpflanze. — IV. Puccinia graminis pers. in der heranwachsenden Getreidepflanze. (K. Svenska Vetensk.-Akad. Handl. 37, 38, 30. Stockholm, 1904-05. 4°. FerRERO E. — Sul terzo massimo inver- nale nell’andamento diurno del baro- metro. (Accad. R. delle sc. di Torino. 1903-04). Torino, 1904. 4°. LieBEeN ApoLr — Festschrift zum fiinf- zigjàhrigen Doktorjubilicim und zum siebzigsten Geburtstage von Freunden, Verehrern und Schillern gewidmet. Leipzig, 1906. 8°. Fiscner E. — Untersuchungen iber Ami- nosàuren, Polypeptide und Proteine. (1899-1906). Berlin, 1906. 8°. Grannuzzi N. — Terremoti registrati a Firenze al Collegio della Querce. Fa- scicoli dei diagrammi sismici. Pubbl. dell’Osserv. del Collegio. Firenze, 1905-06. f. Gir D. — On the origin und progress of Geodetie Survey in South Africa, and of the african Are of Meridian. s. s. 1905. 8°. GorseL K. — Zur Erinnerung an K. F. Ph. v. Martrus. Gedichtnisrede bei Enthillung seiner Biiste im K. Botan. Garten in Minchen, am 9 Juni 1905. Minchen, 1905. 49. Gouvea H. de — A Conferencia interna- cional de Copenhagere sobre a Tuber- culose, (Majo 1904). Relatorio apresen- tado ao Exmo Snz. Dr. J. J. Seabra, ministro da Justca. Paris, 1905. 4°. Herman 0. — Recensio critica automa- tica of the Doctrine of Bird-migration. Magyar ornithol. K6zpark Hung. Centr. Office of Ornithologeg.) Budapest, 1905, 8°. KyeLLMAn F. R. — Botaniska Studier. Up- psala, 1906. 8°. Laganà N. — I propulsori marini a pale flessibili « Laganà ». Napoli, 1906. 8°. Leon E. — Sur .des systèmes de nom- bres permettant de trouver rapidement les facteurs premiers d’un. nombre (Journal de sciencias mathemat. phys. Lisbonne). Lisbonne, 1006. 8°. LeBon E. — Theorie et construction de tables permettant de trouver rapida- ment les facteurs premiers d’un nom- bre (Rend. della R. Accad. dei Lincei. 22 aprile 1906). Roma, 1906. Lori F. (ed altri) — Relazione della Com- missione incaricata di giudicare il la- voro presentato al secondo Concorso Pezzini-Cavalletto sul riproposto tema: Considerare con uno studio completo — 148 — teorico pratico... i risultati dell’im- piego dell’energia elettrica alla tra- zione ferroviaria (Soc. d’Incoraggia- mento). Padova, 1906. 8°. Manasse E. — Contribuzioni alla Minera- logia della Toscana. Pisa, 1900. 8°. Manasse E. — Tetraedrite del frigido. (Varietà frigidite) e minerali che l’ac- compagnano. Pisa, 1906. 8°. Morssan H. — Traité de Chimie minéral, publié sous la direction de... Tome V, Métaux. Paris, 1906. 8°. MoxrIceLLI F. S. — Notizie sulla origine e le vicende del Museo zoologico della R. Univ. di Napoli. Napoli, 1905. 4°. Munaron L. — Proposta di una base speri. mentale per la profilassi del cretinismo endemico. Nuove idee sulla patogenesi del cretinismo endemico. Roma, 1906. 8°. Minsrersera H. — Harward psycholo- gical Studies, edited by.... Vol. IL Boston, 1906. 3°. NEVIANI A. — Briozoi viventi e fossili il- lustrati da Ambrogio Soldani nell’o- pera Z'estaceographia ac Zeophyto- graphia parva et microscopica. (1789- 1798). Roma, 1906. 8°. PascaL E. — Sui determinanti composti e su di un covariante estensione del- l’Hessiano di una forma algebrica. (Rend. del Circolo Mat. di Palermo. XXII, 1906). Palermo, 1906. 8°. Pascar E. Sulla equivalenza di due sistemi di forme differenziali multilineari e su quella di due forme differenziali com- plete di 2° ordine. (Rend. del Circolo Mat. di Palermo. Apr. 1906). Palermo, 1906, 8°. Piper CH. V. — Flora of the State ot Washington. (Smithsonian Inst. U. 1. Nat. Museum. Contributions from the U. St. Nat. Herbarium. Vol. XI). Washington, 1906. 8°. RasparL X. — Une station ornithologique dans 1’ Oise. (Mém. de la Soc. Zool. de France. 1905). Paris, 1905. 8°. RoLHPLETZ A. — Gedaehtnisrede auf Karl Alfred von Zitel, gehalten in der df- fentl. Sitzune der K. B. Akad. der Wissenschaften zu Miinchen zur Feier ihres 146 Stiftungstages, am 15 Màrz 1905. Munchen, 1905. È Simm A. and. GiLL D. — Report of the Geodetie Survey of part of Southern Rhodesia. (Geodetie Survey of South. Africa. Vol. III). Cape Town, 1905. 4°, Dr Srerano G. — Commemorazione del prof. Gaetano Giorgio Gemmellaro, te- nuta nell’ Università di Palermo il 16 marzo 1905. Palermo, 1906. 8°. Transvaal. Meteorological Departement. Annual reports for the year ended 30t: June 1905. Pretoria, 1906. 4°. VanGHETTI G. — Plastica e protesi cine- matiche. Nuova teoria sulle amputa- zioni e sulla protesi. Empoli, 1906. 8°. Vota L. — Riassunto delle registrazioni geodinamiche del grande sismometro- grafo Agamennone dell’Osserv. Astron. della R. Univ. di Torino durante l’anno 1901. (Accad. R. delle Scienze di To- rino, 1901-1902). Torino, 1902. 8°. Wassineron H. S. — The Roman Coma- gmatie Region. (Carnegie Inst. of'Wa- shington). Washington, 1906. 8°. E. M. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 13 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 38 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TransUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMmoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — DI-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. i Serie 4* — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. i MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5® — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XVI. (1892-1907). Fase. 2°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1906). Fasc. 7°-10°. MEemoRIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fasc. 1°-8°. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCRI I Rendiconti delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi. formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHer & (C.° — Roma, Torino e Firenze. UrrIco HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Gennaio 1907. LINSSÒT.C E Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 gennaio 1907. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Paternò e Spallino. Ricerche sulla costituzione del diossietilene ... . . . . +. . Pag. Di-Stefano. I pretesi grandi fenomeni di carteggiamento della Sicilia (È)... . ...» Battelli e Magri. La scintilla elettrica nel campo magnetico (*) . +... +... Ea Fubini. Il problema di Dirichlet considerato come limite di un ordinario problema di minimo (pres. dal Socio Bianchi) (0). . . ./.0 RES so, RR Lebesque. Encore une observation sur les forlibions Herione (pres. dal SI oo SE) Medici. Sopra una questione di minimo, che si riconnette col problema di Dirichlet (pres. dalUSocioR5:r22h2) (6) RIE È È DU TESE SEA, Rolla. Esperienze illustrative per la teoria del Volterra su Peg asi corpi cli più volte connessi (pres. dal Socio Volterra). i... . . ; "E » Gortani. Sopra l’esistenza del Devoniano inferiore fossilifero sal ie italiano delle Alpi Carniche (pres. dal Socio Capellini) . +. +... VE ASA ; Ro) Salinas. Avanzi preistorici nel travertino dell'Acqua dei ai presso Pallino (pres. dal SocIoMSi2/0C7) eee: Mae >; APR I Corbino. L’° isteresi magnetica del a per Irienti di alta frequenza (pres. dal Corrisp. MIU o «SI SRESCATE E ; CONA aio La Rosa. Il fenomeno dell’are» ER in un ftito, che non Do un mao proprio d’oscil- l'AZIONEN(PLESSE/AA) MAE SN e 0. RA O REI ETRE RAR, en Macchia. Ricerche ulteriori sopra la condulibilità termica a Doo temperature (pres dal Corrisp. 0040/00) IRR. O. o ME Se Magri. Ricerche sopra solventi inorganici a basse ione sd Disposizione sperimentale (pres: di) i) O. >. I. aL pie gie RO ZIE IE SRO) Piola. Scarica di un condensatore attraverso un solenoide ae un mezzo conduttore (pres. dal Corrisp. SeMla). . . ... ; dune aio SLa0;482 Plancher e Ponti. Azione del cloroformio i ctirindolo emeso cale time Gua dal Socio Masini). St. Ulss (eo SE ei gi SE MORIRE Strampelli. Esperienze di selezione e di ibridazione Ri frumento e un granturco (pres. dal Socio CUTORI) IR 5 o - 5 SARZAOII Pollacci. Sulla scoperta dell Pia tolta fui Hiante Gs dal Siti Briosà) È. SORTI) MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Tenchini e Cavatorti. Sulla morfologia della ghiandola tiroide normale nell’uomo (pres. dal ISCONCLIRIO) = a 5 Solto rue E 00) Russo. Modificazioni Spora dell'elemelii Sitoliale dell ovaia dei Maitor % servire come bass per la determinazione artificiale del sesso femminile e per la migliore inter- pretazione della legge Mendel sulla prevalenza degl’ibridi (pres. dal Socio 8. Grassî)» CONCORSI A PREMI Millosevieh (Sesretario). Comunica che ai congorrenti ai premi Ministeriali, del 1906, per le Scienze naturali, deve essere aggiunto illiprof. P: Vozlino. . ... n BULLETTINO: BIBISIOGRAFICOL 3.1 CARO... SANE e RO - TTI » (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 3 febbraio 1907. N. 3. ALTI ARS LE ACCADEMIA DEI LINCHI ANNO CCCIV. 190% Bru DB QIUETIN:'T A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 febbraio 1907. Volume XVI. — Fascicolo 3: 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEI. CAV. V. SALVIUCCI 1907 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti; e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della | pesa è posta a suo carico, io 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell'ultimo în seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è date ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli || autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. LD Seduta del 3 febbraio 1907. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCIO PRESENTATENDA SOCI Matematica. — Paragone fra gli angoli di due triangoli geodetici di equali lati. Nota del Corrispondente P. PrzzeTTI. ‘ A corollario della Nota precedente su questo argomento, do qui /'espres- stone del massimo valore della differenza fra due angoli corrispondenti di due triangoli geodetici aventi gli stessi lati. 1. Sopra una superficie S consideriamo una geodetica AB e chiamiamo o la lunghezza dell’arco di essa, contato a partire dal punto fisso A fino al punto qualunque M, 9 la lunghezza ridotta dell'arco AM; % la curvatura geodetica, nel punto M; della circonferenza geodetica avente centro in A; k la curvatura assoluta della superficie in M. Per un'altra superficie S', considerata analogamente una geodetica A'B', e su di essa l'arco A'M' di lunghezza o, chiamiamo G,H,K, le cose ana- loghe a g,h,% per il punto M'. Dalle formole del n° 2 della precedente Nota abbiamo: 5 $ 1 = I H-h= f06(kK—M de. 1 79) 99 (KM) do 2. Per dedurre da questa un limite superiore della differenza (H — ©) occorre che ci procuriamo, innanzi tutto, dei limiti superiori ed inferiori delle quantità 9, G. Questa ricerca è stata da me fatta, nelle Memorie dell’Acca- (1) Intorno al grado di approssimazione ecc. (Mem. Accad. Torino, s. II, t. LVII). RenpIconTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 20 — 150 — demia di Torino (*), pel caso soltanto delle superficie a curvatura positiva. Ma è facile estendere la ricerca al caso più generale di superficie a curva- tura di segno qualsiasi purchè finita. Per questo osserviamo che la 9, defi-. nita essendo dalle equazioni 2 gu n () dano, @a=0 > (38) =1, (9) deve soddisfare a ciascuna di queste tre relazioni _— /7 g=R senz +R foe(7— de) sen“ a deb 29010. SE! .G_% (3) = 0:sen1p- — fos( ks) sen l USD Ji 0;R00N: ce) gere P_R gi c- (4a kx (0 — x) da, 0 dove R e @ sono le lunghezze di due segmenti reali qualsiansi, e 9x, kx esprimono i risultati della sostituzione della lettera # alla o nelle 9g e %. Nella Memoria già citata è indicato l’artificio assai semplice, col quale sono giunto alla prima delle formule (3). La seconda si ottiene con un artificio ana- logo; la terza non è che un caso particolare delle prime due (R= vo, 0= 0). Ma, senza risalire ai calcoli che hanno condotto a quelle espressioni, si può 2 senza difficoltà verificare che le derivate - > dedotte da ciascuna delle (3) soddisfanno alle tre condizioni (2). Ciò posto, se la superficie è a curvatura positiva non maggiore di £,, 1 posto nelle (3) ea si vede che sarà 1 TÌ Ro 4 o —— sen (0 V/% quando si considerino, come faremo qui, archi di geodetica di lunghezza li- TT mitata nel modo detto nella Nota precedente (c< -) Possiamo anche 2V/ki scrivere la (4) così o>gy>60 cos (04/k). — 151 — Pel caso di superficie a curvatura negativa non minore di %s, posto nelle (3) o= DE Vy—k 4) GE abbiamo gti =0, e quindi 7 sen ip (0 per) È 2 E poichè per # positivo senipoa 0, il che qui supporremo. — 152 — La formola (6) dà pertanto, un limite superiore della differenza fra le curvature geodetiche di due circonferenze geodetiche di equal raggio 0 descritte sopra due differenti superficie S,S' ove X,,%s sono limiti infe- riore e superiore della curvatura assoluta per entrambe le superficie, ed £ è la massima differenza fra la curvatura assoluta in un punto qualunque della S e quella in un punto qualunque della S'. Quando entrambe le superficie siano a curvatura ovunque positiva, si porrà zero al posto di %,, e se invece sono entrambe a curvatura negativa dovrà porsi X,=0. Possiamo anche dire che la (6) esprime un limite superiore della va- riazione cui va soggetta la curvatura geodetica di una circonferenza geo- detica sopra una superficie, ove si supponga che nell’interno della circon- ferenza stessa la curvatura assoluta presenti la oscillazione massima s, e siano X,,% limiti superiore ed inferiore della curvatura stessa, (colla sud- detta convenzione riguardo al caso delle superficie a curvatura sempre nega- tiva, o sempre positiva). 8. Si consideri ora sulla superficie S il triangolo geodetico ABC del quale i lati 4,0, riterremo compresi entro il limite di lunghezza fissato al n° 2 della precedente Nota. Per un punto M della S chiamiamo «,v le distanze geodetiche dai vertici A e B, 2,,/%, le curvature geodetiche, in M, delle circonferenze aventi centro in A e B rispettivamente. Consideriamo poi sulla superficie S' il triangolo geodetico A'B'C" avente gli stessi lati @,0,6, e chiamiamo 0, © gli angoli in A, A' nei due triangoli. Per la formola (9) della Nota precedente avremo a+b 0 (7) log . sen E — log . sen DI ; (H, +H,— ly, — h)da dove H,,, H, indicano sulla 2* superficie gli elementi analoghi agli 7y, 4» della 1%, e dove si intende posto u=3(e+9) , v=I(e—?), e tenuto £ costante durante la integrazione. Chiamando w il più grande dei due lati è e e, sarà # un limite superiore dei valori che x e v assumono nella formola (7). Quindi, per la (6) posto Me cos? ip (wr V— ka) così (mV %,) potremo scrivere Hu — lu) <5 1 , o — Ino; — 1539 — epperò ® U «M sl a+b eM a Ò log sen 5 — log sens|< {5 ; a.do=S,(a+5) — c?]. Chiamando @,, un angolo compreso fra 9 e © sarà O_-0=2 lag con 3) tang mie erro ellig) anast. Ora se sulla sfera di raggio 1:1/%, consideriamo un triangolo di lati a,b,c, e ne chiamiamo 6, l'angolo in A, per il teorema dimostrato nella precedente Nota, sarà @, un limite superiore dei valori di 9, © epperò anche di ©,,; quindi (e) ®) 10—0)< [a+ 5 — eJtangd. Si ha d'altra parte Jk ka Tg 6, sen È! anita eta sen LE. (a +6+a)senlh4o— c) Chiamando S l’area del triangolo piano i cui lati sono @,d,c, e ri- cordando che 4S=/(a+6b+o)(-a+b+to9@-b+toa+b—0) go r+o)sn lA n-atag- Essi avreb- n= bero almeno un piano limite rr, che sarebbe normale al piano #y: ciò che abbiamo dimostrato assurdo. Dunque: siste un angolo a < > tale che î piani passanti per tre punti di C formano col piano xy un angolo mi- nore di a. (Si noti che X = tang a). 2. Una retta, che passi per due punti di C, giace in piani contenenti almeno tre punti di C, e forma quindi col piano #y un angolo minore di @. Siano A,B due punti di C, e siano «, 8 le loro proiezioni su e; la retta ab divide I in due pezzi T,,T:. Sia d un punto di c, posto p. es. sul contorno di T,, e sia D il punto corrispondente di C. Se noi imponiamo a una funzione v(x,y), esistente in T,, di assumere sul segmento ad e sul tratto 445 di e valori tali che la superficie #=% passi per il segmento AB e per l'arco ADB di C, noi verremo ad imporre i valori che v ha sul contorno di TY; e questi valori avranno rispetto all'arco s, di tale contorno derivate prime inferiori in valore assoluto alla costante H (se H è una co- stante maggiore di K e di tang a). L'esistenza di funzioni wu soddisfacenti a tali condizioni, e tali che in tutto T, abbiano derivate prime inferiori in modulo a H, è cosa evidente. Essa si può del resto dimostrare con ogni rigore, ricordando p. es. che T° è convesso ('). Con ragionamenti analoghi, applicati all'area 7, si potrebbe dimostrare l’esistenza in T di funzioni, aventi î valori prescritti su c, e possedenti entro T derivate prime li- mitate. 8. Noi ci restringeremo in tutte queste pagine alla considerazione delle funzioni (x,y), che 1°) sono finite e continue nell’area y, ove sono definite; 2°) posseggono derivate prime limitate, e generalmente continue. Vo- glio dire che queste derivate sono continue in y, quando si escluda al più un numero finito N di linee analitiche (rette, cerchî, ecc.), in cui queste derivate possono avere discontinuità di prima specie. Il numero N, al variare delle funzioni « considerate, può anche assumere valori grandi a piacere. (1) Cfr. p. es. la Mem. citata del Levi, o quella del Fubini ($ 3). Si potrebbe p. es. considerare la funzione , tale che l’equazione z=w rappresenti il cono proiettante da A l’arco ADB diC (una tangente a tale cono giace in un piano, che forma col piano & y un angolo minore di @). — 164 — Diremo poi psevdoarea della superficie < = (x,y) l'integrale super- È 5 a dU\? du \? ficiale esteso all'area y di s,u= (32) + >) : In particolare la pseudoarea di una superficie piana è uguale al pro- dotto dell’area della sua proiezione sul piano xy moltiplicata per il quadrato della tangente dell'angolo, che il suo piano fa col piano «y (). La pseudoarea di una superficie poliedrica è uguale alla somma delle pseudoaree delle sue faccie. Se una funzione (x,y) gode delle proprietà precedenti, è definita nel- l’area T, e se la superficie z= (x,y) passa per C, noi diremo che detta funzione (detta superficie) appartiene all’ insieme (v). È noto che il problema di Dirichlet si può enunciare così: Dimostrare che fra le superficie (u) esiste una superficie £ = v(£,y), che ha la pseudoarea minima, e che la funzione v è armonica in T (e quindi risolve il problema di Dirichlet enunciato al n. 1). 4. Se d è il limite inferiore delle pseudoaree delle superficie di () (che noi dovremo dimostrare essere un 72%22mo), noi potremo trovare una successione (minimizzante) di superficie Sì, Ss, 53, .. appartenenti all’ in- sieme (uv), tali che le loro pseudoaree 0,,0,,03,... soddisfino alle C, = 12) limo id n= Con z=%; indicherò l'equazione della superficie S; (?). Noi vogliamo ora cercare una speciale successione minimizzante. Per le ipotesi fatte sulle superficie (x), potremo costruire una superficie poliedrale Sî inscritta in S;, o terminata a un poligono C; inscritto in C, in guisa tale che la differenza delle pseudoaree di S; e S' sia minore di una costante «; prefissa a priori, e che lim C}=C (8). i=% (!) La pseudoarea di un’area piana posta in un piano parallelo (normale) al piano @y è quindi nulla (infinita). (2) Lo studio generale delle successioni minimizzanti è stato fatto nella mia Mem. citata (tomo 43, Rend. del Circ. Mat. di Palermo). (3) Se p. es. le derivate prime delle w; sono continue (e quindi uniformemente con- tinue) in T, si sceglierà un poligono c; inscritto in c, in guisa che quella porzione di $i, che si proietta in quella parte di T, che è compresa tra c e c;, abbia una pseudoarea minore di 2° Si divida poi l’area I; interna a c; p. es. con tanti triangoli rettangoli d;, così piccoli che in ciascuno di essi il quadrato della derivata prima di «; secondo una qualsiasi direzione (e in particolare quindi anche secondo la direzione dei cateti) faccia una oscilla- c 4 BO +_ Je È 5 . zione minore di 4L (dove con L indico l’area di T). Prendo poi come superficie S'; la superficie poliedrica, inscritta in S;, le cui faccie si proiettano nei triangoli di. Se invece la funzione «; ha derivate, che hanno discontinuità di prima specie lungo N — 165 — Indichiamo con €; la proiezione di C; sul piano #y, con T; l’area rac- chiusa da c;, con z=%;(#,y) l'equazione di Sf. La funzione # esiste ed è continua nell'area T;. L'area TY — I; racchiusa tra c e c; è somma di 7; aree parziali (se n, è il numero dei vertici di c;), ciascuna delle quali è racchiusa tra un lato di e; e un archetto di c. Per i risultati del n. 2 noi potremo costruire in ciascuna di queste x; aree, e quindi anche nell’area totale TY —Y; una funzione 2=4%;(7,y) avente entro TY — I; derivate prime continue, e inferiori in modulo alla costante H, e assumente su € i valori prescritti, e sui lati di c; gli stessi valori, che sono ivi assunti dalla funzione {,. La funzione 2="#;(2,7), che entro T;} è uguale a &,, e in T—T; è uguale a 4, è una funzione (x). Poichè chiaramente lim c; == c, e le derivate prime di #;» sono in mo- dulo inferiori ad H, la pseudoarea o; della superficie 2 = 7; tende a zero per = co. Se con c; indico la pseudoarea di Sf, si ha: |oj — ci|<&: la pseudoarea 7; della superficie =? è uguale a 040; 04 + 0;. Per la definizione stessa di 4, si ha 0; + g;= d; poichè lim #«#= lim g;=0, deo) ie 00. lim o;=d, si avrà: lim x;=4d. Quindi la successione delle funzioni => i=% zs=t(x.y) è pure una successione minimizzante. Consideriamo ora la fun- zione <= w;(£, y), chein T— I; è uguale a &(2,y)=%2, e che entro I; rappresenta la superficie poliedrica S" che ora definiremo. Tra tutte le su- perficie Y°, terminate a C;, proiettate biunivocamente nella regione 7; del piano y, è cui vertici sono în corrispondenza biunivoca coi vertici di Si, e hanno con questi a comune le proiezioni sul piano xy, indico con S; la (una) superficie poliedrica, che ha la pseudoarea minima possibile. L'esi- stenza di una tal superficie è ben evidente. Se infatti 2,2, ...,s sono le terze coordinate dei vertici di Y} esterni a C (ses è il numero dei vertici di Si esterni a C), la pseudoarea di Y è funzione continua delle ,,2,...,4s. E, poichè essa è sempre positiva (e anzi non è mai infinitesima) raggiungerà il valore minimo per qualche valore delle <1,2,...,s (!). Esiste dunque almeno una superficie S}' (coi vertici a distanza finita). linee analitiche, si osservi che queste linee divideranno T in un numero finito M di parti. Per ciascuna di queste M porzioni potremo ripetere un ragionamento analogo al precedente: otterremo così M superficie poliedriche, che costruiremo con la ulteriore avvertenza che esse formino, considerate insieme, una unica superficie poliedrica (connessa). Faremo in modo cioè che, se I*,I” sono due degli M pezzi di I, tra loro contigui, le superficie poliedriche corrispondenti abbiano comuni i vertici posti sulla linea di separazione dei due pezzi considerati. Il teorema risulta ancora più evidente, quando si pensi al teorema analogo sulle aree. (1) Nè può uno di questi valori essere infinito; in tal caso la corrispondente super- ficie > avrebbe almeno una faccia normale al piano y, e quindi avrebbe una pseudo- area infinitamente grande. RenpIcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 22 — 166 — La superficie z= w;(2,y) ha una pseudoarea Z; = ;. E, poichè 4 = d, lim z;=d, sarà lim Z4j= d. Anche la successione #= w;(2 ; y) è una suc- 1% i=0 cessione minimizzante (!). 5. Noi osserveremo che 2 rapporti incrementali della funzione s=wi(£,y) sono tutti inferiori ad H in valore assoluto. Ciò è ben evidente per quanto riguarda i punti di T — I;. Per quanto riguarda la regione I;, ciò si di- mostra in modo analogo a quanto fa Lebesgue (loc. cit.) (*), appena sia dimostrato il seguente teorema, che provvisoriamente ammetteremo: Nessun angoloide della superficie Si può essere tagliato da un piano lungo una linea chiusa. i L'essere le derivate delle w; inferiori a una stessa costante H porta subito a una conseguenza notevole, quando sì applichino i teoremi del pro- fessore Arzelà (3), oppure si usi lo stesso artificio, usato da Hilbert (loc. cit.). Nella successione delle funzioni wi(x ,y) si può scegliere una successione subordinata Wi, , Wi, Wiy, », la quale tenda uniformemente a una fun- sione v(4x,y) esistente in T, la quale assumerà sul contorno di c i valori prefissati. La semplice applicazione dei risultati della mia Nota citata: Sul prin- cipio di Dirichlet (tomo 22 dei Rend. del Circ. Matem. di Palermo) (4) dimostra che v(e,y) è armonica in T, e che quindi essa è la funzione cercata. Il teorema di esistenza per il problema di Dirichlet è quindi di- mostrato. 6. Ritorniamo ora sul teorema, ammesso al n. 5. Per la definizione stessa di S” un angoloide A(B, B.... Bs) di S” è un angoloide che proietta da un vertice A di S" un poligono (in generale sghembo) B, B. ... Bs, i cui ver- tici sono vertici di S”, e che ha una pseudoarea minima, confrontato con tutti gli angoloidi, che proiettano il poligono B, B» ... Bs da un punto A’ posto sulla normale al piano xy passante per A. Di più punti distinti dell'angoloide A(B, ... Bs) hanno proiezioni distinte sul piano #y. È ben evidente che ur piano e= cost non può tagliare detto angoloide in una linea chiusa. Chè, se A' è la proiezione di A su detto piano, la pseudoarea (°) dell’angoloide (*) È ben evidente che le funzioni w;(2, y) appartengono a (w). (2) Il prof. Vitali mi fa osservare che a pag. 350 (riga 4) del citato lavoro del Lebesgue si deve probabilmente leggere convere anzichè aigu. (*) Cfr. Vitali, Sopra le serie ecc. (Ann. di Matem., 1903) $ 3. (4) Si potrebbero anche applicare gli altri metodi usati nella mia Mem. cit. (Il pria- cipio di minimo ecc.) (5) Infatti i triangoli AB; Bi+1, A/B;B.+: hanno la stessa proiezione sul piano @y; il piano del secondo forma però col piano 7y un angolo minore dell'angolo formato dal piano AB; B;+1; e quindi la pseudoarea di ogni triangolo A/B; Bi+: sarebbe minore della pseudoarea del triangolo AB; B;+: corrispondente (per brevità ho posto Bs+1= Bi). — 167 — A'(B, ... B;) sarebbe minore della pseudoarea dell’angoloide A(B, ... B;), ciò che è impossibile. Se poi un piano qualunque @ tagliasse detto angoloide secondo una linea chiusa, il piano passante per A parallelo ad @, lascierebbe i punti B, ...Bs tutti da una stessa parte. Che ciò sia assurdo, è dimostrato nel modo più semplice ed elegante dal dott. Medici nella sua Nota: Sw una questione di minimo, che si riconnette al problema di Dirichlet (!). Fisica. — L'’isteresi magnetica del ferro per correnti di alla frequenza. Nota di 0. M. CorBINO, presentata dal Corrispondente D. MacaLUSO. 1. In una recente Nota i professori Battelli e Magri (?) hanno riferito l'esito delle esperienze da loro intraprese su questo argomento, cosistenti nel fotografare le curve d'isteresi del ferro, ottenute col tubo di Braun, per correnti alternate di 50 e 10000 alternazioni a secondo. La disposizione è all'incirca quella adottata nelle mie esperienze del 1903 sullo stesso argomento (?); soltanto le correnti son fornite da un al- ternatore, mentre io feci uso delle correnti del Duddel rese sinusoidali; inoltre le fotografie da me pubblicate riproducevano le curve di isteresi di un unico fascetto di fili di ferro dolce del più piccolo diametro che mi fu possibile procurarmi (mm. 0,25) e per sei numeri diversi di alternazioni, crescenti da 1500 a 20000 circa, oltre al ciclo corrispondente a 4 alterna- zioni; mentre le fotografie dei sigg. Battelli e Magri sì riferiscono ai due soli numeri di alternazioni 50 e 10000, e a tre fasci di fili di ferro di di- versa durezza e diametro (mm. 0,05; mm. 0,1; mm. 0,3). Gli autori confermano il risultato da me ottenuto, che cioè la permea- bilità è indipendente dalla frequenza; ma deducono dalle curve avute che l'area d'isteresi non cresce con la frequenza, contrariamente a quanto appa- risce dalle mie fotografie. L'aumento visibile nelle mie curve, e in quella n. 6 dei sigg. Battelli e Magri relativa al filo di mm. 0,3, viene da loro attribuito alla non com- pleta eliminazione degli effetti dovuti alle correnti di Foucault, poichè tale aumento non si ha più nelle curve relative ai fili più sottili. 2. Questa conclusione, a prima vista evidente, non è accettabile qua- lora si esamini attentamente fino a che punto può intervenire l’azione delle (1) Nota presentata nella seduta del 20 gennaio 1907. (*) Battelli e Magri, Rend. Lincei, vol. XV. 2° sem., fasc. 8°, pag. 485, 1906. (*) Corbino, Atti A. E. I., vol. VII, pag. 606, 1903; Physik. Zeitscr., VI Jahrgang, pag. 174, 1905. — 168 — correnti di Foucault; la quale è abbastanza conosciuta per permettere che se ne prevedano completamente gli effetti. Già in una precedente comunicazione (!) i sigg. Battelli e Magri ave- vano esaminato il problema teorico in due casi particolari (oscillazioni molto lente o molto rapide) confermando quanto era già noto per i calcoli di Oberbeck, Heaviside, J. J. Thomson e Zenneck. Si deve a quest’ ultimo (*) una teoria molto elegante e completa degli effetti delle correnti di Foucault sulla magnetizzazione con correnti alter- nate dei nuclei di fili di ferro; e appunto ai diagrammi del Zenneck si riferiscono i sigg. Battelli e Magri quando si vogliano prevedere quegli effetti nel caso generale di oscillazioni non troppo lente nè troppo rapide. Dall'insieme delle varie teorie si viene alla conclusione che l'effetto delle correnti di Foucault consiste in un ritardo di fase g tra l'induzione magnetica e la forza magnetizzante e per conseguenza nella dissipazione di una certa quantità di energia a ogni ciclo che si deve tradurre in un au- mento apparente dell’area d'isteresi, comunque questa venga determinata. Risulta ancora che il valore di tang 4 e del lavoro speso in più per ogni ciclo (cioè l’espressione Di di Zenneck) è una funzione più o meno facil- mente calcolabile di una certa grandezza # data da =rWnk nella quale 7 è il raggio del filo, # il numero di alternazioni e # una co- stante caratteristica della natura del filo e dipendente dalla sua resistenza specifica e dalla permeabilità magnetica. È chiaro quindi che /utti gli effetti delle correnti di Foucault rimar- ranno invariati se si modificano insieme r ed n in modo che resti inva- riata la grandezza x cioè il prodotto r Yn (8); e questo indipendente- mente dalla legge più o meno semplice con cui gli effetti medesimi si mo- dificano al variare di 4. Or nelle mie esperienze il filo aveva un diametro di mm. 0,25; e quindi se l'aumento ottenuto dell’area d’isteresi fosse dovuto alle correnti di Fou- cault, esso, come sparisce nelle esperienze Battelli e Magri a 10000 alter- nazioni e con ur filo di mm. 0,1, dovrebbe sparire nelle mie esperienze per un numero n di alternazioni tale che sia " 0,25 Ya=0,1 J/10000 cioè per n= 1600 (1) Battelli e Maori, Rend. Lincei, vol. XV. fasc. 8°, pag. 158, 1906. (*) Zenneck, Drude’s Annalen. t. 11, pp. 1121 e 1135, 1903. (*) Anche nel calcolo «dello skin-effect, alterazione della resistenza di un filo per correnti alternate dipende solo, come è noto, da 7 In, e rimane perciò invariata se » ed n cambiano insieme in modo che r J/n rimanga costante. — 169 — E quindi a maggior ragione la mia curva 2, corrispondente a 1460 alternazioni, non dovrebbe presentare alcun aumento dell'area, mentre essa lo presenta ancora e notevolissimo, nella sua sorprendente regolarità dovuta alia forma perfettamente sinusoidale delle correnti impiegate. Adunque le nuove esperienze di Battelli e Magri relative al filo di mm. 0,1, lungi dal contradire alla conclusione da me enunciata, la confer- mano nel miglior modo desiderabile; esse dimostrano infatti che le correnti di Foucault non hanno nessun effetto apprezzabile a 10000 alternazioni e con filo di 0,1 mm., e che perciò esse z0n possono averne alcuno a 1600 alternazioni e con filo di 0,25 mm.; cosicchè l'aumento osservabile nella mia fisura 2*, confrontata con la i*, è tutto aumento effettivo dell'area d’iste- resi, come io avevo dedotto, meno sicuramente, dall'andamento generale delle curve alle varie frequenze. 8. L'aver dedotto dalle esperienze del Battelli e Magri che l'aumento dell’area d’'isteresi osservabile sulle mie curve non è dovuto alle correnti di Foucault, rende più viva la divergenza tra quelle esperienze e le mie, poichè, pur essendo esatte le mie conclusioni, non è men vero che per i fili di 0,1 e 0,05 mm. essi non trovano alcun aumento. Or pare a me che le loro esperienze col filo di mm. 0,3 possan servire a stabilire il contatto ed eliminare la contradizione tra i risultati. Mi sembra invero che i sigg. Battelli e Magri diano una importanza ec- cessiva al diametro del filo, per quanto riguarda gli effetti delle correnti di Foucault, anche nella interpretazione dei loro risultati relativi al filo di 0,3 mm. Dal fatto che la curva ottenuta in questo caso presenta un forte ingros- samento, mentre niente di simile si nota nella curva relativa ai fili di 0,1 mm., gli autori concludono senz'altro che tutto l'aumento è dovuto alle correnti di Foucault. Or l'ispezione della curva n. 6 rivela che la magnetizzazione del fascio si annulla con un notevole ritardo sul campo, tale da indicare, se l’effetto è tutto dovuto alle correnti di Foucault, un valore di /ar9 g eguale all’ in- circa a 0,3. Dai diagrammi di Zenneck si può intanto ricavare a quale valore della grandezza x corrisponda un tal valore di tang , essendo quest'ultimo dato dal rapporto delle ordinate delle curve B, A relative alla medesima ascissa x. Sì ottiene così all’incirca Ma se il filo avesse avuto un diametro di 0,1 anzichè di 0,3 mm., il valore di «=7r{/n% sarebbe stato solo un terzo del precedente, cioè 0,19, cui corrisponde un valore di {ang g eguale a 0,04; e quindi anche sulla curva dei fili di 0,1 mm. dovrebbe essere visibile un ritardo della magne- Sub tizzazione sul campo per effetto delle correnti di Foucault (la porzione ta- gliata dalla curva n. 4 sull'asse delle ascisse dovrebbe eccedere quella ta- gliata dalla curva n. 3 di circa due mm., cioè di una lunghezza che dovrebbe essere ben visibile sulla figura). Pare adunque che anche nelle esperienze di Battelli e Magri il filo di mm. 0,3 presenti un aumento dell'area d'isteresi non attribuibile intera- mente alle correnti di Foucault ('). Si noti intanto che appunto quel filo è molto più dolce degli altri due, dei quali quello di mm. 0,1 è di ferro piuttosto duro, e quello di mm. 0,05 è addirittura di acciaio; cosicchè il primo, che si accosta molto nelle sue proprietà magnetiche a quello da mé adoperato, è appunto quello che pare presenti, come certamente il mio, un aumento effettivo dell’area d' isteresi. È quindi molto probabile che la divergenza dei risultati dipenda dalle diverse qualità del ferro impiegato e soprattutto dalla sua diversa durezza, nel senso che l'aumento dell'area d'isteresi si abbia per fili di ferro molto dolce e svanisca, per diventare forse anche negativo, al crescere della du- rezza fino al grado dell'acciaio (?). La deficienza di mezzi non mi consente di procedere a esperienze com- parative su qualità diverse di ferro, supposto che si possa avere filo di ferro abbastanza dolce e molto sottile. Debbo quindi limitarmi a concludere che le esperienze di Battelli e Magri, anzichè contradire, confermano la mia primitiva asserzione, che cioè l'aumento dell'area d'isteresi con la frequenza visibile nelle figure da me ottenute col ferro dolce non è dovuto alle correnti di Foucault; e inoltre che la costanza dell’area di isteresi e la sua diminuzione osservabile sulle fisure di Battelli e Magri coi fili sottili è probabilmente dovuta alla du- rezza del materiale impiegato. (1) La forma non regolare della curva 6 di B. e M. può essere dovuta, oltre che a un certo effetto delle correnti di Foucault, anche alla non sinusoidalità delle correnti im- piegate, poichè i vari tratti del ciclo vengono percorsi con velocità relative a cicli di di- versa frequenza. (*) Se non m’ingannna la memoria una conclusione di tal genere deve essere anche conforme alle esperienze del Wien. Non posso controllare l'esattezza del ricordo poiché mi mancano gli Annalen der Physik dell’epoca. — 71 — Fisico-chimica — £Aicerche sopra solventi inorganici a basse temperature. Disposizione sperimentale (!). Nota di G. MAGRI, pre- sentata dal Corrispondente A. BATTELLI. 1. I molteplici studî cui hanno dato luogo le teorie di Van't'Hoff sulla pressione osmotica e di Arrhenius sulla dissociazione elettrolitica, hanno aumentato notevolmente le cognizioni relative alla teoria delle soluzioni; ma non si può dire che abbiano servito a rimuovere completamente tutte le difficoltà che sono state sollevate contro quelle teorie, mano a mano che nuovi fatti si presentavano in contraddizione, o reale o apparente, con le deduzioni che da queste medesime teorie potevano trarsi. È bensì vero che le nuove idee sulla dissociazione degli atomi, e la nuova teoria della dissoezazione elettrica, alquanto diversa da quella della dissociazione elettrolitica, posson fornire nozioni più precise sulla natura del fenomeno generico della dissociazione; ma ciò non ostante resta pur sempre da assegnarne la causa prima, e le difficoltà che via via son sorte rimangono ancora da risolversi. Ora è noto che si cerca di spiegare il potere ionizzante dei solventi, osservando che in generale tanto più un liquido possiede tal potere in alto grado, quanto più grande è la sua costante dielettrica, aumentando la quale diminuisce l'attrazione reciproca fra gli ioni oppostamente carichi, che sieno presenti nel liquido. Secondo Nernst (2) e Thomson (3), la parte più impor- tante della dissociazione sarebbe infatti rappresentata dall'attrazione elettro- statica fra gli ioni oppostamente carichi, e quindi il maggiore o minore potere ionizzante dipenderebbe dal valore più o meno grande della costante dielettrica del solvente. Ma in questo concetto, nella formazione degli ioni mediante la disso- ciazione delle molecole, il solvente non influirebbe per nulla, e soltanto quanto minore fosse l'attrazione che si esercitasse, in seno al solvente, fra ioni op- posti, tanto più facilmente tali ioni potrebbero in esso esistere liberi. Reste- rebbe quindi da spiegare sempre da quale causa è determinata la dissocia- zione, e da dove è presa l'energia necessaria a scindere le molecole del soluto in ioni. Ma astraendo dal considerare tale questione, e ritenendo come fatto sperimentale che quando un elettrolito si scioglie, alcune delle sue (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica dell’ Università di Pisa, diretto dal pro- fessore A. Battelli. (2) Zeit. f. phys. Chem. 13, pag. 531. (3) Phil. Mag. (5), 36, pag. 320. — 1722 — molecole si dissocino ('), è chiaro che quanto maggiore sarà la costante dielettrica del solvente e tanto più facilmente tali ioni potranno restar liberi l'uno accanto all'altro; poichè un grande valore della costante dielettrica determina una diminuzione nell’attrazione fra corpi oppostamente elettrizzati. Ed infatti l'esperienza ha sempre dimostrato che — salvo poche ecce- zioni — i liquidi la cui costante dielettrica è molto elevata, hanno anche un forte potere dissociante; o meglio dovrebbe dirsi che in tali liquidi gli ioni oppostamente carichi possono restare più facilmente liberi. Altra condizione, da cui probabilmente dipende il potere dissociante di un solvente, sembra essere la sua coesione. Infatti, secondo Walden e Cent- nerszwer (?), alla temperatura critica, alla quale si rende insensibile la coe- sione, cesserebbe anche il potere dissociante; perchè essi avrebbero trovato che a tale temperatura critica le soluzioni non hanno più alcuna conducibi- lità elettrica. Ora dalla coesione dipende la tensione superficiale del liquido; e quindi parrebbe che il potere ionizzante dovesse essere in relazione anche con la tensione superficiale. Ulteriori ricerche di Eversheim (3) mostrerebbero però che anche al punto critico una leggera conducibilità sussiste, e che anche la costante dielettrica, a quella temperatura, subisce una forte diminuzione per poi rimaner costante a temperature superiori al punto critico. In qualunque modo poi gli ioni si formino, se si considera che, secondo 1 concetti ora dominanti, la conducibilità di una soluzione si deve ritenere determinata dal movimento che agli ioni, già liberi nella soluzione stessa, viene impresso dalla attrazione degli elettrodi oppostamente elettrizzati, è naturale il ritenere che quanto minore — a parità di altre condizioni — sarà la viscosità o l'attrito interno del liquido, e tanto maggiore dovrà es- sere la sua conducibilità. 2. Se la teoria delle soluzioni e quella dei liquidi in generale fossero ben conosciute, si dovrebbe poter stabilire a priori la natura delle relazioni che le considerazioni sopra esposte mostrano dover esistere fra costante dielet- trica, conducibilità molecolare, attrito interno e tensione superficiale di una. stessa soluzione. Ma quelle teorie non sono ancora formulate su basi indi- (!) Secondo un recente studio teorico di J. J. Thomson, gli atomi di tutti i corpi potrebbero perdere elettroni negativi come fa il Radio, quando venisse (ad es. per il con- tinuo irraggiamento) a diminuire la forza viva e quindi la velocità dei corpuscoli rotanti che costituiscono l'atomo. Il Thomson dimostra infatti che tali corpuscoli potrebbero for- mare sistemi in equilibrio dinamico stabile, soltano finchè la velocità di rotazione non scendesse al disotto di un certo valore (Phil. Mag. 7 marzo 1904). (2) Bull. de l’Ac. de Sc. de St. Pétersb., giugno 1901. (5) Drud. Ann. 8, pag. 539, 1902. — 173 — scutibili, nè quelle fin qui proposte si prestano a dare sotto forma analitica ben determinata le relazioni anzidette. Quindi vani sono stati finora gli sforzi per coordinare in un nesso unico tutte quelle grandezze, e solo si co- noscono dei tentativi per collegare fra loro due a due alcune di esse. Sarebbe troppo lungo passare in rivista tutti questi tentativi, tanto più che, come ho detto, nulla di sicuro si conosce in proposito, e tutto si limita a relazioni più o meno empiriche: mi fermerò quindi soltanto su quelle che hanno più stretta relazione colle mie ricerche. Il primo che richiamò l’attenzione sui rapporti che potevano passare fra questi elementi, fu l’ Hankel (!), il quale, esaminando la dipendenza della conducibilità elettrica dall’attrito interno, suppose che la viscosità si op- ponesse alla scomposizione delle molecole dell’elettrolita. G. Wiedemann (?) di poi, guidato dall'idea che la viscosità si opponesse al moto degli ioni, giunse alla conclusione che la resistenza di una soluzione sia inversamente pro- porzionale alla concentrazione e direttamente proporzionale alla viscosità. Di questa relazione sì occuparono successivamente altri fisici: Grotrian, Lenz, Kohlrausch, Stephan, Grossmann, E. Wiedemann, Monti, Bouty, Vi- centini, Arrhenius, Poincaré, Massoulier, sempre meglio delimitandola. Se altre complicazioni non intervenissero, stando ai concetti più accre- ditati sulla natura della conducibilità elettrica delle soluzioni, l’attrito interno e la resistenza elettrica dovrebbero per uno stesso liquido variare nello stesso modo col variare della temperatura; ma, nonostante tutti i lavori intrapresi per studiare questa relazione, siamo ben lontani dall'avere una conferma spe- rimentale della proporzionalità fra quelle due costanti, nemmeno per le so- luzioni acquose, e manca ogni indicazione precisa circa il comportamento in altri solventi. Oltre che dal fatto che, quando si rende insensibile la coesione di un li- quido, cioè al punto critico, viene anche ad annullarsi — secondo Walden e Centnerszwer (loc. cit.) —la costante dielettrica, altri fenomeni sembrano accen- nare ad una correlazione fra queste due grandezze. Così Heschus (*) ritiene che, dovendo l'elettrizzazione per strofinìo, o per contatto, esser dovuta al cambia- mento di equilibrio dell'etere che si trova ripartito nella massa dei due corpi a contatto, e dovendo lo stato dell'etere esser caratterizzato dall’ indice di refrazione e dalla tensione superficiale, ad una costante dielettrica elevata dovrebbe corrispondere una tensione superficiale considerevole. Pei corpi solidi questa correlazione sembra in generale verificarsi; e anche per alcuni liquidi . si hanno indicazioni in questo senso. Ma anche a questo proposito non si hanno (1) Pogg. Ann. 46, 1839. (*) Journ. de Phys. (4), I, pag. 49, 1902; ib. (3), 10, pag. 153, 1901. (3) Journ. de Chim. physique, I, nn. 9 e 10, febbraio 1903. RenpiconTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 23 — 174 — che relazioni qualitative e puramente empiriche, e mancano studi sistematici completi atti a rischiarare la questione. 3. Che adunque un parallelismo, se non una proporzionalità, esista fra alcune delle diverse grandezze sopra enumerate, è già stato accertato da vari sperimentatori; e tutte queste grandezze, ed altre ancora che qui è inutile ricordare, come ad es., calore di vaporizzazione, calore specifico, fattore di associazione ecc., sono state infatti messe a confronto le une con le altre per diverse soluzioni, ed una bibliografia abbastanza completa di tali ricerche si trova anche nella citata Memoria di Walden e Centnerszwer e nella più recente del Dutoit (!). Ma, come fanno anche osservare tali fisici, ben di rado le diverse co- stanti sono state determinate nella stessa soluzione contemporaneamente, 0 in condizioni rigorosamente confrontabili, ed appariva quindi importante ri- cercare se qualche relazione esista fra alcune di quelle costanti quando sieno determinate nella stessa porzione di liquido. Per le soluzioni nell'acqua o in altri solventi, che son liquidi nelle condizioni ordinarie, moltissime sono le ricerche istituite a tale scopo; ma era importante studiare accuratamente altri liquidi che per la loro costitu- zione chimica si allontanassero dall'acqua, per riconoscere se a determinare certe proprietà fisiche concorresse effettivamente o la presenza del radicale OH, o dell'ossigeno quadrivalente ecc. Numerose esperienze di diversi autori mostrano che, ad esempio, il po- tere dissociante non dipende esclusivamente dalla natura del solvente, ma anche da quella dell’ elettrolito. E così dovrà essere di altre fra le grandezze sopra accennate. Gli studi comparativi di questo genere fatti sopra soluzioni in solventi diversi dall'acqua acquistano importanza ancora più notevole se si considera che, a differenza di quanto avviene con l’acqua, negli altri solventi il grado >) di dissociazione dedotto dal rapporto ad delle conducibilità molecolari non Ì concorda quasi mai con quello dedotto dalle misure tonometriche. E ciò (come osserva anche il Dutoit (loc. cit.}) forse è dovuto alla formazione di molecole e ioni complessi o a combinazioni del solvente con l'elettrolito e coi suoi prodotti di dissociazione. Di qui la necessità di eseguire anche la determinazione del peso mo- lecolare del soluto per riconoscere se la sostanza nel disciogliersi si è poli- merizzata. Infine, nella maniera di interpretare i fenomeni di dissociazione elet- trica è di gran gioramento lo studio della elettrolisi delle soluzioni e quindi (1) Pogg. Ann. 99, pag. 205, 1856. — 175 — dei depositi o dei gas che vengono a formarsi sugli elettrodi; esperienze in questo senso per solventi diversi dall'acqua sono fino ad ora molto scarse. 4. Movendo da queste considerazioni, ho pensato di intraprendere uno studio su alcuni solventi cominciando dalla anidride solforosa e specialmente dall’idrogeno solforato, del quale ultimo ebbi già ad occuparmi ('); ed am- maestrato dalla pratica presa in quelle precedenti ricerche, coordinai uno schema di lavoro di cui mi preme sino da ora dire le linee generali in questa Nota preliminare. Mi sono prefisso la determinazione contemporanea di diverse costanti in una medesima porzione di liquido e quindi in condizioni perfettamente confrontabili; ho limitato, per ora, lo studio ai due solventi surricordati e alle loro soluzioni. La determinazione contemporanea delle diverse grandezze risulta così molto importante, perchè fino ad ora, come hanno osservato Walden e Centner- szwer (loc. cit.), la maggior parte dei dati che interessa porre a confronto sono stati determinati solamente sui solventi puri, mentre alcuni di essi vengono modificati dalla quantità e dalla natura dei corpi che vi si sciolgono. Le grandezze che mi sono proposto di misurare per variazioni di tem- peratura e di concentrazione delle sostanze disciolte nella SO? e nello H?S sono : 1° Tensione superficiale. 2° Costante dielettrica. 3° Attrito interno. 4° Conducibilità elettrica. 5° Densità.. 6° Peso molecolare delle sostanze disciolte. 7° Esame dei prodotti ottenuti nella elettrolisi delle soluzioni. 5. L'apparecchio da me ideato fu costruito (per quel che è parte in vetro) con rara perfezione dalla Ditta Burger e C°. di Berlino. Esso doveva rispon- dere a diversi scopi: Contenere il liquido e gli apparecchi per la misura delle diverse gran- dezze, ben difesi dall'aria e dall'umidità; impedire lo scambio di calore coll’esterno; essere di un uso continuo senza che vi fosse bisogno di smon- tarlo ogni volta; permettere che la soluzione o il solvente in studio venis- sero riscaldati o raffreddati, mantenendoli a temperatura costante per un certo intervallo di tempo. Questo apparecchio — tutto in vetro — è rappresentato schematicamente nella figura, I. La parte principale è formata da una grande provetta AA cilindrica la quale costituisce l'apparecchio laboratorio. Essa misura 20 cm. di lunghezza (1) U. Antony e G. Magri, L'idrogeno solforato liquido come solvente, Gazz. Chim. Ital., t. XXXV, I, 1905. “lino ed Sem. di diametro; quando il liquido sfiora la curva del sifoncino il suo volume occupa 200 cm?. Nella parte superiore della provetta è posto un tappo O) ] SS) | | (c|(cl i | y DI) a smeriglio T che porta 9 cannelli nei quali si adattano a smeriglio 9 tubi LIPUI".. di vetro a cui sono fissati i vari apparecchi di misura. Per il serpentino S contenuto nel Dewar P' passa il gas che in esso si condensa e scola quindi nella provetta AA; l'eccesso del gas non condensato, o ‘quello che evapora dal liquido, esce da diverse biforcazioni I',I",I"... praticate sui tubi che sorreggono gli apparecchi di misura. Nella figura per non complicare troppo il disegno, sono segnati soltanto: il serpentino S, gli elettrodi in platino platinati CC, un densimetro D e — 177 — l'agitatore E il quale si muove in un sistema di tubi J ove trovasi del mercurio per fare chiusura ermetica. B e F che sono riuniti mediante un commutatore agli elettrodi CC, rappresentano schematicamente un ponte di Nernst per la misura della co- stante dielettrica e un ponte di Kohlrausch per la misura della conducibilità. I cannelli biforcati III”... che escono dal tappo T fanno capo ad un tubo unico UU il quale sbocca nelle colonne 1,2,3... ripiene di una so- stanza essiccante opportunamente scelta. Il gas percorre il cammino indicato dalle freccie nell’atto della lique- fazione o quando è in esame il liquido, in tal caso è aperto il rubinetto R mentre quello inferiore R' rimane chiuso. In queste condizioni il liquido da A non può scendere in 0; quando ciò deve avvenire, apresi R' e chiudesi R nel mentre che il gas uscente dal serpentino S determina sul liquido una pressione tale che, sospinto nel si- foncino Q, questo si attiva e il liquido vien condotto in O. Il sifone Q passa per il fondo della provetta AA attraversando una specie di lungo peduncolo P in cui è stato fatto il vuoto. Sul peduncolo P si adattano a smeriglio una campana cilindrica MM ed un Dewar molto grande non argentato P" il quale termina con un cannello S'S' che penetra nel recipiente a doppia pa- rete O. Fra le pareti della provetta AA e della campana MM vien posto un liquido che può essere l'etere di petrolio (30° 40°) o l’isopentano (30°). Nel vano compreso fra la campana MM e il Dewar P” trovasi dell’aria. Il Dewar P”, la campana e la provetta sono congiunte fra loro, nella parte superiore, con buoni tappi di sughero sui quali vien versato del mercurio; così pure del mercurio viene a ricoprire il tappo T fin sopra le smeriglia- ture dei diversi cannelli I' II”... La parte inferiore 0, costituita da un Dewar non argentato, è destinata alla elettrolisi delle soluzioni. I due elet- trodi di platino ce saldati in due cannelli di vetro, fanno capo, mediante connessione a mercurio, con due reofori; questi elettrodi sono posti entro le campanelle 42 le quali con due tubi terminano al di sotto di altre due campane graduate «@ ripiene di mercurio. Queste diverse parti passano at- traverso un tappo di sughero ricoperto di mercurio ed inoltre vi passano ancora i due tubi 77 riuniti al cannello UU per l'uscita del gas. Il liquido esce dal recipiente O mediante un sifoncino. Riepilogando: in S si condensa il gas che liquefatto viene a trovarsi in AA e là è mantenuto freddo mediante una corrente liquida che scorre nel vano fra M ed A. Terminato lo studio del liquido o della soluzione, mediante il sifone QQ e il cannello d'uscita S'S' si fa giungere in O ove sì sottomette all’elettrolisi, quindi sì estrae aprendo la chiavetta d. Con diverse gettate di gas liquefatto e successiva sifonatura, si lava ben bene la provetta A ed il recipiente O, cosicchè l'apparecchio funziona continuamente senza necessità di smontarlo. -— -____eat———mPm — ez — 178 — 6. Per raffreddare la soluzione in istudio, facevo circolare il liquido contenuto nel vano determinato dalla provetta AA e dalla campana MM | (vedi fig.) in un sistema di tubi metallici fortemente raffreddati sia con una | miscela di neve, di anidride carbonica ed alcool metilico o etere, sia anche con dell'aria liquida posta nel Dewar argentato WW. | Tale effetto io ho potuto ottenere coll’aiuto di una turbina KK mossa da un motorino elettrico nel tubo LL. Quando la turbina K gira veloce- | mente, il liquido rimonta nel tubo L e da questo scende nel cannello NN e quindi nel vano fra A e M; contemporaneamente il liquido, che si trova i in quel vano, risale pel tubo e quindi pel serpentino VV che gira attorno | al cilindro L e termina al fondo di questo. | | Nella spirale e nella turbina il liquido sì raffredda fino a raggiungere | quasi la temperatura del bagno refrigerante, cosicchè, per stabilire una data || temperatura, si inizia la circolazione e si regola questa, interrompendola ogni tanto quando siasi raggiunta la temperatura voluta. Con questo sistema non occorre nemmeno l'agitatore nel liquido refri- gerante, perchè questo viene completamente rimosso dalla turbina e con fa- | cilità si riesce a mantenere assai lungamente costante la temperatura del i bagno. L'apparecchio ora descritto è tutto in ottone; il cannello VV ha una | sezione minore di NN. In quest ultimo è praticato un tappo a vite £ che ll serve per il ricambio del liquido contenuto nella turbina e quindi nel vano | fra A e M. Per evitare una soverchia dispersione di calore coll’esterno, la parte superiore dei cannelli e del tubo L sono rivestiti di lana — come indica in sezione la fisura — e questa è ricoperta di uno strato impermea- | bile di tela e caoutchouc. L'albero di /% è collegato con un giunto elastico il di gomma all'albero della dinamo. Con questo apparecchio le determinazioni riuscivano molto concordanti pi] e scevre di errori; di esse darò relazione in una prossima Nota. — goa Fisica. — Le conduttività dell’acqua disareata in presenza delle emanazioni del radio ('). Nota del dott. UGo GRASSI, presen- tata dal Socio A. RITI. In una Nota precedente (*) ho mostrato che, facendo gorgogliare l’ idrogeno rimasto per qualche tempo in presenza del bromuro di radio attraverso a l'acqua distillata, la conducibilità di questa aumenta rapidamente; ed un tale aumento era tanto più singolare inquantochè il gorgogliamento semplice dell'idrogeno che non ha subìto l’azione del bromuro di radio produce al contrario un aumento della resistenza. Allo scopo di mettere in evidenza quale parte aveva l'idrogeno nell'aumento osservato della conducibilità dell'acqua mi proposi di sottoporre dell’acqua disareata alle emanazioni dello stesso composto di radio adoperato l’altra volta. Per preparare dell’acqua disareata e pura quanto più è possibile, la distillazione va compiuta nel vuoto ed in recipienti di vetro poco solubile; sì sa come sia penosa la preparazione di una quantità anche piccola di acqua in tali condizioni e come si richieda un lungo tempo prima di avere un recipiente dal quale sia levata tutta la crosta solubile del vetro. Si raggiunge lo scopo mediante ripetuti lavaggi con acqua distillata. L'apparecchio, del quale mì sono servito, è rappresentato dalla figura an- nessa. Fu costruito in vetro di Jena e venne saldato alla pompa Sprengel, con la quale facevasi il vuoto, attraverso ad un sottile tubo di vetro (dia- metro di 3 mm.) lungo circa 4 m. piegato a zig-zag e ad un essiccatore con acido solforico lungo circa un metro e presentante una superficie attiva di 300 cmq. Prima d'introdurre l'acqua nell'apparecchio il tubo veniva chiuso alla lampada e la pompa veniva posta in azione per circa due giorni; in seguito s introduceva l’acqua nel pallone P attraverso il tubo T previamente aperto, indi si chiudeva nuovamente alla lampada e sì rifaceva il vuoto. L'acqua che s'introduceva in P era ottenuta con doppia distillazione; una prima volta con traccie di acido solforico e permanganato potassico, una seconda con traccie di barite; in seguito era parzialmente congelata e la parte rimasta liquida era buttata via. Introdotta dunque l'acqua in P si faceva il vuoto e quando esso era sufficientemente spinto (l'operazione durava come la precedente circa due giorni) sì fondeva il capillare e si staccava l'apparecchio dalla pompa. (*) Ricerche eseguite nel laboratorio di Fisica del R. Istituto di studi superiori in Firenze. (2) Vedi Rendiconti Cl. Sc. Fis. Vol. XIV, 2° sem. 1905. — 180 — A questo punto si distillava nel vuoto portando il recipiente P a 45°-50° e quello M a —15° circa per mezzo di un miscuglio frigorifero. La distil- lazione sì compiva in circa 20 minuti. Si erano perciò eseguite in linea ge- nerale le precauzioni indicate da Kohlrausch nella sua nota Memoria sulla preparazione dell’acqua purissima. S _> alla ITEOIZYAZ LS) ina Le misure di conducibilità erano eseguite con un ponte di Weatstone applicando ad una diagonale una forza elettromotrice di 18 Volt circa. Questo metodo si mostrava assai più adatto di quello con corrente alternata per la notevole resistenza del recipiente di misura. L'acqua che io ho ottenuto nella maniera descritta era perfettamente vuota dal punto di vista ottico; la sua conducibilità andò via via scemando con l'aumentare del numero di lavaggi cui era stato sottoposto il recipiente di misura; alla fine di sei mesi di ripetuti lavaggi e rarefazioni ho potuto ottenere un'acqua che aveva una conducibilità specifica misurata in Ohm" per cm? da: 1,534.107 a 25° (ossia un po' maggiore di quella di Kohlrausch) (') e ciò devesi senza dubbio (*) Kohlrausch ottenne 4.108 27! a 189. — bBl— attribuire in gran parte ai residui solubili del vetro; impurità gassose po- tevano in parte provenire dal fatto che per la portata della pompa ado- perata l'apparecchio rimaneva troppo a lungo connesso con la pompa stessa e quindi specialmente nella notte, quando la pompa cessava di funzionare, poteva aversi una diffusione di impurità volatili provenienti dai grassi con cui erano spalmati i rubinetti: queste impurità erano d'altra parte assai presumibilmente di natura elettrolitica e la conducibilità dovuta ad esse era di natura ben diversa da quella dovuta a gas che come l’ idrogeno, l'ossigeno od altro, non si dissociano nelle loro soluzioni in ioni, ed era appunto la influenza del radio sopra gas di questa specie che mi ero proposto di stu- diare. i La conducibilità dell’acqua lasciata a sè andava aumentando con il tempo come si rileva dalla seguente tabella: Conducibilità 1,534 1,560 1,565 1,580 1,600 DO Tempo Tui Io gh 24 gd L'appendice A dell’apparecchio era destinata a ricevere il composto di radio dal quale dovevano ricavarsi le emanazioni. Il composto era il bromuro di radio (due milligrammi) che mi aveva servito nelle esperienze, intorno alle quali ho riferito nella Nota citata. Esso era contenuto nella regione R di un tubetto di vetro affilato alla estremità opposta. Da R fino alla estremità era posto dell'argento elettrolitico assai suddiviso allo scopo di arrestare delle eventuali traccie di bromo che potessero liberarsi dal composto di radio: nel tubetto si era fatto il vuoto, e, poichè prima della esperienza si era tenuto chiuso per circa tre mesì, esso doveva essersi riempito a saturazione di ema- nazioni di radio. La ricerca fu condotta a questa maniera: dopo essermi bene assicurato del valore che poteva raggiungere la resistenza dell'acqua quando nel tubo A fosse introdotto il tubetto chiuso contenente il radio, osservai quale valore essa poteva raggiungere dopo introdotto il tubetto chiuso col radio. Come era prevedibile @ priori la esperienza dimostrò che in tale caso il valore della conducibilità era pressocchè identico a quello raggiunto nel primo caso; ottenni come media di due distillazioni compiute a questa maniera un'acqua della conducibilità 1,550.10-" a 209,5 che saliva dopo 24 ore a 1,600.107°. La differenza del valore 1,580, che si aveva dopo 24 ore quando nell’appa- recchio non vi era affatto il preparato di radio, ed il valore 1,600 ottenuto ora non può certamente attribuirsi in maniera sicura ad un effetto delle ra- diazioni del radio attraverso il vetro del tubo nel quale era contenuto. Dopo stabilito ciò, si doveva rompere la punta del tubetto contenente il radio, e ciò si raggiungeva dando ad esso mediante il tubo S (contenente del mercurio per aumentare il peso) un colpo di ariete; il tubetto andava a battere contro la berretta B e la punta si rompeva; ma con ciò poteva ReNDICONTI, 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 24 N — 182 — ll pensarsi che le emanazioni non potessero arrivare all’acqua contenuta in M. Per esserne certi si raffreddava il pallone P; allora dell'umidità, che durante la distillaziono si raccoglieva sempre in piccola quantità, ma visibilmente sotto forma di rugiada, in A evaporava trascinando con sè la emanazione del radio. I risultati di questa esperienza sono i seguenti: l’acqua distillata nel vuoto presenta 30 minuti dopo che è terminata la distillazione una con- | ducibilità di 1,537.107?; rotto il tubetto e fatte gorgogliare le emanazioni attraverso all'acqua sì nota il seguente andamento della conducibilità : | 1,530 1,560 1,575 1,590 X 107? (|| 30 90 4h DR i Furono eseguite alcune prove per mettere in evidenza l’attività delle | emanazioni; si adottò come criterio il tempo di carica e di scarica dell'ago ill di un elettrometro le cui coppie di quadranti erano tenute ad una differenza li di potenziale costante di 400 Volt circa mediante una piccola batteria di i accumulatori, il punto di mezzo della quale era a terra; l'ago dell’elettro- metro era connesso con l’elettrodo E, dell'apparecchio di misura; nelle espe- rienze sulla carica l'altro elettrodo E, era messo in comunicazione con il polo positivo p di una batteria di 12 accumulatori in serie essendo l’altro polo posto a terra: e la custodia dell’elettrometro era in tutti e due i casì posta a zero; nelle esperienze sulla scarica E. era messo a terra e p era portato per un istante in comunicazione con E, indi staccato. Tanto nell'appa- il recchio quanto nel tubetto contenente il radio era stata lasciata una pres- il sione di circa 1 cm. di mercurio; il radio era rimasto nel tubetto per circa 15 giorni. Il tubo A era fasciato di una guaina di piombo di circa 2 mm. III di spessore. I risultati ottenuti sono 1 seguenti: Scarica senza tubo del radio: ili Tempo in minuti: .0: l'i. Bio. 7.9 dI Bo io DIL Deviazione : 180 145 125 122 113 107 102. 98 .-95. 88.81.76 Ni Tempo. in minuti: 61, 101 1186, Ra il Deviazione: 73. 1165 57 50 41 28 | Scarica con il tubo chiuso del radio: Tempo in minuti: 0 1 Bb) 4 5 6 7 8 Deviazione: I1:6::,. 186° 6073-98: 28,21 BR Carica con il tubo chiuso del radio: Tempo in minuti: 0 2 3 4 5 6 (6 ORLO sio Deviazione: 0 18.25.3036 40 42. 45 47 49 51 55 056 | — 183 — Scarica con il tubo aperto: Tempo in secondi: 0 15 30 45 60 Deviazione: 8 2 de08 0 Carica con il tubetto del radio aperto: Tempo in secondi: 015 380 45. 60 75. 90 105 135 150 Deviazione : 0 40 90 110 120 126 133 135 140 142 Dai risultati ottenuti in queste ricerche mi sembra che si possa concludere che le emanazioni del radio non producono un sensibile aumento nella conduci- bilità dell’acqua disareata; e che quindi l'aumento osservato dai diversi au- tori e da me stesso nei liquidi in presenza di gas sia dovuto ad una azione specifica dei gas in essa sciolti. La piccola diminuzione di conducibilità da 1,577 a 1,530 notata nei primi istanti è con ogni probabilità imputabile allo scuotimento meccanico prodotto dal gorgogliamento il quale, come osservai nella Nota precedente, produce infatti un aumento della resistenza dell’acqua. Mi propongo di estendere queste misure, come avevo gia preannunciato nell'altra Nota, all’acetone contenente in soluzione dell’acetilene. Data la poca conducibilità dell’acetone e la grande solubilità in esso dell’acetilene e la sua debolissima dissociabilità in ioni (esso funziona come acido di straordinaria debolezza come è dimostrato dalla decomponibilità dei suoi sali o carburi), tali misure possono portare a dei risultati non prevedi- bili sull'influenza esercitata dai gas sciolti nella ionizzazione che producono le emanazioni e le radiazioni del radio. Chimica. — Su/ comportamento crioscopico der derivati jodiliei sciolti in acido formico ('). Nota di Lurer MAscARELLI e MEDARDO MARTINELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Per alcune ricerche che abbiamo in corso ci occorreva di conoscere esattamente quale fosse il comportamento crioscopico dei derivati jodilici. Siccome queste sostanze sono a freddo, per la maggior parte, poco solu- bili o praticamente insolubili negli ordinarî solventi, così ricorremmo all’acido formico il quale, sebbene al punto di congelamento le sciolga in piccola misura, può tuttavia servire a determinazioni crioscopiche per alcuni di questi derivati. A noi non risulta che sieno state fatte finora delle determinazioni di pesi molecolari dei derivati jodilici, perciò queste ricerche potevano essere interessanti anche sotto questo punto di vista. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Generale, R. Università, Bologna. | siii — rr i Il li NU il Ì — 184 — Tutte le determinazioni da noi eseguite per ora con alcuni composti jodilici e cioè: jodilbenzolo; o-jodiltoluolo; m-jodiltoluolo; p-jodiltoluolo in acido formico (!) hanno dato valori, pel peso molecolare, inferiori ai teorici come dimostrano i dati che più sotto riportiamo. i L'acido formico adoperato proveniva dalla fabbrica C. A. F. Kahlbaum, era puro e solidificava a + 7,5°. Facemmo uso della costante K = 27,7 de- terminata da Zanninovich-Tessarin (), ed adottata anche da Bruni e Berti (*). Durante tutto il tempo della determinazione si fece attraversare l'apparecchio da una corrente di aria seccata su acido solforico. Dei derivati jodilici alcuni furono preparati secondo il metodo Ortoleva (‘), altri secondo quello di Willgerodt (°), tutti furono purificati cristallizzandoli ripetutamente dall'acqua. Ecco i dati: Iodilbenzolo p. scomp. 210°; Cs H;10, = 236,0 Concentr. in gr. peso molecol. p. 100 gr. solvente abbassam. trovato (K = 27,7) 1) 0,2993 0,04 207,3 2) 0,3628 (CRT 217,9 o-Iodiltoluolo p. scomp. 210°; C,H,10, = 250,0 1) 0,3966 0,06 183,1 2) 0,8148 0,12 188,1 3) 1,188 0,13 182,9 m-Iodiltoluolo p. scomp. 220°; C,H,10, = 250 Concentr. in gr. peso molecol. p. 100 gr. solvente abbassam, trovato (K= 27,7) 1) 0,4509 0,07 178,4 2) 1,0360 0,14 205,0 3) 1,5400 0,21 203,1 4) 0,5989 0,03 207,4 5) 1,1430 0,15 211,0 6) 1,6480 0,21 217,4 (1) Volevamo anche studiare il comportamento del p-jodilanisolo e per prepararlo già avevamo ottenuto il relativo bicloruro di p-jodosoanisolo, ma nel filtrarlo si scompose con violento sviluppo di acido cloridrico e fusione della massa. Sebbene dalla letteratura appaia che questi composti clorurati sono poco stabili, tendendo il cloro a passare nel nucleo, crediamo che una scomposizione così violenta non sia ancora stata notata. Si noti però che Liebrecht per quanto noi conosciamo dal resoconto del Central-Blatt (1905, II, 188) fa osservare che i rispettivi bicloruri del p-jodosoanisolo e p-jodosofenetolo hanno grande tendenza a subire una trasposizione del cloro nel nucleo. (MGazz Choo Io e (8) Ved. in seguito. (4) Gazz. Ch. It., 1900, II 1. (5) Ber. d. Ch. Ges., 1892, II, 3494; 1893, I, 357. — 185 — p-Iodiltoluolo p. scomp. 225°; C,H,10,= 250 1) 0,9566 0,12 220,8 2) 1,0330 0:189G00 220,1 3) 1,1910 0,15 219,9 Come debba interpretarsi il fenomeno non si può per ora dire, occor- rendo altre ricerche più estese che noi intendiamo di intraprendere. Tuttavia la spiegazione che ci pare possa subito addursi è che sì tratti di un fenomeno di dissociazione, ed a questa interpretazione siamo tanto più facilmente condotti se compariamo i nostri risultati con quelli interessanti che Bruni (') illustrò in questo Loboratorio a proposito del comportamento crioscopico dei nitroderivati aromatici sciolti pure in acido formico. Data la grande analogia di struttura tra derivati nitrici e derivati jodilici Cs H; NO» Co H5 IO: è assai probabile che si tratti nell’un caso e nell'altro dello stesso feno- meno. Noi non abbiamo ancora potuto accertare, poichè siamo all’inizio di questo studio, se anche per i composti jodilici sia necessaria la presenza di almeno un atomo di idrogeno libero nel nucleo perchè la dissociazione av- venga, nè abbiamo ancora stabilite determinazioni con altri solventi per ve- dere se veramente il fenomeno stia in dipendenza della costante dielettrica del solvente. Ci pare però fin d'ora che la risoluzione di questi quesiti possa presentare difficoltà pratiche, specialmente per la scelta dei solventi. Anzi a questo riguardo possiamo far notare che alcuni tentativi fatti, per via ebullioscopica, con piridina (che non è dissociante) e jodilbenzolo non poterono essere proseguiti perchè il derivato jodilico stenta molto a sciogliersi in pi- ridina, e poi agisce tosto su questa colorandola più o meno in giallo-bruno, segno evidente di decomposizione. In acetone ed in alcool etilico (due sol- venti che hanno la costante dielettrica abbastanza piccola) i composti jodilici sono praticamente insolubili alla ebollizione, inoltre per l'alcool etilico vi è da temere l'azione ossidante del gruppo — IO: Noi non crediamo che il fenomeno sia dovuto ad una reazione tra sol- vente e corpo sciolto, poichè, come risulta anche dalla letteratura (2), i deri- vati Jodilici possono riottenersi cristallizzati dall’acido formico, dimostràndo così di comportarsi anche in questo ben diversamente dai corrispondenti jo- dosoderivati, i quali scompongono l’acido formico (8). (Gazza Ch It: 4900) II, 76, 317. (2) Willgerodt, Ber. d. Ch. Ges. 1892, II, 3494. (3) Willgerodt, idem. — 186 — Si potrebbe forse anche prendere in considerazione l'ipotesi, già emessa da Bruni pei nitroderivati aromatici, della formazione di composti tra l'acido formico ed il corpo sciolto, composti che alla loro volta sarebbero dissocia- bili; ma questo non ci pare probabile. Abbiamo però voluto vedere fin d'ora se sul valore del peso molecolare avesse influenza il tempo. Per premunirci dalla umidità adattammo ad una provetta (senza tubu- latura laterale e nella quale veniva pesato il solvente), un tappo a tre fori: per un foro passava il termometro, per un altro un tubetto di vetro che per- metteva di manovrare l’agitatore di platino; a questo tubetto era saldamente legato un tubetto di gomma, chiuso ad un capo, che rivestiva completamente tutta la parte dell’agitatore sporgente fuori della provetta crioscopica e per- metteva di servirci del medesimo in virtù della sua elasticità. Nel terzo foro veniva sospeso un tubetto tarato contenente la sostanza da studiarsi, la quale poteva essere mandata nel solvente facendo cadere il tubetto con bacchettina di vetro a perfetta tenuta. Tutto il tappo venne poi rivestito di un buon strato di paraffina. Dopo aver così preparato l'apparecchio si lasciò a sè per un'ora perchè l'umidità eventualmente racchiusa venisse assorbita dall’acido formico, indi si determinò la temperatura di congelamento del solvente (T,) ripetendo tale lettura ad intervalli di tempo (vedi tavola). Finalmente quando si ritenne opportuno si introdusse la sostanza; appena questa fu sciolta si determinò la temperatura di congelamento (T,) che venne ripetuta dopo 24 ore e 48 ore. Variazione del Variazione del Durata T, n della osservazione col tempo 1 (prova in bianco) | col tempo 4 ore 0.01 ia 24 n 0.04 0.05 48» 0.10 0.08 TRI 0.15 10 120» 0.23 Ko) I numeri riportati nella tavola, confrontati con quelli ottenuti nella relativa prova in bianco dimostrano che non vi ha influenza il tempo. Meteorologia. — Za piovosità a Roma. Nota del dott. FILIPPO EREDIA, presentata dal Socio E. MiLLOSEVICH. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 187 — Mineralogia. — Preparazione di liquidi per la separazione dei minerali. Nota dell'ing. ENRICO CLERICI, presentata dal Socio G. STRIiVER. La separazione dei minerali col metodo dei liquidi pesanti, nei quali alcuni galleggiano, altri calano a fondo, dà buoni risultati finchè i singoli granuli non sono troppo piccoli, perchè la viscosità del liquido tende a para- lizzarne il movimento; e quando si scelga opportunamente la densità del liquido in ciascuna separazione. Infatti a causa del variabile peso specifico dei minerali, dipendente dallo stato d’aggregazione, dalle miscele isomorfe, dalle inclusioni di altra natura, raramente una delle porzioni separate sarà ‘ costituita da un solo minerale; vi sarà piuttosto un minerale prevalente da concentrarsi in successive operazioni. Ma il principale ostacolo alla genera- lizzazione del metodo è dovuto alla limitata scelta di liquidi applicabili nei singoli casì (1). Essendomisi presentata più volte l'occasione di servirmi di questo metodo, sono stato indotto a fare una serie di ricerche per trovare, se possibile, altri liquidi che presentassero qualche vantaggio su quelli già in uso. Per solito questi liquidi vengono distinti in due categorie : I. Liquidi ottenuti per soluzione di una o più sostanze solide o liquide in adatto solvente. II. Liquidi ottenuti per fusione di sostanze solide a temperatura ordinaria. Alla prima categoria appartengono i seguenti: Liquido di Thoulet (?), o soluzione acquosa di iodomercurato potassico : densità = 3,19 a 20° C. Liquido di Duboin (#), o soluzione acquosa di iodomercurato di sodio: d= 3,46 a 26°. Liquido di Rohrbach (‘), o soluzione acquosa di iodomercurato di (1) Il metodo è stato anche applicato all’analisi mineralogica del terreno agrario ed alla separazione di prodotti di laboratorio. (3) Goldschmidt V., Veber Verwendbarkeit einer Kaliumquecksilberjodidlosung bei mineralogischen und petrographischen Untersuchungen, Neues Jahrb. f. Min. Geol. u. Palaeont. 1881. Beilage-B. I, pp. 178-238. (*) Duboin, Sur les liqueurs denses a base d'iodomercurates alcalins, Comptes Rendus Ac. sc. Paris, 1905, vol. 141, pp. 385-388. (4) Rohrbach C., Veder die Verwendbarkeit einer Baryumquecksilberjodid - Lòsung su petrographischen Zwecken, N. Jahrb. 1883, II, pp. 186-188. LUMI — 188 — bario: d = 3,55. Retgers (') potè aumentarne la densità fino a 3,65, scio- gliendovi iodio: la soluzione è però opaca. Liquido di Klein (*), o soluzione acquosa di borotungstato di cadmio : d.= 3,96. Liquido di Brauns (*), o ioduro di metilene: d = 3,324 a 16°; = 8,304 a 25°. Retgers (4) ne aumentò la densità sciogliendovi iodoformio : d = 3,45 a 24°, oppure iodio: d = 3,54 a 23°, od ambedue: d = 3,60 a 3,65, oppure tetraioduro di stagno: d = 3,48 a 10°, triioduro d'arsenico: d = 3,44 a 12°, triiloduro d'antimonio: d = 3,45 a 12°. Ma queste ultime cinque solu- zioni sono di colore oscuro, affatto opache. Bromoformio, indicato da Schroeder van der Kolk (5): d= 2,88 a 0°, — RT AA Liquido di Muthmann (5), o tetrabromuro d'acetilene: d = 3,00 a 6°, — 12:99) Liquido di Retgers (?) o soluzione di tetraioduro di stagno in tribro- muro d'arsenico: d = 3,73 a 15°. Alla seconda categoria appartengono i seguenti: Borotungstato di cadmio fuso a 76° nella propria acqua di cristal- lizzazione: d = 3,60. Miscela di Bréon (8); cloruro di piombo e cloruro di zinco in rap- i porto variabile fusi in bagno di sabbia a circa 400°: densità da 5,0 a 2,40. Nitrato d'argento (°) fusibile a 198°: d = 4,1; miscibile con nitrato di sodio o di potassio. Nitrato d'argento con ioduro d'argento (°). fusibile a 65-70°, non di- luibile: d = circa 5. Il (1) Retgers J. W., Veber schwere Flissigheiten sur Trennung von Mineralien, N. Jahrb. 1889, II, pp. 185-192. Î (2) Klein D., Sur une solution de densité 3,28 propre à l'analyse immédiate des il roches, C. Rendus, 1881, vol. 93, pp. 318-321. i (*) Brauns R., Veber die Verwendbarkeit des Methylenjodids bei eo nana Il und optischen Untersuchungen, N. Jahrb. 1886, II, pp. 72-78. | (4) Retgers J. W., Die Bestimmung des spezifischen Gewichts von in Wasser loslichen Salzen. Die Darstellung neuer schwerer Fliissigkeiten Zeitschriftf. Physikalische | Chemie, 11, 1893, pp. 328-344. Il (5) Schroeder van der Kolk J. L. C., Beitrag zur Kartirung der quartiren Sande | N. Jarb. 1895, I, pp. 272-276. II (9) Muthmann W., Veber eine zur Trennung von Mineralgemischen geeignete schwere Flissigheit. Zeitschrift f. Kryst. u. Min. (Groth), 30, 1899, pp. 73-74. (7) Retgers J. W., Die Bestimmung, ecc., op. cit. (8) Bréon R., Séparation des minéraua microscopiques lourds, Bull. Soc. min. de France, III, 1880, pp. 46-56. (°) Retgers J. W., Veber schw. Flissigkeiten, ecc., op. cit. — 189 — Nitrato mercuroso, proposto da Retgers (') pel suo basso prezzo, fusi- bile a 70°: d = 4,3; diluibile con acqua. Miscele di Retgers (2): Nitrato d'argento con nitrato di tallio, fusibile a 75°, liquido incoloro diluibile con acqua: d = 4,8. — Nitrato mercuroso con nitrato di tallio, fusibile a 76°, liquido incoloro, miscibile con acqua: di_kcircar:5;2. Nella pratica, oltre alle proprietà fisiche e chimiche di questi liquidi, devesi pur tener conto del costo, ed è per ciò che nelle mie ricerche mì ero proposto anche quella di un liquido molto economico, non importa se di den- sità poco elevata, per trattare, ad esempio, forti quantità di sabbie onde separare alcuni minerali pesanti che vi si trovano in dose molto piccola. Ora il costo dei liquidi di Thoulet, di Duboin, di Rohrbach è princi- palmente dovuto allo iodio; e poichè i bromuri costano meno dei ioduri cor- rispondenti, sorge naturale l’idea di sostituirli a questi e di scegliere fra i bromuri quello di bario perchè è il più a buon mercato di tutti. Sciogliendo 200 gr. di bromuro di bario cristallizzato con 300 gr. di bromuro mercurico in 90 cm* d'acqua e scaldando leggermente per accelerare la soluzione, si ottengono circa 180 cm? di un liquido incoloro, la cui den- sità = 3,137 a 10°. Si può diluire con acqua in qualunque proporzione e rigenerare indefinitamente concentrando le lavature e i residui filtrati. È da preferirsi al liquido di Thoulet, del quale ha quasi la stessa densità, anche per la sua inalterabilità all'aria ed alla luce e per essere meno corrosivo. Molto assegnamento avevo fatto sul tetrabromuro di stagno (Sn Br*), che ha la costituzione di un composto organico. Fuso a 29° è un liquido inco- loro, d = 3,32, mobilissimo, interamente volatile, solubile in tutte le pro- porzioni nel tetracloruro di carbonio. Sfortunatamente spande fumi all'aria ed è sensibilissimo all'umidità che lo decompone. Se il materiale da separare non è ben secco e l'apparecchio non è sufficientemente protetto anche dal- l'umidità atmosferica, i granuli aderiscono fra loro e alle pareti dell'appa- recchio, guastando la separazione; perciò, dopo breve uso, l’ho abbandonato. Ho abbadonato pure il bromoformio, dall'odore molesto, facilmente alte- rabile alla luce ed in presenza di prodotti ferruginosi, adottando il tetra- bromuro di acetilene (C*H? Br*), il quale è anche preferibile, quando non occorra densità superiore a 3,00, allo ioduro di metilene pel costo circa tre volte minore e per la maggiore stabilità. Si può diluire con benzolo, cloro- e bromobenzolo, oppure con tetracloruro di carbonio che ho trovato molto (1) Retgers J. W., Versuche Zur Darstellung never schwerer Fhissigheiten zur Mi- neraltrennung. — Il. Die Nitrate und Doppelnitrate der Schwermetalle als schwere Schmelzen, N. Jahrb. 1896, II, pp. 183-195. (2) Retsers J. W., Zhalliumsilbernitrat als schwere Schmelze zu Mineraltrennungen, N. Jahrb. 1893, I, pp. 90-94; Versuche zur Darstell., ecc. — II. Die Nitrate und Doppel- nitrate, ecc., op. cit. RenpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 25 — 190 — conveniente per le lavature, sia pel basso prezzo, sia per la sua volatilità. Ho cercato di aumentarne la densità per mezzo degli ioduri di mercurio (HgI°), di stagno (SnI/), di antimonio (Sb I°), di arsenico (AsI*), ma questi sono molto solubili a caldo, dando soluzioni intensamente colorate, e preci- pitano in massima parte a freddo; anche il selenio vi si scioglie, dando un liquido giallo nerastro, ma senza risultato pratico. Il tetrabromuro di stagno (Sn Br4) vi si scioglie molto bene, tanto a freddo che a caldo, dando un liquido incoloro. La soluzione satura a 10° ha densità 3,30. Presenta però gli stessi difetti, forse un pò attenuati, del tetrabromuro di stagno. Ma ciò che interessava maggiormente è la preparazione di una soluzione di densità superiore o almeno uguale a quella del liquido di Retgers, il quale, se risponde bene allo scopo per la sua mobilità, ha però gravi inconvenienti: di essere di colore rosso bruno affatto opaco, di doversi diluire con ioduro di metilene, di emettere vapori molto velenosi di bromuro di arsenico (*), nonchè di essere alquanto sensibile all'umidità e perciò alterabile. Ho cercato fra i sali dei metalli di più elevato peso atomico e mono- valenti, perchè nei bivalenti è come il peso fosse la metà. Con tali requisiti non vi sono che il mercurio (200) ed il tallio (204): ho fissato l’attenzione a quest'ultimo. I sali tallosi ad acido minerale sono tutti poco solubili tanto a caldo che a freddo, e le loro soluzioni sature hanno densità molto bassa. Il nitrato, che è il più solubile a caldo, dà una soluzione satura a 100° la quale rag- giunge appena la densità 3. Sono perciò ricorso ai sali degli acidi organici e particolarmente a quelli che hanno una percentuale di metallo più elevata. Detta percentuale, supponendoli neutri ed anidri, risulta dalla segnente ta- bella : riiatilifioa | Stevie] ne Formiato 81,92 Ossalato 82,26 Acetato 77,56 Malonato 80,00 Propionato 73,64 Maleato 78,16 Glicolato 73,11 Fumarato 78,16 Lattato 69,62 Succinato 77,86 Malato 75,59 I sali di questi acidi monobasici sono tutti molto solubili in acqua e la loro solubilità cresce rapidamente coll'aumentare della temperatura. (1) Se la bottiglia che lo contiene non è a perfetta tenuta, anzi suggellata con pa- raffina, i vapori che se ne sviluppano, specialmente d’estate, intaccano o sporcano tutti gli oggetti circostanti. — 191 — Il propionato è il meno fusibile; non fonde prima di 135-140°, ed ha densità molto bassa, circa 2,80; il quarzo ed il herillo vi galleggiano, ma l'attinolite vi si affonda, e quindi anche le soluzioni non hanno importanza. L'acetato fonde a 110°; la cianite vi galleggia, ma non il piropo; quindi la sna densità è circa 3,68. Nella soluzione satura a 10° la leucite (2,40) galleggia, il quarzo (2,65) affonda. Dallo stato di soluzione passa gradata- mente a quello di fusione. Il formiato fonde a 95°; l'ilmenite vi galleggia: quindi la sua densità è di poco inferiore a 5,0; anch'esso passa gradatamente dallo stato di solu- zione a quello di fusione. Il glicolato, ottenuto saturando con carbonato di tallio (!) l’acido gli- colico fuso a bagnomaria, ha densità inferiore a 3,95, perchè il corindone vi affonda, mentre il piropo vi galleggia. Le soluzioni concentrate a caldo sono sciroppose : assorbono l'umidità atmosferica, si mantengono liquide anche alle ordinarie temperature ed hanno densità elevata. Le soluzioni di lattato già al punto di galleggiamento dell'idocrasio (3,40) sono molto viscose ed inservibili. Il formiato adunque offre maggiori vantaggi. Con una serie di determi- nazioni ho costruito la curva riprodotta nella figura qui appresso, la quale indica la densità delle sue soluzioni sature alle varie temperature. Disegnata più in grande, la curva può servire per la determinazione approssimativa di densità, colla sola lettura del termometro al momento in cui il minerale gal- leggia, partendo da una soluzione satura a temperatura ordinaria ed aggiun- gendo formiato in polvere mano mano che la temperatura aumenta, curando che questa non retroceda, perchè si formano soluzioni soprasature. Per ogni grado di temperatura fra 10 e 50° l'incremento medio della densità è 0,024. Le soluzioni in qualunque grado di concentrazione (2) sono incolore e mobili come l'acqua, diluibili e facilmente rigenerabili e perfettamente adatte alla separazione. Come risulta dalla curva, alle temperature che si dicono ordinarie, per esempio fra 12 e 26°, il liquido presenta densità 3,17 a 3,54, può essere sostituito, quando non si veda ostacolo nel maggior costo, al liquido di Thoulet; a quello di Klein, la cui preparazione è molto laboriosa; a quello di Duboin, che non può diluirsi con acqua, ma con alcool, e, per tempera- (1) Per preparare il carbonato di tallio, divido il metallo in pezzi, li batto col mar- tello per ridurli in lamina, che avvolgo a mo’ di trucioli e li metto in recipiente aperto con poca acqua che ne bagni soltanto una parte. Dopo un po’ di tempo, per es. un giorno, aggiungo acqua, scaldo, filtro e lascio cristallizzare e così fino all’esaurimento del metallo. (2) A 10° in un em? d’acqua si possono sciogliere gr. 5 di form. Tl e la soluzione è satura. | i i ture superiori a 26°, anche a quello di Rohrbach, difficile a diluirsi senza far separare ioduro mercurico. | | Allo stato di fusione, il formiato di tallio è pure incoloro e mobilissimo ; i | può essere mantenuto anche a 110° senza sensibile alterazione. il | INTRA 5.00 == | | ì I| Il I|l | z.50 | | | de | Il | | Î TT | Z00 Il E | I S È ! II IL dO INI a) I] INNI N | Il a I he ddi | | N EISIZIONE [a : l | | [6-L | IMZ.OCE [lalla i 300 | Di | Il | | 7 Il ide | | | 6 | [06 ì 2.50 IRA A PSE I bl Lella [ao bia [n -70. \vO\vis 10. 00 30 Z0-. 50n:60.70 (680 RIO N100 || lemperalure | LI IN In confronto degli altri liquidi di fusione, il formiato di tallio è prefe- Ni ribile alla miscela di Bréon che ha l'inconveniente di richiedere una tem- peratura troppo elevata; al nitrato d'argento che macchia di nero e raggiunge una densità appena superiore a 4; al nitrato d’argento con ioduro d'argento | che non si può diluire; al nitrato mercuroso che è facilmente alterabile e | | di incomodo ricupero. I | Per preparare i sali degli acidi bibasici indicati nella precedente tabella, || ho fatto agire i varî acidi colla quantità necessaria di carbonato di tallio (0) in poca acqua, concentrando a bagnomaria. Tutti, meno il malato, cristal- \| lizzano facilmente in bei cristalli splendenti. Sono poco fusibili; sotto i 140° | non fonde che il solo malonato (circa 1359). IN () Si possono ottenere i varî sali anche per azione diretta degli acidi in soluzione IN acquosa sul metallo; ma l’attacco è molto lento. Il formiato e l’acetato che ho preparato Di in tal modo con acidi formico e acetico purissimi della marca speciale Kahlbaum non | sono deliquescenti. .— 193 — L'ossalato ed il fumarato sono poco solubili; il maleato lo è di più, e più ancora il succinato nella cui soluzione satura a 10° galleggia lo zolfo, ma non la leucite; in quella del malonato galleggia il berillo (2,72), ma non l’attinolite (3,01). i Il malato fornisce a caldo soluzioni di elevata densità, ma già al punto di galleggiamento del piropo sono molto viscose, quasi gommose, e si man- tengono liquide per molto tempo anche a bassa temperatura, e non sono adatte allo scopo. Dei sali ad acido tribasico ho esaminato il solo citrato. che cristallizza facilmente e dà soluzioni di bassa densità. Fra tutti i sali ora sperimentati, il formiato di tallio presenta, come sì è visto, i migliori requisiti; ma siccome lo scopo di ottenere una solu- zione acquosa che a temperatura ordinaria avesse densità eguale o superiore al liquido di Retgers, non era stato raggiunto, occorreva vedere se fosse pos- sibile aumentarne in qualche modo la solubilità, oppure se fosse possibile di scioglierlo in altro liquido già di elevata densità. Il Retgers (!) aveva già trovato che, fondendo una miscela di acetato di tallio e di acetato di piombo a parti eguali, si ottiene probabilmente un sale doppio, che è liquido (?) a temperatura ordinaria. L'aggiunta di quan- tità crescenti di formiato di tallio alla miscela di 10 parti di acetato Tl (p. fus. 110°) 4- 10 parti acetato Pb (p. fus. 58-60°) mi ha dato i risultati seguenti: Quantità di formiato di ANNOTAZIONI tallio aggiunto 0 attinolite affonda, D) già fuso a 37°: attinolite galleggia, augite affonda, 10 augite galleggia, cianite affonda, 20 cianite galleggia, anche piropo se t < 60°, 30 piropo galleggia, corindone affonda, 40 fuso a 54°: corindone galleggia se # < 60°. Se alla miscela di 10 parti di formiato TL + 10 parti di acetato TI, la quale fonde a 67-69° (corindone galleggia, rutilo affonda), si fanno ag- giunte successive di acetato di piombo, il punto di fusione va gradatamente (‘) Retgers J. W., Versuche zur Darstellung neuer schwerer Flissigheiten zur Mineraltrennung.— I. Die Acetate der Schwermetalle als schwere Schmelzen, N. Jahb. 1896, I, pp. 212-221. (2) Ciò non avviene coi formiati. Il form. Pb si decompone invece di fondere; è però alquanto solubile nel formiato di tallio, il quale scioglie anche notevoli quantità di formiato ferrico, con colorazione verdognola a bruno intenso, di formiato di cobalto! co- lore violetto intenso, di nichelio in verde; e dei formiati di potassio, litio, ammonio, ecc. — 194 — abbassandosi; così 10 p. form. T1 4- 10 p. ac. T1 + 8 p. ac. Ph fonde a 23-27°, ma l'idocrasio vi galleggia appena; dimodochè tutte le miscele form. T1l, ac. T1, ac. Pb non rispondono allo scopo e neppure con una piccola aggiunta d'acqua danno un liquido in cui il piropo possa galleggiare anche a temperatura inferiore a 15°. La miscela di 10 p. ac. TT + 10 p. ac. Pb ai 32 p. formiato Tl con poca acqua dà una soluzione incolora diluibile, nella quale, a 10°, il topazio galleggia bene; ma è poco fluida e di densità ancora troppo bassa. Associando il formiato di TI con gli altri sali di T1 sopra indicati, si ottengono soluzioni dotate di densità maggiore di quella delle soluzioni del solo formiato alla stessa temperatura. La differenza è poco sensibile colle miscele di formiato con propionato, e rispettivamente con ossalato e fuma- rato; invece è molto notevole col malonato, maleato e succinato, ed è tanto più rimarchevole inquantochè le soluzioni di questi sali hanno tutte peso specifico minore di quelle del formiato. Dalla lunga serie di miscele speri- mentate tolgo i risultati principali che sono per brevità compendiati nella seguente tabella: COMPOSIZIONE DELLA MISCELA ANNOTAZIONI î È : È | s E a relative alla densità della parte liquida a 10° C. 15 5|-|—-|-|-{[=-| 2 topazio galleggia, cianite affonda 30] — | 221{—|]_-|—-|—-]| 1 anatasio galleggia, anche corindone a 16° 2000690278 RA eee 1 celestite galleggia, corindone affonda 10|—- | 1|-|-|—=-]| 1 idocrasio galleggia 10|—-|—- |10|-|-|-|1 corindone galleggia 5|/—|—-|—-|15|—-|-—=-]| 1 piropo galleggia, anche corindone a 20° lo /— aiar 15: 8 topazio galleggia, cianite affonda 1|-|_-|_-{|_-|- 8 1 piropo galleggia, corindone affonda Le densità più elevate sono date dalle miscele del formiato con glico- lato e rispettivamente con malonato, maleato e malato. Ho in particolar modo studiato quelle col glicolato e col malonato (!). (1) Il formiato e le miscele sopra indicate permettono l’uso di spatole ed altri si- mili utensili di ferro o di alluminio, non quelli di ottone o leghe con zinco; non hanno azione corrosiva sulla pelle, la macchiano superficialmente di bianco o di giallo se si ma- neggiano cloruri e bromuri, oppure ioduri. Non intaccano sensibilmente la calcite che con grande lentezza. Per gli apparecchi da usarsi per le separazioni vedasi anche: Cle- rici E., Apparecchio semplificato per la separazione meccanica dei minerali, questi Rendiconti, vol. XIII, fase. 4, 1° sem. 1904 e Apparecchio per la separazione meccanica dei minerali, id. vol. XIV, fasc. 11; 2° sem. 1905. — 195 — Le miscele al glicolato sono solubilissime; il rapporto fra la quan- tità di glicolato e di formiato può essere variato entro limiti piuttosto estesi, però coll’aumentare del glicolato diminuisce la fluidità della soluzione. Scio- gliendo a lieve calore 30 gr. di formiato con 21 gr. di glicolato in un cm? d'acqua, si ottengono circa 13 cm? di soluzione inodora, incolora o legger- mente ambrata. Mantenuta a 16° depone un po’ di cristalli; nel liquido filtrato galleggia il corindone; a 10° si depositano ancora un po’ di cristalli ed il corindone affonda; galleggiano il piropo e l’anatasio. Il liquido si può diluire in qualunque proporzione coll’acqua e riconcentrare. Le miscele col malonato sono inodore, incolore o leggermente ambrate e molto più fluide di quelle al glicolato. Si possono diluire (!) con acqua in qua- lunque proporzione e riconcentrare (?). Variando il rapporto tra il formiato e il malonato non ho trovato rapporti che presentino qualche speciale vantaggio, quindi ho adottato dosi uguali. A freddo in un cm? di acqua si possono sciogliere completamente 7 gr. di formiato e 7 gr. di malonato; ma con 10 gr. dell'uno e 10 gr. dell'altro resta una parte indisciolta. La densità del liquido filtrato determinata col picnometro è 4,067 a 12° C.; il co- rindone vi galleggia bene. Lo stesso risultato non si otterrebbe colla soluzione di solo formiato che alla temperatura di 45° e con quella di solo malo- nato a 60°. Aggiungendo al liquido ulteriori quantità della miscela formiato-malo- nato, oppure porzioni uguali dei due sali, a 28° galleggia il rutilo; a 35° la soluzione ha densità 4,40; a 50° circa 4,65 e così di seguito finchè a 95-100° galleggia anche la pirite. Dimodochè la miscela formiato-malonato di tallio serve e come liquido di fusione, restando appena inferiore per densità al nitrato Hg TIN?®0°, e come liquido di soluzione, superando tutti i liquidi finora proposti. Cristallografia. — Studio cristallografico del seleniato di torio ottoidrato. Nota del dott. AristinE RosatI, presentata dal Socio G. STRUEVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (*) Nella diluizione che può capitare per le lavature può prodursi un po’ di polvere cristallina costituita da laminuccie quasi rettangolari (angolo d'estinzione circa 32°); sono solubili a caldo e non recano alcun disturbo. (*) Per il ricupero, concentro a bagnomaria i residui filtrati; oppure riunisco residui e lavature, acidulo eventualmente con acido solforico, filtro e vi immergo una lamina di zinco, dalla quale di tanto in tanto distacco il rivestimento spugnoso e cristallino di tallio metallico che lavo più volte e adopero poi per la produzione dei sali. — 196 — Batteriologia. — Sull'origine « ex novo » di Bacterii, Ba- cilli, Vibrioni, Micrococch, Torule e Muffe (Moulds) in certe so- luzioni saline preventivamente soprariscaldate, contenute in pro- vette ermeticamente chiuse. Nota di H. CHARLTON BASTIAN M. A. M.D. F.R.S., presentata dal Socio MATTIROLO ORESTE (). L'A., nell'inizio dell'anno passato, ha intrapreso delle ricerche speri- mentali relative all'origine della vita, servendosi di soluzioni saline diffe- renti, contenenti sali ammoniacali. Dopo poco tempo l'A. trovò che i migliori risultati si ottenevano im- piegando l'una o l’altra delle due soluzioni seguenti: Silicato di Sodio 0,2 cc. Fosfato ammonico 0,26 gr. Acido fosforico diluito (*) 0,25 ce. Acqua distillata 80 cc. Stilicato di Sodio 0,4 cc. (*) Perazotato di Ferro liquido (4) 0,5 cc. Acqua distiliata 30 ce. Egli riconobbe altresì, che, servendosi di queste soluzioni saline, la esposizione delle provette alla luce diffusa, anche ad una temperatura media di 15° a 18° cent. favoriva l'apparizione dei microrganismi altrettanto e forse ancora di più che la oscurità associata pure alla temperatura di 35° cent. ottenuta con un incubatore. Le soluzioni furono messe dentro a provette preventivamente soprari- scaldate, le quali, dopo essere state ermeticamente saldate, furono poi nuo- vamente scaldate per la durata di dieci a venti minuti in un bagno di clo- ruro di calcio scaldato a 115°, 120°, 125° o 130° cent. (1) Questa nota è la traduzione italiana di identico lavoro che sarà presentato il 21 corr. da Sir William Ramsay alla Accademia delle Scienze di Parigi e il 22 corr. dall’autore alla Royal Society di Londra. Torino, 18 gennaio 1907 MATTIROLO ORESTE. (2) Secondo la Farmacopea britannica. (*) Idem. (4) Nitrato Ferrico. — 197 — In tutte queste provette, dopo averle scaldate, si notò uno scarso de- posito di silice o di silicato di ferro. Le stesse provette furono in seguito, alcune esposte alla luce diftusa, altre tenute dentro ad incubatore e la maggior parte di esse per periodi di tempo variabili fra cinque settimane e quattro mesi. Allorquando queste provette furono aperte, si trovò che esse contene- vano in quantità variabili una o più specie di microrganismi, che furono fotografati. Per rapporto a queste esperienze, deve specialmente aversi riguardo ad un fatto che riveste un grande interesse; ostensibilmente queste soluzioni non contenevano carbonio, mentre il sz/icéo vi era sempre presente. Si era precedentemente determinato che queste soluzioni forniscono un mezzo nutritizio eccellente per la coltura dei microrganismi; e questo fatto aveva condotto l'A. a fare delle ricerche per riuscire a conoscere, se si potevano ottenere delle prove tendenti a dimostrare che queste soluzioni po- tessero anche generare delle unità viventi. Esaminando attentamente il contenuto delle provette, dopo i prolungati periodi di esposizione alla luce o nell’incubatore, si trovavano sempre degli organismi sopra o nella sostanza stessa dei fiocchi di silice, mentre il liquido al disopra rimaneva perfettamente limpido. Il liquido rimaneva limpido e perfettamente libero da microrganismi, quantunque fosse noto che gli stessi microrganismi pullulassero durante pa- recchi mesi nella silice stessa. Certuni di questi organismi furono anche trovati dentro ai fiocchi di silice, presi dalle provette nelle quali l'aria era stata scacciata colla bol- litura, prima che si fosse proceduto altra chiusura ermetica di esse; di modo chè, fatta eccezione delle impurità contenenti carbonio che avrebbero potuto trovarsi nell’acqua distillata o nei composti chimici impiegati, nessuna traccia di carbonio poteva essere contenuta nelle provette. E va notato che anche nelle provette nelle quali si rinchiudeva aria, quest'aria si trovava sempre separata dal sedimento nel quale gli organismi erano rinchiusi, da uno spesso strato di liquido. Molti composti organici sono stati scoperti dai chimici, nei quali il st- licio, in tutto o in parte, tiene luogo del carbonio ; e a prima vista vi sarebbero delle ragioni atte a provare che in queste esperienze il s7/7czo è capace di entrare nella composizione medesima del protoplasma, vale a dire, prendendo il posto in tutto o in parte del cardonzo. Per riguardo alla questione principale, quella cioè che concerne l'ori- gine della vita, i fatti da ricordare sono i seguenti: Se dopo qualche ora, e dopo che le provette sono state scaldate, se ne apre qualcuna per controllare le esperienze, e si esamina accuratamente il sedimento, non si trova traccia di organismi, mentre, dopo convenienti pe- RenpIcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 26 — 198 — riodi di esposizione, sì possono trovare più o meno abbondanti organismi, nei sedimenti presi da provette perfettamente simili. Di più, questi organismi sono sempre allo stato di riposo; di modo che essi hanno dovuto prodursi e moltiplicarsi nei luoghi stessi dove furono trovati. Occorre inoltre ricordare che, fatta eccezione delle spore dei Bacilli, nessun altro microrganismo può resistere all’azione dell'acqua bollente pro- lungata per uno o due minuti, essendo essa fatale ai Bucteri, ai Vibrioni, ai Micrococchi, alle Torule ed alle Mujfe (Moulds); e che tutte le spore ordinarie dei Baci/li sono uccise per l’effetto di una simile esposizione per la durata di uno o due minuti alla temperatura di 115° ('). Da ciò risulta potersi solamente conchiudere che i Bacterzi, Bacilli, Vibrioni, Torule e Muffe presi dentro le provette chiuse ermeticamente e sottoposte ad una temperatura di 115°, 120°, 125°, 130° C per la durata di 10 a 20 minuti, si sono dovuti produrre ex rovo dentro alle provette stesse. Gli organismi che si producono ex novo lA. suppone che abbiano preso forme ben note, esattamente per le stesse ragioni, che i rappresentanti del mondo cristallino allorquando si producono, prendono invariabilmente le forme che loro sono specifiche e con superficie inclinata l'una verso l’altra con angoli che non variano mai per ciascuna specie particolare di cristallo. Le forme in ciascuno dei casi, gli organismi cioè ed i cristalli, possono essere considerate come le risultanti necessarie della costituzione molecolare delle loro unità iniziali nel mezzo e nell'ambiente particolare dentro al quale esse si producono. Chimica-fisica. — Variazioni fisico-chimiche del siero du- rante lazione dell'alcool e degli anestetici. Nota dei dott. G. Bu- GLIA ed I. Simon, presentata dal Socio L. LUCIANI. Fisiologia. — Sulla tossicità dei primi prodotti della dige- stione, e sull’influenza degli alimenti sulla contrazione muscolare. Nota del prof. UcoLINo Mosso, presentata dal Socio A. Mosso. Fisiologia. — Velocità di eliminazione dei prodotti della fatica e loro influenza sulla contrazione dei muscoli. Nota del prof. UcoLino Mosso, presentata dal Socio A. Mosso. Queste tre Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. (1) V. Comptes Rendus, 1879 1, pag. 659. — 199 — Fisiologia vegetale. — .Su//a scoperta dell’aldeide formica nelle piante. Nota di Gino PoLLAccI, presentata dal Socio G. BRrIOSI. Nel 1881, il Reinke (*) fu il primo che intraprese ricerche tendenti a dimostrare la presenza della formaldeide nelle piante. Poi continuò i suoi studî sullo stesso argomento in collaborazione con Kratzschmar (*) e con Curtius (*) ed ultimamente con Braumiiller(‘). Questi autori distillando il succo di parti verdi di vegetali stati esposti alla luce solare, indi neutraliz- zato il distillato con carbonato di sodio, ottengono un liquido che riduce ener- gicamente il liquore di Fehling e la soluzione ammoniacale di nitrato d'argento. Il Reinke ritiene che questo corpo riducente sia un'aldeide e suppone anzi che si tratti dell’aldeide formica o di un suo prodotto di polimerizzazione, senza però dimostrarlo. Curtius sottoponendo il distillato, avuto com'è detto sopra, dall’azione di fenilidrazina ed alcool, ricava un precipitato che tratta con derivati dell'acido idrazidico ed ottiene prodotti di condensazione dei quali studia alcune proprietà: però queste ricerche dovettero essere inter- rotte, come l’autore afferma, per varie cause (5), onde si limita con Reinke a concludere: « che col mezzo di studî ulteriori si potrà in avvenire stabi- lire forse come questa sostanza riduttrice che trovasi diffusa nelle foglie possa essere un alcool aldeide del nucleo benzolo non completamente idrato ». Mori (5) nel 1882, raccolte le prime porzioni del liquido che ottiene per distillazione di foglie, le tratta con nitrato d'argento come ha fatto Reinke ed anche con solfito di rosanilina: anzi di questo solfito si serve altresì come reattivo microchimico e deduce dalle sue esperienze che nelle cellule a clorofilla esiste piccola quantità di un’aldeide. Tanto i lavori di Reinke e dei suoi collaboratori, quanto quelli di Mori vennero confutati dai sigg. Loew e Bokorny (?). Secondo questi autori la ridu- zione del sale d’argento è dovuta all’azione vitale delle cellule. Ed invero (1) Ber. d. Deut. Bot. Gesell. Band XIV, pag. 2144; Band XV, pag. 107; Gottin- gen, Instit. Botan. Heft II, pag. 185. (*) Gottingen, Inst. Bot., Heft III, pag. 59; Kritzschmar, Bot. Zeit., n. 40, 1882. (3) Ber. d. Deut. Bot. Gesell., Band XVII, Heft 1. (4) Ber. d. Deut. Bot. Gesell., Band XV, pag. 201. (*) Ber. d. Deut. Bot. Gesell., Band XV, pag. 201. (°) Nuovo giorn. bot. ital., vol.. XIV, 1882; e Processi verbali Soc. Toscana scienze nat., 1882. (*) Ber. d. Deut. Bot. Gesell., Band XIV e Band XV; Bot. Zeitung, n. 48, 1882; Pfluger’s, Archiv. f. Ges. Physiol., Band 26, pag. 50. — 200 — se venivano esse previamente uccise, non osservavasi alcuna azione riducente. Inoltre l'esistenza di tale sostanza, secondo le loro esperienze, non dipendeva dalla presenza della clorofilla: notarono poi che il solfito di rosanilina, ado- perato dal Mori come reattivo microchimico, non può servire, troppo facil- mente evaporando l'anidride solforosa del reattivo e ripristinandosi così il co- lore del sale. A queste obbiezioni rispose il Mori (*), osservando all'incontro che la semplice volatilizzazione dell'acido solforoso che in eccesso trovasi nel reattivo di Schiff non basta a ripristinare la colorazione. La questione era a questo punto quando io nel 1899 pubblicai una Nota preliminare (?), in cui annunciavo di aver fatto ricerche dalle quali si poteva concludere con sicurezza che nelle piante verdì esiste aldeide formica: e nel lavoro completo (*) intorno allo stesso argomento comparso alla fine dello stesso anno, riportavo dettagliatamente le varie esperienze fatte ed i risultati ottenuti. Usufruendo delle numerose pubblicazioni che già in quegli anni sì fa- cevano dai chimici sull'aldeide formica, in grazia della grande importanza che acquistava ogni giorno più detta sostanza nel campo della pratica indu- striale, nell’igiene e nella bromatologia, studiai pressochè tutti i reattivi caratteristici ed i più sensibili per il formolo che allora venivano proposti. E con essi feci quello che non avevano fatto gli altri, tentai cioè di trovare la detta sostanza sia nei distillati, sia direttamente nelle foglie. La ricerca diretta nelle foglie non mi permise di concludere che in esse esistesse vera- mente aldeide formica, ottenni però le reazioni generali delle aldeidi e solo quando le piante in esame erano state alla luce e vegetavano in ambienti con CO?. Questi risultati dimostravano quindi già che la presenza di questa aldeide o di queste aldeidi era legata agli stessi coefficienti necessarî per ottenere la fotosintesi clorofilliana. Ma risultati ben più sicuri potei però avere, operando sopra il distillato: infatti distillando parti verdi di piante vesetanti in condizioni normali ed esposte alla luce solare si ottengono li- quidi che anche neutralizzati con carbonato di sodio, oltre ridurre il reattivo di Nessler e le soluzioni di nitrato d'argento ammoniacale (come aveva visto Reinke), fatti evaporare lentamente, lasciano un residuo il quale scaldato vo- latilizza e si colora in rosso-pavonazzo con acido solforico e codeina o morfina od eroina. Tale reattivo era stato proposto da Vongerichten (*) per l'analisi della morfina e codeina ed io l’utilizzai invece per l’aldeide formica, essendo una reazione assolutamente caratteristica per tale sostanza e di grande sen- sibilità e lo è specialmente con un polimero solido della formaldeide, il tri- ossimetilene, agendo meglio il reattivo se l'acido solforico è concentrato. Ora (4) Nuovo giorn. bot. ital., vol. XIV, 1882. (*) Rendiconti Istit. Lombardo sc. e lett., Milano, 1899. (3) Atti Istit. Botan., Pavia, vol. VI, 1899. (4) Ber. d. Deut. Chem. Gesell., Berlin, Band 28, pag. 65. — 201 — è noto che l’aldeide formica si polimerizza assai facilmente, infatti basta porre alcune goccie di formalina del commercio (che, com'è noto, non è altro che un soluto acquoso contenente il 40 °/, di aldeide) entro vetro da orologio, perchè colla semplice evaporazione a temperatura ordinaria l'aldeide formica in parte volatilizzi ed in parte si trasformi in una massa bianca cristallina so- lubile in acqua ed alcool che, riscaldata, si ritrasformerà in aldeide formica e che è un suo polimero a cui è stato dato il nome di paraformaldeide o triossimetilene. Ora raccogliendo in grande quantità distillato di foglie (naturalmente bisogna agire sopra molti chilogrammi di lembi fogliari) e lasciandolo eva- porare lentamente ed a temperatura ordinaria, esso lascia un residuo tenuis- simo bianco-sporco che trattato con acido solforico puro e codeina dà una co- lorazione pavonazzo-violacea la quale non ha più luogo qualora non sì ag- giunga la codeina all’acido solforico: e ciò toglie il dubbio che questa colo- razione possa dipendere dall'azione del solo acido. Feci pure esperienze con funghi, a tale scopo distillai una forte quan- tità di succo di Boletus edulis, ma non ottenni la suddetta reazione. Trovai inoltre che i distillati delle piante verdi dànno precipitato bianco lattiginoso con il soluto acquoso di anilina (reazione di Trillat). Con bisolfito di rosanilina dànno luogo a colorazione rosso-pavonazzo- viola, colorazione che permane e scompare solo coll’aggiunta di potassa (reat- tivo Schiff). Con benzofenolo diluito ed acido solforico a 94°/, dànno colorazione rosso-cremisi (reattivo di Henner). Con cloridrato di fenilidrazina al 4°/, essi dànno un precipitato bian- castro che sì scioglie in alcool assoluto a caldo e, lasciata evaporare tale »soluzione spontaneamente, si ha formazione di abbondanti cristallini micro- scopici identici a quelli che si otterrebbero se si operasse sopra soluti ac- quosi di aldeide formica (reattivo Vitali). Con metilfenilidrazina dànno luogo ad un precipitato bianco lattiginoso che diventa col tempo verdastro. Con un sale di fenilidrazina, con nitroprussiato di sodio e con alcali usato in eccesso, dànno falora colorazione che passa al rosso (reazioni di Rimini). E dopo tali risultati mi parve lecito concludere che nelle piante esiste piccola quantità di aldeide formica. Poco dopo Czapek (') pubblica una recensione di questa mia Memoria nella quale conclude: «... damit werden im Wesentlichen die Versuche Reinke's wiederholt und deren Resultate bestitigt ». Inoltre notava come le reazioni da me usate: «... sind aligemeine Aldehydreactionen d. h. sie fallen (!) Botan. Zeitung, 1900, pag. 153.. Sono — mit einem grossen Theil alle? Aldehyde positiv aus»; ed in ogni modo che: «aus einem ahnlichen qualitativen Verhalten zweier Substanzen gegen ein bestimmtes Reagens Identitàtsschlusse ziehen zu wollen ist ja bekanntlich nicht nur in diesem falle eine missliche Sache ». A questa recensione critica dello Czapek risposi subito, facendogli osser- vare che Reinke non aveva fatto ricerche dirette sopra piante vive e sì era limitato a trattare il distillato del succo di foglie triturate e pestate (previa- mente neutralizzato) unicamente con soluto di nitrato d'argento, accertando la presenza di una sostanza riducente, mancante secondo lui nelle piante ezio- late, sostanza che poteva anche non essere un'aldeide; e difatti Reinke in- sieme a Curtius concludevano soltanto che: « ... dass weitere Untersuchungen zeigen werden, dass die reducirende fliichtige Substanz der griinen Blatter vielleicht als ein Aldehydalkohol des nicht vollstàndig hydrirten Benzolkerns aufoefasst werden kann». Ricerche e conclusioni quindi che a me sembra variano molto dalle mie! In quanto alla natura delle reazioni da me ottenute, feci notare che fra ì numerosi reattivi analitici che adoperai ve ne sono diversi generali a tutte le aldeidi ed altri comuni per molte, ma ve ne sono poi altri, pure da me descritti ed usati, che sono speciali per la sola aldeide for- mica. Che io abbia sperimentato anche i reattivi generali era ben naturale, poichè per determinare la specie è logico prima determinare il genere; così se la sostanza ricercata è aldeide formica essa deve dare le reazioni delle aldeidi: ma per esempio fra gli altri, il reattivo formato di fenilidrazina, nitroprussiato di sodio ed alcali; l’altro di Vitali e quello dell'acido solfo- rico e codeina usati puri, nelle condizioni da me descritte, sono ritenuti da tutti i specialisti come caratteristici per il solo formolo.. In quanto poi al- l'ultima deduzione di Czapek (vedi sopra) se fosse vera, varrebbe quanto asse-” rire che l’analisi chimica non ha alcun valore. Queste ragioni da me pub- blicate in risposta alla recensione dello Czapek (forse da lui stampata senza aver bene interpretata la mia Memoria) pare abbiano persuaso assai presto, almeno in parte anche lo stesso autore, poichè in un Sammelreferat pub- blicato subito dopo da lui nel Berzeht. d. Deut. Bot. Gesell. del 1902, si limita a dire a proposito delle mie ricerche che hanno bisogno di conferma, e nella sua opera: Biochemie der Pflanzen, riporta le mie ricerche senza opporre aleuna argomentazione in contrario. Nei principali trattati di Fisiologia vegetale comparsi negli anni suc- cessivi vengono citate le mie esperienze senza alcuna discussione. E così si viene al novembre del 1904, epoca in cui venne presentata a questa R. Accademia una Nota dei sigg. Plancher e Ravenna intitolata: Studi sull’assimilazione del carbonio. I. Sulla presunta formazione del- l’aldeide formica. Le conclusioni a cui venivano i detti Autori erano com- pletamente opposte alle mie, e siccome. erano anche ripetute da essi alcune mie esperienze ottenendo reazioni diverse da quelle che io avevo annunciato, era mia intenzione di subito rispondere e fare qualche obbiezione (che mi pareva giusta) a quanto affermavano i due chimici citati, ma non l'ho fatto subito perchè ho voluto seguire il suggerimento datomi dal prof. Fiori in una sua Nota (Bull. Soc. bot. ital., pag. 160, 1902). dove appunto egli mi ricordava il proverbio: nemo judex in causa propria, e consigliava di la- sciare agli altri ed alle esperienze future di dare ragione dei fatti, e, dato il grande interesse delle ricerche, non potevano certo tardare molto a com- parire dei lavori che confermassero le conclusioni del Plancher e Ravenna o le mie. E siccome tutti quelli comparsi dal 1904 ad oggi, per quanto io sappia, sono precisamente favorevoli alle mie ricerche, mi permetto solo ora di rispondere alla Nota dei predetti Autori, specialmente servendomi dei fatti sperimentali trovati dagli altri osservatori. Le obbiezioni si riassumono brevemente nelle seguenti: 1° Net rami illuminati avviene l'assimilazione, quindi sviluppano ossi- geno che colora il reattivo di Schiff; nel ramo tenuto all'oscuro ed in quello tenuto în assenza di CO? l'assimilazione è soppressa, non si sviluppa ossigeno, quindi il reattivo di Schiff rimane inalterato. 2° In nessuno dei distillati riscontrarono il comportamento delle so- soluzioni diluite di aldeide formica. Infatti la p-bromofenilidrazina in contatto dei distillati dava un albescenza o precipitato, ma questa era so- lubile in acido cloridrico. Coi reattivi di Rimini non ottennero mai da nessuno dei distillati il minimo accenno alle colorazioni caratteristiche dei reattivi. 3° L’aldeide formica non si può riunire nel distillato delle piante perchè anche se presente, sarebbe trattenuta dalle sostanze contenute nel vegetale sotto forma di composti non scindibili dall'acqua bollente. 4° Col reattivo di Rimini non ebbero alcuna colorazione sul succo spremuto ancora torbido, nè sul filtrato e così pure sulla poltiglia posta în strato sottile su piastrina di porcellana. Alla prima obbiezione rispondo che l'ossigeno non colora il reattivo di Schiff preparato bene, anche dopo l’azione di diverse ore, mentre i tessuti sì colorano subito; non è ancora dimostrato che le piante emettano ozono, ma se fosse l'ossigeno e l'ozono che provocano la colorazione rossa, dovrebbe il gas che esce dal tessuto cellulare colorare anche il liquido nel quale gor- goglia, mentre invece esso rimane incoloro. E quale ossigeno ozonizzato (!) dell'assimilazione noi poi abbiamo nel distillato delle foglie? Poichè solo in tale caso si colora il liquido col reattivo di Schiff, mentre quando tiene immersi dei lembi fogliari, il liquido non si colora affatto. Credo quindi fermamente che tale asserzione sia senza fondamento. In quanto poi alle successive obbiezioni, mi limito a far notare che essi par- lano solo di tre reattivi e fra i meno importanti, mentre tacciono di tutti — 204 — gli altri da me usati e fra 1 tre da loro citati, vi sono proprio quelli che, come io avevo scritto, mi avevano fatto meno buona prova. Premesso ciò, a queste obbiezioni di fatto io lascio rispondere gli Autori che sono venuti dopo ed i cui risultati qui brevemente riporto. Euler (*) contemporaneamente al Plancher e Ravenna, in una sua comunicazione intitolata: Zur Menntniss Assimilationvorginge, dopo avere riassunto brevemente la mia Memoria, scrive: «... per le ricerche sopraddette che io ho fatto con foglie di Solanum tuberosum (in poca acqua macinate) potei confermare i risultati del sig. Pollacci, in quantochè nella prima parte del distillato con una soluzione acquosa di anilina ottenni sensibile precipi- tato, minore nella seconda, eguale nella terza. Oltre a ciò ecc. ...7. Francis L. Usher e I. H. Priestley (*) in una Memoria presentata l’anno scorso dal prof. Morris M. W. Travers alla Royal Society di Londra ed inti- tolata: A Study of the Mechanism of Carbon Assimilation in Green Plants, senza dimostrare di conoscere il mio lavoro, fra le altre cose accertano la presenza della formaldeide nelle piante, adoperando oltre che il reattivo di Schiff anche quello di Trillat (da me pure usato) e tenendo immerse per 12 ore nel reattivo (acqua di anilina) delle piantine d'Z/odea, poterono os- servare al microscopio che i cloroplasti erano i centri di grumi cristallini ben definiti identici a quelli di metilenanilina che si ottengono appunto con acqua di anilina e formolo. Erano solubili negli acidi minerali diluiti ed anche in alcool caldo dal quale cristallizzavano nella cellula per raffred- damento. Oltre a ciò essi sottomisero alla distillazione a vapore, forti quantità di Ulva ed Enteromorpha; il distillato fu diviso in due parti, alla più grande di queste fu aggiunto un poco d'acqua d’'anilina e diede precipitàto bianco, l'altra porzione del distillato fu evaporato con ammoniaca a bagno maria ed il residuo ripreso con acqua e trattato con acqua di bromo; Ed ottennero il caratteristico derivato tetrabromato della esametilentetramina dato dalla for- maldeide. E queste reazioni caratteristiche per tale sostanza non si limita- rono a trovarle in poche piante, ma estesero le loro osservazioni a gran nu- mero di specie sempre con risultati concordanti. Pure nello stesso anno il dott. Grafe Viktor dell'Istituto di Fisiologia vegetale di Vienna pubblica nell'Oesterreichischen botanischen Zeitschrift (8), una Nota nella quale annuncia che egli ha trovato un altro nuovo reattivo della formaldeide il quale è assolutamente specifico e sensibile e che con- siste in un soluto all’1°/, di difenilamina. in acido solforico concentrato, che in contatto di formolo dà colorazione verde anche quando questa sostanza è in tenuissima quantità. La reazione è anche di valore per la microchimica (!) Ber. d. Deut. Chem. Gesell., Berlin, 1904, pag. 3413. (2) Proc. Royal Society of London, 1906, vol. 77, pag. 369. (3) 1906, n. 8: Veber ein neues spezifisches Formaldehydreagens. 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Presenta una copia-del ritratto del Socio straniero G. Muggins Pas. Pizzetti. Commemorazione del Socio prof. G. B. Mavero . 0%. L0. » PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Fusari, Pascal, Pflueger, del sig. Rosenbusch, e l’opera « Botany of the Faeroes» . » Blaserna (Presidente). Fa omaggio di un volume di Sir A. Noble, e dà comunicazione della lettera colla quale, a nome dell’àutore, il sen. conte Albini trasmise il volume stesso - Dini. Fa omaggio di due volumi inviati dal Socio Briosi. Li. 0.00 GermunSPresenta ‘una pubblicazione deliprofiDel'Re . . See Grassi G. Offre una sua pubblicazione di Rlettrotecnica . LL 06.0. 00 CORRISPONDENZA Maillosevich (Segretario). Comunica un invito della Università di Upsala per la commemora- zione del secondo centenario della nascita di Carlo Linneo. LL...» Id. Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti...» BURPEIINOGBIBITOGRAFICONGIR 0 e MAT N NON ERRATA CORRIGE A pag. 46 linea 12, sopprimere 0,08 » 48 ” v) 0,30 RENDIGONTI — Febbraio 1907. MNDICE STRO: Lalli 7 di Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 febbraio 1907. MEMORIE E NOTR DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Pizzetti. Paragone fra gli angoli di dl triangoli geodetici di eguali lati. . . . . Pag. 149 Battelli e Magri. La scintilla elettrica nel campo RESTERi CEL ao gina) Angeli e Marino. Sopra l’acido santoninico . DANA o È » 159 Mosso. Analisi chimiche e raffronti cronologici delle armi più suono di rame e di bronzo nei paesi del Mediterraneo (*) . .. 0. . 3 DERR ani 161 Fubini. Il problema di Dirichlet cnsilgrato come limite di un ordino job ci minimo 000° iN (pres. dal Socio Bianchi). . . 6 6 ca venia 5162 | Corbino. L' isteresi magnetica del ferro per Sirenti di ila froatinà orea, ni Corrisp. e | Macaluso) Re BM O, 3905 agito 0a Magri. Ricerche sopra solventi inorganici. a basse ieiperc II Disposizione pericoli pe (pres. dal Corrisp. Battelli). . . n . LE ; È SRO RAMI Grassi. Le conduttività dell’acqua difagzze in presenza ) delle emanazioni del radio 0 (pres dal SOCIORA0 0) OT pro sane (SLITO, Mascarelli e Martinelli. Sul comportamento crioscopico dei ea jodilici igalo in acido formico (pres. dal Socio Ciamician) . . . ME Eredia. La piovosità a Roma (pres. dal Socio Millosevich) e sE VANE RETRO ini 186 Clerici. Preparazione di liquidi per la separazione dei minerali (pres. dal Socio Server). » 187 Rosati. Studio cristallografico del selenigto di torio ottoidrato (pres. Id.) (#). . . . . » 195 Charlton Bastian. Sull’origine «ex novo» di Bacterii, Bacilli, Vibrioni, Micrococchi, Torule e Muffe (Moulds) in certe soluzioni. ‘saline preventivamente soprariscaldate, contenute in provette ermeticamente chiuse (pres. dal Socio Mattirolo) . . . . . . + aaa 196 Buglia e Simon. Variazioni fisico- chimiche del siero durante l’azione dell’alcool e degli ane- stetici (pres. dal Socio Zuczani) (). sr). nn 1198) Mosso U. Sulla tossicità dei primi prodotti della fifosione. e sull’ SERI degli ali sulla a contrazione muscolare (pres. dal Socio A. Mosso) e ao Ri Id. Velocità di eliminazione dei prodi della fatica e loro influenza sulla coniazzione der museoli (pres. /0) (N. ne , . Eee oO Pollacci. Sulla scoperta dell’aldeide formica Delle to ii dal Socio Bios! E ia 109 PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Presenta una copia. in argento della medaglia coniata in onore del Socio sen. Colombo, e comunica i ringraziamenti del Socio straniero Lieder . . . » 205 Id. Ricorda la perdita del Socio sen. ANRE © e dà annunzio della morte del Socio straniero prof) uendelee ee vi. ; ; ii e Paterno. Si associa alle parole di rimpianto da ioridente, per 1. Lcd dol Soc Men hi deleefi (Los RR n 4 (Segue în terza pagina) (*) Questo lavoro sarà pubblicato nei i volumi delle Memorie. (**) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. /toma 17 febbraio 1907. l] N. 4. VIT DELLA ANNO CEGIv. 190% PS ee E. O, ON LCA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del AT febbraio A907. Volume X Vi. — Fascicolo 41 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEI CAV. V. SALVIUCCI 1907 i REALE ACCADEMIA DEI LINCEI free” et 7 -aonlan DN APR 2 1907 © » Nati... WU ento _ef = =" = = re —@t_T=e: =_= E n i s*=i-Re- — eo le sd rin er Sea e pe ron — do ai — = men ESTRATTO DAI REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE i Ho O ri Col 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano | una pubblicazione distinta per ciascuna delle due i) Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze | fisiche, matematiche e naturali valgono le norme) seguenti: 1. I Rendiconti della Giuse di scienze noli . siche matematiche e naturali si pubblicano re- dl golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da | : Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- : denti non possono oltrepassare le 12 pagine. i di stampa. Le Note di estranei presentato da Soci, che, ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e BD. SER qualora l’autore ne desideri | agli estranei - numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- | sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia,; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario. seduta | stante, una Nota per iscritto. È II 1. Le Note che oltrepassivo i limiti indi- | cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite neî | Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate . da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- ‘risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se guenti risoluzioni. - @) Con una proposta. di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o în esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’ invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. ; 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è date ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. i 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- | tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se | estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NANNA -<---- Seduta del 17 febbraio 1907. F. D'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI ESOCT 0 PRESENTATERDA SOCI Chimica. — Nuovo processo di disinfezione delle acque po- tabili. Memoria II del Socio E. PATERNÒ e di M. CINGOLANI. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Matematica. — Di alcuni nuovi problemi, ai quali è appli- cabile il principio di Dirichlet. Nota di Guipo FUBINI, presentata dal Socio L. BIANCHI. In questa Nota io riassumo in modo breve alcune mie ricerche sul prin- cipio di minimo, che hanno lo scopo di dimostrarne l'applicabilità a nuove classi di problemi. Un più ampio svolgimento di tali ricerche sarà dato altrove. Io svolgerò soltanto un caso particolare, accennando in fine a quali altri problemi il metodo attuale di dimostrazione si può applicare. Il problema di costruire una funzione armonica U in un campo I° (che supporremo p. es. a tre dimensioni), sul contorno e del quale sono prefissati i valori della derivata normale di U, è stato da Lord Kelvin (!) trasformato nel seguente problema di minimo. Indichiamo con #,y,4 coordinate car- tesiane ortogonali, con dr e do gli elementi di volume e di area di 7° e di c, con 4,v il parametro (E) +(37) +(55) , e con J(w) l'integrale pi: ud (*). Il problema di Lord Kelvin sì emuncia così: (1) Cfr. p. es. Hadamard, Zecons sur la propagation des ondes ecc. (Paris, Hermann, 1903), page 6, $ 6. (2) In tutto quanto segue darò alle parole: misura e integrale il significato dato loro dal Lebesgue nelle sue Zecons sur l'intégration. RENDICONTI, 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 28 —_Zz —=—a&——===—==r=- — 216 — Sia / una funzione prefissata dei punti di c. Dimostrare l'esistenza in 1° di una funzione (armonica) U(x,y,) tale che sia (1) fsudo =1 e che J(U) non sia maggiore di J(v), quando v è una qualsiasi funzione esistente in I°, per cui è soddisfatta la (OE Sfodo = TS La funzione / è proporzionale ai valori prescritti per la derivata normale della funzione cercata, cosicchè si deve supporre (2) Jac A Vedremo del resto più precisamente più avanti il significato della (2) per il problema di Lord Kelvin. Ma anzitutto faremo due osservazioni: 1. Il problema di Lord Kelvin è più generale del problema di co- struire una funzione armonica in 7, che su e abbia una derivata normale prefissa. Basti p. es. osservare che il problema di Lord Kelvin non richiede neanche che c abbia normale in ogni punto, purchè si possa parlare di integrali estesi al campo T, o al contorno c, e purchè f sia integra- bile su Cc. 2%. Il problema di Lord Kelvin, così come noi lo abbiamo enunciato, non ammette in generale soluzione. Noi non possiamo cioè accontentarei di imporre alle funzioni v la condizione (1)°5, e l’altra (che è implicitamente inclusa nel precedente enunciato) che le funzioni v ammettano un parametro 4,v integrabile in I° ('). Noi dovremo imporre condizioni più restrittive, che enuncieremo così: a) Le funzioni v sono finite e continue in ogni punto interno a 7, e sono funzioni assolutamente continue (*) su ogni retta coordinata (*) (inclusi i punti in cui questa retta incontra c), escluso al più un aggregato di mi- sura nulla di queste rette. 8) I valori assunti su e soddisfano alla S todo = de (1) Beppo Levi, Sul principio di Dirichlet, Rend. del Circ. Matem. di Palermo tomo 22, nn. 5-8. (2) Vitali, Sulle funzioni integrali, Atti dell'Accad. di Torino, 1905. (3) Con le parole: retta coordinata e piano coordinato indico rispettivamente le rette e i piani paralleli agli assi e ai piani coordinati. — 217 — y) Le derivate prime di una funzione »v, e i loro quadrati sono inte- grabili in T. L'insieme delle funzioni, che hanno le proprietà (@),(#),(y), si dirà insieme (w) ('). E con d indicherò il limite inferiore dei valori, che può assumere J(v), quando la funzione v appartiene all'insieme (v). Il problema di Lord Kelvin si enuncia allora rigorosamente così: Dimostrare che d è un minimo, ossia dimostrare che in (u) esiste una funzione (armonica) U, tale che J(U)=d. Per la definizione stessa di d noi potremo trovare in (v) infinite fun- zioni V1;02,03;..., tali che lim J(0,) = d, ossia che, posto J(v,)=4d +7: n= sia lima,==0. Ed è anzi possibile (e in infinite maniere) scegliere una tale n= successione di funzioni (che chiameremo una successione minimizzante) in 13 ouisaniehe;: is; > & per << 1 e che la serie Dei sia convergente. Conver- Ù ; 5 1 gerà allora anche ogni serie Sie (XK = cost), se k=3. Noi diremo che una retta coordinata (p. es. una retta parallela all'asse delle x) è una retta regolare, se le v; sono assolutamente continue su tale retta, e se si può trovare un intero 2, tale che per # = % sia ; quando l'integrazione sia estesa a un qualsiasi segmento (la cui lunghezza indico con /) appartenente alla retta in discorso, e interno al campo T. Le rette non regolari sì diranno rette eccezionali. © Un piano coordinato (p. es. un piano 4 = cost) si dirà regolare, se le rette coordinate (le rette parallele all'asse delle y o a quello delle <) poste su di esso formano un aggregato di misura lineare nulla. Se invece o le rette parallele all'asse delle y, o quelle parallele all'asse delle 2, che giac- ciono sul piano in discorso formano un aggregato di misura (lineare) non nulla, allora il piano si dirà eccezzionale. Si dimostra: 1°) Le rette coòrdinate eccezionali formano un aggregato di misura superficiale nulla; i piani coordinati eccezionali formano un aggregato di misura lineare nulla (2). 2°) Se esiste ed è finito il limv, in un punto A di una retta r n=% coordinata regolare, detto limite esiste ed è finito in tutti i punti di un M; Ze > | de1), e che esista in A il lim. Resterebbe il dubbio però, che le NZ rette eccezionali per la prima successione non fossero le stesse rette ecce- zionali per la seconda. Non vale però la pena di entrare in simili studî, perchè è ben facile riconoscere che in questo caso d= 0, e che la funzione U Ui , dove le costanti w; fossero scelte in modo che la suc- è la costante 7 ('). Noi dunque potremo limitarci a studiare il primo caso, il caso cioè che X=0. In questo caso come dicemmo, eszste una successione minimizzante (delle wu, ,s,...) che converge in tutti i punti di un piano coordinato regolare (eccezionale), eccetto che in un aggregato di punti linearmente nullo (di misura superficiale nulla), in guisa tale cheu= lim, n=% rappresenta una funzione continua su ogni retta coordinata, inclusi i punti comuni a tale retta ed a c, escluso un aggregato di tali rette di misura superficiale nulla. Consideriamo ora un pezzo R di una superficie Y}, che sia in corrispon- denza biunivoca con la sua proiezione ortogonale p. es. sul piano delle x. ll limu, = esiste ed è finito in ogni punto di R, escluso al più un n= aggregato di misura superficiale nulla di punti di R. Ora, come è noto, i valori di una funzione w in un tale aggregato non influiscono sul valore dell’integrale di w esteso a R. Sorge dunque la domanda se esiste il lim }w,d0' (dove con do” indico l'elemento d'area di R) e se questo limite n= + R è uguale a fado A questa domanda sì può rispondere affermativamente. R Il metodo da usare è il seguente: di considerare prima i piani 4 = cost regolari, i quali sono di più tali che si possa per ciascuno di essi trovare un intero 70, in guisa che per { >, Sia dM; \ dM\} Z "a = dy de È Di uc )] ui quando l'integrazione sia estesa a quella regione del piano considerata, che è interna a T. Un piano «= cost generico gode di queste proprietà, perchè si può dimostrare che al più esiste un aggregato di piani x = cost di mi- sura nulla, che non soddisfano a tali condizioni. Dimostrata direttamente la proprietà enunciata per ogni regione R di un tale piano, la si può quindi estendere alle superficie Y. (‘) Ciò si potrebbe del resto anche dedurre dallo studio delle successioni minimizzanti. — 220 — E con uno qualsiasi dei metodi da me già dati altrove (*), se ne può dedurre il teorema: siste una funzione armonica U, la quale coincide con u în tutti i punti di T, eccetto al più in un aggregato E. Le rette coordinate, che contengono un punto di E, formano un aggregato di mi- sura nulla. E, nello stesso tempo, si dimostra (ammettendo p. es. che la funzione f sia limitata e che c si possa dividere in un numero finito di pezzi, ciascuno del quali è proiettato biunivocamente su almeno uno dei piani coordinati) che la U soddisfa la (1), e che J(U)=d. Ne resta così dimostrato il teorema di esistenza. E, se è soddisfatta la (2), è anche implicitamente dimostrato che U + cost (se infatti fosse U= cost, la (1) sarebbe contrad- ditoria con la (2)). Il metodo qui riassunto vale anche per equazioni differenziali lineari distinte dall’equazione delle funzioni armoniche, quando al contorno si pre- fissano condizioni analoghe alla (1) (o per sistemi di equazioni lineari. L'estensione si compie coi metodi ricordati ai SS 9-10 della mia Mem. cit. Matematica. — Sur la recherche des fonetions primitives par l’integration. Nota di HeNRI LEBESGUE, presentata dal Socio C. SEGRE. Matematica. — Sur les formes différentielles m-linéaires. Nota di TH. De DONDER (a Bruxelles), presentata dal Corrispondente Hi. PASCALI Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Cristallografia. — Studio cristallografico del seleniato di torio ottoidrato. (*) Nota del dott. ArIsTIDE RosATI, presentata dal Socio G. STRUEVER. Il prof. C. Manuelli e il dott. M. Cingolani (8) sciogliendo a caldo il seleniato di torio noveidrato nella soluzione di seleniato di sodio ebbero per raffreddamento il Th(Se 0,),.8H:0 in piccoli cristalli brillanti. Di essi non trovo precedenti studi e per ciò reputo utile descriverli nella presente Nota. (1) ZL principio di minimo ecc. (Rend. del Circ. Matem. di Palermo, tomo 22), $$ 5 e seg. i (2) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Mineralogia della R. Università di Roma. (3) C. Manuelli e M. Cingolani, / seleniati di torio. Rendiconti Soc. Chim. di Roma, anno IV, n. 10, pag. 87, 1906. — 221 — I cristalli del seleniato di torio ottoidrato appartengono al sistema mo- noclino, classe prismatica: a:b:e = 0,6037:1:0,6712 B= 81°40'. Forme osservate: 3100}, 3010} , 3001, 3110} , 3011, }130t, }121{. Sono incolori, trasparenti, di forma prismatica, e quasi sempre allun- gati secondo l’asse y, o più raramente secondo z. L'abito più comune è rappresentato nella fisura 1, dove si vedono predominare le forme }001t e }110}. La faccia (001) è fortemente striata nel senso dello spigolo [100]; altre striature si lamentano spesso nella zona parallela a [010], così che sebbene le faccie siano molto splendenti non di rado danno cattivi riflessi, rendendo le misure meno precise ed aumentando la distanza fra i limiti delle osservazioni. È comunissima la geminazione con legge: piano di geminazione (100). Spigoli ANGOLI OSSERJVATI Angoli misurati n o LAS calcolati (001). (100) | 7 8133" — 8159 8140" e (010). (110) | 4 59 59,19 59. 9 si (010). (011) | 5 56. 91 — 56.38 06.243 ‘"— (011) .(110) | 2 67.10 — 67.12 67.11 67121 (100). (110) | 4 30.12 — 31. 6 30.381 30.51 (100) . (100) 2 98.13 — 98.24 98.181 98.20 (010). (130) | 1 28.50 29. 9 (121).(110) | 2 IO 3732 37.30 38 (I21).(010) | 1 45.50 46.10 PIE 41.215 — 42.11 41.37 41.371 Sfaldatura imperfetta secondo }010t. Il piano degli assi ottici è normale al piano di simmetria; la bisettrice a acuta, negativa, per la luce ordinaria fa un angolo di circa 31° con l'asse z nell'angolo # acuto. L'angolo apparente degli assi ottici misurato al mi- croscopio su di una lamina tagliata normalmente alla bisettrice acuta per la luce ordinaria, è di circa 80°. La dispersione degli assi ottici è debole con v >. In alcuni cristalli si notano figure di corrosione triangolari sulle facce del prisma }110;, quadrilatere su quelle del pinacoide }010t, e disposte nel modo, che è indicato dalla figura 2, cioè in perfetto accordo colla sim- metria della classe prismatica del sistema monoclino. Fic. 2. Il seleniato di torio ottoidrato è perfettamente isomorfo con il seleniato di torio noveidrato e con il solfato di torio pure noveidrato, che cristalliz- zano nel sistema monoclino, classe prismatica, e spesso presentano geminati secondo (100). L'abito dei cristalli è quasi identico a quello del solfato noveidrato studiato dal Kraus e dallo Zambonini come rilevasi dai disegni del Kraus, mentre si allontana da quello del seleniato noveidrato in cui Topsde ha trovato predominanti le forme }110{ e }011f. Per maggiore chiarezza riporto un quadro comparativo degli angoli e delle costanti. Costanti. a:bic È Th (Se 04) +8 H:30 0,6037 :1:0,6712 8T40 00 Th(Se 0.) + 9H:0 0,5984 :1:0,6542 81.34 Topsde (!) Th(S0.): +9H:0 0,5972 :1:0,6667 81.43 Kraus (2) Th(S0.) + 9H:0 0,599278:1:0,658937 81.54.27” Zambonini (*) (') Bihang till K. Sv. Vet. Akad. Handlingar, 1874, 2, n. 5. (2) Groth, Zeitschrift f. Krystallogr., 1901, XXXIV, 425. (3) Gazzetta Chim. Italiana, XXXII, p. II, 1902. — 909 Angoli osservati. Th ($04):-+- 9H20 Th(Se 04): + 9H0 Th (Se 0,): + 8H:0 Soap Topsde Kraus Zambonini or o 7 O STZArI (010) . (110) 59. 9 59/29 Da 5919.8 (010) . (011) 56.241 57.18 Da 2 (011) . (110) 67.11 67.39 67%29 pe (100) . (110) 30,381 30.351 30.35 30.41.40 (001) . (100) 98.181 98.241 da fi I cristalli di solfato di torio ottoidrato sono stati studiati dal Wyrou- boff (') che riporta le seguenti costanti: a:b:c==0,7595:1:0,5570 DIE—:9U0 alquanto diverse da quelle trovate per il seleniato ottoidrato. Mineralogia. — Scisto ottrelitico cd Amfibolite sodica del Vallone di Monfieis presso Demonte. Nota del dott. ARISTIDE RosaTI, presentata dal Socio G. STRivER. Mineralogia. — Su alcune pirrotine della Sardegna. Nota del dott. AURELIO SERRA, presentata dal Socio G. STRùvER. Fisica. — Della ionizzazione dei gaz in rapporto alla loro temperatura. Nota del dott. A. GALLAROTTI, presentata dal Cor- rispondente A. BATTELLI. Fisica terrestre. — Confronto degli areometri ad immersione parziale e ad immersione totale per la misura della densità dell’acqua di mare. Nota di Lopovico MARINI, presentata dal Cor- rispondente A. SELLA. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. (1) Bull. Soc. Fran. d. Min., XXIV, n. 2, 1901. ReNDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 29 Meteorologia. — La piovosità a Roma. Nota del dott. FiLIPPO' EREDIA, presentata dal Socio E. MiLLOSEVICH. In una Nota precedente (') si trattò della quantità di pioggia registrata a Roma dal 1825 al 1905. Col presente studio ci proponiamo di esaminare il numero dei giorni piovosi. Nella tabella che trovasi qui annessa, sono trascritti il numero dei giorni piovosi per ciascun mese del periodo anzidetto, intendendo con tale notazione il numero dei giorni durante i quali è stata notata quantità ap- prezzabile di pioggia. Ed eseguendo, sopra i detti valori, la media aritmetica, abbiamo ottenuto i numeri che sono contenuti qui sotto. S 3 D ° È 3 6 È 5 | 8 È p IMC = | è Fe 5 EU È È 3 Gi = 5 E = È 3 2 3 Gi 10,8) 89 | 102 |-98| 70657) 22) 838 680/1028 IZ oz Da cui risulta che il massimo numero dei giorni piovosi cade in no- vembre e il minor numero in luglio. E dividendo la quantità media mensile della pioggia (*) per il numero medio dei giorni piovosi, abbiamo ottenuto i seguenti valori che rappresentano l'abbondanza mensile. 5 ° 2 2 2 n di ° ° ° 2 2 2 2 E È S 2 Dì È 2 È z E E E È, sà a = pi to = to o È 82 > Ò E ® Di Gi (A GI = 5 En) > 25) 5 = s [è | Ei = < Z (o) Nei < E la) z [= < TOT 7,0 6,7 6,6 2 7,0 8,2 840 | 105015172 9,9 7,8 | 8,3 I valori più elevati si notano nei mesi di ottobre, settembre e novembre, mesi nei quali suole cadere molta precipitazione, e nel rimanente si hanno dei numeri pressochè uguali, eccetto 1 mesi di luglio e agosto che mostrano dei valori quasi uguali al valore annuo. E ciò è dovuto evidentemente al fatto che qui a Roma nei mesi estivi sogliono verificarsi pochi giorni di pioggia, ma con molta precipitazione. Nel quadro che segue diamo la somma dei giorni piovosi corrispondente a ciascun decennio del periodo considerato, per mese, per stagioni meteorologiche e per anno, e dove i massimi e i mi- nimi sono notati-in carattere corsivo. (1) Za pioggia a Roma. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Vol. XV, 1° se- mestre 1906. ——_____——__—_r—_T__I NUMERO. DEI GIORNI CON PRECIPITAZIONE APPREZZABILE PNG ener e a | ea SS e e SME RE 1825-1834 | 86| 62) 62) 6e| eo) 52| 19) 26] e5| col 87) 79|227|184| 97| 212] 720 1835-1844 | 90) 97| 85) 95) 9s| 39) 22) 34| 72 76|117] 88|270|273) 95|265| 903 1845-1854 | 105) 85|108|102| s1| 60] 3z| 45| 73|100{117! 100 290] 286|186| 290] 1002 1855-1864 | 103] 98|105] 89| 91] 70] 16] 36| Ss| 99|107] 99] 295|285|122| 289] 991 1865-1874 | 102| 88 222] 78] 54| 57| 27| 89) 54|125|115| 111] 296| 248|123| 294] 961 1875-1884 |114| 78|112|£35| 79| 68| 4) 30] 90|118|108|30|322|226]112|311|207/ 1885-1894 | /22| 101] 117| 121] 74| 48] 20) 25] 57|111|/47|124|347|312] 93/325] 1067 1895-1904 |106 107, 115| 107| 94) 60) 25] 31] 52|/26]108]|123| 336|316|116) 286) 1054 Dall'esame di qnesto quadro, risulta come i valori massimi si sono ve- rificati negli ultimi decenni e i minimi nei primi decenni del periodo esa- minato. Il signor A. Battandier (') e altri (?), facendo la recensione della mia Nota sopra citata, hanno dedotto che dal 1825 la pioggia aumenta a Roma e si può distinguere un doppio periodo. Il primo va fino al 1874 e com- prende 50 anni; l'aumento di 1500 mm. (dedotto facendo la differenza tra la somma notata nel 1° decennio e la somma notata nel 5° decennio) è mo- derato; ma a partire dal 1874 fino al 1904, in un periodo di 30 anni, l’accre- scimento è più rapido, quasi di 2000 mm. Il progressivo aumento decennale, notato nella quantità di pioggia, non si verifica nel computo dei giorni piovosi; difatti, calcolando la differenza tra il totale di un decennio e il seguente, otteniamo queste cifre (2188911) ="30| + 11024) 791. Dunque, mentre dapprima è aumentato il numero dei giorni piovosi, dopo è diminuito per ritornare bruscamente ad aumentare e di nuovo dimi- nuire, ed è il decennio 1875-1884 che presenta il maggior numero dei giorni piovosi rispetto a tutto il periodo e la differenza (+ 110) è enorme ri- (3) Cosmos. N. 1112, 19 mai 1906, Paris. (8) Bollettino bimensuale della Società Meteorologica italiana. Serie III, vol. XXV, nn. 9-10, 1906. spetto alle due differenze precedenti e alle due successive. E se vogliamo ammettere la divisione dei due periodi riscontrati nella pioggia, troviamo che, mentre nel primo periodo (di 50 anni) la pioggia aumenta di 1500 mm., il numero dei giorni piovosi aumenta di 241 giorni, e mentre nel secondo periodo (di 50 anni) la pioggia aumenta di 2000 mm., il numero dei giorni piovosi diminuisce di 17 giorni. Cosicchè deduciamo che solo nella quantità della precipitazione notasi il periodo riscontrato da Battandier. Questo anmento continuo della precipitazione, è stato attribuito all'ac- crescimento della popolazione nella città di Roma e della sua estensione superficiale. Si è ritenuto che l’evaporazione dell'acqua proveniente dai ser- vizii pubblici e privati e la presenza dei fumi carichi di vapore acqueo siano sufficienti a spiegare l'aumento della pioggia. Se quanto pensa il Battandier ed altri fosse realmente quello che si verifica, evidentemente l'influenza dovrebbe maggiormente risentirsi nei giorni piovosi, aumentando la frequenza, dei giorni, con gocce, e, dei giorni, con poca quantità di precipitazione, poichè nelle pioggie, che interessano una grande estensione di regione e dovute perciò a date configurazioni barometriche, sarà trascurabile l'influenza che potrà esercitare la presenza nell'atmosfera di fumi carichi di vapore acqueo, i quali qui a Roma, dove sono scarsi gli opi- ficii, non sono del resto in grande copia. L'esame dei giorni piovosi, distri- buiti a seconda della quantità di precipitazione che hanno apportato, potrà, credo, gettare molta luce in proposito. E a tal uopo, nel quadro qui sotto trascritto, indichiamo il numero dei giorni piovosi che sono stati accompa- gnati da precipitazione o semplicemente da gocce. NUMERO DEI GIORNI PIOVOSI DISTRIBUITI A SECONDA DELLA QUANTITÀ DI PRECIPITAZIONE WERE. > SA REN DO I cl goece | 0,1-5 | 5,1-10 |10,1-15 [15,1-20(20,1-30|30,1-40/40,1.50 | per 1825-1834... 265 1835-1844 214 1245-1854 227 1855-1864 83 1865-1874 190 1875-1884 285 1885-1894 294 1895-1904 . . . dIZ pr — — 227 — Onde risulta che nell'ultimo trentennio, in cui notansi un aumento della pioggia di 2000 mm., è diminuito il numero dei giorni con pioggia da 0,1" a 52", poco variato il numero dei giorni con pioggia da 5,1!" a 10", da 10,1mm a 15m da 15,1a 20”, da 20,1 a 30" e con gocce, e aumentati i giorni con pioggia superiore a 30%", E poichè non sembra ammissibile ri- correre all’accrescimento della popolazione a Roma, per spiegare tale aumento, non crediamo di accettare le vedute di Battandier. Riuscirà certamente in- teressante sapere come sono stati distribuiti i giorni con precipitazione in ciascun dei decenni considerati; e a tal uopo diamo i valori stagionali nel quadro qui sotto riportato. INVERNO gocce | 0,1-5 prio 10,1-15|15,1-20|20,1-80|30,1-40|40,1-50 Rae 1° decennio 73 101 68 | 29 10 15 4 0 0 Doni (0%, 58: RI9S A o 94/0) 19 | 5 3 1 0 SONNO, Gelo (500035: | 11 |a 9 2 0 ONE; 20) |(0137 Wier lido | 23 | Mo 4 3 2 CONA MR 46. 165 |\ ‘57 | 35. {15 | 8 5 1 0 6°» 505 |0 178 (Ni7a) (N98. | 18 | slo 5 2 0 Too oe Metz li o1. | 800 6 2 3 Sofia dx 70 152 | 86 | 40. | 20 | 655 7 4 2 PRIMAVERA gocce | 0,1-5 | 5,1-10 [10,1-15/15,1-20[20,1-80|30,1-40|40,1-50| She 1° decennio 69 | 99 44 18 9 It 1 1 1 Qi, 60 | 137 | 69 z| 116, | 02 1 0 1 9h 64 |\\1so |W53| 27 | 12 | 02 1 0 1 ì SOMIE, 20 162 | 62 | 27 | 16 | Mo 4 2 0 5° Sezze Mo5 ]O | e 5 2 1 GCIMBNNI > 89 1940|g4 ini99 0 13 | 6 7 1 1 7° ; Oo ire o nt 4 117 5 9 0 8°» gg saison io. og 9 9 0 — 228 — ESTATE gocce | 0,1-5 sino 10,1-15 15,120/20,-9090,1-40 10,150 SA 1° decennio 50 55 21 7 6 8 1 1 3 20 ” 38 43 27 16 4 4 0 0 1 3° ” 34 73 26 18 4 7 5) 2 1 40 ” 19 86 18 7 2 6 3 0 0 5° ” 56 75 21 14 d 7 1 0 1 6° ” 80 6l 19 19 4 6 1 1 1 DE ” 15) 60 7 10 6 (6 2 1 1 8° ” 1) 64 | 17 14 5 6 5 4 1 AUTUNNO = dc oltre gocce | 0,1-5 Rio 10,15 15,:2020,-00 30,1-40|40,1-50 50,1 1° decennio 73 90 46 26 13 20 11 3 3 2° ” 58 120 07 Sl 17 18 4 3 ò 3° ” 63 140 58 36 20 18 8 3 7 4° » 24 126 59 30 31 20 10 6 7 5° ” 32 149 58 23 17 26 7 7 7 6° ” 72 171 39 34 22 20 8 9 8 70 ) 75 158 63 81 24 21 9 3 6 8° ] 65 130 39 20 27 (Ire 122 8 13 Onde risulta come il maggior aumento nelle precipitazioni superiori a 30m si è verificato specialmente in autunno. Nullo è l'aumento in quest’ul- timo trentennio dei giorni con gocce in qualunque stagione e ci sembra che tale mancanza escluda quanto dice il Battandier. E se si eccettua l'inverno, dove si nota un lieve aumento nel numero dei giorni con pioggia da 5,1%" a 10%" dappertutto si nota una diminuzione. Attesa la poca durata del periodo esaminato, non crediamo opportuno per ora enunciare alcuna ipotesi; ma non crediamo accettare le conclusioni emesse da Battandier, poichè pensiamo che le variazioni riscontrate non siano da attribuirsi a fenomeni locali, ma a fenomeni generali della grande cir- colazione aerea, fenomeni che le future ricerche potranno spiegare. — 229 — Dalla tabella contenente i valori mensili e annuali, e che chiude la presente Nota, abbiamo calcolato il numero di volte in cui in ogni mese si è notato il massimo numero di giorni piovosi per ogni anno. E risulta quanto segue : 9 2 £ 2 o va La (RE 6 S È E ci E D 2, È s 5 $ Ù Ei = < = (o) tei < 5 S) Da A 15 11 I 9 10 | 3 0 0 0 2 13 17 | IE: Si vede adunque che i mesi più piovosi risultano dicembre, novembre e gennaio. E se confrontiamo i dati ora trascritti con il numero delle volte in cui in ciascun mese è stata notata la massima precipitazione annuale, valori che qui sotto riportiamo d s | cl 2 2 a ca ° ° Sì 2 ® 2 2 E à S 2 En È, 2 È E È f E E 2 5 E Ci E 2 SI ca s 5 2 (>) E = < i w A < | È ° oz 2) 7 5 5) 2 0 1 0 ll I 20 | 15 18 e nei quali il massimo cade in ottobre, risulta come ai mesi di maggiore precipitazione non corrispondono mesì di maggior numero dei giorni piovosi. Ed una circostanza che milita molto a fare notare tale coincidenza si è che, mentre nel periodo di 81 anni, alcune volte varî mesi, del medesimo anno, hanno il maggior numero dei giorni piovosi, mai si è verificato che due mesi segnino contemporaneamente la massima precipitazione. Numero di giorni con precipitazione apprezzabile notato nel R. Osser- vatorio Astronomico al Collegio Romano. [c) Bi Ei < Z D tei < Da ° Z A < ego 0 ice e A Za 2 420 (16102607 E26n OS Ae 7 8A o nr 6.6 88 IS RI RTS 3 6 6 9 2 DEgLO 8 8 90 0.0 SRO ae e le o ISCR ee 7 0 LIO IZ 7] 1 eo OO 16-97 ES Ao 8 1 0 4 3 ii TRO b) Do 65 IL ia, 7 3 60017 5 2 8 6 5) 2 8 8 72 TESI E 13 | 10 8 6 4 Id 1 3 Il 1 9 3 66 IR AO) 079 8.) BOS ezi7z 5 | el 1894 6 4 0 8 2 3 8 2 4 7 2 43 — 230 — ouUY QIQUOIIT QIqQUIOAON 04140930 QIquiajos 03s03y SOT 83 14 ll (eni (nel 14 107; 10 ousnmy 01SStN - anudy OZIEH UPGCERI OmmUUAL) 10 1836 . np} 12 12 1837. 1888. 12 13 14 11 1839. 1840. 1841. 1842. 1843. (spl (eni 16 15 14 17 12 (eni 11 D 17 14 10 10 109 10 10 17 22 0 13 14 N (api d9 NI api (ui ap} (ap) 6 11 18 14 Jali ll 12 12 16 11 13 12 13 13 10 13 11 20 11 10 IL] 18 1844. 1845. 1846. 1847. 1848. 1849. 1850. 1851. 1852. 1854. 1855. 1856. 1857. 1858. 1859. 1860. 1861. 11 16 13 1862. 1863. 1864. 12 d. 6 1866. 186 15 13 1867. 1868. 1869. 1870. 18 13 1871. 4 14 — 281 — ouUuY e1queoIg QIQUeAON 21907570 Q1quozos 03s0dy otT8nT cusnig 0195eN omudy OZIEN LIGURI o1RuUe”) 102 N 10 13 13 12 1875. 1876. 1877. ini 12 1878. 1879. 1880. 106 18 14 13 15 13 12 22 10 24 1881. 10} 00 be So mu mo Una N na | o n co rire ai O mM mi mi Im di 0 °° i i n 5 00 si Lena) o mn GI li SUE TS EMO dd 10 SS e i re rn CORSO. N N Sì < o ten) IM + 00 00 00 00 00 00 Mami tilde: (00086. ri mi I ni OO nr T< OSO HMuieaerlil «SS Sami 19 Sì d0 HM Si 00 | imitato il = Dì n SS Ci mM 00 109 mi ri cl i Zia = Dì 00 00 00 15 0 GI =) il i Luni Ego OMO dm n IE IA O n Mn UNI n NOS re 00 d 0 io O 109 © 10 10 QUAI n N il cid “O 00) Sì rai to I) 0 bot] pei I pei a 5 Dì 0%0 00 0 105 = Lon) resi ei ie n 19 10 0 0 » E° SOT esi ie ia O O I OO uo o +#i imitata RI] 109 0 E 0 S So mu 00 00 99 00 00 Sb SD 0000 00. 00 00 00 00 il iii i ei RR ed e 15 11 12 1892. 1893. 80 11 12 15 1894. tt GI IO: I? 4 <#i 0019 lame] rid SVOLTI SSL mi i (an i e vd ri | 90 [i i N I ve ea ei ale mi mi ten DI mi o] | 00 e ISIS EIA na e o 0 o cs rr ODì di Sì SI | (nni mi i I bt T-<] D ee e a A 5 Sì NN Sì omni uo Sa EH © | mini non mi mani Mn | 00 il ae MN Sri *SZZZsESZaE Leni Un) te] Cee e e Pet mH_ 2 10 n n + © H oO 0 © |a Ze) N n sti nn SH MD vu OHM mM cx | o - Len) IT era I Cee Co) e) < 11 637 I no. dI dii oo Ss oo ay mim nia ami dd TI as) = Db (ai —_——p__ _—_—__zjî{prrr" romero e COEN Lan A SE ESCI IC RSS) (=) Lena) ra it iene e rari (np) 00 n_—————— tt 9 1 E.-. o 0 Sa m < Mm <+# 10 MM So o o 5 o o° 5 _o E 00 00. 0. 0. 0 Sì Sì Si S Sb Sa Tr itertv r rr raee= 30 RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. «(= raro: — 232 — Fisiologia. — Su Ze correnti di demarcazione dei nervi. Nota del dott. MaRrIo CHIÒ, presentata dal Socio A. Mosso. Due teorie si sono per lungo tempo conteso il campo della interpreta- zione dei fenomeni elettrici dei muscoli e dei nervi: la teoria di Du Bois Reymond 0 della preesistenza, che ravvicinava la costituzione di un muscolo e di un nervo alla costituzione della calamita, e la teoria di Hermann, della non preesistenza, sviluppata poi meglio da Engelmann, Hering, e Bie- dermann, la quale considerava le forze elettromotrici dei nervi e dei muscoli come una conseguenza dei fenomeni disintegrativi ed integrativi dei tessuti, come una conseguenza della mortificazione degli elementi, per cui ogni punto leso od eccitato acquista potenziale negativo rispetto ad un punto intatto o non eccitato od eccitato con minore intensità. Lo svolgersi della chimica-fisica e lo studio dei fenomeni elettrochimici ci hanno fornito nuovi metodi per lo studio delle forze elettromotrici degli elementi nervosi e muscolari e sulla base delle nuove conoscenze molte teorie hanno potuto formarsi e svilupparsi. i Le ricerche di Tschagowetz, Oker-Blom, Macdonald, Bernstein, Brinigs giunsero a stabilire che con tutta probabilità le correnti di azione e di de- marcazione dei muscoli e dei nervi non sono altro che correnti di con- centrazione. Bernstein spiega in due modi le differenze di concentrazione che: si stabiliscono tra il punto leso od eccitato di un muscolo e la parte rimasta intatta : 1° Secondo una teoria detta dell'alferazione, quando si ammetta. nel punto leso la formazione di un elettrolita organico, di cui gli ioni abbiano nelle fibre e nella membrana di rivestimento differenti velocità e numeri di trasporto. 2° Secondo una teoria detta dell'‘mpermeabilità, quando si ammetta che le fibrille normali siano rivestite di una membrana plasmatica poco per- meabile od impermeabile per una delle due specie di ioni. Ostwald ammise che all'influenza di membrane semipermeabili fossero dovute non solo le correnti dei muscoli e dei nervi, ma anche le correnti dei pesci elettrici; in seguito Nernst, Zeynek e Barrat cercarono di applicare la teoria delle membrane semipermeabili alla spiegazione della sensibilità dei nervi. Galeotti trovò che la pelle vivente è permeabile per determinate specie di ioni e non per altre. Studiando le correnti di azione e di demarcazione del cuore, il Galeotti trovò che, mentre il tessuto intatto ed in riposo è lievemente alcalino, il — 233— tessuto. alterato. o contratto tende a divenire acido e che l'aumento della con- centrazione degli H'— ioni è ‘maggiore nel caso della alterazione che nel caso della concentrazione. A queste -variazioni nella concentrazione degli H*— ioni e degli OH’ — ioni. sarebbero quindi dovute le correnti di azione e di demarcazione, le quali si potrebbero ricondurre al tipo di quelle che si producono nel con- tatto di una soluzione alcalina con una soluzione acida: e, come in questo caso il polo negativo è dalla parte dell'acido, così nel tessuto muscolare il polo negativo è nella porzione alterata o contratta. Il Galeotti, per spiegare le correnti di azione e di demarcazione, emette l'ipotesi che le fibre muscolari siano avvolte da membrane, le quali allo stato di riposo del muscolo sarebbero impermeabili dall'esterno all'interno agli OH’ — ioni, e dall'interno all’esterno agli H' — ioni. Per questo fatto si avrebbe normalmente una maggiore concentrazione di OH' — ioni nel sar- coplasma ambiente ed una corrispondente maggiore concentrazione di H' — ioni nell'interno della fibra muscolare. Per azione dello stimolo cesserebbe, nel punto eccitato, l’impermeabilità della membrana, e gli H: — ioni, emigrando nel sarcoplasma, determinereb- bero una maggiore concentrazione di H' — ioni rispetto ad altri punti in riposo del muscolo, e si produrrebbero quindi le correnti di azione come correnti di coppie del tipo. acido-base. In seguito all'emigrazione degli H — ioni restando nella fibra musco- lare gli OH’ — ioni, cambierebbe .la carica elettrica degli elementi musco- lari e varierebbe per conseguenza .la loro tensione superficiale. Ora, come i dati sperimentali fanno credere che la contrazione del muscolo dipenda da variazioni della tensione superficiale dei singoli elementi, così le variazioni del valore della carica elettrica determinerebbero sia la contrazione sia la corrente d'azione. RARI Tagliando una fibra muscolare e rompendo le pareti degli elementi con- trattili, si avrebbe la combinazione degli H' — ioni in essi contenuti con gli OH’ — ioni del sarcoplasma e quindi la neutralizzazione del mioplasma ‘morto. In confronto di un punto qualsiasi del muscolo non leso, vale a dire di un punto contenente in predominanza OH’ — ioni, la sezione di taglio acquisterebbe così un potenziale negativo e si. avrebbe per conseguenza la corrente di demarcazione di una pila del tipo detto acido-base. Poichè nei nervi la corrente di demarcazione si presenta con gli stessi caratteri che nei muscoli, volli ricercare se anche qui essa fosse dovuta a -diverse concentrazioni di H- — ioni nel tessuto alterato e sulla superficie -Intatta. Mi limitai allo studio della catena del tipo: superf. longit. del nervo (equatore) sezione del nervo H 3 n — — 234 — perchè gli elettrodi ad H hanno un potenziale fisso e costante, e trascurai la determinazione degli OH' — ioni perchè è noto come sia difficile ottenere degli elettrodi ad ossigeno di,potenziale costante. Un elettrode ad idrogeno immerso in una soluzione contenente H° — ioni in una data concentrazione (0) acquista un potenziale (773) il cui valore Nervo si ricava dalla formula: ma = 0,0575 log È dove log P è una costante che rappresenta la tensione di soluzione del gas ed è uguale a — 4,7385 (0. Foà). Conosciuto il valore di log P_e determinato sperimentalmente zx, facil- mente si calcola log Ca e quindi Ca, ossia la concentrazione degli H°— ioni liberi nel tessuto in esame. Tecnica. — Per la misura delle forze elettromotrici del nervo mi sono servito del metodo di compensazione Poggendof-Ostwald, per mezzo del ponte di Weatstone, della pila normale Weston, e dell’elettrometro capillare. Dapprima determino la forza elettromotrice della corrente di demarca- zione con due elettrodi normali, unendoli in derivazione con la pila già com- pensata con l’accumulatore sul ponte. La linea tratteggiata nel commutatore sta ad indicare un piccolo ponte di rame che serve per mettere la pila nor- male direttamente in opposizione con l’accumulatore). (V. fig. 1, 3, 4). — 239 — Adopero nervi sciatici di cane e di grossi conigli e pongo un elettrode sulla superficie longitudinale (equatore), e l'altro sulla superficie di sezione e sempre sulla sezione prossimale, perchè più povera di connettivo. Occorrendo elettrodi impolarizzabili ho scelto gli elettrodi normali di Oker-Blom; i pennelli sono tenuti sempre accuratamente puliti, immersi nella soluzione dell’elettrode normale (naci Doll e lavati ogni volta ab- bondantemente con la soluzione stessa prima di essere usati. Fic. 2. Determinata la forza elettromotrice della catena: N | superf. longit. 5 N e n alieno | o SED passo alla determinazione della F. E. sviluppata dalla catena: superf. longit. Ron - (II) del nervo POTERI Ù (equatore) in cui un elettrode ad idrogeno è a contatto con la superficie longitudinale del nervo presso l’equatore e l’altro elettrode con la superficie di sezione del nervo. Nell’intento di matenere costante la pressione dell’idrogeno a contatto del nervo durante tutta l’esperienza, ho fatto costrurre un apparecchio che verrò qui brevemente descrivendo (fig. 2). Esso consiste essenzialmente di un vaso di vetro che termina in alto con una doccia circolare ripiena di mercurio, e che è munito di quattro aperture che possono essere ermeticamente tappate con chiusure a smeriglio. WY————_—rTTe”s sw = = (296 — Di queste quattro aperture, due (4 e è) servono per il passaggio del gas e le due altre per sostenere due tappi portanti gli elettrodi ad idrogeno (p ed r). i 16 (460 Tali elettrodi constano di una sottile lamina d'oro ricoperta di nero di platino: l'uno (P) è piatto per meglio appoggiarvi sopra la superficie di se- zione del nervo, e l’altro (R) arrotondato per ottenere. un buon contatto con la superficie longitudinale del tratto nervoso. I prc Nella doccia circolare piena:di mercurio è imimersa. una campanella sal- data al beccuccio di un elettrode normale (E): è così assicurata in questo punto la tenuta perfetta-del gas. A metà altezza circa dell'apparecchio si trova un setto di vetro 9 che ha l'ufficio di sostenere il nervo, e che è munito di due fori per dar pas- saggio alle due estremità di questo. te Si pone il tratto di nervo nell’apparecchio in modo che l'elettrode nor- male ed uno dei due elettrodi a gas siano prossimi all’equatore del nervo e da esso equidistanti; l’altro elettrode a gas (P) è ‘a ‘contatto con la su- perficie di sezione; nei punti di unione degli elettrodi a gas col nervo una goccia di siero di sangue dell'animale ucciso assicura i contatti ed impedisce l'essiccamento del tessuto. Ciò fatto, si lascia entrare lentamente il gas. - L'idrogeno, purissimo, passato attraverso parecchie boccie di pirogallolo, attraverso idrato di sodio, bicloruro di mercurio, permanganato ‘potassico, entra per 4 nell’apparecchio, ed uscendone per è è condotto ad' una campa- nella rovesciata ed immersa per un certo tratto in un bicchiere pieno d'acqua. — 297 — Il gas esce in seguito dalla campanella per mezzo di un tubo che a sua volta termina affiorando in un altro bicchiere pieno d'acqua allo scopo di impedire l’entrata d’aria nel sistema. La descrizione di questo dispositivo trovasi nel lavoro di C. Foù: v. fig. a pag. 385. Dopo aver lasciato passare il gas per venti minuti circa si chiude dap- prima il rubinetto 2; poi si porta il gas contenuto nell’apparecchio alla pres- sione atmosferica innalzando la campanella regolatrice secondo l'indicazione di‘un piccolo manometro a U; ed infine si chiude il rubinetto y. SP Fic. 4. » Si inseriscono allora in derivazione con ia Weston i due elettrodi a gas secondo la catena: superf. longit. del nervo (equatore) sezione del nervo (TIT) H (fig. 3) e si fanno alcune determinazioni finchè il sistema sì sia portato in perfetto equilibrio. Assicuratomi della costanza della F. E., rapidamente inserisco, per mezzo di un commutatore, l’elettrode normale, tolgo dal circuito la Weston ponendo direttamente il nervo in opposizione con l’accumulatore e determino la F. E. della catena: superf. longit. del nervo (equatore) (IV) LT] NaC1 È + (fic. 4) in cui l'elettrodo a gas e l'elettrodo normale sono posti a contatto del nervo in prossimità dell'equatore e da esso equidistanti (fig. 4). — 288 — DRS | La determinazione della F. E. della catena (IV) è fatta allo scopo di conoscere la concentrazione in H' — ioni del tessuto nervoso sulla superficie longitudinale, presso l’equatore del tratto di nervo in esame. Secondo quanto risulta da una serie di esperienze riprodotte nella tavola che segue, la con- centrazione degli idrogenioni del tessuto nervoso nel punto suddetto varia tra 1,5875198 e 2,1048!°?; esiste cioè sulla superficie longitudinale del nervo, presso l’equatore, una concentrazione di H* — ioni che oscilla tra i valori che corrispondono all'acqua pura e ad una soluzione di soda 100.000 Nello studio della F. E. che si stabilisce tra due elettrodi ad idrogeno, di cui uno è a contatto con la superficie longitudinale del nervo presso l’equa- tore e l'altro con la superficie di sezione, noi vediamo che non sempre la corrente ha la stessa direzione. Nelle otto esperienze da me eseguite consta- tiamo infatti che nelle quattro prime la corrente va dalla superficie di se- zione del nervo alla superficie longitudinale e viceversa nelle ultime quattro, mentre con elettrodi normali è sempre negativa la superticie di sezione. Onde possiamo arguire che la concentrazione degli H° — ioni può talora essere maggiore nel tessuto della superficie di sezione e tal altra sulla super- ficie longitudinale del nervo. Ciò è sufficiente, a parer mio, per escludere che la corrente di demarcazione dei nervi sia esclusivamente una corrente di concentrazione dovuta ad H' — ioni, come nel caso del tessuto muscolare (Galeotti). Nelle ultime quattro esperienze l'elettrode a gas a contatto con la su- perficie longitudinale del nervo è negativo rispetto all’elettrode a gas posto a contatto con la superficie di sezione, il che significa che la superficie di sezione del nervo è più alcalina che non la superficie longitudinale, la quale nelle esperienze 6 e 7 dimostra di avere una alcalinità che varia tra valori NAS a 4 N È 1,000,000 ed a una soluzione 100,000 di soda. La superficie di sezione del nervo, cioè la parte morta di esso, non diviene quindi sempre acida, come fin oggi è stato generalmente ammesso. Riassumendo : 1° La superficie naturale dei nervi periferici staccati dall'organismo è lievemente alcalina, raggiungendo al massimo l'alcalinità di una soluzione che corrispondono ad una soluzione 100,000 di soda. 2° La superficie di sezione dei nervi periferici può talvolta, contra- riamente a quanto è stato ritenuto finora, essere più alcalina della superficie longitudinale del nervo. 3° Le correnti di demarcazione nei nervi non si possono considerare esclusivamente come correnti di concentrazione di idrogenioni. — 259 — 2 3 a =? ni =? od =? o 8 si 3 na 3 2008 2 OAIOU [OP H QUOIZos Ip ‘frodns (a107enba) OAIOU TOP *“qrduo] ‘prodns 8 = 08ST0 SI bonne LzIeLo = 2 6 — #3890 = "0.901 dale > FL330 = 8 6 — 3880 = 40801 ICAO RI roes'to = 8 8 — soroto = 40 So] coro = "wu 666L'0 = si gi =" 80100 = 9/90] cogro = "u 66620 = 8 6 — 88660 = FO 50] 65810 = Au 60080 = 3 6 — 16980 = Fo Sol oro = wu 0808°00 = 3 STR 00) 9100] MOIO ERRE L60820 = 8 (o1ogenba H TEO TOUN OAIQU La, N *}rouo] ‘y1odus ESODO ZE 8 GoTO0i = L GIIOO =? 9 ce00°0 =? G CO10(0= ;} cel00 = £ é 18000 = 3 G L00400 = 3 I QUOIZBIICU?P 1p 2} U9.1109 OI i (o10penba) OI H_-|— N IOEN E _ QAIOU [OP N IDEN + quo] ‘piodus RenpIconTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. — 240 — BIBLIOGRAFIA. Max Cremer, Zeitschrift fiùr Biologie, Bd. XLVII, Heft 4, S. 562. Tschagowetz, Journal des russ. physikal-chemie Ges., 1896, Bd. 28, S. 657. Oker-Blom, Pfliiger's Arch., LXXXIV, S. 191, 1901. Macdonald, The Thompson Yates Laboratories Report, IV, pag. 2, 1902. Bernstein, Pfliùger's Archiv, Bd. 85, S. 271, 1901. Id. Id. Bd. 92, S. 521, 1902. Brinigs Id. Bd. 98, S. 241, 1903. Id. Id. Bd. 100, S. 367, 1903. Id. Id. Bd. 101, S. 204, 1904. Nernst, Nachr. von d. Ges. d. Wiss., in Gottingen-Math. phys. KI. 1899, Heft 1; S. 104, Zeynek, Ibid, S. 94. Nernst und Barrat, Zeitschr. f. Elektrochemie, 1904, S. 664. Galeotti, Zeitschrift f. All. Physiol., Bd. 6, Heft 1, S. 99, 1906. C. Foà, Archivio di Fisiologia, Vol. III, Fasc. III, pag. 369, 1906. Patologia. — Sulla morfologia e sul ciclo evolutivo del pa- rassita della rabbia. Nota del dott. A. NeGRI, presentata dal Socio B. GRASSI. Biologia. — Metodi adoperati per aumentare artificialmente la produzione del sesso femminile nei conigli e per fissare nella prima generazione degli incroci le varietà recenti. Nota di AcHILLE Russo, presentata dal Socio B. GRASSI. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 13 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. uguies 2: — Vol:I. (1873-74): Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875- uo Parte 12 Tr cnsdlli 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. i 38 MEMORIE della Classe di scienze morali, ; msi storiche e filologiche. MOV VE VIEVIESVEnE Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRrIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. SV: TXT. Serie 4* — RenpIcontI Vol. I-VII. (1884-91). Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMoRIE della Classe di scienze rali. storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XVI. (1892-1907). Fasc. 4°. RENDICONTI della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1906). Fasc. 7°-10°. | MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fase. 1°-9°. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Fasc. 2°. “i ° CONDIZIONI DI ASSOCIAZ IONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei. si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusiv: amente dai seguenti editori-libraii 05 Ermanno Lorscner & C.° — Rom _larina e Firenze. Utrico Hoep.i. — Milano, Piso e Napoli. RENDICONTI — Febbraio 1907. INDICE da Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 febbraio 1907, ra MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Paternò e Cingolani. Nuovo processo di Uisinfezione delle acque potabili (*). . . . Pag. 215 Fubini. Di alcuni nuovi problemi, ai quali è e il principio di Dirichlet (pres. dal SOcIORNBrIne 1) RASOIO) SSA ° ; sE Ca ARTI I Lebesqgue. Sur la recherche do fonctibhà lia par limtsgianni Gue dal Socio SIRO 7 . Rm 220, De Donder. Sur les formes diffsrentiellos m- baite: da dal QU Pista)! e). EANE Rosati. Studio cristallografico del seleniato di torio ottoidrato (pres. dal Socio StrWver). » » Id. Scisto ottrelitico ed Amfibolite sodica del Vallone di Monfieis presso Demonte (pres. Za.) (). SURI) VSC ARONA SARONIO Serra. Su alcune pirrotine della Sapicani Le Id) e). RR e a Gallarotti. Della ionizzazione dei gaz in rapporto alla loro temperatura (pres. dal dii: BOL) RIE . 3 LSVA Re 3 Ren) ” Marini. Confronto degli oo 3 inimersione parziale e sal immersione a per Ha mi- sura della densità dell’acqua di maré (pres. dal Corrisp. Sella) (@*). 0...» Eredia. La piovosità a Roma (pres. dal Socio MiMosevieh) | . //000.00.05 924 Chiò. Su le correnti di demarcazione dei nervi (pres. dal Socio I/osso) . . . .(.... » 232 Negri. Sulla morfologia e sul ciclo evolutivo del parassita della rabbia Lia dal Socio ei (*) (*) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. ("*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 3 marzo 1907. ND ATI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CGCCIV. T9OGk SCE RI. QUE N'TA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 marzo 1907. Volume XV I. — Fascicolo 5° 1° SEMESTRE. | ROMA | TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI | PROPRIEl'À DEL CAV. V. SALVIUCCI | 1907 = Sa ge esoniaz Ing, N MERITO "5 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serfe quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono lenorme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchèò il bollettino bibliografico. due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni ie 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50. | qualora l’autore ne desideri un | numero maggiore, il sovrappiù della spesa è agli estranei: posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- | sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- | demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso || parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta Ù stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi» ci cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro | priamente dette, sono senz’ altro inserite noi | Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate | da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- | risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- | guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di — stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio | dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio Dodici fascicoli compongono un volume, | di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- | di | posta dell’invio della Memoria. agli Archivi | dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- ; ì cedente, la relazione è letta in seduta pubblica : nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame » data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli — autori, fuorchè nel caso Conterno Di dell'art. 26 5 dello Statuto. Sr 5.L’ Accademia dà gratis 75 estratti su au tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se ‘estranei, La spesa di unnumero di copie in più. | © che fosse richiesto. è raeesa a carico degli autori. — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. DS Man Seduta del 3 marzo 1907. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Su//a nuova variabile (Nova?) 156. 1906 accertata all'Osservatorio al Collegio Romano. Nota del Socio K. MILLOSEVICH. Ai primi di novembre dello scorso anno io fui occupato a paragonare una regione del cielo verso 1° 24% e +- 50° 20' colle stelle di B D Argelander. Il 6 novembre 1906 attirò la mia attenzione una stella gialla di gr. 8.4. La sua rigorosa posizione in cielo è: 1906,0 a = 1° 230.565 59; + 500 22’ 12".1. Questa stella fa parte d'un triangolo, i vertici del quale hanno le coordinate seguenti: | A 1h28m55°; 4500204 9.2 1906.0: B 1 23 57 ;+50 22.2 Variabile (Nova)? 156. 1906. C 1:23 59 ;-+ 50 21.3 9.7 Il vertice A è BD+- 50°.287, il vertice C è un’anonima di 9.7 e il vertice B è la nuova variabile. Nell’interno del triangolo assai vicino al verlice A vi è una stellina di 11.7. Dopo alcuni giorni di osservazione la variabilità venne accertata. La stella venne colta in diminuzione di splendore, e le variazioni di grandezza sono fino ad ora circa proporzionali al tempo; all'incirca 0,3 gr. in una decade, come appare dall’unito diagramma, nel quale la poligonale piena rappresenta le osservazioni originali e la punteggiata le perequate per data e per grandezza di tre in tre valori. RenDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 52 =_= stesse e —— ue peer _oree+ er e. == === n i ro == “ E a i per: DE 949 — 11.0 10.0 G 10 14 18 22 26 80. 4 ‘8% 12; 1620821 28 #1. f5 "—=0c==" — 244 — l'alcool isobutilico, gli alcool propilico e isopropilico, l'isoamilene, il formiato di etile e l'anidride solforosa liquida; la minima temperatura infatti, a cui egli sperimentò, fu di — 21°C. Il primo studio sul calore specifico dei liquidi a temperature molto basse fu quello dell’ Eckerlein (*) sopra l'etere di petrolio. Egli usò il metodo delle mescolanze: l'etere di petrolio veniva rinchiuso dentro una sfera cava di ottone, la quale veniva raffreddata in un bagno di olio di trementina mantenuto dentro una miscela frigorifera, e poi veniva portata in un calorimetro pure ad olio di trementina. L'Eckerlein operava a tre temperature diverse: a — 169,50, — 789,30 e — 135°,38, e teneva sempre il liquido calorimetrico alla temperatura ordi- naria. In tal modo l’autore determinava soltanto il calore specifico medio dell'etere di petrolio fra queste temperature e quella dell'ambiente. Però il valore da Imi ottenuto alla temperatura dell’aria liquida è assai dubbio, perchè egli non si è curato di accertarsi se l'etere di petrolio da lui usato non congelasse, almeno in parte, a quella temperatura: cosa che del resto era probabilissima. Esistono poi delle determinazioni di calore specifico dell'ossigeno e del- l'azoto liquidi fatte da H. Alt (?) nell'intervallo fra — 200° e — 188°0. per il primo, e fra — 208° e — 196°C. per il secondo. L'autore raffreddava una certa quantità di liquido al di sotto della sua temperatura di ebulli- zione per mezzo di una rapida evaporazione; poi lo riscaldava di alcuni gradi mediante una spirale percorsa da una corrente elettrica. ed immersa nel liquido stesso. Il calore così fornito serviva in parte per riportare la temperatura del gas liquefatto fino alla temperatura di ebullizione, in parte per evaporarne una certa porzione. Quest'ultima poteva essere determinata pesando il liquido prima e dopo l'esperienza; e siccome l'autore aveva già in precedenza misurato il calore di evaporazione delle stesse sostanze, pos- sedeva tutti gli elementi per il calcolo del calore specifico. L'autore teneva conto del calore che il liquido prendeva dall'esterno, determinando la quan- tità di sostanza spontaneamente evaporata in un secondo. L'incertezza inerente a questo genere di misure, che traspare dall'espo- sizione del metodo, si rivela pure in un notevole errore dei risultati; i quali, secondo l'autore, sono approssimati a meno del 3 °/ 2.— Le mie esperienze sono limitate finora alle sostanze che sono liquide alla temperatura ordinaria, ma ho già cominciato pure lo studio dei gas liquefatti, e fra non molto spero di riferirne i risultati all'Accademia. La disposizione sperimentale da me adottata, permette di ottenere anche a temperatura molto bassa una buona precisione. (1) Ann. d. Phys., ser. IV, vol. 3, pag. 120 (1900). (*) Ann. der Phys., ser. IV, vol. 13, pag. 1022 (1904). — 245 — L'apparecchio consiste essenzialmente in un vaso cilindrico di Dewar nel quale è posto il liquido da studiare. Entro questo pesca una spirale me- tallica che viene riscaldata mediante la corrente elettrica; così si può comu- nicare al liquido una certa quantità di calore. Facendo due esperienze con due diverse quantità di liquido, si misura l'equivalente in acqua del calo- rimetro e il calore specifico del liquido. Il vaso di Dewar, che serve da recipiente calorimetrico, è di forma cilin- drica, a pareti speculari, del diametro di circa 6 cm. e dell'altezza di 20 cm. Esso mediante un apposito sostegno è situato entro un altro vaso dello stesso genere, di molto maggiori dimensioni, largo circa 12 cm. e profondo 90 cm. BIG. La spirale che serve a riscaldare il liquido è avvolta su due diametri differenti per utilizzare il maggiore spazio possibile (fig. 1), ed è sorretta da una canna di vetro che viene a costituire l'asse della spirale stessa. Lungo questa canna sono ad essa fermati, per mezzo di legature di seta, i capi della spirale, che mediante due orecchiette @ e 2 (fig. 2) vanno a pe- scare in due pozzetti anulari scuvati in uno scodellino di bosso e; il quale è forato nel mezzo per dare passaggio all’asticella di vetro e ai fili che formano l'estremità della spirale. I due pozzetti di mercurio fanno capo a due serrafili per i quali la corrente può essere lanciata entro la spirale. La sommità dell'asse di vetro è raccomandata al pernio di un movi- mento d'orologeria, cosicchè tutta quanta la spirale può assumere un movi- mento rotatorio mentre è percorsa dalla corrente, compiendo così il doppio ufficio di tenere agitato il liquido e di elevarne la temperatura. Occorreva ancora ehe durante le esperienze il vaso di Dewar, che com- pieva propriamente l'ufficio di calorimetro, fosse chiuso in modo perfetto, non w<— e EST. <= 0 = eee & TRI _- TIIPA — 246 — tanto per evitare l'irraggiamento calorifico, quanto per poter operare al ri- paro dell'umidità atmosferica. Alcune delle sostanze infatti che io sottoposi all'esperienza erano molto avide d’acqua. Arrivai a conciliare questa condizione con quella della perfetta mobilità della spirale ricorrendo al seguente sistema di chiusura, che mentre ren- deva il tappo perfettamente girevole, permetteva allo stesso tempo di avere nell'interno una pressione alquanto differente da quella atmosferica. Fire: ‘2, Intorno al recipiente (fig. 2) è masticiato presso l'orlo l'anello di bosso 4; e nel vano lasciato fra esso e il Dewar si versa del mercurio nel quale pesca il bordo del tappo 2, pure di bosso. Quest’ ultimo è forato nel mezzo e porta un corto tubo di vetro e per dar passaggio all'asse della spirale. Nel tappo b è scavato uno scodellino / contenente mercurio, nel quale va ad immergersi l'estremità inferiore del tubo di vetro d. Questo tubo è solidale coll’asse della spirale, mediante un tappo isolante che chiude il tubo a perfetta tenuta e attra- verso al quale passano i capi della spirale stessa. 3. — La spirale era costituita da un filo di nichelina della lunghezza di circa 5 metri del diametro di mm. 0,785. La sua resistenza a temperatura di 12° era di 5,600 Ohm. L'impiego della nichelina era molto opportuno, sopra tutto perchè, essendo il coefficiente di temperatura di questa lega molto piccolo, non ero costretto — 247 — nello scendere a temperature molto basse, a cambiare l'intensità della cor- rente per avere una quantità di calore sensibilmente uguale a quella che si aveva a temperatura ordinaria. Per calcolare la quantità di calore ‘7 sviluppata dalla corrente nella spirale, la resistenza della spirale stessa veniva misurata direttamente mediante il ponte di Wheastone alla temperatura alla quale si faceva l'esperienza, e l'intensità della corrente era indicata da un opportuno milliamperometro. Mi ha servito come tale un millivoltmetro Hartmann della portata di 300 millivolt e della resistenza di 10 Ohm, munito di shunt conveniente. Quest’ ultimo venne costruito con due pezzi, posti in quantità, di cm. 18,44 ciascuno, di un filo di nichelina avente la resistenza di 0,65077 Ohm per metro: in tal modo 50 divisioni del millivoltmetro corrispondevano ad un ampère. Per la misura delle temperature mi sono servito di due coppie termoelet- triche rame- costantana, di cui l'una dava la temperatura della sommità e l’altra del fondo del liquido: e ciò per esser sicuro che la temperatura fosse bene uniforme in tutto il vaso calorimetrico. Dico subito che l'equilibrio della temperatura si raggiungeva in breve tempo in modo perfetto, e si manteneva tale per tutta la durata delle espe- rienze, in grazia al movimento piuttosto veloce che dall’apparato di orolo- geria veniva comunicato alla spirale. Il galvanometro, sul quale mediante un commutatore a pozzetto di mer- curio venivano chiuse le coppie, aveva una resistenza di circa 500 Ohm, assai grande, perchè in confronto di essa fosse trascurabile quella presentata dal filo costituente le coppie, il quale era soggetto a variazioni di cui era im- possibile o difficilissimo tener conto. Una grave difficoltà nella condotta dell'esperienza, era quella di poter ottenere, entro il recipiente calorimetrico, il liquido raffreddato alla tempe- ratura di fusione. Dopo molti tentativi trovai che il metodo migliore era quello di porre la sostanza già congelata entro l'apparecchio preventivamente raffreddato coll’aria liquida. Per eseguire l'operazione, si fa dapprima congelare il liquido entro la pro- vetta — che ho dovuto costruire di robusta lamina di ottone, perchè molti di cotesti liquidi solidificano in cristalli minutissimi con aumento considerevole di volume, per modo che scoppiano tutti i recipienti di vetro in cui sono contenuti: — di poi si comincia col versare alcuni centimetri cubici di aria liquida ben limpida (cioè assolutamente esente da ghiaccio e da anidride car- bonica) entro il Dewar che serve da calorimetro, chiudendolo immediatamente con un tappo di gomma, ed agitandolo in modo che si raffreddi più che sia possibile nella sua parte superiore. Infine, gettata via repentinamente l’aria liquida, si capovolge sul Dewar la provetta metallica in cui si trova preven- tivamente congelata la sostanza. pri ia Parco: i gen tata o. i —_nnna vas la pn Siano te I cartina __ea ame n — 243 — A poco a poco la sostanza stessa si liquefa in vicinanza delle pareti della provetta metallica, e un cilindro solido della sostanza in istudio scende dentro il Dewar. Se anche qualche goccia di aria liquida fosse rimasta in fondo al vaso, viene subito scacciata, perchè il punto di ebollizione dell’aria è molto inferiore a quello di fusione dei liquidi da me impiegati. Chiuso il Dewar, si aspetta che la sostanza sia quasi completamente sciolta, quindi si introduce nel recipiente calorimetrico la spirale di nichelina messa in rapida rotazione dal movimento di orologeria. Dopo circa quindici minuti la temperatura è generalmente distribuita in modo uniforme nel liquido. Si fanno allora al galvanometro le letture della temperatura di minuto in minuto, per quattro minuti consecutivi affine di tener conto dell’ irraggiamento; poi si lancia nella spirale la corrente notando la deviazione dell’amperometro. Interrotta infine la corrente si rifanno di minuto in minuto le letture al galvanometro. Nel caso delle esperienze qui riferite il liquido contenuto nel vaso ca- lorimetrico era di circa cm.8 300, e nella spirale si faceva passare circa 2 Ampère per due minuti primi. L’irraggiamento era intali condizioni debolissimo : esso non produceva ordi- nariamente variazioni di temperatura superiori a 0 per ogni minuto primo. Ciò permetteva di ottenere per i calori specifici, anche alle più basse temperature, valori altrettanto buoni quanto alle temperature ordinarie. 4. — Un esempio dimostra subito l'esattezza che si può raggiungere con questo metodo. Prendiamo il solfuro di carbonio alla temperatura di circa 0° C., alla quale fu pure studiato da Regnault. Da una determinazione della prima serie si ebbe: Pz 888,8 P_520,4 n] me RO SOI, 1 sioni gi 2.00 QRRISITNOS guilo =.0.95 1,86 geo 1,85 E \ 4 Da 1,85 4 PA 1,85 È 5 1,35 1,87 5 0,95 1,85 6 14 6 1,0 7 1,45 7 1,5 — 249 — Indicando con E l'equivalente in acqua del calorimetro e con e il ca- lore specifico del solfuro di carbonio si ha: }388,8X 2,2 f c-4+-EX 2,2 = 0,240 X 1,86? X 120 X 5,56 3520,4 X 1,85} c + E X 1,85 = 0,240 X 1,85% X 120 X 5,56 dalcuite:—'01233. Da una determinazione della terza serie, eseguita con un altro Dewar ma con la stessa spirale, si ebbe poi PI 3502 Ri_:3ll'059 Tempo Temperature | | Intensità Tempo Temperature | | Intensità in minuti della corrente in minuti della corrente 1 — 1,74 1 — 0,90 2 — 1,67 2 — 0,85 3 — 1,60 1,87 8) — 0,82 1,885 4 — 1,86 4 —_ 1.89 5 21281120 1,88 5 + 1,61 1,89 6 + 1,23 6 + 1,65 7 I 103 7 STO PESO LITI da cui risulta c= 0,239. I due valori di e, ottenuti nelle due differenti serie, sono molto concor- danti fra loro, e concordano pur bene col valore ci—{0}23529), che si ha per la temperatura di 0° C. dalla tavola di Regnault. 5. — I liquidi da me studiati furono: l'etere etilico, il toluolo, il bro- muro di etile, l'etere di petrolio, l'alcool etilico, l'alcool amilico, il solfuro di carbonio. Per ciascuno furono fatte almeno due serie di determinazioni, e fu presa poi la media dei risultati, i quali sono riportati nelle seguenti tabelle. In esse la colonna contraddistinta con 7 contiene i valori osservati dell’in- nalzamento della temperatura corretti dall’irragiamento, la colonna è contiene i valori dell'intensità della corrente, la 7 quelli della resistenza della spirale, la 6 quelli delle temperature medie a cui furono fatte le esperienze, e la co- lonna e finalmente contiene i valori dei calori specifici. Nelle linee orizzontali contraddistinte colla lettera P, sono i dati che sì riferiscono alle misure fatte col peso minore del liquido, e in quelle con- traddistinte con P, sono i dati spettanti al peso maggiore del liquido stesso. La corrente, come è già stato detto, passava per 120 secondi. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 83 SEZZIE® RE SS RENZO] _ SI: SII SIE TREE a —— re vec e 5 TT TETNSR rr om — 250 — Etere etilico. Fu acquistato dalla casa Erba e distillato sul cloruro di calcio. Il suo punto di fusione era esattamente — 117. C. P==25058 Pi,=3000 t i i | 7 0 nea e media P 2,04 1,76 5,25 | — 93,0 | — 91,37) 0,514 PS 2,57 1,96 9,26 | — 89,75 | P 2,81 1,84 5,30 | — 740 , | 745 0,516 P, 1,90 1,85 9,29 | — 75,0 | ip. PASTA 1,86 5,37 | — 46,6 | 500510517 P. 1,88 1,85 0,99 | — 583,5 | E. 2,44 1,93 5,42 | — 35,0 | | 23961 0,519 P, 2,02 1,85 5,41 | — 37,2 | | | JR) 2,31 1,88 9,48 | — 18,2 -- 21,9 0,523 P, 2,04 1,86 5,46 | — 244 I I valori del calore specifico dell'etere etilico decrescono dapprima assai rapidamente colla temperatura; in seguito le variazioni divengono sensibil- mente proporzionali agli intervalli di temperatura secondo un coefficiente di proporzionalità piccolissimo. — 251 — Toluolo. Il toluolo adoperato in queste esperienze proveniva dalla Casa Erba; esso fu sottoposto alla distillazione frazionata per liberarlo dallo A7z/o/o e dal Bersolo e poi distillato sul cloruro di calcio per renderlo anidro. P= 286,0 P,= 342,3 Temperatura media 1,87 — 92,02 0,353 Pi 1,74 — 83,44 0,355 Pi Dr1i59)100:957 P, — 62,3 0,360 Pi 5,98 | — 44,35 — 47,37 0,365 Pi 5,96 | — 51,4 | A | cd sE | | I PR. 2,85 1,88 5,31 | — 72,8 | I | ) ] | ie: | ID, — 25,00 0,350 P, Il calore specifieo del toluolo decresce rapidamente con la temperatura, per quanto le variazioni si facciano minori approssimandosi al punto di fu- sione, nelle cui vicinanze l'andamento può essere abbastanza bene rappre- sentato da una equazione lineare. == ZIE i e ce»: TETTE EOS TZZST — ne 1 ea Fu preparato nell'Istituto mediante la nota azione dell'alcool sul bro- muro potassico in presenza dell'acido solforico; indi chiarificato con carbo- nato sodico e ripreso con acido solforico alla temperatura di — 27°C; dopo Bromuro di Dro — Etile. un abbondante lavaggio fu in seguito distillato sul cloruro di calcio. Pi P, Pa Pi I valori del calore specifico del bromuro di etile variano in modo affatto analogo a quelli dell'etere etilico. 395,4 | 2,84 1,83 2,53 1,89 2,81 1,83 2,55 1,89 2,81 1,84 2,67 1,92 2,86 1,84 2,65 1,92 2,94 1,89 2,56 1,89 n | (o) 5,20 | — 109,6 5,19 | — 101,35 5,28 — 88,1 5.20 — 90,8 5,61 — 68,95 5,38 — 63,7 9,38 — 40,3 5,98 — 38,95 5,44 — 28,8 5,44 —. 28,85 T n | o an — _— ay e | —_>—TyT _ t—|-tm ——»»—_—_r— __|_ Do Temperatura media | (do) SS D DO 0,195 0,196 0,199 0,202 0,205 — 259 — "I | Etere di Petrolio. il Fu acquistato dalla casa Erba, il suo punto di ebullizione era tra 35° e 40° C.; diveniva pastoso ma non congelava nell'aria liquida. Le determi- ì nazioni furono spinte fino al punto in cui era ancora perfettamente liquido. | I t i r 8 Temperatura A il media, | | Î fi P 2,65 2,15 4,99 | — 162,4 e] N 161,2] 0,588 | P, Tie, | 1,93 5,00 | — 160,0 Ì | | RI P 2,67 2,03 5,08 | — 125,32 Hi \ — 126,91] 0,592 È) P, 1,87 1,94 5,07 | — 128,5 | | CL | i P 2,69 2,14 5,23. | — 94,15 | | — 96,15 | 0,596 Hi, P, 1,84 1,90 5,20 | — 98,1 il P 2,68 2,14 528 | — 749 | | ESAI5.\ ‘001601 | P, 1,87 191 5,80 | — 73,4 | | | i Il P. 2,74 2,16 5,35 | — 52,7 I | — 52,95 | 0,604 ;| Pi 1,86 1,90 5,35 | — 58,2 | | nl P 2,74 2,15 5,45 |-251 | | \ — 25,55 0,608 i P, 1,91 1,92 5,46 | — 24,0 | VT E Il calore specifico di questo miscuglio varia pochissimo, e a meno di quantità che rientrano negli errori di osservazione, proporzionalmente alla temperatura. { | i — 254 — Alcool etilico. Fu preparato dall'alcool a 95° del commercio sottoponendolo prima alla distillazione nell’ossido di calcio; poi sul sodio metallico. Il punto di fusione a — 180C. era prova non dubbia della purezza assoluta del preparato. P= 222,3 P, = 326,3 | t i DA | 6 Temperatura c media P 2,738 1,94 5,26 | — 90,15 20017 0,457 P, 1,83 1,75 5,25 | — 91,25 P 2,77 1,94 5,27 | — 84,65 — 82,67 0,459 P, 1,86 1,76 5,28. Il — 8070 P 2,74 1,93 10% i RESTI I SEZ O) 0,463 P, 1,78 1,78 5.91. — 7400 | P 2,84 1,97 5,40 | — 89,8 L98107 0,486 P, 2,02 1,85 5,41 | — 87:85 \ P 2,64 1,92 5,44 | — 29,15 207.97 0,497 P, 2,25 1,80 5,45 | — 26,8 Î Il calore specifico di questo corpo varia notevolmente colla temperatura e con legge quasi parabolica, anche in prossimità del punto di fusione. i SIA il Alcool amilico. Proveniva dalla Casa Erba ed era purissimo (esente da furfurolo). Per averlo anidro fu fatto digerire per quattro giorni nel cloruro di calcio e poi filtrato in ambiente perfettamente asciutto. Questo alcool non congelava per- fettamente neppure a — 100° pur tuttavia a — 60° circa diveniva talmente vischioso che già a questa temperatura le determinazioni non erano atten- e dibili. Pi— 23059 = 80051 t i | r | 8 ET c P 2,99 1,78 5,36 | — 53,8 | è — 49,15 | 0,455 l P, 215 | 186) 587-450) sl | | RA re HI P 2,26 1,78 5,39 | — 41,2 | | (o 40,2 0,462 | P, 2,13 1,84 5,40 | — 392 dl | | P 2,43 1,85 5,42 | — 8817 N) Zi) 0,469 i Pi 2,14 1,85 5,43 | — 297 ) | | | | | | P 2,45 1,86 5,44 | — 28,8 il 17,3 0,473 ;Ì P, 2,17 1,86 5,45 | — 26,3 di dì ì e e ni iI | | P 2,43 1,84 5.48 | — 185 il — 194 0,480 | P, 2,16 1,80 5,47. | — 208 il i | DI P 2,37 1,85 5552..| — eg | I — 9,55 0,492 | P, 1,87 1,75 5,51 | — 200 | | i | I valori del calore specifico dell'alcool anilico decrescono con legge affatto analoga a quella che si riscontra per l'alcool etilico. Solfuro di carbonio. Venne acquistato dalla casa Erba filtrato accuratamente e sottoposto alla distillazione coll’acido solforico. P— 388 P, = 520,3 t | i | ’ | 8 Lemar c media P 9,70 1,79 5,24 | — 97,0 | È TR DICH P, 2,56 1,86 505: |ISAG5 | | P 2,89 i,gd8! ‘(530 | — 7405 ( — 71,15 | 0,194 P, 2,59 1,86 5,81 | — 68,25) | | P 2,65 1,77 5193 li 69,5 594 0,196 P, 9,69 1,90 59G4 5690) Î P 2,65 1,78 5,37 | — 44,8 GSE/V10) 0,201 P; 2,83 1,97 5,37 |— 456 ) | P 9,39 1,86 5,46 | — 25,22 | — 26,54 | 0,213 P, 9.63 1,92 545 | — 2786) | P 9,80 1,86 548 | — 17,92 | .— 1823 0,217 P, 2,75 1,97 5,48 | 18,54) | P 290 1,86 FI SÈ 020) 0,09 0,938 P, 1,85 1,85 5,56 0,02 i Il calore specifico del solfuro di carbonio decresce assai rapidamente con la temperatura da 0-4 a — 45 circa; in seguito assume un valore che si può ritenere quasi costante e prossimo a 0,195. 297 — 6. — Le curve riprodotte nelle fig. 3 e 4 mostrano a colpo d'occhio il comportamento dei calori specifici di tutti i liquidi da me studiati; e si vede 50 20. oeRe e) Dogna de a cdi SIE 0 5 10 Fic. 4. subito come queste curve tendano a diventare, alle temperature più basse, asintotiche ad una parallela all'asse delle temperature. S4 RenpIcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. Geologia. — / pretesi grandi fenomeni di carreggiamento in Sicilia. Nota del Corrispondente GrovannI DI-STEFANO. I. Sicilia occidentale. — I Signori prof. M. Lugeon ed E. Argand, con tre comunicazioni all'Accademia francese delle Scienze (*), hanno cre- duto di potere stabilire che in Sicilia si osservano dei grandiosi fenomeni di carreggiamento (charriage). Le isole Egadi, i monti del Palermitano, la catena delle Madonie, i gruppi calcarei e dolomitici della prov. di Girgenti e financo i Monti Peloritani non avrebbero radici e non sarebbero autoctoni. Da una catena che dovette esistere nel mare a Nord dell’isola si sarebbe divelta una enorme scaglia, che fa trascinata per parecchie centinaia di chi- lometri sino a Girgenti, all’inizio della Piana di Catania (Gruppo del monte Judica), a Taormina e a Messina, accompagnata da fatti tettonici più o meno complicati. Il grande movimento si sarebbe continuato in Calabria, dando ori- gine al presente arco cristallino, che comprende l’Aspromonte, la Serra S. Bruno, la Sila e la così detta Catena cristallina litorale, dalla Stretta di Catanzaro tin presso Diamante. I mari del Miocene e del Pliocene avrebbero parzial- mente erosa questa scaglia della crosta terrestre, riducendola in lembi di- scontinui. I citati autori credono che tale trascinamento di masse rocciose, prodotto da una spinta proveniente dal Nord, sia avvenuto principalmente durante l'Eocene superiore e che con probabilità si sia continuato fino nel Tor- toniano. I due valenti geologi svizzeri tentano così di applicare alla Sicilia quella teorica dei grandi carreggiamenti che ha avuto buona fortuna per spie- gare la tettonica di alcune regioni alpine, principalmente per opera di uno di loro (Lugeon). Se non che in queste si osservano, per poterla sostenere, dei fatti ben altrimenti fondati e di ben altro significato di quelli che essi credono di aver rilevato sulla Cart» geologica dell'isola nostra. Giacchè l'’ipo- tesi della grande falda di ricoprimento siciliana, appena emessa, comincia ad essere accettata da varî geologi stranieri e se ne vogliono trarre di già importanti conseguenze orogenetiche e stratigrafiche, credo necessario di esa- minare il valore delle affermazioni dei signori Lugeon e Argand, principal- mente per quanto riguarda la Sicilia occidentale, che è il terreno su cui è germogliata la loro ipotesi. Si vedrà che questa ha per base un'interpetra- zione inesatta o affatto arbitraria dei fatti osservati sulla Carta geologica e la (1) M. Lugeon et E. Argand, Sur de grands phénomènes de charriage en Sicile. Comptes rendus d. l’Ac. d. Sc., t. CXXLII, 23 avril 1896; Sur la grande nappe de recouv- rement de la Sicile. Ibid, 30 avril 1896; Za racine de la nappe sicilienne et lare de charriage de la Calabre. Ibid., 14 mai 1906. 0130) pal UTI mancanza di osservazioni locali, che pure erano assolutamente necessarie e che quegli autori avrebbero dovuto eseguire, essendo stati, per quanto poco, in Sicilia. L'ipotesi della grande falda di ricoprimento si fonda sulla pretesa sovrap- posizione dei terreni mesozoici della Sicilia occidentale, di parte di quelli del- l'orientale, nonchè delle roccie cristalline antiche dei Monti Peloritani, alle argille scagliose (//yseh) dell'Eocene medio. Osservando, sulla Carta, delle masse di dolomie e calcari secondari circondati dall’Eocene, Lugeon e Argand pensano che esse si accavallano su questa formazione. Così, per limitarmi ‘per ora alla Sicilia occidentale, scrivono che lungo la base delle Madonie, dei monti di Palermo e degli altri dell'interno dell'isola le argille scagliose eoceniche penetrano sotto il Trias, il Giura e il Cretaceo. La Conca d’oro e la gola di Sferracavallo presso Palermo sarebbero le finestre da cui sì scorge il substrato eocenico dei nostri monti secondari. Esamineremo queste affermazioni prima in via generale e poi nei casi particolari che i due esimî studiosi di tettonica dicono di aver verificato in qualche punto del paese. Il motivo orografico della Sicilia occidentale è dato da masse grandi e piccole di dolomie e calcari di età mesozoica le quali spun- tano attraverso i terreni terziari, specialmente tra l'Eocene medio. Alcune masse sono acclivi da tutti i lati e sembrano aver costituito delle piccole isole; ma la massima parte si mostrano erte da un lato e declivi dall'altro. Il lato declive s'immerge regolarmente sotto l’Eocene, che è non di raro accompagnato da altri sedimenti terziari e portato in vari casi ad altezze superiori agli 800 m.; ai piedi del lato scosceso sta anche l’Eocene, sotto a cui compaiono non infrequentemente degli strati mesozoici. Avviene, ma non spesso, che si osservino delle anticlinali complete, e allora le gambe di queste spariscono pure sotto l'Eocene. La linea di contatto tra i lati acclivi dei monti e l’Eocene medio, rap- presentato da argille scagliose varicolori, associate con arenarie, marne, cal- cari marnosi, brecciuole calcaree fossilifere e ftaniti, è assai spesso molto netta, sicchè le relazioni tra i terreni secondari e il /{ysch eocenico possono rilevarsi bene. Or da qualunque lato si osservi la base dei monti della Si- cilia occidentale non si vede mai l’Eocene penetrar sotto il Trias o sotto gli altri strati secondari, contrariamente a quanto Lugeon e Argand affer- mano. Se l'immersione esistesse finirebbe con l'osservarsi in modo sicuro, in una regione così vasta, dove sono tanti profondi valloni e tante sezioni na- turali e dove il contatto tra i sedimenti secondari e le argille eoceniche è scoperto almeno su tre lati dei monti. Si pensi anche che là dove delle argille stanno sotto roccie più resistenti, come nel nostro caso sono i cal- cari e le dolomie, si sogliono formare su questa linea di contatto delle larghe soluzioni di continuità, financo delle grotte, che facilitano le osser- vazioni. Dunque in un modo o nell'altro il ricoprimento dovrebbe vedersi direttamente; invece non appare mai. Si vedono bensì in alcuni luoghi, === — 260 — come nella parte S. O. del bacino di Palermo, alla base del Pizzo Bu- sambra nell'interno dell'isola e nei monti di S. Stefano Quisquina, delle argille associate con straterelli calcarei penetrar veramente sotto le do- lomie e i calcari selciferi del Trias superiore; ma esse, come diremo più sotto, non sono eoceniche. La verità è che nei dintorni di Palermo, di Ter- mini-Imerese, lungo le Madonie e nell’interno dell’isola, l’Eocene, con lembi di terreni mesozoici, urta al lato acclive dei monti per effetto di fratture con rigetto, longitudinali e trasversali, normali e verticali. Tali spostamenti non devono riguardarsi come un mezzo artificioso e antiquato d’interpretazione tettonica; invece sono fatti reali, secondo è dimostrato non solo dalla mai osservata sottoposizione delle argille eoceniche al secondario, ma anche dal fatto inconfutabile che le alte e ripide pareti, alla cui base urtano l'Eocene e i terreni secondari, sono spesso perfettamente levigate e profondamente scan- nellate. Splendidi esempi di specchi di faglia abbiamo nel bacino di Palermo, p. es. sopra la Grazia e alla base del M. Grifone; a Termini-Imerese e lungo il fronte occidentale delle Madonie, da Scillato al Bosco d'Isnello. Il bacino di Palermo è il prodotto di varie fratture; ma non sempre i monti che cir- condano la Conca d'oro sono troncati dagli spostamenti, chè in qualche caso, come nel gruppo delle alture di Bellolampo, i loro fianchi scendono a immer- gersi regolarmente sotto le argille dell’Eocene medio della pianura. Entriamo ora nell'esame di vari casi particolari indicati dai sopraddetti autori. Per Lugeon e Argand, sotto la pittoresca massa triassica di M. Cuccio (1050 m.) penetra una striscia di argilla eocenica, che dall'alto scende fino alla pianura e da S. Isidoro e Baida si segue fino a Boccadifalco, alla Rocca e fin sotto Monreale, circondando il gruppo triassico dei monti di S. Martino, sotto i quali s'immerge. Inferiormente al Trias e all'Eocene del M. Cuccio compari- rebbe, sempre secondo tali autori, il supposto Cretaceo della Serra di M. Cuccio, la quale sta sopra gli strati dei monti di Bellolampo, ritenuti da Lugeon e Argand come esclusivamente cretacei e giurassici. Sulla via di Torretta e Carini, cioè sul versante opposto a quello di Palermo, questi ultimi strati coprirebbero l’Eocene. Si tratterebbe quindi di un ricoprimento multiplo: ve- diamo pertanto quale sia la verità. A una notevole altezza, sotto il lato N. O. del culmine di M. Cuccio, si osserva sul Trias un piccolo lembo di //ysch eocenico, sfuggito alla de- nudazione, rappresentato essenzialmente da arenarie quarzose giallastre e color cioccolatta. Da quel punto fino al M. Sant'Isidoro non si ritrova più l'Eocene; esso ricompare, pendente a Est, alla Portella di Daino, un po’ ribassato da un leggiero spostamento, ma sempre sulla dolomia triassica e mai sotto, come avremo occasione di ripetere qui appresso. Il 77ysch eocenico abbonda poi nella pianura, orlando i monti; ma o sta direttamente sugli strati secondari, come sotto M. Sant'Isidoro, sotto il Cozzo di Bellolampo e Gibilforni, o urta a ripide pareti, senza mai penetrarvi sotto. Tra il Trias — 261 — del M. Cuccio e la Serra omonima non s'interpone alcun cuscinetto eocenico, nè detta Serra è probabilmente cretacea, come, non si sa perchè, suppongono i due geologici svizzeri; essa invece è costituita interamente di dolomie e calcari dolomitici del Trias superiore e la sua sottoposizione alla parte elevata del M. Cuccio è normale. Non avviene qui dunque alcun ricoprimento. I calcari, spesso marmorei, del Cozzo di Bellolampo non sono titonici, come una volta tutti credevamo. La Carta naturalmente riproduce quell'opi- nione; però le ricerche recenti hanno dimostrato che essi appartengono al Trias. Vi si raccoglie una fauna abbondante di gasteropodi che non è più antica di quella di Esino. Quegli strati non urtano al Trias superiore della Serra di M. Cuccio, ma vi s'immergono sotto regolarmente 6 costi- tuiscono il nucleo di una volta, alla quale prendono parte le dolomie del M. Cuccio e della Serra omonima, col Lias inferiore di M. Cuccitello (non indicato sulla Carta geologica) e gli strati giurassici e cretacei del gruppo di Bellolampo. Questo insieme pende a Est, S-E. e S. sulla Conca d'oro mentre gira da S-0. a N. dalla base della Serra di M. Cuccio, lungo la così detta Scala di Carini, al lato di Torretta, Carini e Capaci. Gli strati s'immergono sotto l’'Eocene sia sul versante di Palermo, che su quello opposto, il che è il contrario di quanto Lugeon e Argand asseriscono. Tra Torretta, Cozzo Cugno e M. Colombrina gli strati giurassici e cretacei, sovrapposti al nucleo triassico, spariscono sotto il Yysch eocenico, formando una sinclinale, per rialzarsi al M. Colombrina, il quale costituisce una seconda anticlinale, spezzata sul lato N-0. Come si vede, il ricoprimento multiplo nel gruppo M. Cuccio- Bellolampo non esiste. La collina di dolomie e calcari dolomitici del Trias superiore, detta M. S. Isidoro, da distinguere da un’altra omonima e contigua, costituita da travertino, sarebbe, secondo i signori Lugeon e Argand, sovrapposta all'Eocene, come un'isola nuotante sopra un mare di //ysch. Essa non è che l'estrema propaggine della Serra di M. Cuccio, rispetto alla quale è leggermente ribas- sata, come abbiamo detto, da un piccolo spostamento e scende a immergersi sotto le argille scagliose eoceniche. Un lembo di queste, che un tempo rico- privano tutto il monte, si trova portato pure dentro la piccola frattura; però non penetra sotto le dolomie, chè invece sta sopra di queste nel modo più evidente. Per convincersene basta scendere dalla Portella di Daino verso la strada di Baida. Il piccolo lembo di Eocene non si riunisce con quello della pianura, come farebbe credere la Carta, sulla quale del resto questo piano geologico è a torto segnato come se si addentrasse molto profondamente nei valloni sotto Baida, Gibilforni e Billiemi. Anche M. Meccina, che sta sul limite dell'alta e della bassa valle del- l’Oreto, è per i due geologi svizzeri formato da un gruppo di strati secondari (Trias e Lias) sovrapposto al 7/ysch eocenico. Invece, da qualunque lato si studî quel pittoresco monte, non si vedono mai le argille scagliose uscir da sotto n 069 — la dolomia triassica. Sul lato meridionale le argille stanno direttamente sopra il Trias e il Lias, che pendono a N-E. e a E.; su quello settentrio- nale, cioè lungo la valle della Cannizzara, esse si appoggiano allo scosceso fianco dolomitico del monte, ma non vi penetrano mai sotto; anzi, là dove la parete lentamente si abbassa, vi salgono sopra. Il torrente detto Fiumelato ha profondamente inciso il M. Meccina e in fondo alla stretta gola non compare l’Eocene come substrato della dolomia triassica, mentre sui lati del monte esso sale ben più alto che il letto del torrente. Sul lato sinistro della valle Cannizzara le argille scagliose sono tanto alte quasi quanto il Meccina; è chiaro che esse dovettero coprirlo interamente prima che la denudazione avesse formata quella valle. L'Eocene, il Lias e il Trias sono, rispetto ai monti di Monreale-Pioppo e del Parco, ribassati da tre fratture, delle quali le due principali sono parallele e dirette da N-E. a S-0. Le pareti di frattura sono nette alla Grazia e tra Pioppo e Spartiviolo. Sotto di queste non s'immerge mai l'Eocene; esso non compare nè lungo i valloni trasversali, nè lungo quelli longitudinali. Immediatamente a valle del Pioppo un profondo burrone corre precisamente sulla linea di contatto tra l'Eocene e il Trias, sicchè la parete sinistra è formata di dolomie e calcari triassici e la destra di argille eoceniche. Le roccie del Trias sono ivi tagliate in alta parete verticale e ad essa si appoggia l'Eocene in modo evidente. Questi rap- porti sono creati da uno spostamento e non dalla sottoposizione del Yysch eocenico al Trias. Accennerò ora a un fatto che può avere contribuito a trarre in inganno i signori Lugeon e Argand, i quali non hanno tenuto conto degli studî poste- riori al rilevamento della Carta geologica, la quale attribuisce all’Eocene una troppo grande estensione nella parte superiore di quella che essi chiamano la finestra Oreto-Palermo. L'Eocene in vero non va più in là dei din- torni del M. Meccina e del Pioppo, e quivi è solo limitato a una stretta zona che orla la frattura di cui abbiamo parlato; invece la vasta china, che dai monti triassici scaglionati lungo la strada rotabile Pioppo-S. Giuseppe Iato scende verso Fiumelato e il Parco, è in grande parte costituita da un'altra for- mazione a tipo di //ysch, la quale veramente sta sotto le dolomie e i calcari selciferi del Trias e in alcuni punti vi è direttamente associata. Si tratta di marne argillose fissili, grigie o giallastre, con frequenti intercalazioni di calcari lastriformi compatti e di brecciuole calcaree. Al tempo in cui si rilevò la Carta mancavano gli elementi paleontologici che chiarissero l'età di questa formazione, la quale fu riferita all'Eocene peri caratteri litologici; più tardi le ricerche del prof. Geimmellaro ("), alle quali in principio io stesso ebbi la fortuna di par- tecipare, vi fecero scoprire un'importante fauna di cefalopodi e di brachio- (1) Gemmellaro G. G., Z cefalopodi del Trias superiore della regione occidentale della Sicilra. Palermo 1904. — 263 — podi del Trias superiore. Le nuove escursioni da me fatte confermano che tale insieme di strati si estende per le regioni Giacalone, Barone, Pezzenti, Fontana Fredda, Portella della Paglia, Strasatto, Costa di Carpeneto, base del Cozzo Arcomisi e Cozzo Paparita, Torrettella ecc. Sedimenti triassici simili, già attribuiti all'Eocene, si presentano nel gruppo del M. Judica (Catania); tra S. Stefano Quisquina e Cammarata e nella regione Pirrello, alla base del Pizzo Busambra, tra Corleone e il Bosco della Ficuzza. Non è superfluo dire che in questi territorî esiste anche il Flysch eocenico, il quale, salvo che nel gruppo del M. Judica, come qui appresso diremo, non è mai sottoposto ai terreni mesozoici. Nella parte superiore della così detta finestra Oreto-Palermo non vi è dunque alcun ricoprimento e non ve ne è anche in quella inferiore. La larga gola di Sferracavallo non è una seconda y/inestra, perchè il lembo di Eocene che vi si trova non sta sotto la dolomia triassica, ma è chiaramente sovrap- posto in trasgressione al Trias e ai calcari con gasteropodi e Toucasza (Urgoniano della Carta). La dolomia del Trias compare nel fondo della gola al passaggio a livello di Sferracavallo; i calcari a Zowcasia (il Lias indicato dalle Carta va invece riferito ai calcari a gasteropodi del Cretaceo) si presen- tano sul mare e su di essì sì stende il ristretto lembo eocenico. Questi sedi- menti, che formano la base di quell'andito aperto attraverso i monti di Palermo, sono incassati tra due pareti costituite da calcari cretacei, le quali alla loro volta si appoggiano ad altre due alte e ripide pareti di dolomia triassica. Sull'alto dei monti dolomitici che rinserrano la gola si ritrovano il Cretaceo e dei piccoli rimasugli di arenarie eoceniche. È chiaro che i lembi di Trias, Cretaceo ed Eocene, occupanti il fondo della così detta finestra, sì presentano in quella posizione perchè ribassati da due fratture parallele dirette da N.O a S.E. Non si può dare altra spiegazione dell’ori- gine di quell'apertura; essa del resto non è dovuta all’erosione, in un luogo dove mancano dei torrenti di qualche importanza. L'applicazione dell'ipotesi dei grandi carreggiamenti alla nostra grande isola non va molto facilmente per Lugeon e Argand; essi urtano a non poche e gravi difficoltà, dalle quali tentano di trarsi fuori o ammettendo caratteri spe- ciali pei carreggiamenti siciliani o dichiarando di non averne abbastanza studiati i particolari. Così il massiccio secondario della Serra della Cometa (m. 1031), tra Piana dei Greci e S. Giuseppe Jato, sembra anche a loro, come infatti è, un'anticlinale ben radicata sotto l’ Eocene medio; ma, per poterlo riguar- dare sempre come un lembo di ricoprimento, sono obbligati a dire che po- trebbe trattarsi della continuazione della supposta falda di ricoprimento dei Monti Castellaccio e Pellegrino (Palermo), la quale sparisce sotto il gruppo dei monti triassici S. Martino-Grifone-Pelevet per riapparire alia Serra della Cometa. Nello stesso tempo circondano la loro supposizione di tanti dubbî e di tante riserve da persuadere il lettore a non accettarla. 5 RZ RE LITIO TI rie I ESS IIS ve — 264 — I due valenti studiosi di tettonica, osserrando che gli strati della Serra di M. Cuccio (e lo stesso avviene per quelli del Cozzo di Bellolampo e di Gibilforni) scendono ad immergersi sotto le argille scagliose a S. e a S-E. e che gli stessi fatti si rilevano nei monti della Piana dei Greci, de- terminano che la grande falda di carreggiamento venne dal Nord; ma naturalmente si affrettano ad aggiungere che le superficie di trasporto sono plongeantes. Nello stesso tempo, siccome ci sono masse che pendono in direzioni differenti, stabiliscono ariche che tali superficie sono inclinate tra- sversalmente al senso della spinta e che in generale i lembi di ricoprimento sì abbassano verso il mar Tirreno. Nel fatto poi quelle che sarebbero masse carreggiate s'inclinano sotto l'Eocene in tutti i sensi. Senza bisogno che io mi fermi qui a notare i monti costituiti da strati secondari che s' immer- gono sotto il Yysch a S. 0 prossimamente, dirò che i terreni triassici, giu- rassici o cretacei penetrano sotto il /ysch eocenico al Cozzo Petroso presso Trabia con pendenza a N.; nel gruppo montuoso di Bisacquino e di Prizzi a N. e a NE.; al M. S. Calogero di Sciacca a N. NE.; al M. Barafò, tra Cor- leone e Campofiorito, a NE.; al M. Bonifati di Alcamo a NO.; al M. Inice (Castellamare del Golfo) a O. NO.; presso Marineo a NO. e in alcuni punti dei dintorni di S. Stefano Quisquina financo a O., come. nella regione Fi- nocchiara. Potrei moltiplicare gli esempi per dimostrare che le pretese masse di carreggiamento inclinano ai quattro punti cardinali e nelle direzioni inter- medie e che arbitrariamente se ne attribuisce la provenienza dal N. e si danno ad esse caratteri speciali per non dire che sono ben radicate sotto l’ Eocene. Prima di terminare queste osservazioni, debbo dir qualche cosa sopra un'altra affermazione dei due autori svizzeri, cioè che sotto lo spesso mantello degli scisti argillosi eocenici, sui quali, secondo essi dicono, riposano in modo anormale i monti mesozoici, non compaia mai il substrato secondario autoctono. Avendo essi stabilito che le radici delle nostre masse secondarie stanno sepolte nel mar Tirreno a N. dell'isola, è naturale che non ne debbano riguardare alcuna come indigena; ma chi è libero di preconcetti teorici può vedere le cose ben altrimenti. Per essere brevi esaminiamo quello che avviene in una regione, la quale, seguendo le idee di Lugeon e Argand, sarebbe tipica peri carreg- giamenti. Il M. S. Calogero di Termini-Imerese è per gli autori un lembo di ricoprimento, posto sopra un lato di quell'angolo rientrante che, secondo loro, fa la grande falda di carreggiamento tra le Madonie, orientate NO-SE., e il sopraddetto monte. Questa pittoresca, scoscesa ed alta massa di terreni secondari, elevata sul prossimo mare di 1315 m., è stata di già ben de- scritta dal Baldacci (') e sarebbe quindi superfino che io ritornassi qui a darne un cenno geologico. Le roccie che la costituiscono, dolomie e cal- (1) Baldacci L., Descrizione geologica dell'isola di Sicilia, 1886. — 269 — cari del Trias superiore, calcari e scisti del Lias medio e superiore, cal- cari del Titonico, pendono a SE., immergendosi sotto il //ysch eocenico, nel versante del fiume Torto. Sul lato opposto il monte è tagliato a picco, for- mando un'alta e aspra parete calcareo-dolomitica ai piedi della quale si ri- trova il Z/ysch, rappresentato da argille scagliose con marne argillose fissili, e numerose e regolari intercalazioni di calcari contenenti una fauna dell’ Eo- cene medio, composta di specie ben determinabili dei generi Operculina, Nummulites, Assilina, Orthophragmina, Baculogypsina ece., associate con Lepidocyclina che saranno presto illustrate ('). Questa formazione non penetra (*) L’asserita esistenza delle Zepidocyclina nell'Eocene si tenterebbe spiegare per mezzo di varie ipotesi dagli autori che vorrebbero limitare la diffusione geologica di questo genere in Europa solo allo Stampiano superiore ed al Miocene inferiore. Così il dott. Roberto Douvillè (Odservations sur quelques travaua relatifs au genre Lepidocy- clina. La Feuille d. jeun. nat., 12" sept. 1906) ne attribuisce la presenza nei sedimenti eocenici di Sicilia agli effetti dei pretesi carreggiamenti, o a non bene osservate inclusioni di lembi miocenici nelle pieghe dell'Eocene o a un rimaneggiamento di strati eocenici ed oligocenici operato dal mare miocenico. Invece, per quanto riguarda la Sicilia, posso affermare che l'associazione di Lepidocyclina e di Nummulites eoceniche è certa in strati sicuramente eocenici, in posto e non rimaneggiati. Per restringermi al vallone Tre Pietre e alle immediate circostanze, dirò che ivi nei calcari solidi e tenaci, ripetutamente e regolarmente intercalati nelle argille scagliose, che si sovrappongono direttamente, o con l’intermezzo di pochi strati di calcare luteziano, in concordanza e in intimo legame litologico, sul Cretaceo superiore, si osservano Operculina (0. complanata Defr., ecc.) Assilina (Pellatispira) Madardszi v. Hantk.; Nummulites (N. crassa Boubée = N. perforata auct.; N. striata d' Orb., N. biarritzensis VArch., N. Guettardi d'Arch. et H. N. Tchihatcheffi d'Arch., ecc.); Orthophragmina (0. Pratti Michl. sp., 0. Di-Stefanoi Checc., 0. sella d’Arch. sp., 0. patellaris Schloth. sp., 0. radians d’Arch., ecc.); Baculogypsina (B. tetraè dra Giimb. sp.) ecc., associate con Lepidocyclina a maglie ogivali ed esagonali. Noterò quì che la N. crassa Boubée = N. perforata auct. in Sicilia non si presenta solo nel Luteziano, ma anche in tutta la serie bartoniana. In alcuni strati calcarei di quella alternanza abbondano le Nummuliti eoceniche e le Ortofragmine; in altri invece le Lepidocicline predominano di molto su queste, che sono spesso rappresentate da specie ben determinabili. Sopra le argille scagliose stanno i noti calcari marnosi bianchi con fucoidi, ben stratificati e in posto, nelle colline d’Impalastro, alla Rocca, proprio nell’abitato di Termini; a Patara, ecc. Intercalate in questa formazione sono delle brecciuole calcaree assai tenaci, ricche di Alveolina, Nummulites eoceniche, Orthophragmina, ecc., fra i quali generi ‘si trovano anche Lepidocyclina. Per limitarmi alla regione più vicina al M. S. Calogero, dirò che le brecciuole solide intercalate nei calcari bianchi marnosi d'Impalastro e Rocca contengono Zepidocyclina e N. crassa Boubée, N. striata d’ Orb., N. scabra Lmk., N. curvispira Mgh.,, N. Rouaulti d'Arch. et H. ecc., Assilina (A. gra- nulosa d’Arch., ecc.), Orthophragmina (0. Pratti Michl. sp., 0. sella d'Arch. sp., O. stel- lata d’Arch. sp., 0. radians d’Arch. sp., 0. patellaris Schlloth., ecc.). Sia nel vallone Tre Pietre che nelle colline d’Impalastro e Rocca l'alternanza dei calcari e delle brecciuole calcaree, rispettivamente nelle argille e nei calcari bianchi a fucoidi, è così regolare e ripetuta da fare escludere qualunque sospetto di rimaneggiamento. Il carattere litologico è uniforme; inoltre quegli strati mostrano bensì delle ondulazioni, ma non dei forti ripiega- ReENDICONTI, 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 95 — 266 — mai sotto il gruppo montuoso, invece si appoggia chiaramente alla ripida parete menti che possano far sospettare delle inclusioni di piccoli lembi di terreni oligocenici o miocenici nell’Eocene. La posizione superiore dei calcari marnosi a fucoiGi (che del resto alternano con la parte più elevata delle argille scagliose) potrebbe far supporre che essi appartengano alla porzione superiore del Bartoniano; ma questo non si può provare paleontologicamente. Infatti l'insieme delle specie dei calcari marnosi a fucoidi, tra le quali si distinguono per abbondanza e buona conservazione Nummulites crassa Boubée, N. laevigata Brug., N. scabra Lmk., NM. curvispira Mngh., ed un gran numero di Alveolina, non permettono di vedere un livello molto alto del Bartoniano in tali calcari marnosi a fucoidi, nè quindi nelle sottostanti argille scagliose. Probabilmente tutta quella formazione, molto spessa, rappre- senta il Bartoniano inferiore; ma negli strati più bassi comprende forse una parte del Luteziano. Nei dintorni di Termini esiste anche un orizzonte più elevato con Nummaliti, Ortofrasmine e Lepidocicline. Sui calcari marnosi a fucoidi e sulle argille scagliose, quando quelli mancano, esiste un’altra formazione costituita di argille con arenarie quarzose giallastre, fine e grossolane, e strati di un calcare grossolano, tenero e grigio, ricco di litotanni, passante a una brecciuola marnoso-calcarea, grigia, ora tenera e facilmente disgre- gabile, ora tenace e con un aspetto assai differente da quello delle tenaci brecciuole cal- caree intercalate nelle argille scagliose e nei calcari marnosi a fucoidi del Bartoniano inferiore. I primi indizii dell’esistenza di questo calcare grossolano passante a brecciuola grigia si osservano nelle regioni Impalastro e Rocca. In questi luoghi se ne vedono sulle argille scagliose o sui calcari marnosi dei pezzi e dei blocchi non in posto, sparsi sul suolo. La facile disgregabilità di questa roccia fa sì che sul terreno coltivato si raccolgono mischiati dei fossili appartenenti al Bartoniano inferiore e ad un livello più elevato. L’esi- stenza del gen. ZLepidocyclina nell’Eocene non è da noi stabilito per mezzo di questa miscela recente di fossili di varia provenienza, non dovuta però certamente ad un rimaneg- giamento del mare miocenico; ma sulla base delle brecciuole solide raccolte in posto dentro le argille scagliose del vallone Tre Pietre e tra i calcari marnosi a fucoidi. In varie escursioni fatte col dott. G. Checchia-Rispoli e col dott. M. Gemmellaro, abbiamo finalmente trovato in posto il calcare grossolano passante a brecciuola marnosa grigia, dentro la formazione argilloso-arenacea, sulle alture della contrada Ognibene; sul lato ovest del Monte Corona e nella regione Rosario, come anche in luoghi molto discosti da questi, presso il mare, cioè nello sperone interposto tra il basso Vallone Tre Pietre ed il Vallone Cucca. Questo calcare grossolano è addirittura gremito di Nummuliti, Orto- fragmine e Lepidocicline; ma è indubbiamente superiore alle argille scagliose con brec- ciuole nummulitiche (contenenti Lepidocicline) del Vallone Tre Pietre ed ai calcari marnosi a fucoidi d'Impalastro e della Rocca. La formazione argilloso-arenacea della quale parliamo fu già, per quanto riguarda le regioni superiori alla Rocca e ad Impalastro, riferita all’Oli- gocene dal prof. G. Seguenza e dal prof. S. Ciofalo (L'Oligocene dei dintorni di Ter- mini Imerese, 1886), ma non era ancora stata indicata presso il mare. Il riferimento all’Oligocene avvenne sulla base di vari coralli e di pochi molluschi, questi ultimi ap- partenenti per lo più a specie nuove. Non erano finora stati trovati in tale formazione degli strati calcarei con foraminiferi, che invece vi sono abbondanti. La provenienza dei coralli e dei molluschi è dubbia, perchè questi non furono raccolti in posto, sebbene sparsi sul terreno lavorato, nella parte inferiore di quella formazione. A noi non è stato dato di trovarne altri. Si sconoscono i calcari da cui provengono quei coralli, i quali mancano certamente nel calcare grossolano passante a brecciuola tenera. Noi siamo co- IGT che lo taglia, come si osserva percorrendo la lunga linea di contatto tra le argille stretti così a doverci avvalere solo dei fossili raccolti sicuramente in posto, cioè dei foraminiferi. Il descritto calcare grossolano contiene un gran numero di Orthophragmina, rife- ribili a circa dieci specie, tra le quali citiamo: 0. Di Stefanoi Checchia, 0. stellata d’Arch. sp., 0. stella Giimb. sp., 0. patellaris Schloth. sp., 0. dispansa Sow. sp., 0. tri- gonalis Checchia, ece.; varie specie di Zepidocyclina tipiche, di ottima conservazione; Assilina spira de Roissy, e A. Madardszi v. Hantk. sp.; Gypsina globulus Reuss, varie nummuliti ben determinabili, tra cui cito NV. distans Desh. (rara), VM. laevigata Brug. sp., N. Tchihatcheffi d'Arch., M. Boucheri de la H., N. Fichtelo Micht., var. garansensis Joly et Leym., N. sub-Capederi Prev., oltre a radioli di Cidaris acicularis d'Arch. e a fram- menti di Pecten e di Ostrea. Nonostante il grande materiale raccolto non ho finora osservata la N. intermedia d'Arch. Sul fondamento dei fossili raccolti in posto, che fi- nora sono i soli foraminiferi, noi non possiamo riferire quel calcare nettamente all’Oligo- cene. La N. Boucheri si trova in Sicilia anche nel Bartoniano (Tellini A., Relazione delle escursioni fatte nei dintorni di Taormina nei giorni 3-4 ottobre 1891; 1892). Lo stesso Tellini la cita nel Bartoniano di Gassino (insieme con N. complanata, N. T'chi- hatchejfi, N. striata, ecc., 1888), senza che questa citazione sia stata finora contraddetta dagli studiosi che dopo si sono occupati di quella formazione. Inoltre debbo far notare che la N. Fichteli è recentemente indicata dal prof. Henri Douvillé (v. Bull. Soc. Geol. France, 4° serie, tome VI, 1906) negli strati di Roncà nel Vicentino. L'associazione di un gran numero di Orthophragmina con Nummulites eoceniche di determinazione assoluta- mente certa (N. distans, laevigata, Tchihatcheffi, sub-Capederi etc.) fa credere che si tratti o di un livello alto del Bartoniano, forse come quello delle rupi del Cachou a Biarritz (nel quale il sig. Boussac ha trovato anche la N. intermedia) o di strati di passaggio dall’Eocene all’Oligocene. La questione, per quanto riguarda l’età precisa del sedimento di Termini-Ime- rese, non si può dire ancora definitivamente risolta; vedremo quello che apporteranno le ri- cerche ulteriori, da noi sempre continuate con cura ed obbiettività; ma resta sicuramente provato il fatto che il genere Lepidocyclina è in questa formazione pure associato con alcune Nummulites eoceniche e con Orthophragmina, il che indica che tale associazione non è incompatibile. Come si vede, a Termini-Imerese sono noti finora almeno due livelli con Nummuliti eoceniche, Lepidocicline e Ortofragmine, rappresentati da strati in posto, e di questi nessuno è miocenico. Il dott. G. Checchia-Rispoli, assistente alla cattedra di Geologia dell’Università di Palermo e che ha pel primo sostenuta la presenza delle Zepidocyclina nell’Eocene, sta pubblicando un esteso lavoro geologico e paleontologico, in cui le questioni che ho accen- nate avranno un assai più ampio svolgimento. Queste parole erano già scritte quando mi è pervenuta una Nota preventiva del dott. R. Douvillè sulle argille scagliose dei dintorni di Termini-Imerese e sul Terziario della costa italiana del canale di Otranto (Sur les « argiles écailleuses» et sur le Tertiaire de la còte italienne du canal d’Otrante. C.R. somm. d. séances d. la Soc. géol. de Fr., nn. 17 e 18; 17 déc. 1906). Esso è in buona parte il frutto di poche frettolose escursioni che il Douvillè sempre sotto l’impero di preconcetti finora non abbandonati, fece recen- temente nel Palermitano, quasi sempre nella compagnia mia e dei signori Ciofalo, com’egli stesso gentilmente ricorda. In questa Nota sono abbandorate l'ipotesi dei carreggiamenti e quella dei possibili lembi miocenici pizzicati fra l’Eocene; ma, per spiegare l'associazione di Nummuliti eoceniche e Orthophragmina con Lepidocyclina, è mantenuta quella del rimaneggiamento miocenico. Io debbo insistere sul fatto che questa associazione si verifica — 268 — eoceniche e le dolomie con calcari del Trias superiore, i burroni che la sol- cano e il lungo e profondo vallone Tre Pietre fin dove assume il nome di certamente là dove il Douvillè dice di non averla trovata, cioè nei calcari solidi e in posto intercalati nelle argille scagliose eoceniche del vallone Tre Pietre e nei superiori calcari marnosi bianchi della Rocca e d’Impalastro, ecc. Inoltre debbo ripetere che tale associazione avviene anche in un livello più alto di quello delle argille scagliose e dei calcari bianchi a fucoidi. I calcari di questi due livelli sono bene stratificati e in posto e non possono essere rimaneggiati dal mare del Miocene. Il Douvillè a Termini non conobbe del secondo livello con Zepidocyclina le rocce ben stratificate 22 situ; ma solo qualche masso ‘dei calcari grossolani grigi, disceso dalle alture. fin sopra le argille scagliose d’Impalastro. Dall'esame dei fossili di questi blocchi marmosi non in posto e da quello degli altri di varia provenienza, trovati sciolti sul terreno lavorato ad Impalastro ed alla Rocca, egli credette a torto di poter dedurre l’esistenza di un rimaneggia mento di quelle argille scagliose avvenuto nel Miocene. Per quanto riguarda i calcari con Zepidocyclina e piccole Nummulites di Bagheria io non ho qui lo spazio per scriverne quanto è necessario; ma dirò che la loro attribu- zione al Miocene insieme con le argille scagliose è ingiustificata. I calcari a Zepidocy- clina i quali cominciano in basso sullo spuntamento luteziano di Colle Corvino, si ripe- tono a varia altezza in posto dentro le argille sovrapposte, da quel luogo alle prossime regioni Coda di Volpe, Vallone di Casteldaccio, Bellacera, Vannucci ed Amalfitano; ma nelle stesse argille si ripetono anche gli strati calcarei con un discreto numero di A/- veolina, tra cui è A. elongata d’Orb.; molte Orthophragmina, appartenenti quasi tutte a specie ben note e varie Nummuliti, fra le quali cito N. Ramondi Defr., N. Tehihatchefi d'’Arch., N. striata d’Orb., N. Guettardi d'’Arch., et H. ecc. Noi siamo qui dunque nel- l’Eocene. Questo insieme di calcari e argille è compreso tra il Luteziano molto fossilifero, alla parte inferiore, e i calcari marnosi bianchi, alla parte superiore, contenenti Num- muliti eoceniche, Ortofragmine. Alveoline e Lepidocicline, come a Termini-Imerese. Scevro dal preconcetto teorico che Nummuliti eoceniche, Ortofragmine e Lepidocicline costitui- scano un'associazione incompatibile, rimango nella mia convinzione che il genere Zepidocy- clina visse anche nell’Eocene. Nulla ho da modificare a quanto scrissi intorno all’Eocene della Penisola Salentina (Sull'esistenza dell’Eocene nella Penisola Salentina. Rendic. d. R. Acc. d. Lincei, s. 5°, vol. XV, 1906). Ivi questa serie è infatti assai scarsamente rappresentata; ma mi pare che il Douvillè, pur confermando l’esistenza dell’ Focene, ne voglia troppo restringere la già molto limitata estensione. Nessuno può contestare che il Miocene c'è nella Terra d' O- tranto e molto meno io, che lo conosco da tanti anni; nondimeno debbo ancora insistere su questi due fatti: 1° Le Zepidocyclina da me citate nell'’Eocene non sono da confon- dere con quelle del Miocene; esse furono tratte dagli stessi campioni di calcare con num- muliti eoceniche. — 2° Nei pezzi di calcare raccolti in posto a S.SE. della stazione telegrafica di Gagliano ci sono Nummulites curvispira Mgh., Assilina ewponens Sow. sp. e un'Alveolina in intima analogia con A. obDlonga d'Orb. Essa è rappresentata da non pochi esemplari. Assai inesattamente il Douvillè riferisce questa specie all’ Alveolina melo d'Orb. Anche qui noi rimaniamo dunque nell’Eocene. La discussione iniziata sulla diffusione geologica delle Lepidocyelina è importante; ma debbo esprimere un voto che geologi italiani e stranieri prima di scrivere vedano bene e non affrettatamente o punto gli strati fossiliferi in posto e che ne riportino un materiale raccolto da loro stessi, abbondante e sufficiente a uno studio della controversia e che lo esaminino senza preconcetti. — 269 — vallone Pernice e incide nella dolomia triassica una gola profonda e sel- vaggia. Le escavazioni del vallone Tre Piotre-Pernice attaccano in corso continuo tutto l’ Eocene e il Trias della base del monte, facendone osser- vare bene i rapporti, i quali sono specialmente chiari sugli scoscesi lati del M. Stingi e del Pizzo Voturo, immediate dipendenze del M. S. Calogero. Il gruppo montuoso non appartiene dunque a un grande lembo di ricoprimento. Le argille scagliose con i calcari fossiliferi associati, le quali, come ora abbiamo detto, urtano alla base degli alti appicchi del M. S. Calogero, sono parte importante di quell’esteso 7ysch eocenico che, secondo Lugeon e Argand, sostiene le grandi e piccole masse mesozoiche della Sicilia occi- dentale. Il Vallone Tre Pietre le ha così profondamente intaccate da met- terne allo scoperto il substrato mesozoico autoctono, che, secondo gli autori dell'ipotesi del carreggiamento, non compare in nessun luogo. Sotto le ar- gille scagliose con calcari si osservano, nell'alto vallone, in perfetta con- cordanza angolare e nel più stretto legame litologico, pochi strati di calcare fossilifero con marne rosse e scure, i quali per i caratteri litologici e per la fauna riproducono quelli del Luteziano medio di Bagheria, con grandi Al- veolina (A. gigantea Checchia ect.), Assilina, Nummulites e Orbitolites com- planatus Lmk. Al Luteziano seguono, pure in perfetta concordanza angolare e in intimo passaggio litologico, i calcari a rudiste del Cretaceo superiore, alternanti con marne rosse e scure. Si osservano poi, in ordine discendente, i calcari compatti azzurri del Titonico, che contengono Ellipsactinidi, il Lias superiore, rappresentato da scisti diasproidei e marne rosse, e il Lias medio, formato da calcari con crinoidi. Questo affioramento secondario costituisce il Cozzo Balata e pende nel vallone Tre Pietre ad Est, come l’Eocene; via via che da questo vallone si passa sul lato opposto del Cozzo, cioè nelle regioni Balata e Gaddisi, la pendenza dall’ Est passa al Nord. I terreni secondari, con l' Eocene che li ricopre, urtano alla base triassica delle" diramazioni immediate del M. S. Calo- gero (senza penetrarvi sotto), per effetto di una frattura principale diretta da NE. a SO., già rilevata dal Baldacci. La piccola massa del Cozzo Balata non è una di quelle pretese lenti secondarie esotiche interamente penetrate nel F/yseh eocenico, delle quali parlano Lugeon e Argand. Si pensi che l’Eocene non vi s'immerge mai sotto e che il Luteziano sta in concordanza e legame litologico sul Cretaceo superiore e che alla sua volta si trova nelle stesse condizioni rispetto alla formazione delle argille scagliose: questo significa che la serie eocenica si formò regolarmente e successivamente su quegli strati cretacei e che quindi il Cozzo Balata non è un grande blocco esotico annegato fra le argille scagliose per effetto della spinta venuta dal N., ma il diretto substrato di queste. Non vedo ragioni quindi perchè i sedimenti secondari di tale affioramento non debbano riguardarsi come autoc- toni. È bene rilevare che essi sono litologicamente e paleontologicamente — 270 — identici a quelli di eguale età che stanno sul dorso del M. S. Calogero © di tutte le altre pretese masse di carreggiamento della Sicilia occidentale. Quello che ho detto pel lembo secondario di Cozzo Balata può osservarsi per gli altri gruppi di terreni mesozoici che compaiono sotto le argille ai piedi dei monti del Palermitano. i Prima di finire farò notare che se l'ipotesi dei signori Lugeon e Argand ha fondamento nella verità, noi dobbiamo trovare strette relazioni tettoniche e stratigrafiche con l'Algeria e la Tunisia, le quali sono resti di quella terra, da cui, secondo i due valenti geologi, partirono le masse mesozoiche e cristal- line carreggiate in Sicilia. Essi scrivono che i Monti Peloritani, substrato della grande falda secondaria dell'isola, si prolungavano a Nord di questa e dovevano raggiungere le masse cristalline del Nord dell'Algeria. Non è facile di raccordare la direzione delle pieghe della Tunisia, le quali si svolgono da NE. a SE., con quelle della Sicilia, con cui verrebbero a tagliarsi nel Tirreno ad angolo acuto, aperto a S. Il prof. E. Haug ('), per potere ammettere questo raccordamento, ha dovuto supporre la possibilità di un brusco cambiamento di direzione delle pieghe tunisine, avvenuto là dove ora è il mar Tirreno, cioè ha dovuto elevare un'altra ipotesi; inoltre noi non troviamo tra la serie stratigrafica secondaria della Sicilia e quella della Tunisia la corrispondenza necessaria alle due parti di un tutto. All’occhio acuto del prof. Haug, che accetta nondimeno le idee di Lugeon e Argand, non sono sfuggite le note- voli differenze tra le due serie; così non esistono in Tunisia il Trias alpino, che invece forma in Sicilia il membro più caratteristico ed esteso delle pretese masse di carreggiamento; il Permiano a cefalopodi, l' Urgoniano, il Cenomaniano e il Turoniano a rudiste e gli Strati di Klaus. Per giustificare questo fatto il prof. Haug è costretto di ricorrere ancora ad una terza ipo- tesi, e crede che le falde secondarie carreggiate in Sicilia non abbiano lasciato alcun rappresentante in Tunisia. Il Termier (*), sostenendo che in questo paese esistono falde di ricoprimento e accettando l'ipotesi di Lugeon e Ar- gand per quanto riguarda la Sicilia, è pure obbligato a dire, giacchè manca la necessaria corrispondenza tra i terreni delle due regioni, che la falda siciliana non appartiene a quelle che si osservano ora in Tunisia, ma che era ad esse superiore. Per sostenere quindi l’ ipotesi dei carreggiamenti della nostra isola si è costretti a crearne delle altre: non è su questo terreno troppo incerto che potrà essere provato un fatto così importante. La verità è che alla teoria di Lugeon e Argand manca il necessario fondamento, cioè la sovrapposizione dei massicci mesozoici alle argille sca- (1) Haug E., Sur les relations tectoniques et stratigraphiques de la Sicile et de la Tunisie. C. R. d. l’Ac. d., Sc., 6, 142, 14 mai 1906. (*) Termier P., Sur les phénoménes de recouvrement du Djebel Quenza (Costantine) et sur l’enistence de nappes charriées en Tunisie. C. R. d. l’Ac. d. Sc.; t. 142; 9 Juillet 1906. — 271 — gliose dell'Eocene medio e che tale ipotesi urta nei particolari a gravi difficoltà. Le fratture con rigetto, che spiegano il contatto brusco tra Eocene e terreni secondari, non sono nel nostro caso il discreditato, vecchio Deus eo machina che si vuol far credere, ma fatti realmente esistenti, rifiutando i quali si può andare incontro ad interpetrazioni tettoniche inesatte ed arbi- trarie. Vedremo in una Nota successiva se l’ipotesi dei carreggiamenti sia meglio sostenibile nella sua applicazione alla Sicilia orientale. Geologia. — Za serie eocenica dell’isola di Arbe in Dalma- zia. Nota del Socio C. De STEFANI e di A. MARTELLI. Chimica. — // più urgente problema della chimica. A pro- posito di una pubblicazione di Franz Wald. Nota del Socio R. NASINI. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica. — Ricerche sopra gli ossipirroli (*). Nota del Cor- rispondente A. AnceLI e di G. MARCHETTI. Dopo aver studiato il comportamento degli indoli e pirroli rispetto all'azione dell'acido nitroso, abbiamo giudicato opportuno, per dare maggiore generalità alla reazione da noi scoperta, di prendere in esame anche quei derivati nei quali l'idrogeno imminico è rimpiazzato dall’ossidrile. La ricerca sopra l’ossifenilindolo di Emilio Fischer (?) ha già fatto l'oggetto di due Comunicazioni presentate a questa Accademia (*); oggi descriveremo breve- mente i risultati ottenuti dal dimetilossipirolo di Knorr (*): CH — CH (IAN CH. CC. CH; N(OH) (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica farmaceutica nel R. Istituto di Studi Superiori in Firenze. (*) Berliner Berichte, XXVIII, 586. (°) Questi Rendiconti, vol. XIII, 1° Sem. (1904), 255; ibid. vol. XV, 2° Sem. (1906), 762. (*) Liebio*s Annalen, 236, 302. — 272 — Anche questa sostanza fornisce con tutta facilità il corrispondente nitroso- derivato al quale senza dubbio spetta la struttura: HOC: NOH | | CH; ni CH; Il che ne spiega il comportamento meglio della tautomera ('): Tale composto è caratteristico per la facilità con cui viene idrolizzato, con apertura dell'anello, ed a seconda dei reattivi che si impiegano sì otten- gono prodotti svariati, ma che stanno in rapporto molto semplice non la sostanza da cui si parte. In ogni caso, come primo termine sì forma senza dubbio la diossima di un chetone, che però non riuscimmo ad isolare e vedremo per quale ragione: ,C.CH, —* CH. C0.CH,.C(NOH).C(NOH).CH;. (1) Per lo più viene preferita l’una o l’altra forma dallo studio del comportamento delle sostanze, dei loro sali e dei derivati che questi possono fornire. Ad esempio, come tutti sanno, dal cianuro di potassio si ottengono i nitrili e da quello di argento gli iso- nitrili: il sale sodico della fenilnitrammina fornisce gli eteri: CsH; .N(R). NO» mentre dal sale di argento si hanno gli isomeri Cis ò N 3 NOO(R) che corrispondono al vero acido diazobenzolico. A mio modo di vedere, non è improbabile che questa proprietà che hanno i diversi metalli di portarsi in un determinato punto della molecola e di fissarsi, a seconda dei casi, ad un elemento piuttosto che ad un altro (C,N,0,Secc.) stia in rapporto col valore della loro tensione di soluzione elettrolitica. Come è noto i metalli alcalini possiedono forte tensione di soluzione al contrario dell’ar- gento e degli altri metalli nobili. Quella dell'idrogeno ha valore intermedio e ciò forse spiega perchè in alcuni casi sia stato anche possibile ottenere le due forme di un com- posto (p. es. nitroderivati ed acidi nitronici) sebbene a parità di condizioni, una sola sia la stabile. Così si potrebbero spiegare alcune di quelle differenze di comportamento che ordinariamente si attribuiscono a tautomeria, desmotropia ecc. A. ANGELI. — 273 — Se si opera in presenza di idrossilammina si ottiene la triossima cor- rispondente: CH; . C(NOH). CH; .C(NOH).C(NOH).CH; la quale è identica a quella che uno di noi ha preparata qualche anno ad- dietro (') per azione dell’idrossilammina sopra il nitrosodimetilpirrolo. Questa sostanza perde con grande facilità una molecola di acqua per dare l'anidride ‘ CH;. C(NOH).CH,. O .0H; a La triossina, non essendo simmetrica, si potrà presentare in otto forme stereoisomere; tenendo conto però dell’azione ripulsiva che esercita il metile sopra l’ossidrile, come risulta dalle estese ricerche di Hantzsch e della fa- cilità con cui fornisce l'anidride, rimane senz'altro determinata anche la sua configurazione : [ | NOH NOH HON Trattando il sale sodico del nitrosopirrolo con cloruro di benzoile, si ottiene il derivato benzoilico della diossima cui prima si è accennato: CH; .CO.CH;.C(NO.CO.C; H;). C(NO.CO.C; H;). CH;. Se invece la soluzione acquosa del sale sodico, intensamente colorata in giallo aranciato sì acidifica con poco acido solforico diluito, il chetone che dapprima si forma perde subito una molecola di acqua per dare origine ad un prodotto incoloro, isomero del nitroso derivato da cui si è partiti: gh CH; .C=CH—C.C(NOH).CH, CH a } Ade PARTE SPERIMENTALE. Ad una soluzione eterea di ossidimetilpirrolo (1 molecola) si aggiunge un atomo di sodio, sciolto in alcool assoluto e successivamente, raffreddando con (1) Angeli, Angelico e Calvello, Gazz. chimica, XXXIII, 270. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 26 — 274 — ghiaccio, una molecola di nitrito di amile. Il liquido si colora in rosso e dopo breve tempo si separa il sale sodico sotto forma di polvere cristallina rosso aranciata. Si aggiunge etere anidro, si raccoglie su filtro alla pompa e si lava con etere fino a che questo passa quasi scolorato. Nitrosoderivato. Siccome il nitrosoossidimetilpirrolo è un acido piuttosto forte, il suo sale sodico non viene decomposto dagli acidi molto deboli (acido acetico); gli acidi minerali lo decompongono, e perciò noi lo mettemmo in libertà con acido tartrico, quasi insolubile nell'etere. Bisogna operare in soluzione molto concentrata, impiegando la quantità calcolata di acido tartrico ad estrarre molte volte con etere che poi si lascia evaporare spontaneamente all'aria. Si ottiene così sotto forma di lunghi aghi colorati in aranciato; per riscaldamento incomincia a decomporsi verso 80°, senza però fondere; è so- lubilissimo nell'acqua e nell'alcool, poco solubile nel benzolo; però non si può purificare perchè si decompone con grande facilità. I gr. 0,1907 diedero gr. 0,3569 di CO. e gr. 0,1040 di H,0. II » 0,1207 diedero c.c. 20 di azoto a 12° e 761 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C; Ha No 0, Il I 0 01,08 — 51,42 H 6,05 = 5,01 N 19,87 20,00 Triossima. Si riscalda a bagno maria una soluzione acquosa del sale sodico, resa fortemente alcalina con potassa, con un eccesso di cloridrato d’'idrossilammina. Quando il colore rosso del liquido è passato al bruno, si fa passare una corrente di anidride carbonica, si aggiunge carbonato potas- sico in eccesso e si estrae ripetutamente con etere. Il residuo dell’evapora- zione di questo solvente si tratta con benzolo; la triossima rimane indietro purissima mentre invece l'anidride si scioglie. Possiede tutti i caratteri già descritti da Angelico ('). Gr. 0,0720 svolsero c. c. 14,6 di azoto a 12° e 764 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Cs Hi Ns 03 N 24,42 24,27 Anidride della triossima. Per purificare l'anidride si distilla il benzolo ed il residuo viene ricristallizzato da poca acqua bollente; sì ottiene in tal modo sotto forma di aghi incolori che fondono a 83°. (1) Gazzetta chimica, XXXIV, 38. — 275 — I gr. 0,1869 diedero gr. 0,3190 di CO. e gr. 0,1008 di acqua. IT = 0,1375 diedero. c. c. 31:;3 d'azoto e dila 756 mm. In 100 parti: Trovato IL Calcolato per Cs Ho N3 0. I C 46,54 —_ 46,45 H 5,98 _ 5,74 N —_ 27:14 27,10 Questa anidride fornisce con tutta facilità un derivato monobenzoilico, che si prepara col metodo di Schotten e Baumann. Purificato da un mi- scuglio di benzolo ed etere petrolico, si presenta in aghi che fondono a 106°. Gr. 0,1215 diedero c.c. 16,4 d'azoto a 7° e 764 mm. In 100 parti: ° Trovato Calcolato per Cs Ha N3 0s(CO. Cs H;) N 16,54 16,22 Azione del cloruro di benzoile. Il sale sodico del nitrosoderivato pri- mitivo viene sciolto in soda caustica al 10 °/, e si tratta nel solito modo con cloruro di benzoile. Per ogni grammo di sale vanno impiegati circa 2 c. cub. di cloruro di benzoile. Il prodotto ottenuto viene lavato con molta acqua, lasciato in contatto per qualche ora con alcool, a freddo, e poi ricri- stallizzato un paio di volte dallo stesso solvente. Si ha così sotto forma di laminette splendenti, perfettamente incolore. Fonde a 169°. I gr. 0,1938 diedero gr. 0,4663 di CO» e gr. 0,0900 d’acqua. II » 0,1222 diedero c.c. 8,1 di azoto a 7° e 750 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C20 His Na 0; II C 65,61 _ 65,58 H 5,15 — 4,92 N — 7,97 1,05 Azione degli acidi. La soluzione acquosa del sale sodico primitivo trat- tata con acido solforico al 25 °/, si scolora rapidamente e lascia separare l'isossazolo, che purificato dall'etere di petrolio fonde a 117°. Gr. 0,1372 diedero c. c. 23,3 di azoto a 13° e 763 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C5 Hi Ns 0» N 20,33 20,00 1l prodotto è identico a quello che anni addietro Angelico ottenne in altro modo (*); la nuova sintesi ne determina completamente la struttura. (1) Gazzetta chimica, loco citato. OTO — Matematica. — Sopra una questione di minimo, che si ri- connette col problema di Dirichlet. Nota del dott. S. MEDICI, pre- sentata dal Socio L. BIANCHI. In una Nota recente (') il prof. Fubini ha dimostrato, che il problema di Dirichlet, sotto certe ipotesi, si può considerare come limite di un ordi- nario problema di minimo. La ricerca del prof. Fubini si basa su un teorema la cui dimostrazione è oggetto della presente Nota: a prima vista sembrerebbe, che tale dimo- strazione richiedesse un lungo calcolo, ma questo si può evitare con un semplice artificio. Premettiamo una definizione (cfr. Fubini, loc. cit.). Siano x,y, 4 coor- dinate cartesiane ortogonali: diremo pseudoarea di un triangolo il valore assoluto dell’area della proiezione ortogonale del triangolo sul piano «y, moltiplicato per il quadrato della tangente dell'angolo che il piano del triangolo fa col piano «y. Da semplici formule di geom. analitica sì ha allora, che se indichiamo con x;%1%1, X2Y2 68; 3733 le coordinate dei vertici, tale pseudoarea 4 è data da IV G2P0E2 li:vaae 1x2 +|172% (1) 4g =t88 1Y383 1%:% 122% 12343 9 Diremo poi pseudoarea dell’angoloide, che si ottiene proiettando da un punto (X, Y, Z) una spezzata chiusa, e le cui faccie si suppongono termi- nate a questa spezzata, la somma delle pseudoaree dei vari triangoli, che ne formano le faccie. Sicchè, se indichiamo con @, Y1 41, #2 Y2 423} +. nYn Zn le coordinate dei vertici della spezzata, con X YZ quelle del centro da cui si proietta, si ha che la pseudoarea D è data da dg 1? 1 Yi ki 2 1 Li+1 Sit + 1 Yi+i Bi+1 1... 1 X % 1 Y VA (2) Dè. 1%; Vi TRONI o a AI 1 Li+1 Yi+1 TRO GEZEN E dove però all'indice 7 +1 si sostituisca l'indice 1. (1) Fubini, /l problema di Dirichlet, ecc. (Questi Rendic., questo tomo). ‘ — 277 — Il teorema, che ora vogliamo dimostrare è il seguente : Se A, As...An è una spezzata chiusa data nello spazio, e se À, è un punto tale che l’angoloide Ao (A, A>...An) st protetti ortogonalmente in un modo biunivoco sul piano xy ed abbia pseudoarea non maggiore di ogni altro angoloide Ai (A, Az... An), il cui vertice Ai giace sulla retta che proietta Ao, nessun piano può tagliare l'angoloide Ao (Ai Ar...Àn) in una linea chiusa. Indichiamo con B;,, Bi ,-..,Bn le proiezioni ortogonali di Ao, A1,..., An sul piano xy; perchè la proiezione dell’angoloide Ao (A1 Ag ...An) sul piano 4y sia biunivoca occorre, che le proiezioni delle varie faccie non ab- biano parti comuni, cioè che le rette B, B, , Bo Ba; ..., Bo Ba, Bo Bi 81 sus- seguano tutte nello stesso senso per cui B, dovrà essere intanto interno al poligono B, B»...Bn. Ciò porta di più che i triangoli By Bi Ba, Bo Ba B3,..., B,B, Bi hanno tutti aree dello stesso segno, e che perciò nella (2) invece di mettere il segno di valore assoluto ai soli denominatori si può includere nel segno stesso tutto il secondo membro. Perchè poi sia verificata l’altra condizione sulle pseudoaree degli ango- loidi che proiettano la spezzata dai varii punti della retta A, B,, occorre che nel punto A, si annulli la derivata di D rapporto a Z: cioè che sia ole 7 Vi a 2 (8) e a i Gti de d Lin X Yi: M | LASA hi ì colla solita avvertenza riguardo all'indice n +1; e questa condizione basta, 3° D 57 230 Osserviamo ora, che se c'è un piano 7, che taglia l’angoloide A; (A; A>...A,) in una linea chiusa, esso, incontrando tutti i segmenti AL A, Ao Ae, ...,Ao0 An, lascia da una stessa parte tutti i vertici della spezzata, e dalla parte opposta A.; perciò il piano 7 parallelo a 7 per AL lascia da una stessa parte tutti i vertici della spezzata. Viceversa, se c'è un piano z' per Ao, che soddisfa a tale condizione, ogni piano sr parallelo a 7°, che disti da 77 meno di ogni vertice della spezzata, e che giaccia rispetto a 7' dalla stessa parte della spezzata stessa, sega l’angoloide in una linea chiusa. Dovremo dunque dimostrare, che nessun piano per A, può lasciare i vertici Ax, A»,...,An tutti da una stessa parte. Supponiamo dapprima, che il piano non sia parallelo all'asse delle #, ed abbia per equazione poichè è sempre (4) Cuor — X)-+ fg — 278 — Se poniamo (5) e1= (o —X)+BY-Y)t+4, la (3) diviene (!) Li — X Ui Lian X dii Mo: Yi — Y ai | (Zina zi) n Yi+ Fra Y di+1 ci —Xy — Y Lia X Yann — Y (Visa — yi) (0) ODI Ù Questa ci dice, che se consideriamo la spezzata C, Cs ...C,, il cui :"° vertice ha per coordinate Ls Yyi,&ig=z&— (0, —X)_ B(yi — Y) (= l'angoloide Ay(C, C2...C,) soddisfa ancora a tutte le condizioni del teo- rema enunciato, poichè le due spezzate A, As... A, e CC»... C, hanno la stessa proiezione sul piano xy, e la equazione analoga alla (3), per le (5), si riduce alla (6). Ora se il piano (4) lasciasse da una stessa parte tutti i punti A; ,A2,...,An, se cioè le 4; avessero tutte lo stesso segno il piano sz — Z=0 lascierebbe da una stessa parte tutti i vertici C, C,...C,. Ci sarebbe dunque, se potesse darsi quel caso un piano 7 parallelo al piano xy, che segherebbe l'ango- loide A,(C, C»...0,) in una linea chiusa. Ma questo caso, come ha già osservato il prof. Fubini, non si può dare, perchè indicando con A; la proie- zione di A, su 7, l’angoloide A6(C, Ca... C,) avrebbe pseudoarea minore di quella dell'angoloide Ao(C,C»...0,), contro quanto abbiamo visto. Il teorema è così dimostrato per tutti i piani non paralleli all'asse delle 2: per quelli paralleli all'asse delle 2 la cosa è quasi evidente. Infatti se un piano 77 per A. e parallelo all'asse delle s lasciasse da una stessa parte tutti i punti Ax, As,-..,An, la retta 7 d'intersezione di 77 col piano 7, dovrebbe lasciare da una stessa parte B, ,B.,...,B,, ciò che è assurdo, 7 passando per il punto By interno al poligono B, B:... B,. Il teorema è così completamente dimostrato. (') Basta ricordare, che DI (2i+1 — 23) = (yin — v) = 0. % Q = 979 — Matematica. — Sur les formes differentielles. m-linéatres. Nota di TH. De DONDER (a Bruxelles), presentata dal Corrispondente E. PASCAL. M. le Professeur E. Pascal a approfondi récemment ses belles recherches sur la propriété que présentent certaines matrzces (*) d'avoir une caractéris- tique invariante pour toutes les transformations ponctuelles. Ces recherches m'ont beaucoup intéressé. Pour établir cette propriété par la transformation infinitésimale ; Sd ; ; ; il suffit de montrer que la variation 9 d'un déterminant quelconque pris dans cette matrice est égale è un polynome lineàire et homogène de déter- minants du méme ordre, ceux-ci étant /ous pris dans cette méme matrice. Considérons, par exemple, la forme différentielle DE DI CR d, Li da Vj da Uh et séparons, d’après M. Pascal, les indices en 2 séries distinetes: les <,] et les #; disposons les éléments 4;x dans la matrice: Giri 42 «-- Un dor1 A212 - .- den Aizi A22 - .. Dian Unni Unna è è è Unnn En se rappelant que d dXo AG in A; dn + x; "dim + TS 2 459) (1) Pascal, Sulle matrici formate cogli elementi di un sistema covariante (Atti R. Istituto Veneto, 1905-1906, t. LXV. Parte seconda); Su di una generalizzazione delle forme differenziali e dei sistemi covarianti del calcolo differenziale assoluto (Rend. Cir. Mat., di Palermo, t. XXIII, 1907). — 280 — on caleulera aisément i? ) Qiji Uijk Qijn Dis on trouvera ainsi une expression linéaire et homogène en ces déterminants; done si ceux-ci sont tous nuls, les déterminants analogues formés avec les coefficients 4; de la forme différentielle ayant subi la transformation ponc- tuelle seront aussi tous nuls;. si, au contraire, les déterminants considérés ne sont pas tous nuls, on pourra en conclure, gràce à la transformation ponc- tuelle irverse, que tous les déterminants formés avec les d';x ne seront pas tous nuls. Ce qui précède s'étend immédiatement des déterminants d'ordre p aux déterminants d'ordre p-|-1. Le mode de démonstration que je viens d’indiquer me semble surtout avantageux, quand, au lieu de considérer 2 séries distinetes d’indices, on en considère un plus grand nombre; dans cette hypothèse la matrice et les dé- terminants qu'elle renferme auront plus de deux dimensions. Le théorème de M. Pascal s'étend à ce cas général. En effet, supposons, par exemple, qu'il y ait 3 séries d’'indices dans les coefficients, 4;;x; écrivons d’abord le déterminant cubique dn 2° ordre: Qish Qijh | dign Uijh! SUOI SIE - (10 ,jJ',kk)= Qijn Uitjr| Uitjut Uig'k! D'où L 10*RRSNP REPARTI gl 339, hR)= DA OL aa ZL SA Vi Ù ’ r Î Vozo 7) "DS è S| eri) + + Grif hd | (e) Entre les crochets [_ ]ily a 6 termes, dont 2 seulement ont été transcrits ici. La variation de (î1...%p31---Jp. 41... Ep) S'exprime, de méme au moyen d'un polynome linéaire et homogène de ces déterminants. Done on pourra conclure, comme précédemment, que la matrice (à 3 dimensions) formée avec les a; et renfermant ovs les déterminants (à 3 dimensions) considérés et ceux-ci seulement aura une caractéristique invariante. On démontrerait de la méme manière qu'on peut écrire une matrice (à 3 dimensions) formée avec les 4;;,x,, et ayant une caractéristique inva- riante. — 281 — On peut aussi trouver des matrices à caractéristique invariante renfer- mant d'autres quantités que les coefficients d'une forme différentielle m-li- néaire. Pour le prouver il suffit de remarquer qu'il est permis de remplacer les éléments 4;,x,, par des expressions cogrédientes à ces coefficients, telles que, par exemple, EN (RODA Rf (07) DADI Wo [ ] i L j j ati | ] A | / où (09) est le premier symbole de Christoffel appliqué à une forme 3-li- néaire asymétrique. L'étude du Mémoire de M. Pascal: « Sui determinanti composti e su di un covariante estensione dell’Hessiano di una forma algebrica » (?) m'a amené à considérer les 7 formes différentielles è » variables, 7-liné- aires et asymétriques: n) È DoD Wim di + lim Uu Um sto... E On aura la cogrédience: (2) Kelalu<<> Ma iena”, K est le déterminant d'ordre n” formé avec les coefficients des 7°? formes considérées. Le signe < > se lit « cogrédient à » et signifie que les quantités qu'il sépare subissent les mémes transformations par suite du changement des variables' 213 ea M est un dernier-multiplicateur; autrement dit: on a l’invariant intégral ‘e Mda,... din =f M'dar... dal, DES) DICA) (') Rendiconti Circ. Matem. di Palermo, t. XXII, 1906. RenpiICcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 917 d’où M'=M Mo g9 Re, DI ARUBIO: 3 Pour trouver la cogrédience (2), on calcule la variation = de K; après dt } 7 DX da avoir remarqué que chacun des — ,.. doit y fivurer un méme nom- DAI NE Cn bre de fois, on trouve immédiatement: dI eo ce qui fournit la cogrédience (2), puisqu'on a: Cp. di Ce déterminant K est intimement lié au déterminant de Kronecker, que M. Pascal a étudié dans le Mémoire en question. Il existe d’autres cogrédiences intéressantes relatives au système (1); ces cogrédiences présentent une grande analogie avec celles que j'ai données à la fin de mon travail « Sur les fonetions de Volterra et les invariants intégraue » (*); elles pourraient étre utilisées de la mème manière; pour plus de simplicité je supposerai m = 2; dans ce cas, on a: K=|a |<>U" mineur 45, K < Za (— JOE di Li da Xda = Xik mineur tr = < = Xin X dir > Xi K arti Dans cette dernière cogrédience, on calculera directement la variation l de = ; l'on aura ainsi celle de Xi". On pourrait aussi rapprocher cette co- grédience de la suivante (°): Ui i+hk gi e O >(D'3EE (1) Bull. de l’Ac. R. de Belgique. CI. des Sc. n. 6 (1906). (*) Voir page 13 de mon article « Sur les fonctions de Volterra...» — 283 — i È >; ( pae zi si MM?» È AR m_ 1 o; . ; Considérons enfln les (" ui Da ) formes différentielles à n variables. m-linéaires et symétriques: 1 Tia dti, - SIONI 4, a, Uu tm (em) m ma \ di UD Nous obtenons: n+m_l sala. Me DEA CIANI E LEE) sibha n+m_-1 ils E La démonstration se fait comme pour le déterminant K. Cette cogrédience est ici l'analogue de l'égalité que M. Pascal a de- montrée concernant le déterminant de Scholtz-Hunyady. Matematica. — Sur la recherche des fonctions primitives par l’integration. Nota di HenRI LeBESGUE, presentata dal Socio CU. SEGRE. M”. Volterra (') a montré que l’intégration au sens de Riemann ne permet- tait pas toujours la recherche des fonctions primitives pour les fonctions dérivées bornées; au contraire, si l’on adopte les définitions que j'ai données, l'integrale indéfinie d'une fonction dérivée bornée esiste toujours et est torijours une de ses fonetions primitives. Cet énoncé, qui reste exact quand aux mots « une fonction dérivée bornée » on substitue les mots « un nombre dérivé borné », ne s’applique plus aux nombres dérivés qui, tout en étant partout finis, ne sont pas bornés. J'ai donné pour ee cas les deux énoncés équivalents suivants: i I. Za condition nécessaire et suffisante, pour que l’intégrale indéfinie (1) Sui Principii del Calcolo Integrale (Giornale de Battaglini, t. XIX). — 284 — d'un nombre dérivé partout fini soit une de ses fonctions primitives, est que ce nombre dérivé soit sommable, c'est-à-dire ait une intégrale è mon sens. II. Za condition nécessaire et suffisante, pour que l’intégrale indéfinie d'un nombre dérivé partout fini soit une de ses fonctions primitives, est que ses fonctions primitives soîent à variation bornée (*). On peut se demander ensuite dans quel cas l’intégration indéfinie permet de remonter d'un nombre dérivé, fini ou infini, à sa fonction primitive, mais il faut tout d'abord remarquer que la question n'a pas toujours de sens. M”. Hans Hahn (?) a en effet construit deux fonctions /, et /» ayant par- tout la méme dérivée déterminée sans que /1 — /» soit constante; de sorte que, lorsqu'il ne s'agit plus de quantités finies, la connaissance de la derivée, ou d'un nombre dérivé (*), ne suffit pas toujours à déterminer la fonction è une constante additive près. On peut cependant se demander dans quels cas une fonction est l'intégrale indéfinie d'un de ses nombres dérivés, fini ou non; en entendant par là que, pour le calcul de l’intégrale du nombre dérivé 4, on ne tiendra compte que des points où 4 est fini. De sorte que cette intégrale est celle de la fonction g écale à 4 quand il est fini et è zéro partout ailleurs. Seulement, dans l’énoncé de la condition nécessaire et suffisante, devront intervenir des condi- tions relatives è la fonction primitive, car des deux fonetions /1,/s de M”. Hahn, une et une seule est l’intéorale indéfinie de leur commune dérivée. On ne pourra donc pas avoir d’énoncé analogue au théorème I rappelé plus haut, c'est-à-dire ne faisant intervenir que des propriétés du nombre dé- rivé; mais on va voir que d'une propriété que j'ai indiquée autrefois résulte de suite un énoncé analogue è II, c'est-à-dire ne faisant intervenir que des propriétés de la fonction primitive (4). (1) J'ai donné ces théorèmes dans mes Zecons sur l’Intégration, etc. A leur sujet différentes observations ont été présentées en 1906 et 1907 dans ces Rendiconti par M. B. Levi et par moi mème. Ces théorèmes ne sont pas mis en question; il est vrai que, dans son premier travail composé de 3 notes, M. Levi avait substitué è mes énoncés celui qu'on lira plus loin mais mes énoneés furent, par la suite, justifiés par M. Levi lui-méme. (2) Ueber den Fondamentalsatz der Integralrechnung (Monatshefte fiir Math. und Phys., XVI Jahrg., pages 161-166); voir aussi les Notes de M. Levi (Rendiconti 1906). (*) Ou encore si l’on veut de ses quatre nombres dérivés. Car il suffit évidemment d’ajouter aux deux fonetions /} et fa de M. H. Hahn une mème fonction g è nombres dérivés bornés, qui ne soit pas dérivable en tous les points où la dérivée de /1 est finie pour obtenir deux fonctions non dérivables 44 @,f2-+, ayant partout les quatre mémes nombres dérivés, et dont la différence n’est pas constante. (4) Dans ces Rendiconti (vol. XV, 1° sem., page 679 et 2° sem., page 358) M. Beppo Levi a énoncé, comme constituant la condition nécessaire et suffisante cherchée, les 3 conditions qui suivent: qu'è tout ensemble de valeurs de la variable, qui est de mesure nulle, corres- ponde un ensemble de valeurs de la fonetion primitive f(x) qui soit aussi de me- sure nulle; — 239 — Cette condition nécessaire et suffisante peut s'exprimer ainsi: pour gu'une fonetion continue f(x) soit l'integrale indéfinie d'un de ses nombres de- que le nombre dèrivé considéré 4 ne soit infini que pour un ensemble de valeurs de 2 de mesure nulle; et que, cet ensemble de valeurs de # excepté, / ait une intégrale. Tout énoncé de cette nature, c’est-à-dire faisant intervenir des propriétés de 7 et de 4, a le gros inconvénient de nécessiter l’étude de 7 et 4 avant de permettre d’écrire entre ces fonctions l’égalité f= f 4 dx. Je dois ajouter que la démonstration de M. Levi ne m’a pas paru suffisante. M. Levi utilise en effet (page 680) cette propriété: Si pour un certain ensemble de valeurs de x de mesure nulle, les fonctions continues f et 4 prennent des valeurs formant des ensem- bles de mesures nulles il en est de méme de 7+ gp. Cette propriété est peut ètre exacte pour les fonctions que M. Levi considère, elle n’est pas vraie dans toute sa eénéralité. . Soient en effet E; et E. deux ensembles bornés quelconques, je prend l'ensemble E des points du plan dont les abscisses appartiennentà E, et les ordonnées à Es. Et je couvre un carré contenant E à l’aide de la courbe de M. Peano définie è l’aide d’un paramètre £ variant de 0 à 1. J°écris une valeur de #, dans le système de numération à base 2, sous la forme a Uo dg (1) Ere i riti -00 et je pose Ai Ua 13 9 0.= rei arci TARE: ve. . 0) 2(S+5+6+.) Cela définit £ en fonction de 6, quand 6 appartient è un certain ensemble fermé Z, bien connu; j’achève la détermination en convenant que, dans un intervalle où il n’y a pas de points de Z,t# reste constant. La fonction continue #(9) permet de représenter les coordonnées des points de la courbe de M. Peano è l’aide de deux fonctions continues (0) ,y(0) et è un ensemble de valeurs de 6 de mesure nulle, convenablement choisi, correspondent les points de E. La proposition en litige est donc équivalente è la suivante: « étant une valeur quelconque de E,, une valeur quelconque de E. , l'ensemble de toutes les valeurs de 2 + y est de mesure nulle si E, et Es sont de mesures nulles. Mais cette propriété, qui est bien celle que semble vouloir démontrer M. Levi (note 2 page 680), est inexacte. Prenons en effet E; et E; identiques è l'ensemble Z précédem- ment cité; je dis que l'ensemble des valeurs de 2 -+y est l’intervalle (0,1). Soit # une valeur de (0,1), je l’écris dans le système de numération è base 3. J'obtiens x en changeant les chiffres 1 de rang impair, è partir de la virgule, en chiffres 0, les chiffres 1 de rang pair en chiffres 2 et en ne modifant pas les autres chiffres. J'obtiens y en faisant les mèmes changements pour les chiffres 1 de 2, en changeant les chiffres qui se trouvent entre un 1 de rang impair et le chiffre 1 immédiatement suivant en 2 et en remplagant par des zéros les autres chiffres. i Il n’est peut ètre pas sans intérét de remarquer, à l’occasion de l’énoncé de M. Levi, que lorsque, pour tout ensemble de mesure nulle, les valeurs correspondantes de deux fonctions / et g forment des ensembles de mesures nulles 74 ne jouit pas néces- sairement de la mème propriété. Reprenons en effet l’ensemble E; supposons E, et E» identiques è Z, E est parfait. Les valeurs correspondantes de f forment un ensemble fr ferme. Les formules (1) et (2) font correspondre à cet ensemble e un ensemble fermé de — 286 — rives, considéré là où il est fini, il faut et il suffit que f(x) soît une in- tégrale indéfinie. La condition est nécessaire, c'est une tautologie; elle est suffisante, car Jai montré qu'une intégrale indéfinie admettait pour dérivée la fonction in- tégrée partout, sauf aux points d'un ensemble de mesure nulle, et de là ré- sulte évidemment qu'une fonction intégrale indéfinie est l’intégrale indéfinie de sa dérivée, considérée là où elle existe et est finie, qu'elle est l’intégrale indéfinie de l'un quelconque de ses nombres dérivés considéré là où il est fini. Or on peut reconnaître è un caractère très simple, que j'ai déjà in- diqué ('), si une fonction est ou non une intégrale indéfinie. Pour qu'une fonetion f soît une intégrale indéfinie il faut et il suffit valeurs de 6. Prenons pour /(0) et (0) des fonetions continues égales à (0) et y(0) aux points de e et variant linéairement dans tout intervalle ne contenant pas de points de E. Les deux fonctions /(9),g(0) satisfont è la condition indiquée, leur somme n’y satisfait pas M. Levi m’annonce qu’en tenant compte des propriétés particulières aux fonetions qu’il considère on peut compléter son raisonnement primitif; j espère que sa démonstration sera publiée prochainement. (*) A la page 129 de mes Lesgons sur l’Intégration, je disais: «il existe des fonc- tions continues à variation bornée qui ne sont pas des intégrales indéfinies ». Et j'ajou- tais en note: « Pour qu’'une fonetion soit intégrale indéfinie, il faut de plus que sa va- riation totale dans une infinité dénombrable d’intervalles de longueur totale /, tende vers zéro avec / Si, dans l’énoncé de la page 94, on n'assujettit pas f(x) è ètre bornée, ni F(x) è étre à nombres dérivés bornés, mais seulement à la condition précédente, on a une défi- nition de l’intégrale équivalente à celle développée dans ce Chapître et applicable à toutes les fonctions sommables, bornées ou non ». Voici l’énoncé de la page 94: « Une fonction bornée (2) est dite sommable, s'il existe une fonction è nombres dérivés bornés F(x) telle que F(z) admette /(2) pour dé- rivée, sauf pour un ensemble de valeurs de 2 de mesure nulle. L’integrale dans (4,2) est alors, par définition, F(0) — F(a) ». Ces citations montrent que j’'avais indiqué en 1904 le théorème avec tout la pré- cision désirable mais d’ailleurs d’une fagon assez incidente pour qu’il ait du échapper è la plupart de mes Lecteurs. Et en effet, M. Vitali a énoncé à nouveau et démontré cette propriété dans une note dont M. B. Levi a bien voulu me signaler l’existence (Sulle fun- zioni integrali, Atti della R. Accad. delle sc. di Torino, vol. 40, 1905). Une telle ren- contre n° est pas étonnante; je me suis rencontré déjà avec M. Vitali à l’occasion de la mesure des ensembles (Lebesgue, Ann. di Mat., 1902; Vitali, Rend. del Circ. di Palermo, 1903); è l’occasion d’une condition d’integrabilité (Vit., Rend. Ist. Lomb., 1904; Leb., Lecon sur l’Int., 1904); à l’occasion d'un théorème sur les fonctions d’intégrale nulle cas particulier d’un de mes théorèmes sur la dérivation des intégrales indéfinies (Leb., Legons sur l’Int. 1904; Vit., Rend. Palermo, 1905); è l’occasion d’un théorème sur les fonctions mesurables (Borel et Leb., C. R. 1903; Vit., Rend. Ist. di Lomb. 1905); è l’occasion d’un théorème sur les fonctions représentables analytiquement (Leb., C. R., 1904; Vit., Ces Rend., 1905). Ces rencontres montrent que les théorèmes en question sont assez naturels pour se présenter à l’esprit de tous ceux qui s’occupent de ces questions. — 287 — que, si lon prend un ensemble d'intervalles non empiétani les uns sur les autres, situés dans l’intervalles fini (a,b) que Von considère, et dont la somme des longueurs est l, la somme des valeurs de la variation totale dans ces intervalles tende uniformément vers zéro avec L. La condition est nécessaire: en effet, supposons que / soit l'intégrale B indéfinie de 4, la variation totale de f dans (@, #) est f \p|de. Par suite, la somme des variations totales de 7 dans les intervalles considérés est au plus |M]. + I(M), I(M) étant encore l’intégrale de |g| étendu è l'ensemble des points de (4,2) où [g| surpasse |M|. Donc cette somme de variation totale tend uniformément vers zéro avec /, car on peut prendre I(M) aussi petit que l’on veut pourvu que |M] soit assez grand. La condition est suffisante: en effet, si elle est remplie, / étantà va- riation bornée a, sauf peut-étre aux points d'un ensemble de mesure nulle, une dérivée déterminée laquelle est sommable dans l'ensemble des points où elle existe et est finie (*). Soit 4 une fonction égale à cette dérivée là où elle existe et est finie et nulle ailleurs. 4 est sommable, je dis que son intégrale indéfinie est /. Je pose p=fS4dz — f. ga une dérivée nulle sauf peut- étre aux points d'un ensemble de mesure nulle E et d’ailleurs g possède la propriété que nous avons supposée appartenir à /, car cette propriété appar- tient à S4dx et la variation totale d'une différence est au plus la somme des variations totales des deux termes. Je dis que 4 est constante. Enfermons E dans un ensemble A d’intervalles de longueur totale /. A chaque point x de (a , 5) nous pouvons attacher un intervalle positif (2, 2 + 4) soumis à la condition d'ètre intérieur èà A, si 2 appartient à E, et è la con- dition que Iple +) — g(e)|0); et que (2 + 4) ne soit pas ?n/érieur è un intervalle A. En évaluant g(0) — g(a) è l’aide d'une chaîne formée è l'aide de ces intervalles et des A, on trouve: |9(0) — g(a)) = «(0 —a) +0; est done une constante (°). Les énoncés qui précèdent fixent les cas où la fonction primitive s'ob- tient immédiatement comme intégrale indéfinie d'un de ses nombres dérivés. Lorsqu'il n'en est pas ainsi l’intégration peut encore parfois éètre utilement employé au passage d'un des nombres dérivés 4 à la fonction primitive /. (1) Pour l’application qui suit la plus petite limite pourrait éètre remplacée par la plus grande, bien évidemment; mais ces deux limites ne sont pas toujours nécessaire- ment égales. (2) Il est facile de voir que les deux conditions de l’énoncé qui vient d’ètre légitimé sont indépendantes. Si l’on avait, dans cet énoncé, remplacé variation par variation to- tale la première condition eut suffi è elle seule; la variation totale dans E se définissant par un procédé analogue è celui qui a servi pour la variation. — 289 — Supposons, par exemple, que / remplisse les conditions des énoncés pré- cédents dans tout intervalle n’ayant aucun point commun avec un ensemble fermé E. On sait, dans un tel intervalle, remonter de 4 à f; on le sait donc aussi dans tout intervalle contigu è E ou dans tout intervalle où E est réduc- tible. Supposons maintenant que la série 3|/(8) — /(@)| étendue à tous les intervalles contigus à E soit convergente, connaissant 4 nous savons former la fonction 6(a)= f(e) — [TE] +T/(8)— /(0)], 5(x) étant le plus grand des nombres de E non supérieur è 4 et 2° étant étendue à tous les intervalles (@,) contigus è E pour lesquels on a =>. La recherche de / est donc ramenée è celle de {= —@, or il est facile de démontrer que les nombres dérivés de /, qui sont nuls en tout point n’'appartenant pas è E, sont égaux à ceux de / en tous les points de E, sauf en ceux d’un ensemble exceptionnel de mesure nulle. On peut donc opérer à nouveau sur /, comme sur f (1). En ce qui concerne les fonctions illimitées il est facile de donner des définitions de l’intégrale s'appliquant à des catégories plus étendues de fonc- tions et pouvant étre utilisées dans la recherche des fonctions primitives. Par exemple, imitant une définition de de la Vallée Poussin (?), on peut définir l'intégrale par l'égalité fr da — e fis da 9 fu désignant une fonction égale à f quand on a ESE fu ost égale è M pour f= M età — M pour f< M. Si l'on adoptait cette définition (*) ou tout autre analogue, il faudrait faire de suite une révision minutieuse de toutes les propriétés de l’intégrale; (1) On pourra comparer ces indications avec celles que je donnais dans ma Thése (Intèsrale, Longueur, Arie; Annali di Mat., 1902; Note du n. 84). Le procédé qui rèsulte de ces indications paraît trop compliqué pour pouvoir ètre souvent utilisé; cependant il peut étre utile dans la théorie des séries trigonométriques. D’ailleurs il semble que ces deux applications: recherche d’une fonction connaissant un de ses nombres dérivés; re- cherche de la série trigonométrique représentant une fonetion donnée, soient toujours intimement liées. i (?) Si l’on se rappelle que, pour passer de la definition de l’intégrale d’après Cauchy- Riemann è celle que j'ai donnée, il suffit de remplacer les divisions de l’intervalle de variation de la variable par des divisions de l’intervalle de variation de la fonction, la définition proposée dans le texte apparaîtra comme imitée de la définition, d’après Cauchy, de la valeur principale d’une intégrale. (*) Pour avoir la définition que j'ai adoptée (Legons sur l’Int. page 115) il faudrait ajouter cette condition que limu=% f|fa|dx existe. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 88 — 290 — on devrait se demander, par exemple, si, du fait que / a une intégrale dans (a, b), il résulte nécessairement que / en a une dans toute partie de (a, d) (1), sì l'intégrale d'une somme est la somme des intégrales, etc. Pour les fonctions non toujours finies, les théorèmes précédents pourraient conduire à dire: On appelle intégrale d'une fonction / l’intégrale de cette fonction étendue à l'ensemble des points où elle finie. Mais, pour qu'une telle définition puisse étre vraiment utile, il faut que Y ne devienne infinie qu'aux points d'un ensemble de mesure nulle, sans quoi l’intégrale de 7 + constante ne serait pas l’intégrale de / et de la constante. Mais, si / n’est infinie qu'en un ensemble de points de mesure nulle, cette définition peut ètre avanta- geuse. L'intégrale ainsi définie pourra parfois se calculer à l’aide du théorème suivant, que ] énonce en conservant au mot intégrale le sens plus restreint que je lui ai toujours donné. Si une suite non décroissante de fonctions %; a pour fonction limite x; si u; n'est infinie qu'aux points d'un ensemble de mesure nulle E;, si u n'est infinie qu'aux points d'un ensemble de mesure nulle E, si enfin vw; a une intégrale dans l'ensemble des points n'appartenant pas è E;, la suite des intégrales des v; est convergente, ou divergente, suivant que x a, ou non, une intégrale dans l'ensemble des points n'appartenant pas à E; cette intégrale, quand elle existe, est la somme de la série. En attribuant la valeur 0 à toutes les fonctions u; et vu aux points de l'ensemble de mesure nulle E4+ E, + E: -|-... on voit qu'il suffit de dé- montrer la propriété pour les fonetions partout finies. Or, qu'une série è ter- mes positifs soit intégrable terme à terme, est précisément l'une des 6 con- ditions que j'ai imposées à priori à l’intégrale (?). J'ai vérifié (*) que l’in- tégrale des fonctions bornées satisfaisait bien à ces six conditions, et j'ai affirmé (4) qu'il en était de méme pour l’intégrale des fonctions non bornées. Ce qu'on justifiera très facilement en reprenant presque sans modification le raisonnement que j'ai utilisé pour les fonctions bornées (*). . a Regio . (1) On pourra voir, par exemple, ce qui se passe pour la fonction sei quand on lui applique la définition précédente. (2) Legons, pages 98-99. (3) Legons, page 114. (4) Lecons, page 115. (5) M. B. Levi a développé ce raisonnement dans une Note Sopra l'integrazione delle serie (Rend. del. R. Ist. Lomb., serie II, vol. 39, 1906). — 291 — Fisica. — Za costante di disintegrazione del radiotorio (!). Nota di G. A. BLaAnc, presentata dal Corrispondente A. SELLA. In una Nota da me pubblicata in collaborazione col dott. Angelucci (?) fu tempo fa annunziato che erano state intraprese delle esperienze allo scopo di determinare se sia possibile avvertire, coll’andar del tempo, una qualche diminuzione nell’attività di un preparato di radiotorio non contenente quan- tità apprezzabili di torio, e, nel caso, di determinare la legge di disattiva- zione ed il valore della costante caratteristica corrispondente. Hahn (*) dice di aver osservato un decremento nell’attività di qualcuno dei suoi preparati di radiotorio estratti dalla torianite, ma non ha tuttavia per ora dato alcuna indicazione intorno alla velocità con cui tale disattiva- zione si produrrebbe. Avendo a mia disposizione dei preparati di radiotorio estratti dal dott. Angelucci dai fanghi di Echaillon e nei quali il torio non esiste in quantità apprezzabile, mi parve utile di intraprendere delle esperienze per chiarire definitivamente il problema della più o meno rapida disintegrazione della nuova sostanza radioattiva. Il preparato da me scelto fu una porzione di idrati, in massima parte di ferro, i quali presentavano un'attività ed un potere emanante circa 3000 volte superiori a quelli di un ugual peso di idrato di torio allo stato di equi- librio radioattivo (ottenuto questo dal « Nitrato di torio puro » della Casa De Haen). Il metodo seguito nell’ottenzione di tale preparato escludeva qualsiasi possibilità della presenza in esso di tracce di radio. L'assenza di ogni so- stanza radioattiva non appartenente alla serie dei prodotti di disintegrazione del radiotorio era stata del resto verificata nel modo descritto in una pre- cedente mia nota sul radiotorio (*). La quantità prescelta per l'esperienza poteva pesare qualche decimo di milligrammo; essa era aderente ad una porzione di filtro di circa 3 cm? di superficie. Aggiungerò che tale preparato era stato dal dott. Angelucci estratto dai fanghi di Echaillon circa sei mesi prima, per cui in esso era certamente raggiunto lo stato di equilibrio radioattivo tra radiotorio e torio X. (!) Lavoro eseguito nell'Istituto Fisico della R. Università di Roma. (2) Rendic. Acc. Lincei, vol. XV, n. 9, 1906. (®) Phys. Zeit., 1° luglio 1906. (4) Rendic. Ace. Lincei, vol. XV, n. 6, 1906. — A Questo frammento di filtro venne introdotto, addì 12 giugno 1906, entro un apparecchio di dispersione del solito tipo già altra volta descritto (*) vale a dire sotto una campana munita di un elettrodo isolato connesso ad un elettroscopio a foglia, e poggiante su un piano metallico posto al suolo (fig. 1). Introdotto il preparato sotto la campana, questa venne fissata al piano metallico mediante un solido mastice, in modo da impedire assolutamente il passaggio dell’aria. Che il tappo isolante (di pecite), separante l'interno della campana dall'interno dell'elettroscopio, costituisse poi una chiusura del tutto ermetica era stato da me accertato in antecedenza. Queste precauzioni, prese acciocchè l’aria contenuta nell'interno della campana non potesse in alcun modo uscirne, avevano per iscopo di escludere i MN rai al suolo radiotorio 1 ( in modo assoluto la possibilità di un effetto analogo a quello che, a quanto parrebbe, si verifica allorquando delle quantità tenuissime di un sale di radio vengono lasciate esposte all'aria libera. È noto infatti come Voller (*) abbia potuto credere che il radio, quando trovasi in piccolissima quantità, subisca una rapida disattivazione, cosa esclusa invece poi da Eve, il quale mostrò che il radio anche in quantità tenuissima non presenta, per periodi di più mesi, una disattivazione a noi sensibile, qualora venga conservato durante tutto il tempo delle esperienze entro un recipiente ermeticamente chiuso. La spiegazione più logica del fenomeno riscontrato da Voller sta evidentemente nell’ammettere, con Ru- therford (*), ehe in quella esperienza una parte del radio venisse asportata dall'aria alla quale esso rimaneva esposto. Di qui appare l’importanza delle precauzioni da me prese in vista di eliminare completamente una simile causa d'errore. Il preparato di radiotorio venne dunque, come ho già detto, introdotto sotto la campana il 12 giugno scorso e le misure vennero incominciate (*) Phil. Mag., 1° gennaio 1905. (3) Phys. Zeit., I, pag. 781, 1904. (*) Radioactivity, 2* ediz. pag. 466 e seg. — 293 — addì 17 giugno, quando cioè era lecito ritenere che qualsiasi variazione di atti- vità dovuta al formarsi di attività indotta nell'interno dell'apparecchio dovesse essere cessata; tali misure vennero poi proseguite sino ad oggi, vale a dire per una durata di oltre otto mesi, coi risultati che verranno ora riportati. Le determinazioni dell’attività del preparato venivano eseguite dando una carica, sempre di segno positivo, al sistema isolato, ed osservando poi mediante un microscopio a micrometro il tempo messo dalla estremità della foglia d'alluminio a percorrere un determinato numero di divisioni della scala. L'apparecchio era stato costruito in maniera da presentare una capacità grande relativamente a quella che di solito presentano gli strumenti di questo genere, e ciò allo scopo di ottenere una caduta lenta della fogliolina mal- grado l’attività relativamente considerevole del preparato in esame. In tal modo l'apparecchio univa al vantaggio di essere sensibile a piccole varia- zioni dell'attività del radiotorio, quello della insensibilità alle cause ioniz- zanti esterne, i cui effetti rimanevano trascurabili di fronte a quelli della sostanza in esame. Aggiungerò che la perfetta tenuta dello strumento era stata controllata da me prima dell’ introduzione della sostanza attiva, e che avevo accertato che la scarica, a vuoto, era assolutamente trascurabile di fronte a quella pro- dotta dal preparato di radiotorio. Finalmente dirò chè le determinazioni non venivano eseguite se non dopo aver mantenuto il sistema carico per una de- cina di minuti, e ciò allo scopo di eliminare qualsiasi causa d'errore dovuta ad una penetrazione di carica nell’isolante. Nella tabella I sono riportati i risultati delle misure eseguite: nella prima colonna sono indicate le date delle singole esperienze e nella seconda i tempi impiegati dalla fogliolina d'alluminio a percorrere quel determinato numero di divisioni della scala micrometrica. Ciascun numero della seconda colonna è la media di tre, quattro o cinque osservazioni; l’errore massimo non superava qualche secondo. TABELLA I. Date Tempi I Gueno O00 e 0 07 1 Luglio » SRGCISGRMPIABIBRABRE: Dolo 16.» ’ SARE Si 0: RN) 90 ” Se i 00 BACO] 15 Agosto ’ A, 3] ” ’ nat 855 17 Ottobre » Re, RI) 16 Novembre » Mae, 97 14 Dicembre » gen Ra 898 SaGennaloN1l90d4 hei iotoo. Pie399 30 ’ ’ ii ci SRISIENTZ06 18 Febbraio » ani iau in RMBBMMAA ATO — 294 — Da questi risultati, ponendo l'attività corrispondente al giorno 17 giugno pari a 100, si ottiene la seguente tabella in cui nella prima colonna sono indicati i tempi in giorni e nella seconda le attività corrispondenti. TABELLA II. Tempi in giorni Attività (scala arbitraria) Vit ERE Te n vo0040 LA lO i 060605 PA MO co AMPIO O GU VELO LI Ae Se ERABR i ai0000 ORA. CRIME OT VOSTRA > IPO SEI Vo, La ct o 8 DO Zire OS TR TEOR az 2000 si CA o a EZ006 AR e O BE rt n ZA Se ora si portano sull'asse delle ascisse i tempi e su quello delle ordi- Ù nate i logaritmi delle intensità, si ottiene il diagramma I della figura 2. Tempi in giorni 50 100 150 200 250 300 2.000 1.950 1.800 fi Rie. 2; Come si può vedere, dopo un periodo di decremento relativamente più rapido, del quale tornerò a parlare fra poco, dalla misura corrispondente al 30 luglio in poi i punti si trovano sensibilmente su di una retta. Ammettendo dunque che, come tutto sembra indicare, le misure dal 30 luglio in poi diano approssimativamente l'andamento del processo di — 295 — disintegrazione del radiotorio, è chiaro che tale processo, come tutti gli altri fenomeni di disintegrazione radioattiva a noi noti, potrà venir rappresentato mediante l'equazione: idol in cui i simboli hanno i significati ormai noti. Applicando questa formola e servendomi del metodo dei minimi qua- drati ho calcolato il valore che in tal caso assumerebbe la costante di disin- tegrazione, trovando per essa, il tempo essendo espresso in giorni, il valore: A=9.4X 107 il che equivale, essendo il tempo espresso in secondi, a: Ari dx 1079 Per dare un'idea del grado di esattezza raggiunto in queste mie mi- sure, ho costruito la seguente tabella in cui, accanto ai valori trovati speri- mentalmente, sono riportati i valori calcolati applicando la formola riportata sopra e servendomi del valore della costante 4 ora indicato. In questa ta- bella è stato dato il valore 100 all'attività osservata il giorno 30 luglio. La linea II della fig. 2 rappresenta il corrispondente processo di disatti- vazione (in scala logaritmica). TapeLLA III. Tempi in giorni I calcolato I osservato. VS 0 6 e 100.0 Oto OSL et) SRO 961 (EL ni ci EP VOOR o 880,92 0) Pe Og og ere) gra NO 2A O A OA ST E ISO) 9990/106000 0/08 10899) en a È facile vedere da questi risultati che %/ tempo caratteristico occor- rente acciocchè la metà del numero di atomi, esistenti in una certa massa di radiotorio, sia disintegrata, è di 737 giorni. Il radiotorio sarebbe dunque il corpo radioattivo .il cui tempo caratte- ristico di riduzione dell'attività a metà, determinato mediante esperienze dirette, si è dimostrato più lungo. Il polonio, o radio F, che fino ad ora era la sostanza per cui la determinazione sperimentale di tale tempo caratteristico Î il dA | Ì | na ® — 296 — aveva dato il valore più elevato, ha infaiti come periodo di riduzione della attività a metà, 143 giorni (1). Può darsi che la cifra da me ora data per la costante di disintegra- zione del radiotorio debba venire alquanto modificata in seguito ad ulteriori esperienze; non credo tuttavia che il valore definitivo si scosti notevolmente da quello presentemente da me dato, e ciò a causa della buona concordanza dei valori trovati sperimentalmente con quelli calcolati applicando la nota formola, come risulta dalla tabella III. Rimane peraltro da chiarire quale possa essere la causa della disattiva- zione relativamente più rapida che si è verificata durante il primo mese e mezzo della permanenza del radiotorio nell’apparecchio. Credo di aver eli- minato tutte le cause di errore, e non ho potuto trovare alcuna spiegazione al fatto suddetto, a meno di ammettere che nel preparato da me esaminato esistesse, oltre al radiotorio, un’altra sostanza radioattiva a disintegrazione più rapida; tale sostanza dovrebbe evidentemente essere un prodotto di disintegrazione della famiglia del torio, probabilmente intermedio tra que- st'ultimo corpo ed il radiotorio, e ciò per la ragione che negli idrati estratti dai sedimenti di Echaillon, esaminati durante i primi mesi successivi alla loro preparazione, il rapporto tra l'attività diretta, misurata dall'emissione di raggi «, ed il potere emanante, è sensibilmente uguale a quello che si osserva nel caso dell'idrato di torio allo stato di equilibrio radioattivo. Il prodotto ipotetico in questione, il quale troverebbesi nei sedi menti di Echaillon insieme al radiotorio, e che ne verrebbe estratto del tutto o in parte col procedimento Angelucci, dovrebbe infatti esistere anche nel l’idrato di torio ordinario, giacchè se non vi si trovasse non si spiegherebbe la costanza sud- detta del rapporto tra attività diretta e potere emanante. Bisogna tuttavia notare come allo stato attuale della questione sia del tutto prematuro il voler contemplare questa interpretazione se non come unz semplice possibilità. È mia intenzione chiarire questo punto con ulteriori esperienze, e cioè estraendo dai sedimenti di Echaillon un preparato di radiotorio col metodo di Angelucci ed osservando poi come varino da quel momento in poi la sua attività ed il suo potere emanante; ciò servirà se non altro a verificare i risultati da me ora dati in riguardo al valore della costante di disintegrazione del radiotorio. Se si verificasse di nuovo una caduta rapida, analoga a quella di cui sopra, sarebbe facile accertare col metodo di Bragg e Kleeman se tale effetto sia realmente dovuto alla presenza di un prodotto radioattivo diverso da quelli già conosciuti. (!) S. Curie, Phys. Zeit., 1° marzo 1906. — 297 — Fisica. — Della tonizzazione dei gas in rapporto alla loro temperatura ('). Nota del dott. A. GaLLAROTTI, presentata dal Cor- rispondente A. BATTELLI. 1. Studiando la ionizzazione dei gas mediante i raggi Roentgen, Perrin per il primo (*) cercò quale relazione passasse fra l’ intensità della ionizza- zione di un gas e la sua temperatura. Dalle sue esperienze eseguite fra ì limiti di temperatura — 12° e + 145° egli conchiuse che la ionizzazione di un gas, di cui si tenga costante la densità, è proporzionale alla sua temperatura assoluta. Più tardi Mac-Clung (*) riprese questa ricerca con metodi diversi, e, facendo variare la temperatura da 20° a 270°, arrivò al risultato che la ioniz- zazione di un gas, a parità di densità, non dipende dalla sua temperatura. La contraddizione, in apparenza inesplicabile, fra i risultati del Perrin e quelli del Mac-Clung, mi ha indotto a rinnovare la ricerca in condizioni sperimentali più opportune (‘). Ho ritenuto anzitutto conveniente usare basse temperature: infatti, an- dando, come feci io, dalla temperatura dell’aria liquida a quella dell'ambiente, si opera fra limiti di cui uno è tre volte e mezzo circa maggiore dell'altro, mentre i precedenti sperimentatori non arrivavano a raddoppiare la tempe- ratura assoluta. Se quindi c è variazione della ionizzazione colla temperatura, essa sarà più sensibile nel primo caso. Di più, siccome in queste ricerche sì tratta di misurare quantità pic- colissime di elettricità, è utile che l'isolamento sia eccellente: ho creduto di raggiungere questo scopo valendomi per le mie misure di due elettroscopi, invece di usare, come facevano Perrin e Mac-Clung, un elettrometro a qua- dranti: ho potuto così evitare fili di comunicazione, tasti, ecc., e far in modo che nessuna parte dell'apparecchio restasse esposto all'aria libera: ho ottenuto così un isolamento quasi perfetto, e di più una semplificazione nelle misure. (!) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Fisica della R. Università di Pisa, diretto dal prof. Battelli. (*) Annales de Ch. et de Phy., XI, pag. 496, 1897. (3) Phil. Mag., V. 7, S. 6%, pag. 81, 1904. (*) Mentre erano in corso le mie esperienze, è comparso un lavoro del sig. Herweg sullo stesso argomento (Ann. der Phisik, vol. 19, pag. 333, 1906). L’Herveg ha ripetuto, collo stesso metodo e cogli identici risultati, l’esperienze di Mac-Clung, spingendosi da + 20° fino alla temperatura di 400° C. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 39 ogg — 2. Descrizione dell'apparecchio. Un cilindro C di rame del diametro di cm. 8 e della lunghezza di cm. 7 portava saldati al suo coperchio tre tubi di ottone, indicati in figura (fig. 1) colle lettere £,, 42, 43. Pel tubo /,, leggermente inclinato, chiuso superiormente da una lamina di alluminio e inferiormente da un disco di piombo con una sottile fessura rettangolare, passavano i raggi Roentgen che andavano a” ionizzare l’aria com- en all ‘ele lrescopio DIG presa tra due piccoli dischi di nickel D e D' interni al cilindro e distanti fra loro circa 2 cm. Questi dischi erano sostenuti da due aste di ottone, di cui una era saldata al coperchio stesso del cilindro che era a terra, l’altra invece attra- versava un lungo tappo d’ebanite, avvitato al tubo #, ed andava a comuni- care con un elettroscopio. Il tubo #, molto sottile, poneva in comunicazione il recipiente C con un manometro ad aria libera che (fig. 2) era costituito da due tubi di vetro di circa 10 cm. di lunghezza, collegati da un tubo di gomma: uno dei tubi era fisso, l’altro era portato da un corsoio mobile che permetteva di mante- nere il mercurio nel tubo fisso sempre allo stesso punto: così il volume — 299 — dell’aria racchiusa nel cilindro rimaneva costante. Dalla differenza di livello del mercurio nelle due branche del manometro potevo dedurre la temperatura dell’aria contenuta in O. Siccome era necessario mantenere costante la densità dell’aria conte- nuta nel cilindro, dovetti realizzare una perfetta tenuta. Per ottenere ciò, il tubo &, portava una ghiera metallica, e la lamina di alluminio era stata fortemente compressa con un ordinario premistoppe, fra due anelli di piombo. Il tubo #, avvolgeva il tappo d’ebanite, avvitato al suo estremo inferiore, per una lunghezza di circa 20 cm. in modo che fra esso e l’ebanite restasse un anello cilindrico in cui versai del mercurio. Il tubo # era connesso alla branca fissa del manometro con un tubo di gomma a pressione. BIG2, Il recipiente C, mediante un'asta ben rigida, era unito a un sostegno mobile, in modo che, quando si voleva raffreddare, poteva essere abbassato dentro un Dewar in cui versava l’aria liquida. Le misure erano fatte con due elettroscopi entrambi racchiusi in casse di piombo per proteggerli da ogni azione esterna. Un'asticella orizzontale L, che si poteva avvitare a una sferetta fissata all'estremo dell'asta A, poneva in comunicazione l'elettrodo D con uno degli elettroscopi (che chiamerò elettroscopio I). Un tubo metallico, piegato a gomito, proteggeva la parte esterna del tappo d’ebanite e dell'asta 4 e accompagnava l'asta / fin dentro la custodia di piombo dell’elettroscopio (fig. 3). L'aria contenuta nel cilindro C era stata essiccata per evitare che, du- rante il raffreddamento, si depositasse dell’acqua sull’ebanite interna. Così l'apparecchio trovavasi nelle migliori condizioni per un buon iso- lamento, come m'’accertai di fatto, poichè, caricato l'elettrodo D connesso al- Aa l'elettroscopio, in modo da rendere la foglia d'oro quasi orizzontale, dopo 54 ore l'elettroscopio non era ancora completamente scarico. Ad una gran lastra di piombo piegata ad angolo retto era fissato il so- stegno del tubo focus. In questa lastra erano praticati due fori; per uno usciva un primo fascio di raggi Roentgen, che penetrava nel tubo ti, e quindi ionizzava l’aria fra i dischi D e D'; per l'altro usciva un. secondo fascio che penetrava, per una fessura praticata sul coperchio, nella cassa di piombo contenente l’altro elettroscopio (elettroscopio II). Fic. co Questo era affatto analogo al primo, solamente ad esso era unito un condensatore piano E E’, come mostra la fig. 4. I raggi Roentgen penetrando dalla fessura ionizzavano l’aria fra i dischi E ed E. Le foglie d’oro degli elettroscopi venivano osservate mediante due can- nocchiali muniti ciascuno di un micrometro oculare, con 50 divisioni di mm. 0,1 l'una. L’elettroscopio II era stato campionato in modo che la divisione O del micrometro corrispondeva al potenziale di 150 volta, e la divisione 50 al potenziale di 246 volta; e, siccome ad occhio potevo apprezzare benissimo la mezza divisione, potevo conoscere a meno di 1 volta il potenziale relativo a — 301 — ciascuna divisione della foglia d'oro nell'intervallo corrispondente, alle 50 divisioni del micrometro. i Gli elettroscopi venivano caricati con una pila a secco, e, per evitare il rinnovamento dell’aria nelle casse di piombo, e render quindi minima la di- spersione, due conduttori isolati che si potevano mettere, quando si voleva, in comunicazione cogli elettroscopi, permettevano di caricarli senza aprir le casse. Fu mia cura verificare che, quando in un modo qualunque veniva impe- dito ai raggi Roentgen di penetrare nel tubo /, e nella cassa racchiudente l’elettroscopio II, nè i raggi stessi, nè il rocchetto che azionava il tubo Roent- gen avevano azione alcuna sulle foglie dell'elettroscopio. E K Terra Fic 4. 8. Supponiamo di aver caricato entrambi gli elettroscopi e di far agire i raggi per un tempo / tale che la foglia d'oro dell’elettroscopio I passi dalla posizione corrispondente ad una determinata divisione a quella corri- spondente ad un’altra divisione, pure fissa, del micrometro. Se l'isolamento dell'apparecchio è buono, tale deviazione è puramente dovuta all’azione dei raggi. Supponiamo di restar sempre nei limiti di po- tenziale per cui si ha la corrente di saturazione fra i dischi D e D'. Allora l'abbassamento di potenziale .4 V, corrispondente al passaggio della foglia dall'una all'altra posizione, è, com’ è noto, proporzionale al numero di ioni generati nel tempo impiegato a produrli. Ma il numero di ioni generati in questo tempo è proporzionale al tempo stesso #, e all'intensità media di ionizzazione I, durante lo stesso intervallo. D'altra parte I dipende da due fattori; cioè, l'intensità media S del fascio di raggi, e il potere ionizzante dei raggi stessi. Questo farà una fun- — 302 — zione incognita delle condizioni fisiche del gas; nel mio caso, poichè la den- sità è costante, farà una certa funzione /(T) della sola temperatura assoluta del gas ionizzato. Potrò dunque scrivere: AV=icost.2S./(T).t, e siccome tengo costante 4V, perchè tengo fisse le posizioni iniziale e finale della foglia, avrò: (1) N] =cost.2S./(T). Ma durante lo stesso tempo # il secondo fascio di raggi ha agito anche sul condensatore connesso coll'elettroscopio II, e leggendo al micrometro la deviazione fatta dalla foglia d'oro, io posso dedurne, essendo l’elettroscopio campionato, l'abbassamento corrispondente di potenziale, e avrò anche qui, se fra E ed E' ho la corrente di saturazione, (2) AV; = cost. d Sì f(To)t 9 dove T, è la temperatura dell'ambiente e S, l'intensità media del fascio di raggi che agisce sull’elettroscopio II, durante il tempo #. Ponendo nella (2) per # il valore dato dalla (1) si ha Sì (To) SE Nel caso che l'aria del recipiente C si trovi alla temperatura dell’am- biente, ho T=T, e quindi” (3) AVa='‘cost. x. Sì AV,=cost.x < Î cost £ 3, e, nel caso di 5 costante (4) AV,= cost. A priori non si può affermare che il rapporto Di dell'intensità dei due fasci di raggi si mantenga invariato; ma nell'impossibilità in cui ero di far agire un sol fascio di raggi su tutti due gli elettroscopi, dovetti conten- tarmi di verificare sperimentalmente la costanza di quel rapporto, facendo una serie di esperienze alla temperatura ordinaria, nel qual caso, per la (4), AV deve essere costante. Trovai effettivamente che, mentre il tempo /, impiegato dalla foglia dell’elettroscopio I a passare dall'una all'altra delle posizioni prefissate, va- riava in modo abbastanza rilevante, da una lettura all'altra, indicando che variava l’intensità del fascio ionizzante, il 4/V, si manteneva costante, entro i limiti degli errori di osservazione. — 303 — Si può quindi, per la (3) ritenere il ZV, affatto indifferente dall’ inten- sità della sorgente dei raggi e dato dalla formula (5) AV,= cost. (La) f(1)S La questione è dunque ridotta ad operare nei limiti di potenziale per cui si ha la corrente di saturazione. Ora questa si ottiene nel caso delle ionizzazioni più intense raggiungibili, quando il campo elettrico è di 500 volta. Jo era ben lontano da questo valore. I campi elettrici da me adoperati andavano da un massimo di 120 volta a un minimo di 75 volta, Ma Yintensità del campo necessario a produrre la corrente di satura- zione fra due elettrodi è tanto minore, quanto minore è l'intensità di ioniz- zazione, se quindi questa è sufficientemente piccola, anche con campi deboli si può avere la corrente di saturazione. Ora io avevo indebolito l'intensità dei due fasci di raggi, facendoli pas- sare attraverso foglie di stagnola, in modo da ridurre grandemente la velocità con cui si scaricavano gli elettroscopi, fino a rendere gli abbassamenti di po- tenziale in essi sensibilmente proporzionali ai tempi impiegati a produrli. In tali condizioni ero certo di esser molto prossimo alla corrente di saturazione. 4. Grazie all'isolamento buonissimo dell'apparecchio e degli elettro- scopi, nel breve intervallo di una lettura (circa 3’), non vi era dispersione apprezzabile di cui tener conto. Determinai anzitutto la costante della for- mola (5), poi raffreddavo il recipiente C, immergendolo completamente nel- l'aria liquida, e facevo una serie di misure a questa temperatura. Lasciavo poi che l’aria liquida evaporasse del tutto — il che richie- deva circa 5 ore — e facevo una serie di misure a temperature via via cre- scenti fino alla temperatura dell'ambiente. Eseguii parecchie serie di tali determinazioni, e per il 4V, corrispon- dente a ciascuna temperatura presi le medie dei valori trovati per 4V, 2 quella stessa temperatura nelle diverse serie. I risultati sono dati dalla seguente tabella: T | av av — 186° 53 — 88° 50,6 — 152° 52 ME 50° 52,2 — 140° 51,2 | — 20° 53,2 — 904 — È quindi confermato il risultato di Mac-Clung, che la ionizzazione di un gas, a parità di densità, non dipende dalla sua temperatura. 5. Ho esteso la ricerca al caso in cui l'agente ionizzante sia il radio e a tal uopo mi son servito dello stesso apparecchio usato quando l'agente ionizzante era costituito dai raggi Roentgen. Ho soppresso l’elettroscopio II, poichè l'intensità della radiazione è in questo caso sensibilmente costante. Tutto si riduceva quindi a misurare il tempo necessario a far passare la foglia d'oro dell’elettroscopio connesso col- l'apparecchio da una certa divisione del micrometro ad un’altra pure fissa. L'inversa di questo tempo è proporzionale all'intensità di ionizzazione. Il radio era racchiuso in un pesante blocco di piombo cilindrico, alto cm. 12 e del diametro di 12 cm.; i raggi uscivano per uu sottile foro pra- ticato nel piombo. . Ho notato però che i raggi passavano anche la massa del piombo in tutte le direzioni, e ne uscivano con ancora sufficiente energia da penetrare nell’apparecchio, e agire quindi sull'elettroscopio. Tale azione era tutt'altro che trascurabile ; infatti, quando il radio era vicino all’apparecchio, senza che i raggi penetrassero nel tubo t,, avevo per la foglia dell’elettroscopio, una deviazione di 7 divisioni in circa 9"; quando i raggi penetravano nel tubo #, la deviazione era di 22 divisioni circa nello stesso tempo. In queste condizioni l’azione perturbartrice era certo troppo forte per poter trovare il modo di variare della ionizzazione colla temperatura, se va- riazione ci fosse stata, ma non impediva di accertare l’esistenza di una variazione o di verificare la costanza della ionizzazione. Misurando il tempo impiegato dalla foglia d’oro per passare dalla divi- sione 49 alla 27, ho trovato, a diverse temperature, i valori seguenti : T= — 187 t (in secondi) = 535 T=— 63 t ” = 590 T=+ 10 t n i blo==1525% Si può quindi ritenere che anche nel caso che l’agente ionizzante sia il radio, l'intensità di ionizzazione non dipenda dalla temperatura del gas ionizzato. Fisico-chimica. — Ricerche sopra i solventi SO, e HS liquefatti. Nota di G. MAGRI, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica terrestre. — Confronto degli areometri ad immersione parziale e ad immersione totale per la misura della densità dell’acqua di mare. Nota di Lupovico MARINI, presentata dal Cor- rispondente A. SELLA. La misura della densità dell’acqua di mare entra tra le misure fisiche di precisione, giacchè se ne richiede la esattezza sino alla quinta deci- male (*). L'unico metodo però che può seguirsi per farne la determinazione diretta a bordo di una nave o per l’uso corrente nelle stazioni marine ordi- narie di osservazione, è quello dell’areometro; onde, essendo note le nume- rose obbiezioni alle quali va soggetto questo metodo, si intende come la discussione di esse e la ricerca del modo di evitarle formi argomento molto interessante per la talassologia e abbia dato origine a studi importanti di eminenti scienziati (?). Nansen, nell'esame dei risultati della sua celebre spedizione polare, dimostrò che la causa principale degli errori delle misure areometriche è la variazione dell’azione che la tensione capillare del liquido esercita intorno all'asta dello strumento nel tratto di affiorameno, e propose il rimedio radi- cale di eliminarla completamente, facendo totalmente immerso l’areometro. Egli non era a conoscenza che la medesima proposta era già stata fatta per le medesime ragioni dal Pisati () e dal Warrington (4). Il Thoulet tuttavia, nel rapporto sulle densità dell’acqua di mare determinate nel viaggio della Belgica (*), ritiene esagerati gli apprezzamenti del Nansen e seguita a dare la preferenza agli areometri ad immersione parziale. Poichè il Nansen aveva dimostrato solo teoricamente i vantaggi degli areometri ad immersione to- tale, ho riputato non riuscire inutile alla decisione di una questione così importante un confronto sperimentale diretto dei due tipi di areometri. Come areometro ad immersione parziale ho fatto uso di uno del tipo del Challenger delle seguenti dimensioni: dell’asta del corpo della bolla totale zavorrata lunghezza cm. 12,0 Cmi8,5 cem. 4,5 cm. 85,0 diametro ” 0,4 ». 3,4 3 03:0 — (1) Nansen, Ze Norwegian North polar Expedition. Scientific results., vol. III. () Marini, Intorno agli areometri per la misura della densità dell’acqua di mare. (3) Reggiani, Gli areometri ad immersione totale sistema Pisati, Rend. dell’Acc. dei Lincei, 1890. (4) Warrington, Yydrometer of total immersion. Phylosophical Magazine 5, XLVIII (1899) pag. 498. (3) I. Thoulet et H. Arctowski, Résultats du voyage du s. Y. Belgica en 1897 99. Rapport sur les densités de l'eau de mer. RenpICONTI, 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 40 — 306 — Secondo una verifica delle costanti dello strumento, fatta presso l'ufficio eentrale metrico in Roma, il volume a 0°C dello strumento sino alla divi- sione superiore (0) è: cme. 157,6228; quello medio di una divisione della scala cme. 0,012455; il coefficiente di dilatazione cubica: 23,251 X 1075. L'areo metro è fornito di un piattello di alluminio che sì infila sulla som- mità dell'asta e di sei sovrappesi di ottone i cui pesi differiscono di circa gr. 0,8 ciascuno dal successivo. Dalla gentilezza del prof. Ascoli, successore del Pisati nella cattedra di fisica tecnica presso la scuola d'applicazione per gl'ingegneri di Roma, ebbi due modelli della parte in vetro. dell’areometro Pisati ad immersione totale a densità variabile, costruiti dall'autore stesso, rimasti ancora aperti, che chiusi e tarai convenientemente. Le loro dimensioni, indicandoli rispet- tivamente con A, e An sono: Ai Au lunghezza diametro lunghezza diametro dell’asta CORIO, cm. 0,3 cm. 2,8 cem. 0,4 del corpo » Di » 1,5 » 4,7 » 3,0 della bolla ilo CERI 995) midi LIE SY totale » 8,8 no 9 Dai giornali di laboratorio potei apprendere le particolarità del metodo di sperimentare usato dal Pisati stesso, delle quali la più importante sta nella scelta dei pezzi che costituiscono la pesiera. Giungendo la sensibilità dell’ istrumento a mgr. 0,2, ma essendo molto difficile la costruzione esatta, la conservazione ed il maneggio di pezzi di platino di così piccolo peso, egli limita questo al minimo di 100 mgr. e fa gli ultimi pezzi della serie dif- ferenziali a mgr. 0,2. Per la deteminazione della densità dell'acqua di mare è suggerita sufficiente la seguente serie: mgr. 1000 500 — 200 — 200' 190 — 180 — 170 — 160 — 150 — 140 — 130 — 120 — 110 109 — 108 — 107 — 106 — 105 — 104 — 103 — 102 — 101 100,8 — 100,6 — 100,4 — 100,2 100 — 100'. In tal modo si può ottenere l’esatto aggiustamento dell'equilibrio con i soli pesi e si può con essi formare qualunque combinazione e raggiungere qualunque densità dell'acqua di mare, purchè lo strumento sia zavorrato in modo che, per raggiungere l'equilibrio alla minima densità da misurare, debba essere caricato di almeno 300 mgr. Per la costruzione di questa pesiera mi servii di quattro lamine di platino di diverso spessore, di ciascuna delle quali determinai il peso speci- — 3907 — fico col metodo della bilancia idrostatica. Ai singoli pezzi detti la forma di rettangoli con foro centrale circolare. Nel ritagliarli cercai di accomodarli il più possibile al loro valore nominale e, preparatili tutti, determinai di cia- scuno il peso nel vuoto per confronto con i pezzi di una pesiera che prece- dentemente avevo campionato (!) e ne calcolai il volume a 0° C. Gli errori probabili nelle determinazioni dei veri pesi oscillano tra + mgr. 0,002 e == mgr. 0,005; la somma totale. dei loro valori assoluti ascende a mgr. 0,097. Indicando con P il peso dell’areometro, con p quello dei sovrappesi ag- giunti per ottenere l'equilibrio esatto di esso completamente immerso nel saggio da cimentare, con V, e v, i corrispondenti volumi a 0°C., con £ la temperatura di osservazione, con @ e f i coefficienti di dilatazione cubica del vetro e del platino, la densità d, del saggio, alla temperatura 4, sarà data dall'espressione : (i) iL Vo(14 e0)+ vo(14-8%) Quindi, oltre al peso e volume a 0° dei sovrappesi, al valore di #, che dalle tavole delle costanti fisiche è dato 8 = 27 X 1079, è necessario cono- scere esattamente anche il peso e il volume a 0°C. della parte in vetro del- l'areometro e il suo coefficiente di dilatazione cubica. Determinati con la necessaria esattezza i pesi nel vuoto dei due areo- metri, risultarono : A, = mgr. 13933,690 # 0,007 Ay= mgr. 30404,926 = 0,008 Per la determinazione di V, e di « eseguii una serie di misure con acqua distillata a diverse temperature. Poichè i due areometri erano stati tarati secondo le prescrizioni indicate dal Reggiani nella Nota citata, cioè appena galleggianti nell'acqua distillata a 30° C., non potevano essere cari- cati alla più alta temperatura di osservazione, circa 35°C., di 300 mgr., onde non potei operare variando gradatamente la temperatura e aggiustando a brevi intervalli, l'equilibrio dell’areometro mediantei sovrappesi, ma dovevo stabilire un dato peso e variare gradatamente la temperatura sino a rag- giungere l'equilibrio, quindi passare al peso disponibile successivo nella serie e ottenere di nuovo l'equilibrio col cambiamento di temperatura, e così di seguito. Per la grande capacità del bagno posto attorno al recipiente che (1) Essendo necessario conoscere il valore assoluto dei singoli pezzi di questa pe- siera, furono fatti campionare presso l’ufficio centrale metrico di Roma quello da gr. 1 ed uno da gr. 0,5 di un’altra pesiera. Per la determinazione delle frazioni del grammo potei stabilire così due sistemi di equazioni dai quali ricavai per il cavalierino, in fun- zione del quale espressi i valori di tutti gli altri pezzi, i valori: mgr, 10,1076 e mgr. 10,1079 che depongono bene in favore dell’esattezza delle misure. — 308 — conteneva l’acqua distillata bollita in cui erano immersi gli areometri, le variazioni di temperatura erano molto lente, sicchè per una serie completa da 5° C. a 25°C. occorrevano non meno di nove ore. Sperimentando in questo modo con le necessarie precauzioni, potei avere la lettura della tem- peratura di equilibrio intorno ai 30° C. ben esatta a meno di 0°,05; a tem- perature più basse non potei raggiungere tale esattezza ma le variazioni pure della densità dell’acqua sono più lente. Per la lettura delle temperature feci uso di un termometro Alvergniat (n. 69725) diviso in decimi di grado, campionato all’ufficio centrale metrico. Eseguii sei serie complete di osser- vazioni, tre con temperatura crescente e tre con temperatura decrescente, fa- cendo le letture sempre con i medesimi sovrappesi, per ciascuno dei quali presi la media delle temperature osservate. Ponendo questi valori al posto di P+-p e di # nell'equazione (1) e al posto di d, in essa la densità del- l'acqua distillita ricavata dalle tabelle delle costanti fisiche, ebbi una serie di equazioni della forma: O, — eu di vo(148)=V dalle quali ricavai i valori di V, alla temperatura di osservazione, tanto per l'uno che per l’altro areometro. Da questi mediante la Vit Voet —V,=0 da venti equazioni di condizione per l'A, e da dieci per l'A,, col metodo dei minini quadrati, calcolai i valori più probabili delle costanti V, ed a. Essi sono: r ai Vor=mme. 14058,736 = 0,967 Per Ar | @ =0,00002886 (1) or A f Voremme. 30661,898 = 0,804 Der An ) @ —0,00002942. Nei confronti, per l'uso dell'areometro Challenger, il saggio da cimentare era introdotto in uno dei cilindri, che ordinariamente sono forniti insieme all'istrumento medesimo, di cm. 85 di altezza e di cm. 6,7 di diametro, di vetro molto spesso. Per gli areometri Pisati il recipiente aveva cm. 12 di altezza e cm. 8 di diametro ed era di vetro molto sottile. Per la misura delle temperature ho impiegato sempre, oltre all’Alvergniat, un altro termo- metro, confrontato con il primo, posti col bulbo 1’ uno in alto l’altro in basso nel recipiente. Non ostante il lentissimo variare della temperatura del la- boratorio, nel cilindro dell’areometro Challenger ho trovato sempre differenze tra le indicazioni dei termometri. da 09,03 a 0°,2 mentre che nell'altro la (1) Vetri di così forte coefficiente di dilatazione non sono certo i più adatti per questi usi: come è mostrato dal Krimmel, è preferibile il borosilicato 59”. — 509 — temperatura tanto in alto che in basso era la medesima. Ciò si deve attri- tribuire principalmente al fatto che nel primo recipiente le variazioni di temperatura dell’acqua avvenivano quasi esclusivamente attraverso la super- ficie libera del liquido e quasi affatto attraverso le pareti del cilindro e che l'eguagliamento della temperatura degli strati superiori ed inferiori era pure lenta per l'altezza del vaso e per il poco mescolamento del liquido. Nell’altro invece attraverso la sottile parete del recipiente l’eguagliamento della temperatura tra l'esterno e l'interno era più rapida e si effettuava su tutta la superficie, ed inoltre è da notare che l'altezza era minore ed il mescolamento del liquido più frequente per il salire e scendere degli areo- metri e per il ricambio dei sovrappesi adoperati: tutto ciò nelle con- dizioni di costanza. della temperatura. dell'ambiente costituisce un van- taggio, che potrebbe invece costituire uno svantaggio nel caso di rapida va- riabilità di temperatura del laboratorio. Allora riuscirebbe preferibile il primo recipiente ed in generale bisognerebbe isolare il più possibile il ci- lindro in cui sono gli areometri dall'ambiente esterno a temperatura varia- bile o circondandolo con uno dei soliti bagni a temperatura costante, o più semplicemente, in casi non eccezionali, anche con buon risultato, secondo la mia esperienza, di un rivestimento di sostanza cattiva conduttrice del calore, come feltro. Per ottenere il valore più attendibile della densità dei saggi cimentati, mi sono servito di un termopicnometro il cui termometro, diviso in quinti di grado, ho confrontato con il termometro Alvergniat campionato. Anche di questo picnometro ho determinato il volume a 0° C. e la dilatazione al solito modo per pesate, riempiendolo mediante aspirazione di acqua distillata bollita a varie temperature. Con esso determinava il peso specifico di ogni saggio di acqua studiato al principio e alla fine della serie di confronto con gli areometri. Per brevità non trascrivo qui un gran numero di osservazioni che val- gano a dimostrare ciò che è già noto, l'influenza che hanno sulle indicazioni degli areometri ad immersione parziale lo stato di nettezza della superficie del liquido e dell'asta dello strumento, la secchezza di questa, l’introduzione e-la remozione dei termometri, e, ciò che era facilmente prevedibile, l’indi- pendenza da queste medesime cause di errore delle indicazioni degli areo- metri ad immersione totale; mi limiterò a riportare due serie più caratte- ristiche che servono ad illustrare le conclusioni che possono trarsi dai nume- rosi confronti che ho eseguiti. — 310 — Sacero N. 5. Densità, ridotta a 0°C.(!) determinata col picnometro. Prima dell'esame con gli areometri . . . . 1,028792 Dopoxdl:esame;.. 1 ai n.0. i a peeR028809 Media; vini. LA 23800. Densità, ridotta a 0°C. determinata con gli areometri Pisati. A; Lasciati termometri immersi durante le mi- sure. con. l'areomegiols "00.000, sL0100 28825 Termometri sestrattibi. 00% 00.) 0000. 705028807 Id. id. il cieli 029899 Media. ::;.' Alf . 1,028824 A, Lasciati termometri immersi cdi ia mi- sura; con;l'areometro.. 0 Liu a SI0288141 Termometri: estratti. 0 0 0004 di 11028809 Id. id. dn di olalas Rotari i028302 Mediai.;: e 10,070 VV RR20 28303 Densità, ridotta a 0°C. determinata con l’areometro Challenger. Estratti termometri prima di far la lettura del- l'areometro:.. «Me. 7 ini nisi 029893 Dopo 5 minuti ripetuta (a come sopra. . 1,0233847 Estratto areometro, lavato ed asciugato con carta da filtro, fatta lettura sempre estraendo prima termometri. . . . . fitto 4413028802 Passata sulla superficie del liquido e attotno al- l'asta dell’areometro carta da scrivere pulita OUSOCCAR ILL iv età do 9028830 Nettata superficie con A n filtro. sogni 15028827 Media... (cafe Li 028858 Saggio N. 14. Densità, ridotta a 0° C. determinata col pienometro. Prima dell'esame con gli areometri . . . . 1,028945 Dopo l'esame: « ©.ifni: ". . 0 Li 01029900 Media... e 0238949 () Le riduzioni dalla temperatura di osservazione a quella di 0°C. sono state fatte mediante le Hydrographische Tabellen di M. Knudsen. — sSll — Densità, ridotte a 0° C. determinate con gli areometri Pisati. 1,028940 AMBER ie e ini. . st 01.028958 1,028957 Mediateca ea E 1,028952 1,028959 1,028933 | 1,0285949 MEDIA III (OE 1,028947 LO Densità, ridotta a 0°C. determinata con l'areometro Challenger. I i ; ; SE CE 1,0292831 Letture eseguite lasciando immersi i termo- 1,0291983 Ieri: 1,029197 Mediana Poca... RO 1,029207 Letture fatte estraendo ogni volta Ì termometri DIO prima di fare la lettura dell’areometro. 1.029090 MICI ORGE. MIO Si FO 1 029048 Letture fatte con nettametro della superficie del liquido: ; Dopo la 1 serie con termometri immersi, la- Sciando questi immersi. .. . Mfdieo:. 1,0238993 Dopo la 2* serie estratti i termometri . . . 1,028972 ” ’ “> ’ Me 1025995 Media bifstià e: SaGraso, nto. ‘Mep: 001.0289988 » L'esame del saggio n. 5 non depone in favore degli areometri ad im- mersione totale, come poteva attendersi, giacchè gli errori, cioè le differenze dei valori della densità ottenuti con questi strumenti e quello più atten- dibile dato dal picnometro, ci si presentano sempre del medesimo segno e, specialmente per l'A, non piccoli. Non depone invece sfavorevolmente per gli areometri Challenger giacchè mostra una perfetta concordanza dei valori della densità ottenuti nelle diverse condizioni sino alla quarta decimale ed errori solo nella quinta il che dipende evidentemente dall'aver usato ‘sempre il medesimo metodo rispetto alla immersione e remozione dei termo- metri. Riguardo ai valori avuti per mezzo del picnometro, il riscontrarli sempre maggiori dopo l'esame con gli areometri dà indizio di una leggera concentrazione del saggio durante le osservazioni in causa di evaporazione non ostante la cura avuta di tenere sempre coperto il recipiente che lo con- teneva quando non si facevano osservazioni. Questa medesima serie conferma SE] l'influenza delle condizioni della superficie dell'areometro e l’azione del net- tamento di quella del liquido e della porzione di affioramento dell'asta, come insegna il Nansen, anche semplicemente mediante ordinaria carta da scrivere o con ben pulita carta da filtro. La diversità degli errori dipende dal diverso sviluppo che assume il menisco attorno all'asta il quale è normale, al suo massimo valore, nel caso di un perfetto bagnamento, quando la superficie del- l’asta e del liquido sono perfettamente nette. Allora l’areometro scende alla sua posizione più bassa, il che riduce al minimo il valore della densità che si ottiene. Il valore perciò minimo 1,028827 osservato alle migliori condizioni dobbiamo considerarlo relativo allo sviluppo normale, completo del menisco di acqua di mare attorno all'asta dell'areometro. Anche esso però contiene un errore, giacchè tutte le densità scritte relative alle osservazioni con l’a- reometro Challenger, ridotte a 0° C. sono calcolate senza tener conto del peso del menisco aderente all'asta. Se ne può tener conto per mezzo dei valori della costante di capillarità dell’acqua di mare dati da Krimmel (') per ogni temperatura e salinità. Nel nostro caso l'osservazione era stata fatta alla temperatura di 13°,76 U. e si era avuto: dino = TETS0OSI = 1,026927 che ridotta a 0° C. dà appunto 1,028827. Dalle Hydrographische Tabellen si ha che a questa densità corrisponde la salinità 19,86 °/so, onde dalle tabelle di Krilmmel ricaviamo il peso del menisco corrispondente al raggio dell'asta dell'areometro usato, essere mgr. 96,50. Aggiungendo questo al numeratore 161641.64 157309,61 valore che più degli altri differisce da quello del picnometro. Ciò dipende dal fatto che del menisco si è tenuto conto solo nel numeratore cioè è stato trascurato di considerarlo nella determinazione del volume a 0° C. dell’areo- metro. Verificati però il peso e i sovrappesi dell'areometro Challenger da me usato, ne ho voluto ripetere pure la determinazione del volume a 0° al solito modo facendo osservazioni con acqua distillata a diverse temperature e te- nendo conto nel calcolo del volume alle temperature di osservazione del peso del menisco. Ho ottenuto così per volume a 0° C. (sino alla divisione supe- riore) mme. 157720,753 + 1,03, per volume dell'asta graduata mme. 1245,320 e per coefficiente di dilatazione cubica 0,00002296 che ben concordano con quelli della verifica all'ufficio centrale metrico tenendo conto della differenza nel modo di calcolare i V,, giacchè la differenza tra i valori del volume a 0° determinati nei due modi è mme. 97,953 e, secondo i dati di Krilmmel, il peso del menisco di acqua distillata a 0° è mgr. 98,763 corrispondente ad un volume di mme. 98,776. Facendo uso di questi nuovi valori la den- Ott namoganane — = 1,0275838 che ridotta a 0° dà: 1,0295657 (1) Krimmel, Neue Beitrige zur Kenntniss der Ariometrie. — 313 — sità del saggio n. 5 con i dati della sesta osservazione risulta: 161641,64 157407,50 d'1316= = 1.026899, e ridotta a 0° C. 1,028797 valore il più prossimo a. quello ottenuto col picnometro. Dall'esame del saggio n. 14 viene ancora confermata la grande diver- sità di risultati che si ottengono con gli areometri ad immersione parziale operando in modo diverso. Ma di più viene mostrato come è del tutto illu- soria la dimostrazione della tiducia da prestare ai dati areometrici basata sul calcolo dell'errore probabile ricavato dalle differenze tra i valori delle singole osservazioni e quello della loro media, giacchè se si opera sempre allo stesso modo si ottengono visultati abbastanza concordanti tra loro che tuttavia possono pure molto differire dal vero valore. Ed ancora che il me- todo più sicuro per ottenere buoni risultati è di avere cura del perfetto svi- luppo del menisco del liquido attorno all'asta, col rendere e mantenere netta la superficie del liquido e del’asta, e ciò ancorchè i termometri si lascino immersi. Applicando la correzione completa come sopra ai valori mi- nimi più attendibili, se ne ottiene come media 1,028954, ben concordante con l'indicazione fornita dal picnometro e molto poco differente da quella degli areometri ad immersione totale. Anche solamente da questi esempi addotti si può rilevare che se gli areometri ad immersione totale vanno esenti da quelle cause di errore che producono spesso tanta diversità di risultati con gli areometri ad immersione parziale, anche questi però, usati razionalmente con le necessarie precau- zioni, possono condurre a risultati ugualmente buoni e degni di fiducia. Ma non è a credere che abbastanza facilmente e sollecitamente si riesca ad ottenere dagli areometri ad immersione totale i buoni risultati che essi possono dare: anche nell'uso di questi si presentano gravi cause di errore. Una principale è prodotta dalle bollicine di aria che rimangono aderenti ai sovrappesi e nascoste tra l'uno e l’altro di essi, che riescono quindi molto difficili ad essere scoperte e cacciate via e richiedono ad ogni modo una energica agitazione e sempre un tempo molto lungo prima di esserne com- pletamente al sicuro. Un'altra è inierente al metodo stesso di sperimentare. Data la grande esattezza che si ha in vista di raggiungere e la grande sen- sibilità dell’istrumento, si presentano due vie da seguire o rendere molto grande il numero dei sovrappesi facendo questi molto poco differenti l’ uno dal successivo, come nella pesiera Pisati, ovvero raggiungere il perfetto equi- librio mediante variazioni di temperatura del liquido come propone Nansen. Ma il primo metodo richiede un tempo lunghissimo per la prova dei tanti pezzi, tanto poco differenti tra loro, l'espulsione delle bollicine di aria, per la cura necessaria all'immediato nettamento dei pezzi cambiati e per di più ReENDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 41 — 314 — durante e per queste lunghe operazioni possono avvenire cambiamenti di tem- peratura tali che si sia obbligati a tornare nuovamente indietro a riprovare pezzi prima rifiutati. L'altro metodo, oltre a richiedere anche esso non breve tempo, porta agli errori, tanto lamentati, derivanti dalle variazioni di tem- peratura del liquido. Ne segue che, per ottenere con un areometro ad im- mersione totale risultati dei quali si possa fidarsi, occorre tranquillità e tempo grandissimo, tempo per una sola determinazione molto maggiore di quello che si richiede per fare con un discreto areometro ad immersione parziale anche dieci buone misure dalle quali si possa ricavare un risultato che rag- giunga l'esattezza richiesta. Nell'uso quindi corrente di bordo e delle sta- zioni marine ordinarie di osservazione è da attendersi molto più facilmente il raggiungimento sicuro delle condizioni per buone misure con areometri ad immersione parziale che con areometri ad immersione totale. Nella pra- tica sono quindi preferibili i primi ai secondi. È evidente senza altro che bisognerà in ogni modo mettersi nelle mi- gliori possibili condizioni: riconosciute cioè quali sono le cause che produ- cono errori col tipo di areometro scelto, si dovrà cercare di evitarle per quanto si può. E poichè la causa principale di errore sta appunto nelle varia- zioni dell’azione capillare attorno all'asta, si dovrà far sì che queste siano le minime possibili. A tale scopo conviene fare di platino, come suggeriva Nansen, l'asta dell'areometro. Se essa ricoperta di nero di platino, prima di usare l’istrumento, viene bollita con acqua distillata e quindi riscaldata al rosso, si può essere sicuri che è bene netta e bagnata perfettamente dal liquido, onde mantenendo pure netta la superficie di questo, potrà ritenersi eliminata la principale causa di errore, tanto più che essendo di platino l’asta potrà farsene il diametro minore di 1 mm. Per le ragioni innanzi esposte l'areometro dovrà seguitare ad essere ad immersione parziale e quindi l'asta dovrà essere graduata, ma la sua lunghezza potrà ridursi a 5 cm. usando per l’intero intervallo di variabilità della densità dell'acqua di mare, senza che ne derivi alcuna difficoltà pratica, tre istrumenti, uno per le mi- nori, uno per le medie ed uno per le maggiori densità. Date le dimensioni dell'asta si potrà anche notevolmente ridurre il vo- lume del corpo dell’areometro senza che esso venga a perdere in sensibilità, per il che saranno meno sensibili gli errori derivanti da possibili variazioni di volume e di dilatazione dello strumento, oltrechè ne risulterà l’altro van- taggio di poter rendere minori le dimensioni del recipiente in cui si deve sperimentare, onde saranno evitate in gran parte le differenze di tempara- tura tra le diverse parti del saggio studiato oltre a poter fare più piccole le bottiglie per attingere i saggi. 1 sovrappesi da collocare nel piattello dell’istrumento, dovranno essere scelti abbastanza poco differenti l'uno dal- l’altro in modo che con la sostituzione di uno al successivo si ottengano posizioni di equilibrio sull'asta distanti circa 1 cm. Si potrà allora seguire — 315 — nello sperimentare il metodo del Buchanan, migliorato ('), determinando me- diante esperienze preliminari i punti di affioramento a diverse temperature, con carichi diversi, nell'acqua distillata. Solo facendo uso di questi areometri e di questi metodi di misura si potranno ottenere, anche nelle condizioni più sfavorevoli, valori della densità dell'acqua di mare meritevoli di fiducia sino alla quinta decimale. Geografia fisica. — Teoria elastica delle dislocazioni tecto- niche. Nota di L. De MARCHI, presentata dal Corrisp. T. Levi-CIVITA. Geografia fisica. — II. Applicazioni geologiche della Teoria elastica delle dislocazioni tectoniche. Nota di Lurcr De MARCHI, presentata dal Corrispondente T. LeviI-CIVITA. Chimica. — Sull'ossidazione dei composti cerosi a cerici. — Sull’idrato cerico. — Sul Joduro rameoso. Note di G. A. BAR- BIERI, presentate dal Socio G. CIAMICIAN. Le Note precedenti saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Chimica. — Sopra un cobaltito cobaltoso-potassico (*). Nota di I. BeLLUCccI e F. DomInICI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Nel 1832 M. Becquerel (3), riscaldando alla temperatura del rosso, in contatto dell’aria atmosferica, un ossido di cobalto con eccesso di idrato po- tassico, osservò che si formavano. in seno alla massa fusa dell’alcali, delle laminette cristalline nere, lucenti, che egli senza analizzare ritenne dovute ad un ossido di cobalto. Parecchi anni più tardi, nel 1856, Schwarzenherg (4) riprese lo studio di questo supposto ossido cristallizzato del cobalto, riscaldando fortemente in crogiuolo di argento un ossido od anche il carbonato di cobalto insieme ad un eccesso di potassa. Dopo raffreddamento, trattando con acqua la massa (!) Buchanan, Comptes rendus de l’Academie de France, Juin, 1893, pag. 1321: Report of the sixth International geographical Congres héld in London, 1895. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Roma. (3) Annal. de chim. et phys. [2] 57, 101. (4) Liebig*s Annalen 97, 211. — 316 — alcalina, Schwarzenberg isolò le suddette laminette cristalline nere lucenti e trovò che queste non erano magnetiche, erano insolubili in acqua, solubili in acido cloridrico concentrato con forte sviluppo di cloro e contenevano oltre cobalto, ossigeno ed acqua anche delle quantità notevoli di potassa che le acque di lavaggio riuscivano ad asportare soltanto dopo arroventamento del composto. In base alle sue analisi egli assegnò a questo prodotto cristallino, seccato a 100°, la formola: 3Cog0z, K?0, 8H?°0. Nello stesso anno Pebal (') tornò a ripreparare questo composto cobal- tico, secondo le indicazioni allora dettate da Schwarzenherg, nell'intento di stabilirvi con analisi più rigorose il vero rapporto fra il cobalto e l'ossigeno. Anche il Pebal, come lo Schwarzenberg, ottenne dei prodotti cristallini con- tenenti sempre notevoli quantità di argento, derivanti dall'attacco del crogiuolo in cui si era eseguita la fusione. Queste impurezze di argento (fino al 2,53 di Ag °/, di sostanza) turbarono naturalmente i risultati analitici del Pebal; Co li tà DE egli non poté che confermare il grado di ossidazione Co? 0°, già ammesso dallo Schwarzen- berg, ed in definitiva concluse per la formola : tuttavia, eseguendo numerose determinazioni del rapporto 2008 0°, K° 0 la quale differisce, come vedesi, da quella precedente di Schwarzenherg per un maggior contenuto in potassa e per l'assenza dell'acqua. Subito dopo queste ricerche del Pebal è comparsa sullo stesso argomento una Memoria di W. Mayer (*) il quale ha eseguito in proposito una serie numerosa e svariata di esperienze, sia per quel che riguarda la durata, le modalità tecniche della fusione, i lavaggi dei prodotti ottenuti, sia per i ten- tativi riusciti vani onde elevare ancor più in alto il grado di ossidazione del cobalto, col mescolare alla potassa fondente alcune sostanze ossidanti (C1 0? K, NO? K). Il Mayer ha così ottenuto dalle singole fusioni dei prodotti di com- posizione molto svariata, contenenti sempre impurezze di argento derivanti dal crogiuolo, e per quanto i suoi risultati analitici fossero molto disparati, ha tuttavia ritenuto che al composto in questione spettasse come più pro- babile la formola già stabilita dallo Schwarzenberg: 30040270, HO in discordanza, come vedesi, con quella data dal Pebal. Dopo queste ricerche del Mayer nessun'altra Memoria, a quanto noi sap- piamo, è comparsa su tale argomento e la formola 3C0? 0°, K*®0,3H° 0, (1) Liebig's Annalen 2/00, 257. (2) Liebig*s Annalen 2/07, 266. — 317 — data da Schwarzenberg e poi confermata dal Mayer, è quella che rinviensi a tutt'oggi nei trattati a rappresentare questo composto cobaltico, essendo stata posta in disparte e con sufficiente ragione la formola di. Pebal: 2 Cox 03K30.. Esaminando le tre Memorie pubblicate dagli AA. ora menzionati, si scorge però facilmente come questi sieno incorsi in gravi difetti specialmente per quel che riguarda l'isolamento del composto cristallino dalla massa del- l’alcali ed i relativi lavaggi. Onde se ne trae la convinzione che essi abbiano analizzato composti di una stabilità transitoria, .in via di progrediente alte- razione, non rappresentanti affatto il composto originale quale formasi in seno alla potassa fusa. i Al grande interesse che in linea generale presenta lo studio delle forme superiori di ossidazione di un qualsiasi elemento si aggiunge nel caso spe- ciale del composto cobaltico di cui ci occupiamo, derivante certamente da un ossido superiore, l'importanza relativamente maggiore che offre ognora l'estendere le conoscenze intorno ai gradi più elevati di ossidazione del co- balto, in relazione con la nuova e disdicevole posizione che oggigiorno sì è costretti ad assegnare a questo metallo nella classificazione periodica degli elementi. Sotto questo punto di vista appariva perciò interessante l'iniziare delle nuove ricerche sul composto cobaltico sù mentovato, cercando di evitare gli inconvenienti nei quali, a parer nostro, sono incorsi gli antichi sperimen- tatori, in vista anche della circostanza molto favorevole che il materiale di studio si presenta in questo caso con un magnifico aspetto di sottilissime e ben sviluppate laminette cristalline. È appunto su tale indirizzo che noi abbiamo compiuto delle ricerche, i cui risultati esponiamo qui sotto nella Nota presente. Diversi erano gli inconvenienti da evitare nella preparazione e nell’iso- lamento del composto cobaltico di cui ci occupiamo. Anzitutto, come si è detto, gli sperimentatori sopra citati hanno otte- nuto costantemente dei prodotti impuri di notevoli quantità di argento, de- rivanti dall'attacco del crogiuolo per opera della potassa fusa, e noi, ripetendo eguali fusioni in crogiuolo di argento, non abbiamo potuto che confermare questo grave inconveniente. Ai crogiuoli di argento noi abbiamo sostituito dei crogiuoli di nichel, i quali si sono prestati molto meglio allo scopo e nelle condizioni in cui si effettuavano le nostre fusioni, come diremo più oltre, non venivano sensibilmente attaccati dall’alcali. In secondo luogo un altro ed ancora più grave difetto si rinviene nel modo con cui gli AA. suddetti, dopo eseguita la fusione, hanno isolato il composto cristallino disseminato nella massa raffreddata dell'alcali. Ognuno di essi infatti ha senz'altro trattato con acqua il contenuto del crogiuolo, se- — 318 — parando facilmente, con ripetute levigazioni e decantazioni, il prodotto cristallino dalle impurezze amorfe, più leggere. A tal punto però sorgono concordì le loro osservazioni sulla grandissima difficoltà di asportare con i lavaggi tutto l’alcali dalle laminette cristalline così isolate. Schwarzenberg asserisce infatti che la potassa non viene asportata dal composto nemmeno con l'acido cloridrico diluito e freddo ed è necessario un preventivo e forte arroventamento del composto stesso per sottrarre con acqua tutto l'alcali. Pebal ha eseguito accurate decantazioni con acqua, ma non precisa affatto fino a qual punto abbia spinto i lavaggi dei prodotti cristallini da lui analizzati. Mayer infine si è soffermato più degli altri intorno alle modalità dei lavaggi, che egli ha eseguito: 1° con acqua a temperatura ordinaria fino a scomparsa di reazione alcalina nel filtrato. (Ha ottenuto in tal modo prodotti contenenti nei singoli casi dal 7,7 al 12,13°/ di K?0); 2° per ebollizione più o meno prolungata in seno all'acqua. (Id. id. dal 6,77 al 9,22°/ di K° 0); 3° prima con acqua e poi con acido nitrico di diverse diluizioni, a freddo od a caldo. (Id. id. dal 2,02 al 5,06 °/, di K° O). Dalle percentuali ora riportate ben vedesi adunque come vari il conte- nuto in potassa da parte del composto cobaltico a seconda della natura e dell'intensità dei lavaggi. Lo stesso Mayer ha poi osservato che lavando con acqua non è possibile sottrarre tutto l’alcali al composto: giunge un mo- mento in cui il filtrato non ha più reazione alcalina, ma lasciando le lami- nette cristalline per qualche tempo in contatto con l’acqua, o bollendole in seno all'acqua, questa assume nuovamente forte reazione alcalina, fenomeno che si rinnova per un tempo molto lungo anche cambiando spessissimo l’acqua. Per la qual cosa egli così conclude: « Diess ist ein Beweis, mit welch' aus- serordentlicher Affinitàt die letzten Procente des Alkali's zurickgehalten werden. Und doch wird es auf der ardern Seite kaum mòglich sein, eine Ver- bindung von Co? 0° mit Alkalien in nicht wechselnden Mengenverhéltnissen herzustellen, weil dieselbe durch Wasser eine fortschreitende Zersetzung er- leidet ». Malgrado ciò il Mayer non ha però esitato ad analizzare prodotti nei quali il contenuto di alcali era casualmente più o meno elevato a seconda dei diversi lavaggi. Dall’insieme di queste osservazioni appare troppo evidente come si tratti nel caso in questione di un fenomeno di idrolisi a cui va incontro il com- posto cobalti-potassico. Trovansi allora giustificati, in base alla diversa inten- sità e durata dei lavaggi, i due tipi di formole: 800° 03, K* 0: 3H? 0 (Schwarzen.; Mayer) 2C0* 05, K° 0 (Pebal) — 319 — (per la prima delle quali si ha un rapporto 9Co:2K, per la seconda 6Co: 2K), ed il processo idrolitico risulta ognor più manifesto osservando le per- centuali di K? O e di H?O, trovate nelle analisi dai tre AA. citati, dalle quali emerge che quanto più sono elevate quelle della potassa tanto minori sono quelle dell’acqua e viceversa. Appare altresì più che probabile come insieme alla perdita di potassa si sia verificato durante gli stessi lavaggi anche una perdita di ossigeno (come infatti in taluni casi è stato osservato dal Mayer), data la stabilità limitata dell'ossido cobaltico posto in libertà dal processo idrolitico. In conseguenza di che sorge logicamente il dubbio che il grado di ossidazione Co* 0°, con- cordemente ammesso dagli AA. menzionati, ed intorno al quale oscillano un po troppo i risultati analitici ottenuti da questi, non sia quello in realtà posseduto dal composto, quale si origina in seno alla potassa fusa. Una srande conferma trova invero quest'ultimo dubbio qualora si esaminino i seguenti rapporti massim? °° (ponendo Co = 10) trovati in alcuni dei pro- dotti analizzati dagli AA. suddetti: Schwarzen. Pebal Mayer Calcol. per Co? 05 Co 10 10 10 10 (0) 17.00 16.87 16.64 16.66 rapporti che parlano evidentemente in favore di un grado di ossidazione ini- ziale superiore al Co? 0°, non essendo in alcun modo spiegabile un conte- nuto di ossigeno superiore al calcolato in prodotti simili sottoposti a lunghi ed intensi lavaggi. Vedasi infatti come lo Schwarzenberg ed il Pebal che esesuirono i lavaggi soltanto con acqua a temperatura ordinaria, ebbero nei loro prodotti una perdita minore di ossigeno (la media dei rapporti È è per tutti i prodotti analizzati da Schwarzenberg eguale a do superiore cioè al rapporto Co? 0°), mentre il Mayer ebbe nei suoi prodotti una perdita di ossigeno maggiore, poichè il composto in cui egli ha trovato il mas- simo contenuto di ossigeno e era stato lavato per ebollizione pro- lungata in seno all'acqua. Oltremodo dannosa, per quello che si è detto, appare adunque l'influenza dei lavaggi acquosi sopra il composto cobaltico di cui ci occupiamo e tale da doversi con ogni cura evitare da chi avesse voluto come noi intrapren- dere delle nuove ricerche in proposito. Ricorderemo infine come anche in un altro difetto, parimenti grave, sieno incorsi i chimici menzionati per ciò che riguarda l’essicamento delle lami- nette cristalline, dopo effettuati i lavaggi, essicamento da essi compiuto per — 320 — riscaldamento all'aria, alla temperatura di 100° o 130°. Per la qual cosa, trattandosi di un composto a base alcalina e di un acido debolissimo, è inu- tile soffermarsi sull'azione esercitata. in tal modo dall’anidride carbonica atmosferica. Noi abbiamo eseguito numerosi tentativi nell'intento di evitare tutti questi inconvenienti e nella speranza di poter isolare il vero composto ori- ginario, quale si forma in seno alla potassa fusa, in uno stato tale di pu- rezza da poterlo sottoporre all'analisi. Crediamo pertanto di avere ben rag- giunto il nostro scopo operando nel modo che ora verremo dettagliatamente indicando. ; In un crogiuolo di nichel di media grandezza (diametro superiore 4-5 cm) si pone dell'idrato potassico, puro, in piccoli pezzi, ed alternativamente a strati una certa quantità di carbonato cobaltoso, o di qualunque ossido co- baltoso o cobaltico, in modo che il primo sia in forte eccesso (circa 10 volte il peso del composto cobaltoso) ed il crogiuolo risulti quasi completamente pieno. Si pone quindi il crogiuolo sulla fiamma diretta di un buon becco Bunsen, riscaldando dapprincipio cautamente finchè tutto l’alcali è entrato in fusione tranquilla. È preferibile mantenere scoperto il crogiuolo per tutta la durata della fusione, può però applicarvisi il coperchio qualora l’alcali fuso risalisse troppo lungo i bordi del crogiuolo, sollevandolo spesso e per qualche minuto in modo che la massa in fusione trovisi frequentemente a contatto con l'aria libera. L’alcali appena fuso assume subito una colorazione nera, do- vuta alla perossidazione del composto cobaltoso, e dopo breve tempo vedonsi già nuotare alla sua superficie dei numerosi cristallini neri, vivamente lucenti. Si sospende il riscaldamento dopo circa tre ore; una maggior durata della fusione, purchè permanga la stessa temperatura, non porta a risultati dissi- mili. Il erogiuolo si pone a raffreddare completamente nel vuoto secco e si immerge quindi con tutta la massa interna entro un becher alto e stretto, contenente 200-300 cme. di soluzione acquosa di idrato potassico al 12 °/, mantenuta all’esterno molto ben raffreddata con ghiaccio. Il distacco e la soluzione della massa interna del crogiuolo procede lenta in tali condizioni e va accelerata strofinando con una bacchetta di vetro; tut- tavia in fondo al becher vanno subito a deporsi copiosamente delie belle la- minette lucenti, di un grigio-acciaio, mentre al disopra, sospeso in gran parte nella soluzione alcalina, rimane del materiale amorfo, grigio-nerastro. Allorchè, dopo aver rinnovato per decantazione la soluzione alcalina fredda, si è proro- cato il distacco completo della massa interna del crogiuolo, togliendo questo, riesce facile, cambiando frequentemente la soluzione raffreddata della potassa, di asportare con opportune decantazioni tutta la massa amorfa dalle laminette evistalline più pesanti, in modo da ottenere quest'ultime di aspetto ben uni- forme e la soluzione sovrastante perfettamente limpida. Durante tutte queste decantazioni, da eseguirsi più rapidamente che è — 5321 — possibile e sempre con la soluzione alcalina ben fredda, va naturalmente per- duto un po’ di prodotto cristallizzato, specialmente quello in laminette pic- colissime le quali stentano a deporsi; rimane tuttavia da ogni fusione una notevole quantità di laminette cristalline, ben sviluppate, in mezzo alle quali ‘è molto facile scorgere la presenza di qualsiasi impurezza allo stato amorfo. Filtrando alla pompa esse vengono rapidamente raccolte sopra un filtro di ‘carta, lavate ripetute volte con alcool etilico e poste quindi a seccare, sopra ‘allo stesso filtro disteso, nel vuoto sopra anidride fosforica. I vari prodotti da noi ottenuti e purificati nel modo ora descritto, osser- vati con ingrandimento, sono apparsi tutti completamente uniformi nel loro ‘magnifico aspetto di laminette leggere, sottilissime, (talune delle quali a per- fetto contorno esagonale), non trasparenti, di una viva lucentezza grigio-acciaio. Tali laminette cristalline rimangono apparentemente inalterate in seno all'acqua, alla quale però comunicano subito una forte reazione alcalina per l’idrolisi che vi subiscono; si sciolgono nell’acido cloridrico concentrato e caldo con notevole sviluppo di cloro, dando una soluzione di cloruro di cobalto e di cloruro di potassio. Non contengono quantità apprezzabili di nichel (’); scaldate fortemente entro una canna di vetro, in corrente di aria secca, non svolgono che tracce minime di acqua; sono esenti di carbonati. Le determi- nazioni analitiche quantitative dei tre componenti (cobalto, ossigeno, potassio), eseguite con i metodi recentemente indicati da uno di noi per l'analisi di un nichelito alcalino (°), ed effettuate sui prodotti seguenti, provenienti da diverse preparazioni, fornirono i risultati qui sotto esposti: Trovato Calcol. per Cos 08 K? > Tf[f( (ZE ET—rRrP—z>_—7?—_P—-— I II III IV Co 53.41 52.85 52.97 — 53.36 Oatt 10.47 10.28 10.40 1089 10.85 K 7a, 17.00 17.27 — 17.70 Co 10 10 10 10 10) TER ANORArO. or pi 17.50 Co do 2 20 2 K 0.96 0.97 0.98 3 il (1) Un crogiuolo di nichel in cui abbiamo effettuato circa dieci fusioni, nelle condi- zioni descritte, mantiene la superficie interna ancora del tutto uniforme; soltanto elevando di molto la temperatura, nel qual caso si ha copiosa formazione di perossido alcalino, l'attacco del crogiuolo si rende abbastanza sensibile. Col metodo di Liebig, opportuna- mente modificato, e basato sulla diversa stabilità dei cianuri complessi di Ni e di Co, si constatò la presenza di quantità minime di nichel solo partendo da forti quantità del composto cobaltico. (?) Bellucci e Rubegni, questi Rendic., vol. XV, serie 5%, pag. 778, RenpIicontI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 42 922 — Da questi risultati, come vedesi, si deducono i rapporti atomici: 400: 80 att. :2K e le percentuali trovate concordano con la formola Co*08 K? che deriva da tali rapporti e che spetta quindi al composto analizzato. Co K ogni prodotto analizzato, come del resto l'assenza dell'acqua, sta non solo ad indicare che nelle nostre condizioni di fusione formasi costantemente lo stesso prodotto, ma anche nel modo più evidente che l'isolamento di questo, come è stato da noi effettuato, non ha portato ad alcuna azione idrolitica apprez- zabile. Alla formola: La grande concordanza nei rapporti da noi sempre riscontrata in 3003 05, K? 0,3H° 0 ossia Co° 0! K°,3H? 0 da Schwarzenberg e Mayer assegnata al composto in questione, noi sostituiamo perciò la formola Co* 08 K®, nè crediamo, per tutto il complesso dei fatti, che il composto cobaltico ottenuto dagli AA. su menzionati sia stato origi- nariamente diverso dal nostro, come del resto potrebbe spiegarsi con una diversa temperatura alla quale fossero state spinte le singole fusioni. È in verità ben grande l'influenza di una temperatura più o meno elevata, allorchè si eseguiscono simili fusioni: con una temperatura troppo elevata si arriva in molti casi a distruggere quei composti perossidati che si sono prodotti a temperature inferiori. I tre AA. ricordati hanno però generalmente spinto il riscaldamento fino alla temperatura a cui la potassa comincia a volatilizzare ed anzi Schwarzenberg raccomanda di non proseguire tanto a lungo la fu- sione, in modo che trattando poi la massa fusa con acqua si abbia soltanto un piccolo sviluppo di ossigeno, vale a dire che la potassa non sì sia che in pic- cola parte perossidata. Sono queste appunto le condizioni che portano al miglior rendimento in prodotto cristallino, e nelle quali sono state eseguite anche le nostre fusioni, per cui una diversità nella temperatura raggiunta du- rante la fusione non può spiegare i differenti risultati da noi ottenuti. La differenza fra l'antica formola Co° 0! K®,3H? O e la nostra Co' 08 K? (ossia Co 0!% K*) trae unicamente origine dall’idrolisi che hanno subìto i prodotti analizzati per il passato, a differenza di quelli da noi presi in esame. Basta infatti osservare che dal rapporto 9Co:2K della vecchia for- mola noi siamo passati a quello 8Co:4K e dal grado di ossidazione Co? 05 a quello più elevato Co' 0”, trovando in quest'ultimo fatto una conferma sperimentale il dubbio da noi sopra avanzato, che cioè durante l'idrolisi il composto originario fosse andato incontro anche ad una perdita di ossigeno. — 323 — La nostra formola Co* 08 K*®, allo stato attuale delle conoscenze sugli ossidi del cobalto, può nel miglior modo essere così interpretata : Co 0 TREO. n 8Co0 0°, Co O, K° 0 corrispondentemente cioè alla costituzione di un cobaltito cobaltoso-potassico, derivante dal biossido Co 0?. È già noto a tal proposito come questo bios- sido, intorno alla cui esistenza non può oggidì permanere alcun dubbio, sia capace di esplicare in taluni casi, finora molto limitati, la funzione di un debole acido. Si conoscono infatti i cobaltiti di bario e di magnesio prepa- rati a temperature elevate dal Rousseau (!) e dal Dufeau (?) e corrispondenti alle formole Co 0°, Ba 0 Co 0?, Mg 0 2C0 0*, Ba 0 a lato dei quali viene a porsi il nostro cobaltito 3C0 0°, Co 0, K* 0, a base mista cobaltoso-potassica. Trattasi anche nel nostro caso di un fenomeno di equilibrio tra le varie forme di ossidazione del cobalto, in funzione soprattutto della temperatura, del quale fatto, pur rimanendo sempre nel campo di questo metallo, ci dà un esempio ben netto la stabilità considerevole dell’ossido salino Co? 04, al quale convergono, scaldati all'aria entro limiti molto estesi di temperatura, sia le forme inferiori Co O che quelle superiori Co? 03 e Co O?. Molto recentemente Hofmann ed Hiendlmaier (3), introducendo dell'ossido Co 0 entro una massa fusa di perossido di potassio, hanno ottenuto un pro- dotto cristallizzato in lamine esagonali splendenti, il quale con tutta proba- bilità doveva essere identico a quello da noi descritto in questa Nota. Se- nonchè questi AA. hanno subito sottoposto il loro prodotto cristallizzato a lunghi lavaggi con acqua e quindi ad una digestione per parecchie ore con acido solforico al 10 °/,, ottenendo così un composto completamente esente di alcali, corrispondente alla formola 2Co 0, Co 0, 2H? 0, la quale, per quanto evidentemente non rappresenti che un prodotto di idrolisi, ci mostra un altro tipo di cobaltito cobaltoso ed un altro esempio di equilibrio fra le forme cobaltiche e le cobaltose. Il cobaltito 300 0?, Co 0, K®0 appena posto in contatto con acqua, anche a temperatura ordinaria, si idrolizza subito, comunicando all'acqua stessa una forte reazione alcalina. Bollendolo lungamente in seno all'acqua, od anche per lunghi lavaggi proseguiti in Soxhlet, esso trattiene sempre delle quantità molto variabili, ma sempre notevoli, di alcali, nel mentre diminuisce 11 suo contenuto di ossigeno. Troviamo inutile riferire i risultati analitici (1) Compt. Rend., 109, 64 (1889). (2) Compt. Rend., 123, 239 (1896). (8) Berichte, 29, 3184 (1906). god — ottenuti nelle lunghe prove da noi eseguite in proposito; ricorderemo solo che siamo riusciti a togliere completamente l'alcali a questo cobaltito, senza che passassero in soluzione tracce di cobalto, mantenendolo per parecchie ore su b. m. bollente con una soluzione di acido nitrico al 2°, agitando e rinnovando spesso quest'ultima. Si ha così un prodotto che ridotto in corrente di idrogeno non presenta reazione alcalina e che seccato in stufa a 100° ci ha dato ripetutamente risultati analitici perfettamente concordanti cen la for- mola Co° 03, 2H? 0 ('). Si giunge cioè in tal modo ad un idrato di sesquiossido di cobalto, puris- simo, cristallizzato, come finora non era stato ottenuto, in magnifiche lami- nette dello stesso aspetto di quelle del cobaltito da cui derivano, verifican- dosi un fenomeno del tutto analogo a quello che si presenta nell’idrolisi di alcuni nicheliti (?), ove parimenti si ha una sostituzione di molecole di H° 0 a molecole di K° 0. Per tutto quello che abbiamo sopra esposto concludiamo che alle lami- nette cristalline splendenti, osservate da Becquerel fin dal 1832, che si for- mano fondendo a contatto dell'aria un ossido od il carbonato cobaltoso con eccesso di potassa (nelle condizioni sopra citate, le migliori per la produ- zione del composto), spetta la formola Co* 08 K*® la quale può nel miglior modo interpretarsi come quella di un cobaltito cobaltoso 3Co 0°, Co O, K® 0. Va perciò ritenuta erronea l'antica formola 3C0? 0°, K* 0,3H° 0, ammessa finora per tale composto, non rappresentando essa che uno dei tanti prodotti a cui può dare origine il cobaltito Cot 05 K*, durante il suo processo di idrolisi. Chimica. — Swi prodotti di addizione dei derivati del trim- trobenzolo con alcune sostanze aromatiche azotate. Nota III di B. Crusa e 0. AGOSTINELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (*) Notevole è l’elevato contenuto di due molecole di acqua che mantiene questo idrato cristallizzato, seccato a 100°. Hittner (Zeitsch. f. Anorg. 27, 101), nei suoi estesi studi sugli ossidi del cobalto, ha invece trovato che seccando su acido solforico un idrato di Co? 03 amorfo, si- arriva al grado inferiore di idratazione 2 Co? 0*,8H®O. Si ha in ciò un bell'esempio della diversa tensione che posseggono le molecole di acqua a seconda che appartengono ad idrati amorfi o ad idrati cristallizzati. (2) Hofmann e Hiendlmaier (loc. cit.). — 325 — Chimica. — Determinazione volumetrica del titanio ('). Nota di Gino GALLO, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Il titanio è uno degli elementi che entrano nella composizione dei me- talli e dei minerali, più difficile ad esser dosato con esattezza (*). La sua separazione dalla silice, dall'ossido di ferro, dall’allumina, dalla zivconia ecc. richiede una serie di operazioni lunghe e delicate, senza raggiunger spesso lo scopo desiderato di pesare l’anidride titanica allo stato puro. Il primo processo volumetrico di determinazione del titanio fu proposto fin dal 1864 dal Pisani (*), processo il quale si fonda sulla riduzione della so- luzione cloridrica di titanio con zinco, e successiva riossidazione con per- manganato potassico. Ora questo metodo non ha ricevuto applicazioni; in primo luogo perchè operando in soluzione cloridrica il permanganato potas- sico viene in parte decomposto, e si hanno quindi dei valori superiori al vero; in secondo luogo perchè in presenza di ferro, come comunemente av- viene, si ha la riduzione contemporanea di ferro e titanio, e quindi non si rende possibile la determinazione di questo ultimo. Vero è che a questo proposito Wells et Mitschell (4) propongono di ridurre in una porzione il solo ferro con acido solfidrico che non riduce i sali di titanio, e nell'altra il ferro ed il titanio con zinco e dosando in tutti e due i casi con perman- ganato potassico. Però anche questo metodo non si è conservato, in quanto che non si hanno risultati concordanti, quando non siano osservate tutte quelle condizioni sperimentali, di cui avremo occasione di parlare fra poco. Il migliore metodo conosciuto per dosare piccole quantità di titanio, consiste nel processo colorimetrico all'acqua ossigenata proposto dal Wells e Weller (?). La colorazione gialla che forma l’acqua ossigenata nella soluzione ni- trica o solforica di acido titanico, permette di svelare 1 parte di titanio in un milione di parti di acqua. Però se sono presenti il molibdeno, il vanadio, ed il cromo i risultati sono molto incerti, e molto discutibili, data la colo- razione che questi corpi danno pure con acqua ossigenata. La colorazione è parimenti influenzata dalla presenza di acido fluori- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica applicata della R. Scuola per gli Ingegneri di Roma. (*) Percy-Fuel, p. 121. (*) Pisani, Comp. Rend., 59, 298, 1864. (4) Journ. Americ. Chem. Society, 17, p. 878. (5) Iron, 28, 87, 1886. Zeits. fi analyt. Chem., 23, 410. Chem. Zeit., 1885, n. 78 (Gook). — 326 — drico, per cui l’acqua ossigenata non deve contenere questo acido come impu- rezza. Infine allorquando, come avviene quasi sempre, è necessaria la fusione della sostanza da analizzare con bisolfato potassico, è possibile che si abbia la formazione di acido metatitanico, il quale non dà alcuna colorazione col perossido di idrogeno. Avendo io avuto l'occasione di dover determinare il titanio in alcuni acciaj ed in alcune bauxiti, pensai se si potesse utilizzare la nota azione ri- ducente che i sali di sesquiossido di titanio esercitano sopra i sali ferrici, per dosare il titanio stesso, riducendolo con zinco metallico alla forma Ti, 0., e dosandolo poi con sale ferrico in presenza di solfocianuro potassico come indicatore. Senonchè quando ho potuto accertare che la reazione procedeva quantitativamente, nel raccogliere la bibliografia sull'argomento, trovai che i sig. Knecht e Hilbert (!) nel 1903 avevano studiato l’azione riducente del tricloruro di titanio sopra i sali ferrici e sopra diversi composti organici azotati, e proponevano quindi una soluzione titolata di tricloruro di titanio per dosare volumetricamente i sali ferrici e altri composti organici, accen- nando infine che il metodo poteva impiegarsi anche reciprocamente per il dosamento del titanio. Siccome però essi estendono in particolare il loro studio sui composti organici, e non fanno che accennare alla possibilità di determinare volumetricamente il titanio coi sali ferrici, io credetti allora necessario di studiare le condizioni opportune onde ottenere dei risultati esatti, e nello stesso tempo di verificare, ciò che non fecero affatto i sigg. Knecht e Hilbert, se si potesse in questo modo determinare quantitativa- mente il titanio, anche in miscugli di titanio con ferro, alluminio, zirconio ecc. Da una numerosa serie di esperienze, ho potuto dedurre quanto segue: La riduzione dell'acido titanico e dei suoi sali con zinco metallico ar- riva solo fino al sesquiossido Ti, Oz. La riduzione dell'acido titanico e metatitanico, con zinco metallico, avviene meglio in soluzione solforica, e se la concentrazione dell'acido rende più rapida la riduzione, è preferibile però l’impiego di una soluzione debol- mente acida, perchè il sale ridotto in tali condizioni risulta più stabile. In media s'impiegano 10 ce. di H, SO, (D. 1.3) per ogni 100cc. di solu- zione. i La riduzione deve esser fatta a freddo, mantenendo il liquido ad una temperatura non superiore ai 10°, in recipiente pieno di anidride carbonica, e chiuso con valvola Bunsen, per evitare la facile ossidabilità del sale di titanio; si deve far agire lo zinco un po’ alla volta ed in modo continuo; in queste condizioni la riduzione è completa solo dopo cinque ore, ad ogni modo è più sicuro prolungarla, per circa dodici ore, specialmente in presenza (2) Knecht et Hilbert, Ber. Deuts. chem. Gesell., 36, 166 e 37. Impiego del triclo- ruro di Titanio come riducente nell’analisi volumetrica. — 327 — di ferro nel qual caso la riduzione è più lenta; il liquido in tal modo acquista una colorazione ametista, più o meno intensa, a seconda della quantità di titanio presente. Per procedere alla titolazione si filtra il liquido per lana di vetro entro un recipiente in cui si fa gorgogliare una corrente di anidride carbonica, si lava due o tre volte il filtro con acqua bollita, fredda, e satura di ani- dride carbonica, quindi si aggiungono 3 cc. di una soluzione satura di sol- focianuro potassico (in quanto che in soluzione troppo diluita il sofocianuro di ferro è dissociato, e non si vede comparire subito la colorazione rossa del sale ferrico) e quindi si fa agire a freddo una soluzione titolata di allume ferrico, che deve essere del tutto esente da sale ferroso (ciò che si può rendere manifesto verificando se un certo volume della soluzione scolora alcune goccie di soluzione E di permanganato potassico, ed in caso af- fermativo, si ossida il sale ferroso con qualche goccia di acqua di cloro). Quando la colorazione violetta del titanio va diventando meno intensa, si fa agire a goccia a goccia la soluzione di sale ferrico, fino a colorazione rosea permanente. La reazione che avviene è la seguente: Tis(S04)3 + Fes(S0,)z = 2 Ti(S0,)a Da 2 Fe SO, da cui si deduce che 1cc. di soluzione . di allume ferrico, contenente gr. 0.00056 di ferro, corrisponde a gr. 0.00048 di titanio. Nel caso più comune di presenza contemporanea di ferro, il liquido ot- tenuto in seguito a riduzione con zinco, si porta a volume noto, si divide in due porzioni, osservando le precauzioni suaccennate per evitare l’ossida- zione, ed in una di quelle si dosa col sale ferrico, il titanio, nell'altra con permanganato potassico, il ferro più il titanio, ricordando che 1 cc. di KMn0, Da corrisponde a gr. 0.0048 di titanio (perchè Ti,03-+-0= —=2T10;) — eda gr. 0.0056 di ferro — da cui per differenza si ha il ferro. Nel caso però in cui sia necessario l’impiego del permanganato potas- sico, non bisogna mai dimenticare di procedere ad una prova in bianco, per determinare il ferro sopra lo zinco che si adopera come riducente, e che è sempre impuro: da questo metallo, e di pesare quindi lo zinco che si im- piega per la riduzione, deducendo quindi dalla quantità di permanganato potassico impiegata, quella che dal saggio in bianco fu stabilito essere do- vuta allo zinco. Si può anche più comodamente e collo stesso risultato, dividere il li- quido contenente il ferro e titanio, in due porzioni, e nell’una ridurre il ferro solo con acido solfidrico, e dosarlo poi con permanganato potassico, nel- — 328 — l’altra ridurre ambedue con zinco metallico, e dosare il titanio colla solu- zione di allume ferrico. Le analisi seguenti sono una conferma dei risultati soddisfacenti otte- nuti, seguendo le prescrizioni riportate qui sopra. Una quantità pesata di acido titanico puro venne fusa con bisolfato potassico, la massa fusa, disciolta in acqua fredda (si accelera la soluzione facendo gorgogliare nel liquido una corrente di aria) venne portata a volume noto. In una porzione di questa soluzione venne determinato il titanio per pesata, precipitandolo con acetato sodico (!). Con questa soluzione si preparavano quindi dei miscugli diversi con quantità note di ferro. Determinazione volumetrica di titanio con soluzione di allume ferrico N è Ta : —— mediante riduzione con zinco. 100 Volumetricamente Per pesata 10 cc. soluzione Ti 0.01056 0.01060 _ 20 cc. ” ” 0.02140 0.02120 80 cc. ” ” 0.03174 0.03180 Determinazione di titanio e ferro sopra un miscuglio dei due. Ferro trovato riduzione Ferro trovato Titanio trovato ARCA riduzione È Titanio calcolato volumetrie. Numero Ferro calcolato con zinco con He S 1 0.007955 0.007941 0.4135 _ 0.4147 2 0.01590 0.01588 0.2085 —_ 0.2073 3 0.01185 0.01191 0.3061 — 0.3101 4 0.01057 0.01060 — 0.5722 0.5715 o) 0.05871 0.05885 = 0.6130 0.6113 Le determinazioni III e IV furono eseguite in presenza anche di una certa quantità di solfato di alluminio. Come risulta da queste determina- zioni, il metodo non lascia nulla a desiderare, e si può dedurre che esso si può applicare per la determinazione del titanio e del ferro anche in presenza di altre sostanze estranee come alluminio, silice e zirconio, che non subi- scono alterazione alcuna per azione dello zinco, e la cui separazione dal titanio è di un'estrema difficoltà per via ponderale. Ciò premesso, ecco come si può procedere per la determinazione del titanio nei casì speciali in cui si tratti di dosare questo elemento nei pro- dotti siderurgici, nei silicati, e nelle bauxiti. (') Treadwell, Kurzes Lehrbuch der Analytischen Chemie, III, Aufl., pag. 89. E Ngpo il Ghisa e acciajo. Si trattano 5 o 10 gr. del metallo con 40 o 80 ce. di acido nitrico (d. 1.20) in una capsula spaziosa ricoperta con un imbuto capo- | volto, si riscalda debolmente fino a soluzione completa, si evapora a sec- | chezza, si aggiungono 5 gr. di nitrato ammonico, e si calcina fino a scom- porre completamente i nitrati. Si riprende quindi con 80 o 50 cc. di acido st cloridrico, si riscalda all’ebollizione, si diluisce con acqua, si decanta il li- NI quido limpido su un piccolo filtro, e si lava bene il residuo, che resta co- i stituito di silice, anidride titanica, un po’ di ossido di ferro, ed eventualmente | di grafite. Il residuo secco si fonde quindi con 4 p. circa di bisolfato po- Dl; tassico, in piccolo crogiuolo di platino, per un quarto d'ora. "| Si riprende la massa fusa con poca acqua fredda, mantenendo il reci- piente entro un bagno ad acqua corrente, e si favorisce la soluzione facen- il} dovi gorgogliare una corrente d'aria. Nel liquido così ottenuto, filtrato dalla i Si 0, ed acidificato con H. SO,, si procede alla riduzione con zinco, ed al dosamento quindi del titanio con soluzione 7° di allume ferrico. Stlicati. Si procede come nel caso generale dell'analisi dei silicati, cioè fusione con carbonato sodico, potassico ripresa con acido cloridrico, elimina- zione della silice, mediante evaporazione a secco a 105°, e nel liquido filtrato, dopo eliminazione delle tracce di platino (provenienti dall'attacco del cro- giuolo) con acido solfidrico, si precipitano con cloruro ammonico ed ammo- niaca il ferro, l'alluminio ed il titanio. Il precipitato viene lavato disseccato, calcinato e pesato. Si fonde quindi con 4-5 volte il suo peso di bisolfato potassico e nella soluzione fatta a freddo della massa fusa, si determinano volumetricamente il ferro ed il titanio; per differenza si ottiene l'alluminio. Bauxite. Si fonde '/, grammo del minerale polverizzato, con 8 grammi» di bisolfato potassico, in crogiuolo di platino, si scioglie la massa fusa in acqua fredda, si elimina la silice per filtrazione, si elimina il platino con corrente di acido solfidrico, si filtra, sì scaccia l'acido solfidrico, ed il liquido così ottenuto si divide in due porzioni; nell'una si dosano volumetricamente il ferro ed il titanio mediante riduzione con zinco; nell'altra si precipitano con ammoniaca tre idrati di ferro, titanio, ed alluminio; per differenza si ottiene quest’ultimo. Per poco che si considerino le lunghe e laboriose operazioni che in par- ticolar modo i lavori del Gook hanno dimostrato necessarie per separare il titanio dal ferro e dall’alluminio, si vede subito come il metodo volumetrico presenti su quelle un grande vantaggio di tempo e di fatica. Di gran lunga più complicata è la separazione di questi elementi in caso di presenza di zirconio, per la determizione del quale l’Hillebrand (') ha proposto un metodo che si fonda sulla fusione del silicato con carbonato (1) Hillebrand, Bul. of the U. S. Geol. Survey, 1900, pag. 73. RenDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 43 — 330. — sodico e nitrato potassico, e.nella precipitazione dello zirconio dalla soluzione debolmente solforica del residuo, con acqua ossigenata e fosfato bisodico. In questo modo però lo zirconio risulta sempre impuro di titanio, in caso di presenza di questo metallo. La separazione dell'acido titanico infatti dagli altri elementi che pre- cipitano con l'ammoniaca presenta già nell'analisi ponderale delle grandi dif- ficoltà; ma la separazione dell'acido titanico dalla zirconia, come dice il Rose ('), presenta le difficoltà più eccezionali, in quanto che l'acido titanico e la zirconia, quando si trovano insieme nelle combinazioni, presentano delle. proprietà speciali, e delle analogie tali, che ben difficilmente si può arrivare a separarli. Un metodo quindi che permetta di separare questi due metalli, riesce tanto più utile, in quanto che essi si incontrano spesso insieme in parecchi minerali. A tale scopo serve bene il metodo volumetrico di deter- minazione del titanio, perchè esso permette di ridurre il titanio stesso a sesquiossido, con zinco, anche in presenza di zirconio, il quale al contrario non è punto ridotto dallo zinco. Ecco quindi come io propongo di operare nel caso di silicati, ed altri minerali. Il precipitato ottenuto con ammoniaca, ed è costituito ordinariamente di idrati di alluminio, di ferro, di zirconio e di acido ortotitanico, si tratta all’ebollizione con eccesso di soluzione di idrato potassico, allo scopo di se- parare l’allumina; nella soluzione così ottenuta dopo acidificazione con acido nitrico, si precipita con ammoniaca l’idrato di alluminio, e si pesa. Il residuo del trattamento con idrato potassico, contenente il ferro, il titanio e lo zirconio, viene disciolto in acido cloridrico (?), si riprecipita con ammoniaca e dopo accurato lavaggio, viene essicato e pesato. Si hanno così l’Fes0;, Ti0., ZrO,. Il residuo viene quindi fuso con bisolfato potas- sico, e nella soluzione solforica fatta a freddo della massa fusa, si procede nel solito modo alla determinazione del ferro e del titanio, per via volume- trica. Per differenza si ottiene quindi lo zirconio. (*) Rose, Chimie analytique, vol. II, pag. 447. (2) L’idrato ferrico precipitato o trattato con idrato potassico trattiene energicamente della potassa, e non è quindi opportuno pesarlo in queste condizioni. Treadwell. loc. cit., pag. 83. Chimica. — Separazione quantitativa del ferro dal titanio e dall’alluminio. Applicazione della membrana all'analisi elettro- litica quantitativa (*). Nota di G. MagrI e G. ErcOLINI, presentata dal Socio R. NASINI. Moltissimi minerali, quasi tutte le argille, anche i caolini più puri, con- tengono del titanio come si è potuto verificare con una sensibilissima rea- zione (2), talchè questo elemento sembra sia molto diffuso in natura. Eccetto alcuni minerali propriamente detti del titanio, il problema ana- litico per la sua determinazione e separazione quantitativa si presenta oltre- modo difficile e di poco affidamento, quando specialmente esso è accompagnato «dal ferro e dall’alluminio coi quali ha in comune moltissime proprietà chimiche. Il caso è frequente nelle bauxiti, argille e minerali di ferro dei quali in mol- tissimi casì si richiede dagli interessati il tenore in titanio; quindi pei chimici e soprattutto pei mineralogisti è importante conoscere un metodo di dosamento dell'elemento in discorso, specialmente nei casi più complessi. Di tale argomento si occuparono moltissimi ed abbiamo infatti varî me- todi di separazione specialmente del titanio dal ferro ed anche dal ferro e dall’alluminio. Alcuni di questi sono volumetrici, molti gravimetrici e sono i più preferiti; altri, per via elettrolitica, riguardano la separazione del ferro dall'alluminio, oppure del ferro dal titanio. Tutti questi metodi non hanno però facile applicazione; non è qui il caso di farne una minuta critica; solo ricordiamo che per la determinazione gravimetrica del titanio, ottenuta la disgregazione del minerale, l’acido tita- nico viene precipitato dalle sue soluzioni leggermente acide per acido solfo- rico mediante prolungata ebollizione. In questa maniera precipita invero dell'acido titanico, ma incompletamente; passa facilmente attraverso ai filtri ed anche una gran parte rimane aderente alle pareti del vaso in cui avvenne la precipitazione, nè è possibile staccarlo: inoltre, quando il minerale con- tiene del ferro, questo accompagna sempre il titanio nella sua precipitazione. In seguito ai resultati ottenuti da diversi problemi analitici che a noi (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Pisa. (*) La reazione di Lévy è basata sulla colorazione rosso-granato che dà l’idrochi- none in presenza di acido titanico in soluzione solforica. Questa reazione, caratteristica per l’acido titanico, è sensibile a fino '/100000 dell'elemento. Basta scaldare il minerale con acido solforico sino a formazione di fumi bianchi, poi lasciare raffreddare ed aggiungere gualche cristallo di idrochinone perchè abbia luogo la colorazione se vi è del titanio. Se vi è dell’acido tunstico non si può essere sicuri della presenza del titanio. — 332 — sì son presentati nel dosamento del titanio, abbiamo istituito un metodo che ha corrisposto molto bene e del quale diamo una descrizione in questa Nota. Premettiamo innanzi tutto che l'attacco, per mettere in soluzione tutto il titanio contenuto nei minerali, riesce qualche volta difficile: ciò spiega perchè siano registrati più metodi per eseguire questa prima e importantis- sima operazione sul minerale. Così Phillipps e Hancock fanno l'attacco con acido solforico di opportuna concentrazione; Beringer consiglia la fusione al solfato acido di potassio e di ammonio; Marignac quella col fluoridrato di fluoruro potassico, e Leclère, Taurel ecc., quella coi carbonati alcalini. È naturale che questi diversi metodi vanno bene ciascuno per casi par- ticolari; in una maniera generale però noi crediamo che il metodo di Be- ringer accoppiato con quello di Phillpps e Hancock possa corrispondere nella pratica alla totalità dei casi che si possono presentare. Il metodo di attacco che noi consigliamo consiste quindi nel fondere il minerale con solfato acido di potassio; ottenuta la disgregazione, invece di sciogliere direttamente nel- l’acqua, a freddo, la massa fusa (per la quale occorrono diversi giorni), si riprende direttamente, nel crogiuolo stesso ove avvenne la fusione, con acido solforico concentrato e si scalda per un po’ di tempo finchè tutta la massa non si è disciolta, osservando che la temperatura non sia troppo elevata e non sia spinta al di là della comparsa dei vapori di acido solforico. In questa maniera l'attacco del titanio, ferro e alluminio è completo; si versa il liquido siropposo in acqua, evitando un soverchio riscaldamento, e così rimangono in soluzione i detti elementi e ancora tutto ciò che può essere attaccato dall'acido solforico. Nel caso di una bauxite, per es., conte- nente silicio, calcio, ferro, alluminio, titanio, sulla quale abbiamo applicato il metodo, rimangono indisciolti parte della silice del minerale e il solfato calcico, mentre la silice attaccata dall’acido solforico accompagna il ferro, il titanio e l'alluminio nella soluzione. Volendo separare in questo caso cia- scuno degli elementi ricordati, si filtra il liquido in cui sono disciolti, la- vando poi il precipitato con acqua e acido solforico: nel filtro rimangono il fato calcico e la silice non attaccata che si possono separare. Nel filtrato si aggiunge ora un eccesso di tartrato sodico potassico, quindi ammoniaca; precipita così la silice attaccata dall’acido solforico che, sepa- rata, sarà aggiunta a quella che accompagnava il solfato calcico. Nel li- quido liberato dalla silice rimangono da separarsi ferro, alluminio e titanio. Siamo riusciti a stabilire un procedimento facile e sicuro separando prima il ferro dalla mescolanza dei tre sali col metodo elettrolitico. Certamente la maniera ordinaria di procedere a questa separazione non dà resultati molto sicuri e anche noi nelle prime ricerche abbiamo dovuto convincerci che la separazione del ferro per questa via è una delle analisi più delicate e che — 333 — deve la sua incertezza alla incompleta precipitazione del ferro e al suo de- positarsi sul catodo insieme a del carbonio. Ciò dipende dal fatto che il ferro si può deporre quasi completamente solo in assenza di acidi minerali e in soluzione alcalina; condizioni che si realizzano aggiungendo al bagno elettrolitico forti quantità di sali ad acidi organici. Ora questi sali subiscono notevoli decomposizioni al passaggio della corrente elettrica, quindi il depo- sito di carbone e talvolta la formazione di patine al catodo che rendono il deposito non direttamente pesabile. È stato provato e sostenuto da altri che coi tartrati e coi citrati alca- lini aggiunti alla soluzione di un sale di ferro, la deposizione non avviene completamente; noi stessi nelle prime operazioni (in cui oltre ad altri nume- rosi sali di acidi organici, adoperavamo a preferenza il tartrato sodico potas- sico) abbiamo potuto constatare la verità di tale asserzione, per quanto la durata dell’elettrolisi sia stata perfino di ventiquattro ore. Eppure la sepa- razione del ferro in liquidi tartarici avrebbe corrisposto alle migliori condi- zioni analitiche se si fosse potuto ottenere la completa precipitazione del ferro esente da carbonio. A ciò noi siamo riusciti abbastanza bene, separando lo spazio anodico da quello catodico, mediante una membrana porosa. Quest idea non è nuova certamente, ma, per quanto noi sappiamo, non è stata mai applicata all'analisi quantitativa, forse perchè è sembrato che l’uso del diaframma avrebbe potuto portare degli errori non lievi special- mente per la quantità di liquido che avrebbe potuto trattenere. A noi la membrana ha corrisposto molto bene e crediamo che, quando sarà giustamente applicata, porterà nella pratica quantitativa numerosi van- taggi in un numero molto grande di determinazioni che fino ad ora riusci- rono incerte o addirittura non praticabili. Il vantaggio di avere separati i due spazi anodico e catodico non è indifferente; è questo anzi uno dei pregi più grandi che si possono ritrarre dalla membrana, quello cioè di separare le due azioni secondarie importan- tissime agli elettrodi, lo sviluppo costante d’idrogeno e di ossigeno che avven- gono nella maggior parte dei casi in soluzioni acquose. La membrana è quindi vantaggiosa là ove si richiede a preferenza o un'azione riducente o un'azione ossidante. Inoltre, e questo pure non è lieve vantaggio, i liquidi che occu- pano gli spazi anodico e catodico, possono essere differenti e scelti opportu- namente agevolando essi stessi o colle loro decomposizioni, quell’azione che a preferenza si richiede. A tutto questo e oltre alle azioni secondarie deter- minate in vicinanza degli elettrodi, si deve aggiungere l’importanza che ha sulla direzione della corrente osmotica la corrente elettrica, la quale può opporsi od agevolare l’osmosi che si determinerebbe da sè fra i due liquidi. Nè va trascurata l’azione che ha la corrente elettrica sulla direzione degli ioni e sulla loro mobilità, i quali fenomeni tutti possono essere saggiamente sfruttati nell’applicazione della membrana alla separazione quantitativa per via elettrolitica. — 334 — In pratica e nel caso che noi contempliamo abbiamo disposto le cose come rappresenta la figura: A è una cassula di platino che fa da catodo: C è l'elettrodo positivo, pure di platino, il quale pesca nel recipiente di vetro B al fondo del quale è applicata della carta pergamena D lavata all'acido clo- ridrico poi a più riprese con acqua distillata. Il recipiente B è sorretto da un sostegno di vetro M, il quale porta in basso due forcelle che stringono il vaso B nella parte più stretta. Questo vaso può togliersi a volontà dalle forcelle tirando un po' le due aste di sostegno perchè una certa elasticità è loro permessa dalle ritorte che sono nella parte superiore M. In A si pone il liquido (esente da cloruri) separato dalla silice dopo l’idrato ammonico, od altrimenti le soluzioni solforiche contenenti il ferro, l'alluminio e il titanio, cui precedentemente fu aggiunto del tartrato sodico potassico, quindi idrato sodico fino a leggera reazione alcalina. Nel reci- piente B sta dell’acqua resa conduttrice con idrato sodico. Noi operammo l'elettrolisi servendoci della corrente stradale a 110 Volta, con una densità di corrente al catodo ND,co0 = 0,39 che nelle ultime ore facemmo salire fino a 0,78. In queste condizioni il ferro depone aderente e compatto, scevro da carbonio. — 335 — L'elettrolisi è molto lenta e può durare anche ventiquatto ore; in questo tempo bisogna saggiare i liquidi acciocchè quello anodico non diventi acido e quello catodico non sia troppo alcalino. In questo caso al liquido anodico si aggiungerà dell’idrato sodico, a quello catodico dell'acido tartarico. Per conoscere la fine della deposizione del ferro si saggia di tanto in tanto una goccia del liquido su di un filtro lavato all’acido cloroidrico ed imbevuto con un po' di acido cloroidrico e con del prussiato giallo. Dobbiamo avver- tire che se si fa il saggio col solfocianuro ammonico non si giunge mai a distinguere la scomparsa del ferro perchè una debolissima traccia di questo rimane sempre nel liquido a dare appena visibile la nota colorazione. In ogni modo questa traccia di ferro non falsa i resultati, come noi abbiamo potuto convincerci da numerose analisi. Terminata la deposizione si lava la cassula con acqua, poi alcool, e si pone ad asciugare nella stufa a 90°. Al liquido che era prima nella cassula sì aggiunge ora quello contenuto in B; si lava quindi il recipiente stesso e la membrana, o meglio si stacca questa e si getta nel recipiente contenente i liquidi anodico e catodico e le acque di lavatura, quindi si acidula con acido solforico, si concentra e si pone ad evaporare in muffola sino a com- pleta carbonizzazione dell'acido tartarico e della membrana. Si riprende la massa con acido solforico concetrato e si scalda perchè tutto si disciolga: dopo raffreddamento si getta nell'acqua cui si aggiunge cloruro ammonico ed ammoniaca. Precipitano così l’alluminio ed il titanio, i quali si separano per filtrazione, quindi si lava. Si stacca ora il filtro e si pone in un vaso, poi vi si versa una soluzione di idrato sodico a 26 Be' procurando di non porne un grande eccesso e di scaldare per poco tempo. L'alluminio passa in soluzione ad alluminato, mentre l'anidride tita- nica in queste condizioni rimane inattaccata. Si filtra e si separa l'anidride titanica che si pesa; nel filtrato si aggiunge un eccesso di cloruro ammo- nico e ammoniaca scaldando per alcun tempo: si depone così l'alluminio che sì raccoglie e si pesa. Lo studio del metodo venne fatto ripetute volte con soluzioni titolate di solfato di ferro, di alluminio e di anidride titanica sciolta in acido solfo- rico; infine venne ripetuto su diversi minerali contenenti titanio. A conferma del metodo riportiamo qui i risultati di diverse determi- nazioni eseguite sulle soluzioni titolate. In grammi: Ferro Titanio Alluminio dato dato dato 0,0303 0,0282 0,0305 — 336 — In grammi: Trovato Trovato Trovato 1° 0,0294 1° 0,0280 1° 0,0300 2° 0,0310 2° 0,0274 2° 0,0302 3° 0,0297 3° 0,0275 3° 0,0301 4° 0,0304 4° 0,0277 4° 0,0303 In grammi: Media Media Media 0,0301 0,0276 0,03015 A noi sembra che la separazione così effettuata corrisponda abbastanza esattamente ad un buon metodo analitico. Chimica. — Combinazioni dei composti organo-magnesiaci misti con le basi piridiche e chinoleiche. Nota di B. Oppo, pre- sentata dal Socio E. PATERNÒ. Chimica. — Nuovo metodo d’introduzione dei radicali alchiliei o arili nelle basi piridiche e chinoleiche e sulla costituzione dei composti organo-magnesiaci misti. Nota preliminare di B. Oppo, presentata dal Socio E. PATERNO. Le Note precedenti saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Mineralogia. — Sulla determinazione dell'indice di rifra- zione al microscopio. Nota dell’ing. ENRICO CLERICI, presentata dal Socio G. STRiVER. L'indice di rifrazione è pei minerali un ottimo carattere diagnostico che riuscirebbe di grande utilità pratica qualora si potesse determinarlo con faci- lità e speditezza in modo esatto fino alla terza cifra decimale. È ben noto che il metodo classico detto della deviazione minima può dare esatta anche la quinta decimale: ma richiede che si operi con speciali cautele e che il minerale venga tagliato in forma di prisma. Anche altri metodi meno precisi, basati su diverso principio, richiedono una preparazione preliminare del materiale e non sono applicabili ai piccoli frammenti ed ai granuli microscopici. Però nelle ricerche petrografiche correnti non è sempre necessario che l'indice di rifrazione sia determinato con grande esattezza, specialmente quando si può fare assegnamento sui risultati ottenuti con altro genere d'indagine, 2897 — per esempio ponendo a partito la separazione coi liquidi pesanti, la birefra- genza, il segno ottico, ecc. In tal caso può essere sufficiente che l’indice di rifrazione sia conosciuto a meno di cinque unità della terza cifra decimale e perfino a meno di una unità della seconda decimale. A queste condizioni soddisfa il metodo detto dell’ immersione ('). Avendo una serie di liquidi dei quali si conosce già l'indice di rifrazione, si tratta di provarli successivamente fino a trovarne uno che abbia lo stesso indice del minerale che si esamina. Se gl’indici di due liquidi consecutivi della serie differiscono di una unità della seconda decimale e l'indice del minerale è maggiore di quello dell'uno e minore di quello dell'altro, si può, mescolando convenientemente i due liquidi, ottenerne uno di indice inter- medio e verificare se questo è uguale, oppure maggiore o minore di quello del minerale, che in tal modo viene valutato a meno di cinque unità della terza decimale. Per molti liquidi si conosce già l'indice di rifrazione nonchè la sua variazione colla temperatura e colle diverse luci, e quando trattasi di composti stabili, chimicamente ben definiti, basta assicurarsi della loro purezza. Per altri, come pure per le miscele, occorrerebbe una determinazione oppure una verifica di tanto in tanto dell'indice, da farsi col prisma o col refrattometro. Ma senza ricorrere ad apparecchi speciali si può determinare per immersione l’indice coll’approssimazione indicata, servendosi di una serie di minerali di indice noto o meglio ancora di una serie di vetri scelti fra quelli per es. che sono fabbricati dalla casa Schott & Genossen di Jena (*). La maggior parte dei liquidi comunemente adoperati sono composti orga- nici, alcuni molto volatili, dotati di odore più o meno marcato, che può anche riuscire molesto, i cui vapori, respirati a lungo mentre si guarda al microscopio, devono esercitare un'azione fisiologica: di più intaccano il bal- samo con cui sono fissate le preparazioni in lamina sottile. Ciò premesso, il problema che mi sono proposto è quello di determinare l'indice di rifrazione dei liquidi con quella approssimazione che si è detto (1) Per questo metodo sono state compilate apposite tabelle; vedasi Schroeder van der Kolk J.L.C., Tabellen zur mikroskopischen Bestimmung der Mineralien nach ihrem Brechungsindea, Zweite ungearb. u. verm. Auf. v. E. H. M. Beekman, Wiesbaden 1906. (®) Vedasi anche Michel Lévy A., Ztude sur la détermination des feldspaths dans les plaques minces au point de vue de la classification des roches, Paris 1894, pp. 62-63; Souza-Brandao V., Veber eine Skala von Lichtbrechungs-Indicatoren, Centralblatt f. Min. Geol. u. Pal. 1904, pp. 14-15. Michel Lévy fece uso di 16 minerali, tagliati parallelamente agli assi ottici e disposti 4 per 4 sopra nn porta-oggetti, secondo l’ordine di rifrangenza. Souza-Brandao invece ado- pera 35 piastrine di vetro messe in ordine su 7 porta-oggetti e tali che la differenza di indice da una piastrina all’altra varia da 0,018 a 0,010: egli osserva il liquido in goccie messe sul porta-oggetti, oppure mette il porta-oggetti in una bacinella di vetro contenente il liquido. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 44 — 338 — essere sufficiente, ed anche nel momento in cui si ha accertato per immersione che il minerale in esame ha lo stesso indice del liquido. Per conseguenza molti liquidi organici potrebbero essere abbandonati per dare la preferenza 0° 10° 90° 9035 4020 Ji Re e v nu sa 1; PZ 94 para Biel. a soluzioni acquose che non presentano gli inconvenienti dei liquidi sovrac- cennati e possono essere preparate al momento che occorrono (!). (1) Oltre alle soluzioni acquose già in uso, quali i liquidi di Thoulet, di Rohrbach, di Klein, si possono vantaggiosamente usare i miei liquidi: bromomercurato di bario — 339 — Per risolvere il problema si supponga un prisma disposto in modo che la faccia di emergenza sia orizzontale ed il raggio emergente sia diretto verso l’alto. Sia A l'angolo rifrangente, x = l’indice di rifrazione, 2 = l’an- Drc9s2, golo d'incidenza di un raggio luminoso proveniente dal basso, e = l'angolo d'emergenza, 7, 7’ gli angoli che fa il raggio interno colle normali alle faccie del prisma. Per le note relazioni (1) sen = 7 sen 7 (2) sene=7 sen 7' (3) r4+re =A si avrà delle (2) e (3) (4) sen e = 7 sen À cos 7 — 7. cos À sen 7 e dalla (4) colla (1) sen° e |- 2 sen e cos A sen 7 +- cos*A sen° è — sen°A (2? — sen?) = 0 (5) sen e = — cos A seni = sen A {/n° — sen? è Ora si consideri un altro prisma disposto colla faccia d'incidenza oriz- zontale; l'angolo sia = A e l'indice = m tale che un raggio incidente ver- ticale emerga facendo un angolo è. Sarà (6) senz = m sen À Si disponga questo prisma esattamente sotto al primo, allora la devia- zione sarà lo stesso angolo e di emergenza. Introducendo nella (5) il valore di sen < della (6) si ha finalmente (7) sene= sen A (— m cos A + J/n° — m? sen? A) n=1,62; formiato-malonato di tallio n= 1,67. Per la loro preparazione vedasi la mia recente Nota Preparazione di liquidi per la separazione dei minerali in questi Rendi- conti, seduta del 3 febbraio 1907. — 340 — Il radicale va preso col segno +. Nella (6) sen A. può variare dal valore 1 mM minimo = 0 al valore massimo = —; col primo la (7) darà sene=0, e= 0; col secondo mM sne=-— (pei — Y/m — I) Per n= m si ha sempre e==0. Se i prismi sono sufficientemente piccoli, si può ritenere che tutti i raggi emergenti relativi ai varî valori di n, quando A ed 7 sono costanti, conver- gano in un punto e se sì dispone una scala orizzontalmente all’unità di distanza da questo punto, a ciascun valore di 7 corrisponderà un punto della scala e la parte di graduazione compresa fra i punti definiti dai valori x, #3 di 2 sarà S=tang e, —tang e, secondo che 7, = m = #» oppure tanto 7, quanto n, =. m. Interessa ora di sapere se e per quali valori di 7 e di A, possa risultare S massimo, in altri termini di conoscere in quali condizioni per una data dif- ferenza di indici 2» — x, il tratto di scala compreso fra i rispettivi raggi sia massimo. In questa indagine ho preferito seguire il metodo grafico. Nella fig. 1 si vede una serie di circoli concentrici i cui raggi sono l’in- verso degli indici #2, ,%1....%n per 11 valori da nn=1 a #n=2. L'angolo rifrangente dei prismi = 35°. Sia 4 il raggio incidente, d, il raggio emer- gente dal prisma inferiore nell'aria quando non vi è il secondo prisma: %, il raggio emergente dal secondo prisma quando il suo indice è #,= 1,10; bn Vultimo per #,=2. Nella figura, oltre 20, sono contrassegnati, per la ragione che sì dirà appresso, i raggi 2, e dg che corrispondono ai valori n= 1,40,= 1,80. Tutti i raggi d tagliano la retta 4 determinandovi altret- tanti valori di tang e. Dai punti d'incontro s'innalzino delle ordinate in relazione ad 70 ,%,-...7n e si tracci la curva passante per la estremità di tali ordinate e si chiami c3;. Questa curva per ogni valore delle ordinate, cioè dell'indice di rifrazione del secondo prisma, dà un valore delle ascisse ossia della scala, e viceversa per ciascun punto letto sulla scala fa conoscere l'indice di rifrazione che gli corrisponde. Si ripeta la stessa costruzione per altri valori di A per es. 10°, 20°, 30°, 40°, si otterranno altrettante curve €10 .... Cs passanti tutte per un punto della verticale determinato dal valore di 72, e che si avvicinano alla ver- ticale stessa al diminuire di A fino a confondervisi per A= 0. Queste curve sono contraddistinte nella fig. 1 colle indicazioni 0°, 10°, 20°, 30°, 35° e 40°. Se invece si mantiene costante A e si ripete la costruzione per diversi — 341 — valori di #2, sì otterrà per ogni valore di A una serie di CUrVe €’,2,; Can. disposte una accanto all'altra. Nella fig. 2 sono riprodotte le curve che si ottengono per A = 30°, dando successivamente ad 7 .i valori 1,90; 1,80; 1,70..... e 1,30. Al valore 1,90 corrisponde la prima curva contando dall'alto, a 1.50 l’ultima in basso. La figura è costruita nella stessa scala della fig. 1 e vi è indicata la ver- ticale 0 come riferimento per il confronto. Per i casi della pratica interessa, per esempio, che il tratto di scala. o scostamento per i valori di # = 1,40 e 1,80 sia il maggiore possibile. Dalla ispezione di tutti i gruppi di curve deducesi che tale scostamento da 0 va sempre crescendo mano mano che A si accosta al massimo valore compatibile col valore dato ad mm, cioè si accosta all'angolo limite. Invece per A costante varia pochissimo col crescere di m. In conclusione è preferibile tenere 7 pic- colo onde A possa essere scelto in prossimità del suo massimo valore pos- sibile. Tutto ciò può anche rilevarsi colla costruzione di un diagramma por- tando sull'asse delle 2 i valori dati all'angolo A e sull'asse delle y la proie- zione orizzontale dei tratti di tutte le curve c compresi fra i raggi 2, e ds, Fra 35 e 40° le linee corrispondenti ad #m = 1,40;1,50 e 1,60 sono fra loro molto vicine. La disposizione pratica è la seguente. Sopra un vetro porta-oggetti traccio al diamante le due mezzerie e fisso sul loro incontro prima un piccolo prisma di vetro collo spigolo rifrangente parallelo per quanto è possibile alla mezzeria trasversale, e poi un anello di vetro di quelli usati per fare le celle e le ca- mere umide in modo da costituire una specie di recipiente cilindrico col prisma in fondo ('). In un’ora di lavoro, che chiunque può facilmente eseguire da sè, compreso l'allestimento del prisma da un pezzo di lastra dallo spessore di 2a 3 mm., l'apparecchio è fatto (fig. 3). Resta ora a costruire la curva poichè ogni apparecchio ha la propria. Si metta il porta-oggetti sul tavolino del microscopio, che deve essere provvisto di squadretta d'appoggio, che ne stabilisce la posizione. Si giri il tamburo graduato del traslatore, si metta a foco la riga trasversale e si faccia collimare questa e quella longitudinale colla crociera dell’oculare e si prenda nota della posizione del tamburo. Con una pipetta a tubo di gomma si riempia di liquido, per es. acqua, la cella: per evitare il menisco si ponga un sottile vetrino copri-oggetti lasciando un segmento scoperto per l'eventuale uscita dell’eccedenza di liquido, o delle bolle d’aria o per introdurvi la punta della pipetta onde aggiungervi altro liquido se quello immessovi non fosse stato sufficiente. (1) È consigliabile di tracciare più d’una riga trasversale per poi servirsi di quella che riuscirà meglio visibile, oppure per servirsi di due, onde moltiplicare le letture. Accanto a queste righe incollo una strisciolina di stagnola che serve d’indicatore facil- mente ritrovabile quando si mettono a foco le righe. — 342 — Ora è realizzata la disposizione studiata teoricamente poichè la faccia inclinata del prisma di vetro ed il vetrino copri-oggetti delimitano un prisma di liquido, il cui angolo rifrangente è uguale a quello del prisma di vetro, se la costruzione è riuscita bene. Se vi è invece una piccola differenza non occorre preoccuparsene perchè questa ed altre imperfezioni influiranno sul- l'andamento della curva ma non sui risultati finali. Si rimetta a foco e si vedrà che la riga trasversale si è notevolmente spostata, quindi bisogna girare il tamburo di un certo numero di divisioni per riportarla a collimare col filo della crociera. Si tolga l’acqua, si soffi con una pera di gomma per asciugare più presto, e si ripeta la stessa operazione per quanti liquidi si vogliano purchè d'indice conosciuto e si notino gli spostamenti della riga Bei; trasversale. Sopra un foglio di carta millimetrata si notino, per es. sull'asse delle y, gli indici di rifrazione di questi liquidi facendo per es. che 1 mm. corrisponda ad una unità della terza decimale dell'indice. Sull’asse delle 4 si riportino i valori degli spostamenti e si tracci la curva. Ora è chiaro che per un liquido qualunque messo nella cella si leggerà al tamburo di quanto devesi girare per ricondurre la riga trasversale al filo della crociera: si porta questo valore sull'asse delle 4, si risale fino all'incontro della curva e di qui si corre fino all'asse delle y ove si legge l'indice che si voleva determinare. Si intende che per conseguire maggiore precisione sì ripetono le letture e se occorre si mette davanti allo specchio un vetro colorato. Si possono anche tracciare più curve per diverse temperature dell'ambiente. Chi possiede microscopio senza tavolino traslatore potrà servirsi ancora di questo metodo adoperando un oculare con micrometro: leggerà gli spo- stamenti della riga trasversale sul micrometro stesso. La precisione è però minore di quella che può ottenersi col tamburo graduato a 10 w del traslatore. La figura 3 rappresenta, in grandezza un po' minore del vero, la se- zione verticale e la vista dall'alto della disposizione descritta con portaog- — 543 — getti formato 76 X 26. La cella è piuttosto alta ed abbastanza larga per farvi comodamente entrare la fronte dell’obbiettivo, se occorre, per mettere a foco quando la cella è vuota. Contiene 2 cm? di liquido ed è adatta par- ticolarmente al caso che si desideri preparare un po di liquido di voluto indice, per poi serbarlo. Con un prisma un po’ più piccolo e l'anello alto 2 mm., la cella risulta della capacità di circa cm? 0,2. Lo spazio libero al fondo è sufficientemente ampio per posarvi dei frammenti del minerale da esaminare. Si possono per altro fare dimensioni ancora più piccole; ma sempre si adoperano obbiettivi deboli. Mineralogia. — Scisto ottrelitico cd Amfibolite sodica del Vallone di Monfieis presso Demonte ('). Nota del dott. ARISTIDE RosAtI, presentata dal Socio G. STRivER. L'ing. D. Zaccagna ebbe la cortesia di mandarmi per lo studio petro- grafico alcuni campioni di due importanti roccie del Vallone di Monfieis presso Demonte, di cui riferisco nella presente Nota il risultato delle osser- vazioni microscopiche, aggiungendo in principio d'ogni descrizione le note sul giacimento e la geologia delle formazioni rocciose scritte dallo stesso ing. Zaccagna. Scisto ottrelitico. « Scisto ottrelitico in lenti di discreto spessore fra gli scisti sericitici, scisti carboniosi e le arenarie del Carbonifero, in alto del Vallone di Monfieis (Demonte) ». Esternamente si distingue un fondo giallo-chiaro di aspetto talcoso, in . cui sono disseminati numerosissimi puntini verdastri di materiale cloritoide. La struttura è distintamente scistosa a grana alquanto minuta; in qualche punto il campione è attraversato da venette di quarzo. Le sezioni sottili studiate al microscopio fanno riconoscere una massa damentale fillitica data da un intimo miscuglio di quarzo e mica bianca se- fonricitica, dentro cui sono disseminati elementi porfirici più o meno sferoi- dali e consistenti in aggrup pamenti di cristalli verdastri ottrelitici. Ii quarzo è granuloso o lentiforme, e frequentemente mostra estinzione ondulosa e polarizzazione di aggregato. La mica forma straccetti o laminette molto ripiegate e contorte e per i suoi caratteri ottici si potrebbe scambiare col talco, ma le analisi di filliti analoghe hanno dimostrato che qui si tratta di muscovite sericitica e quindi molto simile a talco (?). (1) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Mineralogia della R. Uuiversità di Roma. (2) Vedi H. Rosenbusch, Zlemente der Gesteinslehre. 1901. S. 452. — 344 — L'ottrelite che si distingue molto bene per la geminazione, la sfaldatura ed il caratteristico e distinto pleocroismo, presenta laminette allungate o hastoncelli pleocroici dal blé-indaco nel senso della lunghezza (6), al giallo verdognolo nel senso normale (c) e con distinte linee di sfaldatura parallele alla base. Sono diffusissime le geminazioni polisintetiche secondo la legge della mica, e che a nicol incrociati danno spesso la figura di orologio a pol- vere, conformemente a quanto riferisce il Rosembusch nel suo classico trat- tato. In sezioni parallele alla base si hanno figure rombiche od esagonali, con sfaldatura poco distinta secondo due direzioni parallele ai lati dell’esa- Scisto ottrelitico, luce naturale, ingrandimento 88 diametri. gono e che s'incontrano a 120°; la direzione d'estinzione divide l’angolo fatto dalle linee di sfaldatura; il pleocroismo alquanto debole produce un color verde oliva quando la sezione principale del nicol è parallela alla di- rezione a. Le lamine basali hanno disposizione embricata, per cui i caratteri ottici riescono confusi e si notano diverse sfumature di colore a seconda del maggiore o minore numero di lamine sovrapposte. Tali cristalli listiformi di ottrelite sono riuniti in fascetti o in aggruppamenti sferoidali, e in quest'ul- timo caso la sezione mostrasi costituita da tanti bastoncelli irradianti dal centro ed a nicol incrociati si ha la croce nera caratteristica delle sferoliti. Fascetti ed aggruppamenti sferoidali sono porfiricamente e senza alcun D5* ordine diffusi nella massa quarzoso-micacea, e contengono inclusioni di rutilo. {v. fig.). E abbondantemente disseminato in tutta la roccia, dove produce nume- rose inclusioni nei cristalli maggiori, il rutilo con forme aciculari, e spesso geminato. Infine si notano granulazioni di ossidi di ferro non bene determinabili. — 345 — L'ing. Franchi, a cui sono molto grato per il cortese aiuto, che mi presta negli studi petrografici, mi ha fatto vedere un campione di scisto ottrelitico del Canale dell'Ombrata presso Bedizzano (Alpi Apuane) del tutto simile all'aspetto esterno a quello sopradescritto. Di esso tratta in una estesa ed interessante Memoria A. D'Achiardi (') ed i risultati microscopici da lui avuti non sono diversi dai miei, se si eccettui la presenza della tormalina nello scisto ottrelitico di Bedizzano, minerale che non ho trovato nelle mie sezioni. Amfibolite sodica epidotica con lawsonite. « Massa lentiforme fra i calcescisti arcaici del Monte Pergo, all'estre- mità del Vallone di Monfieis (Demonte) ». Roccia grigio-azzurrognola, finamente scistosa. Il suo colore bluastro ca- rattestico fa riconoscere la presenza di numerosi cristallini di amfibolo azzurro, che costituiscono la parte fondamentale della roccia. Inoltre sono visibili macroscopicamente granulazioni giallognole di minerali epidotici, noduletti sparsi di pirite, e strati sottili di materiale prevalentemente quarzoso in concordanza colla direzione di scistosità. Fin dall'aspetto esterno si rivelano profonde alterazioni; in molti punti la pirite è limonitizzata, in altri la com- pagine della massa è divenuta friabile. Pare dunque trattarsi di roccia me- tamorfica. Ma il metamorfismo si riconosce molto meglio studiando la sezione sottile. Quasi tutti i minerali vi appaiono di origine secondaria. Prevale il glauco- fane in cristalli sottili allungati secondo z. Sono frequentissime le sezioni longitudinali, e quindi le forme aciculari, a bastoncello e laminari secondo le dimensioni dei cristalli, che sono variabilissime, ma in generale non oltre- passano quella di mm. 0,05 per la larghezza e mm. 0,5 per la lunghezza. In esse la sfaldatura prismatica è generalmente indistinta, le parti terminali sono sfrangiate, e rispetto alla direzione d'allungamento risulta un angolo d'estinzione di circa 4°-6° caratteristico dell’amfibolo azzurro. Il pleocroismo è debole con c blé-cielo, a giallo-pallido. Più rare sono le sezioni trasversali rombiche con linee di sfaldatura parallele ai lati della figura, dal cui incontro risulta un angolo di circa 125°; hanno pleocroismo dal giallo pallido (a) al violetto (6). Schema d’assorbimento c > 6 > a. È distribuito molto irrego- larmente nella roccia; in sezioni parallele alla scistosità si vedono i cristalli di glaucofane divergere in tutti i sensi formando una specie di feltro, da cui sono involti gli altri minerali. Dopo il glaucofane altro costituente importante è l'epidoto, che prende forma di granulazioni, di vene o di grandi elementi giallognoli abbondan- temente distribuiti in tutta la roccia. (1) Atti della Società Toscana di Scienze Naturali. Memorie, vol. VIII, pag. 442. Pisa, 1887. RewDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 45 — 346 — Inoltre sono presenti una discreta quantità di clorite, che in alcuni tratti diviene prevalente e determina nella sezione un fondo verdastro, ilme- nite, leucoxene, titanite, pirite parzialmente limonitizzata, quarzo general- mente raccolto in determinate zone, plagioclasio. Ilmenite e leucoxene for- mano spesso una serie di granulazioni parallele alla direzione di scistosità. Il-plagioclasio, molto raro, nelle poche sezioni studiate presenta un angolo di estinzione simmetrica nella zona normale a (010) di circa 16° e rifrazione inferiore a quella del quarzo, caratteri che lo fanno riferire alla serie del- l'albite. Ho notato anche un minerale incoloro per lo più granuloso ma qualche volta limpido, di rifrazione elevata, con vivaci colori d’interferenza prossimi a quelli dell'epidoto, in forme rettangolari che estinguono secondo i lati o a contorni irregolari, e che presenta le linee di sfaldatura e le geminazioni caratteristiche della lawsonite, minerale che è stato spesso riconosciuto in rocce simili a quella di cui è oggetto il presente studio. Onde averne maggior certezza ho voluto confrontare le mie sezioni con quelle di rocce lawsonitiche già studiate e che ebbi dalla cortesia dell'ing. Franchi, ed ho trovato iden- tità perfetta. La lawsonite nella nostra roccia non è abbondante, è solo un minerale accessorio. Dallo studio soprariferito risulta che i minerali essenziali sono l’am- fibolo azzurro e l’epidoto; quindi seguendo la classificazione proposta dal- l'ing. Franchi (') possiamo ritenere la nostra roccia come amfibolite sodica epidotica. Sulle amfiboliti sodiche sono stati fatti studî importantissimi dal- l'ing. Franchi, ed io citerò soprattutto le Memorie seguenti: Notizie sopra alcune metamorfosi di eufotidi e diabasi nelle Alpî occidentali, Boll. del R. Com. geol., 1895, pag. 181. Prasiniti ed anfiboliti sodiche provenienti dalla metamorfosi di rocce diabasiche presso Pegli, alle isole Giglio e Gorgona ed al Capo Argen- tario. Roma, tip. R. Acc. Lincei, 1896. Contribuzione allo studio delle rocce a glaucofane e del metamorfismo onde ebbero origine nella regione ligure-alpina occidentale, Boll. del R. Com. geol., 1902, pag. 255. i Egli ha dimostrato che le amfiboliti sodiche possono provenire per tras- formazione di materiali diabasici ed eufotidici, e nella Memoria del 1902 si diffonde anche a studiare le cause del metamorfismo. Ha fatto poi rilevare nella Memoria del 1895 che i minerali secondari provenienti per metamor- fosi di rocce diabasiche sono: albite, calcite, quarzo, zoisite, epidoto, mica bianca, amfibolo violetto, anfibolo verde, clorite, leucoxene, oligisto od ilme- nite e lawsonite. Ora la nostra roccia, che, come dissi più sopra, presenta (1) Boll. del R. Com. geol., 1895. pag. 197. — 347 — tutti i caratteri di un lungo metamorfismo, è in rapporto con ammassi diabasici ed eufotidici, come mi risulta dalle informazioni sul giacimento avute dall'ing. Zaccagna, e dalla minuta di campagna delle rocce di Monte Pergo, che potei vedere all'Ufficio geologico e dove figurano ancora chiara- mente conservate rocce eufotidiche, diabasiche, e variolitiche, e i tipi a glau- cofane diffusi in tutta la massa sono metamorfosi dei tre tipi di rocce massicce succitati o dei loro materiali tufacei; e d'altra parte i suoi minerali secondari sono quelli citati dal Franchi nella Memoria del 1895. Niente di più probabile quindi che essa provenga per trasformazione di rocce eufotidiche, diabasiche, e variolitiche ovvero dei loro materiali tufacei. Ringrazio pubblicamente l'ing. Zaccagna per avermi fornito il materiale studiato nella presente Nota. Mineralogia. — Sw alcune pirrotine della Sardegna ('). Nota del dott. AURELIO SERRA, presentata dal Socio G. STRivER. Benchè sieno noti diversi giacimenti di pirrotine nella Sardegna, tuttavia di esse manca ancora una analisi, e per tale ragione fui indotto a compiere uno studio chimico del materiale esistente nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Sassari. Le pirrotine da me studiate provengono dal giacimento di Lula, in pro- vincia di Sassari, e da quelli di Baccu Arrodas, di Monte Narba, di Giovanni Bonu, nel Sarrabus. Di tali giacimenti fanno menzione Baldracco (*), Jervis (3), Traverso (4), ecc. 3 Il giacimento di Lula trovasi a 3 km. circa dal paese omonimo; la pirrotina si rinviene in esso entro filone che si estende lungo la valle di Onani ed ha per cadente gli schisti e per riposo una roccia calcarea, com- patta, di color bigio verdastro; abbonda al tetto del filone, mentre va ridu- cendosi a rari grani verso il riposo. All'analisi mi risultò della seguente composizione: Hess—.61,97 Sifae== 36,86 Guai 500.57 Mn = tracce Nine 000,79, SIOs=# 70,30 100,49 (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Mineralogia della R. Università di Sassari. (3) Cenni sulla costituzione metallifera della Sardegna, pag. 238. (*) / tesori sotterranei d'Italia, Parte III, Torino 1871, pag. 151. (4) Sarrabus e suoi minerali, Alba, 1898, pag. 31. — 348 — Nel Sarrabus la pirrotina esiste assai diffusa, in ammassi, venule, fina- mente disseminata nelle rocce quarzose, oppure a contatto di queste con i porfidi. Nei filoni si trova prevalentemente fra i materiali delle salbande. I campioni di Baccu Arrodas sono accompagnati da pirite, galena ed argento rosso, nello schisto talcoso. I risultati dell'analisi centesimale sono i seguenti: Biene— 62,92 Su ‘35.78 AN — tracce Sb — 0,78 Pb" 105 Sio,= 0,39 100,32 A Monte Narba trovasi in piccoli ma ben definiti cristalli d’abito prisma- tico esagonale, nonchè in sottili lamelle, pure esagonali, associata alla ull- mannite, alla breitauptite, all’arseniuro di ferro cobaltifero, alla blenda. Il campione analizzato mi diede la seguente composizione: Fe = 60,98 Seli 38,01 Ai —_ 0:43 Sh = 0,89 Cu =. 0,05 NN= tracce 100,36 A Giovanni Bonu giace, in lenti intercalate, negli schisti incassanti il filone. Quivi si trovò, secondo le indicazioni di Traverso (*), qualche cristal- lino nelle geodi di calcite accompagnata dall’argento rosso, come pure qualche lamina esagonale nel calcare spatico; da questa miniera proviene un cristal- lino che presenta la combinazione caratteristica }10.0.10.3f }0001{ della pir- rotina di Elizabethowa, nel Canadà, descritta da E. Dana (?). L'esemplare da me analizzato fu colto nel filone parallelo a Canale Figu; mi risultò di grande purezza, non contenendo neanche tracce di altri metalli, oltre il ferro: Hiewe== (61,29 See 37,97 Sio 0,82 100,08 (1)Elroc.ncit. (2) American Journal of Science, 1876, vol. XI, pag. 386. — 549 — È noto, dagli studî sinora eseguiti sulla costituzione chimica delle pir- rotine, come il Rose (') ne attribuisse la diversa composizione soltanto alle in- clusioni ed ammettesse la formula Fe; Ss come più verosimile; come Haber- mehl (*) si dichiarasse per la formula Fe,S,,, già precedentemente trovata da Rammelsberg (5), nella quale però il valore di 2 variasse da 5 a 16, come Bodewig (4) e Doelyter (*) ammettessero la formula Fei S;:; come infine Gutknecht (°) trovasse la formula FeS. Facendo un raffronto fra i valori dati dalle analisi da me eseguite: | Lula Baccu Arrodas Monte Narba Giovanni Bonn Fe 61,97 62,32 60,98 61,29 S 36,86 35,78 88,01 87,97 Sb = 0,78 0,89 — As _ tracce 0,43 — Pb = 1.05 — — Cu 0,57 — 0,05 — Mn tracce — —_ _ Ni 0,79 -_ tracce —_ Si 0. 0,30 0,39 — i 0,82 100,49 100,32 100,36 100,08 ed i valori calcolati: | Fes | Fe,S, | Eesgiota Fe 63,64 60,49 61,60 S 36,36 39,51 38,40 100,00 100,00 100.00 risulta come alle pirrotine analizzate più attendibilmente si appropri la formula Fe,; Sis. Determinai la formula empirica di ciascuna di esse ed ottenni: perla pirrotina di Lula .- . PM Si: OIL ’ Baccu Arrodas. FeS ” ” Monte Narba . Fe, Ss ” ” Giov. Bonu . Fe,;Si: (1) Poggendorf Annalen, 1849, 74, 295. (*) Oberhess. Gesellschaft Natur und Heilkunde, 1879, 18, 83. (£) Mineralchemie, 1875, 56. (4) Groth's, Zeitschrift fiir krystallographie, 7, 180. (5) Tschermak's, Mineralogische Mitheilungen N. F., 7. 544. (°) Neues Jahrbuch fir Min., 1880, 1, 164. — 350 — I rapporti degli equivalenti degli elementi da queste formule espressi, stanno a confermare la deduzione fatta, in special modo se si pensa che i valori trovati per la pirrotina di Giovanni Bonu (di cui già ebbi a rilevare la purezza) si approssimano a quelli calcolati per la Fe, Sis più degli altri, il che induce ad ammettere che le differenze fra i valori trovati e calcolati sieno da attribuirsi alle eventuali inclusioni. La quantità di zolfo trovata in più nelle analisi, si dovrebbe attribuire con l’Hintze (') al fatto che le pirrotine contengano in stato di estrema di- visione (non tenuto conto delle inclusioni) un po di zolfo o di bisolfuro di ferro, oppure che sieno costituite da.un sale di zolfo molto basico (9 FeS. Fe. S3) nel quale la combinazione predominante (Fe S) forma la parte fonda- inentale. Noto come particolarmente interessanti, la pirrotina di Baccu Arrodas e di Monte Narba, per il loro contenuto in antimonio, la cui presenza, per quanto io sappia, finora non fu riscontrata in tale specie minerale. Il Link (?) fa osservare come il peso specifico della troilite sia in media superiore a quello della pirrotina e ciò per l'elevato contenuto di nichel e cobalto. Lo determinai per i minerali in questione ed ottenni: per la pirrotina di Lula. . . . D= 4,99 ” ” Baccu Arrodas. D= 4,64 ” ” Monte Narba . D= 4,54 ” ” Giov. Bona . D= 4,49 Il peso specifico della pirrotina di Baccu Arrodas s’accorda con i valori trovati da Gutknecht (*) (4,62) e da Mackenzie (4) (4,66), il primo per la pirrotina della valle di Tavetsch contenente 36,35 °/, di zolfo e 63,51 °% di ferro, il secondo per quella del giacimento di Workommniss contenente 37,89°/ di zolfo e 61,84°/, di ferro, oltre al 25 °/, di nichel. I risultati da me ottenuti starebbero ad indicare come i pesi specifici nelle pirrotine, non solo aumentino per il loro contenuto di nichel, ma aumen- tino anche per la presenza in esse del piombo, del rame, dell’antimonio. (3) Handbuch der Mineralogie, vol. I, pag. 634. (2) Veber die heteromorphen Modificationen des Phosphors und des Arsens sowie des Einfach-Schwefeleisen, Ber-Chem. Gesell. 1899. vol. I, pag. 895. (3) Dana, System of min:, VI, Aufl., 1393, S. 78. (4) Ibidem. Fisiologia. — Sulla tossicità dei primi prodotti della dige- stione, e sull’ influenza degli alimenti sulla contrazione muscolare. Nota del prof. UcoLINo Mosso (*), presentata dal Socio A. Mosso. » La svogliatezza, lo spossamento, la voglia di dormire che si osservano nel periodo della digestione, e gli altri fenomeni conosciuti col nome di « brivido della digestione » « febbre della digestione» sono noti a tutti; non sì conoscono però le sostanze che li producono. Come introduzione allo studio di queste sostanze pubblico alcune esperienze sulle modificazioni della forza muscolare durante la digestione in condizioni fisiologiche. Guardando i tracciati ergografici che da venti anni raccolgo per diversi studi, so distinguere se le curve furono fatte prima o dopo il pranzo. Dodici anni fa essendomi accorto della differenza fra le dette curve, mi venne l’idea di queste ricerche, e le eseguii. Feci le esperienze sopra di me, del mio assistente dottor Ottolenghi e dei dottori Paoletti, Benso, Muratori, Rolla ed Orengo, allora studenti ed allievi del mio laboratorio, dell’età dai 21 ai 24 anni, sani e robusti. Paoletti e Benso mostravano al lavoro dell'ergografo una resistenza minore; il loro tipo della fatica muscolare era il migliore per questo studio. Delle molte esperienze, che riuscirono del resto concordi, riferisco solamente quelle stret- tamente necessarie a dimostrare i fatti più importanti delle mie ricerche. Mi servii dell’ergografo di Angelo Mosso (*); si incominciava a molte ore di distanza dal pasto e si faceva la curva della fatica fino ad esauri- mento. Dopo la prima curva si prendevano gli alimenti prestabiliti, mentre si continuava a fare le altre ogni dieci minuti. Per chi volesse verificare queste esperienze, è duopo avvertire, che i risultati migliori si ottengono quando i muscoli siano allenati al lavoro dell'ergografo da qualche giorno. A). VITTO DI UOVA E DI PANE. PrIMA ESPERIENZA. — Curve normali di esaurimento. Il giorno 11 gennaio 1895, alle ore 10,10, I. Benso fece la curva della fatica, colla mano destra, col peso di 5 kgr.; ottenne successivamente le curve seguenti del valore di chilogrammetri 3,000; 3,280; (1) Esperienze eseguite nel Laboratorio di Materia Medica della R. Università di Genova. (*) Per tuttociò che si riferisce all’ergografo vedi le memorie di Angelo Mosso e dei suoi allievi pubblicate negli Atti della R. Accademia dei Lincei e negli Archives italiennes de Biologie. pol — 2,455; 2,245; 2,395; 1,760; 1,605; 1,490; 1,105; 0,585; 0,290; 0,090. Questo lavoro fatto in condizioni normali è di kgrm. 21,300 (vedi figura prima, ridotta di un terzo). TEO EOS Mi UL VIE o) SECONDA ESPERIENZA. — Pane 50 gr., uova 100 gr. Il giorno 18 febbraio 1895, alle ore 10, I. Benso fece la curva delle fatica, con la mano destra, col peso di 5 kgr.; subito dopo mangiò 50 gr. di pane e 100 gr. di uova cotte nel tegame; ottenne succes- sivamente ergogrammi del valore rispettivo di kgrm. 3,425; 2,615; 1,500; 0,790; 0,395; Il 0,325; 3,565; 2,585; 2,600; 1,965; 1,235; 0,730; 0,640; 0,260: in tutto kgrm. 22,680 (vedi figura seconda, ridotta di un terzo). Questa esperienza dimostra: che dopo un pasto di 50 gr. di pane e 100 di uova, la forza muscolare subito diminuì, e dopo 50" il lavoro si ri- dusse ad !/,, di quello della prima curva; che subito dopo si raggiunse il mas- simo di lavoro; che coll’ introduzione di detto nutrimento il lavoro utile dei muscoli durò 20" di più; e che si ottenne un lavoro di kgrm. 1,380 più del normale. TERZA ESPERIENZA. — Pane 100 gr., uova 200 gr. Il giorno 27 febbraio 1895, alle ore 11,15, I. Benso fece la curva della fatica colla mano destra, col peso di 5 kgr.; subito dopo mangiò 100 gr. di pane e 200 gr. di uova, una quantità doppia di quella della precedente esperienza; ottenne successivamente ergogrammi del valore di kgrm. 4,340; 2,565; 1,520; 1,265; 0,825; 0,425; 1,100; 4,445; 3,310; 2,555; 2,075; 1,020; 0,880; 0,500; 0,385; 0,245; in tutto kgrm. 27,455 (vedi figura terza, ridotta di un terzo). — 353 — Questa esperienza dimostra: che dopo aver introdotto nello stomaco 100 gr. di pane e 200 gr. di uova la forza diminuì subito, e dopo 50" era solo */1o della primitiva; che coll’introduzione di una quantità di cibo doppia della precedente esperienza i muscoli lavorarono 40" di più del nor- male; che i muscoli eseguirono un lavoro di kgrm. 6,155 di più del normale. | ii I »| [OT | L'esame di questi tre tracciati prova che coll’introduzione del cibo nello stomaco si sviluppano delle sostanze atte a diminuire l’attività dei muscoli, e che i muscoli, riacquistano in seguito una forza maggiore di prima, e di più lunga durata. Risulta ancora che il lavoro dei muscoli è in rapporto colla quantità di cibo introdotto: con cibo scarso il muscolo ricu- pera la massima forza alquanto prima che con cibo abbondante. Il cibo abbondante produce una più grande quantità di sostanza dinamogena. B). VITTO DI SOLO PANE E DI SOLE UOVA. Dobbiamo ora cercare quale dei due alimenti: albumine ed idrati di carbonio, producano un'azione tossica maggiore sui muscoli. Ma prima dob- biamo stabilire quale azione abbia sui muscoli l’acqua che introduciamo come veicolo del cibo: esperienze preliminari mi hanno dimostrato che il bere un bicchiere d'acqua non ha alcuna influenza sulla forza dei muscoli. QUARTA ESPERIENZA. — Curve normali di esaurimento. L. Paoletti è dei miei allievi . quello che presenta un tipo di fatica il più opportuno per questi studi, ed è anche quello che mi aiutò più efficacemente in queste ricerche. Egli, il giorno 2 maggio 1894 alle ore 10.10, fece la curva della fatica colla mano destra, con 4 kgr., ed ottenne successi- vamente ogni 10’ delle curve del valore di kgrm. 1,912; 1,784; 1,688; 1,640; 1,520; 1,528; 1,300; 0,836; 0,532; 0,504; 0,180; 0,128; in tutto kgrm. 13,552 (vedi figura quarta in grandezza naturale). RenDpICONTI. 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 46 102,10, 20, 30, 40, 50; 11, 10) 2013200240150)! Fic. 4. Quinta ESPERIENZA. — Pane 150 gr., acqua 150 gr. Il giorno 24 agosto 1895 alle ore 15.10, L. Paoletti fece la curva della fatica colla mano destra, col peso di 4 gr. Su- bito dopo mangiò 150 gr. di pane e 150 gr. d’acqua ed ottenne successivamente i seguenti ergogrammi di 10° in 10°: 2,280; 1,260; 1,100; 0,732; 0,356; 0,344; 0,720; 1,288; 1,868; 1,940; 1,548; 1,212; 1,076; 0,720; 0,728; 0,644; 0,520; 0,180; in tutto kgrm. 18,516 (vedi fisura quinta in grandezza naturale). Questa esperienza dimostra: che dopo aver introdotto nello stomaco 150 gr. di pane, diminuì la forza dei muscoli; che dopo 50" il lavoro fatto dal muscolo si ridusse ad !/,; che l'attività dei muscoli durò un'ora di più; che sviluppò kgrm. 4,964 più del normale. SESTA ESPERIENZA. Uova 150 gr., acqua 150 gr. Il giorno 22 agosto 1894, L. Pao- letti alle ore 14,40 fece la curva della fatica e subito dopo mangiò 150 gr. di uova ed ottenne i seguenti ergogrammi del valore di kgrm. 1,928; 0,632; 0,628; 0,144; 0,360; 0,304; 0,540; 0,616; 0,528; 1,388; 1,600; 1,760; 1,820; 1,200; 1,064; 0,932; 0,736; 0,540; 0,176; in tutto kgrm. 16,916 (vedi figura sesta in grandezza naturale). — 355 — Questa esperienza dimostra: che dopo 150 gr. di uova la forza dei mu- scoli diminuì; che in soli 80" raggiunse il minimo, cioè 1/3 della forza pri- mitiva; che l'attività dei muscoli durò 12.10’ di più; che sviluppò kgr. 3,364 più del normale. Fic. 6. Esaminando i dati di queste tre esperienze e paragonando i tracciati fra di loro risulta: che le uova producono più rapidamente e più durevol- mente le sostanze tossiche che agiscono sui muscoli (ore 1.20 per le uova, 0.50 per il pane); che il massimo di energia del muscolo è riacquistato prima col pane (1°.30%), dopo con le uova (2°); che gli idrati di carbonio sono utilizzati più presto per la produzione della forza muscolare che non le sostanze albuminoidi; che l’albumina viene più lentamente assimilata e può perciò dare un lavoro di più lunga durata, sebbene sia minore di quello sviluppato dagli idrati di carbonio (3,364 e 4,964). C). VITTO ORDINARIO CASALINGO. Un pasto troppo copioso provoca talvolta il vomito, quasi lo stomaco voglia liberarsi del soverchio cibo che ostacola le sue funzioni. Altre volte il pallore del volto, i sudori, le modificazioni del polso e del respiro pro- vano che si sono formati dei veleni potenti. Questi sono casi che possiamo ritenere patologici. Vediamo invece ciò che succede nei pasti comuni fatti in casa, e consumati da persone nel pieno vigore delle loro forze. SETTIMA ESPERIENZA. — Vitto di 645 gr. della seguente composizione in grammi: pasta asciutta 230, carne 40, verdura 45, formaggio 12, frutta 33, pane 60, vino 150, acqua 75. Il giorno 20 ottobre 1894 alle ore 13, IL. Paoletti fece la prima curva e dopo mangiò quanto sopra in 20%. Ottenne i seguenti ergogrammi colla mano destra, col peso di 4 kgr. ogni 10 minuti: 1,552; 1,208; 1,344; 0,976; 0,772; 0,592; 0,568; 0,980; 1,520; 2,150; 1,540; 1,460; 1,320; 0.896; 1,060; 0,744; 0,312; 0,120; in tutto kgrm. 19,114 (vedi figura settima, grandezza naturale). = 906 — Questa esperienza dimostra: che appena introdotto il cibo di un pasto moderato la forza muscolare diminuì gradatamente e molto di più che nello stato normale (fig. 4), lontano dal pasto; che poscia il muscolo riprese vi- gore e continuò a lavorare per un'ora di più che nello stato normale; che il muscolo produsse un soprappiù di lavoro eguale a kgrm. 5,562. RIGO OTTAVA ESPERIENZA. — Vitto di 1291 gr. della seguente composizione in grammi: minestra asciutta 460, carne 85, verdura 85, formaggio 25, frutta 66, pane 120, vino 300, acqua 150. Il giorno 7 ottobre 1894 alle ore 13, L. Paoletti fece la prima curva e dopo mangiò quanto sopra in 30%, ed intanto di 10 in 10 minuti ottenne colla mano destra e col peso di 4 kgr. i seguenti ergogrammi; 1,776; 1,160; 1,380; 1,008; 0,744; 0,656; 0,572; 0,448; 0,408; 0,180; 0,468; 1,560; 1,760; 1,688; 1,392; 1,188; 1,116; 0,740; 0,216; in tutto kgrm. 18,460 (vedi figura ottava, grandezza naturale). 20, 30 TAM 040, 50; 15 10, 20, ETA OG Questa esperienza dimostra: che un pasto doppio di quello dell’espe- rienza antecedente affaticò di più, e più a lungo i muscoli (80); che la forza sviluppata fu alquanto minore (kgrm. 0,680). Possiamo dire che la maggior quantità di cibo nocque all'organismo. — 357 — Nona ESPERIENZA. -— Vitto di 2010 gr. della seguente composizione in grammi: pasta asciutta 700, carne 130, verdura 130, frutta 100, formaggio 85, pane 180, vino 450, acqua 225. Il 25 settembre 1894 alle ore 17.30, L. Paoletti fece la prima curva e e poi mangiò quanto sopra in 40’, ed intanto ottenne colla mano destra e col peso di 4 kgr. i seguenti ergogrammi: 1,884; 0,980; 0,792; 0,488; 0,368; 0,180; 0,140; 0,064; 0,044; 0,020; 0,084; 0,132; 0,420; 0,516; 1,248; 1,728; 1,824; 1,980; 1,208; 1,100; 0,820; 0,524; 0,264; 0,136; in tutto kgrm. 16,644 (vedi fisura nona, grandezza naturale). car ESEG5E 10, 20, 30, 40, 50: 21,10,20. Fic. .9. Questa esperienza dimostra: che un pasto assai copioso affaticò tal- mente i muscoli da renderli presto incapaci di sollevare il peso usato per circa 40%; che i muscoli svilupparono un lavoro minore di kgrm. 2,470, in paragone di quello sviluppato in un pasto moderato (esp. 7). Confrontando i tracciati di queste tre esperienze risulta: che un pasto eccessivo indebolisce i muscoli fino a renderli incapaci di compiere il lavoro abituale, ed inverte i rapporti fra quantità di alimento e produzione di energia muscolare. È manifesto che il soverchio cibo arresta la trasforma- zione degli alimenti in energia potenziale; e che il cibo misurato affatica meno i muscoli, e sviluppa maggiore quantità di forza muscolare. D). SEDE D'AZIONE DEI PRODOTTI TOSSICI DELLA DIGESTIONE. Questa diminuzione della forza muscolare durante la digestione può di- pendere dal sistema nervoso centrale o da modificazioni periferiche della fibra muscolare; è poco probabile che dipenda da azioni riflesse o da mo- dificazioni circolatorie. Riferisco una esperienza fatta sopra di me colla irri- tazione diretta dei ‘muscoli flessori del dito medio, mediante una corrente indotta. Decima ESPERIENZA. — Fissai i due eccitatori della slitta di Du-Bois-Reymond a dei sostegni in modo da comprimere il muscolo sempre allo stesso posto e colla stessa pressione; il braccio restava libero nelle altre parti. Degli eccitatori uno l’applicai fra i tendini dei muscoli grande palmare e piccolo palmare a 10 centimetri dall’articolazione — 398 — radiocarpea e l’altro 10 centimetri: più in alto: bastano eccitamenti di piccola intensità per ottenere buone contrazioni dei muscoli flessori del dito medio. Il giorno 24 gennaio 1890, incominciai alle ore 10 ad irritare i muscoli con un eccitamento che si poteva sopportare senza dolore. L’eccitamento era fatto in modo che il dito si contraeva per un secondo e riposava per un secondo, e sollevava un peso di 2 kgr. fino ad esaurimento. Ad ogni ora si ripeteva l’esperienza sempre nelle stesse condizioni. In questo modo ottenni i seguenti. ergogrammi del valore di kgrm. 1,180 alle ore 10; di 0,958 alle ore 11; dopo feci colazione. Alle ore 12 l’ergogramma è solo di 0,688 e successivamente di 0,814 alle 13%, di 1,104 alle 142, di 1,122 alle 152, di 1,312 alle 162, di 0,974 alle 172 (vedi figura decima ridotta alla metà del vero). 108, 10 12, 13, Je i 16, Fic. 10. Questa esperienza dimostra: che i miei muscoli irritati colla corrente indotta, durante le due prime ore della digestione, non svilupparono che metà circa della forza (0,688, 0,815) che diedero nel primo ergogramma (1,180); che nelle ore successive la forza crebbe e sorpassò quella iniziale. Sebbene i miei muscoli siano di quelli poco adatti a dare dei risultati dimostrativi per queste ricerche, tuttavia in questo esperimento appare ma- nifesta l’azione deprimente della prima digestione sulla forza muscolare. Il risultato concorda perfettamente con quelli ottenuti mediante la contrazione volontaria che abbiamo studiato nei capitoli antecedenti. È importante vedere come nel nostro organismo possano circolare ve- leni molto attivi senza che noi ce ne accorgiamo. Senza l'intervento dei centri nervosi i muscoli, sottratti all'azione della volontà ed eccitati unicamente dalla corrente indotta, manifestano effetti deprimenti durante la digestione. Onde dobbiamo ammettere: che i detti veleni portati dal sangue ai muscoli ne diminuiscano l’attività; e che essi hanno un'azione diretta sui muscoli indipendente dalla eccitabilità dei centri nervosi. — 359 — Fisiologia. — Za diminuzione della tossicità del nitrato di argento trattato con tiosolfato sodico e lazione della luce su questo fenomeno (!). Nota di Luciano PriGoRINI presentata dal Socio L. LUCIANI. In una Nota di imminente pubblicazione presentata al VI Congresso di chimica applicata, io rilevai il grande potere tossico che l'argento sotto forma dei suoi tre sali: fluoruro, nitrato e lattato esplica sul Carassius aura- tus: che vidi morire in soluzioni 1:1000,000 di fluoruro; 1:500,000 di nitrato; 1:200,000 di lattato di argento. Nella Nota citata notai anche come in due esperienze l'aggiunta di tiosolfato sodico alle soluzioni 1:100,000 di fluoruro di argento ne avesse fatto talmente retrocedere la velenosità, che dopo sei giorni d’esperimento gli animali si comportavano in modo perfet- tamente normale. In quelle due esperienze mi era nota la quantità di sale argentico usata, ma non mi era nota la quantità del sale di sodio che io avevo aggiunto gradatamente fino alla scomparsa dell’intorbidamento pro- dotto dal fluoruro d’argento nell’Acqua Marcia, per la formazione di cloruro e carbonato d'argento. Cominciai dunque delle nuove esperienze con solu- zioni titolate di nitrato d’argento e di tiosolfato di sodio che mescolavo in rapporti determinati. In bicchieri da pila o in grandi « Becher » versavo 480, 470, 460 cm? di Acqua Marcia cui aggiungevo rispettivamente, facen- doli cadere da una buretta, cm? 10, 20, 30 di soluzione decinormale di tiosolfato sodico. Dopo avere bene rimescolato, a goccia a goccia, movendo sempre il liquido con un agitatore, facevo cadere da un’altra buretta cm? 10 di soluzione decinormale di nitrato d’argento. Avevo così nei tre casi 500 cm?. di una soluzione di sale argentico contenente rispettivamente 1, 2, 3 equi- valenti di tiosolfato sodico per uno di argento. Bastarono poche esperienze per dimostrarmi, che anche nel mio caso avvenivano precisamente i fenomeni osservati dal Sabbatani (*), sia per iniezioni endovenose in animali supe- riori, sia per l’azione di simili soluzioni sul Blepharisma lateritia. E cioè: Esp. 1. — 10 cm. di soluzione decinormale di nitrato d'argento in 490 cm5. di acqua uccisero un Carassius auratus del peso di circa 4 gr. in quasi 3. (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica fisiologica della R. Università di Roma. (*) Sabbatani L., Za dissociazione elettrolitica e la tossicologia dell'argento, rame e mercurio, Arch. di psich.; neuropatol.; antrop. crim. e med. leg., vol. XXV, p. 683. — 360 — Esp. 2. — 10 cm.? della stessa soluzione argentica più 10 cm. della soluzione decinormale di tiosolfato in 480 em. di acqua uccisero un pesce simile al primo in 5.° e 10”, Esp. 8. — 10 cm.5 della stessa soluzione argentica più 20 cm.? di so- luzione decinormale di tiosolfato sodico in 470 cm.? d'acqua ebbero esito letale in 100 h.; e finalmente: Esp. 4. e 5. — 10 cm. della stessa soluzione argentica più 30 cm.8 della soluzione decinormale di tiosolfato sodico condussero a morte gli ani- mali rispettivamente in 192 e 240 h. circa. Dunque: se diciamo = 1 la tossicità del sale d'argento nella 12 espe- rienza, questa tossicità diviene circa 1,7 volte minore nella seconda, circa 35 volte minore nella terza ed infine 82 volte minore nella quinta. Fino a qui nessun fatto nuovo, se non quello interessante della con- ferma di fenomeni noti, verificantisi in un organismo per costituzione e per condizioni di vita diversissimo da quelli già sperimentati, e quindi un nuovo brillante esempio da aggiungere a quelli già addotti per la dimostrazione dell'importanza che il fenomeno della dissociazione elettrolitica ha nei feno- meni di avvelenamento. Ma si sa che i tiosolfati doppi d'argento e sodio, quali sono quelli che si formano con i processi descritti dianzi, sono sali poco stabili: è notissimo il fatto dell'ingiallimento delle negative e delle stampe fotografiche dovuto alla scomposizione di essi, qualora un lavaggio prolungato non li abbia aspor- tati completamente. Supponendo che la luce potesse affrettare questa decom- posizione, volli sperimentare al riparo di essa, ricoprendo i bicchieri con una custodia formata di vetri rossi. Poi, avendo visto allo spettroscopio che i vetri rossi usati lasciavano passare, oltre i raggi rossi anche tutti gli aran- ciati, i gialli ed una parte dei verdi, pensai di adoperare, secondo l’indica- zione di Gunni Busk ('), una soluzione di fucsina che allo spettroscopio vidi lasciar passare i raggi rossi, aranciati e una piccola parte dei gialli. Mi servii in tal caso di un apparecchio tanto semplice quanto comodo, costi- tuito di un pallone di vetro della capacità di oltre 750 cm.8 contenente la soluzione tossica e il pesce, e immerso a sua volta nella soluzione colorata contenuta in un bicchiere da precipitati, di diametri di 4 e più cm. mag- giore del diametro del palloncino. L'ingresso della luce bianca era comple- tamente evitato. Tutte le esperienze furono fatte in condizioni sensibilmente uguali davanti ad una stessa finestra in una stessa stanza dell'Istituto. Le esperienze sono tuttora in corso, ma di alcune di esse stimo opportuno: di dare notizia. Esp. 6. — Ripetizione dell’esp. 1, sotto la custodia dei vetri rossi. La morte dell'animale avviene in circa in ore 3°,30". (1) Mitteilungen aus Finsens Medicinske Lysinstitut. 8 H. 1904 (edizione tedesca pag. 45). — 361 — Esp. 7. — Compiuta simultaneamente alla 2. Alla luce dei vetri rossi. L'animale muore in 3.2 e 10% invece che in 5h 10", Esp. 8. — Alla luce dei vetri rossi. La si confronti con la terza. L'ani- male muore in circa 90 h. invece che in 100. Esp. 9. — Eseguita simultaneamente alla 8. È impiegata la luce fil- trata attraverso la soluzione di fucsina, e l’animale muore in meno di 67 h. Esp. 10. Eseguita alla luce dei vetri rossi. Invece di far gocciolare i 10 cm.ì di nitrato di argento nella soluzione già preparata di tiosolfato, ne feci in un piccolo matraccio precipitare l'argento come cloruro, raccoglien- dolo poi accuratamente su di un filtro e lavandolo. Sul filtro a goccia a goccia feci poi cadere 20 cm.8 della soluzione decinormale di tiosolfato sodico, che sciolse completamente il cloruro d’argento. Lavai il filtro, ag- giunsi l’acqua di lavaggio al filtrato e condussi come di solito la so- luzione al volume di 500 cm.8. Operai così, volendo escludere l’azione tossica del radicale NO;, che e per questa esperienza e per due simili si dimostrò invece trascurabile. Un'altra esperienza mi confermò questo fatto : un pesce, che avevo gettato in una soluzione 1:500 di nitrato di sodio, a luce rossa, dopo dieci giorni, era perfettamente sano e vivace. In questa esperienza 10, la morte dell'animale avvenne in tempo eguale a quello dell'esperienza 8 (circa 90 h.). Esp. 11. — Alla luce dei vetri rossi. La si confronti con la 4 e 5. La morte dell'animale avviene in circa 96 h., in luogo di 192 o 246. Esp. 12. Eseguita con lo stesso metodo nelle stesse condizioni e nel medesimo tempo della 4. A luce dei vetri rossi. L'animale muore in 139 h. in luogo di 246. Esp. 13. — Alla luce dei vetri rossi. Come nella 10 il nitrato d’ar- gento viene precipitato a cloruro e trattato questa volta con 30 cm. della soluzione di tiosolfato. La morte dell'animale avviene in tempo minore di 166 h. Esp. 14. — Ripetizione della precedente. La morte avviene in 101 h. Dal rapido esame di queste esperienze risulta dunque questo fatto: Sotto l’azione della porzione dello spettro, che comprende i raggi rossi, aranciati e gialli, una soluzione di nitrato d'argento, addizionata di 1,2, 3 equivalenti di tiosolfato sodico per 1 d’argento, esplica il suo potere venefico sul Carassius auratus in un tempo molto minore che sotto l’azione della luce diffusa del giorno. Mi resta ora a vedere l'influenza che esercitano sul fenomeno în di- scorso le radiazioni appartenenti ad altre zone dello spettro e l'esclusione totale della luce. Non emetto ora alcuna ipotesi per la spiegazione del fenomeno, che po- trebbe dipendere o solamente da un particolare stato fisico-chimico della so- luzione causato dalla luce, o anche .da differente attitudine dei protoplasmi RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 47 cer —T—cmTToee 1. ny 7 = , ’ = — 362 — raggiunta dalle varie radiazioni luminose, calorifiche, o attiniche a formare col sale disciolto quelle combinazioni che rendono poi impossibile la conser- vazione della vita. Il fenomeno, di cui ho fatto cenno in questa breve Nota preventiva, mi sembra schiudere la via ad una più vasta serie di ricerche di notevole im- portanza scientifica, cui forse potranno seguire utili applicazioni pratiche in terapia. Biologia. — Metodi adoperati per aumentare artificialmente la produzione del sesso femminile nei Conigli e per fissare nella prima generazione degli incroci le varietà recenti. Nota di ACHILLE Russo, presentata dal Socio B. GRASSI. In una Memoria presentata a questa Accademia (') misi in rilievo le modificazioni che subisce l'elemento epiteliale dell’ovaia dei mammiferi, sia in condizioni normali, sia quando questi vengano assoggettati a speciale trat- tamento. Dimostrai inoltre che la produzione del sesso ed i caratteri degli ibridi, ottenuti dagli incrocî, erano concomitanti con tali modificazioni. Rimandando per i dettagli alla Memoria citata, affinchè chiunque lo de- sideri possa ripetere gli esperimenti da me fatti in diversi anni di ricerche e controllarne i risultati, espongo in questa Nota i procedimenti di tecnica adoperati per aumentare nei conigli la produzione delle femmine e per otte- nere nella 1* generazione le varietà formatesi di recente e che richiedereh- bero una lunga selezione per essere fissate, a norma delle leggi mendeliane sulla prevalenza e sulla disiunzione. Lecitina, sua conservazione e metodo per ottenere le soluzioni. — Si ritiri la Lecitina dalla casa 4. Merck di Darmstadt, la quale ne fornisce pu- rissima. Per conservarla a lungo sì faccia disporre in piccoli vasi contenenti ciascuno 5 gr. di sostanza. Tale precauzione è necessaria, perchè la Lecitina si altera facilmente, acquistando un jcolorito bruno, reazione acida ed un odore di ammine, mentre quando è pura si presenta di colore chiaro ten- dente al giallo, di consistenza cerea e di odore etereo. Il solvente adoperato è stato l'olzo di vasellina, il quale veniva pre- cedentemente sterilizzato mediante la ebullizione. In una capsula di porcellana a fondo piano si versa 15 o 20cc. di olio ed in esso si aggiungono 10 gr. di lecitina, la quale mediante una spa- tola viene ridotta in piccolissimi frammenti. (Tale operazione può anche com- (1) Russo Achille, I/odificazioni sperimentali dell'elemento epiteliale dell’ovaia dei mammiferi da servire come base per la determinazione artificiale del sesso femminile e per la migliore interpretazione della legge di Mendel sulla prevalenza degli ibridi. — 363 — piersi in mortaio di vetro sterilizzato). In seguito si aggiungono 85 od 80 ce. di olio, in modo da avere una soluzione al 10 °/,. La soluzione preparata così grossolanamente si mette in un Termostato, in cui la temperatura si man- terrà tra i 40° o 45° C., e si avrà cura di agitare ogni 5-8 ore. Dopo 24-80 ore la /ecz/ina si è perfettamente sciolta e si ha così un li- quido di consistenza sciropposa e di colore giallo-oro, che è pronto per le iniezioni. Bisogna avvertire però che tale soluzione a freddo si rapprende, senza separazione dell'olio, e che perciò nel ripetere le iniezioni è necessario ri- scaldare di nuovo al Termostato. Metodo per eseguire le iniezioni sottocutanee ed intraperitoneali. — Le iniezioni saranno praticate almeno un mese prima dell’accoppiamento, però è bene avvertire che si hanno risultati più sicuri quando il trattamento a cui sono assoggettate le coniglie dura anche di più. Nelle femmine aventi l'età di un anno circa si comincia col fare una prima serie di iniezioni sottocutanee, non molto superficiali, perchè in tal caso la sostanza iniettata ristagna, producendo degli ingorghi, sebbene pro- fondamente fino a raggiungere con la punta dell'ago lo strato muscolare. Tali iniezioni saranno fatte alternativamente ai lati dell'addome, nella re- gione lombare, al di sopra del tessuto mammario. Mediante siringa di vetro, previamente sterilizzata, si inietterà 5 cc. di sostanza e con intervallo di 3 giorni le iniezioni saranno continuate per 5 o 6 volte. Dopo 6-8 giorni di questa prima serie d’iniezioni sarà praticata un'altra serie d'iniezioni intraperitoneali alternate con iniezioni sottocutanee. Sarà iniettata nel peritoneo 2 o 3 cc. di sostanza e sotto cute 3 0 4 ce. con intervallo di 2-3 giorni, facendo in tutto 3 iniezioni intraperitoneali e ò sottocutanee. I soggetti così trattati saranno tenuti in riposo da 6 a 10 giorni e poi uniti con il maschio. Le iniezioni intraperitoneali saranno fatte ai due lati dell'addome nella regione lombare con molta precauzione, per evitare i disturbi provenienti da una infezione. Dopo aver tagliato i peli, si lavi la parte con soluz. di su- blimato al 2 °/0o a cui sia aggiunta dell’acqua calda e l'ago della siringa, prima di essere adoperato, s' immerga nell'acqua bollente e poi venga asciu- gato con cotone idrofilo. | Per introdurre l'ago nel cavo peritoneale, senza ledere i visceri addomi- nali, bisogna prendere con due dita la parete laterale dell'addome, compresa la parte muscolare, e sollevarla in modo da determinare uno spazio in cui troverà posto l'ago. Fatta l'iniezione, senza far penetrare dell'ària, si comprima più volte l'addome, in modo che la sostanza introdotta si distribuisca in tutto il cavo peritonale. — 364 — Anche dopo che .si son fatte le iniezioni sottocutanee bisogna operare un diligente massaggio per evitare possibili ingorghi. L'ora più opportuna per eseguire le iniezioni intraperitoneali si è la mattina o la sera prima della distribuzione dei pasti. Scelta dei soggetti, alimentazione e modo di ospitarli. — Per avere con- temporaneamente risultati che riguardino il sesso dei prodotti degli incroci, ed i caratteri delle varietà assoggettate al trattamento su esposto, sì scelga un determinato numero di coniglie di razze recenti ed uno o due conigli grigi o neri, che sono le razze filogeneticamente le più antiche. Le femmine, aventi i caratteri delle razze recenti, come l’ Olandese, 1’ malaia, la Polacca 0 albina, non occorre che siano di razza pura o sele- zionata; per cui si possono ritirare direttamente dal mercato, come pure possono essere assoggettate all'esperimento varietà sorte accidentalmente e che per i loro caratteri non possono essere riferite alle razze fissate e sele- zionate. L'età delle femmine non deve essere inferiore ad un anno, e perciò si scelgano coniglie che abbiano già avuto un primo parto. L'età dei maschi è indifferente, però è sempre meglio avere soggetti giovani, che siano ardenti e proclivi all’accoppiamento. L'alimentazione dovrà essere abbondante, specialmente per le femmine, come segue: Mattina: 500 grammi di verdura. (Torsoli e foglie di cavoli, finocchi, sedani, lattughe o altre insalate, ecc.). Mezzogiorno: 150 grammi di crusca. Sera: 500 gr. di verdura, come sopra. I conigli dovranno essere ospitati in luogo asciutto e soleggiato, possi- bilmente con esposizione ad oriente. Io mi sono servito di gabbie, sistema Licciardelli, e per questo, come per altre notizie, circa all'impianto di una Conigliera ed all’allevamento, mando il lettore all'opera dello stesso Dott. G. Licciardelli, Conzglicoltura pratica. Hoepli. Milano. Avvertenze necessarie e risultati statistici. — Riguardo al sesso dei prodotti debbo far notare che i piccoli delle coniglie, trattate con i metodi sopra esposti, non sono sempre tutti di sesso femminile. Chi credesse di avere costantemante tale risultato potrebbe sollevare dei dubbî sull’attendi- bilità degli esperimenti, per cui credo necessario fare in proposito qualche avvertenza. Un primo ordine di fatti bisogna tenere presente in tale ricerca, che ognuno, prima di procedere agli esperimenti, dovrebbe verificare e cioè che dalla statistica dei nati maschi e femmine nelle coniglie normali la propor- zione dei maschi è sempre notevolmente maggiore. Sebbene esistano stati- stiche di tal genere per parecchie specie di animali come ci viene riferito — 3659 — dal Lenhossek (*), e dal Cuènot (*) ed altri, pure una statistica rigorosa per il coniglio non si era mai fatta e finora gli allevatori hanno ripetuto che la proporzione dei due sessi sia pressochè uguale. Il Licciardelli nel suo 7raztato di Coniglicoltura, a pag. 171, però così sì esprime: « Nelle nidiate si hanno per lo più in media un equal nu- mero di maschi che di femmine, anzi i maschi sono în maggior propor- zione, ma ciò non nuoce per chi deve destinarli al mercato ». Il Licciar- delli, che per parecchi anni ha tenuto una Conzgliera modello a Catania e col quale spesso mi sono intrattenuto su tale argomento, mentre mi confermò 1 risultati già pubblicati, mi aggiunse che qualche anno, come nel 1905, la produzione dei maschi è stata enormemente superiore a quella delle fem- mine, tanto da compromettere l'avvenire della conigliera. Io però non ho voluto affidarmi a tali conclusioni ed ho racsolto una abbondante statistica sia facendo sgravare in Laboratorio le coniglie prove- nienti dalla campagna o da case private, sia esaminando fuori del Labora- torio il sesso dei prodotti nei singoli parti. Riproduco senz'altro il risultato di questa indagine, affinchè possa essere messo a confronto con quello ottenuto nelle coniglie lecziinate. Fem- Fem- Maschi OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI Maschi OSSERVAZIONI mine mine Sgravò in Lab. | Sgravò in Lab. Sgravò in Lab. » »” 290 cC0 H dl dì 0 Hb 3 DI: ES 09 09° Sì do > DS rio N US H> D9 H# DD UU - 3 0 ll A dA 1 CU ia DO © Qd90 CI - H» Ut 19 - +#> DD DI € DI DO 0A _ DD DN HO Hr 00 OT UT HO do 19 > 00 SOS 0 Ho 9 D Ho A» Ho dv N - HH A OO UO Sì DD DN Hw H= 00 Ho_O@ pu ou D » H> 00. DD CI Sd CI Ut 00 Di s | 77 39 76 47 67 50 (1) V. LenhossekM, Das Problem der geschlechtsbestimmenden Ursachen. Tena, 1903. (*) Cuènot L., Sur la determination du sèxre chez les animaua. Bull. Sc. de la France et de la Belgique, 1900. — 366 — In totale si hanno, su 50 parti esaminati, n. 220 o e 138 $ ; volendo anche ammettere che in una statistica più estesa la proporzione delle fem- mine si tenga più elevata, si ha sempre una notevole prevalenza di maschi. Un secondo ordine di fatti che bisogna tener presente si è che qualche volta nei primi parti, dopo il trattamento proposto, non si ha nè maggior nu- mero di femmine nè ibridi con caratteri recenti. In tal caso bisogna sup- porre che il trattamento o è stato fatto tardi ovvero che, per speciali con- dizioni di sviluppo delle ova, le sostanze non vengono più assorbite. In ogni caso, proseguendo le iniezioni, si avranno risultati sicuri nei parti successivi. i Per ricominciare il trattamento bisogna però attendere 15 o 20 giorni dopo il parto. Passando ora ad esaminare i prodotti delle femmine che hanno subìto il trattamento su esposto, si ha che nei singoli parti il numero delle fem- mine è sempre superiore a quello dei maschi. Talora tale differenza è molto notevole, talora è poca, ma qualche volta i prodotti son tutti di sesso fem- minile, il che dimostra che il trattamento a cui furono assoggettate le co- niglie non sempre giunge a modificare tutte le ova, ma che in ogni caso esso è proprio la causa dell’inversione della proporzione dei due sessi. Ecco intanto i risultati ottenuti su 50 parti di coniglie iniettate, come sopra si è esposto: Maschi dr i OSSERVAZIONI | Maschi >» OSSERVAZIONI mine mine La 2 6 Incrocio o nero, ci Polacca 2 6 3 4 | Ine. o” Polacco, $ Imalaia 1 2 1 4 3 6 |Ine. o” grigio, 4 nero e fuoco 1 3 | ne. o? grigio, $ Olandese 5 7 3 4 0 4 0 5 6 8 2 4 |_Ine. g grigio, $ colore giallo| 3 Gf 9 3 9 3 Inc. o grigio, S bianca mac- chiata. 1 2 3 7 0 5 0 5) 3 5 | _Ine. g nero, £ Imalaia 2 TI 2 8 2 4 4 6 3 5) 2 7 2 6 | Inc. o Polacco, $ nera 3 6 4 5 3 5) 1 2 4 4 2 3 2 8 | Inc. dg nero, $ Imalaia 3 4 1 4 2 6 2 4. 3 4 1 3 | me. g grigio, $- Olandese 0 3 3 5 2 8 2 3 3 5 |Ine. g” grigio, È nera 4 6 2 4 bd) 4 | me. og? grigio, 4 Angora 1 2 54 | 118 57 UG In totale su 50 parti si ha 111 maschi e 229 femmine, per cui fa- cendo una percentuale si ottiene su 100 nati il 23,5 di maschi, mentre nelle coniglie normali tale percentuale era di molto superiore, cioè il 62,7. Sono convinto che la percentuale potrebbe anche aumentarsi, se, con studî sulla durata dell’ovulazione dei conigli, potesse stabilirsi il tempo più opportuno per fare le iniezioni e quello che dovrebbe intercedere tra l’ultima iniezione e l'accoppiamento. Il certo si è che nelle coniglie iniettate la proporzione fra i due sessi, sebbene il numero delle femmine sia sempre maggiore, non è costante, il che dipende dal fatto che la Lecitina non può modificare tutte le ova, che maturano in tempi diversi e successivi, — 363 — Per la medesima ragione si ha lo stesso risultato nella riproduzione dei caratteri degli ibridi, i quali non sono tutti della varietà recente, es- sendo alcuni di essi simili alla varietà che è filogeneticamente più antica. Io ho sempre vagheggiato l'idea di potere eseguire gli stessi esperi- ‘ menti su quegli animali che producono uno o due piccoli, come le pecore, sicuro di avere risultati migliori, e ciò per il fatto che sarebbe più facile modificare uno o due uova. Disgraziatamente però l'esperimento che avevo iniziato su questi animali è andato a male per le difficoltà del luogo e per la spesa non lieve che bisognava sostenere, nonostante gli aiuti che questa illustre Accademia, sempre pronta ad incoraggiare le ricerche scientifiche, mi aveva concesso. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLAsERNA dà il triste annunzio della perdita fatta dal- l'Accademia nella persona del Socio straniero MARCELLO BERTRAND; 0 comu- nica una lettera dell’Accademia delle scienze di Parigi, che ringrazia per le condoglianze a lei trasmesse dall'Accademia dei Lincei, per la morte dello scienziato sopra ricordato. Il Socio Luciani aggiunge che un altro lutto ha colpito l'Accademia, colla morte del Socio straniero MicHeLE FosTER. Il PRESIDENTE comunica una lettera del Socio straniero KARPINSKY, il quale partecipa di aver adempiuto all'incarico affidatogli dall'Accademia, di rappresentare quest’ultima ai funerali del Socio stranero DEMETRIO MENDELEEFF. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni pervenute in dono, segnalando quelle dei Soci CELORIA, RIGHI, STEFANI, PFLUEGER e SORAUER: richiama inoltre l’attenzione dell'Accademia sui lavori seguenti: Commemo- razione di Ernesto Cesàro del prof. ALasia; Giuseppe Battaglini e le sue opere, del prof. AmopEo; Spigolature Adrovandiane, III, del prof. De Toni; Ricerche lagunari, pubblicate dall'Istituto Veneto, per cura di MaGNI, DE MARCHI ‘e GNESOTTO. CONCORSI A PREMI Il Segretario MiLLosevicH comunica che il prof. LiBERTO FANTAPPIE, uno dei concorrenti ai premi Ministeriali per le scienze naturali dell’anno IGO — 1906, si è ritirato dal concorso con lettera diretta al Presidente dell’Acca- demia, perocchè, in base ai limiti di tempo assegnati al concorso, soltanto in parte’ i lavori' di quello potevano figurare come titoli al predetto concorso. Lc stesso Segretario aggiunge che il dott.. Riccarpo UGoLINI resta escluso dal concorso prefato, perchè non è professore delle Scuole secondarie del Regno. I RO a CORRISPONDENZA Il Presidente BLasERNA partecipa i ringraziamenti dell Università di Aberdeen per la parte presa dall'Accademia alla celebrazione del suo 4° cen- tenario; la stessa Università annuncia inoltre l'invio delle pubblicazioni fatte in occasione di siffatta ricorrenza. Il Segretario MrLLosevicH informa l'Accademia che il dott. Vacca sta per partire per l'interno della Cina, allo scopo di compiervi delle ricerche storiche ed etnografiche; lo stesso Segretario ricorda che l'Accademia ha con- tribuito a questa spedizione, e ritiene d’interpretare il pensiero dei Colleghi, augurando al dott. Vacca la migliore riuscita nella sua intrapresa. Il Segretario MiLLosevicH dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute : L'Accademia di scienze naturali di Filadelfia; le Società Reali di Londra e di Vittoria; le Società geologiche di Manchester, di Ottava e di Sydney; le Società zoologiche di Amsterdam e di Tokio; la Società di scienze na- turali di Emden; la Società geografica del Cairo; il Museo di storia natu- rale di Nuova York; l'Istituto Smithsoniano di Washington: il Museo Co- loniale di Wellington; gli Osservatorî di Praga e di Cambridge Mass.; la Scuola politecnica di Zurigo. Al termine della seduta i Soci FrLomusi-GuELFI e PAIS ricordano la morte del prof. DE Nino e commemorano l'estinto parlando dei suoi meriti e della sua vasta attività scientifica; l'Accademia fa suoi i sentimenti espressi dai due Soci sopra nominati e delibera d'inviare un telegramma di condoglianza al sindaco di Solmona. — 870 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA presentate nella seduta del 3 marzo 1907. ALasra C. — Ernesto Cesàro, 1859-1906. (L’Enseignement mathém., IX, 1). Paris, 1907. 8°. — La vita e l'opera scientifica del prof. Ernesto Cesàro. Pavia, 1907. 8°. Amapuzzi L. — La ionizzazione e la con- vezione elettrica nei gas. (Annualità scientifiche, n. 9). Bologna, 1 a 8. Amopro F. — (Giuseppe Battaglini e le sue opere. (Atti dell’Acc. Pontaniana, vol. XXXVI). s. 1. ed a. 8°. 4 CeLoria G. — Sulla bara dell'amico (C. Cantoni). Pavia, 1906. 8°. Giorgi C. pe — L’Acquedotto leccese. Poche parole dette nel giorno dell’i- naugurazione, 28 ag. 1906. (Economi- sta Pugliese, III, 37). Lecce, 1906. 8°. GrovenaLE G. B. — Impianto elettrico co- munale. 304* proposta al Consiglio co- munale di Roma. Roma, 1907. 49, Herpman W. A. — Report to the Govern- ment of Ceylan on the pearl oyster fisheries of the Gulf of Manaar, with supplementary reports upon the Mari- ne Biology of Ceylan by other Natu- ralist. Part V. London, 1906, 4°. Kaypit H. — Das Flugproblem. Graz, 1907, f. Macatuso G. — Apologia della direzione del pallone. Palermo, 1907. 8°. Macer H. — Les origines du Tahitien et des Tahitiens. (La politique coloniale, 17 janv., 1907). Paris; 1907. f. Marini G. P. (ed altri). — Ricerche la- gunari. 1° Relazione preliminare; 2° Mareometro normale lagunare; 3° Ma- reografo normale lagunare. (R. Ist. ve- neto di sc. ecc.). Venezia, 1906, 8°. Meyer M. — Unklare Krankheitsbilder, ihre Entstehung und Behandlung. (Se paratabd. aus d. « Wiener Mediz. Wo- chenschrift. » 51-52, 1906). Wien, 1906. 8°, PrLiGer E. — Ob die Entwicklung der secundiren Geschlechtscharaktere vom Nerven-systeme abhingt?. (Aus dem « Physiol. Labor. in Bonn »). Bonn, 1907, 8°. P. — Lasioptera Berlesiana Paoli n. sp. (Redia. IV, I). Firenze, 1907. 8°. Risaga C. — Copeognati nuovi. (Redia, IV, 1). Firenze, 1907. 8°. Ricni A. — La moderna teoria dei feno- meni fisici. (Radioattività, joni, elet- troni). (Annualità scientifiche, n. 3). Bologna, 1907. 89. STEFANI A. — Sul concetto della vita. Di- scorso inaugurale dell’anno scol. 1906- 07, letto nell'Aula Magna della R. Univ. di Padova. Padova, 1906, 8°. TARAMELLI T. — Cenni geologici sulle Alpi in rapporto alla regione dell’Alto Adige. (Arch. dell'Alto Adige, I, 1-11). Trento, 1906. 8°. Toni G. B. pe — Nuovi dati intorno alle relazioni tra Ulisse Aldrovandi e Ghe- rardo Cibo. Spigolature Aldrovandiane, III. (Mem. della R. Accad. di scienze lett. ecc. in Modena, s. III, vol. VII). Modena, 1907. 4°. Torres y Queveno L. pe — Sobre un sistema de notaciones y simbolos de- stinadas a facilitar la descripcion de la Maquinas (Revista Ingegnieria). Ma- drid, 1907. 8°. Tuccimer G. — Sulla presenza del manga- nese nei dintorni di Roma. (Bull. della Soc. Geolog., XXIV, IIT). Roma, 1906. Si E. M. Pubblicazione bimensile. —‘toma 17 marzo 1907. N. 6. Al DI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO C€C€GCIV. 1g PERE RERO, Udekvia A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 marzo 1907. Volume X V 1.0 — Fascicolo 6‘ 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEI. CAV. V. SALVIUCCI 1907 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei - qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz' altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è date. ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa 2 carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NNNINNI---- Seduta del 17 marzo 1907. F. D'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Geologia. — Za serie eocenica dell'isola di Arbe nel Quar- nero (*). Nota del Socio C. De STEFANI e di A. MARTELLI. L'isola di Arbe fu studiata dal Radimsky (?) e da Waagen (5), e le conoscenze geologiche da questi autori apportate vennero da Schubert breve- mente riassunte nel suo lavoro sulla stratigrafia dell’Eocene medio dell'Istria e della Dalmazia settentrionale (4). L'isola è costituita da tre anticlinali diretti NW-SE di calcari cretacei con Radiolites; il più orientale forma la penisola di Loparo; quello di mezzo costituisce la piccola catena del Monte Tignaro, si estende dalla punta So- rigna alla punta Gavranica e presenta le alture principali dell’isola; il più occidentale forma la penisola di Capo Fronte a NW di Arbe, e la sua con- tinuazione a mezzogiorno di questa città sarebbe rappresentata dal lungo scoglio di Olin. Fra la catena di Monte Tignaro e di Capo Fronte si estende una lunga zona sinclinale occupata da terreni eocenici, i quali tutti successivamente si (!) Le notizie stratigrafiche sono del prof. C. De Stefani che raccolse pure i fossili; le determinazioni e osservazioni paleontologiche sono del prof. A. Martelli. (2) Radimsky O., Veder den geologischen Bau der Insel Arbe in Dalmati.n. Jahr. der k. k. geol. Reichsanstalt, Bd. XXX, pag. 111, Wien 1880. (3) Waagen L., Der geologische Bau der Insel Arbe auf Kartenblatt Zone 26 Kol. XI mit den Scoglien San Gregorio und Goli. Verhandl. der k. k. geol. Reichsan- stalt, 1904, n. 12, pag. 282. (4) Schubert R. J., Zur Stratigraphie des intrisi point Mitteleocdns. Jahrb. der k. k. geol. Reichsanstalt, Bd. LV, pag. 173, Wien 1905. ReNDICONTI, 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 48 — 372 — attraversano partendosi dalla Tigna Rossa (m. 408) — sommità dell’isola — e procedendo verso Arbe. Raccolte di fossili non molto abbondanti ma condotte in una successione graduale di strati, ci consentono di apportare un contributo all'illustrazione della serie eocenica di Arbe. Dalle pendici occidentali della Tigna Rossa muovendosi verso Arbe, trovasi dunque la seguente serie: 1° Calcare bianco gialliccio senza fossili, probabile equivalente del calcare a Miliolinae del resto della regione istro-dalmata. 2° Calcare chiaro ad Alveolinae alto m. 7-8. 3° Calcare compatto con scarse Mummulites, abbondanti Asszlimae e rari echini e lamellibranchi. Le specie in esso determinate sono: Lenticulina (Gimbelia) lenticularis Ficht. et Moll. (= Nummulites Lucasana Defr.) Rara. L. (Gimbelia) aturica Jol. et Ley. (= N. perforata d'Orb. var. atu- rensis d'Arch. et H.) A. L. (Gimbelia) Renevieri De la Harpe (= N. perforata d’Orb. var. Renevieri De la Harpe) A. Assilina mamillata D'Arch. Comune. Assilina subspira De la Harpe C. Assilina spira De Roys. C. Assilina subexponens Sow. C. Assilina exponens Opp. C. Echinolampas Lucianit Taram. Cidaris sp. Pecten confr. reconditus Brand. Pecten Sp. Cardita sp. 4° Calcare con rare Asszilznae ed abbondanti: L. (Giimbelia) lenticularis Fich. et Moll. L. (Gimbelia) aturica Jol. e Ley. L. (Gimbelia) Renevieri De la Harp. 5° Lenti di arenaria glauconifera con le seguenti, numerose specie ad oriente di S. Anastasio (Bison): Orthophragmina ephippium Schloth. sp. C. Orthophragmina aspera Gimb. C. L. (Gimbelia) lenticularis Fich. et M. C. L. (Gumbelia) Renevieri De la Harpe C. L. (Gimbelia) aturica Jol. et Ley. C. — 373 — Pecten cocaenicus May. Eym. CC. Pecten Tchihatchefi D'Arch. C. Pecten sp. 6° Arenaria con le predette G&mbeliae e, particolarmente a Bagnol, ricca pure delle forme qui elencate: L. (Gimbelia) lenticularis Fich. et M. var granulata De la Harpe. L. (Gimbelia) lenticularis Fich. et M. var obsoleta Leym. Camerina (Laharpeia) Brongniarti D'Arch. et H. C. (Laharpeia) Mollii Prev. Rotularia spirulaea Lamk. Spondylus rarispina Desh. 7° Arenaria talora marnosa con nummuliti e orbitoidi, e marne con tracce di ligniti e filliti alternanti, presso Arbe. Le nummulitidi determi- nate nell’arenaria di questo livello sono: Orthophragmina papyracea Boub. R. Orthophragmina aspera A, B. Gimb. R. L. (Giimbelia) lenticularis Fich. et M. CC. L. (Gimbelia) lenticularis Fich. et M. var. obsoleta Leym. C. L. (Gimbelia) Renevieri De la Harpe C. L. (Gimbelia) Lorioli De la Harpe C. Assilina mamillata D'Arch. R. Assilina subspira De la Harpe RR. Assilina sp. Non discutiamo se il calcare ad A/veolinae, spesso associato nella re- gione istro-dalmata col calcare a Mi/iolinae, possa rappresentare in Arbe i sedimenti dell’Eocene inferiore parte superiore, piuttosto che dell’Eocene medio parte inferiore come in generale riterrebbero alcuni. Per solito, nei più bassi livelli eocenici del littorale adriatico orientale, il calcare detto ad imperforate dallo Schubert e costituito da un fitto aggregato di alveoline «senza nummuliti, sì ritrova alla base del Nummulitenkalk propriamente detto, quantunque poi le alveoline, pur mostrandosi con specie — almeno in parte — differenti e meno variate, continuino non di rado fino a strati superiori. Gli strati più alti dell’Eocene di Arbe, furono dal Waagen e dallo Schubert considerati eocenici superiori mentre contengono le stesse specie fossili dei sottostanti termini 6, 5, 4, 3, tutti riferibili all’Eocene medio. Ad avvalorare il riferimento dei predetti termini della serie stratigrafica di Arbe all’Eocene medio vale soprattutto la prevalenza assoluta che in essi si riscontra delle specie di Gwmbeliae e di Assilinae, le quali, anche nei din- — 374 — torni di Spalato e di Metkovié stanno a caratterizzare i sedimenti dell'Eo- cene medio. Di ciò conviene pure il sig. Schubert, che nel suo ultimo lavoro sull'Eocene medio dell'Istria e della Dalmazia non ha reputato trascurabili le nostre suddivisioni locali a proposito dei terreni di Spalato e di Metkovic. Se, poi, teniamo presente che la comparsa in certi strati e non in altri di ta- lune coppie di nummulitidi possa spesso subordinarsi a differenze batimetriche piuttosto che a differenze cronologiche, e in ciò concorda pure il sig. Schubert, anche dalle altre poche forme fossili raccolte nei terreni in parola potremo dedurre l'età medioeocenica delle formazioni nummulitiche di Arbe. L'Echi- nolampas Lucianii viene citato dal Taramelli nell'Eocene medio di Gherdo- sella in Istria; comunissima nell'Eocene medio e superiore è la Rotularza spirulaea Lamk. Le altre specie di molluschi sono note nell'Eocene medio del Mediterraneo e particolarmente lo Spondilus rarispina Desh. e il Pecten Tchihatcheffi D'Arch. sono citati nell'Eocene medio della Dalmazia, a Veglia, dallo Stache e dell'Istria, a Pinguente, dall'Oppenheim. Osserviamo infine che la presenza di quelle stesse forme di nummuli- tidi, le quali in tutto il bacino adriatico si rasgruppano a caratterizzare co- stantemente le formazioni dell’Eocene medio e che in Arbe si associano con altri fossili propri di tale epoca nelle arenarie alternanti con le marne a traccie di filliti e ligniti, attesta in modo sicuro che anche l’ultimo termine della serie eocenica di Arbe deve ascriversi all'Eocene medio e non alla parte inferiore dell’Eocene superiore. A maggior ragione si deve escludere il dubbio, pur talora manifestato, che gli strati di arenaria con filliti e con tracce di lignite dei dintorni di Arbe possano appartenere ad età più recente dell'Eocene. Patologia. — .Su/ meccanismo di scomposizione in vitro del virus rabido per mezzo del radio. 7° Comunicazione preventiva del Socio Gurnpo Tizzoni e del dott. ALESSANDRO BONGIOVANNI. Matematica. — Intorno alle superficie iperellittiche. Nota del Corrispondente F. EnrIQUES e di F. SEVERI. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 375 — Geologia. — / prelesi grandi fenomeni di carreggiamento n Sicilia. Nota del Corrispondente GrovANnNI DI-STEFANO. II. SICILIA ORIENTALE. — Dopo avere esaminato nella prima Nota la ipotesi di una grande falda di carreggiamento per quanto riguarda la Sicilia occidentale, vediamo se essa sia applicabile alla parte orientale dell’isola. Cominciamo col discutere il valore dei fatti locali addotti dai signori Prof. M. Lugeon ed E. Argand. Gruppo del M. Judica. — Nel piccolo ma aa gruppo del M. Judica si riproduce il Trias della Sicilia occidentale. Lugeon e Argand non hanno visitati quegli affioramenti triassici; ma dalla Carta geologica dedu- cono che questi debbono essere dei resti della grande falda occidentale. Il M. Turcisi e parecchie di quelle scaglie triassico-liassiche sembrerebbero a loro ben radicate‘; ma ritengono che si tratti di lembi di ricoprimento, perchè le piccole masse calcaree sono discontinue e separate dall'Eocene tra Giar- dinelli e la proprietà Stanganella. Nel fatto poi le marne argillose e le arenarie, che quivi compajono dalla Portella di Giardinelli alla Dragonia, non appartengono all'Eocene, ma anch'esse al Trias. Il gruppo montuoso è costi- tuito di una serie di creste calcaree, dirette in media da Est a Ovest, emer- genti attraverso l' Eocene, formato di argille, marne, arenarie e brecciuole con Nummulites, Orthophragmina e rare Lepidocyelina a maglie esagonali (sez. Eragonocyclina, Checchia), e il Miocene costituito da argille salate con arenarie. Le più importanti di quelle creste prendono i nomi di M. Judica, (m. 764), Banco dei Galli, Dragonia, M. Scalpello, M. S. Giovanni, e M. Tur- cisi. Presso Rammacca, nella regione Balconieri, immediatamente sopra il Passo del Ladrone, emerge, pure attraverso il Yyseh eocenico, la più me- ridionale di tali creste, bassa e stretta (non indicata nella Carta geologica). Non è qui il caso di dilungarmi nella compiuta descrizione geologica di quei monti, nè di esaminare talune questioni stratigrafiche che vi si connettono come p. es. quella dell'età di qualche piccolo lembo di calcare marnoso a Lepidocyclina tipiche, superiore al Bartoniano; io debbo limitarmi a dirne quanto è strettamente necessario all'esame dell'ipotesi di cui ci occupiamo. Il Trias di questa regione è rappresentato alla parte superiore da calcari compatti grigi, con nodoli di selce, alternanti non di raro con marne rosse . e grige. Vi si raccolgono la massima parte delle Za/obia e delle Poszdo- nomya della Sicilia occidentale, descritte dal prof. Gemmellaro. Sotto i cal- cari con nodoli di selce sta una formazione anch'essa triassica, composta di marne argillose fissili, associate con strati di arenaria giallastra, di calcite fibrosa con impronte di Ya/obia; di calcari lastriformi a piccole Posidono- — 376 — mya e brecciole calcaree giallastre ricche di fossili triassici (Avieula, Cassia- nella, Myophoria, parecchi Entomoceras, altri cefalopodi e molti gasteropodi). Però, come notò già il prof. O. Marinelli ('), le marne argillose con le rocce annesse sostituiscono talvolta lateralmente i calcari a nodoli di selce. Sopra di queste e in sconcordanza stanno degli scisti silicei varicolori, qua e là con straterelli calcari e spesso con marne rosse o variegate, che in certi casì sono abbastanza sviluppate. Si ripetono così al M. Judica e negli affiora- menti vicini le marne argillose triassiche, con calcari dei Monti di S. Stefano Quisquina, della base della Busambra e del lato SO. del bacino di Palermo; i calcari con Halobia di tutta la Sicilia occidentale (ma non le dolomie) e i so- vrastanti scisti silicei della stessa regione. Questi scisti nel Parlemitano sono fossiliferi e rappresentano gli strati con Zeptaena della base del Lias supe- riore (vedi Gemmellaro, Gl strati con Leptaena del Lias superiore della Sicilia, Boll. dA. Com. geol. XVII, 1886); essi stanno o sul Lias medio o in sconcordanza sui calcari con nodoli o sulla dolomia del Trias superiore, mentre sostengono il Dogger, il Titonico, il Cretaceo e financo l’Eocene. Giacchè nel gruppo del M. Judica gli scisti silicei non sono sotto la Dolomia principale, come invece avviene in Basilicata, nè alternanti con la parte supe- riore dei calcari con nodoli, io, almeno fino a prova in contrario, non trovo ragioni per considerarli come più antichi di quelli della Sicilia occidentale. Sulle argille scagliose del gruppo del M. Judica, appartenenti al Bar- toniano (*), si trova qualche raro piccolo blocco di calcare titonico e cretaceo fossilifero, come rimasuglio non in posto di formazioni distrutte dalla denudazione. È certo però che nè il Giura superiore, nè il Cretaceo prendono parte alla costituzione di quei monti. Noterò infine che la Carta geologica accorda, tra M. Judica e M. Scalpello, troppa estensione al Miocene a spese delle marne argillose del Trias e del //ysck eocenico. I calcari triassici, con gli scisti silicei, al M. Scalpello, al M. Turcisi e sul lato settentrionale del M. Judica e del M. S. Giovanni pendono a N., a NE., e in qualche caso a NO., immergendosi sotto il Bartoniano; invece sul fianco meridionale del M. S. Giovanni, al M. Dragonia, al M. Banco dei Galli e al Pizzo Uccelli, che è il prolungamento SE. del M. Judica, s'immergono sotto l’Eocene a S. e a SE. Sul lato orientale del M. Judica il Trias invece pende anche a SO. e a 0. Se si rileva una sezione del M. Judica da N. a S., cioè dal vallone della Lavina al Pizzo Uccelli, si vede che i calcari triassici con mnodoli, associati, alla Portella sopra Giardinelli e intorno Stanganella, con arenarie e marne, già attribuite a torto all’Eocene, formano, come indicò il Marinelli, (1) O. Marinelli, Osservazioni geologiche sopra i terreni secondari del gruppo del M. Judica in Sicilia. Rend. d. Acc. dei Lincei, S. V., vol. VIII, 1899. (2) Checchia-Rispoli G., I foraminiferi eocenici del gruppo del M. Judica e dei din- torni di Catenanuova in prov. di Catania. Boll. d. Soc. geol. ital., vol. XIII, 1904. — 977 — una grande anticlinale, le cui gambe spariscono sotto 1’ Eocene a N., cioè nel vallone della Lavina, ove sono occompagnate in sconcordanza dagli scisti si- licei con marne rosse, e a S., sulla regione Fontana Ardicà. Il M. S. Gio- vanni forma un’altra volta anticlinale con immersione a NE. e a SE. Queste anticlinali sembrano e sono ben radicate sotto l’Eocene; non si comprende per quale ragione debbano riguardarsìi come masse car:eggiate. Le tettonica del M. Scalpello e del Colle Balconieri va compresa però in modo differente di come ha fatto il prof. Marinelli. In questi luoghi, e, se non mi inganno, anche al M. Turcisi, abbiamo veramente dei casi di rico- primento; infatti il Bartoniano vi s'immerge sotto il Trias, pendente a N. o 4 NE. Il luogo dove la sottoposizione dell’Eocene al Trias si vede nella ma- niera più chiara e diretta è alla base del M. Scalpello, sul lato orientale, presso i confini della R. Castellace con la R. Paraspola, precisamente là dove un valloncello interseca la via che dal Dittaino conduce alla R. Santa Lucia. Sotto la casa di Pietro Quocina, il Trias, formato di marne argillose con lastre di calcite a impronte di Ya/odia, marne sabbiose e calcari lastriformi con Posidonomya, ricoperto sul lato settentrionale dal //ysch eocenico, si mette direttamente sopra a calcari con nummuliti. Questo fatto fu da me osservato nel 1901 e riconfermato più tardi in una escursione che vi feci insieme col dottore S. Scalia, uno studioso della geologia di quelle regioni. Come si vede nel gruppo del M. Judica ci sono dei ricoprimenti e sono io a metterli in chiaro pel primo sulla base di proprie osservazioni e non per ipotesi; ma tali fatti avvengono per assai piccola estensione e in un terri- torio in cui ci sono pure masse triassiche, con caratteri litologici e paleon- tologici identici, ben radicate. Si tratta quindi di accavallamenti dovuti a pieghe-faglie inverse di carattere locale e non di resti della ipotetica grande falda di carreggiamento della Sicilia orientale. Monti Peloritani — I signori Lugeon e Argand parlano poco dell’an- golo NE. della Sicilia; ma la loro terza Nota, per quanto breve, contiene impor- tanti affermazioni di fatti, senza ombra di dimostrazione, dai quali traggono non meno importanti conseguenze, anche rispetto alla Calabria. Essi affermano che il lembo di terreni secondari di S. Fratello, circondato su tre lati da argille eoceniche, è sovrapposto a queste e da riguardare come l’ultimo resto della grande falda di ricoprimento della Sicilia; ma nello stesso tempo poi aggiun- gono di non esser certi che quella falda si riattacca al lembo di S. Fratello e quindi alla zona delle filladi. Per non incorrere in inesattezze cito qui alcuni periodi di quella Nota: « A l'est des Caronie, nous constatons le « dernier lambeau de recouvrement de S. Fratello reposant sur les argiles « de l’Eocène inferiéur. Immediatement è l'est de cette localité se déve- « loppe le grand régime des phyllades, supposès siluriens, recouverts des « témoins de terràins secondaires épargnès par les trasgressions de l’'Eocène « infèrieur qui forment d’épais amas de marnes, de grès et de conglomérats. =|908.— « Il n'est pas certain que la grande nappe sicilienne se rattache au « lambeau de Fratello et par celui è la zone des phyllades et, en consé- « quence, aux Monts Péloritains; mais un phénomène aussi grandiose se « comprendrait difficilment sans un entraînement du substratum cristallin; « sinon la nappe pourrait alors se continuer en Calabre par la ligne de « contact anormal qui passe près de Castrovillari. « Une série de phénomènes assez paradossaux nous entraîne a penser que « la nappe sicilienne s’enracinait dans une chaîne cristalline courant au « nord de la Sicile et dont les Monts Peloritains, l’Aspromonte e la Sila « ne représentent que les restes ». Quali sarebbero, per la regione dei Monti Peloritani, questi fenomeni molto paradossali oltre a quello che, secondo i sopranotati autori, si osserva a S. Fratello? Essi sono, per citare quelli che lo meritano, qualche altro pre- teso accavallamento dei terreni secondari sull’Eocene medio e delle filladi an- tiche su questa ultima formazione. È bene rilevare che i sedimenti secondari del Messinese, da Taormina, Forza di Agrò e Savoca a Limina, Roccafiorita, No- vara Sicula, Galati di Tortorici, Longi, S. Marco d'Alunzio, S. Agata di Mi- litello e da Malvagna fin presso Galati, riposano in trasgressione sulla così detta « Formazione delle filladi ». Il fatto è generale e chiarissimo. Spesso sono se- parati dalle filladi da un conglomerato di ciottoli cristallini, a cemento rosso vinaccia, con arenarie dello stesso colore. Questa formazione fu paragonata al Servino della Lombardia e attribuita al Trias inferiore e al medio; però le mie ricerche intorno Taormina, Castelmola, Limina e Forza di Agrò dimo- strarono (‘) l'appartenenza al Lias inferiore non solo di tale conglomerato, ma anche delle dolomie e dei calcari immediatamente sovrapposti. Quindi l'esistenza del Trias nella prov. di Messina deve ritenersi fino ad ora non dimostrata, non appartenendovi tutte le altre masse di dolomia e del sotto- stante conglomerato rosso dei Monti Peloritani, identiche a quelle di Taor- mina. Luseon e Argand pertanto non danno importanza alla costante sovrap- posizione dei terreni secondari sulle filladi; ma nelle regioni stesse dove questo fatto è ripetuto ed evidente pescano studiosamente, servendosi della Carta, qualche piccolo o minuscolo lembo di sedimenti mesozoici che spunta attraverso l’ Eocene medio (Portella Gazani, M. Mojele, M. Corona a Sud di Galati e dintorni di Roccella Valdemone) per asserire che questi rima- sugli di dolomie e calcari stanno su quella serie come lembi di ricoprimento dipendenti dalla pretesa grande falda mesozoica della Sicilia occidentale. Simile affermazione, pei luoghi indicati, non risponde alla verità dei fatti, perchè nè a S. Fratello, nè in nessuna altra delle regioni citate ora, l'Eocene medio s'immerge mai sotto i terreni secondari. Le relazioni tra le argille (!) Di Stefano G., Ze rocce credute triassiche del territorio di Taormina. Giorn. d. Soc. di Sc. Nat. ed Ec. di Palermo, XVIII, 1887; Di Stefano G. e Cortese E., Guida geologica dei dintorni di Taormina. Boll. d. Soc. geol. ital., X, 1891. — 379 — scagliose e i piccoli massicci mesozoici sono quivi simili a quelle da me in- dicate nella Sicilia occidentale. Del resto, sotto la lunga striscia discontinua «di calcari e dolomie del Lias inferiore, la quale per Malvagna e Roccella Valdemone si estende fino al S. di Longi e di Galati di Tortorici, appare spesso la fillade che la sostiene, sia direttamente che con l’intermezzo del conglomerato rosso del quale ho parlato. Solo in qualche raro punto, in cui la denudazione non ha ancora distrutto il mantello eocenico, che nei Monti Peloritani copre i terreni secondari e i cristallini, non si scorgono le filladi sotto le dolomie con calcari; ma in tali punti, nello stesso tempo, non av- viene l’immersione dell’Eocene sotto il secondario che circonda. Vedremo qui appresso se veramente ci siano ricoprimenti nella prov. di Messina e in che misura. Il più importante dei fenomeni paradossali osservati sulla Carta sarebbe, secondo Lugeon e Argand, l’accavallamento delle filladi sull’Eocene medio nella valle di Roccella Valdemone. Ecco le parole con cui questi autori ne mettono in rilievo il significato: « La zone des phyllades qui chevauche « sur l’Eocène moyen, par l’intermedialre d'un coussinet d’argiles scaillieuses « de l’Eocène infèrieur, représente l’amorce de la racine de la grande nappe « sicilienne ». Io passo sopra all'asserita sovrapposizione dell’Eocene inferiore sul medio, perchè nè in prov. di Messina, nè nelle altre regioni della Sicilia esiste l’Eocene inferiore; del resto anche il modo di successione dei vari membri del medio, così come per ora è ammesso pei Monti Peloritani, ha un valore del tutto provvisorio. Non è su tale base che possono stabilirsi accavallamenti di una zona eocenica sull’altra, nè molto meno dei grandiosi carreggiamenti. Per quanto diguarda il ricoprimento delle filladi sull’Eocene, esso certamente non esiste là dove i due autori più volte citati lo indicano, cioè presso Roc- cella Valdemone. Come prova del cammino delle rocce cristalline del Messinese verso Sud, Lugeon e Argand accennano al possibile accavallamento dei gneiss antichi sulle filladi; ma anche questo argomento è arbitrario. La così detta « For- mazioni delle filladi » dei Monti Peloritani è un insieme complesso di scisti argillosi e filladici, associati con scisti cloritici, gneiss verdicci e masse lenti- colari di serpentine, amfiboliti, dioriti, porfidi quarziferi, pegmatiti, quarziti, oficalci, calcari cristallini ecc. Questa formazione non rappresenta una zona che circonda l'arco esterno dei Peloritani, sovrapponendosi ai micascisti e ai gneiss, secondo fu creduto da vari autori; ma, come già fu osservato da F. Hoffmann (!) e come io stesso credo di aver dimostrato nel 1904 (2), costi- tuisce una fascia che interseca obliquamente la catena, dal mare Jonio al (1) Hoffmann F., Geognostische Beobachtungen, II. Uebersicht der geognostischen Verhiltnisse von Sicilien ecc., 1839. (2) Di Stefano G., Osservazioni geologiche nella Calabria settentrionale. Mem. descritt. d. Carta geol. d'Italia, 1904. RenpIcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 49 — 380 — Tirreno e sta non al sommo della serie cristallina peloritana, sibbene alla base, egualmente come avviene in Calabria. Il gruppo principale dei micascisti e dei gneiss, associati in modo subordinato con pegmatiti e graniti, sta sul complesso insieme delle filladi; però queste, alla loro parte superiore. alter- nano con quelli. I gneiss e i micascisti, che formano in gran parte i Monti Peloritani, non stanno dunque sulle filladi per un accavallamento. Un rove- sciamento non è ivi probabile; del resto bisognerebbe dimostrare prima con osservazione di fatti locali e non con preconcetti che i gneiss e i micascisti superiori alle filladi sono più antichi di queste, il che non è certo una facile impresa. i Nell'angolo NE. della Sicilia esiste qualche piccolo accavallamento, che non è conosciuto o forse, a ragione, non è tenuto in conto da Lugeon e Argand. La breve massa secondaria del Capo S. Andrea (Taormina) è costi- tuita da strati appartenenti al Lias, al Dogger e al Malm, con un piccolo lembo di Eocene riferibile al Bartoniano ('!), trascurando qui i rimasugli del Pliocene e del Quaternario. Hssa è ribassata rispetto alla fillade, anzi là dove si attacca alla terra, si mette per poco sotto di questa. A pochi metri di distanza, sulla stesso costa, i sedimeuti secondari si sovrappongono alle filladi, come avviene in tutti i Peloritani. È evidente che si tratta di un breve accavallamento per faglia inversa, la quale si continua fino al molto prossimo promontorio di Castelluccio, che è nelle stesse condizioni. La tettonica del Capo S. Andrea è anche complessa (?), per causa di altre fratture che vi si osservano e perchè un lembo di calcare fossilifero del Lias inferiore fu, dai fatti meccanici che produssero il ricoprimento, spinto tra l’Eocene e il sottoposto Titonico (scisti con Aptychus), nella parte più interna del Capo. Un altro accavallamento simile, parallelo al primo, sì os- serva alla base del M. Ziretto e nel vallone Maricà, ma sull'alto del monte si ritrovano i terreni secondari normalmente sulle filladi. I ricoprimenti notati ora avvengono per troppo piccola estensione; hanno un carattere del tutto locale e non sono carreggiamenti di masse secondarie lontane. Con essi non si può giustificare in alcun modo l'ipotesi dell'origine esotica dell’ intera catena cristallina e dei sovrastanti strati mesozoici. Il grande movimento di trasporto avrebbe prodotto ben altri e più estesi feno- meni che i minuscoli ricoprimenti di Taormina. Soprattutto avrebbe dovuto apparire, per grande estensione, sotto la serie cristallina, quel /ysch eoce- nico, che secondo Lugeon e Argand, è il substrato di tutti i monti cristallini. Se i Monti Peloritani rappresentassero la radice di tutti i nostri terreni mesozoici, spinta dall’Algeria-Tunisia o da una terra immediatamente pros- (') Checchia-Rispoli G., Sull’Eocene di Capo S. Andrea presso Taormina. Rend. d. Acc. d. Lincei, XV, 1906. (2) Di Stefano G. e Cortese E., Guida geologica dei dintorni di Taormina. Boll. d. Soc. geol. ital., vol. X, 1891. — 381 — sima fino in Sicilia, i gruppi secondari del Messinese dovrebbero mostrare identità o stretta corrispondenza soprattutto con quelli della pretesa grande falda di carreggiamento della parte occidentale dell’isola e quindi della Tu- nisia e dell'Algeria; invece tra gli unì e gli altri ci sono notevoli differenze. Così nei Monti Peloritani non si conosce fino ad ora con certezza il Trias, nè lagunare, nè pelagico, il quale invece costituisce le masse più estese e ca- ratteristiche della Sicilia occidentale; il Lias inferiore vi è rappresentato, non dai calcari cristallini così noti nella prov. di Palermo, ma da grandi masse di dolomie con calcari oolitici e pisolitici subordinati e superiori calcari neri con fauna di brachiopodi, mancante nella regione occidentale; non esistono nei Peloritani il Dogger inferiore a cefalopodi, il Titonico co- ralligeno, i calcari a rudiste e camacee del Cretaceo ecc. Dall'altro canto nonostante l'esistenza del Cenomaniano a /aczes africana sui Monti Pelo- ritani, i terreni secondari della prov. di Messina non mostrano con quelli della Tunisia-Algeria maggiori rapporti che non abbiano con gli stessi quelli della Sicilia occidentale. Pur tenendo conto che la serie secondaria peloritana è ancora incompiutamente conosciuta, le differenze che già si notano non sono davvero trascurabili. I fatti che si osservano nell'angolo NE. della Sicilia o non giustificano 0 contraddicono l'ipotesi del carreggiamento della catena cristallina coni sedi- menti mesozoici. Del resto essa è stata emessa dai signori Lugeon e Argand perchè ritenuta una conseguenza necessaria e forzata dell'altra sulla grande falda occidentale dell’isola; or essendo dimostrato che questa falda di car- reggiamento non esiste, quella ipotesi rimane priva della sua base e non ha ragione di essere. È superfluo aggiungere che diventa anche ‘nsostenibile la supposizione del carreggiamento dell'arco cristallino calabrese. Chimica. — Aicerche sopra gli indoli. Nota del Corrispondente A. AnceLI e di G. MARCHETTI ('). Sopra il nitrosoindolo. Per completare i nostri studî sull’azione dell'acido nitroso sopra gli indoli, abbiamo estese le nostre esperienze all’ indolo stesso. Operando nel solito modo, con nitrito d'amile ed etilato sodico, si ottiene con tutta facilità e con ottimo rendimento un prodotto al quale (sotto forma di sale) senza dubbio spetta la formola: (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica farmaceutica del R. Istituto di studî superiori in Firenze. — 382 — Per riscaldamento, a 170° incomincia ad intervenire ma non fonde. I. gr. 0,1914 di sostanza diedero gr. 0,4598 di CO. e gr. 0,076] di H.0 PA II. gr. 0,1255 di sostanza diedero c. c. 20 di azoto a 12° e 760 mm. In 100 parti: upvatot iL Tagi Calcolato I II Cc 65,51 -_ 65,75 H 4,41 —_ 4,10 N _ 19,09 AL Probabilmente è identico al cosidetto dinitrosoindolo che molti anni addietro Zatti e Ferratini (') prepararono facendo reagire nitrito sodico sopra la solu- zione acetica di indolo. A qual fatto sieno da attribuirsi i pesi molecolari elevati che trova- rono i suddetti chimici (determinati per via ebullioscopica in acetone) noi non sappiamo spiegare; per piccole concentrazioni sono di poco superiori alla molecola semplice: per concentrazioni elevate sono maggiori della molecola doppia. Probabilmente ne sono causa la facile alterabilità e la poca solu- bilità del prodotto; infatti gli autori fanno notare che una parziale decom- posizione è inevitabile e che durante il riscaldamento il liquido si colora in rosso. Azione dell'acido formico sopra gli indoli. Dopo aver studiato il comportamento dei pirroli e degli indoli rispetto all'acido nitroso (che si può considerare come una aldeide dell’ acido nitrico) eseguimmo alcune esperienze con l'acido formico (che a sua volta può venir riguardato come una aldeide dell'acido carbonico). Anche in questo caso, impiegando pure l'acido formico sotto forma di eteri, per analogia si doveva del pari arrivare a prodotti della forma: .0H NG=25GH No 04 gi 95 AR ML ri N Sebbene appena iniziate, le nostre esperienze confermarono le previsioni ed in tal modo si perviene a prodotti che sono identici a quelli che ven- gono considerati come a/dezdi: (1) Gazzetta Chimica Italiana XX, 702; XXI (6), 19. — 383 — Evidentemente si tratta di un caso di tautomeria: /0H Need \QL* coH bha = da A EITI 0, N NH D'altra parte è noto da lungo tempo che dall’etere formico si otten- gono di preferenza composti ossimetilenici. Ciò spiega per qual ragione l’al- deide pirrolica, preparata anni addietro da Bamberger (’) e che nel suo com- portamento rassomiglia così poco alle ordinarie aldeidi, non fornisca la reazione che uno di noi ha descritto, vale a dire non reagisca con la biossiammo- niaca per formare l’acido idrossammico corrispondente. Come uno di noi ha osservato, anche i composti ossimetilenici della forma: 0H RACONCH_ < H che si ottengono per azione dell'etere formico sopra i chetoni: R.CO.CH; e che una volta venivano del pari considerati come aldeidi R.CO.CH;..COH non reagiscono con la biossiammoniaca, sebbene sieno in grado di dare os- sime, idrazoni ecc. Ultimamente anche Plancher e Conti (?) hanno trovato che l'aldeide da loro preparata dall’ @-metilindolo, seguendo il processo di Reimer e Tiemann: C.COH < No.cK NZ NH CH non reagisce con la biossiammoniaca, mentre d'altra parte reagisce con facilità sulle idrazine e si condensa con l'acido piruvico e naftilammina (Reazione di Dòbner caratteristica per le aldeidi). A noi sembra che ormai si può parlare di vere aldeidi come si parla di veri nitroso derivati. R. COH R.NO (*) Berliner Berichte XXXIII, 536. (2) Questi Rendiconti, Vol. XVI, 1° sem., 180. — 384 — Solamente queste sostanze reagiscono con la biossiammoniaca, mentre invece non lo fanno i composti ossimetilenici e le ossime: R.CH=CH(0H) R.CH=NOH Nel caso delle vere aldeidi, la formazione di ossime (ed idrazoni) avviene per addizione dell’idrossilammina al doppio legame fra carbonio ed ossigeno: NH(0H) R.CH—04 NH, (OH) — SMR CH — 'RCH-= NOH \0H Nei composti ossimetilenici avverrebbe al doppio legame fra carbonio e carbonio: _NH(0H) R.CH=CH(0H)H-NH;(0H) — R.CE..CHC —>R.CH,.CH=NOH OH Continueremo queste ricerche. Matematica. — Sopra le superficie algebriche che hanno le coordinate del punto generico esprimibili con funzioni mero- - morfe quadruplamente periodiche di due parametri. Nota di G. BAa- GNERA e M. pe FRANCHIS, presentata dal Corrispondente ENRIQUES. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Geografia fisica. — Teoria elastica delle dislocazioni tecto- niche. Nota di L. De MARCHI, presentata dal Corrisp. T. Levi-CIVITA. 1. Scopo della presente e di una successiva Comunicazione è dimostrare che gli spostamenti elastici, prodotti negli strati terrestri dal continuo tras- porto di materiale da zone di degradazione continentale a zone di sedimen- tazione oceanica, bastano a spiegare le linee generali del rilievo terrestre, e i caratteri fondamentali dei corrugamenti orogenetici. La crosta terrestre è supposta fino a una certa profondità omogenea, isotropa e perfettamente ela- stica, cosicchè i coefficienti d’elasticità si possano considerare come costanti: ciò non è vero, perchè gli strati presentano evidentemente una resistenza molto diversa, e perchè le misure di Nagaoka e Kusakabe hanno dimostrato che la maggior parte delle rocce anche per piccole flessioni e torsioni non obbediscono alla legge di Hooke (') e alcune anzi presentano una deforma- (!) Publications of the Earthquake Investigation Committee in Foreign Languages, n.i 4, 14, 17. — 33859 — zione progressiva sotto una forza costante, comportandosi come sostanze for- temente vischiose, a somiglianza del ghiaccio. Della prima circostanza, che non si può esprimere analiticamente, si terrà conto nello studio dei corru- gamenti minori; la seconda non può avere altra conseguenza che di esage- rare gli spostamenti e gli scorrimenti relativi delle masse deformate, dando più facile ragione di corrugamenti assai complicati, che sembrano in contrad- dizione colla rigidità apparente delle rocce. Lo stesso dicasi dell'effetto delle alte temperature profonde che debbono diminuire sensibilmente i coefficienti di elasticità e rendere quindi più plastica la roccia. Lo studio si fonda sulle classiche ricerche di Cerruti e Boussinesq sulla deformazione dei suoli elastici; io mi son valso della esposizione fattane dal Cesaro nella sua Introduzione alla teoria matematica della Elasticità (1). Considero la superficie di un suolo piano soggetto a pressioni normali nei punti di sedimentazione, e a frazioni pure normali nei punti di degrada- zione, dai quali cioè è levata una massa di materiale, pressioni e trazioni misurate dal peso della massa depositata o levata, e studio gli spostamenti prodotti da queste forze alla superficie e in profondità. Mi limito al caso di forze normali distribuite lungo striscie sottili e parallele, dal quale, come vedremo, si possono indurre risultati più generali rispondenti a condizioni naturali. 2. Cominciamo dal caso più semplice: di una pressione esercitata lungo una striscia abbastanza lunga da potersi ammettere, per gli effetti prodotti a grande distanza dagli estremi, come infinita. Dalle equazioni generali (*) si ricava che le componenti dello sposta- mento secondo l'asse delle z dirette verticalmente verso il basso, e secondo l’asse delle 4, situato sulla superficie normalmente alla striscia sollecitata e quando l'origine sia in un punto mediano di questa striscia, sono pA 1 PEA 1) 0 rB AB) o 2g 1! Ae i COLA i ep SCE ela pia i dove ; Torino, Bocca, 1894, cap. XIV, pag. 115 seg. 2) Cesaro, loc. cit., pp. 125-126. Nelle equazioni (9) e (10) L,M, £,9% sono nulle, N= f proge+ +7 dy, Do = f acre log(c+r)—r)dy. Si calcolano questi in- tegrali per un segmento finito di lunghezza 2% e poi si passa al limite determinando opportunamente la costante. Le formule (1) si possono dedurre anche per integrazione delle formole che esprimono lo spostamento per il caso di una pressione ridotta a un punto (Cesaro, pag. 127). Il calcolo delle (1) fu eseguito dal prof. Levi Civita, che viva- mente ringrazio. — 386 — essendo px la pressione per unità di lunghezza della striscia in un punto qualunque 4 della sua sezione normale, di larghezza piccolissima 2e. 9 è il raggio vettore, Yx°+*, del punto generico nel piano 4,4. tto wo Sono due costanti. A ,B sono ie due costanti di isotropia. Se con E indichiamo il modulo di Young, e con w il coefficiente di Poisson, queste costanti sono definite da (1 —-u)E p +0 (1=2q) 24%) Per determinare le costanti u, wo dobbiamo ricordare che oltre le con- dizioni dell'equilibrio elastico debbono essere soddisfatte quelle dell'equilibrio rigido. Queste condizioni non sono verificate nel caso di una pressione eser- citata su una retta infinita, se non si ammette che altre forze contrarie ope- rino in altri punti del piano, forze che, se non appajono operanti al finito, dovremo supporre operanti all'infinito. Il supposto più semplice nel caso AE nostro è di ammettere due trazioni, ciascuna di grandezza 92: applicate alle due rette all'infinito, dal lato positivo e dal lato negativo, con che le risultanti delle forze e delle coppie sono nulle. Le %, we debbono rappre- sentare le componenti dello spostamento elastico indotto da queste due forze. Per determinarle consideriamo il caso, che ha pure un significato con- creto, che le trazioni siano esercitate su due rette al finito, parallele alla striscia e di ascisse + e e — e. Indicando con @, 0» le distanze di un punto nel piano #< dalle due rette stesse, cioè MIDO pe 2 RE E eo A\2 o=Ve+(a—0),0,=Ve4 (a +e), e tenendo conto che lo spostamento totale è la somma degli spostamenti parziali rispondenti alle singole forze sarà I pA DI Voi 0° 1 Bi 1 (E 2] W | OT 2rB(A— B) [os ne | up LL 2\a ta) ]t (2) \u=— sn pa - ce) fa sele + arct. Ta i] + TT == 6 3: Y4 Pere VASCA tale att dove U, W sono due costanti. Se vogliamo che w rimanga finita anche col crescere indefinitamente di c, basterà porre pÀ {2xB(A — B) Me log DEE È ; I ARNO! — poichè, col crescere indefinitamente di c,— e e tendono a 0 e log ]/0, 03 1 22 =— 1387 — tende a logc. Si ha quindi nel caso di tre rette al finito sollecitate nel modo indicato A DA Vero | PE 1_i(- 1)] (3) io BA mos co ar OENNNI gue e nel caso di una sola retta al finito (0, 0» e e tendenti all'infinito) pi d (4) Vo p (at) 0 a I o? cioè la wo è nulla. Per e tendente all'infinito = A ila Lol lim aret È in lim arct Pirri lum( È + oi o Inoltre per la simmetria del sistema è evidente che sull'asse delle dev'essere u= 0; perciò dev'essere U=0 e quindi anche «= 0. Si ha quindi Pr AIA (5) u= ZA I Da Dal caso di tre rette si può passare per limite anche a quello di due sole rette sollecitate da pressioni eguali e contrarie. Immaginiamo infatti che una delle rette (p. es. la z = —c) si allontani, e nello stesso tempo diminuisca la pressione o trazione su di essa, mentre aumenta di altrettanto la pressione sulla retta 2= + e, cosicchè sia sempre p1 + p:=p, e che la legge secondo la quale la retta si allontana sia tale che in ogni posi- zione sia verificata la relazione p,c=p2c,. Allora le condizioni dell’equi- librio rigido sono sempre soddisfatte e in ogni posizione si avranno, invece delle (2), le A 1 1 1 di acne 8° ee Per SD + ame 0ì + W ‘ose arch > —(p—p) aroh © ‘n arci Li. a > (03: vee ii nia 27.B |_ 0° NO Qi Di papa 4 Di Per c, tendente all’infinito p, tende a 0 come 1, cioè più rapidamente 1 di quello che tenda all'infinito log, che per c, grandissimo è eguale a 2 ReENDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 50 — 388 — Liar : r log; l'altro termine contenente p, nella 4% tende rapidamente a 0. Perchè 1 w si mantenga finita anche per c molto grande basta porre pA ro EST i i W aBlA— Bee CÈ Analogamente nella formola per « i termini in p, tendono a 0. Inoltre SARAS ‘ G, per ragioni di simmetria sulla retta mediana tro) la « dev’ essere la somma di due spostamenti eguali, dovuta a forze eguali e contrarie situate a eguale distanza su lati opposti; perchè ciò sia dev'essere U=0. Abbiamo quindi per il caso di due strisce parallele, situate alla distanza c, e solle- citate da forze eguali e contrarie, APRE rt CI DAS rr 5.60 0 2rB| 0: 0î = u=— 0 TL — are È - di dl Si comprende come la supposizione di un numero qualunque di striscie di sollecitazione, in cui le pressioni e le distanze relative soddisfacciano alle condizioni dell'equilibrio rigido, debba condurre a formole eguali, con un corrispondente numero di termini. wW = (5) 8. Dalle formole per gli spostamenti si passa facilmente a quelle per la dilatazione e per le componenti della tensione. Per il caso di una sola retta, indicando con 0 la dilatazione e con 33 7413 le componenti dalla tensione nel piano #2, è (6) È Di in=— (AT 28) 6— op 3 — ARRE dI 70 (7) == Para ns (+ 3) Le (7) dicono che in questo caso, e quindi anche nel caso di un nu- mero qualunque di rette sollecitate, in cui si avrebbe un corrispondente numero di termini analoghi, le tensioni sono indipendenti dalle proprietà elastiche del corpo; e che quindi si trasmettono in una massa eterogenea — 389 — come in una massa omogenea, cioè senza discontinuità sulle superficie di contatto di materiali diversi ('). Sulla superficie, in tutti i punti dell'asse delle x fuori della striscia sollecitante, è #1; = #33 = {13=="0. Per calcolare il valore che assumono le tre tensioni nell'intorno della striscia sollecitante basta calcolare il valore totale della tensione stessa su una retta indefinita parallela all'asse delle x. Indi- cando con w l'angolo che il raggio vettore di un punto qualsiasi della retta fa coll'asse delle 2, queste tensioni totali sono rispettivamente 2( seno do=p , 2( costo do =p , ci ( seno coso do=0. TT n TT T UA T O. TR SESTO «la Questi valori sono indipendenti dalla posizione della retta, e valgono in particolare per #= 0, e poichè 4,1 f33 sono nulle in tutti i punti dell'asse delle x fuori dalla striscia, dovrà essere, per 2= 0, +e +€ J tn de=p f t33de = p hee= 05 3 —î Nell'immediato intorno della striscia la pressione esterna suscita una tensione eguale in tutte le direzioni nel piano #5. Le condizioni alla super- ficie sono quindi soddisfatte. È facile verificare che lo stesso si verifiche- rebbe anche nel caso generale. Nel caso di una sola retta le componenti della tensione non possono annullarsi che alla superficie; ma già nel caso di due abbiamo una distri- buzione di tensioni assai più complessa. Allora abbiamo a (a—-1) 4 1 — 709t0* dove si è posto ec=1. La #,; si annulla quindi: 1° sull'asse delle 2; 2° sulla mediana <=4; 3° nei due rami dell’iperbole equilatera #° — a° + x =0 avente il centro nel punto 2 = + sull'asse delle < e i vertici nei due punti sollecitati; 4° nel semicerchio costrutto sul segmento dell'asse delle x fra i punti stessi. i Poichè per «<4 e 2% piccolissimo 41 >0, e poichè questi rami di curva &;,j="0 dividono le regioni ove la fi, è positiva da quelle dove è negativa, le tensioni sono distribuite come nella figura 1. In vicinanza della superficie, entro il semicerchio fra le zone di sollecitazione, la roccia è compressa, come pure lungo i due rami d'iperbola; mentre lungo la mediana negli strati profondi e lungo la semicirconferenza la roccia è stirata da ten- (') Vedi anche Boussinesq, Applications des potentiels à l’étude de l’equilibre et du mouvement des solides élastiques, pp. 75, 106. — 390 — sioni opposte. Lungo queste linee sono quindi più facili le fratture. La si annulla per 2 =0 e per e= o, ossia alla superficie (tranne nei punti di sollecitazione) e lungo la mediana. Per o < 0, cioè dalla parte dove p > 0 Rrcsoli la /33 è positiva; dalla parte opposta è negativa. Lungo la mediana saranno quindi più facili le fratture con salto. La si annulla sull'asse delle #(2=0) e sulla curva del 4° ordine 24+a(1— 2)}28 +34 — 3x +1{=0 che passa per i punti sollecitati, e non ha altri punti nella zona compresa fra le verticali dei due punti stessi. Essendo l'equazione simmetrica rispetto ad x ed x —1 la curva è pure simmetrica rispetto a questa zona mediana, e si spezza quindi in due rami che, staccandosi dai punti sollecitati, si allon- tanano dalla zona stessa, e dividono il piano in tre regioni; nella mediana t3 > 0, nelle esterne f13 < 0. Quanto alla loro grandezza, si deve ritenere che queste tensioni conser- vano fino a grande profondità un valore che è una frazione non molto pic- cola, e talora è anche un multiplo, della p. Così p. es. pera =0egs=1,4,1 sono rispettivamente gi PURI ivi via x uS=tt 72 52 ol circa 8 4 1 ci RA adi i Ali L i ( (ig 10? 8g? — 391 — Se p. ess p=500 atm., equivalente al peso di 1000 m. di sedimento sotto 3000 m. d’acqua, e se la distanza c fra le due zone sollecitate è di 200 chilometri, a 50 chil. di profondità sotto la zona compressa si ha t,1=" 71 atm. cioè circa 710000 kg/mq e 433 = 1333 atm. ossia circa 13 mi- lioni di kg/mq. 4. Calcoliamo ora la direzione e la grandezza degli spostamenti e la dilatazione totale nel caso di una e di due rette sollecitate. 1° Caso. In base alla (4) la w si annulla lungo la linea A I ee che taglia l’asse delle x nei jpunti x = #1 e l’asse delle 2 nel punto A-B z=e *, e che è tutta al finito. Essa divide la regione, attorno all’ori- gine, dove lo spostamento verticale è positivo, cioè nella direzione della forza sollecitatrice, dalla regione circostante in cui lo spostamento è negativo. Analogamente la v si annulla lungo la linea 1 1 —_ ——_— 20 = i_B ob en 20 0 dove o= ret > è l'angolo formato dal raggio vettore del punto coll'asse delle 2. Questa curva non è altro che il sistema delle due rette uscenti dall'origine e inclinato dall'angolo # sull'asse delle 2, angolo che quando sia A—=4B(u=1) è di 650.17". Nell’angolo 20 chiuso da queste rette il moto è divergente dall'asse delle #; fuori di quest'angolo, cioè in vicinanza del suolo, il moto è convergente. Si dimostra poi facilmente che vd: PIA — 4B) Ji Pisa 3 (A GS) quando l'integrale sia esteso a una semicirconferenza di raggio e, qualsiasi col centro nell'origine e col diametro sull'asse delle 4. Ne deriva che f uds=0 quando A = 4B. In questo caso affluisce tanta materia verso l'asse pel moto convergente quanta ne effluisce pel moto divergente e la variazione di massa entro il semicerchio dipende solo dal moto verticale. Questa variazione di massa è proporzionale alla dilatazione totale, ossia per la (6) a foas 3a 5) Je dS= - fa ode p fi 1 TASSO iui a(A— 5) Roca) de — 392 — dove l'ultimo integrale è esteso a tutto il contorno del semicerchio, formato dal diametro e dalla semicirconferenza, e dove (nz) è l'angolo della nor- male a questo contorno verso l'interno. Lungo il diametro è 2rB(A — B) 1 cos(na)=1 log n raga w e, se poniamo che la circonferenza sia di raggio 1, che abbraccia tutta la cavità superficiale, su di essa è logg=0. Rimane quindi B foas = — e wdxa . Si ha quindi nel cerchio indicato una condensazione totale, misurata dalla frazione si della cavità superficiale. Quando A = 4B, questa conden- sazione compensa per la metà del suo valore il difetto di massa rappresen- tato dalla cavità superficiale. Se questa è colmata d’acqua, la cui densità e circa ’/» della densità delle rocce superficiali, il compenso sarà completo, cioè la cavità prodotta sulla superficie non avrà effetto sensibile sulla gra- vità, cosicchè la superficie di livello rimarrà piana. Se la cavità è colmata d'alluvioni, o se A<4B, si avrà una correzione in eccesso al difetto di massa rappresentato dalla gravità, cioè un'aromalia positiva. Ciò risponde a un fatto ben noto in Geodesia. i 2° Caso. Le (5), dove si ponga c= 1, ci dicono che sulla mediana (2 ==4) sono w= 0; ta1= l35= 0.0 u= 24°, fia = 2a dove 22 , dia In- dicano i valori di « e #13 nel 1° caso. La w si annulla, oltre che sulla mediana, sulla curva A gip # z_i)- rp let+s(a oî vé la quale è tutta esterna alla zona compresa fra le verticali dei punti 0 e 1, perchè per valori di x compresi fra questi due estremi, i termini del primo membro sono ambedue positivi o ambedue negativi. La curva si spezza in due rami simmetrici rispetto alla zona stessa, e che non tagliano l’asse delle x se non all'infinito; sull'asse delle x non vi è quindi altro punto di spostamento verticale nullo oltre «= +. Se calcoliamo la dilatazione totale per tutta la porzione di piano limi- tata dall'asse delle x e' dalla mediana da una parte o dall'altra, abbiamo, come nel $ precedente, 2B Soas =— fwd — 393 — e si può quindi ripetere la conclusione che esiste un compenso, almeno par- ziale (ma che può essere completato da condizioni superficiali), /ra 2 difetto esterno di massa da un lato, e l'eccesso dall'altro lato della mediana, con una corrispondente condensazione 0 dilatazione profonda. La u si annulla sulla superficie in tutti i punti esterni alla zona compresa fra le rette sollecitate; nella zona stessa è costante ed eguale a — LEI, si ha cioè uno scorrimento traslatorio dalla retta soggetta 2(A— B) a pressione verso la retta soggetta a trazione. Bilas2% La « si annulla anche su una curva che si estende in profondità senza toccare l’asse delle 4 e che, costrutta per punti, si presenta come nella (fisura 2). Essa interseca l’asse mediano nel punto A, dove anche w=0. Questo punto è quindi un centro attorno al quale la massa ruota. La « è positiva cioè da 0 a 1, nello spazio profondo chiuso da questa curva, negativa in tutto lo spazio esterno, compresa la zona presso la su- perficie. La w è positiva, cioè verso il basso, nella zona verso il punto 0, negativa, cioè verso l'alto, nella zona verso il punto 1: il senso della rotazione attorno al punto A è quindi quello indicato dalle frecce nella figura. 5. Le formole (5) si prestano facilmente al calcolo numerico. Ponendo per A e B i loro valori in termini di E e w, e ponendo u=1 esse si ri- 3 ducono alla forma 810 ; u= È sen 29 _ 29 | - [e sen 2g" — 2g’ | 5 540 810 70 — Di (6 log cos g + cos 29) — — (6 log cos g' + cos 29) dove l'angolo g è l’angolo è espresso in gradi, e dove si è passato dai loga- — 394 — ritmi naturali ai tavolari. Ponendo E= 9000 kg/mmq e p= 7.3 kg/mmgq, ossia circa 700 atmosfere, il coefficiente di vu e w è eguale a 10°. Se po- niamo inoltre la distanza fra i punti 0 e 1 di 1000 km==10%m, e assu- miamo per unità di lunghezza il metro, il coefficiente stesso diventa eguale a 1. Basta quindi calcolare i valori dei binomi Sil sen2g — 2g, e da (6 log cos pg -|- cos 2g) per valori diversi di g per ottenere poi, per sem- plice somma o sottrazione, i valori di x e v per ogni coppia di valori di «,g', cioè per ogni punto. Da questo calcolo, da me eseguito per valori di g di 5°, in 5° si rica- vano le seguenti conclusioni nel caso di un gran trasporto progressivo di materia da una zona degradante a una zona alluvionante, lontane 1000 km., trasporto per cui la pressione sulla seconda sia portata a 700 atmosfere (sedimento della potenza di 3500 m. e di densità 2, non tenendo conto del peso dell’acqua sovrincombente): a) Lo sprofondamento finale nella zona aggravata e il sollevamento nella zona allegerita si avvicina a 1500 m. 5) Lo scorrimento superficiale nella regione compresa fra le due zone è di 300 m. c) Lo spostamento orizzontale, che negli strati superiori è negativo, cioè nella direzione dalla zona che si eleva a quella che si sprofonda, e sì conserva tale anche oltre queste due zone, è massimo, in ogni piano oriz- zontale, sulla intersezione di questo col piano mediano, ma presenta altri due massimi minori oltre le due zone sollecitate, in vicinanza di queste, l'una alquanto più al largo sotto la cavità, l’altra alquanto più internamente della sovraelevazione nel continente. d) Nella regione fra le due zone questo spostamento orizzontale di- minuisce colla profondità essendo massimo alla superficie; nelle due regioni esterne cresce colla profondità, essendo nullo alla superficie. e) Lo spostamento verticale è in generale molto più accentuato del- l’orizzontale, cosicchè uno strato inizialmente orizzontale tende a raddrizzarsi nella zona fra le rette sollecitanti, e poichè gli spostamenti verticali, posi- tivo e negativo, sono massimi nei piani verticali di queste rette, avremo sotto la retta premuta una deformazione a sinclinale, e sotto la retta alleggerita un sollevamento ad anticlinale. Oltre la sinclinale lo spostamento verticale va diminuendo molto lentamente, cosicchè lo strato si sprofonda mantenen- dosi quasi parallelo a sè stesso; e lo stesso dicasi dello strato che si sol- leva al di là dell’anticlinale. Questo è vero in particolare della superficie, che si sprofonda oltre la sinclinale, e si eleva oltre l’alticlinale, mantenendosi piana e inclinandosi solo leggermente verso la sinclinale da un lato e dal- l'anticlinale verso l'esterno dall'altro. — 395 — f) Il centro di rotazione è alla profondità <= + cot 65°17 = 0,283, che per la distanza di 1000 km. fra le due zone corrisponderebbe a 230 km. Vedremo in altra comunicazione come da questo caso schematico si possa passare per semplice induzione a quello più generale di una regolare distribuzione di pressioni e trazioni fra due zone, e come il processo di de- formazione così studiato possa dar ragione della formazione delle grandi geo- sinclinali e geoanticlinali, nonchè dei più caratteristici atteggiamenti dei corrugamenti minori. Petrografia. — Ze rocce vulcaniche del territorio di Sas- sari e di Porto Torres (Sardegna), Nota preliminare di FepE- RICO MILLOSEVICA, presentata dal Socio G. STRivER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sull’ossidazione dei composti cerosi a cerici (*). Nota di G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Lo studio delle condizioni nelle quali i composti cerosi possono venir ossidati a cerici presenta notevole interesse specialmente dal punto di vista sistematico giacchè la principale obbiezione (*) mossa contro la posizione at- tribuita da Mendeleeff al Cerio nel sistema periodico, si fonda sull’insta- bilità della forma CeX,. Mendeleeff pose il Cerio nella prima metà del quarto gruppo tra il Zirconio e il Torio, elementi che hanno una sola forma di combinazione, la tetravalente. Il Cerio invece possiede una forma tetra- valente instabile e una forma stabile trivalente. Anche Piccini (*) ammette che riguardo alla stabilità della forma superiore il Cerio non segna bene la transizione fra Zirconio e Torio. A mio parere devesi però tener presente che il Cerio non occupa nella serie ottava un posto perfettamente analogo a quello occupato dal Zirconio nella sesta serie: il Zirconio ba per elementi vicini eterologhi l’ Yttrio tri- valente e il Niobio pentavalente: il Cerio invece si trova tra il Lantanio tri- valente e il gruppo degli elementi delle terre rare tutti trivalenti. Inoltre non è esatto affermare in modo assoluto che i composti cerici sono instabili e che sono stabili i composti cerosi. Ciò che è veramente instabile è il jone cerico Ce: (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica generale della L. Università di Ferrara. (3) H. Biltz, Ber. 25, 566 (1902). (*) Nuova Enciclopedia di Chimica di I. Guareschi, vol. I, pag. 354. RenpIconTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 51 — 396 — che facilmente passa a jone ceroso Ce-** ('). Le esperienze descritte in questa Nota, tendono appunto a dimostrare che in ambiente alcalino, in cui joni cerici non possono esistere, i composti cerici sono stabili ei composti cerosi pos- sono agire come riducenti; e che d'altra parte in ambiente acido, quando siano presenti condizioni che diminuiscano la concentrazione dei ioni cericì, si può eseguire l'ossidazione dei sali cerosi con semplice acido nitrico senza aggiunta di speciali ossidanti. Azione riducente di alcuni composti cerosi in ambiente alcalino. È noto che l'idrato ceroso si ossida spontaneamente all’aria trasforman- dosi lentamente in idrato cerico. Io ho osservato ch'esso può agire come rl- ducente sull'ossido rameico e sull’ossido mercurico. L'ossido rameico passa ad ossido rameoso e l'ossido mercurico a ossido mercuroso seconde le equazioni : 2C0u0 + Ces 0; = Cus (0) + 20e (0,5 2Hg 0 + Ce, 0; = Hg. 0 + 2Ce 0, Le esperienze vennero eseguite impiegando una soluzione di cloruro ce- roso contenente gr. 3 di CeCl3 in 100 ce., una di cloruro rameico conte- nente gr. 1 di CuCl, in 100 ce., e una di sublimato contenente gr. 2 di Hg Cl, in 100 ce. Da una miscela a volumi eguali della soluzione cerosa e della solu- zione rameica si ottenne per aggiunta di soda caustica a caldo un precipi- tato rosso chiaro nel quale tutto il rame era contenuto allo stato di ossidulo e il cerio quasi completamente in forma di idrato cerico. Da una miscela a volumi eguali della soluzione cerosa e della soluzione mercurica si ebbe con soda caustica a caldo un precipitato grigio contenente il mercurio allo stato di ossidulo. Per le ricerche di A. Job (*) è noto che il carbonato ceroso sciolto in una soluzione concentrata di carbonato potassico assorbe ossigeno dall’aria dando origine a seconda delle condizioni, a carbonato cerico o a un peros- sido. Se il carbonato ceroso viene sciolto in una soluzione di bicarbonato di potassio si ha un liquido che non assorbe ossigeno dall'aria. Tuttavia io ho osservato che esso può agire come riducente sul cloruro aurico sciolto pure in una soluzione di KHCO;. Mescolando a freddo le soluzioni alcaline ce- rosa e aurica si forma tosto un precipitato violetto di ossidulo d'oro. Se sì impiega sufficiente quantità di cerio, tutto l’oro viene precipitato e resta un liquido giallo che tiene sciolto del carbonato cerico. (1) Abegg Handbuch. d. anorg. Ch. III, 195. (2) Ann. ch. phys. [7], XX, 205, (1900). — 597 — Un altro composto di Cerio che si può mantenere in soluzione in am- biente alcalino e che si presta perciò a dimostrare l’azione riducente dei ‘sali cerosi è il tartrato di cerio di cui è nota la solubilità nelle soluzioni concentrate di tartrati alcalini. Io ho osservato che, aggiungendo soda cau- stica ad una soluzione di tartrato ceroso in sale di Seignette non solo non si ha precipitato di idrato ceroso, ma il liquido diventa giallo poi bruno assorbendo ossigeno dall'aria. Se si fa avvenire la reazione in presenza di tartrato rameico, o, in altre parole se si aggiunge un sale ceroso al reattivo Fehling si osserva verso i 90° riduzione del sale rameico e precipitazione di ossidulo rameoso. Il Cerio resta in soluzione come tartrato cerico. Da queste esperienze si può concludere che i sali cerosi, per l'azione riducente che manifestano in ambiente alcalino, si staccano nettamente dai sali di tutte le altre terre rare e si avvicinano piuttosto ai sali manganosi. Ossidazione di sali cerosi con acido nitrico. Gli ossidanti che vennero finora impiegati per trasformare i sali cerosi in sali cerici in ambiente acido sono: permanganato potassico (*), biossido di piombo e acido nitrico (*), tetrossido di bismuto e acido nitrico (*), per- solfato di ammonio (‘), ossigeno anodico (°). Non mi risulta che sia stato già osservato che anche l'acido nitrico solo possa ossidare i sali cerosi a cerici. Anzi P. Schottlinder (°) a proposito della trasformazione degli ossalati delle terre rare in nitrati scrive: Die bei 100° getrockneten Erdoxalate lésen sich sehr leicht beim Digeriren mit iberschussigen Salpetersàure von 1,40 spec. Gewicht in der Wirme unter Entwickelung von Untersalpetersauredimpfen zu Nitraten, wobei jedoch das Cer nur Oxydulsalz liefert. Fu appunto eseguendo la trasformazione dell'ossalato di Cerio in nitrato che ebbi occa- sione di osservare che, dopo cessato lo sviluppo di vapori nitrosi cioè dopo che tutto l'acido ossalico era stato distrutto, la soluzione fortemente nitrica del nitrato di cerio assumeva una tinta giallo pallida che, continuando nel ri- scaldamento, diventava aranciata e poi rossa. Questa colorazione scompariva tosto per aggiunta di qualche goccia di una soluzione di acqua ossigenata. Essa era dunque da attribuirsi alla presenza in soluzione d'un po’ di sale cerico. Per studiare quantitativamente il fenomeno si riscaldarono a fiamma diretta e per tempi diversi delle soluzioni titolate di nitrato ceroso in acido nitrico di densità 1,40 poi si dosò in esse con acqua ossigenata, secondo il (1) Winkler J. pr. Ch. 95 410 (1865). (2) W. Gibbs. Sill. Amer. I, (2) 37 354 (1864). (*) Wagner e Muller, Ber. 36 282 (1903). (4) V. Knorre, Z. f. angew. Ch. 1897, 685 = 717. (*) Kolle Inaug. Diss. Ziirich. 1898. (5) Ber. 25 378 (1892). — 398 — metodo v. Knorre , il sale cerico formatosi. Della soluzione di acqua. ossi- genata si determinò il titolo con una soluzione di solfato cerico il cui con- tenuto in Ce!” (or. 2 per litro) era stato determinato per via jodometrica. 10 ce. dell’acqua ossigenata corrispondevano a cc. 25,1 della soluzione cerica cioè a mmgr. 50,02 di Cerio tetravalente. Una soluzione di gr. 1,25 di Ce(NO;), in 100 cc. di acido nitrico venne scaldata a fiamma diretta per due ore circa in una bevuta munita di refri- gerante a ricadere: dopo raffreddamento richiese per venir completamente decolorata cc. 6,1 di acqua ossigenata corrispondente a mmgr. 30,6 di cerio tetravalente. Cell ossidato a Cel” — 5.7°/, Una soluzione di gr. 0,27 di Ce(NO:); in 100 cc. di acido nitrico dopo tre ore di ebullizione consumò ce. 1, 8 di acqua ossigenata corrispondente a mmgr. 9 di Ce. Cel! ossidato a Cel =8/ In presenza di nitrati alcalini si può raggiungere una percentuale mag- giore di ossidazione. Una soluzione di gr. 2 di Ce(NO:); e gr. 4 di nitrato di potassio in 200 ce. di acido nitrico dopo due ore di ebullizione consumò cc. 29,6 di acqua ossigenata corrispondenti a gr. 0,1486 di Ce. Cel! ossidato a Cel 17,3/ Una soluzione di gr. 1,5 di Ce(NO;)? e gr. 4 di nitrato di rubidio in acido nitrico dopo quattro ore di ebullizione consumò ce. 42,4 di acqua os- sigenata corrispondenti a gr. 0,2128 di Ce. Cel! ossidato a Cel” 33 °/, Allo scopo di isolare il composto cerico che si forma per azione del- l'acido nitrico a caldo si fece la seguente esperienza. Si scaldò a bagno maria in una capsula di porcellana una soluzione di 20 gr. di nitrato ce- roso e 20 gr. di nitrato di ammonio in acido nitrico concentrato fino a con- sistenza siropposa: si aggiunse quindi nuovo acido nitrico e si continuò nel- l’evaporazione. Dopo aver ripetuta tale aggiunta parecchie volte si osservò che il liquido rosso aranciato contenuto nella capsula lasciava deporre per raf- freddamento dei cristalli pure rosso-aranciati che vennero raccolti e spremuti sopra un cono di platino e seccati nel vuoto su calce viva e acido solforico. In essi si determinò il cerio, l' NO; e l'ossigeno attivo. Per cento: Trovato Calcolato per (NHy)s Ce (NOs)e Ce 25,49 25.58 NO; 67,92 67,88 0) 1,30 1,46 — 399 — Si era dunque ottenuto del nitrato cerico ammonico: sale già preparato da Holzmann (!), da Auer von Welsbach (*) e da Schottlinder (*) scio- gliendo l’idrato o l'ossido cerico in acido nitrico e aggiungendo alla solu- zione nitrato di ammonio. Risulta dalle esperienze descritte che è possibile ossidare con acido nitrico concentrato e a caldo il nitrato ceroso a nitrato cerico. Tale possibi- lità sembra in contrasto colla grande instabilità e col forte potere ossidante del jone cerico Ce-***. Ma bisogna considerare che in soluzione fortemente nitrica e in presenza di nitrati alcalini il jone Ce-*** forma con anioni NO; un anione complesso Ce(N0O3) abbastanza stabile. Infatti R. J. Meyer e Ja- coby (*) hanno constatato che nell’elettrolisi dei nitrati doppî del cerio te- travalente si ha migrazione di joni colorati cerici verso l’anodo. D'altra parte siccome il nitrato ceroso ha anch'esso tendenza a formare coi nitrati alcalini sali doppi, è lecito ammettere nelle soluzioni fortemente nitriche di nitrato ceroso l’esistenza di anioni complessi cero-nitrici. Proba- bilmente l'acido nitrico concentrato a caldo ossida tali complessi a complessi ceri-nitrici e forse anche trasforma molecole non dissociate di nitrato ceroso in molecole non dissociate di nitrato cerico. Chimica. — Sulle proprietà catalitiche degli elementi delle terre rare (°). Nota I* di G. A. BARBIERI e A. VoLPino presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Quantunque si sia già pensato di utilizzare industrialmente le terre rare come agenti catalitici in alcune reazioni chimiche, per esempio nella fab- bricazione del cloro col processo Deacon (°), in quella dell'acido solforico per contatto (?), nella preparazione elettrolitica di composti organici (5) ecc., tuttavia sulle proprietà catalitiche delle terre rare si conosce ancora assai poco. Si sa per le ricerche di A. Iob(°) che il Cerio in soluzione alcalina può agire come trasportatore di ossigeno ma i fenomeni osservati da Iob (A) J. pr. Ch. 75321 (1858). (8) Monatsch. f. Ch. 51 (1884). (3) Ber. 25 878 (1892). (4) Z. f. anorg. Ch. 27 364 (1901). (5) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della L. Università di Ferrara. (6) H. Ditz e B. M. Margosches, D. R. P., 150, 226. (*) V. Holbling e H. Ditz. D. R. P. 142144, 149667. Ch. Baskerville e R. Davis, Chem. Ztg., 28, 518 (1904). (8) Farbwerke vorm Meister Lucius e Briining, D. R. P., 152063. (°) Ann. Ch. Phys. [7] XX, 205 (1900). — 400 — sono piuttosto da riferirsi all'autossidazione dei composti cerosi (*) che non ad una vera e propria azione catalitica. Secondo H. Bunte (?) l'attività delle reticelle Auer dipenderebbe in gran parte dalle proprietà catalitiche dell'ossido cerico che contengono e infatti egli avrebbe osservato che l'ossido cerico abbassa di circa 300 gradi la temperatura d'infiammazione d'un mi- scuglio d'idrogeno e d’aria. I sali cerosi in soluzione acida non manifestano secondo Baur (*) alcun’ influenza sulla velocità della reazione tra acido jodi- drico e acqua ossigenata. Da un recentissimo lavoro di I. Milbauer (4) ri- sulta che nell'ossidazione dell'idrogeno con acido solforico i solfati di cerio e di lantanio agiscono da catalizzatori positivi, il solfato di torio agisce da catalizzatore negativo mentre si dimostrano indifferenti i solfati di praseo- dimio, di neodimio, e di zirconio. Noi ci siamo proposti di studiare se, e in quale misura, i sali delle terre rare accelerano l’azione ossidante dell'acido nitrico sull’acido ossalico. Che l'acido ossalico possa venir ossidato a caldo dall’acido nitrico anche di- luito venne constatato nel 1853 da Lawrence Schmith (°) e più tardi da Er- lenmeyer, Siegel e Belli (°). A freddo però la reazione avviene con estrema lentezza. A. Villiers (") ha osservato che se si scalda una miscela a volumi eguali di una soluzione satura di acido ossalico, di acido cloridrico e di acido nitrico al 25 °/, non si ha sviluppo alcuno di gas, ma se si aggiun- gono anche soltanto poche gocce di una soluzione di solfato manganoso si ha tosto un regolare svolgimento di anidride carbonica e di azoto. Villiers spiega questa reazione ammettendo la formazione intermedia di un composto manganico labile e paragona l’azione del sale manganoso a quella dei fer- menti. Noi siamo stati condotti a ricercare se i sali delle terre rare pote- vano manifestare nella reazione tra acido ossalico e acido nitrico un'azione comparibile a quella dei sali manganosi da un'osservazione fatta da R. J. Meyer e E. Markwald (5). Secondo questi autori la velocità colla quale gli ossalati delle terre rare vengono decomposti dall’acido nitrico è diversa per i diversi metalli. Quanto più positivo è il metallo tanto più stabile è il suo ossa- lato rispetto all’acido nitrico; per ciò l’ossalato di lantanio viene decomposto più difficilmente degli ossalati di cerio e di didimio. Le nostre esperienze quantitative ci mostrarono invece che i sali di cerio accelerano fortemente l'ossidazione dell'acido ossalico mentre, nelle stesse condizioni, i sali di lan- (1) C. Engler e L. Wéohler, Z. f. anorg. Ch., 29, 17 (1901). (*) Berichte, 3/, 5 (1898). (8) Z. f. anorg. Ch., 30, 254 (1902). (4) Ztschr. f. phys. Ch., 57, 649 (1907). (5) Sill Amer. Journ., XVI, 373 (1859). (5) Berichte, 7, 697 (1871), (7) C. r., 124, 1349 (1897). (8) Berichte, 23, 3006 (1901). — 401 — tanio, di praseodimio, di neodimio, di yttrio non manifestano sulla velocità di tale reazione sensibile influenza. Le terre rare vennero impiegate in forma di solfati. Di questi ultimi vennero preparate delle soluzioni equimolecolari contenenti */, dell'atomo-grammo dell'elemento raro per litro vale a dire ri- spettivamente in 100cc.: gr. 4,062 di Ce.(S0,)3, gr. 4,037 di Las(S0,);, gr. 4,065 di Pr(S0,):, gr. 4,109 di Nd.(SO,):, gr. 3,329 di Y.($0,);. 10 cc. di una di queste soluzioni venivano introdotti in un largo tubo di assaggio poi si aggiungevano 20 cc. di acido nitrico di densità 1,35 e 10cc. di una soluzione normale di acido ossalico. Si preparavano così tanti tubi quante erano le soluzioni saline. In un tubo, che serviva per la prova in iano in luogo della solu- zione salina si introducevano 10 cc. di acqua. Tutti i tubi venivano immersi in un bagno adolio che si scaldava a 100° 0 a temperature superiori. Dopo un po di tempo sì osservava che nel tubo contenente la soluzione di solfato ceroso si aveva un notevole sviluppo di bollicine gazose mentre ciò non si verificava o avveniva soltanto in grado assai minore per le altre soluzioni. Dopo 2 o più ore si toglievano i tubi dal bagno, si raffreddavano e poi nelle diverse soluzioni — previa un’ opportuna diluizione con acqua — si titolava con permanganato ‘/, normale l'acido ossalico non decomposto. Nella seguente tabella sono riuniti i risultati di quattro serie di espe- rienze. Permanganato consumato nella titolazione dell'acido ossalico indecomposto dopo 3 ore a dopo 2 ore a dopo 3 ore a dopo 2 ore a 980-1020 102°-106° 1049-1080 1080-1129 prove in bianco Er UR VCI UO ce. 19,5 celo, cc. 16,2 cc. 14,7 mn in presenza di Ces(S04); » 14,2 » 12,5 » 10,0 » 4,2 a ; Las($0.)s » 194 » 18,0 » 16,8 » 14,6 ” ” Pro(504)z » 19,5 » 17,9 » 16,0 » 14,8 ” D) Nds($0,)s » 19,5 » 18,0 » 16,4 » 14.5 ”» D) Yo(S04)s » 19,6 » 17,8 » 16,1 » 14,3 A 10cec. della soluzione di acido ossalico corrispondevano 20 cc. della soluzione di KMn0,. Dall'esame di questi risultati appare evidente che nell'ossidazione del- l’acido ossalico con acido nitrico i sali di cerio possono esercitare un'azione catalitica positiva. Essa è perfettamente spiegabile in base al fatto, osser- vato da uno di noi, che l'acido nitrico concentrato può ossidare a caldo i sali cerosi a cerici. Siccome i sali cerici vengono tosto ridotti dall'acido — 402 — ossalico anche a freddo, l’azione catalitica del cerio deve consistere in un trasporto di ossigeno dall'acido nitrico all'acido ossalico. Abbiamo poi voluto anche ricercare in che rapporto l’azione catalitica del cerio stesse con quella del manganese e coll'eventuale azione catalitica degli elementi del gruppo del ferro. A tal uopo vennero preparate soluzioni dei solfati di manganese, ferro, cobalto e nikel contenenti ognuna 1/7 dell’atomo- grammo del rispettivo metallo per litro come la soluzione di solfato ceroso prima impiegata. Le esperienze vennero condotte nella stessa guisa che per gli elementi delle terre rare. I risultati ottenuti furono i seguenti: Permanganato consumato nella determinazione dell'acido ossalico indecomposto de 1 ora a | dopo 3 ore a | dopo 4 ore a 100°-102° 1009-102° 103°-105° proverinibianco;i Li Sos ce. 20,0 cc. 19,6 CCL, » in presenza di MnS0, » 4,9 — — » » Fe SO, » 19,0 » 18,8 » 11.5 n ” Co SO, » 19,5 » 19,0 » 16,2 ” » Ni SO » 20,0 n 19,7 » 17,5 ” D) Ces(S04) » 17,4 » 14,0 MIMOSO Dunque il cerio come agente catalitico nella reazione tra acido nitrico e acido ossalico sta fra il manganese e il ferro, mentre il cobalto sta fra il ferro e il nikel. Tanto in queste esperienze come nelle precedenti, determinando col per- manganato l'acido ossalico residuo nelle diverse soluzioni, abbiamo avuto oc- casione di osservare che, in quelle contenenti solfato di cerio, la riduzione era molto rapida fin dal principio della titolazione anche a temperatura or- dinaria. È noto che lo stesso fatto si osserva in presenza di sali manganosi. Nell'un caso e nell'altro si tratta evidentemente di un fenomeno catalitico analogo a quelli descritti più sopra. Infatti il permanganato di potassio ancor più facilmente dell'acido ni- trico può ossidare i sali cerosi a cerici. Per comparare l'azione accelerante del cerio nella reazione tra perman- ganato e acido ossalico con quella del manganese e per verificare se anche altri metalli potevano agire analogamente, abbiamo misurato il tempo ne- cessario per la riduzione di una piccola quantità di permanganato introdotta in una soluzione solforica di acido ossalico in presenza di una determinata quantità di sale metallico. La soluzione di permanganato veniva introdotta nella soluzione riducente mediante un tubetto di vetro che si lasciava nella soluzione. — 403 — Riportiamo le medie dei risultati di numerose determinazioni. Una soluzione formata di 50 cc. di acido solforico al 20 °/, 5 cc. della so- luzione normale di acido ossalico ridusse 2 ce. della soluzione !/» nor- male di permanganato in . i . 9127 in presenza di 5 cc. della soluzione di Mn SO, li Pi IA ” ” ” ” Ces(S04)z ” pie Loy ” D) L) E) Co SO, » 13} ’ ’ ” ” Prs($0,)3 ” 5' 20” ’ ’ ’ ” Nds(S$0,)3 ” o' 20" » ” ” ’ La,($04)3 ” 8' 40" ” » ” ” Ni SO, » 9' Anche da queste esperienze risulta evidente che il cerio si avvicina per le sue proprietà catalitiche al manganese mentre il praseodimio, il neodimio e il lantanio si avvicinano piuttosto al cobalto e al nickel. Che il cerio e le terre rare abbiano una certa analogia col manganese e gli elementi del gruppo del ferro si rivela anche nello studio delle loro proprietà magnetiche e già Mendeleeff nella seconda memoria sul sistema periodico scriveva a proposito delle terre rare: Unwillkirlich verfàllt auf den Gedanken, in diesen Elementen Analoga der Eisengruppe sehen zu dirfen, um so mehr als das Cerium einzelne den Mangan eigenthumliche Kigenschaften besitzt. Chimica. — Sulla. formazione di sali doppi in solventi di- versi dall'acqua (£). Nota di Livio CAMBI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Sulla formazione di sali doppi in solventi diversi dall'acqua si avevano finora solo scarse conoscenze, anzi, che io sappia, in un solo caso era stato isolato e analizzato un sale doppio il quale contenesse solvente di cristalliz- zazione, come il solfuro doppio: (NH): S. 2MgS. 9NH; (0) (NH.)s S. 2MgS. 10 NH, Ottenuto (*°) per precipitazione dal nitrato di magnesio e solfuro di am- monio in ammoniaca liquida. P. Walden e M. Centnerszwer (*) avevano accertata l’esistenza di ioni complessi nella soluzione piridica del sale KHgJ,, per via ebullioscopica. Così pure gli stessi autori avevano accertato (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Generale della R. Università di Bo- logna. (2) Franklin e Kraus, Amer. chem. Journ., 27, I (1899). (*) P. Walden u. M. Centnerszwer, Zeit. f. phys. Chem., LV, 321 (1906). RenpICcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 52 — 404 — che in anidride solforosa liquida la solubilità di certi sali come joduro mer- curico e joduro di cadmio aumentava notevolmente in presenza di joduro di potassio, fenomeno dovuto alla formazione di ioni complessi, come essi di- mostrarono con misure di conduttività ('). Che a questi complessi con grande probabilità siano combinate molecole di solvente lo additano le ricerche poste- riori degli stessi autori che isolarono: KJ.4S0, e KJ.14S0, (?). Dalle antiche conoscenze, dai recenti lavori del Mentschutkin (8) risulta la possibilità di poter sostituire in un sale alle molecole di acqua di cristal- lizzazione, molecole di composti diversi, aventi tutti una funzione analoga, molecole che sono spesso quelle del solvente dal quale il sale si separa allo stato cristallino. È noto d'altra parte come nei composti complessi delle serie del cromo, del platino, del cobalto, ecc., le molecole mentre più diverse pos- sono concorrere alla loro costituzione: acqua, ammoniaca, derivati ossigenati, solforati, azotati diversi, organometallici, ecc., conservando i sali il carattere tipico delle serie alle quali appartengono (‘). Anche per i sali doppi sarà pos- sibile tale sostituzione, e in particolare operando con solventi diversi. Certo in alcuni solventi possono venire a mancare le condizioni di formazione del sale doppio, come in casì di piccola tendenza a formazione d’joni complessi accoppiata ad una grande disparità di solubilità dei due sali. Ma in generale nella maggioranza dei solventi ionizzanti devono esistere condizioni molto favo- revoli per la formazione di sali doppi; in essi i sali formano con facilità ioni complessi, polimerizzandosi, e a questa polimerizzazione concorrono con pro- babilità le molecole del solvente come quelle del soluto. Ossia in essi si manifestano spiccatamente quelle valenze, affinità, che conducono alla forma- zione dei composti complessi. E in molti solventi dei sali doppi dovevano assumere una maggiore stabilità che in soluzione acquosa. Scopo della mia attuale ricerca è di indagare le modalità di formazione dei sali doppi in soluzioni non acquose, e di determinarne la loro costitu- zione, cercando di accumulare il maggior materiale possibile per trarne con- clusioni generali. In questa prima nota descriverò la serie dei sette sali seguenti: I. Cu0i:.LiCI.H,C0; Il: .Cu@l.-LiCl. CH... ON INI. CdJ;,-2NaJ.9CH;. CO. CH; IV. CoJ..2NaJ.9CH,.CO.CH; V. CdJ:.2NaJ.6(CH;. C0);0 VI. CoJ;.NaJ.6(CH;.C0),0 VII. CoJs. NaJ.3(CH,.C0).0 (1) P. Walden u. M. Centnerszwer, Zeit. f. phys. Chem., XXXIX, 578 (1901). (2) Walden u. Centnerszwer, Zeit. f. phys. Chem., XLII, 482 (1903). (*) B. Mentschutkin, Cent. Blatt., 1906, I, 334, 1328, 1869; II, 1480, 1839. (4) Werner, Zeit f. Anorg. Chem.. 3, 267 (1895); Neure, Anschanngen. a. d. Anorg. Chemie. — 405 — Il I ottenuto in soluzione formica, il II in acetonitrile, il III e IV dall’acetone, il V, VI e VII dall'anidride acetica. I. Sale doppio: CuCl..LiC1.HsC0;. La solubilità del cloruro rameico in acido formico glaciale aumenta grandemente in presenza di cloruro di litio, le soluzioni posseggono un colore rosso-bruno intenso, da quelle troppo ricche di cloruro rameico si separa con grande facilità questo sale combinato con acido formico, ma scegliendo con- centrazioni opportune, dopo lungo riposo, si formano dei piccoli cristalli prismatici duri, d'un rosso rubino scuro, lucenti. Essi sfioriscono con grande rapidità, assorbono acqua diventando verdi e vanno in deliquescenza. Di questo sale puro ne ho ottenute solo piccole quantità, che furono però sufficienti per caratterizzarlo. L'analisi riferita a cento parti condusse al risultato: Calcolato Trovato Li 3,15 3,22 Cu 28,53 29,13 Cl 47,70 47,96 II. Sale doppio: CuCl,. LiCl. CH; . CN. In acetonitrile la solubilità di entrambi i sali è aumentata, le soluzioni hanno un colore simile a quelle formiche, ma d'una tinta volgente più al giallo. Da soluzioni sature a caldo in cloruro di litio che contengono circa due molecole di questo sale per una di cloruro rameico, per raffreddamento sì separa un sale in prismi minutissimi di colore simile a quello della so- luzione, opachi, difficilmente esenti da traccie di cloruro di litio, date le condizioni di formazione. Anche questo sale si altera con grande facilità. L'analisi riferita a cento parti condusse al seguente risultato : Calcolato Trovato Li 3,22 3,70 Cu 29,17 28,89 CI 48,80 49,60 N 6,44 6,22 H 1,38 1,66 La determinazione di azoto venne esaguita col metodo Rjeldahl, quella dell'idrogeno per combustione col metodo Carrasco-Planker. Ho iniziato una serie di ricerche con la stessa coppia di sali in diversi solventi: nella maggior parte di essi si ripetono costantemente gli stessi feno- meni di solubilità e di colorazione. Dunque la coppia Cu Cl, . Li Cl è capace di dare sali doppi come in acqua in vari solventi, assumendo in questi il jone complesso un carattere di maggiore stabilità. Questi sali hanno tutti lo DE 406 — stesso colore, diversificando solo per deboli sfumature da quello finora noto: CuCl,. LiC1.2H,0, il che fa ammettere la presenza nelle varie soluzioni di un jone analogamente costituito. III. Sale doppio: CAI, 2NaI 9 CH; . CO. CH;. L'ioduro di cadmio ha una notevole solubilità in soluzioni di ioduro sodico in acetone, da soluzioni sature di ioduro sodico e riccamente concen- trate a caldo si separa per raffreddamento un corpo in grandi prismi senza colore. Esso è molto alterabile, perde acetone e va in deliquescenza. Isolato con debite cure e analizzato, l’analisi riferita a cento parti del sale condusse al risultato : Calcolato Trovato Na 3,98 4,12 Cd 9,45 9,99 I 42,73 43,99 CH;.CO.CH; 53,94 54,16 Esso corrisponderebbe al sale Cd I,.2NaI.6H,0 (1). IV. Sale doppio: Col. .2Nal.9CH;.CO.CH;. Era interessante stabilire se metalli appartenenti allo stesso gruppo bi- valente del Cd, erano in grado di formare sali analogamente costituiti; sgelsi l’ioduro di cobalto anche perchè questo era un sale non studiato finora in sali doppi nemmeno in acqua. L'ioduro sodico sciogliendosi, in una soluzione di ioduro di cobalto in acetone non molto concentrata a caldo, provoca un graduale mutamento di colore dal verde smeraldo di quella ad un bruno intenso rossastro quando si raggiunga la saturazione. Da queste soluzioni per raffreddamento si se- parano dei grandi prismi rosso bruni, molto facilmente alterabili; andando in deliquescenza divengono verdastri. L'analisi riferita a cento parti del sale condusse al risultato : Calcolato Trovato Na 4,06 4,21 Co 5,20 5,42 I 44,70 44,80 CH3.COCH3z . 46,04 45,57 L'aspetto di questi cristalli ricorda quello del precedente composto, e certamente esisterà fra questi due sali isomorfismo. (*) Dammer, Hand. d. anorg. Chemie II, 2 pag. 497. — 407 — V. Sale doppio: CAI, 2Nal.6(CH;. C0).0 Fenomeni di solubilità analoghi a quelli in acetone si osservano, per i due sali ioduro sodico e ioduro di cadmio, in anidride acetica; da questo sol- vente si separano pure prismi ben sviluppati d'un lieve colore giallognolo, molto più alterabili di quelli con acetone. Analizzati manifestarono la com- posizione : Calcolato Trovato Na 3,60 3,63 Cd 8,79 8,48 I ME39/69 39,27 (CH3.C0),0 47,88 48,62 VI. Sale doppio: Col».2Na I.6 {CH3 . CO);0. Esso si forma in maniera del tutto simile a quello descritto con ace- tone, ha un colore pure molto simile a quello. L'analisi riferita a cento parti, ha dato il seguente risultato: Calcolato ‘T'rovato Na 3,76 3,62 Co 4,81 4,78 I 41,42 41,03 (CH. C0),)O 49,97 49,68 In questo prodotto come nel susseguente l'anidride acetica fu determi- nata direttamente. VII. Sale doppio: Col». Nal . 3(CH; . C0);0 In anidride acetica con i due sali ioduro di sodio e ioduro di cobalto ho potuto produrre questo secondo sale interessante, scoprendo esso un altro lato di analogia, nella formazione di sali doppi, fra soluzioni acquose e quelle in solventi vari. Già dissi che, come in acetone, il sale VI si forma da so- luzioni non molto concentrate in ioduro di cobalto, ma sature a caldo in io- duro sodico, soluzione di colore eguale a quello del composto. Da soluzioni invece più concentrate rispetto a l'ioduro di cobalto, soluzioni verde smeraldo cupo si separano dei prismi piccoli dello stesso colore. La loro composizione venne così stabilita, riferendosi a cento parti: Calcolato Trovato i Ma 2,99 2,90 i Co 7,67 7,98 1 49.49 48,83 (CHz . C0): 0 39,81 40,10 lì; — 408 — Come è noto i sali alogenati dei metalli del gruppo bivalente danno le due serie di sali doppi. I) MX, .MX.nH,0 Il) MX, .2MX.mH;0 Conchiudendo voglio far notare come il tipo di combinazione dei due sali con acetone su descritti, e accennato anche dalle soluzioni acquose nel sale Col» -9Hs0 (!), riflettendo che spesso, come ad esempio nelle carnalliti, il numero delle molecole di acqua di cristallizzazione del sale doppio, è eguale al numero di quelle con cui può cristallizzare il sale semplice del metallo bivalente. Che le molecole di acetone possano sostituire in numero eguale quelle di acqua, è reso probabile dalle conoscenze moderne sui sali di ossonio (?). Per quanto riguarda il sale: Col». Nal.8(CH; CO):0, noterò come pur mancando fra i sali doppi di questo tipo uno corrispondente per molecole di acqua, pure fu isolato il composto: Col». HI.3H;0 (3), e forse esiste anche: CoCl,. HC1.3H3;0 (4). Ciò indurrebbe ad ammettere che le molecole di anidride acetica agiscano in questo caso come le molecole di acqua, con una sola funzione ossonica, e a questo richiama anche l'identità del tipo: MI, .2MI. 6H,0 con MI, .2MI . 6(CH, C0),0 Osserverò inoltre come il diverso colore dei due sali: Col, . Nal . 3(CH3. C0),0 Col. .2NaI.6(CH3.C0);0, l'uno verde l’altro rosso bruno, richiami ai fenomeni cromatici osservati nelle soluzioni acquose di ioduro di cobalto, bromuro e cloruro, al variare della concentrazione e della temperatura (°). La corrispondenza dei colori dei due corpi su accennati con quelli della soluzione acquosa del ioduro di cobalto, porterebbe ad ammettere che questi siano forse dovuti alla presenza di ioni complessi di tipo diverso. (1) Bolschakoff, Journ. S. Chim. russe, 30, 386, (1898). (2) J. Schmidt, Basichen Eigenschaften des Sauerstofis und Kohl, Berlin, 1904, pag. 23. (3) Dotroserdow, Journ. Soc. Chim. russe, 32, 297. (4) Engel, Bull. Soc. Chim. (3), 6, 259, (1891). (5) Etard, Comp. Ren. 723, 699 (1891). tI — 409 — Chimica. — Sui prodotti di addizione dei derivati del trini- trobenzolo con alcune sostanze aromatiche azotate (*). Nota III di R. Ciusa e C. AGosTINELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Nella Nota precedente furono descritti i picrati dei fenilidrazoni dell'ace- tone, dell’aldeide propionica e della canfora. Fu pure studiato il comporta- mento del cloruro di picrile con questi idrazoni e con alcune aldazine e basi di Schiff aromatiche (*). Con questi corpi il cloruro di picrile reagisce in un modo perfettamente analogo ai cloruri dei radicali acidi: si forma il picril- derivato della base unita all’aldeide e quest'ultima vien messa in libertà; per le aldazine sì osserva che viene spostata una sola molecola di aldeide. In questa Nota comunichiamo i risultati dello studio dell’azione del clo- ruro di picrile sui fenilidrazoni delle aldeidi aromatiche, e che abbiamo cre- duto opportuno comunicare separatamente date le conclusioni cuì ci hanno condotto. In una prima Nota (*) furono descritti i composti di addizione che for- mano i fenilidrazoni delle aldeidi aromatiche col trinitrobenzolo, trinitroto- luolo ed acido picrico: il cloruro di picrile si addiziona anch'esso agli stessi idrazoni per dare dei composti parimenti intensamente colorati, ma formati da una molecola di idrazone e due di cloruro. Questi prodotti di addizione si preparano nel modo solito: mescolando soluzioni alcooliche concentrate bol- lenti di un idrazone (una mol.) e di cloruro di picrile (due mol.) si ha imme- diatamente una colorazione scura, e per raffreddamento si separa il composto di addizione in cristalli splendenti di un colore che varia dal rosso-scuro sino al nero. Questi picrilderivati sono poco solubili nei solventi ordinarî a freddo e mostrano, al pari dei corrispondenti trinitrobenzol-, trinitrotoluol-, e trini- trofenolderivati, nel colore e nella solubilità, delle variazioni che stanno cer- tamente in relazione coi diversi radicali che entrano nel nucleo benzolico dell’aldeide di partenza. Da questi radicali dipende anche la stabilità dei pro- dotti di addizione pel fatto che, mentre dai fenilidrazoni dell’aldeide ben- zoica, m-nitrobenzoica e anisica non si riesce ad isolare il composto d’addi- zione col m-dinitrobenzolo (composto di addizione che esiste in soluzione, perchè al momento del miscuglio delle soluzioni alcooliche dei componenti si ha la solita colorazione scura del miscuglio), dal fenilidrazone del pipe- ronale si ha col m-dinitrobenzolo un prodotto di addizione ben cristallizzato (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica agraria dell’Università di Bologna. (*) Questi Rendiconti, XV, II, 1906, 238. Uno di noi ha già istituito delle ricerche sulle azine alifaliche: su ciò verrà riferito in una prossima Nota. (3) Gazzetta Chim. Ital, 36, 2°, 94. O — caratteristico. Ciò sta in relazione con quanto hanno trovato Bruni e Tor- nani (!). Questi autori hanno osservato infatti che l'isosafrolo e l’ isoapiolo contenenti il gruppo biossimetilenico dànno dei picrati assai più stabili del- l’isometileughenolo ed asarone contenenti solamente dei gruppi ossimetilici. Da tutti i fatti trovati sinora e da ciò che dirò più avanti, si può de- sumere che i fenilidrazoni si comportano in modo perfettamente analogo alle amine secondarie, e come tali, se derivano dalle aldeidi o chetoni grassi, hanno carattere basico assai spiccato (?) e danno dei picrati gialli, se deri- vano invece dalle aldeidi aromatiche non hanno o non mostrano più alcun carattere basico e danno dei picrati, trinitrobenzol-, trinitrotoluolderivati intensamente colorati. Come è noto infatti le amine secondarie alifatiche danno dei picrati gialli, mentre la difenilamina (*) gli indoli (‘) ed il car- bazolo (?) danno coi polinitroidrocarburi aromatici dei composti di addizione intensamente colorati. L'analogia dei fenilidrazoni delle aldeidi aromatiche colle amine secon- darie oltre che dalla formula di struttura cia N A_ATZIIAL: risulta anche e riceve una conferma dal modo di reagire di questi idrazoni col cloruro di picrile. Tutte queste quattro classi di corpi hanno la proprietà comune di dare col cloruro di picrile dei prodotti di addizione costituiti da una molecola dei suddetti corpi con due di cloruro. Ciò veramente non era ancor noto per gli indoli mentre lo è per il carbazolo (9) e per la difenila- mina (7). Abbiamo perciò creduto opportuno estendere anche agli indoli le nostre ricerche. Mescolando a caldo soluzioni alcooliche concentrate di un indolo (una mol.) e di cloruro di picrile (due mol.) si ha immediatamente una colora- zione rosso scura del miscuglio e per raffreddamento si separa il composto di addizione sotto forma di aghi lunghi rosso-scuri poco solubili in alcool a freddo e che all'analisi danno dei numeri che corrispondono a quelli richiesti da un corpo formato da una molecola dell’indolo con due di cloruro di pi- (1) Gazzetta Chim. Ital., 24, II, 476. (2) Schmidt, Annalen, 252, 306. (3) Berichte 39, 76, (4) Berichte 2/0, 1223; 12, 1514. (9) Annalen /63, 343. (6) Herz, Berichte 22, 2540. (7) Wedekind, Berichte 23. 434. — dll — crile. Questi composti sono più stabili dei corrispondenti picrati e possono essere adoperati con vantaggio per caratterizzare gli indoli. L'analogia del comportamento chimico dei fenilidrazoni colle amine se- condarie pare sufficientemente dimostrata: i fenilidrazoni, all'infuori delle sintesi degli indoli, indolenine, tetrazoni e pirazoli, non servivano ad altro che a caratterizzare i rispettivi chetoni od aldeidi; dato ora il nuovo punto di vista dal quale si possono riguardare, ossia di amine secondarie in tuttto paragonabili p. es. alla difenilamina, acquistano una nuova importanza e fanno prevedere nuove e interessanti sintesi. Benzalfenilidrazone e cloruro di picrile. Questo prodotto di addizione, come pure tutti quelli che vengono de- scritti più avanti, si prepara nel modo descritto nella parte teorica, e si ottiene sotto forma di aghi splendenti di color marrone scuro fondenti a 90-91°. Gr. 0,1642 di sost. diedero gr. 0,2627 di CO» e gr. 0,0456 di H,0 Gr. 0,1498 di sost. diedero cm* 21,8 di N (21°, 762 mm) Gr. 0,1406 di sost. diedero gr. 0,0572 di Ag Cl Ci3 He Na. [Co Hs O N3 CIj Cale. C 43,47; H 2,31; N 16,23: CI 10,14. Trov. » ‘43,64;-»83/08; » 16,61; » 9,88. Piperonalfenilidrazone e cloruro di picrile. Questo prodotto di addizione forma aghi splendenti quasi neri fondenti a 123° e pochissimo solubili nell’alcool a freddo. Gr. 0,1558 di sost. diedero gr. 0,2441 di CO» e gr. 0,0390 di H:0 Gr. 0,1673 di sost. diedero cm? 21, 4 di N (7°,5, 758 mm) Gr. 0,1302 di sost. diedero cm* 16,7 di N (9°, 763 mm). C,4H20, Ns .[CoH30N3C1] Cale. C 42,45; H 2,17; N 15,23 Toys 42,71 Saei2 819: 1543105748 Piperonalfenilidrazone e m-dinitrobenzolo. Questo composto di addizione forma prismi rombici ben conformati di color rosso scuro fondenti a 73°-74°. Gr. 0,1580 di sost. diedero gr. 0,3320 di CO: e gr. 0,0580 di H,0 Gr. 0,1624 di sost. diedero cm* 19 di N (7°, 744 mm) Ci4Hi20:N,. CoHi(N03); Cale, C 58,82; H 3,94; N 13,72 Trov. »: 59. 17682 13:95 RenpicontI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 58 — 412 — Anisalfenilidrazone e cloruro di picrile. Questo composto di addizione forma aghi appiattiti neri splendenti e fondenti a 92° Gr. 0,1578 di sost. diedero cm? 21,2 di N (12°, 754 mm) Ci Hi ONs[CH, 0; N3 CI]: Cale. N 15,53 Trov. » 15,74 m-Nitrobenzalfenilidrasone e cloruro di picrile. Questo prodotto di addizione forma aghi lucenti rosso-mattone fondenti a 105°. Gr. 0,1581 di sost. diedero cm? 23 di N (7°, 752 mm) C,3H110, N3.[CH20; N; CI}. Cale. N 17,12 Trov. » 17,45 Cinnamilidenfenilidrazone e cloruro di picrile. Questo prodotto di addizione forma aghetti minutissimi colorati in rosso- mattone assai poco solubili nell'alcool e fondenti a 112-115°. Gr. 0,1334 di sost. diedero cm* 18,4 di N (21°, 761 mm) C5Hia Ns .[CsHz06N3 Cl]. . Cale. N 15,65 i Trov. » 15,72 Picrilderivato dell’a-metilindolo. Si prepara nel modo indicato nella parte teorica. Forma degli aghetti lunghi rosso scuri poco solubili nell’alcool a freddo e fondenti a 115-116°. Gr. 0,2326 di sost. diedero cm? 32,4 di N (29°, 764 mm) Gr. 0,2590 di sost. diedero gr. 0,1172 di AgCl Co HHN.[C6H30 N3 Cl] Cale. N 15,65; Cl 11,34 Troy. a do; 40; 20220 Picrilderivato del B-metilindolo. Forma aghi lunghi rosso-scuri poco differenti nelle proprietà fisiche da quelli dell’a-metilindolo e fondenti a 112-115°. Gr. 0,2284 di sost. diedero gr. 0,1032 di Ag Cl CoHoN.(C6H:0; N3C1) Cale. CI. 11,34 Troy. a fa i lio i — 413 — Chimica. — Combinazioni dei composti organo-magnesiaci misti con le basi piridiche e chinoleiche. Nota di BERNARDO ODDO, presentata dal Socio E. PATERNÒ ('). Nella prima Nota sullo stesso argomento (?), pubblicata or sono circa due anni, ho descritto alcuni composti d’addizione che precipitano dalla so- luzione eterea dei composti organo-magnesiaci misti aggiungendovi piridina o chinolina, ed ho dimostrato che conservano coi diversi reattivi il compor- tamento caratteristico dei composti organo-metallici dai quali derivano. In altri due lavori poi (*) ho esposto un'applicazione di tale reazione, poichè ho osservato che le dette basi formano pure dei composti insolubili in etere se si fanno agire sulle combinazioni che i composti di Grignard contraggono con altre sostanze di funzione diversa: ho potuto così definire direttamente la natura delle reazioni che avvengono in alcuni di quei casi; mentre a ciò si arrivava fino allora soltanto dopo il trattamento con acqua. Circa due mesi dopo Franz Sachs e Ludwig Sachs (*), ignorando ancora la mia Memoria, pubblicarono una Nota sullo stesso argomento, nella quale si limitarono a deserivere due composti soltanto della chinolina con l’ioduro di magnesioetile e il bromuro di magnesiofenile. Riconobbero però, in seguito a mio richiamo (°), la priorità della mia scoperta (5) e lasciarono a me la libertà di continuare gli studî in questo nuovo campo (7). Avrei dovuto intanto definire subito a che cosa era da attribuirsi la differenza nella composizione centesimale che si riscontrava nel composto tra la chinolina ed il bromuro di magnesiofenile, che ciascuno di noi aveva ot- (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale dell’Università di Pavia, feb- braio, 1907. È (?) Atti R. Accad. dei Lincei (5) /3, II, 100; Gazz. chim. ital. 34, II, 420. (8) Ibidem, pag. 187 e 220; ibidem, pag. 429 e 436. (4) Ber. Deutsch. chem. Gesell., 37, 3088. (5) Gazz. chim. ital., 34, II, 420. (5) Gazz. chim. ital., 35, I, 87; Berichte, 28, 1088. (7) In quanto alla discussione sulla data delle nostre pubblicazioni, farò qui osservare soltanto ai sullodati chimici che dal giorno 11 agosto, in cui arrivò, come loro dicono, a Berlino il fascicolo dei Rendiconti dell’Accademia dei Lincei, nel quale era inserita la mia Memoria, al 24 settembre in cui fu edito quello dei Berichte con la loro Nota, inter- cedono 46 giorni, ed è noto che le bozze di stampa dei Berichte sono inviate agli autori per la correzione poco tempo prima della pubblicazione del fascicolo, e quindi sarebbe riuscito possibile inserire, magari in Nota, una qualunque dichiarazione che avesse tute- lati i miei diritti. Con ciò non intendo però muovere alcuna accusa ai due chimici te- deschi, tanto più perchè le date dimostrano che si era in periodo di vacanze estive e quindi magari lontani dagli ordinari mezzi di studio, — 414 — tenuto; ma chiamato in quel tempo a prestare il servizio militare, sono stato costretto a rimandare di un anno e mezzo queste ed altre ricerche. Già nel sollevare la quistione di priorità, a proposito di questa diffe- renza di risultati, avevo scritto (*): « Gli AA. nel preparare il composto della chinolina col bromuro di magnesio-fenile si misero in condizioni diverse dalle mie, perciò forse hanno ottenuto un composto della formola CH, NC; H; Mg Br, mentre quello preparato da me corrisponde alla formola (CoH;N):.CH; Mg Br». Le esperienze attuali hanno confermato pienamente quanto avevo preve- duto. Calcolando i rapporti stechiometrici dei corpi usati dai Sachs, ho os- servato ch’essi avevano impiegato per una molecola del composto organo- magnesiaco, soltanto tre quinti di molecola di chinolina, mentre io ne avevo fatto reagire due molecole, e ripetendo la preparazione nelle due proporzioni diverse ho ottenuto il prodotto dei Sachs monomolecolare diverso dal mio; e dell'uno come dell'altro ho confermato del tutto le analisi. Inoltre ne ho ottenuto ora un terzo facendo agire tre molecole della base su una del com- posto magnesiaco. Volendo però spingere più oltre la preparazione di questi ter- mini ho osservato che l'instabilità aumenta in generale col numero di molecole di chinolina, che si sono addizionate. Così mentre già il terzo termine, tenuto a pressione ridotta, si rapprende dopo poco tempo alla sua superficie in una massa spugnosa; il quarto termine, che ho tentato di analizzare, va tutto in effiorescenza; ed i termini superiori, che anch'essi si formano, raggiungono tale tensione di dissociazione, che riescono del tutto non maneggiabili. Molto probabilmente però operando a conveniente temperatura e pres- sione si potrebbe arrivare ad isolare questi diversi composti, analogamente ai cloruri metallico-ammoniacali preparati da Isambert (?). Ho osservato infatti che il bromuro di magnesio-fenile tetrachinoleico, appena preparato, messo ad asciugare su potassa recentemente fusa in am- biente d'azoto, si mantiene inalterato per circa tre ore, mentre a pressione ridotta effiorisce subito. La chinolina ha quindi attitudine di dare coi com- posti organo-magnesiaci misti prodotti diversi d'addizione, analogamente che con alcuni sali dei metalli pesanti, com'è da lungo tempo conosciuto. Basterà citare i lavori di Gerhardt, Bromeis e di Williams (1845-63), di U. Schiff (*), di Pesci (4) e quelli recenti di Reitz (*), di Renz (°), di Litterscheid (") e di Pfeiffer e Pimmer (*). Mentre però le combinazioni che la chinolina dà (1) Loc. cit. (2) Ann. scient. de l’école normale sup., 1368. (3) Compt. Rend., 57, 837; Selmi, &neyel. chim., IV, 277. (4) Gazz. chim. ital., 25, I, 394, (5) Z. a. chem., 18, 295. (6). Berichte; 35, 1113. (7) Arch. der Pharm., 240, 387. (8) Z. a. chem., 48, 98. — 415 — con ì sali metallici sono ordinariamente cristallizzabili, solubili per quanto poco nell'acqua e decomponibili solo per ebollizione prolungata; quelle con ì composti organo-magnesiaci sono molto facilmente alterabili, l’acqua le de- compone subito mettendo in libertà la chinolina e l’idrocarburo, e sono in- solubili in tutti i solventi neutri, come io ho mostrato nella prima Nota sullo stesso argomento. PARTE SPERIMENTALE. I. Composto monomolecolare C, H,N.C,H;.Mg Br. Per prepararlo mi sono messo nelle medesime condizioni usate dai Sachs dei quali volli ripetere la esperienza. Preparato il bromofenilato di magnesio (gr. 1,4 di Mg=1 at. per gr. 10 di CH; Br=1 mol.) in soluzione nell'etere anidro, vi aggiunsi a piccole gocce gr. 4 (3/5 di mol.) di chinolina disciolta nel doppio suo volume di etere assoluto. Si ottiene dapprima un torbido bianco, poi la formazione di un olio denso, bruno, che non tarda a rapprendersi in una polvere bianco- sporca. Lavata per bene con etere anidro ed asciugata a pressione ridotta su potassa recentemente fusa e paraffina, all'analisi dà i seguenti risultati : Sostanza gr. 0,2091: CO». gr. 0,4362; H:0 gr. 0,0772. ” n» 0,2781: AgBr gr. 0,1676. ” >» 0,2560: Mg. P:0, gr. 0,0960. 7 » 0,4279: N cc. 16,02 a 11° di temper. e 758 mm. di pressione. Trovato °/o Calcolato per C,; Hi: N Mg Br C 56,99 58,00 H 4,10 3,87 Br 25,63 25,76 Mg 8,20 7,985 N 4,45 4,52 I Sachs hanno ottenuto: C 56,63; H 4,26; Br 25,60; Mg 8,45; N 4,00. Il prodotto quindi corrisponde a quello da loro preparato. Le combustioni, in questo come nei casi seguenti, vennero fatte sia col solo ossido di rame, che mescolando la sostanza nella navicella con del ero- mato di piombo misto a bicromato di potassio nel rapporto di 10 parti in volume del primo per una parte del secondo. Il cromato di piombo veniva pure riscaldato fino ad acquistare un colorito rosso-bruno, ed il bicromato potassico veniva precedentemente fuso. L'uno e l'altro ancora caldi erano mescolati e tenuti in essiccatore nel vuoto. In tutti e due i casi ho sempre ottenuto una percentuale in meno di carbonio che oscilla da gr. 1,50 a gr. 1,10. Anche i Sachs hanno ottenuto nelle loro combustioni una percen- — 416 — tuale di gr. 1,37. Non credo però si possa concludere con loro che sia la magnesia che trattenga l'anidride carbonica. Dalle esperienze di H. Rose (') risulta infatti che il carbonato di ma- gnesio calcinato verso 300° abbandona tutto il suo acido carbonico. Marchand e Scherer (?) invece asseriscono che ne trattenga ancora un po dopo averlo riscaldato al rosso. Perciò ho voluto ripetere le combustioni in presenza di cromato di piombo, senza dire che in nessun caso ho trovato che il residuo della navicella desse effervescenza, anche piccola, con gli acidi. Ho potuto accertare invece che si forma sempre nella combustione del carbone grafitoide, che brucia molto difficilmente anche insistendo a lungo nel riscaldamento e nel passaggio della corrente d'ossigeno, ed anche in pre- senza di cromato di piombo. Non sono poi da trascurarsi le reazioni secondarie che avvengono sia nella preparazione delle combinazioni organo-magnesiache, sia nei prodotti di addizione di queste con la chinolina. Così mentre una traccia inevitabile di umidità nel primo caso produce un torbido, di fiocchi di magnesia; nel secondo produce egualmente ma- gnesia e si mette in libertà della chinolina. Si aggiunga inoltre che il ma- gnesio usato per la preparazione del composto organo-metallico contiene sempre tracce, benchè piccole, di ferro; e che la reazione fra bromobenzina e magnesio non s inizia, operando con bromobenzina pura, senza l'intervento d'un granellino di iodio. Le determinazioni di magnesio erano eseguite sia pesandolo come piro- fosfato che come ossido. Per il dosaggio come pirofosfato trattava prima la sostanza con acqua e portava a bagno-maria quasi a secco per due o tre volte fino a completa eliminazione della chinolina. Come ossido veniva pesato dopo aggiunta di acido nitrico e calcinazione successiva. Il bromo veniva preci. pitato con Ag NO; dopo eliminazione della chinolina, per lenta evaporazione. II. Composto bimolecolare (Cs H, N)».C: Hz MgBr. Ho ripetuto il metodo che ho descritto nella mia prima Memoria. Dalle numerose preparazioni che ho fatte, ho potuto constatare che si ottiene un prodotto migliore aggiungendo tutta in una volta al bromuro di magnesio- fenile (gr. 9 = 1 mol.) in soluzione nell’etere, la chinolina (gr. 13 = 2 mol.) disciolta nel doppio del suo volume d'’etere anidro, ed agitandoeper bene. In questo modo, si ha dopo poco tempo il prodotto ultimo della reazione sotto forma di polvere bianca-sporca, o di piccoli grani, mentre il tutto si riscalda poco sensibilmente. Se si aggiunge invece a poco a poco la chinolina, o anche tutta in una volta, ma senza agitare e fortemente, si ha dapprima il solito (') Ann. Ch. Ph. Pogg., 83, 417, 1851; 84, 461, 1851. (2) J. prakt. Chem., 50, 385, 1850; Jahrerb., 229, 1850. — 417 — intorbidamento bianco e la successiva formazione dell'olio bruno. Quest’ ul- timo però si rapprende in una massa compatta, che aderisce facilmente al fondo del pallone e non dà risultati costanti all'analisi, probabilmente perchè, in proporzioni varie, trattiene il primo termine di questi prodotti di addizione. Lavato il prodotto della reazione ripetutamente con etere e disseccato a pressione ridotta, all'analisi dà i seguenti risultati : Sostanza impiegata : gr. 0,2258 : gr. 0,4022 : gr. 0,35964: CO; 0,5295: H.0 0,0972. Ag Br 0,1790. Mg. P.0, 0,1150. gr. 0,2882: N ce. 16,00 a 12° di temperatura e 761 mm. di pressione. + Trovato °/o Calcolato per Cs4 His Ns Mg Br CC 64,09 65,52 H 4,79 4,32 Br 18,67 18,20 Mo 6,33 5,54 N 6,60 6,38 Altra volta io aveva ottenuto: Mg 5,96; N 6,58; il prodotto quindi è analogo a quello da me preparato. III. Composto chinoleico trimolecolare (Cs H,N)3 6 H; Mg Br. Preparato il composto organo-metallico (gr. 4,5 = 1 mol.) in soluzione nell'etere vi aggiunsi tutta in una volta gr. 10 (3 mol.) di chinolina disciolta nel doppio del suo volume di etere anidro agitando fortemente. Si forma quasi istantaneamente, con pochissimo sviluppo di calore, una polvere gial- lastra, che raccolta, dopo il solito lavaggio all’etere e disseccamento a pres- sione ridotta, dà all'analisi i seguenti risultati: Sostanza impiegata: gr. 0,3912: gr. 0,3622: gr. 0,3587 : gr. 0,4042 CO. 0,8790; H,0 0,1519. AgBi 0,1272. Mg0 0,0290. : N cc. 25,80 a 10° di temperatura e 757 mm. di pressione. Trovato °/o Calcolato per Css Has N3 Mg Br C 68,25 69,63 Hi ili:480 4,57 Br 14,93 14,06 Mg 4,87 4,28 N 7,62 7,40 — 418 — È una sostanza molto alterabile ed anche lasciata nel vuoto si rapprende alla superficie in una massa spugnosa giallo-verdastra. È insolubile in tutti i solventi neutri, e l’acqua la decompone con formazione di chinolina, ben- zina, magnesia e bromuro di magnesio. IV. Azione di quattro molecole di chinolina sul bromuro di magnesio-fenile. Aggiungendo tutta in una volta gr. 13 di chinolina (4 mol.) disciolta nel triplo suo volume di etere anidro su gr. 4,5 di bromuro di magnesio- fenile (1 mol.) in soluzione nell’etere, dopo il solito torbido bianco sì forma mediante forte agitamento un olio vischioso verde-giallastro, ed un prodotto solido. Lasciato in riposo per circa un'ora ed indi raccolto su filtro il pro- dotto della reazione così formatosi, messo ad asciugare a pressione ridotta su potassa recentemente fusa e paraffina, dopo poco tempo effiorisce. Analoghi risultati ho ottenuto per i termini ancora superiori che tentai di isolare. Dirò, infine, come mostrerò nella Nota successiva, che l’azione simul- tanea di una molecola di piridina e di una di chinolina sul bromuro di magnesio-fenile, conduce ad un prodotto ancora più alterabile dei precedenti, ma che per l’azione dell'acqua non ridà le due basi libere e l’idrocarburo, PA: H; invece piridina ed «-fenil-chinolina SCOECSI | È CH=CH Chimica-fisica. — Variazioni fisico-chimiche del siero du- rante l’azione dell'alcool e degli anestetici. Nota dei dott. G. Bu- GLIA ed I. Simon ('), presentata dal Socio L. LUCIANI. È molto tempo che in farmacologia si fa distinzione netta fra azione e tossicità fisica, azione e tossicità chimica dei farmaci; ma tranne rari casi, la tossicità fisica è poco studiata e meno ancora lo sono quelle modi- ficazioni fisico-chimiche, talora molto complesse, che i farmaci, sia diretta- mente che indirettamente, producono nell'intero organismo e nelle varie parti di esso. Pur tuttavia lo studio farmacologico, fatto in base alle leggi fisico- chimiche delle soluzioni, acquista oggi un aspetto ed importanza grandissima e ci permette di trovar la ragione di molti fatti finora inesplicati, e di pre- vederne molti altri. Per questo abbiamo creduto opportuno di fare, con l'indirizzo ora detto, uno studio farmacologico sull’alcool e successivamente sugli anestetici. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Farmacologia sperimentale della R. Università di Parma, diretto dal prof. Sabbatani. — 419 — Infatti, considerando che l'alcool viene rapidamente assorbito e passa nel sangue, dove permane a lungo e spesso in grande quantità, era lecito prevedere che dovesse aumentarne la concentrazione molecolare, la pressione osmotica ed il valore crioscopico, analogamente a quello che fa in acqua (') ed in presenza di soluzioni saline; e d'altro lato, considerando che l'alcool forma nel sangue un liquido idroalcoolico, era lecito supporre che dovesse modificare la dissociazione dei sali del plasma, come fa nelle soluzioni saline (?). Intine era lecito prevedere che l'alcool, per l’azione ben nota precipi- tante sulle albumine, anche in piccola quantità, potesse produrre modifica- zioni profonde nella costituzione del siero, variarne la viscosità e la coagu- labilità al calore, molto più che anche le soluzioni saline in acqua pura va- riano di viscosità per aggiunta di alcool. Ma se veramente l'alcool assorbito può determinare molte e forti va- riazioni delle proprietà fisiche del siero e modificazioni chimiche dei colloidi suoi, è lecito ritenere che queste non saranno indifferenti per la funzione di tutti gli organi. Da ciò si comprende qnanto interesse presenti questo studio : rispetto alle modificazioni che negli organi si produrranno in un momento successivo come conseguenza delle variazioni del sangue, rispetto alle alte- razioni funzionali che si hanno nelle varie forme di avvelenamento per alcool, rispetto all'importanza biologica dell'alcool stesso. Pare anzi che lo studio fisico-chimico delle variazioni apportate dall'alcool nel siero possa mostrarci dei momenti patogenetici nuovi per le manifestazioni tossiche, funzionali ed anatomiche che si producono nelle varie forme di avvelenamento per alcool. A questo proposito ricorderemo che Sabbatani propende a credere che esista una sproporzione fra le attitudini chimiche della molecola dell'alcool e le azioni farmacologiche gravi e molteplici che produce, come pareva vera- mente sproporzionata la tossicità grande dell'ossalato di sodio, rispetto alla costituzione e proprietà chimiche della molecola sua, quando non ancora si sapeva che la tossicità dell’ossalato dipende dalla precipitazione dei sali di calcio, indispensabili per tutte le funzioni organiche. Fu per consiglio suo che noi intraprendemmo queste ricerche. Per queste ricerche abbiamo fatto una prima serie di esperienze in vitro sul siero cui aggiungevamo di confronto determinate quantità di acqua o di alcool; poi una seconda serie di esperienze sui cani che sottoponemmo (*) R. Pictet und Altschul, Die Gefrierpunkte von verschiedenen Fhissigkeitsge- mengen. Zeitschrift f. Physikalische Chemie, XVI, 1895, 18-23. — Raoult I. M., Veder Prazisionkryoskopie sowie einige anwendungen derselben auf Wiisserige Lòsungen. Zeitschrift f. Physik. Chemie, XXVII, 1898, 617-61. (2) Jones, Bingham und Mc Master, Weber Leitfihigkeit und innere Reibung von Lòsungen gewisser Salze in den Lòsungsmittelgemischen: Wasser, Methylalkohol, Athyl- alkohol und Aceton. Zeit. f. Physik. Chemie, Bd. LVII, 1906, 193-243. RenpIconTI. 1907, Vol. XVI. 1° Sem. od — 420 — a salassi successivi per vedere come questi da soli modificassero le costanti fisiche del siero; infine praticammo altre serie di ricerche, pure sui cani, nei quali, giovandoci di successive sottrazioni sanguigne, studiavamo ancora come variassero le costanti fisiche del siero durante e dopo l’azione farmacologica dell'alcool, dell'etere e del cloroformio. Volgemmo il nostro studio sempre alle costanti che seguono: a) Densità. La determinammo mediante un pienometro di Sprengel mo- dificato da Ostwald. b) Viscosità. Adoperammo il viscosimetro di Ostwald. La quantità di liquido posta nel viscosimetro fu sempre di due centimetri cubici; avemmo cura di servirci in tutte le esperienze dello stesso apparecchio che veniva im- merso nel termostato, sempre a 30°, 20 minuti prima della determinazione. In esso il tempo di deflusso dell'acqua distillata a 30° era di 905. c) Coagulabilità. Col metodo e coll'apparecchio di Sabbatani e Bu- glia (*) ottenemmo le curve di coagulazione al calore. Non potendo nelle tabelle riportare l'insombrante serie di determinazioni, abbiamo dato la coa- gulabilità comparata riferendoci alla temperatura necessaria per ottenere la coagulazione in 30%; per la qual cosa, tracciate le curve, abbiamo ottenuto questo valore servendoci dell’ordinata che corrisponde al suddetto tempo, se- gnato sull'asse delle ascisse. d) Concentrazione molecolare. Ci servimmo dell'apparecchio Beckmann. e) Conduttività elettrica specifica. Il metodo fu quello ben noto di Kolrausch: la celletta veniva immersa nel termostato Ostwald a 30°, 20 mi- nuti prima della determinazione. In tutte queste ricerche ci attenemmo con scrupolo alle regole dai sin- goli autori raccomandate. Serie I: Miscele di siero di sangue e di acqua. Per queste ricerche adoperammo siero di sangue estratto il 24 maggio 1906 da un cavallo 0° di anni 7 mediante salasso della vena giugulare destra. Il sangue, raccolto asetticamente, diede abbondante siero che, decan- tato dopo 48 ore dalla presa e distribuito colle debite cautele in provette sterili, coperte da un tappo imparaffinato, era limpidissimo, di colore giallo- oro ed aveva reazione alcalina. Venne conservato alla temperatura ambiente che oscillava fra i 20° ed i 25°. Avemmo cura di sperimentare pochi giorni dopo il salasso quando se- condo le ricerche di uno di noi l'invecchiamento non aveva portato ancora modificazioni sensibili delle proprietà fisico-chimiche del siero (°). (1) Sabbatani e Buglia, Velocità di coagulazione al calore di liquidi albuminosi. Archivio di Fisiologia, vol. III, fase. I, pp. 154-163. (*) Buglia G., Variazioni fisico-chimiche del siero di sangue durante l'invecchia- mento. Archivio di Fisiologia, vol. IV, fase. I; 1906, pp. 56-66. — 421 — Ad ogni ricerca facevamo sempre precedere una centrifugazione di mezz'ora. Passavamo poi alla preparazione della miscela in volume, serven- "doci di burette per analisi chimica, graduate al decimo di centimetro cu- bico; dai volumi, in base alla densità, calcolavamo i rapporti ponderali. Dopodichè incominciavamo subito gli esperimenti, i risultati dei quali raccogliamo nella seguente Tabella (I). Termea st. ° Quantità contenuta Temperatura 25 in 100 di miscela Densità Tempo di LX 105 25 DATA di deflusso Zz® unt 3 a 25° coagulazione 2 30° Z di siero di acqua a 30° in 30" gr. gr. VARI 1 |25 maggio 1906] 100 1.0267 2.25.4 664 | 0.544 1342 2 |26 DU) » 96.34 3.66 1.0261 2.22.8 67 0.524 1310 3 [27 D) D) 95.12 4.88 1.0249 2.20.6 67.5 0.519 1283 4 |28 ”» ”» 90.23 9.77 1.0233 2.17.8 67.9 | 0.487 1229 5 |29 ” D) 85.93 14.67 1.0223 2.13.9 68.2 | 0.451 1173 SerIE Il: Miscele di siero di sangue e di alcool. In questa seconda serie di esperimenti adoperammo lo stesso siero che ci servì per le precedenti ricerche. Le esperienze furono fatte presso a poco negli stessi giorni. L’alcool fu da noi stessi ridistillato sulla calce ed aveva la densità di 0,7891 alla tem- peratura di 249.5. Anche qui, dopo che il siero aveva subìta una centrifugazione di mez- z'ora, facevamo la miscela in volume con burette graduate e, dai rapporti volumetrici, in base alla densità, calcolavamo i rapporti ponderali. Nella seguente tabella (II) sono riportati i dati ottenuti. TABELLA II. o Quantità contenuta Temperatura 5% in 100 di miscela Densità Tempo di d LX105 #5 DATA ; di deflusso 3 z Ea I AES Ù a 25° È coagulazione a 900 A Pane di SE a 30 in 30" TRN 1 |25 maggio 1906] 100 ci 1.0267 | 2.254 66.4 | 0.544| 1942 2 [29 ” D) 99.23 0.77 1.0245 2.29 = 0.934 1296 3 |26 D) ”» 97.09 2.91 1.02183 2.99 — -- 1198 4 |27 » È) 96.11 3.89 1.0180 242.7 62:3 | 2.229 1141 5 |28 » ”» ODO, 7.87 1.0106 8. 3.8 58.5 | 3.791 975 6 |29 ” » 88.06 11.94 1.0031 3.27.6 53.8 —_ 823 Serie IIl: Salassi ripetuti in cane normale. Per questa esperienza scegliemmo un grosso cane di Kg. 27.500 che da molti mesi tenevamo in laboratorio e si trovava in ottime condizioni di salute. Il 15 giugno 1906, essendo l’animale digiuno da 14 ore, alle 9 lo le- gammo sull’apparecchio di contenzione ed isolammo la vena femorale destra (!). 9.11”, Salasso di cme. 130 circa. 9. 940, n ” LI ” 10. DI » Li L) ” Il sangue fu lasciato coagulare spontaneamente alla temperatura am- biente: dopo un certo tempo, che si aggirò in media intorno alle 25 ore, decantammo il siero che sottoponemmo a centrifugazione per mezz'ora, come nelle esperienze in vitro, e procedemmo in seguito alle ricerche, i risultati delle quali raccogliamo nella seguente Tabella (III). TABELLA III. et ARI ge ang 31 3 ES e Ri SiSl rotaia s È DE 3525 | Ros | C#8 | caratteri! ca | TMPO|S 06. 10° È $ si 55 ©£ SIE, co del E di 5,88 XX SÒ ASGRI 9.000 | Horse aiar . 8 deflusso |&T E 4 D285) el salasso a SE al 253 |s582-5 siero A a 30° E aa a 30° % ZiS SA | RA? CIS VISA 1 {15 luglio 1906 150 —_ 22 osso, Le: 1.0286] 2.44.2| 65.2 |0.598| 1382 vement opalescente 2.» ” D) 130 29° | 24 limpido, | 1.0287|2.44.6| 65.5 |0.592| 1386 rosso vivo 3 |» ” ” 130 54’ | 28.80’ | roseo, lie- | 1,0272| 2.37.3| 66.8 [0.595] 1399 vemente opalescente SeRIE IV: Esperienze coll'alcool sul cane. Ci servimmo di un grosso cane di Kg. 29.000 che già da tempo tene- vamo in laboratorio e godeva salute eccellente. | Il 4 giugno 1906, essendo il cane digiuno da 10 ore, alle 17.15" gli | | praticammo un salasso di circa cme. 130 dalla vena g. s. (salasso 1°). | Il 18 giugno l’animale si manteneva sempre in ottime condizioni, e | non aveva tocco cibo o bevanda da 16 ore; alle 12.32" gli introducemmo nello stomaco, mediante sonda, cme. 193 di una miscela fatta con cme. 77 (1) In queste esperienze sul cane ed in tutte le altre che seguono, i salassi venivano praticati asetticamente ed il sangue raccolto in recipienti sterilizzati, nei quali veniva lasciato coagulare. — 423 — di acqua distillata e cme. 116 di alcool (60 °/). L'alcool era quello stesso che ci servì per le esperienze in vitro. 12"50%. — Il cane sta bene. 1300. — Lieve incertezza nei movimenti. 13 20. — Ha andatura atassica. 1330. — Quando si sforza di girare cade facilmente. 1345. — Temperatura rettale 39°.2. 1356. — Tenta di levarsi ritto sulle zampe ed appena in piedi cade al suolo. 1413. — È in istato di dormiveglia: sensibilità e riflessi deboli e tardi. 1440. — Introduciamo nello stomaco altri 193 cme. di soluzione c. s. 15 20. — Profondamente depresso, incosciente: i riflessi persistono, seb- bene debolissimi. Il respiro è puramente diaframmatico. 15 39. — Pratichiamo un salasso della v. g. d. (circa cme. 130, sa- lasso 2°). Il cane dà qualche raro, debolissimo lamento. 1620. — È abolito il riflesso nasale sul respiro: anche il riflesso oculo-palpebrale è quasi interamente abolito. 16 40. — Temp. rettale 37°. Il riflesso oculo-palpebrale è scomparso. 16 50. — Salasso della vena f. d. (circa cme. 130: salasso 3°). 19 giugno 1906: 8ro0om. 10 00. 10 30. 18 00. — Profondamente depresso: riflessi oculo-palpebrali debolissimi. — È tornata la respirazione toracica. — Salasso della vena f. s. (circa cme. 130: salasso 4°). — Eccitato fa qualche movimento ma è incapace di rimettersi ritto sulle zampe. 20 giugno 1906: 80°0n, 15 50. — È in grado di levarsi dal suolo e di girare. Beve cme. 200 di acqua e rifiuta ogni altro alimento. — Salasso della v. g. d. di circa 130 cme. (salasso 5°). Il sangue ottenuto dai varî salassi venne lasciato coagulare spontanea- mente alla temperatura ambiente. Dopo circa 22 ore in media, decantammo il siero, lo centrifugammo per mezz'ora e passammo alle prove i cui ri- sultati sono raccolti nella Tabella IV. — 424 — opid -Wr] Isenb ‘apuopaosid OOIOVIOI @1gULIOU | 6660 | 0SSO | 66. 8186 |ICZO'T |IPp 0osor mid] 0138 OGI ( G 06 9} u99 sa] -edo 23u9wI | OOIIVIO] Istpeaed| 2781 |0S20 | OL VIS | ISGOT |-9A0H] ‘00501| 09Ig OST “ “ 6I Q7u9959] 0013tU -edo 29uow 3UEIZGID Iseaed | FFEI |806°0 | 902 166 |LSG0T |-9A0H ‘00so1| 018 OST si Gi 8I 07 u90s9] 00TFRUI -edo o7uow GUI VILEID Istpered| FIGI |608°0 | 89 FVEG |PSCOT |-940 ‘00S01 6 OSI (e li 8I| 6 098 O0IOVIO] STE ROTTE 100900 v486 |0880°I |-01 ‘opidunr | ST'IZ OSI 9061 0USNIS 7 S WU unu OeULU®,] oxdsox -top 108 UI «08 © QI10 "Ou UI 07738 008 ® QUOIZ NEGLE UI 019IS osse[es 1uS0 1SSt]0S E 14 -e]nSeo9 ip ty sua(I Iep [9p esesd DIUSDAR0:A pr eqgea)so È s01 XK 74 Ip vin} tp nopgrIeO e[[e osseTes TSBRSSENIES ansues 10p tread =: INOIZVAUISSO -tsoduo] | SIUSI tep odueg, Ip tquenNd 3 “ATUVIITAA VA] OJOUNN — 425 — Quest'animale ebbe in tutto cme. 232 di alcool, che aveva la densità di 0,7891 a 249,5 e pesava perciò gr. 183,07; ebbe quindi gr. 6,31 per Kg. corporeo. Serie V: Esperienze coll’etere sul cane. Adoperammo un grosso cane di Kg. 28.000 che da molto tempo ave- vamo in laboratorio e stava benissimo. Il 21 giugno 1906, essendo il cane digiuno da ore 14, alle 9.38" pra- tichiamo un salasso di cme. 130 circa dalla vena giugulare d. (salasso 1°). Poi incominciamo subito a somministrare etere mediante inalazione per la via polmonare. Alle 10.3" l’animale presenta risoluzione muscolare completa, abolizione dei riflessi oculo-palpebrali; perciò con un secondo salasso prendiamo altri 130 cme. di sangue (salasso 2°) e sospendiamo immediatamente l’inalazione. Alle 10.10" tornano i riflessi oculo-palpebrali; alle 10.20%, sciolto l’ani- male, vediamo che cammina con passo vacillante ed incerto; la coscienza è tornata; la temperatura rettale è 39°.5 alle 10.24. Alle 10.58" l’animale gira benissimo e pratichiamo un nuovo salasso di cme. 130 dalla v. g. s. (salasso 3°). Il sangue venne anche questa volta lasciato coagulare spontanea- mente alla temperatura ambiente e dopo 24 ore circa il siero venne decan- tato e centrifugato per 30". In seguito passemmo alle prove, i risultati delle quali raccogliamo nella seguente Tabella (V). 21939 P Q} ua UT ADI] Quaq BIOpO :09S 6 |a[euou! mento) | IS SIFI |86c0 | 3'69 eee |uzgoT | -0t ‘oprduar| gg w0e EI « “ «| :8 01939, p VIOpO : 098 Î 0013ew aqeiouod -0I 9}UQ LA © — |-ueayerp] mIoge |1isqeied! gL6I |90940 | 9'29 | 6988 | 6201 |-21l ‘OPIdWT| 73 SG 0gI BL Mata RG NI < | 005 6g |o]ewou|teurou |opewou| GOFxI |6890| #89 | vg [58601 |-01 Copidur| 33 = og |906l 0uSu3 Ig| I s ul a[eqpoI STEULTUt.I tutid 011ds9% ISSOpIM -10p 008 ® 910, 0 ‘ou? UL n u due], 07098 008 © 108 SESUUSO 1019 UT 0191S 3 DE E osst]es 1mSo 1ssev8 to SA A evna Iso ten top esosd | 9?"9DY pe 07781958 SE I Up oss Gas s0L XX -anS609) Do [RCN VIAL] rete osseqos | !UP_OSSTIPS endues tp tp DAS) z ° INOIZVAUISSO odwe] Imp oduteg MILNID, Ip eUEND ezueisi(q AG MILEIEAVI, — 427 — SeRIE VI: Esperienze col cloroformio sul cane. Ci servimmo di un cane m. di Kg. 23.000 che da 15 giorni era in laboratorio e godeva eccellente salute. Il 28 giugno 1906, essendo il cane digiuno da ore 14, alle 10.7" fac- ciamo un salasso di cme. 130 dalla v. g. d. Alle 10.10" iniziamo la cloroformizzazione mediante inalazione per le vie respiratorie. Alle 10.25", ottenuta la risoluzione muscolare completa, l'abolizione dei riflessi oculo-palpebrali, la miosi e diventata la respirazione diaframmatica e superficiale, pratichiamo un secondo salasso dalla stessa vena, sospen- dendo in pari tempo la cloroformizzazione. Alle 11.7" sciolto il cane, si leva ritto sulle zampe, ma ricade pesan- temente al suolo; alle 11.25" si leva e gira bene. Alle 11.35" pratichiamo un terzo salasso di cme. 130 dalla vena giu- gulare sinistra. Lasciamo che il sangue coaguli spontaneamente alla temperatura am- biente, poi decantiamo il siero, centrifughiamo per mezz'ora e passiamo alle prove. I risultati di esse si trovano nella seguente tabella (VI). RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem 55 Quoq 09Ss — |ageunou |[qeutozLa| ars OGTI 669°0 I7L S'616 | 8YC0I 201 ‘opidumi | w03'Sg J0L OgI di « GIG 091}eUI | 00s 662 |-teagerp| tppoqe | isterxed| OIFI | 0890 | T'aL Igz | geg0T | -01 fopirdunI | 684% /8I OI « « “lg (c.0) CY 1. Ma, nel seguito, parlando di superficie iperellittiche, escluderemo sempre codeste due classi di superficie. Come è noto, i periodi primitivi delle funzioni /,,/2,/3 sì possono ridurre alla forma normale ove d è un intero positivo. RenpIcONT:. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 57 — 444d — Quantunque questa riduzione si effettui (con sostituzioni lineari su w, e suì periodi) in più modi diversi, l'intero positivo d che qui figura, risulta sempre lo stesso; esso è un carattere del sistema delle funzioni /1,/:, fa - Lo diremo il divisore di queste funzioni, ed F si chiamerà una superficie iperellittica di divisore è. 2. Le superficie iperellittiche di rango 1 (talvolta considerate esclusi- vamente sotto il nome di « superficie iperellittiche ») hanno formato oggetto di classici lavori per parte del sig. Picard e del sig. Humbert. Il primo di questi autori le ha studiate come superficie dotate di un gruppo permutabile oo° di trasformazioni birazionali in se stesse; perciò appunto tali superficie hanno ricevuto il nome di superficie di Picard. Le superficie di Picard corrispondenti a un divisore d qualsiasi, si pos- sono costruire geometricamente nel modo seguente: Si consideri la superficie di Jacobi F che rappresenta le coppie di punti di una curva di genere 2; questa è la più generale superficie di Picard di divisore 1. Ora F ammette un gruppo continuo di trasformazioni birazionali in sè (trasformazioni di 2* specie), fra cui vi è un numero finito di trasformazioni cicliche d'ordine d. Ebbene, una trasformazione siffatta genera su F un'in- voluzione Is d'ordine d; una qualsiasi superficie F3, i cui punti corrispondano biunivocamente ai gruppi di I3, è una superficie di Picard di divisore d. Tale costruzione fornisce tutte le superficie di Picard di divisore qual- siasi, e conduce subito ad illustrarne le note proprietà, sotto l'aspetto geo- metrico. Essa conduce anche a proprietà nuove, fra cui sembra particolarmente importante la seguente (che tuttavia esige una dimostrazione un po' delicata): Sopra una superficie di Picard a moduli generali, di divisore d, tutti i sistemi continui di curve si ottengono per moltiplicazione da un sistema continuo c0°+}Cat di genere d 4-1, e grado 20. Ne segue in particolare che: Una superficie di Picard di divisore d >3, può trasformarsi in una superficie d'ordine 20 senza curve eccezionali, ma non in una superficie senza curve eccezionali d'ordine < 20. Per d=3,2 si hanno superficie di Picard, senza curve eccezionali, d'ordine minimo 24 e 16 rispettivamente; per d = 1 l’ordine minimo di una superficie di Jacobi a moduli generali e senza curve eccezionali è 18, perchè la superficie d'ordine 8 le cui sezioni piane appartengono ad un sistema 2C,|, si riduce ad una superficie del 4° ordine (di Kummer) contata due volte. Le condizioni affinchè una superficie sia iperellittica di rango 1, sono state date da un teorema del sig. Picard. Uno di noi (Enriques) ha fatto vedere ch’esse possono tradursi come segue: — 445 — Affinchè una superficie sia iperellittica di rango 1, occorre e basta che i suoi generi (il genere numerico p,, il genere geometrico p, e il qua- drigenere P,) abbiano è valori Pa=—1 p=P,=1. Riesce quindi interessante riconoscere che tali condizioni determinano infinite famiglie di superficie, dipendenti da un intero arbitrario (il divisore d) e da tre parametri (moduli). 3. Lo studio delle superficie iperellittiche di rango 7 > 1, si riattacca a quello delle superficie di Picard, o in particolare delle superficie di Jacobi, mercè l'osservazione seguente: i i Ogni superficie iperellittica di rango 7 e divisore d corrisponde ad una involuzione d'ordine 7 sopra una superficie di Picard F;, e quindi ad una involuzione d'ordine 7 d sopra una superficie di Jacobi. Consideriamo l'involuzione I, su Fs che corrisponde ad una superficie iperellittica di rango 7. Sussistono le due proprietà seguenti: 1) la I, ha un numero finito (=> 0) di coincidenze, se (come si è avvertito) si escludono dal novero delle supetficie iperellittiche le superficie razionali e le rigate ellittiche; 2) la I, non è composta coi gruppi di una involuzione I7, generata da una trasformazione ciclica di 2* specie di F;. Orbene, da queste proprietà si trae che « l'involuzione I, è generata da 7 trasformazioni birazionali della F; in se stessa, costituenti un gruppo finito d'ordine r ». Si ha dunque il feorema fondamentale: Ogni superficie iperellittica di rango r >1 e divisore d, corrisponde ad una involuzione generata da un gruppo di r trasformazioni birazionali sopra una superficie di Picard Fs. Cioè: Sta F (x yz)= 0 una superficie iperellittica, ed essendo x,y, & funzioni abeliane di due parametri u, v, accada che ad ogni gruppo di valori di 2,Y,8, corrispondano r coppie (uv) incongrue rispetto ai periodi pri- mitivi di queste funzioni : (av MU allora tali coppie saranno legate da r—1 sostituzioni lineari (u=auH+ dv ) (i olo | v=cut dv) LIRA a coeffcienti indipendenti da (x y €). Queste sostituzioni formano gruppo insieme alla sostituzione identica, e — 446 — le costanti 4, di, c;, d; si possono esprimere mediante combinazioni lineari a coefficienti interi dei periodi. La dimostrazione di questo teorema fondamentale è assai delicata, so- prattutto perchè ron si può escludere a priori che l’involuzione I, possegga dei punti fondamentali appartenenti ad co* gruppi dell’involuzione. Indi- cheremo qui le grandi linee del procedimento dimostrativo che abbiamo se- guito, e a tale scopo potremo riferirci al caso più semplice in cui la I, è data sopra una superficie di Jacobi F. Consideriamo su questa un sistema jC,{ =}C{ costituito da co? curve di genere due senza punti doppi, e costruiamo la curva K coniugata ad una generica C rispetto ad I,, cioè il luogo dei gruppi di 7—1 punti coniugati al punti di C. La dimostrazione del nostro teorema fondamentale si riconduce a sta- bilire che la K si compone di 7—-1 curve birazionalmente identiche a C. A priori invece sì potrebbe supporre K irriducibile, o spezzata in meno di 1 componenti. Limitiamoci all'ipotesi che K. sia irriducibile, ed indichiamo la via che da codesta ipotesi fa scaturire uù assurdo, in relazione alle proprietà 1) 2) di I,. Se il sistema }K{ che viene descritto dalla curva K mentre C descrive }C{, è costituito da curve generalmente irriducibili, si possono fare due suppo- sizioni : a) questo sistema è trasformato in se medesimo dalle co? trasfor- mazioni di 2* specie di F; 5) esiste un sistema }K}, più ampio di }K{, che contiene infinite curve birazionalmente identiche ad ogni K. Ma la supposizione 4) conduce a contraddire la proprietà 2), che in- nanzi abbiamo detto valere per I,. La supposizione d) porta a questo, che esiste una serie continua di curve K avente per limite una K. Costruiamo la curva coniugata ad una generica K della serie, rispetto ad I,; sia L questa curva. Mentre K tendo a K, L deve tendere alla curva C+ (7-2) K. Ora mediante considerazioni di Analysis situs, sì deduce di qui che L non può essere una curva irridu- cibile (cioè una superficie di Riemann comressa), perchè altrimenti qualcuno dei punti comuni a C, K, risulterebbe un punto di coincidenza di I,, mentre (per la proprietà 1)) una C generica non contiene di tali punti. Un esame più approfondito mostra che L deve spezzarsi precisamente in una C ed in un'altra curva; ma allora K deve essere curva coniugata di una €, cioè appartenere a }K{, e si ricade nell'ipotesi 4). 4. Il teorema fondamentale sopra espresso permette virtualmente di determinare tutte le famiglie birazionalmente distinte di superficie iperellit- tiche di rango 7 >1. Queste superficie possono essere regolari o irregolari. — 447 — Le superficie iperellittiche irregolari di rango 7 > 1 sono superficie el- littiche, e, come facilmente si prova, contengono, oltrechè un fascio razionale di curve ellittiche, anche un fascio ellittico di curve parimente ellittiche. Il rango delle superficie iperellittiche predette può valere 7 = 2,3, 4,6, giacchè esse si presentano come immagini di involuzioni cicliche d'or- dine 2, 3, 4, 6. Si ottengono i tipi più semplici partendo da una superficie di Jacobi con due fasci di curve ellittiche unisecantisi (’) o dalla superficie di Jacobi che corrisponde ad una curva di genere 2 possedente un’ involu- zione singolare di 2° ordine. ? A proposito delle superficie ellittiche contenenti due fasci di curve ellit- tiche si noti che esse sì possono classificare, secondo i risultati di Enriques (*), in 4 famiglie alle quali appartengono appunto i 4 tipi suindicati. 1 plurigeneri di codeste famiglie, secondo le formule di Enriques ($S 8, 9) sono rispettivamente: 1) pie —050P, id 2) Poa=—1, po==Pa=0, Pa=1 3) Pose: P,, 0 ail 4) vide REP, Medi Questi valori dei plurigeneri caratterizzano le superficie ellittiche possedenti due fasci di curve ellittiche. Infatti, se una superficie ellittica contiene, accanto ad un fascio razio- nale di curve ellittiche, un fascio ellittico di curve di genere maggiore d'uno, si possono presentare 4 casi, corrispondentemente ai quali i generi hanno i valori indicati per le 4 famiglie suddette, eccezione fatta pei ge- neri Ps, Ps, Pio, Pa che hanno valori > 1. Come si possa dedurre di quì un modo di definire mediante caratteri le superficie iperellittiche irrego- lari, è una questione su cui ci proponiamo di ritornare in un'altra Nota. 5. Le superficie iperellittiche irregolari di rango 7 >1 (superficie el- littiche) dipendono per la prima famiglia da 2 moduli e per le altre da un modulo. Esse sono dunque superficie iperellittiche a moduli particolari. Quessto fatto rientra d'altronde nel seguente teorema, che consegue imme- diatamente dal teorema fondamentale del n. 3: (1) La possibilità di uno di questi tipi, e precisamente di quello che corrisponde \ uti al gruppo generato da una sostituzione del tipo ‘ , ci fu annunciata dai si- = 0 gnori Bagnera e De Franchis prima che la nostra analisi si volgesse alle superficie iperellittiche irregolari. (*) Sulle superficie algebriche di genere geometrico zero (Rendiconti del Circolo Mat. di Palermo, 1905). — 448 — Le superficie iperellittiche di rango r >1 a moduli generali, sono superficie regolari di rango 2% e di generi pi=py= Pa =.....=1: Esse corrispondono alle involuzioni generate sopra superficie di Picard, da trasformazioni di 1? specie: ut =cost, 04 v =cost. È facile costruire i modelli di tali superficie per un divisore d qual- siasì. Si ottengono superficie di ordine 4d in uno spazio Ss3.1, dotate di 16 punti doppi conici e di 16 iperpiani tangenti lungo curve razionali nor- mali d'ordine 2d, formanti una ben definita configurazione. Per d = 1 si ha, com'è noto, la superficie di Kummer; per d = 2, 3 si ottengono superficie di cui recentemente i sig. Traynard e Remy hanno considerato le proiezioni nello spazio ordinario, in varie note pubblicate nei Comptes Rendus dal 1904 in poi. 6. Si tratta ora di determinare le superficie iperellittiche regolari di rango 7 > 2, le quali esistono soltanto per particolari valori dei moduli. Perciò occorre stabilire una completa classificazione delle superficie di Picard che ammettono trasformazioni birazionali (sîgolari) in se stesse all'infuori di quelle ordinarie di 1% e 2* specie, e classificare inoltre le diverse invo- luzioni che possono ottenersi sopra una medesima superficie di Picard, in corrispondenza a gruppi isomorfi di trasformazioni. Una superficie di Picard può ammettere due specie diverse di trasfor- mazioni singolari: 4rasformazioni principali o di Hermite e trasformazioni di Humbert. (Humbert riserva a queste soltanto il nome di « trasformazioni singolari »). Riferiamoci, per semplicità di discorso, al caso delle superficie di Jacobi, essendo facile passare di qua al caso del divisore d > 1. Le trasformazioni di Hermite sono quelle che nascono da una /rasformazione birazionale della curva di genere due, di cui la superficie di Jacobi rappresenta le coppie. Si possono avere superficie iperellittiche di rango 7 > 2 corrispondenti ad involuzioni generate sopra una superficie di Jacobi (o di Picard) da gruppi di Hermite o da gruppi di Humbert. I due casi si distinguono come segue: le superficie iperellittiche corrispondenti ai gruppi di Hermite am- mettono una rappresentazione parametrica PROPRIA per mezzo di funzioni ®; cioè una rappresentazione (1) or 0; (ul = 1,2,93,...) tale che le equazioni (1) per valori dati delle coordinate omogenee #; di un punto variabile sopra una di queste superficie, hanno in comune un numero finito di soluzioni (vv) incongrue rispetto ai periodi. —- 449 — All’opposto le superficie provenienti da gruppi di Hambert ammettono rappresentazioni improprie per mezzo delle ©; cioè le equazioni (1) rela- tive a queste superficie, hanno in comune infinite soluzioni fisse e un numero finito di soluzioni variabili colle «;. Una rappresentazione parametrica propria per una superficie iperel- littica corrispondente ad un gruppo di Humbert, si ottiene mediante fun- sioni intermediarie. Ciò posto, noi ci proponiamo di classificare le superficie iperellittiche di rango 7 > 2, che ammettono una rappresentazione parametrica propria mediante funzioni ®. Ci riferiremo per semplicità al caso d= 1. Abbiamo dunque da considerare le superficie di Jacobi, che ammettono trasformazioni singolari principali in sè stesse. Ed occorre distinguere due casi: quello di una superficie di Jacobi corrispondente ad una curva di genere due irridu- cibile, ed il caso particolare della superficie con due fasci di curve ellittiche unisecantisi. Ci limiteremo in questa Nota al 1° caso, rimandando la trattazione del 2° caso ad una ulteriore comunicazione. Le superficie di Jacobi che ammettono trasformazioni singolari principali in sè stesse, risultano note dall'analisi di Bolza delle curve di genere due con trasformazioni in sè ('). Ma alcuni fra i gruppi di Bolza conducono a superficie razionali o a rigate ellittiche, anzichè a vere superficie iperellit- tiche. Sia data una superficie di Jacobi F che ammetta un gruppo di trasfor- mazioni d'Hermite G, d'ordine 7, generante una involuzione I,, e (in corri- spondenza all’ipotesi che I, sia di divisore 1) si supponga che G, non con- tenga alcuna trasformazione ciclica di 2* specie. Si può costruire una superficie D immagine di I,, col procedimento che segue: Si consideri sopra F un sistema co? |C{ (=}|U,) di curve di genere due senza punti doppî (n. 2); le trasformazioni hermitiane di G, mutano questo sistema în sè stesso, facendo corrispondere ad una curva generica C le curve €‘, C7,., CD del medesimo sistema. Ebbene le curve Cini. pa sono contenute tutte in un sistema lineare di grado 2r° appartenente all'in- voluzione I,. Quindi la superficie immagine di I, contiene un sistema lineare di grado 27, di genere 7 + 1 e di dimensione pure 7» + 1. Si può supporre che il suddetto sistema lineare (che è semplice) venga segato su ® dagli iperpiani di un S,.,, e si ha allora una superficie D», d'ordine 27, a sezioni iperpiane di genero 7 + 1 in S,4,. (!) Bolza, On dinary sexties with linear transformations into themselves (American Journal of Mathematics, t. X, 1888). mn 450 — Questa non è la superficie d'ordine minimo fra le immagini proiettive dell’involuzione I,, ma sì distingue per la circostanza di possedere un certo numero di punti doppî e d'iperpiani tangenti che formano una configura- zione massimamente simmetrica. Si ottengono punti doppî di ®, in corrispondenza ai punti uniti delle trasformazioni di G, su F, e iperpiani tangenti più volte lungo curve razio- nali, in corrispondenza alle curve C di }C} unite per le suddette trasforma- zioni. Si ottengono inoltre gruppi di omografie che mutano în sè la Py, in corrispondenza alle trasformazioni di 1% e di 2* specie che mutano in sè il gruppo dei punti uniti esistente sulla superficie F. In tal modo sì perviene ai seguenti risultati : Le superficie iperellittiche regolari di rango r > 1 e divisore 1, le quali ammettono una rappresentazione propria mediante funzioni ® non riducibili a prodotti di © dipendenti da una sola variabile (*), sono su- perficie coi generi 1, le quali possono ricondursi birazionalmente ai seguenti tipi: 1)7=2: superficie ®, di Kummer; i 2) "= 3: superficie Dy di ordine 6 in S,, dotata di 9 punti bi. planari ordinari e 9 iperpiani tangenti ciascuno lungo una conica contata tre volte. Le proprietà della configurazione costituita dai 9 punti e dalle 9 co- niche, vengono espresse in modo completo da un simbolismo analogo a quello adottato da Humbert pei 16 purti e pei 16 piani singolari della superficie di Kummer. Precisamente: indicati i punti coi simboli (@ @') e le coniche coi sim- boli « @'(@, & = 1,2,3) si hafehe: Pel punto biplanare (@ @') passano Sulla conica @ e’ giacciono i punti le coniche af’, ay’, a'f, a'y. (8) (ay) (a'B) (ay). Delle 4 coniche per un punto doppio due toccano un piano tangente e due l’altro. Per due punti doppî possono passare due coniche o una sola, e due coniche possono avere comuni due punti doppî o uno solo. La ®; ammette un gruppo di 18 omografie: 9 involutorie e 9 cicliche di 3° ordine (compresa l'identità). Queste ultime formano un sottogruppo; ecc. La ®; è intersezione completa di una quadrica e di una varietà cubica. Anzi i 9 punti biplanari di ©; son doppî per un fascio di varietà cubiche, tra le quali ve n'ha una con un 10° punto doppio. La cfg. dei 9 punti bi- planari e delle 9 coniche, viene così a riconnettersi ad una cfg. già studiata da Segre e da Castelnuovo. Tutto ciò permette di scrivere le equazioni alge- briche della superficie D,. (1) Con ciò si vengono ad escludere le superficie provenienti dalla particolare su- perficie di Jacobi con 2 fasci ellittici unisecantisi. Esamineremo in appresso tali superficie. — 451 — 3) 7= 4: superficie Dz di ordine S in S;, con 10 punti doppî, di cui 4 biplanari e 6 conici; ogni punto biplanare ha infinitamente vicino un altro punto doppio. Alla cfe. dei 10 punti doppî, è legata una cfg. di 10 curve razionali, e cioè di 4 coniche e di 6 quartiche; lungo le coniche si hanno iperpiani con contatto di 3° ordine, lungo le quartiche iperpiani con contatto di 1° ordine. Per brevità, ora e nel seguito, tralasceremo di enunciare le relazioni di appartenenza tra gli elementi della cfo. 4) e=6: superficie D, d'ordine 12 di S,, con dieci punti doppi: 1 punto biplanare singolare, 4 punti biplanari ordinari, 5 punti conici. Al punto biplanare singolare sono infinitamente vicini due punti doppi, l'uno nell'intorno di 1° ordine e l’altro nell'intorno di 2° ordine. Alla cfo. dei punti doppi è legata una cfg. di 10 curve razionali, e cioè: 1 conica, 4 quar- tiche e 5 sestiche; lungo cui si hanno rispettivamente iperpiani con con- tatti di 5°, 2°, 1° ordine; ecc. ecc. (Questi quattro tipi di superficie corrispondono a gruppi cielici di Her- mite sopra una superficie di Jacobi). 5) r=8: tre tipi distinti di superficie ® corrispondenti ad involu- zioni generate sopra una superficie di Jacobi, da un gruppo di trasformazioni in isomorfismo [1, 2] col gruppo diedrico : a) superficie D,, di ordine 16 dello spazio S,. con 7 punti doppi: 4 punti uniplanari ordinari e tre punti conici. Sulla ®,; esiste una cfg. di 7 curve razionali: 6 quartiche e 1 curva dell'8° ordine, lungo le quali si hanno iperpiani con contatti di 3° e di 1° ordine. In questo caso e nel successivo, a differenza dei precedenti, le pro- prietà della cfg., formata dai punti, non si associano per dualità alle pro- prietà della cfo. formata dalle curve. b) Superficie ®,; d'ordine 16 dello spazio Sg con sette punti doppi e sette curve razionali; e cioè: 6 punti biplanari e 1 punto conico; 4 co- niche e 3 curve dell’8° ordine. Ognuno dei punti biplanari ba infinitamente vicino un punto doppio. c) Superficie D,; d'ordine 16 dello spazio Ss, con 7 punti doppi e 7 curve razionali. Dei punti doppi 6 sono biplanari con un punto doppio infinitamente vicino, il rimanente è conico. Delle curve 6 sono quartiche e la rimanente è dell'8° ordine. Le proprietà delle due cfo. di punti e di curve, si possono in tal caso associare secondo una certa legge di dualità. 6) 7 = 24: fre tipi distinti di superficie ® corrispondenti ad invo- luzioni generate sopra una superficie di Jacobi da un gruppo di trasforma- zioni in isomorfismo [1, 2] col gruppo tetraedrico : RenpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 98 — 452 — a) Superficie D,s d'ordine 48 dello spazio Ss, con 7 punti doppi e 7 curve razionali. Dei punti doppi uno è un punto uniplanare singolare (che ha un punto doppio infinitamente vicino in ciascuno degl'intorni di 1°, 2°, 3° ordine), uno è un punto uniplanare ordinario, 4 son punti biplanari ordinari e 1 è conico. Delle curve razionali 1 è dell'8° ordine, 2 del 12° e 4 del 16° ordine. Lungo queste curve si hanno iperpiani con contatti di 5°, 3°, 2° ordine. 5) Superficie D,g d'ordine 48 dello spazio S:; con 7 punti doppi e 7 curve razionali; e cioè: un punto biplanare avente’l1 punto doppio infini- nitamente vicino in ciascuno degli intorni di 1° e di 2° ordine, due punti biplanari ognuno dei quali ha 1 sol punto doppio infinitamente vicino, 4 punti biplanari ordinari; quanto alle curve: 1 conica, 1 sestica, 4 curve di 16° ordine ed 1 di 24°; ecc. ecc. i c) Superficio D,3 dello S.; con 7 punti doppi e 7 curve razionali. Dei punti doppi 1 è un punto biplanare singolare con due punti doppi succes- sivi, due son punti biplanari singolari con un sol punto doppio succesivo e gli altri 4 son punti biplanari ordinari. Delle 7 curve 1 è dell'8° ordine, 2 del 12° e 4 del 16° ordine. Tutte queste superficie si possono rappresentare (per proiezione) su piani doppi }e°= fs (cy) con sestica di diramazione. 7. La configurazione dei punti doppi e degli iperpiani tangenti ad una D»,, vale a caratterizzare le superficie iperellittiche regolari di rango r. Infatti data una ®,, che possegga la suddetta cfe. di punti e curve singolari, si riesce a costruire una superficie multipla di generi pg = — 1, py= Pi=="1 rappresentata sulla ®., contata 7 volte, la quale risulta (in questo caso) una superficie di Jacobi. Si ottiene codesta costruzione per la superficie di Kummer /ilWrt2 37) =0, considerando 4 piani tangenti lungo coniche, che costituiscano un tetraedro di Rosenhain; se questi piani sono di 0 das = 006 basta considerare la superficie dello spazio S4(1%2.23 43) ve = 0, Ci C5 = tx; La E3L4 Per la superficie D; di S, si procede analogamente considerando 3 iper- piani x,=0,z3=0,%3=0 tangenti ad essa lungo coniche e compren- denti nel loro insieme i 9 punti biplanari. Basta quindi costruire la super- ficie rappresentata sulla ®; contata 3 volte per mezzo del radicale see Va, o E3} 000. — 459 — 8. Si possono pure assegnare in modo esplicito le sostituzioni lineari suv, rappresentanti le trasformazioni birazionali che generano sulla super- ficie di Jacobi l'involuzione I, immagine di una superficie D;,. Una volta conosciute tali sostituzioni lineari, si costruisce la rappre- sentazione parametrica di ciascuna di queste superficie mediante fun- sioni ©. Cosî p. e. la involuzione Iz corrispondente al tipo 2° (superficie ®, di S,), è generata dalla sostituzione lineare ciclica del 3° ordine (2) lv=-3g9u-io, relativa alla superficie di Jacobi coi periodi 1 000) 9g 9 di al cl (ce=-g). 9 9 Una sezione iperpiana della superficie ®; può rappresentarsi annullando una funzione ©(vv) di 3° ordine; ma non già una funzione di 8° ordine arbitraria, sibbene una che sia trasformata in sè, a meno di un esponen- ziale, dalla sostituzione lineare (2). Scegliendo quindi cinque funzioni @ di 3° ordine siffatte, tra di loro indipendenti, le coordinate omogenee di un punto di ®, si possono assumere proporzionali a queste ©, e in tal modo si ottiene la rappresentazione parametrica di ®;. Le 9 coniche della superficie ®; hanno per equazioni À I) d SN —_T —_ a = DI 2(u 370 3) 0 (A,u=0,1,2), ove 9(%,v) è la fanzione theta normale di 1° ordine a caratteristica nulla (una delle 16 + di Rosenhain). Quanto ai punti doppi di ®;, essi si ottengono in corrispondenza alle seguenti coppie di valori di v,v: PCI Da ciò si deduce nuovamente il simbolismo già introdotto per espri- mere le proprietà della cfo. di punti e coniche, esistente sulla superficie ®; (n. 6). = 10 = = A = == = Ra _ Pra 3 E È ———== “nà sa —— | 1 o o — 454 — Matematica. — Corollari del teorema relativo al paragone fra due triangoli geodetici di uguali lati. Nota del Corrispondente P. PIZZETTI. 1. Date due superficie, o porzioni di superficie, S, Sì, diremo per bre- vità di espressione che la curvatura (4) assoluta della S, è generalmente maggiore di quella (K) di S., quando la £ sia, in ogni punto della S,, maggiore o almeno non minore del massimo valore che assume la K in un punto qualsiasi della Ss (escludiamo, naturalmente, il caso che le cur- vature delle due superficie siano costanti ed eguali fra loro). Ho dimostrato in questi Rendiconti (seduta del 6 gennaio di quest'anno) che, in tale ipotesi, considerati due triangoli geodetici di eguali lati T,,T:, sulle S,, Ss rispettivamente, gli angoli di T, risultano maggiori dei corri- spondenti di T;. Deduco qui da questo teorema talune conseguenze relative al paragone di triangoli aventi in comune non già le lunghezze dei tre lati, ma bensì due lati e un angolo oppure un lato e due angoli, ed applico poi i risultati alla questione dell’azgolo di parallelismo sopra una superficie qualunque a curvatura negativa. Poniamo dapprima che la superficie S, sia a curvatura costante, uguale o maggiore della massima curvatura di S.. Se quella curvatura è positiva, assumendola uguale all'unità, varranno pel triangolo geodetico sulla S, le relazioni differenziali (1) da= cos C.db + cos B. de + send. sen 0. dA (2) sena.dB= sen C.db — sen B. cosa. de — send. cosC. di‘ (3) senB.sena.de=dC+cosa. dB-+ cos d. dA. Pel caso di una superficie S, a curvatura costante negativa = — 1, varranno invece le: (19) da= cos C. db + cosB. de + sen ip. sen C. dA (2°) senipa.dB=senC.db—senB.cosipa. de — senipd. cosC. dA (3) senB.senipa.de= —dC0— cosipa.dB— cosipd. dA. Nel caso di superficie a curvatura positiva, si intendono, in quel che segue, limitati i lati a una lunghezza non maggiore di n:2V dove X, è il massimo della curvatura assoluta; pel caso di superficie a curvatura ne- gativa nessuna limitazione di lunghezza è necessaria. In ogni caso la somma di due angoli non potrà superare 77. Questo è. — 459 — ben noto pel caso di superficie a curvatura negativa. Per quelle a curvatura costante positiva la formula i DE oto 3 A SERI 0) (4) CO FCI, pu mostra che tang #(B + C) deve essere sempre positiva quando la lunghezza dei lati sia limitata come si è detto. Paragone di due triangoli aventi uguali due coppie di lati, e gli angoli compresi. 2. Consideriamo sulla superficie S, Ss i due triangoli T,(A, B, C,) e T.(A»Bs C:) i quali abbiano i lati omonimi di egual lunghezza. La formola (1), oppure la (1°), dimostra che se, tenute fisse le lunghezze d e c sì fa diminuire l’angolo compreso A, il 3° lato 4 diminuisce. Quanto agli altri due angoli, la formola (4) e l’altra DE, i Sen) ee n supposto d > ec, dimostrano che i due angoli B+C,B—C crescono al diminuire di A, se d e c restano invariati. Dunque il più grande (B) dei due angoli B e C deve crescere al diminuire di A. Quanto all’altro, C, la formola sena.dC= — cos Bsene.dA, (che si deduce dalla (2) ponendovi dd =de=0 e scambiando poi fra loro le lettere 5 e c) dimostra che anche C deve crescere al diminuire di A, ogni qualvolta l'angolo B si sia, col suddetto accrescimento, conservato mi- nore di un angolo retto. Applichiamo queste osservazioni al triangolo T, nel quale faremo dimi- nuire l'angolo A, fino a che esso si riduca uguale all'angolo corrispondente di T,, e terremo invariati i lati adiacenti A,B,, A1C,. Osservando che gli angoli B, e C, di T, sono già maggiori di quelli corrisp. di T, potremo dire che: se sulle due superficie S, Sa, definite nel numero precedente, consideriamo due triangoli geodetici Ti, T, aventi due lati (b,c) equali a due lati e gli angoli compresi (A) pure eguali, il terzo lato (a) di Ti sarà minore del corrispondente di T,, e il più grande (B) degli altri due angoli in Ti sarà maggiore del corrispondente di T,. Quanto al 3° angolo (C) esso sarà pur maggiore del corrispondente di T,, se l'angolo precedentemente nominato (B) di Ti: è minore di un retto. ri x =" ee A I Sia “Pub dh ezio sx ter: arri e ar = Foo È a lee ei ati 3 “D fio e — Ae — Ml — tl = 1° egutemenzzne — 456 — Paragone di due triangoli aventi un lato uguale ad un lato e le coppie di angoli adiacenti uguali. 3. Assunti, come sopra, i due triangoli di uguali lati T,, T, sulle due superficie, facciamo diminuire gli angoli A, ,B, di T, fino a ridurli uguali al corrispondenti di T,, e teniamo invariato il lato c. Per la formola (8) l'angolo C crescerà, e per le formole (5) sena.dB=senC.db — cosC. send. dA send. dA=senC.da— cosC.sena. dB la prima delle quali è ottenuta dalla (2) ponendovi de="0, e la seconda dalla (5) collo scambio delle lettere 4 e 2, diminuiranno i lati 4 e d se, col detto accrescimento, l'angolo C si mantiene minore di un retto. Dunque: se sulle superficie Si, Ss, definite c.s., si considerano due triangoli geo- detici T:,T, aventi due coppie di angoli uguali e i lati compresi pure uguali, il 3° angolo di Ti sarà maggiore del corrispondente in Ts; e, se questo 3° angolo di Ti è minore di un retto, gli altri due lati di Ti ri- sulteranno minori dei corrispondenti del 2°. In questo numero e nel precedente abbiamo sempre applicate alla su- perficie S,, le formole spettanti alle superficie a curvatura positiva. Le for- mole analoghe pel caso della curvatura negativa conducono agli stessi risul- tati quando la S, sia a curvatura costante negativa. 4. Pel paragone di due triangoli geodetici descritti sopra due superficie Sì, Ss la prima delle quali abbia la curvatura comunque variabile, e la se- conda abbia la curvatura costante, uguale o minore della minima curvatura di S, valgono ragionamenti e risultati analoghi a quelli enunciati nei due numeri precedenti; soltanto va invertito il senso delle disuguaglianze. Se ora si hanno due superficie S, S, entrambe a curvatura variabile e nelle condizioni enunciate al principio del n. 1, si potrà considerare una superficie So la cui curvatura sia costante ed abbia un valore compreso fra la minima di S, e la massima di Ss. Il. paragone di un triangolo geode- tico della S, con uno della So, e di questo con un triangolo della Ss, con- duce ovviamente al paragone fra due triangoli geodetici descritti sulle Sì, Ss. Gli enunciati dei due numeri precedenti valgono quindi anche pel caso in cui le due superficie S, S, siano a curvatura variabile, sempre nella ipotesi che la curvatura di S, sia generalmente maggiore di quella di Ss. Angolo di parallelismo sopra una superficie a curvatura negativa. 5. Della relazione dimostrata nel n. 3 facciamo applicazione per deter- minare due limiti fra i quali dev'essere compreso l'angolo di parallelismo sopra una qualunque superficie a curvatura negativa. — 457 — Sia S una tal superficie; indichiamo con %,%, il massimo e il minimo (algebrici) della curvatura assoluta di essa. Indichiamo con S,, Ss le pseudo- sfere di curvatura %,,%: rispettivamente. Sulle tre superficie consideriamo i triangoli geodetici A,B,C, , ABC , A;B;GC: rettangoli in A,, A, A» e tali che i AB, = AB = AsBs = angolo B, == angolo B= angolo B».. Pel risultato del n. 3 (gi angoli C,,C,C, sono qui certamente i avremo (6) ALGIZIAG< AGN Poniamo ora che sulle tre superficie gli angoli B,, B, B., rimanendo fra loro eguali, vadano crescendo. Per la (7) il lato AC non può mantenersi di grandezza finita quando A, C, cresca oltre ogni limite. Quindi AC diverrà infinitamente grande per un valore dell'angolo B, che sarà minore 0 al più uguale all'angolo di parallelismo, spettante ai segmento o sulla S, e defi- nito dalla relazione (7) cotg 8, = senip (0 1/— 4). Similmente, per la (6), il lato AC non potrà divenire infinitamente grande, se anche A.C, non cresce oltre ogni limite; vale a dire la AC di- verrà infinita soltanto per un valore dell'angolo B che sarà maggiore 0 almeno uguale all'angolo #s di parallelismo spettante al segmento o sulla S: e definito da (8) cotg 8, = sen ip (0 {/— ko) . Concludiamo dunque che, daza sulla S una geodetica g e un punto P a distanza geodetica o dalla g, l'angolo P di parallelismo nel punto P ri- spetto alla geodetica g, sarà limitato dalle disuguaglianze Pi=P = Ps dove 8, e Ba sono definiti dalle (7) (8). Le li, ls indicano il massimo e il minimo della curvatura assoluta in S. 6. Verifichiamo le disuguaglianze ora trovate, in un caso semplice. Sull’iperboloide rigato di rotazione, la cui equazione è 2° 2 2 pt ——_ rt] gi dy ga consideriamo un punto M del parallelo di raggio 7», e chiamiamo % l'an- i == lafg =: ===> = STI =è ===> === e EEE a EEZI. TIE sa "= = SI Ta--—- Sal Gia =_=" ESTE ÉTa etii meta: n 9 dd golo (< 3) che la normale alla superficie in M fa col piano dell'equatore. Avremo A COS Po To = Wwe == V1 — e? sen? go ” sicchè se indichiamo con #, l'angolo (< 2) definito dalla formola a sent =— , : Po avremo ee— 1 (8) cotg Bo = Sen Po ed î __ S '0 Chiamiamo £ l'angolo (<5) che una geodetica 9 uscente da M fa col meridiamo in M (percorso da M verso il circolo di gola). È facile veri- ficare, per mezzo delle note equazioni delle geodetiche sulle superficie di risoluzione, che la geodetica 9g incontra 0 non incontra il circolo di gola (r = a). secondo che 8 è minore o maggiore di Bo. In particolare se £#=f, la 9 risulta assintotica al circolo ora detto. Quindi il #, definito dalla (8) è l'angolo di parallelismo del punto M rispetto al circolo di gola. D'altra parte nella zona compresa fra il parallelo 7, e il circolo di gola la curvatura dell’iperboloide varia tra i limiti — (1— e? sen? go)? . — 1 a(et — 1) a(ee— 1) Quindi, secondo il numero precedente, dovrà aversi ; o . 0(1— e? sen? po) 9 Sono, > Snipa“ 0) osi a i aVEZION dove | do ale puo(e- Idi (O ef" (1 — e? sen? gp): esprime l’arco di meridiano compreso fra il punto M e il circolo di gola. Dalla (10) si ha facilmente Qo Sto), ?_ >a@-1) f 008 gi si i __ ale 1) sen Po o (1—e?sen’g)l: 1 e?sen@ e quindi o sen go Ve — Sl, ale ziale =i V1— e sent go Così la prima delle disuguaglianze (9) è dimostrata. sen ip — 459 — Riguardo alla seconda si osservi che gel) fo cosgp.dp ale —1)tanggo cos go Do (1— e? sen? g)fle Y/1—= e? sen? gi e che 3 x SChIpiza Sin) ar — a Ce | | | — 470 — acquosa diluita è idrolizzato con formazione di KHO per circa il 5,7 °/, a temperatura ordinaria (25°). Supponendo che la colorazione del Caraves-Gil sia dovuta a una idrolisi di questo genere, con liberazione di quantità rile- vante di acido polisolfidrico (*), abbiamo voluto esaminare il comportamento, coi solventi, dell'acido polisolfidrico, preparato versando un pentasolfuro alca- lino in un eccesso di acido cloridrico; ma in nessun caso si ottiene una qualsiasi colorazione, ma tutti lo decompongono in idrogeno solforato e zolfo ordinario, e con particolare rapidità la piridina; meno rapidamente l’acetone e l'alcool; nel solfuro di carbonio e nel toluene invece sembra che si sciolga inalterato (?). Anche questo ultimo fatto, che l’acido polisolfidrico libero non è solu- bile inalterato nei solventi che meglio danno la reazione di Caraves-Gil, mostra che essa non può essere dovuta a una decomposizione totale del po- lisolfuro alcalino, ma è propria di un termine intermedio che per ora non sì può meglio definire, e la cui preparazione allo stato libero è assai pro- blematica. Se è così, da questi nostri saggi, definita la natura generale della rea- zione di Caraves-Gil, noi non pretendiamo certo di averla schiarita in tutti i suoi particolari; ulteriori studî sono a ciò necessarî. Dal sin qui riportato non emerge infatti che la reazione di Caraves-Gil stia in una relazione semplice e diretta con una determinata proprietà dei sol- venti studiati, ma ciò non deve sorprendere, ed è anzi una quasi necessaria conseguenza dell’interpretazione che proponiamo. Da una parte, infatti, il solvente deve provocare una certa decomposizione o dissociazione del poli- solfuro alcalino, mentre questa, d'altronde, non deve essere così spinta da dar luogo alla formazione di acido polisolfidrico libero, instabile; e i due processi, l'uno proprio di un elettrolito forte (polisolfuro alcalino), l'altro di una so- stanza neutra (acido polisolfidrico), devono essere sotto la dipendenza di pro- prietà affatto diverse del mezzo ambiente. Ciò che però ci sembra risultare con assoluta chiarezza è che la reazione in questione non può attribuirsi alla liberazione di zolfo in un particolare stato allotropico. E un'altra osservazione abbiamo voluto fare a questo proposito. Miller e Nowakowski (Ber. 38, 3779) facendo passare una corrente di 220 Volta fra un anodo di filo di platino, e un catodo dello stesso metallo, ricoperto parzialmente di zolfo e immersi nell'acqua distillata, hanno ottenuto una sospensione lattiginosa che dicono dovuta a zolfo colloide. Noi abbiamo ripe- (') Ci serviamo di questa espressions generica, perchè, come è noto, la chimica dei composti dello zolfo coll’idrogeno è tutt'altro che completa, e non si sa se le sostanze più ricche di zolfo sono composti definiti, o soluzioni di zolfo nei termini inferiori. (*) Questa ultima proprietà non ha nulla di particolare; essa concorda bene colla natura quasi neutra del cosiddetto acido polisolfidrico, che è insolubile nell’acqua e scioglie facilmente lo zolfo. — 47] — tuto le loro esperienze in seno all'alcool etilico, o all’acetone, o alla piridina, se a sorte si formasse così una colorazione azzurra; ma non abbiamo potuto osservare nulla di questo genere, argomento di più per asserire che non è allo zolfo libero che tale colorazione è dovuta. Allo scopo di raccogliere sempre più materiale per la risoluzione del problema di cui ci occupiamo, abbiamo creduto interessante di esaminare lo spettro di assorbimento di tutte queste soluzioni colorate, anche in confronto degli altri composti solforati azzurri. Gli spettri osservati si trovano riuniti in una tavola, e senza per ora esaminarli uno ad uno, possiamo dedurne che gli spettri dei polisolfuri nei solventi organici se non possono dirsi identici, presentano la più grande somiglianza non solo fra loro, ma anche con lo spettro del solfocianato potassico fuso, e con quello dello zolfo sciolto in anidride solforica, soprattutto nella porzione della banda centrale di assor- bimento. Il problema di una modificazione allotropica dello zolfo, diversa da quelle conosciute e colorata in azzurro, abbiamo voluto esaminarlo anche da un altro punto di vista. È noto che la densità del vapore dello zolfo conduce, alla temperatura di 450°, ad ammettere le molecole S; (*), ma che operando oltre 1000° si ha la molecola S: e anche minore, cioè S,,4 verso 1900°-2000°. Ma tanto Biltz e Meyer che giunsero a 1700°, quanto Nernst, che si spinse sino a 2000°, hanno operato in vasi di porcellana (*) o di iridio (*), cosicchè non è stato possibile vedere il colore del vapore a quell’alta temperatura. Noi abbiamo voluto fare delle esperienze in proposito, operando in recipienti di quarzo e riscaldando con un cannello a gaz alimentato da ossigeno, in guisa da avere una temperatura alla quale si rammollisce il quarzo, e che perciò non è inferiore a 1400°. In queste condizioni lo zolfo dà prima un vapore fortemente colorato in giallo rossastro, come l’ipoazotide; ma poi il vapore dello zolfo diviene sempre più chiaro, quasi incoloro, e finalmente alla più alta temperatura si vede nettamente nell'interno del palloncino ove si fa l’esperienza una colora- zione di un magnifico azzurro pallido, assai caratteristica ; lasciando raffred- dare il vapore diventa daccapo incoloro. L'andamento del fenomeno piuttosto che far credere che il vapore di zolfo abbia ad alta temperatura un colore proprio azzurro, rende più probabile la supposizione che per l'alta tempera- tura esso divenga luminoso, e dia una luminescenza azzurra analogamente (1) Ricordiamo però che questo peso molecolare Ss secondo i recenti studi è da con- siderarsi come un valore medio, il vapore di zolfo essendo costituito da molecole Ss e molecole Ss in equilibrio tra loro. (2) Biltz e Meyer, Z. ph. Ch., 4, 266. (3) Nernst, Z. f. Elektroch., 9, 626. — 472 — a quanto fanno altri gas pesanti, per es. jodio. Siccomo l’esperienza era | disposta in modo da non escludere l’accesso dell’aria, ci è sorto il dubbio che il colore azzurro fosse dovuto alla combustione dello zolfo, ma questa supposizione è contradetta dalla riflessione che, se così fosse, il colore do- vrebbe manifestarsi assai prima e non mantenersi, in considerazione della | facile combustibilità dello zolfo. ill Abbiamo fatto delle esperienze operando in atmosfera di CO, e SO, ed ‘NN abbiamo constatato che nel primo caso comparisce sempre la luminescenza | | azzurra, nel secondo non sì osserva più. Lo studio di questo fenomeno non IN abbiamo potuto continuarlo perchè il solo recipiente di quarzo di cui dispo- (Il nevamo è andato a male; però lo riprenderemo fra breve in migliori con- i dizioni. Ecco ora le nostre osservazioni sul solfocianato potassico. Esso si fonde a 172°,3 se puro, cioè ricristallizzato dall'alcool a 95°, quello del commercio fonde un poco più basso, cioè a 169°,7: allo stato di fusione costituisce un liquido perfettamente mobile ed incoloro che soltanto alla temperatura di 430° comincia a colorarsi in azzurro; il colore, mante- nendolo a questa temperatura, diventa mano mano più intenso e dopo un quarto d'ora, è indaco così intenso da sembrare opaco. Per il raffreddamento il colore si mantiene e solo verso 300° comincia a schiarire; lo scoloramento è più rapido verso 200°, ma ha luogo soprattutto nelle vicinanze del punto di solidificazione. Abbiamo voluto anche provare se raffreddando rapidissimamente il sol- focianato fuso si potesse mantenere stabilmente la colorazione bleu, ma anche versando il liquido intensamente colorato nell'aria liquida non si ha che del sale bianco. Dopo la fusione e lo scaldamento anche protratto per #/, d'ora il solfo- cianato è solo pochissimo alterato; infatti il suo punto di fusione fu riscon- trato essere a 171°. Se il liquido azzurro si continua a riscaldare oltre i 500°, sì trasforma in un liquido opaco rosso incandescente, che sembra della ghisa fusa, e che | raffreddandosi diventa subito azzurro. Anche a questa elevata temperatura, | alla quale il vetro della provetta comincia a colorare in giallo la fiamma, | non si ha sensibile separazione di zolfo libero (*), il solfocianato però si altera | e per il raffreddamento resta colorato in giallo. | Il solfocianato riscaldato ancora a temperatura più elevata in un crogiuolo | di porcellana, o in un pallone di quarzo, subisce come una specie di ebollizione, e svolge un gaz infiammabile senza che si sublimi quantità apprezzabile di zolfo; il residuo contiene cianuro e solfuro alcalino. (') Ricordiamo però che, secondo le osservazioni di Milbauer, dopo prolungato riscal- damento in corrente di Hs la perdita di zolfo può sicuramente essere accertata. — 473 — Se lo scaldamento del solfocianato sì fa in una navicella di porcellana ed in corrente di ossigeno, mantenendolo per circa un'ora a 400°, cioè prima che si manifesti il colore azzurro, subisce perdita di peso (si riduce a 99,4 °/, del peso primitivo) ed il residuo contiene un poco di solfato, ma non polisolfuro. A temperatura più elevata, cioè quando comincia a colorarsi in azzurro, il suo peso si riduce al 95 °/, in un quarto d'ora, ed allora oltre al solfato si forma del polisolfuro. Il solfocianato fuso riscaldato alla temperatura in cui comincia a diventar rosso, brucia rapidamente in corrente di ossigeno con fiamma e projezioni in- candescenti, ed il residuo contiene solo solfato. Questo comportamento non è limitato al solo solfocianato potassico, ma sembra essere proprio di tutti i solfocianati alcalini, non però degli alcalino- terrosi. Abbiamo infatti osservato che il solfocianato di sodio puro, che fonde a 287°, per lo scaldamento presenta gli stessi fenomeni di quello di potassio. Il solfocianato baritico che fonde a temperatura più elevata e non deter- minabile col nostro termometro, per ulteriore scaldamento non si colora in azzurro, ma diventa giallo alterandosi notevolmente, talchè resta giallo anche dopo il raffreddamento, si scioglie in acqua dando una soluzione pure gialla, che depone zolfo per l’azione degli acidi, con sviluppo di H;S, fenomeni tutti questi che accennano a una decomposizione profonda con formazione di poli- solfuri. Si è voluta anche studiare l’infiuenza di varî sali sul coloramento azzurro del solfocianato. L'acetato potassico fuso ed il solfocianato sono liquidi miscibili, che pre- sentano un punto eutectico a 123°. Verso 300° però il miscuglio si decom- pone ed annerisce senza accenno a colorazione azzuita. Con l'idruto potassico si ha sviluppo di ammoniaca e formazione di polisolfuro, ciò che contrad:ce l'osservazione di Orloff che il solfocianato si colori in azzurro anche in presenza d'idrato potassico. Il cianuro di potassio sì scioglie facilmente nel solfocianato oltre i 400°, poco a temperatura più bassa, e presenta un punto eutectico a 150° circa. Il miscuglio mantenuto a 400-450° per circa tre quarti d'ora non si colora in azzurro, ma diventa giallo, e riscaldato sino alla temperatura del ramol- limento del vetro non diventa incandescente. Il joduro potassico è poco solubile nel solfocianato fuso a temperatura bassa, molto di più a temperatura elevata, e presenta un punto eutectico a 160°. Verso i 350° il miscuglio comincia a colorarsi in azzurro, ma la colorazione è intensa solo a 450°. Alla temperatura di rammollimento del vetro non è luminescente. Pel raffreddamento sì scolora verso i 200°. Il bromuro potassico sì comporta come l’joduro. Il punto eutectico è situato a 160°,3. Il colore azzurro comincia a 350°, ed è intenso oltre i 500. — 474 — Il cloruro potassico presenta un punto eutectico a 165°. Il colore azzurro si manifesta verso 350°, ed è intenso a 500°. Scompare a 250-200°. Il fivoruro potassico presenta il punto eutectico a 155°; si colora in azzurro verso 420°. Il solfocianato di bario aggiunto al solfocianato potassico presenta il punto eutectico a 155°, ingiallisce poco dopo, poi compare verso 330° l'azzurro che è intenso oltre i 500°. i Abbiamo anche esaminato il comportamento al calore del solo cianuro potassico. Non solo, come era da prevedersi, non si colora in azzurro, ma neanche presenta la luminescenza ad alta temperatura. Facendo cadere dello zolfo sul cianuro fuso si ha ‘combinazione con forte innalzamento di tempe- ratura e la massa presenta una graziosa colorazione azzurra, e rossa nei punti più caldi, dovuta al solfocianato formatosi. " Abbiamo anche esaminato il comportamento del solfocianato potassico fuso con varî ossisali. Dalla Memoria di Milbauer si deduce che il cianato potassico non osta- cola la produzione del colore bleu. Il solfato potassico, che è solubile nel solfocianato assai meno dei cor- rispondenti sali aloidi, non né ostacola la colorazione ‘bleu, nè vi reagisce sensibilmente. Lo stesso fa il metafosfato, che vi è anche meno solubile; ma sembra che la colorazione bleu si manifesti in questo caso solo a tempera- tura più elevata, mentre non si riuscì a osservare la ‘incandescenza rossa che è così intensa pel solfocianato puro. Del solfocianato potassico fuso abbiamo esaminato lo spettro di assor- bimento (v. tavola) e risulta ‘che esso è nel complesso della stessa natura di quello fornito dalle soluzioni azzurre o verdi che si hanno facendo goc- ciare polisolfuro sodico nei varî solventi organici. Per quanto riguarda il colore azzurro del sesquiossido di zolfo, non ab- biamo istituito finora esperienze speciali, e ci siamo limitati ad esaminare lo spettro della soluzione azzurra di zolfo in acido solforico di Nordhausen. Come risulta dalla tavola esso è dello stesso tipo di quello del solfocianato e delle soluzioni azzurre di Caraves-Gil. Aggiungiamo poche parole a spiegazione delle tabelle degli spettri di assorbimento. i Per rappresentare i risultati ottenuti ci siamo attenuti all'antico, semplice sistema di riportare sulle ascisse le lunghezze di onda, e sulle ordinate la concentrazione o lo spessore della soluzione assorbente. Se allora si uniscono tra loro i punti corrispondenti alle lunghezze di onda per cui comincia a osservarsi assorbimento per ogni data concentrazione sì ottiene una curva, il cui aspetto definisce abbastanza bene il tipo dello spettro. Questo modo di rappresentazione in seguito a recenti modificazioni (Hartley) è stato reso su- — 475 — i scettibile di notevole precisione, ma nel nostro caso, avendo che fare con sostanze coloranti di cui, non che la concentrazione, non è neppur nota la natura, e di cui inoltre la quantità varia più o meno rapidamente col tempo (come lo prova ad esempio lo scolorarsi delle soluzioni di Caraves-Gil) biso- gnava necessariamente contentarsi dei risultati qualitativi. E valore solo qua- litativo deve attribuirsi a tutte le figure qui riportate. Acetone all’ ebolli- zione. Alcool etilico all’e- ‘ bollizione. $ Piridina all’ebolli- zione. Le ascisse sono riferite alla graduazione empirica dello spettroscopio, ma al posto della graduazione si sono riportate le lunghezze di onda corrispon- denti, determinate al solito modo mediante l'esame dello spettro del sole e dei metalli alcalini, onde permettere di risalire ai valori assoluti. In quanto ai composti organici azzurri dello zolfo fra i quali accenne- remo il metilfeniltiochetone e composti analoghi, il bleu di metilene, i composti del tiofene, abbiamo soltanto osservato lo spettro dell’indofenina, ma abbiamo trovato che esso non ha analogia con quelli sopradescritti. Con le osservazioni che abbiamo descritto in questa Nota non abbiamo certo portato alcun contributo essenziale al problema di trovare la causa del colore azzurro dello zolfo (?) e di taluni dei suoi composti, ma solo abbiamo voluto meglio determinare e precisare le condizioni in cui questo colore si manifesta, come punto di partenza di altri e più diretti studî che abbiamo in corso. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 6l | | Alcool propilico al- l’ebollizione. Allilamina all’ebol- lizione. Etilamina a 0° Glicerina a 160-180° Solfocianato potas- sico fuso a tem- perature crescenti il | II Soluzione di zolfo | in acido di Nord- | hausen (strati di IN spessore cre- scente). LA | | KA ti bei bi | — 477 — Chimica. — Sui 1-ossimetil-p- fenil-1-2-propilenglicoli ste- reoisomeri ('). Nota del Corrispondente «Li. BALBIANO. Nella Nota pubblicata col dott. Nardacci:. Sull'ossidazione mediante soluzione acquosa di acetato mercurico dell’anetolo (*) mi riservavo lo studio completo di questa reazione, studio che si rendeva necessario in seguito alla pubblicazione dei sigg. E. Varenne ed L. Godefroy (*), i quali nell’azione della soluzione alcoolica di idrato potassico sul dibromoanetolo avevano otte- nuto un glicole oleoso, bollente a 245°-250°, da loro rappresentato colla formola CH30-C;H,-CHOH-CHOH-CH;, e che nelle proprietà fisiche differenziava da quello descritto dal dott. Nar- dacci e da me nella Nota sopracitata. L'anno passato avevo incaricato il dott. Paolini di rifare le esperienze dei sigg. Varenne e Godefroy, perchè era mia intenzione di ripetere con maggior quantità di sostanza l'ossidazione aceto-mercurica dell’anetolo, per ricercare se veramente in questo processo di ossidazione si formasse il gli- cole isomero descritto dai due chimici francesi, ma circostanze indipendenti dalla mia volontà, ritardarono la pubblicazione di tali esperienze le quali portavano a risultati differenti da quelli ottenuti da V. G. Il dott. Paolini, variando la concentrazione della soluzione alcoolica di idrato potassico e quella dell’alcool adoperato per disciogliere il dibromoanetolo preparato secondo le prescrizioni del Ladenburg (4) e del Gunthert (*), non potè ottenere in questa reazione il glicole descritto, ma sempre ebbe il chetone che pei caratteri fisici proprii, come per quelli dell’ossima e del semicarbazone coincidono con quelli del chetone che il Wallach ottenne per azione del metilato sodico sullo stesso dibromoanetolo e ch'egli rappresenta colla formola CH30-C,H,-C0-CHy-CH, dell'etil-anisil-chetone, perchè l’'ossima di esso coll’acido solforico dà acido propionico. Sono ora riuscito ad ottenere e separare nell'ossidazione aceto-mercurica dell’anetolo i due glicoli stereoisomeri che si formano nel processo, ma nes- suno dei due presenta i caratteri del glicole di V. e G., perchè entrambi 1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico-farmaceutico dell’ Università di Roma. 2) Gazz. chim. Ital., 1906, pag. 257, I2. 8) Comp. Rend., 1905, 140. 4) Liebig, 5 Ann. Sup. 8, 94. ( ( ( ( (5) Journ. fur. prak. Ch. [2], 52, 198. tr dea ZE af rosi == — 478 — sono sostanze solide cristallizzate; uno, che ho già descritto col dott. Nar- dacci, cristallizza in piccoli aghetti raggruppati a mammelloni, e riscal- dato in tubicino di vetro comincia a raggrumarsi a 89° e fonde a 98°, ed è una miscela, come si vedrà nella parte sperimentale, del glicole che chiamerò #, cristallizzato in belle laminette splendenti raggruppate, che fonde a 114-115°, e di un nuovo stereoisomero che chiamerò @«. Quest'ultimo gli- cole nuovo cristallizza dall'acqua sotto forma di idrato C,0H1:0:,8Hs0 in prismi appiattiti e aggruppati, fusibile a 30-31°. All'aria perde rapidamente l'acqua di cristallizzazione e senza cambiare aspetto, quando é anidro, fonde a 62-63°. Se sì prepara il derivato diacetico del glicole @ e si saponifica si ot- tiene una miscela, dalla quale per cristallizzazione frazionata dall’acqua aci- I} dulata con acido acetico, si ottiene una frazione che fonde verso 108°, co- Ì minciando a dar segno di rammollimento a 85°, e le acque madri lasciano Ì un residuo che disseccato nel vuoto fonde fra 65° e 85°; queste diverse fra- zioni presentano naturalmente la stessa composizione, il che dimostra che | nell'eterificazione e successiva saponificazione il glicole @ si è trasformato I I parzialmente nello stereoisomero £. Avrei desiderato completare queste ricerche prima di pubblicarle, ma | una notizia del sig. Tiffeneau comparsa nel Bulletin de la Société chimique | de France, pubblicato il 20 febbraio e che ho ricevuto il 14 marzo, mi | | obbliga a rendere di pubblica ragione in modo sommario lo studio ancora incompleto di queste sostanze. Il sig. Tiffeneau in collaborazione col sig. Daufresne ha studiato l’azione dell'acido solforico ad !/; sopra certi glicoli aromatici per indagare l’azione Il del radicale arile nella disidratazione e dice che il glicole dato dall’anetolo, | di cui non descrive per ora le proprietà, dà con tale mezzo disidratante l’ace- tone anisico e non l'aldeide p-metossiidrocinnamica ch'io, col dott. Paolini Î ottenni colla disidratazione con piccole quantità di cloruro di zinco, aldeide | che noi avevamo allora caratterizzata coll’analisi del sale di rame dell'acido ossamico dato colla reazione Angeli-Rimini, specifica delle aldeidi. La diver- genza fra il risultato esposto sommariamente dal Tiffeneau ed il mio verrà Î| certamente chiarita dalle ulteriori esperienze che sto facendo sui due glicoli stereoisomeri, ma intanto per prendere data, pubblico i risultati finora ot- | tenuti. PARTE SPERIMENTALE. IE | I (Esperienze del dott. V. Paolini e dott. G. De-Conno). I Il bibromoanetolo adoperato venne preparato colle prescrizioni del La- | denburg e del Gunthert e depurato per successive cristallizzazioni dall’etere | di petrolio fino a punto di fusione costante 67°. La determinazione del bromo | del preparato ci assicurò della sua purezza. o — 479 — Gr. 0,1552 sostanza secca nel vuoto su acido solforico, bruciati con . calce richiesero cm* 10,1 A, Ag NO?. Trovato Calc. Cio Hie Br: 0 Bro 52,03 51,93 L'azione della soluzione alcoolica d'idrato potassico sul dibromoanetolo si fece nelle seguenti condizioni: gr. 20 dibromoanetolo sciolti in gr. 40 di alcool 95° si fecero bollire a ricadere per 3-4 ore con una soluzione di gr. 7,9 di idrato potassico all'alcool sciolti in cm* 75 di alcool a 90°, indi si distillava l'alcool a b.m. ed il residuo si diluiva con 3 a 4 volumi di acqua e sì distillava in corrente di vapore. Col vapor d’acqua passa un olio colorato leggermente in giallo, che viene estratto con etere e che liberato dal solvente, rimane sotto forma di un olio che distilla tra 140-141° alla pressione di 10 mm. Analisi: gr. 0,2018 sostanza CO, gr. 0,536 H:0 gr. 0,1332. Trovato °/ O/—72:45 Bi—#733 Calc p. Cio Hi: 0; MSI Mal » » Co s0; 65,93 7,69 Il prodotto che si forma nella reazione non è quindi un glicole C,0 H140, ma la sua anidride C,, H120;. Siccome i sigg. V. e G. non danno dettagli nella loro Nota, nè sulla concentrazione della soluzione alcoolica di idrato potassico, nè della soluzione idroalcoolica del dibromoanetolo si variarono queste concentrazioni, ma sempre sì ottenne lo stesso composto anidridico. Così pure variando le condizioni di temperatura, cioè riscaldando per due ore a 40-50° la miscela idroalcoolica delle due sostanze si ha una rea- zione incompleta, perchè l'aggiunta dell’acqua, dopo aver separato l’alcool per distillazione, fa precipitare un olio che distillato in corrente di vapore risulta egualmente costituito dall’anidride del glicole, inquantochè dà col cloridrato di semicarbazide il semicarbazone, ma mista a hromoanetolo inal- terato. La depurazione dell'olio sopra analizzato si fa nel modo seguente: si fanno bollire a ricadere per 3-4 ore gr. 10 dell’olio con 100 gr. di soluzione acquosa di acido solforico al 20°/,, indi sì decanta lo strato acido acquoso e si lava ripetutamente lo strato oleoso disciolto in etere con soluzione di carbonato sodico indi con acqua ed infine sì dissecca l’etere con cloruro di calcio fuso e si distilla il solvente. Rimane un olio denso, colorato in giallo, che bolle senza decomposi- zione a 266-267° alla pressione di 757 mm. Nella distillazione non si os- — 480 — serva alcuna decomposizione con eliminazione di acqua, nè la formazione di sostanza irritante simile all’acroleina come dicono i due chimici francesi. La sostanza depurata dette all'analisi il seguente risultato: gr. 0,183 sostanza CO; gr. 0,4895 H,0 gr. 0,121. Trovato 0 72,95 H= 7,34 Cale. Cio His 0, 18,17 7,91 La sostanza è un liquido di odore aromatico che ricorda l'acetofenone, colorato leggermente in giallo: DI — 1,079; N!” = 1,5477. Raffreddata 15° con ghiaccio si rappiglia in una massa solida costituita da lamelle splen- denti, fusibili a 26-27°. Col cloridrato di semicarbazide ed acetato sodico dà un semicarbazone cristallizzato che fonde a 174° e coll’idrossilamina un ossima fusibile a 74°, perciò il composto C10H,:0s è l'anisilchetone di Wallach e come acetone non dà la reazione aldeidica di Angeli-Rimini e difatti trattata la sua so- luzione alcoolica alcalina coll'acido benzolsolfinidrossilamminico di Piloty c.H, 0, NOE non dà luogo alla formazione del sale di rame di un acido idrossamico, nè alla colorazione rosso-viola del suo sale ferrico. La conclusione di queste esperienze è che nelle condizioni nelle quali s'è operato, che apparentemente sono le condizioni nelle quali hanno operato i sigg. Varenne e Godefroy, l’azione della soluzione alcoolica di idrato po- tassico sul dibromoanetolo non dà luogo alla formazione del glicole CHs0-C;H,-CHOH-CHOH-CH; ma invece a quella dell’anisilchetone CH;0-CH,-C0-CH,-CH; ° TH Ossidazione aceto-mercurica dell’anetolo. L'ossidazione dell’anetolo colla soluzione acquosa di acetato mercurico si fece nelle stesse condizioni di quelle descritte nella mia Memoria ('), soltanto la miscela si lasciò alla temperatura estiva durante tre mesi, dal luglio all'ottobre, così in gran parte l'acetato mercuroso formatosi in prima fase di reazione s'era ridotto a mercurio. Si lavorarono circa gr. 500 di anetolo suddivisi in 10 boccie. Le acque filtrate che ascendevano a circa 9 litri si (1) Gazz. chim. loc. cit. — 481 — svaporarono a blando calore fino a circa 1500 cm8, indi vennero estratte quattro volte con tre volumi di etere e si osservò che nelle prime due estra- zioni il residuo della distillazione dell'etere rimaneva sotto forma di uno sciroppo, nella terza estrazione il residuo assumeva forma solida e nella quarta estrazione era in quantità insignificante. Si ridisciolse la parte estratta in etere e la soluzione eterea sì agitò con carbonato sodico ed acqua fino a reazione alcalina, indi con acqua disti]- lata ed infine la parte eterea filtrata venne distillata. Rimase come residuo un olio giallo che lentamente cristallizzò, assumendo la massa consistenza butirrosa: la quantità di questo residuo è circa gr. 550. Dopo due o tre settimane di soggiorno in essiccatore ad acido solforico, la massa butirrosa venne spalmata su mattonelle porose e dopo altre tre settimane la massa aveva assunto la consistenza della cera. Si raschiò dalle mattonelle la parte solida e si ricristallizzò ripetutamente dall'alcool a 95° bollente. Dopo una serie di ripetute cristallizzazioni, si ottenne il glicole prima descritto col dott. Nardacci, cristallizzato in piccoli aghi microscopici aggruppati, che dall'acqua bollente cristallizza anche in lamine splendenti sovrapposte, che fondono così depurate a 114-115° (term. di Anschutz). Il punto di fusione prima dato di 98° con inizio ad 89° si riferisce ad una miscela coll’ isomero che fonde, come si vedrà appresso, a 62-63°. All’analisi dette il seguente risultato: gr. 0,1946 sostanza CO» gr. 0,4665 H;0 gr. 0,1359. Trovato Ci—105:57 bi=W75 Calc. C10.H1403 65,93 7,69. Le acque madri alcooliche concentrate depositano miscele cristalline con punti di fusione fra 60° e 100°, ed infine le ultime acque madri svaporate a b. m. lasciano un abbondante residuo sciropposo che lentamente sì concreta in una massa cerosa, dura, dalla quale si isola l’altro isomero nel modo seguente. Si spappola la massa cerosa con acqua fredda in un mortaio compri- mendola con un pestello in modo da disfare ì grumi solidi; poco a poco la massa si fluidifica e si trasforma in un sciroppo denso giallo attaccaticcio, che non si discioglie nell'acqua fredda. L'acqua filtrata e concentrata a bagno maria lascia depositare col raffreddamento il nuovo glicole, cristalliz- zato in lamine aggregate, splendenti e contenenti 3 mol. di acqua di cri- stallizzazione. L'esaurimento della massa cerosa si ha dopo tre a quattro trattamenti con 6 a 10 volumi di acqua per volta. La determinazione del- l'acqua di cristallizzazione del nuovo glicole bisogna farla asciugando il prodotto rapidamente fra carta, perchè esso la perde facilmente all'aria. Due determinazioni fatte in condizioni di asciugamento un po’ diverse det- tero il seguente risultato: on E IP A ina EI = stese “n {Pi (E ai Sa 4 ms - Se — — 482 — I. Gr. 1,7694 sostanza asciugata rapidamente fra carta bibula perdettero nell'essiccatore ad acido solforico gr. 0,4077 di acqua. II. Gr. 1,1353 sostanza asciugata su mattonella all'aria perdettero nell’es- siccatore ad acido solforico gr. 0,2053 di acqua, ossia in 100 p. I II Cale. p. 2Hs0 3H:0 H,0 23,04 18,08 ; 16,51 22,88. Da ciò risulta che il composto che si deposita dalla soluzione acquosa con- centrata ha la composizione espressa dalla formola C,0H140: , 3H:0 e nel- l'asciugamento all'aria perde un po' della sua acqua di cristallizzazione. Il glicole idratato fonde fra 30-31°, ma nello stesso tempo si elimina un po di acqua, perchè ridiventato solido il suo punto di fusione completa s'è innalzato di parecchi gradi. L'analisi del glicole anidro dette il seguente risultato: Sostanza gr. 0,1737 dettero CO, gr. 0,4185 H;0 gr. 0,1235. Trovato Gi= 65,71 IE T=798) Gale; Crolla 203 65,93 7,69. Questo nuovo glicole dell’anetolo che differenzierò col prefisso @ per distinguerlo da quello 8 ottenuto prima non completamente puro col dot- tore Nardacci, cristallizza in aghi bianchi aggruppati che fondono a 62-63°, quando vengono riscaldati rapidamente; se il riscaldamento è lento (1° in 30”) il glicole comincia a raggrumarsi a 58°. fra 62-63° fonde in massima parte, rimane un piccolo residuo di modo che la massa diventa limpida solo a 68°. Queste oscillazioni, osservate con un termometro di Anschutz, dimostrano che il glicole a tende per azione del calore a trasformarsi parzialmente nel gli- cole f. Dalla parte sciropposa nItima che contiene una certa quantità di mer- curio non si potè isolare finora che resine peciose, dopo aver precipitato il mercurio con idrogeno solforato. Le mattonelle, che hanno assorbito la parte sciropposa della massa primitiva, vennero estratte con etere in apparecchio Soxhlet; separato l'etere colla distillazione rimase uno sciroppo giallo, vischioso, che poco a poco si concreta in una massa cerosa, che trattata nello stesso modo con acqua fredda dà una nuova quantità di glicole @ cristallizzato con 3 mol. acq. e rimane una sostanza peciosa che contiene come l’altra una certa quantità di mer- curio e dalla quale finora non potei isolare niente di definito. Nella lavorazione del prodotto di ossidazione greggio, ho potuto seguire solo approssimativamente le quantità dei due glicoli, ma non credo essere lungi dal vero ritenendo che essi si formino in quantità quasi eguali, perchè ho potuto avere circa 40 gr. di glicole 8 e circa 120 gr. di glicole @, più un centinaio di grammi di miscela nella quale predomina il f glicole. — 483 — Trasformazione incompleta del a in B glicole. Gr. 5 di « glicole secco si addizionarono di cm*. 12 di anidride ace- tica e si riscaldarono a ricadere. Quando tutto il glicole è disciolto succede una viva reazione, passata la quale si lascia la miscela a digerire per 4 o 5 ore ad incipiente ebollizione, indi si distilla a b. m. a pressione ridotta l'acido acetico formatosi e l'eccesso di anidrile adoperato. Il residuo oleoso sì discioglie in etere e la soluzione si dibatte, sino a reazione alcalina, con carbonato sodico disciolto indi con acqua fino a reazione neutra. Si dissecca l'etere con cloruro di calcio fuso e si distilla il solvente. Il residuo oleoso, appena colorato in giallo, si distilla nel vuoto; passa tutto, alla pressione di 20mm. a 203°. Si ottennero gr. 6,5 di prodotto puro mentre la quantità calcolata sarebbe gr. 7,3. Analisi: gr. 0,2715 sostanza CO» gr. 0,6242 H;0 gr. 0,1668. Trovato C= 62,74 Hi==160183 Cale. CH30-C;H,-C3H;(0 C:H30)? 63,15 6,76. L'etere diacetico è un liquido incoloro, inodoro, vischioso, che raffred- dato a — 15° diventa denso, non scorrevole, ma rimane trasparente e non accenna a cristallizzare: è solubile nell’alcool. Si saponificò con un leggero eccesso di alcoolato sodico. L'aggiunta della soluzione di alcolato (Na gr. 1,2 sciolti in 20-25 cm? di alcool assoluto) alla soluzione alcoolica del glicole diacetico (1 vol. di glicole-etere, 2 vol. alcool assoluto) fa rapprendere la soluzione in una massa gelatinosa di mi- nuti cristalli aghiformi. Si aggiungono alcuni centimetri cubi di acqua, e si . riscalda per qualche tempo a ricadere fino a completa soluzione, indi si di- stilla l'alcool ed il residuo si dibatte con etere ed acqua, poi cen acido acetico diluito ed infine con acqua. Il residuo solido della distillazione del- l'etere si cristallizza frazionatamente dall’acqua acidulata con acido acetico: si ha una prima frazione di cristalli che fondono fra 80° e 92°, e che al- l'analisi dette il seguente risultato: gr. 0,1851 sostanza CO; gr. 0,4449 H,0 gr. 0,1313, cioè in 100 p. Trovato C= 65,55 H= 7,88 Calce rH70; 65,93 7,69. Questa frazione ricristallizzata fonde a 108°, cominciando a 85° a dare segno di aggrumarsi. L'analisi di essa dette il seguente risultato : gr. 0,1401 sostanza CO, hr. 0,3388 H;0 gr. 0,0981, in 100 p. Trovato 0 — 65:95 Hi—W878 Cale. C10Hz403 65,93 7,69. RexpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 62 — 484 — Le acque madri riunite e tirate quasi a secco a b.m. dettero una so- stanza che fondeva fra 62° e 85° e che all'analisi dette il seguente risultato : gr. 0,2146 sostanza CO» gr. 0,5172 H.0 gr. 0,1475. Trovato CE :65,72 IHP==7463 Cale. C,0H1403 65,93 7,69. Da queste esperienze si deduce: 1°. Che nell’ossidazione aceto-mercurica dell’anetolo si formano due glicoli @ e $ isomeri CioH1403. 2°. Che la loro isomeria è geometrica perchè il glicole @ si trasforma parzialmente coll'eterificazione con anidride acetica e successiva saponifica- zione nel glicole f. Geologia. — Zenomeni di abrasione sulle coste dei paesi dell’ Atlante. Nota del Socio straniero THEOBALD FISCHER. Biologia. — Sopra un particolare organo di senso delle Sal- pidae. Nota del Socio F. Toparo. Fisiologia vegetale. — Della probabile azione enzimica nel promuovere accumulazione di acqua e pressioni osmotiche nei tessuti vegetali. Nota del Socio Corrispondente IrALO GIGLIOLI e di ALFREDO QUARTAROLI. Biologia. — L'origine dei barbigli tattili nel genere Mullus. Nota del Corrispondente dott. SALvaroRE Lo BIANCO. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 485 — Patologia. — Sul meccanismo di scomposizione in vitro del virus rabido per mezzo del radio. 7° Comunicazione preventiva del Socio Guipo Tizzoni e del dott. ALESsaNDRO BONGIOVANNI. Il Rehns fu il primo a dimostrare che il radio esercita un'azione scom- ponente in vitro sul virus rabido. Infatti, in una breve Nota (') che prece- dette di pochi giorni la nostra prima Comunicazione preventiva sullo stesso argomento (°), e nella quale sono riferite alcune ricerche fatte, dall’Autore insieme al Viala, preparatore dell’ Istituto Pasteur, il Rehns annunziò che il radio scompone nella provetta il virus fisso, e che tale scomposizione è dovuta essenzialmente alle emanazioni, mentre le radiazioni non vi prendono parte alcuna. A questo fine egli provò che 1cc. di emulsione di virus fisso filtrato per carta, introdotta in una piccola ampolla di vetro nella quale era fatto il vuoto, perde dopo 24 ore ogni potere patogeno, quando è messa succes- sivamente in comunicazione con un’altra ampolla contenente 30 milligrammi di bromuro di radio sciolto in 5 cc. di acqua distillata, mentre i controlli operati con lo stesso virus mantenuto in identiche condizioni di temperatura muoiono in tempo normale. Invece qualche goccia di emulsione di virus fisso posta in un sottile tubo di vetro e tenuta per 72 ore sopra la solita scatoletta contenente 10-20 milligrammi di bromuro di radio, ma a !/, cm. di distanza dalla su- perficie radiante, conserva inalterata tutta la sua virulenza. Quindi nel primo caso le emanazioni che si sprigionano da una solu- zione di radio, trascinate dal vuoto, avrebbero determinata la scomposizione completa del virus, mentre nel secondo la stessa emulsione mantenuta sotto le radiazioni e fuori della sfera d’azione delle emanazioni, che allora si ri- teneva erroneamente sollevarsi solo a breve altezza dalla superficie radiante, rimane inalterata. Da ciò, appunto, il Rehns si credè autorizzato a conclu- dere che la scomposizione in vitro del virus rabido è dovuta intieramente alle emanazioni. (1) Rehns, Sur quelques effets du radium, Compt. rend. de la Société de biologie, Séance du 18 mars 1905, pag. 491. (2) Tizzoni e Bongiovanni, L'azione dei raggi del radio sul virus rabido in vitro e nell’animale, 1° Comunicazione preventiva letta alla R. Accad. delle Scienze di Bologna nella seduta del 9 aprile 1905, Rendiconti, anno 1904-1905; Riforma Medica, anno XXI, num. 18. s SI = aa” = E A'WTLCT== ===) Tee em TA = = È nensà. N Mea neon ESTE er n ire no = TE — 486 — Quanto siano attendibili tali conclusioni, specie per quello che riguarda gli esperimenti diretti a conoscere l'influenza delle radiazioni sul virus ra- bido, questo fu già detto in altra occasione (1). Noi, per parte nostra, abbiamo potuto pienamente confermare la impor- tanza che hanno le emanazioni nella scomposizione in vitro del virus rabido: soltanto, mentre fu provato nell’animale, in modo diretto ed assoluto, che l'azione curativa del radio nella rabbia è dovuta alle sole radiazioni, come lo dimostrano le guarigioni ottenute nel coniglio con campioni di radio chiusi in tubo di vetro saldato alla lampada in cui le emanazioni sono rigorosa- mente escluse, invece nelle esperienze in vitro ci limitammo a dare ragione del fenomeno con prove indirette, dimostrando che manca tale scomposizione del virus rabido tutte le volte in cui siano assolutamente eliminate le ema- nazioni. Ciò fu da noi provato in due modi: sia impedendo la fuoriuscita delle emanazioni dall’apparecchio chiudendolo in una scatola di piombo a perfetta tenuta e saldando con mastice a caldo un sottile vetrino copri-oggetti in corrispondenza di un foro lasciato nella scatola stessa al disopra della su- perficie radiante in modo da aversi il libero passaggio delle radiazioni; sia impedendo che le emanazioni arrivassero in contatto coll'emulsione del virus col chiudere ermeticamente la bocca della provetta di alluminio mediante un tappo di vetro saldato collo stesso mastice. Nell'un caso e nell'altro il virus conservò tutta la sua potenza, anche quando fu esposto al radio per 24 ore anzichè per 6, per un tempo cioè 4 volte maggiore di quello neces- sario per aversi la scomposizione del virus in parola; provandoci con questo che la completa esclusione delle emanazioni impedisce che avvenga la scom- posizione in vitro del virus rabido per mezzo del radio. Terminate le ricerche sull'animale era quindi opportuno di riprendere a studiare tale questione per vedere se e quali effetti avessero sul virus rabico le sole emanazioni, e se per aversi la sua scomposizione, oltre alle emanazioni, occorresse anche il concorso delle radiazioni. Il determinare poi le precise condizioni nelle quali avviene la scompo- sizione in vitro del virus rabido col mezzo del radio è cosa certo di gran- dissimo interesse; e non solo per la risoluzione di un problema scientifico, ma ancora per le applicazioni pratiche che potessero ricavarsi nella prepa- razione di un vaccino antirabico efficacemente sostituibile, e con qualche vantaggio, a quello che oggi comunemente si adopera. A questo riguardo noi abbiamo prima esattamente ripetute le esperienze del Rehns, facendo pervenire in un tubo al vuoto in cui era contenuto 1 ce. di emulsione rabida filtrata le emanazioni che si sprigionano da una solu- (1) Tizzoni e Bongiovanni, Sopra alcune condizioni necessarie per aversi la scom- posizione in vitro del virus rabido col mezzo del radio, 6% Comunicazione preventiva, Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, vol. XV, serie 5°, 2° sem., fasc. 5°. — 487 — zione di radio (2 ctg. bromuro di radio a 10.000 U. R. a centigrammo in 5 cc. di acqua distillata) e facendole rimanere per 24 ore, in ambiente freddo, in contatto colla ricordata emulsione. Ma per quanto ripetessimo le esperienze, sempre negativi furono i ri- sultati, essendo morti di rabbia, e nello stesso tempo dei controlli, i conigli operati sotto la dura madre col virus così trattato. Con questo, peraltro, noi non intendiamo menomamente d'impugnare i risultati ottenuti a tale riguardo dal Rehns, sia perchè un fatto negativo non vale certo ad infirmarne uno positivo, sia perchè nei nostri esperimenti, dobbiamo riconoscerlo, noi abbiamo dovuto, in mancanza di meglio, usare una sorgente di emanazioni molto debole, assai più debole di quella ado- perata dal Rehns. Noi possiamo solo affermare che nelle nostre mani l'esperimento è fal- lito, e ciò non può dipendere che da due ragioni: o da non esserci messi nella ricerca nelle precise condizioni di quella del Rehns o da qualche er- rore che in questa ne abbia turbato il risultato. Dato l'insuccesso ottenuto in questi primi tentativi, noi abbiamo cre- duto nostro dovere di esaminare la questione in tutta la sua larghezza, spe- rimentando separatamente colle emanazioni e colle radiazioni o con le une e le altre riunite insieme dopo averle artificialmente separate; e questo, tanto per soluzioni di radio che si sa emettere una quantità maggiore di emanazioni, quanto per radio allo stato solido contenuto nella solita scato- letta inglese, col quale appunto erano state fatte la maggior parte delle nostre precedenti ricerche. In tali ricerche, poi, abbiamo operato sempre con virus fisso, che dava febbre alla fine della 4* giornata o nel corso della 5* e che uccideva co- stantemente in 6 !/-7 giorni, come quello che ci avrebbe permesso di con- cludere dopo un tempo minore di osservazione. a) Esperienze con sali di radio usati in soluzione. — Per queste esperienze noi ci siamo valsi dello stesso campione che aveva servito per quelle precedenti; la rispettiva soluzione fatta, come dicemmo, in 5 ce. di acqua distillata, era contenuta in un apparecchio analogo a quello produttore di emanazioni fabbricato dalla casa Armet de Lisle e del quale possiamo risparmiarci la descrizione rimandando alla figura e relativa descrizione date nell'ultimo catalogo della casa stessa. Da tale apparecchio le emanazioni venivano condotte mediante un tubo di vetro attraversante un tappo di gomma fin quasi alla superficie della emulsione di virus posta nel fondo di una provetta nella quantità di ’/, cc. circa. In una seconda serie di ricerche, al dispositivo sopra ricordato, sì ag- giungeva un secondo campione di radio chiuso in tubo di vetro (*), campione (1) Questo campione che appartiene all'Istituto di Chimica di Bologna fu messo a pes ZIE SL nni «e a SS ro Ò — 488 — che veniva messo direttamente nella emulsione sottoposta alle emanazioni. Finalmente in altre ricerche si faceva uso solo del, detto campione chiuso in tubo di vetro saldato alla lampada che s'immergeva nell'emul- sione di virus come nelle precedenti. In tal modo nel primo caso si sperimentava solamente colle emanazioni, nel secondo colle emanazioni e radiazioni insieme e nell'ultimo esclusiva- mente colle radiazioni. I risultati di queste ricerche furono i seguenti: Tutti gli animali inoculati col virus sul quale avevano agito le sole emanazioni (2) per la durata di 24 ore morirono di rabbia contemporanea- mente ai controlli; invece sopravvissero quelli (3) operati con virus esposto contemporaneamente, e per la stessa durata dei precedenti, alle emanazioni ed alle radiazioni: in ultimo morirono di rabbia come i controlli gli ani- mali iniettati con emulsione esposta, sempre per lo stesso tempo, alle sole radiazioni. Questo significa che le emanazioni e le radiazioni separate, nelle con- dizioni di esperimento in cui ci siamo posti, non hanno alcuna azione in vitro sul virus rabido; e che per ottenere la sua scomposizione occorre fare agire contemporaneamente sullo stesso virus le une e le altre insieme. Ciò troverà piena conferma nei risultati conseguiti con l'altra serie di esperimenti. D) Esperienze con suli di radio usato allo stato secco. — In tali esperienze ci siamo valsi di due campioni di radio che sapevamo, nelle con- dizioni accennate nelle nostre precedenti pubblicazioni, scomporre completa- mente il virus fisso dopo una esposizione di 6 ore. Di questi campioni, uno, contenuto nella solita scatoletta modello in- glese e costituito da 1 deg. di bromuro di radio a 500.000 U.R. a Ctg., serviva come sorgente per le emanazioni, l'altro, costituito da 2 Ctg di bro- muro di radio a 100.000 U. R. a Ctg., come sorgente per le radiazioni. A questo fine, e per eliminare rigorosamente la fuoriuscita dall'appa- recchio delle emanazioni, e nello stesso tempo per non variare affatto le condizioni relative al passaggio delle radiazioni, la solita scatoletta inglese che conteneva il campione in parola, era stata chiusa entro una scatola di piombo a perfetta tenuta con un foro in corrispondenza della superficie ra- diante sul quale era fissato con mastice a caldo lo stesso schermo di mica tolto dallo interno dell'apparecchio. Per usufruire poi delle sole emanazioni del campione n. 7 ci sì valeva del fatto che queste possono essere condotte mediante un tubo di vetro, e nostra disposizione dal ch.mo prof. G. Ciamician, che qui ci piace di ringraziare; era costituito da 5 millig. di bromuro di radio acquistato dalla casa D. Richard Stheiner di Hamburgo; non era dichiarato quale valore radio attivo possedesse. — 489 — che le radiazioni sono completamente arrestate da uno schermo di piombo, ed in conformità di questi concetti si disponeva il relativo apparecchio. Questo era quindi costituito da una piccola camera di vetro a perfetta tenuta che conteneva la scatoletta col campione n. 7 e le emanazioni che fuoriescono erano condotte mediante un tubo di vetro a doppia piegatura ad angolo retto con angoli alterni interni fra loro, in un'ampolla, pure di vetro, nella quale doveva essere collocata la provetta di alluminio con la piccola quantità di emulsione di virus rabido da sperimentare; l’ampolla in parola e tutta la parte superiore dell'apparecchio erano protette dalle radiazioni che s'irradiavano dallo stesso campione mercè un grosso schermo di piombo. Quando poi si voleva sperimentare insieme l’effetto delle emanazioni e delle radiazioni, allora la provetta di alluminio contenente il virus sì fa- ceva poggiare entro l’ampolla di vetro ricordata sopra il secondo campione protetto, come è stato detto, per impedire assolutamente la fuoriuscita delle emanazioni. Il risultato di queste esperienze è stato molto netto; morirono nello stesso tempo dei controlli tutti gli animali operati con virus sottoposto alle sole radiazioni (4) anche se la durata della esposizione fu di 16-24 ore; invece vissero tutti tre i conigli inoculati sotto la dura madre colla emul- sione rabida stata esposta contemporaneamente per 16 ore alle emanazioni ed alle radiazioni. Riguardo al tempo necessario per aversi in tal modo la scomposizione completa del virus rabido, noi non abbiamo cercato il termine minimo; in- teressandoci più che altro l'accertamento del fatto. Possiamo solo affermare che mediante l’azione contemporanea delle emanazioni e delle radiazioni provenienti da sorgenti separate, come fu operato con l'apparecchio prece- dentemente descritto, il tempo necessario per aversi la scomposizione com- pleta del virus è un poco maggiore di quello dato dai due campioni, quando per ciascuno di essi si ufilizzano in modo diretto e nella maniera da noi indicata le emanazioni e le radiazioni che regolarmente producono. Infatti, mentre in questo ultimo caso bastano 6 ore per annullare com- pletamente ogni azione patogena del virus rabido inoculato sotto la dura madre dei conigli, invece quando si fanno agire sullo stesso virus le ema- nazioni e le radiazioni che vengono rispettivamente da due campioni diversi, una esposizione per ugual tempo non è più sufficiente per aversi i medesimi effetti e l’emulsione rabida provata sotto la dura madre del coniglio deter- mina la morte come nei controlli. È che la cosa debba essere così è facile a comprendersi, perchè col dispositivo che abbiamo dovuto adottare per sperimentare l'azione combinata delle emanazioni e delle radizioni sul virus rabido, le prime debbono fare un cammino assai più lungo per arrivare alla emulsione di sistema nervoso = rasi __— tdi he - Ì ' | | [| Ì | À — 1490 — e quindi, in ragione del maggior tempo necessario perchè le emanazioni stesse possano riempire tutto l'apparecchio, deve verificarsi un ritardo nella loro azione. Questi risultati, pertanto, ci permettono di concludere che, nelle con- dizioni in cui ci siamo posti, per aversi la scomposizione del virus rabido, tanto con soluzioni di sali di radio, quanto con gli stessi sali allo stato secco, è assolutamente necessaria la presenza delle emanazioni come già ri- sultava dalle nostre precedenti ricerche. Inoltre ci fanno conoscere che a tale effetto le sole emanazioni non sono sufficienti e che occorre insieme il concorso delle radiazioni. In altre parole la scomposizione in vitro del virus rabido è data dall'azione contemporanea delle emanazioni e delle radiazioni, mentre nell’animale, come abbiamo detto, bastano le sole radiazioni per impedire od arrestare gli effetti dello stesso virus e guarire la malattia. Tutto questo, poi, sempre che si ottemperi alla condizione già accennata in altro lavoro, cioè di sottoporre in vitro all’azione del radio solo piccola quantità di emulsione rabida (alcuni decimi di cc.) e di dare alla massa esposta la maggior superficie possibile. Che se la quantità del virus esposto fu assai maggiore (5-10 cc.) allora buona parte della emulsione si sottrae all'azione delle emanazioni e le prove subdurali con essa praticate uccidono nello stesso tempo dei controlli. Quindi, se con le nostre ricerche può dirsi risolta la questione scien- tifica relativa alle ragioni che determinano la scomposizione in vitro del virus rabido a mezzo del radio, lo stesso non può affermarsi per la questione pratica diretta ad ottenere grandi quantità di virus scomposto da servire come vaccino e intorno alla quale ci stiamo adesso appunto occupando. È) facile poi intendere la differenza notata fra l'azione in vitro e quella nell’animale quando si ricorda quanto fu accennato in altro lavoro (*) a ri- guardo di quest ultima, cioè che essa si esplica efficacemente solo in alcuni periodi della malattia che corrispondono alle prime fasi di sviluppo del germe in cui verosimilmente si hanno forme evolutive facilmente attaccate e distrutte dai raggi del radio, mentre fallisce in modo costante nei periodi più tardivi della malattia in cui si trovano forme maggiormente resistenti che poco o nulla sono influenzate dallo stesso mezzo fisico. Ne viene quindi che mentre nell’animale si può agire vittoriosamente nella rabbia colpendo la malattia in quel periodo in cui si hanno solo forme iniziali del germe che sono facilmente distrutte dalle radiazioni, invece queste, come non sono più sufficienti a produrre lo stesso benefico effetto nell'ultimo periodo della malattia, così non possono agire da sole sul virus preso dal cadavere che (1) Tizzoni e Bongiovanni, Dell'azione curativa dei raggi del radio nella rabbia da virus di cane. Rendiconti della R. Accad. dalle Scienze di Bologna, anno 1905-1906, seduta 26 nov. 1905. — 491 — contiene ugualmente le forme più resistenti del germe e per la distruzione delle quali, oltre alle radiazioni, occorre anche il diretto concorso delle ema- nazioni. In tal modo i fatti da noi osservati in vitro e nell'animale non stanno fra di loro in aperta contraddizione come a prima vista potrebbe sembrare, ma anzi si completano, s' integrano a vicenda. Dopo ciò, volendo risalire dalle cose riferite alla loro ragione di essere è lecito domandarci per prima quale è la parte che prendono le radiazioni nella scomposizione in vitro del virus rabido; cioè servono esse indiretta- mente valendo a determinare una specie di conducibilità del metallo per le emanazioni in modo che queste possano arrivare fino a contatto del virus, oppure agiscono direttamente sulla emulsione rabida, sia concorrendo con le emanazioni alla sua distruzione, sia operando semplicemente a guisa di una sensibilizzatrice ed in modo che il virus possa mediante questa risentire più efficacemente gli effetti delle emanazioni? Il fatto che le emanazioni trasci- nate da sole meccanicamente nel tubo col vuoto contenente il virus da spe- rimentare non riescono in nessuna maniera a determinare la scomposizione anche dopo un lungo contatto, mentre tale scomposizione si ottiene in modo completo solo che alle stesse emanazioni si aggiungano le radiazioni che provengono da un campione chiuso in tubo di vetro saldato alla lampada e immerso direttamente nel virus, ci sembra escludere la prima ipotesi che in difetto di cognizioni più precise noi avevamo avanzata nelle nostre pre- cedenti pubblicazioni. Al fine, poi, di rischiarare maggiormente tale questione noi abbiamo voluto vedere ancora se in vitro la natura del metallo di cui è costituita la provetta che contiene l'emulsione avesse qualche influenza sulla scompo sizione del virus rabido in vitro; e ciò anche per stabilire possibilmente se l'influenza in questione si esercitasse secondo le note leggi della conduzione elettrica, oppure secondo il grado di permeabilità dei singoli metalli per le emanazioni emesse dal radio. Ma a questo riguardo abbiamo potuto solamente osservare che, all'in- fuori dell'alluminio, tutti gli altri metalli da noi sperimentati (rame, zinco, piombo) si comportano allo stesso modo del vetro, cioè sono assolutamente inadatti a permettere che nella provetta si determini a mezzo del radio la scomposizione del virus rabido. Così, mentre con la provetta di alluminio nelle condizioni da noi indi- cate basta un minimo di 6 ore di esposizione al radio per ottenersi costan- temente la scomposizione completa del virus rabido fisso, invece questo virus mantiene inalterata tutta la sua potenza, e gli animali operati con esso sotto la dura madre muoiono di rabbia come i controlli, 0 poco tempo dopo, quando al tubo di alluminio si sostituisce un tubo di rame, di zinco o di piombo, od anche semplicemente un tubo di vetro. RenpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 63 — 492 — E ciò pure nel caso in cui si allunga la posa ordinaria di 6 ore fino ad un tempo massimo di 24 ore cioè sì espone il virus al radio per un tempo 4 volte superiore a quello necessario per ottenere effetti positivi con tubi di alluminio. Solo con provette di rame ebbe a notarsi un qualche ri- tardo dopo una posa abbastanza prolungata, ritardo che fu di 1!/,-4 giorni col virus esposto rispettivamente al radio per 10-24 ore. Quindi a riguardo della provetta che contiene l'emulsione noi possiamo affermare che la natura del metallo di cui essa provetta è costituita ha un importanza grandissima nella scomposizione in vitro del virus rabido; che di tutti i metalli provati, alluminio, rame, zinco, piombo, solo il primo, che si sa possedere la maggiore permeabilità per i raggi del radio, si mostrò atto alla produzione del fenomeno di cui è questione; che nelle esperienze in scala non fu possibile rilevare l’esistenza di un rapporto diretto fra la scomposizione del virus rabido e il grado di conducibilità elettrica dei sin- goli metalli o della loro permeabilità per i raggi del radio. Matematica. — Sopra le superficie algebriche che hanno le coordinate del punto generico esprimibili con funzioni mero- morfe quadruplamente periodiche di due parametri. Nota I di G. BA- GNERA e M. pe FRANCHIS, presentata dal Corrispondente ENnRIQUES. 1. È noto che, se (1) X=®;(u,v ,Y=®.(u,v , 4=®;(u%) sono funzioni meromorfe di u,v, che posseggano le quattro coppie di pe- riodi fondamentali: (2) 01,02, 03, 04 , , , , di, 2,03) 04, e tali che esse non si possano considerare come funzioni di un solo para- metro dipendente da w,v, fra X,Y,Z intercede una sola relazione algebrica irriducibile : (3) EX,Y,Z)}=0. Conviene distinguere due casi: 1) Ad un punto della superficie F corrisponde, a meno di periodi, una sola coppia di parametri , v. Allora diremo che F è una superficie /perellittica appartenente alla tabella (2); ogni funzione meromorfa di w,v che possegga i BERO (2) si esprime, com'è noto, razionalmente con X, Y , Z. 2) Ad un punto della superficie F cortisponde un numero 2 > 1 di coppie incongrue di parametri %, v. 498 — Allora, se costruiamo una superficie perellittica appartenente alla ta- bella (2): (4) c= Pv) ’ y= Ya(, 0) ’ e= @s(4,0), possiamo scrivere: DI_Ri(z;y:12) (5) M_Rs(@,y 8) Z=Rs(x,7,%) essendo le R funzioni razionali; e la superficie"F è l’immagine di una invo- luzione algebrica di grado x sopra la superficie iperellittica (4); precisa- mente ad un punto di F corrispondono gli n punti di (4) che si hanno per le x soluzioni incongrue delle (1). Questa involuzione può avere curve luoghi di punti uniti e curve /0nda- mentali (i cui punti cioè sono coniugati con un punto fisso). /Voz e porzamo nell'ipotesi che l’involuzione non possegga curve fondamentali coniugate a punti uniti. Si dimostra poi che, se la superficie F, immagine della invo- luzione, non è birazionalmente identica ad una rigata (razionale od ellittica), l’involuzione non possiede curve luoghi di punti uniti. Noi ci mettiamo addi- rittura in questo caso. Siano (4,0), (w',v') due punti coniugati dalla involuzione, (2, y , 2), (2°,y' , 8") le loro coordinate: dimostriamo in primo luogo &',y",z' sono funzioni analitiche uniformi di u,v. E difatti, se (u, 0) descrive un ciclo chiuso nello spazio reale a 4 dimensioni dove si rappresentano i parametri u e v, questo ciclo può ridursi infinitesimo con deformazione continua senza traversare punti nei quali accada la coincidenza di (4°,y',) con qualcun altro dei coniugati di (u,v), e ciò perchè i punti uniti dell’ involuzione ed i loro coniugati sono isolati, in forza delle ipotesi fatte. Se allo stesso punto (2,7,) facciamo invece percorrere un ciclo chiuso sopra la superficie (4), u e v ritornano; in generale, aumentati di periodi, e può il punto (4, y°, 2°) scambiarsi con un altro dei coniugati di (2,y,2); dunque «’, y",<" non sono, in generale, funzioni razionali di 2, 7,4. Per renderci conto di questi scambi, basta studiare ciò che avviene per i cicli chiusi di (4) che corrispondono alle 4 coppie di periodi (2). Per uno di questi cicli, i punti del sruppo individuato da (4, ,4) subiranno una permutazione; ma, giacchè il numero di queste permutazioni è finito, ripetendo il ciclo un conveniente numero di volte, ogni punto del gruppo riprende il suo primitivo posto. Si vede dunque che è possibile determinare un numero intero 4 tale che i cicli corrispondenti ai periodi do, 40, 403 40, r , doi do) da, 4%, (2) A =" =# E — tous siro BTES sede = e = na SE G 3 n —— ile - — —_—_—_upeglio 5 se ER” la — 494 — ed alle loro combinazioni lascino fermo ogni punto del gruppo, ed in parti- colare:(2i0y 4). Si consideri ora la superficie iperellittica: _o(:2) MI 0) (4) 5-9:(5,3) ’ n=9:($:3) a 9:(5,5) la quale non è altro che la stessa (4); però, scritta così essa appartiene alla tabella (2). Infatti le funzioni g riprendono, per ipotesi, i loro valori solo quando gli argomenti i 5 aumentano di periodi (2), cioè quando w,v aumentano di periodi (2). Giacchè le funzioni 4,9, di u,v ammettono i periodi (2) esse si esprimono razionalmente con $,7,. Anche «",y",s' si esprimono razio- nalmente con £,»,é. Infatti 4‘, y, 4" sono, da una parte, funzioni algebriche di #,7,6$ e d'altra parte, quando il punto (£,7,6) descrive sopra (4) un ciclo chiuso, il punto corrispondente (4, 7,2) descrive sopra (4) un ciclo chiuso che è una combinazione dei cieli corrispondenti a (2), e perciò &",%y",' riprendono i valori iniziali. La trasformazione semplicemente razionale che fa passare dal punto (2,9 ,) al punto (£,7,€) porta #, 0’, che sono due zutegrali semplici di prima specie di (4) calcolati nel primo punto, in due integrali semplici di (4) calcolati nel secoudo punto, cioè nel punto ; ma ogni così fatto ad ZANE integrale di (4) è una combinazione lineare di yi 6) u=au 4 pvt e =qut do +4 ce v con a,f,y,0,c,c costanti tali che ad — 8y non sia nullo. Questa è la forma delle soluzioni del sistema (1) espresse mediante una di esse. 2. Tutte le sostituzioni lineari (6) formano un gruppo T, perchè esse trasformano in sè uno stesso gruppo di punti coniugati; di questo gruppo T° consideriamo il sottogruppo G, invariante in T, costituito da tutte le ope- razioni (6) che siano del tipo: u — Seti vo = vie in G è, a sua volta, contenuto il gruppo fondamentale di (4), cioè il gruppo formato da tutte le operazioni: u=u+9 , v=v+9, e perciò si ha: essendo £ ed £' una coppia di periodi. — 495 — L'indice di quest'ultimo gruppo rispetto al gruppo principale I° è evi- dentemente il grado 7 della involuzione; se denotiamo con % l'indice dello ; x 10,77); < OI CRZN È 3 stesso gruppo rispetto a G, sarà 3 l'indice di G rispetto a Y. Si costruisca ora una superficie iperellittica: f(E 7,5) =0 il cui gruppo fondamentale sia G; ciò è possibile perchè le funzioni mero- morfe di %,v che restino inalterate per le operazioni di (G esistono: un esempio è fornito dalle (1) stesse, le quali non si alterano per tutte le ope- razioni di I° ed in particolare per quelle di G. Giacchè il gruppo 7 contiene G, le X, Y,Z sono funzioni razionali di E,n,6, e, siccome G contiene il gruppo fondamentale di (4), le $,n,6 si esprimono razionalmente con #,y,4. Dunque, la nuova superficie iperellit- tica (£,7,é) è l’immagine di una involuzione, evidentemente di grado ?, sopra la (4), e la nostra superficie F è l’immagine di una involuzione di grado o sopra la superficie (£, 7,4%). L'indice 7 vale 1 solo quando G coincide col gruppo fondamentale di (4); in ogni altro caso, possiamo abbassare il grado della involuzione pas- sando ad un’altra superficie iperellittica. Abbiamo dunque il diritto di supporre che G sia il gruppo fondamen- tale di (4); allora noi diremo brevemente che il gruppo I° è normale ri- spetto alla tabella (2). | Sotto questa ipotesi, ogni operazione di I° rappresenta una trasforma- zione dirazionale della superficie iperellittica (4) in sè. Infatti, quando nelle (6) aumentiamo % e v di periodi, 7 e v aumentano pure di periodi e reciprocamente, perchè, in caso contrario, I° conterrebbe operazioni del tipo: UU, VD = VE senza che (ce, c') fosse una coppia di periodi. Dunque: La superficie F è immagine di una involuzione sopra una superficie iperellittica, generata da un gruppo finito di trasformazioni birazionali della superficie iperellittica in sè. Ad ogni operazione del sottogruppo invariante G di Z° corrisponde l’iden- tità; conviene dunque considerare I° rispetto al modulo G. 3. Il genere (geometrico) p e la irregolarità j della superficie F si pos- sono in modo facile determinare con la semplice ispezione delle operazioni di T. I numeri interi p ed j si lasciano ordinatamente definire come il nu- mero degli integrali doppî di 1* specie ed il numero degli integrali sem- plici di 1? specie linearmente indipendenti che la superficie che si considera possiede. ci = == SI i 496 — Anzitutto osserviamo che ogni integrale doppio o semplice di 1* specie della superficie F, viene, dalla trasformazione razionale (5), portato in un integrale di egual nome della superficie iperellittica (4), e, siccome una superficie iperellittica possiede, come è noto, un solo integrale doppio di 1 specie e due soli integrali semplici di 1* specie linearmente indipendenti, per la superficie F può essere: pi0f06d = 0,1,2. Supponiamo p= 1. L'integrale doppio di 1* specie di F: [fre ,Y,7) dX dY, quando si esprime con v,v servendosi delle (1), deve ridursi all'unico in- tegrale omonimo di (4) che è, a meno di un fattore costante: Î du dv . Dunque, facendo il detto cambiamento di variabili, si ha: R(X,Y,Z)dXdY= du dv. Se ora scriviamo %',0' al posto di «,0, il primo membro di questa eguaglianza non si altera; segue che: du' dv' = du dv e perciò il determinante Jacobiano: vale 1. E sussiste anche la proposizione reciproca, cioè che, se tutte le sosti- tuzioni di T sono unimodulari, la superficie F_è di genere 1. Dunque: La superficie F é di genere zero 0 di genere uno secondo che esiste o non esiste una sostituzione di T che non sia unimodulare. Per ciò che riguarda la irregolarità j di F, si hanno i seguenti risultati : 1) Ze superficie F che hanno la irregolarità eguale a 2 sono sol- tanto le superficie iperellittiche. 2) Per le superficie F che hanno l'irregolarità eguale ad 1, il corrispondente gruppo normale T è ciclico, e la sua sostituzione genera- trice ha uno dei moltiplicatori eguale ad 1 e l'altro diverso da 1. Fuori dei casi 1) e 2) la superficie F è regolare. Si osservi che le superficie F di irregolarità 1 sono sempre di genere zero. 4. Si consideri una operazione di Z° fuori di G; una siffatta operazione esiste, a meno che, essendo 7° supposto normale, la superficie F non sia birazionalmente identica alla superficie iperellitica (4). — 497 — Questa operazione, con un cangiamento lineare dei parametri, se occorre, supponiamola ridotta al tipo: (6) =late , =; i numeri Z, w sono ciò che sì chiamano i moltiplicatori della sostituzione che si considera; nel nostro caso essi sono radici dell'unità, perchè il gruppo Y è di grado finito (mod. G). Intanto, come già si è detto, quando « e v aumentano di periodi, w' e v' debbono aumentare di periodi; si ha dunque per i valori 1,2,3,4 dell'indice »: 40, = 410, + 49 09 + 4,303 + @v4 04 uo, iaia + Uva ©; + Uy3 03 + da ©; ’ (7) essendo le 4 numeri interi. Segue che 4, sono radici dell'equazione di 4° grado: Gai 7-0. Mz 4,3 Arad dar dar — 0. 423 Ua4 2205 431 U32 Uz33—0: ds day 442 A4g Ogg Q Allora, se m è il grado (mod. G) del gruppo ciclico generato da (6) e g(m) è la solita funzione enumeratrice di Gauss, deve essere: pm) =4, e perciò dobbiamo considerare soltanto i seguenti valori di 7: Mi 2A 5,6, 8, L0MI2E Ecco una nostra proposizione fondamentale la cui dimostrazione è troppo lunga per essere riportata qui: Se 7, non sono numeri quadratici, iL gruppo T° porta sempre superficie E razionali. Ammesso ciò, dobbiamo ritenere: MIS 08 e 4, 4 possono quindi essere scelti esclusivamente fra: 1 — l, da —î, E, — ‘e E, essendo e una radice cubica immaginaria dell’ unità. Tutti questi casi di moltiplicazione complessa delle funzioni iperellit- tiche, se si eccettua il caso u=—-ute ,| v=—-v4c, ei e usa ep A = nei RTS ti — 493 — esigono speciali relazioni tra ì periodi; si tratta dunque di funzioni iperel- littiche singolare. Per arrivare a queste relazioni osserviamo che, in corrispondenza alla sostituzione (6), i periodi di x e v subiscono simultaneamente, come mo- strano le (7), una sostituzione lineare quaternaria la cui matrice è quella formata coi numeri interi a. Questa sostituzione è di ordine finito e preci- samente dello stesso ordine di (6). Ora, se cambiamo i periodi fondamentali, ponendo per i valori 1,2,3,4 dell'indice »v: i Q,= hy1 0, + ky 00 + ly303 + Ay4 04, Q,= ho + hy3 0, + hy303 + hu Oi, dove le % sono interi il cui determinante vale +1 o — 1, i nuovi periodi 2,,', subiranno per la stessa (6) una nuova sostituzione quaternaria che è una trasformata della prima. E possiamo approfittare della arbitrarietà delle % per ridurre, caso per caso, la matrice della a a forma semplice. Riassumeremo i nostri risultati scrivendo le tabelle ridotte alle quali siamo giunti e le sostituzioni generatrici del corrispondente gruppo T; ad ognuno di questi gruppi corrisponde una superficie F. Noi possediamo già, per la maggior parte di queste superficie, le equa- zioni esplicite; per le altre ci proponiamo di proseguire la nostra analisi tentando prima una rappresentazione parametrica con le funzioni @ iperel- littiche. Ma non ci facciamo illusione circa le gravi difficoltà che presenta il problema, difficoltà dovute principalmente all’indole riposta delle relazioni che intercedono tra i moduli delle funzioni in discorso. Matematica. — Sulla risoluzione apiristica delle congruenze binomie. Nota di MicHELE CIPOLLA, presentata dal Corrispondente A. VENTURI. Matematica. — Sugli integrali multipli. Nota di G. FuBINI, presentata dal Socio Lurci BIANCHI. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 499 — Geografia fisica. — II. Applicazioni geologiche della Teoria elastica delle dislocazioni tectoniche. Nota di Lurci De MARCHI, presentata dal Corrispondente T. LEVI-CIVITA. 1. Deformazioni in una zona costiera. — Dalle formole trovate nella precedente Comunicazione nell'ipotesi di due striscie sottilissime, l'una aggra- vata, l’altra alleggerita, si passerebbe facilmente, per il principio della so- vrapposizione dei piccoli movimenti, alle formole più generali pel caso di un numero qualsiasi di rette parallele sollecitate, comunque disposte, purchè siano soddisfatte le condizioni dell'equilibrio rigido 2p=0 Zep=0, dove con p si denotano le pressioni, positive o negative, e con e le distanze delle rispettive rette d'applicazione da una retta parallela considerata come asse delle y, la cui intersezione con un piano verticale qualsiasi, in cui basterà studiare le deformazioni, chiameremo 0r7gine. Limitiamoci al caso di un sistema continuo di forze normali alla super- ficie, di cui le positive siano tutte da un lato e le negative tutte dall'altro lato dell'asse delle y e che vadano prima crescendo e poi decrescendo in valore assoluto col crescere della distanza, e in modo che siano soddisfatte le accennate condizioni. Questo caso risponde all'ipotesi della degradazione di un continente contiguo al mare, degradazione che è massima lungo una certa zona, e il cui prodotto viene depositato in proporzioni sempre crescenti prima sulla pianura e poi nel mare, dove vi è pure una zona di massima sedimentazione. Le formole relative si potranno ottenere, in alcuni casi più semplici, per integrazione delle formole (5-7) della precedente Memoria; ma noi pos- siamo farci anche per semplice induzione una rappresentazione del modo in cui sono distribuiti gli spostamenti. Noi dovremmo infatti ripetere per ogni coppia di forze contrarie, applicate a punti situati l'uno da una parte e l’altro dall'altra dell'origine, le conclusioni della precedente Memoria e sommare gli spostamenti. Per ciascuna coppia, e quindi per la somma di tutte, sulla verticale dell'origine lo spostamento verticale è nullo, e il movimento è discendente dal lato della sedimentazione, ascendente dal lato della degra- dazione. In superficie si ha la formazione di una grande sinelinale, 0 geosinclinale, dal primo lato e di una grande anticlinale, 0 geoanticlinale, dal secondo, i cui assi eoincideranno presso a poco colle linee di mas- sima sedimentazione e di massima degrazione (*). L'affondamento e l’ele- (1) Si può obbiettare che gli scandagli delle grandi fosse oceaniche non hanno rive- lato che un esiguo strato di sedimenti a radiolarie e globigerine, ma, come vedremo, ReENDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 64 E n P-- re == o sr —r pate Pera COS > __ so ne RE CREA ia Ni SES 4 500 — vamento superficiali per 3, 4 mila metri di sedimento possono raggiungere parecchie migliaia di metri. Lo spostamento orizzontale w in superficie è nullo, tranne che nella zona di applicazione delle forze, dove è costante, vi è eczoè in questa zona uno scorrimento traslatorio dalla geoanticlinale verso la geosinelinale. In profondità ogni coppia di forze determina una curva «= 0, che di- vide una regione profonda, dove la % è positiva (cioè diretta dalla geosin- clinale verso la geoanticlinale), da una regione superficiale ed esterna, dove la « è negativa; questa curva ha la forma indicata nella fig. 2 (Mem. preced.), e interseca la verticale dell'origine nel punto A (centro di rotazione) ad una profondità che è circa un quarto della distanza delle due forze. Per le forze più vicine all'origine il vertice di questa curva è assai prossimo alla superficie. Nella somma degli spostamenti le aree delle x positive e negative parti- colari a ogni coppia danno origine, sovrapponendosi, a una curva risultante u= 0, il cui punto d'intersezione coll’asse delle z, cioè il centro di rota- zione della massa, è assai più vicino alla superficie di quello rispondente alla coppia di maggiore intensità. Abbiamo quindi sotto la zona sollecitata uno strato relativamente non molto profondo, dove la u è negativa, mentre fuori della zona stessa questo strato cresce in profondità tino a diventare infinito. La u negativa è massima sulla verticale dell'origine, ma può presentare dei massimi secondarî anche in altri punti su ogni orizzontale, e specialmente at- torno alle zone di massimo sprofondamento e sollevamento. Nelle zone più esterne, tanto da una parte che dall'altra della zona sol- lecitata, la componente verticale, discendente da un lato, ascendente dall'altro, diminuisce lentamente cosicchè uno strato orizzontale ivi non fa che incli- narsi lentamente, mentre si sprofonda o si solleva, verso l'interno dal lato della sinclinale, verso l'esterno dal lato dell’anticlinale. 2. Dissimetria dei rilievi montuosi. — Uno degli argomenti, su cui il Dana e il Suess (*) maggiormente insistono per dimostrare la falsità della teoria del sollevamento, è la dissimmetria di tutte le catene montuose, che presentano un pendìo molto più ripido da un lato che dall'altro, e precisa- mente verso le grandi fosse oceaniche o verso le pianure o le grandi valli sprofondate. Così le Alpi verso la Valle del Po, l'Appennino verso il Mediter- raneo, i Carpazi verso il piano Ungherese, gli Allegany verso l'Atlantico, le Roc- ciose e le Ande verso il Pacifico ecc. Questo fatto risponde al nostro concetto che le grandi dislocazioni orogenetiche rispecchiano deformazioni elastiche queste fosse, tanto nell'Atlantico che nel Pacifico, rappresenterebbero il risultato di un processo già finito. Inoltre è a notarsi che nelle fosse è più intenso il processo di costi- pamento dei materiali, e che finalmente i depositi stessi organici possono nascondere la natura elastica del fondo, (*) Vedi in particolare Suess, Die Entstehung der Alpen, Wien 1875, cap. II, III — 501 — progressive, conseguenza del progressivo trasporto del materiale di denuda- zione delle terre emerse nei mari. Il massimo e più rapido dislivello prodotto “da questi spostamenti sì presenta infatti nella zona sollecitata, mentre al di là del massimo rilievo tutta la superficie si eleva, degradando dolcemente verso l'esterno e determinando quindi un gradiente molto più dolce. Com'è noto, secondo Suess il processo orogenetico non sarebbe che una manifestazione della contrazione degli strati superiori della crosta terrestre, per effetto del raffreddamento del globo, contrazione che in alcune regioni si verifica più in senso verticale che orizzontale, in altre più in senso orizzon- tale che verticale; nelle prime si avrebbero aree di sprofondamento, nelle seconde aree di corrugamento e lungo le linee di separazione le pieghe sol- levate si troverebbero a strapiombo sulle aree sprofondate, giustificando la ripidità del pendìo assai maggiore da quel lato che non dal lato opposto, dove le pieghe andrebbero a morire gradatamente. A questa teoria si oppon- gono varî argomenti (!); mi basterà accennare al fondamentale, che cioè il raffreddamento terrestre, certamente lentissimo, non è sufficiente a spiegare i grandi dislivelli e la sensibile riduzione del raggio terrestre che sarebbe rappresentato dai corrugamenti orogenetici. Secondo un calcolo di Rudski (*) un raffreddamento di circa S° in un milione d'anni non darebbe al massimo che un abbassamento di 7,21 piedi. La teoria elastica non fa che sostituire a questa una causa più evidentemente effettiva. 9. Formazione di pieghe secondarie e loro inclinazione. — La teoria fu svolta nell'ipotesi che la crosta terrestre sia omogenea, isotropa e perfet- tamente elastica, mentre, come già si disse (Mem. preced., $ 1), essa è co- stituita da strati di resistenza diversissima. Poichè le tensioni elastiche si trasmettono come in un corpo omogeneo (ibid., $ 8), gli strati meno resi- stenti presenteranno spostamenti più accentuati, tanto in senso orizzontale che in senso verticale. Chiusi fra strati più resistenti essi si piegheranno come gli strati di stoffa nella classica esperienza di Hall. Tale corrugamento, che si svolge in modo molto lento, è reso possibile senza frattura evidente per le rocce elastiche dalla loro costituzione stessa, e per molte rocce com- patte dalla plasticità relativa, per la quale esse, anche soggette a piccole forze, non obbediscono alla legge di Hooke, ma si deformano progressiva- mente (Mem. prec., $ 1). Si comprende quindi che, continuando il processo di deformazione per ere geologiche, esse abbiano potuto per piccole deforma- zioni successive subire contorsioni molto complicate. Negli strati superiori più liberi di deformarsi il corrugamento sarà più regolare e darà origine a una serie di pieghe più regolari. Queste pieghe potranno essere ad asse verticale (1) V. il mio 7rattato di geografia fisica, Milano 1901, pag. 93. (?) Rudski, Deformationen der Erde unter der Last des Inlandeises (Bull. dell’Acad. des Sciences de Cracovie 1899, pag. 171). se 502 — o inclinato comunque, ma anche nel primo caso esse tenderanno a rovesciarsi, per la diversa velocità che presentano a varia profondità negli sposta- menti ulteriori. Se consideriamo infatti una piega anticlinale formatasi dal lato della geosinclinale, ma nella zona di sollecitazione, sappiamo che lo spostamento orizzontale va crescendo col diminuire della profondità, essendo massimo alla superficie. La cresta dell'anticlinale si sposta quindi verso la cavità più che non sì sposti la radice, e quindi l’asse andrà inclinandosi verso l'esterno del rilievo montuoso. Lo stesso dicasi di una piega sinclinale, la cui valle rimarrà indietro nello spostamento relativo, rivolgendosi sempre più la concavità verso l'esterno. Analogamente dall'altro lato della catena in formazione, poichè lo sposta- mento orizzontale è nullo alla superficie e cresce colla profondità, le radici delle pieghe saranno spinte sotto la catena, mentre le selle anticlinali o le ali sinclinali rimarranno all'indietro, e l'asse delle pieghe andrà quindi sempre più inclinandosi verso l'esterno. (Questa inclinazione dell'asse sarà favorita anche dagli spostamenti ver- ticali, che vanno crescendo, tanto da una parte che dall'altra, quanto più le masse si avvicinano alla zona di massimo elevamento. Questa inclinazione predominante delle pieghe verso l'esterno è un fatto ri- conosciuto dai geologi (*). 4. La regione prealpina. — Chiamiamo regione prealpina ( Vorland di Suess) la regione che si estende al di là del rilievo in formazione, e che, come si è detto, partecipa al movimento ascendente, ma con intensità che va lentamente degradando mano mano che ci allontaniamo dal rilievo stesso. Ricordiamo, come carattere distintivo di questa regione, che alla superficie lo spostamento orizzontale è nullo e va crescendo colla profondità, e tanto più rapidamente quanto più siamo vicini al rilievo, mentre a sensibile distanza da esso lo spostamento orizzontale si mantiene piccolo fino a grande profondità. Tutta questa regione quindi si eleva lentamente in blocco senza deformazioni (') Suess, Za face de la terre, trad. frang. Paris, vol. I(1897), pag. 142: « cependant, Thurmann l’a depuis longtemps demontré pour le Jura et Heim lui-mème en indique des nombreux exemples dans son grand ouvrage, l’observation nous apprend que, dans une région donnée, la majorité des plis sont déjétés dans un seul et méme sens, et de telle sort que la téte du pli est dirigée vers l’extérieur, et la pointe du synelinal suivant vers l’intérieur: dans la plus grande partie des Alpes, par conséquent, les anticlinaux font face au nord et les synelinaux regardent au sud. Cette circonstance donne l’explication de la règle énoncée par B. Studer, è savoir que le couches recourbées en C, dans les Alpes suisses, tournent leur concavité vers l’extérieur ». Non si esclude però la possibilità anche di pieghe rovesciate verso l'interno. Per es. una sinclinale aperta verso l’esterno può essere sollevata più alla punta che all'estremità delle sue ali e potrà quindi affiorare alla su- perficie coll’aspetto di un’anticlinale rovesciata verso l'interno (Doppia piega di Glarus). — 503 — notevoli, e, se la stratificazione è orizzontale, si manterrà tale anche nel sol- levamento; in generale la massa conserverà quella condizione di corruga- mento che ha assunto nel suo tragitto attraverso gli strati profondi. Questa regione prealpina, superficialmente ferma (rispetto al moto oriz- zontale), si presenta quindi in aperto contrasto colla regione fortemente cor- rugata intorno al rilievo; le pieghe anticlinali di questa saranno rovesciate verso di essa, e anche sopra di essa. Ci si presenta spontaneo l'esempio no- tissimo del Giura piegato che si rovescia per estensione di chilometri sul Giura tavolare. Ma Suess ha messo in evidenza come questo contrasto si affermi lungo tutto il bordo settentrionale del sistema Alpino-Carpatico, il cui sviluppo verso nord è evidentemente influenzato dalla presenza di una serie di massicci arcaici, dal massiccio della Francia centrale alla grande pianura russa, contro i quali sarebbe andata a infrangersi la grande ondata del corrugamento alpino, generata da una spinta da sud. Questi massicci non sono altro che perepieni (*) che subirono un sollevamento più o meno accen- tuato in epoca terziaria anche inoltrata, cioè contemporaneamente all'ultimo sollevamento alpino. Essi sono separati da zone più basse, perchè o erano tali anche prima del sollevamento generale, o rimasero indietro nel solleva- mento stesso: in alcuni casi, come nella formazione della valle inferiore del Reno, e della bassura boema, siamo probabilmente nel secondo caso. Secondo la nostra teoria questo sollevamento recente sarebbe un corollario del solle- vamento alpino dovuto alla formazione della fossa mediterranea; ma su esten- sione così grande non avrebbe potuto verificarsi senza rotture, che avrebbero dato origine a fosse non di sprofondamento, ma di minore sollevamento. o. Flessure, fratture e salti, scorrimenti (nappes de charriage). — Le rapide variazioni dello spostamento, sia verticale che orizzontale, potranno dare origine anche a pieghe monoclinali, a flessure, a scorrimenti di una massa sull'altra, e, quando la tensione superi il limite d'’elasticità, a fratture, lungo le quali lo scorrimento potrà avvenire più facilmente. È più facile che flessure e fratture si verifichino lungo piani verticali o molto inclinati, perchè la componente verticale della tensione (Mem. prec., $ 3) è assai più intensa dell'orizzontale, ed è assai più facile che si verifichino dal lato 77- terno (verso la cavità), che non dal lato esterno del rilievo, poichè sul primo lato è più rapida la variazione della tensione. Questa conclusione risponde (1) Questi penepiani a struttura corrugata sono dalla maggior parte dei geologi con- siderati come l’ultimo prodotto della degradazione subaerea di rilievi montuosi, che sareb- bero stati rasati al suolo, come se una grande pialla fosse passata sulla regione. Diffi- cilmente noi possiamo rappresentarci un processo siffatto subaereo; io credo che molti penepiani si formarono in profondità per lo scorrimento relativo delle masse l’una sul- l’altra lungo piani, come ne abbiamo un esempio nella grande faille du Midi nel bacino carbonifero del Pas de Calais (Suess. Face de la Terre, II, p. 183). — 504 — al fatto ('); mi basti citare il contrasto tra il versante meridionale e il set- tentrionale delle Alpi, e in particolare la rete di fratture periadriatiche, che i geologi austriaci avrebbero riscontrato nelle Alpi orientali, molte delle quali furono però dal Dal Piaz (°) risolute in semplici flessure con stiramenti. In una piega anticlinale rovesciata l'ala inferiore, per gli spostamenti successivi, è spinta verso il rilievo più dell'ala superiore, se la piega è sul lato esterno, ed è spinta fuori dal rilievo meno dell’ala superiore, se la piega è sul lato interno ($ 3). Il tetto della piega s'avanza quindi in am- bedue i casi sul muro, dando origine alla struttura embriciata (*) rivelata da Gressly nel Giura, e constatata generalmente nella tectonica alpina. Questi scorrimenti possono assumere dimensioni tali, specialmente in profondità, dove la massa è più plastica, e la piega può essere stirata in modo, che si spezzi. Allora per i successivi spostamenti la radice della piega, che sì mantiene più aderente al rilievo, o è spinta verso di esso più della punta staccata, si allontanerà progressivamente da questa, che rimarrà isolata a distanza sempre crescente. Quando per il progressivo moto di sollevamento i due frammenti emergeranno alla superficie, la radice si troverà molto più elevata e a distanza dalla punta, la quale poserà come una massa esotica su terreno stratisraficamente indipendente. Questo processo può dare una spiegazione delle così dette nappes de charriages, masse esotiche, klippen studiate da varî autori lungo tutta la zona delle Prealpi settentrionali (*). È naturale che esse si incontrino di preferenza sul versante esterno, che ha subìto un sollevamento generale, mentre il versante interno a non grande distanza dal rilievo si sprofonda, e quindi le selle staccate rimangono se- polte. Questa circostanza parmi provare che le masse esotiche non sono sci- volate superficialmente(?) durante il sollevamento alpino, perchè in tal caso avrebbe dovuto essere più facile lo scivolamento lungo il versante più ripido, cioè verso l'interno, e dovrebbero quindi essere più frequenti da questo lato le masse esotiche. 6. Intrusioni ed eruzioni vulcaniche. — Nella rotazione generale della massa profonda attorno al centro A, che si trova a profondità di decine di chilometri, se da un lato le masse sedimentari vanno continuamente sprofon- (!) Suess, Die Entstehung der Alpen, pag"53 e passim. — La face de la Terre,4t. 1, pag. 162 e seg. (*) Dal Piaz, Sulla tectonica dei monti fra il Brenta e i dintorni del Lago di Santa Croce. Padova 1905. (3) Suess, Za face de la Terre, 1, pag. 145 e seg. (4) Vedi la recente Memoria di Haug, Les Nappes de Charriage des Alpes cal- caires septentrionales, in Bulletin de la Soc. Géol. de France 1906, pag. 359 e seg. (5) Termier P., Les nappes des Alpes orientales et la synthèse des Alpes. Bull. de la Soc. Géol. de France, 1904, pag. 711 e seg. «Je dois admettre un déplacement super- ficiel, une translation d’ensemble du pays dynarique sur le pays alpin » (pag. 761) — 505 — dando, sotto la cavità, dall'altro lato si elevano delle masse sempre più pro- fonde. Si comprende perciò come le catene, che hanno incominciato il loro sollevamento in epoca molto remota, presentino dei nuclei di rocce cristalline, le quali però in molti casi possono essere arrivate alla superficie in epoca relativamente recente. Si avrebbero in questo caso 772/7s707n2 di graniti, gneiss e scisti cristallini, anche entro sedimenti superficiali molto più recenti. Queste intrusioni possono essere favorite da una forza espansiva propria delle rocce cristalline medesime, che, sia per l'alta temperatura, sia perchè soggette a forti tensioni negative o di stiramento, che abbassino il punto di fusione (la 33 della Mem. preced., $ 3 è ascendente, e decrescente in valore assoluto colla profondità sotto la regione in sollevamento), sviluppino abbondante copia di gas, o anche entrino in fusione. In questo caso la roccia può pene- trare allo stato liquido e gasoso, spezzando gli strati superiori e diramandosi entro di esse con apofisi, come quelle p. es. osservate da Baltzer nel massiccio dell'Aar(')., o anche erompendo all’esterno in forma di eruzione vulcanica. È noto che il vulcanismo attuale e più recente è limitato alle zone di recente dislocazione, e segue quasi esclusivamente le linee dei grandi rilievi montuosi, generalmente costieri. Molti vulcani posano sui rilievi montuosi (Ande, Rocciose, Caucaso, Appennino, Africa, Giappone), altri sono in isole non molto lontane dalla costa (Antille, Mediterraneo, Egeo, Antille orientali). Ma gli studî pazienti di Rudolph (*) dimostrerebbero che anche la maggior parte delle eruzioni sottomarine si verificano lungo la zona circumpacifica e lungo la zona dei mediterranei, cosicchè si è portati a credere (benchè man- chino documenti sufficienti per affermarlo) che anche le fosse di sedimenta- zione sono soggette a manifestazioni vulcaniche. Lo studio della distribuzione delle tensioni orizzontali, nel caso schematico, che la sedimentazione e la de- gradazione siano concentrate lungo striscie sottili, ci ha dimostrato che esiste una tensione nulla lungo il piano mediano al di sotto dell'asse di rotazione e lungo due falde di cilindro circolare che uniscono quest'asse alle rette di ‘ sollecitazione (Mem. prec. fig. 1). Lungo questa superficie complessa, la cui sezione ha presso a poco la forma di un Y a braccia concave verso l'alto, la roccia è stirata da tensioni orizzontali opposte, e lungo la gamba dell’ Y sono anche opposte le tensioni verticali. Lungo questa superficie sono quindi più facili le fratture con distacco che aprirebbero lo sfogo al vulcanesimo sotterraneo, il quale troverebbe il suo sbocco in superficie nelle due zone sol- lecitate. Nel caso di una zona continua di sollecitazione, le condizioni saranno più complesse, ma la superficie di frattura avrà sempre una disposizione ana- loga, per la quale una frattura mediana diverge negli strati superficiali ve- nendo a sboccare in due zone parallele verso la geoanticlinale e verso la (1) Neues Jahrbuch fiir Miner. Geol. u. Palacont. XVI Beilage-Band, pag. 292 seg. (?) Rudolph E., Veder submarine Erdbeben und Eruptionen. Beitrige zur Geophysik Stuttgart. Bd. I, II, IV. Vedi specialmente Bd. I, 3° Abschuitt, pag. 226 e seg. PE SI E == i E si + r renna È tutta =i erre Tea smtotirta n ea | | | — 506 — geosinclinale. determinando sulla prima una serie di vulcani subaerei, e nella seconda una serie di vulcani subacquei. 7. Formazione dei bacini oceanici. — Lungo il piano mediano, la cui retta superficiale definisce teoricamente la linea di costa, gli spostamenti e le tensioni verticali sono in senso opposto, e quindi lungo di essa sono più facili le fratture verticali con salto. La superficie si solleva da un lato e si sprofonda dall'altro a scatti, che possono spiegare i terremoti costieri, e danno origine a un gradino, dove inizialmente la superficie era in pendìo continuo. Così si stabilisce un dislivello più rapido tra la regione sprofondata e la sollevata, che determina più nettamente il distacco tra il bacino oceanico e il blocco continentale, Il processo ha però un limite. L'elevazione di un rilievo montuoso in immediata vicinanza del bacino oceanico arresta l'afflusso a questo delle acque continentali, determinando nuove linee di displuvio verso la regione prealpina. Si arresterà quindi lo sprofondamento nella geosinclinale primitiva, e se ne inizierà uno nuovo lungo un’altra zona che si sprofonderà in una geosincli- nale nuova. Così vediamo che i principali fiumi alpini sono sul versante nord, quelli delle Rocciose e delle Ande sul versante est, il che ci direbbe che il processo di formazione delle geosinclinali mediterranea e circumpacifica è in fase decrescente o di arresto, e che è già iniziato un processo di nuovo approfondamento dell'Atlantico, verso il quale affluisce la grande maggioranza dei maggiori fiumi. I grandi bacini oceanici, colle profonde fosse terminali e i rilievi cen- trali, si possono spiegare come prodotti dalla sedimentazione proveniente dai continenti circostanti, che avrebbe dato origine a geosinclinali sul con- torno, ma nello stesso tempo avrebbe determinato lo sprofondamento, ma in grado minore, anche di tutta la zona compresa: schematicamente il processo sarebbe rappresentato dalla deformazione elastica prodotta da due pressioni lungo linee parallele. E molte deduzioni se ne potrebbero forse ricavare sulla forma ed età di questi bacini. Conclusione. — La grande ristrettezza dello spazio mi ha costretto ad enunciare, in forma che può sembrare troppo assoluta, tutte le conseguenze della teoria, in quanto possono avere applicazione ai fatti geologici. Spero di poterle svolgere, in altro lavoro più esteso, in modo più completo e colle necessarie riserve. Parmi tuttavia che il fondamento della teoria meriti qualche considera- zione dai geologi. Essa non è in fondo che uno svolgimento più rigoroso della feoria isostatica, che la Geodesia moderna considera come dimostrata dalle sue misure, astronomiche e gravimetriche, del Geoide ('). Al fonda- (1) Vedi Guarducci F., XV conferenza generale dell’Associazione geodetica interna- zionale (Budapest 1906). Relazione, in Rivista geogr. ital., novembre 1906. — 507 — mento, o vago o ipotetico, dato a questa teoria dalle ipotesi di Pratt e di Faye, si sostituisce il fondamento fisico delle leggi dell’elasticità, adottate come vere in prima approssimazione. Abbiamo veduto come esse conducano naturalmente a conclusioni che, nelle linee generali, rispondono a fatti geologici. Abbiamo veduto di più (Mem. prec., $ 4) come esse diano ragione, almeno in via approssimativa, di quel compenso fra le irregolarità superficiali di forma e le irregolarità profonde di densità che mantiene al Geoide con tanta approssimazione la sua forma ellissoidica. Nessun'altra teoria, nè quella della dilatazione di Mellard Reade, nè quella della contrazione di Dana, Suess e altri, si accorda con tale postulato necessario, perchè suppone la concentrazione di masse superficialmente corrugate su aree più ristrette, senza una corrispondente modificazione delle masse profonde. Fisica. — Ricerche ulteriori sopra la conducibilità termica a basse temperature ('). Nota del dott. Pierro MACCHIA, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. 1. In una Nota precedente (*) ho mostrato come il metodo di Wiede- mann e Franz per la misura della conducibilità relativa di sostanze diverse alla medesima temperatura, possa modificarsi in modo da fornirci anche il mezzo di confrontare le conducibilità d'una stessa sostanza a temperature differenti. In quella stessa Nota sono descritte diverse esperienze, tutte ese- guite a temperature superiori a 0°C. Nella prima parte di questa seconda Nota mi propongo di descrivere brevemente alcune esperienze fatte a tem- perature più basse, e di confrontarle con le precedenti. 2. Queste nuove esperienze furono eseguite nella stessa maniera, sopra la medesima asta di piombo e con lo stesso apparecchio descritti nella Nota citata; l'estremo superiore dell'asta e l’ambiente di essa fu mantenuto alla temperatura di circa 15° mediante una corrente d’acqua, precisamente con la stessa disposizione usata nelle prime esperienze; l'unica differenza consisteva in ciò che il tubicino B (fig. 1 della Nota precedente), invece che nell’appa- recchio riscaldante, veniva ora introdotto in un recipiente cilindrico di vetro uso Dewar riempito e rifornito frequentemente d’aria liquida. In questa maniera, fatto il vuoto fino ai raggi catodici, la temperatura della sezione inferiore, 1, (v. fig. cit.) dell'asta si manteneva sufficientemente costante a circa — 94°, mentre la sezione superiore, 9, sì manteneva a 12° circa. (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Fisica della R. Università di Pisa diretto dal Prof. A. Battelli. (?) Rend. R. Acc. dei Lincei, Serie V, vol. XV, pag. 62 (1906). RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 65 =" ui: v_ Sn Le a È “2a = — 508 — Riferisco, come esempio, nelle tabelle seguenti i risultati di due serie di esperienze fatte ciascuna durante 3 0 4 ore, a partire dal momento in cui I sì è già stabilito lo stato stazionario delle temperature lungo l'asta. Il In queste tabelle, simili a quelle della nota precedente, sono scritti nella prima colonna i numeri d'ordine delle sezioni dell'asta, di cui le tempera- ture osservate per ogni serie di letture sono scritte nelle colonne seconda, | terza e quarta; nella quinta ho riportato le medie, nella sesta gli eccessi 4, | della temperatura ambiente su quella dell'asta, e nella penultima e nell’ul- tima colonna i quozienti 27”, 2p”, relativi a tre sezioni dell'asta che sono rispettivamente ad intervalli di 50 mm. e di 100 mm. TaBELLA III. Temperatura degli estremi: — 100° e 4 15,4. Ambiente a 15,4. rea Temperature dell’ast Medie Accessi tnt tntr |tn-a +tnts | perature a so nr T nti | Ina n | tn bn Dl — 939] =' 94/0.) — 990088 93.6 109.0 n La i | — 581) -— 5840 — 5740 57,9 73,4 Aa sù slilig4al — 8399] — 33,400 198,8 49,2 e 29 O 42-19 19)2°0 — 1808 19,0 34,6 2,12 dl Î Bel Soil — 870) — 80M 08,6 24,0 2,13 2,51 | Gioni = e 1 16,5 2,13 2,50 TI) A 64748 |) 4,3 li; 2,11 2,48 8: | ieri de 8,51 oi 855 6,9 2,11 2 9 118; 12,10) 120000 11,9 3,5 DA ia; — _ _ _ Medie 2,12 2,49 TABELLA IV. Temperature degli estremi: — 100° e +- 16.4. Ambiente a 16,4. . 2! 2p” Eccessi Temperature dell’asta Medie tnt tnti | ine + tinta n Dr ma | li — 940 |. Logo. 070 110,5 = 2A Ol — 584. (58/80 5856 75,0 > E Î 2A Ti re Sl 50,8 di: sa | ANSIGA N — 19,80) 2106 36,0 2,12 — | Bill gig | Lig; izio 25,3 2,12 2,48 | Gi i SLA I 17,8 2,10 2,45 QTA 46 ao 12,0 2,11 244 | 8/4 90] + 87]|+ 89 7,6 2,11 —_ | 9] 4+- 125] + 124| + 194 3,9 = = | mi La sn Medie 9,11 2,46 — 509 — Nel calcolare le costanti 27” e 2p"” non ho tenuto conto delle sezioni 1 e 2 per le quali gli eccessi 7, e 7» superano anche i 60° C., ciò che non "potrebbe permetterci di applicare la formola (5) della Nota citata, la quale può essere invece legittimamente applicata in tutta la porzione compresa fra le sezioni 3 e 9 per cui gli eccessi non superano nemmeno i 50° C. Le medie dei valori trovate per queste costanti sono in queste condizioni: 27” = 2.115 e 2p"—= 2.476. 8. I risultati così ottenuti in queste esperienze confrontiamoli ora per mezzo delle formole già trovate con quelli ottenuti nelle esperienze I, oppure nelle II precedenti, eseguite tutte come ho già detto sulla medesima asta di piombo, per dedurne poi i rapporti fra le conducibilità del piombo stesso alle diverse relative temperature. Il procedimento è in tutto simile a quello adoperato nella Nota citata e qui lo riassumerò brevemente. Se £ e h" indicano rispettivamente i coefficienti medî di conducibilità interna ed esterna relativi alle presenti esperienze, quando si confrontino queste medesime con le esperienze I eseguite fra 15° e 100° con l’ambiente a 15°, adottando per queste ultime le indicazioni già usate, dalla (5) (Nota cit.) dovremo avere MA A E CE (FA de) i Sostituendo i valori relativi otteniamo dai due quozienti rispettivamente : 1,368 e 1,378; cioè, in media, Ce a 38. Troviamo allora nel solito modo il valore di ni Se T” indica la tem- peratura assoluta di una sezione compresa nella porzione 4-7 dell’asta e Ti la temperatura assoluta dell'ambiente nelle presenti esperienze, otte- niamo, col procedimento già usato, h ET AT Toaato h' i E + Tre Do + pur Tee + 773 . Ponendo qui successivamente per T,T, e per T” T5 i valori, dedotti dalle esperienze I e dalle ultime, relativi alle sezioni 4, 5, 6 e 7, troviamo successivamente d — 2941184; = 1,1016862: quindi. po- tremo porre = e [1 gii pil |, | | ro oi = socsssa ea lE ne ee — 510 — Dalla (8) otteniamo allora il rapporto fra il coefficiente medio 4” di conducibilità fra le temperature di circa — 35° e + 12° ed il coefficiente k fra 16° e 70° circa, cioè x! 9 su : (9) } = 1.158 Confrontando invece nella stessa maniera le medesime presenti espe- rienze con le altre esperienze II con l'ambiente a 100° della Nota prece- dente; troveremo il rapporto È, fra il coefficiente X" medesimo e il coeffi- 0) ciente medio /' fra le temperature di circa 60° e 100°; cioè VAL h' dit. sO, s pp ,759 e NI niro 2,944, da cui (10) È — 1,177. Dividendo la (9) per la (10) ritroviamo naturalmente per z il valore 1,016 già trovato nella detta Nota. 4. Tentai poi di modificare la disposizione sperimentale in modo da poter giungere con questo metodo anche alla misura del coefficiente di con- ducibilità relativo fino alla temperatura dell'aria liquida. Tutto quanto il cilindro MN, il tubicino B compreso (fig. 1, Not. cit.) fu a questo scopo in- trodotto in un grande cilindro di vetro uso Dewar del diametro interno di 10 cm. e della lunghezza di 65 cm. In questo recipiente che veniva riempito e via via rifornito d’aria liquida, si poteva mantenere per un tempo assai lungo l'estremo inferiore dell'asta e tutto l'ambiente di essa alla tempera- tura di — 188° CO. circa. In tali condizioni l’estremo superiore dell’asta doveva essere mantenuto ad una temperatura costante possibilmente non superiore a — 80° circa; per la necessità che la legge di Newton fosse applicabile, per ogni singola espe- rienza a date temperature, agli intervalli di temperatura fra una porzione assal grande dell’asta e l’ambiente. Ma qui ho incontrato gravissime diffi- coltà pratiche nel fatto che tanto i miscugli frigoriferi di anidride carbonica solida e etere, o anidride carbonica solida e acetone, quanto le correnti fri- gorifere (come la corrente di etere di petrolio attraverso un serpentino immerso in uno dei miscugli suddetti, o immerso nel miscuglio di aria liquida e etere), non si mantenevano affatto a temperatura sufficientemente costante nell'intervallo di sette o otto ore in cui durava l’esperienza. — dll — Quindi pur ripromettendomi di ritornare su questo metodo appena tro- vato in seguito il modo di preparare una grande quantità di un liquido che «abbia il punto di ebollizione intorno a — 80°, deliberai intanto di adoperare un'altro metodo per determinare il coefficiente di conducibilità del piombo alle bassissime temperature ('). 5. Il nuovo metodo è fondato sulla misura diretta delle due quantità da cui dipende il coefficiente di conducibilità interno, cioè: la caduta di temperatura e la quantità di calore trasmesso nell'unità di tempo. Conside- riamo un cilindro metallico PP' (v. fig. 2) di sezione s; se manteniamo una delle sue basi, la base P, ad una temperatura costante qualunque superiore o inferiore alla temperatura ambiente, e se il cilindro stesso è supposto cir- condato da un involucro impenetrabile per il calore, dopo un certo tempo tutto il cilindro assumerà la temperatura uniforme della base P. E se allora comunichiamo all'altra base P' in ogni unità di tempo, una quantita di calore, Q, nota, in modo uniforme e continuo, dopo un certo tempo si stabilirà lo stato stazionario delle temperature in tutto il cilindro, per modo che per ogni sezione del cilindro stesso passerà in tempi uguali la medesima quantità di calore. Cioè, se consideriamo due sezioni normali M ed N del cilindro, la quantità di calore che passa attraverso lo strato MN in un secondo sarà precisamente uguale a Q. Troviamo dunque subito (1) queta, dove £ è il coefficiente di conducibilità interno della sostanza data (che è lecito ammettere come costante essendo l'intervallo di temperatura 4, — # fra le due sezioni sempre piccolo); 7, è la temperatura della sezione M, /, quella della sezione N e 4 la distanza fra le due sezioni stesse. Se possiamo dunque, in modo sufficientemente approssimato, realizzare le condizioni così definite; misurando, oltre Q, le due temperature /, e f2, la distanza 4 e il raggio del cilindro, possiamo da questa formola avere senz'altro 4. Ora ci avviciniamo, in modo per il nostro caso sufficiente, alla condizione necessaria (1) Non mi fermo qui sopra una Nota di W. Peck (Phil. Mag., vol IV, 1902) nella quale egli trova per mezzo delle funzioni di Bessel la soluzione rigorosa del problema della conducibilità in un'asta infinitamente lunga (tale, praticamente, cioè, che la radia- zione all’estremità fredda sia trascurabile) e da questa soluzione deduce due condizioni a cui deve soddisfare la soluzione approssimata di Fourier per un’asta pure infinitamente lunga. Non mi pare che queste condizioni, o almeno una di esse, siano realmente neces- sarie per il caso delle esperienze di Wiedemann e Franz che non è quello di un’asta infinitamente lunga, e quindi non mi pare siano giuste le obbiezioni che Peck fa contro quelle esperienze medesime; ma posso aggiungere in ogni caso che il piombo, date le di- mensioni dell’asta, tanto nelle esperienze di Wiedemann e Franz quanto in queste mie, è appunto uno dei metalli che soddisfa a tutte e due le condizioni. ese” = ——_s =— 299,0 Mi A È prioni) medie di 9 letture. 49,0 5* EspPERIENZA: Temperatura superiore — 188°. ti = — 181°,9 ) ; È fi = — 185° medie di 4 letture. ti l,,= 39,1 R= 9,25 I= 0,577 k= 0,109. Nella seguente esperienza 6* ho misurato direttamente la differenza di potenziale E, già accennata, agli estremi del filo riscaldante che è ancora di costantana come nelle precedenti: 6* EsPERIENZA: Temperatura superiore 269,5, DAA07 ) perio ) 91 ‘e. {, = 348 | media di 9 letture II — ta — 99,9 E = 7,961 volta I.= 0,958 k= 0,0843. RewxpicoxtTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 66 — 516 — In quest'altra esperienza 7* a bassa temperatura in cui ho misurato pure la E, il filo riscaldante è di resistina di 0,1 mm. per ottenere una distribu- zione di esso più uniforme, e una quantità di calore assai grande anche con una corrente di debole intensità. 7® EspERIENZA: Temperatura superiore — 190°. t,= —180°,6 ) (SS ui ;.Me d etture. {,=— 1851 | media di 10 cette ln ta == 49,5 E= 7,938 TI 0,554 fe 0M078 Se nelle prime cinque esperienze il valore di R può apparire un po' incerto poichè la temperatura che assume il filo riscaldante può essere troppo diversa da quella a cui la sua resistenza è stata determinata, tanto da du- bitare che faccia sentire il suo effetto ad onta del piccolo coefficiente di temperatura; queste due ultime esperienze calcolate per mezzo della E tol- gono questo dubbio, poichè la 6* dà per X un valore abbastanza concordante con quelli ottenuti dalle prime quattro a temperature poco diverse; e la 72, a bassa temperatura, dà sensibilmente lo stesso valore già ottenuto dalla 5% alle medesime temperature. Le altre esperienze da me eseguite, che per bre- vità qui non riferisco, sono ben concordanti con queste e non ne alterano le medie che sono, per il coefficiente di conducibilità fra le temperature di circa 4° e 45°: X —=0,0825 (valore che è perfettamente d'accordo coi valori già trovati con diversi metodi da molti sperimentatori); e per il coefficiente alla temperatura di — 183° circa: X = 0,108. Come si vede la conducibilità del piombo cresce assai poco alle bas- sissime temperature, conformemente a quello che abbiamo già trovato col primo metodo per temperature più alte. Mentre secondo i risultati già riferiti di E. Giebe (v. Nota preced.) il rapporto fra il coefficiente di conducibilità 0,0558 | del bismuto alla temperatura di — 185° e quello a 18° è: 00192 — 2,86; | è) per il rapporto analogo relativo al piombo per le temperature di — 183° e ) | 25° troviamo: TIE = 1,94 9. La seguente tabella mette in evidenza la relazione che sussiste fra la conducibilità termica ed elettrica del piombo fino alle basse tempe- rature. In essa sono scritti: nella prima colonna, le temperature, 4, a cui sono misurati o calcolati i coefficienti di conducibilità termica, 4, ed elet- trica, x, dati rispettivamente dalle colonne seconda e terza (in unità asso- lute); nella quarta colonna i rapporti (4/x), fra i valori di X e di x alla medesima temperatura, mentre la quinta contiene i quozienti fra questi rap- — 517 — porti stessi e la corrispondente temperatura assoluta. Noto qui che il valore k_1x==0,0921 è stato dedotto (come coefficiente medio fra — 35° e + 12°) per mezzo delle relazioni (9) e (10) ottenute col primo metodo; e i coefficienti x,,; e x_i» sono dedotti. per mezzo dal coefficiente di tempe- ratura assai ben conosciuto in questo intervallo (uguale a 0,0041), dal va- lore ottenuto a 0° da Dewar ‘e Fleming (!) (x, = 4,91.10?), i quali hanno pure trovato il valore x_1g83 = 16,6. 10°. Coeff. di couduc. | Coeff. di conduce. retiperatura termica elettrica (klz): (4) a Ta t k x.10? + 25° 0,0825 4,41 1871 6,3 — 192 0,0921 5,15 1788 6,8 — 183° 0,1080 16,60 650 1824 La quarta colonna di questa tabella indica che il rapporto (%/x), non si mantiene affatto costante per il piombo col diminuire della tempera- tura; ma, come mostra la quinta colonna, decresce, con approssimazione, proporzionalmente alla corrispondente temperatura assoluta, seguendo, cioè, assai da vicino la legge di Lorenz, per la quale (£/x): - = cost: No- 1 t4- 273 tiamo tuttavia un leggero aumento di questa quantità col decrescere di /, aumento che non può essere interamente attribuito ad errori di osservazione, e che indicherebbe che al diminuire della temperatura l'aumento della con- ducibilità termica è, rispetto all’aumento della conducibilità elettrica, an- cora leggermente maggiore di quello richiesto dalla legge di Lorenz. Tutto ciò, che è il contrario di quello che, secondo le esperienze di Giebe, avviene per il bismuto, è assai ben concordante con le esperienze fra 0° e 100°, di Lorenz (?) stesso, dai cui risultati si deduce per il piombo: (4/x)+100 esa E 5,7, e: (K4/x0) TO 08 373 De, "278 iii e anche con quelle più recenti di Jiger e Diesselhorst (*) pur esse estese fra 0° e 100° secondo le quali = 6,0, e: (F/2)418 0 ct = 5,9 È (7e/x)+100 . 291 I 373 (1) Dewar e Fleming, Proc. Roy. Soc., 60, 1896. (®) L. Lorenz, Wied Ann. 13, 428, 1882. (®) Wiss. Abh. d. Phys. Techn. Reichsanstalt, 3, 1900. — 518 — Meteorologia. — Dell’influenza della catena degli Appennini sulla distribuzione della pioggia nell’ Italia centrale. Nota del dott. FiLippo EREDIA, presentata dal Socio E. MILLOSEVICH. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisico-chimica. — Ricerche sopra il solvente H,S lique- fatto (*). Nota di G. MAGRI, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. In una Nota precedente (?) ho descritto la disposizione sperimentale che avevo messo assieme per eseguire sui solventi inorganici e sulle loro solu- zioni a bassa temperatura le seguenti misure contemporaneamente: 1° Tensione superficiale. 2° Costante dielettrica. 3° Attrito interno. 4° Conducibilità elettrica. 5° Densità. 6° Peso molecolare delle sostanze disciolte. 7° Esame dei prodotti ottenuti nella elettrolisi delle soluzioni. In questa seconda Nota rendo conto dei particolari delle esperienze e di alcuni risultati ottenuti. 1. Era molto difficile combinare insieme nella provetta laboratorio (1. c.) dell'apparecchio da me descritto, tutte le varie parti necessarie alla esecu- zione delle misure sopra rammentate; tanto più se si tien conto delle con- dizioni eccezionali in cui dovevo sperimentare. Ecco, in breve, come furono disposte ed eseguite le misure. Per la determinazione della ferscone superficiale non potei adottare il solito metodo dell'innalzamento in tubi:capillari perchè la temperatura, alla quale si trovava il menisco della colonnetta liquida ascendente, era sempre superiore a quella del liquido sottostante. Per ciò ricorsi al metodo dello Jaeger (*) che io disposi come mostra la fig. 1. TT indica la sezione del tappo, il quale poi è rappresentato in prospettiva in T nella stessa figura. geg sono i due tubi dell'apparecchio Jaeger i quali conducono il gas che deve gorgogliare nel liquido; 9g è fisso e 9’, che è tirato in punta più sottile e che quindi all'orifizio ha un diametro inferiore a 9, è scorrevole e si muove in un sistema di tubi J', a chiusura di mercurio, per mezzo della cremagliera (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Fisica dell’Università di Pisa, diretto dal pro- fessore A. Battelli. (2) Rend. Acc. dei Lincei, vol. XVI, ser. 5*, fasc. 3° (1907). (*) Wien. Sitzber., /00, pag. 245 (1891). OE F. Il gas (') che esce dai cannelli 9 e g' proviene dal gasometro G e viene asciugato, prima di giungere al tubo a tre vie # (nella figura, per non com- plicare il disegno, è omessa questa particolarità). Lo spostamento del cannello 9g" veniva apprezzato per mezzo di un catetometro. Per la determinazione della densità mi valsi di una serie di piccoli - areometri D. Per la misura dell’ attri/o interno adoperai l'apparecchio rappresentato in x, il quale è costituito da una specie di pipetta a pareti molto sottili che termina in basso con un capillare. Buona parte della pipetta e tutto il ca- pillare pescavano nel liquido. L'ascensione di questo in 7 si otteneva mediante aspirazione con una pera di gomma 7, mentre veniva chiuso con una morsetta, o semplicemente colle dita, il tubo di gomma congiunto alle parti diramate di due cannelli di sostegno. (*) Si può usare dell'azoto o dell’aria ben asciutta, avendo provato che in questi solventi 1° O e la CO: non influiscono minimamente, poichè rimane costante la loro con- ducibilità. — 520 — Due tratti segnati sotto e sopra il rigonfiamento della pipetta servivano come punti di riferimento; osservavo al solito quanto tempo il liquido im- piegava nel passare dal tratto superiore all’ inferiore. Per la misura della conducibilità elettrica mi servii di due elettrodi CC di platino, platinati in nero, i quali facevano capo ad un commutatore che poteva stabilire la comunicazione sia con un ponte di Kohlrausch B, sia con un ponte di Nernst (fig. 1). Per la misura della costante dielettrica dei solventi puri mi servii della disposizione raffigurata in A; per quella delle soluzioni adoperai un ponte di Nernst col telefono e le resistenze liquide di compensazione. Le due robuste aste in platino, che sorreggevano gli elettrodi, erano te- nute ferme e isolate da due colate di zolfo ZZ. Per la determinazione del peso molecolare delle sostanze disciolte, usai il metodo crioscopico a preferenza di quello ebullioscopico, perchè con liquidi siffatti, ottenuti da gas puri, la determinazione del punto d'’ebolli- zione del solvente o della soluzione riesce incerta, per la difficoltà che essi hanno ad entrare in regolare ebollizione. Questo fu accennato nella Memoria in collaborazione col prof. Antony (!) ove sì disse come l' H,S liquido, in vasi Dewar non argentati, possa rimaner lungamente anche alla temperatura di — 55°, senza bollire, lasciando supporre che si trovi sovrariscaldato. Se avessi voluto applicare il metodo ebullioscopico, oltre alla difficoltà accennata, mi sarebbe stato difficile ricondensare il vapore, mano a mano che si liberava dal liquido in ebollizione, essendo l'apparecchio già abbastanza complicato. Ecco perchè il metodo crioscopico si presta molto bene per queste ricerche, ove per altro sì possa disporre di un raffreddamento lento ed omogeneo come nel mio apparecchio ho potuto raggiungere. Per la determinazione dell'abbassamento di temperatura adoperai delle coppie termo-elettriche, delle quali una delle saldature si trovava nel tubo P nell’apparecchio laboratorio, mentre l’altra era posta nel solvente puro che sì trovava in un vaso Dewar (non rappresentato nella figura) cilindrico, non argentato, molto lungo e di piccolo diametro. Nello spazio fra le pareti dei tubi di questo vaso Dewar non era stato spinto il vuoto fino ad estreme rare- fazioni, cosicchè, dopo aver riempito il vaso col solvente puro e poi immerso, a seconda dei casi, in una miscela frigorifera conveniente — CO; e etere, etere e aria liquida ecc., — lo scambio di calore con questa poteva deter- minare una lenta congelazione del liquido. (*) Gazz. Chim. It., t. XXXV, I, 1905. — 521 — Completavano l'apparecchio: Un agitatore E che si muoveva nel sistema di chiusura J, un termometro Baudin per basse temperature ed un disposi- tivo Q, che permetteva di introdurre nel liquido le sostanze igroscopiche le quali venivano pesate nella boccettina è munita di un tappo a smeriglio. Tutti gli strumenti di misura, sopra descritti, furono opportunamente tarati con liquidi a soluzioni le cui grandezze fisiche erano ben note; venne fatta ancora la correzione per la temperatura. 2. Dapprima feci l'esperienze col solvente SO. già studiato da Walden e Centenerszwer (!). Per la sua preparazione mi valsi di una bombola di gas liquefatto che mi fornì la Ditta Cesare Pegna di Firenze. Il gas fu depurato e asciugato travasandolo in forti recipienti contenenti anidride fosforica. Inol- tre, prima di arrivare al serpentino di liquefazione S, esso veniva fatto passare per diverse Drechsel contenenti Hs SO, e con ciò veniva depurata dalla SO che poteva contenere. La determinazione delle diverse costanti fisiche di questo solvente intorno al suo punto d'ebollizione mi ha portato a dati perfettamente in accordo con quelli che sono stati pubblicati dal Walden e Centenerszwer e quindi non è il caso di riportarli qui. Soltanto ricorderò che l'anidride solforosa di cui mi servii, aveva, intorno al suo punto d’ebollizione, una conducibilità, di 1,74.107* tale da dare affidamento sulla purezza del prodotto di cui mi servivo. Nell’anidride solforosa ho studiato inoltre le soluzioni di ioduro potas- sico e solfocianuro ammonico, per le quali pure ho trovate verificate, in linea generale, le misure dei ricordati autori. Da queste prime ricerche io credo di poter già annunciare, con un certo affidamento, che, posti fra di loro in relazione la conducibilità e l’attrito interno, la costante dielettrica e la tensione superficiale, si nota che, anche a concentrazioni e a temperature molto diverse, le variazioni sono quasi sempre nello stesso senso e dello stesso ordine: tuttavia fra di loro non esiste una semplice legge di proporzionalità. Di ciò mi tratterrò più ampiamente in una prossima Comunicazione. 3. In questa nota rendo conto specialmente delle ricerche fatte sul sol- vente H,S. Determinai il punto d’ebollizione tanto sull’idrogeno solforato ottenuto nel modo ricordato nella Memoria già citata, quanto in quello preparato per sintesi diretta fra idrogeno e zolfo. In questo caso l'idrogeno venne fornito dalla reazione fra alluminio e idrato potassico, poi fu lavato con una soluzione alcalina di acido pirogallico, quindi con altra di permanganato potassico e H,$0,. Lo zolfo adoperato era purissimo. (*) Bull. de l’Ac. de Sc. de St. Petersb., giugno 1901. — 522 — Avvenuta la reazione fra H e S, l'eccesso di zolfo distillato venne trat- tenuto per mezzo di appositi apparecchi in vetro, mentre l'idrogeno solforato formatosi passava per una serie di colonne contenenti Ph30;, quindi subiva una prima liquefazione, poi una congelazione. Il gas liberato, in seguito a riscaldamento, dalla parte congelata, venne introdotto nell'apparecchio rappresentato nella figura 2. Questo è costituito da una lunga provetta C la quale porta superior- mente un tappo di gomma attraversato da un termometro per basse tempe- rature T, da un cannello # per cui entra il gas ed inoltre da un tubo A per il quale sfugge quello che evapora dal liquido in ebollizione, Nella figura è indicato in A un tappo che si pone nel tubicino all'atto della liquefazione dell'idrogeno solforato. Intorno alla provetta C, nella sua parte superiore, si trova un mani- cotto R il quale racchiude dell’aria; intorno a questo manicotto è posto il recipiente O. — 523 — Il gas che proviene da m si condensa in C, quando la provetta è immersa nel bagno refrigerante contenuto nel Dewar P argentato. Avuto così abbastanza gas liquefatto, allontanavo il Dewar P e ponevo il liquido refrigerante in O procurando che questo si mantenesse ad una tempe- ratura un poco inferiore a quella dei vapori di H,S, sicchè questi potessero in parte condensarsi sulle pareti di C. Con dei pezzetti di pomice, platino od anche facendo gorgogliare nel liquido dell'aria bene asciutta, ottenni una ebollizione regolare e quindi in modo sicuro potei misurare la temperatura. Sia coll’idrogeno solforato ottenuto dal solfuro ferroso, sia con quello ottenuto per sintesi dalle specie chimiche semplici, ebbi, in queste condizioni per la temperatura d'’ebollizione alla pressione ambiente, un valore di — 62°, mentre nel liquido in ebollizione, il termometro segnava — 60°. Il punto di congelamento fu determinato nell’apparecchio laboratorio coll'H,S di entrambe le provenienze; per questo punto il termometro segnò una temperatura di — 83°. In questa guisa potei verificare ancora che l’ HS avuto dal solfuro ferroso era molto puro. Per le altre costanti ottenni i seguenti valori alla temperatura di — 60°: Densità 0,95 (acqua = 1). Attrito interno 0,00417 (dine per cmq.). Costante dielettrica 10,2 (aria = 1). Tensione superficiale 25,434 (dine per centimetro). Conducibilità praticamente indeterminabile coi comuni ponti di Koh- lrausch, ma certamente molto inferiore a 4.1077, come potei verificare col mezzo di un milliamperometro sensibilissimo e la corrente continua di città a 220 Volta (1). Riferendomi alla Memoria del Dutoit (*) e ai lavori di Schilling (*). sull'H,S liquefatto, devo fare osservare come il solvente H,S non si debba ascrivere ai non dissocianti, ma bensì ad un debole dissociante. Con ciò vanno d'accordo le conclusioni antecedentemente riferite (4). Posso aggiungere che, non avendo la costante dielettrica dell’H,S liquefatto un valore molto elevato ed essendo inoltre il suo potere dissociante abbastanza debole, si può concludere che anche per il caso dell'idrogeno solforato li- quido sarebbe abbastanza bene verificata la considerazione del Nernst e (1) Quasi contemporaneamente i sigg. Intosh e Iteele nella Zeit. fur. Phys. Chem. LV, 2° parte, 1906, riportano per 1’ HsS diverse costanti fisiche che io pure ho determinate; per alcune di queste io ottengo dei valori sensibilmente minori. (3) Journ. de Chim. Phys. 1903 (loc. cit.). (*) Amer. Chem. Journ. 1901, pag. 383. (4) U. Antony e G. Magri (loc. cit.). RenpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 67 — 524 — Thomson, che cioè il potere dissociante di un solvente sarebbe tanto. più considerevole quanto più grande è la sua costante dielettrica. L'idrogeno solforato liquido, come fu già osservato (*), presenta un po- tere solvente relativamente esteso, ma mentre i sali di basi energiche non sì sciolgono in esso, i composti dei metalloidi fra loro si sciolgono abbastanza bene e determinano una certa conducibilità; così il cloruro di zolfo, il tri- cloruro di fosforo e di bismuto, l’ioduro e il tribromuro di fosforo. ecc. Anche l'iodio vi sì scioglie in discreta proporzione e determina condu- cibilità; così una soluzione di I in H,S all'1,1°/, alla temperatura di — 60° ha una conducibilità di 1,34.1075. Se questa conducibilità fosse prodotta da una dissociazione dell’ H,S in ioni H+H* e -S- si dovrebbe aver dissociato nei suoi ioni, in una soluzione contenente iodio, dell’ioduro di zolfo. A questo scambio chimico dell'elemento coll’ H,S sembra contraddire il fatto che una soluzione di ioduro di zolfo all'1, 2°/ a — 60° presenta una conducibilità di 5,81.10-5, molto minore di quella presentata dall’iodio solo, mentre dato quel concetto, si sarebbe dovuto ritrovare maggiore. E d'altra parte non è tanto facile l’ammettere in questo caso una con- ducibilità metallica per l’iodio, dovendosi pure ascrivere all'elemento la pro- prietà di rendere conduttore il liquido. Questa incertezza risiede nella circo- stanza che, a stare attaccati alla teoria della dissociazione elettrolitica, non è facile rappresentarci quali siano in questo caso gli ioni che trasportano l'elettricità. Piu facilmente di tutto ne darebbe un'idea l'ipotesi dell’Helmotz e di Walden che può essere applicata anche al solvente HS. In questo caso il potere conducente sarebbe da ascriversi all'elemento stesso, cosicchè una molecola di I sì potrebbe considerare come l'unione dei seguenti ioni secondo lo schema: I,=I* +37 oppure 2L,=31r+I++. Da questi brevi cenni si comprende facilmente di quale interesse sia il comportamento di questo solvente in presenza di quei corpi semplici o composti che senza essere nè dei sali nè degli acidi o delle basi, cioè senza poter essere considerati dei veri elettroliti, pure, in certe circostanze, sono dei buoni conduttori di elettricità e presentano una certa vivacità e rapi- dità nelle reazioni cui posson dar luogo, paragonabile a quella degli elet- troliti. i Lo studio di queste sostanze che Walden chiama elettroliti anormali riesce interessante perchè fa presagire delle modificazioni importanti nella maniera di considerare gli elementi e parecchi composti inorganici; a questo riguardo ho gran fiducia che sia di sommo giovamento lo studio elettrolitico (1) Vedi sopra. FL che io mi sono prefisso delle soluzioni di questi solventi, nello svelare i ca- tioni e gli anioni. Infatti il concetto di anione e catione è relativo, inquantochè il presen- tarsi come catione od anione di una data sostanza dipende dalle proprietà chimiche degli atomi elementari che entrano in una combinazione. E se l’iodio nelle sue combinazioni coi metalli ha senza dubbio il carattere di un anione, non è escluso che nelle sue combinazioni con altri metalloidi possa fungere da catione. Questo è anzi stato dimostrato da Walden per la SO; e non è difficile debba anche accadere per 1 H,S. Le ricerche ora in corso ne daranno una risposta. Ringrazio vivamente il prof. Battelli per i consigli e i mezzi che ha messo a mia disposizione; ringrazio ancora il prof. Antony per la larga e di- spendiosa ospitalità accordatami nelle lunghe preparazioni dei numerosi pro- dotti che sono stati necessarî in queste prime ricerche. Chimica. — Su/lidrato cerico (*). Nota di G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. È noto che l’idrato cerico, oltre che dai sali cerici con alcali caustici o dall’idrato ceroso con ossidanti, può venir preparato decomponendo col ca- lore il perossido idrato di cerio. P. Mengel (?), Browning e Cutler (3), Wyrouboff e Verneuil (‘), am- mettono che la decomposizione del perossido sia completa a 100°. R. J. Meyer e E. Markwald (*) ritengono necessario scaldare il perossido a 120°, R. J. Meyer e Jacoby (9) lo scaldano, fino a 130°. Infine L. Pissarjewski (7) ha osservato che il Ce 03 mantenuto per un'ora alla temperatura di 75° si tras- forma completamente in Ce 0,. Nessuno però di questi autori accenna alla esistenza di qualche diversità di comportamento chimico tra l’idrato cerico ottenuto dal perossido e l’idrato cerico che si ha ossidando l’idrato ceroso, per esempio con cloro. Anzi Browning e Cutler (8) hanno constatato per via Jodometrica che l’idrato cerico preparato dal perossido ha composizione nor- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della L. Università di Ferrara. (*) Z. f. anorg. Ch. 19, pag. 72 (1899). (*) Z. f. anorg. Ch. 22, pag. 304 (1900). (4) Bull. Soc. Ch. (3), 17, pag. 679 (1897). (5) Ber. 33, pag. 3005 (1900). (5) Z. f. anorg. Ch. 27, pag. 362 (1990). (*) Z. f. anorg. Ch. 25, pag. 384 (1900). (8) Z. f. anorg. Ch. 22, pag. 304 (1900). — 526 — male, cioè possiede un atomo di ossigeno attivo per ogni due atomi di cerio. In un lavoro recente di Bohuslav Brauner ('!) sui sali dell'acido com- plesso cerisolforico cogli elementi delle terre rare, è attribuito all’idrato ce- rico proveriente dal perossido un comportamento chimico del tutto anormale che contrasta con quanto era stato osservato finora intorno a questo composto. Secondo Brauner l'idrato cerico che si ha per decomposizione a 100° del perossido idrato di cerio, quando venga trattato in una capsula di pla- tino con acido solforico diluito, si scioglie con forte sviluppo di ossigeno ozonizzato dando un liquido perfettamente incoloro; non si trasforma dunque in solfato cerico ma in solfato ceroso. Quando invece l'idrato venga trattato con acido solforico in una capsula di porcellana non si ha più, secondo Brauner, alcuna riduzione nè alcuno sviluppo gazoso; l’idrato cerico sì trasforma sem- plicemente in solfato cerico. Per spiegare l'influenza che il materiale della capsula sembra avere sull'andamento della reazione, Brauner ammette che la tendenza del jone Ce**** a ridursi a jone Ce-** secondo le equazioni : 4Ce--* + 20 = 400° + 0; 606: + 80,= 6 Ce: + 0; venga fortemente aumentata dalla presenza del platino. Ma siccome d'altra parte l’idrato cerico preparato per ossidazione del- l’idrato ceroso con cloro dà, con acido solforico, solfato cerico anche in pre- senza di platino, Brauner fu condotto a immaginare anche un'ipotesi sussi- diaria e suppose che i due idrati cerici preparati per via diversa siano di diversa natura: che all'idrato preparato dal perossido competa una formola (forse Ce0,H,?) diversa da quella dell’idrato ottenuto col cloro la quale secondo il Brauner è Ces 0 (OH),. Si conoscono veramente altri casi di metalli che possono dare origine a due ossidi o a due idrati, corrispondenti allo stesso grado di ossidazione ma aventi proprietà fisiche e chimiche diverse. Basta ricordare i due ossidi mercurici (°) e le modificazioni che subiscono col tempo l’idrato di zinco (*) e l'idrato di cromo (4). Ma in questi casi si tratta di differenza di colore e di solubilità negli alcali o negli acidi; differenze che si possono facilmente spiegare con diver- sità nell’idratazione, nella grandezza delle particelle, nello stato superficiale. Nel caso osservato da Brauner si tratterebbe invece di una differenza profonda nel comportamento chimico che una semplice diversità d’ idratazione com'è espressa dalle formole Ce(0H), e Ces 0 (OH); non basta a giustificare. (1) Z. f. anorg. Ch. 39, pag. 285 (1904). (2) W. Ostwald, Zeitschr. phys. Ch. 18, pag. 159; 34, pp. 69 e 495; Colson Compt. rend. 132, pag. 467; Koster e Stok Rec. trav. chim. Phys. Bas. 20, pag. 394. (*) A. Hantzsch. Z. f. anorg. Ch. 30, pag, 338 (1902). (4) W. Herz. Z. f. anorg. Ch. 25, pag. 155; 27, pag. 390; 28, pag. 344. —. 92% — In considerazione della singolarità del fenomeno e d'altra parte della grande autorità del Brauner ho creduto interessante ripetere le sue espe- “rienze procurando di operare nelle sue stesse condizioni. Da una soluzione diluita di solfato ceroso (gr. 4,97 di Ce» (S0,); in 100 cc.) si precipitò a freddo per aggiunta di ammoniaca e di acqua ossi- genata al 3 °/, il perossido idrato di cerio che venne poi lavato a lungo per decantazione e quindi sospeso in acqua scaldata all’ebollizione in una capsula di porcellana. Il perossido a caldo cambiò rapidamente il suo colore rosso-bruno, in un colore giallo-citrino svolgendo ossigeno. Dopo due ore di ebollizione sì accertò colla reazione dell'acido cromico ed etere che l’idrato cerico non conteneva più nemmeno traccie di perossido. L'idrato venne allora raccolto su di un filtro, lavato di nuovo e quindi introdotto a piccole porzioni in una soluzione circa doppio normale di acido solforico scaldata a bagno maria in una capsula di platino. La soluzione si effettuò un po’ lentamente senza no- tevole sviluppo gazoso e si ottenne un liquido aranciato a caldo e giallo a freddo il quale evidentemente conteneva sciolto del solfato cerico. In questa soluzione si dosò il cerio e l'ossigeno attivo per determinare quanta parte del cerio contenuto era nella forma tetravalente. 20 ce. della soluzione vennero trattati con ossalato di ammonio: l’ossalato di cerio precipitato diede per calcinazione gr. 0,2028 di Ce O.. 20 ce. della stessa soluzione per aggiunta di joduro potassico liberarono gr. 0,1417 di jodio: jodio calcolato per gr. 0,2028 di Ce 0, gr. 0,1495. Dunque il 94,78 °/ del cerio contenuto nella soluzione era allo stato cerico. Risultati poco diversi (94,15 °/,, 95,09°/, 95,22°/) si ottennero impiegando in luogo di una capsula di platino a superficie lucida una capsula di platino a superficie matta, adoperando acido solforico più diluito e scal- dando a temperature inferiori ai 100°. Eseguendo la soluzione dell’idrato cerico in una capsula di porcellana con acido solforico doppio normale e scaldando a bagno maria si ottenne un liquido cerico che per gr. 0,1827 di Ce.O: liberò gr. 0,1259 di jodio: Jodio calcolato gr. 0,1347: Ce. %/, 93,44. Infine venne preparato dell’idrato cerico dall'idrato ceroso con cloro: dopo un lungo lavaggio a caldo per decantazione e su filtro per eliminare ogni traccia di cloruri, esso venne sciolto nell'acido solforico diluito in una capsula di platino e si ottenne una soluzione cerica nella quale il 93,22 °/, del cerio contenuto era nella forma tetravalente. In base a queste esperienze credo di poter concludere che l’'idrato ce- rico preparato dal perossido non differisce sensibilmente nel suo comporta- mento coll’acido solforico diluito dall’ idrato cerico preparato dall’ idrato Ceroso. a 0028 — L'uno e l'altro si sciolgono nell’acido solforico diluito dando solfato cerico e la loro soluzione è accompagnata da una parziale riduzione la quale, anzi che dalla presenza del platino, sembra essere influenzata dalla tempe- ratura, dalla concentrazione dell'acido e dalla durata della reazione. I fenomeni osservati da Brauner si possono spiegare soltanto ammet- tendo che l'idrato cerico (preparato dal perossido) ch'egli sciolse nella capsula di platino, contenesse ancora notevoli quantità di perossido inalte- rato: mentre l’idrato che sciolse nella capsula di porcellana ne contenesse assal poco o non ne contenesse affatto, giacchè è noto che il perossido di cerio cogli acidi dà acqua ossigenata la quale riduce istantaneamente i sali cerici a cesosi con forte sviluppo di ossigeno ('). In accordo con tale supposizione sta il fatto che le ultime porzioni di Ce O; si decompongono a 100° assai lentamente. Infatti come si è ricor- dato in principio di questa Nota alcuni autori lavorando su quantità rile- vanti di perossido trovarono opportuno per decomporlo di riscaldarlo a una temperatura superiore a 100°. Chimica. — Sul joduro rameoso (°). Nota di G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Nella presente Nota sono descritte alcune esperienze che si riferiscono al comportamento del joduro rameoso col cloruro e col bromuro rameico, e alla sua formazione per azione del jodio sul cloruro e sul bromuro rameoso. Distillando delle soluzioni diluite di joduro di potassio, alle quali era stato aggiunto molto cloruro di sodio e solfato di rame, avevo accertato che lo jodio che si liberava era in quantità notevolmente maggiore del calcolato in base all'equazione: 0180/34 RS Cu J LKR) S9 Ciò mi condusse a pensare alla possibilità di una reazione secondaria tra lo joduro rameoso e i sali rameici. Alcune esperienze preliminari quali- tative mi mostrarono che, mentre la soluzione pura di solfato di rame non libera jodio dal joduro rameoso nemmeno a caldo, ne libera anche a freddo quando sia stata addizionata di cloruri o bromuri alcalini, e che, introducendo del joduro rameoso in soluzioni concentrate e calde di cloruro o di bromuro rameico, si ha tosto svolgimento di vapori violetti. Per istudiare quantitativamente queste reazioni impiegai un apparecchio costituito da un palloncino munito di un tappo di vetro smerigliato e a due (!) V. Knorre Z., angew. Ch. 1897, pp. 685, 717. () Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della L. Università di Ferrara. — 529 — tubulature: l'una che fungeva da tubo adduttore, continuava superiormente in un imbuto a rubinetto, l’altra era saldata alla canna di un comune re- | frigerante Liebig. Le esperienze vennero eseguite nel modo seguente. A una certa quantità pesata di joduro rameoso introdotta nel palloncino si facevano seguire circa 70 ce. di una soluzione contenente per litro o 200 gr. di CuS0,.;H:0 e 300 gr. di KCI, o 200 gr. di CuS0,-;H30 e 300 gr. di KBr, o 200 sr. di CuCl,, o 200 gr. di Cu Br», infine si aggiungevano 30 ce. di xilolo (p. e. 138°). È nota la difficoltà di eliminare completamente da un liquido acquoso lo jodio per semplice ebullizione: spesso si ricorre, per togliere le ultime traccie, a una corrente di vapore o di acido carbonico. Io ho osservato che la presenza di un solvente organico indifferente, non miscibile coll’acqua, avente una densità minore di questa e un punto di ebullizione superiore, come per es. lo xilolo, non solo facilita l'eliminazione del jodio ma ne rende possibile la condensazione e la raccolta dei vapori mediante un semplice refrigerante Liebig. Infatti lo xilolo oltre che agire come liquido estrattore, distilla col vapore d’acqua quindi scioglie o trasporta lo jodio impedendo che si depositi allo stato solido nella canna del refrigerante. Il palloncino veniva scaldato su bagno di sabbia. Lo strato di xilolo sovrapposto al liquido acquoso verde si colorava tosto in violetto. Quando tutto lo xilolo era distillato (insieme con un po’ d'acqua) si lasciava raffreddare un poco il palloncino quindi per l’imbuto a rubinetto s'introduceva una nuova quantità di xilolo uguale presso a poco alia distillata. La reazione si considerava come terminata quando lo xilolo rimaneva incoloro. Alla fine della reazione si osservava inoltre che tutto lo joduro rameoso era scomparso e la soluzione rameica appariva perfettamente limpida. Nei liquidi distillati sì determinava lo jodio con soluzione titolata d’iposolfito sodico, senza ag- giunta di salda d'amido. Un cme. della soluzione d'iposolfito impiegato cor- rispondeva a mmgr. 8,06 di jodio. Del joduro rameoso era stato previamente determinato il contenuto in jodio eliminando prima il rame con carbonato sodico poi dosando lo jodio come joduro d'argento. Gr. 0,4791 di joduro rameoso fornirono gr. 0,4221 di joduro d’argento, da cui si calcola per lo joduro rameoso impiegato un contenuto in jodio = MON Riporto iî risultati di alcune distillazioni. I. Gr. 0,0876 di joduro rameoso trattati con soluzione di CuSO, + KCI svolsero gr. 0,0419 di jodio (iposolfito ce. 5,2): jodio calcolato nel joduro rameoso = in base all'analisi su riportata = gr. 0,0417. II. Gr. 0,1342 di joduro rameoso trattati con soluzione di CuSO, + + KBr svolsero gr. 6,0628 di jodio (iposolfito ce. 7,8): jodio calcolato gr. 0,0638. — (990 — III. Gr. 0,1024 di joduro rameoso trattati con soluzione di Cu Cl, svolsero gr. 0,0484 di jodio (iposolfito cc. 6): jodio calcolato gr. 0,0487. IV. Gr. 0,1136 di joduro rameoso trattati con soluzione di Cu Br, svolsero gr. 0,0540 di jodio (iposolfito cc. 6,7): jodio calcolato gr. 0,0541. In quest'ultima esperienza il liquido rimasto nel palloncino dopo la distillazione venne trattato con soda caustica: nel liquido filtrato, acidificato con acido acetico, venne ricercato lo jodio con acido nitroso e salda d'amido. Non si ebbe alcuna colorazione. Da tutti questi fatti risulta che lo joduro rameoso perde a caldo, sotto l'azione del cloruro e del bromuro rameico, tutto il suo jodio trasformandosi evidentemente in cloruro o in bromuro ra- meoso secondo le equazioni: 2CuJ+2C0uClk = 4CuC1+4 Ja 2CuJ+2CuBr,=4CuBr+4 J.. Che si formi in realtà del cloruro o del bromuro rameoso si può dimo- strare facilmente operando su quantità rilevanti di joduro rameoso e diluendo con molt'acqua il liquido rameico dopo la distillazione: il cloruro e il bro- muro rameoso, che stavano sciolti nelle soluzioni saline concentrate, preci- pitano. Si è condotti ad ammettere l’esistenza di reazioni perfettamente inverse di quelle finora descritte studiando l’azione del jodio sul cloruro e sul bro- muro rameoso. Se si scioglie del cloruro rameoso nella soluzione concentrata di un cloruro alcalino, operando in corrente di CO, per evitare l'azione os- sidante dell’aria, e si agita fortemente la soluzione così ottenuta con una soluzione di jodio in xilolo; si osserva che lo xilolo viene privato comple- tamente del suo jodio e diventa incoloro; che la soluzione del sale rameoso, prima incolora, assume una tinta giallo bruna o verde a seconda della quan- tità di Jodio impiegata e che si forma un precipitato bianco che all'analisi sì dimostra essere Joduro rameoso. L'esperienza venne eseguita impiegando 5 gr. di CuCI, 100 ce. di una soluzione satura a freddo di NaCl e gr. 0,25 di jodio sciolti in xilolo. Analogamente al cloruro rameoso si comporta il bromuro rameoso sciolto in bromuri alcalini. È chiaro che l'azione del jodio sui sali rameosi è perfettamente com- parabile a quella che lo jodio esercita su altri sali al minimo per es. sui sali ferrosi o sui sali stannosi: una parte del sale al minimo viene ossidata al massimo e lo jodio si trasforma in joduro. Nel nostro caso possiamo espri- mere l'ossidazione compiuta dal jodio colle equazioni: 4CuC1+4+J, = 2 Cu Cl; 4+- sCuJ 4CuBr+J,= 2CuBr, + 20uJ che sono precisamente inverse di quelle suesposte. Dunque il cloruro o il — 591 — bromuro rameico possono trasformare lo joduro rameoso in cloruro 0 bromuro rameoso con svolgimento di jodio e d'altra parte lo jodio può trasformare il cloruro o il bromuro rameoso in cloruro o bromuro rameico con precipi- tazione di joduro rameoso. Prevale una reazione o l’altra a seconda delle concentrazioni dei corpi messi a reagire e della temperatura. Questo equilibrio non è però che un caso particolare di un equilibrio più generale. È noto che gli joni Cu: ossidano gli joni J' e che l’ossidazione è completa soltanto se viene eliminato lo jodio libero man mano che si forma (*) giacchè lo joduro rameoso si scioglie un poco in una soluzione acquosa satura di iodio con formazione di joduro rameico (*) ossia lo jodio può ossidare i joni Cu: a joni C*-. Tra gli joni rameosi, gli joni rameici, lo jodio libero e gli joni Jodio si stabilisce quindi l'equilibrio : Cud = Cu4J. È facile vedere che questa equazione generale comprende anche il caso particolare su considerato. Si può ammettere infatti che anche quando si fa agire il CuCl, (o il CuBr») sul CuJ la reazione abbia luogo tra gli joni Cu” e gli joni J". Benche lo joduro rameoso venga annoverato tra i composti così detti insolubili, si scioglie un poco (*) nell'acqua e come tutti i sali poco solu- bili sarà in soluzione quasi completamente dissociato. Bisogna considerare inoltre che la sua solubilità è aumentata dalla presenza dei sali rameici che per idrolisi, specialmente a caldo, sono un po' acidi. Man mano che gli joni J' del joduro rameoso sciolto vengono ossidati dai joni Cu”, nuovo joduro rameoso entra in soluzione. Se si opera a caldo la reazione procede tutta in un senso perchè lo jodio che si libera viene tutto eliminato. D'altra parte quando si fa agire lo jodio sul cloruro o sul bromuro rameoso si ha l'ossi- dazione nei joni Cu' a joni Cu** e la riduzione del jodio a joni J'. La rea- zione a freddo e in presenza di un eccesso di joni Cu', è quantitativa perchè gli joni J' appena formati vengono eliminati in causa della reazione secondaria Cu 4+JT= Cul. Chimica. — Sopra un nuovo metodo di preparazione dei sali cerici e sul todato cerico Nota di G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (1) Moritz Traube, Ber. d. Ch. G. 17 (1884), pag. 1064. (3) G. Bodlander e O. Storbeck, Z. f. anorg. Ch. 31 (1902), pag. 469. (?) G. Bodlander e O. Storbeck, Z. f. anorg. Ch. 31 (1902), pag. 474. RenpicontI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 68 — Guzie= Chimica. — Nuove ricerche sull’ossido superiore del nichelio. Nota di I. BeLLucci ed E. CLAVARI, presentata dal Socio S. CAN- NIZZARO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Impiego di nuovi materiali concianti e contri- buto alla conoscenza della concia minerale ('). Nota di FELICE GARELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. La concia delle pelli, una delle industrie più antiche e attualmente delle più importanti per la varietà, la copia, il valore dei suoi prodotti, è ancora in gran parte fondata sull’empirismo. Già diversi autori (2) hanno lamentato che attorno a quest'industria non sia andato svolgendosi quel meraviglioso lavoro di ricerche scientifiche per il quale progredirono e si trasformarono industrie analoghe come, ad esempio, quella della tintoria, e ne trovarono la spiegazione nel fatto che la concia delle pelli non ha un posto ben de- finito nell'industria chimica. Sull'intima natura della concia si hanno di fatto opinioni molto controverse. Mentre nella prima metà del secolo scorso si ri- teneva che il cuoio fosse il prodotto di una combinazione chimica fra i co- stituenti della pelle e il tannino, dopo le ricerche di F. Knapp (3) prevalse il concetto che la formazione del cuoio fosse dovuta ad una semplice ade- sione superficiale. Secondo Knapp il cuoio è una pelle animale le cui fibre, grazie ad un procedimento qualsiasi, non sono più suscettibili di attaccarsi le une alle altre durante l’essiccamento: il tannino penetra semplicemente nei pori ed attornia le fibre stesse. Questo modo di vedere fu condiviso, con piccole modificazioni, da A. Reimer (4), Ch. Heinzerling (°), Schroeder e Paessler (9): e, più recente- mente, Th. Koerner (*), tentando volgere le teorie moderne della chimica- (') Lavoro eseguito nell’Istituto chimico della L. Università di Ferrara. (?) M. W. Fahrion, Zeitschrift fir Angew. Chemie, 1903, pag. 665; e Dr. R. Lepetit, L'industrie de la tannerie et des eatraits tannants en Italie. Roma, VI° Congresso int. di Chimica applicata. Aprile 1906. (*) Dingler, Polytechn. Journal, Anno CXLIX, pag. 305. (4) Dingl. Polyt. J., CCV, pag. 143. (5) Grund der Lederbereitung, Brunswich, 1882. (°) Dingl. Polyt. J., CCLXXXIV, 11 è 12. (?*) Jahresbericht. Chem. Tech., 1899, pag. 1147. — 593 — fisica alla spiegazione del processo della concia, fu d'accordo con Knapp nel negare in esso ogni fenomeno chimico. Tuttavia Mintz (*) dapprima, poi Schreiner (*) si conservarono fautori della teoria chimica ed in seguito M. W. Fahrion (*) prendendo in esame, in un esteso lavoro, i tre principali tipi di concia, conchiuse che, in ogni caso, il cuoio va considerato come un sale o un composto analogo ai sali. Nella concia grassa ed in quella tannica sono le fibre animali parzial- mente ossidate che funzionano da base, mentre l'acido grasso ed il tannino, pure parzialmente ossidati, funzionano da acidi; nella concia minerale (al- l'allume o al cromo) il cuoio ottenuto è pur esso una combinazione analoga ai sali e la pelle vi funziona come un acido il quale si combina con un ossido della formola M?03, o con un sale basico. Gli argomenti più importanti addotti dagli oppositori della teoria chi- mica sono i seguenti: la pelle assorbe più tannino se la soluzione è con- centrata che se è diluita; il tannino conserva nel cuoio talune delle sue reazioni caratteristiche, p. es. annerisce coi sali di ferro; la combinazione fra la pelle e l'agente conciante può esser distrutta dall'acqua, come avviene soprattutto nella concia minerale. Ad onta di ciò pare a me che il fenomeno della concia sia di natura chimica e nella formazione del cuoio prendano origine dei composti chimici. Non bisogna però attribuire a quest’ultima denominazione il ristretto signi- ficato tradizionale. Secondo le odierne vedute anche i così detti composti di terz'ordine (4) (idrati, ammoniacati, ecc.) e i prodotti di addizione della chi- mica organica (°) sono veri composti chimici come i sali, quantunque siano molto meno stabili di questi e la loro costituzione non possa venir inter- pretata colla teoria della valenza. Ma vi ha anche un’altra serie di prodotti di addizione estremamente instabili, caratterizzati dal non possedere compo- sizione costante, alcuni cristallizzati, moltissimi colloidali e che si trovano come sull’estremo limite che separa i composti chimici dalle soluzioni e dalle miscele. A questa categoria di composti probabilmente debbono ascriversi i corpi che si originano nella concia. Lo studio delle condizioni nelle quali essì si formano e dei limiti dei loro campi di esistenza si presenta molto difficile. Ad ogni modo volendo intraprendere una ricerca sistematica, con intendi- menti pratici, sui fenomeni della concia, ho cominciato collo studiare il pro- cesso più semplice di concia che è quello della concia minerale. (1) C. R., LXIX, 1309. (?) Zeits. f. Ang. Chemie, 1890, pag. 290. (3) M. W. Fahrion, Zeits. f. Ang. Chemie, 1903, pag. 665. (4) Kuriloff, Ann. de Chimie et Physique, VII, 572 (1906); Van Bemmelen, Z. f. Anorg. Ch., XLII, 285; Tammann e Buschévden, Z. Anorg. Ch., XV, 819. (5) F. Garelli e G. A. Barbieri, Gazz. Chim. ital., t. XXXVI, parte 2°, 1906. — 594 — I metodi di concia minerale il cui uso si è generalizzato, si riducono, come è noto, alla concia coi sali di alluminio che è la più antica ed a quella coi sali di cromo, che ha preso grande sviluppo dapprima in America ed ora anche nei paesi Europei. Venne proposta ed applicata qualche volta la concia coi sali di ferro, benchè, ad onta degli sforzi di Knapp, non sembra abbia fornito risultati altrettanto buoni. Vi furono anche tentativi col cloruro di zinco, che però non ebbero seguito. Vennero altresì brevettate delle cosidette concie minerali ai carbonati alcalini, all’acido carbonico, ai cloruri, all’acido fosforico e solforico, ma in questi casi le pelli venivano trattate coi detti reagenti solo dopo aver ricevuto bagni di allume, di barite, di tannino, ece. per modo che evidentemente questi reagenti non avevano l'ufficio di materie concianti, ma in realtà quello di precipitanti. Adunque le materie inorganiche sinora impiegate nella vera concia esclusivamente minerale sono tutte costituite da sali dei sesquiossidi, di cromo, di ferro, di alluminio. La scelta di questi elementi venne fatta per via puramente empirica: non risulta nei comuni trattati messo in chiaro qual sia la proprietà comune di questi elementi che vien utilizzata nella conceria. Questa proprietà fondamentale deve senza dubbio esser quella di formare sali facilmente idrolizzabili. Difatto anche nella concia al cromo con bicro- mato bisogna sempre ridurre quest'ultimo a sale di cromo, vale a dire a sale idrolizzabile. Ora se il fenomeno della concia minerale consiste essenzialmente in un deposito di idrati metallici o di sali basici sulle fibre delle pelli, di modo che queste restano poi come isolate, non si agglutinano nell’essiccamento e la pelle acquista così la pieghevolezza e le proprietà del cuoio, è evidente che l’azione dei sali su ricordati non può essere specifica, ma bensì sarà generale di tutti quelli che possono in soluzione acquosa dare origine per idrolisi a idrati o sali basici. Guidato da questo concetto io ho preso in considerazione dapprima altri metalli trivalenti formanti sali idrolizzabili che appartengono a quella ca- tegoria di elementi i cui ossidi costituiscono le ferre rare secondo l'antica denominazione che ora, dopo la scoperta dei giacimenti di sabbie monazi- tiche e dopo l’importanza e lo sviluppo assunto dall'industria delle reticelle Auer, non è più assolutamente giustificata e si va sostituendo con quella di terre nobili (Edelerden). Per verificare innanzi tutto se la pelle avesse il potere di fissare parte di queste soluzioni saline ho messo in contatto con quantità pesate di pol- vere di pelle delle soluzioni fatte con nitrati di cerio, di lantanio, di di- dimio. Queste soluzioni, dopo esser state agitate con carbonato di magnesia per toglier loro la reazione acida, vennero titolate precipitandole con acido ossalico e calcinando gli ossalati per avere gli ossidi e ridotte poi a una concentrazione tale da contenere, in 100 cm.* di liquido, 3 gr. di sesquiossidi. — 535 — In ogni esperienza, 100 cm? di queste soluzioni venivano dibattuti per 10 ore, in apposito apparecchio agitatore e poscia su una porzione del liquido fil- trato fatta la determinazione del sesquiossido ancora sciolto. Ecco i risultati ottenuti: Esperienze con nitrati di TTI —t__ ae _ La Di Ce. Titolo della soluzione espresso in sesquiossido p. °/o prima del trattamento con pelle . i . 7 3 3 5) Id. Id. dopo agitazione con 4 gr. di pelle . - i 2,815 2,18 2,80 Sesquiossido fissato ; É i ì È È È 0,185 0,22 0,20 » ” per cento 5 . ; i ; 6,140 7,98 6,66 ” ” da 100 di pelle ; ò ; 7 4,620 5,25 5,00 Si vede dunque che la pelle in polvere decompone o idrolizza rapida- mente le soluzioni dei sali di terre rare e ne fissa gli ossidi idrati o, per lo meno, provoca su di essa la deposizione di sali basici in proporzione rile- vante: in altre parole, come prevedevo, la pelle rispetto alle soluzioni dei sali cerosi, di lantanio e didimio si comporta come con quelle dei sali di cromo e di alluminio. Noto incidentalmente che questa analogia sta ancora una volta a con- fermare la trivalenza degli elementi delle terre nobili. Alle prime esperienze con polvere di pelle feci seguire tosto altre im- piegando larghi frammenti di pelle di vitello o di bue depilate coi metodi consueti e pronte per la concia. Dopo immersione per 24 a 36 ore in so- luzioni neutre o leggermente basiche di nitrati di lantanio, didimio, cerio, sia puri come misti, contenenti non più del 3°/, di sesquiossidi, la pelle veniva trasformata in cuoio di color bianco che già senza ulteriore lavora- zione meccanica o trattamento con grassi appariva assai pieghevole e morbido. Riconobbi inoltre che i migliori risultati si ottenevano aggiungendo alle so- luzioni di nitrati delle terre nobili, del salmarino in proporzione del 2 al 3°/o. Anche nella concia in bianco, fatta cioè con l’allume, l'aggiunta del cloruro sodico è indispensabile; si direbbe quindi che anche per le terre nobili la presenza di sal comune facilita l' idrolisi. Adunque, benchè gl’ idrati di questi elementi trivalenti lantanio, didimio e cerio siano più basici dell’allumina ed i loro sali abbiano minor tendenza all’ idrolisi, risulta provato tuttavia che in condizioni opportune, sotto l’azione decomponente e idrolizzante della pelle, essi posson deporre sulle fibre del corion 0 derma idrati o sali basici per formare, con la materia fibrosa della pelle, il cuoio. Trovai nuova conferma ai concetti ora enunciati nelle esperienze succes- sivamente eseguite con gli elementi tetravalenti delle terre nobili. Fra questi ho preso in esame sali del cerio tetravalente, del torio e dello zirconio. — 596 — Debbo ricordare per incidenza che nel 1903, P. D. Zacharias (!) pro- pose di conciare con sali stannici e sul loro impiego brevettò un procedi- mento che non so se abbia avuto applicazione pratica. Tanto il cerio tetravalente, come il torio e lo zirconio, danno tutti sali molto idrolizzabili: questi anzi in soluzione stechiometricamente neutra sono forse, analogamente ai sali stannici, quasi completamente idrolizzati. Nel caso speciale del cerio recenti ricerche di R. Jos. Meyer e R. Jacoby (?) dimostrano che il nitrato cerico s'idrolizza facilmente anche a temperatura ordinaria, e l’idrolisi progredisce rapidamente con il crescere della tempe- ratura, come lo provano l'aumento nella conducibilità elettrica e l’attenua- zione del colore della soluzione. Per sperimentare con i sali cerici impiegai il nitrato cerico ammonico che è molto solubile: per lo zirconio e per il torio impiegai i nitrati. Le esperienze con polvere di pelle furono eseguite col modo già descritto. Misi cioè a reagire in adatti palloncini 4 gr. di pelle in polvere con 100 cm.3 delle soluzioni dei nitrati rese neutre con carbonato di magnesia e conte- nenti ciascuna 3 gr. di ossidi. I palloncini venivano agitati in apposito ap- parecchio di rotazione per 8 ore circa. Su una porzione aliquota dei liquidi filtrati veniva fatta la determinazione degli ossidi col solito metodo. Ecco i risultati ottenuti. Esperienze con: —T_T=———r -FP—___——T_r_r_rt nitrato cerico nitrato di nitrato di ammonico torio zirconio Titolo della soluzione espresso in ossido per cento prima del trattamento con pelle . 3 Bb) 8) Id. id. dopo agitazione con 4 gr. di pelle È 2,45 2,75 2169 Ossido fissato . A è : 7 È 7 0,55 0,25 0,31 ”» » per cento . : 1 Ì . 18,50 8,90 13,60 ” » da 100 pelle - , i ; 13,70 6,25 TIT Oltre ciò provai a preparare del cuoio da frammenti di pelle anche con queste soluzioni di sali tetravalenti e vi riuscii con risultati soddisfacenti lasciandoveli immersi per 12 a 24 ore. Il nitrato cerico ammonico ed il solfato cerico forniscono cuoi di color giallo-chiaro assai resistenti all'azione dell'acqua. Il nitrato di torio e di zirconio danno invece cuoi bianchissimi e molto morbidi e pieghevoli. La proporzione di ceneri lasciate da questi cuoi così preparati risultò essere in taluni casi 6,15 in altri 6,73, 6,5, 6,4°/0; siccome la pelle naturale prima della concia aveva 2,5 °/ di ma- teria minerale, se ne deduce che la proporzione di ossidi delle terre nobili fissate è circa del 4°/,. Nella concia coi sali cerici non sì può far uso di cloruro sodico perchè sì avrebbe svolgimento di cloro che intacca la fibra. (®) D. R. P. 144093 (1903). (*) Zeit. f. anorg. Vol. XXVI, pag. 365. — 587 — Fra la pelle, sia in polvere come in pezzi, e il sale cerico avviene però, oltre alla precipitazione sulle fibre degli idrati o sali basici cerici, anche un’altra reazione; si può accertare cidòè che una parte del sale cerico viene ridotto. Avendo agitato 1 gr. di pelle in polvere con soluzioni di nitrato cerico ammonico determinai iodometricamente il titolo in ossigeno attivo (o in sale cerico) della soluzione prima e dopo l’esperienza ed osservai che circa 1/3 dell'ossigeno attivo scompariva sotto l’azione riducente della pelle. Questo fatto ha importanza tecnica e caratterizza la concia coi sali cerici, differenziandola da quella ottenuta cogli altri sali delle terre rare. Di fatto Fahrion (') afferma che per ottenere un cuoio stabile e di buona qua- lità è anche necessario che la pelle assorba una certa quantità di ossigeno. Questo sarebbe fornito dall’aria nella concia tannica, dall'aria e da fenomeni di autossidazione nella concia grassa, dai sali ferrici e soprattutto dal bi- cromato nel metodo di concia al cromo con due bagni, giacchè detti sali sono tutti capaci di cedere ossigeno alle materie riducenti. Coi sali di allu- minio la cosa non si comprende perchè non si conoscono sali di Al al mi- nimo. Questa circostanza spiegherebbe, secondo Fahrion, perchè il cuoio conciato con l’allume, a differenza di quello al cromo non resista neppure all'azione dell’acqua fredda. Ora ho io pure riconosciuto che il cuoio con- ciato coi sali cerici è assai più resistente all’azione dell’acqua di quello con- ciato con le altre terre rare. Si presenta ora la questione se queste mie ricerche possono sperare di ricevere applicazioni pratiche industriali o se saran destinate a rimanere nel campo teorico come contributo alla conoscenza del meccanismo della concia e dell'ufficio esercitato in essa dalle materie minerali. Ora a prima vista sì scorge che l'applicazione industriale di questi nuovi materiali concianti potrà esser possibile intanto unicamente pei sali di cerio, giacchè il torio ha già estesissima applicazione industriale nell’ illu- minazione ad incandescenza la quale ne richiede quantità sempre maggiori e quindi non ve n'ha sovraproduzione. Quanto allo zirconio, il suo ossido è ancor sempre una terra preziosa non essendo, come il cerio, un rifiuto del- l'industria delle reticelle. Il cerio invece è l'elemento più diffuso di tutte le terre nobili e, in conseguenza della grande estensione ed importanza acquistata dall'industria delle reticelle Auer, si ha annualmente una considerevole sopra produzione di sali di cerio greggi pei quali fin'ora non si è trovato un impiego indu- striale retributivo. Basta pensare che soltanto in Germania si lavorano an- nualmente 25000 quintali di sabbie monazitiche contenenti circa il 50 °/ di ossidi cerici. Tutto questo cerio (unito a quantità variabili di lantanio, didimio ecc.) vien messo in commercio sotto la forma di ossalati misti e (else: — 538 — col nome di ossalato di cerio greggio, ad un prezzo relativamente molto basso. Ho voluto sperimentare con questo materiale di basso costo. All’uopo l'ossalato di cerio greggio venne calcinato per trasformare il cerio triva- lente in tetravalente e gli ossidi risultanti vennero trasformati opportuna- mente in solfati. La soluzione acquosa rosso ranciata dei solfati così ottenuta, mostra un potere conciante fortissimo in relazione col suo contenuto in cerio cerico. Bastano delle concentrazioni del 3 °/ in ossido cerico per ottenere in poche ore una concia stabile e completa. Adunque, anche sotto il punto di vista dell’applicazione pratica e indu- striale, le esperienze descritte in questa Nota meritano di esser prese in considerazione, giacchè l'utilizzazione dei secondi prodotti dell'industria delle reticelle a incandescenza è ancora uno dei problemi non risolti della chi- mica tecnologica inorganica. Chimica. — Nuovo metodo d’introduzione dei radicali alchilici o arilici nelle basi piridiche e chinoleiche e sulla costituzione det composti organo-magnesiaci misti (*). Nota preliminare di BERNARDO Oppo, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Nel 1904 mentre io (*) e poco tempo appresso Fr. e L. Sachs (*) descri- vevamo dei prodotti d’addizione che i composti organo-magnesiaci misti dànno con le basi piridiche e chinoleiche, di cui ho interpretato la natura nella Memoria precedente, W. Tschelinzeff (4) avendo trovato che bastano tracce di etere per determinare la formazione dei composti di Grignard in solventi neutri diversi, dimostrava che la medesima reazione catalitica possono eser- citare le aniline bialchilate, e specialmente la dimetilanilina, ed interpre- tava questa analogia di comportamento con le trasformazioni analoghe: v R C.H. R C.H- 0) CeHo)e parti Mg 2115 Ri DoL SIE Mg 4 o< AI C,H, AI CHÉ CeH;N CH; 2 CH; Mo R CH; Rene IC ” NCOK, DERE Mg 4 NÉCH; i So AL Sg NOIRE (R= radicale d’ na Al= alogeno) (') Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Pavia. (2) Atti R. Ace. Lincei (5), 13, II, 100; Gazz. chim. it. 34, II, 420. (3) Ber. deutsch. chem. Ges. 37, 3088. (4) Berichte 37, 4534 (1904). — 5999 — Volendo estendere lo studio di questa reazione ad altre basi terziarie e tentare la preparazione in unico tempo di quei miei composti della piri- dina e chinolina con le combinazioni organo-magnesiache miste, ho ottenuto dei risultati che hanno superato le mie previsioni e mi permettono di defi- nire la costituzione di tutti i composti organo-magnesiaci trovati finora, a partire da quelli più noti di Grignard. Io ho trovato anzitutto che mettendo insieme magnesio, un ioduro, bro- muro o cloruro alcoolico e tracce di piridina o chinolina, usando come sol- venti il toluene o la benzina o l'etere di petrolio, s' inizia per alcuni ter- mini anche a freddo, una reazione; ma si arresta subito ed il magnesio resta in massima parte inalterato, anche aggiungendo un granellino di iodio e riscaldando a lungo a ricadere. La piridina e la chinolina non si prestano quindi ad agire cataliticamente come la dimetilanilina; ma la reazione va unicamente finchè esiste dell'ioduro d'ammonio sostituito libero. E che ciò sia vero lo dimostra che se si aggiunge l'una o l'altra base in rapporti equi- molecolari all’ioduro alcoolico, tutto il magnesio si consuma e la reazione si compie in pochi minuti. Questo comportamento è generale per tutti gli eteri alogenati. Infatti ho potuto accertare che avviene sensibilmente nelle stesse condizioni sia per l'’ioduro di metile che d’etile, il cloruro di etile, l’ioduro di propile, d'isopropile, di butile e la bromobenzina. Avviene ugualmente con l’ioduro di allile, a differenza del metodo di Grignard (*) in cui pare che si formi un composto della formola: CHMgJ - C.H;J dove cioè al posto della molecola di etere di costituzione si trova una mo- lecola di ioduro allilico, mentre del magnesio rimane inalterato. Usando come solvente l'etere ho osservato che la medesima reazione sì produce solo quando questo si trova in piccola quantità. Ho osservato inoltre che mentre per ì composti alogenati alifatici la reazione sì svolge quasi ugualmente in presenza di toluene, di benzina o di etere di petrolio; con quelli della serie aromatica è necessario che il solvente raggiunga un punto di ebollizione vicino agli 80°; a meno che, come per il caso dell'etere, si trovino in piccola quantità, ciò che conduce alla mede- sima condizione di temperatura. Mettendo poi dell'etere alogenato con del magnesio solamente in pre- senza di un eccesso di piridina o chinolina, s' inizia subito una reazione tal- mente energica, che molto difficilmente si riesce a mitigare, per cui parte del prodotto si carbonizza. I composti organo-magnesiaci che così sì formano si presentano o sotto forma di polvere fina o di magma cristallina. Alcuni di essi sono solubili (*) Ann. Phys. Chim. 24. 1902. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 69 — 540 — a caldo nel solvente impiegato e col raffreddamento cristallizzano. Così, ad esempio, l'iodopropilato di magnesio piridico è solubile nel toluene; e l’ iodo- metilato di magnesio piridico è anch'esso solubile a caldo nella benzina. Sembrerebbe quindi che si dovessero ottenere dei corpi facilmente analiz- zabili. Ho osservato invece che i prodotti che si separano si alterano con estrema rapidità, molto di più di quelli descritti nella Nota precedente. Ma il fatto più interessante è che trattando con acqua non dànno come quelli l’idrocarburo corrispondente all’alchile e la base libera; ma invece la base medesima alchilata nel nucleo. Così da bromobenzina, chinolina e magnesio in soluzione nel toluene si ricava «. fenilchinolina : N LINA PANAN | ig. i.e. DJ es ZA NA NZ CANA NINA ai TN A Br CH; BrMg C,H; H CH; Il medesimo risultato si ottiene se si tenta di preparare il composto misto di piridina e chinolina col bromuro di magnesio-fenile, aggiungendo assieme una molecola di ciascuna base ad una molecola del composto organo- metallico preparato col metodo di Grignard: in questo caso, ed in questo soltanto finora cioè dell'azione simultanea di due basi, si ottiene un prodotto molto alterabile, che perciò non si riesce ad isolare, il quale per azione del- l’acqua fornisce assieme a notevole quantità di piridina, scarsa quantità di chinolina ed in sua vece «. fenilchinolina. Tale differenza di comportamento tra i composti che dànno isolatamente la piridina e la chinolina con le combinazioni organo-magnesiache di Gri- gnard, che ho descritto nelle due Note precedenti, e quelli ora ottenuti sia col metodo diretto che col miscuglio delle due basi, deve attribuirsi evidente- mente a differenza di posizione delle basi rispetto agli alchili nei composti organo-magnesiaci che si formano: (Ch= chinolina o altra base). Quando cioè l'alchile si trova originariamente legato al nucleo della base, come nel caso del metodo diretto in cui la reazione incomincia con la for- mazione del sale d'ammonio quaternario, vi resta sia nell'azione del magnesio che in quella successiva dell’acqua; soltanto dall’azoto passa al carbonio secondo la nota trasposizione di Hoffmann (formola I). Se invece i composti magnesiaci con le basi trattati con acqua dànno l’idrocarburo e la base li- — 541 — bera, l’alchile in essi trovasi legato alla base per mezzo del magnesio (for- mola II). Questo fatto acquista ancora interesse, perchè ci permette di definire la costituzione di tutti i composti organo-magnesiaci noti, a partire da quelli di Grignard, come ho detto avanti. Di fatti per questi ultimi sono sempre in discussione le due formole: R Mg c,H R 0,H; III DO Iv DO AI C.H; AlMg CH; Bayer e Villiger (*) Grignard (*) Secondo la formola di Grignard facendo agire sui composti da lui de- scritti la chinolina, che può spostare l'etere, come ho dimostrato nella Nota precedente, dovrebbero formarsi composti della costituzione: R (Ch): (n = 09) AlMg cioè identici a quelli da me ottenuti col metodo diretto — ciò che nel fatto non è. Secondo la formola di Bayer e Villiger invece si formano in quel caso i composti: R uo AI e perciò trattati con acqua dànno l’idrocarburo e si rigenera la base inal- terata. Dimostrata così la formola di costituzione dei composti organo-magne- siaci di Grignard e dei composti chinoleici ottenuti da me, e poco dopo da Fr. e L. Sachs, riesce facile ricavare quella di tutti gli altri composti organo-magnesiaci conosciuti finora, applicando nel caso in cui si abbiano nella molecola delle basi sempre il medesimo criterio. Così ai composti pi- ridici-eterei da me descritti (*) spetta la formula: C;H; CH; C.H; CH; V | I NA R Mg-N N=>0 E P y (o con la molecola d'’etere rispettivamente in posizione @ 0 f). A quello bietereo di Tschelinzeff (4): CH; C:H; CH; CH; VI NA NA Re AI (!) Berichte 35, 1902. (2) Bull. Soc. chim. 29, 945. (3) Loc. cit. (4) Berichte, 39, 773 (1906). (Ch), (Vedi formola Il) . Ai — 542 — analogamente a quelli polichinoleici da me ottenuti: (GSS CsHy VII l I RMg—N NO.AI CsH, CsH, CoHy VII i | RMg—N N N .Al mentre l'Autore vi aveva attribuito la formola strana: Finalmente al composto piridico chinoleico pure da me ottenuto, il quale per decomposizione con acqua dà «. fenilchinolina: CsH, CH; IX I I R—_N Mg Riassumendo quindi possiamo concludere che conosciamo finora le se- guenti classi di composti organo-magnesiaci : I. A tipo ossonio: a) Composti monoeterei di Grignard (form. III); 3) Composto bietereo di Tschelinzeff (form. VI). II. A tipo ammonio, corrispondenti ai precedenti nella formola come nel comportamento chimico : a) Composto monodimetilanilinico di Tschelinzeff (form. II) ('); | 6) Composto monochinoleico di Fr. e L. Sachs (form. II); il c) Composti polichinoleici di B. Oddo (form. VII c VIII). III. A tipo misto ossonio-ammonio 0 viceversa: Composti piridici-eterei di B. Oddo (form. V). Tutte queste classi trattate con acqua dànno l’idrocarburo corrispon- dente all'alchile del composto alogenato usato. IV. A tipo ammonio isomero del precedente II: Î a) Composti di B. Oddo ottenuti nell'azione diretta (form. I); | b) Composto di B. Oddo ottenuto nell'azione simultanea della piri- Î dina e chinolina sui composti di Grignard (form. IX). (1) Vedi Blaise, Bull. Soc. chim. 1906. — 543 — Queste due ultime interessanti classi di corpi trattate con acqua dànno le basi alchilate. Di tutti questi composti organo-magnesiaci da me scoperti, del loro comportamento come delle loro applicazioni, mi riservo di continuare lo studio ; e così pure l'applicazione del metodo diretto per l'introduzione degli alchili o arili nel nucleo degli alcaloidi naturali con azoto terziario. PARTE SPERIMENTALE. Metodo generale. — Alla mescolanza di etere alogenato, magnesio, pi- ridina (o chinolina) ed il solvente (toluene, benzina o etere di petrolio), sì aggiunge un granellino di iodio e sì riscalda fino a che il magnesio rag- grumandosi incominci a reagire con l’ioduro d’ammonio sostituito di già formatosi. Allora si mette da parte il bagno e si lascia continuare a sè la rea- zione, agitando od eventualmente raffreddando. In poco più di cinque minuti i 2 del magnesio hanno reagito e basta ordinariamente riscaldare ancora una volta per circa mezz'ora perchè la reazione si completi. N=>C. CH; Preparazione dell'a. fenilchinolina : Coli | CH=CH In un pallone di circa 500 cc. a refrigerante ascendente vengono messi insieme gr. 6 (1 at.) di Mg; gr. 32 (1 mol.) di chinolina; gr. 40 (1 mol.) di CH;Br e cc. 50 di toluene anidro, e si riscalda a bagno d'olio fino a 140°. Raggiunta questa temperatura si allontana il pallone dal bagno, si libera dall'olio aderente alle pareti ed infine staccandolo in fretta dal refrigerante vi s introduce un granellino di iodio, avendo cura di non agitare la mesco- lanza. Si determina subito una reazione con formazione di fiocchi giallo- gnoli che diventano subito giallo-bruni, mentre il magnesio va scomparendo ed il toluene si colora in bruno. La reazione, poco viva da principio, di- venta sempre più energica; allora si regola tuffando il pallone in una va- schetta contenente dell’acqua. Dopo circa mezz'ora cessa quasi del tutto. Si riscalda ancora a bagno d'olio, allontanando di nuovo il pallone qualora la reazione ridiventi troppo energica. Si continua così per un'ora: si ottiene infine lo strato di toluene intensameute colorato in bruno e della materia vischiosa nera. Si lascia raffreddare e vi si aggiunge a piccole riprese del- l'acqua: la massa nel disaggregarsi dà dei fiocchi giallastri, ma rimane sempre un po' di materia vischiosa nera. Decantato il tutto in un imbuto a rubinetto si aggiunge, agitando di tanto in tanto, dell'acido cloridrico di- luito, fino ad ottenere soluzione quasi completa della magnesia, non tenendo conto della parte vischiosa, che non si scioglie completamente anche in pre- senza di un eccesso di acido. — 544 — Si separa lo strato di toluene, che ha conservato il suo colorito bruno, dallo strato acquoso e dopo averlo asciugato su solfato di sodio anidro si distilla. Passato il toluene il mercurio sale quasi ininterrottamente a 300°, la- sciando passare solo poco bromobenzina, chinolina e difenile. A questo punto o si continua la distillazione a pressione ridotta, raccogliendo la porzione fra 240-260° a 3 cm. di Hg, costituita quasi essenzialmente da « . fenilchi- nolina, sotto forma di liquido denso, che non tarda a rapprendersi in bei cri- stalli; o si tratta il tutto con acido cloridrico diluito e si riprecipita poi con un alcali. Nell'un caso o nell’altro resta una discreta quantità di sostanza solida, insolubile negli acidi, non distillabile a vapor d’acqua, che non sono riuscito ancora a studiare per la difficoltà che presenta alla purificazione. L'a. fenilchinolina ottenuta in uno dei modi descritti, cristallizzata dal- l'etere di petrolio, fonde bene a 83° e all'analisi diede i risultati seguenti : sostanza impiegata gr. 0,3052:C0». gr. 0,9810; Hs0 gr. 0,1570 ” ’ » 0,2858:N ce. 17,22 a 17° di temperatura e 762mm. di pressione. Trovato °/o Calcolato per C,3HN C 87,66 87,80 H 5,71 9,37 N 00 16,83 Lo strato acquoso, reso alcalino per potassa ed estratto con etere, dà un'altra piccola porzione di «. fenilchinolina. Azione simultanea della piridina e chinolina sul bromuro di magnesio-fenile. x A gr. 18 (1 mol.) di bromuro di magnesio-fenile, preparato col solito metodo in soluzione nell’etere, si aggiunge a poco a poco e agitando gr. 12,9 (1 mol.) di chinolina e gr. 7,9 (1 mol.) di piridina, mescolati insieme e disciolti nel doppio volume di etere anidro. Ogni goccia produce un torbido bianco che si discioglie ben presto in un olio bruno (caratteristico della chi- nolina quando viene aggiunta sul bromuro di magnesio-fenile) mentre pre- cipita subito dopo una polvere bianco-giallastra, un po’ vischiosa. Cessata l'aggiunta del miscuglio si riscalda a ricadere a b. m. per due ore: la pol- verina si raggruma e si colora in rosso mattone, l'etere in giallo. Si lascia raffreddare e vi si aggiunge a piccole riprese dell’acqua: precipita la ma- gnesia, mentre l’etere si colora più intensamente in giallo. Si decanta il tutto in un imbuto a rubinetto, vi si aggiunge, agitando di tanto in tanto, del- l'acido cloridrico diluito fino ad ottenere soluzione quasi completa della magnesia ed indi separato lo strato di etere si distilla. — 545 — Passato l'etere si raccoglie una porzione fra 110° e 117° costituita da piridina, poi successivamente fra 230 e 245° un’altra piccola porzione costi- tuita da chinolina. Da 245° il mercurio sale quasi ininterrottamente fino a 300° lasciando passare un po’ di difenile, che si rapprende nella canna del refrigerante. Allora si sospende il riscaldamento, ed il residuo che si soli- difica subito col raffreddamento, si tratta con acido cloridrico diluito. Si scioglie la maggior parte e resta indisciolta un po' di sostanza che ho rico- nosciuto essere difenile. Il soluto cloridrico trattato con soluzione d'idrato sodico fino a reazione nettamente alcalina dà un precipitato bianco che rac- colto e cristallizzato dall'etere di petrolio ho riconosciuto essere « . fenil- chinolina a p. di fusione 83°, identico al prodotto descritto nella reazione precedente. Sulla formazione dell'a .fenilchinolina rammenterò che O. Doebner e W. v. Miller l hanno preparato riscaldando per due ore intorno ai 200- 220° aldeide cinnammica, anilina e acido cloridrico concentrato secondo l'equazione : CsHz30 + C;:H}N = C,;H,N+ H.0+ H;. Io mi stò occupando di ricavare anche la biidrofenilchinolina che teo- ricamente deve formarsi in prima fase di reazione: A NANI ANAN I (4) ‘cH #-H20 0) \cH NA NAÀ C;H;—-N—MgBr CH;-N-H DSL: 0: Ani A ii Ai CH;-N-H N Chimica. — Sopra una rimarchevole reazione di addizione dell’acido fulminico (*). Nota preliminare di F. CARLO PALAZZO, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Diversi mesi fa, nel riferire con A. Tamburello Sopra alcuni derivati dell'acido fulminico (*), ci riserbammo di estendere le ricerche anche alla cloro-formossima di Nef, C>C=N.0H . (®) Lavoro eseguito nel R. Istituto chimico di Palermo (prof. A. Peratoner). (2) Giornale di Scienze naturali ed economiche di Palermo, XXVI, 71-113; Gazzetta chimica italiana 37, I, 1; Zentralblatt, 1907, 26. — 546 — Dando per l'acido meta-fulminurico di Scholvien C3N:03H3 +3H:0 (!) la costituzione di acido formo-idrossimico polimero, noi supponevamo infatti una certa analogia di tale acido con la cloro-formos- sima di Nef; restava dunque da assodare se questa supposizione fosse in realtà giustificata. E poichè l'acido meta-fulminurico idrato abbandona gli elementi dell'acqua già nell'eterificazione col diazo-metano, così mi proponevo di esaminare, se anche il cennato cloruro di Nef mostrasse con lo stesso mezzo eterificante un comportamento analogo: in tal caso la struttura da noi assegnata all’acido idrato di Scholvien sarebbe apparsa tanto probabile quanto quella attribuita da Nef al cloridrato di acido fulminico (CNOH).(HC])). Nel caso poi che questo cloridrato avesse fornito invece l'etere meti- lico CI>C=N.00H; (*), si sarebbe avuta in ciò la prima dimostrazione rigorosa della struttura di esso. Infatti la ‘costituzione di cloro-formossima per il cloruro in parola è senza dubbio assai verosimile, ma non può dirsi però che sia affatto ineccepibile. Per gli stretti rapporti che ha questa sostanza con l'acido fulminico e con alcuni polimeri di questo, dei quali mi occupo da qualche tempo, ho dovuto intanto risolvere anzitutto la questione della sua struttura e nella presente Nota riferisco appunto, in via preliminare, in qual modo sono riu- scito a chiarirla definitivamente. All'attendibilità della formula di carbil-ossima per l'acido fulminico è stata mossa da recente qualche obbiezione dal sig. M. Z. Jovitschitsch (*). Quest'autore fa rilevare anzitutto che il classico lavoro di Nef su tale argo- mento contiene, seppure magistralmente dissimulato, un circolo vizioso: in- fatti « per dimostrare che l'acido fulminico ha la struttura di carbil-ossima « C=N.0H, Nef considera il prodotto da lui ottenuto, dal fulminato di (1) Journ. f. prakt. Chem. 320, 90 (1884); 32, 461 (1885). (2) Un etere di questa struttura è stato ottenuto da Biddle (Am. Chem. Journ. 33, 65 (1905)) per azione del pentacloruro di fosforo sull’etere metilico dell'acido formidros- sammico e forma un liquido incoloro, molto stabile, bollente senza decomposizione a 68°, che, a differenza della cloroformossima di Nef, non si dissocia in HC1+ C=N.0CH;. (3) Annalen der Chemie 347, 233 (1906). — 547 — « argento e acido cloridrico, come un prodotto di addizione di acido fulmi- « nico e acido cloridrico e lo chiama « Formylchloridoxim », attribuendogli « la costituzione c>0=N.0H. Ma in tal modo ciò che dovevasi dimo- « strare si chiarisce in realtà con qualche cosa che vuol essere invece di- « mostrata essa stessa, per conto proprio ». Conseguentemente, anche la struttura di cloro-formossima (per il cloridrato di acido fulminico) viene posta in dubbio da Jovitschitsch, ed a questo proposito anzi l’autore non si limita all'osservazione pregiudiziale ora riferita, ma muove altresì degli appunti che entrano nel merito della questione, mostrandosi infine convinto che la formula di carbil-ossima per quanto probabile non è tuttavia « inec- cepibile » e che la costituzione del cloridrato di acido fulminico « rimane pur sempre irresoluta ». È da osservarsi ora che la critica di Jovitschitsch, possa pure sembrare esatta in qualche punto, perde ogni apparenza di validità, perciò che riguarda l'acido fulminico, allorchè non si trascura che quest’acido possiede la formula semplice HCNO (?). Infatti non stanno più a nostra scelta la formula di Steiner o le altre formule — sempre complesse — a cui si riferisce Jo- vitschitsch, epperò la costituzione dell'acido fulminico ben difficilmente può differire da quella di carbil-ossima C==N.OH indicata da Nef. In conseguenza di ciò anche la struttura di cloro-formossima attribuita da quest’ autore al cloridrato di acido fulminico potrebbe sembrare senz'altro accettabile. Tut- tavia non è così, e, indipendentemente dalle osservazioni stesse di Jovit- schitsch, non si riesce anzi ad eliminare una tal quale incertezza riguardo alla costituzione del cloridrato in parola. Tale incertezza è motivata essenzialmente dalla facilità, davvero ecce- zionale, con cui il cloridrato si dissocia nei suoi componenti. Dallo stesso lavoro di Nef è noto ad esempio che il cloruro in questione possiede una « straordinaria tendenza a scindersi in idracido e carbil-ossima » sia in so- luzione acquosa rispetto al nitrato d'argento, sia da solo, per il soggiorno di alcuni minuti alla temperatura ambiente (di pochi gradi sopra zero) 0, istantaneamente, per il solo calore della mano (Annalen 280, 309). Ma vi ha di più. Da esperienze che ho appositamente istituito, mì è risultato che se anche in soluzione nell’etere anidro la sostanza è del tutto indecomposta, pur tuttavia rispetto al diazo-metano in soluzione eterea essa non sì comporta, (1) L'importante dato di fatto, che risulta da esperienze crioscopiche di L. Wéhler sul fulminato sodico (Berichte 28, 1351 (1905)), sfuggì purtroppo a Jovitschitsch, e ciò è manifesto infatti dal tentativo di questo autore diretto ad assodare l'identità dell’acido fulminico con il perossido della gliossima HsCsN:0s. In occasione del VI Congresso in- ternazionale di Chimica applicata in Roma, io ebbi l'opportunità di richiamare l’atten- zione del sullodato autore sulle cennate esperienze di Wohler ed infatti Jovitschitsch ha riconosciuto subito dopo (Annalen 350, 390 (1906)) che tali esperienze sono decisive per la formula di carbil-ossima. RenpICONTI. 1907. Vol. XVI. 1° Sem. 70 _. x_i —»_;eo e e neeto' 1 Pi [[[K[I{[% — 548 - all'eterificazione (*), come una cloro-formossima autentica ed invero non fornisce , dh PL H ° . . affatto l'etere metilico cp70=N.0CH;, ma invece un etere fulminico po- limero il quale sta a testimoniare la dissociazione del cloruro nei suoi compo- nenti (°). Questo cloruro mostra dunque un comportamento quale dovremmo attenderci non già da una costituzione di cloro-formossima in cui il cloro aderisce a carbonio, bensì da una sostanza costituita a un dipresso in modo analogo ai cloridrati di ossime (R=N.0H).HC1. E del resto, si consideri l'acido fulminico come l’ossima dell’ossido di carbonio C=N.0H, o come una carbil-ammina molto semplice K.c° 8 prevede sempre in esso la fa- coltà di addizionare gl'idracidi. Per essere anche più sicuro del risultato avuto nell'esperienza ora esposta, ho stimato opportuno prepararmi anzitutto qualche sostanza costituita ana- logamente al cloruro, ma possibilmente meno instabile di questo, e ciò, sia perchè il clima mite di Palermo non è, nemmeno d'’ inverno, abbastanza pro- pizio al lavoro con il cloruro solido, sia perchè la notevole azione fisiologica di tale sostanza rende questo lavoro assai ingrato. Oltre a ciò, disponendosi ad es. di un composto bromurato o jodurato e facendovisi reagire diazo-etano si potrebbe dimostrare anche più completamente l'eliminazione dell’ idracido, caratterizzandosi questo agevolmente (in presenza di diazo-etano) sotto forma di bromuro o di joduro di etile. Ho agito allora sul fulminato sodico anzitutto con l'acido bromidrico concentrato, attenendomi alle modalità indicate da Scholl (*) per la prepa- razione della cloro-formossima, ed ho ottenuto infatti il corrispondente dr0- midrato di carbil-ossima. Lo studio di questo composto non presenta tuttavia un sensibile vantaggio su quello della cloro-formossima di Nef: la sua volatilità e la sua azione fisiologica irritante sono sempre notevoli, nè d’altronde, in compenso, il composto è molto più stabile del cloruro. Un composto di costituzione analoga, il quale possiede i requisiti da me cercati, lo si ha invece nel jodzidrato di carbilossima. Questa sostanza si ottiene pure in modo analogo, cioè con l'acido jodidrico concentrato, e la sua pre- parazione anzi viene essenzialmente semplificata dal fatto che il composto, meno solubile in acqua del bromidrato, ed ancora meno del cloridrato, non deve venire estratto con etere, ma si precipita in massima parte, già cri- stallizzato, dal liquido fortemente acido per HJ. (!) La reazione è stata eseguita entro limiti di temperatura (0-8°) nei quali il clo- ruro può mantenersi (in soluzione eterea anidra) inalterato anche per alcune settimane (cfr. Scholl, Berichte 27, 2816 (1894). (2) Si è già rilevato che un composto della costituzione indicata (> C=N.0CH, è molto stabile e non elimina HCI. (8) Loc. cit. — 549 — Il jodidrato di carbil-ossima, allo stato di purezza, è una splendida sostanza bianca, che, a differenza dei corrispondenti composti col cloro e col bromo, non mostra un’esagerata tensione di vapore e possiede un grado di stabilità relativamente notevole (') e un punto di fusione (con leggera esplo- sione) marcatamente più elevato (65°). Ciononostante, la maniera con cui si ottiene e tutte le altre proprietà del prodotto jodurato confermano in modo non dubbio la sua analogia con i composti (CNOH).HBr,(CNOH).HCI. Così p. es. trattato in soluzione eterea con anilina, esso fornisce, analogamente al cloruro, la fenil-isuretina (*) e trattato in soluzione acquosa con nitrato di argento fornisce all'istante, e in misura quantitativa, joduro e fulminato di argento. Del resto anche sotto il punto di vista della stabilità il jodidrato in parola non differisce essenzialmente dai corrispondenti composti col cloro e col bromo: come questi esso si dissocia ugualmente in idracido e carbil-ossima ed anzi in tal caso il processo può venire osservato con singolare nettezza, giacchè, man mano che si elimina idracido, si pone in libertà jodio (*). Ciò ch'è diverso nei tre composti alogenati è solo il purto di dissociazione, nel che si ha peraltro una bella conferma delle idee svolte a questo proposito da Nef. Si aggiunga a ciò che la reazione della soluzione acquosa, anche pre- parata di recente e con prodotto purissimo, è fortemente acida: il metil- orange viene arrossato, i carbonati sono decomposti, e senza dubbio il pro- dotto esisterà in essa completamente (o quasi) dissociato (7470/732440) giacchè una reazione acida tanto forte non può aspettarsi da un’'ossima, contenga pure questa nella sua molecola un elemento elettronegativo qual'è il jodio. Ora l'insieme di tutti questi fatti ribadisce naturalmente il sospetto che nei composti in parola gl'idracidi non aderiscano al carbonio, o dovremmo almeno immaginare un’addizione tutta sui gerer:s, che si discosta notevol- mente da quelle usuali. Per chiarire la natura delle addizioni. analoghe & questa, che si osservano pei composti del carbonio bivalente, Nef le ha pa- ragonate a quelle che si conoscono da più lungo tempo pei composti del- l'azoto trivalente, epperò egli assimila in certo modo i composti del carbonio tetravalente, saturo, ai composti, ammonzci, dell'azoto pentavalente. Senonchè nel caso che ci occupa, dei varî alogenidi dell'acido fulminico, il raffronto non sarebbe adeguato; infatti gl'idracidi mostrano di essere addizionati in modo tanto saldo (0, se più vuolsi, debole) quanto lo sono p. es. al fosforo nei composti di fosfonzo. i E poichè la chimica del carbonio non offre esempî di addizioni tanto (') Alla temperatura ambiente di 15° si mantiene inalterato per alcuni giorni, spe- cialmente se è tenuto nel vuoto, al riparo dalla luce. (2) Ann. d. Ch. 280, 318 (1894). (3) L'acido jodidrico viene ossidato tosto, sia dall’ossigeno atmosferico, sia dalla carbil-ossima stessa la quale si riduce per ciò ad acido cianidrico. — 550 — singolari ad uno stesso atomo, così, invece di accettare incondizionatamente l’interpretazione di Nef, si potrebbe pensare di fornire all'ipotesi la base sperimentale di cui finora difetta. Dico subito che nella ricerca di questo con- tributo sperimentale ho ricevuto l'indirizzo dal fatto stesso di avere isolato un bromidrato e un jodidrato di carbil-ossima tanto analoghi nelle loro pro- prietà alia eloro-formossima di Nef. Dal momento che l'acido fulminico è tanto proclive ad addizionare acidi minerali, e d’altronde tale addizione ha luogo sempre con uno stesso meccanismo (!), non è difficile escogitare una sanzione sperimentale alla struttura indicata da Nef: baste:ebbe giungere a sostanze di costituzione già chiarita, partendosi dall’acido fulminico e se- guendosi una via affatto analoga a quella con cui si ottengono i tre aloge- nidi di quest'acido. Tali sostanze dovrebbero poi ricercarsi in ogni caso, fra i derivati del- l'ossima formica, giacchè soltanto derivati di questo tipo, E >C=N.0E, possono prendere origine se l’addizione degli elementi dell'acido HX, si verifica in realtà al carbonio (?). Ora di questi derivati sostituiti, di costituzione non dubbia, noi abbiamo un rappresentante nell’ucdo mezzil-nitrolico. Quest'acido è da considerarsi come una nitro-formossima vera e propria H e se ne dovrebbe dunque poter conseguire la sintesi partendosi dall’acido fulminico e dall’acido nitroso. In verità alcune osservazioni da me fatte nella preparazione dei varî alogenidi della carbilossima non indurrebbero a fondare grande speranza su tale reazione. Queste sostanze in soluzione nel- l’acqua sono notevolmente dissociate (74r0//2<4/e), e se ciò nonostante la loro sintesi può effettuarsi pur in presenza d'acqua, egli è perchè la loro forma- zione è governata evidentemente da un'azione di massa: in tutte queste rea- zioni è sempre presente un eccesso dell'acido (concentrato) di cui si vogliono addizionare gli elementi, ed in esse sono da vedersi dunque altrettanti casi di equilibrio. Ora nel caso in cui gli elementi da addizionare siano quelli dell'acido nitroso, è altresì ovvio che la concentrazione richiesta non può raggiungersi con pari facilità. Oltre a ciò possono temersi nell'impiego del- l'acido nitroso altri svantaggi inerenti alla sua natura ossidante. (1) Ciò risulta dalla perfetta analogia che mostrano i prodotti di addizione. (*) Fondamentalmente questo criterio non differisce molto da quello adoperato da Nef per assodare pel cloridrato di acido fulminico la costituzione di cloro-formossima; infatti l’autore tentò di passare da esso, per azione di ammoniaca, all'ammido-formossima HE>C=N.0H (isuretina). Ma purtroppo il risultato non corrispose all’attesa. Infatti Nef ne ricava un acido (CsH3N303 + 1/2: aq.) la cui costituzione non viene dimostrata per conto proprio, bensì chiarita con un meccanismo complicato che presuppone nel cloridrato di acido fulminico la costituzione di cloro formossima. — 551 — Ad onta di ciò l'esperienza mi ha mostrato che mell’azione dell'acido nitroso sull’acido fulminico uno dei prodotti è altresì l'acido metil-nitro- lico, la nitro-formossima. Allorchè una soluzione alcalina di fulminato sodico, quale si ottiene dal fulminato mercurico e amalgama di sodio in presenza d'acqua, sì aggiunge di nitrito sodico e poi, con precauzione (da un imbuto a rubinetto e raffred- dandosi sotto 0°), di acido solforico diluito, tosto si manifesta nel liquido un'intensa colorazione rosso-sangue che fa subito pensare alle soluzioni alca- line degli acidi nitrolici. L’intensa colorazione è dovuta probabilmente a più di un prodotto ed appunto per ciò l'isolamento dell'acido metil-nitrolico, dal liquido di reazione, offre difficoltà non lievi. Non potendo entrare, per brevità, a descrivere i dettagli del procedi- mento, mi limiterò qui ad accennare che sono arrivato all'intento estraendo il liquido di reazione, acido per H,S0,, con etere e ricavando dall'estratto etereo concentrato, l'acido nitrolico per cauta aggiunta di potassa alcoolica. L'eritrosale così ottenuto rappresenta in questo procedimento un termine di passaggio per potere realizzare in certo qual modo l'isolamento dell'acido nitrolico dagli altri prodotti (oleosi) di reazione; infatti dall’eritrosale ripreso tosto con acqua mi è stato facile isolare un acido il cui punto di fusione, 60-61°, differisce solo di pochi gradi da quello indicato nella letteratura per l'acido metil-nitrolico ('). Dal prodotto così ricavato si può poi riprodurre a piacere l'eritrosale, e da questo nuovamente l'acido incoloro, come appunto è caratteristico degli acidi nitrolici. Anche sulla lamina di platino il com- portamento del prodotto fusibile a 60-61° è essenzialmente quello stesso dell'acido metil-nitrolico, per cui non esito menomamente a considerarlo tale. In conseguenza di questo risultato sono indotto ad attribuire agli aloge- nidi dell'acido fulminico la costituzione di altrettante formossime sostituite e ad ulteriore conferma di ciò posso aggiungere anche l'osservazione che la forma cristallina dell'acido metil-nitrolico (appositamente preparato, per con- fronto, dal nitrometano) mostra la maggiore rassomiglianza con quella dei tre alogenidi. La stabilità stessa dell'acido metil-nitrolico non è superiore a quella del jodidrato di carbil-ossima (*) per cui anche questo composto è da considerarsi come una vera e propria formossima sostituita. Da ultimo mi resta da aggiungere che il risultato della presente ricerca chiarisce altresì la formazione di fulminati nella scissione dell'acido metil- nitrolico in presenza di nitrato di argento o di mercurio. H. Wieland (5), (*) Berichte 40, 418 (1907). (2) 64° secondo Tscherniak (Annalen 780. 168 (1875)); 68° secondo Ponzio (Gazzetta chimica italiana 33, I, 510 (1903). (8) Infatti, secondo osservazioni concordi di varî autori l’acido metil-nitrolico now si mantiene inalterato più di un giorno. Cfr. Tscherniak, Annalen /80, 168 (1885) e Meyer e Constam, ibidem 274, 336 (1882)- An — 552 — che ha trovato di recente tale reazione, sembra inclinato a supporre che i fulminati prendano origine ivi dalla trasposizione di un « nitriloxyd », insta- bile, che si genera dapprima: (H).(0.N).C:NOH — HC:N:0— C:N.0H; nondimeno, per l'indiscutibile analogia ora assodata fra l'acido metil-nitrolico e la jodo-formossima, mi sembra che la reazione in parola debba chiarirsi di preferenza invocandosi un processo di dissociazione del tutto analogo a quello che fu supposto da Nef per la sua cloro-formossima. Chimica. — Sulla miristicina. — Il Fencone in ebullioscopia. Note di E. Rimini e F. OLIVARI, presentate dal Socio PATERNÒ. Mineralogia. — G/iacimento di minerali di tungsteno a Genna Gurèu ai limiti fra Nurri ed Orroli (Cagliari). Nota di DomeE- nico Lovisato, presentata dal Socio G. STRiÙVER. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Petrografia. — Ze rocce vulcaniche del territorio di Sas- sari e di Porto Torres (Sardegna) ('). Nota preliminare di FEDE- RIco MiLLosEvIcH, presentata dal Socio G. STRivER. Nello studio delle rocce vulcaniche della Sardegna e specialmente di quelle che il Lamarmora comprendeva sotto la denominazione di #rachytes anciennes, molto resta da fare: intere regioni, specialmente al nord e al nord- ovest, mancano di qualsiasi osservazione in proposito. Per questa ragione, e perchè d'altra parte sono convinto che gli studi petrografici devono essere minuziosi e che l'esame microscopico deve essere accompagnato dal completo riconoscimento geognostico sul terreno e da un sufficiente numero di analisi chimiche, mi sono limitato per ora allo studio di quel territorio, che è più facilmente e prontamente accessibile con ripetute escursioni dalla mia abi- tuale residenza. Avendo quasi ultimato lo studio dei territorî di Sassari e di Porto Torres, che rappresentano l’estremo punto nord-ovest, dove si tro- vano dette rocce vulcaniche, premetto in questa Nota preliminare alcuni dei più importanti risultati ottenuti, mentre nella Memoria relativa, che sto com- pilando, lo studio da me fatto sarà esposto in tutti i suoi particolari. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Sassari. — 553 — Le rocce vulcaniche costituiscono una formazione importante a ovest e a nord-ovest di Sassari e si trovano, oltrechè nelle colline cosidette di S. Ana- tolia, dove furono indicate dal Lamarmora, anche in varî punti della valle del Rio Mannu, poco dopo la sua confluenza col Rio Maccia d'Ogliastru e nella valle di quest’ultimo rio stesso. Di più si trovano nei pressi della Crucca, ancora nella vallata di detto Rio Mannu, alla foce di questo presso Porto Torres e nella Nurra a 4 chilometri circa a sud-ovest di questa citta- dina. Quasi dappertutto esse appaiono sotto gli strati calcarei del Miocene (Elveziano), che nelle colline di S. Anatolia forma una specie di altipiano calcareo il cui fianco orientale, che guarda la città di Sassari, mostra allo scoperto per un gran tratto la sua base di rocce eruttive. Nella vallata del Rio Mannu i numerosi affioramenti si limitano a quei punti dove l'erosione ha inciso così profondamente i calcari, da mettere a nudo le rocce sottostanti, cosicchè qua e là queste costituiscono il thalweg della valle e solo presso il mare ad ovest di Porto Torres esse presentano una certa estensione su- perficiale. Le rocce vulcaniche di tutta la regione ci mostrano due tipi, se non mineralogicamente molto diversi, certo strutturalmente assai differenti e una numerosa serie di passaggi dall'uno all’altro: anzi queste forme intermedie sono assai più frequenti, che non i due tipi estremi. Mi limito per ora a dare breve notizia soltanto di questi. Il tipo a struttura ipo e quasi olocristallina presenta grandi e nume- rosi interclusi di plagioclasio (andesina e labradorite acida), interclusi più piccoli e più rari di augzte, ancor più rari di iperstene e di magnetite; la massa fondamentale risulta di /e/dspato alcalino (sanidino), di feldspato calcico-sodico (oligoclasio), di augite e di poca o punta base vetrosa; la struttura è trachitica. Detto tipo è piuttosto raro e lo ho riscontrato genuino soltanto alle origini del Rio Maccia d’Ogliastru in regione Laudriga presso la casa Abozzi e in regione Caniga, lungo la via che si diparte dalla pro- vinciale di Alghero, mezzo chilometro dopo la stazione di Caniga. In questa località ho preso i campioni per una analisi quantitativa, che mi diede i seguenti risultati: Si 0? 58,40 Ti 0? 0,41 AI? 03 17,94 Fe? 03 5,02 Fe0 1.42 Mn0 0,40 Cao 6,23 Mg0 0,95 Na?0 3,64 K?0 4,68 H?0 (?) 1,89 202 tre (‘) Perdita per arroventamento. 100,98 — dbd — Il tipo schiettamente vetroso è assai più frequente e si trova comune- mente in tutta la regione e specialmente nelle colline di S. Anatolia, dove forma delle masse considerevoli. Si tratta di una roccia nera o nerastra a volte con l'aspetto esterno di una ossidiana, a volte con l'apparenza di una pietra picea. Gli interclusi più frequenti sono di plagioclasio (andesina e labradorite): molto più rari, e in talune varietà mancanti del tutto, quelli di feldspato alcalino (sanidino sodico): abbastanza frequenti gli interclusi di augite e più rari quelli di iperstere. Il vetro della massa fondamentale si presenta poco trasparente, poco omogeneo, di color bruniccio e con marca- tissima struttura fluidale. L'analisi di un campione raccolto nella regione Caniga, poco discosto dalla roccia, a struttura olocristallina di cui si è data più sopra l’analisi, mi diede i seguenti risultati : Si 0° 63,44 uo; 0.75 Al? 03 17,03 Fe? 0? 1,97 Feo TG. Mn0 0,21 Cao 2,78 Mg0 0,87 Na?0 DIDO K?®0 5.50 H?0 (!) 3,31 100,81 Le varietà più comuni hanno una struttura e una composizione inter- media fra 1 due tipi estremi descritti, e di esse mi occuperò diffusamente nella Memoria che seguirà questa mia Nota, perchè spero con ciò di portare un contributo alla conoscenza delle rocce a struttura eutaxitica, non ancora troppo note. Per ora mi limito ai seguenti risultati di quanto più sopra ho esposto: Le rocce vulcaniche del territorio di Sassari e di Porto Torres si pos- sono chiamare trachi-andesiti, perchè mineralogicamente e chimicamente stanno fra le trachiti propriamente dette e le andesiti augitico-ipersteniche. Uno studio più completo dimostrerà molte affinità mineralogiche e ma- ematiche con parecchie rocce dell’Italia centrale; per ora si può affermare che, benchè queste rocce di Sardegna sieno più povere di alcali, pure pre- sentano una certa affinità con le vulsiniti di Washington (*) e di Riva e De Lorenzo (*) e che, specialmente il tipo vetroso di esse, ha una affinità ancor più stretta con le toscaniti dello stesso Washington (*). (') Perdita per arroventamento. (2) Washington H. S., Italian Petrological Sketches. I, II e V. Journal of geology, vol. IV e V, 1896-97. (*) De Lorenzo e Riva, Il cratere di Astroni nei campi Flegrei. Napoli, R. Acc. Scienze (serie 2%), vol. XI. (4) Washington H. S., Italian Petrological Sketches. III, Journal of geology, vol. V, 1897. Mineralogia. — occe liguri raccolte nel circondario di Savona ('). Nota del dott. ArIstIbE Rosati, presentata dal Socio G. STRUEVER. Sulle rocce della Liguria ho già pubblicato una prima Memoria petrogra- fica (?) per alcuni campioni raccolti dall'ing. D. Zaccagna nei circondari di Albenga e di Savona. Ora lo stesso Ingegnere ha la cortesia di mandarmi per lo studio microscopico esemplari di rocce importanti da lui raccolte in varie località del circondario di Savona, ed io espongo nella presente Nota i ri- sultati ottenuti, premettendo, come al solito, alle mie osservazioni le no- tizie geologiche avute dallo Zaccagna insieme agli esemplari. Per la bibliografia rimando il lettore al mio lavoro del 1906, dove sono citate importanti opere del Franchi, dell'Issel e dello Zaccagna, ed a cui si deve aggiungere lo studio petrografico di G. Rovereto, intitolato: La serie degli scisti e delle serpentine antiche in Liguria e pubblicato negli Atti della Società Ligustica di scienze naturali, parte I, anno 1891 e parte II, anno 1893. RoccE RACCOLTE PRESSO PALLARE. Diabase porfirico. « La massa diabasica è inclusa negli scisti sericitici accompagnanti le quarziti del Trias inferiore sotto all'abitato di Biestro presso Pallare ». Roccia di colore giallo-verdastro e di struttura granoso-porfirica. Nella massa fondamentale verdastra sono disseminati numerosi cristalli di colore verde-bruno e di forma prismatica, allungati secondo le facce del prisma e che già a primo aspetto sono rifaribili alla serie pirosseno, ed alcune macchie rosso-brune dovute a prodotti ferriferi di alterazione, e specialmente a pirite limonitizzata. Le dimensioni dei cristalli di pirosseno sono notevoli raggiun- gendo un massimo di circa ‘/s cm. per la lunghezza, 1 mm. per la larghezza. Per la netta distinzione tra massa fondamentale e minerali inclusi la struttura della roccia è tipicamente porfirica. L'aspetto della roccia non è fresco, ma indica una notevole alterazione. Lo studio microscopico della sezione sottile fa riconoscere un fondo prevalentemente feldspatico in cui sono disseminati grandi cristalli di augite, numerose granulazioni giallognole o più raramente nerastre o rossastre, ed abbondanti elementi bacillari incolori o colorati in verde pallidissimo. Tutti (1) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Mineralogia della R. Università di Roma. (3) A. Rosati, Studio microscopico di alcune rocce della Liguria occidentale. — Rend. R. Acc. Lincei, 1906, vol. XV, 1° sem., serie 5°, fasc. 12°. RenpIconTI 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 71 i f — 556 — i minerali presentano traccia di più o meno avanzata alterazione, per cui è specialmente interessante lo studio delle loro metamorfosi. In alcuni punti si hanno plaghe di alterazione con struttura a mosaico, come si osserva in rocce prasinitiche, si ha cioè una vera struttura prasinitica. E appunto la composizione mineralogica di queste zone corrisponde a quella delle prasi- niti, perchè vi si riconosce un mosaico di albite secondaria entro cui si an- nidano granulazioni epidotiche, poca clorite, ed un amfibolo fibroso-aciculare verde chiarissimo con aspetto actinolitico. Fenomeni simili di prasinitizza- zione delle rocce diabasiche furono largamente studiati dal Franchi (') per una roccia della Valle di Susa e recentemente dal Manasse (*) in roccie della Gorgona. Ma per quanto la massa fondamentale della roccia sia profondamente alterata, e quindi difficile a studiarsi la struttura prasinitica è solo ricono- scibile per pochi tratti; in generale non si vede il mosaico di albite, ma un fondo feldspatico apparentemente continuo ad estinzione ondulosa, tem- pestato da granulazioni e da elementi bacillari di varia natura. Il feldspato è per la maggior parte alterato in un materiale giallognolo granuloso di natura epidotica. La geminazione dell’albite è limitata a pochi cristalli; la forma delle sezioni è sempre irregolare e confusa coni prodotti d'alterazione. Gli elementi conservati e geminati sono così rari che non per- mettono una determinazione precisa del minerale. Dalle poche osservazioni fatte risulta un massimo dell'angolo di estinzione simmetrica nella zona normale a (010) di circa 18°, il che rende probabile la presenza di un pla- gioclasio della serie andesina; ma non si può averne certezza. In molti cri- stalli di feldspato si hanno inclusioni di apatite in forma di piccoli aghi. Come ho notato è abbondantemente diffuso l’ epidoto secondario, il quale costituisce zone leggermente pleocroiche dal giallo-limone al giallo pallidis- simo risultanti dall'associazione di piccoli granuli o di elementi aciculari con disposizione fibroso-raggiata, per cui a nicol incrociati non è raro di notare la croce nera caratteristica delle sferoliti. Qualche cristallo è idio- morfo, allungato secondo è e presenta un distinto pleocroismo: a incoloro. 6 giallognolo pallido, quasi incoloro. c giallo limone. ù poi notevolmente diffuso l’amfibolo secondario, in forme aciculari 0 bacillari, incoloro o colorato in verde pallidissimo, sprovvisto di pleocroismo, distinguibile per il piccolo angolo d'estinzione rispetto alla direzione d'al- lungamento. Circonda o compenetra gli elementi feldspatici, e in alcuni (1) Franchi, Notizie sopra alcune metamorfosi di eufotidi e diabasi nelle Alpi Oc- cidentali. Boll. Com. Geol., 1895, anno XXVI, pag. 193. (?) E. Manasse, Ze rocce della Gorgona. — Alla Mem. di A. D'Achiardi, Pisa, 1903, pag. 67. — 597 — punti, dove costituisce una specie di feltro finissimo, è così prevalente da far pensare ad una trasformazione della diabase in amfibolite. È infine presente una discreta quntità di limonite e di leucoxeno grigio-scuro in granulazioni od accentrato in nugoletti. L'augite, come costituente della massa fondamentale non si riconosce. È invece l’unico elemento porfirico sviluppandosi nei grandi cristalli già ri- conosciuti macroscopicamente. Ha colore roseo-pallido, ma in sezioni molto sottili è incoloro ; le linee di sfaldatura sono molto rimarcate. I cristalli hanno sempre contorni irregolarissimi, e spesso appaiono incurvati o divisi da pro- fonde fratture; anche l'estinzione è talvolta irregolare, ondulosa. Si verifi- cano quindi i comuni fenomeni dovuti al dinamometamorfismo. Sono special- mente numerose le sezioni della zona verticale, dove quelle prossime a (010) danno un angolo d'estinzione massima dalla sfaldatura prismatica di circa 40°. Più raramente si osservano sezioni prossime alla base, su cui le linee di sfaldatura s'incontrano con l'angolo caratteristico di 87°. Sono relativa- mente frequenti le seminazioni secondo (100). I cristalli inalterati sono limpidi presentando solo poche inclusioni di ossidi di ferro; i cristalli spezzati mostrano penetrazione del materiale circostante lungo le linee di frattura. Ma è molto diffusa e particolarmente interessante a stu- diarsi la trasformazione in uralite, che spesso è isorientata col cristallo ori- ginario trovandosi disposta nelle sezioni della zona verticale in fibre paral- lele alle linee di sfaldatura prismatica, ed allora a nicol incrociati si può osservare la caratteristica e notevole differenza dell'angolo d'estinzione mi- surato rispetto alle tracce della sfaldatura tra amfibolo e pirosseno, e cioè 15° circa per l’amfibolo, 40° circa per il pirosseno. Ora la uralitizzazione del cristallo d’'augite è completa, e rimane soltanto uno scheletro del mi- nerale primitivo, ora avviene solo per alcuni tratti dei grandi cristalli e specialmente lungo le linee di sfaldatura e di frattura rimanendo parecchie zone augitiche inalterate. Per uralitizzazione si producono quattro amfiboli diversi, distinguibili per il loro colore: 1°. amfibolo bruno con policroismo: bi—:lesbruno: a = giallo chiaro. 2°. amfibolo verde con policroismo: a giallo verdognolo. b verde chiaro. c verde. 3°. amfibolo verde chiarissimo senza policroismo sensibile. 4°. amfibolo violetto chiaro con policroismo simile a quello della glau- cofane. Il policroismo è sempre debole. — 558 — Mentre i primi tre sono frequenti, l’ultimo è molto raro, e si distingue dagli altri anche per avere un più piccolo angolo d'estinzione rispetto alla direzione d’allungamento. Tra gli amfiboli verde, verde chiaro e violetto si hanno spesso sfumature di colore, che indicano il graduale passaggio dal- l'uno all'altro, per l’amfibolo bruno invece il distacco è più netto. Il fenomeno è perfettamente analogo a quello accertato dal Franchi (') in una roccia diabasica dell’ Isola del Giglio, e di cui egli dà anche la rap- presentazione grafica. Unitamente all’amfibolo, ma in minore quantità, si produce poca clorite con policroismo insensibile e bassi colori d’ interferenza e pochissima limonite. La clorite sempre con gli stessi caratteri ed in piccola quantità si trova anche nella massa fondamentale indipendentemente dai cristalli porfirici di augite. La struttura microscopica della roccia è porfirica con massa fondamen- tale granulare olocristallina ed essendo l’augite l’unico elemento porfirico dovremo ritenere, seguendo il Rosenbusch, che qui si tratta di un diabase porfirico di « Augitporphyrfacies ». È notevole la profonda alterazione subita dalla roccia; la massa fonda- mentale è quasi completamente trasformata in minerali secondari: fra cui sì distinguono albite, clorite, epidoto, amfibolo, leucorene. E mentre l’osser- vazione macroscopica non fa distinguere nettamente nello stesso esemplare diverse zone d’ alterazione, lo studio microscopico dimostra che la metamor- fosi non avviene con uniformità in tutta la massa. Alcune aree sono molto più alterate di altre, in alcuni tratti prevale l' epidoto, in altri l'amfibolo, così che confrontando tra loro le diverse sezioni sottili, pare si riferiscano a rocce diverse. « La roccia si sovrappone alla besimaudite gneissica sotto la quarzite triassica, nello sperone che dalla Cascina Bove scende sulla Bormida presso Pallare ». Roccia di colore grigio cenere e di struttura porfirica con disposizione alquanto stratificata della massa. Visibilissimo il quarzo incoloro o colorato in rossiccio, che forma i grandi elementi porfirici granulari abbondantemente diffusi in tutta la roccia. Al microscopio si rivela una distinta struttura porfirica, dove gli ele- menti della massa fondamentale sono in massima parte rappresentati da se- ricite, a cui sì aggiungono quarzo, ossidi di ferro, e qualche raro plagioclasio geminato secondo la legge dell'albite. Questi elementi si riuniscono a costi- tuire un fine impasto granofirico con estinzione ondulosa e con i caratteri (1) S. Franchi, Prasiniti ed Amfiboliti sodiche provenienti dalla metamorfosi di rocce diabasiche. — Roma, Tip. R. Acc. Lincei, 1896. — 559 — propri di minerali sottoposti all'azione del dinamometamorfismo, per cui non mi è possibile uno studio più approfondito. Il quarzo porfirico presenta spesso corrosioni ed incisioni profonde, per cui risultano sezioni di forma irregolare provviste al contorno di molte inse- nature. Le inclusioni sono numerose, rappresentate da finissime granulazioni di ossidi di ferro; è frequente l’estinzione ondulosa. In conclusione abbiamo una massa fondamentale olocristallina prevalen- temente sericitica in cui sono inclusi grandi cristalli di quarzo. Per quel che risulta dall'esame microseopico dell'unico e piccolo esemplare, di cui dispongo, io non posso pronunciarmi circa la collocazione sistematica della roccia, e per ciò mi limito ad una esposizione oggettiva delle osservazioni fatte. Serpentina. « La serpentina forma due o tre masse fra gli scisti sericitici del Trias inferiore come la diabase, sul crinale del Brie Veriosa presso Pallare ». La roccia ha il colore variabile per i diversi tratti dal verde-giallo- gnolo al verde-scuro, caratteristico delle serpentine. La struttura è granosa, salvo in alcuni punti dove diviene fibrosa per la presenza di crisotilo. Al microscopio male si riconoscono i residui dei minerali originarii, per essere la loro alterazione quasi completa. Il serpentino ha un colore verde pallidissimo e per lo più una strut- tura lamellare antigoritica. Nella massa serpentinosa sono distinguibili alcuni grandi cristalli lucenti di una leggera tinta verde-giallognola, debolmente pleocroici, e che per i loro caratteri ottici vanno riferiti alla bastite. Sono alteratissimi, e come al solito la trasformazione in serpentino s' inizia lungo le linee di sfalda- tura e di frattura. Sono infine presenti la magnetite per lo più in cristalli ottaedrici, la cromite in granuli trasparenti di color rosso-bruno cupo, ed un minerale anch'esso granulare e che in sezione sottile è trasparente con colore verde- oliva bruno ed orlo oscuro (picotite ?). RoccE RACCOLTE PRESSO SAVONA. . Gneiss cloritico-muscovitico. « La roccia trovasi in associazione a micasciti ed amfiboliti sul cri- nale del M. Cucco presso Savona ». La struttura della roccia, che presenta un fondo biancastro con macchie verdognole, è di tipo granoso, a grana non molto fina variabile nello stesso campione. All’osservazione esterna si notano grossi granuli di quarzo, un materiale verdognolo per lo più concentrato in piccoli noduli di natura clo- ritico-micacea, e da cui proviene un certo aspetto porfirico della roccia, la- — 560 — minette luccicanti di mica bianca, alcuni grandi cristalli tabulari di orto- clasio ed un minerale biancastro feldspatico. Il quarzo è prevalente, e i suoi elementi, dove spesso due dimensioni prevalgono\sulla terza, appaiono orien- tati in direzioni parallele, dal che risulta una disposizione alquanto strati- ficata della massa con una certa apparenza di struttura pegmatitica. Il microscopio fa riconoscere che gli elementi essenziali della roccia sono: quarzo, feldspato e muscovite. Ad essi si aggiungono come minerali accessori: biotite, apatite, clorite, ossidi di ferro, zircone. Il quarzo è abbondantissimo, e si sviluppa in grandi elementi allotrio- morti, dove non di rado si notano fratture ed inclusioni liquide o di ossidi di ferro (magnetite e limonite in granuli). Talvolta presenta estinzione on- dulosa, in altri casi per sezioni quasi normali all'asse ottico una distinta fi- gura d interferenza uniassica. Anche il feldspato è largamente rappresentato costituendo insieme al quarzo l'elemento prevalente della nostra roccia. Vi si distingue l'ortoclasio, il microlino, la micropertite e il plagioclasio. Fra tutti è predominante l'ortoclasio in grandi cristalli a contorno ir- regolare o quadrilatero e che mostrano distintissime linee di sfaldatura. Tal- volta s intorbida per alterazione in caolino o produce laminette sfrangiate di muscovite. Il microclino si distingue per la sua caratteristica « Gitter- structur ». Non è rara l'associazione dell’ortoclasio coll’ albite a costituire la cosidetta « micropertite ». Il plagioclasio è frequente ed offre distintissima la geminazione dell’ al- bite. Talvolta si hanno geminati doppi secondo le due leggi dell'albite e di Carlsbad. Nella zona normale a (010) l'angolo massimo di estinzione sim- metrica è di circa 20°. Essendo frequenti i contatti col quarzo si sono potute fare alcune determinazioni col metodo di Becke, che hanno dato i seguenti risultati : posizione parallela: @ < a' AZ ” incrociata: w < y' e = Per queste osservazioni deve ritenersi che il plagioclasio appartiene alla serie dell’andesina. È comune l'alterazione del plagioclasio in zoisite bacillare ed in mu- scovite. La mica non è molto abbondante e si riferisce quasi totalmente alla muscovite. Ha una tinta verde pallidissima e si sviluppa nelle comuni forme laminari. Dalla sua concentrazione ed associazione con materiale cloritico e limonitico derivano le nodulazioni verdastre osservate macroscopicamente. Si notano anche, ma molto raramente, piccole laminette di biotite con il caratteristico pleocroismo dal giallo al giallo-bruno, e quasi tutte accen- nano ad un principio di alterazione in clorite. — 561 — Come già dissi fra i minerali accessori oltre l’ apatite in forme acicu- lari inclusa nel feldspato vi' è la clorite laminare debolmente pleocroica dal verde pallido all’incoloro, e lo zircone granulare. La magnetite è diffusa in forma di finissime granulazioni. La struttura microscopica della roccia è olocristallina ipidiomorfa, quantunque gli elementi feldspatici idiomorfi siano molto rari. Dai caratteri suddescritti si rileva che la costituzione mineralogica della roccia in esame corrisponde a quella dei sraniti e degli gneiss. Tenuto conto del senso di stratificazione osservato nel campione e della presenza di muscovite e di clorite credo dover classificare la roccia come gneiss clo- ritico-muscovitico. E qui si può pensare che originariamente il gneiss fosse a due miche, e che in seguito la biotite sia scomparsa trasformandosi in clorite. Per la struttura si ha il tipo « Kérniger Gneiss » del Rosenbusch. S' intende che io mi attengo esclusivamente alle osservazioni, che ho potuto fare sul piccolo esemplare, di cui dispongo. Una determinazione più esatta si avrebbe solo dopo uno studio accurato del giacimento. Patologia vegetale. — Sulla presenza di micorize endotro- fiche nelle radici della vite. Nota del dott. LionELLO PETRI, presentata dal Socio G. CUBONI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio Grassi, relatore, a nome anche del Socio TopaRo, legge una Relazione sulla Memoria del prof. A. Russo intitolata: Modificazioni spe- rimentali dell'elemento epiteliale dell'ovaia dei Mammiferi, da servire come base per la determinazione artificiale del sesso femminile e per la migliore interpretazione della legge di Mendel sulla prevalenza degl ibridi; la Relazione conclude col proporre la inserzione del lavoro nei volumi delle Memorie. Lo stesso Socio Grassi, relatore, a nome anche del Socio TopARO, legge una Relazione sulla Memoria del prof. L. TeNcHINI e del dott. P. Cava- TORTI avente per titolo: Sulla morfologia della ghiandola tiroide nor- male nell'uomo, proponendo che di questo lavoro sia pubblicato negli Atti accademici un largo riassunto. Le conclusioni delle Commissioni esaminatrici, messe ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. 62 — PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLASERNA informa la Classe che alla seduta assiste il Socio straniero TrosaLDo FISCHER. Lo stesso PRESIDENTE dà poscia il triste annunzio della perdita fatta dall'Accademia nella persona del Socio straniero MARCELLINO BERTHELOT, mancato ai vivi il 18 marzo 1907; apparteneva l’estinto all'Accademia sino dal 13 febbraio 1890. Il PRESIDENTE comunica i ringraziamenti del Socio straniero prof. ER- NESTO HAEcKEL, per le felicitazioni inviategli dall'Accademia in occasione del 50° anniversario della sua laurea in medicina. Il Socio Fano legge la seguente commemorazione del Socio straniero Sir MicHaeL FosTER. Sir Michael Foster, già professore di. fisiologia nella Università di Cambridge, nostro Socio straniero sin dal 1890, cessava improvvisamente di vivere a Londra, nel suo settantunesimo anno di età, la notte del 28 gen- naio, per pneumotorace determinato dalla perforazione di un’ ulcera esofagea. Con lui è scomparsa una individualità del tutto particolare che sfugge alle ordinarie definizioni di un uomo di scienza; infatti l'ammirazione univer- sale che circonda il suo nome, non deriva principalmente dal valore e dal numero delle sue opere sperimentali, che anzi se noi considerassimo soltanto i risultati tangibili del suo lavoro personale d'indagatore, non avremmo molto da dire di lui. Il suo primo scritto data dal 1859; egli aveva osservato come, tagliando il cuore della lumaca anche in minuti pezzetti, questi continuassero a pulsare ritmicamente, e ne traeva la conclusione che il battito cardiaco piuttosto che la risultanza di qualche meccanismo particolarmente localizzato, è più probabilmente determinato da speciali proprietà del miocardio. Da questo lavoro derivarono quelle indagini sulla natura miogena della funzione car- diaca che dovevano, per opera soprattutto del Gaskell, gettare tanta luce sui fondamenti delle funzioni automatiche. Foster studiò poi gli effetti del con- gelamento sui muscoli dello scheletro e sul miocardio: notevole il fatto che quando si congeli un cuore di rana esso, diversamente dai muscoli volon- tari, non riacquista più la sua irritabilità, mentre una parte del ventricolo può essere congelata senza che il resto del cuore cessi di funzionare. Dopo aver pubblicato una Rivista sulla coagulazione del sangue con lo scopo principalmente di collegare i risultati delle indagini di Alessandro — 563 — Schmidt alle conoscenze anteriori intorno alle condizioni determinanti la for- mazione della fibrina, egli imprende a ricercare il metabolismo del glico- geno nell’Ascaris lombricoides, manifestando l'opinione che quel polisacca- ride possa essere utilizzato in questo verme non soltanto dai muscoli nei quali si trova accumulato, bensì dagli organi della riproduzione, grazie ad un trasporto di esso fuori del tessuto che lo ha immagazzinato. A questa Memoria fanno seguito le sue pubblicazioni sul fermento ami- lolitico, e sull'azione che sopra di esso esercitano gli acidi, gli alcali ed i sali neutri, quella sopra la struttura dell’epitelio esofageo della rana, e final- mente Je indagini che conducono alla dimostrazione che l'apice del ven- tricolo cardiaco della rana, separato dal resto del cuore, può essere condotto a pulsare con ritmo regolare da un debole stimolo faradico di poca fre- quenza. A questo punto s' inizia la sua vita di ricercatore a Cambridge che va dal 1870 al 1877. Cominciò qui con l'indagare l’azione fisiologica di alcuni derivati della morfina, dimostrandone l'identità, e riprese poi i suoi studi sul cuore della lumaca, che una debole corrente arresta in diastole, attribuendo questo effetto ad un'azione di particolari interferenze diretta- mente esercitate sopra il materiale contrattile. Studiò quindi le conseguenze del lento elevarsi della temperatura sui movimenti siflessi della rana, e so- stenne, contrariamente a Goltz, che la mancanza di questi, nelle condizioni sopra indicate, era dovuta alla depressione della irritabilità spinale, conse- guente al rialzo della temperatura, facendo seguire a queste ricerche una analisi dell'azione dell'upas antiar sul cuore e sull'innervazione estrinseca di esso. In collaborazione col suo allievo Dew- Smith riprese poi lo studio del- l'azione delle correnti elettriche sul cuore dei molluschi e della rana. Da queste ricerche derivò una dottrina di carattere eclettico che sta fra quella miogena, che attribuisce al muscolo cardiaco esclusivamente la capacità di provocare il suo ritmo, e quella neurogena di più antica data, che questa capacità accorda soltanto ai gangli intrinseci del cuore. Bisogna però conve- nire che in questi ultimi scritti egli dà agli apparecchi nervosi una posi- zione tanto subordinata che non si comprende bene in che cosa la sua dot- trina differisca fondamentalmente da quella sostenuta dai più esclusivi mio- genisti. i E così ha fine la sua attività di investigatore sperimentale, la quale certo non è tale da rappresentarci equamente il valore dell’uomo che giunse a tanta e così meritata fama fra i suoi contemporanei. Egli era soprattutto un grande maestro; emanava dalla sua persona un influsso stimolatore all’azione scientifica, ed è appunto in questa sua fun- zione di maestro, direi quasi di apostolo della scienza, che egli è stato in- superabile, imperocchè egli l’ha esercitata in tutte le forme e sempre con RenpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 72 — 564 — lo stesso entusiasmo, e sempre con la stessa visione netta e precisa della meta e dei mezzi per raggiungerla, sicchè la sua parola scritta e parlata fu sempre ascoltata e raccolta e messa in atto. Egli fu il fondatore del laboratorio di Fisiologia di Cambridge; prima di lui non esisteva quell’insegnamento separato e distinto nella grande Università inglese, e allorchè questa si decise di incaricare Foster come lettore di fisiologia, mise a sua disposizione una sola stanza che doveva ser- vire di aula e di scuola. Tre tavolini, alcune fiale e qualche microscopio costituivano tutta la suppellettile di quell’ Istituto. Una visita al laboratorio di Fisiologia, quale ora esiste a Cambridge, e che si deve all’azione sugge- stiva di lui, alla sua ferrea volontà, all’ iniziativa sua, una visita, dico, a quel Laboratorio nel quale possono lavorare contemporaneamente più di trecento allievi, fa comprendere quanta importanza Foster accordasse all’ insegna- mento diretto delle cose, in una forma non soltanto verbale ma dimostra- tiva e sperimentale, che obblighi l'allievo a disciplinare i sensi e le movenze alle indagini, e abitui il suo cervello a raccogliere i fatti, a documentarli, a sviscerarne l'origine ed il significato. In ciò egli era insuperabile, e lo attestano i molti proseliti che egli aggregò alla sua fede scientifica, e che condussero la fisiologia inglese contemporanea a tanta altezza. Mi basterà rammentare fra gli altri Sherrington, uno dei nostri, e Gaskell, e Dew- Smith, e Sheridan Lea e Milnes Marshall e Langley, il suo successore a Cambridge, e Francis Balfour, perito appena trentenne in una catastrofe al- pina, e che pure lascia tanto ricordo con le sue ricerche di embriologia e di anatomia comparata. I successi di Foster come maestro si devono non soltanto alla sua pro- fonda conoscenza degli uomini, che lo guidava nella scelta degli allievi, ma pure ai suoi metodi didattici. Egli infatti eccitava i suoi compagni di studio al lavoro scientifico senza però costringerli a ricerche che a lui fossero par- ticolarmente gradite, senza fissare una forma speciale di tecnica; egli accen- deva in essi il fuoco sacro della scienza, lasciando poi che essi percorressero il loro cammino secondo le loro forze e la loro particolare natura. Era in- somma un mirabile esempio di quell’individualismo inglese, disciplinato nei principî generali, indipendente nei mezzi di applicarli, che ha dato così me- ravigliosi frutti in tutti i campi dello scibile presso quella grantle Nazione. Così è che la fisiologia inglese spicca per la originalità, per la fisionomia particolare dei metodi e dei problemi che essa ha preso in esame; e di ciò un grande merito va dato non solo alla natura della mentalità britannica, ma pure all’intuito profondo di Foster che la comprese e la secondò. Ma la grande azione di propaganda scientifica di Foster non sì esercitò soltanto con la parola diretta e con l'esempio, bensì anche coi suoi scritti, tra i quali emergono le sue opere di carattere più specialmente didattico, e prima fra tutte il suo manuale di fisiologia che fu anche due volte tradotto — 565 — in italiano, la prima da Lessona, la seconda, per mio consiglio, da Filippo Bottazzi. Nella introduzione di quel libro io esprimevo il mio giudizio su di esso in termini che credo opportuno qui di rammentare perchè corrispondono sempre e più che mai al mio convincimento: « Il manuale di Fisiologia del prof. Foster, che in pochi anni ha rag- giunto in Inghilterra la VI edizione per i primi due volumi e la VII per il terzo. edizioni di parecchie migliaia di copie ciascuna, merita veramente il suo singolare successo. È infatti un'opera che presenta un contorno ed un'intima struttura del tutto particolari; sembra quasi, leggendo quel libro, di conversare con una persona di profonda coltura che abbia la parola facile e ornata e che senza pedanteria, con quella disinvoltura che deriva soltanto da una competenza consumata, vi esponga le questioni e i fatti anche più astrusi con tale chiarezza e facilità che a voi che l’ascoltate pare di averli già conosciuti prima. È questa l'impressione che ho ricevuto quando, stu- dente, ho letto la traduzione italiana della II edizione, e posso dire che essa si è affermata ora che ho riletto l’ultima edizione inglese, nella quale ho potuto meglio apprezzare, dopo parecchi anni di insegnamento, il merito mi- rabile dell’autore che segue evidentemente il miglior sistema didattico, quello di insegnare interessando e divertendo l'allievo. E si badi che in questo ma- nuale, pur tanto chiaro, non si è fatta alcuna concessione all'evidenza quasi schematica del dettato che sia a scapito dell’inflessibile rigore critico col quale il libro è condotto; chè anzi in esso non si dà diritto di cittadinanza che ai fatti e alle dottrine che si appoggiano sopra indagini ripetute e ri- gorose. È insomma un libro che obbliga a pensare, che si affida al raziocinio del lettore più che alla sua memoria, che utilizza così il miglior metodo mnemonico che si possa applicare nell'insegnamento, quello cioè basato sul legame logico dei fatti fra loro ». Queste qualità o qualità analoghe si notano negli altri suoi scritti di- dattici e di volgarizzazione, fra gli altri nel suo corso pratico di fisiologia elementare scritto in collaborazione con Langley, e in quel gioiello di Em- briologia pubblicato insieme al suo allievo Balfour, che con tanta chiarezza e semplicità ci fa penetrare nei misteri dello sviluppo e ci ammaestra nei modi di seguirli coi nostri occhi. Non so pensare a questo libro, senza rap- presentarmi la mia camera di studente a Torino dove, seguendo le indica- zioni di quel prezioso manuale, avevo messo una incubatrice artificiale per studiare lo sviluppo del pulcino; e ricordo sempre la mia emozione e il mio sbalordimento, quando mi fu dato per la prima volta, sotto il mio primo mi- croscopio, di ammirare la circolazione embrionale alla fine del terzo giorno. Emozioni profonde che lasciano una traccia indelebile nell'animo nostro, che accendono in esso uu focolaio di entusiasmo del quale rimane pur sempre qualche tizzone ardente sotto le ceneri che su esso accumula l’esperienza quotidiana e le difficoltà dell’indagare, e la inanità dei nostri sforzi nel ri- — 566 — solvere certi problemi, e la consapevolezza della incommensurabile ignoranza nostra che più si sviluppa quanto meglio progrediscono i nostri studî; emo- zioni indimenticabili che dànno al cultore della scienza il fervore dell’apo- stolo e gli ideali del poeta, e che vi avvincono per sempre a quegli uomini che le hanno in voi provocate. Sicchè quando ebbi la fortuna di incontrarmi con Foster, mi sentii le- gato a lui da un antico e riverente affetto; egli intuì quel mio sentimento e da quel primo incontro i nostri rapporti di amicizia ebbero un suggello indelebile. L'apostolato di Foster a vantaggio della fisiologia non si estrinsecò sol- tanto nelle varie forme dell’insegnamento e come uno dei fondatori del Journal of Physiology, ma anche nei molti discorsi che in frequenti occa- sioni egli pronunciò, discorsi redatti con quel suo stile vibrato e convinto, spiranti quella serena ironia, così consentanea alla mentalità ed alla lingua inglese, efficacissimi per la limpidezza di pensiero e di sentimento, che fa- cevano di lui uno degli oratori più attraenti che io mi abbia conosciuto. Egli sapeva subito assicurarsi la simpatia e l'interesse dell’uditorio, vi fa- ceva vibrare e commuovere all'unisono con le sue parole, ed egli con voi vibrava, si commoveva e rideva, di quel suo riso caratteristico, unico, inimi- tabile, che sembrava un singhiozzo. E quando si trattava di combattere in difesa della scienza prediletta, d'affrontare i pregiudizi, le sentimentalità, 1 misoneismi della sua Inghilterra tanto liberale e conservatrice insieme, voi eravate sicuri di vederlo agli avamposti; in questi casi scompariva la mitezza abituale dei modi e delle parole, e frasi roventi sgorgavano dal suo animo, amareggiato dalla guerra che si faceva nel suo paese agli studî fisiologici. Che se egli non riuscì a fare abrogare le leggi penali contro la vivisezione, ottenne però che esse fos- sero applicate con quel senso di giudiziosa tolleranza che permettesse lo svi- luppo delle ricerche di fisiologia. Sicchè non ostante il famoso Bill antivi- visezionista, i fisiologi inglesi contano oggi fra i migliori vivisettori del mondo. Ma il suo spirito di apostolo non si è limitato entro i confini del Regno Unito, e neppure dei paesi di lingua inglese. Egli fu infatti il vero fondatore dei congressi internazionali di fisiologia che hanno tanto contribuito a stringere i rapporti personali fra i cultori delle scienze biologiche. Tutti noi, fisiologi di ogni parte, abbiamo sentito che al suo impulso essi erano dovuti quando a Torino lo abbiamo fatto Presidente onorario dei nostri Con- gressi, e quando Mosso a nome di tutti gli presentava una targhetta com- memorativa che esprimeva e simboleggiava la nostra gratitudine per lui. Ed egli rispose con la sua solita arguzia assomigliandosi ad un fiammifero che aveva servito a dar fuoco a materie esplosive, che non domandavano che una scintilla per accendersi. Foster, se la sua modestia non l’avesse impedito, — 567 — avrebbe dovuto aggiungere che egli stesso aveva con le sue mani accumu- late le polveri, e molte volte le aveva anche fabbricate. Egli era infatti, lo ripeto, un instancabile organizzatore, e a questo pro- posito egli volle rivelarci il suo pensiero in quel discorso che molti di Voi hanno certamente udito dalla sua viva voce qui im Roma, nel marzo del 1904 in occasione dell’ XI° Congresso Internazionale di°Medicina, nel quale trattò appunto della organizzazione della scienza. Di questa organizzazione egli non era soltanto l'oratore; e dell'efficacia dell’opera sua possono parlare coloro che gli furono collaboratori nella istituzione di un indice della letteratura scientifica, e coloro che sanno quanto egli ha fatto come Segretario della Royal Society, e come membro del Parlamento inglese in vantaggio della fisiologia in particolare e della scienza in generale. Poichè egli, nel suo in- finito amore per tutto ciò che è buono, sosteneva la scienza non solo per culto della verità, ma per sentimento di universale benevolenza; egli infatti ha sempre proclamato che la scienza è un mezzo potentissimo per affratel- lare gli animi, affermando che gli scienziati sono forse i più cosmopoliti di tutti gli uomini. Di questo universale proselitismo che è una delle forze della sua razza, egli si è fatto il più ardente fautore non solo perchè considerava la scienza quale strumento di fratellanza, ma perchè, come il suo amico Huxley, egli la stimava anche un mezzo potente di elevazione morale. Nel discorso inaugurale che come Presidente della British Association pronunziò a Dover nel 1899, obbedendo mirabilmente a quella tendenza della coscienza collettiva inglese che conduce a legare i fatti a questioni di ordine generale, e le cose della vita materiale a questioni di ordine morale, egli così concludeva: « Guardando indietro in quest'ultimo anno del 1800 al secolo che sta per chiudersi, mentre noi possiamo vedere nella storia della ricerca scientifica molte cose che, avvertendo l’uomo di scienza della sua insufficienza e della sua debolezza, lo esortano ad essere umile, ne scorgiamo anche molte, forse molte più che ci fanno sperare. La speranza è infatti una delle parole d'ordine della scienza. Nei recenti scritti di qual- cuno ignaro di scienza, si possono leggere molte affermazioni che dimostrano come chi le dettò stia perdendo od abbia perduto la speranza nel futuro dell'umanità. E non son pochi, e le loro ripetute manifestazioni sono un segno dei tempi. Questi uomini, scorgendo in materie estranee alla scienza pochi segni di progresso e molti sintomi di abbassamento ‘e di decadenza, accogliendo della scienza soltanto i beneficî materiali ch'essa apporta, hanno pensieri di disperazione quando guardano ai tempi che si avanzano. Ma ... se l'influenza morale e intellettuale della scienza non è minore dei beneficî materiali che essa apporta, se ciò che essa ha fatto è soltanto la promessa di quanto essa farà, quegli scrittori possono farsi coraggio e con tutte le loro forze affidarsi ad essa. Noi uomini di scienza almeno non sentiamo la — 568 — necessità di dividere le loro opinioni e le loro paure, i nostri piedi stanno non già sulle mutevoli sabbie delle ipotesi e delle fantasie del giorno, ma sulle solide fondamenta delle verità verificate, che grazie al lavoro delle età che si succedono sono fatte sempre più larghe e più stabili. Per noi il pas- sato è da riguardarsi non con rimpianto, non come ciò che è stato perduto e che non ricupereremo più, ma con piacere, come qualche cosa la di cui influenza si esercita tuttora sopra di noi, aiutandoci nel nostro ulteriore cam- mino. Per noi infatti il passato non addita sè stesso, ma il futuro; l'età dell'oro non è dietro di noi, ma innanzi a noi... Noi confidiamo nel pro- gresso giacchè ciascuno di noi sente che ogni passo che egli può fare in avanti non è il risultato dei suoi soli sforzi attuali, ma è in gran parte l’e- spressione del lavoro di altri che furono, sicchè ciascuno di noi ha la sicura speranza che come il passato lo ha aiutato, così il suo sforzo, sia esso grande o piccolo, servirà per quelli che verranno ». Ed ora egli non è più; non vedremo più se non con gli occhi della mente la sua bella figura alta e slanciata, il suo volto che il pensiero, la passione ed il lavoro avevano solcato, il suo sguardo mite ed ironico insieme, l’uomo che abbiamo amato e ammirato; ma sentiamo e sentiremo sempre l’irradiazione benefica della sua anima volontaria ed operosa, ardente di amore evangelico per la scienza come mezzo di ascensione morale intellet- tuale e materiale dell’ umanità. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLoseviIcH presenta le pubblicazioni pervenute in dono, segnalando quelle dei Soci TARAMELLI, PAscaL, PFLUEGER. Fa inoltre par- ticolare menzione delle opere seguenti: Relazione sulle onoranze tributate al senatore Colombo nel suo 50° anno d’ insegnamento; Opere complete di J. C. Galissard de Marignac, pubblicate dalla Società di fisica e di storia na- turale di Ginevra; Goethes Metamorphose der Pflanzen edita dal dott. HANSEN; Osservazioni al cerchio meridiano, eseguite nel 1904 all’ Osservatorio di Abbadia. Il Socio CapELLINI offre un lavoro del Socio straniero KARPINSKy in- titolato: Z Trochicischi; fa inoltre omaggio di una sua pubblicazione avente per titolo: L'azione distruggitrice del mare nella costa dirupata dell’ Ar- paia a Porto Venere e nelle vicine isole. CORRISPONDENZA Il Presidente BLASERNA presenta un piego suggellato, trasmesso dal dott. L. MunARON perchè sia conservato negli Archivi accademici. — 569 — Il Segretario MiLLosevicH dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: Le Società geologiche di Manchester e di Sydney; il Museo di storia naturale di Nuova York; il Museo di scienze ed arti di Filadelfia; l'Osser- vatorio meteorologico del Monte Bianco; l’' Università di Lione; le Società zoologiche di Amsterdam e di Tokyo. Lovisato. Giacimento di minerali di tungsteno a Genna Gurèu ai limiti fra Nurri ed Orroli (Cagliari) (pres. dal Socio Strwver)(*) . . . . . «LR Lp Ae Raggt 992 Millosevich F. Le rocce vulcaniche del territorio di Sabati e di ui Rome (Sardegna) IRIS MAE SR) SPP Rosati. Rocce liguri raccolte ib coondatio di Sia ia Id). i EI 05 Petri. Sulla presenza di micorize endotrofiche nelle radici della vite (pres. dal bolo Quioni) (4) 561 RELAZIONI DI COMMISSIONI Grassi (relatore) e Z’odaro. Relazione sulla Memoria del prof. A. Russo intitolata: « Modifica- zioni sperimentali dell'elemento epiteliale dell’ovaia dei Mammiferi, da servire come base per la determinazione artificiale del sesso femminile e per la migliore interpretazione della legge di Mendel sulla prevalenza degl’ibridi» . . . AT ENSSI, Id. id. Relazione sulla Memoria del prof. L. Tenchini e del dott. P. Qabatorti iutolata: «Sulla morfologia della ghiandola tiroide normale nell'uomo». /. +0... 0.0.» » PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Informa la Classe che assiste alla seduta il Socio straniero Z'eobaldo Fischer . . . . 5 SRO SRL na 562 Id. Dà annunzio della Horio del Socio NE, Maltsiitino Berthelot SAONA DONA) Id. Partecipa i ringraziamenti del Socio straniero prof. Ernesto Haeckel, per le felicitazioni inviategli dall'Accademia . . . Re n Fano. Commemorazione del Socio 3950, Sir Michazi Fosio RE N Lo noe PRESENTAZIONE DI LIBRI Mallosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Taramelli, Pascal e Pflueger, del dott. Hansen e della Società di fisica e di storia na- turale di Ginevra. . . . - ; » 568 Capellini. Offre un lavoro del Sucia sicainioro Riu e fa omaggio di una sua pubblica: PIEDE da SM RO A AR Ei o RMB CORRISPONDENZA Blaserna (Presidente). Presenta un piego suggellato trasmesso dal dott. ZL. Munaron perchè sia conservato negli Archivi. . . . 5 RE ENO) Maillosevich (Segretario). Dà conto della A suna 1 Sab (8A "Atti e )09 ERRATA CORRIGE A pag. 434, linea 18, invece di: dette a pag. 12, legg.: dette a pag. 429. tir er E E NIN 158 VE E MINO TS REISER ANA (#) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. RENDICONTI — Aprile 1907. | Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del ? urlo 1907. MEMORIE E NOWR DI SOCI 0 PI ESENTATE DA SOCI. Enriques e Severi. Intorno alle superficie iperellittiche. . , Simi Rag: Pizzetti. Corollarî del teorema relativo al paragone fra due fisngoli e Ggodelici di uguali lati i». Reina. Determinazioni astronomiche di latitudine è di azimut eseguite a Oderzo, Col Brom- bolo e Calalzo nel'1904 tg È . 19 Millosevich. Osservazioni della nuova cometa 1907 a Giacpbini fatte all e; Steinheil- Cavignato del R. Osservatorio al Gollegio Romano. LL... Paternò e Mazzucchelli Sul colore azzurro dello zolfo e di taluni suoi composti |. . . » Balbiano..Sui l-ossimetil-p- fenil- 1-2-propilenglicoli stereoisomeri. . LL... +0» Fischer. Fenomeni di abrasione sulle coste dei paesi dell'Atlante (1). L00000» Todaro. Sopra un particolare organo di senso ‘delle Salpidae (*). 0/04 n Giglioli e. Quartaroli. Della probabile «azione enzimica nel. promuovere accumulazione di acqua e.pressioni osmotiche nei tessuti ‘vegetali (*) 0.0. o Lo Bianco. L’origine dei barbigli tattili nel genere Mullus ($). LL.» Tizzoni e Bongiovanni. Sul meccanismo di scomposizione in vitro del virus rabido per mezzo deliradiofieia:o. } i ; ; SERENO » Magri e. Ercolini. ie quanti (dfn del La Wal ifamio e dall'alluminio. Applica zione. della membrana all'analisi elettrolitica quantitativa (pres. dal Socio Nastzi) (#) » Bagnera e De Franchis. Sopra le superficie algebriche che hanno le coordinate del punto generico. esprimibili. con funzioni meromorfe quadruplamente periodiche di due parametri (pres. ‘(dal ‘Corrisp.. Enriques) Neo. Ei, : $ ” Cipolla. Sulla risoluzione apiristica delle congruenze binomi. (2 dal di 0 0) » Fubini. Sugli integrali multipli (pres. dal Socio Bianchi) (®). . .. î È) De Marchi. Applicazioni geologiche della Teoria elastica delle Cai a Gio dal (Conrispi Levi VOTE 5 i FARINI SERIO, Macchia. Ricerche ulteriori sopra la Difetti termica a basso rg (pres. dal COMISPAIAICI) ONOR Me. } . È » Eredia. Dell’ influenza della catena degli *Dyennini Jane distaibuaicn. della pioggia ur lola centrale (pres: dal Socio WWosemghiit—. | o Magri. Ricerche sopra il solvente Hs$ liquefatto (pres. dal Corrisp. Battelli). . 0.» Barbieri. Sull'idrato ‘cerico (pres: dalSfgeio Giamician) | 0 ORE a JISUoduro tameoso (pres. Vee È î » Id. Sopra un nuovo metodo di preparazione dei sali cerici e sd ni cerico ui Ia) e) ” Bellucci e Clavari. Nuove ricerche sull’ossido superiore del’ nichelio (pres. dal Socio Can- RIEZONO) NC) RR. RNA OO o I I ATO Garelli. Impiego di nuovi materiali congianti e contributo alla conoscenza della concia mi- nerale (pres. dal Socio Ciamician) 2. + . p SUL È » Oddo. Nuovo metodo d’introduzione dei radicali slchiliei 0 azilici 6 Dali Dich e clima leiche e sulla costituzione dei composti organo-magnesiaci misti (pres. dal Socio Paternd) » Palazzo. Sopra una rimarchevole reazione di addizione dell’acido fulminico (pres. /4.) . > Rimini e Olivari. Sulla miristicina — Il Fencone in ebullioscopia (pres. Id.) (©)... » 002 (Segue în terza pagina) (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. CULI SR K. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione hbimensile. /oma 27 aprile 1907. N. 8. CSAR O] DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCIV. 190% > Burt 3 QUINN IA; RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 aprile 1907. Volume XVI. — Fascicolo ®: 1° SEMESTRE: ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEI. CAV. V. SALVIUCCI 1907 =--onian Inst;;;\ ginsontan UN, (A %\ % y N Natjo nal Miracoli" ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, ‘e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti uella Memoria. - c) Con un ringra. ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro. posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segrera. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti aglì autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie în più che fosse richiosto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 aprile 1907. F. p' Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Geomorfologia. — Zeromeni di abrasione sulle coste dei paesi dell’ Atlante. Nota del Socio straniero TEoBALDO FISCHER. Il mio compianto collega ed amico barone Ferdinando von Richthofen, del quale essere il successore in questa illustre Accademia mi torna di sommo onore, approfondendo un'idea espressa già nel 1847 dal famoso geo- logo inglese A. C. Ramsay, che parlava di plaîns of marine denudation, nell'opera che porta il titolo troppo modesto di Guida per viaggiatori esploratori, pubblicata nel ‘1886, ha esposto la sua Abrasionstheorie, teoria, secondo la quale, per la forza delle onde marine, si possono formare terrazze di abrasione di una discreta larghezza, quando e dove non ci sono oscillazioni nè della costa terrestre, nè del mare; ma veri piani di abrasione (Abdraszons- ficichen) di una larghezza illimitata; anzi intere terre montagnose possono essere levate via e trasformate in piani monotoni, quando c'è una oscillazione positiva, per servirmi dell'espressione di E. Suess, la quale produca l’inva- sione del mare sulla terra. È Quando nel 1886 io partiva per il mio primo viaggio di esplorazione nell’Africa settentrionale, il cui scopo speciale erano studî di morfologia delle coste, il Richthofen mi mandava prestissimo la prima copia di quella sua Guida appena venuta fuori, di modo che io per il primo potevo trarre pro- fitto, in un viaggio scientifico, di questa opera, che ha avuto una influenza grandissima sullo sviluppo della scienza geografica. La costa dei paesi del- l'Atlante è particolarmente adatta a tali studî geomorfologici, perchè quasi tutto l'anno è sottoposta all'influenza dei venti di mare ed è perciò attac- * RenpIconTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 73 — 572 — cata dalle onde marine; e ci sono dappertutto delle antichità romane sulle coste stesse, rovine di porti romani che possono servire da testimoni dell’ef- ficacia di questa forza esterna in un tempo relativamente limitato. Passeggiando lungo il mare fuori Bab-el-ved di Algeri, con mia grande sorpresa io vedeva che il mare, formando una insenatura piatta, aveva pres- sochè distrutta l’unica e molto frequentata strada che va da Algeri al su- burbio di Santo Eugenio, specialmente davanti alla caserma della Salpétrière, vasto edificio costruito da uno degli ultimi bey nel 1815. La strada era appena restaurata dopo una grandissima burrasca di alcune settimane prima, che l'aveva resa impraticabile per alcuni giorni. Le onde, benchè il mare fosse non troppo agitato, spruzzavano la facciata della Salpétrière, spezza- vano i vetri degli omnibus, bagnavano i passeggieri e per parecchi giorni accumulavano su 200 metri della strada tanta sabbia, che abbisognarono 50 uomini per levarla via. Il vecchio cimitero dei Cristiani, che serviva fin dal sec. XVI, dopo il 1830, anno della conquista di Algeri fatta dai Francesi, era stato portato via dalle onde. Non c'è dubbio che nessuno avrebbe pensato di costruire quella caserma in quel posto, se davvero il mare nel 1815 fosse stato così vicino. Io era convinto, che il mare nel sec. XIX ha portato via qui una striscia di terra formata da calcari molto duri probabilmente di età paleozoica. In una mia pubblicazione di quel tempo (!) io diceva che grandi opere sarebbero necessarie per proteggere la strada e la caserma. Quanta era la mia maraviglia, quando, visitando questo posto subito dopo il mio arrivo a Algeri nel marzo 1906, io vidi che una diga, una muraglia fortissima alta 5-6 m. e più, e lunga pressochè due chilometri, era stata co- struita lungo il mare per proteggere la strada ed una ferrovia stradale. Alcune settimane dopo io visitava le rovine di Tipasa a 68 km. al- l'ovest di Algeri, città romana di almeno 20,000 abitanti, che nei primi secoli della nostra èra, fu porto fiorentissimo, distrutto probabilmente nel secolo VI dopo Cristo. Le rovine di questa città mostrano dappertutto gli attacchi del mare e l’efficacia di questi attacchi negli ultimi 1300 anni. Anche qui io aveva fatto studî nel 1886, quando Tipasa era pressochè ignota. Da quel tempo è stata esplorata dall’archeologo Stephan Gsell. Oggi c'è fra le rovine una colonia di contadini francesi e di pescatori italiani e di nuovo un discreto commercio. Io riusciva ad approfondire i miei studî anteriori e a provare due cose: la prima, che il mare ha portato via in questi 1300 anni una striscia di terra formata da un’arenaria calcarea del pliocene assai resistente, larga 15, anzi in un certo punto 25 metri; la seconda che la terra si è abbas- sata almeno m. 0,5 e che questa oscillazione positiva deve già aver comin- ciato in tempi preistorici, perchè sta formandosi e si è formato un largo terrazzo di abrasione. In un altro viaggio da Algeri verso est sulla costa (1) Petermanns Mitteilungen 1887, pag. 11. — 573 — della grande Cabilia a Dellys ed a Tigzirt, anche questo in tempi romani un porto fiorentissimo, probabilmente Rusucurru, dove è stato fondato, fra le rovine, nel 1888 un povero villaggio di agricoltori francesi, io, servendomi pure delle rovine come punti fissi, poteva fare le stesse osservazioni: anche colà una striscia di terra larga 10-15 m., in un punto 30 m. è stata levata via dal mare negli ultimi 1300 anni. A Dellys io riuscivo a scoprire e foto- grafare un bellissimo terrazzo di abrasione, dove strati di un'arenaria del- l'oligocene inferiore, per il corrugamento raddrizzati pressochè verticali, sono stati tagliati orizzontalmente dalle onde come da un rasoio. Orientati a nord-est, questi strati con pareti verticali formano il capo Dellys, che rasso- miglia alla punta di una freccia. E così su tutta la costa della grande Ca- bilia, tanti capi, corrispondenti tutti alle stesse arenarie resistenti, sono mo- dellati come promontorî. La più parte continuano sottomarini, o per isole stac- cate come a Tigzirt. Tigzirt, nome berbero, vuol dire piccola isola. Il capo Dellys continua per parecchi chilometri per bassifondi fortemente frangenti. Le forme della costa dell'Algeria sono state modellate dappertutto dalle onde marine. Dappertutto dove gli attacchi delle onde erano facilitati da bocche di fiumi, da faglie trasversali, da roccie facilmente erodibili, la costa retrocedeva più presto che dove mancavano questi punti di attacco. In questo modo i punti, dove la costa era formata, come vicino Algeri, dalle roccie molto resistenti del massiccio del Buzarea, gneiss e calcari du- rissimi, o al Capo Chenua, 75 km. all’ovest di Algeri, da marmi, retroce- denti molto lentamente col tempo, erano trasformati in promontorî; mentre dappertutto dove trovarono le onde roccie meno resistenti la costa retroce- dette più presto e si è così formato fra il massiccio del Buzarea e il Capo Chenua, il piatto golfo di Tipasa. Ed in questo golfo la bocca di ogni fiume corrisponde ad un piccolo seno di abrasione marina più o meno semicircolare. Così si è formata in luogo della costa originale corrispondente la faglia lon- gitudinale e pressochè rettilinea, la odierna costa frastagliata, da tanti seni di abrasione grandi e piccoli. La costa originale si riconosce ancora nella linea, sulla quale il terrazzo di abrasione arrivato qui alla profondità di 100 a 200 metri, scende con pendìo ripidissimo alle grandi profondità del Mediterraneo. Questa linea, pressochè rettilinea da est ad ovest, davanti al promontori si trova vicina alla costa, davanti ai golfi lontana dalla costa. Davanti al massiccio del Buzarea p. es. si trova a 2 km., davanti al Capo Chenua, a km. 3!/.; al contrario davanti al golfo d'Algeria si trova a 9 km., in faccia a Tipasa ed a Oran a 12 km. in faccia ad Arzeu a 20 km,, mentre vicino a questo pendìo sottomarino si trovano profondità di 2000 e più metri. Una tanta larghezza del terrazzo di abrasione non è possibile che con una oscillazione positiva secondo il Suess 0 con terra abbassantesi, come secondo la mia convinzione si deve dire dappertutto nel Mediterraneo. Dalla lar- = — iti Sirio cosmo eee + i bp Tri materno — 574 — ghezza del terrazzo di abrasione si dovrebbe già conchiudere, che il suolo si abbassa. Ma ci sono ancora altre prove di un abbassamento della costa. In Tipasa non solamente il mare ha asportata una larga striscia di terra, ma esso la cuopre adesso stabilmente. Non solamente le due piccole isole, che, anche esse testimoni dell’abrasione, riunite fra loro e colla terra per moli, forma- vano il porto di Tipasa romana, stanno per essere portate via, ma esse spariscono sotto il mare e la spianata del porto, creata artificialmente non per accumu- lamento di rottami, ma levando via la roccia, è adesso coperta stabilmente dal mare. Ne è prova sicura un monumento, tanto più interessante, che se ne trova un altro simile sulla costa dell'Asia Minore nel golfo di Makri in faccia di Rodi, descritto da Ed. Suess (*), anche questo adesso circondato sempre dall'acqua. Questo monumento, senza dubbio un mausoleo, è un masso qua- drangolare, alto 3-5 m., largo 3 m., tagliato nella roccia stessa, vuoto e con un coperchio di pietra mezzo rotto. Le onde hanno formato in questi 13500 anni una gola di erosione marina, sulla quale il masso già si è in- clinato da un lato e un giorno o l'altro coll’aiuto di una burrasca si rovescierà. Venti anni or sono io aveva tratto da questi fenomeni la conclusione che qui la costa di Algeri si abbassa e che sta formandosi un largo terrazzo di abrasione. Senza conoscere la mia pubblicazione, il generale francese de La- mothe (*), distintissimo scienziato, nei Rendiconti dell’Accademia di Parigi ha pubblicato i risultati di lunghi studî e osservazioni acutissime, per pro- vare che sulla costa di Algeri si trovano l'uno sopra l'altro 8 terrazzi da 17 fino a 320 m. sopra il mare, terrazzi che anche io ho trovato in altri porti della costa di Algeri, conformi ai terrazzi molto più alti della Cala- bria. Se questi terrazzi provano, secondo il De Lamothe, che la costa si è sol- levata periodicamente dal pliocene fino al quaternario superiore, lo stesso de Lamothe conchiude dalle sue osservazioni, che presentemente ha luogo un mo- vimento contrario, cioè sta formandosi un terrazzo di abrasione ed il mare s'inoltra sulla terra, come io aveva affermato 20 anni fa. Di tali terrazzi di abrasione formantisi attualmente sulle coste e dei piani di abrasione vastissimi formati l’uno nel mesozoico, l’altro nel terziario io ne ho osservato nel Marocco nei miei due ultimi viaggi di esplorazione in questo paese del 1899 e 1901. Io pel primo ho emesso la teoria, ed î geologi fran- cesi venuti dopo di me l'hanno accettata, che nell'A/asvorland di Marocco (preregione dell'Atlante marocchino, nome creato da me ed accettato dai fran- cesi), una grande montagna corrugata paleozoica, simile a quella della Me- seta iberica, forse una parte di essa, è stata portata via dal mare invadente e al suo posto si è formato un largo piano di abrasione. Nel primo periodo di invasione sì formò il terrazzo superiore largo 125 km., alto da 400 a 600 m., nel secondo, fine del terziario, il terrazzo inferiore alto 100 a 250 m,, (1) Za faccia della Terra, II, pag. 567. (*) Les anciennes lignes de rivage du Sahel d’Alger, C. R. Ac. Sc., 25 dic. 1904. — 575 — largo 60 km. ambedue alzantisi dolcemente verso l'interno. La base di am- bedue è formata da strati del paleozoico rialzato spesse volte quasi vertical- mente, ma tagliati trasversalmente come col rasoio e formanti così un piano orizzontale, dove la denudazione ha levato via la coltre sedimentaria formata sul terrazzo superiore da strati orizzontali la più parte cretacei, sul terrazzo inferiore da strati del pliocene e dalla famosa terra nera del Marocco. Fe- nomeno identico a questi piani di abrasione nell'interno dell’Atlasvorland sono i terrazzi di abrasione formantisi sotto i nostri occhi sulla costa del- l'Atlantico del Marocco. Io ho osservato la prima volta nel 1899 un tal terrazzo sullo stretto di Gibilterra vicino a Tangeri, e riuscivo a provare, coll'aiuto di tombe fenicie distrutte e cadute giù affatto come le tombe romane a Tipasa, per il retrocedere della costa sotto gli attacchi del mare, che lo stretto si è allargato in tempi storici e probabilmente sì allarga anche oggi. Ma terrazzi molto più larghi e di roccie durissime formano quasi una corazza e rendono inaccessibile la costa atlantica del Marocco, specialmente vicino a Casablanca. Solamente in una striscia larga appena 50 metri, fra grossi banchi di arenarie probabilmente devoniane, inclinati di 27 gradi verso nord-ovest da un lato, e schisti durissimi in strati sottili pressochè verticali dall'altro lato, strati probabilmente sabbiosi erodibili sono asportati dalle onde e così si è formato una specie di baja o canale, nella quale grosse barche anehe a bassa marea possono entrare ed avvicinarsi alla terra, mentre i vapori gettano l'ancora a 5 km. dalla costa con 18 m. di acqua. Ecco la ragione geografica della fondazione e dello sviluppo di Casablanca, oggi la più importante città marina del Marocco, almeno per l'esportazione. Biologia. — Sopra un particolare organo di senso delle Sal- pidae. Nota del Socio F. TopaRro. Negli individui aggregati delle Sa/pidae si trova un organo di senso, che per l’origine, la forma e la struttura rassomiglia ad uno degli organi di senso descritti da F. E. Schulze ('), nei comuni pesci ossei e nelle larve dei batraci, come organi terminali dei nervi laterali corrispondenti ai bot- toni nervosi, che F. Leidig (*) aveva descritto prima nei canali laterali dei pesci. Nelle Sa/pidae quest'organo è solo ed impari; sorge sul dorso, al lato destro del cervello e dell'organo visivo ed innanzi al primo paio dei mu- scoli del corpo. È molto tempo che io l'ho veduto nell’Melicosalpa vir- gola, ma ora che ho avuto occasione di confermare tale scoperta in altre (*) F.E. Schulze, Veder die Sinnesorgane der Seitenlinie bei Fischen und Amphi- bien, Archiv. f. mikr. Anat., B, VI, 1870. (*) F. Leydig, Lehrbuch der Histologie, 1857. — 5760 — due specie, cioè nella Salpa punetata e nella Salpa maxima mi affretto a darne comunicazione all'Accademia, riserbandomi di ricercarlo in altre specie e di pubblicarne una particolareggiata descrizione. Nelle tre specie ora mentovate l'organo in parola è molto lungo, tra- versa tutto lo spessore del mantello di cellulosa e sporge dalla superficie di questo con la sua estremità libera, ingrossata a clava, su la quale l’epitelio diviene spesso e forma la cupula sensitiva. Questa cupula è circondata da un lungo tubo ialino, a parete sottilissima, aperto esternamente ed oscil- lante nell'acqua in cui nuotano gli animali, come il tubo ialino degli organi laterali dei pesci e dei batraci. Dentro a questo tubo, che nelle Sa/pidae è evidentemente un prolungamento del mantello di cellulosa, si veggono lunghi peli rigidi, i quali con la loro base conica s’impiantano sullo strato epiteliale della cupula sensitiva, e per il loro alto potere rifrangente si mostrano splendenti. Tutto l'organo risulta costituito di un prolungamento del mesenchima rivestito di un epitelio derivato dall'ectoderma. Nel mesenchima è conte- nuta una ricca rete vascolare sanguigna ed inoltre un sottile ramo nervoso il quale proviene dal paio anteriore sensitivo dei nervi cerebrali, che, come io scoprii nel 1875 ('), è provvisto alla sua origine di un grosso ganglio. Questo ramo nervoso, dividendosi e suddividendosi più volte lungo il suo decorso nell'organo, finisce per sfioccarsi in numerose fibrille che penetrano nell’epitelio della cupula sensitiva. Nella cupula sensitiva l'epitelio si differenzia in due strati unise- riali, l'uno esterno, l’altro interno. Lo strato esterno, sottilissimo, è fatto di cellule poligonali piatte che si continuano con le cellule epiteliali pari- menti piatte e poligonali del resto dell'organo e formano le cellule di rico- primento. Lo strato interno invece è assai spesso e risulta costituito di due specie diverse di cellule alternantesi; le une, cilindriche, rappresentano le cellule di sostegno, le altre piriformi, sono le cellule sensitive. Queste ultime con la loro estremità assottigliata rivolta perifericamente si continuano nei peli rigidi che decorrono nel tubo jalino e rappresentano i peli sensitivi; con la estremità opposta si connettono, assai probabilmente in modo diretto, con le fibrille nervose. (1) F. Todaro, Sopra lo sviluppo e l'anatomia delle Salpe. Atti della R. Acc. dei Lincei, t. II, serie II, 1875. — 577 — Biologia. — L'origine dei barbigli tattili nel genere Mullus. Nota del Corrispondente dott. SaLvarore Lo Branco. Sebbene da molto tempo gli organi appendicolari tattili dei pesci ab- biano dato tema da studio a varî naturalisti, pure specialmente dal lato dell'’embriologia e da quello fisiologico essi lasciano ancora adito ad altre investigazioni. Fra i pesci che sono muniti di barbigli tattili vanno annoverati quelli del genere My//us, il quale essendo molto frequente in tutte le coste del Mediterraneo si è prestato facilmente per lo studio di tali appendici. Le specie di Mu//us che vivono sulle nostre coste sono due: una più piccola e meno pregiata, che vive esclusivamente sui fondi fangosi fin circa 200 metri è il Mullus bardbatus L. (volgarmente detta triglia di fango); l'altra più grande, fin'oltre i 30 centimetri di lunghezza, con colori vivacis- simi, che vive a minor profondità, è il Mu/lus surmuletus L. (conosciuto col nome volgare di triglia di scoglio). I Mullus vivono in grandi frotte ed ora nuotando, ora poggiati sul fondo del mare. Essi con i loro barbigli smuovono la parte superficiale del fondo per cercare i piccoli crostacei, vermi e molluschi che vi si nascondono, dei quali sono ghiottissimi. Quando sono affamati, con il capo, che hanno forte e resistente per il grande sviluppo delle ossa frontali, e aiutandosi con mo- vimenti di tutto il corpo, scavano la melma ed il fondo alla ricerca della loro preda, mentre i barbigli con rapidi movimenti rimescolano in tutti i sensi il materiale per accertare la presenza del cibo. Questo lavoro è fa- vorito da un accelerato movimento degli opercoli, che determinano una forte corrente di acqua, che facilita e coadiuva il rimescolamento del fondo. Se spaventate, le triglie subito e rapidamente ritirano i due barbigli sotto la mascella inferiore in un apposito ricettacolo protetto dai margini labiali (fig. 85) e dai margini inferiori dell’opercolo (a @). I barbigli con- seguentemente servono come organi di tatto e sono tanto necessari alla esi- stenza dei Mw//us, che se vengono recisi, dopo poco i pesci muoiono. Detti organi tattili sono attaccati sotto la mascella inferiore del pesce, hanno forma conica allungata e finiscono a punta. Sono molli, di color bian- chiccio e variano secondo le dimensioni dell'animale; in un esemplare lungo 22 centimetri (Mullus surmuletus L.) il barbiglio aveva una base del dia- metro di 3 mm. ed una lunghezza di 25 mm. Nella fig. 8 è disegnata la faccia ventrale della testa di un Mwu//us surmuletus L. lungo 14 centimetri, che lascia vedere i due barbigli tattili (2) ed i tre raggi branchiostegali (4) con la relativa membrana (e). — 578 — Il primo che considerò i barbigli dei Mullidi come organi tattili fu lo Stannius ('), che li studiò nell’ Wpeneus vazgensis dei mari indiani. In se- guito Jobert (?) e Zincone (*), il primo sulle coste atlantiche, il secondo nel golfo di Napoli studiarono quelli del genere Mu/lus, facendo accurate osservazioni tanto sulla loro anatomia quanto sulla loro fine struttura, ma non riuscì loro di raccogliere materiale embriologico per lo studio dell'origine ontogenetica di questi barbigli. A tal riguardo riporto ciò che dice lo Zin- cone a pag. 6 del suo lavoro: « Il Jobert tenendo conto dei caratteri del- l'asse del barbiglio e della sua posizione, emette un'ipotesi per quanto ardita pur altrettanto razionale, cioè che probabilmente il barbiglio non rap- presenti altro che un raggio branchiostegale spostato. Non ho potuto confor- tare la sua ipotesi con argomenti poggiati sull'embriologia, giacchè la fecon- dazione e lo sviluppo delle triglie non ha luogo quando gli animali stanno rinchiusi nei bacini di un acquario ». Ed in una nota aggiunge: « La sola embriologia avrebbe potuto probabilmente risolvere il problema, ma nè al Jobert nè a noi è riuscito di poter studiare embriologicamente il Mu/lus, per le abitudini di questo animale che non depone le uova nei bacini del- l’acquario. Nella Stazione Zoologica, la direzione non risparmia cure nè spese per soddisfare i desiderî di chi ci lavora, ma con tutto questo non sempre si possono vincer tutti gli ostacoli che s'incontrano ». Notizie sullo sviluppo larvale dei Mullus. = Le osservazioni conti- nuate sulla biologia degli animali marini viventi nelle vasche dell'acquario della Stazione Zoologica, hanno dimostrato che anche le specie del genere Mullus, a simiglianza di molte altre specie di Teleostei, depongono uova negli acquari. A questo proposito il Raffaele (4) a pag. 20 del suo importante lavoro sulle uova e le larve dei Teleostei del golfo di Napoli, che fu eseguito nei laboratori della Stazione Zoologica, scrive quanto segue: « Le grosse triglie (Mullus surmuletus L.) viventi da qualche tempo in una vasca dell'Acquario, hanno emesso in gnesta primavera (1888) una grande quantità di uova, le quali erano tutte fecondate e si svilupparono benissimo nei bicchieri ». Da questo lavoro si apprende pure che dette uova hanno tre a quattro giorni d'incubazione, indi vien fuori la larva in uno stadio di sviluppo poco avanzato. Dopo sette a otto giorni di vita libera la larva che ha assorbita tutta la massa vitellina muore; essa ha già accennati gli organi principali, (1) H. Stannius, Das peripherische Nervensystem der Fische, Rostock, 1849. (*) M. Jobert, Etudes d'anatomie comparéte sur les organes du toucher, in Ann. Sc. N. (5), Tome XVI, 1872. (°) A. Zincone, Osservazioni anatomiche su di alcune appendici tattili dei pesci, in Rend. Accad. Napoli, anno 15. (4) Raffaele F., Ze uova galleggianti e le larve dei Teleostei nel Golfo di Napoli. Mitth. Z. Stat., Neapel 8 Bd. 1888. — 579 — ma non vi si riconosce nessun carattere distintivo della specie nè vi è traccia di barbigli tattili. Io stesso ho sovente pure accertato nell’Acquario la deposizione di uova di Mullus, e varie volte ho eseguito anche la fecondazione artificiale di uova appartenenti ad ambedue le specie nostrane; ma, come dimostrerò in seguito, non basta che le uova siano fecondate per ottenere i giovani Mu/lus. La pratica finora informa, nella maggioranza dei casi, che non appena le larve dei pesci sgusciate hanno assorbita del tutto la massa vitellina ed esaurita così la riserva alimentare, non trovando il nutrimento adattato e l’ambiente favorevole nelle vasche degli Acquarî finiscono per morire. Per quanti tentativi siano stati eseguiti, anche nei laboratorî esteri, non si è mai riusciti ad alimentare le larve in cattività durante tale periodo. Da ciò specialmente dipende se tuttora ci sono sconosciute quelle fasi postlarvali, che seguono l’assorbimento del vitello nella più gran parte dei Teleostei. Da quanto ho detto vien dimostrato che se anche il Jobert e lo Zin- cone avessero ai loro tempi ottenute le uova fecondate di Mu//us nelle vasche di acquarî, non avrebbero ottenute che larve troppo poco evolute e quindi non favorevoli allo studio ontogenetico dei barbigli. Occupandomi da più tempo dello studio del pesce novello e specialmente della metamorfosi delle forme larvali dei Teleostei, nell'estate del 1906, ebbi la fortuna di raccogliere nel nostro golfo, e piuttosto al largo, una serie quasi completa di stadî giovanili pelagici di Mu/us lunghi da circa 6 mm. fino a 15 mm., e inoltre pochi esemplari della lunghezza di 22, 26 e 30 mm. Questo materiale sebbene assai scarso, mi ha fornito l'opportunità di rico- noscere il modo di formazione dei barbigli, dal loro inizio fino a che assu- mono la loro forma e posizione definitiva, colmando così la lacuna lamentata dal Jobert e dal Zincone nello studio di questi organi. Premetto la descrizione sommaria di questi stadî larvali di Mu//us da me raccolti; riservrandomi di farne un esame più completo in altro speciale lavoro. I più piccoli esemplari lunghi da 6 mm. fino a 15 mm. hanno il corpo alquanto tozzo, non molto allungato, quasi cilindrico e con la testa assai sviluppata, che entra circa quattro volte nella lunghezza totale del corpo; la mascella inferiore è leggermente più sporgente della superiore. L'occhio è discretamente grande e porta superiormente e inferiormente due notevoli insenature, che gradatamente s'impiccioliscono finchè negli stadî lunghi 22 mm. l'occhio prende la sua forma regolare sferica. Il numero definitivo dei raggi delle pinne è completo solo negli stadî avanzati a cominciare da quelli lunghi oltre i 20 mm. La colorazione s'inizia con una sottile fascia bleu ai lati del dorso e con un’altra un po' più larga più giù e lateralmente al corpo, mentre tutto il resto del pesciolino è quasi ReENDICONTI, 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 74 ©& — 580 — semitrasparente. Negli esemplari lunghi 15 mm. queste due fasce gradata- mente allargandosi si fondono quasi insieme. Un'altra fascia anche di color bleu incomincia subito dietro l'ano e percorrendo la base della pinna anale raggiunge il troncone della coda. Grosse cellule di pigmento bleu si vedono sull'encefalo e diffuse sugli opercoli. Gli stadî più avanzati che misurano oltre i 20 mm. di lunghezza, hanno tutto il dorso e parte dei fianchi colorati con una bellissima tinta bleu marino con leggieri riflessi verdini, mentre tutta la zona ventrale ha dei riflessi argentini. In questi stadî ad un esame sommario i piccoli Mu/lus hanno tutta l’apparenza di giovani Clupeidi. MICA Origine dei barbigli tattili. — Il fatto che a prima vista impressiona l'osservatore studiando le giovani larve di MwZus lunghe da 6-8 mm. è l'assoluta mancanza di ogni traccia di barbigli. Guardando la fig. 1, che rappresenta la faccia ventrale del capo di un Mullus lungo 6 mm., si vede che essa non mostra nessun inizio di barbiglio. Ma se si contano i raggi branchiostegali, che in questo stadio sono perfettamente sviluppati, se ne trovano quattro e non tre, che è il numero normale ammesso dagli ittiologi in questi pesci. Essi (fig. 14%) sono con- tenuti nella membrana branchiostegale e si distinguono in due gruppi, uno posteriore di tre (a) situati quasi ad ugual distanza l'uno dall’altro e che occupano iîdue terzi della lunghezza della membrana branchiostegale, ed un altro anteriore di un solo raggio (2), alquanto allontanato dagli altri, occupante la porzione anteriore di detta membrana (c). Io chiamerò primo raggio quello indicato nella fig. 1 con la lettera (2), secondo quello del primo gruppo a lui più vicino, e terzo e quarto gli altri due che seguono. I tre raggi che formano il gruppo posteriore sono relativamente piuttosto allungati, sottili e lesgermente incurvati, con la loro estremità posteriore rivolta indietro verso l'esterno; il primo raggio (2), invece, è più corto di — 581 — circa un terzo, è meno incurvato ed a differenza degli altri è rivolto verso la linea mediana del corpo. Nei piccoli Mu/lus lunghi fino a 15 mm. la membrana branchiostegale è formata da due porzioni laterali ben distinte, che si vedono sporgere dal margine inferiore degli opercoli; questa membrana con i suoi margini tocca e non tocca, a secondo dello stato di apertura della bocca, il profilo del muscolo sterno ioideo (4) coverto dalla pelle, la di cui estremità anteriore lunga e sottile si attacca all’arcata ioidea, proprio al punto d’inserzione di essa col glosso ioideo. Nei piccoli Mu/lus lunghi 8 mm. (fig. 2) si osserva un leggiero sposta- mento in avanti della parte anteriore mediana dell'arcata ioidea, che deter- Intese] mina un maggiore allontanamento del primo raggio da quelli del gruppo posteriore: esso non è più diretto obbliquamente verso la linea mediana del corpo ma disposto parallelamente a questa. Questo raggio, che si è un po- chino più allungato, è già meno curvo degli altri; e sebbene in apparenza abbia la medesima grossezza degli altri, esaminato al microscopio si pre- senta come avviluppato in un leggiero strato di tessuto di nuova formazione, che si è accumulato specialmente nella sua porzione basilare, in maniera che questa parte resta alquanto nascosta. Nei pesciolini lunghi 11 mm. (fig. 3) il primo raggio (0) si è ingros- sato più del doppio degli altri tre, ed ha assunto di già una forma conico allungata con la sua estremità molto assottigliata, che mentre nello stadio lungo 8 mm. raggiungeva appena il terzo della lunghezza totale del secondo raggio (4) in questo (11 mm.) raggiunge i tre quarti di tale lunghezza. Sicchè nel tempo di crescenza dagli 8 a 11 mm. questo raggio si è tanto mo- dificato in grossezza ed in lunghezza da presentarsi del tutto diverso dagli altri raggi, i quali in generale sono rimasti nelle medesime condizioni che nello stadio precedente. — 582 — La fig. 4 mostra la faccia ventrale della testa di un piccolo Mullus lungo circa 15 mm., il quale, essendo rimasto fissato con la bocca spalancata, fa BIGiS: vedere del tutto aperta l’arcata ioidea (e) con la membrana branchiostegale. In questo stadio le due parti della membrana branchiostegale, quella di ri chan destra e quella di sinistra, finora separate fra loro, incominciano a saldarsi insieme nella linea mediana del corpo, proprio al disopra del punto d' in- — 583 — serzione del muscolo sterno ioideo con l’arcata ioidea, in modo da coprire per un breve tratto detto muscolo. Il primo raggio (0) relativamente allo avanzato sviluppo del corpo é maggiormente ingrossato: esso per la sua posizione e per l'aspetto che ha assunto, tanto diverso dagli altri, mostra tutti i caratteri di un vero bar- biglio, e fin da questo momento sì desume con certezza, che esso spostan- dosi ancora di più in avanti, nel seguito dello sviluppo raggiungerà l'apice del muso, trasformandosi in tal modo nel barbiglio tattile definitivo del- l'adulto. Dalla medesima figura appare pure, che i due barbigli si sono mag- giormente addossati all’arcata ioidea, ma come. ho accertato, il loro asse scheletrico non è ancora entrato in connessione con essa, restandone un po- chino distante. Se in questo stadio si paragona l’asse scheletrico del barbiglio in for- mazione, con quello dei tre raggi branchiostegali definitivi, si troverà che esso è molto più sottile e di struttura alquanto differente da questi ultimi. La sua maggior grossezza esterna è determinata quindi solo dalla grande massa di tessuto molle, che accumulandosi e sovrapponendosi intorno lo ha fatto aumentare di dimensioni. Da questo stadio in poi la porzione dell’arcata ioidea, che porta i raggi branchiostegali si appoggia maggiormente alla parte interna dell’opercolo, mentre la porzione medesima, che porta i barbigli tattili si spinge lenta- mente, ma sempre di più, verso l'estremità della mascella inferiore. Nella fig. 5, che rappresenta la faccia inferiore di un Mu/lus lungo 22 mm., i due barbigli diventati sempre più diversi dei raggi, con la loro base ioidea si trovano quasi all'altezza del margine anteriore dell'occhio (#2) e sono fra loro molto avvicinati, mentre nello stadio precedente essi raggiun- gevano solo l'altezza della lente cristallina (fig. 4); la posizione degli altri tre raggi è rimasta quasi invariata. Intanto le due membrane branchiostegali accrescendosi hanno continuato sempre più a congiungersi fra loro (c) nella linea mediana, covrendo per conseguenza di più la vista del muscolo sterno ioideo; in questo processo di congiungimento sempre maggiore della membrana branchiostegale lungo la linea mediana, i barbigli vengono in gran parte a trovarsi circondati ed immersi nella detta membrana. Allorchè il piccolo Mus ha raggiunto la lunghezza di 26 mm. (fig. 6) i barbigli nel loro spostarsi innanzi, con la loro base hanno oltrepassato il livello del margine anteriore degli occhi e si trovano già appena a piccola distanza dall’estremità del muso. Intanto la porzione della membrana bran- chiostegale, che porta i raggi, si è molto ispessita (0) e costituisce parte integrale dell'opercolo (2), del quale il secondo raggio branchiostegale ne limita quasi il profilo interiore. La parte mediana dell’arcata ioidea, con la — 554 — porzione anteriore media della membrana branchiostegale e con i due bar- bigli tattili spostandosi ancora maggiormente, come ho detto, verso il muso, ha fatto sì che l'estremità posteriore di questi ultimi raggiunga solo la metà della lunghezza totale del secondo raggio (che uguaglia circa in lun- ghezza). Nei giovani Mullus lunghi 26 mm. i barbigli hanno già assunto la forma definitiva e sono di già molto grossi e cilindrici, ma restano sempre BIG:EDÌ ancora compresi per la loro intera lunghezza nella membrana branchioste- gale, le cui due porzioni continuano sempre più a congiungersi lungo la linea ventrale. In questo stadio si è pure determinato il solco (9) dove vengono riti- rati e nascosti i due barbigli nell'adulto. Questo anteriormente è limitato dai margini della mascella inferiore (7) e posteriormente dai margini inferiori ' degli opercoli. Nella piccola triglia lunga 30 mm., rappresentata nella fig. 7, i due barbigli si sono resi indipendenti staccandosi del tutto dalla membrana branchiostegale, ed aderendo solo con la loro base larga (s) alla porzione mediana dell'arco ioideo. Nei pesciolini di tali dimensioni si osserva che le basi dei due barbigli, che nello stadio precedente erano ancora fra loro allontanate, si sono tanto avvicinate, che aderiscono insieme involti da uno strato del tegumento co- — 585 — — 586 — mune. In tal modo i barbigli sono diventati liberi ed hanno già movimenti proprî; essi crescendo gradualmente si spostano sempre ancora di più verso l'estremità del muso e propriamente fino al limite delle pliche labiali della mascella inferiore, raggiungendo così la posizione definitiva dell'adulto (fig. 8). Il rendersi indipendente dei barbigli è in relazione con la nuova ma- niera di vita, che cominciano a menare i giovani Mu/lus, i quali, già nel- l’ultimo stadio da me osservato quasi non differiscono dagli adulti; perchè a questo stadio cessa la vita pelagica ed incomincia quella del fondo, dove questi organi vengono tanto efficacemente utilizzati. Difatti mentre negli stadî precedentemente descritti i giovani Mw//us vivono esclusivamente nella falda d'acqua superficiale del golfo, guizzando rapidamente per impa- dronirsi della preda che è rappresentata dai piccoli crostacei, vermi, molluschi ed altre forme del Plankton, non appena i barbigli diventano liberi, questi pesciolini si avvicinano alla costa per cercare invece il loro alimento nel fondo. In questo periodo i piccoli Mu//us cambiano gradatamente la loro livrea pelagica bleu sul dorso e argenteo sul ventre con quella definitiva del fondo a chiazze rosse e gialle ai fianchi del corpo e brunastro sulla porzione dor- sale di esso. Per queste mie osservazioni resta dimostrato l'origine dei barbigli del Mullus dal primo raggio branchiostegale, che da organi di sostegno, cam- biando funzione, si sono trasformati in veri organi di senso. Questo fatto aggiunto ai tanti di già conosciuti, conferma sempre di più la geniale con- cezione da tanti anni svolta da A. Dohrn (') sul principio del cambiamento di funzione degli organi. Fisiologia vegetale. — Della probabile azione enzimica nel promuovere accumulazione di acqua e pressioni osmotiche nei tessuti vegetali. Nota del Corrispondente IraLo GieLIoLI e di AL- FREDO (}UARTAROLI. Nel rigonfiamento dei semi, come nel turgore di ogni singolo organo, o tessuto vegetale, « che vada in succo » vi dev’esser qualche causa che di- rettamente agisce nel richiamare acqua, e nell'iniziare l’accumularsi del- l'acqua, in modo de cagionare turgore. Vi sono condizioni di ambiente, bene esempliticate nel caso del rigonfia- mento dei semi e delle gemme, che sono necessarie per questo richiamo, e per la rapida accumulazione di acqua. Ma tali condizioni esterne non avrebbero in- fluenza se nell'organo capace di rigonfiare non esistesse qualche costituente attivabile dalle condizioni stesse. Il quale costituente inizierebbe le azioni (*) Anton Dohrn, Der Ursprung der Wirbelthiere und das Princip des Function wechsel. Genealogische Skizze, Leipzig, 1875. — 087 — osmotiche: o perchè da una complessa struttura molecolare sarebbe facil- mente riducibile a nuove più semplici multiple strutture di composti solu- bili: oppure, perchè agendo sopra altri costituenti insolubili del tessuto li trasformerebbe in solubili. Infatti, dentro uno spazio racchiuso da pareti più o meno permeabili all'acqua, ma meno permeabili ai suoi soluti, le pressioni osmotiche sono generate: o dal subito trasformarsi di poche molecole com- plesse in molte molecole più semplici, di composti solubili: oppure dal tra- sformarsi in solubili di composti originariamente insolubili. Ma, in ambedue questi casi, è necessaria l'azione di un enzima; oppure bisogna che vi sia una sostanza di struttura molecolare complessa, solubile nell'acqua, la quale sì lasci facilmente decomporre, in condizioni simili a quelle che cagionano la decomposizione degli enzimi. Dentro due osmometri simili (della capacità di 25 c. c.), chiusi da una si- mile membrana di vescica, contenenti la stessa soluzione di saccarosio al 10 °/y, e immersi in acqua semplice, si aggiunga una goccia di una soluzione lim- pida d'invertasia, ossia di estratto acquoso di lievito di birra, triturato con sabbia, soluzione resa limpida colla filtrazione attraverso porcellana. Nel- l'uno dei due osmometri la porzione riceva una goccia di soluzione d' inver- tasia previamente bollita; nell'altro si aggiunga una goccia di estratto la- sciato in condizioni normali, coll’ invertasia non decomposta dal riscalda- mento.. I Si vedrà allora, dopo un tempo relativamente breve, cioè in due o tre ore, che nell’osmometro, nel quale alla soluzione di saccarosio si è aggiunta la soluzione normale d’invertasia, la pressione osmotica presto anderà crescendo; nel mentre che lievemente e lentamente l’endosmosi si manifesterà nell’o- smometro di confronto, nel quale la invertasia aggiunta s'è resa inerte col riscaldamento. In una delle prove da noi fatte l’osmometro con la soluzione zuccherina e l’invertasia attiva subì un aumento di peso di gr. 4.72; l'osmo- metro di confronto, con la stessa soluzione e l’invertasia resa inattiva col riscaldamento, crebbe di soli gr. 3.00. Questa istruttiva esperienza, che non ci risulta essere stata fatta prima d'ora, ben dimostra quale rapida influenza possa avere il risvegliarsi dell’a- zione enzimica nel richiamare subitamente acqua in una cellula, inducendo il fenomeno del turgore. Nelle seguenti esperienze abbiamo voluto verificare se negli organi vi- venti, esaminati prima o durante il periodo della loro turgescenza, vi siano sostanze capaci di risvegliare pressioni osmotiche, ma proclivi a perdere questa capacità col semplice riscaldamento: cioè, con quello stesso processo che distrugge negli enzimi l’attività specifica, e che deve essere sufficiente per decomporre strutture chimiche molto complesse e molto labili. Trattandosi di osservazioni comparative sopra sostanze facilmente alte- rabili, nelle quali importava cogliere le prime rapide manifestazioni di pres- RenpIcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 75 — 588 — sioni osmotiche, si scartarono gli osmometri a membrana precipitata, come quelli di ferrocianuro rameico, adoperati da Pfeffer, che richiedono una non facile e lunga preparazione. Nè furono fatte misure crioscopiche, per deter- minare indirettamente le pressioni osmotiche che si andavano sviluppando; poichè anche con molte di queste determinazioni non sarebbe stato facile tener dietro ai rapidi effetti di un'azione simile a quella degli enzimi. Vennero invece fabbricati osmometri semplicemente con membrane ani- mali di vescica. In questo caso, come è noto, l’esosmosi è tutt'altro che tra- scurabile; ma, trattandosi d'esperienze comparative (confronto fra sostanze vegetali, nelle quali venne o no distrutta l'azione enzimica, mediante riscal- damento), la esosmosi non ha una grande influenza nella deduzione dei ri- sultati. In tutte le esperienze comparative eseguite gli osmometri stavano im- mersi nella stessa acqua distillata esterna, trovandosi perciò nelle stesse condizioni di temperatura e di ambiente. Gli osmometri adoperati nelle esperienze sono piccolissimi: tali che il peso degli osmometri stessi pieni non arriva mai a 100 gr. Consistono in una piccola campanella, saldata alla parte superiore a un sottile tubo di vetro; la parte inferiore, dopo introdotta la sostanza in esame, veniva rin- chiusa con una membrana animale. La sostanza vegetale, nella quale sì voleva studiare la capacità di atti- vare l’osmosi, si riduceva bene in poltiglia, triturandola in un mortaio in- sieme a sabbia; poi, senza ritardo, s introduceva nell’osmometro. Il peso della poltiglia introdotta negli osmometri era presso a poco co- stante, poichè con essa si riempivano le celle degli osmometri, tutte di eguale capacità. In questa poltiglia poi v'era (nelle esperienze comparative) lo stesso rapporto fra sabbia e sostanza secca: come si è anche controllato, in varî casi, mediante la perdita di peso per calcinazione della sostanza, estratta dall'osmo- metro e seccata a 100°. Il peso medio della poltiglia introdotta nell'osmo- metro era all'incirca di gr. 30, di cui 16 gr. erano d'acqua, 12 gr. di sabbia, 2 gr. circa di sostanza secca. La capacità della campanella dei detti osmo- metri è di circa 22 c.c., il diametro interno del tubo sottile essendo di em. 0.5. La carica degli osmometri si faceva chiudendo il tubo sottile, capovol- gendo e riempiendo d'acqua questo tubetto; poi s' introduceva la poltiglia, e con un po d'acqua sì colmava fino all'orlo; infine, si rinchiudeva colla membrana, legandola intorno all'orlo. L'osmometro, pieno e chiuso, si capo- volgeva, rimettendolo così nella posizione normale; dipoi, con piccole scosse, o con altri artifici, si facevano uscire le bolle d'aria, che eventualmente fossero restate incluse nella poltiglia. Infine, dopo essere stati pesati, gli osmometri pieni erano fissati in posizione normale, e tuffati profondamente nell’acqua: in modo che questa fosse allo stesso livello internamente ed esternamente al tubo sottile. — 589 — In ciascuna prova vi erano due esperienze comparative. Un'esperienza veniva fatta colla poltiglia normale, preparata nel modo detto. Un'altra esperienza si faceva colla stessa poltiglia, mantenuta umida e scaldata in stufa a 100°, per oltre un'ora. In qualche caso si portò il riscaldamento a 105°-110°, dopo avere introdotta la sostanza in tubo chiuso. Bisognava in queste prove impedire, e dentro e fuori dei due osmometri in osservazione, qualunque processo fermentativo. Poichè, se la poltiglia non è mantenuta sterile, avviene dopo qualche ora (specialmente nell'esperienza colla poltiglia normale, non riscaldata) un processo fermentativo, con sviluppo gasoso; e restando in parte i gas impigliati nella poltiglia si ha per sposta- mento una salita d'acqua nell'osmometro, senza che vi sia una vera accumu- lazione di acqua. Per evitare questa causa d'errore venne impedita ogni fer- mentazione, sterilizzando la poltiglia con cloroformio; la quale sostanza an- tisettica non ha azione contraria agli enzimi, nel mentre che per la scarsa solubilità nell'acqua non esercita per sè stessa azione osmotica. Qualche goccia di cloroformio s'aggiunse anche all'acqua esterna; e la superficie di questa si tenne pure sterilizzata con vapori di cloroformio. Del resto, essendo in ogni esperienza determinato l'aumento in peso dell'osmometro, dovuto alla mas- sima accumulazione di acqua, questa determinazione toglie ogni errore che potrebbe derivare dalla presenza di bolle gassose. La salita del liquido negli osmometri cessa in generale in un tempo variabile da 24 a 48 ore; incominciando poi la discesa dovuta all'esosmosi prevalente. Dunque, le esperienze vennero eseguite parallelamente su poltiglie state previamente sottoposte o no all'azione del calore. Quando l'incremento della pressione osmotica fosse dovuto ad azione enzimica, o alla presenza di sostanze molto complesse e chimicamente instabili, l'attitudine osmotica sarà col ri- scaldamento distrutta, o ridotta; e in questo caso si avrebbe una debole ac- cumulazione di acqua. Se, dunque, la poltiglia vegetale, previamente riscal- data, si dimostra più debole accumulatrice di acqua che la medesima poltiglia lasciata allo stato normale, ciò doppiamente deve dimostrare l’attività osmo- tica di composti enzimici, o molto complessi; non solo a cagione della mi- surata accumulazione di acqua, ma anche perchè il riscaldamento della poltiglia a 100° dovrebbe eventualmente cagionare, non una diminuzione, ma piuttosto un aumento di pressione osmotica, dovuto all’idrolisi di alcune so- stanze, come potrebbe essere l’amido, o qualche costituente affine. ESPERIENZE CON SEMI E CON SEMI GERMOGLIATI. Anzitutto si eseguirono esperienze su semi non germogliati, triturati, rel modo detto, insieme a sabbia. Alcune esperienze si eseguirono prendendo per una parte in peso di semi sette parti di sabbia: ciò che approssima- tivamente rappresenta il rapporto usato nelle esperienze successive fra la so- — 590 — stanza secca impiegata e la. sabbia. Altre prove si fecero con una quantità maggiore di sostanza. S'è accertato nelle esperienze comparative sulla poltiglia normale e sulla poltiglia riscaldata che si aveva presso a poco un'azione uguale. Semi non germogliati. Seme e rapporto Accumulazione di acqua, fra sostanza vegetale Salita osmometrica o aumento in peso e sabbia poltiglia normale p. TiscAldata, Li p. riscaldata em. cm. gr. gr. Trifoglio 1:7 1,5 5 0,7 0,7 Frumento 1 :7 1,4 1,4 0,7 0,6 Trifoglio 1:1 4,5 4,5 2,5 Dio Frumento 1:1 4,2 4,4 DO 2,4 Non si ha, dunque, differenza sensibile fra l’azione osmotica della poltiglia riscaldata e della poltiglia normale, quando si tratti di semi nei quali la vitalità resta ancora allo stato latente. Ben altro avviene per i semi germogliati. I semi si mettevano a ger- mogliare in sei o sette volte il loro peso di sabbia; poi si trituravano e ri- ducevano in poltiglia colla sabbia stessa. Semi di Leguminose germogliati. Salita dell’acqua Accumulaz. acqua, o aumento nell’osmometro in peso dell’osmometro MM A Er] poltiglia normale p. riscaldata p. normale p. riscaldata cm. cm. gr. gr. Trifoglio (media 8 esp.) 4 II 17 0,6 LUpINIA*: Spoiler t2 0,4 1,0 trasc. asia MO RA08D et e 1 0,8 0,5 Eee I 1 0,8 0,4 Cect nto rino 1,9 1,5 0,7 SU a 1,2 1,4 0,6 Fagiuoli bianchi. . . 3,5 2,0 1,5 0,9 Media generale 2,8 Len 1,24 0,52 L'accumulazione di acqua da parte della poltiglia normale di semi ger- mogliati è quasi 2 !/, volte maggiore dell'accumulazione che si verifica quando la poltiglia venne previamente riscaldata a 100°. Vi è, dunque, nei semi ger- moglianti qualche composto facilmente alterabile col calore, che potentemente influisce nell'accumulare acqua, e nel fare rapidamente rigonfiare i semi. Le poltiglie ottenute frantumando i semi germogliati nel modo detto hanno una leggera azione ossidante; la quale si accerta colla colorazione — 591 — violacea, od 46surra, più o meno intensa, che i detti semi comunicano a carte di benzidina, ottenute imbevendo carte da filtro con una soluzione di benzi- dina nell'acqua bollente. Già pochi anni or sono, Rey-Pailhade (Compt. Rendus /2/, 1895, p. 1162) trovò un’ossidasia nei semi germoglianti di leguminose. Secondo il Pailhade, la laccasia esisterebbe in piccola quantità nei semi non germogliati, crescendo notevolmente durante la germogliazione; la qual cosa s'accorda pure coll’esperienze sopra riportate sui semi non germogliati. ESPERIENZE CON SEMI DI GRAMINACEE GERMOGLIATI, Salita acqua Accumulaz. di acqua, nell’osmometro od aumento di peso __r————_claxn°——_—r—*» —vVYFrF i T—_ssr poltiglia normale p. riscaldata p. normale p. riscaldata em. cm. gr. gr. Rimmento it. 1,5 Tell 0,5 0,3 Granturco . 2,0 0,5 1,0 0,2 DIZON Re ei 1,8 0,6 0,9 0,2 IACTEN AM LAT: 4 0,8 trase Media generale 1.7 0,6 0,80 ALZA Allo stato normale, la poltiglia di graminacee possiede una capacità per accumulare acqua che sarebbe circa il quadruplo di quella della medesima poltiglia dopo che è stata alterata col riscaldamento. Nei semi germoglianti di graminacee s'osserva una maggiore lentezza, in confronto colle leguminose, nella capacità accumulatrice di acqua. Nel caso della poltiglia di graminacee l'altezza massima si raggiunge usualmente in 48 ore, mentre bastavano 24 ore nel caso delle leguminose. L'azione della poltiglia di graminacee alle carte di benzidina è debole, ma visibile. Il Griss, come è noto, aveva osservato un’ossidasia nell’estratto di malto. ESPERIENZE CON SEMI OLEOSI GERMOGLIATI. Salita acqua Accumulaz. di acqua, nell’osmometro od aumento di peso poltiglia normale (ERRE eo i em. cm. gr. gr. DIRO ISS trase. 1 trasce. 0,2 d- Die 015) 1 trasc. 0,2 » (pol. digrassata) 0,5 1 0,2 0,5 Ricino 4) ERICA 10) l 0,2 0,2 ” b) 1,0 1,2 0,2 0,3 Media generale 0,6 1,0 0,1 0,8 Coi semi oleosi i risultati sarebbero diversi di quelli constatati negli altri semi germoglianti. La poltiglia alterata col riscaldamento avrebbe una capacità accumulatrice per l'acqua maggiore di quella della poltiglia nor- male. La rapida ed intensa ossidazione che avviene nei semi oleosi durante il germogliamento deve probabilmente dare origine a prodotti effimeri, di struttura chimica complessa, facili all'idrolisi. Già da molti anni, Sachs, Peters ed altri accertarono il comparire e poi lo scomparire dell'amido du- rante il germogliamento di alcuni semi oleosi. Queste sostanze, idrolizzandosi col riscaldamento, potrebbero accrescere nella poltiglia dei semi l'attività osmotica, più che compensando la diminuzione dovuta al decomporsi di so- stanze enzimiche. Il calore in questo caso si è sostituito all'azione enzimica, nell’accrescere l'attitudine accumulatrice di acqua. EsPERIENZE CON GEMME. Eseguite così le esperienze con semi, esperimentammo pure con gemme di piante arboree: trattandosi di organi la loro funzione, più di ogni altra parte della pianta, comparabili ai semi germoglianti. Salita acqua Accumulaz. di acqua, nell’osmometro o aumento di peso "1° "—_ n= —T = _—_r_r___m us poltiglia normale p. riscaldata p. normale p. riscaldata cm. cm. gr. gr. Gemme di pioppo: . . +. -+02,0 0,5 0,8 0,2 Gemme di pero poco sviluppate 2,0 0,8 0,9 0,4 ” » più sviluppate 2,2 1,0 TRS 0,5 ni di PESCO seicento 25) 1,2 18 0,5 Media generale 2,17 0,9 1,0 0,4 Dunque, si osserva nelle gemme, come nel caso dei semi germoglianti, una maggiore accumulazione di acqua da parte dalla poltiglia normale. Analogamente si osserva nelle gemme l’azione ossidante, palesata delle carte di benzidina. EsPERIENZE COMPARATIVE CON PIANTE CRESCIUTE AL BUIO E ALLA LUCE. Alcune piante si fecero germogliare al buio, fino ad ottenere un buon sviluppo. Altre in condizioni normali di luce, per un egual tempo. Poi si fecero le solite esperienze, riducendo le piante intere, comprese le radici, in poltiglia, frantumandole con un egual peso di sabbia. Piante cresciute al buio. Piante cresciute alla luce. Salita acqua osm. Accumul. acqua Salita acqua osm. Accumulaz. acqua nia ea Ps — el gna n _s —. polt. n. polt. ris. polt. n. polt. ris. polt. n. polt. ris. polt. n. polt. ris. cm. cm. gr gr. em. cm. gr. gr. Granturco 2 2,5 1,2 1,4 2,6 2,4 105) 1,4 Lupini 3 3,2 1,9 1,9 3,0 Dr 1,4 1,2 Fagiuoli 2,8 3,0 1,2 15) 3,0 3,0 1,4 1,2 Trifoglio 3,5 3,6 15 1,5 3,7 9,0 1,6 1,5 Ceci 3,9 3,8 1,8 IIS 3,9 SA 1,9 1,8 Medie gen. 3,0 3,2 1,4 1,5 3,2 Sl RS) 1,4 = UO Nelle piante cresciute al buio si ha un'azione un po maggiore per la poltiglia riscaldata. Ciò può forse spiegarsi. Nel germogliamento al buio s'esaurisce la materia di riserva, compresi gli enzimi: così, la reazione alla benzidina, dapprima fortissima, finisce collo scomparire. Nella parte riscaldata avviene qualche idrolisi od ossidazione, che aù- menta lesgermente l’azione osmotica. Secondo Overton, i processi osmotici sono connessi colla produzione di lecitine; ora nelle piante germogliate al buio, come dimostrò Stoklasa, le lecitine diminuiscono, mentre aumentano in quelle germogliate alla luce. Nelle piante cresciute alla luce si ha invece un'azione osmotica un po’ maggiore nella poltiglia normale. Vedremo fra poco come nella pianta adulta l'azione enzimica accumulatrice di acqua sia localizzata specialmente nelle radici e nel basso fusto. Forse questo spiega perchè esaminando la intera pianta poco si manifesta questa particolare azione enzimica. Mentre in alcune parti della pianta vi sono condizioni favorevoli all’accumulazione di acqua, in altre parti le condizioni concorrono a fare fluire e disperdere l’acqua accumulata. ESPERIENZE CON DIVERSE PARTI DI PIANTE ADULTE. Si eseguirono esperienze con diverse parti adulte, particolarmente con piante a rapido accrescimento e forti accumulatrici di acqua: quali p. es. il comune girasole e il ricino (varietà dello Zanzibar). a) Esperienze con varie parti di Helianthus. Salita acqua Accumul. acqua, nell’osmometro o aumento di peso poltiglia normale p. riscaldata p. normale p. riscaldata cem. cm. gr. gr. TA, A RR 2,0 1,0 1,0 0,3 Fusto, parte bassa -. . . 2,0 1,5 1,0 0,8 MIE 2,0 2,2 0,8 0,9 Fusto, parte superiore . . 3,0 2,0 1,4 1,0 Fiore privato semi . . . 2,0 0,8 0,7 0,2 Regione semi maturanti. . 19) 1,0 0,6 0,4 Foglie vecchie SEE To) 150, 0,3 0,3 "RR CIOVAMI i ro 170 1,0 0,3 0,4 » adulte colte al mattino ]E2 RS 0,4 0,4 ” ” alla sera 1,0 L2 0,3 0,2 Media generale 1,9 1,4 0,8 0,5 (includendo come dato unico la media delle foglie). — 594 — Nel girasole, anche considerando complessivamente l'azione osmotica in tutti gli organi, vediamo come col riscaldamento la sostanza vegetale dimi- nuisca in media, nella ragione di 82 a 57, nella capacità di accumulare ra- pidamente acqua. Ma questa diminuzione, nelle varie parti della pianta, è ben differente. In qualche organo, come nella midolla del fusto, e anche nelle foglie gio- vani (nelle quali molto attiva deve essere la traspirazione), il riscaldamento della sostanza vegetale non diminuisce, anzi accresce, la capacità osmotica. Invece, nelle radici questa capacità è ridotta quasi ad un terzo col riscal- damento. Risultati simili si ebbero con un'altra pianta a rapido accrescimento: il ricino. b) Esperiense con diverse parti di ricino. Salita acqua Accumul. acqua, nell’osmometro o aumento di peso —=- tan -—__._r ——ne_—r € ———_ 755 poltiglia normale p. riscaldata p. normale p. riscaldata em. cm. gr. gr. RI ICI Re 2,5 RO 1,3 0,5 Fusto parte inferiore. . Did 1e2 1,0 0,4 ” » superiore . . 2,5 1,4 1,2 0,4 Foglie giovani; . .. ‘>. +... deb 1,5 0,8 COSTA » Vecchi eee 1,0 10) 0,3 0,4 Media generale 1,9 IR 0,92 0,48 Anche qui (come pel girasole) si ha che nel complesso il riscaldamento riduce (e anzi più notevolmente) la capacità ad accumulare acqua. Ma tale riduzione si accentua nella sostanza vegetale delle radici, dove il riscalda- mento riduce a !/3 circa la capacità accumulatrice di acqua; un po' meno lungo il fusto, pochissimo nelle foglie giovani; nulla nelle vecchie. Colla nuova stagione converrà ritornare sullo studio di piante intere, a rapido sviluppo, innalzatrici e disperditrici di molta acqua. Intanto qualche altro saggio fu fatto per meglio accertare la presenza nelle radici di com- posti simili agli enzimi, connessi coll'attività osmotica. ESPERIENZE CON RADICI. Salita acqua Accumul. acqua, nell’osmometro o aumento di peso —T TT ————————_———+ ss ss —_—— y—»—W _mee— poltiglia normale p. riscaldata p. normale p. riscaldata em. cm. gr. gr. Radici medica. Sti o. 2,2 0,9 1,1 0,4 ” IE Ng ti 0) DREI A Dio 1,0 173 0,4 È OTANvULCos: on, IR5 1,0 0,3 0,3 Media generale 2,0 1,0 1,06 0,36 — 595 — Anche nelle radici è manifesta l’azione dell’ossidasia, capace di dare colla benzidina colorazione azzurra. ESPERIENZE VARIE. Salita acqua Accumul. acqua, nell’osmometro o aumento di peso em. cm. gr gr. Foglie vecchie ippocastano . De 200 1,4 Je ” giovani ” 2,5 2,4 1,5 5 ” colte al mattino . 2,2 2,9 0,7 0,8 ” » alla sera 2,2 PO) 0,7 0,8 Articoli di fico d'India . 3,0 155 1,2 0,4 Si conferma, dunque, che nelle foglie non sì ha sensibile accumulazione di acqua per azione enzimica. Invece, com'era da aspettarsi, si ha notevole azione cogli articoli di Opunzia. Da alcune esperienze preliminari, risulta che anche nelle frutta imma- ture si avrebbe una particolare accumulazione d'acqua per azione enzimica, accompagnata con azione ossidante alla benzidina. La dimostrazione che nelle piante esistono sostanze facilmente decom- ponibili, simili in ciò agli enzimi e probabilmente funzionanti come enzimi, capaci di accrescere grandemente nei tessuti vegetali la capacità di accu- mulare acqua e di produrre pressioni, contribuisce a chiarire il meccanismo dell’assorbimento dell'acqua dal suolo nei semi rigonfianti e nelle radici; ed a fare intravedere ancora come avvenga che i tessuti viventi, secretando queste sostanze complesse, possano grado a grado portare in alto l’acqua attraverso differenti tessuti, fino agli organi della traspirazione: facendo così che l’acqua arrivi a quelle grandi altezze che ammiriamo negli alberi più eccelsi. Matematica. — Sopra la configurazione di Kummer e il suo intervento nella teoria delle cubiche gobbe. Nota di Lurci BER- ZOLARI, presentata dal Socio C. SEGRE. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. RevDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 76 — 596 — Matematica. — Supra le superficie algebriche che hanno le coordinate del punto generico esprimibili con funzioni mero- morfe quadruplamente periodiche di due parametri. Nota II) di G. BAGNERA e M. DE FRANCHIS, presentata dal Corrispondente F. En- RIQUES. 5. Superficie di genere sero con la irregolarità 1. 1,05,7,0 1,0,tT,—7t 1) ti 4 so, log t |u=u+; ; 220 II) =; (ini), IV) CR I vii» i rioni Ibex 0) T — 27 107,0 i ge l Do e i 5) 3 bro Uli Ve SV 3 ara) (UE di TA, | DI peo et > TO rn Tutte le superficio del precedente quadro rientrano nella classe delle superficie ellittiche di genere zero (°). Esse hanno nulli tutti i plurigeneri, esclusi quelli il cui indice è multiplo del grado dell’involuzione ciclica di cui esse sono immagini: questi ultimi plurigeneri sono tutti eguali ad 1. 6. Superficie regolari di genere sero e di bigenere 1. IE RORAO) 1,0,T,—T VESIOSt: OC cer a Ingro 1 i [(c-u+3.0=-0+53) : uv = 02) |. 7. Superficie regolari di genere (e plurigeneri) 1. Conviene dividere queste superficie in quattro categorie: VII) IX) (1) V. pag. 492. (2) Enriques, Sulle superficie algebriche di genere geometrico zero (Rend. del Circ. Mat. di Palermo, t. XX, 1905). — 597 — a) Superficie che provengono da gruppi T ciclici. 1 ) 20086 DA X) e [u=—u,v=— 0]. i Il numero e è un intero positivo, e i coefficienti delle parti immaginarie in t,v,t', che denoteremo ordinatamente con ©, ,t;, 1, soddisfano alla diseguaglianza 7î — 1a <0. Nei casi in cui e= 1 le funzioni iperellit- tiche relative alla tabella X) provengono dal problema d'inversione di Ja- cobi per una curva di genere 2, e le superficie F_ sono allora, com'è noto, equivalenti birazionalmente a superficie di Kummer. boa id , 0t+2a ni) OA E E 2a — d [u'=iu,v = — iv] Nell’espressione di 7° i numeri @, sono interi reali e 0,0 interi co- niugati nel corpo [1,2]; questi interi non possono però essere scelti ad arbitrio se si vuole che esistano le funzioni iperellittiche della tabella XI). , ort8a t= fr i 3PrT Tenuto = vale XII) 2 DE. WtSlT 2 , , lsnenesi Nell'espressione di 7’, i numeri @, sono, come sopra, interi reali, ma o, © sono interi coniugati nel corpo [1, «]. La stessa tabella XII) ammette anche il gruppo ciclico del 6° ordine XIII) [u=—su,v=— ev]. B) Superficie per le quali il gruppo T è diedrale di grado 8. 1,25, ir CONGO — i, 7 XIV) , Ga+20r—0=0 [== 4%), == al. Il numero @ è un intero e o è della forma p+ 7g con p e g interi; le funzioni iperellittiche relative alla tabella XIV esistono qualunque siano Q,P39 Con la stessa tabella si ha anche il gruppo: XV) [(nu+tt ao ; i) , (ito v=—u) |. — 598 — Per i casi XIV e XV si suppone che il discriminante 00 + g? della equazione quadratica cui soddisfa 7, che è sempre un numero intero essen- zialmente positivo, non sia un numero quadrato. I casi in cui 7 sta nel corpo [1,] sono considerati nelle tabelle che seguono: 1,—?, VESTE 0 o, ti0,(1+00,(1—2%)oe Vu = du, 0 ==) (u =0v,0 =— 2) XVI) (co +1=0 mod. 2g) Con la stessa tabella si hanno ancora i due gruppi: ali XVII) [ (i+ 3 sgi=—-inptit o) i (===) | i 2 XVIII) [(u=in,v=—ivto0), W=v,v=—u)] 1,—-7,0,0 > ter XIX) Sin, (co + 1= mod g) (==, 0 0), (MII XX) [(Tab. XIX) (co +-1=0 mod 29)] [ (i+ saniv4 4 0) È (Di i —— | XXI) [Tab. XIX) (0 numero pari)] 1 È |(e=w 0-04 3) o =v0=—) |. y) Superficie che provengono da gruppi T diedrali di grado 12. 2 ie T, — &T XXII) , (ot + 307 — w= 0) 9 t,ea, 1, e] [i(@i/= «wu, Eee), (= 00 ui Il numero 0 è intero ed w è della forma p++ eq con p,g interi; le S funzioni iperellittiche relative alla tabella XXII esistono qualunpue siano Q,P;49- Con la stessa tabella si ba anche il gruppo: XXIII) | (e = eu + DE e,v=ev+ lane e) , (see ) | 3 Per i casi XXII e XXIII si suppone che il discriminante 4ww + 99° { dell'equazione quadratica cui soddisfa © non sia un quadrato. I casì in cui 7 sta nel corpo [1,«] sono considerati nelle tabelle che seguono: te OO W,E€0 ,0,€0 [= = vai XXIV) (0w +1=0 mod g) — 599 — Con la stessa tabella, ma con la condizione mw +1=0 mod 2o, si hanno ancora i due gruppi: r li V Vi) r A Id XXV) | (+3 0= 2048). W=v 0-0) | i (o=p+e9 con p.q dispari) i (e = uv = ev + 3) , U=v,v=— %) | (0 pari; p,q dispari). La condizione che p e 9 siano dispari non è essenziale, perchè ì casì XXV e XXVI ‘si presentano anche quando uno dei detti numeri è pari e l’altro dispari; ma possiamo sempre ridurci al caso di p,g dispari cam- biando, se occorre, w in ew 0 in #°@. d) Superficie che provengono da gruppi T tetradrali di grado 24. MES rali Dileta AGILI I) Oo (oi [iii (atti tati 0) ] XXVII) | (ca. XXVII), (1 int = — 43° o) (i E to) to o_ »)) | XXIX) |a. LOR — E) (u- Li (Uu+0) = — ")) | Nella classificazione fatta non figurano: 1) Le superficie iperellittiche. 2) Le superficie razionali. 3) Le su- perficie birazionalmente identiche a rigate ellittiche. Ecco un altro risultato interessante: Quando la tabella dei periodi fondamentali può ridursi al tipo , Ioni rr Ole XXVII) | | Call mod 2o) EN in modo che i coefficienti 7, 71, vt, delle parti immaginarie di 7,0," r vr soddisfino alla disuguaglianza tf — arr <0, tutte le superficie F, escluse quelle dei casi III IV, V, VI, VII, sono rappresentabili sul piano doppio. — 600 — Una osservazione semplicissima permette in molti casi di verificare la cosa, senza fare alcun calcolo: se il gruppo Z° corrispondente alla superficie F si può estendere, tenendo ferma la tabella dei periodi, in un gruppo di grado doppio, che porti a superficie razionali, la F si rappresenta sul piano doppio, perchè essa viene a possedere un'involuzione di 2° ordine razionale. 8. Noi dobbiamo fra breve dare un rendiconto molto più esteso del nostro lavoro; ma vogliamo fin da ora mettere in rilievo un fatto che mo- stra l'indole del problema che trattiamo; questo è che le trasformazioni del gruppo £° sono generalmente, sopra la corrispondente superficie iperel- littica, trasformazioni singolari nel senso di Humbert (?). In altri termini, le funzioni Theta iperellittiche che servono ad espri- mere le funzioni meromorfe quadruplamente periodiche 4,%,2, che sono le coordinate del punto generico della superficie, non vengono dalle opera- zioni di I° trasformate in Theta, ma in funzioni che verificano equazioni funzionali più generali di quelle cui soddisfano le Theta (funzioni interme- diarie secondo Poincarè ed Humbert); queste funzioni più generali analoghe alle Theta esistono in. forza delle speciali relazioni che intercedono tra i periodi. Noi chiariremo meglio il nostro pensiero con un esempio. Consideriamo il caso di gruppi Y° ciclici di quart'ordine, che è quello segnato XI nella nostra classificazione. Supponiamo in primo luogo che la relazione bilineare fra © e 7' che accompagna la tabella XI sia: t=l—qt e cambiamo i parametri u,v ponendo: Allora, la tabella corrispondente ad XI per gl'integrali U, V si riduce su- bito a Da 1 ha 0api (A |ibali fpiano [o=i(e—3)] cioe =? FRA a ll 1 2 0,1,9,753 0,1,9,3 e la sostituzione di quart'ordine che genera il gruppo Z° si scrive: (8) gie SAY > NEC (1) Humbert, Sur les fonctions abeliennes singulières (Journal de Mathematiques, 1899, 1890). — 601 — Il sistema di funzioni meromorfe quadruplamente periodiche relativo alla tabella ora scritta esiste sotto la sola condizione che 9 sia immagina- rio; ma qualsivoglia superficie iperellittica di questo sistema rappresenta la totalità delle coppie di punti della curva di genere 2: n = & + k&3 ES 5 e la trasformazione (8) equivale a fare su questa curva la trasformazione lineare y' i în i E PECORA) E che la cambia in sè. Ci troviamo dunque in uno dei casi, studiati da Bolza ('), di curve di genere 2 che ammettono trasformazioni birazionali in sè, fuori, s'intende, di quella prodotta dalle coppie di punti della serie canonica. Le involuzioni sopra le superficie iperellittiche, che vengono in corrispondenza a queste trasformazioni birazionali, sono i casi più semplici che sì possano immaginare; le corrispondenti trasformazioni del gruppo I° sono allora tras- formazioni (ordinarie) d' Hermite le quali cambiano le Theta in Theta. La trasformazione (8) può anche pensarsi come un'operazione di secondo ordine, purchè si ritenga il suo quadrato: UU = ESM eguale all'identità; ciò equivale a metterci sopra la superficie di Kummer relativa alla tabella di periodi che qui si considera, che è una superficie di Kummer due volte tetraedroidale. Questa operazione di secondo ordine è una omografia rigata involutoria che trasforma in sè la detta superficie di Kummer. Supponiamo in secondo luogo che la relazione bilineare tra © e 7’ che accompagna la tabella XI sia: (9) ui Cambiamo i periodi fondamentali di u e v ponendo: o=24+2—0 , o =—-1—-2+it , = 3i-ir , 0,=1 o=2—-2i+id , o =-1+2—0,o=_Bi+d,0,=r; il determinante di questa trasformazione lineare è: DICIOTTO. e. vale — 1. (1) American Journal of Mathematics, t. X. — 602 — Prendiamo dunque come tabella dei periodi di ,v: I Wo dg 0 r , , , 0, 0, 0; ed osserviamo che, in forza della supposta relazione tra 7 e 2’, sussiste fra le w e le w' quest'altra, facile a verificarsi: (0,05 — 0103) + (0-0, — 050,) = 0. Dopo ciò, cambiamo gl'integrali u,v ponendo: u=@oU-+V , v=@0U+w;V, così che, quando v,v aumentano di ©, ,@©j 0 di ©,,%gy, i nuovi integrali U, V aumentano ordinatamente di 1,0 o di 0,1. Dunque, la tabella che corrisponde a quella ultimamente scritta è della forma: og, % DRS APT b) (10) ma fra le 9,9, h, che sono in sostanza funzioni razionali del solo para- metro 7, si hanno le due relazioni: (11) g'= 2 h° —gg'=3. E si verifica inoltre con un calcolo non breve ma facile che la sostituzione di quarto ordine, generatrice di , si scrive con i nuovi parametri U,V così: U=(29+4)U+(1—g9—A4)V ( (2) V=214+g9+4)U—(9+4)V. Se 91,91, ly sono i coefficienti dell'immaginario i in 9,9", è ordinatamente, le (11) sono evidentemente compatibili con la condizione: h_- YI, che basta, come si sa, ad assicurare l'esistenza delle funzioni iperellittiche relative alla tabella (10). Dunque, la posizione (9) non porta ad un caso illusorio. Intanto accade che la (12) non trasforma le funzioni Theta della ta- bella (10) in funzioni Theta, bensì in funzioni intermediarie, e perciò la (12) non si traduce in una trasformazione birazionale sopra la curva di genere 2 che dà origine alla tabella in discorso, quantunque la superficie iperellittica relativa a questa tabella sia in corrispondenza biunivoca con le coppie di punti della curva ora detta. Segue che la trasformazione birazionale irvolutoria prodotta dalla (12) sopra una superficie di Kummer della tabella (10) non è una trasforma- zione omografica; noi dimostreremo altrove che Za (12) si traduce in una — 603 — omografia sopra una superficie di quarto ordine birazionalmente identica alla detta superficie di Kummer. Un ultima osservazione : Le relazioni (11) sono due relazioni singolari, perchè rientrano nel tipo: D(4° — gg') + Ag + Bh + 0g +E=0, con A,...,E numeri interi, che serve di definizione a tali relazioni. È noto che, affinchè la superficie iperellittica relativa ad una tabella del tipo (10) possegga integrali di 1% specie ellittici, è necessario e suffi- ciente che esista una relazione singolare il cui variante, che per la rela- zione generale scritta avanti è: B° — 4AC— 4DE, sia un numero quadrato (!). Ora, nel nostro caso, ogni relazione singolare tra i periodi (10) è fatta così: A(h° — gg9'—3) + u(g' — 29)= 0, con Z, w interi, e l’invariante è: Su? + 124°. Ma si vede facilmente che questa forma non può rappresentare un quadrato; e quindi il caso in esame è un caso iperellittico puro nel senso che non esistono integrali ellittici di 12 specie, o, ciò che vale lo stesso, la nostra superficie iperellittica non possiede fasci di curve ellittiche. Matematica. — Sulla risoluzione apiristica delle congruenze binomie. Nota I di MicHELE CIPOLLA, presentata dal Corrispondente A. VENTURI. Noi abbiamo già risoluto, quando il modulo p è un numero primo, la questione di determinare una soluzione 4p?r2stica della congruenza binomia e"=a (mod. p), cioè un polinomio in 4«, che fornisca una soluzione della congruenza per ogni 4 residuo n-ico di p (?). Il problema generale relativo ad un modulo qualunque si riconduce, com'è noto, alla risoluzione di congruenze binomie i cui moduli sono potenze (*) Humbert, loc. cit. (2) Sulla risoluzione apiristica delle congruenze binomie, Mathematische Annalen, 1906, LXIII Band., pp. 54-61. RenpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 77 se SE se x Pa & — ho n n bos ese seni) EL > ° di — 604 — di numeri primi, onde noi ci limiteremo alla considerazione delle congruenze della forma x*=q. (mod. p"). È pur noto che il grado n può supporsi divisore di g(p"?) = p"-! ( P_ 1), ma in questa prima nota noi supporremo che % sia una potenza del mede- simo numero primo 7, rimandando ad una nota successiva la trattazione del caso generale. Consideriamo dunque la congruenza (1) aî=a (mod. p"), essendo p un numero primo dispari. Noi qui otterremo la risoluzione apiri- stica di questa congruenza collo stesso metodo che applicammo al caso di p=2(?): esso è fondato sullo sviluppo in serie di {/1— #. 1. In virtù del teorema di Fermat-Eulero.noi possiamo supporre, senza ledere la generalità, che nella congruenza (1) sia 71): Pertanto si può porre aa? — hp", essendo & un numero intero, e quindi a= a? (I —Ap"+*!) (mod. p") dov'è Di ; (3) A= ha? = n= a (mod p90A0? Allora la (1) diviene (4) a = ad (1— Ap") (mod. p"), (1) Estensione di un metodo di Legendre alla risoluzione della congruenza a” = a (mod. 2*), Rend. della R. Accademia delle scienze f. e m. di Napoli, 1905. AINNDE. ma È (8) Con a-!, ovvero con 7 si suole anche indicare una soluzione della congruenza ax =1 (mod. p”), supposto a #= 0 (mod. p). — 605 — e però, se zo è una soluzione della congruenza (5) a =1-—Ap* (mod. p”), sarà 7, una soluzione della (1). Moltiplicando questa per ciascuno dei nu- meri 1 + 4p"” (£K=0,1,2,...,p" —1), che sono tutte le soluzioni della congruenza 2!" =1 (mod. p”), si ottengono tutte le soluzioni della (1). Occu- piamoci quindi della risoluzione della congruenza (5). PO 2. Lo sviluppo di puzza in serie di potenze di <: (6) 1 8 028° 00 08 — 0,4 dov'è I 1 o e pern>l (2) i) e (E) n n! p'" Ù è convergente entro il cerchio di raggio 1, e però lo sviluppo della sua po- tenza p"-esima dovrà essere, entro questo cerchio, identico a 1— 4. Posto co= — 1, il coefficiente di z” nello sviluppo della suddetta potenza è => dei, Cig. Cir 0 essendo la somma estesa a tutte le soluzioni in numeri interi non negativi dell'equazione E RIASE, Per n >1 è dunque (8) dei, Cig 000 Cir = 0 ° Di qua si ricava la seguente espressione del coefficiente ec, per mezzo .dei coefficienti i cui indici sono inferiori a 7: L[(P"\é DÀ Ri (9) ETA SNer— Sert Sa ’ (0220) P 2 n 5) n n dove con la notazione isobarica del Cesàro NI Ck si indica la somma dei prodotti cx, cx, --. Cri, essendo /, 7a,...,% nu- meri interi positivi (diversi da zero), uguali o disuguali, aventi per somma x. — 606 — Dalla (9), per induzione completa, si ricava subito la seguente proprietà notevole: # coefficienti cn, ridotti ai minimi termini, hanno per denomi- natore una potenza di p. L'esponente di questa potenza è, come risulta subito dalla (7), rn+ mp (p, a!) dove con la notazione mp («, è), essendo 4 e è due numeri interi, si indica l'esponente della più alta potenza di 4 che divide d (!). 3. Ciò posto, possiamo dimostrare che una soluzione della con- gruenza (5) è (10) e =1— Apt — ca A° pr+»D — ...— cn A pRi+D (mod. p") dov'è {I m_-2 k=mMmH+1+] i }. LS p—_2 Dobbiamo innanzi tutto dimostrare che i termini di (10) sono interi, e ciò equivale a dimostrare che è rent mp(p, an!) =(e+1)n. Infatti-si ha n n ; n tif IMP "H+ + ai =: e però a— 1 ro+mp(p, 0!) = ra +5 ieetla. Innalziamo ora ambo i membri della (10) alla potenza p”-esima e svi- luppiamo la potenza del secondo membro, ponendo al solito cec(= —1. Si ottiene k (11) a — Di AGpit+1 a Ci, Cig Ci, — nSd Da i ph — S Angpro+® DI CiiCi ecc Modi n=R+1 (Ia i Al secondo membro la somma segnata con (I), si estende a tutte le soluzioni in numeri interi non negativi dell'equazione (12) india die =, e quindi in virtù di (8) per #>1 è nulla, onde la prima somma si riduce (!) Peano, Formulaire mathématique, 1902, première partie, pag. 73. — 607 — a 1— Ap'*!. La somma segnata con (II), devesi estendere a tutte le solu- zioni in numeri interi non negativi e non superiori ad n, dell'equazione (12), e noi ora dimostreremo che in tale ipotesi tutti i termini della se- conda somma sono divisibili per p”. Infatti, indicando con « l'esponente della più alta potenza di p, che divide (13) PRTTO SI Cig Cin Cigr (Da si ha p" pr a=n(r+1)— > [ir + mp(p,i.)]}=a—) mp(p;4!), sel s=] e poichè pi mp(p,n1) => mp(p,é!), | sl sì ottiene p° 1 a=n— > mp(p,is!)=n—mp(p, en s=l Essendo poi Ea i sarà E (i 1 dARI a=% == 166 )+p_-2]>m. Poichè l'esponente della più alta potenza di p, che divide (13), è su- periore ad 7, tutti i termini della seconda somma di (11) sono divisibili per p”, e così resta dimostrato che la (10) è una soluzione apiristica della congruenza (5). La (1) ammette quindi la soluzione apiristica k (14) eta) ol — a?) (mod p”). n=0 4. Il numero X dato dalla formola r=m+1+|573 è un limite oltre al quale non occorre più spingere il calcolo dei termini, perchè i termini successivi sono tutti divisibili per p*. Ma alcuni ter- mini, fra i X che si devono considerare, possono essere divisibili per p"; basterà, p. es., che il coefficiente c, abbia a denominatore una potenza di p — 603 — tale che il suo esponente non sia superiore a 7(7 + 1)-- #m, perchè il ter- mine corrispondente sia divisibile per p”. Quest'osservazione torna utile in pratica, come si vedrà nel seguente esempio. Si voglia determinare una soluzione apiristica della congruenza x = (mod 81). Qui è r=1,m=4, e però 4#= 7. Si ottiene facilmente 1 1 5 10 A ’ Ca Figo » (€3 Zi , Calze ) 22 73 22.17 age ) fo a3 pria loi In virtù dell'osservazione fatta, si possono trascurare i termini coi coefficienti C5y €60; una soluzione apiristica della congruenza data è dunque als Il (al6 1)? bat 198 10(a!* 15 Ci = 1 SERA Ra re TARIERSFrp na . ef ig Ta 34 33 Con questa si possono ottenere subito le radici (quando esistono) di qualunque congruenza binomia cubica secondo il mod. 81. Matematica. — Sugli sntegrali multipli. Nota di G. FuBINI, presentata dal Socio Lurc1 BIANCHI. 1. Mi occuperò qui degli integrali superficiali di una funzione di due variabili #,y. E, come è oramai necessario in questo ordine di studî, mì riferirò agli integrali del Lebesgue ('). Il teorema, che dimostreremo, è il seguente: Se f(c,y) è una funzione di due variabili x,y, limitata 0 illimi- tata, integrabile in un’area T del piano (x,y), allora st ha sempre: fi /(@, y)do = dy ff , y)dae — fe {fa 0)dy quando con do si intenda l'elemento d'area di T (?). Sull'area 7° faremo dapprima l'ipotesi (del resto non essenziale) che la sua intersezione (*) con una qualsiasi retta 4 = cost, oppure y = cost sia (linearmente) misurabile. (Cfr. il n° 2). cu (1) Lebesgue, /ncégrale, longuer, aire. Annali di Matematica 1902. (2) Quando la presente Nota era già in corso di stampa, mi fu fatto notare che in una osservazione a pie’ dell pag. 30 della Memoria: Sul principio di Dirichlet (Rend. del Circe. Mat. di Palermo, tomo 22), il prof. B. Levi accenna a questo teorema, partendo da alcuni lavori del sig. Pringsheim sugli integrali superficiali di Riemann. (*) Intersezione di un campo T, o di un aggregato E con una retta 2 = cost, op- — 609 — La Nota finisce con un breve cenno dell'estensione del precedente teorema a coordinati polari, o altre coordinate. } 2. Introdurremo due definizioni: Diremo che un aggregato di punti nel piano (x,y) è linearmente misurabile, se ogni sua intersezione con una retta x= cost, oppure y= cost è un aggregato linearmente misurabile. Diremo che una funzione /(x ,y) è linearmente misurabile, se le funzioni della sola 4 (o della sola y), che se ne deducono, ponendovi y= cost oppure 4 = cost sono (linearmente) misurabili. Per le funzioni limitate misurabili linearmente e superficialmente il teorema precedente è conseguenza immediata dei teo- remi (!) del Lebesgue. Notiamo che gli aggregati, che il Lebesgue chiama misurabili (B), sono linearmente misurabili, che l’aggregato somma di (comune a) un numero finito, oppure di (oppure a) un'infinità numerabile di aggregati linearmente misurabili è pure linearmente misurabile. Per dimostrare il nostro teorema nel caso di funzioni non misurabili linearmente, premetteremo due osservazioni: Osserv. 1°. Quando si parli di integrali di una funzione, si può anche supporre che essa non sia definita in ogni punto, e che esista un aggregato di punti di misura nulla in cui essa non è definita. Ciò proviene dal fatto che i valori di una funzione in un aggregato di punti di misura nulla non hanno alcuna influenza sul valore di un suo integrale. Osserv. 2°. Un aggregato E misurabile (superficialmente) del piano (<,y) è contenuto in un aggregato E,, e contiene un aggregato E., che sono misurabili (B), e quindi sono misurabili superficialmente e linearmente, ed hanno la stessa misura superficiale di E. Da queste osservazioni si deduce: Se /(c,y) è una funzione misurabile superficialmente, esiste una fun- zione p(c ,y) misurabile superficialmente e linearmente, tale che l’aggre- pure y= cost, è l’aggregato dei punti comuni al campo T°, o all’aggregato E con la retta 2 = cost, (oppure y= cost) considerata. Al solito le @,y indicano coordinate car- tesiane ortogonali. (1) Lebesgue, loc. cit., pag. 274 e seg. A pag. 276 riga 30 il Lebesgue dice che l'aggregato A dei punti comuni a un numero finito, o ad un’infinità numerabile di ret- tangoli, aventi i lati paralleli agli assi coordinati, si può considerare come l’aggregato dei punti comuni a un numero finito, o a un'infinità numerabile di rettangoli n’empiétant pus les uns sur les autres. Ciò si dimostra nel seguente modo: Se E,,E2, Ea... sono i rettangoli in discorso, si sopprimano da ogni rettangolo E, quelle sue parti, che sono comuni ad almeno uno dei rettangoli E, , E2,..., En-1, e si suddivida la parte residua in tanti rettangoletti e, el... L'insieme A dei punti appartenenti ad almeno uno dei punti rettangolari E coincide con l'insieme dei punti appartenenti ad almeno uno dei rettangoli e: i quali sono pure in numero finito, o formano un'infinità numerabile, e non sì sovrappongono l’un l’altro. — 610 — gato dei punti, in cui f=#=, è contenuto in un aggregato E, il quale gode delle seguenti proprietà : 1°) E è di misura superficiale nulla. 2°) Le rette a= così oppure y= cost, che intersecano E in un aggregato di misura (lineare) non nulla, formano un aggregato di misura (lineare) nulla. 3°) E è linearmente misurabile. Dim. I numeri razionali formano un aggregato numerabile, e noi li potremo individuare con @,,@,,@3... L'aggregato e; dei punti, ove f= a,, è misurabile (perchè / è una funzione misurabile). Per la seconda osserv. esiste in e, un aggregato e; linearmente misurabile, avente la stessa misura superficiale di e,. Costruiamo la funzione g(2, 7); che coincide con /(£,7) in ogni punto, che appartiene ad «/meno uno degli aggregati e;, e che nei punti residui assume un qualsiasi valore 4 = cost. Sia E l'insieme di questi punti residui: ogni punto di E appartiene ad almeno uno degli aggregati e;— ei, i quali sono tutti di misura nulla. Dunque E ha misura nulla. L'ag- gregato E è l’aggregato dei punti comuni a tutti gli aggregati T — ej: poi- chè T ed e; sono linearmente misurabili, anche E è linearmente misurabile ; e quindi (Lebesgue loc. cit.) la sua misura superficiale si ottiene integrando, rapporto a 7, la misura lineare della sua intersezione con una retta x = cost. E, poichè detta misura superficiale è nulla, le rette 7 = cost, che intersecano E in un aggregato di misura lineare non nulla, formano un aggregato di misura lineare nulla. Altrettanto avviene delle rette y = cost. Per dimostrare il nostro teorema, basterà dunque dimostrare che (4,7) è linearmente misurabile, ossia che, presa una qualsiasi quantità f, il gruppo G dei punti, in cui 9 > fì, è linearmente misurabile. Ora, se @;, ,@;,,... sono inumeri razionali maggiori di 8, e se 8 = 2, l'aggregato G è l'aggregato somma degli aggregati e;, , €, , €, .-., che sono tutti linearmente misurabili. Quindi anche G è linearmente misurabile. Se invece 8 k, ha una misura minore od uguale a pi Il gruppo Gx, n+1 contiene 4 il gruppo Gx,n; il gruppo Gy dei punti appartenenti a uno almeno degli aggre- gati Gr,n(a=1,2,...), ossia il gruppo limite di G,,, pera = 00 è mi- surabile, ed ha una misura non maggiore di TA: Ma il gruppo G dei punti, in cui Y g, è una serie divergente, è il gruppo dei punti, comuni agli ag- gregati, Gr, , Gx,,Gx,,---, quando con Z1,É,,73... si indichino delle costanti tali che lim X;= o. T—00 Quindi G ha una misura nulla. c.d. d. (1) Cfr. Vitali, Rend. del Circ. Matem. di Palermo, tomo 28, (1907). RenpIconTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 78 — 612 — Il precedente teorema, che noi abbiamo dimostrato per le serie a ter- mini positivi, vale evidentemente anche per le successioni di funzioni non decrescenti. In virtù di un teorema del prof. Levi sull’ integrazione delle serie (') e della precedente osservazione, si può concludere. Se 1, g2,... 8070 funzioni non negative in un intervallo L, e se esiste ed è finito il lim gn de, Tico Marine si ha: lim > | gude = f(tim DI A) da. f=%: cel n= A E un teorema analogo vale per le successioni di funzioni non decrescenti, o non crescenti. Sia ora /(2,y) una funzione illimitata integrabile nel campo T. Essa sì può considerare come somma di due funzioni g,, gx, ambedue integrabili, di cui l'una non è mai positiva, l'altra non è mai negativa. Per dimostrare la formola del n° 1, basterà dimostrarla per ciascuna delle due funzioni 12, che hanno un segno costante. Potremo dunque senz'altro supporre f= 0. Allora siano K,, K,, Kz3... costanti positive tali che K,_1< K, e che lim K,= 00. Sia w, la funzione positiva o nulla, che è uguale a / nei Ul punti ove f <= K,, e che è nulla negli altri punti. La w, è funzione limi- tata; e quindi (n° 3) fap do = | da fw, cy. Ora, per definizione di in- tegrale, si ha f/ao = tim (sy do. Esiste quindi, posto on= fn dy, n=%x il lim |v, dx ed è uguale a fs. Ora la successione delle v, è una Ul 2 successione non decrescente; per le osservazioni precedenti si ha quindi da % È = fi Ù») do =) (tim Wn dy)ae n=% n=L Ma, per la definizione stessa di integrale, si ha: lim fa dy = f ray > n= Quindi anche nel caso di funzioni illimitate, vale la formola enunciata al'in° dh c.d.d. 5. In questo ultimo numero accennerò alle varie generalizzazioni della formola precedente, quando si vogliano usare. coordinate polari, o altri (') Rend. dell’Istituto Lombardo, 1906. — 613 — sistemi di coordinate. Osserviamo che per giungere al concetto di misura di un aggregato E, il Lebesgue parte dal concetto di misura esteriore di E. Egli definisce quest’ultima nel seguente modo: Consideriamo un sistema X di triangoli, tali che ogni punto di E sia interno ad almeno un triangolo di X; e sia o la somma delle loro aree. Il limite inferiore delle quantità o è la misura esteriore di E. Come si vede, il punto di partenza per Lebesgue è il sistema S dei triangoli del piano (2, y): dal concetto di area di un triangolo egli giunge ai concetti di misura esteriore, o di misura di un aggregato. Ma noi potremo evidentemente, senza alterare il valore della misura di un aggregato qualsiasi, sostituire al sistema S dei triangoli piani un sistema S' di aree piane d, il quale godesse delle seguenti due proprietà : 12) Ogni area d di S' è misurabile. 2*) Se 4 è un triangolo scelto ad arbitrio, si può, dato un numero qualsiasi «, trovare un numero finito o un infinità numerabile di aree d di S', tali che ogni punto interno a 4 sia interno ad almeno una delle aree d considerate, e che la somma di queste aree differisca dall'area di 4 di una quantità minore di «. Così p. es., se 0 è un punto qualsiasi del piano, noi potremmo sce- gliere come sistema S' di aree d il sistema dei quadrangoli limitati da due raggi uscenti da O, e da due cerchi aventi il centro nel punto O. Definita in questo modo la misura di un aggregato, si può con metodi analoghi ai precedenti estendere la formola del n° 1 (che vale, quando si vogliano usare coordinate cartesiane ortogonali) al caso, che si applichino coordinate polari. X, con considerazioni perfettamente analoghe, si possono estendere i ri- sultati precedenti a sistemi più generali di coordinate curvilinee. Osservo. Se T non è linearmente misurabile, si noti che esso sarà (') contenuto in un campo I linearmente misurabile, tale che l’aggregato T'—T è di misura nulla; l'aggregato 7” — I° è (osserv. 2* del n° 2) con- tenuto in un aggregato E di misura superficiale nulla, misurabile linearmente. Quindi (cfr. la dim. del teor. del n° 2) esiste soltanto un aggregato di mi- sura nulla di rette 7 = cost, oppure y = cost, che intersechino E, o T' — Tr in un aggregato di misura lineare non nulla. Se g(2,y) è una funzione uguale a /(2,y) in T, e nulla in T"'—F si ha dunque: furto = (gdo. E di più si ha: Sia = [gar 3 Sr = [gay ; (1) Infatti, poichè si può parlare di integrali estesi a 7, il campo T è (superficial- mente) misurabile. Si ricordi poi l’osserv. 2% del n° 2. — 614 — tranne al più in un aggregato di rette y = cost o 4 = cost di misura (lineare) nulla. Poichè per il teor. precedente si ha 3, I gdo = fay [gun = [de | gay, se ne deduce tosto: | /do = {[dy | fax == fae 27 c.d. d. Sorge ora la questione, se dall'esistenza del secondo o del terzo membro della formola precedente si possa dedurre l'uguaglianza testè dimostrata: ciò, che io sono riuscito finora a dimostrare soltanto in casi particolari, e in modo speciale ammettendo che / sia una funzione limitata. Fisica-matematica. — La teoria delle equazioni integrali e le sue applicazioni alla Pisica-matematica. Nota del prof. R. MAR- cOLONGO, presentata dal Socio V. CERRUTI. Fisica. — Sulla resistenza elettrica dei metalli fra tempe- rature molto alte e molto basse. Nota del dott. Guino NICCOLAI, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. Fisica. — Misure di viscosità sopra i cristalli fluidi del Lehmann. Nota del dott. Lurcr PUCCIANTI, presentata dal Socio A. RòrtI. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Meteorologia. — Dell influenza della catena degli Appennini sulla distribuzione della pioggia nell’ Italia centrale. Nota del dott. FiLippo EREDIA, presentata dal Socio E. MrILLOSEVICH. Esaminando le osservazioni udometriche raccolte nel R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica dal 1880 al 1905, pur verificandosi le carat- teristiche climatiche che Millosevich ed altri hanno ottenute a grandi tratti, notansi delle particolarità interessanti che finora non sono state messe in luce. Riserbandomi di accennare prossimamente alle molte particolarità che il materiale completo e numeroso da me raccolto ha rese manifeste, con la presente Nota mi propongo di richiamare l’attenzione su alcuni fenomeni provocati dalla catena degli Appennini. La catena degli Appennini, attraversando longitudinalmente l'Italia cen- trale, la divide in due grandi versanti: versante mediterraneo» e versante adriatico. E siccome la catena montagnosa è poco distante dalle coste del- l'Adriatico ed è molto distante dalle coste del Mediterraneo, essa genera delle sensibili modificazioni nei fenomeni meteorici che si svolgono nei pre- detti versanti. A tutti sono note le particolarità termiche, anemometriche ece., da molti studiosi messe in luce, ma specialmente per la pioggia tutte le monografie che oggi possediamo, dicono che in riguardo alla distribuzione i due versanti si comportano in modo analogo. Le stazioni pluviometriche che noi ora esaminiamo, raggiungono la cifra di 32 e sono abbastanza ben disposte, poichè alcune sono strettamente costiere e altre strettamente interne. Non tutte le città da noi esaminate posseggono lo stesso numero di anni di osservazioni, ma poichè la discor- danza è solo di quattro o al più cinque anni, non abbiamo creduto oppor- tuno eseguire dei calcoli per ridurre tutte le osservazioni al medesimo periodo di 26 anni (1880-1905). Nella tabella che quì sotto trascriviamo, trovasi indicata la pioggia che nelle predette 32 città è stata notata in ciascuna delle quattro stagioni meteorologiche e nell’anno. Sono distinte le città nei due versanti e per ciascuna città è indicata la distanza dalla costa, e dalla cresta degli Appen- nini; tali determinazioni devono ritenersi approssimativamente entro 2-4 chi- lometri, ciò bastando al nostro scopo. odo — VERSANTE MEDITERRANEO. Città 53/358 È - 2 È Anno Città 53|554 8 3 O SS Km.} Km Km.l Km. | Livorno ...| —| 108 229,4[209,2/119,7|351,7] 910,0| Siena ....| 65) 76|156,8/208,7 142,6|/263,0| 771,1 Civitavecchia | -- | 142|276,7|195,6| 54,1|313,7| 840,1| Firenze ...| 80} 35/173,9 294,7 155,4 285,8) 839,3 Pisa: orso 10) 58/246,3/234,4/158,6/382,2]1021,5) Pontassieve . | 93] 25|173,8 225,6 162,3 290,8] 852,0 Grosseto . . .| 12) 148/180,1|172,2| 68,0/266,6| 686,9 Montevarchi. | 96] 45|210,6|273,7 172,3/307,1| 963,7 IRE A 20] 85/356,01304,8|162,5|516,6| 1339,9| Poppi . . . .|[115| 15|187,1|246,7 165,0|337,0] 936,4 Pontedera . .| 30| 80 221,6|196,6|146,1|328,0| 892,3| Cortona . . .|116| 45|256,8|346,7 274,1/442,8| 1319,9 Volterra. ...1 9 90 255,1|289,8|166,6|372,7|1084,2|| Arezzo. . . .|118| 30|169,8|256,5 169,0/305,7| 901,0 Pescia ....| 36] 25 .326,3/323,4[183,7|461,5|] 1294,9| Perugia . . .[120|] 35|175,1|259,9 174,6/315,8| 925,4 S. Miniato . .| 46| 65/217.1|244,1|162,9/325,2| 949,3) Città di Cast. [135] 15|192,0|252,2 162,6/324,9| 931,7 Prato... .. 68|30/233,4[254,7|138,3334,7] 961,1 2a -{-|-{=-|-|=|- VERSANTE ADRIATICO. Pesaro . ...|— | 54|147,8|]155,1/140,9|266,5] 710,3] Teramo . ..| 26] . 30|177,0|183,7|184,2]237,6] 782,5 Ancona. ...|— 75|156,2|153,2/110,4|222,7| 642,5|| Urbino. . ..| 30] 34|243,0|278,7|184,4|299,0| 1005,1 Rimini... .| 2| 55|134,4|176,7|155,1|275,8| 742,0) Arcevia. ..| 84] 20/231,3|800,2|219,3/366,3| 1117,1 Fermo ....| 8) 65|186,5|166,3]132,0|265,2] 750,0|S. Agata ..| 86| 14|283,8/280,5/225,3/378,8| 1168,2 Cesena... .| 15] 45|148,8|191,2/132,5|227,0] 699,5] Camerino . .| 58] 10/180,0|224,9|146,8]266,7| 818,4 Tesio rata 18 43|190,1|197,3]|172,0|333,4| 892,8|| Firenzuola. .| 78| 10:827,9/370,0|218,2|467,3|1383,4 Bor stte 25] 45|180,9|224,5|154,6|252,7| 812,7 — —|Il_-|_-{T{T_-{|_-[{ -- Considerando il totale annuo della precipitazione delle varie città del versante mediterraneo, troviamo che per le città dell'alta Toscana esso totale aumenta coll'aumentare, della distanza dalla costa e coll'avvicinarsi alla catena degli Appennini; mentre altrove il totale annuo coll'avvicinarsi alla catena degli Appennini e coll’allontarfarsi dalla costa diminuisce in modo sensibile sì da essere non molto differente dal valore registrato nelle località costiere. Fa eccezione Volterra che pur essendo distante dalla cresta degli Appennini di 90 Km., dista di quasi 10 Km., dai monti del Senese. Esaminando i totali annui delle città dell'Adriatico, troviamo invece che la precipitazione annua in linea generale aumenta con l'aumentare della lontananza dalla costa e con l’avvicinarsi alla catena degli Appennini. E ripetendo tale esame per le varie stagioni, risulta che per l'inverno nel versante mediterraneo si verifica quanto abbiamo notato per l'anno e la — 617 — decrescenza coll’avvicinarsi alla catena degli Appennini, eccettuate le città dell'alta Toscana, si presenta in modo più spiccato; per la primavera pos- siamo dire che vi è quasi generalmente un aumento di precipitazione con l'avvicinarsi alla catena degli Appennini; per l'estate l'aumento di precipi- tazione coll'avvicinarsi alla catena montagnosa si manifesta in modo più evidente e per l'autunno si ha un comportamento analogo a quello notato per l'inverno. Nel versante adriatico abbiamo invece che in tutte le quattro stagioni la quantità di precipitazione aumenta con l'avvicinarsi alla catena degli Appennini. i Il differente comportamento delle città dell'alta Toscana in riguardo alle altre città del versante mediterraneo, è dovuto alla poca distanza dalla costa della catena degli Appennini; poichè come è noto questa catena (appen- ninica) di mano in mano che entra nell'Italia centrale, si allontana dalle coste mediterranee per avvicinarsi alle coste adriatiche. Cosicchè pel versante mediterraneo l'accrescimento delle precipitazioni coll’avvicinarsi alle mon- tagne ha solo luogo quando questa catena è molto vicina alla costa e non si verifica quando la catena si discosta molto dalla costa. E comparando i valori spettanti alle città dei due versanti, risulta come le altezze annuali di pioggia delle città costiere del versante mediterraneo sono più elevate di quelle delle città costiere del versante adriatico; e le altezze annuali delle città interne del versante mediterraneo non differi- scono molto dalle altezze notate nelle città interne del versante adriatico, ed anzi qualcuna di quest'ultimo versante, attesa la sua altitudine, possiede elevate altezze pluviometriche. E poichè i risultati sopra menzionati potrebbero forse a prima vista sembrare alquanto meno convincenti, crediamo opportuno, per rendere più evidente quanto ora abbiamo detto, riportare il quadro quì sotto ove sono disposte, in ordine decrescente in riguardo alla quantità di precipitazione, le varie città dei due versanti. Trovansi indicate accanto la distanza dalla costa, la distanza dalla cresta dell'Appennino e l'altitudine. = Olio VERSANTE MEDITERRANEO. Anno RE Città 35 LE E Città As SEE, = Km. | Km. | m. Lucca! fn 20] 851 uccarao Cortona . . 116 45 528.| Pescia Pescia ....| 86| 25|] S0|Civitavecchia Volterra... .| 85] 90] 522] Cortona... Pisa terso 10| 58| 10| Volterra... Montevarchi.| 96| 45| 155| Pisa ..... Prato 681: 805) 74) Prato(G269l,i. San Miniato .| 46| 65| 187|Livorno ... Città Castello | 145| 15] 296|| Pontedera . . RO ppldet0 115] 15| 445|San Miniato. Perugia ...|150| 35] 520| Montevarchi. TWivornoitna: 0| 108) 24] Città Castello Arezzo... a + |120.] 30: 277) Poppisefs. Pontedera . .| 30| 80| 14|Grosseto... Poutassieve .| 938| 25| 109|Perugia .... Firenze. . . 80| 35) 73|Firenze.... Civitavecchia 0| 142| 15|Pontassieve . SIENA 70] 76| 848] Arezzo. . Grosseto . . TINOTAS8I 10) Stena eo. VERSANTE Firenzuola. .| 78] 10) 446| Firenzuola. . Sant'Agata. .I 63| 14| 582] Sant'Agata. . Arcevia... .| 84| 20! 538| Urbino... Urbino. ...! 47| 384! 452 Arcevia. ... Testa {SS 430/01 Mese Camerino . .| 58|] 10| 664] Camerino . Roriie eee 301 45|] 50| Fermo .... Teramo. +. +. 180). 30) 288Horl Bn Hermonernt 8| 65| 280| Teramo. .. RIMINI 4| 55] 14 Ancona. ... Pesarofme-tene 0| 54| 14|Cesena... Cesena. ...| 20| 45| 70|Pesaro. INDCONa nino 0| 75/ 92|Rimini.. Inverno Distanza dalla costa Distanza Altitudine Km. | Km m. 20/|0K95 181 386| 25| 80 0| 142] 15 116| 45| 528 35| 110| 522 10:58 10 6880) 074 0| 108| 24 30| 80 14 46| 65| 137 OT A5.|M65 145151296 115) 15] 445] 1: 148,10 150] 35] 520! 80109073 93| 25] 109 1201930410277 70) 76] 348 ADRIATICO. 78| 10) 446 631 14) 582 47| 34| 452 34| 20| 588 990 43.101 58| 10) 664 8| 65) 280 80| 45| 50 80| 30| 280 07,092 20] 45| 70 0| 54| 14 ESE IC bi (7) Da D ai (c) Città Cortona . . Pesclatoneno Perugia LU: Montevarchi Arezzo. . Pontassieve . Volterra. . . POppirscs.i Città Castello San Miniato uc cagnine Firenze . .. Pontedera. . Siena .. IPTAtO aRseSieene Livorno . (Grosseto. . . Civitavecchia Sant'Agata . Arcevia . . . Firenzuola .. Urbino Teramo . RIMINI Forlì Camerino . . Pesaroeseso Cesena HICLIM ONE Ancona. «. . Distanza dalla costa SSA i È SS LI 150 Distanza dalla cresta degli appenn. ua ERE 25 108 148 142 Altitudine È ai DD (0.0) 80 — 619 — Ricordando la distribuzione della pressione atmosferica risulta, come è noto, che il versante tirreno prospetta ad W, d'inverno verso un'area di bassa pressione, d'estate verso un’area di alta pressione; e il versante adria- tico prospetta ad E tanto d'inverno che di estate verso un'area di depres- sione; cosicchè nella costa tirrenica predominano d'inverno venti di SE, S, SW e nella costa adriatica venti di NE, E, N. I venti che raggiungono le coste mediterranee provenendo dalle regioni più calde e attraversando il mare, si sono caricati molto di umidità; i venti che raggiungono le coste adriatiche provengono dalle regioni fredde del centro d' Europa e avendo depositato nell'attraversare le grandi estensioni di terreno, la maggior parte dei vapori che essi contenevano, posseggono poca quantità di vapore, poichè molto limitata è l'estensione del mare che attraversano. Ed essendo le coste adriatiche molto ripide, elevandosi la catena montagnosa a poca distanza dalla costa, le correnti aeree vanno a battere direttamente su queste eleva- zioni del suolo e allora vengono deviate in alto e costrette per il solleva- mento a raffreddarsi, condensano il proprio vapore in modo più ragguardevole di quello che si condensa sulle coste dell'Adriatico. Nel versante mediter- raneo si verifica tale stato di cose solo nell'alta Toscana dove la catena di montagne è vicina alla costa, ma altrove non ha più luogo, poichè quando le correnti aeree colpiscono l'Appennino interno, hanno già depositato grande parte del loro vapore attraversando la grande estensione di terraferma che intercede tra le coste e la catena degli Appennini. Nell'estate, nel versante mediterraneo, si verificano fenomeni uguali a quelli notati pel versante adriatico, perchè vi dominano i venti della dire- zione W, ed attraversando questi una stretta zona di mare, la condensazione del vapore acqueo avviene più intensamente in vicinanza delle alture, ove la diminuzione di temperatura agevola la condensazione. Nel versante adria- tico sì verifica quanto abbiamo notato per la stagione invernale e anche per l'estate vale la medesima spiegazione. Il prof. L. De Marchi (') dice: « È a notarsi finalmente che sul ver- sante mediterraneo la quantità di pioggia è molto maggiore che sull'adriatico. Ciò si ritiene effetto dell'Appennino, che arresta e condensa il vapore acqueo portato dai venti di Se di W ivi dominanti specialmente di inverno, venti che abbiamo già notato essere molto umidi ». Da quanto noi abbiamo esposto risulta come le vedute espresse dal De Marchi non spiegano i fenomeni da noi sopra accennati. Nella tabella che segue diamo il numero dei giorni piovosi (ossia con pioggia misurabile) notati in ciascuna stagione e nell’anno. (!) L. De Marchi, Climatologia, Milano 1890, pag. 80. RenDICONTI. 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 79 28/620. — VERSANTE MEDITERRANEO. Città È - z È Anno Città È | 3 2 O : Anno Livorno. . . . |80,5|30,3|13,0/32,0; 105,8|Siena..... 24,9|29,6|16,2|27,4| 98,1 Civitavecchia. | 24,6|21,5| 6,0/22,0| 74,1|| Firenze... .|30,0|34.1|19,7|32,9| 116,7 Pisa. .....|31,2|32,2|16,3|33,8| 113,0] Pontassieve. .|26,3|30,8|19,2|30,0| 106,3 Grosseto . ..|24,9|27,1| 9,0|26,3| 87,3) Montevarchi .|34,6|41,2|25,5/35,8| 137,1 Tucca ssi 87,31 38,6 19,9 139/50 1135,5.| Poppi. . ... 26,7 | 34,3 | 23,4|31,4| 115,8 Pontedera . . |21,6|28,2|11,1|23,1| 79,0 Cortona. . ..|23,0|29,4|18,7|26,3| 97,4 Volterra. . . . |27,4|30,1|14,6|29,9| 102,0| Arezzo . ...|30,7|38,7|22,3|33,5| 125,2 PESCIa sac 32,9 | 35,9|21,1|36,5| 126,4| Perugia. . ..|30,7|38,1|22,3|34,8| 125,9 San Miniato . | 29,3 | 32,6 |18,4|32,1| 112,4| Città Castello. | 22,8/29,3|16,5|26,3| 94,9 Prato 29,1|30,6 | 16,6|30,2| 106,5 —_ —|-|_-{[|- = VERSANTE ADRIATICO. Pesaro . ...|27,8|29,2|17,6|30,1| 104,7|| Teramo. ...|29,8]|33,8|24,4|30,8| 118,8 Ancona... . 125,9 |26,9117,2/28,5!|(*98,5 | Urbino . . < .{21,8.|127,4| 16:91 2574N915 Rimini ....|23,5|26,6|17,6|27,7] 95,4] Arcevia... .|29,5|32,5|21,3/831,1| 114,4 Fermo ....|26,9|29,9/19,3/27,3] 103,3| Sant'Agata. . |22,6|25,3|19,9|27,8| 95,6 Cesena . ...|23,5|25,0|17,2|25,5] 91,2| Camerino. . . |25,1|30,4|20,6|28,8| 104,9 Test ile 24,8 | 28,2/19,1|28,9| 101,0| Firenzuola. . {34,0 |35,8|20,6|31,8| 122,2 Konlii casino 27,0|31,1|19,8|30,2| 108,0 ii _ Percorrendo i detti valori risulta come nel versante del Mediterraneo si nota un lieve aumento nel numero annuale dei giorni piovosi avvicinandosi alla catena delle montagne, e nel versante adriatico tale aumento è più spiccato. Quasi il medesimo lieve aumento notasi nelle altre stagioni pel versante mediterraneo e molto più spiccato risulta l'aumento dei giorni pio- vosi coll’avvicinarsi alle montagne nell’estate. Per il versante adriatico si nota pure per tutte le stagioni e per l’anno un aumento di giorni piovosi, con l'avvicinarsi alla catena degli Appennini, più sensibile dell'aumento notato pel versante mediterraneo; e ciò conferma appunto le nostre vedute innanzi esposte. Il prof. De Marchi (*') parlando delle particolarità del clima italiano, tra le altre particolarità riscontrate nei versanti tirreno e adriatico trova che mentre sul versante tirrenico i temporali sono distribuiti lungo (1) L. De Marchi, /l clima d’Italia — La Terra del Marinelli, vol IV. — 621 — tutto l'anno, sul versante adriatico essi sono speciali dei mesi estivi. Para- gonando il numero dei giorni piovosi notati nell'estate nei due versanti, risulta come lungo il versante adriatico si hanno numeri più elevati di quelli delle coste tirreniche e che differiscono poco dai numeri delle città più interne del versante mediterraneo. E poichè non è raro che nei mesi estivi ì fenomeni temporaleschi siano accompagnati da pioggia, crediamo estendere quanto ha ottenuto il De Marchi, dicendo che nei mesi estivi le coste del- l'Adriatico e la dorsale dell'Appennino si comportano in modo analogo in riguardo alle perturbazioni atmosferiche. Dividendo la quantità di precipitazione per il numero dei giorni pio- vosi, abbiamo l'abbondanza ossia la quantità media di precipitazione che suole cadere in ciascun giorno piovoso. La tabella che segue contiene tali valori per ciascuna stagione e per l’anno. VERSANTE MEDITERRANEO. Città È ; È É Anno Città E = 3 É Anno Gea È SI EE Tvr Zio 60599210 8,6| Siena... .. 63] 7,1] 8,8] 96 7,9 Civitavecchia | 11,2] 9,1| 9,0|14,3| 11,3| Firenze. ...| 5,8| 6,6| 7,9] 8,7 ED, SAR na RO REZ03) MONZA MIA 9,0 || Pontassieve .| 6,6] 7,3] 8,5] 9,7 8,0 Grosseto. ..| 7,2) 6,4| 7,6/10,1 7,9| Montevarchi.| 6,1| 6,6| 6,7] 8,6 7,0 IERI CAMERA ODA 9I 8.2) el850 O NPOppi.. Mea FEO 1472 7, 1 INT0;7 8,1 Pontedera . .|10,3| 8,5|13,2/14,2| 11,2 Cortona ...|11,2|11,8|14,7|16,8| 13,6 Molterta fatta N91: 9:65) CO el0;6 l'Arezzo | ARIN6I5IN6,6. ‘7.6. 9.1 1032 Eesciageii 19,9) 09;0)1 (871126) 10,2) Perugia . AMO, 16,8) 7,5| 19,8 TA San Miniato.| 7,4| 7,4| 8,9/10,1 8,4 | Città Castello | 8,4| 8,6| 9,8 12,3 9,8 IRra tone 8,0 SRI SS ININIO 9,0 ts — | - — | — —_ VERSANTE ADRIATICO. Pesaronafe e Medio oto SONE) 658l-L'eramo. Mat iMo:9 MSA NZ 6 ZI 6,6 Amconagenni. 605 6478 6,5 | Urbino... .|11,2|10,1|10,9|11,8| 10,9 RAMI MST NE6L6.18:8::0)0 7,8|| Arcevia. . .\.|\ 7,8 9,2 10,3 |11,8 9,8 RIEsI OR S M6:9 MD, 6807 7,3 Sant'Agata. .|12.5/11,1|11,3|13,6| 12,2 (Gesena n M6:91 ZI 61 Mz SO) od Camerino. dr Me 20 74907, 10) 09)8 7,8 Tesimetatinoa 7,7 7,0) 9,0|11,5 8,8| Firenzuola. .| 9,6|10,3|10,5/14,6| 11,3 Horta: 64 75278184 7,5 — —|_-|_- | _ E come era da aspettarsi dalla discussione innanzi fatta, tale abbon- danza, mentre aumenta coll'aumentare della distanza dal mare per il ver- — (G22/E sante adriatico, diminuisce per il versante mediterraneo, eccetto le città dell'alta Toscana che si comportano in modo analogo alle città dell'Adriatico per la vicinanza della catena degli Appennini alla costa, Nella tabella che segue indichiamo la successione delle stagioni rispetto alla quantità di pioggia, al numero dei giorni piovosi e all'abbondanza; e a tal’uopo per ciascuna città indichiamo con le prime lettere iniziali, le quattro stagioni disposte in modo decrescente e in guisa tale che la prima lettera rappresenti la stagione con numeri più elevati e l'ultima la stagione con numeri più piccoli. VERSANTE MEDITERRANEO. Città cen con |Abbondanza| = Città a con |Abbondanza zione | PISO. zione Livorno, ‘ .. | A,I,P,E|A,I5P; E ARESISP.| Siena, . . i .|| A, PIE E RAZISH CAMERA Civitavecchia | A,I,P,E|I,A,P,E|A,I,P,E|Firenze...|A,P,LE|P,A,LE|A,E,P,I Pisaggno, A, I, P,E|A,P,LE|A;E,I P||Pontassieve.[A,P,IE|P,A,LE|A,E,P,I Grosseto . . .| A,I, P,E|P,A,L E! A, E,I, P| Montevarchi.! A,P,I,E|P,A,LE!A,E,P,I Lucca . <<... | A,TPEA,P,LE|AKEE! Poppi... | AP DEE AES Pontedera . .| AI, P,.E|P,A,LE|ASESSPI| Cortona . .. A; PELLE VAVENESI Volterra (....| A,T,P,E|A4;P, LE|ESESIA Arezzo... | AyP IE VE IASISE SENI Pescia . . A,I,P.E{jA,P, I E AMSE)E| Perugia... |A, PIT BASI PASSA San Miniato.|A,P,I,E| P,A,I E| A, E, P,I|Città Castello] A,P,I E|P,A,LE|A,E, P.I Prato Ceo ABILE, AID | ARI _ _ —_ = VERSANTE ADRIATICO. Pesaro... «+. |A, P,KE|A,P,I E! ASESPSI)| Teramo ...... || A; PETRA: |M Ancona... .|A,I PE|A,P,LE|A,E,I,P|Urbino....|A,P,LE|P,A,ILE|A,I,E,P Rimini. . A, P,E,I| A,P,LE|AXE,P,I|Arcevia...|A,P,LE|P,A,LE|A, E, BI Fermo ....|A,LP,E|P,A,I,E|A,LE,P|Sant'Agata .| A,I,P,E|A,P,LIE| A,LE,P Cesena... . | A,P,L E|A,P,LE|AXEP,I|Camerino . ..| A4,P;I E|BOCEIASe,E Testina A,P,LI E| A,P,L E|A,IL,P,ElFirenzuola .|-A,P,I.E|P,I. A, EIA, E,P,I ROL ae O A, PI, Ri.PLA, TE AGESEI _ _ _ _ E percorrendo tale tabella risulta che pur notandosi per le città del- l'uno e dell’altro versante la stagione autunno come la più piovosa e la sta- gione estate come la stagione più asciutta, non uguale uniformità ssi riscontra nell'assegnare la stagione che succede per la quantità all'autunno. E così mentre per le città vicine alle coste del Mediterraneo segue all'autunno — 623 — l'inverno, nelle città interne segue all'autunno la primavera. Nel versante adriatico per le città costiere non si riscontra costanza nella stagione che | viene dopo l'autunno e sembra che vi sia una certa prevalenza per l'inverno, mentre le città interne hanno la primavera più piovosa dell’inverno. E pos- siamo adunque dire che in riguardo alla quantità di precipitazione la stagione che succede alla stagione più piovosa è l'inverno per le città costiere e la primavera per le città interne; e ciò per l’uno e l’altro versante. Considerando la successione delle stagioni, tenuto conto del numero dei giorni piovosi, risulta che mentre per tutte le città interne la primavera è la stagione con più frequenza di precipitazione, per le città costiere sì ha un'alternativa tra la primavera e l’autunno, e si può dire che quasi general- mente l'estate ha minor numero di giorni di frequenza. Considerando l’ab- bondanza si nota che la maggior quantità di precipitazione che sì verifica per ciascun giorno piovoso suole accadere in autunno per le città dell'uno e dell'altro versante. Nel versante mediterraneo quasi tutte le città sono con- cordi nell’indicare la successione A, E, P, I. Nel versante adriatico le città più vicine alla costa hanno l’estate più abbondante dell'inverno e della pri- mavera, mentre per le città più vicine alla catena degli Appennini non sì ha una successione netta e ciò dipenderà certamente dalle varie condizioni locali o piuttosto dalla varietà topografica che in modo spiccato domina sul versante adriatico e che può in alcune regioni aumentare o diminuire la quan- tità di precipitazione. Nella tabella che segue abbiamo infine le altezze di pioggia stagionali ridotte supponendo che il totale annuo registrato in ciascuna località fosse uguale a 1000 millimetri. VERSANTE MEDITERRANEO. Città 5 3 2 È Anno Città s - 2 3 Anno 5 è = = E È în È E Si Dm < fa A A < Livorno ...| 251] 230]|.132| 387] 1000|Siena. .... 203 | 271| 185| 341| 1000 Civitavecchia | 829| 238| 65| 373| 1000] Firenze. . ..| 209| 267| 185| 339| 1000 Pisanti: 241| 230| 155| 374| 1000| Pontassieve .| 204| 264| 191| 341] 1000 Grosseto . . .1 263! 250| 99| 388| 1000|Montevarchi.| 218| 284| 179| 319) 1000 Lucca... .| 266| 227] 121] 386| 1000|Poppi. .... 200] 264| 176| 360| 1000 Pontedera . .| 248| 221| 163| 368| 1000]| Cortona ...| 195| 2621 208| 335| 1000 Volterra . . .| 235| 267) 154, 344| 1000|Arezzo ....| 188| 285] 188| 339| 1000 Pescia . ...| 252| 250| 142| 356| 1000|Perugia . ..| 189) 281| 188| 342] 1000 San Miniato.| 229] 257| 172| 342) 1000|Città Castello| 207| 270| 175| 348| 1000 Prato se gra 243 | 265| 144| 348| 1000 n a |LiEEAteS = — 624 — VERSANTE ADRIATICO. Città 5 | E 2 | 8 |Anno Città È z| 3 | 5 |Anno ia SLA E Pesaro . ...|.208| 218] 199! 375| 1000|Teramo. ...| 226| 235! 235) 304| 1000 Ancona. . ..| 244| 238| 172) 846] 1000|Urbino....| 242| 277| 183| 298| 1000 Rimini. ...| 181) 238| 210] 371| 1000] Arcevia. . ..| 207| 269] 196| 328) 1000 Fermo . ...| 249| 220| 176) 355) 1000|Sant'Agata .| 243| 241| 192| 324| 1000 Cesena. ...|212| 272| 190) 325] 1000] Camerino . .| 220] 275| 180| 325| 1000 Testoni 213] 221| 192) 374] 1000] Firenzuola. .| 237 | 268] 158| 3371 1000 Borliltase 223 |!272| 1921313 1000 | _ —|-|_-|- | — E percorrendo detta tabella maggiormente risaltano le deduzioni innanzi dette, e sì osserva pure come, per le varie località, cade quasi la stessa fra- zione della pioggia totale dell’anno. Però, per la determinazione della pio- vosità relativa, non abbiamo tenuto conto della durata ineguale dei mesi che formano le varie stagioni. E, come altri hanno notato, tale difficoltà si può eliminare prendendo in esame l'eccesso pluviometrico relativo della stagione, cioè a dire la frazione di cui la pioggia totale di tale stagione differisce da quella che corrisponderebbe ad una distribuzione uniforme durante l’anno; e ciò come è noto si ottiene sottraendo rispettivamente ciascun numero sta- gionale contenuto nella tabella precedente dai numeri 247, 252, 252, 249; sì ha così: VERBANIE È 2 | Ù 2 VERSANTE | 2 È a È IALIA, 3 È E 5 |ADRIATICO]| $ E E E TERRANEO È È | E E E È z E Livorno ...|+ 4|— 22|— 120.+ 188 _ _ _ _ _ Civitavecchia | + 82! — 19|— 1874 124 _ — — —_ _ Pisano — 6|— 22|— 974 125 _ _ _ _ — Grosseto. . .|+ 16|— 2|— 158-+ 139|Pesaro ...|— 89|— 34|— 53/4 126 Lucca ....|-+ 19) — 25|— 1314 137| Ancona ...|— 3|— 14|— 804 97 Pontedera . . al 1|— 81|— 89|+ 119|Rimini. ...|— 66|— 14| — 42/4 122 Volterra . . .|— 12|+ 15|— .98|— 95|Fermo....|+ 2|— 82|— 76|4+ 106 Pescia... .|4 5|— 2|— 110]4- 107|Cesena. — 35/4 21|— 62||- 76 San Miniato. — 18|+ 5|— 804 98|Iesi ..... — 84|— 81|— 60/4 125 Prato — 4|+ 13|— 108|4 99|Forlì. .... — 24|+ 20|— 60,4 64 Siena — 44|+ 19|— 6744 92|Teramo ...|— 21|— 17|— 17|4+ 65 Firenze. . ..|— 38|-+ 15/— 674 90|Urbino. ...|— 5|- 25/— 694 49 Pontassieve .| — 43|-- 12|— .61|+ 92|Arcevia. ..|— 40|-+ 17|— 56/4 79 Montevarchi.|— 29|-- 32|— 7314 70|Sant'Agata .| — 4|— 11|— 604 75 P'oppiaf sesso | — 47(+ 12|— 7614 19|Camerino . .|— 27|-+ 23|— 72]4 76 Cortona ...|— 52|-+ 10|— 44 86|Firenzuola. .|— 10|-- 16|— 94|+ 88 Arezzo!. . . | — 59.|-88.|— W643=..90 _ — _ —_ —_ Perugia ...| — 58|4 29/— 645- 93 - - — | - Città Castello] — 40|4+ 18|— 774 99 — —_ _ — | — [ee Po] Ì È — 625 — E risulta che mentre dapertutto l'autunno è più piovoso e l'estate più asciutta in rapporto ad una distribuzione uniforme durante l’anno, non si nota il medesimo comportamento per le altre due stagioni. Per i due ver- santi si ha che le città interne hanno una primavera più piovosa, mentre le città più vicine al mare hanno una primavera più asciutta. L'inverno è più piovoso nelle città più vicine alle coste del Mediterraneo e più asciutto per le città più vicine alle montagne, mentre in quasi tutte le città del ver- sante adriatico si presenta più asciutto. Fisica terrestre. — Su//o spostamento che la marea del- l'Adriatico può caqionare agli strumenti dell’Osservatorio astro- nomico di Padova. Nota di GrovANNI ZAPPA, presentata del Socio K. MILLOSEVICH. Nell'Appendice del Magrini alla traduzione italiana della Marea di Darwin è detto, parlando dei sismogrammi Vicentini di Padova per lo studio delle oscillazioni lente del suolo: « Certamente la variazione di carico pro- dotta dalla marea nella laguna Veneta e lungo la costa ha azione evidente ». Il sismometrografo, di cui è parola, è situato al primo piano dell’ Istituto Fisico e quindi risente, e molto, degli effetti termici; per cui il discernere tra essi e gli altri effetti concomitanti, su una corda corrispondente allo svolgimento del nastro per sei ore, la saetta dovuta alla marea fa a tutta prima pensare che il termine ad essa corrispondente non sia in realtà molto piccolo e quindi che il piano a Padova debba subire delle inclinazioni pe- riodiche le quali, pur essendo a lungo periodo, sarebbe bene fossero note per il buon uso del cerchio meridiano dell’Osservatorio di Padova. La cosa poi non interessa solamente questo Osservatorio, ma ancora tutti gli altri che sono in condizioni analoghe. Quindi mi è parso utile vedere con un calcolo approssimato a quanto possa ammontare l'inclinazione del suolo per le maree dell'Adriatico, tanto più che essa, compiendosi nella direzione Est-Ovest, si fa tutta sentire nell’ inclinazione del cerchio meridiano dell’ Osservatorio suddetto. Nell'ipotesi che la terra sia un solido elastico omogeneo indefinito l’ in- clinazione « che assume una retta inizialmente verticale condotta per un punto P per la sovrapposizione su di una parte della superficie terrestre di una massa può venir determinata con la formola 1—- 4° tga= gt in cui F è l'attrazione esercitata sull'unità di massa situata nel punto P dalla massa perturbante, Z è il coefficiente di contrazione ed E è il mo- dulo di elasticità. F ed E vanno espressi nello stesso modo, per esempio — 626 — come nel presente calcolo, quali rapporti di grammi con il quadrato di una lunghezza. Scorrendo le tabelle delle costanti elastiche dei corpi si vede come 4 non si discosti mai molto da 0,33 e quindi il suo quadrato da 0,1 e questo valore ho assunto: per E ecco i valori fondamentali metalli duri —=:2.X 10° metalli ordinari == 1 X 10° metalli teneri = 2 X 108 pietre dure — ila pietre tenere —=3 X 105 vetro 0 202 legno i, e quindi ho introdotto nel calcolo E= 10° X 2 (metalli duri) 10° X 1 (met. ord., pietre dure) 108 X 5 (vetro, pietre tenere) 108 X 1 (legno). Per vedere come si può calcolare F cominciamo col decidere quale è la massa d'acqua portata dalla marea nell'Adriatico che fa sentire il suo influsso a Padova. Teoricamente tutta la variazione dell'Adriatico dovrebbe venir conside- rata, e non del solo Adriatico; praticamente però, soprattutto data la presente incertezza di E, ho creduto di poter prendere: 1° la laguna veneta ridotta facilmente a forma geometrica con una spezzata chiusa di sette lati, per la quale ho supposta la marea identica nell'ora e nell'altezza in tutti i punti come a Venezia (città), 2° il bacino nord dell'Adriatico, che si riduce facil- mente anch'esso a forma geometrica mediante congiungenti Venezia (lido) con Grado e con Porto Corsini e con parallele a queste rispettivamente da Porto Corsini e da Grado. I dati della marea per Venezia città sono in fatto uguali a quelli per Venezia lido e quindi per entrambi i luoghi valgono i numeri che seguono: Autore Elementi Ora del porto MEC ampiezza media hm Colbertaldo. . . . 1872-86 114 m = 0555 Grablovitz.. . . .. 1872-74 11512 0.495 ” . +++ maggio 1891 10 58 0.476 Magrini... +0. d898-1902 I: 0.958 SEO — Per il porto Corsini si hanno le uniche determinazioni : Grablovitz. . . . maggio 1891 10254 m. 0.316 NE IRE 5081002 1024 0.439 Per il golfo di Trieste infine le seguenti: Reekeler in ne. 1859 954 0.54 01310 956 0.548 Busimetsat 1377 9 57 0.48 Usnaohioaro cele 1884 937 0.570 Ora, come è noto, i dati della marea di diverse fonti non sono tra loro direttamente paragonabili per i diversi metodi con cui sono ricavati, così che per giungere a un valore definitivo occorre ridurli tutti ad una unica definizione e poi farne il medio più o meno compensato, e questo appunto ha fatto il Grablovitz nella sua Memoria pubblicata nel n. 12 del XX volume -di Neptunia; per cui ho assunto con lui Ora del porto MEC amp. m. Venezia Ils m. 0.49 P. Corsini 10 25 0.38 Trieste 940 0.54 Di altre località nel bacino nord dell'Adriatico si hanno dati di marea, ma incerti, o incompleti, per cui mi sono accontentato di assumere per la massa d'acqua in discorso le altezze ai tre vertici indicati e di racchiuderla inferiormente e superiormente con due piani formanti fascio col piano oriz- zontale e inclinati su di questo dello stesso angolo, l'uno da una parte e l’altro dall'altra. In verità le superficie limiti superiore e inferiore avrebbero dovuto venir supposte almeno sferiche, ma l'errore che viene introdotto con la loro ridu- zione a piani non merita di esser tenuto in conto nel caso presente. Ho invece tenuto conto del fatto che non è mai possibile avere nell'Adriatico la massa d'acqua corrispondente alle tre alte maree considerate contemporanea- mente e ho ridotto le quattro altezze ad uno stesso istante: quello dell'alta marea a Venezia con gli elementi di Venezia e di Trieste, identici tra loro e certamente adoperabili nel nostro caso anche per Porto Corsini [ Vedi Gra- blovitz, Sulle proprietà della curva delle 24 ore nella marea dell’ Adria- tico, nel Bollettino della Società Adriatica di Scienze naturali in Trieste, vol. IX, n. 2, 1885 e Za marea nell’ Adriatico, nei numeri 18, 14 e 16 di Neptunia del 1892]. Per modo che ho introdotto ne' calcoli le seguenti altezze Era dogemae ee RZ VII IPOKtoBCorsmnimee 0. . e 0.37 Vie neziaygma sasosse 0.49 RenDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 80 — 628 — Per ambedue i bacini dovremo calcolare l’azione su Padova di una base a distribuzione di materia costante per il lagunare, variabile per il marit- timo, poichè costante è l'altezza nel primo, variabile nel secondo. Cominciamo dal considerare il primo: per questo tiriamo per Padova tre assi ortogonali diretti quello delle X e delle Y nel piano orizzontale, parallelamente il secondo, perpendicolarmente il primo, al tratto di costa della figura 1 indicato con a,d, e quello delle XZ verticalmente. Allora noi potremo calcolare le tre componenti X,Y,Z, dell'attrazione, anzi, poichè la Z risulta trascurabile, le due X e Y paralleli alla base. Decomponiamo il poligono base in trapezi infiniti, parte positivi e parte negativi, con il lato transverso formato da un lato del poligono e i due paralleli infiniti, paralleli alla direzione secondo la quale vogliamo la componente: l'attrazione di ciascuno di questi trapezi (') è data dalla formola P,—==sisene log dp% DOD in cui log è il logaritmo naturale, 7 ed 7’ sono i due raggi vettori dei vertici del trapezio dal punto attratto, g e g' sono le distanze di detti vertici dal piede della perpendicolare calata sul lato transverso dalla proiezione orto- gonale del punto attratto sul piano del poligono, @ è l'angolo che il lato transverso fa con la direzione secondo la quale sì vuole la componente; g e 9” devono avere lo stesso segno positivo se sono dalla medesima parte della perpendicolare, mentre se sono da parti opposte il maggiore deve avere il segno positivo, il minore il negativo. Il segno di P, meglio che con qualunque criterio analitico viene deter- minato dalla decomposizione del poligono originario. La densità è supposta uguale a 1. Da X e da Y poi potremo subito passare a F con F=hy(2X)° + (SY) in cui 4 è l'altezza della massa mareosa. Così, con gli elementi indicati nella figura 1, si giunge a DX = 0,253 3Y = 0,050 e quindi Ri 12.6. Delle stesse formole possiamo valerci per il bacino marittimo malgrado l'/ variabile, mercè l'introduzione di un % intermedio che indicheremo con %, ponendo F=Mh(®X} + (2Y)P. (1) Vedi F. Keller, Ricerche sull'attrazione delle montagne, parte I, Roma 1872, — 629 — Vediamo come calcolare f,. Per questo consideriamo la massa mareosa non come una base ma come un corpo a tre dimensioni limitato da piani. Indichiamo Padova con 0, i due vertici in Venezia con 1 (il zenitale) e con l' (il nadirale); i due in Porto Corsini con 2 e 2’; i due presso Pola con SE x Padova £ A ONIPP 9SSV _ Fi6. 1. — I numeri sulle congiungenti 0 con a, 4, c, d, e, f, 9, sono le lunghezze di dette congiungenti. I numeri sui lati sono le distanze dei vertici dal piede delle nor» mali ai lati da 0: unità il chilometro. 3 e 85 ì due in Grado con 4 e 4": allora la massa d'acqua considerata è uguale a [0 1'2'3'4]+[022533"]+ [033744] —[01234]—[044'11']—[011'227] in cui [0abed] indica la piramide col vertice in 0 e con la base formata da adced. — 630 — Per l'altezza infinitesima del nostro solido la parte preponderante del- l'attrazione, di fronte alla quale il resto è trascurabile, è quella data dal termine [01'2'34"]— [01234]. E poichè l'attrazione F, di una piramide sul suo vertice (') è uguale a quella della sua base quando su di essa si trovi distribuito il triplo della massa della piramide, cioè E,= Ph in cui » è l'altezza della piramide, P è l'attrazione sul vertice della base per una distribuzione di materia a densità 1. Il nostro termine sarà dF,= hdP + Pdh, e indicando con SX, SY, XZ le tre componenti di P dF,= hdP + (SX)? + (SY)? + (22)? dh. Nel caso presente sono trascurabili il termine A4P e (3Z)?, per cui dF,=(3X)? + (SY) dh, e dh appare appunto l’%, che volevamo; dunque 4, è la differenza di altezza delle due piramidi col vertice in 0 e aventi per base l'una 1,2,3,4 l’altra 1'2'3'4' cioè, con sufficiente approssimazione, il segmento di verticale per 0 compreso tra i due piani superiore e inferiore. Ora con una sezione verticale per 0 e con l’aiuto di semplici proporzioni risulta dh=h = cm 49 Di più si ha 2X = 0.831 DY = 0.932 per cui F=48.4. Gli assi delle X e delle Y, come è indicato nella figura 2, sono il primo parallelo alla congiungente Venezia con Porto Corsini, il secondo perpendi- colare ad essa ed entrambi nel piano orizzontale per Padova. Dunque complessivamente per ambedue i bacini RESTI Questo è il risultato cui si giunge adoperando gli elementi medi della marea; ma talvolta tra una alta, ed una bassa marea successive nelle (®) Vedi Keller, loc. cit. — 631 — sizigie dei solstizi la differenza di livello raggiunge anche m. 1,30 e quindi per allora In corrispondenza del primo valore avremo la variazione media dell’incli- nazione del suolo a Padova, in corrispondenza del secondo la massima. 4 Grado 7 Asse delle Y _, 3%} 8 2 Porto Corsini X oJlop ossy Fia. 2. — I numeri sulle congiungenti 0 con 1, 2,3, 4 sono le lunghezze di dette con- giungenti. I numeri sui lati sono le distanze dei vertici dal piede delle normali ai lati da 0: unità il chilometro. Ed ora possiamo venire al risultato finale: per F= 61 (effetto medio) E corrispondente ai metalli duri . a= 0.002 ai met. ord. e alle p. dure. . a—0”.004 al''vetro fenalle- p. tel. ee — 05.008 al legno a= 07.04 per F= 200 (effetto straordinario) E corrispondente ai metalli duri. - O OLON al met. ord. e alle. p. dure. 001 al'vetroeralle p. tenere felt 0.02 OE al legno. Come si vede subito siamo ben lungi dall'avere valori temibili per la stabilità del cerchio meridiano dell’Osservatorio di Padova, tanto più che probabilmente la E del nostro caso dev'essere in realtà molto forte: difatti — 652 — il terreno paludoso della laguna deve smorzare ogni azione nell'interno della regione agendo come un cuscino. Anche di registrazioni a Venezia si parla nell'Appendice del Magrini e là la cosa è ben diversa, perchè, se da una parte deve essere esclusa l'azione della massa di mare della laguna, come circondante da ogni parte e da vicino la località, dall'altra parte per la vicinanza del bacino Nord dell'Adriatico e per la melmosità del suolo il fenomeno vi si deve produrre con molto maggiore intensità che a Padova. Il Grablovitz poi mi comunica che ad Ischia con una amplificazione strumentale uguale a 90 non ha tro- vato nessuna traccia ne' sismogrammi, almeno finora, di un termine dovuto alla marea. Certo che in un isola molto piccola si deve piuttosto produrre un abbassamento che un'inelinazione, ma Ischia è abbastanza grande e i sismografi sono tanto lontani dal centro da far pensare che un'azione delle maree vi debba poter essere registrata. Per cui con più fiducia possiamo ri- guardare i risultati ai quali siamo giunti ed attendere che migliori studi sieno fatti sui sismogrammi di Padova, specialmente su quelli del sismo- grafo posto nei sotterranei dell'Istituto fisico. Mineralogia. — Giacimento di minerali di tungsteno a Genna Gurèu ai limiti fra Nurri ed Orroli (Cagliari). Nota di Dome- nico Lovisato, presentata dal Socio G. STRiVER. L'anidride tungstica in Sardegna si conosce dall’aprile 1898, epoca nella quale io pubblicavo la presenza della Wo//ramite presso la miniera di S'Ortu Beciu in quel di Donori (!) e della quale debbo i primi fram- menti alla gentilezza del sig. ragioniere Emilio Marini. Infatti in quella mia Nota davo i caratteri fisici e chimici di quel tungstato di ferro e di manganese, che per la sua pochezza non m’aveva permesso di procedere alla sua analisi quantitativa. Nè si creda che in seguito abbia potuto trovare maggiore quantità di qnella sostanza, chè ritornato due volte sul posto, dopo pochissimi grammi, che ho potuto raccogliere nella prima visita, ritornai a Cagliari dopo la se- conda senza averne potuto rinvenire un solo frammento, pur avendo esami- nate tutte le vene visibili di quarzo di quelle falde. Poco dopo la pubblicazione della mia Nota il sig. Nicolò Vinelli, in- telligentissimo tecnico di miniere, allora in quella di Stibina di Su Suergiu presso Villasalto nel Gerrei, mi diceva di avervi trovato la Wolframite in quel giacimento, ma da qualche carattere fisico, ch'egli mi dava di questa (!) Notizia sopra alcune specie minerali nuove per la Sardegna. Rend. R. Acc. dei Lincei, vol. VII, 1° sem., serie 5°, fasc. 8°, seduta del 7 aprile 1898. — 633 — sua supposta Wolframite, e specialmente da quello del colore, ch'egli mi diceva quasi bianco, ho compreso potersi trattare probabilmente d’una Schee- lite, e feci assai buon viso alla sua promessa dell'invio di qualche campione, che pur troppo non venne mai, neppure da parte di altri, che me l'avevano promesso, nè io ho potuto portarmi lassù in seguito per farne incetta. In seguito il sig. Alberto Libois della « Société francaise de recherches et esploitations » nella seduta del 19 maggio 1901 dell’Associazione Mine- raria Sarda con sede in Iglesias presentava un campione di Meymacite, da lui raccolto in un giacimento di Stibina a Genna Gurèu ai limiti tra Nurri ed Orroli, circondario di Lanusei. L'analisi, abbastanza buona, data per questa Meymacite dal sig. Coda, chimico di Monteponi, si può vedere in uno dei Bollettini della stessa As- sociazione Mineraria ('); m'importa però di far rilevare l'avvertenza fatta dello stesso sig. Coda, come riuscissero negative le ricerche pel vanadio, molibdeno, tantalio, niobio, piombo, bario, manganese e stagno. Nella seduta successiva del 23 giugno 1901 lo stesso sig. Libois pre- sentava un altro campione di Meymacite, sempre della stessa località. Ma dell'analisi che egli mi favoriva per lettera, non posso essere soddi- sfatto, perchè comincia col dare 49,63 °/, d'anidride tungstica (*?), mentre ci convince la quota superiore di 70,11°/, data dal Coda, sebbene anche quell’egregio chimico non abbia avuto la fortuna di trattare sostanza ab- bastanza pura. Viene in seguito la volta del minerale di Su Suergiu, la supposta Wolframite del sig. Vinelli, minerale del quale solo da pochi mesi ho po- tuto avere due campioncini, ma non da lui, nè da altri, che me ne avevano promesso l'invio, ma dal sig. Augusto Girolami, che dirige i lavori in quella miniera. Dai resoconti della stessa Associazione Mineraria Sarda (*) appren- diamo dal Traverso trattarsi effettivamente di ScheeZite, come io avevo prima supposto, ma le due analisi ivi riportate sono state eseguite su materiale tanto impuro, che non crediamo opportuno di qui ripeterle. Venne in seguito la scoperta fatta da me della Sfo/zite nella miniera di Bena (d)e Padru presso Ozieri (Sassari) (4), che ebbe posteriormente bella illustrazione cristallografica dal collega Artini (?). Ed ora ciò che più importa e che forma l'argomento principale della presente Nota, è la scoperta di abbondante Scheelite nello stesso giacimento (1) Resoconto delle riunioni dell’Associazione Mineraria Sarda. Anno VI, n. 5, pag. 6. (2) Idem, anno VI, n. 7, pag. 5. (8) Idem, anno VI, n. 8, seduta del 3 novembre, pag. 3. (4) Vanadinite, Deschloizite, Mimetite e Stolzite della miniera cuprifera di Bena (dle Padru presso Ozieri (Sassari). Rend. R. Ace. dei Lincei, vol. XIII, 2° sem, serie 5, fasc. I, Roma, 1904. (*) Sulla Stolzite di Bena (d)e Padru (Ozieri). Estratto dai rendiconti del R. Isti- tuto lombardo di se. e lett., ser. II. vol. XXXVIII, 1905. — 634 — di Genna Gurèu, fatta dal sopracitato sig. Libois. La bellezza di due cam- pioni da lui inviatimi per esame m'invogliò a visitare quel giacimento. Vi arrivai la mattina del 3 maggio 1904 in compagnia del dott. Luigi Dessi, che in altra occasione ebbi a chiamare cavaliere autentico e degno figlio dell’isola bella. La coltivazione del giacimento in parola è iniziata da molti anni per minerali d'antimonio (Stibina), ma nessuno pensava, che potesse, specialmente in profondità, presentare importanza pei minerali di tungsteno. Siamo ai limiti tra Orroli e Nurri in un bacino schistoso, che sarebbe coperto grossolanamente ad ovest dal miocene medio di Mandas, a sud-ovest e sud da altri membri dello stesso miocene dei dintorni di Donigalla e Seurgus a sud e sud-est dagli schisti siluriani di Goni e ad est, sebbene distanti, dalle ultime distese di lava del vulcano di Nurri. Il nostro, bacino distante un'ora circa da Orroli e poco più da Nurri, è formato da schisti vari che da una parte sono argillosi, dall'altra micacei, ma raramente talcosi, formanti una serie di mammelloni talvolta rotondi a guisa di coni vulcanici, ricchi gene- ralmente in vene di quarzo e tormentati da masse porfiriche a somiglianza di quelle che si veggono superbamente dominare andando da Nurri a Mandas o scendendo da Nurri al Flumendosa. È in mezzo a questa formazione schistosa prepaleozoica e nelle zone sottostanti, che gli schisti ricoprono a mantello, che si sviluppa la stibina superiormente ed i minerali di tungsteno inferiormente. La Scheelite di Genna Gurèu è in masse cristalline, raramente si pre- senta in cristalli netti isolati e fa vedere splendidamente le sue sfaldature, non rassomiglia niente a quella di Traversella, ha invece molta rassomiglianza con quella di Zinnwald e di Schlackenwald in Boemia. Il suo colore è gene- ralmente fra il roseo ed il bianco, assai raramente la vidi giallastra, gri- giastra, ma in ogni caso la sua polvere è bianca. Essa forma vene in mezzo agli schisti, con stibina o senza nella parte superiore del giacimento, ma è in masse 0 pura o mescolata colla Meymacite, o colla Stibina e più rara- mente ancora colla Wolframite nella parte inferiore del giacimento. Negli schisti forma delle vene, che talvolta sono di purissima scheelite, di varia potenza; ne vidi una che misurava 60 mill., che rastremandosi andava quasi a sparire in mezzo agli schisti, in modo da rassomigliare a delle lenti schiac- ciatissime. Mi si disse che qualche vena presentò anche la potenza di 20 cent. Essa è talvolta mescolata ad un po’ di quarzo ed anche ad un po’ di sti- bina, ma mai m'accadde di trovarla nelle vene mescolata colla Meymacete. Ho avuto la fortuna di raccogliere qualche campione di questa Seheelite in vene con gli schisti che si veggono ancora attaccati dalle due parti. In un solo esemplare, non raccolto da me, ma che mi fu dato da uno dei lavo- ratori, ho visto una sfumatura gialla, che potrebbe far pensare ad un ossido di tungsteno. In qualche campione si vedono in vari nodi dei piccoli romboedri — 639 — di siderite rossigni ed altri di ancherite che più frequentemente ed anche più grossetti si trovano negli schisti neri dall'altra parte dell’avvallamento, ma sempre sopra il giacimento. La durezza deila nostra scheelite non raggiunge il 5° grado della scala: il suo peso specifico alla temperatura di 14,5° fu calcolato dal dott. Rima- tori in 5,987, mentre io colla bilancia del Mohr alla temperetura di 16° per un campione di gr. 3,619, otteneva durante una lezione di mineralogia 6,04. Questa differenza, che non è enorme, ma sta nei limiti dei pesi specifici, che si hanno per questa sostanza e che sono da 5,9 a 6,1 mi consigliò di ri- correre al collega prof. Guglielmo, il quale per un frammento di pochi grammi otteneva 5,748. Avendo a lui mostrato allora i-'risultati del Rimatori e miei ed avendogli fatto osservare che finora si conosceva una sola Scheelite di Zinnwald col peso specifico 5,88, mentre altra di Haslithal saliva fino a 6,14, rifece la pesatura ed il giorno seguente per lo stesso frammento colla bilancia del Mohr otteneva 5,74 semplicemente. Non vi ha dubbio che il pezzo calcolato dal prof. Guglielmo doveva essere inquinato dal quarzo, che assai frequentemente troviamo nella nostra Scheelite, oppure qualche fram- mento si è staccato durante la pesata. La nostra sostanza va dal trasparente al translucido: la sua lucentezza nella frattura fresca è sempre vetroso-ma- dreperlaceo-adamantina, alle volte con bellissime iridescenze e con superbi riflessi. Fonde assai difficilmente al cannello ed allora si ottiene un vetro semi- trasparente, che col borace diventa trasparente, divenendo poi opaco e criì- stallino: col sal di fosforo alla fiamma ossidante resta incolora o legger- mente tinta in chiaro a caldo, incolora a freddo; alla fiamma riducente d'un grigio bleu, più che verde, a caldo e bleu chiaro a freddo. L'anidride tungstica si può riconoscere col mezzo dell'acido fosforico sciropposo, che ad un calore moderato da uno sciroppo d'un bleu oscuro, il quale si scolora aggiungendovi acqua, ma ricompare la tinta facendo interve- nire lo stagno od il ferro in polvere. Si decompone negli acidi cloridrico e nitrico; la sua polvere trattata con quest ultimo bollente lascia un residuo giallo di anidride tungstica, so- lubile nell’ammoniaca. La sua composizione chimica, giusta un'analisi del mio assistente, dott. Carlo Rimatori, eseguita sopra gr. 1,2986 di sostanza, sarebbe; Duo e SO CO rin OO RO AV RR (0) (0)7/ SUOR. straccio Mole 0. 0. «. ktraccienappena sensibili 100,09 RenpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 81 — 636 — Il fatto più curioso della nostra Scheelite è quello di mancare assolu- tamente nella sua composizione di Mo/idbdeno, che troviamo in tutte le specie di Scheelite finora conosciute, e che va dall'8,23 °/, alle traccie, presentando anche le due varietà di Traversella rispettivamente 1,62 e 0,76. Anche allo spettroscopio le osservazioni riuscirono negative pel molibdeno, come lo furono pel Cerio, Didimio e Lantanio, che sembrano essere presenti nella Scheelzie di Traversella (!): si sarebbero invece vedute le strie dello Stronzio. Più granulosa, più compatta, quindi presentante più difficilmente facce cristalline, presentasi la Scheelite inferiore in mezzo a roccia quarzosa, che mescolata colla Meymacite, colla Stibina e con altri solfuri di antimonio e piombo, che per la pochezza di materiale raccolto non sì son potuti deter- minare, ma che fanno pensare alla Boulangerite o meglio alla Jamesonite, alla cui decomposizione forse dobbiamo l'antimoniato di piombo, che forma macchie gialle agli affioramenti o spalma sempre in giallo chiaro alcune cavità, sempre agli affioramenti, o formante lamelline sottili, che credo dover ascrivere alla B7ndheimite. In un campione ho potuto vedere in piccolo nido in mezzo alla Schee- lite, dei piccoli cristalli tabulari di baritina jalina, della quale agli affiora- menti inferiori dei minerali di tungsteno troviamo delle segregazioni con grossi cristalli imperfetti, isolati o riuniti fra loro irregolarmente. L'esame attento dei campioni da me raccolti nella mia visita alla mi- niera e quello di un esemplare di Scheelzte con Meymacite, contenente come in mezzo di una vena della Wolframite, mi persuase della necessità di una seconda visita sul posto, ciò che feci il 25 febbraio 1905 in compagnia dello stesso sig. Libois, che me ne aveva fatto l'invito, e del sig. Pili, che dirigeva i lavori in quel giacimento. Ho potuto allora esaminare meglio la massa inferiore della Scheelite, specialmente alla sua parte esteriore decomposta in Meymacite, quindi nettamente separata dalle vene, che si trovano negli schisti superiori e che sono di purissima Scheelzte. Non possiamo confrontare il giacimento nostro con quello di Meymac nel dipartimento del Corrèze. Quello di Francia era un filone bismutifero (?), che agli affioramenti, quando lo si lavorava, giacchè oggi è abbandonato, si mostrava ricco soprattutto in Wolframite, rimpiazzata bentosto in profondità dalla Scheelite e dal suo prodotto di alterazione, la Meymactte, il tutto in mezzo a bismuto nativo e suoi minerali, oltrechè a pirite, limonite e di- versi prodotti piombiferi ossidati, come cerussite, piromorfite, wulfenite, ecc. A Genna Gurèu nel giacimento di Scheelite e Meymacite non abbiamo punto il bismuto, e la Wolframite, almeno per la parte che si è potuto ve- dere finora nel giacimento, è assolutamente eccezionale, come vi mancano la (1) Dana, A System of Mineralogy, 1893, pag. 987. (2) Lacroix, Minéralogie de la France et de ses colonies. Tome 1II, 1.” fascicule, 1901, pag. 315 et tome II, 1896-7, pag. 387. — 637 — cerussite, la piromorfite e la wulfenite, che almeno finora non sono stato capace di trovare. Ai minerali sopra accennati e che sono sfida, con altri solfuri d’an- timonio e piombo, colla pirite gialla e bianca, poca blenda, siderite ed an- cherite, bindheimite, baritina, aggiungeremo ancora che assieme alla Scheelite e Meymacite troviamo mescolata la stibina, alle volte nettamente separata dai due minerali di tungsteno, altre volte disseminata nella pasta di essi. La stessa Meymacite presentasi nel nostro giacimento un po’ diversa- mente che in Francia, quasi tutti i suoi caratteri esteriori son diversi da quella di Meymac: la nostra è gialla verdognola, verde giallo quando è in granuli cristallini formanti alle volte dei gruppetti, delle massecole d'aspetto vetroso, adamantino, mentre è aranciato, talvolta, sebbene assai raramente, anche giallo-brunastro d'aspetto resinoso quando presentasi compatta, in pic- cole lamelle, che sembrano cristalli sfaldati, è sempre disseminata nella Scheelite ed anche nella roccia quarzosa contenente Scheelite; ai limiti delle masse è più abbondante ed internandosi scompare insensibilmente. Colla pazienza si separarono alcuni frammenti della parte vetrosa, gra- nulare, giallo verdognola e verde giallo, che nel tubo chiuso diedero molta acqua, mentre le massecole giallo aranciato ne diedero assai meno: si tratta evidentemente nell’uno e nell'altro caso di ossido di tungsteno idrato, però con una differenza d’idratazione, e tale che per alcune lamelle più larghe della compatta ho avuto appena un appanamento nel tubo chiuso. Ciò mi fece pensare che noi potessimo avere assieme alla Meymacite anche la Tungstite. Per accertarmi, se si trattasse semplicemente di Meymacite o di Meymacite e Tungstite, feci polverizzare finissimamente tutte le parti gialle ottenute colla triturazione di varî pezzi di Scheelile impregnata di ossido ed approfittando del nitrato d’argento fuso, approssimativamente del peso specifico = 4.75, per ottenere la separazione della Meymacite, che presenta il peso specifico da 3,80 a 4,54, dalla supposta Tungstite del peso specifico 6,3-7,2. Ottenni effettivamente una separazione, restando nella parte superiore oltrechè il quarzo anche molte particelle dell'ossido di tungsteno attaccate ancora al quarzo, ma nella parte calata a fondo avevamo assieme all’ossido di tungsteno anche Scheelite, che come abbiamo veduto per la specie isolana ha presentato il la peso specifico, che va da 5,987 a 6,04, e che è assai difficile di poter se- parare dalla Meymacite colla quale è intimamente unita. Dovetti quindi sacrificare alcuni buoni campioni e colla pazienza far separare meccanicamente dall’assistente e da altri, muniti di occhi lincei, le particelle verdi giallognole dalle altre quasi lamellari per procedere separa- tamente alle loro analisi. Dopo molto lavoro e grande fatica riuscii a se- parare circa due decigrammi della parte lamellare giallo aranciato e gr. 0,1162 della granulare verdognola, sulle quali il dott. Rimatori procedette alle ana- — 638 — lisi dopo avere calcolato la densità, che per la prima alla temperatura di 20,4° risultò eguale a 4,59, e per l’ultima alla temperatura di 19,5° risultò di 4,46. L'analisi delle particelle giallo aranciato dalla lucentezza resinosa diede: Don i i i i E 83,42 parti solubili nell’ammoniaca TuiOg a iti cana RAS Pongo utii frati se 108, a Di x i Caos alinea 16,58 parti insolubili nell'ammoniaca Granpasi aoreion pi Di. Da 100,00. 100,00 L'analisi delle particelle granulose verdiccie o giallo verdognole, ma sempre granellose, avrebbe dato: (per Fes 03) (per Fe O) parte insolubile Tu'03” eee do JAAR, I ARZIIO lara Fei; bee e 060798 LE IO Ca 0 e 0155 Ue Rnanio parte ‘solubile: ) Tu'05 Metti 0. 9833 58,99 nell'ammoniaca } H. 0 MO 10:28 Ce 100,03 100,03 Evidente compare da queste analisi trattarsi di diversi gradi d'idra- tazione dell'ossido di tungsteno, il quale prescindendo dalla quantità mag- giore o minore d’acqua, che si ottiene nel tubo chiuso nelle sue differenti varietà, quando venga riscaldato, dirò che dapprima la sostanza assume una colorazione grigio-verdastro-oscuro, poi al rosso incipiente giallo arancio ca- rico e dopo raffreddamento diviene gialla molto chiara. Sul carbone annerisce e poi diviene scoriosa. Col sale di fosforo da alla fiamma ossidante una perla gialla a caldo, incolora a freddo, ma alla fiamma riducente diviene violacea o rossa per reazione del ferro e del tungsteno. Parzialmente solubile nell'’ammoniaca specialmente a caldo. Non si scioglie negli acidi, ma nell’acido nitrico diviene d'un bel giallo e nel- l'acido cloridrico d'un verde sporco: mettendo una bacchetta di zinco nella soluzione cloridrica si ha l'intensa colorazione azzurra del tungsteno. Queste pagine, preparate da circa due anni, rimasero giacenti nel mio Museo, che rinserra tante ricchezze naturali dell’isola bella, nella speranza migliorassero le mie facoltà visive per poter studiare la roccia quarzosa che comprende i minerali di tungsteno; ma purtroppo essendo di molto peggio- rate le già tristi condizioni dei miei occhi, mi sono deciso oggi a farle co- piare, come le aveva stese, per far conoscere almeno grossolanamente l'in- teressantissimo giacimento di Genna Gurèu. — 639 — Mineralogia. — Rocce liguri raccolte presso Murialdo (1). Nota del dott. A. Rosati, presentata dal Socio G. STRUEVER. L'egregio ing. D. Zaccagna, colla cortesia che lo distingue, mi fornisce altro materiale di studio inviandomi alcuni esemplari di rocce da lui rac- colte in Liguria presso Murialdo, e unitamente ad essi le indicazioni geolo- giche, che io riferisco integralmente al principio di ogni descrizione. Sulle rocce della Liguria ho già pubblicato due Memorie (*), delle quali scopo precipuo è di fornire all'ing. Zaccagna nuovi dati per la soluzione degl'importanti problemi geologici, che ricorrono nello studio dei terreni li- guri. Si debbono quindi considerare come un modesto contributo allo studio petrografico della Liguria. E ciò non toglie la possibilità che io, invogliato da questi studî preliminari, voglia in seguito estendere e completare le mie ricerche su quelle importantissime formazioni litologiche corredandole di ana- lisi chimiche e di un esame accurato dei giacimenti. La relativa bibliografia per i lavori del Franchi, Issel, Zaccagna, Ro- vereto trovasi citata nelle due prime Memorie. RoccE PORFIRICHE. Porfido quarzifero. « La roccia forma una importante massa inclusa negli schisti permiani, che attraversa la Bormida d'Osiglia a breve distanza dall'abitato di Ca- vallotti ». La roccia ha un colore grigio-cenere ed una struttura granoso-porfirica. Si riconoscono distintamente all'osservazione esterna il quarzo e l'ortoclasio. Il primo ha splendore vitreo o grasso, e forma granulazioni incolore o colo- rate in grigio-cenere pallido a frattura concoide; il secondo si sviluppa in cristalli tabulari vitrei con evidentissima sfaldatura. Si notano poi alcune zone di colore verde-giallognolo, che l'osservazione microscopica dimostra co- stituite di pirosseno e clorite, e più raramente granuletti giallo-bruni di pirrotina. La grana è alquanto grossa, e i cristalli maggiori di quarzo e di feld- (4) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Roma. (*) Studio microscopico di alcune rocce della Liguria occidentale. Roma, 1906, Rend. «R. Acc. Lincei, vol. XV, 1° sem., serie 52, fasc. 12°; Rocce liguri raccolte nel circon- dario di Savona. Rend. R. Acc. Lincei, 1906, vol. XVI, 1° sem., serie 5%, fasc. 7°. — 640 — spato permettono una distinzione tra massa fondamentale grigio-cenere ed elementi porfirici bianchi o incolori, quantunque per il poco sviluppo di questi e più per la tessitura grossolana della prima il carattere porfirico non è molto evidente. Per le dimensioni gl'inclusi feldspatici sono i più grandi raggiungendo persino i 5 mm. di lunghezz Studiando al microscopio la sezione 2h riesce più agevole distinguere la struttura decisamente porfirica della roccia. La massa fondamentale è olo- cristallina costituita da un intimo aggregato granofirico di quarzo con un feldspato, che per la sua rifrazione inferiore a quella del quarzo e del bal- samo, per non essere mai geminato secondo la legge dell’albite, per avere spesso la direzione di estinzione coincidente con quella della sfaldatura si riconosce facilmente per ortoclasio. Solo rarissimamente si trova qualche elemento a geminazione polisintetica riferibile a plagioclasio. Notevole l'estinzione ondulosa e la polarizzazione di aggregato; frequente una trasfor- mazione del feldspato in mica sericitica, avvertibile a nicol inerociati per le aree vivamente colorate che si producono. Quarzo e feldspato sono distribuiti in quantità all'incirca uguali. Gl’inclusi di quarzo sono numerosi: non presentano sezione regolare, ma forma di frammenti con orlatura sinuosa per la corrosione esercitata dal magma circostante. Generalmente sono limpidi, o al più contengono rare granulazioni di zircone e di ossidi di ferro. L'estinzione ondulosa non è quasi mai osser- vabile. Per la loro frequenza la roccia merita veramente il nome di porfido quarzifero. Gl'inclusi feldspatici, meno numerosi dei precedenti, sono per la mag- gior parte riferibili ad ortoclasio, in cristalli freschi od alterati in caolino e sericite, e che spesso in sezione prendono forme rettangolari derivabili da cristalli appiattiti per il pinacoide laterale ed allungati secondo x. Notevoli le inclusioni di minerali più rifrangenti nell'ortoclasio: quarzo, spesso in sezioni esagonali, albite (?), oligoclasio acido, zircone. Non man- cano poi geminazioni, che generalmente seguono la legge di Carlsbad, nè forme di micropertite caratterizzate dalla loro particolare struttura. Qualche elemento presenta geminazione polisintetica secondo la legge dell’albite, e per il piccolo angolo d' estinzione simmetrica nella zona normale a (010) deve riferirsi alla serie oligoclasio. La sericite segue determinati allineamenti in varie direzioni, e preferi- bilmente secondo le tracce della sfaldatura. In alcuni tratti si osservano grandi cristalli verdi, a contorno irregolare sfrangiati e contorti dalle potenti azioni dinamometamorfiche, che per le pro- prietà ottiche e per la sfaldatura credo doversi riferire all'augite. Sono allun- gati secondo l’asse verticale, e per sezioni della zona verticale hanno un an- golo massimo di estinzione dalla sfaldatura prismatica di circa 35°. In se- zioni prossime alla base sì osservano le figure quadrilatere formate dall'incontro — 641 — delle linee di sfaldatura prismatica, che fanno angolo di 87°. Si notano un debole pleocroismo con: a verde grasso 6 verde c giallo bruno e inclusioni di magnetite e biotite. L'estinzione è ondulosa; d’ordinario si avverte una notevole alterazione in clorite. Per i caratteri ottici osservati il pirosseno deve riferirsi al tipo della egirina-augite di Rosenbusch. Sono minerali accessorî : biotite, rara, in piccole laminette brune con il comune pleocroismo ; magnetite; zirconé in granuli, o in elementi idiomorfi prismatici terminati dalla piramide }111}; epidoto in granuli o in cristalli allungati secondo 2, pleocroico dal giallo all'incoloro; zoisite in sezioni rettangolari ; pirrotina rara. Come risulta dalle osservazioni soprariferite, per essere la massa fonda- mentale olocristallina, essenzialmente costituita da un intimo aggregato di quarzo ed ortoclasio, seguendo la classificazione del Rosenbusch dovremo rite- nere la presente roccia come « granophyrische Quarzporphyre » o « Grano- phyre ». È notevole la presenza del pirosseno, alquanto raro nei porfidi quarziferi olocristallini. SCHISTI CRISTALLINI. Micaschisto gneissico. « La roccia fa parte degli scisti carboniferi. Sulla strada di Murialdo presso la frazione Fiano ». Roccia di colore grigio-verdognolo e di struttura granulare grossolana con disposizione alquanto schistosa della massa. All’osservazione esterna è anzi- tutto riconoscibile il quarzo copiosamente diffuso in forma di piccole gra- nulazioni. Ad esso si aggiunge un materiale finamente lamellare, luccicante, di color verdognolo, prodotto dall’associazione di minerali cloritici, amfibolici, e micacei ed un materiale biancastro feldspatico. In alcuni strati sembrano prevalere gli elementi cloritico-micacei, in altri quarzo e feldspato, ma la distinzione di zone verdognole, che alternano con zone biancastre è molto confusa per le continue compenetrazioni dei varî elementi. L'aspetto esterno è quello di roccia alquanto alterata. Al microscopio si distinguono come minerali essenziali, la muscovite, il quarzo e il feldspato, come accessorî: clorite, zircone, epidoto, zoisite, amfibolo, ossidi di ferro, apatite. — 642 — Il quarzo sì presenta in forme più o meno irregolari ed ha spesso estin- zione ondulosa e figure d’interferenza anormale, effetti delle azioni mecca- niche subite. Talvolta è limpidissimo, ma sovente contiene inclusioni fina- mente granulari di ossidi di ferro e di zircone. Il feldspato, che per quantità è all'incirca uguale al quarzo, si di- stingue in ortoclasio, micropertite e plagioclasio. Non è mai idiomorfo, as- sumendo invece forme arrotondate, lenticolari o irregolari. La micropertite è rara. Il plagioclasio che si distingue per la caratteristica geminazione secondo la legge dell'albite, è relativamente abbondante, potendosi ritenere di quan- tità uguale all'ortoclasio. Oltre i comuni geminati polisintetici si hanno frequentemente geminati semplici, e in essi non è raro osservare il preva- lente sviluppo di uno dei due individui associati rispetto alle dimensioni molto ridotte dell'altro. Nella maggior parte dei casi l'angolo d'estinzione simmetrica in lamelle emitrope normali a (010) ha un valore massimo di 15° a 16° con una media di 12° circa. Solo eccezionalmente si hanno va- lori molto piccoli di 2° o 8°. Alcuni contatti fra quarzo e feldspato a con- dizioni favorevoli ci hanno dato il seguente schema: posizione parallela @> a’ ipso posizione incrociata = y SPIRI Deve quindi ritenersi che il plagioclasio appartiene quasi tutto all’al- bite, e solo in minima quantità all'oligoclasio. Gli elementi feldspatici sono generalmente inalterati, salvo alcuni casi in cuì presentano un principio di alterazione in muscovite; qualche cristallo racchiude inclusioni aghiformi di apatite. La mica ha una leggera tinta verdognola; per la forma di piccole la- minette sfrangiate e contorte, da cui deriva il suo caratteristico aspetto tal- coso, va riferità alla varietà sericitica. È diffusissima costituendo l'elemento principale della nostra roccia. Di minerali accessori sono frequenti: l'amfibolo in forma di elementi bacillari, o fibrosi sfrangiati alle estremità, e cioè con aspetto actinolitico, debolmente pleocroico dal verde- erba per la direzione d’aliungamento dei cristalli al verde chiarissimo per la direzione normale; l'epidoto in granuli giallognoli con pleocroismo indistinto; la clorite per lo più in forme laminari, debolmente pleocroica dal verde all’'incoloro; la magnetite e la limonite diffuse in forma di finissime granulazioni. Infine si notano in poca quantità zoisite, zircone e apatite. Al microscopio risulta una struttura frammentaria, cataclastica, in cui il mosaico è dovuto all'intima associazione degli elementi incolori di quarzo — 643 — e feldspato. In sezioni normali alla direzione di schistosità si nota un’evi- dente alternanza di strati prevalentemente sericitici con strati costituiti in massima parte da quarzo e feldspato. Considerata la prevalenza della mica sericitica, l'abbondanza del feld- spato, e la particolare struttura schistoso-gneissica della roccia mi pare che qui sia molto adatto il nome di Micaschisto gneissico, « Gneissglimmerschie- fer » del Rosenbusch. SCHISTO SERICITICO. « La roccia fa parte degli scisti permiani sovrastanti al Carbonifero di Murialdo, poco a monte di Borda ». È una roccia di colore grigio-verdastro, e di struttura distintamente schistosa. Nella massa verdastra risaltano molte laminette luccicanti di mica, che conferiscono alla roccia un certo splendore sericeo o grasso specialmente per direzioni normali alla schistosità. Inoltre si nota abbondantemente diffuso il quarzo in forme finamente granulari e molto più raramente la pirite. All’esame microscopico risulta che sono minerali essenziali della roccia il quarzo e la mica bianca. La mica, che ha una leggera tinta verdognola, è preponderante, per cui qui è bene applicato il. nome di micaschisto. Si sviluppa in piccole lamine per lo più piegate o contorte, riunendosi in aggregati a struttura scagliosa con aspetto simile al talco, col quale si potrebbe confondere anche per le proprietà ottiche, presentando nelle rare figure d’interferenza non de- formate un angolo degli assi ottici molto piccolo. Il quarzo abbondantissimo presenta forme granulari o lenticolari. D'or- dinario sono elementi a piccole dimensioni con estinzione ondulosa e pola- rizzazione di aggregato, e che talvolta danno luogo a figure d'interferenza anormale. Le poche inclusioni son riferibili a zircone granulare e ad ossidi di ferro. Come minerali accessori ho notato: feldspato, epidoto, amfibolo, clorite. zircone, magnetite, limonite, pirite. Il feldspato è presente in poca quantità per lo più sotto forma di ge- minati semplici o polisintetici, secondo la legge dell'albite, e deve riferirsi all’albite. Infatti l'angolo di estinzione simmetrica delle lamelle emitrope nella zona normale a (010) ha un valore massimo di 18° con una media di circa 12°. Un contatto favorevole col quarzo studiato col mezzo di Becke ha dato il seguente schema: posizione parallela o>e e>y Quarzo e feldspato sono intimamente associati a costituire un fine im- pasto granofirico con struttura a mosaico caratteristica. ReEnNpICONTI. 1907, Vol. XVI 1° Sem. 82 — 644 — La clorite ha un leggero pleocroismo dal verde chiarissimo al verdo- gnolo; d'ordinario presenta forme laminari e si distingue anche per il suo basso colore d’interferenza. L'amfibolo si sviluppa in forme bacillari o fibrose, e quindi con aspetto actinolitico; ha un debole pleocroismo dal verde-erba nel senso dell’allun- gamento dei cristalli al verde chiarissimo, quasi incoloro nella direzione normale. Lo zircone è spesso granulare, ma talvolta diviene idiomorfo e costi- tuisce cristalli prismatici terminati dalla piramide }111{. L'epidoto prende forma di granuli giallognoli senza evidente pleocsoismo. La pirite si altera spesso in limonite. Magnetite e limonite sono diffuse in forma di finissime granulazioni. Al microscopio è evidentissima in sezioni normali alla direzione di schi- stosità la disposizione stratificata degli elementi, che costituiscono la roccia, alternando zone sericitiche con zone prevalentemente quarzoso-feldspatiche. Per la struttura, per il prevalere della sericite, e per essere il feld- spato in quantità minima credo dover classificare la presente roccia come « schisto sericitico ». Chimica. — Sopra un nuovo metodo di preparazione dei sali cerici e sul iodato cerico(!). Nota di G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. I sali del Cerio tetravalente finora noti sono stati preparati o per ossi- dazione elettrolitica dei corrispondenti sali cerosi o per azione degli acidi sull’idrato o sull'ossido cerico. Io ho mostrato recentemente (?) che i sali ce- rosi possono venir ossidati a cerici per riscaldamento con acido nitrico con- centrato senza aggiunta di speciali ossidanti. Questa reazione fornisce un metodo molto semplice di preparazione dei sali cerici. È chiaro però ch'esso non può venir applicato che nei casi nei quali si verifichino le seguenti con- dizioni: 1° che il sale ceroso sia solubile nell’acido nitrico; 2° che l'acido del sale ceroso non sia volatile e non reagisca coll’acido nitrico; 3° che il sale cerico, che si forma in causa dell’ossidazione, sia insolubile o poco so- lubile coll’acido nitrico stesso. Ho già descritto (*) la preparazione del nitrato cerico-ammonico (NH): CeV”(NO;); per semplice riscaldamento di una soluzione di nitrato ceroso e di nitrato ammonico in acido nitrico concentrato. Analogamente, sostituendo al nitrato ammonico il nitrato di rubidio e il nitrato di cesio, ottenni ancor più 2 (1) (2) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei 1907, seduta 17 -marzo. (3) Ibid. 1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della L. Universita di Ferrara. — 645 — facilmente (perchè meno solubili in acido nitrico) i nitrati doppî: Rb, Ce'(NO;); e Css Ce'(NO;);. Questi ‘sali doppî erano già stati preparati da R. J. Meyer e Jacoby (') aggiungendo nitrato di rubidio e nitrato di cesio alla soluzione di idrato cerico in acido nitrico e da me (*) per ossidazione elettrolitica dei corrispondenti sali cerosi. i Fui condotto poi ad applicare il metodo dell’ossidazione con acido ni- trico alla preparazione di un sale del Cerio tetravalente che non era stato ancora ottenuto, lo iodato cerico, dalla considerazione che in tal caso si tro- vavano riunite tutte le condizioni favorevoli su ricordate. Infatti lo iodato ceroso è solubilissimo nell’acido nitrico; questo non esercita alcun’azione sul- l’acido iodico e infine, data l'analogia che il Cerio nella forma superiore di combinazione presenta col Torio era prevedibile che lo iodato cerico dovesse essere, come lo iodato torico, poco solubile nell’acido nitrico anche concen- trato. Vennero prima eseguite alcune esperienze preliminari scaldando a fiamma diretta in matracci delle soluzioni di iodato ceroso in acido nitrico di den- sità 1,40. Lo iodato ceroso era stato preparato per doppio scambio dal ni- trato ceroso con iodato di potassio. Le soluzioni nitriche all’ebullizione di- ventavano prima gialle poi aranciate e man mano che l’acido nitrico evapo- rava depositavasi in fondo al matraccio una polvere cristallina giallo-chiara. Dalle soluzioni più concentrate in iodato ceroso si depositava dapprima una polvere giallo-aranciata, la quale però diventava giallo-chiara per ulte- riore azione dell'acido nitrico bollente. La polvere cristallina venne raccolta su filtro di amianto e lavata con acido nitrico diluito. Essa è insolubile in acqua e nelle soluzioni acquose di iodati alcalini e di acido iodico: un po’ solubile negli acidi nitrico e solfo- rico concentrati. Trattata con soda caustica dà idrato cerico e nella soluzione alcalina filtrata si riconosce la presenza di un iodato. Per calcinazione la polvere gialla diventa rosso-aranciata, poi si decompone svolgendo abbondanti vapori di iodio: resta dell’ossido cerico. Per preparare nuova sostanza da sottoporre all'analisi quantitativa si ri- tenne inutile partire dall’iodato ceroso — precipitato amorfo difficile da la- vare — ma si fece semplicemente bollire a lungo una soluzione di nitrato ceroso (1 mol.) e di acido iodico (4 mol.) in acido nitrico concentrato. La reazione venne eseguita in una storta di vetro munita di refrigerante collettore. Nella storta vennero introdotti 800 ce. di acido nitrico di den- sità 1,40 che tenevano in soluzione gr. 7,8 di acido iodico e gr. 5 di ni- trato ceroso idrato. Il riscaldamento venne eseguito in un bagno di sabbia nel quale la parte emisferica della storta stava quasi completamente immersa. Poco dopo iniziata la distillazione dell'acido nitrico il liquido contenuto nella (1) Z. f. anorg. Ch. 27. 871 (1901). (2) Soc. Chimica di Roma, 12 febbraio 1905. — 646 — storta, e che era divenuto giallo, cominciò a bollire un po’ irregolarmente perchè cominciava a deporsi la polvere gialla insolubile. Si continuò la di- stillazione fino a ridurre il volume del liquido a un ottavo circa del volume iniziale. I cristalli vennero separati dall'acqua madre, lavati con acido ni- trico e tenuti per alcuni giorni nel vuoto su acido solforico e soda caustica. In essi si dosò il cerio come Ce0, per semplice calcinazione. Per determi- nare l'acido iodico si trattò la sostanza con soluzione diluita di soda cau- stica a caldo poi il liquido alcalino separato per filtrazione dall’idrato cerico, venne acidificato con acido solforico e addizionato di ioduro di potassio: si determinò lo iodio messo in libertà con una soluzione titolata d’iposolfito sodico. I. Gr. 1,0730 del composto cerico diedero per calcinazione gr. 0,2241 di Ce0.. II. Gr. 2,1507 diedero gr. 0,4485 di Ce0.. III. G. 0,4934 liberarono — previa eliminazione del Cerio con soda cau- stica — in una soluzione acida di KI gr. 1,782 di iodio. IV. Gr. 0,2561 liberarono gr. 0,9288 di iodio. Per cento: Calcolato per Ce (103), Trovato I. 1065 III. IV. Ce 16,7 17,00 16,98 _ — 10; 83,9 —_ _ 82,95 82,89 Il composto ottenuto è dunque il iodato cerico anidro. Non si conosce che un altro sale anidro del Cerio tetravalente il solfato cerico ottenuto da R.I. Meyer e A. Aufrecht (!), facendo agire a caldo l'acido solforico concen- trato sull'ossido cerico. Lo iodato cerico non si scioglie nell'acqua, tuttavia questa lasciata a lungo in contatto col sale anche a freddo assume reazione nettamente acida e libera iodio da una soluzione di ioduro di potassio acidificata con acido acetico. Evidentemente lo iodato, come tutti i sali cerici, viene un po’ idro- lizzato dall'acqua e manda in soluzione dell'acido iodico trasformandosi in sale basico. L’idrolisi è maggiore a caldo, tuttavia nemmeno traccie di Cerio passano in soluzione. Lo iodato cerico si scioglie un poco nell'acido nitrico concentrato: 100 ce. di acido nitrico sciolgono all’ebullizione gr. 0.34 del sale. Dalle soluzioni nitriche lo iodato cerico per evaporazione del solvente, cristallizza inalterato. Se si tratta lo iodato cerico con acqua ossigenata acidificata con acido solforico si ha tosto liberazione di iodio. Questa reazione è molto interessante (!) Berichte, 37, 144 (1904). — 647 — giacchè è noto (*) che tanto l'acido iodico che i iodati decompongono l’acqua ossigenata senza venirne punto alterati. La liberazione di iodio e quindi la riduzione dell'acido iodico deve dunque attribuirsi alla presenza del Cerio. Non è però necessario che il Cerio si trovi nella forma tetravalente perchè detta reazione avvenga. Anche ag- giungendo poche goccie di una soluzione di solfato o di nitrato ceroso a una soluzione di acido iodico e acqua ossigenata (acidificata con acido solforico per impedire la precipitazione del iodato ceroso) si ha tosto liberazione di iodio. Impiegando soluzioni concentrate e operando a caldo la reazione è molto violenta. Tale reazione non è data dai sali di Lantanio, di Neodimio, di Praseodimio, di Yttrio, di Samario e di Erbio, bensì dai sali manganosi. Mi riserbo di studiare il meccanismo di questa reazione continuando le mie ricerche già iniziate (?) sulle proprietà catalitiche degli elementi delle terre rare. Chimica. — Nuove ricerche sull’ossido superiore del nichelio (°). Nota di I. BeLLucci ed E. CLAVARI, presentata dal Socio S. CAN- NIZZARO. In una Nota pubblicata nell’anno decorso (4) abbiamo riassunto i risul- tati di alcune ricerche da noi compiute sull’ossido superiore del nichelio. Da tali ricerche sono emersi due punti salienti: 1° che il nichelio è capace di elevarsi con il grado di ossidazione fino al biossido Ni0?: 2° che, seccando, anche nelle condizioni più blande, gli ossidi idrati di nichelio aventi allo stato umido un contenuto di ossigeno al disopra della forma Ni?0?, si giunge dopo l’essicamento ad ossidi con un contenuto di ossigeno inferiore all’ Ni?0?. Nessuno degli idrati nichelici amorfi, da noi analizzati allo stato secco, ha mostrato infatti di possedere il grado di ossidazione Ni?0?, ma sempre uno inferiore e più o meno secondo la natura e l'intensità dell’essicamento. Il quale fatto ci ha portato necessariamente a concludere che l’ossido Ni?0* non è stabile. Circa la prima parte di tali risultati noi non abbiamo nulla da aggiun- gere: l’esistenza del biossido NiO? ha ricevuto recentemente (*) nuove con- ferme dalla preparazione di due nicheliti ben definiti e cristallizzati ed essa trovasi in armonia sia con i caratteri generali del nichelio considerato in sè (!) S. Tanatar, Berichte 22, 1015 (1897). (2) Rendiconti R. Accademia dei Lincei, 1907, p. 399. () Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Roma. (4) Gazzetta Chim. Ital., 36, I, pag. 58. (5) Hofmann e Hiendlmaier (Berichte, 39, 3184, 1906); Bellucci e Rubegni (Gazz. Chim. Ital., 37, I, 250. 1907). — 648 — stesso, sia con la posizione di questo metallo nel sistema periodico, sopra al palladio ed al platino. Intorno alla seconda parte dei nostri risultati, riguardante la non stabi- lità dell'ossido Ni°0*, crediamo invece opportuno, per quanto diremo più oltre, di ricordare alcune considerazioni già esposte nella nostra Memoria sopra ci- tata e di aggiungerne altre, portando anche il contributo di nuovi dati spe- rimentali a maggior conferma di quelli precedenti. Le ricerche compiute da noi erano effettivamente dirette a definire quale fosse la forma superiore di ossidazione alla quale può arrivare il nichelio, intorno alla quale esistevano le più incerte e contradittorie notizie. Da taluni si ammetteva infatti che con i varî ossidanti per via umida si formasse esat- tamente l’ossido Ni*0?, da altri l’ Ni305 od al massimo l’ Ni*0”. Trattavasi adunque di effettuare delle ricerche sistematiche in proposito, utilizzando varî ossidanti, in condizioni opportune di concentrazione e di temperatura, la qual cosa era tanto più necessariamente sentita non solo perchè un simile lavoro, molto esteso ed accurato, era stato poco tempo addietro compiuto dall’Hùttner per gli ossidi del cobalto ('), quanto perchè il definire quale fosse l'ossido superiore del nichelio poteva offrire importanza per la controversa posizione di questo elemento nel sistema periodico. L'Hittner è riuscito ad ossidare il cobalto fino all'ossido Co0?; le nostre ricerche hanno definito egualmente l’esistenza di un idrato di NiO?, togliendo di mezzo come forme limiti gli ossidi N105, Ni*0”, ecc. Data la stabilità molto limitata di tale ossido superiore, il rapporto di non fu da noi potuto accertare che in idrati umidi, appena preparati e la- LE Co RI vati, come del resto l’Hittner aveva accertato quello oe con un metodo indi- retto, vale a dire dalla quantità di ossidante (jodio) consumata nel processo di ossidazione. Era però logico di sperimentare come si comportasse durante l'essicamento l’idrato di biossido da noi ottenuto, ed a tal uopo varî idrati nichelici, con contenuto di ossigeno più o meno vicino all’ NiO?, furono da noi lasciati all'aria, a temperatura ordinaria, fino a ridursi per tritura- zione allo stato di polvere secca. Determinando il rapporto fra il nichel e l'ossigeno in questi ultimi idrati si trovò che esso era sceso al disotto del- l'ossido Ni?03, verso la forma NiO. Questo risultato tanto più inaspettato, dappoichè in qualsiasi Trattato trovasi descritto non solo l'ossido idrato Ni?0*, aq, ma anche l’ossido anidro Ni*0?, ci portarono necessariamente ad effettuare un’ estesa serie di ricerche relativamente all’ossido Ni?03. Tali ricerche, da noi compiute in continuo parallelo fra le soluzioni nichelose e le cobaltose, condussero al risultato che (1) Zeitschr. f. Anorg. Chem. 27, 81 (1901). — 649 — mentre l’ossido Co*0*, aq, come era noto, offre notevole stabilità allo stato secco, in nessun caso si trovò un idrato di nichelio avente allo stato di sec- chezza il grado di ossidazione Ni?0?, ma costantemente un contenuto di ossi- geno inferiore e più o meno verso la forma NiO a seconda del modo di essicamento. Intorno alla non stabilità dell'ossido Ni*0*, percorrendo tutta la vasta e discorde letteratura degli ossidi del nichel, trovavasi un unico accenno in una breve Nota pubblicata dal Bayley nel 1879 (!). Questo A. aveva infatti osservato che l’idrato nichelico, ottenuto ossidando con un ipoclorito l’ idrato nicheloso, corrisponde allo stato umido all'ossido Ni*0*, aq. Se si lascia però seccare questo idrato sopra l'ac. solforico, il suo contenuto di ossigeno di- scende al disotto dell’ossido Ni*0* e precisamente al rapporto Ni*0?!. I risultati delle nostre ricerche hanno pienamente confermato e genera- lizzato questa osservazione del Bayley, rimasta del tutto inosservata fino ai giorni nostri, nei quali tuttora si persiste a ritenere non solo sicura l'esistenza dell’ossido Ni?0%, ma ben notevole la sua stabilità. Noi non possiamo addentrarci nuovamente nelle numerose considerazioni che per esteso abbiamo già svolto nella nostra Nota citata; ricorderemo solo come nemmeno in alcuno dei processi per via secca (riscaldamento del ni- trato, carbonato nichelosi, ecc.) abbiamo potuto osservare la formazione del- l’ossido Ni*?0?, contrariamente a quanto trovavasi descritto nella letteratura. I risultati complessivi del nostro lavoro ci hanno portato a ritenere che i veri ossidi del nichelio siano per ora rappresentati soltanto da NiO ed NiO?, a prescindere da quelli possibili di tipo salino. Non conoscendosi ancora nulla di positivo intorno a composti derivati da una forma di ossidazione del ni- chelio superiore alla bivalente, giacchè i pochi tentativi fatti in proposito (*), non hanno finora approdato a nulla di certo, quando anche si riuscisse ad ottenere costantemente allo stato umido o secco l'idrato nichelico Ni*0?, aq, in base alle conoscenze attuali, si sarebbe portati a considerarlo come un 0s- sido di tipo salino NiO?, NiO, aq. A queste nostre conclusioni hanno invero recentemente dato una con- ferma K. A. Hofmann e Hiendlmaier (*). Questi Autori hanno ottenuto, per azione del perossido di potassio sul nichel metallico, il nichelito cristalliz- zato NiO?, NiO, K°O, il quale, cautamente trattato con acqua ghiaccia, ha dato come prodotto di idrolisi l’ossido NiO?, NiO, 2H?0 dello stesso aspetto cristallino del nichelito originario. L’avere Hofmann potuto mantenere inal- terato il grado di ossidazione NiO?, NiO (= Ni°0*) è dipeso certamente dalla natura cristallina del composto, conoscendosi infatti come la tensione del (?) Chemic. New. 39, 81. (2) Nagendra (Zeitschr. f. Anorg. 12, 16, 1897); Tubandt (id. id. 45, 73, 1905); Be- nedict (Journ. Americ. Chemic. Soc., 28, 171, 1906). (A) ocHcit — 650 — vapor d'acqua, alla quale in casi simili è strettamente legata la perdita dell'ossigeno, sia molto minore in idrati cristallizzati di quello che in idrati amorfi. Lo stesso Hofmann, basandosi sui risultati delle nostre ricerche, in- terpreta il suo prodotto di idrolisi secondo la formula NiO®, NiO , H°0. Ancor più recentemente uno di noi('), facendo agire ad elevata tempe- ratura il perossido di sodio sul nichel metallico, ha potuto isolare un altro nichelito ben definito e cristallizzato della formula 2N10*, NiO, Na?0, la quale dimostra nel modo più evidente come anche il nichelito di Hofmann debba essere interpretato quale derivato del biossido NiO?. Questi due nicheliti, a base mista nicheloso-alcalina, non portano del resto che una conferma all'esistenza del biossido di nichelio, il quale acquista notevole stabilità entrando a funzionare da debole acido in combinazioni saline. Gli ossidi superiori del nichelio hanno però richiamato recentemente l’attenzione di due sperimentatori, i quali si sono occupati di tale argomento solo perchè esso si ricollegava a ricerche da loro intraprese, di indole elettrochi- mica. Sono appunto le ricerche di questi due chimici che dobbiamo breve- mente prendere in esame e che hanno soprattutto dato motivo alla pre- sente Nota. Il primo di essi, I. Zedner, in due Note successive pubblicate nella Zeitschrift fir Elektrochemie, ha voluto detinire la natura e le proprietà fisico- chimiche dell’ossido superiore del nichel che si depone sugli elettrodi degli accumulatori Iungner-Edison. La sua prima Nota (*) è comparsa durante la stampa della nostra Memoria e noi già fin d'allora abbiamo preso l'occasione per fare intorno ad essa alcune considerazioni. Lo Zedner, ammettendo « priori che il grado di ossidazione del nichelio esattamente studiato (?) sia rappresentato dall'ossido Ni°0*, ha preparato quest'ossido « durch gelindes Glihen von Nickelnitrat » ovvero anche « durch Oxydation von gefàlltem Ni- ckelohydroxyd mittels Chlor» e con misure elettriche ha stabilito che l’os- sido così ottenuto era identico a quello depostosi sulle lamine positive degli accumulatori Edison, concludendo perciò che questo non poteva essere che l’ossido Ni?0?. A maggior conferma di tali sue conclusioni lo Zedner ha voluto prepa- rare un ossido di nichel elettrolizzando in speciali condizioni con anodo di platino, una soluzione di solfato nicheloso, in presenza di acetato sodico. Però con tale preparazione lo Zedner è riuscito ad ottenere soltanto quan- tità minime di idrato nichelico (gr. 0,10-0,12) che egli ha tuttavia sec- cato nel vuoto su acido solforico ed all'analisi ha poi trovato corri- spondenti al grado di ossidazione Ni°O?. (1) Bellucci e Rubegni (loc. cit.). (2) Zeitschr. f. Elektroch., //, 809, 1905. — 651 — Secondo lo Zedner sarebbe adunque possibile ottenere l'ossido Ni? 0? o per riscaldamento del nitrato nicheloso (!) o per ossidazione dell’idrato nicheloso col cloro, ed inoltre un idrato nichelico amorfo, seccato nel vuoto sopra ac. solforico, presenterebbe il grado di ossidazione Ni?0*, in completo disaccordo con i risultati delle nostre ricerche, dalle quali si è concluso che tali metodi di formazione non portano all'ossido Ni? 0?, e che non si riesce ad avere l’ossido Ni?0*, aq allo stato secco, nemmeno effettuando gli essica- menti all'aria ed a temperatura ordinaria. Trascorsi pochi mesi dalla sua prima Nota lo Zedner ne ha pubblicata una seconda (°) nella quale ha voluto stabilire anche il grado di idratazione dell’idrato di Ni*0? che si depone sulle lamine degli accumulatori, conclu- dendo che ad esso spetta la formola Ni*0*?,3H?0, ossia Ni(OH)?. Ma un'altra Nota è apparsa quasi nel medesimo tempo, nella stessa Zeitschrift, per opera di H. Riesenfeld (3), nella quale è descritta inciden- talmente la formazione elettrolitica di un perossido di nichel. Il Riesenfeld ha elettrolizzato una soluzione di solfato di nichel, alcalinizzata con idrato sodico, immergendo completamente l'anodo di platino nell'idrato nicheloso, ed il catodo in una cella porosa di argilla contenente una soluzione acquosa di solfato sodico. In tal modo il precipitato verde di idrato nicheloso peros- sidandosi, assume a poco a poco un colorito sempre più nero. Il Riesenfeld ha raccolto su filtro tale precipitato nero, lo ha ben la- vato, e quindi seccato a 100° fino a costanza di peso. Ha determinato poi in esso la sola percentuale del nichel e noi qui riportiamo a maggior chia- rezza i suoi risultati (loc. cit., pag. 623): « Es wurde gefunden: « 49,3 °/, Ni entsprechend dem Tetrahydrat Ni?0?,4H?0 mit 49,45 °/, Ni. « Beim Erhitzen auf 200 bis 220° verliert das Tetrahydrat 2 Mol. Wasser. « 58,9 °/, Ni entsprechend Ni?0?,2H?0 mit 58,15 °/,. « Die Existenz dieser beiden Hydrate erscheint demnach als sicher erwiesen =». Secondo il Riesenfeld può adunque l'ossido Ni*O? resistere inalterato col suo contenuto di ossigeno fino alla temperatura di 220° (4). (1) A proposito del riscaldamento del nitrato nicheloso, ricordiamo quanto dice il Brunck (Zeitschr. f. Anorg. Chem. 70, 240 (1895)) circa i suoi tentativi per preparare in tal modo l’ossido Ni*0?. Egli ha ottenuto «..... ein Produkt, das beim Auswaschen mit heissem Wasser immer heller an Farbe wurde, bis schliesslich ein dunkelgraues Pulver blieb, welches gròsstenteils aus Oxydul bestand und nur wenig Oxyd beigemengt enthielt ». Le prove da noi ripetute a tal riguardo hanno pienamente confermato che questo metodo non porta che ad ossido nicheloso impuro di piccole quantità di ossido superiore. (?) Zeitschr. f. Elektrochemie 12, 463 (1906) (3) Zeitschr. f. Elektrochemie 72, 621 (1906). (4) Il Riesenfeld ricorda che anche il Wernicke (Pogg. Ann. /4/, 121, 1870), ha RexpIcontI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 83 — 652 — Giova qui del resto osservare che le ricerche compiute dallo Zedner e dal Riesenfeld sono d'indole prevalentemente elettrochimica e partono se- condo noi dal preconcetto della stabilità dell'ossido Ni?0?, preconcetto finora derivato da quelle analogie che si son volute forzatamente ideare e mante- nere fra il nichelio ed il cobalto, due metalli che si differenziano moltis- simo specialmente per quello che riguarda le forme superiori di ossida- zione. Noi non possiamo trovare altro che in questo preconcetto la spiegazione dei dati ottenuti dallo Zedner e dal Riesenfeld, non potendo dal nostro lato che confermare quanto avevamo asserito nella nostra prima Memoria, a proposito dell’ossido Ni*0?. Nel lungo corso delle nostre ricerche noi non abbiamo trascurato di analizzare numerosi campioni di ossido nichelico puro (Nicheloxyd; ta- luni anche Kobaltfrei) provenienti dalle fabbriche Kahlbaum e Merck. Il loro contenuto di ossigeno attivo sì è in ogni caso appalesato minimo, talora da colorare appena in giallognolo la soluzione di ioduro potassico. Ciò che conferma il falso concetto che ha dominato sin qui sulla stabilità dell'ossido nichelico, poichè evidentemente tali ossidi nichelici, ì quali avevano un debole contenuto di acqua, erano stati seccati fortemente in stufa ovvero ottenuti per via secca. Nè vogliamo qui dimenticare, a maggior conferma di quelle già prece- dentemente esposte, alcune altre ricerche da noi eseguite, delle quali pos- siamo così sommariamente riassumere i risultati ottenuti. Da una notevole quantità di idrato nichelico, avente allo stato umido 1, no TORE IA sottoposte singolarmente ai seguenti trattamenti: 1°, posto direttamente a seccare nel vuoto sopra ac. solforico (senza cioè lasciarlo prima seccare all'aria). Allo stato di completa secchezza si Ni 10 UIOXO i or18:26° il grado di ossidazione vennero prelevate diverse porzioni e ottenuto per elettrolisi un idrato di nichel della formola Ni?03,2H?0. Però non ricorda che il Wernicke stesso aveva notato che tale ossido conteneva meno ossigeno del teorico. Per fermarci un concetto dell’azione di un’elevata temperatura sopra l’ossido niche- lico abbiamo riscaldato a 200-220°, sia all’aria (come il Riesenfeld), sia in corrente di ossigeno, un idrato nichelico preventivamente seccato all’aria, a temperatura ordinaria. Sio. O 13.80 Ni?0*; ed ecco i rapporti che abbiamo ottenuto analizzandolo dopo l’essiccamento a 200-220°: Allo stato iniziale tale idrato possedeva il rapporto , cioè già al disotto di all’aria in corrente di 0 Ni 10 10 0 10.32 10.61 rapporti i quali dimostrano che a tale temperatura si giunge quasi all’ossido NiO. — 653 — 2°, lasciato per un mese sotto acqua distillata, a temperatura ordi- naria, discese al rapporto Nu 1 SIG ‘ On 013.88 3°, bagnato con soluzione concentrata di idrato di potassio e steso LOR Ra 4°, bollito con acqua in storta di platino, munita di refrigerante a ricadere, dette: poi all'aria su mattonella porosa, si ridusse egualmente al rapporto ì 10 DI) î i izi e dopo 12 ore di ebollizione 0 "13,52 i Arata ; TDI 10 cri. 1 og 10 Maio ; i i0i39 Vale a dire, dopo prolungata ebollizione in seno all'acqua, si ha riduzione po p g ad ossidulo. 10 Como 0 8nR615.07 36 ore, nella stessa storta di platino, discese soltanto al rapporto Un idrato cobaltico umido (titolo originario ) bollito per 10 14.04 Vedasi con ciò la differenza di resistenza fra l’ossido di nichel e quello di cobalto. È opportuno anche ricordare a tal riguardo che il Wohler (?), bollendo con acqua il biossido idrato di palladio PdO?, aq, precipitato di fresco, ha accertato che esso si riduce facilmente a PdO, aq, in analogia con quello che succede per il nichel. Tali risultati non fanno adunque che maggiormente illustrare la debole stabilità dell’ossido nichelico. Ci è sembrato necessario ricordare quanto sopra abbiamo esposto per riaffermare in modo completo i risultati sperimentali già esposti nella nostra Nota, in quella parte che riguarda la non stabilità dell’ossido Ni*0?, a pro- posito della quale lo Zedner ed il Riesenfeld giungono a dati così diversi dai nostri. Apparirà del resto giustificato l’ insistere sopra questo punto, ripensando all'importanza che può avere la stabilità o meno dell’ossido Ni?0? (l'unico composto sul quale fino ad oggi potrebbe basarsi la trivalenza del nichelio) nei riguardi della posizione del nichel nel sistema periodico. (1) Zeitschr. f. Anorg. Chem. 46, 332 (1905). — 654 — Uno di noi ha già compiuto un esteso studio in parallelo sui solfosali del nichelio e del cobalto, ottenuti per via ignea in uno stato cristallino ben definito. I risultati ottenuti da tali ricerche, i quali tra breve verranno pubblicati, non faranno che riaffermare il grande distacco che corre fra il cobalto ed il nichelio, in riguardo alla loro forma superiore di ossidazione, e porteranno un grande appoggio alle conclusioni a cui siamo giunti con lo studio degli ossidi. Chimica. — Sui sali di Roussin ('). Nota di I. BELLUCCI € F. CARNEVALI presentata dal Socio S. CANNIZZARO. In prosecuzione di due Note pubblicate sullo stesso argomento (*) ri- cordiamo che uno di noi ha già dimostrato l’esistenza di sali di Roussin [Fe,(NO):S3]R', ove R' è rappresentato rispettivamente da una molecola di idrossilammina, idrazina, fenilidrazina e semicarbazide, ponendo così in rilievo la forte complessità e resistenza dell’anione [Fe,(NO),$3]J" che rimane inalterato, in ambiente leggermente alcalino, di fronte all’azione di energici riducenti, come alcuni di quelli ora ricordati. Tali reattivi erano stati infatti adoperati con la speranza di ottenere dei prodotti di riduzione specialmente dai sette gruppi NO, finora ammessi nella costituzione dell’anione suddetto, prodotti che avrebbero potuto recare molta luce sulla complessa costituzione di questi sali. Fino ad oggi del tipo [Fey(NO):S;]R', oltre i quattro suaccennati, sono noti con sicurezza soltanto ferro-nitrosolfuri di basi monovalenti e precisa- mente quelli in cui R'=K, Na, NH*, Rb, Cs, TI’, ottenuti da Roussin, Pawel ed Hofmann. Per quanto questi AA. abbiano fatto vari tentativi non è stato loro possibilo di salificare con radicali alchilici l'anione [Fe, (NO) Ss]; Pawel (*) infatti, trattando il nitrosolfuro di sodio con ioduro di metile, ed Hofmaan e Wiede (4) quello talloso con lo stesso ioduro, non sono riusciti ad effettuare il doppio scambio desiderato e ad ottenere qualche etere che pro- babilmente si presterebbe bene a determinazioni di peso molecolare. Intorno a ferro-nitrosolfuri di basi polivalenti si hanno pochissime ed incerte notizie, credendo Pawel di avere ottenuto un sale ferroso, decompo- nendo il nitrosolfuro di sodio a freddo con acido solforico concentrato, ed analizzando un prodotto che egli stesso descrive come dotato di pochissima o nessuna stabilità. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Roma. (2) Bellucci e Venditori, Gazz. Chim. Ital. 35 (2) 518 (1905); Bellucci e Cecchetti, id., id. 37 (1) 162 (1907). (®) Berichte, 15, 2607 (1882). (4) Zeitsch. f. Anorg., 9. 295 (1895). — 655 — L'ottenere ferro-nitrosolfuri di altre basi non avrebbe offerto interesse se non sotto due punti di vista; primieramente per la determinazione del ‘ peso molecolare di tali composti, giacchè era possibile, a differenza di quelli finora noti, ottenere dei nitrosolfuri solubili in solventi organici non disso- cianti; in secondo luogo perchè il preparare qualche nitrosolfuro di basi po- livalenti, intorno ai quali come si è detto non si aveva alcuna notizia sicura, avrebbe contribuito a sempre meglio caratterizzare la natura dell'anione [Fey(NO),$3]" Noi abbiamo infatti preparato un gran numero di nitrosolfuri con basi di tipo ammoniacale della più svariata natura (*), reagendo sul sale sodico [Fe,(NO),S3]Na con eccesso del cloridrato della base. Generalmente si ot- tengono in tal modo precipitati cristallini neri, lucenti; talora il nitrosolfuro della nuova base si presenta d'aspetto oleoso e tale permane anche a tem- peratura ordinaria; in nessun caso però abbiamo trovato una solubilità in solventi non dissocianti, sufficiente per determinazioni di peso molecolare. Del problema della grandezza molecolare dei sali di Roussin, intorno al quale abbiamo eseguito una lunga serie di esperienze, torneremo del resto ad occuparci in una prossima Nota. Non crediamo tuttavia privo di interesse descrivere qualcuno dei molti nitrosolfuri da noi preparati ed analizzati; così ad es. quello di pi- ridina, che ci dà indizio della forza posseduta dal radicale [ Fe, (NO); S3]" di anilina, di tetrametil- e tetraetil-ammonio, i quali ultimi due siamo riu- sciti ad ottenere splendidamente cristallizzati dall’acetone e dei quali ab- biamo potuto avere, per la cortesia del prof. F. Zambonini, un lungo cor- redo di dati cristallografici, interessanti per stabilire le variazioni che avven- gono nella struttura cristallina dei due composti, in seguito alla sostituzione di quattro gruppi etilici a quattro gruppi metilici. I due ferro-nitrosolfuri di tetrametil- e tetraetil-ammonio offrono inoltre una grande stabilità; basti il ricordare che essi resistono per parecchio tempo, mantenendo inalterato il loro aspetto cristallino, ad una ebollizione con so- luzione di idrato di potassio al 50 °/,, nelle quali condizioni tutti gli altri nitrosolfuri finora noti separano parte del loro ferro allo stato di sesquios- sido idrato trasformandosi in altra serie di sali. È anche interessante ricor- dare che questi due nitrosolfuri, a differenza di tutti gli altri dello stesso tipo, sono insolubili in etere, fatto tanto più notevole se si riflette che la (1) Così ad es. abbiamo ottenuto i ferro-nitrosolfuri di piridina, anilina, chinolina, o-toluidina, m-ed o-xilidina, urea, fenilendiammina, benzidina, toluilendiammina, nitroa- nilina, difenilammina, «-naftilammina, monoetilammina, o-anisidina, etilendiammina, pro- pilendiammina, tetrametil- e tetraetil-ammonio. Tra queste basi, specialmente quelle di tetrametil- e tetraetil-ammonio ci davano spe- ranza di poter ottenere dei nitrosolfuri solubili in benzolo data la presenza in essi di quei radicali alchilici che non è stato finora possibile legare direttamente all’anione nitro- solforato. — 656 — solubilità nell’etere si credeva finora costituire una caratteristica per i sali di questo tipo. Circa i nitrosolfuri di basi polivalenti ne descriveremo solo due: il ferro- nitrosolfuro di o-fenilendiammina e quello di un radicale trivalente cioè di luteo-cohalto, nei quali casi due o tre gruppi acidi [ Fey (NO); S:]' concor- rono a salificare le basi suddette, formando dei composti di notevole sta- bilità. Ricorderemo che per doppio scambio abbiamo anche ottenuto, allo stato cristallino, i due nitrosolfuri di piombo e di cadmio, gli unici nitro- solfuri di metalli pesanti che abbiamo trovato stabili e che non si diffe- renziano dal tipo comune. Il sale di piombo, a somiglianza di quelli alca- lini, e di quello talloso, non ha neppure esso tendenza a reagire senza de- comporsi con gli joduri alehilici; posto infatti da noi a reagire con joduro di metile, sia allo stato secco che in soluzione alcoolica, soltanto per ri- scaldamento depone pochissimo ioduro di piombo, mentre contemporaneamente si decompone. Passiamo senz'altro a descrivere brevemente i nuovi nitrosolfuri ac- cennati. Nitrosolfuro di Piridina. [ Fe. (NO), S: H]Py. Trattando una soluzione concentrata di nitrosolfuro di sodio, riscaldata a circa 70°, con eccesso di soluzione di piridina acidulata con acido cloridrico, si depone per raffreddamento come precipitato nero lucente finemente cristal- lino. Lavato con acqua fredda. Poco solubile in acqua, solubile in alcool, etere ed acetone; quasi insolubile in benzolo. Seccato nel vuoto su acido solforico. Calcolato per Trovato [Fe: (NO); Ss H]Py I. IL NI. Fe 32,25 32,98 — 32,29 S 14,18 14,07 — 13,86 N _ = 16,40 16,19 Nitrosolfuro di Anilina. [Fey(NO),S$ H]An. Ottenuto in condizioni del tutto analoghe a quelle del sale di piridina. Lavato con acqua fredda, Pochissimo solubile in acqua fredda, discretamente a caldo; pochissimo solubile in cloroformio e benzolo, discretamente in alcool, etere ed acetone; solubile in nitrobenzolo ed anilina. Seccato nel vuoto su acido solforico. — 657 — Calcolato per Trovato [Fe, (NO); S: H]An er TT Fe 34,51 34,49 36,40 _ 39,82 S 16,40 14,91 16,23 — 15,41 N — — = 17,64 17599 Nitrosolfuro di Tetrametil-ammontio. [Fey(NO); S3]N(CH3),. Aggiungendo ad una soluzione concentrata di nitrosolfuro sodico, riscal- data a circa 70°, una soluzione parimenti riscaldata di cloridrato di te- trametil-ammonio, precipita una sostanza polverosa. Raccolta su filtro e la- vata con acqua fredda, venne seccata su cloruro di calcio e poi cristallizzata dall'acetone. Si ebbe in tal modo in magnifici cristalli. Insolubile a freddo in acqua, pochissimo a caldo; discretamente solubile in alcool, molto solu- bile in acetone, insolubile in etere, benzolo e cloroformio. Calcolato per Trovato [Fes (NO); Ss] N (CHs)4 TE IRE Fe 37,17 — 37,05 S 16,28 —_ 15,91 N —_ 18,26 18,58 Relativamente a questo nitrosolfuro riportiamo qui appresso i dati cri- stallografici inviatici dal prof. F. Zambonini, al quale ci sentiamo in dovere di esprimere tutta la nostra viva gratitudine. Peso specifico 2,056 a +19°C (Zambonini). Cristalli dall’acetone. . Sistema cristallino: triclino. udc. = 0,8648:1:1,8125 a= 87° 29 34” MER 710 y= 98 44 10 Borme osservate: 21010}, a—{100}, c— [00m {110}, = {110}, 0= = {122}, g= {102}, o=}122}, s= {122}, 2=[012}. Queste forme semplici si riuni- scono nelle seguenti combinazioni: 1)èbmaoca 2) bmnauoqges 3) imauoquwes 4) imavuoquwesa. Di queste combinazioni la terza è di gran lunga la più frequente, non rare sono la seconda e la quarta, rarissima la prima. L’habitus dei cristalli è abbastanza uniforme, — 658 — perchè essi sono sempre, salvo qualche rara eccezione, più o meno fortemente tabulari secondo |010}. Di solito, sono anche allungati, secondo l’asse c, ma ve ne sono alcuni presso a poco ugualmente estesi nelle direzioni [001] e [(010):(102)], ed altri, infine rari, allungati alquanto secondo [(010):(102)]. La forma più sviluppata, dopo {010}, è {122}: solo in qualche cristallo {100} si avvicina in grandezza a |122}. Molto variabile è la grandezza relativa delle tre forme {110}, |100}, {110|. Alcune volte }100} domina fortemente sulle altre due, ma talvolta, invece, è {110} la più estesa. In generale, {100} e {110} hanno grandezza presso a poco uguale e {110} è piut- tosto sottile: non mancano, perg, cristalli nei quali {110} è più grande di {110}. Tutte le altre forme osservate nei cristalli di questo composto sono sempre affatto subordinate. BITGele PIG: 12. RIG:3: La fig. 1 rappresenta i cristalli più comuni, le figure 2 e 3 delle combinazioni e degli abiti più rari. Le facce sono, di solito, abbastanza piane e regolari e vivamente splendenti, cosicchè è stato possibile ottenere delle misure assai buone. Quasi sempre i cristalli sono impiantati sul fondo del cristallizzatore per una faccia di {010}. e precisamente per (010). Non infrequenti sono gli accrescimenti paralleli di due individui, rari quelli costituiti da un numero maggiore. Spigoli mis. Limiti delle misure N. Media Calc. (010):(110) 48° 8'-48° 15° 3 48° 12° 480 23’ (010):(100) 86 47 -86 50 10 *86 50 —_ (100):(110) _ 1 88 32 38 27 (0I0):(110) 59 61526009 6 52 71|s 5208 (100):(110) 40 56 -41 4 6 41.1 41.2 pun (110) i Il 79 81 79 29 (001):(102) 9183-31 5) ZIMES 31 8 (001) ):(100) 73 52-74 3 5 #74. 0 — (100):(102) 42 51 -42 57 5 49 53 492 52 — 659 — Spigoli mis. Limiti delle misure N. Media Cale. (001):(122) 51 56 -52 0 2 51 58 51 54 (100):(122) d4 28 - 54 39 11 *54 38 —_ (100) :(122) FA 53-75 07 3 1500 75003 (122):(122) 50 25 -50 28 9 50 27 50 24 (110):(122) 88 51-89 2 3 88 57 89 0 (110):(122) 81 32-81 33 3 81 32 S1 32 (010):(122) 7 46-47 58 fi *47 51 e, (010):(102) 89 19 -89 35 6 89 27 89 23 (102):(122) 41 31-41 35 3 41 33 41 32 (010):(122) 48 20 -48 30 130) 48 24 48 32 (102):(122) 494498 3 42 6% 42 5 (122):(122) 83 36 -83 37 2 83 36 1|s 83 37 ‘ (001):(012) = 1 32 54 32 43 (001):(010) 88 24 -88 35 6 *88 28 = (010): (012) = 1 58 41 58 49 (102):(110) 56 10 -56 28 3 56 18 56 15 (102):(170) 55 2-55 4 3 55 3 55 9 (102): (122) 2° 1 78 53 78 46 (110) :(122) sl: 1 46 3 46 9 Sfaldatura non osservata. I cristalli sono di color nero vivo e perfettamente opachi. P. M.= 603,98 V= 293,76 y= 6,4639 x= 5,5899 = 8,4838. Nitrosolfuro di Tetraetil-ammonio. [Fe, (NO), S:]N(C.H;) Preparazione analoga al sale di tetrametile. Ricristallizzato dall'acetone. Insolubile in acqua a freddo, pochissimo a caldo; poco solubile in alcool; molto solubile in acetone, insolubile a freddo in benzolo, appena a caldo; insolubile in etere e cloroformio. Seccato su cloruro di calcio. Calcolato per Trovato [(F'ea (NO); Sa] N(Ca Hs)a (One Fe 84,38 — 33,91 S 14,22 — 14,56 N — 17,31 17,00 Anche per tale sale riportiamo qui sotto i dati cristallografici. Peso specifico 1,883 a -- 19° C (Zambonini). Cristalli dall’acetone. Triclino a:b:c=1,0221:1:1,0247 oi=1S50AZI9C Petto VADO IAA, RenpIcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 84 — 660 — ; | ALOE u= {110}, o={122},q= = {102}, 0 ={122}, "= {302}, t= {102}, o={I che si riuniscono nelle seguenti combinazioni : 1) iaumtqow 2) bautqowv 3) Dautrqowv 4) iaumtrqowov. Di esse la più rara è la prima, le altre sono presso a poco ugualmente frequenti, più comune è, però, la quarta. L’habitus è abbastanza variabile. Spesso i cristalli di questo composto sono tabulari secondo |122| e contemporaneamente allungati nella di- rezione dell'asse della zona [(010):(102)], e presentano l’aspetto della fig. 4%, che è il , Fio. 4. più comune. In altri cristalli, {122} è assai meno estesa, sicchè si viene ad avere un habitus prismatico nella direzione [(010):(102)]. Vi sono anche dei cristalli tabulari se- condo {102}, ed alquanto allungati nella direzione dell'asse della zona [(122):(110)]. Fi- nalmente altri cristalli sono prismatici secondo [(122):(110)]. Le facce sono quasi sempre poco regolari e le misure meno esatte che nel composto corrispondente tetrametilammonico. {302} presenta delle facce così ondulate, che non per- misero altro che misure approssimative: però il simbolo di questa forma è fissato, all’in- fuori di ogni misura, dal fatto che essa appartiene alle due zone [(102):(100)] e [(122): (10)]. I cristalli sono impiantati assai spesso per una faccia di {122} ma talvolta, invece, per una di |102;. Spigoli mis. Limiti delle mis. N. Media Cale. (010):(100) 80°53/-81° .3' 5 80° 57 81°13 (010): (110) 39 53 -40 0 2 39 561| 40 10 (100):(110) e. 2 41 8 41 3 (100):(110) 49 54 -50 9 4 50 2 49 59 (010):(110) 48 49 -49 3 d 48 57 48 48 (100): (102) 57 59 -5813 8 *58 (6 Da (100):(102) 68 12 - 68 33 6 *63 23 Da Spigoli mis. Limiti delle mis. (102): (102) 53 18 -53 39 (010):(122) 48 17 -48 23 (010):(102) 89 19 - 89 36 (102):(122) ZII (0I0):(122) 48 43 -48 50 (102):(122) 41 38 -41 52 (122):(122) 82 45 -82 58 (100): (122) 60 8-60 23 (122):(110) 492 29 -42 51 (122): (102) 5157027 (110): (102) 79 50 -80 4 (122):(110) 97 46 -98, 8 (122):(T42) 36 51 -37 15 (110) :(142) 2 eZ) II (122) :(102) 68 50 -69 25 (122):(110) 40 9-40 13 (110):(102) 7081-71 14 (122):(100) 72.59 -73,13 (010): (142) 28 47-29 5 (010): (102) 97 40 -97 54 (142):(102) 68 37 - 68 50 P. M.= 660.05 —V=350,53 w= 6,9968 x= 71514 o = 7,1696. Se noi confrontiamo i risultati dello studio cristallografico del nitrosolfuro di tetrae- tilammonio con quelli ottenuti per il nitrosolfuro di tetrametilammonio, osserviamo subito come la sostituzione dei quattro etili ai quattro metili produce una modificazione assai notevole nella struttura cristallina. Mentre w e y aumentano, w diminuisce; è, però, da — 661 — MD N 5 aa DZ _ DO LI 09 © DI DD DD Aa XX 90 dl - 0 Media 59 #43 789 41 48 41 82: *60 42 57 79 97 36 45 69 40 70 73 28 97 68 dl 72 Ir notare che la variazione di w è molto più piccola di quella che subiscono £ e . Somiglianze cristallografiche, però, non mancano nei due composti studiati. Con l’o- rientazione adottata, quasi tutte le forme più importanti hanno lo stesso simbolo nei due composti, ed inoltre le forme della zona [(010):(102)] formano tra loro in ambedue degli angoli vicinissimi, come risulta dal seguente specchietto: Dal sale sodico con eccesso del cloridrato della base. Lo stesso aspetto finamente cristallino dei precedenti nitrosolfuri. Lavato ripetutamente con acqua fredda e seccato nel vuoto su acido solforico. Solubile in acqua, po- nitrosolfuro di -T-_——_uu _rT___P_—_mmuee ——— tetrametilammonio ATO:5I 89 23 41 32 48 32 tetraetilammonio 48020" 89 27 4107 48 57 Mitrosolfuro di o-fenilendiammina. [Pe, (NO), Ss H]: CHL < NH» NH, — 662 — chissimo a freddo, leggermente a caldo. Discretamente solubile in alcool, acetone ed etere; quasi insolubile in benzolo e cloroformio. Calcolato per Trovato [Pes (NO): Ss H]s Cs Hy << TE UG III. Fe 38,34 37,92 _ 88,21 S 16,82 16,77 — 16,44 N _ _ 19,54 19,20 Nitrosolfuro di lutcoepbalto. [Fey (NO), 93 Co (NH3)c Precipita a temperatura ordinaria come una polvere nero-bruna da una soluzione concentrata del sale sodico con soluzione di cloruro di luteocobalto in eccesso. Raccolto su filtro e lavato con acqua fredda. Seccato e ricristal- lizzato dall'alcool o dall'acetone, a temperatura ordinaria. Poco solubile in acqua fredda: solubile in alcool, etere ed acetone; quasi insolubile in ben- zolo e cloroformio. Seccato su acido solforico. Calcolato per Trovato [Fe4 (NO); S3]3 Co (NH3)c Ti IO TEDE Fe 38,48 38,39 —_ 38,26 S —_ 16.01 _ 16,46 N — = 21,87 21,63 Co 2,98 — — 3,20 Chimica. — Sugli idrati del fiuoruro di alluminio. Nota di ArRrIco MAzzuccHELLI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 663 — Chimica. — JSu/la miristicina (*). Nota di E. Rimini e F. OLIVARI, presentata dal Socio PATERNO. Come è noto, Bougault (*) in una serie d'interessanti ricerche applicando la reazione di Hubl ai composti ciclici a catena laterale allilica e propeni- lica trovò un mezzo facile ed elegante per la diagnosi dei composti allilici e propenilici. Mentre, infatti, questi per azione dello iodio e dell’ossido giallo di mercurio danno in una prima fase prodotti d’addizione coll'acido ipoiodoso che, in presenza di un eccesso di ossido, si trasformano in aldeidi del tipo CHO R—_ SI , quelli invece, per identico trattamento, danno composti ipo- CH; iodosi i quali, fatta eccezione per lo stirolene, nè per azione di un eccesso di ossido giallo nè di nitrato d'argento, non si convertono, come si poteva supporre in aldeidi a catena normale, bensì in sostanze di cui Bougault non definì la natura. Facendo seguito alle ricerche di uno di noi (*), ed a complemento di quelle di Bougault e di Szeki (4), riferiremo brevemente nella presente nota sull’ossidazione della miristicina e del suo isomero col reattivo di Bougault. Ad una soluzione alcoolica (alcool 95 °/,) di gr. 12 di miristicina addi- zionata di gr. 7-8 di ossido giallo di mercurio, raffreddata e mantenuta for- temente agitata da agitatore meccanico, si aggiunsero poco per volta gr. 17 di iodio. Si filtrò e dal filtrato per aggiunta di acqua addizionata di ioduro potassico e bisolfito sodico, per eliminare l'eccesso di iodio, sì separò un olio incoloro, denso, molto rifrangente che riscaldato si decompone e perciò non purificabile. Una determinazione di iodio diede numeri i quali concordano sufficien- temente con quelli richiesti dalla formola C,, Hi3 10,. Gr. 0,4300 di sostanza diedero gr. 0,2868 di ioduro d’argento. In cento parti: Calcolato : Trovato li 39 36.04 Trattando in modo analogo due molecole di isomiristicina con una di (3) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica farmaceutica della R. Università di Sassari. (?) Ann. d. Chim. et Phys., XXV, pag. 483. (*) Rimini E. Gazz. Chim. It., 1904, II, pag. 281; 1905, I, pag. 406. (4) Ber. d. Deuts. Chem., 1906, pag. 2421. — 664 — ossido di mercurio e quattro di iodio si ottiene un liquido oleoso che all'ana- lisi risulta isomero del precedente. Gr. 0,5498 di sostanza diedero gr. 0,3380 di ioduro d'argento. In cento parti: Calcolato Trovato li=3179 33.26 Queste due sostanze possono essere rispettivamente rappresentate colle seguenti formole di costituzione: \ (03 CH.) (0 CH) Cs Ho aa CH. cca CH I Sg CH. OH } (O CH») (O CH3) CH. — CH, — CHOH — CH. 1 composto ipoiodoso della miristicina (O, CH:) (0 CH) , H, — CHOH— CHI— CH; composto ipoiodoso dell’isomiristicina Se peraltro per la stessa quantità di isomiristicina e di iodio, si im- piega una quantità doppia di ossido di mercurio si perviene del pari ad un olio denso incoloro; ma di natura ben diversa. Esso ha tendenza a combinarsi col bisolfito, trattato in soluzione alcoo- lica con cloridrato di semicarbazide ed acetato sodico si trasforma in minu- tissimi cristalli abbastanza solubili nell’alcool bollente, dal quale per ripe- tute cristallizzazioni si separano in forma di mammelloncini bianchi fon- denti a 140°. All’analisi si ebbe una percentuale di azoto corrispondente a quella ri- chiesta dal semicarbazone dell’aldeide metossimetilendiossiidratropica: AH=N_-NH—- CO — NH: (0° CH.) (0 CH.) Ce H. SSL Leg CH; gr. 0,139 di sostanza diedero ce. 19 di azoto misurati a 12° e 740 mm. di pressione. In cento parti: Calcolato per Cis His Ns 04 Trovato N= 15,84 15,79 Da questo semicarbazone agevolmente si pone in libertà l’aldeide allo stato puro, liquido oleoso, denso che bolle senza decomporsi a 288°-290°. E che veramente si tratti di un aldeide lo si desume dal fatto che, per trat- tamento con acido benzolsolfidrossilamminico si converte in un acido idros- sammico che con cloruro ferrico dà un intensa colorazione rosso-violetta e con acetato di rame un precipitato voluminoso color vefde bottiglia che, la- — 665 — vato ripetutamente su filtro e seccato nel vuoto sino a costanza di peso, dà numeri che conducono alla formola: NO 7 Nou (0, CH») (0 CH») CH, — CHC \0 4 NOE gr. 0,3520 di sostanza diedero ce. 15,5 di azoto misurati a 12° e 745,5 mm. di pressione. In cento parti: Calcolato per Ci: Hi; NCu0; Trovato È INi—=t205 9,12 Allorquando si ossida l’isomiristicina in soluzione alcoolica si ha una rilevante formazione di acetale, analogamente a quanto ebbe ad osservare Bougault nell'ossidazione dell'isosafrolo, e perciò anche in questo caso è con- sigliabile di preparare l’aldeide idratropica ossidando l’isomiristicina sciolta in etere saturo di acqua. Risulta così confermato anche per mezzo di questo reattivo che nella miristicina e nella isomiristicina si contengono rispettiva- mente una catena laterale allilica e propenilica, conformemente a quanto ha dimostrato uno di noi in due memorie precedenti, servendosi dell’azione del- l'acido picrico, dell'acido nitroso e dall'acetato mercurico. Chimica. — // Zencone in ebullioscopia (£). Nota di E. Ri- MINI e F. OLIvaRrI presentata dal Socio E. PATERNÒ. Sulla grandezza molecolare degli elementi e dei composti inorganici in solventi organici si posseggono oggigiorno numerose ricerche sperimentali. Le prime determinazioni riferentesi ai metalloidi bromo, jodio, solfo e fosforo eseguite da Paternò e Nùasini (°) e ripetute in seguito da Beckmann (*), I. Biltz (4), Hertz (5) e da altri dimostrarono in modo indubbio che ad essi spettano le formole molecolari Brs,1I,,Ss e Pi. In seguito alle ricerche sulla grandezza molecolare dei sali, intraprese da Beckmann (°) in soluzione alcolica, da Werner (”) in piridina, piperidina, (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Farmaceutica della R. Università di Sassari. () Rend. Accad. Lincei (4) 1888, t. IV, pag. 782. (°) Z. £. physik. Chem., 1895, XVII pag. 107. (4) Z. f. physik. Chem,, 1888, t. II, pag. 920. (5) Z. f. physik. Chem., 1890, t. IV, pag. 686. (°) Z. f. physik. Chem., t. VI, pag. 437. (*) Z. f. anorg. Chem., t. XV, pag. 1. — 666 — solfuro di metile, solfuro di etile e in benzonitrile, da Lespieau (*) in etere, da Castoro (*) in uretano, da Garelli e Bassani (*) in ioduro di metilene; risultò che ai sali alogenati di sodio, litio, magnesio, alluminio, ferro, piombo, stagno, cadmio, mercurio e ad alcuni nitrati di questi metalli corrispondono formule semplici; che i sali rameosi sono invece in vario grado polimerizzati e che tutti i composti alogenati dell'argento hanno peso molecolare doppio. Il cloruro di zinco in etere, il cloruro di cobalto e il cloruro rameico in ure- tano sono associati mentre si comportano in modo normale in altri solventi. Recentemente Harry C. Jones (4) ripetendo le esperienze di Dutoit e Friederich (*), e Walden e Centnerszwer (°) nella revisione di un lavoro di Schroeder (") posero in rilievo il fatto che molti elettroliti forti, quali i sali alcalini e il nitrato d’argento, in solventi organici di medio potere dissociante (acetone, piridina) hanno pesi molecolari anche superiori ai teorici il che si spiegherebbe ammettendo una dissociazione e polimerizzazione simultanee oppure l'ipotesi della idratazione formulata da Jones e Getman (8). Meritano altresì menzione le osservazioni di Ramsay (°) sul peso mole- colare dell’ipoazotide in acido acetico e di W. Biltz (‘°) su quello dell’ani- dride arseniosa in nitrobenzolo, in base alle quali venne stabilita la formola doppia per entrambi questi corpi. Allo scopo di portare un contributo alla conoscenza della grandezza mo- lecolare di alcuni corpi inorganici, abbiamo studiato un nuovo solvente ebul- lioscopico, il fencone, che per le sue notevoli proprietà solventi rispetto ad alcuni elementi metalloidici e sali alogenati; per la sua inalterabilità e so- prattutto per la sua elevata costante d’ innalzamento molecolare sì presta assai bene a misure di grande precisione. Le determinazioni vennero eseguite in un comune apparecchio di Beck- mann con mantello di porcellana; la parte immersa della provetta ebulliosco- pica fu isolata con carta d’amianto per impedire il soprariscaldamento del solvente, e il termometro protetto dal calore irradiato per evitare oscillazioni, talvolta non trascurabili, alla colonna di mercurio (!*); e poichè le misure furono fatte in serie, gl'innalzamenti furono corretti tenendo conto della va- . riazione di pressione. (1) C. R., t. CXXV, pag. 1094. (*?) Gazz. Ch. It., t. XXVIII, pag. 317. (3) Gazz. Ch. It; ct. XXXI parteglio: (4) Chem. C. Blatt, 1902, I, pag. 450. (5) Bull. Soc. Chim., Paris 19, pag. 334. È Z. ; physik. Chem., 55, pag. 321. (7) Z. f. anorg. Chem., 44, pag. 1. (8) Z. f. physik. Chem., 46, pag. 244; 49, pag. 385. (9) Z. f. physik. Chem. 4, pag. 441 (1889). (19) Z. f. physik. Chem.. t. 19, pag. 425 (1896). (1!) Bachmann e Dziewonski, Bull. Soc. Chim., Paris 29, pag. 386. — 667 — Tanto per determinare la costante d’innalzamento molecolare, quanto per le altre ricerche, cui si riferisce la presente Nota, furono impiegate sostanze "chimicamente pure ad elevato punto di ebollizione e previamente essicate. Il fencone, ripetutamente purificato, secondo le norme suggerite dal Wal- lach (!), era stabile al permanganato e bolliva esattamente a 192.5° (corr.) Antracene C,,Hio= 178 PE= 360° Solvente Sostanza | Cone 9/5 ! d | 15 or. 18,19 0,2238 | 1,23 0,42 60,7 ” L20452]! 2,49 0,84 60,2 ; 0,6412 3,53 1,182 59,7 gr. 16,73 0,1558 3 0,93 0,30 574 » 0,5512 2,10 0,64 54,2 » 0,5850 3,50 1.06 54,1 gr. 16,33 0,2025 1,24 0,405 58 E) 0,3633 2,23 0,72 97,5 D) 0,5156 3,16 1,02 57,4 media: 57,8 Carbazolo C,. Ho N = 167 PE = 355° gr. 19,46 0,2189 Sl 0,495 | 64,5 ” 0,4296 2,21 0,837 63,1 > 0,6596 3,39 1,252 | 61,7 media: 63.1 Antrachinone C,, Hy 0, = 208 PE—=380°. gr. 17,70 0,1907 1,08 0,915 60,8 ” 0,3949 2:23 0,645 60,3 ” 0,5660 8,20 0,885 57,8 » 0,7382 4,15 1,16 58,2 media: 59,3 Benzile 0 Ho 05 = 210 PE = 947°. gr. 18,62 0,1428 0,77 0,225 61,5 ” 0,2724 1,46 0,435 62,4 ” 0,4361 2:95 0,66 59,1 media: 61,0 (1) Liebig*s Annalen, 268, pag. 131. RENDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 85 — 668 — Come risulta dalle soprariportate tabelle la media dei valori trovati è k= 59,4 costante notevole per un solvente ebullioscopico, prossima a quella di altri terpenoni Mentone (£K= 62,5) e Canfora (XK = 58,5). Applicando la formola empirica di Trouton-Schiff: X=0,00096.T X M in cui T rap- presenta la temperatura assoluta di ebollizione del solvente ed M il suo peso molecolare, si ricaverebbe 4 = 67,9. Sostituendo nella formola di Arrhenius w = 0,027 il valore speri- mentalmente trovato per % ne risulta pel fencone un calore latente di vapo- rizzazione pressochè eguale a 73 Cal. Data la natura chetonica del fencone ed il suo elevato punto di ebolli- zione, è presumibile che i composti ossidrilati presentino fenomeni di asso- ciazione molecolare trascurabili e perciò, anzichè estenderne in questo senso lo studio, approfittando del suo potere solvente, abbiamo determinato il peso molecolare dei seguenti corpi inorganici: S,As:03, As I3, Sb 13, Bi I3, Hg Cl,, Hg Bra, HgI». Nelle tabelle che seguono sono riassunte le misure eseguite: Solfo Sg = 256 PE= 440° Solvente Sostanza cone °/o V| PM gr. 17,64 0,1388 0,79 0,16 292 ” 0,2672 I5i 0,322 280 D) 0,4387 2,49 0,61 242 gr. 20,28 0,1245 0,61 0,14 261 ” 0,2730 135 0,312 256 ” 0,3994 1,97 0,435 269 media: 266 Anidride arseniosa As, 0 = 396 gr. 19,08 0,0895 0,47 0,075 371 gr. 18,25 0,0741 0,41 0,06 402 media: 386 Trijoduro d'arsenico As 1; = 456 PE = 394°-414° gr. 19,66 0,1974 1,005 0,135 442 ” ,9 724 1,89 0,235 479 È) 0,6284 3,20 0,415 457 media: 459 — 669 — Trijoduro a'antimonio SbhIz= 501 PE = 400° gr. 16,17 0,2926 1.81 0,215 500 ”» 0,5806 3,29 0,388 503 » 0,7110 4,40 0,525 498 j media: 500 Trijoduro di bismuto Bi Il, = 589 PE = 439° gr. 17,48 0,1045 0,60 0,06 993 ” 0,2252 1,29 | 0,128 599 media: 596 Cloruro mercurico Hg Cl, = 271 PE = 303° gr. 17,75 0,1982 ol) 0,22 275 ”» 0,3300 1,86 0,35 274 ” 1,6100 9,07 1,91 282 media: 277 Bromuro mercurico Hg Br, = 360 PE=319° gr. 19,20 0,1952 1,02 0,17 355 ” 0,4015 2,09 0,348 357 ” 0,5608 2,92 0,475 365 ” 1,2401 6,47 1,04 369 media: 362 Ioduro mercurico Hg I, = 454 PE= 349° gr. 17,56 0,1608 0,92 0,12 453 ” 0,4621 2,63 0,34 460 ” 0,6751 3,85 0,502 455 ” 0,8698 4,95 0,642 458 media: 456 I valori ottenuti per lo zolfo confermano la formola Sg benchè recente- mente Popoff (!) sperimentando in dimetilanilina e benzolo abbia trovato come valore normale Ss e Timofeieff (2) in soluzione cloroformica S; ed in benzolo valori oscillanti fra S; e Sio. La determinazione del peso molecolare dell'anidride arseniosa coi me- todi osmotici fu eseguita, a quanto ci consta, solo da Biltz ebullioscopica- mente in nitrobenzolo: i nostri risultati in accordo a quelli di questo autore conducono alla formola doppia As, 0;, formola alla quale si pervenne altresì (1) Chem. C. Blatt, 1908, II, pag. 1265. (*) Chem. C. Blatt, 1903, II, pag. 1266. — 670 — per mezzo della densità di vapore. La poca solubilità della sostanza non ci ha permesso di oltrepassare la concentrazione del 0,47 °/. Gl'ioduri di arsenico e degli altri elementi di questo gruppo, antimonio e bismuto, sono invece monomolecolari: le loro soluzioni resistono ad una ebollizione prolungata e non liberano jodio come si può controllare colla salda d’amido. E del pari hanno peso molecolare normale i sali alogenati di mercurio corrispondentemente alle determinazioni eseguite in altri solventi : merita pe- raltro di esser notata la loro solubilità in fencone la quale aumenta dal ioduro al cloruro; il cianuro al contrario è quasi completamente insolubile. Anche lo I, il Br, il P e moltissimi joduri e bromuri, massime se me- talloidici, sono solubili in fencone (Sn I, S: Is, ATI3 ecc.) ciononostante il loro studio non è effettuabile perchè o la sostanza agisce chimicamente sul solvente od ha una tensione di vapore non trascurabile a 192°, oppure pur possedendo un punto di ebollizione sufficientemente elevato, tuttavia finisce col decomporsi per prolungato riscaldamento della soluzione. Biologia. — Contributo allo studio dell’ ibridismo negli Ue- celli. Nota di ALEssanDRO GHIGI, presentata dal Socio 0. EMERY. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Patologia. — Ricerche sperimentali sull'origine dei plasma- tociti (!) (Plasmazellen)(). Nota del dott. UGo CERLETTI, pre- sentata dal Socio L. LUCIANI. Dacchè il Nissl ebbe dimostrato che la principale caratteristica del quadro istopatologico della paralisi progressiva è la infiltrazione di plasmatociti nelle guaine linfatiche perivasali di tutta la corteccia cerebrale, e, in seguito, lo Schroeder ebbe a riscontrare gli stessi infiltrati di plasmatociti intorno ai vasi del midollo spinale nei tabetici, anche da parte degli psichiatri e dei nevrologi si è dato opera a studiare cotesti elementi cellulari, circa i (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Anatomia patologica della R. Clinica Psi- chiatrica di Roma, diretta dal prof. A. Tamburini. (*?) Giustamente il Veratti non ammette la traduzione italiana di Plasmazellen in cellule plasmatiche « questa locuzione essendo ormai prevalentemente usata per indicare le cellule di Waldeyer» e neppure approva la traduzione letterale in. plasmacellule « come poco conforme alle leggi sulla composizione delle parole nella nostra lingua ». — 671 — quali i dermatologi dapprima, e poi una larga schiera di autori, che si sono occupati dei processi flogistici nei varî tessuti, già erano andati costituendo un ponderoso corpo d'indagini. Che le infiltrazioni di plasmatociti in seno ai tessuti rappresentino in generale flogosi croniche, sembra oggi assodato ed è universalmente ammesso, ma, tutt'ora, è sud iudice una questione di grande importanza, perchè dalla sua soluzione dipende quella della patogenesi degli infiltrati e può derivarne nuova luce anche sulla patogenesi di determinate malattie, la questione cioè dell'origine dei plasmatociti. Per la storia delle ricerche su questo argomento, rimando il lettore ai più recenti lavori, specialmente a quelli del Pappenheim, del Nissl e del Veratti, nei quali essa è stata esaurientemente analizzata. Per delineare lo stato attuale del problema, mi basterà dire che, iniziatosi parecchi anni or sono il dibattito fra i due termini opposti: origine istiogena (Unna) e origine ematogena (Marschalkò), non è molto, venivano pubblicati quasi contempo- raneamente i risultati di ampie ricerche, istituite all’uopo, da un lato dal Nissl, dall'altro dal Veratti, nel laboratorio del Golgi, le quali, se arricchi- scono il dottrinale di nuove ed importanti osservazioni, non risolvono defini- tivamente la questione, anzi rafforzano i termini del dissidio, inquantochè il Nissl conclude per l'origine ematogena, il Veratti per l'origine istiogena dei plasmatociti. Il primo e principale sostenitore dell'origine ematogena di cotesti ele- menti fu il Marschalkò, secondo il quale essi altro non sarebbero che « stadî di ulteriore sviluppo progressivo dei linfociti ». Ecco, in riassunto, i princi- pali argomenti, su cui egli fonda questa affermazione: « I. Nei focolai flo- « gistici artificiali, 24 ore dopo l’inizio, fra i linfociti dell'infiltrato vi sono « anche plasmatociti in tale quantità che la loro comparsa non può essere « riferita alle cellule fisse del connettivo. — II. Non mi è riuscito di vedere « le forme di passaggio tra le cellule connettive e i plasmatociti descritti « da Unna, mentre sono frequentissime quelle fra linfociti e plasmatociti. — « INI. La localizzazione dei plasmatociti nell’infiltrato cellulare fiogistico de- « pone per la loro natura linfocitaria. — IV. Nei processi di riparazione « asettici intorno a corpi stranieri innestati nei tessuti, mancano affatto i Così egli, nel suo lavoro, riproduce sempre, in corsivo, la locuzione tedesca. Il vocabolo plasmacellule fa adoperato per comodità, inquantochè rende immediatamente il concetto, e se io pure l'ho fatto, pur riconoscendone l’eterogenea composizione, dal greco e dal latino, ciò fu solo perché anche il vocabolo tedesco non va immune da questo difetto. Ma, poichè ora è stata sollevata la questione filologica, mi conviene prendere un partito, e, alla fastidiosa ripetizione del vocabolo tedesco in testo italiano, preferisco sostituire una nuova versione: Plasmatociti. — 672 — « plasmatociti. — V. Provocando la leucocitosi artificiale nei conigli (intro- « duzione di proteine batteriche nella via sanguigna, ad es. iniezione sotto- « cutanea di tubercolina), dopo 24 ore si osservano numerosi plasmatociti « nella polpa splenica e anche nei relativi vasi sanguigni. — VI. Il metodo « di colorazione del Biondi depone parimenti per la natura leucocitaria dei « plasmatociti, poichè i nuclei delle cellule fisse del connettivo coloransi in « violetto, mentre i nuclei dei plasmatociti e degli altri leucociti si colorano « nettamente in verde ». Nessun altro argomento veramente essenziale aggiunsero a questi i nu- merosi autori che, in seguito, aderirono alle vedute del Marschalkò (Schott- linder, Endelen e Justi, Krompecher, Dominici, Schlesinger, Else von der Leyen, Ziegler K. etc.) sì che mi basta di riferire qui dell'ultimo, importante lavoro del Nissl, in cui la questione è ampiamente trattata, alla luce di nu- merose e diligenti osservazioni su varî tipi di lesioni sperimentali nella cor- teccia cerebrale. Quanto più direttamente riguarda il nostro assunto è stato osservato dal Nissl nella corteccia cerebrale del coniglio, dopo l'innesto di culture pure di bacilli tubercolari. Già tre giorni dopo l'innesto, molti vasi san- guigni, intorno al focolaio, presentano un rivestimento di plasmatociti. Or- bene, in questi casi « quando, cioè, si costituiscono i rivestimenti perivasali di plasmatociti », il Nissl riscontra « nel sangue circolante, tutte le forme di passaggio tra i grandi e piccoli linfociti ed i tipici plasmatociti, pur riscon- trandosi, in tali casi, soltanto eccezionalmente (ausserordentlich selten) i tipici plasmatociti del Marschalkò ». Negli infiltrati periavventiziali, poi, non solo si osservano le forme linfocitoidi, già segnalate nel sangue circo- lante, come pure i più tipici plasmatociti del Marschalkò, ma anche un gran numero di elementi intensamente colorati, che rappresentano tutte le forme di passaggio fra i due tipi suddetti. Il Nissl conclude che, riguardo all'origine dei plasmatociti « la bilancia propende a favore dell’origine ematogena... i plasmatociti, cioè, derivereb- bero dai grandi e piccoli linfociti, i quali, in condizioni patologiche si radu- nerebbero in gran numero nel sangue dell'organo ammalato, emigrando nelle guaine avventiziali, ed ivi si trasformerebbero in tipici plasmatociti ». Resta ancora in sospeso, secondo il Nissl, la questione se anche i grandi leucociti mononucleari possano prender parte alla formazione dei plasmatociti. Unna, il primo che ha individualizzato, nei tessuti di granulazione, i plasmatociti dagli elementi linfocitarî e dalle cellule fisse del connettivo, è stato anche il primo e il più strenuo sostenitore della loro origine istio- gena. Anche recentemente li definiva come « cellule del connettivo estre- mamente cariche di granoplasma » ('). (1) Secondo Unna, nel protoplasma di tutte le cellule connettive ed epiteliali esiste | | | | I i ìi il — 673 — L'opinione di Unna è appoggiata essenzialmente alla dimostrazione di numerose forme di passaggio tra le cellule fisse del connettivo ed i plasma- tociti e ad essa hanno aderito numerosi autori (Ehrlich Leo, Borsellini, Pappenheim, Veratti). Qui mi limito a riferirmi al compendioso lavoro del Veratti, il più recente. Il Veratti descrive minutamente svariate forme di passaggio tra le cel- lule fisse del connettivo ed i plasmatociti. Egli ha osservato, in focolai di tubercolosi cutanea, che, mentre coteste forme di passaggio erano numerose, non se ne poteva trovare alcuna fra plasmatociti e linfociti, pur essendo questi ultimi accumulati in uno strato contiguo ai primi. Nello spessore di tronchi nervosi prossimi al focolaio, egli ha riscontrato plasmatociti, mentre mancavano affatto i linfociti. In focolai di tubercolosi sperimentalmente pro- vocati nel fegato, osservò plasmatociti in un'epoca anteriore a quella della comparsa dei linfociti. Nella tubercolosi sperimentale del cervello, il Veratti descrive ancora forme di passaggio: cellule, affatto simili ai fibroblasti, ca- riche di granoplasma. E, in varî casi, riscontrando egli le note infiltrazioni perivasali di plasmatociti, senza neppure un linfocita, ne deduce non po- tersi ammettere, per i plasmatociti, altra origine che dalle cellule avventi- ziali (1). Il Veratti conclude che « l'osservazione dei fatti deve far propendere « per l'origine istiogena delle Plasmazellen », le quali sarebbero da interpre- tarsi « come una forma particolare, probabilmente transitoria, che elementi « fissi del connettivo assumono sotto l’ influenza di speciali stimoli. .. Nella « formazione delle Plasmazellen hanno un'importanza preponderante gli ele- « menti connettivi che stanno attorno ai vasi, Adventitialzellen di Marchand «0 cellule simili ai clasmatociti di Maximow » (?). uno spongioplasma alveolare, nei cui alveoli giace un granoplasma, sostanza indistinta- mente granulare (amorphkòrnig), colorantesi intensamente con i colori basici di anilina, specie col bleu policromo, la pironina ecc. (1) In molti casi di paralisi progressiva, è facile riscontrare plasmatociti addossati alle pareti dei più esigui capillari della corteccia cerebrale. A mio avviso, è da chiedersi come ivi cotesti plasmatociti abbiano potuto prodursi, dappoichè i capillari in questione addimostransi costituiti dal solo epitelio. (2) Non potendo qui addentrarmi in un esame minuto della letteratura in proposito, accenno appena alle varianti dei due termini opposti: origine ematogena ed origine istio- gena; a quella ad es. recata da Porcile e da Schridde, i quali, applicando la dottrina del Ribbert sulla genesi dell’essudato, ammettono che i plasmatociti derivino da linfociti, ma. non da quelli circolanti nel sangue, sibbene da linfociti che normalmente formerebbero pic- coli aggruppamenti perivasali (specie di microscopici follicoli linfatici). Una concezione molto analoga, sulla formazione dei plasmatociti, è sostenuta in Italia dalla scuola del Foà. Sorvolo anche sulle opinioni intermedie di Joannovicez, Almkvist, Maximow, i quali, per varie vie, giungono ad assegnare ai plasmatociti una duplice origine: ematogena ed istiogena. li — Molto opportunamente osserva il Veratti nel suo lavoro: « Nella que- « stione che ci occupa, come sempre quando sì tratta di determinare l'ori- « gine di una data categoria di elementi o la via da essi seguita nelle loro « successive trasformazioni, senza che alla trasformazione stessa sia possibile « di assistere colla osservazione diretta, è vano sperare di arrivare a. racco- « gliere delle prove di valore assoluto ». E, infatti, che i giudizi circa l’ori- gine di un elemento, in base alle forme di passaggio, possano essere fallaci, ce lo dimostra senz'altro l'odierno dissidio fra i due autori, il Nissl e il Veratti, che, ultimi, si sono occupati dell'origine dei plasmatociti. L'uno e l’altro portano come argomento principe a sostegno della lor tesi la dimo- strazione delle forme di passaggio, ed è significativo che, servendosi dello stesso criterio, siano giunti a conclusioni diametralmente opposte. Il fatto potrebbe spiegarsi soltanto ammettendo che tutti e due siano nel vero, am- mettendo cioè la duplice origine dei plasmatociti, ma ciò resta sempre a dimostrarsi. La pregiudiziale del Veratti si applica, parimenti, al metodo dell’osser- vazione cronologica della comparsa dei linfociti o dei plasmatociti nei focolai morbosi provocati sperimentalmente, per quanto essa venga eseguita a brevi distanze di tempo, perchè, sia pure in proporzione molto diversa, cotesti ele- menti vi si trovano sempre commisti. Rimane, molto suggestiva, l'accertamento fatto dal Nissl, della pre- senza di alcuni plasmatociti nel lume dei vasi prossimi a focolai tuberco- lari, ma, alla interpretazione di questo fatto, Unna, combattendo i concetti del Marschalkò, aveva precedentemente obbiettato, ammettendo che, come i linfociti entrano nel sangue dalle glandole linfatiche, così i plasmatociti pos- sano dai plasmomi (infiltrati. plasmatocitarî) penetrare nelle vie linfatiche ed anche nel sangue, per disfacimento del tessuto collageno. Dal canto mio, non so spiegarmi perchè i numerosi autori che hanno trattato la questione, ab- biano trascurato una via di ricerca. accennata dal Marschalkò ed è quella della linfocitosi sperimentale. Io sono entrato per questa via casualmente, mentre attendevo ad altre ricerche, ricavandone risultati che credo non privi d’ interesse. Nel procedere ad una serie di esperimenti sulle proprietà del siero di sangue dei dementi paralitici, ho potuto osservare che la diretta iniezione di pochi centimetri cubici di cotesto siero nel torrente circolatorio dei co- nigli, vi provoca un notevole aumento di globuli bianchi del sangue. Esten- dendo le mie ricerche col siero di sangue d'individui affetti da altre forme di alienazione mentale (epilessia, demenza precoce ecc.), ed anche col siero di sangue di individui normali, ho veduto ripetersi costantemente il fenomeno. — 675 — Non è qui il luogo di riferire dettagliatamente circa queste ricerche, che sono tutt'ora in corso; mi limito ad accennare sommariamente ai risul- tati di ripetute numerazioni dei globuli sanguigni, eseguite su 30 conigli iniettati con siero di sangue normale e con siero di individui affetti da varie forme d'alienazione. In tutti i casi, l'iniezione nelle vene del coniglio di 3-8 cme. di siero di sangue umano, dà luogo ad una diminuzione del nu- mero dei globuli rossi e ad un rilevante aumento dei globuli bianchi del sangue. Non ho ancor definitivamente fissate le leggi di cotesta emolisi che, in seguito all’iniezione del siero dei paralitici, sembra protarsi per un tempo maggiore che non negli altri casi; l'aumento dei globuli bianchi si manifesta assai rapidamente e sembra raggiunga il suo mazimum 2-4 ore dopo l'inie- zione (1). I comuni preparati del sangue, allestiti con l’essicazione, fissazione in alcool assoluto, colorazione con ematossilina-eosina, miscela triaciGa del- l'Ehrlich ecc., mi fecero rilevare la presenza di numerosi leucociti polinu- cleari e di un numero ancor maggiore di forme che potevano interpretarsi per grandi linfociti mononucleari. Sorvolo anche sulla determinazione del numero rispettivo di questi elementi, non avendo tutto ciò un diretto inte- resse con l'argomento di questa Nota. Invece, procedendo all'esame microscopico del cervello dei miei conigli, ebbi subito a notare nel lume dei vasi sanguigni endocerebrali e meningei, una serie di elementi cellulari, sui quali conviene soffermarci alcun poco. Giacchè, a parte le modalità di tempo e di intensità della reazione, che non è qui il caso di precisare, gli stessi fatti si verificano sia dopo l'iniezione di siero normale, che dopo l'iniezione di sieri tratti da individui affetti da varie forme di malattia mentale, mi dispenso qui dall’indieare caso per caso. volta per volta, le precise condizioni dell’esperimento. Esaminando la corteccia cerebrale dei conigli iniettati, secondo ho sopra indicato, in preparati allestiti col metodo del Nissl, col metodo al bleu po- lieromo di Unna, con la colorazione alla toluidina e col metodo al verde di metile e pironina di Unna-Pappenheim (fissazione in alcool a 98°, sezioni al microtomo senza inclusione), è facile riscontrare nel lume dei vasi san- guigni i più tipici plasmatociti. È superfluo che m'attardi a stabilire a mia volta il tipo di questi elementi, perchè, in uno stesso preparato, si trovano le forme più diverse di plasmatociti, tali da soddisfare a tutte le descrizioni che ne hanno dato i varî autori. Troviamo, così, i plasmatociti secondo li descrive Unna nelle flogosi della () Analoghe iperleucocitosi ha provocato recentemente od, mediante iniezioni di sieri eterogenei e di svariati sieri citotossici. Queste importanti ricerche volgono essen- zialmente sulle modificazioni che tali sieri inducono negli organi ematopoietici: l’A., però, non fa accenno di sorta ai plasmatociti e parla esclusivamente di linfociti e di mo- nonucleati basofili. Renpiconti. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. © 86 — 676 — cute: « Cellule ipertrofiche da un lato, in cui la parte granulare del proto- plasma è massimamente aumentata... Per la compressione dei tessuti cir- stanti, la forma per lo più è cubica: il nucleo, ovale, spesso trovasi da un lato del citoplasma e apparisce, con le colorazioni protoplasmatiche, come un campo più chiaro nella cellula intensamente colorata in bleu... In al- cune cellule, il protoplasma è totalmente colorato in bleu carico, in altre il colore blen manca a tratti, sì che si vede il delicato reticolo dello spongio- Ff RATA Li] al prapeti i El ZII È Fic. 1. — Iniezioni con siero F16.2. — Iniezioni con siero Î di demente paralitico (Me- di epilettico (Metodo di todo del Nissl). Unna-Pappenheim). plasma e si osservano i resti del colore in forma di punticini o granuli ». |, Tali, nei vasi cerebrali dei miei conigli, v. figg. 2, 5, 6, 7. Troviamo altresì plasmatociti che rispondono perfettamente alla descrizione del Marschalkò: « Quando trovansi isolati, hanno per lo più una forma ro- ll tonda od ovale, quantunque anche in questi casi, specialmente i più grandi Ì esemplari, presentino una forma più irregolare, poligonale. Il nucleo per lo | più é eccentrico. Caratteristica la disposizione peculiare, ineguale del proto- | plasma, per cui, sospinto verso la periferia della cellula, conferisce all’orlo cellulare il mazimum di colorazione. In mezzo al citoplasma, però, rimane uno spazio chiaro... Il protoplasma non presenta struttura uniforme; in moltissimi casi apparisce ammassato, conglomerato (cusammengebailt) come I spezzettato =. Tali, nei miei preparati di vasi cerebrali, v. figg. 1, 9, 4, 5, il to) ORITOISE i — 677 — In tutti i miei preparati e specialmente in alcuni conigli, i quali, pro- babilmente causa l’incompleta defibrinazione del siero iniettato, ebbero a morire di emoglobinuria, insieme ai descritti caratteristici plasmatociti, sì trovano, molto numerosi, elementi a nucleo grande ovale o rotondo, conte- nente 2-5 grossi granuli cromatinici, munito di un cercine protoplasmatico intensamente colorato. Nel protoplasma, quasi sempre, si scorge un vacuolo (v. fig. 5. 6) e, non di rado, più vacuoli delimitati da un sottile, ma di- stinto trabecolato (v. fig. 2, 7). Fic. 3. — Iniezioni con siero Fic. 4. — Iniezioni con siero di demente paralitico (Me- di demente paralitico (Me- todo del Nissl). todo del Nissl). Molti fra questi elementi mi sembra coincidano con quelli designati dall’ Unna col nome di Plasmatochterzellen « con nucleo relativamente grande e con protoplasma a cercine sottile, regolare, intensamente colorato », nè man- cano nei miei preparati forme assimilabili a quelle dallo stesso autore denomi- nate « afrophische Plasmazellen », in cui « per scomparsa del granoplasma e spezzettamento delle maglie che portano il granoplasma, il cercine appa- risce irregolare e dentellato ». Forme molto analoghe a quelle ora descritte, solo col cercine di proto- plasma assai più ridotto ed il nucleo più regolarmente tondeggiante, vi si — 678 — trovano frammiste: nel loro scarso protoplasma non è rara la presenza di uno spazio chiaro (vacuolo?); esse sono identificabili con i grandi linfociti. I piccoli linfociti, invece, nei vasi cerebrali dei conigli iniettati sono scarsi e, parimenti, assai scarsi vi sono i leucociti mono - e polinucleari. Ho ancora a segnalare, nei vasi cerebrali, la presenza di numerosi eri- trociti più grandi dei normali, carichi di granuli sferici di. varie dimen- Fic. 5. — Iniezioni con siero Fr. 6. — Iniezioni con siero di demente paralitico (Me- di individuo normale non com- todo del Nissl). completamente defibrinato. (Emoglobinuria!) (Bleu poli- cromo di Unna). sioni: alcuni quasi impercettibili, altri grossi fino a raggiungere un dia- metro = 1/3 -!/; di quello del corpuscolo rosso, distintamente colcrantisi col bleu di metilene. (V. Marchiafava e Celli, Smith e Kilborne etc.). Non rare anche le forme di globuli contenenti numerosi anellini più o meno tondeggianti, spesso allungati a clava e disposti a mo’ di stella nel mezzo del globulo stesso ('). (®) Non ho mai riscontrato tipici plasmatociti nelle guaine avventiziali dei vasi cere- brali, anche in conigli che avevo sottoposto ad iniezioni quotidiane di siero, sia di pa- ralitici che di altri malati, durante 40 giorni; (in totale 210 e più cme.). Vi ho bensì riscontrato elementi a grosse sranulazioni basofile, su cui tornerò in altro mio lavoro. — 679 — Non essendo riuscito a mettere in rilievo con soddisfacente chiarezza gli elementi sopra descritti nei comuni preparati di sangue, ho legato in «due punti le vene cave dei conigli appena uccisi e, dopo aver esciso la por- zione della vena compresa tra le due legature, l'ho fissata direttamente in alcool assoluto, includendola, poi, in celloidina, e ne ho allestito preparati col bleu policromo di Unna, con la toluidina e col metodo di Unna-Pappen- Fic. 7. — Iniezioni di siero di in- Fic. 8. — Iniezioni di siero di de- dividuo normale (Metodo Unna- mente paralitico (Metodo di Unna- Pappenheim). Elementi riscontrati Pappenheim). Sezione d’un coagulo nella vena cava inferiore. sanguigno estratto dal cuore. heim. Con lo stesso procedimento, ho preparato coaguli sanguigni estratti dai grossi vasi e dal cuore, qualche ora dopo la morte degli animali. Nella massa sanguigna così trattata, ho messo in rilievo con la mas- sima evidenza tutte le forme cellulari già descritte, specie i plasmatociti edi grandi linfociti, nonchè, in uno stesso preparato, tutte le forme intermedie fra queste due forme (v. figg. 7, 8). Infine, con gli stessi metodi, ho colorato sezioni del midollo del femore (alcool assol., celloidina) e, dello stesso, preparazioni sul vetrino fissate in alcool, nonchè sezioni della milza e di ghiandole linfatiche del collo (alcool assol., senza inclusione) dei conigli iniettati e, per controllo, di conigli normali. Nel midollo osseo dei conigli iniettati sì mettono bene in rilievo, spe- cialmente col metodo di Unna-Pappenheim, numerosissimi elementi mono- nucleari, a grosso nucleo chiaro, ricco di granuli cromatinici e a protoplasma — 630 — basofilo, recante spesso i vacuoli descritti negli elementi analoghi circolanti nel sangue. Non manca qualche tipico plasmatocita. Nella w/sa degli stessi conigli, i plasmatociti, che già normalmente vi si trovano, sono notevolmente aumentati di volume e di numero, soprattutto in una sona periferica ai cor- puscoli del Malpighi, e presentano frequentissime figure cariocinetiche. Nelle ghiandole linfatiche, si osservano abbondantissimi i più caratteristici plasma - tociti, specialmente accumulati nei cordoni e nei seni linfatici. Tutti questi fatti stanno a denotare una grande attività negli organi ematopoletici, con ricca produzione di speciali elementi basofili e di veri e proprî plasmatociti. Se queste forme rappresentino diversi stadî di una specie unica di elementi, ovvero appartengano a specie diverse, e, nel caso, a quale degli organi ematopoietici spetti precipuamente la produzione degli uni e degli altri, sono problemi che soltanto ampie e sistematiche ricerche 44 hoc potranno risolvere. Dal complesso delle mie ricerche sugli organi ematopoietici, io traggo soltanto una conclusione a conferma di quanto ammette il Foà, che cioè « spesso i tre organi ematopoietici rispondono simultaneamente con la loro aumentata attività ad un medesimo stimolo che circoli nel sangue ». L’aver provocato, entro brevissimo tempo, la comparsa dei plasmatociti nel sangue circolante e l’averne dimostrata la contemporanea presenza, in maggiore o minor copia, negli organi emafopoietici, che, insieme, sì addi- mostrano stimolati a grande attività, mi sembrano prove sufficienti per affer- mare che, almeno nei miei esperimenti, i plasmatociti hanno una origine schiettamente ematogena. 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Ti- bingen, 1904. 8°. Forcx K. — Beitrige zur Kasuistik der Pfihlungsverletzungen des Beckens. Tiibingen. 1905. 8°. GorrLIca M. — Ueber die Dauerresultate der Saphenannterbindung bei der Be- handlung der Varicen. Tiibingen, 1904. 8°. Guregunst 0. — Ein Fall von Cylindrom der Highmorshéhle. Rudolstadt, 1904. 8°. Harry A. — Die Rechtsstellung des Er- stehers bei Vermietung oder Verpach- tung des Versteigerungsgrundstiicks, Borna-Leipzig, 1904. 8°. Have G. — Beitrag zur Statistik der Ha- senseharten. Tibingen, 1904. 8°. HerRMANN H. — Messung der Wellenlin- gen roter Linien in einigen Bogen- spektren. Stuttgart, 1904. 8°. HrypEe M.— Ein Beitrag zur Frage der bin- degewebsbildenden Fahigkeit des Blut- gefissendothels. Rudolstadt, 1904. 8°. HoLm 0. — Ein Fall von primaren Sar- kom der Leber. Rudolstadt, 1904. 8°. n= parttene — 704 — HornstEIN F. — Verletzungen des Auges durch Kupfer-und Messingsplitter. Tù- bingen, 1905. 8°. IcersHEIMER F. — Ueber den Blutdruck bei T'uberkulòsen. Tibingen, 1904. 8°, IacoB F. -- Careinommetastase in den Lymphbahnen der Leber nach Magen- krebs. Rudolstadt, 1904. 8°. IoHANNSsEN T. — Ueber die Reduktions- kraft aseptisch entnommener Organe, Rudolstadt, 1904 8°. KLaus R. — Die Knochenbriiche aus den Jahren 1896-1903, mit besonderer Be- riicksichtigung der Rentenverhiiltnisse. Tuùbingen, 1904. 89, KxnòLL W. — Ueber chlorierte und bro- mierte Molybdinate, iber bromierte Molybdinite und iber einige ihnen zu Grunde liegende Siiuren, Leipzig, 1905. 8°. Kock H. — Ein Fall von ausgebreite- ter Pneumokokkeninfektion. Tùbingen, 1904. 8°. KocH T. — Zur Frage der Zuckerbilbung aus Eiweiss. Tiibingen, 1904. 8° KuozkowskI (T. von) — Unterurehungen iiber das Phenylhydrazon des Formy- lessigesters. Wiirzburg, 1904. 8°. Kurz F. — Ueber das episklerale Mela- nom. Tibingen, 1905. 8°. LapenpurGeR W. — Sechs Fille von 0- steomalacie. Tibingen, 1904. 8°. LanpERER H. — Beitrag zur Kenntnis des Korsakowschen Symptomenkompleses. Tibingen, 1905. 8°. Lane P. — Ueber den Bau der Hydrachni- denaugen. Jena, 1905. 8°. LercHEnTHAL R. — Ueber Uterussarkom. Augsburg, s. a. 8°. Lewkowrrz H. — I. Wasserstoffsuperoxyd, Ueberschwefelsiure und Benzolsulfo- peroxyd. — II. Ueber Fluorhydrate einiger Anilide und substituierten A- niline. Leipzig, 1905. 8°. MaaG W. — Ein Fall von Osteoidtumor in der Muskulatur des Oberschenkels, Rudolstadt, 1904. 8°. Mauz P. — Physikalisch-chemische Unter- suchungen tiber Alkeloide. Stuttgart, 1904. 8°. MiLpenseRGER A. — Sind im Sehnerven des Pferdes Centralgefàsse vorhanden ? Tibingen, 1905. 8°. Mincramm G. — Ueber die lupòse Ver- kritppelung und Verstimmelung der Finger und Zehen. Tiibingen,. 1904 89. MiLuer R. — Untersuehungen iber Gips. Berlin, 1904. 89, NapoLskI (A. von) — Beitrag zur Keunt- vis der Gesteine der Republik Hon- duras. Leipzig, 1904. 8°. OserDORFER R. — Die vulkanischen Tuffe des Ries bei Nérdlingen. Stuttgart. 1904. 8°. Orto W. — Ueber die Genese der gemu- inen Cysten der Milz. Rudolstadt. 1904. 8°, PrerLstIckeR W. — Ueber einen Fall von Osteomalacia carcinomatosa infolge von Mammacarcinom. Rudoltladt, 1904. 805 RaetraEeRr M. — Ueber die Einwizkung verschiedener einwertiger Alkohle auf sensible Nerven und Nèrvenendigun- gen. Tibingen, 1905. 8°. ReutHE F. — Untersuehungen iber For- mylbernstein siureithylester und Akon- sure. Wurzburg, 1904. 8°. RicateR P. — Die Veriinderungen in die Bauchhéhle implantierter Organe in ihren Beziehungen zur fettigen Dege- neration. Rudolstadt, 1904. 8°. RupoLpÒ F. — Die Entwickelung der Lan- deshoheit in Kurtrier. Trier, 1905. 8°. ScneroLn E. — Ueber die Verwendung der Killian'schen Bronchoskopie bei der Pneumotomie. Tibingen, 1904. 8°. Scamip H. — Ueber chronische himorrha- gische Pericarditis. Rudolstadt, 1904. 3% ScunemERHAN E. — Die Umgebung von Bebenhausen. Stuttgart. 1904. 8°. ScHòrrLeR H. — Beitrige zur Kenntnis der Oxallivulinsiureester. Wirzburg, 1905. 8°. ScaumaczeR K. — Beckenerweiternde O- perationen. Tiibingen, 1904. 8°. Scawarz H. — Ueber die Auswiirflinge von kristallinen Sehiefern und Tiefenge- — 705 — steinen in den Vulkanembryonen der Schwabischen Alb. Stuttgert, 1905. 8°. _ SteseRT E. — Ueber den Phtalylacetessi- gester und iber einige Kondensationen desselben mit mehrwertigen Pheno- len zu Cumarinderivaten. Tibingen, 1904. 8°. SpeipeL K. -- Die Augen der Theologie Studierenden in Tibingen. Leipzig, 1905. 8°. StarceR E. — Ueber die Centralgeftisse Sehnerven unserer einheimischen Un- gulaten. Tiibingen, 1905. 8°. StrREIB W. — Die Augen der Schiiler und Schilerinnen der Tibinger Schulen. Tibingen, 1904. 8°. WricuseL G. — Unterbindung der Nieren- gefiisse zum Studium der fettigen De- generation. Rudolstadt, 1904, 8°. WrIsswance W. — Einwirkung starker Tertiîrbasen auf die Chloride einiger organischen Siuren. Tibingen, 1904. 8°. WoxnLica E. — Ueber eine Synthese von «-und y-Oxychinolinen aus Acidylde- rivaten des Orthoamidopropiophenon. Kondensation von p-Bromphenylessi- gester mit Ameisensiuretithylester. Wiirzburg, 1905. 8°. Wren H. — Synthese von Aryl Nitrometha- nen und Stilbenderivaten. Wirzburg, 1904. 8°. E. M. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. ° Serie 1* — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. | Serie 2* — Vol. L (1873-74). È Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 8* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. i Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TransuNnTI. Vol. I-VIII. (1876-84). ‘Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HII-XIX. pri sli te cl Ri ia 7 Vol. I-XIIL Serie 4* — RenpIiconTI Vol. I-VII. (1884-91). Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della (Classe. di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XVI. (1892-1907). Fasc. 8°. RENDICONTI della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1906). Vol. I-VI. Fasc. 1°-11°. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Fasc. 4°. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE ) AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche ‘e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte ai mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. «Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta Ftalia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Tormo e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napo. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MemoRIE della Classe do scienze morali, storiche e filologiche. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. RENDICONTI — Aprile 1907. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 aprile 1907. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESEN''A'l'E DA SOCI Fischer. Fenomeni di abrasione sulle coste dei paesi dell'Atlante . . . . . +... Pag. Todaro. Sopra un particolare organo di senso delle Salpidae |. ././. 0.0... 9 Lo Bianco. L'origine dei barbigli tattili nel genere Mullus . . . ; G Riso] Giglioli e Quartaroli. Della probabile azione enzimica nel promuovere ducale di acqua e pressioni osmotiche nei tessuti vegetali. . . . . . Ò TREIA) Berzolari. Sopra la configurazione di Kummer e il suo intervento 0 uni nt cubiche gobbe (pres. dal Socio Segre) (it... . } » Bagnera e De Franchis. Sopra le stperficio ida cho Han iS conii del Conto generico esprimibili con funzioili meromorfe LANE periodiche di due parametri (pres. dal Corrisp. Enriques) . i 5 RED Cipolla. Sulla risoluzione apiristica delle congruenze ‘bin GR dal Ciap Venti). ” ill Fubini. Sugli integrali multipli (pres. dal Socio TNA A Sn ” i Marcolongo. La teoria delle equaziotii integrali e le sue applicazioni di. Pisica- dinbetnatica (pres. dal Socio Cerruti) (©) Ri î î RR) Niccolai. Sulla resistenza elettrica dei metalli fra ‘lemngialaie Oi alto e sibito basse (pres. dal Corrisp. Bat/ella) (). rit. - OSSIA Puccianti. Misure di viscosità sopra i cristalli fuidi del Lonati mute dal Socio dti) (*) » Eredia. Dell’ influenza della catena degli Appennini sulla distribuzione della pioggia nell'Italia il centrale (pres. dal Socio Millosevich) sE È È ” ll Zappa. Sullo spostamento che la marea dell'Adriatico può cagionare Ai ‘strie dell Os- ill || servatorio astronomico di Padova (pres. Id.) |. . .. . e, i] Lovisato. Giacimento di minerali di tungsteno a Genna Cna al limiti te Nunti ed Orroli (Cagliari) (pres. dal Socio Struve). . . ) LIRE Regia CA Rosati. Rocce ligure raccolte ‘presso Murialdo (e MI A SI TA I] Barbieri. Sopra un nuovo metodo di preparazione dei sali cerici e sal ate cerico (pres. dal Socio Ciamician) . +. : e) Bellucci e Clavari. Nuove ricerche sulssido superiore di nihehe (asti dal Socio Can- nizzaro) . . . MS I Id. e Carnevali. Sui SÙ di Roussif a. mM. SITE oo Mazzucchelli. Sugli idrati del fiuorurò di alluminio (pres. dal Socio Paternò) fo Seo Rimini e Olivari. Sulla miristicina/(nast /4.) 2/00 Id. id. Il Fencone in ebullioscopia (pres, /d.). . . . . SO, Ghigi. Contributo allo studio dell’ibridismo negli Uccelli (he dal Sosio “Buen è. n Cerletti. Ricerche sperimentali sull'origine dei plasmatociti (Plasmazellen) (pres. dal Socio!" Luciani). RUI ee o BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ‘6; he 0 RI e en a ERRATA CORRIGE A pag. 491 lin. 30 (Nota Zizzoni e Bongiovanni), invece di: emanazioni emesse dal radio, N leggasi: radiazioni emesse dal egdio. (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. ‘roma 5 maggio 1907. N. 9. ATTI | DELLA ANNO CCCIV. 907 SFErEg Es); UE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 maggio 1907. Volume XVI. — Fascicolo 9° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEI. CAV. V. SALVIUCCI 1907 \ REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ritmata ne} o = l UO I " Na; re” Along] Muse jb AÉ ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE DÈ Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- | siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono te Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, | due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da. Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50. agli estranei: qualora l’autore ne desideri un .. numero maggiore, il sovrappiù della spesa è. posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- . | sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- | demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso |. varte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I_L 1. Le Note che oltrepassino i limiti indio cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci c. da Corrispondenti. Per le Memorie presentate. da estranei, la Presidenza nomina una Com missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se: guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 1) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre cedente, la relazione è letta in seduta pubblica. nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è . data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. o 5.L’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- | tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più | cho fosserichiesto. è raessa 2 carico degli antori RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. n DANN Seduta del 5 maggio 1907. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle trasformazioni delle superficie appli cabili sulle quadriche. Nota del Socio Luci BIANCHI. 1. Le ricerche, che da varî anni vado proseguendo, sulle superficie deformate per flessione delle superficie di secondo grado avevano per iscopo di costruire, per le superficie applicabili sulle quadriche generali, una teoria delle trasformazioni perfettamente analoga a quella ben nota delle deformate della sfera reale od immaginaria, cioè delle superficie a curvatura costante positiva o negativa. Ho risoluto dapprima il problema per due classi particolari di quadriche, quella delle quadriche rotonde e quella dei para- boloidi ('). Col sussidio delle proprietà geometriche osservate in questi casi particolari, ho potuto poi estendere le mie ricerche alle quadriche generali, e in due successive Note: Sur la déformation des quadriques, apparse nei Comptes Rendus de l’Académie de Paris (2), ho esposto i principali risul- tati della mia ricerca. Ulteriori studî sull’argomento mi hanno recentemente condotto a com- pletare e semplificare quei metodi di trasformazione, per modo che lo scopo a cui miravo può dirsi ormai pienamente raggiunto e la teoria costruita (1) V. le mie Memorie: Teoria delle trasformazioni delle superficie applicabili sulle quadriche rotonde, Memorie della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL), serie 3, t. XIV (1905); Z'eoria delle trasformazioni delle superficie applicabili sui pa- raboloidi, Annali di matematica, serie 3%, tomo XII (1906). (3) T. 142 e 143, 5 mars et 29 octobre 1906. RenpIconTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 90 — 708 — offre ora il medesimo grado di semplicità e di sviluppo come quella parti- colare delle trasformazioni delle superficie a curvatura costante.. Nella presente Nota darò soltanto gli enunciati delle principali propo- sizioni della nuova teoria, riserbando ad un'ampia Memoria, che sto prepa- rando, gli sviluppi e le dimostrazioni. 2. L'elemento geometrico essenziale per le trasformazioni delle super- ficie a curvatura costante è fornito, come ben si sa, da una particolare classe di congruenze rettilinee, le cui due falde focali hanno la medesima curva- tura costante e sono per ciò applicabili l'una sull'altra e sopra una mede- sima sfera. Queste congruenze sono congruenze W, cioè sulle loro falde focali sì corrispondono le linee asintotiche (i sistemi coniugati). Ma il fatto più importante sul quale si fonda la teoria di queste trasformazioni consiste in ciò che: ogni superficie S di curvatura costante dà luogo ad 00° congruenze della detta specie, di cui S è la prima falda focale; le seconde falde focali S, dànno allora le superficie trasformate. Colla muova teoria estendiamo questi risultati alle deformate di tutte le quadriche, dimostrando che se alla sfera si sostituisce una qualunque quadrica Q sussistono ancora i medesimi fatti fondamentali, e cioè in primo luogo: esistono infinite congruenze rettilinee W (dipendenti da due funzioni arbitrarie) le cui due falde focali sono applicabili sulla quadrica Q. Preci- siamo il grado di arbitrarietà di queste congruenze col seguente teorema fondamentale: A Teorema A). Ogni superficie S applicabile sopra una quadrica ® appartiene, come prima falda focale. ad una doppia infinità di congruenze rettilinee W, le cui seconde falde focali S, sono applicabili sulla mede- sima quadrica Q. Il passaggio dalla deformata iniziale S della quadrica Q ad una qua- lunque delle nuove S, dà una delle o° rasformazioni della S che noi consideriamo. 3. Nelle trasformazioni di una data deformata S della quadrica fonda- mentale Q entrano, come si è detto, due costanti arbitrarie, che conviene innanzi tutto interpretare geometricamente. La prima di esse ha un signifi- cato ben notevole, che riconosciamo nel modo seguente. Prendiamo una delle nostre congruenze W, colle falde focali S,S, applicabili sulla quadrica Q, e consideriamo sopra S,S, le infinite coppie di punti corrispondenti F , F,, che sono i punti (fuochi) ove i raggi della congruenza toccano S,$,. Im- maginiamo che la superficie S si fletta trasportando seco, invariabilmente legati, i segmenti tangenti FF,, e deformiamo la S sino ad applicarla sulla quadrica Q. Abbiamo allora il semplice e fondamentale risultato: I termini F, dei segmenti FF,, così trasportati sulla quadrica Q, si dispongono sopra una seconda quadrica Q, omofocale a Q, che forma il loro luogo. — 709 — Dipendentemente dalla prima costante della trasformazione, la qua- drica Q, può occupare una qualunque posizione nel detto sistema confocale. Per questa prima costante si può dunque assumere, come faremo, precisa- mente il parametro X, col quale individuiamo la quadrica Q, nel sistema; la nostra trasformazione sarà indicata corrispondentemente col simbolo By. Per un assegnato valore di % la trasformazione B, fa nascere dalla superficie iniziale S una semplice infinità di superficie trasformate S,. Per trovare effettivamente queste co! trasformate S, abbiamo da integrare una equazione differenziale del tipo di Riccati, nei cui coefficienti entra già la prima costante /. La seconda costante viene introdotta dalla integrazione e, disponendo di questa, potremo fissare ad arbitrio, per un punto iniziale F_ della S, la direzione del raggio FF, della congruenza. Si disporrà insieme delle due co- stanti fissando (ad arbitrio), nel piano tangente in un punto iniziale F_alla S, il segmento focale FF,, in grandezza ed orientazione. È da notarsi poi che Ze nostre trasformazioni Bx esistono sempre anche per quei particolari valori di k che riducono la quadrica confocale Q, ad uno dei piani principali (contato due volte). È questo un caso parti- colare ben notevole delle trasformazioni By. 4. Il presentarsi di un'equazione di Riccati nel nostro problema d’in- tegrazione corrisponde ad una proprietà geometrica, che occorre approfondire. Se consideriamo le co! trasformate S, della superficie iniziale S per mezzo della trasformazione Bx, la semplice infinità di punti F, delle Si, che corrispondono ad un determinato punto F di S, formano, nel piano tan- gente di S in F, una linea luogo. Basta ricordare quanto abbiamo detto sopra per riconoscere che questo luogo è una conica C; così abbiamo in ciascuno degli co° piani tangenti di S una conica C, la cui forma e giaci- tura nel piano tangente sono invariabilmente legate alla S nelle sue fles- sioni e: quando la S si distende sulla quadrica Q, seco trasportando le co? coniche C, queste diventano le sezioni prodotte dai piani tangenti di Q nella quadrica confocale ®, . Ciò premesso, la interpretazione geometrica della equazione di Riccati risulta dal teorema seguente: Le o! superficie S,, trasformate della iniziale S, segnano sopra le coniche C, tracciate nei piani tangenti di S, serie protettive di punti. Basta quindi introdurre come incognita il parametro # da cui dipendono razionalmente le coordinate di un punto mobile sulla conica C e l'equazione (ai differenziali totali) per determinare il valore di £ al punto d'incontro di S, colla conica C assume conseguentemente la forma di Riccati. Corrispondentemente poi a quanto abbiamo notato alla fine del numero precedente, rispetto alle singolari trasformazioni Bx per le quali la quadrica confocale Q, si riduce ad un piano principale, è da usservarsi che: dx questo DI = 710 — caso le coniche C si riducono alle rette d’ intersezione dei piani tangente della quadrica Q col piano principale, e le ©! superficie S, trasformate segano queste rette in punteggiate protettive. ò. Arriviamo ora ad una nuova e notevole proprietà geometrica, che dà la legge di applicabilità l'una sull'altra delle due falde focali S,S, di una delle nostre congruenze. Abbiamo già osservato, al n. 3, che allorquando la prima falda S as- sume per flessione la forma della quadrica Q, seco trasportando i segmenti tangenti FF,, i termini F, di questi si dispongono sulla quadrica confo- cale Q,. Così dalla applicabilità di S sopra Q resta fissata una corrispon- denza fra i punti F, della seconda falda S, ed i punti M, della quadrica confocale Q,. D'altra parte, essendo la S applicabile alla sua volta sopra la quadrica Q, ad ogni punto F, di S, corrisponde in questa applicabilità, un determinato punto M di Q. La ricerca della legge di applicabilità delle due falde focali S,S, l'una sull’altra si riporta dunque a quella della legge di corrispondenza fra i punti M,M, delle due quadriche confocali Q, Qi. Ora vi ha una legge, per così dire naturale, di corrispondenza fra i punti di due quadriche confocali: quella data dal teorema di Ivory che trasforma con una proiettività affine l'una quadrica nell'altra, e che noi chiameremo /'ajft- nità di Ivory (vedi p. es. Encyklopidie der math. Wissenschaften, Bd. III, Heft 2, n. 62) ('). E noi troviamo questo semplice ed importante risultato: La legge di applicabilità delle due falde focali S,S, di una delle nostre congruenze è data dalia affinità di Ivory fra le due quadriche confocali QQ (1) Se Q,Q; sono quadriche a centro di rispettive equazioni O prat LS = i ] 0) A B C ge È AEMIBLE THE: le formole dell’affinità di Ivory sono semplicemente: dd pg p q ci vi 2a, — ki PR A+ abbiamo invece — 711 6. Un'altra proprietà della corrispondenza fra i punti delle due falde focali S, S, risulta dal considerare quel sistema coniugato di S che si con- © serva coniugato quando S si applica sulla quadrica Q, e l'analogo sistema coniugato permanente di S, nell'applicabilità sopra Q stessa. Si è visto che la corrispondenza fra S,S, conserva i sistemi coniugati; ma di più abbiamo il teorema: Al sistema coniugato comune ad S e alla quadrica applicabile () cor- risponde sopra S, il sistema conùzgato comune ad S,,Q. Per teoremi dovuti a Darboux e Servant, questo sistema coniugato co- mune sopra S, come sopra S,, è un sistema zsofermo-coniugato (eccettuato il caso che S, S, siano rigate). Fermiamoci un momento a considerare cosa diventano i teoremi del numero precedente, e dell'attuale, nel caso particolare delle superficie a cur- vatura costante. La legge di applicabilità, data dalla affinità di Ivory, si converte nella relazione d'applicabilità delle due falde di una congruenza pseudosferica, secondo la quale ogni punto F della prima falda S, applicando S sulla seconda falda S,, si trasporta a distanza geodetica costante dal punto corrispondente F, di S, (!). Quanto all'altro teorema della conservazione dei sistemi coniugati per- manenti nelle rispettive applicabilità di S,S, sopra Q, si muta quando Q diventa una sfera, nella proprietà della corrispondenza delle linee di curva- tura sulle due falde della congruenza. 7. Ritorniamo alle trasformazioni generali Bx delle superficie applica- bili sulla quadrica Q. Per trovare effettivamente le co! trasformate S, abbiamo da integrare un'equazione di Riccati, della quale adunque basta conoscere una soluzione particolare per compiere l'integrazione con quadrature. Dopo ciò, siccome di ciascuna S, conosciamo già una trasformata, l'iniziale S, non occorrono più altro che quadrature per proseguire illimitatamente nelle nostre trasformazioni. Ma anche qui, come per le superficie a curvatura costante, possiamo perfezionare ulteriormente il metodo e risparmiare le quadrature, appoggian- doci sul seguente teorema: Teorema B). Se da una superficie S applicabile sulla quadrica @ st sono dedotte due nuove superficie Si, S., applicabili sulla medesima quadrica, mediante due trasformazioni Bx,, Br, corrispondenti a due co- stanti k,,ks differenti (ossia a due distinte quadriche QQ: del sistema confocale), esiste una quarta superficie S' della medesima natura, perfet- tamente determinata, che è legata alle due stesse S,, Sa da due altre tras- formazioni Bi, Bi, colle costanti k,,Xs permutate. Questa quarta super- (1) V. le mie Lezioni di geometria differenziale (2° edizione, t. II, pag. 409). CD =—rron = eta) FILI TE ana: — eps ficie S', note che siano le tre S,S,,S:, sì trova in termini finiti senza calcoli d'integrazione. Da questo teorema, che diciamo il /eorema di permutabilità, segue che basta avere integrato completamente, per un valore arbitrario di %, la prima equazione di Riccati che si presenta nell’applicazione del metodo di trasformazione, e tutte le seguenti equazioni di Riccati saranno senz'altro insieme integrate, senza che più occorra alcuna quadratura. 8. Fra le deformate delle quadriche meritano particolare menzione le deformate rigate. Attualmente, per restare al caso reale, supporremo che la quadrica fondamentale @ sia essa stessa rigata e si tratti dunque o di un paraboloide iperbolico, o di un iperboloide ad una falda. In primo luogo abbiamo che, se la deformata S della quadrica Q è una rigata R, anche tutte le superficie trasformate S,, per una qualunque Bx, saranno altrettante rigate R,. La costruzione delle co! trasformate rigate R, di una rigata R, applicabile sopra Q, assume allora una forma particolarmente espressiva data dal teorema seguente: Se la quadrica Q rotola sopra una qualunque sua deformata rigata R, seco trasportando rigidamente connessa la quadrica confocale Qi, le ge- neratrici (dell’uno 0 dell’altro sistema) di , generano una congruenza T, entro cui esistono c* superficie rigate R,, perfettamente determinate, ciascuna delle quali forma con R le due falde focali di una congruenza W. Queste nuove rigate R, sono alla loro volta applicabili sulla medesima quadrica Q, e danno le co trasformate della R per la trasformazione Br corrispondente alla quadrica confocale @ . Qui notiamo ancora tre casi particolari. Se si fa coincidere Q, con Q, si deve prendere per congruenza I° la congruenza (normale) delle tangenti a quelle geodetiche curvilinee di R che corrispondono alle generatrici di Q dell'altro sistema. In questo caso si ot- tengono le rigate R,, associando quelle tangenti lungo le singole asintotiche curvilinee di R. E in effetto, per un teorema generale dovuto al dottore Chieffi (*), questo rigate R, sono applicabili sulla quadrica Q. Un secondo caso particolare notevole si ottiene prendendo per Q un iperboloide (rigato) rotondo. Si sa allora che sopra ciascuna deformata ri- gata R di Q il circolo di gola dell'iperboloide diventa una curva di Ber- trand. Le nostre trasformazioni diventano per le curve di Bertrand quelle trasformazioni che, trovate in un caso particolare da Demartres, furono poi considerate in generale da Razzaboni (*). (1) Sulle deformate dell'iperboloide rotondo ad una falda, Giornale di matematiche, SELLONZa Mb 2 (Vi MESE (2) Cfr. la mia prima Memoria citata, $$ 22-24. — 7113 — Supponiamo infine di ridurre la quadrica Q, ad un piano principale (n. 3); le sue generatrici diventano allora le tangenti della corrispondente conica focale e si ha il teorema: Se la quadrica Q rotola sopra una sua deformata rigata R, le tangenti di una conica focale di Q, trasportata da Q nel rotolamento, generano una congruenza che contiene le 0° tras- formate rigate R, della R per quella B, che corrisponde a ridurre la quadrica confocale Q, al piano (principale) della conica. 9. Ritorniamo ancora alle trasformazioni Bx delle generali deformate S della quadrica @ che supporremo, come nel numero precedente, a genera- trici reali affinchè siano reali le asintotiche sulle deformate S. Vogliamo segnalare alcune notevoli proprietà, dalle quali risulterà come le trasforma- zioni Bx possano anche riguardarsi quali trasformazioni di singole curve, cioè delle asintotiche delle superficie applicabili sulle quadriche. Fissiamo sulla superficie iniziale S una qualunque sua asintotica 4 e, scelto un punto F di «, fissiamo ancora il segmento focale FF,, che gia- cerà nel piano osculatore di 4. Teniamo allora fissa la linea asintotica 4 ed il segmento FF, e deformiamo in modo continuo la superficie S attorno alla asintotica rigida « (*); quella trasformazione B, della S che è indivi- duata dal segmento fissato FF, cangierà la S, in ogni sua configurazione, in una determinata trasformata S,. Abbiamo allora il teorema: Se la su- perficie S si deforma attorno alla asintotica rigida a, resterà fissa altresì la asintotica corrispondente a, sulla superficie trasformata Si, e questa si deformerà a sua volta attorno alla asintotica rigida a,. La nuova curva a, viene così a dipendere unicamente dalla primitiva 4, e dal segmento FF,, fissato nel piano osculatore di « nel punto iniziale F. Ne segue appunto che possiamo risolvere le nostre trasformazioni di super- ficie in trasformazioni delle loro singole asintotiche, precisamente come S. Lie ha risoluto le trasformazioni delle superficie pseudosferiche in quelle delle curve a torsione costante che ne sono le linee asintotiche. 10. Dal teorema superiore deduciamo un'altra conseguenza importante. Fra le deformate della S che lasciano rigida la linea asintotica 4 ve ne sono due, perfettamente determinate, che convertono la S in una superficie rigata. Queste due rigate corrispondono ai due sistemi di generatrici di Q e si ottengono (pel teorema di Chieffi) conducendo nei punti della asintotica 4 le tangenti alle geodetiche di S trasformate delle generatrici dell'uno o del- l’altro sistema di Q. Abbiamo dunque il teorema: Se sulle due falde focali S,S, di una delle nostre congruenze si considerano due asintotiche corrispondenti a, a,, e nei punti di queste st (1) Si sa che le linee asintotiche di una superficie possiedono la proprietà di essere linee di piegamento, cioè intorno ad una di esse mantenuta rigida si può flettere la su- perficie. Queste flessioni con asintotica rigida dipendono da una funzione arbitraria. e een = API: RE le =" e ===. i iceza j_ fai a 33 — 714 — tirano le tangenti alle geodetiche di S trasformate delle generatrici del- l'uno o dell'altro sistema di Q, le due rigate R,R,, che si formano, sono nuovamente le due falde focali di una congruenza W, ed applicabili sulla quadrica Q. i Con questa costruzione, note che siano le linee asintotiche delle due falde focali S,S,, si deducono in termini finiti due serie di co! altre con- gruenze della medesima specie, con falde focali rigate. È da notarsi che il teorema superiore vale ancora se le due falde fo- cali S,S, sono esse stesse rigate, purchè la costruzione si faccia rispetto alle geodetiche corrispondenti a quelle generatrici di Q che hanno perduto sopra S, S, la loro forma rettilinea. 11. Le nostre trasformazioni B, si applicano a tutte quelle superficie il quadrato del cui elemento lineare è riducibile al ds? di una quadrica reale od immaginaria. E, se pure cì limitiamo a considerare fra queste su- perficie soltanto le real, ne abbiamo parecchie classi le cui quadriche cor- rispondenti sono immaginarie. Così p. es. esistono trasformazioni Bx reali per la classe di superficie reali applicabili sull’e/lisoide immaginario. x° 2 2° ae tO. In particolare quando a=d=ec, queste superficie sono le pseudosferiche di curvatura e le corrispondenti B, diventano le trasformazioni di Bicklund. Ma consideriamo ora particolarmente il caso che la quadrica fondamen- tale Q sia reale. Allora le trasformazioni reali B, delle deformate reali di Q sì ottengono assumendo per quadrica confocale Q, del n. 3 una quadrica ri- gata. Ne risulta che se la quadrica @ è essa stessa rigata, l'affinità di Ivory (n. 5) fa corrispondere ai punti reali di Q, punti reali di Q, e le due falde focali S, S, delle nostre congruenze sono in realtà applicabili l'una sull’altra, per le loro regioni reali. Quando invece la quadrica Q è a punti ellittici, la corrispondenza di Ivory trasforma la regione reale di Q, in una imma- ginaria di Q; i due elementi lineari di S,S, sono sempre analiticamente equivalenti, ma la regione reale di S corrisponde ad una ideale di Sj. Di- remo nel primo caso che l'applicabilità di S sopra S, è reale, nel secondo ideale. Abbiamo dunque: Se la quadrica fondamentale Q è a punti iperbolici (paraboloide iperbolico, iperboloide ad una falda) l'applicabilità delle due falde focali S,S, di una delle nostre congruenze è reale; se invece Q ST — è a punti ellittici (paraboloide ellittico, ellissoide, iperboloide a due falde) la loro applicabilità è soltanto ideale. In quest ultimo caso, per ottenere dalla superficie iniziale S superficie derivate applicabili realmente sopra S, conviene eseguire un numero pari di trasformazioni. Supponiamo ora in particolare che la quadrica Q sia rotonda. Nel si- stema confocale determinato da @ vi sono effettive quadriche rigate solo quando Q@ è un iperboloide ad una falda o un ellissoide schiacciato, mentre per le altre tre forme rotonde (paraboloide, ellissoide allungato, iperboloide a due falde) le quadriche rigate del sistema confocale si riducono ai piani per l'asse e le trasformazioni reali corrispondenti spariscono. Ne risulta che: per le quadriche rotonde (reali) si hanno trasformazioni Bx reali solo per le due forme dell’ellissoide schiacciato e dell'iperboloide ad una falda; per le altre tre forme le trasformazioni sono soltanto immaginarie. Questi risultati sono in perfetto accordo con quelli già da me stabiliti con ricerca diretta nelle due Memorie citate. 12. Veniamo da ultimo a parlare di un'altra trasformazione delle de- formate delle quadriche, di natura ben diversa dalle trasformazioni B, fin qui considerate; quest'altra trasformazione è involutoria ed assimilabile sotto molti rapporti alla #rasformazione di Hazzidakis per le superficie a curva- tura costante positiva. Secondo quanto ho dimostrato in una mia Nota dell'aprile 19083, inse- rita in questi Rendiconti, ad una quadrica generale Q ne corrisponde un altra Q, determinata a meno di un’omotetia, coniugata in deformazione della Q. Le due quadriche Q,Q, che possono assumersi nello stesso sistema confocale, si corrispondono in una prozeztività che conserva (oltre ai sistemi coniugati) le linee geodetiche. Ne segue (loc. cit.) che ad ogni sistema di linee asintotiche virtuali sopra Q corrisponde un analogo sistema sopra Q, talchè ogni deformata S di Q ne individua una S di Q, corrispondendosi ancora sopra S,S i sistemi coniugati e le geodetiche. Nel passaggio dalla deformata S di Q all'altra deformata S di Q con- siste la trasformazione involutoria che dobbiamo ora considerare, e che in- dichiamo col simbolo H; le due superficie S,S si diranno anche coniugate in deformazione. La trasformazione involutoria H delle deformate delle quadriche ha a comune colle trasformazioni B, le proprietà segnalate ai nn. 9 e 10; e cioè: 1°. Se la superficie S si deforma attorno ad una sua asintotica rigida a, la sua coniugata în deformazione S si deforma similmente at- torno alla corrispondente asintotica rigida a. 2°. Se alle due superficie $,S coniugate in deformazione si cir- coscrivono lungo due linee asintotiche corrispondenti a,a le rigate R,R RenDICONTI, 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 91 reo e e—=—" &é > = Cere seg de ro anni Suore copri = SIL — = n © gl PERSA rsu nia” on sa i hp Sia AIA È = È = == ‘= î er rr = ——___—6eeeeT—' > ——_. — 716 — formate dalle tangenti alle deformate delle rispettive generatrici delle quadriche Ono, queste due rigate R,R sono nuovamente coniugate in | deformazione. Ma la proprietà più interessante della trasformazione involutoria H si ottiene dal paragone colle trasformazioni By ed è data dal teorema seguente, che dimostra in sostanza la permutabilità delia trasformazione H colle By: Se S,S, sono due deformate della quadrica Q, trasformate Vuna dall’altra per una Br, le due loro coniugate in deformazione S, 8, pos- sono collocarsi in tale posizione dello spazio da formare, alla loro volta, le due falde focali di una congruenza W, onde S,S. sono trasformate luna dell'altra per una Bz. La seconda congruenza si deduce dalla prima semplicemente conducendo pei punti di S le tangenti nelle direzioni cor- rispondenti a quelle dei raggi della congruenza primitiva. A causa di queste proprietà, quando si applicano le trasformazioni Bx alle deformate S delle quadriche conviene sempre associare alla S la coniu- gata in deformazione S, poichè dalle trasformazioni dell'una si hanno sen- altro le trasformazioni dell'altra, e le nuove superficie sono ancora coniugate in deformazione. Così si passa dalle trasformazioni delle superficie applicabili sopra un iperboloide rigato a quelle delle deformate di un altro iperboloide rigato, e similmente da quelle relative ad un ellissoide a quelle delle defor- mate dell’iperboloide a due falde coniugato in deformazione. Da ultimo osserverò che si possono considerare coppie S, S di superficie coniugate in deformazione non solo appartenenti allo stesso spazio euclideo, ma anche immerse l’una in uno spazio di curvatura costante, l’altra in un altro spazio di curvatura ancora costante, ma differente. In particolare alle deformate delle quadriche nello spazio euclideo sono coniugate in deformazione, nello spazio di curvatura costante positiva o negativa, ancora delle superficie applicabili su quadriche di questi spazî. E siccome i teoremi superiori con- tinuano sempre a sussistere, ne risulta che: la nostra teoria delle trasfor- mazioni per le superficie applicabili sulle quadriche nello spazio euclideo vale più in generale per le deformate delle quadriche negli spazi di cur- vatura costante. Astronomia. — Osservazioni della nuova cometa 1907 b Mel- lish fatte all'equatoriale di 37 cm. del R. Osservatorio al Col- legio Romano. Nota del Socio E. MiLLosEVvICH. La cometa fu scoperta a Madison il 14 aprile. L’'astro è una debole nebulosità con accenno di condensazione nucleare. Le osservazioni al micro- metro filare furono estremamente difficili. Oggidì non conosco in Europa — 717 — che le osservazioni di Nizza. Tra breve periodo l'astro non potrà essere seguito che coi grandissimi rifrattori. Al Collegio Romano si poterono fare appena quattro posizioni, due dal dott. E. Bianchi, una dal dott. G. Zappa ed una da me; esse sono le se- guenti : 1907 Aprile 16 SLIGO, « apparente cometa 7h 017547 (9.505) d ” ei 1701901268 (01621) 1907 Maggio 2 11256395 R.C.R. « apparente cometa 8h220475,15 (9.794) D) ” ” + 459301279 (0.671) 1907 Maggio 4 8h36m425 R.C.R. « apparente cometa 8h27M315.36 (9.643) D) v » + 46927 8/4 (9.876) 1907 Maggio 4 9h438m235 R.C.R. « apparente cometa 8h2738.577 (9.742) d ” » + 469281678 (0.227) La cometa ebbe un moto geocentrico fortissimo verso il 10 aprile, poichè a quella data la distanza dalla terra discese fino a 81 milioni di chilometri. Geodesia. — Determinazioni astronomiche di latitudine e di azimut eseguite all'isola di Ponza ed a Monte Circeo nel 1905. Nota del Corrispondente V. REINA. STAZIONE ALL’ ISOLA DI PoNZA. Il segnale trigonometrico è costituito dall'asse dell'albero di segnala- zione del Semaforo, sorgente nel punto più elevato dell’isola (280", suolo). Il pilastro d'osservazione venne costruito sulla spianata circostante al Se- maforo e collegato al centro trigonometrico in doppio modo. Le sue coor- dinate polari rispetto al centro risultarono e= 262.475 a= 262°.24. Le operazioni durarono dal 12 al 23 luglio 1905, interrotte alcune notti da forte vento. Esse furono però grandemente facilitate dal permesso accordatomi dal Ministero della Marina di alloggiare nel Semaforo. Per tale concessione esprimo i miei vivi ringraziamenti. Determinazione della latitudine. — I risultati dedotti dalla osserva- zione dei passaggi meridiani di 60 stelle del B. A.J., divise in gruppi di 10 stelle ciascuno, sono riassunti nel seguente specchio: SRI 6, pra = Ap pr ge — se Pe er AIA > fetò: i ti TIR na ro ea Posizioni del Cerchio zenitale s Medie 223 S 00 | 450 | 90° | 135° 180° 180 | = i 409.52” I 551,79 (4)] 55/795 56.00 (1) 55/.90 557.86 567.14 40°.52/.55/.94 | 58 II 56. 12 56. 37 (3)|_56:-27 59. 21 54, 44 — DOM62E 46 III dd. 99 56. 89 56.26 o4. 94 (4) 56. 30 56. 08 DOO ZIA IM IV dò. 85 56. 84 56. 19 57. 13 dd. 85 = 56. 27 50 V d5. 96 DO. 199 56. 51 06. 48 56. 74 (3) — 56. 30! 46 VI 54.92 (2) 56. 48 56. 09 99. 68 59. 29-(1) = | 55. 72) 46 Medie | 50. b4 | 56. 39 56. 23 | dd. 98 55. 67 | 56. 11 | 40. 52.55. 95 | 297 Se alla latitudine finale del pilastro d’osservazione = 40°.52'.55".95 si applica la riduzione in centro Ag=+0".11 sì ottiene per la latitudine di Ponza (centro), come risultato di 297 osser- vazioni meridiane di 60 stelle fondamentali, LP == 40°.52".56”.06 1e==: (OYAGITIÌ (Epoca 1905. 54). Determinazione dell'azimut della direzione Ponza-M. Circeo. — L'ap- parato diottrico, fungente da mira notturna, venne collocato sulla terrazza del Semaforo di M. Circeo (455"), alla distanza di 39556". La quota dello strumento universale essendo di 281", la distanza zenitale della mira risultò di 89°.55°. Le correzioni del cronometro d'osservazione Kullberg, determinate col metodo di Déllen, furono le seguenti: 15 luglio 1905 a ‘150.27 + 1,575.72 16 ’ 17. 44 10 9822 17 ” 23. 54 2. 00. 38 18 ” 29. 02 200. 20 ’ 24. 05 2. 02. 10 21 ’ 23. 35 2. 02. òl 23 ’ 19. 20 2. 03. 35 I valori dell'azimut della mira risultanti dalle diverse serie (costituite ciascuna da quattro determinazioni singole) sono qui riassunti. (*) Peso 9, (*) peso 8, (*) peso 6, (4) peso 5. 9, PON : hI È will! 1 ° a £ 1 SO DI Data SES A Cm Cy CmeCy Espressioni differenziali A Î3 ell 1905 dillo 16 luglio | 0°|13°.48/.277.23|— 3”.0{— 5”.8|+-27.8| dA=— 0.83 de — 0.79 d9 + 0.01 dp dl 18» » | 250 TANO 107 Seti (0/66) -I-0)02 li ri ” ” 26. 68| 6.3] 6.8] 0.0 0 — 1.01 1 1-0.02 dii | ” 30 26.11 5. 7] .5..4|-0. 3 SEO 115 <1- 0:02 ! i ” 3 Prg a |52 00 6 SEE VA 0102 îii ” 60 30. 02| 5.5Î 6.040. 5 Lage 139, 20,02 | » Da 31020) Mine 2 SALO 6 EENOR N 1:99 -P 0102 N ” 90 28839) MESSI ot OLO Maggio i — 1.23, {0:02 pl - > 3 20000, ANS Son 6 SO 8 NI 0:02 Dil 20» 120 25,82) 60.5 ‘502/—1,3 —+ 0.09 — 1.30 -+0.02 n 3 OM 07 MO AS: 4 ORG I TO4 10/02 ; ” 150 IIS agio NN 12 (0:02 CC. DI a 28. 88| 6.9 6. 6|—0. 3 aigiagi +e Ip.090 el 0/02 L. | DIN 165 3183) |MESSE 6 RESO Ross + 0.35 — 0.77. +0.01 i 21» ” 3070) re lea e son 102 | 0.02 Ni » [195 ZON] MAS SII SNODA 7-1 0.02 | i ” » 29. 33 4 6| 6. 0{+-1. 4 SOG 31 -t0.02 Di de 20000 225 29929 STA GO 6 + 0.08 — 131 0.02 INI ” ’ 2900 0 OA IA + 0.00 —1.30 +0.02 Il i ‘ » |255 27. 64| 5.3) 64411 +0.16 —124 -|0.02 cl (i ” » 29. 29 ‘6. 1| 5. iL 0. 2 SEO = J.15 iL 0.02 li o \ » 285 30. 661 5.2) 6. 4/41. 2 + 0.28. —1.00 0.02 ii ” ” QORG11i 602 TO] 8 e pigg He 0,85.(/1 0.01 hit 22 [315 28. 43] 5. 4| 6. 4|4-1.0 — 0.25. —1.04. +0.02 LATE n ” IO DLE SE Qel7, i) — 1.19 .01-1-0.02 A "@ n |345 30. 39] 5.9] 6. 4[+-0. 5 og 1.28 ‘0.02 j | Il cannocchiale fu invertito sui cuscinetti a metà delle operazioni. di ne Se alla media dei valori della terza colonna i : A = 18°.48/,28”.65 i e si applicano le correzioni: | per il centramento della direzione . . . . . +... = — 2.08".58 | per la convergenza dei meridiani fra stazione e centro =-+ 0. 73 per la riduzione al centro della mira di M. Circeo . = + 14. 99 roi e -_ - a sì trova il risultato finale (media di 101 determinazioni). ni a {eg dà ai me SHSCTIH e GS API rr=—"c-“se@rc—@—@<€@@#1.@.@»=suncm@>@«r@r@6mm____ —£*ì — 720 — Azimut della direzione Ponza-M. Circeo. A = 13°.46'.35".84 mi= 091 (Epoca 1905. 55) dA= + 0.02 da — 1.13 dd + 0.02 dg. STAZIONE A MonTE CIRCEO. Il punto trigonometrico è costituito dall'asse dell'albero di segnalazione del Semaforo, sorgente sulla punta orientale del monte (455). Il pilastro d'osservazione venne costruito sul ripiano che circuisce il Semaforo, e col- legato al centro in doppio modo. Le sue coordinate polari rispetto al centro risultarono: ci 102095 a = 386°.,33". Le operazioni durarono dal 28 luglio al 6 agosto 1905. Determinazione della latitudine. — Sì osservarono i passaggi meridiani di 60 stelle del B. A. J., divise in 6 gruppi di 10 stelle ciascuno, e si ot- tennero i risultati riassunti nel seguente specchio: Posizioni del cerchio zenitale Numero Gruppi Medie delle 0° | 45° 90° | 135° | 180° SE 419.13" I 44,28 44” 44 431.99 45.67 44 .48(*)| 41°.18".447.16 49 II 43. 38 44. 03 (3)| 44. 14 43. 69 43. 11 43. 63 45 III 43. 88 44, 20 44. 45 44. 30 44. 23 44. 21 50 IV 44. 12 43. 97 (*)| 44. 16 3. D4 43. 72 43. 90 48 V 43. 41 42. 76 (2)| 44. 00 43. 77 43. 59 453. 52 | 48 VI 44. 37 | 44. 07 44. 16 Dedo 43. 79 (1) 44. 08 49 Medie . . 8. 91 43. 90 | 44. 15 43. 83 43. 80 | 41. 13.43. 92 289 Applicando alla latitudine finale del pilastro d'osservazione = 41°.13'.43”.92 la riduzione in centro dg = — 0".82 si trova per la latitudine di M. Circeo (centro), come risultato di 289 os- servazioni meridiane di 60 stelle fondamentali, « = 41°.13'.43".60 mM = 10507 (Epoca 1905. 58) (1) Peso 9, (2) peso 8, (°) peso 5. Sa Determinazione dell’ azimut della direzione M. Circeo-Ponza. — L'ap- parato diottrico fungente da mira notturna, venne collocato sulla terrazza del . Semaforo di Ponza, fuori centro. La distanza della mira essendo di 39958", il suo angolo zenitale risultò di 90°.23”. Le correzioni del cronometro Kullberg si determinarono notando i pas- saggi delle stesse stelle di latitudine pel filo mobile, disposto in modo da avere una costante di collimazione piccolissima. Si scelsero le stelle culmi- nanti in prossimità dello zenit, per attenuare l'influenza dell’azimut stru- mentale. Tali correzioni sono quì riassunte: 28 luglio 1905 a 20%.45® + 2%.395.55 29 ” 20). 46 2° 199. 92 30 ” 20. 53 2. 40. 05 51 » 24. 19 239, 07 1 agosto 20. 45 209 2 7 193011 2. 38. 76 5) » 23. 07 2. 38. 53 + ” 24. 27 2. 38. 58 5) ” 17. 10 29940 I valori dell’azimut della mira dedotti dalle diverse serie (costituita ciascuna da quattro determinazioni singole) sono riassunti nel seguente specchio : Data È 3 A do Ca |Cm—c, Espressioni differenziali 1905 31 luglio |0° |193°50/.38”66/4+ 57.814 8”.7/— 27.9) dA = — 0.23 da — 1.09 dé "iù 0. Da dep ” È) ” 38. 50] 5. 929.6 — 0.16. — 1.21 --0.0 E) D) 30 912000 |MATDS99 NSA D — 0.08. — 1.3 goa » ” » 2 DOLIZ MOTO Mor BTS: 0 0.01. — 1.33. -+0.02 E) È) 60 419619 eb 0 Rei MIS2501 0.08. — 1.531. - 0.02 ”» » » SOON MORO RESSE MITO +0.15. —1.25. + 0.02 » LI) 90 88075 4074 8/2. 4 + 0.23. — 1.09 + 0.02 » » » SIMO MA MONTA 8 + 0.29 — 0.98. + 0.02 1 agosto |120 41. 63|— 8. 6|-— 5. 2 3. 4 + 0.43. — 0.09. - 0.00 3 » E) 36. 41|4 4. 747.5) 2.8 — 0.25. — 1.06. - 0.02 E) n |150 S((49.0 N64 Reso N21 -- 0.02. — 1.33. 0.02 » ’ ” SISMI S MMM A MRO] 2: 2 + 0.09. — 1.3 —- 0.02 4 LI) 195 DISSI MeZo|0:2,08 — 0.24. — 107 40.02 » » ” 99719461 8. 1 210 — 0.12. — 127 -+0.02 ” » |225 09784 MZ [ASTON 8 — 0.04 =—1.33 0.02 E) b) ” SOLO N 3| GO RA + 0.02. — 1.33. + 0.02 D) n |250 40043 ME II + 0.12. —1.28 -+ 0.02 » » ” 40. 23 7 I 6. 6 +0. 5 + 0.23. — 1.09 + 0.02 » b) 285 41. 08) 6.91 7. 7.0.8 -+- 0.29 — 0.98. --0.02 > RR 40. 77 66 7.1) 0.5 40.85 —078 001 5) ’ 315 STAMI Tor? ESS Sa OO — 0.04 — 133 + 0.02 » ” ’ 4000.9 GOL eis Ali 20) +0.06 —1.33 0.02 » ”» I 40. 17 ORO Rio I lE 09 + 0.13. — 127 + 0.02 — 722 — Il cannocchiale fu invertito sui guanciali a metà delle operazioni. Se alla media dei valori della terza colonna A = 193.50.39.37 si applicano le correzioni per il centramento della direzione . . . . ... =+383”785 per la convergenza dei meridiani fra stazione e centro =-+ 0.120 per la riduzione della mira al centro . . . . .. =— 11.582 + 22. 323 si trova come risultato finale (media di 91 determinazioni). Azimut della direzione M. Circeo-Ponza. A =193°.51'.01”.69 m= 0".30 (Epoca 1905. 58) dA= + 0.06 de — 1.15 dd + 0.02 dg. Riduzione delle coordinate astronomiche al Polo medio. — Devia- zioni della verticale. — Nel quadro seguente sono riunite in ordine cro- nologico le riduzioni al Polo medio della latitudine e dell’azimut per tutte le stazioni eseguite lungo il meridiano di Roma. Ritenute le notazioni di Albrecht, esse vennero calcolate colle formole p_— Po= 0844 y senZ + 4 AT Ao="(ycos 7 — x sen 4) sec gp. Per le determinazioni comprese fra il 1900.0 ed il 1905.0 si adope- rarono gli elementi contenuti nelle pubblicazioni del Centralbureau der Int. Erdm. — Resultate des Internationalen Breitendienstes, Bd. I, u. II —; per quelli posteriori gli elementi contenuti nelle Astron. Nachrichten n.4121, incluso il termine di Kimura. Per le osservazioni anteriori al 1900.0 si adoperò il Bericht viber den Stand der Erforschung der Breitenvariation am Schlusse des Jahres 1899, pure redatto da Albrecht. — 723 — =_= Riduzione della latitudine Riduzione dell’azimut Stazioni — À Epoca P-Po Epoca A-AG, MonterCayor fi. — 120.43” 1898. 48 | — 0%.,12 — _ Miumicino.' i. — 12. 14 | 1898.56 | — 0. 06 | 1898.57 | + 07.22 Monte Pisarello . . | — 12.37 | 1899.48 | — 0. 10 | 1899.49 | +0. 02 Monte Soratte . .. | — 12.80| 1900.53 | — 0. 05 | 1900.52 | —0. 09 S. Pietro in Vincoli | — 12. 30 | 1900.85 | —-0. 02 | 1900. 82 | +0. 05 Monte Cimino ... | — 12.12] 1901.54 | 4-0. 09 | 1901.53 | —0. 11 Monte Peglia. . .. | — 12.13 1901.58 | +0. 08 | 1901.57 | -- 0. 13 Alta S. Egidio. .. | — 12. 00| 1902.56 | +0. 14 | 1902.58 | +0. 10 Monte Carpegna .. | — 12.19 | 1902.63 | +0. 15 | 1902. 61 | +0. 07 IBErtiMoro sot 0 — 12..08| 1902. 66 | +0. 15 | 1902.67 | — 0. 01 IMICHEZIARA E ten | — 12. 22] 1903. 66.| 4-0. 17 — _ D'Onadaranee na — 12. 113.|.1903..68.1 0. 19 _ — Comacchioestst: — 12. 11 | 1903. 70 | +0. 21 — _ Oderzo Re. — 12.30 | 1904.52 | — 0. 04 | 1904.54 | +0. 29 Col Brombolo. — 12.25 | 1904.57 | +0. 01 — _ Calalzo. ra dla doo — 12.23 | 1904.60 | +0. 05 = — Monte Mario — 12.27 | 1904.87 | +0. 20 | 1904.82 | +0. 10 PONZA e st — 12. 57 | 1905.54 | — 0. 13 | 1905.55 | +0. 19 Monte Circeo. ... | —18.03| 1905.58 | — 0. 09 | 1905. 58 | +0. 22 Applicando queste riduzioni col segno cambiato ai risultati della osser- vazione, ed ordinando le stazioni per latitudini crescenti, si trovano i valori del quadro seguente, nel quale per la stazione di M. Mario vennero intro- dotti i risultati delle mie osservazioni del 1904 (*), valori che verranno mo- dificati quando la Commissione Geodetica avrà debitamente combinate le diverse determinazioni, ivi effettuate per suo conto da diversi operatori. (1) Processo vervale delle sedute della R. Commissione Geodetica Italiana, tenute in Roma nei giorni 3, 4 e 6 aprile 1906, Bologna 1906, pag. 39 e 44. RenpICcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 92 Stazioni È È ene AZIO PaPg TAVESAY Denominazione 37 astronomica seoesi astronomico o i dell’azimut ga Mii co Sr IT rr o ETÀ, 7 "I rI Ponza n 280|40. 52. 56. 19|59. 65] 13.46.35. 65/42. 97| — 3. 46} — 7. 821 M. Circeo MEC 455/41. 13.48. 69/44. 91|193.51.07,47| 8. 68| — 1. 22 — 7. 21| Ponza M'SPisarelloti ss: 52/41. 28.36. 13|36. 24| 15. 28. 57. 05] 62. 81] — 0. 11) — 5. 76|M. Cavo MSC avo en ee 967/41. 45.03. 54| 2. 13 —_ — |+ 1. 4l —_ = MIUMICINOREEOn 20|41. 46.14. 65|12. 89] 47. 29. 36. 45] 42. 48] + 1. 76) — 5. 98| M. Mario S. Pietro in Vincoli 69|41. 53.35. 39|33. 41[315. 20. 19. 37| 24. 99] + 1. 98| — 5. 62) M. Mario MeMario e e 147|41. 55. 25. 55|24. 40/131. 50. 32. 86| 36. 96] + 1. 15) — 4. 10|M. Cavo MS/Soratte na 695/42. 14. 46. 48|40. 79/186. 86. 58. 65] 65. 37| + 5. 64] — 6. 72| M. Mario MAGIMINo Re ea 1059/42. 24.31. 00|24. 79|125. 58. 57. 60| 63. 62 + 6. 21] — 6. 02| M. Soratte MePeglia. fa 836/42. 49. 09. 28] 2. 78|150. 51. 52. 49 58. 27| + 6. 50) — 5. 78| M. Cimino Alta S. Egidio . . . |1057|43. 18.47. 16|37. 831162. 53. 32. 96| 38. 88| + 9. 33| — 5. 87| M. Peglia M. Carpegna . ... |1415|43. 48.23. 06| 4. 79/339. 01. 11. 81| 10. 39| +18. 27| + 1. 42| Bertinoro Bertinoro nent 340/44. 08.45. 62| 28. 79/158. 53. 37. 08| 37. 67| + 16. 83] — 0. 59| M. Carpegna Comacchio nente o|44. 41.32. 64|42. 09 = — | —. 9. 45 — — DOREeR 8|45. 02.05. 85/13. 09 — — [- 7. 24 - _ INeneziag. f.to 4/45. 25.058. 40| 60. 83 = — | 2.43 — = Oderzo re 16|45. 46.48. 59|54. 40| 0.26. 28.95] 25. 94] — 5. 81] + 8. 01| M. Cavallo Col Brombolo . . . |1333|46. 01.36. 20/62. 17 = — | — 25. 97 — = CAlalzo ee e 807|46. 26. 46. 17|55. 83 _ — | — 9. 66 _ — Le coordinate geografiche, cortesemente comunicatemi dall’ Istituto Geo- grafico Militare, provengono da Genova, e furono calcolate sull’ellissoide di Bessel ivi orientato. Da questo specchio, oltre alla forte deviazione in latitudine fra Berti- noro e Comacchio già accertata in un precedente lavoro (') (26”, essendo dp 3318" pari a 61!/, km., la distanza dei due paralleli), emerge ancora una deviazione relativamente più forte, cioè di 20" fra Oderzo e Col Brom- bolo, i cui paralleli sono ad una distanza di appena 14.48” pari a 27 !/s km. Il filo a piombo nella stazione di Col Brombolo, situata sull’estremo ciglio meridionale delle Alpi Bellunesi, e dominante tutta la pianura veneta, appare fortemente deviato nel senso voluto dalle grandi masse emergenti retrostanti. Questa deviazione appare grandemente attenuata a Calalzo di Ca- dore, nel mezzo delle Alpi dolomitiche. — Nella parte meridionale dell'arco di meridiano esplorato, l'andamento della verticale appare più regolare. Cogli elementi sopra riportati si potrebbe costruire il profilo della linea meridiana, ma essendo negli intendimenti della Commissione Geodetica e dell’ Istituto Geografico Militare di assumere il segnale geodetico di M. Mario come origine delle coordinate geodetiche dei vertici della rete trigonometrica italiana, si rimanda la determinazione a quando si avranno i valori defi. nitivi di tali coordinate. (1) Determinazioni astronomiche di latitudine eseguite a Venezia, Donada e Co- macchio nel 1903. Rendic. Acc. dei Lincei, Maggio 1904. — 729 — Fisica — Comportamento dei vapori metallici nella scintilla elettrica. Nota di A. BATTELLI e di L. MAGRI. Chimica. — Azioni chimiche della luce. Nota X del Socio G. CIAMICIAN e di P. SILBIR. Chimica. — / quattro binitroderivati della ortobibromoben- zina. Nota del Socio G. K6RNER e del dott. CONTARDI. Geologia. — Cenni geologici sul Diebel Aziz in Tunisia. Nota del Socio CARLO DE STEFANI. Geologia. — L'isola di Capri. Nota del Corrispondente GrusEPPE De LoRENZO. Meccanica. — W% teorema sulle deformazioni elastiche dei solidi isotropi. Nota di E. ALMANSI, presentata dal Socio V. VoL- TERRA. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. AR = = ra dan. \-_ NM ra è = È e — 726 — Matematica. — Sopra la configurazione di Kummer e il suo intervento nella teoria delle cubiche gobbe. Nota di LuIci BERZOLARI, presentata dal Socio C. SEGRE. Malgrado i molteplici punti di vista dai quali è stata studiata la con- figurazione di Kummer, ritengo non privo d'interesse farne conoscere la seguente semplicissima costruzione geometrica, dalla quale si deduce pies- sochè immediatamente un notevole teorema, che stabilisce uno stretto legame, a quanto sembra non ancora osservato, tra quella configurazione e la teoria delle cubiche gobbe ('). 1. Siano %,, %1;%2, 0253 ,03 tre coppie di generatrici, a due a due armoniche, di una rigata quadrica R, appartenente ad una superficie S di 2° ordine. Prese come assi, esse individuano tre involuzioni rigate I, ,I.,1z, di cui ciascuna è il prodotto delle altre due (eseguito in un ordine qua- lunque); di guisa che si ottiene un’ involuzione £ di 4° ordine, i cui 008 gruppi son formati dai singoli punti dello spazio coi loro coniugati in I, ,I>, 13. / punti di un gruppo sono vertici d'un tetraedro autoreciproco rispetto ad S, a meno che non giacciano tutti sopra una generatrice della rigata trasversale di R. Dicansi A, , A», A3, A4 i punti d’un gruppo generico di 2, in modo che A,, A», A3 siano i coniugati di A, in I, ,I,,I3, epperd A; e A3 coniu- gati tra loro in I,, Az e A; in IL, Ax e Ag in]. Sea formare similmente un secondo gruppo B, B. B; By sì parte da un punto By del piano A, A; A3, î due tetraedri A,...A, e B,...By risultano di Mbbius. Invero le rima- nenti facce Ag Az Aj, Ag A Ag AV Ag A, del primo, essendo coniugate alla A. Az A43 risp. in I,,I,, 13, contengono ordinatamente i vertici B, , B:, Bs del secondo; che poi questo sia alla sua volta circoscritto al primo nel modo anzidetto, si riconosce trasformando l'uno e l’altro con la polarità rispetto ad S. Costruendo allora di 2 un terzo gruppo C, Ca C3 C4, dove C, è un punto generico della retta comune ai piani A, As A3, Bj Bs B3, e poi un quarto gruppo D, D: D3 D,, in cui D, è l'intersezione dei piani A) Ag 43, B1 Ba B3, 010203, i vertici e le facce dei quattro tetraedri risultanti (A),(B),(C),(D) sozo gli elementi d'una configurazione di Kummer. Basta infatti (?) osservare (*) In un prossimo lavoro mostrerò come lo stesso teorema sussista, più general- mente, per le curve gobbe razionali d'ordine dispari, dotate di quattro punti d’ ipero- sculazione. (*) Cfr. Ciani, Sopra la configurazione di Kummer, Giorn. di mat., 34 (1896), pag. 177; 37 (1899), pag. 62; Martinetti, Sopra la configurazione di Kummer, ibid., 35 (1896), pag. 235. — 727 — che per ognuno dei 16 punti passano 6 dei 16 piani, che in ciascuno di questi piani stanno 6 di quei punti, e che nessuna retta appartiene a più che due di tali punti o di tali piani ('). S' indicano subito i sei complessi lineari, a due a due in involuzione, dai quali, nella nota maniera dovuta al sig. Klein, proviene la nostra con- figurazione. Tre, che si tagliano nella rigata trasversale di R, dipendono uni- camente dalle coppie di rette w;, v;, e non dai punti A, ,B,,C,,D,, e sono i complessi G, , Gs, G3 relativi ai sistemi nulli N, N, N3 individuati dalla schiera R riferita involutoriamente a sè stessa risp. con le rette doppie Un @ Vi; U> € Va, Uz @ V3, cioè quelli costituiti dalle rette che si appoggiano alle coppie di generatrici di R coniugate in tali involuzioni. Gli altri tre, Gi, G;, G;, aventi in comune la rigata R, sono quelli rispetto a cui, per una nota proprietà, son tra loro reciproci risp. i tetraedri (B) e (C), (C) e (A), (A) e (B), e di conseguenza anche risp. (A) e (D), (B) e (D), (C) e (D). Ognuno di questi tetraedri, ossia insomma il tetraedro che ha i vertici nei punti d'un gruppo qualunque di 2, è invece mutato in sè da N,, N», N3; di più si ha: NN;=N;N,=lI (CE MES2St9)) Del resto, anche G,,G,,G3 possono ottenersi da coppie di tetraedri di Mòbius formati con elementi della configurazione: G, da ciascuna delle coppie A1A4B2B3 A1A4C203 A: A4D:D3 B3B3C,C, B.B3 Di Di C203D; Di BRANO IAAD DI ASA €, C; Bi BAD; Bi BL DI Di Ci CL G, e Gz dalle coppie che si deducono da queste con le permutazioni circo- lari degli indici 1,2,3. 2. Data, inversamente, una configurazione di Kummer, i suoi elementi si possono distribuire (Schròter, loc. cit.; Sturm, loc. cit.), in 20 modi diversi, nei vertici e nelle facce di una quaterna di tetraedri (A)=A,...A,,(B)= B,...B4,(C)=0C,...C,,(D)=D,...D;, autoreciproci rispetto ad una quadrica S, e di cui due qualunque sono di Mébius nell'ordine scritto. Re- stano così determinati tre complessi lineari Gi, G3, G3, a due a due in invo- luzione, aventi a comune le generatrici d'una schiera R di S, e tali che rispetto ad essi sono ordinatamente tra loro reciproci (B) e (C). (A) e (D); (1) I tetraedri qui costruiti son di quelli che diconsi « di Rosenhain » ; nel lavoro di H. Weber, Veber die Kummersche Fliche ecc., Journ. fir Math., 84 (1877), pag. 332, sono studiati col nome di tetraedri « erster Art». Quaterne di tali tetraedri che, come quella del testo, comprendano coi loro vertici e con le loro facce tutti gli elementi della configurazione, furono considerate per la prima volta dallo Schriter, Ueder das Pinfflach und Sechsflach und die damit zusammenhingende Kummersche Configuration, Journ. fir Math., /00 (1886), pag. 231. Cfr. pure R. Sturm, Die Gedilde ersten und zweiten Grades der Liniengeometrie, Bd. 2, Leipzig 1893, pag. 130 e seg. ——r—a sw sa = e=__e_Tr rr" te NSA NEAIEZZE: en _ CS fa mire ai essa, pr es es =—_—_s EESSE Vea o — 728 — (C) e (A), (B) e (D); (A) e (B), (C) e (D). Dicendo N, N}, N; le rela- tive polarità nulle (a due a due permutabili), il prodotto di due qualunque è altresì il prodotto della rimanente per la polarità rispetto ad S, ed è un' involuzione rigata, nella quale son tra loro coniugati i vertici di due dei quattro dati tetraedri ed anche i vertici degli altri due; così nell’ involuzione Ns N5= N; N; son coniugati ai punti B,,...,B,ipunti C,,...,C4, ed ai punti A,,...,A,y i punti Dj ,...,Dy. Gli assi delle tre involuzioni sono tre coppie, a due a due armoniche, di generatrici dell'altra schiera di $ (!). Siano %,,01;%g, 02:03 ,v3 le generatrici di R passanti per i punti d' in- contro «di-S con ‘le rette: A; AZRA,A,. As A,, e dicansi I, Us Mlefinyo; luzioni rigate aventi per assi queste tre coppie di rette. Anche la As A, essendo reciproca di A, A, rispetto ad S, taglia v, e v;, epperò A; e A, al pari di A, e A,, sono coniugati in I, ; similmente Az e A), come A, e A,, son coniugati in I,, e A,, A;, come A3,A,, in I. Se poi si chiamano Pe Q le intersezioni di v, con A À3 e di v, con A À,, la retta PQ ap- partiene ad S, quindi taglia u» e v». Perciò il coniugato di P_in Is, dovendo giacere sulla PQ e sulla coniugata di A; A;, che è A, A,, sarà Q. Si con- clude che nella schiera R le coppie di generatrici %,,0,;%2,02;%3, 03 si separano a due a due armonicamente, epperò individuano, nel modo che si è detto al n° 1, un'involuzione biquadratica £, di cui un gruppo è A, As A3 AL. Altri tre gruppi son formati dai vertici di (B) , (C) , (D), giacchè, appoggian- dosi gli spigoli di (A) ordinatamente alle ,,%01;%2,02;%3,03, lo stesso avviene degli spigoli degli altri tre tedraedri corrispondenti a quelli nelle involuzioni rigate N3 N, N3 N, NI Ns. Wna data configurazione di Kummer può dunque generarsi, in 20 modi diversi, con la costruzione del n. 1. 3. Sia 7°3 una cubica gobba, e scelti su essa quattro punti A), A», A3, Au, siano U,, V,; Ua, Va; U3, V3 le coppie (a due a due armoniche, su 7°?) dei punti doppî delle tre involuzioni individuate sulla curva risp. dalle coppie Ag, Az ed A, , A4; A3, A, ed Ag, A4; A), Ap ed Az, À, di punti coniugati. Le rette U, V,, Us Vs, Us V3 sono le generatrici che a due a due hanno in co- mune le tre schiere rigate composte di corde di 7° e risp. determinate dalle corde congiungenti le dette coppie di punti coniugati. Chiamando R la schiera che ha per direttrici le rette stesse, le sue coppie di generatrici w, , 01 j U2 , Va; Us, 03 uscenti dalle coppie di punti U,, V,; U:, Va; U3, V3 sono a due a due ar- moniche, e, prese come assi, individuano tre involuzioni rigate I, , I. , 13, due qualunque delle quali hanno per prodotto la terza, mentre ciascuna trasforma la cubica in sè. Ne risulta, come al n° 1, un'involuzione £ del 4° ordine: la quale, nel caso presente, è così fatta che se un suo gruppo ha su 7° uno de’ suoi punti, vi ha pure i tre punti rimanenti. La cubica contiene pertanto (1) Per le proprietà qui usate di due tetraedri di Msbius cfr. Caporali e Del Pezzo, Introduzione alla teoria dello spazio rigato (1885), nelle Memorie di geometria del Ca- porali, Napoli 1888, pag. 270 ($ X). Cfr. pure Sturm, ioc. cit., Bd. 1, pag. 70. — 729 — co' gruppi di 2, i quali costituiscono l' involuzione (sizigetica) £'’ determi- nata sulla curva stessa dal gruppo A, A: A: A, e dal suo Hessiano ()). Un gruppo di 2 è A, As A3 A,. Altri tre si hanno, evidentemente, nei vertici Bi, -., By; C,..-, 04; Dr; ...,Dy dei seguenti altri ‘tetraedri: quello, (B), che ha per facce i piani osculatori in A,,...,A4; quello, (C), che ha per vertici le intersezioni delle tangenti nei vertici del primo, (A), con le facce risp. opposte; quello, (D), che ha per facce i piani che dai vertici di (B) proiettano le tangenti situate nelle facce risp. opposte. Ora, per notissime proprietà, questi quattro tetraedri sono a due a due di Mòbius; segue quindi dal n° 1 che % loro vertici e le loro facce formano una con- figurazione di Kummer. Una tal configurazione — pur non essendo, generalmente, nè tetraedroidale nè degenere — non è però la più generale possibile: essa possiede infatti un sol modulo, quello della quaterna di punti A, As A3 A, considerati sulla cubica gobba, mentre tre sono i moduli della configurazione generale di Kummer. L'osservazione del resto risulterà confermata per altra via fra poco (n° 5). 4. Mantenendo per i sei complessi lineari a due a due involutorî, da cui la nostra configurazione può pensarsi originata, le notazioni del n° 1, è chiaro che G, contiene le tangenti di 7°? nei punti doppî delle involuzioni subordinate sulla cubica da I; e I; (£,j,#=1,2,8), cioè nei punti DES SCURA RE Il complesso Gs, che scambia tra loro (A) e (B), ed anche (C) e (D), non è altro che quello relativo al sistema nullo determinato da 1°. Quanto a Gi, poichè scambia tra loro (B) e (C) e pure tra loro (A) e(D), contiene le rette A, C,...,A4C4, tangenti a °° nei punti A,,..., A; e poichè d'altra parte è in involuzione con G;, esso coincide col complesso che fu per la prima volta considerato dal sig. Sturm (*?) come luogo delle coppie di quadrisecanti delle tangenti condotte a 7°3 nelle quaterne di punti apolari ad A, A» A3 A,. La detta proprietà, che rispetto a Gi sono reciproci (A) e (D), come pure (B) e (C), equivale perfettamente alle costruzioni date dal sig. Sturm (Mem. citata, n° 26) peri piani focali di A,,...,A, e per i fuochi dei piani osculatori a I°? in questi punti rispetto a Gi. Infine G;, essendo in involuzione con Gi e con G;, proviene con la ge- nerazione dello Sturm da una quaterna di punti di 7* apolare ad A,,..., Ax: (1) In relazione con quest’'argomento vedasi, anche per le relative notizie bibliosra- fiche, il mio lavoro Intorno alla rappresentazione delle forme binarie cubiche e biqua- dratiche sulla cubica gobba, Rend. del Circolo Mat. di Palermo, vol. 5 (1891), pp. 9 e 33, dove sono date notevoli proprietà dell’iperboloide su cui è tracciata la schiera R. (3) Darstellung bintirer Formen auf der cubischen Raumcurve, Journ. fir Math., 86 (1878), pag. 116 (n. 23 e seg.); cfr. pure Linzen geometrie, Bd. 1, pag. 326. le — — SS ES wa ses n EY gi n e ig i — 730 — esso contiene perciò le tangenti di 7? nei quattro punti che formano il gruppo dell’involuzione sizigetica £' apolare al gruppo A;...A,(1). 5. Che i sei punti della configurazione situati in un piano (della medesima), per es. i punti A4, C4, D, ,B;,B:, B3, appartengano ad una conica (e dual- mente per i sei piani concorrenti in un suo punto), si deduce (con noto ed ovvio ragionamento, valido per ogni configurazione di Kummer) da ciò, che i triangoli A, C, Dj e B, B: B; sono autoreciproci rispetto alla conica secondo cui il loro piano taglia la quadrica contenente la schiera R. Ma nel caso attuale le stesse 16 coniche possono anche definirsi in altro modo, che me- rita d'essere rilevato. Riferiamoci, per es., ancora al piano precedente, oscu- latore a 7? in A,. Le rette B, B; , B, B, , B, B; sono le sue intersezioni coi piani osculatori risp. in A,, A2; A3, mentre la retta A,4C, tocca I° in A,. Quest'ultima incontra dunque le prime in tre punti Af,A3, A3 che sono le intersezioni della stessa con quei tre piani osculatori; epperò la punteggiata ALASAGA,, posta sulla tangente A, C,, è proiettiva alla punteggiata A, As Az A, di 7. Ma la prima è proiettiva al fascio di rette A,(B,B,B304), onde si conclude che la conica considerata è, sul piano osculatore in Àu, il luogo d'un punto dal quale i punti B, , Bs, Ba, Ci sono protettati secondo un gruppo protettivo al gruppo A, A. Az A, della cubica gobba. Trasformando successivamente il precedente fascio di rette con le polarità rispetto ai complessi Gi, G;, G{, risulta che son pure proiettivi ad A, As A3 A, (su 1°) i fasci C,(D, D, D3 Ai), Bu(Ai Ao A3 Di), Da(C, Ca C3 Bs), il che de- finisce le coniche della configurazione situate nelle facce dei tetraedri (D), (A); (0) (?). 6. Le proprietà degli ultimi tre n' soffrono eccezione quando i punti Ai, Ag; Az, A, formino su 73 un gruppo equianarmonico. È noto infatti (*) (*) Se in una qualsiasi determinazione parametrica scelta su T* è f la forma binaria biquadratica che ha per radici i parametri dei punti A1,..., Aa, @ si denotano, come di solito, con H il suo Hessiano e con < e j i suoi invarianti quadratico e cubico, il detto gruppo di £' ha per parametri le radici del covariante jf— iH. Cfr. il mio citato lavoro Intorno alla rappresentazione ecc. (2) Ricorrendo alla rappresentazione parametrica delle coordinate dei punti di 13, sì trova senza diffioltà : 4-2 TECO SARA i Dal (B: Bs Bs Di) = 4 7 Dali (Bi Bs Bi Ai) =) dove i birapporti si riferiscono ai punti considerati sulla conica a cui tutti appartengono, e 4 denota il birapporto dei punti A;,...,A4 pensati come esistenti su T*. Quando siasi descritta la conica (nel modo indicato, ossia partendo dai punti B;, Bs, Bz, Ci), queste formole fissano sulla medesima le posizioni degli altri due punti A, , Di. Lo stesso dicasi delle altre 15 coniche. (*) V., anche per proprietà più generali, la mia Nota Sulle curve d'ordine n dello spazio ad n dimensioni, Rend. del R. Istituto Lombardo, (2) 26 (1903), pag. 791; onpure — B1- che i punti C,,...,C, giacciono allora sopra una retta, appartenente al complesso lineare G4 individuato da 1°, e per la quale passano quindi pure ‘i piani che da B,,...,B, proiettano le tangenti nei punti A,,...,A (quelli cioè che nel caso generale sono le facce del tetraedro (D)). D'altra parte, i complessi G,, Gs vengono a coincidere col complesso speciale che ha per asse la retta precedente. Esaminiamo invece ciò che avviene quando A;,...,A, siano armonici su I°. Posto, per es., che A, e À, separino armonicamente A» e A3, le rette A,A,, A3 A; , B, B,, B; B3, che in ogni caso son comuni ai complessi G, e Gz, appartengono altresì a G,: infatti delle tangenti di 1°? appoggiate, per es., ad A,A,, due hanno il punto di contatto in A, e due in A,, e il gruppo formato dai punti A, e A, contati due volte è apolare ad A, ... A,. Ne segue che su quelle quattro rette stanno risp. anche le coppie di punti D;D3, D, D,, C3 03, C, C4, separate dalle precedenti armonicamente. Di più, tanto le rette A, A, e A3A;, quanto le B; B, e B, B; sono coniugate rispetto a G,; perciò le A, D,,..., A4D,, che sempre son comuni ai complessi G; e Gi, nel caso attuale stanno pure in G,, e contengono quindi ancora risp. le coppie di punti B, C,, B; 0; , Ba Ca, B, C, (!). In conclusione, i 16 punti della con- figurazione sono, nel caso presente, le intersezioni di 4 generatrici della rigata comune ai complessi Gs, G, Gi con 4 generatrici della rigata trasver- sale (comune a G;, G3, G,); e i 16 piani della medesima son quelli deter- minati dalle prime con le seconde generatrici. La quadrica su cui son trac- ciate le due schiere — e che, contata due volte, costituisce la superficie di Kummer determinata dalla configurazione — contenendo, come generatrici della seconda schiera, le rette v, , v,, incontra T°*, fuori dei punti A,,...,A,, nei punti U,, V, che separano armonicamente le coppie A, A, e As A3. l’altra Alcuni teoremi sulle curve razionali di uno spazio ad r dimensioni dotate di r-+1 punti d'iperosculazione, Rend. del Circolo Matematico di Palermo, 22 (1906), pag. 214 (n. 4). (!) Si potrebbe dimostrare che i birapporti (B: Ca A1 Di), ...,(B1C, A4 Da) hanno il valore L x RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 93 pr TALES fica e o se AO al — se os e — I fr —_——— 6 ITForoex CTrEeRT= A S — 732 — Matematica. — Sulla risoluzione apiristica delle congruenze binomie. Nota 2* di MicHELE CIPOLLA, presentata dal Corrispondente A. VENTURI. In una precedente Nota di egual titolo, noi ci occupammo della riso- luzione apiristica di una congruenza binomia, di cui il grado e il modulo sono potenze di uno stesso numero primo. Qui vogliamo considerare il caso generale di una congruenza binomia di grado 7, secondo il modulo p”, essendo p un numero primo dispari ed % un divisore qualunque di p#-!(p— 1). Questo caso richiede la considerazione dei cosiddetti sistemi completi nino grado (mod. p"); il quale concetto, estensione di quello introdotto per la prima volta da noi nella risoluzione apiristica delle congruenze binomie secondo un modulo primo, ci condurrà alla ripartizione dei numeri di un sistema completo di resti (mod. p”) in altri sistemi, in ciascuno dei quali esiste uno ed un sol numero che sia soluzione di una data congruenza bi- nomia (mod. p”). Dopo ciò non sarà difficile giungere alle cercate formole di risoluzione. $ 1. — Sistemi completi di n°'"° grado (mod. p"). 1. Se i numeri (1) Tr,l2, 00 ,7k sono primi con p e le loro potenze °° sono incongrue fra loro (mod. 7) e inoltre formano un gruppo secondo il modulo p” stesso, noi diremo che essi costituiscono un sistema completo di n°î° grado (mod. p"), d'ordine k. quo : 0 Mprri(p—l SA i: L'ordine X è un divisore di Pell), poichè il gruppo corrispon- pan) ) Ò formato da tutti i residui n-ici di p”, incongrui fra loro (mod. p”). Le potenze n°î° dei numeri (1) sono tutte le soluzioni della congruenza dente delle potenze zi è un divisore del gruppo d'ordine (2) ak=1 (mod. p"). Infatti, se w è il periodo di 77, p. es., sarà w un divisore di %, onde e è una soluzione della congruenza #‘“=="1 (mod. p”), e però della (2). Tutte le potenze ni dei numeri (1), soddisfacendo alla congruenza (2) ed essendo incongrue fra loro (mod. p”) e in numero di X, son tutte le solu- zioni della (2). — 733 — Se y1,Y2,:Yn sono tutte le soluzioni della congruenza «"=1 (mode numeri, A —142,...,6,; &W=1,2,.. n) si possono ri- | partire nei sistemi PiVi, 71723003 71Yn (3) Par, T272 000, 727)n PrYrsThY2 0%, VkYn- È ehiaro che un sistema completo di 7'®° grado (mod. p") contiene uno ed un sol numero di ciascun sistema del quadro (3), onde co? g(p”) numeri di un sistema completo di resti primi con p, secondo il mod. p", sî possono formare n" sistemi completi di nî"° grado (mod. p"), d'ordine k. 2. Sia (4) Rath, Dx un gruppo di residui 2-ici (un sistema completo di °° grado) secondo il mod. p, d'ordine X; si può facilmente dimostrare che se & è divisibile per p'(n=m_— 1) ed s è un numero intero non superiore ad r i numeri (4) si possono ripartire in p° gruppi di residui n-ici (sistemi completi di nîmo grado) secondo il mod. p""*, tutti dell'ordine —; e se invece k non pS 3 è divisibile per p, ma è un divisore di 1 para(p— 1) 22 gruppo (il si- stema) (3) è anche un gruppo di residui n-ici (un sistema di n°" grado) secondo il mod. p"". Tralasceremo per brevità le dimostrazioni di questi teoremi, che si fon- dano del resto sui più elementari concetti della teoria generale dei gruppi e della teoria delle congruenze. i 8. Se k non è divisibile per p e i numeri (4) Dita formano un gruppo di residui n-ici, secondo il mod. p"—", i numeri (5) SAS... Sa formeranno un gruppo di residui n-ici secondo il mod. p". Infatti i numeri (4) sono tutte le soluzioni della congruenza x*= 1 (mod. p"-—"), e però tutti i numeri (5), che sono incongrui fra loro (mod. p”), sono le soluzioni della congruenze a*#=1 (mod. p"), e quindi formano un gruppo di residui n-ici secondo il mod. p”. 4. Un gruppo di residui w-ici (mod. p”) lo diremo proprio, quando due numeri qualunque di esso non sono mai congrui fra loro secondo il mod. p”. Così pure si dirà che i numeri di un sistema completo di nim° srado E: APPIENO sì » = === ro | 3 ! ì — 734 — (mod. p') formano un sistema proprio quando le loro potenze °"° formano un gruppo proprio. Dai teoremi dei nn. 2 e 8 risulta subito che condizione necessaria e sufficiente perchè un sistema completo di n°"° grado (un gruppo di residui n-ici) sia proprio è che il suo ordine k non sia divisibile per p. Inoltre se (6) 01,02) 0%.) Ok è un sistema completo e proprio di n'î° grado (mod. p"), si può porre pri (7) 0=({î essendo (mod. n5) ’ (î =1 ’ 2 PRIOSO k) ’ P} 9, V9 geco 9 Tk (1 un sistema completo di n°'"° grado secondo il mod. p. 5. Ciò posto, sia v un divisore di p — 1, e p=b=2, siano inoltre in SI tutte le soluzioni della congruenza (8) La e formiamo il quadro I (mod. p”) \ ti 01 MISE 3ese, Î1 0% (9) , ta 01 , da È , Ù ) $ x tpm_r 0, , pmi 02 3) c00) Épm_r Ok è È facile vedere che in questo quadro sono distribuiti in p"-! sistemi i numeri di un sistema completo di »°° srado (mod. p”), le cui potenze vîme sono tutti i residui v-icî di p", primi con p. È importante poi osser- vare che se « è un residuo v-ico di p", vi è nel quadro (9) un sistema solo che ammetta una soluzione (e una soltanto) della congruenza (10) za = (mod. p"). Infatti si scorge subito che il numero pir-2p=1+1 lo = CI (mod. p”), è una soluzione della (8); sia ora 7, quel numero del sistema (9), che ve- rifica la congruenza 4° = (mod. p), si avrà prov 0 Flat 30} (mod. p°) CARA pr cioè, posto 00 =”; (mod. p"), (11) DA =@2° (mod. p") — 735 — e quindi (to) = al" +1 =4 (mod. p"). Premesso ciò, si è condotti facilmente alla determinazione di una soluzione apiristica di una congruenza (10), come vedremo nei successivi $$. $ 2. — Risoluzione di una congruenza binomia (mod. p"), il cui grado è un divisore di p— 1. . 6. Im vista di ulteriori applicazioni noi dimostreremo il seguente teo- rema più generale: Se i numeri (12) 013023 3 01 v formano un sistema completo e proprio di v'"° grado secondo il mod p", posto (1 3) AG = Forio } 1 dove a è un numero intero, l’espressione p-l v —1l p"-2p"_1+1 v — Resi 7) Di Ax atpn7! k=0 (14) è congrua (mod. p") alla potenza a" di una soluzione apiristica della (10).. Infatti, indicando con x l’espressione (14) e con 0, quel numero del sistema (6), che soddisfa alla congruenza 2° = a” (mod. p") [cfr. n. 5, formola (11)], la (14) si può mettere sotto la forma P_I pir-opimo14] v v sg (000) ie dela 15 La = a rm 0 5) “Tp (Coi) i Ora si osservi che, quando ; assume i valori 1,2, Eat , (000:)” percorre un gruppo proprio di residui »-ici (mod. p”), onde la differenza (00 0;)' — 1 per un solo valore è, di è sarà divisibile per p”. Poichè, in virtù delle (7), si ha (000) —1=(m7) 02 —1=0 (mod. p”), tutti i termini deila somma che figura nella (15) per é+ è, sono divisibili Tac Dia SHEN Vi TR =— rr rrrrrr®=eo or =znnm ea i = pra rr CS ms I de |p--——f iaia — comm— Aso» prg 0 pe — 756 — per 9"; siccome poi per 7= o, per cui si ha (000,)) — 1=0 (mod. p”) ossia (16) Q;, =, (mod. p”), risulta (0) Ci) —l TREO ia (00 Qi)" Mn v (mod. p”), si trae p—2pîn1 En] ar CY, Mo La = ù 0; (mod. p"). Dunque #a è congruo (mod. p”) alla potenza e del numero pp o141 y A 0; 1 che è una soluzione della (10), perchè la potenza wi di esso, per la (16) e la (11), è congrua ad 4 (mod. p”). Per a=1 si deduce che l’espressione pl prop 1+1 v v ji resi ASIAN (17) a DÒ ) Aa p—_—l 4 k=0 essendo ira v RAT NE-13 (18) di ) 0; =1 è una soluzione della congruenza a = (mod. p"). 7. Come applicazione di quest’ ultimo risultato determiniamo una solu- zione apiristica della congruenza (19) x =a (mod. p"). È facile osservare che i numeri ; Di 1,2,8,+s 3 costituiscono un sistema completo di 2° grado (mod. p), e però si può porre per tutti i valori di < da 1 a “i 2 : em =1 0= è? (mod. p°"), — 737 — onde, posto p-l 2 Sk = iO.» (modipo); i=1l si trae che l’espressione p_1l Ba po-2p—14+1 2 2 2 kpm_1 a Sha"? p_l h=0 è una soluzione apiristica della (19). Si può anche osservare che è, secondo il mod p”, VALZER VAI 2 ny ge= ! \ pp”) — ve - (cine) eran FO lu ue: Pai IN 1) + Il dove le B sono i numeri di Bernoulli, e, in virtù di note proprietà dei po- linomi bernoulliani, si ha pmu_2kR-1)+1 E ik 2 1 m Sk = Cprei[pei@6— 1) FI) (! — Tar) Byn-1(2k-1)+1 (mod. P )à Infine, introducendo i numeri di Genocchi G,=(2" — 1) B,, che sono interi, si deduce che l’espressione PP D (20) 4 N° Gm: (2%-1+1 appro! pop ai 1) ce Op"TU2k-1)+1 [ p"-1(2% e 1) - da] è una soluzione apiristica della congruenza binomia quadratica. La formola (20) ha importanza solamente teorica: essa mostra che nel caso di 7="2 la determinazione dei coefficienti può effettuarsi senza cono- scere il numero p. i Formole assai vantaggiose in pratica saranno ottenute nel successivo paragrafo. $ 3. — Soluzioni apiristiche ridotte. 8. La risoluzione di una congruenza binomia di °° grado, coi processi esposti nel precedente $, non richiede altro, che la conoscenza di un sistema completo di v°#° grado secondo il mod. p (v. n. 4), per la costruzione del 2 1a ni rie e PE DECINE mn î e a E SEI | - — = —— lett n = — 198 — quale (n. 1) basta la conoscenza delle soluzioni della congruenza 2° =1 (mod. p). Poichè la risoluzione di quest'ultima si può ricondurre alla riso- luzione di congruenze binomie di grado inferiore, si può anche dire che per risolvere una congruenza binomia qualunque ron occorrono tentativi. Ma in pratica, specialmente per la determinazione delle soluzioni minime posi- tive (radici), il metodo riescirebhe assai faticoso. Invece si prestan bene in questi casi le così dette soluzioni apiristiche ridotte, le quali richiedono la conoscenza di qualche elemento dipendente dal modulo, la cui determinazione per tentativi, del resto, non offre alcuna difficoltà pratica. 9. È facile dimostrare che decomposto p —1 in due fattori primi I: 3 : e 3 5 / , il primo dei quali sia multiplo di v, se y e d sono fra loro pe po due numeri appartenenti rispettivamente agli esponenti m e , secondo il mod. p, i numeri —1 yds (r=0,1,2,...£-1;5=0,1,2,.,É 1), v Vv formano un sistema completo di v'î° grado (mod. p). Allora, posto Mel i o=y? = dd (mod), si può nella (14) porre ey v v p Pp_1 i ORD EM, Vi AS iii 2AT SZ]: AG; = N; ) (0' I) == oe 1 a I A per=" mE 1 (mod. pio. r=0 s=0 i da cui si trae subito, se non è vt — a=0 (med. în .) i Ax=0 (mod. p"), Hi e se invece è ank —a="0 (moi. “si E Ml ve Si]: SI Q U Ue E (mod. p”). Se ne deduce allora che, se Xx è una soluzione della congruenza (21) ve -a=0 (mod. a) ; ha — 739 — l’espressione Hi 1 Pio ee A DI de) y Aa +p"—1ka at a p (22) — _-4 (o —1) ) Tr SP PI) lai a Ot) — 1 è congrua (mod. p") aila potenza a-esima di una soluzione apiristica della (10). In particolare, per a= 1, una soluzione apiristica della (10) è ‘prot pei p2p14] s CCA RIETHAAS din ri dl 06 (23) — la (0 “> i u 7 Muse s=0 0 dove k, è una soluzione della congruenza SA] | (24) io (uu0d. o dl 7 i = e Se v*è primo con el si può porre u=?, e la (23) allora dà, come ; soluzione apiristica della (10), l’espressione prop 141 (25) 7) +pm—1 k y pi 1 Se si pone u=p— 1, e però X4=0, si ottiene il risultato seguente: Se g è una radice primitiva di p, l'espressione p_1 1 p2p-141 p-1pe1) di mu1 (26) v Sr ( em 1) asp x 4 seria 0) “TAR mT1 p da 1 9 gP (vs—o)___ i - s=0 e congrua alla potenza aî® di una soluzione apiristica della (10). In particolare, per v=2 e @=1, si ha che l’espressione 4 SA 2 pini (27) a 0. h mei mn p pENÌ gP (745) DYANADAE 1 è una soluzione aptristica della congruensa a°=a (mod. p"). RewpIconTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 94 — 740 — 10. La (23) può anche mettersi sotto una forma più semplice. A tal fine si osservi che esiste sempre un numero y, appartenente all'esponente (mod. p), tale che sia p=1 (28) vi #—=y (mod. p). Si ponga allora Mi 1 (29) RE= (mod. p”) e nella (22) si muti g in 0. Posto quindi (30) 0 dA u ì e osservando che, per la (28) e la (30), si ha O E =— 0 So 0° —@ (mod. p”), si ottiene che l'espresszone Ge: prapm—1+1 “— 1) p ; pp prc gio ev I) 1) (31) a w 4 o Sg ha ts) —_ è congrua (mod. p") alla potenza a' di una soluzione della (10). Applichiamo la (31) al caso di 1=2 e @«=1. Se 2” è la più alta potenza di 2 che divide p — 1, sì può porre 2° — 1 ana I u=2", k= ERI fd e poichè, com'è facile osservare, sì ha o '=—_1 (mod. p”),; N si conclude che l’espressione r- pmelim_ (2741) pre p-b+27 ? al sE USD 1 gP+1 (47 2 (32) gr? 4 gt — 1 s=0 è una soluzione apiristica della congruenza a° =a (mod. p"). 11. Quando si vogliono calcolare le radici di una congruenza binomia qualunque si assumerà per w il minimo valore possibile, cioè il prodotto dei fattori primi di 7, — 741 — Se x,0,w%0,... sono i fattori primi diversi di 2, i quali entrano in p — 1 alle potenze di grado 7,s,t,... rispettivamente, si determineranno i numeri 0,00... rispettivamente non residui w-ico, v-1c0, w0-ic0, Mi ue csi assumerà pl p_1l p_1 = 0 al 0 e (mod. 7). La determinazione dei numeri © non presenta difficoltà. Conviene allora calcolare colle formole date nei nn. precedenti, per 7#2=1, una radice 7 della congruenza a=0@ (mod. p); si otterrà allora una radice della (10) calcolando il minimo numero posi- tivo congruo (mod. p”) al numero pn_2p-141 v 7) TEC $ 4. — Risoluzione di una congruenza binomia (mod. p"), il cui grado è un divisore qualunque di p"(p— 1). 12. Supponiamo ora che il grado x della conguenza (33) a»=a (mod. p") sia un divisore qualunque di p" (p — 1), e poniamo n=p"v, dove » è primo con p. Si possono sempre determinare due numeri interi a e £ tali che sia soddisfatta la congruenza (34) ap+B8=1 [mod. p"77!(p—1)] Sia y, una soluzione della congruenza y? =a8 (mod. p") e z, una soluzione della congruenza a=4@ (mod. p”), sarà allora yoxf una soluzione della (38). Infatti si ha UN) an” y65 op” p PI B+ap o (Ra=yp' a =a mod. p”). Ora si soddisfa alla (34) prendendo DIGI: pe Oiiazioni - 1 E v (35) OTTNAI quindi, moltiplicando una qualunque delle formole ottenute nel $ precedente, per a=p""-; con la (14) della Nota 1°, dove sia mutato 4 in af per il valore di # dato dalla (35), si ottiene una soluzione apiristica della con- gruenza (33). 3 e=@®# OC, @e> CRT — SN = ci? e a sie? lle n cesto. sx ea =——+rr_—rr_r sei = o Lod A — SE == co .@@’ltmo@@@__ ù urli uu _— n= = Teese: Td — Fisica-matematica. — Za ieoria delle equazioni integrali e le sue applicazioni alla Fisica-matematica. Nota del prof. R. MAR- coLONGO, presentata dal Socio V. CERRUTI. L'importanza dello studio di aleune equazioni funzionali nella teoria dell'equilibrio dei corpi elastici isotropi, è stata notata, or sono alcuni anni, dai sigg. E. e F. Cosserat ('). La nuova e importantissima risoluzione delle equazioni e dei sistemi di equazioni integrali ottenuta dal sig. Fredholm (*), che ha già avute notevolissime applicazioni nella teoria del potenziale e in analisi, doveva naturalmente promuovere gli studi già iniziati dai sigg. Cos- serat e permettere inoltre di stabilire, con minor difficoltà, i teoremi di esi- stenza per i problemi di equilibrio elastico. Il sig. Fredholm (?) ed il prof. Lauricella (4) si sono occupati di ridurre il problema dell'equilibrio, quando al contorno sono fissati gli spostamenti, ad un sistema di equazioni integrali del tipo generale considerato appunto nella teoria del sig. Fredholm. Non credo inutile esporre anzitutto in altro modo una tale riduzione. Supponiamo eliminate le forze di massa e quindi ridotte le equazioni di equilibrio alla forma 0 _ DICE de (1) Aa 0 ; gni, 70 - drag È noto che, quando sono dati i valori al contorno delle funzioni incognite u,v,w, il sistema (1) ammette al più una soluzione, purchè —IZk , — dr cos(rr , — Ar cos(rn = dn (PR) 7 ( (E dY | RE de e le altre due terne dedotte con permutazioni circolari, soddisfano alle (1). Indichiamo qui con 7 la distanza di un punto qualunque (2,%,) da un punto (£, 7,6) del contorno oc del corpo; con n la normale interna e infine: k fp a kt è precisamente la costante che figura nei recenti lavori del sig. Korn. Rappresentiamo con @(0), w(0), x(c) tre funzioni qualunque finite e continue dei punti di 0; se poniamo O Uasyd= fel 7 do — zi 1 Di De d 2 + |rcosra(—9(9+ — 0) +— x(0)) do 2rr Do dI dY dE dE e due formule analoghe per v e w, otterremo ancora un sistema di soluzioni delle (1). Consideriamo anzitutto i valori di u,v,w nei punti 7 interni a o, e accenniamo rispettivamente con U; e U} il primo ed il secondo integrale della prima delle (2). U; rappresenta la funzione potenziale di un doppio strato di 0 col mo- ) I L 7 x mento continuo Da SO) Se facciamo tendere il punto # ad un punto s del contorno, sappiamo che i Us=909+ 3 [997 do; l'integrale a secondo membro esprime il valore che U; prende nel punto s; in altre parole, 7 rappresenta ora la distanza del punto s da un altro punto o entrambi appartenenti al contorno. Questa relazione, nella ipotesi della con- tinuità di g(0), vale, com'è noto, per condizioni molto generali sul contorno o. Ma, per quanto dovremo dire tra poco, noi vogliamo supporre che il con- perni niet Man g_L dazi ta Pe tecni si es e Sgimzò > a È — 744 — torno o soddisfi alle condizioni del Liapunoff ('), o a quelle alquanto più restrittive e nettamente enunciate dal sig. E. R. Neumarn (?). L'integrale a secondo membro, sempre proprio, rappresenta una funzione continua dei punti di o e la funzione che figura sotto vincolo integrale, col ) ; ME; ll tendere di oc ad s diventa infinita come —. Basta rammentare che (*) cos(772) p? == da ga dove 8, è una costante finita e diversa da zero. Consideriamo la funzione U;. E agevole convincersi che essa è continua anche quando % tende ad s. Infatti è: 1 1 Do: dI - 5 == TO fra d IT dr) e e dc dal dI dn “dae dy 0 de dg dn) e si può scrivere: il Di fe cos(77) ww g(0) do = di il |3 i 1 | [9(0) — 9(9] do + 9(5) di È Coli ci 1 | do . L'ultimo integrale è nullo, qualunque sia la posizione del punto 7 anche su 0; e del primo si dimostra subito la continuità (*). Lo stesso può ripetersi per gli altri integrali di U;, perchè è pure 1 = ddr _r da dY dn o=( qualunque sia la posizione di 2. (1) Sur quelques questions qui se rattachent au problème de Dirichlet [Journ. de mathém. Vol. 4 (5) pp. 241-311; 1898]. (2) Studien è. die Methoden von C. Neumann u. G. Robin zur Lòsung d. beiden Randwertaufgaben d. Potentialtheorie [Preisschriften gekront u. herausgeg. v. den first. Jablonowki® schen Gesell. z. Leipzig, 1905, pp. 1-8]. (3) E. R. Neumann, oper. cit., pag. 5. (4) Basta ripetere la dimostrazione di C. Neumann: Zed. die Methode des arith. Mittels [Abhand, d. mathem.-phys. Classe der K. siichsischen Gesell. d. Wiss. zu Leipzig. Bd. 13, pp. 707-820, 1387]. — 745 — Se dunque facciamo tendere 7 ad s e diciamo x(s) il limite di %;, ot- teremo : 1 d=- = fe 7 do O) 1 1 1 5 Da > da mix rosta) (3 (0 di dy L y(0 )+ xe Z y(0 ) do e due analoghe per v(s) e w(s). Ecco dunque stabilito un sistema di equazioni integrali del tipo del sig. Fredholm, poichè le varie funzioni che moltiplicano le incognite sotto - 3 È 2 ESE 1 vincolo integrale, col tendere di o ad s diventano infinite solamente come Zu Se i valori (s),v(s), w(s) sono gli spostamenti assegnati al contorno, riso]- vendo il sistema (3) e poscia sostituendo i valori trovati per @, 4, in (2), avremo una soluzione del problema proposto. Le ,... sono funzioni meromorfe di 4, purchè il determinante dell'unica equazione integrale, a cui si riconduce il sistema (3) col metodo del sig. Fre- dholm, non sia identicamente nullo; chè in tal caso il sistema o non avrebbe soluzione o ne avrebbe infinite, qualunque sia 4. Ora Z4= 0 non è un va- lore eccezionale per (3), come vedremo; e per tal valore il sistema assume la forma semplicissima al 10=00)E 5a = 2 fg 7 do , ecc., che ammette sempre una e una sola soluzione ; infatti è noto che la corri- spondente equazione omogenea ha la sola soluzione g(s)=0 (!). Dunque è impossibile che il determinante sia nullo e il sistema (3) ammette sempre una soluzione e una sola, per % soddisfacente alla condizione posta in principio. Lo stesso metodo è applicabile alla risoluzione del problema elastico esterno, cioè alla integrazione di (1) nello spazio esterno e alla superficie 0. Basterà considerare (2) in un punto esterno e poscia, come prima, passare al limite; troveremo il sistema integrale = + sSo; 7 5 or cos(77) Ch sE (4) ci (1) È in fondo il cosidetto teorema della costanza del momento di un doppio strato del signor E. R. Neumann, oper. cit., pag. 51. V. anche la seconda delle note citate del sig. Fredholm. — 746 — Il sistema omogeneo corrispondente ammette la soluzione evidente g= cost., w=cost.,y= cost., e lo stesso dicasi pure della equazione omo- genea risultante. Il determinante dell'equazione risultante è dunque identi- camente nullo; supponiamo del pari che siano nulli i suoi minori fino a quello di ordine 72; allora il sistema omogeneo ammetterebbe m° soluzioni indipendenti per qualunque valore di Z (che non sia eccezionale). Ma per AÀ=0 il sistema si riduce a o 1 r g(s) = Ss vr do, ecc., che ammette la sola soluzione @= cost., ecc: dunque anche il sistema omo- geneo relativo a (4) ammetterà la soluzione unica assegnata (?). Perchè in tal caso (4) ammetta soluzione, le (s)... debbono soddisfare ad una relazione. Dovremo infatti considerare il sistema agg2unto 0 asso- ciato al sistema omogeneo di (4), che ammetterà pure una sola soluzione ,,X (diversa da quella del sistema, eccetto in casi particolari, cerchio- sfera). La relazione da essere soddisfatta è la seguente: tO) D(c) + --- ]do=0. Se questa non è soddisfatta si procede nel modo indicato dal prof. Lauri- cella (?). Nel caso di un suolo elastico isotropo, la risoluzione di (3) è imme- diata. Infatti essendo 7 la distanza tra due punti s e o del piano limite, DE rcos(rn) e 2 sono nulli; quindi U us)=9(8) , 0)=Y(0) , w(s)= 29). Sostituendo questi valori nelle (2) si ottengono le formule risolutive; e se in particolare il piano limite è <= 0 e si chiamano #,y, le coor- dinate del punto in cui si vuol calcolare la deformazione, con facili e rapide trasformazioni si riottengono le formule del Cerruti (*). (!) E. R. Neumann, oper. cit.. pag. 50. (2) Rend. R. Acc. d. Lincei, giugno 1906. (*) Un fatto quasi analogo accade quando si voglia risolvere col metodo del Fre- dholm il problema (interno o esterno) di Dirichlet pel cerchio. In tal caso l'applicazione delle formule di Fredholm conduce alla ben nota formula risolutiva con speditezza ed eleganza. — 747 — In questo caso le componenti di spostamento sono adunque funzioni lineari di 2. Se quindi si vuol soddisfare al problema con una serie ordinata secondo le potenze ascendenti di Z, come appunto fa in generale il sig. Korn ('), si può già prevedere, come aveva notato il compianto prof. Cesàro (*), che la serie si ridurrà ad un numero finito di termini e si ha così un altro metodo, rapido ed elegante, per la risoluzione del problema di Boussinesq-Cerruti. Non è, credo, superfluo notare che lo stesso metodo può essere applicato anche alla sfera. Pongasi infatti u=Uo + Zu 4 42° un + *° e analogamente per v e w0, e dove %,, 00,0, sono armoniche e in super- ficie assumono i valori assegnati «(s),...; le w%,,... %,... nulle al contorno, soddisfano alle equazioni ELA ELI dzu ==0., 4-43 nil NI: 2 1 + dr 2Ua 2 1 + E 0 8,,9,,... sono le dilatazioni cubiche corrispondenti agli spostamenti vo, ...; U,-..; ecc. La % è subito data da una formula ben nota; si deduce poi che (3) w=— 7 fHsde=9. 4700 La funzione ® è armonica e quindi la %, è biarmonica e si annulla al contorno. Porremo dunque dP1 dP u,= (0° — a? ye 5 0120 1 (0 ) dI 1 Q de ’ e si troverà dP 1 vil +30 = — — 2 — d dI 2° DE dI i dYP1 d 2, ui da (*) Comptes rendus, t. 142, février 1906, pp. 334-836; Sitzungsb. d. math.-phys. Klasse der K. B. Akad. d. Wiss. zu Minchen. B. XXXVI, pp. 37-80. (2?) Rend. R. Ace. di Scien. fisiche e matem. di Napoli, luglio 1906. Nel caso che sul piano limite siano date le forze, il Cesàro sviluppa invece secondo le potenze di —_=1- 3. ottenendo uno sviluppo limitato ai primi due termini. Lo stesso me- todo conduce ancora alla risoluzione dei così detti casi misti o alterni. (3) Per i calcoli e le notazioni mi riferisco alla mia: Teoria mat. d. equil. d. corpi elastici, Milano, 1904, pp. 282-287. RenpICcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 95 — 748 — E qui si procederà allo stesso modo, ponendo ali ga Re 2 vu» = (0 di. DI LI fa bi ii 729, Se 2% ole Dolo I° dg e così di seguito. Ora con successive integrazioni per parte si riconosce che con (9) dY1 > PL pt ZI Sn Quore 1 7 dD et fre Ze e quindi si riottengono le formule del prof. Almansi. equivale a: Deduciamo ancora alcuni dei risultati dei sigg. Cosserat (!). Sia 4, un polo di ordine # delle soluzioni ,y,x del sistema (3) e sì ponga: Ui "l VI Wi Sostituendo in (3), moltiplicando per (4 —4,)! e poscia facendo 4=4, sì trova dr xi 0=w()+3 Ua (0) oi r cos(r n) (3 (+: ) de secc; rr sicchè %,,0:,w, è una soluzione delle equazioni di equilibrio per 4= 4,, diversa da zero e che si annulla al contorno; cioè una soluzione /onda- mentale 0 eccezionale. Due di queste soluzioni soddisfano ad una relazione di ortogonalità. Infatti se X, e 4» sono i valori di % corrispondenti a 4, e 4», dalle (1) deduciamo subito : fdt) det fo di fonsimtede=ta fo dr . (1) Sur la solution des équations de l’élasticité, dans le cas où les valeurs des inconnues à la frontière sont données [Comptes rendus, t. 133, juillet 1901, pp. 145-147]. — 749 — I primi due integrali, pel 2° lemma di Green, sono eguali; quindi per ks risulta fo. 0, di =: 0 ° Da questa relazione, al modo solito, si deduce che è poli sono realt. È poi chiaro che tali poli debbono cadere tra — 1 e — o. Del resto si può osservare che fdt det fde=— figa +34; dunque 4, è negativo. Poscia, osservando che far di] r— (2 did dr, eco. dr gi dY dI sì deduce pure SEraa w) + ]de= | ddr +4 | rot* s, do, indicando con s, lo spostamento (di componenti %,, vw). Dunque (alt. Com'è noto il fatto che i valori eccezionali sono reali, è comune ad una estesa classe di equazioni integrali. Infatti il sig. Hilbert (') ha dimostrato che se la /(,7) (il Kern dell'equazione integrale) è simmetrica in 2 ed y, le radici del determinante dell'equazione sono reali. Si può enunciare un teorema alquanto più generale, e relativo anche ai sistemi di equazioni inte- grali, come pure altri teoremi relativi alla semplicità dei poli, e che per- mettono di dedurre assai agevolmente moltissimi teoremi del sig. Plemelj (?); ma su questi insisterò in altra occasione. (1) Grundzige e. allg. Theorie der linearen Integralgleichungen. Erste Mitt. [Nach- richten d. K. Gesell. d. Wiss. zu Gottingen, 1904, Heft 1, pag. 63]. (®) Vel. lineare Randwertaufgaben d. Potentialtheorie [Monatshefte fiir Mathem. u. Physik, XV Jahrg.]. — 750 — Matematica. — Sull'equazione della propagazione del calore in un filo. Nota del prof. GrusePPE PICCIATI, presentata dal Cor- rispondente T. LevI-CIVITA. In una Nota (') dei Comptes Rendus de l’Académie des Sciences il prof. Volterra ha dato un metodo generale per l'integrazione dell'equazione della propagazione del calore, a due variabili, ed ha stabilito una formula che, sotto un’ unica espressione, racchiude i diversi tipi di integrali di questa equazione. L'applicazione del metodo del Volterra e l’uso della funzione di Green (così chiamata dal Sommerfeld perchè compie nel problema della propagazione del calore l'ufficio che nella teoria del potenziale compie la funzione di Green) permettono di rappresentare, in forma semplice e com- pendiosa, l'integrale tenendo conto delle condizioni ai limiti che valgono a caratterizzarlo. In questa breve Nota mi propongo di assegnare, con tale procedimento, l’espressione esplicita dell’integrale in un caso particolare. Si tratta di un risultato sostanzialmente noto, ma non mi pare superfluo presentarne una deduzione semplice, tanto più che delle formule alle quali così si perviene mi varrò prossimamente nello studio di alcuni problemi idrodinamici (moto dei solidi nei liquidi viscosi) che si possono ricondurre alla stessa questione analitica. Si consideri l'equazione (1) dan della quale si voglia determinare l'integrale soddisfacente alle condizioni (2) (= P(0); (Ma =Y(0) ; (Mur), essendo % una costante positiva, pg, w,x funzioni arbitrarie (?) degli argo- menti indicati. Chiamiamo per un momentn é,v le variabili (anzichè < e #) da cui dipendono v ed /, e consideriamo un campo o in cui non cada alcuna sin- golarità di queste funzioni. Prendiamo (vedi figura) come campo o il ret- tangolo delimitato dalle rette î=0,C6=Ah,t=0,7=t, essendo £ para- metro positivo. (1) Sur les équations différentielles du type parabolique, Paris, 5 dec. 1904. (2) Si intende arbitrarie in senso fisico; in particolare tali da rendere effettivamente eseguibili le operazioni di calcolo indicate nel testo. — 751 — ly Consideriamo, insieme all’equazione ii A du _ IR n39 (1) Snia t/0.9, la una soluzione «, dell'altra equazione (3) dUI dI pure senza singolarità nel campo o che sì considera; moltiplicando la (1)' per u, e la (3) per « e sottraendo si ottiene d du SIC 2 = (e ST +, (6 " o [I sro, De | io È "rm ee e quindi anche S[aew- È dU — 122) |o= (peo. + So Ur)z=0 di + f, (e du aa o T a f do. Colla formula di Gauss, se s è il contorno del campo o, otteniamo Li "i Ud | DE {nat (ng) Jef Ù; ossia i di i o di I (u Un)t=t dé + f (1 du — U Di. dî + Î o t dd dÙ | (4) ibiza Ad a ez n il I Sia ora A un punto di coordinate f=z,7=?7, ove 0<4éL e si consideri l'integrale della (3) analogo alla funzione di Green (*), cioè -—(0-2-2nh)? — ((+2+2nh)? 1 2 4(t,=T) 40,77) (5) m=l EX de — e È esso soddisfa alle condizioni seguenti: 1° per lim(—)=0 si annulla salvo che per C= 6, cioè nel punto A, dove diviene infinito come la soluzione fondamentale = -2)? 4(ty=-T) (Lt rasi DE e 9 9 soddisfa alle condizioni limiti (6) (Ur )t=o =0 (wu. )t=n = 0; 32 non ha singolarità nel campo 0. Ad esso si può dare anche un'altra forma valendosi della funzione +, di Jacobi; infatti si può porre (?) — (0-2-2nh)? t—-z ini 9) h Lo 4(t,=T) d air :( 2 ) aa Li quindi risulta (000 EI (et) a (a A Avendo riguardo alle condizioni (2) e (6) risulta dalla (4) il e IL O Bal Qu +0) (un) ad f gle e (hi uf do. Spostiamo ora il punto A sulla retta $=, avvicinandolo indefinita- mente al punto A, di coordinate 4 ,/: avremo dalla formula precedente che i h CA Ù dui Can im frei S s10 (E l. i sud fu IG3A dr +Sa 9) (%)s- 20 dè + fue do. (1) Vedi Sommerfeld, Math. Ann. 49, 1894, Zur analytischen T'heorie der Wdr- melertung. (®) Vedi Poincaré, 7Aéorie de la propagation de la chaleur, pag. 93. Me Ma per le proprietà della funzione %, è lim “n de =2//ru(,1), DEI 2ades)=f (E) de SO) TSO tt fer quindi otteniamo (8) avendo , l’espessione (5) o (7): questa w(z, 7) è l'integrale della (1) sod- disfacente alle condizioni (2). Nel caso in cui sia % infinito, e le condizioni ai limiti siano (2)' (%)--0 = , (2a =:0) ’ (U)io a (3) ’ la «, assume la forma semplice la) +2) A 4(t, 4(1,—T) (5) ul)? }e —GRBBIIN; e la (8) dà pece t 5) Mii: sr A 0) MM) 0 (8) ca —+2? 4)? +5)? 4(t=7) 4(1-7) +7J Op a+ fc bo, Ie Mostrerò in una prossima Nota come queste formole trovano utile ap- plicazione nella teoria dei fluidi viscosi. Fisica — Sulla durata dell'emissione catodica nei tubi a vuoto. Nota del dott. Pretro DoGLIo, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Tp into Fisica. — Misure di viscosità sopra i cristalli fluidi del Lehmann ('). Nota del dott. Lurci PUCCIANTI, presentata dal Socio A. RITI. I cristalli fluidi del Lehmann sono assai conosciuti, hanno una lettera- tura molto vasta, sopra la loro costituzione si è molto discusso. Tra varie esperienze, parte già eseguite, parte in via di esecuzione su queste sostanze, comunico qui alcune misure di viscosità, che potranno inte- ressare gli studiosi della questione. Misure di questo genere erano state fatte in passato dallo Schenck (?) sopra il denzoato di colesterile e sopra il paraazossianisolo. Egli trova per questo una viscosità decrescente col crescere della tempe- ratura tanto allo stato anisotropico o torbido, quanto a quello isotropico o lim- pido; ma al punto di trasformazione del primo stato nel secondo, un aumento brusco e notevole di viscosità. Per la prima sostanza invece Schenck indicherebbe al punto di trasfor- mazione un piccolo decremento, ma è da notarsi : 1. Che la sostanza si altera durante le misure. 2. Che il resultato di Schenck non potendo, appunto per ciò, essere fondato su molte misure, è ottenuto con una estrapolazione un po' ardita. 3. Che infine il benzoato di colesterile non ha un punto di fusione ben netto e appartiene piuttosto alla classe dei cristalli semifluidi che a quella dei veri e proprî cristalli fiuidi. L'argomento della viscosità si presentava adunque assai interessante, tanto più che il resultato veramente attendibile, cioè quello del paraazossianisolo, è il più curioso, anzi a prima giunta sorprendente. Con l’aiuto del sig. Gian Carlo Conestabile ora dottore, allora laureando in chimica (3), feci parecchie di queste misure sopra il benzoato di coleste- rile, sul paraazossianisolo e sul paraazossifenetolo, che acquistammo dalla nota fabbrica Merck di Darmstadt, usando il metodo del flusso per tubi sottili. Il viscosimetro in vetro era fatto secondo il solito di due ampolline uguali a forma di pipetta (una delle quali munita di due segni di affiora- mento) congiunte da un tubo capillare ben calibro. Esso era mantenuto in un bagno di paraffina fusa, la cui temperatura era regolata da un termostato (1) Lavoro eseguito nel R. Istituto di Studî Superiori di Firenze. (2) Zeitschrift fiir Phys. Chemie, vol. 27, pag. 167. 1893. (3) E a lui i miei vivi e ben meritati ringraziamonti. — 759 — e misurata con un termometro in mezzi gradi di Geissler in vetro normale di Jena. Le due ampolline erano connesse a una chiavetta a tre vie, che permetteva di far comunicare una di esse con l’aria libera e l’altra con un gran recipiente immerso nell’acqua, nel quale l’aria era stata preceden- temente un poco compressa. Girando la chiavetta, le comunicazioni potevano essere scambiate, e così il liquido si faceva passare dall'una all'altra am- polla e viceversa. La pressione era determinata con un manometro a mer- curio, e il tempo del flusso con un conta-secondi. Il viscosimetro fu tarato mediante l'acqua distillata a 20°, la cui viscosità rispetto a quella a zero è 0,562 (*), e furono calcolati per tal via i valori della viscosità riferiti all’acqna a zero presa uguale a 100. Per il benzoato di colesterile furon fatte diverse serie di misure che non risultarono ben concordanti, perchè la sostanza si alterava con un riscal- damento prolungato; le serie, che per essere la sostanza più fresca, paiono più attendibili, dàìnno un piccolo salto in aumento al punto di trasformazione, che si trova a 177°. Temperatura Viscosità (acqua a 0°=100) 169° 440 172 427 > torbido 175 445 Trasformazione : 178 482 limpido ITALO 426 | 1182 427 > torbido Moro 455 \ Trasformazione : 179 494 ) | » limpido 187 4 $ Lo Schenck non poteva certo dedurre il piccolo salto in più con quattro misure a temperature troppo lontane tra loro; se il suo risultato porta invece un salto in meno, ciò si deve più che alla discrepanza tra le misure, alla sua estrapolazione in linea retta. Però le misure successive, a causa della alterabilità della sostanza, davano notevoli divergenze; e quindi questo punto è ancora un po’ incerto. (1) Landolt und Bòrnstein, Physikalisch-Chemische Tabellen. 1894. RenpicontI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 96 A ernia — 756 — Invece il paraazossianisolo che si presta bene alle misure, mì dette resul- tati concordanti con quelli di Schenck. Temperatura Viscosità (acqua a 0°= 100) 123° 141 125 135 127,1 135 128,1 132 torbido 129,2 131,5 130,9 13145 134 137 Trasformazione: 135 173 05 limpido 136,5 ) Per il paraazossifenetolo, che non era stato studiato prima, ottenni i seguenti resultati: 1° SERIE. 2° SERIE. Temperatura Viscosità Temperatura Viscosità (acqua a 0° = 100) (acqua a 0° = 100) 152,5 76,4 i 156,2 76,0 160 74 158,6 72,4 ) torbido 165 76,5 ) torbido 163,4 73,9 166 81,7 165,8 81,8 Trasformazione : 167 135 ng 166,6 IRR) 170 115 | sun 167, 117,0) limpido LIMONI 102,0 Dunque l'aumento al punto di trasformazione è chiaro anche per questo composto e anzi più notevole che per il precedente. Prima della trasforma- zione vi è un intervallo di temperatura, in cui la viscosità cresce gradatamente, come uno stadio di preparazione, che è meno avvertibile per il paraazos- sianisolo. Parrebbe adunque che fosse caratteristico per i cristalli liquidi di essere meno vischiosi dei liquidi isotropi .in cui si trasformano. Questa proprietà — 757 — Ù che a prima giunta urta col buon senso, se si guardi bene, va d'accordo con | a le tre diverse ipotesi che si son messe avanti sulla loro natura. di Si accorda, o almeno non è in contrasto coll’opinione di Tammann, dj | ; che essi siano specie di emulsioni, e con quella di Quincke che essi con- i 7 tengano minutissimi cristallini; perchè queste particelle o liquide o solide, | sciogliendosi, potrebbero benissimo accrescere la viscosità del solvente più che non facciano, fin che rimangono in sospensione. Ma si spiega bene anche nel concetto del Lehmann, che si tratti cioè di veri e proprî cristalli liquidi, cioè di liquidi le cui particelle scorrano le I une rispetto alle altre, mantenendo un certo ordinamento. E in vero se si | ammette quest'ordinamento delle particelle, e anche conseguentemente dei loro i moti, è logico pensare che gli strati in cui esse sono schierate possano scor- rere l'uno sull'altro più facilmente che se l'ordinamento non ci fosse. Dunque le misure di viscosità in fondo non ci dicono nulla di conclu- Il dente almeno da sole. Spero che diranno di più dell’esperienze in cui l’azione meccanica sia combinata con opportune osservazioni ottiche. | Fisica. — Sulla resistenza elettrica dei metalli fra tempe- Hal, rature molto alte e molto basse(!). Nota del dott. Guino NIccoLAI, i I presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. | i TIA. S 1. Arndtsen (?) e poi il Matthiessen e Bose (*) furono i primi a stu- : "l diare l'influenza della temperatura sulla conducibilità elettrica dei metalli. Hr (ht Matthiessen e Bose estesero le ricerche a un certo numero di metalli puri di \ fra 0° e 100°, e calcolarono anche i coefficienti a di temperatura in questo i ! stesso intervallo. Dai loro valori risulta anzitutto che la resistenza aumenta tl ti) colla temperatura, ed in oltre, come già aveva osservato Arndtsen (4), che ni M 1 valori di @ per tutti i metalli puri (eccettuato quello del ferro che ha un Il i valore molto maggiore), sono compresi fra 0,00408 e 0,00327. lì i Il Clausius (*) osservò che la media di tutti questi valori (eccettuato il | N ferro) era prossimamente uguale a 0,00366, e cioè a quello stesso numero i i d che esprime il coefficiente di dilatazione dei gas. Egli appunto per questo ql credette di poter concludere che la resistenza elettrica dei metalli puri fosse "AA proporzionale alla temperatura assoluta, in modo che la formula: | Il R.= R,(1 + 0,00866 . 7) o I ?) (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Fisica dell’Università di Pisa, diretto dal prof, | | A. Battelli. il è| 4 (*) Pogg. Ann. 1858, CIV, pag. 650. (3) Pogg. Ann. 1862, CXV, pag. 355. (4) Pogg. Ann. 1858, CIV, 1. (5) Pogg. Ann. 1858, CIV, pag. 650. SES E ra _ ibazzli Ara = E — nie === 9 {7 dtd! === ar REZZA — 758 — ne rappresentasse con sufficiente approssimazione la variazione in funzione della temperatura. Però lo stesso Clausius si accorse che i dati di Matthiessen e Bose non erano sufficienti per trarre una conseguenza di tal genere, sia perchè il nu- mero dei metalli studiati era troppo piccolo, sia anche perchè l'intervallo di temperatura utilizzato era troppo ristretto, e la concordanza nei resultati troppo imperfetta. D'altra parte però egli pensava che la sua osservazione non fosse priva d'interesse, e si riprometteva che servisse di incitamento a fare delle nuove ricerche. S 2. Ed infatti diversi sperimentatori in seguito si sono occupati a questo riguardo, aumentando così non solo il numero dei metalli studiati, ma mi- gliorando le condizioni di esperienza, ed utilizzando intervalli di temperatura maggiori. Così il Benoit (') ha studiato la variazione della resistenza elettrica di un certo numero di metalli da 0° fino a temperature altissime, ed ha trovato che essa cresce sempre gradatamente; ma ora più, ora meno di quello che vorrebbe l'ipotesi emessa da Clausius. Egli ha in oltre calcolato i valori dei coefficienti @ e # della formula R,= Ro(1+ at + Bt°) colla quale ha rappresentato la variazione della resistenza colla temperatura. I valori assoluti da lui trovati non si possono peraltro confrontare con quelli deglisperimentatori più recenti, come Dewar e Fleming (°*) da una parte, e Jieger e Diesselhorst (*) dall'altra, in causa della diversa purezza dei prodotti su cui è stato rispettivamente sperimentato. Altre ricerche ad alte temperature sono state eseguite da H. Le-Cha- telier (4) sopra il rame, il platino e l'argento; dal prof. Battelli (*) sopra il nichel; dal Morris (5) per il ferro, e finalmente da Phylip. Harrison (”) per il nichel, il ferro, ed il rame, e tutti questi sperimentatori hanno tro- vato che la resistenza cresce enormemente colla temperatura. $ 3. Anche a basse temperature furono eseguite delle ricerche di tal genere, ed i primi fisici che si occuparono di ciò sono il Cailletet ed il Bouty (5) i quali misurarono la resisistenza elettrica specifica del mercurio, (1) C. R. CXXVI, 1873, pag. 342. (2) Journ. de Phys. 1894, pag. 378 e Phil. Mag. 1894 (36), pag. 271. (*) Abh d. Physikalisch-Techinischen Reichsanstalt 3, 269, 1900. (4) C. R. 1890, CXI, pag. 454. (5) Nuovo Cimento, 1898, III (34), pag. 125. (5) Phil. Mag. 1897, (44), pag. 213. (7) Phil. Mag. 1902, III, pag. 177. (8) Journal de Phys. 1885. — 759 — dell'argento, dell'antimonio, dello stagno e del rame a — 100° circa, e quasi contemporaneamente il Wroblewscki (*) misurò quella del rame elettrolitico alla temperatura dell'azoto e dell'ossigeno liquidi. Finalmente Dewar e Fleming (*) hanno eseguito una serie di investiga- zioni su un certo numero di metalli puri, leghe e corpi non metallici a sei o sette temperature comprese nell'intervallo fra 4+- 100° e — 197°. Essi otten- nero queste basse temperature evaporando ossigeno liquido sotto pressioni ridotte di venticinque o trenta millimetri di mercurio. $ 4. I resultati però dei varî sperimentatori, sia per condizioni diverse d'esperienze, sia perchè i loro varî studi sono stati fatti su campioni diffe- renti, sono talora molto discordi, per modo che le curve rappresentanti le resistenze elettriche specifiche dei metalli, tracciate ad alte ed a basse temperature rispettivamente da sperimentatori diversi, non possono raccordarsi fra loro. Manca quindi uno studio completo del fenomeno, perchè da nessuno spe- rimentatore sono state eseguite delle ricerche che si spingano da temperature molto basse a temperature molto alte, facendo determinazioni ad intervalli abbastanza brevi da poter seguire la variazione vera della resistenza. Lo studio appunto della variazione della resistenza elettrica specifica di alcuni metalli puri e di alcune leghe col variare continuo della temperatura, è scopo del presente lavoro. Descrizione generale del metodo. $ 5. Per misurare la resistenza elettrica dei metalli puri e delle leghe da me cimentati, mi sono servito di un eccellente ponte di Wheatstone, col quale potevo raggiungere direttamente, e con molta precisione il millesimo di ohm, e di un galvanometro Magnus di grandissima sensibilità. 1 campioni presi in istudio, tirati in fili del diametro di ?/, mm. circa, e della lunghezza press'a poco di 8", venivano avvolti sopra un opportuno sostegno isolante, che portava anche l'apparecchio destinato a produrre il riscaldamento. La figura n. 1 mostra schematicamente com'è costituito questo sostegno. AA' è una canna di vetro del diametro di 5", svasata inferiormente in modo da sorreggere il dischetto metallico D su cui è poggiato un altro dischetto D' di grosso cartone di amianto di un diametro alquanto maggiore del primo. (1) C. R. 1885. (2) Loc. cit. or ren _—= pae rr ee = «a ÙRTIMI tie "pepe te GSC prg et ee ===" Io VIET e OE — 760 — Coassialmente alla canna AA”, ed appoggiata sopra il dischetto d'amianto, vi ha una seconda canna di vetro B di due centimetri e mezzo di diametro su cui è avvolta una fitta spirale di filo di ferro sottile le cui spire sono isolate fra loro per mezzo di un filo d'amianto. Questa spirale percorsa da una corrente elettrica la cui intensità viene opportunamente regolata con un reostato, costituisce l'apparecchio riscal- datore. TT Finalmente sulla canna di vetro CC' lunga 17 cm. e del diametro di 3.2 5, ricoperta con un massiccio cartone d’amianto di qualità eccellente, è avvolto accuratamente a spirale il filo in esame. Due spire consecutive qualunque sono poi impedite di venirsi a toccare in qualche punto da un filo di amianto interposto fra esse. La canna di vetro AA' (come si vede in sezione nella figura 2) passa attraverso ad un tappo di sughero TT che serve a chiudere la bocca di un vaso di Dewar D, D, entro il quale viene immerso il sostegno col filo in — 7601 — istudio. Questo recipiente di Dewar costruito in yetro di Jena ha forma ci- lindrica ed è profondo 22 cm. ed ha 5 cm. di diametro. Il tappo TT, foggiato come si vede nella fig. 2, era tanto nella sua faccia inferiore, quanto lateralmente, dove veniva in contatto colle pareti di vetro del recipiente di Dewar, guarnito con del cartone abbastanza massiccio di amianto. P1G:2: Oltre poi ad essere attraversato dalla canna di vetro AA’ il tappo era attraversato da altri 3 tubicini di vetro 4,2, e da un tubetto di quarzo d. Di questi 4 serviva a tenere isolato uno dei grossi reofori di rame che fa- ceva capo ad uno degli estremi del circuito del filo in istudio, mentre l’altro reoforo passava per entro la canna di vetro AA'. i I due tubetti 4 e e erano destinati ad isolare i due reofori della spirale di riscaldamento; il tubicino di quarzo 4 teneva isolate le due coppie ter- moelettriche di cui mi sono servito per misurare la temperatura alla quale facevo le mie determinazioni. = « Pac - a E = “SAR er — 762 — Il tutto poi veniva immerso in un secondo vaso di Dewar D,D,, di vetro ordinario, esso pure a forma cilindrica e pareti argentate, profondo 35 cm. e di 10 cm. di diametro. La bocca di questo secondo Dewar veniva chiusa da un apposito coperchio EE di vetro a doppia parete e portante su- periormente, come mostra la fig. 2, un'apertura attraverso la quale potevo far passare tutti i fili che mi occorrevano per il mio dispositivo. In questo modo ho raggiunto perfettamente il mio scopo che era quello di mantenere per un tempo sufficientemente lungo tutta quanta la massa del filo bene isolata elettricamente e ad una stessa temperatura. Infatti con un po’ di pratica sono giunto a regolare l'intensità della corrente, che doveva circolare nel filo dell'apparecchio riscaldatore, in modo da avere una variazione di temperatura lentissima non solo, ma anche una distribuzione uniforme per tutto il recipiente di Dewar. Dalla tavola infatti che si trova riportata nel seguito del presente lavoro, possiamo facilmente ve- dere come ciò appunto sia stato molto bene ottenuto. Infatti finchè la differenza fra temperatura ambiente e quella dell'in- ‘ terno del recipiente non superava gli S0° o 90° non si apprezzava differenza alcuna fra la parte superiore e quella inferiore del Dewar stesso. Nel caso più sfavorevole poi, e cioè quando fra l’interno e l'ambiente avevo il mas- simo dislivello termico, la differenza fra la parte più alta e quella più bassa del recipiente non superava mai 1°. Le due coppie termo-elettriche erano formate con fili di rame e con- stantana del diamettro di due decimi di millimetro, ed erano chiuse in cir- cuito con un galvanometro di Thomson nel quale producevano una deviazione di una divisione della scala per ogni quinto di grado. Come temperatura del filo in istudio ad un determinato istante ho assunto la media «delle tempe- rature lette ai suoi estremi. Ho inoltre curato e verificato anche direttamente coll'esperienza, che fra il campione in istudio ed i due reoforìi che servivano a congiungerlo coi morsetti del Ponte, non si producessero delle correnti termo-elettriche che avrebbero disturbato le mie determinazioni. La lunghezza dei.campioni presi in esame l'ho determinata quando i fili stessi erano tesi sotto uno sforzo costante di 1 Kg. Il diametro l'ho deter- minato direttamente per mezzo di una vite di Palmer facendo delle misure in moltissimi tratti, per accertarmi anche che i fili stessi fossero ben uni- formi per tutta la loro lunghezza, e l’ho poi ritrovato anche in funzione del peso specifico e della lunghezza. i i La fig. n. 3 dà una rappresentazione schematica della disposizione com- pleta per le misure. G è il galvanometro a cui facevano capo le due coppie termo-elettriche che avevano una delle due saldature rispettivamente in una provetta di mercurio immersa in un bagno B di ghiaccio fondente; T è un permutatore che mi permetteva di chiudere sul galvanometro G la prima o — 763 — la seconda coppia termo-elettrica; G' è il galvanometro per la misura delle resistenze. S 6. Andamento delle esperienze. — I metalli puri da me studiati sono: 1) alluminio: 2) l'argento; 3) il ferro; 4) il magnesio; 5) il nikel; 6) loro; 7) il piombo; 8) il platino; 9) il rame. Per ciascun campione di filo ho cominciato a misurarne la resistenza nell'aria alla temperatura ambiente; indi disposto entro il Dewar, nel modo già indicato, il sostegno su cui era HIICHRO: avvolto, per mezzo dell'apparecchio riscaldatore l'ho lentissimamente riscal- dato fino a 400° facendo una determinazione di 25° in 25°. Giunto a 400°, regolando opportunamente l'intensità della corrente nel circuito di ferro, ho fatto in modo che il filo in istudio si raffreddasse con molta lentezza fino a ritornare alla temperatura ordinaria, facendo anche in questo caso le misure di resistenza ogni 25 gradi. Così per le basse tempe- rature ho operato tanto quando il sistema lentamente si raffreddava come quando tornava nuovamente a scaldarsi, facendo le determinazioni negli stessi intervalli di temperatura. Risultati. In questa prima Nota do soltanto la relazione delle esperienze fatte per l'argento; i resultati relativi agli altri otto metalli saranno riferiti in una prossima Nota. RenpIcONTI. 1907, Vol. XVI 1° Sem. 97 n I O ZZZ: = | Psr -—— 2 o _ : - Cr a screen È 27 SEONOGINE. DEALER A TTI TAI e RIO NET IE tit ie È Ca rt sà DR = È = = = “ I - È n ene 3 A —————_————— === ASTA ie i e on” — 764 — Dovendo togliere dalla resistenza letta sul Ponte quella dei conduttori che stabiliscono le comunicazioni fra questo ed il filo in istudio, ho calco- lato, lettura per lettura, la resistenza di questi reofori tenendo conto che una parte di essi si trovava alla temperatura ambiente, ed una parte molto approssimatamente alla temperatura che era a quell’istante entro il reci- piente di Dewar. Nella 4? colonna della tavola seguente sono riportati i valori in unità elet- Sora tromagnetiche assolute della formula R7 10° alle varie temperature del (0) campione d'argento, senza aver tenuto conto della variazione delle dimensioni del filo. Nella 5* colonna della stessa tavola sono riportati invece i valori delle resistenze specifiche vere, ottenute calcolando per ogni temperatura le dimensioni corrispondenti del filo stesso. Per fare queste riduzioni mi sono valso di coefficienti di dilatazione determinati da H.D. Ayres (') per le basse temperature (+ 40 — 187) e dî quelli di Fizeau e di Le Chatelier (*) per le alte. D'altra parte indicando con %, e so, la lunghezza e la sezione del filo misurato a 0°, con R la resistenza in ohm, con « il coefficiente di dilazione lineare del metallo di cui è costituito il filo stesso, la resistenza elettrica specifica 0, ad una determinata temperatura è i i 7 oppure co:=10° 87 (140) a seconda che si trascurano o no le variazioni delle dimensioni del filo. Quindi per ottenere i valori della 5* colonna della seguente tavola, che rap- presentano la resistenza specifica alle varie temperature, basta moltiplicare i valori corrispondenti della 4* colonna per il binomio di dilatazione. Il filo d’argento aveva la lunghezza di cm. 580,1 ed ‘il diametro di em. 0,46. (1) Physical Review. 1905, pag. 98. (£) Tabelle del Landolt. — 765 — Argento di Kalhbaum . Lunghezza a 0° cm.: 850,1. Diametro cm: 0,046. Temp. letta Temp. letta Media delle Resistenza R DI 10° Resistenza colla I coppia | colla II coppia temp. in Ohm lo specifica vera e] [e] (0) 12.0 12,0 12,00 0,806 1575 1576 25,0 25,0 25,00 0,845 1658 1654 49,8 49,8 49,80 0,919 1797 1798 74,7 74,7 74,70 0,994 1943 1945 101,0 101,0 101,00 1,074 2100 2104 125.0 2591 125,05 1,147 | 2242 2247 150,4 150.5 150,45 1,222 2389 2395 174,8 175,0 174,90 1,294 2580 2558 199,9 200,1 200,00 1,369 2677 2637 225,2 225,4 225,30 1,443 2821 2833 256,8 251,1 250,95 1,515 2962 2976 274,2 274,6 274,49 1,585 3098 | 3114 300,0 300,4 300,20 1.657 3240 8259 325,7 326.1 325,90 1429 3881 3402 351.2 351,7 351,45 1,794 3508 3531 375,4 376,1 375,57 1,863 3642 3668 400,2 401,0 400,60 1,929 3771 3800 400,0 400,8 400,40 1,929 3771 —_ 374,8 375,4 375,10 1,861 3642 = 327,1 327,7 327,40 1,734 3390 — 300,8 301,2 301,00 1,661 9248 - 275,3 275,7 275,90 1,586 3100 — 250,0 250,5 250,25 1,514 2960 — 225,7 226,1 225,90 1,448 2831 —_ 200,2 200,4 200,30 1,570 2678 — 173,2 173,3 173,25 1,286 2515 — 150,0 150,1 150,05 1,220 2385 = 124,9 125.0 124,95 1,147 2242 — 100,1 100,1 100,10 1,071 2094 — 75,0 75,0 75,00 0,996 1947 = 50,2 90,2 50,20 0,923 1804 -- 25,7 20 26,70 0,846 1655 — SS RLO + 11,0 È 11,00 0,802 1569 1569 ap. .09 + 02 +. 0,20 0,771 1507 1507 2971! 2001 eZ 0) 0,691 1351 1350 1:99 — 49,9 — 49,90 0,624. 1221 1220 = VESi SUO 0,00 0,550 1075 1073 — 100.2 — 100,1 — 100,15 0,468 915 913 — 124,8 — 124,6 — 124,70 0,393 768 766 > 1915 — 151,0 TIT 0,327 641 63° O) — 174,6 — 174,80 0,254 497 495 — 189,0 — 189,0 — 189,00 0,214 419 417 — 188,8 — 188,8 — 188,80 0,216 422 — — 175,2 — 174.8 — 175,00 0,255 498 _ — 150,0 — 149,7 — 149,85 ,326 639 — — 122,7 — 122,5 — 122,60 0,397 777 _ — 100,0 — 100,0 — 100,00 0,469 917 _ — 76,2 — 76,2 — 76,20 | 0,543 1061 — — 50,6 — 50,6 — 50,60 0.619 1211 _ — 25,1 — 25,1 — 25,10 0,689 1342 —_ ron e | — 766 — Come si vede dunque la differenza fra la resistenza elettrica specifica del nostro campione d'argento ed il valore approssimato R Se .10° è molto 0 piccola, poichè nel caso più sfavorevole, e cioè alla temperatura di 400° è sempre minore dell'uno per cento. 40009 © I Tra 3000 Ì È (msg van 2099, Î X | feta] \ù ìN x NI ME RI a DI vi RI 1000 /\ |A [0 ALOE SEA] JESISeTA | È | IEZioS “a peer I | | Ì -200 -100 li) 120 200 300 400 Da ; Oemperslure Fia. 4. Quindi come prima approssimazione in tali ricerche possiamo addirittura trascurare le variazioni delle dimensioni del filo. Ed io appunto per tutti gli altri metalli, di cui darò relazione in una prossima Nota, non ne ho affatto tenuto conto. La figura n. 4 riproduce la curva rappresentatrice la variazione della resistenza elettrica specifica dell'argento in funzione della temperatura. Chimica. — Sulla trasformazione dei pirroli in derivati del pirazolo ('). Nota del dott. V. CAasrELLANA, presentata dal Socio R. PATERNÒ. In una Nota preliminare l’anno scorso (*) descrissi brevemente il com- portamento singolare del benzolazo-ae'-dimetilpirrolo rispetto all’ idrossilam- mina. Nell’azione di questo reattivo, per le analogie già conosciute, dovevano attendersi prodotti derivanti dall’idrolisi dell’anello pirrolico (diossime o triossime), come ad esempio nel caso in cui si fa reagire l'idrossilammina sopra alcuni nitrosopirroli (*) NaON=C___C.CH; CHL e n 0A, N Bai aa Los ta Lo HC C CH; î a Invece nel caso del cosidetto azodimetilpirrolo avviene una reazione a prima vista del tutto diversa, perchè da essa non prende origine nè una diossima nè una triossima. Infatti io ebbi con tutta facilità e con buon rendimento un prodotto della composizione C,3H,30N3, il quale non è altro che una monossima, dappoichè fornì un monobenzoilderivato e diede per ebollizione con acido solforico diluito, accanto ad idrossilammina, un chetone Ci2H,:0N; che pel suo comportamento considerai intanto come un derivato del pirazolo. Nella presente Nota riferisco sui dettagli di questo lavoro e sulle ulte- riori esperienze che mi hanno condotto a stabilire in modo sicuro la costi- tuzione dei prodotti già prima ottenuti, nonchè a chiarire l'andamento di questa singolare reazione. E bene intanto ricordare le ragioni per cui il composto C,,H,0N, fu da me diagnosticato come un chetone derivante dal nucleo del pirazolo. Ottenutosi dalla monossima C,,H;,Ns:NOH per eliminazione d' idrossilam- mina mediante ebollizione con acidi diluiti, esso può di nuovo essere tras- formato in questa ossima per l’azione diretta d'idrossilammina in soluzione alcalina. Vi si riscontra come catena non facente parte di nucleo, un gruppo (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Palermo (prof. A. Peratoner). (2) Gazz. Ch. It. 36, (2), 1906. (8) Angeli, Angelico e Calvello, Gazz. Ch. It. 38, II, 270, 1903. — 768 — acetilico, dappoichè dà nella reazione di Lieben con jodio e alcali del jodo- formio. Presenta infine la nota reazione di Knorr pei pirazoli dando in modo evidente la colorazione rossa, poi azzurra, previa riduzione con sodio, quando viene ossidato dal bicromato in soluzione acida. Le formule proposte per questo chetone e per la sua ossima: CH; . CO. C(—CH=C. CH; CH; . C(NOH). C—-CH=C. CH; | | | | N—N. CH; NN. CH; darebbero ragione del comportamento di queste sostanze; epperò le reazioni accennate non essendo sufficienti per stabilirne la struttura, ed in particolare anche la presenza del metile come seconda catena laterale, ne ho continuato lo studio nell'intento di giungere ad altri prodotti già noti, la cui costitu- zione potesse chiarire quella del chetone suddetto. Il problema venne risolto in vario modo. esaminandosi da un canto i prodotti di ossidazione che il chetone fornisce, e dall'altro il suo comporta- mento di fronte al nitrito alcoolico. Per azione del permanganato potassico in presenza d'alcali, variando le condizioni dell'esperienza, nel chetone avviene o l'ossidazione incompleta, cioè del solo acetile o l'ossidazione completa dell’acetile e di un metile, ottenendosi in tal modo rispettivamente un acido monocarbonico od un bi- carboacido : HOOC.C—CH=C. CH; H00C.C—CH=C.C00H | N N. CH; NN. CH; . Il primo corrisponde all'/-/enz!-3-carbossil-5-metilpirazolo ottenuto da Claisen e Roosen (*) tanto dall'etere’ aceton-ossalico e fenilidrazina, quanto per condensazione dell'etere acetonil-acetico con cloruro di diazobenzolo. Il secondo è 1°/-/enzl-3.5-dicarbossilpirazolo che Balbiano preparò dal- l'1-fenil-3.5-dimetilpirazolo (?). Sulle identità degli acidi da me ottenuti e quelli preparati dagli accennati autori, non può rimanere alcun dubbio data la coincidenza perfetta di tutte le proprietà: aspetto, punto di fusione, solubilità, comportamento coi reattivi, aspetto dei varî sali. E ciò viene confortato ancora dal confronto dell'etere metilico del dicarboacido, preparato dal mio prodotto a tale scopo, con quello già descritto dal Claisen e Roosen (*). Le esperienze poi che eseguii col nitrito di amile sul chetone e che in ordine cronologico precedettero quelle ora esposte, confermano l'esistenza !) Berichte 24, 1889. ( (*) Berichte 23, 1449. (3) Ann. 278, (287). — 769 — oltre che del gruppo acetilico anche di quello metilico come catene laterali nella formula da me ammessa. Infatti se si fa agire sul chetone, in presenza di etilato sodico, una quantità equimolecolare di nitrito di amile, si ottiene un mono-isonitroso- composto, col gruppo ossimmidico all’acetile; e ciò è dimostrato dal fatto che con idrato potassico e jodio non dà più jodoformio come fa il chetone primitivo. Se però si fanno agire due molecole di nitrito sopra una di chetone, sì perviene ad una sostanza che corrisponde ad un di-isonitrosoderivato meno una molecola d’acqua. Questa sostanza è quindi molto probabilmente l’ani- dride di un di-isonitrosocomposto; e come tale infatti è facilmente disciolta dagli idrati alcalini, e riprecipitata già dall’acido carbonico. Ritengo che il secondo dei gruppi isonitrosi si trovi legato all’atomo di carbonio del metile e che la formola dell'anidride cennata possa essere espressa dallo schema: Nip—_—_te I | CH .CO.C—CH=C.CH | N.C:H; | N che però dò con tutta riserva, essendo sempre singolare che un metile (ca- tena laterale) reagisca con l'acido nitroso. Del resto non sarebbe questo il primo caso in cui si verifica simile reazione, dappoichè è noto dalle espe- rienze di Plancher (') che essa avviene anche per alcuni derivati dell’ indo- lenina, sostituiti con metile in @; ed anzi sotto questo punto di vista venne fatto dal cennato autore (°) un parallelo fra i due aggruppamenti: \g_0n, Xen VA / \N Ò che esistono nei chetoni e nell’indolenina da Ini studiata; nei quali riscon- trasi il metile legato ad atomo di carbonio impegnato per doppia valenza. (Quantunque non identica, non sarebbe quindi del tutto inverosimile la reazione dell'acido nitroso col mio derivato metilico, nel quale l’atomo di carbonio che porta il metile soddisferebbe a due diverse condizioni, di essere cioè impegnato da un lato per doppia valenza e dall'altro unito direttamente all’azoto —CH=C—CH; I SONO (1) Gazz. Ch. It. 1898 (2). 406. (2) Gazz. Ch. It. 1892 (2), 418. e" —gn Le et — 770 — potendosi perciò il derivato pirazolico considerare come un derivato del pir- rolo, il quale ultimo gruppo è anche nucleo fondamentale nelle indolenine. Non saprei d'altronde trovare altra spiegazione per la formazione del di-isonitrosocomposto, sembrandomi poco attendibile la supposizione che l’azione dell'acido nitroso debba interpretarsi come una addizione agli atomi di car- bonio del nucleo, uniti per doppio legame. Esperienze apposite mi hanno infatti dimostrato che derivati pirazolici, non contenenti il metile nella po- sizione indicata, come ad esempio l'etere dimetilico dell'acido fenilpirazol- dicarbonico, rimangono inalterati in presenza di nitrito di amile ed etilato sodico dal quale ultimo l’etere viene semplicemente saponificato. Ma anche astraendo da questa serie di esperienze, ed attenendomi ai soli risultati avuti nella ossidazione, non può rimanere dubbio alcuno sulla costituzione del chetone C,3H,30N e della sua ossima, il prodotto primo che ebbi nell'azione dell’'idrossilammina sopra l'azodimetilpirrolo ; e può tro- varsi quindi una adeguata spiegazione della nuova sintesi di un derivato pirazolico. È evidente che in essa l’azoto pirrolico viene eliminato sotto forma di ammoniaca, la cui presenza può accertarsi durante la reazione, e ciò non può avvenire se non previa idrolisi del nucleo pirrolico come risulta dalle ricerche di Ciamician (*) e di Angeli ed Angelico (?). Un atomo di car- bonio contiguo a quello di azoto nel nucleo pirrolico conseguentemente diverrebbe chetonico fornendo l’'ossima, mentre il secondo atomo di carbonio del nucleo in posizione @, si legherebbe all'atomo di azoto unito al fenile; quest'ultimo atomo poi concorrerebbe, secondo questo modo di vedere, col suo idrogeno immidico alla formazione dell'ammoniaca. (NIN i CHO Ca Sd 3 Un,N' CH;.C0,C0-Y N i Ri l’idrazone preparato da Claisen e Roosen Et 0.CO.C—CH=C.CH; per arrivare al carboacido del metilfenilpirazolo, ne differisce solamente per la natura di una catena laterale. La reazione presente adunque, nonostante che conduca a prodotti finali inattesi, pure non è dissimile in fondo da quella che avviene con gli isoni- trosopirroli, essendo la prima azione dell'idrossilammina quella idrolizzante il nucleo pirrolico. Solamente essendo data la possibilità della formazione del nucleo pirazolico, stabile, per la presenza del gruppo fenilidrazonico, av- viene di preferenza questa, anzichè la formazione di diossime, (triossime) o idrazossime. Credo superfluo notare che la reazione da me studiata rappresenta la prima trasformazione diretta di un pirrolo in un pirazolo. ESPERIENZE. Ossima dell’1-fenil-3-acetil-5-metilpirazolo C,3H,30N3. Descrivo nuovamente la preparazione dell’ossima, ma con più minuti particolari che nella citata Nota preliminare, avendo in questa appena ac- cennato alla sua formazione. Alla soluzione alcoolica del monoazo-a@'-dimetilpirrolo, preparato se- guendo le indicazioni di O. Fischer ed Hepp (') si aggiungono 6 gr. di cloridrato di idrossilammina ed 8 gr. di soda caustica, e si pone a ricadere. Passati pochi minuti comincia una viva reazione e forte sviluppo di ammo- niaca, mentre il colorito rosso bruno della soluzione va diventando sempre più chiaro. Dopo tre ore di ebollizione si distilla l'alcool, si riprende il residuo con poca acqua e, se occorre, si filtra. Per aggiunta di acido acetico diluito, (1) Berichte 2/9, 2251. ReNDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 98 e dira = —_—_- T—======= _—=@=—&iee "== =_= r_oe—coc- e = T= —-—mircict=—rde tei — - n ci _=-—==e==sa a reed lr: I, = 6-3 mi ro Set ua © (ae eni MS — "== | = re === <= F =>Lami ng — n= n= —_ 772 — | sino a debole reazione acida, si separa in fiocchi una bella sostanza giallo ci chiara, che cristallizza dal benzolo in minuti aghi, i quali fondono a 175°. Gr. 0,1950 di sostanza diedero gr. 0,4726 di CO; e gr. 0,1140 di H;0; Ù » 0,1824 fornirono cme. 31 di azoto a 750 mm. ed a 229; Il > 0,1924 dettero cme. 32,7 di azoto a 747 mm. ed a 21°. | In 100 parti: Il | Trovato Calcolato per C2H;30N; C 66,783 66,97 | H 6,56 6,05 | N 19,40,19,41 19,58. iI Si scioglie in alcool, etere, benzolo ed è un po’ solubile nell'aqua fredda. | Lasciata all'aria arrossa ed a lungo andare si altera. Bollita con acido sol- forico al 25 °/, elimina idrossilammina e dà un chetone solido, mentre per ill azione del cloruro di benzoile fornisce un monobenzoilderivato. | Benzoilderivato dell'ossima C,9H,303N3. | Fu ottenuto adoperando il metodo di Baumann e Schotten. Al prodotto || sciolto in soda caustica, mantenuta fredda, sì aggiunge goccia a goccia il del cloruro di benzoile sino a persistenza del suo odore. Si separa in tal modo una sostanza giallognola che, lavata con soda diluita e poi con acqua, quando è secca, cristallizza dal benzolo in minuti aghi quasi bianchi fondenti a 156°. All’analisi si ebbero numeri concordanti colla formula C;9H,;03N; corri- spondente ad un derivato monobenzoilico. Gr. 0,3162 di sostanza diedero cme. 36,5 di azoto a 749 mm. ed a 22°, Trovato Calcolato per C19H170gN3 NEO 13,16 13,16 Chetone 1-fenil-3-acetil-5-metilpirazolo Ci3H,:0N3. Gr. 5 di ossima vennero sospesi in 100 eme. di acido solforico al 250/, e mantenuti per circa mezz'ora alla temperatura di ebollizione in un pal- loncino munito di refrigerante ascendente. Durante i primi minuti di ebol- lizione sornuota alla superficie del liquido un olio bruno che presto passa in soluzione, se si ha cura di agitare continuamente il palloncino in cui si opera. Dopo aver diluito con poca acqua, per raffreddamento si separa una sostanza bruna che, cristallizzata dalla ligroina in presenza di carbone ani- male, si presenta sotto forma di grosse tavole quasi bianche, splendenti, lunghe parecchi centimetri e che fondono a 90°. Gr. 0,1994 di sostanza fornirono cme. 24,5 di azoto a 749 mm. ed a 22°. Trovato Calcolato per Ci: H,sON: NE 14,01 14,00 — 773. — Insolubile negli alcali, è un po’ solubile negli acidi. Si scioglie bene in etere, alcool e benzolo, poco in etere petrolico, discretamente nella ligroina. Per azione di idrossilammina ridà l’'ossima primitiva e sciolto in alcool metilico esente di acetone dà con jodio ed idrato potassico jodoformio. For- nisce la reazione di Knorr pei pirazoli. Monocarbo-acido 1-fenil-3-carbossil-5-metilpirazolo Cr Hr00:Ns. Si ottiene questa sostanza aggiungendo al chetone sospeso in acqua, resa alcalina con qualche goccia di potassa caustica, a poco a poco ed agi- tando, della soluzione satura a freddo di permanganato potassico sino a che persiste la colorazione violetta per qualche minuto ‘anche alla temperatura del bagno-maria. La reazione avviene già a freddo, in ultimo per altro con- viene facilitarla riscaldando come fu detto. Si scolora allora l'eccesso di permanganato con solfito sodico, si filtra, ed acidificando il filtrato con acido cloridrico diluito, si ottiene un precipitato gommoso che, strofinato con bacchetta di vetro, diventa subito cristallino. Cristallizzato una sola volta dall'acqua è puro, e si presenta sotto forma di aghi bianchi fondenti a 106°. Posto per una notte nel vuoto su acido solforico perde acqua di cristal- lizzazione, diventa opaco e fonde invece a 136° analogamente all’acido 1-fenil- 5-metilpirazolo-3-carbonico preparato da Claisen, col quale è identico in tutte le proprietà. Gr. 0,2191 di sostanza fornirono gr. 0,5225 di CO; e gr. 0,1000 di H.0; » 0,2030 dettero cme. 22,9 di azoto a 771 mm. ed a 18°. Trovato Calcolato per C11H100sN> G 65,04 65,14 H 5,07 4,95 N 13,65 13,86 Bicarboacido 1-fenil-3-5-dicarbossiipirazolo C,,H30,N.. A 5 gr. di chetone sospeso in 5 cme. di potassa caustica di densità 1,30, si aggiunge a poco per volta la soluzione calda di gr. 18,42 di per- manganato in 150 cme. di acqua, avendo cura di agitare continuamente nel mentre sì scalda a bagno-maria. Dopo un'ora, persistendo la colorazione violetta, si scolora l’eccesso di permanganato con solfito e si filtra. Si svapora il filtrato a bagno-maria e si acidifica con acido solforico diluito, ottenendosi così un precipitato bianco che cristallizzato dall’acido acetico glaciale si depone sotto forma di splen- didi aghi fondenti a 256°. Esso in tutte le sue proprietà si dimostrò identico all’acido 1-fenilpirazol- 3-5-dicarbonico che Balbiano ottenne dall’1-fenil-3-5-dimetilpirazolo. == e eat ns —Tyrx=x==-—=È*T==-==sece = _ ==: =r ns: es sr“ ——=== == = = runs ==s== = =_= ISS n Mr _—_—=—_—— -_r—r == == === s"r=* PE) j_ Se SE (a psi MS it SAU Gr. 0,1915 di sostanza diedero cme. 20,5 di azoto a 764mm. ed a 25°. Trovato. Calcolato per C1:Hs04N: Ni, 12,01 12,07 Etere dimetilico del bicarboacido C,3H,30,N:. Per caratterizzare ancor meglio quest'acido e per analizzare anche un suo derivato, essendo i suoi sali tutti gommosi, ne ho preparato l'etere metilico, già descritto da Claisen (Annalen 278 (287)), facendo agire una corrente gas- sosa di acido cloridrico secco sulla soluzione calda dell’acido in alcool me- tilico anidro. Fonde a 127-128° come quello di Claisen ed analizzato diede i numeri richiesti dalla teoria. Gr. 0,2187 fornirono eme. 20,5 di azoto a 754 mm. ed a 15°. Trovato Calcolato per C13H1203N: Nj9/, 10,84 10,77 Monoisonitrosocomposto del chetone C,3H1102N3. Alla soluzione alcoolica di gr. 0,28 di sodio si aggiungono gr. 2 di chetone e poi raffreddando ed agitando, a goccie, gr. 1,17 di nitrito di amile. Si chiude con tappo la bevutina in cui si opera e si lascia in riposo per una notte in luogo fresco. i Il liquido appena giallognolo comincia dopo qualche tempo a passare © al rosso ed in ultimo diventa rosso bruno. All'indomani si versa in acqua resa alcalina con una goccia di soda caustica, sì estrae con etere per elimi- nare traccie di chetone che non abbia reagito e si precipita con acido ace- tico diluito. Si ottiene in tal modo una sostanza giallognola che cristallizza dal benzolo in piccoli aghi duri, quasi bianchi fondenti a 172°. Gr. 0,1100 di sostanza diedero cme. 17,8 a 763 mm. ed a 26°. Trovato Calcolato per CsH102N3 Ni 18,04 18,34 Di-isomitrosocomposto del chetone C,3Hs0gN,. Gr. 0,46 di sodio vennero sciolti in alcool assoluto ed aggiunti di gr. 2 di chetone; indi sul liquido limpido, raffreddando con acqua, si fecero goc- ciolare gr. 2,34 di nitrito di amile e sì lasciò in riposo per una notte la bevutina chiusa. Il colore giallognolo del liquido in questo caso passò al rosso chiaro, e versatolo in acqua, dopo estrazione con etere, per aggiunta di acido ace- tico diluito si separarono dei fiocchi quasi bianchi che cristallizzarono dal benzolo in aghi minuti e leggeri dal punto di fusione 175°. — 775 — I h . ì a x i Gr. 0,1342 di sostanza dopo riscaldamento per due ore a 100°, forni- «a DI rono all'analisi cme. 28,7 di azoto a 761 mm. ed a 28°, ; ‘Ù PLAN i a Trovato Calcolato per Ci0HsOsNi 1) I NIC 23,51 23,33 {i Si scioglie negli alcali e viene riprecipitato dall'acido carbonico. Chimica. — Sugl idrati del fluoruro di alluminio (‘). Nota di ArrIco MazzuccHELLI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Ilfluoruro di alluminio, sebbene sia già stato molte volte soggetto di studio, e sia per sè stesso, sia come materia prima per la preparazione dei filuoalluminati, i {i presenta ancora nella sua storia chimica numerosi punti oscuri, che mi è | sembrato conveniente di chiarire, anche a causa delle interessanti particola- rità che questo composto presenta. Riassumo qui, brevemente, e nei punti più essenziali, quanto se ne co- i nosce in proposito, riservando un esame esauriente della bibliografia alla Ill Memoria completa che uscirà nella Gazzetta Chimica. : Il fiuoruro di alluminio, che allo stato anidro (quale può prepararsi ar- tificialmente secondo vari metodi, dovuti per lo più al S.t Claire Deville) i è una delle sostanze più insolubili e refrattarie agli agenti chimici, è suscet- i tibile anche di presentarsi in forma di idrati solubili, sulle cui proprietà peraltro i vari autori che se ne sono occupati sono ben lungi dall'essere di accordo. Il Berzelius ad es. (*), afferma che le soluzioni di fluoruro di alluminio | possono evaporarsi sino a consistenza sciropposa. e danno poi una massa Î gommosa, lentamente solubile nell'acqua fredda, rapidamente nella calda. H. S.t Claire Deville (*) ne ottenne invece una polvere cristallina, | facilmente sfioribile, della formula Al, Fl; , 7Hs0, oltre a due sali acidi | Al FL, HFl,5H:0 e 3A1F];, 2HF1,5H0, preparabili per evaporazione spontanea o precipitazione con alcool in presenza di HFl. Recentemente il Baud (*) ha ottenuto per evaporazione delle soluzioni, a caldo o su P30;, un idrato Al, Fl;,7H,0, solo parzialmente solubile nell'acqua, mentre per precipitazione con alcool forte ha ottenuto un idrato della stessa composi- zione, ma solubile. Egli ne ha studiato pure la disidratazione graduale per azione del calore, che è accompagnata da una progrediente insolubilità nel- l’acqua e nell’acido fluoridrico. =_= '—_ _=—___r_ear 4 == magna i p” iis Ea ed ga ur. a - : Di pet > = 9 (1) Lavoro eseguito nell’Istituto chimico dell’ Università di Roma. (*) Poggendorff's Annalen, 7, 23; e Lehrbuch der Chemie. (*) Ann. de chim. et phys. (8), 67, 1861, (321-331). (4) Comptes rendus 725, 1903, (1103-1106). —1 ————m—_—_mr_É—____É_e—e = LAI nn == > È = SPE REPIO SI STI pe ARTT ——eeea@e@ RA rene — 776 — Altre asserzioni isolate si trovano qua e là, nei trattati più importanti di chimica inorganica. L'Ostwald ad es. (!) afferma che il fiuoruro di allu- minio finisce in ogni caso col deporsi completamente allo stato insolubile dalle sue soluzioni, mentre nell’eccellente Mandbueh der anorganischen Chemie dell'Abegg si dice che le soluzioni di fluoruro di alluminio vanno soggette a una idrolisi assai spinta, fenomeno a cui ha già accennato, in termini generici, il Berzelius, ma che non si trova ulteriormente menzionato in tutte le memorie degli sperimentatori successivi. Tutto il sin qui esposto mostra chiaramente la necessità di un lavoro di coordinazione e completamento delle nostre cognizioni sul fluoruro di allu- minio, e mi ci sono accinto, cominciando anzitutto da quanto si riferisce ai suoi idrati. Ma fin dal principio ho riconosciuto la esistenza di una quan- tità di complicazioni: fenomeni di metastabilità e di soprasaturazione, len- tezza a raggiungere l'equilibrio tra soluzione e fase solida, esistenza di idrati isomeri, identici per composizione, differenti per solubilità e resistenza al calore. E ciò, mentre spiega la possibilità delle contradizioni accertate fra i vari osservatori, e giustifica l'aspettativa di risultati interessanti da uno studio completo, d'altra parte complica talmente la esecuzione pratica delle ricerche, dove, fra altro, occorre dare una parte rilevante al tempo, che ho giudicato conveniente render noti intanto i primi risultati ottenuti, che non sono privi d'importanza e schiariscono già alcuni punti oscuri nella storia del fiuoruro di alluminio. Premetto alcune parole sopra i metodi seguiti nelle presenti indagini. Un idrato può caratterizzarsi sia mediante la sua composizione, sia mediante la sua solubilità, sia mediante la sua tensione di vapore. La composizione degli idrati del fluoruro di alluminio, dopo riconosciutane la neutralità al metilorange, è stata accertata determinandone la perdita di peso per calcinazione con ossido di piombo; sulla solubilità, che costi- tuisce, certamente, un ottimo criterio, e si presta alle conclusioni più interes- santi dal punto di vista energetico, sono già state fatte alcune osservazioni e più se ne faranno in seguito, ma non bisogna dissimularsi che i suoi ri- sultati possono essere falsati da quella tendenza delle soluzioni di fluoruro di alluminio a deporre gradualmeute il loro sale in una forma pressochè in- solubile, come già acutamente ebbe a intuire l'Ostwald (*). La determina zione della tensione di vapore, ossia della stabilità relativa dei vari idrati allo stato solido, quale si può riconoscere nel modo più semplice dalla loro per- (1) Grundlinien der anorganischen Chemie, II Aufl., 572. () Probabilmente l’asserzione dell’Ostwald (1. c.) è più basata sulla considerazione del carattere generale di questo composto, che non sopra osservazioni sperimentali, sue 0 di altri. Infatti la forma poco solubile in cui tutte le altre tendono a trasformarsi, non è, come vorrebbe l’Ostwald, il fluoruro anidro, ma un idrato della formnla AlsFlr + 640, secondo che risulterà dalla presente memoria. — 7771 — dita di peso in varie condizioni di temperatura e di ambiente, costituisce per la sua rapidità di esecuzione, nella forma più semplice, un sussidio sperimentale non indifferente, sebbene riconosciamo volentieri che non sì può attribuirvi un valore assoluto. La prima questione da porsi è quella della preparazione del fluoruro di alluminio allo stato di soluzione acquosa. Senza negare il valore delle 0s- servazioni del Deville (1. c.) il quale, operando su soluzioni diluite, ha tro- vato che perfino i silicati naturali (caolino) cedono quantitativamente il loro alluminio sotto l'azione, nonchè di un difetto di acido fluoridrico, ma anche dell'acido fluosilicico stesso, con precipitazione di silice gelatinosa, io ho ac- certato che, se si vuole ottenerne delle soluzioni abbastanza concentrate e possibilmente esenti di acido fluoridrico libero, perfino l'idrato d'alluminio secco del Kablbaum è troppo lentamente solubile: il processo della neutra- lizzazione completa, riconoscibile al metilorange, va in lungo, e finisce col deporsi l’idrato poco solubile di cui parlerò tra poco. Assai conveniente in- vece è l’uso dell’acetato basico di alluminio secco, che, finamente polveriz- zato, si scioglie con tutta facilità nell’acido fluoridrico abbastanza concen- trato, con forte sviluppo di calore. Si ha così una soluzione fortemente acida per acido acetico, ma dove l'acido fiuoridrico e l’allumina sono contenuti in proporzioni pressochè equivalenti e, secondo ogni probabilità, integralmente combinati tra loro (!). Le proporzioni trovate opportune sono le seguenti: 42 gr. di acetato al 54°/, di ossido di alluminio, sospesi in circa 100 cc. di acqua e aggiunti a 66 gr. di acido fluoridrico al 409/, in peso. In queste condizioni si ha immediatamente o dopo breve ebollizione una dissoluzione completa (?). La necessità di realizzare fin da principio la combinazione quantitativa fra acido fluoridrico e allumina è determinata dal fatto che, se rimane del- l’allumina indisciolta, essa non può essere separata per filtrazione. Se infatti si porta sopra un filtro, anche poco fitto, questa soluzione concentrata, si osserva che dopo le prime goccie il passaggio del liquido è straordinaria- mente rallentato. La carta si ricuopre gradualmente di uno strato gelatinoso dapprima quasi invisibile in seno al liquido, alle cui spese esso va però lentamente aumentando per divenire poi sempre meno trasparente, sino 2 trasformarsi in massa biancastra, gommosa e tenace, che non aderisce però agli oggetti. Nelle parti superiori del filtro, la carta rimasta scoperta dal liquido indurisce, assumendo un'apparenza translucida, come appunto se fosse (1) Il fluoruro di alluminio è pochissimo ionizzato, e perciò la ripartizione dell’al- lumina tra acido acetico e fluoridrico deve essere quasi esclusivamente a favore di que- st’ultimo. (2) Grazie alla liberalità del prof. Paternò, direttore di questo Istituto, le soluzioni di fluoruro di alluminio si poterono sempre preparare e conservare in recipienti di platino. e—] ==««s—i=--r”rgiea TrsssION I “a — 7783 — imbevuta di gomma arabica o. di gelatina animale. Questi fenomeni ram- mentano vivamente le osservazioni del Berzelius quando parla di soluzioni siroppose di fluoruro di alluminio che assumono la consistenza gommosa. Tuttavia l'analogia coi colloidi organici si arresta qui. Se si riprende con acqua la gomma semiessiccata, essa non vi si riscioglie che in parte, e spe- cialmente se già aveva cominciato a divenire opaca; anzi, come abbiamo detto, questa sostanza gelatinosa si separa spontaneamente dalle sue solu- zioni al contatto della carta del filtro, anche senza l'intervento della eva- porazione. Inoltre se si lascia asciugare interamente la gomma essa si tra- sforma in una polvere bianca che non aderisce più alla carta, da cui può separarsi con tutta facilità, e che ripresa con acqua non riassume affatto l'aspetto gommoso primitivo. Non si tratta qui del solito fenomeno dell'es- siccazione di una sostanza molto solubile e malamente cristallizabile; il fluo- ruro di alluminio ha subito invece un cangiamento completo nel suo stato, una trasformazione, di carattere irreversibile, in un idrato poco solubile, che rappresenta la forma stabile a temperatura ordinaria, cui tendono in con- tatto dell’acqua gli altri idrati solubili. Veramente resta ancora a spiegare il perchè di quello stadio intermedio simile alla gelatina, che non si può in seguito riprodurre; ma per quant il fenomeno sia interessante e degno di studio, è da notare che esso non costituisce una specialità del fiuoruro di alluminio, ma è una proprietà, forse generale, certo molto diffusa, dei fluoruri, che per lo più nel separarsi dalle loro soluzioni assumono dapprima lo stato gelatinoso: così fanno, in modo ti- pico, molti dei fluosali studiati dal Marignac; si tratta qui di uno stato tran- sitorio. la cui complessità molecolare è forse minore di quella della forma definitiva. o Tornando al nostro Buoruro. la gelatinizzazione graduale che mostrano le sue soluzioni più concentrate al contatto della carta, e che ne rende poco pratica la filirazione, deve dunque considerarsi come dovuta semplicemente a una azione di contatto dei filamenti di cellulosa, che fan cessare lo stato di soprasaturazione in cui la soluzione sì trova rispetto all'idrato più stabile. La stessa trasformazione che la soluzione subisce al contatto della carta, ha luogo pure, dopo un tempo più o meno lungo, anche lasciando la solu- zione a sè. Se si tratta di una soluzione un po’ concentrata, il processo ha luogo in pochi giorni, formandosi in fondo e in seno al liquido una sostanza prima gelatinosa e traslucida, poi bianca e più densa, la cui quantità va gradualmente crescendo: la formazione e l’addensamento sono accelerati da una temperatura presso l'ebollizione, alla quale non si nota più lo stadio intermedio di gelatina. Con soluzioni diluite, conservate da qualche mese, si osserva invece la formazione di croste cristalline, poco solubili, il cui studio non ho potuto ancora completare, ma che sembrano constare dello stesso idrato. Mi riservo di riferirne più distesamente altrove. — 7709 — La composizione di questa sostanza risulta dai dati analitici seguenti. Ne fu determinata l’acqua scaldando al disotto del rosso colla quantità quin- tupla di ossido di piombo, e l'alluminio scacciando l'acido fiuoridrico con acido solforico concentrato e decomponendo per calcinazione prolungata il solfato formatosi, secondo che consiglia il Rose (*). I numeri ottenuti su tre preparati diversi sono i seguenti: I. Aq.°/, = 38,03; 39,30; 37,77; 38,16, media 38,31; Al°/, = 20,12; 20,46, media 20,29; F1°/, per differenza 41,40, calcol. 45,08. II. Aq.°/, = 88,76; 39,23; 39,31; 39,44; 39,46, media 39,24; Al°/, = = 20,0; F1°/, per diff. 40,76, calcol. 44,44. III. Aq.°/,838,26; 38,68; 38,92, media 38,63; Al°/,= 20,16; 20,27; media 20,21; F1°/, p. diff. 41,16, calcol. 44,90. Sotto « percentuali calcolate » pel fluoro si intendono quelle dedotte dall’alluminio mediante il fattore 3Fl: Ale basate sull’ammissione che si abbia da fare con un fiuoruro neutro ed esente di sale basico. Il fatto che esse sono sempre superiori alle trovate, ed anzi, di un ammontare pressochè uguale per tutti e tre i preparati, mostrerebbe che invece una certa quantità di sale basico c'era, e questo concorderebbe con quanto afferma, nel suo trat- tato, l’Abegg. Ma nell’apprezzamento di dati numerici occorre tener conto che il metodo di determinazione prescelto per l'alluminio se è, certamente, il più pratico ed il più esatto, va però soggetto a dare valori un pò troppo elevati (come sono, ad es., troppo elevati quelli ottenuti nelle analisi dell'idrato Al,F1; + 17H;0, che vedremo più oltre, sebbene, là come sempre, non sì riguardasse la calcinazione come terminata se non quando si era ot- tenuto due pesate assolutamente concordanti) e che questo errore in più si accresce ancora nel calcolo indiretto del fluoro. Una parte delle divergenze potrebbe perciò provenire da questo fatto. Tuttavia esse sono troppo rile- vanti per potersi attribuire soltanto ad errori sperimentali, e ritengo che esse parlino realmente a favore di una certa idrolisi con formazione di sale basico; solo che il risultato numerico che se ne dedurebbe, e secondo cui circa il 14,2°/, del fluoro sarebbe sostituito dall'ossigeno (come è espresso, per coincidenza casuale, della formula 5 AlFlz, Al303) sia da considerarsi come un valore limite, assai superiore alla realtà. Ammessa, comunque, la esistenza della idrolisi, in seguito a cui si formerebbe una certa quantità di Al(OH);, più ricca in alluminio (34,7 °/,) e più povera in acqua (34,5 °/,), mi sembra che dalle analisi si possa de- durre con certezza che il composto definitivo, che si separa allo stato in- solubile nelle sopracitate condizioni, è l’idrato ALFI:;:+6H:0, pel quale si calcola H,0°/= 39,04; Al°/ = 19,60. (1) Analyse quantitative, pag. 757. RenpIcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 99 a dea — — 780 — Aggiungo, per quanto riguarda i dati analitici di questa sostanza, che essa perde assai difficilmente la sua acqua per azione del calore: un cam- pione, mantenuto per 13 ore a 100°, aveva perso solo 1,9°/, del suo peso. Fin qui ci siamo occupati soltanto di idrati che si depongono, assai lentamente, dalle soluzioni concentrate del flnoruro d'alluminio, ma che, una volta separatisi, non sì sciolgono che assai scarsamente nell'acqua; essi deb- bono dunque la loro origine a una trasformazione irreversibile del sale in questione, che si differenzia nettamente, a questo riguardo, dagli ordinari composti inorganici. Ma nelle mie esperienze ho ottenuto pure un idrato ca- pace di deporsi in bei cristalli perfettamente definiti, che sì risciolgono con tutta facilità nelle acque madri o nell'acqua pura, donde possono riottenersi per evaporazione, e la cui solubilità varia notevolmente colla temperatura. Un simile comportamento é cosa affatto normale per la maggior parte dei sali, ma pel fluoruro di alluminio costituisce, invece, una singolarità di cui non si aveva finora esempio nella letteratura. Se nella preparazione del fluoruro di alluminio da acetato basico, acido fluoridrico e acqua, si usa una quantità di quest'ultima minore di quella in- dicata poco sopra, e cioè, invece di 42 p. di acetato, 66 di acido fluoridrico, 100 di acqua, solo 75 di quest'ultima, si osserva, come è naturale, un riscaldamento anche più forte del consueto, che può spingersi sino all'ebol- lizione violenta del liquido, ma, dopo fatto raffreddare quest'ultimo, si osserva che in seno ad esso comincia a deporsi un aggregato di cristalli, che possono raggiungere le dimensioni di qualche millimetro, perfettamente trasparenti, che facilmente si ridisciolgono per un lieve riscaldamento. Liberati il più possibile dalle acque madri per compressione tra carta, poi, quando sono quasi asciutti, pestati in mortaio e compressi di nuovo sino ad essere asciutti interamente, questi cristalli danno con acqua delle soluzioni acide al tornasole, ma neutre al metilorange, come sogliono fare i sali di alluminio stechiometricamente neutri, ciò che mostra che in essi il fluoro e l'alluminio stanno nel rapporto Al:3F1('). La determinazione dell’acqua col solito metodo all'ossido di piombo richiede qualche precauzione per essere applicata a questo idrato assai ricco, facile a sfiorire e che fonde poco sopra della temperatura ordi- naria. Nei primi saggi si ottennero perciò numeri oscillanti fra 62,85 e 65,80 °/0; ma una serie di determinazioni eseguite colla massima cura sopra un campione preparato di fresco ha fornito queste percentuali: 63,70; 64,69; 64,53; 64,42; 64,82, in media 64,43. Per l'alluminio si trovò 11,83 e 11,86°/. Sebbene questi ultimi valori siano un pò troppo elevati, l'insieme dei risultati mostra indubbiamente che all’idrato deve attribuirsi la formula ALFl + 17H:0, per cui si calcola aq°/,= 64,51, Al°/,=11,42. Per ottenere questo idrato non è però indispensabile partire da soluzioni tanto concentrate come la sopracitata. Se si raffredda sotto 0° una soluzione (*) Confrontisi il Baud, loc. cit. Srgli- anche un po’ più diluita, si osserva la formazione abbondante di un feltro di corti aghetti, che scompaiono interamente per un leggero innalzamento di temperatura, e devono perciò essere liberati rapidamente, su carta, dalle loro acque madri. All’analisi danno risultati praticamente identici ai prece- denti, e questo modo di preparazione è anzi più comodo del primo, perchè non necessita l’uso di soluzioni tanto concentrate, e perchè i cristalli, es- sendo piccoli e isolati, si possono meglio asciugare. Il metodo, come si vede, si basa sul fatto che la solubilità dell’idrato in seno all'acqua madre, fortemente acetica, diminuisce rapidamente colla temperatura. Lo stesso ha luogo per la solubilità in acqua pura. L'idrato preparato di fresco si riscioglie con una certa lentezza a freddo, più presto a caldo, ma completamente e senza residuo. La soluzione, concentrata su acido solforico, resta facilmente soprasatura, ma depone l’idrato per aggiunta di un suo cristallino; operando a 11°, si trovò che il liquido soprastante conteneva in media, ogni 100 gr., 3,85 gr. di A1Fl,. La soluzione satura a — 0°,2 contiene invece gr. 1,20 °/.. Questo idrato non si mantiene a lungo; esposti all'aria, i suoi cristalli sfioriscono ben presto, ricoprendosi di croste bianche, dopo di che tutto il cristallo finisce col divenire opaco, anche se si ripone poi in tubo chiuso. Ma anche al riparo dall'aria esso subisce col tempo una notevole trasforma- zione. Se sì torna ad esaminare dopo un certo tempo i cristalli stati asciugati fra carta, si trova che essi non sono più integralmente solubili in poca acqua ma lasciano indietro una sostanza bianca, cristallina, poco solubile. Inoltre il loro aspetto è mutato: la polvere che prima era asciutta e scorrevole ora è diventata umidiccia e aderente; se si ricomprime fra carta, e se ne de- termina il contenuto in acqua, si trova che questo è diminuito; una volta, dopo 50 giorni, si trovò 57,3 °/0: con un. altro preparato dopo 40 giorni solo 47,8 °/p. Tutto ciò mostra che si va formando un idrato più povero di acqua, che può ottenersi senz'altro se si scaldano leggermente i cristalli così alterati. Si trova allora che alla temperatura di circa 21° essi cangiano bruscamente di aspetto, e fondono parzialmente, con separazione di una sostanza bianca cristal- lina, pochissimo solubile anche a temperatura elevata. Raffreddando di nuovo la massa semifluida essa non riprende più l'aspetto primitivo, ma la sostanza cristallina già formatasi resta inalterata a canto della sua soluzione satura. Non si tratta dunque di una trasformazione reversibile, sul genere di quella del sale di Glauber (cioè NaSO, + 10H,0 = Na; SO, anidro + soluzione satura) ma di un cangiamento irreversibile, dove l’idrato metastabile e solu- bile scompare definitivamente. La sostanza cristallina così formata, compressa cautamente fra carta fino ad asciugamento completo (!) ha dato alla deter- (1) Occorre rinnovare frequentemente la carta assorbente, e aumentare la pressione solo gradualmente, altrimenti le acque madri danno sulla carta il solito deposito gelati- x e: oe I — 782 — minazione dell’acqua risultati un po' diversi a seconda dei preparati. Un preparato ottenuto da un idrato Al, Fl; + 17 H30 vecchio di un mese con- teneva 42,8; 42,6; 42,8°/ di acqua; mentre altri due ottenuti da idrati vecchi di più mesi diedero 40,21; 40,25 e 40,97; 40,80 rispettivamente. Diversa, ma sempre piccola, era pure la perdita di peso a 100° dopo 12 ore, cioè 4°/, pel preparato più ricco di acqua, e 0,8 °/ per gli altri due; la so- lubilità nell'acqua fu trovata in ogni caso, con saggi qualitativi, piccolissima. Per quanto la concordanza fra le percentuali dei vari preparati non sia molto soddisfacente, tuttavia la loro composizione oscilla entro limiti abba- stanza ristretti, aggirandosi tra la formula Al, FL +6H,0 (aq. °/ = 39,04) e Al, Fl +7H,0 (aq.°/,= 42,80), e tenendo conto della possibilità che in essi rimanesse ancora una piccola quantità dell’idrato più ricco non trasformatosi, siamo autorizzati a identificarli, in via provvisoria, coll'idrato, di composizione greggia non molto diversa, che vedemmo separarsi spontaneamente dalle soluzioni concentrate di fluoruro di alluminio, e che ne rappresenterebbe la forma più stabile nelle condizioni ordinarie. Per ciò la curiosa trasformazione che subisce, col tempo, l’idrato Als FL + 17 H,0 conservato a sè, non rap- presenterebbe altro che un passaggio dal sistema metastabile allo stabile; e in appoggio di questa asserzione posso citare il fatto che i cristalli di questo stesso idrato con 17 molecole di acqua, se conservati per qualche giorno in contatto delle loro acque madri, spariscono completamente, cedendo il posto a una polvere bianca contenente circa 40 °/, di acqua, che rappre- senta cioè il solito idrato stabile. In questo caso dunque la presenza del solvente facilita la trasformazione che si compirebbe da sè, anche senza il di lui in- tervento, nel sistema condensato. Se, per tal modo, operandosi a temperatura non molto diversa dall’or- dinaria, sì ha una certa uniformità di risultati, questa scomparisce affatto qualora si determini, invece, la perdita di peso a 100° dell’ idrato con 17 mo- lecole di acqua. Un campione perdette circa 54,1°/, ciò che dà per la percentuale in acqua dell’idrato residuo circa 22,4°/; un altro perdette 48,7 °/, lasciando dunque un idrato al 30,3 °/,; un terzo perdette 41,8, lasciando un idrato al 37,5 °/,. Se anche da questi numeri non può dedursi la tendenza alla formazione di un idrato definito, essi avrebbero pur sempre, nella loro negatività, un valore come dati di fatto; ma oltre a ciò si pre- stano anche a considerazioni di ordine generale su cui mi riservo di tornare più tardi. Oltre a tutti questi idrati, si sa, per gli studi del Baud, che dalle so- luzioni del fluoruro di alluminio può ottenersi il composto Al, Fl; + 7H,0 noso e aderente che ingloba anche la parte cristallina; in seguito perciò si trovò più comodo far precedere alla compressione una lavatura sommaria con acqua, ove il nuovo idrato è poco solubile. — 183 — per aggiunta di alcool assoluto. Io ho potuto confermare, qualitativamente, tutti i risultati di questo autore, ma non insisterò molto su questo argo- mento, poichè i saggi finora eseguiti mi condurrebbero a conclusioni, diverse in qualche punto dalle sue, che intendo controllare con più rigorose espe- rienze. Mi limito ad accennare qui che anche l’idrato del Baud, come già quello con 17 H:0, descritto qui per la prima volta, in contatto dell'acqua finisce col trasformarsi nell’idrato poco solubile cui si è tante volte accennato. Determinandone infatti la solubilità nell'acqua a 22°, si ottennero risul- tati poco concordanti, essendo molto maggiore il titolo avuto per la prima soluzione, che per una seconda, ottenuta agitando con nuova acqua il sale rimasto indisciolto. Simili risultati non possono spiegarsi che con una alte- razione della fase solida, e tale alterazione si è potuta dimostrare in modo evidente, agitando con acqua una quantità insufficiente di idrato del Baud, che vi si disciolse quasi interamente, tranne qualche piccolo granello ri- masto indisciolto. Dopo un certo tempo, dal liquido sì ridepose un precipi- tato bianco, cristallino, che raccolto su filtro e compresso fra carta fornì, all'analisi, il 39,5 °/, di acqua. La sua composizione, come si vede, rientra fra quelle osservate per l’idrato stabile. Se per tal modo l’idrato del Baud in contatto dell’acqua si trasforma spontaneamente nella forma meno solubile, conservato invece allo stato asciutto sembra mantenersi, a differenza dell’ i- drato con 17H:;0, affatto inalterato. Un campione vecchio di parecchi mesì non ha cambiato per nulla il suo aspetto, ed è ancora facilmente solubile nell'acqua, soprattutto a caldo. Infine, accennerò ad un altro idrato, da me preparato per la prima volta, la cui esistenza è interessante per più riguardi. Se si evaporano a secco su h.m. soluzioni qualsiasi di fluoruro neutro di alluminio, allungate o concentrate, ma dove non si sia separata ancora altra fase solida, il fondo della capsula si cuopre di filamenti dall'aspetto setaceo, facilmente polverizzabili, di cui si è determinato tanto l’acqua che l'alluminio (sia per calcinazione con acido solforico, sia precipitandone la solu- zione solforica secondo il metodo di Stock). I risultati, ottenuti su campioni di di- verse preparazioni, sono i seguenti: H,0 °/, = 16,8; 17,5; 17,8; 17,2; Al°/,= = 26,0; 26,4; 25,1; 26,4; la media conduce alla formula Al, FL + 2H;0, per cui sì calcola H:0°//= 17,60; Al°/ = 26,50. Nella preparazione di questo idrato è preferibile partire da soluzioni diluite, o, se se ne usano di concentrate, evaporarne solo una piccola quantità per volta, onde avere uno strato sottile di residuo ed evitare che nelle parti più interne e riparate dalla evaporazione si formi qualcuno degli idrati più ricchi e più resistenti. Nell'’acqua, soprattutto a caldo, questo idrato è non molto, ma comple- tamente solubile, differenziandosi così dagli idrati più ricchi che si depon- gono a temperatura ordinaria, come del resto è assai notevole che si possa ottenere così, per semplice evaporazione delle soluzioni a 100°, un idrato — 784 — tanto povero, mentre la maggior parte degli idrati già formati resistono a codesta temperatura, e, ad es., secondo il Baud, per avere dal suo idrato Al: FL + 7H:0 un residuo della composizione Al; Fl; + 2H:0, occorre spin- gere la temperatura sin oltre 150°. Alla determinazione quantitativa della solubilità, a temperatura ordi- naria, questo idrato ha fornito risultati variabili, avendosi solubilità tanto minore quanto più si prolunga l’agitazione. Questo fatto, al solito, accenna a una trasformazione della fase solida, e infatti la parte indisciolta, raccolta e compressa fra carta, ha dato all'analisi 39,5 e 39,6°/ di acqua. Si è dunque riformato anche qui il solito fluoruro, Al,F; + 6Hs0, osservato tante altre volte, e che possiamo perciò a buon diritto considerare come il com- posto più stabile a temperatura ordinaria fra tutti quelli che possono formare Al Fl; e H,0. Appunto a causa di questa trasformazione che subisce l’idrato Al» FL; + 2H:0 in contatto dell’acqua, occorre, quando lo si vuole ottenere puro, far procedere la evaporazione tutta in una volta, e non ripigliare la massa già asciutta con nuova acqua. Per riprova di ciò, si evaporò cinque volte in capsula di platino una stessa soluzione, riprendendo ogni volta il residuo con acqua; solo la prima volta si risciolse integralmente il residuo secco, che perse poi l'aspetto setaceo per assumere quello polverulento, e all’ana- lisi fu trovato contenere 37,2 e 37,0 °/, di acqua, essendosi evidentemente formata una buona quantità dell’idrato con 6H,0, che è assai resistente a 100°, come vedemmo. La percentuale di alluminio fu trovata 20,38 e 20,51; la percentuale del fluoro, ricalcolata col rapporto Al:3FI, è in media 45,44, mentre dalla differenza a 100 si trova solo 42,45; anche in questo caso dunque esisterebbe una certa quantità di sale basico, ma non in quantità maggiore che nell'idrato che sì separa a temperatura ordinaria (v. sopra). Come già abbiamo fatto osservare, con la presente Nota non può cer- tamente considerarsi esaurito l'interessante tema; molti dei fatti osservati richiedono studi ulteriori; sarebbe poi bene conoscere le condizioni nelle quali l’idrato del Baud può separarsi spontaneamente dalle sue soluzioni acquose, e potere osservare l'equilibrio reversibile fra esso e l’idrato con 17H;0 preparato ora per la prima volta; anche il comportamento del fiuo- ruro di alluminio in soluzioni di HF] può portare a risultati non privi di importanza. Ma i fatti sin qui accertati definiscono già, nelle linee generali, la natura degli idrati del fluoruro di alluminio che apparisce un po’ diversa da quanto si riteneva finora, e si prestano a varie considerazioni, che mi riservo di esporre in una ulteriore Nota, insieme con alcune osservazioni sullo stato del fiuoruro di alluminio in soluzione acquosa. —.799 — Mineralogia. — Appunti di mineralogia sarda. Ematite di Padria. Nota di FeDpERICO MILLOSEVICH. Patologia vegetale. — Su alcuni ifomiceti del Mais quasto, e sulla ricerca microscopica per determinarne le alterazioni. Nota del dott. Uco BRIZI, presentata dal Socio G. CUBONI. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisiologia vegetale. — Autolisi nell’ endosperma di Ricino. Nota del dott. Diana BRuscHI('), presentata dal Socio R. PIROTTA. In un precedente lavoro (*) studiai l’autosvotamento dell’albume isolato di ricino e potei stabilire che questo albume si svota autonomamente sol quando abbia ricevuto dall'embrione in germinazione uno stimolo speciale senza il quale l’albume in riposo non è capace di entrare in attività. Ottenuti tali risultati volli stabilire se gli enzimi esistenti nell'’albume di ricino, di cui parla pure Reynolds Green (*), e che trovansi nel seme in riposo allo stato di zimogeni, come affermò il Green stesso, potessero dive- nire attivi in poltiglie di semi e di albumi 2 riposo lasciate in autolisi, o se essi si trovassero in istato di attività solo nelle poltiglie di semi e di albumi già dn germinazione, come potrebbe far supporre la refrattarietà a svotarsi dell’albume di ricino in riposo. Per preparare le poltiglie necessarie per le esperienze furono posti nu- merosi semi a rigonfiare in acqua: dopo 24 ore furono staccati gli embrioni e i cotiledoni dagli albumi, quindi, pestate separatamente le diverse parti, furono addizionate le paste di una quantità misurata di acqua, o di acqua e glicerina. Indi le poltiglie furono conservate in termostato alla tempera- tura di 25°. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Fisiologia del R. Istituto Botanico di Roma. (8) Rendic. Accad. Lincei, (5), vol. XV, 2° sem., 1906, pag. 563. (3) Philos. Trans., 1887, vol. CLXXXVII, pag. 57; Annals of Botany, IV, pag. 383 (1890); Green and Jackson, Proc. Roy. Soc., LXXVII, pag. 69 (1905). ren ee n — 786 — Lo stesso si fece con semi germinati in segatura di legno alla temp. di 25°, e con i cotiledoni e gli embrioni di questi, separatamente dagli albumi. Mescolando poi la prima serie di poltiglie con la seconda seguivo l’a- zione extra-vitam delle sostanze dell'embrione su le sostanze dell’albume. Per mantenere asettiche le poltiglie fu aggiunta a ciascuna molto clo- roformio e alcune gocce di soluzione satura a caldo di timolo. Volli poi anche studiare di qual natura fosse la sostanza, proveniente dall’embrione in germinazione, che eccita l’albume dormiente a riprendere l’attività e disciogliere le riserve. A questo scopo una forte quantità di semi in germinazione (lunghezza della plumula circa 1 cm.) fu triturata, torchiata, e la poltiglia mischiata con cinque parti di glicerina al 50 °/,, fu spremuta per un panno. Il liquido torbido ottenuto fu filtrato, ed il filtrato (estratto glicerinato limpido) fu in parte mischiato a poltiglie di endosperma in riposo od in attività, private dei loro embrioni, in parte lasciato a sè stesso. Periodicamente determinavo nelle poltiglie a miscugli l'acidità con fenolftaleina e NaOH '/, normale, lo zucchero riduttore e lo zucchero totale (questo dopo l'idrolisi) col metodo gravimetrico di Allihn. Accenno fin d'adesso che in quasi tutte le poltiglie e miscugli, nelle prove d'idrolisi (riscaldamento per un ora a bagno maria) eseguite sia con forti dosi di acido cloridrico, sia con dosi deboli od anche senza aggiunta di acido, si constata una notevole diminuzione dello zucchero riduttore ed in talune anche la scomparsa completa delle sostanze riducenti. A che cosa è dovuto questo fenomeno? Vi è nel liquido un enzima sinte- tico che diviene attivo col riscaldamento? Ciò sembra strano, perchè alla temperatura del bagnomaria (98°-99°) l’ enzima non può resistere, a meno che esso non esplichi una rapida azione nei primi momenti del riscaldamento del liquido. Probabilmente ad alta temperatura si scompongono i globoidi dell’aleurona e si liberano da essi calce e magnesia (!) che formano con gli zuccheri riduttori delle poltiglie saccarati di Mg e Ca. Di questo interes- sante fenomeno mi occuperò in altro mio studio. Con le dette esperienze ho potuto assodare i seguenti fatti (?): I proenzimi che trovansi nel seme di Ricino in riposo sono capaci di divenire attivi anche in poltiglie di endospermi in riposo separati dai loro embrioni, in presenza dell'ossigeno dell’aria. Tali enzimi producono la scom- posizione delle sostanze di riserva e la formazione di forte quantità di zuc- (1) Cfr. Rendic. Acc. Lincei, loc. cit., pag. 565. () Per i particolari delle esperienze rimando ad un lavoro più esteso che sarà pub- blicato negli Annali di Botanica del prof. Pirotta. — 787 — cheri riducenti, zuccheri che non possono derivare che dalla decomposizione della principale sostanza di riserva del Ricino: l'olio. Per es. in una poltiglia di endospermi non germinati, si ebbe subito dopo la sua preparazione un’ acidità di 1,0 cme. di NaOH !/,; normale per 10 cme. della poltiglia stessa; questa medesima quantità non dette col reat- tivo di Fehling che minime tracce di riduzione. Dopo 14 giorni invece l'acì- dità era ancora 1,0, ma lo zucchero riduttore calcolato come di glucosio era divenuto mg. 33,5. Cioè si ebbe la formazione di 0,83 °/, di zucchero riduttore. La formazione di queste sostanze riducenti è più attiva in genere nelle poltiglie degli endospermi tolti a semi in germinazione e più ancora di semi interi germinati, con maggiore scomparsa in quest'ultimi di olio, e aumento dell’acidità libera, ma ciò solo dopo il quindicesimo giorno. Sembra quindi che nei primi momenti gli acidi grassi derivati dalla decomposizione del- l'olio tendano a trasformarsi, forse con intermedio della glicerina, in zuc- cheri, mentre in seguito tale formazione di carboidrato diminuisce e gli acidi grassi liberi si accumulano paralizzando l'ulteriore decomposizione dell’ olio. Così una poltiglia di semi germinati mostrava subito dopo la sua pre- parazione un’acidità di 2,0 cme. di NaOH normale per 10 cme. e dava solo tracce di riduzione col Fehling. Dopo 10 giorni l'acidità era ancora la stessa. ma lo zucchero riduttore era salito a mg. 144,6 di glucosio, cioè si era formato 1,4°/ di zucchero riduttore; dopo 18 giorni invece l'acidità era giunta a 5,2 cme. mentre lo zucchero era disceso a mg. 129, cioè ne erano scomparsi mg. 14,4. Ciò forse è dovuto alla presenza di un enzima sintetico. Se si neutralizza una poltiglia con MgCO; e la si mantiene esattamente neutra, sì forma una quantità assai minore di zucchero, il che fa supporre che per la decomposizione dei materiali di riserva sia necessario un ambiente leggermente acido, o che gli acidi grassi formatisi nella decomposizione del- l'olio neutralizzati dalla magnesia non siano più capaci a sintetizzarsi in zuccheri. Ciò proverebbe che lo zucchero si forma dagli acidi grassi più tosto che dalla glicerina, perchè la lipasi di ricino secondo Armstrong e Ormerod (Proc. Roy. Society, vol. LXXVIII, ser. B, pag. 376 (1906)) agisce anche in ambiente neutro. Dunque non è la glicerina che manchi nelle poltiglie, ma bensì l'acido libero. Come esempio di questo fatto riporto che in un miscuglio di 30 cme. di precipitato ottenuto trattando con alcool a 95° un estratto glicerinato di semi germinati, e ridisciolto in acqua, e 80 cme. di poltiglia di endospermi non germinati, reso nettro con MgCO; e mantenuto tale col- l'aggiunta graduale di MgCO;, non dette subito dopo la preparazione del miscuglio alcuna reazione col Fehling. Dopo 8 giorni accusò la presenza di mg. 63,5 di glucosio per 10 cme.del miscuglio, mentre un'altra miscela iden- tica, ma lasciata acida, dopo 8 giorni dette mg. 380 di glucosio. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 100 — 788 — Trattando con glicerina al 50 °/, la poltiglia di semi germinati la mag- gior parte delle sostanze riducenti rimangono nella pasta e non passano nel- l'estratto glicerinato. Il precipitato, che si ottiene trattando con alcool a 95° questo estratto, ridisciolto in acqua, è quello che ha maggiore azione nella decomposizione delle sostanze di riserva di albumi in riposo, il che prova essere in questo precipitato riunita la maggior quantità di enzimi. Però insieme ad essi vengono precipitate altre sostanze (albumine, carboidrati e forse un po d'olio), perchè, ridisciolto in acqua questo precipitato e conser- vato asetticamente, nel liquido un po’ torbido che ne risulta si osserva una potente autolisi con formazione di acidi liberi e di molto zucchero riduttore. Per es. uno di questi precipitati con alcool di semi germinati, presentò subito dopo Ja preparazione un'acidità di 0,2 cme. di NaOH ?/,, normale, per 10 cme. del liquido e non reagì col Fehling. Dopo 21 giorni l'acidità era divenuta 1,8 e lo zucchero riduttore calcolato in glucosio era mg. 22,5 per 10 cme. di liquido soprastante alla poltiglia depositata nel fondo del recipiente, mentre 10 cme. di tutta la poltiglia acquistarono dopo 36 giorni d’autolisi, un’ acidità pari a cme. 3,4 di NaOH !/,, normale per 10 cme. e mg. 926 di glucosio, pari al 9,4°/. Un secondo estratto aveva subìto un'acidità pari a cme. 0,6 di NaOH !/,, normale e non conteneva zucchero riduttore ; 18 giorni dopo l'acidità era salita a cme. 1,0 e lo zucchero riduttore a mg. 380, cioè al 3,8 °/,. Questo liquido mostrava in grado elevato anche il fenomeno della scomparsa delle sostanze riducenti durante il riscaldamento a bagno- maria; infatti, mentre dopo 18 giorni di autolisi lo zucchero riduttore era, come abbiamo visto, mg. 380, nell’idrolisi scese a mg. 85,9, ne scompar- vero cioè mg. 294,1, o il 77 °/o Per determinare in quali parti del seme in riposo sì trovi la chimo- sina o enzima coagulante, che già il Green aveva trovato negli endospermi in germinazione, e se esso esista nel seme allo stato di zimogeno o più tosto di enzima attivo, posi a rigonfiare un gran numero di semi; dopo 24 ore separai gli embrioni e i cotiledoni dagli albumi, quindi pestati separata- mente e addizionati di acqua e cloroformio furono posti in termostato a 25°. Con queste poltiglie feci periodicamente prove di coagulazione, tenendo 10 cme. di latte e 10 cme. di poltiglia in un bagno a temperatura costante di 44°, avendo cura di agitare continuamente il miscuglio. Con la poltiglia di endo- spermi non germinati si ottiene. la coagulazione del latte entro un tempo pressochè uguale (da 52’ a 58') tanto nella prima prova eseguita subito dopo aver fatta la poltiglia, sia nelle prove successive, il che mostra che l’en- zima attivo esiste già nel seme in riposo e non allo stato di zimogeno; in caso diverso l'attività dell'enzima dovrebbe aumentare durante l’autolisi. — 789 — Non ottenni invece sul principio alcuna coagulazione con le poltiglie o gli estratti dei cotiledoni e degli embrioni, cosicchè credetti da prima che l'enzima coagulante esistesse solo negli endospermi. Anche Green affermava ciò, sempre però per gli endospermi dei semi germinati. Però essendo le poltiglie degli embrioni e dei cotiledoni molto più diluito di quelle degli al- bumi, ritentai la prova con una poltiglia molto più densa ottenuta con em- brioni e cotiledoni tolti a ben 158 gr. di semi in riposo, e triturati con 15 cme. di acqua e 15 cme. di glicerina. Con questa poltiglia infatti ottenni la completa coagulazione del latte in 48"; tempo però maggiore di quello oc- corrente per la poltiglia egualmente concentrata dei rispettivi endospermi in riposo (339). Le poltiglie di ricino scaldate a 100° perdono la proprietà di coagulare il latte. Si tratta dunque realmente di un enzima. Quale ufficio esso abbia nel seme di ricino mi è ignoto. Facendo agire la poltiglia di endospermi in riposo su di una soluzione di peptone al 10 °/,, si forma in pochi giorni un precipitato bianco grigiastro polverulento, che ricorda la plustezna che per azione degli estratti di mucosa gastrica si forma nelle soluzioni concentrate di peptoni. Su la chimosina del Ricino contituano le mie ricerche. Patologia vegetale — Sulle micorize endotrofiche della vite. Nota di L. PeTRI presentata dal Socio G. CuBONI. Nel corso di alcune ricerche sopra le alterazioni prodotte dalla flllossera sulle radici della vite ho potuto osservare alcuni fatti degni di nota relati- vamente alla presenza e ai caratteri citologici delle micorize endotrofiche di questa pianta che furono già segnalate da Stahl('), ma solo come un fatto isolato. Più ampie notizie a questo riguardo saranno date in una memoria ora in corso di stampa, mi limito qui ad accennare ai fatti principali da me con- statati. Le lesioni fillosseriche sulle radichette erbacee di Vitis vinifera sem- brano aumentare fortemente il grado di ricettività di quest'ultime pel fungo endofita, il quale è frequentissimo in quelle ‘radichette che terminano con una nodosità, i tessuti iperplastici di questa non sono però mai invasi diret- tamente dall'esterno, la parte di micelio che si conserva intercellulare rag- giunge più o meno presto questi tessuti anormali e ricchi di amido, diffon- dendosi attraverso il parenchima corticale della radichetta non rigonfiata, nella quale penetra quasi sempre al suo punto di origine dalla radice madre. 1) Stahl, Der Sinn der Myhorrhizenbildung. Jahrb. f. wiss. Bot. XXXIV. — 790 — Nelle viti non fillosserate la presenza della micoriza non è così frequente come in quelle presentanti nodosità; nei vitigni americani poco resistenti l'endofita si compoita come nelle radici della vite nostrale diventando fre- quentissimo nel caso di piante fillosserate; in alcuni vitigni molto resistenti e con una minima ricettività per l’insetto la micoriza manca totalmente, almeno per quanto ho potuto osservare sinora. Questa relazione fra la presenza dei due parassiti è forse spiegabile ammettendo che le condizioni di ricettività nelle radichette per l'uno e per l'altro sieno le stesse, però è molto probabile che l’azione precedente della fillossera predisponga all’infezione, da parte del fungo endofita, le giovani radici. Nessun carattere esterno appariscente svela la presenza della micoriza. I fatti più notevoli relativi al comportarsi del micelio intracellulare, prima e durante la formazione dei corpi chiamati sporargioli da Janse (') e pro- sporoidi da me (*), sono i seguenti: 1° La formazione di un reticolo di sot- tilissime ife intorno ai granuli d'amido che vengono ben presto disciolti. 2° Un maggiore differenziarsi degli elementi nucleari nelle terminazioni di queste fini ramificazioni dell'ifa primitiva, un differenziamento che ricorda le fasi presentate dal s:/arzon dei basidi prima della cariogamia. 3° Successivamente a questo stadio l’iperproduzione di sostanze proteiche all'estremità delle fini ramificazioni. 4° L'originarsi graduale, per una trasformazione chimica di queste ramificazioni e delle sostanze in esse contenute, dei prosporoidi 0 sporangioli. Questi corpi deriverebbero quindi dalla trasformazione, per azione en- zimatica o autolitica, di speciali porzioni delle sottili ramificazioni dell’ifa intracellulare (arduscz/les di Gallaud (*)) e non di fufta la massa di que- st'ultime come afferma questo autore. Questo fungo, come in generale tutti i miceli formanti micorize endo- trofiche, invadendo il parenchima corticale primario sì tiene sempre a una certa distanza dalla regione apicale, limitando il suo sviluppo a quella por- zione della corteccia dove le cellule, passando allo stato definitivo, si riem- piono di amido. Il micelio non invade mai così il cilindro centrale, difeso dall’endodermide suberificata. La lesione fillosserica apporta una profonda modificazione a questo stato di cose: arrestando l'accrescimento in lunghezza della regione apicale e tras- formandone contemporaneamente i caratteri istologici e la natura del conte- nuto cellulare, determina le condizioni favorevoli al progredire dell'endofita sino all'estremità delle radichette, dove, per il processo ipoplastico provocato dalla lesione, l’endodermide non è differenziata e in tal modo l’azione paras- sitaria del fungo può apportare gravi conseguenze ai tessuti fibro-vascolari (*) Ann. Jard. bot. Buitenzors XIV. (2) Nuovo Giorn. bot. ital. X. (3) Rev. Gen. Bot. XVII. — 791 — ancora poco o punto differenziati. L'iperplasia del parenchima corticale con la conseguente abbondante quantità di amido contenuta nelle sue cellule co- stituisce d'altra parte un potente stimolo all'avanzarsi del micelio in questa regione della radichetta. Questo fatto in certi casi contribuisce ad affrettare l’entrata dei paras- siti poco virulenti e dei saprofiti nei tessuti delle nodosità. Sulle radichette fillosserate, conservate in camera umida, il micelio esterno dell'endofita origina dei filamenti moniliformi che sono identici a quelli de- scritti da Bernard (*) come filamenti conidici dell’endofita delle orchidee. Una germinazione di questi presunti conidi non è stata per ora accer- tata in coltura pura. Biologia. — Contributo allo studio dell’'ibridismo negli Ue- celli. Nota di ALessanpRO GHIGI, presentata dal Socio ©. EmeRy. La questione dell’ibridismo è della massima importanza, perchè ad essa si connettono alcuni dei più importanti problemi biologici, fra i quali pri- meggiano i criterî che debbono guidare il sistematico nello stabilire se de- terminati gruppi di forme debbano ritenersi buone specie, oppure varietà della medesima specie. È noto come fino dai tempi del Cuvier, la fecondità e la sterilità degli ibridi venissero considerate quali ottimi criteri per la distinzione delle specie, ritenendo che i meticci fecondi provengano dall’accoppiamento di individui ap- partenenti a razze o varietà della medesima specie, ed i bastardi sterili dall'unione di individui appartenenti a specie diverse. Questo concetto cadde col tempo, in base ad una serie di osservazioni che apparvero in contraddizione con esso, e si affermò, anche in recenti trattati di Zoologia, che le difficoltà dell’incrociamento non sono assolutamente in proporzione esatta colla divergenza della specie e che non sempre i meticci sono fecondi nè i bastardi sterili. i A queste conclusioni hanno contribuito due ordini di fatti. Le uova di Zcehinus microtuberculatus vengon fecondate da sperma di Strongilocentrotus lividus, ma le uova di questo non son fecondate dallo sperma di quello. Il seme di Salmo fario feconda le uova di Salmo salar, ma lo sperma del salmone non feconda le uova di trota. Sebbene eccezionalmente, pure nor mancano, si disse, casi di fecondità nel mulo; si ottennero bastardi di lepri e conigli che si sono mantenuti fe- condi per intere generazioni; gli chadins delle Ande sarebbero infine bastardi fecondi fra pecore e capre. (1) Rev. Gen. Bot. XVI. — 792 — Questo secondo gruppo di fatti, non ha oggi alcun valore per la sem- plice ragione che essi sono dimostrati insussistenti: non è provata la fecon- dità del mulo; pare assodato che i supposti leporidi fecondi non siano altro che veri conigli di razze somiglianti ai nominati bastardi; sembra certo che lo chabin sia una razza particolare della pecora e perciò la sua fecondità non avrebbe alcunchè di straordinario (*). Ed anche il primo gruppo di fatti non ha, in contraddittorio, grande importanza. Ammesso che quelle specie di echinodermi e di pescì siano stret- tamente affini, la mancata fecondazione in un determinato senso non è prova di incapacità sostanziale alla fecondazione stessa. È necessario infatti distin- guere una sterilità primaria da una sterilità secondaria: due germi possono essere specificamente differenti e non coniugarsi per cause che si possono dunque ritenere intrinseche alla natura del plasma germinale, ma due germi possono anche essere specificamente simili e non coniugarsi per cause estranee alla struttura del plasma stesso. Supponiamo che una specie A abbia la membrana dell'uovo più resistente di quella posseduta dalla specie B, e che il potere di penetrazione degli spermatozoi sia in relazione per ambedue le specie con tale resistenza, è chiaro che gli spermatozoi di A potranno en- trare facilmente nelle uova di B e che quelli di B non potranno entrare. nelle uova di A. È certo altresì che il micropilo delle uova a guscio resi- ‘stente, come quelle dei pesci, deve essere in relazione colla grandezza dello spermatozoo corrispondente; ora è evidente che piccoli spermatozoi potranno entrare facilmente in uova di specie diversa a spermatozoi grandi, ma questi non potranno entrare nelle uova di specie a spermatozoi piccoli: questa è forse la ragione per la quale con sperma di trota si possono fecondare le aova di salmone e non viceversa. Con ciò le due principali obbiezioni mosse al concetto che la sterilità e la fecondità dei prodotti d’'inerocio, possano costituire un indice sicuro per stabilire i limiti di una specie verso un’altra, perdono d'importanza, ed il biologo è nuovamente attratto verso un campo che non è stato ancora 0g- getto di ricerche sperimentali sufficienti. Da quindici anni allevo con cura varie specie di uccelli, specialmente galliformi; le osservazioni raccolte mi hanno suggerito le opinioni che intendo pubblicarein questa Nota, dopo di avere esposto i fatti sui quali si basano. Desorizione sommaria di alcuni ibridi nei Phasianidae. — Comincerò coll'enumerare i varî incroci da me ottenuti, accennando sommariamente a quei caratteri che possono avere importanza dal punto di vista generale. Seguendo le regole della nomenclatura zoologica, il nome del padre precede sempre il nome della madre; quando debbo parlare di soggetti nati (') Suchetet A., Problèmes hybridologiques, Jonrn. d’Anat. et Physiol. XXXIII année, 1897. — 799 — da un individuo puro e da un individuo incrociato, i nomi dei genitori di quest’ ultimo sono compresi fra parentesi. Gl'ibridi che non recano alcuna frase descattina sono noti e già de- scritti da altri autori. a) Ibridi nel genere Gemnaeus. 1. Muthura X horsfieldi. — © Aspetto generale intermedio fra le due specie, per la forma del corpo, per la lunghezza del ciuffo e delle timoniere. Le piume dei fianchi sono leggermente lanceolate e sfumate in grigio cupo, specialmente lungo la rachide. Le penne del groppone e del sopracoda, con sfumature bluastre, anzichè essere largamente marginate di bianco, hanno l'orlo finemente ed irregolarmente striato. Sono pure finemente marginate di bianco, nei giovani, le piume del dorso, le scapolari e le copritrici delle ali, mentre negli adulti queste forme sono interamente nere. Le timoniere su fondo nero lucente sono sparse, verso la base, di finissime ed irregolari strie biancastre. 9 Somigliantissima nell'aspetto generale alla madre, in modo da non distinguerla da questa per il piumaggio; per la forma del ciuffo e lunghezza della coda si può considerare intermedia, ma, tutto sommato, non conoscen- done l’origine incrociata, si potrebbe determinare come G. horsfeldi. 2. Argentatus X muthura. — x Adulto si avvicina nella forma gene- rale del corpo al padre; anche pel piumaggio striato di bianco e di nero si accosta grandemente a quest ultimo e non presenta alcun carattere che per- metta di riconoscervi il sangue materno, se si eccettuano le rachidi bian- castre delle penne lanceolate dei fianchi e del petto. Si può definire meglio come un G. lineatus, nel quale le strie bianche del manto siano più larghe, la coda assai più lunga ed arcuata, il ciuffo abbondante e refluente. Le ti- moniere mediane hanno il vessillo interno bianco cenerognolo scarsamente rigato di nero, quelle delle paia laterali sono trasversalmente striate, ma sul vessillo esterno il nero predomina sul bianco in modo assoluto. Nei giovani il petto è quasi interamente nero; sul dorso e sul groppone le penne sono striate di nero e di biancastro; le timoniere mediane sono di colore fonda- mentale grigio-ferro attraversate da striscie più chiare e più scure, le late- rali sono nere più o meno scarsamente striate di bianco. La ® rassomiglia alla femmina del fagiano argentato: ne differisce principalmente per le zampe, come quelle del < biancastre anzichè ver- miglie, pel ciuffo un poco più lungo, pel ventre più rigato, per le timoniere laterali con striscie bianche meno regolari e più strette. Complessivamente in ambo i sessi di questo ibrido predominano caratteri paterni. 3. Argentatus X lineatus. — 9 Predominano in modo assoluto i ca- ratteri materni: differisce dalla madre pel ciuffo leggermente più breve, per la mancanza di strie submarginali alla base del collo, e pel fatto che il INI IMITA E — 794 — fondo delle parti inferiori anzichè bianco cenerognolo è giallastro sporco. Zampe vermiglie. 4. Argentatus X horsfieldi. — < giovane. Rassomiglia al x di ar- gentatus X muthura, senonchè il ciuffo è diritto e la larghezza delle strie bianche e nere essendo quasi eguale, fa risultare una intonazione complessiva più scura. 9 Nel suo complesso è straordinariamente simile alla femmina mu- thura, della quale riesce più cupa per avere meno accentuate le strie ter- minali chiare, che orlano la maggior parte delle penne e ne differisce pel fatto che le timoniere laterali sono attraversate da strie irregolari biancastre. 5. Argentatus X swinhoîi. — Questi sono ibridi conosciuti; il maschio non presenta nè la regolarità di strie dell’argentatus, nè alcuno dei colori brillanti dello swi#hodi; predominano tinte bruno-rossicce più o meno striate di nero. 6. Lineatus X muthura. — < Quasi identico al padre, ne differisce per la maggior finezza delle strie bianche e nere che si alternano sul dorso, per il groppone leggermente sfumato in bleu, per leggere sfumature grigie sul nero dei fianchi e più di tutto pel fatto che le timoniere laterali sono quasi interamente nere mentre nel puro /7aeafus le strie bianche banno la medesima larghezza delle nere. Il giovane pollastro di questo ibrido offre subito fianchi e dorso rigati, come il giovane /zneatus. Anche la 9 rassomiglia interamente alla 9 limeatus, solamente è priva di striscie nerastre sul dorso ed il colore fondamentale delle parti inferiori non ha l'intonazione slavata della specie pura. Allo stato giovanile al con- trario è completa la rassomiglianza coi pollastri giovani di muthura. 7. Lineatus X swinhoti. — < Ciuffo nero con strie rosse e biancastre. Piume del collo con base nera e parte apicale bianca, irregolarmente spruz- zata di bruno e di nero. Su fondo nero, sono pure fittamente striate di bruno e di bianco gialliccio verso il terzo apicale, le penne del dorso e le scapo- lari. Copritrici delle ali nere lucenti con orlo verde cupo; lungo la rachide evvi sulla parte basale una macchia bruna. Groppone e sopracoda simili a quelli del maschio Swinhoe giovane: neri con fascie marginali azzurro-por- porine spruzzate di bruno rosso. Timoniere mediane nere con strie trasversali oblique biancastre e rosso brune; le altre timoniere hanno strie ancor più ir- regolari e sottili bruno-rosse, più manifeste alla base ed all’apice che non sulla parte mediana. Le parti inferiori sono nere; le piume lanceolate dei fianchi, cangianti in bleu, offrono la stria bianca caratteristica del G. lineatus. Zampe color carnicino chiaro. 8. (Argentatus X muthura) X lineatus. — Sono scomparsi comple- tamente i caratteri del muthuza, talchè questa forma può considerarsi come giustamente intermedia per forma e colorito fra la femmina dell'argentatus e quella del /ineatus. — 795 — 9. Lineatus X (Argentatus X muthura). — Predominano in ambo i sessi ed in modo assoluto i caratteri del /;72ea/us, nè questa forma si può considerare come ben differente da quella descritta fra lineatus e muthura. Tuttavia la distribuzione delle striscie sulle parti superiori sembra meno re- golare e, nel maschio, tanto sulla nuca al di sotto del ciuffo, quanto sul groppone si osservano sfumature nerastre. 10. (Argentatus X muthura) X argentatus. — I maschi di questo in- crocio, ottenuto nella scorsa primavera non sono ben caratterizzati; alcune parti del loro piumaggio consentono tuttavia di prevedere quale sarà il. loro aspetto definitivo: probabilmente rassomiglieranno in tutto all'argentatus e non si distingueranno dalla specie pura se non pel fondo del manto legger- mente plumbeo e pel vessillo esterno delle timoniere laterali più nero. La femmina, sebbene abbia il ventre marcatamente rigato di nerastro, non si può dire che sia in modo apprezzabile diversa dalla femmina pura. b) nel genere Phastanus. 11. Versicolor X colchicus. — È forma conosciutissima, nella quale tutte le penne delle parti inferiori del maschio sono color marrone con una larga fascia marginale verde bottiglia. 12. Torquatus X colchicus. — È pure forma conosciutissima, nella quale è presente il collare bianco, i fianchi sono più chiari ed il groppone bron- zato anzichè marrone come nel colehicus, o verdognolo come nel torquatus. 13. Mongolicus X (torquatus X colchicus). — Aspetto generale si- mile al colchicus; dei caratteri paterni conserva la sfumatura cangiante in porporino del petto e delle parti inferiori; nel mezzo del dorso si trovano alcune penne di color violaceo scuro, mentre tutto il resto del groppone e sopracoda differisce insensibilmente dal co/ehicus. Anche le scapolari offrono uno stretto orlo violaceo scuro. c) nel genere Chrysolophus. 14. Amherstiae X pictus. 15. Amherstiae X (Amhersliae X pictus). 16. Amherstiae X (Ambherstiae X (Ambherstiae X pictus)). 17. Obscurus X (Ambherstiae X (Amherstiae X pictus)). Come è noto, in questa serie di ibridi i caratteri del pictus, ultimi a scomparire, sono il rosso delle parti inferiori e l'aspetto marmoreggiato del nero nella coda: anzi ho potuto accertare che si è costituita una razza do mestica di fagiano di Lady Ambherst, proveniente dall’inerocio col dorato e differente dalla specie selvaggia, pel fatto che la mole è minore e le timo- niere mediane, pur su fondo candido, offrono marmoreggiature nere simili a quelle degli ibridi col dorato e non larghe fascie trasversali come quelle dell’ Amherstiae. RexpiconTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 101 —netsessilitatiààì — 796 — d) fra i generi Phastanus e Chrysolophus. 18. P. torquatus X (C. pietus x (Amherstiae x pictus)). — Di questa forma ha ottenuto parecchi esemplari 7, 3 dei quali ora da me posseduti, il cav. Oreste Rosso di Mondovì, da esemplari giovani cresciuti assieme e mai separati. Nella voliera non si trovavano femmine forquatus. Aspetto generale simile a quello dei giovani pietus, con intonazione complessiva rosso-bruna; la base del collo offre piccole penne violette con riflessi d'anilina; le timoniere mediane sono quasi piatte, di colore isabellino scuro, spruzzate di bruno. L'unico carattere appariscente del torquatus, sta nella forma e nell'estensione della pelle nuda vermiglia intorno all’occhio, leggermente dilatabile quando l'animale accenna a voler litigare cogli altri. e) nel genere Numida. 19. Meleagris X ptilorhyncha. — Ho già descritto esattamente questo incrocio in una recente pubblicazione ('); mi limito a ricordare che per la forma ed il colorito delle caruncole esso può considerarsi intermedio fra le due specie, mentre pel piumaggio taluni esemplari tendono maggiormente all’ una, altri all'altra delle specie dalle quali hanno avuto origine. 20. (Meleagris X plilorhyncha) X ptilorhyncha. — Qui predominano in modo assoluto i caratteri della madre, eccettuata la sfumatura violetta nel margine esterno delle secondarie che, in alcuni esemplari, manca. I miei esemplari sono ancora giovani, e perciò è difficile stabilire ora se le appen- dici carnose della fronte rimarranno allo stato rudimentale, come sono oggi, o se acquisteranno sviluppo notevole. f) fra i generi Pavo e Numida. 21. P. cristatus X N. meleagris. — Ottenni un maschio che ho de- scritto e figurato altrove (?). Fecondità e sterilità negli ibridi. — Negli ibridi precedentemente descritti ho accertata la fecondità dei seguenti: i . Muthura X horsfieldi Argentatus X muthura . Argentatus X lineatus Lineatus X muthura ti, (Argentatus X muthura) X. lineatus 6. Lineatus X (argentatus X muthura) > Gennaeus Ut + 0 DD (*) Atti del Congresso dei Naturalisti italiani, 15-19 settembre 1905. (8) Di un ibrido fra Numida e Pavone, Monit. Zool. Ital., suppl. 1900; Contridu- zioni alla biologia ed alla sistematica dei Phasianidae, Arch. Zool. Ital. Tav. 17 1903. e mogi — 7. Versicolor X colchicus . 8. Torquatus X colchicus . 9 ; + Phastanus . Mongolicus X (torquatus X a Mirino er CAR PICCUST OOO : 11. Ambherstiae X (amherstiae cas ) / 12. Obscurus X (amhkerstiae X (amherstiae x nun °Chrysolophus 13. Amherstiae X (amherstiae X (amhersliae X pictus)) iie/eno ni sX pivlorigncha ti... . e. NMumida La fecondità di tali ibridi è assoluta; essa si manifesta tanto negli accoppiamenti fra loro, quanto negli accoppiamenti con l'una o l’altra delle specie progenitrici, persistendo nelle generazioni successive. Non ho accertata la fecondità nei casì seguenti: i . Argentatus X horsfieldi. ; 1 ennaeus . (Argentatus X muthura) X agoda 3 Ca DO 3. (Meleagris X ptilorhyncha) X ptilorhyncha. . . Numida 4. Phastanus torquatus X Chrysolophus (pictus X (amherstiae Xx pictus)). Si tratta di esemplari giovani della primavera scorsa, i quali non possono avere ancora normalmente riprodotto, ma dei quali è certa pei primi 3 casì la riproduzione, in questa primavera o in quella dell’anno venturo, mentre per l’ultimo è quasi certa la sterilità. Ho accertato la sterilità nei casi seguenti: 1. Gennaeus swinhoii X argentatus 2. Gennaeus lineatus X swinhoti 3. Pavo cristatus X Numida maleagris. Caratteri degli ibridi fra specie sistematiche diverse. — Secondochè gl'ibridi sono fecondi o sterili, presentano determinati caratteri morfologici, che possono essere armonzei od atavici. Quando i caratteri degl’ibridi si possono considerare come una combi- nazione armonica dei caratteri esistenti nei genitori, quando il piumaggio maschile è intermedio fra quello dei due maschi, si può esser certi, in rapporto al Fasianidi, che i prodotti dell'incrocio sono fecondi. Fra i più tipici in- croci di questa categoria sono quelli del fagiano argentato col mutura, e quelli del mutura col lineato. È noto come il mutura abbia le parti infe- riori cenerognole e chiare e le superiori bleu acciaio lucente; le altre due specie hanno nere le parti inferiori, e le superiori rigate più o meno inten- samente di bianco. Il bleu unito del mutura non guasta con sfumature nè macchie la regolarità delle strie negli incroci, ma diminuisce soltanto la larghezza delle strie bianche. È noto altresì come gl’ incroci del fagiano — 798 — Dorato col Lady Amberst siano più appariscenti e più belli delle specie pure e come anche siano magnifici gl’ incroci del Ph. versicolor col comune. Se, al contrario, esaminiamo gl'ibridi fra il fagiano Argentato ed il fagiano di Swinhoe, fra questo ed il Lineato, fra il Pavone e la Faraona troviamo un prodotto assai meno appariscente di ciascuno dei genitori, e nel quale sono scomparsi i caratteri più brillanti, essendo stati sostituiti da caratteri riferibili piuttosto ai giovani od alle femmine: tali caratteri sono evidente- mente a/4vici, e sì manifestano in quelle forme incrociate, che l'esperimento dimostra sterili. Non intendo con questo affermare l'assoluta ed immediata sterilità di tali ibridi; ho avuto femmine Swimhozi X Argentatus, che hanno deposto uova, ma queste non sono mai state fecondate nè da maschio ibrido nè da maschio puro delle due specie progenitrici. Il Suchetet, afferma di avere avuto una generazione di prodotti, ma poi questi si sono dimostrati assolutamente sterili. Anche nei bastardi fra canarino e cardellino, le fem- mine spesso depongono uova, incapaci di essere fecondate. Sono adunque in grado di enunciare la regola seguente: Quando due specie di fasianidi, incrociandosi, generano ibridi con caratteri armonici, si può presumere che essi siano fecondi; quando in- vece gl'ibridi offrono caratteri atavici, si può presumere che essi stano sterili. È noto come non tutte le specie di fasianidi sviluppino i loro caratteri sessuali secondari alla medesima età; talune sostituiscono direttamente l'abito giovanile con quello brillante definitivo; altre non rivestono quest’ ultimo che dopo uno o due anni di vita, dopo aver posseduto un abito intermedio poco dissimile da quello femminile. Negl'ibridi fra specie a caratteri sessuali secondari tardivi e specie a caratteri sessuali secondari precoci, fra l'abito giovanile e quello defi- nitivo intercede un abito intermedio, composto di penne in parte simili a quelle dei giovani ed in parte simili a quelle degli adulti. Hanno aspetto giovanile i pterilii e loro parti che iniziano la muta; hanno aspetto adulto i pteriliù e loro parti che si cambiano per ultimi. Si osserva l'applicazione di questa regola negli incroci fra G. argen- tatus e G. muthura, G. argentatus e G. horsfieldi; dove l'argentato è tar- divo, gli altri due precoci. .Le remiganti secondarie, per esempio, e le piccole copritrici dell'ala sono in queste forme di color nerastro spruzzate di bruno, ma le scapolari e le copritrici più grandi, sono regolarmente e nettamente striate di bianco e nero. Così dicasi del dorso e del sopracoda: talune penne che spuntano relativamente presto e terminano tardi, offrono la porzione apicale spruzzata di bruno e quella basale striata di bianco. Quando un incrocio deriva da tre specie distinte, ed una di queste si può considerare come intermedia fra le altre due, nell’incrocio predo- — 799 — minano notevolmente i caratteri appartenenti a quest'ultima, anche se rappresentata da un sol quarto di sanque. Se disponiamo ad esempio delle serie di specie secondo l'ordine di gra- dazione di certi loro colori, andando dai più cupi ai più chiari, dai più uniti ai più rigati, avremo la seguente disposizione : Phastanus mongolicus Gennaeus muthura ” colehicus ” lineatus ” torquatus n‘ argentatus Gl'ineroci triplici in questi generi, ottenuti secondo le formule indicate in principio, sì riferiscono pei loro caratteri rispettivamente al colehicus ed al Zineatus, ed ove si rinvenissero allo stato selvatico, dubito assai che l’'or- nitologo potesse considerarli come appartenenti a specie diversa: noterebbe certo quaiche piccola differenza, che attribuirebbe piuttosto a piccole varia- zioni anzichè a diversità specifica. | Quali accoppiamenti possano dar luogo a prodotti fecondi e quali no. — Fra specie morfologicamente affini, si ottengono prodotti fecondi, quando z genitori abbiano gli stessi caratteri etologici; si ottengono ibridi sterili quando i genitori abbiano caratteri etologici diversi. Allorchè due specie, anche notevolmente dissimili l'una dall'altra per grandezza e piumaggio, come il fagiano Dorato ed il fagiano di Lady Ambherst, hanno la stessa voce, lo stesso modo di corteggiare la femmina, le medesime tendenze nell’incedere, nell’alzarsi a volo e nell’aggredire, la medesima durata nell’incubazione delle uova, si può presumere che i prodotti dell’accoppiamento siano fecondi. Nel caso contrario si potranno ottenere anche molti di tali prodotti, ma questi saranno sterili. Tutti gli ibridi da me ottenuti, compresi quelli di Numzida, rispondono a questo principio, che io sono disposto ad estendere all'intera famiglia dei Phasianidae, anche per una considerazione commerciale che mi sembra tut- tavia abbia molto valore. La grande diffusione degli incroci tra fagiano Dorato e Lady Ambherst deve la sua origine al fatto che cinquant'anni or sono il Lady Ambherst co- stava dalle mille alle millecinquecento lire per capo, secondochè si trattava del maschio o della femmina; gli amatori trovarono che il maschio Lady riproduceva bene colla femmina dorata e che anzi accoppiando successivamente femmine d’incrocio con maschio puro si giungeva, dopo tre generazioni, ad ottenere un prodotto quasi eguale al puro. Egual sorte ebbe il Phasianus versi- color inerociato col colchicus. Ora io credo che se fosse possibile ottenere i medesimi risultati incrociando un maschio Ph. soemmeringi o ellioti 0 wallichiî con femmine comuni; Gernaeus diardi o nobilis con femmine di argentatus o muthura, gli allevatori non avrebbero mancato di fare tali — 800 — incroci, che avrebbero provocato un ribasso sensibile nel prezzo di queste specie, come è avvenuto per il Lady Ambherst ed il Versicolor. Significato della fecondità e sterilità negli ibridi in rapporto alla sistematica. — I risultati esposti, uniti a quelli studiati dal Suchetet (!) negli uccelli in generale e nei mammiferi, hanno ingenerato in me la convinzione che l'antico concetto cuvieriano sia giusto. Io credo che realmente la fecon- dità e la sterilità degl’ibridi costituiscano un ottimo criterio per distinguere fra loro le vere specie: queste, quando, ben inteso, siano genealogicamente affini, dànno ibridi sterili o di limitatissima fecondità come i bastardi fra tortora e piccione, fra cardellino e canarino; ma quando dall'incrocio di due specie sistematiche nascono meticci fecondi, i quali offrono tutti i vantaggi caratteristici ai meticci delle razze domestiche, dobbiamo rite- nere di non avere a che fare con due specie reali e distinte, ma con rasze locali 0 tutt'al più con varietà della medesima specie. Il sistematico giudica in base alle forme e su queste determina le affi- nità; il suo giudizio può essere tuttavia erroneo e dall'esperimento dobbiamo attenderci di vedere spesso dimostrato che forme ritenute affini non lo sono affatto, mentre altre considerate come buone specie non sono che varietà 0 razze della medesima specie: I piccioni domestici non sono in massima parte assai più differenti mor- fologicamente dalla Columba Livia, che non questa dalla Columba oenas 0 dalla tortora? Eppure noi sappiamo che quelli appartengono alla medesima specie e s' incrociano con vantaggio immenso della prole, mentre i bastardi del piccione e della tortora sono sterili, ovvero dotati di limitatissima fecondità e soltanto nell'accoppiamento con uno dei genitori. Patologia. — Sulla morfologia e sul cielo evolutivo del pa- rassita della rabbia (€). Nota del dott. A. NEGRI, presentata dal Socio B. GRASSI (con una tavola). Dal giugno del 1905 io ho reso nota una serie di fatti sulla struttura e sul ciclo evolutivo del parassita specifico dell'infezione rabica (*). Le fine particolarità di struttura da me allora descritte si riferivano alle forme parassitarie endocellulari che con maggiore frequenza sì riscon- trano e si possono osservare nel sistema nervoso degli animali idrofobi, a quelle forme del parassita, cioè, che sole — si può dire — sono state prese in considerazione da quanti si sono occupati dell'argomento. (1) Opera ornithologica, 1888-1897. (2) Lavoro eseguito nel laboratorio di Patologia generale della R. Università di Pavia. (2) Sull'esiologia della rabbia. Note sulla morfologia e sul ciclo evolutivo del pa- rassita specifico. Boll. Soc. Med. Chir. Pavia, 1905. — (801 — Tali forme, come ho ripetutamente detto e come è ormai bene accertato, si presentano in modo caratteristico e costante. Qualunque siano le dimensioni del parassita in questi stadi, nel suo interno, in condizioni opportune, si rileva la presenza di particolari forma- zioni che in modo schematico si possono raggruppare in due categorie: cor- picciuoli piccoli, rotondeggianti, rifrangenti; corpi più grandi, meno rifran- genti, rotondeggianti od ovali o di forma irregolare, di aspetto granuloso, Le formazioni interne non solo si osservano quasi sempre e con chia- rezza nel parassiti, nelle sezioni di tessuto nervoso fissate e colorate con pro- cedimenti svariati, ma anche senza colorazione alcuna, sia nelle sezioni che nei preparati per dilacerazione; con la massima chiarezza poi, in modo spe- ciale per quanto si riferisce ai loro caratteri, si rilevano nei parassiti esa- minati a fresco, in acqua o in soluzione fisiologica o in soluzione assai di- luita di acido acetico. Quest'ultimo modo di esame fa escludere che si tratti di eventuali prodotti artificiali da riferirsi all'azione dei liquidi fissatori ov- vero ai metodi di colorazione adoperati; dimostra invece che le formazioni interne sono l’espressione di vera struttura del parassita. Ripeto però che l’accennata suddivisione è alquanto schematica. Tra i più grossi corpi granulosi, poco rifrangenti, rotondeggianti od ovali od irregolari, ed i corpicciuoli rotondeggianti, rifrangenti, assai più piccoli, esistono invero differenze notevoli; ma devo pure aggiungere che dall'esame di numerosi pa- rassiti, qualche volta di uno stesso parassita, risulta l’esistenza di tutta una serie di formazioni che conducono per gradi dall'una all'altra delle due ca- tegorie. Tra esse, di conseguenza, non esiste un limite di divisione molto netto... tale almeno è l'opinione ch'io mi sono formato. La struttura delle peculiari formazioni interne del parassita è stata ap- punto oggetto, in parte, della mia ultima Nota. Dopo quanto ho ripetutamente detto, è superfluo che mi diffonda sulle modalità con le quali dette formazioni sono disposte e raggruppate nei singoli parassiti. Sappiamo oramai che in ciò non vi sono leggi costanti, così che, ad es., si possono nella stessa sezione di tessuto, talvolta in una medesima cellula nervosa, incontrare microrganismi, alcuni dei quali presentano una sola grossa formazione poco rifrangente, granulosa, di solito in posizione cen- trale o spostata alla periferia, e intorno ad essa ì corpicciuoli piccoli, rifran- genti, in numero vario a seconda delle dimensioni del protozoo: accanto a questi se ne trovano altri che, invece di una sola grossa formazione centrale, ne contengono due, tre, quattro, anche di più, in posizione varia; altri infine fittamente ripieni di corpicciuoli piccoli, rotondeggianti, di grandezza quasi uniforme; fra tali tipi tutta una serie di forme di passaggio, che rende im- possibile ogni descrizione schematica (1). (!) Cfr. la fig. 6, tav. I della mia prima comunicazione: Contributo alla studio del- 1802 — Nell'ultima Nota ho comunicato che in ognuna delle formazioni interne si possono mettere in evidenza dei corpicciuoli, degli ammassi di sostanza che si colora elettivamente con colori nucleari, l'ematossilina ad es., ed ho descritto inoltre alcuni degli aspetti con i quali questa sostanza può pre- sentarsi. Più precisamente, ho fatto notare. ed ho cercato anche di riprodurre in figure, che « nelle più grosse formazioni, colorando con l’ematossilina e con particolari modalità, ora si riscontra un corpiccinolo intensamente colorato e d'aspetto omogeneo; altre volte si ha un ammasso di sostanza riunita in blocchi o filamenti strettamente ravvicinati fra loro... rapporti che passando in altri parassiti si vanno facendo meno intimi, così che la distinzione delle masse cromatiche sì rende sempre più manifesta; si arriva infine a forme nelle quali si trovano dei filamenti bene individualizzati e riuniti in modo vario tra di loro, che occupano la maggior parte della formazione che li contiene ». A questi varî aspetti limitai la mia descrizione; aggiunsi però che tutto mi portava a ritenere che dovessero esistere ulteriori e più complesse mo- dificazioni di questi corpicciuoli cromatici, ai quali, per le loro caratteristiche di forma, per le modificazioni che presentavano e per le loro proprietà chi- miche, io fin d'allora diedi il significato di nuclei o di sostanza nucleare o di sostanza cromatica. Per la grande importanza che assumevano tali reperti in favore del- l'ipotesi della natura parassitaria dei corpi endocellulari specifici della rabbia, opinione che ho sempre sostenuto, io mi decisi a renderli noti, sebbene fos- sero ancora incompleti: a ciò fui indotto anche dal fatto di aver potuto ri- scontrare altri stadi del parassita, oltre a quelli comunemente noti, stadi che dimostrano un ciclo evolutivo e che confermano che ci si trova veramente di fronte ad un essere vivente. Questi stadi io li avevo trovati nelle solite sedi di predilezione del mi- crorganismo (corteccia, corno d'Ammone), in tre bovini morti di rabbia, in uno in modo particolare molto abbondanti; per la loro fine struttura si diffe- renziavano in modo assai netto dalle solite forme del parassita. Infatti non presentavano più nel loro interno le formazioni bene individualizzate, rifran- genti o granulose, di grandezza varia, che sono caratteristiche delle comuni forme parassitarie; apparivano invece finamente granulosi per la presenza di piccolissimi corpicciuoli rifrangenti, alcuni allungati, che riempivano fitta- mente tutto il corpo del protozoo. Abbondanti nel corno d'Ammone, tali stadi erano numerosi anche nelle cellule nervose della corteccia cerebrale, specialmente in uno degli animali, l'eziologia della rabbia. Boll. Soc. Med. Chir. Pavia, 1908, n. 2, e Zeitsch. f. Hyg., Bd. XLIII, nella quale sono riprodotti aleuni dei modi di presentarsi del parassita osservato a fresco. — 803 — e con caratteri che in tutti sì potevano dire eguali, fatta eccezione di qualche differenza nei contorni del corpo del microrganismo, ora netti, ora irregolari, un po’ frastagliati. Con l’ematossilina ferrica io potei differenziare in modo più fino le mi- nute particolarità di queste forme e ottenere colorati dei piccoli corpicciuoli, di lunghezza una frazione di w, di forma allungata, di rado diritti, di solito ricurvi, talora di aspetto omogeneo, più spesso contenenti granuli, rigonfia- menti... Su questi corpicciuoli si fermò in modo speciale la mia attenzione, ed io li interpretai, in modo molto largo, come le spore del parassita, e cercai anche di riprodurli nelle figure (!). Non tralasciai però di ricordare che ac- canto a questi parassiti costituiti dall'accumulo di corpicciuoli allungati, nelle medesime sezioni colorate coll'ematossilina ferrica, se ne incontravano altri risultanti invece dall'insieme di finissimi granuli. Ma su queste più minute particolarità non reputai opportuno d'insi- stere, proponendomi di continuare le mie ricerche. Oggetto della presente Nota è una serie di reperti ancora sulla strut- tura e sul ciclo del parassita, che in parte confermano quanto ho già de- scritto, in parte aggiungono fatti nuovi, e che sono appunto il frutto delle mie ulteriori, insistenti e faticose ricerche. Dirò subito che i fatti che verrò esponendo non si riferiscono più al microrganismo studiato, con procedimenti di tecnica varî, nelle sezioni di pezzi di tessuto nervoso inclusi in paraffina. Tale metodo, che pure è stato così fe- condo di risultati da altri punti di vista, per lo studio dell’intima struttura del protozoo e del suo ciclo vitale, sebbene non sia del tutto da abbando- narsi, — e quanto ho già ottenuto credo ne stia a prova — tuttavia si di- mostra assai inferiore ad un altro procedimento che di inarrivabile sussidio è stato nello studio di molti protozoi, e che, fino ad un certo punto, si po- trebbe dire specifico per questi esseri, la colorazione cioè del Romanowsky sui preparati per strisciamento di materiale contenente il parassita. Al metodo del Romanowsky io ho ricorso già da tempo, ma per un lungo periodo non ho ottenuto immagini chiare, concrete, che meritassero di essere descritte. Frattanto è stato al medesimo scopo applicato da altri osser- vatori (*), ma giudicando dalle descrizioni e dalle figure, si riporta 1’ impres- (1) Cfr. le figg. 13 e 14 della mia ultima Nota. (2) Cfr. tra gli altri: Wessels Williams e Murray Lowden, The etiology and dia- gnosis of hydrophobia. Journal of Infectious Diseases, vol. III, n. 3, 1906. Questi Autori applicando la colorazione del Romanowsky sul parassita, confermano in esso l’esistenza di masse cromatiche. Sulla classificazione che essi fanno di queste masse, come pure sulle forme parassitarie che essi interpretano come forme di divisione e forme di coniuga- zione, io non ho elementi sufficienti per pronunciare un giudizio. D'altra parte i risultati che verrò esponendo non concordano perfettamente con quelli dei due egregi osservatori. RenpICONTI. 1907. Vol. XVI, 1° Sem. 102 —. 1804 — sione che anche i loro risultati siano di gran lunga meno completi di quelli che, in possesso della tecnica e con materiale adatto, io ho ottenuto negli ultimi mesi. Senza fermarmi sulle modalità seguite, che nulla presentano di parti- colare, passo alla descrizione dei reperti, reperti che ho cercato di documen- tare con una serie di fotografie. Per il momento, mi riferisco solo a quei fatti che ritengo risultino dalle figure in modo indiscutibile: anche ora incomin- cerò dalle forme parassitarie meglio conosciute, per venire poi a quelle che gli studî più recenti hanno messo in evidenza. Nei preparati per strisciamento colorati col metodo di Romanowsky, nel maggior numero delle comuni forme parassitarie, i contorni delle forma- zioni interne, anche a fresco tanto netti ed evidenti, sono scomparsi ovvero pochissimo distinti. La massa fondamentale del microrganismo assume, a seconda dei casi, ora una delicata colorazione azzurra, ora un azzurro violaceo più marcato, ora un tono azzurro-roseo; solo le più grosse formazioni interne, e non sempre neppur esse, si possono intravedere. Sul fondo del microrganismo spiccano evidenti, a differenziazione ben riuscita, le masse nucleari di solito intensa- mente colorate, in azzurro cupo, in azzurro violaceo, in viola rossastro. Il loro modo di comportarsi di fronte al metodo è nuova conferma che si deb- bono realmente considerare come i nuclei, le masse nucleari del parassita: d'ora in poi li indicherò senz'altro con tale denominazione. Le masse nucleari, nei singoli parassiti in numero vario, corrispondente al numero delle formazioni interne nelle quali, come vedremo, ogni nucleo è racchiuso, presentano differenze notevoli nelle loro dimensioni e nel loro aspetto. Nella fig. 1 ad es., io ho cercato di riprodurre un parassita che con- tiene un grosso corpo centrale intensamente colorato e in apparenza omogeneo; attorno ad esso sono disposti numerosi ammassi nucleari più piccoli, di forma abbastanza regolare, di aspetto pure omogeneo e circondato ognuno da un alone incoloro, a contorni relativamente netti. Nella fig. 2 invece, in luogo di un unico grosso ammasso centrale, nel- l'interno del parassita si vedono parecchi corpi più piccoli, di dimensioni varie e distribuiti in modo irregolare, anch'essi in apparenza omogenei. L'aspetto uniforme, compatto — anche ora mi riferisco in modo spe- ciale ai più grossi ammassi cromatici — scompare nelle successive fig. 3, 4 e 5. Nel parassita rappresentato nella fig. 3, l'ammasso nucleare di maggiori dimensioni è a contorni irregolari, frastagliati; in esso l'osservazione micro- scopica fa accertare che la sostanza cromatica è divisa in parti più piccole, ravvicinate fra loro, con tendenza a disporsi in filamenti, filamenti che credo siano ancora più evidenti, per lo meno in qualche punto, nella massa nu- cleare centrale della fig. 4. — 805 — La fig. 5 infine riproduce un parassita che contiene differenziate pa- recchie formazioni di diametro vario: in alcune si intravede che la croma- tina accenna a riunirsi in corpicciuoli bene individualizzati. Disposizione questa assai più evidente nelle fig. 6, 7, 8, in tre paras- siti diversi per forma e per dimensioni e contenenti ciascuno una grossa formazione centrale, che appare nella fotogratia come una macchia più oscura sul fondo del corpo del protozoo. Tale formazione in ogni singolo parassita contiene parecchi ammassi cromatici, nettamente differenziati e distinti, ro- tondeggianti od ovali, di grandezza quasi uniforme, di poco superiore ovvero uguale a quella dei piccoli ammassi nucleari che attorno alla grossa forma- zione sono disposti; da questi ultimi in qualche caso non è possibile distin- guerli, nè per la forma, nè per l'aspetto, nè per il modo di comportarsi di fronte al metodo di colorazione. I grossi nuclei che con diversi aspetti si osservano nelle figure fin qui illustrate, più non si ritrovano in altre forme. Di esse non posso per il mo- mento che presentarne una sola, che non è di certo una delle più chiare che sì possono incontrare. Nel parassita della fig. 9 infatti, anche esaminando con cura il prepa- rato, inutilmente si ricercherebbero i grossi ammassi di sostanza omogenea, colorati elettivamente dal metodo del Romanowsky, ovvero gli ammassi fila- mentosi, ovvero l'elegante distribuzione delle figg. 6, 7, 8. Il protozoo è fit- tamente ripieno di una grande quantità di corpi colorati, alcuni assai pic- coli, rotondeggianti, circondati da un alone incoloro, distribuiti in prevalenza nella porzione più periferica; altri un po più grandi, riuniti al centro, di aspetto e di forma irregolare, di grandezza diversa: la fotografia può servire a dimostrare in modo grossolano questo reperto. Oltre alle particolarità, che per sommi capi ho descritto e che probabil- mente corrispondono solo a qualcuno degli aspetti che le più comuni forme del parassita possono presentare, il metodo del Romanowsky, eseguito in modo opportuno, dimostra l'esistenza di ulteriori stadi e ne rivela la più minuta struttura, confermando nei punti principali quanto ho già reso noto. Io non starò a ripetere come questi ulteriori stadi — che oramai ho con frequenza riscontrato in molti animali e di specie diverse — sì presentino nelle sezioni con i vari metodi. Ricordo solo che all'esame a fresco anche l'occhio più esercitato di rado e con grande fatica li può riconoscere, poichè sì tratta quasi sempre di corpi pallidissimi, incolori, finmamente granulosi, a contorni delicati, che facilmente si sottraggono all'osservazione, anche per la natura del tessuto nel quale si localizzano. Con il procedimento del Romanowsky queste forme spesso si differen- ziano con insuperabile chiarezza: si può allora rilevare, come dimostrano — per quanto è possibile con la fotografia — le figure 10 e 11 che esse ri- — 806 — sultano di una grande quantità di corpicciuoli i quali nel loro insieme costi- tuiscono tutto il parassita. Tali corpicciuoli assumono una spiccata colorazione azzurra, misurano frazioni di micromillimetro, sono ravvicinati tra loro, circondati ognuno da un esile alone incoloro che sembra talvolta abbia limiti ben definiti. I più pic- coli di questi corpicciuoli hanno forma di granuli rotondeggianti e sono di grandezza quasi uniforme; di rado accanto ad essi ho ritrovato granuli di un certo volume, come nel parassita della fig. 10; più di frequente si ri- scontrano invece altri corpicciuoli pure assai piccoli ma di forma ovalare, alquanto allungata; si trovano infine anche esili filamenti, ora omogenei, più di sovente granulosi, di lunghezza varia e più o meno diritti o ricurvi. Dall'insieme di questi corpicciuoli, come ho detto, risulta il parassita, i cui contorni, anche con questo metodo, non appariscono sempre nello stesso modo; in alcuni casi sono ancora regolari e manifesti, in altri casi meno netti, alquanto frastagliati. Entrare in più minuti particolari è questione troppo ardua per l'estrema piccolezza delle immagini ed io non mi sento di poterla per ora affrontare. Tanto più credo convenga procedere con ogni riserbo, in quanto non è infrequente nei preparati per strisciamento di sostanza nervosa di incontrare ammassi di granuli, che non sono di certo da riferirsi al microrganismo, e che possono presentare qualche punto di contatto con gli stadi ora accennati. Per la loro forma, per i loro contorni, per i diametri dei granuli di solito minutissimi e di grandezza quasi uniforme, per l'insieme di tutti questi carat- teri, tali ammassi, che si riscontrano anche negli animali sani, si differen- ziano però in modo evidente dalle tipiche forme del parassita che ho ricor- dato e alle quali pertanto limito la mia descrizione. Con questi pochi cenni il mio compito sarebbe esaurito, perchè, come ho detto, il mio scopo per ora è quello di richiamare l’attenzione sopra una nuova serie di reperti che confermano e vengono ad aggiungersi a quelli già conosciuti. Nel parassita, nelle sezioni, io avevo infatti messo in evidenza, nelle più grosse formazioni interne in modo speciale, masse nucleari, ora in forma di corpi omogenei, ora di ammassi irregolari di cromatina ravvicinati fra loro, ora di filamenti bene individualizzati. Il metodo del Romanowsky — ed in modo molto più chiaro — differenzia pure simili ammassi, e anche questi, alla loro volta, si presentano o come corpi omogenei o come irrego- lari ammassi di cromatina ravvicinati fra loro, ovvero come filamenti (ctr. per questo aspetto la fig. 4, sebbene non siano i preparati per striscio i più adatti per lasciar riconoscere tale particolarità). Che le immagini, che in modo quasi uguale sono messe in rilievo dai diversi metodi, siano l'espressione degli stessi fatti, io lo metterei fuori di dubbio. — $07 — Negli strisci invero i contorni delle formazioni interne del parassita sono di solito poco distinti; per questa ragione spesso è difficile stabilire con precisione i rapporti topografici tra i nuclei e le caratteristiche forma- zioni del protozoo: il rapporto però è dimostrato dal medesimo metodo di colorazione allorquando, anzichè sui preparati per strisciamento, viene appli- cato sulle sezioni di tessuto. Per quanto di riuscita incostante ed inferiore in chiarezza a quella che si ottiene dal materiale trattato nel modo classico, la differenziazione del parassita con la colorazione del Romanowsky ha luogo talvolta anche nelle sezioni: è allora agevole stabilire la sede delle singole masse nucleari, che è appunto nell'interno delle caratteristiche formazioni del parassita, i cui contorni in questi preparati pure appariscono con evidenza. Dalla colorazione del Romanowsky sulle sezioni sì ottengono in tal modo reperti che da un lato trovano riscontro con quelli che dà l’ematossilina pure sulle sezioni, da un altro lato con quelli che con lo stesso procedimento si hanno negli strisci: i risultati dei diversi metodi si corrispondono e si completano tra di loro. Tale esatta concordanza nei risultati di metodi di ricerca tanto diversi, dei quali uno così perfetto, è la miglior conferma — a mio giudizio — che cl troviamo di fronte a vere strutture, che si ripetono con leggi costanti, quali non possono essere presentate che da un essere vivente. Il metodo del Romanowsky, procedendo nell'esame comparativo, conferma inoltre un altro fatto di capitale importanza che pure da tempo io ho reso noto: l'esistenza cioè di ulteriori stadi del parassita. Questi stadi che ho oramai ripetutamente trovato, presentano una struttura che nelle linee ge- nerali corrisponde a quella che in tali forme, con altra colorazione, ho da tempo descritto: sono ammassi di corpicciuoli piccolissimi, di forma varia, che nel loro insieme costituiscono tutto il corpo del microrganismo. Passando ai più minuti particolari, devo riconoscere che dai preparati colorati coll'ematossilina ferrica io avevo riportato l'impressione che l'ultimo stadio del parassita fosse segnato dalla formazione di piccoli corpicciuoli alquanto allungati, a semiluna, a virgola, che in tali preparati si vedevano in molti casì numerosi ed evidenti: tuttavia accennai che i corpicciuoli avevano spesso un aspetto granuloso, aspetto che cercai di riprodurre nelle figure. Il procedimento del Romanowsky, con finissime differenziazioni, indur- rebbe ora a ritenere che l’ultimo prodotto della divisione del parassita sia rappresentato da forme ancor più piccole, con ogni probabilità dai granuli ovali o rotondeggianti, ognuno dei quali si vede circondato da un esile alone incoloro. In quale relazione stiano i granuli, che anche nelle sezioni io talvolta avevo veduti riuniti a costituire tutto un microrganismo, con i corpicciuoli — 808: — messi in evidenza dall'ematossilina ferrica, su cui in modo speciale mi ero soffermato, io non potrei per ora stabilire con esattezza. Io non posso esclu- dere che questi ultimi siano eventualmente l’effetto di differenziazione incom- pleta, ipotesi verosimile se si tien conto della natura del metodo e della tendenza che hanno i piccoli granuli a disporsi in serie; ma non posso nep- pure escludere che rappresentino i corpicciuoli allungati, di aspetto omogeneo ovvero granuloso, che anche il procedimento del Romanowsky differenzia ac- ‘canto ai granuli, spesso nel medesimo parassita. I corpicciuoli colorati col- l'’ematossilina ferrica potrebbero infine essere l’espressione di un'avanzata sud- divisione della cromatina del protozoo in piccole masse destinate a dividersi ulteriormente, ipotesi pure da tener presente, in quanto anche negli strisci sì può incontrare nn aspetto simile, come dimostra il parassita della fig. 12, il quale è colorato col metodo del Romanowsky e che a prima vista si po- trebbe dire l'immagine fotografica di una delle mie figure già pubblicate. L'aspetto assunto da questo parassita corrisponde però a vera struttura oppure è a sua volta l'effetto di colorazione incompleta? Il fatto di aver ri- scontrato una sola volta questo reperto mi impone per il momento il più stretto riserbo. Ma forse non è ora il caso di insistere su queste finissime particolarità, nel giudicare delle quali, e per la estrema piccolezza delle immagini, e perchè si tratta di fatti che non si possono ancora ben collegare tra loro, tanta parte ha il criterio soggettivo. Riassumendo, sulla base dei fatti accertati, sebbene, ripeto, siano an- cora molto scarsi, io ritengo si possa formulare la conclusione che ? corpi endocellulari specifici dell’infezione rabica rappresentano diverse forme di un protozoo che lascia intravedere un complesso ciclo evolutivo, nel cui ultimo stadio si ha la formazione di spore, in modo analogo a quanto succede in altri protozot. Le spore sono di dimensioni minime, tanto che non ne ho potuto finora determinare con esattezza la struttura; si potrebbero però per il momento con- cepire come costituite da un piccolo ammasso di cromatina che si differenzia nettamente col metodo del Romanowsky, circondato forse da un esilissimo anello protoplasmatico; i loro diametri sono tali che ben sì comprende perchè isolate non siano più riconoscibili e come possano attraversare le candele porose. Determinare, sia pure a grandi linee, le diverse fasi del ciclo evolutivo, alla cui conoscenza è subordinata la posizione sistematica del microrganismo, è forse ancora prematuro. Malgrado ciò, io non posso trattenermi dal richiamare l'attenzione su qualche fatto che potrebbe indicare la via per giungere alla soluzione del difficile problema. Atti delLincei-Rendiconti CI. sc. fis. e nal. Negri-Sulla morfologia e sul cielo evol.ff VolLLXVI. 1907. del parassita della rabbia. {i Negri fotogr. LA — 809 — Mi riferisco al modo di presentarsi delle masse nucleari delle più grosse formazioni interne del parassita. Tali masse, dapprima compatte, omo- genee, attraverso fasi diverse, che con ogni probabilità sì susseguono nell’or- dine col quale le ho esposte, vanno incontro ad un processo di divisione: da un unico ammasso primitivo risulta infine una notevole quantità di bloc- chetti di cromatina bene individualizzati, distinti fra loro, ma ancora rac- chiusi nella formazione dalla quale hanno preso origine (cfr. dalla fig. 1 alla fig. 8). Da una serie di altri reperti, io sarei indotto a ritenere che a questa fase un’altra ne segua, in cui i singoli ammassi nucleari originati dalla massa primitiva diventano a loro volta il nucleo di singole formazioni più piccole, bene individualizzate, che riempiono fittamente la formazione madre, con caratteri simili a quelle formazioni di dimensioni minori che le sono attorno disposte. Di questo stadio cosi importante, io ho avuto dei chiari ac- cenni, ma non ho ancora ottenuto immagini che lo dimostrino in modo in- discutibile e che possano, come le precedenti, venire riprodotte: mi limito di conseguenza ad enunciarlo come molto probabile. Se ciò realmente si verificasse, tenendo conto che anche nelle più pic- cole forme del parassita una massa nucleare è sempre ben manifesta, non potrebbe questa modalità di divisione spiegare, almeno in parte, la genesi ed i rapporti che verosimilmente esistono tra le diverse categorie di formazioni interne del microrganismo? Il richiamo a processi che sono descritti in altri protozoi e che offrono molti punti di contatto con le modalità che ho ricordato, verrebbe qui spon- taneo; ma ciò mi farebbe sconfinare dalla linea di condotta che per ora mi sono proposto, quella cioè di attenermi solo ai fatti. Su di essi quindi mi soffermo, nella speranza di poterli aumentare con altre ricerche. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (v. la tavola annessa). Tutti i parassiti. vennero fotografati coll’obbiettivo apocr. Zeiss 2 mm. apert. 1,40, oculare di proiezione 4; ingrandimento 1100 diametri circa. Le immagini sono tolte da preparati per strisciamento di sostanza nervosa del corno d'Ammone di animali idrofobi, ad eccezione della fig. 8 che si riferisce ad un preparato di corteccia cerebrale. Metodo di colorazione del Romanowsky. I parassiti delle figg. 3, 5, 9, 11, 12, provengono da cani; gli altri da bovini morti Gi rabbia. Nessun ritocco è stato fatto alle fotografie. — 810 — Chimica fisica. Azioni ottiche di gruppi atomici non sa- turi in immediata vicinanza. Nota del Socio R. NASINI. Non è mia abitudine far questioni di priorità, nè sono solito a reagire quando vedo che altri dicono quello che io aveva detto, riportano e utiliz- zano le mie esperienze senza nemmeno accennare al mio nome. La scienza cammina ugualmente e questi reclami non hanno grande interesse se non per chi fa la storia dell'argomento e chi fa la storia, se è coscienzioso, ri- cerca accuratamente, si abbevera alle fonti e mette le cose al suo posto. Ma quello che ha fatto adesso il prof. Brihl pubblicando due Note (*) che hanno il titolo che, io, tradotto, ho dato a questa mia, mi pare veramente che passi un poco i limiti o della non conoscenza dell'argomento o del par- tito preso, e mi costringe a mettere da me le cose al posto. Ho sempre lasciato correre quando il sig. Brihl, essendo costretto a fare della lettera- tura in pubblicazioni riguardanti la spettrochimica e, non potendo fare a meno di parlare dei lavori precedenti, allorchè si trattava dei miei procedeva in questo modo: citava tutti e poi ci metteva « u. A.» (e altri) e nella massima parte dei casi quell’ » u. A. », voleva significare il solo mio nome! Una volta (*) misi in rilievo la cosa perchè mi parve — psicologicamente — assai interessante; e nient'altro! Nella prima delle sue Note il Brihl afferma prima di tutto avere egli messo in rilievo che i composti che non seguivano le sue regole — e che non le seguissero lo dimostrai io per il primo (*) — erano dotati di alta disper- (1) J. W. Briihl, Die optische Wirkungen aneinder stossender (konjugirter) ungestittig- ter Atomgruppen. Berl. Ber. XL, 878 e 1153, marzo 1907. (2) R. Nasini, A proposito di un recente trattato sulle relazioni tra il potere ri- frangente e la composizione chimica dei corpi. Atti R. Istit. Veneto, t. LIX, p. II, pag. 211, anno acc. 1899-900. Il trattato a cui si allude è quello del Rimbach. (*) Il Brihl non aveva dato nessun valore alle esperienze precedenti del Gladstone e aveva nettamente previsto che l'incremento della rifrazione molccolare nella naftalina e nei suoi derivati doveva corrispondere a 5 doppi legami, nell’antracene e nel fenantrene a 10 e così via: cito testualmente. Es mag hier hervorgehoben werden, dass diese Hypothese mit den Beobachtungen von Gladstone in offenbarem Widerspruch steht, denn er fand fir die Molecularrefraction kohlenstoffreicher Substanzen folgende Werthe. Molecular refraction Paraffine CaHsn+s Normale Olefine ” — H. D) Terpene ” — 8H. » 209: Aromatische Kohlenwasserstoffe » — 4Hx ” + 6 Naphtalin ” — 7H, » + 14 Anthracen ” — 10H; ” -—- 17 — g$11 — sione. Questo non è vero perchè l’aveva già constatato il Gladstone, e l'aveva constatato io misurando la dispersione, proprio in quei lavori che dettero tanta noia al prof. Briihl. Allora il sig. Brihl diceva che la dispersione non stava in nessun rap- porto nè col potere rifrangente delle sostanze nè colla loro costituzione chi- mica (*). Ma poco male! Afferma poi il Brihl che pochi anni dopo l' Eykman dimostrò che i composti del tipo del cinnamano acquistano la rifrazione nor- male non solo per riduzione della catena laterale, ma anche quando il le- game etenoide dalla posizione 4, passa a quella 43. Ciò è falso assolutamente, cioè è falso che l'Eykman pel primo abbia scoperto questo fatto. Le cose stanno così. Nel 1885 io, per sottoporre a una prova sperimentale l'ipotesi del Gladstone sopra il valore più elevato della rifrazione atomica del carbonio, preparai composti isomeri dei due tipi, vale a dire gli uni in cui il doppio legame fosse in immediata vicinanza al nucleo benzolico, gli altri in cui forse unito per mezzo di CH, o di ossigeno e così via: confrontai fra gli altri composti l'alcool cinnamico con il fenato di allile, l’'anetolo col para- cresolato di allile e poi mi preparai il fenilbutilene C;H; . CH; CH = CH. CH, e lo studiai otticamente. L’Eykman non pubblicò il suo lavoro che nel 1889, e poichè dei miei lavori comparvero dei sunti anche in tedesco, la non conoscenza di questo fatto non è in nessun modo giustificata per parte Wahrend nach den obigen Betrachtungen die Molecularrefraction dieser Kérper sein miisste Molecular refraction Paraffine C,Hon+s Normale Olefine ” — Hy » — D Terpene ” — 3Hx ”» +4 Aromatische Kohlenwasserstoffe » — 4H3: ” + 6 Naphtalin ” — 7H. ” +10 Anthracen ” 222((056G ” - 12 Die von Gladstone angegebenen Zahlen fiir die Molecularrefraction der Kohlenstof- freichen Kéòrper sind indessen, wie er selbst bemerkt, nur rohe Durchschnittswerthe » Die chemischen Constitution organischer Kùrper in Beziehung zu deren Dichte und ihrem Vermògen das Licht fortzupflanzen von J. W. Brihl, Liebig's Annalen Bd. 200, 139, anno 1880. (*) « Die von verschiedener Kòrpern bewrikte Farbenzerstreuungen steht in keinem zur Zeit deutlich erkennbaren und zahlenmissig ausdrukbaren Zusammenhange weder mit der von ihnen ausgeibten Lichtbrechung noch auch mit der chemischen Natur der Sub- stanzen. Untersuchungen dber die Molekularrefraction organische flissiger Kirper von grossen Farbenzerstreungsvermògen von J. W. Brihl. Liebig’s Ann. 235, 104, anno 1886. Notisi che il Gladstone aveva già determinato gli equivalenti di dispersione ed io aveva messo in rilievo la grande importanza di questa proprietà, sulla quale poi, ricredutosi, il Brihl pubblicò interessanti lavori. RenpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 103 — ps di chi si occupa da tanto tempo della materia e che la letteratura dovrebbe conoscere. Ma c'è qualche cosa di più interessante per la storia dell'argomento. Dopo avere scoperta io l'azione ottica del doppio legame in immediato contatto col nucleo benzolico, concludeva: « Da tutti questi fatti sembra che si possa con qualche certezza concludere che l’ unione di una. catena non satura al nucleo del benzolo fa aumentare notevolmente la rifrazione e la dispersione quando tale unione avviene per l'atomo di carbonio non saturo; quando invece il gruppo laterale si salda al fenile per un atomo di car- bonio saturo o per l'ossigeno, non si nota aumento alcuno: la rifrazione del composto è la. somma delle rifrazioni eomponenti »! E in conformità di questo modo di vedere dava ragione della rifrazione così elevata dei com- posti naftalici e metteva in evidenza la natura di questo aumento, che si manifesta quando si uniscono insieme due gruppi dotati di forte potere ri- frangente. Il prof. Brihl (che allora mi citava col mio nome), a proposito di questo mio modo di vedere, diceva, che io cercava di render conto del com- portamento ottico dei derivati della naftalina e degli altri in modo strano e stiracchiato ('). Chi avrebbe dello al prof. Brihl che poi egli avrebbe dovuto, oltre che far tanti elogi al Eykman, che non fece che estendere le ricerche ed appli- care il fatto da me scoperto, scrivere anche nel 1907 una Memoria per di- mostrare e elevare anzi all’onore di legge quello che io aveva già dimostrato nel 1885! Vicende della scienza ! Seguono le constatazioni interessanti. Studiando il potere rifrangente dei solfocianati e degli. isosolfocianati insieme col mio allievo A. Scala (°), trovammo, per l'isosolfocianato fenilico una enorme rifrazione e dispersione, che superava di assai la somma delle rifrazioni del gruppo fenile e del residuo dell'acido isosolfocianico. Così ci esprimemmo: « In questa combinazione l’ unione del gruppo S=C= N do- tato di forte potere rifrangente, col gruppo fenilico, pure molto rifrangente, produce diremo così, un esaltamento della rifrangibilità; questo fenomeno è assai analogo all'altro, messo in rilievo da uno di noi, dell'aumento di ri- frazione quando al gruppo benzilico si unisce una catena laterale non satura e per un atomo di carbonio non saturo ». E così proprio io introdussi nella scienza, in queste considerazioni di chimica ottica, il concetto e proprio (1) « R. Nasini versucht die bei den Naftalinverbindungen, den Anethol u. s. w. auftretenden bedeutenden Differenzen zwischen beobachteten und berechneten Molekular- brechung in einer sonderbaren und wie mir scheint sehr gezwungene Weise zu erkliren ». Brihl, Liebig?s Annalen, Bd. CCXXXV, pag. 56; anno 1886. (?) R. Nasini e A. Scala, Sulla rifrazione molecolare dei solfocianati, degli 1s0- solfocianati e del trifone, Rend. R. Acc. Lincei, Anno 1886, pag. 617. — 513 — anche la parola di esaltazione o esaltamento per l'unione dei due gruppi: concetto e parola che poi ho invocato in molti, moltissimi casi e di cui largamente hanno fatto uso i miei scolari. Ecco ora le conclusioni generali del sig. Brihl e quelle particolari ri- guardo ai derivati del benzolo. Rimando alla sua Nota per la nomenclatura speciale a cui gli si attiene. « l. LEGGE FONDAMENTALE DEI GRUPPI NON SATURI ISOLATI. Tutte quelle combinazioni nelle quali ci sono gruppi atomici non saturi, qua- lunque sia la loro natura e il loro numero, quando questi gruppi sono isolati, cioè non uniti direttamente con un altro complesso non saturo, possiedono rifrazione normale e anche presso a poco dispersione normale. « 2. LEGGE FONDAMENTALE DELLA CONIUGAZIONE. Ze combinazioni nelle quali sono contenuti gruppi non saturi direttamente uniti danno luogo ad esaltazioni nella rifrazione e ancora in più alto grado mella dispersione ». Debbo notare che la prima legge non è che il riconoscimento del fatto su cui si basa tutto il capitolo del potere rifrangente, cioè che spesso la ri- frazione e la dispersione si comportano come proprietà additive: la seconda non è che il fatto sul quale io e lo Scala richiamammo l’attenzione e che poi fu messo in evidenza, confermato e discusso in moltissimi lavori miei e dei miei scolari. Solo che io non ne aveva fatto una legge, per non dover trovare quelle eccezioni che danno tanta noia al prof. Briihl. Egli invece non sì sgomenta e ne fa delle altre leggi che contraddicono quelle già sta- bilite, come vedremo a proposito della sua 2% Nota! « PRIMA LEGGE SPECIALE SULLA CONIUGAZIONE NEUTRA NELLE COM- BINAZIONI AROMATICHE. /n tutti è derivati aromatici, nei quali gli atomi di carbonio del nucleo sono uniti direttamente solo con atomi monovulenti o con gruppi atomici saturi, del rimanente le catene laterali possono anche — în posizioni lontane — contenere complessi non saturi, i tre le- gami etenoidi del benzolo si trovano in stato neutro coniugato, nel quale spettrochimicamente non differiscono dai legami etnoidi isolati. « SECONDA LEGGE SPECIALE SULLA CONIUGAZIONE ATTUALE NELLE COMBINAZIONI AROMATICHE. Composti aromatici, nei quali uno 0 più atomi di carbonio del nucleo sono uniti direttamente con gruppi atomici non saturi, e anche tutti i derivati nei quali l'uguaglianza dei sei atomi di carbonio del nucleo in seguito ad una qualunque speciale ‘modificazione non sussiste più, danno luogo ad esaltazione ottica, la cui entità dipende dalla natura e dai numero dei gruppi attualmente coniugati. E porta ad esempio i derivati del cinnamarno, della naftalina, del fenan- trene ecc., e nella letteratura si trovano citati tutti quelli che hanno lavorato sull'argomento, eccettuato me che ci ho lavorato più di tutti! — 814 — Io sono molto grato al prof. Brihl di diffondere così le mie vedute sul- l'esaltazione che ha luogo quando due gruppi molto rifrangenti e dispersivi sì uniscono insieme; sono anche assai lieto che abbia preso il nome da me introdotto, quello di esaltamento o esaltazione (*). Io ho a lungo parlato del. l'interesse che si presentava a considerare le cose sotto questo punto di vista, e sull'argomento molto ho insistito io e ci hanno insistito i miei sco- lari; cito tra gli altri il lavoro dello Zecchini sulle ammine feniliche, nel quale constatò notevole aumento per ogni ulteriore introduzione del gruppo fenilico; quelli dello Zoppellari sul selenio, del Chilesotti e del Pellini sopra le combinazioni aromatiche a più nuclei. Fo anzi così mi espressi nel 1899 (?): « Questo fatto merita assai di essere studiato; potrebbe darsi che l'aumento o esaltamento nel potere rifrangente fosse una funzione più 0 meno complicata dei gruppi che si uniscono o della sua differenza: il potere stabilire una tale funzione sarebbe a mio credere uno dei risultati più im- portanti che si potessero sperare in questo campo », Mette in rilievo anche il Brihl l'interesse di simili ricerche per poter calcolare 4 priori, prevedere esattamente la rifrazione e la dispersione mo- lecolare per ogni caso strutturale. « È un compito molto laborioso, egli dice, ma anche molto importante e che promette una sicura riuscita, ma per tale compito le forze di un solo non possono bastare. Sarebbe quindi da augu- rarsì che anche altri lavoratori volessero rivolgersi a simili ricerche, più che sino a qui non sia stato fatto ». Spero quindi che il Brihl sarà contento del contributo che io porto colle mie vecchie esperienze e colle mie antiche vedute, essendo con lui perfettamente d'accordo nel riconoscere l'importanza dell'argomento. Nella seconda Nota il Brihl non cambia sistema quanto ai lavori miei. Premette queste considerazioni filosofiche: «il principio che la natura non opera mai secondo un unico schema, ma al contrario con la sua inesauribile varietà sempre offre sorprese e presenta nuovi problemi, si conferma anche qui. Ci sono cioè delle intere classi di sostanze nelle quali pur presentan- dosi la coniugazione di complessi non saturi, nondimeno, contro ogni previ- sione, non ha luogo esaltazione ottica =. E la seconda legge generale? E questo prima di tutto lo mostra per composti in cui si accumulano i carbonili. A questo proposito il prof. Brihl sarà lieto di sapere che io (1) Tanto più grato poi perchè il prof. Brihl non traduce, ma dice addirittura « Exal- tation ». Io non sono profondo nella lingua tedesca, ma mi pare che quella « Exaltation » debba essere di assai difficile digestione. Si vede che il chiaro professore voleva mettere bene in evidenza l’origine latina — in questo caso italiana — della parola. (2) R. Nasini, A proposito di un recente trattato ecc., loc. cit. — 815 — sino dal 1894 insieme col prof. Anderlini studiai la questione e giunsi a questo risultato ('). « Dal nostro studio resta dimostrato che la sola presenza del gruppo CO od anche di più gruppi CO riuniti in catena aperta oppure in nucleo chiuso aromatico, non è di per sè sola causa sufficiente per un forte innalzamento nel potere rifrangente ». Ma lasciamo correre, perchè quello che vien dopo è ancor più curioso! Il Brihl] intitola il $S V: Depressione oilica nei sistemi eterocicleni, e, riferendosi al pirrolo, al tiofene e alla y-coniceina, dice che si ha in questi casi un fatto altamente sorprendente, che questi corpi eterociclici non saturi si comportano sempre anormalmente. E precisamente si hanno in questi casì delle depressioni ottiche, la cui entità è diversa nelle diverse classi di corpi, ma in una stessa classe è approssimativamente costante. Dice che la dimo- strazione di questo comportamento nei suoi particolari lo porterebbe troppo in lungo e sì riserva di farlo in altra Memoria. Certamente quest'altra Memoria sarà la benvenuta e benvenuti i nuovi contributi che il prof. Brih] porterà all'argomento, ma la questione è proprio stata esaurientemente trattata da me e dal Carrara in una Memoria (*) inti- tolata: Sul potere rifrangente dell’ossigeno, dello zolfo e dell'azoto nei nuclei eterociclici, Memoria di cui comparve anche un largo sunto in te- desco. In essa dimostrammo che per il furano, il tiofene, il pirrolo, il pira- zolo si ha un indebolimento del valore ottico del doppio legame per effetto dell’entrata nel nucleo dell'elemento estraneo polivalente e venimmo a queste conclusioni, sulle quali richiamiamo l’attenzione tanto dei chimici fisici quanto dei chimici organici, tanto più che le idee svolte da me e dal Carrara pos- sono trovare spiegazione nelle attuali vedute che vanno sviluppandosi sulla valenza e in quelle riguardanti il modo di essere dei nuclei organici, e alla loro volta possono queste nostre idee essere di qualche aiuto allo svolgimento, al completamento di quelle vedute stesse. Crediamo opportuno di riportare integralmente quello che allora dicemmo: « La vicinanza di elementi estranei polivalenti ad atomi di carbonio doppiamente legati ha per effetto di indebolire l'energia ottica del doppio legame; quelli atomi di carbonio doppiamente legati tendono, diremo così, a distaccarsi per una valenza fra di loro e ad unirsi con l'elemento che può manifestare una maggiore capacità di saturazione. Ora il massimo aumento nel potere rifrangente si ha per quello stato speciale degli atomi di carbonio per cui due di essi, o contigui o facenti parte di un nucleo, si scambiano più di una valenza fra di loro, qualunque sia il concetto fisico che si vuole attri- buire a questo fatto. Se in vicinanza vi sono degli elementi che potrebbero () R. Nasini e F. Anderlini, Sul potere rifrangente dei composti contenenti il car- bonile. Gazz. chim. ital, XXIV, parte I, pag. 157, 1894. (3) Gazz. chim. ital., XXIV, parte I, pag. 256, 1894. — 816 — pure, in condizioni opportune, saturare con le loro valenze latenti quelle del carbonio, sì comprende facilmente come l'energia, diremo così, del legame multiplo possa essere diminuita, perchè questa attrazione o irradiazione che un atomo di carbonio non esercitava prima che verso un altro, ora l'esercita anche verso l'elemento estraneo: si formano, è vero, dei legami multipli col- l'elemento estraneo, ma questi sono ben lungi dal compensare l’effetto dovuto al doppio legame. Onde è che ì composti eterociclici possono essere dal punto di vista chimico stabilissimi, giacchè quella tendenza a legami multipli del carbonio con elementi estranei non è ordinariamente causa di indebolimento chimico, mentre è senza dubbio causa di minore effetto ottico. In tutti i nuclei eterociclici noi abbiamo appunto elementi che possono manifestare una valenza superiore a quella che nelle ordinarie formule di struttura loro sì attribuisce: i doppi legami tra carbonio e carbonio sussistono sempre, ma sono, se così può dirsi, più deboli sotto il punto di vista che a noi qui inte- ressa, quello di fare aumentare il potere rifrangente e dispersivo ». E più oltre : « Ci sembra che si accordi colla nostra ipotesi il fatto che se al nucleo benzolico si salda una catena laterale non satura si ha un aumento di rifra- zione quando l'unione avviene per l’atomo di carbonio non saturo: non sì ha aumento quando invece l'unione avviene per un atomo di carbonio sa- turo: dato il fatto generale che l'addensarsi nella molecola di atomi o gruppi dotati di forte potere rifrangente e dispersivo porta con sè un esaltamento nel potere rifrangente e dispersivo stesso, sì comprende fino ad un certo punto come quando il nucleo benzolico si trova in immediato contatto con carbonio doppiamente legato, le valenze doppiamente legate che si trovano in esso non possono esercitare nessuna o soltanto piccola azione sul resto della ca- tena laterale: avverrebbe qualche cosa di analogo a ciò che avviene quando una combinazione che tende a decomporsi si trova in presenza dei suoi pro- dotti di decomposizione; invece, quando ciò non sì verifichi, quella irradia- zione è possibile ed il consueto esaltamento non ha luogo. « In conclusione, ci sembra che la diminuzione di potere rifrangente che si osserva nei nuclei eterociclici possa spiegarsi ammettendo che l'elemento estraneo polivalente, e che tende a manifestare la sua valenza massima, inde- bolisca l'energia ottica del doppio legame, il quale allora non esercita più sulla rifrazione la sua azione consueta e si hanno così per le rifrazioni mo- lecolari trovate dei numeri minori che per le rifrazioni molecolari calcolate: tale azione sembra che gli elementi estranei la esercitino anche sui doppi legami in catena aperta » ('). (1) Vedi Carrara, Influenza degli alogeni sul valore ottico del doppio legame. Gazz. chim., XXIII, parte II, pag. 1, 1893. Dice il Carrara, dopo aver constatato che spesso l’alogeno fa diminuire il valore ottico del doppio legame: « potrebbe darsi che nel modo stesso che l’unirsi direttamente fra loro di atomi di carbonio, o in generale di gruppi aventi — 817 — È inutile dire che il prof. Brihl anche per questi composti dovendo fare la letteratura dell'argomento, non cita mai il mio nome, anche quando, come pel tiofene e pel pirrolo, le prime determinazioni si debbano a me ed egli non abbia ripetuto le mie esperienze che alla distanza di molti anni. E siccome il furano non l'ho esaminato che io, così di questo interessantis- simo composto egli non parla affatto, non ostante che aviebbe servito così bene ad illustrare la sua esposizione! In un passaggio di colore oscuro (*) credo che il prof. Briihl voglia allu- dere a me quando dice, a proposito delle apparenti irregolarità che sì riscon- trano e che non sono che manifestazioni di peculiarità costitutive. « Fra le persone più specialmente interessate alle ricerche spettrochimiche si è com- pletamente misconosciuto il significato di queste supposte irregolarità e sì è tacciato di inadatto allo scopo il metodo di ricerca spettrochimica ». Un'altra volta il prof. Brihl mi accusò di discreditare coi miei lavori, non colle espe- rienze, perchè ammetteva (bontà sua!) che fossero fatte esattamente, ma colle mie critiche, tutto il campo della rifrazione! Veramente ora dovrebbe rendermi giustizia, giacchè, riepilogando e riferendomi a quello che egli dice: ho scoperto la differenza spettrochimica tra i composti propenilbenzolici e quelli allilbenzo- lici, scoperta a cui hanno tenuto dietro i lodati sviluppi dell'Eykman: ho sco- perto l'azione dell’idrogenazione sui nuclei, azione che secondo il Briih] doveva essere progressiva, mentre invece procede saltuariamente quando si effettua sopra un nucleo congiunto ad un altro o su un doppio legame in immediata vicinanza del nucleo benzolico: ho scoperto sei delle leggi che in queste due Note il prof. Brilhl enuncia e alle quali attribuisce tanta importanza. E se si esami- nassero (consiglio il prof. Brihl a farlo) i lavori che, sotto la mia direzione, fecero nel mio Istituto di Padova i sigg. Chilesotti e Pellini, si troverebbe che molte altre conseguenze importanti rispetto ai nuclei condensati e ai nuclei eterociclici sono state messe in evidenza: specie in riguardo all’ idroge- nazione progressiva dei nuclei e all'effetto ottico che ne consegue. Sono però lieto che a quelle conclusioni alle quali io era giunto da tanto tempo, e nelle quali mi trovava in ottima compagnia, specie in quelle del- l'Ostwald, del Landolt e del Jahn, del Walden e di altri molti, giunga ora il sig. Briihl, che così conclude: « Cosicchè un solo schema generale per il comportamento ottico non si dovrà mai stabilire, come non è possibile for- mulare regole generalissime in riguardo alle proprietà e alle trasformazioni chimiche. In ambedue i casi i fenomeni che sì presentano. si possono riassu- mere in leggi solo limitatamente a determinate serie di corpi e per determi- nate peculiarità costitutive ». Proprio quello che ho sostenuto io sino dal 1884! già una elevata rifrazione, produce un esaltamento nel potere rifrangente, così l'unione degli alogeni che hanno piccola rifrazione specifica al carbonio non saturo fosse causa di diminuzione. (1) Loc. cit., pag. 880. — 818 — Chimica. — Azioni catalitiche dei metalli suddivisi sui com- posti azotati('). Nota di M. Papoa, presentata dal Socio G. COra- MICIAN. Azione del nickel ridotto sulla piridina e sulla piperidina. — In una Nota precedente (*), dimostrata la trasformazione della chinolina in me- tilechetolo per mezzo del nickel finamente suddiviso ed in presenza di idro- geno, si manifestava il proposito di tentare con lo stesso metodo analoghe trasformazioni di nuclei eterociclici azotati esatomici in nuclei pentatomici. E per proseguire le ricerche in questo senso, cominciai a sperimentare anzitutto con la piridina. Senonchè questa sostanza si è mostrata assai resi- stente alla idrogenazione; operando nel solito modo non si riesce ad ottenere che delle traccie di basi secondarie (piperidina ?) e piccole quantità di pro- dotto non basico che ha i caratteri dei pirroli, ma che per l’esigua quantità non potei finora identificare. Nè occorre dire che, più che l'idrogenazione della piridina a piperidina, interessava constatarne la trasformazione in un pirrolo. Pensando che la piperidina presentasse una maggiore attitudine alle trasposizioni molecolari, la assoggettai in vario modo all'azione del nickel suddiviso, e ne ottenni vari prodotti, e cioè: 1) piridina, 2) prodotti di ca- rattere pirrolico in maggiore quantità che nel caso della piridina, ma pur tuttavia ancora insufficienti per poterli identificare, 3) due basi complesse rispondenti alle formule Cio. Ha, N e CuHas No. PARTE SPERIMENTALE. Esperienze con piridina (3). — La piridina impiegata proveniva da Kahl- baum e bolliva tutta a 115-116°; venne fatta passare lentamente insieme a idrogeno sul nickel ridotto, a varie temperature (fra 180 e 250°). In tutte le esperienze eseguite si condensò un liquido costituito per la più gran parte da piridina inalterata. Da una porzione del liquido, riscaldata preventiva- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Generale della R. Università di Bologna. (2) Padoa e Carughi, questi Rendiconti, 1906, II, 115. (3) Mentre stavo correggendo le bozze di questa Nota, giunse a mia conoscenza il resoconto della seduta del 15 aprile u. s. dell’Accademia delle Scienze di Francia, dal quale risulta che Sabatier e Mailhe eseguirono esperienze di idrogenazione sulla piridina; poichè i risultati di questi autori si completano coi miei, io credo opportuno di dar corso integralmente alla mia Nota. — 819 — mente con un eccesso di acido cloridrico concentrato, per togliere di mezzo i prodotti pirrolici, si ottenne un cloridrato che dava le reazioni delle basi secondarie; si era dunque formata probabilmente della piperidina, ma certo in quantità così esigua da rendere impossibile ogni ulteriore ricerca. Il resto del liquido venne distillato frazionatamente; ne risultò così un piccolo resi- duo bollente fra 130-140° che conteneva ancora molta piridina. Da questo residuo, trattato con acqua, si separarono goccioline oleose; con gli acidi si ebbe la formazione di prodotti resinosi e col fuscello d'abete, la nota rea- zione cromatica dei pirroli. Non vi ha dubbio perciò che la formazione dei prodotti pirrolici abbia luogo; ma in queste condizioni la quantità di essi è così esigua che non fu possibile ancora ricavarne dei prodotti analizzabili. Del resto, una volta con- statato che il processo ha luogo, sia pure in lieve misura, non è improba- bile che variando le condizioni d'esperienza o il catalizzatore, si possano ottenere risultati più soddisfacenti. Esperienze con piperidina. — impiegai della piperidina pura di Kahl- baum che bolliva a 106°. Seguii dapprima il metodo solito, facendola pas- sare sul nickel a temperature varianti da 180 a 250°, insieme con poco idrogeno, destinato, come si è visto in altri casi, a mantenere desta l’attività del catalizzatore. Il prodotto ottenuto venne neutralizzato esattamente con acido cloridrico: sì separarono in tal modo poche goccie oleose che vennero estratte con etere. L'estratto etereo conteneva piccole quantità di un prodotto di natura pirrolica analogo a quello ottenuto dalla piridina; ma anche qui la quantità ne era assai esigua e insufficiente per caratterizzarlo con pre- cisione. La soluzione dei cloridrati venne trattata con nitrito sodico; si se- parò un nitrosoderivato che venne scomposto con zinco e acido cloridrico. Il prodotto basico così riottenuto era per la più gran parte piperidina rimasta inalterata. | Dalla soluzione acquosa, trattata con molta potassa, si separò un liquido di odore piridico: dopo averlo completamente disidratato, lo distillai frazio- natamente. Ne risultò un prodotto bollente da 115 a 120° che fu caratte- rizzato per piridina a mezzo del picrato e del cloroaurato. La piperidina viene dunque disidrogenata; tale trasformazione era stata già ottenuta con altri mezzi ('). Piccole frazioni bollivano più alto e forse contenevano omologhi della piridina: si vedrà in seguito come si possa ammettere e spiegare la loro presenza. Riflettendo che la piperidina contiene già da sè l'idrogeno necessario alle trasformazioni cercate, e nella persuasione che la pressione dovesse avere una influenza sulla qualità e sulla quantità dei prodotti, cercai di assogget- (*) Ad esempio, per azione dell’acetato d'argento (Tafel, Berichte XXV, 1620). RenpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 104 — 820 — tare quella sostanza all’azione del nickel a temperature elevate ed in am- biente chiuso. A tal uopo adottai la disposizione indicata dalla figura; un grosso tubo veniva affilato ad una estremità, poi vi si introduceva dall'altro lato una provetta 4 piena a metà di piperidina (circa 5 gr.), chiusa alle estremità e con un foro nel mezzo, per evitare la fuoruscita | del liquido nelle operazioni seguenti. ) Sopra la provetta 4 se ne poneva un’altra è contenente / \ 2-3 gr. di nickel ridotto; dopo ciò si affilava l'estremità \ ancora aperta del tubo. Finalmente si chiudevano le due affi- lature alla lampada, dopo aver riempito il tubo con idro- geno, per evitare la presenza d'aria e conseguente ossida- zione del nickel. I tubi così preparati venivano riscaldati | a 270-280° per 16 ore circa, avendo cura di Reno legger- | è mente inclinata la stufa verso l'estremità in cui si trovava. Di) | la piperidina; in tal modo, durante il raffreddamento, il li D liquido si condensava lungo le pareti del tubo e andava ad NI accumularsi tutto nel fondo, senza mescolarsi affatto col fr nickel della provetta d. We Nei tubi, aperti dopo il riscaldamento, si riscontrò una forte pressione gassosa dovuta a grande quantità di am- moniaca e ad una miscela di gas combustibili a basso contenuto di carbonio (probabilmente idrogeno e metano). Il contenuto dei tubi era costituito da un olio basico in gran parte insolubile in acqua; esso venne appunto trattato con acqua per allontanare la piridina che anche in questo caso si era formata, poi seccato su potassa e senz'altro distillato frazionatamente. Ottenni tre porzioni di cui la prima era ancora della piridina che non era stata estratta completamente dall'acqua. La seconda frazione, bollente da 170 a 220°, venne ulteriormente distillata e passò da 170 a 190°; era un olio incoloro, basico, non miscibile coll'acqua, di odore piperidinico. Ne ottenni un picrato cristallizzato (dall'alcool) in bei prismi gialli, che fondeva a 125°. L'analisi diede il seguente risultato: Calcolato per Trovato Cio Hei N. Ce Hs (NOs)a OH CU 49.90 49.35 H 6.30 6.39 NEgniA-61 15.27 La base, riottenuta dal picrato, dà nitrosoderivato e la reazione di Lie- bermann; è dunque secondaria. La sua composizione ed il fatto che nella reazione si svolge ammoniaca, fa pensare che si tratti di una piperidina sostituita ad un carbonio del nucleo con una catena laterale normale di 5 termini: CH, NH .C;H,,. La sua formazione si spiegherebbe nel modo più plausibile ammettendo che due molecole di piperidina si condensino, con eliminazione di una mo- lecola di ammoniaca e conseguente apertura di uno dei nuclei; è verosimile che il residuo C; H,; si unisca dapprima all’azoto per passare poi al car- bonio. L’'idrogeno occorrente per questa trasformazione della piperidina proviene dalla disidrogenazione di una parte di essa. La terza frazione proveniente dalla distillazione frazionata passò quasi tutta poco sotto i 300°; ma quest'ultimo prodotto bolliva scomponendosi, a pressione ordinaria, e però in una preparazione successiva lo distillai a pres- sione ridotta: a 28 mm. bolliva a 175-180°. Questo prodotto è un olio denso insolubile in acqua, di odore analogo a quello della coniina; da esso ottenni un picrato che cristallizza da acqua e alcool in squamette lucenti, assai poco solubile a freddo in questi solventi e discretamente a caldo; il picrato fonde a 192-193°. L'analisi mi fece credere dapprima che si trattasse di una base C-H,; N, che poteva essere una etilpiperidina. Senonchè il punto d’ebulli- zione assai elevato, ed il fatto che il mio prodotto non corrispondeva ad alcuna delle etilpiperidine (tutte note e caratterizzate), mi condussero ad ammettere la formula C,, Hg Ns. La differenza fra le composizioni corri- spondenti alle due formule, derivante dalla quantità diversa d’idrogeno, non era tale da potersi apprezzare all'analisi: Calcolato per Trovato (Gn IIS Ns . [Ce HS (N03)3 0H]s CU 45.72 45.89 H 5.03 0.25 N 16.43 16.92 A maggiore conferma determinai il peso molecolare della base libera, sciogliendola in benzolo: Concentrazioni Abbassamento Peso molecolare (K = 51) 0.843 0521 205 2.230 0. 58 215 Calcolato per Ci4 Hog Na= 224 , Della stessa base ho anche preparato il cloroaurato che cristallizza dal- l'alcool in cristalli foggiati a penna e fonde a 176-177° indecomposto; ed il cloroplatinato che annerisce sopra 200° e fonde scomponendosi a 230°. = dn Li822 — La base, riottenuta dal picrato dà la reazione di Liebermann, ed è quindi almeno monosecondaria; non contiene poi alcun azoto primario. Sulla costituzione di questa base sarebbe naturalmente azzardato fare delle ipotesi. Tuttavia, per le stesse ragioni dette a proposito dell'altra, si può pensare che sia costituita nel modo seguente: O; BENE CH,. CEI: . CHi. CH, . C; ELiogNI cioè da due nuclei piperidinici attaccati all'estremità di una catena normale di 4 atomi di carbonio, in modo da lasciar libero almeno un azoto secon- dario. È nota finora una sola base di analoga costituzione, che è però biter- ziaria, e cioè la tetrametilendipiperidina ('); questa base presenta caratteri non dissimili da quelli del prodotto da me ottenuto. Le esperienze che ora ho esposto, dimostrano che l’azione del catalizza- tore in ambiente chiuso può condurre a risultati assai diversi da quelli otte- nuti in tubo aperto (*); questo mi preme sopratutto di far notare, intendendo di valermi della disposizione descritta per sperimentare l’azione dei metalli suddivisi su varie sostanze, e specialmente su quelle azotate che presentano le maggiori attitudini alle trasformazioni molecolari. (1) Tohl, Berichte, XXVIII, 2218. (3) Esperienze, anche assai recenti, di Ipatiew (vedi ad es. Berichte XL, 1270, 1281) vennero pure eseguite in tubi chiusi in presenza di idrogeno fortemente compresso, im- piegando come catalizzatori vari metalli, e ultimamente anche ossido di nickel. Con tutto ciò, io credo e spero di poter continuare indisturbato le mie ricerche sui composti azo- tati, che vado facendo da oltre un anno, tanto più che il campo di studio sulle azioni catalitiche dei metalli, è assai vasto e permette una divisione di lavoro. PERSONALE ACCADEMICO Il Socio Nasivi legge la seguente Commemorazione del Socio straniero DEMETRIO MENDELEEFF: i Fra le eredità scientifiche più importanti che il, secolo XIX lascia al secolo presente, certo quella che viene rappresentatata dall'opera del nostro illustre Socio DimitRI IvanovitcH MENDELEEFF occupa un posto segnala- tissimo. Egli fu uno di quelli uomini di genio che non solo operarono riforme, aprirono nuove vie ai lavoratori e ai pensatori, ma lasciarono anche a risol- vere problemi altissimi, dopo averli maestrevolmente posti, suscitando alla risoluzione loro il più grande interesse, la più intensa curiosità. Parlare a fondo dell’opera multiforme di questo gigante del pensiero non sarebbe facile cosa a farsi in tempo ristretto, e sarebbe del rimanente ardua assai, perchè una notevole parte della sua produzione scientifica è conosciuta solo nella lingua russa, e molta dell'attività sua si esplicò nel suo paese e fu rivolta, con grande successo, all’incremento dell'industria, alla generaliz- zazione della scienza, all'istruzione delle masse, in servizio delle istituzioni scientifiche e tecniche, cui egli appartenne. Onde io non dirò che delle princi- palissime cose che a lui dobbiamo, di quelle che hanno reso così grande il suo nome, ed alle quali principalmente deve la sua gloria, di quelle che più mi sembrano adatte a raffigurare la sua potenza mentale, l'efficacia e la por- tata dell’opera sua. Nacque l'8 febbraio 1834 a Tobolsk. Mortogli il padre, insegnante nelle scuole classiche, quando egli era ancora giovanetto, quella forte donna che fu sua madre Maria Dimitrievna « per darlo alla scienza dalla Siberia lo portò a Mosca, spendendo le ultime forze e gli ultimi denari, e con molta fatica, dirigendo un'industria, potè educarlo, e lo educò coll'esempio e coll’amore »(!). Si recò poi a Pietroburgo per studiare chimica sotto lo Zinin. Si dedicò da principio all'insegnamento secondario, dopo avere ottenuto il diploma relativo nell'istituto pedagogico e per qualche tempo insegnò a Simferopoli e a Odessa. E questo suo primo indirizzo didattico, pedagogico impresse senza dubbio un carattere peculiare alla sua futura produzione scientitica, determi- nando in un certo modo l’abito del suo pensiero. Ritornato poi a Pietroburgo e conseguita la laurea, ottenne una borsa di studio per perfezionarsi all'estero. Scelse come sede dei suoi studî Heidelberg, dove allora insegnavano il Bunsen e il Kirekhoff e che era il luogo più adatto per l’esplicazione delle sue (1) Queste commoventi parole sono tolte dalla bella dedica che il Mendeléeff fa alla memoria della madre nel Trattato delle soluzioni acquose. — 824 — tendenze, del suo indirizzo così nettamente. chimico fisico. Dico indirizzo chimico fisico, infatti il primo suo lavoro era stato di indole cristallografica, il secondo, col quale fu abilitato alla docenza, fu sui volumi specifici, ed il suo programma scientifico, al quale tutti i suoi lavori si ispirarono e che può riassumersi colle sue parole stesse, fu questo: « Se si parte dal principio che la causa delle trasformazioni chimiche risieda nelle proprietà fisiche e mec- caniche delle molecole, bisogna sottoporre a uno studio completo tutti quei fenomeni nei quali queste proprietà si manifestano nel modo il più evidente. Così il peso specifico e via dicendo ». A Heidelberg lavorò in un laboratorio privato, e quivi pubblicò quelle sue importanti ricerche sulla coesione e sul calore specifico, ricerche che lo condussero nettamente al concetto della tem- peratura assoluta di ebullizione, come quella temperatura a cui la coesione diventa nulla, il calore di evaporazione nullo, in cui il liquido, qualunque sia la pressione, sì trasforma in vapore, anticipando così di molti anni la scoperta fondamentale dell'Andrews sulla temperatura critica. Altri lavori interessanti dobbiamo al suo soggiorno in Heidelberg, così quello sulla dila- tazione dei liquidi, che, ripreso da lui molti anni dopo, gli permise di stabi- lire la formula del modulo di dilatazione, formula che rimane sempre la più semplice per esprimere il fenomeno e sulla quale ancora nuovi lavori si desi- derano e si invocano. Tornato a Pietroburgo si dedicò all'insegnamento supe- riore e pubblicò il mirabile trattato di chimica organica, mentre maturava nella sua mente un profondo studio di tutto quello che si sapeva sulla na- tura degli elementi e delle loro combinazioni. Alla grande sintesi che va col suo nome egli giunse sforzandosi sopra tutto di render chiara, nel trat- tato di chimica generale che stava preparando, la classificazione degli ele- menti e di mettere bene in evidenza le loro analogie, quelle dei loro composti. Egli stesso ci dice nella Faraday Lecture quali furono i fattori principali del suo sistema. Primo il congresso di Karlsruhe, nel quale la riforma cannizza- riana trionfò di tutte le opposizioni, ed esposta con giovanile baldanza e galileiana chiarezza dal grande maestro, illuminò la sua mente, già mira- bilmente pronta a farla sua. Questo io dico perchè il Mendeléeff in una delle tesi da lui proposte alla discussione per ottenere il diploma sosteneva « la molecola allo stato aeriforme occupa due volumi, se 100 parti di ossigeno occupano un volume. La molecola dell'ossigeno è O,, dello zolfo Sg, del- l'idrogeno H,, dell’azoto N., dell'arsenico Asj, del forsforo P,, dell'alcool C.H; ) 0, dell'etere CH; | 0 dell'acido acetico C,H30) 0, della sua ani- Hai CH; |” H\ dride o ossido di acetile C.H30 |) o e così via. Una gran parte degli equiva- C3H;0 | lenti del Berzelius debbono essere portati a metà ». Secondo fattore furono le ricerche che avevano preceduto la sua classificazione, quelle in specie del Gladstone, del Pettenkofer e del Dumas e finalmente poi l'intensificarsi dei — 825 — lavori sugli elementi rari. Tutto questo certo non avrebbe a nulla valso, come a poco aveva valso sino allora, senza la profonda, sintetica sua mente, aiutata da una rara conoscenza dell'argomento, sia nelle sue grandi linee, sia nei suoi più minuti particolari. Non è questa l'occasione per fare la storia del sistema periodico, per mo- strare di quanto esso si allontana da tutti i tentativi fatti sino a quel punto in un indirizzo, che a prima vista, può sembrare analogo. Questa storia fu narrata in modo inarrivabile dal compianto collega nostro, il prof. Augusto Piccini, il quale nella Nuova Enciclopedia Chimica del Guareschi espose, completamente, e ispirandosi alla critica la più severa ed imparziale, tutto quanto riguarda l'argomento. Se il Newlands e il Chancourtois, senza par- lare degli altri, hanno emesso alcune idee che ritroviamo poi nella grande opera del Mendeléeff, certo nessuno, nemmeno Lothar Meyer, che pure del sistema stesso fu valentissimo espositore, continuatore e illustratore, specie dal punto di vista chimico fisico, nessuno, ripeto, dal lato chimico si può ragguagliare al Mendeléeff. A lui solo si deve d'avere ben stabilito le ana- logie e le dissimiglianze fra tutti gli elementi, di aver posto chiaro il con- cetto di analogia, di avere scoperte, svelate le più piccole somiglianze tra elementi disparatissimi e di avere tratto dalla sua sintesi potente tutto quello che poteva trarsi, giungendo a quelle previsioni, che verificatesi in modo che parve quasi taumaturgico, vinsero tutti i dubbî, trionfarono di tutte le oppo- sizioni. Ben disse il Piccini: se domani si scoprisse falso il concetto della periodicità, nulla resterebbe dell'opera degli altri, intatto invece rimarrebbe tutto quello che stabilì il Mendeléeff. E questo va detto poi per coloro che pre- tesero di modificare lo schema primitivo, non facendo più della chimica, ma degli ingegnosi giuochi matematici. Pubblicò la sua Memoria nel 1869. Nel 1871 con grande difficoltà e solo per l’autorità del Volhard la traduzione tedesca fu accettata negli An- nali del Liebig e restò ignorata o quasi. Nè è da meravigliare. Si era già allora in quel periodo della nostra scienza — e non della nostra sola — in cui signoreggiava l’idolatria del fatto, del piccolo fatto, e si dava molto maggior peso alla preparazione di un nuovo sale, di un nuovo e inutile etere, al ritrovarsi di una nuova e superflua reazione, che non all’enuncia- zione di un'idea ardita e geniale, che non a una poderosa coordinazione! Ten- denza e idolatria che se da un lato permise — e permette ancora — di adire alla scienza e di acquistare nome di scienziato a chi per la mentalità sua dalla scienza sarebbe stato in altri tempi, e dovrebbe essere, duramente respinto, ha anche portato con sè l’accumularsi di tanti dati sperimentali che poi la scienza vera ha utilizzato o utilizzerà Nel 1875 fu scoperto il gallio dal Lecocq di Boisbaudren: con mera- viglia, con stupore si constatò che aveva tutte le proprietà di uno degli ele- menti previsti dal Mendeléeff. Si susseguì la scoperta dello scandio ed allora - = © * — 8260 — il Mendeléeff dall'oscurità, quasi, divenne famoso. Il suo sistema che non era stato accettato, credo, che dal Roscoe, dal Bunsen studiato, ma quasi di nascosto, occupò trionfalmente il suo posto. Seguì la scoperta del germanio: tutta la chimica inorganica si orientò nell'indirizzo che la classificazione in tante e tante direzioni suggeriva. Da quel tempo può dirsi che essa è stata l’ispiratrice, la direttrice di presso che tutti i lavori nella chimica organica. Certo le obiezioni contro il sistema vi furono e vi sono: alcune non si sono vinte, nè si prevede con sicurezza che possano vincersi. Principalissima fra tutte quella che riguarda il tellurio, il cui peso atomico previsto prima dal Mendeléeff a 125, poi a 127, ad ogni modo inferiore a quello del jodio, sì ostina invece a restare a questo superiore, non ostante tutti i lavori che si sono fatti e si fanno su questo elemento. Questa è la più grande prova del valore immenso che tutti attribuiscono al sistema. Non vi è chimico che non sia intimamente persuaso che quel peso atomico deve cambiare, che è quasi impossibile che possa restare superiore a quello del jodio: mai nessuna teoria ha provocato così grande ostinazione da non voler quasi credere all'evidenza dei fatti! La scoperta dell’argo e degli altri gas inerti fatta da Sir William Ram- say parve mettesse in pericolo il sistema: certo si scoprirono elementi che in nessun modo erano stati previsti e che dal sistema non erano prevedibili. Si divisero le opinioni: chi ritenne che essendo il sistema fondato anche sulla forma di combinazione, in esso non potessero rientrare elementi che non ave- vano la facoltà di dare combinazioni; di questa opinione era il Piccini, sopra tutti competentissimo, e, modestamente, anch'io. Non così la pensò il grande autore del sistema stesso, e molti altri con lui, e volle fare un nuovo gruppo, il gruppo O, ossia degli elementi inattivi, che precede il gruppo primo, con due sottogruppi, come gli altri. Non vi è dubbio che gli elementi inerti così trovano qualitativamente il loro posto, e di alcuni di essi si poteva in tal modo prevedere l’esistenza, di altri ancor si prevede: nel suo insieme la classificazione resta integrata e per ogni gruppo altri elementi potrebbero anche presupporsi, e, secondo il Mendeléeffi, più verosimilmente degli altri nel gruppo 7°, un alogeno col peso atomico di 3. Nel nuovo sistema tra gli elementi da scoprirsi nel gruppo O vi sarebbe il coronio col peso atomico di non più che 0,4 e un elemento leggerissimo, col peso atomico di circa un milionesimo di quello dell'idrogeno, elemento che rappresenterebbe l'etere cosmico ed a cui propose il nome di newtonio; ma di ciò dirò dopo. Certo è però che il Mendeléeff ha dovuto attribuire ad alcuni dei gas inerti dei pesi atomici diversi da quelli sin qui trovati, e non vi ha dubbio mi sembra che, se realmente tanto il tellurio quanto i gas inerti conservano il peso atomico attuale, pur non restando scossa nei suoi fondamenti l'opera grande del Mendeléeff, il concetto della peridiocità non potrebbe conservarsi intatto nel suo significato preciso, non ostante le ingegnose argomentazioni RON di Sir William Ramsay; ed un altro sistema si dovrebbe invocare che, tenendo conto dei nuovi fatti, conservasse tutto quello che il primitivo schema aveva ed ha in sè di vero e di fecondo. L'avvenire ci dirà su questa grande questione, come pure su altre di minore importanza, ma che pure un poco attaccano la compagine primitiva, come l’esistenza di tanti elementi nel gruppo delle terre rare, la questione del nichel e del cobalto e altre ancor meno rilevanti. Il sistema del Mendeléeff in riguardo alla scienza italiana è degno di esser considerato sotto speciale riguardo. Innanzi tutto, come egli stesso di- chiarò, fu la riforma cannizzariana, esposta nel congresso di Karlsruhe, uno dei principali fattori che permisero alle sue idee di orientarsi verso la grande sintesi. Inoltre, è fuori di dubbio che un necessario completamento al sistema lo si deve a un italiano, al nostro indimenticabile collega Augusto Piccini. In Italia le idee del Mendeléeff si cominciarono a considerare seriamente verso il 1878 per eccitamento del Cannizzaro, qui nell'Istituto chimico di Roma, e si dedicarono al suo studio il Mauro e il Piccini, che intrapresero ricerche interessanti sopra alcuni elementi rari. Ed al Piccini dobbiamo, come ho accennato, un'integrazione necessaria alla classificazione. L'esistenza dei perossidi costituiva una delle più grandi eccezioni, giacchè molti elementi venivano a trovarsi in gruppi caratterizzati da una forma limite diversa da quella massima a cui essi potevano realmente dar luogo: sino a che fu lecito ritenere che questi ossidi superiori non fossero generatori di sali, tutto poteva spiegarsi, ma una volta riconosciuto che anche essi potevano darli, l’obie- zione si presentava gravissima, direi quasi insormontabile. Ed è appunto merito del Piccini, di cui il Mendeléeff ebbe altissima stima, se si potè dimostrare il peculiare carattere di questi perossidi, in modo da. poterli sempre diagnosticare, distinguere dai veri ossidi limiti e se si potè dare anche una spiegazione della loro natura, in modo che il principio dell’ossido limite che determina la natura del sruppo, in nessun modo fosse scosso e intaccato. Sempre in relazione col paese nostro debbo anche aggiungere che prima che uscisse la traduzione francese della Memoria del Mendeléeff, tra- duzione che tanto giovò alla sua generale conoscenza, si. era cominciato a pubblicarla tradotta in italiano. Il prof. Paolo Tassinari dopo il 1875, cioè subito dopo la scoperta del gallio, aveva eccitato alla traduzione della Me- moria, dall'originale russo, il giovane studente del suo laboratorio, Alessio Alessi, attualmente professore di chimica nell'istituto tecnico di Reggio Emilia, siccome pratico della lingua russa, essendo nato a Mosca da madre russa; l’Alessi fece la traduzione e ottenne dal Mendeléeff, con una genti- lissima lettera, il permesso di pubblicarla: ma la cosa non era semplice e solo dopo molte ripulse il Monitore dei Farmacisti, che si stampava a Mi- lano, accettò di stamparla: la stampava ogni tanto, a una pagina per volta con una quantità spaventevole di errori tipografici, cosicchè, venuta fuori in RenpIcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 105 — $28 — quel mentre la traduzione francese, l’Alessi interruppe senz'altro la pubbli- cazione della sua. Non credo privo di interesse l’esporre quali furono le idee del Mende- léeff sopra alcune questioni di alta importanza per la scienza, e intorno alle quali si agita vivo il dibattito. Egli fu atomista convinto. Pure assegnando al concetti di peso atomico e di peso molecolare, seguendo il pensiero del Cannizzaro, un valore indipendente dalla teoria onde erano stati originati, egli riconobbe in quella atomica molecolare un validissimo aiuto per la comprensione delle leggi fondamentali della chimica, specialmente per quella degli equivalenti, che, secondo egli si esprime, risulta chiara, evidente, ne- cessaria in base all'ipotesi atomica e che male si potrebbe comprendere all'infuori di essa. Ciò non ostante egli seguì le idee bertholettiane, in quanto riguardano le soluzioni: nelle soluzioni volle vedere solo combinazioni più labili, ma combinazioni della stessa natura di quelle vere e proprie rappre- sentate dalle specie chimiche, che sono originate dalla affinità chimica. Alludendo alle soluzioni e parlando in genere delle combinazioni a pro- porzioni non definite così egli si esprime: « Le combinazioni chimiche for- mate secondo determinate proporzioni non rappresentano che un caso speciale di quelle che si formano in proporzioni non definite, ed uno studio accurato di queste ultime potrà essere di grande aiuto per le considerazioni teoriche su tutto l'insieme delle conoscenze chimiche ». Non par qui di sentire il Guldberg prima e poi, più recentemente, l’Ostwald e il Wald? Egli anzi fu propenso a riguardare come veri composti chimici gli acidi in soluzione acquosa bollenti a temperatura fissa, gli acidi del Roscoe diremo, e della loro variabilità di composizione col variare della pressione dette una spie- gazione assai ingegnosa e contro alla quale, che io sappia, nulla si è obbiet- tato. Seguendo queste sue idee egli espose la elegante teoria delle variazioni del quoziente differenziale Di in funzione del percentuale delle soluzioni, giungendo a stabilire l'esistenza di varie combinazioni della sostanza disciolta col solvente, dalle curve differenti che si hanno, dal brusco passaggio di una curva in un’altra. Pubblicò la sua Memoria nel 1887, nell'anno che segnò il trionfo dell’attuale chimica fisica, quando comparvero la teoria delle solu- zioni diluite del Van't Hoff, quella della dissociazione elettrolitica dell’Ar- rhenius, e le considerazioni e gli sviluppi geniali dell’Ostwald. La teoria del Mendeléeff, che urtava apparentemente contro le idee in quel momento dominanti, le quali sopra tutto erano applicabili alle soluzioni diluite, trovò l'opposizione dell’ Ostwald e della sua scuola perchè contradiceva a quel principio a cui tanto allora sì stava attaccati, che ci fosse perfetta continuità fra la soluzione ideale, il miscuglio fisico, e la combinazione, e che nessun passaggio brusco nelle proprietà fisiche accennasse alla formazione di composti. Aggiungasi poi che, ricalcolati per parte dell’Arrhenius i valori — 329 — del Mendeléeff, sì trovò minore discontinuità nelle curve e si credette che nulla ci fosse di vero, ma invece non sì tratta che di modificazioni le quali, a mio parere, non intaccano il concetto e le deduzioni fondamentali. Alla distanza di quindici anni il riprendersi dello studio delle soluzioni, anche concentrate, con metodi di indagine chimica fisica hanno mostrato che realmente esistono dei composti in soluzione, delle combinazioni col solvente, onde le idee del Mendeléeff su questo argomento non solo ci appaiono fre- schissime, ma troviamo le sue previsioni, anche in questo campo, perfetta- mente giustificate. Il Mendeléeff ebbe mente in alto grado filosofica. Si vantò realista, avverso così ai materialisti come agli spiritualisti, e fu il suo un realismo psicologico. La materia, l'energia, lo spirito considerò come tre categorie distinte, l'una non pensabile senza l’altra, ma l'una nell'altra non riducibile. Sebbene, secondo l'opinione generalmeote invalsa, e secondo anche la geniale interpretazione del Crookes nella sua genesi degli elementi, il sistema sembri condurre ad ammettere l’unità della materia, una materia primordiale da cui tutti gli elementi sarebbero costituiti, egli fu sempre contrario a tale conclusione: egli riguardò gli elementi come entità esistenti ab aeterno e l'uno nell'altro non convertibili, e, fedele al concetto di atomo, mai volle ammettere che esso potesse scindersi. Così fu anche contrario alla teoria degli elettroni e alle recenti ipotesi che la radioattività spiegano come disin- tegrazione dell'atomo e che ammettono la trasformazione di un elemento nell'altro. Nel suo ultimo lavoro: Tentativi di una interpretazione chimica del- l'etere cosmico, che è quasi il suo testamento scientifico filosofico, il Men- deléeff ammette che l'etere cosmico altro non sia che il più leggero degli elementi; ad esso attribuisce un peso atomico di circa un milionesimo di quello dell'idrogeno e gli fa occupare il solo posto disponibile nella serie O del gruppo O. Ritiene che i fenomeni della radioattività si spieghino ammettendo che l’etere sopra certi elementi a peso atomico molto elevato si condensi, e da questi venga emesso, all’etere attribuendo un comporta- mento perfettamente analogo a quello dei gas inerti che si condensano, ma non si uniscono cogli altri elementi, formano cioè con essi in altri termini delle combinazioni instabilissime: e come l’elio passa facilmente a traverso certe pareti, a quelle di quarzo ad esempio, così l'etere possiede in sommo grado questa proprietà e per esso tutti i corpi sono permeabili. Interessante Memoria questa del Mendeléeff! Egli dice che da molto tempo aveva in mente simile concezione chimica dell’etere cosmico, ma solo la scoperta dei gas inerti in essa lo rafforzò: e poi non poteva più oltre tardare ad esporre le sue idee, perchè aveva ormai troppo pochi anni innanzi a sè per rifletterci ancora e provarle sperimentalmente. E mostra il suo stato di animo, diverso da quello in cui si trovava quando esponeva il sistema — 830 — e prevedeva l’esistenza di elementi nuovi: allora tutto gli appariva chiaro ed aveva la certezza che tutto quanto prevedeva si sarebbe verificato; ora questa certezza gli mancava: allora non rischiava nulla, ora sentiva di rischiare e sì augurava che altri potessero completare le sue idee dove erano manche- voli, e giungere a conclusioni più sicure di quelle che al suo sguardo inde- bolito apparivano nondimeno possibili. Pure ammirando la profondità delle speculazioni e dei calcoli del Mendeléeff, non può negarsi che molte obie- zioni sì presentano alla mente riguardo alle sue conclusioni finali, specie se la questione si considera dal lato fisico. Ammirò la teoria delle soluzioni del Van't Hoff, sebbene tacitamente le rimproverasse di essere di indole troppo fisica: quanto a quella della dissociazione elettrolitica, pur riconoscendo in essa molte cose giuste, sperava che un'altra teoria più generale potesse dar conto di tutti i fenomenti che sì riferiscono alle soluzioni, anche alle concentrate, il che non fa quella del- l’Arrhenius. Al Mendeléeff l'esperienza servì per la dimostrazione di quello che dalle esperienze degli altri e dalla sua profonda meditazione era stato con- dotto ad ammettere, a divinare. Sebbene, a quanto si afferma, e come varî suoi lavori dimostrano, tra gli altri quelli sui gas e sui pesi specifici delle soluzioni, egli fosse sperimentatore ingegnoso, abilissimo ed esatto, pure non esperimentò mai senza che l'esperienza gli servisse ad un determi- nato fine; non lavorò mai per lavorare e si guardò bene, come dice il Walden, di preparare nemmeno un nuovo composto. Della sua mente filosofica e delle sue larghe vedute fanno fede le sue pubblicazioni tutte, e principal- mente il suo trattato; trattato meraviglioso, originale, di lettura così attraente come pochi, e pieno di mille ineguaglianze, di alcune apparenti puerilità e ingenuità che rivelano in modo mirabile l'uomo che egli era. Nessun trattato nella nostra scienza è così chimico, mi si permetta di dire, come quello di Lui, pur nessuna parte della chimica fisica essendo in esso trascurata. Ho sempre pensato che l'indirizzo dato dal Mendeléeff è rimasto isolato — ec- cezion fatta per coloro che lavorano in chimica inorganica — ed anche i principî informatori del suo sistema non sono penetrati abbastanza addentro nella maggior parte dei trattati moderni, in alcuni dei quali, pur pregevoli per tanti riguardi, la classificazione è relegata in poche pagine, invece di costituire il pernio di tutta l'esposizione. Un libro in cui si fondessero in- sieme le idee, l'indirizzo e le profonde speculazioni chimiche del Mendelceff con i geniali concetti che dalla chimica fisica attuale si è plasmati l’Ostwald, certo sarebbe il trattato che tutti desiderano e che ancora siamo lungi dal possedere. In pochi uomini come nel Mendeléeff rifulse dall'aspetto l'intelligenza ed il genio. I suoi capelli inanellati, l'espressione potente della turgida bocca, — 831 — la vivacità e insieme la dolcezza degli occhi, l'alta statura davano a chiunque lo vedeva l'impressione dell'uomo veramente grande. E avvicinandolo, questa impressione non sminuiva. Ricordo quando lo conobbi a Londra, in quell’anno in cui egli venne per tenere la Faraday Lecture, nel giugno 1889, ammirato, festeggiato da tutti, nel pieno fulgore della sua gloria. E lo ricordo Ja mattina di una di quelle domeniche londinesi, che tanto invitano colla loro pace alla meditazione e agli amichevoli parlari: era con noi quegli che fu, insieme col nostro Piccini, il migliore interprete dell’opera sua, il prof. Bohuslav Brauner, e tutta la mattina passammo nella sala di lettura dell'albergo in cuì era- vamo alloggiati. Con indicibile commozione ed orgoglio sentii da lui in quale alto concetto aveva l’opera del mio caro Piccini e ricordo poi con quanta energia, con quanta vivacità, con quanta chiarezza ci esponesse la sua idea, tante volte sostenuta, che il sistema in nessun modo spingeva a ritenere’ l'unità della materia. Che fosforescenza di immagini, che meravigliosa cono- scenza di ogni ramo della nostra scienza, quanti spirituali aneddoti, quali spiritose descrizioni! Il Brauner gli faceva intravedere quello che si preparava ad esporre poche sere dopo sul tellurio alla Chemical Society, quando credeva di aver trovato l’altro elemento che ne alzava il peso atomico: ogni tanto il grande maestro, acceso in viso e agitato, si levava dalla sedia e si gettava nelle braccia dello scolaro, non meno di lui entusiasta, per la commozione intensa che il ragionare dell’opera sua prediletta gli infondeva nell’animo. In Russia Mendeléeff fu più che un chimico, fu anche un educatore: dalla gioventù fu idolatrato. Il suo governo non potè avversarlo, e, secondo quello che dice un suo biografo, il Thorpe, temendo le sue idee e la sua azione sopra gli studenti, trovava spesso il modo di inviarlo in onorifiche missioni all’estero. Negli ultimi tempi si era posto in disparte, e parve forse meno liberale di quello che per il passato si era ritenuto. Tristi pensieri, non confortati di speranze, gli suscitavano le vicende che tribolano da anni quel grande paese. Dell’opera sua molto resta, non solo per quel tanto che da essa è sca- turito, ma anche per quel moltissimo che essa può e deve dare. Molti e molti anni correranno prima che dal sistema periodico si sia passati ad un'altra forma più completa in cui esso sia racchiuso e scompaia. Per ora è sempre il sistema mendeléeffiano che spinge, che dà l'indirizzo alle ricerche di chimica inorganica: i problemi che il Mendeléeff ha posto sono tra quelli alla cui soluzione siamo maggiormente interessati: le idee sue sulle soluzioni cominciano a trionfare adesso e l'avvenire ci dirà se anche nella concezione dell'etere cosmico egli sia stato — come tale è stato in altri campi — profeta meraviglioso. Sulla sua tomba nella lapide sepolcrale è inciso il suo nome e la ripro- duzione del suo sistema e null'altro. Più grande omaggio non poteva rendersi alla sua memoria! mi — “ga er — 832 — Portato a braccio dai giovani che si avviano alla scienza, migliaia di persone accompagnarono al cimitero di Wolkowo il feretro del grande pen- satore, dolorando per la perdita irreparabile che colpiva la patria russa. Con esse era il cuore di tutti quanti nel mondo civile conobbero e ammirarono la potente e geniale opera sua! PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosEevicH presenta le pubblicazioni pervenute in dono, segnalando quelle dei soci Bassani, LustiG, PascaL, BERTHELOT, PiIcKE- RING. Fa inoltre particolare menzione di un volume intitolato: Sulla di- stribuzione della pioggia nei possessi neerlandesi; di una Relazione del- l'ing. E. Mancini sulle macchine frigorifere presentate all’ Esposizione di Milano; e di due pubblicazioni del Ministero delle Finanze aventi per ti- tolo: Movimento della navigazione del Regno d’ Italia nell’anno 1905; Movimento commerciale del Regno d' Italia nell’anno 1905. Il Socio RoIrI fa omaggio del vol. 3°, p. I, IV!® ed: dei suoi Elementi di fisica. CORRISPONDENZA Il Presidente BLASERNA presenta un invito della Società geologica di Londra, che celebrerà nel venturo settembre il primo centenario della sua fondazione; e pone a disposizione dei Soci un bollettino di sottoscrizione trasmesso dal Museo di storia naturale di Parigi, per l'erezione di un mo- numento a LAMARK. Il Segretario MiLLosevica dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; la Società Reale di Vittoria; la Società Reale delle scienze di Upsala; le Società geologiche di Manchester e di Sydney; la So- cietà zoologica di Tokyo; il Museo di scienze ed arti di Filadelfia; il Museo di storia naturale di Nuova York; l'Osservatorio di San Fernando; l’' Uni- versità di Manchester. — 833 — OPERE PERVENUTE iN DONO ALL’'ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 maggio 1907. AcHiarDI G. d’ — Considerazioni critiche sulla origine dell’acido borico nei sof- fioni boriferi della Toscana. (dagli «Atti della Soc. Toscana di Scienze Naturali ». Memorie. Vol. XXIII). Pisa, 1907. 8° ApHEMAR R. d’ — Les équations aux dé- rivées partielles è caractéristiques réelles. (.Scientia, n. 29). Paris, 1907. AGAMENNONE G. — Sopra un sismoscopio destinato ai terremoti lontani. Modena, 1906. 8°. ArpIZZoNnE F. — Materia e forza. Note di Filosofia Naturale. Milano, 1907. 8°. Bascnieri E. — Studio sulla costituzione delle zeoliti. Pisa, 1907. 8°. 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VI.) delle « Memorie »). Bologna, 1907. 40. Verwey A. — Cornea en Iristuberkulose. Leiden, 1906. 8°. PERSONALE ACCADEMICO Nasini. Commemorazione del Socio straniero Demetrio Mendeléeff . . . . . . . Pag. 823 PRESENTAZIONE DI LIBRI Maillosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Bassani, Lustig, Pascal, Berthelot, Pickering, dell'ing. Mancini e del Ministero delle RIZZA A RR O SA O 082 Wo raitaona cioe dir unafsia i Ppubbplicazioneni tt 0. CORRISPONDENZA Blaserna (Presidente). Presenta gl’inviti pel centenario della Società geologica di Londra, e per la erezione di un monumento a Zamark . . . . . GL RESA] Millosevich (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa Al do degli Atti RE PUBPHNEMNOBBIREIOGRAFRICO NON RI A 898 RENDICONTI — Maggio 1907. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 maggio 1907. MEMORIE E NOTR DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sulle trasformazioni delle superficie applicabili sulle quadriche . . . . . Pag. Millosevich E. Osservazioni della nuova cometa 1907 b Mellish fatte all’equatoriale di 37 cm. del R. Osservatorio al Collegio Romano . . 3 È » Reina. Determinazioni astronomiche di latitudine e di sima caino all 3) di dia ed a Monte Circeo . . . Agg >. È EI Dn RSS SSN] Battelli e Magri. Comportamento dei vapori metallici iaia scintilla dea © ERE ASIA TI Ciamician e Silber. Azioni chimiche della luce (*) SFERICA SETE IR EI I Kòrner e Contardi. I quattro binitrodérivati della ortolilai ghe ©. Ma CNRS) De ‘Stefani. Cenni biologici ‘sullDiebebesszzziio Tunisia Rea De Lorenzo. L'isola di Capri (@) . «.. È E ee) Almansi. Un teorema sulle deformazioni tiche dei solidi siatropi (pres. dal Socio Vol- CHOO. i ; è : SERRE » Berzolari. Sopra la ID zione di dimo e e suo imeagiio nella teoria delle hat gobbe (pres. dal Socio Segre) . . ; RATE BEST) Cipolla. Sulla risoluzione apiristica delle congruenze bin dr mi don ur ” Marcolongo. La teoria delle equazioni integrali e le sue È AREA alla Fisica-matematica (pres. dal Socio Cerruti). . . : Sen Picciati. Sull’equazione della propagazione ‘del Gioi in un filo ‘Corea dal Canili Lone Ginita) n Doglio. Sulla durata dell’emissione catodica nei tubi a vuoto (pres. dal Corrisp. Battelli (*) » Puccianti. Misure di viscosità sopra i gristalli fluidi del Lehmann (pres. dal Socio Roîti) . » Niccolai. Sulla resistenza elettrica dei metalli fra temperature molto alte e molto basse (pres. dal Corrisp. Battelli). . .°. È È ASSE! Castellana. Sulla trasformazione dei di in derivati del po a dal Socio Paloma) ” Mazzucchelli. Sugli idrati del fluoruro di alluminio (pres. Id.) . . LL...» Millosevich F. Appunti di mineralogia Saida (*) . ././ 0... . MIR ga Brizi. Su alcuni ifomiceti del Mais guasto, e sulla ricerca microscopica per dotemmitiine le alterazioni (pres. dal Socio Cubond) ). . °°. AT o ao Bruschi. Autolisi nell’endosperma di Ricino (pres. dal Sobio. Piotta) SCE Petri. Sulle micorize endotrofiche della vite (pres. dal Socio Cuboni) . . . . . IS Ghigi. Contributo allo studio dell’ ibridismo negli Uccelli (pres. dal Socio Emo oca Negri. Sulla morfologia e sul ciclo eyolutivo del parassita della rabbia (pres. dal Socio B. Grassi) (conuna tavola). ale. . aa A SETA Nasini. Azioni ottiche di gruppi atomici non saturi in imma VICINanza a e Padoa. Azioni catalitiche dei metalli suddivisi sui composti azotati (pres. dal Socio Ciamician) » (Segue în terza pagina) (È) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo, K. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. ‘roma 19 maggio 1907. N. 10. ESE RE TRUICI IE N ZO NESTNEIT AGLA DELLA || REALE ACCADEMIA DEI LINOBI | ANNO CCCIV. 19% Spiro Pei QUEEN CA: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. fi Seduta del 19 maggio 4907. Volume XV Io — Ealiicelo L1O° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEI. CAV. V. SALVIUCCI ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO HE Col 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze tisiche, matematiche enaturali valgono lenorme . | seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti nou riproducono le discus sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca-. | demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso | parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi i sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta | stante, una Nota per iscritto. MEI 2% E | cati al paragrafo precedente, e lo Memorie pro da Corrispondenti. Per le Memorie presentate . da estranei, la Presidenza nomina una Com- | risce in una prossima tornata della Classe. guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio | ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- | dell’Accademia. di list . . È nell’ ultimo in seduta segreta. J dello Statuto. fi DES - tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se EA n) d mi FORZATA pa sce 3 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- priamente dette, sono senz’ altro inserite noi - Volumi accademici se provengono da Soci o. 13 a a . "I | 93 Noa, È missione la quale esamina il lavoro e ne rife- « —‘2. La relazione conclude con una delle se- | dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio. “ di far conoscere taluni fatti o ragionamenti $ contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: | posta dell’ invio della Memoria agli Archivi. 3. Nei primi tre casi, previsti dall art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica i 4. A chi presenti una Memoria per esame è . date. ricevuta con lettera, nella quale si avverte n | che i manoscritti non vengono restituiti. agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 E 5.L’Accademia dà gratis 75 estratti agli an- | | estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa ® carico degli autori — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCHI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANA ©>:C--_--- Seduta del 19 maggio 1907. F. p' Ovipio Vicepresidente. MEMORIE 1 NOTE DINES'OCISORPRESTENT ATERNIDA SOCI Chimica. — Azioni chimiche della luce. Nota X del Socio G. CIAMICIAN e di P. SILBER. Alcuni anni or sono nella nostra quinta Nota (') intorno ai nostrì studi sulle azioni chimiche della luce abbiamo descritto una esperienza che ri- guardava l'idrolisi dell’acetone. Come venne allora dimostrato, per azione della luce in soluzione acquosa l’acetone si scinde in acido acetico e me- tano secondo l'uguaglianza CH;3.CO. CH, + H:0= CH;. COOH + CH, Questa singolare reazione, che finora in nessun modo è stata altrimenti effettuata, meritava naturalmente uno studio ulteriore, nel senso di estenderla a tutti i principali composti del tipo acetonico per vedere se possedesse i caratteri della generalità. Dal ricco materiale sperimentale che si trova in corso di preparazione, pubblichiamo in questa prima Nota quella parte che ci sembra sufficientemente elaborata. Idrolisi del metiletilchetone. Prima nostra cura fu naturalmente quella di vedere se la detta scis- sione fosse applicabile agli omologhi dell'acetone. Nel caso suindicato era (1) Questi Rendiconti, serie 5%, vol. 12, I, pag. 235. ReNDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 106 PO SS — — 896 — da attendersi la formazione d’acido acetico ed etano, oppure metano ed acido propionico. L'idrolisi avviene secondo la prima possibilità nel senso: CH;. CO .CH,. CH, +H,0=CH;.C00H + CH;.CH;. La relativa esperienza venne eseguita nel seguente modo. In un ma- traccio chiuso alla lampada si espose al sole durante i mesi estivo-autunnali 100 gr. di metiletilchetone sciolti in un litro d'acqua bollita, dopo avere accuratamente sostituita l’aria con anidride carbonica. Dopo l'esposizione si notavano nel liquido senza colore alcune goccie oleose, dense, colorate in giallo bruno. Aprendo il pallone, si svolse spontaneamente circa un litro di gaz, che venne raccolto con una opportuna disposizione di apparecchi; per riscaldamento del pallone a h. m. se ne ebbero delle altre quantità che ven- nero trascurate. Il gaz raccolto fu sottoposto ad una accurata analisi in due distinte porzioni negli apparecchi di Hempel. Dopo essere stato trattato suc- cessivamente con bisolfito sodico, con acido solforico fumante e con acido pi- rogallico in soluzione alcalina, al quali solventi esso quasi nulla cedette, si dimostrò essere costituito esclusivamente da efaro. Esaurito così l'esame della parte gassosa, si passò a quello della parte liquida. La soluzione da cui venne estratto l’etano, liberata per filtrazione dalle goccie oleose già menzionate, ha reazione marcatamente acida, e fu però bollita con un eccesso di carbonato calcico puro ed indi esaurita con etere. Quest'ultimo estrae dell'altra materia oleosa, che, assieme a quella separata per filtrazione, ammontava a circa 2 gr. Si tratta di prodotti com- plessi, che per ora non furono esaminati ulteriormente. Il liquido acquoso, contenente il sale di calcio, venne portato a secco; si ebbe così un residuo solido di circa 2 gr. Questo residuo sciolto in acqua e precipitato fraziona- tamente con nitrato argentico, dette, in tutte le singole porzioni, all'analisi esattamente i numeri voluti dal sale argentico dell'acido acetico. È assai probabile dopo ciò, che anche gli altri chetoni della serie grassa avranno in soluzione acquosa alla luce un contegno analogo a quello del- l'acetone e del metiletilchetone, ma intorno a queste sostanze non abbiamo fatto per ora ulteriori studi, rimandandoli ad altra occasione. Ci siamo oc- cupati invece dell'acido levulinico per vedere se anche gli acidi chetonici fos- sero in grado di subire una analoga idrolisi. Idrolisi dell'acido levulinico. Era da aspettarsi che questo acido si scindesse in soluzione acquosa per azione della luce, negli acidi acetico e propionico, ma invece la reazione non procede in questo modo e per quanti frazionamenti facessimo non ci fu possibile di dimostrare la presenza del primo dei due acidi cercati. Si ebbe invece il secondo ed assieme a questo assai probabilmente l'acido formico; — 8397 — i\ la ricerca dovette essere però indirizzata a scoprire l'eventuale formazione sn di alcool metilico, perchè l'idrolisi avrebbe potuto avere il seguente esito: È CH3.C0.CH,.CH,.COO0H +2H,0 = il — CH;}.0H + H. COOH +- CH; . CH; . COOH i t Così crediamo realmente sia da interpretarsi il fenomeno, senza però po- ter dare per la formazione dei due primi prodotti, prove sufficientemente sicure. Alla luce vennero esposti in tutto 188 gr. d'acido levulinico, ricono- sciuto prima esente da acidi grassi volatili, in soluzione sterilizzata di 1880 gr. d’acqua. L'esposizione ebbe la durata dei mesi di estate e d'au- tunno; il liquido si colora un po' in giallo senza produrre gaz. Per l'elaborazione se ne distillarono a fuoco nudo 3 litri, rimpiazzando man mano l’acqua che passava. Il primo litro venne neutralizzato con car- bonato sodico e ridistillalo in serie, in modo da concentrare la parte volatile nel minor volume d’acqua possibile. Si ebbero così 15 cc. di liquido, che NI saggiato anzitutto con acido jodidrico nell'apparecchio di S. Zeisel, dette tracce di joduro d'argento. Pensammo allora di trasformare l'eventuale 4/c00/ d metilico contenuto in queste prime porzioni del distillato, in aldeide for- fil mica. Facendone passare i vapori misti ad ossigeno sulla spirale di rame, avemmo un prodotto che dava la reazione rossa col cloridrato di fenilidra- f zina e cloruro ferrico, che è senza dubbio la più sensibile reazione dell’al- Ul deide formica, ma non la più sicura. Le altre reazioni dettero risultato incerto. Tutta la parte distillata, cioè il residuo del primo litro e gli altri due, questi naturalmente del pari neutralizzati con carbonato sodico, venne por- Do tata a secco. Si ebbero così 30 gr. di prodotto che conteneva però ancora Jà molto acido levulinico. Per toglierlo, il residuo salino venne acidificato con acido solforico e distillato nuovamente, rimettendo a riprese l’acqua che passava. Il liquido distillato, acido, non dava più la reazione del jodoformio ed era però esente di acido levulinico. Venne saturato a caldo con carbonato di calcio e recato a secco; ne risultarono 7 gr. di sale, che ridisciolti in acqua furono sottoposti ad una precipitazione frazionata con nitrato d'argento. Tutte le singole porzioni, cristallizzate dall'acqua bollente, annerirono e fu- rono però bollite fino ad esaurire la riduzione, che può attribuirsi alla pre- senza di acido formico. Queste singole frazioni dettero tutte all'analisi i numeri del sale argentico dell'acido propionico. td esi > foriera — ef +39 2 , = Acido levulinico ed alcool etilico. | Per comparare l'azione dell'acqua a quella dell'alcool etilico, abbiamo ) fatto la presente esperienza; il risultato è conforme al contegno dei composti il — 838 — chetonici con gli alcooli, da noi già più volte riscontrato. Una parte del- l'acido levulinico si riduce ad acido 4-ossivalerianico, che noi abbiamo ottenuto in forma di lattone, mentre un'altra parte si eterifica; naturalmente accanto al primo si produce pure aldeide acetica. Alla luce venne esposta per molto tempo una soluzione di 55 gr. d'a- cido levulinico in 275 cc. d'alcool assoluto. Distillando il liquido, passa as- sieme all'alcool, l’aldeide acetica, che venne riconosciuta col nitrato d’argento ammoniacale. Il residuo, liberato dall'alcool, non si scioglie completamente nel carbonato sodico; la parte insolubile, che l'etere estrae facilmente, seccata con carbonato potassico anidro distilla fra 203° e 206°. Se ne ebbero 25 gr. Per separare il lattone 4-ossivalerianico dall’etere levulinico, venne bollita con potassa. Distillando l’aleool formatosi e filtrando da qualche materia oleosa, che s'era separata, si ebbe la soluzione alcalina dei due acidi, di cui, come è noto, quello ossidrilico sì trasforma facilmente nell'anidride lattonica già per semplice ebollizione con acidi minerali. Approfittando di questa circo- stanza, abbiamo acidificato e bollito con acido solforico diluito la detta so- luzione potassica e l'abbiamo estratta con etere. La soluzione eterea ottenuta, cede al carbonato alcalino l’acido levulinico, ma trattiene il lattone vale- rianico. Quest'ultimo, seccato con carbonato potassico anidro, distillò ‘intero a 205° e dette all'analisi i numeri voluti per il detto lattone. Gli autori ne danno il punto d’ebollizione a 207-208° (1). La reazione può essere rappresentata dallo schema: 2CH;.CO.CH,.CH,.COOH + 20, H;.0H — > CH3.CO.CH,.CH;.C00 CH; + 2H,:0 + + CH; .CH. CH,.CH;.CO + CH; .CHO. | 0 Naturalmente non possiamo escludere che parte dell'acido ossivaleria- nico sia stato presente in forma di etere etilico, oltre che in quella di ani- dride lattonica. Idrolisi del mentone. Più che ai composti chetonici a catena aperta noi abbiamo rivolto la nostra attenzione a quelli ciclici e massime a quelli naturali, perchè questi, per più ragioni, dovevano presentare maggiore interesse. Qui l’idrolisi non doveva condurre ad una vera scissione della molecola ma bensì soltanto all'apertura dell'anello. Così avviene di fatto e noi abbiamo già raccolto in proposito tutta una serie di osservazioni, che man mano pubblicheremo; per oggi ci limitiamo a descrivere i risultati ottenuti col mentone, che fu il primo chetone ciclico da noi studiato. A più riprese abbiamo esposto alla insolazione dei mesi estivo-autun- nali delle soluzioni di mentone nell’alcool acquoso. (1) Vedi Beilstein, vol. I, pag. 566. — 839 — Complessivamente 260 gr. di mentone in 975 ce. d'alcool e 520 ce. d'acqua. In questi rapporti si ottiene un liquido limpido ed omogeneo. Du- rante l'insolazione l'equilibrio si turba e sì separa uno strato oleoso sulla soluzione idro-alcoolica; il prodotto acquista reazione acida ed un odore particolare, che si avverte benissimo accanto a quello del mentone inalterato. L'elaborazione conviene eseguirla nel seguente modo. Il contenuto dei tubi, diluito con circa l'egual volume d'acqua, venne neutralizzato con carbonato sodico in lieve eccesso, agitando ripetutamente, ed indi posto in un imbuto a robinetto. Si va separando così uno strato oleoso superiore, che contiene, assieme al mentone inalterato, un’aldeide di cui tratteremo più avanti. Il liquido sottostante trattiene quantità trascurabili delle materie oleose e può senz'altro distillarsi e concentrarsi allo scopo di ricavare il sale al- calino che contiene disciolto. Dopo distillato l'alcool, la detta soluzione al- calina, liberata per filtrazione da qualche lattigine resinosa, venne portata a secco. Si ebbe così un residuo salino (da 100 gr. di mentone 10,7 gr.), da cui con acido solforico potè essere messo in libertà un acido grasso, che estratto con etere e seccato sul cloruro di calcio, distillò alla pressione ri- dotta di 17 mm. fra i 149° e 158°. Rettificato a pressione ordinaria si ebbe un prodotto dal punto di ebollizione 249-252°. L'analisi del suo sale argentico condusse alla formola d'un acido decilico. Cro H20 O». Consultando in proposito la letteratura, fu facile convincersi che il nostro acido è identico con quello che O. Wallach ottenne dalla mentonossima per fusione con potassa caustica (!). Questo autore dà per il suo prodotto il punto d'ebollizione a 249-251°. L' idrolisi del mentone si compie però in modo analogo a quella dei chetoni saturi a catena aperta, soltanto che in questo caso non avviene una scissione della molecola, ma, come si disse, una semplice apertura dell'anello. Accettando la formola proposta dal Wallach, questa parte dell’idrolisi può rappresentarsi nel seguente modo: Hi y,CH; CH |} +H0=0d>0H-0H;.CH,. CH,.CH.CH,C00H. H.C CH; i; CH; IA Rcido decilico die Wallach CH, mentone (1) Liebigs Annalen, vol. 296, pag. 126. — 840 — Questa però non è la sola metamorfosi che la luce determina nella so- luzione acquoso alcoolica del mentone, ve n'è un’altra contemporanea anche più interessante. Il liquido oleoso succennato, che venne nel modo descritto separato dalla soluzione alcalina dell'acido decilico, non è formato soltanto dal mentone rimasto inalterato, ma contiene un'aldeide che si manifesta già all'odore. Siccome il mentone non si combina tanto facilmente col bisolfito sodico, abbiamo potuto servirei di questo noto reattivo per estrarre l’aldeide. La parte oleosa del prodotto venne a tale scopo diluita col triplo vo- lume d'etere ed agitata, mediante un agitatore meccanico, con la soluzione satura di bisolfito sodico, liberata dall'accesso di anidride solforosa. Si forma subito un'abbondante precipitato, costituito da squamette bianche d'aspetto sericeo, che venne lavato ripetutamente, per decantazione, con etere. Questo asporta tutto il mentone inalterato. Il composto bisolfitico, impastato ancora colla soluzione satura del reattivo, venne scisso con carbonato potassico a lieve calore ed il liquido risultante estratto con etere. L'estratto etereo, sec- cato con solfato sodico anidro, dà per svaporamento l'aldeide quasi pura (da 160 gr. di mentone se ne ebbero 11,5 gr.), che distilla fra 193° e 197°. Per togliervi le ultime tracce di mentone, che poteva ancora contenere, l'ab- biamo trasformata nuovamente nel composto bisolfitico e questo, dopo essere stato raccolto su tela, seccato su piastra porosa, spremuto fra carta e lavato con etere, dette per trattamento con potassa, un prodotto, che distillava tutto intero a 195°. L'analisi dimostrò che la sostanza ha la stessa composizione del men- tone, la sua formola è del pari €, His 0. Essa è però un’aldeide; già il suo odore aggradevole, che ricorda quello del citronellale, lo stava ad indicando, la prova decisiva la si ebbe con la bella reazione dell'Angeli. Come è noto, egli ha dimostrato che il mezzo più sicuro di distinguere le aldeidi dai chetoni, consiste nel prepararne i corri- spondenti derivati idrossammici mediante la soluzione alcalina del suo acido nitroidrossilamminico o meglio ancora dell'acido benzosolfidrossammico del Piloty. Con questi reattivi le aldeidi, e le aldeidi soltanto, si trasformano nei corrispondenti sali idrossammici, i quali sono riconoscibili ai loro sali ra- meici verdi ed insolubili ed alla colorazione rosso-violetta che danno col cloruro ferrico. Nel nostro caso era da attendersi la formazione del seguente composto: Cs H; . C(OH) (NOH). Seguendo le indicazioni di Rimini (*) e di Velardi (*) abbiamo operato nel seguente modo. Ad una soluzione di 3 gr. della nostra aldeide, di 3,5 gr. (1) Gazzetta chimica, 31, II, pag. 86. (3) Ibid, 34, II, pag. 66. — 84l — dell'acido di Piloty (') in 15 cc. d'alcool, venne aggiunta una soluzione di 4 gr. di potassa in 40 cc. d'alcool. La reazione si compie istantaneamente; si versa nell'acqua, dopo avere scacciato l'alcool a b. m., si toglie quasi completamente l'alcali con acido acetico e sì precipita con acetato rameico. L'abbondante precipitato verde, che subito sì produce, è il sale rameico del- l'acido idrossammico. Esso venne raccolto su filtro, lavato con acqua e con alcool e scomposto a freddo con acido solforico al 20 °/;; l'acido idrossammico si separa oleoso, ma poi si solidifica; estratto con etere e purificato dal benzolo, dà squamette, bianche, perlacee, che fondono a 108°-109°. L'analisi confermò la supposta composizione. Cio His 02 N. Il prodotto che si forma accanto all'acido decilico per idrolisi del men- tone è, dunque, un'a/deide della stessa composizione. Il suo punto d'’ebollizione è di 195°; essa è otticamente attiva ed il suo potere rotatorio a 10°, per la iuce del sodio, misurato in un tubo di un decimetro è cn = + 9° 40°. Si trattava ora di vedere se la nostra aldeide fosse eventualmente iden- tica col citronellale, di cui ha la composizione. Veramente già l'odore del nostro prodotto, sebbene simile a quello del citronellale, ne differisce alquanto. Inoltre gli autori danno per quest'ultimo il punto d'ebollizione che varia fra i limiti 202° e 208°; Semmler (*) consiglia d'ammettere il punte d'ebolli- zione 205°-206°. Il potere rotatorio varia assai e non può però esser preso in considerazione. L'acido idrossamico del citronellale è stato descritto dal Ve- lardi (*); egli trova per questo prodotto il punto di fusione 72°-74°. Per giudicare di questi dati con proprio criterio, abbiamo preparato da un cam- pione di citronellale, favoritoci dalla ditta Schimmel e C°, il prodotto puro per mezzo del composto bisolfitico, seguendo le norme indicate dal Tiemann (*), ed abbiamo trovato che il citronellale così purificato bolle a 203°-204°:; ne abbiamo poi preparato l'acido idrossammico ed abbiamo ottenuto un prodotto, molto più solubile in benzolo del nostro, dal punto di fusione 72°-73°. Per ultimo abbiamo preparato i semicarbazoni tanto della nostra aldeide che del citronellale. Seguendo le norme ordinarie, abbiamo ottenuto dalla prima un composto ché cristallizza dall'etere petrolico in aghi finissimi rag- gruppati, che riempiono facilmente tutto il liquido. Da un’aldeide meno pura avemmo da principio un .prodotto che fondeva a 79°-80°, da quella (!) Questo reattivo si trova fortunatamente in commercio e può aversi dalla fabbrica dello Schuchardt a Goerlitz. (°) Die aetherischen Oele. Leipzig, 1905, I vol, pag. 589. (5) Loco citato. (4) Berichte, vol. 31, pag. 3306. — = — 842 — bollente a 195° si ottenne invece subito un semzcardazone fondente a 88°- 89°. Pel semicarbazone del citronellale gli autori danno il punto di fusione 829,5 ('); ripetendone la preparazione col citronellale puro, abbiamo ottenuto un semicarbazone, che si presenta in piccoli aghetti d'aspetto del tutto di- versi da quelli derivanti dalla nostra aldeide, che fondevano a 81°-82°. Da tutto ciò crediamo si possa concludere che l’aldeide proveniente dal mentone, sia diversa dal citronellale ordinario; Otto Wallach, il celebrato studioso dei terpeni e delle essenze, ebbe dalla mentonossima, un alcool, il mentocitronellolo, da cui per ossidazione ottenne un'aldeide il mentocitro- nellale, che potrebbe essere identica alla nostra. Questo illustre autore (*) dà per il suo prodotto il punto di ebollizione intorno ai 200° e per il rela- tivo semicarbazone un punto di fusione identico a quello da noi trovato, cioè 89°. In seguito alla nostra preghiera di darci in proposito qualche in- dicazione ulteriore o consiglio, egli assai gentilmente ebbe a scriverci che - riteneva probabile che i nostri due prodotti fossero identici; ci consigliava poi di preparare l’amide dell'acido corrispondente alla nostra aldeide, per ve- dere se fosse identica alla amide dell'acido mentonenico da lui preparata (?). Speriamo d'avere in seguito maggior copia di materiale per eseguire queste prove; dall'acido idrossammico su descritto, si può, seguendo le indicazioni dell’Angeli, per semplice idrolisi, ottenere l'acido corrispondente alla al- deide impiegata, senza bisogno di ricorrere all’ossidazione, che, trattandosi di aldeidi non sature, presenta sempre qualche difficoltà. In altri casì, si- mili a questo, che saranno a suo tempo descritti, questo passaggio è stato da noi effettuato con grande nostro vantaggio. Volendo ora in base ai risultati conseguiti ammettere un'apertura del- l'anello del mentone analoga alla precedente, si potrebbe supporre che la luce determini prima l’addizione e poi successivamente l'eliminazione d'una molecola d'acqua nel seguente modo, e si arriverebbe così ad una probabile formola di costituzione dell’aldeide da noi ottenuta, che potrebbe, con ri- serva dirsi, identica al mentocitronellale : CHi CH CH gCH OHa, 0Ha CH CH C CH CH CH / AR 05 Zi Hs0 60 H.C C<0H H.C. CHO | +H0= ||] | +H,0 He “CH, H:.C ©CH, H.C CH, IA NY A CH CH CH CH, CH; CH; (1) Vedi Sammler, L c., pag. 613. (*) Liebigs Annalem, 296, pagg. 131 e 132. (*) Liebigs Annalen, vol. 296, pag. 125 — 343 — Per ultimo vogliamo dire che la soluzione idroalcoolica di mentone pre- sentava già dopo breve insolazione (dal 27, XI al 30, I) reazione acida e l'odore particolare indicante un’incipiente idrolisi, mentre la stessa soluzione, conservata all'oscuro per 6 mesi, si mantenne inalterata. Lo stesso risultato negativo ebbesi scaldando la soluzione di mentone in alcool acquoso a 170° per 6 ore. Non possiamo infine chiudere la presente Nota senza aggiungere, che nol abbiamo in corso di studio assai progredito una larga serie di esperienze su varì chetoni ciclici naturali e di laboratorio; ci hanno dato risultati po- sitivi, sebbene assai svariati, i seguenti composti: il cicloesanone ed i tre metilcicloesanoni isomeri, il diidrocarvone ed il carvone stesso, la canfora ed il fencone; incerto ancora è il contegno del pulegone e del tujone. È nostra intenzione poi, e stiamo allestendo le necessarie esperienze, di studiare inoltre l'idrolisi dell’ inosite e di altri composti non chetonici, e di estendere i nostri studi ai chetoni ciclici azotati come ad es. il tropinone ed la triacetonam- mina. Anche le reazioni invertite, che le belle ricerche del Bouveault hanno illustrato, non saranno da noi trascurate. Chimica. — / quattro binitroderivati della ortobibromoben- zina. Nota del Socio G. K6RNER e del dott. CONTARDI. Delle quattro binitrobibromobenzine derivanti dalla nitrazione dell’orto- bibromobenzina, previste dalla teoria, due sole erano fin qui conosciute. Lo Schiff (Monatschefte fir Chemie, 11, 336) aveva infatti trovato che trat- tando con una miscela di acido nitrico e solforico la nitrobibromobenzina C; Hs(Br) Br N(NO.) p. {. 57°,8, si ottiene una miscela di due binitroderi- A ®© vati isomeri, di cui uno in maggior quantità avente la formula di struttura CsH.Br.Br.H.(NO,).(NO:) fondentesi a 115°, l’altro in molto minor copia 6) (A) @ 0) dalla formula Cs. H.Br.Br.(NO:).H.(NO:) fusibile a 71°. Noi abbiamo ORMONI) (1) ripreparate queste binitrobibromobenzine ed entrambe furono ottenute per lenta evaporazione delle rispettive soluzioni nel solfuro di carbonio in cri- stalli nitidi e ben sviluppati. Lo studio cristallografico fu affidato al prof. Ar- tini e noi ne riportiamo alcuni dati principali (Rend. del Regio Ist. Lom- bardo di scienze e lettere, serie II, vol. 38, 1905, pp. 846-849): Binitrobibromobenzina C H.Br.Br.H.NO,.NO,, p. f. 115°. — Si- 6) (4) ONNO | stema trimetrico, classe bipiramidale rombica, a:d:e = 0,7085:1:0,4961, formenossesvates [IS 0rOPEOSE:OT00. 220,02: E 21) [1.1.1] 2.1.1].1 cristalli ottenuti da solfuro di carbonio hanno abito per lo più distintamente bipiramidale per lo sviluppo prevalente di [1.1.1]. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 107 === 6 Tr — = — 844 — Le faccie [2.1.1] sono ordinariamente un po’ curve ed imperfette; sempre poco sviluppate e non di rado affatto mancanti quelle dei prismi [1.0.2] [0.2.1]. Il piano degli assi ottici è parallelo a [1.0.0]. La bisettrice acuta, negativa, normale a [0.0.1]; mediocre la dispersione degli assi ottici con 0 v; p. s. 2,975; p. m. 326,02; V = 137,27. WC, | N yw = 7,2908 ii w = 5,0394 Î Li tf: | Le acque madri, dalle quali erasi separata la binitrobibromobenzina il p. f. 109°, riunite, forniscono per moderata concentrazione nuovi cristalli “N fondenti a 108-109° ed in ultimo lasciano un olio il quale, dopo completa eliminazione del solfuro di carbonio, lasciato a sè, solidifica. Se si estrae ripetutamente questa massa con poco alcool caldo a 60-70° si ottiene come residuo una polverina bianca cristallina (gr. 0,500) che è poco solubile nel- l'alcool e nell’etere, meno ancora nel solfuro di carbonio. Cristallizzata da quest'ultimo solvente si separa in scagliette quasi bianche, splendenti, fusi- bili costantemente a 156°,4. La determinazione quantitativa dell'azoto ha dato: Sostanza impiegata gr. 0,1987 . AzotoRcenglioonari— 2700/50 e Trovato N °/ 8,58 Calcolato per C, Hs Br: (NO:), N°/a 8,58 Per lenta evaporazione di una soluzione del nuovo prodotto in una mi- scela di alcool ed etere si ottengono prismi tozzi o tavole appartenenti al sistema monoclino, classe prismatica (Artini, loc. cit., pag. 848) a:d:c= = 1,7263:1:1,4846. Forme osservate: [1.0.0] [1.1.0] [1.0.1] [1-0.1]. I cristalli ottenuti dal solfuro di carbonio sono piccoli ed imperfetti, l'abito ne è prismatico secondo [1.0.] con forte prevalenza di [1-0.1] su [1.0.1]: talora anche tabulari secondo [1.0.1]. Il piano degli assi ottici è parallelo al piano di simmetria. Sulla faccia [1.1.0], a luce gialla, una direzione di estinzione fa circa 37° con lo spigolo [1.0.0] [1.1.0] nell'angolo piano ia eu — 846 — ottuso fatto da detto spigolo con [1.0.1][1.1.0], p.s. 2551; p. m. 326,02; VIiM27:80 it x = 6,3605 y= 3,6845 w = 5,4700 Le acque madri alcooliche dopo separato il prodotto fusibile a 156°,4 convenientemente concentrato separano ancora un po' di binitrobibromoben- , zina p. f. 109° (gr.10) e da ultimo abbandonano grossi cristalli leggermente giallognoli, fondentisi a 60-70° (gr. 20) che ricristallizzati da solfuro di carbonio si fondono costantemente a 71°. Tali cristalli dalle proprietà chi- miche, fisiche e cristallografiche (Artini, loc. cit., pag. 849) si dimostrarono identici a quelli descritti dallo Schiff e ottenuti per nitrazione della 1.3.4 nitrobibromobenzina, perciò a tale sostanza spetta senz'altro la formula: Cs.H.Br.Br.NO..H.NO,. 6) (4 (8) (1) Se la binitrobibromobenzina fondente a 109° più sopra descritta si scioglie in ammoniaca alcoolica e si riscalda per qualche tempo a 100°, si trasforma completamente nella nitrobibromoanilina fondentesi a 149° da noi descritta ed ottenuta per la prima volta riscaldando la nitrotribromoben- zina C. H:. Br. i: ; Br . NO, p. f. 85°,4 con ammoniaca alcoolica. A questa anilina STRA drostiato spot la formula C,. SIC SET alt Br. Io (!) perciò alla binitrobibromobenzina fondente a 109° Sa si CAO CEE DI: DL NO y RIE Per esclusione alla binitrobibromobenzina fondente a 156° si dovrà quindi assegnare la formula Ce Hx: NOP Roe (1) Rend. -R. Ace. Lincei, 1906, vol, XV, serie V, fasc. 9 e 10, — 847 — Chimica. — // più urgente problema della chimica. A pro- posito di una pubblicazione di Franz Wald. Nota del Socio Rar- FAELE NASINI. Con questo titolo (!) il sig. Franz Wald ha pubblicato una interessante Nota negli Annalen der Naturphilosophie dell'Ostwald, nella quale egli si occupa anche molto gentilmente di quello che io ebbi a dire delle sue idee nella mia Memoria: Sulle leggi fondamentali della stechiometria chimica e sulla teoria atomica (*). Naturalmente il sig. Wald non è d'accordo con me e anche in una sua recente pubblicazione comparsa nella Chemiker Zeitung (*) egli insiste nella deduzione apparentemente aprioristica della legge degli equivalenti. La Nota del sig. Wald, mentre mi costringe a scolparmi di certe eresie contro il senso comune che egli mi ha attribuito e che non mi sono mai sognato di dire nè di pensare, mi dà l'occasione di trattenermi di nuovo sopra un argomento che mi interessa assai e sul quale ormai da molte parti si comincia a discutere. Innanzi tutto quale è questo problema più urgente, del quale la chimica si dovrà occupare prima che degli altri? Ecco le parole del Wald: Mor sé può disconoscere che in avvenire la chimica deve arrivare ad equazioni nelle quali le sostanze che reagiscono ed i prodotti della reazione non steno più singoli determinati individui chimici, ma invece fasi variabili qualitativamente nel modo il più completo. Il problema si presenta vera- mente in forma un po vaga. Qualche cosa di simile ho detto anche io re- centemente in un mio saggio storico-critico sulla Chimica fisica, di prossima pubblicazione, vale a dire ho messo in evidenza l'importanza che ha lo studio di complessi uno sull'altro, sia in sè, sia per la chimica tecnologica e per altre scienze, quali la mineralogia, la geologia, la fisiologia. Nondimeno è lecito sup- porre che questo studio complicato dovrà avere sempre per base la cono- scenza di ciò che avviene tra le singole specie chimiche costituenti le fasi. Ad ogni modo non vi è dubbio che il problema è degno che la chimica (1) Das nichste Problem der Chemie von F. Wald, Ostwald's Annalen der Natur- philosophie, VI Bd. (3) R. Nasini, Ze leggi fondamentali della stechiometria chimica e la teoria ato- mica. IL discorso Faraday del prof. W. Ostwald, Atti della R. Acc. dei Lincei, serie 5° vol. V, 1904; Gazz. chimica italiana, t. XXXVI, I, 540, 1906. (*) Sind die stòchiemetrischen Gesetze vhne Atomhypothese verstindlich? von F. Wald, Chemiker Zeitung, 1906, n. 79. 9, — 8438 — fisica se ne occupi. Questo indirizzo di vedute per parte di un chimico tecno- logo spiega anche perchè le sue idee abbiano molto seguito tra coloro che sì sono dati alle applicazioni della nostra scienza (!). Ritorniamo alle idee del Wald sulle questioni fondamentali. Dirò su- bito come riguardo alla legge delle proporzioni definite siamo tutti d'accordo: è questione di definizione. Per solito si diceva e si dice nei trattati: le specie chimiche hanno composizione costante. L'Ostwald e il Wald preferiscono di dire: le specie chimiche sono sostanze con proprietà fisiche costanti e quindi hanno anche composizione costante. E questo è presso a poco evidente: sia perchè le proprietà fisiche sono, tutto il resto essendo uguale, una funzione della composizione e costituzione chimica, cosicchè due sostanze aventi uguale composizione potranno presentare differenti proprietà fisiche perchè ci man- cano ancora i mezzi per affermare l'identità di costituzione, qualunque cosa per essa si intenda; ma non si dà che per pura accidentalità, e limitatamente pel solito a una o pochissime proprietà e a una sola temperatura, il caso inverso, che cioè due sostanze aventi proprietà fisiche uguali abbiano poi composizione differente. Sia perchè, dicendo che chiamiamo specie chimiche le sostanze con proprietà costanti, non c'è ragione di non includere nelle proprietà anche la composizione chimica. Con questo, secondo il Wald, si toglie molta della sua importanza alla legge delle proporzioni definite, giacchè siamo noi che artificialmente prepariamo e collezioniamo le sostanze formate dai componenti secondo proporzioni detinite. Ma a me sembra che l'impor- tanza non stia nella collezione, ma nel fatto che la collezione si possa fare: ritorno al paragone che feci altra volta, del collezionista dei vitelli a due teste: se egli non colleziona che simili bestie, non è da meravigliare che esse si trovino nella sna collezione, il meraviglioso è che esistano i vitelli a due teste. Così nel caso nostro l'importanza sta nel fatto che proprio ci siano sostanze a composizione fissa, non variabile — data l’esattezza dei metodi di osservazione — nemmeno in quei limiti in cui il Berthollet e più recentemente il Marignac credevano potesse variare. Il sig. Wald parla della difficoltà di definire l'individuo chimico (2), e rimprovera il prof. Arhenius e me di non aver sentito il bisogno di esporre in che cosa un individuo chimico si differenzia da una fase a composizione variabile e se la prende colla teoria atomica. Eppure la teoria molecolare atomica permette proprio di stabilire la distinzione netta: nella specie chi- (3) Vedere la Memoria di F. Riedel, Chemische. Grundbegriffe und Grundgesetze in antiatomitische Darstellung. Zeitschrift fir angewondte Chemie, 1906, 2, 2113. Il Riedel comincia col dire che il chimico tecnico pensa e lavora, sotto vari punti di vista, in modo diverso dal chimico scientifico ed espone poi le idee del Wald e dell’Ostwald, mostran- dosi ad esse favorevoli. (2) Vedere anche la Nota del Wald, Was ist ein chemisches Individuum? Deitschrift fir physik. Chemie 28, pag. 13, anno 1899. — 849 — mica le molecole sono omogenee, nella fase sono eterogenee! Disgraziatamente non è possibile la verifica sperimentale, se non ci aiuta l'ultramicroscopio ! Quanto alla deduzione della legge degli equivalenti la questione mì pare che non abbia fatto un passo. L'Ostwald anche nel suo ultimo stupendo libro, Zezllinien der Chemie (*) insiste nelle sue deduzioni, non nelle pri- mitive, che sarebbero state del tutto aprioristiche, ma che non erano giu- stificate; sibbene nelle altre modificate, che, in sostanza, si riducono a questo: determiniamo gli equivalenti rispetto all'idrogeno o a un altro elemento, operazione puramente numerica e che non porta con sè altro effetto che di riferirsi a una quantità fissa di idrogeno, o dell'altro elemento, invece che di riferirsi a una quantità fissa, a 100, dei diversi composti: l’esperienza dimostra che se sul composto PbS (supponiamo di riferirsi all'equivalente di Pb rispetto ad S) si fa agire O si ha trasformazione di PbS in solfato di piombo per addizione integrale di ossigeno al solfuro di piombo, quindi gli equivalenti del piombo e dello zolfo restano gli stessi anche quando c’è unione coll'os- sigeno: quindi la legge degli equivalenti, ossia la conclusione che i numeri che rappresentano le quantità in peso secondo le quali gli elementi si uni- scono con l di idrogeno (numeri dedotti puramente e semplicemente in base alla legge delle proporzioni definite) rappresentano anche le quantità in peso secondo le quali gli elementi si uniscono fra loro (legge degli equivalenti — esperimentale — indipendente dalla legge delle proporzioni definite). L'Ost- wald dice che è constatazione puramente qualitativa: a me proprio non pare e credo che non parrà a nessuno. È constatazione qualitativa — quando anche fosse esperimentalmente sufficiente — di un fatto assolutamente quan- titativo, che cioè non resta nè piombo, nè zolfo in eccedenza. Quella indi- cata dall'Ostwald è proprio una delle strade — basandosi sopra constata- zioni quantitative, le sole sicure — di giungere agli equivalenti. E non c è dubbio che molte altre strade ci sono quando si invochi il riconoscimento di fatti quantitativi o di fatti qualitativi che sieno la constatazione sicura altri quantitativi. Così determinati gli equivalenti di O, di Cl, Br, J rispetto ad H, dal fatto che con quantità equivalenti di acqua e dei diversi acidi si ha con un metallo lo stesso volume di idrogeno o la stessa perdita in peso del metallo, si può pure dedurre la legge degli equivalenti, come si può per analogia dedurre dalla considerazione dell'equivalenza degli acidi e delle basi ecc. ecc. i La deduzione del Wald sebbene più difficile a seguirsi, causa le non sempre necessarie complicazioni matematiche, è dello stesso ordine di quella dell'’Ostwald e già ne parlai nella mia Memoria (2). Quando egli ammette (1) W. Ostwald, Zeitlinien der Chemie, Leipzig, 1906. (*) Vedere, oltre il mio lavoro, anche le Memorie del Wald, Verdindung und Sub- stitution, Z. physik. Chemie 25, 525, 1898; Die rechnerischen Grundlagen der Valens- theorie, ibidem 26, 76, 1898. — 850 — una soluzione delle sue equazioni, implicitamente ammette che esista una relazione la quale è appunto l’espressione della legge degli equivalenti. Dice il Wald che io mi irrito perchè una delle equazioni si può dedurre dalle altre tre, mentre ciò è proprio una conseguenza della relazione che si cerca di stabilire! Io non mi irrito affatto, anzi! Solo constato: e constato che le quattro equazioni con quattro incognite costituiscono un sistema indeterminato e perchè ammettano una soluzione è necessario che sia verificata una equa- zione di condizione, che proprio esprime l’esistenza degli equivalenti: senza la verifica di quella equazione di condizione — e che si verifichi è un dato di fatto sperimentale — la soluzione simultanea delle quattro equazioni non sarebbe possibile. Un tentativo fatto recentemente da C. Benedicks (!) fondato sulla re- gola delle fasi non mì pare più fortunato, sebbene almeno il Benedicks, oltre a invocare la regola delle fasi come fanno l'Ostwald e il Wald, realmente sopra di essa fondi tutte le sue deduzioni, il che non fanno gli altri. A me pare prima di tutto — e anche il Wald mi sembrerebbe di questa opinione — che non si possano considerare gli elementi costituenti una specie chimica come componenti indipendenti di una fase che sarebbe costituita dalla specie chimica stessa, la quale è caratterizzata dalla fissità dei costituenti; invece i componenti in un sistema di fasi si associano per definizione in proporzioni variabili per dar luogo appunto alle diverse fasi: in realtà le specie chimiche e gli elementi costituiscono, entro i limiti che sì con- siderano, sistemi con un solo componente. Inoltre mi sembra che il Benedicks molto arbitrariamente si foggi il suo sistema di fasi: perchè si possa parlare di equilibrio bisogna che i diversi componenti siano in relazione uno coll’altro, ma se uno non esercita nessun'azione sull'altro, se sono perfettamente indipen- denti, non si può parlare di equilibrio e di fasi: così p. es. non possono costi- tuire sistema di fasi due o più sostanze solide messe l'una accanto all'altra entro l’acqua, ancorchè abbiano un componente comune, ma senza che una sostanza abbia azione sull'altra. Al più potrebbe dirsi che quando le tre so- stanze immaginate dal Benedicks potessero realmente trovarsi in equilibrio nelle condizioni da lui precisate, si verificherebbe la legge degli equivalenti (?). (1) Veber die Deduktion der Stòchiometrischen Gesetze von Carl Benedicks, Zeit- schrift fùr anorganische Chemie Bd. 49, 284, anno 1906. (*) A proposito della Memoria del Benedicks, E. Baur pubblicò un lavoro, Zur Be- grindung der Stichiometrie (Zeitschr. fir anorganische Chemie, L pag. 199. Anno 1905) nel quale cerca di dimostraro in vari modi la necessità della legge degli equivalenti se- guendo i criteri dell’Ostwald e del Wald. La prima dimostrazione sarebbe basata sulle condizioni di coesistenza delle fasi e si giunge alla conclusione che in una combinazione ternaria ABC valgono i pesi di combinazione che soddisfano alle combinazioni binarie AB e AC: la legge della equivalenza non verrebbe così, secondo il Baur, come conse- guenza assolutamente necessaria, ma solo come molto probabile e facendo speciali ipotesi sul modo di fondere delle sostanze, che fondano cioè ilotropicamente. Nell’altra dimo- — 851 — Non sono certo però che nell'ipotesi che la pressione di B debba essere in equilibrio con AB e BC il principio che si vuol dimostrare non venga ad essere già ammesso. Ad ogni modo, prescindendo dalla realizzazione pratica del caso immaginato (Li, H e Cl che danno LiH, HCl e LiCl allo stato di fasi solide o liquide), non vedo come si possa parlare di fasi quando si hanno tre composti a proporzioni non variabili e che non possono dare che fasi gassose ciascuna colla stessa composizione della fase solida ('). Vengo adesso a quello che di me dice il sig. Wald. Egli rimprovera tanto il prof. Arrhenius che me di non aver sempre ben compreso le sue idee e di non aver letto tutto quanto egli ha scritto sull'argomento. E questo potrebbe anche esser vero. Ma è anche vero che egli alla sua volta non ha ben compreso ciò che io esposi nella più volte citata mia Memoria. Infatti il Wald mi attribuisce delle idee veramente curiose e crede che io sia ca- duto in simili spaventevoli errori logici per la mia educazione atomistica, educazione che suggerisce in genere deboli metodi di ragionamento e che comporta una cultura matematica che non va al di là della regola del tre. La chimica atomistica passa sopra agli scrupoli logici, egli dice, e questo dimostrerà a mio danno, a proposito di alcune mie deduzioni sulle leggi fondamentali della stechiometria! Egli mì attribuisce niente di meno che di credere alla possibilità che una combinazione definita possa constare di un numero variabile di atomi, e che anche l’atomo di uno stesso elemento possa variare di peso! E mi insegna che, anche ragionando in base a quella povera teoria atomica, che pur soddisfece alla mente di un Helmbholtz e di un Mendeléeff e appaga quella di un Lord Kelwin, le mie affermazioni o deduzioni mancano di senso comune, perchè tra le altre cose porterebbero con sè la transmutazione degli elementi. To posso assicurare il Wald che non ho mai pensato simili enormità e la teoria atomica non c'entra per nulla. Per me, come per tutti, i pesi ato- mici rappresentano dei pesi che servono ad esprimere nel modo il più adatto la composizione invariabile della specie chimica e agli atomi penso — quando strazione ricorre all’artifizio di immaginare recipienti con pareti semipermeabili e si fonda poi sul principio della reversibilità e dell’impossibilità di ammettere un moto per- petuo di secondo ordine. Non mi ‘sono fatto un idea chiara della prima dimostrazione del Baur, quanto alla seconda mi pare che essa non differisca da quelle dell’Ostwald, cioè si ammette che il passaggio dalla combinazione binaria alla ternaria avvenga per semplice addizione, il che non può essere constatato che esperimentalmente, qualunque sia il modo della constatazione. (:) Il Benedicks a proposito dell’obiezione che io faceva all’Ostwald, che cioè un miscuglio di antipodi ottici potrebbe essere ilotropo in un campo sufficientemente esteso eppure essere un miscuglio e non una specie chimica, dice che ciò non ha importanza perchè le leggi stechiometriche nulla hanno a che fare coll’attività ottica. La mia obbie- zione non riguardava le leggi stechiometriche, sibbene la definizione di specie chimica e quindi credo che conservi tutto il suo valore. ReNDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 108 — 852 — faccio della chimica — meno che posso e non mi sono mai accorto che essi abbiano deviato nessuno dal retto ragionare; al più — nel secolo passato — la preoccupazione atomica avrà fatto perdere ai chimici un po' di tempo. Il brano della mia Memoria che probabilmente ha indotto in errore il sig. Wald è il seguente (') che riporto nell'originale e poi tradotto in tedesco. Dopo aver citato le parole del Cannizzaro che disse non esser vero che le leggi fondamentali si possono dedurre dalla teoria atomica, ma da essa vengono spiegate, così mi esprimeva: « Ed infatti: ammessa quanto si vuole la costituzione atomica della materia, attribuendo pesi differenti agli atomi degli elementi differenti, in nessun modo ne consegue la legge delle proporzioni definite; inoltre in ri- guardo anche alla verificazione sperimentale di essa legge, supposto pure che le combinazioni avvengano in modo definito, il che può spiegarsi am- mettendo che lo stesso numero di atomi di un elemento sì unisca sempre collo stesso numero di quelli di un altro, se questi numeri fossero molto complicati non sarebbe stata possibile la deduzione a priori delle leggi delle proporzioni multiple e degli equivalenti; od almeno esse si sarebbero sot- tratte del tutto alla verifica sperimentale. Si possono portare facili esempî: « Supponiamo di avere due ossidi di azoto e che siano i soliti i pesi atomici dei due elementi, azoto ed ossigeno: sia un ossido N00 007, Valtro Ni05047: si avrebbe pel primo per N=14,0= 36.82; pel secondo per N=14,0=87,63, quindi nessun accenno alla legge delle proporzioni mul- tiple, pur potendo sussistere l'ipotesi atomica e la legge delle proporzioni definite ». « Ecco la traduzione tedesca: « Und tathsàchlich wenn wir auch die atomische Zusammensetzung des Stoffes annehmen und den Atomen der verschiedenen Elemente, verschiedene Gewichte zuschreiben, in absolut keiner Weise kònnen das Gesetz der con- stanten Proportionen ableiten; ausserdem in Bez. auf der experimentellen Prifung desselben Gesetzes, wird auch augenommen dass die Verbindungen nach bestimmten Verhàltnissen stattfinden, und das kann unter der Annahme dass dieselbe Zahl der Atome eines Elementes stets mit derselben Zahl der Atome eines anderen Elementes sich verbindet, erklirt werden, so weun diese Zahlen sehr complizirt wàren, wire es niemals moglich gewesen die Gesetze der multiplen Proportionen und der Aequivalente a prior abzuleiten: we- nigstens wire es nicht mòglich gewesen die Gesetze experimentell zu priifen. « Es ist leicht Beispiele anzufihren: « Nehmen wir zwei Stickstoffsoxyde an, und schreiben wir den Elementen Stickstoff und Sauerstoff die gewòlnlichen Atomgewichte zu; nehmen wir (1) Gazzetta chimica, loc. cit., pag. 543; pag. 5 delia Memoria negli Atti deil’Àcc. dei Lincei. SR — zwei Oxyde N00 020; und No: 04; an: es ware fiir den ersten, wenn N=14, O=36.32, fùr den zweiten, wenn N=14,0=37.63 d. h. die Atomhy- pothese und das Gesetz der constanten Proportionen kònnten bestehen ohne irgendeine Andeutung des Gesetzes der multiplen Proportionen; dasselbe gilt fiir das Gesetz der Aequivalenten ». Spero con questo di essermi discolpato dalle accuse del sig. Wald. Debbo poi dichiarare che se non posso andar d'accordo in tutto colle idee del Wald, credo però che molte di esse meritino la maggiore considerazione, così ad esempio il richiamare l’attenzione dei chimici, come egli fa, allo studio dei composti a proporzioni indefinite. Anche non vi ha dubbio che la regola delle fasi se non ci permette — e forse non ci permetterà mai — di dedurre 4 priori le leggi fondamentali della chimica, è però di grandis- simo aiuto nella deduzione del concetto di specie chimica e nella derivazione di essa dal miscuglio omogeneo. Geologia. — L'isola di Capri. Nota del Corrispondente GrusEPPE De Lorenzo. La penisola italiana per la ricchezza e la complessa struttura delle sue forme geologiche è stata sempre il campo aperto, in cui sì sono cimentati i sostenitori delle diverse ipotesi sull'origine dei vulcani, dei terremoti e delle montagne, rapidamente sorte ed anche rapidamente tramontate durante quel poco più d'un secolo di vita, da cui la geologia esiste come una scienza sperimentale. S' erano da poco quetati i clamori tra nettunisti e plutonisti, quando sorsero i proclamatori dell'ipotesi dei crateri di sollevamento, i cui princi- pali rappresentanti, come von Buch ed Abich, credettero appunto di trovare in Italia, e specialmente nei Campi Flegrei, nel Vulture e nell’ Etna le prove più evidenti della loro teoria; finchè venne Lyell, che con occhi limpidi e mente sana scorse e dimostrò la vanità dei loro castelli aerei, privi d'ogni base so- stanziale. Svanita l'ipotesi dei crateri di sollevamento, ecco che, suscitati dall'ammaliatrice parola di Eduard Suess, vennero di moda gli sprofonda- menti tirreni, le grandi linee di fratture sismiche-tettoniche, accettate anche ora con soverchio entusiasmo dal Hobbs, la stabilità della terraferma e le ripetute oscillazioni della supeficie del mare, che trovarono naturalmente e subito applicazione nel golfo di Napoli, con l’annessa nuova ipotesi di Suess sull'origine dei Campi Flegrei, di cui a suo tempo cercai di dimostrare la fallacia. Appena cominciavano a sopirsi i rumori destati dalle nuove teorie, quando queste sono state del tutto obliate, per lasciare il posto libero alle teorie nuovissime sul trasporto o charriage dei iembi calcarei mesozoici delle — 854 — nostre montagne, provenienti da siti ignoti e scivolati sulla base del nostro Flysch eocenico. Qui non si tratta più d'un corrugamento per scivolamento di tutta una catena montuosa, come era stato immaginato ed esperimen- tato da Reyer e come anch'io avevo creduto di poter applicare a tutto l'Ap- pennino, formatosi per tal modo appunto alla fine dell'Eocene, in guisa che il Flysch eocenico e le sottostanti masse mesozoiche si fossero come un sol tutto corrugate e spezzate, scivolando sopra una ignota base profonda. Se- condo le novissime applicazioni invece della nuova teoria, sono solamente le nostre masse calcaree mesozoiche, provenienti da lontani lidi o da profon- dità sottomarine, che si sono avvoltolate scivolando sul fango del nostro Flysch eocenico. I primi ad applicare alle nostre regioni tali teorie sono stati M. Lugeon ed E. Argand nei Comptes Rendus dell'aprile-maggio 1906, in cui con esu- berante fantasia hanno descritto i grandi fenomeni di charriage e la nappe de recouvrement della Sicilia e della Calabria. L'amico e collega G. Di Ste- fano nella sua nota su / prezesi grandi fenomeni di carreggiamento in Sicilia, pubblicata in questi Rendiconti nel mese di marzo, ha chiaramente mostrato come sia erroneo, falso, fantastico l’edificio tettonico immaginato dai due suddetti geologi. Ed ora ecco che G. Rovereto in una nota preliminare su Z’isola di Capri (Atti della Soc. ligustica di Sc. Naturali, vol. XVIII, 1907) cerca anch'egli di applicare all'isola delle sirene l'ipotesi che ha fatto così cattiva prova in Sicilia. Nella Sicilia, dove mi trovo, non ho tutti i materiali ed î mezzi per pubblicare ora subito un lavoro su Capri, già da tempo iniziato insieme con G. Di Stefano. Ma, rimettendo ciò al futuro, mi affretto per ora ad esporre qualche argomento ed a citare a memoria qualche fatto, che possa servire a dimostrare la fallacia della nuova costruzione tettonica di Rovereto. Anzitutto, per la psicologia dei caso, è necessario notare, che Rovereto stette parecchio tempo insieme con me dopo la sua gita a Capri, ed insieme parlammo della geologia dell'isola, sulla quale egli ancora non aveva il più piccolo barlume della nuova ipotesi, che poi ha manifestato. Ed infatti, solo dopo che egli fu giunto a Genova, come egli stesso scrisse al dott. Gal- dieri, consultando le note del suo taccuino, s'accorse, che Capri costituisce, com'egli dice, un /ambeau de recouvrement. Un'ipotesi formatasi dunque così, non sul luogo e per diretta visione, ma a distanza e per riflessione su note da taccuino, ha già un difetto di nascita. Il quale difetto si scorge subito nella fretta con cui si chiamano « cal- cari bruni saccaroidi » le dolomiti della base del M. Solaro, analoghe a quelle che si trovano in altri punti del Cretaceo dell'Italia meridionale. e nella precipitazione, con cui da « un resto fossile che dubita possa essere una Rhynchonella » egli si accinge a riferire al neocomiano i calcari sopra- — 855 — stanti a Torre di Guardia, indubbiamente associati a banchi di nerinee e di ippuriti turoniane, senza neanche fermarsi a pensare, che £Aynchonellae ne esistono in tutti i piani del Cretaceo. Ma quel che per ora più m'importa è la parte tettonica del lavoro di Rovereto, la quale travolge, o tenta di travolgere, la concezione più conforme a natura, che finora s'aveva della costituzione di quell’isola. La quale ha avuto la disgrazia fondamentale di essere stata per la prima volta geologica- ‘mente descritta dal Oppenheim, che, avendo scarso sguardo e criterio geolo- gico, ha finito col fare della stratigrafia e della tettonica dell’isola tale una matassa imbrogliata, da cui essa forse non si potrà mai più districare: nè le esatte ricerche di Karsten sono valse, a quanto pare, a rimettere gli stu- diosi sulla buona via. Eppure, se la stratigrafia e la paleontologia di Capri presentano qualche difficoltà. dovuta forse all'immissione di rimaneggiati fossili titonici in cal- cari sicuramente cretacei, viceversa la tettonica risulta perfettamente eguale a quella della limitrofa penisola di Sorrento ed analoga a quella di tutte le masse calcaree mesozoiche dell’Italia meridionale: come ho cercato anche recente- mente di mostrare nella History of volcanic action in the Phlegracan Fields (Qnart. Journ. Geol. Soc., vol. LX, 1904). Tali masse calcaree sono appena curvate in grandi anticlinali e sincli- nali, le quali dalla pressione orogenica post-eocenica furono poi spezzate e dislocate in numerosi frammenti, che sono scivolati gli uni contro gii altri, in modo che il Flysch eocenico, soprastante sempre ai calcari, è stato poi dalla susseguente erosione portato via dalle parti più alte, conservandosi nelle parti abbassate, dove viene a battere contro le facce di scivolamento delle masse calcaree più sollevate. Così nell'isola di Capri una serie di fratture con rigetti, dirette da sud-ovest a nord-est, ed un'altra serie, diretta da nord-ovest a sud-est, limi- tano le due grandi masse calcaree della parte orientale ed occidentale del- l'isola, le quali a loro volta sono frammentate in altri blocchi minori, come il Salto di Tiberio, il S. Michele, il Castiglione, il Telegrafo, i Faraglioni, ete., che però tutti conservano uniformemente la generale inclinazione degli strati verso nord-ovest, al pari delle masse fratturate della penisola di Sorrento, con cui sono geneticamente congiunti. I lembi di Flysch eocenico risparmiati dall'erosione si trovano nei punti più bassi delle dislocazioni, come presso i Bagni di Tiberio, ed urtano contro le facce di scivolamento delle zolle elevate, come sotto il monte San Michele e sotto il Salto di Tiberio. Così che, guardando l'isola da nord-est, come l’ha rappresentata Rove- reto nella sua tavola, si vedrebbero tre masse calcaree principali, il Tiberio, il S. Michele ed il Solaro, divise l’una dall’altra mediante fratture con spostamenti a gradinata, e contro le facce di scivolamento si vedrebbero battere i lembi di Flysch eocenico, appoggiati sulle zolle più depresse, come eli | 56 — è indicato dalla qui annessa figura 1 e com'è reso più evidente dalla som- maria sezione schematica della fig. 2, che riproduce un tipo di dislocazione comune nelle montagne dell'Appennino centrale e meridionale. Ed è infatti questo tipo elementare di dislocazione, che si ha ragione di trovare nel nostro Appennino, in cui le rocce mesozoiche non hanno su- bito gli intensi corrugamenti dei terreni paleozoici e mesozoici della zona al- pina. Ed è già gran che, se nelle montagne triasiche della Basilicata, le Tiberio Solaro S. Michele Breil. C. Calcari cretacei inclinati a nord-ovest. — /. Lembi di F]lysch eocenico scivolati lungo le facce di scorrimento. più antiche di questa parte dell'Appennino, si trovino delle pieghe un poco più complicate, le quali però anch'esse solo di rado hanno fratture con s0- praspinte o sottospinte e solo in qualche singolo punto si rovesciano sull'Eocene. Hi. 2. C. Calcari cretacei. — . Flysch eocenico. È singolare quindi, che sia venuto a scoprire tali pretesi grandi fenomeni di scivolamento nell'Appennino meridionale proprio Rovereto, che nel suo hello studio sulla Geomorfologia del gruppo del Gran Paradiso (Boll. C. A. L, 1906) non ha esitato a ritenere come « fantastiche tutte queste concezioni di sovrapponimento »; le quali però, caso mai, sarebbero più a posto nelle Alpi che nell'umile Appennino. Rovereto alla fine della sua nota su Capri serive:. « Esposte in modo sommario queste mie principali osservazioni, non credo per ora utile fare della poesia tettonica, e dare una sintesi che oltrepassi i confini dell’ isola: bisogna prima ristudiare la penisola sorrentina, e poi chiedersi dove siano le radici della massa cretaceo-eocenica di Capri: se a nord o a sud dell'isola, se im- mediatamente ai piedi delle sue falesie, oppure lungi da esse; nel cuore del golfo di Napoli e nell'Appennino retrostante, o nelle profondità del Medi- — 857 — terraneo » Ora, con buona pace di iui, questa mi pare proprio poesia tetto- nica. L'isola di Capri fa tettonicamente parte della penisola di Sorrento, da cui è separata mediante una zolla di depressione corrispondente alla Bocca Piccola. Se il mare fosse di duecento metri più alto dell’attuale, avremmo un'isola del Solaro, separata da un gruppo d'isole del Tiberio, come oggi Capri è separata dal promontorio di Minerva: e non perciò noi andremmo a vicer- care le radici del Solaro nelle profondità lontane del Mediterraneo. E, se il mare fosse di cento metri più basso dell’attuale, avremmo ana sola penisola, da Sorrento fino alla punta di Damecuta e della Carena a Capri, con zolle abbassate, come quelle di Sorrento, di Massa, della Bocca Piccola e dei Bagni di Tiberio, ripiene di Flysch eocenico. Anche oggi, guardando da Napoli, si vede come le linee e le forme dell'estremità della penisola di Sorrento corrispondono quasi punto per punto a quelle dell'isola di Capri, e specialmente il profilo dei Monti di Sant'Agata e di San Costanzo pare quasi un calco, non ancora molto eroso, del profilo del Solaro. Innanzi a quell'evidente eguaglianza di forme, dovuta alla reale eguaglianza tettonica, su cui la denudazione ha dovuto produrre i medesimi effetti morfologici, viene quasi voglia di ripetere: Have you eyes? Geologia. — Cenni geologici sul Djebel Azie in Tunisia. Nota del Socio CARLO DE STEFANI. Il Djebel Aziz è un piccolo monticello della Tunisia, situato a 36 Km. da Tunisi, sulla sinistra dell’ Oued Miliane, e rimpetto alla Montagna di Zaghuan, che sta sulla destra, una delle più alte’ e più note della Tunisia. I geologi francesi hanno illustrato queste regioni con splendidi lavori: ma per qualche fatto nuovo che vi osservai descriverò brevemente il Djebel Aziz. Il monticello, alto m. 352, si eleva dolcemente sopra la regione quasi pianeggiante del bacino dell’Oued Miliane alta ivi intorno poco più di 200 m. Come la massima parte degli altri monti di Tunisia doveva costi- tuire in origine una ellissoide o domo abbastanza regolare, con lievi pen- denze di strati; ma oggi non ne rimane che il lato settentrionale, verosi- milmente per effetto di lentissimi denudamenti avvenuti durante un non breve periodo continentale, circostanze pur queste assai comuni nelle elevazioni della regione. Per conseguenza le rocce sì succedono regolarmente sovrapposte, dalle più antiche alle più recenti, man mano che si procede da Sud verso Nord. La direzione degli strati è da S.-O. a N.-E., con lievissime deviazioni verso Nord, con un massimo di O. 31 S. nell'estremo meridionale del colle, — 858 — e di O. 27 S. a est sulla cima più settentrionale. La pendenza è a Nord di 25° a 33°; con scontorcimenti assai parziali e qualche grado d' inclinazione maggiore nei contatti fra schisti e calcari. 1. Calcari giuresi compatti. — La roccia più antica, che forma la parte meridionale, è un calcare compattissimo ceruleo scuro o nero, ovvero chiaro e ceroide; di rado alquanto magnesiaco con venette di dolomite la quale so- stituisce precipuamente il guscio delle conchiglie. Tutta la roccia è costituita da minutissimi frantumi organici (foraminifere, molluschi, nulliporidae, forse radiolarie) ravvolti da pigmento nero che per la sua grande abbondanza dà il colore alla roccia. Sono qua e là noccioletti e lenti di selce nerissima. Da alcuni geologi francesi pare che questi strati siano stati attribuiti al Lias; ma non vi appartengono certamente. Negli strati meno alti, p. e. alle cave della Fosforite, vedonsi, quantunque in frammenti, Nerineae, Plygmatis, Itieriae ed altre univalvi, con sezioni di Brachiopodi, con qualche Crinoide, con frammenti di Psexdochaetetes, con radioli d'Echino: non vidi Pentacrini nè Au/acoceras. Non vi ha dubbio si tratti di Giura superiore. Negli strati più alti, senza cambiamento di carat- tere litologico, oltre qualche Belemniles cfr. hastatus BI. silicizzato, appa- iono in grande abbondanza sezioni di corpi irregolarmente ellissoidali, isolati l'un dall'altro, a ripetuti straterelli concentrici, disposti sovente attorno a conchiglie, a crinoidi o ad altri frammenti organici. Essi campeggiano in color bianco candido e con leggero rilievo sulla roccia nera, ma bene spesso sì riterrebbe non penetrassero nella roccia ove non si esaminasse questa in sezioni microscopiche. L'aspetto di tali corpi sarebbe quello delle così dette Evinospongiae o /iesenoolithen che si trovano spesso nei calcari triassici e liassici e che forse sono Idrozoi. L'esame microscopico, per quanto gli esemplari sieno mal conservati, palesa regolarità di struttura. Appaiono lamine irregolarmente concentriche, con spazi interlaminari assai più sottili, senza pilastri radiali e con canaletti radiali microscopici, il tutto empito dal pigmento nero pro- prio della roccia, mentre il tessuto scheletrico è costituito da calcite chiara. Ho veduto identici fossili, insieme a Nerzneae, nei calcari del Djebel Oust. I detti caratteri fanno credere trattarsi di Idrozoi vicini alle Stromactiniae distinte dal Vinassa nel Trias dei Bakony in Ungheria. Delle Zlipsactinzae furono già descritte in Tunisia di Zaghouan e del Rezass o Djebel Ersass, ma desse hanno appariscenti e numerosi pilastri radiali e sarcorhizi. Le Ellipsactiniae appartengono al Titoniano o Portlandiano; ma il calcare a Idrozoi e Nerzneae del Djebel Aziz probabilmente è più antico e scende forse al Calloviano insieme a parte dei calcari compatti scuri di Zaghouan, del Rezass, del Bu Kurnin che sono tuttora attribuiti al Lias. Infatti essi calcari sono coperti sempre dall'Oxfordiano o dallo stesso Titoniano ammo- — 859 — nitifero. In tal caso al Djebel Aziz l’Oxfordiano ed il Titoniano inferiore sarebbero rappresentati dalla serie successiva dei calcari marnosi e degli schisti che or ora esamineremo e che stanno fra il calcare compatto ed il piano Berriasiano. Dal punto di vista litologico osserverò che i calcari scuri giuresi a Me- rineae della Croazia littorale da Fiume a Novi sono litologicamente assai vicini a questi. Alla Cava Romana più vicina alle case, oltre a microscopici piritoedri di Limonite pseudomorfa della Pirite, trovai nel calcare minutissimi cristalli allungati, isolati, lunghi 2 a 5, larghi 0,1 a 0,2 mm., limpidi, trasparenti, di color bianco sporco che mi convinsi essere di Quarzo. Infatti sono prismi esagoni sempre assai allungati, bipiramidati, semplici, con esterni segni di geminazione assai rari, esteriormente spesso alquanto scabri e cariati, con le faccie del prisma appena striate senza traccia di piani di sfaldatura, di du- rezza tale da rigare il vetro, inattaccabili agli acidi. Indici di refrazione e birefrangenza sono quelli del Quarzo. Sono pieni di inclusioni gasose, talora abbastanza grandi, in cavità globulari, cilindriche od apparentemente esa- gone con spigoli smussati, con un pulviscolo nero di materia carboniosa, di- stribuite nel centro dei prismi in serie isolate successive, e talora anche peri- feriche. Sonvi pure inclusi qua e là minutissimi stracci irregolari di Limonite. La saldezza e la estensione dei banchi, la grana finissima, la compat- tezza della roccia, la rendono molto atta ad usi ornamentali, attitudine av- valorata dalla stessa colorazione, sempre scura, ma variata. Il marmo di maggior valore è quello di color nero o ceruleo molto cupo, uniforme, para- gonabile al nero del Belgio. I Romani e forse i Fenici si approfittarono larghissimamente di quel calcare per uso edilizio scavandolo, a forza di scalpello, in massi squadrati per lo più larghi circa un metro ed alti circa 50 cm. col sistema che essi Romani avevano preso dai Greci e forse dal più lontano Oriente e che nello stesso modo vidi praticato nelle Latomie di Siracusa. Il materiale del Djebel Aziz vedesi ovunque adoperato nelle fitte rovine di città e paesi ro- mani che occupano i dintorni. Le tracce degli scavi sono ancora evidentis- sime in tutto il monte e ciò si comprende riflettendo che dopo la rovina dell'Impero romano quei paesi erano stati abbandonati: niun altro vi aveva lavorato, e le cave, fino a questi ultimi tempi erano state in molta parte coperte di terra e di frane. Sei grandi cave vi avevano aperte i Romani, vale a dire due nel lato occidentale, quattro in quello orientale, poco sopra le case attuali e poco più di 10 m. l'una sopra l’altra, delle quali la più alta, poco fa riattivata, è la più grande. Non posso a meno di notare che il così detto Zapzs niger del Foro Romano, scavato a massi delle dimensioni sopra dette, presenta molte ana- logie con questo marmo di Tunisi. Rexnpiconti 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 109 — 860 — Quasi presso la vetta del monte nel lato orientale, circa 10 m. ad 0. della Cava grande più alta, con lo stesso sistema fu aperta dai Romani nel vivo sasso un’ampia cisterna per uso dei lavoranti e dell'altra gente del luogo. Ai tempi nostri i signori Florio, con un impianto veramente grandioso, col sistema del filo elicoidale, hanno riaperto alcune di quelle cave, cioè le due più vicine alle case e fra esse la Cava grande che è la superiore, oltre una quarta cava nuova sotto quelle romane presso la casa, la più bassa di tutte. Alcune antiche fessure nel calcare, parallele o quasi agli strati, sono empite da vene di Calcite bianchissima o cerulea, piena di cubetti microsco- pici di Pirite alterata in Limonite. Qua e là trovansi filoncelli a ganga di Calcite con Dolomite, con tracce di Pirite, Tetraedrite e Calcopirite, con veli di Malachite e Azzurrite e con vene di Ocra rossa e di Limonite pseudomorfa. Altri sistemi di fessure che traversano le precedenti, e sono perciò più moderni, probabilmente recentissimi e prodotti a non grandi distanze dalla superficie, sono diretti da S.-E. a N.-0. normalmente alla direzione degli strati, quasi verticali. con leggera pendenza ad E., di rado ad O. Tali fes- sure sono spesso parallele ma talora pure si anostomizzano e s' incrociano con altre, e non sono sempre continue, ma saltuarie ed intercalate fra loro. Esse sono riempite da Breccia calcarea, da Terra rossa, o da filoncelli di Fosforite. La Fosforite è concrezionata ; con rivestimenti concentrici alti circa 1 mm. o frazioni di mm.; in alcune piccole geodi è mammillonare; fibroso raggiata; coi microscopici cristalli radiati normali alle pareti della concrezione e or- dinariamente anche a quelle della vena; talora di lucentezza resinosa nella frattura; bianca, ovvero arrossata o ingiallita per l'idrossido di ferro. Negli strati più superficiali è in frantumi, o terrosa per mescolanza a concrezioni e brecciame calcareo, a terra rossa, a frammenti di conchiglie di specie viventi ed a minute ossa di piccoli vertebrati (Roditori, Rettili ecc.). Alle volte, nelle zone più alte, il Fosfato è situato in mezzo ad una borsa o cavità di calcare, cinto da terra rossa e da concrezioni o brecciame cal- careo e conchigliaceo; ma probabilmente ciò deriva da che le acque super- ficiali fornite di acido carbonico o di altri acidi d'origine organica incontrati nel suolo superficiale, penetrando nelle fessure tra Fosfato e Calcare, hanno corroso ed amplificato le cavità a scapito di questo più che di quello, cavità poi man mano riempite da materiali avventizi superficiali. Presso le pareti delle vene la Fosforite è talora intimamente mescolata al calcare compatto che forma il muro, od alla Calcite depositatasi alla periferia. Il suo tenore in acido fosforico su materia normale secca, secondo ana- lisi del Laboratorio Maret, Delattre e Maris in Parigi è altissimo. Esso va da 26,35 p. 100, pari a 57,53 di Fosfato di Calcio tribasico, a 36,40, pari — S61 — a 79,45 di Fosfato. Secondo le dette analisi contiene 0,85 a 1 p.100 di Ossido di ferro e 0,04 a 0,35 di Allumina. Ho fatto analizzare due delle varietà più terrose ed apparentemente più scadenti, ed in una il prof. Trabucco ha trovato p. 100 Anidride fosforica 9,343, equivalente a 20,38 p. 100 di Fosfato tribasico, con Carbonato cal- cico e traccie di Allumina, Ferro, Silicio e Bario. In un'altra il dott. Grassini, che pubblicamente ringrazio, trovò Ani- dride fosforica 16,56 equivalente a 41,62 di Fosfato tribasico, oltre a Car- bonato calcico e traccie di Allumina e Ferro. Secondo un’analisi del prof. Pons, queste Fosforiti non contengono Fluoro ma Cloro; sono perciò Clorofosforiti. Oltre la Calcite non ho trovato insieme altri minerali. Le vene sono sovente a poca distanza fra loro ed hanno dimensione media di 1 a 2 cm., passando a 20 cm. e di rado a 60 e più, formando spesso dei rigonfiamenti alternati con strozzature, e delle borse ben serrate nei calcari, in mezzo ai quali esse si assottigliano inferiormente e qualche volta terminano a cuneo. L'andamento dei filoni è tale da persuadere che il Fosfato si è formato per via idrica e per riempimento dall'alto in basso piuttosto che per inie- zione dal basso all'alto, ed è palese inoltre che l'origine di tale giacimento è geologicamente assai recente. L'origine prettamente idrica è provata anche dalle concrezioni calcaree e dagli altri elementi avventizi che accompagnano il minerale. È noto che acque contenenti Cloruro sodico, come le acque di pioggie in regioni non lontane dal mare, o pur piccole quantità di Acido carbonico, possono disciogliere il Fosfato calcico. Probabilmente, in epoca geologica re- cente, la copertura delle rocce Koceniche fosfatifere si estendeva ancora sopra il Djebel Aziz o nelle immediate adiacenze. Da queste rocce, che oggi la denudazione ha fatto completamente sparire, le acque toglievano il fosfato tanto più facilmente che questo è della serie dei fosfati più solubili che non l’Apatite e la Fosforite. Giunte le acque a contatto coi calcari, il Fosfato era di nuovo precipitato con forma minerale, per diminuito potere solvente dell'acqua, conseguente a perdita dell'acido carbonico o ad assimilazione di questo da parte del calcare, con scambio di basi tra fosfato e carbonato. Acido fosforico si trova in traccie appena apprezzabili nel calcare cir- costante: nemmeno nella terra rossa e nel brecciame superficiale si trovano ossa fossili in quantità da produrre fosfati, per la qual cosa la Fosforite non deriva certo da dissoluzioni di calcari o di ossa locali. Filoni simili di Fosforite concrezionata si trovano, dicesi, non lontani, nei consimili calcari del Djebel Rezass e di Zaghouan. Ad ogni modo il Fosfato del Djebel Aziz, pel suo giacimento e pe’ suoi caratteri, non so- miglia affatto alle rocce fosfate sedimentarie d'Algeria e di Tunisia, che ap- — 862 — partengono all'Eocene ed alla Creta. Somiglia invece alle Fosforiti del Nassau, dell'Estremadura e di Caceres in Ispagna, e sopra tutto, perfino in partico- lari secondarî. a quelle del S.-O. della Francia, conosciute come Fosfati di Bordeaux. Queste ultime pure si trovano entro tasche e vene secondanti fes- sure nei calcari del Giura superiore ed hanno un cappello formato da terra rossa con ossa d'animali e conchiglie terrestri. Daubrée, Rey Lescure, Ley- merie ne attribuiscono l’origine a sorgenti acidule, e Filhol le ritiene origi- nate dall'alto in basso, precisamente come ho ritenuto io pel Djebel Aziz. Per la ricerca di queste Fosforiti furono aperte quattro gallerie nel- l'estremità meridionale del Djebel Aziz e di queste le più meridionali aperte sur un fronte di circa 15 m. si presentano assai fruttifere. 2. Marne e schisti giuresi superiori. — Le zone sovrastanti, costituenti la parte settentrionale del Monte sono molto diverse e sono costituite da al- ternanza di calcari, marne e scisti sempre più o meno ferruginosi. Inferiormente è qualche strato di un calcare abbastanza compatto, ta- lora sereziato, marnoso, siliceo, cenerognolo o grigio chiaro, a volte in glebe, sovente a strati sottili, che potrebbe servire per cemento e si connette con calcari arenacei, giallastri, rosso-scuri, cenerognoli, o grigio-scuri con dendriti di Manganite, talvolta molto screpolati. Esso calcare alterna con marne grigio-chiare, scure, rossastre o verdognole, a volte molto argillose e piene di cubetti di Pirite limonitizzata. Nel calcare compatto ho trovato articoli di crinoidi ed un Belemnites cfr. hastatus Blainv.; negli strati calcarei più schistosi trovai due specie di Chondrites. Presso al contatto col calcare scuro più antico sono, lungo i piani di stratificazione degli schisti e delle marne, vene e filoncelli cupriferi nei quali furono già fatte delle ricerche. Il minerale è per lo più Carbonato di rame, tanto Malachite, quanto Azzurrite. Esso occupa in microscopici cristalli piccole geodi, ovvero, insieme con Limonite epigenica di Pirite, forma sottilissimi veli interrotti, alti 1 mm. o frazioni di mm., fra uno straterello e l’altro, negli schisti più sot- tili, dove sono più screpolati e più permeabiti, per altezza di pochi cm. Vi sì trova insieme qualche raro cristallo di gesso. Il detto Carbonato, con le stesse circostanze fa parte pure di piccoli filoncelli per lo più normali, ov- vero fortemente inclinati sugli strati dello schisto. Fra questi filoncelli ve ne sono di Calcite e Siderose, larghi m. 0,05, nel cui mezzo sta della Pirite alterata in Limonite; di Calcite talora fibrosa con le fibre normali alle pa- reti, e di Quarzo con inclusioni di Pirite di ferro il più spesso limonitizzata, di Calcopirite, di Tetraedrite, e più raramente di Blenda. Galena non ne vidi mai. La Pirite. quasi sempre alterata, trovasi pure diffusa in piccoli cubi isolati negli schisti. i Un certo metamorfismo si vede essere stato prodotto negli schisti ori- ginariamente marnosi, perchè questi sono silicizzati e resi quarzosi, privan- dosi della maggior parte del Carbonato calcico che li costituiva. — 863 — Superiormente predominano marne assai scistose e fossili; per lo più internamente grigie, superficialmente giallastre per idrossidazione del ferro che contengono al solito in quantità sotto forma di Limonite pseudomorfa della Pirite. Nel versante occidentale del colle vi trovai Crinoidi e rare Ammoniti limonitizzate, mal conservate, fra le quali un Zytoceras cfr. quadrisulcatum. Nella parte massima del colle settentrionale tornano ad abbondare in mezzo alle marne giallastre strati di calcare molto ferruginoso, giallo-lionato, screpolato. Nel calcare e nella marna più calcarea abbondano Ammoniti, Be- lemniti, ed altri corpi limonitizzati, però quasi sempre compressi, o rotti, e sempre incompleti e mal conservati. Se ne trovano in quantità, isolati sul suolo, per la esportazione del calcare che li racchiudeva, sulla cresta del colle. In alcuni frammenti meno mal conservati ho distinto i seguenti generi ravvicinandoli ad alcune specie quasi tutte notate già altrove nel Giura della Tunisia. Lytoceras cfr. quadrisulcatum D'Orb. Phylloceras cfr. polyolcum Ben. P. cfr. serum Opp. Perisphinetes cîr. lacertosus Fontannes. Hoplites cfr. Callisto D'Orb. Meglio conservato delle altre specie, a lobi ben riconoscibili. Non vi ho trovato analogie con specie cretacee già note. Le prime specie sono proprie del Giura superiore; il genere cui l' ul- tima specie appartiene comincia a trovarsi solo nella parte più alta dello stesso Giura nel Berriasiano che taluni conservano nel Giura, ma altri già attribuiscono alla Creta inferiore, ed a quel piano appunto attribuisco cotali terreni più alti del Djebel Aziz. Il Berriasiano trovasi rappresentato dalle medesime rocce e da alquanto meglio conservati Cefalopodi piritizzati, in varie altre parti di Tunisia. al Djebel Ruass, al Djebel Ust, al Bu Kurnin ed altrove. Per conseguenza tutti gli strati del Djebel Aziz appartengono al Giura superiore, cioè i calcari scuri marmorei al Calloviano o Bathoniano, o forse a piano alquanto più recente, gli strati marnosi, arenacei e schistosi al Ber- riasiano. Non lungi dalla cima del colle più settentrionale le solite fessure sono occupate da filoncelli di Pirite, di Limonite epigenica, e di Oligisto che preferibilmente occupa le pareti ma si trova pur qua e là a zone. In un filoncello maggiore largo circa 15 cm. fu fatto un taglio superficiale. Ri- tengo che, come altrove, la Limonite formi il cappello e che a profondità non grande i filoncelli sieno interamente costituiti da Pirite. 3. Crosta calcarea. — Abbondantissime e minute frane ricoprono ogni intorno il colle e, come in tutta la Tunisia, nascondono ordinariamente il = 804 — contatto di esso col piano. I frammenti sono tutti calcarei, angolosi, e di piccole dimensioni, ravvolti in argilla rossastra e cementati dal carbonato calcico, spesso accompagnati o racchiusi da un vero e proprio travertino gial- liecio di origine prettamente subaerea, formazione tanto estesa in Tunisia. Contiene solo conchiglie terrestri, e tutte viventi nello stesso colle (Rumina decollata L., Buliminus pupa Brug. var. tunetana Reeve, Leucochroa can- didissima Drap., L. turcica Chemn. Helix Constantinae Forbes, H. mela- nostoma Drap., H. pyramidata Drap.), con qualche resto di piccoli roditori. Solo la Zewcochroa candidissima che si sa essere propria di regioni secche e deserte del Settentrione dell'Africa e di qualche altra regione meridionale del Mediterraneo mi parve comune nelle masse superiori del brecciame e mancante in quelle inferiori, ciò che potrebbe accennare ad un recente cam- biamento di clima o di regime geografico. Brecciame calcareo, con conere- zioni di Calcite e con terra rossa trovasi, quantunque scarsamente, nelle fes- sure del calcare compatto. In una breccia nel lato meridionale del colle trovai, oltre a frammenti dei soliti molluschi terrestri, ossa e dentini di roditori e vertebre di piccoli Ofidiani, Questa breccia contiene 0,51 p. 100 di Acido fosforico, pari all’ 1,11 p. 100 di Fosfato tribasico. Tale breccia, per quanto recente, è pur sempre anteriore all'epoca ro- mana, perchè è adiacente ad un filone di Calcite compatta nel marmo Giu- rese, il quale fu scavato dai Romani col solito sistema proprio a contatto della Breccia. Sulla copertura o crosta travertinosa, terrestre, propria della Tunisia e, credo, di tutto le regioni calcaree dell’Africa Settentrionale, molto fu di- scusso. Certo la produssero le acque superficiali che sciolgono sempre più o meno i calcari coi quali vengono a contatto. Il carbonato calcico disciolto dalle leggere pioggie o dall'umidità delle rugiade notturne, viene poi rapi- damente abbandonato per la rapida evaporazione e per la siccità dei giorno, prima che le acque discioglienti il carbonato si siano accumulate in tale quantità da scendere al piano. Tali fenomeni sono favoriti dalla mancanza di una copertura vegetale. Meccanica. — Un teorema sulle deformazioni elastiche dei solidi isotropi. Nota di E. AumANSI, presentata dal Socio V. VoL- TERRA. 1. Per le funzioni armoniche sussiste il teorema: Se p è una funzione armonica e regolare nello spazio S limitato dalla superficie o, e se nei punti di una regione 0, di o la funzione g e la sua derivata rispetto alla normale interna sono nulle, la funzione y è nulla in tutto lo spazio S. Di questo teorema, una dimostrazione, basata su considerazioni non del tutto rigorose, è date dal Kirchhofî (Mechanik, pp. 187-88). Un'altra dimo- strazione è la seguente. Consideriamo, oltre ad S, lo spazio S' compreso fra 0, ed una super- ficie o' situata fuori di $S. Detta n la normale interna nei punti di o, ed 7 la distanza da un punto P, di S o di S' ad un altro punto qualunque P, prendiamo ad esa- minare la funzione w definita nel punto P, della formula: 1 Nea Il j % 199 — — do . La 47t IS “Aa 3 Essa è armonica e regolare in S e in S, ed è continua, con tutte le dP sue derivate, anche sulla superficie 0,, ove p= Sf —=0. Ma nello spazio S la w non è altro che la g; e nello spazio S' la w è nulla, giacchè la funzione armonica —, quando il polo P, si trova fuori di S, è regolare in S, e perciò Da l'integrale esteso a 0, che figura nella formula precedente, è allora uguale a Zero. Per una nota proprietà delle funzioni armoniche, la w annullandosi in S' dovrà pure annullarsi in S. Dunque la g è nulla in tutto lo spazio S, CoVed: 2. Sulle deformazioni dei solidi elastici isotropi possiamo dimostrare un teorema analogo. Un corpo elastico isotropo, non soggetto a forze di massa, occupi lo spazio S limitato dalla superficie o. In tutti i punti di una regione © di o siano nulli gli spostamenti e le tensioni esterne. Dico che la defor- mazione è nulla in tutto il solido. Consideriamo ancora, fuori di S, lo spazio S' compreso fra 0, e 0°, e diciamo 7 la distanza da un punto P, di S o di S' ad un altro punto qua- lunque P(4, 7,4). — 866 — Denotiamo poi con 4, v, w le componenti di spostamento dei punti di $, con L,M,N le componenti della tensione esterna che agisce sugli elementi di o. Infine poniamo 1 1 1 da id da r ri r (6 I r Via — des , 0} Aia È wW = 3 dI dY de e sieno L', M', N’ le quantità analoghe ad L, M,N, ma formate cogli spostamenti «', 0", w'. Esaminiamo la funzione + definita nel punto P, della formula w= | (La + Mo + Nu!) do — | (Lv + M'0 + No) do. 6 Questa funzione è armonica e regolare in S ed in S’, e sulla super. 0% (ove u=v=w=L=M=N=0)è continua con tutte le sue derivate. Nello spazio S' essa si annulla, ciò che si vede immediatamente applicando il teorema del Betti alle due deformazioni (x,v,w) ed (w',0'",w'), delle quali anche la seconda, quando il polo P, si trova nello spazio S', è regolare. Dunque la w dovrà annullarsi anche nello spazio S. E perciò nello spazio S sarà pure nulla la dilatazione @, che in virtù di una nota formula è la stessa w a meno di un fattore costante. Dalle equazioni dell’elasticità Adut(A+3B)=0, ecc.; deduciamo che in tutto lo spazio occupato dal solido le componenti di spo- stamento «,v,2% devono essere funzioni armoniche. Ora nei punti di o, le tre funzioni %,v,w, per ipotesi, si annullano. E sì annullano pure le loro derivate rispetto alla normale interna. Infatti, poniamo per un momento l'origine delle coordinate in un punto Py di 0, e prendiamo come asse delle la normale interna (noi supponiamo che la superficie o, ammetta in ogni suo punto un piano tangente determinato). in n __m__ _r__rr—r—-: — 867 — Nel punto P, le componenti della tensione esterna L, M, N sono date dalle formule : L--A(T+%) 1 M-—A(Î 432) I N-— (2A 450). da da 7 Ma in tutti i punti di o, si ha L=M=N=0, e inoltre, come nell’in- tero spazio S, 9=0. Nel punto P, sarà anche 0 e 0 ‘poichè la w è nulla su tutta la superficie 0, e in P, il piano «y è tangente a 0). n du In questo punto sarà per conseguenza === io yveronzziide= D ” n È dU È notando la normale interna, So — 0. Tali formule saranno ; ; d'altronde verificate comunque si orientino gli assi coordinati, e in qualunque punto P, di 0,. Le tre funzioni v,v,w, regolari ed armoniche nello spazio S, annul- landosi nei punti di o, insieme alle loro derivate normali, dovranno esser nulle in tutto lo spazio S. E il teorema è così dimostrato. 5. Da questo teorema segue immediatamente che due deformazioni a cui corrispondano, sopra una regione qualunque di o, valori uguali degli spostamenti v,v,w e delle tensioni esterne L, M, N, sono uguali in tutto il solido. Ciò mostra che nemmeno in una regione piccolissima o, di o noi pos- siamo assegnare ad arbitrio i valori degli spostamenti e delle tensioni. Sia infatti o, una parte di o,. Una deformazione a cui, nei punti di 0;, corri- spondono per «,v,w,L,M,N i valori assegnati, se esiste è unica, come risulta dall’osservazione precedente. Saranno perciò determinati i valori delle stesse quantità anche nell'altra parte di 0): e questi valori, in generale, non coincideranno con quelli assegnati. Se il solido è soggetto a forze di massa, non esiste in generale nessuna deformazione in cui gli spostamenti e le tensioni esterne assumano, sopra una regione 0, di o, valori assegnati, diversi da zero o nulli. Fisica. — Ulteriori ricerche sulla resistenza elettrica spe- cifica di alcuni metalli puri a temperature molto alte e molto basse. Nota del dott. Gurpo NiccoLar, presentata dal Corrispon- dente AncELO BATTELLI. Fisica terrestre. — Za teoria elastica dell’isostasi terrestre. Nota di Lurcr De MARCHI, presentata dal Corrispondente T. Levi CIVITA. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. RenpIcontI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 110 Fisica — Sulla durata dell'emissione catodica nei tubi a vuoto ('). Nota del dott. Prerro DogLio, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. 1. — Le ricerche sulla durata dell'emissione catodica nei tubi a vuoto hanno formato l'argomento di parecchi studi. Fin qui si è ritenuto che l’emis- sione dei raggi catodici fosse di egual durata di quella dei raggi Rontgen, e da questo punto di vista le prime ricerche sull'argomento furono fatte dal Brunhes (*), il quale riscontrò che l'emissione dei raggi X non è istantanea. Egli faceva ruotare un disco metallico, munito di fori lungo la periferia, tra un tubo di Crookes e uno schermo di platinocianuro di bario. Quando il disco era fermo, l'eccitazione sullo schermo si rivelava per mezzo di tanti macchie circolari; imprimendo al disco una velocità conveniente, l’imagine dei fori non appariva più circolare ma allungata nel senso perpendicolare all'asse del disco. Misurando la velocità angolare di questo e l'allungamento delle immagini, l’autore dedusse che la durata di emissione dei raggi X ha un valore di circa di secondo, e trovò che tale durata varia con la di- 1 stanza tra il catodo e l’anticatodo. Questo risultato fu confermato da ulteriori esperienze dello stesso Brunhes (*), ma più tardi il Colardeau (4), ripetendo l'esperienza con un me- todo sostanzialmente simile, arrivò a risultati assai diversi.- Secondo il Co- lardeau l'emissione dei raggi X sarebbe inferiore a di secondo. 1 50.000 A proposito del metodo del Brunhes, i sigg. Broca e Turchini espressero il dubbio che i risultati non possano essere esatti per causa dei fenomeni di persistenza della luminosità del platinocianuro di bario. Ma una tale cri- tica sarebbe stata giustificata se l’autore avesse osservato lo schermo illu- minato attraverso ai fori del disco rotante, ossia se egli avesse posto lo schermo tra il tubo e il disco. Nella disposizione usata dal Brunhes l'obiezione è fuori luogo; del resto il Brunhes stesso sì era convenientemente premunito accertandosi, con la luce istantanea di una scintilla, che la durata della luminosità del platinocianuro non aveva influenza sui risultati. (*) Lavoro eseguito nell’Istituto di Fisica della R. Università di Pisa, diretto dal prof. A. Battelli. (*) C. R. t. CKXX, 1900, pag. 1007. (*) Soc. frang. de Phys., Bull. 163, 1901, pag. 1-3. (4) Soc. frang. de Phys., Séances, 1901, pag. 113. — 869 — In seguito il Broca (*) studiò la durata della scarica in un tubo di Crookes con un metodo puramente elettrico. Egli mandava nel tubo la sola scarica di apertura di un rocchetto e misurava l'intensità media della cor- rente che attraversava il tubo stesso. Con ciò poteva calcolare la durata della scarica ammettendo che la corrente fosse costante; ma questa ipotesi, lon- tana certamente da qualunque approssimazione per quanto grossolana, riflette sulle conseguenze che se ne traggono un incontestabile senso di diffidenza. Il Broca dà come valore della durata della scarica 05°°.0005, ma è da no- tarsi che egli non trovò che vi avesse influenza nè la intensità massima della corrente nè le condizioni del circuito. Vedremo in seguito se questa conclusione è da ritenersi esatta; per ora osserverò che essa è assai inverosimile e in certo senso anche contraria all’espe- rienza che ha accertato strette relazioni tra i caratteri della scarica e quelli delle azioni esterne che la provocano. In fine lo stesso Broca in collaborazione col Turchini (*) ha ripetuto le misure introducendo nel circuito di scarica una piccola scintilla e misurando la durata di quest'ultima per mezzo di uno specchio girante. Ora, se si ri- corda che il tempo per il quale si mantiene la luminosità della scarica, oltre che dalla durata di questa, dipende da molte altre circostanze per le quali non si possono ritenere uguali nemmeno le durate di due scintille poste sullo stesso circuito, si vede che gli autori, col loro metodo, non hanno in nessun modo considerato l'emissione catodica e hanno trattato con un fenomeno di tutt'altra natura. Concludendo, mi pare che la durata dell'emissione catodica in un tubo di Crookes sia lungi dall'essere determinata. Perchè da un lato le esperienze di Broca e Turchini si sono fatte in condizioni troppo sfavorevoli per dar luogo a risultati attendibili, dall'altro le ricerche del Brunhes e del Colardeau riguardano il problema assai indirettamente. In fatti il ritenere che la du- rata dei raggi Rontgen sia senz'altro identica a quella dei raggi catodici, contiene un'ipotesi non evidente e forse ingiustificata; le onde eteree gene- rate dall’urto dei corpi catodici sopra l’anticatodo si rivelano sopra uno schermo fluorescente soltanto nel caso che la loro energia sia superiore ad un certo limite, quindi fino a prova contraria bisogna ritenere che i raggi catodici dopo la trasformazione in raggi di Roòntgen siano meno atti ad ecci- tare la Iuminosità del ‘platinocianuro che quando su quest’ultimo agiscono direttamente. Se così fosse la durata dei raggi catodici dovrebbe risultare, a parità di condizioni, maggiore di quella dei raggi Ròntgen. 2. — Nel presente studio mi sono proposto di vedere quale sia l’ordine di grandezza della durata dell'emissione catodica e come questa emissione sia influenzata dalle condizioni del circuito esterno. (*)(C- (Rift. (©XLII, 1906; pag. 271. (2) C. R. t. CXLII, 1906, pag. 445. — 870 — Per quanto ho già detto sopra, i risultati mi daranno modo di decidere se la durata dei raggi Rontgen sia uguale a quella dei raggi catodici. 3. — Il principio del metodo è il seguente. Se si dispongono perpendi- colarmente all'asse di un tubo di Braun due rocchetti percorsi da due cor- renti alternate spostate di fase, il fascio catodico assume un movimento di rotazione e la macchia luminosa descrive sullo schermo un ciclo chiuso. Facendo allora passare pel tubo di Braun una sola scarica di apertura di un rocchetto d'induzione, nel caso che la durata di emissione catodica sia inferiore al periodo delle correnti alternate, la macchia descriverà un tratto della curva il quale sarà tanto più lungo quanto più la differenza tra il periodo delle correnti alternate e la durata dell'emissione catodica è piccolo. Aumentando gradatamente il numero delle alternanze della corrente, l'arco di ciclo diventerà sempre più grande e finirà per chiudersi appena la durata di una alternanza sarà uguale alla durata dell'emissione catodica. Misurando quindi il periodo suddetto nelle condizioni in cui gli estremi della macchia catodica vengono a riunirsi, si ha senz'altro Ja misura dell'emissione catodica. Questa non risulta in tal modo influenzata nè dalla durata della lumi- nosità del platinocianuro, nè dall'eventuale ritardo che la luminosità stessa possa richiedere per eccitarsi. 4. — Per l'applicazione di questo metodo, oltre al tubo di Braun ed al rocchetto d'induzione, sono necessarî un alternatore, un interruttore e un apparecchio per contare il numero delle alternanze per secondo. L’alternatore di cui mi sono servito poteva dare 10000 alternanze per secondo; per il mio scopo però l’'utilizzavo ad una frequenza minore, variando conveniemente la sua velocità. Questo alternatore aveva un solo circuito, e per ottenere le due correnti spostate di fase e necessarie per imprimere al pennello catodico il movimento di rotazione, sfasavo la corrente che circolava in uno dei rocchetti inserendo nel circuito di questo un condensatore. Per le mie misure non occorreva un aggiustamento rigoroso dello spo- stamento di fase in modo da avere sullo schermo un ciclo circolare; bastava che la macchia descrivesse una curva ellittica, e questo si poteva ottenere con qualunque sfasamento, anche piccolo, di una delle due correnti sull'altra. Ma una curva ellittica si poteva anche ottenere con un solo rocchetto in cui le spire erano avvolte sopra un’armatura d'ottone. Bastava inclinare il roc- chetto stesso nel piano perpendicolare all'asse del tubo, in maniera che que- st'asse riuscisse sghembo a quello del rocchetto, perchè il pennello catodico fosse sollecitato da due campi, quello H, generato dalla corrente che circola nel filo e quello H, dovuto alla corrente indotta sull’armatura (fig. 1). Questi n — due campi, nella posizione già detta del rocchetto, non coincidono e di più sono, in generale, spostati sufficientemente di fase per dar luogo ad un ciclo chiuso ellittico. Questa disposizione può riuscire assai comoda nel caso che si voglia realizzare un campo girante non disponendo che di una sola fase, ed io ho per questo creduto di doverla descrivere in modo particolare. Come interruttore ho adoperato quello del Felici, col quale mandavo nel tubo le scariche di apertura del rocchetto d'induzione. Tale interruttore mi permetteva di variare, entro certi limiti, la velocità della interruzione e vedere che influenza essa aveva nella misura che formava lo scopo della mia ricerca. Per contare il numero delle alternanze per secondo 0, ciò che fa lo stesso, il numero dei giri dell’indotto dell’alternatore, ho disposto sull'asse di que- st'ultimo un contatto il quale chiudeva ad ogni giro un circuito formato da un accumulatore e da un indicatore elettromagnetico. Questo era costituito da un piccolo elettromagnete che attirava un'ancora munita di una punta che appoggiava sopra un rullo girevole affumicato. Un altro segnale simile a questo era posto in un secondo circuito che veniva chiuso ad ogni oscillazione di un pendolo. Così parallelamente venivano registrati sopra il cilindro affu- micato i secondi e i giri dell’alternatore. La disposizione generale delle esperienze è rappresentata nella figura 2. Il primario del rocchetto d’induzione R era posto nel circuito di una pila, attraverso all'interruttore I costituito da un contatto C, che veniva aperto per mezzo di una linguetta L portata da un braccio girevole intorno ad O e posta in rapida rotazione da un grosso peso di piombo M, che era fissato sullo stesso braccio. In derivazione sul contatto C era posto un condensatore Q a capacità variabile. Gli estremi del secondario erano collegati con gli elettrodi di un tubo di Braun B fissato sopra un solido sostegno insieme con i roc- chetti R, ed R> percorsi dalla corrente alternata. La posizione dei rocchetti — 872 — e lo sfasamento delle due correnti venivano prima regolati, eccitando il tubo per mezzo di una ordinaria macchina Wimshurst. Dopo di avere preparato i due segnali elettrici in modo da non dovere far altro — al momento opportuno — che mettere in moto il cilindro per avere registrate le alternanze della corrente, per mezzo del reostato di avvia- mento mettevo in marcia l’alternatore. Un osservatore, opportunamente difeso dalla luce, osservava lo schermo del tubo di Braun, un altro manovrava l'interruttore inviando continuamente nel tubo le scariche di apertura del Hr. 12: rocchetto, un terzo regolava la velocità dell’alternatore e comandava il cilindro affumicato. Così il primo osservatore poteva comodamente osservare i varî aspetti della macchia luminosa sullo schermo e fare variare la velocità del- l'alternatore finchè le due estremità della macchia, venendo a combaciare, ridavano il ciclo chiuso. In quell'istante veniva messo in movimento il ci- lindro sul quale i due segnali lasciavano le loro tracce. Non sempre la macchia presentava un aspetto regolare, ma ripetendo l’esperienza un numero di volte sufficiente, riuscivo a stabilire con molta pre- cisione l'istante nel quale il ciclo si chiudeva. 5. — Le misure hanno concordemente stabilito che la durata della sca- rica varia fra 05°°,0002 e 05°°,0003. — 873 — | Questo risultato è notevolmente minore di quello trovato dal Broca e na È ne SR, i b/ da Broca e Turchini. Esso poi è assai maggiore di quello ottenuto dal Brunhes ta e di un ordine assolutamente diverso da quello ottenuto dal Colardeau per "i la durata di emissione dei raggi di Rontgen; e questo prova precisamente | quanto ho avuto occasione di osservare sulla durata dell'emissione dei raggi n Di di Rontgen in relazione a quella dei raggi catodici. I) In quanto al secondo punto della ricerca, e cioè alla dipendenza della durata dell'emissione catodica dalle condizioni del circuito esterno, noterò il anzitutto che queste ultime non sono tanto variabili quanto sembrerebbe a il . x . . . . . HAL prima vista, giacchè per ottenere una emissione regolare di raggi bisogna i) o nÙ iù i ll ia] Hata7] i II il DC ") ip sl fig Fre. 3 a Î conservare certe proporzioni nel so senza le quali l'esperienza non è i 19 LPTCO realizzabile. di Per queste ragioni non ho potuto studiare l'influenza diretta della rapidità \ della interruzione, perchè nei limiti in cui essa era Morbio la durata riu- sciva da questa indipendente. Variazioni notevolmente ampie delle condizioni della scarica si possono invece ottenere mediante varie capacità poste — come ho già detto — in UTI derivazione sull'interruttore del circuito primario, e con questo mezzo ho Ul È potuto stabilire che le condizioni del circuito hanno una indiscutibile in- ni fluenza sulla durata dell'emissione catodica. Qui sotto riporto alcuni risultati di tali misure, i quali sono anche gra- td ficamente rappresentati nella figura 3. i — 874 — Capacità in microfarad. Durata della scarica 0,65 0595-500018 1,62 05°°. 00021 2,27 05°. 00022 2,59 0se°. 00024 3,99 05°. 00028 6,12 05°°, 00033 L'esame della tabella, o quello della curva, mostra chiaramente come la durata dell'emissione catodica cresca con la capacità del condensatore se- condo una legge prossimamente lineare. 6. — Dalle considerazioni e dai risultati si può concludere che l’emis- sione catodica di un tubo di Crookes non è un fenomeno di durata ben de- finita nè caratteristica delle qualità di un tubo. Esso è assai più complesso di quanto le ricerche anteriori lasciavano supporre ed è intimamente colle- gato con le condizioni del circuito esterno. Sicchè a rigore non si può parlare di durata di emissione catodica nel senso assoluto, poichè parlando di esso è necessario sempre riferirsi alle spe- ciali condizioni in cui avviene il fenomeno, condizioni non del tutto preci- sate nè, forse, precisabili. Nelle condizioni in cui furono fatte le mie espe- rienze essa è risultata circa 3 decimillesimi di secondo. Chimica. — Sopra un nuovo composto che si ottiene per azione del jodio sul benzalfemlidrazone in soluzione piridica (!). Nota di G. ORTOLEVA, presentata dal Socio E. PATERNÒ. In una Nota pubblicata nella Gazzetta chimica italiana (t. XXXIII, p. II, pag. 51), dimostrai, che il prodotto principale, che si ottiene facendo agire il iodio sul benzalfenilidrazone in soluzione di piridina, è un nuovo corpo, al quale allora assegnai la formola C'5 H!8 N I. In una Comunicazione successiva fatta alla Società chimica di Roma e pubblicata anche nella Gazzetta chimica italiana (t. XXXVI, p. I, pag. 473), mettendo in rilievo i fatti più importanti fino allora ottenuti nello studio del nuovo composto, dissi che ad esso sì deve invece attribuire la formola C18 H!4 N3I, e che bisogna considerarlo come il jodidrato di una nuova base C!8 H?? N3, avente, con molta probabilità, la costituzione rappresentata dalla seguente formola: CH si a He Ae 7° NOUN-c;H, (!) Lavoro eseguito nel R. Istituto Tecnico « C. Cattaneo » di Milano, maggio 1907. — 875 — e formatasi per condensazione di una molecola di piridina con un'altra di benzalfenilidrazone nel modo espresso dalla equazione seguente: CH CH HO /NOH LHC c;H. HO | Lo = SHI+H. DE x fa] Ti HCl 0h 1 N Hol Jo. JN N CH; Nilo N=0;H; | Ritengo infatti, che il nuovo composto ottenuto debba considerarsi come un jodidrato, perchè, in soluzione acquosa, per aggiunta di nitrato di argento, elimina quantitativamente joduro di argento. e perchè per azione dell'acido nitrico, a caldo, libera tutto il jodio, e dà luogo al nitrato della nuova base | C!8 H?? N°, e per azione dell'acido picrico in soluzione acquosa, dà origine | al picrato della stessa base. | Una conferma della natura salina del nuovo composto si ha inoltre nel fatto, che esso forma un sale doppio col cloruro mercurico, e dà luogo anche ad un prodotto d'addizione col cloruro di platino, il quale dall'acqua bol- lente viene trasformato nel cloroplatinato della base C!8 H!* N®. 4 Mentre poi da una parte il fatto, che il nuovo corpo, riscaldato con Li acido solforico diluito, non fornisce nè aldeide benzoica, nè fenilidrazina, porta | ad escludere ch'esso contenga l'azoto legato in catena aperta, dall'altro canto "i il fatto, ch'esso, riscaldato con permanganato potassico, elimina il jodio ed ti un fenile, e dà luogo ad una nuova base C!° H° N° che ha i caratteri d'un derivato pirazolico, conduce a far ritenere, che due dei tre atomi di azoto JI contenuti nel nuovo composto debbano far parte di un nucleo pirazolico. Ù La nuova base C!? H° N* infatti con acido cloridrico concentrato si tra- Y sforma nel cloridrato, il quale viene decomposto dall'acqua bollente con eli- Hì minazione della base libera; con acido picrico dà il picrato; addiziona una TI molecola di joduro di etile, una di cloruro di acetile, e due di cloruro di | benzoile; si unisce al cloruro mercurico, e finalmente, con cloruro di pla- Da tino, in presenza di acido cloridrico concentrato, dà luogo ad un cloroplatinato SÒ in polvere rossastra, che riscaldato a 180-200°, come fanno i cloroplatinati pirazolici, perde quattro molecole di acido cloridrico, e diventa giallognolo. | Il composto col cloruro mercurico, come anche il cloroplatinato suddetto, , I | vengono decomposti dall'acqua bollente, rimettendosi in libertà la base libera. Stabilito pertanto, che nel composto 0! H!* N°.HJ, due atomi di azoto d i fanno parte d'un nucleo pirazolico, credo cosa assai probabile, che il terzo Mud atomo di azoto sia appartenente ad un nucleo piridico; e che il nucleo pi- ji razolico ed il piridico nel nuovo corpo si trovino saldati insieme. Infatti il suo comportamento con l’ idrato potassico in soluzione concentrata, dal quale, 4 a freddo, non viene per nulla alterato, ed, a caldo invece, viene completa- RexpIcoxTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 111 — 876 — mente resinificato senza eliminazione di piridina, ed il comportamento della nuova base C!° H° N*, cui dà origine, che riscaldata su calce, a moderato calore, distilla inalterata, e riscaldata invece più fortemente, dà luogo ad un olio giallastro, che si colora intensamente in rosso con acido nitrico con- centrato, non credo siano contrarî alla mia supposizione. L'ossidazione del nuovo composto con permanganato potassico in solu- zione acida mi porterà, spero, a dimostrare in modo non dubbio la costitu- zione assegnatagli, inquantochè, nel modo che sarà detto nella parte speri- mentale, dopo molti saggi, sono riuscito a determinare le condizioni più opportune, in cui si ottengono, un olio giallognolo di odore particolare, che è una base, perchè fornisce il cloroplatinato, e due altri corpi solidi, bianchi, contenenti azoto, di cui uno si discioglie nell'acqua, a caldo, e si colora in rossastro con una goccia di cloruro ferrico, e l'altro, che si forma in mag- gior quantità, mostra reazione nettamente acida alle carte reattive, perde anidride carbonica alla temperatura di fusione, e alla determinazione di azoto fornisce una percentuale, che è molto vicina a quella corrispondente ad un composto avente la formola: HC/ Nec. co0H HC 4 .NH—G;H; Intanto però io credo, che alla nuova base C*° H° N? in corrispondenza alla costituzione attribuita al composto da cui si ottiene, si possa assegnare la seguente formola: CH HC/ vi CSEE | | N N-—H perchè io ritengo, che nell’ossidazione con permanganato potassico del com- posto : CH | ue gag N N-CsH; Rn — per essersi ottenuta una base anzichè un acido, sia più probabile, che si ossidi il fenile legato all'azoto, e che il composto: che così si originerebbe, eliminando facilmente anidride carbonica, si tra- sformi nella base C!° H° N°. Nella presente Nota descrivo le esperienze, che solo accennai nella breve comunicazione fatta alla Società chimica di Roma, e le nuove istituite in quest'anno. DESCRIZIONE DELLE ESPERIENZE. Composto C'* H!° N3. HJ. — Riguardo alla preparazione di questo composto confermo pienamente quanto ebbi a dire nella mia Nota preceden- temente citata; per quanto però riguarda la sua formola, a quella attribui- tagli C!* H'*N°J bisogna sostituire l’altra C'S H!* N° H.J. E pertanto alle formole, che nella suddetta Nota avevo assegnate al cloroplatinato, ed al sale doppio col cloruro mercurico a cui esso dà luogo, si debbono sostituire l'efimuoveXformole: (€18 H!3 N°. HC1)?. Pi.C1, per l'uno, ie ;C1* H!3 N°.HJ.. .5Hg CI? + H?0 per l’altro composto. C!8 H!3 N°. HNO?. — Nella mia Nota sopra accennata dimostrai, che dal composto C!* H!* N3.HJ, l’acido nitrico, a caldo, elimina tutto il iodio per dar origine ad un composto, che si presenta in aghi bianchi e fonde a 214-215°. Dimostrai inoltre, che questo composto in soluzione nell’acido cloridrico concentrato, con cloruro di platino, fornisce l’identico cloroplati- nato (C'8 H'* N°.HC1)?. Pt Cl, fusibile a 238-239°, a cui dà luogo il com- posto primitivo C'* H'3 N®.HJ quando si fa bollire con acqua il prodotto di addizione, cui dà origine C!* H!3 N°.HJ.PtC], aggiungendo cloruro di platino alla sua soluzione nell’acqua. Ora ho potuto riconoscere, che il composto così ottenuto fusibile a 214-215°, è il nitrato. avente la composizione C!* H'* N®. HNO?. Esso infatti ha dato la colorazione azzurra con la difenilammina in presenza di acido solforico concentrato, ed all’analisi ha fornito i seguenti risultati : I. gr. 0,1536 di sostanza fornirono gr. 0,0641 di acqua e gr. 0,3598 di anidride carbonica. II. gr. 0,2176 di sostanza fornirono cem. 31,6 di azoto misurati a 22°, e alla pressione di 739 mm. — 878 — III. gr. 0,2512 di sostanza alla determinazione di N30; col metodo di Schulze e Tiemann fornirono cem. 16,7 di NO misurati a 20° e alla ‘pressione di 736 mm. IV. gr. 0,2026 di sostanza alla determinazione come sopra fornirono ccm. 15,6 di NO misurati a 24° e alla pressione di 733 mm. Su 100 parti, ZITO N30; _ —_ 15,02 15,94 Calcolato per la formola C*8 H!8 N3. HNO?. Cito 64.41 H ’ 4,23 N ’ 16,30 N30; » 16,16 C:8 H!° N°.H Br.Brg. — Questo perbromuro si ottiene aggiungendo alla soluzione del nitrato precedente nell’acido acetico glaciale, un eccesso di bromo disciolto nello stesso solvente. Dopo poco tempo si separa in aghi rossi, che raccolti, lavati con acido acetico glaciale, e fatti asciugare all'aria sopra carta, fondono a 161-162°. È poco solubile in acqua dalla quale a caldo viene decomposto con eliminazione di bromo. Cristallizzato dall'alcool fonde a 147-148°. Alla determinazione di bromo col metodo della calce gr. 0,2277 di sostanza fusibile a 161-162° fornirono g. 0,2455 di AgBr. 5 Trovato Calcolato per C'8 H!* N?, HBr. Bro Bros 45,88 46,77 is Fio Na. C, HOT o soliti (Ct EEN? Hs\ . — Aggiungendo alla soluzione acquosa bol- ‘0H lente filtrata del composto C!5 H!* N®.HJ acido picrico in soluzione pure nell'acqua, si ottiene il picrato della base C'5 H!5 N3, composto giallo, che sì purifica cristallizzandolo da un miscuglio di acqua ed alcool. Si presenta in squamette splendenti di color giallo fusibili a 185-187°. Alla determinazione di azoto gr. 0,1910 di sostanza fornirono cem. 28,2 di azoto misurati a 15°, e alla pressione di 751,6 mm. (NO?)* Trovato Calcotato per C!18H13 N8, CHn OH N°, 178 16,83. — 879 — Ossidazione del composto C'* H!* N®.HJ con permanganato potassica. Composto C!'° H° N°. — In 8500 ce. di acqua si disciolgono gr. 9 di permanganato potassico, e alla soluzione si aggiungono gr. 3 del com- posto C!3 H!3 N3.HJ in polvere. Si.riscalda a b.m., od anche direttamente all’ebollizione, e quando il liquido si è completamente decolorato, si filtra. Si concentra a bh. m. il liquido limpido filtrato, e quindi senza aspettare che sia completamente raffreddato, si acidifica con soluzione di acido solfo- roso. Si nota forte effervescenza, e contemporaneamente la separazione di una sostanza, che dapprima è un po’ bruna per jodio messosi in libertà, ma tosto diventa bianca aggiungendo un piccolo eccesso di acido solforoso. Il leggiero calore che si sviluppa nella acidificazione rende oleoso il corpo bianco così separatosi, ma agitando continuamente con una bacchetta di vetro fino a completo raffreddamento del liquido si rende di nuovo solido. Si raccoglie su filtro il corpo così ottenuto, si lava con acqua, e si fa asciugare su carta. ‘Da ogni 3 gr. di composto C** H'° N°.HJ si ottengono gr. 1,50 di questo prodotto di ossidazione. Si purifica facendolo cristallizzare dalla benzina di petrolio, dalla quale sì separa lentamente talvolta in mammelloni, tal'altra in grossi prismi corti. Così purificato fonde a 76-78° e qualche volta anche ad 80-82°. Nella benzina di petrolio rimane indisciolta una piccola quantità di sostanza fusibile a 155-160°. | | Il composto fusibile a 76-78°, è facilmente solubile nell’alcool, nell’etere, nel benzolo, nall’acetone, nel cloroformio e nell’acido acetico glaciale; è poco solubile in acqua bollente. Si discioglie nell’acido solforico concentrato, a caldo, e da questa soluzione riprecipita inalterato per diluizione con acqua. Si discioglie anche nell’acido nitrico concentrato, a caldo, però da questa soluzione si separa in aghetti, che fondono a 64° e danno la reazione dei nitrati con la difenilammina. La soluzione in alcool assoluto, dopo trattata con sodio, diluita con acqua ed acidificata con acido cloridrico, con una goccia di bicromato po- tassico diede una colorazione verde azzurrognola, non però quella rosso fuc- sina caratteristica dei pirazoli. All'analisi ha fornito i seguenti dati: I. gr. 0,1453 di sostanza fusibile a 76-78° fornirono gr. 0,0680 di acqua e gr. 0,3940 di anidride carbonica. II. gr. 0,2648 di sostanza come sopra fornirono cem. 48,5 di azoto misu- rati a 23° e alla pressione di 756 mm. — 880 — Su 100 parti, A I) LAI Calcolato per C!° H? N3 I II C 73,94 — 73,84 H 9,2 — 4,62 N = 21,01, 21,57. C!? H° N3.HC1. — Cristallizzando la nuova base C!° H° N? dall’acido cloridrico concentrato dove si discioglie all’ebollizione, si ottiene il suo clo- ridrato, che si presenta in aghi bianchi, che fatti asciugare nel vuoto sopra idrato potassico in pezzi, sì riducono in una polvere bianda fusibile a 181- 182°. Viene decomposto dall'acqua bollente con eliminazione della base libera. Alla determinazione del cloro col metodo della calce gr. 0,0354 di so- stanza fusibile a 181-182°, fornirono gr. 0,0177 di cloruro di argento e gr. 0,0026 di Ag. Trovato Calcolato per C!° H° N°. HCI CIOS 14,66 15,9. C!° H° N*.8HgC1]° + 2H?0. — Se si aggiunge cloruro mercurico in soluzione acquosa alla soluzione alcoolica del composto C'? H° N°, e si con- centra un poco a Db. m., si ottiene un composto bianco, che sì lava con acqua, e si fa asciugare all'aria. Il composto così ottenuto in preparazioni diverse non mostrò sempre lo stesso punto di fusione. In una preparazione infatti l'ottenni fusibile a 198-200; in altra fusibile a 185°, ed in una terza a 145-148°. Fatto bollire con acqua si decompone mettendo in libertà la base libera. Alla determinazione dell’acqua di cristallizzazione gr. 0,2373 di sostanza fusibile a 185° perdettero gr. 0,077 di acqua. Alla determinazione di mercurio allo stato di solfuro gr. 0,3883 di sostanza fus. a 185° fornirono gr. 0,2551 di HgS seccato a 100° fino a peso costante. Trovato Calcolato per C12 H° N8.8Hg Cl? + 2H?0 H50% 3,24 3,40 Hoc» 56,88 57,25 . (C** H° N3. HC])?. Pt C1*. — Se alla soluzione in poco alcool del com- posto C!° H° N° fus. a 76-78° si aggiunge acido cloridrico concentrato e quindi del cloruro di platino in soluzione acquosa pure concentrata, si pre- cipita, talvolta dopo breve concentrazione a b. m. una polvere rossastra, che si raccoglie su filtro, si lava con un miscuglio di alcool con un eccesso di etere, e si fa asciugare all'aria su carta. — 881 — Il cloroplatinato così ottenuto è poco solubile nell'acqua fredda, all’ebol- lizione invece viene decomposto con eliminazione della base libera. Riscal- dato a 180-200° perde quattro molecole di acido cloridrico, e si trasforma in una polvere giallastra ch'è il bicloroplatinito. Alla determinazione dell’acqua di cristallizzazione ha fornito i seguenti dati: I. gr. 0,5278 di sostanza fatta asciuttare all'aria riscaldati a 100-105° fino a peso costante perdettero gr. 0,0282 di acqua. II. gr. 0,3150 di sostanza come sopra perdettero gr. 0,0162 di acqua. Trovato Calcolato per LET I È = I II (C1* H° N* HC]1)®. PtCL + 21 H°0 HS0IS 9,98 5,1 9,92. Il cloroplatinato seccato a 100° fino a peso costante alla determinazione di cloro e di platino ha fornito i seguenti dati: I. gr. 0,0491 di sostanza come sopra fornirono gr. 0,0446 di AgCl e gr. 0,0066 di Ag. II. gr. 0,2732 di sostanza come sopra fornirono gr. 0,2810 di AgCl e gr. 0,0110 di Ag. III. gr. 0.2970 di sostanza seccata a 100° dopo calcinazione fino a peso costante fornirono gr. 0,0736 di platino. IV. gr. 0,2940 di sostanza come sopra fornirono gr. 0,0720 di platino. Su 100 parti, Trovato Calcolato per ameno 0 rv SE (3 RN HCI): PhOL CI 26,64 26,76 — — 26,59 Pt — — 24,78 24,48 24,35 . Il bicloroplatinito giallo ottenuto riscaldando il cloroplatinato precedente rossastro alla temperatura di 180-200° fino a peso costante all'analisi, ha fornito i seguenti dati: I. gr. 0,1894 di sostanza diedero dopo calcinazione fino a peso costante gr. 0,0403 di platino. II. gr. 0,4224 di sostanza diedero come sopra gr. 0,1260 di platino. Trovato Calcolato per ALn — a I II (C12 HS N2)?. Pt Cl, Pio asio0ti 29:73 29.7. (NO?) OH sì aggiunge acido picrico in soluzione nello stesso solvente, dopo qualche CA HIN2S CHE . — Se alla soluzione eterea della base C*? H° N° — 882 — istante sì precipita il picrato della detta base, che raccolto su filtro, lavato, e fatto asciugare su carta fonde a 160-161°. Cristallizza da un miscuglio di alcool ed etere. È solubile nell'acqua bollente. Alla determinazione di azoto gr. 0.2644 di sostanza fornirono cc. 43,6 di azoto misurato 9,5° e alla pressione di 755 mm. Trovato Calcolato per C1° H° N3, cens di quella del platino. Per le temperature inferiori a 25° è il ferro invece, sebbene di poco, quello più conduttore. A circa — 100° C. anche il ferro ed il nichel hanno la stessa conducibilità, e al disotto di questa temperatura il nichel diventa miglior conduttore del ferro, mentre a -- 400° è enormemente più resistente. L'alluminio ha una resistenza maggiore di quella dell'oro finchè la temperatura si mantiene al disopra di — 175° C., alla quale le loro curve si tagliano. Possiamo anche osservare che se la legge colla quale avviene la varia- zione della resistenza del platino, del ferro e del nichel rimanesse la stessa fino alla temperatera dello zero assoluto, la curva del platino sarebbe di nuovo tagliata rispettivamente in altri due punti da quelle del ferro e del nichel. Resistenze elettriche seguenti metalli. specifiche in unità elettromagnetiche assolute dei — 909 — TAVOLA I. Tempera- ture Alluminio 7991 7638 7274 6917 6559 6204 5850 5518 5172 4827 4496 4192 3858 3562 3237 2925 2618 2321 2067 1782 1585 1282 1038 795 641 RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. Argento 3772 3642 3501 3377 3940 3094 2956 2819 2676 2531 2385 2249 2097 1946 1798 1653 1505 1350 1223 1079 916 765 642 496 419 Ferro 43345 40583 37877 35235 82781 30357 28196 26000 23928 21904 20012 18235 16630 15022 18504 12063 10681 9368 8147 6973 5929 4962 3988 3091 2653 Magnesio 11893 11285 10672 10080 9536 9002 8508 8031 7576 7132 6735 6318 5915 0007 5069 4700 4312 3894 3491 3105 2648 2300 1907 1471 1275 Nichel 57257 93390 49722 46243 42729 39480 36352 33337 30464 27688 25025 22514 20207 17946 15723 13808 12005 10257 8825 7352 6049 4866 3748 2703 2186 ———rreerrrrr_—_r___Trrr_ er oooeaeoeoeoooTiÌÒÙTÌTi.i.iT7 Piombo 49932 46897 43814 40953 38047 35922 32617 30151 27844 25686 3663 22047 19803 17958 16190 14372 12610 10975 9253 7624 6648 Platino 25985 25132 249254 23361 922490 91572 20648 19753 18885 17927 17032 16058 15102 14124 13146 12182 11198 10234 9248 8207 7212 6218 5200 4192 3580 115 Rame ———_—_——_—_—_—— a=@ 0) dalle regioni dove vi è sollevamento (w< 0). Per la continuità del potenziale w, le linee w= 0 di piani successivi costituiranno una o più superficie w==0, che intersecheranno in generale obliquamente la super- ficie, nelle curve w= 0; solo quando la curva w=="0 coincida colla N=0 la superficie w = 0 interseca normalmente il piano superficiale. Poichè ® diminuisce rapidamente col crescere di < e si annulla all'infinito, la super- ficie o le superficie w=0 a grande profondità sono superficie cilindriche verticali. Abbiamo così tutta la massa divisa in tante regioni estendentisi all’infinito, ciascuna delle quali abbraccia in superficie un’ intera area spro- fondata o un'intera area sovrelevata; nelle regioni sottoposte alle aree spro- fondate la w è positiva, nelle altre è negativa. nulla, è per ogni piano — 913. — Ciò premesso, il teorema del compenso parziale risulta evidente. Dalla (2) si ha infatti do O TARE pene È Jeeg nl — 3025) Sureos (na) de dove il primo integrale si intenda esteso a una regione qualsiasi S dello spazio e l’ultimo alla superficie della regione stessa, essendo (nz) l'angolo che la normale interna alla superficie forma coll’asse delle 2. Se in parti- colare estendiamo le integrazioni a una delle regioni limitate dal piano su- perficiale e da una superficie W=0 si ha fos=- api io dove il secondo integrale è esteso alla regione di piano superficiale limitata dalla curva w=0. Infatti per questa porzione della o totale è cos(n2) =1, per la rimanente è wW=0. Ma dalla (8), ove si ponga 2=0, si ha 4nB(A — B) Wo == uni AV Quindi 2B fas = — vu casi doo la quale ci dice che la condensazione o la dilatazione totale, che si verifica in tutta la regione sotterranea sottostante a un’area sprofondata o ad un’area elevata, è eguale alla frazione a del volume della cavità o del rilievo su- perficiale. Ricordando che 1+0)(1—2w) 21+ a) A= dove E è il modulo di Young e w il coefficiente di Poisson, si ha che per Il 2B ; . p=3 è A=4B, P_i. In questo caso cioè la condensazione o la dilatazione sotterranea compensano per la metà il difetto o l'eccesso appa- rente di massa rispondenti alle cavità o ai rilievi superficiali. * È Der 5 . Notiamo che il valore u=3 è alquanto superiore al valore che si deduce pel coefficiente di Poisson dalle velocità dei tremiti preliminari delle onde sismiche, considerate come onde longitudinali ed onde trasversali pro- — 914 — pagantisi nella massa della Terra, che si suppone isotropa. Questo valore è infatti (*) ui=‘0,298 al quale corrisponde il valore Effettivamente i valori di B ed A variano notevolmente da roccia a roccia e anche in una stessa roccia secondo la struttura, la temperatura, la pressione cui è soggetta, e la sua storia anteriore, cioè la serie delle deformazioni cui fu assoggettata in passato (*). Nagaoka e Kusakabe hanno determinato per un gran numero di rocce, principalmente vulcaniche, di varie epoche geologiche i valori di E e di B, e dai loro dati si può dedurre il valore di i 2B_ 6B—2E We 4B-E Dai dati di Nagaoka si ricavano per quattro campioni di serpentino arcaico i valori approssimati (*) ia, TOmLont5 x Per cinque graniti paleozoici SI a ATO NIE Per quattro marmi paleozoici 4 5 4 Fior Da questi esempi appare quanta irregolarità può verificarsi nel compenso fra la deformazione superficiale e la variazione di densità profonda. Bisogna notare però che esperienze condotte su piccoli campioni soggetti a forze di torsione e di flessione in aria libera, dove apparivano molto fragili, pos- sono aver dato risultati assai diversi da quelli che darebbe la roccia in posto, potendosi presumere che in una grande massa gli effetti della fra- (1) Nagavka, Rocks and Velocity of Seismic Waves, Philos. Magaz., vol. 4, 5 Se- ries, 1900, pag. 67. (£) Publications of the Eartkquake Investigation Committee, nn. 14, 19 (Kusakabe). (3) Mem. cit. pp. 60-61. — 915 — gilità e di ogni altra perturbazione locale e molecolare si compensino. È opportuno poi notare che a grande profondità, col crescere della temperatura, variano anche le costanti elastiche. Come regola generale risulta però che il compenso non è completo, che cioè, se non entrano in giuoco altre cause compensatrici, le cavità superfi- ciali debbono rivelarsi negli effetti della gravità con un'anomalia negativa, i rilievi con un'anomalia positiva. E questo tanto più, quando si consideri che la variazione di densità, pur diminuendo rapidamente colla profondità, è sensibile per uno spessore abbastanza rilevante, che possiamo ritenere di parecchie centinaia di chilometri, mentre negli effetti della gravità non agi- ranno che gli strati più superficiali. Nel caso delle cavità, se queste si riempiono di acqua o di sedimenti, il compenso potrà essere, come dissi, completato dalla massa di questo riem- pimento, e di regola si avrà anzi un'anomalia positiva di gravità. Nel caso dei rilievi invece il compenso non sarà in generale completo, cioè il difetto profondo di massa rispondente alla dilatazione sarà minore della massa apparente dei rilievi stessi. Immaginando che il rilievo sia con- densato in uno strato al livello del mare, e analogamente la dilatazione totale profonda condensata in uno strato di densità negativa pure al livello del mare, i due strati non sono in generale equivalenti, ma il secondo è minore del primo. Ambedue questi fatti, cioè un eccesso di compenso nelle fosse riempite e un difetto nei rilievi montuosi sarebbero accertati dalle misure di gra- vità in stazioni costiere e in alta montagna. Helmert avrebbe dedotto (?) dalle misure di gravità sulle Alpi Tirolesi, la cui altezza media e di 2036 m., che sotto di esse vi è un difetto relativo di massa che equivale a uno strato dello spessore di 1000-1200 m., per densità comprese fra 2,8 e 2,4; il com- penso ivi sarebbe quindi solo del 50°/,. Lo stesso risultato dedurrebbe, con qualche riserva, dalle misure di gravità dell’ India; nel Caucaso il compenso sarebbe quasi perfetto per le stazioni comprese fra 427 e 715 m. mentre per le stazioni più alte sarebbe incompleto, ma sempre maggiore di !/». Secondo i calcoli di Pizzetti (*) nel Monte Bianco l'attrazione appa- rente della massa montuosa è solo în parte (per meno di */3) compensata da probabili deficienze interiori di massa. Queste diversità che si riscontrano nei diversi rilievi corrispondono assai probabilmente alla diversa elasticità media delle rocce negli strati superiori fino alla profondità di parecchie decine o centinaia di chilometri, e le mi- (') Helmert, Die Schwerkraft in Hochgebirge (Versffentl. d. K. preuss. geodat. Institutes und Centralbureau d. internat. Erdmessung), Berlin 1890. (2) Pizzetti, La gravità sul Monte Bianco (Rend. Accad. Lincei, vol. VIII, ser. 5°, pp. 34 e seg.). — 916 — sure di gravità, quando si potesse rigorosamente sceverare in esse la parte dovuta alle attrazioni locali da quella dovuta alla divergenza del geoide dal- l'ellissoide di riferimento, potrebbero, in quanto determinerebbero il valore di de, dare un'indicazione intorno alle proprietà elastiche stesse e quindi forse intorno alla natura e all'età delle rocce sottostanti. In generale poi si può conchiudere che non è necessario ricorrere al- l'ipotesi della fluidità interna della Terra, cui molti geodeti tuttora aderi- scono, nonostante i forti argomenti contrari dati dall’Astronomia, per spiegare l'isostasi della crosta superficiale terrestre, bastando riconoscere in questa e in tutta la massa centrale le comuni proprietà elastiche. Fisica terrestre. — Di alcune possibili relazioni tra la si- smicità della Svizzera e quella dell'alta Italia. Nota di V. MONTI, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. Colla Nota presente io, non senza molta esitazione, intendo accennare ad alcune possibili relazioni fra la sismicità svizzera e quella italiana, che non sono forse del tutto fortuite. Chiunque abbia considerato, nella recente Memoria di W. H. Hobbs On some principles of seismie geology (*), la carta sismotectonica che lA. abbozza per la Svizzera, è certamente rimasto colpito dall'andamento delle linee sismotectoniche che valicano colossi montagnosi imponenti, come quelli dell’Oberland bernese, cosicchè ci si può domandare se non si possano per avventura prolungare anche al di quà delle Alpi Pennine e Leponzie fino alla pianura Padana. Per cercare se le condizioni sismiche dell'alta Italia giustificassero in qualche modo un tal prolungamento, mi servii del ricchissimo materiale rac- colto da Baratta (*) e mi lasciai guidare dai caratteri seguenti che, tra gli altri, competono alle linee sismotectoniche di Hobbs. Sono esse, per quanto ciò si può conciliare coi metodi di proiezione usati nelle carte su cui si tracciano, delle rette divise in gruppi; in ciascuno questi corrono presso a poco parallele fra loro; collegano i punti che sogliono di preferenza funzionare da epicentri sismici; il loro andamento è in rela- zione coi limiti delle formazioni geologiche, con quelli delle masse monta- gnose; le linee d’un gruppo intersecano quelle d'un altro in punti che sono centri sismici (5). (1) Beitr. z. Geophys. VIII, 1907. (2) / terremoti d’Italia, 1901. (8) I concetti che han guidato Hobbs nello stabilire e tracciare le sue linee sismo- — 917 — I risultati che ottenni dalle mie ricerche furono diversi a seconda delle linee considerate. P. es. la Eglisau-Zurigo-Altorf di Hobbs (A della figura) pare che perda ogni significato fisico in Italia; non v' ha nel suo prolunga- mento meridionale che attraversa il lago Maggiore, per raggiungere poi quello di Varese, alcun centro sismico ben caratterizzato. Qualche cosa di più si ottiene prolungando la Yverdon-Gran S. Ber- nardo (B). Il prolungamento passa pel centro sismico di Aosta (1), lascia un poco di fianco quello di Cogne (2); in seguito corre lungo la Valle grande della Stura, collegando i centri di Chialamberto (3) e di Lanzo (4). Ad tectoniche hanno avuto l’adesione di Montessus de Ballore e di Suess. Qualche obbiezione sul metodo di tracciamento è stata invece recentemente sollevata da Davison (Mature, 2 maggio 1907); le obbiezioni si riferiscono a linee segnate per la Calabria, 1’ Inghilterra e la Nuova Inghilterra (St. U. d'America). RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 116 » 2.01e — Aosta esso interseca il prolungamento della Soletta-Sion (C), a Chialamberto quello della Visp-Zermatt. La rilevante importanza del centro sismico del Gran S. Bernardo potrebbe spiegarsi mediante l’intersecazione della Yverdon-Gran S. Bernardo con un eventuale linea Gran S. Bernardo-Piccolo S. Bernardo (a) che mi permetterei di proporre. Questa linea, oltre a passare per un centro sismico importante, com'è il Piccolo S. Bernardo (5), seguirebbe la valle della Thuile, sede di pieghe tectoniche numerose e costipate. Affiora quivi una striscia di carboni- fero che si può collegare al carbonifero Briangonese, la cui importanza si- smica fu già rilevata da Montessus de Ballore (*). La Soletta-Sion di Hobbs, dianzi ricordata, prosegue dopo Aosta, pei centri sismici di Balme (6), Susa (7) e Prazzo (8). La Visp-Zermatt, prima di Chialamberto, incontra il centro sismico di Chàtillon (9); dopo Chialam- berto essa corre parallela e vicina alla linea Coazze-Pinasca, dove si verifica- rono i maggiori danni del terremoto del 5 settembre 1886. A questo punto vorrei tracciare tre nuovi e brevi allineamenti. Il primo (2) dal Piccolo S. Bernardo seguirebbe l’alta Dora Baltea, e si prolungherebbe verso Varallo (10), per incontrare in questo centro sismico il prolungamento della Neuchàtel-Graechen (G) di Hobbs; risulterebbe parallelo alla Ginevra- Briga di Hobbs e passerebbe pei centri di Aosta, Chatillon, Gressoney (11), e Riva-Valdobbia (12). Il secondo allineamento (ce), parallelo alla Yverdon-Gran S. Bernardo, seguirebbe l’inferiore corso della Dora Baltea, sarebbe in relazione coi centri di Chatillon, Donnaz (13) e Ivrea (14), e costituirebbe l’asse maggiore delle isosisme più forti del terremoto del 5 marzo 1892. La terza linea (d) seguirebbe la Valle della Dora Riparia da Susa in giù. Il 20 aprile 1898 si ebbe una scossa forte a Susa ed a Bussoleno (15), lungo questa linea; nelle località di Novalesa, Usseglio, Coazze, Exilles e Meana poste più a nord o più a sud della linea stessa la scossa fu lieve o passò inavvertita. Si deve probabilmente all’azione d'una linea siffatta l’ intensità che manifestarono a Torino i terremoti del 1753, 1785 e 1886, provenienti dalla Val di Susa. Per tornare ai prolungamenti delle linee svizzere, noterò ancora che la Ginevra-Briga e la Visp-Zermatt già citate potrebbero spiegare l’azione dei terremoti irradiati da Visp e dal Sempione sul territorio compreso tra le valli della Dora Baltea e dell'Ossola, azione già notata da Baratta. Risultati interessanti si hanno pure dal prolungamento della Friburgo- Colico (E), anch'essa tracciata da Hobbs. Vi stanno allineati gli epicentri di Colico (16), Morbegno (17), Castione (18) e Collio (19), nel primo dei quali esso s'incontra colla linea dell’ Engadina considerata da Hobbs, 0, (1) Tremblements de Terre, 1906. — 919 — prima di lui, da Montessus de Ballore. Spingendolo verso il Garda, esso in- terseca la linea delle Giudicarie di Suess presso a Bagolino (20), altro punto noto per frequenza e intensità di scosse, e accenna di lontano al distretto vulcanico di Vicenza. Per contro, il prolungamento della Losanna-Graechen (D) di Hobbs, piut- tosto che per ricchezza di focolari sismici, si distingue perchè, tra Como e Brescia, come lungo il margine settentrionale della Val Padana. Su questa linea si trovò a Pontoglio (21) l’epicentro del terremoto del 12 settembre 1884, e l’area colpita da quella scossa presenta una forma allungatissima in direzione della linea stessa. Una linea che a questo punto si segnasse (e) lungo l’alta Valtellina cor- rerebbe presso a poco parallela a quella dell’ Engadina e delle Giudicarie ed alla Trento-Monte Baldo di Hoernes, comprenderebbe i noti centri di Bormio (22), colle sue celebri acque termali, e di Grosotto (28), e costitui- rebbe l’asse maggiore delle isosisme allungate dei terremoti del 27 feb- braio 1882 e 14 dicembre 1887. Prolungata, essa passerebbe pel centro già citato di Castione, si scosterebbe di poco da quello di Albino (24), e incon- trerebbe presso quello di Crema (25) il prolungamento della Appenzell-Coira di Hobbs (F). In ciò che precede ho tenuto ad avvertire come più d'una volta le linee sismiche siano tracciate lungo le grandi valli e come esse costituiscano gli assi maggiori delle isosisme a forma allungata di certi terremoti. Tale avvertenza fu fatta allo scopo di ben precisare, dappertutto dove fu possi- bile, la probabilità del carattere fisico, e non soltanto geometrico, delle linee ir questione. Di più essa aveva nella mia mente un altro scopo. Nelle Alpi i centri abitati sono per lo più in fondo alle valli. Fondandosi su questo fatto, si sarebbe potuto, senza quella avvertenza, obiettare a quanto precede che i trac- ciati delle linee sismiche risultano spesso lungo le valli alpine unicamente perchè solo dal fondo di esse, e non dai monti adiacenti, si possono avere notizie di terremoti. Un'altra obiezione che cade da sè, per la stessa ragione della precedente, è quella che si potrebbe dedurre da un'influenza sulla gravità delle scosse operata per effetto della natura frammentaria del suolo in fondo alle valli; perchè, appunto come tale, questo suolo dovrebbe, in capo ad un breve tratto di spazio, smorzare fortemente le onde sismiche, così da ridurre le isosisme ad essere più o meno perpendicolari all’anda- mento delle valli ('). (1) Con queste osservazioni sull’influenza sismica delle valli alpine potrebbero met- tersi a rapporto le considerazioni che Ballif faceva alla seconda conferenza internazio- nale sismologica tenutasi a Strasburgo nel luglio 1903, sui terremoti osservati in Bosnia ed Erzegovina dal 1896 a quell’epoca. In tale periodo di tempo la stazione di Mostar, a 60 m. sul livello del mare notò 26 giorni di terremnto, mentre in uno dei forti di Podz-Velesz situato a qualche km. sol- | | | Ni Rill il) I i — 920 — Un'altra ragione che m'induce a supporre che vi possa forse essere un qualche significato negli allineamenti considerati in questa Nota, mi viene offerta dallo studio che, per dovere del mio ufficio, ho dovuto fare sul ter- remoto franco-svizzero del 29 aprile 1905, le cui notizie integrali, raccolte da me in grandissimo numero, appariranno prossimamente nel Notiziario della Società Sismologica Italiana. Il focolare di questo terremoto ili estensione notevolissima pare che sia stato ai confini del Vallese colla Savoia, tra Chamounix e Martigny: esso venne così a trovarsi sulla linea sismotectonica Yverdon-Gran S. Bernardo; onde ci si può domandare se il prolungamento meridionale di questa linea non abbia esercitato un'influenza notevole sulla propagazione della scossa in Italia. Credo che ad una tale domanda si possa rispondere in modo abba- stanza soddisfacente. Tracciata una carta dell’area italiana colpita dal terremoto in questione si trova anzitutto che, per ciò che riguarda il Piemonte, la linea limite del- l'area ha presso a poco l'andamento che segue: Sampeyre, Paesana, Cavour, Moretta, Racconigi, Bra, Cherasco, Fossano, Mondovì, Vicoforte, Dogliani, Bubbio, Canale, Villanova d'Asti, Monte- chiaro, ecc. Considerando questa linea si vede che essa si protende in modo asso- lutamente caratteristico verso SE nei circondarî di Alba e Mondovì, assai più che nel resto del suo percorso, ed è appunto questa la direzione del prolungamento italiano della Yverdon-Gran S. Bernardo. Lo stesso allinea- mento costituisce poi l’asse maggiore dell'isosisma corrispondente al V grado per la scossa medesima. Fisica terrestre. — Saggio di una nuova formola empirica per rappresentare il modo di variare della radiazione solare col variare dello spessore atmosferico attraversato dai raggi. Nota di A. BEMPORAD, presentata dal Corrispondente A. Riccò. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. tanto di distanza, ma ad un'altezza di più di 800 m. non si constatarono che 6 ter- remoti. Le stazioni di Bilek e di Trébinjé, osservarono 13 e 14 scosse; i forti situati sulle alture non ne contarono che 5. i La stazione di Seraievo (560 m. d'altezza) registrò 11 scosse, delle quali nessuna fu osservata a Bjelasnich, distante 25 km. circa e a 2067 metri d'altezza. Fisica terrestre. — Secondo riassunto delle osservazioni me- teorologiche esequite all’ Osservatorio su l Etna dal 1892 al 1906. Nota dei dott. L. MENDOLA e F. EREDIA, presentata dal Corrispondente A. RICCÒ. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Azioni catalitiche dei metalli suddivisi sui com- posti azotati(*). Nota di MauRIZIO PADoA e Ugo FABRIS, presen- tata dal Socio G. CIAMICIAN. Azione idrogenante del nickel nell’acridina. — Per continuare lo studio delle trasformazioni molecolari provocate dal nickel nei composti eterociclici azotati, dopo aver esaminato il comportamento della piridina, della pipe- ridina (?) e della chinolina (*), erano da prendere in esame composti poli- nucleari più complessi. Fra questi abbiamo per ora studiato l’acridina, ed esponiamo qui il risultato di tale ricerca. Si poteva attendere che la trasformazione verificata per la chinolina (la quale passa a metilchetolo) si ripetesse analogamente per l’acridina; se ciò fosse accaduto, avremmo dunque ottenuto un carbazolo metilato. Senonchè, contrariamente alle previsioni, il nucleo azotato dell’acridina si dimostrò assai resistente, e questa volta fu intaccato uno dei nuclei omociclici. La reazione da noi osservata può essere rappresentata come segue: CH CH C DAG c C Xcg, CHO N Avviene dunque l'apertura di uno dei nuclei omociclici corrispondenti ai doppî legami 1-2 e 3-4 (4), con formazione della «-8-dimetilchinolina e di (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bologna. (*) M. Padoa, questi Rendiconti, 1907, I, 818. (*) M. Padoa ed A. Carughi, 1906, II, 113. (4) Che la rottura di un anello per mezzo dell’idrogenazione abbia luogo a prefe- renza in corrispondenza di un doppio legame, si è verificato anche nel caso dell’indolo (v. Carrasco e Padoa, questi Rendiconti 1906, I). — 922 — etano o metano. Questa singolare trasformazione dell'acridina in una chino- lina, ottenuta per riduzione, trova un riscontro nell'altra trasformazione ope- rata nella modesima sostanza, per mezzo dell’ossidazione. È noto infatti che l’acridina, per azione del permanganato, dà l'acido «-f-chinolindicarbonico (*). Questo fatto venne addotto in sostegno della formula diagonale per la chino- lina (*). Ora noi vogliamo osservare che, se non bastassero le ragioni che finora si hanno, per respingere la formula diagonale per la chinolina, il nostro risul- tato ne fornirebbe una di più. Infatti si consideri che il comportamento del- l’acridina e della chinolina sono completamente diversi rispetto alla idroge- nazione catalitica; nella prima viene distrutto un nucleo omociclico e rimane intatto quello eterocielico; nella seconda viene distrutto, almeno in parte, il nucleo eterociclico. Ciò che sta a dimostrare la diversità di struttura delle due sostanze. Parte sperimentale. — Guidati dalle esperienze precedenti sulla chino- lina, che hanno dimostrato che le trasposizioni molecolari cercate hanno luogo a temperature piuttosto elevate (250°-300°), tenuto conto anche della volatilità non molto grande dell’acridina, abbiamo operato a temperature oscillanti fra i 250° e i 270°. Il catalizzatore era nickel ottenuto per riduzione del car- bonato fra 300° e 320°; il tubo che conteneva il nickel era lungo circa 60 cm.; ma successive esperienze hanno dimostrato che la reazione ha luogo completamente, facendo attraversare ai vapori di acridina, una tratta di nickel di lunghezza anche non maggiore di 25 cm. L'acridina si introduceva nel tubo in navicella di porcellana. La corrente di idrogeno non era molto rapida, ma tale che le bolle gassose nella bottiglia di lavaggio potessero contarsi. Insistiamo su questi particolari, perchè è necessario operare in tali con- dizioni per ottenere buoni risultati. Nelle prime esperienze da noi eseguite non ottenemmo una trasforma- zione completa dell’acridina; una parte passava inalterata, mista ad un pro- dotto basico oleoso. Ciò dipendeva forse dall'aver ridotto il niekel a troppo alta temperatura, e dalla troppo grande rapidità della corrente di idrogeno. Separata per filtrazione l’acridina inalterata dal liquido basico, ci accin- gemmo ad esaminare quest'ultimo. Salificato il tutto con acido cloridrico, ottenemmo una massa per la più gran parte solubilissima in acqua, ed una piccolissima quantità di un cloridrato, pressochè insolubile in acqua. Di quest'ultimo non ci occupammo più oltre, essendone troppo esiguo il rendi- mento per poterlo studiare. Il prodotto principale, cioè il cloridrato solubile, venne sottoposto all'azione del nitrito sodico per poter giudicare della natura della base formata. Non essendosi svolto azoto, nè formato alcun nitrosode- (*) Graebe, Caro, Berichte XIII, 100. (2) Riedel, Berichte XVI, 1612. — 923 — rivato, giudicammo trattarsi di una base terziaria. Inoltre l'odore della base libera ci ricordava quello della chinolina; e però cercammo subito di prepa- rare qualche composto analizzabile. Trattando il cloridrato con acido picrico in soluzione alcalina ottenemmo un picrato giallo poco solubile in alcool. Dopo parecchie cristallizzazioni esso fondeva a 213°. L'analisi diede il seguente risultato: Calcolato per Trovato CaH,N.C5Hs(N0,):;30H C 52,94 53,12 H 3,65 3,76 N 14,55 14,62 Le percentuali corrispondono bene a quelle calcolate per una dimetil chinolina. Era logico ammettere si trattasse della @-8-dimetilchinolina; tut- tavia il punto di fusione del picrato, inferiore a quello dato dagli autori (225°), il fatto che la nostra base non si otteneva solida, come è la a-f-dime- tilchinolina, ma liquida, e finalmente le piccole differenze di comportamento fra le tre Py-dimetilchinoline, ci lasciavano dubbiosi. Preparammo perciò un altro sale, il cloroplatinato, che ha proprietà abbastanza caratteristiche. Si presenta in cristalli rosso-chiari, poco solubili in acqua, più solubili in soluzione cloridrica, cristallizza con acqua che perde nel vuoto su acido solforico. Il nostro cloroplatinato fondeva, anidro, a 227° scomponendosi. Questi caratteri corrispondono bene a quelli dati dagli autori pel cloroplatinato della «-8-dimetilchinolina. Analisi: Calcolato per Trovato (CH, iN)a ESPE 0 36,48 36,90 H 3,9 3,82 Finalmente ci tolse qualsiasi dubbio sull'identità della nostra base con la «-8-dimetilchinolina, il fatto di averla ottenuta direttamente allo stato solido. Infatti operando nelle precise condizioni descritte in precedenza, otte- nemmo la base allo stato di purezza quasi perfetta; i cristalli ottenuti fon- devano senza ulteriori purificazioni a 66°; il punto di fusione dato dagli autori per la base pura è 67°,5. Nelle medesime esperienze da noi eseguite, ottenemmo un rendimento di base assai. elevato rispetto all’acridina impie- gata. Il picrato preparato dalla base solida fondeva a 220° ('). (1) Rohde (Berichte, XX, 1912), dà come punto di fusione 225°. La differenza, del resto non grande, col punto di fusione da noi trovato, si spiega facilmente quando si consideri che, secondo noi abbiamo osservato, basta una piccolissima impurità per abbas- sarlo notevolmente. — 924 — Questa trasformazione dell’acridina ci ha fatto pensare che anche gli idrocarburi polinucleari potrebbero comportarsi analogamente. La naftalina (') e l’antracene (*°) vennero già sottoposti alla idrogena- zione, ma a temperature relativamente basse; noi stiamo ora sperimentando con queste sostanze a temperature più elevate. Chimica. — /? cieloesano come solvente crioscopico(*). Nota I di Lurcr MASCARELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Il cicloesano od esaidrobenzolo che fu per lungo tempo una sostanza di fficile ad ottenersi in grande quantità, poichè nè il processo di idrogenazione del nucleo benzolico proposto da Baeyer (4), nè la modificazione adot- tata da Markownikoff (*) eran tali da permettere un buon rendimento, è oggi un corpo facilmente accessibile, tanto che lo si può avere in com- mercio in quantità considerevoli. Questo in grazia agli studî di Sabatier e Senderens (°), i quali utilizzando, nelle reazioni di idrogenazione, le proprietà catalitiche dei metalli suddivisi e specie del nickel, seppero trarne profitto per idrogenare il benzolo non solo, ma molti suoi omologhi ed altri derivati ancora. Se poi si nota che recentemente Ipatiew (”) nel laboratorio di Arti- glieria di Pietroburgo dimostrò che quando sì faccia reagire su composti a nucleo benzolico l'idrogeno sotto pressione, alla temperatura di 120° e in presenza di nickel ridotto, si hanno quasi quantitativamente i prodotti esai- drogenati corrispondenti, si capisce come il cicloesano e gli altri prodotti contenenti anelli completamente idrogenati stiano per divenire assai comuni. Per questo ho creduto non privo d'interesse l'intraprendere lo studio di alcune proprietà fisico-chimiche di queste sostanze idrogenate; e per incomin- ciare riferisco qui i primi risultati avuti col cicloesano. Sebbene da parecchi dati sperimentali finora ottenuti mi risulti che il cicloesano come solvente crioscopico si comporta quasi identicamente al ben- zolo (sostanza quest’ultima che fu sperimentata crioscopicamente da molti autori, basti citare Raoult, Beckmann, Paternò, Bruni, Auwers, Garelli ecc.), non intendo tuttavia descrivere ora come si comportino le varie classi di sostanze sciolte in cicloesano, perchè mi riservo di far questo quando le ri- (1) Sabatier e Senderens, Comptes Rend. CXXXII, 1257 ; H. Leroux, C. R. CXXXIX, 672. (2) Godchot, C. R. CKXXXIX, 604. (3) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bologna. (4) Ann. d. Ch. 278, 110. (5) Journ. russ. chem. Ges. 20, 151. (6) Compt. Rend. /32. 210. 566. (7) Berichte d. deut, chem. Ges, /907, 1281. No cerche intraprese saranno più estese e un maggior numero di fatti permet- terà di trarre conclusioni sicure. Voglio però fin d'ora esporre alcune interessanti anomalie crioscopiche avute con sostanze le quali presentano col cicloesano stesso una certa ana- logia di costituzione chimica. Si sa difatti in seguito a numerosi studî, di cui molti compiuti in questo Laboratorio massime da Magnanini, da Garelli e da Bruni, che nella mag- gior parte dei casi in cui la legge di van’ t Hoff sul congelamento delle soluzioni diluite non è seguita strettamente, questo avviene perchè la somi- glianza più o meno spiccata di costituzione o di configurazione molecolare tra il solvente che deve gelare e la sostanza sciolta, fa sì che una porzione del corpo sciolto si separi col solvente all'atto del congelamento. Non è il caso di ripetere i fatti più comuni, nè di riportare i varî gruppi (cosidetti isomorfogeni) che sostituiti ad un atomo o ad un complesso atomico possono determinare la formazione di cristalli misti fra due sostanze: questi gruppi isomorfogeni furono già classificati in varie serie da Bruni ('). Rimanendo vere le norme finora riscontrate per le anomalie crioscopiche, era facile prevedere che dovevano esservi parecchie sostanze capaci di compor- tarsi in modo anomalo (crioscopicamente) qualora venissero sciolte in ciclo- esano. E per vero tutti i corpi trascritti nel seguente quadro si mostrarono, quali più, quali meno, anormali: 86 H C C N SOS H,C CH; HC CH | | I H.0 OH HC CH DN C A >» C DA H, H cicloesano benzolo H H H C n] AS i ZEN HC CH HC CH HC CH | | | | | | HC CH HC CH HC CH Ng NE DI Ì OH NH, fenolo anilina piridina (1) Veber feste Lòsung, Ahrens Sammlung, 2901. RenpIcONTI 1907, Vol. XVI, 1° Sem, 117 H. Hy H. AN i iS H,0 CH» H,C CH, H,C CH, | | | | | H,C CH, H,C CH, H;C CH, A Se ars Ì Il OH 0 Li cicloesanolo cicloesanone piperidina RC H HO=-:GH H:0=CH | | | | | | Ip ORIO Hi CH H:C SROrE e N NZ N N YA H H tiofene pirrolo pirrolidina È il caso di osservare come tutti questi corpi sono anche capaci di fare soluzioni solide col benzolo (eccetto il cieloesanolo e il cicloesanone che non furono ancora esperimentati). Il cicloesano che servì per queste esperienze venne acquistato dalla Ditta Poulene Frères di Parigi. Esso bolliva per la massima parte a 81°-81,5°, solo una piccola quantità distillava a temperatura di poco più elevata: si impiegò sempre la porzione bollente a 81°-81,5°, questa solidificava a 6,2°. La costante di abbassamento molecolare (K) del cicloesano venne de- terminata sciogliendovi come corpi presumibilmente normali: naftalina media del valore di K — 203.2 difenile ” ” 202.8 p-xilolo ” ” 203.0 m-xilolo ” ” 206.4 dibenzile ” ” 204.5 cimolo ” ” 203.0 media generale 203.0 Tutte queste sostanze furono opportunamente purificate, sia ricristallizzandole, sia distillandole. Qui mi basta l’aver riportato i singoli valori medî: i dati sperimentali ‘ completi verranno pubblicati in altro luogo. Gli idrocarburi (eccetto il benzolo) hanno comportamento normale, tanto che si possono fare buone letture per la costante. Il cicloesano è uno fra i 997 — YUZI — corpi organici, che hanno la costante di abbassamento più elevata, a questa si avvicina la costante trovata da Bruni e Padoa (') pel tribromofenolo sim- metrico (K = 204). Il calore latente di fusione che in base alla formula di van t Hoff si calcola pel cicloesano, è w= 10:68. Il cicloesano è però un solvente che gela quasi senza sopraraffreddamento, tutto al più si può notare nelle migliori condizioni che il termometro, durante il congelamento, sale di qualche centesimo di grado: ciò non ostante le let- ture che si fanno sono sempre concordanti. Non occorrono precauzioni per l'umidità; conviene agitare continuamente coll’agitatore la massa che sta per solidificare. Tutti i prodotti con cui si sperimentò, quando non è detto in modo specificato, provenivano dalla fabbrica di Kahlbaum. Il benzolo era di quello che serve nelle ricerche dei pesi molecolari; il fenolo fu ridistillato e adoprata la parte bollente a 182,5° esso sì scioglie fin da principio stentatamente nel cicloesano, oltre il 4°/ non è più solu- bile a freddo; l’anilina bolliva costante a 183°; la piridina a 116° e 757"; la piperidina (dopo essere stata bollita a ricadere su potassa caustica fusa) a 106-107°; il tiofene a 85°. Il pirrolo fu purificato facendone il composto potassico e da questo rimettendolo in libertà, p. eb. 129-130° a 760". Nella determinazione con pirrolo si osserva che le letture della tempe- ratura si fanno a stento, poichè la colonna termometrica non si innalza durante la solidificazione, ma semplicemente si arresta nella discesa. La pirrolidina mi venne gentilmente regalata dal collega dott. Padoa e qui lo ringrazio, che l'ottenne assieme ad altre basi nella riduzione del pirrolo con nickel e idrogeno. Dopo ripetute distillazioni su ossido di bario ed in corrente di idrogeno, venne raccolta la porzione bollente a 85-87° a 761%" Le determinazioni con pirrolidina e piperidina furono fatte in cor- rente di idrogeno secco e privo di anidride carbonica. Il cicloesanolo ed il cicloesanone furono acquistati dalla Casa Poulene Frères a Parigi; entrambi vennero purificati rispettivamente dal cicloesanone e dal cicloesanolo, che li accompagnavano, trattandoli con bisolfito alcalino. ‘Il cicloesanolo dopo purificazione distillava a 161° ed il cicloesanone a 155°. Tutte le sostanze liquide vennero pesate ed introdotte nell'apparecchio Beckmann entro palline di vetro. Ecco ora i risultati sperimentali: Solvente: cicloesano CH: p. solidificazione 6,2°; p. eb. 81-819,5. (') Gazz. Ch. It. /903, I, 78. | | | | | ee a idiot —nzo o S_ rente e = coneenelicz: — anti - == = LE rgP8, — Corpo sciolto Concentrazione in gr per 100 gr. solvente Benzolo C; Hs= 78 Fenolo CoHg0= 94 . Anilina COH:N=98 . Piridina' © HsiNi—='9% Cicloesanolo Cs Hi x 0 = 100. Cicloesanone Cs Ho 0= 98. Piperidina CH N=85 Tiofene CCH,S=84.. Pirrolo COHgNi=(670, Pirrolidina CC, Ho N =. 1.070 0.6426 2.072 0.5516 1.356 2.246 Abbassamento | Peso molecolare termometrico trovato 4 (K= 208) 1.14 99 25 101 3.70 102 1.48 240 2.00 316 0.77 106 1.40 105 2.74 112 4.57 136 1.49 109 2.93 111 4.21 115 5.23 114 0.11 775 0.21 1091 0.28 1488 0.48 1609 0.16 461 0.44 | 493 0.70 Î 509 1igilai 527 0.21 716 0.395 716 0.545 700 0.670 698 0.910 695 0.99 106 3.13 108 4.85 109 746 111 9.50 113 1.55 84 9.75 | 113 1.54 ; 78 2.50 110 4,09 111 —— 929 —u La grandissima anomalia del fenolo e specie del cicloesanolo, dipende con ogni verosomiglianza dal fatto che si sommano qui due cause, quella della somiglianza di costituzione e quella della presenza dell'ossidrile ; poichè, come si sa, i corpi ossidrilati mostrano in generale anomalie crioscopiche (dovute a polimerizzazioni) se sciolti in idrocarburi. Difatti il cicloesanolo, che ha maggiore somiglianza di costituzione col cicloesano di quel che non l'abbia il fenolo, dà valori molto più anomali di quest'ultimo. Invece la forte anomalia della piperidina deve attribuirsi alla somiglianza di costituzione tra solvente e corpo sciolto. È interessante il fatto che la tendenza a dare so- luzioni solide è maggiore tra cicloesano e piperidina che non tra benzolo e piridina. I risultati ora ottenuti servono ancora una volta a dimostrare: che la condizione principale perchè le varie sostanze possano dare cristalli misti, è quella di una somiglianza di costituzione molecolare e non di carattere chimico; che, per quanto riguarda la proprietà di cristallizzare assieme, un anello di cinque termini corrisponde ad uno di sei; che in generale in una catena chiusa possono sostituirsi i gruppi: — CH, — con — CHOoOH—;—-C0O0—;T—NH—; — CH.,.CH.T— con — CH:CH—;—N:CHT—;—-NH—;-S-; senza che ne soffra la configurazione della molecola. A questo proposito si può notare che la sostituzione di un gruppo — CH. —, facente parte di una catena chiusa, con gruppi assai diversi non impedisce la formazione di cristalli misti tra le due sostanze, od almeno tale influenza è meno accen- tuata che nel caso in cui la sostituzione si faccia in una catena aperta; che i composti ciclici e nuclei del tipo benzolico dànno soluzioni solide coi relativi composti ciclici completamente idrogenati. Ciò almeno succede quando i primi vengono sciolti nei secondi; il caso inverso pare, da alcune ricerche che ho in corso, non si avveri. Le esperienze col cicloesano verranno continuate. Per ultimo ringrazio pubblicamente il laureando in chimica sig. Francesco Benati per il costante aiuto portato in queste ricerche. PERSONALE ACCADEMICO IL PRESIDENTE dà il triste annuncio della perdita subìta dall’Acca- demia nella persona del Socio sen. prof. FRAncEScO SiAccI, mancato ai vivi il 31 maggio 1907; apparteneva il defunto all'Accademia, per la Meccanica, sino dal 7 gennaio 1872. K. M. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol:-AV:SVW VISSVISSNVINI. Serie 3* — TRrANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — I. (1, 2). — II-XIX. MemoRIE della Classe dei scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpiIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MemorIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della (Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XVI. (1892-1907). 1° Sem. Fasc. 11°. RENDICONTI della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-XVI. (1892-1907). Fasc. 1°-3°. MemorIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fase. 1°-11°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Fasc. 4°. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- “denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 29; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHerR & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Giugno 1907. E NDAIC E Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° giugno 1907. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Cantone. Sullo spettro di emissione dei gas rarefatti trovantisi alla temperatura dell’aria IMopuod a eb See 36 spots — RENO , 4 : er IE Riccò. L'Osservatorio Dem in SL: al servizio A, © MS) Orlando. Sopra alcuni problemi di aerodinamica (pres. dal Corrisp. Sella) ®). 0.0.» Picciati. Sul moto di una sfera in un liquido viscoso (pres. dal Corrisp. Zevi- Civita) 0). > Niccolai. Ulteriori ricerche sulla resistenza elettrica specifica di alcuni metalli puri a tempe- rature molto alte e molto basse (pres. dal Corrisp. Battelli) . . . . TALI) De Marchi. La teoria elastica dell’isostasi terrestre (pres. dal Corrisp. Levi. Civita) ESE, Monti. Di alcune possibili relazioni tra la sismicità della Svizzera e quella dell’alta Italia (pres&dallConrisp8024/fe//1) SMI. E E) Bemporad. Saggio di una nuova formola empirica per Sprea il Va di | variare (all radiazione solare col variare dello spessore atmosferico attraversato dai raggi (pres. dal Corriapenz0c0)i 0) Me : SR Hendola e Eredia. Secondo riassunto nai osservazioni i acorono ate all Orione torio su l'Etna dal 1892 al 1896 (pres. /4.)(®). . . . . E SERE) Padoa e Fabris. Azioni catalitiche dei metalli suddivisi sui combat dotati Ga dal Socio CLAMORE : e) Mascarelli. Il cicloesano come sol ente crioscopico dr Id) ME) PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Annuncio della morte del Socio sen. prof. Francesco Stacci . . » (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 16 giugno 1907. CORE IT) DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO GCCIV. T9©y > Bio g QPIPEINTETLCÀA RENDICONTI . Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 giugno 1907. Volume XVI. — Fascicolo 1° e Indice del volume. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1907 | PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI s È ; ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Je Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iseritto. II __ 1. Le Note che oltrepassivo i limiti ‘indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate. da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una “proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade. mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro. posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 1 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è date. ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26. dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più: che fosse richiesto. è morsa n carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 giugno 1907. F. p'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE 1 NOTE DIESO(CIR0,SPIRESINTATRSDA. SOCI Fisiologia. — Laboratori scientifici del Monte Rosa. Nota del Socio A. Mosso. - Il 15 del prossimo agosto, se il tempo lo permette, si apriranno i la- boratorî scientifici per le ricerche alpine al Col d’Olen, nell'altitudine di tremila metri sul Monte Rosa. L'edificio comprende i laboratorî di botanica, di batteriologia, di zoo- logia, di fisiologia, di fisica terrestre e di meteorologia. Per le ricerche a più grandi altezze sono disponibili una stanza per la fisiologia, una per la fisica terrestre ed una per alloggio nella Capanna Regina Margherita sulla punta Gnifetti a 4560 metri I laboratorî del Col d’Olen oltre alla biblioteca saranno provveduti del materiale necessario e degli strumenti che adoperansi più comunemente nelle rispettive ricerche. I posti di studio sono diciotto; dei quali 5 appartengono all'Italia; 2 al Belgio; 2 all'Inghilterra; 2 alla Germania; 2 alla Francia; 2 all'Austria Ungheria; 2 alla Svizzera ed 1 all'America. Oltre al tavolo di studio nei laboratorî rispettivi, si darà gratis una camera per ciascun posto, coll'uso dei iocali in comune come la sala da pranzo, la cucina, l'officina e la biblioteca. Quelli che desiderano occupare questi posti devono indirizzare le domande al Ministero della Istruzione che dispone di due posti di studio, oppure alla sede centrale del Club Alpino, o alla sede della sezione di Milano del mede- RenpIcoNTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 118 — 932 — simo Club, o alla Facoltà medica nell' Università di Torino che ne posseggono uno ciascuno. Le informazioni che occorrono, le dà il Socio Angelo Mosso, Pre- sidente della Commissione in Torino, al quale bisogna indicare le ricerche che si vogliono fare e il tempo che credesi necessario per esse. I posti ven- gono solo concessi a coloro che abbiano già fatto un tirocinio sperimentale in altri laboratorî e sappiano svolgere un tema scientifico. Matematica. — Sulle equazioni lineari alle derivate parziali totalmente ellittiche. Nota del dott. EuGeNIO ELIA LEVI, presen- tata dal Socio L. BIANCHI. (DEReze = 45) +3 Ba (09) i = F(27), |40=,) DI tm (29) 5 som ita=2_1] una equazione lineare di ordine 2, i cui coefficienti in un campo C del piano xy siano funzioni finite e continue insieme colle loro derivate fino ad un ordine sufficientemente elevato che qui non precisiamo. Sia (2) G(u)= A) +) pi a, ((+k=2an—-1) l'equazione aggiunta di (1). Si sa allora che, detto Y un campo interno a C in cui esistano e siano finite e continue 2, e le loro derivate di ordine = 2n e detto y il suo contorno, si ha: (3) SG Fe) — 2 G(1) | da dy =/S | dy— N da | M ed N essendo espressioni bilineari in v e nelle sue derivate di or- dine <= 2x — 1, in 2 e nelle sue derivate di ordine <= 2nT—-1. Se la è soluzione di (1) e la « è soluzione di (2), la (3) diviene (4) [far (cy) de dy= f [oi dy— N da |. / PÒ Y Si supponga di conoscere una soluzione fondamentale della (2): e cioè una funzione w(zy; 171) dipendente da un punto parametro (2,71) che per (2,)=E (217) abbia derivate di ordine = 27 finite e continue e soddisfaccia (2), mentre per (xy) = (2171) abbia le derivate di ordine 2x — 1 infinite di 1° ordine — infinito principale essendo la inversa della distanza dei due punti (27) ed (2,71) — ed applichiamo la (4) prendendo come campo Y il — 933 — campo C — © che si ottiene da C escludendo con un piccolo cerchio « il punto (71). Si ottiene facilmente allora, facendo tendere a zero il campo 7, una formula analoga alla ben nota formula della teoria delle funzioni armo- niche, esprimente la z soluzione di (1) per mezzo di un integrale di area esteso a C. e di integrali curvilinei estesi al contorno e di (: (5) s(21 9) = A(11Y1) Sf F(xy) da dy +J È dy— N da | | A(x1%) essendo una funzione dipendente dalla u(2y; 17) soltanto e non più dalla z(27). Io mi sono proposto di mostrare l’esistenza delle soluzioni fondamen- tali e di trarre dalla formula (5) che così si deduce, alcune conseguenze circa le proprietà delle funzioni #(xy) soluzioni di (1). Esporrò qui breve- mente il metodo da me seguito ed i risultati ottenuti rimandando ad una più estesa Memoria di prossima pubblicazione per il minuto sviluppo di queste considerazioni. 2. Una soluzione fondamentale di (2) ha un punto singolare isolato: un noto teorema del Delassus ci fa allora presumere che non si avranno solu- zioni fondamentali altro che quando la equazione (2) sia totalmente ellittica : abbia cioè tutte le caratteristiche immaginarie in C. Noi supporremo quindi senz'altro che le radici dell'equazione delle caratteristiche (6) Yan eo l+m=2n siano tutte complesse in C, e siano ivi funzioni finite e continue insieme colle loro derivate di ordine = 22 -+ 1, ed abbiano sempre multiplicità co- stante. Indicheremo con a, a»... @», le radici di (6). Ciò premesso noi cercheremo di porre la soluzione fondamentale u(27; 2171) di (2) sotto la forma MD aegran= yen tf teys fera valendoci delle due funzioni indeterminate 7 e w per modo di raccogliere sopra la W(xy:171) tutte le condizioni dipendenti dal comportamento im- posto alla «(xy ;1%1) nei punti (27) =(1%), sulla /(£7: 4171) la con- dizione che la % soddisfaccia alla equazione (2). A ciò siamo indotti dalla osservazione che, ove la funzione /(éÉ;,%) sia finita e continua in tutto C, od anche diventi infinita di ordine = 1, nei punti (£7)= (2171), la fun- zione W(2yY;%1%1) = ([wey ;s En) f(En; z1y:) dé dn e le sue derivate /C ; hanno in (2y)=(@:y.) una singolarità con infinito di ordine minore di — 934 — quello della w(zy; 1%) e delle derivate corrispondenti, per modo che real- mente, ove la wW(xy; 2:71) abbia il comportamento imposto alla «(27 ; 21%) e la /(£7;41%) siasi potuta determinare in modo che soddisfaccia — quanto al modo di comportarsi in (£7)= (4,1) — alle condizioni ora esposte, anche la (7) ha in (2171) = (7) il comportamento imposto alla «(cy ; 1%). Trarremo di qui immediatamente una condizione cui deve soddisfare la w. Poichè la « ha derivate di ordine 22 —1 infinite di ordine 1 nel punto (cy) = (4171), essa, e similmente la w, avrà derivate di ordine 2x infinite di 2° ordine: ed affinchè la % soddisfaccia all'equazione (2) occorre che la somma dei termini di 6@(u) che hanno singolarità di 2° ordine in (cy) = (171) abbia una singolarità di ordine < 2. Ora, se la x ha la forma (7), la somma dei termini di massima singolarità in G(v) è proprio A(W(xy;1%)); quindi la funzione Y(4y; 17) dovrà avere le derivate di ordine 2» singolari di 2° ordine in (27) = (71), ma tali che l'espres- sione 4(W(27;:7)) abbia una singolarità di ordine < 2 soltanto. Guidato da questo concetto ho determinato nel modo che ora esporrò brevemente la funzione w; la condizione che la u(2y;41y,)*data da (7) soddisfaccia a (2) sì traduce allora in una equazione integrale per la /(£7; 171), che pel fatto medesimo che 4(w) ha una singolarità di ordine < 2 in (cy)= (1Y1) rientra nel tipo studiato dal Fredholm e dall’ Hilbert. 3. Il Somigliana (!), studiando un caso particolare del problema di cui qui trattiamo, era riuscito a determinare le soluzioni fondamentali delle equa- zioni totalmente ellittiche omogenee nelle derivate di ordine 2x, ed a coeffi- cienti costanti: in tal caso l’espressione &(u) diviene G(u) = A(u) ed i coefficienti di 4(v) e quindi anche le radici della equazione delle caratteri- stiche sono costanti. Supponiamo, per fissare le idee, che queste radici siano tutte semplici: la soluzione del Somigliana ha allora la forma seguente 2 (8) yW(eY;2Y) = a di 0;(2Y; 41 y1)* log o;(z4 2170 dove oj = (2 — z.)@+y—%1, e dove ì coefficienti d; sono formati anche essi colle radici &; di (6) e determinati in modo che la funzione (8) risulti monodroma in tutto il piano reale. Supponiamo ora che le a,, e quindi le @; non siano costanti e consi- deriamo ancora la funzione (8) medesima, essa non soddisferà più, come quando la «; e quindi le 4; erano costanti, all'equazione 4(w)=0. Ma è facile vedere, scrivendo esplicitamente le derivate successive della funzione (8) che i termini di massima singolarità si ottengono eseguendo la derivazione (1) Somigliana, Sui sistemi simmetrici di equazioni a derivate parziali. Annali di Matematica, tomo XXII, $ 2. come se le @&; e quindi le @; fossero costanti. Ne segue che la funzione w data da (8) ha le singolarità volute in (27) ="(@1%1), ma che formando la A4(w), questa ultima espressione non avrà che una singolarità di ordine = 1; appunto come si era riconosciuto necessario nel n° precedente. Assumeremo quindi la (8) come funzione W(2y ; 171). Analoghe considerazioni valgono quando la radici non sono tutte semplici. 4. Si consideri ora la funzione (9) W(2y) = f(vy ; En) f(En) dé dn. Si dimostra facilmente: 1°. La funzione W(zy) è una funzione finita e continua in C insieme colle sue derivate dei primi 2x — 1 ordini, in tutti i punti in cuì la funzione f(cy) è finita e continua: le derivate si ottengono derivando sotto il segno. Nei punti in cui /(7y) diviene infinita di ordine = 1 le derivate (22 — 1) esime di W hanno una singolarità al più logaritmica. 2°. Nei punti dove la funzione /(zy) ha derivate finite, [od anche è tale che i suoi rapporti incrementali rimangono sui raggi per (27) unifor- memente integrabili anche ridotti ai loro valori assoluti] la funzione W(x7) ammette derivate di ordine 2x. Ed in questi punti si ha (10) A(W)=27(2n— 2)! /(27) dono (24) + f [etey ; En) (En) dé de k(xy ;€n) essendo una funzione che in (7) = (£7) non ha che una singola- rità al più di 1° ordine. Applichiamo questi risultati alla funzione (7). Ammettendo per un mo- mento che la funzione /(£7;%,%) sia tale che all'integrale del secondo membro si possano applicare i teoremi enunciati sopra per la derivazione della funzione W(y), noi otteniamo che la condizione che la (7) soddisfaccia alla (2) si traduce in una equazione integrale del tipo (11) /(29; 1%) + ffatee ; $) [(E7;2,y) dé da + o(cy; ay) = 0 dove la x, è una funzione che nel punto (zy) = (£7) diviene infinita di ordine < 1, ad essa si può quindi applicare la teoria di Fredholm. Distinguiamo allora due casi: 1°. La equazione (11) ha il determinante + 0: essa è quindi riso- lubile: si verifica a posteriori che la funzione /(xy;,y,) risolvente la (11) soddisfa a quelle proprietà relative al suo comportamento nei punti di C per cui è legittima la deduzione di (11) da (2). Il problema è così total- mente risoluto. — 956 — 2°. La equazione (11) ha il determinante = 0. Esisterà allora un numero finito 1 di funzioni eccezionali g che risolvono l'equazione omogenea (cy) +Sfat Y3£Y) P(21y1) de dy,=0: siano esse @,@2... @m. Affinchè la equazione (11) ammetta soluzione è necessario e sufficiente che sia [fg (cy) (24:21 y) de dy=0 qualunque siano 7 ed (4,7). In questo caso conviene modificare legger- mente la forma (7) imposta ad (77; #11): cercheremo di porre la funzione nella forma (7) ey; giu) =Y1y 32141) + S ft ;s En) (En; 21 y) dé da — ai ù, 4;(& y1) v;(£9) le v;(7y) essendo funzioni arbitrarie (!), e le Z;(z1 71) essendo da determi- narsi convenientemente. Applicando a (7°) i processi applicati a (7) otteniamo una equazione analoga a (11): (11°) /(ey;ziza) + ff En) (En; 21 Y1) +dE dg + £ + ely: tr Yi) — D_;h(21%1) ian) ]=0 dove le %;(4y) sono funzioni formate colle v;(zy) e colle loro derivate. Si determinano allora le funzioni 4;(z,7.) in modo che siano soddisfatte le equazioni Di Mc) f (gd (#9) t(wy) de dy = = {(g (27) o(2y 3 21 y1) de dy (?). Dopo di che (11°) sarà certamente risolubile, e determinerà una funzione / che soddisfa alle solite condizioni sotto le quali sono legittimi i ragionamenti precedenti. Quindi anche in questo caso il problema della ricerca delle soluzioni fondamentali è completamente risoluto. Si verifica che la funzione così costruita, sia essa data da (7) oppure da (7'), è tale che la funzione A(x, 71) che da essa dipende e compare in (5) esiste ed è regolare in tutto C. Onde si conchiude che la soluzione fonda- (1) Sottoposte alla sola condizione di' disuguaglianza di cui nella nota che segue. (2) Queste equazioni sono risolubili appena che le v;(2y) sono scelte per modo che il determinante i cui elementi sono d;; = IE Pi(2y) t;(2y) de dy, sia diverso da zero. E 0 questa l’unica condizione cui sono sottoposte le v e cui si è fatto cenno nella nota pre- cedente. — 957 — mentale trovata è atta alla deduzione della formula (5) come noi abbiamo rapidamente indicato nel n° 1. o. Una delle più importanti applicazioni della formula (5) sta nella dimostrazione del carattere analitico delle soluzioni di (1). Sulla formula analoga per le funzioni armoniche e più in generale per le soluzioni delle equazioni di secondo ordine prive di termine noto, si fonda l’ordi- naria dimostrazione dell’analiticità di queste funzioni; essa è allora imme- diata conseguenza del carattere analitico della soluzione fondamentale e del fatto che in questo caso manca in (5) l'integrale di area. Quando vi è ter- mine noto si dovette ricorrere fin qui a sviluppi in serie convenienti, perchè il presentarsi dell'integrale di area nella (5) pareva rendesse impossibile una estensione della formula medesima al campo complesso. Volendo dimostrare il carattere analitico delle soluzioni di (1), noi dovremo studiare il carattere analitico delle soluzioni fondamentali trovate: ma allora la forma stessa (7) o (7°) che a queste noi abbiamo assegnato ci porta ad occuparci di un integrale di area affatto simile a quello che com- pare in (5), onde ci sarà poi affatto indifferente supporre che (1) abbia o no termine noto. Con ragionamenti su cui qui non possiamo insistere si vede che tutta la questione viene ad aggirarsi sulla natura analitica della w(27;2,%) € degli integrali del tipo W(xy) = ff uty 3%Y) (CY) de dyi f(1Y1) indicando una funzione analitica di <,y,. La funzione (27 ;%171) è una funzione analitica sia di #y, che di «17; però nel campo complesso le in- finite determinazioni che essa può avere corrispondentemente alle varie deter- minazioni dei logaritmi che compaiono in (8), non restano più distinte, come invece accadeva nel campo reale. Onde se noi ad (4y) nell'integrale che defi- nisce W(4y) diamo valori complessi esso perde ogni senso. Io dimostro che però in un certo campo complesso contenente il campo C (!), la funzione W(y) si può prolungare analiticamente: e precisamente per tali punti essa è data dall’ integrale JI W(.xy; cy) f(x Yy) de dy, esteso al cono T(xy) che (1Y) dal punto (7) proietta i punti del contorno e di C. Fondandomi su questo teorema riesco a dimostrare l’analiticità delle soluzioni di (1). Noterò che dal teorema medesimo scende in particolare l'estensione al campo complesso della ordinaria formula di Green: per essa il valore in un punto (4, y1) di una soluzione dell'equazione 4,5 = /(4y) — dove /(7) è una funzione analitica di 4 ed y — è rappresentato pei punti (4, y1) che hanno (') I punti di questo campo complesso soddisfano alla condizione che la loro di- stanza dal piano reale è minore eguale ad una certa frazione della distanza della proie- zione del punto sul piano reale dal contorno c di C. — 933 — la proiezione reale nel campo C e che appartengono ad un campo complesso contenente C e convenientemente limitato, dalla formula Nanda alogr i Dato (u=7 SS e /(c4) de dy tor ia > ave e | ds T(x:,) indicando il cono che dal punto (4, 71) proietta il contorno e di C. 6. Si presenta ora la questione di estendere sia ai sistemi di equazioni che alle equazioni in più variabili i risultati ottenuti sopra. Io ho mostrato eome l'estensione sia immediata pei sistemi della forma SODI Abdia ++ Ann + D gii are An Au tAsuo +. + Ann + Y dn — CO =0 ea 9 RESO. (ni) im DISCA An Un + Ano Ua He ‘Lan Und Dea Um da! day” + dn =0 dove (ij) DI (O) Ei 2 = 3a ie di agi! dY pio - +4 Ok = le 4,4, essendo funzioni finite continue colle loro derivate di ordine suffi- cientemente elevato nel campo C: tali inoltre che l'equazione di grado lin ottenuta uguagliando a zero il determinante formato colle espressioni N42 a", abbia solo radici complesse, e di multiplicità costante nel campo che si SE finite e continue colle loro derivate di ordine sufficiente- mente elevato. Anche all'equazioni in più variabili si applicano i metodi precedenti. Però in tal caso non è nota una funzione che abbia l'ufficio che nei nostri ragionamenti aveva la funzione del Somigliana. Ho dovuto quindi limitarmi per ora a due casì: l’uno quando l'equazione è in x variabili ma del secondo ordine: l'altro è quello in cui la equazione è di ordine 27 ed il gruppo dei termini di ordine massimo è il prodotto simbolico di 7 espressioni di 2° ordine. ) — 939 — Fisica. — Sopra alcuni problemi di aerodinamica. Nota di Luciano ORLANDO, presentata dal Corrispondente A. SELLA. Nella Brigata Specialisti del Genio militare, avente sede in Roma, esiste un ventilatore, molto potente e molto ben costruito, il quale, mediante oppor- tuna camera di compressione, può fornire, da una luce di ottanta per ottanta centimetri, una corrente d'aria 707 vorticosa della velocità di venticinque metri al secondo. Approfittando del cortese consenso del sig. Comandante la Brigata, io ho potuto, col concorso del sig. tenente Crocco, ufficiale addetto al riparto aero- dinamico, instituire una serie di curiosi esperimenti, rivolti a cercare la spie- gazione di un fenomeno che ho qui l'onore di descrivere (1). Innanzi alla bocca del ventilatore ora detto presentiamo la parte piana di un bastoncello semicilindrico, imperniato ad un manubrio, in modo che sia libero di rotare in un senso o nell'altro, ma non di retrocedere. Se assumiamo, per precisare le idee, un sistema di coordinate cartesiane ortogonali, e suppo- niamo che il vento venga dalla direzione positiva dell'asse delle 4, il solido che noi consideriamo sarà il luogo dei punti corrispondenti a queste limi- tazioni: H=0} a+eS=r, —k=y=k, dove assegniamo ad 7 la lunghezza, per esempio di un centimetro, e a £ la lunghezza di sette eentimetri e mezzo. Il pernio attraverserà il bastoncello secondo l'asse delle 2, e il manubrio starà nella regione delle 4 negative. Il solido ora definito è libero di ruotare, strisciando colla sua faccia piana sul piano yz, ma il contrasto del vento gl'impedisce di avanzare verso le x po- sitive, e il contrasto del manubrio gl'impedisce di retrocedere verso le 4 negative. Presentato senz'altro, nel modo ora descritto, il bastoncello all’azione del vento, esso riceve un sistema di spinte parallele che si scaricano sul pernio, e, se anche riceve, come vedremo, altre spinte, la simmetria di queste (1) Il sig. Patrick, in una Comunicazione al IV Congresso d’aerostazione, tenutosi in Pietroburgo nell’estate 1905, dimostrò d’aver osservato un caso molto simile a quello al quale si riferisce la fig. 1. Il sig. Patrick praticava una scanalatura longitudinale sulla faccia piana del semicilindro. Ma già nel 1897 il sig. P. La Cour aveva applicato ai molini a vento questo ordine di idee (Forsig med smoa Mollenmodeller. Imgeniéren 1897). Recentemente il sig. Riabouschinsky, coadiuvato da egregi studiosi, ha instituito, in un laboratorio eccellente, una serie di notevoli esperienze. Vedere il Boulletin de l’Institut Aérodinamique de Koutchino, fasc. I, 1906, pag. 18 e seg. RenpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 119 — 940 — è tale che esso rimane immobile. Ma se invece imprimiamo al bastoncello un movimento di rotazione intorno all'asse delle 4, sia in un senso, come anche nel senso opposto, noi vediamo che questa rotazione si accelera e tende a diventare molto notevolmente veloce. L'intera spiegazione, quantitativa del fenomeno si presenta molto diffi- cile: sarebbe, nel presente stato della fisica matematica, un arduo problema quello di voler determinare razionalmente l'espressione analitica delle leggi di questo moto. Ma, senza pregiudizio di un ulteriore esame, più matematico, noi possiamo abbastanza facilmente formarci una spiegazione qualitativa, avvalorata, come si vedrà, da caratteristici esperimenti. È noto che, se un corpo si muove nell'aria, ed in generale in un mezzo resistente, esiste, intorno alla pror4 del corpo, una zona di molecole del fluido, = A A D (i L u i < È A z Vi l'o cai 7 o 77 3 s) 10. Gi 2 che non hanno velocità relativa rispetto al moto del corpo. Tale zona costi- tuisce la cosiddetta prora Awida, la presenza della quale è stata da molto tempo osservata per le navi nell'acqua, e per le palle lanciate dalle armi da fuoco nell'aria. La natura pratica del presente lavoro c'impedisce di entrare in discussioni analitiche relative a questo fenomeno, che è stato attentamente e variamente studiato. > l Supponiamo che al semicilindro da noi considerato si imprima una rota- zione iniziale: per fissare le idee, supponiamo che inizialmente si faccia diminuire con violenza la 2 del punto (0, £, 7), che chiameremo punto A; con ciò diminuirà in ugual misura la 2 del punto (0, 4, —7) che chia- meremo B, e cresceranno in ugual misura quelle di (o, — X,7), (0, — 4, —7). Intorno allo spigolo definito dalle relazioni x =0, = —r,023y=%, come anche intorno all’altro definito da 7 =0,<=7,02y=—%,sì formerà una prora fluida. Questa sarà dovuta a due diverse azioni, una che l’aria spinta dal ventilatore esercita sulla faccia piana del bastoncello che le si oppone, l’altra che l’aria esercita resistendo alla rotazione del bastoncello. Se, per semplicità, consideriamo soltanto la sezione eseguita col piano limitante y=%, noi possiamo all'incirca rappresentarci la prora fluida come risulta dalla parte tratteggiata della fig. 1. Ciò avverrebbe ugualmente se c'immaginassimo soppresso il ventilatore ed animato l'apparecchio, non soltanto della rotazione nel senso da A verso B, ma anche di un'opportuna traslazione verso le 4 positive. — 941 — Così stando le cose, la nuova aria, che sopravviene dal ventilatore, non trova da investire una faccia piana, ma investe, come si vede dalla figura, una vera paletta di elica, dunque accelera la rotazione nel senso da A verso B. Ma, oltre a questo, l'aria spinta dal ventilatore, tende anche a distaccare la prora fluida dalla parete curva posteriore del semicilindro, e determina, in contatto con questa parete, un forte risucchio; l’azione che ne risulta cospira a far ruotare il sistema nel verso indicato. Non è ancora tutto. Un'altra azione cospirante a farlo così ruotare è dovuta al mollente, che si forma nelle vicinanze di A (e di tutto il relativo spigolo, e, simmetricamente, in modo cospirante, anche dalla parte delle y negative). I filetti fluidi, spinti dal ventilatore, sfiorando A, richiamano vio- lentemente le molecole d’aria più vicine, che stanno nella regione D relati- vamente tranquilla; le altre molecole della stessa regione, le quali si trovano alquanto più lontane, si precipitano a sostituire le altre che più velocemente hanno seguito il filetto fluido; ed alcune, battendo in punti come C (fig. 1), imprimono una vera spinta verso il basso. Nelle correnti d'acqua molto veloci, per esempio l'Adige, che presenta, in alcuni tratti ed in alcune stagioni, velocità superiori ai quattro metri al secondo, basta un piccolo promontorio, una pila di ponte, uno zatterone ancorato, per determinare il fenomeno ora descritto del m20//ezte: i barcaiuoli conoscono bene i pericoli di questi tagli di corrente. Per vedere che impor- tanza abbia questo fenomeno nell'aria, noi abbiamo, sull'esempio di Kous- netzov (!), costruito un altro modellino, ed eseguita una decisiva esperienza. Consideriamo un solido, costituito dalla rigida, geometrica unione di un cubo e di due prismi triangolari, così detiniti nel precedente sistema: = 4 = ll =W#SSRlTTg=c=nbeSa e==. 1=y=7,5 3. —1Sx31, «+2e5=0,—1522z58=1 —12y=— (7,5) dove i numeri esprimono centimetri. Chi volesse vederne la figura in pro- spettiva, potrebbe consultare il citato Bollettino di Riabouschinsky a pag. 19. Limitiamoci intanto a esaminare una sezione piana, per esempio quella col piano limite y = £. Esponendo la faccia AB al ventilatore, noi vediamo che, anche senza una spinta iniziale, il bastoncello incomincia abbastanza rapidamente a ruotare nel verso da A a B. Ciò è determinato dalla spinta che il mollente imprime nei punti come €, 0, per meglio dire, dalla componente verticale di questa spinta. (1) Riabouschinsky, loc. cit., pag. 19. — 942 — Ma noi possiamo subito osservare, con un'esperienza sulla quale richia- miamo in modo speciale l'attenzione del lettore, che l’azione dovuta al mol- lente ora detto è notevolmente meno efficace delle altre dovute alla prora fluida. È facile vedere che, se incliniamo di una trentina di gradi, 4 sinistra, rispetto alla direzione del vento, l'apparecchio, in modo cioè che il pernio non segua più l’asse della 7, ma, per esempio, la retta s=0 <-+yJ/3=0, l'apparecchio funziona all'incirca come un'elica e si mette rapidamente a rotare da B verso A, con una rotazione contraria, cioè, a quella che assume quando si espone /rontalmente, nel modo sopra indicato, al ventilatore. Se la rotazione ultimamente descritta (da B verso A) è diventata sufficiente- mente rapida, riportando l'apparecchio in posizione frontale, noi vediamo che il movimento continua nello stesso senso. Se la rotazione n0n era sufficiente- (GB Fry. 5) mente rapida, l'apparecchio a poco a poco si ferma, e poi si mette a ruotare inversamente (da A verso B). Non insisterò molto sopra altri esperimenti, che potrebbero iniziare una serie di osservazioni non soltanto qualitative: mi basterà d’accennare che la sezione indicata nella fig. 1, esposta col dorso curvo verso il vento, anche con un forte impulso iniziale, tende rapidamente a fermarsi, e che fra le sezioni descritte nella fis. 3, il fenomeno si presenta notevole per le sezioni I e II, meno notevole per la III, meno ancora per la IV, e non sì pre- senta per la V. Per la sezione IV è necessaria una fortissima velocità ini- ziale di rotazione ed una forte velocità della corrente d’aria, affinchè il feno- meno sì presenti. Debbo aggiungere che ho ripetuto questi esperimenti, con identico suc- cesso, in una grossa carrozza automobile, spinta a velocità differenti; in — 945 — tale caso, l’aria incontrata presentava rispetto a me una velocità relativa, identicamente paragonabile alla velocità dell’aria del ventilatore. Riserbandomi di studiare in modo più esauriente questi curiosi fenomeni, anche nelle correnti d'acqua (!), credo che non sia male aver accennato a tre elementi di spiegazione, dei quali, in uno studio razionale del fenomeno, nemmeno uno dovrà essere trascurato. Meccanica. — .Su/ moto di una sfera in un liquido viscoso. Nota del prof. Gruseppe PiIccIATI, presentata dal Corrispondente T. LEVI-CIVITA. I primi problemi relativi al moto di corpi solidi in liquidi viscosi sono stati trattati dallo Stokes, il quale nel suo classico lavoro (*), On the Effect of the Internal Friction of Fluids on the Motion of Pendulums, studia il moto oscillatorio lento (*) di un piano, di una sfera e di un cilindro, ed anche il moto traslatorio lento di una sfera, il cui centro si muove in linea retta con velocità uniforme. Altii casi di moti stazionari e di moti oscillatori lenti sono stati po- steriormente studiati; però dei problemi che si riferiscono al moto vario e lento di un solido in un liquido viscoso, quando si considerino, per esempio, il corpo ed il solido soggetti ad una forza esterna costante come la gravità, uno solo, cheio sappia, è stato trattato dal Basset (4): quello di una sfera pesante. La trattazione di questo problema fatta dal Basset è però tutt'altro che semplice, chiara e completa. L'autore suppone dapprima che la sfera si muova con velocità uniforme in linea retta, nel liquido inizialmente in quiete, ed in un modo complicatissimo determina la così detta funzione di corrente di Stokes, da cui dipende il movimento del liquido. Da questo caso passa a quello in cui la sfera si muove con velocità variabile, quindi, determinata la resistenza che la sfera incontra a muoversi nel liquido viscoso, studia il moto della sfera pesante. L'equazione a cui giunge, e che determina la ve- locità di questo moto, non è però da lui integrata che nell’ ipotesi partico- lare in cui il coefficiente cinematico di viscosità sia una quantità tanto pic- cola che di esso si possano trascurare la prima o la seconda potenza. Lo stesso problema si può invece risolvere direttamente, supponendo la velocità della sfera variabile e qualunque le condizioni iniziali del liquido, (?) Riabouschinsky, loc cit., pag. 39 e seg. (2) Math. and. Phys. Papers, t. III, Cambridge, 1901. (3) Si chiama così il moto quando è tale che si possono trascurare i quadrati ed i prodotti delle componenti della velocità e loro derivate. (4) A _Treatise on Hydrodynamics, t. II, pag. 285, Cambridge, 1888. — 944 — riconducendo con una semplice osservazione l'equazione da cui dipende la funzione di corrente a quella della propagazione del calore in un filo. | Oggetto della presente Nota è l'esposizione di questo semplice risultato | | con cui si determina la funzione di corrente, quindi il moto lento provocato | dalla sfera nel liquido e la resistenza da essa sopportata. Mi propongo di | discutere in seguito i risultati relativi al moto della sfera pesante nel li- il quido viscoso. | 1. Le equazioni generali del moto dei fluidi viscosi incomprimibili, | soggetti a forze conservative, sono (') 1° Atena (1) rt) (v- )+ vVe , de _ = 2 (u -(v_ + VW o G PRESE ove Diana a, essendo v,v,w le componenti della velocità del fluido relative agli assi fissi <,y,<; U il potenziale delle forze, p la pressione, 0 la densità del fluido e v il coefficiente cinematico di viscosità (quoziente del coefficiente di viscosità od attrito interno % per la densità o del fluido). Gli sforzi spe- cifici dipendono dalle caratteristiche della deformazione secondo le note formule U du dU =pT-2k— , =Y,=—{— — Xe =D k SE Dev (- +3) 5 È dV LI dV dW : (Yy=p— 2% |, L=Z=-+A 4 dW dw QU y ie CSS 3 Zi — X. = — k === === (est A i dE » z - vu Dl Nel caso di moti « lenti », cioè tali che si possano trascurare i qua- drati ed i prodotti di x,v,w e loro derivate, le (1) assumono la forma più semplice du. d _?) o Sini li DIE dv Deep 2 l SEE cappe Izzie È PI, n A RNA: dw d 2) 9 = mar” Sn VV è dI al Q, sli (1) Vedi per es. Bassct, op. cit., oppure le belle Zegons sur la viscosité des liguides et des gaz, del sig. M. Brillouin, Paris, 1907. — 945 — Circa le condizioni relative all’attrito alle pareti si possono considerare due casi: che si abbia aderenza completa, ciò che si verifica quando i liquidi bagnano la parete, oppure che vi sia scorrimento parziale del liquido sulla parete. Considerando il caso dell'aderenza completa la condizione relativa alla parete è la seguente: la velocità del fluido è uguale a quella delia parete con cui è in contatto. 2. Una sfera di raggio 4, immersa in un liquido indefinito, sia dotata di moto traslatorio, il suo centro descrivendo con la velocità V(/) una linea retta, che assumiamo per asse z. Supporremo che vi sia simmetria rispetto alla direzione del moto, cioè che il moto del liquido abbia luogo, anche inizialmente, in piani passanti per l’asse < e sia lo stesso in tutti i piani: esso può allora essere determinato per mezzo della funzione di corrente di Stokes. Supporremo inoltre la velocità del moto traslatorio della sfera tale che il moto del liquido abbia sempre il carattere di moto lento; valgono quindi per esso le equazioni (4), le quali sono riferite ad assi fissi. Riferiamoci invece ad assi passanti per il centro della sfera, descrivente con la velocità V(7) l’asse 2, e sia £ la sua distanza dall'origine fissa al tempo #. Seguitando a chiamare #,y, le coordinate dei punti, riferite al centro della sfera come origine, essendo w0 = /(2 , 7 dA sarà dw df dé DI la SI = T+45= AL > io > giacchè il secondo termine, essendo dell’ sc del quadrato della velocità, deve essere trascurato per l’approssimazione considerata. Le equazioni (4) conservano quindi la stessa forma, siano esse riferite agli assi fissi o mobili coll’origine nel centro della sfera. Il moto del liquido avvenendo in piani passanti per l'asse #, ed essendo lo stesso per tutti, conviene servirci delle coordinate polari 7,9, g. La componente secondo della velocità di una generica particella finida è manifestamente nulla; dette R,0 le componenti secondo 7,4 (nel senso in cui crescono gli argomenti) avremo: a 0 (5) ape i w= Rceosg— 0send. Le equazioni del moto del liquido in coordinate polari, tutto essendo indipendente da g, sono quindi (') DREI d p IR AMIDO (20. Ni = USS D) 2 — == a i 9j DT) Ta (OA 909 a di 1 o?) 7 oa a dI si +» (v° Tr gh 09) 3 Ria (2R e (7) La | p o I (!) Basset. op. cit., pag 244. — 946 — dove il simbolo V? è definito da 5 I RT) il d L) AS VERI 4 GF Pa fi vi TASDI ( ) t r° send dI (seu dd, Indicando con w la funzione di corrente di Stokes si può porre Il du da 1 vu r° send dI (8) R= così resta intanto soddisfatta la (7). 7 L'equazione a cui deve soddisfare la w si ottiene eliminando U —- Q fra le (6); le condizioni ai limiti si hanno ricordando che la velocità del fluido per 7= 4 deve essere uguale a quella dei punti della sfera, quindi (R), 2 =. V(0) cos (0), = — V(6) sen &; all'infinito poi il liquido deve rimanere in quiete. Ciò dà per la w le con- dizioni pè dI Va dI aa YU us 2) st) i (aj =0, TOA dI 7° —001 fe dI AP _00 a cui deve aggiungersi quella relativa allo stato iniziale. Si riesce a rendere il problema indipendente da 4 ponendo (10) y=snd./(,); (7 20) = V(f)sendcosd , (3) =V() send, 0) 3 ù si trova infatti che per soddisfare all'equazione indefinita, risultante dall’eli- minazione di U— fra le (6), è necessario e basta che la / verifichi la Q d Q( 19 — — ==3:(0) a) (1e-2);=o, con op=3L CÀ . Dalle (9) seguono le condizioni ai limiti Pa 2 ; a? V(t) df ) \ (/ Jia Tori 9 ’ la aV(t) ? / (12 I CE rv |/r=o LIT] r=% la condizione iniziale sarà della forma (12) (u= (0), — 947 — essendo, a norma della (10), sen®d. y(7) la funzione di corrente caratteriz- zante lo stato iniziale del fluido. Per l'ipotesi ammessa dell'aderenza com- pleta del liquido alla superficie della sfera le condizioni (12) dovranno valere anche per t=0; questo porta per la y(7) a d = vo, (3) =. (13) É ia. Te) r=% r dr 97109 Posto df ; CONO AE 0-3 (14) ei la (11) diviene 2 9 op=te_ È ,=0, DIE il cui integrale generale è n= 470, con C, , C> costanti rispetto ad 7 ma funzioni arbitrarie dell'altra variabile £: cioverà desienarle con de cy Essendo così /A= I fo n? aa Si 5 a go o (eri TTI N SMIL ove sì ponga ld I, w 9 (15) Ora la (14) si semplifica in (14) ro—D=o0. Conviene eseguire un'ulteriore trasformazione sostituendo all’incognita / una funzione f., legata ad essa dalla relazione > at 100 (16) fa= > ar da questa si trae, derivando rispetto a £ e tenendo conto della (14), L_s(Lap+i0n)=+ 3h. RIT 7 Essendo /, integrale di quest’ultima equazione la (16) dà per / il an f rfs dr : RenpICcONTI. 1907, Vol. XVI 1° Sem. 120 — 948 — mettendovi in evidenza il raggio 4 della sfera come limite inferiore di inte- grazione si può serivere È (17) h= al af» (@ , 1) da + È dove la costante C di integrazione (funzione di #) va presa in modo da sod- disfare la (14)". Del resto per il nostro scopo, che è di risalire alla /, si può senz'altro prescindere dal termine va poichè, attesa l’arbitrarietà di w, esso rimane incluso in 2 Così dalle (15) e (17) si ha infine (18) if afz(@,t) da += + r%0, dovendovisi risquardare fs integrale dell'equazione della propagazione del calore in un filo, dfe CISA 9 = È (0) di 4 dr? 19 Le condizioni ai limiti (12), (12), ove si introduca per / il valore (18), divengono dad nin ao = zl VI)» ara > + 2a0= aV(t), i +30) +2] ban bed aa 0h #i=i00 zf a(f2)i0 da + 1 (0)o + PC) Ber x) ; (20) A queste si soddisfa prendendo O—i000 (Oi V(4) ed imponendo ad /, le condizioni 9 ») 3 1) Mu Meat, limp=o0. Riepilogando: si ha per la funzione di corrente i 3-0; (Al Coe (22) p=snta 2 fan (a, 1) da + Di — 949 — dove /. è l'integrale della (19) caratterizzato dalle (21): l’espressione della f: è (!): — bn? — P_20+)? —(7 ——a)} Lf Vie" @e- a) (— da (23) da bea La w così determinata risolve in modo generale il problema del moto lento provocato nel fluido dalla traslazione della sfera. Se si suppone V costante e £ sufficientemente grande, perchè il moto della sfera sia sensibilmente divenuto stazionario, la (23) dà per fa, tim fs= olim i e f=0% TT ti= a segue allora dalla (22) che è la nota espressione, data da Stokes, corrispondente al caso del moto stazionario della sfera. 3. Calcoliamo la resistenza diretta Z che la sfera incontra muovendosi nel liquido viscoso; essa è Z -f@ cos ne + Z, cos ny + Z: cos ns) do , (0) dove n indica la normale ad un generico elemento superficiale do della sfera (volta verso l'esterno). Per le (3) e (5) si ha z— 2a? {” | (e _ 2% DI cos 9 + 0 dI 1.0 | rr nr Y 9 a 9 +4(3; NAPO: 2)sen TE 3 quindi dalle (8), (21), (22) risulta | Di 2ra { i (De a così + % È VA) (83) ] sen? 9 send dd. 0 al SAI] (1) Vedi la mia Nota: Sull’equazione della propagazione del calore in un filo, Rend. Acc. Lincei, 5 maggio 1907. ei) — 950 — Si osservi che è 2 cos 3 send dI = -F) sen? 9 d9, 0 0 dI Y=0G e che dalle (6) si ricava l'aprsi PUTRSLO Ba Q 0939 939 seng 3. ma v] quindi, poichè risulta dalle (21), (22) che È + _r2 | Helii 46 (2) = ga otteniamo 2= 6rakV() +3 rai ev — drake (E) a ade ST a sen 3 d3. d - N Resta ancora da calcolare 5) ; poniamo per brevità PeZaò : -Bb-n? —B-20+m? (ro) DI t vi (t=T) Uun= (vi) il Su piro one: MB CO allora la (23) si può scrivere oVaf(r, Dl o) ide —3av f vote da e quindi 2Vn L= ( (+ +3) de — me Soddisfacendo ws» all’equazione d° Us da dT sì ottiene > a ; . È Sen Mt (PU, essendo (2):--=0; quindi 27 (A)_-SE+()_ eo r=@ t — 3 af Vi) (ida 0 Lt) nt +2 (+5) e ricordando che per le (13) è Ca MIO risulta 2a Di —2 fo = r|Jr=a & a A +3 2) (1), =) o dE — 84 Ji V'(T) (U2)ra de . Abbiamo così finalmente per la resistenza V'(t) dt (TRENTA Z= 6rrakV(t) +5 matoV'(t) + 6a? Y/rrko SF (25) Doe EA Per V=0 essa si riduce, quando il liquido sia inizialmente in quiete, all'ultimo termine, che rappresenta manifestamente la spinta idrostatica do- vuta al campo di forza agente sul sistema. Se il liquido non è soggetto a forze esterne, ove si supponga V costante e t‘abbastanza grande, perchè il moto sia divenuto sensibilmente stazionario, si è ricondotti alla nota formula di Stokes Z= 6zrrakV. Conoscendo la resistenza che la sfera incontra nel suo movimento, è naturale il proporsi lo studio del moto della sfera nel liquido, supposto che la sfera ed il liquido siano soggetti alla gravità. Ma di ciò in una pros- sima Nota. i Meccanica. — Interpretazione dell'equazione funzionale che regge la caduta di una sfera, in un liquido viscoso. Nota del prof. G. PiccIaTI, presentata dal Corrispondente T. LEVI:CIVITA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 952 — Matematica. — osservazione sugli inviluppi dei sistemi al- gebrici di curve appartenenti ad una superficie algebrica. Nota di C. Rosati, presentata dal Socio E. BERTINI. In una recente Nota (') il prof. Castelnuovo è riuscito a dare la pro- prietà caratteristica dei sistemi algebrici semplicemente infiniti di gruppi di punti equivalenti appartenenti ad una curva algebrica, facendo vedere che sopra una curva del genere 77 una serie oo* irriducibile di gruppi di x punti, di indice »v, possiede un numero di punti doppî = 2a[a# + — 1], il limite superiore essendo raggiunto quando e soltanto quando la serie è costituita da gruppi fra loro equivalenti. i Il detto teorema è stato dal sig. Torelli (?) generalizzato ai sistemi algebrici di gruppi di punti più volte infiniti, e da tale generalizzazione egli ha dedotto un criterio aritmetico per decidere quando un sistema algebrico di curve sopra una superficie algebrica sia contenuto in un sistema lineare. Un'altra proprietà caratteristica dei sistemi algebrici di curve contenuti in un sistema lineare, e subito estendibile a varietà qualunque, si può pure dedurre con considerazioni semplicissime dal teorema di Castelnuovo, la quale proprietà, per quanto dedotta in modo quasi immediato, mi pare possa pre- sentare un qualche interesse. 1. Si abbia sopra una superficie algebrica F un sistema algebrico irri- ducibile S di curve algebriche, e si indichi con v il suo indice, (numero delle curve uscenti da un punto generico di F), e con 7 il suo genere, cioè il genere della curva g i cui punti rappresentano le curve di S. Ad. una curva generica di S corrisponde un punto di g, ma può darsi che a qualche curva speciale di S corrisponda più di un punto di g. Se ad una curva C di S corrispondono % punti di g dei quali @, siano tra loro infinitamente vicini, @, pure infinitamente vicini, ecc. (a14- @2 +=), la curva C sarà un elemento multiplo del sistema S, e i numeri @, — 1, @» —1, ecc. (= 1) si diranno i suoi rarghi sulla superficie F. Chiameremo nviluppo - (!) Cfr. Castelnuovo, Sulle serie algebriche di gruppi di punti appartenenti ad una curva algebrica (Atti della R. Accademia dei Lincei, 1906). (2) Cfr. la Nota di Torelli, Sui sistemi algebrici di curve appartenenti ad una superficie algebrica (Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, 1907), nella quale trovasi il notevole risultato: Sopra una superficie algebrica, della quale I indichi l'invariante di Zeuthen-Segre, un sistema algebrico irriducibile co di curve di genere p prive di punti multipli variabili, che abbia il grado n, l'indice v e o punti base, possiede al più vn+o+4p+1) curve dotate di punto doppio. Se il limite è raggiunto, e solo in tal caso, il sistema è contenuto totalmente in un sistema lineare. Rene = Enno del sistema S il luogo dei punti di F per cui due delle »v curve uscenti da esso coincidono in un medesimo elemento di S, cosicchè tale luogo sarà co- stituito dall’ ordinario inviluppo (luogo dei punti d'intersezione di due curve infinitamente vicine) e dagli elementi multipli del sistema S che hanno al- meno uno dei ranghi maggiore di zero. (Quando nel seguito parleremo del- l’inviluppo di S intenderemo senz'altro l'insieme dell'ordinario inviluppo e di ciascun elemento multiplo del sistema stesso contato con un ordine di molteplicità uguale alla somma dei suoi ranghi. Alle v curve di S uscenti da un punto di F corrisponde un gruppo G di v punti sulla curva @; variando il punto sulla superficie F, il gruppo G descrive su g una serie 00° X birazionalmente identica alla supeificie F o ad una involuzione ivi esistente, nel caso che il sistema non sia semplice. Si consideri ora su F una curva A che incontri la curva generica C del sistema S in # punti; ad un punto variabile su questa curva corrisponde un gruppo di XS variabile in una serie co! y di indice 72; ad un punto di intersezione di A con l’inviluppo di S corrisponde su g@ un gruppo di y con- tenente due punti infinitamente vicini. Ma per il teorema di Castelnuovo il numero dei punti doppi della serie y è = 2m[v+a— 1], il segno = avendosi solo quando la serie y è costituita da gruppi tutti equivalenti. Se dunque il numero dei punti d'intersezione di A con l’inviluppo di S è =2m[v + —1] e lacurva A appartiene ad un sistema continuo almeno co! di gdaro > 0, variando A entro tale sistema, il numero dei punti d’in- tersezione di A coll’inviluppo di S rimarrà costante, la serie y che le cor- risponde entro X descriverà tutta X e sarà sempre costituita da gruppi equi- valenti, ‘€ poichè due serie y hanno sempre almeno un gruppo comune, tutta la serie X sarà costituita da gruppi equivalenti. Allora per un teo- rema del prof. Severi (!) il sistema S è contenuto totalmente in un sistema lineare. Possiamo dunque enunciare: « Dato sopra una superficie algebrica F un sistema algebrico irri- ducibile co! S di curve algebriche, di indice v e di genere n, una curva (+) Cfr.il n.° 2 della bella Memoria del Severi, Il teorema d’Abel sulle supenficie al- gebriche, (Annali di Matematica, Serie III, tomo XII), nella quale, con l’uso degl’inte- grali finiti di Picard relativi alla superficie, si danno le condizioni perchè un sistema algebrico di curve sia contenuto in un sistema lineare, e se ne deducono varie proprietà, fra le quali una dimostrazione veramente semplice del teorema (che è il risultato di re- centi ricerche di Severi, Picard, Enriques, Castelnuovo, al quale se ne deve la determi- nazione ultima) che afferma essere il numero di detti integrali uguale all’irregolarità della superficie. Il Severi stesso è ritornato sul teorema di Abel negli altri due lavori, Intorno al teorema d’ Abel sulle superficie algebriche, e alla riduzione a forma normale degl'inte- grali di Picard (Rendiconti di Palermo, 1906), e Osservazioni varie di Geometria sopra una superficie algebrica e sopra una varietà (Atti del R. Istituto veneto 1905-06). — 954 — A che incontri la curva generica del sistema in m punti, incontrerà il suo inviluppo in un numero di punti <= 2m[v ++ x — 1]: se él limite su- periore è raggiunto e la curva A è atta a individuare un sistema conti- nuo di grado = 0, il sistema S è contenuto totalmente in un sistema lineare ». Prendendo per A una sezione piana (o iperpiana), si ottiene il teorema: «L'ordine dell'inviluppo di un sistema algebrico irriducibile (di n° indice ve di genere nr) di curve ‘algebriche di ordine m non può superare il numero 2m[v+ a —1];.se dl limite superiore è raggiunto, il sistema algebrico è contenuto totalmente în un sistema lineare ». Ricordando che le superficie regolari sono caratterizzate dal non posse- dere sistemi continui di curve algebriche non contenuti in sistemi lineari ('). sì ha: « Una proprietà caratteristica delle superficie algebriche regolari è che in esse l’inviluppo di ogni sistema algebrico irriducibile cl di indice v, di genere rr, di curve algebriche dell’ ordine m ha l'ordine massimo 2m[v 4a 1]». 2. L'estensione del teorema dimostrato al caso di una varietà qualun- que si fa immediatamente. Entro una varietà V, (ad x dimensioni) immersa nello spazio Sy si abbia un sistema algebrico irriducibile S semplicemente infinito di varietà V,_, (ad n — 1 dimensioni), di indice v e di genere 7, e sia I il suo inviluppo, del quale intendiamo sempre faccia parte ogni ele- mento multiplo di S con una molteplicità uguale alla somma dei suoi ranghi. Sulla curva di genere 77, immagine del sistema S, si avrà una serie alge- brica X oo” di gruppi di v punti, birazionalmente identica alla varietà V, se il sistema S è semplice; se invece le v varietà di S passanti per un punto hanno comuni oo punti costituenti una varietà «x, la serie X sarà 00? e birazionalmente identica alla totalità delle ©x. Un S,-n+, generico di S, taglierà la V, in una curva C e la varietà generica del sistema $S in m punti, se 72 è l'ordine di tale varietà. Alla curva C corrisponde su g una serie co! di gruppi di »v punti contenuta in X e di indice m, la quale avrà un numero di punti doppî <2m[v 4 —1]. Se il limite è raggiunto, variando l’ S,_n+, entro 1 S, e applieando il teorema di Severi, si ottiene: « L'inviluppo di un sistema semplicemente infinito irriducibile (di indice v e di genere ni) di varietà ad n—-1 dimensioni e di ordine m contenuto entro una varietà ad n dimensioni ha l'ordine = 2m[v+a—1]; se il limite superiore è raggiunto, e solo allora, il sistema è totalmente contenuto in un sistema lineare. IL limite sarà costantemente raggiunto per ogni sistema continuo, se la varietà è regolare (2) ». Li (1) Cfr. Enriques, Sulla proprietà caratteristica delle superficie algebriche irrego- golari (Atti della R. Accademia di Bologna, 1905). (*) Ricordiamo che si dice regolare una varietà ad n dimensioni priva di sistemi continui completi non lineari di varietà ad n — 1 dimensioni. — 959 — 3. Dalle considerazioni precedenti si può far discendere l'estensione a due varietà qualunque di un teorema che il Severi ha dimostrato per le corrispondenze a valenza zero fra una superficie e una curva, e fra una va- rietà e una curva (!). Fra i punti di due varieta V. e Vs (ad 7 e ad s dimensioni) esista una corrispondenza algebrica che associ ad un punto generico di V, una varietà Vs, (ad s— 1 dimensioni) entro la V;; se tale V,-, nasce da co° punti di V, costituenti una varietà w; (£ = 0), variando il detto punto entro la V,, la V,-, corrispondente descriverà entro V, un sistema algebrico co, che chiameremo S, birazionalmente identico alla varietà delle w;. Alle of?! Vs; di S uscenti da un punto generico di V, corrisponderanno entro V, oo) w; le quali descriveranno una varietà V,-1; se le varietà di S uscenti da un punto hanno co” punti comuni (/% = 0) costituenti una varietà 7, col variare del detto punto entro V; la V,-, descriverà entro V, un sistema algebrico coî-*, che diremo R, birazionalmente identico alla varietà delle 7. Dimostriamo che se uno dei due sistemi BR od S è costituito da varietà tutte equivalenti, anche l’altro è totalmente contenuto in un sistema lineare. Ammetteremo dapprima = 0 X=0 e che le varietà ©; e 77; si riducano ciascuna a un punto cioè che i sistemi R ed S siano semplici. Supposte tutte equivalenti le varietà di R, scegliamo entro S un sistema co’ I° di indice v e di genere 77 e una curva D che tagli la varietà generica di S (e quindi di T) in # punti. Alla curva D corrisponderà entro la V, un sistema 00° 4 contenuto in R e di indice n, e al sistema I° una curva C del genere 77 che taglierà in v punti la varietà generica di R. Le varietà del sistema 4 segneranno sulla curva C gruppi di v punti di una serie di indice % con- tenuta in una serie lineare, perchè le varietà di R sono equivalenti. Per il teorema di Castelnuovo questa serie avrà dunque 22[wv + —1] punti doppi; esistono cioè 22 [v + 7 — 1] varietà di 4 che toccano la curva C. A queste varietà corrispondono entro la V; i punti della curva D per cui passano due varietà di Z° infinitamente vicine, cioè i punti d'incontro di D con l’inviluppo di Y. Per il teorema del n.° precedente, il sistema 7° è contenuto totalmente in un sistema lineare, e perciò le varietà di S sono tutte equivalenti. Applicando il criterio generale di Torelli (cfr. Torelli, 1. c.) relativo ai sistemi al- gebrici di gruppi di punti più volte infiniti, sì vede similmente che: « Se si indicano con Mi Ma... Mp1 gli ordini delle rispettive varietà V,-2, Vea, «. Vo intersezioni di 2,3,...r varietà generiche del sistema (supposto semplice), dimodochè sarà m,-; il suo grado, ed ammesso che non esistano elementi multipli con ranghi maggiori dell'unità, gli ordini delle varietà W,-2, W,-3, .. Wo luoghi dei punti per cui passano rispettivamente 3,4, ...,rY+1 varietà infinitamente vicine del sistema non possono superare rispetti- vamente i numeri 3m[v + 2a — 2], Amor 4-31 — 3], .. (+ 1)m_ir+ra— 7]; quando uno di questi limiti è raggiunto, lo saranno anche gli altri, e il sistema sarà contenuto in un sistema lineare ». (1) Cfr. Severi, Il teorema di Abel ecc. (1. c.). RENDICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 121 | SR *_—__o_o ue” __ _:REDR\ST_Eoseo N rt 6 REI i es 5A IRA RIO SA pers — 956 — 4. Prima di passare al caso generale, sarà utile dimostrare un lemma, sui sistemi algebrici composti. Si abbia entro una varietà V, un sistema algebrico irriducibile coî, che indicheremo con R, di varietà V,_,, tale che le co°-! varietà V,-, uscenti da un punto generico di V, abbiano comune tutta una varietà ; (riducibile o irriducibile) contenente quel punto, (per {= 0 la ©; sì riduca a un certo numero di punti); io dico che se Je va- rietà di B sono equivalenti, il sistema lineare minimo definito da R è pure composto con le varietà wi. i Indichiamo con |R| il sistema lineare minimo co‘ contenente R e rife- riamo proiettivamente le varietà di |R| ai punti di uno spazio lineare S;. Alle varietà del sistema algebrico R corrisponderanno i punti di una V; irriducibile e appartenente ad S.; alle 05! varietà di R uscenti da un punto P generico di V, corrisponderanno i punti della Vs, intersezione della Vs con un certo iperpiano 7. Se le 001 varietà del sistema |R| uscenti da P non contenessero tutta la ©;, scegliamo un punto T della ©; che non sia comune alle dette 00‘! varietà; ad esso corrisponderà in S, un iperpia- no © distinto da 7 e contenente tutta la V,_;, intersezione di 77 con la V,. Ne consegue che la V;-, apparterrebbe al più ad un Sie 0 quindi la varietà irriducibile Vs apparterrebbe al più ad un S;-1 contro l'ipotesi che sia oo° il sistema lineare minimo cui appartiene il sistema algebrico R. 5. Ritorniamo ora al caso generale in cui i sistemi R ed S non siano semplici e, ricordando le notazioni del principio del n.° 8, indichiamo con V* e con V£, le varietà, in corrispondenza razionale in un sol senso con le varietà date, immagini rispettive delle totalità delle è; e delle 777, e con R* ed S* i sistemi algebrici semplici di varietà V,-;1 e Vs tra- sformati di R e di S. Supposte equivalenti le varietà di R, al sistema lineare minimo contenente R, sistema composto con le ©;, corrisponderà in VX, un sistema lineare contenente il sistema algebrico R*; ne consegue che S*, e perciò anche S, è contenuto in un sistema lineare. 6. Supponendo che il sistema algebrico R, considerato come varietà 00%* di elementi, sia una varietà regolare, la V*_,, birazionalmente identica ad R, sarà regolare; ed allora il sistema S* e perciò anche S e quindi R saranno contenuti totalmente in un sistema lineare. Possiamo dunque enunciare il seguente corollario: « Entro una varietà qualunque ad r dimensioni, un sistema algebrico È di varietà ad rv — 1 dimensioni, il quale, considerando le sue varietà come elementi, sia una varietà regolare ad s dimensioni, è contenuto totalmente in un sistema lineare (!) ». (1) Per r=2 s=1 si ha un noto teorema di Enriques. Cfr. Enriques, Un’osserva- zione relativa alla rappresentazione parametrica delle curve algebriche (Rendiconti di Palermo, 1896). — 957 — Fisica matematica. — Truiettorie e onde luminose in un mezzo isotropo qualunque. Nota di Antonio GARBASSO, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Un dispositivo per la produzione di correnti continue ad alta tensione, praticamente costanti. Nota di 0. M. CoRBINO (!), presentata dal Corrispondente D. MacaLUSO. 1. In un lavoro precedente (*) ho mostrato che le correnti secondarie del rocchetto di Ruhmkorff funzionante con l'interruttore di Wehnelt sono, per l’interposizione di una scintilla anche di piccola lunghezza, nettamente unilaterali, nel senso delle correnti di apertura. Esse hanno un andamento rettilineo e si prolungano per una buona frazione del periodo dell' interruttore; solo con scintille cortissime le correnti divengono bilaterali. M À —T è riet ZE la li (4 (hi B Fra. 1. Tali correnti pulsanti di tensione altissima possono rendersi pratica- mente costanti col dispositivo della fig. 1. Sia R un rocchetto di piccole dimensioni nel cui primario la corrente venga interrotta per mezzo dell'apparecchio di Wehnelt e si rileghi il secon- dario, come nella figura, col micrometro a scintille M con la resistenza non induttiva 7 e col condensatore C. A ogni scarica di apertura che traversa M, il condensatore riceverà una certa quantità di elettricità che circolerà in parte lungo la resistenza 7 nell'intervallo tra due scariche consecutive, mentre il resto si accumulerà nel condensatore. Le successive scariche tenderanno (1) Istituto Fisico della R. Università di Messina. (3) O. M. Corbino, Ricerche teoriche e sperimentali sul rocchetto di Ruhmkorff, Capi At CA. (E. I. fase. 39, 1907. i — 958 — a elevare la differenza di potenziale tra A e B; ma si raggiungerà in bre- vissimo tempo un andamento di regime nel quale a ogni scarica viene appor- tata attraverso l'interruzione M tanta elettricità quanta ne circola lungo 7 nell intervallo tra due scariche successive. 2. Per ottenere la legge di variazione col tempo della corrente 7 nella branca 7, e l'entità delle sue massime variazioni, indichiamo con 7, la cor- rente nella branca del condensatore e con 7, la corrente che traversa lo spinterometro M e il secondario del rocchetto. La corrente 1, per quanto si è detto, sarà rappresentata fino al suo annullamento da: (1) i, =A— Bf nella quale A indica il valore quasi istantaneamente raggiunto alla rottura. Essa si annulla dopo il tempo: (2) = e conserva il valore zero da quell’istante fino alla nuova rottura. Con scin- tille abbastanza corte e una induttanza supplementare nel primario abba- stanza piccola si può ottenere (!) che 7 sia sensibilmente uguale all'intero periodo delle interruzioni: e allora la (1) resta valida in tutto il periodo. Quanto a 7» e 7 si ha: da v (3) (Alen ove v indica la differenza di potenziale agli estremi A e B del condensatore. Ma è: t ove V rappresenta il valore della differenza di potenziale che si ha alla fine di ogni periodo in regime permanente, quindi: t ri=V+t (ad 1 È 1 i ri 43 fiv=v+t fù dt t B?# ri4+t fi=v+3 (4-3) Questa equazione è verificata, per qualunque valore di V, ponendo: cioè per la (3): . € per la (1): Sele Cr (4) i=A—B+B0+|T-4+50n | (1) O. M. Corbino, loc. cit.’ — 959 — relazione che permette anche di determinare il valore di V in regime per- manente quando si esprima che l’ intensità, dopo il tempo definito dalla (2) SOON V , ed uguale al periodo, riacquista il valore — che possiede al tempo zero. E SI x . a b Cr Converrà a questo scopo sviluppare in serie e , osservando che per elevati valori del prodotto Cr e per interruzioni molto frequenti, siccome ]l = t, almeno è 7 minore del periodo, si può ritenere abbastanza piccolo o SPE È van quanto occorre per limitare lo sviluppo al termine di secondo grado in 7 Ci S vi Si ha allora: ed è facile riconoscere che per: C=5 microfarad r = 20000 ohm 15 ! 1000 il termine di 3° grado nello sviluppo è inferiore a mezzo milionesimo. Eseguendo la sostituzione nella (4) si ottiene: or | V\& Le (5) i=t_B+(5or+a— alza Va Se si vuole che per: È SE i sia V q= DO = r dev'essere quindi, entro il 2° ordine, 29V/ T (6) AT(+ 5%) che definisce il potenziale di regime V. Esprimendo tutto in funzione di V, cioè sostituendo nella (5) ad A il valore dato dalla (6) e a B il valore corrispondente: rr \ — 960 — RAGNI, cangioi Sal e conservando solo i termini di secondo grado in cr ong Si avrà infine: n snthedeles-t49) Da questa possiamo ottenere 2: Cry 2 iatanl+ i) e questa relazione ci dice che di è a funzione lineare decrescente del tempo, che assume il valore zero per: DT V : Adunque la 2 risulta di una parte costante, mono di una parte crescente con legge parabolica, che raggiunge un massimo a metà del periodo, dopo del quale torna a decrescere e riacquista il valore zero alla fine del periodo. Il valore massimo, raggiunto a metà del periodo è dato da: é V 1 T c=r|! tal) cioè l'ampiezza totale della parte ta riferita al valore minimo di % Vea o eguale a va data sensibilmente da sr Così se fosse: 3 È C—=5 microfarad È < 1000 ca la variazione totale relativa di i sarebbe solo di 1 su 2000, cosichè si può riguardare £ come praticamente costante. 3. Se il rifornimento di carica al condensatore C si compisse, anzichè lungo tutto il periodo, durante una frazione di esso, la variazione relativa di ; sarebbe alquanto maggiore. Però anche nel caso limite che il riforni- mento abbia luogo in una frazione infinitesima del periodo, la variazione s T no 4 stessa non può oltrepassare il valore Gy come è facile riconoscere ricordando ro — 961 — la legge che regola la scarica aperiodica di un condensatore, e l'ipotesi fatta T Cr La tensione quasi costante V esistente agli estremi del condensatore può, per un determinato valore di A, elevarsi quanto si vuole con l’accre- scere 7, come risulta dalla (6); essa vien solo limitata dalla resistenza del condensatore al perforamento. 4. Per la realizzazione pratica del dispositivo sopra discusso ho trovato particolarmente adatti i piccoli rocchetti di Ruhmkorff, capaci di produrre scintille di pochi centimetri. Essi posson funzionare molto bene con l’ inter- ruttore di Wehnelt, avendo cura di aggiungere una piccola autoinduzione sup- plementare nel primario e di ricorrere a un anodo di platino di piccola superficie, in modo che la corrente media primaria non riesca eccessiva. Per evitare che l'interruttore si incanti è utile in principio introdurre nel pri- mario una notevole autoinduzione, che può essere esclusa quando l’ interrut- tore ha cominciato a funzionare. Si ottengono così facilmente circa 2000 interruzioni per secondo; e il funzionamento può durare a lungo raffreddando coì noti metodi il liquido elettrolico. La corrente che traversa la branca 7 è abbastanza elevata e varia poco con 7; cosicchè aumentando 7 si possono raggiungere tensioni veramente molto alte, nei limiti di sicurezza del condensatore. Un piccolo tubo a gas rarefatto, con gli elettrodi disposti a distanza opportuna, può far da valvola; esso infatti, derivato in permanenza ai poli del condensatore, si lascia attra- versare dalla scarica quando la tensione superi un limite assegnato. Quanto allo spinterometro M l’esperienza suggerisce la più opportuna distanza degli elettrodi; per distanze troppo piccole passano anche le correnti di chiusura e il condensatore si carica poco — per distanze troppo grandi la quantità di elettricità messa in moto a ogni scarica diviene piccola; e inoltre le irrego- larità del fiocco di scintille dovute alle intense correnti di aria calda da esso destate, rendono l'andamento incostante. È utile quindi oltrepassare solo di poco la distanza per cui passano anche le correnti di chiusura. 5. Nelle prove da me fatte, non disponendo di un condensatore capace di resistere a tensioni elevate, mi son dovuto limitare alla tensione di 1200 volt, e anzi fu necessario, per non compromettere il condensatore in carta paraf- finata che possiede questo Istituto, associare ad esso, in serie, un complesso di quattro condensatori ad alluminio, anch'essi in serie, e formati inizial- mente a 150 volt. Siccome questi ultimi avevano una resistenza interna non infinita e quindi tutta la differenza di potenziale si sarebbe riportata agli estremi del primo, per distribuirla egualmente si derivò su questo una resistenza @ di circa 20000 ohm; cosicchè nel regime permanente si aveano 600 volt agli estremi del condensatore in carta e 600 agli estremi sull'ordine di grandezza di — 962 — del sistema di condensatori elettrolitici; le capacità dei due condensatori erano pure eguali. Il rocchetto R era capace di dare scintille di qualche millimetro. Il suo primario era rilegato a una a. i. supplementare, di cui una parte veniva esclusa a funzionamento iniziato, a una batteria di accumulatori (76 volt) e all’interruttore di Wehnelt, costituito da un filo di platino di mm. 0,65 di diametro e mm. 6 di lunghezza, saldato a un tubo di vetro e immerso in acqua acidulata con acido solforico (densità 1,15). Le palline dello spinterometro erano a. circa due millimetri di distanza; con che il fiocco di scintille presentava una regolarità e una fissità rimarchevoli. Agli estremi A, B si ottennero così 1200 volt, con una corrente utile, traversante la resistenza 9 e î condensatori in Alluminio, di circa 25 milliampere. Col solo condensatore in carta paraffinata, e una resistenza 7 (fig. 1) tale che agli estremi A B non si oltrepassassero 600 volt, la branca # era traversata da una corrente costante di circa 30 milliampere; essa variava ben poco con 7 (così accrescendo 7 da zero fino a 20000 ohm la corrente decresceva da 35 a 30 milliampere soltanto). D'altra parte è chiaro che disponendo di condensatori per alta tensione e di rocchetti che forniscano correnti secondarie di intensità media più ele- vata si devono ottenere risultati ben più cospicui. Così con due condensa- tori Ruhmer in serie si potrebbero raggiungere, elevando convenientemente la resistenza 7 del ramo di utilizzazione, circa 6000 volt (!). Nè il valore più piccolo che avrebbe in tal caso la capacità C può render più elevate le rapide oscillazioni della corrente 7, poichè tali variazioni, come è dimostrato dalla (8) dipendono solo dal prodotto Cr. Cosicchè il dispositivo potrebbe sostituire le batterie di piccoli accumulatori nei casi in cui questi non son posseduti in numero sufficiente. Fisica. — La quantità d'elettricità cui dà passaggio la scin- tilla e la sua cosidetta resistenza. Nota di 0. M. CoRBINO, pre- sentata dal Corrispondente D. MAcALUSO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (1) Con un rocchetto da 15 cm. si ottengono al secondario quasi costantemente 15 milliampere, comunque sia elevata la resistenza 7. Chimica. — Sw un nuovo derivato del perossido di mo- libdeno. Nota di ArrIGo MazzuccueELLI, presentata dal Socio PA- TERNÒ (°). In relazione a studî già intrapresi (2) sui derivati salini del perossido di uranio, i cui risultati finora ottenuti saranno resi noti fra breve, ho voluto esaminare se composti di un genere simile possono ottenersi anche con gli omologhi dell'uranio, il molibdeno cioè e il tunsteno. La presente nota pre- liminare ha per scopo di render conto di quanto ho potuto già osservare in proposito. Per un primo tentativo, come questo, di ottenere derivati complessi del triossido di molibdeno, le maggiori probabilità di successo sono presentate senza dubbio dai composti di addizione che il triossido di molibdeno forma cogli acidi organici bivalenti, composti che oltre a corrispondere ad una for- mula assai semplice (ciò che facilita assai la interpretazione dei risultati analitici) posseggono pure un grado di complessità, nel senso fisico-chimico, assai spinto, come risulta, fra altro, dagli interessanti studî di Grossmann e Kramers (8). Fra i varî sali poi (ossalati, citrati, malati, tartrati) sem- brano preferibili gli ossalati, che, per non presentare ossidrili alcoolici nella molecola, meno facilmente possono sottostare a una azione ossidante demoli- trice da parte dell’acqua ossigenata. Sperimentando col molibdoossalato am- monico Mo03.C:0,.(NH.):, che può facilmente ottenersi sciogliendo in una soluzione concentrata e calda di ossalato ammonico la quantità calcolata di acido molibdico giallo, Mo03, 2H0, ho trovato infatti che per aggiunta di Perhydrol Merk, nelle proporzioni di una molecola per una molecola di sale complesso, la soluzione assume un bel colore giallo oro, e tutto il sale pri- mitivamente esistente si trova quantitativamente trasformato in un nuovo composto, come risulta, fra altro, dal fatto che la soluzione gialla non pre- cipita neppure per aggiunta di 4 a 5 volumi di alcool a 95°, mentre dalle soluzioni del molibdossalato ammonico può farsi deporre questo allo stato cristallino già per aggiunta di mezzo volume di alcool, e che il cloruro di bario, che dà un precipitato cristallino pesante col molibdossalato inalterato, non precipita affatto colla ‘soluzione gialla; anzi, l'aggiunta di H.0; vale a ridisciogliere il precipitato di molibdossalato baritico già formato. Quest'ultima osservazione ha fornito un modo facile di preparare il sale di bario del nuovo sale complesso che si forma così per azione dell’ H3 0; (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico dell’ Università di Roma. (8) V. questi Rendiconti, 1906, vol. XV, 2° sem., pag. 429. (3) Zeit. anorg. Ch, 42, 1904 (43-60). RempICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 12 DI 0 —== SRI RR = == \ SPS e i — 964 — sui molibdossalati. Una soluzione di molibdossalato ammonico è stata preci- pitata a freddo con un eccesso di cloruro di bario, il precipitato cristallino sabbioso così ottenuto è stato lavato a fondo su filtro alla pompa, poi im- pastato con poca acqua in un mortaio e infine trattato con un piccolo eccesso di Perhydrol. In capo a due o tre minuti si ha dissoluzione completa del sale in un liquido giallo oro; per aggiunta di 1-2 volumi di alcool a 95° si può facilmente precipitare la maggior parte del sale disciolto sotto forma di fiocchi abbastanza leggeri, color giallo-crema, ma neppure con un forte eccesso dello stesso alcool si può ottenere la deposizione completa del sale, che è evidentemente un po’ solubile nell'alcool acquoso. I fiocchi depostisi per la prima aggiunta di alcool furono raccolti su filtro, lavati accuratamente due o tre volte con alcool, questo spostato con etere anidro, e infine dopo una compressione sommaria tra carta la massa polverulenta, soffice, fu la- sciata in essiccatore ad acido solforico per 12 ore, e poi analizzata. Essa contiene bario, molibdeno, ossigeno attivo (riconosciuto con KI in soluzione acida) acido ossalico (riconosciuto dall'esame del precipitato che si ha con CaCl, in soluzione ammoniacale) e acqua (scaldando in provetta asciutta). Nell'acqua si scioglie solo parzialmente a freddo, colorandola in giallo chiaro, e non molto più a caldo; è solubile facilmente negli acidi. Questa singola- rità della quasi completa insolubilità nell'acqua di una sostanza essiccata che appena formata (e anche, come mi accertai, appena precipitata dall'alcool) vi è invece facilmente solubile, non può dirsi nuova pei derivati del perossido di molibdeno; ricorderò che secondo Muthmann e Nagel ('), l'acido ozomolibdico stesso, una volta separatosi allo stato solido, si scioglie solo scarsamente nell’ac- qua, mentre può ottenersi sciogliendo l'acido molibdico nell'H,0,, allo stesso modo come il persale di cui qui si tratta si ha sciogliendo nell'acqua il mo- libdossalato di bario, quasi insolubile. I persali sono in generale più solu- bili dei sali normali, ma sottostanno facilmente a processi di i2vecchiumento, per usare un termine ormai consacrato. Sottoposto a un graduale riscaldamente, questo preparato si decompone con leggera esplosione, dovuta a una specie di combustione interna. Come infatti risulterà dalle analisi, esso contiene anidride ossalica e ossigeno at- tivo in proporzioni equivalenti, C+.03 : 0. Tranne l’acqua, che per ora è stata calcolata solo per differenza, tutti gli altri componenti di questo sale sono stati determinati direttamente. Il bario si è ottenuto precipitando all’ebollizione per aggiunta graduale di acido solforico diluito la soluzione del sale in acido cloridrico; dalle acque madri, concentrandole in crogiolo di platino e scaldando il residuo in bagno d'aria al disotto del rosso sino a costanza di peso, si otterine il triossido di mo- libdeno. L'ossigeno attivo è stato determinato digerendo a 60°. per 15 minuti (1) Ber. 3/, 1898 (1838). — 965 — la sostanza con soluzione di KI (da cui comincia a liberarsi lo jodio già a freddo) sia in ambiente inizialmente neutro, sia con aggiunta di acido ace- tico; lo jodio liberato fu titolato con soluzione — di iposolfito sodico senza (9) uso di salda di amido (che, trattandosi di un liquido perfettamente incoloro, e relativamente concentrato, è affatto supertiua). Il liquido proveniente dalla titolazione fu acidulato con HCl, e, dopo precipitatone all'ebollizione il bario con acido solforico (ciò che fornì un controllo al valore precedentemente ot- tenuto) fu reso alcalino con NH; e precipitato all’ebollizione con Ca CL; il precipitato, che constava di' ossalato, molibdato e possibilmente carbonato di calcio, fu lavato sino a completa eliminazione di joduri e poi sciolto in acido solforico diluito e titolato al permanganato, ottenendosi così l'acido ossalico. Tanto per controllo, si determinò pure il residuo fisso alla calcinazione: fu inevitabile una piccola perdita durante il primo riscaldamento, ma poichè i valori ottenuti sono inferiori ai calcolati, essi valgono a confermare, indiret- tamente, il risultato delle altre analisi. Ecco i dati numerici ottenuti: Gr. 0,7018 diedero 0,3806 BaSO,, corrispondenti a 31,92 °/, Ba, e 0,2318 Mo 0;, cioè 33,03 °/,. Gr. 0,5599 consumarono 12,22 cc. iposolfito 0,2 N, diedero 0,3040 Ba SO, e consumarono 25,68 permanganato 0,1 N; ciò che corrisponde a 4900/50 -(1), 31,96.%/, Ba, .e.20,18 0/805:0.. Gr. 0,6234 digeriti con KI in soluzione acetica consumarono 15,18 ce. ipo- solfito, diedero 0,3395 Ba S0O,, e consumarono 28,49 ce. KMn0;: ciò che dà 3,90°/ 0, 32,05 °/, Ba, 20,10% C.0,. i Gr. 0,6621 lasciarono alla calcinazione 0,4478, cioè 67,63 °/,- Gr. 0,3151 lasciarono 0,2097, cioè 66.55 °/,. Questi risultati sono posti a confronto coi valori calcolati nella seguente tabella: Calcolato Trovato I II III IV V Ba 31,93 31,92 31,96 32,05 — — Mo 0; 33,46 33,03 — — _ _ O 3,02 — 3,49 3,90 — _ (OON 20,45 - .20,18 20,10 _ _ Ba Mo0, 69,11 _ — — 67,63. 66,55 I valori calcolati sono stati dedotti dalla formula Ba C30,, Mo0, + 2+H.0 (!) Fu digerito con KI neutro, e la soluzione, scolorata con iposolfito, si tinse su- bito in giallastro per aggiunta di HC1, ciò che fa supporre vi fosse ancora una piccola quantità di perossido non decomposto. AE "eee. co ——@@T—6@@_ÎE*ÒÙs5i< -(s="——____—m___m_m——Pme'rr_—_m4riîtce-.——clie mei - ar: SEA E IR Di — 966 — Si vede dunque come in questo caso tutto il triossido di molibdeno si è convertito in perossido, pur restando unito come anione complesso col re- siduo ossalico. L'accertamento della esistenza di un composto di questo genere è di importanza fondamentale per la questione dei perossisali del molibdeno. Esso ci mostra come, oltre i fluoperossisali preparati dal Piccini, oltre i perossi- molibdati del Péchard e di Muthmann e Nagel, può esistere una quantità di composti complessi del molibdeno contenenti ossigeno attivo nella loro mo- lecola, il cui studio potrà portare a interessanti conclusioni sulla funzione chimica e sul carattere del Mo 0,, e forse anche sulla costituzione di gruppi complessi, come quelli che il triossido di molibdeno dà coll’acido fosforico, intorno a cui da tanto tempo i chimici indagano. A studî analoghi s1 presteranno i derivati analoghi del tunsteno, pel quale ho già accertato qualitativamente la formazione di composti perossi- dati per azione dell’acqua ossigenata sui tunstoossalati. Mi riserbo di render note esperienze ulteriori sui sopraccennati argomenti. Cristallografia. — Apofillite di Traversella. Nota di Lurci CoLomBa (!), presentata dal Socio G. SPEZIA. Nell'estate scorsa in seguito ad alcuni lavori di sgombero compiuti nella galleria Mongenet a Traversella, vennero, dove essa incontra alcune lenti di calcare cristallino corrose e franate, messe allo scoperto nel detto calcare alcune geodi tappezzate da cristalli di apofillite e di calcite. —_Riserbandomi di descrivere prossimamente i cristalli di calcite, mi oc- cuperò nella presente Nota dell'apofillite, minerale interessante perchè è una specie nuova per i giacimenti di Traversella, essendo le uniche specie appartenenti al gruppo delle zeoliti, considerato nel suo significato più esteso, rappresentate dalla cabasite e dalla stilbite osservate da G. Struever (*) su alcuni esemplarî di Monteacuto. L'apofillite è in nitidi cristalli, facilmente sfaldabili secondo 001 e la cui altezza giunge raramente ai 3 o 4 millimetri; quelli più piccoli sono limpidi ed incolori mentre quelli di dimensioni maggiori hanno un aspetto lattiginoso; questi cristalli sono impiantati sulla calcite che tappezza le sud- dette geodi. In essi sono sempre presenti le (001) ,(100),(111) alle quali molto raramente si aggiungono le 310 e 210 e più raramente ancora un diottaedro corrispondente al simbolo 1 1 55 nuovo, per quanto mi consta nel- l’apofillite. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto mineralogico della R. Università di Torino. (2) Studi sulla Mineralogia italiana. Memoria della R. Accad. delle Scienze di Torino, serie II, vol. XXVII (estratto) pas. 43-44. — 967 — Le misure ottenute per la 111 sono molto oscillanti, fatto questo comune ; nell’apofillite; dall'esame di una serie di 10 cristalli ebbi invero i seguenti quattro gruppi principali di valori per l'angolo 111. TO: Valori estremi Valori medî Spigoli misurati 1° sruppo (un cristallo) . . 74° 8/-74°12" 74°10' 2 Zona (due cristalli). . 74°26'-74°30" 74°28' 2 3° » (cinque cristalli) 75°25'-75°29' 75°28' 10 4° = (due cristalli). . 75°37'-75°40" '19°89" 3 Assumendo come fondamentale l'angolo medio corrispondente al terzo gruppo, perchè più frequente, si ottiene: 111.001= 59°55' CIO valori molto prossimi a quelli ottenuti da Dauber (') per l'apofillite di Poonah. In tal caso i valori corrispondenti agli altri gruppi di angoli porte- | rebbero a forme vicinali della 111, appartenenti al tipo di quelle osservate ) dapprima da Ploner (°) nell’apofillite di Val di Fassa; e questo specialmente per quelli del 1° e 2° gruppo essendo quelli del 4° gruppo troppo vicini a ì quelli del 3° per poterli considerare a parte. Per lo stesso motivo riunendo insieme quelli dei due primi gruppi si otterrebbe per l'angolo con 001 un valore medio poco lontano da quello richiesto per la 17 17 13: Valori estremi dei due gruppi Valore medio Valore teorico (ec = 1,2210) Il RE 5:001 58°30’30”-58°50" 58°40"15” 58929’ Io credo però che sia preferibile considerare questi valori come corri- spondenti a facce vicinali della 111, derivanti probabilmente da piccole va- riazioni avvenute nella giacitura delle facce della detta forma durante l'acere- scimento dei cristalli; invero io osservai come i valori inferiori siano proprii dei cristalli più grossi, mentre nei più piccoli invece i valori tendono verso quelli da me assunti come fondamentali. Osservai la 310 in due soli cristalli in uno dei quali (fig. 1) era pure presente la 210 da me determinata però solamente mediante misure appros- simate; ottenni per queste forme i seguenti valori angolari: 5 nn Milo — ee-—— ti’ @sco Valori estremi Valori medì Valori teorici I 310.100 18°27'-18°33 18°30! 18026” i 210.100 269-27° 26°30' 26°34' 0) Veber Apophyllit-Krystalle. Pogg. Ann. (1859) CVII, pag. 281. (®) Veber die Krystallformen der Apophyllits der Seiseralpe. Zeit. fr Kryst. Miner. XVII (1891) pag. 337. n RR CNIT A pe — 968 — Il diottaedro 1155 fu osservato in un solo cristallo sotto forma di facce striate giacenti nelle zone 111.100; da una di queste facce potei ottenere la seguente misura angolare: Valore trovato Valore teorico (c = 1,2210) 1155 100 30°21' 30026" Ebresis (Questo diottaedro è intermedio fra la 211 osservata da Descloizeaux (') e la 1255 osservata da Ploner(?), forme che rispettivamente portano, assu- mendo c= 1,2515 secondo Dana (*), ai seguenti valori angolari: QI LE L0O0==320374 1255. 100/2894 mentre per la 1155 si ha, assumendo la predetta costante: 1155.100= 30°12' valore sufficientemente distinto da quelli corrispondenti alle predette forme. Otticamente considerata l’apofillite di Traversella presenta caratteri ana- loghi a quelli comunemente osservati in detta specie minerale. Osservando delle lamine di sfaldatura e quindi normali all'asse principale, a nicols incrociati e colla lamina di gesso, si nota come esse appariscano divise in quattro settori alternativamente colorati in giallo ed in azzurro, passando le linee di divisione dei settori per i vertici delle sezioni quadrate delle lamine stesse, fatto questo già osservato da Klein (4) in molte apofilliti. A luce convergente le stesse lamine lasciano vedere una croce nera molto fissa contornata da una zona bianca che sostituisce gli anelli colorati; il che indica come l’apofillite di Traversella debba riferirsi al tipo leuco- (1) Man. de Minéral. Paris (1862) Vol. I, pag. 125. (2) Loc. cit. (8) System of Mineralogy (1892) pag. 566. i (4) Mineralogische Mittheilungen. Neues Jahrb. fur Min. Geol. und Pal. 1892, II, 1 È pag. 165. ORO ciclitico di Herschell (!). Osservando questa figura d’interferenza con la lamina di gesso si nota che i quattro settori in cui il campo apparisce diviso dalla croce nera mantengono il carattere delle alterne colorazioni gialle ed azzurre. Cornu (?) ha stabilito che il tipo leucociclitico dell'apofillite sia proprio di quelle varietà riferibili, perchè prive di finoro, all’idroapofillite, la quale è otticamente positiva, mentre invece il tipo cromociclitico di Herschell si osserverebbe nelle varietà fluorifere e riferibili alla /uorapofillite otticamente negativa. Applicando tali principî all'apofillite di Traversella ne risulterebbe che essa dovrebbe essere priva di fluoro il che invece non avviene; questa ap- parente contraddizione sì spiega però facilmente ammettendo con Klein che l’apotillite naturale sia una mescolanza di leucociclite e di cromociclite. Ora essendo le proporzioni di fluoro sempre molto esigue nell'apofillite na- turale ne risulta che la quantità di fluorapofillite che in essa è associata alla idroapofillite è sempre piccolissima, per cui difflcilmente può influire sui caratteri ottici del minerale in questione, osservandosi solamente che, al pari di quanto io ho constatato anche nell’apofillite di Traversella, nelle lamine sottili si hanno talvolta delle plaghe molto limitate che hanno com- portamento ottico inverso. La mancanza di una sufficiente trasparenza nei cristalli più grossi mi ha impedito di aver lamine che mi permettessero di determinare l’ indice straordinario; invece la facile sfaldabilità parallelamente a 001 mi ha per- messo di ottenere anche dai cristalli più piccoli delle nitide lamine traspa- rentissime normali all’asse principale, dalle quali, adoperando il metodo del Duca di Chaulnes, ottenni per l'apofillite di Traversella il seguente valore medio per l'indice di rifrazione ordinario: 1,595. Un'analisi quantitativa mi diede ì seguenti risultati: 55,0 Cal0i=126:06 K,0 = 4,29 H:0 Bli_al6y72 100,10 In un altro saggio ottenni per gli elementi volatili un valore di 16,68 °/.. La presenza dell'acido fluoridrico fu dimostrata dallo svolgimento di vapori acidi, che incominciò in ambedue i casi ad una temperatura di circa (1) On a remarkable Peculiarity ecc. Trans. of the Cambridge Philos. Soc. (1822) I pag. 241. (2) Vorliuf Mitth. uber Untersuch. an den Mineralien der Apophyllitgruppe ecc. Centralbl. fur Miner. Geol. ecc. 1906, 3, pag. 79. — e —r_——cec%s=S pre Ve >> e Sr IE I e gr 400°, per il che avendo ottenuto rispettivamente nei detti saggi a quest’ul- tima temperatura delle perdite pari a 16,05 ed a 16,20°/, ebbi per il fluoro quantità varianti fra 0,67 e 0,48%. Questi valori sono però solo approssimativi; invero in una determinazione diretta ebbi per-il fluoro una quantità pari a 0,87 °/, il che indica come a 400° piccole tracce di fluoro sì fossero già eliminate. Assumendo tale proporzione per il fluoro si ottiene per la apofillite di Traversella la seguente composizione centesimale Sì 0, 53,03 19 1,72 Ca 0 26,06 10) K,0 4,29 154 JRESO) 15,85 19 ) 1,82 FI 0,87 1) 100,10 Volendo ricavare la formola di struttura corrispondente a questi ri- sultati occorre considerare dapprima le questioni concernenti la posizione che debbono assumere il fluoro e l’acqua, essendovi sensibili divergenze fra i varî autori. Per quanto si riferisce al fluoro, Rammelsberg (1) ammise che fosse unito al potassio nel composto KFl, molecolarmente associato al silicato calcico proprio dell’apofillite; invece gli autori moderni ammettono piuttosto che esso entri a sostituire parzialmente gli ossidrili o l'ossigeno nell’acido metasilicico. L'ipotesi di Rammelsberg apparisce poco probabile per la nessuna analogia chimica esistente fra i due composti che dovrebbero essere associati in miscela isomorfa nell’apofillite; inoltre essa è pure contraddetta dalla mancanza di relazioni fra i rapporti in cui il potassio ed il fluoro entrano nella molecola dell'apofillite. Invero se si considerano le analisi riportate da Dana (?), sì osserva come l’apofillite di French Creek e quella della Valle di Fassa, che sono rispettivamente da considerarsi come la più ricca e la più povera in potassio, o non contengono affatto oppure solo contengono tracce di fiuoro, mentre invece quella di Berghen Hill ne contiene una quantità su- periore a quella necessaria per saturare tutto il potassio, per cui si richie- derebbe nella molecola, oltre alla presenza del fluoruro di potassio, anche quella del fluoruro di calcio. In ultimo non si spiegherebbe perchè questi fluoruri ad una temperatura di 400° si decompongano, invece di volatilizzare inalterati. (0) Hand. der Mineralchemie (1875) 1° parte, pag. 606. (3) System of Mineralogy (1892) pag. 568. 97 — La diretta unione del fluoro col silicio si può interpretare in due modi. Il primo sarebbe quello di ammettere la presenza di idrofluosilicati nella molecola dell’apofillite, potendosi a questo proposito invocare le analogie sta- bilite da Remsen (') fra gli idrofluosilicati ed i metasilicati, per cui essendo il gruppo Fl; equivalente ad un atomo di ossigeno, sarebbero equivalenti i composti K, Si Fl; e K.Si0;. Tuttavia anche per questa ipotesi persiste il fatto che, pur ammettendo la dissociazione dell’idrofluosilicato potassico per azione del calore non si avrebbe modo di ottenere acido fluoridrico libero, quando tutta l’acqua esi- stente nell'apofillite fosse già eliminata, come appunto avviene a 400°, poichè la detta dissociazione non potrebbe avvenire che mediante la seguente rea- zione : K,SiFlk=2KFl4+- SiFl. Migliore è l'ipotesi secondo la quale il fluoro entrerebbe a sostituire parzialmente o totalmente gli ossidrili nella molecola dell'acido metasilicico, bastando a tale scopo di ammettere che esso, al pari del cloro, possa dar luogo a fluoruri dei radicali acidi od a fluoridrine derivanti dalla totale o parziale costituzione degli ossidrili negli acidi mediante atomi di fluoro. Ammessa la esistenza di tali composti si avrebbero nel caso dell'acido metasilicico i seguenti successivi tipi di composti: : th , H sio DE sio 0 sio OH Fl FI acido metasilicico fluoridrina silicica fluoruro di silicile fra i quali il secondo potrebbe, mediante la seguente reazione : sione — Si0, + HFI dar luogo, per semplice dissociazione, ad acido fluoridrico ed a separazione di silice. Nell'apofillite di Traversella essendovi un atomo di fluoro si avrebbe una molecola di fluoridrina. Per quanto riguarda l’acqua, come ho detto, essa è nei due saggi da me compiuti, rispettivamente pari a 15,85 ed a 15,81, quando si escluda la quantità 0,87 di fluoro dal complesso degli elementi volatili. Nel seguente quadro sono riportate le successive perdite che si hanno a temperature cre- scenti fra 100° e 400°. (1) Am. Chem. News. XI, pag. 291. ReNDICONTI. 1907, Vol, XVI, 1° Sem. 12 I Temperature | 1° saggio 2° saggio || Temperature| 1° saggio | 2° saggio 1009. .]} (10,17./0/,;; RE ' 280° ii | 929°/, 160° | 0,51 » 2 285° | 989%} — 200° 0,86» = 300° — 10,70 » 205° = Ino 925° 11,60 » sa 240° —- 5,99 » 350° — 12,70 » 250° 6,51 » = 360° 13,35. » - 270° 8,49 » = 400° 15,85 » 15,81 » Costruendo per punti la curva corrispondente a questi valori come è indicato nella figura 22 dalla linea OA si nota come essa dopo un aumento 1685 C 17%, resta | MESI 16% De 15% 14%] 13%] 12%, u 1079, 9+79.91 10% ea 9206 9% (9A tl 6% 574 4% | 3% 2% 1%4' SI TEC hi) = = 3 "3% CORE re 2 n'e IT Sata SR s î oa Apofillite di ‘LPraversella 0; X secondo saggio ( 74 £ È S. È LITE nZE (08) DE Da ni Iergh en bill Mersch) Lrrsi(00): ” 7 19 1) ” Fis. 2. graduale e lentissimo nel tratto compreso fra 100° e 200° subisca una forte deviazione nel tratto compreso fra 200° e 285°, deviazione che si mitiga assai al di là di quest'ultima temperatura; e se si riferiscono queste per- dite parziali alla quantità totale di acqua contenuta nell’apofillite di Tra- versella, pari a 19 molecole, si ottengono i seguenti rapporti : 100° 200° perdita = 0,80 °/, pari a 1,03 molecole di acqua 200%02 85M 29:05 » 10,82 ) OO TA 000 9:90 n.5 4,14 ’ — 973 — Ora se si considera che delle 19 molecole di silice presenti nella mo- lecola dell’apofillite di Traversella, undici sono saturate dal complesso delle basi ed una, secondo l'ipotesi prima fatta, dal fluoro allo stato di fluoridrina silicica, rimarrebbero ancora libere 7 molecole di silice, numero molto prossimo a quello che corrisponde alla quantità di acqua che si elimina dopo 285°, per cui si potrebbe ammettere che appunto queste sette molecole di silice e di acqua siano associate allo stato di acido metasilicico. Invece le altre 12 molecole di acqua che si eliminano fra 100° e 285°, (11,84 se- condo i sopraindicati rapporti) potrebbero rappresentare altrettante molecole di acqua contenute nella apofillite allo stato di acqua di cristallizzazione, la cui eliminazione molto lenta nel primo tratto 100° . 200°, diverrebbe invece rapidissima nel tratto 200°. 255°. Per cui si ricaverebbe per l’apofillite di Traversella la seguente formola di struttura: 10 Ca Si 03 Hg Cao E2 Sixo O;s FL + 12H,0 | i si Ra SET ZIERIO) Si0 (OH) FI Questi risultati concordano sufficientemente, per quanto riguarda questa differenza di contegno dell’acqua, con quanto Hersch (*) osservò nell’apo- fillite di Berghen Hill, a parte alcune differenze nelle perdite ottenute a temperature intermedie; egli ottenne infatti le seguenti perdite successive: 100° 160° 200° 240° 275° 300° calor rosso DATO SOS Mono 2,0300909. 080/0900 16,61 L'andamento di queste perdite indicato nella figura 2, dalla linea OB lascia pure vedere una sensibile deviazione nel tratto 200° .275°; se poi si tien conto che l’analisi di detta apofillite porta approssimativamente alla formola : K,0 .8 Ca0 . 17 Si 0; . FL + 17H,0 è facile di vedere come si potrebbe dare ad essa una interpretazione del tutto analoga a quella da me data per l’apofillite di Traversella, solo am- mettendo che il fluoro entri a costituire una molecola di fluoruro di silicile, potendosi essa esprimere nel modo seguente: \ 8Casi0; CS 0, IH 0 = TOO i IBIS Si (07 Si OFI, (1) Inaug. Dissert. Zurich. 1887, pag. 25. S=-a = o ine cn = = res a — —— | \-eotm cuce — rd n il — 974 — essendo la quantità di acqua che si elimina al disotto di 275° pari a 9,5 i molecole, numero molto prossimo a 10 che appunto rappresenta, nella sopra- ii riportata formola, la quantità di molecole di acqua che ancora rimarrebbe libera dopo saturata, allo stato di acido metasilicico, tutta la silice residua. Non tutti gli autori sono però concordi nell’ammettere queste differenze | di contegno nell'acqua dell’apofillite; alcuni anzi la escludono del tutto come Rinne (') ed Hennig (*°) e degno di nota è il fatto che quest’ultimo ottenne per la apofillite di Berghen Hill dei valori differenti da quelli ottenuti da Hersch per quanto riguarda sia le singole perdite alle varie temperature sia i] per quanto si riferisce all'andamento complessivo di queste perdite; invero | egli ottenne i valori seguenti: 200° DIDO 267° 310° 350° 400° calor rosso o/e 16,92 0/3 92.000 12:50 10,000 18,10 Considerando l'andamento di queste perdite, rappresentato nella figura 2 dalla linea OC si nota come essa non presenta, nel tratto 200° .400°, a diffe- renza di quanto osservò Hersch, nessuna traccia di deviazione, rimanendo quindi del tutto giustificata la conclusione a cui giunge Hennig della mancanza di qualsiasi differenziazione nell'acqua dell’apofillite. Però i dubbi che, in causa di questi differenti risultati, si possono avere per l’apofillite di Berghen Hill non sono possibili per quella di Tra- versella per il fatto evidente, osservando sia la tabella da me riportata sia la curva AB ad essa corrispondente, che tanto i valori da me ottenuti nel primo saggio quanto quelli avuti nel secondo obbediscono ad una stessa legge, il che sarebbe certamente difficile ad avverarsi nel caso in cui i risultati fossero parzialmente erronei. Un'altra prova della reale presenza di un differente comportamento nel- l'acqua dell’apofillite consiste nelle esperienze di Rammelsberg (*) e di Dolter(4) i quali dimostrarono come l'apofillite parzialmente disidratata possa riassorbire una parte dell’acqua eliminata. Io ho ripetuto queste esperienze con l'apofillite di Traversella; due porzioni del minerale finamente polverizzate vennero portate rispettivamente alle temperature di 260° e di 400°, poscia vennero lasciate durante 25 giorni in un essiccatore contenente una certa quantità di acqua; in seguito esse vennero pesate dopo essere state portate alla temperatura di 100°-105° per alcune ore. (1) Beitrag sur Kenntniss der Natur der Krystallwasser. N. Jahrb. fir Min. ecc. (1899) I, pag. 1. (2) Apophyllit von Sulitelma. Geol. Fòren. Fòrhand. Stock. (1899) XXI, pag. 391. (8) Hand. der Mineralchemie (1875) pag. 607. ; (4) Ueber die Kinstliche Darstellung und der Chemische Constitution einiger Zeo- lithe. Neues Jahrb. fiùr Min. ecc. (1890) I, pag. 118. Ottenni i seguenti risultati. Perdita Perdita rimanente Acqua rias- iniziale dopo esposiz. all’aria umida sorbita 1® porzione (260°) 09095 4,09 °/o Dado e 28» (400°) 16,03 » 13,49 » 9,54 » Da questi valori si deduce non solo come l’apofillite sia capace di rias- sorbire parzialmente l’acqua perduta ma come pur anche, nei limiti della mia esperienza, la quantità di acqua assorbita sia uguale tanto nel caso in cui la disidratazione iniziale sia stata solo parziale quanto nel caso in cui sia stata totale. Mineralogia. — Sulla radioattività della cotunnite vesuviana. Nota di FERRUCCIO ZAMBONINI, presentata dal Socio STRiVER. Negli ultimi anni sono state eseguite diverse ricerche sulla radioattività delle lave e dei tufi di alcune regioni vulcaniche italiane. Così Elster e Geitel (') studiarono dei materiali di Ischia, di Capri e dell'Etna; Sella e Martinelli (*) le pozzolane, i tufi e le lave dei dintorni di Roma; Trovato Castorina (8) i prodotti vulcanici della regione etnea. Questi .studî hanno messo fuori di dubbio la radioattività, in generale assai debole, dei mate- riali esaminati. Per il Vesuvio le ricerche specialmente di Becker (4), Nasini e Levi (?), Scarpa (6) e Kernot (7) hanno condotto al risultato che i prodotti delle vecchie eruzioni possiedono una radioattività maggiore di quella dei prodotti della eruzione dell'aprile 1906. Tra questi ultimi, poi, le ceneri ed i lapilli sem- brano essere, in genere, più fortemente radioattivi delle lave, che, anzi, se- condo il prof. Nasini, sarebbero da considerarsi come inattive (radioattività minore di 1.10-* rispetto all’ uranio). In queste esperienze, però, lo studio della radioattività è stato limitato, almeno per quanto mi è noto, alla roccia in massa e non si è esteso ai sin- goli minerali costituenti, nemmeno nei casi in cui ciò era possibile. Pure la necessità di uno studio di questo genere (affermata esplicitamente già dal (1) Physik. Zeitsch., 1904, V. (2) Rendiconti R. Accad. dei Lincei 1904, serie 5°, X 2° sem., XIII, 156. Ibidem 441. (3) Nuovo Cimento 1905, serie 5%, X, 198. (4) Annalen der Physik, 1906, serie 4°, XX, 634. (5) Rendiconti R. Accad. dei Lincei, 1906, serie 5°, 2° sem., XV, 391. (6) Rendiconti R. Accad. dei Lincei, 1907, serie 5° 1° sem., XVI, 44. (7) Rendiconti R. Accad. delle Scienze Fis. e Mat., Napoli, 1906, serie 3%, XII, 462. f 1 a ZI + AVIRA, TI o A ZI E pa eg DOTE TN — 976 — prof. Nasini) risulta chiara dalle ben note esperienze di R. J. Strutt () sulla radioattività delle rocce eruttive e dei minerali che più frequentemente in esse sì rinvengono. Da questi studî dello Strutt emerge che alcuni mine- rali petrograficamente importanti, come il quarzo ed il rutilo, non conten- gono radio, mentre, invece, parecchi zirconi sono, relativamente, abbastanza attivi. Così pure lo Strutt ha dimostrato che, in uno dei graniti da lu stu- diati, la parte avente peso specifico > 2,8 (corrispondente in peso all’ 11,5 °/,) possedeva più della metà della radioattività totale della roccia. Tra i minerali che si formano nelle fumarole del Vesuvio, uno mi è sembrato particolarmente degno di studio, ed è la cotunnite. Questo mine- rale è, infatti, abbastanza frequente e fu osservato in tutte le eruzioni av- venute dal principio del secolo passato a quella dell'aprile dello scorso anno. Dalla cotunnite si può dire, inoltre, che provengono gli altri minerali di piombo finora accertati al Vesuvio (pseudocotunnite, anglesite, linarite, ga- lena). Ora è noto che il piombo si trova in tutti i minerali radioattivi e che, secondo Boltwood (*) e Rutherford (°) è da ritenersi come il prodotto finale della disintegrazione dell'uranio. A ciò è da aggiungere che la piromorfite di Issy-l'Évéque è stata riconosciuta da Danne (4) come fortemente radioattiva (la sua attività in certi campioni è molte volte superiore a quella dell’uranio). Non sembrava, perciò, del tutto improbabile che la cotunnite vesuviana fosse radioattiva. Ed un'esperienza preliminare confermò pienamente questa supposizione, dimostrando che la cotunnite dell'ultima eruzione possiede un'at- tività molto spiccata. Pensai allora di eseguire qualche esperienza più precisa, per avere un'idea abbastanza approssimata della radioattività di questo minerale. Grazie alla cortesia del prof. Cantone, che vivamente ringrazio, potei servivmi dell'elettroscopio Curie posseduto dall'Istituto Fisico dell’ Università di Na- poli. La cotunnite adoperata proveniva da una fumarola apertasi di fronte alla Punta del Nasone ai primi di aprile di quest'anno: era stata subito stac- cata dalla roccia e conservata in una camera dell’ Istituto di Mineralogia del- l’Università di Napoli nella quale non vi erano sostanze radioattive. Cone materiale di confronto adoperai del nitrato di uranile cristallizzato (UO (NO;):.6H,0) purissimo. Tanto la cotunnite che il nitrato di uranile furono adoperati in polvere fina e in quantità uguale in peso. Da numerose espe- rienze concordanti è risultato che la radioattività della cotunnite è dell'ordine di grandezza di quella del‘nitrato di uranile, ed, anzi, sembra essere alquanto più forte. Ponendo uguale ad uno la radioattività del nitrato di uranile, quella della cotunnite risulterebbe uguale ad 1,1. (1) Proc. Royal Soc. London LXXVIII, serie A, 150. (2) Philos. Mag., 1905, serie 6°, IX, 599. (8) Philos. Mag., 1905, serie 6°, X, 290. (4) Le Radium, 1905, II, 33. — 977 — Ho creduto non inutile esaminare se anche la cotunnite di precedenti eruzioni è radioattiva. Grazie alla cortesia del prof. Eugenio Scacchi ho po- tuto adoperare la cotunnite formatasi nelle fumarole del cratere del 1872, e che Arcangelo Scacchi aveva isolato dalla roccia nello stesso anno e chiusa in un tubetto di vetro. Anche questa cotunnite del 1872 è radioattiva e la sua attività è sensibilmente uguale a quella della cotunnite formatasi nel- l'aprile di quest'anno. Dalla tabella riassuntiva pubblicata dallo Scarpa, risulta che, ad ecce- zione delle terre di Capri studiate da Elstere Geitel, la radioattività dei prodotti vulcanici italiani finora studiati è compresa fra circa un millesimo ed un mezzo decimillesimo di quella dell'uranio. La radioattività della co- tunnite vesuviana è, quindi, enormemente più grande di quella di tutti i prodotti vulcanici italiani fin qui esaminati. È certo che di questa forte attività della cotunnite del Vesuvio deve essere tenuto conto per spiegare la radioattività dei lapilli e delle ceneri vesuviane, che è, tenendo conto dei dati di Scarpa, da duemila a dodicimila volte minore (in cifre tonde). E l'ipotesi che la radioattivività delle ceneri e dei lapilli vesuviani possa dipendere, almeno in buona parte, dalla pre- senza in essi di quantità assai piccole di cotunnite o di altri composti di piombo da questa derivati risulta suffragata da un fatto notevole, osservato concordemente da Scarpa e da Kernot, che, cioè, la radioattività delle ceneri cadute su Napoli in seguito all'ultima eruzione è molto minore di quelle raccolte sul cono del vulcano. Ora è evidente che la cotunnite, a causa del suo peso specifico considerevole, appartiene a quei materiali del nostro vul- cano che più difficilmente possono essere trasportati a distanza. È inoltre da osservare che dalla presenza in esse della cotunnite può dipendere anche la radioattività delle lave. Infatti, sopra tutto per merito di Arcangelo Scacchi, si sa che molte volte la cotunnile si è osservata sulle lave vesuviane. In generale, questo minerale è più frequente nelle fumarole del cratere che in quelle delle lave, il che può spiegare la minore radioat- tività di queste ultime in confronto delle ceneri e dei lapilli che rappresen- tano per la maggior parte materiale vecchio del gran cono. Per quel che riguarda le lave dello scorso anno, tanto scarsamente radioattive, credo oppor- tuno far notare che in nessuno dei molti campioni che ne ho visto ho potuto riconoscere la cotunnite macroscopica. Non è, quindi, improbabile che le lave di quest’ anno sieno meno ricche in piombo di quelle di eruzioni prece- denti. Con queste osservazioni io non pretendo affatto di asserire in modo asso- luto che la radioattività dei prodotti vesuviani dipende dai composti di piombo in essi contenuti, tanto più che non sappiamo nemmeno se la tenue attività della lava dell'ultima eruzione dipenda semplicemente dal fatto che solo da poco tempo era passata, quando fu esaminata, dallo stato liquido al ero et e - — — =—==az SI en int 2 Gres. dle, —— pe: ceca == \ TTT TA SO ERANO Pe pena n pe — 978. solido (*), e che, d'altra parte, come giustamente nota lo Scarpa, « torna LI lecito il dubbio che varie sieno le sostanze radioattive » presenti nei mate- riali vesuviani. Ho creduto, però, non inutile richiamare l’attenzione delle VII persone più di me competenti su quanto può dedursi dal fatto che un mi- Ù) nerale abbastanza frequente tra i prodotti del Vesuvio presenta una radioat- | tività assai forte, paragonabile a quella di quei minerali uraniferi che con- | tengono circa il 45 °/ di uranio. | In generale si è osservato che i minerali radioattivi contengono uranio, ed anzi la radioattività è proporzionale al tenore in questo metallo. Ora nè la piromorfite studiata dal Danne, nè la cotunnite vesuviana contengono uranio in | quantità apprezzabili. Il Danne ha cercato di spiegare il fatto da lui osser- Li vato, supponendo che il radio sia stato apportato alla piromorfite dalle acque radifere della regione, che sono effettivamente radioattive. È evidente che questa spiegazione, che mi sembra, del resto, fortemente dubbiosa anche per la piromorfite di Issy-l'Evéque, poichè è, infatti, strano che le acque radifere abbiano deposto il radio soltanto nei punti contenenti minerali di piombo, | tanto che mi pare assai più probabile l'ipotesi inversa, che, cioè, le acque debbano il loro contenuto in radio alla presenza di minerali radioattivi nella regione che esse traversano, non può affatto essere applicata alla cotun- | nite vesuviana. Nè io credo di poter avanzare delle ipotesi non fondate su | alcun fatto, od uma di quelle spiegazioni che nulla spiegano, come sarebbe, | per esempio, il ritenere che il piombo prodotto dalla disintegrazione del- l'uranio, possa, in condizioni opportune, conservare a se uniti i prodotti ra- il dioattivi della disintegrazione stessa. Credo opportuno aggiungere che anche la galena formatasi nelle fuma- role del cratere nel mese di maggio dello scorso anno (*) è fortemente ra- dioattiva. Non ho fatto su questo minerale che poche esperienze preliminari | su piccola quantità di cristalli rimasti per quasi un anno attaccati alla roccia sulla quale si deposero. Dalle misure eseguite risulterebbe che la galena vesuviana possiede una radioattività molto più forte di quella della cotun- nite studiata. (1) E questa una delle ipotesi avanzate dal prof. Nasini. (2) F. Zambonini, Rendiconti R. Acc. Lincei, 1906, 2° semestre, pag. 295. Zoologia. — Sul ritmo dei cuori di due larve di Discoglossus, saldate insieme (*). Nota di Lurar Sanzo, presentata dal Socio B. GRASSI. Nella presente breve Nota, che avrà presto seguito in un lavoro per esteso sullo stesso argomento, vengo a riassumere i risultati di ricerche intese a chiarire se e fino a qua] punto due cuori, messi, coll'innesto di due organismi, in comunicazione tra loro, modifichino, in conseguenza di ciò, o continuino a mantenere indipendente il proprio ritmo. Gli innesti, in numero assai rilevante — duemila e più quelli riusciti — vennero praticati tra due larve giovanissime di Discoglossus pictus, differenti per età e ritmo cardiaco, secondo i seguenti tipi: Tipo I. In ciascuna delle due larve da innestare si asporta, con un taglio trasversale cadente a livello o in avanti della regione cardiaca, la parte anteriore e si mettono a combaciare i due pezzi posteriori, omonimamente od eteronimamente rispetto alle regioni dorsali e ventrali. Tipo II. Ciascuna delle due larve si divide in due pezzi, l'uno anteriore e l’altro posteriore, con un taglio obliquo che dorsalmente cada a metà della lunghezza della larva e ventralmente in corrispondenza o poco in avanti della regione cardiaca. Si mettono a combaciare omo od eteronimamente, rispetto alle parti dorsali e ventrali, le due superficie di sezione dei due segmenti posteriori. Tipo III. Il taglio dal punto più prominente dell'estremo cefalico va a cadere ventralmente a metà della lunghezza della larva; e si mettono a combaciare le due superficie di sezione dei due pezzi maggiori in modo che i due abbozzi caudali risultino o dalla medesima parte o in senso opposto come nel tipo II Tipo IV. Con un taglio sagittale sì asporta dalla parte dorsale un lembo più o meno alto; e si fanno combaciare nel medesimo senso due larve così operate, per la superficie di sezione. Tipo V. Ricostruzione di una larva con due con tre 0 quattro cuori. a) Ricostruziome di una larva a due cuori. — Si tagliano trasver- salmente due larve, l'una anteriormente e l’altra posteriormente alla sezione cardiaca e si fanno combaciare i due pezzi contenenti ciascuno l’abbozzo car- diaco, in modo da ricostruire una larva di forma normale la quale conterrà due cuori. (') Lavoro eseguito nell’Istituto di Anatomia e Fisiologia comparate della R. Uni- versità di Palermo. ReNpICONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 124 } — 9380 — d) Ricostruzione di una larva a tre cuori. — Fra i due pezzi del tipo precedente Va s'intercala un terzo piccolo pezzo contenente un abbozzo cardiaco. Tale pezzo si ottiene da una terza larva fra due tagli trasversali cadenti l'uno al limite anteriore, l’altro al limite posteriore della regione cardiaca; e se ne fanno combaciare, omonimamente alle regioni dorsali e ventrali, l'anteriore e la posteriore superficie di sezione rispettivamente colle due superficie di sezione dei segmenti cefalico e caudale della larva del tipo Va. c) Ricostruzione di una larva a quattro cuori. — S'interpone fra il segmento cefalico o caudale e il segmento mediano del tipo Vò un quarto pezzo ottenuto ed orientato analogamente al terzo. Col progressivo sviluppo del complesso risultante dai varî tipi di innesto, vengono fra l’un cuore e l’altro a stabilirsi delle vie di comunicazioni le quali possono essere dirette o indirette secondo che i due cuori siano saldati tra loro 0, essendo più o meno lontani, comunichino tuttavia per il fatto che fra i due rispettivi sistemi vascolari si stabiliscono delle comunicazioni vasali. Cuori a comunicazione indiretta : a) I due cuori non raggiungono l’isocronismo, almeno per tutto il periodo dell’innesto, da 1 a 4 mesi. A ciò fa riscontro uno sviluppo assai limitato delle vie di comunicazioni fra un sistema vascolare e l’altro. Tale risultato è comune a ciascuno dei suaccennati tipi d’innesto; fu costante in tutti gli innesti fatti secondo il tipo Va, Vb, Ve. 5) Le pulsazioni di uno dei due cuori diventano isocrone con quelle dell’altro cuore; ma l’isocronismo può facilissimamente cessare al più lieve stimolo, per ritornare dopo un tempo variabile in rapporto alla modalità dello stimolo stesso e dell’innesto. Tale risultato fu più frequente negli innesti tipo IV. Cuori a comunicazione diretta. a) L'isocronismo fra i due cuori può permanentemente essere rag- giunto; le pulsazioni però non coincidono per fase, sebbene in molti casì i flussi arteriosi nell'una e nell'altra larva sincronizzino stabilmente fra loro. Il fenomeno è fisicamente spiegabile colla simultaneità di efflusso in due vasi derivanti da una cavità comune ripiena di liquido sul quale agiscono due stantuffi in fase diversa. Gli innesti tipo III dànno, fra gli altri innesti, più frequentemente tale risultato. 3) Le pulsazioni dei due cuori non solo sono di uguale durata ma coincidono anche per fase. Tale stato funzionale fu raggiunto solo una volta (innesto tipo II) in duemila e più innesti riusciti. In questo caso i due — 981 — ventricoli formavano un'unica cavità la cui parete si mostrava divisa per una linea di sutura in due parti simmetriche da ciascuna delle quali partiva un bulbo arterioso. Così con l'esperimento veniva anche confermata l'ipo- tesi del Loeb che «se si riuscisse a saldare insieme completamente due cuori essi batterebbero sincronamente »('). Zoologia. — Contrazioni ritmiche antiperistaltiche nell’ inte- stino terminale di larve di Discoglossus pietus. Nota di Luigi SANZO, presentata dal Socio B. Grassi. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (1) J. Loeb, Fisiologia comparata del cervello e psicologia comparata, pas. 32. (Tra- duzione italiana del prof. F. Raffaele. Editore Remo Sandron, Palermo, 1907). re — —_——m i cre SIERRA tt IA E] ora ee e pene en Pg e A — 983 — INDICE DEL VOLUME XVI, SERIE 5°. — RENDICONTI 1907 — 1° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A ALmansi. « Sulle equazioni dell’elasticità ». 23. — « Sopra una classe particolare di defor- mazioni a spostamenti polidromi dei solidi cilindrici ». 26. — « Un teorema sulle deformazioni ela- stiche dei solidi isotropi ». 725; 865. AngELI e MarInO. « Sopra l’acido santo- ninico ». 159. — e MarcHettI. « Ricerche sopra gli os- sipirroli ». 271. — « Ricerche sopra gl’indoli ». 381. AscoLi. Annuncio della sua morte. 205. B BagneRA e De FrancHIS. « Sopra le su- perficie algebriche che hanno le coor- dinate del punto generico esprimibili con funzioni meromorfe quadrupla- mente periodiche di due parametri ». 384; 492; 596. BaLBIANO. « Sui 1l-ossimetil-p-fenil-1-2-pro- pilenglicoli stereoisomeri ». 477. BARBIERI. « Sull’ossidazione dei composti cerosi a cerici ». 315; 395. — «Sull’idrato cerico ». 315; 525. — « Sul joduro rameoso ». 315; 528. — « Sopra un nuovo metodo di prepara- zione dei sali cerici e sul iodato ce- rico ». 591; 644. BaRrBIERI e VoLpPino. « Sulle proprietà ca- talitiche degli elementi delle terre rare n. 899. BaTTELLI. « Calori specifici dei liquidi che solidificano atemperatura molto bassa». 243. — e MacrI. « La scintilla elettrica nel campo magnetico ». 92; 155. — « Comportamento dei vapori metallici nella scintilla elettrica ». 725. — e STEFANINI. « Relazione fra la pres> sione osmotica e la tensione superfi- ciale ». 11. BeLLUCccI e CARNEVALI. « Sui sali di Rous- sin ». 654. — e CLavarI. « Nuove ricerche sull’ossido superiore del nichelio »v. 532; 647. — e DomrnIcI. « Sopra un cobaltito cobal- toso-potassico ». 315. BemPoRrAD. « Saggio d’una nuova formula empirica per rappresentare il modo di variare della radiazione solare col va- riare dello spessore atmosferico attra- versato dai raggi ». 920. BertHELOT. Annuncio della sua morte. 562. BerTRAND. Annuncio della sua morte. 368. BerzoLARI. « Sopra la configurazione di Kummer e il suo intervento nella teoria delle cubiche gobbe ». 595; 726. BIANCHI. « Sulle trasformazioni delle super- ficie applicabili sulle quadriche ». 707. BLANC. « La costante di disintegrazione del radiotorio ». 291. = rece n PT n Se — 984 — BLASERNA (Presidente) partecipa i ringra- ziamenti dell’Università di Aberdeen ». 369. — Presenta gl’inviti pel centenario della Società geologica di Londra e per l’e- rezione d'un monumento a Zamark. 832. — Presenta una copia in argento della medaglia coniata in onore del Socio Colombo. 205. — Presenta le opere del Socio straniero Eriksson, del sg. Duhem, ed una pub- blicazione fatta in onore del Socio stra- niero Zieben. 82; 205. — Fa omaggio di un volume di sir Noble e dà comunicazione della lettera colla quale, a nome dell'autore, il sen. conte Albini trasmise il volume stesso, 211. — Comunica una lettera del Socio stra- niero Aarpinsky che rappresentò l’Ac- cademia ai funerali del Socio straniero Mendeleeff. 368. BrIzI. « Su alcuni ifomiceti del Mais guasto, e sulla ricerca microscopica per deter- minare le alterazioni n. 785; 890. BruscHI. « Autolisi nell’endosperma di Ri- cino ». 785. BuGLIa e Simon. « Variazioni fisico-chimi- che del siero durante l’azione dell'al- cool e degli anestetici ». 198; 418. C Campi. « Sulla formazione di sali doppi in solventi diversi dall'acqua ». 403. Cantone. « Sullo spettro di emissione dei gas rarefatti trovantisi alla tempera- tura dell’aria liquida ». 901. CapeLLINI. Fa omaggio di una sua pub- blicazione e d'un lavoro del Socio stra- niero Aarpinsky. 568. CarNnEvALI. V. Bellucci. CastELLANA. « Sulla trasformazione dei pirroli in derivati del pirazolo ». 767. CavatoRTI. V. Zenchini CerLETTI. « Ricerche sperimentali sull’ori- gine dei plasmatociti (Plasmazellen) ». 670. CerruTI. Offre una pubblicazione del prof. Del Re. 212. CerRRUTI. «Commemorazione del Corrisp. Cesàro ». 76. Cesàro. Sua Commemorazione. 76. CÒarLton Bastian. « Sulla origine — ex novo — di Bacterii, Bacilli, Vibrioni, Micrococchi, Torule e Muffe (Moulds) in certe soluzioni saline preventiva- mente soprariscaldate, contenute in provette ermeticamente chiuse ». 196. Caiò. « Su le correnti di demarcazione dei nervi ». 232. Cramician e SiLBER. « Azioni chimiche della luce ». 725; 835. CrngoLani. V. Paternò. CipoLra. « Sulla risoluzione apiristica delle congruenze binomie ». 498; 603; 732. Crusa e AgostTINELUI. « Sui prodotti di addizione di derivati del trinitroben- zolo con alcune sostanze aromatiche azotate ». 324; 409. CLavari. V. Bellucci. CLERICI. « Preparazione di liquidi per la separazione dei minerali ». 187. — « Sulla determinazione dell'indice di ri- frazione al microscopio ». 386. CoLomBa. « Apofillite di Traversella ». 966. Corzino. « L'isteresi magnetica del ferro per correnti di alta frequenza ». 112; 167. — « Un dispositivo su la produzione di correnti continue ad alta tensione. 957. — «La quantità d’elettricità cui dà pas- saggio la scintilla e la sua cosidetta resistenza». 962. D De DonpEr. « Sur les formes différentielles m-linéaires ». 220; 279. De Lorenzo. « L'isola di Capri ». 725; 853. De MarcHi. « Teoria elastica delle dislo- cazioni tectoniche ». 315; 384. — «Applicazioni geologiche della teoria elastica delle dislocazioni tectoniche ». 315; 499. — «La teoria elastica dell’isostasi ter- restre ». 867; 910. De SrErAnI. « Cenni geologici sul Diebel Aziz in Tunisia ». 725; 857. — e MartELLI. « La serie eocenica del- l'isola di Arbe in Dalmazia ». 271;871. — 985 — Dini. Fa omaggio di due volumi inviati dal Socio Briosi. 212. Di-SterANO. «I pretesi grandi fenomeni di carreggiamento in Sicilia ». 92: 258; 375. DogLio. « Sulla durata dell’emissione ca- todica nei tubi a vuoto ». 753; 868. Dominici. V. Bellucci. Dunem. « Leonardo da Vinci (lettera al Presidente)». 34. K ExrIquES e Severi. « Intorno alle super- ficie iperellittiche ». 374; 443. ErcoLani. V. Magri. EreDIA. « La piovosità a Roma «. 186; 224. — « Dell’influenza della catena degli Ap- pennini sulla distribuzione della piog- gia nell'Italia centrale ». 518; 615. — V. Mendola. Fagris. V. Padoa. Fano. « Commemorazione del Socio stra- niero Foster ». 562. FantaPPIÈ. Si ritira dal concorso ai premi Ministeriali. 368. Favero. Annuncio della sua morte. 76 -— Sua Commemorazione. 206. FrLomusi-GueLFIi. Commemora il prof. De Nino. 370. ‘ Fiscuer. « Fenomeni di abrasione sulle coste dei paesi dell’Atlante ». 484; 571. Foster. Annuncio della sua morte. — Sua Commemorazione. 562. FuBini. « Il problema di Dirichlet consi- derato come limite di un ordinario porblema di minimo ». 92; 162. — «Di alcuni nuovi problemi, ai quali è applicabile il principio di Dirichlet. 215. — « Sugli integrali multipli ». 493; 608. G GaLLaRroTTI. « Della ionizzazione dei gas in rapporto alla loro temperatura ». 223; 297. Gato. « Analisi dei prodotti siderurgici ad elevato tenore in cromo ». 58. — «Determinazione volumetrica del tita- nio». 325. Garpasso. « Trajettorie e onde luminose in un mezzo isotropo qualunque ». 957. GARELLI. « Impiego di nuovi materiali concianti e eontributo alla conoscenza della concia minerale ». 532. GuHiGt. « Contributo allo studio dell’ibri- dismo negli uccelli ». 670; 791. GieLioLI e QuartaRoLI. « Della probabile azione enzimica nel promuovere accu- mulazione .di acqua e pressioni osmo- tiche nei tessuti vegetali ». 484; 586. GORTANI. « Sopra l’esistenza del Devoniano inferiore fossilifero nel versante ita- liano delle Alpi Carniche ». 108. Grassi B. Presenta, per esame, la Memoria Russo. 142. — Riferisce sulla Memoria Ausso. 561; sulla Memoria Z'enchini e Cavatorti. 561. Grassi G. Offre una sua pubblicazione di Elettrotecnica. 212. Grassi U. « La conduttività dell’acqua di- sareata in presenza delle emanazioni del radio 179. H HarcKet. Ringrazia per le felicitazioni in- viategli dall’Accademia. 562. K KoeRNER e ContaRDI. « I quattro binitro- derivati della ortobibromobenzina ». 725; 843. L LanpInI. « Influenza della formalina sul potere rotatorio del glucosio in rap- porto alla teoria della multirotazio- ne». 52. La Rosa. « Il fenomeno dell'arco cantante in un circuito che non ha un periodo proprio d’oscillazione ». 112. I IAA A TE 1 — 1986 — LeBEsGuE. « Encore une observation sur les fonctions dérivées ». 33; 92. — «Sur la recherche des fonctions primi- tives par l’intégration ». 220; 283. Levi. « Sulle equazioni lineari alle deri- vate parziali totalmente ellittiche ». 932. Lo Branco. « L'origine dei barbigli tattili nel genere I/ullus ». 484; 577. Lovisato. « Giacimento di minerali di tung- steno a Genna Gerèu ai limiti fra Nurri e Orroli (Cagliari) ». 552; 632. M MaccHIA. « Ricerche ulteriori sopra la con- ducibilità termica a basse tempera- ture ». 122; 507. Marr. « Ricerche sopra solventi inorga- nici a basse temperature - Disposizione sperimentale ». 122; 171. — « Ricerche sopra i solventi SO» e HsS liquefatti ». 304. — « Ricerche sopra il solvente Hs$ lique- fatto ». 518. — e ErcoLini. « Separazione quantitativa del ferro dal titanio e dall’alluminio. Applicazione della membrana all’ana- lisi elettrolitica quantitativa ». 331. — V. Battelli. MarcoLonco. « La teoria delle equazioni integrali e le sue applicazioni alla Fi- sica-matematica ». 614; 742. Marini. « Confronto degli areometri ad im- mersione parziale e ad immersione to- tale per la misura della densità del- l’acqua di mare ». 223; 305. Marino. V. Angeli. MartELLI. V. De Stefani. MARTINELLI. V. Mascarelli. MAscARELLI. « Il cicloesano come solvente crioscopico ». 924, — e MartINELLI. « Sul comportamento crioscopico dei derivati jodilici sciolti in acido formico ». 188. MazzuccneLLI. « Sugli idrati del fluoruro di alluminio ». 662; 775. — «Su un nuovo derivato del perossido di molibdeno ». 963. — V. Paterno. Mepicr. « Sopra una questione di minimo, che si riconnette col problema di Di- richlet ». 100; 276. MenDELEEFF. Annuncio della sua morte. 205; sua Commemorazione. 823. MenpoLA e EREDIA. « Secondo riassunto delle osservazioni meteorologiche ese- guite all’Osservatorio su l’Etna dal 1892 al 1896 ». 921. MiLLosevicH F. « Le, roccie vulcaniche del territorio di Sassari e di Porto Torres (Sardegna) ». 395; 552. — « Appunti di mineralogia sarda. Ema- tite di Padria ». 785; 884. MiLosevica E. (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. 86: 212; 369; 560; 832, — Comunica un invito della Università di Upsala per la commemorazione del secondo centenario della nascita di Carlo Linneo. 212. — Presenta le pubblicazioni dei Soci: Bassani. 832; Berlese. 82; Berthelot. 832; Celoria. 368; Fusari. 211; Lu- stig. 832; Pascal. 211, 568, 832, Pfliger. 211, 368, 568; Righi. 368; Sorauer. 368; Stefani. 368; Tara- melli. 568.— e dei signori: Amodeo. 82, 368; De Toni. 368; Hansen. 568; Mancini. 832; Rosenbusch. 211. — Fa particolare menzione delle pub- blicazioni della Società italiana di sc. naturali di Milano. 82; dell’opera: « Botany of the Feroes ». 211; di al- cuni fascicoli delle « Ricerche lagu- nari n. 368; della Società di fisica e di storia naturale di Ginevra. 568; del Ministero delle Finanze. 832. — Comunica gli elenchi dei lavori presen- tati per concorrere al premio Reale per la Fisica, ai premi del Ministero della P. I per le Sc. naturali, al premio Sartoro e al premio Carpi, del 1906. 82; 144. — Informa l'Accademia della prossima partenza del dott. Vacca per la sua spedizione nell’ interno della Cina. 369. i — Presenta una copia del ritratto del Socio straniero Muggius. — 987 — MirLosevica E. (Segretario). Presenta, per esame, la Memoria Zenchini e Cava- torti. 142. — « Sulla nuova variabile (Nova?) 156, 1906 accertata all'Osservatorio al Col- legio Romano ». 241. — «Osservazioni della nuova cometa 19074 Giacobini fatte all’equatoriale di Stei- nheil-Cavisnato del R. Osservatorio del Collegio Romano ». 464. — « Osservazioni della nuova cometa 1907 b Mellisch fatte all’equatoriale di 37 em. del R. Osservatorio al Collegio Ro- mano ». 716. Monti. « Di alcune possibili relazioni tra la sismicità della Svizzera e quella dell’alta Italia ». 916. Mosso. A. « Analisi chimiche e raffronti cro- nologici delle armi più antiche di rame e di bronzo nei paesi del Me- diterraneo ». 161. — « Laboratorii scientifici del Monte Rosa ». 931. Mosso U. « Sulla tossicità dei primi pro- dotti della digestione, e sulla influenza degli elementi sulla contrazione mu- scolare » 198; 351. — « Velocità di eliminazione dei prodotti della fatica e loro influenza sulla con- trazione dei muscoli ». 198; 436. Munaron. Trasmette un piego suggellato. 568. N Nasinr. « Il più urgente problema della chimica. A proposito di una pubbli- cazione di Franz Wald ». 271; 847. — « Azioni ottiche di gruppi atomici non saturi in immediata vicinanza ». 810. — « Commemorazione del Socio straniero Mendeléeff ». 823. NEGRI. « Sulla morfologia e sul ciclo evo- lutivo del parassita della rabbia ». 240; 800. NiccoLar. « Sulla resistenza elettrica dei metalli fra temperature molto alte e molto basse. ». 614; 757. — « Ulteriori ricerche sulla resistenza elettrica specifica di alcuni metalli puri a temperature molto alte e molto basse n. 867; 906. RenpIcONTI. 1907, Vol. XVI, 1° Sem. 0 Oppo. « Combinazioni dei composti organo- magnesiaci misti con le basi piridiche e chinoleiche ». 336; 413. — « Nuovo metodo d’introduzione dei ra- dicali alchilici o arilici nelle basi pi- ridiche e chinoleiche e sulla costitu- zione dei composti organo-magnesiaci misti ». 386; 538. OrLanpo. « Su alcuni problemi d’aerodi- namica ». 905; 939. OrtoLEva. « Sopra un nuovo composto che si ottiene per azione del jodio sul benzalfenilidrazone in soluzione piri- dica ». 874. P Papoa e FagrIs. «Azioni catalitiche dei metalli suddivisi sui composti azotati ». 818; 921. Pars. Commemora il prof. De Nino. 370. PaLAzzo. « Sopra una rimarchevole reazione di addizione dell’acido fulminico ». 545. ParERNÒ. Pronuncia parole di rimpianto per la morte del Socio straniero J/en- deléeff. 206. — e CingoLanI. « Nuovo processo di di- sinfezione delle acque potabili ». 215. — e MazzuccHELLI. « Sul colore azzurro dello zolfo e di taluni suoi composti ». 465 — e Spattino. « Ricerche sulla costitu- zione del ‘diossietilene ». 87. PerorTI. « Per l’esame batteriologico- agrario del terreno ». 67. PeTRI. « Sulla presenza di micorize endotro- fiche nelle radici della vite ». 561; 789. — «In qual modo il bacillo della mosca olearia venga trasmesso dall’adulto alla larva n. 899. Picciati. « Sull’equazione della propaga- zione del calore in un filo ». 750. — « Sul moto di una sfera in un liquido viscoso ». 905; 943. — « Interpretazione dell’equazione funzio- nale che regge la caduta d'una sfera in un liquido viscoso ». 951. PiGorINI. « La diminuzione della tossicità del nitrato d’argento trattato con tio- 125 e a tc en _—_————_@s@entira@m «n 6,@@12 — 988 — solfato sodico e l’azione della luce su questo fenomeno ». 359. PincHERLE. « Sopra l’estensione agli svi- luppi assintotici d’un teorema del sig. Hurwitz ». 3. ProLa. « Le correnti di Foucault nel nu- cleo conduttore intorno ad un sole- noide percorso da corrente alternata ». 35. — « Scarica di un condensatore attraverso un solenoide abbracciante un mezzo conduttore » 122. Pizzetti. « Paragone fra due triangoli geodetici a lati eguali ». 6; 149. — « Corollari del teorema relativo al pa- ragone fra due triangoli geodetici di uguali lati ». 454. — « Commemorazione del Socio Favero ». 206. PLANcHER e Ponti. « Azione del cloro- formio sull’a-metilindolo e su alcuni pirroli ». 130. PoLLacci. « Sulla scoperta dell’aldeide for- mica nelle piante ». 142; 199. PuccrantI. « Misure di viscosità sopra i cristalli fluidi del Lehmann ». 614 ; 754. R Reina. « Determinazioni astronomiche di latitudine e di azimut eseguite a Oderzo, Col Brombolo e Calalzo nel 1904 ». 459. — « Determinazioni astronomiche di lati- tudine e di azimut eseguite all’isola di Ponza ed a Monte Circeo ». 717. Riccò. « L'Osservatorio Etneo in rapporto al servizio meteorologico ». 905. Rimini e OLIvari. « «Sulla miristicina ». 552; 663. — « Il Fencone in ebullioscopia ». 552; 665. Ròrri. Fa omaggio di una sua pubblica- zione. 832. RoLLA. « Esperienze illustrative per la teoria del Volterra su l’equilibrio dei corpi elastici più volte connessi ». 33; 101. RosatI A. « Studio cristallografico del se- leniato di torio ottoidrato ». 195; 220. Rosati C. « Scisto ottrelitico ed Amfibolite sodica del vallone di Monfieis presso Demonte ». 223; 343. — « Rocce liguri raccolte nel circondario di Savona ». 555. — « Rocce liguri raccolte presso Muri- aldo ». 639. — « Un’osservazione sugl’inviluppi dei sistemi algebrici di curve apparte- nenti ad una superficie algebrica ». 952. Russo. « Metodi adoperati per aumentare artificialmeute la produzione del sesso femminile nei conigli e per fissare nella prima generazione degl’ineroci le varietà recenti ». 240; 362. — Invia per esame la sua Memoria: « Mo- dificazioni sperimentali dell’elemento epiteliale ecc. ». 142. — Sua approva- zione. 561. S SALINAS. « Avanzi preistorici nel tra- vertino dell'Acqua dei Corsari presso Palermo ». 84; 111. Santoro. Annuncio della sua morte. 76. Sanzo. « Sul ritmo dei cuori di due larve di Discoglossus saldate insieme ». 979. — « Contrazioni ritmiche antiperistaltiche nell'intestino terminale di larve di Discoglossus pictus ». 981. Scarpa. — Sulla radioattività delle lave del Vesuvio ». 44. SerRA. « Su alcune pirrotine della. Sar- degna ». 223; 347. Sracci. Annunzio della sua morte. 929. Simon. V. Buglia. SpaLLIno. V. Paternò. STEFANINI. V. Battelli. STRAMPELLI. « Esperienze di selezione ed ibridazione sul frumento e sul gran- turco ». 75; 135. T TencHINI e CavaTORTI. Inviano per esame la loro Memoria: « Sulla morfologia della ghiandola tiroide normale nel- — 989 — l’uomo ». 142. — Relazione su questa Memoria. 561. Tizzoni e BongIovANNI. « Sul meccanismo di scomposizione in vitro del virus ra- bido per mezzo del radio ». 374; 485. Toparo. Fa parte della Commissione esami- natrice della Memoria Russo. 561; della Memoria Zenchini e Cavatorti. 561. — « Sopra un particolare organo di senso delle Salpidae ». 484; 575. U UgoLInI. Si ritira dal concorso ai premi Ministeriali. 368. V VoLpino. V. Barbieri. Z ZAMBoNINI. « Sulla radioattività della co- tunnite vesuviana ». 975. ZAPPA. « Sullo spostamento che la marea dell'Adriatico può cagionare agli stru- menti dell’Osservatorio astronomico di Padova ». 625. —_r_——————t=_== — 990 — INDICE PER MATERIE A Astronomia. « Osservazioni della nuova cometa 1907 4 Giacobini fatte all’equa- toriale di Steinheil-Cavignato del R. Os- servatorio del Collegio Romano ». E. Mallosevich. 464. — « Osservazioni della nuova cometa 1907 è Mellish fatte all’equatoriale di 37 cm. del R. Osservatorio al Collegio Ro- mano ». /d. 716. B BarTERIOLOGIA. « Sulla origine — ex novo — di Bacterii, Bacilli, Vibrioni, Mi- erococchi, Torule e Muffe (Moulds) in certe soluzioni saline preventivamente soprariscaldate, contenute in provette ermeticamente chiuse ». Z. Charlton Bastian. 196. BATTERIOLOGIA AGRARIA. « Per l’esame batteriologico-agrario del terreno +. A. Perotti. 67. BroLogIa. « Contributo allo studio dell’ibri- dismo negli uccelli ». A. Ghigi. 670; 191° — « L'origine dei barbigli tattili nel ge- nere Mullus». S. Zo Bianco. 484; 577. — « Metodi adoperati per aumentare arti- ficialmente la produzione del sesso femminile nei conigli e per fissare nella prima generazione degli incroci le varietà recenti ». A. Russo. 240; 362. — «Sul ritmo dei cuori di due larve di Discoglossus saldate insieme ». L. Sanzo. 979. BroLoGIa. « Contrazioni ritmiche antiperi- staltiche nell’intestino terminale di larve di Discoglossus pictus». Id. 981. — « Sopra un particolare organo di senso delle Salpidae ». f. Todaro. 484; 575. Bollettino bibliografico. 141; 370; 681; 833. C Caimica. « Ricerche sopra gli ossipirroli ». A. Angeli e G. Marchetti. 271. — « Ricerche sopra gl’indoli». /d. Id. 881. — « Sopra l’acido santoninico » A. Angeii e L. Marino. 159. — « Sull’1-ossimetil-p - fenil-1-2 - propilen- glicoli stereoisomeri ». LZ. Balbiano. 477. — « Sull’ossidazione dei composti cerosi a cerici ». G. A. Barbieri. 315; 395. — « Sall’idrato cerico v. /d. 315; 525. — « Sul joduro rameoso ». /d. 315. — « Sopra un nuovo metodo di prepara- zione dei sali cerici e sul iodato ce- rico ». /d. 5381; 644. — «Sulle proprietà catalitiche degli ele- menti delle terre rare ». /d. e A. Vol- pino. 399. — « Sui sali di Roussin». /. Bellucci e PF. Carnevali. 654. — « Nuove ricerche sull’ossido superiore del nichelio n. /d. e 4. Clavari. 532; 647. — «Sopra un cobaltito cobaltoso-potassi- co». Id. e F. Dominici. 315. — « Sulla formazione di sali doppi in sol- venti diversi dall'acqua ». Z. Cambi. 403. — 991 — Caimica. « Sulla trasformazione dei pirroli in derivati del pirazolo ». V. Castel- lana. 167. — «Azioni chimiche della luce ». G. Cia- mician e P. Silber. 725; 835. — « Sui prodotti di addizione dei derivati del trinitrobenzolo con alcune sostanze aromatiche azotate ». B. Ciusa e C. Agostinelli. 324; 409. — «Analisi dei prodotti siderurgici ad elevato tenore in cromo ». G. Gallo. 98. — « Determinazione volumetrica del tita- nio ». /d. 325. — «I quattro binitroderivati della orto- bibromobenzina ». G. Aoerner e Con- tardi. 725; 843. — « Separazione quantitativa del ferro dal titanio e dall’alluminio. Applicazione della membrana all’analisi elettrolitica quantitativa ». G. Magri e G. Erco- lini. 331. — «Il cicloesano come solvente criosco- pico ». ZL. Mascarelli. 924. — « Sul comportamento crioscopico dei derivati jodilici sciolti in acido for- mico ». Id. e M. Martinelli. 183. — «Sugli idrati del fluoruro d’alluminio ». A. Mazzucchelli. 662; 775. — «Su un nuovo derivato del perossido di molibdeno ». /d. 963. — «Ilpiù urgente problema della chimica. A proposito di una pubblicazione di Franz Wald ». A. Nasini. 271; 847. — « Azioni ottiche di gruppi atomici non saturi in immediata vicinanza ». /d. 810. — « Combinazioni dei composti organo- magnesiaci misti con le basi piridiche e chinoleiche ». B. Oddo. 336; 413. — « Nuovo metodo d’introduzione dei ra- dicali alchilici o arilici nelle basi pi- ridiche e chinoleiche e sulla costitu- zione dei composti organo-magnesiaci misti ». /d. 336; 538. — « Sopra un nuovo composto che si ot- tiene per azione del jodio sul benzol- fenilidrazone in soluzione piridica ». G. Ortoleva. 874. — « Azioni catalitiche dei metalli suddi- visi sui composti azotati». M. Padoa e U. Fabris. 818; 921. Curmica. « Sopra una rimarchevole rea» zione di addizione dell’acido fulminico». F.C. Palazzo. 545. — « Nuovo processo di disinfezione deile acque potabili ». E. Paternò e M. Cin- golani. 215. — «Sul colore azzurro dello zolfo e di ta- luni suoi composti». /d. e A. IMaz- zucchelli. 465. — « Ricerche sulla costituzione del dios- sietilene ». /d e PR. Spallino. 87. — « Azione del cloroformio sull’a-metilin- dolo e su alcuni pirroli n. G. Plancher e U. Ponti. 130. — «Sulla miristicina ». E. Rimini e F. Olivari. 552; 663. — « Il Fencone in ebullioscopia ». /d. Id. 552; 665. Chimica FIsIca. « Variazioni fisico-chimi- che del siero durante l’azione dell’al- cool e degli anestetici n. G. Buglia e I. Simon. 198; 418. — « Influenza della formalina sul potere rotatorio del glucosio in rapporto alla teoria della multirotazione ». G. Lan- dini. 52. Concorsi a premi. Elenchi dei lavori presentati per concorrere al premio Reale per la /isica, ai premi del Mi- nistero della P.I. per le Sc. naturali, al premio Santoro e al premio Carpi, del 1906. 82; 144; 368. CRISTALLOGRAFIA. « Apofillite di Traver- sella ». ZL. Colomba. 966. — « Studio cristallografico del seleniato di torio ottoidrato ». A. Rosati. 195; 220. F Fisica. « Calori specifici dei liquidi che so- lidificano a temperatura molto bassa ». A. Batlelli. 243. — «La scintilla elettrica nel campo ma- gnetico ». Id. e L. Magri. 92; 155. — « Comportamento dei vapori metallici nella scintilla elettrica ». /d. Id. 725. — « Relazione fra la pressione osmotica e la tensione superficiale ». /d. e A. Ste- famni. 11. ———__ttcrTtr.——r=@(@—1> 9 .i@rna qui — 992 — Fisica. « La costante di disintegrazione del radiotorio ». G. A. Blanc. 291. — « Sullo spettro di emissione dei gas ra- refatti trovantisi alla temperatura del- l’aria liquida ». I. Cantone. 901. — « L’isteresi magnetica del ferro per cor- renti di alta frequenza ». 0. M. Cor- bino. 112; 167. — « Un dispositivo su la produzione di correnti continue ad alta tensione ». Id. 957. — «La quantità d’elettricità cui dà pas- saggio la scintilla e la sua cosidetta resistenza ». /d. 962. — «Sulla durata dell'emissione catodica nei tubi a vuoto». P. Doglio. 753; 868. — « Della ionizzazione dei cas in rapporto alla loro temperatura ». A. Gallarotti. 223; 297. — «Impiego di nuovi materiali concianti e contributo alla conoscenza della con- cia minerale ». /. Garelli. 532. — « La conduttività dell'acqua disareata in presenza delle emanazioni del radio ». U. Grassi. 179. — «Il fenomeno dell’arco cantante in un circuito che non ha un periodo proprio di oscillazione ». I. La Rosa. 112. — « Ricerche ulteriori sopra la conduci- bilità termica a basse temperature ». P. Macchia. 122; 507. — « Sulla resistenza elettrica dei metalli fra temperature molto alte e ‘molto basse ». G. Niccolai. 614; 757. — « Ulteriori ricerche sulla resistenza elet- trica specifica di alcuni metalli puri a temperature molto alte e molto basse ». Id. 867; 906. — « Su alcuni problemi di aerodinamica ». L. Orlando. 905; 939. — «Le correnti di Foucault nel nucleo conduttore intorno ad un solenoide per- corso da corrente alternata ». E. Piola. 35. — «Le correnti di Foucault nella scarica di un condensatore ». /d. 48; 122. — « Misure di viscosità sopra i cristalli fluidi del Lehmann ». Z. Puccianti. 614; 754. Fisica. « Sulla radioattività delle Jave del Vesuvio ». 0. Scarpa. 44. — «Sulla radioattività della cotunnite ve- suviana ». M. Zambonini. 975. Fisica cuIMICA. « Ricerche sopra solventi inorganici a basse temperature. Dispo- sizione sperimentale ». G. Magri. 122; 171. — « Ricerche sopra i solventi SO» e Hs S liquefatti ». Id. 304. — « Ricerche sopra il solvente Hs $ lique- fatto ». Id. 518. FISICA MATEMATICA. « Trajettorie e onde luminose in un mezzo isotropo qualun- que ». A. Garbasso. 957. — « La teoria delle equazioni integrali e le sue applicazioni alla Fisica-mate- matica ». R. Marcolongo. 614; 742. FisrcA TERRESTRE. « Saggio di una nuova formula empirica per rappresentare il modo di variare della radiazione so- lare col variare dello spessore atmo- sferico attraversato dai raggi». A. Bemporad. 920. — «La teoria elastica dell’isostasi terre- stre ». ZL. De Marchi. 867; 910. — « Confronto degli areometri ad immer- sione parziale e ad immersione totale per la misura della densità dell’acqua di mare ». ZL. Marini. 223; 305. — « Secondo riassunto delle osservazioni meteorologiche eseguite all’Osservato- rio su l’Etna dal 1892 al 1896 ». £. Mendola e F. Eredia. 921. — «Di alcune possibili relazioni tra la sismicità della Svizzera e quella del- l’alta Italia ». V. Monti. 916. — « L Osservatorio Etneo in rapporto al servizio meteorologico ». A. Riccò. 905. — «Sullo spostamento che la marea del- l'Adriatico può cagionare agli stru- menti dell’Osservatorio astronomico di Padova ». G. Zappa. 625. FisroLogra. « Su le correnti di demarca- zione dei nervi ». I. Chiò. 232. — «Laboratorii scientifici del Monte Rosa». A. Mosso. 931. — « Sulla tossicità dei primi prodotti della digestione, e sulla infiuenza degli ele- — 993 — menti sulla contrazione muscolare ». U. Mosso. 198; 351. FisioLogia. « Velocità di eliminazione dei prodotti della fatica e loro influenza sulla contrazione dei muscoli ». /d. 198; 436. — « La diminuzione della tossicità del nitrato d’argento trattato con tiosol- fato sodico e l’azione della luce su questo fenomeno ». L. Pigorini. 359. FisioLoGIA vEGETALE. « Autolisi nell’en- dosperma di Ricino ». D. Bruschi. 785. — « Della probabile azione enzimica nel promuovere accumulazione di acqua e pressioni osmotiche nei tessuti vege- tali ». I. Giglioli e A. Quartaroh. 484; 586. — « Sulla scoperta dell’aldeide formica nelle piante ». G. Pollacci. 142; 199. — « Esperienze di selezione ed ibridazione sul frumento e sul granturco ». È. Strampelli. 75; 135. G GroDpESIA. « Determinazioni astronomiche di latitudine e di azimut eseguite a Oderzo, Col Brombolo e Calalzo nel 1904 ». V. Reina. 459. — « Determinazioni astronomiche di lati- tudine e di azimut eseguite all'isola di Ponza ed a Monte Circeo ». /d. 717. GEOGRAFIA FISICA. « Teoria elastica delle dislocazioni tectoniche » ZL. De Mar- chi. 315; 384. — « Applicazioni geologiche della teoria elastica delle dislocazioni tectoniche ». Id. 315; 499. GroLogIa. « L'isola di Capri ». G. De Lo- renzo. 725: 853. — « Cenni geologici sul Diebel Aziz in Tunisia ». C. De Stefani. 725; 857. — « La serie eocenica dell’isola di Arbe in Dalmazia ». Id. e A. Martelli. Zio — « I pretesi grandi fenomeni di carreg- giamento in Sicilia ». G. Di-Stefano. 92,6258.;1875. — « Fenomeni di abrasione sulle coste dei paesi dell'Atlante ». 7. Fischer. 484; 571. — « Sopra l’esistenza del Devoniano in- feriore fossilifero nel versante italiano delle Alpi Carniche ». I. Gortani. 108. GroLoGIA. « Avanzi preistorici nel traver- tino dell'Acqua dei Corsari presso Pa- lermo ». E. Salinas. 34; 111. M MarEMaTICA. « Sopra le superficie algebri- che che hanno le coordinate del punto generico esprimibili con funzioni me- romorfe quadruplamente periodiche di due parametri ». G. Baynera e I. De. Franchis. 384; 492; 596. — « Sopra la configurazione di Kummer e il suo intervento nella teoria delle cubiche gobbe ». LZ. Berzolari. 595; 726. — « Sulle trasformazioni delle superficie applicabili sulle quadriche «. Z. Bian- CRISUTOTE — « Sulla risoluzione apiristica delle con- gruenze binomie ». I. Cipolla. 498; 603; 732. — « Sur les formes différentielles m-linéai- res ». E. De Donder. 220; 279. — « Intorno alle superficie iperellittiche ». PF. Enriques e H. Severi. 374; 443. — « Il problema di Dirichlet considerato come limite di un ordinario problema di minimo ». G. Mubini. 92; 162. — « Di alcuni nuovi problemi, ai quali è applicabile il principio di Dirichlet ». Td: 2115- — « Sugli integrali multipli ». /d. 498; 608. — « Encore une observation sur les fon- ctions dérivées ». I. Ledesgue. 33; 92. — « Sur la recherche des fontions primi- tives par l’intégration ». /d. 220; 283. — « Sulle equazioni lineari alle derivate parziali totalmente ellittiche ». Z. 5. Levi. 932. — « Sopra una questione di minimo, che sì riconnette col problema di Diri- chlet ». S. Medici. 100; 276. — « Sull’equazione della propagazione del calore in un filo ». G. Picciati. 750. Dian ii n AT iii — 994 — MarEMATICA. « Sul moto di una sfera in un liquido viscoso ». Jd. 905; 943. — « Interpretazione dell'equazione funzio- nale che regge la caduta di una sfera in un liquido viscoso ». /d. 951. — « Sopra l’estensione agli sviluppi assin- totici d'un teorema del sig. Hurwitz ». S. Pincherle. 3. — « Paragone fra due triangoli geodetici a lati eguali ». P. Pizzetti. 6;149. — « Corollari del teorema relativo al pa- ragone fra due triangoli geodetici di uguali lati ». Id. 454. — « Esperienze illustrative per la teoria del Volterra su l’equilibrio dei corpi elastici più volte connessi ». L. Rolla. 33; 101. — « Un’osservazione sugl’inviluppi dei si- stemi alsebrici di curve appartenenti ad una superficie algebrica ». C. Ro- sati. 952. Meccanica. « Sulle equazioni dell’elasti- cità ». E. Almansi. 23. — «Sopra una classe particolare di defor- mazioni a spostamenti polidromi dei solidi cilindrici ». /d. 26. — « Un teorema sulle deformazioni ela- stiche dei solidi isotropi ». /d.725; 865. MeTtEoROLOGIA. « La piovosità a Roma ». F. Eredia. 186; 224. — « Dell’influenza della catena degli Ap- pennini sulla distribuzione della piog- gia nell'Italia centrale ». /d. 518; 615. MInERALOGIA. « Preparazione di liquidi per la separazione dei minerali ». £. Cle- rici. 187. — « Sulla determinazione dell'indice di MinerALOGIA. « Rocce liguri raccolte nel circondario di Savona ». /d. 555. — « Rocce liguri raccolte presso Mu- rialdo ». ZA. 639. — « Su alcune pirrotine della Sardegna ». A. Serra. 223; 347. N Necrologiee Commemorazioni dei Soci: Ascoli. 205; Bertrand.368; Ber- thelot. 562; Cesàro. 76; Favero. 76, 206; Noster. 368, 562; Mendeléeff. 205, 829; Stacci. 929. Pp PaLerNoLOGIA. « Analisi chimiche e raf- fronti cronologici delle armi più an- tiche di rame e di bronzo nei paesi del Mediterraneo ». A. Mosso. 161. ParoLoGIa. « Ricerche sperimentali sul- l'origine dei plasmociti (Plasma- zellen) ». UV. Cerletti. 670. — «Sulla morfologia e suo ciclo evolutivo del parassita della rabbia ». A. Negri. 240; 800. — « Sul meccanismo di scomposizione in vitro del virus rabido ,per mezzo del radio ». G. Tizzoni e A. Bongiovanni. 374; 485. PATOLOGIA VEGETALE. « Su alcuni ifomi- ceti del Mais guasto, e sulla ricerca microscopica per determinarne le alte- razioni ». VU. Brizi. 785; 890. — « Sulla presenza di micorize endotro- fiche nelle radici della vite ». LZ. Petri. 561; 789. — «In qual modo il bacillo della mosca olearia venga trasmesso dall’adulto alla larva ». /d. 899. (CITE rifrazione al microscopio ». /d. 336. ” — « Giacimento di minerali di tungsteno a Genna Gerèu ai limiti fra Nurri e Orroli (Cagliari) ». G. Zovisato. 552; 632. — « Appunti di mineralogia sarda. Ema- tite di Padria ». /. Millosevich. 785; 884. — « Scisto ottrelitico ed Amfibolite sodica del Vallone di Monfieis presso De- monte ». A. Rosati. 223; 343. PeTROGRAFIA. « Le rocce vulcaniche del territorio di Sassari e di Porto Torres (Sardegna) ». /. Millosevich. 395; 552. S STORIA DELLA SCIENZA. « Leonardo da Vinci (lettera al Presidente)». S. Duhem. B£S — 995 — ERRATA CORRIGE A pag. 46 linea 1, sopprimere 0,08. » 48 ” ” 0,30. » 484 linea 18, invece di: dette a pag. 12, legg.: dette a pag. 429. » 491 linea 80 (Nota 7izzoni e Bongiovanni), invece di: emanazioni emesse dal radio, leggasi: radiazioni emesse dal radio. == — == a lo = ==“ x SI ax Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. a È perio 1a — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Sri 2% — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III (1875- -76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, È matematiche e naturali. È 8% MEMORIE della Classe di scienze morali, È storiche e filologiche. i vv vivi. VII “Serie Sell mransonti. Vol. I-VII. (1876-84). (È MeMmoRIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. È Noe) ME (12), — IENE È MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ? Vol. I-XIII. | Serie 4* — RenpiconTI Vol. I-VII. (1884-91). i MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ® Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. derie 5% — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XVI. (1892-1907). 1° Sem. Fasc. 12°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e PIOTTA Vol. I-XVI. (1892-1907). Fasc. 1°-3°. MemoRrIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fase. 1°-11°. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Fasc. 4°. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI | DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della RR. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. £®; per gli altri paesi il spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti Ladin -librai: n i © Ermanno Lorscaer & Co Torino e Firenze. Bi UtgIco HoepLi. — Jlilano, Pisa e Napoli. } ng Beta sù RENDICONTI — Giugno 1907. | [MIDICIE da] eni : Classe di scienze ligiche, matematiche e naturali. do. Sedutà del 16 giugno 1907. ia | MEMORIE E NOTH DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOC Mosso. Laboratori scientifici del Monte Rosa . . . (fl Paci | Levi. Sulle equazioni lineari alle derivate Parziali o ai sai Socio Bianchi)» 93 | Orlando. Sopra alcuni problemi di aerodinamica (pres. dal Corrisp. Sela) «o. . 008 | Picciati. Sul moto di una sfera in un'fiquido viscoso (pres. dal Corrisp. Levi- Civita) . . >» 94 Id. Tuterpretazione dell'equazione fanzionale che regge la caduta di una sfera, in un liquido VISCOSO PISO) e Ra È e ee A Rosati. Un'osservazione sugli inviluppi dai Hem algebrici Li curve appartenenti ad una su- î | perficie algebrica (pres. dal Socio Pertini) . . . . . } »IMNODÌ | i: Garbasso. Traiettorie e onde luminose jit un mezzo isotropo quale siue fo dali Socio Vall | L terra (PS RAG Et TEC) LARIO i RS È = SFABBNT), 95 i Corbino. Un dispositivo per la cadi ne wi suit ci ad ale tensioni) x icamenidll | costanti (pres! dal Corrisp. Iacaleo) ” a ti Id. La quantità d’elettricità cui dà passaggio la cena e i sua o rest Ditosl in y TE . un. € ) Mazzucchelli. Su un nuovo aa del CORRA î Da (pres. dal Socio Palorai) 2 (°) Colomba. Apofillite di Traversella (pres. dal Socio Spezia) . . <. 0. (000.00. lle, | Zambonini. Sulla radioattività della cotunnite vesuviana (pres. dal Socio Striver). . . »° 97 | Sanzo. Sul ritmo dei cuori di due larve di Discoglossus, saldate insieme (pres. dal Socio. Brass) RESUBIO : i. © @“J“ Id. Contrazioni ritmiche antiperistaltiche Gall intestino fari di ine dl Dic. oesug i! S Pictures N | Ria Indice del vol. XVI, 1° semestre 1907... . . ms9s, | î | | | i | I na —_______— | i (7 dg: i | a | | 14] ( ii | | D, È Î N | 1 Les bb e “a e. A ERE i Ue Questa Nota verrà AlpUbbnasi nu prossimo fascicoli. ; i t È 9) cant di i Ra fi DIL nb K. Mancini Segretario! wi msg DT sE | 2g DÀ | todi sd MO A | ft n ‘SI | th RU TSE ARE Lot ailieze Dr VERETERIRA I SORA SRIIET in sini = -— — nanna sa dini ——__——"" "—- tizi eri NTSC an A ri pr UU A I en Rn rea, Ada RI ml iiangtne, saretta rana è = never a Stein atei: van aa rete = Acer n va sea st Mlte nnt - È sp e Ò alan I 1356 029: il 8829 LI JI mn —==s === =;