mo dea, rametto tt 0 e e Mii tt GURpEE Lo li ui AULE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCG. IVSOS SERPRATE MO UREENERE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME II. 2° SEMESTRE ROMA i i R: Ni / I) > LI i Ma È A i di I i i î , t MI ba i 4 A i A° n i { Î 4 ; ‘ V Lo Di i Fiat: È ì RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEHI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE . DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 2 luglio 1893. rnannnn_nz 1 1ANANNTTTCTT< Matematica. — Za questione sulla linearità dei sistemi di curve appartenenti ad una superficie algebrica. Nota di FEDERIGO ENRIQUES, presentata dal Soc o CREMONA. «1. Dicesi sistema lineare x" di curve algebriche sopra una superficie algebrica F, un sistema di curve che può esser segato sulla F dalle super- ficie d'un sistema lineare con x parametri n+1 Y di fi(cy3) =0. 1 « Questa definizione analitica è equivalente alla seguente definizione geo- metrica : dicesi sistema lineare co” sopra F un sistema di curve tale che a) per n punti generici della F passi una curva del sistema, 8) gli elementi (curve) del sistema sieno riferibili provettivamente ai punti d'uno spazio lineare S,. « S' intende che il sistema oo” di curve è riferito proiettivamente ad S,, quando fra gli elementi (curve) del sistema ed i punti di $, è stabilita una corrispondenza biunivoca siffatta che alle curve del sistema per un punto della F, corrispondano i punti d'un iperpiano (S,-1) in S,; da questa pro- prietà che definisce la rappresentazione proiettiva del sistema su S, segue rr" LZ pine l'altra che ad un iperpiano di S, corrisponde un sistema lineare co” di curve sulla F, immerso nel dato. « Per brevità chiamo sistema un insieme co” di curve algebriche ap- partenenti alla superficie F, il quale soddisfi alla condizione 4); chiamo rete e fascio rispettivamente un sistema co! e c0°. Sorge la questione : « Esistono sistemi non lineari? « In altre parole: La condizione 2) è indipendente dalla 4) o invece è una conseguenza di essa ? i « Posta così la questione si risponde subito assegnando effettivi esempi di sistemi non lineari: è notissima la esistenza di superficie contenenti un fascio ;rrazionale (il che equivale a non lineare) di curve, e basta conside- rare sopra una tale superficie i gruppi di x curve del fascio per ottenere un sistema co" di curve certo non lineare. Ma questi esempi si riferiscono a sistemi di curve o 00! (fasci), o co” di cui la curva generica si spezza (nelle n curve d’un fascio). È interessante di stabilire che questi sono gli unici casi di sistemi non lineari, cioè che sussiste il teorema : « Un sistema algebrico co” (con n >1) di curve algebriche irredut- iibili appartenenti ad una superficie F, tale che n punti generici di F individuino una curva del sistema che li contiene, è un sistema lineare, segabile quindi mediante un sistema lineare o" di superficie. «2. Consideriamo sulla superficie F un s/sfema algebrico co” (con #>1) di curve algebriche irreduttibili C; dico che due curve C generiche si se- gano in un numero finito 72. di punti variabili coi parametri delle curve C. Infatti, essendo # >1, per un punto arbitrario della F passano due curve C (tra le 00”), e quindi due curve C hanno almeno una intersezione varia- bile; esse hanno quindi (per la algebricità) un numero finito di punti co- muni (variabili) o un numero infinito; ma nel 2° caso esse hanno comune una curva componente e però si spezzano contro l'ipotesi fatta : dunque due curve C hanno comune un numero finito m di punti (variabili). Questo nu- mero 72 che rimane costante al variare delle due curve C (per la continuità), si dirà il grado del sistema delle curve O. «3. Sopra la superficie F si abbia una rete di curve irreduttibili C di grado m. Per definizione due punti generici della F individuano una curva C che li contiene, quindi tutte le curve C per un punto formano un fascio ($S 1): due curve di un fascio hanno comuni gli # punti comuni a due di esse, giacchè per due punti della F passa in generale una sola curva C e se ve ne passano due ve ne passano infinite ed inoltre un fascio non può spezzarsi in più sistemi. Dunque tutte le curve C della rete che passano per un punto di un gruppo di 72 punti comuni a due curve C, passano per gli altri m-—-1; questi gruppi di 72 punti in numero di 00° formano così una 27v0- luzione, cioè un tale insieme che un punto appartiene ad 2 gruppo della involuzione. Due curve C hanno comune un gruppo della involuzione ; due = gruppi della involuzione individuano una curva C che li contiene, cioè la curva C individuata da un punto d'un gruppo insieme ad un punto dell’al- tro gruppo. « Allora sì consideri una 00° di punti corrispondenti biunivocamente ed algebricamente agli elementi (gruppi) della involuzione : il luogo di questi punti è una superficie algebrica F' riferita in corrispondenza [1.7] alla F: alle curve C della rete appartenente alla F corrispondono sulla F' le curve K d'una rete; infatti per due punti della F' passa la curva K corrispondente alla curva C di F individuata dai gruppi dell’ involuzione che corrispondono ai due punti. Sulla F due curve C hanno comune un gruppo dell’ involu- zione, quindi sulla F' due curve K si segano in un punto. La corrispondenza fra le curve C e le K è proiettiva, cioè ad un fascio di curve C corrisponde un fascio di curve K e viceversa. « Dunque è sempre possibile di riferire proiettivamente gli elementi (curve) d'una rete appartenente alla superficie F, agli elementi (curve) d'una rete di grado 1 sopra una superficie F. «4. Sieno @, 8, due arbitrarie curve K della rete stabilita su F': sieno A,A' due arbitrari punti della curva @, B, B' due arbitrari punti della 8. Vi è una curva K della rete che passa per A, A' ed analogamente una per B, B'; queste s'incontrano in un punto O: vi è un fascio di curve K passanti per 0. Le curve di questo fascio segano ciascuna in un punto le curve a, #, rispet- tivamente; le curve «, f, vengono così riferite punto per punto (in modo prospettivo) in tal modo che ai punti A, A' di @ corrispondono i punti B, B' di ?. Dunque tra le curve (algebriche) «, e #, vi sono 00° corrispondenze algebriche biunivoche ed anzi vi è una tale corrispondenza in cui a due punti (arbitrari) A A' di @ corrispondono risp. due punti (arbitrari) B B' di . « Si deduce (facendo il prodotto d'una corrispondenza per l’' inversa di un'altra) che ciascuna delle due curve @, #, ossia ciascuna curva K, am- mette 00° trasformazioni biunivoche in sè stessa : tanto basta per affermare (') che le curve K sono razionali. Parimente ogni fascio di curve K (di cui le curve vengono riferite biunivocamente ai punti di intersezione con un'altra curva K) è un fascio razionale (ossia lineare). < Allora si fissino sulla F' due fasci di curve K i cui centri sieno risp. due punti A", B', e si riferiscano proiettivamente a due fasci di rette coi centri A, B nel piano, in modo che alla curva K che passa per A‘, B' con- siderata come appartenente all'uno o all’altro fascio corrisponda sempre la retta A B. Così nasce una rappresentazione biunivoca della superficie F' sul piano ; il punto sezione d’una curva K per A’ e d'una per B' su F' corri- sponde al punto sezione delle due rette del piano omologhe a quelle curve, passanti risp. per A, B. (1) Cfr. Schwartz, « Crelle’s I, S7, p. 140; e Noether », Mathem. Ann., Bd. XX. LE « In questa rappresentazione alle curve K di F' corrispondono nel piano le rette generate dai fasci di raggi prospettivi coi centri A, B. Così si ot- tiene una rappresentazione proiettiva della rete di curve K sulla rete delle rette del piano, e quindi anche la rete delle curve C sulla F (la quale, se- condo il S 3, è riferita proiettivamente alla rete delle curve K su F') viene ad esser riferita proiettivamente alla rete delle rette del piano. « 5. Il teorema enunciato in principio è stato dimostrato per le reti: ogni rete di curve irreduttibili è una rete lineare. Non sarà difficile esten- dere questo resultato ai sistemz 00” (con n > 2). Supponiamo vero il teorema pei sistemi c0"-! e dimostriamo che esso è vero per quelli 00”, « Si consideri dunque sulla superficie F_un sistema co” di curve C ir- roduttibili. Due curve C del sistema individuano un fascio (cfr. $ 3) com- posto di tutte le curve che hanno comuni gli stessi 72 punti comuni alle due (essendo 72 il grado del sistema); ma per n punti ad arbitrio sulla F passa una curva CU del sistema, e per »— 1 un fascio di curve C, quindi m = n — 1: tra gli m punti comuni a due curve € n —2 indipendenti individuano una rete composta delle curve C che li contengono, quindi, (poichè la rete è riferibile proiettivamente al piano ($S 4)) ogni fascio di curve determinato da due curve C del sistema co” è razionale (ossia è lineare). « Ciò posto si consideri una curva ©, del sistema co” costituito da tutte le curve C per un punto: ogni fascio di curve C contenente la ©, ha una curva comune col sistema 00°! cioè quella curva del fascio che passa pel punto scelto ; ogni curva C del s:s/ema co” determina colla C, un fascio di curve C (razionale) contenente la Co. « Il sistema co! di curve C si riferisca proiettivamente (come è pos- sibile per ipotesi) ad un S,-, di S,; la curva ©, si faccia corrispondere ad un punto O di S, (fuori dello S,). Ad ogni fascio di curve C contenente la Co su F corrisponde in S, una retta per O (quella che proietta il punto di Sn corrispondente alla curva C del sistema co” appartenente al fascio) e viceversa. Un altro sistema co! di curve C per un punto di F si faccia corrispondere ad un altro S',-;, di S,: ogni sua curva C determina un fascio colla Co; a questo corrisponde in S, una retta per O che incontra lo S",-, in un punto che diciamo corrispondente della C. Ora sopra ogni fascio di curve C su F, contenente la Co, si hanno 3 curve C determinate, cioè la Co, e le due curve C appartenenti ai due sistemi oo! scelti; sulla retta cor- rispondente per O in S, si hanno tre punti che ordinatamente corrispondono alle tre curve, cioè il punto O e le intersezioni coi due S,-,: tanto basta perchè sia fissata una corrispondenza proiettiva tra gli elementi (curve) del fascio (che è razionale) ed i punti della retta. Per tal modo nasce una cor- rispondenza biunivoca tra le curve C del dato sistema co” su F ed i punti di S,. Una curva C determina un fascio insieme con C, a cui corrisponde in S, una vetta per 0; tra il fascio e la retta risulta individuata una proiet- lo) i tività che alla curva C fa corrispondere un punto di S,; colla costruzione inversa ad un punto di S, corrisponde una curva C su F. « Nella corrispondenza fissata al sistema co! delle curve C su F, che passano per un punto, corrisponde una varietà : il sistema co ha comune un sistema co"-? con quel sistema co! di cui le curve furono prozettiva- mente riferite ai punti di un S,-; in S,; infatti sono comuni ai due s7s/emi le curve che passano per idue punti comuni risp. alle curve dell'uno a quelle dell'altro: dunque al sistema. co” delle curve C di F per un punto, cor- risponde una varietà che sega un S,-, in un S,-2. Una tale varietà deve comporsi di iperpiani (S,-,); ma essa non può essere spezzata poichè il s2- stema co"! di curve C corrispondente su F non può esser spezzato, invero per n-—1 punti passerebbero altrimenti più curve C di esso appartenenti alle varie co”! costituenti il sistema ; dunque al sistema co delle curve C di F per un punto, corrisponde un iperpiano in S,. « Dunque la corrispondenza stabilita tra le curve C del dato sistema co” su F ed i punti di S, è proiettiva; ossia, come appunto abbiamo enunciato in principio, ogni sZsfema co” (mn >1) di curve irreduttibili su F è un si- stema lineare. « 6. Il teorema dimostrato si estende senz’ altro ai s2stemz di varietà Mx, a K—1 dimensioni contenuti in una varietà Mx a K > 2 dimensioni. Basta infatti considerare una superficie sezione della M, con un’altra qualunque varietà (avente un numero di dimensioni opportuno), ed il sistema di curve che sulla superficie vien segato dalle Mx_,. « Così si ha il teorema generale : « Se sopra una varietà algebrica Mx, si ha un sistema algebrico n" (con n>1) di varietà algebriche irreduttibili Mx-1, tale che per n punti generici della Mx passi una Mx-,del sistema, il sistema stesso è un sistema lineare (segabile quindi mediante un sistema lineare di varietà ad 7 — 1 dimensioni dello spazio S, cui la Mx appartiene). «7. Mi sembrano opportune alcune considerazioni tendenti a mettere in luce la natura del risultato stabilito in questa Nota. « Come è noto nella geometria proiettiva del piano il teorema dei trian- goli omologici viene dimostrato o usando dello spazio Ss in cui il piano è contenuto, o usando della teoria delle similitudini, e sembra difficile che possa dimostrarsi facendo a meno di questi elementi o di altri equivalenti. « In altre parole sembra debba ritenersi che i postulati fondamentali del piano che ordinariamente vengono ammessi (cioè « la continuità » « due rette determinano un punto » « due punti determinano una retta ») non sieno suf- ficienti a fondare la comune geometria proiettiva del piano, mentre gli ana- loghi nello spazio bastano a fondare la geometria proiettiva ordinaria dello spazio. Se questa supposizione è giusta si potrebbe dire che in certo modo ANIA la geometria si completa nello spazio di tre dimensioni come l'analisi nel campo di due dimensioni (variabili complesse). « Ora, conservando la nomenclatura adottata, la questione posta può enunciarsi domandando se (prescindendo dalla algebricità ma ammettendo la continuità) esistono superficie contenenti una rete di curve di grado 1 non lineare, od anche se esistono superficie contenenti una rete non lineare di curve di cui due arbitrarie si segano nei gruppi di punti (in numero finito o infinito) d'una involuzione (cfr. $ 3). Infatti se si chiamano rette le curve della rete e punti i gruppi della involuzione, la linearità della rete porta con sè la sussistenza del teorema analogo a quello dei triangoli omologici : viceversa se sussiste un tal teorema si può fondare sulla superficie la geo- metria analoga alla geometria proiettiva del piano ed ottenere quindi la rap- presentazione proiettiva della rete sul piano (colla costruzione della proiet- tività tra due forme di 2* specie). Il risultato stabilito consiste dunque es- senzialmente in ciò che /a algebricità della rete e delle sue curve basta provare la sussistenza del teorema dei triangoli omologici nella geometria fondata (come ho detto) sulla superficie (la quale risulta algebrica). « Guardando le cose da questo punto di vista si riconosce che invece l'algebricità non è necessaria per stabilire il teorema del S 6 relativa- mente ai sistemi 28 di varietà Ms su Mz quando tre M; abbian comune wr gruppo di punti variabile (da cui segue la cosa per gli analoghi sistemi 00”, con 2 >3, di Mx, su Mx, con K = 8), poichè appunto denominando pari le varietà M, e puzzi i gruppi di punti (generanti un’ involuzione) comuni a tre M, si può fondare sulla M3 una geometria analoga alla proiettiva dello spazio e quindi riferire proiettiramente al sistema dei piani di S; il sistema delle M, ». Fisica. — Descrizione di alcuni nuovi metodi molto sensibili per la misura delle pressioni ('). Nota di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. «I manometri ad aria libera, ad aria compressa, i barometri constano di solito di due tubi o recipienti comunicanti contenenti un liquido. Allorchè in uno di questi la pressione varia, passa da un recipiente nell'altro una quantità di liquido, il cui volume è uguale al prodotto dello spostamento del livello in uno qualsiasi dei recipienti per la luce, supposta costante, di questo. Ne risulta che se entrambi i recipienti sono sufficientemente larghi la quan- tità di liquido che passa da un recipiente nell’altro può essere grande seb- bene lo spostamento dei livelli sia piccolo. (1) Lavoro esegnito nel Gabinetto fisico dell'Università di Cagliari. Si KO no « Furono fatti molti tentativi per approfittare di questo fatto collo scopo di accrescere la sensibilità dei barometri, manometri ecc. Già il Descartes (!) aveva ideato un barometro in cui la camera era per un certo tratto capil- lare e conteneva al disopra del mercurio un altro liquido (che avrebbe do- vuto essere privo di tensione di vapore) che giungeva fino nel tratto capil- lare. Gli spostamenti dei livelli del mercurio e dell'altro liquido erano in ragione inversa delle luci dei rispettivi tubi. Huygens vantaggiosamente rese invece capillare un tratto del ramo aperto d'un barometro a sifone, e collocò l’altro liquido in questo ramo aperto. « Questo sistema presenta parecchi inconvenienti. Il menisco nel tubo capillare causa un errore variabile di capillarità dannoso non solo per la pre- cisione ma anche per la sensibilità. Imoltre le variazioni di pressione sono compensate quasi totalmente dalle variazioni dell’altezza del liquido nel tubo capillare dimodochè l'aumento di sensibilità avviene solo e tutt'al più nel rapporto delle densità del mercurio e dell'altro liquido (?). « Guthrie (3) ideò un barometro a sifone in cui due rami sono congiunti da un tubo di 2 mm. di diametro nel quale il mercurio è interrotto da una bolla d’aria. Un piccolo spostamento del livello del mercurio nella camera e nel ramo aperto produce uno spostamento notevole della bolla d'aria, però anche in questo caso si ha l’errore di capillarità. « Colladon (4) ideò un manometro sensibile, che consta di due recipienti piuttosto larghi, riuniti da un tubo ad U e contenenti rispettivamente due liquidi diversi, non miscibili, di densità uguali, colla superficie di separazione nel tubo ad U. Se il diametro dei recipienti è 10 volte maggiore di quello del tubo ad U, la pressione che produce un dislivello di 1 mm. nei recipienti, (1) Gehler, Physik. Worterbuch, Barometer. (2) Si potrebbe eliminare l’errore di capillarità aumentando i diametri dei tubi, ma il piccolo aumento di sensibilità non compenserebbe gli altri inconvenienti. Si potrebbe aumentare la sensibilità rendendo il tubo capillare orizzontale o meglio ancora ricurvo all’ingiù. In quest’ultimo caso le variazioni del dislivello del mercurio sa- rebbero compensate in tutto o in parte da quelle dell’altro liquido, e la sensibilità potrebbe esser resa infinita. Rimangono però gl’inconvenienti dovuti alla capillarità. Si potrebbero evitare anche questi inconvenienti, senza perdere di sensibilità, aumen- tando sufficientemente i diametri dei tubi, facendo pescare il tubo suddetto non più ca- pillare ricurvo all’ingiù in una vaschetta e collocando al disopra del mercurio un liquido, al disopra di questo e nella vaschetta un altro liquido di densità poco diversa in modo che la superficie di separazione di questi due liquidi si trovi nel tubo ricurvo. Per evitare la capillarità e per avere una notevole sensibilità tale barometro dovrebbe avere dimensioni che lo renderebbero incomodo; tuttavia sarebbe interessante lo studio delle variazioni della pressione atmosferica con uno strumento molto sensibile che potrebbe svelare rela- zioni probabili fra essa pressione e gli altri fenomeni meteorologici. (3) Philosophical Magazine (5), III, 139. (4) Archives des sciences phys. et nat. 1874. RexpIcontI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 2 E 0, farà spostare di 50 mm. la superficie di separazione dei due liquidi. Nel ma- nometro di Kretz (!) i liquidi hanno densità poco diverse (2). « Non so che siano state fatte esperienze sul grado di sensibilità e di precisione ottenibile con questi manometri, sul modo di comportarsi in pra- tica, sulle dimensioni più convenienti del tubo ad U e sugli inconvenienti che possono risultare dall’adesione per il vetro dei due liquidi (come p. es. variazione della sezione della colonna d’uno dei liquidi a seconda che essa è a contatto col vetro pulito o col vetro bagnato dall'altro liquido). « Una grandissima sensibilità e precisione nella misura delle pressioni, evitando completamente gli errori di capillarità, si può ottenere nei due modi seguenti giovandosi ancora del fatto che la variazione della quantità di li- quido nei singoli recipienti del manometro o barometro può essere grande sebbene lo spostamento dei livelli sia piccolo. « Si può ridurre il livello del liquido in uno dei recipienti del mano- metro o barometro ad afftorare esattamente ad una punta fissa, ed allorchè l’affioramento è distrutto per effetto d'una variazione della pressione, si può ristabilirlo aggiungendo o togliendo un volume di liquido tanto maggiore quanto maggiore è la variazione della pressione, e dedurre questa da esso volume. Si può anche misurare il volume del liquido contenuto in. uno dei recipienti prima che agisca la pressione che si vuol misurare, e poi mentre essa agisce e dalla differenza dei due volumi dedurre la pressione. « Manometro a livello costante. Si abbia un manometro composto di due recipienti comunicanti A e B contenenti un liquido, sia S la sezione interna costante di A, ed S' quella pure costante del recipiente B, e prima che agisca la pressione che si vuol misurare si riduca il livello del liquido in uno dei recipienti p. es. in A ad affiorare esattamente ad una punta fissa. Fatta agire la pressione, l'esatto affioramento è distrutto e lo si ristabilisce aggiungendo o togliendo liquido nel manometro mediante una buretta'; sia % la variazione dell'altezza del liquido nella buretta (di sezione interna s) che è stata ne- cessaria per ristabilire l’affioramento. Siccome il livello nel recipiente A si è riportato alla posizione primitiva, il volume di liquido aggiunto o tolto si troverà o mancherà nel recipiente B e lo spessore dello strato così aggiunto o tolto rappresenta lo spostamento del livello che misura la pressione che lo ha prodotto. Se H è questo spostamento e v il volume del liquido ag- giunto o tolto s'avrà: o=SH= sk ossia ea 3 (1) Dingler. Polytechnisches Journal CXC, 1868. (®) In entrambi questi manometri si può invece versare fino a circa metà del tubo ad U uno dei liquidi, ed al disopra in entrambi i recipienti, l’altro liquido p. es. acqua. Si può risparmiare così il liquido più costoso. e e la sensibilità sarà tanto maggiore quanto minore è il rapporto delle se- zioni della buretta e del recipiente B dove il livello non è costante. Così se s:S=0,01, una variazione di 0,1 mm. nel valore di % indica una variazione di pressione di 0,001 mm. del liquido adoperato. L'uso del mercurio come liquido per il manometro è vantaggioso per l'esattezza poichè le misure del liquido aggiunto o tolto si fanno più esattamente, è però svantaggioso per la sensibilità a causa del suo grande peso specifico, ed il contrario avviene per gli altri liquidi. Si possono riunire entrambi i vantaggi usando acqua nel manometro e mercurio nella buretta e facendo pescare questa in un vasetto contenente mercurio e totalmente immerso nell'acqua del recipiente aperto. Così il volume aggiunto o tolto colla buretta è di mercurio e può essere misurato con grande esattezza, mentre il dislivello che fa equilibrio alla pres- sione da misurare si produce sull'acqua. « Una condizione essenziale per la sensibilità e la precisione di questo manometro, è di apprezzare esattamente quando avviene l’'affioramento. A tal uopo è utile anzitutto che il liquido venga aggiunto o tolto molto lentamente, e che la buretta comunichi alla parte superiore con un tubo di gomma che si può chiudere all'estremità libera mediante un robinetto o con un pera di gomma. Rarefacendo l’aria del tubo di gomma e chiudendo il suo robinetto ed aprendo pochissimo quello della buretta si determina un'aspirazione lenta del liquido che si può interrompere quando si vuole col robinetto. « Per apprezzare con esattezza l’affioramento è poi necessario che la punta fissa sia esterna al liquido se questo è mercurio, ed invece è utile che essa sia immersa nel liquido e quindi rivolta all'insù per i liquidi diversi dal mercurio. « In entrambi i casi osservando per riflessione sulla superficie liquida una superficie uniformemente illuminata, o meglio con una macchia nera 0 con una linea nera, e spostando un poco l'occhio, non appena la punta pe- netra un poco nel mercurio, o sporge un poco il livello degli altri liquidi, si forma per la tensione superficiale una cavità nel caso del mercurio, una sporgenza nel caso degli altri liquidi, relativamente molto larghe ed appare nella superficie illuminata una macchia nera o brillante, e nel contorno della macchia o della linea oscura che si osserva per riflessione una insenatura 0 una sporgenza. Nel caso del mercurio, come altresì è noto, il contatto può essere indicato molto comodamente dalla chiusura d’un circuito elettrico. « A. proposito dell'errore possibile nell’apprezzare l’affioramento (esso mi risultò ordinariamente di circa 0,001 mm.) è da notare che è utile che il recipiente dove si trova la punta d’affioramento abbia piccola sezione. Difatti se noi dopo ottenuto l'esatto affioramento aggiungiamo o togliamo erronea- mente uno strato di spessore « (da entrambi i recipienti perchè la differenza di livello rimane invariata) il volume del liquido aggiunto o tolto è pi «(S+-S') che produce un errore nella pressione #(S-+S'):S' ossia #(14-S:S) che raggiunge il suo valor minimo se S è trascurabile rispetto ad S'. « Sebbene questo errore sia già molto piccolo, esso potrebbe essere reso ancora minore col seguente artifizio. Supponiamo che i due recipienti Ae B contenenti acqua siano in comunicazione mediante un corto tubo ad U con- tenente fino ad una certa altezza un liquido di densità poco diversa dall'acqua (p. es. anilina) e poi acqua, e che aggiungendo o togliendo acqua nel reci- piente B si faccia affiorare non già il livello dell'acqua nel recipiente A, ma invece il livello dell'anilina nel tubo ad U ad una punta fissa nel tubo. Poichè questo livello è ricondotto alla stessa posizione, lo sarà pure anche quello dell'acqua nel recipiente ma con maggiore esattezza. Difatti se la se- zione interna del recipiente A è 100 volte maggiore di quella del tubo ad U e se nel ricondurre il livello dell’anilina allo stesso punto si commette un errore e di 0,001 mm., l'errore per il livello dell’acqua nel recipiente A sarà di 0,001:100 mm. ossia di 0,00001 mm. Sarà utile che il tubo ad U possa esser chiuso con un robinetto o con un disco di vetro a modo di valvola e così lasciar aperta la comunicazione fra i due recipienti solo quel tanto che occorre per riconoscere in che senso è spinta l’anilina, ottenendo l'affioramento per tentativi e senza lasciare che l’anilina subisca grandi spostamenti. « Una condizione essenziale, affinchè la precisione non sia inferiore alla sensibilità, si è che il valore di S', oppure quello di s:S' siano noti esatta- mente. Il rapporto s:S' si può determinare in modo semplice ed esatto facendo uso di un grosso filo di vetro in forma di segno d'interrogazione, o di 7 o di sifone colle estremità affilate, sulla stessa verticale, e rivolte nello stesso senso, all'ingiù o all'insù. Collocato il filo entro la buretta in modo stabile e colle estremità sull'asse, si riduce il livello del liquido ad affiorare ad una delle punte, p. es. l'inferiore, e si aggiunge liquido finchè il livello affiori alla punta superiore e si determina il peso o il volume del liquido aggiunto. Togliendo liquido finchè il livello giunga esattamente alla punta inferiore, quindi aggiungendone finchè il livello giunge alla punta superiore e così di seguito, e determinando in ogni caso il volume o meglio il peso del liquido aggiunto o tolto, si può avere un valor medio molto esatto. Se il liquido usato è mercurio, evidentemente bisognerà disporre il filo colle punte rivolte verso il basso, per gli altri liquidi è più comodo come ho già osser- vato che le punte siano rivolte verso l’alto. È inoltre necessario che la lar- ghezza del 7 sia tale che il livello del liquido sotto la punta superiore non sia depresso o sollevato per l'adesione all’altro ramo del filo. « Ripetendo la stessa operazione, collo stesso filo, per il recipiente del manometro (essendo interrotta la comunicazione coll’altro recipiente) si ottiene il volume o meglio il peso di liquido necessario per spostare il livello della distanza fra le due punte. Il rapporto fra i due volumi o i due pesi, così ottenuti, aumentati di quello del liquido spostato dal filo di vetro è il rap- == 8 = porto cercato fra le sezioni. È utile ripetere l'operazione a varie altezze della buretta e del recipiente. « Questo metodo che può servire per calibrare burette e campanelle è più esatto di quelli finora in uso, compreso quello che consiste nel versare nella campanella volumi uguali di mercurio, ottenuti schiacciando con un vetro piano il mercurio che riempie un tubetto ad orlo piano. « Un altra causa d'inesattezza nella misura delle pressioni col metodo sopradescritto, sì ha nelle variazioni di forma della superficie liquida presso le pareti dei due recipienti. Queste variazioni di forma si possono rendere minime colle note cure, cioè purezza delle superficie delle pareti e del liquido, con scosse ecc. Inoltre è da notare che se la pressione che si misura è molto piccola, la forma della superficie liquida presso le pareti rimane quasi affatto invariata e l'errore è nullo, e se la pressione è grande, l'errore ridotto minimo colle cure suddette diviene relativamente insignificante. « Può avvenire che la capacità della buretta non sia sufficiente per ottenere l’affioramento. In tal caso bisognerà aggiungere o togliere altro li- quido mediante uno o più recipienti graduati che è utile abbiano la forma di pipetta con tubi sottili chiusa in fondo da un robinetto. « Il metodo usato per aumentare la sensibilità dei manometri, può es- sere applicato senza difficoltà ai barometri, però conviene distinguere se si fa affiorare ad una punta fissa il mercurio del pozzetto, oppure quello della ca- mera, oppure prima l'uno e poi l'altro. « Barometro a livello costante nella vaschetta. Se alle pressioni H ed H', dopo fatto affiorare esattamente il mercurio della vaschetta ad una punta fissa, rimangono nella buretta rispettivamente i volumi x ed 7°, op- pure le altezze % ed 7", di mercurio, essendo S la sezione della camera, S' quella anulare della vaschetta, all’esterno del tubo, ed s la sezione della buretta si avrà: , 1) H' pe n * « Determinato una volta per sempre il valore di S oppure quello di s:S, misurato direttamente nel modo solito H, (una volta per sempre, 0 quando si crede opportuna una verificazione) e letto il valore corrispondente di 2 0 A, si potrà per ogni valore di 7° o ’' calcolare quello di H'. Si potrà anche applicare alla buretta una scala sulla quale, dopo ottenuto l'affiora- mento del mercurio della vaschetta alla punta fissa, il mercurio rimasto nella buretta dia direttamente il valore di H'; se hem. 0 nem.8 corrispondono alla pressione H,7—S:scm., oppure 2 — S cm.8 corrisponderanno alla pres- sione H4-1 cm. « La sensibilità dunque sarà tanto maggiore quanto maggiore è S e minore s, come nei manometri. Riguardo alla precisione è da notare che il valore assoluto di H' non riesce più esatto che coi metodi ordinari, poichè s 7 = g(@_h). de i contiene H che è misurato con essi metodi. Invece le variazioni di pres- sione H'—H che occorre ordinariamente di conoscere con maggior precisione non dipendono che da s:S, /,%' che come s'è visto possono esser deter- minati con grande esattezza. « Riguardo al possibile errore nell’apprezzare l'esatto affioramento, s' è visto che la sua influenza è minore quando la sezione del recipiente ove si produce l'affioramento è piccola rispetto a quella dell'altro recipiente; in questo caso dunque sarà utile che la sezione della camera sia grande e piccola quella del pozzetto, ciò che è anche utile per la sensibilità. L'errore di affio- ramento potrebbe anche esser reso affatto trascurabile coll’artifizio descritto a pag. 12 ossia usando il barometro descritto a pag. 9 (nota) e riducendo ad affiorare ad una punta fissa la superficie di separazione dei due liquidi nel tubo ad U, coll’aggiungere o togliere liquido dalla seconda vaschetta. « Qualora il mercurio contenuto o che può esser contenuto nella buretta non basti a produrre l'affioramento bisognerà aggiungere o togliere liquido mediante pipettte o recipienti calibrati, in modo da rendere possibile poî l'affioramento coll’uso della buretta. « Una particolarità interessante di questo barometro è che per un con- veniente rapporto fra il volume del mercurio che trovasi al disotto della punta d'affioramento e nella buretta e quello che trovasi nel tubo al disopra d’essa punta, la correzione per la temperatura è nulla. « Immaginiamo difatti in un barometro a mercurio di forma qualsiasi, un piano orizzontale condotto per la punta d'affioramento, ed un altro piano simile condotto nella camera per un punto qualunque fisso nel vetro ed a partire dal quale fino al livello del mercurio la sezione S sia costante. « Sia a 0°:A la distanza fra questi due piani, V il volume totale del mercurio contenuto nel barometro e nella buretta e pipette, V, la capacità del pozzetto e del tubo al disotto del piano d'affioramento, V, la capacità del tubo fra i due piani suddetti, v la capacità occupata dal mercurio rimasto nella buretta e pipetta, dopo ottenuto l’affioramento alla pressione H, s'avià: Va=V\.+Vi.+o0+(H— A)S. « Sia ora # la temperatura ed H' la pressione; il volume del mercurio, la capacità ecc. vanno moltiplicate per i rispettivi binomi di dilatazione e se d, 3k sono i coefficienti di dilatazione cubica del mercurio e del vetro, e v' è la capacità occupata dal mercurio rimasto nella pipetta e buretta dopo ottenuto l'affioramento s' avrà approssimativamente : V(1+4+d)=(V\ + V:+0 —AS)(143k))4+H"(14d4S(1+2k9), ossia: V=(V\H4+V:.+ 0 —AS)(143k/—d4))+H"S(142kg), e sottraendo da questa la 1% equazione s' avrà: ian pittte 229 jesi) 2 ra « Gli ultimi due termini costituiscono la correzione per la temperatura che può anche scriversi: [E TIE NS ehe x |-ar 2 H)(d—k)t dove H, indica una pressione qualsiasi e v, la capacità occupata dal mer- curio dopo ottenuto l’affioramento per questa pressione. « La 1* parte, che indicherò con M, si compone di termini indipen- denti da H' e da /, che possono essere scelti in modo che sia M=0. Anche per dimensioni qualsiasi, determinate, del barometro sarà possibile calcolare il valore di H, che renda M nullo e la correzione per la temperatura diventa —(H'—H,)(d—k)f ossia —0,000172(H'—H,). « Se però le dimensioni delle varie parti del barometro sono scelte in modo che H, risulti uguale alla pressione media locale, la correzione per la temperatura sarà nulla per detta pressione e minima per gli altri valori pos- sibili della pressione. « Nel caso p. es. di un barometro il cui tubo abbia la sezione costante (almeno sin sotto la punta d'affioramento) si avrà V:= AS e quindi: Mg 35) _2H,k e la condizione perche M sia nullo è: VE, lo RS COSI 150 « Quindi la condizione perchè alla pressione media la correzione per la temperatura sia nulla è che alla stessa pressione il rapporto fra i volumi del mercurio contenuto nel pozzetto, nel tubo al disotto della punta d’affiora- e nella buretta, e di quello contenuto nel tubo al disopra del piano d'affio- ramento sia di 2k a d—k ossia di circa 16 a 156 condizione facile ad ottenere ed altresì comoda se si tien conto che il pozzetto deve avere la se- zione non troppo grande per diminuire l'influenza dell'errore nell’affioramento. « Condizioni essenziali per l’esattezza delle indicazioni di questo baro- metro sono che la quantità totale del mercurio sia invariata e che il tubo la vaschetta e la punta fissa siano invariabilmente connesse; qualora sì dubiti che tali condizioni non si siano mantenute occorrerà determinare per lettura diretta o col confronto con un altro barometro, il valore di H e leggere il valore corrispondente di . « Barometro a livello costante nella camera. Questo barometro non diffe- risce dagli ordinari a pozzetto se non perchè nella camera barometrica tro- vasi una punta fissa alla quale si fa affiorare esattamente il mercurio aggiun- gendo o togliendo mercurio nel pozzetto mediante una buretta graduata. « Se sono v e v', i volumi del mercurio rimasti nella buretta dopo ottenuto l’affioramento alle pressioni H ed H' rispettivamente, essendo S' la sezione anulare della vaschetta all’esterno del tubo s'avrà: v—-v iii PATTI e la sensibilità a parità delle altre condizioni sarà tanto maggiore quanto maggiore è la sezione della vaschetta. È utile invece che la sezione della camera sia piccola (per quanto è possibile senza incorrere in errori per la capillarità) per diminuire l'influenza dell'errore d’affioramento. « La correzione per la temperatura si calcola come nel caso precedente ; uno dei piani orizzontali si fa passare ancora per la punta d'affioramento, l’altro per un punto fisso qualunque del vetro della vaschetta. Se si chiama V, la capacità della vaschetta e del tubo al disotto del piano inferiore (se questo si fa passare per il fondo comune della vaschetta e del tubo V,.=0) V. la capacità del tubo fra i due primi orizzontali, A la distanza fra i due piani, sussistono le equazioni precedenti purchè si cambi il segno di A, H, ed H' e si sostituisca ad S, S'; si ha dunque per V,=0: ; v—v Vito + AS H—-H= Version 9 « La correzione per la temperatura può anche sceriversi —| ESAS 0a +29 e rm dove la 1® parte è costante ma non può mai diventar nulla, e del resto non differisce molto dalla correzione solita ('). « Barometro con due punte d’affioramento. In questo barometro non meno sensibile dei precedenti e per certi rispetti preferibile ad essi, tanto la camera che la vaschetta sono munite di punte fisse a cui si fanno affiorare i livelli aggiungendo o togliendo mercurio nella vaschetta mediante una bu- retta graduata. Per la pressione H siano v e 0 i volumi di mercurio che trovansi nella buretta dopo fatto affiorare il livello nel pozzetto, e nella ca- mera rispettivamente, se A è la distanza verticale fra le due punte, S ed S° la sezione della camera e quella anulare della vaschetta sarà: H=A-+ (Η3k—2H'kz. v_—-v SER e la sensibilità sarà tanto maggiore quanto maggiore è la somma delle se- zioni della camera e della vaschetta; la correzione per la temperatura è quella che vale per i barometri con scala su vetro. La determinazione di S4+S' 0 s:(S+5S') può farsi esattamente col modo descritto a pag. 12 anche dopo che il barometro è montato purchè la pressione rimanga costante durante l'operazione. «I barometri ora descritti richiedono alcune determinazioni preliminari, ma poi la misura delle pressioni non è più complicata che col metodo solito. La 3? disposizione colle due punte d'affioramento può dare il valore di H in 4 modi diversi cioè nel modo solito e nei tre nuovi metodi ora descritti. (1) Boguski e Natanson hanno descritto .(Wied. Ann., t. 36, p. 761) un barometro che ha qualche analogia con questo. Essi riducono il livello del mercurio nella camera ad affio- rare ad una punta fissa e misurano con uno sferometro gli spostamenti del livello esterno. Sii « Ho fatto la prova del manometro a livello costante con risultato soddi- sfacente misurando la variazione di peso d’una colonna d’aria alta 40 cm. per il riscaldamento a 100°, ed il peso d'una colonna d’idrogeno, di gaz carbonico e di gaz illuminante. Ho fatto altresì la prova con esito soddisfacente del barometro a due punte d'affioramento. La descrizione di queste esperienze e di quelle che sono ìn corso per la misura delle pressioni elettrostatiche e quindi dei potenziali saranno oggetto d'una prossima Nota ». Fisico-Chimica. — Intorno allo spettro di assorbimento delle soluzioni di alcuni cromoossalati della serie bleu('). Nota di G. MA- GNANINI e T. BENTIVOGLIO, presentata a nome del Corrisp. CIAMICIAN. « Le esperienze descritte in questa Nota fanno parte di una estesa ri- cerca, attualmente in corso in questo Laboratorio, e riguardante lo studio degli spettri di assorbimento, e l'intensità della estinzione, delle soluzioni dei sali colorati. « Mentre, in generale, il colore delle differenti sostanze è una proprietà di indole eminentemente costitutiva, perchè non direttamente collegata alla natura degli elementi contenuti (*), si osserva che gli acidi, le basi, e par- ticolarmente i sali formano una speciale categoria di corpi per i quali la colorazione è determinata dalla presenza di taluni elementi, le cui combinazioni, quando corrispondono ad un medesimo grado di ossidazione, hanno colori identici ovvero assai somiglianti (). « Questo fatto, già noto da moltissimo tempo, è stato oggetto di uno studio particolare fatto dall'Ostwald (‘), e sul quale uno di noi richiamò l'at- tenzione in una Nota presentata poco fa a questa Accademia (°). La spiega- zione, di questo comportamento speciale dei sali colorati, deve risiedere se- condo l’Ostwald nella dissociazione elettrolitica. I fatti esposti da uno di noi, con uno studio sugli spettri di assorbimento dei violurati, dimostrano invece che la dissociazione non esercita nessuna influenza sull’assorbimento luminoso. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale della R. Università di Modena. (2) .... così si osserva che le numerose sostanze coloranti artificiali e naturali sono formate da quei medesimi elementi: carbonio, ossigeno, idrogeno, azoto, .... che formano tutta una serie più numerosa di sostanze incolore; nessuna relazione esiste fra la com- posizione chimica e il colore, la causa del quale si vorrebbe frequentemente rinvenire in certe particolarità di &bstituzione, senza però che si sieno trovate ancora leggi sicure ed esatte. (3) Così presentano analoga colorazione azzurra le soluzioni acquose dei sali di rame mentre per es. le soluzioni dei sali di nichelio presentano una colorazione: verde che è differente da quella di altri sali, quali per es. i cromati che pure assomigliano tra loro. (4) Veber die Farbe der Jonen. Zeit. f. Phys. Ch. (9) Seduta del 30 aprile 1893. RewpicontI. 1893, Vor. II, 2° Sem. dI e ig « Ricercando perciò di trovare una plausibile spiegazione per questo speciale comportamento, non ancora abbastanza studiato, degli elettroliti co- lorati; noi abbiamo esaminato collo spettroscopio e collo spettrofotometro, as- sieme ad altre sostanze anche soluzioni di alcuni cromoossalati, e precisamente di quelli di potassio, di sodio e di ammonio, iquali essendo sali molto solubili presentano il vantaggio di potere venire esaminati in soluzione concentrata. L'Ostwald.il quale nella sua Memoria citata si è occupato di questi corpi, trova che per soluzioni diluite contenenti rispettivamente ciascuna lo gram- mi-jone (C:0,)3 Cr per un volume di 330 litri, ed adoperando uno strato di soluzione dello spessore di 5 cent., si hanno spettri di assorbimento identici ; ciò che l'Ostwald spiega colla quasi completa dissociazione di questi sali alle considerevoli diluizioni sperimentate. « Frattanto è comparso un lavoro del sig. W. Lapraik (!) del quale ci pervenne fino ad oggi solamente la recensione (?), ed in cui è fatto cenno della identità degli spettri dei cromoossalati. Quel lavoro, che non abbiamo ancora letto, ci costringe a rendere noti i risultati non ancora completi, ai quali siamo pervenuti collo studio di questi sali. « Noi abbiamo trovato prima di tutto che i ceromoossalati hanno un identico spettro di assorbimento non solamente in soluzione diluita, come esige l'ipotesi di Ostwald, ma anche in soluzione concentratissima; inoltre che l'aspetto di questo spettro è indipendente dal grado della dissociazione elettro- litica. Noi abbiamo esaminato, con uno spettroscopio di Duboscq, soluzioni contenenti ciascuna quantità dei differenti sali, corrispondenti al grammi-atomo di cromo per un volume di 2 litri (3), e facendo assorbire la luce (4) da uno strato di soluzione dello spessore di $ mm.; gli spettri identici all’ occhio per l'intensità e la posizione delle bande, raccolti in una camera fotografica hanno anche dato eguale impressione sopra una lastra sensibile. Cromoossalato di potassio K3 Cr (00,4); + 3H,0 « Preparato per doppia decomposizione col mezzo del cromoossalato di bario e solfato potassico; purificato per cristallizzazioni dall'acqua. Lo studio della conducibilità elettrica in soluzione diluita, e del punto di congelamento delle soluzioni di cromoossalato di potassio, fatto da W. Kistiakowsky (°), (1) Journal f. pr. Ch. 47, 305, 342, 1893. (?) Zeit. f. phys. Ch., vol. XI, fasc. 5 pubblicato il 80 maggio 1893, Referate. (3) gr. 243,5 di Ks Cr(C» 0.);+3H, 0; gr. 233 di Nas Cr(C.04)3 + 4'/H:0; gr. 212 di (NH); Cr (C. 0); + 38H,0; per litro. (4) Lampada Auer. ) (5) Die wiisserigen Losungen von Doppelsalzen. Zeit. f. phys. Ch. VI, 97. hanno condotto al risultato che questa sostanza è un sale complesso, il quale in soluzione molto diluita si trova sdoppiato elettroliticamente secondo lo schema K3 | Cr(C30,)z « Col mezzo dello spettrofotometro di Hifner noi abbiamo determinato l'assorbimento, in differenti posizioni dello spettro, delle soluzioni di cromo- ossalato di potassio contenenti la grammimolecola K:Cr(C0,); in un volume di soluzione eguale a 2 litri. In causa del potere assorbente molto conside- revole, noi abbiamo dovuto adoperare uno strato sottile di soluzione, serven- doci di un parallelepipedo Schulze dello spessore di un millimetro. «I risultati ottenuti sì trovano riuniti nel seguente specchietto, dove sotto 4, in lungezza di onda, sono segnate le differenti posizioni dello spettro esaminate, sotto g i valori degli angoli dei due nicol, quello obbiettivo e e quello oculare, e sotto @ si trovano finalmente i coefficienti di estinzione calcolati colla formala a = — 2 log cos g, tenuto calcolo del diminuito spessore del parallelepipedo di Schulze: 678-669 | 55,5 4,828 || 662-652 | 64°,2 7,226 670-660 | 59°,1 9,088 || 694-644 | 689,1 8,566 | Cromoossalato di sodio Naz Cr(030,)3 + 4’/2H30 « Preparato per azione del solfato sodico sul cromoossalato di bario, e purificato per cristallizzazione dall'acqua. « La determinazione della conducibilità elettrica delle soluzioni di cro- moossalato di sodio, alla temperatura di 25°, ha dato i risultati contenuti nella seguente tabella: dove v sono in litri i volumi di soluzione contenenti la grammimolecola (') e 4 sono le conducibilità elettriche espresse in unità di mercurio e moltiplicate per 107; u» sono poi le conducibilità elettriche mo- lecolari ottenute moltiplicando i valori di 4 per i valori rispettivi di V: Î V À a V 2 | do 2 Sag Go 160 | 1,67 267 20 10,1 | 203 1000 | 0,332 | 832 40 5,64 | 226 5000 | 0,0672 | 336 80 3,10 | 248 || 10000 | 0,0837 | 337 (1) Abbiamo assunto i pesi molecolari più semplici, corrispondenti ad un solo atomo di cromo. SA), « Osservando l'andamento dei valori 4» si vede dunque che il cromo- ossalato di sodio si comporta come un sale complesso, non decomponibile nei sali semplici anche alle estreme diluizioni. Il valore massimo della condu- cibilità elettrica in soluzione diluitissima w, = 337 dimostra che per un volume V = 10000 tutte le molecole di cromoossalato di sodio sì trovano com- pletamente dissociate in quattro joni -che. sono Na, Na, Na, e Cr(0204)3; infatti questo valore di w, è in accordo colle determinazioni che Kistiakowsky ha fatto per la velocità propria all’jone Cr(C:0,)3 (!). Nelle soluzioni più concentrate la dissociazione è più piccola: per es. nella soluzione V = 2 non solamente si osserva che al massimo la terza parte circa delle molecole. è dissociata nei quattro joni, ma che molto probabilmente si avranno joni più complessi corrispondenti ad altri schemi di dissociazione : Na | Na, Cr (Cs 0,4); 9 Na Na | Na (01 (C» 0.) e « Senza dubbio dunque, nella soluzione V = 2 il cromoossalato di sodio si trova in uno stato il quale, per rapporto alla dissociazione elettrolitica, è assai differente da quello in cui il cromoossalato si trova nelle soluzioni VE 2060VE 40102057 «< La determinazione dei coefficienti di estinzione, in differenti posizioni dello spettro, della soluzione Naz Cr(C,0,)3 = 2 litri ha hato i' seguenti risultati : | 4 | (ro a À P « 678-669 | 549,2 4,657 | 662-652 | 639,6 7,040 670-660 | 589,5 5,688 |' 654-644 | 67%,5 8,343 « Aggiungendo nitrato sodico, e precisamente per una soluzione conte- nente Na; Cr(C,0,)3 + 2 Na NO; in un volume di due litri, per la quale dunque la dissociazione elettrolitica del cromoossalato sodico è molto dimi- nuita, abbiamo ottemito al fotometro i seguenti risultati : | A p « 4 (ra « 678-669 | 549,4 4,700 || 662-652 | 639,9 7,132 670-660 | 589,7 5,688 || 654-644 | 679,7 8,417 | (1) Ibid., pag. 107. rei), pai « Noi abbiamo anche determinato i coefficienti di estinzione della solu- zione Naz Cr(C»0,)3 = 20 lit., la quale è 10 volte più diluita delle prece- denti e che perciò venne sperimentata in uno strato di spessore 10 volte maggiore. Gli spettri di assorbimento, esaminati per tal modo attraverso strati inversamente proporzionali alle concentrazioni, vennero trovati identici. — Il parallelepipedo di Schulze aveva lo spessore di un centimetro : 678-669 670-660 549,1 | 0,4636 ||662-652 | 6395 | 0,7009 589,6 | 0,5663 || 654-644 | 6794 | 0,8306 « Studiando la soluzione Naz Cr (C. 0,)} = 40 lit., ed impiegando il medesimo parallelepipedo di Schulze — 10 mm., abbiamo ottenuto i seguenti numeri :. Pe ae] « Considerando i differenti risultati contenuti in queste tabelle, si osserva prima di tutto che le due soluzioni contenenti rispettivamente 4 Naz Cr(C,0,)3, ed & Naz Cr(C:0,)3 + Na NO; per litro, presentano, nelle differenti posizioni dello spettro, assorbimenti luminosi i quali, entro il limite degli errori, sono identici; tutto questo è indipendente dalla dissociazione elettrolitica del cro- moossalato di sodio, la quale nelle due soluzioni deve essere considerevolmente diversa. Inoltre comparando i coefficienti di estinzione delle diverse soluzioni sperimentate per concentrazioni comprese da V=2 a V = 40, sì osserva che questi coefficienti sono proporzionali alla concentrazione. Il cromoossalato di sodio mantiene dunque sempre il suo potere di assorbimento; e ciò seb- bene lo stato della dissociazione elettrolitica sia considerevolmente diverso, come è dimostrato dai valori diversissimi delle conducibilità elettriche mo- lecolari corrispondenti alle soluzioni V=2 (!) e V= 40 (?). (1) La quale contiene gr. 233 di cromosssalato idrato per ogni litro di soluzione. (2) La qualè contiene gr 11,65 di cromoossalato idrato per ogni litro di soluzione. Cromoossalato di ammonio (NH,); Cr (C: 0,): + 3H; 0 « Preparato saturando con ossido di cromo di fresco precipitato l’ossa- lato acido di ammonio, e cristallizzando dall'acqua. La determinazione della conducibilità elettrica delle soluzioni di cromoossalato di ammonio ha dato i seguenti risultati: V À Uv V A Uv 2 85,0 170 32001505 336.) 4 49,0 196 640 | 0,551 353 | 1000 M6)58 | (4263 1280 | 0,283 362 80 3,70 | 296 2560 | 0,144 369 160 1,99 | 318 5120 | 0,0724 | 871 « L'esame dei valori contenuti in questa tabella, dimostra che il cromo- ossalato di ammonio, come quello di sodio, è nelle soluzioni diluitissime completamente dissociato secondo lo schema: ala 5 > = (NH.), (NH), (NH.), | Cr(C.04); « La conducibilità elettrica u, = 372 è naturalmente maggiore per il cromoossalato di ammonio, che per quello di sodio, corrispondentemente alla maggiore velocità dell'jone vi) paragonata con quella dell’jone Na. Inoltre nelle soluzioni più concentrate la dissociazione elettrolitica è considerevol- mente diminuita, come si osserva per la soluzione V = 2 per la quale la conducibilità elettrica ha il valore u» = 170, notevolmente più piccolo QU IO « L'esame spettrofotometrico della soluzione V = 2 di cromoossalato di ammonio, adoperando il parallelepipedo di Schulze dello spessore di 1 mm., ha dato i seguenti risultati: SP Rea 678-669 | 54°,6 4,742 || 662-652 | 639,9 7,152 670-660 | 589,8 5,713 || 654-644 | 679,9 8,491 « Se si paragonano questi risultati spettrofotometrici coi precedenti, si osserva che per soluzioni dei cromoossalati di potassio, di sodio e di ammonio, contenenti la grammimolecola in un volume di due litri, l'estinzione nelle differenti parti dello spettro è la stessa. K « Per ultimo noi abbiamo eseguito alcune fotografie (fig. 1), paragonando le soluzioni più concentrate, V = 2, dei tre cromoossalati in strati di + mm. Sebbene tali strati sieno piccoli, tuttavia in causa della forte concentrazione quasi tutta la luce viene assorbita. Raccogliendo sopra una medesima lastra fotografica (!) gli spettri dei tre cromoossalati di potassio, sodio, ed ammonio, noi abbiamo ottenuto immagini identiche. Na NH, « Risulta pertanto da questa ricerca che: è cromoossalati alcalini anche în soluzione concentratissima (20-25 °/) presentano l’identico spettro: l'assorbimento luminoso di questi sali è asso- lutamente indipendente dal grado della dissociazione elettrolitica ». Chimica. — Azzone dell'acido nitroso sopra le chetoammine. Nota di AncELO ANGELI, presentata dal Corrispondente G. CIAMICIAN. «I diazocomposti, che si ottengono per azione dell'acido nitroso sopra le ammine primarie, appartengono in gran parte alla serie aromatica; nella serie alifatica invece non sono noti ancora che pochissimi rappresentanti di questa interessante classe di composti, il più semplice rappresentante de’ quali è l'acido diazoetansolfonico C0H;—N=N—S0;H, ottenuto da Emilio Fischer (2) per ossidazione dell'idrazina corrispondente: CH; -_ NH—-—NH—S0,;H. « In questi ultimi anni Curtius (*) ha scoperta una serie di diazocomposti (1) Impiegando lastre « Lumière » ortocromatiche, e spostando la lastra in modo da ottenere le corrispondenti posizioni dello spettro, sopra una medesima retta verticale. (2) Liebig?s Annalen, 199, 302. (8) Berl. Berichte, XVI, 2230 e seg. LIO, ge oltremodo interessanti e che egli ottenne per azione dell'acido nitroso sopra gli eteri di alcuni acidi amidati; in queste sostanze entrambi gli atomi di azoto sono riuniti ad uno stesso atomo di carbonio : N I Y CR. 0000, H;. N « Composti diazoici sono stati inoltre recentemente ottenuti da Thiele partendo dall’amidoguanidina ('). | « Malgrado le brillanti ricerche di questi due ultimi sperimentatori, resta però sempre il fatto, che mentre la facoltà di dare diazocomposti è regola gene- rale per le ammine aromatiche, nella serie alifatica non si hanno ancora norme sicure per prevedere come un amido derivato di questa serie si com- porti rispetto all’acido nitroso. « Questa differenza di comportamento è molto probabile che si debba riferire alla stabilità differente dei composti che in tal modo si possono for- mare, prescindendo sempre da reazioni secondarie dipendenti dalla natura e dalla particolare disposizione degli atomi o gruppi contenuti nella molecola del composto amidato primitivo. « Si può ammettere che la reazione dell'acido nitroso sopra le ammine primarie proceda in ogni caso secondo lo schema : R.NH,-- NO,.H — R.NH.NO — R.N=N.0H; così p. e., i sali del diazobenzolo sono stabili e solo per ebullizione con acqua perdono l'azoto per dare il fenolo: CoH;.N=N.0H=CH;.0H- Ns. « Le ammine contenenti un radicale alifatico, in generale, si decompogono subito e danno gli alcool corrispondenti; anche in questo caso si può supporre che dalla metilammina p. e., si formi dapprima il composto : CHESNI=N0Hf il quale tosto si scinde in alcool metilico ed azoto. « Prendiamo ora in esame i derivati della serie alifatica che sono in grado di dare diazocomposti. « Secondo Curtius si comportano in questo modo, rispetto all’acido ni- troso i seguenti composti (i loro eteri): glicocolla (NH.).CH,. COOC, H; alanina CH;.(NH.).CH .CO0C;H; tirosina C; H,(0H).CH, (NH.).CH .C000; H; leucina CH; .(CHs);. (NH:). CH .C00C, H; acido amido malonico (NH). CH .(COOC; H;)» » aspartico (NH,).CH .C00G; H; | CH, . CO0C, H;.. (1) Liebig's Annalen, 270, 1. o e I diazoderivati, che in tal modo si formano, contengono i due atomi di azoto uniti ad uno stesso atomo di carbonio, ed è probabile che anche in questo caso si formi dapprima il diazocomposto a catena aperta, che poi perde una molecola d'acqua. « Appare da questi esempi come la presenza di certi gruppi negativi possa impartire al residuo amidico la facoltà di dare composti diazoici stabili. « Nei corpi aromatici infatti il residuo fenico possiede carattere nega- tivo; in questo caso, naturalmente, i due atomi di azoto sono a catena aperta, p. es., nel diazobenzolo ('): CH si o Hot le I | | Rep (ox 0 H giacchè l'atomo di carbonio, cui stava unito il gruppo amidico, non ha atomi d'idrogeno disponibili. « Nell'etere diazoacetico e negli altri analoghi è contenuto il gruppo car- bossietilico, pure negativo, sebbene non direttamente legato al gruppo amidico : | NH, .CH.C00C, H;. « Nell'amidoguanidina di Thiele : (NH) NH; NH, ’ la quale può dare un diazocomposto stabile, si deve ammettere che il gruppo NH, segnato tra parentisi, possieda proprietà negative, giacchè il suo atomo (1) Se si compara l’idrossilammina OH. NH: con la fenilidrazina C; H; NH. NH., si vede che, analogamente, all’acido nitroso corrisponde il diazobenzolo, OH. NO CH; NH.NO oppure GH5N= NOH, ed al cloruro di nitrosile, il cloruro di diazobenzolo. Il termine H, N. NO oppure HN=N.0H, corrispondente all’idrazina H) N. NH», non è noto e mi sembra improbabile che possa esi- stere. L’analogia fra l’acido nitroso ed il diazobenzolo è veramente completa in tutte le loro combinazioni. L'acido iponitroso, HO.N=N.0OH corrisponderebbe ai tetrazoni R:N.N=N.NR,, che si ottengono per ossidazione delle idrazine bisostituite: Questa analogia lascierebbe intravedere la possibilîtà di poter ottenere l’acido iponitroso ossidando l’idrossilammina ed i suoi derivati: RenpIcONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 4 Gee d'idrogeno può con tutta facilità venir sostituito dal rame. Lo stesso val» pro- babilmente anche per l’ippurilidrazina, CHHE- COMNEHSCHSSCOSNERNNE,È « Sembra però che non tutti i gruppi negativi godano di questa proprietà; è noto infatti che gli acidi amidati liberi si decompongono in altro senso, e questo probabilmente dipende dal fatto, che il carbossile impartisce poca sta- bilità aì composti che dapprima possono formarsi. « Allo scopo di determinare se altri radicali negativi, oltre agli accennati, possono imprimere al gruppo amidico la facoltà di dare composti diazoici sta- bili, ho intrapreso lo studio dell’azione dell'acido nitroso sopra alcune cheto- ammine della forma: — CO—-C—(NH.)—. « In questo caso, come si vede, il carbonile è prossimo all’atomo di car- bonio, cui è legato il gruppo amidico. « Ammine di questo tipo ne sono note finora pochissime, ed allo stato libero sono quasi tutte poco stabili. « Fra queste ricorderò l'esoamidoacetofenone, la desilammina e l’amido- canfora di Claisen e Manasse, forse identida a quella di R. Schiff. « Per questo motivo era prima di tutto necessario di stabilire un metodo, che nella maggior parte dei casi si prestasse alla preparazione di queste sostanze, partendo p. es. dagli isonitrosochetoni, che facilmente si ottengono secondo l'elegante processo di Claisen e Manasse ('), ed in modo di evitare possibil- mente di mettere in libertà la base. Anche seguendo il metodo di Braun e V. Meyer (*) per la preparazione dell’esoamidoacetofenone si ottiene diretta- mente il cloridrato della base; siccome essi però adoperarono come riducente il cloruro stannoso, così per evitare la lunga eliminazione dello stagno per mezzo dell'idrogeno solforato, sono ricorso all'impiego della polvere di zineo. Si discioglie l'isonitrosochetone in alcool diluito, vi s'acgiunge un lieve ec- cesso, sulla quantità calcolata, di acido acetico glaciale, e quindi, raffred- dando, si aggiunge poco per volta della polvere di zinco pure in eccesso, in modo però che il liquido si mantenga acido anche ad operazione finita. Si diluisce allora con acqua, si elimina lo zinco con idrogeno solforato e, dopo aver aggiunto alquanto acido cloridrico, si evapora a b. m. quasi a secchezza; scacciando l'acido rimanente sopra la calce, nel vuoto, rimane il cloridrato quasi puro. « Il cloridrato dell’esoamidoacetofenone preparato con questo metodo è perfettamente identico a quello ottenuto da E. Braun e V. Meyer; come pure si dimostrò identico il cloridrato dell’amidocanfora preparato in questo modo con quello ottenuto seguendo le prescrizioni di Claisen e Manasse. (1) Berl. Berichte, XX, 2191. @) Ibid., XXI, 1269. ESt97 « Anche riducendo altri isonitrosochetoni ho avuto buonissimi risultati. « In questa comunicazione preliminare descriverò brevemente l’azione dell'acido nitroso sopra i cloridrati dell'esomidoacetofenone, CH; . CO. CH,. NH,, e dell'amidocanfora, CH 1 I cH.xHd « Alla soluzione non molto concentrata del cloridrato dell’esoamidoaceto- fenone viene aggiunta una soluzione di nitrito sodico, ed il miscuglio raffred- dato si tratta con qualche goccia di acido acetico, diluito; dopo qualche istante il liquido s'intorbida ed alla superficie si separa una sostanza solida. Contemporaneamente si osserva un leggero sviluppo gassoso. Si filtra alla pompa, ed il residuo viene trattato con carbonato sodico. « Si ottiene così una sostanza cristallina che, seccata nel vuoto, viene purificata cristallizzandola da etere petrolico. In tal modo si ottengono ma- gnifici aghi gialli, appiattiti, che possiedono un odore particolare; fondono a 50° e riscaldati più oltre svolgono azoto. I risultati dell'analisi conducono alla formola Cs Hg N3 O. « La nuova sostanza, sciolta nel cloroformio, scolora immediatamente la soluzione di bromo e di jodio, con forte sviluppo di azoto. Trattata con gli acidi svolge del pari azoto con vivissima effervescenza; versata nell’acido bro- midrico si trasforma immediatamente in bromuro di fenacile: C Hz. CO. CH, Br. « Per quanto riguarda la costituzione del nuovo composto, si possono prendere in considerazione le seguenti formole : 278 CHs.C=CH—N (1) CH; . CO. CH< | (2) | | INI O==N « Tenendo conto però del fatto che la sostanza si comporta in modo per- fettamente simile all’etere diazoacetico, N | YCH.C00C,H;, NZ ed agli altri composti analoghi scoperti da Curtius, e mi sembra si possa fin d'ora escludere la (2) ed ammettere che la (') rappresenti realmente la co- stituzione del prodotto da me ottenuto. Esso sarà perciò, secondo la nomen- clatura di Curtius, il monochetazofenilgliossal (diazoacetofenone). « In causa della piccola quantità di sostanza di cui disponeva, non ho potuto per ora studiarla ulteriormente, anche perchè il rendimento è piut- tosto esiguo e non avendo ancora ricercate quali sieno le condizioni migliori per operare. MER: a « È probabile che la stessa sostanza si possa anche ottenere p. e., dal fenilgliossal, Ce Hs.CO.COH, se si riescisse da questo a preparare il composto idrazinico mediante l'idrazina, NH CH; COCH< | NH, il quale per ossidazione con ossido di mercurio, secondo il metodo di Curtius, dovrebbe fornire il prodotto da me ottenuto. « In modo analogo procede l'azione dell'acido nitroso sopra il cloridrato di amidocanfora di Claisen e Manasse: CO 0: Hu < | CH.NH,. « Questi chimici, per azione dell'anidride nitrosa sopra la soluzione eterea dell'amidocanfora, hanno ottenuto il corrispondente nitrito ('), dal quale però essi, anche sottoponendolo a svariati trattamenti, non hanno potuto ricavare prodotti definiti. Per questo motivo ho ritenuto opportuno di studiare meglio questa reazione, mettendomi però nelle condizioni precedentemente descritte riguardo all'amidoacetofenone, tanto più che Curtius ha dimostrato come anche dagli amidoeteri, che danno i diazocomposti, si possano con facilità avere dapprima i nitriti (?). « Il cloridrato dell'amidocanfora, preparato secondo il metodo sopra indi- cato e purificato dall'alcool assoluto, fondeva a 222° con decomposizione, in corrispondenza a quanto hanno trovato Claisen e Manasse. « La soluzione raffreddata di cloridrato di amidocanfora e nitrito sodico, venne trattata con qualche goccia di acido solforico diluito. Anche in questo caso il liquido dapprima s'intorbida e poi separa una sostanza che viene lavata con acqua e quindi purificata dall’etere petrolico. ; « S'ottengono così grandi cristalli giallo-ranciati, che fondono a 74°. Al- l’analisi si ebbero numeri che conducono alla formola Co Hi4 Ng 0. Non è improbabile che questa sostanza sia identica a quella che R. Schiff e Meissen (8) ottennero ancora 12 or sono, per azione dell'acido nitroso sopra la cosidetta can- fimide, e che chiamarono diazocanfora. Secondo Schiff e Meissen sembra che ia diazocanfora non si formi quando si faccia agire l'acido nitroso sopra il cloridrato di amidocanfora puro. Io non voglio stabilire se l'amidocanfora di Schiff sia identica a quella di Claisen e Manasse; io però ho potuto convin- cermi che il composto in parola si forma in maggior quantità ed in uno stato (') Liebig*s Annalen, 274, 992. (2) Berl. Berichte, XVII, 953. (3) Gazzetta chimica, XI, 171. Egr di maggiore purezza quando si impiega il cloridrato di amidocanfora ricristal- lizzato più volte dall'alcool assoluto. « Anche a questo composto è molto probabile che spetti la costituzione : e si potrebbe chiamare, secondo la nomenclatura di Curtius, monochetazo- canforchinone. i « Per azione degli acidi e degli alogeni esso perde immediatamente il suo azoto per dare prodotti che ancora non ho studiato. Riscaldato con aldeide benzoica, in soluzione di toluolo, fino a che cessa lo sviluppo di azoto, dà un prodotto, che si presenta in cristalli giallo-chiari dall'odore della canfora e che fondono verso 170°; è molto probabile che esso sia la benzoilcanfora : pi CO + ER dr (00. 05H;. « Qualitativamente ho altresì studiata l’azione dell'acido nitroso sopra altre chetobasi, ed ho potuto constatare che la reazione procede in modo analogo ('). « Come si vede, i composti studiati da Curtius, cioè gli eteri degli acidi amidati, si possono fino ad un certo punto far entrare nella cerchia di quelli da me presi in esame; il carbonile infatti, nei primi, da una parte è attaccato ad un gruppo ossietilico, N A « Sembra però che non tutti i radicali negativi abbiano, almeno ad una certa distanza, eguale influenza sul gruppo amidico. È noto infatti, dalle ricerche di Curtius, che la benzilammina (*), CH; .CHs;. NH, non dà un diazocomposto, che invece si potrà senza dubbio ottenere dalla desilammina, CO. C H; COBCSCHENHS « Come pure finora non sono stati ottenuti derivati diazoici dalle amidi, che invece si possono avere facilmente da alcune idrazidi, come p. e., dal- l'ippurilidrazina. (1) Da alcune esperienze che ho eseguite, sembra che queste chetobasi abbiano altresì una grande tendenza a combinarsi con le aldeidi e coi chetoni, in modo simile a quanto fa la fenilidrazina. Ciò spiegherebbe anche la facilità con la quale queste sostanze si tra- sformano nelle aldine. (2) Berl. Berichte, XVII, 958. SIM « Interessante sarà inoltre lo studio dell’azione dell'acido nitroso sopra le chetoammine sostituite : — CO — CR, Ra, — (NH»). « Evidentemente in questi casi, siccome l'atomo di carbonio cui è unito il gruppo amidico è sprovvisto di atomi d’idrogeno, dal diazocomposto forma- tosi non potrà più eliminarsi acqua ed esso dovrà esistere nella forma: — CO — CR, Ri, —N=N.0H, come appunto avviene per i composti aromatici. Naturalmente, in questo caso, sull'andamento della reazione potrà avere influenza anche la natura dei radi- dicali R, ed R,,. Un esempio di questo genere esiste oramai nella lettera- tura. Dalle interessanti ricerche di Behrend si sa infatti che l’amidometil- uracile, per azione dell'acido nitroso, dà un diazoderivato molto stabile (!): i 700 { 700 CO-(NH)». C(CHa)g | ESCO (NE) C(CHE NOEC | C.NH, C.N=N.0H. « Anche in questa sostanza, come si vede, è contenuto l'aggruppamento: —C0—C(NH.)—. « Mi propongo di continuare lo studio dell’azione dell'acido nitroso sopra le diverse chetoammine, nonchè di vedere se altri radicali, come p. e., S0,, CN, NO»: ecc., ed a quale distanza, possano come il carbonile imprimere al gruppo amidico un analogo comportamento ». Fisica. — Di alcuni effetti dell’ incrudimento sopra le proprietà magnetiche del ferro. Nota di M. AscoLi, presentata dal Socio BLASERNA. « 1. Nelle esperienze, di cui riferisco alcuni risultati, ho determinato la curva magnetica (ascisse H, ordinate I (2)) di un filo di ferro prima ricotto, poi incrudito mediante trazioni eccedenti i limiti di elasticità. «I fili avevano il diam. di cm. 0,097 e la lunghezza iniziale di 30. Erano tenuti in un tubetto di vetro lungo l'asse di una spirale magnetiz- zante lunga 28 cm., del diam. interno di 1,8 e portante 1900 spire cioè 67,36 per cm. La corrente era misurata con un amperometro Siemens a tor- sione graduato in milliampere. Senza shunt, a ciascuna parte corrispondeva nell’elica sopradetta una H di 0,085 c.g.s. Nel circuito stava una cassetta di resistenze ed un commutatore a leva che si poteva adoperare anche come interruttore. (1) Liebio's Annalen, 245, 213. (2) Adotto le abbreviazioni H, I, IT, IP, MT, MP, Imer. per forza magnetizzante, intensità magnetica, intensità totale, 1. permanente, magnetismo totale, m. permanente, incrudimento. LL « Le misure erano fatte col metodo balistico aprendo, chiudendo o in- vertendo la corrente primaria. Per stabilire rapidamente il valore dell’I in- dotta corrispondente a quella della H applicata, nel circuito primario ho introdotto un commutatore e un interruttore a rotazione che si facevano agire per qualche minuto prima della misura mediante l'inversione o l'apertura e chiusura. « Nell’ interno dell’elica primaria e nel suo centro era introdotta, una piccola elica indotta della lunghezza di cm. 2,2 del diametro medio di cm. 0,49 portante 202 spire di filo di rame sottilissimo (0°",01) avvolto sopra due strati. Questa spirale era nel circuito di un galvanometro balistico a rifles- sione Siemens già accuratamente studiato dal prof. Pisati ('). Nel circuito stesso stava una cassetta di resistenze per regolare la sensibilità ed una spi- rale /errestre appoggiata ad un piano orizzontale, la quale nel nostro caso, serviva solo a controllare l’ invariabilità delle condizioni nel circuito secondario. « La deviazione del galvanometro balistico all’inversione dà il doppio dell'IT, quella all'apertura o alla chiusura successiva dà l' induzione /em- poranea (?); la differenza è l' IP. La deviazione balistica senza nucleo di ferro per la chiusura era di parti 0,018 per ogni parte dell’amperometro pri- mario. La lunghezza dei nuclei essendo grande (circa 309 diametri) si può ritenere nulla la reazione degli estremi al centro, e quindi la deviazione senza nucleo si può senz’ altro sottrarre dalle letture balistiche. Si ottiene così l’induzione metallica (3) o l'intensità della magnetizzazione. «I numeri che darò in seguito sono le deviazioni balistiche così ridotte sufficienti al nostro scopo; il coefficiente di riduzione in misura assoluta, sarebbe approssimamente 117. « In tutte le misure leggevo le due deviazioni opposte. Ho constatato che l'errore di lettura per deviazioni non maggiori di 100 parti balistiche non supera parti 0,1. Per dare un'idea della precisione cito alcuni dati del- l’elica terrestre, ottenuti in giorni diversi 114,5 114,3 114,3 114,1 114,1 114,3. «3. Risultati delle osservazioni. Le misure furono fatte sopra fili ri- cotti alcuni di fresco, altri circa un anno prima, tanto immediatamente dopo gli iner. quanto dopo un riposo di alcune ore e talvolta di alcuni giorni. Tra i numerosi risultati tutti concordi tra loro, nelle tabelle I, II, III e IV rac- colgo quelli relativi a due fili l'uno della prima, l’altro della seconda specie. La colonna 1 contiene le intensità della corrente magnetizzante in milliam- pères, la 2 la H in c.g.s. Delle altre colonne alcune (quelle che seguono immediatamente la linea doppia) sono : (2) Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, 1890, vol. VI, pag. 170. (2) Ordinariamente si chiama temporaneo il magnetismo che esiste mentre agisce la forza magnetizzante; io chiamo questo totale e temporanea quella parte che cessa al ces- sar della forza. (3) Così è chiamata da alcuni autori, della induzione totale B= H + 471 la parte 4x1. TaBeLLA I. — Filo appena ricotto. — Magnetismo totale. | (3) ID | Tal I = OI Adua oia o) | | #0 (SÌ Si | | | on aa Lom) 54 Mal CRISI Sla RI] |ISt | Ci Ge) ein) 1a 00 ri N {al ER [CONAN] FEO 00 Cico ont |< | Trad lol = Hit ISS Leoni z oo © quo 0naì QUIETE St || Hut |]qaot TA O mid O o N tal li MST id 0A s Ian (i m.i° ok) O GI = iS n IM | Sgi ui E nvi ealleno sas SIA mid | °° | | = Fi e mimo | mi i ar ne SGNHSI DON He me o Mnum_ceo ni ò | ISS | iui e e CCNI SIL + £ SHw 5 produce, come normalmente l’iner., una diminuzione. E l'aumento notato è grandissimo. La tab. III ci dà una variazione, per H= 2,6 e 3,4, da 5,7 a 7,8 e da 9,7 a 14,5 cioè del 50 p.c.; e la tab. IV da 1,2 a 1,9 e da 3,2 a 6,4 cioè del 100 p. c. Invece per H—=38,5 si ha una diminuzione da 106,1 a 105,7 e da 89,7 a 87,1. Si hanno poi le varia- zioni susseguenti; ma il valore definitivo per piccole H si conserva sempre molto maggiore dell'iniziale, mentre per grandi H diventa ancora minore. Nella tab. V stanno i valori definitivi dopo i diversi incr., nella colonna 3 sono i valori iniziali. Dopo il primo iner., si ha l'aumento ora notato; in qualche altro esemplare, anche un secondo e un terzo iner., diedero nuovi aumenti. Nel caso presente invece il secondo e terzo hanno effetto quasi insen- sibile fino a H=3 circa TABELLA V. Magnetismo totale Magnetismo permanente 1 2 3 4 5) 6 7 8 9) 10 ll 12 18 14 mm H 0 | 83 mm mm mm mm mm 7,1 | 9,5 | 12,9 | 16,3 mm mm mm IO o o 1 5| 0,48| 0,51 0,7 0,6| 0,71 0,7 0,5 0,0) 00) 00) 01 00) 00 0) IU:3p) MSC Me 5 ee il Menia oa 020 02) 01 20 bri 2:98 sis 8;9 3/7) 27/03 vo) Lo 09) 07) 08 sese e zi Zio zie 5,0 SU 01 0 ei 40 2a Og 198122) eg te dgi sd 50| 4,27) 20,2| 28,51 32,5| 22,2| 19,6| 12,2) 10,9] 14,0] 130) 1231 905| 47 60) 5,12 — | 44,0] 41,7| 40,4 33,7| 190) — | 32,7 298| 281 21,4| 9,1 70| 5,87 63,0) 67,21 64,7) 61,7| 51,8) 28,9] 54,3| 53,3) 51,6 48,0) 36,5] 16,6 80| 6,52) — | 84,01 82,2 78,7) 68,6) 40,1 — | 68,2| 674| 619) 500 24,9 100) 8,53) 106,1] 105,2| 104,9) 102,1| 93,7| 60,2| 89,7 86,4| 84,5] 83,7] 68,5] 42,6 150| 12,80|] 126,51 126,01 126,0| 125,6] 122,71 93,1]| 107,4! 106,7] 105,9] 104,1 95,21 62,8 poi producono notevoli diminuzioni. Per gli iner. successivi, incomincia la diminuzione di tutti i valori ma i primi rimangono ancora maggiori degli ini- ziali. Ad esempio per H= 2,56 e 3,41 i valori iniziali sono 5,7 e 9,7, dopo il quarto iner., sono 6,9 11,3, mentre per H = 5,87 il valore da 68,0 discende fino a 51,8. « Nella fig. 1, l'andamento del fenomeno è alquanto esagerato per chiarezza. La linea 1 più grossa è l'iniziale, prima dell'iner. La 2, dopo il 1° iner., sta in principio al di so- pra della precedente, la taglia in un punto A corrispondente ad H vi- cino a 5 (c.g. s.), e poi rimane al di sotto; la curva 3 (2° incrudi- mento), sta in principio ancora al disopra, ma il punto di intersezione B colla 1? corrisponde ad H com- preso tra 4,3 e 5; così il punto di intersezione va avvicinandosi al- l'origine. La sua ascissa per la 4° curva sarebbe prossima a 4, perla 5% tra 3,5 e 4. Infine tutta la 6* linea sta al di sotto; ma mentre per H = 2,56 l'ordinata è variata solo da 5,7 a 5,0 e per H= 1,71 da 2,9 a 2,7, per H = 5,87 è variata da 68,0 a 28,9. bo « Le variazioni per H = 12,80 sono molto piccole, specialmente in prin- cipio, onde le curve sì accostano di nuovo le une alle altre. Ciò dipende dal- l'avvicinarsi dallo stato di saturazione magnetica che, come è noto ('), è sen- sibilmente lo stesso pel ferro ricotto e per l'inerudito. « Salvo quest'ultimo particolare, l'andamento del fenomeno pel MP è analogo al precedente ma è forse ancora più accentuato. « Nei dati citati ho trascurato le variazioni di sezione perchè la misura diretta del diametri non l'avrebbe sentita; e l'ipotesi della costanza del vo- lume non è ammissibile essendo le variazioni di densità dell'ordine stesso di quelle di lunghezza. Del resto la correzione in parola non avrebbe fatto che esagerare l'effetto constatato. « Pel filo ricotto di fresco (tah.I e II), l'aumento iniziale è quasi in- sensibile; ma, per piccole H, la diminuzione è molto minore che per grandi. Inoltre in varî altri esemplari l'aumento iniziale fu molto evidente, sebbene non quanto nei fili ricotti da un anno. « Si potrebbe tentare di spiegare la variazione in parola colla maggior viscosità magnetica del ferro ricotto rispetto all’incrudito (2). Infatti questo acquista istantaneamente la I normale, mentre, in quello, per piccole H, il valore istantaneo è minore del normale; ed è appunto il valore istantaneo che si misura col galvanometro balistico. Ma, tanto dai dati conosciuti, quanto da alcune prove da me fatte col metodo magnetometrico, la spiegazione è dimostrata insufficiente per la grandezza sia degli aumenti sia dei valori di H per cui si verificano (Rowland, Hspkinson). « Si tratta dunque di un vero aumento iniziale della suscettibilità do- vuto all’inerudimento. E pare un fatto generale che le cause tendenti a di- minuire la permeabilità massima, l'aumentino per le minori H. Così accade per le trazioni nei limiti di elasticità (Villari), e per le variazioni della temperatura (Rowland, Hopkinson). « 6. Effetto dei grandi incrudimenti. Le curve magnetiche del ferro inerudito e del ricotto furono messe a confronto da varî autori e specialmente dall'Ewing, ma fu generalmente esaminato un unico incrudimento. I numeri sopra riportati, e specialmente quelli delle tabelle I e II ci permettono di esaminare come si alteri la curva magnetica del ferro al crescere dell'ineru- dimento. Perciò ho tracciato le curve delle fig. 2 (MT) e 3 (MP) aventi per ascisse le He per ordinate i valori definitivi delle IT e IP. La curva 1 è pel ferro ricotto (col. 5); le altre (2, 3, 4, 5, 6), sono pel ferro dopo il 2° 3° 4° 5° 6° incrudimento (colonne 11, 15, 17, 19, 21). Tanto pel MT, quanto pel MP, ma specialmente pel primo, i primi allungamenti hanno poco effetto; infatti tra la 1* e la 2* curva l'allungamento è di 4, 6, mentre tra la 2% e la 8? è di 8, 4; la variazione poi si accelera, per rallentarsi (1) V. Ewing, Magnetic Induction in Iron ete., cap. VII. (2) V. Ewing, op. cit., pag. 128. di nuovo; tra le curve 5 e 6 l'allungamento è di mm. 6, 5. Ciò si mette meglio in evidenza prendendo per ascisse gli allungamenti. Le figure 4 e 5 VADZAPZ AE ACIDE danno l’IT e l'IP per H=1,7 5,9 12,8. Per le maggiori H il MP si mostra più sensibile del MT ai primi incrudimenti, Per le H minori e per un allungamento di circa mm. 1, cioè del 0,3 p.c., tende a presentarsi un massimo, indizio il fenomeno studiato al $ precedente; questo è molto più evidente nelle curve punteggiate riferentisi al filo ricotto da un anno per H—3,4; il massimo si verifica quì per l'allungamento del 3 p. c. circa. ag Cana « Le curve della fig. 2, mostrano ancora come, qualunque sia l’ineru- dimento al cresce-e di H, l'IT tende al medesimo valore, cui si avvicina tanto più lentamente quanto più inerudito è il ferro (!). La cosa è diversa pel MP (fig. 3); le varie curve ten- dono pure asintoticamente a unaretta parallela all'asse delle H, ma questa retta è differente per i diversi ineru- dimenti. Si hanno, per così dire, valori di saturazione di- versi, e minori per ì mag- giori incrudimenti. «7. Conclusioni. I prin- cipali risultati ottenuti sono i seguenti: a) Alla variazione im- mediata nelle proprietà ma- gnetiche dopo l’incrudimento, segue una variazione progressiva, che spe- cialmente per le piccole H, avviene in senso opposto alla prima. 5) Mentre l' incrudi- mento fa sempre diminuire la permeabilità massima, i piccoli inerudimenti, spe- cialmente nel ferro ricotto da molto tempo, producono notevolissimi aumenti nella permeabilità iniziale (per piccole forze magnetizzanti). Perchè la permeabilità ini- ziale sia minore di quella del ferro ricotto possono oc- correre inerudimenti che ri- ducono a meno della metà la permeabilità massima. c) Le proprietà ma- gnetiche sono poco sensibili ai primi incrudimenti e agli ultimi (quelli che precedono la rottura); molto agli intermedî. Il valore di saturazione totale è indipendente dall'ineradimento, quello di saturazione permanente dimi- nuisce all'aumentare di esso ». ua a fo VA DD LE Le LL (0) AVERE oSAlAe8 > iù SER, Zoologia. — Zreptoplax reptans. u.g. n. sp. Nota preliminare .g. di Fr. Sav. MONTICELLI, presentata dal Socio TRINCHESE. « Col nome di Zreptoplax (rosrtroe mutevole, 7rZ@5 lamina), per il suo incessante mutar di forma, indico un nuovo e curioso essere semplicissimo, di colorito bianco-latteo, misurante qualche millimetro ed appiattito a lamina, che vive strisciando lungo i vetri degli acquarii della Stazione Zoologica di Napoli, e che perciò chiamo speciticamente 7ep/a,s. « Io l'ho ritrovato, per caso, nella scorsa estate del 1892 — mentre ri- cercavo lo Ctenodrilus serratus O. Schmidt, che vi era apparso numeroso — lungo le pareti di alcuni dei bacini della stazione zoologica, nei quali sola- mente finora esso vive, e scompare e riappare più volte; e credetti, in sulle prime, appunto per gli svariatissimi e mutevoli aspetti che esso piglia e pre- senta, con movimenti, dirò così, amebiformi di tutta la massa del corpo, di essermi imbattuto in una monera. Ma avendo esaminato più da vicino questo essere, mi sono avveduto che esso è un Metazoo semplicissimo che trova il suo posto accanto al 7r/choplax adhaerens di Schultze; ciò che mi ha spinto a farne oggetto di particolari ricerche: il risultamento delle quali mi riserbo di pubblicare per intero a miglior tempo in uno speciale lavoro accompagnato da tavole. Ora, poichè ne val la pena, voglio solamente dar notizia prelimi- nare di questo mio ritrovamento, riassumendo brevemente le caratteristiche del 7reptoplax reptans. Esso non presenta traccia d'organi di sorta, come il Trichoplax adhaerens (*), nè, come in questo ha dimostrato lo Schultze, contrariamente al Gratf, vi ha una muscolatura somatica. Ma, come il 77- choplax, esso è fatto di tre strati di cellule, due esterni fra loro differenti, ed uno interno, medio, le cui cellule molto differiscono da quelle di entrambi gli strati esterni. Dei due strati di cellule esterni, dei due epitelii, uno, quello col quale il 7r/choplax striscia sui vetri degli acquarii, è fornito di lunghe ciglia; l'altro, opposto al primo, e che. costituisce la superficie dor- sale del corpo — mentre il primo rappresenta la ventrale — è, invece, sprov- visto di ciglia; a differenza di quanto si osserva nel 7y/chop/ax dove anche la superficie dorsale ha ciglia numerose. « Ditferisce ancora dal 7richoplax, il Treptoplax per l'assenza in esso, costantemente da me osservata, dei corpi a guisa di noduli (héòckerigen Knollen), colorati in giallo-bruno verdastro, descritti e figurati dallo Schulze nel primo. L'epitelio della faccia ventrale, fatto di caratteristiche celiule allungate, fornita di un lungo ciglio ciascuna, ricorda molto quello del 77r:- (1) Veber Trichoplax adhaerens,in: Aband. Preus. Akad. d. Wissens. Berlin 1891, pp. 29, mit. 1 Daf. ZIA) choplax. Molto diverso da quello di questa forma è, invece, l'epitelio dorsale, addossati al quale si trovano numerosissimi corpicciuoli, o sferule, rifran- genti fortemente la luce, simili a quelle che si trovano nello 7rzichoplax (Glanzkugeln). Differentissimo, inoltre, da quello di quest'ultimo è lo strato intermedio di cellule, che intercede fra i due epitelii esterni summentovati, che è fatto di belle e grandi cellule, a contorni irregolari con citoplasma formato di granuli grossi e nucleo colorantesi intensamente. Anche per le sue minori dimensioni si distingue, infine, il 7reptoplax dal Trichoplax; ma, | come questo, esso si moltiplica per semplice divisione in due(Archi- tomia) di ogni individuo con processo analogo a quello col quale si compie la divisione nel 7richoplae. « Il ritrovamento di questo nuovo essere non parmi privo d'importanza, in quanto esso, per le sue affinità col 7rzichoplax, ci dimostra che questo non rimane, come si è creduto finora, una forma del tutto isolata, e perchè lo studio della sua posizione sistematica contribuisce a mettere in miglior luce, quella ancora dubbia ed incerta del 7r:choplax ». CORRISPONDENZA Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: Il Museo britannico di Londra; la Società di scienze naturali di Emden; la Scuola politecnica di Delft; l'Università di Berkeley; il R. Istituto geolo- gico di Budapest. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 4 giugno al 3 luglio 1893. Bassani C. — Dell'aria sismoscopica. Torino, 1893. 4°. Bibliotek (Sveriges offentliga) Stockholm, Upsala, Lund, Goteborg. Accessions- Katalog, 7. 1892. Stockholm, 1893. 8°. Bombicci L. — Rivendicazione della priorità degli studî e delle conclusioni sul sollevamento dell'Appennino Emiliano per via di scorrimento e di pres- sioni laterali e la diretta azione della gravità. Bologna, 1393. 8°. Cruls L. — Le Climat de Rio de Janeiro. 1851-1890. Rio, 1892. 4°. D'Ovidio E. — Su varie questioni di metrica proiettiva. Torino, 1893. 8°. Hall J. — Geol. Surwey of the State of New York. — Palaeontology, vol. VIII. — An introduction to the Study of the genera of Palaeozoic Brachiopoda. Part. I. Albany, 1892. 4°. 2/1 Miller F. von. — Iconography of Candolleaceous plants. 15° decade. Mel- bourne, 1892. 4°. Pittei C. — Dell'origine, diffusione e perfezionamento del sistema metrico decimale. Firenze, 1892. 8°. Riccò A. — Osservazioni astrofisiche solari eseguite nel r. Osservatorio di Catania nel 1892. Catania, 1893, 8°. Rovereto G. — I. Origine delle anfiboliti della serie arcaica ligure. — II Gneiss del Permo-Carbonifero. Roma, 1893. 8°. Sarasin E. e De la Rive L. — Interférences des ondulations électriques par réflection normale sur une paroi métallique. Genève, 1893. 8°. Taramelli T., Pirona G. A. e Tommasi A. — Dei terremoti in Tolmezzo ed in altre località del Friuli nel 1889. Relazione. Roma, 1893. 4°. Tassoni L. — La mucilaggine del frutto di Ocimum basilicum L. Ales- sandria, 1893. 8°. Vincenti G. — Il fono-telegrafo. Ivrea, 1891. 8°. Id. — Breve corso sul sistema fonografico universale a mano del cav. A. Mi- chela. Ivrea, 1889. 8°. Id. — Nuove e parziali applicazioni della tavolozza fonografica ad uso di alfabeto universale A. Michele. Ivrea, 1889. 8°. Id. — La fonografia universale Michela ecc. Torino, 1892. 4°. RAR RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 16 luglio 1893. DANNAN_—_S la cui importanza è evidente: essa ci dà : (04 mo Co. (3) DD (1) Rendiconti Accademia dei Lincei, giugno, 1893, I la quale ci permette di determinare il coefficiente di compressibilità cubica, giacchè @, C, K, E, d sono tutte quantità note; essa ci dice inoltre che: il coefficiente di compressibilità cubica a temperatura costante è uguale alla metà del rapporto fra la dilatazione e l'energia consumata nella dilatazione. « 2. Osserviamo che la (1) si può mettere sotto la forma 2 4) (0-0) pa =, e dividiamo questa per la (2); si ha: (CEI (5) (C—K)Ed — 20h ossia : il rapporto fra l'energia consumatainlavoro interno per l'aumento d'un grado di temperatura a volume costante e quella consumata in lavoro interno per lo stesso aumento di temperatura a pressione costante, è uguale al doppio pro- dotto del coefficiente di dilatazione cubica per la tempera- tura assoluta. i « Da quest’ ultima formola ricaviamo (6) e=C—2aTEd(C— K) la quale ci dà il calore specifico a volume costante in funzione di quantità conosciute. «3. Dalla relazione di Moutier : dici 0 2MKE St aloni dl dT fra il modulo di elasticità lineare v, la coesione @ che egli dimostra uguale alla metà del modulo di elasticità, la massa M, il volume V, e K, E, T, noi ricaviamo : av (7) KEd = a onde da questa e dalla (2): KEd DO (CS) pi od anche : 2 K 2 Il (©) Sol E, ORI, K cioè, ricordando che — rappresenta il coefficiente di compressibilità lineare : v il coefficiente di compressibilità cubica è uguale al dop- pio del coefficiente di compressibilità lineare moltiplicato — 46 — per il rapporto fra il calore che viene impiegato ad aumen- tare d'un grado la temperatura e quello che viene impiegato per produrre la dilatazione corrispondente. « La (8) ci permette di determinare il coefficiente di compressibilità cubica con due soli dati sperimentali conosciuti (astrazion fatta di K che io considero per la mia citata Nota come perfettamente conosciuto) e perciò è preferibile alla (3) per il calcolo di &, giacchè la (3) richiede la cono- scenza di tre dati sperimentali, densità, calore specifico ordinario, e coeffi- ciente di dilatazione. « Dalla nota relazione : 3 — —T— (1 vi! Qu) fra il coefficiente di compressibilità cubica, il modulo v ed il rapporto di Poisson u, si ricava mediante l'ultimo valore trovato per @, 0) n= a 3 (ara) e potrà darsi che non sia privo d'interesse l’osservare che si può anche met- tere questo valore sotto la forma Se ‘Nat 8, 20 an analoga a quella che dà il rapporto fra l'energia atomica e l'energia mole- colare dei gas perfetti. « Se noi ammettessimo con Moutier l'esistenza di uno stato ideale dei corpi solidi, nel quale dovrebbe essere C=3K la nostra (9) ci darebbe per lo stato solido perfetto Si « Tl rapporto di Poisson avrebbe dunque il valore che gli fu assegnato da Wertheim; noi vedremo però che nelle condizioni ordinarie # s'aggira K intorno al valore È e che perciò w è differente pei varî metalli e compreso 1 Il fra toi ed ur x «4. Se w' è il coefficiente adiabatico di compressibilità cubica alla solita temperatura T, si ha come è noto : w'= — i E0d ma i la quale @w dovendosi ormai considerare come noto, ci mette in grado di cal- colare anche w'. « Da questa si ha : ECd as ie Toi To) (60) e per la (4): E0d ((-2)=—o Bò, (62) la quale in ultima analisi diviene : 10, S donde si vede che: come per i gas, così anche per i solidi, il modulo adiaba- tico di elasticità cubica, sta al modulo di elasticità cubica a temperatura costante, come il calore specifico a pressione costante sta al calore specifico a volume costante «5. La seguente tabella contiene i calori specifici C a pressione costante, ed alla temperatura 20°, determinati dal prof. Naccari (') per alcuni metalli, i calori specifici assoluti K, i rapporti i rapporti di Poisson, calcolati (e, Kei mediante la (9), ed i moduli di elasticità cubica z in misura assoluta (0) (G) (S) caleolati per mezzo della (8), per quelli fra detti metalli di cui sì hanno da Wertheim i moduli di elasticità lineare; ed in ultimo i moduli nl Sa È . ; stessi * da me calcolati in un altra nota in base alle note esperienze di Edlund (?). AES e ot | GI K lo) tO) Cadmio . . . | 0,05510 | 0,02143| 2,57 | 0,288 | 2a — Ferro ....| 0,10940| 0,04285 ,53 |' 0,285 | 15,88X 10” = Argento. . .| 0,05497 | 0,02222| 2,47 | 0,274! 5,20» 5,22Xx 10” Rame ....| 0,09239| 0,02785] 2,44 | 0269| 8,79 8,30 » Nichel. ...| 0,10619| 0,04082| 2,60 | 0,292 nl | La Antimonio. . | 0,04897 | 0,01967 | 2,49 | 0,276 = _ Piombo . ..| 0,03000| 0,01159| 2,59 | 0,290 la Mi Alluminio. .| 0,21350 ee, 244 | 0,268 ca Sh | (1) Naccari, Sui calori specifici de alcuni metalli. Atti dell’Accademia delle scienze di Torino, 1887. (2) Boggio Lera, Una relazione fra il coefficiente di compressibilità cubica, il peso specifico, e il peso atomico dei metalli. Rendiconti dell’Accademia dei Lincei, 1890. Milione « Come si vede i valori trovati con la nuova equazione da me stabilita, concordano perfettamente con quelli da me calcolati in base agli esperimenti di Edlund. « Quest'altra tabella contiene i calori specifici a pressione costante, medî fra 0° e 100, i calori specifici assoluti K, È, e ut, ed I calcolati questi ultimi due nel modo anzidetto, in base ai moduli di elasticità lineare deter- minati da Wertheim. Perciò i valori di w ed sa di questa tabella sareb- bero i valori medì fra 0° e 100°. [di T_ See K (0) OO RO 0,0324 | 0,0122 2,66 0,299 n | NG Rel 0,0570 | 0,022 2,56 0,287 | 5,56» Piano gi ai 0,0324 | 0,0121 2,66 0,299 |13,86._» Rame ei o 0,0943 0,0378 2,49 0,276 9,09» Leo 0,1138. | 0,0428 2,65 0,299 |16,87 » Malorogi se a 0,0598 | 0,0225 2,63 0,296 | 9,39.» | Piombo I n 0,0314 | 0,0116 | 2,71 0,305 lm” | pico Fisica. — Sul potere induttore specifico dei corpi e sulle costanti della rifrazione della luce. Nota di SrEFANO PAGLIANI, presentata dal Socio CANNIZZARO. « Nell'ipotesi dell’ Helmholtz sulle proprietà de'dielettrici si ammette che le molecole del dielettrico siano già polarizzate, che le forze elettriche non facciano altro che orientarle tutte nella stessa direzione. Indichiamo con de l'elemento di volume occupato dalla molecola. Siano + e da e — edile quan- tità di elettricità positiva e negativa sull’elemento de, che vengono sepa- rate dalla polarizzazione, ma che rimangono sempre sull’elemento. Le coor- dinate della molecola siano «,d, c, e consideriamo un punto P qualunque posto fuori o dentro il dielettrico, di coordinate «, y, . Il momento dielet- trico della molecola riferito all'unità di volume è dato dal prodotto di 4- e per la distanza fra i punti carichi delle quantità di elettricità + e e — e. Le sue componenti secondo tre coordinate siano @, #, y. Il potenziale di questa molecola nel punto P sarà dato da 1 1 1 Po do Dea dica dI dY dE dove r = (e —-@}+(y— db +(e— e). e 49 = Il potenziale di tutto il dielettrico nel punto P sarà quindi: 1 1 (e > glia Viel ia dio OA bai fede api agi « Consideriamo ora due conduttori carichi, i quali agiscono fra loro e sul dielettrico. Sia V il potenziale di questi conduttori nella ipotesi che il dielettrico non abbia influenza. Supponiamo poi che essi polarizzino il dielettrico così che questo assuma il potenziale Q nel punto x, y, e. Il po- tenziale totale in un punto qualunque dello spazio sarà dato da V-+ Q. DR eo induttore specifico o costante di elettricità, quindi, a parità delle altre con- dizioni, crescerà col diminuire di Q. « Ora Q risulta dalla somma di prodotti, i due fattori dei quali sono l'uno il volume della molecola, l’altro dipende indirettamente da esso, in- quantochè contiene le componenti del momento dielettrico. Quindi il valore di Q dipende dal volume della molecola, ma dipende pure dal numero di molecole che sono contenute in un dielettrico di determinate dimensioni. Però se noi confrontiamo due dielettrici di uguali dimensioni, il numero di molecole che entra in ciascuno di essi non dipende solo dal volume della molecola relativa, ma anche dalle distanze intermolecolari, per cui ad un maggior volume della molecola non si può dire che corrisponda sempre un minor numero di molecole nello stesso volume. Quindi il valore di Q non si può dire che cresca sempre col volume occupato dalla molecola, o dimi- nuisca col diminuire del numero delle molecole, contenute nell'unità di vo- lume, perchè il suo valore dipende simultaneamente da quelle due grandezze. Quindi anche il valore del potere induttore specifico D non si può dire che debba sempre diminuire col crescere del volume occupato dalla molecola, o crescere col diminuire delle molecole contenute nell’ unità di volume. «Il valore della costante di dielettricità dipende poi anche dalla na- tura del corpo. Se noi confrontiamo fra loro i valori di essa per diverse specie di composti, troviamo che essi stanno entro determinati limiti per ciascuna serie. « Soltanto per i volumi delle molecole dei gas e dei vapori abbiamo dei rapporti conosciuti. Per i liquidi edi solidi si considerano i volumi mo- lecolari, dati dai rapporti fra i pesi molecolari e le densità. Essi però non misurano gli spazi realmente occupati dalle molecole, ma rappresentano vo- lumi che nelle stesse condizioni contengono ugual numero di molecole dei composti paragonati fra loro. Quindi i valori dei detti volumi molecolari stanno in ragione inversa dei numeri di molecole, contenuti in uno stesso volume dei diversi corpi. Ora se noi confrontiamo i valori della costante di dielettricità. coi detti volumi molecolari troviamo che in generale i primi di- D'altra parte il potere induttore specifico è dato da D= Il potere DEI pEr minuiscono al crescere dei secondi, quantunque per qualche serie (gli idro- carburi della serie del benzene) la detta regola non sia osservata. « Le ricerche più complete sull’ argomento sono quelle di H. Landolt e Hans Jahn (Sitzungsbericht Berlin Akademie. Juli 1892). Essi determinarono l'indice di rifrazione e la densità per alcune serie di composti, sugli stessi liquidi, ciò che rende i loro risultati per le diverse grandezze bene compa- rabili fra di loro. Abbiamo poi anche determinazioni di potere induttore spe- cifico di Tereschin (Wied. Ann. 36, 1889). « Ora appunto valendosi dei risultati di questi sperimentatori si trova che il valore del potere induttore specifico per ciascun gruppo di composti va diminuendo col crescere del volume molecolare. Per gli idrocarburi la regola non è così evidente. Per i saturi detta costante andrebbe crescendo col volume molecolare, per i non saturi non abbiamo andamento deciso, per lì primi termini della serie del benzene pare vada crescendo, per gli ultimi diminuendo. « Per trovare una ragione di questo diverso comportamento cercai una relazione che legasse il potere induttore specifico colle grandezze caratteri- stiche della molecola dei corpi, cioè peso molecolare, volume molecolare e numero di atomi contenuti nella molecola. « Il potere induttore specifico è legato all'indice di rifrazione dalla re- lazione del Maxwell: D= n°, la quale fu trovata verificarsi per una serie di sostanze solide e liquide da Arons e Rubens (Wied. Ann. 42 e 44, 1891) se ad x si sostituiscono gli indici di rifrazione oggidì direttamente misura- bili delle lunghe onde elettriche di Hertz. Però se la conducibilità elet- trica dei corpi in questione. si può considerare come infinitamente piccola, allora secondo la teoria elettro-magnetica della luce, questi indici di rifra- zione sono indipendenti dalla lunghezza d'onda, quindi non soggetti all’ in- fluenza della dispersione. Questa condizione si verifica con grande approssi- mazione appunto per i composti organici. « Ora noi abbiamo già una relazione del Joubin (Compt. Rend. 1892) fra indice di rifrazione, peso molecolare e numero di atomi contenuto nella molecola di un composto. È una relazioue, che, come, dimostrerò, non può essere generale, ma che si può con una certa approssimazione ammettere per un momento. Detto M il peso molecolare, N il numero degli atomi, la detta relazione si può mettere sotto la forma: n —1=K IN To ove K è un coefficiente, che dovrebbe essere uguale per tutti i corpi. « Combinando questa relazione con quella che Gladstone e Dale dedussero Miplan ape È N di eno ze fra l'indice di rifrazione di una sostanza e la sua densità cioè: 7 = cost. M si ottiene d = K' sì ottien Di ae « Essendo poi U il volume molecolare della stessa sostanza, abbiamo ANTERIORI M_ xoJ e =, quindi si deduce Ret i... cana qui) Siccome poi per la già accennata relazione di Maxwell 2 = {/ D così potremmo scrivere la relazione di Gladstone e Dale sotto la forma (/D— 1) m_ così. la quale per la (1) ci dà)(Y/ D—1) VÀ — leost. « Ma oltre la relazione di Gladstone e Dale ne abbiamo altre due, e dI È 2-11 lla di L. Lorenz e H. Lorentz espr El cost, cioè quella di Lorenz e H. Lorentz espressa da o cost. e . î n—-1 1 uella di Ketteler, il quale 1 to la forma: “ =. cost., calco- q i Ketteler, il quale la pose sotto la forma panna) cost. , calco lando dai dati sperimontali dei valori speciali di x per le diverse sostanze. « Da queste due espressioni si possono dedurre altre quattro relazioni contenenti N ed U, oppure M ed N, ma i valori delle costanti che sì otten- gono non sono abbastanza generali. Invece risultati molto soddisfacenti ci dà una espressione che si ottiene assumendo ancora la densità proporzionale rapporto fra il volume molecolare ed il numero degli atomi e facendo 4 = 0 nella formola di Ketteler. Allora essa ci dà Dal AI = cost. e l’altra D U DES a D ] n cost « Nella tabella presente sono riportati i valori di queste due costanti D_1 1 REZZA i composti da loro studiati. Si sono aggiunti a questi i valori calcolati per la essenza di trementina secondo i dati di Negreano (Compt. Rend. 104. 1887) per i sette ultimi eteri, l’anilina, il tetracloruro, di carbonio e l'acqua se- condo quelli di Tereschin, per l'etere ed il solfuro di carbonio secondo quelli di Quincke (Wied. Ann. 1883). Per i composti studiati da Landolt e Jahn i valori dati delle costanti sono i medii dei calcolati sui dati delle singole determinazioni, e sono confrontati coi valori di calcolati da Landolt e Jahn per RenpIcONTI. 1893, Von. II, 2° Sem. 7 IDROCARBURI Hissano te Octanoi pena ar Decano ego... RO Aimilenett noce O Fissulenenorarae 0 Sho Oetilene saggio... Decilene esente Benzene spegne © - ge Foluene: ee arene Rtilbenzenegett.... ee Ortoxilemet: #9... ih eds Metaxilene nto o. aa Paraxilene: e. Propllibenzene@ioe Reso Isopropilbenzene . . do. Miesitilenefsit ne sono! Tsobutilbenzenest. na Cimenesa sie. OO Essenza di trementina . . ALCOLI EMI COM AN CHIC IPIOpIlico gio. . (O TRIS ODE ORA QLC O ARI O LO ENRE pepe SS ls ETERI Pormiato direte. ces ” propile!. .. BIEÙE ” Isobutile . ec A/cetato (dimmetile.. . . (ini ” euile 0. Je | » propile 905 | ” isobutile. . .. . | ” amile: .. ge | 0,7339 0,7099 0,7212 0,7041 0,6642 0,2426 0,2334 0,2439 0,4208 0,4256 0,4276 0,4260 0,4252 0,3432 0,3546 0,3522 0,35374 0,3597 0,3468 0,3422 0,3377 ©) I CI 0,0719 0,0780 0,0807 0,0799 0,0756 0,0843 0,0865 0,0751 0,0822 0,0871 0,0922 0,0847 0,0807 0,0814 0,0877. 0,0855 0,0894 0,0875: 0,0830 0,0930 0,1468 0,1503 0,1546 0,1555 0,1570 0,123] 0,1287 0,1254 0,1242 0,1258 0,1281 0,1229 0,1231 OI DE a Der 1 A ADI E LEDA) Propionato di etile . . . .. — 0,3402 | 0,1112 Butirrato di etile. . .... _ 0,3369 | 0,1079 Valerato di etile ...... — 0,3348 | 0,1056 Benzoato di metile . . . .. — 0,3139.|. 071257 ” Cullene ano enoti _ 0,3166 | 0,1263 ” isobutile . . . . — 0,3245 | 0,1316 ” amule: afro _ 0,3193 | 0,1267 DIVERSI ACQUI . 0,875 0,403 0,164 tere. lot. è la a = 0,3557 |. 0,1154 Ailima ge e = 0,3362 | 0,1338 Solfuro di carbonio . . . . . — 0,1101 | 0,0246 Tetracloruro di carbonio — 0,1024 | 0,0289 Cloruro di etilene. . .... 0.6048. | 0,2591 | 0,0944 Cloruro di etilidene. . . . . 0,6369 | 0,2581 | 0,0883 « Risulta tosto come le costanti calcolate per una stessa serie sono più concor4anti per le espressioni da me trovate che non per quella che si de- duce dalla Lorenz-Lorentz. Di più abbiamo che i valori per le diverse serie di composti sono meno difierenti per le costanti delle mie relazioni che non per le accennate. Le espressioni, a cui sono giunto sono quindi più generali che non quella che si deduce dalla Lorenz-Lorentz e le altre. « Osservo poi che i valori delle costanti della rifrazione della prima delle mie relazioni vanno diminuendo per corpi di funzione analoga da quelli di costituzione meno complicata a quelli di costituzione più complicata e così dagli eteri formici ai benzoici, dagli idrocarburi non saturi ai saturi. « Vediamo infine che l'acqua e l'etere (ossido di etile) vanno posti fra gli alcoli e gli eteri composti; i cloruri di etilene e di etilidene vicino agli idrocarburi non saturi, l'essenza di trementina fra i non saturi e gli aroma- tici. I composti non contenenti ossigeno. come gli idrocarburi, presentano va- lori minori che non quelli contenenti ossigeno. I composti non contenenti nè ìdrogeno ne ossigeno presentano i minimi valori di dette costanti ». RO Chimica-fisica. — Conducibilità elettrica delle soluzioni dei sali di acidi organici in presenza di acido borico ('). Nota di G. MagGnANINI e T. BENTIVOGLIO, presentata dal Corrispondente G. CIAMICIAN. « Le determinazioni, le quali formano oggetto di questa Nota, stanno in relazione con altre ricerche fatte da uno di noi, e riguardanti l’azione che esercita l'acido borico sopra la conducibilità elettrica delle soluzioni degli acidi organici contenenti ossidrile. Il risultato più importante di questi studî (2) è che l'influenza esercitata dall’acido borico può servire, in molti casi, per determinare la presenza dell’ossidrile negli acidi organici: il metodo dell'acido borico può perciò contribuire a risolvere importanti problemi di costituzione. « Noi ci siamo occupati di esaminare se lo studio della conducibilità elettrica possa applicarsi con successo anche ai sali di quegli acidi organici per i quali, aggiungendo acido borico, si osserva aumento di conducibilità. Lo scopo di questa ricerca era di estendere l'applicazione del metodo a quegli acidi che sono insolubili nell'acqua e nell’alcool, ma che danno invece sali solubili. «I risultati ottenuti si trovano riuniti nelle seguenti tabelle, nelle quali le lettere poste a capo dei numeri hanno il medesimo significato, come in precedenti comunicazioni (3). Acetato di sodio. C..H30, Na ++ 3H,0. « Si adoperò un campione purificato, e del quale venne determinata la conducibilità; si ebbero i seguenti valori: DIEMGALO 32 64 128 256 512 1024 TAMRIBNNTA RO) 19,2 77,8 79,6 82,3 83,3 85,6 l'Ostwald (‘) ha trovato in accordo coi nostri risultati : {lo -- 19,9 77,6 79,8 81,6 83,5 85,0 (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale della R. Università di Modena. (2) Vedi principalmente: Ricerche ulteriori intorno alla influenza dell'acido borico sulla conducibilità elettrica delle soluzioni acquose degli acidi organici, ed Influenza dell'acido borico sulla conducibilità elettrica delle soluzioni idroalcooliche degli acidi organici; nella Gazzetta chimica italiana 1892. (3) Vedi questi Rendiconti, vol. VI, 1° sem., pag. 262, 1890. (4) Zeitschr. f. Phys. Ch. II, e Lehrb. der allg. Ch. II Aufl. II B, pag. 751. oo: Aggiungendo acido borico si ebbero questi risultati: 1 1 Vi: 1 9 4 8 16 32 vi: 16 32 64 128 256 512 zo 72,7 76,6 78,4 80,7 81,3 « L'effetto della aggiunta di acido borico è dunque quello di diminuire la conducibilità elettrica; questa diminuzione è dovuta evidentemente al- l'aumentato attrito che si oppone al movimento degli joni; una azione chi- mica dell'acido borico non è probabile, giacchè il coefficiente di affinità di queste acido, paragonato con quello dell'acido acetico, è trascurabile per- fettamente. Tartarato sodico neutro. (071 H, (075 Na, + 2H,0 « Tl sale adoperato dette all’analisi i seguenti risultati : trovato calcolato per C4 H1 0 Nas + 2H: 0 Na°/o 19,85 20,00 « Lo studio della conducibilità elettrica dette i seguenti valori: v: 10 20 40 80 160 Uv : 127. 142 155 165 174 « Aggiungendo acido borico si ebbero questi risultati : 1 1 10 (071 H, (075 Na, + 5 BOH): 3 1 2 4 8 16 v: 10 20 40 80 160 Mo : 111 129 146 160 174 « Per soluzioni più concentrate si ebbe: C,H,0;Na; 50, HO; Nas {5 Bo(0H); v=2 uo = 86,0 1 Vel v=2 u="783,9 Tartarato acido di potassio. C,H;0;K « Analizzato: trovato calcolato per C4H5 0 K K° 20,67 20,74 EROI (e QTA « La determinazione della conducibilità diede questi risultati: v: 20 40 80 160 320 Wo: 85,0 92,4 100 108 121 « Aggiungendo acido borico si ebbe: 1 1 20 C, H; (075 K + 92 Bo(0H), Neg 1 2 4 8 16 ui 20 40 80 160 320 fto : 81,1 90,5 99,6 109 121 Lattato di calcio. Ca (03 H; 03): + 5H0 « Il sale, preparato dall’acido lattico del commercio, dette all'analisi valori concordanti colla formola Ca(C:H; 03): + 5H,0: trovato calcolato per Ca(Cs H3 03): + 5H. 0 Ca °/o 13,04 12,99 « Conducibilità elettrica: DS 10 20 40 80 160 320 Po È 62,6 81,5 98,8 116 130 142 « Aggiungendo acido borico: i. (Ca(C.E; O). L5H, 0) Lui 3 B0(0H), Ve: 1 2 4 8 16 Vv: 10 20 40 80 160 ITA 71,7 86,1 101 116 130 « L'aggiunta di acido borico determina dunque nelle soluzioni di lattato di calce un*aumento di conducibilità, il quale scompare nelle soluzioni più diluite. Ciò è prova di una azione chimica fra le due sostanze. Salicilato di sodio. C,H; 0, Na « Analizzato diede: trovato calcolato per CH; 0z Na Na °/o 14,23 14,37 MERO 7 A « Conducibilità elettrica: Vi 10 20 40 30 160 fiv è 62,9 66,6 69,1 71,4 73,8 « Aggiungendo acido borico si ottennero questi risultati : 1 1 10 (029 H; 0; Na + 9 Bo (OH); Va 1 2 4 8 DI 10 20 40 80 Uol: 54,6 59,9 63,3 65,2 « In soluzioni più concentrate si ebbe: 1 (07 H; 0; Na 0, HE 0; Na | 5 Bo(0H), Dit uo = 40,8 VesAl DES Uun=31,9 Citrato sodico. Cs H; 0, Nas + 54 Ha 0 « Il sale diede all'analisi i seguenti risultati trovato calcolato per 53 H.0 calcolato per CsH50:Nas +53 H.0 H.0°/, (1) 27,61 27,73 Di Na %o 19,27 se 19,32 (1) Seccando a 150°. « Conducibilità elettrica : v: 10 20 40 80 mot 161 186 210 234 « Aggiungendo acido borico si ebbero questi risultati : 1 Il 10 (0 HE 0; Nas + 92 Bo(0H); Vo Il 2 4 8 DE 10 20 40 80 Uv È 160 185 209 230 « In soluzioni più concentrate: 6: H;0,Na; 5 0550, Nas + 38» (0H), v—= 2 fo = 98,2 Wesal U12 uo= 100 Lp « Come si vede, aggiungendo acido horico la conducibilità elettrica del citrato di soda rimane pressochè invariata: in soluzione concentrata, conte- nente mezza grammimolecola per litro, si ottiene un leggerissimo aumento di conducibilità aggiungendo in un medesimo volume di soluzione mezza grammimolecola di acido borico; nelle soluzioni più diluite sperimentate la conducibilità in presenza di acido borico è insensibilmente più piccola. Ciò prova che fra l'acido borico ed il citrato sodico ha luogo in soluzione acquosa una azione chimica. « Riassumendo possiamo quindi concludere che, in certi casi, come per es. nel lattato di calcio e nel citrato di soda, lo studio della conducibilità elettrica permette di riconoscere l’azione chimica che avviene coll’acido borico ; per i sali di altri ossiacidi, come per es. per il tartarato acido di potassio, sì osserva un comportamento che sostanzialmente non differisce da quello del- l'acetato sodico (!). Per il salicitato di soda si ottiene, per aggiunta di acido borico, una considerevole depressione di conducibilità, la quale non è tutta attribuibile all’aumentato attrito degli joni, ciò che è indizio di una azione chimica fra le due sostanze. 1 « Il metodo dell'acido borico per la ricerca dell'ossidrile applicato ai sali degli acidi può condurre dunque a delle conclusioni; i risultati però che così si ottengono non sono altrettanto sicuri come quelli che si hanno ap- plicando il metodo dell'acido borico alle soluzioni degli acidi non salificati ». Geologia. — // pliocene alla base dei monti Cornicolani e Lu- cani. Nota dell’ing. ENRICO CLERICI, presentata dal Corrispondente FR. BASSANI. i « Fin dal 1858, il Ponzi con un breve lavoro dal titolo: Mote sur les diverses ones de la formation pliocène des environs de Rome (*) menzio- nava la località di Formello presso Montecelio, dando una lista di poco più di una dozzina di fossili rinvenutivi. Quindici anni dopo, nella sua Cronaca subappennina (3) ampliava tale lista portando a circa 40 il numero delle specie completamente determinate e modificava in parte la primitiva classi- ficazione dei terreni, facendo più antico il primo membro della serie e più recente l’ultimo. Nella seguente tabella la divisione in sei zone adottata nel (1) Ciò non dimostra però che fra le due sostanze non avvenga azione chimica; di- mostra soltanto che questa azione non esercita influenza sulla conducibilità elettrica come facilmente si comprende possa accadere. (2) Bull. de la Soc. Géol. de France, T. XV, 2° série, p. 555-561. Paris 1858. (3) Atti dell'XI congresso degli Scienziati Italiani tenutosi in Roma nel 18783. Roma 1875. — 59 — primo lavoro citato è messa a confronto, tenendo ferme le località, colla clas- sificazione stabilita nell'altro e conservata in altri successivi lavori. 1a zona — Marne inferiori: pas- saggio fra il miocene ed il pliocene . . . . .| Vaticano. . . .| Miocene superiore, tortoniano i Mayer 2a» Marne superiori. . . .| Formello. . . .| Epoca transitoria al pliocene 8a » Sabbie inferiori. . . .| Corneto, Orvieto . | Pliocene inferiore, zancleano o messiniano Seguenza. Pliocene medio, piacentino (Far- nesina) 4a » Sabbie medie . . . .| Mignone, M. Ma Pliocene superiore; astieno. (sab 5a » Sabbie superiori . . .| Acquatraversa . D) bioffgialle) 62 » Ghiaie e conglomerati .| Acquatraversa . .| Epoca diluviale—quaternario in- feriore TU O See SE pocalolaciale=quaternarionme= dio « Avendo già trattato (') della classificazione delle assise del Monte Mario secondo le mie ricerche, mi dispenso dal ritornarvi sopra (?). Aggiun- gerò soltanto che la netta separazione delle marne, meglio argille, inferiori dalle superiori è affatto inopportuna, perchè ambedue contengono, quasi con egual frequenza, gli stessi fossili come ne fan fede le raccolte del prof. Meli (8) alla cava Du Houx sotto villa Madama e le mie nello stesso luogo e nella Valle dell'Inferno. « Il Ponzi nel 1858 separava le due marne più che altro per la man- canza assoluta, secondo lui, di resti organici nelle superiori; malgrado ciò, per caratterizzare queste ultime, prendeva ad esempio la località di Formello alla base dei Cornicolani distante 25 Km. Analogamente per caratterizzare la 3 zona sceglieva Corneto, che dista dal Monte Mario non meno di 70 Km. « Stando alla Cronaca subappennina sembrerebbe che in queste assise (1) Clerici E., La formazione salmastra nei dintorni di Roma. Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, vol. II, fasc. 3°. Roma 1893. (2) Nondimeno farò osservare che la sezione geologica, non teorica, del Monte Mario, data dal Ponzi a corredo della sua Note sur les diverses zines ecc. è poco esatta per quel che riguarda i tufi vulcanici. Tale sezione con poca variazione riproduce l’altra pubblicata a Versailles nel 1854 in testa al Catalogue des fossiles du Monte Mario redatto insieme a De Rayneval e Vanden Hecke, ed è riportata nella Memoria Der Monti Mario e Vaticano e del loro sollevamento. Da queste sezioni risulterebbe che alla sommità del Monte Mario ove ora è il colombaio militare (Villa Mellini) ed il segnale trigometrico presso l'ingresso del forte Monte Mario, vi dovrebbero essere non meno di dieci metri di spessore di tufi al di sopra delle ghiaie, conglomerati e sabbie giallognole; mentre non ve n’è la minima traccia. I tufi si ritrovano bensì addossati, come già bene indicò il Brocchi, presso la villa Stuart. Lo stesso appunto deve farsi a Mantovani (Descr. geol. della Camp. romana, tav. I) e ad altri. (3) Meli R., Ze marne plioceniche del Monte Mario. Boll. del R. Com. Geol., vol. XIII, n. 8-4. Roma 1882. RexpICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 8 DE 60.-- al Monte Mario ed al Vaticano fossero « stati rinvenuti pochi fossili forse « perchè ancora non bastantemente ricercati » ma nel successivo lavoro: Dez Monti Mario e Vaticano (*) il Ponzi sì coregge scrivendo che « a dire il vero « non furono fin qui trovate fossilifere nè al Monte Mario nè al Vaticano; « ma a Formello sotto Monticelli, ove si mostrano i medesimi strati, si tro- « vano così pieni di fossili da non errare nel giudicarli ». « La riunione della 2% zona alla 18, in una unica formazione di mare profondo, non porta per conseguenza che debba estendersi alla formazione di Formello e dintorni. Questa presenta dei caratteri molto importanti che ancora non furono bastantemente posti in evidenza, e che forse s'intravedono, per così dire, anche nell'elenco non molto numeroso, che il Ponzi pubblicò basandosi sulle raccolte del Rusconi. « È utile perciò di estendere lo sguardo a tutto il territorio che cir- conda il gruppo dei Cornicolani, e che è frapposto a questo ed al gruppo dei Lucani. « Durante il pliocene, al piede dei Lucani, una linea littorale alquanto frastagliata si estendeva presso a poco secondo NNE. — SSO. Due isolotti di calcari del lias, giura e cretaceo, appena appena separati, giacevano in faccia al gruppo del Monte Gennaro dirigendosi secondo NE. — SO. quasi in linea con le altre due isole liassiche più lontane di Fiano e del Soratte, e. forma- vano coll’arquato littorale cornicolano sparso di molte isolette liassiche un canale lungo 8 Km. e largo da 3 a 4. « Le acque che scendono dai Lucani hanno profondamente. inciso le assise plioceniche elevate intorno alla quota di 200 m., che superano in qual- che punto, ed hanno messo in vista delle interessanti sezioni che specialmente sono visibili al fosso di Castello e colle Turrita, al fosso Vannoni, al fosso di Casale Rosso ed al fosso Castelluccio. Il terreno ha subìto spostamenti per i quali gli strati mostrano leggere inclinazioni in direzioni diverse, che non credo necessario di dettagliare, come del pari sarebbe troppo lungo dare il catalogo dei molti fossili che vi si possono raccogliere: mi limiterò a citare le specie che maggiormente abbondano e che sono più interessanti. « Cominciando dalla località di Formello, ove l'argilla, bigia inferiormente e giallastra superiormente, è cavata per farne mattoni, noterò le specie seguenti : Anomalocardia pectinata Broce., Venus multilamella Lamk., Pecten varius Lin., P. pusto Lin., P. scabrellus Lamk., P. cristatus Bronn., Ostrea plica- tula Gmel., Conus antediluvianus Brug., Pleurotoma contigua Brocc., Surcula dimidiata Broce., Chenopus Uttingerianus Riss., Nassa semistriata Brocc. Tutte le specie sono in esemplari ben conservati ed isolabili dell'argilla, con- trariamente a ciò che avviene per le argille Vaticane. Il residuo di lavaggio (1) Atti della R. Accad. dei Lincei. . IT, serie 22, 1875. (rn offre poche foraminifere con qualche Orbulina, Globigerina, Truncatulina, indicando un mare non molto profondo. « Slontanandosi dai Cornicolani, verso Monterotondo e Mentana le ar- gille contengono in abbondanza Venus multilamella Lamk., Turritella su- bangulata Brocc., Nassa semistriata Brocc. e poche altre specie. « Nella regione compresa fra i Cornicolani ed i Lucani, gli strati più profondi constano di un'argilla bigia compatta, povera di fossili anche micro- scopici: seguono delle argille sabbiose azzurrognole con Amomalocardia pec- tinata Broce., Venus islandicoides Lamk., Venus multilamella Lamk., Car- dita intermedia Broce., Pecten varius Lin., Corbula gibba Olivi, Murea bran- daris Lin., Murea trunculus Lin., Murex Pecchiolianus D'Ane., Pollia plicata Brocc., Eulhria cornea Lin., Cerithium vulgatum Brug., Potamides tricinetus Brocc., Chenopus pespelecani Lin., Vermetus intortus Lamk. « Alla parte superiore sì possono distinguere degli straterelli nei quali alcune specie sono assai più abbondanti. Uno strato contiene Cardium edule Lin., Nassa reticulata Lin., Potamides tricinetus Broce., Cerithium dolio- lum Brocc.; un'altro una grande quantità di piccole Scrodicwlaria. « Un particolare degno di menzione è la presenza in questi straterelli (fosso di Castello e V. Foldana) di specie nuove per i dintorni di Roma, come la Nematurella etrusca De St., la Melania Verrii De St. Quest'ultima è piuttosto rara, ma in esemplari tipici. La Nematurella etrusca forma addi- rittura uno straterello d'un paio di centimetri fra Scrobicularia, Fragilia fagilis Lin., ed i Cardium edule, Potamides tricinetus. Cerithium doliolum. La si ritrova anche al fosso Castelluccio ove ho raccolto pure de’ frammenti di Zapes caudata D'Anc. I residui di lavaggio danno abbondanti forami- nifere, Rotalia Beccarii Lin., Polystomella crispa Lin., Spiroloculina e poche altre forme. Un fossile caratteristico per la sua abbondanza e perchè si trova nelle argille salmastre di tutte queste località, è una nuova specie del genere Acicularia, compreso ora fra le alghe siphoneae, che illustrerò in altro periodico. « Le argille grigie degenerano in una sabbia marnosa biancastra compatta che non si stempera nell'acqua; in essa ben presto scompaiono i mulluschi anzidetti e si trova soltanto Neritina Marcellinae Cler., (sp. nuova vicina alla N. sera Cantr., a bordo columellare denticolato, "spira prominente, or- nata da tre fascie, Hydrobia e Melanopsis. Queste sono come sempre varia- bili di forma: alcune non si potrebbero classificare che per M. /lammulata De St., altre per forme derivabili dalla 2. nodosa Fér. come quelle che ab- bondano in una località della Sabina detta il Cannetaccio, alcune poche più piccole somigliano alla M. Dufouri Fér., (= maroccana Chemn.). « La raccolta si può fare, ma poco agevolmente, in un burrone del fosso di Casale Rosso, ove è assai ben visibile l'argilla grigia turchiniccia anzidetta con gli strati salmastri e colla sabbia marnosa a Melanopsis che inoltre rin- chiude uno strato di m. 0,50 di lignite. A SOA « La lignite forma delle lenti sparse in tutto il territorio, e che si cor- rispondono in una unica fase durante la deposizione della sabbia marnosa. Ma i tentativi di ricerca che furono fatti anche al fosso del Castelluccio ed in altri punti, lasciarono poca speranza di rinvenire qualche lente di lignite di maggiore entità (*). « Uno sviluppo considerevole acquistano le dette sabbie marnose al fosso di Castello, specialmente al Colle Turrita, costituendo una vera farina cal- carea bianca, quasi completamente solubile nell’acido nitrico. Alla parte infe- riore si trova ancora qualche Cardium edule e Potamides tricinetus, ma poi non si hanno che P/arordis, Bythinia, Hydrobia, purtroppo poco riconosci- bili per essere molto schiacciati. Di microscopico non si hanno che ostracodi e sporangi di Chara, i quali ultimi abbondano al fosso di Casale Rosso, men- zionato già per la lignite. « Rompendo la farina calcarea secondo i piani di stratificazione, s'incon- trano talvolta delle filliti, ma molto mal conservate. In condizioni molto mi- gliori sono le filliti ed altri resti vegetali che si possono estrarre dallo stesso materiale un po' argilloso a destra del fosso di Castello, incontro alla con- fluenza col fosso Vannoni. Tornerò in questo posto per fare una apposita rac- colta, intanto posso asserire che le forme vedutevi non sono quelle che abitual- mente ho ritrovato finora nei dintorni di Roma, ma si tratta di una vera flora pliocenica. « Al disopra della sabbia calcarea, ritorna una fauna marina abbondan- tissima, specialmente accessibile al Colle Turrita, lungo la strada da questo colle a Marcellina, al fosso di Casale Rosso, alla fornace da calce della sta- zione Palombara-Marcellina, ed alle colline di Vitriano e S. Pastore. Le specie più comuni sono: Cordula gibba Olivi, Cardita intermedia Broce., Arca di- luvii Lamk., Cardium multicostatum Broce., Ostrea plicatula Gmel., Cerithium vulgatum Brug., Conus striatulus Brocc., Natica tigrina Defr., Murex bran- daris Lin., Murex trunculus Lin., Euthria cornea Lin., Vermetus intortus Lamk., insieme a grossi cespugli di C/adocora caespitosa Lin. In molti punti queste sabbie argillose giallastre contengono blocchi di calcari secondari tutti forati da litodomi, probabilmente Zi/hRodomus lithophagys Lin. Sulla strada di Marcellina affiorano degli scogli di tali calcari perforati; nelle perfora- zioni non vi è il guscio, ma la sola impronta di esso in argilla indurita. I fori sono altresì ben visibili nei tagli della cava di calcare per calce, presso la stazione di Palombara-Marcellina, ove balani, cladocora, e gli altri molluschi sono cementati ed aderenti al fondo roccioso di quel mare. « Oltre Palombara, presso la Madonna della Quercia nelle colline al N. della strada, la sabbia fossilifera forma una roccia giallastra tenacissima gre- (1) Rivista del servizio minerario in Italia nel 1889, p. 313. Annali di Agricoltura. Firenze 1890. NR, mita di fossili, dei quali però non resta che l'impronta esterna ed il mo- dello interno. « A] disopra delle sabbie argillose gialle, così ricche di fossili, si tro- vano, dove ghiaie cementate, tanto da costituire una puddinga, dove arenarie piuttosto calcaree, dove una sabbia argillosa gialla, in cui fossili macroscopici e microscopici sono scarsissimi. « Queste sabbie, talvolta framezzate di lastre d'arenaria con qualche fossile, si estendono quasi ovunque e le si rivedono, libere del mantello di materiali vulcanici, alla Torre dei Sordi, a Castel Arcione e presso le Taver- nucole sulla via Tiburtina, che sono per il terreno marino le località più prossime a Roma alla sinistra del Tevere. « Avendo accennato ai materiali vulcanici, aggiungerò che i tufi ora poco coerenti, ora propriamente litoidi si trovano in molti punti sopra le sabbie giallognole ed hanno, *come al solito, notevole estensione e potenza. « Lungo la trincea della ferrovia ed al Colle Cigliano, il tufo litoide, sovrapposto discordante sulle sabbie e ghiaie cementate, contiene in ab- bondanza cavità cilindriche, dovute a rami e tronchi d'albero. Alla fornace da calce di Marcellina e presso il fosso di Gabbamondo, in alcuni punti, il tufo litoide è costituito da un ammasso di pallottole grosse fino a tre cen- timetri, a struttura concentrica e col nucleo rappresentato da un pezzo di scoria vulcanica. Presso il fosso di Gabbamondo vi è anche un tufo non litoide, ricco di leuciti farinose che, più propriamente potrebbe dirsi una sab- bia di materie vulcaniche, che mostra indizi di essere stata deposta in seno alle acque, e contiene anche qualche pallottola pisolitica di materiale minu- tissimo come cenere, « Analoghi tufi grigi e giallastri con pallottole, si trovano anche al Quarto dell’Inviolatella e nei pressi del fosso delle Molette. Invece presso il Casale Andriuzza o Ferronea ed al fondo dei Pichini, il tufo litoide bigio contiene cavità cilindriche che furono già attribuite a canne, ma che invece sono state prodotte da rami, spesso di conifere, de’ quali m'è stato possibile estrarne qualche pezzo sfuggito alla distruzione. Questi tufi offrono anche im- pronte di foglie di lex aquifolium Lin., di Hedera helix e frutti della stessa specie. Anche il Rusconi ne raccolse nello stesso luogo, insieme ad alcuni molluschi terrestri (Clausilia laminata Montg., Helix pisana Mùll., A. cinetella Drap., H. cantiana Montg., Cyclostoma elegans Mull.). « Benchè non sia mio scopo di descrivere questi tuti, prima di chiudere questi cenni noterò un tufo grigio litoide forato da impronte di rami e grossi alberi e pieno di foglie di Z/edera helix che corona una collinetta presso la Casetta dei Bifolchi (Torre dei Sordi), un tufo poco compatto con filliti al fontanile prima di Formello, e le pozzolane bigie di Casal Battista. «“ Da quanto è stato detto risulta che nel canale fra i Cornicolani e i Lucani, anche in ragione della poca larghezza, il mare pliocenico non vi fu PRE NE mai molto profondo. Vi si formò poi un bacino salmastro e quindi di acqua dolce o quasi, nel quale un accumulo di resti vegetali produsse lenti di lignite. « Poi il mare invase di muovo tatta la regione, ma poco dopo la fauna in esso rigogliosa si spense mano mano formandosi una squallida spiaggia sabbiosa. Ad occidente dei Cornicolani il mare era libero e più profondo, e la fase salmastra vi si intese appena. « Le precedenti osservazioni collegano la regione in parola con la Sabina e quindi con l'Umbria e la Toscana ove furono constatate vicende analoghe. « Nella Sabina, ad eccezione della Melania Verrii, della Nematurella etrusca e poche altre, sono state trovate ed ho raccolto io stesso tutte le specie citate in condizioni di giacitura quasi eguali ». RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA RR. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 6 agosto 1893. DAD-——-<><*_---< Matematica. — Sulle divisioni regolari dello spazio non eu- clideo in poliedri regolari. Nota del Corrispondente Lorcr BrancnI. « È noto, per le ricerche di Poincarè (!), che il problema di costruire i gruppi discontinui di sostituzioni lineari sopra nna variabile complessa equivale a quello della divisione regolare dello spazio non-euclideo in poliedri elementari congruenti. Lo studio di questi gruppi dà quindi luogo a due di- verse questioni e cioè: 1° Definito aritmeticamente il sruppo, cercare la di- visione regolare corrispondente dello spazio; 2° Data una divisione regolare dello spazio, trovare la definizione aritmetica del gruppo corrispondente. Mi sono occupato della prima questione in una serie di lavori inseriti nei vol. 38, 40 e 42 dei « Mathematische Annalen =. Nella presente Nota mi propongo di trattare quei casi particolari della seconda in cui i poliedri congruenti, che effettuano la divisione dello spazio non-eclideo, sono poliedri regolari. Come si vedrà, esistono due sole divisioni di questa specie: l’una in ottaedri, l’altra in dodecaedri regolari con angoli diedri retti in ambedue i casi. Il gruppo corrispondente alla prima divisione è semplicemente quello delle sostituzioni lineari (È i È) a coefficienti interi complessi di Gauss della forma m + nt (?) b) con determinante eguale a una delle quattro unità + 1,=%. I coefficienti (1) Sur le groupes Kleinéens. Acta Mathem. Bd. 3. (2) m,mn razionali interi. RenpICcONTI. 1898, Vor. II, 2° Sem. 9 Reg no del secondo gruppo sono invece interi algebrici formati, in un certo modo, AGIISTA colla radice quinta dell’unità e coll’irrazionalità {/5 . « 1. Per maggiore chiarezza ricordiamo brevemente le proprietà fonda- mentali delle due rappresentazioni dello spazio non-euclideo sullo spazio or- dinario, di cui dovremo far uso in questa Nota. « L'elemento lineare dello spazio non-euclideo S, a curvatura K= — 1, può assumersi dato dalla formola da° 4 dy° 4 de? +-d L? i ds ove t=Vi-a—-y=& e riguardando 4 ,%,£ come coordinate cartesiane ortogonali di un punto dello spazio ordinario S' si ha la rappresentazione di Beltrami-Klein di S sopra S'. In essa tutto lo spazio non-euclideo S è rappresentato entro la sfera limite (assoluto) di S' de Paes], i punti alla cui superficie rappresentano i punti all'infinito di S. Le rette ed i piani di S hanno per immagini le rette ed i piani di S°. i « La seconda rappresentazione si ottiene dalla formola E 4(dE? + dn? + dé?) (8 -p 7 che dà nuovamente l'elemento lineare di S, riguardando ancora È 7 é quali coordinate cartesiane ortogonali di un punto nello spazio ordinario S'. A dif- ferenza della prima che conserva gli angoli solo attorno al centro di figura, questa conserva dappertutto gli angoli: è una rappresentazione conforme; in essa le rette ed i piani dello spazio non-euclideo S hanno per immagini i circoli e le sfere ortogonali alla sfera limite Eee 60 OE i cui punti interni rappresentano i punti a distanza finita di S e i punti alla superficie i punti all'infinito. « Con una inversione per raggi vettori reciproci la sfera limite può ri- dursi, come nelle ricerche di Poincarè, ad un piano limite; corrispondente- mente l'elemento lineare di S prende la forma pt de UE + dé? (E e i punti con ordinata & positiva rappresentano i punti a distanza finita di S. « 2. Per risolvere il problema che ci siamo proposti della divisione rego- lare dello spazio non-euclideo in poliedri regolari, cominciamo dall’osservare che la rappresentazione di Beltrami-Klein ci dà un modo semplicissimo di costruire tutti i poliedri regolari in S colle considerazioni seguenti : LEA « Un poliedro regolare di S dovendo avere per immagine în questa rap- presentazione un poliedro con faccie piane tutte di un egual numero di lati ed angoli solidi di un egual numero di spigoli, è chiaro che la discussione elementare ordinaria per classificare i poliedri regolari in cinque tipi, fon- data sul teorema d'Eulero, vale immutata nel caso attuale. Di più dalle note ricerche di Klein sui gruppi finiti di sostituzioni lineari risulta facilmente che un poliedro regolare dello spazio non-euclideo può sempre rappresentarsi sullo spazio ordinario in guisa che il poliedro immagine in S' sia esso stesso regolare ed abbia il centro nel centro della sfera limite. « Viceversa se nello spazio rappresentativo S' prendiamo un poliedro regolare col centro nel centro della sfera limite e tutto interno a questa sfera, o al massimo inscritto in essa (!), il poliedro obiettivo nello spazio non-euclideo sarà, come è chiaro, regolare. Come si vede, esistono adunque nello spazio non-euclideo poliedri regolari dei cinque tipi ed in ogni tipo si hanno infiniti poliedri differenti per l'ampiezza del diedro, che può variare in modo continuo entro limiti facili ad assegnarsi. « 3. Ora se vogliamo che attorno al poliedro regolare P di S collocando, aderenti per le faccie, altrettanti poliedri eguali a P e così di seguito inde- finitamente, ne risulti riempito una ed una sola volta lo spazio S, dovremo aggiungere la condizione necessaria e sufficiente che l'angolo diedro di P abbia un'ampiezza =, essendo 7 un numero intero. « Conviene distinguere due casi secondo che i vertici di P sono all'in- finito ovvero a distanza finita. Cominciando dal primo e servendoci della rappresentazione conforme al n. 1, dovremo inscrivere nella sfera limite 2 un ordinario poliedro regolare e pei circoli d'intersezione delle faccie del poliedro con X condurre le sfere normali a X; il poliedro a faccie sferiche che queste sfere limitano internamente a X dovrà avere un angolo diedro d'ampiezza DL Ora si vede subito che le sfere descritte hanno i centri nei vertici del poliedro regolare circoscritto a X polare del primitivo, onde l’an- golo diedro in discorso è misurato dall'angolo rettilineo racchiuso dai due raggi, che dal centro di una faccia del secondo poliedro vanno a due suoi vertici adiacenti. Se ne conclude che la circostanza voluta sì presenta sol- tanto per l’ottaedro regolare, ove si avrà n =2. « Nel secondo caso, i vertici essendo a distanza finita, sì consideri l’an- golo solido in un vertice del poliedro. A questo angolo solido regolare il cui diedro deve avere un'ampiezza = > potremo applicare i teoremi dell’ordinaria (1) In quest'ultimo caso il poliedro obiettivo in S avrà tutti i suoi vertici a distanza infinita e gli angoli piani nulli. — 68 — triedrometria che valgono, come è noto, anche per lo spazio non-euclideo (1). Una discussione elementare semplicissima porta alla conclusione che l’unico poliedro regolare della specie richiesta è in questo caso il dodecaedro regolare con diedri (ed angoli piani) retti e della sua effettiva esistenza ci accerteremo fra breve (n. 6). « Concludiamo intanto: Nello spazio non-euclideo sono possi- bili soltanto due divisioni in poliedri regolari, e cioè quella in ottaedri e quella in dodecaedri con diedri retti. Nel primo caso i vertici del poliedro sono a distanza infinita e gli angoli piani sono nulli; nel secondo gli angoli piani sono retti. « Queste due divisioni sono per la spazio non-euclideo le analoghe alla divisione in cubi dello spazio ordinario, l’unica quì possibile in poliedri re- golari. « 4. Ci proponiamo di studiare i gruppi discontinui di movimenti dello spazio non-euclideo che cangiano in sè medesime le divisioni in ottaedri e dodecaedri regolari sopra indicate. Ciascuno di questi movimenti sarà rap- presentato, al modo di Poincarè (l. c.), da una sostituzione lineare sulla va- riabile complessa &: (1) pi «e4P ya 4-d « Ai movimenti proprî, che riproducono le dette divisioni, associamo anche quelle riflessioni (Spiegelungen) che producono il medesimo effetto. La combinazione di una tale riflessione coi movimenti (1) dà un movimento di 2 specie, nel quale ogni figura viene cangiata in una seconda inversa- mente congruente. L'espressione analitica dei movimenti di 2* specie è + P (2) di na indicando <, la coniugata di <. Indicheremo con I° il gruppo di sostituzioni di 1? specie (1) che cangiano la divisione ottaedrica in sè medesima e con [' il gruppo analogo per la divisione dodecaedrica. Associandovi rispettiva- mente le sostituzioni di 2 specie (2) collo stesso effetto, otterremo i gruppi ampliati che indicheremo con 7, °, nei quali 7, 7" saranno contenuti quali sottogruppi eccezionali d'indice 2. Osserviamo poi che quelle sostituzioni di TI o di 1" che lasciano fisso un determinato ottaedro o dodecaedro della di- visione formano un gruppo finito di 24 o di 60 sostituzioni e cioè l'ordinario gruppo dell’ottaedro (o cubo) nel 1° caso, del dodecaedro (o icosaedro) nel 2°. « 5. Ciò premesso, consideriamo nella seconda delle rappresentazioni al (1) Ciò segue subito del resto dalla seconda rappresentazione (conforme) ovvero anche dalla prima situando il vertice dell'angolo solido nel centro di figura. n. 1‘ l'ottaedro regolare a faccie sferiche e diedri retti inscritto nella sfera limite X ottenuto, come già si disse al n. 4, descrivendo coi centri nei ver- tici del cubo circoscritto a X otto sfere di raggio eguale a {/2 (!). Di questa -- figura facciamo un'inversione per raggi vettori reciproci collocando il centro d’inversione in un vertice dell'ottaedro. La sfera X si cangierà nel piano limite di Poincarè e il nostro ottaedro regolare sarà rappresentato da quella porzione di semi-spazio che è compresa nell'interno di un prisma indefinito a base quadrata, esterna- ch mente alle quattro sfere descritte sui lati della base quadrata come diametri (Vedi la fig. 1° ove sì osservano le traccie sul piano limite Ered” delle faccie del poliedro). Decomponiamo cia- scuna faccia dell’ottaedro in 6 triangoli parziali conducendo le tre altezze e proiettando i 48 triangoli ottenuti dal centro dell'ottaedro decomporremo così il nostro solido in 48 piramidi triangolari, ciascuna delle quali è da riguar- darsi come poliedro fondamentale del gruppo T (2). « Consideriamo nella figura rappresen- tativa una delle faccie piane e prendiamo per base della piramide fondamentale il triangolo tratteggiato indicato con T nella figura 2* (triangolo fondamentale del gruppo modulare ampliato). Prendendo convenientemente sul piano limite gli assi coordinati OS, Oy ed assumendo per unità lineare il lato del qua- drato la piramide immagine risulterà definita come la regione del semi-spazio £ > 0 interna al prisma triangolare indefinito limitato dai te piarni. INTE, E (1) Il raggio della sfera limite £ è supposto = 1. (®) Ogni movimento di 12 o 2? specie in I° cangia infatti questa piramide in una delle altre del medesimo ottaedro, ovvero in una piramide omologa in un altro ottaedro della divisione. —_ 70 — dal quale sia tolta la porzione interna alla sfera 4) ES 2 Calo) TRE OR « Le riflessioni sulle quattro faccie di questa piramide sono le sostitu- zioni elementari del sruppo £; esse hanno le rispettive espressioni analitiche ; 7 i : GENS] de — ea) — eo 0) ER ja 0 « Come ho dimostrato in una delle mie Memorie citate in principio (Math. Ann. Bd. 40 p. 361), con queste sostituzioni elementari si generano tutte le sostituzioni di 1% e di 2* specie (3 RIO eo de to che hanno per coefficienti @,£,y,d dei numeri interi complessi di Gauss e per determinante una delle quattro unità =1,=-7. Dunque: Il gruppo T che riproduce la divisione regolare ottaedrica dello spazio non-euclideo, convenientemente orientata, coincide col gruppo a, f 0) b) delle sostituzioni ( )a coefficienti interi complessi di Gauss e a determinante. ad Bi (01203) « 6. Venendo ora alla divisione dodecaedrica e al gruppo 1”, cominciamo dal costruire effettivamente, nella seconda delle rappresentazioni al n. 1, il dodecaedro a faccie sferiche immagine del dodecaedro regolare a diedri retti dello spazio non-euclideo. « Prendiamo nello spazio rappresentativo un icosaedro regolare di spi- golo = /, pel quale adunque il raggio R dalla sfera circoscritta sarà dato da l “SUR, 7 li. R e descriviamo coi centri nei vertici dell’icosaedro 12 sfere 01,03...0,, di raggio === y2 9 ciascuna delle quali taglierà ortogonalmente le cinque circostanti. Il centro 0 dell’icosaedro, essendo R > 7, è esterno alle sfere o e descrivendo col centro O una sfera S di raggio o= VR? —r?, questa taglierà ad angolo retto le 12 sfere o. Facciamo 0= 1, pel che basta prendere 2/2 7 re Toto VI5+1 e prendiamo la sfera X come sfera limite della nostra seconda rappresentazione. Il dodecaedro regolare a faccie sferiche racchiuso, entro X, dalle 12 sfere o rappresenterà il dodecaedro regolare a diedri (ed angoli piani) retti dello spazio non-euclideo. « Per trovare le sostituzioni elementari dei gruppi P,TD' situiamo attorno alla sfera complessa 2 (!) l'icosaedro nella posizione normale adottata nel libro di Klein (?), cioè in guisa che uno dei 6 diametri dell’icosaedro coincida coll’asse Vî e uno dei vertici contigui al vertice LE t—_y5 si disponga sul piano 5% della parte delle £ positive. Con tale orientazione il gruppo delle 60 rotazioni dell'icosaedro in sè medesimo si genera colle due sostituzioni elementari : gd n eden & } (8° — s°)z+ (e — 8‘) ove e =G% « Combinando colle due sostituzioni S,T di 1% specie la riflessione Ù & = &o (1) Si vede subito che la sfera Y è tutta interna all’icosaedro poichè il raggio = 1038-45) 12 della sfera inscritta nell’icosaedro riesce > 1. (©) Vorlesungen ber das Ikosaeder, p. 39 sgg. SITO) ea si generano poi le 120 sostituzioni di 12 e 2? specie del gruppo ampliato dell’icosaedro. Queste sono altresì le operazioni che riportano in sè medesimo il dodecaedro regolare costruito e per ottenere le sostituzioni elementari di T' basterà semplicemente associarvi la riflessione sopra una delle 12 sfere o. Scegliamo fra le sfere o quella che ha il centro nel vertice é == J/5, ed os- servando che il piano radicale di una sfera o colla sfera limite X dista dal centro della lunghezza troveremo per l’espressione analitica di questa riflessione: i aa di V5+1 Ù (es). « Ne segue: Il gruppo ZY” di movimenti dello spazio non- euclideo, che riporta in sè medesima la divisione regolare dodecaedrica, convenientemente orientata, si genera colle tre sostituzioni elementari. 4 — _V5+1 ({Gi= DE 3» AMBER 2 —- 83 ee DEE e) + (e ) 00) To), (E) ea « Rispetto alla costituzione aritmetica di questo gruppo Z”, osserveremo qui soltanto che le sue sostituzioni hanno tutte la forma (3) 3i== (ay Sa 5) EST (61/5 sE a) (c./5 Rio da) Arie (- gi be) dove a, d,c,d sono numeri interi algebrici nel campo della radice quinta dell'unità e 40, do, 60,4 indicano i loro coniugati. Invero le tre sostituzioni elementari S, T,V hanno evidentemente questa forma; d'altronde due sosti- tuzioni qualunque della forma (8) si compongono nuovamente in una sosti- tuzione di questa, poichè dalla formola V5=2(+ 4) +1 4 eri . segue che J/5 è, nell’anzidetto campo di numeri, un’irrazionalità quadratica ». DSi [gp Fisica. — Quale sia il piano di polarizzazione per le oscil- lazioni hertziane. Nota del Corrispondente AuGusto RIGHI. « Se si ammette che le vibrazioni dell'etere cui sono dovuti i fenomeni luminosi sieno della stessa natura delle vibrazioni elettromagnetiche ottenute e studiate da Hertz, si presenta subito il quesito di sapere se la direzione della vibrazione di Fresnel corrisponda alla direzione della perturbazione elet- trica o a quella della perturbazione magnetica, o in altri termini di deter- minare quale di queste due direzioni sia contenuta nel piano di polarizzazione. « A risolvere tal quesito Trouton (!) e poscia Klementic (2) ricorsero al fenomeno della riflessione delle oscillazioni di Hertz. Essi impiegarono apparecchi che davano vibrazioni elettriche di circa 66 c. di lunghezza d'onda, e trovarono che esisteva un angolo di polarizzazione nel caso in cui le oscil- lazioni elettriche incidenti avevano direzione parallela al piano di riflessione. Ne conclusero che nei fenomeni luminosi la vibrazione di Fresnel ha la dire- zione della forza elettrica, ossia che il piano di polarizzazione è perpendico- lare all’oscillatore. « Siccome le lastre riflettenti adoperate in quelle ricerche erano piuttusto piccole in rapporto alla lunghezza d'onda, mi ha sembrato non privo d'interesse lo studiare da ZI capo la questione coi miei apparecchi, che for- nendo onde assai brevi (4 = 7,5 c.), permettono di adoperare riflettori relativamente grandi (p, es. | avanti 5 o 6 volte 4 di lato). « A questo scopo ho messo assieme un ap- parecchio provvisorio, costituito da una tavoletta di legno AE (fig. 1) posta nella direzione dei raggi di forza elettrica provenienti dall’oscillatore O, ed all'estremo A della quale esiste un asse perpendicolare al suo piano, intorno a cui può girare tanto la lastra riflettente SS' (lastra qua- drata di metallo o di solfo) quanto il pezzo di legno a doppia squadra ABCD, il cui piano è perpendicolare all'asse A, e che porta il risona- tore R. Tanto questo che l’oscillatore O sono muniti di specchio parabolico (vedi per la descri- zione una Nota precedente) (3). « Siccome l’asse dell’oscillatore è verticale, e nella fig. 1 (che è una proie- zione orizzontale) è pure verticale lo specchio SS ed il risonatore R, così nel Be. dl. (3) Nature, v. 39, n. 1908, p. 393. (2) Sitzber. d. Ak. Wien (1891), p. 109. (3) Rend. vol. II, pag. 505 (3 giugno 1893). Vedi la fig. 4 alla pag. 505. RenpIcoNTI. 1898, Vor. II, 2° Sem. 10 ER, O caso di questa figura le oscillazioni elettriche incidenti sono perpendicolari al piano d' incidenza, ed arrivano al risonatore parallele alla direzione di questo. Ma basta girare la tavoletta intorno al proprio asse longitudinale AE perchè le vibrazioni del fascio incidente divengano inclinate rispetto al detto piano. Con una rotazione di 90° si arriverà anzi a rendere le vibrazioni etettriche incidenti parallele al piano di riflessione, ed in tal caso il piano del pezzo ABCD sarà divenuto verticale. Una grossolana graduazione, non disegnata nella figura, farà conoscere l'angolo @ delle vibrazioni elettriche incidenti colla perpendicolare al piano d' incidenza. « Facendo girare lo specchio intorno all'asse A_si può variare a piacere entro larghi limiti l'angolo d'incidenza 7, misurato da apposito quadrante graduato. Sullo stesso quadrante si leggerà la posizione del pezzo ABCD onde il risonatore R sia esattamente rivolto nella direzione da cui arrivano le ra- diazioni riflesse dallo specchio SS (1). « Il risonatore R (vedi Nota citata) è mobile insieme al suo riflettore intorno ad un asse parallelo alla direzione delle radiazioni che lo colpiscono, e può così inclinarsi d'un angolo qualunque, che viene misurato da apposito cerchio graduato. Si quò quindi con esso, non solo valutare in qualche modo l'intensità della radiazione che lo colpisce, desumendola dal coseno dell’an- golo di cui deve girarsi intorno alla direzione delle radiazioni onde ridurre a zero o quasi le scintille, ma anche determinare l’orientazione delle vibrazioni, a adoperandolo alla maniera di un analizzatore ottico. Perciò lo zero della graduazione è situato in cor- rispondenza alla posizione in cui (come nella fig. 1) esso è perpendi- colare al piano di riflessione. Gi- randolo sinchè le sue scintille ab- biano il massimo di splendore, si leggerà sulla graduazione l'angolo «' che le vibrazioni elettriche ri- flesse fanno colla perpendicolare al piano suddetto. « Coll’apparecchio descritto ho cercato di realizzare esperienze si- mili a quelle ottiche della rifles- sione della luce polarizzata. Per esporle con chiarezza stabilirò pri- ma alcune convenzioni e richiamerò alcuni fatti dell'ottica. C Fia. 2. « Sia S (fig. 2) lo specchio, (1) L'angolo di AB con AE deve essere eguale a 27 — 90°. rt] AB un raggio incidente, BC il raggio riflesso. Si prenda un piano P perpendi- colare in O al raggio incidente e si traccino gli assi ortogonali 0, 0y, il secondo dei quali è perpendicolare al piano di riflessione. L'orientazione della vibrazione VW sul raggio incidente sarà individuata dall'angolo « che essa fa con Oy, con- tato positivamente verso destra. Analogamente si faccia nel piano @ pel raggio riflesso. Se ammesso BO = BO' si immagina che l'angolo d'incidenza 7 dimi- nuisca poco a poco sino a zero, i due piani P e Q, come pure gli assi su essi tracciati arriveranno a coincidere, ma 0x ed 0'x" rimarranno con direzioni opposte. Così si comprende come nella riflessione su corpi trasparenti per inci- denze piccole la vibrazione V' W' sul raggio riflesso faccia con 0'y" un angolo a' che è negativo (!). Se l’ incidenza è è maggiore di quella di polarizzazione o' diviene positivo e VW' W' entra nell'angolo 2'0'y". In ogni caso @' G3: Se poi si tiene conto dell'essere sempre 7<1 e cosp<1, si riesce facilmente a riconoscere che a’ è minore di « in valor assoluto. Dunque, tanto pel segno che per la sua grandezza relativa a quella di «, e’ si comporta come nel caso della riflessione sui corpi trasparenti. SSOA (71 pre Si disponga dapprima l'apparecchio come nella fig. 2, e si indebolisca la radiazione incidente (p. es. accostando le palline centrali dell’oscilla- tore) sinchè le scintille al risonatore sieno per spa- rire. Girando allora di 90° la tavoletta AE, e gi- rando di altrettanto il risonatore onde ridurlo nuovamente parallelo alle vibrazioni elettriche ri- flesse, le scintille divengono vivacissime. Dopo aver eseguito più volte l’esperienza col riflettore di zinco, l'ho ripetuta colla lastra di solfo, ed il risultato mi ha sembrato simile. L’ef- fetto è tanto più marcato quanto più l’incidenza è prossima ad essere l’incidenza principale (circa 73° per lo zinco e circa 65° per lo zolfo). Col rame l’effetto è notevolissimo. « Per mettere d'accordo le esperienze ottiche con quelle elettriche bi- sognerebbe dunque ammettere, contrariamente ai risultati di Tronton e Kle- mentit, che la direzione della vibrazione di Fresnel corrispondesse alla dire- zione della perturbazione magnetica. Allo stesso risultato accennano le se- guenti esperienze, nelle quali la di riflessione di un angolo a. 4) Se si dispone la vibrazione inci- dente VW (fig. 2) in modo che l’angolo e sia di 45°, delle due componenti se- condo 02° ed 0/y’ della vibrazione ri- flessa, la seconda è la più intensa. 5) Se la vibrazione incidente VW (fig.2)fa un angolo « colla perpendicolare al piano di riflessione, e se % è minore dell’incidenza principale, la vibrazione riflessa WW/ (o l’asse maggiore del- l’elisse nel caso della riflessione su me- talli) fa con 0Y un angolo @’ che è negativo e minore di «. Quindi la vi- brazione riflessa si accosta alla perpen- dicolare al piano di riflessione. 6) Se 4 > dell'incidenza principale, e’ è positivo. 7) Il raggio riflesso dai metalli è elittico. vibrazione incidente è inclinata sul piano 4) Questa esperienza equivale alla 3), e solo presenta maggior comodità d’esecuzione, giacchè basta constatare che le scintille sono piu vive di- sponendo il risonatore parallelo al piano di rifles- sione, che mettendolo perpendicolarmente. Collo zinco la differenza è notevole e più ancora col rame. Collo zolfo lo è meno e bisogna che è sia abba- stanza grande, se nò il risultato lascia incertezza. 5) Si misuri l'angolo « che l’oscillatore fà col piano di riflessione, che è ancora l’angolo fatto colla perpendicolare a questo piano dalla direzione della forza magnetica. Si trova che, onde il riso- natore dia le più vive scintille, esso deve fare col piano di riflessione un angolo a’ negativo e minore di «, se l'incidenza è è minore di circa 73° (nel caso dello zinco). Anche quì dunque la dire- zione della vibrazione luminosa corrisponde alla direzione della forza magnetica. Collo solfo l’espe- rienza è incerta; ma la seguente 6) mi ha sem- brato riescire tanto nella riflessione sullo zinco o sul rame, che in quella sullo zolfo. 6) Fatto ? eguale a circa 80° l’angolo e’ tro- vato nel modo detto or ora è positivo. 7) Le vibrazioni elettriche riflesse dalla lastra di zinco sembrano essere elittiche, giacchè, e spe- cialmente con è prossimo ai 73°, il risonatore dà piccole scintille anche se girato di 90° a partire dall’orientazione che dà le scintille le più vivaci. Semo 8) Se « è l’incidenza principale, per 8) Se 2.= a circa 739, si può trovare un certo un particolare valore di « ii raggio ri- valore di « tale che il risonatore mostri scintille flesso è a vibrazioni circolari. sensibilmente di egual vivacità, qualunque sia la sua orientazione. Si riesce dunque così ad ottenere (e credo per la prima volta) delle vibrazioni hert- ziane circolari, che mi propongo di ottenere anche per via d’una doppia riflessione totale in un pa- rallelepipedo di paraffina. x « Queste esperienze, od almeno quelle nelle quali il riflettore è metal- lico, condurrebbero dunque a questa conclusione, e cioè che -- ni 80 4 cm. di diametro, Za DC [2 coll’orlo superiore cir- A | BN) Ù condato da un anello piano metallico largo 1 o 2 cm., con una punta d’affioramento « la cui estremità si trova nel piano e nel centro della faccia superiore dell'anello, sostenuto da tre piedi a viti calanti. « 2° Un recipiente cilindrico B di circa 28 cm. di diametro e 1 cm. di altezza, coll’orlo superiore circondato da un anello piano metallico largo 2 0 3 cm., diviso in due scompartimenti concentrici C e D d’uguale altezza, sostenuto da tre piedi a viti calanti. I due recipienti A e C comunicano in- feriormente mediante un tubo di gomma e quando siano riempiti di liquido costituiscono il manometro ad aria libera. «3° Una buretta di Mohr graduata E, il cui orifizio inferiore comu- nica col tubo che unisce i due recipienti suddetti, più vicino a C che ad A, ed un'altra F in comunicazione collo scompartimento D. «4° Due dischi metallici @ e d colla faccia inferiore ben piana, col- locati orizzontamente al di sopra dei recipienti A e B, sostenuti da tre coni isolanti di ugual altezza posati sugli anelli, oppure sostenuti in altro modo qualsiasi, ed aventi il diametro all'incirca uguale a quello maggiore degli anelli corrispondenti. « Si versa nel manometro il liquido, e riunendo i due scompartimenti C e D con un corto sifone, si riduce il livello ad esser lo stesso in A, in C e in D. « Misure ed operazioni preliminari. — Occorre conoscere l’area della sezione degli scompartimenti C' e D, la quale si può ottenere con sufficiente esattezza misurando la lunghezza di vari diametri; però ho indicato (!) un me- todo semplice ed esatto per misurare con molta esattezza il rapporto delle sezioni di due o più recipienti, il quale si può usare utilmente in questo caso per la buretta e gli scompartimenti C e D. « Occorre inoltre rendere orizzontali gli anelli piani, ciò che si ottiene facilmente mediante le viti calanti e una livella; allora se i coni isolanti (1) Rendiconti dell’Acc. dei Lincei 1° semestre del 1393. ni — sono di ugual altezza, saranno orizzontali anche le faccie inferiori dei dischi sovrapposti 4 e d. Si può anche fissare alla faccia inferiore dei dischi un'a- stina in forma di U a braccia disuguali e verticali, ed aggiungere o togliere liquido nel manometro finchè esso affiori esattamente all'estremità del ramo corto dell’astina. Se la faccia suddetta è orizzontale, l’affioramento sussisterà comunque sì sposti o si faccia ruotare essa faccia sui 3 coni. Con tre astine invece d'una, l'operazione sarebbe più facile; però occorrerebbe che le distanze del disco delle estremità del ramo corto delle astine fossero ben uguali. « Finalmente occorre poter conoscere la distanza della faccia inferiore dei dischi dal liquido sottostante e a tal uopo ho fatto uso di un’ astina di vetro diritta, affilata alle due estremità, di lunghezza nota uguale o mag- giore della distanza fra il disco e l'anello piano sottostante. Disponevo quest'astina verticalmente, al disotto del disco, coll’estremità superiore appog- giata contro esso, ciò che sì può ottenere fissando l'astina sia all'estremità d'una leva carica all'altra estremità da un sufficiente contrappeso, sia al braccio inferiore d'una molla ad > e facendo abbracciare il disco da questa molla o pinzetta. Se ora s'aggiunge liquido nel manometro finchè esso affiori esattamente all'estremità inferiore dell’astina, la distanza fra il disco ed il liquido sarà allora uguale alla lunghezza 4 dell'astina. Se poi s'aggiunge nel manometro un volume v di liquido, tale distanza diventerà d—v:(S4+S'"+4 s) essendo S, S' ed s le sezioni dei tre recipienti C, D, A supposti tutti tre in comunicazione. « Misura dei potenziali. Supponiamo che il liquido del manometro sia conduttore, e che essendo, liquido, recipienti e dischi al potenziale zero, il li- quido affiori esattamente alla punta @, e sia allo stesso livello nei recipienti A, C,D, e che sia tolto il sifone fra questi due ultimi recipienti. « Se sì porta il disco 4 che è collocato al disopra della punta d’affiora- mento al potenziale V, rimanendo, liquido, recipiente e disco è in comunica- zione col suolo, il liquido nel recipiente A si solleva e l’affioramento è di- strutto. Per ristabilirlo occorrerà togliere dal manometro, aspirando nella buretta, un volume conveniente di liquido p. es. v; il dislivello nei due rami del manometro sarà allora v:S, e la pressione elettrostatica nella superficie del liquido attorno alla punta d'affioramento sarà 980 vd:S, (C. G.S.) essendo o la densità del liquido. « Se invece si porta il disco d al potenziale V, essendo tutto il resto dell’ap- parecchio a potenziale zero, per ristabilire l'affioramento occorrerà aggiungere un certo volume di liquido p. es. v', la differenza di livello sarà e':S e la pressione elettrostatica alla superficie libera del liquido in C sarà: 980 0/0: S, (C. G. S.). « Finalmente, se essendo il disco 4 al potenziale V ed il resto a zero, e sussistendo l’affioramento, si porta il disco 4 al potenziale V ed il resto a zero, l’affioramento sarà distrutto ed occorrerà aggiungere un volume v” (uguale RenpICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 11 SALE a v+ v') di liquido per ristabilire l’affioramento; la variazione di livello del liquido nel recipiente C sarà 0:S e la somma delle pressioni elettrostatiche successive in A e in C sarà 980 070:S. Questo modo di procedere, senza occuparsi dell’affioramento quando entrambi dischi e il manometro sono allo stesso poten- ziale, può essere utile allorchè v e v' sono molto piccoli, poichè la sensibilità è doppia di quella dei due casi, precedenti. « Se sono d e d' le distanze di dischi 4 e d dai liquidi sottostanti quando ciascuno di essi è a potenziale V e sussiste l'affioramento, e p,p',p" sono le pressioni elettrostatiche misurate nei tre modi suddetti, si avrà: 8np'" V=d|/8np= d' y8np = dd' V/ pe (0..G. S.). « Avvertenze. L'anello piano sotto al disco @ serve d’anello di guardia; però potrebbe esser soppresso senza nuocere molto all’esattezza delle misure. Difatti nella porzione centrale del disco e del liquido sottostante, la distri- buzione dell'elettricità è uniforme e come se le due superficie piane in pre- senza fossero infinite; quindi la differenza di livello del liquido nel reci- piente C e nel centro del recipiente A, per un dato potenziale, è la stessa, sia che si abbia o no l'anello di guardia. In quest’ ultimo caso si ha bensì l’in- conveniente che la superficie libera del liquido non è rigorosamente piana fuorchè nella parte centrale, mentre il dislivello del liquido nei due reci- pienti è uguale a v:S solo se le superfici libere del liquido rimangono piane o almeno parallelle. Tenuto conto però che la sezione di A è piccola, che la deviazione dal piano non è sensibile che presso gli orli ove è tattavia pic- cola, si vede che l’errore che ne risulta nel valore di v è piccolo e diviene minimo quando lo si divide per S. « L'anello piano attorno al recipiente B, come pure lo scompartimento D servono d'anello di guardia al liquido dello scompartimento C; in questo caso l'anello di guardia è pressochè indispensabile, perchè a causa della grande sezione dello scompartimento C, se la superficie libera del liquido non è rigo- rosamente piana, può risultarne un errore non trascurabile nel valore di '. « Inizialmente il livello è rigorosamente lo stesso nei recipienti C e D, poichè essì furono posti in comunicazione mediante il sifone. Tolto questo e portato il disco 2 al potenziale V, il liquido si solleva in © ma non in D. È facile però ristabilire l'uguaglianza di livello; nel recipiente C, che è di sezione S, dopo ristabilito in A l'affioramento, si trova un volume di li- quido v' in più di quello iniziale, ossia il livello si sarà sollevato di v': S; se noi ora aggiungiamo in D un volume di liquido v' S': S il livello sarà divenuto uguale a quello del recipiente C. Quest’'aggiunta, modificando un poco la distribuzione dell'elettricità, può distruggere l’affioramento (se ciò non avvenisse sarebbe inutile l'aggiunta) e quindi occorrerà ristabilirlo al solito, togliendo un volume conveniente (assai piccolo) di liquido dal manometro. sein) sa « Tuttavia ritengo che si possa trascurare di ridurre rigorosamente allo stesso livello il liquido nei due scompartimenti, e che quindi sia sufficiente l'anello di guardia metallico e si possa togliere la divisione fra i due scom- partimenti C e D, ciò che giova alla sensibilità. Difatti, sia V la differenza di potenziale fra il disco 2 e il manometro, sia d la distanza fra il disco e l'anello di guardia, e sia p. es. d— 0,1 cm. quella fra il disco ed il li- quido; la densità elettrica superficiale nella porzione centrale del liquido, sarà V:4r(4— 0,1) e quella sull’anello di guardia a distanza sufficiente dagli orli sarà invece V :47r d. Ora se d è piuttosto grande rispetto a 0,1 cm., la diffe- renza delle due densità è così piccola che l'errore non sarebbe grandissimo neppure quando si attribuisse al liquido la densità che si ha sull’anello; se poi si considera che questa piccola differenza non si verifica che presso gli orli, e va ripartita, parte nell'anello e parte nel liquido, si può ritenere che l'errore causato dal non essere anello e liquido allo stesso esatto livello, non è molto grande. Se poi d è piccolo, la differenza delle due densità elettriche può essere relativamente grande, ma in tal caso tale differenza, per ragioni ovvie, non è sensibile che a distanza molto piccola dalla linea di separazione del liquido e dell’anello, tanto che in questo caso W. Thomson ha potuto fare misure soddisfacenti dei potenziali con una bilancia priva affatto di anello di guardia. « In un elettrometro che non aveva anello metallico, ma solo gli scom- partimenti C e D, di 15 e 25 cm. di diametro rispettivamente, essendo la di- stanza del disco dal liquido centrale di 1 cm., non ottenni differenze di qual- che entità fra i valori d'uno stesso potenziale, sia che il livello del liquido nei due scompartimenti fosse lo stesso, oppure che nello scompartimento esterno il livello fosse più basso di 0,5 cm. « Cardani (loc. cit.) raccomanda invece che il piano del liquido coincida con quello dell’anello, perchè egli misurava solo la distanza fra il disco e l'anello di guardia; quindi, quando non si verificava la suddetta condizione, risultava erroneo il valore della distanza fra disco e liquido. « Riguardo alla natura del liquido da usare nel manometro, il mercu- rio presenterebbe dei vantaggi per la sua poco mobilità, e per l'esattezza nella misura dei volumi, ma la sua grande densità 1ende il manometro poco sensibile. « L'acqua pura emette vapori che diminuiscono l'isolamento dei coni che servono di sostegno; credo perciò opportuno l’uso di acqua salata o aci- dulata con acido solforico. « È utile che gli orli dei recipienti non sporgano nè stiano al disotto degli anelli di guardia e che siano unti di grasso nella superficie orizzontale e non in quella verticale; in tal modo, regolando convenientemente l'altezza relativa dei recipienti comunicanti, sì può ottenere che la superficie del li- Rui quido nella posizione finale, mentre agisce l’azione elettrica ed è ottenuto l’affioramento, sia quasi affatto priva di menisco. « Altre forme dell’elettrometro. — Coll’elettrometro descritto, la misura del potenziale V può farsi in tre modi, cioè portando al potenziale V il disco 4, oppure il disco 2, oppure prima l'uno e poi l'altro, e ristabilendo in ogni caso l’affioramento. « Se ci sì contenta d'un solo modo di misura, l'apparecchio può essere semplificato, e si potrà sopprimere il disco 4 e l'anello piano sottostante, oppure il disco 2. l'anello corrispondente e lo scompartimento D. « In quest'ultimo caso l'apparecchio può prendere una forma straordina- riamente semplice, composta cioè: 1° di un largo cristallizzatore p. es. di 25 cm. di diametro, munito di punta d’affioramento, contenente acqua pura, o salata, o acidulata con acido solforico, che affiora esattamente alla punta suddetta; 2° d'un disco metallico orizzontale di 5 a 6 cm. di diametro, il cui centro si trova sulla verticale che passa per la punta d'affioramento; 3° d'una buretta. L'orizzontalità del disco, la sua distanza dall'acqua e la misura dei potenziali possono aversi nei modi già indicati. Se v è il volume di liquido che si è dovuto togliere per ristabilire l’affioramento, S la sezione del recipiente, s l'area del disco, la pressione elettrica al disotto della por- zione centrale del disco sarà 980. vd: (S-s). Questa formula sarebbe rigorosa solo se la superficie del liquido fosse piana al disotto del disco, e altresì piana, ma a un inferiore livello altrove, ciò che non si verifica. Però a causa della piccolezza di s rispetto ad S, tale errore ha poca entità e sarebbe an- che suscettibile di una correzione approssimata, qualora si osservasse entro quali limiti la superficie del liquido è curva. « Si può però facilmente e completamente evitare tale errore, collocando nel cristallizzatore un anello piano d'ottone p. es., di 3 e 7 cm. di diametro interno ed esterno, sostenuto da tre piedi in posizione orizzontale e col centro della faccia superiore coincidente pressa poco coll'estremità della punta d'af- fioramento. Al disopra dell'anello su 3 coni isolanti di altezza uguale e conve- niente, si colloca il disco che deve avere un diametro minore di quello massimo dell'anello; si procederà poi nel modo solito. Nella formula precedente s sarà l’area dell’anello supposto senza foro. La faccia superiore dell'anello presso l'orlo dovrà essere unta di grasso o paraffina e si eviterà che l'acqua in seguito all'azione elettrica si riversi sull'anello, aspirando nella buretta un poco di liquido prima di portare il disco al potenziale incognito. « Allo scopo di poter meglio osservare l’affioramento, è bene che il disco e l'anello si trovino presso la parete del cristallizzatore dalla parte dell'osser- vatore. Questa forma d'apparecchio non si presta bene nel caso che il disco debba essere collocato vicinissimo al liquido, perchè non si può osservare quando si ha l’affioramento; si potrebbe bensì osservare dal disotto, ma la punta copre in parte l’incavo che essa produce nella superficie del liquido. ono « Un altra forma di elettrometro assoluto, che potrebbe in taluni casi riuscir utile a causa della sensibilità maggiore, è il seguente. Dentro un largo a cristallizzatore A si trova un largo tubo di vetro | LEgta aa I | B di altezza un po minore e sostenuto vertical- Fim = I mente in modo che non tocchi il fondo. Si versa ———_————— acqua pura o salata nel cristallizzatore fino a po- DICH: chi millimetri al disotto dell'orlo superiore del tubo, e poi si versa sino a pochi millimetri al disopra dello stesso orlo un dielettrico liquido di densità poco minore di quella dell’acqua(!). Al disopra del tubo a piccola distanza dal liquido si trova un disco metallico 4 che si porta al potenziale V incognito essendo l'acqua al potenziale zero. È utile inoltre che il tubo all'altezza della supeficie di separazione dei due liquidi sia circondato da un anello piano metallico, orizzontale 9, che serve d’anello di guardia, in comunicazione permanente coll’acqua. « Per effetto dell’azione elettrica, l’acqua si solleva nel tubo, ma siccome il dislivello dell’acqua è compensato quasi totalmente da quello del dielet- trico che agisce in senso contrario, l’acqua può obbedire all’azione elettrica (aumentata altresì dal dielettrico interposto) e la sensibilità è tanto maggiore quanto minore è la differenza delle densità dei due liquidi. « La grandezza del dislivello è in generale così grande che potrebbe esser letta direttamente; la ristrettezza dello spazio m'impedisce di riprodurre il calcolo del potenziale in funzione del dislivello e le condizioni perchè l’acqua non esca dal tubo. « Si ha però assai maggior esattezza e sensibilità riducendo la super- ficie di separazione dei due liquidi nel tubo ad affiorare sempre ad una punta fissa, col togliere un volume conveniente e misurato di acqua dal cristallizzatore, mentre si aggiunge dielettrico (il cui volume non occorre conoscere) in modo che il livello del dielettrico al disopra del tubo affiori ad un'altra punta come prima dell’azione elettrica. « Se il potenziale da misurare è piccolo, il disco può esser collocato nel- l'interno del dielettrico, diminuendo così la distanza dall'acqua; se però il potenziale è un po’ forte, ciò non sarebbe possibile a causa delle correnti tu- multuose e della rapida elettrizzazione che sì produrrebbe nel dielettrico. « La pressione elettrostatica alla superficie dell'acqua nel tubo sarà: h(d — d') 980 (C. G. S) se 7 è il dislivello e 0, d' sono le densità dei due liquidi; e la stessa in funzione della differenza di potenziale V fra acqua e disco se d e d' sono gli spessori dell’aria e del dielettrico (di costante %) interposti (1) Nella figura la linea orizzontale punteggiata rappresenta la superficie di separa- zione dci due liquidi, quando il disco 4 a è potenziale zero, la linea continua quando esso è a potenziale V. eri E V S , ed uguagliando supposto 4 noto potrà rica- TT TURE dtd sarà uguale a varsi V. « L'apparecchio potrebbe anche prendere la forma di due vasi comuni- canti, che però dovrebbero comunicare mediante due tubi, uno alla parte infe- riore per l’acqua l’altro alla parte superiore del dielettrico. « Misura della costante dielettrica dei liquidi. — Tutti gli apparecchi precedentemente descritti per la misura dei potenziali possono servire con opportune e lievi modificazioni alla misura della costante dielettrica dei liquidi isolanti. Occorre che il fondo dei recipienti A e B p. es., sia metallico, piano, e orizzontale, e che essi siano bassi affinchè lo spessore del dielettrico non sia troppo grande, e finalmente che l'anello di guardia si trovi non alla sommità dei recipienti, ma ad una distanza dal disco corrispondente uguale a d 4 d1: % se d ed, sono gli spessori di aria e di dielettrico interposti fra disco e fondo metallico. Lo scompartimento D può funzionare senza modificazioni, purchè le pareti verticali non siano metalliche. « Se V è la differenza di potenziale nota fra disco e fondo metallico, la forza elettrica nell'aria interposta sarà V: (44 d,:%) e quella nel- l'interno del liquido sarà: V:Z4(4+ di : 4). « Si avrà dunque se o è la densità dello strato fittizio alla superficie del dielettrico: e la pressione elettrostatica sarà: AVI AO Bro ssi e misurato direttamente il valore di p, e noto V se ne potrà ricavare 4. « L'apparecchio della figura 2 può dare altresì il valore della costante dielettrica qualora si conosca V; esso ha il vantaggio di richiedere un poten- ziale poco elevato ». Fisica. — Sulle cariche residuali. Nota del dott. BERNARDO DessAU, presentata a nome del Corrispondente A. RicHI. « Si attribuiscono le cariche residuali dei condensatori o alla penetra- zione delle cariche nel coibente, ovvero alla polarizzazione dielettrica di que- st ultimo, la quale, analogamente a ciò che si osserva nei fenomeni elastici, metterebbe del tempo a sparire anche dopo scaricate le armature del con- densatore; oppure ancora, secondo Maxwell, all’eterogeneità del dielettrico. Dopo il noto lavoro di Maxwell si è generalmente venuti alla conclusione Meloni reciproca: che, cioè, in un condensatore a coibente perfettamente omogeneo non debba esistere traccia di residuo. Varî autori, e cioè Rowland e Ni- chols (*), sperimentando con lamine solide; Hertz (?), facendo le esperienze con benzina; Arons (3), ed anche Muraoka (4), studiando il comportamento della paraffina, lianno creduto confermare tale conclusione. « Alle loro esperienze mi sembra però si possano fare delle obbiezioni. Rowland e Nichols, adoperando delle lamine di vetro, di quarzo e’ di spato d'Islanda, trovarono un residuo forte col vetro e debole col quarzo, mentre non ne trovarono affatto collo spato; ma, vista la piccola capacità del loro condensatore e la breve durata della carica (al massimo 30” ), non sembra escluso che abbia potuto loro sfuggire un lieve residuo, la cui esistenza è resa anzi probabile dal comportamento del quarzo, cristallo omogeneo non meno dello spato. « L’Arons poi, operando con un condensatore a paraffina ed una batteria di carica di 100 accumulatori, trovò infatti un lieve residuo (al massimo circa 4 Volta per la carica iniziale di circa 200 Volta), il quale però egli credè dovuto alla presenza di una colonnetta di gomma lacca che portava una scodellina di mercurio, destinata a stabilire le comunicazioni di un'ar- matura del condensatore, prima colla pila di carica e dopo coll'elettrometro. In tale guisa la colonnetta doveva caricarsi superficialmente assieme al die- lettrico del condensatore. A giustificare la sua supposizione, l'Arons caricò ripetutamente, sia il condensatore assieme alla colonnetta, sia la colonnetta sola e misurò nei due casi i residui. Benchè egli ottenesse dei risultati di- scordanti, mantenne la propria opinione senza dare una spiegazione di questa diversità di risultati. « Il Mwaoka infine, a quanto risulta dalla breve descrizione delle sue esperienze, fece uso della stessa disposizione dell’Arons, e, com'era naturale, confermò le conclusioni di questo autore. Il potenziale di carica, del resto, non oltrepassò i 66 Volta. « Ho creduto perciò interessante di ripetere queste esperienze, evitando le cause d'incertezza accennate. « Come coibente scelsi l'acido palmitico (mandato come chimicamente puro dalla casa Trommsdorff), e la paraffina (della stessa casa): il primo, onde avere una sostanza di composizione chimica ben definita; la seconda, perchè adoperata dagli altri autori. (La mia paraffina fondeva a 65°; le qua- lità più facilmente fusibili, spesse volte, nel momento della solidificazione, lasciano sfuggire delle bolle gassose e perciò non dànno garanzia di omo- geneità; non si riesce, nemmeno portando la paraffina fusa nel vuoto, a to- (1) Philosophical Magazine, V. ser., vol. 11, p. 414, 1881. (2) Wiedemanns Annalen, vol. 20, p. 279, 1885. (3) Ibid., vol. 35, p. 291, 1888. (4) Ibid., vol. 40, p. 328, 1890. gg gliere completamente questo inconveniente). Le armature del condensatore consistevano in tre lastre di latta nichelate, e cioè due esterne di 9 cm. di lato e distanti 1 cm. l'una dall’altra; ed una di mezzo di 8 cm. di lato. (La figura rappresenta la sezione dell’ apparecchio). Le due lastre esterne (A e B) erano unite fra di loro alla base mediante una traversina di latta (D) ugualmente nichelata, e portavano alcune sporgenze allo scopo di assicurare la loro posizione entro una cassetta (F) di latta, di 2, 10 e 12 em. di lato, destinata a ricevere il coibente fuso, e nel mezzo della quale era sospesa la terza lastra (C) mediante una lunga striscia (E) dello stesso metallo. Le lastre, appena nichelate, lavate con la massima cura evitando di toccarle, ed asciugate all'aria, ven- nero messe in posto nella cassetta, nella quale immediata- mente dopo si versò il coibente fuso. Si lasciò solidificare, E e si estrasse dalla cassetta un blocco di materia isolante che circondava completamente le armature, lasciandone sporgere soltanto, da un lato la striscia di prolungamento dell’arma- tura interna, dall'altro lato la traversina della doppia arma- tura esterna. « Il condensatore così preparato venne collocato, ac- canto a del cloruro di calcio, sotto una campana di vetro, dal cui collo usciva, circondato da un tubo metallico in comunicazione colla terra, il prolungamento della lastra di mezzo. All'estremità superiore di questo era saldato un filo di rame sottile piegato a elica lunga e flessibile che poteva mettersi in comunicazione, sia colla batteria di carica (sino a 800 elementi rame- zinco-acqua), sia con una coppia di quadranti di un elettrometro Mascart. Tali comunicazioni si fecero nel modo seguente: Il serrafilo dell'elettrometro por- tava un filo di ottone rigido Terra Rat alla cui estremità era sal- d . . DI data una piccola scodellina L EQ, 5 a è di rame(a), (veggasi la fi- Q ; di ( gura qui accanto) piena di Rote È “Sa Batteri mercurio, nella quale pe- _| Hatterta \scava l'estremità amalga- TI mata di un filo di rame Condersator = ; È È It aan (3 piegato a elica ed in co- Ti municazione col suolo. Una ST identica scodellina (0) era ISMINQGIGIRA portata da uno de'poli della batteria, mentre l’altro polo era in comunicazione col suolo. Il condensatore infine aveva l'armatura esterna ugualmente in comunicazione col suolo, mentre il filo saldato all’armatura interna poteva, coll’aiuto di un piccolo gancio di sso rame a manico isolante ('), esser immerso nella scodellina del polo della bat- teria. Finita la carica, si portava il filo sulla scodellina dell’ elettrometro, levandone immediatamente dopo, coll'aiuto dello stesso gancio, il filo di comu- nicazione colla terra. L'assieme delle comunicazioni risulta dalla figura. È chiaro che in tal modo l'armatura interna, nell'atto della scarica, rimane in comunicazione col suolo per tutto il tempo che è necessario per togliere dalla scodellina dell’elettrometro il filo di comunicazione colla terra dopo avervi immerso quello del condensatore, e cioè da 1”, 5a 2”. Quantunque con questa disposizione possa sfuggire all'osservazione una parte del residuo, pur tuttavia ho potuto convincermi essere questa perdita molto piccola; e, mentre non tenevo a fare delle misure precise, la mia disposizione mi metteva al sicuro contro ogni causa di cattivo isolamento o di produzione di residuo fuorchè nel condensatore stesso. i « Difatti: di colonnette isolanti non ci sono che quelle dei quadranti dell’elettrometro stesso, le quali non vengono in comunicazione col condensa- tore che dopo la scarica di questo; lo stesso si dica del gancio sopraccen- nato, tanto più che questo veniva sollevato insieme al filo di comunicazione col suolo. Potei convincermi inoltre che questi movimenti di immissione e di allontanamento dei fili da soli non determinavano alcuna carica. « Ecco i risultati di una serie di osservazioni. Condensatore coll’acido palmitico. Potenziale massimo Numero delle Pol Tempo di carica prodotto dal resi- coppie di carica in minuti Tao meVolta 1 Rame 1 + 0,25 9 0,30 5 0,38 10 0,40 1 Zinco 1 — 0,27 10 0,39 9 Rame 1 + 0,51 5 0,68 9 Zinco 1 — 0,52 5 0,68 10 0,73 30 0,87 5 Rame 1 +.0,90 5 1,42 10 1,59 (1) La parte del manico tenuta direttamente in mano era però di metallo, onde evi- tare l'eventuale produzione di elettricità per strofinamento. RenpIcONTI. 1893, Voc. II, 2° Sem. 13 00), e « Il rapporto fra la capacità del condensatore e quella dell'elettrometro era di 2,7:1. La differenza di potenziale di ognuna delle coppie di carica era poco meno di 1 Volta. « Risulta da questo specchietto che l'acido palmitico dà dei residui con- siderevoli anche colle cariche più deboli; residui che crescono regolarmente tanto col crescere del potenziale di carica quanto colla durata di quest'ultima, Potei convincermi che l'acido palmitico fuso non intaccava, anche per un pro- lungato contatto, le lastre nichelate; non è possibile per conseguenza attri- buire la causa del residuo alla formazione di strati di natura diversa, e solo potrebbe attribuirsi, secondo il modo di vedere degli autori sopra citati, alla struttura cristallina dell'acido palmitico ; ma tale struttura la possiede anche lo spato d'Islanda, in cui Rowland e Nichols non hanno trovato traccia di residuo. Sostituita la paraffina all'acido palmitico; ottenni ugualmente delle prove non dubbie di residui, per quanto essi con questo coibente comincino a manifestarsi soltanto con cariche iniziali di circa 50 Volta. Ecco una serie di osservazioni: Condensatore colla paraffina. Potenziale massimo) prodotto dal resi- duo, in Volta Numero delle coppie di carica poù Tempo di carica in minuti 50 Zinco Il — 0,08 50 3 5 0,04 50 Rame 1 + 0,02 50 ” 5 0,04 100 5 10 0,10 100 È 15 0,13 100 Zinco 10 — 0,07 I 100 n 15 0,08 | « Dai numeri sovraesposti risulta come i potenziali osservati sieno pic- coli, ma tali però da mettere fuori di dubbio l’esistenza di cariche residuali anche nel condensatore a paraffina, tanto più se si tiene conto che nelle con- dizioni dell'esperienza può aver luogo una perdita delle prime traccie di residuo. D'altra parte è certo anche che le deviazioni dell'ago dell’elettrometro osser- vate provenivano da residui e non da diffusione della carica sulla superficie della paraffina attorno al metallo dove esso esce dalla paraffina; giacchè tali deviazioni si osservarono anche quando durante la scarica si passò una fiam- ma sulla superficie della paraffina; naturalmente in questo caso, in causa del- 9 l'avere la scarica maggiore durata, il residuo doveva manifestarsi alquanto indebolito. « Va da sè che anche qui osservai la massima cura onde avere delle superfici metalliche perfettamente pulite, rinnovando più volte durante le espe- rienze la nichelatura; ed è quindi tolto il dubbio che tali residui dipendano da alterazioni delle superfici metalliche. Aggiungo inoltre che con cariche più intense potei constatare dei residui più forti, ma sempre tali che potevano sfuggire all'osservazione, nelle esperienze fatte dal sig. Arons, per le cause d'errore inerenti alle condizioni delle sue esperienze. In conclusione le espe- rienze degli autori citati non sembrano più sufficienti a sostenere l'opinione della necessità d'una struttura eterogenea o stratificata per la formazione del residuo. « Fino od ora non mi fu possibile ottenere un coibente che fosse nello stesso tempo amorfo e di composizione chimica ben definita come l'acido pal- mitico. Tentai l’uso dei palmitati che preparai appositamente, ma dovetti con- vincermi che non sono abbastanza isolanti, sia per loro natura, sia perchè si de- compongono nell'atto della fusione. Del resto, anche secondo gli autori più volte citati, la mescolanza molecolare, quale la rappresenta la paraffina, non esclude la omogeneità nel senso della loro teoria. « È degno di nota, infine, che gli autori da me citati, i quali dalla teoria di Maxwell credono poter dedurre l'impossibilità del residuo in un coibente omo- geneo, non si trovano d'accordo in ciò col Maxwell stesso. Inquantochè Maxwell, dopo svolta la teoria matematica delle cariche residuali in un coibente ete- rogeneo o stratificato, dice esplicitamente non credere indispensabile una tale struttura per la produzione delle cariche stesse » (1). Geologia. — Za fauna bentho-nektonica della pietra leccese (miocene medio). Nota di GrusePPE DE LORENZO, presentata dal Corrispondente FR. BASSANI. « Questa Nota è diretta a dimostrare che la formazione calcareo-marnosa, nota col nome di « pietra leccese » , non può pigliar posto preciso in alcuno dei piani cronologici successivi in cui è diviso il miocene medio, e che essa invece acquista un significato esatto solo quando, secondo le moderne vedute, si considerino essi piani come rappresentanti zone, plaghe o regioni batime- tricamente e bionomicamente diverse. A tale scopo mi sono servito sia delle osservazioni da me fatte direttamente su d'una parte del materiale paleon- tologico, sia dei risultati di studi sperimentali analitici di altre persone. 0) Maxwell, Zreatise on Electricity and Magnetism, I. ed., vol. 1, p. 881, 1873. Saggi I Li Occupa fra queste uno dei posti più importanti 0. G. Costa, che cercò, con interessante discussione, di precisare l'età del calcare tenero di Lecce (4), in cui aveva fatto preziose raccolte di fossili, che egli poi descrisse e illustrò, con poca esattezza scientifica, distinguendovi venticinque specie di foramini- feri, due di cirripedi, otto di crostacei, quarantasette di molluschi, tre di echinodermi, quarantadue di pesci, quattro di rettili e cinque di mammi- feri (?). Di questi avanzi fossili la maggior parte è conservata nel Museo di Geologia dell'Università di Napoli. Fra gli invertebrati ho potuto distinguere le forme seguenti : BRACHIOPODI Pecten Koheni Fuchs Megerlea truncata L. sp. Pecten cristatus Bronn Rhynchonella bipartita Br. sp. Pecten spinulosus Minst. ? Terebratula sinuosa Br. sp. GASTEROPODI CROSTACEI Natica sp. Balanus concavus Bronn CEFALOPODI Callianassa sp. Aturia cfr. Aturi Bast. sp. Neptunus granulatus M. Edw. ECcHINOIDI Neptunus Sp. Psammechinus LAMELLIBRANCHI Echinolampas Kleini Goldf.. sp. Ostrea cochlear Poli Schizaster Sp. Spondylus aff. crassicostatus Lam. Spatangus cfr. corsicus Des. « Dei pesci, numerosi e ben conservati, che attendono una illustrazione completa da parte del prof. Bassani, riporto qui le specie da lui indicate nel suo lavoro sulla ittiofauna miocenica della Sardegna (8): SELACII Galeocerdo aduncus Ag. Carcharodon megalodon Ag. Hemipristis serra Ag. Carcharodon auriculatus BI. sp. ? Sphyrna prisca Ag. Lamna salentina O. G. Costa sp. Notidanus primigenius Ag. Odontaspis cuspidata Ag. sp. TELEOSTEI Odontaspis contortidens Ag. Chrysophrys cincta Ag. sp. Oxyrhina hastalis Ag. (3) O. G. Costa, Ricerche dirette a stabilire l'età geologica della calcarea tenera a grana fina di Lecce (Giorn. scient. il « Giovambattista Vico », vol. II, Napoli 1857). (2) 0. G. Costa, Paleontologia del regno di Napoli: parte I (Atti Accademia Pon- taniana, vol. V, Napoli 1858); parte II (Atti Acc. Pont., vol. VII, Napoli 1856); DAS III (Atti Acc. Pont., vol. VIII, Napoli 1864). (3) F. Bassani, Contributo alla paleontologia della Sardegna. Ittioliti miocenici — (Atti dell’Acc. di scienze fis. e mat. di Napoli, vol. IV, serie 2%, 1891). In questo lavoro è riportata tutta la bibliografia del miocene sardo. og « Oltre ai suddetti pesci, e ad altri non ancora studiati, esistono in questo museo: SELACII Myliobatis sp. Lamna sp. Pristis lyceensis Vigl. (’) Oxyrhina Desori Ag. TELEOSTRI Oxyrhina Vanieri Sauvg. Diodon Scillae Guiscardi (+). « Si aggiungano a ciò gli avanzi di un coccodrillo, che, secondo il prof. Capellini (8), rappresenterebbe una forma affine al vivente Crocodilus biporcatus Cuy., e metà dello scudo di un chelonio, che forse mostrerà delle analogie con gli avanzi di Malta. « Già precedentemente “il prof. Capellini (4) aveva notato nella pietra leccese la presenza di Globigerina, Orbulina, Uvigerina, Rotalia, Teatu- laria, Dimorphina, Bigenerina, Pecten cristatus, Pecten Koheni, e ne aveva descritto : PESCI Schicodelphis sp. Sphyraenodus Bottiî Cap. Priscodelphinus (Pachyacanthus Brachyrhyncus terelirostris van Ben. Brdt.) MAMMIFERI Squalodon antverpiensis van Ben. Priscodelphinus. (Delphinorhyncus) . Phocodon Scillae Gerv. squalodontoides Cap. Orcopsis sp. Campsodelphis sp. Physodon leccense Gerv. « Ultimamente (26 giugno 1893) il prof. C. De Giorgi, a una lettera scrit- tagli, dietro mia preghiera, dal prof. Bassani, si affrettava gentilmente a ri- spondere che nel suo museo privato e in quello, da lui diretto, dell'Istituto tecnico di Lecce esistono della pietra leccese i seguenti avanzi fossili: «l. Mammiferi: 15 specie di cetacei appartenenti ai generi Squa- lodon, Phocodon, Physodon, Schisodelphis, Pachyacanthus, Phoca ecc. «2. Pochi avanzi di wecelli e di rettili (cheloni). «3. Pesci: 23 specie determinate, e parecchie da determinarsi. Molti esemplari. «4. Crostacei: 3 specie con pochi esemplari. «5. Lamellibranchi: 33 specie. Frequenti e numerosi i pettini per specie e individui; poche specie e pochi esemplari di ostriche. (1) G. Vigliarolo, Monografia dei Pristis fossili con la descrizione di una nuova specie del calcare miocenico di Lecce (Atti Acc. se. fis. e mat. di Napoli, vol.IV, ser. 22, 1891). (2) G. Guiscardi, Annotazioni paleontologiche (Atti Acc. sc. fis. e mat. di Napoli, 1372). (3) G. Capellini, Sul coccodrilliano garialoide scoperto nella collina di Cagliari (Mem. Acc. Lincei, serie 42, vol. VI, 1889). (4) G. Capellini, Della pietra leccese e di alcuni suoi fossili (Memorie dell’Ace. di sc. fis. e mat. di Bologna serie 3%, vol. IX, 1878). SR 0) « 6. Gasteropodi: 20 specie con esemplari meno frequenti dei lamel. libranchi. «7. Scafopodi: 3 specie. «8. Pteropodi: 2 specie. «9. Brachiopodi: varie specie di terebratule con esemplari numerosi in alcuni banchi. « 10. Echinodermi: parecchi esemplari di Scuzella, Echinus e Cly- peaster. « 11. Celenterati: poche specie in esemplari interi, frequenti invece i frammenti nella struttura della roccia e sul confine dei banchi, insieme ai « 12. Protozot: numerosi, ma non ancora ben classificati ». « Data ora la fauna della pietra leccese come qui sopra è stata accen- nata, date le sue condizioni geologiche, è possibile assegnare questo deposito con sicurezza all’uno piuttosto che all’altro piano del miocene medio, al lan- ghiano più che all’elveziano, al primo più che al secondo piano mediterraneo ? Forse, sottilizzando e facendo dei calcoli sul numero e sulla qualità di specie più o meno caratteristiche, si riuscirebbe a qualche risultato di questo ge- nere, ma tale classificazione sarebbe sempre artificiosa, come ogni classifica- zione basata su concetti personali, spesso aprioristici, che, facendo assegnare i terreni di paragone capricciosamente ad uno piuttosto che ad un altro piano, costringe gli studiosi ad aggirarsi perennemente in un circolo vizioso, da cui non si esce se non adottando muovi criteri, che per ora hanno tutti i van- taggi delle osservazioni e della esperienza. Una discussione a tal proposito sarebbe più che oziosa dopo quella sostenuta così brillantemente e, a me pare, così vantaggiosamente dal Bittner (1). « E interessante però osservare che uno dei primi a segnalare l'artifi- ciosità dell'odierna divisione cronologica dei terreni terziari superiori fu Neu- mayr, il cui forte ingegno sventuratamente troppo presto fu rapito alla scienza. Quando egli stabilì i principî della divisione del Giura in zone paleontolo- giche (2), notò la evidente sproporzione fra i piani cronologici del terziario superiore e le zone dei terreni secondari; nè gliene sfuggì la ragione, data dal fatto che, mentre dei terreni antichi a noi sono pervenuti in massima parte sedimenti di mare profondo, estesi ed uniformi, dei moderni invece abbiamo gran numero di depositi di mare basso, ristretti e variabilissimi, e ciò perchè, mentre nei primi l’azione concomitante degli spostamenti negativi, dell’ero- sione delle onde e della denudazione atmosferica contribuiva ad annullare i sedimenti litoranei a vantaggio dei profondi, nei secondi al contrario essa non (1) Bittuer, Noch em Beitrag zur neueren Tertitirliteratur (Jahrb. d. Wien. geol. R. A., 1886). (2) M. Neumayr, Veber unvermittelt auftretende Cephalopodentypen in Jura Mit- tel-Europa's (Jahrb. d. Wien. geol. R. A., 1878). E 0): pn ha ancor avuto tempo sufficiente per estrinsecare completamente, o quasi, la sua attività trasformatrice. Neumayr aprì così alle ricerche di geologia sto- rica una nuova e splendida via, che egli stesso però non seguì se non in parte, perchè la divisione del miocene in prima e seconda fauna mediterranea, proposta da Suess e da lui accettata ('), quantunque più razionale di quella di Mayer, non regge neppur essa a una seria analisi sperimentale. « Neumayr scelse per il Giura come tipo di organismo, i cui cambia- menti debbono servire di unità di misura relativa nella cronologia strati grafica, i cefalopodi; ma non pensò a sostituirli con altri organismi nei ter- reni marini del terziario superiore, in cui i cefalopodi ammonoidei erano stati già da parecchio tempo sostituiti dai cefalopodi dibranchiati nudi. Le attuali distinzioni cronologiche del terziario superiore si fanno, per la maggior parte, basandosi sopra un certo numero di gusci di lamellibranchi e di gasteropodi prosobranchiati, gusci che non possono assolutamente segnare il grado medio di cambiamento subìto da quegli organismi da un periodo geologico all’altro, e ciò per varie ragioni. Anzitutto, come s'è già detto, i terreni del terziario superiore rappresentano sedimenti di mare basso, di mare cioè che va da zero fino a poco più di 400 metri di profondità, e più specialmente rappresen- tano depositi delle prime zone batimetriche, nelle quali sono variabilissime, per qualsiasi cambiamento geologico, la costituzione della facies la tempe- ratura, la salsedine e le condizioni di luce, che sono i principali fattori bio- nomici degli organismi marini. Si aggiunga a ciò che il guscio, specialmente dei lamellibranchi, è la parte meno importante dell'organismo, e, avendo uno scopo assolutamente protettivo, è proprio quella parte, in cui, nell’eterno anta- gonismo chimico-meccanico fra l’ereditarietà e l’adattabilità, quest'ultima finisce col prevalere in modo notevole (2). Da ciò, negli avanzi di questi ani- mali marini litoranei una enorme variabilità, la quale, dipendendo in gran parte dalle rapide e frequenti variazioni del loro ambiente, rende molto diffi- cile, e a volte vana, ogni ricerca che, fondandosi sullo studio di così mute- voli avanzi, sia diretta a stabilire fra essi dei legami filogenetici. Non sì può dire altrettanto, almeno per ora, dei cefalopodi ammonoidei mesozoici. L’am- biente pelagico, in cui, stando allo stato attuale delle nostre conoscenze geo- logiche a tal riguardo, essi fiorivano, con condizioni di vita uniformi e co- stanti, non poteva dar luogo a rapide e passaggiere mutazioni di adatta- mento, mentre la selezione naturale, nel senso latissimo datogli da Darwin, ostacolata dalla forza di eredità o di conservazione, tendeva a produrre negli organismi dei cambiamenti non disordinati, ma disposti in serie filogenetiche, (1) M. Neumayr, Veder den geologischen Bau der Insel Kos (Denkschr. der Wien. Ak. d. Wiss. XL Bd., 1880). (2) E. Hackel, Generelle Morphologie der Organismen. Grundzige der Formen- wissenschaft mechanisch begrimdet durch die von Ch. Darwin reformirte Descendens- Theorie, Berlin 1866. Co Non potendo ora nei terreni terziari superiori fare uso, per la divisione in zone paleontologiche, dei cefalopodi, bisogna ricorrere_ad altri organismi, che siano meno influenzati degli animali prettamente litoranei da adattamenti rapidi all'ambiente e offrano degli avanzi relativamente importanti. Questi animali mi pare che siano appunto i vertebrati. I loro scheletri sono, mor- fologicamente e fisiologicamente, di grande importanza, e i cambiamenti, che in essi si imprimono, sono relativamente stabili e profondi. Nella cronologia del terziario superiore invece si è data poca importanza agli avanzi di pesci, rettili e mammiferi marini, appunto perchè essi mostrano una variabilità minore di quella dei gusci di molluschi, e ridurrebbero così a pochissime zone ciò che è stato sminuzzato in tanti piani ». PERSONALE ACCADEMICO Pervenne all'Accademia la dolorosa notizia della morte del Socio nazio- nale CESARE RAZZABONI, mancato ai vivi il 28 luglio scorso. Apparteneva il defunto Socio all'Accademia sino dal 6 aprile 1873. ELEZIONI DI SOCI Solle norme stabilite dallo Statuto e dal Regolamento, si procedette alla elezione di Socî e di Corrispondenti dell’Accademia. Le elezioni dettero i risultati seguenti per la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Furono eletti Socî nazionali: Nella Categoria I, per la Matematica: BrancHi Luiei, D'OvipIio ENRICO. Nella Categoria II, per la Chimica: CramiciAn Giacomo. Furono eletti Socî stranieri: Nella Categoria II, per la Chimica: MENDELEJEFF DEMETRIO. Nella. Categoria IV, per la Botanica: STtRASSBURGER EDoARDO € PrInesHEIM N.; per l' Agronomia: Conn FERDINANDO. Furono inoltre eletti Corrispondenti: Nella Categoria I, per la Matematica: BeRTINI EucENIO; per l'Astr0- nomia: MiLLosevicH ELIA; e per la Geografia matematica e fisica: ABETTI ANTONIO. Nella Categoria IV, per la Botanica: MATTIROLO ORESTE. L'esito delle votazioni venne proclamato dal PRESIDENTE con Circolare del 27 luglio 1893; le nomine dei Socî nazionali e stranieri furono sotto- poste all’approvazione di S. M. il Re. o CORRISPONDENZA Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute: | La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la Società di scienze natu- rali di Emden; la Società geologica e di storia naturale di Ottawa; l’'Acca- demia delle scienze di San Francisco; la Società degl'ingegneri civili di Pa- rigi; il Museo di geologia pratica di Londra; l'imp. Università di Tokyo; la Biblioteca nazionale di Rio di Janeiro Annunciarono l'invio delle proprie pubblicazioni : La Società italiana delle scienze di Roma; la Società di scienze natu- rali di Bamberg; la Società geologica di Calcutta. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal giorno 3 luglio al 6 agosto 1893. Beaupain J. — Sur l'intégrale eulerienne de première espèce. Bruxelles, 1893. 4°. Bombicci L. — Le notevoli particolarità dei cristalli mimetici cubiformi di pirite gialla scoperti nelle mare grigie terziarie antiche dei Monti della Riva (Valle del Dardagna, Appennino Bolognese). Bologna, 1893. 4°. Carte géologique de la Russie d'Europe avec note explicative. St. Péter- sbourg, 1893. 8°. Coghlan T. A. — The wealth and progress of New South Wales 1892. Sixth issue. Sydney. 1893. 8°. Cope E. D. — A preliminary report on the vertebrate paleontology on the Llano Estacapo. Austin, 1893. 8°. De Lucio R. — Gran revoluciòn cientifica y filosofica. Descubrimiento de las misteriosas causas de la creaciòn, de la organizacion de la vida en todas sus manifestaciones y de la atracciòon y gravitacion universal. Madrid, DI 1893. 8°. Le Jolis A. — Les genres d'Hépatiques de S.-P. Gray. Paris, 1893. 8°. Michelson Albert A. — On the application of interference methods to spectro- scopic measurements. Washington, 1892. 4°. Ministero di agricoltura, industria e commercio. — Rivista del servizio mi- nerario del 1891. Roma, 1893. 8°. Morselli E. — Sulla terapia vibratoria nelle malattie nervose e mentali. Ge- nova, 1893. 8°. TOO) RE Nikitin S. — Bibliothèque géologique de la Russie 1891. St. Pétersbourg, MS92RS0 Ocagne (M. d'). — Sur la détermination géométrique du point le plus pro- bable donné par un système de droites non convergentes. Paris, 1893. 4°. Reina V. — Della compensazione nella determinazione di un punto da 7 punti dati. Roma, 1893. 8°. Saint-Lager DY — Aire géographique de l'Arabis arenosa-ed du Cir- sium'/iolera:ceum./Paris 0892. 8° Id. — Considérations sur le polymorphisme de quelques espèces du senre Bupleurum. Paris, 1891. 8°. Id. — La guerre des Nymphes suivie de la nouvelle Incarnation de Buda. Paris, 1891. 89. Id. — La priorité des noms des plantes. Paris, 1890. 8°. Id. — Note sur la Carex tenax. Paris, 1892. 8°. Id. — Un chapitre de grammaire à l'usage des botanistes. Paris, 1892. 8°. Valentini C. — Sulla sistemazione dei torrenti. Roma, 1893. 8°. Vigliarolo G.— Dei generi Micropteron, Dioplodon e Rhinosto- des e di una nuova specie fossile di Rhinostodes scoperta nel cal- care Elveziano di Cagliari. Napoli, 1893. 4°. Id. — Monografia dei Pristis fossili con la descrizione di una nuova specie del calcare miocenico di Lecce. Napoli, 1890. 4°. ETRE = (99 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 20 agosto 1893. DONNA Matematica. — Sulla superficie del 5° ordine con 5 punti tripli ed una cubica doppia. Nota I. di A. DeL RE, presentata dal Socio CREMONA. « Io ho incontrata questa superficie studiando alcune varietà (*) della superficie del 5° ordine a cubica doppia e punto triplo, che fu già oggetto di varie mie Note precedenti (2). Di essa detti già le formule per una rap- presentazione parametrica; ed ora mi propongo di farne uno studio più ap- profondito. SU « l. La superficie è rappresentata parametricamente dalle formule (3): - = LE Co = So n — SO n Si) o Cata ‘egg °° Ca gg) Ea ove le C;;(£7=1,....4) sono forme binarie cubiche nei parametri omogenei (1) Sopra alcune varietà della superficie del 5° ordine ecc. Rend. Acc. Lincei, di- cembre 1892. (2) Sulla superficie del 5° ordine dotata di cubica doppia e punto triplo. Ibid. Set- tembre 1892. — Ancora della superficie del 5° ordine ecc. Ibid., ottobre 1892. — Altre proprietà ecc Ibid., novembre 1892. (8) Nota citata in (1) n. 8. RenpIcoNTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. i 14 — 100-— Z. u derivate da una stessa forma binaria hiquadratica £ per derivazione ri- spetto ai suoi fattori lineari; sicchè, posto che sia ci=4f;+ ugi (0-1, ...,4) L= Ci C20 033 C4 si abbia: t è poi un terzo parametro variabile, &,,..., é4 sono le coordinate di un punto fisso, e Xr,..., %1 grandezze arbitrarie. « Io sono giunto alle (1) definendo la superficie come polare congiunta del polo È; rispetto al fascio delle quadriche Ca fx? in Pe = 0 (2) ed alla quadrica isolata 4 p;È — = 8 n Xe ( ) perciò il punto £; è triplo per la superficie; e sono sue rette le sei co- stole del tetraedro di riferimento, le rette che ne proiet- tano i vertici da &,, e la polare, rispetto a (3). della coniugata di é& rispetto a (2), cioè la retta dei punti: i Vf VI OM (4) « 2. L'esistenza di queste rette è data dalle proprietà della superficie generale del tipo, stabilite nelle Note citate; ma essa, può, del resto, per le prime 10, essere verificata, senza difficoltà, sulle equazioni (1). Usiamo, nel fatto, di coordinate cartesiane ; avremo che le (1) potranno essere sostituite dalle seguenti : Gneo, Ore L Cao == So == Ù Gesltams nn 488 Ò Ci % y Cso — %a 1 cu, € ( a gh « Ora, ponendo Fi=-(/9)4 (/9)8 (/9)3 se nelle (5) si fa u= — 4 hi , si avrà: VE 5 TRAE so Pai A y F,43 + x Py F,.43 SEA ga è We ao, ie = |], e Xx Pai i E" X3 Pat che rappresentano una retta per l'origine, poichè per 4% = 7 «si ha Xa [4 s Ka X4 Xi os ci 10PWewpel&punto ( LI ]) 30) Par fi aaa e « Facciamo ora che simultaneamente si abbia Choa 011 100Conri 0 sii _258) allora sì avrà: «== qual, y= 0, s==0; epperò se ne,conclude che — 101 — l'asse delle x è una retta della superficie. In modo analogo, cioè ponendo successivamente Cutw=0,) 0% =0 Ci 0(/=1,3) Cautgqa=0, Cao — %3 = 0 Ci—-giz=0(0=1,2) si vede che sono rette della superficie l’asse y e quello delle &. « Poniamo ancora ci = 0, ed bia (fP)ra (f9)12 (/9)s1 aVremo : La Pri Ve, Xa < È o yz b) e=D5G Fw 9i i X2 ‘ %3 VA e queste rappresentano la parallela tracciata pel punto @), cioè dal polo della superficie, all'asse delle x. In modo analogo, col porre successivamente cs°.=0, C33==0 si vede che sono rette della superficie le parallele da «) ad y e <. « In fine, considerando le soluzioni comuni alle Cao — ga = 0 033 — g3= 0 Caoy==0@—1,4) si ha y=c0, «= 00; epperò la retta all'infinito del piano y< è sulla super- ficie. Similmente si vede che sono sulla superficie le rette all’ infinito dei piani 2%, «y. «3. Riprendiamo a considerare la superficie. quale è data dalle for- mule (1), e scriviamo le equazioni della sua curva doppia. Oltre ai due modi da tenere, già dati nella Nota « Ancora della superficie del 5° ordine ecc.», l. c., S I, n. 2, nel caso attuale ne interviene un altro che è interessante anche per le cose che diremo in seguito. — In fatti, dalle (1) si ha che le equazioni del cono cubico (razionale) tangente al punto £;, sono: = (Cu RAI t) E, La = (Cao TONE DR) È, Lg = (C33 i t) E, ) (11) L'a= (Cu — X4 0) È, ) e perciò, se si considerano come corrispondenti, sul cono cubico e sulla super- ficie, quei due punti dati dalle (1) ed (1’) corrispondentemente ad uno stesso sistema di valori delle Z, uw, , fra tutte le coppie di punti corrispondenti avrà luogo la trasformazione cremoniana cubica Ci l'i= 4 ((/— USD) (6) La cubica doppia della superficie sarà quindi la trasformata della retta dop- pia del cono cubico per mezzo della (6). Ora se noi poniamo : (fg ea /% la retta doppia del cono cubico sarà la retta dei piani =] n AN ( — 102 — perciò, indicando con 4,-==0, d,= 0 due piani arbitrarii, non condotti per la (7), un punto di questa retta, variabile col parametro Z:u, è dato da y=4(fE gt a) + u (FE gé' d); (CSR) Il punto corrispondente sulla cubica doppia della superficie sarà quindi dato da E? Hi == nl xl 7 7 (= 4 (fS ge a) du (/E g8 bd); e sono perciò queste le richieste formule. zi) (8) SUL « 4. Se indichiamo con A,,..., A, i vertici del tetraedro di riferimento, e con À; il punto &, potremo indicare con i simboli (24) ==" (#7) =A;Ax le prime 10 rette della superficie : l’undecima allora l’indicheremo con d. Tagliando con un piano arbitrario 7, avremo su questo 10 punti (7%), così distribuiti che, in cinque maniere diverse, essi sono i vertici di un quadrila- tero completo e quelli di un quadrangolo completo circoscritto al quadrila- tero; e poi un punto B non allineato con nessuna coppia di punti (24). Però, indicando con 1, 2,3 i punti (8), abbiamo che sono sopra una stessa conica: 1°. i punti (12) (13) (14) (15) 2°» (21) (23) (24) (25) | 3°.» (81) (82) (34) (35) eda 123; 4°.» (41) (42) (43) (45) 5°.» (51) (52) (53) (54) facendo perciò seguire la proiezione sghemba, sul piano u, mediante corde della cubica (8), da una trasformazione quadratica arbitraria, coi punti fon- damentali 1, 2, 3, il sistema dei punti (2%) si viene a mutare in un altro che indicheremo ancora coi medesimi simboli e che soddisfa alla proprietà che (i%), (22), (im), (în) sono in linea retta; e questa retta la diremo i(i,%,/,wm, n= 1,...,5). Il sistema lineare rappresentativo della superficie ha, dunque, per punti fon- damentali i 10 vertici del pentalatero 1, 2, 3, 4, 5 ed il punto B. Se ne deduce che la superficie ha 5 punti tripli nei punti A}, A3,...,.A5(!) ed 11 sistemi di cubiche sghembe, così distribiti ele ne passano 6 sistemi per ogni punto triplo, 1 per ogni tre ed 1 per tutti e cinque i punti tripli. « Quest'undecimo sistema è composto di cubiche appoggiate tutte alla retta bd. (*) Nella Nota: « Sulla superficie del 5° ordine con cubica doppia e 2, 3 punti tripli » inserita negli Atti della R. Accademia delle scienze di Modena, vol. IX, serie 22, io ho fatto un ragionamento dal quale risulta in altro modo (cfr. n. 1), che, oltre al punto triplo A; , la superficie ha per punti tripli anche A,..., Au. — 103 — « 5. Siccome 6 punti individuano una cubica, quest'ultima proprietà ci dice che la superficie si può immaginare generata dalle cubiche condotte per 5 punti fissi e per un punto variabile di una retta fissa; epperò si può enun- ciare il seguente risultato che mette in evidenza la simmetria della super- ficie rispetto al pentagono dei suoi punti tripli, cioè : « La superficie del 5° ordine, che stiamo studiando, è la superficie luogo delle cubiche condotte pei vertici di un pentagono gobbo ed appoggiate ad una retta fissa: la sua curva doppiaè allora quella fra tali cubiche che ha la retta fissa per corda. « Utilizziamo questo risultato. Osserviamo dapprima che, dicendo (5) il sistema delle cubiche di cui ora si è discorso, le cubiche di (2) si pos- sono, due a due, distribuire, in 5 maniere diverse, in guisa che esse siano su uno stesso cono quadrico col vertice in un punto triplo. In fatti, dicendo ,° una di tali cubiche e il cono qua- drico che la proietta da A;, questo cono avrà comune colla superficie la curva (A) + (MM) + (mM (in) +-+ gp =; epperò, dovendo essere 4+3+% = 10, sarà y==3, cioè gr = gx. Ma d aveva con g a comune il punto d'appoggio della 4,°, dunque a è si appog- gerà anche 3°; ma gs passa per tutti i punti tripli, perchè per ciascuno di questi y!° dere passare con 3 rami, due dei quali sono quelli di una (eh) (h=Kk,l,m) e quello della 4,5; quindi, se ne conclude, che g,° è pure una cubica del sistema (8). « Ora, considerando il fascio delle quadriche che ha per base (8) + 5, una qualunque di queste quadriche taglia la superficie ulteriormente in una cubica sghemba di (0); e questa, proiettata da A;, dà un cono quadrico. Vice- versa. dato uno di questi coni quadrici, siccome esso taglia la superficie se- condo due curve di (2), per mezzo della costruzione precedente gli vengono a corrispondere due quadriche del fascio (8) + 4. La corrispondenza fra i coni del fascio A;(Ax, A:, Am, Ax) e le quadriche del fascio (8)-+d che così viene a porsi, per mezzo della superficie, è dunque una (1,2); e noi ab- biamo quindi, facendo che B; prenda la posizione di tutti i 5 punti tripli, il seguente risultato : «La superficie può essere ottenuta in 5 modi diversi per mezzo di un fascio di quadriche con base decomposta ed un fascio di coni quadrici in corrispondenza (1, 2). « 6. Prima di trar profitto da quest'ultimo risultato, torniamo alla rap- presentazione piana. Quanto si è detto al principio del numero precedente intorno alla distribuzione, due a due, delle cubiche del sistema (0) ci mette in grado di poter dire che le immagini di tali cubiche costituiscono in 5 modi diversi una involuzione, e che tutte le 5 involuzioni così ottenute sono armo- — 104 — niche ad una stessa &, della quale iraggi doppi e, / costitui- scono, insieme ai lati del pentalatero 12...5, l'immagine della cubica doppia (!). «I punti di e, f, due a due, l'uno su e, l’altro su /, rappresentano uno stesso punto della cubica (8), e sì corrispondono su queste due rette. proiet- tivamente. In fatti, poichè una retta qualunque ‘del piano rappresenta una quartica razionale della superficie, epperò la quartica ulteriore sezione di questa con una quadrica arbitraria condotta per la (8), la quartica imma- gine della congiungente i punti immagini di uno stesso punto della (8) avrà in questo un punto doppio, e sarà quindi l'ulteriore sezione della superficie col cono quadrico proiettante da quel punto la cubica (8). Ora nel sistema dei coni quadrici che dai diversi punti di (8) proiettanu la (8), ve ne sono due che passano per un punto arbitrario dello spazio, ed in particolare per un punto della superficie; sul piano rappresentativo passeranno dunque due lette ciascuna delle quali congiunge i punti immagini di uno stesso. punto della (8); vale a dire che l’inviluppo di queste rette è una co- nica 4, tangente ad e, f: questa conica è, evidentemente, tangente ai 5 lati del pentalatero 12...5; e, quindi, il problema della costruzione dell'im- magine della cubica doppia si riduce a quello, quadratico, di condurre per B le tangenti a 4. «7. È importante di osservare che, posto d.(8)= E, F, il cono proiettante da E, o da F, la (8) riesce tangente, lungo la (8), alla. superficie. La sezione ulteriore di questa con quel cono si compone, in fatti, della % e di una cubica che passando per E, o per F, ed essendo circoscritta al pentagono dei punti tripli, coincide con la (8). Noi, dunque, possiamo intanto dire che lungo la cubica doppia le due falde della superficie si com- portano come quelle di due coni quadratici, dotati di una generatrice comune, lungo la cubica loro ulteriore sezione; o, in altri termini, ciò che fa lo stesso: l’inviluppo dei piani tan- genti lungo la cubica doppia è l'insieme dei due conì qua- drici: E.(8)==(E), F.(8)=(F); e di questi due coni l'uno è toe- cato dall'uno, l’altro dall'altro dei piani tangenti in uno stesso punto. Si capisce che, in questo enunciato si escludono i piani tan- genti nei 5 punti tripli, i quali, in qualche modo, potrebbero anche dirsi tan- genti lungo la curva doppia. Del resto, fra questi piani appartengono agli inviluppi (E), (F) quelli tangenti lungo le generatrici doppie dei coni cubici corrispondenti. « Un punto della conica 4 essendo l'intersezione di due tangenti infi- nitamente vicine, le quartiche della superficie, con un punto doppio sulla (8), (1) In generale, si ha che la cubica doppia di una superficie del 5° ordine, che ne possiede, ha per immagine, sul piano rappresentativo, una curva del 7° ordine (cfr. Clebsch. Math. Annalen, t. III). o — avranno un inviluppo, e questo sarà dell’ 8° ordine perchè 4 è tagliata dalla immagine di una sezione piana arbitraria in 8 punti. Quest’ inviluppo lo di- remo 4'; e poichè 4 è toccata da e, / nei punti che insieme a B dànno le immagini dei punti E, F, 4° è tangente alla cubica doppia nei punti E, F. Poichè, inoltre, e, 7 hanno ciascuna a comune un punto con 1,..., 5, 4° passa per tutti e 5 i punti tripli; e ne concludiamo questo risultato che contri- buisce a dare una nozione più chiara della superficie, cioè: Sulla super- ficie le quartiche sghembe, dotate di un punto doppio sulla cubica doppia, hanno per inviluppo una curva dell’ 8° ordine, circoscritta al pentagono dei punti tripli, ed appoggiata alla cubica doppia nei punti E, F; il passaggio pei punti tri- pli, e questo appoggio, seguendo col toccare la (8). « Cerchiamo ora le coniche e le cubiche, piane o sghembe, isolate che la superficie possiede. Evidentemente le coniche sono quelle che corrispon- dono alle rette (ik). (mn) dove 7%, mn sono due combinazioni binarie dei numeri 1,2, ...,5 non dotate di elemento comune, e quelle che corrispondono alle rette B.(ik). 5.4.3:2 8 di 10; abbiamo dunque che sulla superficie vi sono 25 coniche, 10 delle quali nelle facce del pentagono dei punti tripli, ed appoggiate alla retta è; delle 15 rimanenti ne passano sei per ogni punto triplo, e quelle che passano per À; si appog- giano una ad una alle sei rette (£/)(6,4,0=1,... 5). « Si può aggiungere che fra le coniche della 1* specie, due qualunque non hanno all'infuori dei punti tripli, punti comuni, mentre che fra le co- niche della 2* specie una qualunque ne incontra otto della prima e due della propria specie. Vi sono poi, nella 2° specie, 12 coniche incontrate da una della prima. « Accanto alle 15 coniche della seconda specie abbiamo 15 cubiche piane: queste completano la sezione dei piani di quelle coniche colla super- ficie. Esse banno per immagini le coniche condotte per B e circoscritte ai quadrilateri semplici contenuti nel pentalatero 12...5; si appoggiano perciò ciascuna ai quattro lati di un determinato quadrangolo formato. coi vertici del pentagono dei punti tripli, ed hanno, tre a tre, in ciascuno di questi punti tripli, un punto doppio. «8. Finalmente, considerando il pentagono. 1, 2,..., 5 troviamo che esso può in 12 modi diversi essere considerato come pentagono semplice ; e cor- rispondentemente si hanno sul piano rappresentativo 12 pentilateri semplici. A ciascuno di questi è circoscrittibile una conica, alla quale corrisponde sulla « Le prime sono in numero di 15 == , e le seconde in numero oa superficie una cubica che non incontra la retta 4, ma che incontra 5 delle rette (7%). Noi, dunque possiamo, dire che all'infuori dei sistemi già descritti di cubiche sghembe la superficie ne possiede al- tre 12, ciascuna delle quali è appoggiata ai 5 lati di un de- terminato pentagono semplice formato col pentagono dei punti tripli. Ognuno di queste cubiche è poi appoggiata in 4 punti alla cubica doppia ed alla curva 4°. « Per una nozione più chiara della forma della superficie, oltre alle nozioni precedenti, giova l'osservare che la superficie stessa è a falde reali, o non, lungo la curva doppia secondochè B è esterno o interno a 4, cioè secon- dochè è è una corda appoggiata in punti reali o in punti immaginarii alla (8). SONE « 9. Considerando il fascio di quadriche che ha per base la (8)+(7%), e ragionando come nel n. 5 della mia Nota: « Altre proprietà della sup. ecc. », I. c., noi troviamo che la superficie si presenta come luogo delle intersezioni degli elementi corrispondenti delle quadriche di quel fascio e dei coni cubici (razionali) di un sistema di indice 2 in corrispondenza univoca, coni dotati di 4 generatrici comuni, le (:%), (22), (2), (în) e di comune vertice A;. Di fasci quali quelli di base (8)+-(iX) ve ne sono 10, e per ognuno di essi sì hanno due sistemi di coni cubici, uno col vertice in e l’altro col ver- tice in #; noi dunque possiamo dare quest'altro enunciato che fornisce altri modi di costruzione della superficie : «La superficie del 5° ordine con 5 punti tripli, ed una cubica doppia, si può, in 20 maniere diverse ottenere, come luogo delle intesezioni degli elementi corrispondenti di un fascio di quadriche con base decomposta ed un sistema, d'indice 2, di coni cubici razionali in corrispondenza uni- voca. Questi modi sono coordinati, due a due, alle 10 rette della superficie uscenti dai punti tripli. « 10. Procedendo ora come al n. 6 della mia Nota citata si ha che, cor- rispondentemente ai precedenti modi di generazione, la superficie si presenta in 20 maniere diverse come caso specializzato delle superficie del 7° ordine a quartica doppia contenute nel tipo. fi Prof fa Pot fa pae = 0 (9) ove /,, f» sono forme quadratiche nelle coordinate «1, ..,%4 di un punto, e 41, Pr, 43 sono funzioni cubiche omogenee delle quantità : Fi (by84), de= (vata), Fs == (@852) (10) ed ove &;, 8, yi, &; sono le coordinate dei vertici di un tetraedro arbitrario. Senonchè, oltre alle condizioni in quella Nota enunciate, per la scelta delle f e delle 4, ne occorre ora una muova per le g, ed è che i coni cubici g,= 0, ga = 0, ga =0 — 107 — abbiamo 4 generatrici comuni. Come allora, per virtù di tutte queste con- dizioni, dalla (9) si viene a staccare un fattore lineare contato due volte, sicchè nell'equazione restante si ha quella di una superficie come vogliano; e come inoltre, per virtù delle (10) scritte nella forma : del RE CORTI OAERICIET e delle sostituzioni 2;= w; (f = 1,..., 4) l'equazione (9) diventa quella di un connesso piano-retta (3,4), così, avendo ciò luogo in 20 modi diversi, noi possiamo dire che : « La superficie del 5° ordine,con 5 punti tripli e cubica doppia, può, in 20 modi diversi, essere ottenuta quale super- ficie polare congiunta rispetto ad un connesso piano-retta (3, 4) e ad una quadrica. In ognuno di questi modi di produzione la superficie si trova accompagnata da un piano, contato due volte. « 11. L'ultimo teorema del n. 5 ci dà un analogo ed importante risul- tato. Per esso teorema la superficie si presenta come caso di degenerazione della superficie generata dai sistemi: Agp, + ug, = 0 VI. EVO: = cioè della superficie Gio fi + prfa == 0 (12) ove 1, gg» sono funzioni quadratiche della è, de, ds ed Aa, /» funzioni qua- dratiche arbitrarie delle coordinate 1, ..., 44 di un punto. Perchè la (12) sia una superticie quale noi la vogliamo, la quartica /1 = 0, /2==0 si deve decomporre in una cubica g* edin una sua corda 4; È, non deve essere su d ma su g?. Allora, detti, p. e., %;, #; i punti d.g8, dalla (12) si stacca il fat- tore (£h4'7) e l'equazione rimanente sarà quella di una superficie come vo- gliamo. Se in (12) si fanno le sostituzioni (11) e le x;=w;(7=1,..,4) noi avremo questo risultato: « Vi sono 5 enti connessi (4,2), rispetto a ciascuno dei quali, e rispetto ad una quadrica, la superficie è polare con- giunta di un suo punto triplo. Anche in questo modo di generazione la superficie viene accompagnata da un piano, ma semplice ». Fisica. — Sulle equazioni della rifrazione della luce. Nota di STEFANO PAGLIANI, presentata dal Socio CANNIZZARO. « In una Nota precedente (') ho dimostrato che per il potere induttore specifico, o costante di dielettricità dei composti liquidi si possono avere le due relazioni : 2 Dirt LSM Do Lf U == GOS è D M a 0,9) (1) V. pag. 48. RenpIcoNTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 15 — 108 — nelle quali M è il peso molecolare del corpo, U il suo volume molecolare, N il numero degli atomi contenuti nella molecola, il valore delle due co- stanti dipendendo dalla natura dei composti, variando cioè alquanto da una serie all'altra. « Quindi il potere induttore specifico può in generale essere dato dalle due espressioni : DEE cu pai oppure D= ATE Ù M SERI 1-n]/$ essendo y e y, due costanti il cui valore dipende dalla natura dei composti e che cioè varia alquanto da una serie all'altra. « La prima espressione di D dimostra che, al crescere del rapporto fra il volume molecolare ed il numero degli atomi, deve crescere per una data serie di composti il potere induttore specifico. Presentano qualche eccezione gli idrocarburi, per i quali però le piccole differenze fra i valori della costante di dielettricità danno molta incertezza ad ogni deduzione intorno alla loro variazione. « Il detto rapporto fra il volume molecolare ed il numero degli atomi possiamo considerare come esprimente il volume atomico medio; ed analoga- mente ai volumi molecolari, questi volumi atomici medî rappresenterebbero volumi contenenti nelle stesse condizioni ugual numero di atomi, cosicchè starebbero in ragione inversa dei numeri di atomi contenuti nell'unità di vo- lume. Ora la relazione a cui siamo giunti esprime che al crescere del volume atomico medio, ossia al diminuire del numero degli atomi contenuti nell'unità di volume, deve corrispondere un aumento nel potere induttore specifico, ed è appunto quanto si verifica generalmente nelle diverse serie di composti liquidi. « Però sul valore del potere induttore specifico influirà sempre la natura ed il modo di aggruppamento di questi atomi e cioè la natura del corpo, ragione per cui noi troviamo composti aventi presso a poco lo stesso volume moleco- lare e certo lo stesso peso molecolare e lo stesso numero di atomi per mo- lecola, e che tuttavia hanno un potere induttore specifico diverso. Del resto le differenze nel valore delle costanti, per le diverse serie di composti, devono dipendere appunto dalla influenza ora accennata. « Equazioni della rifrazione. Sostituendo a D nelle due espressioni ge- nerali, a cui siamo arrivati 7°, otterremo: n° 1 M ne—1 N di = e eg = 008% «“ Ho calcolato queste costanti valendomi dei risultati di Landolt e Jahn, i quali hanno determinato gli indici di rifrazione per diverse righe dello spettro, per gli stessi composti, per i quali determinarono le costanti di die- — 109 — lettricità, e ne dedussero poi le costanti della formola di dispersione di Cauchy. «I calcoli fatti cogli indici riferiti alle diverse righe dello spettro e colla costante A di Cauchy avendomi dato per le costanti valori poco diffe- renti, per la verifica delle dette relazioni mi servii soltanto dei valori di A. « Nella tabella seguente sono posti a raffronto i valori delle costanti otte- nuti per la relazione Lorenz-Lorentz, da Landolt e Jahn, con quelli per le due da me dedotte. n1 1 ZI N| 2-1 N n+2 d n° M ga Permbano ss e eitiuo 0,3844 0,2452 0,0745 Rssano ge se n n 0,3388 0,2246 0,0720 Octanoge o e 0,3351 | 0,2304 | 0,0778 DEGNO Sr EE ee Di, 053331 012325 ‘(030803 Amilentisfagacahi cibo oa 0,3436 | 0,2181 | 0,0673 Essence are 0,3419 | 0,2223 | 0,0709 Vctileneei eee e 0,3362 | 0,2276 | 0,0764 MEER MONTA IA 0,3310 | 0,2348 | 0,0709 Renzeng inoge siediti sal 0,3203..!0,2126.|..0,0737 Rolenesce satanici 0,3228 | 0,2180 | 0,0766 iupezene ste 0,3226 0,2230 0,0804 OrtOx ene re Ree eeeeee r0.3 2920 02249 00820 MetamdlenetRe cano, 0,32420000122277 0,0797 Paraxilemecgsvnitele. allob 0,3246 |..0.2225 0,0794 Propilbenzene. Sr se. 0,3223 | 0,2247 0,0814 Isopropilbenzene . . ... . 0,3233 | 0,2258 | 0,0316 MIEI ENO e alan | 0,3250 | 0,2258 | 0,0817 Pseudocumene. 00. 0.0 0,3234. | 10,2281 0,0842 Isobutilbenzene . ...... 0,3225,|.0;2285. | 0,0823 Cimene iaia. 0,3243 | .0,2277 | 0,0811 ATEO OE MELI LICOrENERe ee 0,2512 | 0,1853 | 0,0638 ” etilico: +93@gfia 2190 0,2699 | 0,2003 | 0,0711 na uipropilicotale sHe.eh: 0,2841. | 0,2109 | 0,0762 ” ISO Utili co Rane 0,2919 | 0,2159 | 0,0782 ” TICO 0,2969 ' 0,2210 ‘ 0,0813 « Anche qui ritroviamo una maggior concordanza nei valori delle co- stanti delle espressioni da me trovate, sia fra di loro in ciascuna serie, sia per le diverse serie, che non per la relazione Lorenz-Lorentz. « Dimodochè mentre per la costante di quest’ ultima abbiamo una sepa- razione decisa fra gli alcoli e gli altri composti, per le altre abbiamo che i valori rientrano quelli di una serie in quelli di un’ altra, cosicchè presso a poco non si distingue l’una serie dall'altra. Perciò le mie equazioni hanno — IO. un carattere di pressochè completa generalità. Comprovano ciò anche i valori che si calcolano per gli eteri con valori di » dati dal Tereschin. n_1 1 L1,/N 21N n+2 d ne M DET Formiato di etile. ...... 0,1149 0,174 0,063 ” n cvamile-. 0. 0,1159 0,206 0,071 A'cetato 6. imesile e 0,1453 0,180 0,066 ” > nretilep Nn: 0,1356 0,189 0,068 ” n (propile al: 0,1313 0,193 0,071 ” » isobutile .. . 0,1268 0,208 0,078 ” » camile;. \\ ae 0,1204 0,210 0,078 Buticrato nu , 18, 1884) aveva già dato una relazione fra il calore di vaporizzazione, la temperatura assoluta di ebol- lizione T ed il peso molecolare M espressa da 7 = € do. che varia da serie a serie. Detta relazione R. Schiff (Lieb. Ann. 234, 1886) trovò confermata dalle sue determinazioni del calore di vaporizzazione. Obach combinando la sua relazione con quella di Trouthon dedusse la seguente in cui C è una costante espressione della costante di dielettricità : D=0 +, e trovò che i valori calcolati con essa presentano un accordo soddisfacente con quelli dati dal- l’esperienza. « Combinando le espressioni dell’Obach con quelle da me sopra dedotte arriviamo alle seguenti altre relazioni: À = K : = e IT == K' MR oo M M le quali ci dimostrano che il calore di vaporizzazione dai composti di una serie andrà diminuendo nella serie se il rapporto N diminuisce, ciò che è il caso generale. « La temperatura di ebollizione invece crescerà sempre col peso mole- colare. Queste deduzioni sono confermate dai risultati sperimentali. « Relazione Runolfsson. — Recentemente Runolfsson (Comptes-rend. dec. 1892) credette di trovare una relazione fra il calore molecolare ed il potere induttore specifico, secondo la quale il rapporto fra il primo ed il secondo sarebbe costante ed uguale a 6,8, e lo stesso per tutti i corpi allo stato solido, liquido e gassoso, almeno ad una stessa temperatura. « Riguardo a questa relazione osservo che è bensì vero che la costante di dielettricità per i gas e vapori è generalmente poco differente dalla unità, ma il calore molecolare a pressione costante è nel maggior numero dei casi di- verso da 6,8, e può variare da 9,42 a 35,2 anche solo per quei gas e vapori di cui già sì conosce il potere induttore. « Per i liquidi basta citare i seguenti composti, di cui si assumono per il confronto i calori molecolari a 20°. — 12 — Me GE D TASTE GE OLE DIR ROD > @LMICO, »e eg 4,02 | 26,5 PRPROPILI COR | 4,93 | 22,8 BENZenera dc le MESI 245, TONER O bro 2690 « Si vede adunque che questa relazione non si verifica nemmeno per i liquidi. Nè abbiamo alcuna ragione finora di modificare il peso molecolare dei composti, come vorrebbe l’autore, per adattarlo ai valori del potere indut- tore specifico dati dall'esperienza, in modo che ne risulti verificata la detta relazione, la quale d'altra parte non ha fondamento teorico. « Relazione Joubin. — Questa relazione, come si è veduto, si può scri- vere sotto la forma io di x . Avendo però in questa Nota. dimo- n ZAN strato essere una espressione generale la seguente: e 7” | É pupever rebbe che affinchè la relazione Joubin fosse generale dovrebbe anche verifi- o, ag 1 i ì tie ag 5 carsi l’altra I, = cost., ilche non è possibile; quindi la relazione Joubin non può essere una relazione generale ». Fisica. — Sulla conducibilità elettrica dei sali disciolti in Gli- cerina ('). Nota del dott. prof. CARLO CATTANEO, presentata dal Socio BLASERNA. « In una mia prima Nota(*): Sulla conducibilità elettrica dei sali in vari solventi, nella quale è indicato minutamente il metodo seguito nelle varie operazioni sperimentali e nelle varie misure, travansi raccolti i risultati da me ottenuti in seguito alle determinazioni eseguite coi sali: Ioduro di Cadmio, Bromuro di Cadmio, Cloruro ferroso, Cloruro ferrico, Cloruro di Alluminio, Cloruro mercurico, sciolti nell'acqua, nell’alcool e per alcuni anche nell'etere. Facendo ora seguito alla Nota sopracitata espongo qui i risultati ottenuti collo studio di altri sali solubili in Glicerina e cioè: Cloruro di Ammonio, Cloruro di Sodio, Cloruro ferrico, Cloruro di Zinco, Cloruro di Bario, Ioduro potas- sico e Bromuro potassico. « Per quanto si riferisce alle misure di resistenza delle soluzioni, alla (1) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Fisica della R. Università di Siena. (2) Atti R. Accad. Torino, vol. XXVIII, aprile 1893. i — preparazione dei tubi di resistenza e loro capacità di resistenza, alla prepa- razione delle soluzioni titolate ed ai calcoli relativi, rimando il lettore ai para- grafi 2°, 3° e 4° della Nota sopracitata. Asgiungerò qui soltanto che la pre- parazione delle soluzioni titolate e le misure elettriche costituirono operazioni assai delicate e pazienti, ed importarono un tempo assai lungo, specialmente per evitare tutte quelle cause di errore che potevano provenire dalla visco- sità della glicerina, dal suo potere assorbente per l’acqua e dal ritardo col quale essa si mette in equilibrio di temperatura coll’ambiente. Ripetendo però parecchie volte le prime determinazioni fino a trovare risultati concordanti ho potuto mettermi in grado di procedere con sicurezza. « La glicerina chimicamente pura proveniva dalla ditta Kahlbaum, i sali dal Merck. Fu mia prima cura di determinare la densità a 0° del detto sol- vente e risultò d, = 1,2567. In base alla formula (!): 100 (pw — 1,266) © p(1,000 — 1,266) ove con 4 sì indica il peso di acqua contenuta in 100 parti di glicerina, con 1,266 il peso specifico della glicerina anidra, con p il peso specifico di quella presa in esame, ho trovato che essa non era perfettamente anidra, ma conte- neva all'incirca il 2,5 per 100 di acqua. Ho determinato poi ripetutamente la sua conducibilità elettrica ed il suo coefficiente di temperatura per due porzioni diverse che durante il corso delle esperienze erano state tenute in recipenti diversi, stappato ogni qual tratto più o meno per le pesate e la pre- parazione delle soluzioni titolate. Nella Tavola 1* sono raccolti i risultati ottenuti, e dando ad essa uno sguardo risalta tosto il valore assai grande del coefficiente medio di temperatura, fra circa 24° e 0°, valore che si ripete dello stesso ordine di grandezza anche per tutte le soluzioni gliceriche studiate; tale fatto può trovare la sua spiegazione nella forte variazione di viscosità della glicerina al variare della temperatura. Anzi le mie determinazioni d'ora com- provano appieno la regola già stabilita tempo addietro dal Bartoli (?) secondo la quale i composti del carbonio che col raffreddamento diventano molto vi- scosi sono quelli la cui conducibilità cresce più rapidamente colla temperatura; fra tali composti il Bartoli annovera appunto la Glicerina. « Non sono a mia conoscenza lavori nei quali sia stato dato il valore della conducibilità elettrica della glicerina chimicamente pura; però in uno studio di fisico-chimica il Magnanini (3) ha avuto luogo di determinare la conducibilità di una soluzione acquosa di glicerina avente il peso specifico 1,1077 a 13°.3 e per essa ha trovato a 25° il valore C = 0,00000000228. « Tanto nella tavola 1* come nelle seguenti indico: con p il peso in grammi di sale su 100 di solvente, con m la ricchezza molecolare della soluzione, (?) Enciclopedia del Selmi. Vedi Glicerina. (*) Bartoli, Nuovo Cimento, tomo XX, 1886, p. 124. (8) Magnanini, Gazzetta Chimica 1890, vol. XX, pag. 429. con E il peso equivalente del sale, con'e la conducibilità elettrica specifica della soluzione, con e quella del sale, con S quella del solvente puro, con K la conducibilità elettrica molecolare del sale, con 4 il coefficiente medio di temperatura delle soluzioni calcolato colla for- mula IT (ima ove # e / oscillarono rispettivamente fra 0° e na t circa 24°, cioè fra le due temperature estreme a cui si eseguirono le misure di resistenza. con @, 8 le costanti della formula di secondo ordine: Cr== Co(1-+ at + Pt?) mediante la quale si può esprimere con sufficiente approssimazione, anche per la glicerina, la conducibilità di una soluzione alquanto diluita alla tempera- tura £ in funzione di quella a 0°. Siccome però le curve della conducibilità in funzione della temperatura si mostrano (alle basse temperature) più incli- nate rispetto all'asse delle ascisse (asse delle conducibilità) che alle alte, così per una approssimazione maggiore sì renderebbe necessaria una formula di terzo ordine. I coefficienti @ e furono calcolati con un sistema di due equa- zioni simultanee in base ai dati numerici raccolti nelle tavole 2%, 4%'e 6%; per le soluzioni di cloruro d'ammonio furono presi in considerazione i valori co (sperimentale) e €10, Cso (dedotti dalla curva), e per le altre. il valore a 0°, quello alla temperatura più alta osservata e uno intermedio. « Le esperienze più numerose furono fatte col cloruro di ammonio, il primo sale studiato; furono queste prime misure che mi servirono di guida sicura per tutte le altre. I dati da me ottenuti colle soluzioni di cloruro di ammonio in acqua ‘ed in alcool sono assai concordanti con quelli ottenuti anni or sono dal Vicentini ('). Seguono ora le Tavole: TavoLa 1% — GUicerina C3Hz 03 t | c. 109 | a | « | BORN | Ge 10° | 4 | « B Prima porzione | Seconda porzione NEAR n ii o 17,61 0,00965 | — —_ — 10,8] 0,00614| 0,25| 0,0243 0,00921 16,0| 0,09843 — 0,0] 0,00263| — — = 14,8] 0,00784 | 0,22|'0,0435|0,00852 — | i | st 11:7|(000561| = |f= = al PORBea MOTI: i È 5:9\(0/00358|| GSi NN® Mv | e e EI 0,0|0,00216| — | — Wo! bi oltog#t aly 1 E sr 18° [(0,00988)| — | — EE 180 (00116) ei — (1) Vicentini, Memorie R. Accad. Torino, tomo XXXVI, 1884. — Td., Atti R. Accad. Torino, vol. XX, 1885. — 115 — TavoLa 2% — Cloruro di Ammonio — Soluzioni in Glicerina. Jie De | DÀ 0, da 6° (7a 82 p=0,0038 || p=0,0170 | p=0,0448 | p=0,0779||p—0,3908|| p=0,6350 | p—0,9383|| p—=1,4106| Mr | SS RS I Ì | E] 1 0A SO) c.10°||t |c.10|| # | c.10%| + le 10°|| # |c.109] (o) 0 0) e (o) o o 21,4/0,0729;| 23,4/0,323 || 21,3| 0,684 || 21,1| 1,21 ||22,5| 6,83 || 21,8] 9,54 || 21,8] 13,7 ||21,4|20,2 17,9,0,0539, 21,8|0,290 || 18,4| 0,544 || 17,4! 0,961 || 19,4| 4,92 || 16,9) 6,58 || 17,6| 10,2 ‘16,6 14,0 13,610,0377|| 20,1/0,251 || 14,9] 0,412|13,6| 0,674 || 17,6| 4,30 || 13,2] 4,89 || 13,1| 7,06|/13,2|10,7 8,8/0,0245||17,6:0,210 6,4|0,196|| 10,0 0,496] 15,8) 3,74 !| 11,4| 4,25 4,2) 3,36|| 7,2| 6,29 4,6/0,0157|| 9,2/0,107 0,0| 0,121 3,4| 0;297 || 10,2| 2,37 6,0) (2,59 ,0|! 2,31.|| 3,8| 4,65 ,0|0,0128]| 4,9/0,0705)| — = ,0| 0,209 6,3 1,67 0;0| 1,59 || — _ 0,0 | 3,50 - | cRRFraa««CQERRRSS Î TavoLa 3% — Cloruro di Ammonio NH,Cl E | D | Mis | cre. 10°| c‘18. 10°\K;s.108| 4 a | B | Osservazioni Zi Ì Soluzioni in Glicerina. 1 | 0,0038| 0,00088| 0,0564| 0,0465] 5,284 | 0,25 0,0327| 0,00931 E=NH.Cl 2 | 0,0170| 0,00396| 0,216 0,206 | 5,202 | 0,25 | 0,0831| 0,00696 SII 3 | 0,0448| 0,01044 ,530 0,520 | 4,98 | 0,22|0,0615| 0,00715 4 | 0,0779| 0,0182 0,992 0,982 | 5,39 | 0,23 | 0,0543| 0,00830 5 | 03908| 0,0909 | 444 | 443 | 487 |0,23|0,0539| 0,00757 0,00000000000988 6 | 0,6350| 0,1473 7,46 I/P161: 4,82 | 0,23 | 0,0635| 0,00732 7 | 0,9883| 0,2169 | 10,5 |10,49. | 4,83. |0,23|0,0709|0,00716 8 | 1,4106| 0,8248 | 15,8 15,79 4,86 | 0,22 | 0,0601| 0,00757 Soluzioni in Acqua. 1 | 0,005 | 0,00093| 11,7 10,4 1120 |0,028| — == 2 | 0,008 | 0,00149| 19,9 18,5 1240 |0,028| — 2 covo siNnaise 3 | 0,184 | 0,0344 | 337 33,6 977 [0,028] — de Soluzioni in Alcool. 1 | 0,0050| 0,00072| 2,17 | 2,08 289 |0,021| — Oi RI Spe 2 | 0,0094 0,0018 4,08 3,99 307 |0,021| — — 0,0000000000939 3 | 0,0520| 0,0077 | 16,6 16,5 214 |0,019| -— Lo 4 (0,1710 0,0253 | 425 1424 167 (0,023) — | — ReNDICONTI. 1893, Vol. II, 2° Sem. 16 eee EEE«=##&# Numero UT ODI Ut DO DI — 116 — TAvoLA 4% Soluzioni in Glicerina — Cloruro di Sodio e Cloruro ferrico. 1a 2a | ga | 42 5a Cloruro di Sodio. p=0,0055 p=0,0410, p=0,0760 | p=0,3170||p—1,1960 c. 109) % |a 109| & [e 109, Ù Ì Ì É t |c. 10°} + fc. 10: Î o | (0) € 292,1 0,0864 21,6 0,545 | 21,9 0,942 112 2, 4 3,76 | 21,6 12,2 11,0 0,0357 16,2|0,358 18,2 0,717 19,2 2,91 | 10,7 5,29 0,0/0,0146| 2,9/0,109 | 9,9 0,877. | 15,3] 2,15 7,0, 3,97 =S — | 0,0(0,0870| 0,0/0,154 || 9,4|1,30 30 1597 —_ = | —_ — —_ 0,01 0,586 | — | — Cloruro ferrico p= 0,0044 | p=0,0282)| p—=0,0563 || p=0,0859 || p=0,4387 | 1 0,0708) 23:0|0,423 9,8/0,0115| 93/0,157 || 10,8/0/339 i 0/0,0108|| 0,0/0,0729|| 0,0|0,132 Li d'a TAVOLA 5° Cloruro di Sodio e Cloruro ferrico. — Soluzioni in Glicerina. | p | Mag Cis: 109) c/13. 109|K,g.108| @ « B | Osservazioni Cloruro di Sodio Na CI 0,0055| 0,00117 |0,0645| 0,0546 4,66 | 0,22 | 0,0424| 0,00821 E=Na0l 0,041 | 0,00875 | 0,418 | 0,403 | 4,60 | 0,24 | 0,0622| 0,00839 — 58,50 0,076 | 0,01622 | 0,710 | 0,700 | 4,32 | 0,23 | 0,0748| 0,00727 0,817 | 0,06752 | 2,65 |2,64 3,91 | 0,24 | 0,0473| 0,00876 Sie 1,196 | 0,2525 |9,50 |9,49 3,76 | 0,24 | 0,0748 0,0077 0,00000000000988 Cloruro ferrico Fes Cls 0,0044| 0,000339| 0,448 | 0,438 | 129 0,23 | 0,0111| 0,0091 E=3 Fe. Ck 0,0282| 0,00217 | 0,307 | 0,297 |13,6 |0,21|0,0668|0,00619 L21692 0,0563| 0,00431 | 0,575 | 0,565 | 13,1 |0,21| 0,0885|0,00573 0,0859| 0,00661 | 0,736 | 0,726 |10,9 |0,21 | 0,0596|0,00632 Sie 0,4387| 0,0337 |2,16 |2,15 6,37 | 0/22 | 0,0362| 0,00794|0,00000000000988 — 117 — TavoLa 6% — Soluzioni in Glicerina. 1a | 9a 92 Bromuro potassico. p=0,0134||p=0,0763|| p=0,4294 t |e. 10°) £ [o 10° £ le. 10° | 232/0,107 || 25,2/0,644 || 225|2,81 | 13/2/0,0492| 1270221 || 79/0.866 VO 0,0789|| 0,0/0,450 | ,0169)| 0,0 Joduro Potassico | p=0,0105 || p=0,0720 pia 234|2,06 | 24,0|0,0689|| 24 "o, 444 loan 34 9,6|0,0240) 17,90,236 || 7,0/0,513 0,0|0,0103|| 0,0 0,0656 | 0,0 0,287 Clor. di Zinco | Clor. di Bario p==0,0055 | p==0,0082 24.0|0,0621 | 24°7|0,0646 7,8|0,0164 |! 6,6 0,0180 0,0 ,0|0, 00988 | Do 0,00811 TavoLa 7% — Soluzioni in Glicerina. È | p | Mag C13-109| ‘18. 100 Ku 10 a « | R | Osservazioni ] Z Bromuro potassico K Br. 1 | 0,0134| 0,00406 | 0,0736| 0,0620 | 1,527 | 0,23 | 0,0288| 0,00875|E= XBorp 118R 2 | 0,0763| 0,00802 | 0,367 | 0,355 4496 _ 3 |.0,4294| 0,0448. | 2,05. | 2,04 4558. | 0,28 0,0543 0,00795 (OOo oNAnDOnIOe Joduro potassico KI. 1. | 0,0105| 0,000789| 0,0467| 0,0351 | 4,448 | 0,24 | 0,0732| 0,00684| E= KI= 165,9 2 | 0,0720| 0,00541 | 0,239 | 0,227 4194 0,24 — 3. |(0,4278| 0,0320 | 1,398 | 1,386. |4,381 |0,26 | 0,0491 0,00923 Sig = idem Cloruro di Zinco Zn Cl, 1 |0,0055| 0,001 |0,0409| 0,0293 | 2,93 0,9 | 0,0448] 0,00789|E=3 22 Cle= 68 ) Sig= idem Cloruro di Bario Ba Cl 1 | 00082] 0,001 |0,0440|0,0324 | 3,24 [928 | 1500] 000595]; to 18=" idem — 118 — « Per i confronti e le discussioni finali che verranno poi fatte in una Nota ulteriore, le tavole numeriche della mia prima Nota e quelle della presente potranno servire anche a determinare per ogni sale e per ogni solvente il va- lore della conducibilità molecolare per m = 0,001; però siccome ho creduto inutile ripetere determinazioni già fatte da altri sperimentatori (per le solu- zioni acquose di cloruro di sodio, cloruro di zinco, cloruro di bario e ioduro potassico e per la soluzione alcoolica di cloruro di zinco) così, nell'intento di preparare qui unito nelle stesse Note tutto il materiale opportuno, riporto in- tanto i valori delle conducibilità molecolari a 18°, per #2 = 0,001, delle solu- zioni acquose dei sali da me ora studiati in glicerina e non in acqua, valori tolti da una Memoria di Kohlrausch (!): Na Clero: LOs_aioto Zn Cl, 990 Ba Cl, 1090 KI 1200 « Per il bromuro potassico il valore K,g3. 10° = 1080 fu da me otte- nuto direttamente collo studio di una soluzione espressamente titolata ad m= 0,001; per il cloruro di zinco nell’alcool si può con approssimazione . ritenere Kg. 108 = 10, valore dedotto dalla tavola 8* del lavoro del Vicen- tini, già citato, sulla conducibilità elettrica delle soluzioni alcooliche di alcuni clorari. «I sali ed i solventi studiati nell’antecedente e nella presente Nota essendo ancora in numero limitato, non è possibile per ora di poter ricavare dai risultati numerici esposti fin quì, leggi generali e relazioni che forse po- trebbero esistere fra la natura del sale, le proprietà fisico-chimiche dei sol- venti e la conducibilità elettrica delle soluzioni; mi limiterò per ora soltanto ad accennare alle seguenti conclusioni parziali che in certo modo parrebbero scaturire dagli studi fin qui da me fatti su 13 sali e 4 solventi : « 1. In generale la conducibilità elettrica delle soluzioni saline acquose è maggiore di quella delle soluzioni corrispondenti alcooliche, questa di quella delle gliceriche, e quest'ultima di quella delle eteree. « 2.2 Per tutte le soluzioni acquose, alcooliche, gliceriche la conduci- bilità elettrica non cresce proporzionalmente alla concentrazione ma alquanto più lentamente. Per le soluzioni eteree invece cresce più rapidamente. « 3.2 La conducibilità molecolare dei sali nell'acqua cresce col cre- scere della diluizione, nell’alcool cresce pure per i cloruri ma per i bromuri e ioduri invece diminuisce; nell’etere diminuisce per tutti, nella glicerina cresce per i cloruri. «4.3 In generale i coefficienti di temperatura hanno un valore più grande per le soluzioni acquose che per le alcooliche; per le soluzioni eteree (1) Kohlrausch, Annal. Physik and Chemie. Band. XXVI, 1885. — 119 — sì avvicinano in valore assoluto all'ordine di grandezza dei coefficienti delle acquose ma sono negativi; per le soluzioni gliceriche poi i detti coefficienti hanno un valore assai elevato. « Il presente studio sperimentale è in continuazione; rimando quindi ad altre Note successive i risultati di altre determinazioni con nuovi sali e nuovi solventi, e ad una Nota finale la discussione generale dell’argomento. « N. B. A proposito del comportamento speciale da me trovato nella conducibilità elettrica delle soluzioni saline eteree (1), per le quali la condu- cibilità elettrica diminuisce al crescere della temperatura (comportamento che finora per le soluzioni saline non era stato riscontrato) credo opportuno aggiun- gere che oltre il Pfeiffer da me allora citato (il quale aveva osservato che tanto l'alcool quanto l'etere, ma purissimi, mostrano una conducibilità che ha i caratteri della conducibilità metallica) anche il Bartoli (2) aveva trovato che la conducibilità della dielilammina decresce continuamente col crescere della temperatura, e che analogamente si comportano le soluzioni degli alcoli C, Hon+e 0 nei liquidi poco conduttori od isolanti ». Geologia. — Za fauna bentho-nektonica della pietra leccese (miocene medio). Nota di Gruseppe DE LoRrENZO (8), presentata dal Corrispondente Fr. BASSANI. « Ma lasciando per ora da parte i precedenti ragionamenti, che dovrebbero essere accompagnati da una lunga serie di osservazioni, ritorno alla divisione del miocene medio, che, dopo le semplificazioni di Suess e Neumayr, ne ha subìto delle altre anche maggiori per opera principalmente di Tietze, Bittner e De Stefani. Nel lavoro da quest’ultimo pubblicato sui terreni terziari superiori del bacino del mediterraneo (4) si trovano esposti i principî della nuova teoria, che considera i piani del miocene medio come altrettante zone batimetrica- mente diverse, con faune differenti, che si succedono in ordine variabile. « Nei depositi di mare basso del miocene medio si possono dunque di- stinguere quattro zone principali, che crescono in profondità con progressione geometrica: zona I o litorale, zona II o delle laminarie, zona III o coral- ligena, zona IV o la più profonda del mare basso. Ad esse corrispondono rispettivamente: la molassa di Torino, l’elveziano, il tortoniano e il langhiano. Facendo ora astrazione dalla prima zona, che, per le ragioni esposte da Neu- mayr e qui sopra citate, non può trovarsi che scarsamente rappresentata, re- (1) Cattaneo, Atti R. Accad. Torino, vol. XXVIII, aprile 1893. (*) Bartoli, Nuovo Cimento, 1° sem. 1886, pag. 52; 2° sem. 1886, pag. 125. (3) V. pag. 91. (4) C. De Stefani, Ze terrains tertiaires supérieurs du bassin de la Méditerranée (Annales de la Soc. ggol. de Belg., t. XVIII, Mémoires, 1891). — 120 — stano a comporre il miocene medio le zone II, III, e IV ovvero i piani elve- ziano, tortoniano e langhiano. « Questi tre piani non possono assolutamente reggersi nel loro antico significato cronologico per il loro variabilissimo ordine di successione. Tale incostanza nella loro sovrapposizione è invece naturalmente spiegata dal fatto, che, essendo essi zone di diversa profondità, i vari spostamenti positivi o negativi della linea di spiaggia hanno portato in essi dei cambiamenti di posto, che possono essere tanti appunto quante sono le permutazioni, o com- 3 binazioni a uno a uno, di tre oggetti ossia -- 6. Indicando quindi con a,b e € rispettivamente il langhiano, il tortoniano e l’elveziano, si hanno le seguenti permutazioni in ordine verticale, che si riscontrano tutte in na- tura, come risulta dalla letteratura stratigrafica del miocene medio: (a dc) (a cb) (ba c) (dc a) (c a db) (c db a) « Abbandonando quindi l'antica cronologia stratigrafica, si deve cercare, studiando la facies di un dato terreno del miocene medio e l'insieme della sua fauna, di assegnare detto terreno a una delle zone batimetriche che costituiscono la zona paleontologica. Ma anche così non è facile andare im- muni da errori, perchè una zona batimetrica non ha limiti biologici e petro- grafici precisi, passa insensibilmente nella zona superiore o inferiore, e spesso dei terreni hanno tali caratteri misti che non può dirsi con sicurezza a quale zona appartengano. Uno di tali terreni è appunto la pietra leccese nel com- plesso delle sue varietà. « Facendo uso delle caratteristiche principali delle zone II e IV, che sono le più diffuse del miocene medio, non si può fissare con esattezza a quale delle due appartenga, nel suo insieme, la. pietra leccese, e mentre alcuni autori, come il prof. Bassani, la ritengono elveziana, altri, il prof. De Stefani per esempio, la assegnano al langhiano. Infatti, se ha molti ca- ratteri dell’elveziano, non si trova poi in essa quell’abbondanza di alghe cal- carifere, di grandi briozoari, di crinoidi, di coralli costruttori e di foramini- feri litorali, che è propria dei terreni. di quella zona. Per contro essa, si avvicina molto ai depositi langhiani per la sua fauna di foraminiferi di mare profondo, di echinidi, ostracodi, pteropodi, cefalopodi e per la presenza carat- teristica di grandi vertebrati pelagici. Questo miscuglio è però forse solo appa- rente: esso dipende, come si vedrà in seguito, da ciò, che non si è tenuto conto, nel raccogliere i fossili, dei vari livelli dai quali essi provenivano. — 1221 — « Si giunge alla medesima conclusione adottando i criteri esposti nella bella opera, che ha cominciato a scrivere il Walther, e di cui si spera poter vedere presto il seguito (!). « Il Walther, seguendo la nomenclatura di Hickel(?), divide il mondo organico in Geobios, Limnobios e Halobios, secondo che esso abita il continente, l’acqua dolce e l'acqua marina. L'Halobios è a sua volta diviso in Benthos, (sessile e vagile), Nekton e Plankton, a seconda che gli animali, i quali lo compongono, sono fissi, strisciano o camminano sul fondo marino, nuotano, 0 costituiscono della materia passiva. Ora, quantunque a questo riguardo non sì possano fissare ancora delle idee molto precise, si può grossolanamente affer- mare che gli abitanti delle prime zone batimetriche appartengono di prefe- renza al Benthos sessile e al vagile, meno al Nekton e quasi per niente al Plankton; quelli di zone di una certa profondità, facienti però sempre parte del mare basso, debbono avere in prevalenza Benthos vagile e Nekton; la fauna del mare aperto dev'essere assolutamente costituita dal Nekton e dal Plankton: finalmente quella del mare profondo dev’esser formata da pochi ani- mali del Benthos vagile e sessile, a cui si aggiungono gli avanzi degli orga- nismi del Nekton e del Plankton. « Venendo ora al caso nostro, si osserva subito che la fauna della pietra leccese mostra una spiccata prevalenza di tipi del Nekton e del Benthos va- (1) J. Walther, Bionomie des Meeres. Erster Theil einer Einleitung in die Geologie als historische Wissenschaft. Jena, 1893. Siccome in questa mia Nota seguo la classifi- cazione delle regioni marine data dal Walther, mi pare opportuno esporne qui un breve cenno. Il Walther distingue nel mare sei circoli di esistenza: il litorale, il mare basso (Flachsee), gli estuarii, il mare aperto (offene Meer), il mare profondo ( Tiefsee), gli arcipelaghi. Il litorale costituisce quasi un interregno anfibio fra il continente e l’oceano, e ogni più piccolo cambiamento geologico ne muta fondamentalmente le condizioni biolo- giche. Il mare basso abbraccia la regione del gradino continentale e tutte quelle parti del fondo marino che gui auieneno alla regione diafana. Quantunque non soffra come il litorale mutamenti repentini, pure è anch’esso soggetto ai mutamenti geologici, e lo scambio dei sedimenti, della temperatura, della salsedine e della luce ha grande influenza sugli animali fissi, che qui vivono a preferenza. Gli estuarti, a cui si associano i mari chiusi e i laghi di reliquato (Pelictensee), sono le vie di scambio tra le faune terrestri e le marine. Il mare aperto si avvicina al mare basso: possiede una fauna cosmopolita, costi- tuita da organismi del Nektone del Plankton, mancano animali del Benthos e quelli con gusci e corazze pesanti, dal che il Walther è indotto a ritenere che le antiche ammoniti erano animali del Benthos. Il mare profondo è il fondo del mare alto: appartenendo esso alla regione afotica, mancano le piante assimilatrici e le condizioni di esistenza sono uniformi e costanti, Il mondo animale, dal polo all’equatore e lungo tutti i paralleli, è di identica composizione; mancano animali coloniali e scarseggiano i molluschi. Gli arcipe- laghi rappresentano uno speciale circolo di esistenza, che offre uno strano e interessante miscuglio di terra e di mare, di litorale e mare basso, di mare aperto e mare profondo. Alcuni dati esposti nelle pagine seguenti sono presi dall’opera di Walther. (®) E. Haeckel, Plankton-Studien. Vergleichende Untersuchungen ueber die Bedeu- tung der pelagischen Fauna und Flora. Jena, 1891. — 122 — gile, a cui poi si associano in minoranza forme del Benthos sessile e del Plankton, La mancanza quasi generale del Plankton, eccezion fatta delle radio- larie e di altri pochi tipi, in tutti i terreni è naturalissima, data la poca capacità di fossilizzazione, di cui godono gli organismi che lo compongono. Quello che predomina dunque nella pietra leccese è il Nekton. Dalle liste dei fossili infatti si vede come sono abbondanti in essa gli avanzi di cetacei, che sono animali di mare aperto, perfettamente nektonici e che si nutrono, i cetacei con denti, di pesci del Nekton, e quelli a fanoni, di bassi animali del Plankton, specialmente di copepodi e di pteropodi. Gli avanzi di cheloni. sono anch'essi un buon indizio della esistenza del Nekton nel mare leccese. I cheloni infatti, possedendo lo stesso peso specifico dell’acqua, sono mirabil- mente adattati alla vita nektonica, vivono ora diffusamente nei mari tropi- cali e non scendono a terra che per deporre le uova o, rare volte, per man- giare. I pesci, i cui avanzi sono così numerosi, sono prettamente nektonici e Îra essi menano specialmente vita pelagica i grandi squali, che dànno il maggior contributo agli avanzi fossili della pietra leccese. I crostacei, discretamente rappresentati nel calcare di Lecce, sono animali, che possono appartenere al Nekton e al Benthos vagile. Passando al Benthos, si vede subito che il Benthos sessile è scarsamente rappresentato dai pochi avanzi di spugne, brachiopodi, cirripedi e ostriche, mentre il Benthos vagile dà una certa quantità di cro- stacei, lamellibranchi a guscio leggiero, gasteropodi ed echinidi a simmetria eminentemente bilaterale. Dunque, in complesso, la fauna della pietra leccese è costituito in prevalenza da organismi del Nekton e del Benthos vagile: ca- rattere questo, che le dà un aspetto di fauna di mare aperto e la farebbe quindi ascrivere più ai depositi del langhiano che a quelli dell’elveziano tipico. « Le relazioni paleontologiche, esistenti fra questo deposito e altri terreni omotaxiali, confermano i risultati ottenuti dallo studio dei caratteri bionomici. « Comincio dai sedimenti di Malta, a cui spesso si suol paragonare la pietra leccese. Il Fuchs, com'è noto, distinse nel gruppo di Malta, in ordine discendente, i seguenti terreni (!) : 5. Leythakalk; 4. Grinsand und Heterosteginenkalk ; 3. Schlier; 2. Pectenschichten von Schio; 1. Unterer Kalkstein; di cui i numeri 1 e 2 spettano all’aquitaniano, il 3 al langhiano ed il 5 all'elveziano. (1) Th. Fuchs, Das Alter der Tertiàrschichten von Malta (Sitzungsber. d. Ak. d. Wiss., LXX. Bd., IAbth. 1874). — Th. Fuchs, Veder den SIRIA « Badner tegel» auf Malta (Sitz. Ak. Wiss., LXXIII Bd., I Abth. 1876). — 129 — « Ora dall'esame della fauna della pietra leccese risulta chiaramente che, se questa formazione sì avvicina per alcuni caratteri al calcare superiore di Malta e quindi al calcare della Leitha, per altri invece se ne allontana e sì riattacca alle argille del 3° membro. indubbiamente langhiane. Fra i foraminiferi infatti, stando a quello che di essi ha osservato il prof. Capel- lini, mancano del tutto le Miliolidee, le Alveoline e le Peneroplidee, che formano essenzialmente il Leithakalk, e predominano invece le Globigerine, coi generi Globigerina e Orbitulina, a cui si associano le Polimorfinidee, col genere, molto diffuso, Wvzgerina, e le Textularidee. Sono questi precisamente i caratteri che il von Hantken riscontrò nella fauna a foraminiferi dello Schlier di Malta e il Karrer nello Schlier dell'Austria meridionale e che dànno l’im- pronta speciale lei depositi delle zone ultime del mare basso. Il Peelen crista- tus e l'Ostrea cochlear, frequenti nella pietra leccese, a Malta mancano nel calcare superiore, compariscono nel calcare a Heterostegine e divengono abbon- danti nello Schlier. Già il prof. Capellini fece notare nel calcare di Lecce la grande diffusione del Pecten Koheni, che a Malta si trova solo nelle ar- gille langhiane (Schlier). Aggiungo che gli avanzi di pesci e di crostacei a Malta abbondano nello Schlier e scarseggiano invece nei depositi calcarei supe- riori, in cul prevalgono i grandi echinidi e le bivalvi del Benthos sessile. « Anche dunque dal paragone con i depositi di Malta risulta che la pietra leccese, nel suo complesso, dovrebbe assegnarsi più al langhiano che all’el- veziano. Ad identici risultati mena il paragone con i depositi miocenici della sardegna. « Nel miocene medio sardo, fatta astrazione da alcuni depositi non net- tamente definiti, esistono tre formazioni tipiche: l'argilla di Fangario, la pietra cantone e la pietra forte, che dalla maggior parte di coloro che le studiarono furono tutte riferite all'elveziano. A me pare però di scorgere in essi una sensibile differenza, per cui, mentre la pietra forte e la pietra can- tone potrebbero rimanere nell’elveziano, occupandovi però un livello diverso, l’argilla di Fangario dovrebbe invece discendere a una zona batimetrica più bassa, vale a dire al langhiano. Infatti i foraminiferi di Fangario, studiati dal Fornasini, offrono grandi analogie con quelli di Malta e di s. Rufillo; i pesci, e fra questi specialmente i selacii, abbondantissimi nell’argilla, dimi- nuiscono nella pietra cantone e scarseggiano nella pietra forte. Il Galeocerdo minor si trova solo nell’argilla di Fangario, mentre Chrysophrys cincta, uno dei pochi teleostei, manca quasi del tutto nell'argilla, ofire un maggior nu- numero di individui nella pietra cantone ed è diffusissima nella pietra forte. Per queste ragioni il prof. Bassani era indotto a ritenere che l'argilla di Fangario, pure appartenendo all’elveziano, fosse un po' più antica degli altri due depositi. Dunque mi pare molto probabile che la pietra forte e la pietra cantone appartengano alla II zona batimetrica, zona delle lamina ie, o elve- ziano; mentre l'argilla di Fangario sia da paragonarsi ai depositi argillosi RenpICcONTI. 1893, Vor. II. 2° Sem. 17 — 124 — della IV zona, o langhiani, di Malta. In questo caso la pietra forte rappre- senterebbe un livello batimetrico superiore o meno profondo di quello della pietra cantone. La pietra leccese, come chiaramente si vede, presenta tutta la fauna a pesci, foraminiferi e crostacei dell'argilla di Fangario ; laddove per un minore numero di caratteri può accostarsi alla pietra cantone e alla pietra forte. « Da questo rapido esame mi è necessità conchiudere, che sotto il nome di « pietra leccese » vadano comprese varie formazioni appartenenti a zone batimetricamente diverse, sul terreno però intimamente fuse l'una nell'altra; fusione che ha fatto sfuggire quasi del tutto ai primi osservatori le differenze fra i diversi punti, da cui essi estraevano i fossili. Per ora si può ritenere che la parte inferiore della pietra leccese rappresenti i depositi di mare basso più profondo, o langhiani, che, passando per i terreni coralligeni o tortoniani, giungano nella parte superiore alla II zona o zona delle laminarie, detta co- munemente elveziano. Così che. volendo rappresentare sraficamente tale or- dine di successione e le relazioni esistenti fra la pietra leccese e gli altri terreni del miocene medio ad essa paragonati, sì potrebbe fare uso del quadro seguente, in cui però non è indicata la progressione geometrica, secondo cui ‘crescono in profondità le tre zone batimetriche: Miocene medio. = »0iiM!*0®0A1f®®](®PLÀJq]AMl]fÌrC 0 Z7“"“"“"’°°°9P_°_°_—_—_—_—»—»pPolgtT II zona MII zona | IV .zoNA Elveziano ‘T'ortoniano Langhiano Leythakalk Badener Tegel Schlier ___ Leythakalk di Malta | Heterosteginenkalk ? Schlier di Malta Pietra forte | Pietra cantone ? | Argilla di Fangario _ Pietra leccese - parte sup. |__ Pietraleccese-parte media __ |__ Pietra leccese - parte inf. __ « A conferma di quanto dico noto il fatto che O. G. Costa, nella sua di- scussione sull'età della pietra leccese, cita di questa le seguenti varietà: 12, gentile, a grana fina, con rarissimi avanzi di testacei; 2%, saponara, un po più fina della precedente e scarsa anch'essa di testacei; 3%, masara 0 — 125 — resta, più dura, con molti fossili ; 42, friabile; 52, calcare a tritume (à foullon), nel quale trovansi così frequenti le spoglie testacee, e così impasticciate, che «poca è la calcarea, moltissime le conchiglie, gli echini, i polipari ». Nello stesso lavoro egli dice che negli strati inferiori della pietra leccese si trovano i denti di squalidei con avanzi di « pesci spinosi » e con il Peclen eri- status, mentre negli strati superficiali questi scompaiono per dar luogo agli echinidi e ai testacei. Osservazioni così scevre di preconcetti come queste di Costa mi sembrano di gran peso a favore dell'ipotesi, che vede nella pietra leccese vari depositi, formatisi a profondità diverse. « Si ritenga dunque per ora che la pietra leccese, nel suo complesso, appartiene a una sola zona stratigrafica, al miocene medio, e valga questa mia Nota di incitamento agli studiosi, che vorranno determinare sul terreno quali e quante zone batimetriche sono in quella comprese, come esse si di- stendono orizzontalmente e come si succedono verticalmente in seguito agli spostamenti positivi e negativi della linea di spiaggia ». RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 3 settembre 1893. AND 3 Chimica fisica. — Coefficiente critico in relazione colla for- WA d mula . Nota del Corrispondente R. NASINI. « In questi ultimi anni il prof. Ph. A. Guye ha sviluppato un'interessante teoria che mette in stretta correlazione i dati critici col potere rifrangente di una sostanza (!). È noto per la teoria di Van der Waals che il coefficiente critico, ossia il rapporto tra la temperatura critica espressa in gradi assoluti e la pressione critica do AT x è proporzionale al volume critico 3 ma d'altra parte avendosi la relazione p=3d, () Philippe A. Guye, À propos de la constante b de l’équation de M. Van der Waals. Archives des sciences etc. de Genève. 3° période, t. XXIII, pag. 197, anno 1870. — Le coefficient critique et la constitution moléculaire des corps au point critique. Ibidem, pag. 204. — Vedere anche À propos du covolume de V’équation des fluides. Annales de Chimie etc. 6°, t. XXI, pag. 206, anno 1890. — Le coefficient critique et le poids molé- culaire des corps au point critique, nello stesso volume a pag. 211. RenpICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 18 * » ed essendo d proporzionale al volume vero delle molecole contenute nella massa che si considera, cioè rappresentando esso quattro od otto volte questo volume, ne consegue anche: x= costante X volume vero delle molecole. « Da ciò risulta che il coefficiente critico viene ad essere anche esso una misura del volume vero delle molecole: onde si può prevedere che, essendo il volume critico ed il volume vero delle molecole una proprietà prevalen- temente additiva, anche il coefficiente critico dovrà rappresentare una pronziol. prevalentemente additiva. « Ora per la teoria elettromagnetica della luce si deve avere, secondo il Maxwell, la relazione #° = K, dove K è la costante di dielettricità o potere induttore specifico di una sostanza, e 7° è il quadrato del suo indice di rifra- zione rispetto a un raggio di lunghezza d'onda infinita: d'altra parte secondo Clausius si ha la relazione seguente: K-1 goa” dove v è la frazione dell'unità di volume del dialettrico occupato dalle mole- cole supposte sferiche: per la relazione del Maxwell si avrà ancora: Le Ti gpi Ma se d è il peso specifico, della sostanza, ossia il peso della ‘unità di. vo- ON== d SRO È - agio lume po rà il peso specifico vero delle molecole supposte sferiche: quindi l’espressione: che non è altro che l’inversa del potere rifrangente specifico secondo la for- 2 mula Lorenz-Lorentz NEL 3; rappresenterà il peso specifico vero delle mo- lecole: dividendo il peso molecolare per il peso specifico vero delle molecole, si avrebbe il volume vero di una molecola supposta sferica: non conoscendo che in modo molto poco approssimato i pesi molecolari assoluti si può ricor- rere ai nostri soliti pesi molecolari relativi, ed avremo allora, facendo il cal- colo sopra indicato, dei numeri che ci esprimono in modo relativo i volumi veri delle molecole: chiamando M il peso molecolare: d n° —1 : ima IM ra = Volume, jmolecolaresyero, relativo: non è altro che la rifrazione molecolare secondo n—1 (n°H4-2)d4 — 129 — la formula 7? e che potremo esprimere come il prodotto del peso molecolare per la rifrazione specifica, cioè con MR. Dal momento che la quantità MR può considerarsi anche essa come una misura del volume vero delle molecole po- tremo porre: gi =VIMR, che è la relazione del Guye, dove V è una costante che dovrebbe essere uguale per tutti i dielettrici: quindi si dovrebbe avere c_ = È == costante. Il Guye, come vedremo, avrebbe trovato che realmente questo rapporto costante si ha esperimentalmente e che in media val, ossia MR 1 Ty 7 =='1;8, ed' anche ua e M=3. Ro° la quale ultima espressione ci darebbe il peso molecolare al punto critico: il Guye avrebbe trovato, fondandosi su questa relazione, che le molecole dei corpi allo stato liquido sono in generale della stessa grandezza molecolare che allo stato di gas o di vapore. « Ma si può fare un passo più avanti: consideriamo la. relazione arpa MR: noi sappiamo che la rifrazione molecolare si può esprimere in 9) molti casi come la somma delle rifrazioni atomiche: supponiamo che la mole- cola che si considera consti di carbonio, idrogeno e ossigeno e che abbia la formula C,H, 0: allora il suo potere rifrangente sarà : MR=a.m+0b.nbc.p, dove 7, 7,p rappresentano le rispettive rifrazioni atomiche: avremo m n p = urca doea: x Tia Mid! pr rie il coefficiente. critico di una sostanza sarebbe dunque la somma di coeffi- cienti atomici i quali si calcolano facilmente: basta dividere le rifrazioni ato- miche rispetto alla formula n? per il numero 1,8: Rifrazioni atomiche Coefficienti critici atomici. (costante A di Cauchy). C 2,43 IL35 H 1,02 0.57 O (alcoolico) — 0° 1,56 0,37 O (aldeidico) — O” 2,29 SIOZIT, Cloro 5,89 3; 207 Aumento per un doppio le- game tra carbonio e carbonio 1,59 0;88 — 130 — « Per mezzo di questi coefficienti atomici critici, che il Guye indica coi simboli [C],,[H],..., si può calcolare il coefficiente critico di un com- posto : supponiamo di voler calcolare quello dell’acetato di etile CHz COOC, H;: 4[C], =5,40 8[H], = 4,56 1[0'], = 0,87 1[0"], = 1,27 12,10. Esperimentalmente fu trovato 12,0 — 12,4. « L'accordo tra l'esperienza e il calcolo è in generale soddisfacente, come lo mostrano i seguenti numeri che tolgo da una tabella data dal Guye: z calcolato X trovato Cloruro d’etile C, H; CI 8,8 8,4 — 8,7 Formiato d'etile HCO, C, H; 9,6 10,2 — 10,3 Etere etilico C, H; 00; H; 12,4 11,7 — 12,5 Metano CH, 3,6 915 Metilammina CH; . NH, 5,8 5,9 Acetone CH; . CO . CH; 8,7 9,7 Etilene C, H, 5,9 5,60 — 4,2 Alcool propilico CH; CH, CH:0H 9.5 9,9 — 10,6 . Anidride carbonica CO, 8,9 3,9 — 4,2 Ammoniaca NH; 0) 8,5 — 3,6 Azoto N SIT 3,6 — 3,9 Biossido d'azoto NO 2,5 2,5 Protossido d'azoto N, 0 4,1 4,1 — 4,2 Valerianato d’etile C,jHs.C0,0.H; 19,6 18,4. In base a questi fatti il Guye enuncia in modo generale che: « Le coefficient critique d'un corps est égal à la somme des coefficients critiques des atomes qui constituent sa molecule, augmentée dans certains cas de cofficients dépendant de la nature des liaîsons des atomes entre eum. « Il Guye fa notare come il calcolo del coefficiente critico per mezzo dei coefficienti atomici critici presenta una grande analogia con quello dei poteri rifrangenti molecolari, dei volumi molecolari, delle costanti termo-chimiche mo- lecolari ecc., per mezzo di coefficienti speciali. « Ma però, come il Guye stesso fa rilevare, c'è una fondamentale diffe- renza che alla relazione trovata dal Guye dà una importanza grandissima: tutti quei valori molecolari, rifrazioni, volumi ecc., si ottengono moltiplicando delle costanti specifiche per i pesi molecolari: spesso quindi il verificarsi delle regole — 131 — sommatorie non prova altro se non che la costante specifica varia pochissimo, onde nel resultato finale predomina la variazione dovuta alla variazione nei pesi molecolari. Qui invece per mezzo di coefficienti atomici si determina una costante fisica, indipendente assolutamente da qualunque ipotesi sul peso molecolare. i « Per dedurre il valore medio di 1,8 il Guye esaminò prima di tutto diversi gas di cui si conosceva il potere rifrangente molecolare rispetto alla riga D; poi tutti quei composti organici studiati otticamente dal Landolt e da altri sperimentatori di cui si conosceva il coefficiente critico; per questi il calcolo fu fatto rispetto alle rifrazioni molecolari relative alla costante A di Cauchy : per quelle combinazioni poi di cui si conosceva il coefficiente critico, ma non la rifrazione molecolare, il Guye la valutò in base alle rifrazioni atomiche relative al solito alla costante A. Il Guye trovò che il quoziente MR non varia che nel rapporto da 1 a 1,25, mentre le temperature critiche assolute variano da 179°,5 a 590°,3, le pressioni critiche fra 30 e 115 atmosfere e i poteri rifrangenti molecolari tra 4,4 e 35,5. « Ci sono tre gruppi di sostanze che fanno eccezione: « 1. Ossigeno, azoto, ossido di carbonio, pei quali si ha una costante troppo piccola (1,1 — 1,4). Il Guye crede che ciò possa dipendere dalle con- dizioni in cui si è fatto l'esame: il potere rifrangente è stato determinato a 120° — 150° sopra la temperatura critica, mentre per gli altri composti le determinazioni ottiche sono state fatte o in vicinanza della temperatura cri- tica o molto al di sotto. «2. Etilammina, benzolo, cloroformio, idrogeno solforato: la costante è troppo grande (2,2 invece di 1,8). Il Guye crede che, trattandosi di una differenza circa del 10°/, essa possa rientrare nei limiti degli errori di osservazione. «8. Tetracloruro di carbonio, cloruro di etilene e di etilidene, cloro, solfuro di carbonio; si hanno valori troppo alti (2,4— 2,9) (!). Il Guye fa osservare che sono composti che agiscono sul mercurio a temperatura elevata. « 4. Finalmente acqua e alcool metilico (acqua 1,1 — alcool meti- lico 1,1). Per queste due sostanze che costituiscono un'eccezione fondamen- tale si può supporre che le misure del coefficiente critico non sieno esattis- sime, ciò specialmente per l’acqua; oppure che il peso molecolare di ambe- due vada raddoppiato : naturalmente questo peso molecolare doppio lo avrebbero al punto critico, giacchè nelle condizioni ordinarie di temperatura la legge di Raoult ci dice che il peso molecolare è semplice. (1) Il Guye attribuisce al solfuro di carbonio la rifrazione molecolare 17,91, e quindi il rapporto verrebbe ad essere 2,4 — 2,6; invece la sua rifrazione molecolare è 20,20 e il rapporto diventa 2,8 — 2,9. Sarebbe il solfuro di carbonio la sostanza che offre le più grandi anomalie. Che ciò stia in rapporto colla grande dispersione ? — 132 — « In una delle sue Memorie (') il Guye dice che ci sarebbe interesse a vedere se le relazioni da lui trovate si mantengono per altre espressioni che si adoperano per rappresentare il potere rifrangente molecolare dei corpi: « Z/ «y aurait peut-étre aussi quelque interét à voir les résultats. que donne- « ratent les formules empiriques employées par quelques auteurs pour expri- «mer la refraction moléculaire ». Fra queste espressioni la più importante è l'antica formula di Gladstone e Dale ul. la quale io ho seguitato ad impiegare in tutti i miei lavori ed a fare impiegare in tutti quelli che escono dal mio laboratorio insieme, bene inteso, con quella Lorenz-Lorentz. Non mi sembra ancor bene dimostrato che dal lato fisico l'antica formula sia da posporsi all’altra, e dal lato chimico mi sembra che quella sia più sensibile alle differenze di costitu- zione; la qual cosa non posso indurmi a considerare quale un difetto. Ho voluto esaminare se con la formula x si giunge, per ciò che riguarda i coefficienti critici, agli stessi resultati che con la formula 7°, se cioè si ha un valore costante per — r il rapporto e se si possono calcolare ugualmente dei coefficienti atomici critici dalla cui somma risulti il vero coefficiente critico. È da prevedersi che, la formula essendo più costitutiva ed offrendo in generale una minore uniformità nei risultati, le regole del Guye si dobbono mantenere meno bene che per la formula x? « Nella seguente tabella, perfettamente analoga a quella che dà il Guye, sono i dati che si riferiscono alle sostanze di cui venne esperimentalmente determinato il potere rifrangente dal Landolt e dal Brihl: mi parve per queste il calcolo assai più sicuro che non per igas e per quei composti il cui po- tere rifrangente molecolare va dedotto col calcolo: i SF Sostanze X Mogni x Alcool etilico C. H40 8,2 20,81 2,48 ” 8,0 ” 2,54 ” 7.9 ’ 2,500 Alcool propilico C3 Hz O 9,9 28,00 2,89 » 10,6 ’ 2,64 Alcool isopropilico Cz Hz 0 9,6 27,88 2,90 Acetone C, H4 O 9,7 25555 2,68 Alcool isobutilico C, Ho 011,1 35,41 3,19 Formiato d'etile C; Hy O» 10,3 28,61 2,78 ; 10,2 3 2,80 (1) Nella Memoria À propos du covolume de l'équation des fluides. Negli Annales de Chimie ete. 6°, XXI, pag. 210 in nota, anno 1890. — 133 — Acetato di metile C, Hy 04 8,7 28,78 3,33 ” 10,6 ” 2,72 Acetato di etile C, Hz 0, 12,0 35,46 2,95 ” 1892 ” 2,68 Cloruro di propile C3 H, CI 10,1 33,36 3,90 Etere C, Ho 0 12,5 35,53 2,94 ” TRA ” 2001 » oz: ” 3,04 Acetato di propile C; Hj6 03 15,8 43,11 2.09. Butirrato di metile O; Hi10 0, 15,2 43,11 2,99 Butirrato d’etile C, His 0» 18,7 50,33 2,69 Valerianato d’'etile C H,40,. 18,0 58,03 SI22, «Il valor medio del rapporto è 2,79: i valori estremi 3,31 e 2,63. La deviazione dal valore medio raggiunge circa il 17 °/,, mentre per la formula 7° non raggiunge che il 10 °/,; i rapporti variano nella proporzione di/1: 1,26. Evidentemente anche per la formula 7 sussiste la regola del Guye, ma si verifica meno bene (!). « Le sostanze che fanno eccezione per la formula * la fanno anche per la formula 7 e nello stesso senso; ciò non rende probabile almeno per la 1% classe di composti la spiegazione data dal Guye giacchè pel solito col variare della temperatura i valori oa e io È variano in senso inverso. d (2° + 2)d « Ecco i dati che si riferiscono ad alcune di queste eccezioni: n—-1l Pi mei Giri d 5% Ossigeno 3,00 6,27 (riga D) 2,09 Azoto 3,6 6,61...» 1,84 n 3,9 n L) 1,69 Ossido di carbonio 3,8 7,50 (riga D) 1,97 i) 3;7 7 ” 2,03 Benzina 11,2 42,16 (costante A) 3,76 A 9,3 ” ’ (4,53) Cloroformio 9,7 35,83 (costante A) 3,69 Cloruro d'’etilene 10,6 34,12 (costante A.) 3,22 Solfuro di carbonio 7,3 35,27 (costante A) 4,83 ” 7,0 ” 5,04 (1) Facendo il calcolo anche per tutte le altre sostanze considerate dal Guye il numero trovato per la media non viene modificato sensibilmente: le variazioni rientrano negli errori di osservazione che, per ciò che riguarda i coefficienti critici, non sono piccoli. — 134 — « Al solito la massima eccezione si ha per il solfuro di carbonio. Per l'acqua e l'alcool metilico si ha del pari il comportamento anomalo di cui abbiamo parlato : Acqua 3,2 5,99 1,82 E) 3,3 ” il Alcool metilico 1053) 12,93 ai ’ 6,9 ” 1,87 «I coefficienti atomici critici per la formula x sarebbero i seguenti che si riferiscono alla costante A di Cauchy: Coefficienti critici atomici Rifrazioni atomiche formula x fomula 7 C 4,86 1,74 1,85 H 1,29 0,46 0,57 O (alcoolico) — O' 8,01 0,97 0,87 O (aldeidico) — O” 2,29 TELO 1,27 Cl 9,59 3,42 3,27 Aumento per un doppio le- game tra carbonio e carbonio 2,00 0,72 0,88 «I valori per i coefficienti critici atomici non sono uguali: per alcuni elementi sono maggiori quelli che si riferiscono alla formula %, per altri ele- menti gli altri: ma ciò non avrebbe nessuna importanza. « Facendo la solita verifica p. es., per l’acetato di etile, come fu fatta per gli altri coefficienti critici atomici, si avrebbe il numero 12,78, mentre espe- rimentalmente fu trovato 12,0 — 12,4 e cogli altri coefficienti 12,10. L'accordo anche qui è migliore per la formula n°. Se facessimo il calcolo per gli altri composti studiati dal Guye per la verifica della sua relazione troveremmo essere regola generale che i coefficienti critici calcolati da me dànno un’'ap- prossimazione minore: così pel cloruro d’etile si calcolerebbe 9,2, mentre l'espe- rienza dà 8,4 — 8,7 e il calcolo del Guye 8,8 ecc. Non vi ha quindi dubbio che i risultati ottenuti colla formula 7° dànno approssimazione maggiore, sebbene non di molto, a quelli ottenuti colla formula x: come veri coefficienti atomici critici sono da preferirsi quelli del Guye. « Non credo però che questo fatto possa portarsi come argomento contro la formula x: come abbiamo già detto più volte essa è più costitutiva della formula 7° e quindi era sino ad un certo punto prevedibile che dovesse dare resultati meno uniformi riguardo ad una proprietà che dovrebbe essere di na- tura spiccatamente additiva, come il coefficiente critico. Non sappiamo però se tale uniformità nei resultati corrisponda proprio alla natura intima della cosa. Per quanto io sia un ammiratore di questa teoria del prof. Guye, me- diante la quale, per la prima volta credo nel campo della chimica fisica, in- — 135 — dipendentemente da qualsiasi calcolo in cui entrino pesi molecolari ed atomici, è possibile di stabilire « prior una costante fisica di tanta importanza come il coefficiente critico, nondimeno debbo osservare come contro questa teoria quale adesso è formulata, ci sono due objezioni fondamentali. La prima è che le eccezioni sono numerose ed i limiti degli errori di osservazione un po’ troppo larghi, come recentemente ha fatto notare il Nernst ('). La seconda è che essa teoria deve, rigorosamente parlando, verificarsi per indici di rifrazione che si riferiscono a un raggio di lunghezza d'onda infinita: il Guye ha preso come base dei suoi calcoli le costanti A della formula di Cauchy, ma come dimo- strarono prima gli studî miei(?) e poi quelli del Briihl (*) tali numeri non hanno valore e meglio era forse riferirsi addirittura agli indici un,: ora i recenti studî del Landolt e del Jahn (‘) hanno mostrato che, per ciò che riguarda i valori u\-o, tra gli idrocarburi ad esempio e gli alcool ci sono differenze veramente colossali di comportamento: per alcuni dei composti esaminati dal Guye i valori w\-» Sono presso a poco uguali a quelli da lui adottati e quindi :vale la costante 1,8; per l’acqua invece, per gli alcool ecc.,, ecc. i va- lori ww, 0 per meglio dire i valori K, sono circa quattro volte più grandi che quelli dedotti dalla formula di Cauchy: si avrebbe così per le rifrazioni molecolari rispetto a K prendendo per x dei valori medi: ent ; Li IREROnÌ 7 K42id K--2 d X Alcool metilico 86.53 vali 5,22 » etilico 51,59 8,0 6,44 ». propilico 64,79 10,2 6,35 » isobutilico 73,58 11,1 6,61 « Si nota una certa uniformità nel rapporto, ma il suo valore è circa tre o quattro volte il valore medio calcolato dal Guye; e non è a dirsi che sì possano modificare tutti gli altri numeri trovati, giacchè per molte delle sostanze considerate dal Guye, p. es. per i gas, idrocarburi ecc., si ha presso a poco uguaglianza tra i valori determinati dal Landolt e dal Jahn e quelli forniti dalla formula di Cauchy. Aggiungasi poi che il fatto stabilito dal Landolt e dal Jahn che gli eteri isomeri per 4 = co hanno rifrazioni molecolari diverse, mentre hanno coefficiente critico eguale, rende impossibile l'esatta conferma della teoria del Guye. (1) W. Nernst, Z'heoretische Chemie vom Standpunkte der Avogadro’schen Regel und der Thermodynamik. Stuttgart. Verlag von F. Enke, anno 1892, vedi a pag. 272. (2) R. Nasini, Sulle costanti di rifrazione. Atti della R. Ace. dei Lincei, anno 1884. (3) J. W. Briihl, Liebig's Annalen CCXXXVI, pag. 233, anno 1886. (4) H. Landolt und:H. Jahn, Veder die Molekularrefraktion einiger einfacher orga- nischer Verbindungen fiir Strahlen von unendlich grosser Wellenlinge. Zeitschr. f. physik. Chemie, t. X, pag. 289, anno 1892. RenDpICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 19 — 136 — « Malgrado queste obiezioni le quali sono certo che il prof. Guye saprà spie- gare e mettere d'accordo colla teoria, non è meno vero che essa è di grande importanza e che l'accordo tra l’esperienza ed il calcolo, per quanto non per- fetto, è nondimeno tale che non può ascriversi al caso. Io sono ben lieto che questi calcoli mi abbiano dato l'occasione di far conoscere con qualche esten- sione ai chimici italiani questo bello insieme di studî del geniale scienziato francese ».. Chimica-Fisica. — Sulla pressione osmotica. Nota II. del Cor- rispondente AnpREA NACCARI. «In una Nota su questo argomento inserita in questi Rendiconti il prof. Magnanini interpretò una esperienza da una descritta in modo diverso da quello che io seguii. Quella Nota si può riassumere così. Qualunque sia la pressione alla quale è soggetta la soluzione nel vaso osmotico, lo zucchero considerato come gas, ha sempre, se il volume e la temperatura rimangono costanti, la stessa pressione. L'autore non chiarisce quali sieno le sue idee intorno al modo, in cui fra l'acqua e il supposto gas si ripartisce la pres- sione. Mi pare ch'egli debba essere partito dal concetto, che espongo qui sotto. « Abbiasi un vaso poroso con una membrana semipermeabile. Vi sia acqua pura di dentro e di fuori. Avremo equilibrio. Si sciolga dello zucchero nell'acqua interna e per esempio si abbia un grammo di zucchero per cento di soluzione. Allora entra dell’acqua. Perchè ciò avvenga, una colonnina d’acqua, che imaginiamo occupi un canaletto orizzontale della membrana, dovrà essere premuta meno sulla base interna che non sull'altra. Bisogna ammettere che la pressione dovuta agli urti delle particelle dello zucchero non si eserciti sull'acqua, anzi che lo zucchero faccia equilibrio ad una parte della pressione, cui dall'esterno è soggetta la soluzione, e che questa parte della pressione totale non si possa trasmettere all'acqua. « Il vaso poroso sia chiuso ed abbia un manometro ad aria libera. Si mantenga costante il volume della soluzione aumentando la pressione. Si avrà equilibrio, quando la pressione totale, cui è soggetta la soluzione, meno la pressione esercitata dallo zucchero, sarà eguale ad un'atmosfera. Indichiamo con 7, la pressione dello zucchero, con P quella che è misurata dalla dif- ferenza di livello del mercurio nel manometro. Esprimiamo le pressioni in atmosfere. « Alla superficie di contatto fra il mercurio e la soluzione dovrà essere per l'equilibrio PL1l=mt+9, se p è la pressione sostenuta dall'acqua. Questa è la presssione che si tra- — 137 — smette sulla base interna della colonnina d’acqua prima considerata, supposto che essa sia alla stessa altezza della superficie di contatto. « Nel nostro caso è P= x;, p= 1. Poniamo ora che nel liquido esterno si metta dello zucchero. Ciò, secondo l'ipotesi, diminuisce la pressione che si esercita da quella parte sull'acqua, che sta nella membrana. Se s' indica con 7» la pressione dello zucchero considerato aeriforme, che sta nel com- partimento esterno, si avrà equilibrio quando detta P' la pressione corrispon- dente alla differenza di livello del manometro, sarà l1-nan=P!+1-rn, ossia quando Ptaern, rn. (A) « Tale è la conclusione, a cui giunge il Magnanini, e invero su questa relazione, in quanto esprime il valore numerico di P', non vi è dissenso. È cosa ammessa generalmente e che io non negai. Ma anche senza ammet- tere che lo zucchero si comporti come un gas, e per esempio partendo dal- l'ipotesi dell'attrazione fra lo zucchero e l’acqua (ipotesi, che da sola non può certamente spiegar neppur essa tutti i fenomeni), si verrebbe alla stessa conclusione. Il verificarsi di quella relazione non prova dunque affatto la teoria dello stato gassoso. « Vediamo ora le conseguenze dell'ipotesi ammessa dal Magnanini che, qualunque sieno 7» e P*, lo zucchero nel compartimento interno conservi sem- pre la pressione 7. Raggiunto l'equilibrio nella nuova condizione, alla super- ficie di contatto fra la soluzione e il mercurio la pressione totale P'-+1, che agisce dal di fuori al di dentro, sarà necessariamente eguale alla pres- sione opposta. Ora quest'ultima pressione sarà la somma della pressione 7, dovuta agli urti delle molecole dello zucchero e della pressione p' sostenuta dall'acqua. La pressione p' si trasmette alla base interna della colonnina d'acqua che abbiamo prima considerato in un canaletto del diaframma. Alla superficie di contatto fra la soluzione e il mercurio la condizione di equilibrio sarà questa DI de 1 = Ti +p', e quindi la pressione sostenuta dall’ acqua entro il vaso osmotico sarà p=P+1— nm. (B) « Ora esaminiamo questa relazione rispetto all'esperienza. « Poniamo che nel compartimento esterno vi sia una soluzione di tale concentrazione che in forza della (A) P' assuma il valore mia l. « Se come abbiamo ammesso, 7; = 58 cm. il livello esterno del mercurio sarebbe di 23 cm. più basso dell'interno. Quando sia così, l’acqua per la (B) si trova sotto pressione nulla. — 138 — « Prendo ora a caso una delle mie esperienze. In essa era tale la con- centrazione della soluzione esterna che si aveva equilibrio, quando P'—50 cm. = — 0,66 atm., cioè quando il livello del mercurio nel braccio esterno del manometro era a 50 cm. sotto il livello interno. Poichè si vuole che la pressione dovuta agli urti delle molecole dello zucchero sia sempre nel vaso osmotico eguale a 53 Cm. avremo Ti=bblicmi= 057 atm p=1— 0,66 — 0,70 = — 0,36 atm. « L'ipotesi sostenuta nella Nota citata conduce dunque alla conclusione che l'acqua della soluzione interna può trovarsi sotto pressione nulla o nega- tiva. Come può accettarsi una ipotesi che conduce a tali conseguenze? Che un corpo solido possa essere soggetto a pressione tanto positiva, quanto ne- gativa, tanto compresso, quanto stirato, si sa bene, ma per un liquido come spiegare la cosa, salvo che si prestino al liquido per l'occasione le proprietà d'un solido ? « Io non nego che possa venir stabilita una teoria dei fenomeni osmo- tici, la quale si appoggi sulla considerazione dei moti delle particelle della sostanza disciolta e sull’analogia parziale con i gas, ma dico che questa teoria sarà necessariamente complessa e che il semplice concetto dello stato gas- soso della sostanza disciolta senza quello di speciali azioni fra essa e il sol- vente, non è sufficiente a spiegare i fenomeni ». Matematica. — Sulla superficie del 5° ordine con 5 punti tripli ed una cubica doppia. Nota II. di A. DeL RE, presentata dal Socio CREMONA. ye « 13. Si può domandare se vi sono altri enti connessi come quello che ci ha condotti alle formule (1); o, per dir meglio, se vi sono altre reti di quadriche per mezzo di cui si possano ottenere altri sistemi di formule come la (1). La simmetria della superficie rispetto ai suoi cinque punti tripli con- siglia di dire che sì. In fatti, il ragionamento seguente ce ne assicura, e ci dà il modo di costruire quelle reti quadriche. « Si fissi uno qualunque Ax A, Am A, dei 5 tetraedri che si possono formare coi punti tripli, e si dica w; == 0 una quadrica qualunque ad esso coniugata. La polare di 2 rispetto a w;= 0 sia d;, e d' sia la tangente in A; alla curva doppia. Il piano polare wu; di A; rispetto a w;= 0 tagli di in A';, e si costruiscano due /® = 0, g° —=0 delle quadriche coniugate ad Ax AYA» A, rispetto a cui A', e 2’; sono elementi reciproci; dico che la — 159 — rete delle 7© —=0, g® =0, w=0 risponde all'asserto. In fatti, appli- cando il procedimento col quale dalle (2) e (3) si è pervenuto alle (1), al caso in cui queste equazioni vengono rimpiazzate dalle if ® I up = 0 (2) Wi=0 (3) sì perviene ad una superficie del 5° ordine con 5 punti tripli nei punti Ai, ., A; e con la retta d, poichè è d la polare, rispetto a (3'), della coniu- gata 2; del punto A, rispetto al fascio (2°). Ma, in virtù del 1° dei teoremi del n. 5, questi elementi individuano la superficie, dunque, non considerando come distinte tutte le reti di quadriche che possono farsi coniugatamente ad uno stesso tetraedro, noi possiamo dire che : «La superficie del 5° ordine con 5 punti tripli e cubica doppia può essere ottenuta, in 5 modi diversi, per mezzo di reti di quadriche coniugate ai 5 tetraedri del pentagono dei punti tripli. « E corrispondentemente : « Vi sono 5 sistemi di formule, analoghe al sistema (1), atte a rappresentare la medesima superficie del 5° ordine. « È bene di osservare che tutti questi sistemi di formule restano inal- terati per le sostituzioni : e, i Lg SV « 14. Prima di passare a cavare delle conseguenze relative ad altri modi di costruzione della superficie, cerchiamo delle altre rappresentazioni parame- triche, utilizzando quanto si disse al n. 4. « Diciamo rispettivamente a, =0, dx =0, co =0, de=0, eg =0 3 ove Jar =Z7};& e y=4, b, c, d, e, le equazioni dei successivi lati 12...5 del pentalatero fondamentale, e formiamo il sistema lineare di quartiche piane: A baCadxea SP doMxCxdn0a ita Azz bodota + dslrbatata + dstxbat da = 0 (13) ove sono Z;:4,:...:4; parametri variabili colle quartiche del sistema. Se po- niamo le equazioni : INA NIE , = ho0xtxdx0x, 83 = hz0rxbadxex z4= hyagbxCxdo, ) as= hag bz'\czdg {hd ove ln, he. ..., hs sono delle costanti date; e poi, poste le yv=o0t%+t ((=1,..,9) (15) determiniamo o e 7 per modo che si abbia = (16) noi avremo le yi =; È — 02 &i (= 198,10) (17) — 140 — le quali, rappresentano, con un numero soverchio di coordinate, una superficie del 6° ordine, con 10 rette e 5 punti tripli, avente per sistema lineare rap- presentativo, il sistema (contenuto nel sistema (13)) di equazione azhe — az A, = 0. (18) Se, però, per la (16) si prende la y;=0, le (17) diventano Yi = 25.E — Es; (= 1 Fb 0849 (19) e queste rappresentano la stessa superficie, ma non più con un numero so- verchio di coordinate. Ciò finchè le €; (7=1,...5) scelte sono qualunque; ma se queste quantità sono i valori che prendono le < per le coordinate del punto B del piano rappresentativo, allora il sistema (18) che ora è diventato esde — 554, =0 (20) è composto di curve che passano tutte per B; epperò la superficie rappresen- tata dalle (19) è allora della specie che stiamo studiando. Se indichiamo con d'3 Day 0 ciò che diventano le a,, dx, ..-, x per le coordinate di B, noi abbiamo, in forma esplicita le seguenti formule di rappresentazione della superficie : y= hr Va lodo dba tx do (nl dx 0%) Ya= ha d'ala lg to da (bo l'a do 0%) I VRE= his a DI cH8i ap 03 E (cx Fa Eroi Co 0») Ya = ha Ug DA - Ur da Co (do — Ue) (21) A queste formule, del resto, noi saremmo potuti giungere senza passare per la superficie (14) dello spazio a 4 dimensioni, associando alla (13) la condizione: Lab 0 l'o 0 kA20 nl d'la l'al ola abolito ol odl'a=0 la quale, insieme alla (13), per eliminazione del parametro 4;, avrebbe dato precisamente il sistema lineare (20) che ci ha condotti alle formule (21). Il metodo precedente è però più generale, e ci offre il vantaggio di fornire le equazioni (19) di una superficie del 6° ordine di cui quella del 5° è un caso di degenerazione. « Di formule, come le (21), se ne hanno evidentemente diversi sistemi, e si deducono l’uno dall'altro per mezzo di trasposizioni. Corrispondentemente ad uno stesso tetraedro formato coi punti tripli si hanno 4 di tali sistemi, e ciascuno corrisponde ai 4 sistemi di cubiche sghembe della superficie (n.4) che, sistema per sistema, passano per tre dei vertici di esso. Siccome due qualunque di quei tetraedri hanno sempre a comune tre vertici, così i sud- detti sistemi di formule corrispondono ai primi 10 sistemi di cubiche della superficie. « Quale è il sistema di formule che corrisponde all'11° sistema di cu- biche che la superficie possiede ? « Ricordiamo che se si fissa una quadrica nel fascio (2), cioè se nelle (1) si assegna un valore al parametro Z.:w, la cubica rappresentata dalle (1) è il luogo dei punti allineati con &, e con i proprii corrispondenti nell’omografia — ldl — risultante dal comporre la polarità rispetto alla quadrica (3) con la polarità rispetto alla quadrica scelta in (2). Quella cubica perciò passa per tutti e 5 i punti tripli, ed è una cubica dell’11° sistema. « Si può dunque assumere come sistema di formule corrispondente all’11° sistema di cubiche della superficie, uno qualunque dei 5 che si hanno dal- l'ultimo teorema del n. 13; e dei quali uno è quello dato dalle formule (1). « 15. Noi vogliamo ora scrivere d'una maniera generale le formule di questi 5 sistemi: lo faremo trasformando le formule (1): sarà facile poi, dietro la costruzione data delle 5 reti corrispondenti, di scrivere quelle degli altri sistemi. « Siano a;, Bi, Yi, di, (é=1,...,4) le coordinate dei vertici del pentagono dei punti tripli quando un tetraedro qualunque sia stato preso per tetraedro di riferimento. Se supponiamo che «; sia quel vertice del pentagono che prima rappresentavano con é;, noi potremo scrivere le .(2) e (3) nella forma: Cn (byrdx)? + cor (rada)? + c33 (apda)? + cu (afya) = 0 (22) wi (Pda) + ws (rada) + ws (a8dz) + yi (aPy2)? = 0 ed allora, operando come nella mia Nota: « Sulla superficie del 5° ordine a cubica doppia e punto triplo n 1. c., noi dobbiamo porre le equazioni : va,= (Di —%)z1+ Dia 41 + Dis 73+ Du da ver = Da da + (Das TE t) > + Dos d3 + D2 da | ver = Dai da + Doo ca + Daz — ) 23 + (Du 2a | ves = Da x + Das ta + Das #3 + (Du — ©) da (24) ove ora è: DE = Cir Pis So Ca; Was %P Car Wss sl Car Was Wmn=Wu (BY)m(P70)n + Wa(YC0)m(Y20)n + Ws (080), (480)A+ Wa(08Y)m (2BY)n e C,.n è il minore complementare dell'elemento €,,, nel determinante [Cn] == | Cii (879), (870)n+-c22(Y@0)m(Ye0)n+-033(480)n (Bd), + C44(8Y)m(@8Y)n | SIL « 16. Dopo il problema della rappresentazione parametrica si presenta quello di scrivere l'equazione della superficie. Questa equazione è già conte- nuta nelle 20 del tipo (9), e nell'unica del tipo (12), a cui conducono i 21 modi di generazione di cui è parola nei n.' 11 e 12. Ma noi abbiamo anche 5 altri modi derivanti dalla proprietà stabilita nel n. 3 che lega la super- ficie col cono cubico tangente in uno dei suoi 5 punti tripli, e 10 altri modi, 5 dei quali sono subordinati ai 5 sistemi di formule analoghe al sisfema (1), e5 a degli enti connessi punto-piano di cui discorreremo nel paragrafo seguente; e che provengono, sebbene non direttamente, dalla considerazione di questi medesimi 5 sistemi di formule. In totale, dunque, 36 modi diversi. — Non è mica nostra intenzione di dare tutte queste 36 forme diverse di equazioni, ma come il tipo delle prime 21 è stato già dato (ni 11 e 12) e quello delle — 142 — ultime 10 è identico a quello dato per la sup. gen. del 5° ordine a cubica doppia e punto triplo (Cfr. in prop. il $ II della Nota: Altra proprietà ece., l. c.) così io mi limito a dare ora soltanto una delle forme di equazioni corrispondenti ai rimanenti 5 tipi, riserbandomi nel paragrafo seguente di tornare sulla forma di equazione che corrisponde ai 5 connessi punto-piano di cui ora si è parlato. « Fatte le medesime ipotesi che nel n. 15 le equazioni della trasfor- mazione cubica, di cui al n. 3, diventano (8792) (Byda') = (Byde) = Ax? (yadx) (yadx') = (yade)? = n (25) (a8dx) (a8da') = («de = ” (aByx) (afyre') = (afye)? = A avendo posto : A,=(fy0e), Ax= (yade), As=(@apde), As= (aBys) ; epperò se è Pd o des Ss) = 0 (26) ove Si = (@Bs2), de=(f752), I: = (yasx) una funzione cubica di Yi, da Ie che si annulla per x;= d;(î=1,...,4); e se inoltre per un sistema di valori ©; delle Si: (= 1, 2,8) si ha IP ag L= Op a ERI 4 Id: i ERY l'equazione della superficie si otterrà facendo nella (26) le sostituzioni (25). Noi, p. e., possiamo prendere la y nella forma: GP, +0, + u3,0x,=0 (27) dove Iys=d9 dtd So +93 ds, e così 0y=0 dit, CRV e u è da determinarsi per modo che sia ) P+ 0 + ud 0,1,= 0; cioè nella forma: I 0%:(3% uR 6,) Tea >, 9, X5 (I +9) =0 (28) « Per applicare a questa equazione convenientemente, e rapidamente, le sostituzioni (25), osserveremo dapprima che la trasformazione cubica da esse definita si risolve in quella data dalla Ya Unie= An Ye Y2 —M\bb, Y3 Y3s= Ag, Ya Ya Au (29) preceduta e seguita dall’omografia : Y= (8792) ya= (yada) Î y= («Bdx) \ Yu (Bye) cosicchè, come le (30), risolute rispetto alle 4, dànno : d=Y+ PAY Yad (= 10,4), (30) — 143 — così si ha: Si (Brea) = I (Pre)izi= — (@8y8).y — An yu = Ai Aa yi de (rasa) = (pae); vi= —(Byae). yo — An yu = Aiyo — Any ((81) Ss= (afer)= 3 (aBe)izi= — (@Bye).y3 — Ag ya = Naya — Na ya e queste conducono a I A4IytT Yo, O,A0,+ya0; Mg = Aady + Ya Xx così il cono cubico (28) si muta nell’altro (Ab Py INA (A 0 + ya 0), 0 gt Ì (32) DAI + 449, ) (A 9y 4 9 0,) (Ae yy ge a) (A+) 0 « Ora, per mezzo delle (29), si ha TOSSINE IA ye Y'3 Ya sii Ya Y3Ya +93 A3° Ya Y2 Ya vu SE VIN nuvi Ya Ya Y'3 Au Oy + VA OLEZSII A} YeY3 YaA- 0, N 0° VAI Y'3 Va + 03.A3° ya Y's Ya + jr 0,Ka Ya Ya Y's Ai My A Yin Wa Ai Ya Y'3 Ya se Xe Ai ya Y3 Va +.x3 A3° Ya Ve Ya Tr ne TUETEZE e queste, per le (30), diventano : N99 ZA (Fd ABIL(BL)+IA (BIL (Bd) (Br A+ +IA(Byd2) (892872) +9, A(BYd2) (yed2) (892) A9y+-y10 UN (ped (BIBI (PALI) 33) +03 Ax (8Y92( RenpIcoNTI. 1893, VoL. II, 2° Sem. — 144 — da cui si ha, indicando con 4, # due parametri omogenei variabili da una generatrice all’ altra: d,= 64°w, 0,= 644°, x,=%+ epperò anche : Gi = 6(07)23 4240 + 6(49)23 Au? + (90)33 (2° + L?°) = gr | Se = 6(0%)31 420 + 6(x9)31 Au? + (90)31. (4° + n°) = go (34) ds = 6(07)12 4° 4 6(x9)12 20° + (I0)10. (484 U3°) = gg | dove abbiamo creduto indicare con g,, 42, 93 le funzioni di 4, w propor- ZIONALE « Facendo le sostituzioni (20), e tenendo, dopo, conto delle (31) si ha: A4yx= 9 + A1Y4, Na Ya = 9a + No Ya, A4y3= 93 + Ag Ya; cosicchè, determinando 7, per modo che si abbia %,= 0, cioè ponendo un Up = U Pr + Uz Pa + U3z 3 si avranno le formule Gi UP Ai Uo DI y=U, Pa Ao. Uo È Ya =U,.G3— Ng. Uo pese No Uo ug = 6(0yu)A°w+ 6(x9wA + (I0w) (2-48) le quali rappresentano, nel parametro 4:, la cubica sezione del piano v,==0 col cono cubico (34). Ne segue che, applicando la (29), e,poi di nuovo la (30), le formule : Ai A3° N5% TOMBA d lo) 0) = ————__ (Pyd2): i; r):(aPdx):(aBya) AxUg—UxPr Asi upi: Agug—U,$3 Ug ovvero le (36) 4 a, —r Si eg 0 Anug—uyga i Aatigu po Aso —UxY3 Ut sas rappresenteranno, nel parametro 4:%, la curva, del 9° ordine, ulteriore sezione della superficie colla superficie cubica di equazione : A; (7edx) (aBdx) (a8ya) + Asus (Pydx) (aBdx) (aBya) + 4 As'4s (879%) (veda) (By) + Au, (BYd4) (7ad:2) (PIF) = 0 l'altra parte della sezione essendo composta delle 6 costole del VEDIZIOLIO dei punti a; i, Yi, 0, (0 lA « Si osservi che, sopra una sezione piana qualunque v, =0, i punti della curva (36) sono dati dalla equazione : A da( Asto—uP2)(Astou,goa)to+A"0p(AruoTup)(AsTuYPz)to LA sv (Arte uxyr)(Astg—u, Poet 0A, P1)(Asto x ga)(Astto my P3)=0- « Ne segue che, sezionando coi piani v3 = 0, i punti in quistione saranno dati da SÙ (37) uy=0 e da Ba21) (Axo—u,gi)(Awto— u,pi)=0 (6,k,6,=1,2,8; 0,=0, 0=#, 0=7) — 145 — e quindi che il punto. 9; (i(=1,...,4) è triplo per la curva e si arriva ad esso coi tie valori del parametro Z:w radici della cubica vs = 0. « Similmente, sezionando coi piani va = 0, v8=0, vj=0 si hanno, rispettivamente a determinare i punti in quistione le equazioni : î k= 12,9); = y si 88) Aug (DI i (39) Aotg—u,Pa=0 ne î Ai 0%, (Axug—uygr) (Ai UU, Pr) "ln dsx 53,1 5 0,=Y, x (40) Agg, 93=07 HA uva(Axtio—u,9n) (Ai Ug—UxY1) =0% si n 7 k_31,2;0,=a, p L e queste mostrano che sono tripli per la curva anche i punti &;, fi, Yi: arrivandosi a ciascuno di questi colle terne di valori del parametro 4:w ra- dici delle cubiche (38), (39), (40) (1). « 18. Fra le curve, in numero co*, rappresentate dalle (36), ve ne sono co! ciascuna scissa in una terna di cubiche; esse si ottengono corrispondente- mente ai piani u condotti pel punto «;. Se, anzi, questi piani sono addirit- tura quelli che passano per la retta +, = 0, 9;=0 si ottengono dalle (36) le rappresentazioni di quelle cubiche che prima erano rappresentate dal si- stema (1) conformemente a quanto si disse al n.3, insieme alla rappresen- tazione della cubica doppia considerata come cubica di ognuna delle suddette terne, ripetuta due-volte. A dare alle (36) una forma propria, speciale al caso, poniamo : @,=09+ 40, (i=1,2,8) allora si potrà prendere : u= @, (Bye); +02 (ya); + os3(apeì (£=1,..,4) u,= 1 (Py: A) + 03 (7aeA) + 03 (PEA) « Ora, siccome le A; sono, per la definizione che delle medesime risulta dalle (25), soluzioni del sistema: oli + fitto Vi dat dine = 8 (= 1A) così si avrà: (PyeA) = (Bra A) A1+ (BY0A) A, (ya A) = (yaBA) Ao + (yadA) Ai (aBeA)= (apgyA) A3+ (@80A) A (1) Che la curva, ulteriore sezione della superficie con una superficie cubica arbitra- ria condotta pei sei spigoli del tetraedro dei punti «;, fi, zi, di abbia in questi punti dei punti tripli si può, del resto, ottenere come segue. La curva totale intersezione deve avere in «;,... dei punti sestupli. Ora essi punti sono tripli pel sistema delle tre ‘costole del suddetto tetraedro uscenti da ciascuno; queste costole faranno parte della curva d’ inter- sezione; dunque l’altra parte avrà quei punti per punti tripli; come v. d. aid — avendo indicato con E, , ..., &, le coordinate del trasformato del punto «1 ..., & per mezzo delle (28). Ne segue essere : un = CASTA 0A As + G A) + (E Ah + Go Ai) « Ora è anche ug = 1 (P7eG) + ws (yeep) + #3 (aBegp), perciò, ponendo : 91 (87ep) + da (yaegp) + d; (aPep) = Wa 6, (Preg) + 02 (yaeg) +0; (aBep) = Ws GAs+E5 A4=D, GA+ GE A,= T, e poi anche A;w, — Dgpi! =R;, A;wW—Tpi =; le formule (36) diventano : RSn2R Aia; No? Bi 3° Vi Ad; n Xi CREO UERI ce FRI SLA == CRICHAI = TOT 0A (i=1;---04) e sono queste le richieste ». Matematica. — A proposito di una Memoria sulle linee geo- detiche del sig. G. Konigs. Nota del prof. GREGORIO Riccr, presen- tata dal Corrispondente PADOVA. i « Negli « Annali della Facoltà di Scienze di Tolosa » è apparso recente- mente un riassunto della Memoria del sig. Kònigs sulle linee geodetiche, che l'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Francia ha ritenuta degna del premio Bordin. Avendo io in questi Rendiconti (!) resi di pubblica ragione i risultati delle mie ricerche sullo stesso argomento, mi permetto ora di aggiungere alcune osservazioni dirette principalmente a porre in rilievo la concordanza di alcuni risultati fondamentali comuni ai due lavori. « Il sig. Kònigs si propone di determinare sotto la forma 1) \/@+Y)+ ge — 9) | daedy tutti gli elementi lineari di superficie, pei quali la equazione delle geodetiche ammette più integrali primi quadratici; o, che è lo stesso, che sono capaci di più di una riduzione alla forma di Liouville, e giunge alle seguenti con- clusioni : « 1.° La equazione delle geodetiche non ammette mai più di cinque integrali primi quadratici indipendenti, e questo numero è raggiunto soltanto per le superficie a curvatura costante. « 2.° Il numero degli integrali primi quadratici indipendenti della equa- zione delle geodetiche non può mai essere eguale a quattro. « 3.° Il numero stesso è eguale a tre soltanto per gli elementi lineari, che appartengono ad una classe di superficie di rivoluzione, pei quali l’esì- (1) Seduta del 22 gennaio 1893. — 147 — stenza appunto di tre integrali primi quadratici indipendenti della equazione delle geodetiche era già stata dimostrata dal sig. Darboux. « 4.° Esistono degli elementi lineari, che vengono determinati dall’au- tore sotto la forma (1), pei quali la equazione delle geodetiche ammette due e non più integrali primi quadratici indipendenti. « Poichè dalla possibilità di ridurre e dalla effettiva riduzione di un ele- mento lineare di superficie alla forma di Liouville dipende la soluzione di alcuni importanti problemi (come il riconoscere se una equazione di 2° ordine ad invarianti uguali è armonica, e la integrazione delle equazioni delle geo- detiche con semplici quadrature) io mi proposi di stabilire le conclusioni ne- cessarie e sufficienti perchè un elemento lineare dato sotto forma qualunque sia riducibile mediante uno 0 più sistemi coordinati alla forma di Liouville e, nel caso affermativo, di determinare tutti i sistemi di Liouville, di cui esso è dotato e trovai: « 1.° che non vi sono superficie, per cui l'ordine di infinito del numero dei sistemi di Liouville sia maggiore di quattro e che questo numero si rag- giunge soltanto nel caso delle superficie a curvatura costante; « 2.° che non esistono superficie dotate di un numero 00? di sistemi di Liouville ; «.3.° che le superficie dotate di un numero co? di sistemi di Liouville sono applicabili sopra superficie di rivoluzione. « Di più ho stabilite le condizioni necessarie e sufficienti per la esi- stenza dei sistemi di Liouville e dati i metodi per determinarli nei casì seguenti: «4.° che il numero dei sistemi stessi sia semplicemente infinito ; « 5.° che esista un solo sistema di Liouville, risultando anche dai miei metodi ciò, che era già stato dimostrato dal sig. Darboux, che cioè per un dato elemento lineare il numero dei sistemi di Liouville, se non è infinito, non può essere maggiore di uno. « Per riconoscere il perfetto accordo tra i risultati 1°, 2°, 3° e 4° del sig. Konigs edi miei contrassegnati dagli stessi numeri d'ordine basta osser- vare che il Kònigs, assumendo la espressione del ds® sotto la forma Ada dy, prende come punto di partenza la nota equazione del sig. Darboux d° 4 dA d° Ri dA — ea Ma r Tog0 D) 2X 7 +8X ai du -3Y Do x ogni soluzione della quale, purchè X ed Y siano amendue differenti da 0, conduce ad un sistema (vv) di Liouville col porre da di } da d = Ah (Ad) = — I VX VY VX VY che in ogni caso le soluzioni generali (XY) della equazione (D) sono fun- zioni lineari ed omogenee di un certo numero di costanti arbitrarie e che 3) Qui= — 148 — secondo il Kéònigs, questo numero non può mai superare cinque nè essere eguale a quattro, ed è rispettivamente eguale a cinque, tre e due nei casi 1°, 5° e 4°. In questi medesimi casi il numero delle costanti arbitrarie es- senzialmente distinte contenute nei secondi membri delle (2), quando « e v si riguardino come costanti, è dunque eguale rispettivamente a quattro, tre ed uno e non può mai essere eguale a tre, nè maggiore di quattro. « Il 5° caso da me considerato non rientra nel problema risolto dal Kénigs; mentre ha una speciale importanza dal punto di vista, nel quale io mi sono posto, poichè è il solo, in cui il sistema doppio di Liouville risulta determinato in termini finiti e la riduzione dell'elemento lineare proposto alla forma di Liouville dipende da semplici quadrature. Mi permetterò in fine di osservare come, avendo completamente risoluto il problema propostomi, ho anche stabilite le equazioni, che caratterizzano gli elementi lineari corri- spondenti ai casi 3° e 4° sotto forma assoluta cioè indipendente da ogni ipo- tesi sulla forma della loro espressione ». Chimica Fisica. — Sulla dissociazione elettrolitica in rela- zione col potere rotatorio ottico. Nota di G. CARRARA presentata dal Corrispondente R. NASINI ('). « Le relazioni esistenti fra il potere rotatorio e la dissociazione elettro- ‘ litica si possono, secondo W. Nernst, riassumere così: Sali che contengono un ione otticamente attivo debbono avere potere rotatorio uguale quando si trovano allo stato di completa dissociazione in soluzioni equivalenti (2). « La teoria della dissociazione elettrolitica considerando le proprietà degli elettroliti in soluzione come principalmente additive troverebbe in ciò un valido appoggio. Difatti se veramente i sali aventi un ione otticamente attivo sono dissociati in soluzione, il loro potere rotatorio specifico dovrà essere propor- zionale al numero di ioni liberi attivi e perciò al grado di dissociazione elet- trolitica della soluzione. Si arriva così alla conseguenza, che si ammette essere confermata dall'esperienza; che i sali di uno stesso acido attivo aventi un ione comune attivo debbono avere lo stesso potere rotatorio quando si esami- nino in soluzioni equimolecolari e che il grado di dissociazione elettrolitica sia uguale, come del resto è quasi sempre per i sali. Lo stesso è a dirsi per i sali formati da una base attiva con acidi diversi. «I primi lavori che misero in evidenza una certa analogia nel compor- (3) Lavoro eseguito nell’ Istituto Chimico della R. Università di Padova. (2) W. Nernst, Theoretische Chemié ecc. pag. 322. — 149 — tamento ottico dei sali di un acido attivo furono eseguiti molto prima che la teoria di Arrhenius fosse enunciata; essi debbonsi al Landolt (!). « Egli esaminò il potere rotatorio di diversi tartrati in soluzioni tali che contenevano tutte per una molecola di sale 100 molecole d'acque e trovò che per i tartrati acidi di Li — NH, — Na— K sì aveva un potere rotatorio molecolare M[«]p assai vicino in media a 42; per i tartrati neutri Li—NH, —Na—K numeri fra loro assai prossimi, in media circa 63, e questo tanto quando i due atomi di idrogeno acido erano sostituiti da due atomi di uno stesso elemento oppure da due atomi di elemento diverso. « Landolt ‘osservò che il potere rotatorio molecolare dei tartrati sta in rapporto semplice col potere rotatorio molecolare dell'acido tartrico che sa- rebbe 21.08 per soluzioni di concentrazione uguale a quella del sale; questo rapporto sarebbe di 1 a 2 per i tartrati acidi e 1 a 8 peri tartrati neutri. In tal modo si avrebbe avuto una verifica della legge dei multipli di Krecke. « Il lavoro di Landolt nella parte che riguarda la legge dei multipli fu oggetto di una critica per parte di A. C. Oudemans (*): però le relazioni esistenti tra il potere rotatorio molecolare dei tartrati rimangono. « Nel 1876 Oudemans (3) in uno studio molto importante sugli alca- loidi delle chine osservò che l'aggiunta di sempre maggiori quantità d'acido produce dapprima un leggero aumento nel potere rotatorio e poi una progres- siva diminuzione. Questo fatto si avverava principalmente per acidi minerali forti, mentre per acidi organici si aveva un costante aumento nel potere ro- tatorio allorchè si aggiungevano sempre maggiori quantità d'acido. « Per esempio tolgo dal lavoro di Oudemans i seguenti dati che si ri- feriscono alla cinconidina : MOLECOLE di acido per HCl HNO; HC103 HC10, CH; 0, C. H, 0» 1Mol.d’Alcaloide 2 — 174.40 | 173.89 | — 182.30 | — 181.97 | — 157.0° | — 136.1° 5) 175.6 177.5 183.4 183.0 163.7 146.6 d 175.1 175.5 181.6 182.1 170.2 151.1 6 174.1 173.5 180.4 180.2 174.6 — Toes = — = = = 162.1 8 171.6 _ = 179.1 175.6 — 9 _ 171.5 179.1 — — _ | 10 _ _ —_ = 175.5 165.2 (1) Veber Gesetemiissigheiten beziiglich des molekularen Drehungsvermogen des Wein- sùure und ihrer Salze. Berl. Berichte VI, pag. 1073, anno 1873. (2) Berichte, VI, pag. 1166, anno 1873. (3) Liebigs Annalen CLXXXII, pag. 33, anno 1876. — 150 — « Egli cercò di spiegare questi fatti ammettendo che l'aggiunta di acido impedisse la dissociazione idrolitica e quindi si avessero quei massimi che sarebbe.o proprii del sale. Inoltre cercò di spiegare il fatto che l'aggiunta di eccesso d'acido fa variare il potere rotatorio specifico dei sali di questi alcaloidi, ammettendo che l'acido agisca sull'acqua come una specie di disi- dratante, facendo così variare la concentrazione rispetto all'acqua stessa; ovvero supponendo che il potere rotatorio degli alcaloidi sia, come spesso è, diverso in diversi solventi. « Io credo che questi fatti sì accorderebbero benissimo con la teoria della dissociazione elettrolitica; difatti se sì pensa, che con l'aggiunta di acidi forti, perciò dissociati in soluzione, ai loro sali alcaloidici non si fa altro che mettere questi sali in presenza di uno dei prodotti della loro dissocia- zione elettrolitica, è ben naturale che la dissociazione elettrolitica del sale ne resti ostacolata; così gli ioni liberi essendo in numero minore si ha una sensibile diminuzione del potere rotatorio. « Sarebbe difficilmente spiegabile l'aumento nel potere rotatorio prodotto dagli acidi organici; però è probabile che qui il fenomeno dipenda dalla di- versità del solvente. « Nel 1883 A. C. Oudemans (') continuando lo studio dei sali di china- mina, conchinamina, chinina, chinidina, cinconina, cinconidina con acidi organici e inorganici osservò che il potere rotatorio specifico in soluzione acquosa dei sali neutri delle basi monoacide è uguale per ogni sale e indipendente dai caratteri chimici dell'acido; si ha solo una piccola differenza dovuta, secondo Oudemans, all'azione dissociante dell’acqua. « Tikoeiner (2) studiò il comportamento dei sali di brucina, stricnina, morfina, codeina, arrivando agli stessi risultati di Oudemans. « Nel 1885 (?) Oudemans ritornò ancora sull'argomento, estendendo le sue ricerche agli acidi attivi: studiò l'acido chinico e il podocarpinico con- cludendo che in soluzione acquosa, per piccole concentrazioni, l'acido chinico e l'acido podocarpinico sotto forma salina diversa hanno lo stesso potere ro- tatorio specifico e che i poteri rotatori dei chinati e dei podocarpinati sono fra loro molto vicini. L'autore osserva, riassumendo i lavori di Landolt sopra i tartrati, che il potere rotatorio dell'acido tartrico puro è assai diverso da quello col quale entra nei sali, mentre per l'acido chinico le differenze sono piccolissime. È notevole per l'acido chinico che esso ha quasi lo stesso po- tere rotatorio dei suoi sali. « Schneider (') in uno studio sul potere rotatorio dell'acido malico e dei malati trovò, come appare da alcuni numeri che sotto riporto, che i (1) Berl. Ber. XVI, Ref. pag. 383. (2) Berl. Ber. XVI, Ref. pag. 384. (3) Wiedemann's Beiblattàr, IX, pag. 653, ann. 1885. (4) Liebigs, Annalen XX, pag. 284. È -— 151 — poteri rotatori specifici dei due tipi di sali, acidi e neutri, sono fra loro abba- stanza prossimi, calcolandoli per una diluizione infinitamente grande; mentre differiscono notevolmente da quello dell'acido libero che sarebbe nelle stesse condizioni di diluizione. LIICASIAE Abate] [al =— 3,07; Tm — 4,11 Sale acido Sale neutro MALATO DI [a] P [e] P o A 0 ROtassIORARSat — 6.19 — 10.65 -— 7.81 — 15.95 | Soto so de — 7.02 — 10.95 |. — 9.84 SII Ho rsa — 8.48 — 11.87 — 12.71 — 18.56 Ammonio. . . . — 6.84 — 10.83 — 8.98 — 15.00 W. Hortmann (') nel 1888 studiò il potere rotatorio dell'acido canforico destrogiro e de’ suoi sali e concluse che il potere rotatorio dell'acido libero è assai diverso da quello che può dedursi da’ suoi sali. Mentre il potere rota- torio specifico dell'acido sarebbe (?) (p percentuale in sale): p=10 [a] = + 46.46 p=0, [ab= + 45.92 quello dedotto dei sali sarebbe: EZIO ERO DI_0R®ca]:= 19%, Invece il potere rotatorio dei sali è presso a poco uguale. Tolgo dal la- voro di Hortmann i seguenti numeri che si riferiscono, i primi a soluzioni di una concentrazione p (cioè percentuale in sale) = 5 edi secondi sono i valori calcolati mediante le formule date da Hortmann facendo p = 0 ossia riferen- dosi a soluzioni infinitamente diluite. « Sale [@] è il potere rotatorio specifico. Sale [M] è il potere rotatorio molecolare. Acido [aj è il potere rotatorio dell'acido dedotto dal sale. Acido canforico destrogiro Tic Mg |NH.).| Ca Nas Ko Ba (Cio Ha 0, Saleli ica risi MElS:9)1 1876 17.16 | 17.07 | 15.84| 13.78 | 11.56 Sale [M]. ... | 40.01| 41.56] 40.08| 40.54| 38.58 | 37.98 | 38.65 | Acido [e]... | 20.05| 20.83 | 20.08 20.31 | 19.34 | 19.03 | 19 37 (2) Berichte, XXI, pag. 221. (2) Berichte, XXI, pag. 225. RenpIcONTI. 1893, Vol. II, 2° Sem. 21 — 152 — Acido canforico destrogiro Li, Me |(NH.):| Ca Na» K, Ba Cio Hi 4 04 | | Sale [@]. ... | 17.75| 17.82| 16.45| 16.46 | 14.78| 13.08 | 10.91 Sale [M]. . ...| 37.55 | 89.48 | 838.41 39.03 | 35.99! 36.05 | 36.48 Acido [e]... | 18.82] 19.78 19.25| 19.58] 18.04| 18.07 | 18.28 Questo lo stato attuale della questione, per la quale come si vede non è ancora detta certamente l’ultima parola. « Mi è parso di qualche interesse di mettere in evidenza come anche per una base che si comporta assai stranamente rispetto alla luce polarizzata, sia quando è sola sia quando è salificata, pure ove si considerino le soluzioni diluite de’ suoi sali si trovano dei numeri che vanno d’accordo con la teoria della dissociazione elettrolitica. Questa base è la nicotina: come è noto essa è fortemente levogira [e])=—161.55; in soluzione acquosa il suo potere rotatorio specifico diminuisce fortemente cosicchè per ec = 9.0152 si ha [a])hp= — 75.53. I suoi sali in soluzione acquosa hanno piccolo potere rota- torio a destra, mentre in soluzione alcoolica deviano a sinistra. Il potere rotatorio del solfato, del cloridrato e dell’acetato di nicotina fu studiato da P. Schwebel (') il quale trovò le seguenti equazioni generali, dove g esprime il °/, di acqua: io ho calcolato poi il valore per 4 = 100 ossia per soluzioni infinitamente diluite. Solfato di nicotina (Cro Hia Ne). S04 Ha) [e]o = + 19.77 — 0.05911 g; [@] q100, = + 13.86. Cloridrato di nicotina (Co His Ns. HO1) [a].p= + 51.50 — 0.79319+- 0.004238 9? ; [@]og=1no, = + 14-87. Acetato di nicotina (Cio Hi4 Na. Cs Hi 03) [a] = + 49.680 — 0.61899+- 0.002542 9%; [[e]p gears, = 13.21. « Io ho determinato il potere rotatorio di tre sali di nicotina, due for- mati da acidi minerali forti, bromidrico e nitrico, ed uno da un acido orga- nico, il propionico, il quale è fra i più deboli fra i primi termini della serie grassa, come appare dal lavoro di Ostwald sulla conducibilità elettrica delle sue soluzioni: K = 0.00134 (2). « E ciò appunto per vedere se esisteva una differenza tra i sali formati da acidi di energia diversa, cioè diversamente dissociati in soluzione. Il me- todo da me seguito in queste determinazioni e per preparare i sali è ana- logo a quello di Schwebel, cioè neutralizzazione esatta di un certo volume (1) Berl. Ber. XV, pag. 2850, anno 1882. (2) W. Ostwald, Ver di Affinitàtsgròssen organischer Stiuren und ihre Beziehungen zur Zusammensetzung und Constitution derselben. Leipzig 1889. di soluzione di nicotina di concentrazione nota col volume corrispondente di acido titolato, portando poi la mescolanza a volume determinato. Potei così esaminare al polarimetro soluzioni equimolecolari dei sali. « Le osservazioni ottiche vennero fatte con un'eccellente polarimetro a penombre Landolt-Lippich della fabbrica Schmidt e Haensch di Berlino di proprietà del prof. Nasini. Questo istrumento permette l’approssimazione di un centesimo di grado. « Ecco i risultati ottenuti: Bromidrato di nicotina (C,0 Hiy Ns. HBr) oa Las Nitrato di nicotina (C,0 His N». NHO;) lee 12-538 Propionato di nicotina (Cio His Na. C3 H 0») [o ]oie=sno = 12.18. « Schwebel per concentrazioni piccole aveva trovato: Cloridrato [a ]pp=9.988) = 14.44. Solfato [0 o p-9.946) = 14.52. Acetato [eo p=4.856) == 13.81. « Tenuto conto delle difficoltà esperimentali che vi sono nell'esame di soluzioni diluite di sali di nicotina, per il colore e l’opalescenza della so- luzione, si possono ritenere questi numeri come molto concordanti fra loro. « Ai fatti sopra accennati posso aggiungere alcuni altri, la cui illustra- zione si trova in un lavoro del dott. Zecchini, eseguito in questo laboratorio ed ora in corso di pubblicazione. Il dott. Zecchini ha esaminato il potere rotatorio di alcuni sali di coniina tanto in soluzione alcoolica che in soluzione acquosa ed ha trovato: « In soluzione acquosa il cloridrato di coniina dà [e]p= + 0.27; il bromidrato di coniina sempre in soluzione acquosa dà [a]p= + 0.27. « In soluzione alcoolica invece il cloridrato avrebbe un potere rotatorio [a ]p= -+4.56 ; il bromidrato in soluzione alcoolica avrebbe [a]r=-+-4.28. « Riassumendo la questione, mi sembra che ci sieno delle ragioni pro e delle ragioni contro alla ipotesi che il potere rotatorio dei sali degli acidi e delle basi attive in soluzione dipenda dalla dissociazione elettrolitica. « Vediamo ora quali sono queste ragioni e che valore hanno: « Prima di tutto c’è il fatto, che mi sembra bene accertato, che i sali attivi in soluzione acquosa, si riferiscano essi ad un acido o ad una base attiva hanno lo stesso potere rotatorio, ove in modo opportuno si facciano i confronti. Considerando le grandi variazioni che subisce il potere rotatorio col mutare del solvente e colla concentrazione l’importanza di questo fatto è innegabile, e non vi ha dubbio che la teoria della dissociazione elettroli- litice sia qui d'accordo col fatto e ne dia una razionale spiegazione. = llò4 « Le obiezioni che si possono fare sono diverse. In primo luogo il potere rotatorio dell'acido o della base in soluzione diluita dovrebbe essere uguale a quello dei sali; invece non è, per l'acido tartarico, per l'acido canforico, per l'acido malico e per le basi; però questa obiezione è più apparente che reale, visto che si tratta di acidi e di basi deboli e perciò poco dissociati in so- luzione. Io sto ora lavorando sul potere rotatorio dell'acido amilsolforico e de’ suoi sali. Questo è un acido energico e, se la teoria è vera, esso in solu- zione diluita deve avere lo stesso potere rotatorio dei suoi sali. Anche lo studio che ho intrapreso sopra i sali della diisoamilammina e della trisoamilam- mina, la prima delle quali è base assai energica, spero che mi darà buoni resultati. Ma d'altra parte per l'acido chinico, che è un acido più debole del malico e del tarttico come risulta dalle determinazioni di Ostwald sulla con- ducibilità elettrica delle loro soluzioni acquose (!), si è trovato che l'acido ha lo stesso potere rotatorio dei suoi sali. È questa un’obiezione ® Non credo. Può darsi che l'acido abbia lo stesso potere rotatorio del suo ione e ciò mi sembra che non abbia nulla di strano. Un'altra obiezione si potrebbe trovare nei sali di coniina sopra citati, dove si vede che il bromidrato ed il cloridrato di coniina in soluzione alcoolica avrebbero lo stesso potere rotatorio: non sappiamo se qui si possa ammettere la dissociazione elettrolitica, e natural- mente si potrebbe pensare che è inutile ricorrere ad essa se non ci può poi spiegare tutti i fatti analoghi; però è da notarsi che l'alcool essendo un solvente ossidrilico del tipo acqua può avere, ed ha realmente, con essa qualche analogia di comportamento. « L'obbiezione più seria però sarebbe la seguente. Per molti sali di alcaloidi formati da acidi deboli e basi deboli, sembrerebbe spesso trattarsi prevalentemente di dissociazione idrolitica, cioè in base ed acido: in tal caso il fatto dell'egual potere rotatorio dei sali non si potrebbe spiegare se non ammettendo che essi vengano ad avere il potere rotatorio della base libera in soluzione. Però questo non è: e ciò specialmente risulta dal comportamento della nicotina da me esaminata, perchè mentre la base ha un fortissimo po- tere rotatorio a sinistra i sali lo hanno piccolissimo a destra. « La conclusione dunque secondo me sarebbe: che mentre colla teoria della dissociazione elettrolitica sì va in contro a qualche difficoltà, che la poca estensione delle nostre conoscenze sull'argomento non riesce ancora a spiegare, si ha però ragione del massimo numero di fatti ora conosciuti: invece ogni altra ipotesi è del tutto insufficiente ». (*) Journal fùr praktische Chemie XXXII, pag. 340-868. — 155 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal giorno 7 agosto al 3 settembre 1893. Berthelot M.— La Chimie au moyen-àge. Tome I°. — Essai sur la transmis- sion de la science antique au moyen-àge. Doctrines et pratiques ete. Tome II°. — L'Alchimie syriaque ..... avec la collaboration de M. R. Duval. Tome III°. — L'Alchimie arabe ..... aver la collaboration de M. O. Houdas. Paris 1893. 4°. Duponchel A. — Principes de cosmogonie rationelle. Paris, 1893. 8°. Massalongo C. B. — Le galle nella flora italica (Entomocecidii). Ve- rona, 1893. 8°. Millosevich E. — Appendice alla Memoria « Sulla distribuzione della pioggia in Italia » inserita nel vol. III, parte 1®. degli Annali di Meteorologia. Roma, 1884. 4°. Id. — Determinazione dell'orbita della cometa 1889 II. Roma, 1890. 4°. Id. — Discussione delle osservazioni dell'ingresso di Venere sul disco del sole del 6 dicembre 1882 fatte negli Osservatorî italiani. Roma, 1883. 4°. Id. — Elementi ellittici di (306) unitas in base alla prima e seconda oppo- sizione. Roma, 1893. 4°. Id. — Il diametro di Urano. Roma, 1884. 4°. Id. — Il gruppo delle Pleiadi osservate da Bessel e ridotte al 1880,0. Roma, 1879. 4°. Id. — Nuovi studî e calcoli intorno al passaggio di Venere sul disco del Sole del 6 decembre 1882. Venezia, 1874. 8°. Id. — ©Orbita definitiva della cometa 1888, III. Roma, 1889. 4°. Id. — Orbita della cometa 1879, IV (Hartwig 2 1879). Roma, 1888. 4°. Id. — Orbita ellittica del pianetino (308) Josephina. Roma, 1891. 4°. Id. — Osservazioni e calcoli astronomici, fatti durante il 1883 nel R. Osser- vatorio del Collegio Romano. Roma, 1885. 4°. Id. — Osservazioni astronomiche fatte coll’equatoriale di 25 cm. di apertura durante il 1884. Roma, 1885. 4°. Id. — Osservazioni astronomiche e riduzioni relative fatte nel 1885 nel R. Os- servatorio del Collegio Romano. Roma, 1887. 4°. Id. — Osservazioni astronomiche, riduzioni relative e calcoli fatti negli anni 1386-1837 nel R. Osservatorio astronomico del Collegio Romano. Roma, 1890. 4°. Id. — Riflessioni sulla astronomia nautica. Roma, 1883. 8°. Id. — Sulla difficoltà di determinare esattamente una differenza di longitu- dine in estrema prossimità ai poli. Città di Castello, 1889. 40.9 — 156 — Millosevich E.— Sulle stelle boreali fino A — 1° inclusivo dette Anony- Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. mous del Catalogo di Yarnall (Washington, 1878). Roma, 1885. 4°. — Sull’anno che serve di origine delle Olimpiadi. Roma, 1893. 4°. — Sull’eclissi di Archiloco e sulla iconografia al canone degli eclissi di sole di Oppolzer. Roma. 1893. 4°. — Sull'orbita della cometa e 1879 (Hartwig). Roma, 1884. 4°. — Sull'orbita del pianeta (264) Libussa. Roma, 1887. 4°. — Sull'orbita di (303) Josephina in base a due opposizioni. Roma, 1892. 4°. — Sull'orbita di (303) Josephina. Roma, 1893. 4°. — Sul moto proprio di 9352 Lacaille. Roma, 1893. 4°. e Cerulli V. — Catalogo di 1291 stelle australi fino a 93 inclusivo, scelto dal Catalogo Schonfeld (Bonn VIII) fra quelle non ancora esat- tamente fissate nei paralleli australi 21° e 22° (1885,0). — Equinozio medio 1890,0. — Osservazioni fatte al circolo meridiano di Ertel del R. Osservatorio del Collegio Romano ..... pubblicate per cura di P. Tac- chini. Roma, 1892. 4°. Patroni C. — Fossili miocenici di Baselice in provincia di Benevento. Napoli, 1893. 4°. Saija G. — Determinazione speditiva delle coordinate geografiche di un luogo colle culminazioni della luna e di un altro astro. Palermo, 1893. 8°. P.ib. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA RR. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 17 settembre 1893. nr 27227 T—-'<—-—-—- <- Fisica. — S0/ piano di polarizzazione delle oscillazioni hert- ziane. Nota del Corrispondente Aucusto RIGHI. « Avendo avuto l'opportunità di eseguire nuove esperienze su questo sog- gette, ne espongo i risultati in questa Nota, che servirà così di complemento alla Nota precedente ('). «“ Ho ripetute le esperienze di riflessione coll’apparecchio della fig. 1* della precedente Nota. Lasciando dapprima a parte lo zolfo, che diede risultati incerti, ho adoperato come riflettore il rame; ma il nuovo specchio ha dimen- sioni maggiori che nelle esperienze precedenti. Esso è rettangolare, lungo 120 c. e largo 40 c., ed è montato in guisa che i lati maggiori sieno paralleli al piano di riflessione. In tal modo si utilizza in tutta la sua sezione il fascio di radiazioni che emana dal riflettore parabolico dell’oscillatore, anche quando l'incidenza è assai grande. « Dato all'angolo d'incidenza il valore costante di circa 72°, si girava di 90° alternativamente lo specchio insieme al risonatore, in modo che la vibrazione elettrica incidente fosse ora parallela ed ora perpendicolare al piano di riflessione. Così facendo ho sempre ottenuto nel risonatore un effetto assai maggiore nel primo caso che nel secondo. Questo risultato è precisamente quello ottenuto colle precedenti esperienze, e porterebbe alla conclusione, che (3) Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. II, 2° semestre, pag. 73. (NO) DO RexpIcoxTI. 1898, Vol. IT. 2° Sem. — 158 — la radiazione elettrica emessa dall’oscillatore si comporta come un raggio lumi- noso il cui piano di polarizzazione sia pararello alla direzione della forza elet- trica, ossia perpendicolare alla direzione della forza magnetica. « Secondo la teoria elettromagnetica della luce, ammettendo certe ipotesi assai verosimili circa ‘alle condizioni relative alle superfici di separazione fra i due corpi diversi, sì trova che, se una radiazione elettromagnetica si riflette o si rifrange, essa deve comportarsi come un raggio luminoso il cui piano di polarizzazione sia perpendicolare alla direzione delle perturbazioni elettriche. Il risultato delle mie esperienze di riflessione metallica sarebbe «dunque in contraddizione colla teoria, per cui mi ha sembrato necessario lo studiare anche il modo di comportarsi di qualche dielettrico. E siccome mi occorreva un corpo al quale potessi dare facilmente varie forme e di non alto prezzo, ho dato la preferenza ad una paraffina di qualità inferiore. Questa paraffina è perfettamente bianca, omogenea ed assai trasparente. Il suo punto di fusione è 509,5. « Anzitutto ho voluto determinare il suo indice di rifrazione per le oscil- lazioni elettriche date dal miei apparecchi, e la cui lunghezza d'onda è 47,5. Ho formato quindi colla paraffina un prisma equilatero, alto 20 c. ed avente circa 37 e. di lato nelle basi triangolari, ed ho misurato la devia- zione da esso prodotta sui raggi di forza elettrica. « Per eseguire tal misura il prisma fu posto sopra un disco girevole oriz- zontale, sull'orlo del quale trovavasi una graduazione destinata a far conoscere l'angolo d'incidenza. Il risonatore era sostenuto da un braccio girevole su altra graduazione che serviva a misurare l'angolo di deviazione, e veniva spostato sicchè le scintillette assumessero il massimo splendore. Si facilitava l'opera- zione dando al risonatore una posizione inclinata, girandolo a questo scopo in- torno al proprio asse (parallelo alla direzione delle radiazioni che lo colpi- scono) (!), sinchè le scintillette fossero quasi spente, giacchè in tal caso si ve- deva qualche debole scintilla soltanto allorchè il risonatore era collocato in modo da ricevere in pieno la radiazione rifratta dal prisma. Una grande lastra metallica munita di apertura rettangolare di 18 e. per 30 c. era applicata alla faccia di emergenza del prisma. « Come media di varie misure ho ottenuto 7 = 1,4 come indice di rifra- zione della mia paraffina per le radiazioni di 7,5 c. di lunghezza d'onda. L'an- golo di polarizzazione è dunque di 54° 27’ 44”. « Risulta intanto da questi valori, che non è possibile ottenere un raggio polarizzato circolarmente (2) con due sole riflessioni interne in un prisma di () Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. II, 1° semestre, pag. 508 (1893). (*) Nella precedente Nota ho descritto il modo con cui sono giunto ad ottenere un raggio di forza elettrica, che si può chiamare 4 vibrazioni circolari; ma non sarà inutile chiarire quale sia la sua natura. Supponiamo che in una stessa direzione si propaghino , — 159 — paraffina analoga al noto parallelepipedo di Fresnel, ma che occorrono invece almeno tre riflessioni. Ho realizzato questa esperienza con un grande prisma di paraffina, che pesa circa 22 chilogrammi, alto 20 c., la cui base è un tra- pezio isocele, e di cui ho calcolato le dimensioni col metodo che serve a cal- colare quelle d'un parallelepipedo di Fresnel che debba servire a polarizzare circolarmente, per riflessione totale, un raggio luminoso (*). I lati paralleli del trapezio sono lunghi circa 83c. e 49 c., e la loro distanza è 19,5 c.; i lati obbliqui formano col lato di 83.c., angoli di 48° 33". Le radiazioni emesse dall’oscillatore (collocato assai vicino al prisma) entrano per una delle faccie obblique sotto l’incidenza normale, si riflettono sulla faccia lunga 83 c., poi sulla faccia lunga 49 c., poi di nuovo sulla faccia maggiore, ed infine escono normalmente dalla seconda faccia obbliqua. Se il prisma è collocato in modo che le vibrazioni elettriche che entrano in esso formino un angolo di 45° col piano di riflessione, il risonatore, posto di fronte alla faccia di emergenza, mostra delle scintillette, le quali hanno sensibilmente una co- stante frequenza e vivacità, comunque si giri il risonatore intorno ad un asse parallelo alle radiazioni che lo colpiscono. Ora, ciò è appunto quanto deve osservarsi, se, in causa delle tre riflessioni totali interne, il raggio emergente è diventato un raggio a vibrazioni circolari. « Ciò fatto ho costruito una grossa piastra di paraffina, riempiendo con tale sostanza una scatola di legno, lunga internamente 50c., larga 40c. e alta 6,6c. e l'ho adoperata nelle esperienze di riflessione al posto della lastra simultaneamente entro un dielettrico due onde elettromagnetiche piane, per ciascuna delle quali la forza elettrica abbia costante direzione, e vari d’intensità con legge sinusoidale, cosichè quelle due onde rappresenteranno due onde luminose polarizzate di luce semplice. Supponiamo inoltre che le due onde non diversifichino l'una dall’altra che: 1° per essere le direzioni della forza elettrica e della forza magnetica sull’una, rispettivamente perpen- dicolare alle direzioni delle due forze corrispondenti sull’altra; 2° per esistere fra esse una differenza di fase di % vale a dire che quando su una delle onde la forza elettrica è mas- sima, essa è nulla sull’altra. L’onda risultante sarà @ vibrazioni circolari. È facile per- suadersi, per esempio partendo dalle equazioni di Hertz, che sull'onda risultante la forza elettrica e la forza magnetica hanno insensità- costanti, mentre le loro direzioni, sempre fra loro ortogonali, girano uniformemente intorno alla direzione della propagazione. La durata d’un giro è uguale al periodo delle oscillazioni componenti. Un raggio a vibrazioni circolari altro non è dunque, per così dire, che un campo, in pari tempo elettrico e ma- gnetico, girante uniformemente, e propagantesi colla velocità V della luce. Se poi per un dato istante e per tutti i punti di una retta tracciata nella direzione della propagazione si immaginano rappresentate in grandezza e direzione con tante rette le forze elettriche che ivi agiscono, le estremità di tutte queste rette formano unelica, il cui passo è uguale alla lunghezza d’onda. Lo stesso dicasi per la forza magnetica. Per avere l’analoga rappresentazione delle forze dopo un intervallo di tempo #, basta imma- ginare spostate le eliche di una quantità #V nel senso della propagazione. (1) Billet, Optique Physique; +. II, pag. 112. — 160 — metallica SS della fig. 1% della Nota precedente, contentandomi di dare all’an- golo d'incidenza il valore costante 54° e mezzo circa. Naturalmente in causa del grande spessore della lastra di paraffina, essa dovè fissarsi nell’appa- recchio in modo un po’ diverso da quello indicato nella citata figura. « Benchè l'intensità delle radiazioni elettriche riflesse nel caso della paraffina sia di gran lunga minore che nel caso dei metalli, pure ho potuto in modo sicuro constatare che essa si comporta all'opposto del rame. Voglio dire che la radiazione riflessa è più intensa quando le vibrazioni elettriche incidenti sono perpendicolari al piano di riflessione, che quando sono parallele a questo piano. « Nelle esperienze della prima Nota, relative alla riflessione sullo zolfo, questo corpo diede risultati incerti (anzi in un caso mi sembrò comportarsi come i metalli), ciò che, in parte almeno, si deve all'essere assai piccola l'intensità delle radiazioni da esso riflesse. Essendo riescito ora ad ottenere effetti più marcati, ho potuto constatare che lo zolfo si comporta esattamente come la paraffina. Lo stesso dicasi per il legno (grossa tavola d’abete), anche se è coperto con una carta imbevuta d'acqua. L'intensità delle radiazioni riflesse cresce moltissimo quando sul legno si pone la carta bagnata, special- mente poi se lo è di acqua acidulata. « Dopo ciò ho voluto studiare le radiazioni rifratte dalla paraffina, ed a questo scopo ho costruito un apparecchio che si può chiamare una pila di lastre, essendo in tutto simile alle pile di lastre di vetro che si adope- rano per polarizzare o per analizzare la luce. Ecco una succinta descrizione dell'apparecchio, che ha funzionato subito ottimamente, senza che sia stato necessario fargli subire alcuna successiva modificazione. — 161 — « Entro un robusto cerchio di legno, rappresentato in profilo in B e visto di fronte in B, By; avente 56c. di diametro e 12c. di altezza /7, sono fis- sate due tavolette di legno, di cui una vedesi in MN, ed entrambe di taglio in M N, Ma N», le quali sostengono tre lastre parallele di paraffina 40, 410, ab. Queste lastre, grosse 5 c. lunghe 50 c. e larghe 20 c., sono circondate da una cornice di legno. Le distanze 4@,,0,4, sono di 20c., e l'inclinazione delle lastre è tale, che un raggio parallelo all'asse del cerchio le incontra sotto l'incidenza di polarizzazione. « L'apparecchio descritto è collocato davanti all'oscillatore A, munito del suo specchio parabolico (non indicato nella figura). Le radiazioni elet- triche, dopo avere attraversato le tre lastre, arrivano al solito risonatore D. Fra B e D è posto un diaframma metallico C con apertura circolare di 19c. di diametro. Nelle esperienze eseguite le distanze dei vari istrumenti erano : AB b6c. Bi 40/04 —18'ce « Mentre coll’apparecchio disposto come nella figura, le vibrazioni elet- triche che arrivano alla pila di lastre hanno direzione parallela al piano di rifrazione, basta far girare su sè stesso di 90° il cerchio B, onde le vibra- zioni stesse divengano perpendicolari al detto piano. Orbene, ho ripetutamente constatato che l'intensità delle scintille nel risonatore è assai diversa nei due casì, e precisamente che è maggiore quando il cerchio è disposto come indica la figura. « Dunque anche quì, come nel caso della riflessione sulla paraffina e sullo solfo, e contrariamente a ciò che dedussi dalle esperienze di riflessione su metalli, la radiazione elettrica si comporta come un raggio luminoso il cui piano di polarizzazione sia perpendicolare alla direzione della forza elettrica. « La seguente esperienza, di ancor più facile esecuzione, dà un risultato equivalente. Si giri il cerchio di 45° soltanto. Nel risonatore si vedranno ancora, in generale, le scintille, ma cresceranno di vivacità girando il riso- natore su sè stesso intorno alla direzione delle radiazioni, e nello stesso senso nel quale si è girato il cerchio, mentre diminuiranno di splendore e finiranno collo sparire, girando il risonatore in senso contrario. « Conclusioni. Stando alle mie esperienze della riflessione delle oscilla- zioni hertziane sui metalli, i cui risultati sono opposti a quelli avuti prima da Trouton e Klemencic, bisognerebbe ammettere ehe 4/ piano di polariz- zazione delle oscillazioni elettriche è perpendicolare alla direzione della forza magnetica, ossia contiene quella della forza elettrica. « Stando invece alle esperienze di riflessione e di rifrazione nei dielet- trici si è condotti ad un risultato opposto, e cioè ad ammettere che è piano di polarizzazione delle oscillazioni hertziane è perpendicolare alla dire- zione della forza elettrica. « Siccome questo secondo enunciato è in armonia coi risultati ai quali conduce la teoria, mentre il primo è con essi in contradizione, così mi sembra — 162 — che si possa ritenere come vero il secondo, colla riserva però di continuare lo studio dei fenomeni, e particolarmente quello della riflessione delle oscil- lazioni elettiche sui metalli, nella speranza di trovare la causa del singolare comportamento di questi corpi ». Fisica. — Sul comportamento termoelettrico dei metalli magne- tiezati. Nota di ANGELO BATTELLI, presentata dal Socio BLASERNA ((). « 1) Nel giugno, luglio e agosto u. s. ebbi l'onore di presentare al- l’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti una serie di Note sopra 7 /x- fiuenza del magnetismo e delle azioni meccaniche sui fenomeni termoelettrici; nelle quali conclusi che l'effetto Thomson, dentro i limiti molto larghi delle mie esperienze, non veniva alterato per le dette azioni nel ferro e nel nickel, mentre invece queste producevano alterazioni, — e talora piuttosto grandi, — nell'effetto Peltier e nella forza termoelettromotrice delle coppie ferro-rame e nickel-rame. « Ora riesce importante l'esaminare se un metallo posto in un campo magnetico o assoggettato ad un'azione meccanica, segua nel suo comporta- mento termoelettrico le leggi di Tait, — omai largamente dimostrate dall’espe- rienza per i metalli allo stato naturale; — e in tal caso torna utile calcolare a quale grandezza ascendono, secondo la teoria, le alterazioni del fenomeno Thomson, per vedere se potrà riuscire possibile constatarle sperimentalmente coì mezzi che ora fornisce la Fisica. « Le esperienze ora citate ‘porgono il materiale per una tale ricerca. « 2) Innanzi tutto vediamo se in una coppia termoelettrica formata con due ‘tratti di filo dello stesso metallo, di cui il'primo sia magnetizzato e l’altro allo stato neutro, la forza elettromotrice possa rappresentarsi: con la nota formola: =A(C=T) (re Li). ui: dove A e T, sono due costanti, T' e T' sono le temperature assolute delle due congiunzioni. «I valori di e da adoperare pel calcolo delle due costanti della for- mola, sono evidentemente quelli che si trovano nelle tabelle generali dei risultati, nella parte terza del lavoro suddetto (ultime due note), sotto il titolo: E'-E. | « Ora il calcolo di questi dati conduce per l'appunto alla conclusione (1) Lavoro eseguito nel laboratorio dell’Istituto Fisico della R. Università di Padova. — 163 — — F, e magn. N; — N; si adattano abbastanza nat, - magn. che le coppie termoelettriche F, - nat. bene alla formola (1). « Raccolgo nei seguenti quadri i valori delle costanti A e T, corrispon- denti, per ciascuna coppia, alle varie intensità F dei campi magnetici; e metto sotto gli occhi del lettore alcuni confronti tra i valori di e avuti diretta- mente dall'esperienza, e quelli risultanti dal calcolo della formola relativa. Ferro neutro — Ferro magnetizzato trasversalmente (in fili). TOGNI SISP 324 0, 0018 958 1233 676 0, 0039 880 8021 988 0, 0070 800 14560 Es) (Cs) F (0. G S.) T Li € (0. G. S.) @ (C. G. S.) osservato calcolato 676 291,2 308, 9 40 40,0 ” 292,0 352, 1 129 131,3 ” 291,8 373, 1 171 173, 6 1233 291,2 308,9 ._69 66,9 ” 292,0 | 352, 1 291 217;:1 ” 291, 8 | 873,1 282! 285,2 Ferro neutro — Ferro magnetizzato trasversalmente (in striscie). | F.(C.G.S.)|A (C.G. Sì To F (C.G.S.)JA (C. G.S.) To 437 0, 0026 971 2260 0, 0061 1158 856. 0, 0054 980 12.900 0, 0063 1162 1080 0, 0064 1012 | « Fra i valori di s poi ottenuti dall'esperienza, e quelli che si ottengono dalla formola (1) esiste, pel caso del ferro in striscie, un accordo all'incirca dello stesso ordine di quello che si ha pel ferro in fili: Ferro neutro — Ferro magnetizzato longitudinalmente (in Gli) | Î FCR SI ANNA SS9 SETE OR (6. G! 590 (096. yo 281 | 0,0049 | —- 178 2850 | — 00143 | — 907,4 496 — 0,00775| — 378,5 12521 — 0, 0171| — 936,1 779 — 0,0088 | — 731,3 17348 — 0,0180| — 899,3 1140 — 0,0112 | — 825,6 talea — osservata calcolata Ag 6 308, 4 185 183,7 ” ” 352, 0 485 484,8 D) ” 372,8 540 542, 5 2850 ” 308, 4 600 606, 6 D) D) 892, 0 1399 1386, 7 5 | ; 372, 8 1745 1751,7 Nickel neutro — Nickel magnetizzato trasversalmente (in fili) « L'eccessiva piccolezza che i valori di e hanno in questa coppia non permette di fare alcuna verificazione. Nickel neutro — Nickel magnetizzato iongitudinalmente (in fili) F(C G.S)|A (0. S)) To (EC) (CGS) 147 ? ? 1154 0, 0038 —. 509 286 0, 0018 — 426 2920 0, 0040 — 501 491 0, 0033 — 430 12500 0, 0040 — 520 785 0, 0039 — 486 17030 | 0,0040 — 520 ‘ ’ v e (C.G.S) C(CRGES)I F (C. 6.8) 1 1 osservati calcolata 491 218 308, 95 84 85,6 » »” 352, 2 192 194, 1 ”» » 371, 8 254 250, (0) 1154 ” 308, 95 110 109, 3 » » 092; (62 249 247,3 D) ” 9015 8 814 318, 1 « 3) Assai meno si adattano alla formola (1) i risultati che si ottengono da coppie costituite con due fili di uno stesso metallo, di cui l'uno sia sotto- posto a trazione e l’altro no. « Per darne un esempio, metto a confronto nella seguente tabella i dati dell'esperienza con quelli del calcolo, per una qualunque coppia Fi — F. — at. tir. Alle costanti A e T, furono assegnati i valori medî di quelli che si otten- gono fra 18° e 79°, e 36 e 100°C. = 69 = Diametro del filo = 1" 015. Forza stirante T IV e (C. G.S.) | e (C. G. S) in kgr. osservata calcolata A — 00141; To =— 120 3 29173 309,0 114 104,8 ” 291,8 352,1 861 372,8 ” 291,6 372,8 504 518,6 ‘A ==10)0166;)) Tit È 80 4 291,8 309,0 118 111,6 ” 291,8 302,1 410 399,0 ” 291,6 372,8...) 539 556,6 « Chi osservi però attentamente il modo di comportarsi termoelettrica- mente dei fili sotto trazione, può facilmente convincersi che, per causa sopra- tutto delle oscillazioni che sempre precedono il valore definitivo della forza elettro-motrice, molto sovente questo possa rimanere alquanto mascherato; per cui, — senza volere con ciò ammettere addirittura che anche i fili sotto trazione seguono perfettamente le leggi dei fili allo stato naturale, — può venire certamente il sospetto che le divergenze notate fra i dati dell'esperienza e della teoria possano dipendere dalle condizioni poco propizie, in cui si è co- stretti di eseguire le misure. « 4) Per poter concludere pienamente che un metallo magnetizzato segue nel comportamento termoelettrico le stesse leggi di un metallo allo stato naturale, convien provare che in una coppia di cui esso faccia parte, l’effetto Peltier possa rappresentarsi con la formola: ca 5 (T0-T)T... (2) —[J èl’equivalent emeccanico del calore.] — e che inoltre le costanti A e T, siano le stesse di quelle che valgono per la formola (1): cosa che ho già dimostrato sperimentalmente io stesso pei me- talli allo stato naturale (1). « Nel fare questa verificazione è bene mettere in evidenza i valori che assume l’effetto Peltier in coppie formate con parti di uno stesso metallo, di cui l'uno sia allo stato neutro e l’altro magnetizzato (come ho fatto di sopra pel caso delle forze termoelettromotrici); perchè la formola che si adatta Cu - Metallo neutro, con lievissima modificazione si adatta certamente, — dentro ì limiti d'esattezza che si possono domandare in tal genere d'accordo, — anche (1) A. Battelli, Sul fenomeno, Peltier a, diverse temperature, e sulle sue relazioni col fenomeno Thomson (Rend. R. Accad. dei Lincei, vol. V, p. 632). RenpIcoONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 23 — 166 — alla coppia Cu- Metallo magnetizzato, per cagione della piccolezza degli effetti del magnetismo. « Ora, sempre a cagione della piccolezza degli effetti ottenuti, non è da esigere nulla più che una mediocre verificazione; e questa infatti si può asserire di avere ottenuta, specialmente per le magnetizzazioni più intense, come apparisce dalle seguenti tabelle, che raccolgono i risultati più oppor- tuni (!). « Non avendo avuto i medesimi campi magnetici nei due studi riguar- danti le forze elettromotrici e il fenomeno Peltier, i numeri da mettere nelle colonne € osservato, furono dedotti dalle curve rappresentanti per ciascuna temperatura i valori di c dati dalle esperienze. Ferro neutro — Lerro magnetizzato trasversalmente (in striscie). Ci 105.05 (A COLI MO CO B(0:6:59) osservato| calcolato Reese) li osservato | calcolato 856 273,0 VANTI 2,5 2260 273,0 9, d 3; 7 ” 292, 0 2,9 2,6 ” 292,2 3,8 3,9 ” 352, 2 3,2 | 2,9 ” 352,2 4,8 4,4 Ferro neutro — Ferro magnetizzato longitudinalmente (in fili). 9 m (CAM LCOLZAI N(C, 08 CL105 1 RaCAA08 R(CIG:S) . osservato] calcolato R(C:659) ci osservato | calcolato 779 274,0 a) 9,9 2850 274,4 11,1 10,9 ” 292, 0 5,7 6,,2 ” 292,2 12,2 11,9 ” 352, 4 7,6 8,1 ” 352, 0 14,6 15, 1 (1) I valori di c da inserire nelle presenti tabelle sono quelli che trovansi sotto il titolo c'-c nei quadri dei risultati generali della parte II dello studio Sull'influenza del magnetismo ecc. Infatti il potere termoelettrico di una coppia è dato da d E RR AO (NI) quindi Tg. = PONRURL Ora è dimostrato che il potere termoelettrico di due metalli M ed N ad una tempe- vatura T,è uguale alla differenza dei peteri termoelettrici dei metalli M ed N per rapporto a un terzo metallo P; dunque la medesima cosa deve valere anche per i valori dell’effetto Peltier. — 167 — Nickel neutro — Nickel magnetizzato longitudinalmente (in filì). peas) ro | 19 | 0-10 ras) ro | (10 | 108 osservato | calcolato =] fi—_——__—_- = |, ie || == osservato | calcolato 491 274,5 Ia 1,5 2920 274,5 2,0 2,0 ” 293, 0 To ea ti5s7 ” 293, 0 2,5 2,2 ” 352, 2 2,8 2,2 ” 392, 2 3,4 2,8 « 5) La teoria dà inoltre il mezzo di calcolare, coi dati sopra riferiti, il valore della variazione del fenomeno Thomson per effetto della magnetiz- zazione. « Si dimostra infatti (!) che, rappresentando con 0, e 0, le quantità di calore assorbite e sviluppate nei due metalli di una coppia, nell'unità di tempo, dall’unità di corrente che passa da una regione alla temperatura T ad un'altra alla temperatura T-+- 1, si ottiene la relazione: ONE ion gie. « Ma se o, si riferisce al metallo allo stato neutro, e 0, allo stesso me- tallo magnetizzato, la quantità 0, — 03 rappresenta la variazione del fenomeno Thomson per effetto della. magnetizzazione; mentre che A sì riferisce per l'appunto alla coppia Metallo neutro- Metallo magnetizzato. « I valori sopra riferiti di A ci dicono subito che la variazione 0, — 03 è piccolissima. Nel caso più favorevole del ferro magnetizzato longitudinal- mente in un campo d'intensità uguale a 17,348 unità (C. G. S.), essa am- monta alla temperatura, per es., di 50°C. a o, —03= 0,000 000 133 piccole calorie; e siccome per il ferro alla temperatura di 50°C. si ha o, =— 9,5. 10°, ne segue che fra due sezioni di un'asta di ferro di cui l’una sia a 50°, e l’altra a 51°C., l’effetto Thomson non subisce che la variazione di circa */,; del suo valore totale, quando l'asta venga portata in un campo magnetico d’inten- sità di circa 17000 unità (C. G. S.), parallelamente alle linee di forza. « Ora anche in questo caso più favorevole, io non potevo accorgermi della variazione del fenomeno Thomson nelle esperienze sopra citate [Parte I del lavoro Influenza del magnetismo ecc.]; poichè ad onta della grande sensibilità, io non potei raggiungere nel galvanometro che una deviazione massima di 88 divisioni circa. (1) Vedi la mia Memoria sopra citata: Sul fenomeno Peltier ecc. ...p. 672. — 1168 — CONCLUSIONI: « Si può dunque concludere che 1.° I metalli magnetizzati seguono nel loro comportamento panier trico le stesse leggi dei metalli allo stato neutro, 2° Le variazioni del fenomeno Thomson per effetto del magnetismo, nel ferro e nel nickel, sono piccolissime: nel caso più favorevole, di un'asta di ferro portata in un campo magnetico d'intensità di circa 17,000 unità (C. G. S.) parallelamente alle linee di forza, la variazione che subisce il fe- nomeno ‘Thomson, in una regione alla temperatura di 50°0., è circa di 1/3; del suo valore totale ». Chimica fisica. — Esperienze sul potere rotatorio della contina e dei suoî sali ('). Nota del dott. FiLtPPO ZEeccHINI, presentata dal Corrispondente R. NASINI. « Sul potere rotatorio della coniina e dei suoi sali non si trovano nella letteratura che pochissime indicazioni, e queste riguardano esclusivamente l’al- caloide libero e non i suoi derivati. «In questa Nota mi sono proposto di studiare il comportamento rispetto alla luce polarizzata della coniina sciolta nei diversi solventi e di alcuni dei suoi sali. « Era veramente mia intenzione di eseguire par la coniina un lavoro parallelo a quello già pubblicato da R. Nasini ed A. Pezzolato (?), sulla ni- cotina, ma a cagione del piccolo potere rotatorio della coniina e di quello ancor più piccolo dei suoi sali, e stante il fatto che l’acetato di coniina non è un liquido, ma cristallizza, ho dovuto rinunziare in gran parte alla mia idea. « La coniina o «normalpropilpiperidina CH, ;H0/ NcH, C_/CHOH; NH devia a destra il piano della luce polarizzata. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova. (2) Rend. della R. Accademia dei Lincei, Classe di scienze fisiche ecc., vol. I, sem. 2°, anno 1892. = Robi — « Il suo peso specifico secondo il Petit (!) sarebbe 0,846 a 12,5°; se- condo il Ladenburg (*) 0,8625 a 0° e 0,845 a 20°; quest'ultimo numero sì riferisce tanto alla coniina naturale che alla sintetica. « La coniina bolle secondo il Ladenburg (3) fra 166°-166°,5. « Il potere rotatorio della coniina fu determinato la prima volta da Petit (‘), il quale dà questo valore: [e] =+ 10,63. « È molto probabile che Petit non avesse della coniina allo stato di pu- rezza, perchè questo valore è un po’ diverso dal vero. « Il Petit, la cui memoria originale non ho potuto consultare, dice pure che la coniina in soluzione alcoolica ha un potere rotatorio minore, mentre lo conserva inalterato nel benzolo, nell’etere e nell’olio. « Fu il Ladenburg. a cui si deve la sintesi della coniina, che fece delle determinazioni molto esatte su questo alcaloide e trovò come valore per il potere rotatorio specifico della coniina naturale alla temperatura di di 20° [ch = + 13,79 (8) e per quello della coniina sintetica: fa] = + 13,87. « La coniina, della quale mi son servito per le mie esperienze prove- niva dalla fabbrica Merck di Darmstadt. « Essa era un po' colorata, ma mediante distillazione in corrente di CO, la riottenni perfettamente incolora. Il suo potere rotatorio specifico alla tem- peratura di 28° lo trovai [e] = + 13,51 « Essa bolliva a 166,9° (corr.) alla pressione di 756,81" (ridotta a 0°). « Feci delle misure sulla conducibilità elettrica delle sue soluzioni acquose, tenendomi strettamente al metodo di Kohlrausch. « La coniina che adoperai a questo scopo era purissima, quella stessa di cui sovra dissi le proprietà. « Le misure sulla conducibilità elettrica furono eseguite alla tempera- tura di 25°. (1) Berl. Berichte, X, pag. 896, anno 1877. (2) Liebig's Ann. 247, pag.1 (anno 1888). I dati sono a pag. 80. (8) Ladenburg, Berichte, XVII, pag. 1679, anno 1884. (4) Petit, Berichte, X, pag. 869, anno 1877. (5) Liebig's Ann. CCXLVII, pag. 1, anno 1888. I dati sono a pag. 80. — 170 — Peso molecolare della coniina sciolta in litri. Conducibilità molecolare. 16 litri 24,49 32, 7 33,70 64 > 45,59 128.» 60,75 256. » 72,88 ol2 > 86,93 1024 >» 92,85. « Per la conducibilità elettrica la coniina si avvicina ad alcune ammine della serie grassa, come la dimetil- e la dietilammina. Stante la poca condu- cibilità della base, dò con riserva i numeri che si riferiscono a concentrazioni minori di una molecola in 512 litri. « Della coniina ho anche determinato il potere rifrangente, e le espe- rienze fatte mi diedero questi risultati alla temperatura di 23°: Un,=1,45095; un = 1,45865 Mag = 1,45970; ln, = 1,46516 d,°3 = 0,84398 un, — 1 a, — 1 — =0,5341 Rino ARA 67.86 d d en AI 0) N a d d Mn, — l M°u, can rear 0,81900P qa 40,51 US — 1 TS 2% Il Lee A (9805 Po (4a E (+24 « Il potere rifrangente molecolare della coniina è normale; si può rite- nere che risulti otticamente dalla piperidina, in cui si è sostituito un atomo di idrogeno col gruppo propile. « Cogli indicatori la coniina ha un comportamento molto analogo a quello dell'’ammoniaca. « In soluzione in alcool assoluto non colora la fenolftaleina e solo me- diante aggiunta d'acqua si vede comparire la colorazione violacea; e basan- dosi su questo fatto ci si può servire della fenolftaleina per dosare la coniina nei suoi sali, quando non vi sia in presenza ammoniaca, adoperando una so- luzione titolata di soda o potassa. « Coll’alizarina, col tornasole, coll’acido rosolico, con il lacmoide rende evidente la sua alcalinità anche in soluzione alcoolica. — 71 — «I sali di coniina da me esaminati sono l’acetato, il cloridrato ed il bromidrato. « L'acetato lo preparai io stesso aggiungendo all’acido acetico la coniina in rapporto di molecola a molecola. « Nella combinazione vi è un gran svolgimento di calore e per raffred- damento si rapprende l’acetato di coniina sotto forma di una massa cristal- lina bianco-giallognola, che assorbe avidamente l'umidità dell’aria e diventa a poco a poco liquida. « Determinai il peso molecolare dell’acetato di coniina col metodo crio- scopico di Raoult, servendomi come solvente del benzolo. « Ebbi i seguenti risultati : Concentrazione Abbassamento Coefficiente Abbassamento —_. termometrico d’abbassamento molecolare 4,8825 0,64 0,13108 24,51 2,4412 0,32 0,13108 24,51 « L'acetato di coniina si comporta in un modo del tutto anormale: simile comportamento trovò il Ghira (') per l’acetato di diisoamilammina ed in grado meno elevato per quello di diisobutilammina. « Il cloridrato ed il bromidrato di coniina provenivano dalla fabbrica Merck di Darmstadt. « Sul potere rotatorio dei sali di coniina non ho trovato nessuna indi- cazione nella letteratura. « Per determinare il potere rotatorio specifico dei composti da me esa- minati, mi son servito di un polarimetro a penombra Landolt-Lippich della fabbrica Schmidt e Haensch di Berlino, di proprietà del prof. Nasini: è un ec- cellente istrumento che permette l’approssimazione di 0,01. « Le mie misure si riferiscono alla luce gialla del sodio; soltanto quando dovevo determinare angoli piccolissimi mi servivo di una lampada a gas a tre becchi con riflettore. « È noto che per angoli piccolissimi l'errore che si commette usando la luce bianca invece che quella gialla monocromatica è piccolissimo. « Per calcolare il potere rotatorio specifico mi riferii alla formola &.100 [= per la coniina dove @ è l'angolo di rotazione, L la lunghezza del tubo in millimetri, 4‘ il peso specifico del liquido rispetto all'acqua a 4° alla tem- peratura dell'esperienza, ed all'altra (1) A. Ghira, Comportamento crioscopico di alcuni acetati di basi deboli. Rend. R. Acc. dei Lincei, Classe di scienze fisiche, ecc., vol. II, parte 12, pag. 187, anno 1893. — 172 — dove «, L hanno lo stesso significato, d‘, è il peso specifico della soluzione a ( rispetto all'acqua a 4°, e pè il percentuale di sostanza attiva nella solu- zione: il prodotto pd rappresenta la concentrazione €, vale a dire il peso di sostanza attiva contenuta in 100 cc. di soluzione. « Nella seguente tabella, che non ha bisogno d'’illustrazione, sono riferiti i risultati delle mie esperienze e dei miei calcoli: ian Nome Bi Solvente Deo e Santa Se “ tà [a] Coniina gni 24°,2 | benzolo | 0,86837 |13,094 | 15,0788|84,9212/+-1,25 |100 n ” 22,1 ” 0,86808 [20,464 | 23,3744|76,4256| +2,00 |100| 9,77 ” 23,9 ” 0,85861 |33,290 | 38,7716!61,2284|-+3,82 |100|11,14 ” 24,4 | alcool | 0,79793|10,841|13,5866|86,4134|+-0,88 |100| 8,12 ” 22,7 ” 0,80603 |15 172 | 18,8238|81,1762|+-1,32 |100| 8,70 ” 26 » 0,82771 |44,687 | 53,9882|46,0118|+ 4,66 |100| 9,98 ” 25,7 | acqua |.0,99743| 1;071| 1,0736|98,9264|+-0,052|400| 1,21 Acetato di coniina ..| 25,7 | benzolo | 0,89753 [22,854 | 25,4631|74;5369]+-0,83 |100| 3,68 ” 25,0. | alcool |0,84328 [21,904| 25,9754|74,0246/+0,52.|100| 2,85 ” 26,6 | acqua | 1,01214|31,944|31,5614|68,4886/+-0,37 |100| 1,16 Cloridrato di coniina. | 25 alcool, | .0,80417| 6,722| 8,3587|91,6413|-+-0,92 300]. 4,56 ” 26 acqua | 1,00345|11,458| 11,4187|88,5813/+-0,093|300| 0,27 Bromidrato di coniina | 23,4 | alcool :|.0,81062|. 6,053 |. 7,4675|92,5325|+-0,78 .|300| 4,28 D) 25,6. | acqua | 1,02330|11,890|11,6196|88,3804|--0,098|300| 0,27 « Come si vede dai numeri riportati nella tabella la coniina mantiene il suo potere rotatorio verso destra nei diversi solventi: nell’alcool e. nel ben- zolo il suo potere rotatorio è più piccolo che allo stato libero, ma va, però aumentando colla concentrazione. « Mi sono astenuto dal calcolo delle equazioni per esprimere la varia- zione del potere rotatorio in funzione della concentrazione delle soluzioni, troppo poche essendo le soluzioni e troppo piccolo il potere rotatorio che se ne ricava. Nell’acqua, dove la coniina è pochissimo solubile, il potere rota- torio è piccolissimo; dò naturalmente con riserva il numero, ma ad ogni modo resta sempre non dubbio che si tratta di un piccolissimo potere rotatorio. « L’acetato di coniina ha anche esso. un potere rotatorio assai piccolo; il valore massimo si avrebbe in soluzione benzolica, il minimo in soluzione acquosa. K « È notevole il modo diverso che ha di comportarsi l’acetato di nicotina che in soluzione alcoolica e benzoica ha potere rotatorio di segno diverso da quello della base libera. — 173 — « Per il cloridrato e bromidrato di coniina, dest.ogiri anch'essi, è note- vole il fatto che in soluzioni negli stessi solventi hanno identico potere rotatorio specifico, fatto questo che potrebbe credersi in correlazione colla teoria della dissociazione elettrolitica e che viene presentato dai cloridrati e bromidrati anche di altre basi; non posso però fare a meno di notare che la coincidenza sì ha anche per le soluzioni nell’alcool assoluto dove non sappiamo sino a qual punto possa parlarsi di dissociazione elettrolitica. « Per le soluzioni acquose del resto gli angoli di deviazione sono tanto piccoli, che se non si sapesse che sì tratta di composti derivanti da una base attiva, dovremmo forse dire che è dubbio se sieno dotati di potere rotatorio ». Chimica Fisica. — Ancora sul comportamento crioscopico degli acetati di basi deboli ('). Nota del dott. A. GHIRA, presentata dal Corri- spondente R. NASINI. «In una mia Nota pubblicata sul principio di questo anno (?) studiai il comportamento crioscopico di alcuni acetati di basi deboli e trovai che, in generale, nel benzolo per soluzioni sufficientemente diluite si avevano degli ab- bassamenti molecolari che eccedevano di assai quello teorico : alcuni come gli acetati di anilma e di dietilanilina si comportavano addirittura come una me- scolanza della base, che dà valore normale o quasi, e di acido acetico che, secondo quanto è noto per i lavori di Paternò e di altri, dà un abbassamento metà del normale. Trovai però tre acetati che si comportavano un po’ diffe- rentemente; quello di nicotina che dà un valore normale, quello di diisoamil- ammina che dà un valore presso a poco metà del normale, e quello di diiso- butilammina che dà pure valori più piccoli, sebbene di poco, di quello teo- rico. Al comportamento di questi due ultimi acetati non dètti molta impor- tanza, giacchè non potei farne che soluzioni molto diluite ed ebbi quindi troppo piccoli abbassamenti termometrici: solo notai che ambedue questi acetati erano cristallizzati, mentre gli altri erano liquidi. « Ora ho trovato che il comportamento della diisoamilammina e della diisobutilammina lo offrono, e in grado più eminente, altri acetati; così quelli di dietilammina, di trietilammina, di piperidina, di coniina. Da principio avendo esaminato quelli di piperidina e di dietilammina, e avendoli trovati anormali, visto che ambedue erano cristallizzati come quelli già studiati di diisoamilammina e di diisobutilammina, pensai che il fatto di dare abbassa- menti molecolari eccezionalmente piccoli dovesse stare in rapporto con questa (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università d Padova. (2) A. Ghira, Comportamento crioscopico di alcuni acetati di basi deboli. Rend. R. Acc. Lincei. Classe di scienze fisiche ecc., vol. IT, 1° semestre, pag. 187, anno 1893. RenpICONTI. 1893, Vox. II, 2° Sem. 24 — 174 — facoltà di cristallizzare, la quale, bene inteso, è alla sua volta in relazione coll’energia delle basi; più generalmente ancora supposi che tale anomalia la presentassero le basi imidiche, che sono più energiche. Ma lo studio del- l’acetato di trietilammina, che non riuscii in nessun modo a far cristalliz- zare, mi persuase che nessuna delle due ipotesi è giusta. Inoltre aggiungo che, per le esperienze fatte, debbo escludere trattarsi di soluzioni solide. « Gli acetati furono preparati nel solito modo, cioè facendo reagire in pro- porzioni equimolecolari l'acido acetico sopra la base liquida; spremendo poi il composto, se era cristallizzato, e facendolo ricristallizzare se era necessario. « Le esperienze furono eseguite nel solito modo adoperando l'apparecchio di Beckmann. « Riporto qui anche alcune esperienze eseguite in questo Laboratorio dal dott. F. Zecchini sull'acetato di coniina (1). Sostanza Concentrazione Abbassamento Coefficiente Abbassamento termometrico d’abbassamento molecolare Acetato di trietilammina | 2,925 0,63 0,2154 34,67 (CHE NONO 3,591 0,77 0,2168 34,91 Acetato di dietilammina | 3,047 0,47 0,1543 20,54 (C. Ho): HINÙ Ca Hg 05 6,047 0,88 0,1455 19,95 : 0,8039 (DEI 0,1368 19,83 Acetato di piperidina Ù 1,484 0,18 0,1212 17,57 A Li gdo 0,13 0,0534 6 Acetato di coniina \ 2,441 0,32 0,1311 24,51 Se 0,64 0,1811 24,51 « Per l’acetato di piperidina feci anche esperienza in soluzione acquosa e trovali seguenti risultati : Concentrazione Abbassamento Coefficiente Abbassamento termometrico . d’abbassamento , molecolare 0, 7544 0,12 0,1635 23,67 1,335 0,21 0,1573 22,80 1,4311 0,36 0,1480 21,46 « I valori che si ottengono per questi acetati sono estremamente pic- coli: essi comportansi in modo del tutto anormale nel benzolo. Sembrerebbe quasi che l'aggiunta della base non facesse cambiare il punto di congela- mento della soluzione benzolica di acido acetico, il quale come è noto e come già fu detto, ha un abbassamento molecolare metà del normale: e sin qui sino ad un certo punto non vi sarebbe nulla di strano; sono basi abbastanza forti e quindi avviene l’unione integrale della base con l'acido e non vi è (1) F. Zecchini, Sul potere rotatorio della coniina e dei suoi sali. Vedi questo Rendiconto, pag. 168. — 175 — ragione che il punto di congelamento cambi: ciò che vi è di strano però è che la base alla sua volta si comporta in modo normale o quasi nel benzolo, e sarà assai interessante di cercare per quali ragioni in questi casi è l'acido e non la base che determina il comportamento crioscopico del sale. Le basi da me studiate nella mia prima Nota erano tutte molto deboli, eccettuate la diisobutilammina e la diisoamilammina: si avevano quindi dei valori as- sai elevati per gli acetati, e che per quello di anilina e di dietilanilina rag- giungevano la somma dell'abbassamento spettante all'acido e di quello spet- tante alla base: il numero ottenuto per l’acetato di nicotina, che allora con- siderai come normale, sarebbe invece anormale anch'esso. e mostrerebbe che il composto è dissociato parzialmente nel benzolo. « Del tutto anormale mi sembra il comportamento dell’acetato di piperi- dina nell'acqua; si ha per esso un valore normale, mentre non lo si ha mai nè per acetati di basi molto più forti (soda, potassa), nè per quelli di basi molto più deboli (anilina, piridina, nicotina), nè finalmente per quelli che offrono nel benzolo comportamento analogo (diisoamilammina). Mi sembre- rebbe quasi che non ci sarebbe altro modo di spiegare il fatto che ricor- rendo alla ipotesi che la piperidina formi con l'acido acetico a bassa tem- peratura un composto speciale, del genere delle anilidi. In conferma di questa supposizione c'è il fatto che l'acetato di piperidina nel benzolo dà un notevole intorbidamento prima che il congelamento incominci e spesso i movimenti della colonna termometrica non sono molto regolari: ciò rende assai difficili e poco sicure le esperienze. Quando il liquido poi ritorna alla temperatura ordinaria l’intorbidamento sparisce. « Mi sembra non esservi dubbio, per quanto gli studî sulle basi non sieno ancora molto completi, che il comportamento crioscopico degli acetati nel benzolo sta in stretto rapporto colla energia delle basi ed è a. ritenersi che sì potrà avere in esso un buon criterio per giudicarne: è perciò che mi propongo di studiare sistematicamente questo argomento =. Chimica. — Sopra un'altro nuovo isomero della Santonina e sopra un'altro nuovo isomero dell'acido Santonoso ('). Nota di Amr- RICO ANDREOCCI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Azione dell’idrato potassico sulla Desmotropo-santonina. Iso-desmotropo-santonina. « La Desmotropo-santonina fusa col doppio peso di potassa caustica al di là di 300° subisce una scomposizione assai. profonda; infatti la massa fusa disciolta nell'acqua dà un tenue precipitato coll’anidride carbonica, mentre (4) Lavoro eseguito nel Laboratorio del R. Istituto, chimico di Roma. aree il restante si precipita bruno e vischioso con un acido. Non è così, se la potassa agisce verso 210°; la Desmotropo-santonina si trasforma rapidamente e completamente nel sale potassico di un ossiacido isomero al Desmotropo- santoninico e da questo sale per mezzo di un acido si precipita il lattone corrispondente, che è isomero alla Desmotropo-santonina. « Ho trattato nelle stesse condizioni la Santonina colla potassa caustica a 210°; essa in un modo analogo si trasforma nettamente nel sale potassico di un ossiacido isomero all'acido Santoninico di Hesse (!) cioè nello stesso acido Santonico, che fu preparato da S. Cannizzaro e Sestini per l’azione prolungata della barite sulla Santonina (2). « Col seguente processo trasformai la Desmotropo-santonina nel suo isomero : « Introdussi in piccoli palloncini a collo stretto della capacità di 100 cme., grammi 5 di Desmotropo-santonina, grammi 5 d’idrato potassico e 5 eme. di acqua: quindi immersi i palloncini in un bagno di lega riscaldato fra 210° e 220°. Sul primo si disciolse il tutto nell'acqua, poi per rapida ebol- lizione il liquido si concentrò sinchè si rapprese in una massa solida e bian- castra, che mi affrettai togliere dal bagno, poichè un'ulteriore riscaldamento l'avrebbe colorata in bruno. Durante l'ebollizione non notai sviluppo di gas. Disciolsi il contenuto dei palloncini in acqua, saturai la soluzione con anidride carbonica per assicurarmi l'assenza di sostanze di natura esclusiva- mente fenica e naftolica; infine aggiunsi poco a poco acido solforico diluito, il quale precipitò una sostanza molle, che si ridiscioglieva subito nel bicar- bonato potassico ancora non decomposto. « Il precipitato da molle diviene dopo qualche ora duro e cristallino ; invece subisce rapidamente tale trasformazione se si riscalda in seno all'acqua a 100°. Così modificato non è più solubile nei carbonati alcalini. Il rendi- mento è teoretico. Il prodotto si purifica facilmente cristallizzandolo prima coll’alcool e poi coll’etere; si presenta in aghi solubili nell'alcool e nell’acido acetico più a caldo che a freddo, poco solubili nell’etere e nell'acqua bollente. Fonde fra 187°-188° con leggera scomposizione. « T risultati delle analisi di un campione seccato a 110°, conducono alla formola 015 H?8 08. Gr. 0,1913 diedero gr. 0,5134 di CO? e gr. 0,1285 di H°O calcolato trovato C (USA 73,19 Jel 7,92 7,46 « Il gruppo lattonico di questo secondo isomero della Santonina si apre facilmente quando si discioglie tale sostanza nelle soluzioni degli idrati al- calini ed alcalini terrosi e con un prolungato riscaldamento anche in quelle (1) Berl. Ber. 6, p. 1280. (2) Gazz. chim. ital. vol. IL, p. 241. — 177 — dei carbonati alcalini, e così si formano i sali dell’ossiacido C!> H2° 04, dei quali ho preferito il baritico per l’analisi e per ottenere l'acido libero. Con- serva l’OH fenico della Desmotropo-santonina dalla quale deriva; infatti dà un’acetil derivato: ridotta con acido acetico a polvere di zinco si trosforma in un acido C!'‘H!'° 0-COOH isomero al Desmotropo-santonoso; mentre la Santonina ridotta collo stesso metodo, contenendo invece il CO chetonico, genera il Santonone (!) (013 H16 adil muta Nar H16 0? \CH, HC- prodotto di condensazione, che può considerarsi come un composto intermedio di riduzione della Santonina, poichè ne conserva il gruppo lattonico. « Il secondo nuovo isomero della Santonina deve avere la stessa strut- tura della Desmotropo-santonina, CH? | EL ANI VARA VA | & VA = HG 0 SH —0- C0 ID dee] | D. | | | A Holigrffite-o10NgI CH—CH DO [aa o p dh id N00; NOK È i I di CH? CH? e differire soltanto per la posizione nello spazio degli atomi d'idrogeno rispetto al gruppo laterale lattonico; perciò credo opportuno chiamarla /s0-desmotropo- santonina. « Il suo potere rotatorio specifico è nello stesso senso di quello della Desmotropo-santonina, ma un po’ più forte, infatti : « Per grammi 1,3204 d’Iso-desmotropo-santonina, sciolta in aleool al volume di 100 cme. ed impiegando un tubo di mm. 219,65 la deviazione a destra fu di 3°. 42". 36”, da cui si deduce [a ]p?8° = + 1279,55' mentre la media di due determinazioni del potere rotatorio specifico della Desmotropo-santonina è per [a ]p!8° = + 1100,18. (1) G. Grassi Cristaldi, Su alcuni prodotti di riduzione della Santonina, Santonone ed Isosan'onone. Gazz, chim. ital. vol. XXII, parte IL — 178 — Acetil-iso-desmotropo-santonina C'5H!?03,0°H0. « L'acetil-composto si prepara facendo bollire per circa mezz'ora l'Iso- desmotropo-santonina disciolta nel decuplo del suo peso di anidride acetica con il doppio di acetato sodico fuso. Dopo aver distillato l'eccesso di anidride ace- tica a pressione ridotta, si lava con acqua il residuo e si purifica con ripe- tute cristallizzazioni coll’etere. « L'acetil-derivato cristallizza in piccoli prismi lucenti, fusibili a 154°, solubili nell’alcool, nell'etere e nell’acido acetico: saponificato con idrato po- tassico si scinde in acido acetico e nell’Iso-desmotropo-santonina (fusibile a 187°); mentre l’acetil-derivato della Desmotropo-santonina, che fonde presso a poco alla stessa temperatura, cioè a 156°, oltre all'avere un’altra apparenza cristallina, saponificato analogamente colla potassa caustica ridà la Desmotropo- santonina fusibile a 260°. I due acetil-derivati differiscono anche fra loro per l'intensità del potere rotatorio specifico, infatti : Per gr. 1,3556 di Acetil-iso-desmotropo-santonina sciolti nell'alcool al volume di 100 cme., la deviazione a destra, impiegando un tubo di mm. 219,65, fu di 39,39' da cui si deduce: [a ]p?8° = + 1220,36 è più forte di quello dell’Acetil-desmotropo-santonina per la quale: [forni — 1 920550 0 Acido Iso-desmotropo-santoninico (0? H!8 LS COOH . « Ne preparai il sale di bario disciogliendo l’Iso-desmotropo-santonina nella barite, saturando l'eccesso di questa con anidride carbonica (la quale oltre al carbonato di bario precipita a lungo andare anche un poco di lattone) ed infine svaporando nel vuoto la soluzione filtrata. Il sale baritico si presenta in croste cristalline molto solubili nell’acqua. « La determinazione di bario del sale suddetto, seccato a 150°, ha dato i seguenti risultati : gr. 0,3999 diedero gr. 0,1423 di SO! Ba calcolato per (C!5 H!° 04)? Ba trovato Ba 20,64 20,90 «< La soluzione del sale baritico acquosa, diluita e raffreddata a 0° con acido cloridrico, pure freddo e diluito ed in difetto, non dà nessun precipitato; ma estraendo con etere e lasciandolo evaporare. resta l'acido Iso-desmo- tropo-santoninico, dapprima vischioso, poi si rapprende in una massa cri- stallina formata da minutissimi aghi, i quali si conservano alla temperatura — 179 — ordinaria e perciò sono un po' più stabili di quelli dell'acido Desmotropo-san- toninico, che, come in altra nota ho detto, spontaneamente sfioriscono e si con- vertono nel lattone corrispondente. Però riscaldando a bh. m. l'acido Iso-de- smotropo-santoninico in soluzione acquosa, per eliminazione di una molecola d'acqua si converte nel suo lattone, che si depone cristallino. La maggior stabilità dell'acido Iso-desmotropo-santoninico relativamente al Desmotropo- santoninico trova una certa analogia con quella dell'acido Santonico relativa- mente all’acido Santoninico. Ciò fa supporre che l'azione della potassa a 210°, tanto sulla Desmotropo-santonina, quanto sulla Santonina, produca una modi- ficazione simile per la quale i due nuovi ossiacidi, che ne derivano, sono più stabili degli ossiacidi dei quali le Santonine adoperate sono i lattoni. È anche possibile che la stabilità degli ossiacidi dipenda dalla solubilità nell'acqua del loro corrispondente lattone; infatti, la Desmotropo-santonina (che è meno solubile della Santonina e della Iso-desmotropo-santonina) dà un'ossiacido in- stabilissimo e non sì discioglie che difficilmente ed in piccola quantità nelle soluzioni bollenti dei carbonati alcalini; mentre gli ossiacidi delle altre due Santonine si conservano meglio e queste si disciolgono dopo una prolungata ebollizione anche nelle soluzioni dei cabonati alcalini. Riduzione dell’Iso-desmotropo-santonina. Acido Levo-santonoso. « L'idrogeno nascente disfà il gruppo lattonico della Iso-desmotropo- santonina e la converte in un acido, che per ora chiamerò Iso-desmotropo- santonoso, la di cui costituzione deve essere molto simile a quella dell'acido Desmotropo-santonoso () CH? | H° iaia n A N N G Ù CH? DI A | | | COOH Pini ee? HOC c CH- CH N 9A x ZA \CH: da No | H° CH? perchè entrambi derivano da due Santonine che con molta probabilità sono fra loro isomere geometricamente. « Ridussi l'Iso-desmotropo-santonina con acido acetico e polvere di zinco, (!) A. Andreocci, Questi Rendiconti. 1° semestre, 1893, pag. 496. — 180 — presso a poco nelle stesse condizioni che ho indicato nella preparazione del- l'acido Desmotropo-santonoso. Alcune volte la riduzione è completa, altre volte si ottiene mescolato con una sostanza insolubile nei carbonati alcalini, per lo meno a freddo, che ancora non ho studiato ; e siccome fonde a 198°, posso ritenere sin d'ora che non è nè l'Iso-desmotropo-santonina inalterata, che fonde a 187°, e nemmeno la Desmotropo-santonina, che fonde a 260°. « L'acido purificato con ripetute cristallizzazioni dall'alcool cristallizza in aghi riuniti a mammelloni; è solubile nell’alcool, nell’etere e nell’acido acetico; è quasi insolubile nell'acqua e fonde fra 176°-177°. « I dati analitici di un campione di acido, diseccato a 100°, confermano la sua formola ©! H?° 03, I. gr. 0,1776 diedero gr. 0,4727 di CO? e gr. 0,1282 di H? 0. II, » 0,1881 ” » 0,4988 n e »0,1374 ” calcolato trovato 16 II. (0, 72,58 72,58 12,92 H 8.06 8,02 18,12 « La determinazione del potere rotatorio specifico dell'acido Iso-desmo- tropo-santonoso ha rilevato delle importantissime relazioni esistenti fra esso e gli acidi, Santonoso (fusibile 179°-180°) (!) ed Iso-santonoso (fusibile a 153°) (2); relazioni, che oltre a stabilire la loro stereo-isomeria, servano anche a stabi- lire la vera costituzione di questi due ultimi acidi, infatti: Per gr. 4,9068 di acido Iso-desmotropo-santonoso, disciolto in alcool al volume di 100 eme., ed impiegando un tubo di mm. 219,65, la deviazione a sini- stra fu di 8°. 1.48”, da cui si deduce: [a ]p?8° = — 74°, 30" Mentre da una determinazione del potere rotatorio specifico di una soluzione alcoolica d'acido Santonoso (preparato per riduzione della Santonina con acido jodidrico e fosforo rosso e purificato per sublimazione) i sigg. Can- nizzaro e Carnelutti trovarono : [a]? = + 749,25", 48” ed io ho trovato con una soluzione alcoolica di acido Santonoso (prepa- rato per l'azione del cloruro Stannoso sulla Santonina (3)). [a]p}8° = + 749,56". « La soluzione alcoolica contenente pesi uguali di acido Iso-desmotropo- santonoso (176°-77°) e di acido Santonoso (179°-80°) è inattiva. Se sì eva- pora non si ottengono più i cristalli aciculari dei due acidi attivi, ma bensì dei piccoli cristalli duri che hanno la stessa apparenza di quelli dell’acido Iso-santonoso inattivo fusibile (153°-55°) ottenuto dai sigg. Cannizzaro e Car- (1) S. Cannizzaro e Carnelutti, Gazz. chim. ital. XII, p. 393. (2) S. Cannizzaro e Carnelutti, Gazz. chim. ital. XII, p. 400. (3) A. Andreocci. Questi Rendiconti 1° semestre 1893. — 181 — nelutti insieme al Dimetilnaftolo nell'azione della barite sull’acido San- tonoso (1). «I piccoli cristalli però fondono fra 153°-158°; ma non v'è alcun dubbio sulla loro identicità con quelli dell'acido iso-santonoso inattivo, poichè essi ancora contengono un po’ delle due forme attive non combinate, basta sol- tanto fonderli e poi farli solidificare perchè rifondino completamente a 153°. « La stereo-isomeria degli acidi, Iso-desmotropo-santonoso, Santonoso ed Iso-santonoso è anche confermata in un modo assai elegante dai loro eteri etilici. L’etere etilico dell'acido Iso-desmotropo-santonoso fonde come quello dell'acido Santonoso fra 116°-17° e ne presenta anche le stesse apparenze e gli stessi caratteri di solubilità, ma non è identico, perchè devia il piano della luce polarizzata di altrettanti gradi a sinistra, quanti ne devia a destra l'etere etilico dell'acido Santonoso. Infatti : Per gr. 1,3540 d'Iso-desmotropo-santonito-etilico, sciolto in alcool al volume di 100 cme. ed impiegando un tubo di mm. 219,65, la deviazione a si- stra fu di 29,6", da cui si deduce: Rosse 0°;306 Per gr. 1,3540 di Santonito-etilico disciolto in alcool al volume di 100 cme. ed impiegando un tubo di mm. 219,65 la deviazione a destra fu di 29,6, 36”, da cui si deduce: [a]p®° = + 709,577. « La soluzione alcoolica poi contenente pesi uguali dei due eteri è inat- tiva e per svaporamento dà dei cristalli di un etere fusibile a 125°-126°, cristallizzato con un’apparenza del tutto differente da quella dei due eteri attivi che, come ho detto, fondono entrambi fra 116°-117° ed è invece iden- tico all’etere etilico dell'acido Iso-santonoso inattivo, preparato dal prof. Can- nizzaro. L'Iso-santonito etilico si può anche preparare per l’eterificazione con alcool ed acido cloridrico gassoso del miscuglio fatto a parte uguali dei due acidi attivi, Santonoso ed Iso-desmotropo-santonoso. La soluzione alcoo- lica di quest'etere è naturalmente inattiva; però esso vi ci si trova dissociato nei due eteri attivi, come lo dimostra la determinazione del peso molecolare mediante il metodo crioscopico fatta in soluzione acetica. Sperimentale. Teoretico. Concentrazione della soluzione p. °/, 2,50 Abbassamento del punto di congelazione 0,34 Coefficiente d'abbassamento 0,136 Costante per l'acido acetico 37. 58 39. Peso molecolare 287. 276. « Anche gli eteri metilici dei due acidi attivi si rassomigliano moltissimo: entrambi sono solubilissimi nei solventi ordinarî e cristallizzano con estrema (1) Gazz. chim. ital. vol. XII, p. 400. ReENDICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 25 "n SET difficoltà; il loro punto di fusione può dirsi uguale, poichè l’etere metilico Savtonoso fonde fra 81° e 84° e l'Iso-desmotropo-santonoso a 82°. Senza dubbio differiranno soltanto per il senso del loro potere rotatorio sulla luce polarizzata. « Di più gli eteri dei tre acidi santonosi stereo-isomeri sono come gli eteri dell'acido Desmotropo-santonoso solubili nell’idrato potassico formando OK i composti potassici del tipo C14 Hic. i quali vengono decomposti COOR; dall’anidride carbonica con precipitazione dell'etere inalterato. Se si lascia però la soluzione alcalina a sè per qualche tempo e subito se si riscalda, gli eteri sono saponificati dall’eccesso di idrato potassico e si formano i sali bipo- OK tassici del tipo” 0!‘ Ad che per azione dell'anidride carbonica si tra- COOK, /0H sformano nei mono-potassici 014 H!8< ed infine dalle soluzioni di COOK questi sali sì precipitano i corrispondenti acidi Santonosi per mezzo di un acido forte. « Siccome gli eterì cristallizzati difficilmente vengono bagnati dalla potassa, lentamente vi ci si disciolgono e l'anidride carbonica non dà che un tenue precipitato, perchè la più gran parte di quel po’ che s'è disciolto è già saponificata; ma se alla loro soluzione fatta in poco alcool, si aggiunge un egual volume di una soluzione concentrata di potassa, si può diluire con acqua quanto si vuole, la soluzione resta sempre limpida e coll’anidride carbonica si può totalmente precipitare l'etere inalterato. « La solubilità di quest'eteri nella potassa caustica serve a confermare l'esistenza dell’OH fenico in tutti gli acidi Santonosi conosciuti. Colla rive- lazione poi della stereo-isomeria fra i due antichi acidi Santonosi e l’acido Iso-desmotropo-santonoso e colla genesi di quest'ultimo mediante reazioni nette, che non lasciano alcun dubbio sulla sua struttura, si può concludere: « 1.° Che gli acidi Iso-desmotropo-santonoso, santonoso hanno una co- stituzione molto simile a quella dell'acido Desmotropo-santonoso : CH3 | H? AR AI Ho A oi | | Î | AOC HO "e Du ni LA ui Chi | H° — 183 — infatti, fusi colla potassa a 360°, si scindono tutti nettamente in idrogeno, Dimetil-naftolo ed acido propionico. Si possono pertanto chiamare tutti con il solo nome di acido Ossi-dimetil-tetraidro-naftil-propionico, consistendo molto probabilmente le loro differenza solo per la diversa orientazioue nello spazio degli atomi d’idrogeno e della catena laterale appartenenti al nucleo tetrai- drogenato. « 2.° L'acido Iso-santonoso inattivo risulta dalla combinazione delle due forme attive; cioè dall’acido Iso-desmotropo-santonoso sinistrogiro e dal Santonoso destrogiro; perciò questi acidi si devono chiamare d'ora innanzi così: Racemo-santonoso, l’inattivo; Destro-santonoso, il Santonoso e Levo-santonoso, l'Iso-desmotropo-santonoso. Per l'acido Desmotropo-santonoso, che si distacca da tutti gli altri, è giusto conservare il nome che gli fu dato. « 3.° Delle 4 Santonine desmotropiche corrispondenti ai 4 acidi San- tonosi per ora non sono conosciute che due: la Desmotropo-santonina da cui de- riva l'acido Desmotropo-santonoso e l’Iso-desmotropo-santonina da cui deriva l'acido Levo-santonoso. È molto probabile l'esistenza delle altre due Santo- nine, e tenterò con ulteriori ricerche di ottenere quella corrispondente al- l'acido Santonoso destrogiro, dalla quale mi sarà facile preparare l’inattiva. « Sarà pure importante contributo alla chimica della Santonina lo studio delle relazioni esistenti fra la struttura ed il potere rotatorio dei numero- sissimi suoi derivati; per esempio, si è già osservato tutte le volte che si scioglie o si disfa il legame lattonico, il potere rotatorio specifico diminuisce notevolmente e molte volte cambia anche di segno; come pure la differenza fra ì poteri rotatori specifici di due isomeri si mantiene con certa appros- simazione anche per i loro derivati. « Mi riserbo pubblicare in seguito lo studio di altri derivati degli acidi Santonosi stereo-isomeri e d'illustrarli mediante lo studio cristallografico, che sarà fatto da persona competente ». PANI diante Alalitataet alii ASPATI SE corno si Via) SERA spin vare sin Ti sil uo mm i 5 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 1 ottobre 1893. DÒ Pava NMAANASTT__TT<—<*0,È+ 55 — geg + 293 = 0 5) 28 ZOnE e per 2=7 mo goefTtgo: ca apioie pod DAB 79; ra ns e ma la complicazione dei coefficienti numerici pel caso di n = 11 dimostra tosto che per questa via si giunge difficilmente al risultato. n 2 M= 9 MET SO i Il i EC È « Posto È — 2, ossia z=— 4; le note ‘equazioni modulari per di, 5 5 5 E di Do gio 1 i A DIA h 5.7 1 a°_ 3 908° — 14gga? — 3 ga — x Y9 938° — pg I Jaat 7 de “riga 20 ret ca e l'equazione modulare per un valore qualunque di 7, numero primo, ha la forma: r()+d/(6)=0 essendo F(:) un polinomio del grado #41, /() del grado n—5; e lo) n I° TONE 2793*. « 7°. Posto: F (2) = i, + Ag" + Ào GL + Aaa + po AG, — 189 — i coefficienti A,, A», Az... An+1 hanno i valori che si deducono dai se- guenti : — 1)..(a—-2r+2 DAI e a) at ì Io NIN see pag ig) 1%) Gi « Questi valori facilmente calcolabili col metodo indicato da Halphen negli indicati Yragments divers (p. 213) nella ipotesi di d = 0, risolvono nella sua generalità parte del problema, ma rimane intatta la ricerca della funzione /(<). I polinomi F(<) hanno proprietà analoghe ai polinomi delle formole di moltiplicazione, in quanto che quelli di grado superiore al quarto sì possono esprimere in funzione dei polinomi di gradi inferiori. Per esempio indicando con 92, 3; 94... polinomi in 2 della stessa forma dei polinomi We, 43, ws... delle formole di moltiplicazione; le equazioni modulari sono: pern=3 ga =0 pern=0 ge 33090 =0 e così via. « 8°. Si indichino con 4, 41 , x» ... y-, le radici della equazione T(2) = 0, sieno cioè: MI 20) ELI de) I (60 Ned200 =P È g Aa =D ) sp -au=p(- sl avrà: 2 rn [e 4 e + dt 4 4a] Ora rammentando la formola (!): Wn- n+ D (14) =p (u) — Sereni nella quale W,-1, n, Wn+: sono polinomi in p(«), si ha che < potrà espri- mersi con quei polinomi in funzione di «x. La ricerca della equazione modu- lare può quindi farsi dipendere da quella delle equazioni per la moltiplicazione. « Consideriamo dapprima, per maggiore chiarezza, alcuni casì partico- lari. Sia n=5; si ha: z=i(a4+%,) ed musi essendo w,= 1. 2 « Ma dai valori di W., W3, wy si deduce che: 1 1 (OZ sla ws")? 2?n—- 1 Li eni VE de Y: XU 3 UE = 12 W7° ws? quindi : CETO REATO, ya 3? CO mE) (44 w29)° — 243°] (1) Halphen, Première Partie pag. 100-103. — 190 — e ponendo : su = ws ME wr , YW= kW i (®) Te +pe-24] e siccome l'equazione della moltiplicazione w; = 0 è in questo caso: k—-h= sì ha: (D sarà infine : 2 Bi da El, :=p(} (+1). « Per #1 =7 sì avranno come sopra : _m : LATI e=gp| (+1) +4], si=e—ml 2 3 posto m = (i , inoltre : o = Mk e per queste : 1 TANO 3 m(k—-1) Lp) Si Veli essendo y,= 0 ossia: - k—- he+4 h°=0. «Per a="11 oltre i valori superiori di x, %1, 4, sì hanno: 7. h(kT- h) 7 Spe hk(k-h—_ k) pe (@—h)? Ig =Ll — fo i e fra le 4, 7 sussiste la relazione y,, =0 ossia hole (k° — e+4+-h)} — (ke N) (k3°— he 4 h°) = 0. « Analogamente per qualsivoglia valore di %, la e si esprime in fun- zione di 72, %, % e queste due ultime quantità sono legate da una equazione. Ora siccome i valori di 92, 93 si ponno facilmente esprimere in funzione di m, h, k eliminando dalle quattro relazioni così stabilite le quantità 72, %, 4 sì ottiene la equazione modulare. «I valori di 92, 93 sono: = TL I[@+ +] 240 @+ 1) Ùs — pile ++ 4r]— 360 (6+1) [++ 41]+216/7| e quindi : (7) d=—m0h|k(k+ 1) +84(£+1)°— 36044 164° — | « 9°. La conoscenza del polinomio F(<) può agevolare la ricerca per le considerazioni seguenti : — 191 — « Posto y=—« si sostituisca alla 2 in quel polinomio y+ «, si avrà: La, n+1)m (2-1 7 () F=yP%+ (041) cagr EE DE rp CEDAGII ptt, nella quale le c,, €», 3... sono funzioni di x dei Cor primo, secondo, terzo e così via. « Dai valori di A.,, A», stabiliti nel S$ 6° deducesi che rappresen- tando cs col polinomio : Cs = DS + B, Ip + By drei AB + B, i coefficienti B,, B;... hanno i valori: 2rB ee LIA) A 3.4 1.2..(&r—2) s(s—- 1)... (s_- 27) DA, Ip LI) n LI Cara 1.2...(2r— 1) i 8 quindi : (0 CN TISNTC, o — 9g Eee di co=at—3gY4° — Y ped ° ecc ad a Y24 3 48 Ja . « Ora queste funzioni, le quali non mutano per valori diversi di 7, si ponno esprimere facilmente in funzione di 7, %, #; e si hanno 1 valori: m3 mi 19 L#+1)° ui o h (e — 1) Cimnigi (È Cal — ION (4-44-41) È o = DI NATA(R+-1)°4AMA]- der ont [I + kh] & d (31° + 2») e così di seguito. «I valori di y risultano in conseguenza : m m per n=5 y=—<3,h peri — 7 Sera (pl) 2 Mt. cairo rel! h(K_N), a(A—h- k) per n= 11 Jo [++ + (i— « 10°. Nel primo caso di n= 5, cr nella (8) i valori di c,, cs... ed il corrispondente di y, rammentando essere %-= #, si ha : P(A)=— le (Ie 1 ma il valore di d (7) è in questo caso: d—= — mk (124 11h—-1) quindi 5) OTT A — 192 — da cui l'equazione modulare F(4 2): + pai "o n° =0: « 11°. I coefficienti c.. €, c6-., come la a 92, 93, Ì e le dh, l, m, possono esprimersi in funzione di c;, €, €3. Si hanno infatti le: Il co= dc c3 — 30°, cs =B06,— 2263, C+53339 = 9204 — 803° 5) 1 nt 3 qa en be» Cs 53 Ca; cs + gli? == 49; Ce — Be inoltre : qe== 12 (c° — cr), g= —4(2e,8 — e, Ca + 63) dò = 33.4°[Be,? ca + 6e; 0» cr — 40,3 cs — 402 — 63°] ed infine: da cui: 43° 038 SITE MIMO CTC tO Cs4 LS Dr” sur] 8c3° i e la F (<) diverrà così una funzione delle ci, c», 63. Calcolata questa fun- zione, la equazione : E (2) +d/(3)=0 e la equazione corrispondente della moltiplicazione condurranno al valore di f(e) e quindi all’equazione modulare. « 12. Nelle formole precedenti si è posto: p(u=— per conformarci alla notazione di Halphen; ma dimostrasi essere in generale : pd = (1) dra Wu « Questa formola conduce a stabilire la relazione esistente fra le equa- zioni modulari denominate Jacobiane e le equazioni della moltiplicazione. Infatti, indicando con v la radice di una delle prime equazioni, è noto essere: DS nd 9 y&=(-1) 8° 3, (IR « Supponendo, per esempio, 2 = 5, trovasi essere: h4+11h—1 h e siccome pei valori dati sopra per 9», 0, si ha: jo LP Me la mali va pi ns i (12 tì I)? si ottiene la nota equazione : D+ 1008 — 12/2924 5=0 d3 la quale può considerarsi siccome conseguenza della X = della moltipli- cazione ». vio = — — 193 — Chimica fisica. — Sul potere rifrangente del fosforo. III. Po- tere rifrangente di alcune combinazioni organiche del fosforo (*). Nota del dott. FirLirpo ZECCHINI, presentata dal Corrispondente R. NASINI. « In questa Nota proseguo lo studio dei composti del fosforo e mi occupo di alcune combinazioni organiche di questo elemento, degli eteri etilici del- l'acido fosforoso e fosforico e dell'acido fosfenilico. Lo studio dell'acido fosfe- niloso P(C$H;) (OH), l'ho tentato, ma stante la poca solubilità di quest'acido nei diversi solventi, i dati che si ricavarono dalle soluzioni non erano molto concordanti fra loro e perciò tralascio di pubblicarli. Per ciò che riguarda il metodo esperimentale ed il calcolo dei risultati rimando alla mia 1° Nota (?). Cloruro di fosfenile P(C; H;)CL. « Fu preparato dietro nostra richiesta dalla Fabbrica Schuchardt di Goerlitz col processo Michaelis (3), cioè per azione del tricloruro di fosforo sul benzolo. Il prodotto che era assai puro fu da me rettificato: bolliva alla temperatura di 221°,72-223° (corr.) alla pressione di 759 mm. (ridotta a 0°). Trifenilfosfina P(C;H;):. « Proveniva dalla fabbrica Koenig di Lipsia. Il suo punto di fusione era a 78°. L'esperienze furono eseguite in soluzione benzolica, ed il benzolo di cui mi sono servito aveva questi valori ta, =1,50309; up=1,50801; d,7°= 0,89971 fina I _ 0,55950 i Die 32881 i == e —__ ( ° (ei d da (ti, + 2)d i Up 1 NE {Wp° = - x - F=3 e 9 —_——__ =_= ( La x Y - 56497 rapa = 088152 (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova. (1) Rend. R. Acc. dei Lincei, Classe di Scienze fisiche ec., vol. I, parte 2°, pag. 433, anno 1892. (3) Liebig's, Annalen, CLXXXI, pag. 280, anno 1876. RenpIconTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 27 — 194 — « Furono esaminate due soluzioni, una all’11,713°/ alla temperatura di 6,9°; l'altra al 7,402 °/, alla temperatura di 4,8°. \ Elere trietilfosforoso P(C,H;0):. «“ Fu preparato col processo di Zimmermann (!) modificato da Jahne (?), facendo agire sull'etilato sodico, sospeso nell’etere anidro, il tricloruro di fosforo. Bolliva alla temperatura di 185°-186° in corrente d’'idrogeno. « All’analisi ebbi i seguenti resultati : I. gr. 0,1978 di sostanza dettero gr. 0,3109 di CO. e gr. 0,1628 di H,0; II. gr. 0,3588 di sostanza dettero gr. 0,5646 di CO; e gr. 0,2950 di H,0. trovato per cento parti calcolato per P (CH; 0); I II. (0, 42,89 42,91 43,97 H 9,15 9,15 9,04 « Ho esaminato sia al refrattometro che allo spettrometro campioni. di diversa preparazione: su questa sostanza e sull’etere trietilfosforico ho. insi- stito nelle determinazioni per le ragioni che svilupperò tra poco. Etere trietilfosforico PO(C: H; 0);. « Fu preparato col processo di Limpricht (3), facendo agire l'ossicloruro di fosforo sopra l'etilato sodico. Venne più volte rettificato. Bolliva a 204°-205°. È un liquido incoloro, di odore aggradevole. « All'analisi ebbi ì seguenti risultati : I. gr. 0,2142 di sostanza dettero gr. 0,3090 di CO» e gr. 0,1626 ‘di H, O. II. gr. 0,1141 di sostanza dettero gr. 0,1630 di CO; e gr. 0,0864 di H; O. IIT.gr. 0,2384 di sostanza dettero gr. 0,3406 di CO, e gr. 0,1674 di H; 0. «< Di qui trovato per cento parti calcolato per PO(C: H5 0); I II. III. . C 39,27 39,00 38,97 39,56 H 8,43 8,41 7,81 8,24 (1) Zimmermann, Liebig's Annalen CLXXV, pag. 10, anno 1875. (2) Jihne, Liebig's Annalen, CCLVI, pag. 272, anno 1890. (3) Limpricht, Liebig?s Annalen. CXXXIV,-pag. 347, anno 1865. — 195 — « Anche per questo etere ho fatto diverse determinazioni sopra campioni di diversa preparazione. Cloruro ossietilfosforoso. P(C.H;0)Cl.. « Fu preparato seguendo le prescrizioni date dal Thorpe (!) facendo agire nelle proporzioni volute l’alcool assoluto sopra il tricloruro di fosforo. È un liquido incoloro che fuma un poco all'aria. Esso bolliva a 116° alla pressione di mm. 758,3 (ridotta a 0°). Il suo peso specifico lo calcolammo mediante la formula data dal Thorpe: V=1+ 0,00102304 # + 0,00000187367 2 + 0,00000000061 £ (d,° = 1,80527) « All'analisi dette i seguenti resultati: gr. 0,2646 di sostanza dettero gr. 0,1573 di CO. e gr. 0,0710 di H; 0. «Di qui trovato per cento parti calcolato per P(C» H;0)Cl» C 16,21 16,39 H 3,96 3,40 Acido fosfenilico. P(CH:)0 (0H)». « Questo composto che può anche chiamarsi acido fenilfosfinico, fu pre- parato col processo Michaelis (*) facendo agire l'acqua sul tetracloruro di fosfe- nile tenuto raffreddato. Esso fondeva a 156°-158°. Stante la piccola quantità non potei fare che una sola determinazione in soluzione acquosa: la concen- trazione di questa era di 8,137 °/o. « Nelle due tabelle seguenti sono riuniti i resultati della mie esperienze e dei miei calcoli: la rifrazione atomica del fosforo è stata calcolata in base alle costanti atomiche adottate in tutti i lavori che escono da questo Istituto: per l’etere trietilfosforico a uno degli atomi di ossigeno ho attribuito il così detto valore aldeidico, e lo stesso è a dirsi per uno degli atomi di ossigeno dell’acido fosfenilico. (1) Thorpe, Journ. Chem. Soc., vol. XXXVII, pag. 345, anno 1880. (2) Michaelis, Liebig*s Annalen, vol. CLXXXI, pag. 321, anno 1876. 186 | ZO a 19°g = L0‘09 # 8ST |(Ho)o(H?*o)a| © © © 09ITIU9;soy Opioy 01° |86Z |OIFI | 9€51 1818 IL'TE G9‘8e 90'8e LEI | 3t0(0°H"9)a|080107S0}[1Marsso oIn1o]g LT = Log = GLI “ 60°69 = 68I |*(0°H"0)Od| * 0ot1ogso;[mora} 0109 16% |06% |806 |91° 0888 188 14950) 90‘69 991 | “(O°H"9)d| * 0S0193S0X[Hora} 210317 GL'TI | SITI | 919 | 7848 76‘18 VXL8 SL9ISI FISSI | 698 ‘(“H°9)d| ®© * * @uysoz[tuozia], 628 |68 |LFLI | 6191 LI°9F CL‘SK 01°18 1308 GLI | ‘TOFH°O)d| ‘ ommuozso; Ip oImio]g ay | “ay ay | “ay qa C) | + o (5%) a Top| (0) da Top AO), e - d 2 d “00010 VINONYO] | IZNVISOS UTILI ANON Toruroge BOrULO]E Ea in I-%M |1-"Fy | osag QUOIZEIJTY] QUOIZBIJIM | I ‘II VITIAVI, 59/0 LET esonboe « « “« « « “ “ (4) Î 0/0 VA VI ‘ANA “ “ « « “ “ « “ (.) È o GIL'TT ITB ®oI]OZUOq ouorza]os tun pe ouoositaziI IS "n'a Ping ‘“#,p 11024 I (1) los) — pr SS È = i o 88cz3‘0 - c2088%0 — 369781 = 9F8Z01 | (e) F03I E0LI3°0 84130 L6F98°0 16980 8IFOFTI SOTQFI GRILST sog È 3 ars 9CITZO 19€12%0 | 291980 612980 | 00F9F1 190971 ATRIA) L96%3/0 — 9T6LE0 - 89Z0F1 - 921901 1088 ) 68622‘0 — 8008£°0 - PL90K1 = FIOLOT LobT { '00tOJsOJIHoHy 210} L06660 = LF6L8°0 = CIO0IFI = 91880°I L°06 to1e90 = 89I186°0 = TOFOFK1I = L0090°1 ol6 | 0820 96880 OLISSO | LSGL80 | FLOTRI L18051 LO9LOT Vos È 84083‘0 = 86I86°0 È 88CIFI - 868801 = sean) CECO JSON OTT ROIO] 8ISe8°0 EPEESO | S9L6SO | 626690 | EE6ISI SPRISI mago ee ei 019880 | LOFE80 | OGR6SO | 922650 | SLFEZSI | S96ICI eezz60 | (Mec | CUSFORIISRAI 1LL93‘0 IZASTAI 0.850 | suLHH”'o | 66F09°1 1F86I EGILLI pico se 1188840 | 62020 IFESHO | +EREO | E8C09T | 0L86S1 LOSEEI a Rao) o(c+%n) | p(c+°n) | p p i Da 1% Soa | Ra rn dy CH) tp AGI UZNYVISOS WMITIOA AWON 4 @ | | ‘I VITIAVI, « Nei derivati che contengono il gruppo fenile, eccettuato l'acido fosfe- . assal e issimo elevat levato lico, il potere rifrangente atomico del fosforo è nl 0 lore più grande che da cava un va i lfosfina, dalla quale s i lla trifen anzi ne — Og —S tutte le altre combinazioni sin qui studiate, giacchè pel bijoduro di fosforo si ha soltanto 24,12 (formula 7) e 9,92 (formula x?°). Questo fatto, cioè che nella trifenilfosfina il fosforo ha un grande potere rifrangente, ha molta ana- logia coll’altro da me scoperto per le basi feniliche ('): nell’anilina C H;.H2 N l'azoto ha la rifrazione atomica 6,90 (2) e 3,07 (x?), mentre nella trifenil- ammina questi valori salgono sino a 18,81 (x) e 8,32 (2°). È però da osser- varsi che le variazioni nel potere rifrangente non debbono essere pel fosforo così grandi come per l'azoto: infatti mentre nella trietilammina l'azoto ha un valore di circa 5 (formula #) e 2,5 (formula x°) e poi nella trifenilam- mina quelli che sopra ho riportati, invece nella trietilfosfina il fosforo ha già un valore assai elevato 17,24 (formula n) e 9,47 (formula n°): cosicchè mentre per l'azoto il rapporto fra le due rifrazioni atomiche è circa di 1:38 per il fosforo invece è di circa 1:1,5 per la formula x e ancora più piccolo per la formula n°: è però anche in questo caso innegabile l'esaltamento prodotto dal fenile. « Confrontando il cloruro di fosfenile col tricloruro di fosforo troviamo che la sostituzione del fenile al cloro ha prodotto un aumento nel potere rifran- gente che si rende specialmente sensibile per la formula n: infatti Rifrazione atomica del fosforo. Formula # Formula 7? ‘lricloruro di fosforo PC], 14,89 8,32 Cloruro di fosfenile P(C$H;)Cl. 17,47 8,78 « Nel cloruro ossietilfosforoso la rifrazione atomica del fosforo è poco differente, un po’ minore, da quella che esso ha nel tricloruro: le differenze sono tali che si potrebbe quasi ritenere che rientrassero negli errori di osser- vazione. È da notarsi inoltre per il cloruro ossietilfosforoso come per la riga D (formula 7) si ricava pel fosforo una rifrazione atomica un poco minore che per la riga Hy: ciò dipende, a mio credere, dal fatto che si tratta di un com- posto a piccola dispersione contenente relativamente molto idrogeno e molto cloro, elementi che per la riga D hanno costanti atomiche maggiori assai che per la riga Hu(°). « Notevole assai è il comportamento dei due eteri, il trietilfosforoso e e il trietilfosforico: tanto notevole che io ho creduto necessario di prepararli diverse volte, di analizzarli e di esaminarli ripetutamente: le analisi e le osservazioni riportate in questo lavoro non sono che una parte delle molte che (!) F. Zecchini, Sopra un notevole caso di accrescimento anomalo nel potere rifran- gente delle basi feniliche. Rend. R. Acc. Lincei, Classe di scienze fisiche ecc., vol. II, parte 1°, pag. 491, anno 1893. (*) F. Zecchini, Refrazioni atomiche degli elementi rispetto alla luce gialla del sodio. Rend. R. Acc. dei Lincei, Classe di scienze ecc., vol. I, parte 22, pag. 187, anno 1893. — 198 — ho fatto e che erano abbastanza d'accordo fra di loro. Facendo al solito il cal- colo noi abbiamo per il fosforo valori assai. diversi: nell’etere fosforico un valore assai più elevato che nell’etere fosforoso : Rifrazione atomica del fosforo. NAd, Formula Formula 7? Etere trietilfosforoso P(0C» H;)z 5,08 2,97 Etere trietilfosforico PO(OC,Hs)}} 7,50 4,17 « I due eteri si comportano assai diversamente dagli acidi liberi (4): in primo luogo è diverso il valore che si ricava pel fosforo: dall’acido fosforoso si avrebbero i numeri 5,94 (x) e 2,77 (x?) e dall'acido fosforico i numeri 4,08 (2) e 1,46 (x°): di più mentre la differenza tra la rifrazione molecolare dell’etere trietilfosforoso e quella del trietilfosforico è di 5,94 (2) e di 3,69 (2°), quella invece tra l'acido fosforico [23,95 (2); 14,25 (#°)] ed il fosforoso [22,02 (2); 13,15 (2°)] è appena di 1,95 (2) e di 1,10 (°): è molto diver- samente vanno le cose confrontando il fosfato bisodico Na, HOP, [29,12 (2); 16,52 (2°)] col fosfito sodico Na, HPO; [26,00 (2); 14,66 (2°)]: la differenza è qui di 3,12 (2) e di 1,87 (#2): la differenza avrebbe qui un valore intermedio : si avrebbe questo fatto: dal confronto fra i due eteri per l'ossigeno aldeidico si ricaverebbe un valore quasi doppio di quello general- mente ammesso; dal confronto fra i due acidi un valore quasi metà: dal con- fronto tra i due sali un valore quasi normale. « Quale dei due eteri si comporta in modo anomalo ? Saranno troppo grandi i valori relativi all’etere fosforico o troppo piccoli quelli relativi al fosforoso ? « Considerando l'etere fosforico come risultante dall'unione di tre mole- cole di alcool etilico con una di acido fosforico per eliminazione di tre mo- lecole di acqua noi otteniamo, tanto per la formula 7 che per la formula #°, dei numeri che si accordano abbastanza bene con quelli dati dalla esperienza: (Formula 2) Acido fosforico Tre molecole Tre molecole Una molecola d’alcool etilico d’acqua di fosfato trietilico IFTS PO; + SOL JRE OH e 8H, (0) = PO(0C: Hs)s 23,95 62,49 16,8 69,64 è (1) F. Zecchini, Potere rifrangente degli acidi del fosforo e dei loro sali sodici. Rend. R. Acc. dei Lincei. Classe di scienze fisiche ecc., vol. II, parte 12, pag. 31, anno 1893. — 199 — Invece fu trovato 69,09. (Formula 7°) Acido fosforico Tre molecole Tre molecole Una molecola d'alcool etilico d’acqua di fosfato trietilico H, PO, + 8C. H;0H — 3H,0 = PO(0C, Hss 14,25 38,22 10,87 41,60 Invece fu trovato 41,79. « Come si può ben prevedere questo accordo non si ha per l'etere fosfo- roso: facendo il calcolo in modo perfettamente analogo si avrebbe come valore calcolato 67,71, mentre il trovato è 63,34 (formula x) e 40,50 invece di 38,12 (formula 7°). Sembrerebbe dunque che fosse proprio il fosfito trietilico che si comporta in modo anormale, mentre normalmente si comporta il fosfato. È inutile il dire che se si ricava dal fosfato il valore di P, 0;, si ha un numero che si accorda abbastanza con quelli che si possono ricavare per questa ani- dride dall'acido orto e metafosforico, mentre per Ps O; dall’etere fosforoso si hanno numeri eccessivamente bassi. « È a notarsi come spesso il valore ottico del residuo alogenico che si ricava dall’acido libero è presso a poco lo stesso di quello che si ricava dagli eteri: ciò constatarono il Nasini e il Costa per l’acido solforico e ciò vale anche qui per l’acido fosforico, mentre, come è naturale, per l'acido fosforoso si hanno forti divergenze. Se il comportamento speciale del fosfato di etile di- penda dalla natura prevalentemente bibasica dell'acido fosforoso e dalla fun- zione di quell’atomo di ossigeno che si ammette non trovarsi nelle stesse con- dizioni degli altri due, è questione che abbisogna di altre esperienze per essere non dirò risoluta, ma trattata. « Nondimeno a questo riguardo mi sembra di una certa importanza il fatto che nell’acido fosfenilico, malgrado la presenza del fenile che pel solito produce dei notevoli esaltamenti nel potere rifrangente, il fosforo entra con rifrazioni atomiche assai piccole, identiche può anzi dirsi con quelle che ha nel fosfito d'etile: ciò porterebbe quasi. a credere che il fosfito trietilico non fosse altro che l'etere etilico dell'acido etilfosfinico. Su tale argomento, che sino ad ora non è stato oggetto che di pochissimi studî, mi propongo di ritor- nare tra breve ». -— 200 — Chimica. — Sopra aleuni derivati metilati dell'acido Desmo- tropo-Santonoso ('). Nota di AmeRICO, AnpREOCCI presentata dal Socio S. CANNIZZARO. « L'acido Desmotropo-santonoso, come ho già accennato in una mia Nota (?), deve avere per la sua genesi e per la sua netta scissione in idro- geno, acido propionico e dimetil-naftolo, la seguente costituzione: CH3 | H° id VA HG A dor a rn | HO.C7 a CH-—CH e | A NE 1% \ CH? \C NCA I un CH? e perciò si può chiamare ancora acido Dimetil-ossitetraidronaftil-propionico. Dal suddetto acido ho potuto in seguito ottenere facilmente i tre seguenti derivati metilati: OH 0.CH* (14 His qui His] \coo . CH? COOH Desmotropo-santonito metilico Ac.. Metil-desmotropo-santonoso O.CH* QUI His C00.CH3 Metil-desmotropo-santonito metilico « Il primo si discioglie a freddo nelle soluzioni acquose degli idrati alcalini, formando il corrispondente composto metallico 0M (OLE HI . COO . CH38 dalla soluzione del quale subito si può precipitare per mezzo dell'anidride carbonica l'etere inalterato; mentre si saponifica, se si riscalda la soluzione (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio del I. Istituto chimico di Roma. (2) Sopra un isomero della Santonina ed un nuovo isomero dell'acido Santonoso. Questi Rendiconti 1° semestre 1893 p. 494. — 201 — alcalina ed anche, se sì lascia a sè per qualche tempo alla temperatura ordi- naria, in tal casc non dà più nessun precipitato coll’anidride carbonica; invece con un acido forte si precipita l'acido Desmotropo-santonoso. « Il secondo è un vero acido ed è solubile facilmente a freddo nei car- 3 bonati alcalini formando sali del tipo C!4 Haag Me no perde il suo metile per una ebollizione prolungata cogli idrati alcalini. « Il terzo è insolubile nelle soluzioni. acquose degli idrati alcalini, sia a ‘freddo, cle a caldo; però viene saponificato da questi in soluzione alcoo- lica; che eliminano soltanto il, metile appartenente al carbossile e così lo convertono nel sale C!* iii « Dunque l'acido Desmotropo-santonoso, per lo speciale comportamento cogli alcali dei suoi tre derivati metilati, rassomiglia agli acidi ossibenzoici e senza dubbio contiene come questi oltre al carbossile un’ossidrile fenico. VIE DE sol ded pis / OH « L'efere metilico dell’acido Desmotropo-santonoso C** H | C00.CH? si prepara facendo agire l'acido cloridrico gassoso sulla soluzione dell'acido Desmotropo-santonoso fatta nell’alcool metilico. Dopo aver distillato una gran parte dell'alcool, si versa il restante in una soluzione di carbonato sodico ; l'etere metilico si precipita molle, ma poi lentamente si rapprende in una massa dura, che è solubile nell'etere e da questo solvente per lento svapo- ramento si depone cristallizzato in aghi riuniti a mammelloni, oppure in pic- cole tavole. Fonde fra 95° e 96°. I dati analitici dell’etere, disseccato nel vuoto, sono ì seguenti : Gr. 0,1810 diedero gr. 0,43855 di CO° e.gr. 0,1351 di H?O. Calcolato per 01 H?? 03 trovato (0, 73,28 73.15 H 8,39 8.30 /0.CH? «Il Metil-desmotropo-santonito-metilico 0 H'C 000.CH* sì, prepara facondo agire per ogni grammo di Desmotropo-santonito-metilico, sciolto in 15 cme. di alcool metilico insieme a grammi 0,3 di sodio, 3 cme. di joduro di ‘metile, in un apparecchio a ricadere coll’aumento di un'atmosfera di pressione. Dopo circa due ore di riscaldamento cessa lo sviluppo di ossido di metile : allora, la reazione essendo compiuta, si distilla l'alcool metilico con l'eccesso di joduro di metile ed al residuo si aggiunge acqua per disciogliere il joduro di sodio. Resta un olio denso, giallognolo, che lavato con soluzione acquosa di anidride solforosa, seccato sul cloruro di calcio, si può purificare distillandolo a pressione ridotta. A 80 mm. di pressione distilla fra 300° e 305°. « È un liquido incoloro, poco scorrevole come la glicerina, raffreddato con neve e sale si solidifica assumendo l’aspetto di una massa vetrosa e tra- sparente. Do 00 RenpICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. — 202 — 3 « L'acido Metil-desmotropo-santonoso 0% EC G00H sì ottiene sapo- nificando a caldo il Metil-desmotropo-santonito-metilico, disciolto in alcool metilico con idrato sodico. La saponificazione è completa dopo due ore di riscaldamento; distillando poi l'alcool metilico e riprendendo con acqua il residuo mediante l'acido solforico, si precipita l'acido Metil-desmotropo-san- tonoso vischioso, solubilissimo nell’alcool e nell’etere e difficilmente cristal- lizzabile da questi solventi: si depone però in piccoli mammelloni bianchi per lento svaporamento, alla temperatura ordinaria, della sua soluzione nel- l'etere petrolico; sul primo i mammelloni sono molli, poi divengono duri, ed allora fondono bene fra 97° e 98°. « I dati analitici ottenuti da un campione di acido, seccato nel vuoto, sono ì seguenti: Gr. 0,1824 diedero gr. 0,4886 di CO? e gr. 0,1382 di H?0. calcolato per C'!* H?? 03 trovato C 73,28 73.06 H 8,99 8,42 ». CORRISPONDENZA Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la Società reale di Londra; la Società filosofica americana di Filadelfia; la Società geologica di Manchester; la Società antropologica di Berlino; l'Istituto Smithsoniano di Washington. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 4 settembre al 1° ottobre 1893. Abetti A. — Elementi dell'orbita ed Effemeride del pianeta 1893 A e con- fronto colle osservazioni proprie. Venezia, 1893. 8°. Albert (Le Prince). — Résultats des Campagnes scientifiques accomplies sur son Yacht: Fasc. V, VI. Monaco, 1893. 4°. Campana E. — Lepra. Genova, 1393. 8°. Carazzi D. — Ostricultura e miticultura. Milano, 1893. 16°. De Lucio R. — Gran revolucion cientifica y filosfica. Madrid, 1893. 8°. D'Ovidio E. — Postilla ad uno scritto di F. Casorati. Torino, 1893. 8°. Fayrer J. — Clinical remarks on intravascular coagulation and pulmonary thrombosis. S. I. 1893. 8°. — 203 — Fritsch K. — Kin neues Universalstativ fir astronomische Fernrohre. Berlin, 1893. 8°. Helmholtz H.v. — Folgerungen aus Maxwell's Theorie ueber die Bewegungen des reines Aethers. Berlin, 1893. 8°. Lachi P. — Una anomalia di sviluppo dell'uovo umano. Milano, 1893. 8°. Luini B. — Saggio sulle velocità minime nei corsì d'acqua. Milano, 1893. 8°. Id. — Sulle sezioni più convenienti pel deflusso delle acque negli alvei. Roma, 1892. 8°. Millosevich E. — Sugli eclissi totali di Sole del 1900 V 28 e del 1905 VIII 30. Roma, 1893. 4°. Muybridge E. — Zoopraxography or the Science of animal locomotion. Phi- ladelphia, 1893. 8°. Ricciardi L. — La recente eruzione dello Stromboli in relazione alla frat- tura Capo Passero-Vulture, e sulla influenza luni-solare nelle eruzioni. Reggio C., 1893. 8°. Sarusin P. und Y. — Ergebnisse naturwissenschaftlicher Forschungen auf Ceylon in den Jahren 1884-86. Bd. ITI und Atlas. Wiesbaden, 1893. 4°. Trabucco G. — Sulla vera posizione dei terreni terziari del bacino piemon- tese. Part. 1. Pisa, 1893. 8°. Vigliarolo G.— Dei generi Micropteron, diplodon e rhinostodes, e di una nuova specie fossile di rhinostodes scoperta nel calcare elve- ziano di Cagliari. Napoli, 1893. 4°. Id. — Monografia dei pristes fossili con la descrizione di una nuova specie del calcare miocenico di Lecce. Napoli, 1890. 4°. Weber W. — Werke herausg. von der K. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen. Bd. V. Berlin, 1893. 8°. Zittet K. A. — Handbuch der Palaeontologie. 1° Abth. Bd. IV, Lief. 2. Leipzig, 1893. 8°. Pi Bi — 205 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA RR. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 15 ottobre 1893. Matematica. — .Su//a razionalità delle involuzioni piane. Nota di Guipo CasreLNUOvO, presentata dal Corrispondente CU. SEGRE. « Se le coordinate di un punto generico di una superficie F_ sono fun- zioni razionali di due parametri «, #, allora ad ogni punto generico (@, #) di un piano corrisponde un solo punto di F, ma ad ogni punto di F possono corrispondere «20 o pix punti del piano. Nel primo caso la F è rappresen- tabile biunivocamente sul piano, è (come diremo brevemente) una superficie razionale. Nel secondo caso esiste una corrispondenza biunivoca tra i punti di F ed co? gruppi di un certo numero 2(= 2) di punti nel piano (a, £), gruppi dotati della proprietà che un punto generico del piano appartiene ad uno e ad uno solo di essi; la F si può rappresentare sopra una involuzione piana I di ordine n. Ora si può chiedere: 7 possibile anche in questo se- condo caso di stabilire una corrispondenza biunivoca tra i punti di F ed i punti di un piano? O in altre parole: una involuzione piana d'ordine n è razionale? Le ricerche fatte finora per le involuzioni d'ordine 2 non esau- rivano completamente la questione, tuttavia (offrendo la traccia per una trat- tazione rigorosa) autorizzavano a dare una risposta affermativa nel caso n= 2. Ma nessun risultato importante si era ottenuto per i valori superiori di , (fatta eccezione per quelle involuzioni czeliehe che Daienio da una trasfor- mazione birazionale ciclica del piano). XENDICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 29 — 206 — « Essendomi occupato recentemente dell'argomento, sono riuscito a dimo- strare che in fatto ogni involuzione piana (d'ordine qualsiasi) è razionale. Il metodo che ho seguito sarà esposto brevemente in questa Nota; per le dimostrazioni diffuse dei teoremi qui enunciati, e per le notizie bibliografiche, rimando il lettore ad un lavoro più esteso che sarà pubblicato in seguito. « Sia F una superficie i cui punti corrispondono biunivocamente ai gruppi di una involuzione I; noi dobbiamo dimostrare che F è razionale. Ad ogni curva di F corrisponde sul piano di I una curva la quale contiene co! gruppi di I, curva (come diremo) appartenente alla involuzione I; e ad ogni sistema lineare di curve su F corrisponde nel piano un sistema lineare (di curve) appartenente alla I. La geometria sulla superficie F_ è intimamente legata colle proprietà dei sistemi lineari di curve che ad essa appartengono. Ora i più importanti caratteri di un sistema lineare |I] di curve su F sono: la dimensione 7 del sistema, il genere = della curva generica Z (o genere del sistema), il grado 4 del sistema che è il numero delle intersezioni varia- bili di due curve Z° generiche; ed un ente che va sempre considerato insieme con un sistema lineare || (perchè invariabilmente collegato col sistema) è . 1° . . . . il la serie (lineare di gruppi) caratieristica 9, segata sopra una curva generica del sistema dalle rimanenti. Se diciamo ormale un sistema ||, quando non esiste un sistema di dimensione superiore ma dello stesso grado 4 il quale contenga tra le sue curve le curve di |], è chiaro che la nostra attenzione dovrà sopratutto rivolgersi ai sistemi normali giacenti su F, poichè conosciuti questi, tutti gli altri sistemi (non normali) si possono ritener come noti. « Ora una proprietà fondamentale di un sistema zormale (cioè determi- nato completamente dai punti base) giacente sopra un piano (0 sopra una superficie razionale) è che la serie caratteristica del sistema è compieta. Si è quindi indotti ad esaminare in primo luogo se altrettanto accada sulla nostra superficie F, e si trova precisamente il «Teorema I°. Ogni sistema linearenormale giacente sulla F ha la serie caratteristica completa. « Il teorema non è certo sufficiente per dimostrare la razionalità della F, poichè anzi tutte quelle superficie che si sogliono considerare come regolari (superficie generali di genere > 0), godono la stessa proprietà; all'incontro le superficie anomale, ad es., le superficie per cui i due generi aritmetici e geometrici sono distinti, tra le quali le rigate irrazionali, non ammettono quella proprietà. « Ma si può fare una seconda osservazione: nel piano esistono (come è noto) sistemi lineari normali i quali hanno la dimensione 7 superiore al ge- nere 77 (sistemi per cui la serie caratteristica è certo non speciale); accadrà altrettanto sulla F? Orbene si dimostra il — (207 — « Teorema II°. — Sulla Fesiste un sistema lineare (normale), il quale ha la dimensione superiore al genere; anzi in infiniti modi si possono costruire sistemi di tal natura su F (!). « La proprietà contenuta in questo teorema spetta veramente anche alle superficie rigate irrazionali, ma non appartiene alle superficie di genere supe- riore a zero. Siamo quindi indotti a chiederci se le proprietà espresse dai teoremi I° e II° siano sufficienti per dimostrare la razionalità della super- ficie F; questione interessante per sè, anche indipendentemente dal problema sulle involuzioni. In realtà, quelle due proprietà sono sufficienti. « Indichiamo da ora in poi con |] quel (o meglio vr) sistema lineare di curve su F, avente la dimensione 7 superiore al genere 77, sistema di cui il teor. II° afferma l’esistenza; la serie caratteristica del sistema essendo com- pleta (teor. I°) e non speciale, il grado del sistema sarà 4 =7-+7—1. Ora per i primi valori di 77 = 0, 1,2 si riconosce direttamente che la superficie F è razionale. (1) Un cenno sulla dimostrazione dei due teoremi. Considerando la trasformazione (21, n—1) che una involuzione I determina nel proprio piano, trasformazione per la quale un punto generico si muta negli #2 —1 punti del suo gruppo (mentre certi punti eccezionali, fondamentali, hanno infiniti trasformati), si osserva subito che due curve, le quali abbiano lo stesso ordine e si comportino ugualmente nei punti fondamentali di I, vengono trasformate in due curve di uno stesso ordine, che si comportano in uno stesso modo nei punti fondamentali. Di qua segue che se un fuscio di curve contiene due curve appartenenti alla involuzione I, allora la curva generica del fascio (ha come trasformata l'insieme di x —1 curve del fascio stesso e quindi 0) appartiene alla involuzione, oppure la involuzione è ciclica; il teorema si estende subito ai sistemi lineari più ampli. Con una lieve modificazione del ragionamento si dimostra poi che se an un fascio di curve, il quale contiene una curva appartenente alla involuzione I, quei punti base che non cadono tra i punti fondamentali di I, costituiscono uno 0 più gruppi della involuzione, allora od ogni curva del fascio appartiene ad I, oppure un’altra sola curva del fascio appar- tiene ad I, e la I in tal caso è ciclica. Ora si consideri sul piano di I un sistema li- neare 00” |C| appartenente alla I, il quale non sia contenuto in un sistema lineare più vasto di curve aventi quell’ordine e quelle molteplicità (nei punti base) e tutte appartenenti ad I. La serie caratteristica di | C| ha i suoi gruppi costituiti da un certo numero 4 di gruppi di I, è una d7 ; fondandosi sul lemma precedente, si dimostra che la serie stessa x . . VIRT . . LO . . non è contenuta in una serie 9° vi i (K>0) i cui gruppi si compongano pure di 4 gruppi n i di I; e questo fatto non differisce da quello che è affermato nel teorema I°. Quanto al teorema II°, si considerino nel piano di I le curve R' che sono le trasfor- mate delle rette R; le co? curve R-+ R' appartengono alla involuzione. Ora tutte le curve che hanno l’ordine di R-4- R, che si comportano come queste nei punti fondamentali di I, e che appartengono alla I, formano un sistema lineare al quale corrisponde sulla super- ficie F (imagine di I) un sistema lineare avente il genere 77 uguale alla classe di I (numero delle coppie di punti coniugati in I appartenenti ad una retta), e la dimensione uguale a t1-+-k+-2, dove % è l’ordine della curva unita di I. L'esistenza di un siffatto sistema è appunto affermata dal teorema II°. — 208 — «Se 77 > 2 si ricorre ai seguenti teoremi: « Teorema III°, —- La presenza del sistema |F| su F porta con sè l’esistenza di un sistema co7 |F'| (aggiunto a |F))il quale sega sopra ogni curva Zla serie canonica GENS T_-2 « Teorema TV°. — Se la curva generica I” del.sistema ag- giunto è irriduttibile, il suo genere 7 è =7—2; il sistema aggiunto (come il sistema primitivo) è normale, edhala dimensione superiore al genere (1 —1> 7). « Teorema V°. — Se la curva generica I” si spezza, lo spez- zamento avviene inz—lcurve razionali appartenenti ad un sistema lineare c00(!). « I tre teoremi ora enunciati danno un metodo di 7duzzione per dimo- strare che la F è razionale. Infatti costruito il sistema || aggiunto a |Z], se L'è riduttibile, si può subito concludere in virtà del teor. V°, che la F è razionale; se I° è irriduttibile, il sistema |] (per il teor. IV°) ha le stesse proprietà di |T|, ma intanto ha il genere #7 = x — 2. Ora se 7° = 0,1,2 la F è razionale; se no si costruisca il sistema || aggiunto a |Z"|, al quale sarà applicabile il teor. V° o il teor. IV°; e così via. Dopo un numero finito di operazioni si arriva certo a concludere che « Torema VI. — È razionale una superficie sulla quale ogni sistema lineare normale di curve ha completa la serie caratteristica, e sulla quale esiste inoltre un sistema lineare di dimensione superiore al genere. (1) Dei tre teoremi qui riuniti il primo è il più importante; ne abbozzerò qui la dimostrazione, limitandomi al caso incui le c077! curve di || passanti per un punto ge- nerico di F non hanno in comune altri punti variabili col primo (nel caso opposto si ricorre alla rappresentazione sopra una superficie multipla). Costruita nello spazio Sy a 7 dimensioni una superficie d'ordine 774 r —1 riferita univocamente ad F, in guisa che alle curve I° di F corrispondano le sezioni della superficie cogli spazi S,-1, si proietti la superficie da » — 8 suoi punti sullo spazio ordinario Ss. La proiezione sarà una superficie F, d'ordine 7 +2 a sezioni piane di genere 77. Ogni sezione piana ammette coT-! curve aggiunte d’ordine 7 — 1, ed una tra queste si può fissare assegnandone le 77 —1 intersezioni con una retta s. Facciamo ora ruotare il piano della sezione intorno ad s, ed in ogni sua posizione costruiamo la curva aggiunta che passa per quei 7—1 punti fissati su s. Le oo! curve d'ordine 7#—1 che così si ottengono, formano, come si dimostra subito, una super- ficie d’ordine 77--1 la quale sega Fo (oltre che lungo la curva multipla di Fo) in una curva I d’ordine 277 — 2. Variando quei 7 —1 punti su s, la curva I" varia descrivendo un sistema lineare 001; il quale si vede esser proiezione di un sistema coT-! di curve I” d'ordine 2x —2 giacenti sulla superficie di S,. Le curve I” segano evidentemente sulla . . . . . . T_-1 curva sezione di questa superficie (con un S,-, generico) la serie canonica Ir da; donde segue. il teorema III°. — 209 — « Ed in conseguenza : « Ogni involuzione piana è razionale. « O sotto altra forma: «Ogni superficie il cui punto generico abbia le coordi- nate funzioni razionali di due parametri, è rappresentabile punto per punto sopra un piano. « À proposito delle involuzioni piane noterò ancora che il procedimento qui esposto non conduce a determinarne i #.p? drriduttibili, i quali si possono considerare come noti solo per x = 2,0 più in generale per le involuzioni cicliche. « Si riesce invece a stabilire varie proprietà proiettive delle involuzioni riguardanti la elasse...; darò, come esempio, la prima che sì presenta. « Ogni involuzione di classe 0 è di Jonquières (coi gruppi allineati sulle rette di un fascio) oppure è generabile mediante una rete di coniche (due coniche segandosi in un gruppo, quindi in tal caso n= 4)». Fisica. — Sulle recenti esperienze di G. A. Hirn e sulle leggi dell’efflusso dei gas. Nota (sunto di Memoria) del dott. ALEs- SANDRO SANDRUCCI, presentata dal Socio P. BLASERNA. « Scopo del mio lavoro è: « 1°. Esporre le condizioni in cui sì trovano ai giorni nostri gli studi intorno alle leggi su l’efflusso dei gas, specialmente riguardo alle controversie ed alle polemiche sorte di recente fra gli scienziati. « 2°. Sottoponendo le ben note esperienze di Hirn sull'argomento, al una accurata critica, mostrare come i loro risultati, contrariamente all’opi- nione dell'autore, non riescano ad infirmare la validità dell'equazione notis- sima del Weissbach, nè dei principî più importanti della termodinamica. « 3°. Resa evidente la imprecisione delle formule usate da Hirn per applicare i risultati delle sue esperienze (nella quale è riposta una delle cause dei disaccordi con la teoria), cercare relazioni più rigorose e fornire quindi un substrato teorico a chi volesse imprender di nuovo il lavoro sperimentale di Hirn, per istituire confronti, esenti da possibili critiche, coi dati spe- rimentali. « Mi sono in queste ricerche giovato del seguente materiale bibliografico: Weissbach, /ngenieur-und Maschinenmechanik (3° ediz. Brunswich, 1855). — Risultati di esperienze su l’efflusso dell’aria e dell’acqua sotto una forte pres- stone (Civilingenieur, t. V, pag. 1). Bauschinger, Teoria dell’effusso dei gas perfetti (Giornale di Matematica e Fisica di Schlomilch, t. VIII, pag. 81). glo Saint-Venant e Wantzel, Mémoires et eapériences sur l’écoulement de V’ain, determiné par des differences de pression considérables (Journal de l’École Polytechni- que, 27° Cahier). Zeuner, Z'héorie Mécanique de la Chaleur (Paris, 1869). — Das Locomotivenblasrohr (Zurich, 1863). Grashof, Sul movimento permanente dei gas nei condotti e nei canali (Zeitschrift des Vereines deutscher Ingenieure, t. VII, pag. 243). G. A. Hirn, écherches expérimentales et analytiques sur les lois de l’écoulement et du choc des gaz en fonction de la téimperature (Mémoires de l’Académie de Bel- gique, 1855). — Récherches expérimentales sur la limite de la vitesse que prend un gaz quand il passe d'une pression è une autre plus faible (Annales de Chimie et Phy- sique, 6° série, t. VII, mars 1886). = La Cinetique moderne et le Dynamisme de l’ Avenir (Mémoires de l’Académie royale de Belgique, t. XLVI, 1886). i — Réflecions sur une critique de M. Hugoniot parue aux Comptes Rendus du 28 Juin (Comptes Rendus de l’Académie des Sciences de France, t. CIII, séance 12 Juillet, 1886). — Remarques au sujet des Notes de M. Hugoniot insérées aux Comptes Rendus des 15 et 22 novembre (Idem, séance 20 déc. 1886). Faye, Remarques au sujet des récentes eapériences de M. Hirn sur la vitesse d’écoule- ment des gaz (C. R. de l’Acad. de France, séance du 2 novembre 1885). Hugoniot, Sur l’écoulement des gaz dans les cas du régime permanent (C. R. de l’Acad. 28 juin 1886). — Sur la pression qui ewiste dans la section contractée d'une veine fluide (Idem, 2° sém., pag. 241). = Sur l’écoulement d'un gaz qui pénètre dans un récipient de capacité limitée (Idem, pag. 922). — Sur un théorème relatif au mouvement permanent et à l'écoulement des flui- des (Idem, pag. 1179). —_ Sur l’écoulement des fluides élastiques (Idem, pag. 1258). = Remarques relatives aua observations de M. Hirn sur l'écoulement des gaz (Idem, 1887, pag. 46). Wilde, Sulla velocità colla quale l’ania si precipita nel vuoto e su alcuni fenomeni re- lativi alla espansione di un gas a grande densità in un gas a densità minore (Philosophical Magazine, vol. XX, 1885). Reynolds, Su l’eflusso dei gas (Idem, vol. XXI, 1886). Haton de la Goupillière, Hcoulement varié des gaz (C. R. de l’Acad. des Sciences, 18 octo- bre 1886). — Idem, (C. R. etc., 1886, pag. 785). Parenty, Sur les eapériences de M. G. A. Hirn concernant le débit des gaz à travers les orifices (C. R. ete., 12 juillet 1886). _ Sur la modification dans l’adiabatisme d'une veine gazeuse contractée (0. R. 7 dec. 1891). « Tre sono i casi principali dell'efflusso dei gas attraverso orifizii di assai piccole dimensioni. Uno, il più semplice, detto del regime permanente, si ha quando il gas nel recipiente d'uscita ed in quello di entrata (ambedue variabili di volume) si mantiene a pressioni costanti (ma diverse fra loro) — 211 — durante l’'efflusso. Su questo ordinariamente ci si fonda per stabilire la for- mula di Weissbach, che dà la velocità del sas. Gli altri due casi del re- gime variato suppongono, costanti ì volumi di ambedue i recipienti l'uno, e costante quello di un solo recipiente l'altro; quindi il primo considera le pressioni gassose in ambedue variabili, il secondo variabile solo quella nel recipiente di entrata. « Dopo aver fatto un breve sunto storico delle ricerche sia teoriche che sperimentali eseguite fin'ora nello studio di questi 3 casi ed avere special- mente notato le controversie sorte fra l'Hirn edil Clausius a proposito della teoria cinetica dei gas e fra Hirn e l'Hugoniot intorno alla relazione del Weissbach ed in generale alla termodinamica, passo a descrivere somma- riamente il metodo usato da Hirn nelle sue ultime esperienze su l'aria, per «determinare la portata reale volumetrica al secondo nell'efflusso e quindi la velocità reale nel medesimo tempo. Hirn dai risultati sperimentali ricava conclusioni che possono brevemente compendiarsi così: Le portate spe- rimentali e quelle calcolate coll’equazione di Weissbach non concordano. Le Pi 0 ineguali nel recipiente di entrata e di uscita, si mantengono per un po’ co- stanti, poi diminuiscono tendendo a zero. Le seconde, non solo sì mantengono sempre minori delle reali, ma crescendo con Hi passano per un massimo e 0) prime, a cominciare dai valori più piccoli del rapporto fra le pressioni quindi naturalmente decrescono. Più notevole disaccordo passa fra la velocità reale e quella calcolata : la prima per - - infinitesimo è quasi infinita e de- 0 cresce quindi rapidamente, mantenendosi sempre superiore alla corrispondente calcolata; la seconda ha un limite finito per 79 0 e solo per valori di (0) tal rapporto vicini assai ad 1 si mostra quasi eguale alla sperimentale. Da queste discordanze fra teoria ed esperienza si deduce l’inesattezza della equa- zione di Weissbach. « Prima di passare, per difesa della termodinamica, alla critica di certi ragionamenti e delle esperienze di Hirn, io faccio osservare come il caso spe- rimentale birniano non corrisponda esattamente a nessuno dei tre casi in principio esposti e fin'ora studiati. Infatti lo spostamento continuo del mer- curio nella grande vaschetta del manometro durante l’efflusso del gas fa sì che il volume del recipiente di entrata non si possa considerare come costante durante la penetrazione del gas, ma, in certo modo, come una funzione della, quantità del gas che entra o anche della variabile contropressione p;. Questa circostanza è sfuggita fin’ ora ai critici delle esperienze hirniane. Siccome Hirn, per calcolare la velocità teorica, fa uso della formula di Weissbach introducendovi i valori delle contropressioni sperimentalmente determinate, — 212 — e tale formula è stata costruita considerando l'efflusso a regime permanente, potrebbero nascer dei dubbî sulla validità dell'uso che Hirn fa di essa in un caso di efilusso variato non tanto semplice. Ma io dimostro analiticamente che l'espressione KA k v= Jam}: (8) dove tutto è costante meno p,, può considerarsi valida per qualsiasi caso di efflusso e come una funzione di p, che conserva sempre la stessa forma co- munque varî p,. Rimane quindi giustificato l’uso che ne fa Hirn, sostituen- dovi per p, i valori sperimentali della contropressione, dati dal manometro a mercurio. « Un ragionamento speciale di Hirn, col quale egli crede provare-non essere mai possibile l'eguaglianza fra la pressione nella parte più contratta della vena gassosa, dove egli pone il massimo di velocità, e la contropres- sione nel recipiente di entrata, mi dà agio con una lunga discussione critica di mostrare come esso non valga a provare quanto afferma il suo autore. Se questo non fosse, non si potrebbe più usare la formula di Weissbach per introdurvi i valori sperimentali delle contropressioni allo scopo di determi- nare le velocità teoriche e la teoria di Hugoniot non sarebbe più vera. Di qui l'utilità della discussione e del suo risultato. « Espongo quindi succintamente la teoria d’Hugoniot, come si ricava dalle numerose Note da lui pubblicate durante la sua polemica con Hirn, e da essa deduco in modo sintetico le conseguenze seguenti : 12. Convien distinguere assolutamente la sezione contratta della vena da la sezione finale, nella quale soltanto esisterà il massimo di velocità. Le due sezioni possono coincidere, ma solo in una determinata fase dell’efflusso. « 22. Non è più sostenibile che la pressione nella parte più contratta della vena debba essere sempre diversa da quella del fluido contenuto nel recipiente di entrata (nè sempre a lei eguale). Anzi, nel caso in cui la con- tropressione iniziale risulta superiore a 0,522 po si deve ritenere che la sezione contratta è anche la sezione finale, e quindi che nella sezione contratta l'egua- glianza tanto discussa da Hirn px = p, sussiste completamente. «3°. Non si può più ammettere come costante il coefficiente di con- trazione dell'orificio, poichè non rimane costante nell’efflusso variato la gran- dezza della sezione contratta della vena. « Questi risultati sono completamente contrari ai principî ed alle ipotesi di Hirn. Di qui la polemica con l’Hugoniot. Io faccio però vedere con una minuta critica delle ragioni addotte da Hirn nella sua difesa, che egli non riesce vittorioso sulle obbiezioni e sulle idee di Hugoniot, e che anzi mostra di non aver colto bene il punto di vista da cui il fisico francese parte per stabilire le critiche sue. Rimane quindi intatta la teoria d'Hugoniot. Ma essa —- 213 — è in tutto concorde con l’esperienza? Mi occupo di rispondere a questa do- manda e dopo accurato esame analitico sui valori che risultano dalla teoria d'Hugoniot per i coefficienti di contrazione nella vena là dove essa ha la sezione minima, paragonando due tavole di valori, l'una dedotta dalle espe- rienze preliminari di Hirn sui detti coefficienti, valide, come dimostro, anche secondo la teoria di Hugoniot, l’altra da l'equazione fondamentale di quest’ul- timo, giungo a questi importanti risultati : « 1°. Per i due primi orifici (fra i sei usati da Hirn) in sottil parete, il coefficiente di contrazione, calcolato nella parte dove abbiamo il minimo assoluto di sezione secondo Hugoniot, si mostra maggiore del medesimo coef- ficiente calcolato da Hirn nel caso in cui si è, secondo Hugoniot, lontani dal massimo assoluto di contrazione. V'ha in questo, contraddizione completa fra la teoria di Hugoniot e l'esperienza. «2°. I valori critici della contropressione (quelli cioè dopo i quali cessa la costanza della portata) rinvenuti da Hirn nelle sue esperienze e quelli @p, = 0,522p, calcolati per ciascuna di dette esperienze secondo Hugo- niot, si mostrano fra loro in disaccordo grandissimo. « E quindi deduco le seguenti conseguenze : « 1°. O i valori dati da Hirn per la portata in un secondo, quando essa mostrasi costante, sono inesatti (troppo grandi), in ispecie per le due prime esperienze. « 2°. O la teoria di Hugoniot, che estende al caso di una vena finita le proprietà di un semplice filetto e pone p. == @p, =0,522p, là dove nella vena è il massimo assoluto di contrazione, non è giusta, specialmente in riguardo ai casi dell'efflusso per orifici in piccola parete. « Ritenendo implicitamente più probabile la prima conseguenza piuttosto che la seconda, deduco dalla teoria di Hugoniot altri corollarî. « 1°. Che nella fase in cui il minimo assoluto di sezione può aver luogo ad ogni istante in un certo punto della vena, cioè nel primo periodo dell’ef- flusso cominciante nel vuoto, questo valor minimo si mantiene per tutta la fase costante. « 2°. Che, dopo il massimo di contrazione della vena, la sezione di lei e la velocità del fluido vanno crescendo, finchè la pressione nella vena non è divenuta eguale alla contropressione. E ciò è necessario ammettere, quando si debba ritener valida la formula di Weissbach. «3°. Che durante il primo periodo di efflusso la sezione finale della vena non può rimanere costante, ma deve andare continuamente diminuendo col continuo accrescersi della contropressione. « Ritornando poi sulle esperienze di Hirn, trovo altre cause del disac- cordo notato da lui fra teoria ed esperienza, cause diverse da quelle messe in luce dagli altri critici. La determinazione dei volumi gassosi effluiti dal gasometro in un secondo e delle corrispondenti pressioni nell'altro recipiente, RenpICONTI. 1898, Vor. II, 2° Sem. 30 — 214 ha grande importanza, perchè l'autore si serve di quei volumi per determi- nare la portata e la velocità reale del gas nell'efflusso e di quelle pressioni per porle via via nella formula di Weissbach allo scopo di paragonarne i risultati con gli sperimentali. Hirn calcola la quantità volumetrica di gas uscita in un secondo, dividendo per il tempo (2,71) il volume uscito durante una completa oscillazione del pendolo misuratore degli spostamenti del gaso- metro e per ciò dei volumi. Ma durante l’entrata nel 2° recipiente di. un volume qualsiasi di gas, anche per un secondo, la contropressione non rimane costante, essendo realmente nelle esperienze il regime continuamente variato; Hirn tuttavia considera come contropressione unica accompagnante l’entrata del gas in 1” la pressione segnata dal manometro a mercurio alla fine di ogni oscillazione del pendolo. Ciò non è rigoroso. Lo sarebbe solo, dato che nell'intervallo di 2,71 l’efflusso si mantenesse assolutamente permanente; e questo non è, quando la contropressione supera il suo valore critico. Questa imprecisione manifesta 1 suoi effetti, aumentati altresì, quando Hirn pone in uso la formula per determinare teoricamente la portata in volume nell'unità di tempo, poichè in essa introduce i valori della pressione dati dal mano- metro, che sono quelli della contropressione alla fine di ogni intervallo di 2,71. Questa formula non può dare con precisione il volume uscito dal gasometro altro che nell'ipotesi che gli elementi dw del medesimo volume nel dilatarsi, abbiano dovuto passare 77 adiabaticamente da una pressione stessa po ed una p, medesima; e questa ipotesi non è ammissibile ora, trat- tandosi di un regime continuamente variato, in cui la contropressione muta notevolmente anche durante un secondo di tempo. Eguali considerazioni pos- sono farsi riguardo al calcolo della velocità sperimentale e teorica, allo scopo di paragonarne i valori. La velocità reale determinata da Hirn, non può essere neppure la vera velocità media effettuatasi durante l'uscita del volume gas- soso in 2,71. Di più i valori della velocità teorica, calcolati con la for- mula del Weissbach, sono determinati uno per uno con un valore della con- tropressione superiore al vero da usarsi; quindi dovranno tutti naturalmente risultare minori della realtà (teorica). Nelle conclusioni dei confronti stabi- liti da Him non si può dunque aver fiducia. < « Allo scopo di rendere possibile l'istituzione di confronti pienamente rigorosi, io cerco di calcolare il volume effluito con una formula che tenga perfettamente conto della variabilità del regime. Una tal formula, detto dw il volume, sarebbe Da di k dw= | (mom) (2) Vdt Di dove 720,9 è la sezione contratta della vena, V la velocità teoretica data dalla formula di Weissbach; e pi e p'» sono i valori della contropressione ola al principio ed alla fine del tempo #. Per evitare la difficoltà per ora insor- montabile nell'uso di una tal formula, derivante dalla impossibilità di cono- scere l’espressione analitica della sezione più contratta della vena in funzione della contropressione, io dimostro l'eguaglianza dell’integrale precedente con D'a TNA 56, Pi dove vo è il volume specifico del gas nel sasometro e 4G il peso infinite- simo che esce nel tempo df. Quindi, per determinare 4G in funzione della contropressione, prima dimostro come il caso hirniano d’efflusso possa iden- tificarsi, a meno di una certa differenza, con quello da un recipiente di gran- dezza infinita in cui po, vo, To del gas rimangano costanti, in un altro di volume finito ed invariabile: caso studiato dal Zeuner. La differenza sta nella variabilità di volume del 2° recipiente nel caso delle esperienze di Hirn, a causa del grande manometro di cui già dicemmo. Calcolo questa variabilità in funzione della contropressione, e poi, piegando il metodo del Zeuner al nuovo caso, giungo alla espressione : pus pr da O, OI KPo Vo dove s ed S sono le sezioni della branca ascendente e della vaschetta del manometro e V, il volume (costante) del 2° recipiente privato del manometro. Facendo uso della precedente espressione, trovo poi : Il 2 DI Ve Da \pa- Vap SRRETRIPI POPPA AMI eve MR DIC, "Pa 1 s S s S do = kPo Tale è l’espressione teorica rigorosa del volume uscito dal gasometro durante la variazione di contropressione p, = p'x, ed i suoi valori, calcolati in fun- zione dei valori sperimentali della contropressione, saranno pienamente con- frontabili con quelli determinati per pura esperienza. « Per il calcolo di quella che chiama volocità reale, Hirn stabilisce la formula k Pa Va Mom, S nella quale dw0 è il volume di gas (praticamente determinato) uscito in 1" dal gasometro e l’intiero numeratore dovrebbe rappresentare ciò che questo volume diviene penetrando nel 2° recipiente. Non considerando che dw non 4W — 216 — è misurato con rigore come è detto in precedenza, ho già dimostrato non preciso il numeratore della frazione; ricerco quindi una espressione rigorosa e indipendente dalla formula di Weissbach di esso numeratore, e trovo, chia- mandolo 4W: aDar k AW = PA \ 2Pa Du Vi ly Di i Po dPx EP Ni lg Da Did S G S pH io Sf Fai se ( +3) î DS ml 21 Pi Quando p, e p', rappresentassero i valori della contropressione, determinati sperimentalmente, al principio ed alla fine di un secondo di tempo e si avesse modo di calcolare il valore medio di 72 72,9 in detto intervallo, la velocità reale potrebbe determinarsi con soddisfaciente precisione. Ma questo per ora non è possibile, come ho già indicato, a causa della mancanza di una espres- sione analitica della sezione della vena ». Chimica. — Sulla preparazione del piombo trietile ('). Nota del dott. A. GHIRA, presentata dal Corrispondente R. NASINI. « In occasione di un lavoro da me eseguito sul potere rifrangente di al- cuni composti organo-metallici e che prestissimo sarà pubblicato io cercai di preparare anche il così detto piombo sesquietile. È noto che si trovano regi- strati nella letteratura due composti organici del piombo che apparterrebbero al tipo PbXz o Ph» X,, come generalmente si preferisce di seriverli; il piombo sesquietile Ph, (C, H;); e il piombo sesquiamile Pb» (0; H,1)g: esisterebbero inoltre diversi derivati, che però rientrerebbero a dire il vero nel tipo Pb X,; così i composti di addizione cogli alogeni Pb(C, H;)3 C1...; così i sali in cui entrerebbe il radicale monovalente Pb(C. H;)3: ad esempio l’acetato Pb(C» H;)3 . C: H3 03. Le due combinazioni sopra rammentate sarebbero inte- ressantissime, giacchè sono le sole del piombo che apparterrebbero indiscu- (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Padova. — 217 — tibilmente al tipo PbX3 non essendo ancora ben stabilita la natura del sesqui- ossido Ph. 03, e interessantissimo poi sarebbe di determinare la loro grandezza molecolare. La combinazione meglio descritta è il piombo sesquietile che sa- rebbe un liquido che bolle decomponendosi, insolubile nell'acqua, avente il peso specifico 1,471 a 10°. Esso si scomporrebbe alla luce con separazione di piombo metallico, all'aria assorbirebbe ossigeno e acido carbonico per dare il carbonato [ Pb(C, H.)3]: 003: si combinerebbe poi facilmente cogli alogeni addizionandoli e darebbe pure facilmente sali. Queste sono le indicazioni dei sig. Lowig e Klippel che primi e soli ottennero tale combinazione. Il piombo sesquiamile fu ottenuto dal Kippel che lo descrive come un liquido denso, di cui preparò pochi derivati. « Nel trattato del Gmelin (Suppl. I. Abth. p. 509, anno 1867) si trova ri- portato per e steso il processo di preparazione secondo Lòwig e Klippel. Essi fecero agire il joduro di etile sopra una lega di piombo e sodio, l'uno adoperando una lega fatta con una parte di sodio e sei di piombo, l’altro una lega di una parte di sodio e tre di piombo. Questi esperimentatori osservarono che dopo pochi minuti sì aveva una viva reazione con forte svolgimento di ca- lore tanto che questo era sufficiente per far distillare il joduro di etile, il quale si faceva poi agire nuovamente e la preparazione si considerava come terminata allorchè la sostanza solida che restava nell'apparecchio non dava più reazione coll'acqua, in altri termini quando tutto il sodio si era trasfor- mato in joduro. lo ho ripetuto le esperienze ponendomi esattamente nelle con- dizioni descritte da Lòwig e Klippel: adoperai leghe di quelle determinate proporzioni, ed anche, visti riuscire inutili i tentatativi, leghe a proporzioni diverse, ma il risultato fu sempre lo stesso: non osservai mai reazione vio- lenta nè svolgimento di calore. Scaldai allora a ricadere per diversi giorni e non ottenni nessuno prodotto: il joduro di etile rimaneva per la massima parte inalterato. Il fatto della reazione violenta così recisamente affermato da Loòwig e Klippel mi suggerì l’idea di adoperare joduro di etile umido e di operare in apparecchi non asciutti. A questo proposito debbo ricordare che il prof. Nasini insieme col sig. A. Scala dimostrarono (') come il composto che secondo Lòwig e Scholz (2) si sarebbe formato per azione dell’amalgama di sodio sopra un miscuglio di joduro di etile e solfuro di carbonio, e che sarebbe stato il trisolfuro d'allile Cs Hio Ss, non si forma affatto: e mentre secondo Lowig e Scholz si doveva avere subito una reazione violenta e forte riscal- damento non si ha invece reazione: è soltanto quando si adoperano liquidi e recipienti non bene asciutti che si ha reazione e si forma allora, come era (1) R. Nasini e A. Scala, Sul preteso trisolfuro d'allile. Rend. R. Acc. dei Lincei, vol. II, 1, pag. 506, anno 1887. (2) Journ. prakt. Chemie, LXXIX, pag. 441, anno 1860. Estratti nel Chem. Centr. anno 1860, pag. 761; Rep. Chimie, II, pag. 331; Jahresbericht der Chemie, anno 1860, pag. 397. — 28 — facile a prevedersi, del solfo carbonato di etile che Lòwig e Scholz non rico- nobbero e al quale, forse perchè impuro, attribuirono la formula C; Ho Sg, invece di quella che realmente gli spetta C; Hio S:. A me è accaduto lo stesso fatto che al prof. Nasihi e al sig. Scala : vidi che realmente, se tutto non è asciutto, si ha reazione e si forma una piccola quantità di un composto che constatai però essere piombo tetraetile; aggiunsi acqua in maggior quantità ed ebbi allora tutti i fenomeni descritti da Lòwig e Klippel; ma il prodotto ottenuto era anche questa volta piombo tetraetile, come potei facilmente con- statare confrontandolo con altro piombo tetraetile da me preparato per azione dello zinco etile sul cloruro di piombo e come dimostra anche la seguente determinazione. gr. 0,4418 di sostanza dettero gr. 0,4092 di solfato di piombo: quindi trovato calcolato Pb(C» Hs)s Ph °/, 63,84 64,08 « Senza pronunziarmi sulla reale esistenza del piombo sesquietile e di altri prodotti analoghi io cred’ di potere affermare che il piombo sesquietile non si forma col processo indicato da Lòwig e Klippel. È probabile che essi aves- sero tra le mani del piombo tetraetile impuro o che nelle loro analisi ci sia stata una leggera perdita, assai facile ad avvenire quando sì opera la combustione di questo composto, come pur troppo io ho dovuto constatare. E non credo che sia troppo ardito di supporre che realmente sino ad ora com- posti del piombo del tipo PbhX3z o Pb, X; non sono stati nè studiati nè iso- lati. Spero fra non molto di ritornare su questo argomento ». Fisiologia. — Influenza dello cuechero sul lavoro dei muscoli. Nota del prof. UcoLIno Mosso e di LuIGI PAOLETTI ('), presentata dal Socio A. Mosso. « Il fatto che lo zucchero favorisce l’attività muscolare è nuovo nel campo sperimentale. L'Albertoni nei suoi importanti studî sull'azione degli zuccheri nell'organismo (?) aveva già osservato che lo zucchero rinforza l’azione del cuore; egli ebbe a considerare gli zuccheri come alimenti e come agenti irritanti che eccitano al lavoro gli apparecchi della circolazione. Uno di noi aveva già trovato che piccole quantità di amido o di glucosio presi per bocca danno forza ai muscoli, ed aveva detto che gli altri idrati di carbonio avevano (1) Esperienze eseguite nel Laboratorio di Farmacologia sperimentale della R. Univer- sità di Genova. (2) P. Albertoni, Sul contegno e sull'azione degli zuccheri nell'organismo. R. Acc. delle scienze di Bologna, 1889-91-92. — 219 — la stessa azione (!); i risultati ottenuti col saccarosio sorpassarono la nostra aspettazione: Per assicurarci abbiamo dovuto ripetere le esperienze parecchie volte sopra di noi e sopra altre persone. Fin da principio abbiamo veduto che sul muscolo affaticato. agisce in modo diverso lo zucchero a seconda della dose e della diluzione in acqua. Aumentando oltre un dato limite la dose diminuisce l’ effetto; le soluzioni più diluite sono le meno attive; perciò ci siamo proposto di determinare sperimentalmente: 1° la dose minima di zuc- chero che introdotta nello stomaco manifesta un'azione sul lavoro dei muscoli; 2° le dosi limite per ottenere un dato affetto; 3° la quantità d’acqua. più opportuna come veicolo ; 4° il modo più conveniente di somministrazione; 5° l'in- fluenza nel digiuno e nella stanchezza (?). « Tutte le esperienze vennero fatte coll’ergografo: l’uso di questo strumento, i vantaggi che esso offre sugli altri dinamometri fin’ora in uso e le leggi della fatica sono noti per i lavori di A. Mosso ed A. Maggiora (8). Si incomincia l’ esperienza a digiuno oppure a tale distanza dal pasto che i muscoli non siano più influenzati dai prodotti della digestione. Introdotta la mano nell’ergografo, si solleva col dito medio un peso sempre costante per la stessa persona; si tiene sollevato per un minuto secondo e poi lo si lascia cadere: in- tanto il dito si riposa; passato un minuto secondo si risolleva il peso e così di seguito: serve a segnare il tempo un metronomo che batte i secondi. L'altezza di sollevamento diminuisce ad ogni contrazione finchè il dito non riesce più ad alzare il peso: si ha così un gruppo di contrazioni ritmiche decrescenti che costituisce la curva della fatica. Ogni 10 minuti sì ricomincia una nuova curva, finchè dopo 10-15 curve il dito non è più ca- pace di fare che una minima parte di lavoro. A questo punto si prendono le soluzioni di zucchero continuando a fare le curve senza interruzione, di 10’ in 10. Il lavoro mec- canico eseguito dai muscoli flessori del dito medio viene calcolato in chilogrammetri (kem.) col moltiplicare l’altezza di ciascuna contrazione per il peso sollevato. « Per istudiare l’influenza che lo zucchero esercita sulla contrazione dei muscoli della vita di relazione potevamo servirci di due metodi: 1° obbligare i muscoli a fare un numero eguale di contrazioni per ogni curva e poi al momento opportuno somministrare lo zucchero ; 2° con- tinuare ogni curva fino all’ esaurimento del muscolo, e quando, dopo parecchie curve, il lavoro pare minimo, prendere lo zucchero e vederne l’effetto sulle curve successive. Noi ci siamo attenuti a questo secondo metodo, perchè i risultati riescono migliori, quantunque le curve siano meno appariscenti. Crediamo opportuno di avvisare chi ripeterà queste esperienze che i risultati di esse riescono più chiari dopo che i muscoli hanno già lavo- rato per qualche giorno: per ispiegare questo fatto noi pensiamo che nel muscolo si trovi ac- cumulata dell’ energia in quantità superiore ai bisogni ordinari e che questa riserva sì consumi con un lavoro prolungato di pochi giorni; durante questo tempo i muscoli sen- tirebbero meno l’influenza delle sostanze che favoriscono la contrazione, ma la sentirebbero di più quando la provvista è consumata. E forse per questa condizione di cose che nelle prime esperienze fatte sopra persone nuove a questi studi, non si hanno dei risultati così convincenti come si hanno in seguito. Lo zucchero che ci ha servito per queste esperienze è il saccarosio raffinato tagliato in pezzi che abbiamo verificato essere di buona qualità. «I. Dosi grandi. 1° £sp. — &r. 100 di zucchero sciolti in 50 ce. di acqua formano un liquido siropposo denso. Con questo abbiamo fatto la seguente esperienza. Il giorno 21-VIII-93 U. M. alle ore 1,5 pom. prende la curva colla mano destra ed un peso di kgr. 6 e successivamente di 10° in 10’ ottiene curve di chilogrammetri 1,950; 2,238; 2,226; 2,292; 2,520; 2,058; 1,668; 1,620; 1,428; 1.365; 1,326; 1,122; 0,972; 1,170; 1,116; 1,062; 1,128; 1,074; 1,074; 0,852; 0,702. Alle 4,25 prende la detta soluzione: le curve successive sono di kgm. 0,804; 0,558; 0,504; 0,606; 0,462 (fig. 1 A.). I valori ottenuti dopo la (1) U. Mosso, Azione dei principi attivi della noce di Kola sulla contrazione mu- colare. Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, 1893. (2) W. Harley lavorando nel laboratorio di Fisiologia della Università di Torino sul potere alimentare dello zucchero, avrebbe trovato, secondo alcune esperienze ancora inedite, che gr. 250-500 di zucchero aggiunti alla dieta abituale fanno aumentare di un quarto la forza dei muscoli. (3) A. Mosso, Ze leggi della fatica. Memorie della R. Ace. dei Lincei, vol. V, 1888; A. Maggiora, ibidem. — 220 — somministrazione dello zucchero paragonati coi valori precedenti dimostrano che questa grande quantità di zucchero nella detta soluzione non ha influito menomamente sulla forza muscolare. — 2° Esp. Subito dopo alle 5,15 senza lasciare riposare il muscolo più dei soliti 10‘ prende in una sola volta 300 cc. di acqua: le curve successive danno kgm. 0,420 ; 0,464; 0,396; 0,418 ; 0,312. Questa seconda esperienza fatta allo scopo di studiare l’azione dell’acqua senza zucchero sulla contrazione muscolare, dimostra che presa anche in grande quantità, l’acqua non aumenta affatto la forza muscolare (fig. 1 B.). Fic. 1. A. azione di 100 gr. di zucchero in 50 ce. di acqua. B. azione di 300 ce. acqua (1). ore 4,15 p. 4,25 acqua 4,35 445 4,85 5,5. 5,15 zucchero 5,25 5,35 5,45 5,55 6,5 « Risultato egualmente negativo danno gr. 100 di zucchero sciolti in 60 ce. di acqua, mentre 80 gr. sciolti in 60 cc. di acqua hanno già prodotto un leggero aumento nel lavoro muscolare, come lo dimostra la seguente: «3 Esp. — 2-IX-93. L. P. m. destra e peso di 4 kgr. comincia alle 10,20 ant. ed ottiene le seguenti curve in kgm: 1,012; 0,668; 0,532; 0,404; 0,460; 0,324; 0,256: 0,256; 0,132; 0,092; 0.020. Alle 12,10 prende la soluzione di 80 gr. in 60 cc. e le curve succes- sive danno kgm. 0,072; 0,628; 0,324; 0,100; 0,024; 0,012. « Queste soluzioni così concentrate sono le meno adatte ad influire sui muscoli. Infatti basta diluire la soluzione per avere un lavoro maggiore. « 40 Esp. — 23-VIII-93. U. M. a cominciare dalle 3,35 p. colla sinistra e col peso di 7 kgr, prende le seguenti curve: kgm. 1,620; 1,638; 1,710; 1,245; 0,948; 0,945; 0,900; 0,870; 0,804; 0,590; 0,394; 0,268. Alle 5,25 prende gr. 100 di zucchero sciolti in 400 cc. di acqua ed ha curve successive di kgm. 0,480; 0,644; 0,788; 0,846; 0,854; 0,394; 0,102. «5% Esp. — 81-VIII-98. L. P. destra 4 kgr. prende la curva alle 3,40 coi seguenti risultati : kgm. 1,484; 1,252; 1288; 1,292; 1,184; 0,956; 1,104; 0,972; 0,648; 0,484; 0,140. Alle 5,29 prende gr. 80 di zucchero in 800 cc. di acqua ed i valori delle curve sueces- sive sono di kgm. 0,728; 0,280; 0,092; 0,020; 0,008; 0,008. « Queste esperienze dimostrano che lo zucchero preso in grande quan- tità giova poco alla contrazione muscolare; manifesta invece un'azione sensi- bile, sebbene non rilevante se la stessa quantità è sciolta in grande copia di acqua. Forse ciò dipende da che per queste grandi dosi solo una piccola quantità di zucchero passa nel circolo colle soluzioni più diluite ; mentre non ne passerebbe o ne passerebbe poco nelle concentrate. E questo un quesito che tocca la fisiologia dell'assorbimento e della digestione, che desideriamo illustrare con una nota a parte. Ì « II. Dosi medie. Vi è una certa quantità di zucchero che presa in una sola volta costituirebbe la dose-limite massima: questa oscilla tra 30-60 gr. e dà il massimo dell’azione se viene somministrata in soluzione opportuna. « 6a Esp. — 1-VIII-93. L. P. m. destra e 4 kgr. prende la curva alle 8,40 ant, I va- lori ottenuti sono kgm. 0,772; 0,714; 0,556; 0,444; 0,356; 0,288; 0,248; 0,140; 0,100; 0,044 ; 0,020. Alle 10,20 prende gr. 60 di zucchero sciolti in 60 cc. di acqua, ottenendo succes- sivamente curve di kgm. 0,052; 0,696; 0,776; 0,652; 0,284; 0,172; 0,084; 0,028. Questa esperienza dimostra che 60 gr. di zucchero in 60 cc. di acqua, introdotti in una sola volta nello stomaco, hanno ritornato al muscolo una buona parte dell’attività primitiva, mentre, (3) Le figure che presentiamo vennero ridotte colla fotografia dai tracciati originali. — 221 — per le leggi della fatica si ha normalmente una progressiva diminuzione. Anche qui il mas- simo di effetto si verificò 30/-40/ dopo la somministrazione dello zucchero. « Se invece di somministrare queste dosi medie in soluzione concentrata, si somministrano in soluzioni più allungate, il lavoro muscolare è assai più considerevole : «72 Esp. — 81-VII-93. L. P. m. destra e 4 kgr. Alle 10 ant. prende il tracciato della fatica ottenendo curve di kgm. 0,888; 0,836; 0,492; 0,400; 0,360; 0,332; 0,288; 0,302; 0,224; 0,156; 0,128; 0,088; 0,036. Alle 12. prende. gr. 40 di zucchero in 80 cc. di acqua, ed ottiene i seguenti valori in kgm. 0,128; 0,256: 0,480; 0,456; 0,240; 0,120; 0,064; 0,012. « 82 Esp. — 12-VII-93. L. P. destra e 4 kgr. prende la curva alle 9,50 coi seguenti risultati: kgm. 1,552; 1,812: 1,276; 1,844; 1,124; 1,004; 0,808: 0,840; 0,632; 0.408; 0,168; 0,028. Alle 11,40 prende altra dose come sopra, ottenendo curve di kgm. 0,056; 1,256; 0,988; 1,016; 0,772; 0,684; 0,336; 0,072. « 9a Esp. — 5-VIII-93. Lo studente sig. Capurro alle 10,10 ant. prende la curva della fatica ed ottiene kgm. 2,556; 2,346; 0,958; 0,852; 0,684; 0,408; 0,396; 0,480; 0,294 0,150; 0,084. Alle 11,50 prende altra dose come sopra: le curve successive sono di kom. 0, 384; 0,544: 0,852; 0,732; 0,354; 0,390; 0,312. «108 Esp. — 14-VIII-93. L. P. destra e 4 kgr. Prendendo la. curva alle 9,20 ottiene kgm. 1,500; 0,920; 0,836; 0,712; 0,576; 0,640; 0,360; 0,268; 0,240; 0,116: 0,172; 9,024. Alle 11,20 prende gr. 80 di zucchero in 60 cc. d'acqua ed ottiene curve di kom. 0,960: 1,096; 1,176; 1,000; 0,880; 0,906; 0,816;.0,528; 0,064; 0,016. « Le soluzioni più diluite danno effetto maggiore. u 118 sp. — 16-VIII-93. L. P. destra e 4 kgr. prendendo la curva alle 10,10 ottiene kgm. 1,328; 1,116; 0,772; 0,968; 0,756; 0,712; 0,612; 0,486; 0,352; 0,164; 0,044. Alle 11,50 prende gr. di zucchero in 180 cc. d’acqua e le curve seguenti danno kgm. 0,036; 0,888; 1,240; 1,380; 0,780; 0,568; 0,408; 0,354; 0,072; 0,028. L'aumento della forza è evidente. « 128 Esp. — 16-VIII-93. U. M. destra e 5 kgr. prende la curva alle 2,5 ed ottiene kem. 2,240; 2,220; 1,770; 1,465; 1,170; 1,150; 1,135; 1,040; 1,060; 0,915; 0,900; 0,895; 0,785; 0,820; 0,735; 0,600; 0,515; 0,575; 0,445; 0,460; 0,380. Alle 5,25 prende gr. 30 di zucchero in 90 ce. di acqua: le curve successive sono di kem. 1,170; 0,990; 0,975; 1,015; 0,860; 0,850; 0,760; 0,850; 0,595; 0,530; 0,875; 0,200. « Ma queste dosi danno l’effetto massimo quando vengano diluite in 6-10 volte il peso di acqua. Ciò risulta dalle esperienze che seguono. «132 £sp. 6-VIII-93. L. P. destra e 4 kgr. come per la esperienza successiva. Prende il tracciato alle 10,85 che risulta di kgm. 1,584; 1,400; 1,236; 1,224; 1,148; 1,140; 0,868; 0,640; 0,420: 0,260: 0,104. Alle 19,15 prende una soluzione di 60 in 600. Si hanno kem. 0,004 ; 1,900; 1,568; 1,476; 1,420; 1,194: 0,616; 0,296; 0,152; 0.044 (fig. 22 ). Fic. 2. azione delle dosimodie di zucchero (gr. 60 in 600 ce. acqua | | Ù ii Lu II IN | | i I | | i vi il I SUA il IN )l | i | i Mi | ore 11,25 ‘85 ‘45 55 5,15/25 12,35 19,4 12,55 1,5 1,15 2) SOFOO «142 Esp. — 31-VII-98, L. P. Prende alle 8,30 la curva che risulta di kgm. 1,664; 1,388; Tae 328; 1,188; 1,112; 1,052; 0,932; 0 568; 0444; 0,120; 0,048. Alle 10, 30 prende gr. 40 di zucchero sciolto in 400 di acqua ed ottiene i seguenti valori: kgm. 0,056; 1,600; iù 568; 1,412; 1,136; 1,364; 1,556; 1,360; 0,832; 0, 192. In questa esperienza dopo la somministrazione dello zucchero si ebbe un lavoro più grande di prima. « 152 Esp. 29-VIII-93— SÙ M. Sinistra e peso di 5 kgr. ‘A cominciare dalle 2,40 prende la curva che risulta di kgm. 2,650 ; 2,540; 2,100; 1,950; Ì, 650; 1,275; 0,950; 1, 000; 0,975; RenpIcONTI. 1893, Vol. II, 2° Sem. sl — 222 — 0,515; 0,415; 0,330. Alle 4,30 prende gr. 30 di zucchero in 240 cc di acqua. Le curve successive danno kgm. 0,405; 0,870; 0,935; 1,200; 0,885; 0,290; 0,275. « Le esperienze ora riferite dimostrano che le dosi di zucchero dai 30 ai 60 gr. prese in una volta sola, conferiscono al muscolo affaticato una forza di gran lunga superiore a quella delle grandi dosi. Questa forza eguaglia e supera talvolta tutta quella sviluppata dal muscolo prima della somministrazione, ed è massima se l'acqua aggiunta come veicolo è 6-10 volte maggiore della quantità di zucchero: ed il massimo effetto si palesa 30-40 minuti dopo la somministrazione. Spesso il muscolo mostra di aver riacquistato energia subito nella curva successiva, cioè in meno di 10°. « III. PiccoLE posi. Abbiamo riunite in questo capitolo le esperienze fatte con dosi che variano dai 20 ai 5 gr. Queste dosi, date in soluzioni oppor- tune, manifestano sul muscolo stanco il massimo effetto. « È probabile che qui tutto lozucchero venga rapidamente utilizzato come forza prima. Desta meraviglia il pensare quanto piccola debba essere la quan- tità di zucchero che influisce sui flessori del dito medio, che sono così pic- cola parte della gran massa muscolare, e tuttavia quanta energia acquistano essi, se sono capaci di dare ancora un lavoro così considerevole. « Fu perciò nostra cura di studiare ora in modo più particolareggiato l'influenza delle soluzioni. Il muscolo ricaverebbe il massimo effetto quando le piccole dosi sono sciolte in 6-10 volte il peso di acqua: ricaverebbe ef- fetto minore tanto dalle soluzioni più diluite, quanto dalle più concentrate. « Riferiamo due esperienze fatte con gr. 20 di zucchero, una in soluzione di 60 cc., l'altra di 120 cc. « 16% Esp. — 17-VIII-95. U. M. Mano sinistra e 6 kor. Alle 2 prende la curva ot- tenendo kgm. 1,850; 1,590; 1,062; 1,032; 1,332; 0,940; 1,062; 0,804; 0,390; 0,630; 0,318; 0,204; Alle 3,50 prende gr. 20 di zucchero in 60 cc. d’acqua. Le curve successive danno kgm. 0,732. 1,398; 1,404: 0,230; 0,384; 0,126. « 172 Esp. — 28-VIII-93. Il sig. Capurro colla destra e col peso di 7 kgr. alle 11,80 prende il tracciato della fatica che risulta di kgm. 2,803; 1,600; 1,644; 1,220; 1,306; 1,260; 0,960; 0,644; 0,224; 0,092; 0.044. Alle 1,10 prende 20 gr. di zucchero in 120 cc. di acqua: curve successive kem. 0,372; 1,664; 1,552; 0,698; 0,168; 0,052. « Colla dose di gr. 15 in diverse soluzioni abbiamo fatte alcune serie pressochè complete di esperienze dalle quali meglio si desume quanto più sopra abbiamo dimostrato. Riferiamo una serie fatta su una stessa persona. « 182 Zsp. — 5-VIII-98. L. P. Alle 5 p. prende le curve che risultano di kgm. 1,176; 1,224; 1,128; 1,064: 0,860; 0,844; 0,736; 0,620; 0,572; 0,460; 0,188; 0,108. Alle 6,50 prende gr. 15 di zucchero in 60 cc. di acqua. La curve ottenute danno kgm. 0,032; 0,904; 1,128; 0,480; 0,320 ; 0,140; 0,020. Tanto queste che le altre cinque esperienze di questa serie sono fatte colla destra e col peso di 4 kgr. « 192 Esp. — 5-VII-93. A cominciare dalle 8,20 L. P. prende le seguenti curve di kem. 1,168; 1,220; 1,236; 1,096; 0,992; 1,180; 0,972; 0,556; 0,464 ; 0,400; 0,256; 0.036. Alle 10,10 prende 15 gr. di zucchero in 75 cc. di acqua. Le curve danno kgm. 0,036; 0,496; 0,804; 1,000 1,232; 0,484; 0,058. « 20% Esp. -— 30-VIII-93. L. P. prende alle 6,50 ant. le seguenti curve: kgm. 1,266; 1,100; 1,056; 1,000; 0,812; 0,784; 0,732; 0,664; 0,700; 0,680; 0,564; 0,268; 0,080. Presi alle 8,50 or. 15 di zucchero in 90 ce. di acqua ottiene kgm. 0,060; 1,040; 1,288; 1,436; 1,396; 0,852; 0,348; 0,068. « 21% Esp. — 22-VIII-98. Prende alle 8,40 la curva che dà kgm. 1,244; 1,000; 1,144; — 229 — 0,988; 0,944; 0,840; 0,884; 0,640; 0,816; 0,044. Presi alle 10,10 gr. 15 di zucchero in 120 ce. di acqua ottiene kem. 0,052; 1,696; 1.724; 1,376: 0,956; 0,291 ; 0,024. « 228 Esp.— 24-VIII-93. Curva alle 8,30 che dà kgm. 1,340; 1,372 ; 1,404; 1,240; 1,034 0,996; 0,896; 0,884; 0,336; 0,056. Alle 10,20 soluzione di 15 in 150 col seguente resul- tato: kgm. 0,040; 1,924; 1.572; 1,532; 0,920; 0,520; 0,150; 0,100. «23% Esp. — 23-VIII-93, Curva alle 7,10 pom. che dà kgm. 1,480; 1,460; 1,400; 0,936; 1,124; 0,968; 0,760 ; 0,592; 0,308; 0,160; 0,040. Presa alle 8,50 una soluzione di 15 in 240 (vale a dire 16 volte il peso di acqua), le curve seguenti danno kgm. 0,068; 0,068; 0,028. Questa soluzione allungatissima non ha dato alcun ricupero di forza. « Lo stesso fatto succede nelle curve prese su altre persone, come in G. Mondo, A. Motta, G. Capurro e U. Mosso. Per brevità riferiamo due sole esperienze fatte con gr. 10 di zucchero in 30, in 10 ed in 100 ce. di acqua. « 24% Esp. — 31-VIII-93. Capurro, destra e 7 kgr. Alle ore 2,80 prende le seguenti curve: kgm. 2,730; 2,485; 2,003; 1,993; 1,626; 1,688; 1,904; 1,505; 1,407; 1,666; 0,709: 0,238. Alle 4,20 presi gr. 10 di zucchero sciolti in 100 cc. di acqua. Le curve seguenti danno kgm. 2,499; 2,947; 2,887; 0,791; 0,329; 0,352. Prende ancora gr. 10 di zucchero in 10 cc. di acqua ottenendo successivamente kgm. 0,231; 0,432; 0,119. « 252 Esp. — 18-VIII-93. Capurro prende alle 11,40 la curva. Le ultime sette curve danno kgm. 1,540; 1,360; 0,889; 0,511; 0,329; 0,189; Alle 3,10 prende gr. 10 di zuc- chero in 30 cc. di acqua col seguente risultato: ksm. 0,861; 1,402; 0,868; 0,329; 0,329 : 0,294. « Ma anche solo gr. 5 di zucchero hanno dato un lavoro considerevole come lo dimostra la seguente esperienza ed altre di controllo. « 262 Esp. — 26-VIII-93. U. M. destra e 7 kgr. Prende la curva alle 3,10 col se- guente risultato: kgm. 1,981; 1,897; 1,841; 1,414; 1,134; 0,819; 0,994; 0,259. Alle 4,20 presi gr. 5 di zucchero in 50 cc. di acqua si ottengono i seguenti valori kgm. 1,036: 0,651; 0,539; 0,280; 0,245; 0,315. « Paragonando i vari tracciati delle piccole dosi si trova che anche le dosi minime di 5 gr. danno un forte lavoro, ma questo è di breve durata. « IV. Controllo. Colle precedenti esperienze resta provato che il mu- scolo stanco può ricevere dallo zucchero tanta energia da riprendere il lavoro e continuarlo per un tempo variabile fino ad un'ora e mezzo per una sola dose. Ci fu perciò possibile sperimentare le diverse dosi e soluzioni l'una di seguito all'altra sulla stessa persona. Con queste esperienze, che durarono talvolta la intera giornata (v. esp. 28*) e richiedevano una certa abnegazione da parte dello sperimentatore, noi abbiamo voluto riassumere e controllare i dati sperimentali fin qui ottenuti, alternando fra di loro dosi e soluzioni di azione diversa. Coloro che non sono famigliari con questi studî potrebbero pensare che la suggestione abbia potuto influire sull'esito dell'esperienza: così però non è, perchè il più delle volte si somministrava la soluzione senza che la persona sapesse la quantità di zucchero e di acqua, mascherando ancora il sapore delle soluzioni con diverse quantità di saccarina. Delle molte espe- rienze di controllo non riferiamo per brevità che le seguenti: « 27% Esp. — 30-VIII-98. U. M. colla destra e 5 kgr. prende alle 3,30 la curva che risulta di kgm. 2,350; 2,085 ; 1,505 ; 1,850; 1,385; 1,340; 0,815; 0,705; 0,565; 0,475; 0,450; 0,390. Presi alle 5,30 gr. 10 di zucchero in 100 ce. di acqua ha curve di kgm. 0,900; 1,420; 1,060; 1,030; 0,380. Alle 6,10 prende un’altra soluzione di gr. 50 di zucchero in 50 ce. di acqua col seguente risultato : kgm. 0,510; 0.650; 0,665; 0,480; 0,400. « 28% Esp. — 25-VIII-93. L. P. mano destra e 4 kgr., anche per le successive espe- rienze. Alle 3,30 prende la curva che risulta di kgm. 1,248; 1,120; 1,156; 1,064; 1,084: 0,944; 0,940; 0,868; 0,668; 0,576; 0,280; 0,056. Alle 5,80 prende una prima soluzione di 15 in 90. Risultato di kgm. 0,040 ; 1,280; 1,416 ; 1,248; 1,028; 0,928 ; 0,368; 0,096. Alle 6,40 se- — 224 — conda soluzione di 15 in 240. Risultato di kgm. 0,016; 0,032; 0,024. Alle 7,10 terza so- luzione di 15 in 150. Risultato di kgm. 0,020; 1,400; 1,472; 1,500; 1,224; 0,940; 1,008; 0,880; 0,720; 0,476; 0,248; 0,024. Alle 9,10 quarta soluzione di 15 in 180 col seguente effettivo di lavoro: kgm. 0,012; 0,140; 0,484; 0,556; 0,908; 0,144; 0,016. Infine alle 10,20 un ultima soluzione di 15 in 150. Le curve successive danno kgm. 0,036; 1,040; 1,172; 1,192; 0,500: 0,108; 0,064. Questa esperienza durò più di otto ore. Il muscolo già esau- rito continuò ancora in un lavoro assai grande per più di sei ore; ed avrebbe lavorato forse molto ancora, se avessimo continuato a prendere delle soluzioni. « 29% Esp. — 24-VIII-93. L. P. prende alle 8,80 il tracciato che risulta di kgm. 1,340; 1,572; 1,444; 1,240; 1,404; 1,804: 1,064; 0,996; 0,896; 0,884; 0,886; 0,056. Prende alle 10,20 una prima soluzione di 15 in 150, Resultato di kgm. 0,040; 1,924; 1,752; 1,982; 0,920; 0,520; 0,150; 0,100. Alle 11,40 seconda soluzione di 15 in 240 col seguente effet- tivo di lavoro: kgm. 0,032; 0,028; 0,044; 0,016. Prende alle 12,20 una terza soluzione di 15 in 90 ottenendo curve del valore di kgm. 0,036; 1,328; 1,580; 1,464; 1,284; 1,000; 0,820 ; 0,832; 0,580; 0,268; 0.076. « 30% Esp. — 22-VIII-93. L. P. a cominciare dalle 8,40 prende il tracciato della fatica che dà i seguenti valori: kgm. 1,244; 1,000; 1,144; 0,988; 0,944; 0,840; 0;884; 0,640; 0,316; 0, 044. Alle 10,10 prima Soluzione di 15 in 120. Curve. successive di kom. 0 302; 1.696: 1,724; 1,376; 0,956; 0,291; 0,024. L’esaurimento è avvenuto dopo un’ora e 10° Alle 11,20 seconda soluzione di soli 5 gr. di zucchero in 40 cc. di acqua. Resultato : kgm. 0,008; 1,696; 0,888; 0,068. L’esaurimento è avvenuto dopo 40°. Terza soluzione di 10 in 80 alle 12, ottenendo le seguenti curve: kgm. 0,032; 1,392; 1,140; 0,912; 0,136; 0,008. L’esaurimento è avvenuto dopo circa un’ora. « I numeri di queste esperienze sono così convincenti che noi ci dispen- siamo da fare qualunque considerazione. « V. Dosi RIPETUTE. Ora che abbiamo determinato il modo di funzio- nare del muscolo affaticato sotto l'influenza delle diverse dosi e soluzioni prese in una volta sola, vediamo come si modifichifil lavoro del muscolo quando introduciamo nell'organismo successivamente piccole quantità di zucchero: vediamo cioè come si comporta il muscolo, se noi gli rendiamo poco alla volta quella forza che perde lavorando. « Se esiste pel muscolo tale grande sensibilità per questa sostanza, do- vrebbe succedere che data al muscolo, a mezzo dello zucchero, quella parte di energia che gli viene mancando, esso possa dare un lavoro meccanico per un tempo assai lungo prima di, esaurirsi. « Questo già risulta nel capitolo precedente, dove vedemmo dei muscoli stanchi riprendere volta a volta nuova energia iper la somministrazione di di diverse dosi. Ma si vedrà meglio di quanta forza sia capace il. muscolo quando gli vengano somministrate metodicamente a brevi intervalli, quelle piccole dosi che noi abbiamo constatato produrre il massimo effetto. «31% Esp. — 1-IX-93. U. M. sinistra e 5 kgr. prende alle 1,50 la curva che risulta di kgm. 1,620. 1,770; 1,505; 0,860; 0,775; 0,775; 0,605; 0,675; 0,375. Alle 3,10 prende gr. 10 di zucchero in 80. ce. d’acqua: La Curva successiva da kom. 0,930. Alle 3,20 se- conda dose uguale. Curva kgm, 1,110. Alle 3,30 terza dose id. Curva kom. 1,660. Infine alle 3,40 ultima dose id. Curve successive di kgm. 2,665; 1,080; 0,585; 0,195. (fio. 42). Fig. 3* azione delle piccole dose di zucchero (10 gr. in 30 cc.) ripetute ogni 10 minuti. ki Di ‘il Ill Ill INN vu N) 3,90 3,50 4 4,10 4,20 — 225 — « 32% Zsp. — 6-VIII-93. L. P. destra e 4 kgr. come per le successive esperienze di questo capitolo. Prende la curva alle 9 ed i valori ottenuti sono di kgm. 0,728; 0,660; (0,604; 0,556; 0,516; 0,512; 0,456; 0,280; 0,104; 0,100; 0,020. Alle 10,40 prima dose di 20 in 20; la curva successiva dà un lavoro di kgm. 0,182. Alle 10,50 seconda dose id.: curva di kem. 0,412. Alle 11 ultima dose id. Le curve successive danno kgm. 0,388 ; 0,180; 0,484; 0,963; 0,428; 0,100; 0,060; 0,044; 0,032. « 33 Esp. 7-VIII-93. L. P. alle 9,50 prenda il tracciato della fatica. Si hanno curve di kgm. 1,140; 0,788; 0,628 0,624; 0,452; 0,328; 0,208; 0,060; 0,028. Alle 11,20 prima dose di 20 in 20. Curva successiva kgm.' 0,108. Alle 11,80 seconda dose id. Curva kgm. 0,344. Alle 11,40 terza dose id. Curva kgm. 0,352. Alle 11,50 quarta dose id. Le successive curve danno kgm. 0,276; 0,068; 0,024. « E bene confrontare tra di loro le esperienze 32% e 33%, le quali stanno a confermare quanto abbiamo già detto a proposito dell’effettivo di forza molto diverso che danno al muscolo le dosi srandi e le dosi medie. Nella esp. 322 noi abbiamo in tre volte sommini- strato gr. 60 di zucchero (dose media), mentre nella 33% abbiamo in quattro volte sommi- nistrati gr. 80 di zucchero (dose grande). « L'esperienza che segue è assai importante, perchè è appunto con dosi ripetute di gr. 5 di zucchero in 40 cc. di acqua che abbiamo ottenuto il migliore effetto sia per l'intensità, sia per la regolarità del lavoro. « 842 Esp. — 1-IX-98. L. P. prende alle 10,10 il tracciato della fatica che dà curve del valore di kem. 1,088; 1,028; 1,060; 0,880; 0,764; 0,800; 0,656; 0,676; 0,444 0,283: 0,036. Alle 11,50 e successivamente di 10° in 10’ fino alle 12,40 prende 5 soluzioni di gr. 5 di zucchero in 40 ce. di acqua. Le curve ottenute a cominciare da quella delle 12 danno valori di kem. 0,040; 1,984; 1,940; 1,740; 1,596; 1,732 ; 1,264; 0,732; 0,188; 0,048; « Conclusioni. — I risultati delle nostre esperienze sono concordi nello attribuire allo zucchero un potere sulla contrazione muscolare, che non sì sarebbe pensato senza il concorso di un metodo rigoroso di sperimentazione. « Le dosi piccole e le medie che oscillano tra 5 e 60 gr. prese in una volta sviluppano nel muscolo affaticato la massima energia. Colle dosi supe- riori a 60 gr. diminuisce il lavoro coll'aumentare dello zucchero. Il muscolo diventa capace di uno sforzo più prolungato colle dosi medie, diminuendo queste, diminuisce gradatamente anche la durata del lavoro. — Una dose di gr. 5 che equivale al peso di un dado dello zucchero che serve agli usi do- mestici, è già capace di destare nel muscolo stanco un’ attività considere- vole, ma di breve durata. Per l’effetto utile sul muscolo è importante la quantità di acqua che s'impiega come veicolo dello zucchero: è più favore- vole una quantità che sia 6-10 volte maggiore dello zucchero. Con soluzioni più concentrate sì ottiene un effetto gradatamente minore: lo stesso avviene per quelle più diluite. Il muscolo sviluppa il massimo lavoro meccanico quando siano prese piccole dosi di 5-15 grammi volta per volta di 10’ in 10°. Questo è il modo migliore per comunicare al muscolo quella energia che va perdendo col lavoro. La rapidità dell’azione è degna di nota. 5’ a 10’ dopo l'introduzione dello zucchero è già migliorata la condizione del muscolo. « Il massimo d'azione apparisce subito per le piccole dosi e dopo 30‘-40/ per le dosi medie. La forza del muscolo dura poco per le dosi piccole; dura un'ora e più per le dosi medie. Si può con piccole dosi a brevi intervalli conservare a lungo la forza primitiva al muscolo che lavora. Ne segue che i corridori (soldati, alpinisti, velocipedisti) ai quali venisse mancando la lena, potrebbero attingere dallo zucchero muova forza. Speriamo che esso possa es- — 226 — sere usato con vantaggio anche nel campo terapeutico, a ravvivare p. es. l'utero gestante, quando stanco per inutile sforzo è urgente l'espulsione del prodotto del concepimento. A questo proposito abbiamo iniziato con dei colleghi degli esperimenti che promettono buon risultato. «I corollarî che si possono dedurre da queste conclusioni, toccano pro- blemi di fisiologia non ancora risolti: perciò noi abbiamo fatto una serie di esperimenti sull'azione dello zucchero nello stato fisiologico, nel digiuno e nella stanchezza che pubblicheremo in una prossima Nota ». — 227 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Seduta del 12 novembre 1893. F. BRrIoscH1 Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Botanica. — L’'impollinazione nei fiori della Trapa na- tansL.e T. Verbanensis DNrs(!). Osservazioni ed esperienze del Socio G. GrseLLI e del dott. L. BUSscALIONI. « A noi non è noto che alcun botanico si sia fin’ ora occupato del pro- cesso, con cui il polline cade sullo stimma della 7. natans e 7. verba- nensis. Lo Schenck (*), che pure dedica un capitolo apposito alla fecondazione dei fiori delle piante aquatiche, trascura affatto la 774pa sotto questo rap- porto. Il Gòbel (*) più di recente ne'suoi studî speciali sulle piante aqua- tiche considera la 7rapa in germinazione, ma non si occupa affatto del modo di fecondazione. }l Kerner v. Marilaun (‘) non fa mai parola dell’impollina- zione dei fiori di questa pianta, già notevolmente anomala sotto altri rap- porti. E da ultimo neppure Hansgirg (*) nelle sue numerose osservazioni ed esperienze sull'aprirsi e chiudersi dei fiori fuori e sott'acqua non fa cenno di queste specie. « Nella nostra memoria intorno allo sviluppo dell’ovolo e del seme della (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Botanica della R. Università di Torino. (*) H. Schenck, Die Biologie der Wassergewlichse. Bonn, 1886. (3) K. Gobel, Planzenphysiologische Schilderungen, Ile Theil, 2.4 Liefer, p. 215. Marburg, 1893. (4) Kerner v. Marilaun, Za vita delle piante. Traduz. italiana. Torino, 1892-93. () Hansgirg A., Physiolog. u. Phycophytolog. Untersuchungen. Prag, 1893. RenpICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 4. 32 — 228 — Irapa natans (') incidentalmente abbiamo detto, che la impollinazione doveva aver luogo coll’intervento degli insetti; poichè avevamo veduto uscire ed entrare dai fiori aperti un emittero, la Mesovelta furcata Muls. et Rey. L'osservazione era esatta, e, come vedremo più avanti, l'abbiamo pienamente confermata; ma l'illazione, che ne deducemmo, è stata precipitosa. « In quest'anno ci siamo occupati con diligenza di questa interessantis- sima fase della biologia della 7rapa. e le osservazioni nostre ci condussero ad un risultato affatto opposto a quello espresso dall’anzidetta nostra memoria. « Allo scopo di accertare i fatti, ci recammo nei mesi di luglio ed agosto testè scorsi una volta sul Lago Maggiore ad Angera, dove vegeta copiosa- mente la 7rapa verbanensis, e quattro volte sul laghetto di Candia Cana- vese, stazione lussureggiante della 7. nafans. Stavamo sul lago intenti al- l'osservazione sei ore di seguito per ogni volta, dalle 6 del mattino a mez- zodì. Vi ci siamo soffermati inoltre una volta dalle 6 alle 9 di sera. Abbiamo infine coltivato in un'apposita vasca del giardino un buon numero d'individui, che ci fornirono utilissimi risultati. « La fioritura di questa pianta comincia alla fine di giugno e si pro- lunga fino alla prima settimana di settembre. E qui rettifichiamo un altro errore lasciato correre nella nostra citata memoria (p. 178), dove dicemmo con leggerezza, che la fioritura durava solo fino alla fine di luglio. Dobbiamo invece asserire, che il grandissimo numero dei fiori sboccia in agosto. « I fiori sono sempre solitarî nell'ascella delle. foglie delle rosette gal- leggianti. Queste continuano senza tregua il loro svolgimento acropetale, sicchè le foglie si moltiplicano in numero, si allargano in superfice, e si addensano urtandosi a vicenda.. Ne avviene che le rosette, sorrette dalle foglie stipate, si sollevano alquanto dalla superfice dell'acqua, quasi ammucchiate le une sulle altre; tantochè la barca, una volta impegnata nel fitto fogliame gal- leggiante, può procedere a stento, e ne esce con molta difficoltà. «T fiori si svolgono lentamente, col procedere dello sviluppo della ro- setta, a notevole distanza l'uno dall'altro. Ne consegue che alla fine d'agosto, sopra ciascun cespo natante sì possono trovare tutti gli stadil graduati, dai frutti già grossi, e molto avanzati verso la maturanza, ai fiori sbocciati, in boccia, e in rudimento. «I fiori si aprono d'ordinario il mattino da vna mezz'ora ad un'ora dopo il levar del sole. Così noi dopo l'albeggiare e anche più tardi pote- vamo scorgere fiori chiusi sotto il pelo dell’acqua, altri pure chiusi ma fuori d'acqua. Se noi toccavamo appena colla punta di uno stecco la corolla ancora chiusa ma emersa di questi ultimi, la vedevamo immediatamente scattare (1) Gibelli e Nerrero, Intorno allo sviluppo, ecc. nel giornale « Malpighia » 1891, anno V, p. 178. SUO, CO ed aprirsi. Così pure molte volte ci accadeva, che, sollevando colla mano fuor d'acqua una rosetta con fiori a corolla ancor chiusa, ma di imminente sbocciamento, questa si apriva subito da sè, perciocchè venisse a mancare la lieve pressione del tenue velo d'acqua soprastante. «I fiori aperti d’ordinario sporgono pochissimo dall'acqua, cioè per il breve tratto di 3-5 mm. al più, dalla base dei lembi calicinali all'apice della corolla. Ne avviene che, appena questa sia aperta, l’acqua penetri fa- cilmente entro il canalicolo anfrattuoso tra il fondo del calice e il cercine nettarifero, e tra questo e la base dello stilo. A corolla chiusa invece, tanto fuori che sott'acqua, il cavo fiorale è perfettamente asciutto. I petali, dopo che si sono divaricati, s'adagiano colla faccia inferiore del lembo sull'acqua. « Il fiore aperto sta fuor d’acqua per. breve tempo. Se la giornata è serena e quindi ben soleggiata, il peduncolo fiorale. dopo 5 o 6 ore dallo sbocciamento, cioè tra il mezzodì e il tocco, comincia un movimento di ri- piegamento carpotropico in basso; sicchè a poco a poco i lembi esterni del calice e della corolla (esterni per rispetto all'asse. della rosetta) si tuffano nell'acqua, e poco dopo anche glì interni. La incurvatura carpotropica pro- gredisce a, poco a poco, raggiungendo il suo estremo a maturanza con un angolo di 2 di circolo, poco più, poco meno. La corolla una volta sott'acqua, flaccida com'è, s'addossa alle antere, e le cementa con una certa tenacità al disopra e intorno allo stimma. « Se il tempo è fresco e coperto, i fiori stanno aperti più a lungo, fino al pomeriggio. Alcuni tardivi, che si aprono nelle ore pomeridiane, si tro- vano sempre chiusi e incurvati verso l’acqua il mattino dopo, del che ci siamo accertati sulle piante coltivate nella vasca. « Rare volte si trovano fiori, che si aprono sott'acqua. Questo fatto pare piuttosto l’effetto di una violenza esteriore, accidentale, qualunque ; come può accadere quando le rosette fogliari hanno le foglie così stipate fra loro, da non permettere ai fiori di farsi strada fuor d’acqua, e ne vedremo or ora le conseguenze. « I fiori chiusi sott'acqua si trovano in diversi stadî. Dapprima la corolla sporge appena, oltre i lembi calicinali. In tal caso si trova, che lo stilo al suo apice è curvato ad arco in senso orizzontale; le antere. ancora chiuse stanno al di sotto dello stimma. Un po più tardi si svolge l’ansa orizzon- tale dello stilo, il quale si raddrizza e spinge lo stimma contro i petali so- vrastanti e già un po' più allungati. Questi, embriciati fra loro, si divaricano un tantino sotto la pressione dello stimma, ma nondimeno mantengono an- cora ben chiusa la cavità fiorale: le antere stanno ancora sotto lo stimma e chiuse. Un po’ dopo, ma in breve lasso di tempo, difficile a valutarsi, i filamenti s'allungano rapidamente, le antere si aprono, ed elevandosi si sof- fregano con una delle rime contro le papille stimmatiche, mentre la corolla sì mantiene ancora chiusa: il che si può vedere in fiori tanto sotto che so- — 230 — pracqua. Noi abbiamo raccolto moltissimi fiori, specialmente nella mattinata del 24 agosto, che, ancora chiusi sott'acqua, avevano le antere aperte, colla- terali, e qualcuna per lo più soprastante allo stimma già impollinato. Ma nella stessa mattina ne raccogliemmo un maggior numero ancora chiusi e fuori d'acqua, colle antere deiscenti e tutte sovrapposte allo stimma egual- mente impollinato. « L'allungamento definitivo degli stami nei fiori emersi determina la completa divaricazione dei petali e quindi la vera fioritura. Potemmo scor- gere dei fiori sbocciare sotto i nostri occhi, poichè, come dissimo sopra, il minimo urto fa spalancare i petali quasi di scatto; e allora potemmo vedere non solo lo stimma, ma anche la superficie interna dei petali corrugati co- sparsa abbondantemente di polline. « Dalla semplice osservazione di questi fatti anatomo-biologici siamo costretti a dedurre, che l’impollinazione della rapa si fa nel fiore chiuso, perfettamente asciutto, in via normale fuori d'acqua, ma anche sott'acqua, e che quindi questi fiori non solo sono autogami, ma anche cleistogami. Con che accettiamo il significato di c/eistogami in senso lato; cioè di fiori che ancor chiusi procedono alla impollinazione, ma non imperfetti e quasi ape- tali, quali sono i cleistogami, delle Vi0/2 ( Melanzum), dell'Impatiens INoli- tangere, dell Aremonia Agrimonio:des, ecc. ecc. E questa nostra asserzione è convalidata dal fatto senza eccezione, che nei fiori a corolla chiusa, sia sott'acqua che fuori, non si trovano mai insetti di sorta. « Pur tuttavia, come già dissimo più sopra, tre anni or sono furono veduti gl'individui di Mesovelia furcata entrare ed uscire dai fiori di 7rapa; e il fatto fu confermato da noi ripetutamente quest'anno. Ma intanto è da avvertire, che ad Angera sul Lago Maggiore la Mesovelta manca affatto. Quivi le foglie sulla loro superficie superiore erano ingombre di miriadi di afidi ('), di qualche minuto ragno, a movimenti lentissimi, dei quali appena qualche raro esemplare, e affatto eccezionalmente, si trovava dentro l’orciuolo del fiore aperto. « Sul laghetto di Candia abbiamo ritrovato ancora e in numero stermi- ‘ nato le Mesovelta. Noi ci siamo soffermati tranquilli nella barca in diversi punti e durante mezze ore di continuo per ciascun punto, onde farci un'idea chiara del loro modo di comportarsi per rispetto ai fiori di 7rapa. Esse per lo più si mantengono quiete, malgrado il loro numero, o si muovono con brevi saltellini: quasi quasi non ci si accorgerebbe della loro presenza, se non si scompigliassero, agitando un po’ l’acqua colla mano. Osservandole senza disturbarle, se ne vedono alcune saltellare, inseguendosi a vicenda; alcune anzi attraversano i lembi dei petali distesi sull'acqua, senza curarsi di penetrare nella cupula fiorale. Nondimeno talune inseguendosi entrano nel (1) II prof. Camerano, al quale rendiamo ben dovute grazie, ce ne ha accertati. — 231 — tubolo del fiore, e di poi ne escono. Ma questi comportamenti non hanno per nulla quell’aspetto di irrequietudine sollecita, diremmo quasi nervosa, di quegli insetti, che con incessante avidità trascorrono volando di fiore in fiore, per suggerne il miele, o per depositare le uova nell’ovario, facendosi così inconsci pronubi di fecondazione incrociata. « Le Mesovelia, d'altra parte, sono minutissime in confronto del fiore della 7rapa; sono glabre, meno alcune setole rade, che ne ingombrano gli arti posteriori, colle quali possono raccogliere qualche granello di polline : quantità minima. che possono perdere facilissimamente toccando la superfice dell'acqua, e non può essere minimamente paragonata colle masse pulveru- lenti o viscose di polline, con cui si caricano gli insetti. ben noti fattori di nozze staurogame. In ogni caso le Mesovelia, quando entrano od escono dal fiore, non possono far altro che scuotere le antere aperte sopra lo stimma. E dato pure che qualche granellino di polline resti attaccato alle loro zampe posteriori, esse non arriverebbero a toccare lo stimma, già tutto impolverato di polline, senza passare attraverso alle antere aperte, che lo assiepano. D'altra parte le Mesovelta penetrano nel fiore tra un filamento e l’altro, per discen- dere in fondo alla coppa calico-corollina tra i meandri del nettario. E finalmente le Mesovelia mancano affatto anche nelle vasche del giardino, dove colti- viamo molte piante di 7rapu da molti anni, e dove fruttiiicano benissimo. Sopra queste, che avevamo sott'occhio tutto il giorno, non abbiamo veduto sorvolare alcun insetto, che ci potesse dar sospetto d'essere destinato alla funzione di pronubo staurogamico. Invece nei fiori aperti trovammo non di rado degli afidi negli anfratti delia fettuccia nettarifera, immobili, torpidi anche se stuzzicati con uno spillo. « Nelle vasche del giardino con semplici mezzi, facili ad escogitarsi, abbiamo obbligato molte rosette fiorifere a mantenere i loro fiori sott'acqua. I fiori, così coatti, qualche volta si aprono, cioè quando sono già assai pros- simi alla deiscenza, e non troppo sotto il pelo dell’acqua, tanto da vincerne la resistenza. Altre volle la corolla si distacca senza aprirsi dopo d'essere stata pienamente macerata. Non ci fu possibile determinare con esattezza, se nel primo o nel secondo di questi casi abbia avuto eselusivamente luogo la fecondazione. Ma possiamo asserire con tutta sicurezza che essa avviene. Ci affrettiamo a soggiungere, che però si effettua difficilmente: il risultato delle nostre esperienze è, che è dei fiori così trattati abboniscono e danno frutti, 2 rimangono sterili (1). (1) Di recente abbiamo avuto sott'occhio la prima parte delle Physiolog. u. Phyco- phytologische Untersuchungen di A. Hansgirg (Prag, 1893). L'autore a p. 48 conferma colle sue numerosissime esperienze su molte altre piante, le nostre sulla Zrapa. Dice es- sere assai frequenti i fiori idrocleistogami tanto sommersi che emersi; che i fiori che si aprono a fior d’acqua, se restano sott'acqua profonda, rimangono chiusi e cleistogami (Hydrochleis nymphoides); che se invece si mantengono relativamente poco sotto il pelo dell’acqua, si aprono egualmente per influenza manifesta della luce. 292 + « Da quanto abbiamo sopra esposto possiamo dedurre con sicurezza ché i fiori della 7rapa sono autogami, che l’impollinazione può farsi tanto sott'acqua che fuor d'acqua entro il cavo chiuso e asciutto del fiore. Ma siccome tutti i fiori in condizioni naturali vengono a galla, convien dire, che questa condizione è coordinata a favorire la germinazione del polline e ad assicurare la fecondazione. « Noi abbiamo osservati molti fiori aperti da poco o tutt'al più dopo qualche ora: in tutti abbiamo trovati i tubi pollinici già evoluti dai granuli so- pra le papille stimmatiche, anche in quelli sparsi sulla corolla. Con che si spiega perchè i fiori forzati a restar sott'acqua difficilmente abboniscano. Abbiamo esaminati inoltre parecchi fiori curvati sott'acqua, colla corolla accollata sulle antere e sullo stimma, e abbiamo trovato tubuli pollinici non solo germi- nanti tra le papille stimmatiche e fra le rugosità dei petali, ma qualcuno anche penetrato nell'ovario. Con che si capisce anche come, piegandosi ben presto sott'acqua i fiori impollinati, la corolla inflaccidita e impiastricciata dall'acqua cementi le antere addossate allo stimma, e protegga così il pro- gredire dei budelli, finchè possano raggiungere il sacco embrionale, malgrado l’acqua in cui restano tuffati i fiori incurvati in basso. Poichè è da avver- tire che il polline della 7yapa ha una struttura affine a quello delle Oeno- thereae, e quindi nulla di comune con quello vermiforme delle Majadaceae, Zosteraceae ecc. « Un altro fatto indiretto ci conferma nell'opinione, che la sbocciatura della corolla fuor d'acqua favorisce la germinazione del polline. Tutte le volte che noi ritornavamo dalle escursioni sui laghi, riportavamo il vascolo pieno di rosette fogliari fornite di fiori ancora chiusi sott'acqua, ma prossimi allo sbocciamento. Dopo sei, otto ore aprivamo il vascolo e trovavamo i fiori tutti aperti, collo stimma impollinato, coi granelli pollinici germinanti; con che si avrebbe anche una indiretta prova che sullo sbocciamento dei fiori, più che la luce, influisce la temperatura elevata, cui subisce il vascolo (come tutti sanno) nel ritorno dalle escursioni botaniche estive. « Se dall’evidenza dei fatti sovraesposti bisogna ammettere la autoga- mia e, relativamente, la cleistogamia nei fiori della 7rapa, dovremmo esclu- dere assolutamente la possibilità della staurogamia? Sarebbe azzardoso l’af- fermarlo. Come ognuno sa, il fiore della 7/apa è provveduto di un nettario assai evoluto in rapporto alla grandezza dei fiori, perchè è anche tutto on- dulato come una fettuccia increspata in senso verticale ; il margine ne è fran- giato per molte piccole appendici stiliformi, delle quali la punta finisce in uno stoma. La struttura ne è parenchimatoso-lacunare. « La sua durata si protrae di qualche giorno appena dopo la caduta della corolla. Noi nei fiori chiusi o appena aperti, e nei quali l’acqua non era penetrata, abbiamo verificata la presenza di nettare, non abbondante, che geme in goccioline all'apice delle sue frange, e d'altronde vi abbiamo ripe- — 298 — tutamente dimostrata la presenza del glucosio col reattivo di Fehling. Non per nulla del resto si trovano di quando in quando dei gorgoglioni nei fiori aperti. « Noi abbiamo tentato col reattivo di Fehling di confrontare la quantità di glucosio, che si trovava nel nettario, con quella che si poteva mettere in evidenza in una sottile sezione del peduncolo fiorale. A dir il vero nei due preparati non appariva differenza notevole, almeno quanto alla colorazione rosso-ocracea, che acquistavano col reattivo, e neppure nella densità della nubecola molecolare del rame, che apparisce sotto il microscopio. « Ma d'altra parte se è vero, come vuole il Kerner, che nessun organo o appendice, o emergenza, in apparenza trascurabile, della pianta, si possa considerare come una semplice produzione derivata per filogenia, noi non possiamo a meno di domandare: a che serve il nettario del fiore della 7rapa? Poichè certo i gorgoglioni, che di quando in quando e in scarso numero pe- netrano nel fiore aperto, non ci persuadono essere fattori di staurogamia. « E neppure potremmo sospettare che quest'organo sia un’esca comme- stibile, come certe protuberanze e creste carnose, non mellifere, osservate da Darwin in parecchie Orchidee, e da Delpino nella Poeonia Moutan (!). Poichè neppure una volta nel grandissimo numero di fiori osservati di 7rapa ci venne fatto scorgere traccie di erosione o morsicatura del cercine net- tarifero. E nondimeno il nostro sospetto, che i fiori della 7rapa matans e delle specie affini possano eventualmente subire la fecondazione incrociata in altre regioni fuori d'Europa (Siberia, Ciea, Indocina) dove allignano, ci è suggerito dalle seguenti considerazioni. « È noto che molte piante in date circostanze portano fiori cleistogami oltre ai casmogami: tra queste in special modo quelle da palude. Darwin li aveva già segnalati nel Ranuneulus aquatilis, Alisma natans, Subularia aquatica, Illecebrum verticillatum, Menyantes, Euryale (?) Hottonia in- fata, ecc. Noi stessi abbiamo raccolto esemplari di Ranunculus Flammula in frutto alla profondità di un metro sott'acqua nel Lago Maggiore. « Il Comes ne studiò molte non aquatiche (3) per la maggior parte delle (?) Delpino, Ulteriori osservazioni, ecc. Atti d. Soc. ital. d. Sc. nat. XVI, p. 211. (2) L’Arcangeli studiò ripetutamente (sulla fioritura dell’Euryale ferox. Atti della Soc. toscana di Sc. nat. VIII, 1887; ibid. IX) la fioritura dell’Euryale, e trovò che la maggior parte dei fiori sono cleistogami, e che nei pochi, che si aprono per qualche ora a fior d’acqua, lo stimma è già impollinato al momento della sbocciatura, e il polline vi è germogliante. Perciò l’autore non esclude per l'Euryale la possibilità dell’impollinazione eterogama, massime ne’paesi natii; ma ha motivo di crederla piuttosto sussidiaria anzichè prevalente alla omogama e cleistogama. Con che noi riscontreremmo sufficiente analogia di procedimenti coll’impollinazione delle nostre 7'rape. (3) Comes, Studi sull’impollinazione, di alcune piante. Napoli, 1874. — Continua- zione degli studi sull’impollinazione. Rendiconti dell’Acc. d. Scienze di Napoli, aprile 1875. — Ulteriori studi sull'impollinazione. Ibid. febbraio 1879. — 234 — quali però, oltre all'autogamia, interviene la fecondazione per opera degli insetti. « Il Kerner v. Marilaun (*) ne enumera molti altri esempî (Aremonia agrimonioides, Lamium amplexicaule, Viola, Campanula, Impatiens, Po- lygala, ecc. Vi si possono comprendere quelle denominate da Delpino Emzer- cogame è Ercogame oscure (*). « Eggers (3) ha trovato nell'isola St. Thomas molte piante con fiori cleistogami nella stagione secca, con normali, staurogami, nella piovosa (.S7- napis arvensis, Stenandrium rupestre, Dicliptera assurgens, Stemonacanthus coccineus, Eristhalis fruticosa, ecc. ecc. « Treviranus (‘) ha fatto conoscere esempî di autogamia nei fiori di Fumaria non ancora aperti: Hildebrand (°) in quelli della Morina elegans; Forste (9) nel Zeucrium canadense. Il Kernèr (7) enumera molte piante ancora, nelle quali l'autogamia viene in sussidio dell’eterogamia, quando questa fallisce; e si diffonde a spiegare i processi, per cui a questa succede quella. Nei piccoli Epilobium (collinum, monianum, parvifftorum, ecc.) nei piccoli Geranium (columbinum, lucidum, Robertianum, ecc.) gli stami, dap- prima brevi, s'allungano rapidamente, e le antere aperte depositano il pol- line sullo stimma (p. 330). Nella Paris quadrifolia, Scilla, Chelidonium, Roemeria, Androsace, ecc. le antere portate da filamenti eretti, sono dap- prima lontane dallo stimma, ma più tardi vi si appoggiano e vi lasciano il polline (p. 335). In alcune Ombrellifera (Oethusa Cynapium, ('aucalis dau- coides, Scandia Pecten-Veneris, Turgenia latifolia, ecc.), i filamenti sta- minali sono piegati ad arco verso gli stimmi già fino nella boccta, e vi de- positano il polline (p. 336). Nell'Ailionia violacea alle 6 ore del mattino, quando comincia la fioritura, lo stimma è collocato sopra le antere. Alcune ore dopo, in seguito a particolari movimenti dello stilo e degli stami, le antere si fanno sovrastanti allo stimma: alle 10 antim. incomincia l'avvol- gimento ad elica dei filamenti staminali e dello stimma, che conduce neces- sariamente all’autogamia. Nelle Mirabilis Ialapa, Portulaca oleracea il pe- rigonio, patente per qualche ora, s'attorciglia presto insieme agli stami ed agli stimmi, collocati allo stesso livello, e ne provoca l'immancabile impol- linazione (pag. 350). « È inutile qui aggiungere i moltissimi esempi citati dallo stesso Ker-: (1) L. c., p. 382-838. Trad. ital. Torino, 1893. (£) Delpino, Ulteriori osservazioni, ecc. Atti d. Soc. ital Sc. nat. XVI, p. 341-342. (3) Aleistogamie eciniger westindischer Pflanzen. Botan. Centr. Blatt. 1881. IV. Quart. p. 52-122. (4) Botan. Zing. 1863, pag. 1-7. (5) Botan. Ztng. 1869, pag. 489. (6) Botan. Centr. Blatt. 1886, III, Quart. p. 256. (7) L. c. II, pag. 329 e seg. — 299 — ner, e che chiunque può leggere nella sua genialissima opera più volte ci- tata (vol. II); nei quali con processi diversi l’impollinazione diventa auto- gama, o si mantiene cleistogama, quando le condizioni esteriori dell'ambiente non abbiano permessa la staurogamia (pag. 381). « Solms-Laubach (!) ha riconosciuto in parecchie specie di Porfederacee la presenza di fiori cleistogami nella porzione inferiore dell’infiorescenza. « Oliwer F. W. (2) in un nuovo genere di Pedalinee, Trapella, da lui scoperte, ha osservato che nell’ascella delle foglie sommerse si sviluppano spesso fiori cleistogami, piccoli ma fertili. < Recentemente l’Ascherson (3) avvertì che nel Cyclaminus persica ha benissimo luogo l’autogamia. « Burck (‘) fa avvertire che molte piante, con fiori provveduti di appa- rati per attirare gli insetti, rimangono a fiori chiusi. Quelli della M7rmeco- dia tuberosa Becc. conservano la corolla costantemente chiusa; sono prote- rogini; poi gli stami si allungano, le antere si aprono, e soffregano il pol- line contro gli stimmi. L'autogamia qui è esclusiva, ma il fiore è sempre fertile. E si noti, che in questi fiori vi ha secrezione abbondante di nettare, che riempie un terzo del tubo corollino. « In un modo analogo si comportano 1’ Yrona caphalophlaea Schiff. el Y. Dasymarchala BI., il Goniothalamus gigantheus Hook. et Tail. L'autore fa osservare che la struttura della Co/fea dengalensis Rob. e di parecchie A4r%- stolochia e Cassia è tale, da permettere assai difficilmente la staurogamia, quantunque le loro corolle siano aperte. « Le mosche, che entrano nella Arzstolochia barbata, assai difficilmente ne possono uscire, e solo allora che il fiore sia appassito, e quindi fecondato dal dibattersi incessante delle mosche stesse. Le quali, pure riuscendo ad evadere dalla prigione, perdono tutto o quasi il polline contro Ja folta barba della cavità inferiore del perigonio e sulla superfice viscosa del tubo sovra- stante. Che se anche alcuni granelli rimangono loro addosso, non possono certamente bastare a fecondare le centinaia e migliaia di ovoli di un altro fiore. « Nell Aristolochia ornithocephala si trovano sempre mosche morte nella camera inferiore del tubo perigoniale. (1) Monograph. Pontedereacearum, in A. et C. Delandolle: Monograph. Phanerog. IV, pag. 510. (2) On the structure developpement ete. of Trapella. Ann, of. Bot. II° p. 75, 1888. (3) Die Bestàubung v. Cyclaminus persica. Berichte d. deutch. botan. gesellsch. 1892, p. 226. Però malgrado i fatti sovraesposti, dobbiamo riconoscere che in alcune altre piante, come nelle 7rapa dei nostri paesi, si è finora verificata soltanto la fecondazione autogama. (4) Veber die Kleistogamie in weiteren Sinne. Ann. d. Jardin de Buitenzorg. VIII. p. 122 e seg. 1890. RenpIcONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 33 — 236 — « Delpino (!) trova che nell’Arisarum vulgare le nozze consanguinee non solo sono possibili, ma anzi è presumibile che stano le normali, e che alcune Orchidee sono cleistogame (?). « Come si vede il processo d'impollinazione nei fiori della 7rapa può considerarsi parallelo a quello della Mirmecodia tuberosa osservato da Burck. In ambedue i fiori, durante l’impollinazione, si mantengono chiusi ; in amendue ha luogo la secrezione di nettare più o meno abbondante. Se non che, com- piuta l’'impollinazione, la corolla della Mirmecodia rimane chiusa, quella della 7rapa si apre. « Certo è che il fatto dell'aprirsi dei fiori della 7/apa, e, se vogliamo, il loro color bianco, che spicca bene sul fondo verde intenso del fogliame, basterebbero ad indurci il dubbio, che la collaborazione degli insetti al- l'opera della fecondazione non si debba escludere in un modo assoluto. Ma questa deve ritenersi affatto accidentale, almeno nei nostri paesi, poichè l'atteggiamento degli organi sessuali non ci permette di accettarla come un processo normale. « Al postutto anche noi ci associamo al Burck (*) ed a U. v. Mohl (). I quali a proposito delle asserzioni di Darwin, essere la natura abborrente dall'autofecondazione perpetua, consigliano a non esagerare, e a tener conto quindi dei casi nei quali si verifica l’autogamia continua. Non si dovrebbe poi dimenticare, che molte volte la staurogamia ha luogo tra i fiori di una stessa pianta; d'onde non si capisce veramente, qual vantaggio la pianta ne possa trarre. « Riassumendo possiamo concludere: « 1.° Nei fiori della 7rapa la fecondazione ha luogo entro la corolla chiusa e asciutta, tanto sott'acqua (di rado) che fuori d'acqua (normalmente). « 2.° Lo sbocciamento fuor d'acqua successivo all’impollinazione, giova ad assicurare la fecondazione, quantunque 207 sia necessario in modo assoluto ». Astronomia. — Elementi ellittici e perturbazioni del pianetino (306) Uyztas. Nota del Corrispondente E. MiLLOSEVICH. « Nella seduta del 5 aprile 1891 ho presentato all'Accademia, per mezzo del prof. Tacchini, le sei prime osservazioni da me fatte d'un pianetino, che scopersi il primo marzo 1891. Il numero d'ordine definitivo che gli spetta è (306) e, dietro mia preghiera, il prof. Tacchini lo denominò Unitas nel (1) Witeriori osservazioni sulla dicogamia nel regno vegetale. Atti d. Soc. di Se. Nat. ital. vol. XI, p. 286, 1868. (2) Ibid. XVI, p. 334. (3) L. c., pag. 160. (4) Bot. Ztng. 1863, p. 309. Eine Beobachtung ber dimorphe Blithen. — 237 — doppio concetto d'un nome caro alla patria e memore anche d'un libro clas- sico del suo illustre predecessore, il P. A. Secchi. « Sui miei calcoli orbitali di detto pianeta si possono leggere tre Note nel giornale degli spettroscopisti italiani ; due riguardanti il periodo della prima opposizione, ed una comprendente ambedue le opposizioni testè passate. « Colle osservazioni della prima e della seconda opposizione ottenni un sistema di elementi ellittici, i quali, omesse le perturbazioni, rappresentano bene alcuni luoghi normali dedotti da quelle. Ora il pianeta si accosta alla terza opposizione, la quale accadrà il 31 dicembre verso le 11 pom. Se le perturbazioni si potevano omettere nell'intervallo delle due prime opposizioni, quando ancora gli errori negli elementi erano d'ordine ben più elevato di quello prodotto dalle perturbazioni, non così è il caso ora, che gli elementi sono abbastanza bene assestati. « E però, prendendo a base dei calcoli l’ultimo sistema ottenuto, cal- colai le perturbazioni speciali sugli elementi per opera di Giove e per opera di . Saturno. L'intervallo 4% assunto fu per Giove 40 dì, per Saturno 80, omet- tendo, come generalmente si usa, le perturbazioni per opera degli altri pianeti, perchè di effetto troppo piccolo, mentre, ove interessasse, è sempre possibile aggiungere nell’avvenire le perturbazioni prodotte, per es., da Marte, che, benchè di effetto minimo, sono le maggiori dopo quelle per opera di Saturno. « Gli elementi ellittici di partenza sono i seguenti: Epoca 1891 marzo 2,5 Berlino. Anomalia media . . . 228°14 17.5 Moto medio diurno . . 979”. 8780 Eccentricità == seno di. 8°38' 22”. 4 . Longitudine del nodo asc. 141 37 17.3 Longitudine del perielio 307 945.4 > eclittica, equinozio 1892.0. Inelimazione cc. 0%. 715 26.8 Log.: del semiasse maggiore 0, 372557. « Se con questi elementi si paragonano i calcoli colle osservazioni si ha un soddisfacente accordo tanto per la prima, quanto per la seconda opposi- zione, come può vedersi nella terza mia Nota sopra citata. Tuttavia, essendo stati corretti gli elementi omettendo le perturbazioni, l'accordo viene in pic- cola misura a cessare calcolando quelle, e dalla grandezza del disaccordo si giudica se convenga o no ricorreggere subito gli elementi, o meglio attendere una nuova opposizione, come è del caso presente. « L'intero periodo fra la prima e la terza opposizione, che assunsi da 1891 febbraio 20,0 Berlino fino a 1893 dic. 26,0 Berlino, è diviso in due dalla seconda opposizione all'incirca, cioè 1892 luglio 24,0 Berlino. In tal — 238 — modo poteva avere gli elementi osculanti in seconda e in terza opposizione. Chiamando : L la longitudine nell'orbita 7r la lungitudine del perielio e l’eccentricità in arco 9 la longitudine del nodo ascendente i l'inclinazione u il moto medio diurno ed omettendo particolari di calcolo inutili, do i risultati delle integrazioni delle perturbazioni per Giove e Saturno. GIOVE. GIOVE. Da 1891 febb. 20 a 1892 luglio 24. Da 1892 luglio 24 a 1893 dic. 26. SAL=+2' 1". 51 — 7 37.13 Sdn= + 8 26. 43 — 4 46. 91 Sdg = — 0 12.16 + 3 37. 36 fao—= —0 8/20 — 4 25. 39 Sdi =—0 0.20 Oo SA = H=0 0.45828. —0 0. 01317. SATURNO. SATURNO. SAL=+ 0' 0”. 23 OA Sdr=+0 36.01 2 018.198 fap—— 0 0.69. i Ape TORI SAR N74 ON Sdi == 0 0009. Fa ooo fiu=+0 0. 0a. n +0 0. 00812, « Se ora si calcola L per 1892 24 taglio o. di Berlino, e si aggiungono agli altri elementi soprascritti le integrazioni delle perturbazioni, si hanno _ gli elementi ellittici osculanti in seconda opposizione. T = 1892 luglio 24,0 Berlino, L= 309U688M0 5 mx = 307 18 47.8 p= 838 9.5 Q—= 14137 8.4 i = 715 26.5 u = 980”. 85677 Eclittica ed equinozio -1892.0. « Paragonando ora ‘due mie osservazioni della seconda opposizione, cioè la prima e l’ultima, col calcolo, si ottiene: 1892 luglio 5. 49585683 Berlino 1892 Sept. 15. 3858560 Berlino Osservazioni meno calcolo 4a + 85. 45 da + 35.29 ASH 484 157.8 — 239 — le quali differenze, già piccole, mettono in luce l’effetto degli errori residuali sugli elementi per la precedente omissione delle perturbazioni, nonchè mo- strano che il lasciarle sussistere non può nuocere gravemente per ritrovare l’astro in terza opposizione. « Avrei potuto a questo punto del lavoro correggere gli elementi in modo da annullare quelle differenze, ma non lo feci, perchè, prima, sono piccole, poi, possedendo osservazioni della terza opposizione, la correzione degli ele- menti si fa incomparabilmente più efficace; e da ultimo, perchè essendo stato il pianeta molto osservato in seconda opposizione, perchè era lucente, essendo vicinissimo alla terra quanto mai possa arrivare, intendo di discutere, come sto ora facendo, tutte le osservazioni allo scopo di possedere eccellenti luoghi normali. « Per ritrovare ora l’astro in terza opposizione, e poter in avvenire cor- reggere gli elementi, restava da aggiungere agli elementi precedenti le per- turbazioni speciali per Giove e Saturno per il secondo periodo, cioè da 1892 luglio 24 a 1893 dic. 26, e calcolare il nuovo valore di L. « Omettendo, anche qui, qualunque particolare di calcolo, do gli ele- menti osculanti per la terza opposizione. T= 1893 dic. 26.0 B. L= 90°35 20”. 6 Ti IOAZAO PI_MESTANTSOT2 Q= 141 32 42.0 CM R24.9 u= 980". 37806. Eclittica ed equinozio 1892,0. « Per ritrovare l’astro in terza opposizione ho costruito la seguente effe- meride rigorosa di 4 in 4 dì, che è la seguente: Epoca. Ascensione Declinazione log 4 Tempo di retta vera. vera. aberrazione. 1893 dic. 1 12° Berlino 7218 95.02 -+14°29'31".1 0.254 — 14" 555 5) —_ 10 33.26 32 49.3 0. 247 41 9 — 7 32.74 37 44.7 0.241 29 13 cs 49.89 44 15. 3 0.236 19 JE7 — 7.0 27.91 +14 5217. 0 0.232 11 21 —_ 6 56 30.51 +15 143.2 0.229 6) 25 — 02 21.70 Il2:25. 3. 0. 227 2 1893 genn. 29 _ 48. 5.65 24 15. 0 0. 227 0 1894 genn. 2 — 43 47.21 ST 4.4 0.227 1 6 —_ 39 31.25 +15 50 42. 1 0.229 Ò 10 —_ 35 22.78 +16 458.9 0.232 11 14 — 6 31 26.30 +16 19 45. 3 0.236 — 14 19 — 240 — « L'opposizione in @ avviene verso la mezzanotte del 31 dic.-1 gennaio; l’astro sarà di 11.0, quindi ben facilmente ricercabile, ed osservabile, ed è probabile che il luogo vero differisca di parecchi secondi in tempo dal luogo calcolato ».. Astronomia. — Sulla nuova cometa Broocks. Nota del Corri- spondente E. MILLOSEVICH. « Il 16 ottobre fu scoperta a Geneva negli Stati Uniti d'America dal signor Broocks una nuova cometa, lucente, con nucleo di 7% e con coda di circa 2° di ampiezza. « Prima del 3 nov. non ho potuto osservarla all’equatoriale di 0%,25 del- l'Osservatorio del Collegio Romano. Per la vicinanza della luna la coda non si vedeva, e il nucleo venne da me stimato di 10"? grandezza; ecco il luogo apparente : Ascensione retta. Declinazione nord. 1893 nov.3 15% 40215 RCR 12% 47" 505.67(9.687n) 25°32/4”.2 (0.738) « L'astro si accosta alla terra, ma si allontana dal sole, il passaggio al perielio essendo stato, secondo i calcoli di Kreutz, il 19 settembre. Lo splen- dore quindi dell’astro adagio adagio va diminuendo, e l’astro perciò è poco interessante ». Chimica. — aSull’ossidazione dell’acido canforico (1). Nota II° del Corrispondente L. BALBIANO. « Nel 15° fascicolo dei « Rendiconti della Società chimica tedesca », uscito il 23 ottobre p. p. si trova una Nota del sig. Guglielmo Koenigs (2): Sulla formazione dell’acido trimetilsuecinico dall'acido canforico, che mi obbliga a pubblicare, per quanto incompleti, i risultati finora ottenuti nello studio dell’ossidazione a freddo dell'acido canforico mediante il permanganato di po- tassio in soluzione alcalina. « Nella I* Nota presentata l’anno passato all'Accademia (3) ho dimostrato che alla temperatura ordinaria il permanganato potassico in soluzione alca- lina ossida lentamente l'acido canforico, e dalle analisi fatte, sebbene con risul- tati non troppo esatti, ho dedotto che l'acido principale che in detta ossida- zione si formava fosse un acido 0° H'°0°, la cui composizione differenzia da (°) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma. (2) Berl. Bericht., 26, p. 2337. (3) Rend. Acc. Lincei, vol. I, p. 278. — 241 — quella dell'acido canforico per 2 atomi di ossigeno in più ed 1 atomo di car- bonio in meno. « Ho proseguito lo studio di questa ossidazione ed i miei sforzi vennero diretti in questo primo periodo a fare l’analisi immediata, più completa pos- sibile, della miscela degli acidi che si formano. « Ho sottoposto all’ossidazione nelle condizioni esposte nella mia prima Nota gr. 587 di acido canforico, suddividendolo in frazioni di 50 gr. per ogni boccia, e dopo avere separato per quanio possibile mediante cristallizzazione l'acido canforico rimasto inalterato, si sottopose alla distillazione in corrente _ di vapore la miscela degli acidi che formavano un denso siroppo quasi scolorito. « Tra gli acidi volatili potei accertare la presenza di grandi quantità di acido acetico, di piccole quantità di acido formico e di piccolissime quan- tità di un'acido butirrico, che non potei per ora caratterizzare quale dei due isomeri conosciuti sia. Nella Memoria che pubblicherò a lavoro compiuto nella Gazzetta chimica italiana, darò tutti i dati analitici ed i metodi impiegati per la separazione. « Il residuo non volatile col vapor d'acqua venne salificato con leggero eccesso .di idrato baritico, e la soluzione del sale baritico sottoposta ad una prolungata e viva ebollizione nel mentre che nella massa gorgogliava una cor- rente di acido carbonico. « Col carbonato baritico precipitò pure una piccola quantità di canforo- nato di bario. « L'acido canforonico estratto fondeva a 136°-137° ed il sale baritico dette all'analisi: trovato calcolato per Ba? (C° H1! 06)? Ba °/o 48,65 48,87 « Dalla quantità suddetta di acido canforico ottenni appena 1 grammo di acido canforonico. « La soluzione acquosa dei sali baritici, che conserva sempre una leg- gera reazione alcalina, venne concentrata, indi precipitata coll’aggiunta di 10 a 12 volumi di alcole assoluto. cioè fino a tanto che l'alcool non producesse più precipitato. «“ Dalle acque alcoliche filtrate si ricupera l'alcool colla distillazione, ed il residuo, che ha una forte reazione acida, si concentra moderatamente. Col raffreddamento cristallizza un sale baritico che non è altro che il canforato acido descritto da Kelkulé (!). Cie Hi*0*Ba, 13 CH! 04N2HE80. misto ad una piccola quantità di canfonato baritico.' Mediante cristallizzazione dall'acqua si riesce a separare nella parte più solubile il canfonato, dal quale (*) A. Kekulé, Lehrbuch. Org. Chem. t. II, p. 4-56. — 242 — si estrae l'acido canfonico ben cristallizzato e fusibile a 200°-2000,5. All'ana- lisi dette: trovato calcolato C1° H14 04 C°/, 60,52 60,60 H DO 7,24 7,07 « La quantità di acido canfonico che si forma è anche piccola. In tutto riuscii a separare circa 5 gr. di sale baritico puro e cristallizzato con 3 1/, molecole di acqua. « Il sale baritico ottenuto per precipitazione coll’alcole si scioglie un’altra volta nell'acqua, indi si riprecipita nuovamente coll’alcole nell'intento di sepa- rare ancora una piccola quantità di canforato acido di bario, che rimane in soluzione. « Dal sale precipitato si estrae coll’acido cloridrico ed agitando con etere l'acido libero, che si salifica colla necessaria quantità di idrato calcico a caldo. La soluzione lascia depositare col raffreddamento un sale cristallizzato in pic- coli mammelloni formati dalla riunione a sfera di minutissimi aghi. Depurato per successive cristallizzazioni dell'acqua bollente, nella quale è poco e diffi- cilmente solubile, questo sale presenta la composizione rappresentata dalla formola.: CELIO” Ca, 2HE0. « Analisi trovato calcolato H°0°/, 13,84 13,68. 13,57. 13,66 13,74 Ca °/o 1:7,09MMi/:00 (1769 17,69 COS 42,99 42,20 42,47 H°/, 4,78 4,59 4,42 « L'acido che si estrae dal sale di calcio, cristallizza in belle laminette trasparenti ben formate, tènere come i cristalli della canfora. È solubile nell'acqua, nell’alcool e nell’etere, poco solubile nel cloroformio caldo e quasi insolubile nel solfuro di carbonio. Riscaldato in tubicino di vetro comincia a contrarsi a 109° e fonde completamente a 120°-121°, in un liquido denso e tale rimane col raffreddamento. « Analisi trovato calcolato per C8 H12 05 09 51,18 51,06 51,06 H°/, 6,66. 6,73 4,98 « Quest'acido è il prodotto principale dell’ossidazione. « Dalle acque madri del sale di calcio ora descritto, ho potuto separare mediante acidificazione colla metà di acido ossalico richiesto per saturare esat- tamente il calcio in esso contenuto e precipitazione della soluzione filtrata dall’ossalato di calcio, con alcole, un sale bianco fioccoso deliquescente. Da questo sale si estrasse l'acido libero, indi si salificò colla quantità richiesta — 243 — di idrato calcico e si evaporò a secco. Si ebbe una massa bianca friabile, che non era più deliquescente, molto solubile nell'acqua, e che all'analisi dette dei numeri che s'accordano abbastanza bene colla formola C° H° 0°. Ca VO, A © .H®03Ca. « Analisi trovato calcolato C°/, 37,54 38,00 Ho/, 4,33 4,07 Ca °/o 18,27 18,09 « L'acido libero è uno siroppo denso, che, anche soggiornando lungamente in un essicatore, non presenta traccie di cristallizzazione, « Le acque madri alcooliche contengono l'acido ossicanforico di Hlasiwetz e Grabowski ('). Per isolarlo si distilla l'alcool ed il residuo acquoso si di- batte con etere, il quale assorbe l'acido ossicanforico, che rimane alla distilla- zione sotto forma di un liquido denso scolorito. « Analisi trovato calcolato C1° H16 03 C 55,97 505,55 H 8,02 7,47 « Il sale di calcio è una resina incristallizzabile che si può ottenere sotto forma di una polvere amorfa, friabile, evaporando a secco la sua solu- zione acquosa. « Analisi trovato calcolato C1° H'4 03 Ca Ca 15,99 15,74 « Le acque madri dalle quali per cristallizzazione s'è separato il can- forato acido di Kekulé ed il canforato baritico, vennero tirate a secco, ed il sale haritico risultante venne decomposto con acido cloridrico ed estratto con etere. L'acido organico separato fu salificato esattamente con idrato sodico e la soluzione fatta bollire con soluzione di cloruro di calcio. Si depositò una prima porzione di sale cristallino che l’analisi dimostrò essere il composto C8 H!° 05 Ca.2H?0 non completamente puro, trovato calcolato H?0°/ 13,35 13,74 Ca 17,9 17,69 « Le acque madri colla concentrazione depositarono nuova quantità dello stesso sale. Nel residuo rimase un sale di calcio solubilissimo dal quale si (1) Liebig*s Ann. 145, p. 212. RenDpICONTI. 1893, Vol. II, 2° Sem. 84 — 244 — estrasse l'acido libero che in seguito si salificò con idrato baritico, e la solu- zione del sale baritico si evaporò a secco. « Il residuo dette all’analisi il seguente risultato © = 32,90004i=4;10% Ba — 3920. « Questi dati lasciano incerti fra la formola C° H'* 0° Ba che richiede C=30,42 H— 3,94 Ba = 88,59 e quella dell'ossicanforato C!° H!*405 Ba che richiede. © 341 ME 39 Ba =3902) « In conclusione, con queste ricerche ho potuto stabilire che nell’ossi- dazione dell'acido canforico col permanganato potassico in soluzione alcalina ed alla temperatura ordinaria, si genera una serie di acidi fra i quali ho con-' statato la presenza dei seguenti: | piccole quantità di acido butirico; acido formico; ‘ acido acetico in quantità prevalente. Volatili col vapor d’acqua. acido ossalico picccole quantità; acido canforonico traccie; acido canforico piccole quantità ; acido ossicanforico ; Acido C* H!° 05 prodotto principale dell’essidazione. Non volatili col vapor d'acqua. «In questa porzione di acidi fissi si trovano pure l'acido C°H!°05 e l'acido (C* H405)? O, i quali non ho potuto finora ottenere allo stato di purezza sufficiente per caratterizzarli. « È da notarsi che con questo processo di ossidazione si ottengono dal- l'acido canforico soltanto traccie di acido canforonico e che il prodotto prin- cipale è l'acido C*H!° 05, del quale le ricerche ulteriori spero schiariranno la costituzione, che servirà di base per discutere quella dell'acido canforico ». Matematica. — Sw sistemi lineari di superficie algebriche le cui intersezioni variabili sono curve iperellittiche. Nota di F. En- RIQUEZ, presentata dal Socio CREMONA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 245 — Meccanica. — x ieorema fondamentale di meccanica. Nota di G. MoRERA, presentata dal Socio BELTRAMI. « La lettura della Nota del sig. Seiliger: Sur un Ihéorème nouveau de mécanique, apparsa nell'ultimo fascicolo dei Comptes Rendus dell'Accademia di Parigi (*), mi ha suggerito il teorema seguente. « Se di un mobile, costituito da punti comunque vinco- lati ed in riposo, si considerano due spostamenti, genera- bili inuno stesso intervallo infinitesimo di tempo appli- cando separatamente al mobile due differenti sistemi di forze: il lavoro che le forze del 1° sistema farebbero pel 2° spostamento è uguale a quello che farebbero le forze del 2° sistema pel 1° spostamento. « Infatti sieno : X, Y, Z le componenti ortogonali della forza totale (*), nel primo sistema, che opera sulla massa 7 di coordinate iniziali «x, y, <; dx, dy, de le componenti dello spostamento, che m subisce alla fine del tempo dt; Ux, 4y, 4 le proiezioni dell’accelerazione impressa ad m, si ha: Wir —mnocea ma, ii mo e siccome m parte dal riposo si avrà: 1 1 Il Olii alia A o i MII at; quindi : X Y Z da = — di dy= — d? de = — dl. dn Ogg: y al i za « Analogamente, dette X", Y', Z' le componenti della forza totale che sollecita 7 nel secondo sistema e dz’, dy, de' le componenti dello sposta- mento subito da 7 alla fine del tempuscolo d#, sarà : inten.) ile ale», ss ozio. da mont SN0107) în gd wi, 5 dunque : , , , x LA di — x (X0x + Ydy' + 202) = (Xda + Y'dy + Zde). Nell’equazione : 3 (Xde + Ydy +4 Zdc') = 2 (X'der+Y dy+Z de), (1) N. 18; 30 ottobre 1893, pag. 578. (2) Cioè della risultante della forza motrice e delle resistenze dei vincoli. E 246 — che esprime il teorema enunciato, figurano lavori di forze per spostamenti compatibili, e però da essa spariscono tutte le forze di lavoro nullo per tutti gli spostamenti compatibili. È quindi inutile tener conto nella precedente relazione delle cosidette resistenze dei vincoli, e però potremo senz'altro in- tendere che X, Y, Z; X", Y, Z' rappresentino forze motrici. « Si noti che le forze attive o motrici sono arbitrarie, mentre tali non sono le forze totali se effettivamente il sistema è vincolato. « Mi sembra molto importante il fatto che il teorema dimostrato, il quale apparisce come una conseguenza pressochè immediata del principio fon- damentale della dinamica, somministri ovviamente, come corollario, il prin- ‘cipio dei lavori virtuali. « Invero, se il mobile rimane in equilibrio sotto l’azione delle forze del 1° sistema, sarà : e per conseguenza : > (Xdx + Ydy + Zd")= 0. « Reciprocamente, essendo soddisfatta questa equazione per tutti gli spo- stamenti virtuali compatibili, cioè generabili col moto, sarà : I(Xdxt+Ydy+Z' ds) =0 qualunque sieno le forze attive X', Y", Z", e per conseguenza : dal0yi02—'00 cioè l'equilibrio avrà luogo ». Fisica. — Influenza dei processi di deformazione sulle pro- prietà elastiche dei corpi. Flessione dell’ottone. Nota del dott. M. UANTONE, presentata dal Socio P. BLASERNA. « Nell'esame dell'influenza che hanno i processi di deformazione sulle proprietà elastiche ci troviamo di fronte a fenomeni che, nel mentre costi- tuiscono delle vere anomalie per riguardo alla teoria matematica della ela- sticità, si rivelano governati da leggi costanti e generali la cui esistenza, in gran parte, può essere sfuggita al fisici solo perchè non si è tentato uno studio sistematico. E fa meraviglia invero come accertate le deviazioni dalla legge di Hooke e le deformazioni permanenti, non sì sia pensato a ricercare come varii. la forma del corpo oltre che durante l'aumento del carico lungo il periodo di scarica, tanto più che l'esperienze del prof. G. Wiedemann (') sulla torsione accennavano già a dei risultati che occorreva mettere in ri- lievo con maggiori particolari. (1) Wied. Ann. 6, p. 485, 1879. — 247 — « Importerà dunque indagare le leggi delle singole trasformazioni fa- cendo variare la forza in modo ciclico, e per la natura stessa della questione converrà prendere in esame speciale due sorta di processi, quelli cioè che si compiono fra il carico zero e varie forze estreme, e quelli in cui i valori massimi e minimi dello sforzo sono uguali e di segno opposto. Chiamerò i primi cieli unilaterali e gli altri cieli bilaterali. « In questa Nota mi occuperò dei primi, ed il loro studio sarà fatto per mezzo della flessione dell’ottone. « Le lastre da me usate furono ottenute da lamine di questo metallo che non presentavano piegature, e sì curò che nella loro lavorazione per ri- durle a forma parallelepipeda non venissero adoperati altri strumenti all'in- fuori del bulino del tornio, e della lima. « All’estremo libero di ciascuna lastra, in un piccolo taglio praticato nel senso dello spessore a metà di larghezza, si saldò un pezzo di filo di ferro sottile, col quale si formarono due anelli destinati l'uno a reggere un piatto per i carichi flettenti il corpo in basso, e che io chiamerò d'ora in poi pos?- tivo, e l’altro ad attaccarvi un filo disteso verticalmente che serviva ad eser- citare gli sforzi in senso opposto o regativi. Il filo accavalcato sulla gola di una carrucola, girevole senza forte attrito, portava all'estremo libero un piatto di ugual peso del primo, ed un’asticina trasversale che scorrendo fra apposite guide impediva i moti di rotazione dei pesi. Trovandosi la carrucola a circa tre metri dalla lastra, potevo esser sicuro che la direzione delle forze negative si mantenesse sensibilmente costante, almeno per i limiti di esat- tezza cui aspiravo nelle mie ricerche. « Le misure delle saette di flessione si facevano con un catatometro di Starke e Kammerer, mirando col cannocchiale di questo strumento sul bordo terminale di una linguetta di carta incollata in prossimità dei due anelli e sporgente all'incirca mezzo millimetro dalla lastra. « Per produrre il carico usavo pesi di circa 96 grammi formati con la- mina di piombo, cui si saldò per comodità di maneggio un'appendice di ottone. Tanto l'applicazione che la soppressione dei singoli pesi si compiva con tutte le cautele possibili, per procedere come se la forza fosse fatta va- riare gradatamente da un valore al successivo. I vari pezzi erano numerati, e nei calcoli si tenne conto del peso esatto di ciascuno. « Il metodo tenuto per l'attuazione dei cieli unilaterali era il seguente: « Assoggettata la lastra a sforzi crescenti sino ad un determinato li- mite P,si operavano le trasformazioni da P a zero e da sero a P, si con- tinuava in seguito ad aumentare il carico, e pervenuti ad una nuova forza P' si facea compiere al corpo un secondo ciclo fra P' e cero, e così di seguito. « Numerose esperienze vennero fatte in proposito; io mi limito a ripor- tare i risultati di due serie, che del resto sono in tutto conformi alle altre che non saranno qui prese in esame. — 248 — « Ogni tabella si riferisce ad una serie di esperienze: P denota il nu- mero di pesi che costituiscono il carico; s la saetta computata a partire dalla posizione iniziale della mira, e le frecce nelle colonne contenenti le s ser- vono ad indicare il senso di variazione della forza. «I valori riportati di E furono calcolati mediante la formula dove /, a,b simboleggiano rispettivamente la lunghezza, la larghezza e lo spessore della lamina, e 4P la variazione della forza corrispondente alla va- riazione della saetta 4s. Stante l'inammissibilità della legge di Hooke,i va- lori di E fornirebbero l'elemento caratteristico per lo studio delle reazioni elastiche, potendosi la grandezza data da quella formula considerare come il modulo relativo alle singole trasformazioni fra limiti di forza assai vicini. Ciò varrà fino a quando non si pervenga a saette piuttosto grandi, poichè allora nel caso che trattiamo noi della flessione, indipendentemente dall'essere o no le forze elastiche proporzionali agli spostamenti delle particelle, cam- biano colla forma del corpo le condizioni meccaniche in base alle quali si deduce la formula per la saetta, e quindi la E perde, a rigore, il suo signifi- cato di modulo di elasticità. Tuttavia, a meno che non si vada a deformazioni esagerate, continueremo a tenerne conto per formarci un criterio approssimato della legge con cui variano le forze elastiche. « Allo scopo di vedere poi come si comporti nell’assieme la sostanza per le successive trasformazioni totali, ho voluto ricavare le medie di E re- lative tanto ai mezzi cicli che ai cicli interi, ed i valori ottenuti trovansi indicati rispettivamente con E, ed Es. « Talune delle serie da me compiute si riferiscono a lastre usate per la prima volta, altre a corpi i quali, deformati precedentemente, furono ridotti con un processo, di cui qui non mi posso occupare, in uno stato che, o sì avvicina moltissimo a quello iniziale, o lo può sostituire per i fenomeni in esame. I risultati avuti nei due casi sono assai concordanti. Rea 0, 23 Marzo TABELLA I. E. s E s E s E s E E | s | E | s | E | s E Ora 0.16 0.1 0.22 0.32 0.32 | 9540 946 9690 | 9540 9540 | 9540 1|| 2.52 2.70 2.64 2.74 2,84 2.84 | 9510 9510 | 9770 9450 | 9450 | 9580 3|V 7.60 7.78 7.70 784 | 7.94 7.88 9560 9730 9620 5| 12.62 12.72 12.7 9750 9700 9780 | 9780 10200 10110 6| 15.08 15.08 1508| 15.38 15.26 Terno 10100 7| 17.54 10140 10050 | 9700 10260 8! 19.96 19.96 20.12 20.04 “i ola 10220 10220 9 10710 10260 10 24.74 24.76 11 27.10] 19250 9930 12] 29.51 |E 9690 9761 9755 9814 9875 9862 E, 9726 9735 9847 | LEA ES: 0|| 0.60 0.60 1.52 1.52 404| . 4.04 6.06 6.06 | 9540 | | 9400 | 9770 | n170)] 9690 9100 9690 i 1|| 3.12 3.06 4.08 3.98 6.66 6.52 8.70 8,5 | | 9430 | 5510|| 9430 9770 290 | 9580 | 9220 9580] 3|V 3.24 8.14 9.20 9.04 11.86 11.5: 13.94 13.5 9700 9750 9620 9750 600 9780 9570 9780| 6| 15.68 15.54 16. 16.44 19.38 21. 2 10230 10170 10250 10190 10250 10250 10270 10320 10| 25.10 25.05 26.10 25.90 28.78 28.34 30.86 30.30 | 10740 10650 iL} 27.34 272 | 11020 10730 10780 10690 | 12| 29.52 29.52 30.58 30.40 11060 10840 11090 10890 9510 11180 10780 13 32.06 32.72 32.64 8700 | 11430 11010 14 34.82 34.82 34,82 37.48 37. 39.54 39.14 7790 10970 15) 37.92 9.58 39,42 11620 10980) 6500 11740 10990 16 41.64 41.64 41.62 43.70 43.54 | 5960 1228 17 45 66| 45.66 45.66 |11350| Ei 9932 10008 10164 10178 10315 10281 10424 10372| Ee 9970 10171 10298 10398 0; ricotta 24 Maggio — 200 — TABELLA II. P s | ds 9 | ds s | 45 s | ZI s As | 8 As s ds s | As | s | ds | 0 | —_ 0.09 | 0.09 | 3.06 | 3.06 29.78 29.73 59.67 59.67 2.04 | — 2.06 2.04 | 249) 2.02 | — 2.89 1.92 | — 2.95 | 1.65 1/| 2.04 2.15 2.18 5.05 5.08 32.60 31.65 62.62 61.32 | 2.02 | — 2.05 | 2.03 | — 2.35 2.03 | — 2.90 | 1.91|| |— 2,48 | 1.66 | 2|V 4.06 4.20 4.16 7.90 7A 35.02 33.06 65.10 62.98 2.06 — 2.02 2.04 — 2.23 2.03 -- 2.57 1.93 |— 2.28 1.64 3| 6.12 6.22 6.20 10.13 9.14 | 33.09 35.49 67.38 64.62 2.08 — 1.98 2.02 — 2.10 2.08 — 2.88 1.95 — 2.15 1.64 4| 8.20 8.20 8.22 12.23? 11.22 40.42 37.44 69.53 66.26 2.20 — 2.06 2.11 2.17 2,02 — 1.92 L.69 15 10.42 14.29 13.33 42.59 | 39.46 71.45 67.95 2.47 — 1.96) 2.16 — 1.99. 2.13. — 1.76 1.72 | 6 12.89 16.25 15.49 44.58 | 41.59 73.21 69.67 2.93 — 1.94 È 2.21 — 1.85 2.17 — 1.05 1.77 7 15.82 13.19 17.70 46.48 43.76 74.86 71.44 4.24 — 1.87 2.42 — 1.75 2.28 — 1.48 1.82 8 20.06 20.06 20.12 48.18 46.04 76.34 73.26 11.50 — 1.70 2.33 — | 1.86 9 31.62 È 49.88 48.37 77.78 75.12 | 19.88 — 1.62 2.98 — 1.30 1.92 110 51.50 51,50 51.35 79.08 77.04 | 16.59 — 1.26 1.96 11 67.94 80.34 79.09 13.66 — 1.26 2.32 12 81.60 81.60 81.32 « L’annesso diagramma delle saette s in funzione delle forze flettenti si riferisce ai risultati della tab. II, i quali si prestano meglio per una rap- presentazione su piccola scala. « Dai risultati espo- sti e dal diagramma che li rappresenta in parte sì vede che il fenomeno preso a considerare è a- nalogo a quello studiato dal Warburg (!) e dal- l'Ewing (?) in condizioni simili nel magnetismo, ed abbraccia molti fatti che sono stati messi in rilievo nelle ricerche di . elasticità. « Adogni cielo cor- risponde nel diagramma un cappio indicante che le deformazioni ottenute (1) Wied. Ann. 13, p. 141, 1881. (2) Phil. Trans. of the R.S. of London 176,II, p.523, 1886. ===} -=T=.=======_=...° oe] — 251 — caricando la lastra sono rispettivamente minori di quelle relative alle stesse forze durante la scarica, e che cambiando il senso di variazione della forza agente, la sostanza presenta in principio una maggiore elasticità. Abbiamo dunque da fare con un fenomeno di vera isteresi. Che esso si produca. con forze più piccole di quelle cui ci siamo arrestati nelle prime serie non è qui il caso di asserire; quello che possiamo affermare si è non trattarsi di anomalie, ma di un vero processo regolare secondo attestano la chiusura dei cappii ed il modo marcato con cui si produce il fenomeno nei cicli di grande ampiezza. | È « Del resto che le cose procedessero nel senso da noi trovato era da prevedersi, atteso il particolare messo in luce dal Wertteim ('), che cioè anche colle più piccole deformazioni si hanno effetti permanenti quando le forze cessano di agire. Le nostre indagini dunque non rivelano fatti del tutto ignorati, ma li collegano presentandoli sotto un nuovo aspetto. « Uno studio più particolareggiato dei cicli sarà possibile seguendo l’an- damento del modulo E, o quando esso manchi delle 4s. Reggono in propo- sito leggi diverse a seconda si considerino lastre ricotte o crude; infatti mentre per le prime, come si desume dal diagramma, i valori di E dimi- nuiscono tanto venendo da P a zero che nel cammino inverso, nelle ultime si hanno moduli decrescenti da P a cero e crescenti da zero a P; sicchè in tal caso gli archi relativi alla seconda trasformazione, pur rimanendo più bassi delle curve figurative del primo mezzo ciclo, presentano al pari di queste la loro convessità verso l’alto:(?). «I valori di E;, e di conseguenza ‘anche quelli di Es, ci accusano di altra parte un aumento dell'elasticità: media della sostanza quando si passi da un cielo ad uno di maggiore estensione, mentre procedendo per forze cre- scenti a partire dallo stato mom deformato; si ha per carichi non piccoli una maggiore cedevolezza al crescere dello sforzo flettente. « Per riguardo ai valori di E osserveremo che essi non sono uguali per le diverse lastre cimentate, neanco operando fra limiti di forza assai ristretti. Può darsi benissimo che vi sieno differenze di struttura capaci di giustificare piccole oscillazioni del modulo, ma, quelle che noi abbiamo sono troppo grandi perchè possano attribuirsi alla sostanza con cui, si opera; è più probabile invece che le divergenze derivino. dalle imperfette misure delle dimensioni. Comunque vada la cosa, si tratta di questione che per noi ha interesse secon- dario, in quanto il nostro esame ‘si propose lo studio non del modulo ma delle sue variazioni. (1) Ann. de chim. et phys. 12, p. 385, 1842. (2) Per ulterlori ricerche sono riuscito a constatare che, in seguito all’accomodazione, si ha per le lastre ricotte nei passaggi da zero a P,un comportamento analogo a quello del metallo crudo. RenpIconTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 35 Oggi « La curva che rappresenta l'andamento delle saette per forze crescenti a partire dallo stato non deformato, e che io per brevità chiamerò curva caratteristica della deformazione, non viene sensibilmente modificata dai cicli. Questo ho potuto constatare con lastre cimentate diverse volte di seguito a partire da quello stato. Si trova allora che, prendendo le mosse da condi- zioni analoghe ed agendo per forze crescenti, sia con continuità, sia colle interruzioni dovute ai cicli unilaterali, le saette che corrispondono ai diversi valori dello sforzo fiettente sono per i punti della curva caratteristica presso a poco uguali. « Il risultato vale anche per cicli bilaterali, e perciò raccolgo nelle ta- belle che seguono tutti i particolari che si riferiscono all'argomento, indi- cando con uno o due tratti orizontali le interruzioni dovute rispettivamente al primi cicli o a questi ultimi. O, TABELLA III. 0;. TABELLA IV. 0; TABELLA V. 5 Marzo | 7 Marzo | 8 Marzo |10Mar.p.m., 29 Marzo | 30 Marzo 3Apr. p.m.| 4 Aprile | 6 Aprile P P P = === = As G ds s | As Ss As S As s ds s AS| $s | 4s s ds | | O = [PL CZE ES, dai 0 = _ 0 i _ 2.51 | 2.49 2.52 2.51 1.38 1.39 1.11 1.11 1.12 1| 251 | 2.52 2.51 c+ 1} 1.38 1.39 1| 111 1.11 1.12 2.47 | 2.49 2.48 2.48 2.27 2.25 2,26 2.27 2.27 2) 4.98 | 4.9 5.00] 4.9 c+3| 3.65) 3.64 3| 88 3.38 3.39 .54 2.56 2,54 2.56 2.23 2.28 2.26 2.28 2.27 3| 7.52 INN 7.54 7.5 c+ 5 5.88 5.87 5| 5,63 5.66 5.66 2.50 | 2.54 2.50 2,50 2.18 2.19 2,20 2.19 2.19 4! 10.02 10.0 10.04 10.05; c+ 7| 8.06 8.06 7) 7.83 7.85 7.85) 247 | 2.44 2.47 2.48 1.08 1.08 1.10 09 1.09 5/ 12.49 | 12.5: 12.51 12.53 c+8| 9.14 9.14 8| 8.93 8.94 8,94 4 244 2,45 V.44 silla i a 6| 14.92 14.96 14.96 14.97 CERRI 9.15) BiRAZSI 8.92 8.95 at, DA, - | ==| _ 1.08 1.08 1.10 1.10 1.08 Gu IEREZA 14.96 14.98) c+.9| 10.22 10.23 9| 10.03 10.02 10.03 | 2.39 2.41 2.40 2.41 2,15 2.14 2.15 216 7| 1781 17.37 17.36 17.39] +11 | 12.37 12.37 11| 12.18 12.18 12.20 2.40 2.39 2.38 2.38 1.09 1.10 09 1.09 8| 19.71 | 19.76 19.74 19.77 c+12 | 13.46 13.47 12 | 18.27 13.27 13.29 = {l sue e ila — i Vla I ZE — | | — 8) lam =? 19.73 19.77 c+12| — 13.45 1a 0= 13.26 [13.27 2.39 | 2.40 2.38 2.38 1.10 7.10 1.10 1.10 9| 22.10 22.16 22.11 22.15) c+13 | 14.56 14.55 13| 14.37 14,36 14.37 2.41 241 2.41 2.40 2.24 2 2.26 2.22 2.26 10 24.51 24.57 24.52 24,55 c+15 | 16.80] 16.79 15] 16.63 16.58 16.63 ae _ || _ da 1.17 1.17 1.18 1 1.16 10j — _ 24.53 24,55) c+16 | 17.97 17.96 16| 17.81 17.78 17.79 2.41 2.41 2.39 2.42 = = Li ae 11| 26.92 26.88 26:92 26.97] c+16| — 17.97 Il = 17.80 17.80 2.42 241 2.40 2.38 1.27 1.2 1.21 1 12] 29,34 29.39 29.32 29.35 c+17| 79.24 19.20] 17| 19.02, 19.02 19.02 Paesi Pa Ia a 1.39 1.99 1.32 1.81 12] — _ 29.36 29.37 c+18 | 20.63 20.59 18] 20.34 20.33 20.32 53 2.55 2.52 2.52 = apo im 13| 31.87 31.94 31.88| 31.89] c+18| — 20.57 18 /0= 20.34 20.32 Vir 2.66 2.68 2.76 1.41 1.38 1.43 14] 34.64 34.60 34.56 34.65 19] 21.75 21.72 21.75] _ _ |=|—- || — 1.48 1.52 L.47 La e Si 34.50 34.65 20] 23.23 28.24 23.22 20) — 23.26 23.20 — 253 — « Assodata l'influenza trascurabile che i cicli esercitano sulla natura della curva caratteristica, siamo ‘autorizzati a mettere in rilievo la diversa legge di deformazione di un corpo il quale, sottoposto prima all’azione di un carico, risenta l'impulso di una nuova forza a seconda che essa agisca nello stesso senso della precedente od in senso opposto, avendosi in questo caso una deformazione più piccola che nell’altro ed accentuandosi la diffe- renza coll’elevarsi del limite di forza cui ci riferiamo. « Resta però provato che la deformazione subìta dal corpo qualora si passi da Pa P-++P', è la stessa sia che il passaggio si produca direttamente. sia che si vada prima da P a cero e poi da zero a P+- P' ». Fisica. — Ulteriori ricerche sui processi di deformazione. Nota del dott. M. CANTONE, presentata dal Socio BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Termodinamica. — Sopra una formula di Termodinamica e sul termolavoro interno nei corpi solidi e liquidi. Nota del dott. ALESSANDRO SANDRUCCI, presentata dal Socio BLASERNA. «I. Leggendo la Nota del dott. Boggio-Lera, Sul lavoro interno nella dilatazione dei corpi solidi e sul rapporto di Poisson, recentemente com- parsa nei Rendiconti di questa illustre Accademia ('), ho posto attenzione alla prima formula che in essa comparisce e che è: 2 NO ha poiiogi ene nella quale secondo l’autore C e c sono i calori specifici di un corpo solido a pressione ed a volume costante, A l’equivalente calorifico del lavoro, @ il coefficiente vero di dilatazione a pressione costante, v il volume specifico alla temperatura T, ed © il coefficiente di compressibilità cubica a temperatura costante. Nella mia Nota II, Conseguenze analitiche di una formula indi- cante la velocità molecolare totale di un corpo qualunque (Rivista scien- tifico-industriale, Firenze, 1886, n. 18-20) rileggo ora la formula: cile, Vo @? Cori rA s1ee4) "ZA la quale, adottando le notazioni del Boggio-Lera, può sceriversi: 22 (2) ee @ V rappresentando v, il volume specifico della sostanza a 0° e v quello a T. (1) Seduta del 16 luglio 1893, p. 43. — 254 — « Vista la diversità che passa tra (1) e (2), i cui secondi membri do- vrebbero essere identici, ho cercato l'espressione della differenza dei due ca- lori specifici secondo altri autori. Il Zeuner nella sua Zhéorie Mécanique de la Chaleur a pag. 556 (Appendice) dà la formula C—-cec=AT%e° E riducibile alla forma 2 (3) de GINE ((0) perchè E rappresenta il coefficiente di elasticità di una sbarra solida e si può porre secondo il Zeuner O) == E appoggiandosi sul dato di Wertheim che, cioè, le compressibilità lineare e cubica sono eguali. « Lo Jamin (Zraité de Physique ete. 1888. T. 2° Thermodynamique. Chap. IV, pag. 86**) trova: C —_ €= l Vo ad che, per essere (pag. 82**): L= AT (00) può scriversi : (4) C—-e=AT —T identicamente alla (3). « La (3) e la (4) differiscono dalla (1) e dalla (2). La diversità con la (1) sta nel valore del volume specifico adoperato; in essa trovasi v in- vece di v,, cioè il volume specifico della sostanza a T invece che allo zero 2 SRI v È centigrado. La differenza con la (2) consiste in un fattore (A che in essa trovasi in più. Mi è parso conveniente, vista l’importanza di tali formule, (il Boggio-Lera adopera la (1) per stabilire un teorema importante) ricercare le cause di tali disaccordi e fissare qual sia la forma più precisa da darsi alla espressione analitica della differenza C — e pei corpi solidi e liquidi. « II. Tutti gli autori più o meno direttamente deducono le formule in esame da una delle equazioni fondamentali di termodinamica. Il Boggio-Lera la scrive: pra dp dv Î (eSoe= — AL ( ol (57) AT=(cp— 6v) di (5). Il Zeuner : — 259 — e queste sono identiche per la nota relazione: 2).(0), (1). dead) \do}: “0 ® [or esso @G=0, GG = « Lo Jamin, se non adopera direttamente una tale equazione, pure ser- vendosi del metodo di Lippmann per applicare i principî fondamentali della termodinamica, è costretto a fare uso delle derivate parziali che in essa com- pariscono. Io ho dedotto la (2) applicando l'equazione sotto la forma usata dal Zeuner. « Le differenze osservate nascono dalla diversa forma analitica che vien data ai coefficienti di dilatazione e di compressibilità. Il Boggio-Lera, detto @ il coefficiente di compressibilità cubica ed @ quello di dilatazione cubica a pressione costante, entrambi alla temperatura indicata T, pone: =-3(4) nu slo dp}x 6) aa nilo a) \ rio \AIE « Il Zeuner, supponendo costante il coefficiente di dilatazione cubica : o dale (6) RM A TAL ti menta o i (48 ao \ dp) « Lo Jamin (pag. 21 e 22)('): 1 (3 oq=——-{-, \ vo \dp}x 7 la pioieiaa REINA GAL, « Il Zeuner però, osservando « che con sufficiente esattezza si può pren- « dere in luogo di v il volume voy, che corrisponde allo zero centigrado », finisce coll’usare, come lo Jamin, la relazione « Io tinalmente, seguendo il prof. G. P. Grimaldi nella sua Nota Sulla relazione teoretica trovata dal Duprè fra il volume, la temperatura ed 7 coefficienti di dilatazione e di compressibilità dei corpi pubblicata nel (1) Egli chiama & il coefficiente di compressibilità. — 2960 — numero di maggio e giugno 1886 del Nuovo Cimento, pongo nella mia Nota citata : « In quanto alle formule usate dal Boggio-Lera, mi par giusto osservare che lo Jamin (pag. 21) dice: « Nous avons appelé coefficient vrai de dila- « tation sous pression constante à la température /, la limite @ == Le Vers (o) « laquelle tend l’augmentation de volume de l'unité de volume mesurée è zéro, « quand l’'élevation de température 45 tend vers zéro ». Adottando questa definizione, che del resto è quella comunemente usata da tutti, bisogna dire non precisa analiticamente la seconda delle (5), in cui ci è v in luogo di v,. Se di= (0) rappresenta la dilatazione subita dalla unità di volume fra 0° e /°, si suol porre, sia o non sia @ variabile colla temperatura, e siccome il volume di un corpo a #°, essendo v quello a 0°, dovrà in ogni ipotesi essere espresso dalla formula VA dA se ne avrà, derivando rapporto e 7 e supponendo costante la pressione : espressione di a che usata nelle applicazioni darà resultati precisi. « Circa le relazioni (6) usate dal Zeuner gioverà osservare che per l'esat- tezza della prima non sarà necessario supporre, dietro ciò che precede, « costante, il che per molti solidi e pei liquidi può non essere supponibile con esattezza conveniente. È vero che il Zeuner deduce quella prima relazione dall’equazione che solo può darla nell'ipotesi della costanza di «. Ma si noti che l’autore ricava la precedente equazione dalla elementare v=v(1+@t) la quale, come è chiaro, non può essere rigorosamente giusta se non a patto di supporre a priori a costante, come è per i gas soltanto supponibile, e — 257 — quindi non permette, senza evidente contraddizione, la derivazione dei suoi due membri come la fa il Zeuner. Nella seconda delle (6) poi non sarà sempre permesso cambiare v in v,, se si vorrà lasciare a quella relazione la sua completa generalità e farla valevole con precisione anche pei liquidi, riguardo ai quali %» e v potrebbero presentare spesso differenza fra loro non trascu- rabile: e questa osservazione potrà valere anche per la formula analoga usata, senza alcuna osservazione in proposito, dallo Jamin. « Dopo questa discussione ritengo che, a voler essere precisi, sia neces- sario usare per « ed « le relazioni Si, (È) Vo \AT }p PIRA 2) i v dpJ: di cui appunto ho fatto uso per ottenere la (2), che mi par quindi equazione preferibile alle altre indicate. Ed una conferma della convenienza di questo giudizio si può trovare nel citato lavoro del prof. Grimaldi; il quale appunto, usando di « ed @ sotto la forma precedente nel modificare una formula del Duprè, ha ottenuto valori della pressione interna nei liquidi più approssimati e più conformi ai resultamenti sperimentali. « III. Il Boggio-Lera nella Nota che vado esaminando, giunge ingegno- samente alla relazione x (8) (C— K) Ed — a dove K è il calore specifico assoluto di un corpo, E l'equivalente meccanico del calore, 0 la densità a T e le rimanenti lettere hanno lo stesso signifi- cato che in ciò che precede. Trasformando la (1) e dividendo membro a membro con la (8), ricava 9) (C — e) Bò Sa i (C—K)Ed che gli serve a stabilire un teorema interessante. Giusta le considerazioni svolte più sopra la (9) deve essere resa più precisa. La (2) ci dà: (10) (Co) O). (0-3) « Da questa e dalla (8) otteniamo: (GC) Boss v\ (11) ea 2aT che può darci un teorema analogo a quello del Boggio-Lera. « Il primo membro delle (9) ed (11) non mi pare però che possa dirsi veramente il rapporto fra l'energia consumata in lavoro interno per l'aumento di 1° di temperatura a volume costante e quella — 208 — consumata in lavoro interno per lo stesso aumento di tempe- ratura a pressione costante come si legge nell’enunciato del citato teorema. « Sia infatti (4Q), una quantità di calore che venga assorbita dall'unità di peso d'un corpo qualunque libero di espandersi a pressione costante, quando la sua temperatura varii di df. Applicando i noti principî di termodinamica, detto K il calore specifico assoluto, 4I, il termolavoro interno elementare, dL il termolavoro esterno, avremo evidentemente (12) (00), = Kdt + AdIs + AdL « Sia invece (4Q), una quantità di calore assorbita nelle stesse condi- zioni dallo stesso corpo, ma a volume costante; avremo: (13) (4Q), = Kdt + AdI, ove dI, indicherà il termolavoro interno a volume costante. Integrando queste due espressioni fra {= 0 e {t=9@+-1, supposto ciò analiticamente possibile, otterremo : 0+1 \0+1 C-K+A(h), +A(1) (14) DE | c-— RiSBA (1), « Trascurando, perchè piccolissimo, il termine A(L),"*! e sottraendo l'una dall'altra le due equazioni precedenti, avremo: (15) deo, oi 2h Oi. « Da questa: i tar (16) (CL) 0 CON La (1); i 9 la quale, divisa ordinatamente per l'altra: 0+1 (C— Es = (4), ) fornirà subito, badando alla (11): (17) 7 dd (C— 0) Bd — (o) ni, LO hi E; (2) (C = K) IDC) dui Le) DZ06 « Indicando per semplicità con I, ed I, i termolavori specifici interni a pressione ed a volume costante ('), avremo: da cui: I Vo A —=1I—-2 |. (18) I =] (2) (1) Chiamerò « termolavoro interno specifico » il lavoro interno eseguito dal calore nell’unità di peso del corpo mentre si scalda di 1°. — 259 — « La (17) fa vedere come il primo membro della (9) sia il rapporto fra la differenza dei due termolavori interni e quello a pressione costante e come quindi l’enunciato del teorema del Boggio-Lera vada modificato; e la (18) può servire a stabilire il teorema seguente in luogo di quello: «Ilrapporto tra l'energia consumata in lavoro interno per l'aumento di un grado nella temperatura a volume co- stante e quella consumata in lavoro interno per lo stesso aumento di temperatura a pressione costante, è eguale al- l'unità diminuita del doppio prodotto del coefficiente vero di dilatazione cubica per la temperatura assoluta e per l’in- versa del quadrato del binomio di dilatazione. «IV. Nella Nota Osservazioni intorno ad una formula del Duprè e ad una dimostrazione datane dal Heen (Rivista scientifico-industriale, Fi- renze 1887) ho mostrato come nei corpi solidi (o liquidi) l’'« attrazione al contatto » del Duprè o pressione interna, possa essere rappresentata da (19) N E(C_ K) È Vo « Tenendo conto della (8) trovata dal Boggio-Lera, la precedente sarà trasformabile in (20) Aa, Questa lega in modo semplicissimo la pressione interna ad una data tempe- ratura col coefticiente di compressibilità. « Chiamando, come in ciò che precede, I, il termolavoro interno spe- cifico, la formula (18) della Nota superiormente citata, ci dà: R=aAav e questa, combinata colla precedente, diverrà: XV (21) == Dar « Sostituendo tal valore nella (18), otteniamo: 0 ped (22) = xa D RI « Volendo le espressioni dei termolavori indipendenti da «, basta osser- vare che: (23) =E(C-K) il cui secondo membro è facilmente calcolabile, essendo noto C per l’espe- rienza e K per il calcolo; e sostituendo un tal valore nella (18) si ha subito : (24) I=E(C-E){1--2t(2)}.. RenpIcontI. 1898, Vor. II, 2° Sem. 56 — 260 — Elettricità. — vcerche quantitative sulla dissipazione di energia nei corpi dielettrici în un campo elettrico rotante ('). Nota di RiccaRDo ARNÒ, presentata dal Socio G. FERRARIS. « In due precedenti Note (2) ho dimostrato: 1° che un cilindro dielet- trico, collocato in un campo elettrico rotante, si trova soggetto ad una coppia che tende a farlo rotare nella direzione del campo stesso, il che prova che nel cilindro avviene una dissipazione di energia; 2° che la relazione tra l’ener- gia dissipata W in un cilindro di ebanite e l'intensità / del campo rotante è, nei limiti delle esperienze, della forma Fe, 1. VIARR0ODA ove 7 è una costante. « La presente Nota ha per oggetto l'esposi- zione di alcune serie di esperienze, eseguite sopra diversi cilindri dielettrici e destinate a trovare le relazioni che esistono fra l'energia dissipata in cia- scuno dei cilindri sperimentati e l'intensità del campo elettrico, la cui rotazione è causa della medesima. « Nella figura 1 è rappresentato, nella scala di 1:6, l'apparecchio che servì alle mie ricerche e che è in sostanza quello stesso che già ebbi occa- sione di descrivere nella seconda delle mie Note so- vracitate. In s è rappresentata la sospensione bifilare, in 2 il cilindro dielettrico su cui si vuole sperimen- tare, in Z le due coppie di lastre di rame incrociate, racchiudenti lo spazio in cui si deve produrre il campo elettrico rotante, in S lo specchietto piano per la mi- sura con cannocchiale e scala dell'angolo di rotazione, in M e @ rispettivamente il magnete ed il cilindro di rame destinati a rendere aperiodico l'apparecchio, in / il recipiente contenente il cloruro di calcio per l'essiccazione, e finalmente in ABCD la cassa metal- lica, che racchiude tutte le parti principali dello strumento e serve come schermo elettrico. « Giova notare che lo specchietto mobile S, so- stenuto da un'asticciuola « di alluminio appesa nel (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Elettrotecnica del R. Museo industriale ita- liano in Torino. (*) Rendiconti, fascicolo del 16 ottobre 1892, p. 284: Campo elettrico rotante e rota- zioni dovute all’isteresi elettrostatica. — Rendiconti, fascicolo del 30 aprile 1893, p. 341: Sulla dissipazione di energia in un campo elettrico rotante e sulla isteresi elettrostatica. — 261 — centro della base inferiore del cilindro conduttore @, è completamente rac- chiuso in una camera metallica formata dalla parte inferiore A'B'CD della cassa 4BCD e da un disco di rame Z, che divide, come apparisce chiaramente dalla figura, in due parti distinte l'interno della cassa stessa. Ciò allo scopo di evitare che, in causa della presenza dello specchietto mobile S' nelle vi- cinanze del campo elettrico, : avessero ad essere perturbati i risultati delle esperienze. « Indicando con W il lavoro, espresso in erg, fatto dalle forze elettriche deviatrici dell'unità di tempo e con d la deviazione dell'equipaggio mobile, sì può scrivere, come è stato dimostrato : WwW=27nkd, ove X è la costante della sospensione bifilare, 77 il rapporto della circonfe- renza al diametro ed 7 la frequenza della corrente alternativa fornita dalla macchina generatrice. « Ora, dicendo 4 la lettura in millimetri fatta col cannocchiale, P il peso in grammi sostenuto dalla sospensione bifilare, { la lunghezza in cen- timetri della medesima, « e d rispettivamente la distanza in centimetri su- periore ed inferiore fra i due fili costituenti la sospensione stessa, si ha 1 1009 Pad IR TT ove D rappresenta la distanza in millimetri dello specchio della scala e g l'accelerazione dovuta alla gravità, espressa in metri, per 1”. Data la lettura d si può quindi ricavare immediatamente il lavoro W: __1007gn Pad 3081,9096 7 Pad Va ID di gi no DIRI (1) K . « Per la generazione del campo elettrico rotante necessario per i miei esperimenti mi sono servito della disposizione descritta nella prima mia Nota sovracitata, disposizione che ha il vantaggio di non richiedere, per la pro- duzione del campo stesso, che una semplice differenza di potenziali alterna- tiva fra due punti fissi. « Il collegamento dei circuiti è indicato schematicamente nella figura 2. Im PQ ed RS sono rispettivamente rappresentate le spirali primaria e secon- daria di un grande rocchetto di Ruhmkorfî, adoperato come semplice trasfor- matore. Nel circuito primario di tale apparecchio sono inseriti una macchina Siemens M a corrente alternativa, un grande reostato 7 ed un elettrodinamo- metro di Siemens #; nel circuito secondario dell'apparecchio stesso sono in- seriti un reostato speciale 48, rappresentato da parecchie colonne di acqua distillata, le quali possono a piacimento introdursi in circuito, ed un conden- satore CD, costituito da un bicchiere di vetro contenente del mercurio e rico- — 262 — perto esternamente da un foglio di stagnola. I quattro punti A, 5, €, D sono messi rispettivamente in comunicazione coi quattro morsetti 1, 1", 2, 2" del- l'apparecchio. Un commutatore a mercurio / serve ad invertire le congiunzioni delle due lastre c e d coi punti C e D, con che si inverte la rotazione del campo elettrico, e quindi la deviazione dell'equipaggio mobile. Un volto- metro di Cardew V, preventivamente tarato ed adoperato coll’intermediario di un trasformatore Zipernowsky 7, calcolato per un rapporto di trasformazione di 1 a 4, serve alla misura della differenza di potenziali efficace fra i punti / ‘e Q; ed un voltometro elettrostatico di Thomson, non rappresentato in figura, serve alla misura delle differenze di potenziali efficaci tra A, B; CoD. ed R, S. « Ciò premesso, vediamo quale sia la re- lazione che esiste fra l'intensità / del campo elettrico rotante, espressa in unità elettrostatiche C. G. S., e la differenza di potenziali. efficace v in volt, esistente alle estremità della spirale pri- maria del rocchetto. Osserviamo, a tal fine, che l'intensità costante / del campo elettrico rotante è uguale all'intensità massima di ciascuno dei due campi elettrici alternativi componenti, e che questa si ottiene dividendo la differenza di potenziali massima fra due lastre opposte per la distanza fra le lastre stesse. E, poichè il valore massimo di tale differenza di potenziali è uguale al valore efficace della differenza di potenziali medesima moltipli- Fic. 2 cato per {/2, e quindi al valore efficace della differenza di potenziali esistente alle estremità della spirale secondaria del trasformatore, ne segue che sì ottiene senz'altro dividendo quest’ ultima differenza di potenziali efficace, espressa in unità elettrostatiche €. G. S., per la distanza in centimetri fra le lastre. Detta adunque 4 questa distanza e V quella differenza di poten- ziali, sì può scrivere: F | : Nv Rc E : ossia, essendo V= —, ove N è il rapporto di trasformazione del rocchetto: 300 « Ciò posto, poichè le equazioni (1) e (2) esprimono rispettivamente il valore di W in funzione di 4 ed il valore di / in funzione di v, risulta evi- — 263 — dente che, per trovare la relazione esistente tra W ed 7, basterà fare per diversi valori di v, misurati per mezzo del voltometro di Cardew, le corri- spondenti letture 4 col cannocchiale « Le esperienze, di cui sto per esporre i risultati, furono eseguite sopra quattordici cilindri cavi dielettrici, rispettivamente di ebanite, mica, paraffina, vetro, gommalacca, guttaperca, ceralacca, caoutchouc, colofonia, stearina, lana, solfo, seta ed ambra. Ciascun cilindro, prima di essere collocato nell’appa- recchio, era convenientemente essiccato, e poscia, prima di essere sperimen- tato, veniva lasciato per parecchie ore nell’apparecchio stesso. Ciò allo scopo di evitare il velo di umidità che si sarebbe forse potuto formare sulla super- ficie del cilindro, mentre esso veniva tolto dall'essiccatoio ed introdotto nello strumento ('). « Nelle prime colonne delle seguenti quattordici tabelle sono indicati i risultati delle mie esperienze. Nella seconda colonna di ciascuna tabella sono registrate le differenze di potenziali v, e nella terza colonna le letture 4 fatte col cannocchiale. Queste ultime si riferiscono, a seconda del cilindro dielet- trico sperimentato, a due sensibilità diverse dello strumento, ottenute col va- riare sia la distanza superiore «4 fra i due fili costituenti la sospensione bifi- lare, sia il peso 2 sostenuto dalla sospensione stessa, per mezzo di piccoli dischi di rame, di spessore e diametro diverso, collocati sul cilindro di rame @Q. La prima sensibilità corrisponde ad un valore di P=82 grammi e ad un valore di a = 0,382 centimetri; la seconda sensibilità corrisponde, invece, ad un valore di P-= 47,464 grammi e ad un valore di a = 0,818 centimetri. Le lettere p,y,< ed s sono rispettivamente adoperate per rappresentare il peso, il diametro esterno, l'altezza e la grossezza di ciascun cilindro dielet- trico sperimentato. I. Cilindro di ebanite II. Cilindro di mica (p=6,990gr.; y=30 mm.; <=24mm.; s=1,8mm.) (p=4,025gr.; y=31 mm., s=25 mm.; s=1 mm.) P= 382 grammi; a= 0,382 cm. P=47,464 grammi; a = 0,818 cm. TO d d Gta Jo d d ni DI osserv. |calcolato | al lo À y osserv. [calcolato xx si JR 86 36,41/— 0,41| — 1,1 1| 5 52 52,18|— 0.13] — 0,2, 2° 6 48 48,83] — 0,831 — 1,7 2| 6 70 69,14|/+ 0,86] + 1,2 ONT 64 .| 62,64|+ 1,36) + 2,1 | DI 7 88 87,83/+ 0,17[ + 0,2 | 4|.8 80 77,71|+ 2,29, + 2,9 4| 8| 108 |108,05/— 0,06] — 0,1 9 | 9 96 93,92|+ 2,08| + 2,2 5| 9| 180 |129,64|+ 0,36] + 0,8 6|10/ 112 | 111,43|+0,57| +0,5 6|10| 154 | 152,784 1,22] +0,8 7\11| 128 |129,77[— 1,77| 14 7|11| 178 |176,86|+ 1,14] + 0,6 8|12| 148 |149,45|— 1,45| — 1,0 8|12| 210 |202,55/+ 7,45| +3,5 9.13] 168 |170,22/— 2,22; — 13 913 228. | 229,54|— 1,54| — 0,7 10|14| 192 |191,71|+ 0,29 + 0,2 10|14| 256 |257,30|— 1,380] — 0,5 (1) Tutti gli esperimenti furono eseguiti nell'autunno di quest'anno in giorni sereni, con una temperatura variabile fra 22 e 24 gradi centigradi. (p=8,325 gr; y=39)mm.; «= 24mm.; s=2,8 mm.) IIT. Cilindro di paraffina P= 32 grammi; «= 0,282 cm. — 264 — N° d d %) Loi °%, osserv. |calcolato 5 15 15,80 | — 0,30] — 2,0 2. 6. 21 20,33 |+ 0,67| + 3,2 8| 7| 26,9 | 25,87 |+0,63| +24 4.| 8 32 31,86 |+ 0,14| + 0,4 5| 9 38 38,27 | — 0,27] — 0,7 610% ALTI RAS Sio 016 ll 52 52,32 | — 0,32) — 0,6 8|12 60 59,98 |+-0,02| 0 OR 68 68,02 |— 0,02) . 0 10 | 14 78 76,32 |+ 1,68| + 2,2 (p=11,778 gr y=31 mm. s=2$ mm.; s=4,1 mm.) V. Cilindro di gommalacca P=32 grammi; «= 0,882 cm. N° d d osserv. |calcolato 150 o095 = 0,95 ur 2. 6| 28 | 27,92|+-0,08| +03 3| 7|. 36 | 35,624+-0,38|/-+1,1 4| 8 46 43,99 + 2,01] 4-44 DINO, 56 52,95 + 3,05| + 5,4 6| 10 64 62,59 + 1,41|+2,2 ll 72 72,65 — 0,65) — 0,9 8/12 82 8841|— 1,41| — 1,7 9)|113 92 94,73|— 2,73| — 3,0 10 | 14| 104 106,42/— 2,42| — 2,8 VII. Cilindro di ceralacca (p= 15,766 gr: y=31mm.; = 22 mm.; s=3,6 mm.) P=32 grammi; «= 0,382 cm. | o di d (o) N. osserv. |calcolato gi lo 1| 5| (26 27/388|— 1,38| —5,3 2| 6| 88 | 3685/+ 1,65 +43 97 48 46,21|+ 1,79) + 3,7 4| 8 58 56,90/# 1,10 + 1,9 | 9 68 68,31|— 0,31| — 0,5 6/10 80 80,56|1— 0,56] — 0,7 T|11 92 93,91|— 1,81| — 1,4 8|12]| 106 |106,98|— 0,93| — 0,9 913] 120 |121,23|— 1,23 — 1,0 10|14| 156 |135,96|+ 0,04 0 (p=7,890 gr; y=30 mm.; «=25 mm,; IV. Cilindro di vetro P= 47,464 grammi; a = 0,818 cm. s=1,7 mm.) N] v d d =%; u osserv. [calcolato 1| 5 52 55,30/— 3,30] — 6,3 26 76 73,83| +2,17| + 2,8 37 98 94,94|+ 3,66] + 3,7 4% 8| 120 |116,65|4-3,35|] +2,8 5| 9| 142 |140,58|+1,42|+-1,0 6|10| 166 |166,34|/— 0,34| — 0,2 7\11| 194 |193,26|+0,74|+0,4 8/12) 220 |222,09| — 2,09) — 0,9 9|13| 250 |252,44|[— 2,44) — 1,0 10| 14| 280 |283,79|/— 3,79) — 1,4 (p= 6,685 gr; y=29mm.; o =9 VI. Cilindro di guttaperca 38 mm.; s=2,6mm.) P==:32 grammi; a= 0,352 cm. N.°| v È d 4 | =%h osserv. |calcolato 16 005) 48 .48,29/— 0,29) —- 0,6 LO 64 64,10. — 0,10) — 0,2 DI OT 84 81,50|+ 2,50| + 3,0 4| 8| 104 |100,34|+ 3,66| +3,5 5| 9| 120 | 120,47|/— 0,47| — 0,4 6|10| 140 |142,07|— 2,07| — 1,5 7\ 11 160 |164,57/— 4,57] — 2,9 8|12| 188 | 188,58|[— 0,58| — 0,3 9|13| 212 |213,80/— 1,80|—08 10 | 14| 244 | 239,78|+ 4,22|+ 1,7 VIII. Cilindro di caoutchouc (p= 12,330 gr; y=32 mm; = 24mm.; s= 3,2 mm.) P= 41,464 grammi; a= 0,818 cm. No d d 4 SRO i osserv. |calcolato O, 18005 34 89,96| — 1,96| — 5,8 2 6 50. 47,88/+ 2,12| + 4,2 O RZ 64 61,03 + 2,97| + 4,6 4| 8 78 75,80|+ 2,70] + 3,5 5, 9 92 90,58/+ 1,42[+ 1,5 6/10) 106 |107,01|[— 1,01 — 1,0 711} 120 |124,18|— 4,13| — 34 8|12)| 138 |142,45|— 4,45] — 3,2 9|13| 160 |161,70.— 1,70|—- 1,1 10|14| 184 |181,57|+ 2,43] + 1,3 — 2605 — IX Cilindro di colofonia (p=8,345 gr5 y=30mm.; #=21 mm,; s= 3,5 mm.) P= 82 grammi; a= 0,882 cm. No SC OSS@rV. [calcolato LUO 18 17,69 2| 61 24 28,62 li MISI 30 30,19 AE 36 37,94 o| 9| 45 45,01 6|10 D4 58,27 7|11| 68 | 6191 8|12 12 71,15 981 80,89 10|14| 90 90,95 XI. Cilindro di lana (p=2;360 gr.; y= 29 mm.; #<=24mm,; s=2,0 mm.) P= 417,464 grammi; 4= 0,818 cm. i da SD NE osserv. |calcolato 4 mer 0 TL | 5 20 20,761— 0,76] — 3,8 2A MI 28 27,58|+0,47| + 1,7 SI 7 36 84,97|4+- 1,03| + 2,9 4| 8 4A 43,03|+ 0,97| + 2,2 6) 52 51,63|1+ 0,37| + 0,7 6|10 60 60,56 — 0,86| — 1,4 AI 70 70,46/— 0,46| — 0,7 8112 80 80,71 — 0,71) — 0,9 9/13 91 91,46 — 0,46| — 0,5 10) 14| 102 |102,54 — 0,54| — 0,5 XIII Cilindro di seta X. Cilindro di stearina (p=10,058 gr. y= 30.mm.; # —=24mm.;s=5,0 mm.) P= 382 grammi; a= 0,382 cm. Dì d d MIA N. osserv. |calcolato di Ro TR) 42 41,21/+ 0,79] + 1,9 2| 6 54 55,51|— 1,51] — 2,8 OT 72 71,47/+ 0,53] + 0,7 4| 8 90 88,94|+ 1,06| + 1,2 5| 9 108 |107,81|+#+0,19| + 0,2 6|10| 126 |128,23/— 2,23] — 1,8 7|11| 150 |149,68|+0,32| + 0,2 8|12| 174 |172,74|+ 1,26] + 0,7 913, 198 |197,12|+ 0,88| + 0,4 | 10 | 14222 | 222;41/— 0,41| — 0,2 XII. Cilindro di solfo (p=12,340gr.; y=30mm.; #«=24mm.; s=2,2 mm.) P= 47,464 grammi; a= 0,818 cm. Nol d d DA Lo osserv. [calcolato 740 RE 30 30,20/— 0;20| — 0,7 2| 6 49 40,60/+ 1,40| -+ 3,3 Lo) MANCA 54 52,20|+ 1,80] + 3,8 408 66 64,88|/+-1,12| + 1,7 TONINO 75 78,54|— 3,54|-— 4,7 6|10 87 93,32|— 6,32| — 7,0 7 JT 105 108,82/— 3,82) — 3,6 8|i 126. | 125,50|+ 0,50| + 0,4 913 147 |143,10/+3,90| — 2,7 10|14| 168 |161,35|+ 6,65] + 4,0 XIV. Cilindro di ambra (p=7,316 gr; y=28 mm.; #=22 mm.; s=3,0 mm.) P= 32 grammi; «= 0,382 cm. (p=3,543 gr.; y=81 mm.; «= 24mm.; s= 2,8 mm.) P= 32 grammi; 4 = 0,382 cm. N° Da —% OSServ. | EaAcolato o 15 92 32,63|— 0,63| — 2,0 2 6 44 43,27|+ 0,73] +— 1,7 OT 56 54,97/+.1,03| + 1,8 4} 8 68 67,63/+ 0,37|+ 0,5 UE) 82 81,14/+ 0,86] + 10 610 96 95,63/+ 0.37] + 0,4 711] 110 |110,71|— 0,71) —- 0,6 8 | 12] 124 |126,80|— 2,80) — 2,3 9|13| 142 |143,68/— 1,68| — 1.2 10 | 14| 162 |161,08/+0,92| + 0,6 NO d TREN ] osserv. crt 9 L'IIMIOioN MRI2:56N=t0) 06| — 0,5 MIO. IT 16,90 |+ 0,10| + 0,6 dir 224 at 0 4| 8| 28 27,05 [+ 0,95| +34 57 ION M83 32,76 [+ 0,24| + 0,7 6|10|'38 ‘| 8895 | 095) — 25 7\11| 44 45,43 |— 1,43] — 3,2 8252 52,42 |— 0,42| -— 0,8 9|13| 60 59,79 |+ 0,21] + 0,3 10|14| 68 67,44 |+ 0,56! + 0,8 — Lo, = « Se in un sistema di due assi coordinati ortogonali si portano come ascisse i valori di log v e come ordinate i valori di log d, ricavati da una qualunque delle precedenti tabelle, si trovano punti, il luogo geometrico dei quali è, con sufficiente approssimazione, una linea retta. Questo dimostra che i valori medesimi soddisfanno ad una relazione della forma ove x ed % sono costanti. « Ponendo logd= log h+4 «log ed applicando il metodo dei minimi quadrati, sì ricava : N.0 CILINDRI DI 1 CAME ENO 2,710 1,614 1,6) + 0,030 2 MICA, . sese 4,296 1,551 2 1,6| — 0,033 3 paraffina: GO 1,241 1,561 1,6| — 0,023 4 Vepro,ì 1a os . 4,286 1,589 > 1,6) + 0,005 5 gommalacca . .. . 1,650 1,579 21,6) — 0,005 6 | guttaperca. . ... 3,940 1,557 21,6 — 0,027 7 ceralacca. . . . .. 2,234 1,557 2 1,6| — 0,027 8 caoutchoue . . .. 2,860 1,573 2 1,6) — 0,011 9 colofonia. . ... . 1,366 1,591 21,6 | + 0,007 10 Sbeariman. 0 Cio 2,951 1,638 > 1,6) + 0,054 11 landi case 1,707 1,552 1,6) — 0,032 12 SOLfON {30.00 0 eee 2,198 1,628 1,6 | + 0,044 13 Seta dr TIPO 2,689 1,551 1,6| — 0,033 14 ambrato ORIO 0,907 1,638 @ 1,6 | + 0,049 « Con la formola d = hv® e coi valori di #4 ed %, ricavati per ogni ci- lindro sperimentato, sono stati calcolati i valori di d, indicati nella quarta colonna delle precedenti tabelle. Le differenze 4 e le differenze 4 percen- tuali si trovano rispettivamente registrate nelle ultime due colonne delle tabelle stesse. « Ciò posto, dalle equazioni (1) e (2) precedentemente trovate si ricava: l D d— 3081,9096 n Pad Sostituendo quindi nella (3) a d ed a vi loro valori, in funzione rispetti- mente di W e di /, si ottiene: 3081, 9096 Pa d «lc LD N « Risulta adunque che la relazione tra l'energia dissipata in uno qua- lunque dei cilindri dielettrici sperimentati e l'intensità del campo elettrico è della forma W= Hi ALSO SA SOR RO (4) — 267 — ove 7 è una costante, il cui valore è molto prossimo, probabilmente un poco infe- riore (!), ad 1,6, ed ove 7 è un’altra costante, il cui valore, in funzione di #, è dato dalla formola __ 3081,90962 Pab [73004 a « Ora, essendo nei miei esperimenti : TARA 006022180 — 2600 = Am = 250, si ricava, corrispondentemente alla prima sensibilità dell'apparecchio (P— 32 grammi; a = 0,382 cm): VA (903) SS PRIDASA-AIIL (5) e, corrispondentemente alla seconda sensibilità dell'apparecchio (P= 47,464 grammi; a= 0,818 cm): vi 25101 DERISO Et ln (6) « La relazione (5) serve per il calcolo della costante 7, che si riferisce all'ebanite, alla paraffina, alla gommalacca, alla guttaperca, alla ceralacca, alla colofonia, alla stearina, alla seta ed all'ambra. La relazione (6) serve, invece, per il calcolo del valore di 7 corrispondente alla mica, al vetro, al caoutchouc, alla lana ed allo solfo. « Si deduce che, entro i limiti di (0,99 e 2,78 unità elettrostatiche C. G.S.) fra cui ho sperimentato, la (4) si può scrivere: 1.° per il cilindro di ebanite .......... ESITATE a ARR RA proon ” IMNIMI CAN. ono MW = 1308;888. 715° — 1309. F:8; So ” » paraffina....... VIZI EZIO): DR IE qi0 > ” DE VCUEON cecco W= 138$,248. £°1:589° > 1388. FP; to SIE, ” » gommalacca. W= 165,578. 15% 166. FP; (OTO ” n guttaperca ... W= 381,624. P°5 > 382. F19; tt n ” MBNCCIMACCana si | ISS R O RE a) ” PONCAOUUCNOUG e OUR 0E GO ” » colofonia ...... EZIO e VE 10.0» ” » Stearina......... Wi=" STO. pssss — SAVIO IV ERE, ” DEMANIsnntst VA — OZONO HR » ” MMSOTO e e W= 758,064. prscss — ZO SEE TSO ” ESCLA i MERA Oo DE 14.0» ’ > ambra........... SOA RO VIA (1) Il valore di x, medio fra tutti i valori corrispondenti ai varî dielettrici speri- mentati, risulta eguale a 1,584. Nell’ultima tabella, accanto ai valori di 2 trovati diretta- mente per i singoli cilindri, sono indicate le differenze d fra i medesimi ed il detto valor medio. (?) Le formole trovate sono analoghe a quelle con cui Steinmetz rappresenta il lavoro consumato per l’isteresi magnetica nei corpi magnetici (Elektrotechnische Zeitschrift, 6 feb- braio 1891, p. 63: Einige Bemerkungen dber Hysteresis. — Elektrotechnische Zeitschrift, 22 e 29 gennaio 1892, p. 43 e 55: Experimentelle Bestimmungen des Energieverlustes durch Hysteresis und seiner Abhingigkeit von der Intensitàt der Magnetisirung). Quindi le esposte esperienze concorrono a confermare l’idea, già da me manifestata nelle Note citate, che il fenomeno sia dovuto ad un'isteresi elettrostatica nei corpi dielettrici. RenpICcONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 37 — 268 — Geologia. — // postpliocene morenico nel gruppo montuoso del Strino in Basilicata. Nota di GrusePpE DE LORENZO, presentata dal Corrispondente FR. BASSANI. Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisico-Chimica. — Sulla natura della pressione osmotica. Nota di G. MAGNANINI, presentata dal Corrispondente G. CIAMICIAN. « In una comunicazione presentata a questa Accademia nella seduta d 19 marzo trascorso (!), il prof. Naccari, esponendo un determinato modo di sperimentare coll’apparecchio di Pfeffer, è arrivato alla conclusione che, la teoria di Van't Hoff, riguardante l'analogia di comportamento della materia allo stato gazoso e della materia allo stato di soluzione diluita, non solo è insufficiente a spiegare i fatti conosciuti, ma è in contraddizione con essi; con- clude colle seguenti parole : « Viene così dimostrato in moda evidente che un gaz, il quale si com- « portasse come lo zucchero sciolto nell'acqua, potrebbe avere 4 volume co- « stante ed a temperatura costante, ed in uno stato di equilibrio, tutte le « pressioni possibili al di sotto della pressione osmotica, ed anche pressioni « negative, se alcunchè di simile si potesse immaginare per un gaz. Manca « adunque ogni traccia della legge del Boyle e mancano le basi per appli- « care alle soluzioni la teoria cinetica dei gaz ». « Nella seduta del 7 maggio, io ho presentato a questa Accademia una Nota Sulla pressione osmotica, nella quale osservavo come le esperienze del prof. Naccari, non solamente non sono in contraddizione colla teoria del Van’ t Hoff, ma si spiegano invece molto bene colla medesima: ammettendo cioè la più completa analogia di comportamento fra lo zucchero disciolto e le so- stanze gazose (?). «Io sono arrivato pertanto alla conclusione che, qualunque sia la pres- sione alla quale è soggetta la soluzione nel vaso osmotico, lo zucchero, con- siderato come gaz, ha sempre se il volume e la temperatura rimangono co- stanti, la stessa pressione. « Da pochi giorni è comparsa in questi Rendiconti una seconda Nota del prof. Naccari sul medesimo argomento, nella quale l’autore, con un ragiona- (1) Vedi questi Rendiconti, vol. I, fasc. 69, 1873. (2) Dopo di me, il dott. Le Blanc in una recensione della Nota del prof. Naccari, inserita nella Naturwissenschaftliche Rundschau (VIII Jahrs. N. 36, pubbl. il 9 settembre 1893), è arrivato sostanzialmente alle medesime conclusioni, alle quali sono pervenuto io. mento algebrico, cerca di dimostrare ancora una volta l'insufficienza della teoria di Van t Hoff a spiegare i fenomeni osservati, ed arriva alla mede- sima conclusione, che cioè: l'ipotesi che lo zucchero considerato come gaz, eserciti sempre la medesima pressione, è in contraddizione coi fatti. Il ragio- namento algebrico adoperato dal Naccari in questa seconda Nota non è sostan- zialmente differente da quello non algebrico da lui usato nella prima. È il seguente : « Abbiasi il vaso poroso preparato colla membrana semipermeabile, chiuso con un manometro ad aria libera (fig. 1) ('); sia contenuta nel vaso poroso una soluzione di zucchero all'1°/, di con- centrazione; si immerga l'osmometro nel- l'acqua, e si mantenga costante il volume della soluzione aumentando la pressione col mezzo del manometro. Nello stato di equilibrio la pressione P, misurata dalla differenza di livello del mercurio, è eguale a circa 54 cent. (°). Si avrà equilibrio quando la pressione totale cui è soggetta la soluzione, meno la pressione esercitata dallo zucchero è uguale ad una atmosfera; e ciò è naturale poichè la pressione ‘eser- citata dal manometro P viene controbilan- ciata dalla pressione osmotica dello zuc- chero, pressione che chiameremo col Nac- cari 77. Si ha dunque in questa esperienza: Fia. 1. PD =é « Inoltre sia p la pressione che l’acqua esterna al vaso poroso trasmette attraverso la parete semipermeabile sopra l'acqua della soluzione contenuta nell'osmometro; questa pressione p nel caso in cui nel vaso esterno sia con- tenuta acqua pura è eguale ad un'atmosfera, giacchè trascurando, se esiste, una piccolissima differenza di livello, sopra l’acqua pesa appunto l'atmosfera. Il Naccari immagina che questa pressione venga trasmessa dall'esterno all’in- terno attraverso un (3) canaletto orizzontale H, per il quale non possono pas- sare le molecole zuccherine disciolte. Esprimendo le pressioni in atmosfere sl avrà: pid: (1) Per comodità del lettore riproduco la figura. (2) Fra 58-54 (Pfeffer). (8) Ovvero anche più canaletti. 240 « Alla superficie di contatto B fra il mercurio e la soluzione la condi- zione di equilibrio è: P+1=z+p dove P-+- 1 è la pressione totale del manometro, compresa l'atmosfera, p è la pressione trasmessa dall'acqua esterna, e 77, è la pressione osmotica eser- citata dallo zucchero disciolto sopra B, e ciò come se lo zucchero si trovasse allo stato gazoso. Nel caso particolare in cui nel vaso esterno si abbia acqua pura si ha dunque: beni. « Se nel vaso esterno si aggiunge zucchero, se si indica con 7, la sua pressione osmotica, si osserva un'altra pressione manometrica più piccola, che chiameremo P': la nuova pressione p' trasmessa dall'acqua è necessariamente diminuita, si ha p=1—-% e perciò la condizione di equilibrio è: l-a,=P+1—-x, cioè : Pa, s PRE CTER (00) « In altri termini la pressione osmotica misurata è eguale alla differenza fra le pressioni osmotiche delle due soluzioni. L'autore afferma che a questa conclusione si arriva anche partendo dall'ipotesi dell'attrazione fra lo zuc- chero e l’acqua, e che perciò il verificarsi della equazione (A) non prova la teoria dello stato gazoso. Io dubito che con una ipotesi di attrazione fra sol- vente e soluto si arrivi a spiegare completamente questa relazione quantita- tiva; però sono benissimo convinto, che il verificarsi di questa relazione non è da solo bastevole per dimostrare il comportamento gazoso dello zucchero. « L'autore passa poi ad esaminare quali conseguenze ne deriverebbero ammettendo, come io ammetto, che qualunque sieno i valori di 77» e P', lo zucchero nel compartimento interno conservi sempre la stessa pressione osmo- tica 7,. Raggiunto l'equilibrio, alla superficie di contatto B fra soluzione e mercurio, la pressione totale P'-+ 1 che agisce dal di fuori al di dentro sarà necessariamente eguale alla pressione opposta; questa è eguale alla somma della pressione 77, , dovuta agli urti delle molecole zuccherine, e della pres- sione p' trasmessa dall'acqua attraverso H. Alla superficie di contatto fra solu- zione e mercurio la condizione di equilibrio è dunque: Ppl=m+y e perciò la pressione trasmessa dall'acqua entro il vaso è = e (5) « Ora supponiamo che nel compartimento esterno si abbia una soluzione di tale concentrazione che per la relazione (A) sia: P=a,—1, — 271 — ciò è quanto dire che la soluzione di zucchero abbia una pressione osmotica = 1('). Allora per la relazione (B) si avrà: pli==0 cioè l'acqua esterna non trasmette attraverso il canaletto H nessuna pres- sione; in queste condizioni il mercurio del manometro segna una pressione negativa, e precisamente il livello esterno è di 22 cm. più basso di quello interno. Adoperando esternamente una soluzione di zucchero più concentrata, il Naccari osserva nel manometro pressioni osmotiche negativamente più grandi. In una delle sue esperienze si ottenne equilibrio quando si ebbe: Pi =:—50emi=—0,66.atm. « Ora poichè si ha costantemente 77, = 54 cm.= 0,71 atm. sarà per la (B): p=1— 0,66 — 0,71=— 0,37 atm. cioè la pressione frasmessa dall'acqua attraverso H nel vaso poroso è negativa. « Perciò l’autore conclude colle seguenti parole : « L'ipotesi sostenuta nella nota citata (*) conduce dunque alla conclusione « che l’acqua della soluzione interna può trovarsi sotto pressione nulla o ne- « gativa. Come può accettarsi una ipotesi che conduce a tali conseguenze? « Che un corpo solido possa essere soggetto a pressione tanto positiva, quanto « negativa, tanto compresso, quanto stirato, si sa bene, ma per un liquido «“ Gome spiegare la cosa, salvo che si prestino al liquido per l'occasione le « proprietà d'un solido? ». « À me pare che le equazioni ottenute dal Naccari non conducano neces- sariamente alla conclusione che un corpo liquido possa trovarsi sotto pressione negativa. Infatti che cosa è p? è la pressione trasmessa dalla soluzione esterna attraverso il canaletto H. Nel caso in cui esternamente si abbia acqua pura, p' è sensibilmente eguale all'atmosfera; se si tratta invece di una soluzione la cui pressione osmotica è 77, sì ha p=1l— >. « Quando dunque è 7, =1 si ha p =0 cioè il liquido esterno non trasmette alcuna pressione, e ciò perchè la sua pressione osmotica fa equi- librio all'atmosfera. In questo caso si osserva nel manometro una pressione negativa, e precisamente il livello esterno del mercurio è di 22 centimetri più basso di quello interno. Chi sostiene il peso di questa colonna di mer- curio ? evidentemente la pressione atmosferica la quale, avendo un valore mag- giore della pressione osmotica 7r,, sostiene una colonna di mercurio eguale alla diferenza fra l'atmosfera e 777. Non è completamente esatto dire che in questo caso l’acqua, per la relazione (B) si trova sotto pressione nulla; si deve dire che il liquido esterno non /rasmezte attraverso il canaletto alcuna pressione. Supponiamo ora 77,» > 1. Allora la pressione osmotica della soluzione esterna è maggiore della atmosfera; se questa soluzione si trovasse in un vaso ordi x (1) La concentrazione corrispondente è compresa fra 1°%o-2%/o- (2) Cioè la mia. — 272 — nario, non in contatto di una parete semipermeabile, non si osserverebbe nessun . fenomeno: la pressione che per effetto delle attrazioni molecolari esiste nor- malmente alla superficie liquida (Binnendruck) (!), di grandezza certamente superiore a mille atmosfere, tiene freno alla pressione osmotica (?): nessuno vorrebbe certamente affermare che tale soluzione si trovi sotto pressione nega- tiva. Quando si colloca la soluzione nel vaso esterno dell’osmometro l’effetto è evidentemente diverso: in presenza della parete semipermeabile la pressione osmotica agisce necessariamente, e tende ad aumentare il volume del liquido esterno a scapito dell'interno; con ciò viene trasmessa una pressione negativa. Nella esperienza citata dal Naccari questo sforzo è misurato da — 0,36 atmo- sfere. È erroneo dire che il liquido si trova sotto una pressione negativa, dob- biamo dire invece che viene trasmessa una pressione negativa. « Per comprendere poi il meccanismo col quale queste pressioni osmo- tiche sì aggiungono nel loro effetto alle pressioni idrostatiche e vengono tra- smesse con esse, e ciò senza ricorrere a pressioni negative nel liquido, valga il seguente esempio: « Abbiasi un cilindro nel quale sia scorrevole uno stantuffo, che io vorrei chiamare doppio; cioè formato da due stantuffi Ae B, collegati rigidamente col mezzo di un'asta C. Nell’interno del cilindro si trovi fisso un diaframma D provveduto di un foro centrale E attraverso il quale, ed a sfregamento, passa l'asta rigida C; in tal modo un gaz che si trova nel primo compartimento a sinistra H, non è in comunicazione col gaz che si trova nel compartimento a destra K. Però le due masse gazose sono fra loro collegate da questa rela- zione: che il volume complessivo H + K è sempre costante. « Supponiamo in una prima esperienza che nel compartimento di sinistra si trovi una certa massa di aria, la cui densità sia tale che si abbia la pressione 77, = 54 cent. di mercurio ('); nello scompartimento di destra vi sia il vuoto. Allora per avere equilibrio è necessario esercitare in B, nel senso posi- tivo, indicato dalla freccia, una pressione P = 77,. Nell'apparecchio agiscono le seguenti pressioni: quella atmosferica, che agisce in B Fre. 2. (1) Ostwald Jahrb. der allg. Ch. I Bd. pag. 538. (2) Vedi in proposito le obbiezioni mosse dal sig. Pupin, Zeitschr. f. Phys. Ch. IV, 591. (3) Immaginiamo che in tutte queste esperienze la temperatura venga mantenuta costante. Mons — e che è eguale ma di segno contrario a quella che agisce in A: la pressione P esercitata artificialmente in B e che è eguale ma di segno contrario alla pressione 7, che agisce parimenti in B ma sulla faccia opposta: la grandezza dello spazio vuoto K dipende evidentemente dalla massa d'aria contenuta in H e dalla pressione 77,. In tale stato di equilibrio la verga rigida C sopporta una pressione eguale ad una atmosfera. « Supponiamo ora, in una seconda esperienza di modificare lo stato con- siderato, nel seguente modo: introduciamo senza muovere lo stantuifo nello spazio vuoto K dell’aria e in una misura tale che la sua densità sia quella dell'atmosfera; cioè si abbia una pressione 77» = 1. Per avere equilibrio, è chiaro, sarà sufficiente diminuire la pressione P_del valore 773, cioè di una atmosfera; con ciò sulla parete esterna B dello stantuffo dovrà esercitarsi una pressione eguale complessivamente a 54 cent. di mercurio, cioè dovremo togliere la pressione P e rarefare l’aria esterna in H' fino a che un manometro ad aria libera segni un dislivello di 22 cent. In questa espe- rienza l'asta rigida C non trasmette alcuna pressione. « Supponiamo finalmente, di aggiungere nuova aria nello scompartimento K fino ad avere la pressione 77» > 1. Volendo mantenere lo stantuffo nella medesima posizione dovremo diminuire ulteriormente la pressione comples- siva esercitata in B. Con ciò l'asta rigida C trasmette da H in K una pres- sione negativa, cioè soffre uno stiramento. La pressione P' è tanto minore di 7, quanto maggiore è il valore della differenza delle due pressioni 773 e 7. « Noi possiamo passare ora facilmente dai casi considerati, a quelli. e perfettamente analoghi, in cui sì abbiano delle soluzioni. Basta rimpiazzare le due masse gazose colle due soluzioni, collocandole, fino a riempimento, rispeitivamente negli scompartimenti H_e K; togliere l'asta rigida, ed in luogo del diaframma forato immaginare collocata una parete semipermeabile. « Se le concentrazioni delle due soluzioni sono tali, che le pressioni osmo- tiche abbiano rispettivamente i valori 77, e 773, il sistema non resta pertur- hato; le stesse condizioni di equilibrio valevoli per il sistema gazoso varranno anche per il sistema liquido: chi farà l'ufficio dell'asta rigida? evidentemente il liquido; ed in ciò è d'accordo anche il Naccari. La questione fondamentale sì riduce dunque a questa: può il liquido nel suo ufficio venire paragonato completamente all'asta rigida? il Naccari afferma di sì, io invece affermo di no. « Infatti consideriamo la terza esperienza, nella quale l'asta rigida tra- smette una pressione negativa: nel caso nel quale si abbiano le soluzioni, che cosa dovrebbe accadere? evidentemente se il liquido è stirato dovrà divi- dersi, per es., in un punto 4a, a, da ..... Ora ciò non accade; dunque è vero che il liquido non può paragonarsi all'asta rigida. Ed infatti chi dovrebbe spezzare il liquido? la pressione osmotica; giacchè nel sistema considerato, eccezione fatta delle pressioni osmotiche, nessuna delle pressioni idrostatiche — 2704 — esistenti tende certamente a stirare la massa. Ora la pressione osmotica non può certamente stirare il liquido suddividendolo, perchè nel suddividersi la pressione osmotica nè compie, nè consuma lavoro. Supposto poi una volta che il liquido fosse diviso per es., in 4, gli effetti osmotici cesserebbero e la pres- sione atmosferica ricondurrebbe la soluzione a contatto della soluzione. « A me pare perciò che l'equivoco nel quale è incorso il prof. Naccari derivi dal non avere l'autore tenuto presente che gli effetti della pressione osmotica non sono del tutto paragonabili a quelli della pressione idrosta- tica, e non possono rendersi manifesti nelle soluzioni, così come si trovano in un vaso qualunque; ciò in causa principalmente della pressione normale (Binnendruck) che esiste alla superficie dei liquidi, e la quale è sempre in- comparabilmente più grande della pressione osmotica. Gli effetti osmotici non sono visibili che in contatto di una parete semipermeabile perchè essendo questa attraversabile liberamente dall'acqua, la sua presenza fa sì che a con- tatto di essa non esiste una superficie di acqua; perciò la pressione osmotica può agire liberamente ('). « Riesce ancora più agevole comprendere l'ufficio del liquido nel sistema considerato, immaginando che l’esperienza venga condotta in un altro modo che è differente nella forma, ma non diverso nella sostanza. « Supponiamo che i due stantuffi A e B vengano fissati nella parete del cilindro; venga tolta per conseguenza l'asta rigida, e reso mobile nel cilindro a modo di stantuffo, ed a sfregamento, il diaframma semipermeabile. Suppo- niamo che sia cosa possibile di fissare il diaframma in una posizione dello spazio, cosichè i fatti osmotici che accadono nel sistema portino con sè, ne- cessariamente, un movimento del cilindro rispetto al diaframma fisso. Se in una prima esperienza si colloca in H la soluzione 7,, ed in K acqua pura, l'effetto osmotico tende ad aumentare il volume H a scapito del volume K; lo sforzo di tale effetto è misurato dalla pressione 77,, e per avere equilibrio è necessario contrapporre in B una pressione eguale ed opposta a 77,. Se final- mente si colloca in K una soluzione più concentrata per la quale sia 77, > 1, l’effetto osmotico è opposto, e tende ad allontanare A dal diaframma, con uno sforzo che è misurato dalla differenza delle due pressioni osmotiche. In tal caso si può avere equilibrio diminuendo convenientemente la pressione esercitata in B nel senso della freccia. « In una forma come è questa, di comprendere l'esperimento, la verga rigida è sostituita dalla superficie chiusa e rigida ABBA ; la quale, nel sistema di soluzioni, corrisponde alla superficie liquida colla propria pressione nor- male (Binnendruck), di valore grandissimo ». (1) Un altro caso nel quale la pressione osmotica agisce liberamente è quello della diffusione 2 sero ad un liquido, della sostanza disciolta. — 275 — Chimica. — Sua costituzione della Dician-fenilidrazina e dei composti triazolici di J. A. Bladin. Nota di AmERICO An- DREOCCI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Chimica. — Sugl acidi grassi combinati che si riscontrano nella Lanolina. Nota di G. Drk-SANCTIS, presentata dal Corrispon- dente L. BALBIANO. — Botanica. — Contribuzione allo studio della morfologia fiorale del Laurus nobilis. Nota del dott. OsvaLpo KRUCH, presen- tata dal Corrispondente R. PiROTTA. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI A. Di LEGGE e F. GracomeELLI. Catalogo delle ascensioni rette medie pel 1890,0 di 2441 stelle comprese fra l'equatore ed il parallelo 90° nord e di 42 stelle dell'emisfero australe, compilato sulle osservazioni fatte al circolo meridiano del R. Osservatorio del Campidoglio, negli anni 1885, 86, 87, 88, 89, 90. Presentata dal Segretario BLASERNA. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio TopaRO, a nome anche del Socio GoLei, relatore, legge le Re- lazioni sulle due seguenti Memorie: Sulle fine alterazioni della corteccia cerebrale in alcune malattie mentali, del dott. R. COLELLA. — Di un nuovo organo nervoso terminale e della presenza dei corpuscoli Golgi-Mazzoni nel connettivo sottocutaneo dei polpastrelli delle dita dell’uomo, del dott. A. Rurrini. Le Relazioni concludono col proporre la inserzione di entrambi 1 lavori negli Atti accademici. Il Socio STRVEVER, relatore, a nome anche del Socio Cossa A., legge una Relazione sulla Memoria del dott. E. ScAccHI, intitolata: Studio cri- RenpICONTI. 1893, Vor. II, 2* Sem. 38 — 276 — stallografico di alcuni fluossimolibdati di tallio, proponendone la pubblica- zione negli Atti. Le conelusioni della Commissioni esaminatrici, messe ai voti dal Presi- dente, sono approvate dalla Classe salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente Brioscni dà il doloroso annuncio della perdita fatta dal- l'Accademia, nella persona del Socio nazionale ARcANGELO ScAccHI, man- cato ai vivi l'11 ottobre scorso. Il defunto Socio apparteneva all'Accademia sino dal 31 gennaio 1875. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, se- gnalando quelle inviate dal Socio Foà, dai Corrispondenti BERTINI, DELLA VALLE e MirLosevicH, e dai dottori P. e F. SARASIN. Presenta inoltre l’opera in tre volumi del Socio straniero BeRTHELOT, intitolata: Za Chimie au moyen dge, e il 5° volume delle opere di W. WEBER, inviato in dono dalla Società delle scienze di Gottinga. Il Socio StTRUEVER fa omaggio della pubblicazione del prof. A. PoRtIs, avente per titolo: Contribuzioni alla storia fisica del bacino di Roma, e studi. sopra l'estensione da darsi al Pliocene superiore. CONCORSI A PREMI Il Segretario BLASERNA dà comunicazione di alcuni temi di concorsi a premio delle seguenti Società scientifiche : R. Istituto Veneto di scienze lettere ed arti. Un premio della Fondazione Querini di lire 3000. verrà assegnato « a chi entro « l’anno 1894 avrà introdotto in una valle a piscicoltura nel Veneto una innovazione, che « sarà giudicata importante ed utile da una competente Commissione nominata dallo stesso « Istituto, od avrà trovato il modo di avvantaggiare sensibilmente una delle industrie, che « direttamente si collegano colla vallicoltura. Potrà quindi concorrere al premio suddetto «chi avrà trovato il modo di ottenere, con vantaggio della vallicoltura, la fecondazione « artificiale delle uova, di qualche specie importante di pesci marini; chi avrà introdotto «in una valle, e con buon successo, qualche specie animale del mare Adriatico 0 di altro DEL «mare; chi col perfezionamento dei congegni vallivi avrà ottenuto in una valle risultati « molto superiori agli ordinari; chi avrà fatto progredire presso di noi l’ostreocoltura o « la miticoltura; chi avrà perfezionato la lavorazione del pesce di mare, in guisa da ren- « derlo più gradito al palato e più ricercato nel commercio ». Tempo utile pel concorso 31 gennaio 1895. Società geologica italiana. Storia dei progressi della geologia stratigrafica del Paleozoico e del Mesozoico. in in Italia, facente seguito all'opera del D'Archiac (Histoire des progrès de la Géologie) ed estesa fino a tutto l’anno 1890. Tempo utile 31 marzo 1896 — Premio L. 1800. R. Accademia dei Georgofili. Libro-manuale ad uso dell'agricoltura italiana. Tempo utile 30. giugno 1896 — Premio L. 1000. Studio sugli effetti del governo del vino, in relazione col presente stato della scienza intorno alle fermentazioni; tale studio deve essere fondato su ricerche sperimen- tali e particolarmente inteso a suggerire utili modificazioni alle pratiche vigenti in Toscana. Tempo utile 30. giugno 1895 — Premio L. 540. TI Segretario BLASERNA presenta inoltre un programma di 35 quesiti posti a concorso dalla Società batava di filosofia sperimentale di Rotterdam. CORRISPONDENZA Ml Segretario BLASERNA dà comunicazione delle lettere di ringrazia- mento, per le loro recenti nomine, inviate dai Socî nazionali Branchi, Cra- MICIAN e D'Ovipro: dai Corrispondenti ABETTI, BeRTINI, MaTTIROLO e Mit- LosEVIcH; dai Socî stranieri Conn, MENDELEEFF, PRINGSHEIM e STRAS- BURGER. Lo stesso SEGRETARIO presenta una fotografia dell'ultimo eclisse, in- viata in dono dall’Osservatorio Lick di California, e dà comunicazione di una lista di sottoscrizione, inviata dalla Società fisico-matematica della Uni- versità imperiale di Kasan, destinata a raccogliere un fondo per perpetuare il nome di N. J. LoBATCHEFFSKY. ULI: TN Segretario BLASERNA comunica un invito dell’Associazione dei chi- mici belgi, per il Congresso internazionale di Chimica applicata che avrà luogo in Bruxelles nell'agosto del 1894; dà poi conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti: = ea Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Amsterdam; la Società di scienze natu- rali di Emden; le Società geologiche di Manchester e di Ottawa; l'Istituto meteorologico di Berlino. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: La R. Scuola degl'ingegneri di Roma; la Società zoologica di Londra; le Università di Upsala, di Halle, di Heidelberg, di Freiburg, di Basilea, e di Giessen. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 12 novembre 1893. Amagat E. H. — Mémoires sur élasticité et la dilatabilité des fluides Jusqu'aux très hautes pressions. Paris, 1893. 8°. Id. — Recherches sur l'élasticité des solides et la compressibilité du Mer- cure. Paris, 1891. 8°. Bertini E. — Commemorazione del Comm. prof. Felice Casorati. Milano, 1893. 8°. Id. — Deduzione delle trasformazioni piane doppie dei tipi fondamentali delle involutorie. Milano, 1889. 8°. Id. — Intorno ad alcuni teoremi della geometria sopra una curva algebrica. Torino, 1890. 8°. Id. — Osservazioni sulle « Vorlesungen iber Riemann’s Theorie der Abel'- schen Integralen » von Dr. C. Neumann. Palermo, 1892. 8°. Id. — Rappresentazione di una forma ternaria per combinazione lineare di due altre. Milano, 1891. 8°. Id. — Sul numero dei punti di diramazione di una singolarità qualunque di una curva piana algebrica. Milano, 1890. 8°. Id. — Zum Fundamentalsatz aus der Theorie der algebraischen Functionen. Leipzig, 1889. 8°. Bòttger 0. — Katalog der Reptilien-Sammlung im Museum der Senck. Na- turforsch, Gesellschaft, I Theil. Frankfurt, 1893. 8°. Carazzi D. — Revisione del genere Polydora Bosc e cenni su due specie che vivono sulle ostriche. Leipzig, 1893. 8°. Catalogo della Biblioteca della Società degli ingegneri ed architetti in Torino. Torino, 1893. 8°. Della Valle A. — Gammarini del Golfo di Napoli. Testo con atlante. Ber- lino, 1893. 4°. — 279 — Demel C.e Orlandi E.— Sulla equivalenza biologica dei prodotti del B Coli e del B Tiphi. Torino, 1893. 8°. Dutceynski A. v. — Der Insectenflug. Wien, 1393. 8°. Foà P. — Sui parassiti e sulla istologia patologica del cancro. Torino, 1893. 8°. Id. — Sulla iniezione del diplococco lanceolato. Torino, 1893. 8°. Ginzel FP. K. — Untersuchungen weber die Bahn des Olbers'schen Cometen. Berlin, 1893. 4°. Guccia G. B. — Ricerche sui sistemi lineari di curve algebriche piane do- tati di singolarità ordinaria. Palermo, 1893. 8°. Id. — Una definizione sintetica delle curve polari. Palermo, 1893. 8°. Hildebrandsson H. et Hagstròm K. L. — Des principales méthodes employées pour observer et mesurer les nuages. Upsala, 1893. 8°. Hoffmann Ch.— Catalogue of section one of the Museum of the Geol. Survey. Ottawa, 1893. 4°. Jugowite G. — Geologia della Serbia. Parte 1%. Belgrado, 1893. 4°. Meli R. — Resoconti della XI* adunanza generale estiva tenuta dalla So- cietà geologica italiana nel Vicentino dal 10 al 15 sett. 1892. Roma, 1893. 8°. Parona C. e Cattaneo G. — Note anatomiche e zoologiche sull'’Hetero- cephalus Rup. Genova, 1893. 8°. Pihl O. A. L. — On occulting micrometers and their value as applied to exact astronomical measurements. Christiania, 1893. 4°. Portis A. — Contribuzioni alla storia fisica del bacino di Roma e studî sopra l'estensione da darsi al pliocene superiore. Torino-Roma, 1893. 4°. Raddi A. — Un nuovo orologio centesimale con intero rapporto sessagesi- male del sig. E. Cusani di Spezia. Milano, 1893. 8°. Rosén P.-G. — Projet de mesure d'un arc du Meridien de 4° 20' au Spitz- berg. Stockholm, 1893. 8°. Salvioni E. — Ricerche sulle onde stazionarie. Perugia, 1893. 8°. Schlieben A. — Das Schwein in der Kulturgeschichte. Wiesbaden, s. a. 8°. IEIIE 10) H 166 | oi a, La ja N 19 si a H "PO. 90 Tot 7 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI n_____“<<=><—< 1. Più in generale risolvo la questione dello studio delle varietà a 3 dimen- sioni a curve sezioni (degli S,-, in S,) iperellittiche di genere p>I1 (8). A fine di nonimporre alla ricerca limiti non necessarî, ho dovuto premettere lo studio completo delle superficie a sezioni (piane o iperpianali) iperellitti- che, riguardo alle quali superficie è noto già un teorema del sig. Castelnuovo (Circolo Mat. di Palermo, 1890) relativo solamente a quelle di genere nu- (1) Cfr. Caporali, Sopra è sistemi lineari triplamente infimti di curve algebriche piane. (2) Cfr. Castelnuovo (1. c.). (3) La condizione p>1 sarà tacitamente supposta nel seguito del testo parlando di curve iperellittiche. Per completare i risultati quì ottenuti restano da considerare i casi particolari in cui p=1 o p=0. Ma il caso p= 1 presenta notevoli difficoltà non ancora superate (si pensi al dubbio circa la razionalità della varietà cubica di Ss). Nel caso in cui p=0 si perviene invece senza difficoltà a ridurre a tipi i sistemi lineari semplici di superficie le cui intersezioni variabili sono curve razionali. Accenno ai resultati. Una varietà di Sn a curve sezioni razionali si proietti da punti esterni in una V di Su. Una superficie sezione iperpianale della V è una quadrica, o una rigata non quadrica, o una superficie di Steiner del 4° ordine. Nel 1° caso la V è una quadrica, ed il sistema rappresentativo di essa su Ss (rap- presentandola con una proiezione) è quello delle quadriche per una conica. Nel 2° caso si vede analogamente al $ 3 di questa Nota che la V contiene un fascio razionale di piani (classe di varietà studiata dal sig. Segre nel lavoro: Sulle varietà nor- mali a 3 dimensioni composte di serie semplici razionali di piani. Accad. di Torino 1885); la V sì può rappresentare su S3 assumendo come immagini delle sezioni iperpianali un sistema di superficie d’un certo ordine 7 con retta base (2-1) pla e (forse) altri elementi base (cfr. Segre l. c.). Nel 3° caso la varietà V è del 4° ordine con retta tripla e tre piani doppi: essa con- tiene quindi una congruenza di rette sezioni dei piani per la retta tripla: ma una superficie di Steiner (sezione iperpianale di V) non può contenere una retta (semplice) senza ridursi ad un cono del 4° ordine, onde si deduce che la V è un cono le cui generatrici proiet- tano dal vertice i punti d’una superficie di Steiner: un tal cono è proiezione d’un cono del 4° ordine (normale) di S; le cui sezioni iperpianali sono superficie di Veronese (stu- diate dai sigg. Veronese e Segre): siffatti coni di Ss non hanno invarianti assoluti, essi possono dunque tutti rappresentarsi col sistema delle quadriche di Ss tangenti in un punto ad un piano fisso (ciò che può vedersi anche direttamente). Così si può dimostrare il teorema : mano 9) 3 merico 0 (che riescono razionali). Così ho stabilito, e ciò mi sembra anche per sè stesso non privo d'interesse, che ogni superficie a sezioni iperellit- tiche di genere p (>1) 0 contiene un fascio di coniche (ed è razionale), o è una rigata del genere p ($S 2). Basandomi su questo resultato riesco ad estenderlo alle varietà di 3 dimensioni (e si potrebbe fare lo stesso per quelle di 7 >3 dimensioni) a curve sezioni iperellittiche, dimostrando che esse contengono un fascio di quadriche (e son razionali) oppure un fascio (serie semplice 2?) di piani. Dalla rappresentazione che si ottiene nel 1° caso di quelle varietà su Sz (nel 2° esse sono irrazionali) desumo che ogni sistema lineare semplice di superficie le cui intersezioni variabili sono curve iperellittiche può con una trasformazione birazionale dello spazio trasformarsi in un sistema di superficie d’un certo ordine n, con una retta base (n—2) pla, una curva base semplice incontrata in due punti variabili dai piani per la retta, e (forse) altri elementi base. « 2. Si abbia in S3 dove può supporsi proiettata (da punti esterni) una superficie F a sezioni piane iperellittiche di genere p(>1). In primo luogo si osservi che se la F è razionale, sul piano rappresentativo di essa, il si- stema delle immagini delle sue sezioni piane ha come aggiunto puro (cfr. Castelnuovo « Accad. di Torino — Memorie 1891 — cap. II ») un sistema o0P-! di curve spezzate ciascuna inp—1 d’un fascio, ed alle curve del fascio corrispondono coniche sopra la F, dimodochè i punti coniugati d'un punto generico O della F sulle sezioni piane per O appartengono alla conica del detto fascio che passa per O. « Ora si supponga (se è possibile) che i coniugati d'un punto O della F sulle sezioni piane per O non stieno tutti sopra una medesima linea ma descrivano tutta la superficie; dico che se ne trae come conseguenza che la F è razionale ciò che per l'osservazione precedente dimostra l'assurdità della fatta ipotesi. « Invero nella detta ipotesi (supposta possibile) ogni punto A della F è coniugato del punto O sopra un certo numero finito 72 di sezioni piane Ogni sistema lineare semplice di superficie segantesi due a due secondo curve ra- zionali può trasformarsi birazionalmente in uno dei seguenti: 1°) sistema delle quadriche per una conica; 2°) sistema di quadriche tangenti in un punto ad un piano; 3°) sistema di superficie d’ordine n con retta base (n—1)pla e (forse) altri ele- menti base (v. Segre 1. c.). Si può anche dimostrare che è semplice un sistema di superficie determinato dal gruppo base le cui intersezioni sono curve razionali, se ha la dimensione => 3: questo è un corollario di un teorema più generale concernente la normalità del sistema di curve che le superficie d’un sistema determinato dal gruppo base segano sopra una superficie gene- rica di esso. — 284 — per O, ed invece sopra ogni piano per O vi è vr punto coniugato di O sulla curva sezione, dimodochè ad ogni piano per O corrisponde così un punto della F, e ad un punto della F un gruppo di 7 piani per O: per tal modo i punti della F vengono ad essere riferiti biunivocamente ai gruppi di una involu- zione (di grado m) nella stella di piani col centro O (forma di 2* specie); tanto basta per concludere, in base ad un recentissimo teorema del sig. Ca- stelnuovo (!), che la F è una superficie razionale come appunto avevamo enunciato. E siccome abbiam visto che questo fatto contraddice all'ipotesi da cui siamo partiti, si deduce che i punti coniugati del punto O sulle se- zioni piane della F per esso descrivono necessariamente una curva. Un punto A di questa curva è coniugato del punto O sopra tutte le sezioni piane della F per OA, quindi la curva stessa è segata in un sol punto variabile dai piani per O ed è perciò una curva piana C d'un certo ordine 7 col punto O (n—1) plo. « Ad ogni punto O della F corrisponde una siffatta curva C e sussiste la proprietà fondamentale che se la curva C corrispondente ad un punto O passa per un punto 0', la curva 0" corrispondente ad 0" passa per 0. Da questa proprietà si deduce facilmente che deve essere n=1 0 =2: in- fatti se 7 >2 la curva piana C avrebbe almeno un punto doppio in O, e quindi il piano della C sarebbe tangente in O alla F; per la nominata pro- prietà dovrebbero allora passare per O tutti i piani tangenti alla F néi punti della C, il che è assurdo giacchè la C non può essere spezzata in rette per O. Ciò posto si debbono distinguere due casi secondochè l'ordine della curva C corrispondente ad un punto generico O della F vale n1=10n=2. « 1° caso. n= 1. La curva C corrispondente ad un punto O è una retta; ogni punto 0' della C ha come corrispondente una retta C' per 0, ed essendo O un punto generico della F (che non è dunque un cono col vertice in 0) tutti i punti O0' hanno come corrispondente una stessa retta C' per O, onde la F è una rigata iperellittica (di genere p) e su di essa le rette C,C' sono coniugate. «2° caso.n= 2. Ogni punto O appartiene alla corrispondente conica C: dico che tutti i punti d'una conica C danno come corrispondente la conica stessa di guisa che le coniche C formano un fascio (e quindi la superficie F è razionale). Suppongasi invero il contrario, cioè per ogni punto O' d'una conica C (corrispondente al punto 0) passi una conica C' che corrisponde al punto stesso 0° (nel senso indicato), diversa dalla C: tutte le co ! coniche analoghe alla C' (formanti un sistema razzonale) debbono passare per il punto O, e poichè esse non giacciono due a due in uno stesso piano, due siffatte coniche avranno comune un sol punto variabile al più; ma sia che le dette coniche formino un fascio, sia che s'incontrino due a due in v2 punto variabile (nel qual caso pel punto generico (1) Sulla razionalità delle involuzioni piane. Rend. Accad. dei Lincei, 1893. — 285 — delia F passa un certo numero v >1 di dette coniche), la superficie F deve essere razionale; nel 1° caso per un teorema del sig. Noether ('), nel 2° perchè i suoi punti vengono riferiti ai gruppi d'una involuzione c0 ® di grado v sopra un sostegno razionale (la co! delle coniche); la razionalità della F è invece in contraddizione coll’ipotesi che le coniche C non compongano un fascio, per un'osservazione fatta in principio. Per evitare la contraddizione dobbiamo dunque ammettere che effettivamente le coniche C formino un fascio. « Le conclusioni a cui siamo pervenuti riguardo alla superficie F si applicano in modo immutato ad una superficie a sezioni iperpianali iperel- littiche in S, (r>2), di cui la F sia proiezione da punti esterni; risulta così stabilito il teorema: _« Una superficie le cui sezioni (piane 0 iperpianali) sono curve iperel- littiche di genere p>l è 1°) 0 una rigata iperellittica di genere p, 2°) o una superficie razionale contenente un fascio di coniche. «3. Nello studio delle varietà a 3 dimensioni di S, le cui sezioni cogli S,-» sono curve iperellittiche possiamo supporre senza introdurre alcuna restrizione che sia y=4, giacchè se 7 >4 si potrà proiettare la varietà (da punti esterni) in S,. Riferiamoci dunque alle varietà V di S, le cui sezioni piane sono curve iperellittiche. « Le superficie intersezioni della V cogli iperpiani (S3) di S,j avendo le sezioni piane iperellittiche, sono rigate o contengono un fascio razionale di coniche. « 1° caso. Ogni sezione iperpianale della V contiene 00! rette, ed ogni retta è comune ad 00° iperpiani e quindi alle loro sezioni, sicchè sulla V si hanno co? rette: per un punto della V passa un cono di (00!) rette se- gato in una retta da ogni iperpiano per il punto, quindi per ogni punto della V passa u piano appartenente alla V: la varietà V contiene dunque un fascio di piani, ed il fascio (come una sezione piana di genere p) è iperellittico di genere p. In questo caso è certo impossibile rappresentare la varietà V punto per punto su S3; in altre parole la V non è razionale. «2° caso. Si considerino due punti 0,0" coniugati sulla curva iperel- littica sezione della V con un piano generico 77, e per i detti punti O, O' si conduca un altro qualunque piano 7: l’iperpiano determinato da 7,7, sega la V secondo una superficie a sezioni iperellittiche contenente un fascio di coniche, sulla quale i punti 00' appartengono ad una stessa conica del fascio; dunque i punti O O' coniugati sopra una sezione piana generica della V, sono in conseguenza coniugati sopra ogni altra sezione piana della V pas- sante per essi e possono dirsi (brevemente) coniugati sulla V. Vi sono per (1) Veber Flichen welche Schaaren rationaler Curven besitzen. (Mathem. Ann. Bd. II) — 286 — un punto O della V 004 piani e su ciascuno di essi vi è un coniugato O' di O; d'altra parte due punti coniugati 0,0" appartengono ad co? piani, quindi il luogo dei punti 0' coniugati ad un punto fisso O sulla V è una superficie: un iperpiano per O sega questa superficie secondo la conica luogo dei coniugati di O sulla sezione iperpianale, dunque la superficie stessa è una quadrica. Così si vede come alla V appartengano cv? quadriche (almeno) ciascuna corrispondente ad un punto (luogo dei coniugati di esso). Dico che ciascun punto di una di tali quadriche ha come corrispondente la quadrica stessa e però le dette quadriche formano un fascio. Invero si consideri un punto O' sulla quadrica corrispondente al punto O: allora la quadrica stessa può generarsi come luogo delle coniche corrispondenti ad O sulle sezioni iper- pianali d'un fascio per 00'; ma tali coniche (luogo dei coniugati di O sulle dette sezioni iperpianali) corrispondono anche (nel senso indicato) al punto 0', onde colla medesima generazione si ottiene sulla V la quadrica corrispon- dente ad O", la quale coincide dunque con quella corrispondente ad O come appunto dovevasi dimostrare. Rimane così stabilito che se la V a sezioni piane iperellittiche ha per sezioni iperpianali superficie razionali (caso che stiamo trattando), essa contiene un fascio di quadriche, ciascuna luogo di 004 coppie di punti coniugati sulla V; il fascio di quadriche così costruito sulla V è razionale come l’ involuzione g'» che esso determina sopra una sezione piana. « Ora, se accade che l’iperpiano contenente una quadrica del fascio sulla V contenga altre quadriche del fascio stesso, possiamo trasformare la V in un'altra varietà W contenente pure un fascio di quadriche di cui due non stieno in uno stesso iperpiano ed in modo che le quadriche del fascio sulla W e quelle sulla V si corrispondono una ad una proiettiva- mente. Infatti basta per ciò riferire proiettivamente gli elementi (quadriche) del fascio sulla V agli iperpiani per un piano 7 in S4, e proiettare ciascuna quadrica sul corrispondente iperpiano da un punto O fuori di 77; il luogo dei punti ottenuti è la varietà W riferita biunivocamente alla V nell’anzi- detto modo. « Ciò posto una sezione iperpianale della W contiene un fascio razio- nale di coniche e però possiede (secondo Noether) delle curve direttrici K seganti in un punto ciascuna conica: vi sono dunque sulla varietà W delle curve K seganti in un sol punto ogni quadrica del fascio che essa possiede. Allora preso in S, un S3 si può rappresentare la W punto per punto su Sz proiettanto i punti di ciascuna quadrica del fascio dal punto intersezione di essa colla curva K. Si ottiene in conseguenza la rappresentazione birazionale della V su S3, ed anche in questa rappresentazione (come in quella della W) le quadriche del fascio appartenente alla varietà vengono rappresentate sui piani d'un fascio, e ciascuna ha come immagini delle sezioni piane sul piano corrispondente, le coniche d’un sistema 00 con due punti base. — 287 — « Siamo così pervenuti al teorema: « Una varietà a 3 dimensioni a curve sezioni (degli S;-> în S;) ipe- rellittiche di genere p (>1) è « 1° 0 una co! semplice di piani (fascio), del genere p; «2° 0 una varietà razionale contenente un fascio di quadriche. « 4. Un sistema lineare di superficie nello spazio S3 in cui il passaggio d'una superficie per un punto non trae di conseguenza il passaggio di essa per altri punti variabili con esso (cioè un sistema semplice), si può consi- derare come il sistema delle immagini delle sezioni iperpianali d'una varietà a 3 dimensioni riferita punto per punto allo spazio S3. Una varietà razionale a curve sezioni iperellittiche appartiene necessariamente al 2° dei tipi con- siderati e quindi può riferirsi ad Sz in modo che alle sue quadriche corri- spondano i piani d'un fascio ed ogni quadrica sia rappresentata sul corrispon- dente piano dal sistema delle coniche con due punti base: in conseguenza il sistema rappresentativo delle sezioni iperpianali della varietà sega ciascun piano del nominato fascio secondo il detto sistema di coniche con due punti base, e ad un siffatto sistema può ricondursi con una trasformazione bira- zionale dello spazio ogni altro sistema rappresentativo della varietà. « Così si deduce che: « Un sistema lineare semplice di superficie che ha come intersezioni variabili curve iperellittiche (di genere p>1) può trasformarsi con una trasformazione cremoniana dello spazio in un sistema lineare di super- ficie d'un certo ordine n con una retta base (n—-2)pla, una curva base semplice segante in due punti variabili i piani per la retta, e (forse) altri elementi base. « È chiaro che viceversa in un tal sistema di superficie le intersezioni variabili sono curve iperellittiche ». Geodesia. — Sulla determinazione dei raggi di curvatura di una superficie per mezzo di misure locali sopra di essa. Nota di Vincenzo REINA, presentata dal Socio BELTRAMI. « 1. Christoffel ha dimostrato in una notissima Memoria ('), che se la superficie di un corpo di dimensioni finite è dappertutto convessa, ha la cur- vatura variabile in modo continuo ed i raggi principali di curvatura finiti (fatta eccezione tutt'al più per punti isolati), essa riesce determinata nello spazio, a meno di una traslazione, e con quella approssimazione che si vuole, quando, insieme alle coordinate sferiche dello zemwzi vero di un nu- (1) Veber die Bestimmung der Gestalt einer krummen Oberfiiche durch locale Messungen auf derselben. Crelle’s Journal, Bd. 64. — 288 — mero sufficiente de'suoi punti, sia determinata la somma dei raggi princi- pali di curvatura nei punti stessi. « Per zenit vero di un punto P della superficie qui s'intende il punto della sfera celeste (di raggio infinitamente grande) in cui questa è interse- cata dalla normale in P alla superficie, eretta sulla sua faccia accessibile. « Nel penultimo paragrafo della sua Memoria, Christoffel perviene alle espressioni delle coordinate ., y, < dei punti della superficie, e cioè ad inte- grali definiti contenenti linearmente la somma R,+R, dei due raggi prin- cipali di curvatura, considerata come funzione delle coordinate sferiche dello zenit vero. Ma quanto alla possibilità di poter praticamente determinare questa funzione, egli si esprime in questi termini: « Die Grundlage zur wirklichen Ausfùhrung dieses Verfahren ist in dem « Satze zu suchen, dass ein stetig gekriummtes, hinlinglich kleines Stick jeder « beliebigen Oberfliche als einer Fliche zweiten Grades angehòrig betrachtet « werden kann. Die letztere muss fiir jedes passend gewihlte Stick T der « zur Untersuchung vorgelegten Fliche durch Messungen von derselben Art « bestimmt werden, wie man sie bisher zur Bestimmung des ganzen « Erdsphàroids ausgefiihrt hat, und liefert dann firr die Punkte des genau- « esten Anschlusses an T das wahre Zenith und die Summe der beiden « Hauptkrimmungshalbmesser ». « Questo passo per il quale la determinazione di R,+-Rs» vien fatta dipendere da un procedimento puramente approssimato, mi indusse a ricer- care se non sia possibile dirigere le misure locali in modo da pervenire più rapidamente e più sicuramente ai valori di R, e di Rs. « Il risultato di queste ricerche è esposto nei paragrafi seguenti, nei quali è lecito rimuovere taluna delle ipotesi restrittive fatte da Christoffel, in particolare quella relativa al segno della curvatura. « Si supporrà soltanto che le coordinate x,y,z dei punti della super- ficie, considerate come dipendenti da due parametri, siano funzioni finite e continue colle loro derivate prime, seconde e terze, fatta eventualmente esclu- sione per punti isolati. « 2. Per un punto P della superficie si tracci una geodetica, e sia s l'arco di questa intercetto fra un suo punto fisso (origine degli archi) ed il punto P, «8y i coseni di direzione della tangente PT alla geodetica, diretta positivamente nel senso in cui cresce l'arco. Siano ancora XYZ i coseni di direzione della normale PN alla superficie, eretta positivamente sopra una determinata delle due faccie della superficie, ma che qui non importa pre- cisare, e &N6 i coseni di direzione della binormale PB, diretta positivamente in modo che le tre rette PT, PB, PN stiano fra loro come le direzioni po- sitive degli assi delle 4, delle y, delle 2. « Se si indicano con @ e © i raggi di flessione e di torsione della curva, presi col valore positivo o negativo a seconda che i centri di flessione e di — 289 — torsione cadono sulle direzioni positive o negative di PN e di PB, per le formole di Frenet si avrà: aan_(25)qg T Q 1) ar-—(P4 2) ni Q T di = (+4) (0) T « Si immagini ancora tracciata per P la geodetica nella direzione co- niugata di PT, e si indichino colle stesse lettere accentate gli analoghi ele- menti ad essa relativi. Se si pone ao + B8'4+ yy = c080, cioè si indica con w l'angolo fra le due direzioni coniugate, si avrà (!) T toem= —> ù Q e le 1) diverranno |a (a sen w + È cos w) ds 2) Q sen © DE EOS O NO OO N CIREO MORO RUDI TO RE CI URORIOR O TONO RDRRO « Ma per le fatte convenzioni si ha al + By +yî = sen® EE 4 + 50 = cos XE+ Yy 4 Zî = 0, e queste equazioni, risolute rispetto a &/î', danno E — asenm+ È cos w ne segue che le 2) si potranno ridurre alla forma monomia: 5) A Se i SO 8 o sen w Q sen w o sen © ds . « Insieme alla normale PN si consideri la normale alla superficie nel punto (s+ds) della geodetica s, si determini la minima distanza fra le due normali, e si indichi con 7 il segmento della PN intercetto fra il punto P e il piede di questa minima distanza, segmento che si intenderà preso collo stesso segno di o. « Si elimini w dalle 3) per mezzo della nota relazione (*) 4) PS OROIONE (1) Cfr. la mia Nota: Sulle linee coniugate di una superficie. Rendic. della R. Acc. dei Lincei, vol. VI, 1890. (2) Joachimstahl, Sur les normales infiniment voisines d'une surface courbe. Journ. de Math. pures et appl., t. XIII, 1848. RenpIcontI. 1893, Vol. II, 2° Sem. 40 290 — esse si ridurranno alla forma 5) AK ESor i ge e I ILA Vro Vre Vre nelle quali formole il radicale andrà preso negativamente o positivamente, secondo che 7 e @ sono positivi o negativi. « Se poi si pone Id dI r dY / dE = 7, == on = 2 0 i EIA ! dn 6 PIA cioè con dr’ si intende l'elemento lineare della superficie condotto per P normalmente alla curva s', nel senso positivo della binormale alla stessa curva s', le precedenti relazioni si potranno ancora porre sotto la forma più significativa 6) E OzI DI Lo OZ A ds Vro dn ds row ds Vre nelle quali si è introdotto il segno di derivata parziale per meglio espri- mere che le differenziazioni si riferiscono a direzioni diverse. « Queste formole, le quali possono considerarsi come una estensione di quelle di O. Rodrigues, per un’altra via, e sotto una forma meno semplice, furono già da me stabilite in altra Nota ('). «3. Da queste formole si vogliono trarre qui alcune conseguenze. « Sia de l'angolo fra due normali alla superficie condotte per gli estremi di un elemento ds della curva s, uvw i coseni di direzione della loro mi- nima distanza. « Si avrà YdlZ — ZdY ZdX — XdZ XdY — YdX wa: dr TE SIETE n e da queste, in virtù delle 5), si otterrà ut 4 + wi =0, la quale mostra che la minima distanza fra le due normali alla superficie, condotte per gli estremi di un elemento ds, ha una direzione coniugata @ quella di ds (?). « Se si eguagliano i secondi membri delle 1) e delle 5) si ottiene: Co GS € Pr Li mesa Q t Vro O U V/ro (1) Di alcune formole relative alla teoria delle superficie. Rendic. della R. Acc. dei Lincei, vol. VI, 1890. (2) Cfr. la mia Nota: Sulla teoria delle normali a una superficie. Rendic. della R. Acc. di Napoli, marzo 1890. — 291 — « Se queste si moltiplicano per @8y e si sommano, poi per È 776 e si sommano, avuto riguardo alle due relazioni Za — sen w DEL — (080, si ottiene l sen 1 COS @ @ Vre di Va e da queste si ricavano le altre due: sen w COSTO i VIGL 0 de cos @ sen 0 0. 06 « Si scrivano le formole: DIE I. ‘dg DI 1 dyYy »Y/ de 7 Cp=GFF= = a =Rer == T== = 7 ) ‘ds Vr'o! dn DS Vr'o dn ds Vr'o! dn che valgono per la direzione ds' coniugata di ds, e queste si moltiplichino membro a membro per le 6), sommando quindi i risultati. Si otterrà: XIX. IYIY O 93ZIZ I Sa AI RESINA Tor pie == ds ds ds ds ds dS Vro rd ma se R, R» sono i due raggi principali di curvatura della superficie, si ha (') Rio =r00= 708 e la precedente relazione condurrà quindi alla seguente nuova espressione della curvatura gaussiana. 1 1 De Di AV R, Rs — coso \ ds ds ds ds ds =) i « 4. Dalle 6) e 7) si ricava: 8) ARIE TI ds. Vre ds Vr e! quando a de si attribuisca il significato già detto, e con ds' si intenda ana- logamente l'angolo fra le due normali alla superficie condotte per gli estremi dell'elemento ds’. Se ai radicali si attribuisce il segno nel modo già dichia- rato, gli elementi angolari de ds' saranno da considerarsi negativi o positivi secondo che le coppie di normali che li determinano convergono verso la loro parte positiva, oppure verso la negativa. Moltiplicando membro a membro le due relazioni, si ottiene quest'altra espressione semplicissima della cur- vatura gaussiana: 9) 1 de dé RIEREMNTAs ds « Una espressione altrettanto semplice si può ottenere per la curvatura (1) Cfr. la mia Nota: Di alcune proprietà delle linee caratteristiche. Rendic. della R. Acc. dei Lincei. vol. V, 1889. MOOD (ar | RI ; 5 media ctr Le 8), avuto riguardo alla 4) ed alla relazione analoga: 1 2 '— o sen? @ o sl possono anche scrivere: de. .. Selo dé _—Senw GR gay era VARE ONE quindi sommando de de 1 1 dc lme(143) e da questa. per la nota relazione sì ricava RR: seno \ds ds' « Le 9) 10) conducono a questa notevole conseguenza che se è noto V’an- golo 0 fra due elementi coniugati ds ds' uscenti da P, e si determinano gli angoli ds de fra le coppie di normali alla superficie condotte per gli estremi di ds e di ds', si potranno determinare i raggi principali di cur- vatura della superficie, come radici dell'equazione Il IRAN0a ev de de no Dic dl Ros « Dato un elemento qualunque ds uscente da P, la direzione del suo coniugato si determina così: Si conduca per P la normale alla superficie e la parallela alla normale corrispondente al secondo estremo di ds. La per- pendicolare in P al piano di queste due rette segna la direzione di ds’. « Data una superficie qualunque si potrà quindi, per questa via, cioè mediante misure locali sopra di essa determinarne i raggi principali di cur- vatura. Ma prima di mostrare come questo procedimento sia praticamente applicabile alla determinazione della curvatura delle onde geoidiche, è bene indicare come i precedenti risultati, grazie alla loro semplicità, si possano in gran parte ottenere con considerazioni geometriche. « 5. Insieme alla superficie si consideri la sua rappresentazione sferica. Siano P e P' due punti infinitamente vicini della superficie (PP' = ds), p e p' le corrispondenti immagini sferiche (pp = de). «I piani tangenti in P e P' alla superficie si intersecano secondo una retta che definisce la direzione coniugata di PP' e che è perpendicolare alle due normali nei punti stessi P_e P'; dunque la minima distanza fra le due normali ha una direzione coniugata a quella di PP'. « I piani tangenti in p e p' alla sfera sono paralleli ai piani tangenti in P e P' alla superficie: l'intersezione dei primi, che è normale a pp' sarà quindi parallela alla direzione coniugata di PP'. Si potrà anche dire che l'elemento pp' della rappresentazione sferica ha una direzione normale alla 0. 0) — 293 — direzione coniugata di PP', epperò, ritenute le precedenti notazioni, si potrà scrivere : dX da dI ___. dy ALBI dana ide. 0s1G du' deo cda « Queste relazioni riproducono le 6), quando vi si ponga de E IS O Vro « Da quanto precede risulta che la rappresentazione sferica stabilisce una relazione di eguaglianza fra gli angoli formati dalle coppie di elementi coniugati della superficie, e quelli formati dalle coppie di elementi corrispon- denti della sfera. Si considerino allora sulla superficie due elementi coniugati PP,= ds, PP‘, = ds' comprendenti l'angolo © e per P, e P)' si immaginino tracciati i due elementi coniugati a P, P_e P,'P rispettivamente. Si otterrà un parallelogrammo infinitesimo avente per area ds ds' sen w. « Ad esso corrisponderà sulla sfera uu altro parallelogrammo infinitesimo i cui lati adiacenti de e de racchiuderanno lo stesso angolo «, e la cui area sarà quindi misurata da de de’ sen @. « Il teorema di Gauss darà pertanto VI de cl « Condotte le due normali alla superficie in P e P,, si tiri dal punto O, in cui la loro minima distanza incontra la prima, una parallela alla seconda ad incontrare la superficie in Q, e si coniuga Q con P e con P,. Nel triangoletto PP,Q rettangolo in @ sì avrà Pb —@ PQ="rds = dssen ®, quindi, astrazion fatta dal segno, de __ sen SSN (7 « L'analoga costruzione ripetuta per l'elemento ds' dà de sen CRT e dalla combinazione di queste due relazioni si riot- tiene la 10). « 6. Mostriamo ora come ed in quali condizioni la 11) possa praticamente applicarsi alla determina- zione della curvatura delle orde geozdiche. Fie 1. « Si misuri la distanza geodetica s fra due punti P e P, del geoide, e per mezzo di osservazioni astronomiche si determini la diffe- b) — 294 — renza di latitudine gp, — ge la differenza di longitudine 0@,—@ fra i punti stessi. Circoscritta al punto P una sfera di raggio unitario, si effettui su questa, dal centro, la proiezione della sfera celeste, poi di questa immagine si faccia la proiezione stereografica sul piano dell'orizzonte in P, per modo che lo zenit Z del punto P venga rappresentato dallo stesso punto P. Siano ancora N,Z,, le proiezioni del polo Nord, dello zenit di P, e del punto in cui il pa- rallelo di Z, incontra il meridiano di P (rappresentato dalla retta NP). Si avrà si TT IT e dal triangolo sferico QNZ,, attesa la piccolezza della differenza 6-0 fra le longitudini dei due punti, fra cui le misure geodetiche in questione potranno effettuarsi, sl ricaverà QZi = (0, — 6) cos gp . « L'angolo fra le due normali in P e P,, rappresentato in proiezione da PZ,, sarà quindi misurato da 19) a Gp « Quando con osservazioni astro- nomiche si sia determinata la direzione del meridiano di P, sarà rispetto ad esso definito anche l’azimut del piano verticale PZZ,, ossia della retta PZ,, -P, perchè supponendo contata la latitudine si positivamente verso il nord, la longitu- dine positivamente verso l'est, ed indi- cando tale azimut, misurato a partire dalla direzione nord del meridiano, nel senso nord-est-sud-ovest, con @,, sl avrà si d,— 6 Li « La direzione coniugata di PP, incontra la sfera celeste nel polo del cerchio massimo determinato dai punti ZZ,: essa si otterrà quindi conducendo per P, nel piano dell'orizzonte, la retta perpendicolare a PZ,, ossia definita dall’azimut COS P, - Fis. 2. CE 7 i « Si assuma in questa direzione, ed alla distanza s, da P un altro — 295 — punto P., e si determinino analogamente le differenze di latitudine e di longi- tudine pp—g e 0,—0. L'angolo fra le normali in P e P. al geoide sarà 13) Ae, = 1 (ge = )} a (6, = 0)? COSÌ Ya , e l'azimut , del piano PZZ; sarà dato dall’equazione 6: tg a, = —— cos Pa. Poe y « Ne segue che l'angolo fra le due direzioni coniugate sarà 14) = EU c «I valori 12) 13) 14), introdotti nell'equazione Lario i sl uf n 15) = 0, R° | seno\s, SCR SISSI permetteranno di determinare i due raggi principali di curvatura nel punto P. « Se, come si usa in geodesia, le differenze pr—g, 0:—9... si suppongono espresse in secondi d'arco, l’ultima equazione andrà scritta sotto la forma: Le mau R° seno \ sì sì / & ST Sa « Tutte le precedenti relazioni valgono nell'ipotesi di una superficie ana- litica, per la quale siano verificate le condizioni enunciate nel $ 1, la quale quindi abbia la curvatura variabile con continuità. Ora H. Bruns ha dimo- strato (!) che il geoide nel suo percorso attraverso alla crosta terrestre non è dappertutto rappresentabile mediante un'unica espressione analitica; esso è da considerarsi piuttosto come risultante dalla connessione di pezzi di super- ficie analitiche diverse, corrispondentemente ai diversi strati materiali da essi attraversati. La connessione ha luogo in modo che, nelle regioni di trapasso dall'un pezzo all'altro, non si producono nè spigoli nè vertici, ma ivi subi- scono però delle discontinuità la curvatura delle sezioni normali, la curvatura media, la curvatura gaussiana, e gli azimut delle linee di curvatura. « Questo fatto trae seco una notevole limitazione nella applicabilità della 15), allo scopo di determinare le dimensioni delle onde geoidiche. Essa si potrà però usare nelle grandi pianure, dove la uniformità di costituzione del terreno dia sicuro affidamento, che la superficie geoidica non soffra troppo rapide variazioni nella sua curvatura ». Fisica. — Ulteriori ricerche sui processi di deformazione (*). Nota del dott. M. CANTONE, presentata dal Socio BLASERNA. « I fisici che si sono occupati delle proprietà elastiche hanno sperimen- tato in condizioni assai differenti. Alcuni hanno usato quelle cautele che si richiedono per discostarsi il meno possibile dalla teoria; altri, visto come fosse (1) Veber cinen Sata der Potentialtheorie. Crelle's Journ, Bd. 81, 1876; Die Figur der Erde. Publication des kònigl. preuss. geodat. Institutes, 1878. (2) Lavoro eseguito nel laboratorio di Fisica della R. Università di Palermo. — 296 — difficile di compiere misure di piccole deformazioni e di evitare gli effetti per- manenti, tenendo conto altresì della circostanza che un corpo deformato permanentemente acquista una mag- giore elasticità e si comporta in modo più regolare, sono stati di av- viso che convenisse operare entro li- miti piuttosto estesi dopo avere as- soggettato il corpo sin da principio ad uno sforzo abbastanza elevato. « Questo vario modo di proce- dere non può portare a risultati con- cordanti, ed a persuadercene meglio sarà opportuno esaminare i partico- lari dell'ultimo processo col metodo esposto in altra Nota (!) per vedere come si comporti un corpo a partire da uno stato di deformazione per- manente. « Anche qui mi devo limitare, volendo riprodurre un diagramma in piccole proporzioni, a rappresen- tare i risultati avuti con una la- stra ricotta (?). O, 22 Marzo TABELLA I. iP s | E | s E s E s E 8 E | 8 | E s | E s E 0 6.04 6.03 6.03 6.04 6.04 6.04 | 6.04 9690 9580 9650 9610 9690 9610 9690 1 8.52 8.54 8.02 8.5 8.52 8.54 8.52 9580 I 9560 | 9620 9540 9580 | 9510 9580 3|V 13.56 13.59 \V13.54 13.60 13,56 113.62 13.56 9770) 9760 9730 5| 18.48 18.52 18.48 9800 9820 9750 9800 9950 10110 9950 6| 20.90 20,90 20.90 g 20.90 21.02 20.92 "10270 10190 10100 7 23.24 23.28 10230 10180 10090 10440 10260 8 25.62 25.62 25.62 CA o 10580 104. 9 27.94 MOGLI 27.96 | 10620 10900 10710 10 0.22 30.22 30.22 | 10740 11 | 10830 12 94 .68 Ei 9725 9722] 9718 9841 9837 9977 9973 | Il E, 9720 9839 9975 J (1) V. Rend. Acc. dei Lincei. Vol. II, 2° sem., p. 246, 1893. (2) Questa lastra per il lavorìo avanti subìto presenta nei passaggi da zero a P, riguardo alle variazioni del modulo, il comportamento dell’ottone crudo (V. Nota prec.). E, s E Ss E s E s E s E s E | s E G E | 0)A 6.04 | 6.04 4 6.05 6.05 7 | .07 46.15 | 6.1 | 9540 | 9690 | 9500 9730 | 9350 9730 | 9140 | 9730 1|| 8.56 |} 8.52 8.58 8.52 8.64 8.54 8.72 8.6 | 9450 | 9530 | 0480 || 9770 | 9390 9770 9320 | 9770 3||13.66 (Y13.56 13.70 13.58 13.78 13.60 113.90 V13.68 9750 | 9780 9730 9800 9650 9830 9600 9830 6| 21.06 | 20.94 21.12 20.94 21.26 20.94 21.42 21.02 10410 10370 10360 10360 10300 10320 10250 10340! 10| 30.32 | 80.23 30.42 3024 30.62 30.28 30.82 30.34 10940 10790 LL] 32.52 32.46 10930 1070 11180 | 10830 12| 34.68 34.68 34.82 11110 10890 11090 | 10860 10980 11180 10980 13 | 36.88 36.98 | 10910 11430 11010 14 39.08 39.08 39.08 39.28 39.15 39.50 39.20 | 11180 500 11070 15 41.24 1.38 | 41,3 11620 11080 10990 11740! 11410 16 43.44 43.44 | 43.42 43.56 10740 12030 11460) 17 45.66 | LUO IO 45.66 IE 10117 10109 10248 10262 10373 10380 10423 10423! Ee 10118 10255 10376 10423 « Per i cicli ora studiati, sieno pure di piccola ampiezza, non mancano i fenomeni d'isteresi, e le variazioni del modulo seguono leggi analoghe a quelle dedotte con lastre cimentate a partire dallo stato non deformato. Ma l'andamento generale del fenomeno è ora mutato per il fatto che i cappii di una serie invece di trovarsi a diverse altezze, stanno tutti racchiusi sensibil- mente in quello del ciclo di massima estensione, ed hanno in comune, per ampiezze non molto grandi, il punto d' incontro coll’asse delle saette. Quest'ul- timo particolare, avvalorato dalle tabelle per la notevole coincidenza che pre- sentano i valori di s relativi al carico cero in ciascuna serie, era stato già messo in rilievo dal Wiedemann ('); però non risulta, secondo è in generale ritenuto, che la legge di deformazione del corpo sia per questi cicli di sem- plici proporzionalità alle forze agenti, o come vorrebbe il Tresca (?), che il limite di elasticità possa coll’uso ridursi quasi al carico di rottura; giacchè se il diagramma di ciascuna serie dà per i rami relativi alle forze crescenti archi quasi coincidenti con porzioni della curva più bassa nel ciclo di mas- sima ampiezza, e quindi nel senso da — 3.50 — 5l4= 5-49 | 9370 | 9270 | 2290 0.06] - 0.04 oll 0.26 9380 | 9380 9300 3.48 3.38 5|| 6.00 9790 952 9770 7.94 7.86 9| 10.37 agS0 9790 9550 10.10 10.04 13| 14.67 9960 9860 10170 12.25 12.21 15| 16.77 10250 10060 10510 13,29 13.27 16| 17.79 9740 14.37 17 9450 16.63 18 9240 17.79 9600 9565 9543 9582 9578 Il E |P | s E | s E —20 | —23.67 —23.67 6950 10810 —19 | —22.13 — 22.68 10550 7600 10220 —17 | —19.32 — 20.59 10090 8010 10040 —15 | —16.71 —18.46 9.30 8670 9800 —10 | —10.55 —13.01 9440 8830 9400 — 5 450 207193 9220 | 8961) 9070 0 1.46 —- 1.44 9190 9240 I 8950 5 7.24 4.53 9390 9680 9040 10 12.76 10.44 9300 10020 8800 15 | 18.09 16.51 8770 10240 8330 | 17| 20.18 19.08 | 8510 10470 7860 19 22.22 21.80 7470 10710 7650 20 | 23.22 23.20 7280 9410 0184 9166 9402 9175 9407 9168 (1) I risultati dell'ultimo rigo si riferiscono ad esperienze fatte il giorno 8 aprile, nelle stesse condizioni in cui furono compiute quelle del 6 aprile. 300 — O, 21 Marzo TABELLA III. P s E s E s P s E s E |P s E s —10| -24.68 —24.68 9760 —8| —19.80 —19.80 — 9| -22.20 -223 9920 10440 10410 =g —14.92 -14.92 —71| -17.38 -17.5 -— 8| -19.83 —20.04 9630 10280 9770 10190 9710 ST —12.42 —12.58 —6| -14.92 —15.1 — 6| —14.88 —15.32 9790 9870 9630 9870 9710 AA — 9.96 —10.14 —4|,- 9.92 —10.26 i dl,j- 9.92 —10.42 Ì 9580 | 9630 I 540 | 9480 Î 9460) | oll — 0,10 - 0.13 oll 0.18 — 0.20 oll 0.6 — 0.28 9540 | 9520 | 9510 520 | 2370 9460 4| (10.10 10.22 10.10 4|| 10.30 10.08 4|| 10.44 v 10.04 9710 9870 9710 9780 9630 9790 5|V 12.58 12.66 12.58 6| 15.22 15.08 6| 15.36 15.06 10030 9700 10020 9850 10100 6| 15.06 15.06 15.06 7| 17.62 17.52 8| 2012 19.96 9850 10350 9840 10390 7 17.50 8| 19.94 19.96 9| 22.44 29,34 9840 10450 10430 8 19.94 9 22.32 10] 24.76 24.76 9920 10 Qu lg 27.12 12 29,52 ; 9643 9675 9695 9671 9765 E 9659 9683 19 8 E s E 19 s | E S E P s E 55 | —14| —35.24 — 35.24 - 16) — 42.54 — 4254 8400 11120 6470 _—J2| —29.66 — 29.66 13] —32.38 — 33.08 —15)| — 38.80 — 4046 9390 10730 8880 10780 7020 Ri RS 7Z10)| MAIS REtorize 12] — 29.66 — 30.84 —14| — 35.36 — 38.28 9940 10550 9210 10450 7740 l10| —24.68 —25.14 —10| —924.44 — 26.24 —12| — 29.14 LegaA 9820 10330 9480 10240 8560 YI [090 — 20,42 — 8| —19.84 — 21.52 — 8|— 17.88 — 24.34 9620 9940 9350 9880 8870 Monia NESSIONE — 10.78 I 4, — 9.06 —11.78 Sil — 14.56 9370 | 9430 9190 9870 | 89C0 0 0.72 — 0.56 0 1.42 — 1.50 0 3.78 — 414 9430 | 9260 9390 | 9110 9280 4 | 10.54 9.84 4|| 11.68 9,08 4|| 14.16 6.86 9900 9580 9900 9270 9820 8} 204 19.88 8| 21.40 19.46 8| 23.96 17.92 10460 9900 10410 9470 10670 10| 25.08 24.76 10] 26.0 24.56 12) 33.00 29.02 10840 10110 10830 9580 11250 ll) 2732 27.14 12| 304 29.58 14| 37.28 34.96 10820 10100 11080 9430 11390 12) 2952 29,52 13) 32.66 32.14 15] 39.40 38.10 9580 11430 9060 11850 13 32.04 14| 3476 34.79 16] 41.44 4160 8830 7910 14 34.76 15 37.84 | 6720 | lt 41.44 9785 9783 9678 9656 9348 9784 9667 2 o) Ò D>_o 9262 9305 « Cominciamo dal notare che i cicli si chiudono, che per le forze estreme di ciascuna alternazione sì hanno saette da una parte e dall'altra sensibil- mente della stessa grandezza, e che gli spostamenti dalla posizione primitiva — 301 — per la forza cero sono all'incirca uguali fra loro in ogni ciclo. Ai medesimi risultati era pervenuto il Wiedemann (°) nelle ricerche sulla torsione, osser- vando soltanto le escursioni massime e le deformazioni permanenti che vi corrispondevano; però, non avendo egli studiato tutte le particolarità del ciclo, è stato indotto ad ammettere che azioni in senso opposto ad altre eser- citate prima sul corpo provochino una certa instabilità delle particelle, mentre dal nostro esame si vede che passando dalle forze positive alle negative, o viceversa, si ha una continuazione regolare del processo compiutosi venendo dal carico massimo positivo o negativo sino a zero. « È notevole che i valori assoluti delle saette relative alla seconda metà di ciascun ciclo accennano alla riproduzione di quelli corrispondenti alla prima metà, come avviene per il magnetismo. Le piccole divergenze da questa legge pare sieno dovute in parte ad un fenomeno di accomodazione, ed in parte alla disposizione sperimentale da me adottata. Ho potuto infatti rilevare, e ciò si vedrà meglio in altra Nota, che i due rami della curva d'’isteresi nei diagrammi ottenuti per i cicli bilaterali tendono a divenire simmetrici dopo che si sono compiute diverse alternazioni fra i medesimi limiti di forza; e d'altro canto è probabile che il modo d'agire dei carichi negativi debba re- care qualche complicazione. Ad avvalorare tale congettura, osserverò che l’espe- rienza relativa ai cicli bilaterali per la torsione del nichel (*) forniscono risultati nei quali si riscontra un migliore accordo per i valori assoluti delle rotazioni che si riferiscono alle due metà di ciascun ciclo; e poichè in questo caso le forze si esercitano in modo simmetrico nei due sensi, vi è ragione di credere che l'apparecchio usato per la flessione può avere una influenza, sebbene sempre piccola, sul comportamento delle lastre nei cicli bilaterali. « Riguardo alla legge di variazione del modulo si hanno risultati che dipendono dalla estensione del ciclo. Infatti per forze estreme P, di piccolo valore assoluto, si trovano moduli decrescenti da = P, a cero e crescenti da sero a = P,, in guisa da prodursi in ogni ramo della curva rappresentatrice del cielo un punto d'inflessione per P= 0; aumentando il valore P, si al- tera poco a poco la natura della curva per l'aggiunta di altri flessi, finchè colle ampiezze più grandi questi spariscono, avendosi allora una diminuzione continua del modulo tanto nella prima che nella seconda metà del ciclo. In rapporto con questi fatti pare stia l’altro, che l'elasticità media nei suc- cessivi cicli in principio cresce e poi diminuisce. « Sarà bene osservare che riguardo ai particolari pocanzi considerati, il corpo non segue le stesse leggi che valgono nei cicli bilaterali magnetici, attesa la circostanza che i flessi compariscono nelle curve dell’ Eming quando (1) V. loc. cit., p. 494. (2) L’apparecchio usato per queste esperienze è analogo a quello del Wiedemann (vedi loc. cit., p. 487). — MA si compiono cicli di grande estensione, ma si deve notare che mentre nel magnetismo la curva dell'intensità si eleva in modo più accentuato quando i valori del campo sono piccoli, per un corpo che si deforma, la cedevolezza cresce invece coll'aumentare della forza agente, onde l'analogia sotto questo punto di vista reggerebbe ancora. « Si comprende, tenendo conto dei fenomeni d'’isteresi relativi ai cicli bilaterali, che la ricerca del modulo di elasticità col metodo dinamico non può condurre ai medesimi valori forniti dal metodo statico, a meno che nei due casi non si producano deformazioni piccolissime, le quali d'altra parte sì prestano poco per misure esatte. Le oscillazioni di grande ampiezza ser- virebbero meglio allo scopo, ma esse tendono a darci i valori medî del mo- dulo per i successivi cieli bilaterali che compie il corpo oscillando, colle incertezze dovute all'applicazione di una teoria che non risponde esattamente all'esperienza. « Dirò infine che dall'esame dei cicli unilaterali e bilaterali apparisce meno marcata l'influenza del processo di deformazione nel metallo crudo; ma è no- tevole che la cedevolezza delle lastre per piccole forze a partire dallo stazo non deformato non si altera quando la sostanza venga ricotta, come ho po- tuto rilevare dal confronto dei risultati che sì riferiscono alla medesima lastra cimentata prima e dopo il ricuocimento ». Chimica. — Sulla costituzione della dician-fenilidrazina e dei composti triazolici di J. A. Bladin. Nota di AMmERICO ANDREOGCI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. « Il prof. Eug. Bamberger e Paul de Gruyter publicano nel fascicolo 15°, dei Berl. Ber. del mese scorso, pag. 2885, una Memoria: Sulla costituzione delle cianfenilidrazine e dei derivati triazolici, che da queste si ottengono. li autori ritengono giusta l' interpretazione da me data alla sintesi del fenil- metil-pirrodiazolone (1-3-5) DI CH'—C——T NH che preparai per azione della fenilidrazina sull’acetil-uretano (!); e conse- guentemente la struttura del pirrodiazolo o triazolo (2) e dei suoi derivati. (1) Questi Rendiconti. Vol. V, 2° sem., p. 115; vol. VI, 2° sem., p. 209. (2) Per maggior chiarezza trovo comodo servirmi delle due nomenclature : do il nome di pirrodiazoli ai miei composti, e quello di triazoli ai composti di Bladin o di altri autori. — 303 — Anzi basandosi sulla sicura costituzione dei miei derivati pirrodiazolici e di quella di alcuni altri derivati, da loro recentemente ottenuti per diversa via sintetica (!), dimostrano, che, per conciliare i risultati dei diversi autori, si deve necessariamente modificare l’interpretazione data da J. A. Bladin alla sintesi dei derivati del triazolo e del tetrazolo (?), per mezzo della dician- fenilidrazina e ne rettificano l’ interpretazione adottando per la dician-fenili- drazina un’altra formola di struttura. « Avendo anch'io, due anni fa, in una Memoria sul pirrodiazolo e suoi derivati (3), nella stessa maniera modificata l’ interpretazione delle sintesi dei triazoli di Bladin e proposta per la dician-fenilidrazina la stessa formola di struttura, ora provo gran soddisfazione che le mie idee sieno state condi- vise da una persona autorevole come il prof. E. Bamberger; pertanto credo opportuno ripetere in questo periodico scientifico, quanto in proposito scrissi nella mia Memoria sopra citata. « J. A. Bladin assegna al suo fenil-metil-triazolo (1-3) (4) la medesima struttura ch'io adotto per il fenil-metil-pirrodiazolo (1-3) C6H> Però queste due sostanze non sono identiche: il composto triazolico di Bladin è liquido e bolle a 240° (°); inoltre per ossidazione egli non riuscì a tra- sformarlo nel carbo-acido corrispondente; mentre il fenil-metil-pirrodiazolo (1-3) è solido, fonde a 87°, bolle a 271° e per ossidazione, eseguita nelle identiche condizioni, dà facilmente il corrispondente carbo-acido. (1) Berl. Ber. XXVI, p. 2387. (2) Berl, Ber. XVIII, p. 1544 e 2907; XIX, 2598; XXI, 3063; XXII, 796; XXIII, 1812, 3785; XXV, 741, 1411. (8) Volume delle Ricerche eseguite nell’ Istituto Chimico della R. Università di Roma, durante l’anno scolastico 1890-1891, p. 404-410. — Tipografia della R. Accademia dei Lincei, Roma. (4) Berl. Ber. XVIII, p. 1545; XIX, 2602. (5) E. Bamberger e P. de Gruyter hanno osservato che il fenil-metil-triazolo di Bladin non è, come questi aveva detto, un olio che rimane liquido anche a — 15°; ma preparato con certe precauzioni (Berl. Ber. XXVI, p. 2394) è cristallino e fusibile a 191°; però notarono che se si disciolgono i cristalli in un acido, gli alcali poi lo precipitano allo stato di olio. — 304 — « Al contrario l'acido fenil-carbo-triazolico (1-5) (!) e l'acido fenil-carbo- pirrodiazolico (1-3) (6H° C6H5 | | N N N ZEN N, 50—C00H N. ;CH Si i HO COOH—C N che dovrebbero essere isomeri, invece sono identici; infatti entrambi fondono a 184° con sviluppo di anidride carbonica, cristallizzano in laminette, il loro etere metilico fonde fra 116.5° e 117° ela loro amide cristallizza in lunghi aghi, che rassomigliano all'asbesto e fondono a 194°. « L'identicità di questi due acidi, quantunque non si accordi colla strut- tura loro assegnata, dimostra evidentemente come il nucleo PERE ed il nucleo triazolico devono avere la stessa costituzione. « Rimangono ancora dei dubbî sulla posizione del metile e del carbos- sile nei derivati sopra ricordati; per togliere questi dubbî, credo opportuno discutere l’interpetrazione dei processi sintetici per la produzione di queste sostanze. « J. A. Bladin facendo agire la dician-fenilidrazina sull'acido formico ottenne il fenil-cian-triazolo (1-5) (?) e coll’anidride acetica il fenil-metil- cian-triazolo (1-3-5) (*). Per queste due sintesi diede le seguenti spiegazioni: « 1.° Ammise che la dician-fenilidrazina non avesse la struttura asse- gnatale da Fischer (‘) 0°H°—N—NH RES] HN—0—C=NH ma invece quest'altra (*) C°H5 — N — NH? « 2.° Suppose ancora, che nella prima fase della reazione si formasse il formil o l’acetil-derivato della dician-fenilidrazina, e nella seconda fase, per eliminazione di una molecola di acqua da questi derivati, si costituisse il nucleo triazolico. (1) Berl. Ber. XXIII, p. 1810 e 3785. (*) Berl. Ber. XVIII, p. 1549; XXIII, p. 3788. (3) Berl. Ber. XVIII, p. 1545. (4) Liebio”s Annalen CXC, p. 142. (5) Berl. Ber. XVIII, p. 1546. — Chemiker Zeitung Cothen, 7 nov. 1891, p. 1624. — 305 — « Così le trasformazioni pel passaggio dalla dician-fenilidrazina al com- posto triazolico si possono interpetrare nel modo seguente: 1° Sintesi. C°H°— NCNH? | NC—C=NH + H.COOH— H°0 | | (H5— NT NZ? Al 0 Con SSN 5 av Î datati Ng NOSSIOS NY | Formil-dician-fenilidrazina | conducono alla formola C"H-N-—N l 2 | CN-C; ,CH Tal DE Fenil-cian-triazolo (1-5) « Dal fenil-cian-triazolo (1-5) per saponificazione si ha l'acido fenil- carbo-triazolico (1-5) CCH5-N-—N fee COOH.C, CH NA N che invece di essere isomero all’acido fenil-carbo-pirrodiazolico (1-5), è identico. 2° Sintesi. OSHOZSNCSNHE | + (CH*C0)?0 — CH. COOH NC—C=NH CH' (GS ; NE ET O N LI adi CN — : —=N— 46 oppure C°H Î NH CS \cH: NC-C=-NZ | Acetil-dician-fenilidrazina | | conducono alla formola CHN-—N |] CN-C, , C—CH NA N Fenil-metil-cian-triazolo (1-3-5) RenpIcONTI. 1893, Vot.. II, 2° Sem. — 306 — « Dal fenil-metil-cian-triazolo (1-3-5), per trasformazione del gruppo nitri- lico in carbossile ed eliminazione di questo, si ha il fenil-metiltriazolo (1-3) . CSH°—N N che invece di essere identico, è isomero al fenil-metil-pirrodiazolo (1-3). « Queste controversie possono essere eliminate interpretando in altro modo le reazioni sintetiche dei cian-triazoli. « Propongo perciò di adottare per la dician-fenilidrazina la seguente costituzione : CEH°T—NH—N la quale credo sia più razionale di quella adottata dal Bladin; perchè è molto più probabile, che il cianogeno si saldi all’azoto ammidico del residuo idra- zinico NH?, che non all’azoto immidico dell'altro residuo idrazinico NH—C°H?. « È anche più razionale ammettere, che la fenilidrazina addizionandosi al cianogeno, si comporti come i due gruppi bivalenti : "(C(H5—NH—N) e ‘(H?) analogamente al modo di comportarsi dell’H®O, dell'H°S e dell’NH?, che reagendo con sostanze contenenti il gruppo nitrilico C=N—, si possono considerare come molecole additive atte a scindersi in due gruppi bivalenti "O, “H? MS e Hc ENH TERE e per generare delle ammidi ('!). Ciò che si può rappresentare in generale colla seguente equazione : X" R_(j;=N n O, « Dopo ciò, le trasformazioni successive del passaggio della dician-feni- lidrazina ai composti triazolici si possono interpretare in quest'altro modo : 1° Sintesi. C°H5 NH — N Il + H.COOH — H°0 H'NT—C— CN MO RR | CH5-NN COH°-N-—N | di h | ST a oppure CON O H?N De HC—-HN Formil-dician-fenilidrazina | (1) A. Smolka. Monatshefte fir Chemie. Wien, XI, p. 181. — 307 — conducono al C°H°—N N Fenil-cian-triazolo (1-8) Dal fenil-cian-triazolo (1-3) per saponificazione si ottiene l'acido fenil-carbo- triazolico (1-3) C5H°—N N (2 VA N identico al mio acido fenil-carbo-pirrodiazolico (1-8). 9a Sintesi. CH NHN Il + (CH?.C0)?0 — CH*?. COOH HîN— CT CN | SM MAE | C°H5=N=N C°H°_N——N | e i 01] CHE-d C—CN oppure C_CN | | 0 O H°N | CH°—C—HN à Acetil-dician-fenilidrazina conducono al Fenil-cian-metil-triazolo (1-3-5) « Dal fenil-cian-metil-triazolo (1-3-5) per eliminazione del gruppo nitri- lico si ottiene il fenil-metil-triazolo (1-5) C'H°—) N |' zi CH*—C; ;CH NA isomero al fenil-metil-pirrodiazolo (1-3). « Quando si volesse conservare l' interpetrazione data dal Bladin alle sintesi dei cian-triazoli, bisognerebbe modificare quella dei pirrodiazoli; am- — 303 — mettendo per il fenil-metil-pirrodiazolone, da cui deriva il fenil-metil-pirro- diazolo, invece della prima, la terza di queste tre forme schematiche possibili I II III C*H> CH? CH? | | | N N N ZA TAASS È NEMO HiNi: “00 FNAC HE Il | Î | | I CHE QRS] CHEN OGEIEN poichè essa è la sola formola in cui il metile si trova nella posizione 5. « Però questa terza formola di struttura non si può adottare perchè essa, come ho dimostrato, non si adatta alle grandi analogie esistenti fra i deri- vati pirrodiazolonici e pirrodiazolici coi corrispondenti pirrazoloni e pirrazoli, e di più non spiega tutte quante le trasformazioni e le reazioni dei derivati del pirrodiazolo. « E conseguito più tardi un altro disaccordo nella formola di struttura dell'acido (3)carbo-pirrodiazolico (1) H N 1 N, ;CH DL. l COOH CN da me preparato dal metil-triazolo(3) H N È 1 N, ;CH cb e quella dell'acido carbo-triazolico(3) ottenuto da Bladin (*), che rappresenta colla stessa formola di struttura quantunque non sieno identici; infatti, il mio acido è cristallino, incomincia a svolgere già a 80° anidride carbonica, fonde a 120° trasformandosi rapidamente e completamente nel pirrodiazolo; mentre quello di Bladin è amorfo, solo a 100° sviluppa tracce di CO? e fonde a 137° trasformandosi nel triazolo, che trovò essere per tutte le sue proprietà iden- tico al pirrodiazolo, da me preparato qualche mese prima. « Per le ragioni suesposte si deve modificare la formola dell'acido carbo- triazolico di Bladin trasportando il carbossile dalla posizione 3 a quella 5. (1) Sulla sintesi dell'acido fenil-carbo-pirrodiazolo (1-3), del metil-pirrodiazolo (3) e del pirrodiazolo libero. Questi Rendiconti, VII, 2° sem., p. 458 (seduta del 20 dicem- bre 1891); e Berl. Ber. XXV, p. 225 (9 gennaîo 1892). (2) Sul triazolo. Berl. Ber. XXV, p. 741 (25 febbraio 1892. — 309 — « Avendo inviato, a suo tempo, al dott. J. A. Bladin la mia Memoria completa sul pirrodiazolo e suoi derivati, ritengo che d'allora in poi deve aver dubitato della struttura da lui assegnata ai suoi composti; perchè in una nota inserita nella sua Memoria sul tetrazolo (') ammette possibile per il nucleo tetrazolico, invece della costituzione che ha sempre adottato anche quest’ altra : la quale non si può derivare, se non che, attribuendo alla dician-fenilidra- zina una formola, nella quale risulti come il cianogeno si sia saldato alla fenilidrazina per il residuo idrazinico NH® e non per l’altro C°H®. NH. « La costituzione dei triazoli e dei tetrazoli resterà sempre modificata nello stesso modo, anche se per la dicianfenilidrazina si volesse ammettere quest'altra struttura : « Nel mentre mi accingeva a scrivere questa Nota il prof. O. Widman, in una sua Memoria: Sulla costituzione dei composti tetrazolici e triazolici preparati da Bladin ed Andreocci (*), viene colle sue ricerche a confermare le mie interpetrazioni. Contemporaneamente ho ricevuto una Memoria di Bladin sui composti triazolici e tetrazolici, pubblicata nei Rend. R. S. Scienze di Upsala, nella quale trovo delle obbiezioni alle mie interpetrazioni. A queste rispon- derò quando avrò finito delle esperienze già in corso su questo soggetto. « Proposi per il sistema: il nome di pirrodiazolo sembrandomi più razionale di quello di #rzaz0/0: 1) Berl. Ber. XXV, p. 1413. (2) Berl. Ber. XXVI, p. 2617. 2310 — « 1° perchè ricorda il pirrolo, dal quale si può considerare che derivi per sostituzione di due —CH— con altrettanti atomi di =N—-; « 2° perla grande parentela che hanno i derivati del suddetto sistema coi pirrazoli, avendo fra loro molte analogie nelle proprietà chimiche e fisiche ed ottenendosi con simili metodi sintetici ; «3° perchè il nome di 4rzazolî è troppo generico, potendosi così chiamare anche i derivati di sistemi ciclici di 4, 6 ecc., atomi; purchè tre di questi atomi, in qualunque maniera disposti, sieno d’azoto ». Chimica. — Sugli acidi grassi combinati che si riscontrano nella Lanolina('). Nota di G. De-SANCTIS, presentata dal Corrispon- dente L. BALBIANO. « Antichissimo è l’uso che specialmente le popolazioni montane fanno della lana sucida, quale involgente in certe affezioni reumatiche. E quest'uso invalse forse dal fatto che la lana sucida genera, in contatto della pelle, una sostanza grassa untuosa, cui si attribuiscono varie virtù medicamentose. Questa sostanza grassa vien poi utilizzata ancora per rendere più facile l'assorbi- mento delle pomate od unguenti, in quanto che in varie regioni di montagna non si fa un'unzione di qualche importanza senza che s'involga poi la parte unta con la lana sucida, poichè credesi appunto che essa ne faciliti l’assor- bimento. E questa credenza ripete un'origine molto lontana. « Il grasso della lana o lanolina, impiegata già dai medici arabi sotto il nome di jufaratab e dai greci sotto quello di ocvzros, prese dai latini l'appellativo 0esypus, che venne quindi tradotto in isopo ed anche molto impropriamente in isopo umido. E fin da tempi remotissimi fu descritto il processo di una sua preparazione, processo mediante il quale si otteneva un pro- dotto non solo simile, ma, almeno in apparenza, molto preferibile a quello che ottiensi attualmente. « Per preparare la lanolina od isopo impiegavasi, fin dai tempi di Dio- scoride e di Plinio, della lana sucida, la quale veniva trattata con la radice dell'erba che si chiama lanaria (saponaria), e lavata con acqua calda in modo da spremerne tutto il sudiciume. Quest'acqua sporca si metteva in un vaso a bocca larga ove si sbatteva vivamente fino a che avesse formato un'altis- sima schiuma, e vi si aggiungeva quindi dell’acqua salata e si lasciava in riposo finchè la schiuma erasi dispersa. Ciò fatto si raccoglieva la parte grassa che sopramontava sul liquido e si impastava con le mani sotto un zampillo di acqua salata, finchè ogni sporcizia fosse sparita e la massa avesse acqui- stato un bel color bianco splendente. Si depurava anche con successive fusioni 1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma. — 3811 — in acqua bollente per farle raggiungere un massimo di candore. La lanolina preparata con uno qualunque di questi metodi era molle al tatto, bianca e di un odore di lana sucida rimarcatissimo, caratteri che la distinguevano dalle sue sofisticazioni che venivano fin d'allora fatte coi varî grassi e con cera (!). « Oggi giorno vengono applicati alla preparazione della lanolina quasi gli stessi processi; solo che invece di lavarla sotto uno zampillo di acqua salata, la si estrae dall'acqua sucida e la si lava mediante un apparecchio centrifugo (°). « La lanolina, quale oggi trovasi in commercio, preparata dai dottori Jaffe e Damstidter di Charlottemburg ed introdotta nuovamente in terapia dal Liebreich, ha un aspetto giallognolo, che va man mano incupendo a misura che subisce l’azione della luce. Ha sapore della cera, odore di sevo e consistenza unguentacea. « Per lungo tempo questo grasso non venne che pochissimo usato ed il primo suo studio chimico fu fatto da Schultze nel 1870 che vi segnalò la presenza degli eteri di acidi grassi uniti alla colesterina, all'isocolesterina e ad un altro alcool non ancora ben definito (3). « Nel 1886 A. Buisine riprese lo studio, ormai abbandonato, dell’untume della lana, e affermò, come già avevano fatto Vanquelin e Chevreul, ch’esso è il risultato di due secrezioni: la sudorifera e la sebacea (4). « Analizzò i prodotti della prima secrezione, che sono solubili in acqua e che si ottengono da un semplice lavaggio della lana greggia, ma non curò affatto le produzioni sebacee. Ed è appunto su questa parte ch'io ho rivolto la mia attenzione, tanto più che oggi la lanolina ha un grande uso nell'arte terapeutica. « La lanolina che ha servito alle mie ricerche è quella che proviene dalla fabbrica dei dottori Jaffe e Darmstiadter. Essa è di un bel color giallo, fonde verso 40° e contiene appena 1!/, per cento di acqua emulsionata. « Per mettere in libertà gli acidi grassi della lanolina mi son servito del metodo proposto da A. Kossel e K. Obermiiller (?), il quale consiste nel saponificare con alcoolato sodico. La reazione è completa, e avviene in un tempo relativamente breve solo quando si operi nel modo seguente: grammi 200 di lanolina vengono trattati a caldo con un eccesso di alcoolato sodico, che ho preparato sciogliendo grammi 25 di sodio in un litro di alcool asso- luto. Si forma all'istante un magma gelatinoso di color marrone oscuro, che va lasciato a bagno maria con apparecchio a ricadere per circa 8 ore. (1) Caius Plinius Secundus, Historia naturalis, liber XXIX. () Vulpius G., Archiv der Pharmacie 1888 giugno pag. 489. (*) E. Schulze, Zeitschrift Chem. 1870. — Berichte 1872, p. 1075. — Berichte 1873 pag. 251. — Berichte 1874, pag. 570. (4) A. Puisine, Comp. Rend. 1886, t. 103, pag. 66. (5) Zeitschrift fr physiologische Chemie, t. 14, pag. 599. \ — 812 — « Separata per mezzo di estrazioni con etere la parte basica della lanolina (colesterina, isocolesterina, ecc.), ho spremuto alla pompa i sali sodici degli acidi grassi, e poscia li ho decomposti con acido solforico. Dovendo ora inco- minciar subito la separazione di questi acidi, ho creduto opportuno distillarne l'intera massa in corrente di vapor d’acqua per ottenere così una prima di- visione in acidi grassi volatili, ed in acidi grassi fissi. Acidi grassi fissi. « Dopo aver depurati gli acidi grassi fissi con ripetute fusioni in acqua bollente, ho ottenuto una massa dell'apparenza della cera delle api, ma di questa più molle, avente color giallo-scuro e odore di sevo, che, seccata al- l’aria, pesava grammi 69,25. « La massa di questi acidi è completamente solubile in alcool bollente e la sua soluzione ha un numero di jodio che oscilla fra 6,48 e 7,13: ciò che sta a dimostrarmi come nella lanolina trovansi acidi non saturi. « Riottenuti allo stato secco gli acidi grassi, ne ho formato i sali piombici per decomposizione dei sali potassici, a fine di mettere a profitto la proprietà che essi hanno di essere solubili in un solvente e di non lasciarsi attaccare dagli altri. Alla stregua di questo criterio ho trattato la mescolanza dei sali di piombo, prima con benzolo bollente, poi con alcool ed in ultimo con etere anidro. Le diverse porzioni, che sono state ottenute dai singoli solventi in una prima operazione, vennero da me ad una ad una suddivise per precipitazioni fra- zionate e sommariamente studiate. Mettendo a profitto le proprietà fisiche e i dati che ho ottenuto da analisi elementari, mi è riuscito dividere l’intera massa dei saponi di piombo in tre gruppi: I. Saponi di piombo insolubili in alcool ed in etere, poco solubili nel ben- zolo e che fondono a 112°.5-113. II. Saponi di piombo solubili in alcool, il cui punto di fusione è eccessiva- mente variabile. III. Saponi di piombo solubili in etere che fondono a 79°-80°. « Di questi tre gruppi ho intrapreso lo studio che verrò qui sotto esponendo: «I. Gruppo. — I sali di piombo del primo gruppo vennero per più volte ricristallizzati dal benzolo bollente. Il loro punto di fusione si mantiene costante fra 112°,5 e 113°, alla qual temperatura fonde il cerotato di piombo, che è insolubile in alcool, in etere e poco solubile nel benzolo. D'altra parte gr. 0,228 di sostanza dettero gr. 0,0673 di solfato di piombo, per il che si ha in 100 parti: i > trovato calcolato per (02° H?3 02)? Pb Pb 26,16 20,19 — 313 — « L'acido messo in libertà dal suo sale di piombo è disciolto in alcool, da cui cristallizza in granuli: fonde a 77°,5-78. All'analisi diede il seguente risultato : gr. 0,2340 di sostanza diedero gr. 0,6783 di CO? e gr. 0,2778 di H°O. « Da questi dati si calcola in 100 parti: trovato calcolato per C*?H54 0? C 79,05 79,02 H 13,19 13,17 « Da ciò risulta chiaramente che in questo primo gruppo si trova l'acido cerotico allo stato di cerotato di piombo. «II. Gruppo. — I sali di piombo solubili in alcool vengono divisi in varie porzioni per mezzo di cristallizzazioni frazionate. Dopo pazienti ri- cerche mi è riuscito separare l’intera massa in due parti: una fondente a 11 10-112° e un'altra a 75°. « Della prima porzione ho subito determinato il piombo ed ebbi per risultati : gr. 0,1280 di sostanza dettero gr. 0,0540 di solfato di piombo, dal che si ri- cava per 100 parti: trovato calcolato per (C!© H3! 02)? Pb Pb 28,81 28,87 « Il punto di fusione ed il percentuale di piombo mi indicano senza dubbio che ho da fare con acido palmitico. « L'acido messo in libertà dal suo sale di piombo è disciolto in alcool, da cui si rappiglia per raffreddamento in una massa bianca, cristallina, fon- dente a 62°. « All’analisi ebbi i seguenti risultati : gr. 0,1605 di sostanza dettero gr. 0,4426 di CO? e gr. 0,1763 di H°O da cui si calcola per 100 parti: trovato calcolato per C'9 H8? 0? C 75,20 75 H 12,20 12,9 « Anche della seconda porzione del II Gruppo ho determinato il me- tallo ed ho ottenuto da gr. 0,2105 di sostanza gr. 0,1456 di solfato di piombo, ossia il 47,24°/, di piombo. A questo numero, insieme al punto di fusione, non può corrispondere che il capronato di piombo, ed allora si ha come rap- porto di analisi: trovato calcolato per (CS H!! 02)? Ph Pb 47,24 47,36 « L'acido messo in libertà col solito processo viene estratto con etere: è un olio che si scioglie pochissimo nell'acqua, di odore nauseante. Ho ve- ReNDICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 43 — 314 — luto in questo punto spingere più in là le mie ricerche e determinare a quale degli acidi capronici doveva ascriversi quello da me isolato. Il suo etere eti- lico di odore aromatico bolle a 1659,5-166 alla pressione di 754", ciò che farebbe credere trattarsi dell'acido capronico normale. Saponificato quest’etere con alcoolato sodico, l'ho trattato con ammoniaca gassosa ed ho ottenuto una massa bianca, di apparenza gelatinosa, di capronato ammonico. Il sale secco fu posto in tubo chiuso e riscaldato per otto ore alla temperatura di 230°- 250°. Ottenni una massa cristallina a squame madreperlacee, solubili in acqua e untuose al tatto, che è nient'altro che l’amide dell'acido capronico normale, perchè fonde completamente a 100° (Hoffmann). L'analisi dà una conferma di quanto ho sopra detto, infatti: gr. 0,2121 di sostanza diedero 1922 ce. 20,65 di azoto 11° ossia in 100 parti: trovato calcolato C°H'! 0. NH? N 12,11 12,17 « III. &ruppo. — Nel terzo gruppo rimangono i sali piombici solu- bili in etere. « Fondono a 79°-80°. All'analisi diedero i seguenti risultati : da gr. 0,2666 di sostanza ebbi gr. 0,1049 di solfato di piombo, da cui con semplice calcolo si ha per 100 parti: trovato calcolato per (C!8 H®3 02)? Pb Pb 26,87 26,91 « Non v'ha dubbio del resto che trattasi di oleato di piombo, perchè l'acido libero sotto l’azione dell'acido nitroso-nitrico si trasforma in una massa solida cristallina: proprietà dovuta eclusivamente all'acido oleico. Oltre a ciò ecco i risultati che ebbi dall'analisi dell’isomero dell'acido oleico, vale a dire dell'acido elaidinico. gr. 0,1632 di sostanza diedero gr. 0,4589 di CO? e gr. 0,1765 di HO, da cui si ha per 100 parti: trovato calcolato per C18 H84 0? C 76,68 70,59 H 12,01 12,05 « Riepilogando adunque, la massa degli acidi grassi fissi è essenzialmente composta di acido cerotico, palmitico, capronico ed oleico. Non ho potuto fare un'analisi quantitativa per la difficoltà che s'incontra in tali separazioni; — 315 — ma ad ogni modo ecco i risultati ottenuti nel mio lavoro sulla massa degli acidi grassi che, come dissi, pesava gr. 69,25. ACICOMCCIOCICOMPRENS ON. O 0 I OT 02/00 ICLAONPA NI COMO AR US 5) 92 acido#capromico@normale? tì. ©. \ineino 2,23 ACICONONCICO Rene eee 0 0. Se? 3,67 50,38 Perdita gene: sE O, 18,37 Lopolema ana > ee or 691205 Acidi grassi volatili. « Le acque madri che risultano dalla distillazione in corrente di vapore, hanno reazione nettamente acida e tramandano un odore che ricorda quello caratteristico della lanolina. Dopo un riposo sufficiente, si vedono a fior d'acqua dei fiocchi di una sostanza bianca che ho subito separato a mezzo di filtrazione. La sostanza così ottenuta pesa gr. 0,42 e fonde perfettamente a 699,5: è solubile in alcool da cui cristallizza in squame brillante. Questi dati basterebbero a determinare l’acido stearico; ma io volli esserne ancora più certo ed ebbi all'analisi i seguenti risultati: gr. 0,2079 di sostanza dettero gr. 0,5810 di CO? e gr. 0,2360 di H?0 da cui si calcola per 100: trovato calcolato per C!8 H*6 0? C 76,21 76,05 H 12,61 12,67 «“ Separato così l'acido stearico, ho salificate le acque madri per ridurle — coll’evaporazione ad un volume assai più piccolo (circa 500 ce.), e poscia ho rimesso in libertà gli acidi grassi trattando con H*SO* fino a reazione debol- mente acida. Ho lasciato la massa in riposo per circa un mese, dopo il qual tempo si videro a fior del liquido delle goccioline oleose, che con la mas- sima cura potei isolare e trattare con nitrato d'argento ammoniacale. Ebbi un precipitato cristallino bianco, che secco pesava gr. 2,17. L'odore speciale che tramandava il sale argentico stava già ad indicare che quelle gocce oleose, da me separate, non erano altro che acido valerianico. L'analisi convalidò la mia ipotesi, perchè da gr. 0,3592 di sale argentico ebbi gr. 0,1854 di Ag vale a dire per 100 parti: trovato calcolato per CH? 02 Ag Ag 51,61 51,67 — 516 — « Ma di acidi valerianici esistono 4 isomeri possibili, e nel caso mio era da determinare se nella lanolina trovavasi l'acido isovalerianico o il va- lerianico normale. Non v'era dubbio che dovesse essere il primo, come quello che trovasi in natura, e nelle piante e negli animali. Per tale ricerca trassi profitto della diversa solubilità che hanno i sali d'argento degli acidi vale- rianici. Secondo Sedlitzki la solubilità dell’isovalerianato argentico è data dal- l'equazione : 100 p. di acqua sciolgono a ? 0,1774 + 0,003349 (£ — 0,2) + 0,056528 (£ — 0,2)?. « Operai alla temperatura di 11° e grammi 36,4582 della soluzione sa- tura di sale argentico mi lasciarono come residuo gr. 0,0764, vale a dire gr. 0,209 °/o « La formula di Sedlitzki darebbe invece per # = 11° gr. 0,214 °/o « Le acque da cui separai l'acido isovalerianico furono trattate con etere, il quale lasciò per distillazione un residuo solubile in massima parte in acqua distillata. Misurai l'acidità totale della nuova soluzione e ne saturai metà con soda 10: Poscia distillai a bagno di sabbia fino a che il liquido, che passava, manteneva reazione nettamente acida. Le acque distillate furono tra- tate con nitrato d'argento ammoniacale, e per tal trattamento ebbi gr. 0,32 di precipitato bianco cristallino che dette all'analisi i seguenti risultati: gr. 0,1947 di sale argentico dettero gr. 0,1078 di argento metallico ossia in 100 parti: trovato calcolato per C4H70? Ag Ag 55,96 05,38 « Rimesso in libertà l'acido, che ormai posso chiamare butirrico, ne feci il sale calcico, che cristallizza in pagliette splendenti più solubili a freddo che a caldo. Questo fatto conferma che l’acido in esame è il butirrico nor- male o di fermentazione. « lriepilogando adunque, trovansi nella lanolina tre acidi grassi volatili: acido stearico; » isovalerianico; » butirrico normale; — 317 — «ma debbo aggiungere ch'essi vi compariscono in piccolissima parte, sempre combinati alla colesterina, all'isocolesterina e probabilmente ad altri alcooli superiori. Infatti essi non possono aseriversi nè ad impurezza dell’acqua emul- sionata, nè a residuo di un lavaggio incompleto, perchè la lanolina ha reazione nettamente neutra; e non possono neppure essere ritenuti allo stato di gliceridi, appunto perchè ottenni risultati negativi nella ricerca della glicerina ». Geologia. — // postpliocene morenico nel gruppo montuoso del Strino in Basilicata. Nota di Gruseppe DE LORENZO, presentata dal Corrispondente FR. BASSANI. « L'anno passato annunziai di avere scoperto nel gruppo montuoso del Sirino, a 40° 8' di Lat. N., alcuni depositi glaciali, che descrissi brevemente, riserbandomi di farne in appresso uno studio più accurato ('). Visitando di nuovo quest'anno gli alti monti di quella interessante regione, ho potuto ret- tificare alcuni miei apprezzamenti sulla già descritta morena della valle del Cacciatore e scoprire nel tempo stesso gli avanzi detritici di altri due ghiac- ciai, non meno importanti del primo. « La morena della valle del Cacciatore si presenta come un lungo cor- done detritico, sorpassante i 1500 metri di lunghezza, con una larghezza media di 100 e uno spessore di 50: il ghiacciaio che la depositò non era certamente inferiore ai 3500 metri in lunghezza. Contemporaneamente e posteriormente al ritiro e alla scomparsa definitiva della massa di ghiaccio, la morena fu erosa longitudinalmente dalle acque correnti, che in qualche punto scavarono il fondo della valle per un certo spessore sotto il livello di base del depo- sito detritico. « Un altro ghiacciaio occupava la valle situata fra la cima del m. Papa a oriente e la Cresta d'Asino a occidente; ma, quantunque questa valle si innestasse al vallone Niello, topograficamente adattissimo allo sviluppo ipote- tico di un ghiacciaio, pure questo, per la sua esposizione meridionale, rag- giunse appena i 1500 metri di lunghezza, arrestandosi contro le falde occi- dentali della Serra Orticosa. La morena, lasciata da questo secondo ghiac- ciaio, che chiamerò, impropriamente, ghiacciaio di Niello, si presenta anch'essa come un cordone semplice, lungo poco più di 500 metri, ed è importante, perchè può abbracciarsi con lo sguardo tutta d'un colpo e se ne può studiare benissimo la intima costituzione. « Si può quindi dare di questi due ghiacciai la seguente sezione sche- (1) G. de Lorenzo, Avanzi morenici di un antico ghiacciaio del m. Sirino (Rend. Acc. Lincei, 2° sem. 1892). = Sl, matica, in cui si nota subito la sensibile differenza di sviluppo, determinata. soltanto dalla rispettiva posizione, rivolta a due punti opposti del quadrante. LAGO ZAPÀNO M. PAPA 1100 1400 2007 1400 =_= NORD Lei Scala 1:50.000 Med « Il terzo ghiacciaio, il più importante di tutti per la sua massa e per la morena depositata, scendeva dalle alte cime del m. Papa, si incassava nella maestosa valle del lago Remmo, da esso forse in gran parte scavata, 6, appoggiandosi a occidente contro la Spalla dell’Imperatrice, si stendeva per circa 4 km. a nord, fin nella valle di Pétina Chiana. La morena terminale, che si protende per una lunghezza di 2 km. circa con una larghezza media di 400 metri e si presenta come un aggregato di verdi colline morbidamente ondulate, sbarrò l'ingresso della valle, dando luogo alla formazione del lago Remmo. M. PAPA LAGO REMMO 2007 1517 1100 Di « Questo lago e il lago Zapàno, già descritto nella nota dianzi citata, per l'origine, la posizione e l'altitudine loro, ma non per la grazia delle acque azzurre, ricordano molto i « Meeraugen », i piccoli e splendidi laghi dell'alto Tatra nei Carpati. « Fra la morena del ghiacciaio di Niello e le altre due esiste, a quanto ho potuto osservare, una certa differenza nella costituzione, perchè, mentre la prima, per la quantità di fine fanghiglia glaciale e di blocchi lisciati e di Scala 1:50.000 ==> NORD IIIGAN2I — 319 — striati, corrisponde esattamente alla morena di fondo dei ghiacciai odierni, quale è stata descritta da H. Credner per il ghiacciaio di Pasterz ai piedi del Grossglockner, nelle altre due invece, oltre al materiale tipico dato dalla morena di fondo, esistono anche avanzi delle morene di superficie, rappresen- tati da una considerevole quantità di blocchi e ciottoli perfettamente intatti. E tale differenza si spiega facilmente pensando che, mentre il ghiacciaio del lago Remmo e quello della valle del Cacciatore possedevano morene laterali, costituitesi col detrito delle pareti delle valli rispettive, sgombere, nelle parti più basse, di neve, quello di Niello invece, uscendo appena dal limite delle nevi persistenti, non aveva apparato morenico superficiale. « Oltre a questi tre ghiacciai principali, alcune vedrette dovevano scen- dere lungo le valli incise nei fianchi orientali del m. Papa e della Serra Orticosa. « I ghiacciai e le vedrette scendevano tutti da picchi e da circhi, che ora sono compresi fra 1800 e 2007 m. di altezza, di modo che, volendo se- gnare per l'epoca glaciale il limite inferiore delle nevi persistenti in queste montagne, sì deve dare a tale limite il valore di 1800 metri, pur non ri- manendo esclusa l'ipotesi che esso scendesse anche più basso. Ma, ritenendo anche il limite massimo di 1800 metri, si hanno dei risultati interessanti quando lo si metta in relazione con le isochione dell’epoca glaciale, stabilite dal Penck nei varî gruppi montuosi dell'Europa meridionale (!). « Per la Sierra Nevada infatti, posta pochi minuti a nord del 37° di lat., si ha come limite delle nevi persistenti, durante l'epoca glaciale, l'altezza di 2600 metri, e per i Pirenei, un po’ più a sud del 43°, quella di 1700: per la latitudine media fra le due, 40° cioè, doveva press'a poco passare nella Spagna la isochione media di 2150 metri. In Italia esistevano rapporti di- versi. Pel gruppo del monte Sirino, a 40° 8' di lat., passava la linea isochio- nica 1800, e per le Alpi Apuane, a nord del 44°, bisogna ammettere l’al- tezza di 1650 metri come limite più alto delle nevi persistenti, ove si tenga conto delle vedrette che dovettero scendere dal monte Corchia, alto ora 1677 metri (*). Si vede quindi chiaramente che, passando dalla Spagna al- l’Italia, le isochione dell'epoca glaciale erano dirette da ovest-nord-ovest a est-sud-est. « Questi rapporti diventano inversi, e anche più accentuati, ove si piglino a paragone anche le linee delle nevi persistenti della penisola balcanica. In questa la isochione 13800 passava per i monti di Siebenbirgen, 6 gradi circa più a nord del Sirino, e le tracce più meridionali di antichi fenomeni gla- ciali sono indicate -nelle alte montagne di Rilo in Bulgaria, a nord del 42° di latitudine. Neumay: stesso visitò parecchie delle regioni montuose di Grecia, Tessalia e Macedonia senza poter trovare, nè allo Schar-Dagh vicino Uskiib, (1) M. Neumayr, Erdgeschichte, Leipzig, 1890. (2) C. De Stefani, Ze pieghe delle Alpi Apuane, Firenze, 1889. — 320 — nè all’Athos, all’Olimpo, nelle Alpi Etolie, nelle montagne di Korax o nell’Eta, qualche cosa che potesse ascriversi a effetto di fenomeni glaciali ('). Le iso- chione quindi, passando dalla penisola italica alla balcanica, erano dirette da ovest-sud-ovest a est-nord-est, anzi press'a poco da sud-ovest a nord-est. In complesso, le linee isochioniche dell'Europa meridionale durante l'epoca glaciale descrivevano delle curve convesse a sud, o curve angolari, i cui ver- tici, o punti più meridionali, cadevano nella penisola italica: i lati orientali di tali angoli si spostavano di più verso nord che non i lati occidentali. « Tale spiccata inflessione a sud delle isochione glaciali lungo la catena appenninica, apparentemente strana, si rivela naturalissima conseguenza di leggi fisiche, ove si rifletta che per un grande sviluppo di ghiacci è neces- saria non solo bassa temperatura ma anche abbondante precipitazione atmo- sferica, e ove si tenga conto degli interessantissimi studi sull'epoca glaciale, fatti dai geologi americani. « La penisola italica, lunga, stretta e circondata da mari, ha un inverno relativamente più dolce, un'estate più fresca e una maggiore precipitazione aquea delle regioni europee, che si trovano a ovest, nord e est di essa e che hanno un clima spiccatamente più continentale di quello dell'Italia, che è quasi insulare. Durante l’epoca glaciale quindi, con un abbassamento non grande della temperatura media annuale e con un aumento della precipitazione atmosferica, la penisola italica doveva trovarsi in condizioni molto più oppor- tune allo sviluppo di ghiacciai che non la iberica, e questa era a sua volta meglio adattata della penisola balcanica a clima ancor più continentale. « Non è quindi difficile, per le ragioni su esposte, che tracce di feno- meni glaciali si trovino anche più a sud del gruppo del Sirino, nel monte Pollino e nell'alta Serra di Dolcedorme, che larga messe racchiudono di tesori geologici ».. Botanica. — Contribuzione allo studio della morfologia fiorale del Laurus nobilis. Nota del dott. OsvaLpo KRUCH, presen- tata dal Corrispondente R. PIROTTA. « Negli allori del giardino di Villa Corsini e di altre ville di Roma e dintorni veniva da parecchi anni all’epoca della fioritura nutato il fatto che, accanto all’infiorescenze normali, sì trovava un numero più o meno grande di infiorescenze che si allontanavano per il loro aspetto dal tipo normale e si mostravano più o meno fortemente metamorfosate. Io ho osservato un nu- mero considerevole di tali esemplari deformati, ed in ogni caso ho constatato che in determinate regioni di essi vi alberga un numero considerevole di (1) M. Neumayr, £rdgeschichte. — 321 — fitotti; veniva quindi naturale l’idea di ritenere tali infiorescenze deformate come fitottocecidii. « Di questo fitottocecidio ho studiato la morfologia e l'anatomia, e sono appunto i risultati che si riferiscono allo studio morfologico che io mi per- metto di comunicare nella presente Nota. Il fitottocecidio in discorso corri- sponde con ogni probabilità a quello recentemente diagnosticato dall’Hiero- nymus (') e dal Massalongo (?), quantunque, a giudicare dalle brevissime descrizioni fatte da questi autori, sembri che le trasformazioni prodotte dal cecidiozo sull’ospite sieno state nei casi da loro studiati meno estese e meno profonde che non nei numerosi esemplari che ebbi a mia disposizione. Gli autori sopra ricordati parlano infatti solo di deformazione dei fiori, mentre nei casi da me studiati erano le infiorescenze parziali, l'intiero sistema del- l’infiorescenze e spesso persino determinate regioni di rami fogliferi che, oltre ai singoli fiori, apparivano profondamente metamorfosate. « Alla descrizione del fitottocecidio, o per meglio dire delle deforma- zioni che si manifestano in determinati organi dell’alloro per opera del fitotto, farò precedere alcune osservazioni sulla morfologia di questi in stato nor- male, osservazioni che in parte più o meno concordano con quelle fatte dagli autori che si sono in modo speciale occupati della morfologia della pianta che ci interessa, in parte estendono le cognizioni in proposito. Questo stu- dio preliminare, che ho avuto cura di fare sopra un numero considerevole di esemplari per tener conto delle variazioni che si manifestano in via acci- dentale, o per altre cause che non sono da attribuirsi all’azione del ceci- diozoo, è necessario per potere rilevare con esattezza le modificazioni pro- dotte dal fitotto sull’ospite e per potersi formare un esatto concetto del valore che ad esse si deve attribuire, ed è troppo spesso trascurato da chi si occupa di patologia vegetale ed in special modo da coloro i quali si dedicano allo studio dei cecidii dal punto di vista della sistematica. « Nei rami fogliferi normali dell’alloro è facile constatare, all’ascella di ciascuna foglia, la presenza di due gemme; di queste però comunemente si sviluppa solo quella che si trova in vicinanza all'asse, la seconda od esterna che è appena differenziata e molto più piccola dell’interna rimane di riserva. Il sistema di infiorescenza, qualificato dall'Eichler come un’aggregazione bo- tritica di capolini, sarebbe, se si vuole seguire la recente classificazione del Pax, un'aggregazione botritica di ombrelli, nella quale però l'asse principale offre internodî estremamente ridotti, mentre gli assi secondarî che si inseri- scono su di esso e che portano le infiorescenze parziali, ne superano la sua lunghezza. L'asse principale è inserito all’ascella di una foglia ed è di dimen- (1) Ergineungsheft eum 68. Jahresbericht der Schlesischen Gesellschaft fiir vaterlin- dische Cultur. Breslau, 1890, p. 76. (2) Bullettino della Società botanica italiana. 1898, p. 189. ReNDICONTI. 1898, Vor. II, 2° Sem. 44 = 997, = sioni longitudinali minime; gli assi che portano le infiorescenze parziali sono inseriti all'ascella di brattee. Queste sono inserite in numero di due a sei, a bre- vissima distanza l’una dall’altra, e per quanto riguarda la loro disposizione è da notarsi che le due prime brattee sono disposte trasversalmente al piano mediano di simmetria che passa per la foglia ascellante e l’asse sul quale essa è inserita. Alle prime due brattee possono seguire, sempre a brevissimo intervallo, altre brattee ed appena al di sopra dell'inserzione della brattea superiore l'asse termina in una gemma. La terza brattea nei casi nei quali esiste, viene sempre a trovarsi verso l’esterno, dal lato cioè dell’assicino che guarda la foglia ascellante e, se non perfettamente in corrispondenza, sempre in vici- nanza al piano mediano di simmetria che passa per la foglia ascellante ed il ramo che la porta. La gemma terminale del rametto fiorifero, la quale si trovava nella sua posizione naturale nel caso dell’inserzione di due soli assi- cini portanti ciascuno un infiorescenza parziale, viene quivi ad essere spostata la- teralmente verso l’asse del ramo foglifero, sul quale esso è inserito. Riguardo al- numero dell’infiorescenze portate da ciascun rametto fiorifero è da notarsi che esso è negli esemplari femminei nella grande maggioranza dei casi di due: non mancano però esempî nei quali il loro numero si eleva a tre oppure si riduce ad uno. Negli esemplari maschili è invece frequente la presenza di quattro, cinque e, secondo il Baillon, anche di sei inflorescenze per ciascun rametto; si verifica quindi negli esemplari maschili una certa tendenza alla produzione di un maggior numero di infiorescenze che non in quelli fem- minei, tendenza che si manifesta pure riguardo al numero dei fiori che co- stituiscono le singole infiorescenze. « Le infiorescenze parziali sono costituite alla loro volta da un numero variabile di fiori laterali, per lo più da quattro decussati con brattee, e di un fiore terminale. I fiori che entrano nella costituzione di una determinata infiorescenza sono contenuti, avanti la fioritura, in un involucro costituito da quattro pezzi rappresentati dalle brattee ascellanti dei fiori laterali; quando il numero dei fiori da cinque si eleva a sette, come di spesso accade negli esemplari maschili, l'involucro è costituito da sei pezzi, le sei brattee ascel- lanti dei fiori laterali. Il fiore terminale sarebbe, secondo l’Eichler, avvolto da due brattee sterili; ma le mie osservazioni mi inducono ad ammettere, in concordanza con quanto dice il Mez, la loro assenza, salvo nei pochi casì nei quali viene a mancare lo sviluppo dei due fiori laterali superiori. « Riguardo all’azione esercitata dal fitotto sull'ospite si deve innanzi tutto stabilire che essa si può manifestare: “a) sopra un determinato rametto fiorifero ascellare, ossia sopra una aggregazione di infiorescenze ; « b) sopra una determinata regione di un ramo foglifero che dal- l'apice si estende per un tratto più o meno lungo verso il basso. « Nel primo caso i rametti trasformati dall'azione del fitotto sono sparsi — 323 — senza ordine apparente sul ramo fogliare accanto ad altri rimasti normali; nel secondo caso invece, come è facile comprendere, tutte le aggregazioni di infiorescenze che si incontrano nel tratto del ramo che ha subito l’azione del cecidiozoo, sono più o meno deformate. « a) — Quando l'azione del fitotto si esercita sopra un rametto fiorifero, si nota nella grande maggioranza dei casi un aumento più o meno conside- revole nelle dimensioni longitudinali dell'asse principale. Questo aumento si manifesta di regola, sia nel tratto che corre tra la sua base, vale a dire il luogo di inserzione sul ramo fogliare, e l'inserzione della prima brattea, come nei successivi internodî, che sono considerevolmente aumentati di numero. L'aumento del numero degli internodî e quindi del numero degli assi secon- darî di primo ordine che sì inseriscono sull'asse principale, è dovuto allo svilupparsi della gemma terminale dell'asse principale, gemma che nei casi normali non si sviluppa, oppure dà luogo in via eccezionale ad un rametto foglifero. L'aumento di dimensioni dell'asse principale è quasi sempre ac- compagnato da alterazione nella disposizione delle brattee e degli assi secon- darî; così p. es. le prime due brattee raramente mantengono la posizione normale, non sono disposte cioè quasi allo stesso livello, una di fronte al- l’altra trasversalmente al piano mediano di simmetria che passa per la fo- glia ascellante e l'asse del ramo che la porta, ma si inseriscono a differente altezza e spesso anche con diversa disposizione. (Gli assi secondarî di primo ordine inseriti sull'asse principale possono terminare in un capolino che ci rappresenta un'infiorescenza parziale metamorfosata; nella grande maggioranza dei casi però le infiorescenze parziali sono portate da assi di secondo o di terzo ordine. L'asse principale non termina come nei casì normali in una gemma, ma in un'infiorescenza deformata: lo stesso dicasi per gli assi secondarî di primo ordine quando portano rami di secondo ordine, e di questi quando sono provvisti di assi di terzo ordine. Mentre l'asse principale ha subito un au- mento di dimensioni per opera del fitotto, i peduncoli dei singoli fiori ri- mangono ridotti a dimensioni minime, perchè l’infiorescenza deformata ri- mane sempre racchiusa nelle brattee involucrali che hanno in seguito alla azione del cecidiozoo considerevolmente aumentato di estensione e di spes- sore e tengono nascosti i fiori, i cui organi hanno alla loro volta subìte modificazioni più o meno profonde. Talora la riduzione nelle dimensioni lon- gitudinali non si limita ai peduncoli fioriferi, ma si estende pure agli assi dell’infiorescenze parziali di ordine più o meno elevato a seconda dei casì rispetto l’asse principale ed in tale caso il capolino non ci rappresenta una infiorescenza parziale, ma una riunione di tre o più infiorescenze. « b) — Quando l’azione del fitotto non si è localizzata ad un dato ra- metto fiorifero ascellare, ma si estende ad una determinata regione fogliare, oltre alle trasformazioni subite dai rametti fioriferi che si inseriscono su di esso, — 324 — conformi a quelle sopra descritte, si manifestano pure delle modificazioni più o meno profonde riguardanti : « 1° le dimensioni, la forma e la posizione dell'asse principale; « 2° la forma e le dimensioni delle appendici fogliari ; «3° il numero delle gemme ascellari in rapporto con una determi- nata foglia; « 4° i reciproci rapporti tra l’asse principale, gli assi secondarî e le foglie. « L'azione del fitotto può manifestarsi sull'asse principale, sia ingran- dendolo, trasformandolo cioè in un asse di un sistema di infiorescenze più o meno abbondantemente ramificato, sia conservandogli il suo aspetto di rame foglifero, ma raccorciandone gli internodî in modo che le foglie si inseriscono a così breve distanza l’una dall'altra da sembrare, nei casi più salienti, di- sposte a rosetta. La superficie della lamina di queste foglie è nella grande maggioranza dei casi meno estesa di quella delle normali; esse mostrano inoltre spesso una tendenza più o meno marcata nella disposizione delle ner- vature a deviare dal tipo normale penninervio. Questa tendenza può talmente accentuarsi che in taluni casi si ha un sistema di nervazione distintamente trinervia o più raramente quadrinervia; i margini della lamina non si man- tengono allora come nei casi normali interi, ma essa apparisce più o meno regolarmente lobata, con spiccata tendenza a farsi tripartita. Mentre le foglie dell’alloro sono persistenti, esse sono spesso nei rami deformati caduche, di colore verde-pallido, di spessore e consistenza inferiore alle normali, in modo da costituire un passaggio dalle foglie alle brattee che negli ultimi inter- nodî si sostituiscono alle foglie. Nel caso in cui il ramo fogliare è trasfor- mato in un sistema di infiorescenze, tutte le foglie sono sostituite da brattee. « Come ho già ricordato, normalmente all'ascella delle foglie si inseri- scono due gemme, delle quali di regola si sviluppa quella che sta in vici- nanza all'asse; nella maggioranza dei rami metamorfosati all'ascella di una foglia, di qualunque natura possano essere le modificazioni da essi subite, sì trovano inseriti due, tre e talora persino quattro assi secondarî. Di questi il più interno, che può essere anche un ramo foglifero, è sempre più svilup- pato, in confronto al suo od ai suoi vicini, tanto riguardo le dimensioni tra- sversali e longitudinali, quanto per numero di assi secondarî che si inseri- scono su di esso. In generale l’asse esterno è semplice, terminato da un solo capolino, al quale raramente se ne aggiunge qualche altro, portato da un bre- vissimo peduncolo. Le dimensioni longitudinali di questo asse secondario esterno, sviluppatosi da una gemma accessoria, sono talora così piccole che il ca- polino da esso portato si può ritenere sessile. Le dimensioni di questo sono inferiori a quelle dei capolini portati dagli altri assi che si trovano all’ascella della stessa foglia, ed inoltre esso per la sua forma ed il suo aspetto esterno — 325 — sì avvicina alle giovani infiorescenze parziali normali. Esso sembra non avere direttamente subito l'azione del titotto, perchè comunemente ne è esente ed è costituito da un numero variabile di fiori che spesso è inferiore a cinque. « Quando il capolino si presenta costituito da quattro fiori si possono avere nella sua costituzione le seguenti modificazioni : « a) l’involucro è costituito da quattro brattee; il primo paio e la terza sono fertili, la quarta, di superficie laminare alquanto ridotta, è sterile; « b) l'involucro è costituito da quattro brattee; il primo paio e la quarta sono fertili, la terza di ridotta grandezza è sterile; « c) l'involucro è costituito da quattro brattee tutte fertili, il fiore terminale è abortito. «In altri termini il capolino composto di quattro fiori proviene dal tipo a cinque fiori per aborto di uno dei fiori laterali del secondo paio o per aborto del fiore terminale. « Quando il capolino offre nel suo interno tre fiori sì possono avere i seguenti casì: «“ a) l'involucro è costituito da quattro brattee; le prime due sono fertili, all'ascella di ciascuna brattea del secondo paio sono abortite le gemme destinate alla formazione del secondo paio di fiori laterali; « b) l'involucro è costituito da due pezzi rappresentati dalle brattee ascellanti del primo paio di fiori laterali; il secondo paio è completamente abortito ; “ c) l'involucro è costituito da tre brattee; le prime due sono fertili, la terza è sterile e la quarta completamente abortita. « Ricorderò infine che nei rami attaccati dal fitotto sono frequenti i casi di concrescenza tra l’asse principale e le foglie per un tratto più o meno lungo, spesso fino alla inserzione della foglia verticalmente soprastante, e quelli di concrescenza per un tratto più o meno lungo dell'asse secondario sviluppatosi dalla gemma interna coll’asse che la porta, dei differenti assi sviluppatisi da gemme che si trovano all'ascella di una sola foglia. Come apparizione conco- mitante alla concrescenza si verifica spesso la deviazione, secondo un arco od un angolo più o meno ottuso, dell'asse principale dalla sua direzione normale. « Dopo di avere in succinto esposto il diverso modo di reagire all’ec- citazione dovuta alla presenza del fitotto, degli assi rameali, delle foglie e dei sistemi di infiorescenze, mi rimane di accennare alle trasformazioni da esso determinate sugli involucri dell’infiorescenze parziali e sui diversi organi costituenti il fiore, poichè è nell'interno dei capolini che i fitotti si trovano associati in numero grandissimo ed è quivi che la loro azione si deve fare ri- sentire direttamente ed a lungo. « Le brattee involucrali che avvolgono le infiorescenze parziali aumen- tano considerevolmente di dimensioni, sono ricoperte da abbondanti tricomi, li — 326 — assumono una consistenza carnosa ed una tinta che passa, a seconda del- l'età, dal verde-pallido al giallastro con chiazze rossastre più o meno vive, ed infine al rosso-bruno. Senza descrivere tutte le modificazioni che possono subire gli organi costitutivi del fiore, tanto negli esemplari maschi quanto nei femminei, ricorderò che negli esemplari maschili sono spesso facilmente distinguibili le antere, che quantunque deformate, presentano nelle loro logge granelli di polline più o meno differenziati, e che negli esemplari femminei il pistillo può essere ancora riconoscibile. Ma in generale tutte le parti co- stitutive del fiore hanno subîto tali modificazioni nella loro forma e gran- dezza, la simmetria è così profondamente alterata dallo sviluppo preponde- rante ed irregolare di certe parti e dall’aborto di certe altre, che anche sopra serie di tagli trasversali non è più possibile il ricostituire il suo diagramma ». ]e549): e — 327 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI n_—__—__—_—£©«<«-S>-“S“"<—-<“—<--< Seduta del 3 dicembre 1893. F. BrioscH1 Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI] Agronomia. — Sulla bonifica di Roma e dell'Agro romano. Nota del Socio CORRADO TOMMASI-CRUDELI. « Ho l'onore di presentare in dono all'Accademia una copia della tra- duzione inglese del mio libro sul Clima di Roma, fatta dal capitano Charles Cramond Dick, e pubblicata recentemente a Londra ('). « Questa traduzione ha avuta una molto miglior sorte di quella incon- trata dal suo originale, pubblicato sette anni fa (?). La sua rapida diffusione nei paesi di lingua inglese, nei quali essa ha trovato un pubblico numeroso ed impregiudicato, ha servito a fare apprezzare la coscienziosità colla quale io mi sono applicato, durante una lunga serie di anni, allo studio pratico delle quistioni economiche ed igieniche che si riconnettono alla esistenza della ma- laria nelle varie parti del globo. Il libro italiano invece, sebbene reso molto più istruttivo dell'inglese dalle numerose illustrazioni che lo corredano, non ha trovato favore presso di noi. Esso offendeva dei pregiudizi tenacemente radicati nelle nostre scuole mediche, molti amor propri, e soprattutto molti (1) Tommasi-Crudeli, 7he climate of Rome and th roman malaria. Translated by Ch. Cramond Dick. J. et A. Churchill, 11. New Burlington Street. London, 1892. (2) Zl clima di Roma, Conferenze fatte nella primavera del 1885, inaugurando l’Istituto d’Igiene sperimentale nella R. Università di Roma. Con una carta topografica e geologica dell'Agro romano e cinque tavole illustrative. Roma, Ermanno Loescher e C.°, 1886. RENDICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 45 — 328 — interessi impegnati in alcune precipitose soluzioni dei problemi relativi alle bonifiche di Roma e dell'Agro romano, che erano già state adottate, o che si sperava veder presto adottate — come realmente lo furono. Tutte le Ri- viste italiane, comprese quelle speciali, hanno sistematicamente ignorata la esistenza di questa pubblicazione; ed essa non ha avuto sin qui altro effetto pratico, che quello di farmi sistematicamente escludere da tutte le Commis- sioni, parlamentari o governative, nelle quali si è avuto a trattare di argo- menti relativi alle bonifiche proposte nella regione romana. Ugual sorte ave- vano già avuto le pubblicazioni parziali da me fatte sullo stesso argomento dal 1879 al 1885. « Nè poteva esser altrimenti. Appena adesso, dopo quindici anni di lotte validamente sostenute da tutti gli igienisti della nuova scuola sperimentale, siamo arrivati a scuotere, in Italia e fuori, il pregiudizio palustre che domi- nava da secoli tutta la dottrina della malaria, e, pur troppo, la domina in gran parte ancora. Partendo dal dato che la malaria non è che un prodotto delle putrefazioni che hanno luogo nelle acque stagnanti, quando veniva ac- certato che una località era affetta da malaria, il pensiero correva subito alle paludi, agli stagni, agli acquitrinî, ecc., che si trovavano in vicinanza di quella località, e ci si teneva sicuri di purificarne l'atmosfera estinguendo questi focolai d'infezione. Quando le raccolte di acque stagnanti erano a grande distanza dalla località affetta da malaria, si ammetteva, senz'altro, che i venti vi portassero la produzione malefica da quei lontani focolai, remossi i quali, la bonifica doveva ritenersi come assicurata. | « Ora invece sappiamo: che la malaria non è un prodotto della putre- fazione, e che essa può svilupparsi abbondantemente in località nelle quali non sono, nè furono mai, acque impaludate o stagnanti; che essa è costituita da un fermento il quale vive e si moltiplica mella terra e non nell'acqua; che le raccolte di acque impaludate o stagnanti possono favorirne la produ- zione soltanto quando si trovano in terreni malarici, mentre sono impotenti a produrre malaria per sè stesse, qualunque sia la entità delle putrefazioni di sostanze animali o vegetabili che in esse hanno luogo; che terreni di sva- riatissima composizione, e posti in ogni maniera di giaciture, contengono questo fermento specifico e sono atti ad inquinare l'atmosfera che loro sovrasta, ogni qualvolta si trovano in condizioni favorevoli alla moltiplicazione, ed al libero sollevamento nell'atmosfera, del fermento vivente in essi contenuto; che queste condizioni si riducono a tre, tutte egualmente indispensabili: 1) una tempe- ratura del suolo non inferiore ai 20°C, 2) un grado moderato di umidità del suolo infetto, 3) l'immediato contatto della superficie del suolo infetto coll’atmosfera sovrastante; che l'assenza di una sola di queste condizioni basta a sospendere la produzione della malaria, ed a produrre una bonifica la quale dura fino a quando quella condizione indispensabile non venga restituita; che le correnti aeree, anche di moderata velocità, le quali strisciano sui terreni — 329 — produttori di malaria e sconvolgono l'atmosfera locale da essi inquinata, di- sperdono i germi malarici accumulati in questa atmosfera, per modo da non poterli trasportare a distanza in masse tali che valgano a rendere offensiva alla salute dell'uomo l'atmosfera dei luoghi immuni da malaria; — e, final- mente, che noi non conosciamo sinora alcuna maniera di cultura la quale valga a produrre sicuramente una bonifica stabile dei terreni malarici, cioè 4 rea- derli sterili rapporto alla produzione della malaria. pur conservando loro la facoltà di nutrire gli organismi vegetabili utili alla economia sociale. Cosiechè non si può con giustizia imporre ai proprietari di terreni malarici, per iscopo igienico, una qualunque cultura la quale non sia retributiva. « Ma quando il governo italiano venne a stabilirsi nel 1870 a Roma, queste nozioni, risultanti dalla esperienza popolare che le scuole mediche ave- vano quasi sempre tenuta in non cale, e da studî scientifici allora in em- brione, erano nella mente di pochissimi. I più, ed i maggiormente autorevoli, professavano le massime basate sul pregiudizio palustre e sa tutti gli errori che ne derivavano. Dall'altra parte il nuovo governo aveva fretta di fare e di decidere. I nuovi venuti a Roma erano dominati dalla paura della febbre ro- mana, e chiedevano che il pericolo di essa fosse eliminato ai più presto. Col- l’idea che la malaria provenisse soltanto dalle paludi, ciò appariva facile a conseguire. La malaria di Roma si credeva importata nella città dagli stagni e paludi del littorale mediterraneo, o dagli impaludamenti avventizî che di tratto in tratto producevano nella pianura costituente l’Agro romano le inon- dazioni del Tevere, l’ultima delle quali, quella del dicembre 1870, aveva for- temente impressionato gli animi ('). A sanificare la città e gran parte del- l’Agro, doveva bastare una migliore sistemazione del corso del Tevere che impedisse le inondazioni periodiche di questo fiume, e la remozione delle rac- colte di acque stagnanti, principalmente degli stagni di Ostia e Maccarese. Il rimanente della bonifica igienica dell'Agro romano si sarebbe poi facilmente ottenuto mediante opere idrauliche consimili, e la cultura intensiva degli ubertosi terreni di questa vasta pianura. « Io non ho da riandar qui a traverso tutta la serie di argomenti di fatto i quali dimostrano la fallacia di questo concetto fondamentale, e spie- zano le numerose disillusioni alle quali siamo andati incontro. Io le ho esposte ampiamente nel mio libro, e non occorre tornarvi sopra. Fortunatamente quello che più urgeva, cioè la liberazione della città di Roma dalla malaria, l'abbiamo (1) Questa strana idea che l’Agro romano sia una pianura, mentre è costituito almeno per quattro quinti da colline, ha tenacemente resistito ad ogni dimostrazione di fatto che la provava insussistente. Undici anni dopo il 1870, in una pubblicazione ufficiale fatta dal Ministero di agricoltura, si divide la provincia di Roma in regioni, la prima delle quali vien detta: Regione della pianura; comprendente il così detto Agro romano e le paludi pontine. V. Monografia della città di Roma e della campagna romana. Vol. I, pag. XCV. Roma, tipografia Elzeviriana, 1881. — SH) — già conseguito senza l'intervento di alcuna delle opere di bonifica escogitate dal 1870 in poi. La malaria di Roma non era importata nella città da venti di qualsiasi quadrante. Era una produzione autoctona del suolo stesso di Roma, che infettava l’aria di tutte le regioni urbane nelle quali il suolo si trovava allo scoperto, colla sola eccezione del Viminale. Dopo il 1870, a misura che questo suolo è stato ricoperto dalle nuove case e dai nuovi piani stradali, quella produzione malefica è andata progressivamente diminuendo. Io ho pub- blicate due carte delle regioni malariche della città di Roma (') costruite sui dati accuratamente raccolti da due coscienziosi osservatori romani, i dott. Lanzi e Terrigi. La prima dimostra quale era lo stato delle cose nel 1870; la se- conda il grandissimo guadagno già fatto sulla malaria urbana nel 1884, anno nel quale i lavori di prosciugamento degli stagni di Ostia e Maccarese non erano ancora iniziati, ed appena lo erano quei della sistemazione del Tevere. Dal 1884 ad oggi questa bonifica, puramente edilizia, è andata sempre più estendendosi, e adesso di malaria più non si discorre se non in alcune parti periferiche della città. « Tutto ciò dimostra come Roma fosse igienicamente disinteressata nella bonifica degli stagni di Ostia e Maccarese; cosicchè non v'era alcuna neces- sità di intraprendere il prosciugamento di questi stagni col metodo più rapido, invece di adottare il metodo più sicuro. Le ragioni di ordine igienico, finan- ziario ed agricolo, per le quali era da ritenersi grandemente preferibile la colmata di questi stagni per mezzo delle torbide del Tevere, alla loro con- versione in po/ders per mezzo di macchine idrovore, erano state svolte con tanta evidenza nella primavera del 1885, da indurre il [Ministro dei lavori pubblici (Genala) a far ristudiare la quistione durante l'estate. Fino allora non si erano fatti che dei lavori preparatorì per assicurare lo scolo delle acque dei due stagni; questi lavori erano stati sospesi alla fine di maggio e dove- vano essere ripresi a novembre; il contratto per le macchine idrovore non era ancora stipulato; la quistione era quindi impregiudicata. Il Ministro diede l'ordine di ristudiarla a fondo il 22 giugno 1885. Questo studio fu intrapreso da una Commissione riunitasi nei primi di dicembre, la quale si limitò al- l'esame di un progetto di colmata dell'ingegnere Giuseppe Cesarini (?), senza fare altre indagini o ricerche. Del resto, qualunque indagine o ricerca avesse fatta sarebbe stata praticamente inutile, poichè nei mesi decorsi fra l'ordine dato dal Ministro e la prima riunione della Commissione, il Ministero aveva stipulato il contratto per le idrovore, eli lavori pel prosciugamento mecca- nico erano già stati iniziati. La quistione, impregiudicata ancora nel giugno, era già stata risoluta, prima che il nuovo studio ordinato dal Ministro fosse (1) Zl clima di Roma. Pag. 80, tav. IV e V. (2) Giuseppe Cesarini, Borificazione dell'Agro Romano. È possibile colmare col Te- vere gli stagni e le paludi littorali di Ostia e Maccarese? Roma. Voghera Carlo. 1886. — 391 — incominciato. Tutte le premure fatte più tardi al Senato dal Socio Cremona, ed alla Camera dal generale Araldi, da Baccelli e da me, onde questo studio fosse realmente compiuto, riuscirono vane, sebbene la promessa di compierlo fosse a due riprese ripetuta. « Dal punto di vista igienico, non che da altri punti di vista, sarebbe stato desiderabile che, anche per la sistemazione del Tevere, si fosse potuto preferire un metodo diverso da quello che venne adottato. Io non conosco le ragioni tecniche per le quali venne scartato il progetto di accorciare di dieci chilometri il percorso del Tevere dalla città al mare, mediante rettifili i quali eliminassero le numerose curve del fiume a valle di Roma. Nè, se conoscessi quelle ragioni, mi attenterei a discuterle, perchè non sono un in- gegnere idraulico. Qualora però quel progetto fosse veramente stato attuabile, deploro che non sia stato attuato. Esso avrebbe semplificato il problema della colmata dei due stagni di Ostia e Maccarese, ed agevolata una permanente bonifica igienica ed agricola di quei due bacini, mentre adesso vi avremo una bonifica igienicamente nulla, ed economicamente più che problematica — poichè essa dipende dal funzionamento continuo e costoso di macchine idrovore. Con quel progetto, escogitato da un idraulico distinto, il Possenti, e completato poi da un altro distinto idraulico, il Vescovali, si voleva con un'attiva chia- mata alla foce del Tevere scongiurare in gran parte il pericolo delle inon- dazioni di Roma, e, mediante lo sgombro e la rettificazione dell’alveo urbano del fiume, si sperava scongiurarlo del tutto. Vescovali poi, giustamente preoc- cupato delle condizioni idrauliche del sottosuolo di Roma, aveva proposto di limitarsi a fare le sponde dei nuovi Lungo-Tevere con delle scarpate, costruite in guisa da lasciare libero il deflusso nell'alveo urbano di tutta la massa delle acque sotterranee di Roma: massa ingentissima, della quale le carte da me pubblicate (') non danno che una povera idea. Questa massa di acque viene adesso incarcerata nel sotto suolo della città dai nuovi grandi mura- glioni costruiti lungo il Tevere urbano, e l'innalzamento del livello di essa ha in varî punti della città procurata quella inondazione sotterranea di Roma, sulla quale l'Accademia medica cercò invano di attirare l’attenzione del Mi- nistero dei lavori pubblici nella sua seduta del 24 aprile 1857 (2). Non è inutile il ricordare, che la Commissione sanitaria del Municipio di Roma aveva appoggiata validamente presso il Governo le considerazioni fatte a questo pro- posito dal Vescovali, e lo aveva fatto in tempo utile; cioè avanti che si po- nesse mano alla costruzione di quei muraglioni. Ma essa non riuscì nemmeno ad ottenere che si adottasse qualche provvedimento, onde allacciare e convo- gliare altrove questa massa di acque sotterranee, prima che la estensione della (1) Z2 clima di Roma. Pag. 8 e 20, tav. I e IL (2) Bullettino della I. Accademia medica di Roma. Anno XIII, da pag. 316 a pag. 328. Roma, Tipografia Fratelli Centenari, 1887. — 392 — fabbricazione in Roma rendesse quasi impossibile la esecuzione di opere di tal natura. « L'opera fatta pei nuovi Lungo-Tevere è grandiosa, senza dubbio, ma non so quanto dobbiamo felicitarcene. Se anche la perturbazione del regime delle acque sotterranee di Roma verrà ad essere diminuita da nuove vie di affluenza al Tevere, che una parte di queste acque potrà trovare a monte, o a valle, della città, essa rimarrà sempre un fatto grave, e, dal punto di vista igienico, deplorevole. Dall'altro lato, il cospicuo allargamento dell'alveo urbano del fiume, non compensato nei suoì effetti da una più attiva chiamata alla foce per mezzo dei rettifili proposti dal Possenti e dal Vescovali, ha prodotto un rallentamento nella corrente del Tevere urbano, del quale si possono già ap- prezzare gli inconvenienti. Il Tevere è, fra tutti i fiumi dell’Italia centrale, il colmatore per eccellenza; tale è l'abbondanza delle terre, e terre feraci, che esso trasporta in ogni sua piena, anche mediocre, e deposita poi dovunque la velocità della sua corrente viene rallentata. Questa potenza colmatrice del Tevere, che gli studî del compianto generale Araldi avevano dimostrata vera- mente eccezionale, molti di noi sperarono invano di vedere impiegata util- mente nella bonifica degli stagni del Delta tiberino. Essa invece sì esercita adesso nell'alveo stesso del Tevere, dentro Roma. Quanto è già avvenuto nei pressi dell'Isola Tiberina, con tanta jattura della estetica e dell'igiene, non è cosa che possa farci augurare lietamente dell'avvenire ». i Chimica generale. — Sulla reazione di Anderson. Nota del Socio ALFONSO Cossa. « È noto che i chimici, adottando una proposta di Oechsner de Coninck (4), designano col nome di reazione di Anderson la proprietà dei cloroplatinati delle basi piridiche corrispondenti alla formola generale: (CnHen-5NHC0]); PiCL di eliminare per l’azione dell’acqua alla temperatura dell’ebollizione due mo- lecole di acido cloridrico trasformandosi in un cloruro di una base platino- piridica della forma: Cl,Pt(CnHon-5N)2Cls « Continuando negli studî già da qualche anno intrapresi sulle combina- zioni basiche del platino, mi è venuta l’idea di indagare se la reazione di Anderson si verifica anche nel cloroplatinito di piridina, e si potesse per con- seguenza attribuire a questa importante reazione un carattere di maggiore generalità. Con tale intento ho eseguito una serie di ricerche delle quali indico in questa Nota i più importanti risultati finora ottenuti (?). (1) Bull. de la Soc. chim. de Paris. T. XL (18883) pag. 271. (2) La descrizione particolareggiata di queste ricerche formerà argomento di una Memoria che pubblicherò negli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. — 333 — « 1) Si può ottenere il cloroplatinito di piridina, finora non conosciuto, raffreddando in una miscèla di ghiaccio e sale un miscuglio di una soluzione concentrata di cloroplatinito potassico (una molecola) con un eccesso (due molecole) di una soluzione parimenti concentrata di cloruro di piridina leg- germente acida. Si comprime fortemente la massa cristallina che si depone, e si lava ripetutamente con alcool. Si ottiene così il cloroplatinito di piri- dina puro. Questo sale è anidro; solubilissimo nell'acqua, ma non igrosco- pico; è affatto insolubile nell’alcool. Cristallizza in prismi monoclini, che si estinguono nella luce polarizzata quando lo spigolo più pronunciato del pri- sma forma colle sezioni dei nicol un angolo di circa 23° gradi. Questi cri- stalli sono distintamente pleocroici e le vibrazioni parallele all'asse princi- pale del nicol polarizzatore sono di un color rosa molto sbiadito, mentre appaiono di color rosa intenso in una direzione normale alla precedente. « 2) La soluzione acquosa di eloroplatinito di piridina per l'ebollizione sufficientemente protratta, si decompone, eliminando due molecole di acido cloridrico, e deponendo una materia di colore giallo, pesante microcristallina insolubile, che presenta una composizione corrispondente alla formola: Pt(C;H;N), Cl, e che potrebbe denominarsi: composto platinoso di Ander- son, ma che è identica per le sue proprietà al cloruro di platososemidipi- ridina; come il composto platinico dell’Anderson può ritenersi analogamente identico al cloruro di platinosemidipiridina. — Quando l'ebollizione non ha una durata sufficiente per la decomposizione completa, oltre alla formazione del composto platinoso dell’Anderson, si depone dalla soluzione filtrata una altra sostanza ben cristallizzata in prismi di colore giallo, che, analizzata, presenta una composizione corrispondente a quella del sale doppio : Pt(C;H;N), Cl», (PtC:H; NHC1), Pt Cl, « Pertanto il cloroplatinito di piridina si comporta in un modo affatto analogo a quello che fu osservato per la prima volta da Anderson nel cloro- platinato della stessa base. « 3) Il cloroplatinito di piridina esposto alla temperatura di 130° gradi in una stufa ad aria, perde il peso di una quantità esattamente corrispon- dente a due molecole di acido cloridrico per ogni molecola del sale impie- gato; e si trasmuta in una polvere di color giallo che analizzata presenta la stessa composizione del composto platinoso di Anderson. Anche qui si manifesta perfetta l'analogia col cloroplatinato di piridina, il quale, come fu recentemente osservato dal prof. L. Balbiano, per l’azione di una tempe- ratura compresa tra 150°-180° gradi si trasforma integralmeute nel com- posto platinico di Anderson ('). (1) Sopra i composti plato-pirrazolici. Nota seconda. Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. I, fasc. 11. Adunanza del 4 dicembre 1892. — 334 — « 4) La soluzione acquosa di cloroplatinito di piridina lasciata a sè alla temperatura ordinaria, si decompone gradatamente deponendo una miscèla del composto platinoso di Anderson e del sale doppio Pt(C; H;N), Cl.(C;H; NHC1); Pt Cl, e mettendo in libertà dell'acido cloridrico. « Ho trovato che anche la soluzione del cloroplatinato di piridina puro, cioè non contenente acido cloridrico libero, si disassocia col tempo alla tem- peratura ordinaria. In una esperienza quantitativa fatta con due grammi di cloroplatinato di piridina sciolti in 150 centimetri cubici di acqua, la de- composizione era completa dopo quarantacinque giorni. Dosando la quantità di acido cloridrico che si rende libero, si vede che questa va progredendo, però con una velocità sempre minore, fino a raggiungere un limite che cor- risponde assai approssimativamente alla quantità d’acido cloridrico indicato dalla teoria. Tale risultato è controllato dalla determinazione della quantità del composto platinico di Anderson che va gradatamente deponendosi. Dopo il tempo indicato il liquido era affatto scolorito, ed evaporato a secchezza lasciava appena traccie di residuo. « 5) Le acque madri della preparazione del cloroplatinito di piridina abbandonate a sè alla ordinaria temperatura, depongono dopo molto tempo una piccola quantità del composto platinoso di Anderson, ed in dose molto maggiore il sale doppio già più volte accennato. « Il composto platinoso di Anderson è in cristalli minutissimi che esa- minati al microscopio risultano costituiti da lamine rombiche di colore giallo pallido il di cui angolo acuto misura circa 65° gradi. Il sale doppio invece si depone in cristalli macroscopici che raggiungono alle volte la lunghezza di due centimetri. Sono prismi ortotomi di colore giallo aranciato e che non presentano un sensibile pleocroismo. « La soluzione acquosa di questi cristalli per l'ebollizione anche di breve durata, sì scompone producendo per ogni molecola di sale doppio disciolto due molecole del composto platinoso di Anderson e due molecole di acido cloridrico. « 6) Il composto platinoso di Anderson trattato per un tempo sufficiente a bagno maria con acqua regia diluita assorbe una quantità di cloro eguale a quella che contiene, e sì trasforma integralmente nel corrispondente com- posto platinico, come venne dimostrato dalle analisi fattane. Eguale risultato, ma meno agevolmente si può raggiungere trattando il composto platinoso con permanganato potassico ed acido cloridrico diluito, oppure per l’azione diretta e moderata del cloro sul composto platinoso sospeso nell'acqua. « 7) Qualunque sia il modo col quale è preparato (ebollizione della so- luzione acquosa o riscaldamento a 130° del cloroplatinito di piridina) il com- posto platinoso di Anderson presenta sempre gli stessi caratteri. Esso è una, 995 — materia di color giallo citrino a struttura cristallina; quasi insolubile nel- l’acqua fredda, poco solubile a caldo ed affatto insolubile nell’alcool. « Il composto platinoso di Anderson è identico per tutte le sue pro- prietà col cloruro di platososemidipirina, che venne già ottenuto da Jòrgen- sen (!) facendo agire due molecole di piridina sopra una molecola di cloro- platinito potassico in soluzione acquosa. Si può avere una prova convincente di questa identità nell'eguaglianza perfetta della forma cristallina da me ri- scontrata nei cloroplatiniti complessi corrispondenti alla formola: Pt IE | Pt 01, ) ottenuti trattando nello stesso modo, cioè prima con ammoniaca, e poi con cloroplatinito potassico, tanto il composto platinoso di Anderson, quanto il cloruro di platososemidipiridina preparato direttamente per l’azione della pi- ridina sia a freddo, sia a caldo sopra una soluzione di cloroplatinito potas- sicoo — Per analogia è permesso di ritenere che anche il composto platinico dell’Anderson debba essere riferito al cloruro di cloroplatinosemidipirina : Cl, = Pt—p—p—pC01l Cl e non al suo isomero cloruro di platosopiridina _ pr Pp_ 01 ci=Pt_L gi « 8) L'asserzione di Anderson (8), ripetuta ancora nei trattati di chi- mica, che trattando il cloruro di platinosemidipiridina con un eccesso di piridina, si ottiene un cloruro di platosopiridina, corrispondente al cloruro di platosammina (cloruro della seconda base del Reiset) è inesatta. In questo caso il corpo che si ottiene è molto probabilmente un composto diplatinoso, cioè appartenente alla serie non ancor bene studiata delle basi del platino contenenti in ogni molecola due atomi di questo metallo ». () Zur Constitution der Platinbasen. Journ. fir prakt. Chemie, vol. XXXIII (1886), pag. 504. (2) In questa formola p ed 4 indicano rispettivamente una molecola di piridina e di ammoniaca. (3) Ann. de Chim. et de Phys. 8° série, t. 45 (1855), pag. 366. RenDICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 46 — 536 — Astronomia. — Su/ pianeta (306) Unitas in terza opposi- zione. Nota del Corrispondente E. MIiLLOSEVICH. « Nella mia Nota precedente, dando gli elementi di (306) Unitas, oscu- lanti in terza opposizione, esprimeva la lusinga che di pochi secondi la mia effemeride fosse per deviare dal luogo vero. Il fatto si è verificato. Ho ritro- vato ieri sera il pianeta, con ben poca fatica, nella seguente posizione ap- parente : Ascensione retta app. Declinazione apparente 1893 Dic. 2. 10°50"50SR.C.R. 7° 12" 10. 68 (9.562,) +14°30'16.1(0.673) Lo splendore mi pare un poco più debole del teorico, cioè di 11.5 in luogo di Fllioie « Calcolando ora una variazione di =-605 in AR che variazione avrebbe prodotto secondo i miei elementi in declinazione ottenni 4 20”.3; calco- lando poi il luogo secondo l’effemeride si ottengono le correzioni a questa di — 245.15 inAR e + 9."5 in declinazione, in piena armonia, entro 1.5, colle variazioni precedenti, locchè prova che uno solo degli elementi predomina nel bisogno di sensibile correzione, probabilmente il moto medio o l’eccen- tricità, senza escludere piccole correzioni per gli altri, minime per il piano ». Matematica. — Aeponse à la Note de M le professeur GRE- corIo Ricci, du 3 septembre 1893. Nota del sig. G. Ka:nIos, presen- tata dal Corrispondente PADOVA. « Je viens d’avoir connaissance de la Note communiquée è l'illustre Aca- démie des Lincei, le 3 septembre, par M”" le professeur Gregorio Ricci, in- titulée: A proposito di una Memoria sulle linee geodetiche del sig. G. Kenigs. M° Ricci établit dans cette Note des rapprochements entre une Note de lui insérée aux Rendiconti du 22 janvier 1893, et le résumé d'un Mémoire qui a obtenu le prix Bordin en 1892 à l’Académie des Sciences de Paris. J'ai publié le résumé de ce Mémoire en décembre 1892 aux Annales de la Fa- culté des Sciences de Toulouse; mon Mémoire original a été déposé en octobre 1892 au Secrétariat de l’Académie des Sciences, et le 1apport sur le concours a paru en décembre 1892; enfin en janvier 1891 j'avais déposé au Secré- tariat de l’Académie des Sciences un pli cacheté où tous mes résultats et les principes de ma méthode se trouvaient consignés (voir la Séance du 20 no- vembre 1893 dans les Comptes Rendus de l’Académie des Sciences). « Si je me permets d’entrer dans ces détails, c'est uniquement pour que l'on ne puisse pas croire que j'ai pu profiter des recherches de M* Ricci. — 337 — «Jai été, par contre, très heureux de le voir parvenir par d’autres moyens à une partie des résultats que j'avais obtenus. « Mais après avoir constaté ce qu'ont de commun nos recherches, il n'est pas mauvais de voir en quoi elles diffèrent. « M" Ricci a cherché les conditions C nécessaires et suffisantes pour qu'un ds? donné, de forme quelconque, admette une forme de Liouville ou une infinité d'ordre 7, c’est-à-dire, dépendant de 7 paramètres. Il a pu ainsi établir que 2 est égal à 4 au plus et que les surfaces à courbure constante sont seules dans ce cas; que 7 n'est jamais égal à 3; que se n=2 le ds? con- vient à une surface de révolution; que pour certains ds?, 2 = 1. Mais M” Ricci se borne à trouver les conditions O. « Les conditions C étant alors supposées remplies, M" Ricci indique quelles intégrations il faudrait effectuer pour trouver les formes Liouville que le ds? peut recevoir. « Le problème que je me suis proposé touche de très près è celui-là; cependant il en diffère totalement. J'ai en effet cherché è déterminer sous forme explicite tous les ds? qui admettent une infinité de réductions è la forme de Liouville. « Ce problème est équivalent à l’er/égration des équations de condition trouvées par M" Ricci. Seulement, au lieu de suivre la voie adoptée par M° Ricci, j'ai eu recours è l’équation de condition donnée depuis longtemps par M" Darboux au tome II° de ses Zecons sur la théorie des surfaces. Si un ds? admet une infinité d'ordre x de réductions au type de Liouville, il doit vérifier (2-4 1) équations de M" Darboux. Tel a été mon point de départ. « Je me suis, il est vrai, placé au point de vue des intégrales quadra- tiques. Le problème ne change pas, il est le méme que celui des formes de Liou- ville; mais sous cet aspect il se présente bien mieux; le ròle des ds° de révolution, celui des formes limites de M" Lie s'expliquent ainsi bien plus alsément. « Au fond, toute la difficulté du problème que j'ai traité, consistait dans l'intégration d'une équation aux fonctions mélées. « La méthode indiquée par Abel pour l’intégration de ce genre d'équa- tions n'aboutissant pas, J'ai dù recourir è l’'étude directe de l’intégrale sur l’équation elle-mème. « J'ai établi à cet effet un théorème général que je n'ai pas donné, il est vrai, dans mon résumé des Annales de Toulouse, mais que l’on trouvera dans les Comptes rendus de la Séance du lundi 20 novembre à l’Académie des Sciences de Paris. Pour le surplus, je ne puis que renvoyer au résumé que j'ai déjà publié. ». — Sag — Matematica. — Alcune parole a proposito della precedente ri- sposta del sig. K6nigs. Comunicazione del prof. GrEGORIO Ricci, presentata dal Corrispondente E. PADOVA. « Nella breve Nota inserita in questi Rendiconti sotto la data del 3 set- tembre 1893 io mi proposi soltanto di porre in rilievo come, malgrado l’ap- parente diversità dei criterî, da cui il sig. Kònigs ed io eravamo partiti nella classificazione degli elementi lineari di superficie, i nostri risultati su questo punto coincidessero perfettamente. Nella risposta, che si legge qui sopra, il sig. Kònigs ha voluto completare il raffronto tra i nostri due lavori ed io non posso che compiacermene e sottoscrivere, quasi senza riserve, alle sue osser- vazioni. « A mio avviso però i due problemi da noi risoluti non differiscono tanto quanto può apparire a prima vista, e la differenza è grande soltanto nelle vie da noi scelte per la loro risoluzione. Infatti il sig. Kònigs si propone di riconoscere #ra tutti gli elementi lineari di Liouville quelli, per cui l’equa- zione delle geodetiche ammette un numero m > 1 di integrali quadratici indipendenti, e vi riesce dando sotto forma finita gli elementi lineari stessi ed assegnando per ciascuno di essi il valore di 72. Io mi propongo invece di rico- noscere /ra tutti gli elementi lineari di superficie quelli, per cui è m = 1, e risolvo il problema collo stabilire le equazioni di condizione, cui deve sod- disfare la curvatura assoluta della superficie secondo i valori che 72 può assu- mere. E si osservi che, posto il problema con questa generalità, non si poteva pensare ad altra via, che a quella da me seguita, per cui partendo dalla equazione integrale nota, che equivale alla ipotesi che l'elemento lineare sia riducibile alla forma di Liouville, si perviene alle equazioni differenziali sopra ricordate. « La eleganza dei metodi e la importanza dei risultati dovuti al signor Konigs, risultano evidenti anche dal semplice riassunto della sua Memoria e sono stati riconosciuti da giudici eminenti. Però, senza voler fare confronti, parmi potere asserire che i nostri risultati si completano a vicenda e che il problema da me risolto è fondamentale nella teoria delle geodetiche, poichè dal punto di vista della applicazione di noti teoremi importa anzi tutto il sapere se e come un dato elemento lineare di superficie sia riducibile alla forma di Liouville. Per esempio, la risoluzione di quel problema riduce a questione di semplici quadrature la integrazione della equazione delle geode- tiche per tutte le superficie, per cui questa ammette un solo integrale qua- dratico. Quanto alla scelta tra i due enunciati, sotto cui il problema, che mi era posto, si poteva presentare, mi par chiaro che essa non poteva, per quanto riguarda il problema stesso, influire, neppure per la forma, nei ri- sultati finali. — 339 — « Aggiungerò ancora come nell'occuparmi di un tema, su cui l'Accademia delle Scienze di Parigi aveva ripetutamente chiamata l’attenzione dei geo- metri, fosse mio proposito di provare la efficacia dei metodi di calcolo diffe- renziale assoluto, la quale ha la sua ragione in ciò che essi eliminano natu- ralmente dai problemi, che sono indipendenti dalla scelta delle coordinate, ogni elemento ad essi estraneo. E infatti spero di aver dato un esempio con- vincente di questa efficacia, poichè, se non m'inganno, il problema da me risoluto difficilmente sarebbe stato accessibile al calcolo differenziale ordi- nario. Avvertirò in fine come io abbia avuta cognizione del riassunto del sig. Kénigs soltanto dopo la pubblicazione della mia Nota inserita nel fasci- colo del 22 gennaio 1893 di questi Rendiconti ». Fisica. — Sul modo di eliminare le deformazioni permanenti (!). Nota del dott. M. CANTONE, presentata dal Socio BLASERNA. « In due Note precedenti (?) ho esaminato l'influenza che esercitano i processi di deformazione sulle proprietà elastiche dei corpi. Una grave diffi- coltà si opponeva in principio a siffatto studio, non conoscendosi ancora il mezzo di ricondurre il corpo deformato permanentemente nello stato primitivo, o in generale, in condizioni paragonabili fra loro e per le quali si avessero le stesse proprietà elastiche nei due sensi. Or io basandomi sull'esperienza nota, che una sbarra un poco piegata si può riportare per mezzo di vibra- zioni allo stato iniziale, e tenendo conto dell’analogia tra i fenomeni di ela- sticità e quelli del magnetismo, ho pensato che, come si toglie al corpo già sottoposto all’induzione di un rocchetto la polarità residua mediante correnti alternate e decrescenti, fosse possibile in modo analogo raddrizzare le lastre deformate permanentemente, usando carichi positivi e negativi che si succe- dano con intensità sempre minore. « L'esperienza ha confermato in parte le mie previsioni, giacchè col metodo ora indicato sì avvicinano poco a poco all'origine i punti d'incontro della curva d’isteresi coll’asse delle forze, sino ad aversi, ad operazione compiuta, il ritorno della lastra ad una forma assai vicina alla primitiva. Così le 0,, 0;, ed 0,; ricotta, col procedimento anzidetto, delle saette residue di 0,32,Mm 0,37,3m 1,00%® conservarono una parte che non superò 0,14®", « Nel caso di deformazioni permanenti piuttosto grandi, il metodo descritto o delle alternazioni decrescenti, come lo si può chiamare, non basta a conse- guire tutto l’effetto desiderato, inquantochè il corpo, pur perdendo buonissima parte della flessione residua, resta un poco piegato nel senso in cui si esercitò la prima volta la forza massima usata nelle serie. « Però, a mio credere, è da ritenere che tale risultato non si debba (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di Fisica della R. Università di Palermo. (2) V. Rend., Accademia dei Lincei, vol. II, 2° sem., p. 246 e — MO ascrivere a difetto del metodo in questione, bensì al fatto che il corpo il quale abbia subìto sforzi troppo grandi, perde la proprietà di presentare deforma- zioni permanenti uguali nei due sensi, accennando ad oscillare attorno una posizione spostata rispetto alla primitiva nel senso avanti cennato; sicchè la non completa efficacia del processo di scarica dipenderebbe in ultima analisi dalle deformazioni cui prima si è sottoposto il corpo. « Basterà, per provarlo, considerare come si comporti una lastra che par- tendo dallo stato originario compie cicli bilaterali di ampiezze crescenti. Si vede allora che la media delle letture ottenute col carico zero nell’andata e nel ritorno, si mantiene in principio quasi costante e coincidente coll’altezza iniziale della mira, per variare poi nel senso indicato; attuando ad un certo punto il processo delle a//ernazioni si perviene ad una lettura sul catetometro diversa dalla primitiva, ma vicinissima alla media di quelle fatte nell'ultimo ciclo per le deformazioni residue in alto ed in basso, come attestano le tabelle seguenti che contengono, in succinto, parte della storia di talune lastre. e In ogni tabella la seconda colonna si riferisce alle letture avute col carico 126 158 139 2 0 200000) 132 164 151 3 0 Ziino 138 168 146 5 0 22» 126 | 156 | 144 7 0 23» 113 | 162 143 10 0 24» 120 158 151 9 0 25.» 132 168 158 4 0 26» 138 157 148 8 0 DID 114 168 138 6 0 28.» 122 152 152 ò 0 2970 120 163 149 3 0 20.» 126 | 156 122 3 0 GI 135 167 154 3 0 | — 361 — « Questi risultati confermano quello che ho detto precedentemente, e cioè che l'ozono in piccolissime proporzioni invece di essere microbicida favorisce lo sviluppo di alcuni microrganismi. Ciò posto mi pare che dovrebbe essere di grande interesse il ricercare se questo fatto si verifica anche per i batteri patogeni ». RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio CERRUTI, relatore, a nome anche del Socio BELTRAMI, legge una Relazione colla quale si propone la inserzione negli Atti accademici, di una Memoria del prof. T. DeL BeccaRo, intitolata: Sopra dl teorema di Wilson generalizzato. Le conclusioni della Commissioni esaminatrici, messe ai voti dal Presi- dente, sono approvate dalla Classe salvo le consuete riserve. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, se- gnalando quelle inviate dai Corrispondenti PaLMIERI e MaTTIROLO, dal Socio straniero MaREY e dai signori BIRKELAND e SURASIN. Il Segretario TommaAsI-CRUDELI offre una una copia della traduzione in- glese, fatta dal capitano C. CraMmonD Dick, della sua opera sul Clima di Roma. Il Socio CANIZZARO presenta, a nome degli autori, una Memoria a stampa dei signori THIEMANN e KRUEGER. Il Socio BeroccHI fa omaggio di due pubblicazioni dell’architetto F. Az- ZURRI, e ne discorre. Il Socio MaRrIOTTI presenta l’opera del prof. MERZARIO: I Maestri Co- macini e ne fa notare l’importanza per la storia artistica d'Italia di dodici secoli, dal 600 al 1860. CORRISPONDENZA Il Segretario BLasERNA dà conto della corrispondenza relativa al cam- bio degli Atti: — 362 — Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La Società geologica di Manchester; l'Università di Tokyo. Annunciano l’invio delle proprie pubblicazioni : Il R. Corpo delle miniere di Roma; la Società australiana per l'avan- zamento delle scienze di Hobart; l'Accademia delle scienze di St Louis; la Società di fisica e di storia naturale di Ginevra; la Società zoologica di Londra; l'Università di Bonn. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 3 dicembre 1893. Ambrosino V.— Sulla determinazione della longitudine di un luogo col me- todo delle distanze lunari. Messina, 1892. 8°. Anderson W. — The interdependence of abstract science and engineering. London, 1893. 8°. Azzurri F. — Due singolari capitelli scoperti presso la ripa del Tevere. Roma, 1892. 8°. Id. — Riforme e miglioramenti eseguiti dal 1862 al 1893 al Manicomio di S. Maria della Pietà in Roma, ora Manicomio provinciale. Roma, 1893. 8°. Birkeland Kr. et Sarasin E. — Sur la nature de la réflexion des ondes électriques au bout d'un fil conducteur. Paris, 1893. Boccardo E. — Trattato elementare completo di geometria pratica. Disp. 36. Torino, 1893. 8°. D'Achiardi G. — Le tormaline del granito Elbano. Parte 1.* Pisa, 1893. 8° Ferrier W. F. — Catalogue of a Stratigraphical Collection of Canadian rocks. Ottawa, 1893. 8°. Finley J. P. — Certain climatic features of the two Dakotas. Washington, 1893. 4°. Marey E. J. — Le mouvement. Paris, 1893. 8°. Mattirolo 0. — Cenni storici sulla R. Accademia di agricoltura di Torino. Torino, 1886. 4°. Id. — Contribution è la biologie des Hépatiques. Mouvements hygroscopi- ques dans le Thallus des Hépatiques Marchantiées. Turin, 1889. 8°. Id. — Contribuzione alla biologia del genere Epicoccum. Genova, 1889. 8°. Id. — Contribuzione allo studio del genere Cora Fries. Firenze, 1881. 8°. Id. — Flora alpina. La ricchezza delle Alpi considerata sotto l'aspetto della flora ornamentale ed officinale. Torino, 1883. 8°. Id. — Flora alpina (vivente) presentata dal Club alpino italiano, all'Espo- sizione nazionale italiana. Torino, 1884. 8°. — 363 — Mattirolo 0. — Giovanni Battista Delponte. Notizie biografiche. Torino, Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Ji Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Jk Id. 1885. 8°. — (Giacomo Gibello. Commemorazione. Torino, 1890. 8°. — Illustrazione della cyphella endophila Cesati. Torino, 1887. 8°. — Illustrazione di tre nuove specie di tuberacee italiane. Torino, 1887. 4°. — Illustrazione di un erbario del colle di Soperga composto sulla fine del secolo scorso dall'abate A. Palazzi. Torino, 1893. 8°. — La linea lucida nelle cellule malpighiane degli integumenti seminali. Torino, 1885. 4°. — La simbiosi nei vegetali. Torino, 1883. 8°. — Osservazioni intorno al lavoro del sig. K. Schips. « Ueber die Cuticula und die Auskleidung der Intercellularen in den Samenschalen der Papi- lionaceen. Genova, 1893. 8°. — Reliquiae Morisianae ossia elenco di piante e località nuove per la Flora di Sardegna recentemente scoperte nell’erbario di G. G. Moris. Ge- nova, 1892. 8°. — Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Epatiche Marchantieae. To- rino, 1888. 8°. — Sulla natura, struttura e movimento del protoplasma vegetale. Torino, 1882. 8°. — Sullo sviluppo di due nuovi hypocreacei e sulle sporebulbilli degli ascomiceti. Firenze, 1886. 8°. — Sullo sviluppo di due nuovi hypocreacei e sulle spore-bulbilli degli ascomiceti. Torino, 1886. 8°. — Sullo sviluppo e sullo sclerozio della peziza sclerotiorum Lib. Firenze, 1882. 8°. — Sul polimorfismo della Pleospora herbarum. Tul. e sul valore spe- cifico della Pleospora Sarcinulae e della Pleospora Alterna- riae, di Gibelli e Griffini. Torino, 1888. 8°. — Sul valore sistematico del Chorromyces gangliformis. Genova, 1893. 8°. — Sul valore sistematico della Saussurea depressa Gren. Genova, 1890. 8°. — Sur le parasitisme des truffes et sur la question des mycorhizes. To- rino, 1888. 8°. — Una escursione botanica nel Gruppo del Viso. Torino, 1888. 8°. e Buscalioni L. — Il tegumento seminale delle papilionacee nel mec- canismo della respirazione. Genova, 1890. 8°. td. — Ricerche anatomico-fisiologiche sui tegumenti seminali delle pa- pilionacee. Torino, 1892. 4°. id. — Sulla funzione della linea lucida nelle cellule malpighiane. To- rino, 1890. 8°. — 364 — Mattirolo O. e Buscalioni L. — Sulla struttura degli spazî intercellulari nei tegumenti seminali delle papilionacee. Genova, 1889. 8°. Id. e Lessona M. — Maurizio Reviglio. Cenni biografici. Torino, 1891. 8°. Id. e Pirotta R. — Antonio Enrico du Bary. Messina, 1888. 4°. Moschen L. — La statura dei Trentini confrontata con quella dei Tirolesi e degli Italiani ecc. Torino, 1893. 8°. Id. — Quattro decadi di cranî moderni della Sicilia ed il metodo naturale nella determinazione della varietà del cranio umano. Padova, 1893. 8°. Palmieri L. — L'elettricità atmosferica osservata con globi areostatici. Na- poli, 1893. 4°. Ratki F. — Osvit na 25-godisnje djelovanja Jugoslavenske Akademije zna- nosti i umjetnosti. U. Zegrebu, 1893. 8°. Rey-Pailhade J. de — Essai sur l'unification internationale de l’heure. Tou- louse, 1893. 8°. Riccò A. — Ecclisse solare del 16 aprile 1893. Roma, 1893. 4°. laramelli T. — Alcune osservazioni geologiche nei dintorni di Erba. Mi- lano, 1893. 8°. Tiemann Y. und Xréger P. — Ueber Veilchenaroma. Berlin, 1893. 8°. Tommasi-Crudeli C.— The Climate of Rome and the Roman Malaria. London, L39232 Very EF. W. — The hail storm of May, 20. 1893. S. L e a. Pe — 365 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Seduta del 172 dicembre 1893. A. MESSEDAGLIA Presidente MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Sulla tensione massima dei vapori dell’anidride car- bonica liquida. Nota del Socio PIETRO BLASERNA. «I signori Landolt e Bòrnstein hanno pubblicato in questi giorni una seconda edizione, notevolmente ampliata, delle loro tabelle fisico-chimiche (!), che sono un pregevole contributo allo studio della fisica e della fisico-chi- mica. Essi vi hanno riprodotto le classiche ricerche di Regnault sulla ten- sione dei vapori, fra cui figurano quelle sull’anidride carbonica, sul protos- sido d'azoto, sull’anidride solforosa e su altri corpi, i quali nelle condizioni ordinarie di temperatura e di pressione esistono allo stato gassoso. « Fra questi diversi corpi, l'anidride carbonica liquida merita una spe- ciale menzione. Le belle esperienze di Regnault sulla tensione massima dei vapori furono eseguite negli anni 1860-1861, quando io avevo l'onore di es- sere suo allievo e di prender parte ai suoi lavori. L'anidride carbonica liquida si distillava da un apparecchio di Thilorier in un forte recipiente di ghisa diviso in due concamerazioni disuguali, comunicanti fra di loro, e contenenti una sufficiente quantità di mercurio. La maggiore delle concamerazioni con- teneva l'anidride carbonica liquida, la minore era messa in comunicazione (1) Physikalisch-chemische Tabellen von Dr. H. Landolt und Dr. R. Bérnstein. Berlin, 1894. RenpICcONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 50 — 366 — con un lungo manometro ad aria compressa. Tutto il recipiente era collocato in un bagno, di cui si faceva variare la temperatura fra — 25° e + 42° gradi. « Quando Regnault eseguiva queste esperienze, il concetto della tem- peratura critica, dovuto ad Andrews, non esisteva ancora. Le misure si spin- sero quindi al di lè di questa temperatura (30°, 92) e si fermarono poco al di là di 42° per mere considerazioni pratiche. Ma ad uno sperimentatore dell’abilità e dell’esattezza di Regnault non poteva sfuggire l'anomalia, che presentava l'anidride carbonica da 31° in su. Descrivendo nel volume II della classica sua opera (°) le esperienze ed i risultati riguardanti l'anidride car- bonica, a pag. 624 così si esprime: «J'ai calculé une formule d’'interpolation è deux exponentielles... Mais « j'ai bientòt reconnu que, pour appliquer une formule de ce genre, il était « nécessaire de faire subir une correction considérable à F,, c'est-à-dire, à la « force élastique qui correspond à la plus haute température. La cause de « cette anomalie se manifestait clairement sur la courbe graphique que j'ai « tracée sur les observations elles-méèmes. Cette courbe a l’aspect ordinaire, « depuis — 25° jusqu'à + 25°; mais au-dessus de cette dernière température; « elle s'infléchit rapidement vers l'axe des températures et paraît tendre vers “un maximum peu éloigné. Il eùt été intéressant de pousser les expériences « plus loin, et je l'aurais fait si je m'étais apergu de cette circonstance au « moment des expériences. J'espère avoir l’occasion de faire quelques recher- « ches directes sur cette importante question.... » « Quoiqu'il en soit, pour sortir des valeurs imaginaires de « et de £ « dans la formule, il a fallu prendre, par tàtonnement, une valeur de F, plus « grande que celle qui résulterait des expériences. On pourrait attribuer cette «anomalie à ce fait que le récipient ne renfermait plus d’acide carbonique « liquide au delà de + 25°; mais alors le gaz n'aurait changé de force « élastique que par l’'élévation de température, et la variation aurait été « infiniment plus faible que celle qui est indiquée par l'expérience. Enfin, « par la quantité d'acide carbonique que l'on a fait sortir de l’appareil è la « fin des expériences, on a reconnu que, mème à la température de + 42°, « il devait rester encore beaucoup d'acide carbonique liquide ». « Queste importanti considerazioni dimostrano fino all'evidenza, che a Regnault non era sfuggita l'anomalia, che presenta l'anidride carbonica liquida al di là di una certa temperatura. Se quel grande sperimentatore avesse avuto occasione di ritornare sopra questo argomento, egli si sarebbe certamente accorto che, al di là di una data temperatura, l'anidride carbonica, poca 0 molta che sia, si trasforma tutta e sempre in vapore. Probabilmente il me- rito di scoprire la temperatura critica sarebbe a lui toccato; ma le circo- stanze e la massa enorme di lavoro accumulato non permisero più a Regnault (1) Rélation des eapériences sur les machines è feu, tom. II. Paris, 1862. — 367 — di riprendere questo lavoro. Egli credette che tale anomalia incominciasse già a manifestarsi al di là di + 25°; ma se invece della curva da lui pre- scelta, nella quale le ascisse sono le temperature e le ordinate i logaritmi della tensione massima, si traccia una curva mantenendo per ascisse le tem- perature e ponendo per ordinate i valori stessi della tensione massima, si vede bene che le sue osservazioni alle temperature più vicine, ma inferiori alla critica, di + 29° e di +- 30° rientrano assai bene nel carattere della curva, e che le vere anomalie si manifestano ai tre soli punti superiori da lui mi- surati, di + 32°, + 39°, + 42°. « Ne segue, che le esperienze di Regnault conservano tutta la loro im- portanza fino al valore della temperatura critica, la quale dalle migliori e più accurate misure di Andrews rimane fissata a + 30°,92. Ma, come si è visto, volendo Regnault calcolare una curva unica fino al di là di 42°, egli ha dovuto forzare notevolmente i valori per quest'ultima temperatura, la quale cosa reagisce, nel calcolo, anche sui valori inferiori. Io ho quindi creduto utile e necessario di ricaleolare una curva che comprendesse le misure di Regnault da — 25° fino alla temperatura critica. Trattandosi di un fenomeno, che ab- braccia pochi gradi (56° in tutto), mi sono persuaso che una formula con un solo termine esponenziale era più che sufficiente, come del resto ha praticato anche Regnault in simili casiì. « Ponendo log F = a — da dove F è la tensione massima espressa in metri di mercurio, e # la tempe- ratura in gradi centigradi, si trova a=3,07977, log&=0,217 0569, logia = 9,996 9612 e si ha la seguente tabella TENSIONE MASSIMA DI CO, t in metri | in atmosfere — GE 13,071 17,20 — 20° 15,268 20,09 — 15° 17,741 23,34 29100. 20,508 26,98 SP 23,589 81,04 0 27,002 35,53 + 5 30,765 40,48 + 10 34,897 45,92 +— 15 39,415 51,86 + 20 44,326 58,32 +25 49,651 66,33 + 30 55,399 72,89 + 80,92 56,504 74,35 — 368 — « Per temperature superiori alla critica Regnault ha eseguito tre deter- minazioni: a 32°, 38° e 42°. In esse l'anidride carbonica, divenuta tutta gas- sosa e riscaldata, si dilatava, comprimendo vieppiù l'aria del manometro. Ad ogni mutamento di temperatura mutava quindi la pressione del pas e mutava pure il volume; quest’ultimo in condizioni non matematicamente stabilite. Le cifre indicate da Regnault non rappresentano quindi nè quella, che egli chiamò la dilatazione a volume costante (aumento di elasticità interna del gas per l’av- venuto aumento di temperatura), nè quella che egli chiamò la dilatazione a pressione costante (il vero coefficiente di dilatazione). Esse non hanno quindi un significato ben definito. « Dalla tabella qui sopra risulta per la temperatura critica di 30,92 la pressione di 74,35 atmosfere. Questa sarebbe la pressione critica soltanto nel caso che tutto lo spazio fosse riempito dall’anidride carbonica gassosa in modo che la sua densità risultasse identica a quella della liquida, il che non può sapersi. In ogni caso quella cifra rappresenta un valore inferiore, di modo che la pressione critica può essere superiore ma non inferiore a 74,35 atmosfere. Andrews dà per questa il valore di 77,0 atmosfere. « Regnault ha studiato pure il protossido d'azoto e l'anidride solforosa. Quanto al primo, le indicazioni per la temperatura critica oscillano fra + 35,°4 (Dewar) e + 36°,4 (Janssen). Si può quindi dire che la tabella da lui pub- blicata, per valori compresi fra é = — 25° e £ = +- 40°, riprodotta nella prege- vole collezione di Landolt e Bérnstein, è esatta fino at= + 35° e soltanto il valore per f= + 40° deve escludersi. L'anidride solforosa poi ha la sua temperatura critica tanto al di là dei limiti delle esperienze di Regnault, che la sua tabella conserva tutto quanto il suo valore ». Chimica. — Zrtorno ad un omologo della asparagina e al- cuni derivati degli acidi omoaspartici. Nota del Socio KORNER e del prof. A. MenOzZI. « Da alcuni anni noi abbiamo trovato che facendo agire in date con- dizioni l’ammoniaca alcoolica sugli eteri dietilici fumarico e maleico, si ot- tiene la forma racemica dell’etere dietilico dell'acido aspartico, da cui si arriva alla miscela delle due asparagine attive a quantità uguali, e all’acido aspartico inattivo (racemico) (!). Nel concetto, che tale reazione fosse generale, sia variando gli eteri non saturi, sia sostituendo l'ammoniaca con ammine primarie e secondarie, traitammo successivamente gli eteri fumarico e ma- leico colla metilammina, ed ottenemmo di fatti gli aspettati prodotti (etere dell'acido metilaspartico, immide del medesimo acido, mono- e dimetilaspa- (1) Rendic. Ist. Lomb. Seduta del 28 aprile 1887. — 369 — ragina e acido metilaspartico), tutti quanti nella modificazione racemica (!). In seguito i signori dott. Wender (?) e dott. Sani (3) hanno esteso in questo laboratorio quella reazione agli eteri acrilico e crotonico, giungendo rispet- tivamente alla preparazione sintetica della f8-alanina per il primo e a quella dell'acido f#-ammidobutirrico pel secondo degli indicati eteri. Inoltre il dott. Sani ha trovato anche che la benzilammina si unisce facilmente col- l'etere fumarico, dando prodotti benzilati analoghi. « Nell'intento di arrivare ad isomeri della glutammina e dell’acido glu- tammico, abbiamo applicato la citata reazione agli eteri dietilici dei tre acidi pirocitrici. L'esperimento ha pienamente confermato le nostre previsioni, permettendoci di giungere ai prodotti aspettati, e di constatare inoltre dei fatti interessanti rispetto alle proprietà ottiche e. cristallografiche dei me- desimi, come esponiamo in questa Nota. « Nel trattamento degli eteri pirocitrici con ammoniaca alcoolica, ab- biamo seguito per tutti e tre il medesimo procedimento, e cioè abbiamo scaldato per più giorni 15 grammi di etere dietilico dell'acido con 45 c.c. di ammoniaca alcoolica a 11-12 °/, vol., entro tubi chiusi ad una temperatura di 105° o di poco superiore, non arrivando a 110°. Dopo il riscaldamento si notano queste differenze: nei tubi contenenti l'etere itaconico si ha de- posito di una materia cristallina sotto forma di mammelloni aderenti alle pareti del tubo; mentre nei tubi contenenti gli altri due eteri non si ha separazione di sostanze solide, se non dopo alcune settimane di abbandono. Siccome i prodotti risultanti dai tre eteri non sono identici, così esporremo separatamente ciò che abbiamo osservato per ognuno. 1. Prodotti dall’etere citraconico. « La sostanza cristallina che si deposita nei tubi dopo qualche settimana l'abbiamo raccolta su filtro, lavata con alcool concentrato e ricristallizzato dal medesimo solvente. Cristallizza da alcool e da acqua in piccoli aghi; fonde a 175°. Fatta bollire per qualche tempo con acqua sviluppa ammo- niaca e perde la reazione alcalina. L'analisi e le trasformazioni del prodotto ci hanno dimostrato che esso è l’ammide completa d’un acido isomero al glutammico della formuia greggia C; Hr N30». « Una determinazione di azoto ci ha fornito i seguenti risultati : gr. 0,2098 di sostanza diedero c.c. 53,4 di azoto sotto 739 mm. e a 13°, corrispondenti a gr. 0,06134 di azoto. « Quindi: - trovato calcolato per C; H1 N30» IN oa 2928: 28,97 (1) Rendic. Acc. Lincei. Seduta del 2 giugno 1889. (2) Ibid. id. id. id. (3) Rendic. Ist. Lomb. Seduta del 14 luglio 1892. EMO « La sostanza bollita con acqua di barite sino a che cessa lo sviluppo di ammoniaca, perde due molecole di questa e si trasforma nel sale baritico di un acido omoaspartico. « Il liquido, separato dal prodotto solido dei tubi, ora descritto, fu li- berato dall'alcool e dall’ammoniaca per distillazione a b. m.; il residuo fu sciolto nell'acqua e la soluzione trattata con etere, per esportare un po’ di etere citraconico rimasto inalterato, e poi concentrata. Si ottiene così un re- siduo incoloro che, ricristallizzato da acqua bollente, fornisce grandi tavole rombe ben sviluppate e limpidissime. Queste tavole, esposte all'aria, sfiori- scono e diventano bianche e opache, perdendo acqua di cristallizzazione. La soluzione della sostanza ha reazione debolmente acida, possiede un sapore dolciastro, ed è otticamente inattiva. « Dall'analisi di questo prodotto risulta che esso è un omologo dell’'aspa- ragina, della formula C; Ho N» 03. Cristallizzato dall'acqua, contiene due mo- lecole di acqua di cristallizzazione, le quali si perdono parzialmente abban- donando la sostanza, all'aria, e in modo completo mantenendola su acido solforico. gr. 1,4254 di sostanza, spremuta fra carta, sopra l’acido solforico perdettero gr. 0,2976 di acqua, ossia: acqua di cristallizzazione trovata p.c. 20,87 ” » ” ” calcolata per C: Hi, Nz03-+2Hx0 19,78 « Il dott. E. Artini ha eseguito lo studio cristallografico di questa omo- asparagina e ci ha comunicato i seguenti dati: « Sistema trimetrico: 0,695 : 1:2,414. « Forme osservate : 3001}, {110}, j111}, }1134 (001). (111) = 76°. 42° (CURO) ((LI)= 97, 20; « Faccie grandi e costantemente presenti sono quelle di 3001} e }111{: la }113} si presenta in generale con faccie strettissime e alquanto arroton- date. Mi fu impossibile fissare i caratteri ottici della sostanza, poichè i cri- stalli, incolori e trasparenti, appena estratti dalla soluzione, in poche ore diven- tano bianchi e perfettamente opachi ». « La sostanza si unisce agli acidi ed alle basi, come fa l’asparagina; svolge ammoniaca, se bollita con idrato alcalino o terralcalino, e si scompone pure, trattata cogli acidi bollenti. La soluzione acquosa scioglie a caldo il carbonato di rame con effervescenza, dando un liquido di color azzurro in- tenso, il quale deposita per raffreddamento piccole tavole ben sviluppate del colore del 8-alaninato di rame. I cristalli non si alterano all'aria; sono poco solubili nell'acqua fredda, e assai più nella calda. L’alcool precipita la so- stanza dalla soluzione acquosa sotto forma di una polvere cristallina. — 371 — . 0,5489 di sostanza essiccata all'aria perdettero a 100° soltanto r. 0,0017 di acqua, corrispondente a 0,31 °/. « Il sale tuttavia contiene acqua di cristallizzazione che scaldando a 100° in una corrente di aria secca si elimina solo in parte, completamente invece a 130-135°. Col perdere l’acqua di cristallizzazione, il sale da azzurro diviene grigioviolaceo. gr. 0,5364 di sale hanno perduto in queste condizioni gr. 0,0526 di acqua, ossia 9,81 p. c.; per due molecole, secondo la for- mula: (C:HsN:03): Cu+-2H;0, la teoria richiede 9,76 p. c. gr. 0,5472 di sostanza essiccata nella stufa a 100°, contenente perciò ancora l'acqua di cristallizzazione, diedero gr. 0,1119 di ossido ramico; ossia 20,45 per cento, mentre la formula [C; Ho N3 03]: Cu+4- H3 0 richiede CuO: 20,33 °/o0. (ai 5 o lo] 2. Prodotti dall’etere mesaconico. « La sostanza cristallina che si depone dopo molto tempo nei tubi entro i quali si è eseguito il riscaldamento dell'etere con ammoniaca alcoolica, l’ab- biamo raccolta e purificata per cristallizzazione da alcool diluito. Si presenta sotto forma di mammelloni bianchissimi costituiti da aghi lucenti. Fonde a 195°. All’analisi ha hato dei numeri che corrispondono a quelli richiesti dalla mesaconammide, ma il comportamento della sostanza sotto l'influenza delle soluzioni bollenti degli alcali o degli acidi dimostra che essa è invece l'immide d’un isomero dell'acido glutammico, che possiede identica composizione centesimale. gr. 0,212 di sostanza hanno fornito c. c. 39,5 di azoto a 15° e sotto 755,6 mm. «Da cui: Trovato azoto p. c. 21,64 Teorico per C; Hg N3 0: 21,87 « Fatta bollire con idrato baritico svolge una molecola di ammoniaca per una di sostanza, Gando il sale di bario d'un acido isomero del glutam- mico. Precipitando il bario esattamente con acido solforico, concentrando il filtrato e ricristallizzando poi il residuo solido da acqua, si ottiene puro l'acido sotto forma di cristalli prismatici trasparenti e splendenti, mediocremente solu- bili nell'acqua fredda e solubilissimi nella calda. La soluzione non agisce sulla luce polarizzata. I cristalli contengono una molecola di acqua di cristallizza- zione, la quale non si elimina mantenendo la sostanza su acido solforico, ma per riscaldamento a 100°. L'acido seccato a 100° fonde a 166°,5-167°. « Si unisce, come l'aspartico ed il glutammico, agli acidi ed alle basi. I sali sono in generale molto solubili, alcuni cristallizzano assai bene. — 372 — « La soluzione dell'acido, preparata dall’immide nel modo indicato, come già detto, non devia il piano della luce polarizzata. I cristalli, che si. sepa- rano da questa soluzione inattiva, sono tuttavia tutti emiedrici, parte destrorsi e parte sinistrorsi, e possono meccanicamente essere separati, e danno indi solu- zioni otticamente attive, deviando quella degli uni a destra e quella degli altri a sinistra. Il nostro acido, ottenuto per sintesi, è quindi la miscela a pesi uguali di due stereoisomeri di segno contrario. Il dott. Artini, dietro nostra preghiera, ha studiato le proprietà cristallografiche di questo acido. Ecco quanto ci comunica : { « Sistema trimetrico, con emiedria dissimetrica: nRiEe== 0059420, « Forme osservate 3}010}, }110} , 5011}, {012}, e }mnpi, ajmnpi. (@ }1262}, @ )1262f. (0,11). (011) = 100° 54 (110). (011) = 64° 55. « È da notarsi che le forme $126?{ e {012} coesistono spesso, e trovansi sullo stesso cristallo i due emiottaedri coesistenti. o entrambi destri o entrambi sinistri. « Non mancano geminati di complemento a completa penetrazione di un destro e di un sinistro. i «I cristalli limpidi, incolori, fragilissimi, sono per lo più prismatici e allungati secondo [001]. Sfaldatura secondo }010} poco perfetta. « Piano degli assi ottici parallelo a }100} ; bisettrice acuta perpendicolare a 3001}. « Una determinazione di azoto eseguita sulla sostanza essiccata all'aria e (contenente perciò 1 mol. di acqua) ci diede i seguenti risultati : gr. 0,4424 di sostanza fornì c.c. 31,8 di azoto a 11° e 750 mm.; da cui si calcola azoto per cento 8,96 mentre la formula C; Hy NO, . HO, richiede 8,48. 8. Prodotti dall’etere itaconico. « Il prodotto cristallino, depositatosi nei tubi dopo il riscaldamento, l'ab- biamo separato dal liquido e-poi ricristallizzato più volte da alcool, nel quale è molto solubile a caldo e poco a freddo. « Per raffreddamento della soluzione alcoolica si separa sotto forma di piccoli prismi ed aghi splendenti assai solubili nell'acqua. «I cristalli fondono a 195°, ed all'analisi diedero dei numeri che con- ducono alla formula C; Hg N; 03. — 973 — gr. 0,2903 di sostanza fornirono c.c. 58,3 di azoto a 27° e sotto 756,5 mm. di pressione, ossia gr. 0,063959 di azoto, corrispondente a i azoto per cento 22,04 mentre la formula C; Hs N; O, richiede 21,87. « La formula C; Hg N 0, appartiene tanto all'ammide itaconica quanto all’ammide di un isomero dell'acido glutammico. Facendo bollire la sostanza descritta con idrato baritico, si svolge soltanto la metà dell’azoto in essa con- tenuta sotto forma di ammoniaca, e si produce un acido azotato isomero del glutammico, in tutto identico all'omoaspartico avuto dall'etere mesaconico. gr. 3,250 della predetta immide hanno svolto gr. 0,4359 di ammoniaca e quindi NH; per cento 13,40; mentre per un immide della C; Hz N; 0» richie- donsi per 1 mol. di NH;:13,28 per cento. « L'acido separato dal sale baritico dopo questa saponificazione dell’im- mide, è chimicamente e cristallograficamente identico a quello 1isultante in modo analogo dal prodotto solido dell'azione dell’ammoniaca alcoolica sull'etere mesaconico. E del pari è inattiva la soluzione primitiva dell'acido, mentre i cristalli sono tutti emiedrici, e danno dopo separazione soluzioni attive di segno contrario. «I cristalli contengono pure una molecola di acqua di cristallizzazione che non si elimina sopra acido solforico, ma facilmente a 100°. Il prodotto (seccato a 100°) fonde tra 166°,5 e 167°. gr. 0,2294 di sostanza diedero gr. 0,3021 di CO, e gr. 0,1477 di H;0. gr. 0,4814 di sostanza perdettero, essiccati a 100°. gr. 0,0524 di acqua. « Da cui: trovato calcolato per C; Ho NO,.H.0 0 35,92 36,36 H 7,15 6,67 Hs0 di crist. 10,80 10,90. «I fatti esposti dimostrano che tutti e tre gli acidi pirocitrici conducono in ultimo per la saponificazione completa dei prodotti dell’azione dell’ammo- niaca alcoolica sui loro eteri, al medesimo acido omoaspartico, il quale dalla sua soluzione si separa a quantità uguali nelle due forme stereoisomere. Ri- spetto ai prodotti intermedî invece esistono differenze nel senso, che dall’etere citraconico risulta come principale prodotto l'ammide completa dell’ammino- acido saturo, e per scomposizione parziale della medesima una discreta quan- tità di omoasparagina (racemica); e manca quasi completamente l'immide. « L'etere mesaconico fornisce l’immide dell’amminoacido, pochissima diam- mide dello stesso e, in quantità sempre minore di quella risultante dal citra- conico, la omoasparagina. « L'itaconico infine dà quasi esclusivamente l’immide dell’ammino-acido saturo. RenDpICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 51 — 374 — « Il fatto che da tutti e tre gli acidi pirocitrici per sostituzione della doppia legatura con gli elementi dell’ammoniaca (NH, e H) risulta sempre lo stesso amminoacido saturo (omoaspartico), dimostra in modo indubbio che la costituzione di quest'ultimo e quella della omoasparagima sono da rappre- tarsi colle seguenti formule : CHg CHs | î | u—_______C00H —___CONH, Î = ì —NH; i CH; . COOH CH; . COOH Acido omoaspartico. Omoasparagina. Morfologia. — Sll'organo visivo delle Salpe. Nota del Socio F. Toparo. » « Nel tempo non breve che mi sono occupato dell'anatomia e dello svi- luppo delle Salpe, ho avuto occasione di approfondire lo studio dell'organo visivo in tutte le specie che vivono nel Mediterraneo. Mi trovo adunque in grado di far conoscere i particolari del suo sviluppo e di dare una estesa de- scrizione della forma esterna e della struttura intima, e quindi delle diffe- renze profonde che quest'organo presenta nelle diverse specie e generazioni. Posso inoltre dimostrare non solo la corrispondenza coll’organo visivo delle Ascidie, e cogli occhi dei Vertebrati, ma ricostruire l'occhio dei Cordati che nelle forme viventi di questo gruppo d'animali, è andato perduto. Intanto poichè la Memoria, a motivo delle numerose figure dichiarative che dovranno accompagnarla, tarderà a comparire, annuncio in questa Nota i principali risultati. « L'occhio delle Salpe è rimasto ad un grado relativamente basso, al grado cioè in cui non sì è sviluppata ancora la lente cristallina, e l'organo in parola è composto dello strato pigmentato e della retina, che si differenziano da un abbozzo comune derivato per delaminazione dalla parte superiore della vescicola cerebrale. È circondato dal mesenchima, che ispessito e rivestito in massima parte dall'epitelio esterno, lo protegge e fa da mezzo diottrico. « Varia moltissimo da una prole all'altra e, nella prole aggregata, da una specie all'altra, così nella forma esterna come nella intima struttura: nella prole solitaria rimane in tutte le specie allo stadio di occhio primitivo; nella prole aggregata si trasforma in occhi secondarî variabili di numero e di struttura, alcuni dei quali sono anche retrocessi e non si presentano che come occhi rudimentali. « Nella prole solitaria di tutte le specie l'organo visivo è impari e sim- metrico e, ad eccezione della S. cordiformis nella quale si presenta a mo' — 309 — di cuffia fungiforme, ha l'aspetto di un corpo lungo, più o meno cilindrico, ripie- gato a ferro di cavallo. Aderente alla superficie superiore o tetto ottico del ganglio cerebrale è posto orizzontalmente; la parte media incurvata sta indietro e le due branche laterali in avauti. Presenta, lungo la faccia esterna, lo strato pigmentato disposto a ferro di cavallo; laddove nella faccia inferiore riceve le fibre del nervo ottico non appena emergono dal tetto ottico lungo una linea curva. Così che in questa prole il nervo ottico è impari e simmetrico, e si mostra incavato in avanti come la forma corrispondente dell'organo nel quale si termina « Di grandezza variabile l'occhio primitivo della prole solitaria nel suo definitivo sviluppo presenta, sulla faccia interna o concava, tre, quattro o sei rigonfiamenti più o meno pronunziati secondo la specie; dei quali rigonfia- menti il paio anteriore ha la forma ovale coll’estremità libera, ingrossata e ro- tonda, sulla quale si ripiega lo strato pigmentato che si prolunga nella sua faccia interna. « Nella S. democratica, ove l'organo visivo è piccolo, vi sono tre ri- gonfiamenti pronunziatissimi come tre occhi secondari, di forma sferica, uno mediano e due laterali. Questi tre occhi secondari sono posti l'uno accanto all'altro nello stesso piano orizzontale e sono riuniti, nella parte esterna, dallo strato pigmentato, disposto a ferro di cavallo. Questo strato presenta indietro uno ispessimento a forma di bottone mediano che si ripiega in avanti. Il nervo sembra qui diviso in tre rami fin dalla sua origine, uno per ogni occhio secondario. « L'organo visivo della prole aggregata differisce per forma e grandezza non solo da quello della prole solitaria, ma anche nella stessa prole aggregata da una specie all'altra. Nella S. democratica-mucronata, che per la forma a cappio dell'intestino possiamo chiamare Sa/pa brochoenterata (*), l'apparecchio (1) Presento il quadro sinottico della mia Classificazione del gen. Salpa. SALPA I. S. brochoenterata (inte- II. S. ortoenterata (int. ret- III. S. carioenterata (int. a stino a cappio) tilineo) spirale o nucleoforme) a) S. democratica-mucronata a) S. Forskali-pinnata a) S. cordiformis-zonaria b) SL. Chamissonis-affinis b) S. fasciata-punctata c) S.rhomboidea-proboscidalis c) S. runcinata-fusiformis d) S. dolichosoma-virgola d) S. africana-maxima e) S. scutigera-confoederata f) S. costata-Tilesii Le specie qui enumerate, rappresentate dalle due prole (proles solitaria, proles ac- gregata) vivono nel Mediterraneo, ad eccezione della S. a/finis. Oltre di questa ultima, poche altre si possono forse aggiungere di specie buone che vivono in altri mari. Avverto che, per rendere uniforme la nomenclatura, alla prole solitaria della S. pinnata, scoperta dal — 376 — visivo della prole aggregata è diviso in tre occhi secondari, ognuno dei quali è completamente separato dagli altri due, eccettuato, s'intende, l'involucro co- mune fatto dal mesenchima e riceve uno dei tre rami in cui si divide l'impari nervo ottico fin dalla sua emergenza. Ognuno di ‘questi tre occhi guarda in una direzione opposta: uno in basso, uno in avanti ed uno in alto: il fascio nervoso, in tutti e tre penetra dal polo prossimale e lo strato pigmentato occupa il polo distale. i « Nelle Salpe ortoenterate l'organo visivo della prole aggregata si pre- senta pure diviso in occhi secondari; ma tale divisione non è così completa come nella S. mucrorata. In quelle specie gli occhi secondari della prole aggregata variano di numero da tre a cinque, e sono rigonfiamenti dell'occhio primitivo separati da strozzamenti circolari, ciascuno dei quali riceve un ramo o fascio di fibre del nervo ottico rispettivo. Anche questi occhi secondarî ‘ guardano in varia direzione. « Nella prole aggregata della S. pinnata l'organo visivo presenta la forma a ferro di cavallo come quello della prole solitaria; ma colla differenza che nella prole aggregata è disposto inversamente, vale a dire colla curvatura mediana in avanti e le due branche laterali indietro. « Nella prole aggregata di questa specie, tale organo risulta composto di cinque occhi secondari: uno, impari e mediano, è posto nella curvatura ; quattro laterali occupano le due branche e formano due paia. Il paio laterale poste- riore più grande, di forma ovoidale, presenta l'estremità posteriore libera ed ingrossata; ognuno del paio laterale anteriore, posto ai lati dell'occhio mediano, è ripiegato in alto. L'occhio impari mediano è sferico, e manda dalla parte superiore due prominenze, una destra e l’altra sinistra. Queste due promi- nenze, separate da un solco, sono rivolte indietro, e ciascuna di loro riceve un ramo dal corrispondente nervo ottico. «I cinque occhi secondari della prole aggregata della S. pinnata rappre- sentano altrettanti occhi distinti, non ostante la loro continuità. Ogni paio Forskal, ho dato il nome di ,S. Forskali, e ho chiamato S. Chamissonis, quella della S. affinis, fatta conoscere da Chamisso. La ,S. fasciata fu scoperta dal Forskal all’ingresso dell'Arcipelago, ma nessuno l’aveva più ritrovata. In molti esemplari, a me pervenuti dalla Stazione Zoologica di Napoli, ho riconosciuto la corrispondenza di essi con la de- scrizione che diede il Forskal di questa Salpa. Alcune avevano apparente lo stolone pro- lifero (intestino filiforme incurvato supra nucleum del Forskal); anzi in un esemplare era molto sviluppato, ed aveva una catena d’embrioni che mostravano i caratteri della S. punctata; quindi ho potuto stabilire la specie nella quale la prole solitaria è rappre- sentata dalla .S. fasciata, e la prole aggregata dalla .S. punctata. Altri dei miei esemplari rassomigliano ai sei individui trovati da C. Vogt natanti insieme alle catene di S. punctata nelle acque di Villafranca, e perciò da lui ascritti alla prole solitaria di questa specie. Dimostrerò più tardi che realmente questi individui, nei quali non è ancora apparente lo stolone prolifero e portano un resto di eleoblasto, rappresentano uno stadio inferiore della S. fasciata di Forskal. — 377 — di essi ha gli assi paralleli fra loro, ma opposti agli assi dell'altro paio ed a quello dell’occhio impari. Quindi lo strato pigmentato opposto allo strato di fibre nervose, si trova nei due occhi laterali posteriori in basso: nei due occhi laterali anteriori in alto; e nell'occhio mediano anteriore in avanti. Tale inversione degli occhi secondari si trova in tutte le prole aggregate delle altre specie, ed è dovuta all’adattamento della visione in varie dire- zioni; per cui l'occhio primitivo, nell’ulteriore svolgimento in occhi secondari, soggiace a movimenti di torsione negli strozzamenti che separano questi ul- timi l'uno dall'altro. « Nell’organo visivo della prole aggregata della .S. pimnata il nervo ottico è pari: vi è un nervo ottico destro ed uno sinistro. Appena emerge dal tetto ottico il nervo risale, da ciascun lato, sulla faccia superiore dell’'oc- chio laterale posteriore al quale concede una parte delle sue fibre; quindi si volge a spirale attorno allo strozzamento posteriore, e passa nella faccia inferiore dell'occhio laterale anteriore nel quale si termina. Prima di fare la spirale, si stacca da esso un fascio di fibre nervose che vanno alla metà corrispondente dell'occhio mediano. « Esternamente all'origine del nervo dttico, dietro l'occhio laterale poste- riore, si trova, da ciascun lato, un piccolo occhio rudimentale di forma ro- tonda, infossato nel tetto ottico. I due occhi rudimentali sono completamente staccati dagli occhi laterali posteriori e non ricevono fibre nervose. « La prole aggregata della S. 7Romboidea-proboscidalis, presenta un apparecchio visivo simile a quello ora descritto nella prole aggregata della S. pinnata; quello della S. virgola viceversa è ridotto a metà. Quindi in quest'ultima Salpa il nervo ottico è impari, e l'organo, allungato e ripie- gato, è rappresentato da tre occhi secondari impari: uno posteriore più grande esteso; uno anteriore ripiegato in alto; ed uno superiore più piccolo e piriforme coll’apice indietro. Per la rispettiva posizione dello strato pigmen- tato e per l'andamento e distribuzione del nervo ottico, questi tre occhi cor- rispondono all'occhio posteriore ed all'occhio anteriore di un lato, ed alla metà corrispondente dell'occhio mediano della prole aggregata della S. pinnata. Nella S. virgoia si trova inoltre un piccolissimo occhio rudimentale privo di fibre nervose, attaccato al tetto ottico, e separato dall'occhio secondario posteriore, dalla presenza del nervo ottico che passa in mezzo a loro. Non ho avuto occasione di osservare l'organo visivo in alcuna delle due prole della S. affinis. « Nella prole aggregata delle Salpe carioenterate l'organo visivo è impari. « Nella S. maxima l'intero organo, compreso il suo involucro fibroso rivestito dall’epitelio esterno, ha la forma romboidale, e con una delle sue estremità, dalla quale l’epitelio esterno passa sopra al ganglio cerebrale, ade- risce alla parte anteriore del tetto ottico donde emerge il nervo ottico. « Escluso l'involucro fibroso, l'organo puramente visivo si suddivide in — 3878 — due occhi secondari: uno superiore e l’altro inferiore. Tale suddivisione è accennata esternamente da un largo solco, al quale corrisponde un setto in- terno che separa completamente i due occhi secondari. Nell'occhio inferiore lo strato pigmentato sta in basso, e nell’occhio superiore in alto. Il nervo ottico impari, nel punto della sua emergenza dal ganglio, si suddivide in due fasci di fibre nervose, uno per ciascuno dei due occhi secondari nei quali penetra posteriormente. « Dietro l'origine del nervo ottico si trova, aderente al tetto ottico del ganglio cerebrale di questa Salpa, un occhio rudimentale impari come l'occhio rudimentale della S. v/79g0/4, ma di forma ovoide e molto più grande. « Nella S. /usiformis e nella S. punctata (prole aggregata) tutto l'insieme che racchiude l'organo visivo ha lo stesso aspetto, e questo si suddivide nello stesso modo in due occhi secondari, come nella S. maxima. Si trova anche in loro, attaccato allo stesso punto del tetto ottico del ganglio cerebrale, un occhio impari rudimentale della medesima forma e struttura. « Nella S. confoederata, nella quale non ho trovato l'occhio rudi- mentale, la separazione dell'organo visivo in due occhi secondari, uno supe- riore con lo strato pigmentato in alto, ed uno inferiore con lo strato pigmen- tato in basso, è completa. Questa separazione è fatta da un solco profondo che arriva fino al nervo ottico; il quale è impari e si biforca in ‘due rami, uno per ciascuno dei due occhi secondari. « Nella S. 7elestî l'organo visivo rimane allo stadio primitivo, e veduto di sopra presenta l'aspetto di una ciambella. In questa Salpa quindi non vi sono occhi secondari nè occhio rudimentale, ma l'occhio rimane allo stato primitivo come nella prole solitaria della stessa specie. « L'occhio primitivo e gli occhi secondari che fin qui ho descritto nella loro conformazione esteriore, sono composti, come già si è detto, di uno strato pigmentato e della retina. « La retina è fatta di due parti, la parte cerebrale e la parte neuro- epiteliale: la prima caratterizzata dalla presenza delle fibre del nervo ottico, la seconda dalle cellule visive. Entrambe hanno un sostegno, il quale non è fatto da cellule epiteliali, ma da una sostanza derivata da queste, come la nevroglia del ganglio cerebrale con la quale si continua. Questa sostanza, tanto per l'origine quanto per la sua peculiare tessitura, ha un perfetto ri- scontro con la sostanza di sostegno degli occhi dei Vertebrati. « La sostanza di sostegno e le cellule visive soggiacciono a profonde modificazioni nelle Salpe. Nell'occhio primitivo a forma di ferro di cavallo della prole solitaria del maggior numero di specie, ogni cellula visiva è provvista di un bastoncello cuticolare più o meno pronunziato. Anche nel- l'occhio fungiforme della S. cordiformis le cellule visive hanno lo stesso — 379 — bastoncello. Fanno eccezione intanto la S. maxima, la S. sceutigera, la S. costata, è qualche altra delle Salpe carioenterate, nelle quali le cellule visive non hanno bastoncello, e non contengono alcun corpo rifrangente la luce (feosfere) come ammette il Goppert; solo quelle della Sa/pa costata hanno il nucleo risplendente. « Negli occhi secondari della prole aggregata, in alcune specie le cellule visive conservano il bastoncello; in altre specie lo perdono. Le specie nelle quali le cellule visive degli occhi secondari della prole aggregata con- servano i bastoncelli cuticolari sono : la S. democratica-mucronata e le Salpe ortoenterate. Delle Salpe carioenterate quelle, nelle quali le cellule visive degli occhi secondari della prole aggregata, conservano il bastoncello, più o meno modificato, sono: la S. cordiformis-conaria, la S. africana-marima, la S. runcinata-fusiformis e la S. fasciata-punctata. Nella prole aggregata, come nella prole solitaria, della S. seutigera-confoederata e della S. costata Tilesti le cellule visive hanno perduta qualunque traccia di bastoncello cuticolare. In quest'ultima le cellule visive, poliedriche, posseggono il nucleo rifrangente, come le cellule visive della prole solitaria della stessa specie. « Negli occhi rudimentali le cellule visive sono ridotte a semplici cellule epiteliali prive di bastoncello e qualsiasi corpo rifrangente. « Alle modificazioni delle cellule visive corrispondono le modificazioni della sostanza di sostegno. Anche lo strato pigmentato, ch'è molto semplice, presenta alcune modificazioni riguardo alla disposizione delle sue cellule, e riguardo alle qualità del pigmento che in alcune specie è giallognolo, e in altre rosso bruno o ferruginoso. Negli occhi rudimentali questo strato non esiste più. Nella memoria descriverò minutamente tutte queste modificazioni. Ora voglio presentare la figura semischematica d'una sezione trasversa del- l'occhio laterale posteriore della prole aggregata della S. pimnata, nella quale la retina possiede cellule visive a bastoncello tanto nella prole solitaria quanto nella prole aggregata. « Se noi aggiungiamo alla retina lo stato pismentato che le appartiene geneticamente, vediamo che in questa sezione è composta di quattro strati: a) strato delle fibre nervose (parte cerebrale); b) strato nucleare c) strato dei bastoncelli d) strato pigmentato. parte neuroepiteliale « In questa sezione le fibre nervose sono tagliate trasversalmente. Lo strato nucleare e lo strato dei bastoncelli è fatto dalle cellule visive. Lo strato pigmentato è composto di due serie di cellule cubiche, delle quali la serie interna viene in contatto con la estremità libera dei hastoncelli ed è molto carica di pigmento; le cellule della serie esterna sono invece libere di pigmento, e lasciano scorgere per conseguenza chiaramente il loro nucleo. — 380 — « La sostanza di sostegno nello strato delle fibre nervose forma un reticolo (a) attorno alle stesse, simile alla nevroglia o sostanza punteggiata del ganglio cerebrale con la quale è in continuazione. « Nello strato nucleare e nello strato di bastoncelli si veggono le fibre raggiate, simili a quelle della retina degli occhi dei vertebrati. Queste fibre di sostegno presentano un piede conico (cono delle fibre raggiate), il quale contiene per lo più, cioè nelle fibre raggiate della periferia, un piccolo nucleo; e dalla parte dello strato delle fibre nervose manda delle finissime ramifica- zioni che si collegano col reticolo di nevroglia di questo strato (a). Questi coni accostandosi strettamente per la base fra loro, formano la cosidetta mem- brana limitante interna (72/2). (a) Strato delle fibre nervose; 4) strato nucleare; c) strato dei bastoncelli; (@) strato pigmentato ; /7) fibre raggiate; 72/e) membrana limitante esterna; 72/7) membrana limitante interna. « Le fibre raggiate nel punto di passaggio fra lo strato nucleare e lo strato dei bastoncelli fanno un grosso ispessimento. Questi ispessimenti toc- candosi nella loro circonferenza vengono a costituire la cosidetta membrana limitante esterna (ml c). « Gli ispessimenti dividono ciascuna fibra raggiata in due porzioni : una sottile che va dall’ispessimento al piede conico e separa il corpo d'una cel- lula visiva dal corpo dell'altra; l'altra molto grossa, che si porta dall’ispes- simento fino allo strato pigmentato, separa i bastoncelli fra loro. Alle fibre raggiate aderiscono le membranelle aniste che circondano le cellule visive: quelle dello strato nucleare sono sottilissime; quelle dello strato dei baston- celli sono più spesso e formano degli astucci protettivi in cui questi sono contenuti. « La retina delle salpe adunque, tanto per la sua origine come per la — 3881 — sua struttura è omodinama alla retina dei Vertebrati. Questo risultato viene a confermare l'opinione che ho espresso in una mia comunicazione fatta al XII Congresso medico tenuto in Pavia nel settembre del 1887 (vedi gli Atti di quel Congresso pubblicati in Pavia nel 1888, pag. 274), sul valore morfologico e sul significato filogenetico degli occhi delle Salpe. Avendo riconosciuto che gli elementi retinici a bastoncello delle Salpe sono equi- valenti ai bastoncelli della retina dei Vertebrati, paragonai agli occhi laterali ed all'occhio pineale di questi l'organo visivo delle Salpe; contrariamente al parere di M. Ussow e di C.S. Dolley che lo avevano comparato agli oc- chi composti degli Artropodi. « Alla stessa conclusione è venuto dopo alcuni anni (Zool. Anzeiger 26 settembre 1892, pag. 347) O. Biitschli il quale, fondandosi sul compor- tamento della parte mediana diverso da quello delle due parti o branche laterali dell'occhio primitivo a ferro di cavallo della prole solitaria della S. democratica-mucronata e sul modo diverso di penetrarvi il nervo ottico, ha distinto un occhio impari mediano non invertito, e due occhi laterali pari invertiti, corrispendenti all'occhio pineale ed ai due occhi laterali dei Ver- tebrati. « Tale ipotesi è stata combattuta da E. Goppert (Morphologisehes Jahr- buch 1892, pag. 250) e recentissimamente da M. Metcalf (Zool. Anzeiger 1893, pag. 6). Questi due osservatori negano l'omologia dell’organo visivo delle Salpe non solo con gli occhi dei Vertebrati, ma anche con l'organo visivo delle larve delle Ascidie. Gli argomenti. che ciascun di loro adduce contro, saranno esaminati nella Memoria che quanto prima pubblicherò. Ma posso fin d'ora affermare che tali argomenti non reggono alla critica, e che i caratteri comuni di origine e di struttura fra gli occhi di tutti questi gruppi d’animali possono essere stabiliti con sicurezza. Tali caratteri lasciano supporre, in un comune progenitore, l’esistenza di un occhio, il quale doveva avere press’ a poco la forma e la struttura, più o meno modificate ma fondamentalmente le stesse, quali si trovano nell'occhio primitivo a ferro di cavallo della prole solitaria della massima parte delle Salpe. Dall’occhio di questo protocordato ciclope possono essere probabilmente discesi: da un canto gli occhi rudi- mentali e gli occhi secondari delle Salpe aggregate; e dall’altro l'occhio pineale e gli occhi laterali dei Vertebrati ». Idrometria. — £&emeride e statistica del fiume Tevere prima e dopo la confluenza dell'Aniene, e dello stesso fiume Aniene durante l’anno 1892. Memoria del Socio A. BeroccHI. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. RenpICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 52 — 382 — Chimica. — Muossimolibdato e fuossipomolibdato talloso. Nota del Corrispondente FR. MAURO. Fluossimolibdato talloso. Mo 0; Fl, ,2T1 FI. « Delafontaine (!) fu il solo chimico che si occupasse di questo composto, al quale assegnò la formola: Mo 0,Fl,,2T1F1,H.0, la quale è erronea poichè, secondo i risultati delle mie analisi, il fluossimo- libdato talloso non contiene acqua di cristallizzazione. « Ottenni questo fluossisale sciogliendo l'anidride molibdica e llossiao talloso nell’acido fluoridrico diluito: la soluzione concentrata dà dei cristalli di colore gialliccio, poco trasparenti e di splendore adamantino. Essi sono ordinariamente di piccole dimensioni, ma ben conformati e misurabili; quando se ne vogliono dei più grandi, si pongono i piccoli cristalli in una soluzione satura dello stesso composto nell’acido fluoridrico diluito. Con questo processo sono giunto ad ottenere dei cristalli lunghi 6 mm., larghi 3 mm. e spessi 1,5 mm.; mentre Delafontaine ottenne sempre piccoli cristalli che non furono neanche esaminati al goniometro. « I cristalli di flaossimolibdato di tallio, lasciati a loro, dopo qualche tempo si appannano alquanto e perdono la loro trasparenza. Sono solubili poco nell'acqua e più nell’acido fluoridrico. Riscaldati sino a 200° non si alterano. Riscaldati lentamente in vaso aperto sino al rosso incipiente, si de- compongono dando acido fluoridrico ed un residuo di molibdato neutro di tallio. Questo è poco solubile nell'acqua e dalla soluzione si separa in lamine sottili con splendore madreperlaceo, solubili nell’acido fluoridrico : la soluzione fluoridrica fatta concentrare in un disseccatore di piombo ad acido solforico dà dei cristalli di fluossimolibdato di tallio. Analisi quantitativa. « Acqua di cristallizzazione. Questo composto non contiene acqua. Infatti or. 0,7924 di sale a 100° non diminuiscono di peso, a 140° perdettero gr. 0,0012, ossia il 0,15 °% a 200° ” in totale gr. 0,0032, ossia il 0,41 °/ a 300-350° ” gr. 0,0095 » Tol8t 9a Alla temperatura di 300° i cristalli si alterano, diventano opachi e prendono un color grigio ed uno splendore quasi metallico. Bisogna adunque escludere la presenza dell’acqua che nei fluossisali neutri di potassio si svolge a 100°-150°. (1) Arch. de sc. phys. et natur. de Genève, t. XXX, 1867, pag. 240. — 383 — « Molibdeno e tallio. gr. 0,9506 di sostanza dettero per calcinazione gr. 0,8761 di molibdato neutro di tallio ossia 92,16 °/0 (calcolato 92,80), corrispondenti a 15,60 °/, di molibdeno e 66,16 di tallio calcolato trovato Mo= 96 15,71 15,60 20= 32 5,24 | - 4Fl= 76 12,43 2T1= 407,2 66,62 66,16 Mo 0, F1,2 TIF1 = 611,2 100,00 « Forma cristallina. I risultati ottenuti dal prof. Eugenio Scacchi nello studio cristallografico di questo fluossisale si trovano in seguito a questa Nota ('). Dal perfetto isomorfismo col fluossimolibdato normale di ammonio restano con- fermati i risultati dell'analisi chimica. i Fluossipomolibdato talloso. Mo 0Fl;, 2 T] FI. « Preparai questo composto nel modo seguente. Sciolsi l'anidride molibdica nell’acido fluoridrico e ridussi la soluzione con la corrente di due elementi Bunsen o di due accumulatori. Per avere una riduzione più sollecita versai la soluzione in un crogiuolo di platino che misi in comunicazione col polo negativo della pila, e coprii la superficie del liquido con uno straterello di petrolio. Disposi poi la spirale di platino, che serviva da elettrodo positivo. in modo che toccasse appena la soluzione fluoridrica. Quest'artifizio fa sì che l'ossigeno appena svolto passa nel petrolio, mentre si evita contemporaneamente l’azione dell’aria sulla soluzione. Nel liquido così ridotto versai una soluzione di fluoruro talloso sino a decolorazione; si formò un precipitato che lavai e ridisciolsi nell’acido fluoridrico a caldo. La soluzione di color verde lascia de- positare, concentrandola, dei cristalli di fluossipomolibdato talloso. Questi cri- stalli sono di color verde carico tendente al gialliccio, con splendore tra il vitreo e l’adamantino. Non contengono acqua e non perdono di peso, nè te- nuti per due giorni sul cloruro di calcio, nè disseccati a 110° per otto ore. Riscaldati oltre 240° cominciano a perdere lentamente di peso e si decom- pongono completamente al rosso incipiente. Analisi quantitativa. « Molibdeno e tallio. gr. 1,4026 di sostanza hanno dato per calcinazione gr, 1,3004 di molibdato neutro di tallio, ossia il 92,71 °/, (calcolato 92,35), corrispondenti al 15,69 °/, di molibdeno ed al 66,55 °/, di tallio. « Fluoro col metodo di Penfield. @) V. p. 401. — 384 — Sostanza gr. 0,9972, AzH, si cm? 26,3, FI. gr. 0,14991 ossia 15,04 °/ ” n 1,0990, >) |: {(nMi50;S n 0,17556 » 15,98% calcolato trovato Mo= 96 15,63 15,69 O=#16 2,60 —_ Iii 195 15,47 15,04 15,98 DA 66,30 66,55 Mo 0 F1;, 2T1 Fl = 614,2 100,00 « Forma cristallina. Lo studio cristallografico di questa sostanza è stato eseguito dal prof. Eugenio Scacchi e i risultati si trovano più oltre in questo fascicolo (!). Fluossimolibdato mono-talloso. Mo0, Fl,, Tl FI. « Ottenni questo composto sciogliendo il fluossimolibdato talloso nell’acido fluoridrico concentrato e lasciando la soluzione sull’acido solforico in un dis- seccatore di piombo. Questo sale somiglia interamente al fluossimolibdato mono-ammonico. Esso si presenta in cristalli di color gialliccio, quasi tra- sparenti, con splendore tra il vitreo e l'adamantino, che all'aria si appannano un poco. Scaldato oltre 240° comincia a decomporsi; al rosso scuro si decom- pone completamente lasciando un residuo bianco terroso. Analisi quantitativa. gr. 0,6428 di sostanza hanno dato alla calcinazione gr. 0,5868 di residuo, ossia il 91,2 °/, (calcolato 90,1). In questo residuo si è dosato il tallio allo stato di cloroplatinato, e si ottennero gr. 0,6856 dicloroplatinato da cui: gr. 0,8428 di tallio ossia 53,33 °/, della sostanza primitiva. } calcolato trovato Mo= 96 24,67 _ 20 =: 82 8,25 — SB 14,65 — TI 204 52,43 53,99 Mo 0; FI, TIFI = 389 100,00 « Forma cristallina. Lo studio cristallografico di questo composto è stato eseguito dal prof. E. Scacchi. I risultati ottenuti si trovano più oltre (1), e da essi risulta un perfetto isomorfismo fra questo sale ed il fluossimolibdato mono-ammonico 7. (1) V. pag. 401, — 385 — Fisica. — Sull’accomodazione elastica (*). Nota del dott. M. CAN- TONE, presentata dal Socio BLASERNA. « Nell'esporre i particolari relativi ai cicli di deformazione (?) ho la- sciato sotto silenzio una circostanza che non deve sfuggire al nostro esame, qualora si voglia avere un'idea esatta del comportamento dell’ottone sotto- posto a forze deformatrici. « Se esercitiamo su una lastra sforzi d’intensità crescente, ed arrivati per la prima volta ad una flessione piuttosto grande compiamo un ciclo bilaterale, questo d'ordinario non sì chiude; infatti, tornando ad agire il ca- rico massimo primitivo, sì perviene ad una saetta più piccola di quella cor- rispondente all’inizio del ciclo. « Siffatta anomalia tende a sparire nei cicli successivi con un processo lento di vera accomodazione, il cui esame formerà l'oggetto della presente Nota. « La tabella I mostra in tutti i particolari l'andamento del fenomeno per la O; cimentata a partire dallo stato iniziale. In base ai risultati aventi colla O,, 7/cotta fu costruita l'annessa figura: la curva a tratto continuo si riferisce alla deformazione da zero a 4-11 ed al primo ciclo, quella trat- teggiata al secondo ciclo e quella punteggiata al 15°: Gig SR MESSE (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di Fisica della R. Università di Palermo. (2) Rend. Acc. dei Lincei, vol. II, 2° Sem. p. 246 e p. 295. — 386 — 0; TABELLA I. 9 Aprile 9-10 Apr.|,10 Aprile 11 ‘Aprile P 10: ciclo 20 ciclo 30 ciclo 10 cic o lo ciclo lo ciclo - 20 ciclo | 30 ciclo s E s E s E | s E s E s E s E s E (1) 16|| 29.82 28.44 28.14 28.11 28.15) 26.52 26.50 3.46 10130 9990 9990 9990 10130 | 9920 10060 10210 15/{ 28.41] 20*%| ,27.01 26.71 26.68 26.74 25.08 25.08 25.05 9880 9780 9740 9740 9740 9810 9710 9730 13||_25.58 24.10 23.79 23.76 23/82| cc. 22.18 22.15 22.13 ; 9550 9520 9490 9520 9520 9490 9490 9460 11) 22.55 21.11 20.79 20.77 20.83 19.18 19.15 19.12 9250 9190 9160 9170 9160 9150 9170 9160 7|| 16.39 14.91 14.57 14.56) 14.61 12.96 12.94 12.90 I] 8840 8790 8800 8790 8770 8800 8810 8790 3 9.96 8.44 8.11 8.09 8.13 6.50 6.49 6.43 8620 8530 8530 (2)] 8510 8580 8580 8550 8580 5.00 3.43 3.10 3.0 8.15 1.52 1.49 1.45 84101 8380 8300 8760 8450 2430 8360 8330! — 3||- 0.08 — 1.67 — 2.04 — 1.84 = 1.91 N95) — 3.62 — 3.68 8290 8250 8280 8470 8300 8360 8310 8300 — 7||- 6.94 — 8.56 — 8.91 | — 8.55 — 8.76 -—10.35 —10.46 —10.53 7890 | 8240 8320 8120 8220 8340 8330 8340 —1)|[-14.16 —15.47 —15.76 15.57 —15.69 17.18 —17.30 —17.96 7010 7820 8070 7910 7950 7910 8040 —13||-18.22 —19.11 —19.29 _ 7550, —19.29 =20.76|.. 20.90 —20.90 i |'6070] -- 7260 7690 7630 ‘| 7570 7770 7730 —15||-22.91 —22.03 —22.99 23.11 —23.02 —24.52 —24.56 24.58 i 5410 6650 7400 È 7330 7600 6680 7290 7440 —16||-25.55 -25.18 24.92 —25.06; —24.90) —26.66 =26.52 —26.50 10740 10280) 10130 10350 10590 10060 10210 10180 —15/[-24.22 —23.79 —28.51 —28.68 —25.68 —25.24 SQ .|=25:09 9780 9880 9810 9840 9740 9910 9880 10050) —13||-21.31 —20.91 —20.61 20.79 —20.63 —22.37 22.24 —22.26 9490] 9460, 9590 9490 9490 9490 9490 9490 —11||-18.81 —17.90 —17.64 —17.79 —17.63 —19.87 —19.24 —19.26 9290 9260 9260 9250 9280 9220 9280 9190 — 7|(-12.18 —11.75 —11.49 —11.68 —11.49 —13.49 —13.10 —18.06 8800 8860 8860 8790 8800 8860 8860 8860 — 3j|= 5.72 — 5.98 115.077 — 5.16 — 5.03 — 6.77 — 6.68 — 6.64 8510 8480 8480 8480 8480 8410 8450 8410 0|— 0.70 — 0.29 — 0.03 — 0.09 0.01 — 1.69 3 12 MEO 8360 8650 8360, 8300 8360 88380 8320 8400 S| 441 4.65 5.08 5.05 6.12 341 3.52 3.58 { 8260 8270 8290 82201 82501 8260 8310 8270 7|| 11.29 11.52 11.94| 11.97 12.01 10.29 10.36 10.40 8000 8060 8190 8130 8150 8200 8220 8240 11|| 18.41 18.59 18.90 18.98 19.00) 17.24 17.29 17.31 | 7650 7820 8020 8020 8070 7950 8020 8020) 13|| 22.13 22.28 22.45 22.58 22.58 20.82 20.84 20.86 7040 728 7670 7730 7730 7710 7770 7730) 15|| 26.17 26.14 26.16 26.21 26.21 24.51 24.50 24.54 6300 6840) 7330 7360 (3)| 7520 7180 7290 “| 7440 161) 28.44 28.23 28.11 28.15 28.11 26.50 26.46 26.46 E 8397 8563 8627 8627 8632 8622 8634 8644 E, 8530 8599 8641 8612 8644| 8121 8651) 8651 E, 8463 sal 8634 8619 8638 8622 8642 8648 (1) L'altezza iniziale della mira per P—=0 era 137.63. (2) Prima saetta del 10 aprile. L'ultima del 9 aprile era 3.07. (8) Si compiono altri due cicli e si scarica la lastra colle a/ternazzoni decr. La mira si porta a 135.96. Le saette delle serie seguenti si computano a partire da questa altezza. ‘« Rileveremo anzitutto che l’imperfetta chiusura del primo ciclo per le diverse lastre non è un fatto isolato, bensì la conseguenza di una legge che segue il corpo lungo tutta la trasformazione da P, a -P, e da -P, a P,, avendosi O nn — 9887 — per la forza estrema -P, una saetta in valore assoluto minore della primitiva e, sempre a parte il segno, un impiccolimento graduale delle saette che si ri- feriscono al passaggio da -P, a P, rispetto ai valori che per la stessa fra- zione di mezzo ciclo si aveano venendo a P, a -P,. Risultano pertanto diverse le deformazioni permanenti, ed in generale manca la simmetria nella curva rappresentatrice. « Se non che i cieli successivi, nel mentre tendono a chiudersi, accen- nano a rendere i vari cappî simmetrici, ma non rispetto all'origine, sibbene attorno a un punto che si va spostando sull’asse delle saette, in principio nel senso del quale agì la prima volta la forza massima, e poi lentamente in senso opposto, sino a raggiungere una posizione stabile che coincide collo cero di scarica, quando questa venga eseguita, dopo alquanti cicli, col me- todo delle alfernazioni (!). « Non posso garantire che lo spostamento del centro di simmetria sia caratteristico del fenomeno che si studia stando a quanto si osservò in una precedente Nota, Sulla natura della curva rappresentatrice dei cicli bila- terali, e tenuto conto di ciò che nell’accomodazione del nichel ricotto si hanno torsioni permanenti presso a poco uguali nei due sensi. « Tuttavia restano inalterati gli apprezzamenti sull’indole generale del fenomeno. Difatti, ammesso pure che lo spostarsi dello zero sia dovuto ad una causa disturbatrice capace di modificare la legge che seguirebbe il corpo in condizioni sperimentali perfette, non può ascriversi ad esso l'accomoda- zione, sia perchè, come vedremo fra poco, questa continua anche quando di- viene costante la media della lettura relativa alle deformazioni permanenti, sia perchè nelle ricerche del Wiedemann (?) sulla torsione dell’ottone, il fe- nomeno di accomodazione procede sulle linee principali colle stesse modalità da noi rilevate. « Una completa regolarità non si ottiene col processo di cui ci occu- piamo, essendovi d’ordinario anche nel caso dei cicli chiusi, ai quali si per- viene sempre col metallo crudo dopo le prime alternazioni, una forma non perfettamente simmetrica della curva che li rappresenta, giusta quanto si deduce dalla ispezione delle saette. Parmi però che il fatto sia da attribuire alla disposizione sperimentale, ed a questo convincimento son portato dal vedere che anche partendo dallo stato mon deformato si hanno, per forze crescenti, una volta in un senso ed una volta nell'altro, saette negative su- periori in valore assoluto a quelle positive che si ottengono con ugual nu- mero di pesi, anomalia che rivela palesemente in questo caso una imperfe- zione dell’apparecchio. « Per la Oy avviene la chiusura dei cicli quasi dal principio, non ostante (1) Vedi Nota intitolata: Sul modo di eliminare le deformazioni permanenti. (2) Wied. Ann. 6, p. 492. — 383 — la grandezza della deformazione massima da cui si partì fosse all'incirca uguale a quella che presentava la 0; ma è da osservare che la Oy non arrivò come la O; al carico massimo primitivo con forze crescenti con continuità, sibbene mediante una serie di cicli bilaterali con forze estreme che aumentavano volta per volta del valore corrispondente ad uno dei pezzi di piombo. Ri- sulterebbe dunque che questo modo di procedere serva ad. agevolare l’as- setto del corpo, in quanto il lavorìo inerente ai cicli più bassi costituisce una parte del processo di accomodazione. « Per riguardo all'andamento del modulo importa qui osservare che i valori di E nei successivi cicli vanno decrescendo, se si considerano forze appartenenti al primo o terzo quarto di ciclo, e che aumentano più rapida- mente per carichi vicino alla fine di ogni mezzo ciclo. Ne consegue un au- mento di E,, marcato quando si passa dal primo al secondo ciclo, e che tende poco a poco a sparire. « È notevole che le variazioni del modulo per ogni colonna si rendono nei successivi cicli meno accentuate, onde col fenomeno in esame non solo si accresce il valor medio di E, ma anche si modifica il comportamento del corpo nel senso di aversi minori divergenze dalla legge di Hooke. « Se si interrompe per qualche ora il lavorìo del corpo non si manifesta notevole disturbo nell’accomodazione, quando invece il riposo si protrae per uno o più giorni si perde parte dell'effetto prodotto dai cicli precedenti. E nello stesso senso pare che agisca la scarica col metodo delle alternazioni. « L'accomodazione, si disse avanti, oltre che colla variabilità delle saette relative ai punti estremi del ciclo, si apprezza col graduale decrescere delle deformazioni permanenti. Ciò fu notato dal Wiedemann (') nello studio che questi fece sulla torsione dell’ottone. Nelle nostre ricerche risulta di più che anche quando i cicli si chiudono, continua a scemare la differenza fra le let- ture corrispondenti alla forza zero per ciascun ciclo, generandosi col proce- dell’assetto del corpo una continua diminuzione dell’area d’isteresi. Siffatto elemento, a causa delle sue accentuate variazioni, ci permette un esame più minuzioso del fenomeno che abbiamo impreso ad analizzare. Esso ce ne ri- vela l’esistenza anche quando è difficile scorgere variazioni sistematiche sia del modulo medio che delle letture corrispondenti al carico zero. « Sarà bene pertanto studiare il processo di accomodazione in base alle sole aree d'’isteresi; ed a ciò si presta la seguente tabella, dove nella prima colonna sono indicati i giorni di esperienze, nella seconda le lastre che si cimentano, nella terza le forze estreme impiegate nei vari cicli, e nelle altre 1 valori delle aree. (1) Wied. Ann. 6, p. 492. la "ts pts — 389 — TABELLA II. Giorni Aree d’isteresi di Lastre |[P,|__ ___rr—_———€ € esperienza 10 ciclo | 20 ciclo| 30 ciclo| 4° ciclo| 50 ciclo| 8° ciclo| 50 ciclo 4 Marzo . . . . 04 (1) 14 [117.27 69.96 61.72 = = = 2 5 n» O, 'igaveo ”» » | 59.39 — _ = = = 2a 6 n» o loro o ” » | 57.25 50.58 Ss = = = <= 11» dp ao tao » 16 |186.10 176.12 —_ = = = = 12» ” » |182.91 175.42 | 166.43 = — = n 18» ” 17 |345.56 301.69 — = —_ _ — | 19» o 06 dc ” » |295.96 269.79 Gai 2 Aprile. 05 (2) 20 | 93.80 86.76 81.41 = = = = 3 n a. m ” » | 83.95 79.39 75.53 3» pm ” » | 83.30 79.14 75.84 = = = = 9 » a. m 06 16 {142.58 88.53 —_ — _ = _ O o p. m ” ”» | 76.93 72.12 71.05 69,09 | 69.67 = = 10» ” » | 70.71 70.34 67.95 67.82 ll >» a. m ” » | 74.08 69.71 67.62 _ = Fa = 11» p. m. È) 71.08 67:85 66.58 65.94 | 63.34 = = 12° n È) « | 72.88(3)| 66.61 66.34 65.76 _ = = | 26.» (0) 18 | 91.67 75.29 = — = = == Uta 6 OLE È) » | 75.14(4)) 71.51 69.04 68.13 = = = ASMagpior MN No È) » | 67.81 64.86 62.11 —_ = _ = 13» p. m O6 (5) rie. | 10 |188.50 158.39 | 135.01 _ _ = = 1500, SF ONRO » » |139.09(6)] 122.39 | 112.72 | 106.86 {108.39(7)| — — ro dios È) » |115.00 105.28 | 100.74 —_ —_ = _ 18.» do 0 0 È) » |101.73 = = = = = = 17 Giugno. . . . 012 77c. 1) |1282.5 996.1 — _ —_ = 459.2 17 Luglio a. m. ”» » | 746.4 642.8 _ _ _ 434.3 — 17» p. m. » 10 |174.8 149.7 —_ —_ —_ = e 18, i AO ” ”» |162.9 148.0 141.1 _ — | _ — (1) Dal 23 Febbraio al 3 Marzo la lastra avea compiuto cicli unil. da 0:2 a 0:14. (2) Dal 26 Marzo al 1 Aprile la lastra avea compiuto cicli unil. e bil. con forze estreme sino a 20. (3) In principio della serie la lastra era caricata con 16 pesi dal giorno prec. (4) In principio della serie la lastra era caricata con 18 pesi dal giorno prec. (5) Il 13 Maggio a. m. la lastra avea compiuto un ciclo bil. fra 10 e —10 e poi era stata ridotta a sero. (6) In principio della serie la lastra si trovava caricata con 10 pesi dal giorno prec. (7) L'ultimo quarto di questo ciclo si compì il 17 Maggio. RenpICcONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 53 — 390 — « In ogni rigo le aree (') vanno decrescendo a partire da un valore mas- simo che si fa, per la stessa lastra, di giorno in giorno più piccolo, ma che sorpassa a processo inoltrato quello ottenuto alla fine della serie precedente, in modo da rivelarsi la tendenza del corpo a perdere in tal caso col riposo parte dell'effetto dovuto al lavorìo del giorno avanti. « Che si possa ottenere colla continua deformazione del corpo, fra i medesimi limiti di forza, uno stato di regime normale è probabile, attesa la lentezza con cui in ultimo descrivono le aree, però a me, non ostante le lun- ghe serie di esperienze fatte, non è riuscito mai di ottenerlo; nè ho creduto valesse la pena di raggiungere lo scopo, occorrendo a ciò ricerche labo- riosissime per la continuità con cui si dovrebbero eseguire, colla certezza d'altro canto di non potere realizzare condizioni assolutamente stabili a causa della influenza che il riposo esercita sulle proprietà elastiche dei corpi. « Il ricuocimento rende più accentuata e più lenta l’accomodazione. Così per la O. ricotta si passa nella prima serie, dopo 15 alternazioni, dal valore dell’area 1282 all’altro 459. A parte la grandezza dell'effetto, la natura del fenomeno è però sempre la stessa. « Importa osservare che nella O; ricotta con una deformazione massima inferiore a quella che presenta la Og cruda, l'area d'isteresi è notevolmente più grande, e tale si mantiene nelle varie fasi del processo. Il risultato, va- lendo anche per i cicli unilaterali, come ho potuto accertare colla 0, ne segue aversi entro gli stessi limiti di deformazione un maggior lavoro mec- canico consumato dal corpo nello stato ricotto lungo il percorso del ciclo. « Si può rendere più breve l'assetto del corpo fra dati carichi estremi, facendolo lavorare prima in un campo più esteso di forze. Così per la 0,3 ricotta fu possibile avere sin dal primo ciclo cappî chiusi fra + 10 e — 10 dopo averle fatto subire trasformazioni fra + 11 e — 11. Un influenza dello stesso genere si riscontra per le aree d'isteresi giusta i risultati di esperienze apposite fatte colla O,. « Sin qui per i cicli bilaterali. Ben diverso è il caso di quelli unila- terali, poichè allora sin dal primo ciclo si ha la chiusura del cappio, e nei successivi, anche con deformazioni limiti piuttosto grandi, non si trovano mutamenti notevoli nelle proprietà elastiche del corpo, come attestano i ri- sultati contenuti nella tabella III (1) Il valore dato di ciascuna area ci fornisce il lavoro delle forze esterne, prese come unità delle lunghezze e delle forze rispettivamente il millimetro ed il grammo. -— 891 — O, 14-15 Aprile TABELLA III. ] P | s E s | E s | E s E | s | E s | E 14 32.45 32.45 32.39 32.39 32.39 I 12070 12000 12000 12000 12000 13 30.68 30.67 30.61 30.61 30.61 11680 11750 11750 11750 11710 11 27.01 27.02 26.96, 26.96 26.95 11390 11330 11450 11480 15360 9 23.24 23.23 23.21 23.22 23.17 11070 11100 11100 11010 11180 7 19.37 19.37 19.35 19.33 19.34 10730 10780 10760 10870 10810 5 15.38 15.40 15.37 15.39 15.38 10520 10570 10620 10520 10570 3 11.31 17.35 11.34 11.32 11.33 10260 10310 10310 10360 10330 1 7.12 7.18 7.17 747 717 10090 (1) [10230 10430 10430 10430 (o) —_ 2.00 5.07 5.12 5.12 5.12 10590 10860 10690 10750 10690 10640 1 2.02 6.97 7.07 7A1 7.12 7.13 10580 10640 10660 10720 10720 10720 3 6.08 11.01 11.10 11.12 11.13 11.14 10620 10750 10830 10810 10780 10830 5 | 10.11 14.99 15.05 15.08 15.10 15.09 10440 10890 10920 10920 16950 10890 7 | 1421 18.92 18.97 19.00 19.01 19.02 9800 11010 11040 11010 10980 11010 9 | 18.58 22.81 22.85 22.89 22.9] 22.91 8910 11070 11100 11130 11130 11130 11 | 23.40 26.69 26.72 26.75 26.77 26.77 7540 11280 11370 11400 11430 11400 13 | 29.09 30.49 30.49 30.51 30.52 30.53 6360 10900 11370 11370 11430 11490 14 | 32.45 32.45 32.39 32.39 32.39 32.39 E 10960 10993 11028 11028 11024 Ei 10932 10993 11008 11007 11007 I E, 10946 10993 11018 11017 11016 (1) Saetta iniziale del 15 aprile. L'ultima del giorno avanti era 5.09. TABELLA IV. = _r__ _eu_—e—c___—e==z: Giorni Aree d’isteresi di Lastre |P,/ Ts esperienza 10 ciclo {2° cielo |30 ciclo [40 ciclo {50 ciclo 8 Febbraio . .... Oo rie. | 12| 20.64 15.88 | 1417] — | _ ORE RN « > 19.65 | 1442| — = = | 14 Aprile ......| 07 14 4.29 8.80 | 3.02 2.87 2.66 | 26 di ruta (05 18 9.27 2.78 2,52 — —_ PSBACOSIO ONE, O12 rie. | 10| 3.52 | 2.62] 222 | 207] 19 « Che un processo di accomodazione sì compia con forze agenti sempre nello stesso senso, lo prova il variare del modulo specialmente verso la fine dei successivi mezzi cicli, e se ad un certo punto l’aumento graduale che per esso si verifica nelle prime serie accenna a sparire, tanto da aversi colla — 392 — O; negli ultimi tre cicli valori medî del modulo costanti, non è questo in- dizio che si arresti il lavorìo interno del corpo, giacchè le aree d’isteresi (V. tab. IV), decrescono continuamente, anche nei casi in cui è difficile ri- conoscere sensibili variazioni per le letture dello stesso rigo. « Il Viedemann (!) avea trovato che coll’agire della stessa forza tor- cente varie volte in un senso, crescono e le deformazioni massime e le per- manenti; nelle nostre esperienze il fatto è confermato per queste ultime, mentre per le prime o non vi sono mutamenti apprezzabili, o se esistono hanno luogo nei due sensi; pare dunque, stando ai risultati esposti, che per effetto dell'accomodazione, oltre al continuo decremento dell’area d’isteresi, si produca, riferendoci alla rappresentazione grafica, una rotazione del cappio attorno al punto figurativo della massima deformazione. « Il fenomeno che abbiamo esaminato in questa Nota trova riscontro in un fatto analogo studiato dall'Ewing (?) per il ferro nel suo classico la- voro. Si trova anche qui un effetto più pronunziato nel caso del metallo ri- cotto, ed i caratteri generali del fenomeno sono del tutto conformi a quelli che riguardano le deformazioni, solo che, laddove il fisico inglese constata imperfetta la chiusura dei cicli per forze magnetiche estreme di piccolo va- lore, nelle nostre ricerche ciò si verifica in modo tanto più marcato quanto più grande è la saetta da cui si parte nel compiere il ciclo. Il sig. Ewing osserva che il fenomeno si apprezza meglio prendendo le mosse da punti della curva caratteristica dove più rapida è la salita, lo stesso si può dire per il corpo che si deforma, come si rilevò altrove (3), per cui neanche in questo caso vi sarebbe un vero difetto di analogia. « Avviene l'accomodazione ugualmente per tutti i metalli? « A giudicare dalle ricerche preliminari da me intraprese sulla torsione del nichel, pare di no. Risultano infatti da quest'esperienze per la parte che si riferisce ai cicli bilaterali caratteri opposti a quelli ricavati per l’ottone, avendosi nelle deformazioni estreme e nelle permanenti la tendenza a cre- scere, sebbene con rapidità via via minore, e di conseguenza un continuo aumento nelle aree d’isteresi. « Importerà pertanto indagare la natura del fenomeno per molti metalli allo scopo di vedere se questa diversa legge sia in relazione con altra pro- prietà dei corpi. « Dirò ancora che l'assetto del nichel per cicli unilaterali ha luogo allo stesso modo che nell’ottone e col particolare rilevato dal Widemann sulla torsione di questo metallo, riguardante l'aumento graduale della defor- mazione massima. (1) V. loc. cit. p. 489 e 490. (2) Phil. Trans. of the R. S. of London, 176 II, $ 55. (3) Vedi Rend. Accad. dei Lincei vol. II, 2° sem. — 393 — « Stando all’esperienze del prof. Pisati (') un'accomodazione speciale si produce facendo variare la temperatura del corpo fra limiti assai estesi, mentre esso oscilla. «I risultati da noi presi in esame in questa Nota non sono dunque asso- luti, non potendosi @' prior? dir nulla sulle modalità del fenomeno in con- dizioni termiche diverse dalle nostre, nè sull'effetto permanente dovuto al variare della temperatura. A noi basterà l'avere riconosciuto la portata delle attuali ricerche, riservandoci di venire a conclusioni più generali quando ci sarà possibile di completarle ». Fisica-terrestre. — Velocità di propagazione delle principali scosse di terremoto di Zante nel recente periodo sismico del 1893. Nota del dott. GrovannIi AGAMENNONE, presentata dal Corrispon- dente PreTtRO TACCHINI. « Prima che la completa Relazione sopra il recente periodo sismico di Zante sia pubblicata negli Annali dell'Ufficio Centrale di Met. e Geod. in Roma, redatta in parte dal ch. prof. Arturo Issel e in parte da me, per in- carico ricevuto dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, credo opportuno rendere fin da ora di pubblica ragione i risultati, ottenuti da un mio studio sopra la velocità di propagazione dei terremoti di Zante. « La determinazione del tempo in Grecia lascia non poco a desiderare, eccezion fatta per l'Osservatorio di Atene. Era quindi da aspettarsi che le ore delle varie scosse, determinate nelle diverse località greche, fossero tutt’al- tro che esatte; e per conseguenza non si sarebbe potuto nemmeno pensare di voler calcolare la velocità di propagazione di un qualsiasi terremoto, sia pure risentito da un'estremità all'altra della Grecia. Però, una circostanza assai favorevole alla risoluzione del problema proposto, si è che le princi- pali scosse di Zante sono state registrate da speciali strumenti non solo in Italia, ma perfino in Russia ed in Germania, ed è stato così possibile deter- minare con sufficiente esattezza l'ora del passaggio delle onde sismiche in località, che si trovano ad una distanza ragguardevolissima dall’epicentro. In Italia hanno reso questo servigio gli apparecchi sismici, costruiti apposita- mente a questo scopo; in Germania ed in Russia il servigio fu reso dal per- dolo orizzontale del sig. dott. E. von Rebeur-Paschwitz, al quale delicatis- simo apparecchio, quantunque ideato per ricerche di altro genere, la sismo- logia va debitrice d'importanti risultati ottenuti negli ultimi anni (?). Nella scossa del 17 aprile si ebbero anche gli apparecchi magnetici di Potsdam, (1) Gazz. Chim. Ital. vol. VI e VII (1876-77). (*) Veber die Aufzeichnung der Fernewirkungen von Erdbeben (Mittheilungen del dott. Petermann, vol. XXXIX, 1893, pag. 201). — 394 — che funzionando da sensibilissimi sismoscopî fornirono l'ora del passaggio delle onde sismiche fin là propagatesi. « In Italia le scosse furono registrate o da semplici ma sensibili sismo- scopì, come a Mineo, Benevento, Aquila, Velletri, Firenze (Oss. Xim.), o da delicati pendoli a contatto elettrico, come a Padova, o da sismometrografi a registrazione continua, come a Catania ed a Roma, o semplicemente indicate da tromometri, come a Ceccano, Rocca di Papa, Firenze (Oss. alla Querce). Ma in quest'ultimo caso non fu possibile determinare l'ora delle scosse, poi- chè i tromometri si trovarono per caso in oscillazione, quasi sempre molto tempo dopo che furono perturbati. Però, non tutte le ore determinate in Italia sono da prendersi in considerazione, per il fatto che o troppo grande è l'incertezza alle medesime assegnata, o poco sicuro il tempo campione sul quale esse sono basate: di più non tutte le scosse risentite in una data loca- lità furono indicate anche nelle altre. Tutto ciò spiega come in appresso non figurino punto, o solo alcune volte, gli Osservatorî sopra menzionati. Tutte le ore, sia italiane, sia estere, da me prese in considerazione, sono state distinte per esattezza, salvo rara eccezione, in tre categorie, a seconda che possono involgere un errore di + 2", #* 1", © 0%,5. All'ultima categoria appartiene soltanto Roma (Collegio Romano) alla quale ho creduto giusto assegnare un peso così alto, sia perchè il tempo campione è al di sopra di qualsiasi dubbio, sia perchè la zona di carta, sulla quale si effettua la registrazione di. entrambe le componenti orizzontali, si muove colla ragguardevole velocità di circa 122,5 all'ora, sia infine perchè la sensibilità dello strumento ha permesso di poter distinguere le varie fasi delle scosse (!). « Il metodo da me adottato per il calcolo della velocità di propagazione di ogni singola scossa, è quello stesso già adoperato dai sig. Newcomb e Dutton per il memorando terremoto di Charleston del 31 agosto 1886 (?). Questo metodo è basato sopra alcune ipotesi, necessarie a semplificare il problema ed a renderne meno difficile e penosa la risoluzione. Esse consi- stono: 1° nel supporre che il movimento sismico si effettui soltanto alla super- ficie terrestre, come se fosse stato generato nello stesso epicentro; 2° nel ritenere costante in tutte le direzioni questa velocità superficiale di propa- gazione; 3° che la medesima non varii colla distanza dall'epicentro. Per le varie scosse sarebbe stato arduo problema quello di volere asse- gnare con la dovuta esattezza la posizione dell’epicentro. Ciò mi ha indotto a ritenere approssimativamente la stessa Zante come epicentro, considerando che anche l'incertezza di una diecina di chilometri, per rispetto alla vera (1) Questo sismometrografo, col pendolo lungo sei metri e con una massa di 75 Kg., si trova brevemente descritto in una mia precedente Nota dal titolo: / terremoti e le perturba- zioni magnetiche, inserita pure nei Rend. Acc. dei Lincei ser. 52. vol. II, 1° sem., 1893, p. 479. (2) The Speed of propagation of the Charleston Earthquake (The Amer. Jour. of Sc. ser. 3%, vol. XXXV, 1888, p. 1). 1999 — posizione di esso, non potrebbe sensibilmente modificare il risultato dei cal- coli, tenuto conto delle ragguardevoli distanze a cui si trovano quasi tutte le località prese in esame. « Ciò premesso, riporto qui sotto i dati per ogni singola scossa, ed i valori più probabili tanto delle velocità di propagazione, quanto delle ore all'epi- centro, calcolate col metodo de’ minimi quadrati. Avverto che le ore si rife- riscono o senz'altro alla fase massima, o vi furono possibilmente ridotte, me- diante opportuna correzione. I Disastroso terremoto di Zante del 31 gennaio 1893. (Le ore sono espresse in t. m. R.) Wi ocalta za Ora Peso da Zante Zante. .... 0%m 5rom Osa, (1) e 20 1 Catania 515 o 1680 Sl 4 Mineo ... 550 5.5. 0 SUN 4 Benevento . 645 5630, 5.9 1 Roma. . .. 850 5. 6.30 ROSTA Nicolaiew . 1860 5. 8. 02) SA 1 Strasburgo . 1600 5.10. 0 = 9 1 Ora della scossa all’epicentro . . 5° 3% 13% a. © 565 Velocità di propagazione . Km. 4,040 = 1,120 al secondo. Rovinoso terremoto di Zante del 1 febbraio 1893. (Le ore sono espresse in t. m. R.) 3 Distanza } i Località Dn Vaste Ora Peso Zante ... . OS MIESeZia08 o, (0) 2 1 Catania .. 515 1. 28. 30 =s' dl 4 Mineo ... 550 odi 0 sl 4 Romae: 850 No Bo RO 16 Nicolaiew . 1360 Lee) 1/4 Strasburgo . 1600 Jet 3M80 25.10) 1 Ora della scossa all’epicentro . . 1° 24% 85 a. + 528 Velocità di propagazione . Km. 83,280 = 0,700 al secondo. (1) È la stessa ora 5° 34% a. (t. m. 1.), data dal sig. Forster, direttore dell'Ufficio telegr. della E. T. C., ricavata dall’arresto di un orologio murale a corto pendolo. Tale ora, ridotta al t. m. R. fu data in cifra rotonda, trascurando i minuti secondi. (2) Dedotta dall’ora originale 62 24% (t. m. 1.) relativa al principio della perturbazione, aumentata di due minuti. Tale aumento corrisponde alla durata totale di 6% della pertur- bazione, moltiplicata per 03; che è il rapporto medio (trovato per tutte le perturbazioni registrate a Nicolaiew e Strasburgo), tra l'intervallo di tempo decorso dal principio della perturbazione fino ad una fase ben pronunciata, e la durata totale della perturbazione. (3) È l'ora originale del Forster 1° 56% a. (t. m. 1.) alquanto arrotondata per como- dità di calcolo. (4) Dedotta dall’ora originale 2° 48® a. (t. m. 1.) relativa al principio della pertur- bazione ed aumentata di due minuti primi, quanti appunto se ne hanno moltiplicando la 3960 Fortissimo terremoto di Zante del 20 marzo 1898 (1). (Le ore sono espresse in t. m. R.) DS Distanza Località A Voto Ora Peso O 1 Zante. . . . Oxm 6h Om 05 p.(2) + 12] 16 | Catania. . 515 gunanioO = 1 | 16 Mineo ... 550 6. 5. 10 23 il 16 Nicolaiew . 1360 Uli 0) 34 1 Strasburgo. 1600 6. 7. 0 (4) cd 1 I Ora della scossa all’epicentro . . 6% 0® 325 p. * 825 Velocità di propagazione . . . . Km. 2,330 + 0,330 Disastrosissimo terremoto di Zante del 17 aprile 1893. (Le ore sono espresse in t. m. R.) Località Da Ora Peso Zante. . . . qKm 6h 300 205 a. (5) - 2m 1 Patrasso . . 90 6. 30. 40 (9) = 1 4 Corftusgeator 220 6. 31. 80 CO 1 Catania. . . 515 6. 37. 30 SII 4 Mineo ... 990 6. 35. 0 5. 4 Roma. . . . 850 6. 38. 30 * 0,5] 16 Padova. . . 1120 6. 40. 45 23 4 | Nicolaiew . 1360 6. 39. 40 = 8 1 Strasburgo. 1600 6. 38. 0 == 9 1 Potsdam . . 1730 :6. 41. 40 = 9 1 Ora della scossa all’epicentro . . 6h 31% 485 a. + 465 Velocità di propagazione . . . . Km. 2,840 = 0,300 al secondo. durata totale di 12 della perturbazione per 0,2. Questo rapporto è più piccolo di quello 0,3 già adottato per la scossa precedente; perchè questa volta fu maggiore l'intensità della perturbazione, la quale influisce sul valore del rapporto stesso. Però a causa dell'incertezza derivante da siffatta correzione, si è creduto dover diminuire il peso dell’ora di Nicolaiew. (1) Per questo terremoto manca l’ora di Roma, poichè non fu possibile rilevare nel sismometrografo la perturbazione sismica in mezzo a rilevanti tracce di vento, che in quella sera soffiava. (2) Questa volta all’ora di Zante attribuisco un peso superiore a quello dell’altre scosse, perchè l’ora fu osservata da me stesso sopra un buon orologio da tasca, e coincidente con quella ricavata dall’orologio annesso ad un sismoscopio, che si scaricò a questa scossa. (3) Dedotta dall’ora originale 7% 24% p. (t. m. 1.) relativa al principio di una pertur- bazione, durata ben 27 minuti primi. Tale ora fu aumentata di 5”, ottenuti moltiplicando per 0,2 la stessa durata della perturbazione, che fu di sufficiente intensità. (4) Dedotta dall’ora originale 5° 42% p. (t. m.1.), relativa al principio di una pertur- bazione, durata ben 21 minuti. Tale ora fu aumentata di 6%, ottenuti moltiplicando per il rapporto 0,8 la durata della perturbazione che fu di piccola intensità. (5) L’ora originale è 7° 4% a. (t. m. 1.) data dall’arresto del pubblico orologio, e coincidente con quella letta sopra orologi da tasca di alcuni privati. (6) A quest'ora accordo un peso superiore a quella di Zante, perchè l’indomani del terremoto, essendo io arrivato a Patrasso, proveniente da Atene, col mioeccellente orologio Fortissimo terremoto di Zante del 4 agosto 1893 (!). (Le ore sono espresse in t. m. R.) SR Distanza A nc 3 È A )ve es Località ozono Ora Peso MEO TS 0 0 ON CR): =S 2 1 | SCORE o Mineo . .. 550 9. 29 = Il 4 RODA REA 850 OM? + 0,5 16 I Ora della scossa all’epicentro . . 9% 251 135 p. © 475 Velocità di propagazione . . . . Km. 2,120 = 0,27 al secondo. RIASSUNTO « I valori precedenti furono ottenuti, introducendo nel calcolo tutte le ore accettate, che rappresentano con sicurezza o presumibilmente l'istante della fase massima. Per avere un'idea della variazione, che subirebbero tali valori, qualora si volesse tener conto del solo principio, ho scelti tre punti, Roma, Nicolaiew, Strasburgo, gli unici in cui fu possibile ottenere il prin- cipio della perturbazione registrata. Aggiungendo a questi tre punti Zante, e per la sola scossa del 17 aprile anche Patrasso, ho ricalcolate collo stesso metodo di sopra esposto, la velocità di propagazione e l'ora all’epicentro per ciascun terremoto. Riporto nel seguente quadro i nuovi dati del tempo: Località Distanza 81 gennaio 1 febbraio 20 marzo 17 aprile 4 agosto da Zante © E _km la sn (S DAI VIT ONES) m hm s mj hm s mj hm m Zante . . 0 5. 0. 0a.==2) |1.22.80a.=2 6.0,0/p.=1 |6.30.20a =2 |9.26p.+2 Patrasso. 90 — — —_ 6.30.40 =1 _ Roma . . 850 9. 9:90 =0,51-25.40) =0,5 — 6.37.30 =0.5|9.31 =0,5 Nicolaiew | 1360 DMORONE2 IO E4 ONES 22061364 (0122 — Strasburgo| 1600 DEL O MORSI UO SIEORE== 216138550226 0 « Perchè poi il confronto si potesse meglio effettuare tra i risultati ot- tenuti con i dati relativi al principio delle scosse, e quelli concernenti la fase massima, ho ripetuti una terza volta i calcoli, utilizzando soltanto queste datasca, regolato da poco sultempo dello stesso Osservatorio astronomico, potei controllare due orologi, l’uno a pendolo e l’altro tascabile, sui quali era stata letta l’ora del terremoto. (1) Per questo terremoto manca l’ora di Nicolaiew, perchè volle il caso che in quella sera non funzionasse il pendolo orizzontale. In quanto a Strasburgo, è dubbio se la scossa sia stata registrata, mediante un piccolissimo rigonfiamento, in mezzo ad alcuni altri, sulla curva fotografica di quel pendolo orizzontale. (£) Essendo queste le ore originali, relative al principio della perturbazione registrata, è stato giusto di aumentarne il peso in confronto di quelle che modificate opportunamente per la stessa scossa si riferirono ad una fase più inoltrata. ReENDICONTI. 1893, Vol. II, 2° Sem. 54 logs cinque località del quadro testè riportato, assegnando loro le stesse ore cogli stessi pesi, già assunte nei primi calcoli, e che si riferiscono alla fase mas- sima per Roma, Nicolaiew e Strasburgo. « Nella seguente tabella riporto le ore delle scosse all'epicentro, quali risultano nelle tre specie di calcoli effettuati : Ora della scossa Data Ora all’epicentro utilizzando Differenza cer. —_—_—_———_ = della osservata le ore del prin-{le ore della fa- . le ore scossa | o Zante POLITI B D ro CT A D_—- A h mes hm Ss h_m Ss h m Ss MOMNIES m Ss ms 31 genn.| 5. 0. 0a.ll 5. 0.45 |5. 1. 21 [5. 3. 13 (| +0. 45 | 1.21 | +3. 13 1 febbr.| 1.22.30 a.|| 1.22.17 |l. 22. 21 |1. 24. 8 || —-0.13 | +0. 9 | +1. 38 20 marzo | 6. 0. Op.| 6. 0. 7 [6. 0. 2 (6. 0.32 || —0. 7|-+0. 2|+-0. 32 17 apr. 6.30.20 a.l 6.31.19 |6. 31. 20 |6. 31. 48 || +0. 59 | —1. 0|+1. 28 4agosto| 9.26. 0 p. — = 9. 25. 13 | = — — | Media !| = 0.24 | +0. 38 #14 « Risulta primieramente da questo prospetto per le prime 4 scosse, che le ore calcolate per l'epicentro sono quasi tutte più elevate di quelle osservate a Zante. Ciò può dipendere o da un errore costante nella determinazione del tempo in questa città, o dal fatto che le ore determinate fuori dell’area epi- centrale risultano generalmente più alte di quanto dovrebbero essere, per riferirsi le stesse ad una fase più o meno avanzata della scossa (!). Quest'ul- tima ipotesi forse è la più probabile, perchè vediamo aumentare la differenza in parola man mano che nel calcolo si introducono ore sempre più elevate. Ed in vero il valore medio notevole D—A = 1" 485 è stato ottenuto per- chè nei tre terremoti del 31 gennaio, 1 febbraio e 17 aprile le ore di Ca- tania sono con grande probabilità tutte più alte di quanto dovrebbero essere, e risultano discordanti con le restanti ore. Per questa considerazione, e riflet- tendo che in ogni caso le differenze B—A e C—A, dove non può avere influito Catania, sono ben poca cosa, io inclino a eredere che non esista alcun notevole errore sistematico nelle ore di Zante, e che questa città si trovi realmente assai prossima all'epicentro o agli epicentri delle scosse prese in esame. (1) Si può obiettare a questo mio modo di vedere, che anche le ore di Zante si rife- riscono ad una fase piuttosto avanzata delle scosse, se pure non alla fine delle stesse. Ma conviene riflettere che mentre la massima durata delle scosse a Zante si è elevata diffi- cilmente a più di mezzo minuto primo, invece la vediamo raggiungere perfino mezz'ora a ragguardevoli distanze; e che mentre a Zante la fase massima si ebbe in generale pochi secondi dopo il principio, per lo contrario nella località più distanti, come Roma, Nico- laiew e Strasburgo avvenne anche parecchi minuti dopo. A tutto ciò si aggiunga il pic- colo peso assegnato quasi sempre alle ore di Zante, il che fa sì che nella velocità più probabile, ottenuta col metodo de’ minimi quadrati, abbiano influito maggiormente le velo- cità che deriverebbero dal combinare tra loro le località molto lontane (dotate in generale di gran peso) in confronto di quelle che si avrebbero, se si combinassero con l’ora di Zante tutte le rimanenti. Ora le prime velocità debbono generalmente risultare più elevate di quest'ultime, perchè nelle prime restano in parte eliminati gli errori provenienti dall’es- sere troppo alte le ore, osservate fuori dell’area epicentrale. — 399 — « In quest'altra tabella sono contenute le diverse velocità di propaga- zione, calcolate in base ai dati superiormente esposti : Data Numero |cac a vase| Numero] Velocità Numero Velocità varo toa DE calcolata in base calcolata in base della delle O delle |alle ore relative] delle |alle ore relative " TRRRRA alla È alla fase massima ... |al principio delle scossa località |P DREI località |di alcune località| località | stesse località km km km 81 gennaio T 4,04 =1,12 4 2,86 © 0,40 4 3,08 = 0,52 1 febbraio 6 3,28 =0,70 4 2,42 + 0,075] 4 9:92; (=10;43, 20 marzo 5 DI) =0353) 3 2,82 £ 0,62 8 7,79 + 5,60 17 aprile 10 2,84 0,30 5 2,28 e 0,54 5 2,64 + 0,71 4 agosto 3 2,112 =0,27 2 2,96 = 0,215 2 2,89 + 0,26 Risultato medio |2,345=0,16(!) 2,43 © 0,07 3,085* 0,20 « Apparisce anzitutto da questa tabella che la velocità media di km. 2,345, calcolata in base a tutte le ore accettate, è quasi coincidente con quella di km. 2,430, calcolata in base soltanto alle ore relative alla fase massima. Ciò porta a concludere che anche le altre ore utilizzate nel calcolo si riferiscono prossimamente alla fase massima. Dal confronto poi della velocità media (2,430) della 2* colonna con quella (3,085) della 32, risulta chiaramente un sensibilissimo aumento nella velocità di propagazione delle onde sismiche, de- rivante da ciò, che nel calcolo si è tenuto conto soltanto delle ore del prin- cipio delle scosse registrate in alcune località. Nel caso nostro, questo aumento è di un buon quarto della velocità calcolata, in base ai dati del tempo rela- tivi alla fase massima. E poichè è ragionevole supporre che la registrazione dei primissimi e lievissimi tremiti del suolo sia mancata negli strumenti, per quanto delicati, di Roma, Nicolaiew e Strasburgo, così parrebbe potersi concludere che le prime onde sismiche abbiano viaggiato con una velocità anche superiore di 3,085 chilometri al secondo. Questo è un punto capitale, sul quale è bene richiamare l’attenzione degli scienziati, poichè esso potrà in seguito gettare molta luce sul meccanismo della propagazione delle onde sismiche, quando una maggiore esattezza nei dati del tempo permetta di ac- cordare una maggior fiducia ai risultati. Intanto non bisogna dimenticare che queste cifre da noi ottenute si riferiscono alla velocità superficiale dei ter- remoti, come è stato detto fin da principio, nello stabilire la formola adatta per il calcolo. Spetterà alle future osservazioni, certamente più precise, il deci- dere se questa velocità superficiale sia molto diversa da quella che si avrebbe se l'impulso si considerasse come trasmesso direttamente dal focolare sismico (ipocentro) fino alle diverse località, vale a dire secondo la corda che con- (') Questo risultato medio è stato calcolato in base al peso di ogni singola velocità al pari di quelli delle altre colonne. Questo ha fatto sì che le velocità ragguardevoli del 381 gennaio e 1 febbraio, dotate di piccol peso, abbiano poco influito sul risultato medio della 1* colonna. Tali velocità ragguardevoli sono senza dubbio dovute al fatto dell’essere troppo alte le ore di Catania, e dotate di un peso relativamente grande. E se tale influenza di Catania si fa sentire in minor grado nella scossa del 17 aprile, ciò si deve unicamente al fatto del maggior numero delle località, che entrano nel calcolo. — 400 — giunge l’ipocentro ai diversi punti sulla superficie terrestre. A nessuno sfug- girà l'importanza scientifica di tali ricerche, le quali potranno forse un giorno rischiarare assal la questione ancora intricatissima, circa la costituzione in- terna del globo. « Termino col riportare i diagrammi delle velocità di propagazione da me ottenute per i cinque principali terremoti di Zante, affinchè a colpo d'occhio si possa giudicare della discordanza delle ore su cui i calcoli furono basati. « Le ascisse rappresentano le distanze delle varie località da Zante, e le ordinate le differenze tra le ore osservate in queste località e le ore di Zante, prese per punto di partenza. In questo sistema di rappresentazione, la velocità che risulta in base alle ore di due località qualsiasi, è il valore in- verso della tangente dell'angolo, che la retta congiungente due punti qualunque considerati fa coll’asse delle ascisse. Le rette congiungenti con tratto pieno ca- ratterizzano le velocità calcolate in base a tutte le ore, accettate per ogni terremoto; quelle tratteggiate, le velocità ottenute in base alle ore della fase RIE Ra She rac sane SaAMnE | [zan ppt _ifagansenannte 17 aprile 20 marzo 1 febbraio 31 gennaio pale as Roma = Padova È Nicolaiew Zar Patrasso Benevento Strashurgo È — 401 — massima (M) di alcune poche località; e quelle punteggiate, le velocità cal- colate in base alle ore del principio (P) delle stesse. « Risulta poi manifesto come per i terremoti del 51 gennaio, 1° febbraio e 17 aprile le ore di Catania siano troppo elevate e perciò assai discordanti con tutte le altre ». Cristallografia. — Studio cristallografico di alcuni fluossimo- libdati di tallio (4). Nota di EucENIO ScaccHi, presentata dal Socio CANNIZZARO. Fluossimolibdato di tallio Mo 0, FI, , 2T1 FI. Sistema cristallino : Rombico. ROBOT Facce osservate, fig. 1. : B C 4 o, e (P S P (010) (001) (201) (203) (011) © (012) (221) (223) coPo . OP 2Po 2Poo Po 1Poo' 2P SIE Principali combinazioni osservate. « Cristalli tabulari. Cea=(001)(011) (201), Cr w= (001) (012) (203), CeaB=(001)(011) (201) (010, CweaB= (001) (203) (011) (201) (010), fig. 22, Cer wp= (001) (011) (012) (203) (223), Ceawsp= (001) (011) (201) (208) (221) (223), Cerawsp= (001) (011) (012) (201) (203) (221) (223), fig. 32. (4) I composti presi in esame furono ottenuti ultimamente dal compianto prot. F. Mauro. V. pag. 382. « Cristalli prismatici. eaCB= (011) (201) (001) (010), eaCw=(011)(201) (011) (203), eaCs=(011)(201)(011) (221), eaCBs=(011)(201)(001) (010) (221), eaCBpsw=(011) (201) (001) (010) (223) (221) (203), fig. 4°. — 402 — Misurati Angoli Calcolati | medie [n] limiti | Cia =001:201 hi 671021008 98 617,009 Arene mei Ciw= 001:203 38937 38 38 5 | 3823 ... 8843 Cie = 001:011 x 45 42 8 | 4538 ... 4549 Cm = 001:012 27 08 27 10 20 2/00 RENAZZO C:p =001:223 46 26 46 26 57 N46 IS INERTA6538 Cis = 001:221 72 24 72 18 20 200720 a:d = 201:201 45 18 45 05 3 | 45.02 ... 4510 Q3E = 00 88 36 88 33 48815... 8843 aze =201:011 74 24 74 23 4 | 7416... 7428 a':e =201:011 105 36 105 34 3 |105 80... 105 40 piw= 223:208 28 06 28 01 DIO os 28411 C:B =001:010 90 00 89 47 1 — «I cristalli sono trasparenti e tendenti al gialliccio con splendore vitreo- adamantino molto vivace; all'aria dopo un certo tempo si appannano. Per la forma possono presentarsi tabulari per l'estensione prevalente delle facce C (come nelle fig. 2 e 3) oppure prismatici secondo [100] (come nella fig. 4), e per l'aspetto e dimensione rassomigliano molto a quelli di fluossimo- libdato ammonico normale (Mo0,Fl,,2NH,F1). Anche per le specie di facce questo composto si accorda perfettamente col sale ora menzionato. Le facce e ed a si rinvengono sempre, le altre facce %,7,p,5,B sono sempre molto piccole e la faccia C si trova ordinariamente predominante, come nei cristalli tabulari, mentre è sempre molto piccola in quelli prismatici. — 403 — « Le immagini date dalle facce al goniometro sono in generale abba- stanza buone per le misure, quelle delle facce w,7,p,s e B si mostrano però poco distinte. « Frattura vitrea. Sfaldatura non osservata. « Caratteri ottici. Piano degli assi ottici parallelo a (100). Bisettrice acuta normale a (010). Fluossipomolibdato di tallio Mo OF]; , 2T1 FI. Sistema cristallino: Rombico. a:b:c=0,86595:1:1,02952. Facce osservate : B C td) w e (010) (001) (201) (203) (011) 0 Po PO IPoo +Poo Poo Principali combinazioni osservate. « Cristalli tabulari. Cw e == (001) (203) (011) CweB= (001) (203) (011) (010), fig. 5°. « Cristalli prismatici. weC= (208) (011) (001). weaCB= (203) (011) (201) (001) (010), fig. 6°. IAAD Cc uwW'” Fic. 5 Misurati Angoli Calcolati 7 E medie n limiti C:ia = 001:201 67°I1’ 67°09” 61670054... 1670194 C:w = 001:203 » 38 24 6 | 3809 ... 3840 Cie = 001:011 * 45 50 SION 04557 ew = 011:203 56 54 56 14 QU 00 09 e ze = 011:011 88 20 88 12 2.| 88.04... 8820 w:w = 203:203 | 108 12 103 30 1 = wie =203:011 | 128 06 123.25 1 = — 404 — « I cristalli di questa sostanza si presentano di bel colore verde carico tendente al gialliccio con splendore tra il vitreo e l’adamantino. Per la forma essi si presentano come grosse tavolette, alcune volte quadrate altre volte rettangolari e sviluppate nel senso dell'asse d (come nella fig. 5). Talvolta si hanno anche cristalli prismatici secondo [010], come nella fig. 6. Per le specie di facce questo sale si mostra rassomigliante. al corrispondente composto ammonico, solo non ho potuto rinvenirvi le facce di piramidi; di quelle osservate si mostrano costantemente le facce C, e, 70, quest’ultima spesso convessa, come si vede rappresentata nella fig. 5; le altre due specie di . facce, cioè B ed 4, si rinvengono raramente e sempre estremamente piccole. Le immagini date dalle facce C ed e sono in generale buone per le misure goniometriche; la faccia w, nei casi che non si mostrava convessa, ha dato anche immagini buone per le misure: le facce B ed 4 dànno quasi sempre immagini deboli e poco distinte. « Frattura vitrea. Sfaldatura non osservata. « Caratteri ottici. Piano assiale parallelo a (100). Bisettrice acuta nor- male a (010). « Paragonando insieme le misure di questi due composti con quelle dei corrispondenti composti ammonici, e mettendoli a confronto con gli analoghi composti fluorurati ammonici, risulta fra tutti un isomorfismo perfetto come può vedersi nella seguente tabella (1). NbOFl;,,| WO:Fl, Mo (05 Fl , 2NH4Fl. | 2NH, FI. | 2NH, FI. Mo O F];,| MoO,Fl, 2T1 FI. 2 TIRI. Mo 0 Fl, 2NH, FI. o1oll 67921” 67933/ 67931’ 67° 25” 67°40/ 50 45 42 45 84 45 28 45 10 45 08 Cia = 001:201 67 Cie = 001:011 45 Cz =1001012 = 27 08 27 01 26 56 26 42 26 40 | CisT=10016221 = 72 24 72 28 72 26 = 72 25 MEO AVO 7419 | 7424 74 30 4 27 74 17 74 27 CABCASZINADI 45 38 45 18 44 54 44 58 45 10 44 40 ee =011:011 88 20 88 36 88 52 89 04 $9 40 89 44 Costanti ded) f | 08000 | 0,8552 | 0,849 | 0,8418.| 0,8867 | 08255 SOR gie. LI 10295 f 10247.) 1,0200) ||OIGR O) 10055 anta | Db (1) Vedi Scacchi E., Studio cristallografico dei fluossiipomolibdati. Atti d. R. Ac- cademia dei Lincei. Memorie della classe di sc. fis. mat. e nat. Vol. IV, pag. 501. — 405 — Fluossimolibdato monotallico Mo 0; Fl, , TI FI. Sistema cristallino: Monoclino. abe='061985: 1: 139755! PISO Faece osservate: C m 0 p P (001) (110) (111) (111) (337) OP oP Sp. +P -ÈP Combinazioni osservate : ompr=(111)(110) (111) (337), o mpr = (111) (110) (111) (887) (001), fig. 82, Comp=(001)(111)(110)(111), fig. 72, (001) (111) (111) (337). Teo Fic. 8. Misurati Angoli Calcolati z page medie | n. I limiti (6/80) = (O0Isatna di 66°28/ |10 | 66012... 66048 Cim = 001:110 fi 86 42 9. 86 16... 86 52 CIONI 72015” 72 00 O | TI 40 EZIO C:r/= 001:337 50 44 50 41 5 | 50 81... 51 02 deo = TAMA n 57 46 O MOMO 00 mi:ni=110:110 63 28 63 23 SIMO 608880 (0° = INUIZIUUI 60 14 60 12 2 60 06 ... 60 16 « I cristalli sono quasi trasparenti, giallicci e con splendore vitreo ten- dente all’adamantino; all'aria diventano meno trasparenti e conservano quasi RenpICONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 55 — 406 — inalterato il loro splendore. Nell’aspetto si presentano ordinariamente in forma ottaedrica, raramente tabulari per l'estensione prevalente di C, come nella tig. 7, oppure prismatici per la grandezza maggiore delle facce m. « Le sole facce 0 sono quelle che si mostrano spesso piane e dànno al goniometro immagini buone per le misure, tutte le altre sono meno splen- denti, si mostrano sempre più o meno striate secondo lo spigolo C : #2 e dànno immagini generalmente multiple. Di un grandissimo numero di cristalli presi in esame e ricevuti da molte e ripetute cristallizzazioni, solo poche misure sì sono potute considerare come sicure per le facce. «I cristalli possono presentarsi semplici e più frequentemente geminati per penetrazione con la legge: piano di geminazione la faccia (307) oppure, ciò che vale lo stesso, asse di rivoluzione lo spigolo delle facce 7 ed 7, cioè [703]. Nella fig. 8, è data l'effigie di un tal geminato in modo che il piano di geminazione è immaginato come piano orizzontale; in esso le facce 7° di un individuo capitano in un piano con le corrispondenti dell'altro. Questi cristalli geminati però si trovano raramente isolati, ed ordinariamente sono uniti insieme in vario numero e senza alcun legame scambievole apparente. « Le misure sui geminati hanno potuto eseguirsi solo per le facce 0 e si è avuto 0:0 =32°38' (media di quattro misure variabili da 32°01" a 32° 43’), calcolato 32°42'. « Frattura concoide. Sfaldatura non osservata. «I cristalli non si prestano per lo studio ottico. « Nell’esame cristallografico di altri cristalli del fluossimolibdato mo- noammonico (Mo0,Fl,, NH, FI) già da me descritti (‘), ho rinvenuto degli altri geminati che si presentano somiglianti a quelli della fig. 8 del sale ora descritto e mostrano la stessa legge di geminazione. Infatti per due cri- stalli esaminati ho trovato che le facce 7 (337) di un individuo capitano anche nello stesso piano delle omonime per l’altro individuo e le misure avute sono: OSO IU 111 —32°12"—33°12’, media 32042’. C:C—=001:001= 8803 — 8805, » 8804. Supponendo per questi la legge di geminazione: piano di geminazione la faccia (307), oppure asse di geminazione lo spigolo [703], con gli elementi assiali di questo composto, cioè a:b:c=0,63019: 1:1,42549, gp = 85953 risulterebbe: o0:0=32°44, C:C—=87° 48°. (1) Rendiconti della R. Accad. d. Lincei, vol. V, 2° sem.; 1889, pag. 253. — 407 — « Mettendo a confronto le misure avute pel fluossimolibdato monotallico con quelle dell'analogo sale monoammonico risulta tra i due composti un perfetto isomorfismo, come può rilevarsi dalla seguente tabella. Mo 0, Fl | NHyFI. Mo 0, Fl, TI FI. C:o = 001:111 66°28/ 66° 27” C:m=001:110 86 42 86 S1 C:r/= 001:337 50 44 50 51 dI IMI 57 46 58 31 m:m=110:110 63 28 64 18 (i 0,61985 | 0,03019 Costanti sa 1,39755 | 142549 | 1} 86° 07° SEe53 | Geminati per(307) Ill 32 42 92 44 Chimica-Fisica. — Sulla velocità di reazione tra il joduro di etile ed il solfuro di etile soli 0 în presenza d'acqua. Nota di G. CARRARA, presentata dal Corrispondente R. NASINI (!). < In questa Nota espongo i primi risultati delle esperienze che ho isti- tuito sopra la velocità di reazione dei composti solfinici. « La formazione di questi composti avviene per una reazione semplicis- sima; è una addizione di un joduro alchilico sopra un solfuro alchilico SR, + IR= SRI dove i radicali R, possono essere uguali fra di loro, ovvero due od anche tutti e tre differenti, sebbene la preparazione di questi ultimi riesca per lo meno assai difficile. Quantunque, non sia facile immaginare in tali semplici addizioni delle reazioni secondarie che possono perturbare l'andamento della reazione schematica, pure si osservano delle complicazioni assai strane, spe- cialmente quando i tre radicali non sono eguali. Così, ad esempio, piccole dif- ferenze nella temperatura, la presenza d'acqua, di iodio, di solventi neutri, non solo determinano, impediscono, accelerano o ritardano la formazione, ma spesso anche sono causa che si ottengono composti solfinici diversi da quelli che si potrebbero prevedere. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Padova. — d09 — « Su questo argomento ebbi già occasione di dire qualche cosa in un mio precedente lavoro (') dove riferendomi anche a fatti già constatati da Klinger e Maassen (*) feci ancora una volta rilevare che in generale e’ è nella formazione dei composti solfinici una tendenza a quello che contiene il minor numero d'atomi di carbonio: così in determinate circostanze, dal joduro di etile e solfuro di metile si ha il joduro di trimetilsolfina : dal joduro di pro- pile e solfuro di metiletile si ha il joduro di dimetiletilsolfina : dal joduro di metile e solfuro d’allile il joduro di trimetilsolfina ecc. ecc. « Fra le varie interpretazioni che si possono dare di questi fenomeni non è esclusa quella che essi possono dipendere da una diversità nelle quat- tro valenze dello solfo che si manifesterebbe con una tendenza nei diversi radicali a collegarsi con una piuttosto che con un'altra valenza dello solfo. « Questa ipotesi è stata invocata dal Van t'Hoff, e sebbene non siasi ancora potuto constatare un vero e proprio caso di isomeria nei composti sol- forati non spiegabile in altro modo, che ricorrendo alla diversità delle va- lenze dello solfo, tuttavia molti fatti troverebbero in questa ipotesi una sod- disfacente spiegazione. ‘ « Io ho pensato che ricorrendo allo studio della velocità di reazione, s intende quando i radicali R non sono tutti eguali fra di loro, si potrebbe forse arrivare a qualche conclusione sicura. Ad esempio, studiando la velocità di reazione nei due seguenti composti SC.H; . CH, + ICH? = S(CH3)s C.H;I CH ovvero dei due altri SCH3 = gar C.H.; + ITC5H65 E SCHs3(0:H;):I 3)e C.H;I S (C.H;)- + ICH} = SCH;(CH;):I. « Parallelamente a questo studio sulla velocità di reazione mi sono pro- posto anche di esaminare in simili casi il calore di formazione ed ho già intrapreso le esperienze preliminari in proposito. « Io ho cominciato il mio studio dalla velocità di formazione del joduro di trietilsolfina che si forma per l'equazione S(C.H;): + IC:H; = S(C:H;)3I i e questo perchè mi è sembrato utile, prima di prendere in esame i casi più complicati, di avere un'idea esatta del come procedono le cose in quelli più semplici. Ho preferito lo studio del joduro di trietilsolfina a quello del joduro (1) Sopra alcune tetine isomere: I. Metiletiletina. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, classe di scienze fisiche ecc., vol. II, 1° semestre 1893, pag. 181. — Sopra un metodo di formazione delle solfine e del solfuro di metiletile. Rendiconti della R. Acca demia dei Lincei, vol. I, 1° semestre, 1892. (2) Liebios Annalen, t. CCLII, pag. 241, anno 1889. — 409 — di trimetilsoitina perchè quest'ultimo ha una velocità di formazione così grande da non permettere esatte misure. Invece nella formazione del joduro di trie- tilsolfina si ha il vantaggio che il coefficiente iniziale, cioè la quantità di composto che si forma nel primo momento quando le sostanze si mescolano, è così piccolo che è trascurabile affatto, e questo specialmente alla tempera- tura di 0°. Questo è un vantaggio non indifferente in simili studî, giacchè, oltre al non dover tener conto della quantità iniziale, si può anche al momento opportuno arrestare la reazione. Per esempio per 450 minuti a 0° si formò 0,15 di joduro di solfina per 100 di miscuglio; per 1800 minuti a 0° se ne formò 0,35 per 100. « La reazione del solfuro di metile sul joduro di etile che dà luogo alla trietilsolfina sarebbe una reazione di secondo ordine, o per dir meglio una reazione bimolecolare, nella quale cioè due sostanze insieme subiscono dei cambiamenti nella loro quantità. L'eguaglianza che esprime l'andamento della reazione in simili casi è la seguente E oa) (B— 2) dove A e B sono le quantità primitive delle sostanze poste a reagire; quan- tità espresse in pesi proporzionali ai loro equivalenti chimici rispetto alla reazione che si considera: 4 è la quantità di sostanza trasformata nel tempo e si comprende come, essendo A e B espressi nel modo anzidetto, una sola variabile 4 esprima le variazioni delle due sostanze. « Se la reazione avviene essendo A e B nelle quantità strettamente equi- valenti si ha, sempre dal punto di vista della reazione che si considera, A=B e l'equazione precedente diviene da — =(0C(A—_ e) di ) per cui integrando ae Ci + costante. VAS U « E se determiniamo la costante nell'ipotesi, che si deve sempre fare, che perg = 00 Sb. — AC# ei da cui 1 A È VAC È, (9) « Il che vuol dire che per verificare se a una data reazione è applica- bile l'equazione generale di quelle bimolecolari, bisogna vedere se la quantità Il do : i n ECO STANTE: i A=% — 410 — « Se si dovesse tener conto di un coefficiente iniziale, sia perchè anche nel primo momento si formano quantità non trascurabili di sostanza, sia per- chè nel primo momento la mescolanza non è omogenea, oppure si hanno dei fenomeni secondari perturbatori, come innalzamento di temperatura e altro, allora bisognerebbe contare i tempi e le quantità non dal primo momento della reazione, ma da un certo tempo in là. « Nel caso mio però il miscuglio non avendo a freddo che un coeffi- ciente iniziale trascurabile, come ho già dimostrato prima, non ho creduto di occuparmene. « Il metodo sperimentale è il seguente : In tubetti affilati ad una estre- mità, di una capacità di circa cc. 15 e precedentemente pesati, si introduce, con una pipetta affilata, una certa quantità di un miscuglio fatto di pesi mole- colari eguali di solfuro di etile e joduro di metile. Si chiudono con un dardo di fiamma le estremità dei tubetti e si ripesano il più rapidamente possibile. Il miscuglio ed i tubetti stanno sempre nel ghiaccio; salvo naturalmente du- rante la pesata. I tubetti venivano poscia riscaldati alla temperatura voluta mentre con un cronometro si determinava il tempo, trascorso il quale si leva- vano dal termostato e si rimettevano nel ghiaccio; quando avevano preso la temperatura di zero (e questo avveniva dopo circa due minuti) si levavano dal ghiaccio, sì asciugavano rapidamente, sì aprivano, si aggiungeva etere anidro e sì filtrava attraverso filtrino asciutto. Si lavava ripetute: volte con etere tubetto e filtro, e sì lasciava spontaneamente evaporare l'etere che im- beveva il filtro e che restava a bagnare il tubetto e il joduro di solfina, quindi sì scioglieva in acqua, a questa si aggiungeva il piccolo filtro e si titolava l’iodio per mezzo di una soluzione decinormale di nitrato d'argento seguendo il processo di Mohr. « Ho dovuto ricorrere al trattamento con etere, perchè tanto il joduro di metile quanto il solfuro di ‘etile precipitano un po' col nitrato d'argento e specialmente quest’ultimo non permette di apprezzare il limite della preci- pitazione; inoltre l'aggiunta d’etere ha un altro vantaggio, ed è quello di rendere maggiormente insolubile il joduro di solfina nel miscuglio di solfuro d'etile e joduro d'etile, e di favorirne per conseguenza la separazione. A questo contribuisce anche il raffreddamento del tubetto con ghiaccio fatto precedentemente, cioè appena levato dal termostato per il quale si depongono allo stato solido sulle pareti del tubetto quelle piccole porzioni che riman- gono sospese nel miscuglio durante il riscaldamento e che rendono il liquido opalescente. Solamente per alcune esperienze alla temperatura di 41° mi servii di un termostato ad acqua: per le temperature superiori mi servii di un ter- mostato il quale non è che un semplice bagno di vapori diversi a seconda delle temperature che voleva avere. L'apparecchio che io ho costruito per questo scopo non differisce essenzialmente da quello adoperato da F. Neubeck — 4ill — per determinare i pesi specifici dei liquidi alla temperatura del loro punto di ebollizione (1). « Ecco le costanti del solfuro d'etile e del joduro di etile da me adoperati. Il joduro d'etile bolliva a 72° —77,5° (corr.) alla pressione di mm. 762,2 a 0°. Il solfuro d’etile bolliva a 92° (corr.) alla pressione di mm. 755 a 0°. « E poichè nelle varie pesate dei tubetti non è possibile avere sempre numeri fra loro uguali, così io ho calcolato per 4 il joduro di solfina for- matosi da 100 parti di miscuglio equimolecolare di solfuro di etile e joduro d'etile; il tempo £ è espresso in minuti primi. A = 100. Per la temperatura di 41° (termostato) LR oinioe Joduro di trietil- % Ù del miscuglio Sonori £ Ax AC 20 1,1646 0,0037 0,31 0,0031 0,00015 30 0,3292 0,0029 0,35 0,0035 0,00012 60 0,7882 0,0054 0,68 0,0068 0,00011 Media della AC—0.00013 Per la temperatura di 66° (vapor d'alcool etilico) EE sommati è E x 25 2,0150 0.0190 0,98 0,0099 0,00039 39 1,9546 0,0251 1,26 0,0130 0,00037 60 1,6576 0,0320 1,90 0,0194 0,0003532 80 1,2218 0,0295 2,41 0,0247 0,0003831 90 1,8654 0,0563 3,02 0,0311 0,00035 95 2,2310 0,0689 3,08 0,0318 0,00083 150 2,9196 0,1560 5,94 0,0564 0,00037 220 1,7692 0,1132 6,39 0,0683 0,00031 240 1,8286 0,1378 {95 0,0814 0,00034 360 1,7462 0,1747 10,00 O, 1111 0,00081 440 2,0176 0,2681 13,19 0,1519 0,00035 520 1,7470 0,2485 14,22 0.1658 0,0003834 (£) 800 1,7890 0,4699 26,26 0,3551 0,00044 (£) 900 2,3794 0,6583 27,62 0,3817 0,00042 (2) 1200 1,5470 0,5280 34,19 0,5195 0,00043 (*) 1280 2,0104 0,7194 dall 0,5458 0,00044 (?) 1610 1,7176 0,75331 42,68 0,7446 0,00046 Media della AC-=0,00034 (1) F. Neubeck, Weber Molekularvolumina aromatischer Verbindungen. Zeitschrift NEO fiv physikalische Chemie, I, 653, anno 1587. (®) Queste determinazioni sono escluse dalla media per le ragioni che esporrò in seguito. — 412 — Per la temperatura di 80° (vapor di henzolo) 20 1,9364 0,0049 0,25 0,0025 0,00012 30 1,7356 0,0098 0,55 0,0055 0,0001838 60 1,5664 0,0172 1,10 0,0010 0,00017 75 1,5940 0,0209 1,05 0,0104 0,00014 125 2,2226 0,0332 1,49 0,0151 0,00012 210 1,7902 0,0418 2,33 0,0238 0,00011 300 2,2650 0,0861 3,82 0,0397 0,0001535 360 2,3614 0,1085 4,59 0,0481 0,00013 Media della AC=0,00014 Per la temperatura di 100° (vapor d'acqua) 30 2,4012 0,0025 0,10 0,0010 0,0000353 35 1,1706 0,0015 0,12 0,0012 0,00003 300 1,5704 0,0020 0,12 0,0012 0,000004 1225 1,6186 0,0027 0,16 0,0016 0,000001 « Dai numeri esposti nelle precedenti tabelle appare evidente che la reazione da me considerata segue l'andamento di una reazione bimolecolare ; le deviazioni del prodotto AC del valore medio sono assai piccole o almeno sono dello stesso ordine di quelle che si riscontrano in lavori congeneri ('). Per la temperatura per la quale ho fatto il maggior numero di esperienze, cioè a 66°, l'accordo è veramente soddisfacente, tolte le esperienze per tempi molto lunghi dove come vedremo si rendono sensibili delle reazioni secon- darie che costituiscono una causa d'errore. È facile il vedere come la velo- cità di formazione sia accelerata dall’innalzamento della temperatura, però solo entro certi limiti, passati i quali comincia a diminuire: così dalla tem- peratura ordinaria salendo a quella di 41° e poi di 66° si ha un notevole aumento, ma poi verso 80° si ha una diminuzione nella formazione del joduro di trietilsolfina, giacchè la quantità trasformata è così piccola che è presso a poco uguale di quella che si forma a zero. Per tempi molto lunghi la velo- cità cresce; ciò appare, come osservai sopra, per le esperienze fatte a 66°, però succede in modo ancora più evidente a 80°. « Da alcune determinazioni eseguite a questa temperatura e che non ho riportato nelle tabelle per le ragioni che dirò in seguito tolgo i seguenti numeri per 1200 minuti AC = 0,00052 per 1320» AC = 0,00050 (1) Vedere i lavori di Menschutkin sopra i coefficienti di affinità degli alchili aloge- nati e delle ammine (Zeitschr. fir physikalische Chemie, V, 389; VI, 41), di Hecht, Conrad e Bruckner sopra i coefficienti di affinità (Ibidem, IV, 273) ecc. ecc. — 413 — valori molto superiori a quelli trovati per tempi piccoli. La ragione, come dissi, si deve ricercare in una reazione secondaria la quale avviene quanto più s' innalza la temperatura e s'allunga il tempo della reazione. Se ne ha indizio dal colore rosso che assume la massa di joduro solfinico formatosi (anche se fuori dell’azione della luce). Questa colorazione è dovuta evidentemente a del jodio in parte libero, in parte combinato sotto una delle forme di polijo- duro solfinico. « Non ho creduto necessario per adesso di studiare attentamente i pro- dotti di questa reazione secondaria e mi sono sempre limitato a scegliere i tubetti dove il joduro solfinico era bianco o quasi. È naturale dunque che nei tubetti dove c'era una piccola quantità di jodio allo stato di poljoduro, il quale al pari del semplice joduro di trietilsolfina è insolubile in etere, sì tro- vasse una quantità di Jodio maggiore e si calcolasse in conseguenza una quantità di joduro di trietilsolfina formatosi maggiore della reale. Si spie- gano così gli aumenti di velocità trovati pei tempi lunghi. « La combinazione dell’ioduro di etile e del solfuro di etile è una rea- zione limitata dalla reazione inversa, cioè decomposizione per opera del calore del joduro solfinico. La determinazione esatta dei limiti non riesce molto facile appunto per la formazione dei composti rossi di cui ho parlato sopra. Nondimeno dò qui alcuni numeri a questo riguardo. « Alla temperatura di 100 dopo 990 minuti il joduro di trietilsolfina sì decompone per totalità, giacchè non ne sarebbe rimasto inalterato che 0.65 per 100. La decomposizione però non è molto rapida perchè per 60 minuti è quasi trascurabile. « Alla temperatura di 80° il limite di formazione sembra essere vicino a 92°/,, giacchè in un tempo di 8150 minuti ottenni 92,21°/, di joduro solfinico. Alla stessa temperatura la decomposizione raggiunge il 94,14 °/, per 1455 minuti. Ma, ripeto, dò questi numeri con riserva per le ragioni sopra dette. « È noto che i composti solfinici, secondo l’osservazione già fatta da Oefele (!) e confermata poi dagli studî di Kriger (2), Nasini e Scala (3), Klinger e Maassen (‘), si formano in maggior abbondanza in presenza di una piccola quantità d’acqua, tanto che nella loro preparazione si consiglia sempre di aggiungerla, Klinger e Maassen (°) osservano che veramente la reazione è accelerata, ma il prodotto che si ottiene è meno puro. «Io ho cercato di studiare l’azione acceleratrice dell’acqua; tale studio però presenta alcune difficoltà sperimentali, non potendosi in questo caso (1) Liebig's Annalen, t. CXXXII, pag. 82, anno 1864. (2) Journal fiir praktische Chemie, t. XIV, pag. 198, anno 1876. (3) Gazzetta Chimica XVIII, pag. 62, anno 1888. (4) Liebig?s Annalen, t. CCXLIII, pag. 199, anno 1888. (3) Memoria citata. RenpIcONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. 56 — 414 — precipitare con etere come nei casi precedenti e restando sempre un po di solfuro sciolto nell'acqua, il che come dissi disturbava la titolazione. L'ana- lisi in questi casi venne fatta nel modo seguente: aperto il tubetto si ver- sava il contenuto in un imbuto a robinetto, si lavava il tubetto ripetute volte con acqua in modo da non avere più di 25 cc. di liquido acquoso, si aggiun- gevano 50 cc. di etere e si agitava. Si separava lo strato etereo, e l’acqua rimessa nello stesso imbuto veniva agitata una seconda volta con etere a egual volume, indi si separava il nuovo etere, si lavava l’'imbuto con acqua e riu- nitala alla prima soluzione, si scaldava verso i 50° per espellere l'etere e si titolava al solito con soluzione di nitrato d’argento. Mi assicurai con parec- chie prove in bianco che dopo il secondo trattamento con etere non rimane- vano più tracce apprezzabili di solfuro e di joduro sciolto nell'acqua eterea le quali potessero durante il riscaldamento dar luogo a joduro di solfina. « Tanto il solfuro di etile quanto il joduro di etile sono insolubili nel- l'acqua, mentre il joduro di trietilsolfina è solubilissimo; siamo dunque qui in presenza di un sistema non omogeneo al quale non si può applicare la solita equazione, e d'altra parte non potevo aver dati sufficenti per applicarne un'altra più complicata. Perciò mi limito a riportare i seguenti risultati ottenuti : Tempo in minuti Percentuale di miscuglio trasformato Con acqua (volume eguale) Senza acqua ti—N600 530 3,21 = 55 —_ 1,29 120 8,73 =i 150 — 5,34 uo = 300 150 17,94 “n 210 Fe 2,33 t=100° 40 8,14 0 « Le ipotesi più semplici che si possono fare per questa azione accele- ratrice dell'acqua sono due: o ammettere che l’acqua, tenuto conto special- mente che è un po’ dissociata elettrolitticamente, abbia una funzione come da intermediaria tra il joduro di etile ed il solfuro d'etile, formando idrato di solfina ed acido iodidrico, i quali alla loro volta reagirebbero per dare joduro di trietilsolfina e ricomporre l’acqua; ovvero la seguente: il joduro di trietil- solfina appena formatasi si scioglie nell'acqua ed in tal modo la reazione inversa cioè la sua decomposizione per opera del calore è ritardata o evitata, giacchè sciogliendosi nell'acqua, come si può dimostrare esperimentalmente, esso subisce la decomposizione elettrolitica in solfinione e jodione; ora si può e si deve — 415 — ammettere, per esperienze fatte, cho realmente nell'acqua il joduro solfinico è più stabile che solo; il qual fatto non ha nulla che possa sorprendere, giacchè in definitiva noi abbiamo qui non più il joduro solfinico che si scomp_ie per l’azione del calore, ma un altro sistema costituito dai prodotti della Cissocia- zione elettrolitica del joduro di trietilsolfina, sistema molto più stabile all’azione del calore che non il joduro dissociato. Delle due ipotesi io propeud rei per la seconda, perchè la formazione anche temporanea dell’idrato e dell'acido lodidrico non spiegherebbe poi come a 100° possa formarsi joduro di soltina in presenza d’acqua, mentre non se ne forma quando l’acqua manca e si scom- pone se si è già formato. Chimica. — Sopra alcuni derivati dell'acido glutammico. Acidi piroglutammici e piroglutammidi attivi (1). Nota di A. Menozzi e G. APPIANI, presentata a nome del Socio KORNER. « In una Nota presentata a quest'Accademia (?) abbiamo riferito intorno a ricerche sopra alcuni derivati dell'acido gluttammico, le quali conducevano ai seguenti fatti principali. La sostanza preparata e descritta la prima volta da Habermann col nome di glutimmide, mediante ebollizione con idrato di bario, dà il sale baritico dell'acido glutammico inattivo, dal quale con acido solforico si ottiene l'acido glutammico inattivo libero. Questo per semplice ricristallizzazione dall'acqua dà cristalli emiedrici di segno contrario. La stessa sostanza descritta come glutimmide per azione di acido cloridrico a caldo dà il cloridrato dell'acido glutammico inattivo, rispettivamente i cloridrati dei due stereoisomeri di segno contrario. Trattando il prodotto ottenuto coll’eteri- ficare l'acido glutammico a mezzo di acido cloridrico gassoso e alcool, con ammoniaca alcoolica, tiltrando per separare il cloruro ammonico, saturando il filtrato con ammoniaca e lasciando in riposo, deposita una nuova sostanza isomera della precedente, da cui si distingue fra altro perchè devia il piano della luce polarizzata, e perciò da noi chiamata glutimmide attiva, per di- stinguerla dalla precedente inattiva. La glutimmide attiva si trasforma in acido glutammico ordinario mediante ebollizione con idrato di bario o con acido cloridrico; scaldata con ammoniaca alcoolica a 140-150° dà glutimmide inattiva. « Ora la continuazione delle nostre ricerche ci ha portati in possesso di alcune altre sostanze nuove, i cui rapporti con quelle che formano argomento di quella prima Nota e con altri derivati dell'acido glutammico, ci paiono molto interessanti. Queste nuove ricerche ci hanno dimostrato che le sostanze (1) Lavoro eseguito nel Laborat. di Chimica agraria della R. Scuola sup. d’agr. Milano. (2) Menozzi e Appiani, Sopra alcuni derivati dell'acido glutammico. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. VII, 1891, 1° fascicolo, p. 83. — 416 — descritte finora come glutimmidi, non sono glutimmidi ma piroglutammidi, cioè ammidi di acidi piroglutammici; che di queste piroglutammidi, quella dapprima conosciuta, è la forma racemica di altre due stereoisomere di segno contrario da noi preparate; che la sostanza descritta come acido pi- roglutammico è pure la forma racemica di altri due acidi piroglutammici stereoisomeri attivi da noi scoperti; e che queste varie combinazioni corri- spondono rispettivamente a tre acidi glutammici, di cui uno l’inattivo, risulta dall'unione dei due acidi glutammici attivi, l'ordinario, destrogiro, ed il levogiro. « Vogliamo esporre le ricerche che ci hanno dimostrato i fatti ora accennati. Acido glutammico ordinario, destrogiro e rispettivi derivati (1). « Acido glutammico ordinario. — L'acido glutammico ordinario devia a destra il piano della luce polarizzata ; in soluzione acquosa si ha (@)y,=+129,5. Riscaldato con barite a 160-170° dà acido glutammico inattivo; riscaldato per sè perde una molecola di acqua dando acido piroglutammico. Dà un sale ammonico che col riscaldato fornisce la sostanza descritta finora col nome di glutimmide, a fianco di acido piroglutammico. Riscaldando acido glutammico con alcool assoluto in tubi chiusi a 150-180° si ha etere piroglutammico, con ammoniaca alcoolica piroglutammide. « Sali d'argento dell'acido glutammico. — Trattando la soluzione neutra del sale ammonico con soluzione di nitrato d'argento all’ebollizione, si ottiene sale biargentico, massa bianca spugnosa. Teorico per C; H, NO, Ag» Agi — ‘5984090 Trovato ” 59,97 » « La soluzione di acido glutammico con carbonato di argento a caldo fornisce sale monoargentico, massa grigia. Teorico per C; Hg NO, Ag Ag=42,52°/, Trovato » 42,79 » « Eteri etilici dell'acido glutammico. — Gli eteri etilici dell'acido glu- tammico si possono ottenere dai sali d'argento con joduro etilico. Ma si pos- sono ottenere anche per altra via, cioè facendo agire l'acido cloridrico gassoso secco sull’acido glutammico in presenza di alcool assoluto. In questo tratta- mento si ha di regola una miscela di cloridrati dei due eteri, e la prevalenza dell'uno o dell'altro dipende dal tempo pel quale si fa agire l'acido clori- drico e dall'operare a freddo od a caldo. Operando a caldo e facendo agire a lungo l'acido cloridrico si ha esclusivamente cloridrato dell'etere bietilico. « L'etere monoetilico è solubile nell'acqua, poco nell’alcool, insolubile nell’etere; si depone in squamette fusibili a 165°. Scaldato a 140-150° con ammoniaca alcoolica fornisce piroglutammide inattiva, sostanza finora descritta (1) Per le nostre ricerche ci siamo sempre serviti di acido glutammico ottenuto dalla caseina del latte. — 417 — come glutimmide, preceduta però dalla piroglutammide sinistra. L'etere bie- tilico è liquido, solubile nell'acqua, nell’alcool e anche nell’etere. Trattato con ammoniaca alcoolica a freddo fornisce piroglutammide attiva sinistra. I due cloridrati degli eteri mono e bietilico, si depongono in aghi lunghi setacei, solu- bilissimi nell'acqua e nell’alcool. Con ossido di argento forniscono i due eteri corrispondenti. Tanto i due eteri quanto i due cloridrati deviano a destra la luce polarizzata. « Acido piroglutammico levogiro. — È noto che scaldando l’acido glu- tammico ordinario ad una temperatura di 180-190° Haitinger (!) ottenne un nuovo acido da lui chiamato acido piroglutammico. La trasformazione ha luogo per perdita di una molecola di acqua, ed in base alla composizione ed alle sue trasformazioni al nuovo acido fu assegnata la formola seguente: COOH | CH « Ora ci è occorso di constatare che l’acido glutammico perde una mo- lecola di acqua già a una temperatura inferiore ai 180°, e precisamente fra 150 e 160°, dando, in tali condizioni, un nuovo acido isomero del piroglu- tammico ma che si distingue da quest'ultimo, oltre che per altre proprietà, pel fatto che possiede attività ottica, deviando il piano della luce polarizzata a sinistra. All'acido diamo il nome di acido piroglutammico levogiro (?). « Abbiamo ottenuto quest'acido operando in questa maniera: acido glu- tammico puro fu scaldato lentamente fino a raggiungere 150°; a questa tem- peratura comincia a perdere dell’acqua, e mantenendo fra 150-160°, la per- dita d'acqua continua, la sostanza poco a poco si fonde, ed a fusione completa la perdita in acqua corrisponde ad una molecola per una di acido glutam- mico. Lasciando raffreddare e poscia sciogliendo con poca acqua calda, si ot- tiene dapprima deposito di una piccola quantità dell'acido piroglutammico inattivo, e concentrando ulteriormente si ha deposizione della nuova sostanza, in cristalli ben sviluppati, che all'abito si riconoscono differenti da quelli del- l’acido piroglutammico inattivo e del glutammico. La nuova sostanza l'abbiamo purificata per ricristallizzazione dall'acqua. « Questo nuovo acido si depone dalle soluzioni acquose in grossi (1) Monatshefte fin Chemie, III, 228. (2) Sopra questo acido abbiamo fatto una comunicazione al R. Istituto Lombardo di scienze e lettere (v. Rendiconti 1892, seduta 19 maggio). — 4183 — cristalli (!), limpidi, possedenti sapore acido pronunciato, facilmente solubili nell'acqua. Si altera verso 159° per fondere completamente a 162°. L'analisi ci ha dimostrato che il nuovo acido ha la composizione C; H, NO; come il pi- roglutammico inattivo. Non contiene acqua di cristallizzazione. Teorico per C; H, NO; C°/, 46,951; H °/ 5,48; N°/0 10,85 Trovato IA 0:4:0 o 70 A C059 0) « Quest'acido si distingue dal piroglutammico inattivo pel punto di fu- sione che è a 162°, mentre quello del piroglutammico inattivo è a 182°; per la maggiore solubilità nell'acqua; per la forma cristallina; e poi per l'atti- vità ottica. Rispetto alla solubilità 1 gr. di acido a 13° richiede gr. 2,1 di acqua, mentre l'acido piroglutammico inattivo esige a 13°,5, 19 gr. di acqua. « Il prof. E. Artini ha avuto la bontà di studiare cristallograficamente il nuovo acido. Trascriviamo quanto ci comunica in proposito : « Sistema trimetrico a: biacal600344:31E810292 « Forme osservate 3100}, {001}, 5310}, {101}, {011t, 3012}. « Si osserva sfaldatura perfetta secondo }100}, meno perfetta secondo }310}. Mancano facce di piramidi, e perciò non si può constatare se la sostanza sia emiedrica dissimetrica. « Riguardo all'attività ottica l'acido di cui sopra, devia a sinistra il piano della luce polarizzata. Ecco i risultati ottenuti: « Soluzione acquosa di gr. 6,3596 in 50 cc. a 17°, tubo lungo 20 cm. al polarimetro Laurent, deviazione di 1°,50' a sinistra; ossia: (a) = — 79,21. « Abbiamo preparato il sale d’argento trattando la soluzione dell'acido, neutralizzata con ammoniaca, con soluzione di nitrato d'argento. Si deposita in mammelloni. « Analisi: teorico per C; Hy NO; Ag Ag = 45,77 °/o trovato È ” 45,91 » « Se si fa bollire l'acido piroglutammico levogiro con idrato di bario, e si precipita indi il bario con acido solforico si ha acido glutammico ordi- nario. Altrettanto si ottiene facendolo bollire con acido cloridrico e indi eliminando questo. Se lo si scalda a 180° dà acido piroglutammico inattivo. Dai quali fatti si vede che l'acido piroglutammico levogiro sta, per la sua genesi, fra l’acido glutammico ordinario ed il piroglutammico inattivo. I fatti poi che verremo ora esponendo, dimostrano che fra l'acido piroglutammico attivo e quello finora descritto inattivo, vi hanno gli stessi rapporti che sono fra uno degli acidi tartarici attivi e l’acido racemico. Unendo molecola per molecola quest’acido (0) In alcune preparazioni c’è occorso di avere deposizione di lamine. Abbiamo rico- nosciuto che queste risultano da una nuova combinazione fra il nuovo acido e l’acido glu- tammico non scomposto nella preparazione. — 419 — piroglutammico levogiro col suo stereoisomero destrogiro da noi pure ottenuto, e che descriviamo più innanzi, si ottiene l'acido piroglutammico inattivo. « L'acido piroglutammico levogiro si ottiene anche facendo bollire l’am- mide corrispondente, con mezza molecola di idrato di bario per ogni molecola di ammide. Si ottiene ancora a fianco dell’ammide corrispondente, riscaldando il sale ammonico dell'acido glutammico ordinario a 150°. « Piroglutammide sinistra od ammide dell’acido piroglutammico levo- gîro. — Questa sostanza è stata da noi descritta circa un paio d'anni fa (!), sotto il nome di glutimmide attiva per la sua isomeria colla sostanza pre- parata dall'Habermann e descritta col nome di glutimmide. 1 fatti che ora esporremo ci hanno fatto palese che la vera natura di essa, come anche per quella dell'Habermann è diversa da quella ammessa finora, e che ad essa spetta la denominazione soprascritta. Per brevità ometteremo di riportare i dati analitici che publicammo in quella prima Nota e soltanto vogliamo no- tare le sue principali proprietà e trasformazioni, alcune delle quali dimostrate solamente ora, per far risaltare i rapporti che essa ha colle altre sostanze di cui ci occupiamo nella presente, e la sua precisa natura. « Essa contiene una molecola d'acqua di cristallizzazione; fonde a 165°. Riscaldata con ammoniaca alcoolica in tubi chiusi a 140-150° dà piroglutammide inattiva (glutimmide Habermann). La stessa trasformazione la subisce la sostanza scaldata per sè verso 200°. Fatta bollire con idrati alcalini o terral- calini in eccesso, svolge ammoniaca e dà i sali dell'acido glutammico ordinario. Scaldata con acido cloridrico dà cloridrato dell'acido glutammico ordinario. Trattata a freddo con acido cloridrico in quantità equimolecolare dà un clori- drato che cristallizza in aghi, della formola C;HsN,0,.HCl, Teorico per C; Hz N: 0; . HOI, Ce 2154 Trovato ” 21,52. « Riscaldata con idrato di bario in soluzione acquosa, nel rapporto di una molecola di ‘piroglutammide per mezza molecola soltanto di idrato di bario, svolge una molecola di ammoniaca e dà il sale baritico, dell'acido pi- roglutammico levogiro, dal quale sale baritico, con acido solforico, si può ottenere l'acido libero. « Ammesso che l'acido piroglutammico abbia la costituzione indicata da questo schema COOH | CH | CH, |) NH CH; ! col (1) Menozzi e Appiani, Rendiconti dei Lincei, 1. c. Zia e tutti i fatti noti finora parlano in favore di questa struttura, le trasforma- zioni ora accennate stanno ad indicare che la sostanza di cui ora ci occu- piamo, possiede la seguente formula di struttura CONH, | CH | CH, I NH CH. | (0; OcRia, in corrispondenza alla denominazione da noi ora impiegata. « Questa piroglutammide devia a sinistra il piano della luce polarizzata. Il potere rotatorio da noi trovato è dato da (a), = — 40° per la sostanza anidra, (a), = — 859,35 per la sostanza con una molecola di acqua. « Anche riscaldando il sale ammonico dell'acido glutammico ordinario verso 150° si ha la piroglutammide descritta, a fianco del corrispondente acido. Acido glutammico levogiro e derivati. « Acido glutammico levogiro. — I rapporti fra l'acido piroglutammico e la piroglutammide attivi coll'acido piroglutammico e la piroglutammide inat- tivi, avendoci fatto ritenere che questi ultimi non siano che la forma race- mica di isomeri fisici, abbiamo cercato di preparare per l'acido glutammico levogiro dei derivati corrispondenti a quelli ottenuti dall'acido glutammico ordinario. Siamo riusciti nelle preparazioni e a confermare poi completamente le nostre previsioni. Ciò ha richiesto dapprima un certo lavoro per ottenere l'acido glutammico levogiro da cui partire. « Avendo constatato che l'acido glutammico inattivo, del quale ci occu- piamo in una prossima Nota, e che può ottenersi per diverse vie, fornisce, per semplice ricristallizzazione dall'acqua, cristalli emiedrici di segno contrario, tentammo di riuscire nel nostro intento sottoponendo l’acido inattivo a ricri- stallizzazioni e indi procedendo alla separazione dei cristalli. Ma per tale via sì riesce bensì allo scopo ma con un lavoro molto lungo, pochi essendo i cri- stalli che riescono ben decisi. Tentammo di fare coll’acido inattivo varî sali con alcaloidi, ma anche per questa via non riuscimmo ad una separazione. Siamo invece riusciti nell'intento facendo crescere il Pernzicillium glaucum in soluzioni convenientemente preparate di acido glutammico inattivo. « Pel procedimento abbiamo seguite le norme pubblicate dallo Schulze (Zeit. fiir physiol. Chem. X, 138), e quelle che lo stesso prof. ci ha fornito in via privata. Gli rendiamo pubblicamente vive grazie. — Il lavoro di se- mina e coltura del Perzicillium è stato eseguito dal dott. Luigi de Martini, — 421 — direttore della sezione bacteriologica al laboratorio municipale di Milano. Anche a lui i nostri ringraziamenti. « Il liquido in cui è cresciuta la muffa si è filtrato, poi si è trattato con idrato di bario per separare gli acidi solforico e fosforico, e si è mantenuto a b. m. per scacciare l'ammoniaca; indi si è precipitato esattamente il bario in eccesso con acido solforico, e il liquido sì è trattato con idrossido di rame umido. La soluzione bleu ottenuta, separata dall’eccesso dell’ossido di rame, e concentrata, ha depositato il sale di rame dell’amminoacido. Questo sale di rame raccolto lavato con acqua e scomposto con idrogeno solforato ha dato un liquido dal quale per concentrazione si è ottenuto deposito di acido glu- tammico levogiro. « L'acido glutammico levogiro, per abito e per modo di separarsi, si comporta come l'acido glutammico ordinario destrogiro. Analisi: calcolato per C; Hs NO, N°/ 9,52 trovato » 9,46 « Presenta, una volta puro, il medesimo grado di solubilità, il medesimo punto di fusione dell'acido destrogiro. Soltanto si distingue cristallograficamente presentando la faccia emiedrica in senso opposto a quello dell'acido ordinario, e poi dal suo comportamento alla luce polarizzata, deviando a sinistra. Ecco i risultati delle nostre osservazioni. Una soluzione acquosa al 4 °/,, con tubi lunghi 20 cm. alla temperatura di 26° ha dato una deviazione di — 1°,2'; una soluzione acquosa al 2 °/, nelle stesse condizioni ha dato una deviazione di — 0°,31/; da cui: (e), = —1299 gr. 1,0726 di acido con gr. 0,2663 di HCI, sciolti in 20 cc., a 26° hanno dato una deviazione di 39,10’, da cui si ha: per l'acido come cloridrato (a), =— 299,52 pel cloridrato (a), =— 230,63 « Confrontando questi dati con quelli da noi ottenuti per l'acido destro- giro, (l'acido destrogiro in soluzione acquosa ad es. ha un potere rotatorio dato da (a), ==+ 12°.5) non rimane dubbio alcuno sulla natura dell’acido sinistro da noi ottenuto. « Vogliamo notare ancora che, mentre l’ordinario acido glutammico ha un sapore particolare sui gezerzs, l'acido levogiro non ha quasi alcun sapore. Non è un fatto nuovo questo della differenza di sapore fra due stereoisomeri. L'asparagina ordinaria non possiede sapore dolce, mentre lo possiede l'aspara- gina destrorsa. « Piroglutammide destra o ammide dell’ acido piroglutammico de- strogiro. — Abbiamo ottenuto questa sostanza nel modo identico a quello seguito per ottenere la piroglutammide sinistra, eterificando cioè l'acido glu- tammico levogiro con alcool assoluto e acido cloridrico gassoso, e scaldando a Db. m. Il prodotto dell'eterificazione lo abbiamo liberato dall'eccesso di acido RenpICcONTI. 1893, Vol. II, 2° Sem. 57 — 422 — cloridrico, e indi trattato con ammoniaca alcoolica, filtrato per separare il cloruro ammonico ed il liquido saturato con ammoniaca secca. Dopo qualche tempo deposita una sostanza cristallizzata in lunghi aghi, riuniti a fiocchi ed avente tutto l'abito della piroglutammide sinistra di cui ci siamo occupati sopra. Il prodotto fu ricristallizzato da alcool. « La sostanza contiene una molecola di acqua di cristallizzazione, come il corrispondente derivato dell'acido glutammico ordinario: una volta secca fonde anch'essa a 165°. L'acqua di cristallizzazione si elimina lentamente mantenendo su acido solforico, rapidamente scaldando a 100°. Teorico per C, Hz N3 0,.H30 12,82 °/, di Hs 0 Trovato 12,28 » ” « La sostanza devia a destra la luce polarizzata. gr. 0,9452 di sostanza con 1 molecola d'acqua, pari a gr. 0,8274 di so- stanza anidra, sciolti in 25 cc. hanno dato in tubi lunghi 20 cm. alla temperatura di 26° una deviazione di 4- 2° 44’, ciò che corrisponde, per la sostanza anidra, ad un potere rotatorio espresso da (e), = + 419,29 e per la sostanza con 1 molecola di acqua di cristallizzazione, a (a), = + 369,22. « Il dato che possediamo pel derivato corrispondente dell’acido glutam- mico destrogiro è (a), = — 40° per la sostanza anidra, (a), = — 859,35 per la sostanza idrata; ma tenuto conto delle condizioni differenti di tempera- tura per le due osservazioni e della piccola quantità di sostanza impiegata nell'ultimo caso, si comprende esservi fra i due dati abbastanza approssima- zione per ammettere che si tratta realmente di due isomeri fisici corrispon- denti. La qual cosa risulta poi dimostrata dal fatto che unendo a quantità eguali questa piroglutammide destra coll’altra levogira, precedentemente de- scritta, si ottiene piroglutammide inattiva, o glutimmide di Habermann. « Se la piroglutammide destra si scalda con idrato di bario molecola per molecola, svolge ammoniaca e fornisce il sale di bario dell'acido glutam- mico levogiro; ma scaldando con mezza molecola di idrato di bario per ogni molecola di piroglutammide, si ha svolgimento di una molecola di ammo- niaca, ed il sale di bario di un acido piroglutammico identico chimicamente a quello levogiro descritto precedentemente, solamente che devia in senso opposto il piano della luce polarizzata. gr. 0,7545 di sostanza idrata hanno svolto gr. 0,0867 di NH;; da cui Ammoniaca ottenuta 11,49% Teorico per C; Hg N30; 11,64 » « Acido piroglutammico destrogiro. — Come si è detto or ora facendo bollire la piroglutammide con mezza molecola di idrato di bario, si ha il sale baritico dell'acido piroglutammico destrogiro. Dal sale baritico, precipi- tando esattamente il bario con acido solforico, si ha l'acido libero. AM — 423 — « L'abito, le proprietà di questo acido, corrispondono perfettamente a quelle dell'acido piroglutammico sinistro. Come questo fonde a 1629, si di- stingue da esso perchè devia a destra il piano della luce polarizzata. gr. 0,6667 di sostanza sciolti in 25 ce., in tubi lunghi 20 cm. alla tempe- ratura di 25° hanno dato una deviazione di 0°28/, ciò che corrisponde a (@)= + 7°. « Scaldando l’acido piroglutammico destrogiro per sè a 180°, abbiamo ottenuto acido piroglutammico inattivo fondente a 182°. Mescolandolo a quan- tità eguali con acido piroglutammico levogiro abbiamo pure ottenuto acido piroglutammico inattivo ». 1 85 pa — 425 — INDICE DEL VOLUME II, SERIE 5°. — RENDICONTI 1893 — 2° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A Asetti. È eletto Corrispondente. 96. — Ringrazia. 277. AGAMENNONE. « Velocità di propagazione delle principali scosse di terremoto di Zante nel recente periodo sismico del 1893». 393. AnpREOCCI. « Sopra un altro nuovo isomero della Santonina e sopra un altro nuovo isomero dell’acido Santonoso ». 175. — « Sopra alcuni derivati metilati dell’acido Desmotropo-Santonoso ». 200. — « Sulla costituzione della Dicianfenil- idrazina e dei composti triazolici di J. A. Bladin ». 275; 302. ANGELI. «Azione dell’acido nitroso sopra le chetoammine ». 23. Arnò. « Ricerche quantitative sulla dissi- pazione d’energia nei corpi dielettrici in un campo elettrico rotante ». 260. AscoLi. « Di alcuni effetti dell’incrudimento sopra le proprietà magnetiche del fer- ro ». 30. B BaLBrano. « Sull’ossidazione dell’acido can- forico ». 240. BarTELLI « Sul comportamento termo-elet- trico dei metalli magnetizzati ». 162. Beccaro. È approvata la stampa della sua Memoria: « Sopra il teorema di Wilson generalizzato ». 361. BeLTRAMI. Fa parte della Commissione esa- minatrice della Memoria Beccaro. 361. BentIvoGLIO. V. Magnanini. BertINI. È eletto Corrispondente. 96. — Ringrazia. 277. BeroccHi. Presenta due pubblicazioni del- l’architetto Azzurri e ne discorre. 861. — « Effemeride e statistica del fiume Te- vere prima e dopo la confluenza del- l’Aniene, e dello stesso fiume Aniene durante l’anno 1892 ». 881. BrancHi. È eletto Socio nazionale. 96. — Ringrazia. 277. — « Sulle divisioni regolari dello spazio non euclideo in poliedri regolari ». 65. BoGGIo-LeRA. « Sul lavoro interno della di- latazione dei corpi solidi e sul rapporto di Poisson ». 43. BLASERNA (Segretario). Dà conto della cor- rispondenza relativa al cambio degli Atti. 278; 361. — Comunica un invito per un Congresso internazionale di Chimica applicata, che avrà luogo in Bruxelles nel 1894. 276. — Presenta una lista di sottoscrizione per perpetuare il nome di N. J. Lobatcheff- sky. 276. — Presenta i programmi dei concorsi a premi del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della Società geologica italiana, della R. Accademia dei Geor- gofili e della Società batava di filoso- fia sperimentale di Rotterdam. 276. — Dà comunicazione delle lettere di rin- — 426 — graziamento dei Socî di nomina recente. 276. BLAsERNA. Presenta una fotografia inviata in dono dall’Osservatorio Lick. 276. — Presenta le pubblicazioni del Socio od. 276; dei Corrispondenti Bertini, Della Valle, Millosevich. 276; Palmieri, Mattirolo. 365; del Socio straniero Berthelot.276; Marey.361; dei sionori Birkeland e Sarasin. 276; 361. -— Presenta il 5° volume dalle opere di W. Weber. 276. - Presenta una Memoria dei signori Di Legge e Giacomelli, perchè sia sotto- posta al giudizio di una Commissione. 275. — « Sulla tensione massima dei vapori del- l'anidride carbonica liquida ». 365. BrioscHI (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio Z. Scacchi. 276. — « Sulle equazioni modulari ». 185. C Cannizzaro. Offre una pubblicazione dei si- gnori Z'hiemann e Krueger. 361. CantoNE. « Influenza dei processi di defor- mazione sulle proprietà elastiche dei corpi. Flessione dell’ottone ». 246. — Ulteriori ricerche sui processi di defor- mazione ». 253; 295. — « Sul modo di eliminare le deforma- zioni permanenti ». 339. — «Sull’accomodazione elastica» 346; 385. CARRARA. « Sulla dissociazione elettrolitica in relazione col potere rotatorio ot- tico ». 148. — « Sulla velocità di reazione tra il jo- duro di etile ed il solfuro di etile, soli o in presenza di acqua». 407. CasreLNUOvo. « Sulla razionalità delle in- voluzioni piane ». 205. CATTANEO. « Sulla conducibilità elettrica dei sali disciolti in glicerina ». 112. CerRruTI. Riferisce sulla Memoria Beccaro. 361. Cramicran. È eletto Socio nazionale. 96. — Ringrazia. 277. CLERICI. « Il pliocene alla base dei monti Cornicolani e Lucani ». 58. Conn. « È eletto Socio straniero. 96. — Ringrazia. 277. CoLeLLa. È approvata la stampa della sua Memoria: « Sulle fine alterazioni della corteccia cerebrale in alcune malattie mentali ». 275. Cossa A. Fa parte della Commissione esa- minatrice della Memoria Scacchi. 275. — « Sulla reazione di Anderson ». 332. D De Lorenzo. « La fauna bentho-nektonica della pietra leccese (miocene medio)». Il 3 100, — «Il postpliocene morenico nel gruppo montuoso del Sirino in Basilicata ». 268; 317. DeL Re. « Sulla superficie del 5° ordine con 5 punti tripli ed una cubica dop- pia». 99; 138. Di LEGGE e GrAacomeLLI. Inviano, per esame, la loro Memoria: « Catalogo delle ascensioni rette medie pel 1890,0 di 2441 stelle comprese fra l’equatore ed il parallelo 90° nord e di 42 stelle del- l'emisfero australe, compilato sulle os- servazioni fatte al circolo meridiano del R. Osservatorio del Campidoglio negli anni 1885-90 ». 275. Dre Sanctis. « Sugli acidi grassi combinati che si riscontrano nella Lanolina ». 275; 910. Dressau. « Sulle cariche residuali ». 86. D’Ovipro E. È eletto Socio nazionale. 96. — Ringrazia. 277. E EnRIQUES. « Una questione sulla linearità dei sistemi di curve appartenenti ad una superficie algebrica ». 3. — «Sui sistemi lineari di superficie alge- briche le cui intersezioni variabili sono curve iperellittiche ». 244; 281. G GHIRA. « Ancora sul comportamento criosco- pico degli acetati di basi deboli ». 173. — 427 — Guira. «Sulla preparazione del piombo trie- tile ». 216. GiseLLi e BuscaGLionI. « L’impollina- zione nei fiori della Trapa natans L.e T. Verbanensis D. Nrs. ». 227. GoLei. Riferisce sulle Memorie: Colella; Ruffini. 275. GueLieLMO. « Descrizione di alcuni nuovi metodi molto sensibili per la misura delle pressioni ». 8. — «Descrizione di un elettrometro asso- } luto, esatto, e di facile costruzione, e di un nuovo metodo per la misura della costante dielettrica dei liquidi ». 78. K KoENIGS. « Réponse à la Note de Mr. le professeur Ricci, du 3 septembre 1893 ». 336. KòrneR e Menozzi. «Intorno ad un omo- logo della asparagina e alcuni derivati degli acidi omoasp»rtici ». 368. KrucH. « Contribuzione allo studio della morfologia fiorale del Laurus nobi- lis». 275; 820. Krueger. V. 7hiemann. M MagnanINI. « Sulla natura della pressione osmotica». 268. — e BentivogLIo. « Intorno allo spettro di assorbimento delle soluzioni di alcuni cromossalati della serie bleu ». 17. — « Conducibilità elettrica delle soluzioni dei sali d’acidi organici in presenza di acido borico». 54. MARANGONI. « Sulla genesi della grandine ». 846. MarIortTI. Presenta un’opera del prof. IMer- zario e ne parla. 361. MartIROLO. È eletto Corrispondente. 96. — Ringrazia. 277. Mauro. « Fluossimolibdato e fluossipomo- libdato talloso ». 882. MenDELEEFF. È eletto Socio straniero. 96. — Ringrazia. 277. MenozzI e APPIANI. « Sopra alcuni derivati dell’acido glutammico. Acidi piroglu- tammici e piroglutammidi attivi ». 415. Menozzi. V. Aòrner. MiLosevicu. È eletto Corrispondente. 96.— Ringrazia. 277. — « Elementi ellittici e perturbazioni del pianetino (306) Unitas ». 236. — « Sulla nuova cometa Broocks ». 240. -- « Sul pianeta (306) Unitas in terza op- posizione ». 336. MonTICELLI. «Treptoplax reptans n. g. n. sp.». 39. MorERA. « Un teorema fondamentale di mec- canica ». 245. Mosso e PaoLETTI. « Influenza dello zuc- chero sul lavoro dei muscoli». 218. N NaccarI. « Sulla pressione osmotica ». 136. Nasini. « Coefficiente critico in relazione colla formula sul Do Io P PaGLIANI. « Sul potere induttore specifico dei corpi e sulle costanti della rifra- zione della luce». 48. — « Sulle equazioni della rifrazione della luce ». 107. PaoLETTI. — V. Mosso. PrixesHeIm. È eletto Socio straniero. 96. — Ringrazia. 277. R RAZZABONI. Annuncio della sua morte. 96. Reina. « Sulla determinazione dei raggi di una superficie per mezzo di misure lo- cali sopra di essa ». 287. Ricci. « A proposito di una Memoria sulle linee geodetiche del sig. Konigs ». 146. — « Alcune parole a proposito di una ri- sposta del sig. Kònigs». 388. RiGnI. « Quale sia il piano di polarizza- zione per le oscillazioni hertziane ». 73. — «Sul piano di polarizzazione delle oscil- lazioni hertziane ». 157. — 428 — Rurrini. È approvata la stampa della sua Memoria: « Di un nuovo organo ner- voso terminale e sulla presenza dei corpuscoli Golgi-Mazzoni nel connettivo sottocutaneo dei polpastrelli delle dita dell’uomo ». 275. S SanpRuccI. « Sulle recenti esperienze di G. A. Hirn e sulle leggi dell’efflusso dei gas ». 209. — Sopra una formula di termodinamica e sul termolavoro interno nei corpi s0- lidi e liquidi ». 253. ScaccHI A. Annuncio della sua morte. 276. ScaccHÙi E. «Studio cristallografico di alcuni fluossimolibdati di tallio ». 275; 401. StrasBurGER. È eletto Socio straniero. 96. — Ringrazia. 277. STtRUEVER. Presenta una pubblicazione del prof. Portis. 276. — Riferisce sulla Memoria Scacchi. 275. T THIEMANN e KRUEGER. « Sul profumo della viola ». 350. TopAro. Fa parte delle Commissioni esa- minatrici delle Memorie Colella e Ruf fini. 275. — « Sull’organo visivo delle Salpe ». 374. ToLoMEI. « Sopra l’azione dell’ozono su al- cuni microrganismi ». 354. Tommasi-CruDELI. Presenta la traduzione inglese d’un suo lavoro sul clima di Roma, fatta dal cap. Cramond Dick. 861. — « Sulla bonifica di Roma e dell’Agro romano ». 327. Z ZeccHINI. « Esperienze sul potere rotatorio della coniina e dei suoi sali ». 168. — « Sul potere rifrangente del fosforo. III Potere rifrangente d’alcune combina- zioni organiche del fosforo ». 193. — 429 — INDICE PER MATERIE A AGronomIa. Sulla bonifica di Roma e del- l’Agro romano. €. Zommasi-Crudeli. 327. AnatomMIa. Sull’organo visivo delle Salpe. F. Todaro. 374. AsrRronomIa. Elementi ellittici e perturba- zioni del pianetino (306) Unitas. #2. I71- losevich. 236. —- Sulla nuova cometa Broocks. /d. 240. — Sul pianeta (306) Unitas in terza op- posizione. /d. 336. B BoranIcA. L’impollinazione nei fiori della Trapa natansL. e T. Verbanen- sis D. Nrs. G. Gibelli e L. Buscalioni. 227. — Contribuzione allo studio della morfolo- gia fiorale del Laurus nobilis. 0. Kruch. 275; 320. C CHÙimica. Sopra un altro nuovo isomero della Santonina e sopra un altro nuovo iso- mero dell’acido Santonoso. A. Andreoc- ci. 175. — Sopra alcuni derivati metilati dell'acido Desmotropo-Santonoso. /d. 200. — Sulla costituzione della Dicianfenilidra- zina e dei composti triazolici di J. A. Bladin. Id. 275; 302. —- Azione dell’acido nitroso sopra le cheto- ammine. A. Angeli. 23. — Sull’ossidazione dell'acido canforico. L. Balbiano. 240. RenpICcONTI. 1893, Vor. II, 2° Sem. CHimica. Sulla reazione di Anderson. A. Cossa. 332. — Sugli acidi grassi combinati che si ri- scontrano nella Lanolina. G. De Sanctis. 275; 310. — Intorno ad un omologo della asparagina e alcuni derivati degli acidi omoaspar- tici. G. Aoerner e A. Menozzi. 368. — Fluossimolibdato e fluossipomolibdato talloso. F. Mauro. 382. — Sopra alcuni derivati dell’acido glutam- mico. Acidi piroglutammici e piroglna- tammidi attivi. A. Menozzi e G. Ap- piani. 415. — Sul profumo della viola. Y. Thiemann e P. Krueger. 350. Cunmica-FIsIca. Sulla dissociazione elettroli- tica in relazione col potere rotatorio ottico. G. Carrara. 148. — Sulla velocità di reazione tra il joduro di etile ed il solfuro di etile soli o in presenza di acqua. /d. 407. — Ancora sul comportamento crioscopico degli acetati di basi deboli. A. Ghira. 173. — Sulla preparazione del piombo trietile. Id. 216. — Intorno allo spettro di assorbimento delle soluzioni di alcuni cromossalati della serie bleu. G. Magnanini e T°. Benti- voglio. 17. —- Conducibilità elettrica delle soluzioni dei sali d’acidi organici in presenza di acido borico. Ja. Id. 54. — Sulla pressione osmotica. A. Naccart. 136. — Coefficiente critico in relazione colla for- nilo nl R. Nasini. 127. 58 — 430 — CÙimica-FISICA. Esperienze sul potere rota- torio della coniina e dei suoi sali. /. Zecchini. 168. — Sul potere rifrangente del fosforo. III Potere rifrangente di alcune combina- zioni organiche del fosforo. /d. 193. Concorsiapremî. Programmi varî. 276. Corrispondenzarelativa al cambio degli Atti. 40; 97; 202; 278; 361. CRISTALLOGRAFIA. Studio cristallografico di alcuni fluossimolibdati di tallio. £. Scacchi. 275; 401. E ELETTRICITÀ. Ricerche quantitative sulla dissipazione d’energia nei corpi dielet- trici in un campo elettrico rotante. A. Arno. 260. Elezioni di Socî. 96. F Fisica. Di alcuni effetti dell’incrudimento sopra le proprietà magnetiche del ferro. M. Ascoli. 30. — Sul comportamento termo-elettrico dei metalli magnetizzati. A. Battelli. 162. — Sul lavoro interno nella dilatazione dei corpi solidi e sul rapporto di Poisson. E. Boggio-Lera. 43. — Influenza dei processi di deformazione sulle proprietà elastiche dei corpi. Fles- sione dell’ottone. LZ. Cantone. 246. — Ulteriori ricerche sui processi di defor- mazione. /d. 253; 295. — Sul modo di eliminare le deformazioni permanenti. /d. 339. — Sull’accomodazione elastica. /d. 346. — Sulla tensione massima dei vapori del- l’anidride carbonica liquida. P. Bla- serna. 365. — Sulla conducibilità elettrica dei sali di- sciolti in glicerina. C. Cattaneo. 112. — Sulle cariche residuali. B. Dessau. 86. — Descrizione di alcuni nuovi metodi molto sensibili per la misura delle pressioni. G. Guglielmo. 8. — Descrizione di un elettrometro assoluto, esatto, e di facile costruzione, e di un nuovo metodo per la misura della co- stante dielettrica dei liquidi. /d. 78. Fisica. Sulla genesi della grandine. C. Ma- rangoni. 346. — Sul potere induttore specifico dei corpi e sulle costanti della rifrazione della luce. /. Pagliani. 48. — Sulle equazioni della rifrazione della luce. /d. 107. — Quale sia il piano di polarizzazione per le oscillazioni hertziane. A. Righi. 73. — Sul piano di polarizzazione delle oscil- lazioni hertziane. /d. 157. — Sulle recenti esperienze di G. A. Hirn e sulle leggi dell’efflusso dei gas. A. Sandrucci. 209. — Sopra una formula di Termodinamica e sul termolavoro interno nei corpi so- lidi e liquidi. /d. 253. Fisrco-cnimica. Sulla natura della pressione osmotica. G. Magnanini. 268. Fisica TERRESTRE. Velocità di propagazione delle principali scosse di terremoto di Zante nel recente periodo sismico del 1893. G. Agamennone. 398. FisroLogia. Influenza dello zucchero sul la- voro dei muscoli. U. Mosso e L. Pao- letti. 218. G GroLoGIA. Il pliocene alla base dei monti Cornicolani e Lucani. 4. Clerici. 58. — La fauna bentho-nektonica della pietra leccese (miocene medio). G. De Lo- renzo. 91; 119. — Il postpliocene morenico nel gruppo mon- tuoso del Sirino in Basilicata. 4. 268; 317. GropesIa. Sulla determinazione dei raggi di curvatura di una superficie per mezzo di misure locali sopra di essa. V. Re- ina. 287. IprRomETRIA. Effemeride e statistica del fiu- me Tevere prima e dopo la confluenza dell'Aniene, e dello stesso fiume Aniene durante l’anno 1892. A. Betocchi. 381. M MarEMaTICA. Sulle divisioni regolari dello spazio non euclideo in poliedri rego- lari. LZ. Bianchi. 65. — Sulle equazioni modulari. F. Brioschi. 185. — Sulla razionalità delle involuzioni piane. G. Castelnuovo. 205. — Sulla superficie del 5° ordine con 5 punti tripli ed una cubica doppia. A. Del Re. 99; 138. — Una questione sulla linearità dei sistemi di curve appartenenti ad una superficie algebrica. FM. Enriques. 3. — Sui sistemi lineari di superficie alge- briche le cui intersezioni variabili sono curve iperellittiche. /d. 244; 281. — Reéponse à la Note de Mr. le professeur Ricci, du 3 septembre 1893. G. oe- nigs. 336. MarEMaTIcA. À proposito di una Memoria sulle linee geodediche del sig. Kénigs. G. Ricci. 146. — Alcune parole a proposito di una rispo- sta del sig. Kònigs. /d. 388. Meccanica. Un teorema fondamentale di meccanica. G. Morera. 245. MicroBIoLogIA. Sopra l’azione dell'ozono su alcuni microrganismi. G. Zolomei. 354. N Necrologie. Annuario della morte dei Socî: Razzaboni. 96; Scacchi. 276. Z ZooLogra. Treptoplax reptans n. g. n. sp. F. S. Monticelli. 39. ERRATA-CORRIGE A pag. 220, le indicazioni nella figura: Acqua e Zucchero vanno scambiate di posto. an Ros Sl dI wW; Bia ch AIB Mia. ii coma vue RAR SN I (a SET IRRRRtaPe Ta Ae 807 ARABO Seni f Ie cHe i Cogli md. j Di.. sù csglé pri It os PADRE detect PRONTA AI ORTA RL ode it Jpg no i n° n iN (ot ; Ra pre: A i tI 13 î 24% LEN Sos du È pH bi 7 ATTI \x DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINOFI ANNO CCXCGQ. 1898 SIERO, D'EEINCT A: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduia del A7 Dicembre 1893. Volume II. — Fascicolo Lo e Indice del volume. 2° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. Ve SALVIUCCI 1893 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indiì- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o, ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- : ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. À chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1% — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. WolSsIV-SVESVISNVIE VIII. Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. MeMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcONTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. MremoRIE della Classe di scienze’ morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5% — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, II (1893) 2° Sem. Fasc. 1°-12° ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I, II. (1893). — Fasc. 1°-10°. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. £0; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Horpri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Dicembre 1893. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 dicembre 1893. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Blaserna. Sulla tensione massima dei vapori dell’anidride carbonica liquida . . . . Pag. Korner e Menozzi. Intorno ad un A della asparagina e alcuni derivati degli acidi omoaspartici . . . REAZIONE Al n o I) l’odaro. Sull’organo visivo Jo Sale ni » Betocchi. Effemeride e statistica del fiume Ti. prima e "oo È confine dell'A gione e dello: stesso fiume Aniene duranté Fanno; 1899, RO, Mauro. Fluossimolibdato e fluossipomolibdato talloso. . . . e Cantone. Sull’accomodazione elastica (pres. dal Socio BUA: SIAE » Agamennone. Velocità di propagazione delle principali scosse di ui ci Zante nel Snai periodo sismico del 1893 (pres. dal Corrispondente Zacchini) . . . . i ” Scacchi. Studio cristallografico di alcuni fluossimolibdati di tallio (pres. dal Socio Camaro) D) Carrara. Sulla velocità di reazione tra il joduro di etile ed il solfuro di etile soli o in pre- senza d’acqua (pres. dal Corrispondente Masini) . . . 3 ” Menozzi e Appiani. Sopra alcuni derivati dell’acido cino, Acidi vira e piro- glutammidi cattivi (pres..dal Socio Koruer) i <<. r È MM N OR I DI (3) 390 IN NVEN MIA