ATCRPRANAI à Ri pui Ùi Pubblicazione bimensile. Roma 21 gennaio 1914. N. 1. AF DELLA | REALE ACCADEMIA DEI LINCHI ANNO CCCUXI. 1914 SEE DT BI U TINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 4 gennaio 19K. Volume XXIII. — Fascicolo 1° 1° SEMESTRE. ROMA (© REBT TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCE}, 2 29835 PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1914 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: N i 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- -golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l’Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. | Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon: «denti non possono oltrepassare le 12 pagine ‘di stampa. Le Note di estranei presentate da ‘Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni, 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50. agli estranei; qualora l’autore ne desideri un mumero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi -sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. DI II. (non sviluppabile). Per abbreviare, chiameremo 2 superficze od inviluppo di rotolamento; S sì dirà la superficie d'appoggio, Si la roto- lante, mentre il punto O, od il piano 77, che accompagnano S, nel rotola- mento, prenderanno il nome di punto o piano satellite. Una prima e fondamentale questione che si presenta in questa teoria del rotolamento di superficie applicabili, è la seguente: La superficie, o l'inviluppo, 2 di rotolamento, possono darsi ad arbitrio? E come si trovano, data X, le corrispondenti coppie di superficie applicabili (S, So)? Separando i due casi, enunciamo i due problemi, in certo modo duali l'uno dell'altro, in questi termini più precisi: 1°. Problema A). — Data una qualunque superficie X, trovare tutte le coppie (S, So) di superficie applicabili, tali che, rotolando Sy (1) Pel senso preciso del termine rotolamento, vedi Darboux, Legons sur la théorie générale des surfaces, IV®® Partie Chap. VI; od anche?le mie Lezioni di geometria differenziale, vol. II, page 34. SERA sopra S, un conveniente punto O, satellite di So, descriva la super- ficie 3. 2°. Problema B). — Data una superficie X non sviluppabile, tro- vare tutte le coppie (S, So) di superficie applicabili, tali che, rotolando So sopra S, un conveniente piano rr, satellite di S,, inviluppi la super- ficte 3. Ciascuno dei due problemi ammette sempre, come si vedrà, una infi- nità di soluzioni con due funzioni arbitrarie, e la ricerca delle infinite coppie (S, So) corrispondenti di superficie applicabili dipende dalla inte- grazione di un'equazione alle derivate parziali del secondo ordine, lineare nelle derivate seconde e quadratica nelle derivate prime. Le coppie (S, So) corrispondono diunivocamente alle soluzioni di questa equazione del 2° ordine. 2. Fra i punti w della superficie 2 (o inviluppo) di rotolamento ed i punti M della superficie S d'appoggio viene stabilita, per la generazione geometrica stessa, una corrispondenza, essendo M il punto generico di con- tatto della S colla rotolante Ss, e & la posizione occupata sopra X dal punto satellite (ovvero il punto di contatto col piano satellite). / punto w è il piede della perpendicolare abbassata da M sopra X. Ora supponiamo che la superficie S, flessibile ed inestendibile, si de- formi, seco trasportando, invariabilmente legati, i segmenti rettilinei Mu, ed assuma la configurazione S, della superficie rotolante. Nel caso del pro- blema A),i termini w di questi segmenti dovranno raccogliersi in un unico punto O (nel punto satellite), ed invece, pel problema 2), si distribuiranno sul piano satellite 77, normale ai segmenti Mw nella loro nuova posizione. Viceversa, se esiste una configurazione S, della S, per la quale gli estremi u dei segmenti Mw sì raccolgono in un punto O, ovvero si distribuiscono sopra un piano 77, la coppia (S, Sy) di superficie applicabili darà, nel primo caso, una soluzione del problema A) con O punto satellite, nel secondo una soluzione del problema 2) con 7 piano satellite. In seguito a ciò, diventa di fondamentale importanza, pei nostri pro- blemi di rotolamento, il risolvere la questione seguente, che si collega al noto teorema di Beltrami sulla deformazione delle congruenze normali (‘): Una superficie S flessibile ed ipestendibile si deforma, seco trasportando i segmenti rettilinei Mu, uscenti dai punti M di S e terminati negli estremi u ad una superficie X normale ai segmenti stessi. Quando è che esiste una configurazione S, della S, per la quale la su- perficie X si contrae in un punto? ovvero una configurazione S, per la quale diventa un piano? Se chiamiamo R il valore (algebrico) del segmento Mu, sarà R una funzione delle coordinate curvilinee «x, v del punto M mobile su S. Nel (*) Vedi le mie Zezioni, vol. I, pag. 311. ni primo caso, R dovrà rappresentare la distanza del punto M, corrispondente, sulla supposta superficie applicabile S, dal punto fisso 0; nel secondo, sarà R la distanza di M, dal piano fisso 77. Inversamente, supponiamo che esista una superficie Sì, applicabile sopra S, e tale che R= Mw rappresenti la distanza di M, (corrispondente ad M) da un punto fisso O nello spazio, ovvero la distanza da un piano fisso 7. Dico, allora, che: Quando la S, deformandosi, assume la configurazione Sx , i termini u dei segmenti Mu sî raccolgono, nel primo caso, nel punto 0, e nel secondo st distribuiscono sul piano tr. La dimostrazione risulta da una nota proprietà che compete agli invi- luppi di una doppia infinità di sfere, comunque si deformi la superficie luogo dei centri, e cioè che: sopra ciascuna ‘sfera i due punti di contatto coll'inviluppo serbano una posizione invariabile (*). 3. Le considerazioni geometriche sopra esposte hanno trasformato i pro- blemi A) e B) nella questione seguente: Le normali alla superficie data 2 si intercettino con una superficie S, e si indichi con R il segmento (variabile) di normale compreso fra X ed S. Come deve prendersi R affinchè esista una superficie So applicabile sopra $, per la quale R rappresenti la distanza di un punto variabile sopra So da un punto fisso nel caso A), ovvero da un piano fisso nel caso B)? Sì riferisca, per maggior semplicità, la superficie X di rotolamento alle sue linee di curvatura (v, v), e siano E, G i coefficienti del quadrato del suo elemento lineare ds° — Edu? 4 Gdv?, 1 AN 4 ed i , — le sue curvature principali, talchè: TI 2 IA oì E ’ G DERE na (4 saranno funzioni note di «,v. Se riportiamo sopra la normale a X un segmento variabile R=R(v,v), la superficie S, luogo degli estremi di questi segmenti, avrà un elemento lineare ds, che si calcola subito colla formola: (1) 2=B(1 +5) du 4 G (1 +3) 004 age 2 1 a) Ora suppongasi dapprima che esista una superficie S, applicabile sopra S, per la quale R rappresenti la distanza del punto (x, v) di S da (') Lezioni, vol. II, pag. 88. Sg un punto O fisso nello spazio. Se riferiamo la S, ad un sistema di coordi- nate polari (R, 9, ) col centro in O, delle quali R sia il raggio vettore e 0, 4 gli angoli polari, per l'elemento lineare ds, della superficie Sy avremo : (2) ds,® = R° (46° + sen?0 dg*) + dR?. Per esprimere che S, So sono isometriche, dobbiamo eguagliare le due forme differenziali (1), (2), onde segue 2 2 (*) E (E dr. 1) du + G (G TÒ 2) dv* = d6° + sen?0 dg*. 2 1 A destra abbiamo il quadrato dell'elemento lineare della sfera unitaria: e, per ciò, R dovrà essere una tale funzione di «, v da rendere la forma differenziale a sinistra di curvatura K = + 1. Viceversa, se questo accade, avremo una soluzione del problema A), e la superficie rotolante S, si avrà inte- grando l’equazione differenziale di Riccati che occorre per ridurre la forma (2*) a sinistra al tipo normale d0° 4- sen°6 dg*. Conchiudiamo adunque: Per risolvere il problema A), si riporti sopra ogni normale della superficie data X un segmento R=R(u, v), tale da rendere la forma quadratica differenziale (3) B(F+ i we+G(g+7) © (0). i Di 75 IR 71 di curvatura = +1. Il luogo dei termini di questi segmenti dà una superficie 'S d’appoggio, e la superficie S, rotolante (insieme col punto satellite) viene individuata dalla (2) o (2*), mediante l'integrazione di un'equazione di Riccati. Dopo ciò, noi formiamo subito, nel modo più semplice, l'equazione a derivate parziali del 2° ordine da cui dipende il problema A), procedendo come segue. Pongasi Dr {E /E pt /G H, = yh.1+ 12 maya.r+0ì, (1) Si trasforma subito questo risultato in coordinate curvilinee qualunque. Se con Edu +2Fdudv+ Gdo , Ddu +2D'dudv+ D” dv? si indicano le due forme quadratiche fondamentali di 2, con H la curvatura media, con K la totale, è da determinarsi R in guisa che la forma differenziale (GE) (Bd? +2Fdudo + Gd)—(É+h) (D du? +2D'dudo + D'dv®) abbia la curvatura =+1. Carpi i e si esprima che la curvatura della (3) è =+1, scrivendo la relazione Dea 2) 1. dH, ) DI = w (i du Bio n dv gp a -0 Tenendo conto delle note formole 2(1e)_ 130 (8) 1 VE dU (P b) Pa Po dU dV \ 72 1 dV Lg ili de Zi 2( L LI rire = VEG(\2u VE du ui > VG do /I° la precedente si trasforma subito nell'altra: d (VG Li è (VE dh — (n OTO \ —(_—<|)+-(T-— IT22 — +-}=0. (1) Aa dU E dU +VE6;1 ui \ È Questa è, pel problema A), l'equazione annunciata al n. 1, lineare in 2 2 Di È cal e di 2° grado mot ; DIS dU dD dU = dv b) Passando al caso del problema B), dovrà qui R rappresentare la distanza del punto (v, v) della superficie So dal piano fisso 77 e se assu- miamo questo per piano xy, dovremo quindi avere R \? RE l i R (i +7) de +6 (1 +) 0° + a8 = dat {dg + aR. 2 1 In questo caso, adunque, la condizione necessaria e sufficiente è che R=R(%,v) renda nulla la curvatura della forma differenziale quadratica B(1+7) du? oto sl do (1). Soddisfatta questa condizione, la riduzione di questa alla forma nor- male dx* + dy° richiede solo quadrature. i Volendo ora calcolare l'equazione a derivate parziali per l’attuale pro- blema B), pongasi nh /R ro fa n= 41 R bo 6 400 R. (') In coordinate curvilinee qualunque (v,v), è la forma (1 — R°K)(Edu® 4-2 F dudv+G dv°) — (2R+ R*H)(D du + 2 D' du dv + D” do?) che deve avere la curvatura nulla. y e si scriva l'equazione : Dai ue du (7 du ny (R dv cai che, calcolata, diviene: (In) Si. dU \ TI hi dU d0V \ 9 ho dV Sg Pr Po Ogni soluzione BR di questa equazione determina una superficie S d'appoggio per una soluzione del prablema B); e la superficie So rotolante, unica e determinata, si trova con quadrature. Così si è in effetto dimostrato che tanto il problema A), quanto il pro- blema B), ammettono infinite soluzioni. La loro ricerca equivale a porre l'elemento lineare della sfera, ovvero quello del piano, rispettivamente sotto le forme determinate: dl \e o, Elmty) du +6(7+7) do, 2 2 B(1+-) wî+6(1+7) da. risultato questo, che presenta una stretta analogia col teorema di Weingarten relativo alle superficie W. 4. Si può facilmente trovare l'integrale generale della prima (I) nel caso che la assegnata superficie 2 di rotolamento sia un piano, ovvero una sfera. 1° caso: X un piano. Si può fare, in questo caso, fe PRE ed il problema consiste nel ridurre l'elemento lineare della sfera alla forma du? + dv? i che è quanto dire alla forma isoterma. Basta dunque considerare una qualunque rappresentazione conforme della sfera sul piano 2, ed elevare in ogni punto di questo piano un seg- mento rettilineo normale uguale al modulo della dilatazione lineare nella detta rappresentazione conforme. Il luogo degli estremi di questi segmenti ea è una superficie S d’appoggio, e la superficie rotolante si trova, in questo caso, în termini finiti. 2° caso: Z una sfera. Sia a il raggio di questa sfera, di cui prendiamo l'elemento lineare ds sotto forma isoterma: 2 (du + dv). Il problema consiste qui nel determinare R in guisa che l'elemento lineare e (i a) .2 (dell do9) ; R a appartenga alla sfera unitaria. Si consideri adunque una qualunque rappre- sentazione conforme della sfera X sulla sfera unitaria; e sulle normali a 2 si riportino i segmenti R dati da A e indicando con w il modulo della dilatazione lineare. Il luogo degli estremi di questi segmenti R dà una superficie S d'appoggio, e la rotolante So sì ottiene ancora in termini finiti. Del resto, la risoluzione del problema A) in questi due casi è già nota implicitamente fin dal 1900 per le ricerche del prof. Calo (*), il quale ha dato formule eleganti che forniscono insieme la superficie S d'appoggio e quella So rotolante. Un caso analogo ai precedenti si ha pel problema B) quando l’invi- luppo ® di rotolamento debba essere una sfera; ma questo non differisce in sostanza dal primo dei casì sopra considerati, se non per lo scambio fra J}a superficie d'appoggio e la superficie rotolante. 5. Se nei casì considerati al n. precedente (ed in nuovi, di cui trattiamo fra breve) l'integrazione della (I) e della (II) riesce completamente, in altri potremo conoscerne delle soluzioni particolari. Così, p. es., suppongasi che la superficie di rotolamento X (o l'inviluppo) sia una superficie elicoidale, o, più in particolare, una superficie di rotazione. In tal caso potremo assumere, nelle nostre formole, E,G,71,7s funzioni dì una combinazione lineare t= aut dv delle variabili, a coefficienti 4,2 costanti. Allora le equazioni (I) o (II) (1) Fisoluzione di alcuni problemi sull’applicabilità, in Annali di matematica, serie 32, tom. IV. RenDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 2 Se ammettono una doppia infinità di soluzioni particolari T o R funzioni del- l'argomento stesso 7, poichè esse si cangiano, in questa ipotesi, in una equa- zione differenziale ordinaria del 2° ordine. E siccome R è allora costante lungo le eliche au + 20 = cost. (o i paralleli), si vede che la superficie S d'appoggio sarà pure elicoidale, e lo stesso si riscontra aver luogo per la superficie So rotolante. Dunque: Se la superficie X di rotolamento (0 l'in- viluppo) è elicoidale, esiste una doppia infinità di coppie (S,S0) di eli- cotdi applicabili, che risolvono il problema A), 0 il problema B). Si consideri ancora il caso che la superficie * di rotolamento sia un Do : É 1 È cilindro circolare retto, di raggio = —. Possiamo fare 0) e il problema si trasforma, pel n. 3, nell’altro di ridurre l'elemento lineare sferico alla forma (di Weingarten) (T4 a)? du? + T° dv? . Esso equivale quindi alla ricerca di tutte le deformate di una certa super- ficie di rotazione, che si può facilmente assegnare. 6. Nelle ricerche che abbiamo fin qui indicato, si è tacitamente escluso il caso che il rotolamento di Sy sopra S dia luogo ad un movimento cor un solo parametro, anzichè ad un movimento a due parametri. Questa cir- costanza si presenta a//ora, ed allora soltanto, che la coppia (S, So) consti di due rigate applicabili (R, Ro), sicchè, corrispondendosi nell’applicabilità le generatrici (pel teorema di Bonnet), la rigata rotolante R tocca in ogni sua posizione la rigata R d'appoggio lungo tutta una generatrice e, roto- lando, acquista solo una semplice infinità di posizioni. In tal caso un punto 0 satellite di R, descrive non più una superficie, ma una curva C, ed un piano 7 satellite di R, inviluppa una svi/uppabile; e i problemi fondamen- tali A) e B) si semplificano nei due seguenti: Problema A').) — Data una curva qualunque C come curva di rotolamento («roulette »), trovare tutte le coppie (R, Ro) di rigate appli- cabili tali che, rotolando BR, sopra R, un punto O, satellite di Ro, de- scriva la curva C. Problema B'). — Data una qualunque sviluppabile Z, trovare tutte le coppie (R, Ro) di rigate applicabili, tali che, rotolando R, sopra R, un piano 1, satellite di Bo, inviluppi 3. Questi due problemi sono retti ancora dalle medesime equazioni a deri- vate parziali (I) (II), convenientemente interpretate; ed in questi casi, come in quelli considerati al n. 4, l'integrazione riesce completamente. In ciò che segue, diamo le relative costruzioni geometriche, le quali si possono rendere intuitive mediante considerazioni infinitesimali affatto analoghe a quelle usate dal Beltrami nella sua Memoria sulla flessione delle superficie rigate ('). 7. Per risolvere il problema A'), si scelga sopra ogni piano normale alla curva C di rotolamento una retta 7 ad arbitrio (con legge continua). Il luogo di queste co! rette ci dà una rigata R d'appoggio, che determina, in modo unico, la rigata R, rotolante. Possiamo esprimere il risultato anche così: Il problema A') ammette infinite soluzioni (con due funzioni arbitrarie), che st ottengono scegliendo ad arbitrio la rigata R d'appoggio entro il complesso delle tangenti alla sviluppabile polare della curva C di roto- lamento. È poi manifesto che fra queste infinite coppie (R, R) di rigate appli- cabili vi sono ancora infinite coppie di sviluppabili. Come spigolo di regresso T° della sviluppabile R d'appoggio si può prendere una qualunque curva trac- ciata sulla sviluppabile polare di C; lo spigolo di regresso T, della svilup- pabile rotolante ne resta allora determinato (mediante le sue equazioni in- trinseche). In tal caso, invece che del rotolamento delle due sviluppabili, si può parlare del rotolamento della curva T, sulla curva 7; il che deve intendersi nel senso seguente: Le due curve 7, I, si corrispondono per egua- glianza d'archi e di flessione nei punti corrispondenti, ed il rotolamento di di TY, su Z° avviene in guisa che in ogni sua posizione Y, tocca Z° nel punto corrispondente, ed ha ivi a comune con I° il piano osculatore; il punto O, invariabilmente legato a T;, descrive la curva data C. Passando al secondo problema B'), lo risolviamo analogamente come segue: Si considerino i piani condotti per ciascuna generatrice della svilup- pabile 2 assegnata normalmente alla sviluppabile stessa (piani rettificanti del suo spigolo di regresso), ed in ciascuno di questi piani si scelga ad arbitrio una retta 7. Il luogo delle rette 7 è una rigata R d'appoggio in una soluzione del problema B'); la rigata rotolante R, ne resta individuata, insieme col piano satellite. Si osservi che anche qui come soluzioni avremo infinite coppie di svi- luppabili, ossia di curve rotolanti T, T,, delle quali la curva T° d'appoggio può scegliersi ad arbitrio fra le curve tracciate sulla sviluppabile rettificante dello spigolo di regresso di X. 8. Consideriamo da ultimo il caso di due rigate (R, Ry) applicabili, di cui la rotolante R, trascini seco rigidamente una retta 7° (retta satellite), la quale dunque descriverà una terza rigata di rotolamento R'. Proponiamoci il nuovo problema: Problema C'). — Data una qualunque rigata R', irovare tutte le coppie (R, Ro) di rigate applicabili, tali che, rotolando Ro sopra R, una retta r, satellite di Ro, descriva la rigata prescritta R'. (1) Beltrami, Opere, vol. I, pag. 226. E Anche questo problema ammette infinite soluzioni, le quali però ora di- pendono da una sola funzione arbitraria, e si ottengono nel modo seguente: Si consideri una generatrice 9" variabile sopra R' ed il paraboloide delle normali lungo g9', e su questo paraboloide si segni ad arbitrio una genera- trice g del sistema di 9g’. Il luogo di queste co! rette 9g, scelte con conti- nuità, ci dà una superficie rigata R d'appoggio in una soluzione del pro- blema C'); e la rigata R, rotolante, insieme con la retta satellite, ne resta individuata. Le generatrici dei paraboloidi delle normali appartenenti al sistema delle g' formano una congruenza, ertr0 la quale può essere scelta ad arbitrio la rigata R d'appoggio. In fine si osservi che, nel caso attuale, fra le coppie (R, R,) di rigate applicabili che risolvono il problema C'), abbiamo una semplice infinità di sviluppabili, quella R d'appoggio potendosi scegliere ad arbitrio fra le svi- luppabili della congruenza. Fisica-matematica. — Deduzione rigorosa di una relazione fondamentale nella teoria del calore raggiante. Nota del Socio T. LEVI-CIVITA. Alludo alla relazione (1) i si UKiok valida in ogni punto M di un generico mezzo isotropo in equilibrio di irrag- viamento: e vi rappresenta il coefficiente di emissione in M (riferito all’uvità di volume irraggiante, talchè 4778 è la quantità di energia irraggiata tutt'intorno nell'unità di tempo); « il coefficiente di assorbimento, pure in M (per unità di lunghezza); K l'intensità specifica, e quindi 77K il potere emissivo {riferito all'unità di superficie) spettante ad uno qualunque degli oo? elementi superficiali uscenti da M. Si intende che e, @, K vanno presi tutti e tre per radiazioni di una stessa frequenza; ovvero tutti e tre per l’intero spettro; più generalmente, del resto, va ritenuto che ci atteniamo al Planck (*) per definizioni e postulati (?). Il procedimento (*), attraente per geometrica semplicità, di cui sì è valso l'illustre Autore per stabilire la (1), si appoggia sopra un'ipotesi addizionale, intuitivamente plausibile, ma concettualmente complessa ed esu- berante. Eeco di che si tratta. Si fissa in primo luogo un generieo elemento di volume S circostante a M, e una superficie sferica 2 col centro in S, (1) Z'heorie der Wirmestrahlung, cap. I [ (28 ediz.), Leipzig, Barth, 1918]. (2) Il Planck considera soltanto mezzi omogenei. Anche la nostra deduzione della (I) sarà svolta in questa ipotesi. Ma ciò non lede la generalità, perchè l’estensione a mezzi eterogenei (isotropi) apparisce poi ovvia. Cfr. il n. 8 del presente scritto. (8) Op. cit., $$ 24-26. di raggio abbastanza grande perchè, rispetto ad esso, sì possano trattare come infinitesime le dimensioni di S. Si valuta poi l'energia assorbita da S nell’unità di tempo, risguardandola irraggiata da 2, ed ammettendo inoltre che essa giunga in S senza attenuazione, nè rinforzo. Cio si giustifica in base all'ipotesi addizionale suaccennata, che può enunciarsi così: in condi- zioni di equilibrio termodinamico, ogni pennello elementare di raggi, nel passaggio da * ad S, tanto perde per assorbimento (ed eventuale disper- sione) quanto acquista per emissione (e dispersione). Debbo tale schiari- mento alla personale cortesia del prof. Planck e gliene attesto il mio grato animo, venendo ormai allo scopo della presente Nota. Esso è di ricavare la relazione (1) ('), mediante una dimostrazione matematica (*) che eviti la ipotesi speciale di Planck, sfruttando unicamente (accanto alle premesse gene- rali) la stazionarietà dell’ irraggiamento globale di una (qualsiasi) porzione S del mezzo. Vi si perviene nel modo più naturale, esprimendo, a mezzo degli integrali, che direttamente traducono i postulati fisici, la eguaglianza fra l'energia emessa e quella assorbita da S nell'unità di tempo. La (I) ne discende per materiale trasformazione di integrali. Di questa trasformazione mì occuperò iv primo luogo (nn. 1-5), stabi- lendo anzi una formula alquanto più generale, che mi sembra specifica per la teoria matematica dell’irraggiamento. 1. — NOTAZIONI. Sia S un campo a tre dimensioni, o il relativo contorno. Rappresentino: P e P' due punti qualisivogliano di S, o, in particolare, di 0; x,y, e x',y',3' le rispettive coordinate; 7 =|V(a— 2)? +(y— 4 + (+ 4] la distanza PP'; 4S e 4dS' due elementi di campo contenenti P o, rispetti vamente, P'. Qualora in particolare P o P' cadano sul contorno, designe- ranno: do, do' due elementi di superficie ad essi circostanti; 2,’ le rela- (1) A dir vero, l’intervento di K non è indispensabile per arrivare alla legge di Kirchhoff. Ciò risulta dalle belle ricerche di Hilbert [Cfr. Begrùndung der elementaren Strahlungstheorie, Nachr. der K. Ges. der Wiss. zu Géòttingen, 1912, Heft 7]. Ma non scompare per questo l’importanza fisica della nozione di potere emissivo, e l'interesse di fissarne l’espressione in termini di e e di @. (£*) Tale non può ritenersi la considerazione che si legge nell’articolo del Wien, Theorie der Strahlung [ Enc. der Math. Wiss., V, 3, 2, pag. 288]. Essa contempla in- fatti un semispazio indefinito. E, per passare alla (I), nella sua accezione generale, bi- sogna ancora ammettere che, in un punto qualunque di un mezzo isotropo in equilibrio di irraggiamento, le cose vanno come nel caso tipico di un semispazio limitato da un piano indefinito. Ora ciò non mi sembra, nemmeno fisicamente, evidente, dato che il ri- sultato relativo al caso tipico non scende da comportamento locale, ma è desunto per essenziale contributo di tutto il semispazio. MO qui tive normali vòlte verso l'interno del campo; (@,#,y),(e",8',y)i loro coseni direttori; n l'angolo in P, formato da x con 7, 0, più precisamente, col vettore P' — P (che va da Pa P'); n'7 l'angolo in P' di x' con P—P' Sarà manifestamente (il simbolo > rappresentando la somma dei ter- mini che si ottengono da quello scritto per sostituzione circolare delle terne Fic. 1. diflettereta figa sz ig e Rn 00) dr dr Ti = e — n 0} 2 oc = — C08$N7, \ da dI r (1) d I A P r x x | = a a I ei= — cos nr. dn IL r 2. — UNA TRASFORMAZIONE DI INTEGRALI. Si consideri un integrale (quadruplo) del tipo (PÒ È CS AD d (2) I= | do | do' cos nr cos n'r.r-®, A) (o) dr in cui g designa una funzione del solo argomento 7, uniforme e continua insieme con le due prime derivate. In virtà delle (1), la funzione integranda può essere scritta r 22 (eg 3 dn talchè, posto, per brevità, deo d9 J= fo Z(x' — x) DA a, acbiini = la (2) equivale a (2) m= oh Jdo. L'integrale J, colla ordinaria formula di Green, si trasforma in OE — [os ne x) a Eseguendo la derivazione e badando all’ indipendenza dei due operatori Ò e era Zi DE si ha da dn ; ’ d dpi =— —_3f% dS — fas Za — a) TA Notiamo ora che, per essere o o —-a)=— a Ci pra ) sussiste l'identità SL E TEA 006 I de 2a gp Das aloe (e 2) da aa da! e teniamo d'altra parte presente che, dipendendo dalle coordinate esclu- sivamente pel tramite di 7, si ha dg dp dr dyga a dA dr de dr r nonchè PPAMED9 DA di Con ciò, l'identità diviene d Ig d(e' — 2) dp IP d dep dp. xo -a)— = ss DL 4 sg a (p_2 @ Din da dn r dr Ù dn\' ua dn e, sostituendo nella precedente espressione di J, si ricava d 22) x __ Ie ul I-— {us (9 +ri : La (2') porge infine, invertendo le integrazioni, " RIA d D) e) DE 18 fact, (29419 1 — 160 — La formula di trasformazione, che volevamo stabilire, risulta dall’egua- gliare i secondi membri di (2) e ni Essa è quindi: (3) Seo fado cos A cos MP. di E (ag ICh Ta (29 ano DI 9. — COROLLARII. Nel primo membro della (3) la funzione integranda dipende, in modo simmetrico, da due punti P e P' del contorno. Si può facilmente attribuire anche al secondo membro una forma simmetrica, rispetto alle coppie P, P' del campo. Basta applicare all'integrale esteso a o la formula classica di Green che lo trasforma in integrale di spazio. E si ha (invertendo ancora le integrazioni, per uniformità col primo membro): o, f 4.5 Di (4) So (do COS NI COST .P-], 105 Ido dan ma E dove 4, designa l'operatore di Laplace rispetto alle coordinate x,y, del punto P. Si avverta, però, che, trattandosi dì una funzione del solo argo- mento 7, l'operatore 4, si riduce notoriamente a Lee | TRE a dr Per lo scopo che abbiamo in vista, giova riprendere la (3) e presen- tarla sotto aspetto lievemente modificato, ponendo ed eseguendo, nel secondo membro, la derivazione rispetto ad %. Dacchè, per una funzione della sola 7, è I Ro dn dadr AZIO sì ha MEDA dg d dp\ | —da(le4-4 pi) cos 127 a asi ossia, sostituendo / a @, AD df hl e Ti) cs (/+ ) La (3) equivale pertanto a L Sao { do' cos #7 cos dà. [= (a8 (do cos. ( f+ i ; iz dove f può ritenersi funzione arbitraria di 7, continua insieme con la sua [ i derivata prima: ciò in virtù di /=7 Si e delle ipotesi fatte su g [n. 2]. Veramente, con tali ipotesi, la f= 7 Di imporrebbe ulteriormente a f la condizione di annullarsi (di prim'ordine almeno) per x = 0. Ma si vede subito che ciò è inessenziale, appoggiandosi sulla seguente: 4. — OSSERVAZIONE. La formula (3) seguita a sussistere, anche se diviene infinita d'or- dine non superiore al primo, per 7= 0. Rimane infatti legittimo tutto ciò che si è detto, quando % si intendeva finita. Seguita quindi a sussistere anche la (5), con una /, sia semplicemente finita per = 0 (il che corrisponde ad un infinito logaritmico della ), sia infinita di prim'ordine (il che corrisponde ad analoga singolarità di @). Quanto alla (4), se l'ordine di infinito di @, per r=0, è inferiore ad 1, essa è ancora legittima. Ma se diviene infinita di prim'ordine, la trasformazione di d 22) tte o) pp = F6 fo dn (29 ui dr in integrale di volume richiede che si consideri a parte il termine polare 2 (C costante). Ciò reca in definitiva al secondo membro della (4) un ter- mine addizionale 477CS (S volume del campo designato colla stessa lettera). 5. — CASI PARTICOLARI NOTEVOLI. Sha Per quanto abbiamo ora osservato, si può prendere, nella (3), gp= — Il primo membro, allora, è i cos n7° cos n'7° Sao [do LL, e o vr 1 d= fas: {ao Ss 60 dn Dacchè 7 vi rappresenta la distanza fra nn punto P di o e un generico punto P' interno-alla superficie, l’ integrale e il secondo al SL fa lo) ma ReNDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. bro vale 477. Si ricava, du ZN ES 7 (do (do , cos 27 cos n'7 r come espressione del volume limitato da una generica superficie chiusa 0. Pongasi, nella (5), b 1— er pe r? con « costante. Ciò è ancora legittimo, dacchè / ha un infinito di primo ordine per 7= 0, rimanendo, del resto, ovunque regolare. Avremo l'identità ZN ss ZN cos 27° cos 27° COS N7° (6) doi een [as Sao Ca, TA /S (o che tra un momento ci renderà segnalato servigio. 6. — APPLICAZIONE AL REGIME STAZIONARIO DEL CALORE RAGGIANTE IN UN MEZZO OMOGENEO ISOTROPO. Sia S una porzione di tale mezzo, limitata da un contorno convesso 6; e il coefficiente di emissione, che sarà da ritenersi costante, trattandosi di mezzo omogeneo in regime stazionario. Riportandoci, per le notazioni, al n. 1, fissiamo un qualsiasi punto P' di S e un circostante elemento dS' [cfr. la fig. 1]. Sia poi 4 l'ampiezza (angolo solido misurato sulla sfera di raggio 1) di un generico cono ele- mentare spiccato da P'; do l'elemento del contorno a (unico, dacchè il con- torno si suppone convesso) segato da detto cono elementare. Manifestamente, c ZN COS 27° dQ2 = do cong e la quantità di energia, inviata nell'unità di tempo da dS', entro il cono elementare 42, vale e dS' dQ . Questa energia esce dal campo attraverso do: ma non integralmente, in causa dell’assorbimento. Se @ è il relativo coefficiente per unità di lunghezza, dato che il cammino percorso è rappresentato da 7, e-* sarà la frazione di £dS'd che va fuori del campo. Di tutta l'energia emanata da dS' secondo le varie direzioni (nell’ unità di tempo), ne esce da S (pure nell'unità di tempo) ZN edS' fee da = d8' {do a Cc steso alla sup. sferica di raggio 1 LETI (Oer In totale, sommando cioè i contributi di tutti i 4S', la perdita di energia, subita da S nell'unità di tempo, ammonterà a (7) _ E=s]|dS dar gii In condizioni di regime (equilibrio termodinamico), a questa perdita deve far riscontro un'eguale somministrazione dall'esterno, per flusso attraverso gli elementi di contorno. = Se K rappresenta l'intensità specifica, ogni do irradia verso do”, nel- l’unità di tempo, la quantità di energia ESE COS 27 COS 7 7° K do do' D (DE Di questa, però, soltanto la frazione 1 — e-*" rimane entro il campo. Complessivamente, per effetto dei mutui scambî, si ha come espres- sione — da eguagliarsi ad E — dell'acquisto di energia: A , COS N7°COS N'1° (8) E= K Seo fu —= È (1 == GS) In virtù della (6), si può invece scrivere ZN (8) mes too f AdS! | do PI gar. Us 60 (A e il materiale confronto di (7) e (8') porge (1) = Cos © Cab .V:. — VALIDITÀ DELLE FORMULE (7) ED (8) ANCHE PER CAMPI NON CONVESSI. Le espressioni (7) ed (8) dell'energia sottratta, o rispettivamente co- municata ad S, nell'unità di tempo, sono state dedotte nell'ipotesi che il campo sia limitato da un contorno convesso. Tale limitazione è però inessen- ziale. Per rendersene conto, basta seguire passo passo il procedimento del n°. precedente, tenendo debito conto delle modificazioni richieste dalla mag- giore generalità del contorno. Riferiamoci, per fissare le idee, al calcolo dell'energia sottratta, comin: ciando coll’osservare che un cono elementare di vertice P' può incontrare (*) Planck, loc. cit., $ 20. RON il contorno o piu volte, sempre però un numero dispari, per es. (cfr. la fig. 2) nelle areole 1,2,3. ] ZN . . do cos nr Irrelativifs=--as 7 positivi e negativi (positivi nelle areole di egresso, come 1 e 3; negativi in quelle di ingresso, come 2). La misura dell'angolo solido 42 è espressa, in ogni caso, da sono eguali in valore assoluto, ma alternativamente ZN do |cos ar|, ta ; Frs. 2. sì può quindi attribuirle anche la forma ] ZN do COS NY ae= N 3 S r la somma essendo estesa a tutte le areole superficiali incontrate dal cono elementare. Ed è facile riconoscere, sommando i contributi (alternativa- mente positivi e negativi) provenienti dalle. singole areole, che l'energia sfuggente da S nell'unità di tempo, attraverso il detto cono, vale ZN egg Qi pre L'integrazione, estesa ai vart coni elementari e ai varî d$', riporta poi subito alla (7); ecc. 8. — MEZZI ETEROGENEI (ISOTROPI). Il carattere puramente locale della (I) ne lascia presumere la validità anche per mezzi eterogenei a comportamento isotropo. Lo si constata age- volmente, supponendo «,@a,K funzioni continue del posto; e così pure la Lai sa velocità e con cui si propaga l'energia; tale di più la c che i raggi, che ne rimangono definiti in base al principio di Fermat, ammettano tangenti variabili con continuità. Con ciò, infatti, fissato un generico punto M del mezzo, è lecito di delimitare attorno ad M un campo S così piccolo che l'emissione, la propa- gazione e l'assorbimento dell'energia differiscano tanto poco quanto si vuole da quello che avverrebbe in un ipotetico mezzo omogeneo nel quale #«,@a,K.c avessero dovunque le determinazioni ew, &m, Ku, Cw, che ad esse spettano in M. Più precisamente si può dimostrare che l'energia perduta, per emis- sione, da S nell'unità di tempo, si presenta in definitiva sotto la forma (+60). d convergendo a zero con S (si intenda colla massima dimensione di $S); quella acquistata, per assorbimento, sotto la forma, S(Kuan + d*), d* convergendo pure a zero colla massima dimensione di S. Eguagliando, dividendo per S, e passando poi al limite, si conclude giusta l'asserto. Matematica. — Della probabilità nelle prove ripetute. Nota del Socio P. PIZZETTI. Il teorema di Bernoulli sulla frequenza media di un avvenimento in un numero indefinito di prove identiche. si dimostra di solito esprimendo, per approssimazione, con un esponenziale la probabilità elementare di ogni pos- sibile combinazione. Ma la dimostrazione, quale è esposta nei trattati, è complicata e non rigorosa. In una Nota pubblicata nel 1908 negli Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, mostrai come si possa porre quella dimostrazione al coperto da qualsiasi obbiezione, introducendo naturalmente qualche maggiore complicazione nei calcoli. La dimostrazione che segue è invece estremamente semplice e nulla lascia a desiderare dal lato della esattezza. Essa si deduce facilmente dalle note diseguaglianze di Cebycef (*), e da questo punto di vista non ha nulla di originale. Credo tuttavia utile di dare qui questa dimostrazione, sia per liberarla da talune superflue complicazioni e ridurla così alla sua più sem- plice forma, sia per mostrare come si possano facilmente trovare dei limiti, più prossimi di quelli dati dalle diseguaglianze di Cebycef, per la probabilità ‘1) Ved. Markoff, Wahrscheinlichkeitsrechnung, Leipzig, 1912, pagg. 34 e segg. 399 che il risultato di un certo numero di prove ripetute sia compreso entro certi limiti. 1. Consideriamo s prove, in ciascuna delle quali l'avvenimento A abbia la probabilità p di presentarsi. Poniamo: s(s_— 1)...(6—-0+1 (1) pot lee E 0 lp, Sarà, questa P., la probabilità che, in s prove, l'avvenimento A abbia a presentarsi v volte e non più. Il numero v può prendere tutti i valori interi da 0 ad s, e, se la sommatoria X s'intende estesa a tutti questi valori di v, si avrà evidentemente: (2) ZP,=1. Derivando la (1) rispetto a p e moltiplicando per p(1— p), si ha, con ovvie riduzioni: CARS È) PO sole Se pertanto si deriva la (2) rispetto a p e si moltiplica per p(1— p), si ottiene: (4) î(v—sp,)P,=0 (il che vuol dire che sp è il valor medio 0 la speranza matematica di v). Ripetendo sulla (4) l'operazione ora eseguita sulla (2), e tenendo conto delle (2) (3), abbiamo (5) Z(v— sp) P.= sp(1—p)= spq. ove sì pooga g=1—p. (Questo risultato si può esprimere dicendo che V/pqs è l'errore medio Gaussiano della ipotesi v = ps). Indichiamo ora con e un numero reale positivo, e chiamiamo a, , @2... Gj quelli (se pur ve ne sono) fra i possibili valori di v, pei quali risulta (6) Osio es. Denotiamo poi con >" quello a cui si riduce la sommatoria 2, quando la si estenda ai soli valori @,,@,... @; della v, trascurando tutti gli altri. Poichè nel 1° membro della (5) tutti i termini sono positivi, avremo 2'(v — sp) Po< pqs. E quindi, per la (6), SUSA <0S ovvero 7 Pq SR Ora, 2'P, esprime la probabilità che il numero v soddisfaccia alla diseguaglianza (6). La probabilità Z7, che sia invece soddisfatta la relazione (7) |o— sp]? = s°s° sarà dunque n spor 8? s La (7) può anche scriversi (2) Sfiora sr|= Abbiamo dunque una probabilità (8) TATE v x che la differenza p — 3 pon supererà, in valor assoluto, un valor assegnato «. Preso « piccolo a piacere, si può immaginare il numero s delle prove tanto grande perchè ZZ differisca da 1 (certezza) di tanto poco quanto si vuole. Il che esprime appunto il teorema di Giacomo Bernoulli. 2. Questo modo di dimostrazione presenta, di fronte a quello ordinaria- mente seguìto, il difetto, che esso non fornisce la nota espressione appros- simata, per mezzo dell’integrale di Poisson, della probabilità Z nel caso di un numero grande, ma finito, di prove. Ma nella mia sopracitata Nota ebbi a dimostrare come, in tutti i casi (che sono i più interessanti) in cui la Z7 è molto prossima ad vr0, la approssimazione data dal detto integrale è asso- lutamente illusoria. D'altra parte, l'assegnare, come è fatto nel precedente paragrafo, un limite inferiore della Z7, può in molti casi essere sufficiente. È poi facile, trovare altri limiti [in molti casi, più approssimati di quello fornito dalla (8)], valendosi, invece che della formola (5), delle analoghe formole che dànno il valor medio delle quarte, seste ecc. potenze della differenza v — ps. Per ottenere, con una certa speditezza, i detti valori medii, osserviamo che, posto M,=Z(p—sv)".P,, la formula (3) dà immediatamente dM, dp M,.,=p(1—p) + sn Ma e a Questa formola dà modo di calcolare una dopo l’altra le espressioni dei valori medii M,. Si ha, così, Ms=s(p—3p°+2p°)=spg(4—p), M,=(3s° —6s)(p°—2p°+p')+s(p—p*)=(3s°—65)p?9°+spq, M;=1058°(p° — 4p° + 5p'—2p°)4+s(p—15p°+50p°—60p'+24p9)= =spa(d—p)}(10s5—12)pa +1}, Ms=spg}15s*p*9*+spg(25—130p9)+1—30p9+120p*g*}, etc. ete. Col ragionamento del paragrafo precedente, otteniamo, facendo uso della espressione di M,, che la probabilità ZZ della diseguaglianza rl ha un limite inferiore, dato da (9) u>1- 309 +22 1—6py) |. Valendoci della espressione di My, abbiamo (10) ASI [59 +] dove i termini non scritti hanno a divisore s ed s?, e sono praticamente trascurabili. Com'è chiaro, queste successive formole dànno limiti inferiori sempre più prossimi, nella ipotesi che s sia abbastanza grande. Se suppo- abbiamo rispettivamente, dalle (8) (9) (10), niamo s= 10000, p=gq Les) IH > 0,937, II>0,988 , > 0,9963. Meccanica. — Sulla espressione analitica dell’integrale gene- rale dell'equazione delle onde smorzate. Nota del Corrispondente 0. TEDONE. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E Petrografia. — Sulla diffusione delle rocce a nefelina nella Libra. Nota preliminare del Corrispondente Errore ARTINI. L'esistenza di rocce a nefelina in alcuni punti della Libia è nota da molto tempo. Fin dal 1880 il van Werveke descriveva minutamente e ana- lizzava una fomolite di Msid Gariàn (*); e sopra questa roccia ritornò poi, con osservazioni particolareggiate, estese anche ad una analoga roccia di Tekut Gariàn, il Rosenbusch nel classico suo trattato (*). Nella stessa opera, questo medesimo autore accenna pure ad un basalto nefelinico proveniente da « Tekut, bei Ghadames » {#). Dopo di questi accenni, quasi incidentali, del Rosenbusch, ch'io mi sappia, altri lavori particolareggiati sulla petrografia delle rocce eruttive della regione libica non furono pubblicati, all'infuori della Nota del Ma- nasse (‘), nella quale sono descritti due basalti feldspatici olivinici e una andesite augitica, raccolti dal prof. Vinassa sulla via da Ghadames a Tripoli, ma erratici, e ritenuti provenienti, in genere, dal Gebel. Così che il Vinassa, nel suo recente volume (?) molto sommariamente, ma esattamente, ebbe a scrivere: « Sembra che le rocce eruttive siano di varî tipi. Furono citati fonoliti e basalti, ed io vi raccolsi varî tipì di basalte ed una andesite augitica che vennero studiati dal prof. Manasse ». Quest'ultimo lavoro del Manasse poteva lasciar l'impressione cne le rocce eruttive prevalenti fossero da ascrivere alla serie gabbro-dioritica, e le rocce a nefelina rappresentassero l'eccezione. Io ho avuto la ventura di essere incaricato dal sig. ing. cav. Ignazio Sanfilippo dello studio petrogratico del vasto materiale di rocce da lui rac- colto durante la notissima e fortunosa sua spedizione; e di tale prova di fiducia e di benevolenza sono ben lieto di poterlo qui ringraziar vivamente. Riservandomi di pubblicare poi per esteso i risultati delle ricerche intraprese, voglio ora limitarmi ad una esposizione, affatto sommaria e sintetica, delle mie osservazioni. (') L. v. Werveke, Mineralogisch-petrographische Mittheilungen. Neues Jahrb. fiir Min. Geol. u. Pal., 1880, II, pag. 275. (®) Rosenbusch. Mikroskopische Physiographie der Mineralien u. Gesteine, Bd. II, Zw. Halfte. Ergussgesteine, pp. 961, 962, 965. 969. (3) Idem. ibid., pag. 1446. (4) E. Manasse, Sopra alcune rocce eruttive della Tripolitania. Bollettino d. Soc. geol. ital., XXIV, 1905, pag. 137. (5) P. Vinassa de -Resny, Zibya Italica. Milano, U. Hoepli, 1913, pag. 81. ReNDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 4 CADI e FonoLItI furono raccolte nelle seguenti località a) Gebel Tkut, nel Gariàn (camp. n. 45). 6) Bacino del Hira, tra Gariàn e Tarhòna (camp. nn. 54, 57, 59 2). c) Monti del Gem, a S. O. di Tarhona (camp. n. 61). d) Lembi occidentali del Gebel-es-Soda; a circa 70 km. a N. N. 0. di Brak (camp. n. 248). Sono in massima parte fonoliti ad egirzza; solo nel campione di Gebel Tkut, che è poi identico alla roccia descritta da van Werveke, il pirosseno è piuttosto un'egirinaugite, con mantello egirinico; i prismetti di egirina, spesso fascicolati o in gruppi divergenti, sono ordinariamente cribrosi per inclusione di grande quantità di nefelina in piccolissimi cristalli idiomorfi. La nefelina e il sanidino sono entrambi abbondanti; in qualche campione, (59 2) per la grande abbondanza della prima si passa a tipi francamente nefelinitoidi. Le segregazioni intratelluriche talora sono quasi mancanti; talora spettano a sanidino, in cristalli geminati secondo la legge di Karlsbad; ma non mancano tipi (camp. 61) con segregazioni di nefelina in nitidi prismi esagonali. Nella fonolite del Gariàn è tipica e abbondante la sodalite, già osservata da van Werveke; essa è scarsa o mancante nelle altre, dove in- vece si trova non scarso l’anal/cime. Accessorî: una orneblenda catoforitica, la 4tanite, l'apatite. BASALTI NEFELINICI furono trovati: a) Nella regione a S-O del Gariàn (camp. n. 37). 5) Sulle falde settentrionali dei monti del Gariàn (camp. n. 50). e) Nel bacino del Hira, tra Gariàn e Tarhòna (camp. n. 59 @). Sono rocce molto ricche di «gite bruno-violacea, talune anche di 0/%- vina, per lo più fresca, e piuttosto povere di refelina; quest’ultima costi- tuisce la massa di riempimento fra i cristalli idiomorfi dei silicati ferro- magnesiani, ed è eminentemente allotriomorfa. La determinazione, fatta per via ottica, fu naturalmente controllata per via chimica: il minerale dà subito abbondante gelatina con HCI diluito e freddo, e con la evaporazione si forma una grande quantità di cubetti di cloruro sodico. Abbastanza abbondanti i granuletti minutissimi di magnetite; accessorî: la diotile, in lamelline ros- sastre, l’apatite, e tracce di egirina, come mantello esterno di concresci- mento sull’augite in alcune plaghette isterogenetiche. BASANITI NEFELINICHE furono constatate fra le rocce provenienti da: a) Gebel Tkut, nel Gariàn (camp. n. 44). 6) Bacino del Hira, tra Gariàn e Tarhòna (camp. n. 56). c) Gebel-es-Soda; regione a sud di Sokna (comp. n. 237). BERT a Queste rocce sono caratterizzate dalla associazione di un plagioclasio basico (labradorite) in cristalli geminati, listiformi nella sezione, con nefe- lina, per lo più fresca e non troppo scarsa; il plagioclasio è sempre idio- morfo rispetto alla nefelina, da cui si stacca nettamente per la maggiore birifrazione e il potere rifrangente molto superiore. Anche qui fu eseguita la riprova chimica della determinazione ottica. Tra gli elementi colorati prevale l'augite, ma non scarsa è pure l'o/ivina, fresca, o parzialmente al- terata con formazione di iUdingsite. Abbondante la magnetite; accessorî: biotite, apatite, ilmenite, analcime. Qualche amigdaletta zeolitica si osserva anche macroscopicamente nel camp. n. 237. I BASALTI FELDSPATICI non mancano tuttavia completamente; e ne trovai fra i campioni raccolti: a) Nel bacino del Hira, tra Gariàn e Tarhòna (camp. n. 52). 6) Nella regione a Sud del Uadi Beni-Ulid (camp. n. 142 e 142 dz). Sono rocce alquanto bollose, con abito doleritico, e con tipica struttura intersertale. L'augite, bruniccia, si modella . nettamente sulle liste di pla- gioclasio basico (/abradorzie), larghe, geminate albite-Karlsbad, e sulla olivina, non scarsa. Quest'ultima è talora fresca, ma più spesso trasformata in 2ddingsite; non è raro vedere l'interno di un cristallo di olivina sosti- tuito interamente da un individuo unico di iddingsite, mentre all’esterno si ha un sottile anello di olivina inalterata. La mesostasi vitrea, ricca di microliti fascicolati, augitici e talora anche feldspatici, di lamelle di %/me- nite e prismetti di apatzte, occupa i vani angolosi tra gli elementi cristal- lizzati. ed è variamente abbondante. i Da quanto sono venuto esponendo risulta dunque evidente che, in tutta la vasta regione percorsa dalla spedizione Sanfilippo-Sforza, le rocce basaltiche della serie gabbro-dioritica, cioè i basalti feldspatici, rappresentano una asso- luta minoranza, mentre la più gran parte delle rocce eruttive raccolte spetta alla serie foyaitico-theralitica. Devo anzi aggiungere che le analogie e l’aria di famiglia che complessivamente presentano queste rocce, mi fanno ritenere probabile che tutta la regione formi una vera provincia petrografica; ciò che, tuttavia, solo i risultati di molte analisi chimiche e studî più appro- fonditi e particolareggiati potranno in seguito confermare. Meccanica. — £/fusso da un recipiente forato lateralmente. Nota di U. CisorTI, presentata dal Socio T. LeEvI-CIViITA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. agli Matsmatica. — Sulle funzioni di linee. Nota di LEONIDA ToNELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. È ormai ben noto che un vero rinnovamento del Calcolo delle Variazioni potrà aversi sol quando questa teoria verrà considerata definitivamente come un capitolo di quel Calcolo funzionale che ha già avuto notevolissimi sviluppi per opera di Volterra, Pincherle, Bourlet, Hadamard, Fréchet, Riesz ed altri, ed al quale pare riserbato, in un futuro assai prossimo, un posto di singolare importanza nell'analisi. Non è quindi ozioso l’occuparsi un poco del come deve impostarsi questo Calcolo funzionale perchè riesca veramente utile ai fini del Calcolo delle Variazioni. Limitandosi al problema più semplice, a quello relativo a integrali estesi a linee, subito si vede che, nel Calcolo delle Variazioni, si presentano le così dette /unzzioni di linee, e che perciò si è condotti naturalmente al Calcolo funzionale del Volterra. Scopo di questa Nota è di esaminare il valore del concetto di conti- nuità nella teoria della funzioni di linee, in relazione al problema detto di Calcolo delle Variazioni. 1. Sia dunque F(x,y,2',y') la solita funzione del Calcolo delle Va- riazioni, finita e continua, insieme colle sue derivate parziali dei primi tre ordini, in un campo A del piano (x, y) e per tutte le coppie (2’,y') sod- disfacenti alla disuguaglianza x'* +4 y'° + 0. Sia poi C una curva, appar- tenente al campo detto, continua e rettificabile. Si consideri l'integrale IO= fFE,9. 2.6, (0) dove le x',y' rappresentano le derivate delle coordinate x,y dei punti di C, espresse in funzione dell'arco s della curva stessa, e si supponga che la funzione di linea J(C) sia continua. Vediamo, innanzi tutto, di definire con esattezza questa continuità. Diremo che una curva C' (considereremo sempre curve continue, retti- ficabili) appartiene ordinatamente ad un intorno (0) di C, se è possibile di porre tra le curve una corrispondenza biunivoca, ordinata e continua, tale che la distanza fra due punti corrispondenti qualsiasi risulti sempre minore del numero positivo @. i Diremo, poi, che la funzione di linea J(C) è continua sull’elemento G se, preso un « positivo, arbitrario, è sempre possibile di determinare un o > 0 2 GY0) ipo tale che, per ogni curva C' di A appartenente ordinatamente all' intorno (o) di C, si abbia (J(0°) — I(O)|< è. 2. Questa continuità, quali particolarità presuppone nella funzione Rara) Sia P un punto qualsivoglia di C, e si consideri una curva chiusa y, passante per esso e giacente tutta nel cerchio di centro P e raggio o. cerchio che indicheremo con la scrittura (P.0). Per o abbastanza piccolo, l’integrale IS S { pas /y deve essere nullo: e ciò. qualunque sia la y. Ed invero, se ciò non fosse, ad ogni intero x corrisponderebbero sempre infinite curve y,, tutte conte- nute nel cerchio Si e tutte soddisfacenti o alla disuguaglianza ff Fds>0, Yn oppure alla contraria. Suppongasi, per tissare le idee, che si veritichi sempre la prima di queste disuguaglianze. Allora, presa una qualsiasi delle curve y,, contandola un numero sufficiente di volte, 7,, in modo che sia rin f, Fds>d, Yn dove d è un numero prefissato, positivo, e unendole la curva C, se ne ot- tiene un'altra C, tale che J(C)= I). A questa disuguaglianza devono soddisfare tutte le C, corrispondenti ad un determinato 7: e, ciò qualunque poi sia questo n. E poichè tutte le C, ri- sultano appartenenti ordinatamente all’ intorno (2 | di C, ne viene che la funzione di linea J non può essere continua sulla C. È dunque provato che, per @ abbastanza piccolo, l’ integrale della F esteso alle y è nullo, e se ne deduce, sempre per lo stesso 0, che il me- desimo integrale, esteso ad una qualsiasi curva congiungente P con un punto arbitrario di (P, 0), © giacente per intero in tal cerchio, è indipendente dal cammino d'integrazione. Per ciascuna di tali curve è allora nulla la varia- zione prima dell'integrale della F: vale a dire, è soddisfatta l'equazione differenziale di Eulero Fay — Fyar + Fi(o'y'—a"y)=0, SCI (EST dove F, rappresenta l' invariante di Weierstrass della F. Questa equazione risulta quindi soddisfatta identicamente nel cerchio (P ,), il che porta che sia identicamente Essendo la prima delle precedenti identità mostra che F,r.e Fy sono indipendenti da 4 e y', che è cioè F,r=P(x,9) , Fy= Q(2,9); e la seconda, che queste P e Q verificano l’ugnaglianza d È) Be) — a uu) Ri) Tutto questo avviene nel cerchio (P , 0). E poichè P è scelto comunque su © si può concludere, in forza di un noto ragionamento, che l'ipotesi della continuità della J(C) sulla curva C, porta che, per tutti 1 punti di A distanti da © per meno di un certo 0, è F(a,y,%,4)= x Forty Fy=a'P(0,9)+y00,9), Se poi la J(C) è continua su qualunque C di A. le uguaglianze qui scritte valgono in tutto il campo. 3. Da quanto precede, si vede che l'ipotesi della continuità è di troppo restrittiva, portando ad escludere tutti quegli integrali che veramente inte- ressano nel Calcolo delle Variazioni. La continuità è dunque da scartarsi, almeno nella forma nella quale fu posta più sopra. Si potrebbe però pensare ad una continuità di natura più larga, per esempio alla continuità di ordine 1 dell’ Hadamard (se- condo il quale, la precedente sarebbe di ordine zero), ed anche a quest'altra, che starebbe fra quella definita più sopra e quella detta or ora dell’ Ha- damard, e che si può fissare così: la funzione J(C) è continua sull’ele- mento C se, preso un « positivo, arbitrario, è sempre possibile di determi- nare un 0 > 0 tale che, per ogni curva C' di A, appartenente all intorno (0) di C, e tale che sia lunghezza C' — lungh. C|Q0 tale che, per ogni curva C' di A, appartenente ordina- tamente all’intorno (0) di C, si abbia J(C)- I(C) De (<3). Come è evidente, se la J(C) è semicontinua, tanto inferiormente quanto superiormente, è anche continua nel senso del n. 1. Ciò che è essenziale, circa il valore della semicontinuità, è questo: le funzioni semicontinue inferiormente (superiormente) si comportano, di fronte (1) Sugli integrali curvilinei del calcolo delle variazioni, Nota Il (Rend. R. Acc. Lincei, 1912, 1° sem.). (2) Cfr. L. Tonelli, Sugli integrali curvilinei del Calcolo delle Variazioni. Nota IMI (Rend. R. Acc. Lincei, 1912, 2° sem.). Mio ai minimi (massimi), proprio come le funzioni continue. Si tratta però d vedere se questo concetto di semicontinuità porti o no a scartare ì casi più interessanti del calcolo delle variazioni. Qui la risposta è confortante. Si può, infatti, dimostrare (') che, se l'invariante di Weierstrass, F,, si man- tiene sempre diverso da zero (caso detto regolare), J(C) è una funzione semicontinua: e precisamente, semicontinua inferiormente, se è F, > 0; su- periormente. se F,<0. 5. Questa semicontinuità fu già da me (?) applicata alla dimostrazione dell'esistenza del minimo nel caso in cui siano veriticate entrambi le con- dizioniF >0,F,>0; ed anche nell’altro, F> 0, F\ = 0. Qui mi propongo di mostrare come da essa scenda immediatamente anche l'esistenza del mi- nimo nel così detto problema discontinuo, in quello cioè nel quale la fun- zione F, che si tratta di integrare, presenta delle discontinuità nel campo in cui la si considera. Tale problema ha un'importanza pratica, perchè ad esso conducono di- verse questioni di fisica-matematica, delle quali citeremo solo quella relativa alla propagazione della luce attraverso un mezzo composto di parti etero- genee. per le quali l'indice di rifrazione presenti delle discontinuità. Supponiamo, per semplificare il ragionamento, che ci sia una sola dis- continuità : vale a dire, che il campo A, che supporremo limitato, sia diviso da una linea 7 in due altri AO, A®, nei quali si abbia, rispettivamente, F=-F® , F=F®, dove queste F®, F saranno funzioni aventi, ciascuna nel proprio campo, le stesse proprietà enunciate per la F al principio del n. 1. Si supponga, inoltre, che si abbia sempre (eccettuate le solite coppie «',y' verificanti l'uguaglianza 4" + y"° = 0) EW=0., BO; FO > 0, E0> 0 Presi due punti P®, P®, rispettivamente in A9° e A, si consideri una curva (continua e rettificabile) @, congiungente i punti detti e composta di due archi «®©, il primo dei quali sia contenuto in A (contorno compreso), e il secondo in A°° (pure contorno compreso). Dico che, fra tutte le possibili curve a, ve n'è una almeno per la quale J} F ds =. FO ds KH, RO ds è minimo (assoluto). (*) L. Tonelli, Sul caso regolare nel calcolo delle variazioni (Rendic. Civc, mat. ‘di Palermo, 1913, 1° sem.). (*) loc. cit. 2A E Sia @,,@3,.-n; +, una successione minimizzante, tale cioè che ol, F ds tenda al limite inferiore z dell’integrale della F esteso a tutte le n possibili curve @. Osserviamo, prima di proseguire, che l’esistenza di questa successione è del tutto indipendente dal postulato di Zermelo, come risulta da una mia Nota: Sul valore di un certo ragionamento (*). Indicheremo, con 0, il punto di «, che divide questa stessa curva nelle sue due parti «©, «®. O, giace necessariamente su 7, e la successione 0,,0:,..,::0,,... ammette (su 7) uno o più punti limiti. Sia O uno di essi. Possiamo, senz'altro, ammettere che sia addirittura 0= lim 0,. Le n==0% lunghezze delle @, sono tutte inferiori ad un numero fisso, perchè è sempre FW >0 , F®©>O0. Tali curve ammettono perciò una o più curve limiti. Se @ è una di esse, questa « dovrà passare per O, e sarà la curva a cui tenderà una successione @n,,@n,,-., estratta dalla @,,@»,.... E avremo, per la semicontinuità inferiore, on FO ds < Minlim I FO ds n, to (28 Lo F® ds = Minlim Lo) IRSCA, (O 14 7 COMI AMI 7) e quindi u |F ds = Minlim al IVO =0, a “n, 00) My sh Ride (04 e @ è una curva minimum. Le condizioni poste, relative all’ invariante di Weierstrass, FW > 0, F@>0, non sono essenziali e possono sostituirsi con le altre FA = 0, Re =s0r Possiamo aggiungere, terminando, che, anche nel caso attuale, dalla semicontinuità in J(C) scende il teorema di Osgood, il cui enunciato e le cui dimostrazioni sono identici a quelli dei nn. 19 e 20 del mio citato lavoro: Sul caso regolare ecc. donde (') Atti R. Acc. delle scienze, di Torino, 1913. RenpIcONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. (da; a gg Geografia fisica. — Prima relazione della spedizione scien- tifica nel Karakoram orientale, trasmessa al PRESIDENTE dal Capo della spedizione dott. FiLippo De’ FILIPPI. Il Presidente BLasERNA dà comunicazione della seguente lettera, con la quale il dott. De FrLipPi accompagna la Relazione più sotto riportata: Skardu, Baltistan, 5 novembre 1913. IMustre Professore, Sono lieto di mandarle per i Lincei una breve relazione del lavoro a tutt’ oggi compiuto dalla Spedizione scientifica alla quale l'Accademia ha accordato il suo appoggio morale e finanziario. Possiamo esser soddisfatti dei frutti raccolti in queste poche settimane di attività, i quali fanno sperare un risultato finale non indegno delle lusinghiere prove di fiducia accordate alla impresa fin dal suo inizio. Mi è grata l'occasione per trasmetterle, insieme cogli ossequî dei componenti la spedizione, i miei più cordiali saluti e l’espressione della mia devozione. Dott. Filippo De FILIPPI. x DCR. La spedizione asiatica organizzata dal dott. De Filippi ha ora felicemente raggiunto Skardu, nel Baltistan, dove si propone di svernare, ed invia il seguente resoconto del lavoro già compiuto e di quello in corso. La spedizione, dopo avere eseguito le necessarie osservazioni nel Regio Istituto idrografico di Genova, stazione base delle misure gravimetriche, si imbarcò a Marsiglia l’ 8 agosto, giunse a Bombay il 22, e ripartì lo stesso giorno in ferrovia. Il prof. Dainelli, il ten. Antilli ed il marchese Ginori, colla guida Petigax, si recarono direttamente nel Kashmir, mentre il dot- tore De Filippi saliva a Simla, la residenza estiva del Governo dell'India, per prendere accordi intesi a coordinare il lavoro della spedizione con quello dei varî dicasteri tecnici indiani, ed il comandante Alessio, insieme col prof. Abetti, si rivolgeva a Dehra Dun, dove ha sede l’ Ufficio trigonome- trico e geodetico dell'India. ‘Quivi, fra il 25 agosto ed il 4 settembre, essi eseguivano, cogli strumenti della spedizione una completa serie di osservazioni gravimetriche e magnetiche. Vennero anche fatte in questi giorni le prime esperienze di trasmissioni radiotelegrafiche di segnali di tempo con Delhi, Simla e Lahore, per mezzo della stazione ricevitrice di cui è fornita la spedizione. L’8 settembre, tutta la comitiva era riunita a Srinagar nel Kashmir, dove fra il 12 ed il 19 l’Alessio e l’Abetti eseguivano la stazione gravi- metrica e magnetica. Due giorni dopo, venne iniziato il viaggio in carovana, gn ed il 26 si attraversò lo spartiacque imalaiano per il passo Zoji-La (3390 m.). Da questo punto fino a Skardu la marcia venne interrotta due volte per le osservazioni di gravità e di magnetismo. La prima stazione si fece a Dras (3090 metri), paesetto situato nella valle omonima, ai piedi del valico ima- laiano; la seconda a Tolti (circa 2500 metri), piccolo villaggio balti nella valle dell'Indo. Gli osservatori riuscirono a creare le condizioni migliori per il loro lavoro, per modo che esso sì potè eseguire col più rigoroso metodo scientifico e con tutte le garanzie di esattezza richieste da queste ricerche. Il cielo quasi sempre sereno ha finora permesso di compiere molto regolar- mente le osservazioni astronomiche, sia quelle connesse colla gravimetria, ‘sia quelle rivolte a determinare la latitudine e la longitudine delle stazioni. Dovunque la spedizione si è fermata per qualche giorno, è stata mon- tata la stazione meteorologica affidata al marchese Ginori, e ne vennero rac- colti regolarmente i dati. Inoltre si è cercata ogni occasione per fare let- ture strumentali comparative, le quali, oltre ad essere un continuo controllo sul funzionamento degli apparecchi, potranno condurre ad interessanti con- clusioni sui limiti di precisione dei varî strumenti, con speciale riguardo alle determinazioni altimetriche. Queste fermate, e la lentezza della marcia, hanno dato al geologo prof. Dainelli occasione e possibilità di fare frequenti escursioni nel Kashmir e nelle valli del Dras e dell'Indo, e di raccogliere molti dati che lo hanno condotto a conclusioni nuove ed assai interessanti rispetto alla costituzione ed alla storia geologica della regione attraversata. Il materiale litologico raccolto viene man mano spedito in Italia. Attivissima è pure stata l'opera del ten. Antilli, il quale, oltre a coa- diuvare il prof. Dainelli nella documentazione fotogratica per quel che ri- guarda la geologia, ha portato l'utile sussidio della fotografia ai lavori topo- grafici, ed ha raccolto una buona illustrazione di luoghi e di genti. La spedizione arrivò a Skardu il 25 ottobre, e si stabilì in due piccoli bungalow, utilizzando, per i laboratorii ed i magazzini, i locali del serai in- digeno. Skardu, la capitale del Baltistan, è un piccolo villaggio sulle rive dell'Indo, a 2287 metri sul mare. L'alta valle dell’ Indo, compresa fra Ima- laia e Karakoram, generalmente angusta e profondamente intagliata fra coste mentane ertissime, qui si apre in un vasto spiano coperto di ciottoli e di sabbie, nel mezzo del quale confluisce coll’ Indo il fiume Shigas, nato da alcuni fra i più grandi ghiacciai del Karakoram. Quattro giorni dopo l'arrivo, sì poteva già eseguire una esperienza di molto interesse. L'Alessio e l'Abetti, avendo messo su la stazione radiote- legrafica ricevitrice, poterono nelle sere del 29 e del 30 ricevere con grande chiarezza e registrare i segnali di tempo radiotelegrafici trasmessi dalla stazione di Lahore, secondo uno schema prestabilito. Questa esperienza pre- liminare sarà seguìta da una serie di trasmissioni di segnali di tempo in- Seo viati dalla stazione di Lahore e contemporaneamente ricevuti da Dehra Dun e dalla stazione della spedizione. Fino a che si sarà nella valle dell’ Indo, che è compresa nella triangolazione dell’ India, questi serviranno a calcolare differenze di longitudine con esattezza sufficiente per determinare, insieme colle osservazioni di latitudine, la deviazione della verticale. Più oltre, le dette segnalazioni permetteranno di determinare l'andamento dei cronometri e la longitudine dei luoghi nel rilevamento della regione sconosciuta che la spe- dizione si propone di esplorare nell'estate ventura. Rimane intanto dimostrata la possibilità di applicare questo metodo a stazioni di campagna anche se situate fra catene di altissimi monti. Si sono già iniziati da parte del marchese Ginori i lanci di palloni piloti seguìti col teodolite, contemporanei a quelli eseguiti da varî osserva- tori indiani, secondo un piano concordato per lo studio delle correnti del- l'alta atmosfera, che ha un interesse speciale in questa regione. Infine, nei primi giorni di novembre, i membri della spedizione hanno fatto una escursione su per la valletta che sale al Burji-La ed all'altipiano Devsai, ed hanno scelto un piccolo ripiano a circa 4300 metri sul mare, dove si stanno ora trasportando il bagaglio da campo e quello scientifico, colla speranza di potervi fare, ad onta della stagione inoltrata, una stazione gravimetrica e magnetica, osservazioni sulla radiazione totale solare con pireliometri di vario modello, lanci di palloni piloti e lavori telefotografici. Terminato questo lavoro, il gruppo tornerà a Skardu, per farvi le osseì- vazioni di gravità e di magnetismo, la determinazione di longitudiue e di latitudine, varî lavori topografici e studî meteorologici ed aerologici; mentre il prof. Dainelli continuerà le sue escursioni geologiche, fino a che non glie lo impediranno le nevi invernali, ormai prossime. Il materiale scientifico non ha subìto alcun guasto nel lungo e com- plicato viaggio, ed è in perfette condizioni; e tutti i membri della spedi- zione hanno sempre goduto ottima salute. In tutto il suo cammino la spe- dizione è stata dovunque accolta col massimo favore ed aiutata in tutti i modi dalle Autorità locali e dalle popolazioni. SI O Chimica. — La distillazione della nitroglicerina a bassa temperatura (*). Nota di D. ChiaRAvIGLIO e 0. M. CoRBINO, pre- sentata dal Socio E. PATERNÒ. Da un esame del gran numero di lavori finora pubblicati sulle proprietà fisiche della nitroglicerina, non risulta che alcuno sia mai riuscito a prepa- rare una sensibile quantità di liquido per distillazione. Ciò si spiega col fatto che, mentre a bassa temperatura la nitroglicerina ha una tensione di vapore piccolissima, che noi abbiamo potuto în un precedente lavoro (?) stabilire come inferiore a 1/10.000 di millimetro alla temperatura di 20°, non si può d'altra parte scaldare il liquido a temperature anche di poco elevate, senza determinarne l'alterazione. Un tentativo di distillazione a 70° nel vuoto più spinto, ma senza speciali disposizioni, non ci diede, come già avemmo occasione di riferire, risultati incoraggianti; poichè si raccolse una quantità piccolissima di distil- lato, nè parve opportuno di prolungare ulteriormente l'operazione, anche perchè si ebbe il sospetto che i vapori prodotti si decomponessero nello spazio tenuto a 70°, prima di raggiungere il condensatore. In un recente lavoro di Snelling e Storm (*) la nitroglicerina venne sottoposta a forti riscaldamenti sotto la pressione ordinaria; e fu così osser- vato che a circa 145° la decomposizione del liquido è così rapida da ma nifestare gli aspetti di una vera ebollizione. Tenendo a lungo costante la temperatura del liquido, la cui decomposizione è accompagnata da sviluppo di calore, i due autori riuscirono a raccogliere, in un recipiente connesso col serbatoio della nitroglicerina, una notevole qnantità di distillato, che appa- riva diviso in due strati: uno aveva l’aspetto di nitroglicerina, l'altro era costituito da acido nitrico diluito. La prima parte, fortemente colorata in giallo-verde, venne accuratamente disacidificata. lavata e disseccata; e rivelò, al nitrometro un contenuto in azoto del 13,5 °/,; mentre la nitroglicerina ado- perata aveva primitivamente un contenuto in azoto del 18,45 °/,. Più pro- fonde modificazioni rivelò l'esame del residuo non distillato, che aveva anche perduto le energiche proprietà esplosive. È chiaro da tutto ciò che la prova fatta da Snelling e Storm non può considerarsi come una riuscita distillazione della nitroglicerina, poichè il (1) Lavoro eseguito nel « Laboratorio chimico per le sostanze esplosive ». Ministero dell'Interno. - Roma. (*) Chiaraviglio e Corbino, Gazzetta chimica, tom. XLIII, 2%, pag. 390, an. 1913. (3) Snelling e Storm, Zeitschr. f. d. Ges. Schiess- und Sprengstoffwesen, tom. 8, pag. 1, an. 1913. prodotto e il residuo della distillazione risultano evidentemente da un com- plesso di composti sottonitrati della glicerina. Era quindi necessario di procedere per ben altra via, e tentare la distil- lazione a freddo, tra la temperatura ordinaria e un refrigerante a tempera- tura più bassa, sotto rarefazioni grandissime, e con opportuni accorgimenti perchè, non ostante la piccolissima tensione del vapore e la sua facile decom- ponibilità, esso affluisse in misura sensibile verso il condensatore. Occorreva perciò costruire un apparecchio nel quale si potessero praticare le rarefa- zioni estreme che le attuali macchine a vuoto son capaci di produrre, e far sì che il vapore, svolgentesi a temperatura ordinaria, non incontrasse alcun ostacolo nell'avviarsi verso il condensatore. Dopo diversi tentativi ispirati da questi criterî, siamo pervenuti alla costruzione dell'apparecchio della fig. 1, col quale ci è stato possibile di- stillare circa 10 grammi di nitroglicerina tra le temperature di 25° e 0°, nella durata di circa 44 ore. L'apparecchio è costituito essenzialmente da un pallone di vetro, C (fig. 1), a largo collo, al quale può applicarsi un grande tappo a smeriglio, E, la cui tenuta è assicurata dalla chiusura a mercurio F. Il tappo E sostiene un sistema risultante da una capsula in vetro, A, per contenere la nitroglicerina (circa 16 grammi), da un riscaldatore elettrico in spirale di platino (M) chiusa entro una scatola a doppio fondo, e da un termometro (non segnato in figura) di cui il bulbo pesca nella nitroglicerina della capsula. I capi della spirale seguendo i tubi BB GG passano attraverso al grande tappo di vetro che chiude il collo del pallone, e si può così, per mezzo di una corrente elet- trica esattamente graduabile, portare la temperatura del liquido al punto voluto. Il pallone è immerso per circa due terzi in una miscela di acqua e ghiaccio, che ne mantiene la parete a circa 0°, mentre la corrente elettrica nella spirale permette che la temperatura del liquido sì conservi prossima a 25°. Il pallone, per mezzo di una tubatura innestata nel tappo, attraverso al rubinetto con chiusura di mercurio H, può mettersi in comunicazione con una pompa Gaede a mercurio (munita, come al solito, del palloncino con anidride fosforica per il disseccamento) e con vn provino di Mac-Leod. Si potevano così stabilire o interrompere le comunicazioni con la pompa, il disseccante e il provino; mentre, per la grande cura spesa a migliorare le chiusure, fu possibile di mantenere nel pallone una rarefazione gassosa inferiore a 1/10.000 di millimetro, anche dopo aver interrotto l: comunicazione con la pompa. Restava, come è naturale, la pressione dei vapori di mercurio; essa era ridotta a quella che corrisponde a 0°, e un continuo afflusso di vapori di mercurio era impedito dal fatto che le comunicazioni con la pompa e il provino erano normalmente interrotte. Si adoperò per l'esperienza nitroglicerina di fabbricazione corrente, che resisteva a 15 minuti primi, ad una temperatura di 80° C., senza decomporsi (saggio Abel); era leggerissimamente giallastra. Durante la distillazione fu sorvegliato con cura l'andamento del termometro, e regolata la corrente nella spirale in modo che la temperatura del liquido si mantenesse, come si è detto, prossima a 25°. Occorreva pure a lunghi intervalli ristabilire ]a comunica- ella Papa cla Fic. 1. zione con la pompa, e aspirare con questa le piccole quantità di gas rivelate dal Mac-Leod, e che provenivano in parte dalle chiusure, in parte anche dalla lenta decomposizione del liquido o dei suoi vapori. Si procurò, così, che la pressione residua fosse sempre inferiore a 1/10.000 di mm. La condensazione sì produceva sulla parete del pallone tenuta a 0°, dove andavan formandosi minutissime goccioline molto fitte, e che si andavano SSA assai lentamente ingrossando. A poco a poco il distillato si andò raccogliendo per la maggior parte al fondo del pallone, conservando lo stato liquido, non ostante che la temperatura fosse inferiore a quella di solidificazione; ciò era dovuto alla nota difficoltà di congelamento che la nitroglicerina presenta. La distillazione fu interrotta quando nella capsula non vi era più che un terzo circa del liquido primitivo. Raccolto il distillato, si constatò che esso era costituito da un liquido perfettamente limpido e incoloro, mentre quello rimasto nella capsula era di un giallo un poco più intenso che non il liquido primitivo. Nell'esame preliminare del liquido distillato la leggera variazione di tinta da quella del liquido primitivo e del residuo di distillazione fu l’unica differenza che potemmo osservare. Le altre proprietà sembrano rimaste le stesse. Così, ad esempio, la resistenza al calore fu sempre di 15' a 80°, tanto nel liquido distillato, quanto nel residuo. Ci proponiamo di proseguire le esperienze, per stabilire un più esatto confronto fra le proprietà della nitroglicerinà ordinaria e quelle della distil- lata; e inoltre per dedurre, se ci sarà possibile, la tensione di vapore a diverse temperature, misurando la velocità del processo di distislazione. I dati che attualmente possediamo, ci permettono già di fare un calcolo approssimativo sul valore della pressione a 25°, utilizzando la formola pro- posta recentemente da Langmuir (!) nelle sue ricerche sulla tensione di va- pore del tungsteno. Detta # la quantità di sostanza evaporata da 1 cm? del liquido in un secondo, nelle condizioni per cui si può ammettere che ogni molecola partita dalla superficie del liquido, non incontrando ostacoli nel suo cammino, finisca col raggiungere la superficie condensante: e indicando con T la temperatura assoluta, con M il peso molecolare e con p la pressione del vapore corri- spondente alla temperatura T, si ha = a In misure assolute C. G. S. si può porre R (costante dei gas) eguale a 83 X 10%; con ciò p risulta misurata in dine per centimetro. Coi dati delle nostre esperienze, essendo 10 grammi la quantità di liquido evaporato in 44 ore, e da una superficie di circa 10cm?, si può calcolare che la pressione a 25°, ridotta in millimetri di mercurio, equivale a 1,2 dieci- millesimi. E poichè la temperatura ha notevole influenza su queste pressioni di vapore molto basse (così, per il mercurio, l'aumento di 10° nella tempe- ratura in vicinanza di 20° basta a triplicare la pressione), non sarà azzar- dato il dedurre che a 20° quella pressione sia inferiore a un diecimillesimo di millimetro, come appunto avevamo potuto affermare nel lavoro sopra citato. (*) Irving Langmuir, The Phys. Review, t. 11, pag. 329, nov. 1913. SR Fisica. — Su l'analogo elettrico del fenomeno di Zeeman: effetto longitudinale. Nota di Anronino Lo SuRDO, presentata dal Socio A. ROITI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sulle proprietà dell’ iodio come solvente crio- scopico, Nota di F. OLIVARI ('), presentata dal Socio G. CIAMICIAN. 4. Traendo profitto della circostanza che nell’alogeno fuso sono facil- mente solubili gli elementi del 6° gruppo —S, Se, Te—, io ho studiato, qualche anno fa, il contegno crioscopico di questi metalloidi in soluzione iodica, giungendo a risultati numerici che vennero in seguito controllati da Beckmann (°). La tabella seguente riassume alcune nuove misure: Tav. IV. conc. °/o 4 PM(K=213) cone. 9/ d PM Se= 256 Sea = 158,4 0.1520 0.29 111.7 0.2894 0.33 184 0.3274 0.60 116.2 0.6138 0.645 202.7 0.5106 0.905 120.2 0.8172 0.825 211 1.028 1.67 “gio (5.038) (6.87) (156.2) 1.068 1.025 222.1 Te= 127.6 1.376 1.24 236.5 (3) 0.2361 0.345 145.8 2.134 1.81 281.2 0.4215 0.61 147.2 3.167 2.565 257.5 (4) 0.1210 0.192 134.2 4.730 3.85 261.7 0.4766 0.72 141.0 Lo zolfo dimostra in iodio una grandezza molecolare dell'ordine Sa; tuttavia, in soluzione diluita assume valori sensibilmente più piccoli. Le depressioni prodotte dal selenio corrispondono ad un peso molecolare compreso fra Se e Se»; solo in soluzioni molto concentrate si ottengono va- lori prossimi alla molecola biatomica. Il tellurio, la cui miscela col solvente è accompagnata da fenomeni termici evidentissimi (sviluppo di calore), fornisce abbassamenti che si avvi- cinano a quelli calcolati per Te = 127,6. Questi valori crioscopici si spie- (*) V. questi Rendiconti vol. precedente XXII, 2° sem. 1913, pag. 697. (3) Z. anorg. Chem., 63, pag. 63 (1909). (2) « Tellur in Stangen » Kahlbaum. (4) « Tellur puriss. subl. in Nadeln » T. Schuchardt. RenpICcONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 6 Sano, in gran parte, ricordando che, per fusione reciproca dei due elementi, si formano combinazioni del tipo Te Lg (). Meno agevole appare invece la interpretazione dei resultati relativi allo zolfo (soluzioni diluite) e specialmente al selenio. Infatti, poichè la \gran- dezza molecolare di questi metalloidi in mezzi indifferenti è ‘normalmente ottoatomica, la minore complessità ottenuta in iodio sembrerebbe indicare l'intervento di un'azione chimica tra solvente e soluto. Per contro lo' studio completo degli equilibrî di congelamento tra i metalloidi e l’iodio esclude la. esistenza di ioduri di zolfo e di selenio, capaci almeno di cristallizzare dalla fase liquida (°). so) argomento del quale da tempo mi occupo, richiede ulteriori esperienze e merita una discussione più ampia di quella che mi sarebbe consentita dalla brevità di questa Nota ; perciò mi riprometto di trattarne ex professo in un-prossimo lavoro, tanto più che il prof. Beckmann ha dedicato allo stesso. studio una recentissima Memoria, dal titolo: « Verhalten von Jod zu Schwefel, Selen und Tellur » (3). Le ricerche crioscopiche ed ebulliosco- piche di questo autore, di cui mi limito qui a riferire i risultati sperimen- tali per il confronto coi miei, provano: 1°) che lo zolfo in soluzione iodica, possiede essenzialmente la mo- lecola Ss, ma non si rileva aleun andamento speciale a bassa concentra- zione ;- 2°) che il selenio viene scomposto sino alle molecole Se» e Se, non tanto in virtù della temperatura a cui si SPERARE, quanto per una in- fliuenza specifica del solvente; 3°) che il tellurio e l’iodio reagiscono fra di loro, con IGRDEZIONI di molecole le quali contengono meno di Te,. 5. Per le determinazioni relative agli ioduri mi sono servito di uno dei consueti dispositivi che permettono di operare in ambiente perfettamente secco, essendo molti di questi sali anidri — o i rispettivi poliioduri — in alto grado igroscopici. (*) Berzelius, Ann. de Chemie e phys., 58 (1835); Metzner, ivi, (7) 1898; Wheeler, Z. fir anorg. Chem. 3 (1893); Gutbier e Hury, ivi, 32 (1902); Jaeger e Menke, Z. fùr anorg. Chem., 75, pagg. 241, e 77, pag. 320 (1913). (3) Cfr. Pellini e Pedrina, Rend. Acc. Lincei, XVII, serie 5%, pag. 78 (1908); Oli- vari, Rend. Ace. Lincei, XVII, 2° sem., serie 5%, pag. Di (1908). Forse nei miscugli fusi S-J e Se — J (specialmente in quest’ultimo caso) v'è luogo a supporre l’esistenza di composti parzialmente dissociati, i quali, per raffreddamento, anzichè separarsi allo stato solido, si scompongono in un miscuglio meccanico dei componenti. Cfr. la mia Nota « Studî sull'analisi termica », III, Rend. Soc. chim. ital., 1911. (3) Z. fiir anorg. Chem., Band. 80, pag. 221 (1913). gioni . Dai risultati ottenuti e dalla loro rappresentazione gratica (tav. V e fig. 2) emerge che i pesi molecolari degli ioduri alcalini (KJ , RbJ, NH4J) e degli ioduri ammonici organici C:H;NH;.HJ , (CH), NJ , (CH,):-C,H;NJ , (CH,); CH, CH;NJ presentano in iodio fuso un andamento anormale caratteristico e uniforme: in soluzioni diluitissime, i pesi molecolari sono molto prossimi ai normali; PM 350 oil 3a) 200 È 150 aumentano rapidamente colla concentrazione sino ad un massimo poi decre- scono con continuità e, a concentrazioni elevate, assumono talvolta valori in- feriori al teorico. La discussione di questo interessante decorso dei pesi molecolari riesce particolarmente istruttiva nel caso dell’ioduro potassico, il solo sale di cui si conosca anche la conducibilità elettrica in iodio fuso. In base alle già citate esperienze di Lewis e Wecher, si calcola che, alla concentrazione in cui KJ raggiunge il valore massimo del peso molecolare (intorno all’ 1 °/o), la sua conducibilità specifica sia paragonabile a quella delle migliori solu- zioni acquose saline normaldecime. Ciò autorizza a ritenere che l’ioduro potassico, sciolto in iodio fuso, sia contemporaneamente dissociato e polime- rizzato: I) | [KI] = @PEIJ+pK'+4+pJ. 44 de Il fenomeno non è nuovo; si può anzi affermare che l’esistenza di mo- lecole. polimere degli elettroliti rappresenti il caso generale delle soluzioni conduttrici non acquose, e porga una plausibile spiegazione del fatto che per esse non si riscontra generalmente nessuna identità fra il valore del grado di dissociazione calcolato coi metodi osmotici e quello dedotto dalla condu- cibilità elettrolica (Walden). Il presentarsi di un massimo nella serie dei pesi molecolari, oltre il quale la complessità del soluto apparentemente decresce coll'aumentare della concentrazione, si spiega pal considerando la verosimile formazione di poli- ioduri nel fuso (1): 11) King, = Kyo Infatti, ammessa in seno al liquido un'associazione molecolare del sol- vente al soluto (solvatazione), la quale non alteri il numero delle particelle osmoticamente attive, è facile dimostrare che i pesi molecolari appariranno minori dei reali e tenderanno continuamente a diminuire col crescere della concentrazione. Tale andamento, di entità trascurabile in soluzioni diluite, diviene in modo speciale manifesto nelle soluzioni concentrate. I. KJ; II RbJ; I NH,J; IV. CHNH.HJ; V. (CH;),NJ; VI (CH,),CoHsNJ; VII (CH;); Cs HxCH; NI. Tav. V. conc. °/o 4 PM conc. °/o 4 PM I. KJ= 166 IV. CGHs NH,.HJ= 221 0.1092 0.128 181.6 0.1204 0.108 237.5 0.2351 0.26 181.6 0.3501 0.288 259 0.3760 0.385 192.6 0.8879 0.665 284 1.321 1.18 208.0 1.636 1.215 286.8 2.844 2.32 261.1 2.302 2.370 224.9 4.756 4.78 214.1 2.760 2.70 217.7 V. (CH,)sN.J = 201 2.918 5.95 210.7 0.1116 0.11 216.1 0.2792 0.245 242.7 3.725 4.11 193.1 0.7122 0.58 261.5 4.541 5.50 177.4 1.140 0.93 261.2 4.812 5.78 177.0 1.837 1.606 244.6 3.087 3.25 202.3 2,3 °/ KJ+HgJ, 3.789 4.57 177 0.5197(HgI,) 0.15 737.9 1.157 0.33 746.6 3.509 1.00 TATA (') Abegg e Hamburger, Z. fiir anorg. Chem., Bd. 50, pag. 403; Olivari, Rend. n00, Lincei, vol. XVII, 2° sem., pag. 717 (1908). 3 SEA Segue: Tav. Vi. conc. 0/0. 4 PM conc. °/o 4 PM VI. (CH); Co Hs NJ = 263 II. RbJ = 212.5 0.0948 0.075 268 0.1786 0.17 223 0.2665 0.185 305.7 0.5859 0.48 260 0.5444 0.35 381.3 1.232 0.93 282.2 1.068 0.67 121.5 2.993 1.85 275.6 1.816 1.215 318.4 3.702 3.18 248 4.582 4.80 227 2.711 2.10 283 5 3.830 3.985 241.1 III. NH,J = 145 4.908 4.98 209.5 0.6832 0.725 200.7 ; 6.537 8.18 170 1.711 1.81 201.3 7.793 11.28 147.1 2.141 2.32 196.6 2.975 3.48 182.1 iti VII. (CH); CoHs(CH,)N.J = 277 0.3199 0.88 179 0.5413 0.60 192.2 0.1784 0.124 306.5 0.9328 0.97 204.9 0.3656 0.235 331.4 1.486 1.56 203 0.9749 0.59 352 2.308 2.57 191.3 1.774 1.11 340.5 . 9.249. 4.06 170.4 3.265 2.50 278.2 Ma nel nostro caso la sostanza sciolta è un elettrolita e, di più, è anche in parte polimerizzata; ora, il crescere della concentrazione, favorendo il costituirsi delle molecole neutre e polimere del soluto, produrrà per tale riguardo un aumento dei pesi molecolari antagonistico alla diminuzione ca- gionata dalla solvatazione. Inoltre l'aumento sarà in particolar modo evidente nelle soluzioni diluite, poichè è noto che le curve di dissociazione tendono a divenire orizzontali. Componendo le due influenze, potrà darsi che, per opportuni valori delle costanti relative agli equilibrî I e II, prevalga in soluzioni diluite l'aumento dei pesi molecolari colla concentrazione, dovuto al retrocedere della dissocia- zione ionica e molecolare del soluto; e in soluzioni concentrate prevalga invece la diminuzione indotta» dalla combinazione col solvente. E così la curva dei pesi molecolari presenterà un massimo (!). Non insisteremo ulteriormente su queste considerazioni di carattere orien- tativo: ci basti concludere che lo stato dello ioduro potassico (e, verosimil- mente, anche quello degli altri ioduri) in soluzione nell’iodio fuso è carat- terizzato sia da dissociazione e polimerizzazione contemporanee, sia dalla for- mazione di complessi col solvente (poliioduri). Beckmann, sperimentando sugli ioduri di potassio, di sodio, di litio, di rubidio e di cesio, si limita a constatare l’esistenza di molecole associate anche al punto di ebollizione dello iodio (184°); naturalmente, ciò esclude che l'anomalia osservata possa attribuirsi a fenomeni di isomorfismo, (!) Cfr. Jones, « Hydrates in acqueous solution », Carnegie Institution (1907); Walden, Z. fùr anorg. Chem., 30, pag. 145 (1902), e Z. fir physik. Chem., 55, pag. 321 (1906). = dé — Chimica-fisica. — La tensione superficiale e l’ idratazione in soluzione. Nota di M. PApoa e G. TABELLINI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — / sistemi binari cianamide-acqua, cianamide-urea e cianamide-diciandiamide ('). Nota di M. PraroLONGO, presentata dal Socio A. MenNOzZI. 00 ATE f Tn una serie di ricerche, di cui ho dato conto in una Nota precedente (* ); ho fatto oggetto di studio il comportamento della cianamide quale solvente crioscopico. Allo scopo di giungere ad una più esatta conoscenza del ‘com- portamento reciproco dei composti studiati; mi sono indotto, di fronte. ‘alle notevoli anomalie di carattere associativo, che sono emerse dalle ricerche crioscopiche, a completare lo ‘studio dei sistemi binarî cianamide-Gequa, cianamide-urea;e, cianamide- Lane trio I FISURRÙ di ale :ricerca sono oggetto della presente Nota ae : Per tutti e.tre.i: sistemi studiati, la ricerca ‘venne ui i delle curve di congelamento,. Le. determinazioni, vennero esegnite, seguendo.i metodi consueti. Le curve. di. congelamento del sistema cianamideracqua, nel quale più notevoli sì presentano le. anomalie crioscopiche di carattere asso; ciativo, vennero determinate con termometro Beckmann al centesimo di grado; quelle dei sistemi cianamide-urea e cianamide-diciandiamide, con termo- metro al decimo. RSI Nello studio dei sistemi cianamide- urea e cianamide- i la ricerca. ha naturalmente dovuto esser. limitata al campo di stabilità della gianamide, il cui limite superiore può porsi, .nelle- condizioni sperimentali delle ricerche presenti, fra 90° e. 100° (3). Nei diagrammi che seguono, le linee tratteggiate indicano l'andamento probabile delle curve di congelamento a: temperature superiori a quelle che segnano: il limite di stabilità della cianamide. "i Riot ; Per quanto ha riguardo. Da co e E purezza dei ooo adoperati, mi richiamo alla mia Nota ‘preceflagtementa citata. il :(*) Lavoro eseguito nel; Laboratorio ;di Chania agraria | della R. Scuola supériore di agricoltura, -di Milano. Î i i (*) Questi Rendiconti. (3) Giova ‘notare, (ciò che sarà RIETTE di una Ni ‘successiva) ‘che Ta ‘trasformazione della cianamide solida procede lentissima a temperatura ordinaria; e anche alla tempera- tura 'di fusione, è solo serisibile dopo ‘alcuni giorni. Nel limite: di: alcuni minuti, 1a, velo- cità di trasformazione ‘è ancora trascurabile a 809.0) di% o; 80 | ii (i 4 igm I risultati delle ricerche compiute sono raccolti nei prospetti che se- guono : I. Sistema Cianamide- Acqua. . Temperatura ® si eri us) Lal ei us) zi Acqua °/o Cianamide °/o Fase solida di congelamento si 1 100.00 + 0.00 Ghiaccio 2 98.62 1.38 — 0.62 n 3 97.42 2.58 AT ib Ù 4 96,62 3.38 = 4.48" po 5 93.69 6.31 — 2.60 b 6 90.58 9.42 — 3.96 D) 7 85 02 14.98 — 1 GM9 ” 8 81.60 18.40 513 5 9 75.30 24.70 — 10.19 na 10 73.91 26.09 — 10.74 ” 11 71.88 28.62 — 11.88 > 12 69.10 30.90 — 12.72 » 18 66.68. | 33.32 — 18.98 » 1Ù GIA 36.86 1599 bn 15 GI250 A 38.75 1559 Cianamide 16 59.81 40.19 — 14.39 n 17 58.33 41.67 — 13.23 » 18 56.73 43.27 È 11580 ” 19 55.01 44.99 — 10.76 ” 20) 52.40 \ 47.60 = (8192 708 21 47.88 52.12 — 5:gl no 29 43.20 56.80 — 2.49 n 23 39.65 60.35 + 0.28 BE 24 33.63 66.37 5.12 no 25 30.80 69.70 7.85 3 26 23.80 77.20 14.50 i ” 27 18.19 81.71 19.32 3 28 12.85 87.15 25.60 ” 29 10.59 89.41 28.58 ” 30 8.16 91.84 32.00 n SL 4.69 Of i 95.91 > (O: 35.78 è dI d ‘ebinegzi) 32 di (3.98 a ‘96.77 37.90.» è » 33 2 68 97.32 38.60 » 34 1.76 mire lORIBANI srl ici ! 40.72 ” 35 _ 100.00 42.90 ” 40 30 10 Temperatura © | A ° Cianamide Acqua 20 80 30 40 60 70 50 70 60 40 90 Diagr. I. Sistema Cianamide- Acqua. Leggio II. Sistema Cinamide-Urea. ® ia °lo Feprtnna Fase solida S di congelamento Zi Il 100.00 — 42.9 Cianamide 2 95.84 4.16 413 ” 3 92.01 7.99 39.4 ” 4 88.48 11.52 37.6 L) 5) 85.20 14.80 35.8 ” 6 82.21 17.79 33.9 ” 7 79.40 20.60 320 ” 8 71.22 22.78 30.3 ” 9 74.20 25.80 27.8 n 10 69.61 30.29 23.8 ” 11 65.80 34.20 19.6 ” 12 62.55 37.45 22.4 Urea 13 61.13 38.87 28.6 ” 14 59.00 41.00 35.0 ” 15 53,50 46.50 47.0 n 16 49.02 50.98 06.8 ” 17 45.13 54.87 63.5 ” 18 41.90 58.10 68.7 ” 19 39.06 60.94 74.8 ” 20 32.79 67.21 84.8 LI) 21 30.70 69.30 88.4 ” 22 — 100.00 132.00 ” RenpiconTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 7 PPS) re 140 130 120 110 100 90 80 70 60 50 40 80 20 Temperatura 10 Urea Cianamide 100 90 80 70 60 40 30 20 10 0 Diagr. II. Sistema Cianamide-Urea. 235 SI 200 F 150 100 Temperatura 50 Diciandiame 0 10 20° 30 40 60 70 80 90 100 50 Cianamide 100 90. 80 70 60 40 30 20 10 0 Diagr. III. Sistema Cianamide-Diciandiamide. ot III. Sistema Cianamide- Diciandiamide. ———__— dv = Cianamide °/o Diciandiamide °/o RR, Fase solida Zi 1 100.00 —_ 42.9 Clanamide 2 95.24 4.70 40.9 ”» 8 90.91 9.09 88.9 7 4 86.96 13.04 36.8 ” 5 84.59 15.41 40.9 Diciandiamide 6 83.40 16.60 49.6 n 7 81.80 18,18 58.6 ” 8 80.00 20.00 66.5 ” 9 77.02 22.98 80.0 ” 10 _ 100.00 205.0 ” L'esame delle curve di congelamento, che sono tracciate nei diagrammi 1, 2 e 3, come del resto i risultati di alcune analisi termiche che ho istituite su alcune miscele appartenenti ai diversi sistemi, pongono in rilievo, per ciascuno dei sistemi descritti, l’esistenza di un semplice eutettico, la cui composizione e temperatura di congelamento appare nel seguente prospetto: I. Sistema Cianamide-Acqua. Cianamide Acqua Temperatura di congelamento 37.8 %/o 62.2 °/o — 169.6 II. Sistema Cianamide - Urea. Cianamide Urea Temperatura di congelamento 63.9°/ 36.1°/ 170.4 III. Sistema Crianamide-Diciandiamide. Cianamide Diciandiamide Temperatura di congelamento 85.0 9/0 15.0 °/o 359.6 do a Fisiologia. — La perspirazione cutanea in alta montagna (*). Nota del dott. GAETANO VIALE, presentata dal Socio Pio Foà. Fondandosi su la legge fisica dell'aumento dell’evaporazione, quando la pressione barometrica diminuisce, alcuni autori affermarono, senz'altro, che in alta montagna la perspirazione cutanea dev'essere maggiore; e questa opinione trovò un appoggio negli esperimenti di Regnard (Cure d'altitude, 1897) il quale, mantenendo animali a lungo sotto alla campana pneumatica, eonstatò una maggior perdita di acqua nell’aria rarefatta. Se non che Mosso (Z’uomo sulle Alpi, III ed., Milano, 1909, pag. 393); Zuntz, Loewi, Miller, Caspari (Mohenklima und Bergwanderungen, Berlin, 1906, pag. 378); Guillemard e Moog, [ Compt. rend. Soc. Biol. 1907, pp. 819 e 874; Compt. rend. Acad. d. Sciences, Paris, /48, pag. 1624 (1909) ], ed altri, trovarono invece una minor perdita d'acqua nell’aria rarefatta. Il metodo da loro generalmente usato è stato quello della variazione in peso dell'organismo, col quale misurarono complessivamente l’acqua eliminata per la cute e quella per i polmoni. Guillemard e Moog, [ Compt. rend. Acad. d. Sciences, Paris, 1/45, 823, an. 1907 ], cercarono di ricavare separatamente le due quantità; e trovarono che, mentre in montagna cresce l’acqua emessa per i polmoni, diminuisce molto l’acqua emessa per la cute. Siccome tutti questi autori non sperimen- tarono nelle stesse condizioni di temperatura al piano e in montagna, così essi non poterono attribuire la minor perdita d'acqua in montagna alla alti- tudine, ma tutt'al più alla bassa temperatura che induce vasocostrizione cutanea e toglie ogni attività alle ghiandole sudoripare. Kalmann, [ Pfliger's Arch., 1/2, 561 (1906) ], da ricerche dirette, concluse che l’altitudine fa diminuire l’evaporazione cutanea, e suppose che per la regolazione dell'equilibrio termico in media montagna fosse necessaria una minore attività perspiratoria della cute. O. Cohnheim e i suoi collaboratori [ Zeit. f. physiol. Chemie, 63, 4183 (1909) e 78, 62 (1912)], contrariamente agli altri, trovano in pianura una minor eliminazione di acqua. Poichè determinarono la perdita in peso che avveniva durante la notte sotto le coltri, essi sperimentarono quasi nelle stesse temperature in montagna e in pianura (?). (’) Ricerche eseguite per consiglio e sotto la direzione del prof. Gino Galeotti, nel Laboratorio scientifico « A. Mosso» sul Monte Rosa (dirett. prof. A. Aggazzotti). (*) Un errore di questi esperimenti è stato quello di aver considerato la perdita in peso dell’organismo come perdita di acqua, trascurando l’emissione dell’anidride carbonica che pur è rilevante, tanto più che l’emissione di questo gas è maggiore in alta montagna che non al piano. MO 4 dI Ultimamente, Galeotti e Signorelli [Bioch. Zeitschr., 47, 268 (1912)] stabilirono un bilancio completo dell’acqua determinando l’acqua introdotta, quella eliminata con le feci e con l’urina, con l’aria espirata, e con la cute. Essi conclusero che si perde minor acqua per la cute nel soggiorno in alta montagna; e giustamente riportarono ciò alla differenza della temperatura e non già alla rarefazione dell’aria. Dai loro valori, se pure in via generale sì poteva dire che in montagna si perdeva meno acqua, non si poteva però senz'altro dire, che nell'unità di tempo, da una determinata superficie cutanea sì perspirasse meno. E così mi è sombrato opportuno di trattare sperimentalmente, in modo diretto, il problema. MeTtopo. — Per le mie determinazioni servì un apparecchio semplice ed esatto, ideato dal prof. Galeotti (ved. figura). Consta di una cassetta me- tallica rettangolare, che si apre e chiude come uno chassis fotografico con un coperchio metallico scorrevole con attrito in una doccia. Nel fondo della cassetta sono attaccati, a guisa di mosaico, dei blocchetti di cloruro di calcio. Per fissarli, si adagiano in paraffina resa semifluida col calore: raffreddandosi e consolidandosi la paraffina, i blocchetti restano aderenti. Dopo aver ripe- tutamente scossa la scatola per far cadere ogni traccia di polvere dal cloruro di calcio, la cassetta chiusa viene pesata. Tolto poi il coperchio, la scatola prontamente si applica su la cute, si stringe con una cinghia, si lascia un tempo determinato: trascorso il quale, prontamente si chiude e si ripesa. SAR L'aumento in peso esprime la quantità di vapor acqueo esalato dalla superficie cutanea esplorata. Poichè è nota l’estensione di essa così si può calcolare la quantità di acqua perspirata nell’unità di tempo dall’unità di superficie. Si tien conto dell'umidità dell’aria (?) e della temperatura ambiente. L'apparecchio può applicarsi in qualsiasi parte del corpo, purchè la pelle lo chiuda perfettamente: ma per il confronto tra la perspirazione in mon- tagna e quella in pianura, preferii utilizzar sempre la superficie anteriore dell’avambraccio. La prima serie di determinazioni è stata fatta al colle d’Olen(m.2900s.m.), e la seconda serie a Torino (m. 250 s. m.). Le cifre, nei ragguagli delle tabelle, si riferiscono all'acqua perspirata da 1 dm? di cute in 10’, e sono espresse in milligrammi. Determinazioni al colle d’Olen. Data 1913 Temperatura Grado igrometrico H,0 da 1 dm? in 10” mg. 22 - VII 3° == 23.6 | 25 ” 10 70 28.1 20 ” 9 80 23.7 27 ” 10,5" 80 27 10,5 80 22.7 28 ” 9 Siri 24.8 29 ” 13 95 359 9,9 37 20.2 | Esperimenti S1 ” 9 75 DIN SULLE 1- VII 8 80 13.9 dal 30 20.2 2 ” 10 90 24.3 4 ” 11 80 23 9,5 80 19.4 14 80 28.3 5) ” 9 70 25.1 81 - VII 10 75 24,3 Î 1-VIII 11 80 21.1); SuA. A. Sy È 10 70 92.8 | (*) Applicata la cassetta, la zona di cute ‘in esperimento perspira in un’aria resa secca dalla presenza di cloruro di calcio. Per cui nelle mie misure l’igrometria non ha una grande importanza: ma noi non sappiamo quale ripercussione possa avere lo stato di tutto l’organismo su la zona limitata di cute che si esplora. BE Da questa tabella si rileva: 1) Al colle d'Olen, alla temperatura media di 10° (grado igrometrico 75-80) da 1dm? di cute, in 10’, si perspirano mgr. 23 di acqua in media. Calcolando la superficie del corpo come m? 1.6, secondo Vierordt, in 24%, da tutto il corpo un uomo di statura media perspira gr. 536 di acqua (!). Galeotti (loc. cit.), calcolando la perdita d’acqua dalla cute, durante il de- corso d’una giornata, trovò all'Olen, alla temperatura media di 11°, gr. 473- 671, valori concordanti pienamente col mio. 2) Nel breve àmbito delle temperature esperimentate, tra 8° e 14°, si riscontrò un rapporto approssimativo tra temperatura e quantità d'acqua perspirata. 3) Comparando poi i valori dell'acqua col grado igrometrico, oscil- lando la temperatura tra 9° e 10°, si constatò, col crescere dell'umidità del- l’aria, una diminuzione nel vapor acqueo esalato. Per cui la maggior temperatura agirebbe in modo contrario alla mag- gior umidità. In ciò i miei valori concordano con quelli di Rubner [| Arch. f. Hygiene, 11, 137 (1890)], di Wolpert [ Arch. f. Hygiene, 41, 30 (1901)], e di altri. Determinazioni a Torino. Data 1913 Temperatura Grado igrometrico H,0 da 1 dm? in 10° mg. TESA 10° 75 14.5 SHeir 10 78 14.3 Oi, 15 69 14.8 10 88 12.8 Oa 14,8 82 16.6 Se a 14 76 17.2 So 13.» 17 70 17.3 9 77 12.9 14» 16 72 13.4 15» 16 80 16 12» 16 76 13 ) SIN 14 > 17 72 0) (1) Questa cifra va accolta con riserva, giacchè non si può senz’altro ammettere che tutte le parti del corpo, anche senza secrezione di sudore, eliminino, per perspirazione, eguali quantità di acqua. tt Dai valori ottenuti a ‘Torino, ricaviamo le stesse conclusioni circa al rapporto tra perspirazione del vapor acqueo e temperatura e grado igrometrico. Da 1 dm? di cute, in 10’, a Torino, alla temperatura media di 10° (grado igrometrico tra 75 e 80), si esalano in media mg. 14 di acqua; cioè nelle 242. calcolando la superficie di tutto il corpo m.* 1,6, gr. 322 di acqua. Riesce utile il paragone dei miei valori con quelli già noti: Rohrig [Physiologie der Bant, 1876] trovò, in condizioni medie di temperatura, per tutto il giorno, gr. 660; Schierbeck [ Arch. f. Hygiene, 16, 203, 13893] a 18°, gr. 317, e [Arch. f. (Anat. u.) Physiol., 1893, pag. 116) a 29°,8, gr. 582; Nutall [Arch. f. Hygiene, 23, 184, 1895] a 28°,8 gr. 304; Wolpert [loc. cit.] un valore simile a quello di Ròhrig; Willebrand [Skandin. Arch., 13, #37, 1902] a 12° trovò gr. 252, a 16° gr. 366, a 17°,2 gr. 396; Osborne [Journ. of Physiol., 41, 345, 1910] trovò a 17°,3, gr. 748; Kalmann [loc. cit.] a 15°-16° gr. 821 in media; Galeotti e Signorelli [loc. cit.] trovarono a Napoli, alla temperatura media di 18°-20°, per G., gr. 946-1690, per S. gr. 719-1079. Le cifre riferite superano, in generale, il valore da ine trovato: ciò di- pende dalla maggior temperatura a cui si esperimentò: invece, nell'àmbito delle temperature a cui sperimentai io, si trovano valori più concordanti col mio e col valore di Schierbeck a 18°. Dalle mie determinazioni a 17° si calcola un'emissione di gr. 398: cifra che pienamente concorda con quella ottenuta da Willebrand a 17°,8 (cioè gr. 396). I miei valorl sono poi molto uniformi, perchè col metodo del prof. Ga- leotti misurai solo la fase gassosa (insensibile) della traspirazione cutanea; mentre invece gli sbalzi grandi tra giorno e giorno, quali si vedono nelle cifre di Galeotti e Signorelli, sono da riportarsi all'attività saltuaria della funzione sudoripara. Più interessante appare il confronto dei valori ottenuti al colle d’Olen con quelli ottenuti a Torino. Resulta che in alta montagna l'eliminazione cutanea dell'acqua è maggiore che non in pianura. Per render conto della divergenza di questo resultamento da quello di altri autori citati in principio, giova pensare: 1) che Mosso, Zuntz, Galeotti e Signorelli non sperimentarono alle stesse temperature, e che la differenza da loro riscontrata nell’eliminazione dell'acqua si deve riportare non all’altitudine, ma alla temperatnra. Io in- fatti — e in parte pur Cohnheim — esperimentando alla stessa temperatura tanto su le Alpi quanto al piano, ho riscontrato una maggior perdita d’acqua nell'aria rarefatta. Anche recentemente Aggazzotti [ Arch. f. Entwickmech, 36, 633, 1913] trovò che la perdita d'acqua delle uova di gallina in via di sviluppo è maggiore in montagna che non in pianura: per necessità sperimen- RenNDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 8 SEI A tali le uova si trovavano alla stessa temperatura ambiente dell'incubatrice nei due luoghi; 2) che io ho sempre sperimentato a temperature piuttosto basse, intorno a 10°, quando cioè si poteva supporre che le ghiandole sudoripare fossero inattive, per cui determinai la sola fase gassosa (insensibile) della eliminazione dell’acqua. È appunto noto che la temperatura critica per il funzionamento delle ghiandole del sudore è 33° (cfr. Schierbeck, loc. cit).. In ricerche che durano un intera giornata, vi sono, nelle condizioni clima- tiche della pianura, più occasioni a sudare: per cui la perdita dell’acqua diventa grande e anche maggiore che non nell’aria rarefatta, ma per un altro meccanismo che non è quello della perspirazione insensibile ; 8) che è difficile di avere le stesse condizioni igrometriche alla mon- tagna e al piano, in esperienze che occupano un giorno intero: invece nelle mie determinazioni, che durano pochi minuti, è in certo qual modo possi- bile la riproduzione, al piano, del clima alpino ; 4) che, pur ammettendo che la perdita complessiva dell’acqua sia minore nell'aria rarefatta, potrebbe darsi che, anche eliminandone in maggior copia dalla cute, se ne eliminasse molto meno per i polmoni. Ulteriori studî delucideranno questo punto. Galeotti | Bioch. Zeitschr., 46, 173, 1912] trovò intanto come — essendo la temperatura più bassa — diminuisca l’elimina- zione del vapor d'acqua dai polmoni. Le ricerche dirette eseguite da Galeotti e Signorelli (loc. cit.) in montagna, non hanno dato ancora resultati con- clusivi. La maggior perspirazione cutanea dell'acqua in alta montagna si può interpretare con due diversi meccanesimi. Se si ammettesse con Schwenkenbecher [ Med. klin. Jahrg., 4, 889, 1908] e con Luciani [ istologia dell’uomo II, pag. 543], che la perspirazione fosse un fenomeno biologico dovuto all'attività delle ghiandole sudoripare, allora si potrebbe ammettere che in alta montagna, come altre funzioni, anche quella delle ghiandole sudoripare venisse esaltata. Sennonchè, questo esalta- mento non venne riscontrato in misure dirette da Viale [ Rend. Accad. dei Lincei, 22, 130, 1913]. Se invece sì ammette che perspiratio insensibilis e sensibilis non sieno due gradi di uno stesso processo, ma due distinti fenomeni con un proprio determinismo, e se si ammette che la perspiratio insensibilis avvenga per pura legge fisica di evaporazione attraverso la pelle che è sicuramente per- meabile all'acqua, allora il fatto da me riscontrato ha una facile e semplice interpretazione: cioè dipende dalla diminuita pressione atmosferica. Poichè in alta montagna la perspiratio insensibilis è aumentata, mentre invece la funzionalità delle ghiandole sudoripare si trova inibita dal freddo, sì è in certo modo propensi a considerare la perspiratio sensibilis e la insen- sibilis come due ordini di fenomeni indipendenti. Ci portiamo così nell'àmbito delle idee di Willebrand [loc. cit.] e di Loewy e Wechselmann [Virchows Arch., 206, 79, 1911]. Tl fattore principale che determina la maggior perspirazione in alta montagna è dunque la rarefazione dell’aria, che, oltre che per ur mecca- nismo fisico, agisce anche per un meccanismo biologico determinando vasodi- latazione periferica nell'organismo. Tra le cause che possono modificare in- fatti l'eliminazione cutanea dell’acqua, sta pure l’irrorazione sanguigna: cfr. Jansen [| Deutsch. Arch. f. klin. Mediz., 23, 314, 1883]. Una certa influenza può anche avere l’acclimatazione al freddo; per cui, a parità di temperatura, l'impressione di freddo e la vasocostrizione è maggiore al piano che non in montagna: questo fattore diminuisce i valori della per- spirazione cutanea. Le conclusioni di questi miei esperimenti si posson così riassumere: 1°) La perspiratio insensibilis di 1 dm? di cute (avambraccio), cal- colata in milligrammi di acqua in 10', e alla temperatura media di 10°, è a Torino, mgr. 14; al colle d'Olen, mgr. 23. 2°) Ponendo per ora l'ipotesi che la perspirazione sia presso a poco eguale per la cute delle diverse parti del corpo, la perdita totale di acqua per la via della pelle (senza sudorazione), alla temperatura di 10° sarebbe: a Torino, gr. 322; al Colle d'Olen, gr. 536. Questi valori concordano con quelli di altri autori che esperimentarono in eguali condizioni e alla stessa temperatura. 3°) Il fatto principale che determina la maggior prespirazione cutanea in alta montagna deve essere la rarefazione dell’aria, che agisce per un mec- canismo fisico, poichè la cute è certamente permeabile all'acqua; e per un meccanismo biologico, producendo vasodilatazione periferica nell'organismo. 4°) La quantità d'acqua eliminata dalla cute colla perspiratio insen- stbilis cresce con la temperatura dell’ambiente, e diminuisce con l'aumentare del grado igrometrico dell’aria. Zoologia. — Le divisioni dei nucleo in Haplosporidium limnodrili. Nota di LrkoPoLDo GRANATA, presentata dal Socio B. GRASSI. Zoologia. — L'apparato reticolare interno di Golgi nelle cellule nervose dei crostacei. Nota del prof. Rina MONTI, pre- sentata dal Socio B. Grassi. Queste Note saranno pubblicate in un prossimo fascicolo. RIGO MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Lincio G., Rocce e minerali del Monte Colmine ed adiacenze. Pre- sentata dal Socio VioLa. CorroneI M., Sul tubo digerente del Linculus. Pres. dal Socio GRASSI. i BarGaGLI PeTRUccI G.. Sull'origine biologica della Terra di Siena (Terre gialle e bolari del Monte Amiata). Pres. dal Corrispon- dente BACCARINI. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio STRiÙVvER, relatore, a nome anche del Corrisp. MiLLosEvicH F., legge una relazione sulla Memoria del dott. K. GRILL, avente per titolo: I minerali dell’isola di Nisiro (Mar Egeo), concludendo col proporre la inserzione del lavoro nei volumi accademici. Eguale proposta fa il Corrisp. MiLLosevicH F., relatore, a nome anche del Socio STRivER, per la Memoria del dott. A. Rosati, intitolata: Studio cristallografico della Maucherite e della Placodina. Le conclusioni delle Commissioni esaminatrici sopra nominate, messe al voti dal Presidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il Socio De STEFANI legge una Commemorazione del Corrispondente prof. Ieino CoccHI. Questa Commemorazione sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Il PRESIDENTE comunica i ringraziamenti inviati dal prof. I. FREDHOLM all'Accademia, per la sua recente nomina a Socio straniero. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle del Socio TARAMELLI, dei Corrispondenti PascaL e SiL- vESTRI, e dei Soci stranieri Lacroix e PicARD; fa inoltre particolare men- ZSC) I zione dei seguenti lavori del prof. ANGELITTI: Ze antiche misure della lunghezza del meridiano terrestre; La forma della terra secondo Artsto- ‘tele nel trattato De Caelo. Il Socio PrRoTTA fa omaggio a nome dell’autore prof. Longo dell'Orto botanico di Siena, di varie pubblicazioni, e si intrattiene sulla importanza di alcune di queste. CONCORSI A PREMI Il PRESIDENTE - comunica gli elenchi dei lavori presentati per con- correre al premio Reale, del 1913, per la Matematica, dai signori: LAURI- fceLLA G., MipoLo P., SEveERI F.; e per il premio Reale di Fisiologia nor- male e patologica, parimente del 1913, dai signori: BARBIERI N. A., Bocci B., Bortazzi F., FicHERA G., Lomonaco D., NEGRO C., PETRONE A., SeGaALE M., ZANOTTI P. COMUNICAZIONI VARIE Il Presidente BLASERNA annuncia che alla seduta assiste il prof. De BopoLA della Scuola politecnica di Budapest. Lo stesso PRESIDENTE dà partecipazione degli inviti per le feste com- memorative che saranno celebrate dalla Reale Accademia di scienze ed arti di Barcellona e dalla Biblioteca imperiale idi Pietroburgo, nonchè di un invito per tenere a S. Francisco un meeting nell'occasione dell’ Esposizione internazionale del Panama (1915). ni gg OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA presentate nella seduta del 4 gennaio 1914. AnceLITTI F. — La forma della terra secondo Aristotele nel trattato « De Caelo ». (Estr. dalla «Rivista di Astro- nomia e scienze affini », an. VII). To- rino, 1913: 80 AneELITTI F. — Le antiche misure della lunghezza del meridiano terrestre. (Estr. dalla « Rivista di Astronomia e scienze affini », an. VII). Torino, 1913. 8°. Lacroix A. — Minéralogie de la France et de ses Colonies. Description phy- sique et chimique des minéraux: étude des conditions géologiques de leurs gisements. T. V. suppl. II et Index géographique dressé avec le concours du Colon. Azèma. Paris, 1913. 8°. PascaL E. — I miei integrafi per equa- zioni differenziali. Napoli, 1913, 8°. Picarp Ém. — L’oeuvre d' Henri Poincaré. (Extr. de la « Revue scientifique », 1913). Paris, 1913. 8°. ReLAzIOonE II della Commissione per le norme edilizie obbligatorie per i Co- muni colpiti dal terremoto del 28 di- cembre 1908 e da altri anteriori. Istru- * zioni tecniche - metodi di calcolo - ap- plicazioni. Roma, 1913. 89. SALAZAR A. E. — Las funziones iperb6- likas i su aplikazion a los problemas de injenerfa eléktrika. Killota, 1913. 80. SiuvestRI F. — Descrizione di un nuovo ordine di insetti. (Estr. dal « Boll. del Laboratorio di Zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore di agricoltura », vol. VII). Portici, 1913. 8°. TaARAMELLI T. — Ricordo dello Spallan- zani, come vulcanologo. (Estr. dai « Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere n, vol. XLVI). Pavia, 119113. 8°. TARANELLI T. — Sul lembo pliocenico di S. Bartolomeo presso Salò. (Estr. dai « Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere », vol. XLVI). Pavia, 1913. 8°. Troporo G. — Sul sistema tracheale dei Lecaniti. (Estr. dal « Redia », vol. DX). Firenze, 1913. 8°. ViLHENA H. — Archivo de anatomia et de anthropologia. N. 1. Lisboa, 1913. 8°. RENDICONTI — Gennaio 1914. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 4 gennaio 1914. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sui problemi di rotolamento di superficie applicabili . . . . e eno apra Levi-Civita, Deduzione rigorosa di una relazione fondamentale nella RI del calore rag- PIADENA RI A SARE IONI BOSIO a Sca co Si IRON SI a ISS ee O A i Pizzetti. Della probabilità nelle prove ripetute . . . . f n DI Tedone. Sulla espressione analitica dell'integrale BE i Hal Rico smor- zate (*). dI RR Artini. Sulla diffusione delle rocce a : darti On Libia 51 CIRRENIRDE PSR NEO, Cisotti. Efflusso da un recipiente forato lateralmente (pres. dal Socio Lediclivica) Io) RO rel] Tonelli. Sulle funzioni di linee (pres. dal Socio Pincherle) . . . .. . CANI IE De'Filippi. Prima relazione della spedizione scientifica nel Karakoram cricnazie SULTAN 9 Chiaraviglio e Corbino. La distillazione della nitroglicerina a bassa temperatura (pres. dal Socio Paternò). . . . SONO e, SENTO SAI Lo Surdo. Su l’analogo sono del TE di dina effetto Paciano (i dal Socio DOO ; IAT E e e Olivari. Sulle proprietà dell'iodio come ine crioscopico ia dal Socio Ciamician) . » » Padoa e Tabellini. La tensione superficiale e l’idratazione in soluzione (pres. /d.) (*) . . » 46 Pratolongo. I sistemi binarî cianamide-acqua, cianamide-urea e cianamide-diciandiamide (pres. dal Socio Menozzi) <.<. 3 AURA E, ET] Viale. La perspirazione cutanea in alta mufiosia a dal Soeio Hal: fg ; DIBDS Granata. Le divisioni dei nuclei in Haplosporidium limnodrili (pres. dal Socio CIRO ARIAIOIE i ; «SIG, IRON nt) Monti, Lapo reticolare irielio di Golgi don Geil: nervose dei crostacei a Id)» MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Lincio. Rocce e minerali del Monte Colmine ed adiacenze. Pres. dal Socio Viole . . . » 60 Cotronei. Sul tubo digerente del Linculus, Pres. dal Socio Grassi. . . A Bargagli Petrucci. Sull’origine biologica della Terra di Siena (Terre gialle e hi del Monte Anuiata) Pres dal Corrisp DRAGONS. Sete RIO E I (Segue in terza pagina) (*) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. RELAZIONI DI COMMISSIONI Strilver (relatore) e Millosevich F. Relazione sulla Memoria del dott. E. Grill: «I minerali dell’isola di Nisiro (Mar Egeo)» . . RUE SIC o Pan Maillosevich F. (relatore) e Struver. Relazione bo, Memorie del dott. Rosati: «Studio crie stallografico della Maucherite ‘e’ della Placodina n Li. PERSONALE ACCADEMICO De Stefani. Commemorazione del Corrisp. Igino Cocchi (*) . . . . BELANAa) Blaserna (Presidente). Comunica i ringraziamenti del prof. /. Fredkholmi per di sua recente nomina; a, SOCIO IStTANIEHO MA et MMM RO PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Taramelli, Pascal, Silvestri, Lacroix, Picard e del prof. Angelitti. . . . . 4 » Pirotta. Fa omaggio di varie pubblicazioni del prof. Longo e ne parla. . .. +...» CONCORSI A PREMI Blaserna (Presidente). Comunica i nomi dei concorrenti al premio Reale per la Matematica e a quello di Fisiologia normale e patologica, del 1913... 0. 00 COMUNICAZIONI VARIE Blaserna (Presidente). Annuncia che alla seduta assiste il prof. De Bodola . È ; Id. Comunica, gl’inviti pervenuti all'Accademia per prender parte alle feste PRIORI. 60 61 che saranno celebrate dalla R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona e dalla Biblio- teca imperiale di Pietroburgo, ed all’ Esposizione internazionale del Panama del 1915» BULLETTINOMBIBLIOGRARICOMISON N RI O O COIN PAMO O OO NE O N, (*) Questa Comm morazione sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. )) 62 Pubblicazione bimensile. Roma 18 gennaio 1914. N. 2. ALII DELLA I RRALE ACCADEMIA DPI LINCET ANNO CCCXI. 1914 SEE Bia, ÈREINST A- RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 gennaio AGNA. Volume XXITII.° — Fascicolo 2° 1° SEMESTRE. ROMA ( Pi b TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI NLINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1914 n ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO. PER LE PUBBLIO Col 1892 si è iniziata la Serie quinta. delle pubblicazioni della R. Accademia dei Li cei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due È Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: ; Re 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- ‘siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili) c el- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. x di 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comuni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, € e:50 agli estranei; qualora l’antore ne desideri un numero ni il sovrappiù della Du: è posta a suo carico. seno 4. I Rendiconti non riproducono. le doh: sioni verbali che si fanno nel seno delPAcca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta TICO ‘essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. ZIONI ACCADEMICHE I I. Le Note che oltrepassino i limiti indi © cati al paragrafo precedente, e le Memorie “pro- — sE priamente dette, sono senz "altro. inserite nei. Volumi accademici se “provengono. da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate Be da estranei, la Presidenza nomina “una. Com- "eri missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima. tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- DI ) guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di 0 stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- | | mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio — di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice p: posta dell'invio della Memoria, agli Archi i be; ) dell’Accademia. da 8. Nei primi tre casi, ca dall'art. pre- de, cedente, la relazione è letta i in seduta pubblica, 35: nell'ultimo in seduta. segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte : che i mauoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso ‘contemplato dall'art. do dI dello Statuto. TA 5. L'Accademia da gratis 75 estratti agli au SR tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più — che fosse richiesto, è messo 2 carico degli da autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 gennaio 1914. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Meccanica. — Sulla espressione analitica dell’integrale gene- rale dell'equazione delle onde smorzate. Nota del Corrispondente O. TEDONE. 1. In una Nota pubblicata in questi Rendiconti, nell’anno scorso ('), ho mostrato come si può pervenire a determinare l’integrale generale del- l'equazione delle onde smorzate col metodo delle caratteristiche, nella sua primitiva forma di Riemann-Volterra. Lasciando da parte il paragone fra i risultati precedenti e quelli che si otterrebbero applicando alla stessa equazione il metodo delle caratteristiche com'è stato modificato dall’Hada- mard (*), che pure sarebbe certamente interessante a farsi, noterò che una espressione del sopraddetto integrale generale, analoga alla formola di Poisson per l'ordinaria equazione delle onde, si trova nel Riemann-Weber (*). Questa formola è dedotta, in quel libro, con artificio elegante dall’integrale generale della cosiddetta equazione dei telegrafisti, che non è altro se non la stessa equazione delle onde smorzate, pel caso di due variabili. Stante l'importanza innegabile dell'argomento, mi permetto di mostrare brevemente, in questa Nota, come dalla formola da me data si ottenga quella ricordata del Weber, anche per mettere in vista una nuova e notevole relazione integrale fra le funzioni di Bessel. (*) Seduta 31 maggio 1913. (4) Acta math., tom. 31, pag. 333. (3) Part. Diff.-gleich. der math. Physik, 2° Bd., ediz. 1901, pag. 310. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 9 gd 2. L'equazione della propagazione delle onde smorzate, nella mia Nota citata, è stata considerata sotto la forma to SD (1) do, Sn i alla quale si può sempre ridurre. E, indicando con x1,%1,41,%1 le coordi- nate di un determinato punto nello spazio lineare (x,y ,4,%) l'integrale generale della (1) è stato trovato sotto la forma d°D d dr) IG == t) 7; = — ® ==. === (2) 9(21,%41 0) +2 n ya RED dt, dove 1 ESE 8) ®= 7 f.[oby — 909142, 2 essendo la porzione di una varietà regolare, del resto, arbitraria, a tre di- mensioni compresa nell’ ipercono caratteristico uscente dal punto (x1,%1,21;41)- È, inoltre, #, il valore di 4 nel punto comune a X ed alla parallela al- l’asse # condotta pel punto (41,%1,4134); dY dP dp dP Dgp= — cos na + = cos nm — cos naz — — cos Ni, de e dl ,_ (it \LV@=0=r) dl r I) UWEeSESA pale Has, e, infine, è supposto 7, più grande del valore che # assume nella porzione di ® che compare nelle (2) e (83). Per ottenere dalla (2) Ja formola del Weber, supporremo che È appar- tenga costantemente all’iperpiano ‘= 0. Bisognerà allora fare fi = 0 e porre £= 0 nell'espressione di g'. Dobbiamo porre inoltre: SERIO È TOO DIA —(22) De 2 Va (, )_= PONS, per cui 1 ll dg 22) ®—=- — -— ra dpi 47. slo dI P dI lio di, s dp 22) de dal ti ar [.(9 ne DE £ essendo la superficie di una sfera ordinaria di raggio uno dell'iperpiano t=0 col centro nel punto (£1,%1, 41). e (I Ponendo: n Sa Ni: (RP (4) Z fede), Leu, possiamo anche scrivere o=f"ra| E ++0g |, d°D Di qui abbiamo: I di IV +) +3 + NEO I rdr Ko al 0) eda v ed anche n ali a ti I Cole) gi dr { LC seal. +0)g |u (i) vd 0 r li, i con prc i I(fe—r)_1 d NO: 2 2 bere per cui D) I,(f — 8) NA, GERE di, ti I(t}—- 1) )DZ = fee e L4 amy |a Sostituendo questi risultati nella (2), e notando che Da (de dI ; Ji K@=9) ILS RES Fred AES 06 ii e gl ell e. I(V(e—r r°) de=r ; ma p'dt si ottiene 6) gigi a+ + 40) + +f'a[unt+em](+3)[- La + ge ei IL (VE) di | i dla gr =a di Sigg = Avremo ottenuto la formola di Weber se potremo dimostrare che (+3) 1h dr — è |euozd,, (MAZZE n) a |3-j% (Ve=r), di, i, —È ossia, ricordando la relazione a LI (Va )= LV), DA che +33) =J SÒ bJP=?) di | 201 8. Mostreremo, a questo scopo, che sussiste l'identità ta ua (6) il Le, (VE=r) di=(3+ +è) I (VAEZI). da 1 Cominciamo a far vedere che, ponendo: (7). Anp= Ztl 2 i a. è pure (8) i — EEE 1a Si vede subito, infatti, che, fra le A,,,, sussiste la relazione INF = Ao + An,p=1 ° D'altra parte, nella mia Nota più volte citata, è stata dimostrata la (8) per n=p, e, immediatamente, si mostra che essa è giusta, qualunque sia n, per p=0,1,2,...; essa dunque resta dimostrata in generale. Ciò posto, notiamo che, dalle relazioni: = - (0 — 7) (è l ti — I ee o abbiamo Il —3) Da < bi: n_ (o {em (2? SA r°)m Ta dg (Ve P)= n gen Tam miao m+1)! nm ES (2 e, quindi, IO (a, — il OI (En) de CS DES (LS SI IRE RE la —_ f\8n-M}) (32 __ p2\m dei Trani) (id) (ee Ponendo, nell’integrale a secondo membro t—t=(h—7)5, subito si trova la I (Di SP O (e e r°)fa di = % (ti — men (‘geco (1 — E) [1% — 7) (1-8) +27] dé— n © mi (2n —2m)! (2m — A)! so nani Zap) (al ENI GE gl DEE Sostituendo, risulta ‘a Ia — t) DIO E ira I(Vie—- rr) da = so s (ti — 7)°4! n_ 1 2 hi @ahpieta nt 2 1 2mn_—- 2m\ (2m — h xa )( m IL S 1 a” Pai 2 ces EEA ( m SE n—-h Lic o I o T'n_-h_-m e, per essere n_—-h_—m Mm in). m può scriversi fa Id) o J "gt? I(Vi— n) di= So (7) RE: r) ea n [ i ai Toro (@—_ esa) 2 cere il che dimostra completamente il nostro asserto WERGR E Matematica. — Sulle equazioni integrali miste ed integro- differenziali. Nota di GiuLio ANDREOLI, presentata dal Corrispon- dente R. MARCcOLONGO. 1. In un precedente lavoro (*) abbiamo ridotto il problema della riso- luzione delle equazioni integro-differenziali allo studio delle equazioni inte- grali di tipo misto; cioè le D 9+1 f My) 9 4+? f Meg =/0), 0) nf MO) 9 dy+1 | Me) = 10), che diremo rispettivamente equazioni miste (o Volterra-Fredholm) di se- conda e di prima specie; 4 e w sono diversi da zero. Per trattare la (1), assumiamo l’incognita ausiliaria W(«): ®) v(a= 9) +1 My) 9) dy- Di qui si trae immediatamente: (4) 92) =W(2)— n | "SO(27) 914) d, ove N sia il nucleo risolvente di Volterra della (3), il quale dipende (come è noto) solo da M e wu. Sostituendo, nella (1), sia la (3) per i primi due termini, sia la (4) pel terzo, si ha: oe 2; oe vE+2 fien) v 1 fo) 49 dl dy= /); pda da cui, scambiando gli integrali nell’integrazione doppia, si ricava: 4(2) +2 fMi(0y) (0) du — dt [01 da - f Mila) ORC) de — fl) ossia: 6) Y()+2 { Ney) vw dy=/@). (1) Sulle espressioni integro-differenziali. Questi Rend., ser. V, vol. XXII, 2° se- mestre 1913, pp. 409-414. Per Quo in cui si è posto 1 (6) N(xy)= M(xy)— # ( M (cz) DO(1. LIMA] Quindi, anche g, e %3 esistono, e sono uniche. In particolare, se /(x)= 0, sarà anche g(x)= 0. 6) 4 autovalore, fs(x)= 0 (equazione omogenea). Supposto 4 auto- valore, la (8), ove /(x)=0, avrà 7 soluzioni linearmente indipendenti; da ciascuna di esse si ricava una g, ed una @3 per mezzo delle (10), (11). In virtù di ciò, si vede che le diverse soluzioni sono esprimibili con com- binazioni lineari di 7 soluzioni linearmente indipendenti. c) X autovalore, f(x) + 0. Allora: o la /» soddisfa a certe condi- zioni d’ortogonalità, e vi sono infinite soluzioni; o non vi soddisfa, e non vi sono soluzioni. Dire che la /s soddisfa a certe condizioni d'ortogonalità equivale a dire che la / le soddisfa pure, come è evidente. 4. Resta da trattare la (2), equazione mista di prima specie. Ma essa, seguendo; il procedimento da me indicato altrove (*), si può ridurre ad equa- zione di prima specie del Fredholm. Oppure, servendosi del metodo ora esposto, essa si può scindere nelle tre altre: (2) — Pf Meg gi dy=| 0-2 file) gol y ] e <0, LU ATaLI (13) Z| [WeM+M@ey)]gy)d=/@) 03521, (14) My) P3(4) dy = |) -2/ Di) + Mg) d | #>L, di cui la (18) deve essere, come la (8), risolta dapprima. 5. Riassumendo i risultati ottenuti in questa e nella precedente Nota, possiamo dire: I. Ze equazioni lineari integro-differenziali tipo Volterra di primo e secondo genere si riducono ad equazioni integrali dello stesso tipo e di seconda (0 terza specie). II. Quelle tipo Volterra di terzo genere, ad equazioni dello stesso tipo e di prima specie. III. Quelle tipo Fredholm e miste di primo e secondo genere in generale ad equazioni integrali miste (in particolare di Fredholm) di seconda (0 terza) specie. IV. Quelle tipo Fredholm e miste di terzo genere, al tipo misto di prima specie. (1) Sulle equazioni integrali, Rend. Circolo Mat. di Palermo, tom. XXXVII, 1° se- mestre 1914, pp. 72-109. RenpIcoNTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 10 Saglizon = V. Le equazioni integrali miste di seconda specie, si riducono alla soluzione successiva d'una integrale di Volterra o d'una di Fredholm, di seconda specie. VI. Quelle di prima specie, ad equazioni di prima specie. Quindi, tutta la discussione delle integro-differenziali si può ricondurre, in modo semplice ed uniforme, alle teorie di Volterra e Fredholm. Vi sarà quindi da attendersi l'esistenza di autovalori e di tutte le singolarità inerenti a tal caso; tratteremo in seguito qualche esempio. Così, subito si vede che: — VII. Ze integro-differenziali tipo Volterra di primo e secondo ge- nere sono sempre risolubili con sviluppi tipo Volterra. VIII. Quelle dello stesso tipo, ma di terzo genere, sono soggette, per la risolubilità, a condizioni derivanti da quelle di risolubilità delle equazioni di Volterra di prima specie. Infine, se supponiamo di dover trattare una integro-differenziale lineare del Volterra, i cui nuclei sieno del tipo F(xy): se cioè ci troviamo di fronte ad un problema ereditario (in cui la legge d’ereditarietà sia invariante at- traverso il tempo), per quanto precede si vede che la sua riduzione ad equazione integrale di Volterra è esclusivamente operata con la composi- zione dei nuclei dati con le potenze (x — s)®. E ricordando (') che la composizione (secondo Volterra) di nuclei del ciclo chiuso (cioè funzioni di x —s) dà ancora nuclei dello stesso tipo, si può enunciare il teorema: IX. Ogni equazione lineare integro-differenziale di Volterra, i cui nuclei sieno del tipo F(x — s), è riducibile ad un'equazione integrale di Volterra il cui nucleo è dello stesso tipo. Ovvero, in altre parole: Le integro-differenziali lineari del ciclo chiuso si riducono ad equazioni integrali del ciclo chiuso. E se l'equazione cui si giunge, è di seconda specie, si può subito dire che: X. Za soluzione delle integro-differenziali del cielo chiuso st effettua con operazioni dello stesso ciclo. (*) Volterra, Zegons sur les éq. int. ed int.-diff., pp. 52 ece.; 148; 150 ecc. Matematica. — Zorma geometrica delle condizioni per la deformabilità delle ipersuperficie. Nota del dott. E. BUMPIANI, pre- sentata dal Corrispondente G. CASTELNUOVO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 9 = Meccanica. — £/fusso da un recipiente forato lateralmente. Nota di U. CisoTTI, presentata dal Socio T. Levi-CIviTA. In una precedente Nota (!) ebbi a considerare il problema dell’eftlusso permanente di un liquido attraverso un foro piccolissimo, praticato nel mezzo del fondo di un recipiente a sezione rettangolare. Ponendomi ora in condizioni analoghe, mi propongo di studiare il caso in cui il foro B è scolpito su una parete laterale ad una altezza % sul fondo. Breagle Ancor qui, come nel problema già studiato, si ha il regime uniforme in ocalità abbastanza lontana dall'orifizio. Ma, come è ben naturale, quando il foro è scolpito su parte laterale, la quota discriminante N dipende, oltre che dalla larghezza £ del recipiente, anche dall’altezza % del foro sul fondo; in modo preciso basta assumere: per essere lecito ritenere sensibilmente in regime uniforme il liquido che si trova nel recipiente ad una quota non inferiore ad N. I. Assunta una coppia di assi 0xy, come è indicata in figura, si ha sul fondo u: «=0 e —Q1. Per queste, la (2) dà luogo a: Ti e < CSA w w dé si (CSI) dalla quale, integrando e tenendo presente che a &£=1 deve corrispondere z= 0, si ricava la relazione; siro {0 c dé Sue | —__ ) o 23 a ela sE DI 1). che è appunto quella che deve legare le variabili 2 e é nelle circostanze supposte. 4. Le (5) e (6) dànno w ed f in funzione di $; ci converrà esprimere le stesse funzioni per 2. A tal uopo risolviamo la (7) rispetto a ©. Per raggiun- gere l'intento nel modo più spiccio, scriviamo la (7) nel modo seguente: WT4 (7°) EEE — D=3 Mez — e notiamo che la identità \c+1tE=Dije-yia= i—e, permette, per la precedente, di scrivere: SICCHE TUZO0 (7") C+yE—-1L= pole La eliminazione del radicale tra (7') e (7”) dà luogo ad una relazione lineare in È, che risoluta rispetto a È stessa dà infine l'espressione semplice: SUR (8) $ = cosh o Abbiamo chiamato é' il punto corrispondente a 2== —#. Per la (8) avremo: {ji ae 2 th (9) 6 = cosh* 35 - Ora possiamo dare le espressioni definitive di w e di / in termini di <. Tenute presenti le (8) e (9), le (5) e (6) diventano infatti (1): TZ q senh vu ph cosh? salt go 29 29 I Ru) (11) = 0) ceof Così 20 cosh 20 \° 5. Per h=0, essendo cosh sa = 1, le precedenti divengono rispetti- vamente: , e AI (10) ki —RRSO corn 290° ° 2 108 (11') {== n log senh DD s Queste relazioni coincidono (salvo la inessenziale costante additiva 29 e il (!) Nel fare le debite riduzioni per arrivare all'espressione di w, si tenga presente che per z= — 00 dev'essere w = É ” BAR Ir) 77 Lena cambiamento di 9 e di 2 in 29 e 2) colle (5) e (7) della Nota citata ('). La coincidenza non è occasionale, anzi era prevedibile « priori, se si pensa che per &4=0 il foro è sul fondo e che è lecita /a r:/lessione rispetto all'asse reale: si ha allora l’efflusso permanente di portata 29, da un reci- piente largo 29 e forato nel mezzo del fondo. 6. Supponiamo è > 0, e ricaviamo da (11) le equazioni w = costante, dei filetti liquidi. Si ottiene Ty q sen Q (12) PETTSIE tg TRS: cosh — coth RE COS TIE SARE # É Cnn sen Tr Sappiamo già che se X=0, cioè quando il foro è scolpito sul fondo, il regime è sensibilmente uniforme per x <= — 2 (?). Proponiamoci ora di determinare un numero N => 29 tale che anche per 4 > 0 si possa ritenere il regime uniforme quando x = — N. Poichè e-T = 0.04...., avremo n 1 sa Deo GE } TT Ii drag senh — Q l_e® _3N N Dei 2 (0.04...) £ CIRIE sarà compreso tra 0 e “ao, MON anzi poichè per l—-e TESM04)È N= 29 è 2N (0.04...) @ = (0.04...) =0.000002..., (') Nella (7) rilevo un errore tipografico: invece di i si deve leggere L Durante la correzione delle bozze ho avuto occasione di leggere il recentissimo trattato di idro- dinamica di Ramsey [A Treatise on Hydrodynamics, Part II; London, Bell, 1918] in cui a pag. 124 trovasi definita, a meno della costante ig, la formula (11°). (2) Cfr. la Nota citata. N sì può ritenere senz'altro che — a sia compreso tra 0 e 2(0.04...)È. senh Toi Dopo ciò siamo autorizzati a scrivere la seguente limitazione: cosh si N 35, (13) o<— ——— <2(0.04...)&cosh—, (x = — N). ITX Q senh To) D'altra parte per x <= — N = — 2, è con grande approssimazione (!) ITX coth e = — l. cosh Ti Ciò posto, se si assume N in guisa che << San sia trascurabile, senh —— h la (12) diviene: (14) v=9+$. dalla quale si desume che per x < — N le linee di flusso sono a ritenersi parallele alle pareti, ed ilîregime uniforme. Ora, avuto riguardo alla (13), se si assume N in guisa che la quan- N tità 2(0.04...)® cosh 7° sia dell'ordine dei millesimi, ad es. ponendo D h (15) (0.04...) cosh Di 0001, siamo fatti certi che per un tale N e per 7 <= — N vale la (14), con molta approssimazione. Da (15) ricavando 7 si ha, prendendo, per maggior comodità di cal- colo, i logaritmi volgari, ed arrotondando lievemente le cifre: N 5) / (16) o gni 7 logro cosh ° (*) Cfr. la Nota citata. TT ro 7. Nel caso particolare in cui il recipiente diviene infinitamente largo è £2= co, allora con un passaggio al limite, si ricava da (10) senza dif- ficoltà: (17) d= Fio. 2. È facile ora esaurire la discussione, una volta in possesso dell’inte- grale (17) del movimento della massa liquida. Meccanica. — Esperienze sulla elasticità a trazione del rame. Nota I del dott. ing. GustAvo COLONNETTI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Matematica. — Sur cersaines equations intégrales. Nota di J. SouLa, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Le precedenti Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. all Geometria. — Sulla equivalenza per traslazione. Nota del prof. G. Vacca, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Grazie ad alcune osservazioni del prof. Eugenio Elia Levi, posso esporre per una via più semplice e più breve gli stessi risultati contenuti nella Nota del 9 novembre 1913 (vol. XXII, pag. 417), e togliere la condizione restrittiva che allora era occorsa nelle dimostrazioni. Aggiungerò in fine la estensione ai poliedri della equivalenza per tras- lazione, chiamando, per brevità, equivalenti per traslazione due poligoni rettilinei in uno stesso piano, ovvero due poliedri rispettivamente, quando sì possono decomporre in un numero finito di poligoni, ovvero di poliedri, parziali, sovrapponibili per traslazione. 1. Dato un insieme di vettori, si può considerare una nuova specie di somma, che chiameremo somma orientata dell'insieme. Essa coincide con la somma ordinaria, soltanto se i vettori considerati hanno la stessa dire- zione, ma se non l'hanno, la somma orientata dei vettori è il complesso dei vettori che si ottengono, dopo aver eseguito tutte le possibili somme di vettori aventi la stessa direzione, ed appartenenti all’insieme considerato. L'operazione di somma orientata, eseguita sopra un insieme di vettori, riproduce quindi un insieme di vettori (che può ridursi talvolta ad un vet- tore unico, od anche essere nulla). 2. Si ha allora il teorema (!): Perchè due dati poligoni di egual area, nello stesso piano, stano decomponibili in un numero finito di parti eguali per traslazione, è ne- cessario che sia eguale la somma orientata dei vettori dei lati dei due poligoni, quando questi lati siano immaginati percorsi nello stesso senso. Infatti, immaginata possibile, ed eseguita, la decomposizione dei due poligoni dati, ed immaginati tutti i contorni dei poligoni parziali, percorsi nello stesso senso, in ognuna delle due decomposizioni, sarà nulla la somma dei vettori dei lati interni ai due poligoni dati, poichè ogni lato di un poligono parziale è percorso in due versi opposti, secondo che lo si consi- deri come appartenente all'uno o all’altro dei due poligoni parziali adiacenti. Quindi la somma orientata dei vettori di tutti i lati di tutti i poligoni parziali (immaginati tutti percorsi nello stesso senso per ogni poligono), in ciascuna delle due decomposizioni, si riduce a quella dei vettori dei lati dei due poligoni dati; c. v. d. 3. Quindi è possibile, applicando questo teorema, decomporre due pa- rallelosrammi equivalenti in un numero finito di parti eguali per traslazione, (1) È questo il teorema comunicatomi, sotto altra forma, dal prof. Levi. saio. perchè la somma orientata dei vettori dei lati di qualsivoglia parallelo- grammo è nulla. È invece impossibile il decomporre in tal modo un triangolo ed il suo simmetrico rispetto al vertice, perchè, immaginandoli entrambi percorsi nello stesso verso, la somma orientata dei vettori dei lati dell'uno non è nulla, ed è essenzialmente diversa (anzi l’opposta) da quella dell'altro (?). 4. Possiamo ora estendere allo spazio queste considerazioni, osservando che ai lati di un poligono corrispondono, in certo modo, le faccie di un poliedro. Converrà dapprima, dato un poliedro, distinguere per ogni sua faccia il verso, che sarà quello della normale interna al poliedro, ed attribuire poi ad ogni faccia un segno, in modo tale che due faccie parallele, ma di verso opposto, abbiano segno contrario. Ciò può farsi ad arbitrio. Per fissar le idee, supporremo positive le faccie tali che la loro normale interna faccia un angolo acuto con una direzione fissa; negative quelle che fanno un angolo ottuso, ecc. Potremo allora considerare un certo ente, che chiameremo somma orzen- tata delle faccie di uno o più poliedri, il quale coincide coll'insieme delle faccie stesse, col loro segno, quando nell'insieme non vi siano faccie paral- lele. Ma quando esso contiene più faccie parallele, ad esse sostituiremo un poligono avente la stessa giacitura ed avente per area la somma algebrica delle aree delle faccie parallele, considerate col loro segno. Così, ad esempio, la somma orientata delle faccie di un parallelepipedo è sempre nulla. 5. Abbiamo allora il teorema: Condizione necessaria affinchè due poliedri di egual volume siano decomponibili in poliedri parziali eguali per traslazione, è che sia eguale la somma orientata delle loro faccie. Infatti, immaginata possibile, ed eseguita, in ciascuno dei due poliedri, la decomposizione in poliedri parziali, la somma orientata di tutte le faccie di tutti i poliedri parziali, in ciascuno dei due poliedri dati, si riduce a quella delle faccie del poliedro totale, essendo nulla quella delle faccie (0 parti di faccie) comuni a due poliedri parziali adiacenti. c. v. d. Applicando questo teorema, si vede che, mentre è possibile di decom- porre in un numero finito di parti eguali per traslazione due parallelepi- pedi, è invece impossibile di far ciò per due piramidi simmetriche rispetto alla base; ecc. {!) Con lo stesso metodo il prof. Levi ha altresì osservato che due pentagoni sim- metrici non sono equivalenti per traslazione, ecc. wi 99 Fisica. — Su l'analogo elettrico del fenomeno di Zeeman: effetto longitudinale. Nota di Anronino Lo Surbo, presentata dal Socio A. RoITI. Nella Nota precedente (') comunicavo alcune esperienze, con le quali la scomposizione di alcune righe spettrali dell'idrogeno, nella regione pre- catodica, scomposizione considerata come effetto del campo elettrico, veniva osservata secondo una direzione visuale perpendicolare al campo stesso. La riga H, risultava scomposta in cinque elementi, con polarizza- zione rettilinea, aventi i due esterni il piano di vibrazione parallelo, e i tre interni perpendicolare al campo. Era da aspettarsi che, ove fosse riuscito di osservare la luce secondo una linea visuale parallela al campo elettrico, i due primi elementi neces- sariamente sarebbero mancati e gli altri tre sarebbero stati ancora osserva- bili. Per quanto tale osservazione presentasse speciali difficoltà, pure mi è parso che la mia disposizione potesse permettere di superarle; infatti sono riuscito ad ottenere alcuni resultati abbastanza chiari per formarne oggetto della presente Nota. Ho sperimentato in due modi diversi. Nelle prime esperienze un pal- loncino di vetro, poco fusibile, porta saldate tre tubulature, di cui la P serve per mantenere l'idrogeno alla pressione opportuna coi soliti mezzi, la A porta saldato l'anodo, rivolto in basso, e la C, che penetra fino in prossimità del centro, regge il catodo in forma di disco, con la sua super- ficie a circa 5 mm. dall’estremo. (*) Pervenuta alla R. Accademia nella seduta del 21 dicembre 1913. 2000) In un tubo di tal forma, con una rarefazione opportuna, la luce anodica rimane nella tubulatura A; la luce negativa costituente il terzo strato secondo Hittorf è diffusa a cono nell'interno del palloncino, ed è assai poco intensa. Di modo che la parte più splendente viene ad essere costituita dalla lumi- nosità dello strato immediatamente avanti al catodo. L'asse del tubo C coincideva approssimativamente con quello del colli- matore dello spettrografo; una lente convergente projettava su la fenditura di questo la detta luminosità precatodica, che era circondata da una debole aureola. Tra la lente e il palloncino poteva inserirsi un prisma birifrangente, il quale all'unica imagine sostituiva due imagini distinte una dall'altra, ma sempre allineate su la fenditura; e avanti al prisma sì poteva mettere ancora una lamina di mica !/, d'onda per una delle righe studiate. Tale disposizione si presentava molto vantaggiosa quando non sì volesse spingere troppo la rarefazione, poichè in quest’ultimo caso il riscaldamento intenso e concentrato, prodotto dai raggi catodici su la parete del tubo, ne cagionava la rottura. Adottai quindi, in una seconda serie di esperienze, un'altra disposizione, che consisteva semplicemente nell'usare uno degli stessi tubi che avevano servito per l'osservazione trasversale, inclinato di un piccolo angolo su l'asse del collimatore, e facendo in modo che su la fenditura cadesse la projezione della sola luminosità precatodica. Ho fatto diverse fotografie, nelle quali si osserva, secondo le previsioni, per la H., una tripla, che devesi considerare come originata dalle stesse oscillazioni che producono la tripla interna nell'effetto trasversale. Per assi- curarmene, ho eseguito due prove con uno stesso tubo e con uguale caduta di potenziale, intensità di corrente e lunghezza dello spazio precatodico, ed ho trovato che la tripla osservata trasversalmente, e quella osservata longi- tudinalmente, comprendono lo stesso intervallo. C'era da aspettarsi che nelle osservazioni longitudinali l’effetto Doppler dei raggi positivi diretti e retrogradi, cioè del movimento di una parte dei centri di emissione verso il catodo o nel verso contrario, potesse complicare il fenomeno in istudio, tanto più che l'ordine di grandezza degli spostamenti risulterebbe lo stesso. Ma la coincidenza avanti accennata, e la circostanza che le righe spostate per effetto Doppler nei gas rarefatti sono sempre molto sfu- mate e accompagnate da una più forte riga proveniente dai vibratori fermi, fanno concludere che colle durate di esposizione da me adoperate, le quali davano per la H,, impressioni assai leggiere, lo spettrogramma di questa riga non fosse notevolmente perturbato da effetto Doppler. Invece, questo sembra essere la causa di un'aureola diffusa, alquanto oscura nei negativi, la quale per ora offusca la Hg, e che piobabilmente sì potrà eliminare abbreviando opportunamente la esposizione e variando la dispersione. 04 Gli apparecchi di polarizzazione che erano stati inseriti solo per il sospetto che vi potesse essere una polarizzazione circolare, parendomi che il campo presentasse una sufficiente dissimmetria, non hanno modificato sensi- bilmente gli spettrogrammi. Fisica. — Sv l’analogo elettrico del fenomeno di Zeeman: le varie righe di Baumer presentano diverse forme di scompo- sizione. Nota di Anronino Lo Surbo, presentata dal Corrispon- dente A. GarBASSO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Geofisica. — Dispositivo herziano per osservazioni meteoro- logiche e previstoni di temporali. Nota di A. Tosi, presentata dal Socio E. MILLOSEVICH. Un'antenna radiotelegrafica, un trasformatore di Tesla ad essa oppor- tunamente collegato ad un dezeetor riunito ad un telefono, questi ultimi applicati al trasformatore, costituiscono i principali apparati che permettono di accertare la presenza di onde herziane emesse da una stazione a portata dell'antenna. L'impiego ordinario di tali apparati è quello delle segnalazioni a distanza, la ricezione cioè di radiotelegrammi, consistente nell’assieme di rumori brevi e lunghi uditi nel telefono del delector; rumori che corri- spondono ai punti e alle linee coi quali si formano le lettere e, quindi, le parole secondo l'alfabeto Morse. (Questi rumori che si manifestano nel telefono del detector, sono gene- rati, nel caso generale, allorchè delle onde herziane, dovute a scariche oscil- lanti artificialmente, prodotte in una stazione, vengono a colpire l'antenna; ed i rumori brevi o lunghi corrispondono a scariche brevi o lunghe, create a volontà dall'operatore. 1l tòno dei rumori uditi nel telefonò dipende dalla frequenza, dai periodi dell'alternatore che si impiega per ottenere la scarica oscillante alla sta- zione trasmettente; di modo che, variando i periodi degli apparati genera- tori di onde herziane, varierà il tòno del rumore al telefono ricevitore, e potremo ottenere in esso una nota musicale, se la stazione trasmettente impiegherà un alternatore a nn tale numero di periodi che diano le vibra- zionì corrispondenti a quelle che occorrono per dare una nota musicale. Ricordiamo che il do più grave del violoncello, che corrisponde a quello più basso di un piano a sei ottave, fa 66 vibrazioni al secondo. Questa Nota, che si otterrebbe da un alternatore a 33 periodi, sarebbe troppo bassa; e, siccome, per contraddistinguere le stazioni l'una dall'altra e per essere DI, ARE sicuri di ricevere al telefono del detector i segnali herziani in qualsiasi con- dizione atmosferica, si è riconosciuta l'utilità di impiegare note musicali alte, così gli alternatori per onde herziane si fanno a partire da un numero di periodi che dia il Za del diapsor, il la della 4 ottava del piano, e più in su. Ricordando che le vibrazioni di questo /a sono circa 880, e che circa 1000 sono le vibrazioni del s7 della 4% ottava del piano, un tipo comnnissimo di alternatore radiotelegrafico è quello a 500 periodi, che dà un bellissimo s73 al telefono. Alternatori a 1000 periodi dànno il s? del- l'ottava sopra (s6,) molto acuto. Un semplice dispositivo permette di variare le oscillazioni prodotte dallo stesso alternatore: e quindi, volendo, una stazione può generare varie note musicali; fino a riuscire a far sentire a centinaia di chilometri, senza filo, sui telefoni degli apparati ricevitori, una melodia, semplice sì, ma intonatissima. Mentre l'uomo può creare delle scariche oscillanti e farle variare entro limiti estesissimi, ottenendo come conseguenza una vibrazione dell’ antenna e la ricezione di note musicali qualsiansi al telefono del detector, la natura ci fornisce delle scariche oscillanti le quali fanno egualmente vibrare la antenna e che egualmente producono dei rumori nel telefono del detector. Queste scariche sono quelle elettriche atmosferiche, visibili od invisibili, le quali però sono a bassa frequenza; e la loro presenza è manifestata, al tele- fono del defector, con un rumore sempre molto grave, completamente diverso da quello della nota musicale radiotelegrafica. Di conseguenza, se una sta- zione radiotelegrafica riceve un radiotelegramma mentre l'atmosfera è carica di elettricità, si udiranno contemporaneamente, al telefono, rumori di tonalità completamente diversa i quali $i percepiranno distintamente gli uni dagli altri. Se quindi una stazione meteorologica è munita di un'antenna e di un apparato ricevente radiotelegrafici, l'osservatore sarà sempre in grado di co- noscere, anche in condizioni di tempo apparentemente calmo, se l’atmosfera è carica o no di elettricità, e così avere segni precursori di prossimi uragani. Però l'antenna ordinaria ad irradiazione circolare, usata in radiotele- grafia, non risolve esaurientemente il problema, giacchè essa percepisce uni- formemente le scariche da qualsiasi punto esse provengano; il che fa sì che il telefono del detector ci accuserà la presenza di scariche atmosferiche, senza però poterci dire la direzzone in cui esse si manifestino, mentre la cono- scenza di ciò è di somma importanza per gli scopi meterologici. Ad ottenere tale desideratum, si presta in modo pratico ed esatto un semplice dispositivo basato sull'impiego, nelle stazioni meteorologiche, di una antenna a circuito oscillante chiuso, di forma poligonale qualsiasi, conte- nuta in un piano verticale: antenna dirigibile, la quale, come si sa, ha la pro- prietà di oscillare al massimo, secondo il suo piano, e nulla rigorosamente wisg = nel piano perpendicolare. Questa antenna speciale, convenientemente unita al detector dà quindi ricezione o ricezione massima al telefono allorchè essa è orientata nella direzione da cui provengono le scariche, mentre nessun rumore è percepito al tetefono quando è orientata nella direzione perpendi- colare; in altre parole, messo il telefono all'orecchio, facendo lentamente rotare l'antenna fino ad avere ricezione o ricezione massima, l’'orientazione dell'antenna che dà tale ricezione indicherà la direzione da cui provengono le scariche atmosferiche. Fic. 1. Il dispositivo più semplice è dato da un'antenna costituita da un con- duttore di rame piegato a forma di rettangolo, giacente in un piano verti- cale, isolato, reso rigido in modo che possa rotare attorno alla mediana (fig. 1). Gli estremi // di tale antenna sono fissati agli estremi pp del primario di un trasformatore mediante uno speciale contatto, a mercurio 0 di altro tipo, che permetta la rotazione degli estremi dell'antenna; il pri- mario del trasformatore è interrotto al centro da un condensatore variabile K. Al secondario SS del trasformatore sono collegati i soliti apparati di rice- zione telefonica, il cui complesso si indica con R. Se quest’antenna, girevole attorno al suo asse, viene rigidamente col- legata, debitamente isolata, all'apparato rotante che serve ad indicare la direzione del vento, l'osservatore, notando l’orientazione dell'antenna e met- tendo il telefono all'orecchio, conoscerà la direzione del vento e la presenza di scariche atmosferiche in quel piano, se ve ne sono (?). (') Il dispositivo può essere, naturalmente, anche indipendente dal mostravento. Sr L'antenna rotante, di cui sopra, non può avere grandi dimensioni; ma, data la potenza delle scariche oscillanti atmosferiche, anche in scala limitata tale antenna permetterà di conoscere l’esistenza di scariche atmosferiche a distanze rilevanti, quando esse non sono percettibili nè all’occhio nè allo orecchio dell'osservatore. Se poi l'osservatorio deve essere munito di un dispositivo il quale possa far conoscere a centinaia di chilometri la presenza e la direzione di sca- riche atmosferiche, allora la sistemazione da usarsi è la seguente: Tenendo presente che, nella pratica, quello che occorre è la conoscenza o la previsione di venti o di temporali dai quattro punti cardinali e dai quattro intercardinali, in luogo di un'unica antenna mobile attorno al suo asse, se ne sistemeranno quattro fisse, come ora viene indicato: Le quattro antenne ognuna costituita da un filo di rame di una forma poligonale qual- siasi, sono tutte rigorosamente eguali l'una all'altra, contenute ognuna in un piano verticale, angolarmente equidistanti, simmetriche ognuna rispetto all'asse verticale che le divide in due parti e i quattro assi di simmetria si confondono in uno solo. Per quanto precede, dando ad ogni antenna la forma p. es. di un triangolo o di un rettangolo, il complesso delle quattro, isolate l'una dall'altra, formerà le costole di una piramide retta o di un prisma retto a base ottagonale. Le quattro antenne sono orientate nei piani N-S, E-W, NE-SW, NW-SE. Il primario di un trasformatore, interrotto al centro da un condensatore, ha i suoi estremi fissati su una coppia di contatti, diametral- mente opposti, che possono rotare nel senso dell’azimut; questa coppia di contatti scorre a dolce frizione sulle coppie di estremi delle antenne, in modo tale che una sola antenna per volta possa essere unita al primario del trasformatore. Il secondario del trasformatore è identico a quello prece- dentemente indicato. Ciò posto, per riconoscere se vi sono scariche atmosferiche ed in quale direzione, l'osservatore metterà il telefono all'orecchio e farà rotare il con- tatto mobile del primario del trasformatore sulle coppie di estremi delle antenne fino a percepire rumori o i massimi al telefono. L'orientamento della antenna che, a contatto col primario, ha permesso la ricezione dei rumori al telefono, indicherà la direzione da cui provengono le scariche. Nei due tipi di dispositivi descritti, un commutatore che permette di mettere a terra separatamente l’uno o l'altro estremo del primario del tras- formatore, isolando contemporaneamente l'estremo di antenna unito all’estremo del primario messo a terra, farà conoscere il senso da cui provengono le scariche; giacchè le antenne a circuito chiuso irrradiando nel loro piaro, vi sarebbe eguale ricezione al telefono tanto se le scariche venissero da N, quanto se venissero da S, p. es., e vi sarebbe il dubbio, senza il commu- tatore anzidetto. La differenza di suono nel telefono, a seconda che è isolato l'estremo anteriore o quello posteriore dell'antenna, permette di conoscere il RenDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 12 mago — senso delle scariche; avendosi suono più forte allorchè è isolato l'estremo opposto al senso delle scariche. I dispositivi descritti, semplici come parte aerea e come istrumenti her- zianìi, sono poco ingombranti e di poco costo. Essi rappresentano la riunione di cose note formanti un tutto che risolve un problema nuovo e di grande importanza per la meteorologia, quale è quello di conoscere con molto anti- cipo l'approssimarsi di temporali e la loro provenienza; il che non permettono sempre di conoscere i mezzi di cui finora dispongono gli osservatori meteo- rologici. : Ben lieto se questa mia Nota porterà ad una installazione di prova in un osservatorio, mi metto a disposizione per collaborare alla sistemazione del dispositivo per la migliore riuscita. Chimica-fisica. — La tensione superficiale e l’ idratazione in soluzione (*). Nota di M. PaDoA e G. TABELLINI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. La questione dell’associazione fra solvente e corpo sciolto, per quanto sia stata attaccata con mezzi varî, può dirsi ancora controversa, almeno dal punto di vista quantitativo. Mendelejeff (?) ammise che le molecole intere potessero dare un certo numero di idrati, ben definiti, ed in generale con poche molecole d'acqua. Appena sorta la teoria della dissociazione elettro- litica, Ciamician (*) ebbe primo l'idea della idratazione degli ioni, che, come egli dice, doveva sorgere quasi come conseguenza della teoria della disso- ciazione. Nei tempi più recenti, fra i più caldi fautori di una teoria degli idrati, troviamo Washburn, l’Armstrong e collaboratori, e soprattutto il Jones (4) che vede nelle deviazioni dalle leggi delle soluzioni diluite, nelle anomalie del- l'assorbimento della luce, ed in altri fenomeni, altrettante prove rigorose del- l'idratazione di molecole e ioni sciolti, non solo, ma vuol trarne deduzioni quantitative, calcolando il numero di molecole d'acqua combinate nei varî solvati. Non occorre dire che questi risultati quantitativi variano assai secondo il metodo seguìto; così mentre Jones (*) trova, in base ai punti di congela- mento, che in una soluzione circa !/, molecolare di bromuro di litio ogni (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bologna. (£) Zeitschr. fiùr Physik. Chemie (1887), 1, 273. (3) Questi Rendiconti, 1891, I, 16. (4) Vedi ad es. Am. Chem. Journal, 23, 89 (1900) (Jones e Chambers); Jones, Journal de Chimie Physique (1905), 455; (1912), 217. i (5) Journal de Chimie Physique (1903), 489. do oe molecola del sale è associata con 17,8 molecole d’acqua, Riesenfeld e Reinhold (!) da misure della mobilità degli ioni e di numeri di trasporto trovano che, a diluizione infinita, ogni ione litio trasporta 150 a 158 mo- lecole d'acqua ed ogni ione bromo 20, talchè ogni grammimolecola disso- ciata dovrebbe assumere circa 170 molecole d’acqua. Neppure la considera- zione che i dati del Jones si riferiscono ad una soluzione non diluitissima, bastano a giustificare l'enorme diversità dei risultati; si consideri del resto che alla concentrazione detta, il sale è dissociato per */, e quindi non molto lontano dalla condizione limite. Si noti ancora che secondo il Jones lidra- tazione in soluzione talvolta aumenta e talvolta diminuisce coll’aumentare della concentrazione, e talvolta ancora presenta un massimo ad una certa concentrazione, mentre secondo Riesenfeld e Reinhold l' idratazione massima sì ha sempre a diluizione infinita. Ma forse la grande diversità dei risultatî ha in parte la sua ragione nella natura stessa del fenomeno per la grande instabilità dei complessi idrati, e forse non vi ha un altro ordine di fatti in cui si debba rimanere maggiormente incerti fra la qualità fisica o chi- mica dell'attrazione esercitata fra le molecole del solvente e quelle del corpo sciolto. Certamente l'esistenza di sali cristallizzati con un numero più o meno grande di molecole d’acqua parla in favore dell’esistenza di veri composti anche in soluzione, almeno per ciò che riguarda alcune delle mo- lecole di solvente congiunte a quelle disciolte. Se però si considera che la stabilità di molti composti (corpi racemici, composti fra metalli ecc.) è quasi completamente legata allo stato solido, viene fatto di pensare che nelle so- luzioni il numero di molecole di solvente così combinate non debba essere tanto grande come certi calcoli potrebbero far credere. Il fatto che gli ioni nel migrare attraverso il solvente ne possano trascinare una forte quantità, non sembra costituire una prova che tutte le molecole di solvente trascinate siano veramente combinate. Un'altra questione strettamente connessa a quella degli idrati in solu- zione è la seguente: in qual misura il potere d’idratazione competa ‘alle molecole intere ed agli ioni. Nessuno può dubitare che l’idratazione sia pos- sibile in entrambi; ma sembrerebbe che i più volessero ammettere che la tendenza a combinarsi col solvente fosse maggiore per gli ioni. Tuttavia vi sono certe esperienze le quali farebbero piuttosto pensare, secondo il nostro avviso, ad un potere d’'idratazione uguale: il colore delle soluzioni di clo- ruro e bromuro di rame e di cobalto (*) non varia sensibilmente coll’ag- (*) Zeitschrift fir Physik. Chemie (1909), 66, 672. (3) Lewis, Zeitschrift fiir Physik. Chemie, 52 (1905), 224; 56 (1906), 223. Vedi anche Washburn, Aydrates in solution (1909), 66, 513. Che il colore delle soluzioni non abbia a che fare con la ionizzazione, almeno nella più parte dei casi, come voleva Ostwald, lo ha fatto notare per primo Magnanini (Gazz. Chim. ital., 1893; vedi anche Mem. KR. Acc. Scienze Modena, 1912). Ciò è stato confermato poi in modo esauriente dai recenti lavori di Hantzsch (vedi ad es., Berichte, 1911, 44, 1783). eo giunta di sali contenenti rispettivamente ione cloro e ione bromo; varia invece se il corpo aggiunto è avido d'acqua, e ciò indipendentemente dalla qualità e dal grado di ionizzazione. Le variazioni di colore sono dunque dovute almeno in gran parte a variazioni nel grado d’idratazione, e su quest'ultima, come sul colore, non avrà dunque influenza la retrocessione della dissociazione prodotta da un eccesso di un ione comune. Finalmente, di un'altra proprietà dei solventi non ci sembra abbiano tenuto conto tutti gli autori che si sono occupati di questo argomento: e cioè dell'associazione. Non può negarsi che la polimerizzazione del solvente possa avere un'influenza nelle sue relazioni col corpo sciolto, e ciò, sia che si consideri la questione dal punto di vista della mole dei complessi for- mati, sia che si voglia indagare l'origine delle variazioni di contenuto di energia durante la soluzione. Ora il solvente più comune, l'acqua, è indub- biamente polimerizzato; e ci sembra, in accordo in questo con H. E. Arm- strong ('), che le molecole del corpo che si scioglie, per combinarsi con l'acqua, debbano prima di tutto depolimerizzarla; avvenuto ciò, non è detto che non si possano formare anche dei grossi complessi, ma intanto bisogna por mente al fatto, che se si considera, ad esempio, l'acqua in condizioni usuali come costituita in media da complessi (H,0); per arrivare nelle so- luzioni ad un grado d'’assoctazione medio uguale a quello del solvente puro, bisogna che ogni molecola o ione del corpo sciolto assuma qualche molecola semplice d'acqua. Misure di tensione superficiale sopra delle soluzioni acquose sono state fatte in precedenza da Quincke (?), Traube (5), Buliginsky (4) ed altri; sopra miscele di acqua ed alcool sperimentò Grunmach (?) e sopra soluzioni saline in alcool Cederberg (°). Inoltre Whatmough (?) determinò il valore della ten- sione superficiale in molte miscele binarie. Le costanti di Eotvòs vennero determinate per soluzioni acquose di cloruri, solfati e nitrati da Grabowski e Paun secondo i quali il grado di associazione non varia nel processo di soluzione; altre determinazioni sono dovute a Zemplèn (8) secondo il quale devesi tener conto della dissociazione dei sali sciolti. Più interessanti per noi sono alcune misure di Linebarger (°) sopra soluzioni acquose di acido solforico, dalle quali 1A. conclude che si ha forte associazione. (1) Chemical News, 29, 28. (£) Poggendorf Ann., 160, 565 (1877). (®) Journal f. Prakt. Chemie, 27, 197 (1885). (4) Poggendorf. Ann., 134, 440. (5) Annalen d. Physik, 28, 1018. (6) Journal de Chimie Physique, 1911, 3. (*) Zeitschrift fiir Physik. Chemie 39, 129. (8) Ann. d. Physik. 20, 873, 22, 390. (°) Centralblatt 1900, I, 580. SARO] Il metodo di misura da noi adottato è quello di Morgan e Higgins (?) .che ha dato buoni risultati anche a M. Padoa e F. Bovini (?) nelle misure riguardanti i racemi liquidi ed i relativi componenti attivi, che vennero poi confermate perfettamente da altre misure compiute, forse nello stesso tempo, e certamente senza sapere delle nostre, da Duncan Mitchell e Clarence Smith (*) sulle medesime sostanze, col metodo dell’ascensione capillare. Il metodo Morgan consiste nella determinazione del peso delle goccie che si staccano dall’estremità di un tubo di vetro di forma e dimensioni opportune. In realtà si misura, per mezzo di un lungo capillare preventiva- mente tarato, il volume di ogni goccia, e, per mezzo della densità data da un picnometro, il peso delle goccie. Tutto l'apparecchio deve essere chiuso ed immerso in un termostato, che in questo caso sarà un grande recipiente di vetro. L'agitazione dell’acqua si può fare con un molinello ad aria calda ; noi abbiamo anche pensato di sospendere il molinello sopra il recipiente per mezzo di scatole a sfere come si usano per le biciclette, e ciò per evitare l’ingombro di un albero che discenda in fondo al recipiente ed il pericolo che il peso possa romperlo. Dopo aver costruito un apparecchio adatto con un tubo d’efflusso del diametro esterno di circa mm. 6, abbiamo verificato il suo funzionamento sopra un liquido a comportamento conosciuto, cioè il benzolo. I risultati sono 1 seguenti: Temperatura Lunghezza del capillare Peso della goccia K corrispondente a 1 goccia (mm.) ME. 20° 35,5 31,169 30 34,5 { 29,592 no 40 33,5 28,078 i Da questi si calcola una costante media K = 2,64 che corrisponde molto bene al valore di Morgan (4) K = 2,57. Ciò posto siamo passati al solvente che più c' interessava, l’acqua: Temperatura Lunghezza del capillare Peso della goccia K corrispondente a 1 goccia mg. 20° 77,4 77,262 30 76,3 75,064 na 40 75,3 72,984 1.83 50. 74,3 70,847 ; (*) Zeitschrift fiùr Physik. Chemie, 64, 170. (9) Vedi F. Bovini, Sull’esistenza dei racemi allo stato liquido, tesi di laurea (1912). (*) Journal of the Chemical Society (1913), 489. (4) Zeitschrift fir Physik. Chemie, 63, 163. de 199 — Il valore medio è K = 1,35; esso è soddisfacente se si considera che per mezzo dell’ascensione capillare altri autori dànno un valore medio di 1,12, e che i valori ottenuti con le goccie sono sempre un po’ più elevati di quelli ottenuti con l’altro metodo. In seguito noi abbiamo eseguito delle misure sopra soluzioni mono- e triplomolecolari di cloruro ammonico; con soluzioni monomolecolari di cloruro di cobalto; con soluzioni monomolecolari di bromuro di sodio; con soluzioni monomolecolari di cloruro di magnesia e finalmente con soluzioni mono-, bi- e triplomolecolari di acido cloridrico (*). I risultati ottenuti sono i seguenti: Temperatura Lunghezza del capillare Peso delle goccie K corrispondente a 1 goccia in mg. (2.08 80,0 83,632 1 30 79,8 81,848 i RO 40 78,5 80,004 neo eo 50 708 78,282 20 79,9 81,194 5: \ 30 78,3 78,542 a SI 40 76,7 75,975 e vi 50 75,2 73,519 III | 30 78,5 86,180 Ur Co CI, 40 77,3 83,846 171 sol. N. 50 76,1 81,522 IV (080 79.4 83.128 1.50 NaBr 40 78,3 TEO 1,44 Sg NARO 77,8 78,712 V \ 30 23,0 80.362 N65 MgCI, 40 21,4 COS 1,62 SON GRIP, 20,8 75,769 VI \ 30 23,5 80,884 1,20 HCl 40 23,0 79.059 1.17 sol. N. Î 50 22,5 70,207 i, 30 23,0 80,444 ;73 a \ 40 DR 79,342 o a ; ; ( 50 29,9 77.932 : SO 22,4 79,828 LS 40 22.1 i 78,690 sa TALE 21,8 77,590 } (1) Si noti che non potemmo ottenere, per cause non determinate, risultati costanti . e DON È SARO con soluzioni 2 N e 4N di NH,Cl; con soluzioni 9 N,2N,3N di CoCl,, con soluzioni 2N di NaBr ed MgCla, con soluzioni di H CI oltre il triplonormale. Così pure non si prestarono alle misure il cloruro d'alluminio, l’allume, gli acidi bromidrico e iodidrico. Sy 06; I gruppi V e VI di misure furono esegniti con un apparecchio diverso da quello impiegato in precedenza. Ogni dato è la media di molte misure. Il valore della costante K è calcolato mediante la formula die (E r(- Pi di Ha mer; dove p e p, sono i pesi delle goccie (*) alle temperature £ e 1, d e d, sono le densità delle soluzioni a quelle stesse temperature, ed M il peso mole- colare medio del liquido. Solitamente, trattandosi di un solvente puro, M 2 sarebbe il peso molecolare del solvente stesso, il ed il volume ed lan): la superficie molecolare. Noi abbiamo creduto lecito estendere il concetto di superficie molecolare anche ad una miscela liquida, e perciò in luogo del peso molecolare del solvente abbiamo introdotto il peso molecolare medio, ottenuto prendendo in considerazione i numeri di molecole e le grandezze molecolari del solvente e del corpo sciolto. Si noti però che questa variazione non implica, per soluzioni poco con- centrate come le nostre (nei riguardi dei rapporti molecolari), che piccole differenze nei valori di K; e se si volesse obbiettare che la superficie di una soluzione potrebbe essere costituita da puro solvente, si può mostrare facilmante che mantenendo ad M il valore del solvente, K varia assai poco; così nel gruppo I scenderebbe soltanto da 1,24 a 1,155 (?). Ed ora veniamo a considerare i risultati; nel gruppo 1 abbiamo per soluzioni monomolecolari una costante leggermente superiore a quella dell’acqua, e per soluzioni tri- molecolari una costante leggermente inferiore, ciò che starebbe ad indicare che nel primo caso sarebbero combinate poche molecole d'acqua, e che la associazione si farebbe più sensibile nelle soluzioni triplomolecolari, così da formare complessi di mole un po’ maggiore di quelli dell’acqua pura. Nei gruppi II, III e IV abbiamo ottenuti con soluzioni monomolecolari valori di K leggermente più alti di quelli dell'acqua, ciò che starebbe ad indicare una limitata associazione fra solvente e corpo sciolto, per quanto (1) Si noti che il peso delle goccie indica direttamente il valore relativo della ten- sione superficiale, riferendosi naturalmente ad un medesimo apparecchio di deflusso; essa ci risulta, come ai precedenti sperimentatori, superiore per le soluzioni rispetto al sol- vente puro. (£) Guye, in una recente pubblicazione [Journal de Chimie Physique (1911), 505], sostiene che non si può dar fede alle misure della tensione superficiale nei riguardi della costituzione interna di un liquido; in altri termini, un composto che può esistere all’in- terno, potrebbe non esistere, secondo Guye, alla superficie, o viceversa. Noi crediamo che ‘ per giudicare su tale questione occorrano degli studî piezochimici; in ogni caso sarà sempre interessante accertare lo stato molecolare alla superficie dei liquidi. Ml 94 riesca difficile comprendere da qual causa provengano gli aumenti nei va- lori di K rispetto all'acqua. I migliori risultati, secondo il nostro avviso, li abbiamo ottenuti nel gruppo V con soluzioni di acido cloridrico; risultati che crediamo ci auto- rizzino a dare alle misure di tensione superticiale il valore di un criterio, almeno qualitativo, per giudicare della quantità di solvente combinata” al soluto. È indubitato che l'acido cloridrico si combina con l’acqua: la sua grande solubilità l'innalzamento del punto d’ebullizione rispetto all’acqua, l'assenza di proprietà acide in soluzioni non acquose, ne sono altrettante prove. Ora ciò è rivelato chiaramente anche dai valori di K che per solu- zioni normali sono di 1,17 a 1,20, per soluzioni doppio normali variano da 0,73 a 0,93 e per soluzioni triplonormali da 0,72 a 0,73. Per quanto noi sappiamo, non sono mai state trovate per altri liquidi, costanti così basse, che indicano fortissima associazione. Dalla diminuzione, prima rapida, poi più lenta dei valori di K sembra si possa arguire che nelle soluzioni triplo normali il massimo dell'associazione è quasi raggiunto; si noti che il rap- porto molecolare corrispondente è per soluzioni normali 1 H C1:54,3 H.0; per soluzioni doppio normali 2 HCl:53,2 H,0; e per soluzioni triplo nor- mali 3 HC1: 52,2 H,0. Le presenti esperienze non ci hanno dato risultati esaurienti, sia perchè non tutte le sostanze prese in esame si prestavano a misure con questo metodo, sia ancora perchè le misure stesse non potevano estendersi entro larghi limiti di concentrazioni. Tuttavia ci sembra che i dati esposti sieno tali da rendere abbastanza promettente un'estensione delle ricerche in questo senso. Chimica fisica. — Solubilità e attività. Nota di G. PELLINI e A. CoPPOLA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Sogni Chimica-fisica. — Calori di combustione di sostanze fototrope. Nota di M. Papoa e B. ForEstI('), presentata dal Corrispondente G. CIAMICIAN. Per l'incertezza che regna tuttora sulla natura delle trasformazioni fototropiche, non ci è dato di fare a prior: previsioni sulle variazioni del contenuto di energia che potrebbero verificarsi durante tali trasformazioni; tuttavia, la prontezza con la quale la luce provoca le modificazioni di colore, in parecchie sostanze sensibili, faceva pensare che il lavoro eseguito in queste trasformazioni dovesse essere minimo. Poichè per ispiegare la fototropia sembra si debba ricorrere a feno- meni di polimerizzazione o di isomerizzazione, è bene citare alcuni degli esempî più importanti in cui sono state osservate delle differenze nei calori di combustione. Così, per un gr. delle seguenti sostanze sono stati ottenuti i seguenti sviluppi di calore (?): calcolato differenza Alcoolipropilico gag Soa Alcool isupropilico . . . . 8222 ) Di Metimibrile fee e 76/388) 157 Menisontrl ei. 7770008) A70SSibenzol0 ee. 77/2000) p-Ossiazobenzolo . . . . . 7619 \ LUO Eusenologgrnags anne. 784050) JSGCUPEIOIO RE O. 773000) % c-lonone gg n e FOOL Polonon esere. 957 22 Nitrito di etile . . . +. . 4456 Niitroetanoaeniansse i 4500 i 50 Etere a-formilfenilacetico . . 6868,3 ) Etere 8-formilfenilacetico . . 6851,9 |) 16,4 Circa l’etere formilfenilacetico (3), bisogna osservare che la forma @ è liquida, mentre la $ è solida: e quindi, per confrontare i due dati termici, occorre aggiungere al calore di combustione di quest'ultima il relativo calore di fusione. Questo non è ancora noto: ma, osservando che, fra i corpi orga- (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bologna. (*?) Phys. Chem. Tabellen Landolt. Bornstein, 1912. Si tratta di piccole calorie. (3) Wislicenus, Liebigs Ann. 29/, 147 (1896). RENDICONTI. 1914, Vol, XXIII, 1° Sem. 13 egg = nici, quello che ha il calore di fusione minimo è il bibromoetilene (calorie 13,2 per grammo), mentre tutti gli altri presentano calori di fusione molto più elevati, e cioè circa 30 cal. come valore medio, non saremo lontani dalla realtà aggiungendo 30 cal. al calore di combustione della forma #, che è 6851,9; in tutto, sarebbero cal. 6881,9, e cioè 13,6 in più rispetto alla forma a. Più interessante per noi, dato il risultato di alcune esperienze ese- guite in questo laboratorio (') sulla velocità di trasformazione di sostanze fototrope, è il considerare i calori di combustione dell’antracene e del dian- tracene che, come è noto, possono costituire un equilibrio fotochimico (?). F. Weigert (*) ha trovato per il primo cal. 9541, e pel secondo 9500 : la differenza è piccola, considerando anche l’elevatezza di questi calori di com- bustione. Per ciò che riguarda le sostanze fototrope è noto che si è tentato, invano finora, di osservare un'emissione di radiazioni durante il processo di scoloramento. Noi ci siamo dunque proposti di misurare direttamente il valore rela- tivo del contenuto d'energia in sostanze fototrope, prima e dopo l'esposizione alla luce, eseguita a mezzo della bomba calorimetrica. L'apparecchio da noi adoperato era una bomba di Mahler con rivestimento in platino iridiato; la determinazione del valore in acqua del calorimetro venne fatta bruciando zucchero ed acido benzoico purissimi, ed i risultati da noi ottenuti sono i seguenti: Acido benzoico (cal. 6325,4) Saccarosio (cal. 3952) 330,9 333,9 335,2 332,7 333,2 336,0 Valore medio 333,2 Valore medio 334,0 La media generale ci dà, per l'equivalente in acqua, il valore 333,6. In tutte le nostre misure tenemmo conto: a) del calore di combustione del filo di ferro che serviva per l’accensione; 2) della quantità di calore svolta nella formazione di acido nitrico (cal. 227 per g.) dall’ossigeno e dall’azoto sempre contenutovi, o proveniente dalle sostanze azotate che veni- vano bruciate; c) degli scambî di calore che avvengono con l'esterno, ser- vendoci della formula di Regnault-Pfaundler che venne usata da F. Stoh- mann e C. Elaber (4) nelle loro misure sotto la forma: a (00 + În Sl e)-@-Do Soa (') M. Padoa e Teresa Minganti. Questi Rendiconti, 1913, II, 500. (*) Luther e Weigert, Zeitschrift fir physikalische Chemie, 1905 (52), 297. (3) Zeitschrift fir Physik. Chemie, 63, 458. (4) Journal fiir prakt. Chemie [1889] 518. REESo 0)77, A Z4t sarebbe la quantità di calore irraggiato, che viene poi addizionata allo sviluppo osservato nel calorimetro; v è la media differenza di tempe- ratura per ogni minuto delle osservazioni preliminari: v1 è la stessa grandezza per le osservazioni finali; 7 è la media temperatura delle prime; 7, è la media temperatura per le seconde; x è il numero delle letture termome- triche dell’osservazione principale; e d,,0, sono le temperature relative. Le letture termometriche dell’osservazione preliminare non si comin- ciavano a fare se non quando il termometro segnava incrementi di tempe- ratura di un millesimo di grado circa, uguali per ogni minuto. Per avere questo lento innalzamento della temperatura dell’acqua del calorimetro, occor- reva che quella del recipiente esterno sì trovasse ad una temperatura supe- riore di un grado circa. I. Fra le sostanze fototrope ci preoccupammo di scegliere quelle che presumibilmente potevano ottenersi allo stato puro nella forma colorata, e che non retrocedevano con velocità tale da non consentire l’esecuzione delle misure. Prima fra queste è indubbiamente la saliciliden-8-naftilamina che può ottenersi a mezzo dei solventi nelle due forme e che ha già servito ultimamente per le citate misure di velocità di trasformazione. Per garan- tirci che la sostanza fosse esente da impurità, siamo partiti da aldeide sali- cilica e naftilamina purissime, e le abbiamo fatte combinare in quantità perfettamente equivalenti; quest'ultima precauzione è necessaria soprattutto per ottenere la forma rossa, poichè questa non può venire vricristalizzata a scanso di vederla trasformarsi nella forma gialla; del resto, per ottenerla pura, nelle condizioni predette, è sufficiente di lasciare soggiornare a lungo la sostanza sotto alcool, avendo cura di tenere bene rimescolato il prodotto della reazione; quando il colore ha assunto. la sua ‘intensità massima, si filtra e sì lava più volte con alcool. Per entrambe le modificazioni avevamo il punto di fusione a 125°. I risultati ottenuti nelle combustioni furono i seguenti (?): Forma gialla Forma rossa cal. 8290,0 cal. 8291,0 » 8280,0 » 8811,9 n 8291,2 n 8278,9 » 8505,4 » 8295,8 Valore medio: cal. 8291,5 Valore medio: cal. 8294,4 La differenza è di sole calorie 2,9. II. Dato questo risultato, rimaneva da vedere se una sostanza fototropa d'altro tipo si sarebbe comportata similmente: finora non sono note altre sostanze di cui si possano isolare le due modificazioni, come per la prece- (1) I nostri dati si riferiscono tutti a calori di combustione a volume costante. a, dente: siamo allora ricorsi al fenilidrazone della benzaldeide {opportuna- mente purificato), che può essere colorato alla luce in modo per noi prati- camente stabile. Ecco i risultati termici che da esso abbiamo ottenuti: Forma stabile all’oscuro Forma stabile alla luce cal. 8674,2 cal. 8663,4 » 8661,2 » 8654,9 n 8664,8 » 8661,0 » 8663,4 » 8665,4 n 8676,4 » 8687,0 » 8673,4 » 8683,0 Valore medio: cal. 8668,8 Valore medio: cal. 8669,1 Anche qui la differenza è minima: 0,3 calorie. Queste differenze sono imputabili ad errori di misura, i quali, per quante precauzioni si prendano, sono sempre superiori assai alle differenze da noi ottenute; per citare un parere autorevole in proposito, ricordiamo che il Nernst (*) non ritiene sicura neppure la differenza, riscontrata dagli autori, di 57 cal. per grammo fia l’acido maleico ed il fumarico, per quanto ammetta che, per un medesimo sperimentatore, l'errore possa essere ridotto. Comunque sia, è certo che oggi- giorno i chimici si trovano di fronte a trasformazioni di cui il valore ener- getico non è apprezzabile coi mezzi di misura, ancora grossclani di cui dis- poniamo: e così probabilmente avverrà per le numerose sostanze cromoiso- mere che oggi si conoscono. Cristallografia. — Bourmonite della miniera di Brosso (Pie- monte) (2). Nota di E. GRILL, presentata dal Corrispondente FEDERICO MILLOSEVICH. Debbo alla squisita e ben nota cortesia del capitano Alberto Pelloux, appassionato collezionista e valente mineralogo, al quale esprimo anche qui tutta la mia viva riconoscenza, l'aver potuto studiare alcuni buoni cristalli di bournonite, provenienti dalla miniera di Brosso e raccolti dal Pelloux stesso in una faglia del cantiere Fortune. In Italia, com'è noto, la bournonite in distinti cristalli è piuttosto rara. Finora è stata trovata solo in alcune poche località: A val di Castello (Pietrasanta) [vedi, A. D’Achiardi, Boll. R. Comm. geol. ital., pag. 164 (1871); Mineralogia della Toscana, II, pag. 335 (1873); U. Panichi, Rend. (®) Theoretische Chemie, VII ediz. (1913), 632. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto di mineralogia di Firenze. 0g, R. Accad. d. Lincei, vol. XIX, pag. 690 (1910)]; al Sarrabus (Sardegna) [vedi, F. Millosevich, Rend. R. Accad. d. Lincei, vol. XV, pag. 457 (1906)]; quindi mi è sembrato non privo d'interesse il far conoscere la paragenesi e l'abito dei cristalli di questa nuova località. È anche noto che in Piemonte la bournonite in stato cristallino venne trovata già da parecchio tempo in diversi luoghi (vedi G. Jervis, / desori sotterranei dell’Italia: regione delle Alpi, 1373): a Gravere (Val di Susa), insieme con galena; a Ceresole Reale, con tetraedrite; a Testa della Deserta e Sutore presso Noasca (Val Locana), con pirite e tetraedrite; ad Antey St. Andrè (Val Tournanche), con calcopirite e galena; e ancora, sempre secondo Jervis, a Brosso, con pirite e calcopirite. La bournonite di questa ultima località, mandatami dal Pelloux, si pre- senta sopra una ganga di quarzo ove è accompagnata, oltrechè da pirite e calcopirite, anche da cristalletti di quarzo, galena, mesitina e dolomite. La maggior parte di essa è in masserelle cristalline, con lucentezza sub-metal- lica alquanto iridescente; in veri e proprî cristalli d'una lucentezza metal- lica vivissima sì trova soltanto in alcuni punti, meno compatti, della ganga quarzosa. I cristalli sono relativamente piccoli, con la maggior dimensione per lo più inferiore ai 2 mm.; e si presentano con un abito generalmente tozzo, alquanto irregolare e complesso. Tale complessità è dovuta alla associazione di due o più individui uniti parallelamente fra loro oppure in geminazione, nonchè alla distorsione delle facce. Anche nei singoli individui l'abito non è mai tabulare, conservando esso in tutti una tendenza più o meno marcata alla forma prismatica quasi isodiametrica o con una maggior dimensione secondo l’asse [2]. Le forme osservate sono le seguenti 18: a}100f = mji10} = ojlolt = »io1lf y{I11} 5j010f} = ej210f 41024 u}112} . c}001f ‘4320 93221! f}120t v}211} 94430} 032121 K}540} 0}121| Relativamente ai cristalli di bournonite italiana, quelli di Brosso risul- tano, fino ad oggi, i più ricchi di forme. Infatti al Sarrabus (loc. cit.) ne furono osservate 9, cioè: a, d, c, m, l, n, y, u, 0; e a Val di Castello (loc. cit:) 14; cioè: 4, 0,,6,,1, 6, f,9, 0,0, 0, #,4,%, 8; tra le quali la piramide sj212} e il prisma verticale 03340}, non trovate, per ora, nè al Sarrabus, nè a Brosso. — JM Delle combinazioni, riporto solo le seguenti, poichè vennero osservate su cristalli semplici: l)acmyouax 3 VAT OO TOBAIO. s)onbuaelmK%® gf y. Le forme vi sono ordinate secondo il loro sviluppo decrescente, e quindi si può subito constatare che il pinacoide c{001} non è mai la forma domi- nante. Manca perciò l'abito tabulare vero e proprio, così ben marcato invece per i cristalli dei giacimenti di Val di Castello e del Sarrabus. Nella 3% com- binazione, detto pinacoide non esiste, e il cristallo ove fu osservato è depresso e quasi come appiattito (vedi fig. 1) secondo le facce di 03101} e di 7}011}. Fic. l. Un tale abito sembra rarissimo nella bouruonite in genere, infatti nei moltissimi. (se pur non in tutti) cristalli fin qui studiati, compare sempre la forma c}001} più o meno sviluppata, come risulta anche dai numerosi di- segni raccolti nell'Atlas er Arystallformen von Victor Goldschmidt, Heidelberg 1913, Bd. I, Tafeln 219-230, fig. 1-174. Del resto, la stentata formazione di c}001} anche negli altri cristalli di Brosso sembra già accennata dall'aspetto fisico delle facce del pinacoide basale, le quali si presentano sempre poco lucenti e poco piane per una leggera ondulatura che ne deforma e talvolta maschera completamente le immagini luminose. Tutte le altre forme hanno invece facce piane, liscie, speculari, dalle quali si ottengono buone misure. Solo il prisma verticale 724110} si presenta per lo più striato parallelamente all'asse [4]: e ciò è dovuto, nel maggior numero dei casi, ad una associazione di più cristallini uniti fra loro in com- binazione oscillatoria. iS EOS Togo TO EROTSOSTAa TT TRENTA (Si — 101 — Nel quadro seguente sono riportati tutti i valori angolari da me osservati : ANGOLI :0 = (100) (101) :% = (100) (102) :Z = (100) (320) :e = (100) (210) :u = (100) (112) :y=(100) (111) :m= (100) (110) :c =(100) (001) :9 = (100) (430) :f =(010) (120) :m= (010) (110) :K= (010) (540) :8 =(010) (480) :1 =(010) (320) se =(010) (210) :m = (010) (011) :m=(001) (110) :y = (001) (111) :u = (001) (112) :m= (110) (110) *Z =(110) (320) :e = (110) (210) :y =(110) (111) su = (110) (112) :g = (110) (221) :& =(101) (102) :0 =(101) (213) :0 = (101) (211) :n=(101) (011) :v =(210) (211) :0 =(210) (213) f:0 =(120) (121) su=(111) (112) Valori calcolati Differenza N. | Valori estremi Medie |a:b:c= 0,93797:1:0.89686|fra media (Miller) e calcolo 4 | 46°17°- 46°12” | 46°14" 46°17" — 39 2 | 6430-6426 | 6428 64 27 + 1 2 | 8150-3146 | 3148 32 1 — 28 Il —_ 24 52 25 8 — 16 1 —_ 66 26 66 26 0 2| 5483-5481 | 5432 54 331/a — 1!/ 4| 4324-4380 43 12 43 10 + 2 1 — 89 50 90 0 — 10 2| 3513-8511 35 12 35 8 + 4 1 — 28 10 284 + 6 1 —_ 46 55 46 50 + 5 2 | 5240-5220 | 5230 587 — 37 1 —_ 04 54 54 52 + 2 8 | 5753-5745 | 5761 57 59 — 8 l —_ 64 35 64 52 — 17 3 | 487 -484 48 6 48 6°/4 — 0°%/ 1 —_ 89 55 900 — 5 1 = 52 58 52 40 — 17 1 — 32 58 38 15 — 17 6| 8620-8612 | 86 18 86 20 — 2 2| 1125-1122 11 23!/, 119 + 14!/s 1 —_ 17 45 18 2/a — 17!/s 3 | 3719-3722 379 87 20 — 11 3 | 5642-5630 | 56 40 56 45 — 5 Il — 20 56 20 521/a + 3'/a 1 — 18 20 18 10 + 10 1 — 17 40 17 58!/, — 18!/, 3| 2925-2983 299 28 59 + 10 2 | 5731-57 29 57 80 57 27 + 3 2 2522-2518 | 25 20 25 20 0 1 — 54 57 54 51 + 6 2| 268 - 264 26 6 26 12 — 6 1 — 19 25 19 25 0 — 102 — Dei 63 spigoli misurati, solo alcuni si scostano di parecchi minuti primi dal valore teorico: e ciò è dovuto o alla imperfezione delle facce, o alla loro piccolezza; tutti gli altri concordano abbastanza bene con i valori calcolati dalle costanti di Miller per la bournonite di Cornovaglia. Infatti, 23 medie su 33 non differiscono più di 10' dai valori teorici: e, di queste, molte dif- feriscono anche assai meno. Nella colonna delle differenze del quadro pre- cedente risulta, ancora, che le medie hanno una leggera tendenza a mante- nersi inferiori ai valori ottenuti col calcolo. Rates 2 Salvo i tre cristalli di cui ho riferito più sopra le combinazioni ceri- stalline, e alcune scheggie di cristallo che mi hanno pure servito per la misura di alcuni angoli, tutti gli altri cristalli si presentano multipli per associazione parallela, per geminazione, o per l'una e l’altra assieme. La geminazione avviene sempre secondo una faccia di wj110}: e con l'unione di altri cristalli paralleli al primo individuo o al secondo, si ha un complesso alquanto rotondeggiante o leggermente cuneiforme (fig. 2), Non ho osservato complessi con la ben nota e caratteristica forma a croce o a stella o a ruota dentata (i Radelerz di Kapnik in Ungheria). Nella fig. 2 ho disegnato una delle geminazioni di Brosso. Si vedono 3 cristalli, di cui 2 più grandi uniti fra loro parallelamente e geminati col 1° secondo la legge comune. Il complesso dei 3 individui presenta le seguenti forme: 001} {100} {010} 101} {110} {120} {112 {111} }121} {320} {210} {221} 4111} {213} {211} {102}. Anche qui la faccia (001) è ondulata e poco lucente, mentre tutte le altre, all'infuori di (110) e (112) fortemente striate, sono lucidissime e dànno quindi delle buone immagini. Per decifrare il complesso in questione, misurai i seguenti angoli cal- colati sempre in costanti di Miller: COOKO= inse alles SO (100) (120) 3150 » 3144 (100) (110) = » 5050 » 5030 (100) (100) = » 949 » 9340 — 103 — (100) (210) = mis. 119°10' cale. 118°48' (100) (320) = » 12583 » 125 4l (100) (II10)= » 13655 » 136 50 (101) (011) = » 39 ’ 31 (€01) di) = 132000 n i82012 Dal calcolo, le facce (320) e (120) risultano fra loro parallele: e, infatti, anche alla misura, esse sono tali, dando, assieme, un'immagine unica, nettis- sima. L'individuo posteriore, cioè il 3°, non è unito in posizione esattamente pa rallela al 2°, poichè le immagini delle sue facce verticali sono alquanto spostate rispetto a quelle date dalle facce verticali del 1° e del 2° e quindi gli assi [2] fanno fra loro un piccolo angolo. Geologia. — Za penisola Valdéz, e le forme costiere della Patagonia settentrionale. Nota di G. RovERETO, presentata dal Corrispondente A. IssEL. Una esplorazione che ho fatta, per il gentile aiuto del direttore del Museo de Historia Natural di Buenos Aires, il dott. Angel Gallardo, nel mese di dicembre del 1912, della penisola Valdéz, mi ha permesso di rico- noscere che tale interessante aggetto delle coste della Patagonia setten- trionale è un grande frammento del tavolato patagonico, che gli sprofon- pamenti verticali — quelli stessi che in un’altra mia Nota, inserita in questi Rendiconti, ho invocato per spiegare l'origine della morfologia dei dintorni di Bahia Blanca e del golfo di San Matias — hanno isolato dal conti- nente; però non del tutto, perchè l’istmo che lo unisce alla terraferma, non è di formazione posteriore, ossia aggiunto, come di frequente si osserva nelle penisolette costiere, ma sì bene un residuo dello stesso altipiano, rimasto in- terchiuso fra i due grandi archi di sprofondamento cui sono dovuti il golfo Nuevo e il golfo di San Josè, i quali si interpongono fra la penisola e il continente. Questa affermazione si basa, non solo sulla forma singolare di questi golfi o, meglio, baie, che sono semicircolari, a fondo piatto e non eccessiva- mente profondo, circuiti da una costa a falesie; ma anche sulle condizioni morfologiche e tettoniche dell'interno della Penisola. Quivi, difatti, sì osser= vano due grandi conche chiuse, incavate interamente nel tavolato, che hanno nome di Salina Grande e di Salina Chica, la prima di kmq. 31.51, la se- conda di kmq. 22, circuite quasi interamente da versanti a picco o assai ripidi, con un fondo piatto e salino (perchè furono laghi salati ancora in tempi relativamente recenti), situato a 48 m. sotto il livello del mare; per modo che è certo che se si fosse potuta aprire una breccia nell’altipiano RenDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. JA — 104 — che le circonda, sino a dare ingresso al mare, esse sarebbero diventate baie morfologicamente identiche, salvo le dimensioni, ai golfi ora ricordati. Ora, che esse siano dovute a movimenti tettonici di sprofondamento, è facile constatarlo, coordinando lo studio delle condizioni murfologiche con quello delle strutturali: lo sprofondamento sino a 48 m. sotto il livello del mare, ha prodotto un dislivello di 118 m. in media, perchè l'altitudine media della Penisola è da caleolarsi in m. 70; però, avendosi alture che attorno alla Salina Grande raggiungono i 130 m., tale dislivello sarebbe localmente di m. 178: il salto che ne risulta non è mai vinto da una sola parete a picco, ma sì da una picco basale di 60-70 m. di altezza, cui suc- cedono pendii poco inclinati, oscuramente terrazzati a due livelli: la serie dei terreni costituenti in modo uniforme la Penisola, perchè a strati per- fettamente orizzontali, consiste in un banco affiorante, per pochi metri di altezza, alla base delle falesie (a San Josè, a Punta Norte, a Punta Del- gada), avente una fauna fossile eguale a quella che gli Ameghino hanno riscontrata nella Patagonia meridionale e che hanno provvisoriamente indi- cata con il nome di superpatagoniano, riconoscendola una facies marina del più noto santacruziano; a questo superpatagoniano, per uniformità di nomen- clatura, suggerirò di dare il nome di aonitense (da Abniken altro nome dei Tehuelches): sull'aonikense si basa in perfetta concordanza la serie degli strati entrerriani, con i fossili più caratteristici della lontana provincia di Entrerrios, ed ha una potenza di circa 60 m.: con lieve trasgressione, non sempre avvertibile, succede un cappello di strati marini e terrestri alter- nati, fra cui l’arenaria azzurra fosfatica collegata a marne gessose, e rara- mente solfifere, con strati di ghiaiuzze, da riferirsi all’araucano. In complesso si ha, quindi, una serie ainokense-entrerriana-araucana, avente in media 70 m. di spessore, che non potrebbe da sola costituire le pendici attorno alle Saline che raggiungono, in cifra tonda, i 180 m. di altezza; ma essa vi si vede ripetuta a tre livelli differenti, ben riconosci- bili per avere ciascuno a cappello la formazione araucana; per cui è indi- scutibile, e graficamente risulta chiarissimo, che le depressioni chiuse, ri- cettanti la Salina Grande e la Salina Chica, sono dovute a sprofonda- menti circolari, verticali, coadiuvati da faglie ausiliarie che hanno ridotto a gradinata la parte periferica. E se insisto molto su queste osservazioni, si è perchè assai pochi sono i casi di sprofondamenti simili che siansìi po- tuti accertare mediante constatazioni stratigrafiche. Si può all'incirca stabilire l'età di questi sprofondamenti, considerando che il più recente terreno interessato dalle faglie è l’araucano inferiore, ossia il pliocene inferiore, e, inversamente, che attorno al golfo Nuevo ho rico- nosciuto un terrazzo: del quaternario medio; per cui gli sprofondamenti sa- rebbero avvenuti, o durante il pliocene medio e superiore, oppure durante il quaternario inferiore. — 105 — Di più, se si vuol dare valore ad un fatto negativo, il quaternario inferiore sarebbe da escludersi, poichè mancano nella Penisola le ghiaie fluvio-glaciali del tehuelchense, ossia del più antico quaternario, mentre esistono sulla costa di contro, a Punta Ninfa che interchiude il golfo Nuevo; per cui questo golfo già sarebbe esistito nel quaternario inferiore per potere impedire all’alluvione tehuelchense di raggiungere la Penisola. Il tehuelchense è stato segnalato solo per errore nella Penisola, perchè ad esso si riferirono le ghiaiette che dovunque prendono parte alla costitu- zione del suolo, e che sono il prodotto del disfacimento, in posto, della for- mazione araucana. Fisica. — Sull’uso dei reticoli di diffrazione, nella misura della dilatazione termica od elastica dei cristalli. Nota I di G. Gu- GLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. La misura della dilatazione termica od elastica dei cristalli, i quali, di solito, hanno piccole dimensioni, richiede metodi e strumenti più precisi di quelli che servono per le verghe o fili. Per la misura della dilatazione termica dei cristalli, il miglior e quasi unico metodo finora seguìto è quello di Fizeau, che potrebbe anche servire per la misura della dilatazione elastica (*). Il metodo seguente, fondato sulla proprietà dei reticoli di diffrazione, parmi di applicazione piuttosto facile, e parmi anche non meno esatto di quello di Fizeau. Se sulla faccia piana, riflettente o trasparente, d'un cristallo, si traccia un reticolo di diffrazione, o se ne produce una copia fotografica aderente, e coi soliti modi si produce con esso e si osserva uno spettro d'ordine tanto alto quanto è possibile, compatibilmente colla necessaria luminosità, la po- sizione delle righe di questo spettro sarà determinata dalla solita relazione: (1) senz + sene= m4/s, essendo % ed e gli angoli d'incidenza e d'emergenza, contati nello stesso verso, dei raggi considerati, 4 la loro lunghezza d'onda, m l'ordine dello (1) Se nel cristallo si tagliano due larghe faccie piane e parallele e, per quanto è possibile, distanti, e nel mezzo perpendicolarmente ad esse, si fa un foro attraversante; se inoltre in questo si colloca un cilindretto di prova, di vetro o quarzo, colle basi quasi parallele e distanti poco meno della distanza delle faccie suddette; collocando il tutto fra due robuste lamine piane e trasparenti orizzontali, fra la base superiore del cilin- dretto e quella inferiore della lamina adiacente potranno osservarsi le solite frange di interferenza delle lamine sottili, ed esse si sposteranno (e deformeranno) per effetto d’una pressione esercitata sulle lamine, e non sul cilindretto, e potrà dedursene la diminuzione di spessore del cristallo. — 106 — spettro, s la larghezza d'un elemento (cioè d'uno spazio oscuro, più l’adia- cente spazio brillante) del reticolo. Se il cristallo si dilata o si contrae per effetto d'una variazione di temperatura o di pressione, sì dilaterà o contrarrà nella stessa proporzione s; e per la (1), essendo 7 ed 2 costanti, se è costante anche 4, varierà e, l’an- golo d'emergenza, ossia la direzione dei raggi producenti una determinata riga dello spettro; se invece è costante e, varierà 4, la lunghezza d'onda dei raggi che cadono sul filo mediano dell’oculare fisso. Così, riscaldando di 100° un cristallo il cui coefficiente di dilatazione sia 10.10-9, le righe del sodio nello spettro normale di 3° ordine si spo- steranno di 3.089.10.10-° uw, ossia di 0,1767 unità Angstrom per grado, 17,67 per 100°, quantità facilmente osservabile e misurabile esattamente. Comprimendo invece nella direzione di s un cristallo il cuì coefficiente di allungamento per trazione sia 100,10-5 per kgr. e mm?, lo spostamento delle suddette righe sarà di 1,77 u. A. per kgr. e mm?; mentre, se la com- pressione avvenisse in senso perpendicolare alla direzione di s, lo spostamento sarebbe di circa 0,6 u. A. per kgr. e mm?, in senso opposto al precedente. Allorchè si riscalda il reticolo, per effetto dell’'ugual riscaldamento del- l'aria o gaz che lo circonda, oltre s, vengono a variare, sebbene molto meno, anche le altre variabili, cioè, variano < ed e per effetto della rifrazione dei raggi incidenti e di quella dei raggi emergenti nel passaggio dell’aria am- biente all'aria calda, o viceversa; e varia altresì 4, la lunghezza d'onda dei raggi che producono una determinata riga, per effetto della diminuita den- sità dell’aria adiacente al reticolo. Indicando con x l'indice di rifrazione dell’aria, con T la temperatura assoluta, e considerando e come funzione di 7,4%, e T, mentre 7 e 4 sono funzioni di n, ed 7 ed s sono funzioni di T, potrà porsi: de di dn de dn de dA dn de ds O) e e = de + d'e + de RANA Si può notare che, sebbene le variazioni di n ed s, e quindi quelle di î e di e, siano così piccole che possono esser trattate, senza errore apprez- zabile, come infinitesime, ciò tuttavia non è ammissibile per le variazioni di °T, che non sono neppure piccole; ma la relativa integrazione non altera essenzialmente la suddetta uguaglianza. Difatti: La legge della variazione dell'indice di rifrazione dell’aria colla tem- peratura può esser espressa, almeno approssimativamente, da: (n—1)T=C costante, donde sì ricava: dnfdT=—(n—1)/T; — 107 — quindi : T, dn me LA OT, CARE T,.—T, IE m=-J, 7 tati eten = — (n —1)dT/T.=—(n.— 1) 0T,=0T/(m—-1((n—1)/DT,. Ponendo UM = Mm Ri Mn e ho dan 6, trascurando «° ed eseguendo l’estrazione approssimata della radice, sì ricava Ts dn 2 DR, = SEI LI 2 2, e dt dT (1+#/27T;,) T, T essendo OT la differenza delle due temperature, ed 7, e T,, l'indice di rifra- zione medio e la temperatura media. Trascurando */2T%, si ha, approssi- mativamente, T: da Nm — 1 ESE __ dn E pit = î, OT ossia =. Similmente, ma con maggiore approssimazione, potrà porsi OT» ds ds R° c SSR Li e! — poi ossia dr/d4T e ds/dT, nel caso attuale e prendendone il valor medio, possono esser considerati come costanti, e l'integrazione si effettua su dT, che diviene perciò una differenza finita. 1. Spostamento delle righe prodotto dalla variazione, per rifrazione, dell’angolo d'incidenza. d'e= (dedi) (difdn) (dn/dTl) T. Dalla (1) si ricava: deldi = — cos i/cos e. La legge di rifrazione dà: n sen 7, = costante, indicando con è, l'angolo che fa il raggio incidente colla normale alla super- ficie di separazione dell’aria ambiente dall'aria calda; differenziando, poichè gli indici di rifrazione dei due mezzi differiscono di pochissimo si ricava: di,jdan = — tang i/n, che ci dà anche la deviazione d7, che subisce il raggio. Si ha dunque: d'e= — (cos 7/cos e) (tang 1/n)(n— 1) 0T/T. — 108 — 2. Spostamento delle righe prodotto dal variare, per rifrazione, del- l'angolo di emergenza. d'e= (de/dn) (dn/aT) dT . La legge di rifrazione, indicando con e, l’angolo che fa il raggio proveniente dal reticolo colla normale alla superficie di separazione dell’aria calda dal- l'aria ambiente, dà: nsene, = costante . Se ne ricava: de\Jan= — tang e;/n, quindi, poichè dx qui è negativo, A E pn 3. Spostamento delle righe prodotto dalla variazione della lunghezza d'onda nell'aria. d''e = (de/dA) (dA/dn) (An/dT) dT . Dalla (1) si ricava: desdA = m/s cos e Inoltre si ha: nÀ= costante , du/dA = — 4/n; quindi: mi n—1 dT scose n T° d''e = — 4. Spostamento delle righe prodotto dalla dilatazione del reticolo. d've= (de/ds) (ds/dT) dT. Dalla (1) si ricava: defds = — mA/S? cos e; inoltre, dalla legge di dilatazione, dsfT = Ks;; quindi: dive= — mAKOT/s cos e. o. Spostamento complessivo delle righe. — Può essere osservato e misurato con un oculare mosso (esso o il filo oculare) con una vite micro- metrica; oppure, più semplicemente, con un oculare a scala fissa nel piano focale. Se da è lo spostamento assoluto d'una riga (non deviata dall'oculare), e p' la sua distanza dal reticolo, sarà de = da/p'. — 109 — È più comodo evitare la misura assoluta di da e di p', osservando in quali divisioni a, e a» dell’oculare cadono due righe comprese nel campo oculare e di lunghezze d'onda 4%, e 4» note; si avrà così: difda= (4, — 42)/(4, — 42); e siccome de/da = (de/dA)(d4/da), sarà: de = (m/s cos e) (A, — 42) da/(ar — 42) . Si avrà dunque, per la (2), cos e YU) n ns cos € m ini di 0 1 i tangi, tanger mA Hi: mà s cos e e considerando 7 isolato come uguale ad 1, si ricava: ST K=-+ po) tang 7, — mi tange—1). 14 — 4a da n_-1/8c082 os e Za, — 4,0T T ( In molti casi la correzione complessiva suddetta è identicamente nulla .come si vedrà nella Nota seguente. Patologia vegetale. — Ancora sul significato patologico det cordoni endocellulari nei tessuti della vite. Nota di L. PETRI, presentata dal Socio G. CuBONI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Zoologia. — Ze divisioni dei nuclei in Haplosporidium limnodrili (*). Nota di LeoPoLDo GRANATA, presentata dal Socio B. GRASSI. In una Nota precedente (*) ho esposto i primi risultati delle mie ricerche sullo sviluppo degli Aplosporidi; credo ora opportuno di ritornare brevemente sull’argomento per accennare ai punti più caratteristici del processo cario- cinetico, che costituisce l’unico modo di divisione dei nuclei nella forma da me studiata. Dovrò necessariamente limitarmi, per ora, ad una descrizione sommaria ed oggettiva dei fatti, riservandone per un prossimo lavoro d'insieme la trattazione completa. Le mie figg. 1-11 dànno una rappresentazione semi- schematica dello svolgimento del fenomeno. (1) Lavoro eseguito in Firenze nel Laboratorio di Zoologia degli invertebrati. 1913. (£) Rend. R. Accad. dei Lincei (5), vol. XXII, fasc. 12°, 2° sem. 1913. —_ 110 — Il nucleo, allo stato di riposo (tig. 1), ha forma regolarmente ovale ed è limitato da una membrana ben visibile che persiste durante l’intero pro- cesso di divisione. L'area nucleare è completamente occupata da un reticolo di sottili filamenti acromatici, sui quali è sparsa, a granuli od a catenelle di granuli, la cromatina. In seno al reticolo, generalmente in una posizione laterale determinata, si trova un grosso corpo che assume fortemente i colori basici. La sua”colo- razione non è però uniforme: presenta talvolta uno spesso strato esterno avvolgente uno spazio che assume più debolmente i coloranti;3tal'altra pre- senta una struttura spugnosa a grosse maglie avvolgenti spazî più chiari. È questa una costituzione comune dei nuclei dei protisti con cariosoma e cromatina periferica. Ma vi è altro che contribuisce a dare ai nuclei di — ll — Haplosporidium un aspetto del tutto caratteristico: La cavità nucleare è attraversata, nel senso della lunghezza, da una sorta di asse cilindrico, costituito di una sostanza apparentemente omogenea, che assume elettiva- mente i colori acidi; ed è circondato da uno strato che si colora intensa- mente in nero con l’ematossilina ferrica. Questo strato non si estende per tutta la lunghezza dell'asse, ma si arrosta a breve distanza dalle due estremità. In sezione trasversale noi vediamo il reticolo diffuso, in seno al quale sono limitate due zone: l’una periferica, nella quale è il cariosoma; l’altra mediana, nella quale è la sezione dell'asse centrale (fig. 2). Lo strato periferico cromatico di quest'ultimo è messo in evidenza netta- mente con la sola ematossilina ferrica, almeno per quanto a me risulta; così che, osservando i nuclei a fresco, o pure in preparati non colorati con l’Heidenhain, la parte centrale appare solo come una zona chiara, e si hanno allora immagini perfettamente identiche a quelle rappresentate nella fig. 49 (pl. XII) di Caullery e Mesnil (*) per Haplosporidium Vejdovskii. L'inizio della profase è segnato semplicemente da un addensamento del reticolo intorno all'asse centrale (fig. 3) il quale si allarga poi sino ad acquistare forma di fuso troncato alle due estremità. All'equatore di questo si addensa quindi la cromatina, a costituire una sorta di piastra equatoriale nella quale, piuttosto che veri cromosomi, si trovano granuli o piccoli am massi e catenelle di granuli, che sembrano ancora sostenuti dalle maglie del reticolo (fig. 4). Il cariosoma rimane addossato, ma esterno alla croma- tina, e conserva forma irregolarmente rotonda. All'inizio dell’anafase, il fuso si allarga sino ad assumere la forma di una specie di bariletto, terminato ai due poli da corpi chiari, omogenei, di forma ovale. La cromatina si diffonde su tutta la superficie del fuso, in catenelle longitudinali, lungo le fibre (fig. 4), e si divide poi in due zone (fig. 6) che vanno a mano a mano addensandosi ai due poli rispettivi, dove ben presto appare chiaramente ricostituito il reticolo (figg. 7-8). Il cariosoma conserva, fino nell’anafase avanzata, forma rotondeggiante ; quindi rapidamente si allunga e si suddivide fra i due nuclei figli (figg. 7-8-9). La ricostituzione del nucleo si compie con un lento processo le cui tappe principali sono rappresentate dalle figg. 9-10-11. Anzitutto, il reticolo cromatico viene a formare una sorta di calotta attorno al corpo aeromatico polare (fig. 9); quindi questo si allunga (figg. 10 e 11) a costituire un asse longitudinale che attraversa il nucleo nella sua lunghezza e attorno al quale la cromatina forma una sorta di fuso allun- gato. Indi incomincia l'accrescimento; ed il reticolo viene ad occupare tutta l’area nucleare, mentre il cariosoma guadagna la sua posizione laterale. (1) Arch. de zool. expérim. et génér., (IV), tom. IV, 1905. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 15 — 112 — La fig. 11 rappresenta il più comune aspetto dei nuolei, ed è in tale stadio che si compie la cariogamia: le due masse cromatiche si accollano l’una all'altra lateralmente, e si fondono in un’unica massa ovale, con cromatina sparsa su un reticolo a maglie minute e regolari, e due cariosomi situati alle due estremità. Noi abbiamo già notato l'analogia evidente tra la costituzione dei nuclei di ZH. limnodrili con quelli di H. Vejdovskii. Il confronto tra le immagini fornite dai miei preparati e le figure di Caullery e Mesnil (!) mi permette di credere che anche il comportamento du- rante la divisione sia uguale nelle due forme. La fig. 484 (PI. XII) dei suddetti autori mostra due nuclei in anafase il cui aspetto può ricondursi facilmente a quello delle mie figure 5 e 6. Le figure 484 de, 5040, e 51, mostrano dei nuclei nei quali «la so- stanza cromatica si accumula lungo i due meridiani, su uno dei quali si dispone il nucleolo » (C. e M., pag. 119). Non ostante la differenza apparente credo di potere asserire che questi stadii corrispondono esattamente a quello della mia figura 11. Nelle prepa- razioni imperfettamente fissate la cromatina tende appunto a raggrupparsi in due bande longitudinali separate da uno spazio chiaro nel quale l’asse cen- trale è assai difficilmente visibile. I dati sulle altre specie di Hap/osporidium sono troppo limitati per permettere confronti. Notiamo tuttavia in tutti i casi la presenza di una membrana nucleare ben distinta che persiste durante la divisione, la per- sistenza del cariosoma e la mancanza di centrioli ai poli e di cromosomi distinti nelle piastre equatoriali. (1) Loc. cit. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI PrROTTI R. Studi di biologia sopra l’Agro romano, in rapporto al suo bonificamento agrario. Pres. dal Socio CUBONI. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio VoLTERRA fa omaggio di un volume del prof. Le Bon, conte- nente la biografia e la bibliografia analitica di ALBIN HALLER, e ne discorre. E. M. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell'Accademia pontificia dei uovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 12 TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3% MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ; Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturoli. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIL Serie 4* — RenpicONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-VII. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-XXIII. (1892-1914). Fase. 2°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, Vol. 1-XXI. (1892-1913). Fasc. 7°-8°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-IX. Fasc. 17°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R., Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon= denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia è di L. #0; per gli altri paesi le spese di posta in più, Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco Hoepri. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Gennaio 1914. INDICE Ciasse di scienzè fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 gennaio 1914. MEMORIE E NOTE Di SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Tedone. Sulla espressione analitica cu generale dell’equazione delle onde smor- ZAten ola È ; - ibag:i08 Bompiani. Forma o dal coftizione per SA deformabi delle i (pres. dal Corrisp. Castelnuovo) (*) . ... .°. SIOE ANA Cisotti. Efflusso da un recipiente forato la ei dal Socio LoscCivita) IRE (6) Colonnetti. Esperienze sulla elasticità a trazione del rame (pres. dal Socio Volterra) (A). » 79 Soula. Sur certaines équations intégraleè (pres. 14.) (*) 0/0/0200 Vacca. Sulla equivalenza per traslazione (pres. Id). . . . . n.80 Lo Surdo. Sul'analogo elettrico del fenomeno di Zeeman: effetto longitudinale o dall ST IEEE È NATIA TAO Id. Su l'analogo i del omino di dui i varie ene di Bill presentano di- verse forme di scomposizione (pres. dal Corrisp. Gardasso)(*). . . . TL Ana84 T'osi. Dispositivo herziano per osservazioni n) e previsioni di temporali (pres. dal Socio E. Millosevich). . .. AAA Padoa e T'abellini. La tensione superficiale e dazione in Ao Ds di Socio Cra- MICA UVE DIRE EAT A i A RSA Pellini e Coppola. Solubilità « e attività ei Idi) Di SETA A Ron OVIÌ Padoa e Foresti. Calori di combustione di sostanze fototrope ns Ta) ICSRROE n (95 Grill. Bournonite della miniera di Brosso (Piemonte) (pres. dal Corrisp. 7. llalosenicha no 098 Rovereto. La penisola Valdéz, e le forme costiere della i. settentrionale (pres. dal Corrisp:W/sse)) nissan Sd 09 Guglielmo. Sull’uso dei reticoli di diffrazione, sensi misura della Les odo od ela- stica deivcristalli (pressdaliSocio BIGM RI ZI RL0. Petri. Ancora sul significato patologico dei cordoni endocellulari nei tessuti della vite (pres. dal “Socio CL00/) (ERE n a x Ù ani 09 Granata. Le divisioni dei nuclei in Hapii sidiun imagna Gui ‘dal Socio CIASSA OO VAIO 0 NE A MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Perotti. Studi di biologia sopra l’Agro romano, in rapporto al suo bonificamento agrario. Pres: dal'SocloCuDonei st ta SI a IVI PRESENTAZIONE DI LIBRI Volterra. Fa omaggio di un volume del prof. Le Bon e ne discorre. . . ....... ». » (*) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 1° febbraio 1914. N. 5. NATE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNOETCCEGRI. 1914 SHERIH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, ‘matematiche e naturali. Seduta del 1° febbraio 1914. Volume XXIII. — Fascicolo 2° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI a = PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1914 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i. Rerdiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del. l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, chu ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I I..Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 2) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. À chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchènel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50.se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo .a_ carico degl autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCRI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. DD_____T- Seduta del 1° febbraio 1914. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Chimica. — Azzoni chimiche della luce. Nota XXVIII del Socio G. CIAMICIAN e di P. SILBER. Autossidazioni VII. La presente Nota fa seguito alla nostra 254 (1) Comunicazione, in cui abbiamo trattato dell'autossidazione di alcuni acidi organici. Acido acetico. — Vennero esposti 4 gr. di questo acido in 200 d'acqua in un pallone di 4 litri pieno d'ossigeno, dall'aprile al novembre. Il prodotto è poco modificato, non precipita con la fenilidrazina, nè dà la colorazione colla naftoresorcina, osservata da C. Neuberg coi sali d’uranio (*). Precipi- tando frazionatamente il liquido neutralizzato, con nitrato d'argento, sì osserva, peraltro, che l'ultima frazione e l'ultimo filtrato anneriscono per riscaldamento : indizio, questo, della presenza di acido formico. In una analoga esperienza fatta al bujo, non si ebbe nessuna riduzione. L'acido acetico dunque si autos- sida lentamente alla luce, con formazione di acido formico. Acido glicolico. — Una soluzione di 3 gr. in 100 d’acqua rimase esposta alla luce, in un matraccio di un litro, dall'aprile al novembre. Aprendo il matraccio, si notò una forte pressione positiva, con svolgimento di anidride carbonica; ed il liquido aveva l’odore dell’al/deide formica. Questa venne (*) Questi Rendiconti, vol. 22, I, pag. 539 (1913). (*?) Biochemische Zeitschrift, vol. 13, pag. 308. RenpICcONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 16 — ll4 — riconosciuta trattando la metà del liquido col cloridrato di p-difenildiidra- zina, secondo C. Neuberg (!). Il precipitato fondeva a 220°. Analisi: Trovato Calcolato per C4Hi4Ny Ni No9to 23,53 L'altra metà, portata a secco a b. m., lasciò indietro un lieve residuo, per cui l'acido glicolico sì autossida alla luce quasi completamente, dando anidride carbonica ed aldeide formica, analogamente all’acido lattico, che dà invece l’aldeide acetica (?). Acido ossalico. — È noto che l'acido ossalico (*) si autossida, alla luce, in soluzione acquosa, producendo acido carbonico; noi abbiamo voluto accer- tare, per certe nostre ulteriori esperienze, in qual misura si compia l’ossida- zione. A tale scopo, abbiamo esposto dall'aprile al novembre, in alcuni ma- tracci da un litro pieni d'ossigeno, 2 0 5 gr. di acido ossalico cristallizzato, in 100 d’acqua. Le soluzioni vennero prima sterilizzate. Dopo l'insolazione, si notò nei matracci forte pressione: il gas venne raccolto ed esaminato. Esso non conteneva, conformemente alle esperienze di Richardson, ossido di carbonio (4), ma soltanto anidride carbonica, insieme coll’eccesso dell'ossigeno commerciale adoperato. Il liquido nei palloni non dava la reazione dell'acqua ossigenata. La soluzione al 2°/ avea reazione neutra: e però, in questo caso, tutto l'acido ossalico era stato ossidato. Nei matracci contenenti le soluzioni al 5 °/, venne dosato l’acido car- bonico e l'acido ossalico rimasto inalterato. Si ebbe, dai 5 gr. d'acido ossalico, un residuo di 1,1 gr. e la quantità corrispondente di anidride carbonica. Acido malonico. — Venne esposta una soluzione di 3 gr. d'acido malonico in 100 d'acqua, in matracci di 3 Litri, dall'aprile al novembre. Aprendo i matracci, si svolse poco acido carbonico. Il contenuto venne distil- lato a vapore: e da 12 gr. d'acido malonico si ebbe un liquido, a saturare il quale occorsero 36 cc. di carbonato sodico normale. Il distillato odorava di aldeide formica. La soluzione venne precipitata frazionatamente con nitrato argentico; e tutte le frazioni dettero numeri, corrispondenti al sale dell'acido acetico. Cristallizzate dall'acqua, dettero lieve riduzione. Analisi: Trovato Calcolato per C.H30,Ag Ag 64,23 63,88 64,08 64,27 64,66 (*) Berichte, vol. 32, pag. 1961. (2) Vedi la citata nostra 25% Nota, a pag. 540. (®) Vedi in proposito la Memoria di W. P. Jorissen e L. Th. Reicher, Zeitschrift fiir physikalische Chemie, vol. 31, pag. 142. (4) Centralblatt, anno 1904, I, pag. 1144. — 115 — Gli altri omologhi successivi della serie ossalica, vengono, come il ma- lonico, alterati dall'ossigeno, alla luce, in piccola misura. Acido succinico. — La soluzione acquosa contenente 5 gr. di acido su 100 d'acqua per ogni matraccio capace di 5 litri d'ossigeno, restò esposta alla luce dall'aprile al novembre. Nell’aprire i matracci, si notò lieve pres- sione dovuta allo sviluppo di anidride carbonica. Il liquido, che aveva l'odore della a/de;de acetica, venne distillato : e dai primi 25 cc. di distillato raccolto, si ebbe, con la p-nitrofenilidrazina, il caratteristico composto (0,3 gr.) che fondeva a 128-129° (1). Analisi: Trovato Calcolato per CsHs0O,N, N 23,98 23,46 La parte ulteriore del distillato, saturata con carbonato sodico, dette, col nitrato d'argento per precipitazione frazionata, le due seguenti frazioni: Analisi: Trovato Calcolato per C,H302.Ag e per C,H50s.Ag Ag 64,42 62,50 64,66 59.66 che dimostrano la presenza di acido acetico, e forse, pure di quello propionico. Il liquido rimasto indietro fornisce, per concentrazione, notevoli quantità di acido succiniso inalterato; dalle acque madri di questo si ebbe, coll’acetato di fenilidrazina, un precipitato (0,1 gr.\, che, purificato dal benzolo, fondeva a 169°. Esso era insolubile nei carbonati alcalini e si dimostrò identico col fenilosazone del g9//ossale. L'acido succinico viene ossidato assai parzialmente, ma, quel poco, pro= fondamente per azione della luce. L'acido pirotartrico viene alterato in assai piccola misura dall’ossigeno alla luce, per cui non abbiamo studiato in modo esauriente i prodotti del- l’autossidazione. Acîdo glicerico. — Come s'è detto, l’acido lattico dà, per autossidazione, aldeide acetica ed anidride carbonica e però ci apparve desiderabile di cono- scere il contegno dell'acido biossidrilato. Vennero esposti, dall'aprile al novembre, due matracci da 3 litri, conte- nenti ciascuno 4 gr. d’acido glicerico in 100 d’acqua. Aprendo i matracci, si notò lieve aspirazione; nel contenuto gassoso dei medesimi era presente l'anidride carbonica. La soluzione aveva odore d’a/- deide formica, che venne dimostrata nei primi 25 cc. del distillato per mezzo della p-difenildiidrazina. L'idrazone relativo (0,9 gr. da 8 gr. d’acido glicerico) fondeva a 224°. (') Vedi Hyde, Berichte, vol. 32, pag. 1813. — 116 — Dal residuo della distillazione si ebbe, colla fenilidrazina, l’osazone del gliossale, dal punto di fusione 175°. Analisi: Trovato Calcolato per Ci4 Hi Ni N 23,58 23.58 Acido saccarico.— Abbiamo adoperato una soluzione al 4°/, (Kahlbaum), che venne esposta a 100 gr. per volta in matracci da 3 litri o 4 litri, dal- l'aprile al novembre. Aprendo i matracci, si sviluppò una grande quantità di anidride carbonica. L'acido era stato in gran parte scomposto, perchè dallo svaporamento di un matraccio (4 gr.) non si ebbe che un piccolo residuo (0,4 gr.). Il distillato conteneva acido formico; il residuo dette, colla fenilidrazina, un lieve preci- pitato rosso, che non potè essere analizzato. C. Neuberg (') ottenne, coi sali d'uranio, acidi chetonici e forse l’aldeide dell'acido tartrico. Abbiamo notato che l'acido saccarico si ossida anche all'oscuro, sebbene in minore misura; nella soluzione conservata al bujo s'erano peraltro svilup- pate delle muffe. Cumarina. — Nella nostra VI Nota (?) abbiamo dimostrato che la cumarina si trasforma, per azione della luce, tanto allo stato solido, quanto in soluzione, in un polimero, nella cosiddetta idrodicumarina di Dyson (*). Era però interessante l’esaminare il suo contegno alla luce in presenza di ossigeno. A tale scopo vennero esposti in matracci di 3 Jitri, dall’aprile al no- vembre, 3 gr. di cumarina con 100 d'acqua per volta. Durante l’insolazione, s'era formata una specie d'emulsione di colore brunastro : e, aprendo i matracci, sì notò aspirazione. Il contenuto dei medesimi aveva l'odore dell’a/dezde salzezlica, ed era acido. Per neutralizzarlo, si richiesero 22,5 cc. di soluzione normale di car- bonato sodico (per il prodotto ottenuto da 9 gr. di cumarina). Il liquido, in cui era sospesa la materia solida ed in parte cristallina, cedette all'etere uno sciroppo, che poi cristallizzò (0,9 gr.) in modo non completo, contenente la cumarina inalterata ed un po' di aldeide salicilica. La materia, insolubile nell’acqua e nell’etere, era la suaccennata di/drocumarina di Dyson. Raccolta e seccata, pesava 4,8 gr., corrispondente cirea al 50°/ della cumarina ado- perata. Purificata dall'acido acetico glaciale, fondeva a 258°. Dal liquido alcalino, così trattato, si ebbe; per aggiunta di acido solfo- rico diluito, un precipitato fioccoso, brunastro, in gran parte insolubile nel- l'etere. La parte che si sciolse, purificata dall'acqua, si dimostrò essere (1) Biochemische Zeitschrift, vol. 18°, pag. 808. (£) Questi Rendiconti, vol. 12, II, pag. 530. (*) Beilstein, vol. II, pag. 2026. — 117 — formata dall’acido salicilico, e da una sostanza che fondeva a 163°, di cul, per la sua piccola quantità, non potemmo determinare la composizione. Per azione della luce sulla cumarina iu presenza di ossigeno, sì forma, come si vede, prevalentemente il suo polimero e, ciò che è notevole, in quantità assai maggiore che non in assenza di ossigeno. Nella nostra vecchia esperienza del 1903, da 10 gr. di cumarina ottenemmo soltanto 1,1 gr. di diidrocumarina. Noi abbiamo osservato anche in altre occasioni, con sostanze contenenti doppî legami (come il safrolo, l’eugenolo) che l'ossigeno, in presenza della luce, non favorisce sempre l'ossidazione, perchè, invece di prodotti bene bene definiti, abbiamo ottenuto materie resinose. Sarà però necessario di esaminare altri casi per poter accertare se real- mente le polimerizzazioni di composti olefinici alla luce vengano favorite dalla presenza di ossigeno. Acido oleîco (*). — L'autossidazione dell'acido oleico è un processo assai complicato per il notevole numero di prodotti che si ottengono. Esiste in proposito una ricerca dello Scala la quale, peraltro, non è esauriente (?). Vennero esposti alla luce, dall’aprile al novembre, 10 matracci da 5 litri, contenenti ciascuno 5 gr. di acido oleico e 100 d’acqua. Aprendo i matracci, si notò forte aspirazione; il prodotto d'un odore rancido, è formato, da una massa semisolida sospesa nella soluzione acquosa, che ha reazione acida. Per ottenere una prima separazione, sì distillò il tutto col vapore acqueo per eliminare la parte volatile. Questa venne neutralizzata adoperando 140 ce. di carbonato sodico normale (dai 50 gr. di acido oleico). Estraendo il liquido neutro, che aveva un odore aldeidico, con etere, si ebbe una piccola quantità di prodotto, che dette un semicarbazone fusibile a 87°, ma in quantità in- sufficiente per un ulteriore esame. Dalla soluzione sodica concentrata ed acidificata, si ricavarono, per estra- zione con etere, 8,3 gr. di acidi grassi che furono sottoposti alla distillazione frazionata. Si raccolsero separatamente quattro porzioni, che alla lor volta vennero singolarmente frazionate per precipitazione con nitrato d’argento. La prima, che passava fra 100 e 145°, era formata prevalentemente da aczdo formico, come venne accertato dal suo contegno col nitrato d’argento. La seconda, che venne raccolta fra 145 e 235°, dette le seguenti frazioni di sali argentici: Analisi: I II Ag 44,32 48,87 (*) Questa esperienza fa parte di una estesa ricerca sull’autossidazione delle materie grasse alla luce, a cui stiamo attendendo; la pubblichiamo staccata, perchè nell’ultimo fascicolo della Gazzetta chimica è annunciata una Memoria di F. Canzoneri e G. Bianchi, dal titolo: Sull'irrancidimento dell'olio di oliva e sull’ossidazione dell'acido oleico in presenza della luce solare. (*) Alberto Scala, Ze stazioni sperimentali agrarie italiane, vol. 30°, pag. 629; Centralblatt, anno 1898, parte I, pag. 440. — 118 — La terza, che passava fra 235° e 246°, venne suddivisa nelle seguenti porzioni: Analisi: I II III IV V VI Ag 41,36 41,54 42,85 43,23 44,50 46,67 Finalmente, l’ultima, che passò fra 246° e 258°, e segnatamente intorno al punto di ebollizione dell'acido nonilico, 253°-254°, si solidificò ponendola nel ghiaccio, e fuse a 12°. Da questa ottenemmo le due frazioni seguenti: Analisi: I II Ag 41,16 42,12 Tutti questi numeri sono compresi fra quelli richiesti dai sali argentici dell'acido capronico e dell'acido nonilico, Calcolato per Cs H1:0,Ag e per C6H110x Ag Ag 40,75 48,43 per cui si deve ammettere che nell'autossidazione dell’acido oleico alla luce, oltre all’acido nonilico, si formano acidi inferiori, con prevalenza di quelli che seguono immediatamente il primo. Il liquido rimasto indietro nella distillazione primitiva, aveva reazione acida e conteneva al fondo un olio giallognolo vischioso, che venne separato per filtrazione. La soluzione concentrata dette un'abbondante cristallizzazione, che, purificata dall'acqua, si presentò in squamette bianche dal punto di fusione 106°, che è quello dell'acido azelatco. Analisi: Trovato Calcolato per Cs H16 04 C 57,25 57,44 H 8,67 8,51 Le acque madri vennero adoperate per ottenere una serie frazionata di sali argentici, che accennerebbero alla presenza di acidi più elevati dell'acido azelaico. Analisi di una prima serie: Ag i 4997 512308 Moa09 0 508, Analisi d'una seconda serie: Trovato Calcolato per Cs H1404Aga Ag 50,17 53,99 53,79 — 119 — Finalmente, la parte oleosa semisolida venne trattata con etere, per cui, mentre la parte maggiore passava in soluzione, restò indietro una polvere bianca. Questa, purificata dall'alcool, si trasformò in pieghette perlacee dal punto di fusione 133°; l'acido diossisteraico fonde, secondo Lewkowitsch ('), a 132°-138°. Analisi: Trovato i Calcolato per C18H360, C 68,10 68,35 H 11,48 11,99 La soluzione eterea suindicata lascia indietro, per svaporamento, una massa vischiosa, che, col tempo, si riempie di squamette, solubili in etere petrolico, per cui la massa potè venire esaurita con questo solvente. Non ostante il suo aspetto voluminoso, la sostanza solida era presente solo in piccole quantità: purificata dall'alcool metilico, fondeva a 56°. La massa vischiosa giallastra, insolubile nell’etere petrolico, non conte- neva acido oleico. Essa ha bisogno d'uno studio ulteriore, perchè si forma in quantità rilevante; dai 50 gr. di acido oleico, se ne ebbero 20 gr. L'ossidazione dell’acido oleico alla luce procede in parte in modo regolare, cioè si forma l'acido diossistearico e gli acidi nonilico ed azelaico; ma questi, come s'è visto, non sono i soli prodotti che abbiamo ottenuto. All’oscuro, l'acido oleico in presenza d'ossigeno acquista soltanto una assai lieve reazione acida. Anche in questa ricerca siamo stati assai utilmente coadiuvati dal sig. Emilio Sernagiotto, a cui esprimiamo la nostra gratitudine. Matematica. — Sul rotolamento di superficie applicabili in geometria ellittica ed iperbolica. Nota del Socio Lurci BIANCHI. Matematica. — Sulla classificazione delle superficie algebriche e particolarmente sulle superficie di genere lineare p®=1. Nota I del Corrispondente F. ENRIQUES. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. (*) Chemische Technologie und Analyse der Fette, Oele und Wachse. vol. I, pag. 137 (1905). _— 120 — Matematica — Su alcune equazioni integrali di Volterra risolubili con un numero finito di derivazioni e di integrazioni. Nota del Corrisp. 0. TEDONE. 1. In due Note precedenti ('), sull'equazione delle onde smorzate, ho messo in luce due relazioni integrali fra le funzioni di Bessel, che mi sono parse notevoli. La maniera però con la quale queste relazioni, in quelle Note, sono state dimostrate, non è quella con la quale ad esse sono perve- nuto. Della loro esistenza ero da lungo tempo convinto, basandomi, princi- palmente, sulla risolubilità, alla quale fermamente credevo, del problema che poi, effettivamente, ho risoluto nella prima delle due Note citate. E solo in seguito a molti tentativi sono riuscito a costruire un procedimento che è capace di fornire molte relazioni analoghe a quelle di cui parliamo e che spesso sono adatte alla risoluzione di determinate equazioni integrali del tipo di Volterra. La descrizione di questo procedimento, in un caso speciale, e l'indicazione delle equazioni integrali che di conseguenza sì riesce a ri- solvere, saran l'oggetto della presente Nota. 2. Ricordiamo che l'equazione du dI ° d°u (1) era +u=0 si integra completamente col metodo delle caratteristiche di Riemann (?), e che la soluzione fondamentale della (1) relativa al punto (xo. yo) (vogliam dire la soluzione della (1) regolare in un intorno di (25,0) e che acquista il valore uno sulle due caratteristiche uscenti dal punto stesso) è Co) =2i £ nni De (11)? (2) Iole) = Toe 1)= e=ly_gy—(e_- 20. Si tratti ora di costruire il più generale integrale della (1) nel campo 7 formato dal quadrante positivo il cui contorno sia costituito, quindi, dalle parti positive degli assi coordinati. Se su questo contorno fossero noti i valori di x e della sua derivata normale, la formola che discende dal me- todo di Riemann e che, per brevità, chiameremo, senz'altro, formola di Riemann, è capace di risolvere la quistione in modo completo, di determi- nare cioè, in ogni punto 0= (0340) del campo, il corrispondente valore (1) Vedi questi Rendiconti, sedute 31 maggio 1913 e 4 gennaio 1914. (*) Vedi, p. es., Picard, Comptes rendus, vol. 117, 1893. — fil — u, di v. Poniamo, per i valori che v e Da assumono sull’asse x positivo; (3) u=f() , =; = PAD dU ’ Oyta e, per i valori che v e i assumono sull'asse 7 positivo; % (3) sen u= (1) =), queste quattro funzioni essendo, per ragioni di continuità, soggette alle con- dizioni: (3°) ((0)=g(0) . /'(0)=®(0) , 9(0)=F(0). Conduciamo, quindi, per il punto (xo, yo) le due caratteristiche (4) Y—L=Yi- Lo >, YTe=YoAt do dell'equazione (1), ed osserviamo che la prima di queste caratteristiche in- contra il contorno del campo 7 in un solo punto che chiameremo 1 e che potrà cadere sull'asse x o sull'asse y; mentre la seconda incontra il con- torno di 7 sempre in due punti di cui uno cade sull'asse x e l’altro sul- l’asse y, e di cui uno solo (del resto, qualunque), e che chiameremo 2 sarà estremo dell'arco a cui è esteso l'integrale che comparisce nella formola di Riemann. Abbiamo quindi due modi diversi per risolvere la nostra quistione. La porzione di contorno di # a cui è esteso l'integrale che comparisce nella formola di Riemann, sarà sempre limitata dai due punti 1 e 2. Però, nel primo modo il punto 1 cade sull'asse y o sull'asse x, mentre il punto 2 cade costantemente sull'asse x; nel secondo modo, invece, il punto 1 può cadere sull'asse x o sull'asse y, mentre il punto 2 cade costantemente sul- l'asse y. In corrispondenza di questi due modi, evidentemente diversi, di RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 17 = og — poter determinare il valore di x in uno stesso punto O del campo, abbiamo due formole che noi seriveremo, pel primo caso, nell'ipotesi yo > o, €, pel secondo caso, nell'ipotesi yo < xo - (I) 2uo = Y(Y0 — Z0) + f(Yo+ o) [E |ow+s È, ur + ("| 10) +/0) 7 [nl de, (II) 2uo=/(c0 — Yo) + 9(L0 + Y0) + f°[0) +90 È [hu - | *|o+/0 [nWa=E=a) de A queste formole conviene aggiungere quelle che si ottengono derivando la (I) rispetto ad x, e la seconda rispetto ad yo, e cioè: dU0 (I°) 2 dx = Y'(Yo — o) + L'(Yo + Lo) + D(Yo = Co) + Fo +2) — Sg 2) +9 /(0+ 20) — [E° iL DESIO EAA (V(Y— yo) — 28) dy Je Jona LO LL, (2) S Di Lo Vi (= 20) de, ar) 2 a = ly) ++) +27 +70) + Feo — %)— A (co + 0) + A (20 — Yo) È ti cia Le = -[* [+1 Lea = ly go) — #d) dy Col modo (I) di risolvere la quistione, /() ed F(x) si possono dare ad arbitrio. Sempre, quando il punto O si avvicina ad un punto dell'asse x positivo, di ascissa 40, %o @ da tendono ai valori /(x,) ed F(%) rispet- 0 — 123 — tivamente. Se vogliamo, invece, che, anche quando O tende ad un punto dell'asse y positivo e di ordinata 70, %o € 2° tendano a (Yo) 0 P(Yo), 0 devono essere soddisfatte certe condizioni, le quali si ricavano subito dalle (I) e (l') facendo tendere #, a zero e ponendo g(y,) e P(y,) al posto dei limiti di % e di or dro Noi ammettiamo come dimostrato (giacchè la dimostrazione si fa facil- mente) che, data, oltre alle due funzioni /(@) ed F(x), una delle altre fun- zioni g(x), o P(y), è univocamente determinato w in tutto il campo , e quindi, anche l'altra delle due ultime funzioni. Ammettiamo inoltre come dato dall'intuizione, dall’intuizione fisica, p. es., che ad ogni sistema di funzioni /(@), F(x), g(y), ovvero /(«), F(x), D(y), corrisponde una effettiva soluzione della (1) regolare in tutto il campo 7 e tale, che al contorno, essa e la derivata normale acquistano quei valori che sono stati ad esse asse- gnati. Queste ammissioni a noi sono lecite, perchè noi abbiamo di mira di scoprire certe formole che, in ogni modo, conviene poi verificare, Col modo (II) di risolvere il problema, le cose vanno semplicemente invertite. Le funzioni g(y) e ®(y) si possono dare ad arbitrio; e delle altre due, se ne può dare ad arbitrio una sola, /(x), o F(x). L'altra di queste due ultime funzioni è allora determinata, e si ottengono equazioni atte ad ottenerla facendo nella (II), 0 (II), y,==0 e ponendo /(zo), F(xo) per do dYo 8. Andando al limite, come si è detto, nelle (1), (I°), per x0=0, si trova: i limiti di w% ® di P(Yo) = /(Y) — Î D(y) Toly — Yo) dy Yo | DI con F(4) - ey = 22), +/ Ot ea c (I) | ®y= Fg) +2 /4)- P4)+ ld) Yo y 1(y/— %0) , Li 1 Y Yo - (| se )+ /(2) bo gelo Queste due equazioni non possono essere distinte rispetto alle due fnnzioni (4) e D(y), a causa delle osservazioni fatte, e devono quindi essere 1’ una conseguenza dell'altra. — 124 — Similmente, facendo tendere y, a zero nelle (II), (Il'), e ponendo /(xo), F(x5) per i limiti di w e di # si trova: (i) laici di +["|20+s i bus ay (IV) FITTI (+92) To, x) SCA 0) i + Si puri pra da fem Try ZI) ' DEA dY È 4 î i Anche su queste equazioni possono ripetersi osservazioni analoghe alle pre- cedenti. In definitiva, poi, le (IV) non possono essere che le (III) stesse sotto un aspetto diverso. 4. Se, in due qualunque delle (III), (IV), riteniamo che siano diverse da zero soltanto quelle, delle nostre quattro funzioni /,F,g,®, rispetto alle quali esse compaiono risolute, otteniamo una serie di equazioni inte- grali del tipo di Volterra, con le corrispondenti formole di risoluzione. Tras- curando di riportare quelle equazioni integrali che sì possono ottenere da quelle già scritte col semplice scambio delle funzioni I nelle corrispondenti funzioni J, avremo: \ P(Yo) = — fo I(y— Yo) dy , Yo |ow=- FW fon E 4; a) WU ST 8) de È) Yo si (gg — 2°) da, d Lo = [TI ion 0 (Va — y°) dy: — 125 — fire gu) = [" F(2)lo(1 yi — @°) de I nad 0) Ve) = Pg) +99 + [1 A zi — 9°) dy o (astga) lay; @(y0) = F(Yo) — | Fw) = Io(f = TE 15) da — [EMI = #9), 0 = Fw) = Da) — | @(y) —I (Va — 9°) dy A) n) dY Î = | D(Yo)da (V&5 =. dy v «70 \ Possiamo subito osservare che le formole c) e 4) si deducono immedia- tamente dalle 0); sicchè, di equazioni fondamentalmente distinte, che così scorgiamo come risolubili, ve ne sono due tipi soltanto. Le funzioni date, e le funzioni incognite, soddisfano, per il valore zero dell'argomento, a condi- zioni che facilmente si scorgono e per cui noi non insistiamo su di esse. In questa Nota, infine, non ci occuperemo di ulteriori verifiche. 5. Dalle relazioni (III) e (IV), oltre ai precedenti risultati, si può ottenere un non piccolo numero di relazioni integrali fra le funzioni di Bessel, che possono riuscire utili in date quistioni. Se nelle (III), ad es., facciamo /=@®=0, abbiamo: i) ealoy id (Yo) = | F(a)Ih(Pfy — a°) da, 40) n ,r Yo I (7) rr ) — Fg) gd + | PIO gg 0 ITZYo Morena d — [ra 0, Ly a) da. Eliminando, quindi, la funzione g fra queste due equazioni, troviamo: Men \ DE EVS e F(x) da LEI I (Py — 2°) dy — | (2) (el ages, o (4 ) ER en Ed essendo, in questa equazione, F(x) una funzione arbitraria, siamo condotti — 126 — alla relazione fra le funzioni di Bessel che abbiamo verificata nella seconda delle Note in principio citate. 6. Dalle equazioni integrali indicate nel n. 4, altre numerose se ne possono ricavare egualmente risolubili, come le prime, con un numero finito di derivazioni e di integrazioni. Una di queste nuove equazioni è stata riso- luta nella prima delle due Note citate. E sull'argomento dovrò ritornare in una prossima occasione per completare lo studio del problema iniziato in quella Nota. Qui vogliamo aggiungere ancora le osservazioni seguenti: È chiaro che molte sono le equazioni integrali di Volterra, risolubili con un numero finito di derivazioni e di integrazioni. È anche più che probabile che non tutte queste equazioni sieno suscettibili di una tale soluzione. Si potrà stabilire un criterio per distinguere un caso dall'altro? Mi parrebbe molto interessante una risposta, in un senso qualunque, a questa domanda. Il concetto di solubilità di un'equazione integrale (e forse sarà utile di considerare insieme il caso più generale di un'equazione integro-differenziale) di Volterra, con un numero finito di derivazioni e di integrazioni, oltre, si intende, ad operazioni algebriche, costituirebbe, per queste equazioni, l’ana- logo del concetto di risolubilità per radicali delle equazioni algebriche e della risolubilità, per quadrature, delle equazioni differenziali ordinarie. Matematica. — orma geometrica delle condizioni per la deformabilità delle ipersuperficie. Nota del dott. E. BUMPIANI, pre- sentata dal Corrispondente G. CASTELNUOVO. 1. Il problema della deformabilità delle V,, di S,+, fu esaminato per una Vs di S, dallo Schur (') e risoluto nello stesso caso dal Bianchi (?): nell’indirizzo del Bianchi, ma con metodo diverso, lo Sbrana (*) ha trattato e risoluto il problema nel caso generale. Questi ha trovato che condizione necessaria per la deformabilità è che la V, sia luogo di 00?S,-» ed abbia lungo ciascuno uno S, tangente fisso: sicchè, servendosi dell'immagine ipersferica di Gauss della V, si è condotti a studiare un’equazione di La- place. E la condizione necessaria e sufficiente per la deformabilità è appunto assegnata in rapporto ad un suo gruppo di soluzioni. (1) F. Schur, Ueder die Deformation eines dreidimensionalen Raumes in einem ebenen vierdimensionalen Raume, Math. Ann. Bd. XXVIII, pp. 343-353, $ II (2) L. Bianchi, Sulle varietà & 3 dimensioni deformabili entro lo spazio euclideo a quattro dimensioni, Mem. della Società ital. delle Scienze (detta dei XL), ser. III, tom. XIII (1905), pp. 261-323. (3) U. Sbrana. a) Sulla varietà ad n—1 dimensioni deformabili nello spazio eu- clideo ad n dimensioni, Rend. del Circ. Mat. di Palermo, t. XXVII (1909), pp. 1-45; 5) Sulla deformazione infinitesima delle ipersuperficie, Ann. di Matem. (8), vol. 15 (1908), pp. 329-348. — 127 — Per quanto il problema possa dirsi risoluto (salvo, s'intende, l'effettiva integrazione dell'equazione detta) mi pare opportuno dare alla soluzione una forma più geometrica: al che si riesce facilmente giovandosi dei risultati recentemente acquisiti nella geometria proiettivo-differenziale degli iper- spazii. E precisamente mostrerò come si giunga, con considerazioni proiet- tive, alla condizione necessaria e come si associ alla V,, in modo intrinseco (cioè indipendente dalla rappresentazione di Gauss), un'equazione di Laplace : dalla rigidità degli spazii generatori di V,, dedurrò poi la condizione neces- saria e sufficiente. Questa mette in luce un tipo di applicabilità che, indi- pendentemente dal caso attuale, mi sembra offra interesse per una ricerca di carattere generale. 2. Per non interrompermi nel seguito, ricordo un teorema sulle varietà Vx che con le coordinate proiettivo omogenee dei loro punti x;(7,,T2,...) t4) soddisfano ad uno o più gruppi di equazioni simultanee alle derivate par- ziali, lineari ed omogenee, del tipo: DEZ DEL nix EIA PRA da: i dr ali È DIA dI, ar st i PIA dI dA dI + Ck dt, + ua + AGI >, + ciox= 0 0 Dx DEL Dx 0‘ TEAM 000 os] 1 dI 9 PILA 2 dT9 un ar x dI9 dI t dI dI + @2x > t cala +awng=0, k LI ate 1 dtd TANA Engl dI dI di DICCI =——— (04 DG — 0 + kk da SE + kl DT, + ko (ove i coefficienti sono funzioni delle 7). Prescindendo da qualunque ipotesi sull'essere le z; soluzioni di altre equazioni o meno, si dimostra (') che: Se una Vy rappresenta m ( Wa Ca + p16,=0 Mac + Ne 60 + poca =0 Mai Cio + Ma C20 + p163°=0 MoCio + Na €29 apici 0 O ° 9 9 900 9 ® O ° ® O ° o O o ° Mai Cinta Con + Di Con = 0 Ma Cin + No Con + pecin= 0 Mn-2 11 + Nn-2 C2 + Pns Cnr = 0 Mn C12 + Nn-2 C22 + Pro Cn = 0 ° ° . 0 O O Mn-2 Cin + Nn-2 Can + Pas Cnn 0, cioè anche: | 2 0 2 0) 2 () | mari Sir ba n e 220 ELA ELIZA ELIIELAÌ DE \ ( DES I DEU O m m( E 2 0 . los dX2 Li dXS J To (a >) DELIO DETTA DEVE | ma) Ste (a) PD: a ma Si noti però che le equazioni stesse sono pure soddisfatte dalle altre coor- dinate 41, %2,...,%n, essendo nulle tutte le derivate seconde che vi com- pariscono. Si tratta dunque del sistema di x — 2 gruppi di 7 equazioni ciascuno, soddisfatto dalle coordinate dei punti della varietà (e dall'unità) nell'intorno dell'origine: il ragionamento ricordato nel num. preced. porta a concludere che per l'origine passa uno S,_s contenuto nella varietà, e che questa ha in ogni punto di esso uno S, tangente fisso. Ma poichè l'ori- gine è stata scelta ad arbitrio sulla varietà, si conclude che: Condizione necessaria per la deformabilità di una Vn di Sn+r è che essa sia luogo dî 00° S,_s, e che abbia uno S, tangente fisso lungo ognuno dei suoi spazii generatori. 4. Per veder meglio la natura di una tale V, si osservi che la sua sezione con uno Sy generico è una congruenza di rette con carattere di svi- luppabile (*), in cui ciascuna generatrice è incontrata da due delle infini- (1) C. Segre, Preliminari di una teoria delle varietà luoghi di spazi, Rend. del Circe. Mat. di Palermo, tom. XXX (1910), pp. 87-121, n. 29; e F. Schur, loc. cit., $ 11. RenpICcONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 18 — 130 — tamente vicine: per la genericità dello Sy si conclude che ciascuno degli Sn-» generatori della V,, è incontrato da due degli infinitamente vicini in Sn-3, 0, in altre parole, gli c0* S,_s possono distribuirsi 772 due modi, come spazii osculatori ad co! curve. Le due superficie luoghi di questi spigoli di regresso contengono un doppio sistema coniugato di linee (caratteristiche) del quale quelle curve fan parte: son due superficie della specie ® (!) cioè le coordinate proiettive omogenee dei punti (x;) di una di esse (riferita ai parametri variabili separatamente sulle caratteristiche) sono soluzioni di un'equazione di Laplace: VA dI d E + d = a dia dI) dz + a Anzi le due superficie possono considerarsi ottenute, una dall’altra, applicando n—2 volte a ciascuna la trasformazione di Laplace (in un determinato verso) (°); le equazioni rappresentate dalle due superficie /oca/iî si otten- gono allo stesso modo una dall'altra. Queste Vs focali non sono le più generali della specie ® (con un doppio sistema coniugato) perchè la condizione trovata è semplicemente necessaria, e le altre condizioni per la deformabilità debbono appunto riflettersi sulla natura di queste V.. Lasciando al num. successivo il precisare queste par- ticolarità, possiamo intanto dire che la nostra V, ammette la generazione seguente: St consideri in Sn+ una particolare superficie Vs con un doppio sistema coniugato, rappresentante cioè un'equazione di Laplace: D°x DI dI sa —+b_—-+cx=0. dI) dda % dI) at dI? n) Gli Sn-s osculatori alle curve di un sistema descrivono la V, (*). 5. Non però ogni V, così costruita è deformabile. Lo Sbrana ha di- mostrato analiticamente (e si potrebbe confermare con ragionamenti infini- () C. Segre, Su una classe di superficie degli iperspazi, legata colle equazioni alle derivate parziali di 2° ordine, Atti R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. XLII (1906-1907), pp. 1047-1079. (£) E. Bompiani, a) Sull’equazione di Laplace, Rend. del Circ. Mat. di Palermo, tom. XXXIV (1912), pp. 383-407, n. 3; 0) Sur les configurations de Laplace, Comptes Rendus de l’Ac. des Sciences de Paris, tom. 156 (1913), pp. 603-605, n. 3. () Cfr. per a2=3,4,5, Sbrana, loc. cit., a) $ 20; 4) $ 7 in fine; per 2 qualunque rimane confermata una fondata supposizione dello Sbrana (loc. cit., a), $ 21): l'identità dei suoi enunciati con i nostri dipende appunto dalle considerazioni citate nella nota precedente, per le quali si può fare a meno di considerare le superficie intermedie fra due date in una certa successione di trasformate di Laplace. Per es. che i piani tangenti ad una superficie ® possano considerarsi come osculatori alle caratteristiche (in un sì- stema) di una trasformata di ® risulta dalla mia Nota cit. è), n. 3. — BI + tesimali) che gli S,_» si mantengono rigidi nella deformazione. Vogliamo tradurre questa condizione in un’altra relativa alle superficie focali. Intanto è chiaro che con la V,, si deformano queste V, lasciando co- niugati i sistemi coniugati. Ma poichè gli S,_s rimangono rigidi, e questi (per il num. prec.) sono osculatori ad un sistema di caratteristiche sù cia- scuna V,, di queste caratteristiche rimangono inalterati nella deformazione tutti gli elementi contenuti in uno S,_»s, cioè le prime n — 3 curvature. E poichè in queste condizioni esiste effettivamente una deformazione (finita o infinitesima) della V,, (secondo che le Vs focali sono deformabili in modo finito o infinitesimo) (*) si ha: Condizione necessaria e sufficiente perchè la V, costruita al numero precedente sia deformabile, è che si possano deformare (in modo finito 0 infinitesimo) le due Va focali (ciascuna (n— 2)-esima trasformata di Laplace dell'altra) în modo che si conservino inalterate le prime n — 3 curvature delle caratteristiche a cui gli S,_s di V, sono osculatori. Solo per (2=3, cioè per) S, il problema di deformare, nel modo or- dinario e simultaneamente, due superficie contigue in una successione di Laplace coincide con la ricerca delle V3 deformabili (?). La deformazione di una V, avviene, quando sia possibile, deformando le sviluppabili formate dagli S,_» e lasciando questi inalterati: ma le (2 — 2)-esime sviluppabili di due curve non sono sovrapponibili con i loro spazii generatori se le due curve non hanno le stesse prime n — 2 curvature nei punti che verranno a sovrapporsi. Nel nostro caso questi spigoli di re- gresso sono le caratteristiche (in un sistema) delle superficie focali: sicchè, mentre dal teorema precedente risulta necessario che dette caratteristiche conservino nella deformazione le prime n —3 curvature, esse conservano effettivamente anche le (n — 2)-esime. Il problema che nasce nel caso più generale di deformare una super- ficie lasciando inalterate certe curvature di un suo dato sistema di linee, mi pare di per sè interessante: e mi propongo di ritornarvi altrove. 6. Ogni V, (v< x) contenuta in V,, è deformabile. (*) Analiticamente le condizioni si presentano in modo distinto: cfr. i due lavori dello Sbrana. (2) Cfr. Sbrana, loc. cit., a), $ 19. Matematica. — Sulle equazioni integrali di prima specie del tipo Fredholm. Nota del prof. C. SEVERINI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascieolo. Matematica. — Sur certaines équations intégrales. Nota di J. SouLA, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Cette Note est consacrée à l’étude de quelques équations de la forme: xx xx (1) (a+ Fo) K"(27) + (+ F1) Kay) +-+ (ERO, où F,, F,,..., Fm sont des fonctions données intégrables dans le champ des variables réelles (a=x = a=%y ='d)} 0ù 40,01 .--, Gm i sont des XX constantes, où K(xy) est la fonction inconnue, K”(xy) la puissance com- posée d'ordre 72 du noyau K(xy), où enfin les symboles tels que XX (Gm + Fn-1) K(09) représentent le résultat de la composition de deuxième espèce : XxX Xx (Gm + Fm1) K (24) = om K(29) + f Reg K(sy) ds. Ces équations ont été étudiées, dans certains cas, par MM. Lauricella et Vol- terra ('). Je voudrais surtout montrer que les équations de la forme (1) peuvent étre classées en catégories très différentes par la nature de leurs solutions. 1. Commengons par supposer F(4#y) égal à zéro et am, différent de zéro. L'équation peut s'écrire: Kg) n NOEC Um-ra avec Xx XX XX N(2y) = (00-+ Fo) K"1(2y) +-+ Fn K(09). Admettons que K(xy) soit une solution bien determinée de cette équa- tion. En regardant y comme un paramètre fixe, on peut dire que K(xy) est solution d'une équation de Fredholm sans second membre de noyau N(x7) pour la constante caractéristique — . Le noyau N(xy) est inconnu; m-1 (1) Lauricella, Atti della R. Accad. dei Lincei, 18 juin 1911 et 16 mars 1913; An- nali di Matematica, octobre 1913. Volterra, Atti della R. Accad. dei Lincei, 23 avril 1911 et 27 juillet 1913; Zecons sur les fonctions de lignes, professées à la Sorbonne, page 183. -- 133 — nous savons, cependant, qu'il ne peut admettre qu'un nombre finì de solu- tions fondamentales linéairement distinetes pour la constante — . Je Um_1 désigne ces solutions fondamentales par NIC EIA E La solution fondamentale K(xy) est une combinaison linéaire de celles-là, dont les coéfficients peuvent dépendre du paramètre y. K(xy) est done de la forme: (2) K(2y) = a(2) d(4) + d2(2) d(4) +---+4+ @(2) d(4) . 2. Je me contenterai de ce résultat dans le cas général. Supposons les fonctioos Fo, F,,...,Fm deux à deux permutables, et ne cherchons que les fonetions K(2y) permutables à Fo, F1,.., Fm. Jai démontré (*) que, dans ces conditions, @,(2),@:(£),..., di(Y), b2(y),... sont des combinaisons linéaires des fonetions principales de F;(4xy): et cela pour toutes les valeurs de 7. i Dans cette Note je n'étudierai qu'un cas particulier dont j'aurai besoin tout à l'heure: le cas où les fonctions F;(xy) sont des sommes de puissances composées, d'un méme noyau G(z7y) Xx (83) Fi(2y) = e1G(2y) 4 cio G(xy) 4 <* ((ENREO) ces séries étant intégrables terme è terme; et encore je ne chercherai pas systématiquement toutes les solutions. 1°) Soient g(4) et W(y) deux solutions fondamentales de G(ay) à droite et à gauche, correspondant è une méme constante caractéristique de G(xy), telles, de plus, que db Î ge) ya) da =1, a ce qui exige que la constante caractéristique soit simple. (x) et yw(y) sont aussi solutions fondamentales de F;(xy) et on a: b b J Faso =I | Pi(8y) 00) de = LO o, I (x) Y(Y) . On aura: z Cherchons une solution de la forme (x) W(7) (4 + n) d + (4 si n ma I (dm, | Ta i) di) (1) Atti della R. Accad. dei Lincei, 16 février 1913. — 134 — et il est toujours possible de choisir Z pour qu'il en soit ainsi (si m>1). g(x) étant ainsi choisi, si on remplagait w(y) par une fonction quel- conque w'(y) telle que b fsOvOIE1, cuni (2) W(4) FI serait toujours une solution de (1); mais elle ne serait plus permutable à F;(x7). 2°) Supposons qu'il existe deux fonctions #(x),/(Y), telles que Suo ini {66 O) ds= f a(%) Tao, . On devra avoir: Cherchons une solution de la forme Sig n) Un) +7 et on pourra trouver 4 vérifiant cette condition. 3°) Soient deux solutions K(xy) et K'(xy) de l'équation (1), telles que: XX XX XX XA RR — KEKE_0E K+ K' est alors solution de (1). Or les solutions déjà trouvées peuvent étre supposées ortogonales deux à deux. On pourrait trouver de méme des solutions formées non plus exclusi- sivement avec des solutions fondamentales, mais aussi avec des fonctions principales. L'équation (1), quand les F;(xy) ont la forme (3) et quand Fn(xy) est nul et Am-, non nul, admet en général une infinité de solutions de la forme (2), et n'admet que des solutions de cette forme. 3. Etudions maintenant l’équation: XXX (6) (a+ Po) E"(2y) + (a+ P) E9(ey) +-+ + (1-+Fn1) E(2y) +Fn(2y)=0, où le coéfficient constant de K(xy) est différent de zéro (nous le suppo- sons égal à 1) et où les foncetions Fy, F,... sont des sommes de puissances composées d’un méme noyau L dell'antipodo; nella fig. 4 è il caso inverso. P saronno y Fic. 4. Se si osserva ora il diagramma della fig. 2, si trova che esso corri- sponde al caso della fig. 3. Le regole del Meyerhoffer trovano dunque una conferma sperimentale: tuttavia non completa, perchè dalla fig. 3 si deduce che il punto di trasformazione del racemo nella miscela degli antipodi giace a temperatura elevata; invece nel caso della alanina succede il contrario, perchè aumenta la stabilità del racemo con l'aumentare della temperatura. Questa contraddizione può tuttavia essere soltanto apparente: poichè con l'elevarsi della temperatura potrebbero intervenire fenomeni di aggregazione molecolare (sulla cui natura non è possibile di pronunziarsi con sicurezza) tali da aumentare la stabilità del racemo: d'altra parte, non è poi escluso che, ad elevata temperatura, possa di nuovo diminuire la stabilità del com- posto racemico. Le ricerche in tale indirizzo saranno continuate ('). (') Queste ricerche ebbero inizio durante la mia permanenza all’ Istituto di Chimica farmaceutica di Cagliari. Ringrazio il dott. Colombano per l’aiuto prestatomi. — 151 — Meteorologia. — Sulla distribuzione mensile della frequenza relativa della neve nelle Alpi settentrionali. Nota di V. MonTI, presentata dal Corrisp. A. BATTELLI. In una Nota di poco precedente a questa, consideravo la distribuzione altimetrica dell’annua nevosità relativa e dell’annua frequenza relativa della neve nelle Alpi settentrionali. Qui, in una tabella più avanti riportata, si trovano i valori mensili, moltiplicati per 100, della frequenza relativa F della neve, per la stessa parte delle Alpi, dedotti dalle medesime fonti. Per ogni zona e per ogni mese, dove non è stato impossibile o illogico il farlo, ho cercato di rappresentare 100F con un'equazione del tipo 100F= a+ dH, essendo 4 e d costanti relative alla zona ed al mese, ed H l'altitudine in m. Premetto alla tabella uno specchietto delle zone e dei corrispondenti valori di @ e d, determinati col metodo dei minimi quadrati. A) Zona pianeggiante elvetica a N delle Alpi (Località 16). a b a d Gennaio . .. + 32 0.060 Otto DECCA — 13 0.044 Febbraio . . . + 23 65 Novembre . .. — 12 66 Marone = 64 Dicembre ... + 20 58 Aprile .... — 18 73 B) Grigioni ed alta valle del Reno (Località 5). 4 ò 7) d Gennaio ... + 50 0.034 Maggio .... — 10 0.028 Febbraio . . . + 52 32 Ottobre .... — 8 37 Marzo .... +35 40 Novembre... — 2 DÒ Aprile .... — 6 Od Dicembre . .. + 40 98 C) Valli della Linth, Reuss e Aar (Località 11). a db a dò Gennaio ... + 51 0.032 Maggio ....—11 0.030 Febbraio . . . + 42 41 Ottobre .... — 11 42 Marzo .... 24 51 Novembre... — 8 61 Aprile ....—- 7 98 Dicembre ... + 28 49 — 152 — D) Engadina (Località 2). E) Vallese (Località 1). F) Canton Ticino (Località 4). a d a b Gennaio ... 4-34 0,054 April esce — ll 0,046 Febbraio . .. + 41 47 Novembre ... — 7 59 Marzo ....+ 2 69 Dicembre ... + 37 46 G) Vorarlberg (Località 5). a db a b Gennaio ... + 50 0.041 Ottobre .... — 7 0.042 Febbraio . .. 4 48 43 Novembre ... +11 47 Marzo .... + 28 58 Dicembre . .. + 39 40 Aprile .... — 14 72 H) Tirolo (Località 6). a b a d Gennaio ... + 69 0.019 Ottobre .... — 6 0.034 Febbraio . . . + 68 21 Novembre . .. + 10 47 Marzo .... +44 32 Dicembre ... + 66 20 Aprile .... —- 17 65 I) Trentino (Località 10). a d a 5 Gennaio ... + 48 0.036 Novembre ... — 83 0.047 Febbraio . . . + 25 56 Dicembre ... + 36 42 In base a questi numeri, furono ottenuti i valori calcolati per le sin- gole stazioni, e le differenze tra valori osservati e calcolati, il tutto come risulta dalla tabella che segue. Zona B e SITI G | F M LOCALITÀ SS metri | O || C| 4 | 0 e 4 | 0 e Olten 395 | 60.| 564 4 49| 49 0| 47| 42 Aarau . 400. | 60.| 564 4| 59) 49/410) 47] 42 Ginevra 405 48 | 56|— 8| 38 49 L1| 32] 48 Franenfeld 420 | 61 57|4 4| 61 50/4+11| 47| 45 Krenzlingen . 59 | 57/4 2 51/4 3| 44] 45 Winterthnr 59]4+ I 52 O) 49 | 45 Lucerna 59 0 52/4 8| 48 | 46 Zurigo . 61|4 4 dA |4- 4| 55 18 Neuchàtel. 59 | 61|— 2) 49 55/— 6| 44 | 48 Muri 60.| 61/— 1| 49| 55|— G| 47 | 48 Losanna 60 65|— 5j 45 59|—14| 37.| 52 Berna . 63 | 66/— 8| 43] 60|—17| 53 | 58 Wald 66| 69/— 3/ 71 63/4 S| 53.| 57 Ebnat . 3] 71/4 2) 69) 65/4 4 68] 50 St. Gallen TA | 78|4 1) 72| 67/4 5) 68 61 Affoltern . 83| 80/4 3] 77 754 2| 67 | 68 Altstitten . 470 66|/— 8| 62 67/— 5 49.| 54 Sargans 507 67|— 1| 66 68|— 2) 55 | 55 Reichenau 604 75 | 70/4 5| 80] 71/4 9| 63| 59 Wildhaus 1110 | 87| 88/— 1 79 Platta . 1378 | 96| 97/— 1 90 Gersan . 442 | 61 G5|— 4| 52) 60/412) 45 | 46 Altdorf 452 66 65] 1| 58 60/— 2| 46 | 47 Glarus.. 480 | 72] 66/4 6| 71| 62/4 9| 52| 48 Thun 565_| 57] 69|— 12) 52) 65|—13| 45 || 53 Einsiedeln 910 84 80/4 d| 87 79/4 8| 77] 70 Elm 960 | 91] 82/4 9| s1| 81410) s2| 7 Engelberg 1018. | 87 84/4 3| 86 | S4l+ 2| 77) 76 Guttannen 1055 | 87] 854 2| 96| s5/411| 84| 78 Oberiberg . 1126 88 87|— dj 88 88 O] 80.| 82 Beatenberg 1148 | 91 87|4- 4| 82 | 88|— 6| 76 | 82 Andermatt 1446 | 88 | 97/— 9| 90) 10o0|—10| 94 | 98 Schuls . 1248 93 98| — 76| — Bevers . 1713 | 99 —| — | 99 — 97 — Sion 540 | 68| —| —| 51 È — | 861 — Locarno 239 43 47|— 4|j 52 52 0) 21 19 Lugano 275 | 51] 48|+ | 57] 544 8) 20|021 Castasegna 700 76 72/4 4| 70 73|— 8| 48 | 50 Airolo . 1142 | 94| 96|— 2| 97| 95/4 2) 82| s1 | Rees 58. 67 9| 56] 1 5| 48| 47 Peldkirch . 72 69|4- 3] 67 63.(+ 4| 49. | 50, Bludenz 78| 78/4 5| e5| 68 8) 58) 57 Gaschurn . 964 | 94 | 89 5| 0 79 Langen 1220 95 | 100 5 90 98 Rotholz 536 69 79|- 10 78| 6l Innsbruck. 600 81 80|4+ 1) 75] 68 Kitzbihel. 737 86 83|+ 3) 83 68 Landeok 810 |\95 | s4|411| 98 | 70 St. Anton. 1280 | 92| 98|— 1| 92 | 85 Hall-Salzberg 1490 | 95 | 97|— 2| 97 96 Riva 89 32 46|—14| 16 | = Ala. 125 46 47|— 1| 26 | = Rovereto . 210 | 44 | 51|— 7| 3: = Trento . 210 | 53| 51/4 2| 41| S. Michele 230 | 65] 51/414 46| ze Bolzand-Gries 290 64 58|4-11| 59 — Bressanone 580 | 74 | 64/410] 65 _ S. Lorenzo 600 | 64 | 65|- 1| 52 = Berchof 660 fo 67/— 7| 61 = Marienberg 1820 89 91|/— 2) 96 - bericazine i ie nie Cee ei i ni ti Xi È 3: sas — 153 — L'errore medio fornito dalle calcolate equazioni, è dato, come si sa, da xd m_—k' dove 2 è il numero delle osservazioni, e % quello delle incognite, (2 nel nostro caso). Lo specchietto seguente contiene gli errori medî per ogni zona e mese: Zona G F M A M O N D A 4 9 6 5 5) 6 5) B 4 6 4 6) 1 3 4 6 C ti 10 6 6 6 8 6 F 5) D) 2 7 4 8 G 7 7 3 4 5) 5) 5) H 8 5) 5) 5 5) 4 7 I 9 10 tl 13 L'importanza di questi errori dipende dai valori di 100F. Ecco qui uno specchietto di tali valori, calcolati in base alle note equazioni per la quota di m. 1000: Zona G F M A M (0) N D B 84 84 75 48 18 29 53 78 C 83 83 75 51 19 81 59 77 F 88 88 Al 35 52 89 G 91 86 81 58 35 58 79 H 88 89 76 48 23 57 86 I 79 81 4d 78 Si calcolano i seguenti errori medî relativi percentuali: ZoNA G F M A M (0) N D B 6) di b) 10 6 10 8 8 0 8 12 8 12 16 19 15 8 F 6 b) 3 20 8 10 G 8 8 4 8 10 5 4 H 9 6 7 10 11 Yi 8 I Il 12 16 17 Si vede che i mesi nei quali l'errore relativo, che risulta dall'impiego delle nostre equazioni, è minore, sono quelli di novembre, dicembre, gennaio, febbraio e marzo. RenDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 21 2154; —- Limitandoci a questi mesi, e riprendendo i valori di 4a e di d assegnati in principio di questa Nota, si vede che, per ogni zona, l'andamento loro di mese in mese è abbastanza regolare e naturale. a ha i suoi più alti valori in gennaio o febbraio, più spesso nel primo mese: da questi due mesi i valori di 4 discendono verso dicembre o no- vembre per una parte, verso marzo per l'altra. Nel solo caso del Canton Ticino, a ha in dicembre un valore superiore a quello di gennaio. b, gradiente verticale della frequenza relativa della neve, ha invece il suo minimo valore nel cuore dell'inverno, e va aumentando verso l'autunno e la primavera. L'andamento di a e d al passare dei mesi mostra così di essere stret- tamente collegato colla distribuzione delle temperature, e ciò mostra tutto il vantaggio che si può avere dalla considerazione dei fenomeni della neve, in quanto son paragonati a quelli della precipitazione generale. Riprendendo poi in esame lo specchietto dei valori di 100F calcolati per la quota di m. 1000, si può tentare un confronto tra zona e zona. È notevole il contegno del Canton Ticino, pel quale gli errori relativi percentuali non sono più rilevanti che altrove. Ci si aspetterebbero per questa zona valori invernali di 100F più modesti che non per le altre. date le più miti temperature invernali. Invece, per dicembre gennaio e febbraio esso viene al secondo posto; in gennaio tiene questo posto insieme col Tirolo, e segue con esso al Vorarlberg; in febbraio e dicembre vien dopo al Ti- rolo. Si vede che l’azione termica dei laghi lombardi e ticinesi non giunge fino alla quota di 1000 m. Che se, invece, si considera il Trentino, i mi- nori valori di 100F, più che spiegarsi colla vicinanza del Garda (la quale perturba certamente i valori di Riva), si spiegano cogli errori percentuali più rilevanti. Patologia vegetale. — Ancora sul significato patologico dei cordoni endocellulari nei tessuti della vite. Nota di L. PETRI, presentata dal Socio G. CUBONI. In una recente Nota (') si tenta di ribattere gli argomenti, da me svolti nella mia precedente replica (*), con degli artificî polemici di un'efficacia assai discutibile e che non portano nella discussione alcun elemento che abbia un valore dimostrativo degno di considerazione. È veramente deplorevole che in mancanza di argomenti migliori si ri- corra all'uso di citazioni frammentarie di mie precedenti pubblicazioni, (1) Mameli E., Risposta alla Nota del dott. Petri: Sul significato patologico dei cordoni endocellulari nei tessuti della vite (Rend. Acc. Lincei, XXII, 1913, pag. 604). (*) Petri L., Sul significato patologico dei cordoni endocellulari nei tessuti della vite (Ibid., pag. 174). — 155 — abilmente fra loro collegate, per presentarle al lettore come mie pretese con- traddizioni. Prima di confutare quelle affermazioni che possono anche avere la parvenza di obiezioni più serie, desidero occuparmi di simili inabili espedienti. Il periodo della mia Memoria (*), citato nella Nota della dott. Mameli (?) si riferisce al fatto generale che nelle viti veramente sane, non danneggiate da freddi tardivi, senza accorciamento d’internodi nè deformazione delle foglie, non si trovano cordoni endocellularì (*). Nello stesso lavoro però sono citati quei casi che si possono solo appa- rentemente presentare come eccezioni, e che la dott.5°° Mameli a torto crede di aver scoperto per la prima volta, ritenendoli altrettanti argomenti fon- (1) Petri L., Ricerche sulle cause dei deperimenti delle viti in Sicilia. I. Contri- buto allo studio dell’azione degli abbassamenti di temperatura sulle viti in rapporto all'arricciamento (Memorie della R. Stazione di Pat. veg. Roma, G. Bertero, 1912), pag. 40. (8) Loc. cit., pag. 604. (3) Dal dott. Mario Topi, direttore del Consorzio antifillosserico di Alice Bel Colle (Alessandria) mi è stato comunicato il resultato di alcune sue ricerche, che credo utile di riportare qui interamente: « Le mie osservazioni riguardano esclusivamente viti no- strali di Bardera, Dolcetto e Moscato, sane o deperite per diverse cause o cosiddette risse o rapaline. Le mie ricerche essendo state fatte per la maggior parte in inverno, mi sono quasi sempre limitato alla ricerca dei cordoni nei vasi legnosi per mezzo di sezioni trasversali. Gli scopi che mi proponevo erano: 1) vedere se nelle viti deperite per altre ragioni (fillossera principalmente) si trovassero cordoni; 2) vedere se i cordoni si trovassero anche in viti rigogliose, che non presentassero nessun carattere di court-n0ué; 3) vedere infine se questi si trovassero sempre in viti che questi caratteri presentassero. Riguardo al 1° scopo, ho esaminato diverse viti della proprietà Bertalero (contrada Pagliaro), ed una quindicina nella proprietà Otria (contrada Bulsenga) e parecchie qua e là raccoglievo nei varî deperimenti fillosserici. Ho trovato un solo cordone in una vite della proprietà Otria, che non sembrava affetta da court-noué, e numerosi cordoni in due viti della proprietà Bertalero, che però erano le più deperite della macchia e presentavano evidentemente i caratteri del court-noué. In tutti gli altri casi non ho trovato cordoni. Circa al 2° scopo, tutte le ricerche che ho fatto scegliendo in diverse vigne, in diverse località del comune le viti più belle e rigogliose, mi hanno sempre dato resultato negativo, cioè non ho mai trovato in modo assoluto i cordoni. Fra queste ricerche ho voluto anche esaminare la parte terminale di tralci a frutto, dove si riscontra un notevole accorciamento degl’internodi. Neanche in questi casi, in viti rigogliose, ho trovato cordoni. Ho invece quasi sempre trovato con facilità i cordoni nelle viti risse o rapaline. Una diecina di sezioni che mettevo insieme sotto il microscopio, ne presentavano quasi sempre uno, due, o più. Anche nei tralci che mi portavano da comuni vicini (p. es. Nizza) dicendomi che le viti erano deperite, ma non c’era fillossera, ho sempre trovato cordoni, trattandosi evidentemente di viti risse. Non sono riuscito invece a trovarne in una vite (propr. Pollaccino, contr. Bulsenga) con tutti i caratteri del court-noué. Li ho trovati rari in altre due viti, pure con tutti i ca- ratteri della malattia, della proprietà Bonevolo (Marcorina). S° intende che anche in questi casi ho fatto un numero non grandissimo di sezioni n. — 156 — damentali per combattere l’interpretazione che ho creduto di dare alla pre- senza dei cordoni endocellulari nei tessuti della vite. La possibilità di cordoni in tralci vigorosi e con internodi di lunghezza normale è più volte ripetuta nella mia Memoria, e ciò riguardo al fatto che la formazione di queste anomalie citologiche compaiono nelle viti prima delle deformazioni esterne dell'arrzeciamento (*). E circa l’altra mia afferma- zione che una vite mostrante cordoni nei tralci non è sempre necessaria- mente ammalata o destinata ad ammalarsi di cour/-n0ué cronico, credo di essere stato abbastanza chiaro quando ho detto che tralci legnosi e germogli a cellule cordonate possono essere equiparati in molti casì a marze amma- late, innestate su soggetti sani; cioè è possibile la loro guarigione, e con ciò anche la cessazione della formazione dei cordoni nei periodi vegetativi successivi a quello in cui se ne verificò l’origine in seguito ad abbassamenti di temperatura (?). Cade dunque completamente la tendenziosa accusa lanciatami, troppo leggermente, di avere con abzlî e nuove versioni cercato di parare le obie- zioni che mi erano state mosse, È anche evidente che la stessa fretta di concludere in senso contrario al mio tradisce la dottoressa Mameli quando vuol far credere che dalle mie affermazioni non si può dedurre altro che tutte le viti da lei esaminate e contenenti i cordoni endocellulari nei tralci dell'annata, non rachitici, do- vranno necessariamente ammalarsi di arricciamento fra uno o due anni! Quale soddisfazione o quale utile essa creda di ricavare da questi deplore- voli artifici polemici, io non so, ma a me sembra che un tal sistema nor sia molto vantaggioso per far trionfare quella verità della quale la dottoressa Mameli si atteggia a strenua sostenitrice. Si vuol trovare inoltre un'evidente contraddizione fra la mia afferma- zione, che una vite presentante cordoni non è necessariamente destinata al rachitismo cronico, inguaribile, e l’altra, che i cordoni endocellulari possono esser riguardati come un sintomo interno di questo stesso rachitismo cronico, accordando a questi caratteri lo stesso valore dei sintomi esterni, cioè delle deformazioni degli organi aerei. Ho già più volte ripetuto che i cordoni en- (*) Basterà che io citi queste parole contenute a pag. 113 della mia Memoria: « La formazione dei cordoni endocellulari precede il rachitismo e la deformazione delle foglie nei vitigni dove quest’ ultimo fenomeno si presenta. Il vigore di vegetazione non impe- disce la comparsa dei cordoni, anzi questi in una pianta già ammalata si trovano più frequenti nei tralci più robusti che in quelli a debole accrescimento ». A pag. 91 vi è pure un paragrafo intitolato: « Precedenza dell’alterazione del cambio sulle manifestazioni dell’arricciamento ». Come si fa dunque a sostenere che questa è una zuova versione del- l’interpretazione dei miei resultati ? (3) Si veda a pp. 170-171 della mia Memoria. E per quanto riguarda la cessazione della formazione dei cordoni nelle marze ammalate innestate su soggetti sani vedasi a pag. 158 dove sono descritti i resultati di alcune apposite esperienze. — 157 — docellulari non possono essere riguardati come dei veri caratteri specifici del- l’arrieciamento, non conoscendo ancora quale rapporto genetico esista fu la loro formazione e la causa della malattia; ma essi possono essere però ri- guardati come caratteri che hanno un eguale valore diagnostico a quello accordato all’accorciamento degl’internodi e ad alcune modificazioni della lamina fogliare. Nessuno potrà negare che l’accorciamento degl’internodi sia una delle caratteristiche di questa malattia, e non pertanto esso è eguale tanto in questo caso, come in quello in cui trattasi dell'effetto diretto e imme- diato dei freddi tardivi. Chiunque abbia letto i miei lavori non può diver- samente interpretare il valore diagnostico che ho accordato ai cordoni endo- cellulari. Sino dal 1911 scrivevo infatti che può ritenersi specifico solo 22 complesso dei caratteri con cui queste formazioni si presentano nelle viti affette da arricciamento (?). Nelle viti colpite da rachitismo cronico infatti la localizzazione dei cordoni nel cilindro legnoso della pianta, sia della parte aerea che di quella ipogea, è ben diversa da quella che può verificarsi per un semplice abbas- samento di temperatura che colpisca i tralci nel loro sviluppop rimaverile. Di tutto ciò la dott.55* Mameli crede di tenere il minimo conto, attribuendo un significato, del tutto opposto a quello dato da me, ai resultati delle sue ricerche, molto incomplete, sulla localizzazione dei cordoni. Sembra che essa non si sia ancora convinta che simili ricerche non si possono fare soltanto sui tralci, ma per una diagnosi sicura occorre esaminare tutta la pianta. Essa insiste nell'attribuire alle mie parole: parte bassa della vite, un significato che non resulta dalle mie descrizioni. Ho già ripetuto nella Nota precedente, ed è deplorevole che debba tornare a ripeterlo, che per parte bassa della pianta si deve intendere la base del fusto e le grosse radici (?). Circa la formazione di cordoni endocellulari negl’internodi superiori dei tralci, non ho da ripetere che ciò che ho scritto nella Nota precedente (*), (') Questi Rendiconti, vol. XX, 1911, pag. 156. E nella mia già citata Memoria, vedasi a pag. 195. (*) Riguardo al metodo seguìto nell’Istituto di Pavia per la ricerca dei cordoni endo- cellulari sarebbe veramente desiderabile che ci si uniformasse a quelle norme che resultano dalle mie ricerche. Nella prima Nota della dottoressa Mameli, infatti si parlava di cor- doni nel midollo, nella maggior parte dei casi osservati. Io mossi l'appunto, contenuto nella mia replica (pag. 178), ed ora, nella seconda Nota si legge: cordoni nel legno e nel midollo. Ciò non è ancora tutto il desiderabile, ma in una prossima controreplica vi sarà probabilmente un progresso. Quando si parla (pag. 605 della Nota Mameli) di cordoni nel legno di due anni occorre precisare se essi sono nell’anello legnoso ultimo formato o in quello dell’anno precedente, giacchè in viticoltura legno di due anni significa la porzione di tralcio che ha due anni di vegetazione. Nella mia Memoria si trovano lar gamente descritti i diversi casi di localizzazione dei cordoni nel cilindro legnoso, e il si- gnificato che si può accordar loro in una diagnosi dell’arricciamento. (*) Cfr. pp. 178-179. — 158 — confermando l'esattezza della mia affermazione che il cambio dei giovanis- simi internodi, vicini all'apice, non reagisce con la formazione di cordoni. La ragione di ciò è esposta anche nell’ultima mia Nota (pag. 175): i ma- teriali necessarî al costituirsi di simili formazioni sono delle emicellulose, la elaborazione delle quali nel citoplasma delle cellule cambiali avviene in modo sensibile negl’internodi che più sono vicini al limite del loro accre- scimento in lunghezza, nei quali è attivissimo l’ispessimento secondario delle pareti degli elementi legnosi e liberiani. Si spiega quindi come sia molto difficile che nel cambio dei giovanissimi internodi apicali possa verificarsi la formazione di cordoni endocellulari. Il loro costituirsi quindi si deve attribuire ad abbassamenti di temperatura avvenuti quando già erasi ini- ziato da qualche tempo l'accrescimento in spessore. Nell'esempio riferito dalla dott.55* Mameli, veramente manca qualsiasi dato che dimostri come durante questo periodo la pianta non abbia subìto alcun abbassamento di temperatura, sufficiente ad arrestare momentaneamente il processo di accrescimento e di moltiplicazione delle cellule, permettendo la condensazione d’idrati di carbonio per l’azione di enzimi coagulanti (cito- coagulasi) preformati. Il limite a cui la temperatura deve discendere per produrre un simile effetto non è molto basso. Nelle mie esperienze ho ottenuto la formazione di cordoni endocellulari anche con temperature di 6° C. sopra lo 0. Tutto dipende dall'ampiezza dell’escursione termica nel minimo di tempo e dalla particolare sensibilità dei tessuti per condizioni ancora non determinate. Queste stesse considerazioni valgono per il caso, citato dalla dottoressa Mameli, di una vite, che pure stando in serra, ha formato cordoni endocel- lulari A tutti i fioricultori è noto quanto sia difficile impedire momentanei abbassamenti di temperatura nelle serre. Basta l’incuria di un operaio 0 il guasto dell'apparecchio di riscaldamento per determinare uno sbalzo di temperatura simile e anche maggiore di quelli che possono verificarsi al- l’aria aperta (1). Ora, per poter concludere, come fa la dott.85* Mameli, che la forma- zione dei cordoni endocellulari è assolutamente indipendente dagli abbassa- menti di temperatura, solo perchè il fenomeno si riscontra anche in piante coltivate in serra, occorrerebbe dimostrare che la temperatura non ha mai subìto degli abbassamenti e che neppure le piante ne avevano subìti prima di esservi poste, e ciò per i cordoni che eventualmente si trovassero nel legno vecchio. (*) Questa stessa considerazione ho fatto riguardo alla constatazione di Miller, che il Ginkgo biloba, coltivato in serra, è pure provvisto di cordoni? endocellulari (Cfr. la mia Memoria, pag. 150). E si rifletta anche che certi effetti del freddo sono più facil-7 mente verificabili nelle piante cresciute in ambiente ordinariamente caldo (loco citato, pag. 177). — 159 — Nell'ultima mia Nota, a proposito della presenza di cordoni endocel- lulari in tralci apparentemente sani, dicevo che si deve ammettere per lo meno uno stato patologico latente negli organi (*) nei quali simili anomalie citologiche sono originate. Anche queste mie parole non sono nuove, ma sono una semplice ripetizione di cose dette nei miei lavori precedenti (*). In ap- poggio alla mia opinione io non invoco affatto quella di Raatz, che ho ci- tato più che altro per ragione storica; la mia deduzione deriva semplice- mente non solo dalle numerose osservazioni fatte nei vigneti, ma soprattutto dal resultato delle mie esperienze (*), le quali hanno dimostrato come gli stessi effetti del freddo che si manifestano con la formazione dei cordoni, determinano una diminuzione o la scomparsa dell'attività rizogena del cambio dei tralci. La figura qui unita mostra la stentata vegetazione dell'unica talea (4) che nelle suddette esperienze, malgrado la formazione di cordoni endocel- lulari, potè dare origine a delle radici. Io riconosco che un simile resultato non dimostra ancora che l'ariccza- mento sì possa riprodurre sperimentalmente con il metodo da me usato, ma è certo che i tralci di vite. che hanno subìto l’azione di freddi tardivi, non sono fisiologicamente equivalenti a quelli che a tale azione sono sfuggiti. Il difficile o mancato attecchimento delle talee a cellule cordonate è senza dubbio un fatto patologico non trascurabile. Che poi l’originarsi di un cor- done endocellulare rappresenti un processo anormale, patologico, dell’attività della cellula, vegetale, è un fatto che difficilmente potrà esser posto in dubbio (*). L'aver trovato dei cordoni endocellulari in 20 specie di piante dicotiledoni, prive, almeno in apparenza, di caratteri di malattia, non rappresenta niente di nuovo che a me fosse sconosciuto. Nella mia Me- (') Non nelle piante, come è scritto nella Nota della dottoressa Mameli. (*) Cfr. il mio articolo: Zes abaissements de temperature et le court-noué de la vigne (Rev. de Phytopath. appliquée, I, 1913, pag. 35); e l’altro: Effetti durevoli degli abbassamenti di temperatura sulla vite în rapporto all’arricciamento (11 « Coltiva- tore », 1912, n. 35, pag. 568) dove è; detto di uno stato latente dell’arricciamento. (8) Sono descritte nell’ultima mia Nota. (4) È la talea n. 1 rappresentata nella fotografia riprodotta nell'ultima mia Nota. (5) Anche Raatz (Pringsheim’s Jahrb., XXIII, 1892). in ultima analisi ritiene che il processo di formazione dei cordoni sia un fatto patologico, parlando infatti del con- tatto fra pareti tangenziali delle cellule cambiali, che darebbe origine ai cordoni, dice: «In solchen Fàllen ist der Berùhrung der tangenzialen Winde augenscheinlich ein zeit- weiliges pathologisches Collabiren vorausgegangen. «An einigen Pràparaten hatte diese Auffassung um so gròssere Wahrscheinlichkeit fir sich, als sich die Zellen in nàchster Nahe von vernarbten Verwundungen (Wund- parenchym) befanden, wie ich dies bei Picea ezcelsa, Pinus excelsa und Yhuja gigantea gefunden habe » (pag. 583). Riguardo all'ipotesi di Raatz sull’azione del clima in rapporto . all’origine dei cordoni faccio osservare alla dottoressa Mameli che l'A. ha creduto di — 160 — moria è largamente citato e commentato il lavoro di Miller (') come quello di Raatz e tutte le altre osservazioni, fatte da autori diversi, intorno ai cor- doni endocellulari, in piante diverse. Che in questi casi un vero stato di malattia non si manifestasse in concomitanza della formazione dei cordoni, mi era ben noto, giacchè ho già scritto che: # la prima volta che in una stessa pianta si può stabilire nettamente una stretta correlazione fra la formazione di cordoni endocellulari e un manifesto stato di malattia (£). ° Fic. 1. — Unico germoglio, manifestamente rachitico, formatosi in luglio (1913) da una talea derivata da un tralcio che nella primavera 1912 fu esposto ad abbassamenti di temperatura (Fotografato il 26 ottobre 19183). Se dunque malgrado la conoscenza di tutti questi fatti, che oggi la dott.88* Mameli vuole fare apparire come nuovi, io ho creduto di affermare mantenerla, pur conoscendo i resultati delle osservazioni di Muller. Dopo quanto io ho trovato, l’Influenza del clima su di un tal processo è molto indiretta. Abbassamenti di temperatura durante la vegetazione possono verificarsi sotto tutti i climi, come pure nelle serre. (*) Ber. d. deutschen Bot. Ges., VIII, 1890. (®) Cfr. la mia Memoria, pag. 193. Questa correlazione è pure dimostrata dalle ri- cerche del dott. Topi più sopra riportate. — 161 — che i cordoni endocellulari rappresentano nelle viti un sintomo patologico, vuol dire che a ciò sono stato indotto dalla constatazione di numerosi e non dubbî fatti. Che uno stesso stimolo esterno possa determinare nelle varie piante e anche negl’individui di una stessa specie effetti patologici di gravità diversa, è una nozione così ovvia su cui non è necessario spendere molte parole, e il dire che le Conifere non sono malate, pure avendo cordoni endocellulari, non costituisce un argomento probativo della tesi sostenuta dalla dottoressa Mameli (1). Fisiologia vegetale. — rcerche sull'azione di nitrati isolati sul periodo germinativo dell’Avena sativa (*). Terza Nota preventiva del dott. F. PLATE, presentata dal Socio R. PIROTTA. In due precedenti Note (*) ho esposto i risultati ottenuti circa l’azione di nitrati del I° e II° gruppe del sistema periodico degli elementi sul pe- riodo germinativo dell’Avena sativa. Nella presente Nota vengo ad esporre i risultati ottenuti per nitrati di altri gruppi: e precisamente, del III° sruppo il solo alluminio e, del IV° gruppo lo stagno, il cerio, il torio ed il piombo. Nitrato di alluminio. — Nella seguente tabella sono esposti i risul- tati delle diminuzioni o aumenti reali di peso ottenuti per ciascuna con- centrazione rispetto al peso originale all'inizio dell'esperienza: Controllo N/50 N/100 N/200 N/4oo N/so0 N/1600 NISS00 in H80 dist. Peso sr. — 0,0074 —0,0066. —0,0018. 0,0184 0,0322 0.0418. 0,0492 0,2452 Radice cm. — = — 2.3 2.9 3.7 4.8 11.3 Germoglio » _ _ — 2 2.6 3.5 4.6 16.1 Rapporto » — _ — 0:2 0.3 0;2 0.2 4.8 Dalla tabella si rileva, anzitutto, che la media delle variazioni di peso, ottenute in ciascuna delle cinque prove eseguite per ogni concentrazione, segue una curva abbastanza regolare, benchè in generale l'aumento di peso rimanga molto al di sotto dei controlli. Per quello che riguarda poi l’accre- scimento sia della radice sia del germoglio, vediamo che esso comincia a manifestarsi nella soluzione “/joo, aumentando in seguito lentamente. Ma (1) Come ho già fatto notare altra volta, noi ion sappiamo se nelle Conifere, o nelle altre piante, dove i cordoni endocellulari possono formarsi, vi sia un rapporto, come nella vite, fra la presenza di queste anomalie e l’assenza o la deficienza dell'attività rizogena del cambio dei rami. (8) Lavoro eseguito nel R. Istituto Botanico di Roma. (5) Ved. questi Rendiconti, vol. XXII, serie 52, 2° sem., 11° fasc., pag. 598; 12° fasc. pag. 728. ReNDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 22 — 162 — non basta: chè se si considera la cosa sotto il punto di vista dello sviluppo correlativo, vediamo che in tutte le concentrazioni, eccetto le prime tre dove non abbiamo accrescimento, l’aumento della radice si manifesta supe- riore a quello del germoglio; il che corrisponde all’accrescimento normale della pianta nel suo periodo germinativo Onde il rapporto fra accrescimento della radice e quello del germoglio si mantiene positivo. Ma vi è un altro fatto degno di nota. Il catione Al, benchè appar- tenga agli elementi non indispensabili per la vita delle piante, e degli orga- nismi in genere, ha dato però luogo in questi ultimi tempi a ricerche inte- ressanti circa certe sue azioni caratteristiche sul protoplasma, specialmente per opera del Fluri (1) e dello Szuecz (?). Riferendomi appunto alle espe- rienze dei predetti autori, ho voluto, alla fine di ogni serie delle mie espe- rienze, rimettere le piantine in acqua di fonte, ed ho potuto constatare come esse riprendano subito il loro normale sviluppo; ben inteso, che questo vale solo per le concentrazioni da “/ysoo 2 “/3200- Dunque queste soluzioni, abba- stanza concentrate, agendo per un determinato tempo, danneggiano tempo- raneamente le piante, perchè esse, rimesse in soluzioni e condizioni normali, riprendono il loro sviluppo regolare. Resta da vedere se una azione ancora più prolungata possa o no provocarne la morte. Vi è inoltre da notare che le piantine conservano il loro turgore e non dànno nessuna notevole diminu- zione di esso. A questo proposito è da tenere presente un altro fattore impor- tante, che cioè le soluzioni di AI(NO3)3 presentano sempre reazione acida, perchè si idrolizzano quasi completamente secondo la reazione seguente : AI(NO;); + 3 HOH = AI(0H)3 + 3 HNO;. Quindi, in definitiva, abbiamo, nella soluzione, in minima parte AI(NO3)3 e in. maggior quantità Al(OH);} e HNO;; ragione per cui nella piantina deb- bono influire molto probabilmente, in grado maggiore o minore, tutti e tre questi composti. I su nominati autori hanno invece trascurato di prendere in considerazione l’azione concomitante di questi diversi composti, che a me sem- bra invece debbano avere una non indifferente importanza su queste ricerche. Ad ogni modo io ho potuto solo in parte con queste mie esperienze con- fermare il fatto osservato dallo Szuecs, che l'alluminione deve avere delle funzioni proprie specifiche in quanto non riesce ad uccidere il protoplasma, in quanto che le piantine tolte dalle soluzioni di Al(NO;): riprendono il loro accrescimento normale; escluse però le soluzioni “/so, Nico ® “200 che si dimostrarono sempre mortali. Intorno all’azione concomitante dei tre composti, prodotti dall’idrolisi del AI(NO;):, tornerò a parlare prossima- mente, e più ix exferso, con nuove e diverse altre esperienze. (4) M. Fluri, Der Ein/luss der Aluminiumsalzen auf das Protoplasma. Flora, vol. 99. (9) J. Szuecz, Weber cinige charakteristische Wirkungen des Aluminiumions auf das Protoplasma. Jahrb. f. wiss. Bot., Bd. 52, H. 3, pag. 269. — 163 — Nitrato di stagno. — Espongo, nella tabella che segue, i risultati otte- nuti con questo elettrolite, cioè i risultati delle diminuzioni o aumenti reali di peso ottenuti per ciascuna concentrazione rispetto al peso originale allo inizio dell’esperienza: Controllo N/50 N/100 N/s00 N/400 N/s00 N/1500 N/3200 in Hs0 dist. Peso gr. — 0.0182 — 0.0142 — 0.0044 — 0.0028 0.0114 00522 0.0862 = 0.2284 Radice cm. —_ _ _ — 2.8 3.7 5.7 Germoglio» —_ — _ —. 4.1 5.6 5.4 Rapporto » _ _ - — —13 — 19 3 In generale, la media dei risultati ottenuti per questo catione non si discosta molto da quelli ottenuti per l'alluminio. Però lo sviluppo per le prime quattro concentrazioni non ha luogo; e le piantine, alla fine dell’espe- rienza, sono secche. Invece, per lo sviluppo nelle concentrazioni “/g00 @“/1600 la radice si è sviluppata meno del germoglio, mentre nella “/3s00 la radice comincia a superare il germoglio: il che lascia prevedere che con una maggior diluizione la pianta tende a riprendere il suo normale sviluppo; e, quindi, anche lo sviluppo correlativo tende a migliorare. Per la soluzione N/3200 SÌ avvera lo stesso fatto osservato per le soluzioni del nitrato di allu- minio: che cioè la piantina, rimessa in acqua di fonte, riprende il suo nor- male sviluppo; non così per quelle tenute in soluzione “/soo € N/isco, che non riprendono il loro sviluppo normale, e lentamente muoiono. Anche nel caso dello stagno è da tenere presente che il nitrato è più o meno idrolizzato. onde, come ho già detto, è d'uopo tenere conto dei tre fattori cioè del sale, della base e dell'acido, di cui però esporrò prossi- mamente un'altra serie di esperienze diverse. Niîtrato di cerio. — Siccome per nessuna delle soluzioni usate si è avuto un accrescimento della piantina, ed anzi si ebbe la morte di tutte, così il detto elettrolite, per le concentrazioni usate. si dimostra sempre di effetto mortale. Nitrato di piombo. — Questo elettrolite, di cui ho adoperato il ni- trato anche della forma bivalente, mostra nel suo comportamento una certa analogia con lo stagno e con l'alluminio, più con questo che non con quello. Nella tabella seguente sono esposti i risultati ottenuti per le concen- trazioni N/s00, “/sco, N/isco ® “/3200, chè quelle più concentrate non hanno dato alcun sviluppo: Controllo N/50 N/ 100 N/so0 N/soo N/300 N/1600 N/ a 200 in Ha0 dist. Peso gr. — 0,0254 — 0,0216 — 0,0084 0,0072 0,0218 0,0532 0,0746 0,2556 Radice cm. — — —- 0.5 1.2 8.1 4.7 16.12 Germoglio n» — — _ 0.9 1.4 32 5.8 11.8 Rapporto » — = - — 04 —02 — 01 — 0.6 4.9 — 164 — Anche per il nitrato di piombo e per le soluzioni meno concentrate, le piantine aumentano gradualmente il loro sviluppo, ma molto lentamente; lo sviluppo correlativo presenta un rapporto negativo, benchè l'aumento, sia della radice, sia del germoglio, procedano quasi di pari passo. Tutte le so- luzioni, eccetto la “/ss00, riescono mortali. La piantina invece coltivata nella detta soluzione, presenta una radice turgida, e nella zona di assorbi- mento presenta numerosi, ma piccolissimi peli non riconoscibili però ad occhio nudo. Anche il germoglio presenta condizioni migliori di vita. Si nota anzi tutto che esso si mantiene verde e turgido, e che non dà nessun segno di notevole diminuzione di turgore. Difatti, immersa questa piantina nell'acqua di fonte, riprende anche essa il suo sviluppo normale. In questo fatto il piombo rassomiglia alla soluzione %/320o dello stagno ed a quelle N/soor “/iccoo ® */s200 dello alluminio. Nitrato di torio. — Questo elettrolite si dimostra assolutamente dan- noso e mortale per tutte le concentrazioni usate. Concludendo da quanto ho esposto in rapporto alle ricerche finora ese- guite, vediamo che l'alluminio è quello, fra i cationi qui esaminati, che pre- senta i migliori risultati; seguono quindi lo stagno ed il piombo, i quali fanno prevedere risultati migliori con l'aumentare delle diluizioni; il cerio ed il torio si dimostrano poi di effetto mortale in tutte le soluzioni speri- mentate. Ad ogni modo, non sono ancora in grado di dare un quadro riassuntivo definitivo sull'azione di questi diversi elementi, perchè la natura dei loro sali in soluzione è fisicamente e chimicamente molto complessa, come ho già accennato nella presente Nota. Qui entrano principalmente in discus- sione il processo idrolitico nel suo complesso ed i rapporti quantitativi fra l’idrolisi dei sali, la dissociazione dell’acqua ed il grado di basicità delle basi metalliche ; a questi fattori poi dobbiamo aggiungere anche la legge delle masse. Onde, come si vede, andiamo incontro ad un calcolo integrale abbastanza complesso, e di cui mi occuperò estesamente quando comuni- cherò i risultati definitivi delle mie ricerche biologiche. Fisiologia. — icerche sulla secrezione spermatica. Nota I. La raccolta dello sperma del cane. Nota di G. AMANTEA, presen- tata dal Socio L. LUCIANI. Fisiologia. — A/cerehe sulla secrezione spermatica. Nota II Prime osservazioni sulla secrezione spermatica normale delîcane. Nota di G. AMANTEA, presentata dal Socio L. LUCIANI. Queste Note saranno pubblicate in un prossimo fascicolo. — 165 — Meccanica. — Esperienze sulla elasticità a trazione del rame. Nota I di Gustavo COLONNETTI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Nell’eseguire una serie di prove a trazione su fili di rame provenienti dallo Stabilimento Gio. Ansaldo & C. di Cornigliano Ligure, ho avuto occa- sione di rilevare che, se invece di limitarsi, com'è d'uso (*), a misurare le variazioni di lunghezza del saggio per successivi incrementi del carico, si cerca come varii quella lunghezza anche durante il periodo di scarica, si possono senza difficoltà osservare alcuni di quei fenomeni, noti sotto il nome generico ;di isteresi elastica, che il Wiedemann (*) dapprima, più tardi il Cantone (*) ed il Bouasse (‘) hanno studiati operando per torsione e per flessione. In considerazione del particolare interesse che presenta il caso, di tutti più caratteristico, per quanto sperimentalmente più arduo, delle sollecitazioni a semplice sforzo normale, ho allora cercato di disporre le mie esperienze per modo da rendere possibile uno studio sistematico dell'argomento. L'esi- guità dei mezzi sperimentali di cui attualmente dispongo non mi ha per verità permesso di dare alle mie ricerche quello sviluppo che per ciò sarebbe stato necessario: ho dovuto limitarmi al solo studio della forma, dell’anda- mento generale dei fenomeni, rinunciando, almeno per ora, a precisare me- diante costanti numeriche il comportamento specifico dei singoli campioni di materiale sottoposti alle prove. Mi sembra ciononostante non privo di interesse il mettere in evidenza le proprietà qualztative che tutte le mie esperienze concordemente hanno rivelate riferendo qui con qualche dettaglio la storza di alcune di tali espe- rienze, scelte fra quelle il cui andamento mi sembra più espressivo. I fili, crudi, del diametro di 10 millimetri, venivano cimentati a sforzo di trazione mediante la macchina Mohr & Federhaff da 3 tonnellate appar- tenente al Laboratorio per le prove sui materiali da costruzione della R. Scuola Navale Superiore in Genova. Le deformazioni venivano misurate, su di un tratto utile della lunghezza di 200 millimetri, mediante il noto appa- (!) Cfr. C. Bach, Elastizitàt und Festigkeit, Berlin, 1911. (®) Wied. Ann., 6 (1879). (8) Rend. R. Acc. dei Lincei, V, 2 (1893, II); Il nuovo Cimento, III, 35 (1894). (4) Ann. de la Fac. des Sc. de Toulouse, 12 (1898), e seg.; Essais des matériaux, Grenoble (Gratier & Rey), 1905. — 166 — recchio a specchi del Martens, il cui normale ingrandimento era stato al- quanto accresciuto col distanziare più del consueto le scale dagli specchi (1); ciò che non aveva però per iscopo tanto di raggiungere una maggiore appros- simazione effettiva, che avrebbe anche potuto in pratica riuscire illusoria, quanto di permettere, nella misura delle rotazioni degli specchi, la sostitu- zione del metodo di Gauss con quello di Lord Kelvin. Nella tabella che accompagna questo scritto trovansi raccolti i risultati ottenuti operando sopra uno spezzone di filo che non aveva ancora, dopo essere stato trafilato, subite deformazioni di sorta. Esso venne, durante cinque giorni consecutivi (15-19 febbraio 1913), assoggettato successivamente a sforzi di trazione di intensità di volta in volta crescenti: si raggiunsero così, nella prima prova, i 1000 kgr., nella seconda i 1600, nelle successive 1 2000; soltanto in un'ultima prova, spinta fino a 2400 kgr., le deforma- zioni raggiunsero quei limiti oltre i quali l'apparecchio a specchi avrebbe cessato di essere utilmente applicabile. ‘Tanto durante i periodi di aumento quanto durante i periodi di diminuzione del carico, questo veniva fatto va- riare per piccoli gradi, in modo quanto più possibile uniforme e lento (circa 25 kgr. al minuto primo). Siccome i soliti diagrammi di deformazione, soprattutto se eseguiti in piccola scala, non si presterebbero a mettere in evidenza i fenomeni che ci (!) A. Martens, 7raité des essais des matériaua (trad. P. Breuil), Paris 1904. L’ingrandimento, che normalmente è eguale a 500, venne portato a 578. Le letture, ese- guite apprezzando sulla scala graduata il decimo di millimetro, risultarono pertanto espresse in 1/5780 di mm. — 167 — interessano, così io adotterò, per illustrare graficamente le mie esperienze, una speciale rappresentazione in assi cartesiani n0n ortogonali, scegliendo l’obliquità degli assi x ed y, in relazione colle scale delle deformazioni e delle forze che su di essi rispettivamente si vogliono rappresentare, per modo che la tangente iniziale 2 alla curva di deformazione riesca normale all'asse delle x. Allora tale curva può venir tracciata agevolmente, e con tutta la desiderabile precisione, assumendo per coordinate del suo punto ge- nerico rispetto agli assi ortogonali 2 ed x rispettivamente le stesse forze applicate e le differenze fra le deformazioni osservate e quelle che si sareb- bero dovute verificare nell'ipotesi che il materiale sottoposto ad esperienza si fosse comportato in conformità alla classica legge di Hooke, cioè con un valore del modulo di elasticità perfettamente costante ed eguale al suo valore iniziale (o più precisamente al valore che caratterizza la deformazione effet- tivamente osservata in corrispondenza del primo incremento del carico ap- plicato). Il diagramma così ottenuto, quale vien riprodotto nella nostra figura, si presta assai meglio della tabella numerica ad un'analisi qualititava dei risultati dell'esperienza di cui ci stiamo occupando: dalla quale, come del resto da tutte le esperienze eseguite in condizioni analoghe e di cui qui non si fa cenno, è risultato con rimarchevole evidenza che, per carichi crescenti, la curva di deformazione rivolge sempre la sua concavità verso l’asse delle deformazioni; mentre che, al decrescer del carico applicato, essa si presenta immancabilmente concava dalla parte dell'asse delle forze. Ad ogni variazione ciclica del carico, il punto rappresentativo descrive un cappio, accusando, durante la scarica, deformazioni maggiori di quelle che, a parità di carico, si producono caricando il saggio. Che ciò avvenga anche per tensioni unitarie assai più piccole di quelle su cui io ho potuto sperimentare non è qui il caso di asserire: quello che si può affermare è che non si tratta di anomalie, ma di un processo perfettamente regolare, come attestano la chiusura dei cappii ottenuti operando con forze non troppo grandi ed il modo assai marcato con cui il fenomeno si manifesta sopra- tutto nei cicli di grande ampiezza. Questo processo ci autorizza a mettere in rilievo la non invertibilità del fenomeno della deformazione anche in quei casi in cui esso non lascia traccia di deformazioni permanenti. Se dopo assoggettato il saggio a sforzi crescenti fino ad un determinato valore, ed operata la trasformazione inversa da quel valore a zero, si ri- prende a far crescere gradatamente l'intensità del carico, la nuova curva di deformazione presenta, in generale, un andamento ben distinto da quello che si è osservato la prima volta tino in vicinanza del valore dello sforzo prima raggiunto, per dirigersi poi, sotto l’azione di carichi maggiori, sensibilmente sul prolungamento della curva di prima deformazione. Ciò mostra per una parte la poca o nessuna influenza che il ciclo descritto nel frattempo ha — 168 — sull'entità delle deformazioni prodotte da carichi maggiori. Riesce per altra parte ben definito quel complesso di alterazioni nelle proprietà del materiale a cui nel linguaggio tecnico si dà il nome di incrudimento; esso consiste- rebbe, in ultima analisi, nella sostituzione della curva di prima deformazione con la curva relativa ai carichi crescenti nel ciclo che ha per limite supe- riore il massimo carico raggiunto. Fino a che tale carico non oltrepassa certi limiti, che (almeno se si opera in modo da assicurare l'accomodamento dei cicli) sono del resto tutt'altro che bassi, i varî cappii che fan capo a ca- richi minori si presentano infatti tutti racchiusi entro il ciclo di massima ampiezza, ed hanno tutti in comune con questo il ramo relativo alle forze crescenti, come si può facilmente rilevare dal piccolo diagramma riprodotto nella parte destra della nostra figura (nel sistema di riferimento che ha per assi x" ed y'), e che rappresenta il comportamento del medesimo spezzone di cui ci siamo fin qui occupati in una recente ripresa di esperienze della quale mi riservo di riferire i risultati in una prossima Nota. Senonchè non risulta qui, come si ritiene generalmente, che il materiale, così inerudito, prenda a deformarsi con legge di semplice proporzionalità alle forze applicate: giacchè se è vero che, per carichi crescenti, la curva di deformazione si presenta sensibilmente indipendente dal limite di forza a cui ci sì spinge, è pur vero che, nei passaggi dalle forze estreme a zero, sì ottengono curve ben distinte fra loro e dalla precedente, e in ogni caso poi si ha a che fare con linee che non sono mai rette. — 169 — sica) SRO | Sie Do Desa della detom. v elle bi riterito ST Ob Letture | Differenze ‘rotture | Differenzen|. differenze da Sa parziali parziali parziali dello sforzo Kgr. 15 febbraio |15 1/s 0 675 - 499 ci = 0 = ; Jeogiisone ao) 608 | «10o 03, 35) 42.95 7 200 || 910 | 109 743 + 1350) odg | 479) 4244 » 400 | 1157 + 247 986 + 243 + 490 969 | + 2.45 ”» 600 | 1415 + 258 | 1228 + 242 +500 | 1469 | + 2.50 ” 800 | 1677 +-262 | 1478 -+ 250 + 512 1981 + 2.56 ” 1000 | 1950 | +273 | 1739| +261 | -+534 | 2515| + 2.67 900 | 1850 — 120 | 1622 — 117 — 237 | 2278 | — 2.37 ” 800 | 1707 — 123 1505 — 117 — 240 | 2088 — 2.40 ” 600 | 1454 — 258. | 1276 — 229 — 482 | 1556 | — 2.41 » 400 | 1198 — 9560/1044 — 232 — 488 | 1068 — 2.44 » 200 942 — 256 805 — 239 — 495 578 — 2.47 ”» 0 719 — 223 590 — 275 — 498 75 — 2.49 TO» 15 (0) 720 + 1 929 — “1 0 75 — ; 100 | sI7| -+ 97 | 665) +136 | 238 | 308) -+2.88 ”» 200 933 + 116 787 + 122 + 258 546 | + 2.88 ” 400 | 1177 + 244 1026 + 239 + 483 | 1029 | + 2.41 » 600 | 1428 + 251 | 1265 + 239 -+ 490 | 1519 | 4 2.45 » 800 | 1683 + 255 | 1500 + 235 + 490 | 2009 | 4 2.45 D) 1000 | 1946 + 268 | 1745 + 245 + 508 | 2517 + 2.54 ” 1200 | 2221 | -+275 | 2004 | 4259 | -+584 | 3051 | + 2.67 » 1400 | 2501| +280 | 2272] -+268 | -+548 | 3599 | + 274 ” 1600 | 2800 | -+ 299 | 2558 | 286 | 4585 | 4184 | + 2.92 ” 1500 | 2690 — 110 | 2431 -- 127 LEO OITAATODAT - 2.97 » 1400 | 564 — 126 | 2318 — 113 — 289 | 3708 — 2.59 » 1200 | 2323 — 241 2073 — 245 — 486 | 3222 | — 2.43 » 1000 | 2066 IT 1840 — 253 — 490 | 2732 - 245 ” 800 | 1819 — 247 1595 — 245 — 492 | 2240 — 2.46 »” 600 | 1563 90150 — 239 — 495 IA 2R274:8 DI) 400 | 1302 — 261 1116 — 240 — 501 1244 1950. » 200 | 1041 2,01 871 2459 — 506 788 | — 2.589 » 0 803 939 595 — 276 — bD14 224 — 2.57 WD 10 0 796 ui 1 591 — 4 23M 213 — ) 100 | 912| +ii6 | 705) +11 | #+230 | 443] 42.30 ” 200 | 1029 + 110 833 + 128 + 238 681 | +4 2.28 D) 400 | 1261 + 259 | 1076 + 243 + 482 | 1163 | +4- 2.41 ”» 600 | 1516 + 255 | 1310 + 234 + 489 | 1652 | + 2.44 3 800 | 1765 | 949 | 1554| +244| 4498 | 2145| + 247 RenpIconTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 23 = Md CENE SPECCHIO SINISTRO SPECCHIO DESTRO se le lla dior. Digi, S| tetate Letture | Differenze | rotture | Differenze dittrnzo o adige di Fer. parziali parziali parziali dello sforzo 17 febbraio 1000 | 2019 + 254 | 1798 + 244 + 498 | 2643 | 4 2.49 " 1200 | 2279 | +260 | 2045 | --247 | -+507 | 3150) + 2.53 » 1400 | 2542 | 4263 | 2299 + 254 + 517 | 38667 | 4 2.59 » 1600 | 2814 | -+272 | 2560| -261 + 533 | 4200 | + 2.67 » 1800 | 3128 | —<-314 | 2863 + 303 + 617 | 4817 | + 3.08 » 2000 | 3466 | + 338 | 3197 | +334 | -+672 | 5489 | + 3.34 » 1900 | 3355 — 111 | 3072 — 125 — 286 | 5253 — 2.36 » 1800 | 3237 | — 118 | 2949 — 123 — 241 | 5012 | -—- 241 » | 1600 | 2993 — 244 | 2705 — 241 — 485 | 4527 | — 2.43 » 1400 | 2745 — 2418 | 2167 —Wh — 489 | 4088! — 2.45 ” 1200 | 2489 — 256 | 2230 — 237 - 493 | 3545 | — 2.47 » 1000 | 2243 — 246 | 1950 AZ50 496 | 3049 | — 2.48 » 800 | 1985 — 258 | 1737 243 — 501 | 2548 | -- 2.50 » 600 | 1725 — 260 | 1490 — 247 — 507 | 2041 | — 2.58 » 400 | 1460 — 265 | 1248 — 247 — 512 | 1529 | — 2.56 » 200 | 1194 | — 266 993 — 250 — 516 | 1013| — 2.58 ” 0 950 |. — 244 710 — 283 — 527 486 | — 2.64 ” 15 0 934 | — 16 700 — 10 — 26 460 = » 100 | 1047 | 4-113 815 + 115 + 228 688 | + 2.28 n 200 | 1157008 110.) 9400) 1000 | 2152 | 4254 | 1900] 4243 | 497 | 2878 | + 2.49 5 1200 | 2414 | 4262 | 2150 | +250 | +512 | 3390 | +4 2.56 ” 1400 | 2676 | + 262 | 2403 + 253 + 515 | 3905 | # 2.58 ’ 1600 | 2944 | + 268 | 2663 | +260 | -+528 | 4433 | 4 2.64 D) 1800 | 3214 | 4270 | 2929 + 266 + 536 | 4969 | + 2.63 » 2000 | 3495 | + 281 | 3209 + 280 + 561 | 5530 | + 2.80 ” 1900 | 3385 — 110 | 3081 — 128 — 288 | 5292 | — 2.38 » 1800 | 3264 — 121 | 2959 — 122 — 243 | 5049 | — 2.43 D) 1600 | 3020 — 244 | 2715 — 244 — 488 | 4561| — 2.44 ”» 1400 | 2771 — 249 | 2475 — 240 — 489 | 4072 | — 2.45 ” 1200 | 2521 — 250 | 2233 — 242 — 492 | 3580 | — 2.46 E) 1000 | 2268 — 258. | 1991 — 242 —- 495 | 3085 — 2.48 E 800 | 2012 — 256 | 1748 — 243 — 499 | 2586 | — 2.50 » 600 | 1754 — 258 | 1501 — 247 — 505 | 2081 | — 2.52 ” 400 | 1492 || — 262 | 1254 — 247 — 509 | 1572 | — 2.50 — MI — —- = = — —— = He SPECCHI) SINISTRO | SPECCHIO DESTRO aa A della detorm i. elle n riferito parziali parziali parziali dello sforzo Kgr. 17 febbraio 200 | 1223 | — 269 | 1006] — 248 ETNO 258 3 ONMG6GA 257 40 |. Ogg eee (599) (582) | Ji-0:09 85 OIMO4 A gna | Cam e 34 498 = ” 2000 3 0 » 2000 5 0 ) 2000 3 0 » 2000 5 0 JONIN, 10 0 ” 2000 » 16 0| 950 HE 789 | io DE 565 — » 100, 074 OA sori 103 NE 0232) 79732 3 2000 (RI2.050 MESI atood] L10708 ME[28238' “1035;|0-k12/38 > 400 | 1445 | -+240 | 12401 -+236 | -+ 476) 1511| -+ 2.38 ” 600 | 1694 | -+249 | 1472| -+232 | -+ 481| 1992] + 2.41 ” 800 | 1948! 4254 | 1709) 4237 | + 491| 24838! + 2.45 3 1000 | 2203 | +255 | 1950| +241 | + 496| 2979] + 2.48 » 1260 | 2462 | -+259 | 2190.| 4240, | + 499| 3478 | + 2.50 ” 1400 | 2722 | + 260 | 2437 | -+247 | + 507| 3985 | + 2.54 ” _| 1600 | 2980 | +258 | 2703 | +266 | + 524| 4509| + 2.62 ” 1800 | 3248 | -| 268 | 2965 | -+262 | + 530) 5039 | + 2.65 » 2000 | 3516 | +268 | 3235 | 4270 | + 538|5577| + 2.69 » 2200] 3881 | 4315 | 3551] -+316 || 631) 6208 | 4 3:15 ” | 2400 | 4366 | 4535 | 4090| -+539 | + 1074| 7282 | + 5.37 Meccanica. — sperienze sulla elasticità a trazione del rame. Nota II del dott. ing. Gusravo COLONNETTI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — Ie Zoologia. — L'apparato reticolare interno di Golgi nelle cellule nervose dei crostacei. Nota della prof. Rina MontI, pre- sentata dal Socio B. Grassi. Da qualche anno, mentre studiavo la struttura ed i vicendevoli rapporti tra gli elementi nervosi negli invertebrati ('), ho dedicato i miei sforzi a ricercare se nel sistema nervoso degli artropodi, e di altri animali inferiori, esistano formazioni paragonabili all'apparato reticolare interno, scoperto dal Golgi nei vertebrati. Mentre io lavoravo, sono venute alla luce le pubblicazioni della scuola di Nusbaum sull'argomento (*); tuttavia credo non inutile il far conoscere i miei risultati, perchè ho ragione di crederli assai più completi, e meglio paragonabili a quelli ottenuti dal Golgi e della sua scuola. Per oggi, intendo limitarmi a parlare di qualche classe degli artropodi, e, particolarmente, dei crostacei. Il Poluszynski (*), studiando i erostacei coi metodi di Golgi e di Kopsch, non ha mai trovato un apparato reticolare; egli ha osservato sempre, nelle cellule nervose, soltanto dei corti bastoncelli, talvolta ricurvi, oppure dei gra- nuli sempre ben separati, distanziati e disseminati nel corpo di ogni cellula gangliare: egli ritiene che questa formazione a granuli od a corti bastoncelli sia omologa all’apparato reticolare interno di Golgi. Specialmente in base a questi risultati del suo discepolo, il Nusbaum conclude che l'apparato di Golgi può presentarsi sotto le forme più diverse, core reti, filamenti, granuli bacteriformi, anelli ecc.; perciò la denomina- zione di apparato reticolare non avrebbe fondamento nei gruppi inferiori, e non potrebbe generalizzarsi. I preparati da me ottenuti forniscono risultati diversi, e mi permettono fin da ora di giungere a conclusioni, che si discostano da quelle dell’ istologo di Lemberg. (') Rina Monti, Sur les relations mutuelles entre les élements dans le système ner- veux central des Insectes Archives d’anatomie microscopique, T. XV, fasc. II e III, an. 1913. (*) Nusbaum, WVeder den sogenannten inneren Golgischen Netzapparat und sein Verhdltniss zu den Mitochondrien, Chromidien, und andern Zellstrukturen im Tierreich. Archiv. fir Zellforschung, Band X, 3 Heft., 1913. (*) Poluszynski, Untersuchungen ueber den Golgi-Kopsch'schen Apparat und einige andere Strukturen in den ganglienzellen der Crustaceen. Bulletin de 1° Acadeémie des sciences de Cracovie, février 1911. — 173 — Quando la reazione è già sorpassata, si riconoscono figure in vero cor- rispondenti a quelle date dal Poluszynski; ma, allorquando si segue la rea- zione con somma cura, si possono ottenere immagini di estrema finezza, che dimostrano delicate formazioni di struttura, assai meglio paragonabili coll’apparato reticolare interno di Golgi. I risultati migliori vennero finora da me ottenuti nelle cellule gangliari di media grandezza, ed anche nelle cellule nervose piccole delle catene gangliari di Astacus fluviatilis, e di Homarus vulgaris, facendo la reazione sui gangli isolati da animali vivi. Aggiungo che formazioni analoghe, ma non del tutto simili, ho potuto osservare anche in altri tessuti degli stessi animali, ma di questi dirò una altra volta. Fia. 1. — Cellule gangliari piccole di Fr. 2. — /Cellule gangliari di media gran- Astacus fluviatilis con disposizione dezza di Astacus /luviatilis con disposi reticolare. zione reticolare. Nel corpo delle cellule gangliari, intorno al nucleo, che è ben ricono- scibile quantunque non impregnato, quando la reazione è bene riuscita si vede un lasso gomitolo di sottili filamenti, caratterizzati dalla loro colorazione uniforme in nero intenso, dai loro contorni lisci e perfettamente regolari, dal calibro costante (fig. 1 e 2) ('). Questi filamenti, disordinatamente ravvolti ed aggrovigliati, ma non mai fittamente addossati tra loro, occupano quasi tutto il corpo della cellula, lasciando libero soltanto un sottile orlo alla periferia; e non sì estendono mai al prolungamento nervoso: anzi, là dove il prolun- gamento entra nella cellula, e forma la tipica piramide di espansione delle neurofibrille, la formazione gomitolare si ritira maggiormente verso l’ interno, quasi fosse contenuta e respinta dal fascio delle neurofibrille che entrano (') Le figure vennero eseguite con microscopio Koristka, camera chiara Abbe, imm i CRIGIE ‘15 ol. omMp. — 174 — nella cellula, per poi decorrere prevalentemente nello strato più superficiale del corpo cellulare. Come il Golgi ha già messo in evidenza (') per il suo apparato reti- colare interno, anche nel nostro caso la posizione, l'estensione, la forma di insieme, e la minuta struttura dell'apparato gomitolare da me descritto, non permettono di confondere l'apparato stesso colle neurofibrille, il cui aspetto ed i cui rapporti sono ben diversi, come risulta dal mio lavoro già citato. Fic. 3. — Cellula gangliare Fi. 4. — Cellule gangliari di Fie.5.— Cellula gangliare media di Zomarus vulgaris media grandezza di Astacus di Homarus vulgaris, con disposizione reticolare fluviatilis, con disposizione con parziale frammen- lassa. reticolare lassa, e notevole tazione dei filamenti go- frammentazione dei filamenti. mitolari. Ho detto che il gomitolo filamentoso appare assai lasso (fig. 3); gli spazî che intercedono tra i singoli fili, che si ravvolgono e si aggrovigliano tra loro, sono più che sufficienti per fare posto alle neurofibrille, che si spiegano e talvolta fauno vortice nel corpo cellulare, ed anche a granuli, sostanza di riserva, a vacuoli, che non mancano nelle cellule gangliari degli artropodi. Se noi vogliamo meglio decifrare la minuta struttura dell’elegante forma- zione gomitolare in esame — vogliamo cioè risolvere il problema se si tratta di una vera formazione reticolare, come quella descritta dal Golgi nei ver- tebrati, o non piuttosto di un gomitolo o di un groviglio di fili sovrapposti senza alcuna anastomosi fra loro — giova procedere ad un paziente studio di sottili (*) Golgi, Opera omnia; vol. II, Milano (Hoepli) 1903. — 175 sezioni coi massimi ingrandimenti. Si vedono allora i singoli filamenti va- riamente incurvati, talvolta lunghi, a decorso ondulato e serpeggiante, ripie- gati talvolta in vario senso: se la sezione è molto sottile, i filamenti sono in parte tagliati (fig. 4 e 5). Si capisce, quindi, come le imagini osservate rappresentino soltanto dei monconi di filamenti a decorso più lungo e più vario, interrotti più o meno presto dalla sezione. I monconi più brevi sono incurvati ad ansa o a lettera S; altri hanno figure serpentine: qualcuno si divide formando una forchetta, qualche altro presenta l'aspetto di una lettera a T (fig. 6 e 7); qualcuno è come un anello chiuso, a luce abbastanza ampia: più spesso l'anello è incompleto. Lo > - Li CC è) x RI ALE, ) / 4 (osa, (G% A) (LUTERO! (Sarzset, ce] desy Tea 25 CS / | “g <> / Ss, Tod ( Ko, SES £ Ar \ 47 Fra. 6. — Cellule gangliari piccole di //o- Fra. 7. — Cellule gangliari di media gran- marus vulgaris: formazione gomitolare dezza di Homarus vulgaris, con dispo- frammentata, con disposisione prevalen- sizione come nelle precedenti ; i filamenti temente anulare. del reticolo sono anche più allontanati. Le biforcazioni, specialmente sul percorso dei tronchi più lunghi, e le formazioni ad anello chiuso, mi inducono a concludere che l’apparato in questione, se è prevalentemente filamentoso e gomitolare, e non riproduce integralmente il denso reticolato a maglie chiuse descritto dal Golgi nei vertebrati, tuttavia presenta connessioni tra i filamenti, e, nel suo insieme, si accosta all'apparato scoperto da Golgi assai più che non le imagini descritte e le figure disegnate fin qui dagli autori, che hanno studiato l'argomento. La configurazione generale dell'apparato, i suoi rapporti, i suoi limiti rispetto alla più corticale zona della cellula, la sua assenza nel prolunga- mento nervoso, ricordano in modo suggestivo la disposizione ed i rapporti dell'apparato endocellulare di Golgi. Il grande maestro di Pavia si è sempre mantenuto nel massimo riserbo circa la natura ed il significato delle formazioni da lui scoperte. Io, dopo aver rilevato tutte le note di somiglianza, ed aver segnalato i caratteri per i quali l'elegante formazione da me descritta nelle cellule nervose dei crostacei si scosta dall’apparato reticolare interno dei vertebrati, S176 — debbo pure concludere che le immagini da me ottenute sono, assai meglio di quelle del Poluszynski, paragonabili con l'apparato di Golgi. Ciò non di meno, non credo ancora di potere, senz'altro, entrare a discutere la questione delle omologie. Su questo punto, credo opportuno di mantenere qualche riserbo, perchè le comparazioni tra i risultati ottenuti in animali, appartenenti a tipi assolutamente diversi e lontani fra loro, possono talvolta indurci a conelu- sioni premature, dannose alla più retta interpretazione di fatti ulteriori. E questo mio riserbo è bene giustificato dalle osservazioni fatte recentemente dal Pensa (!), il quale, dopo le indagini del Barinetti (*), è venuto a dare una interpretazione diversa del reticolo da lui primitivamente osservato nelle cellule cartilaginee. Perciò, a maggiore ragione, in una breve Nota preven- tiva non è il caso che io discuta gli eventuali rapporti delle formazioni endocellulari, messe in evidenza nelle cellule nervose, con altre formazioni analoghe, dimostrabili in altri tessuti, come pure coi mitocondrii o pla- stosomi (3). Qualunque sia l'interpretazione, che i nuovi studî condurranno a dare, dell'apparato di Golgi nelle cellule, i fatti fin qui dimostrati sulla costi- tuzione degli elementi nervosi mi autorizzano ad esprimere un pensiero, che forse non è privo di una portata generale. Tutte le osservazioni fin qui fatte, valgono a dimostrare che negli ele- menti nervosi centrali dei vertebrati esiste una differenza sostanziale tra la costituzione dei prolungamenti nervosi e quella dei corpi cellulari. Il prolunga- mento nervoso consta esclusivamente di un fascio neurofibrillare ; il corpo delle cellule nervose, oltre alle neurofibrille entranti, contiene altre formazioni, come i granuli di Nissl e l'apparato reticolare interno di Golgi, che, come il Marcora ha dimostrato (4), sono due formazioni distinte. Queste formazioni non si limitano al corpo cellulare, ma si estendono ai prolungamenti pro- toplasmatici; da ciò emerge evidente il concetto che i prolungamenti pro- toplasmatici delle cellule nervose dei vertebrati hanno la stessa costituzione del corpo cellulare, e rappresentano soltanto un'espansione di questo, mentre il prolungamento nervoso è assolutamente diverso, in quanto è costituito esclusivamente da neurofibrille e non contiene traccia di quelle formazioni particolari. (!) Pensa Antonio, Za struttura della cellula cartilaginea, Archiv. f. Zellforschung, XI Band, 4 Heft, 1913. (£) Barinetti Carlo, L'apparato reticolare interno e la centrosfera nelle cellule di alcuni tessuti. Bollettino della Società medica di Pavia, 1912. (*) Io mi riserbo di esprimere la mia opinione in una Memoria prossima: e spero che le svariate ricerche, da me intraprese, sugli animali inferiori, mi permetteranno di portare qualche luce nella controversia tanto dibattuta anche nella recente rivista sintetica di Duesberg, e non risolta neppure dai lavori che furono pubblicati in questi ultimi giorni. (4) Marcora Ferruccio, Sui rapporti tra apparato reticolare interno e corpi di Nissl negli elementi nervosi. Bollettino Società medica, Pavia, 1908. — 177 — Negli invertebrati — almeno in quegli invertebrati dove le cellule nervose non sono unipolari, ma presentano diversi prolungamenti, tutti ugualmente costituiti da neurofibrille di passaggio, così che le cellule hanno il carattere . di cellule a parecchi prolungamenti nervosi —io ho potuto osservare che i granuli, gli interclusi cellulari e l'apparato di Golgi sono limitati al corpo cellulare. Da ciò debbo concludere che i prolungamenti protoplasmatici delle cellule nervose dei vertebrati sono della stessa natura del corpo cellulare, e non sono omologhi ai prolungamenti brevi delle cellule nervose degli in- vertebrati. Queste non hanno espansioni protoplasmatiche, ma solo prolun- gamenti formati da neurofibrille. Io ravviso in questa nozione un nuovo criterio in appoggio di quella dottrina che il Golgi ha esposto nella sua classica opera sul sistema nervoso, cioè una nuova documentazione della omogeneità del corpo cellulare e dei prolungamenti protoplasmatici dei vertebrati, e della sostanziale differenza. che intercede tra questi ed i prolungamenti nervosi. Fisica. — Sull'interferografo girante del sig. Sagnac. Nota del prof. Luigi PuUCCIANTI, presentata dal Socio A. RortI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI 1. GaLEOTTI, GIULIANI, Hicins, SianoRELLI e ViaLE. Gli effetti dell'alcool sulla fatica in montagna. Pres. dal Socio Fano. 2. NEGRO. Ricerche sperimentali di elettrofisiologia circa l'azione che suî nervi motori della rana esercitano le scariche elettriche a basso potenziale, ottenuto a circuito aperto dai singoli peli di coppie voltaiche. Pres. dal Socio GRAssI. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio Grassi, a nome proprio e del Corrisp. BACCARINI, rel., legge una Relazione colla quale si propone la inserzione negli Atti accademici della Memoria del dott. G. BarGAGLI PETRUCCI, avente per titolo Su/l'orzgene biologica della Terra di Siena (Terre gialle e bolari del Monte Amiata. La proposta della Commissione esaminatrice, messa ai voti dal PRE- SIDENTE, è approvata dalla Classe, salvo le consuete riserve. RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 24 — I78 — PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLAsERNA comunica i ringraziamenti inviati dal pro- fessore HiLL all'Accademia per la sua recente nomina a Socio straniero. Lo stesso PresipENTE dà il triste annuncio della morte del Socio stra- niero Sir Davip Gi, avvenuta il 24 gennaio scorso; faceva parte il de- funto dell'Accademia, per l'Astronomia, sino dal 16 agosto 1906. Altra perdita che deve lamentare l'Accademia è quella del prof. HaRRY RoseNnBUSCA, mancato ai vivi il 20 gennaio 1914, che dell'Accademia era Socio straniero, per la Mineralogia, sino dal 28 agosto 1901. Commemorazione del Corrispondente prof. IGino CoccHI, letta dal Socio C. DE STEFANI, nella seduta del 4 gennaio 1914. Il 18 giugno 1852 si laureava Igino Cocchi in Pisa, in scienze naturali, discepolo di Paolo Savi e di Giuseppe Meneghini; ed era il primo, in ordine di tempo, fra i discepoli di quest'ultimo grande maestro, che dovevano poi occupare nove delle principali cattedre di geologia in Italia. Ereditava egli dal maestro l'amore ed il preciso concetto della scienza ed il criterio tanto simile a quello che in altri campi chiamano criterio giuridico, che ai for- tunati possessori è guida sicura e faro luminoso di ben diretta vita scientifica. Fin da allora, da studente, il nostro, insieme con Cesare D'Ancona, con Giovanni Tranquilli, con Luigi Boldrini, aiutava il maestro a compilare il suo Trattato di geografia fisica, il primo che uscisse in Italia Era nato Igino in Terrarossa di Lunigiana il 27 ottobre 1827, e nella visione di quegli svariati e pittoreschi luoghi appenninici apprendeva il primo conoscimento di vicende terrestri e l'avviamento a quella scienza che doveva poi coltivare. Da poco laureato, nel 1854 e nel 1855 recavasi a Parigi, dove alla Sorbona ed al Jardin des Plantes faceva la conoscenza dei valenti scienziati che vi insegnavano le varie parti della geologia. Era allora l’arigi ritrovo scientifico e mèta agli studiosi d'ogni dove. Prima di tornare in patria, si soffermava pure a Londra. Ritornato, nel 1857 progettava per la Toscana una Società geologica la quale, con l'aiuto del governo granducale, s' incari- casse di fare la carta geologica; ma i tempi a ciò non erano ancora maturi. Nel 1859 gli veniva offerta come supplente la cattedra di geologia nell'Istituto superiore di Firenze, dove già insegnavano altri valenti; ed egli la accettò e nel seguente anno fu nominato professore ordinario. Era quella cattedra, senza i diffalchi cui venne soggetta di. poi, la meglio fornita e SO corredata d'Italia, ed era veramente l'Istituto ente superiore alle Univer- sità a' cui laureandi serviva di perfezionamento. Mandato commissario per l'Italia all'Esposizione internazionale di Londra, del 1362, dove avea presentato l'estratto di alcuni studî fatti alla Spezia nelle vacanze del 1858, pubblicò una Relazione sulla mineralogia e geologia (Firenze 1862). Dalla cattedra dettava, nel 1864, Zezioni sulla geologia dell’Italia centrale, nelle quali teneva conto di tutti i ritrovamenti fatti dappoi che nel 1851 il Meneghini ed il Savi avevan pubblicato il loro classico lavoro in aggiunta alla traduzione del libro di Sir Impey Murchison direttore del Geological Survey d'Inghilterra, Sulle Alpi, gli Appennini e i Carpazi, libro che ha avuto grande predominio nella geologia del secolo scorso e l'ha ancora in tanti argomenti ed idee che necessità di fatti dovrebbero più 0 meno modificare. Teneva conto il Cocchi di stndî suoi, preannunziati in una Nota presentata alla Società geologica di Francia nel 1856, particolarmente sul Terziario antico, le cui suddivisioni debbono tuttora essere mantenute, e degli studî del Capellini sull’Infralias della Spezia: questi avevano portato anche il Meneghini a ritornare all'idea del Pareto e del Pilla, prima com- battuta. del rovesciamento dei terreni del promontorio occidentale della Spezia. L'avere riconosciuto questo rovesciamento (0, direbbesi oggi, parziale carreggiamento) stabilito dal Pareto e dal Pilla quando fuori, di tali feno- meni, diventati poi generali, nemmeno si discuteva, dette al Cocchi ed ai suoi contemporanei la chiave della geologia di Toscana e del finitimo Appen- nino. Invano oggi si sforzano alcuni di tornare alle antiquate idee, solo perchè queste trovansi nel libro del Meneghini, sebbene il maestro, sempre ispira- tore imparziale ed impersonale del vero a sè ed ai suoi discepoli, fosse stato il primo ad abiurarle. Le Zezzoni furono pubblicate nel 1864 (Firenze, 1 vol. in 8°) da nn discepolo del Cocchi, dal Puini, che poi, passò ad altri studî. Fra le più importanti parti delle Zezioni è quella che tratta dei marmi delle Alpi Apuane. sebbene ancora non fosse riconosciuta la perfetta equivalenza di quelli della regione N-E: e dico che fu tra le più importanti, perchè dette in breve buoni frutti pratici ed aprì la via alle grandiose escavazioni in luoghi nuovi che furono intraprese poco di poi. Tanto è vero che la pratica e la perfezione della vita comune hanno loro derivazione solo dallo spirito e dalla scienza vera: anche, per la sua modesta parte, da questa multiforme e complicata geologia che solo a pochi apre i suoi misteri, sebbene ognuno creda poterla trattare a suo modo, sì che per essa un Marcel diventa ogni villan che parteggiando viene. Non tralasciava il Cocchi di continuare gli studî sul terreno, mentre nei momenti di riposo fisico si dedicava così allo studio dei fossili, anche del- l’uomo, e dei resti delle antiche industrie umane, come al completamento ed al riordinamento del ricco e famoso gabinetto che egli dirigeva e cho — Ise uon cessava di aumentare con viaggi ed escursioni continue negli Appennini e specialmente in quelli, difficili a studiarsi, ma meno poveri di petrifica- zioni, della Garfagnana e della sua Lunigiana. La pusillanimità di badar solo a qualche piccola parte della scienza e di credere vero ed importante solo ciò che prediligiamo, non gli piaceva: perciò sì occupava di molte cose, giacchè il saper vero dona e riceve da ogni parte. Pubblicò nel 1864 (Firenze, 1 vol. in 4°, con 6 tav.) la Monografia dei « Pharingodopilidae», nuova famiglia di Pesci labroidi, descrivendo varie specie nuove, non tutte am- messe di poi ed in seguito riferite alla già nota famiglia dei Nummopalatidae. Nel successivo anno 1865, nelle Memorie della Società italiana di scienze naturali compariva il suo lavoro Di alcuni resti umani, ove descriveva arnesi dell'età della pietra e del bronzo raccolti in varî punti di Toscana, specialmente nella Buca delle Fate presso Livorno. Un altro lavoro succoso, senza quella prolissità che è propria di molti naturalisti, specie di quelli che non hanno idee, usciva nel 1866, Sulla geologia della val di Magra (Mem. d. Soc. italiana di se. nat, vol. II, Milano, in 4°). Sulluomo fossile nell’ Italia centrale (Mem. della Soc. italiana di sc. nat., Milano, in 4°) tornava con assai maggiori particolari nel 1867. Trattava egli del cranio umano (ormai, per opera sua, famoso) dell'Olmo in val di Chiana, uno dei più antichi di situazione stratigrafica- mente determinata trovati in Italia, sebbene non antichissimo, non rimon- tando esso, pare, alle età litiche, ma sulla cui età precisa vertono ancora discussioni non chiuse. A proposito del medesimo, con quella dirittura di criterio e con le cognizioni stratigrafiche e paleontologiche proprie di ogni suo lavoro, con modo piacevole e chiaro esponeva per la prima volta la storia comprensiva della Val d'Arno superiore, regione tanto visitata da italiani e da stranieri per l'abbondanza de’ suoi fossili; e ne tracciava le linee fondamentali, com- pletate poi, per quanto riguardava le comunicazioni del grande lago col mare, dal Ristori e dal Pantanelli, come lui, pur troppo scomparsi e da altri. Vi discorreva pure, in modo magistrale, dei terreni pliocenici e postpliocenici della Chiana, di Val di Magra, di Livorno. Nel 1868 usciva un suo utile volumetto sull'Origine dei combustibili fossili (Milano), e nel 1870 tornava sulla sua Val di Magra con due Memorie (Bollettino del R. Comitato geologico, Firenze), nelle quali illustrava il terreno titonico di Giaredo ed il granito terziario. Nel 1861 il Cocchi, con altri, era stato chiamato a far parte di una Commissione che studiasse l'ese- guimento della carta geologica d'Italia; ma senza conclusioni per allora, sebbene egli tornasse sull'argomento nel 1862, dopo il suo viaggio a Londra. Nel 1866, portata la capitale d'Italia, nella sua prima tappa verso il de- stino auspicato da secoli, da Torino a Firenze, essendosi ripetute le pro- | poste e le deliberazioni di fondare un Istituto o Comitato geologico che, a — 181 — simiglianza di altri paesi, avesse a cura il rilevamento di una Carta geologica del Regno, e dovendo essere quell'Istituto, naturalmente, nella Capitale, nel 1866 si nominarono il Cocchi, il Meneghini e lo Scarabelli nella Commissione per sorvegliare i lavori; e nel 1867 fu data al primo, come ad uomo yolen- teroso e laborioso, la presidenza della Commissione geologica, poi quella del Comitato geologico definitivamente costituito. Si occupò subito egli della bisogna, come gli scarsi mezzi permettevano ; e cominciò a compilare una Carta geologica d'Italia al 1/600000, che fu mandata all'Esposizione di Parigi dell’anno stesso 1867: molte osservazioni sulla Toscana, l'Umbria, l'Emilia, la Liguria erano del Cocchi. Di quel primo tentativo, rimasto manoscritto, esistono solo due copie, una presso il Mini- stero d’agricoltura, l’altra presso il Cocchi. Iivolse questi l’opera sua. all'isola d'Elba ricchissima di minerali, costituita da svariati terreni, il cui studio, già avviato da tanti, era neces- sario anche per le miniere del ferro e per gli altri minerali che lo Stato vi ha, vigendo ivi leggi diverse da quelle di Toscana e diritto di pnacioe sul sottosuolo. Studiando insieme le regioni del littorale finitimo, pubblicò dl 1870 le brevi Note geologiche sopra Cosa, Orbetello e monte Argentario (Bull. del R. Comitato geologico italiano, nn. 11 e 12), nelle quali, ritenendo però troppo antichi tutti que’ terreni, gettò le basi della non complicata geologia di que’ luoghi, basi che credo rimangano salde anche di fronte a lavori più recenti i quali vorrebbero tornare ai tempi pre-Cocchiani, a quelli della scuola pisana di prima maniera. Dopo alcuni cenni preliminarî pubblicati nel 1870, nel 1871 uscì con numerosi disegni, spaccati geologici e carte, la Deserzeione geologica dell'isola d'Elba nelle Memorie del R. Comitato geologico, Firenze; uno dei princi- pali lavori del Cocchi, che non ha perduto importanza dopo la descrizione della stessa isola comparsa pochi anni dopo ad opera del Lotti per incarico dello stesso Ufficio geologico. Il Cocchi non aveva potuto approfittare delle precise carte topografiche dello Stato Maggiore italiano (non ancora pubblicate), fon- damento indispensabile di ogni rilevamento geologico che vogliasi preciso; nè, in quegli anni che studiava l'Elba, era ancora diffuso presso noi, come altrove, lo studio microscopico e chimico delle rocce le quali all'Elba sono tanto svariate e per le quali sovrabbondano, nè sono ancora completi, gli studî susseguenti al Cocchi. Lo schema e, direi quasi, lo scheletro della geologia Elbana rimane però essenzialmente quello stabilito dal Cocchi, pure nell'età dei graniti e dei porfidi, nell'origine filoniana del ferro, quand’anche sulle opinioni sue e del Lotti siano sòrte e possano perpetuamente rinnovel- larsi delle controversie. Furono quelli, per il nostro, gli anni della maggiore attività; avendo egli da sè, o con l’aiuto degli operatori del Comitato geologico, indirizzate — 182 — le ricerche ai terreni dei dintorni di Firenze ed alle Alpi Apnane, della cui parte meridionale inviò una prima Carta all'Esposizione internazionale di Vienna, e sui marmi delle quali aveva pubblicato un accenno nel 1871 (Boll. del R. Com. geologico). Nell'anno seguente, in fatto di paleontologia, dette la preziosa descri- zione Di due scimmie fossili italiane (Boll. del R. Com. geologico, Firenze, 1872) recentemente scopertein Toscana; alla geologia serbò il primo cenno Del terreno glaciale delle Alpi Apuane (Boll. del R. Com. geologico), cenno che fu poi completato dallo Stoppani e da altri; ed a servizio della paletno- logia e delle collezioni paletnologiche del suo Museo, passate poi a quello di antropologia dello stesso Istituto superiore, pubblicò il Catalogo della raccolta degli oggetti de’ così detti tempi preistorici (1 volume in 8°, Firenze 1872). Erasi allora la raccolta toscana assai arricchita per una compra dal Foresi. i Nè l'attività del suo ingegno si limitava a questi campi assai svariati. Pensò il Cocchi, amante dei monti e della propria terra, che pure in Firenze convenisse istituire una sede del Club Alpino al quale la moda volubile, ma allora sagace, attraeva la gioventù italiana e specialmente la signoria animosa e desiosa di ‘conoscere e far conoscere le bellezze dei nostri paesi. Fu dunque egli nel 1868 il proponitore e, nell'anno seguente, il primo presidente della sede di Firenze, e fece rivolgere i passi e lo studio al rimboschimento dell'Appennino e primieramente verso le sue Alpi Apuane. Nel 1873 era stato stabilito di portare la sede dei lavori per la Carta geologica da Firenze a Roma e poco di poi al Cocchi fu tolta la presidenza del Comitato geologico con eccessiva disinvoltura, come è costume, dicono, dei governi costituzionali non sensibili alla gratitudine: ma credo tali sian tutti. Fu egli bensì conservato nel Comitato, e vi rimase fino agli altimi anni di sua vita, ma senza più oltre occuparsi di migliorare il sistema della Carta secondo che varî geologi desideravano, e senza gran fatto prender parte at- tiva ai lavori: ciò che del resto non si sarebbe potuto nè si può pretendere da una istituzione che si raduna una volta l’anno per mettere il benestare a lavori diretti da altri. Forse il trovarsi così messo da parte dopo le grandi prove di attività che aveva dato e nel mentre legittimamente attendeva di cogliere i migliori frutti dell’opera sua, scoraggiò il Cocchi; e sì lo sconfortò che, da allora in poi sì può dire che egli si ritraesse e quasi, sebbene non completamente, abbandonasse il campo della scienza. Infatti, nel 1874 si ritirava anche dall’insegnamento durato 15 anni, per dirigere le nuove cave di marmo di Val d'Arni in quel di Seravezza e di Vagli, che egli aveva messe in evidenza e quasi discoperte; e quivi stette circa 3 anni. i - Si ritirò poi anche da questo ufficio. Oramai, da varî anni egli aveva rallentato quella attività che gli avevano data la gioventù, la fede negli utili risultati della scienza, e quelle facilità che sono proprie di chi sta a capo di un Istituto scientilico. Egli si dedicò alla amministrazione del suo importante patrimonio, esempio degno di imitazione, e, per chi si dimostri prudente ed avveduto come il nostro, utile alla patria quanto l'opera di chi si chiuda e si iste- rilisca in limitate ricerche scientifiche. I suoi concittadini di Licciana in provincia di Massa, e que’ di Arezzo dove aveva sue terre, lo chiamarono consigliere e deputato provinciale per Massa e consigliere comunale, poi, nella Giunta prov. ammin. di Arezzo: in Firenze pure. dove per l’onestà del sentire come per la scienza, godeva grande estimazione, fu in que’ tempi spesso chiamato per cose pubbliche. Lo ebbi collega in alcune di quelle pubbliche Amministrazioni; avversario in altre; ma tutti, colleghi od av- versari, gli resero sempre giustizia. Non aveva però completamente dismesso la partecipazione alla vita scientifica. Così tenne la Solenne commemorazione di Quintino Sella nel- l'Accademia Petrarca di Arezzo (Firenze, 1884); e l'11 giugno 1899, come uno de più ant'chi e prediletti discepoli del Meneghini, lesse il Discorso per l'inaugurazione del monumento al maestro nel camposanto di Pisa (Pisa, 1900). Di aleuni nuovi fossili scoperti al Vingone in Vul di Chiana, argomento del quale si era già occupato in qualeuno de' suoi maggiori lavori giovanili, ebbe a dire alla « Società toscana di scienze naturali =, ed in quella circostanza ricordo che egli fece l’ultima visita al Gabinetto geolo- gico di Firenze. Quale membro, consigliere e vice presidente della « Società medica italiana d idrologia e climatologia ». ed anche come consulente idro- logo dello Stato per le acque di Montecatini, scrisse sulla Sorgezte di San- gemini (Atti del V Congresso d'idrologia e climat, Firenze, 1890); Sulla necessità di analisi rigorose delle acque minerali e termali (Soc. med. ital. d'idr. e clim., Firenze, 1897); SuZla origine dell'acido carbonico con- lenuto nelle acque sotterranee e di due acque termali sotterranee (Perugia, 1900), e Su di una trivellazione ai bagni di Montecatini (Perugia, 1907), mostrando in questi, sebbene piccoli, lavori, che egli rimaneva a giorno anche delle più recenti nuove della scienza. La serie dei viaggi avviata nel suo periodo aureo, non aveva interrotta: e nel 1897 fu in Finlandia ed in Russia, compagno piacevole e gradito a me e ad altri amici. In quella circostanza, il sentimento di poesia, proprio di ogni verace naturalista (tant'è che lo scopritore del vero fu sempre ammiratore del bello, e ciò dicasi specialmente di noi italiani cui natura non fu avara di sue bellezze), lo indusse ad ammirare lo strano paesaggio finlandese così diverso dal nostro, il popolo civile e saggio che lo abita, parente, assai più che di — 184 — noi, dei più lontani asiatici, ed i suoi canti così originali e primitivi. Non conosceva egli a fondo quella lingua, armoniosa come la nostra ma pur tanto differente: ma dopo avere pubblicato un libro di Azicordi e Studi su la Finlandia (Firenze, Le Monnier 1902), prese le traduzioni inglesi dei canti finnici riuniti nel Kalevala, li intessè di elegante forma italiana. (Firenze, Scuola Tip. Calasanziana 1913). i In quel suo lavoro impiegò molti anni: quasi, si può dire, gli ultimi della sua vita. Veramente solo un toscano, vissuto a Firenze, conoscitore del paese dove i canti eran nati, usato alla esatta visione delle cose este- riori, poteva darsi a tale lavoro, sopperendo all’ imperfetto conoscimento della lingua originale. Chi, adusato al linguaggio giornaliero, che è gazzettiero e dottrinale ad un tempo, ed istruito alla lingua burocratica la quale vien da tutti i paesi e non è di nessuno, insegnata nelle scuole: chi, dico, legga attentamente quella traduzione, non può a meno d'ammirare la proprietà e l'eleganza del linguaggio, la semplicità dello stile, qualità troppo aliene dagli scenziati odierni, i quali, se pure nella prima metà della vita avessero imparato le finezze e le bellezze di nostra lingua, l’altra metà debbono im- piegare per disfarsene. E di quelle qualità, disusate, che eran proprie un tempo della scuola pisana con Paolo Savi a capo, dette esempio il Cocchi anche ne' suoi scritti prettamente scientifici, nei quali la chiara dizione rivela la chiarezza delle idee; e, qua e là, anche in noterelle che pubblicava nella Nuova Antologia (/ denti, zanne dell'elefante africano ed il commercio dell’avorio, Roma, 1899). Si spense il Cocchi, serenamente, come aveva vissuto, fra î suoi, in Livorno, il 18 agosto 1913. Fu uomo retto, di tendenze piuttosto conserva- trici: e perciò, sebbene gli onori come scienziato non gli mancassero, (fu anche presidente della Società geologica e corrispondente della nostra Acca- demia dal 18 luglio 1891), pure, qualora, contravvenendo alla sua rigida coscienza, avesse seguìto il più o meno facile andazzo dei tempi, ne avrebbe certo avuti di maggiori. Ma per noi che lo commemoriamo, alla vita scien- tifica lungamente memoranda, alla incessante ed imperitura opera sua nella ricerca delle bellezze naturali paesane e nel discoprimento delle nostre ricchezze sotterranee, aggiungono ed aggiungeranno pregio le proporzioni, l'armonia, il retto vigore dell'animo, il carattere morale dell’uomo. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario Grasst presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando un volume di cui fa omaggio il Socio Nasini e che contiene le relazioni sui lavori eseguiti, sotto la sua direzione, nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Pisa durante gli anni 1910-13. Lo stesso — 185 — Segretario fa menzione di una Memoria a stampa del Corrisp. IsseL inti- tolata: Maturalisti e viaggiatori liguri nel secolo XIX; di alcune pub- blicazioni dei professori AGAMENNONE e LonGco; e della parte 2* Meteorologia, della relazione sulla Spedizione nazionale antartica del 1901-1904, pub- blicata dalla Società Reale di Londra. Il Socio Dini presenta un volume, colle seguenti parole: Ho l'onore di presentare il 1° volume delle «Opere matematiche di L. Cremona », che si pubblicano sotto gli auspicî della nostra Accademia. È superfluo il dire quanto fosse doverosa e quanto sia importante tale pubbli- cazione: basta ricordare che il Cremona non fu soltanto uno dei più insigni fru i geometri italiani e stranieri del suo tempo, ma fu altresì capo di una scuola, a cui diede coi suoi lavori e col suo insegnamento vita e impulso vigorosi, e da cuì provennero i grandi e brillanti progressi fatti in Italia dalla geometria sintetica negli ultimi cinquant'anni. Il presente volume contiene 31 Javori, fra i quali la classica « Intro- duzione ad una teoria geometrica delle curve piane » che ebbe tanta in- fluenza nel rinnovamento degli studi geometrici nel nostro paese. La pubblicazione dei lavori è fatta in ordine cronologico, rispettando scrupolosamente la sostanza e la forma della redazione cremoniana e inse- rendo, con opportuni criterî, le numerose aggiunte manoscritte apposte dal Cremona ai lavori stessi. I revisori (che furono, per questo 1° volume, Bertini, Bianchi, Fano, Loria, Montesano, Nicoletti, Pittarelli, Segre, Terracini, To- relli) aggiunsero soltanto varie note nei punti nei quali occorrevano osser- vazioni o schiarimenti, note che furono collocate a fine del volume. CONCORSI A PREMI Il Segretario GRASSI comunica i seguenti elenchi dei lavori presentati per prendere parte ai concorsi ai premi keali e Ministeriali, scaduti col s1 dicembre 1913. Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio di S. M. il Re per la Matematica. (Premio di L. 10,000. — Scadenza 31 dicembre 1914). 1. LaurIiceLLA Giuseppe. 1) « Sulle funzioni biarmoniche » (st.). — 2) « Sulle formole che dànno la deformazione di una sfera elastica iso- tropa » (st... — 8) «Sulle derivate della funzione potenziale di doppio strato » (st.). — 4) «Sulle equazioni della deformazione delle piastre ela- stiche cilindriche » (st.). — 5) « Sull’integrazione delle equazioni dell’equi- librio dei corpi elastici isotropi » (st.). — 6) « Sulla risoluzione del problema RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 25 — 186 — di Dirichlet col metodo di Fredholm e sull’integrazione delle equazioni dell'equilibrio dei solidi elastici indefiniti » (st.). — 7) « Sul problema deri- vato di Dirichlet sul problema della elettrostatica e sull’integrazione delle equazioni dell’elasticità » (st.). — 8) «Sull'integrazione dell'equazione » (st... — 9) « Sopra alcune equazioni integrali » (st.). — 10) « Sulle vibra- zioni delle piastre elastiche incastrate » (st.). — 11) «Sull’integrazione dell'equazione 43:V=0 per le aree piane» (st.). — 12) « Sull’equazione integrale di 1 specie » (st.). — 13) «Sopra alcuni potenziali logaritmici di strato lineare » (st.). — 14) «Sull’equazione integrale di 1% specie re- lativa al problema di Derichlet sul piano» (st.). — 15) «Sulla funzione potenziale di spazio corrispondente ad una assegnata azione esterna » (st.). — 16) « Sulla risoluzione dell'equazione della equazione integrale di 14 specie ». (st.). — 17) «Sopra i nuclei reiterati » (st.). — 18) « Sulla distribuzione della massa nell’interno dei pianeti » (st.). — 19) « Sulla risoluzione delle equazioni integro-differenziali dell'equilibrio dei corpi elastici isotropi per dati spostamenti in superficie » (st.). — 20) «Sulla chiusura di sistemi di funzioni ortogonali e dei nuclei delle equazioni integrali » (st.). — 21) «Com- memorazione del Corrispondente Cesare Arzelà » (st.). — 22) « Sopra le funzioni permutabili di 2* specie » (st.). — 23) « Su di una classe di equa- zioni alle derivate parziali del secondo ordine» (st.). — 24) « Sulla defor- mazione di una sfera elastica isotropa per dati spostamenti in superficie » (st.). — 25) «Sull’integrazione delle equazioni dell’equilibrio dei corpi elastici isotropi » (st.). — 26) « Applicazione della teoria di Fredholm al problema di raffreddamento dei corpi» (st.). — 27) «Sulle equazioni inte- grali» (st.). — 28) « Sopra l’algebra delle funzioni permutabili di 2* specie » (st... — 29) «Sulla deformazione di una sfera elastica isotropa per date tensioni in superficie » (st.). — 30) « Alcune applicazioni della teoria delle equazioni funzionali alla fisica matematica » (st.). — 81) « Sui potenziali elastici ritardati » (st... — 32) «Sull'integrazione delle equazioni della propagazione del calore » (st.). — 38) « Calcolo di alcuni determinanti » (st... — 34) « Valentino Cerruti» (st.). — 35) « Sull’equazione 4,2V=0 e su alcune estensioni delle equazioni dell’equilibrio dei corpi elastici iso- tropi » (st.). — 36) « L'opera dei matematici italiani nei recenti progressi della teoria delle funzioni di variabile reale e delle equazioni integrali » (st.). — 37) « Recensione: Ernest Richard Neumann » (st.). — 38) « Sopra gli sviluppi, in serie, di funzioni ortogonali » (st.). — 39) « Intorno alle derivate normali della funzione potenziale di superficie » (st.). 2. SeverI FrancEsco. 1) « Sugli spazî plurisecanti di una semplice infi- nità razionale di spazî » (st.). — 2) « Sulie intersezioni delle varietà algebriche, e sopra i loro caratteri e singolarità proiettive » (st.). — 3) « Sul principio della conservazione del numero » (st.). — 4) « Rappresentazione di una forma qualunque per combinazione lineare di più altre » (st.). — 5) « Su alcune pro- — 137 — prietà dei moduli di forme algebriche » (st.). — 6) « Il genere aritmetico ed il genere lineare in relazione alle reti di curve tracciate sopra una super- ficie algebrica » (st.). — 7) « Sulle superficie che rappresentaao le coppie di punti di una curva algebrica » (st.). — 8) « Su alcune questioni di postu- lazione » (st.). — 9) « Sulle relazioni che legano i caratteri invarianti di due superficie in corrispondenza algebrica » (st.), — 10) « Sulle corrispon- denze fra i punti di una curva algebrica e fra certe classi di superficie » (st... — 11) « Sulla deficienza della serie caratteristica di un sistema lineare di curve appartenente ad una superficie algebrica » (st.). — 12) « Osserva- zioni sui sistemi continui di curve appartenenti ad una superficie algebrica » (st... — 13) « Sulle superficie algebriche che posseggono integrali di Picard della seconda specie » (st.). — 14) « Sulla differenza fra i numeri degl’ inte- grali di Picard della prima e della seconda specie, appartenenti ad una super- ficie irregolare » (st.). — 15) « Sulla totalità delle curve algebriche trac- ciate sopra una superficie algebrica » (st.). — 16) « Intorno alla costru- zione dei sistemi completi non lineari, che appartengono ad una superficie irregolare » (st.). — 17) « Il teorema d’Abel sulle superficie algebriche » (st.).. — 18) « Sul teorema di Riemann-Roch e sulle serie continue di curve appartenenti ad una superficie algebrica » (st.). — 19) « Sulle curve alge- briche virtuali, appartenenti ad una superficie algebrica » (st.). — 20) « Intorno al teorema d'Abel sulle superficie algebriche, ed alla riduzione a forma nor- male degl'integrali di Picard » (st.). — 21) « Osservazioni varie di geome- tria sopra una superficie algebrica e sopra una varietà » (st). -— 22) « Una proprietà delle forme algebriche prive di punti multipli » (st ). — 23) « Intorno alle superficie iperellittiche (con F. Enriques) » (st.). — 24) « Intorno alle superficie iperellittiche irregolari (con F. Enriques) » (st.). — 25) « Alcune proposizioni fondamentali per la geometria sulle varietà algebriche » (st.). — 26) « Fondamenti per la geometria sulle varietà algebriche » (st.). — 27) « Sulle superficie algebriche che ammettono un gruppo continuo permu- tabile, a due parametri, di trasformazioni birazionali » (st.). — 28) « Osser- vazioni sul Restsatz per le curve iperspaziali » (st.). — 29) « Appunti di geometria algebrica » (st.). — 30) « Sulla regolarità del sistema aggiunto ad un sistema lineare di curve, appartenente ad una superficie algebrica (st... — 31) « La base minima per la totalità delle curve tracciate sopra una superficie algebrica » (ms.). — 32) « Le superficie algebriche con curva canonica d'ordine zero » (st.), — 33) « Uno sguardo d'insieme alla geo- metria sopra una superficie algebrica » (st.). — 34) « Complementi alla teoria della base per la totalità delle curve di una superficie algebrica » (st.). — 35) « Alcune relazioni di equivalenza tra gruppi di punti di una curva algebrica, o tra curve di una superficie » (st.). — 36) « Sulle super- ficie e varietà algebriche irregolari, di genere geometrico nullo » (st.). — 87) « Sugli integrali semplici di 1% specie appartenenti ad una superficie — 188 — algebrica » (ms.). — 38) « Le corrispondenze fra i punti d'una curva va- riabile in un sistema lineare sopra una superficie algebrica » (st.). — 39) « Relazioni fra gl integrali semplici e gl'integrali multipli di 1 specie di una varietà algebrica (st.). — 40) « Risposta ad un'osservazione del sig. De Franchis » (st.). — 41) Sulle superficie irregolari con infinite curve razionali » (st.). — 42) « Un teorema d'inversione per gl integrali semplici di 1 specie appartenenti ad una superficie algebrica (st.). — 483) « Sopra alcune proprietà aritmetiche delle corrispondenze fra i punti di una curva algebrica » (st.). 3. MipoLo Pasquare. « Archimede e il suo tempo » (st.). Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio di S. M. il Re per la istologia normale e patologica. (Premio L. 10,000. — Scadenza 31 dicembre 19183). 1. BarieRI ALBERTO. 1) « La polidialisi » (ms.). — 2) « Nuovi me- todi per l’analisi rapida del giallo d'ovo » (ms.). — 3) « Sulla materia co- lorante del giallo d’ovo o ovocromina » (ms.). — 4) « Non esistenza del fosforo organico e dell'acido glicer-fosforico nelle strutture biologiche, animali e vegetali» (ms.). — 5) « Non esistenza della rodopsina o porpora retinica » (ms.). — 6) « Sulla croccina della retina degli uccelli » (ms.). — 7) « Tessuto nervoso » (ms.). — 8) «Il sistema del grande simpatico non è un tessuto nervoso » (ms.). — 9) « La retina non contiene i principî chimici del nervo ottico » (ms.). — 10) « Nella serie dei vertebrati e degli invertebrati, il nervo ottico non si termina mai nella retina » (ms.). — 11) « La struttura del si- stema nervoso centrale e periferico » (st.). — 12) «Tecnica per l’estirpa- zione della papilla ottica nel gatto » (ms.). — 13) « La sutura e la greffe delle arterie » (ms.). — 14) «Le radici posteriori spinali sono motrici » (ms.). — 15) « Le radici spinali posteriori sono motrici anche nell’arto separato dal tronco » (ms.). — 16) «Il neuroplasma è mobile » (ms.). 2. Bocci BaLpuIno. 1) «La meccanica del cuore » (st.). — 2) « La teoria dell'udizione più consentanea alla complessa morfologia dell'organo del Corti» (st.). — 8) «Il meccanismo dell’accomodazione oculare per la distanza: prove subiettive nell'uomo ed obiettive nell'animale » (st.). — 4) «La semplificazione degli enzimi col metodo combinato dell’autolisi e della dialisi. Sinergia enzimatica ed analàsi» (st.). — 5) « Peregrinazione di un fisiologo nell'arte, nella vita, nella morale» (st.). — 6) «Il dina- mismo cerebrale del senio: Giacomo Leopardi» (st.). — 7) «Giacomo Leopardi; rivendicazione » (st.). 3. Borrazzi FiLippo. 1) « Memorie varie di chimica fisica applicata alla fisiologia » (st.). — 2) « Memorie varie di fisiologia dei muscoli » (st.). — 3) « La funzione muscolare; con un vol. di tav.» (ms.). — 189 — 4. FicHeRA GAETANO. 1) « Ricerche varie, voll. 2» (st.). — 2) « Que- stioni oncologiche, voll. 4» (st.). 5. Lomonaco Domenico. — 1) « Sulla fisiologia di alcune delle parti più interne e meno aggredibili del cervello » (st.). — 2) «Sulla fisiologia deì tubercoli quadrigemini e dei lobi ottici» (st.). — 3) «Sulla cecità conse- cutiva all’asportazione dei lobi occipitali e dei talami ottici» (ms.). — 4) « L'azione degli idrati di carbonio sulle secrezioni » (st.). 6. Negro CamiLLo. « Ricerche sperimentali di elettrofisiologia circa l’azione che sui nervi motori della rana esercitano le scariche elettriche a basso potenziale, ottenute a circuito aperto dai singoli poli di coppie vol- taiche » (ms.). ‘. PETRONE AnGELO. « Otto anni ancora di ricerche sull’esistenza di un nucleo nell'emasia adulta dei mammiferi» (st.). 8. SecaLE MARIO. 1) « Tecnica di esame e limite dei valori normali di 4AXn» (st... — 2) «A4Xn nella anuria sperimentale » (st.). — 38) « AXx nella tiroidectomia e nella paratiroidectomia » (st.). — 4) € 4X nella capsulectomia surrenale totale » (st... — 5) « 4X nella splene- ctomia » (st.). — 6) « La reazione attuale del siero di sangue degli spa- ratiroidati » (st... — 7) «Se la funzione complementare del siero sia in rapporto colle variazioni di tensione superficiale di esso » (st.). — 8) « Sulla modificabilità delle abnormi costanti energetiche in biologia » (st.). — 9) « Sul meccanismo della intossicazione anafilattica da siero » (st.). — 10) « La capacità respiratoria del sangue, la reazione attuale e gli amino- acidi del siero nella anafilassi di siero » (st.). — 11) « La intossicazione da peptone Witte, e i suoi rapporti colle intossicazioni dette anafilattiche da tossipeptidi » (st.). — 12) « Controlli sperimentali alla ipotesi di Bes- redka sul meccanismo del processo anafilattico » (st.). — 13) « Nella ana- filassi da siero la sostanza preparante e la sostanza capace di dare lo scoppio non sono identiche » (st.). — 14) « Sulla presunta importanza del comple- mento nella produzione dello schoch anafilattico » (st.). — 15) Sul ricambio nella anafilassi da siero » (st.). — 16) Studî biochimici sul sangue del cole- roso » (st... — 17) « Sul contenuto, in glicogeno, del fegato e del sangue dei colerosi » (st.). — 18) « Ricerche anatomo-patologiche, batteriologiche e biochimiche, su tre feti di colerosi » (st... — 19) « Modificazione di ten- sione superficiale e di viscosità indotte nel latte dall’idrato di sodio, e loro importanza per i dosaggi del grasso » (st... — 20) « Sull’arrossamento del latte in presenza di NaOH » (st). — 21) Sulla azione battericida dei com- plessi lipoidei » (st.). — 22) « Il siero sifilitico ozonizzato acquista proprietà fissatrici per il complemento » (st.). — 23) « Ricerche termo-calorimetriche sugli ultimi periodi di vita» (st... — 24) « La termogenesi negli aumenti di temperatura ambiente» (st.). — 25) « La termocalorimetria del colpo di calore» (st... — 26 «Studî termocalorimetrici nella anafilassi da siero » = 190 — (st... — 27) « Reperti termocalorimetrici in alcune ipertermie sperimen- tali» (st.). — 28) « Sui calori specifici » (st.). 9. ZanoTTI Pirro. « Saggi sulla biologia degli stafilococchi » ; con tavole (ms.). Elenco dei lavori presentati ai concorsi ai premi del Ministero della Pubblica Istruzione, per le Scienze naturali. (Scadenza 31 dicembre 1913. — Due premi di L. 2000 ciascuno). 1. Acqua Camito. 1) « Sul valore dell'apice radicale quale centro per la geopercezione » (st.). — 2) « Sui fenomeni della così detta respira- zione inorganica » (st.). — 3) « L'azione dell'uranio sulla cellula vegetale » (st.). — 4) «Sulla diffusione degli ioni nel corpo delle piante, in rapporto specialmente al luogo di formazione delle sostanze proteiche » (st.). — 5) « Sul significato dei depositi originatisi nell'interno di piante coltivate in soluzioni di sali di manganese » (st.). — 6) «La degenerazione nucleare provocata dall’uranio nella cellula vegetale » (st.). — 7) « Nuove ricerche sulla dif- fusione o localizzazione degli ioni nel corpo delle piante. Esperienze con il cerio » (st.). — 8) « Esistono fenomeni psicologici nei vegetali? » (st.). — 9) « La liberazione di energia nei processi respiratorî delle piante » (ms.). 2. ARCANGELI ALcEsTE. 1) « Sopra due specie di Armadillidium della fauna italiana » (st.). — 2) « La muscolatura delle ossa faringee di Caras- stus auratus L., e la sua funzione» (st.). — 3) « Osservazione sopra le glandule mucipare ed i noduli linfatici dell’esofago del colombo » (st.). — 4) « Isopodi terrestri, nuovi o poco noti, di Italia » (st.). — 5) La collezione di Isopodi terrestri del R. Museo di Zoologia degli Invertebrati di Firenze. Con aggiunte ed annotazioni » (ms.). — 6) Escursioni zoologiche del dott. Enrico Festa nell'isola di Rodi. Isopodi » (st.). —- 7) « Haempel O., Zeztfaden der Biologie der Fische. Recensione » (st.). — 8) « Supino F., Jdrobiologia ap- plicata. Recensione » (st.). —- 9) « Accomazzo P., Piscicoltura di stagno: l'allevamento della carpa. Recensione » (st.). 3. BARSALI EGIpro. 1) « Appunti sul male dell'inchiostro nel castagno » (st.). — 2) « Primo contributo alla epaticologia umbra » (st.). — 3) « Sulla macraflora del lago Trasimeno o di Perugia » (st.). — 4) « Sull'effetto del- l’incatramatura delle vie a Livorno» (st.). — 5) «Sulla flora ruderale di Perugia » (ms.). — 6) « Prodromo della flora umbra» (ms.). 4. Bezzi Mario. 1) « Diptères» (st... — 2) « Études systématiques sur les muscides hématophages du genre /yperosia » (st.). — 3) « Miodarii superiori raccolti dal sig. C. W. Howard nell'Africa australe orientale » (st... — 4) « Eine seltene Fliege von Weltverbreitung (Dipt.)» (st.). — 5) « Sobre tres interessantes Dipteros de S. Paulo » (st... — 6) « Report on a collection of Bombyliidae (Diptera) from Central Africa, with description — 191 — of new species» (st... — 7) «Sur une nouvelle espéce de Diptère de la Tunisie méridionale, et liste générale des Asilides de la Tunisie » (st.). — 8) « Diptera peninsulae Ibericae » (st.). — 9) « Rhagionidae et empididae ex insula Formosa » (st.). — 10) « Diptères recueillis au Congo » (st.). — 11) « Ditteri raccolti da Leonardo Fea durante il suo viaggio nell'Africa occidentale » (st.), — 12) «Intorno ad alcune Ceratitis raccolte nell'Africa occidentale dal prof. F. Silvestri » (st.). — 183) « Clunio adriaticus Sehiner » (st.). — 14) « Altre Ceratitis africane allevate dal prof. F. Silvestri » (st.). — 15) « Einege Bemerkungen iber die Dipterengattungen Auchmeromyia und Bengalia » (st.). — 16) « Blefaroceridi italiani » (st.). — 17) « Einige alte u. neuve Namen bei den Dipteren » (st.). — 18) « Indian Trypaneids (Fruit- Flies) in the Collection of the Indian Museum » (st.). 5. CacciamaLi G. B. 1) «I brontidi » (st.). — 2) « La falda di rico- primento del monte Guglielmo, con premesso schizzo tectonico della Lombardia orientale » (st... — 3) « La geologia bresciana alla luce dei nuovi concetti orogenici » (st... — 4) «Il territorio dei comuni di Gussago e Cellatica, sotto l'aspetto geologico-viticolo » (st.). — 5) « Il territorio dei comuni di Portese e San Felice di Scovolo, sotto l'aspetto geologico-viticolo » (st.). — 6) « Strut- tura geologica del gruppo del Guglielmo » (st.). — 7) « Revisione della geologia Camuna » (st.). — 8) « L’altopiano di Borno » (st.). 6. CannaviELLO EnRIco FRANCO. 1) « Pesci e pesca di acqua dolce, con tavole » (ms.). — 2) « Le lagune di Varano, con tavole » (ms.). “. CHeLUSSI IraLO. 1) « Cinque saggi di fondo del lago Maggiore » (st.). — 2) « Di alcuni saggi di fondo del mar Rosso» (st.). — 3) « Ap- punti di psammografia ligure » (st.). — 4) « Le sabbie di tre pozzi trivel- lati nelle provincie di Padova e Ferrara » (st.). — 5) Psammografia di alcuni pozzi trivellati della pianura Padana » (st.). — 6) « Contribuzioni alla psam- mografia dei litorali italiani» (st.). — 7) « Nuove contribuzioni alla psam- mografia dei litorali italiani » (st.). — 8) « Studio petrografico di alcune sabbie marine del litorale jonico e di quello tirrenico da Reggio Calabria a Napoli» (st.). — 9) « Alcune sabbie marine del litorale ligure » (st). — 10) « Nuove ricerche in roccie terziarie di sedimento » (st.). -- 11) « Studio petrografico di alcune rocce estere » (st.). — 12) «Di alcuni saggi di fondo del Mediterraneo » (st.), — 13) « Nuove ricerche petrografiche sopra alcuni fondi di mare del Mediterraneo » (st.). — 14) « Sulla natura e sulla origine dei conglomerati terziarî delle colline di Torino» (st.). — 15) « Alcune sabbie marine della Sicilia » (ms.). — 16) « Di alcuni ciottoli cristallini del conglomerato di Campobasso» (ms.). 8. Comes SaLvaTORE. 1) « Riproduzione e morfologia di Dinerympha gracilis Leidy flagellato, ospite dell'intestino dei Termitidi » (st.). — 2) « Fenomeni nucleari e fasi riproduttive in Pyrsonympha flagellata Grassì » (st.). — 8) « Effetti della decapitazione in Calotermes fiavicollis e in altri — 192 — Artropodi » (st.). — 4) « Apparato reticolare o condrioma ? Condriocinesi 0 dittocinesi ? » (st... — 5) « Notizie sulla morfologia e riproduzione di Mono- cercomonas termitis» (ms.). — 6) « Importanza delle fibre della glìa per spiegare il meccanismo di movimento nei Lombricidi» (ms.). 9. De Srerano GiusEPPE. « Sui pesci pliocenici dell’Imolese » (st.). — 2) « Studio sui pesci fossili della pietra di Bismantova (Reggio Emilia) » (st... — 3) «I mammiferi preistorici dell'Imolese » (st.). — 4) « Appunti sulla ittiofauna fossile dell'Emilia» (st... — 5) « La ittiofauna del mare pliocenico italiano » (st... — 6) «Sul chelone (euclastes) melii misuri sp. del calcare miocenico Leccese » (st... — 7) « Studio sopra due forme fossili del gen. Bos Linneo, attribuite al quaternario dell’isola di Pianosa » (st.). — 8) « Alcuni avanzi di mammiferi fossili attribuiti al quaternario dell’ isola di Pianosa » (st.). — 9) I cervi e le antilopi fossili, attribuiti al quaternario dell'isola di Pianosa » (st.). — 10) « Osservazioni paleontologiche e deduzioni cronologiche sulla fauna dei mammiferi fossili attribuiti al quaternario del- l'isola di Pianosa» (st.). 10. Drago UmBERTO. « Sul movimento di progressione delle proglottidi di Zaenia saginata, e suo valore biologico » (st.). 11. Frori ANDREA. 1) « Dalle mie recenti caccie di Malthodes » (st.). — 2) «Sulla estrema variabilità dei caratteri in alcuni curculionidi italiani » (st... — 3) « Pselafidi di Sicilia » (st... — 4) « Gli Arcinopus di Sicilia » (st... — 5) «I Chaenius festivus Fab. di Sicilia » (st.). — 6) « Studio sopra alcune specie dei generi Zezstus e MNebria» (st... — 7) «Appunti sulla fauna coleottorologica dell'Italia meridionale e della Sicilia » (ms.). 12. GiseLLI GagTANO. « L'uomo viene dal mare» (ms.). 13. Giovannozzi UGo. 1) « Intorno al sughero delle monocotiledoni » (st... — 2) « Sul significato del dimorfismo dei granuli di clorofilla in alcune piante » (st.). — 3) « Studio sulla distribuzione delle masse montuose nel- l'Appennino Centrale » (sti). 14. GRIFFINI AcHiLLE. 1) «I pesci, gli anfibii, i rettili» (st.). — 2) « Catalogo sinonimico e sistematico dei Grillacridi africani, con nuove osservazioni sopra alcune specie» (st.). — 3) «Sulla Gryllaris armata Walker, e sopra una nuova specie congenere » (st.). — 4) « La rigenerazione delle zampe negli Ortotteri saltatori » (st.).. — 5) « Note critiche e sinonimiche sopra alcuni Grillacridi e Stenopelmatidi descritti da antichi autori » (st.). -— 6) « Descrizione d'una nuova specie. e d'una nuova varietà del genere Gry/- laris Serv.» (st.). — 7) « Notes sur quelques Gry//acridae du Musée Zoo- logique de l’Acad. Impér. des Sciences de St. Pétersbourg » (st.). — 8) Nuovi studî sopra alcuni Grillacridi del Museo Nazionale di Budapest» (st.). — 9) « Note sopra alcuni Stenopelmatidi e Grillacridi del Museo di Saravak » (st.). — 10) « Descrizione di due nuove Gryl/lacris» (st.). — li) « Le specie del gen. /yperbaenus Brunner: studio monografico » (st.). — 12) « Un — 1935 — nuovo genere di Grillacridi dell’Africa orientale » (st.). — 13) « Recensione dei seguenti lavori di F. Brocher: Observations biologiques sur quelques Diptères et Hymenoptères dits aquatiques; Observations biologiques sur quetques Insectes aquatiques; Recherches sur la respiration des insects aquatiques adultes; Les Dyticidés » (st.). — 14) « Viaggio del dott E. Festa nel Darien, nell'Ecuador e regioni vicine; XXIV: Gryllacridae » (st.). — 15) « Prospetto delle &@r2//acris abitanti la nuova Guinea e le isole più vicine» (st.). — 16) «Studî sui Grillacridi del Museo Civico di storia naturale di Genova » (st). — 17) « Sopra una piccola. collezione di Gril- lacridi del Museo sud-africano di Capetown » (st.). — 18) « Grillacridi e Stenopelmatidi raccolti nella Nuova Guinea dal prof. L. Schultze » (st.). — 19) « Studî sui Grillacridi del K. Zoologisches Museum di Berlino » (st... — 20) « Le testuggini gigantesche » (st... — 21) « Le specie afri- cane del gen. Neanias Brunner; stadio monografico » (st.). — 22) « Note intorno ad alcuni Grillacridi e Stenopelmatidi del Museum d'Histoire Natu- relle de Genève » (st.). — 23) Stenopelmatidi raccolti da L. Birò nella Nuova Guinea » (st.). — 24) « Il genere Spizaphilus Kirby e le sue specie » (st.). — 25) « I Camaleonti » (st.). — 26) « Di alcune Gryllacris di Mada- gascar, osservate nelle collezioni del K. Zoog. Hofmuseum di Vienna e del Museum d’Hist. Natar. di Parigi » (st.). — 27) « Description de nouvelles espèces de Gry/lacridae et Stenopelmatidae du Museum d’Hist. Natur. de Paris » (st.). — 28) « Prospectus Gryllacridarum Borneensium » (st.). — 29) Descrizione della Gry/lacris Grassti, nuova specie dell'Isola di Borneo » (st). — 30) « Studi sopra alcuni Grillacridi del k. k. Naturhistor. Hof- museum di Vienna: Specie etiopiche e papuane » (st.). — 31) Recensioni dei seguenti manuali: G. Mantero, Il libro delle Farfalle; A. Senna, Le Farfalle » (st... — 32) Strane variazioni individuali in alcune specie di Coleotteri » (st.). — 33) « Intorno ad alcuni Stenopelmatidi del Museum d'Histoire Naturelle di Parigi » (st). — 34) « Le Zebre » (st.). — 35) « Note sopra Grillacridi australiani, indo-malesi ed etiopici, del Museo d’Histoire Naturelle di Parigi» (st.). — 36) «Il Cane» (st.). — 37) « Intorno a due Bonte-quaggi del Museo di Tring » (st.). — 38) « Recensioni dei se- guenti lavori: C. Wesenberg-Lund « Biologische studien ueber Dytisciden »; F. Brocher « L'Aquarium de Chambre » (st.). — 39) « Intorno a tre specie di Grillacridi di Los Banos (Isole Filippine) » (st.). — 40 « Sopra alcuni Grillacridi e Stenopelmatidi della collezione Pantel » (st.). — 41) « Recen- sione del lavoro di A. Berlese « La distruzione della mosca domestica » (st.). — 42) « Gryllacridae, in Die Fauna Sudwest Australiens » (st.). — 43) « Modi- ficazioni ed innovazioni recentemente proposte nella classificazione generale dei mammiferi » (st.). — 44) « Descrizione di alcune Gry//acris nuove 0 poco note del Museo Nazionale di Budapest » (st.). — 45) « Sulla Gryl- lacris biguttata Staol, e sopra una sua nuova varietà » (st.). — 46) Les RenNpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 26 — 194 — Grillacridae de Java » (st.). — 47) « Alcune considerazioni delle Zebre e sui loro ibridi » (st... — 48) « Studi sui Grillacridi dell’ Indian Museum di Calcutta (st.). 15. Mora PasQquaLe. «I rotiferi delle acque dolci della Sardegna » con tav. (ms.). 16. NoeLLI ALBERTO. 1) « La vegetazione del terrazzo diluviale di Rondissone (Torino) » (st... — 2) « Micromiceti del Piemonte» (st.). — 8) « Flora ruderale torinese » (st.). — 4) « Mutinus levoniensis» (ms.). 1%. PanIcHI Ugo. 1) « Sul Topazio dell'Elba » (st.). — 2) « Sui mine- rali del giacimento di Tiriolo: I. Il Giacimento. - II. Minerali non prima osservati » (st.). — 3) « Minerali che accompagnano il giacimento ferrifero della Buca della Vena (Stazzema) » (st.). — 4) « Molibdenite ed altri mi- nerali di Bisongi e di Pazzano (prov. di Reggio Calabria)» (st.).. — 9) « Solfo di Muthmann osservato all'Isola di Vulcano » (st.). — 6) « Sullo zolfo di Vulcano (Isole Eolie) » (st.) — 7) « Millosevichite. Nuovo minerale del Faraglione di Levante nell'Isola di Vulcano » (st.)_ — 8) « Sulla Breislakite » (st.). — 9) « Contributo allo studio dei minerali di Vulcano» (ms). 18. Razzauti ALBERTO. 1) « Sopra la minuta innervazione degli organi a fossetta e dei bottoni terminali cutanei dei Petromizonti » (st.). — 2) « Sopra la questione delle cellule epidermiche sensorie sparse dei Petromizonti » (st.). — 3) « Presenza e danni del Partomorus Fulleri in Italia» (st.). — 4) « Contributo allo studio dell’Édafon. - I. Una nuova forma di stafilinide edafico » (st.). — 5) « Ricerche istologiche sopra gli organi cutanei di senso dei Petromizonti » (ms.). — 6) « Corso di scienze fisiche e naturali per le scuole normali (con A. BATTELLI)» (st.). 19. Silvestri ALFREDO. 1) « Sulla vera natura dei ‘ Palaeodictyon’ » (st.). — 2) « Lagenine terziarie italiane » (st.). — 3) « Spicole di tetractinellidi rinvenute da Ambrogio Soldani nei sedimenti del Mediterraneo » (st.). — 4) «Sulla struttura di una cristellaria pliocenica » (st.). — 5) « Distribu- zione geografica e geologica di due lepidocicline comuni nel terziario italiano » (st... — 6) «La Marginulfina fissicostata (Gimbel) del Pliocene della Farnesina » (st.). — 7) «Nuove notizie sui fossili cretacei della contrada Calcasacco presso Termini-Imerese (Palermo) » (st.). 20. Zoppa Giuseppe. 1) « Briofite sicule » (st.). — 2) « Une nouvelle variété de mousse de la Sardaigne » (st... — 3) « Una stazione singolare per ì muschi» (st.). — 4) «Sul parassitismo del 27yum capillare L.» (st.). — 5) « Nuovo contributo alla briologia sicula » (st.). — 6) « Contributo alla briologia veneta» (st.). — 7) «Le briofite del messinese » (st.). — 8) « Studio briogeografico sulla Basilicata » (st.). — 9) « Manipolo di briofite della Tripolitania » (st.). E. M. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI ‘Galeotti, Giuliani, Higgins, Signorelli e Viale Gli effetti dell’aleool sulla fatica in mons tagna. Pres. dal Socio Mano... . . È y ap) Negro. Ricerche sperimentali di desotisiolinia circa l'azione dies sui nervi nido della Tana esercitano le scariche elettriche a basso potenziale, ottenuto a circuito aperto dai singoli polildigcoppiesSvoltalche-#BresttdalbSociogGr4581, CE I RELAZIONI DI COMMISSIONI ‘ Grassi (relatore) e Baccarini. Relazione sulla Memoria del dott. G. Bargagli-Petrucci: Sul- l’origine biologica della Terra di Siena (Terre gialle e bolari del Monte Amiata) + PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Comunica che il prof. #12 ha ringraziato l’Aceademia, per la sua re- cente nomina a Socio straniero . . . DES TARA ] Id. Annuncia la morte dei Soci stranieri prof. Sr Dani Gill e di TY i o De Stefani. Commemorazione del Corrispondente prof. Jgino Cocchi . PRESENTAZIONE DI LIBRI Grasst (Segretario). Presenta le: pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle del Socio Nasini, del Corrisp. /ssel, dei prof. Agamennone e Longo ece. .-.../. . Dim. Presenta il 1° volume delle Opere di L. Cremona e ne parla. 0/0/0004 CONCORSI A PREMI Grassi (Segretario). Comunica l’elenco dei lavori presentati al concorso ai premî di S, M, il Re per la Matematica e per la Fastalogia normale e patologica, e a quelli del Ministero dea MR Se penale NC 2/20 NA OOO 5, I AS SIN UT) AT 177 185 RENDICONTI — Febbraio 1914. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° febbraio 1914. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Ciamician è Silber. Azioni chimiche della luce . . . TER ao Bianchi. Sul rotolamento di superficie applicabili in geometria ellittica ed iperbolica (pres. dal ‘Socio Bianchi) N... Re 3 » 119 Enriques, Sulla classificazione delle superficie L.ibriche € alcoli culie pesa di genere lineare p()=1 (*) -. . ..% aa PESSOA] Tedone. Su alcune equazioni integrali di Volterra risolubili . con un numero finito di deriva- zioni e di integrazioni. . . VSS . ZIO Bompiani. Forma geometrica delle conditi per hi ieri Gui (Ro) (pres. dal Corrisp. Castelnuovo) . . . . . E » 126 Severini. Sulle equazioni integrali di prima specie del tipo Ho a dal Socio DINAR, a \ 3 SI A a mie 13ie Soula. Sur certaines 6quations intégralel i dal Sui 0 DR SURI DIA to)D Armellini. Esame analitico della teoria del Fabry e del Crommelin sull'origine delle sio (pres. dal Socio Zevi-Civita)(*). . i... IE ca aio Gateauw. Sur la représentation des fonetionnelles sno (pres. dal Socio Volterra) (* pri Brunacci. Sull’adattamento degli Anfibi all'ambiente liquido esterno mediante la Si della pressione osmotica dei loro liquidi interni. Importanza dei sacchi linfatici e della vescica urinaria (pres. dal Socio Zueiami) (A). << .. RO Guglielmo, Sull'uso dei reticoli di diffrazione, nella misura della de o DI ela- stica dei cristalli (pres. dal Socio Blaserna) . . . . . IRR e Lo Surdo. Sul’analogo elettrico del fenottieno di Zeeman: le varie nat uo serie di Balmer presentano diverse forme di scomposizione (pres. dal Corrisp. Gardasso). . . » 143 Cambi. Sul comportamento degli eteri borici con gli alcoolati (pres. dal Socio Nasa ) » 144 Pellini e Coppola. Solubilità e attività (pres. dal Socio Ciamician) . . . nin Monti. Sulla distribuzione mensile della frequenza relativa della neve nelle Alpi i nali (pres. dal Corrisp. Battelli) . vu. 020... È ea Petri. Ancora sul significato patologico dei cordoni dI i nei el della Di (pres. GRLESOCIOROUIONI) PAESE RISE A SERI arido Plate. Ricerche sull'azione di nitrati isolati sul pesi germinativo dell' Avant sativa (pres. dal Socio Pirotta) . . . PE ABPRERANRAE È PONE I Amantea. Ricerche sulla secrezione spermatica. La 0 di sperma del cane oe dal SOCIO MAO a O RESI ERA SORA 1 » 164 Id. Ricerche sulla secrezione spermatica. Prime osservazioni sulla secrezione spermatica nor- male del cane (pres. /d.) (8). . . ... EI 0 is RE Colonnetti. Esperienze sulla elasticità a trazione del rame ei dal Sio Val SEEDARIAT61 Monti R. L'apparato reticolare interno di Golgi nelle cellule nervose dei crostacei (pres. dal Socio Grassi) . . . i RA Puccianti, dalitmierisrograto ce dh sig. LI Ga dal St Roiti) (re ei (Segue in terza pagina) (*) Questa Nota verrà pubblicata i uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. . Pubblicazione bhimensile. Roma 15 febbraio 1914. N. 4. 00. DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI | ANNO CCCXI. 1914 SHEVTH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 15 febbraio 1914. Volume XXILKEI° — Fascicolo 4° 1° SEMESTRE. A “to MAR 30 1914 Nas >” *@Un, ucel National ISS ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1914 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rezdiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. s. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acea- demia; tuttavia se i Soci, che yi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50.se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degl autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI (Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANANAS Seduta del 18 febbraio 1914. F. p Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sul rotolamento di superficie applicabili in geometria ellittica ed iperbolica. Nota del Socio Lurer BrancHI. 1. I problemi fondamentali relativi al rotolamento di superficie appli- cabili, che ho trattato nella mia Nota precedente (!) per il caso della geo- metria euclidea, sì possono porre e risolvere nel medesimo modo pel caso di rotolamento di superficie applicabili negli spazî a curvatura costante, positiva o negativa. Scopo della presente Nota è appunto di estendere alla geome- tria ellittica ed iperbolica i risultati prima conseguiti per lo spazio euclideo. Manteniamo le notazioni introdotte nel precedente lavoro, e cominciamo dall’osservare che le considerazioni geometriche ivi esposte ai nn. 1 e 2 val- gono senz'altro in qualunque metrica a curvatura costante. Resta soltanto da vedere come si debba modificare la trattazione analitica dei problemi a causa della curvatura dello spazio. Ma in primo luogo dobbiamo esaminare quali sono gli enunciati da darsi ai problemi fondamentali di rotolamento nella metrica a curvatura costante. Per questo consideriamo una superficie So che rotola supra una superficie applicabile S, ed un punto O, satellite di So, che descrive una corrispondente superficie di rotolamento XY. Se descriviamo col centro in O una sfera, questa sfera sa/ellite invilupperà una superficie 2° parallela a 3. Ne risulta che i due problemi di determinare tutte le coppie (S, Se) di (') Vedasi questi Rendiconti, seduta del 4 gennaio 1914. RenpICcONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 27 (© MARS0 1914 Z di rotolamento de- scritta da un punto satellite, ovvero l’inviluppo X' di rotolamento di una sfera satellite, si equivalgono perfettamente. Ora, in geometria ellittica tra le sfere col centro in un punto O figura il piano polare di O {che da O dista di un quadrante); e mentre O descrive la superficie X di rotolamento, il suo piano polare inviluppa la superficie 2, polare di O. Si vede quindi che, in geometria ellittica, i due problemi fondamen- tali A) B) formulati nella Nota precedente, e distinti nel caso euclideo, ven- gono qui a confondersi in un unico problema. Al contrario, in geometria iperbolica, i problemi fondamentali si scin- dono in tre problemi distinti, corrispondentemente alla classificazione delle sfere in tre specie, e cioè: sfere a centro reale (a distanza finita); sfere a centro ideale o superficie geodeticamente parallele ad un piano; sfere con centro all’ infinito, od orisfere. Così adunque, per la geometria ellittica, abbiamo un solo problema fon- damentale di rotolamento: PROBLEMA a). — Data una qualunque superficie Z, trovare tutte le coppie (S,S) di superficie applicabili, tali che, rotolando S, sopra S, un conveniente punto O, satellite di So, descriva la superficie X. In geometria iperbolica, invece, avremo tre problemi fondamentali di rotolamento, dei quali il primo è il problema @) stesso, ora enunciato pel caso ellittico. Quanto agli altri due, ove si osservi che ad ogni sfera a centro ideale è parallelo geodeticamente un piano, si vede che possono formularsi nel modo seguente: ProBLEMA 8). — Data una superficie X (nello spazio iperbolico), tro- vare tutte le coppie (S,S) di superficie applicabili, tali che un piano n, satellite dî Sy nel rotolamento sopra S. inviluppi T. Questo corrisponde al secondo problema, B), del caso euclideo. Il terzo problema, particolare allo spazio iperbolico, si enuncia: PROBLEMA y). — Data una superficie X (nello spazio iperbolico), tro- vare tutte le coppie (SS) di superficie applicabili, tali che un'orisfera o satellite di S,. nel rotolamento sopra S, inviluppi . Dimostreremo che ciascuno di questi problemi ammette infinite solu- zioni, la cui ricerca dipende dall’integrazione di un'equazione a derivate parziali del 2° ordine, che si può facilmente costruire procedendo come nel caso euclideo. 2. Per le considerazioni stesse svolte ai nn. 1, 2 della Nota precedente, i problemi enunciati si riconducono alla questione seguente: Sopra ogni normale alla superficie data Z, si domanda di riportare un segmento variabile >) du? + G (cotn w+ = dv* nel caso iperbolico. 2 1 Caso 8). In questo secondo caso, w sarà la distanza del punto (w,v) di So da un piano fisso (0v= 0); e l'elemento lineare di S, si potrà porre sotto la forma iperbolica (4) ds = cosh?w(da? 4- senh?a dB?) + dw?, essendo w== 0 il piano fisso, ed a, un sistema di coordinate geodetiche su questo piano. Confrontando con (1*), abbiamo 2 2 E {1 Di = du g (1 SE Se; SIR ra. 2 1 onde la forma differenziale a sinistra dovrà avere la curvatura = — 1, come quella a destra. Dunque: L'equazione a derivate parziali caratteristica per w nel caso f), si forma scrivendo che è = — 1 la curvatura della forma dif- ferenziale e\2 ti h e \2 (5) B(14+ #0) me +0(1+ o ò) ib 2 1 Caso y). Significando qui w la distanza del punto («,v) di So da un'orisfera fissa (20 = 0), potremo dare all’elemento lineare dello spazio la forma parabolica (6) ds = e2(de? + d8°) + dw?; — 199 — e, dal paragone colla (1*), risulta ) e + e ® senh w E (ce cosh w + e senh w0 2 a ) dv = da + dg? . 1 + G a cosh w + Dunque: L'equazione a derivate parziali per w mella risoluzione del pro- blema y) si forma scrivendo che è nulla la curvatura della forma dif- ferenziale du? + = W 2 (sa (3 cosh w + TESTI 2 2 + G di cosh w + iu dv? 1 Abbiamo così provato che ciascuno dei problemi «) 8) y) ammette in- finite soluzioni, corrispondenti biunivocamente alle soluzioni w della corri- spondente equazione a derivate parziali. Scelta una tale soluzione w, si conosce immediatamente la superficie S ‘d'appoggio; e la rotolante S,, unica e determinata, si ottiene integrando una equazione di Riccati nei casi @) e #), e con sole quadrature nel caso y). 3. Suppongasi che la superficie X (o l'inviluppo) di rotolamento, nei problemi «) £) y), sia un piano ovvero una sfera, che nel caso iperbolico potrà appartenere ad una qualunque delle tre specie. Potremo prendere E=G, ed inoltre avremo (') Nella geometria ellittica od iperbolica si ha un’altra notevole superficie con raggi principali di curvatura costanti (non uguali), e cioè la superficie di Clifford, a curvatura totale nulla. Qui si può prendere E=G=1, e si ha 1 = — 1 nel caso ellittico; 01 03 01 03 = +1 nel caso iperbolico. La risoluzione del problema «) per la superficie di Clifford, come superficie di rotola- mento, dipende dalla riduzione dell’elemento lineare della sfera ordinaria alle forme di Weingarten (cos w +7) du? + (cos wHt 2) (per K=-+1), (cotn ut) du? + (cothw + a) (Pere — 21) ed equivale quindi a cercare tutte le superficie applicabili sopra una certa superficie di rotazione nello spazio euclideo. — 200 — Per quanto si è visto al numero precedente, il problema si cangia nell'altro di trovare tutti i sistemi ortogonali isotermi sopra una superficie a curvatura costante, problema che si sa risolvere completamente. Ma si può spingere più in là la ricerca, seguendo un procedimento analogo a quello dato dal Calò pel caso euclideo, e trovare dn termini finiti tutte le coppie (S, So) di superficie applicabili che risolvono il problema @), 8) o y) nel caso di una superficie X di rotolamento, sferica. A questo scopo scriviamo prima le formole che dànno il passaggio dalle coordinate geodetiche «w ,@,f nei rispettivi casi (2).(2*),(4),(6) alle coordinate di Weierstrass Lo, %1,X2,%33 legate dalla identità quadratica xo+xt +34 x3=1. nel caso ellittico, o dall'altra xi — x — a—x}= 1. nel caso iperbolico. Distinguiamo quattro casi corrispondenti alle forme geodetiche ora citate dell’elemento lineare ds, dello spazio: 1° caso. Indicando con e la variabile complessa sulla sfera d'elemento lineare da? 4 sen®a dB? , e con ©, la coniugata, abbiamo 4dr dry ISS 2 27,3 — SO (8) ds = dw° 4 sen?w pr e per le formole che dànno le coordinate di Weierstrass, possiamo prendere le seguenti: TP 0 elit Lo = 0080 , gy=SNW_- pg Ta = 80, (a) \ i tr, | 1 i i(vto + 1) ic liga #° Taeg PRITSL,: 2° caso. Nel caso iperbolico, e per la forma geodetica ellittica (2*) dell'elemento lineare dello spazio, abbiamo 4du dt, x VIET 2 2, 0 (8*) ds = dw? +4 senh?w e DA per le corrispondenti coordinate di Weierstrass valgono le formole tH+% E. Lo= cosh w , x, = senh w ts Senh di rotolamento diventa un piano. 5. Passiamo al problema «) in geometria iperbolica nell'ipotesi che la superficie X di rotolamento sia una sfera; e distinguiamo tre casi, secondo che: a) ® è una sfera a centro reale; b) X è una sfera a centro ideale; c) ® è un’orisfera. Caso a). Indichiamo ancora con « il raggio geodetico della sfera, e pro- cediamo sulle formole (8*) (a*) come prima colle (8) (a). Troveremo che le coppie di superficie applicabili richieste si hanno in termini finiti, colle formole seguenti: | Ip, ffob1= cosa tf (en ED da Q __ senh a VETR (GENS) pre Q $,) ai senh 4 VA (1 — co) Lg =T iQ senh 4 VER (tto — 1) Va \ce e a — I e) RenpIconTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 28 — 204 — (flo +1) cosh a — YI (ev + 1) Ke) E 222 senh a(f4 fo) Q - half fa) ale senh a(f— fo TE O, Te senh am 1) Caso b). In questo caso, per la superficie S d'appoggio dovremo ado- perare la forma (9) dell'elemento lineare mr — AIR iene mazza, (T_ to) ed avremo nuovamente w=wxw+a, se con 4 indichiamo la distanza geodetica della sfera 2, a centro ideale, dal piano parallelo. Paragonando col ds dato dalla (8*), ne deduciamo dt dry dt du 2 Mn NE se oh2(7, OS Ve senh® w = — cosh°(w +4- a) ali (21, +-1)È indi suli Îo | Vs (ceo4-1) coth 2% cosh a + senna =? Per la coppia (So, $) di superficie applicabili, si trovano di qui le formole : Lo I. ©(f— fo sea Pf (ee +1) mai Q X,= Q __ cosh a VP (€ — o) sy iQ cosh a V/ (ct — 1) Q — 205 — ole | SIT seno VARIA) Def in o USO I S \ DE cosh a(1— ff.) | SRO yen i Qt ole dove si è posto: o=Ver— pt ff +1—2i(/— fo) sema/ff (a +1). . Queste formole assumono una forma più semplice quando la superficie 2 di rotolamento sia un piano, chè allora si ha a=0. Caso c). Supponendo, da ultimo, che la superficie di rotolamento X sia un'orisfera, adoperiamo per la superficie S d'appoggio la forma parabolica (10) dell’elemento lineare ds = dw? + e da di, ed in questa facciamo, come è lecito, w = w. Paragonando colla (8*), ne deduciamo, qui, 4dr dt DARE, COC 2 Mo senh? w Cam: e da do, indi t=f(0) , = foto) DINI) e? senh w= If (ct t 1), ovvero ZARA: e, per ciò, I qfrr nana) cosh LL AI ; senhe = V/ fo (Et +1) Mii) Con queste formole, servendoci delle (a*) e delle (c), per la coppia di superficie applicabili (So, $) deduciamo le seguenti formole definitive: — 206 — e a |) 3 Allo VAFe 1) avi rr E) 2VI—Vefre4-1) i Ma a Vi Vf El NINA L° ug UIF +1) ga «| ti. 2iVI—VPfi;(ct 41) Vi Pant) e i) 3, {= f Vi Vira Zi -VAf(er +1) In modo perfettamente simile a quello qui usato pel problema @), si troverebbero in termini finiti le coppie (So, S) di superficie applicabili che risolvono i problemi #) e y) in geometria iperbolica quando per inviluppo di rotolamento si assuma una sfera appartenente ad una qualunque delle tre specie. Matematica. — Sulla classificazione delle superficie algebriche e particolarmente sulle superficie di genere lineare pà =1. Nota I del Corrispondente F. ENRIQUES. 1. Il problema capitale della teoria delle superficie algebriche è la classificazione di queste, cioè la determinazione effettiva delle famiglie di superficie distinte per trasformazioni birazionali, ciascuna famiglia venendo caratterizzata da un gruppo di caratteri interi invarianti e contenendo, entro di sè, un'infinità continua di classi dipendenti da un certo numero di para- metri (moduli). Vale la pena di esaminare quali resultati d’insieme si possano trarre dal lavoro dell'ultimo ventennio, in ordine al suddetto problema di classi- ficazione. Questo è appunto lo scopo della presente Nota, in cui pervengo alle conclusioni che seguono: La classificazione delle superficie algebriche, conduce naturalmente a considerare il genere d’ordine 12: P,». Per P,1=0 si ha la famiglia delle rigate. Per P,,=1 sì hanno le superficie possedenti curve canoniche 0 plure- canoniche d'ordine 0 (tutti i P; essendo = 0, 1). Per Pi» > 1 si hanno le superficie con curve canoniche o pluricanoniche effettive, d'ordine > 0. — 207 — Per P,,= 1 il genere lineare p! = 1 (mentre si può ritenere — com'è noto — pî° < 0 per le rigate, cioè per P,,= 0). Ad ogni valore del genere lineare p!° > 1 corrisponde un numero finito di famiglie di superficie. Per p® =1 si ha un'infinità numerabile di famiglie in cui entrano due interi arbitrari; tali famiglie sono caratterizzate dal contenere un fascio di curve ellittiche, salvo per p, = P,=l: in questo caso si hanno superficie di generi geometrici, e di genere numerico, Pa=1 0 pa=—-1, dipendenti altresì da un intiero arbitrario (e da 19 o 3 moduli rispettiva- mente) che non contengono, in generale, fasci di curve ellittiche. La costruzione e lo studio delle superficie con p® = 1 (p, P,4+# 1) dà luogo a sviluppi interessanti in ordine ai valori dei plurigeneri, alla base e ai moduli. Questi sviluppi sono riferiti, per semplicità, al caso delle super- ficie regolari (pa = pg). Ma l'estensione al caso pa < py non presenta diffi- coltà essenziali. 2. Nella teoria delle superficie s'introducono, com'è noto, i seguenti caratteri invarianti ('): a) il genere geometrico py = P,, ed i plurigeneri P., P3,...; 5) il genere lineare (virtuale) p°; c) il genere numerico (o aritmetico) pa. La classificazione delle superficie secondo i valori dei plurigeneri con- duce a considerare in ispecie il 12-genere, P,:, e a distinguere i tre casì: Pod, re 190001 La condizione Pii—0 (P,=P,=0) caratterizza la famiglia delle superficie razionali e rigate (?). 3. La condizione P,,=1 caratterizza le superficie possedenti una curva canonica 0 pluricanonica d'ordine 0, sopra le quali (riferendosi ad un modello senza curve eccezionali) ogni sistema di curve di genere (virtuale) 77 è di grado (virtuale) n=27r 2. (*) Cfr. F. Enriques, Introduzione alla geometria sopra le superficie algebriche, in Memorie della Società italiana delle scienze (detta dei XL), 1896. (*) Enriques, Sulle superficie algebriche di genere geometrico zero, in Rendiconti Circolo Matematico di Palermo, 1905. — 208 — Il teorema sopra enunciato risulta dall'analisi delle differenti famiglie di superficie con P,=1, che sono le seguenti: a) Per pa= — 1, le superficie iperellittiche irregolari, cioè: a') le superficie iperellittiche di rango 1 (di Picard) caratteriz- zate (!) da Pa==l , Pool e formanti un'infinità numerabile di famiglie (con 3 moduli) indipendenti da un numero intero d, detto il divisore di codeste superficie (°); a") le superficie iperellittiche irregolari di rango 7 > 1 che formano 7 famiglie di superficie ellittiche (@=2,3,4,6) di determinante n= 2, 4,3,9,4,8,6, classificate da Bagnera - De Franchis e caratterizzate (*) mediante i valori dei plurigeneri che per esse sono uguali a 0 e 1. Si ha infatti, per codeste superficie, secondochè 7 = 2,3,4,6, un primo. plurigenere non nullofb@P,= 1, 0 Pr=1 Wo Pio Pi = quindi, in ogni caso, Piges1lo b) Per ba=0, le superficie coi generi dispari nulli e coi generi pari uguali ad 1, carat- terizzate da A=1a=0 Eo=dh e riducibili alla sestica che passa doppiamente per gli spigoli d'un tetraedro (10 moduli) (*). c) Per le superficie con tutti i generi uguali ad 1, caratterizzate da Pa= P, =1 (2) (1) Enriques, Sulle superficie algebriche che ammettono un gruppo continuo di trasformazioni birazionali, in Rendiconti Circolo Matematico di Palermo, 1905. (2) Cfr. p. es. Enriques-Severi, Mémoires sur les surfaces hyperelliptiques, in Acta Math., tom. 32. (*) Enriques-Severi, Intorno alle superficie iperellittiche irregolari, in Rendiconti Accad. Lincei, 1908. (4) Enriques, Sopra le superficie algebriche di bigenere uno, in Memorie della Società italiana delle scienze (detta dei XL), 1906. (9) Enriques, Sui piani doppi di genere uno, in Memorie della Società italiana delle Scienze (detta dei XL), 1896. — 209 — le quali formano un’ infinità numerabile di superficie dipendenti da un intero Tt=2,8,... (e da 19 moduli per ciascuna famiglia) ('). Dimostriamo che, effettivamente, è tipi a) 0) c) esauriscono tutte le superficie con Pix=" 1. A tale scopo si osservi anzitutto che, per P,=1, si hanno superficie non appartenenti alla famiglia delle rigate, e perciò dovrà essere, intanto (?), Pa=1, cioè Pa=—1, 0 pa=0, 0 pa=1. Ora vediamo che: a) Una superficie per cui p,= — 1, avrà il genere geometrico py == 0 0 pg > 0, e sarà una superficie ellittica. Pongasi pg= 0. Il calcolo dei plurigeneri delle superficie ellittiche di genere pg = 0 conduce a P, >1 perm=3,4,..., se P.>0 (8). In questa ipotesi si ha (almeno) una curva bicanonica C e una curva tricanonica K; e combinando linearmente 3C e 2K, si ottiene un fascio di curve sestica- moniche;: BP, = 2, e. a fortiori, Pi. >IL. Se invece si suppone il bigenere P,= 0, si distinguono 4 categorie di superficie (4) e per l’ultima è P,=2 (P,, >1). Le superficie delle tre prime categorie hanno P,= 1 soltanto nel caso in cuì contengano un fascio ellittico di curve di genere #= 1, cioè nel caso delle superficie (iperellit- tiche) in cui le curve pluricanoniche sono d'ordine 0; per # >1 risulta sempre P,1 > 1. Infine, per pa= — 1, pg > 0, l'ipotesi P,1=" 1 porterà pg =1, P,= 1. 5) In secondo luogo si supponga Pa= 0 ’ RPio=de Non può essere pg = 1, perchè le condizioni pj= 1 e P,==1 (conse- guenza di P,,= 1) portano pg = —10pa= + 1 (*) e caratterizzano rispet- (') Cfr. Enriques, Ze superficie di genere uno, in Rendiconti Accad. Bologna, 13 decembre 1908; Severi, Ze superficie algebriche con curva canonica d’ordine zero, in Atti Istituto Veneto, 10 gennaio 1909. (2) Castelnuovo, Sulle superficie aventi il genere aritmetico negativo, in Rendiconti Circolo Matematico di Palermo, 1905. (*) Cfr. Enriques, Sulle superficie algebriche di genere geometrico zero, in Rendi- conti Circolo Matematico di Palermo, loc. cit. (4) loc. cit., $ 9. (5) Enriques, /ntorno alle superficie algebriche di genere lineare pè = 1", in Rendiconti Accad. Bologna, 7 decembre 1906. —- Wil tivamente le famiglie di superficie iperellittiche di Picard o di superficie coi generi 1 sopra menzionate. Si avrà, dunque, Pa=Pg= 0 e P:.>Q0, poichè le condizioni p,= P.=0 caratterizzano le superficie razionali (*); ma, essendo P,= 1, si deduce P).=1, Ps=1: quindi (?) P3=0, e si ricade nel tipo della sestica sopra nominato. c) Finalmente, se pa=1, la P,.,= 1 porta P.= 1, e quindi si hanno superficie con tutti i generi uguali ad 1. 4. La condizione P,,>1l caratterizza l'insieme delle superficie possedenti infinite curve canoniche 0 pluricanoniche; ma occorre distinguere due casi, secondochè il genere lineare pbo al oppure Da pio=t. Le superficie per cui po>1 avranno il genere DANE il bigenere RS 0) > 25 il trigenere Pi =>" 9pvV _ 224; e i sistemi canonici e pluricanonici saranno, in ogni caso, di grado >0. Si deduce che: Ogni superficie di genere lineare p° > 1 può essere trasformata în una superficie (canonica 0 pluricanonica), le cui sezioni piane 0 iper- piane sono curve canoniche o pluricanoniche, superficie che ne porge un modello invariante. La superficie 7 canonica riuscirà certo semplice per 7 assai grande. Ma, se non si fà distinzione tra superficie semplici e multiple (*), si può aggiun- gere che esiste sempre un modello costituito da una superficie bicanonica (1) Castelnuovo, Sulle superficie di genere zero, in Memorie della Società italiana delle scienze (detta dei XL), 1896. (*) Enriques, Sopra le superficie algebriche di bigenere uno, loc. cit. (*) La determinazione dei casi in cui le superficie canoniche o bicanoniche ecc. si riducano a superficie multiple, costituisce un problema, che sembra ammettere un piccolo numero di soluzioni, e che additiamo all’attenzione degli studiosi. — 211 — per pv>3, ed un modello costituito da una superficie tricanonica per pa = 2,3 (D)- Invece per pY =1, Pi > 1, tutte le curve pluricanoniche sono com- poste delle curve ellittiche d’un fascio, sicchè non conducono ad un modello invariante della superficie. 5. L'esistenza d'una superficie canonica o pluricanonica, modello inva- riante delle superticie di genere lineare pl’ > 1, porta una conseguenza importante in ordine alla classificazione di queste. Per ogni valore di pl’ > 1, si hanno superficie canoniche di un ordine dato pî° —1, o superficie bicanoniche d'ordine 4(p° — 1), o tricanoniche d'ordine 9(p° — 1), a sezioni di genere parimente dato. Ora, se si tratta di determinare le superficie d'un ordine dato, a sezioni di dato genere, cioè con una curva doppia d'ordine dato, il problema, di natura algebrica, con- durrà ad un numero finito di famiglie distinte ed irriducibili, ogni famiglia essendo costituita da una serie continua di superficie e di classi proiettiva- mente (e, quindi, birazionalmente) distinte. Vediamo dunque che, per pV>1, ad ogni valore del genere lineare p corrisponde un numero finito di famiglie di superficie, con caratteri interi distinti. Questa conclusione non sussiste più per p=1. Già, per P,,="1, le superficie iperellittiche (4,1) e le superficie coi generi 1 (c) offrono serze di famiglie dipendenti da un numero intero arbitrario. Si considerino ora in generale le superficie con p® =1, Pi: > 1; la classificazione di queste superficie, che ci proponiamo di svolgere, condurrà a riconoscere che esse formano una serze di famiglie in cui entrano due numeri interi arbitrari. 6. Abbiamo già notato che le superficie con P1> >1, p®’ = 1, posseg- gono un fascio di curve ellittiche; lo stesso può dirsi delle superficie con P,,="l (per cui è sempre p® = 1), fatta eccezione delle superficie coi generi geometrici 1: Pg=Pae=l (pa=i1,, 4-1), cioè dalle superficie @) 8) e c) del n. 3. Più precisamente: Ze superficie con P, =1, pW=1, eccettuati i cast corrispondenti a pg P,.=1,(py= Pia = 1), posseggono un fascio di curve ellettiche di genere p, — Pa, per pa —0, ed invece un fascio di curve ellittiche di genere py ed un secondo di genere 1 nel caso pa="1 (?). (*) Alcune importanti diseguaglianze stabilite dal sig. A. Rosenblatt (Comptes rendus e Bull. Acad. Cracovie, 1912), permettono di aggiungere che pg > 3; e quindi esiste una superficie canonica, appena pl sorpassa un certo limite. (£) Cfr. Enriques, Intorno alle superficie algebriche di genere lineare pWv=1, in Rendiconti Accad. Bologna, decembre 1906. RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 29 — 212 — Viceversa, le superficie con un fascio di curve ellittiche (non apparte- nenti alla famiglia delle rigate) hanno P,. = 1, p® =1 e pg Pi #1 oppure pPyPi=1; in quest'ultimo caso sono superficie particolari coi generi geo- metrici 1. Vogliamo ora classificare le superficie possedenti un fascio di curve ellittiche C. Un primo carattere di tali superficie, che designeremo col nome di deler- minante d di esse, è il minimo numero di punti in cui una curva K, non composta colle C del fascio, incontra le C, cioè l'ordine del minimo gruppo di punti costruibili sopra ogni C del fascio mediante operazioni razionali ed operazioni irrazionali non dipendenti dal parametro delle C. Vi sono superficie di genere lineare pè =1 (py Pi:# 1), per cui il determinante ha un valore intero arbitrario: da=1,2,3 Ciò risulta già dalla costruzione delle superficie di genere pa = — 1. Questi esempii provano che « l'ordine minimo d'un gruppo di punti, costruibile sopra una curva ellittica non può generalmente essere abbassato al disotto dell'ordine della curva, senza introdurre irrazionalità dipendenti dai conti: cienti dell'equazione della curva» (!). Si possono costruire altri esempii di superficie per cui p° = 1, e d assume un valore arbitrariamente alto. Si consideri p. es. un cono cubico F; e le sezioni di esso coi piani per una retta 4. Sopra una generica di queste cubiche si può determinare un gruppo di 9 punti base per un fascio di curve d'ordine 3% con 9 punti zplì (fascio di Halphen); tale costruzione dipende dalla divisione dell'argomento delle funzioni ellittiche appartenenti alla cubica, e perciò riesce razionale rispetto al parametro del piano per 4. Si deduce la costruzione razionale in ogni piano, per 4, di una curva d’ordine 3% con 9 punti xpli, variabili su 9 rette distinte. Codesta curva descrive in generale una superficie non riducibile alla famiglia delle rigate, per cui il genere lineare pl = 1 e il determinante d=n. Si riconosce, infatti, che il determinante non può essere < x se il fascio delle Cz, contiene (come avverrà generalmente) delle cubiche contate n volte. È 7. Ad ogni superficie F° con un fascio di curve ellittiche C(p®==1), di determinante d, si può far corrispondere una superficie di determi- nante 1 la quale possegga un fascio (dello stesso genere) di curve bira- sionalmente identiche alle C. (*) Cfr. Enriques, Sulle superficie algebriche con un fascio di curve ellittiche, in Rendiconti Accad. Lincei, 7 gennaio 1912. — 213 — A tale scopo basta infatti costruire la superficie F' i cui punti corri- spondono alle serie 927! appartenenti alle C di F4 codeste serie venendo prese come « elementi » di una varietà c0?. Tale costruzione è stata già indicata nella mia citata Nota Sulla su- perficie algebriche con un fascio di curve ellittiche. Fra le superficio F9, F', intercede una corrispondenza algebrica [d, d|, in cui si corrispondono le curve ellittiche birazionalmente identiche. Infatti si considerino su F°, F', due generiche eurve ellittiche omologhe C, K, e: su F4 una curva L secante la C in un gruppo G di d punti; su F' la curva L' unisecante K nel punto che rappresenta la 947 di C, definita da G3. Se a questo punto di K si fa corrispondere uno, P, fra i d punti di G,, resta determinata razionalmente fra K e C una corrispondenza biunivoca, perchè ogni punto di C, associato al gruppo dei d — 1 punti Ga — P, dà un gruppo di 4 punti, a cui corrisponde — per costruzione — un punto di K. In tal guisa si hanno appunto 4 corrispondenze biunivoche fra K,0, le quali non possono essere razionalmente staccate al variare del parametro da cui dipendono le curve K e C nei rispettivi fasci. Si ha dunque, fra K ,C e fra EF", F“, una corrispondenza algebrica [d, d]. Sono in generale curve di coincidenza di questa corrispondenza sulla E' le curve K dotate d’un punto doppio; sulla F® sono parimente curve di coincidenza le C dotate d'un punto doppio (corrispondenti alle nominate K), ma anche le curve C che si riducono a curve ellittiche multiple, curve da contarsi un certo numero s di volte, dove s è un divisore di 4. Così restano fissate anche le curve di diramazione della corrispondenza [d, d] fra F", F4; e si possono quindi dedurre i caratteri della seconda superficie da quelli della prima. Le superficie E”, F4 di genere lineare pî° = 1 hanno il medesimo inva- riante di Zeuthen-Segre (corrispondendosi le C, K dotate di punto doppio), e quindi il medesimo genere numerico p,; esse hanno la stessa irregolarità (che è, per pa > — 1, il genere del fascio di curve ellittiche), e perciò lo stesso genere geometrico pg. Ma i loro plurigeneri non sono necessariamente uguali. Consideriamo, per semplicità, il caso delle superficie regolari 10: TRAVI Fra o Sulla F' il sistema canonico è costituito dai gruppi di p —1 curve ellittiche K, senza parti fisse: quindi P;=i((p_1)+1. Invece la F“ potrà possedere delle curve ellittiche multiple secondo numeri s (> 1) divisori di d; ed è facile verificare che ognuna di queste — 214 — curve, 0, contata s — 1 volte, costituisce una parte fissa del sistema cano- nico, da aggiungersi alle p—1 curve © variabili: si deduce, quindi, Pimio-M+) | Zia Ciò risulta dal fatto che la .0 è curva di coincidenza, e non di dirama- zione, per la corrispondenza [@d,d] fra F°, F' (1); oppure mediante la co- struzione del sistema canonico di F“, a partire da una rete contenente il fascio (C) (?). La curiosa circostanza che i plurigeneri possano così assumere diversi valori in confronto al genere, è stata già segnalata nello studio dei piani doppî di genere lineare p’ =1, che costituiscono le superficie regolari di determinante 2 (*). Matematica. — Sulle condizioni che definiscono assiomatica- mente l'integrale. Nota II di Emma ScIOLETTE, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Nella Nota I ho detto che il quesito relativo alla dipendenza o no della condizione VI dalle precedenti, nella definizione d' integrale data da Lebes- gue (‘), comprende due parti: la parte @) relativa alla delimitazione del campo delle funzioni integrabili; la parte 8) relativa a una proprietà del- l'operazione « integrale ». Esaurita la questione della parte «) in favore della indipendenza, ri- mane da esaminare la parte #), quella che, in altri termini, afferma la formula: (1) fr dx = lim ta da Ule=={0 0] (27 [essendo /(x) la funzione limite della successione crescente di funzioni /, (), ciascuna integrabile] quando /(«) è integrabile compatibilmente a quanto è stato detto relativamente alla parte @) della VI. (*) Severi, Sulle relazioni che legano i caratteri invarianti di due superficie in corrispondenza algebrica, in Rendiconti Istituto lombardo, ser. II, vol. XXXVI, pag. 495. (?) Enriques, ritorno ai fondamenti della Geometria sopra le superficie algebriche, in Atti Accad. Torino (1901). (*) Enriques, Sui piani doppî di genere lineare p® =1, in Rendiconti Accad. Lincei (1898). (4) Lebesgue, Zegons sur l'intégration et la recherche des fonetions primitives Paris, Gauthier-Villars, 1904, cap. XII, pag. 99. — 215 — Per l'integrale di Riemann, sùbito si riconosce che esso sì può ricavare dalle sole condizioni I-V (*). Non già che ogni operazione definita dalle I-V sia l'integrale di Riemann (perchè, come risulta da ciò che segue, le I-V definiscono un'operazione più generale); ma dalle I-V si ricava un'operazione tale che nel campo Riemanniano (cioè per le funzioni integrabili R) coin- cide con l'integrale di Riemann. Ora, poichè il teorema di Arzelà afferma che « ogni volta che la funzione limite è integrabile R, la formula (1) è verificata », ciò basta per dedurre che nel campo Riemanniano la parte #) della VI dipende dalle altre. Per altro, essa potrebbe essere necessaria a definire l'integrale di Lebesgue. Lebesgue fa risalire la teoria dell'integrazione alla teoria della misura; noi seguiremo per brevità la stessa via. Si dimostra, infatti, in base alle prime cinque condizioni, che il problema dell’ integrazione di una funzione qualunque è risoluto quando si sa integrare una funzione che assume il valore 1 nei punti di un insieme E e il valore 0 nei punti dell'insieme complementare: l'integrale di una tale funzione essendo definito come la misura dell'insieme E. Ora i postulati dell’integrazione, tradotti in postulati della misura, dicono: I. La misura della somma di due insiemi non aventi punti in comune è uguale alla somma delle misure. II. La misura di un insieme è sempre => 0. III. Trasportando rigidamente un insieme, la sua misura resta inal- terata. IV. La misura di un intervallo è uguale alla sua lunghezza. L'ultimo postulato, equivalente alla parte 8) dell'ultimo postulato del- l'integrale, è il seguente: L'insieme somma di un'infinità numerabile di insiemi (misurabili), ha per misura la somma delle misure. (*) Infatti, possiamo dire brevemente così: Data la funzione /(2) e considerato l’in- tervallo d'integrazione (a, 6) diviso in tanti intervalli parziali, la proprietà IV ci dice che l'integrale di f(@) in (a, 0) sarà uguale alla somma degli integrali nei singoli inter- valli. Ora integrando in ciascuno di questi intervalli invece della /(#), una volta il limite superiore, una volta il limite inferiore, per la proprietà II, l’integrale di /(7) deve essere compreso fra questi altri due integrali: questi essendo definiti dalla proprietà V. Facendo variare in un modo qualunque la ripartizione di (a, 2) il valore dell’integrale relativo al limite superiore di /(z) varierà in modo da mantenersi sempre superiore a quello di f(x), e l'integrale relativo al limite iuferiore varierà invece in modo da man- tenersi sempre inferiore a quello di f(x). È chiaro che se il limite inferiore dell’inte- grale relativo al limite superiore di /(2) è uguale al limite superiore dell’integrale re- lativo al limite inferiore di (2), questo limite comune sarà l'integrale di /(2). È la stessa condizione d’integrabilità Riemanniana. — 216 — Allora la ricerca è ridotta a quella di vedere se ogni misura co- struita in base ai primi quattro postulati, soddisfa necessariamente anche l'ultimo, e se quindi coincide con la misura di Jordan per gli insiemi misu- rabili J e con quella di Borel-Lebesgue per gli insiemi misurabili B, L. Le mie ricerche sono relative specialmente a questo punto. Consideriamo prima un insieme misurabile J. Le condizioni I e IV affermano che «la misura della somma di un numero finito di intervalli finiti senza punti in comune è uguale alla somma delle lunghezze »; e dalla III si ottiene che « se un insieme è contenuto in un altro, la sua misura non può essere maggiore della misura dell'altro ». Ciò basta per poter facilmente dedurre che la misura di un insieme misurabile J è proprio la sua misura I. Per un insieme misurabile B la veritica non è ugualmente facile. Affron- tando anzi il quesito in generale, come per gli insiemi misurabili J, non mi è stato possibile risolverlo. Invece, prendendo a esaminare insiemi par- ticolari (misurabili B) ho potuto ottenere (in base sempre ai primi quattro postulati) una misura che coincide con quella di Borel-Lebesgue, quindi un risultato che, se non è generale, è però sufficiente ad assicurare la dipendenza della formula (1) nei casi più notevoli. Consideriamo l'insieme dei numeri razionali R che è un insieme misu- rabile B e di misura nulla e ad esso applichiamo convenientemente i primi quattro postulati della misura. Dalle condizioni II e IV ricaviamo, chiamando M (R) questa misura, (2) M(R)=1, se (0,1) è l'intervallo d' integrazione. Mediante una traslazione di ampiezza d incommensurabile coi numeri razionali, si possono trasportare i punti razionali È sopra i punti irrazio- nali td, ottenendo un insieme il quale: a) avrà (in virtù della III) una misura uguale alla misura dell’ in- sieme dato; 5) sarà limitato nell’ intervallo (9, 1-+ d): o meglio, se vogliamo supporre il segmento (0,1) chiuso su sè stesso, si può dire che quelli tra i punti di R che per la traslazione esorbitano dall’intervallo (0,1) [sareb- bero i punti razionali compresi nell’ intervallo (1— d,1)] vanno ad occupare l'intervallo (0,0 + d) rimasto vuoto, con che il nuovo insieme rimane an- cora limitato nell’intervallo (0,1); c) non avrà nessun punto in comune con l'insieme primitivo (la ragione è ovvia). — 217 — Ciò posto, sia S, l'insieme somma dei due insiemi, il quale sarà ancora limitato, per quanto è stato detto, nell'intervallo (0,1). Per la I, avremo: M(S.)=2M(R); e, con deduzioni analoghe a quelle per cui si è scritta la (2), (3) 2M(R)= 1. Questa costruzione di un insieme uguale all'insieme dato R si può ripetere in un'infinità numerabile di modi differenti, prendendo l'ampiezza di traslazione d uguale successivamente ai valori d,,02,03,..., ciascuno dei quali sia irrazionale e quindi incommensurabile coi numeri razionali; non solo ma bensì sia incommensurabile con tutti i valori d di rango infe- riore. Con ciò si viene a costruire un'infinità numerabile di insiemi R,, R:,R3,... ciascuno dei quali gode della proprietà a), 2), c) rispetto all'insieme dato R e rispetto a tutti gli altri insiemi costruiti. Sia ora S, l'insieme somma degli x insiemi R,,R,,Rz,...R,, il quale sarà ancora limitato in (0,1). Si può scrivere la relazione analoga alla (2) e alla (3): (4) M(R)-n=1. Essendo questa formula vera per qualunque valore di 7 crescente deve necessariamente essere (5) M(R)=0. Dunque, per l'insieme dei numeri razionali la misura Borel-Lebesgue è definita dai primi quattro postulati, l'ultimo risultando quindi come con- seguenza dei precedenti. Ma si può dire anche di più. Sia 2 un qualunque insieme numerabile di punti €162, €33> e indichiamo con dp,y la distanza di un qualunque elemento e, da un altro qualunque elemento e7. Queste distanze sono tante quante sono le coppie (ep, 69): quindi formano un insieme numerabile. Allora si può scegliere un numero reale d, diverso da ogni dp,g, e imprimere a £ la traslazione d,, (anche questa volta operando sull’intervallo (0,1) considerato come chiuso su sè stesso) ottenendo un insieme £' che soddisferà evidentemente alle con- dizioni a), 0) e c). — 213 — Chiamiamo ancora S, l'insieme somma di £ con £'; essendo anche questo insieme numerabile, saranno numerabili anche le mutue distanze d'nxq di due qualunque dei suoi elementi. Scegliendo un d, diverso da ogni d',,g e imprimendo a S; la trasla- zione d,, si otterrà un insieme Si che godrà anch'esso delle proprietà a),b) e c) rispetto all'insieme S,. Chiamiamo S, l'insieme somma di S; con Si, e procediamo in modo analogo alla costruzione degli insiemi S; , S,... Avremo le formule : M(2)<1 M(S)=2M(2)=1 M (S-)=2M(S)=4M(2)<1 M(S,)=2"M(2)<1. L'ultima di queste formule dimostra, anche in questo caso di un insieme numerabile qualunque, che la misura è nulla e che coincide quindi con quella di Borel-Lebesgue. Questo risultato, in virtù della I, si estende immediatamente anche agli insiemi che sono complementari di insiemi numerabili. Onde, conchiudendo, sì può dire: « La parte 8) della condizione VI è dipendente dalle altre non solo « tutte le volte che si tratta di integrale di Riemann, ma anche quando, « fuori del campo Riemanniano, le funzioni da integrare hanno per insiemi « associati (chiamando così quegli insiemi dalla cui misura discende l’in- « tegrale) insiemi misurabili J, o insiemi numerabili, o insiemi comple- « mentari di insiemi numerabili, essendo la misura di tali insiemi univo- « camente definite dai primi quattro postulati ». Terminiamo citando, come esempio di integrale così definito, l'integrale della funzione di Dirichlet che assume il valore 0 in tutti i punti irrazio- nali e il valore 1 in tutti i punti razionali. — 219 — Matematica. — Sulle equazioni integrali di prima specte del tipo Fredholm. Nota I di CARLO SEVERINI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. Profittando di alcune considerazioni, svolte in una mia recente Nota (!), sì può, data un'equazione integrale di prima specie (Me da fE@,MFWw=/0), in cui K(x,y) ed f(x) sono funzioni note continue (?), e per la- quale esista almeno una soluzione F(y), sommabile insieme col suo quadrato, costruire una funzione pit sit D2,J(2)), definita quasi da per tutto (8) nell’intervallo (2,0), dipendente da una fun- zione arbitraria g(x), sommabile insieme col suo quadrato, in modo che, co- munque si assegni 9(7), la (2) rappresenti una soluzione della (1), sommabile insieme col suo quadrato, e che, inversamente, ogni soluzione così fatta sia dalla (2) rappresentata per una conveniente scelta della g(x) medesima. ‘ Indicando con (B)ent Aido. la successione delle costanti del nucleo K(x,), e con (4) PL) P2(2),, PaL) (5) P(2), (2) 2) la successione delle coppie di funzioni ortogonali dello stesso nucleo, per le quali risultano soddisfatte le equazioni coniugate, simultanee, b g(r)= 4 È K(4,4)W(y) dy y()=2 | Kw) g(Mdy (0, (1) Sulla teoria di chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali, Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tomo XXXVI, 2° semestre 1913. (2) L’ipotesi che le funzioni K(2,y) ed: f(x) siano continue, potrebbe sostituirsi con ;altre più generali. (*) Dicendo quasi da per tutto, intendiamo, come si suole da varî autori, che pos: sano, al più, fare eccezione i punti di un insieme di misura nulla. Da tali insiemi si farà generalmente astrazione, considerandosi come identiche due funzioni eguali quasi da: per tutto. In questo senso sono talvolta da riguardare le eguaglianze, che seguono nel testo. (4) Cfr. E. Schmidt, Zur Theorie der linearen und nichtlinearen Integralgleichun- gen, Mathematische Annalen, Bd. LXIII (1906), Heft. 4, pag. 461. RenpicontI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 30 — 220 —- condizione necessaria e sufficiente, affinchè la soluzione della (1) sia unica, è che sia chiuso il sistema delle funzioni ortogonali (5). In tal caso la (2) risulta indipendente dalla 9(4), e, per rappresentare l'unica soluzione, con- viene in particolare porre 9(x)= 0, con che la (2) assume la forma più semplice. Della costruzione della (2), che può ben dirsi rappresenti la soluzione generale dell'equazione (1), mi propongo di occuparmi in questa Nota. 1. È noto (5) che, se 77 sistema delle funzioni ortogonali (4) è chiuso, condizione necessaria e sufficiente, affinchè l'equazione (1) ammetta una soluzione, sommabile insieme col suo quadrato, è che converga la serie (6) 3 lai | n= f [puede È noto ancora ($), che, se #7 sistema delle funzioni ortogonali (4) non è chiuso, affinchè l'equazione (1) ammetta una soluzione, sommabile insieme col suo quadrato, è necessario e sufficiente che converga la serie (6), e che, di più, si abbia: b (7) f() = Sn Un Pn(x) » An =| f(x) Pn(x) da. Delle due condizioni contemplate in quest'ultimo teorema; la seconda è una conseguenza della prima, se il sistema delle funzioni ortogonali (4) è chiuso: giacchè, tenuto conto delle eguaglianze, { b \ Pn(£) al K(.,%) Wn(4) dy (8) =) b | Yn(c) = Il K(4,%) ny) dy , dalla convergenza della (6) segue, per un noto teorema di Schmidt (?), la convergenza assoluta ed uniforme della serie X, an 4,(2), e quirdi la (7) (8). Il primo teorema è pertanto contenuto nel secondo, del quale solo con- viene che ci occupiamo. (5) Cfr. E. Picard, Sur un théorème général relatif aux équations intégrales de première espèce et sur quelques problèmes de physique mathématique, Rendiconti del Cir- colo Matematico di Palermo, tomo XXIX (1910), pag. 79, $ 4. (5) Cfr. G. Lauricella, Sull’equazione integrale di prima specie, Rendiconti della R. Accademia dei Lincei (Roma), vol. XVIII, ser. 5°, 2° sem., fasc. 3° (1909), $ 2. - (7) Cfr. E. Schmidt, loc. cit. (4), $ 2. È (8) Cfr. C. Severini, Sopra gli sviluppi in serie di funzioni ortogonali, Atti dell'Ac- eademia Gioenia di scienze naturali in Catania, serie V, vol. III (1910), Memoria XI, $ 5. — 221 — Posto che l'equazione (1) ammetta una soluzione F(y), sommabile insieme col suo quadrato, si ha (°): » b (Cb An =f (2) Pn(x) da ={ I K(x;4)F() pae) de dy (n=1,2,...), e, per la seconda delle (8), b dn Un = F(y) W(4) dy (@=IR9 donde, coincidendo le quantità 4,an coi coefficienti di Fourier della F(y) rispetto al sistema delle funzioni ortogonali (5), segue la convergenza della serie (6). Inoltre, per un noto teorema di Schmidt ('°), deve sussistere la (7). Inversamente, poichè b[m+p 2 m+D i) > dn An val) | de=V% dn; dalla convergenza della (6) si deduce che la successione (9) Savi) (m=1,2,..) 1 converge in media nell'intervallo (a, 0), ed esiste quindi una funzione F,(@), sommabile insieme col suo quadrato, unica e ben determinata, se si eccet- tuino i punti di un insieme di misura nulla, per la quale si ha: limo f > [pla i DI ia ys(a) | dr Ro). M=090 Se ne deduce, applicando la disuguaglianza di Schwarz: b m lim ( K@,y) [ro Sa v0) | dy=0, M=L cioè b b | K(a,y)Fiy)dy= >, %n II K(2,9) Wn(4) dy (?) Cfr. E. Picard, loc. cit. (5), $ 5. (1°) Cfr. E. Schmidt, loc. cit. (*), $ 16. (!') Cfr. E. Fischer, Sur la convergence en moyenne, Comptes rendus hebdomadaives des séances de l'Académie des sciences (Paris), tome CXLIV, 1e9 sem. 1907, pp. 1022-1024. Cfr. anche H. Weyl, Veber die Konvergenz von Reihen, die nach Orthogonalfunktionen fortschreiten, Mathematische Annalen, Bd. LXVII (1909), pp. 225-245; F. Riesz, UVeder orthogonale l'unktionensysteme, Nachrichten von der Kgl. Gesellschaft der Wissenschaften ‘zu Gottingen, Mathematische-physikalische Klasse, Jahrgang, 1907, pp. 116-122. — 222 — e, per le (8), b I) K(a 9 Y) F,(4) dy = Da dn Pr(£) 9 donde, se è verificata la (7), risulta in fine: | KE) n 4=/). 2. Poichè, come è stato dianzi osservato, dalla convergenza della (6) segue la convergenza assoluta ed uniforme della serie DE Un Pn), la con- dizione espressa dalla (7) può sostituirsi coll’altra che sia MEA + lim (i |/@ — D. An g1(0) | do cioè | fu@re=za ni: Si ha così il teorema: vi E Affinchè l'equazione (1) ammetta una soluzione, sommabile insieme col suo quadrato, è necessario e sufficiente che converga la serie (6), e che la f(x) soddisfi all’equazione di chiusura del sistema delle funzioni orto- gonali (4): COM Ancora, se si ricorda (!) che la condizione espressa dalla (10) equivale all'altra che si abbia: "db (11) {Ade =0, per ogni soluzione effettiva delle equazioni integrali (12) Su al)de=0 EL può dirsi (1‘): Condizione necessaria e sufficiente, affinché l'equazione (1) ammetta una soluzione, sommabile insieme col suo quadrato, è che converga la serie (6), e risulti verificata la (11), per ogni soluzione effettiva delle equazioni integrali (12). (®) Cfr. C. Severini, loc. cit, (8), 8 3. 1 (1) Cfr. G. Lauricella, Sopra gli sviluppi in serie di funzioni ortogonali, Rendi- conti del Circolo Matematico di Palermo, tomo XXIX, 1° sem. 1910, pp. 155-163, $$ 2.3. (1) Cfr. G. Lauricella, loc. cit. (6), $ 3. — 223 — 3. Della soluzione F;(), alla quale, nelle ipotesi sopra dette, converge in media la (9), può darsi una rappresentazione analitica, mediante la serie (1°) (13) A+ LU) —U()], ove ie vee ao eli Lo 2hy fia Y,() dx! , bn= ii 9) Wa) da, se non è (quasi da per tutto) eguale a zero ‘nell'intervallo (@, 5), Oi senta una soluzione effettiva delle equazioni integrali à È > è b (16) SE vede =0 ED) cioè dell'equazione () (7) fKE,MIMY=0, e, aggiunta alla F,(x), fornisce una nuova soluzione F,(x) + G(x) della (1). Importa notare che la funzione G(x) non dipende dalla scelta della (14), che cioè, considerando un’altra successione di numeri positivi, decre- scenti, tendenti a zero, RETE RR e ponendo G'(@)= (0) — Vila) — DL Vie) Vi(a)], ove d SR Fochi b Mia SE TY NAZIO, e) = f 9(x) W,(x) da, (15) Cfr. C. Severini, loc. cit. (1), $ (‘) Cfr, .C. Severini, loe. cit. (4), $ (1°) Cfr. E. Schmidt, loc. cit. (4) $ — 224 — risulta: Gia=@@} 13). Se g(x) è essa stessa una soluzione delle equazioni integrali (16), si ha: G(2)= g9(2), essendo allora: b,=0 i ((=1,2,...); ed infine, se il sistema delle funzioni ortogonali (5) è chiuso, nel qual caso la (1) ammette un'unica soluzione, sommabile insieme col suo quadrato, ri- sulta sempre: Gr) =. All’equazione (1) soddisfa pertanto in ogni caso, comunque sì scelga 9(2), la (18) F,(2) + G(x), ed è evidente che così si ottengono tutte le soluzioni della (1), sommabili insieme coi loro quadrati. La (18) rappresenta dunque la soluzione generale della (1), e si può enunciare il seguente teorema: Quando sono soddisfatte le condizioni occorrenti, indicate nei teoremi sopra enunciati (SS 1,2), la soluzione generale dell'equazione (1) è rap- presentata dalla serie (19) I) + W(2) + D,[W(2) — W(a)], ove = [MP def A E, g(x) essendo una funzione arbitraria, sommabile insieme col suo quadrato, ed (i Sd 10) una successione, comunque scelta, di numeri positivi, decrescenti, tendenti a sero (2°). 4. La (19) si semplifica, se la serie >» n Zn@n%n(x) converge (quasi da per tutto) nell'intervallo (a, d). Notevole è H seguerte corollario (*°): (13) Cfr. C. Severini, loc. cit, (1), $ 5. (19) Cfr. G. Lauricella, Sopra alcune equazioni integrali, Rendiconti della R. Acca- demia dei Lincei (Roma), vol. XVII, serie 5%, 1° sem., fasc. 12 (1908), $ 61. (2°) Cfr. G. Lauricella, loc. cit. 19), $ 41. — 225 — Sotto le condizioni indicate nei teoremi enunciati in principio (SS 1, 2), la serie Dn An 0nWn(®), supposta convergente (quasi da per tutto) nell'intervallo (a,b), rappresenta una soluzione, sommabile insieme col suo quadrato, dell'equazione (1); è in particolare l'unica soluzione, se il sistema delle funzioni ortogonali (5) è chiuso. Meccanica. — sperienze sulla elasticità a trazione del rame. Nota II di Gustavo CoLONNETTI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Nel terminare la mia Nota precedente su questo argomento (*) ho accen- nato all’incrudimento che si verifica in un filo di rame il quale venga per la prima volta cimentato a trazione, ed al conseguente diverso comportamento che esso presenta se si ripetono, in successo di tempo, le medesime condi- zioni di carico. Ho cercato allora di chiarire la natura di questo fenomeno riproducendo, a lato del diagramma che rappresenta l'andamento delle esperienze ivi de- scritte, un altro diagramma relativo ad alcune esperienze da me eseguite negli ultimi giorni dello scorso dicembre rinnovando identicamente sul medesimo spezzone le condizioni di carico già realizzate la prima volta nei giorni 15 e 16 del precedente febbraio. A più completa documentazione del caratteristico confronto, credo non inutile riportare ora, nella prima tabella qui allegata, i risultati così ottenuti, ‘insieme con pochi altri i quali si rife- riscono ad un ciclo di deformazione osservato facendo variare periodicamente il carico applicato allo stesso spezzone fra un massimo di 1200 ed un minimo di 200 kgr. Tale ciclo (che si trova rappresentato, in scala maggiore di quella usata l’altra volta, nella fig. 1, insieme colle due linee di ascesa da 0 a 1200 kgr. e di discesa da 200 a 0, le quali valgono a precisarne la posi- zione rispetto agli assi coordinati) si è rivelato notevolmente stabile: si è potuto infatti descriverlo più volte di seguito senza che si ottenessero, da una volta all'altra, differenze sensibili nelle singole letture: non solo, ma si è potuto anche assodare che le curve di deformazione relative a varia- zioni cicliche della forza applicata non oltrepassanti i limiti di esso consta- vano di cicli alla lor volta chiusi e tutti contenuti nell'interno del primo. Questa proprietà, che mi si è ripetutamente presentata come caratte- ristica dei cicli chiusi, può venire meglio precisata se messa in relazione (!) Presentata, per la pubblicazione in questi Rendiconti, nella seduta del 1° feb- braio 1914. — 226 — com alcune altre osservazioni.che io avevo avuto, poco tempo innanzi; occa- sione di fare. operando su di unvaltro spezzone del solito filo. Questo. era stato assoggettato ad wn carico che, raggiunti in pochi mi- nuti i.2500 kgr., si era poi. mantenuto sensibilmente costante per circa 60 ore consecutive: dopo. averlo lasciato. circa altrettanto, sotto l'azione di .un carico di soli 200 kgr., io potei constatare, in una prova preliminare eseguita il 24 novembre, che un incremento transitorio di 1000 kgr. nel- l'intensità dello sforzo: applicato non lasciava traccia alcuna di deformazioni residue. Il cielo di deformazione, corrispondente al passaggio del carico da 200. a 1200 kgr. e viceversa, venne rilevato con ogni cura il giorno seguente insieme con due altri cicli di minore ampiezza, corrispondenti rispettiva- mente:a carichi varianti tra 200 ed 800 kgr. e tra 1200 e 600. Le osser- vazioni fatte in quell'occasione (rappresentate col solito metodo nella fig. 2), insieme con. quelle ‘eseguite il 26 novembre intercalando (come è indicato nella. fig. 3) nel solito ciclo di massima ampiezza varii piccoli cicli corrvi- spondenti a variazioni di soli 100 kgr. di sforzo, si trovano dettagliatamente. riferite nella, tabella. riprodotta alla fine di questa Nota. — 227 — SPECCHIO SINISTRO SPECCHIO DESTRO SA Incremento Sforzo Somma |Deforma-|della deform. delle : riferito SICRRO SARI totale Differenze Differenze differenze Sono |adlkgr di ‘| Letture Letture ; totale | incremento parziali parziali parziali dello sforzo Kgr. 80 dicembre | 15 0 853 _ 1489 — — 0 — ” 00, |\W9600] OS e ot] 4 09282955 luosd 10 0| 850 SANNIZOO NI —SM885 0 9 _ 5 Lo TA oz sat Sai MITO 39 a36) 0:88 > 2000 (10739 RSS Gen At) SO Io 47902043 5 400 | 1300 | -+227 | 2008| +260 | +487 | 966| + 2.44 È 600 | 1580 | +230 | 2268| -+260 | +490 | 1456 | + 2.45 5 800 | 1764 | -+234 | 2526| +258 | -492 | 1948| + 246 a 1000 | 1998 | -+234 | 2784 | -+258 | -+492 | 2440! +4 2.46 » 1200 | 2238 | 4240 | 3046 | +262 + 502 | 2942 | + 2.51 ” 1400 | 2480 | -+242 | 3310 | -264 + 506 | 3448 | + 2.53 » 1600 | 2726 | -+ 246 | 3575 | + 265 + 511 | 3959 | + 2.55 » 1500 | 2608 | —118 | 3462| — 113 — 281 | 3728 | - 2.31 ” 1400 | 2499 | —109 | 3335 | — 127 — 236 | 3492 | — 2.36 ” 1200 | 2264 | — 235 | 3091 — 244 — 479 | 3013 | — 2.59 » 1000 | 2032 | — 232 | 2838 | — 2583 — 485 | 2528 | — 2.42 D) 800 | 1801 | — 231 | 2581 |: — 257 — 488 | 2040 | — 2.44 ” 600 | 1570 | — 231 | 2322| — 259 — 490 | 1550 | — 2.45 ” 400 | 1340 | — 230 | 2058 | — 264 — 494 | 1056 | — 2.47 » 200 | 1111 | —229 | 1781) — 277 — 506 550 | — 2.58 ” O |] 860] —251 | 1500| — 281 — 582 18| — 2.66 ” 141/3 O] 850] — 10 | 1492] — 8 — 18 0 — ” 1200 | 2242 2 3041 = = 2941 = ” 1100 | 2124 | — 118 | 29298| —113 — 231 | 2710] — 2.31 ” 1000 | 2013 A N27998 eg — 240 | 2470 | — 2.40 ” 800 | 1782 | — 281 | 2549 | — 250 — 481 | 1989 | — 2.41 ” 600 | 1554 | — 228 | 2290 | — 259 — 487 | 1502 | — 2.43 RenpICcONTI. 1914, Vol, XXIII, 1° Sem: 31 — 228 -- (__———_—_—_—- __—__==<==—w—x—xwy» Ypro_oa_0@19_0_40400__..i:-::-XXX‘X‘*@*ò>--—’@‘@‘@‘‘ii SPECCHIO SINISTRO SPECCHIO DESTRO Simo Incremento Sforzo DI Deforma-|della deform. delle È riferito SIA Sha totale Differe Differenze differenze ione [ad1kgr. di Letture NZe | Letture ° DONO, totale | incremento parziali parziali parziali dello sforzo Kgr. 81 dicembre 400 | 1327 — 227 | 2027 — 263 — 490 | 1012 | — 2.45 » 200 | 1098 — 229 | 1752 — 275 — 504 508 | — 2.52 n 300 | 1206 | -+108 | 1880 | +128 | -+236 | 744| 42.36 > 400 | 18319 | -+113 | 2007| +127 | -+240 | 984| + 2.40 > 600 | 1540 | --221 | 2267| +260 | +481 | 1465] + 2.41 ” 800 | 1779 | -+239 | 2519) -+252 | -+491 |1956| + 2.45 ” 1000 | 2012 | 4233 | 2779] -+260 | -+493 | 2449| + 246 o 1200 | 2249 | +237 | 3085 | -+256 | 4493 | 2942 | +4 2.47 ’ O (850 0 14 ssi e ca 20 Esse provano, in modo costante ed affatto generale, che ogni linea di deformazione che parte da un punto di regresso tende a chiudere il ciclo 0) x 0 sg es IL linea 2 prolungandosi fino al punto di regresso immediatamente precedente: le linee discendenti rimanendo in ogni caso tutte al di sotto della ascendente prece- dentemente seguìta, le ascendenti tutte al disopra della discendente prece- dentemente seguìta. In particolare, esse mettono in rilievo la diversa legge di deformazione di un corpo il quale, sottoposto all'azione di un dato carico, — 229 — risenta l'impulso di una nuova forza, a seconda che la variazione attuale del carico riesce dello stesso segno di quella che l’ ha immediatamente pre- ceduta ovvero di segno contrario, avendosi in questo caso una variazione di dimensioni più piccola che nel primo, ed accentuandosi la differenza col crescere dell’ampiezza della variazione precedente: dove bisogna però tener presente che sono da considerarsi come non avvenute tutte quelle variazioni di carico che, separatamente o nel loro complesso, hanno carattere ciclico in quanto esse, a ciclo compiuto, lasciano il materiale nelle condizioni in cui l’hanno trovato. Ma mentre il modo di deformarsi del materiale si mostra così stret- tamente legato alla legge seguìta nell’applicazione del carico, esso si pre- senta poi praticamente indipendente dalla intensità del carico stesso se si ha l'avvertenza di mettersi ai diversi carichi in condizioni analoghe ese- guendo le misure immediatamente dopo aver invertito il senso di variazione delle forze. Le differenze tra i varii valori del modulo di elasticità rilevati immediatamente appresso ad ogni punto di regresso si mantengono infatti, in queste esperienze, entro limiti così ristretti (1) da far pensare alla pos- sibilità di assumere, almeno in via di approssimazione, quel modulo così valutato come una costante caratteristica del materiale. Quel che è certo si è che il fenomeno della deformazione del rame, in generale così profondamente discorde dalle ipotesi della teoria dell’ ela- sticità, si presenta ad esse ipotesi praticamente conforme sempre e soltanto quando si descrivano cicli di piccolissima ampiezza attorno ad un valore, entro certi limiti, affatto qualunque del carico. (‘) Ed invero in 26 misure eseguite, sotto carichi diversi, ma tutte immediatamente appresso ad una inversione nel senso di variazione del carico, nelle esperienze del 25 e 26 novembre, si sono ottenuti valori dell'incremento della deformazione per unità di incremento dello sforzo tra il massimo ed il minimo dei quali intercede una differenza del 2°/, soltanto; la differenza tra i due valori dello stesso incremento misurati in cor- rispondenza del vertice inferiore del solito ciclo di massima ampiezza rispettivamente all’inizio della linea ascendente ed al termine della linea discendente che lo compongono supera invece, in valor relativo, il 7 °/o. lo) — GIORNO 24 novembre 25 D) SPECCHIO SINISTRO Sforzo totale Letture Kgr. 16 200 1200 200 35 Ila 200 815 300 | 444 400 | 574 600 831 800 | 1087 | 700 961 | 600 | 837 400 979 200 317 14 200 317 300 447 400 | 576 600 | 834 800 | 1090 1000 | 1344 1200 | 1603 1100 | 1479 1000 | 1353 800 | 1101 600 | 847 400 585 2000317 163), 200 | 317 300 | 447 400 DITA 600 | 834 800 | 1089 1000 | 1343 1200 | 1601 1100 | 1476 1000 | 1350 800 | 1097 600 843 700 967 800 | 1093 Differenze parziali SPECCHIO DESTRO Letture 1890 2008 2130 2379 2680 2510 2386 2136 1886 1886 2004 2128 2377 2629 2883 8140 3020 2900 2652 2402 2150 1891 1891 2010 2138 2382 2633 2887 3143 3023 2902 2658 2408 2529 2650 Differenze parziali Somma delle differenze parziali Deform. zione totale Incremento della deform. riferito ad 1 kgr. di incremento dello sforzo — 281 26 Bis SPECCHIO SINISTRO SPECCHIO DESTRO | a rei dela det È elle E riferi RR Nieitural N ieOnzo Ni rotture | DifisrenzoNiaificronze CR sd Lg di tor. parziali | | parziali parziali dello sforzo 25 novembre 1000 | 1346 + 253 | 2897 + 247 + 500. | 2038 | + 2.50 ” 1200 | 1600) + 254 | 3145| + 248| + 502|2540| + 251 ” 1100 | 1471 — 129 | 3080 | — 115 — 244 | 2296 | — 2.44 ” 1000 | 1349 — 122 | 2907 | — 123 — 245 | 2051 | — 2.45 ” 800 | 1098 — 251 | 2661 — 246 — 497 | 1554 | — 2.49 » 600 844 — 254 | 2410 | — 251 — 505 | 1049 | — 2.58 » 400 583 — 261 | 2155 — 255 — 516 533 | — 2.58 7 2000 O 9 e go nio » 9 200 | 312 0|1890| — 4 — 4|-3 —_ 5 800 | 442 + 130| 2008) + 118) -+ 248| 245 | + 2.48 ” 400 | 573 + 181 | 2031 + 123.| + 254 499 | + 2.54 » 300 | 446 — 127 | 2010 UA — 248 201 | — 2.48 3 400| 573| + 127|2080| + 120| + 247| 498| + 2.47 ” 600 | 832 | + 259 | 2378 | + 248| 4 507 | 1005 | + 2.54 ” 500 706 — 126 | 2257 — 121 — 247 708 | — 2.47 ” 600 | 832 + 126 | 2378 | + 121] + 247 | 1005 | 4 2.47 » 800 | 1088 | + 256 | 2630| + 252| + 508| 1513 | + 2.54 ” 700 962 -- 126 | 2511 — 119 — 245 | 1268 | — 2.45 x 800 | 1088.| + 126 | 26852] + 121) + 2471515 | + 2.47 ” 1000 | 1346 + 258 | 2884 | + 252 | + 510 | 2025 | + 2.55 » 900 | 1218 SARO) SOMGTO O IT — 245 | 1780| — 2.45 5 1000 | 1343 | + 125 | 2889| -+ 122| + 247 2027] + 2.47 ” 1200 | 1608| + 260 | 3143| + 254| -+514|2541| 4 2.57 ” 1100 | 1475 — 128 | 3026 — 117 — 245 | 2296 | — 2.45 ” 1000 | 1352 — 123 | 2902 — 124 — 247 | 2049 | — 2.47 > 1100 | 1477] + 125|3023| + 121] + 246 | 2295| + 2.46 ” 1000 | 1353 — 124 | 2902 — 121 — 245 | 2050 | -- 2.45 ” 800 | 1100 — 258 | 2656 — 246 — 499 | 1551) — 2.49 v 900 | 1223 | + 123 | 2779| -+ 123) + 246 | 1797 | + 2.46 ” 800 | 1100 — 123 | 2657 22 — 245 | 1552| — 2.45 ” 600 847 — 258 | 2408 — 249 — 502 | 1050 |. 2.51 ” 700| 971) -+ 124|2529|] + 121] + 245 | 1295 | + 2.45 ” 600 847 — 124 | 2406 | — 123 — 247 | 1048 | — 2.47 ” 400 587 — 260 | 2153 | — 253 — 5138| 585 | — 2.56 ” 500 713 + 126 | 2273) + 120 + 246 | 781| + 2.46 » 400 587 — 127 | 2152 — 121 — 248 583 | — 2.48 ” 200 316 — 270 | 1890 | — 262 — 532 1) — 2.66 ” 17!/,| 200 311 —..5.| 1892| + 2 — 38|—- 2 = 20 26=- Matematica. — Sopra un sistema di equazioni alle derivate parziali che ammettono un teorema nella media. Nota di Lurci Amoroso, presentata dal Corrisp. E. ALMANSI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Sull’uso dei reticoli concavi di diffrazione con lo spettrometro. Nota I di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio P. BLA- SERNA. Avendo da molto tempo acquistato un buon reticolo di Rowland, concavo, di 3 metri di raggio di curvatura, dovetti lungamente contentarmi di usarlo come strumento di dimostrazione e non di misura, perchè nè i mezzi, nè il locale di cui potevo disporre mi consentivano nè di acquistare nè di usare, qualora l'avessi acquistato, l'apparecchio completo di Rowland. Inoltre, avendo recentemente eseguito misure dello spostamento che subiscono le righe dei varî spettri quando varia la temperatura, e quindi yaria la distanza delle righe del reticolo, nel ricercare le condizioni e gli spettri che meglio si prestavano a queste misure ebbi da incontrare non poche difficoltà, sia nello stabilire per tentativi quelle esatte condizioni che si ottengono meccanicamente coll’apparecchio del Rowland, sia perchè ad ogni nuova disposizione ero costretto a spostar mobili e strumenti per far posto all'oculare e all’osservatore, e, ciò nonostante, l’oculare capitava spesso in posizioni tali da render l'osservazione molto incomoda e, perciò, facilmente meno esatta. Ricorsi finalmente ad una disposizione, che può presentare bensì qualche inconveniente, ma che è pochissimo ingombrante, facile ad effettuare e che dà modo di facilmente osservare e determinare la posizione delle righe di tutti gli spettri di vario ordine; essa perciò potrà riuscire utile quando, come nel mio caso, i mezzi o il locale non consentano assolutamente l’uso del reticolo di Rowland. La nota condizione essenziale, cui è necessario o molto utile il soddisfare, è che il punto medio R del reticolo ARB (che si suppone abbia le righe perpendicolari al piano della figura), e quello F della fessura, si trovino sopra una circonferenza descritta sul raggio di curvatura RCx= R del reti- colo come diametro. Se questa condizione è soddisfatta, tutti gli spettri di vario ordine si formeranno su questa circonferenza, e sarà facile di collocare l’oculare o la pellicola fotografica per l'osservazione o la riproduzione di uno qualsiasi di essi; se la stessa condizione, invece, non è soddisfatta, gli — 299 — spettri si formeranno lungo una curva d'ordine superiore, non facilmente tracciabile, e la forma della pellicola, e la sua posizione, o quella dell'ocu- lare dovranno esser trovate, caso per caso, per tentativi; inoltre, fors'anche gli spettri riusciranno meno nitidi. Per soddisfare a tale condizione, ho usato un metodo che essenzialmente non differisce da quello già descritto ed usato dal Waterhouse e che trovasi citato dal Kayser nello Mandduch der Spectroscopie, Bd. 1. Il punto medio R del reticolo, quello F della fessura ed il centro C della suddetta circonferenza, formavano i vertici articolati, cioè ad angolo variabile, d'un Fis. 1. triangolo RCF, di cui due lati RC ed FC avevano una lunghezza costante uguale al raggio della stessa circonferenza, mentre il 3° lato RF aveva una lunghezza variabile, colla posizione della fessura F, e (per comodità) una direzione costante. Waterhouse collocava la pellicola fotografica in Cx all'estremità d’un lungo regolo RCx, e fotografava così lo spettro normale. Ho creduto più conveniente, per lo scopo che mi ero prefisso e per le condizioni in cui operavo, di osservare invece (e, occorrendo, fotografare) lo spettro rv, che, per una conveniente posizione della fessura e per la corri- spondente orientazione del reticolo, è prodotto nel piano della fessura stessa 0, più esattamente, sulla superficie cilindrica di raggio R/2 ad esso tan- gente, con raggi luminosi aventi, in media, la stessa direzione dei raggi inci- denti. L'oculare o la pellicola devono esser fissati alla fessura (allato, o un po’ al disopra): e per osservare o ricevere sulla pellicola i diversi spettri, non occorre altro che far scorrere essa fessura lungo RF. Così le dimensioni dell'apparecchio sono ridotte a quelle del triangolo RCF, ed inoltre è possibile d’osservare spettri d’un ordine più elevato che non con qualsiasi altra disposizione. Difatti, essendo (1) sen 7 + sen e = m4/5 Mio g4 — la condizione cui devono soddisfare gli angoli 2 ed e d'incidenza e d’emer- genza dei raggi, l'ordine 7 degli spettri, la lunghezza d'onda 4, e la lun- ghezza s d’un elemento, essa, per il caso solito di e= 0, diventa sen: = = m/s = 1, quindi m < 5/2; mentre, invece per #= e, la stessa condizione diviene 2 senz = m4/s <= 2, quindi m < 2s/m. Si ha però l'inconveniente che gli spettri sono obliqui, (più o meno secondo l'ordine), spettri rispetto ai raggi che li formano; quindi, anzitutto, essi non sono normali, cioè la distanza de di due righe nella riproduzione fotografica non è proporzionale a di ma bensì a md4/2 s cose variabile con e. Si può ridurre normale questo spettro, prima fotografandolo e poi, ricol- locata a posto la riproduzione, fotografandola con un obbiettivo collocato al posto del reticolo. Difatti, poichè la distanza di due righe nella 1 ripro- duzione è de= md4/2 s cose, e l'angolo delle due pellicole è in ogni punto uguale ad e, la proiezione di de sulla 2* pellicola sarà uguale a md4/2s, cioè proporzionale a 44 ed indipendente da e. Se invece si osservano gli spettri con un oculare, solo una riga potrà trovarsi nel suo piano focale ed apparire nitida: le adiacenti si troveranno avanti o dietro di esso, e dovranno apparire meno nitide; però, in pratica, non ho trovato che questo inconveniente fosse molto sensibile. In quanto alla distanza apparente di due righe essa è la proiezione della distanza reale suddetta sul piano focale facente con essa un angolo e, e sarà quindi ancora uguale a 7244/2s e proporzionale a dA. Indicherò in seguito un altro modo per evitare del tutto il suddetto inconveniente. Per effettuare questa disposizione, ho collocato sopra un tavolo, in di- rezione del portaluce, un banco d'ottica lungo 3 metri (in realtà molto meno, perchè mi contentavo d'osserrare solo due o tre spettri; ed inoltre, quando occorreva, lo spostavo), rappresentato schematicamente, nella figura, da RX. All’estremità di questo banco opposto al portaluce ho collocato lo spettro- metro, e vi ho fissato il reticolo colle linee verticali; inoltre, sopra un cor- soio del banco ho fissato la fessura verticale, coll'oculare. Il punto medio (R) del reticolo deve trovarsi sull'asse geometrico dello spettrometro e sulla retta RF percorsa dal punto medio F della fessura scorrente lungo il banco d’ottica, e questa dev’esser sostenuta da un’asta cilindrica e trovarsi sul suo asse. Due regoli orizzontali, lunghi e leggeri (RC, FC), sono fissati ad un capo, uno al sostegno del reticolo (che può ruotare attorno all'asse dello spettrometro), l’altro ad un tubo verticale cui serve d'asse l’asta che sostiene la fessura; ed all’altro capo essi sono fissati alle due metà d’una leggera cerniera C coll’asse verticale, cosicchè rimane compìto il triangolo articolato RCF. La lunghezza dei due regoli fra i vertici (cioè fra gli assi geometrici dello spettrometro e della cerniera, e fra questo e quello della fessura) dev'essere esattamente R/2. — 235 — Se questi due lunghi regoli non fossero sostenuti in qualche modo, essi, per quanto rigidi e leggeri (condizioni contrastantisi), si fletterebbero, la cerniera s'abbasserebbe e s’ inclinerebbe alquanto, la lunghezza dei regoli fra gli assi suddetti più non sarebbe esattamente R/2, un momento non piccolo agirebbe sullo spettrometro e sulla fessura tendendo a rovesciarli 0 deviarli, e crescerebbe l'attrito che porrebbe ostacolo al buon funzionamento delle articolazioni. Non mi è parso opportuno di sostenere i regoli dal basso mediante un carrello ad una o più ruote o sfere scorrevoli sul piano del tavolo o sul pavimento; e mi è parso più facile il sostenerli dall'alto. Perciò ad un sostegno indipendente e molto stabile, sopra lo spettrometro e coassialmente con esso. ho fissato un pernio verticale, attorno al quale poteva ruotare un robusto regolo orizzontale, un po’ più lungo del regolo RC e sostenente questo (e, quindi, anche l’altro regolo CF) mediante due o più fili, in modo che, anche staccando la connessione fra il reticolo ed il regolo RC, questo nè cascava, nè deviava, e quindi, col suo peso, non esercitava un momento apprezzabile sul reticolo stesso. Sebbene le dimensioni dell'apparecchio ora descritto, almeno per un reticolo di 3 metri di raggio di curvatura, non siano eccessive, poichè oc- cupano un rettangolo di 3 metri per 1,50, o anche meno, esse possono essere ridotte alla metà in ogni senso: cioè, nel caso suddetto, ad un rettangolo di 1,50 per 0,75 metri, qualora i raggi incidenti, oppure quelli emergenti, siano paralleli. Se la fessura, o la sua immagine, è a distanza infinita nella direzione del banco d’ottica, ed invia raggi sul reticolo la cui orientazione sia deter- minata, colla disposizione suddetta, dalla posizione del vertice F lungo RX, l’immagine della fessura formantesi, per raggi d'una conveniente lunghezza d'onda, nella direzione dei raggi incidenti, sì troverà in 0, a metà distanza fra R ed F, qualunque siano la posizione di F sul banco d’ottica, e la cor- rispondente orientazione del reticolo. Vale a dire che essa immagine sì for- merà sull’intersezione colla retta RF d'una circonferenza tangente in R al reticolo, e di raggio cR = c0 = R/4. Se quindi si costruisce un apparecchio simile a quello sopra descritto ma con regoli Re, Oc di metà lunghezza: se inoltre la fessura immobile, a distanza qualsiasi, nella direzione del banco d’ottica, invia i raggi sopra una lente collimatrice (pure immobile ed avente il foco nel mezzo della fessura) che renda paralleli questi raggi, e se l’oculare è posto nel vertice articolato 0, si potranno osservare nel suo campo nitidamente le righe d'uno spettro, le quali si sposteranno succedendosi e mantenendosi nitide quando l’oculare si sposta lungo il banco d'ottica, regolando l’orientazione del reticolo. Se invece nel vertice O, collegato, nel modo anzidetto, con R e con € e scorrevole lungo RF, si colloca la fessura, la sua immagine nella dire- RewpIcontTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 32 — 236 — zion> dei raggi incilenti (con luce la cui lunghezza d’onda è determinata da tale condizione e dall'orientazione del reticolo) si formerà a distanza infi- nita. Collocando quindi nel banco d'ottica un cannocchiale fisso, osservante all'infinito verso il reticolo, si potrà osservare nel suo campo un nitido spettro normale spostantesi nel modo indicato. Si potrà aumentare la chiarezza degli spettri usando una lente collima- trice cilindrica, invece che sferica, e di opportuna distanza focale. Allorchè il corsoio, che porta la fessura e l’oculare, si trova presso le estremità della corsa, cioè molto vicino al reticolo, oppure presso alla mas- sima distanza, i due regoli fanno un angolo poco diverso da zero, oppure da 180°, e la forza che, quando si fa scorrere esso scorsoio lungo il banco Eiress2 d'ottica, agisce in C sul regolo RC, ha molto piccola la componente normale, che tende a far orientare il reticolo, mentre sono grandi le componenti che tendono a spostare o inclinare gli assi dello spettrometro e della fessura, e che inoltre fanno crescere l'attrito. È perciò utile che, almeno in questi casi, la rotazione del reticolo sia prodotta da una forza accessoria, ciò che può ottenersi in molti modi. Nella disposizione, molto semplice, che ho adot- tato, l'asse della cerniera C portava una puleggia, ed un’altra, pure coll’asse verticale, era collocata verso il mezzo del banco d’ottica sopra un apposito sostegno che poteva essere spostato; una funicella fissa al corsoio s'adattava prima su questa puleggia, poi su quella della cerniera, poi sopra una terza coll'asse orizzontale ed era tesa da un peso conveniente. Così, spostando il corsoio, sì agiva direttamente, o per mezzo del peso tensore, sulla funicella, e, quindi, quasi normalmente sull'estremità del regolo RC. Può facilmente avvenire, per difetto di costruzione, che i due regoli abbiano bensì la stessa lunghezza, ma non quella esattamente prescritta (R/2), e sieno, p. es., un po’ minori di questa RC", C'F', e quindi la fessura si trovi in F' invece che in F, Lo spettro nella direzione dei raggi inci- — 257 — denti si formerà allora in 7”, ad una distanza da F' che varierà quando si sposta la fessura lungo il banco d’ottica, ossia quando varia l’angolo C'RF'; e l'oculare o la pellicola non dovranno avere una posizione fissa ri- spetto alla fessura, ma dovranno avvicinarsi ad essa quando essa s'avvicina al reticolo. Se invece i due regoli fossero più lunghi di R/2, e la fessura si trovasse in F”, essa produrrebbe uno spettro in 7'v', la cui distanza dalla fessura ancora decrescerebbe (però in direzione contraria) quando questa si avvicina al reticolo. Può anche facilmente avvenire che, per imperfetta rigidità dei regoli, o delle connessioni, il reticolo non obbedisca prontamente ai movimenti del corsoio, e si orienti a scatti, specialmente quando s' inverte il suo movimento; ne seguirebbe una certa difficoltà nel condurre una qualsiasi riga in una posizione esattamente determinata; inoltre, siccome la imperfetta rigidità dei regoli produrrebbe una variazione delle distanze RC e CF, anche ne se- guirebbe che gli spettri si formerebbero a scatti, ora sulla pellicola, ora davanti o dietro di essa. Non credo, però, che questi inconvenienti, che, certo, renderebbero meno facili le osservazioni, influiscano direttamente sulla precisione dei valori delie lunghezze d’onda per le diverse righe, poichè essi dipendono unica- mente dalla esatta misura degli angoli. Non mi sono finora occupato se non della parte meccanica dell’apparecchio che, sebbene costruito imperfettamente, risultò molto utile. Non ho perciò eseguito misure di angoli e di lunghezza d’onda: anzi, lo spettrometro, che facilmente sarebbe stato danneggiato nelle molteplici prove, era sostituito da un sostegno provvisto degli stessi movimenti, ma privo di graduazione. Neppure ho eseguito confronti esatti fra la nitidezza di questi spettri e quelli ottenuti nel modo solito. cioè per e=0; e mi sono contentato di verificare che un grande svantaggio non era manifesto. Chimica — Sulle ossime dell’anaftil-fenil-chetone. Nota di MaRrIO BETTI e di PasquaLE Poccianti, presentata dal Corrisp. A. PERATONER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Se ha luogo una birifrangenza anormale nelle pros- simità di una riga spettrale di un vapore metallico in un campo elettrico. Nota di 0. M. CoRrBINO, presentata dal Socio P. BLASERNA. Alle anomalie nell’emissione delle righe spettrali per l’azione di un campo magnetico, e cioè alla moltiplicazione delle righe con caratteri di pola- rizzazione diversi, corrispondono, come è noto, anomalie nella velocità di pro- pagazione della luce in seno al vapore metallico, a seconda dello stato di polarizzazione della luce incidente. E così, nel senso delle linee di forza, alla scissione della riga in due con polarizzazione circolare inversa corri- sponde, per una lunghezza d'onda vicina a quella delle righe, una diversa velocità di propagazione di due raggi polarizzati circolarmente in senso op- posto; e quindi una rotazione anormale del piano di polarizzazione (espe- rienza di Maealuso e Corbino). Analogamente, nel senso normale alle linee di forza, alla scissione della riga in tre componenti, con vibrazioni parallele o normali al campo, corri- sponde una velocità di propagazione diversa a seconda del piano di polariz- zazione della luce incidente, e quindi una birifrangenza anormale nella pros- simità della riga (esperienza di Voigt e Wiechert). Questi fenomeni della polarizzazione rotatoria, o della birifrangenza anor- male, sono assai più facilmente osservabili che non l’altro cui sono rilegati: la scissione delle righe. Così con un campo magnetico di alquante centinaia di Gauss, mentre è assai difficilmente osservabile il fenomeno Zeeman, riesce ben netta la constatazione della polarizzazione rotatoria ricorrendo a una fiamma di sodio, disposta tra nicol incrociati, e traversata da un fascio di luce bianca. La birifrangenza è però meno facile a constatare, nei campi deboli, che non la polarizzazione rotatoria; poichè mentre quest'ultima dipende dalla prima potenza del campo, la birifrangenza è proporzionale al quadrato del campo. È d'altra parte ben legittimo il ritenere che alla scomposizione delle righe per un campo elettrico, osservata recentemente da Stark, debba corri- spondere, come nell’esperienza di Voigt e Wiechert, una birifrangenza anor- male nelle prossimità della riga. Il vapore attraversato dalla luce deve possedere una densità non trase curabile, perchè riescano sensibili le azioni esercitate sulla luce che si pro= paga nel suo seno; sarebbe perciò vano ricorrere al gas di assai piccola densità, reso luminoso, nella esperienza Stark, dai raggi canali. Volendo in- vece aumentare notevolmente la densità dei vibratori, il valore del campo — 299 — elettrostatico realizzabile non può superare quello ordinariamente esistente in un arco voltaico. Mi è parso quindi conveniente di riprovare in condizioni migliori una esperienza già da me tentata, con esito negativo, molti anni or sono; ricercare cioè se i vapori metallici esistenti in seno ad un arco. tra carboni impregnati, presentino traccie di birifrangenza sensibile nelle vici- nanze delle righe del metallo. La disposizione sperimentale è schematizzata nella figura 1. In essa A rappresenta un arco a corrente continua di grande intensità, tra carboni or- dinarî. La luce, resa parallela da un buon obbiettivo L, passa per un primo nicol N, attraversa poscia un secondo arco A', ricco specialmente di vapori eso di calcio e di sodio, e, dopo aver traversato un secondo nicol N’, vien con- centrata sulla fenditura F di uno spettroscopio potente (un reticolo di Rowland). Tra il nicol N' e la fenditura F è interposta una notevole distanza, in modo che il fascio parallelo, che proviene da L, giunge in F con piccolo indebo- limento, mentre è fortemente attenuata la luce divergente prodotta dal- l’arco A’. i Non ostante ciò, disponendo i nicol N N' in posizione incrociata, e a 45° dalla direzione media dell’arco A’, la luce di questo giunge ancora abba- stanza intensa snl reticolo perchè si vedano chiaramente le righe di emis- sione, delle quali alcune si presentano come antoinvertite. Esse appaiono luminose su fondo oscuro, perchè i nicol incrociati arre- stano la luce proveniente dal primo arco A. Per giudicare se la luminosità delle righe è propria dell'arco A”, o deriva da un effetto di birifrangenza anormale, nella loro immediata vicinanza, esercitata dal vapore sulla luce di A, basta intercettare periodicamente il fascio tra L ed N. Nessuna va- riazione nell'aspetto e nella intensità delle righe potè essere osservata in questa manovra. In una seconda prova al fascio di luce bianca proveniente da L fu sosti- tuito un fascio di luce solare; e dei carboni (di tipo ordinario) tra cui scocca l'arco A', uno venne forato, e la cavità risultante fu riempita di cloruro di sodio fuso. In queste condizioni la grande densità dei vapori di sodio esistente nell’arco faceva sì che, osservando lo spettro di emissione, intorno alle righe D una rilevante parte dello spettro apparisse luminosa come per uno slarga- — 240 — mento grandissimo delle righe medesime; mentre al posto di queste appa- rivano due larghe righe di assorbimento per autoinversione. Mandando o intercettando la luce solare attraverso l’arco, sempre con nicol incrociati, nessuna modificazione sensibile si riuscì a constatare nel- l'aspetto del campo luminoso. Si deve quindi concludere che, per l’azione del campo elettrico natural- mente esistente in seno ad un arco, non sì determina in prossimità delle righe una birifrangenza apprezzabile. Fisica. — Sull'interferografo girante del sig. Sagnac. Nota del prof. Luicr PUCCIANTI, presentata dal Socio A. RITI. Il sig. Sagnac ha effettuato recentemente (*) una difficile ed elegante esperienza, colla quale prova che le frangie, le quali si producono per l’inter- ferenza di due fasci luminosi propagantisi in versi opposti lungo un perimetro chiuso, subiscono uno spostamento quando s’ inverte il movimento rotatorio, cui partecipano solidalmente tutti i pezzi ottici a cui si appoggiano i vertici del perimetro stesso, non che la sorgente luminosa e la camera che serve a fotografare le frangie. Lo spostamento misurato risulta in eccellente accordo con la espressione (1) DE 167 NS i VA ove $ indica lo spostamento in frangie, N il numero dei giri per secondo del moto rotatorio che si inverte, S l’area racchiusa dal perimetro, V la velocità della luce, e 4 la lunghezza d’onda. A questa espressione il Sagnac era giunto svolgendo una sua teoria dei fenomeni luminosi nei corpi in moto, il cui punto di partenza è l'ipotesi dell'etere. Per questo egli crede di poter considerare la sua esperienza come una dimostrazione dell'etere: ciò che, parmi, deve intendersi dimostrazione del- l’esistenza obiettiva di un mezzo che invade lo spazio, e che propaga i. feno- meni luminosi. Ora, alla relazione (1) si può arrivare per altra via. Io mi sono limitato al caso semplice, che il perimetro interferenziale sia circoscrittibile ad un cerchio. Ricordando che un movimento traslatorio del sistema relativo all’etere non può influire sulla posizione delle frangie per i termini di primo ordine del rapporto tra la velocità del movimento e la velocità di propagazione (1) Comptes Rendus, vol. 157, pag. 708 (1913); vol. 157, pag. 1410 (1918). — 241 — della luce, e osservando che non è il caso di discutere i termini del secondo ordine, si vede subito che anche accettando l'ipotesi dell'etere (come non ac- cettandola), si può esser certi di non alterare il resultato dell'esperimento, quando compongasi col moto rotatorio uniforme del sistema un qualsiasi moto traslatorio uniforme. Ciò premesso, potremo impunemente ammettere che l’asse di rotazione passi per il centro C del circolo inscritto (fig. 1), perchè ve lo potremo ri- condurre immaginando impresso al sistema un opportuno moto traslatorio. Consideriamo da prima il sistema in quiete, e applichiamo il principio di Fermat. Confrontiamo il cammino ottico che va da A a B seguendo il perimetro, con un’altra spezzata qualsiasi, i cui lati facciano piccoli angoli con quelli del cammino ottico stesso, e che abbia i vertici sulle stesse su- perficie riflettenti, e gli estremi in A e B o anche in due altri punti qua- lunque degli elementi di piani perpendicolari ai raggi in A e B. La differenza di lunghezza è una quantità piccolissima, di ordine superiore al primo. Quando il sistema è in rotazione compiendo un piccolo angolo d (per esempio, verso sinistra) nel tempo impiegato dalla luce a girare il perimetro, le direzioni di propagazione vengono alterate di angoli aventi lo stesso ordine di grandezza che ha d. Perciò, seguendo queste nuove direzioni, il percorso dall'elemento piano normale ai raggi in A a quello normale ai raggi — 242 — in B non varierebbe che per termini d'ordine superiore, se non fosse l’effetto dello spostamento dei pezzi ottici in direzione normale alla loro superficie. Ora questo spostamento, per gli specchietti che formano i vertici del peri- metro, e rotano (colla semplificazione da me adottata) intorno ad un punto della loro normale per il centro, rimane ancora nei termini del secondo ordine rispetto a d ; cosicchè basta tener conto dello spostamento del separatore S, va- lendosi della ben nota teoria delle lamine sottili. In questo caso, la differenza in B di cammino tra il raggio destrorso e il sinistrorso proviene dunque sol- tanto da ciò: che questo, compiuto il giro, trova la superficie del separatore spostata da S in S'. E risulta in ogni caso ritardato il fascio luminoso che gira concordemente al sistema. La differenza di percorso risulta dunque uguale al doppio della proie- zione del segmento SS' sulla AD: cioè sarà A4=2SS' cosa, e indicando ancora con N il numero di giri per secondo, con P la lunghezza del perimetro e con V la velocità della luce, facilmente si vede essere: SS =27N 708. e quindi P d= An N O8cosa. Ma LS a CS cosa = CD è l'apotema, e quindi introducendo l’area racchiusa dal perimetro pe S=P.C risulta : 87 NS i Sernie da cui, raddoppiando per l'inversione del moto, ed esprimendo il ritardo in lunghezze d'onda si ottiene: ae Sa À Vigioi cioè ancora la (1), la quale è stata data dal Sagnac in generale, e da lui verificata con l'esperienza. È vero che la sua esperienza è fatta per un peri- metro meno regolare: ma è ovvio che, anche per il caso semplice da me — 243 — scelto, come la sua teoria porta allo stesso resultato del mio computo, così l’esperienza confermerebbe il resultato comune. Fin qui niente di nuovo, adunque: anzi potrebbe parere che il concetto mio e quello del Sagnac si equivalessero; invece, l'opinione mia è netta- mente diversa dalla sua per quel che concerne l'interpretazione del fatto. Nella mia dimostrazione non ho introdotto esplicitamente altre ipotesi che le leggi dell'ottica geometrica, la propagazione della luce in un tempo finito da un punto ad un altro e il principio delle interferenze delle lamine sottili, che è come dire le interferenze di Newton. Non mi sono accorto di avere introdotto implicitamente l'ipotesi dell’esistenza obiettiva del mezzo, e nemmeno la propagazione per onde. Ritengo, quindi, che la teoria di Newton porti, in questo caso, come in tanti altri, allo stesso risultato della teoria ondulatoria. A fortiori l'ipotesi dell’esistenza dell'etere non era necessaria per pre- vedere il fatto, e non risulta da questo provata. L'esperienza si deve secondo me interpretare come un metodo di deter- minazione della velocità della luce. Ma il suo interesse filosofico è sempre grandissimo, in quanto che essa è la prima esperienza ottica che permetta di rivelare un moto rotatorio assoluto. Fisica. — Za decomposizione della riga rossa dell'idrogeno nel primo strato catodico. Nota del prof. Luroi PUCCIANTI, pre- sentata dal Socio A. RITI. Chimica. — Aicerche di chimica sistematica. Rutenio, rodio, palladio. Nota di G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. Cra- MICIAN. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 33 — 244 — Chimica. — Sul comportamento degli eteri borici con gli alcoo- lati (‘). Nota di Livio CAMBI, presentata dal Socio R. NAsINI. Occupandomi del comportamento dei boro alchili con gli alcali e gli alcoolati (*), cioè dei composti del tipo [BR:.0H]'K, accennai, per analogia, al composto del borato di etile con l’alcoolato sodico, B(0C:H;), . Na, otte- nuto da Copeaux per semplice addizione diretta (*). H. Copeaux osservò, inoltre, che tale composto a 200° non cede etere ho- rico; l’alcoolato sodico in esso combinato non reagisce con lo ioduro di etile a 140°. Ciò attesta la notevole stabilità del sale. A questo interessante prodotto Copeaux diede la costituzione seguente: B=(0C,H;), (4). Ammettendo il boro come pentavalente. H. Kauffmann (5) Na discutendo della valenza del boro, citava questo sale, e, oltre alla formola di Copeaux, prendeva in considerazione l’altra Na 0—B=(0C:H;)3; però NOEL questa formola non trova alcun riscontro nelle reazioni del composto. Come dissi, venni allo studio delle reazioni degli eteri borici per la simiglianza di comportamento che essi hanno con i boro alchili di cui mi occupo. Ho verificato i dati di Copeanx: non solo, ma ho generalizzato la reazione ad altri eteri dell’acido borico. Ho isolato i sali ossimetilici di sodio, litio, potassio, calcio: quelli ossietilici di sodio, potassio, tallio (talloso) : infine il sale ossipropilico di sodio. Tutti questi composti hanno una notevole stabilità, riscaldati anche nel vuoto non cedono l'etere borico in essi combinato. Essi partecipano, in so- luzioni alcooliche assolute, a reazioni di doppio scambio che illustrano il loro carattere salino. Una soluzione metilalcoolica del sale K .B(OCHs), fornisce, con cloruro di litio in egual solvente, cloruro di potassio, che precipita; e dalla soluzione, per svaporamento, si ottiene il sale di litio corrispondente: K.B(0CH;), + LiCl= KC1-+ Li.B(OCHs),. (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di elettrochimica del R. Istituto tecnico superiore di Milano, diretto dal prof. G. Carrara. (?) Rendiconti della Soe. chim. ital., pag. 327 (1913). (3) Compt. Rend., /27, pag. 721 (1898). (4) Ibidem, pag. 722. (5) H. Kauffmann, Die Valenzlehre, pag. 232 (1911). — 245 — E, viceversa, la soluzione etilica del sale pure potassico ossietilico con acetato talloso separa, finamente cristallino, il sale talloso, e rimane in solu- zione l'acetato alcalino: K ° B(0C,Hs), + CH, . CO, . TI == TI . B(0C:H;), + CH, . CO, . K . Il calcio metallico si discioglie rapidamente nella soluzione metilalcoolica dell'etere B(OCH:)3 , per fornire il sale solubilissimo Ca[B(0CH;),]». Questi sali quindi potremo considerarli come derivati da acidi, certa- mente assai instabili, tetraossialchilborici : H'[B(OR),]. Essi si idrolizzano in acqua, generando alcool e metaborato alcalino: [B(OR)]X —> ([B(OH)]T —> BO; (1) Il qui descritto comportamento degli eteri borici si riconnette con quello, ben noto e ripetutamente studiato, dell'acido borico con alcune sostanze a funzione alcoolica. È noto che la mannite, la glicerina, addizionandosi in soluzione acquosa all’acido borico, possono ionizzare, almeno entro il limite di sensibilità di taluni indicatori, un atomo di idrogeno per ogni atomo di boro. Probabilmente questi acidi complessi hanno una costituzione analoga al tipo di cui mi occupo, cioè una struttura intesa, in linea generale, secondo 408): 4 la formola H| B& È \oR Ma il comportamento degli eteri borici ha un'importanza che va oltre la chimica del boro. Già Beilstein (*) prevedeva che gli alcoolati si sarebbero addizionati agli eteri degli acidi carbossilici. Geurther (*) ricercò questi com- posti, d'addizione ma non isolò alcun prodotto, probabilmente per la loro instabilità. Certo però tali composti, in soluzione per lo meno, debbono inter- venire in numerose reazioni degli eteri degli acidi carbossilici che si com- piono in presenza di alcoolati. Questa supposizione, generalmente ammessa, è avvalorata dal fatto che si conoscono derivati di questo tipo di alcuni eteri dell’acido benzoico. Claisen ha descritto il sale ottenuto anche dal metilato 27003Ha sodico e dall’etere benzilico, CoH;—0CH3 (‘), oppure dall’etere metilico e a NON dal benzilato sodico. (*) Richiamo gli idrati Na B0s.2H,0 e Na BOs.4H,0, a proposito della possibilità di un anione B(0H),. (3) Beilstein, Bull. Soc. Chim., pag. 14 (8 febbr.) 1859. (3) Geurther, Bull. Soc. Chim., XII, pag. 369 (1869). (4) Claisen, Berichte, 20 (1887), 646. — 246 — Citerò a tal proposito una reazione che trova un riscontro particolare negli eteri borici. Da molto tempo è noto che certe reazioni di doppio scambio fra alcoli ed eteri: Ac<0R | R, OHM — ic OR SR OH si compiono con singolare facilità in presenza di alcoolati. Si può presumere che intervengano composti del tipo succitato (*). Infatti, aggiungendo, ad una soluzione propilalcoolica di propilato sodico, borato trietilico, precipita immediatamente un sale, poco solubile, che è identico a quello ottenuto dal- l'etere borico propilico e dal propilato sodico : Na B(0C3H,),. Analoga reazione si compie fra etere borico etilico e metilato sodico in alcool metilico. Si hanno quindi, in questo caso, rapidissimi i fenomeni di doppio scambio su ricordati. Passando ad un altro gruppo di composti, ricorderò che molti nitroderi- vati si combinano con gli alcali o alcoolati per generare quei sali cui Angeli OK diede la costituzione R—N-0CH; (?). Questi composti vennero ravvicinati DO appunto a quelli forniti dagli eteri degli acidi carbossilici (8). In questi vari gruppi di composti noi troviamo una manifestazione gene- rale: essi si comportano, rispetto agli alcali o agli alcoolati, come ani- dridi (‘), che sì salifichino sommando intere molecole di alcali. Ciò corri- sponde al comportamento di quegli acidi che Werner ha chiamati anidro- acidi (°); ed anche nei casi qui discussi potremo ricondurre tale proprietà ad una attività dell'atomo centrale che tende a saturare le sue affinità residuali : RO\ Ill ,0R ui pol RO vol BO con metilorange; poi, dopo aggiunta di mannite, l'acido borico veniva dosato con Ba(OH): 1g e fenolftaleina. I gruppi ossietilici o ossimetilici presenti nei varî composti vennero determinati con il metodo Zeisel, usando un apparecchio simile a quello usato da Goldschmiedt (?) per la determinazione dell'alcool di cristalliz- zazione (*). Sali ossimetilici. Questi sali vennero preparati o dall’etere borico trimetilico e alcoolato metilico in alcool metilico anidro, o dall’etere trietilico e alcoolato metilico nello stesso solvente. I) Na.B(0CHy),. Dei sali che ho studiato, è quello che cristallizza più facilmente, in grandi prismi incolori che sfioriscono all'aria perdendo alcool e decomponen- dosi. Il sale nel vuoto, su acido solforico, perde tutto il solvente di cristal- lizzazione. (*) Frankland, Liebig’s Ann., /24, pag. 132. (?) Monatshefte, 19, pag. 325 (1898). (3) Nel tubo a U laterale veniva posto il sale con tanta acqua da decomporlo. — 248 — Riferisco i dati analitici seguenti: Calcolato per Trovato in 100 parti Na B(0CH,),,14++:CH,.0H I II Na Jilk,12 11,35 11,16 B 5,14 5,21 0,22 CH;.0H. 23,50 — 23,11 L’alcool metilico si intende determinato dalla perdita in peso su acido solforico nel vuoto. Il sale secco diede i risultati seguenti: Trovato in 100 parti Calcolato per Na B(OCH,;)x Na 14,53 14,59 B 6,89 6,95 OCH; 78,91 78,50 Le analisi I), come quelle del sale secco, si riferiscono al sale ottenuto dal borato etilico; le 1I) a quello preparato direttamente dal borato metilico. Il) Li.B(OCH;),. Questo sale venne ottenuto, come si disse, per doppio scambio dal sale potassico corrispondente: in soluzione metilalcoolica con cloruro di litio (secco e fuso). Cristallizza in lunghi prismi setacei. È molto più solubile del sale sodico su descritto. Le analisi diedero il risultato seguente : Calcolato per Trovato in 100 parti LiB(0CHs),,24 3 CH,.0H I I Li 3329 3,29 3,12 B _ 4,91 4,95 CH:3.0H 34,98 — 36,05 Il sale sfiorisce rapidamente in ambiente secco. Portato a peso costante nel vuoto, ha fornito i risultati analitici seguenti: Trovato in 100 parti Calcolato per Li B(OCH;), Li 4,92 4,88 B 7,74 7,74. Ill) K.B(0CHs),. Si ottenne, analogamente al sale sodico, dai due eteri metilico o etilico dalle soluzioni con metilato potassico. Cristallizza in grandi prismi che sfio- —_ 049 — riscono rapidamente in ambiente secco. Le analisi condussero alla formola seguente, analoga a quella del sale sodico: Calcolato per Trovato in 100 parti K.B(0CH,)x,1+4CH,. OH I II K 17,18 l/098 17,59 B 4,80 4,96 4,95 CH:.0H 21,85 —_ 21,80 Il sale portato a peso costante su acido solforico nel vuoto, ha dato i risultati seguenti: Trovato in 100 parti Calcolato per K.B(0CH,)s K 22,50 22,44 B 6,31 6,31 IV) Ca[B(OCH.).].. Questo sale è solubilissimo in alcool metilico; e non riuscì ad averlo cristallino. La soluzione metilalcoolica diviene, svaporandosi, densa e scirop- posa: il residuo, portato a peso costante nel vuoto, aveva la composizione voluta; era incoloro. Con l’acqua, fornisce borato di calcio. Venne preparato disciogliendo il calcio metallico in limatura nella soluzione in alcool metilico dell'etere etilico o metilico. Del prodotto riferisco l’analisi seguente: Trovato in 100 parti Calcolato per Ca B[OCH)s] Ca 12,69 12,92 B 6,82 7,09 Sali osstetilici. A questi appartiene, unico derivato finora noto, il sale di Copeaux. Vennero preparati dagli alcoolati e dall’etere trietilborico. Il sale talloso si ottenne per doppio scambio dal sale di potassio e acetato talloso. V) Na.B(0C,H.),. È molto meno solubile in alcool etilico del corrispondente derivato me- tilico in alcool metilico. Dalle soluzioni diluite si separa in piccoli prismi incolori rombici, lucenti, che sfioriscono rapidamente, anche in ambiente secco, perdendo l'alcool di cristallizzazione. La perdita in peso, del sale cristalliz- zato, nel vuoto su acido solforico, condurrebbe ad ammettere una molecola di alcool di cristallizzazione. Perdita Calcolata per in peso su 100 parti Na B(0C;Hsy), CsH,.0H C.H;0H 12,90 14,05 — 250 — Il sale, portato a peso costante, aveva la composizione seguente: Trovato in 100 parti Calcolato per Na B(O0CsHs) I Na 10,96 10,75 B 5,24 5,14 VI) K.B(0C-Hg).. Il sale di potassio è molto più solubile di quello sodico su descritto. Cristallizza per svaporamento, in ambiente secco, dalle soluzioni, in grandi prismi appiattiti: che come quelli del sale precedente perdono con grande facilità il solvente di cristallizzazione. La determinazione della perdita di peso nel vuoto su acido solforico condurrebbe ad ammettere come più pro- babile 14-4 molecole di alcool di cristallizzazione. La media di due deter- minazioni ha dato il risultato seguente : Perdita Calcolata per in peso su 100 parti K.B(0CsHs)x,14+ 3 C,H;. OH C.H;0H 21,05 23,94 Il sale, privo di solvente di cristallizzazione, ha dato i seguenti risultati analitici: Trovato in 100 parti Calcolato per K.B(0CsHs). K 17,15 16,98 B 4,84 4,77 VII) T1.B(0C;H;),. Questo sale si separa, privo di solvente di cristallizzazione, in minuti cristalli aghiformi aggiungendo ad una soluzione alcoolica assoluta del sale precedente una soluzione, pure in alcool assoluto, di acetato talloso. L'ace- tato talloso è ricristallizzato dall'alcool assoluto. Le determinazioni analitiche diedero i risultati seguenti: Trovato in 100 parti Calcolato per TI. B(OCsHs) I II i TI 51,91 51,68 61,62 B 2,90 2,78 La determinazione I venne eseguita col metodo volumetrico anzidetto impiegando HNO: ; 37 la II dosando il tallio come TII. — 251 — Sale ossipropilico. VIII) Na.B(0C3H),. L'etere borico dell'alcool propilico normale si somma anch'esso con grande avidità all’alcoolato sodico corrispondente; dalla soluzione propilalcoolica di propilato sodico, per aggiunta dell'etere borico tripropilico, si precipita il sale in minute scagliette cristalline madreperlacee. Eguale prodotto sì ottiene aggiungendo l'etere borico trietilico alla stessa soluzione. Le determinazioni analitiche hanno condotto ai risultati seguenti : Trovato in 100 parti Calcolato per Na B(0C,Ha)x , CH, . OH I II Na . 7,24 TAA 1e29 B 5,47 3,46 3,49 C:H,.0H — 18,84 19,06 Il sale, portato a peso costante nel vuoto, aveva la composizione seguente: Trovato in 100 parti Calcolato per Na B(0C,Hx)a I II Na 8,95 9,06 9,05 B 4,30 4,24 4,33 Le analisi I si riferiscono, anche in questo caso, al sale prodotto dal- l’etere propilico; quelle II si riferiscono al sale stesso, ottenuto invece dal- l'etere etilico. Riassumendo i caratteri generali di questi composti, osserverò in primo luogo che essi si separano facilmente con solvente di cristallizzazione, come del resto fanno anche gli alcoolati alcalini cristallizzando dalle loro soluzioni alcooliche. Nel maggior numero dei casì, le determinazioni hanno condotto ad ammettere un numero non intero di molecole di alcooli di cristallizza- zione per una molecola di sale. Per quanto questi sali perdano l'alcool di cristallizzazione rapidamente, pure tale ammissione è avvalorata dai numerosi casi che ho verificati. D'altra parte non sono infrequenti altri casi consimili. (1) La stabilità, e il carattere di veri sali, che posseggono i prodotti su descritti, è dimostrata anche dal fatto che essi non manifestano quei carat- teri di ossidabilità con l'ossigeno atmosferico, che invece si riscontrano in molti degli alcoolati corrispondenti. (*) Ricordo che A. Attenberg ha descritto il metaborato KB0Os 4 1!/aHs0 (Zeit anorg. Chemie 48 (1906) pag. 368) e M. Dukelski ha descritto il metaborato K,0 . Ba0, + 2*/ Hz30 (Zeit. anorg. Chemie 50 (1906), pag. 41). RenDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 34 — 252 — Infine, per quanto riguarda la solubilità, osserverò che essa aumenta nella serie Na, K, Li, Ca: il sale di tallio è il meno solubile e si separa privo di solvente di cristallizzazione. Ciò è pure conforme al comportamento di altri | sali di quei metalli ad anione monovalente. Il comportamento dell’ acido borico con gli alcoolati, lo stato in cui si trovano questi interessanti composti qui descritti in soluzione, ed i feno- meni che accompagnano la loro formazione, saranno oggetto di ricerche ul- teriori. Fisica. — Osservazione diretta della scomposizione delle righe spettrali davanti al catodo in un tubo molto sottile. Nota del dott. AnTtonINo Lo Surbo, presentata dal Corrisp. A. GAR- BASSO ("). Nelle prime esperienze (*?) avevo sempre adoperato tubi del diametro in- terno di circa 4 mm.: con essi è possibile di ottenere campi sufficiente- mente intensi per una netta separazione dei varî elementi nei quali vengono decomposte davanti al catodo le righe spettrali dell'idrogeno Hg e H,. Con tubi così grossi, e adoperando la dispersione adatta per risolvere i varî elementi, non è possibile l'osservazione diretta del fenomeno, poichè l'occhio non possiede la sensibilità sufficiente. Ho provato quindi ad aumen- tare lo scarto fra le componenti mediante campi elettrici più intensi, quali si ottengono nei tubi ancora più sottili (per es., con quelli aventi il diametro di mm. 1,5, a parità di potenziale, il vantaggio è notevole); ed ho ricono- sciuto che è possibile di spingere l’ intensità della corrente ad un valore rela- tivamente alto, a condizione che la parete del tubo sia molto spessa. Occorre ancora avere l'accortezza di interrompere la corrente prima che l'eccessivo riscaldamento danneggi il vetro o produca la sublimazione dell'alluminio al catodo; ma si può comodamente far funzionare il tubo per parecchi minuti ogni volta. Il risultato al quale sono giunto è questo: Per la grande variazione di frequenza, il fenomeno si rivela anche con strumenti di piccolo potere riso- lutivo: per es., con un ordinario spettroscopio ad un sol prisma; e la lumi- nosità è sufficiente perchè si possa osservare direttamente, specie sulla Hg. Tra gli elettrodi di detti tubi veniva stabilita una differenza di potenziale (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di Fisica del R. Istituto di Studi superiori in Firenze. (2) In questi Rendiconti: Seduta del 21 dic. 1913, Per l’effetto trasversale; seduta del 4 genn. 1914, Per l’effetto longitudinale; seduta del 18 genn. 1914, Per le diverse forme di scomposizione presentate dalle varie righe della serie di Balmer. — 253 — complessiva di circa 7000 volt, l'intensità della corrente era di circa 1,5 milliampère, e la lunghezza dello spazio oscuro davanti al catodo risul- tava di mm. 2. In tali condizioni è più vantaggioso disporre il tubo perpendicolare alla fenditura, per modo che la immagine del fascio catodico si incroci con essa e quindi nel collimatore penetri luce proveniente da una sola sezione nor- male; sì utilizza lo strato immediatamente vicino al catodo, poichè ivi si ha il massimo effetto, come venne riconosciuto colla prima disposizione. Allora la decomposizione non conferisce agli elementi la configurazione ad Y, ma si osservano righe multiple parallele alla fenditura come quelle non de- composte. Io ho adoperato dapprima la solita batteria di 5000 piccoli accumu- latori, che mi aveva servito per tutte le esperienze: il fenomeno si può però osservare eccitando il tubo con un rocchetto di induzione o con una mac- china elettrica capace di fornire una intensità sufficiente per illuminare il tubo, cioè circa di un milliampère: le macchine multiple ad induzione sono generalmente adatte. Queste ultime notizie possono essere utili a rendere possibile lo studio del fenomeno anche a chi disponga soltanto degli ordinari mezzi di un mo- desto laboratorio di fisica. Chimica. — Sui polimeri dell’ isosafrolo. Nota di MaRIO MAYER, presentata dal Socio E. PATERNO. Chimica. — Sul eloral-B-aminoazobenzene. Nota di MARIO MAYER, presentata dal Socio E. PATERNO. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI AmapoRrI e ViTERBI. Su/la composizione della piromorfite. Pres. dal Socio G. CIAMICIAN. E. M. uon4 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 4 febbraio 1914. Annali della Stazione sperimentale per le malattie infettive del bestiame. I vo- lume, 1911-1912-1913. (R. Istit. d’in- coraggiamento di Napoli). Napoli, 1913. 8°. AcaMmENNONE G. — Il recente terremoto nel Molise. (Estr. dalla « Riv.di astro- nomia e scienze affini », 1913). Torino, 1913. 8°. Cavasino A. — Sui cosiddetti strumenti aperiodici. (Estr. dal Boll. della « Soc. Sismol. Ital. », ‘vol. XVII). Modena, 1913. 8°. Congrès International (1.1) de pathologie comparée à la Faculté de médecine de Paris, du 17 au 23 octobre 1912. Pro- gramme. Paris, 1913. 8°. Cremona L. — Opere matematiche, pub- blicate sotto gli auspicî della R. Acc. dei Lincei. Tomo I. Milano, 1914. 8°. Expedition (National antartic) 1901-1904. Meteorology. Parte II. Comprising Daily synchronous charts ist october 1901, to 381 st March 1904. London, 1913. 40. HueBnER E. —- Beitrag zur Theorie der isostatischen Reduktion der Schwere- beschleunigung. Leipzig, 1913. 8°. IsseL À. — Naturalisti e viaggiatori liguri nel secolo XIX. (Estr. dagli « Atti della Soc. ital. per il progresso delle scienze », 1912). Roma, 1913. 8° IsrrATI C. I. — Studiu relativi la o no- menclaturà generalà îm chimia orga- nica bazat si pe o clasificare rationalà a acestei parti din Chimie. Bucuresti, In 8% LeBon E. — Albin Haller; biographie, bi- bliographie analytique des écrits. (« Sa- vants du Jour »). Paris, 1913 8°. Longo B. — Esiste l’Melleborus niger L. nel Senese? (Estr. dal « Bull. della Soc. hot. ital., 1913). Firenze, 1913, 6 6 Longo B. — Ricerche sopra una varietà di Grataegus Azarolus L. ad ovuli in gran parte sterili. (Estr. dal « Nuovo Giornale bot. ital. », volume XXI). Firenze, 1913. 89. Longo B. — Ricerche su la Coriavia myr- tifolia L. (Estr. dal « Bull. della Soc. bot. ital. », 1913). Firenze, 1913. 8°. Longo B. — Su la supposta esistenza, in Toscana, del Peganum Harmala L. Firenze, s. d. 8°, Lonco B.— Sule Chimere vegetali. (Estr. dal « Boll. della Soc. bot. ital. », 1913). Firenze, 1913, f. v. Pubblicazioni dell’Istituto di chimica ge- nerale della R. Università di Pisa; anni 1910-1913. Roma, 1911. 89. Servizi sanitari (I) e la chirurgia di guerra durante la campagna di Libia e d’E- geo sulle navi-ospedale e negli ospe- dali dipartimentali. (Ministero della Marina). Roma, 1913. 8°. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. “Serie 18 — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. ‘Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 1° TRANSUNTI. 22 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3a MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. agg Vol. IV. V. VI. VII. VII. È liqerie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). i . Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VORREI) 0), — MDINE MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. % Vol. I-XIII. I, ‘Serie 4* — RenpIcONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze ASEoRo matematiche e naturali, Vol. I-VII. er ; MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. i Vol. I-X. I Serie 5a — RENDICONTI della Classe di scienze fue matematiche e naturali. Vol. I-XXIII. (1892-1914). Fase. 4°. i RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXI. (1892-1913). Fasc. 7°-8°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. A «+ CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE SAT RENDICONTT DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI i DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche ‘e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due si volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- «denti ognuno ad un semestre. I prezzo di associazione per ogni volume e per tutta di ii H Italia è edi L. £9; per gli altri paesi le spese di posta in più. G Le associazioni si ricevono S&sclusivamente dai seguenti editori. librai: Ermanno LoescHeR & C.° — - Roma, Torino e Firenze. A HorpLi. — Milano, SPE 0. RENDICONTI + Febbraio 1914. NU IA INDICE x Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ì Seduta del 15 febbraio 1914: | MEMORIE. E NOTE DI SOUI 0 PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sul ‘rotolamento di superficie applicabili in geometria ellittica ed iperbolica. Pag. 195- Enrigues, Sulla classificazione delle superficie algebriche e particolarmente sulle superficie di genere lineare pO=1 o o ZO Soiolette, Sulle condizioni che defini.gino sdciniiamicato Î'iotsgale 6 dal di. Vol- CETMONSS SO AE RT el OC puo NEI Severini. Sulle equazioni infaali di prima specie dell tipa Hi. ipoln ec Di Socio Poche) sto a RSTTENZIC) Colonnetti. Esperienze sulla eri a ir del rame “Gr dal iBoeio, VWula). SEA) Amoroso. Sopra un sistema di equazioni alle derivate parziali che ammettono un teorema nella media (pres. dal Corrisp. Almansi) (8)... . . Aim 092 Guglielmo. Sull'uso dei reticoli concavi di diffrazione con lo ini (ion: du Socio Blaserna): So VR na Betti e Poccianti. Sulle ossime dell'anaftil fenil- Aletone no dal Cona legs) (237 Corbino. Se ha luogo una birifrangenza anorinale nelle prossimità di una riga spettrale di un vapore metallico in un campo elettrico (pres. dal Socio Blaserna). . .. +. » 288 Puccianti. Sull'interferografo girante del sig. Sagnac (pres. dal Socio Aoîti). . . . » 240 Id. La decomposizione della riga rossa dell’idrogeno nel primo strato catodico (pres. Id) 0) » 243- Barbieri. Ricerche di chimica sistematica. Rutenio, rodio, palladio (pres. dal Socio Cia- mician) (*). . nni Go 25 SA do AES] Cambi. Sul eompalianizaio degli ssi ‘bolici con gli i i Da Saafo Nasinî) «n 244 Lo Surdo. Osservazione diretta della scomposizione delle righe spettrali davanti al catodo - in un tubo molto! sottile (pres. dall CorrigpG210459) 92 Mayer. Sui polimeri dell’isosafrolo pres. dal Socio Paternò) (@). . . ...... +.» 258 Td, Sul -cloral-A-aminoazobenzene: (pres...) Men MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Amadori e Viterbi. Sulla composizione della piramorfite. Pres. dal Socio Ciamician. . » » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO =. e - SES RE I O LI (*) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. - E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. LL } An b Pubblicazione bimensile. Roma 1° marzo 1914. N. 5. NITTER REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXI. 1914 SHERIH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° Mirzo 1944. Volume XXIII. — Fascicolo 5° 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI ROMA 1914 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE || | Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle - pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle duo Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono, le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- E denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, ché ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 8: \ 8. L'Accademia GP per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa l) posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi | sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta | stante, una Nota per iscritto. II. I, Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- Volumi accademici se provengono da Soci () priamente dette, sono senz'altro inserite nei o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate 6 da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe, | 2. La relazione conclude con una delle se guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- | mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio | dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio — di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- | ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- "cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50.se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degl autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NRE" aa x Seduta del 1° marzo 1914. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Nuovi metodi per la produzione delle oscillazioni elettriche continue e per la loro utilizzazione nella radiotelegrafia.* Nota del Socio GueLieLMo MARCONI. Può affermarsi che, dal suo inizio sino ad oggi, la radiotelegrafia è stata praticamente realizzata mediante l'utilizzazione di oscillazioni elettriche discontinue, cioè di gruppi successivi di oscillazioni di amplitudine ineguale, prodotte dalla scarica di un condensatore o bottiglia di Leyda. Le oscillazioni elettriche prodotte dalla scarica di un condensatore fu- rono intravvedute da Henry e da Lord Kelvin, poi studiate matematicamente da Clerk Maxwell e finalmente rilevate sperimentalmente da Hertz. È ora ben noto che, allorchè due conduttori a differente potenziale ven- gono messi elettricamente in contatto l’uno con l'altro, per esempio mediante una scintilla, dato che la resistenza del circuito non sia troppo elevata, i conduttori raggiungono il medesimo potenziale solo dopo un numero più o meno grande di oscillazioni elettriche e per conseguenza i conduttori diven- gono per breve tempo sede di una corrente alternata che può essere di altissima frequenza. Se uno dei conduttori è la terra e l’altro un filo verticale, si ha la parte essenziale del sistema col quale iniziai nel 1895 le mie prime espe- rienze sulla radiotelegrafia. Perfezionamenti successivi hanno aumentato la sicurezza e la portata di trasmissione degli apparecchi. A tale riguardo è assai notevole il progresso assicurato alla radiotelegrafia dall’accoppiamento RenpIcoNTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 35 2 JD e les IV] = = n T_MNMA —_ TMT UA = = = = TG Reis == (GE G G Ci 5P Fic. 4. Per assicurare che il principio di ciascuna scarica avvenga esattamente al tempo prestabilito, viene fatto uso, nel circuito di scarica, di una scintilla ausiliaria fatta scattare mediante un altro disco, che per semplicità è omesso nella figura: questa scintilla avviene ad un potenziale maggiore di quello della scarica principale ed è ottenuta mediante piccoli condensatori ausiliarî. L'effetto finale di questo sistema è indicato nella fig. 5, ove sono in- dicate le oscillazioni prodotte in ordine di rotazione dai quattro circuiti e la oscillazione continua risultante, indotta nell'aereo. Riguardo a tale sistema di produzione di onde continue, la Com- missione tecnica nominata dal Governo Inglese per riferire sui meriti dei sistemi esistenti di radiotelegrafia a lunga distanza, ed in particolare sulla loro capacità per continue comunicazioni attraverso distanze di 2000 miglia, dichiarò nella Relazione Ufficiale del 30 aprile 1913, che il sistema sopra descritto è il solo che sia stato visto dalla detta Commissione applicato con successo per lunghe distanze. — 261 — Potrebbe sembrare che con dischi giranti alle più grandi velocità pra- ticamente realizzabili dovesse essere impossibile ottenere una frequenza ab- bastanza alta per scopi radiotelegrafici; ma questa difficoltà più non si pre- senta in riguardo alle stazioni funzionanti a distanza di 4000 o più chilometri, nelle quali oscillazioni di frequenza superiore ai 50000 periodi non trovano utile impiego. Sino a quando si credette necessario di dover adoperare onde di cen- tinaia di migliaia di periodi, come quelle prodotte dalle scariche dei conden- satori ordinarî, vi fu pochissima speranza di poter costruire alternatori o altri macchinarii capaci di produrre oscillazioni di sì alta frequenza. IBMGENOS Dieci anni or sono, si credeva generalmente che per la radiotelegrafia fossero necessarie frequenze elevate, di almeno 100000 periodi al secondo. L'esperienza da me acquistata nelle trasmissioni attraverso le grandi distanze mì ha dimostrato che frequenze superiori a quella di 40000 periodi offrono un rendimeuto assai minore di quello assicurato dalle frequenze più basse; io ho potuto in pari tempo scoprire che onde lunghe dieci o più chilometri sì propagano a distanza assai maggiore, a parità di energia, di quella rag- giunta con onde di un chilometro o meno. Questa scoperta ha grandemente facilitato e incoraggiato lo studio e la costruzione di alternatori ad alta frequenza ed anche quello degli altri sistemi che ho più sopra descritto. Per meglio illustrare il principio mediante il quale ho trovato possibile di riunire consecutivamente in fase una serie di gruppi di oscillazioni in modo da produrre oscillazioni continue, eseguirò un pratico esperimento che spiegherò con l’aiuto della fig. 6. Mi è però impossibile il dimostrare qui in funzionamento un dispo- sitivo identico a quello che ho già descritto, mancando la corrente continua ad alto potenziale. i In luogo dei condensatori caricati ad alto potenziale, faccio qui uso di una induttanza L, caricata, mi si permetta l’espressione, con una corrente fornita da una batteria B. Quando la spazzola K è in contatto con un dente del disco D, una corrente passa attraverso a L, e quando, in conseguenza del movimento ro- tativo del disco, il contatto è rotto, l'energia del campo magnetico L, è trasferita induttivamente al circuito Ls C, e per conseguenza il circuito LC comincia ad oscillare con la frequenza del suo proprio periodo elettrico. Se Fic. 6. viene disposto che la velocità del disco dentato D sia tale che i denti suc- cessivi facciano e rompano contatto con la spazzola K in modo tale che le oscillazioni susseguenti siano tutte in fase con le oscillazioni precedenti, allora tutti questi gruppi di oscillazioni, se sufficientemente vicini, agiranno in modo da sommare i loro effetti producendo oscillazioni continue sul cir- cuito L,C. Appare evidente che la produzione delle oscillazioni continue può solo avvenire quando la velocità del disco è tale che le oscillazioni prodotte nel circuito L, C siano in fase fra di loro, altrimenti i diversi gruppi di oscilla- zioni tenderebbero a neutralizzarsi ed interferire a vicenda. Ora vedremo come una lampada si acceuda in virtù delle oscillazioni indotte nel circuito L, C quando tali oscillazioni siano in fase fra di loro. Da tale esperimento si rileva altresì: 1°) che il massimo e il minimo valore di corrente sì ottiene variando la capacità del condensatore C sino a dati valori, cioè variando opportuna- mente il periodo elettrico del circuito mentre la velocità del disco è man- tenuta costante; — 263 — 2°) che inoltre il massimo e il minimo valore di corrente sono ottenuti quando il periodo del circuito è mantenuto fisso, mentre la velocità del disco è variata sino a dati valori. 0 L'uso che ora sì comincia a fare delle onde persistenti non è affatto dovuto, come qualcuno crede, a proprietà speciali possedute da queste onde, in virtù delle quali tali onde otterrebbero di superare grandi distanze con minor spesa di energia di quella richiesta dalle onde discontinue, ma è piut- tosto dovuto al desiderio di ottenere, nei ricevitori, migliori effetti sintonici, atti a permettere: 1°) di rendere minimi i disturbi causati da elettricità atmosferica; 2°) di rendere possibile il funzionamento di un numero maggiore di stazioni vicine, senza disturbo reciproco. In riguardo alla eliminazione dei disturbi atmosferici, ho trovato che, in pratica, una accurata sintonia e un accoppiamento lasco fra i circuiti del rice- Vitore giovano pochissimo per diminuire l’influenza dannosa di questi disturbi. Le onde elettriche prodotte dalla natura — delle quali sappiamo invero, al giorno d'oggi, pochissimo — hanno la proprietà di dare impulsi elettrici ai sistemi aerei dei ricevitori facendoli vibrare elettricamente col periodo proprio degli aerei stessi che è di necessità quello dell'onda che sì desidera ricevere. L'efletto perturbatore di queste onde naturali, chiamate spesso « intrusi » dai radiotelegrafisti, diviene rapidamente più intenso coll'aumentare della lunghezza d'onda per la quale il ricevitore è accordato. Di ciò si trova pro- babilmente la spiegazione nello stesso fatto che le onde lunghe attraversano grandi distanze con minori perdite che non le corte. L'effetto ottenuto indebolendo l'accoppiamento dei ricevitori sì risolve, in pratica, in una riduzione presso a poco in eguale proporzione tanto dei segnali quanto degli intrusi; e per conseguenza con tale precedimento si ot- tiene ben poco vantaggio. Tuttavia esistono alcune differenze fra le onde prodotte dalle scariche atmosferiche e quelle utilizzate per la trasmissione dei segnali radiotelegrafici; tali differenze ci permettono di eliminare almeno una buona parte della influenza dannosa delle onde perturbatrici. Colle onde discontinue, quando si fa uso di un sistema a disco come quello indicato nella fig. 3, la successione dei gruppi di onde produce nel telefono ricevitore una nota musicale caratteristica, facilmente distinguibile dai suoni prodotti dai disturbi atmosferici. Il poter far produrre un suono chiaro e caratteristico, è importantissimo; e sinora io non ho trovato alcun si- stema che dia risultati tante sicuri quanto quelli nei quali si fa uso della nota musicale. Il cosiddetto «intruso » in generale consiste di un impulso elettrico o di una piccola successione di impulsi irregolari producenti un effetto in- duttivo istantaneo assai rilevante. RenpIcONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 36 — 264 — I suoni prodotti nel telefono dell’apparecchio ricevitore dalle scintille elettriche cosiddette musicali, sono causati da un numero rilevantissimo di piccoli impulsi succedentisi a brevi e regolari intervalli. l ricevitori moderni sono costruiti in modo da usufruire della differenza esistente fra gli intrusi e i segnali; così l'effetto dannoso dei disturbi atmo- sferici viene in gran parte eliminato. Il ricevitore del quale è stato fatto uso per oltre due anni nelle sta- zioni adibite alle comunicazioni transatlantiche, è dimostrato nella fig. 7. In questa figura, P è il primario di un trasformatore di oscillazioni colle- gato all’aereo ricevente; S è il secondario. CRISTALLO 2 CRISTALLO TELEFONO BIGART __l e 2 sono due cristalli sensibili o valvole di Fleming disposti in modo, con i relativi potenziometri, che, quando uno di essi è regolato per la mas- sima sensibilità mentre l’altro è distaccato dal circuito, entrambi collegati insieme producono effetti opposti in maniera tale da non rilevare nè segnali nè intrusi. Si trova allora che se la regolazione del potenziometro P, è va- riata in modo tale che la forza elettromotrice in senso opposto prodotta da P, sia appena sufficiente da lasciare il cristallo 2 in istato non condut- tivo per i segnali che si stanno ricevendo, le oscillazioni ricevute verranno efficientemente raddrizzate da 1, mentre i disturbi o i segnali di intensità maggiore faranno sì che impulsi di corrente del cristallo 2 si oppongano a quelli del cristallo 1. Rendendo la resistenza di 2 un po' minore di quella di 1 si possono anche migliorare i risultati. L'esperienza acquistata nell'uso delle onde continue specialmente mediante l'impiego delle scintille ausiliarie, ha suggerito un nuovo metodo di ricezione per tali onde continue, studiato da Mr. H. J. Round. Questo metodo è stato adottato con successo nelle trasmissioni a lunghissima distanza; esso offre ZI il vantaggio di usufruire dei principî utilizzati per la recezione delle onde discontinue e di produrre nei ricevitori una nota caratteristica, dipendente dal periodo di oscillazione delle onde trasmesse. Il dispositivo impiegato è semplicemente una modificazione del mio ricevitore che ho già sopra de- scritto; con tale dispositivo viene utilizzato il sistema, da me ideato, dei due rivelatori in opposizione (fig. 7). Questi rivelatori sono disposti in modo che i loro effetti vengono a con- trastarsi, ma in maniera che ognuno di tali rivelatori può solo ricevere i segnali se questi sono assai forti. I cristalli o rivelatori sono allora sotto- posti all’azione di un vibratore in un circuito B che emette un'onda assai corta, di modo che, per brevissimi intervalli di tempo, i cristalli sono resi conduttori. In tal modo si ottiene l’effetto di liberare l'energia immagazzinata nel circuito SK per brevissimi intervalli. Si rileva allora che se i gruppi di onde prodotte dal vibratore hanno un periodo di poco differente da un sotto- multiplo del periodo dell'onda da riceversi, allora i segnali sono ricevuti con una chiara nota musicale. Cosicchè, se la frequenza dell'onda da riceversi è di 50000 periodi ed il vibratore produce 4900 gruppi per secondo, una scarica avviene attra- verso il telefono ogni dieci oscillazioni, col risultato che la nota ricevuta avrà un periodo di 1000 al secondo. Questo metodo di recezione ha qualche analogia col mio sistema già descritto per la produzione dello onde continue. A mio parere, i metodi di ricezione delle onde continue, che sono al- l’inizio del loro sviluppo, aprono un nuovo e grande campo sperimentale, promettente un importante passo nel progresso della radiotelegrafia e della radiotelefonia. — 266 — Matematica. — Osservazioni sui nuclei delle equazioni in- tegrali. Nota del Socio Vito VOLTERRA. 1. Sia y(m)= 9) + [ AANE l'equazione risolvente dell’equazione integrale dA [LOI Fra il nucleo dell'equazione primitiva e quello della risolvente passano le relazioni (!) y Yy fe )+i,)=- fe ApEnde=- (' fe, Eee. Se il nucleo dell'equazione primitiva è della forma /(x — È), ossia ap- partiene al gruppo del ciclo chiuso vi apparterrà anche il nucleo risolvente che avrà quindi la forma /i(x —È); e l'equazione precedente si scriverà : M += - (Mea [frese Il prof. Tedone, in una recente Nota (*), si domanda quando il nucleo risolvente possa ottenersi dal primitivo mediante un numero finito di opera- zioni di derivazione e d'integrazione. Risolviamo il problema nel caso in cui il nucleo risolvente si voglia che resulti dato da una espressione lineare a coefficienti costanti delle de- rivate e di integrali del nucleo primitivo; cioè: (1) /(2)= wf(@) + @f'(@) 4 4Panf® (@)+b+% MISTE sa TI GE Lala 0 CA) 2. Facendo uso delle notazioni impiegate per la composizione (*), la (1) sì scriverà: (2) fap = (06 (1) Volterra, Zegons sur les fonctions de lignes. Paris, Gauthier-Villars 1913, pag. 67, form. (E) e (E°). (2) Rend. Acc. dei Lincei, seduta 1° febbraio 1914. (8) Vedi le lezioni precedentemente citate, cap. IX. ossia x D'altra parte, ae ( (man= {1 Sia f)=%@ {Osa > 0925: PA0)5 des sarà x x x x x x f—co=f'V1,f—-c,—ea= "1% fe, — nat = fe 1 e, facendo uso del simbolo di divisione (1), BESATE MR = x x (f — co) r=/' ’ (fora @ =) ero. fat — LT — Omo Pm = PD ; Avremo dunque (°) dof + @(f— c0) 1 + aelfo 007 HE PAPA o pa } If Le operazioni simboliche di divisione e di moltiplicazione possono trat- tarsi come operazioni algebriche; quindi, riducendo a forma intera, avremo: (3) [an fl" + ai(7_ 60) ea, CF e 000 Bo) + po Tr + 0 fIM 4 bf +... (1A) Questa è una equazione integrale di secondo grado della cuì soluzione mi sono occupato nelle mie lezioni sulle funzioni di linee (5). (*) Vedi lezioni precedentemente citate, cap. IX, $ 16. (*) L'uso di questo simbolo è qui intuitivo. L'ho già impiegato più in genrale nelle mie lezioni del 1912 alla Università di Princeton, che vedranno presto la luce. (*) Per trasformare la equazione (2) nella (3) sarebbe bastato applicare m volte la integrazione alla equazione (2). — 268 — 3. Come esempio, risolviamo il problema di trovare un nucleo tale che il nucleo risolvente sta la derivata del primitivo, cioè si abbia | fi AE: ossia PE / 25 lio Ma = quindi a TA) 1+/ e, riducendo a forma intera, (fr 0) CE Questa equazione integrale sì scrive, supponendo co=" 1 per trattare il caso più semplice, f+f—1=0. Per risolverla, basta considerare l'equazione algebrica (*) Pao ED, da cui segue Prendiamo la radice che si annulla per #= 0 e sviluppiamola in serie di potenze di 2. Si otterrà ca loi y= \ (= 1)£ 1gn=l 3 d n VA sta n. x Sostituiamo, al posto di 2, 1 e consideriamone le potenze simboliche come composizioni, cioè (1) Vedi lezioni precedentemente citate, cap. IX, $ 13. — 269 — Avremo il nucleo. richiesto TIM e) A n-l (rar Questa funzione resulta intera, ma anche 4 priori avremmo potuto dire, per le proprietà della composizione, che la funzione / doveva essere intera. 4. Si può anche trattare facilmente il caso in cui i coefficienti della (1) non siano costanti, ed altri casi pure che semplicemente possono dedursi dalla trattazione precedente. Matematica. — Sulle equazioni alle derivate funzionali. Nota del Socio Vito VOLTERRA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Sopra alcune classi di superficie applicabili e di sistemi tripli ortogonali. Nota del Socio Lurcr BIANCHI. 1. Colle questioni che concernono il rotolamento di una superficie sopra un’altra applicabile, si collegano varie specie di problemi, ove ogni volta si tratta di determinare tutte le coppie di superficie applicabili che soddisfano a certe condizioni geometriche. In due Note, recentemente inserite in questi Rendiconti ('), mi sono occupato dei problemi più direttamente attinenti alla teoria del rotolamento; nella presente mi propongo di risolvere un problema affine, che conduce ad una classe di superficie strettamente connesse colle deformate delle quadriche di rotazione e coi teoremi di Guichard. A) Trovare tutte le coppie di superficie applicabili X, X, per le quali le distanze di un punto fisso O dello spazio da ogni coppia (P, P) di punti corrispondenti nell’ applicabilità hanno un rapporto costante n. Formeremo subito un'equazione alle derivate parziali del secondo ordine, della quale sono integrali le superficie cercate, procedendo nel modo seguente. Indichiamo con (1) ds = Edu? + 2F du dv + G dv? la prima forma fondamentale comune a X, X, e con 20, 20 rispettivamente i quadrati delle distanze dell'origine O da due punti corrispondenti P= (4, v), P=(4,v); avremo, per ipotesi, (2) Q i n°o, (1) Vedi i fascicoli del 4 gennaio e del 1° febbraio 1914. — 210 — con 2 costante, intendendo per altro escluso il caso 2° = 1, ove, come è ben noto, le due superficie X, X sarebbero congruenti. Ora sappiamo che @ soddisfa all’equazione dell’applicabilità (): (3) 4,0 — dg =14+ K(40 — 20), dove i parametri differenziali e la curvatura K si riferiscono alla forma dif- ferenziale (1). Scrivendo che @ soddisfa, alla sua volta, alla medesima (8), abbiamo n°d,0 — n'4,,0=1 + K(n44,0 — 2n°0), ed eliminando, colla (3), il 4,0, col sopprimere il fattore non nullo 1 — 23, resta l'equazione equivalente (3*) nAo=1+4+ n° — 20 n° K. Questa esprime la condizione necessaria e sufficiente cui deve soddisfare la superficie X, perchè esista una sua deformata X nelle condizioni del problema. Ora se, adottando le notazioni usate da Weingarten nelle sue ultime ricerche sulla teoria dell’applicabilità, poniamo 20= 24, e indichiamo con p la distanza algebrica dell'origine O dal piano tangente a X nel punto («, v), con 7,,7, i raggi principali di curvatura di 2, abbiamo (Lezzone, loc. cit.) () de 2-p(+7) E Pa onde la (3*) si traduce nell’equazione finale = È 3 (I) raro + p(rn dre) — 24=0. Dunque: Ze superficie ® domandate sono tutte e sole le superficie integrali della equazione del secondo ordine (1). Questa ha precisamente la forma d'Ampère, considerata nelle citate ricerche di Weingarten, e corrisponde a porre g=qlr+ la classe di superficie applicabili che ne deriva col metodo di Weingarten è quella delle deformate delle quadriche di rotazione (a centro). -29 ; (*) Vedi le mie Lezioni, vol. I, $ 69. — 271 — Non lascieremo di osservare che le superficie X così caratterizzate cor- rispondono anche, secondo il teorema di Malus, ad un problema di ottica. Supponiamo che i raggi emananti dal punto O si rifrangano attraversando 2, secondo l’indice 2 di rifrazione; e si immaginino i raggi rifratti invariabil- mente legati alla X nelle sue deformazioni. Quando X sî applica sulla 3, î raggi rifratti si concentrano nuovamente in un punto O', ed è co- ,r 2 (007 5 stante= n il rapporto dei segmenti OP° al variare di P. 2. Abbiasi una superficie 2 integrale della (I), e quindi una sua defor- mata Y: e siano Ddu? + 2D'du dv + D' dv? ‘Dda* + 2D' du dv + D" dv? le due rispettive loro seconde forme fondamentali. Dalle formole delle Ze- zioni (S 69), indicando con 011,012, 02» le derivate seconde covarianti di g, abbiamo ou — È I QI D' go — G 5 oe === —irne===== 4 — --===== a‘ È V20— 4,0 V20 — 40 V20— A 0 e le analoghe per X non E D' n°000 — F in A nV20 — n°410 n2e—>n°40 — ny2o— nd 0° (5*) D= In riguardo per altro alla realità di questa deformata x, è da osser- varsi che deve risultare positiva la quantità sotto il segno radicale nelle (5*), cioè n° p°+ (1 n°) 2g. Questo ha sempre luogo per 2° < 1, mentre per 2° > 1 una regione soltanto di X troverà una corrispondente reale sopra S. Dalle (5) (5*) segue che D du? + 2 D'du dv + D" dv? è una combinazione lineare delle due forme fondamentali di 3, cioè Ddut 4 2D' du dv + D" dv° = «(E du? + 2F du dv + G dv?) + + #(D du? + 2D' du do + D" dv°), ove no — 1 O Ano ea. bau RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 37 — ei Ne segue che l'equazicne differenziale delle linee di curvatura. Edu+ Fdv Edu + Gdv Duu-+ D'do D'dv 4 D'do| s è la medesima per X, X; cioè: Sulle due superficie applicabili 3, x si corrispondono le linee di curvatura. La circostanza .ora osservata e noti teoremi generali (Zezzone, vol. 1I, $ 240 e $ 3953) dimostrano che sussiste la proprietà seguente : Le due superficie applicabili X, X hanno rispettivamente a comune l’immagine sferica delle linee di curvatura con due superficie a curva- tura costante positiva, trasformate di Hazzidakis l'una dell'altra. 3. Le coppie di superficie applicabili X, XY si sono già presentate nelle mie ricerche del 1899 sulla inversione dei teoremi di Guichard per le de- formate delle quadriche di rotazione ('), e le formole che risultano da questa teoria saranno invocate più oltre per provare l'esistenza di famiglie dî Lamé composte di superficie integrali della (I). | Qui aggiungiamo alcune altre osservazioni, dalle quali risulterà meglio il legame fra le attuali superficie X e le deformate delle quadriche di rota- zione. In primo luogo dimostriamo: L'inversione per raggi vettori reciproci col centro nel punto O cangia ogni superficie X integrale della (I) en un'altra superficie integrale 3" . E infatti, se indichiamo cogli accenti le quantità relative a 2", valgono in generale le formole pid 7 p 5 ar DE \ d(f 2] P 2/ 1 2 ] 2q i, == = PIMS — e 0: 11 11 la 12 colle quali la (I) si trasforma in sè stessa. Due tali superficie 2, 2°, integrali della (I) ed inverse l'una dall'altra, hanno rispettivamente a comune l'immagine sferica delle loro linee di cur- vatura con due superficie S, S' colla (medesima) curvatura media costante. Ora si ha che: Ze superficie a curvatura media costante S.S" possono collocarsi nello spazio in guisa da formare le due falde di un inviluppo di sfere di Guichard, coî centri distribuiti sopra una deformata ® di una quadrica rotonda, î raggi delle sfere eguagliando la distanza del centro da un fuoco principale quando ® si applica sulla quadrica (?). (1) Cfr. particolarmente i $$ 24, 25 della mia Memoria Sulla teoria delle trasfor- mazioni delle superficie a curvatura costante. Annali di matematica, serie 3°, tomo III. (£) Si noti che questa quadrica è un ellissoide allungato se 28 > 1; è un iperboloide a due falde, quando 2° <1. LIE Inoltre, se con P, P' indichiamo due punti qualunque {corrispondenti di X,2' (allineati con O), la retta OPP' è parallela alla congiungente i due punti corrispondenti di S,S', cioè alla normale alla deformata ® della qua- drica rotonda. Dopo ciò, se supponiamo data ®, e quindi le due superficie S,S' a curvatura media costante, ovvero le loro due parallele a curvatura costante positiva, le superficie 2, 2° sono perfettamente determinate (ciascuna a meno di un'omotetia) dalla costruzione seguente: Dal centro O si conduca la parallela alla normale generica di D e se ne stacchi un tale segmento OP =R che la superficie ®, luogo di P, abbia la normale parallela a quella di S nel punto M corrispondente, ciò che determina (per quadrature) R a meno di un fattor costante. La superficie X così ottenuta è un integrale della (I); e la sua reciproca 3, 3 l i ottenuta staccando il segmento inverso OP' = R' ha le normali parallele alle corrispondenti di S!. Si vede adunque che le trasformazioni delle superficie a curvatura co- stante positiva, date dalla inversione dei teoremi di Guichard (Mem. cit.), acquistano il più semplice significato per le superficie X integrali della (I), venendo a coincidere colla inversione per raggi vettori reciproci. Un'altra osservazione importante è la seguente: Si sa che sulla defor- mata @ della quadrica rotonda @ alle linee di curvatura di (S, 5), (2,2) corrispondono le linee del sistema coniugato permanente, cioè di quel sistema coniugato di @® che si conserva coniugato sulla quadrica Q. Ne risulta il teorema : Le projezioni sferiche delle linee di curvatura di una superficie X integrale della (I), fatte dall'origine O sopra una sfera col centro in O, sono le immagini di Gauss del sistema coniugato permanente per una deformata ® della quadrica rotonda. 4. Dalle deformate delle quadriche rotonde 4 centro passiamo a quelle del paraboloide rotondo, sostituendo al problema A) del n. 1, che concerne deformazioni finite, un problema analogo per deformazioni énfinitesime: A*) Trovare le superficie X che ammettono una deformazione infi- nitesima, per la quale le distanze di un punto fisso O nello spazio dai punti di X vengono alterate in un rapporto costante (infinitamente pros- stimo all'unità). Indicando con do la variazione di 0, avremo do = 0, con « costante infinitesima. Ne seguono le formole ddio= 284,0 der #01 + 9010 €010 > d000 = 6002 i Ao=e4,0 , d4x29= 254,0 — 274 — Variando la (3) n. 1, ne risulta, quale condizione necessaria e sufficiente, ovvero, combinando colla (3), l'equazione equivalente L= I] Questa, ricorrendo alle (4), si scrive sotto la forma (1*) mpr=T, che corrisponde a fare, nella (I), r*?=1 (0, propriamente, n? =14+ e). Vediamo adunque che: Ze superficie X con deformazioni infinitesime della specie richiesta sono tutte e sole le superficie integrali della (I°). In queste deformazioni infinitesime le linee di curvatura si conservano, come sì rileva sia dal considerare questo come un caso limite delle deforma- zioni finite ai nn. 1 e 2, sia dal calcolare la variazione della seconda forma fon- damentale di X, che si compone linearmente colle due forme fondamentali. Da un noto teorema di Weingarten (*) segue, allora, che le attuali superficie > hanno per immagine sferica delle loro linee di curvatura un sistema iso- termo, ossia hanno a comune con una superficie d'area minima l'imma- gine sferica delle linee di curvatura. Tutte le proprietà che abbiamo descritte nei numeri precedenti per le superficie X integrali della (I), valgono ancora per le superficie integrali della (I*); ma soltanto le superficie a curvatura media costante S,S' sono da sostituirsi, nel caso attuale, con superficie d’area minima: e la quadrica rotonda a centro diventa ora il paraboloide rotondo. 5. Delle proprietà che abbiamo riconosciuto nelle superficie integrali della (I) e della (I*), la maggior parte è già contenuta nei miei citati lavori del 1899. Qui vogliamo stabilire l’altra, notevole: Esistono famiglie di Lamé (appartenenti a sistemi tripli ortogonali) costituite da superficie X integrali della (1) e della (1*); in queste si può dare ad arbitrio una particolare superficie ® ed una delle curve traiettorie ortogonali della famiglia.. Trattando nel presente n.° il caso della equazione (I), dimostreremo che le nuove famiglie di Lamé sì ottengono applicando convenientemente la trasformazione di Combescure alle famiglie di Lamé composte di super- ficie a curvatura costante positiva. Questa curvatura potrebbe anche supporsi variabile da superficie a superficie, arrivando al medesimo risultato; ma qui, per abbreviare, considereremo solo il caso che la curvatura sia la stessa per tutte, e la porremo = + 1. (1) Cfr. Zezioni, vol. TI, $ 227. — 275 — Un tale sistema triplo ortogonale (v, 2, w), ossia un sistema di, Wein- garten, è definito dalla forma 2 (6) ds° = senh°0 du? + cosh?0 d0° + (2) dw? dell'elemento lineare dello spazio, soddisfacendo 6 al sistema caratteristico di equazioni a derivate parziali (1): | 3°0 d°0 | => -— = — senh@ cosh @ DUs dr dv d Il d°0 ) 290 1 d9°0 30 2{ E A, dd du \senh 0 dU9IWw dw = cosh@ dVvIw dv (a) dI 1 d°0 Lato, d°0 PL 20 \senh 0 du dvf © cosh 9 dv dee du dI | Il 9° 0 ) 6 1 d°0 30 2 \cosh 6 3v dw) — senh 6 30 dwW dv d Il 9? 0 mIo) Il d9°0 3I = ) = — cosh 6 — 3 20 \cosh 6 dv du dee senh 0 du dw WU Indicando ora con c una costante arbitraria, tale, però, che sia c(c+1)>0, ®P, A,M,W denotiamo con una quaderna di funzioni incognite di v,v, w, assoggettate a soddisfare al seguente sistema differenziale, lineare ed omogeneo: (0) (o) SNA cosh 088 SERA dw dw dA 30 ci n II (CI icone DA i pg RE PET AIA ) ?3M IL) SM I.) A) ==, SSA osh 6. ® — 6 (A) it > e + e cos (C+ 1)senh 9.W, PM du cosh 6 30IwW 7 W W DI Nos "© enh GIN dU dU dW__ 30 1 ore 1 0% G 1) — =e-—D— _ A — (or 5 dw senh 0 du dw cosh 0 dv Iw (1) Lezioni, vol. II, $ 431. — 276 — In forza delle (a), questo è un sistema limitatamente integrabile, onde possono scegliersi ad arbitrio i valori iniziali di ®D, 4,M, W per un sistema di valori iniziali di u,v,w. Il sistema (A) possiede inoltre l'integrale quadratico A° + M°— C®°4 (C+ 1) W°= cost; e noi intendiamo scelti i valori iniziali di ®, 4, M, W per modo che /a costante del secondo membro sia nulla; sarà dunque, identicamente, (7) A° + MP c®L(c+1)W=0. Dopo ciò, nella quaderna integrale (®, 4, M, W) resteranno, a pre- scindere da una costante moltiplicativa, due costanti arbitrarie. 6. Ciò premesso, supposta scelta una quaderna integrale (D, 4A,M,W) di (A), e indicando con £, 7,6 le coordinate di un punto nello spazio, poniamo E= A4X, + MX; + WX; (8) y= AY\+MY.4 WY,; (REVIA IZ A dove (X, YZ) , (Xe Ya Zo) , X3 Y3 Z3) denotano i coseni delle tre dire- zioni principali nel sistema triplo ortogonale (6) di Weingarten. Dimostreremo che: Ze formole (8) definiscono un sistema triplo orto- gonale [trasformato di Combescure del sistema (6) di Weingarten], nel quale la famiglia * = cost è formata di superficie integrali della (1) ni 1—- n° Derivando le (8), coll'aver riguardo alle (A) ed alle formole per le derivate dei coseni, si trova con CE \ Gi = e(senh 0 ® — cosh@. W). Xi, QU È = c(cosh 6 D — senh 6 W) X, v 39 7 |e_.(%o I) dW dw dw colle analoghe per n, $; ne segue dé + dt + dir = e? ) Gen 0 ® — cosh@ W)° du + a e 00) I) » | + (cosh 6 ® — senh 6 W)° dv a? = diw dì — 277 — Queste formole pongono in evidenza appunto che le (8) definiscono un sistema triplo ortogonale, trasformato di Combescure del sistema (6) di Weingarten. Ma di più, se calcoliamo i raggi principali 0, 0. di curvatura delle superficie w = cost nel nuovo sistema, troviamo o =c(cothé® — W), 0: =c(igh 60 — W), e, quindi, di oO) — DMI ossia, per la (7), 0,102 + eW (014 0.) — c(4° +M°+W?)=0. Ma, dalle (8), abbiamo ERAMO SESCAZSMEZZAM e la precedente si scrive quindi, Qi oo + cp(o0+ 0) —-c.24=0, che combina colla (I) ove si faccia Così è provato quanto si voleva; e, di più, dalla arbitrarietà sussistente nei sistemi di Weingarten, facilmente si deduce che una superficie X della famiglia w = cost può scegliersi ad arbitrio, e così pure può ad arbitrio prescriversi una delle curve (w) trajettorie ortogonali. È manifesto poi dal n.° 3 che da un tale sistema triplo ortogonale (3) se ne deduce subito un secondo (2') con una inversione per raggi vettori reciproci rispetto all'origine. I due sistemi di Weingarten aventi a comune le immagini sferiche con (2), (2°), sono dedotti l'uno dall'altro con una delle trasformazioni reali, studiate nella citata Memoria, che si compongono di due trasformazioni di Backlund coniugate immaginarie. 7. Da ultimo vogliamo provare che anche con superficie X integrali della (I*) si possono comporre famiglie di Lamé, e col medesimo grado di generalità. Qui otterremo lo scopo, én modo molto più semplice, partendo da una famiglia di sfere di raggio costante= 1. Consideriamo adunque una sfera mobile (di raggio = 1), il cui centro percorra una curva arbitraria dello spazio; e indichiamo con w un parametro che fissa la posizione del centro sulla curva. Sopra una delle sfere segniamo, arbitrariamente, un sistema doppio di linee (v,) ortogonale ed isotermo. Si sa che le trajettorie orto- — 278 — gonali delle sfere segneranno corrispondentemente su ciascuna sfera w = cost un sistema ortogonale isotermo (w, v) (*). All’elemento lineare dello spazio, riferito a questo sistema triplo ortogonale (u,v, w), in cui le w = cost sono sfere, si può dare la forma caratteristica (9) ds°= edu? + dv?) + dw?, dove 6 dovrà soddisfare alle corrispondenti equazioni di Lamé: | DI SAI, du dv° Ò (è d°0 )=- 23000, i d°6 30 DUAN VAI dw dv de IV (0) ie \ dv dU dwW IVvIw dU DA d°0 )>d PAPI si dV dW dUdW IV 2 (0 Eno dI dv dIw dw dUIW dU L'integrazione di questo sistema è, per quanto precede, geometricamente immediata. Scriviamo ancora le formole che valgono per le derivate dei coseni delle direzioni principali. IX PI) DIC d09 DX d°0 rn — XA, LedX; i sio o, C=e — dU dv dv dU dW dU dW DG I) DIG PI) DIG d°0 SÌ = Xi LedX,, - — 00 dU dv dv dU dU dW GIO): dX dX | DIA SIAE Oo . 0% dU | VAR AE E | mimi i \ dWw du dW dv IW Indicando con wm una costante arbitraria non nulla [parametro del para- boloide rotondo associato alle superficie X integrali della (I*)], consideriamo ora il sistema lineare seguente nella quaderna (@,4,M,W) (*) La corrispondenza segnata sulle sfere dalle loro trajettorie ortogonali è una rappresentazione conforme: precisamente un’affinità circolare di Moebius (Zezioni,vol. I, $ 22). — 279 — di funzioni incognite: IP e =— 04 = e0M, dU dV ID 20 d°0 d°0 209 —= ® + e’ - e -M_- _-W do dw sE dw in dU dW xi dU dW dW dA È 20 dd dI PRE a -d D IVI — 0 ps (i) W , Taet—t Si me + 3g + (e me?) “i = B ) dA _ 0 È CA (B) < du © dUudw dM d0 dM 6 PL) =— — — =-metBDL-_ A+ (+ me) W SM s_0d?0 ea | dw dv IW | IW medi 04 ; d PSE —0 M i dW più, 20 dU d dw QU Questo è nuovamente, a ‘causa delle (2), un sistema completamente integrabile, e possiede l'integrale quadratico A° + M? + W°— 2mPW = cost. Pensiamo ancora scelti i valori iniziali ®, 4, M, W per modo che la costante del secondo membro si annulli, e si abbia quindi, identicamente, (I) A° + M°? -+-W°=2m DW. Poniamo nuovamente, come in (8), (12) E= AXx+MG+WX, ecc. e dimostriamo che queste formole ci daranno il sistema triplo ortogonale domandato. Derivando, coll’osservare le (6) e le (10), troviamo: da — Cra Fa m(e W+e CO PS CAN ev D)X,, dÉ IO 30 ) ae la dWw dw dw e le analoghe, da cui de 4 dî + dé? = m? 10 W+ e D) du? + + (e W— e? ®)? dot + (S si o) dw° i, formola che pone in evidenza il sistema triplo ortogonale. RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 38 — 280 — Inoltre i raggi principali di curvatura 0, , 0» delle w = cost sono dati da oo=m(@—-e0W),oo=m(®D+e!W), onde risulta 01 + 02 = 2mD. Ma, a causa delle (11), (12), abbiamo 2qg=& +9 += 4° +M° + W?°=2mD®W p=è3X3+ gY3+Z=W e la precedente si scrive quindi __ 24 0402 D° Dunque la famiglia di Lamé w=- cost è costituita di superficie X integrali della (I*), come si era asserito. Geologia. — Su una nota di Steinmann intorno ai Diaspri di Prato tn Toscana. Nota del Socio C. De STEFANI. Meccanica. — Sulla teoria delle distorsioni elastiche. Nota I del Socio CARLO SOMIGLIANA. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 281 — Ghimica. — Lerzine nitrosostituite, ottenute dai corrispondenti aminoderivati. Nota del Socio G. KORNER e del dott. A. CONTARDI. Nella precedente Nota (*) era stata descritta una serie di para-dinitro- benzine dialogenate, ottenute per sostituzione diretta del gruppo amidico con un nitro-gruppo passando attraverso al corrispondente diazocomposto. Tale sostituzione si raggiunse facendo scomporre da sola lentamente la soluzione acquosa del nitrito del diazocomposto a freddo. Noi abbiamo applicato lo stesso sistema a molte altre aniline sostituite, ed abbiamo constatato, come del resto era prevedibile, che per molte di esse la sostituzione dell’amido-gruppo col gruppo nitrico si effettua assai facil- mente e con ottima resa; per altre, invece, o la reazione non avviene affatto, o avviene con rendimenti tali da non essere degni di nota. L’anilina ordinaria, per esempio, trasformata nel corrispondente nitrato e diazotata in corrente di acido nitroso, per trattamento con nitrito sodico non dà che tracce di nitrobenzolo. In modo analogo si comportano la orto, la meta e la para-nitroanilina. Invece una soluzione acquosa di acido bi- bromosolfanilico trattata a 0° con acido nitroso, indi con un eccesso di nitrito sodico in soluzione acquosa (due molecole per una molecola di acido bibromosolfanilico), e portato il liquido all’ebullizione per parecchio tempo, dà quantitativamente, dopo acidificazione con acido solforico diluito, l'acido bibromonitrosolfonico : Così in modo analogo, come vedremo in seguito, si possono ottenere facil- mente le dinitro-benzine monoalogenate del tipo: NO, (!) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XXII, serie V, 2° semestre, fa- scicolo 12, pag. 625. — 282 — partendo dalle corrispondenti nitroaniline Nei casi sopra esposti, nei quali la reazione non si effettua nel senso e con la resa desiderata, sì può raggiungere lo scopo sostituendo alla solu- zione di nitrito sodico o potassico una soluzione acquosa costituita da una miscela di solfato rameico (una molecola) e nitrito sodico o potassieo (due molecole). Con questo sistema, oggi facilmente sono accessibili la para-dinitro e la ortodinitrobenzina partendo dalle corrispondenti nitroaniline. Così per ottenere la paradinitrobenzina si sospesero gr. 56 di paranitcoanilina in ugual peso di acido nitrico concentrato della densità 1,4, e la poltiglia, raffreddata a 0°, venne fatta attraversare da una corrente di acido nitroso sino a com- pleta diazotazione; scacciato l'eccesso dei vapori nitrosi con una corrente d’aria, il nitrato del diazocomposto si versò sopra ghiaccio finamente pestato, e il tutto si trattò con una miscela costituita da gr. 350 di solfato di rame cristallizzato e disciolto nell’acqua, e gr. 190 di nitrito sodico. Lasciato a sè il miscuglio per parecchie ore, si riscaldò, in seguito, a bagnomaria fino a cessazione dello svolgimento dei gas; si raccolse il precipitato nel filtro, e, dopo lavaggio, si sottopose a distillazione in corrente di vapor acqueo. Nel distillato si separava così la paradinitrobenzina con una resa del 75-80 °/, del calcolato teorico. In modo perfettamente analogo si prepara la ortodinitro- benzina; va solo notato che in questo caso si può adoperare più comoda- mente la quantità di acido nitrico strettamente calcolata per formare il ni- trato dell’anilina stessa, diluire la massa con poca acqua e sottoporre in ultimo la poltiglia alla corrente dei vapori nitrosi. In questo modo però non si può raggiungere ancora la sostituzione del gruppo amidico col gruppo nitrico nella metanitroanilina. Si raggiunge lo scopo seguendo una via ancor più semplice, applicabile solo però a quelle aniline che dànno sali piuttosto difficilmente dissociabili in soluzione acquosa. In un mortaio vennero macinati gr. 14 di metanitroanilina con la quan- tità strettamente necessaria di acido nitrico (densità 1,38) per trasformarla nel corrispondente nitrato (gr. 11). Alla poltiglia bianca venne aggiunta una soluzione fredda a 0° formata da gr. 100 di solfato di rame cristallizzato, e gr. 50 di nitrito di sodio in ce. 500 d’acqua. Si agita continuamente col pestello la miscela. Da principio si separa una massa fioccosa verde-chiara che, dopo poco, tempo diventa bruno-nera; e contemporaneamente si svolge una notevole quantità di gas. Il tutto venne lasciato a sè per una notte; indi, raccolto il precipitato sul filtro e lavato, venne distillato in corrente di vapor d'acqua. La resa in dinitrobenzina non è grande; ma si ottiene però subito — 283 — un prodotto purissimo. Da gr. 14 di metanitroanilina si ebbero gr. 5,5 di metadinitrobenzina. Questo modo di procedere dà ottimi risultati anche con l’anilina ordinaria e con l'ortonitroanilina. In quest'ultimo caso si ottiene un rendimento del 70 °/, sul calcolo teorico. Secondo ogni probabilità, in questo processo la reazione avviene secondo lo schema: 2 CH NH, HNO; + 2 Cu(NO;)) = 2 CH; NNOH + CuNO; + Cu(N0»)» 2 Ce H, NNOH + Cu (N03), al Cu (OH), + 2 Co H; N, NO; 20,H; NNO; + Cu(0H),=2C;H; NO, + HX0+ Cu0+2N;. Le paranitroaniline che contengono un atomo alogenico in posizione orto rispetto all'amido-gruppo, non sono trasformabili nelle paradinitrobenzine cor- rispondenti mediante la scomposizione del nitrato del loro diazocomposto in presenza della sopracitata soluzione di solfato ramico e nitrito sodico. Si deve ricorrere, in questo caso, alla reazione da noi descritta nella Nota precedente. NO, Dinitroclorobenzina 1.4.5 Tal | — Si sospesero gr. 18 di mono- NO, cloroparanitroanilina (') in gr. 12 di acido nitrico della densità 1,38, e si ag- giunsero cc. 30 di acqua. La poltiglia, sottoposta all’azione dei vapori nitrosi fino a completa diazotazione, e scacciato l'eccesso degli ossidi d'azoto con una corrente d’aria, venne versata sopra molto ghiaccio finamente pestato; indi si aggiunse una soluzione acquosa di nitrito sodico (gr. 45 in cc. 500 d’acqua), e il tutto venne lasciato a sè per una notte. Si raccolse il preci- pitato su filtro e, dopo lavaggio, venne distillato in corrente di vapor d’acqua. Dal distillato si separano laminette bianche lucenti del dinitroclorobenzolo, che, raccolte e cristallizzate dall'alcool bollente, si separano in forme di aghi quasi incolori o, per lenta evaporazione dallo stesso solvente, in prismi splen- denti, fusibili a 64°. La resa è di circa il 45 °/ del calcolato teorico. Lo studio cristallografico della sostanza è in corso. La determinazione dell'azoto ha dato: Sostanza gr. 0,253. Azoto ce. 29,4 a t0—= 10; H° — 740 » trovato °*/,j,= 13,9 » calcolato per C;H3(N0.),Cl= 13,8. (') Questa monocloroparanitroanilina fu preparata col metodo descritto da Flirsheim (Journ. Chem. Soc. 93, pag. 1773), metodo che abbiamo sempre seguito dopo constatato che quello del Brevetto Cassella fornisce un prodotto contenente circa 50 °/o di dicloro- paranitroanilina. — 284 — Scaldata con ammoniaca alcoolica a 100° per dieci ore, la dinitrocloro- benzina descritta si trasforma in tre differenti sostanze. Una parte di essa sostituisce l'atomo alogenico con un gruppo amidico, dando luogo alla forma- NO, zione della dinitroanilina NH. | fondente a 137°, già descritta dal ‘A NO, Wender (') e ottenuta dalla nitrazione diretta della metanitroacetanilide. In parte sostituisce l'atomo alogenico e uno dei gruppi nitrici con due gruppi amidici dando luogo alla formazione di una nitrofenilendiammina fusibile a 161° NO, Re I. , NE; e cristallizzata in aghi gialloarancio alla quale spetta la formula | | o NZ NH; E da ultimo una parte lascia sostituire il gruppo nitrico, adiacente all’atomo alogenico, col gruppo NH», rigenerando la cloronitroanilina dalla quale si era partiti. Dosando la quantità di alogeno uscita in questa reazione, si trova che essa corrisponde a un quarto dell’alogeno totale presente, e per ciò 1 tre quarti della sostanza si trasformano nella cloronitroanilina; e per un quarto, in proporzioni pressochè eguali, si ottengono nitrofenilendiamina e dinitro- anilina. i Per separare questi tre prodotti, si evaporò la soluzione ammoniacale a secco; e il residuo solido, lavato con acqua, venne sottoposto a distillazione in corrente di vapore. Nel distillato passa una piccola parte della dinitro- clorobenzina rimasta inalterata insieme con la cloronitroanilina. Si estrae con etere il liquido; e l'estratto etereo, cristallizzato dall'acqua bollente dà per raffreddamento la cloronitroanilina pura. La parte non distillabile con vapor acqueo, cristallizzata dall'alcool bollente, abbandona, per raffreddamento, da prima grossi mammelloni duri di color rosso-arancio che, cristallizzati dal- l'alcool due volte con poco nero animale, si trasformano negli aghi giallo arancio della nitrofenilendiammina fusibile a 161°. Analizzati, diedero: Sostanza gr. 0,1102. Azoto ce. 26,6 a t°= 11; a H= 746 ” calcolato per (07 H; NO, (NH.), 27,45 0 ” trovato Dda. Dalle acque madri alcooliche si separa in seguito buona parte della cloronitroanilina che non si era potuta distillare in corrente di vapore; e si (1) Gazzetta chimica ital, XIX, pag. 226. — 285 — purifica ulteriormente per cristallizzazione dall'acqua, o per nuova distilla- zione in corrente di vapore. Nelle ultime acque madri è contenuta ancora la binitroanilina insieme con poca nitrofenilendiammina; ambedue si separano cristallizzandole frazionatamente dall'alcool. Rispetto alla maniera in cui si è formata la dinitrofenilendiammina, si può escludere che essa provenga dalla azione dell'ammoniaca alcoolica sopra la dinitroanilina generatasi eventual- mente nella prima fase; poichè a 100° l’ammoniaca alcoolica è senza azione su questo prodotto. Noi stiamo ancora istituendo prove per stabilire quale sia l’ordine di queste trasformazioni e quale influenza abbiano la temperatura e la concentrazione dell’ammoniaca nella formazione di questi prodotti. NO: < Vs Dinitrobromobenzina 1-4-5 È vw — Si ottenne sospendendo gr. 22 î NO, NO, di bromonitroanilina È {| in gr. 12 di acido nitrico (d — 1,88); si diluì I NH, in seguito la massa col doppio del suo peso di acqua, e si sottopose alla corrente di acido nitroso a 0°. Per il resto si operò come nel caso prece- dente. La resa in dinitrobromobenzina è, in questo caso, assai inferiore al pre- cedente; da gr. 36 di anilina si ebbero gr. 15 di prodotto. Nè il rendimento si può migliorare adoperando la miscela di solfato di rame e nitrito si sodio; anzi, con questo trattamento, non si hanno che tracce di dinitrobromobenzene. Per poter disporre di una certa quantità della nuova sostanza, abbiamo dovuto cercare un metodo comodo e facile per preparare la bromonitroanilina, essendo, quelli ora impiegati, lunghi e costosi. Il metodo da noi seguìto è il seguente: Si sciolsero gr. 140 di para- nitroanilina in gr. 2000 di acido acetico glaciale a b. m.; ed alla soluzione calda si aggiunsero gr. 160 di bromo disciolti in gr. 700 di acido acetico. Si agita e si lascia raffreddare. Si separano per raffreddamento lamine lucenti bianche di bromidrato di bromonitroanilina in quantità pressocchè teorica. [Il precipitato, raccolto su rete di platino e lavato con poco acido acetico, venne in seguito versato in molta acqua per dissociare il sale. L'anilina formatasi, raccolta su filtro e lavata, venne cristallizzata dall’acqua bol- lente. La dinitrobromobenzina ottenuta nel modo sopra esposto, cristallizza dall'alcool in aghi splendenti, quasi incolori e; dall'alcool e etere per lenta evaporazione sì ottiene in grossi prismi fusibili a 70.° La determinazione di azoto ha dato: — 286 -— Sostanza gr. 0,2012. Azoto cc. 9,68 a t0=—=12; a H—=756 ” calcolato per Cs H3 (NO), Br °/,= 11.33 » trovato °*,,=11,3. Verso l'ammoniaca alcoolica si comporta in modo analogo alla corri- spondente dinitroclorobenzina. NO, Dinitroiodobenzina 14.5 I | — Ottenuta in modo analogo alle NO; precedenti, diazotando in corrente di acido nitroso a 0° la nitroiodoanilina NO, x I | fusibile a 109° (gr. 26) sospesa in acido nitrico d = 1,38 (gr. 12) NA NH, diluito in seguito con poca acqua. Si opera, per il resto, come nei casi pre- cedenti. La resa è pressocchè quantitativa. Il prodotto, distillato in corrente di vapore, si ‘cristallizza dall'alcool, nel quale solvente è solubile a caldo nelle proporzioni di uno ad otto e mezzo, e per raffreddamento si separa in aghi tozzi, quasi incolori, fusibili a 117°,4. Dalla soluzione etereo-alcoolica, satura a freddo, per lenta evaporazione si ottengono prismi giallo-chiari. La determinazione di azoto ha dato: Sostanza gr. 0,255. Azoto cc. 17,6 a t°0—= 13; a H°— 740 » calcolato per C6H3(NOx).I 9/,,= 9,53 » trovato 9, =9,6. L'ammoniaca alcoolica non altera questo prodotto a 100°; a 170° solo incomincia l’attacco, e la sostanza subisce un’alterazione assai profonda che è ancora sotto studio. Stiamo studiando la sostituzione del gruppo amidico (NH;) col gruppo nitrosile (NO,) anche nelle diverse dinitroaniline; e riferiremo su questo ar- gomento fra poco. Possiamo per altro affermare che tale sostituzione è pos- sibile per tutte; solamente non è ancor possibile di ‘stabilire a priors le migliori condizioni della reazione, variando esse da caso a caso. — 287 — Meccanica. — Sulle attrazioni newtoniane di origine idro- dinamica. Nota del Corrisp. EMILIO ALMANSI. 1. In un liquido omogeneo, indefinito (praticamente abbastanza esteso in tutte le direzioni), si ‘abbia un numero qualunque di corpi C, C', C”,..., i quali subiscano rapide variazioni di forma, od anche solo di posizione, tali che il fenomeno presenti, nel suo insieme, un periodo @ piccolissimo. Quando siano verificate certe condizioni che accenno più avanti, avviene che, per ogni corpo, la forza risultante delle pressioni che il liquido eser- cita sugli elementi della sua superficie ha, in un intervallo di tempo mul- tiplo di 6, un valor medio corrispondente all’attrazione che su quel corpo eserciterebbero gli altri, se ì corpi del sistema possedessero certe masse m, m,m",..., le quali sì attraessero secondo la legge di Newton. Questo interessante fenomeno, ed altri analoghi, furono per la prima volta studiati, in casi particolari, sia dal lato matematico, sia sperimental- mente, dal prof. C. A. Bjerknes. L'argomento è stato poi ripreso, ed ampia- mente svolto in un suo corso di lezioni, dal figlio prof. V. Bjerknes (1). I procedimenti analitici da me seguìti in altra Nota (?), permettono di arrivare al risultato nel modo più semplice e generale. 2. Supporremo che nel movimento indotto nel liquido la velocità sia ovunque continua, derivi da un potenziale g, e si annulli all'infinito; che i pesi delle particelle liquide siano trascurabili; che la densità sia uguale adfle Denotiamo con (F) la forza che al tempo # agisce sopra un corpo C del sistema. Essa può decomporsi (Nota preced.) in due forze (F) ed (F). Le proiezioni X,, Yo, Zo Sopra gli assi coordinati della forza (E.) sono de- rivate esatte rispetto al tempo di funzioni periodiche col periodo 0: onde il valore medio (in un intervallo multiplo di 0) della forza stessa — vale a dire la forza che ha per proiezioni i valori medii di X,,Y,,Zo — è nullo, Noi trascureremo questa forza (F.). Le proiezioni della forza (F) sono SONE) + Carate To JD S AR 4 ON (1) Fields of force, Columbia University Press. New-York, 1906. Vedasi anche la Memoria di W. Voigt, Beitràge zur Hidrodynamik, Gott. Nachr., 1891. (*) Sopra le azioni le quali si esercitano fra corpi che si muovono 0 si deformano entro una massa liquida, Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, dicembre 1913. ReNDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 39 — 288 — ecc., rappresentando o la superficie del corpo, ed @,8,y i coseni deila nor- male esterna (?). Il potenziale di velocità 4 presenta, in ogni istante, tutti i caratteri del potenziale newtoniano di masse w,&',u",... distribuite negli spazî S,S'°,S",.. occupati dai corpi. Infinite distribuzioni dànno luogo, nello spazio esterno, allo stesso potenziale g: noi supporremo di fissarne una. Verremo così a definire la funzione 4 anche negli spazî S,S'",S",... Sup- porremo che essa risulti, in ciascuno di questi spazî, finita e continua insieme alle sue derivate prime e seconde. Attraversando le superficie dei corpi, la funzione g e le sue derivate prime non dovranno subire discontinuità. La densità 0 relativa a questa distribuzione di masse ideali sarà: Ciò posto, trasformiamo, nella espressione di X, l'integrale esteso a o in un integrale esteso allo spazio S limitato da o. Otterremo: "(2° _| dP_| IP) dP SM i O IS. ERA u/ Poniamo ded YOg 9 A dY PE e teniamo conto della espressione di g. Avremo: X= dr (X1048, Ss e, analogamente, n Y=4a {Yi008 IZ dm | Zio 8, S Queste formule possiamo interpretarle dicendo che la /orza (F) relativa al corpo C è, în ogni istante, quella stessa che si avrebbe se le masse 0dS si attraessero secondo la legge di Newton, e la costante dell’attra- zione fosse uguale a 47. Parimente si potrebbe dimostrare che i momenti rispetto agli assi coor- dinati delle pressioni esercitate dal liquido sugli elementi di o sono uguali ai momenti delle forze 47X,04$S, ecc. 3. Supponiamo, ora, che le mutue distanze fra i corpi C,0",0",... siano grandissime rispetto alle loro dimensioni lineari. Denoti P un punto (1) Nella Nota preced. le X ed X, di questa Nota sono chiamate X, ed X3; la quan- tità sotto il segno d’integrazione nella espressione di X (X,) è denotata con —H. La espressione di H è data a pag. 557. — 289 — fisso, che si trovi costantemente nello spazio S occupato da C. Così per gli altri corpi 0, C",..., consideriamo i punti fissi P', P",... Nelle formule precedenti noi possiamo ritenere che X,,Y,,Z, siano le derivate del potenziale g, dovuto alle sole masse esterne w',w",... (la resultante delle mutue azioni che si esercitano tra le masse elementari 04$ di uno stesso corpo essendo identicamente nulla). Invece di X,,Y,,Z, scri- viamo XX + dX, ,Y. +0Y, , Z1.-+-0Z,, intendendo ora che X,,Y,,Z siano le derivate, nel punto P, del potenziale , calcolato come se le masse w,w",... fossero concentrate nei punti P',P",... Ponendo dX = 47 (6x1 048, ece., /S avremo: X = 4rrX,u+ dX, ecc. Ammettiamo che la forza di componenti OX, dY , OZ sia trascurabile rispetto alla forza di componenti 477X,u,47Y,u, 47rZ,w (ciò che potrà non avvenire; per es., se w= 0). Potremo allora ri- tenere X = 47X,&, ecc. Onde, detta 7 la distanza costante PP’, e posto uu f == 4rt FR 5 la forza (F) risulterà, in ogni istante, dall’attrazione (/) dovuta al corpo C’, e delle altre analoghe dovute agli altri corpi. Le masse w,',... si possono esprimere molto semplicemente mediante i volumi S, S',... dei corpi corrispondenti. Si ha infatti: 1 d u= — ? do. 47 Jc dN ia Oa E poichè - è uguale alla componente, secondo la normale esterna, della velocità di un punto di o, se diciamo ora 4S l'incremento che subisce, nel tempo di, il volume S, sarà RS (22 do, la dN e, perciò, le ‘MS ! 4r di Analogamente sarà u' SE ds) Ond d g ai = oa, - e, ponendo ibi ds loi © GIO? avremo — 290 — dalle quali formule vediamo che se in un certo istante i volumi S,S' sono ambedue crescenti od ambedue decrescenti, e quindi 7 >0, la forza (/) è realmente un'attrazione; altrimenti, è una ripulsione. 4. Il valor medio (F') della forza (F), quindi ancora della forza (F’), in un intervallo multiplo di 6, o uguale a 9, sarà la risultante della forza (/') di grandezza ove g' è il valore medio di y, e delle analoghe relative agli altri corpi. Avremo dunque: Il D) 1 0 U È i INA Facciamo ora un'ipotesi più particolare intorno al modo di variare dei volumi S,S', ecc.: supponiamo cioè che si abbia S=So(14 he), ece., ove S, ed % rappresentano due quantità costanti per il corpo C, e una fun- zione del tempo, periodica con periodo 0, uguale per tutti i corpi. Se poniamo ds de WASAN ode E fr DS Sarde — pl 0A n RoÀ = 10 5 hS', sarà di ma; “TI m dI) E, perciò, DLL ded IT dn bi, 9? quindi Re EL : essendo a 1 dde\? dt Aadrt 21 (1) do In questo caso, dunque, attribuito alla costante dell’attrazione il valore dato dall'ultima formula, si ha una perfetta analogia tra la forza (F') e le at- trazioni newtoniane delle masse ideali (costanti) nm, 72 ,.. 5. Nella formula S= So(1+ %e) noi possiamo sostituire ad s una fun- zione lineare di e, con che verranno solo a variare le costanti S, ed %. Potremo allora fare in modo che il massimo e il minimo valore della fun- zione periodica e siano +1 e —1. Diciamo S; ed S, i valori corrispon- denti di S (notando che, se la costante % è negativa, S, rappresenterà il valor minimo di S). Si avrà S, — Ss= 2/S,= 2; quindi m=3(S— SS). — 291 — Le masse m vengono così ad essere le semi-differenze fra i valori estremi dei volumi dei corpi. Quanto alla costante £, osserviamo che, se s'introduce la variabile =i, di de 1 ds si ha MITO ; == ==, Di qui vediamo che per una determinata funzione «(t) (per esempio, se LA o , RATES. e= sen 27x77 = sen 277 0) la costante dell’ attrazione è inversamente pro- porzionale al quadrato del periodo. Matematica. — Sulla classificazione delle superficie alge- briche e particolarmente sulle superficie di genere lineare pY= 1. Nota II del Corrispondente F. ENRIQUES. 8. La costruzione delle superficie con un fascio di curve ellittiche C, di determinante 1, si desume dall’analisi fatta nella mia Nota citata, del gennaio 1912. Tipo di codeste superficie di determinante 1 è un cono doppio di ge- nere Pg — Pa (per Pa =>0), avente una curva di diramazione che interseca le generatrici in tre punti variabili. Nel caso delle superficie regolari, a cui possiamo riferirci per sempli- cità di discorso, si ha dunque come tipo ur tipo doppio con curva di dira- mazione d'ordine 2n, dotata d'un punto (2n — 3) plo. Appare così (accanto al determinante d, che nel nostro caso è preso = 1) un secondo carattere intero delle superficie con p'=1 (p P,,>1), cioè il numero n, che può ricevere qualsiasi valore n=4,5,. (per n=3 si ha una superficie coi generi Pa = 0 o IT per x= 2, una superficie razionale). Se si assume ad arbitrio nel piano una curva di diramazione Ks, di ordine 27, con un punto (2% — 3) plo, O, si ha un piano doppio che ha, in generale, i caratteri seguenti: (1) Ji = Jl (© # ( p= == =D = e Ma i generi geometrici si abbassano in corrispondenza a punti tripli di K., infinitamente vicini ad 0, o a punti quadrupli di K., non vicini ad 0. Quindi si possono avere per K., le singolarità seguenti: (8) \ un punto 4-plo distinto da O, che porta | = pepper = oppure È [2n—-5 eni o FD; 50 (0 = am punti tripli infinitamente (7) I vicini ad O, che portano pP=Pa=P9=n-2— 0. Se la K., possiede altre singolarità, il suo ordine può essere abbassato con una trasformazione birazionale del piano. In conclusione: le superficie regolari con pe =1, pyPi. > 1, di de- terminante 1, formano un'infinità numerabile di famiglie di piani doppi, la cui curva di diramazione ha l’ordine minimo 20 = DIO : I i N39 LIA Ad ogni valore di n corrispondono ai +2 famiglie di su- Lei perficie, per cui [2n_- 3 p = Parioli 12 dhe dI gia Po=i(p—1l)+ 1; vi sono due famiglie distinte per p=n—3. Le famiglie suindicate si possono caratterizzare come segue: famiglia a): p=n=2; piano doppio privo di curve eccezionali, con curva di diramazione K,, d'ordine 2r, dotata di punto (22 — 8) plo; famiglia B): p=n —3; quadrica doppia priva di curve eccezio- nali, con curva di diramazione, K,,, d'ordine 27, composta di una genera- trice 7 e d'una curva K>,-, d'ordine 2xv—1, trisecante le generatrici dell'altro sistema; famiglia y): (r=n-2-o, ii 0) cono doppio, d'ordine o +1 in Sc+s, privo di curve eccezionali, con curva di diramazione K,, d'ordine 27, trisecante le generatrici. 9. È facile determinare la dase delle superficie F' delle famiglie @), 8), 7). Anzitutto osserviamo che, 22 generale non vi sono, nel fascio dî — 293 — curve ellittiche C, curve spezzate. Curve C spezzate si presenteranno in- fatti quando la K,, possieda un punto doppio o quando vi sia una tangente in O che tocca altrove Ken; circostanze che non si avverano per la più generale superticie di alcuna delle famiglie suddette. Ora si consideri sopra F' una curva qualsiasi y, secante in v>1 punti le C. Sopra F' esiste già — per ipotesi — una curva L, unisecante la C, corrispondente, sul piano doppio, al punto (2 — 3)-plo di K»,. Si può quindi (') costruire su F' una curva L, che seghi le C in wr punto il quale, sommato con l'intersezione di L contata V —1 volte, dia un gruppo equi- valente all'intersezione di y; si avrà dunque, per un noto criterio di equi- valenza (*), nb (o = DI Si deduce, di qui, che /a dase di una superficie F'(pVv=1,p, Py >1) di determinante 1, è costituita dal fascio di curve ellittiche C e da curve unisecanti le C. Ora si cerchi di determinare sul piano doppio. con una K., di dirama- zione, immagine di F', una curva K,, d'ordine 72, passante m —1 volte per il punto (2x — 3) plo di K>,, la quale rappresenti una curva di F' unisecante le C. Il calcolo di costanti che a tale scopo ho svolto nella citata Nota del gennaio 1912, è affetto di un errore che deve correggersi nel senso qui indicato; si correggerà quindi l'enunciato che ne consegue, che pure viene appresso riferito nella forma rettificata. Le K,, con O (Mm — 1) plo dipendono linearmente da 2m costanti. Affinchè una K,, (d'ordine dispari) rappresenti due unisecanti le C su F”, occorre che i 2n+3(m—- 1) punti intersezioni di essa con K,, si riducano a nat La 1) contatti; ed occorre, altresì che gli m — 1 punti di K,, infinitamente vicini ad O si riducano a m— l 2 coppie di punti coincidenti. Si hanno dunque n+2(m—- 1) (*) Enriques, Nota citata, Lincei, gennaio 1912. i (3) Severi, Il teorema d’Abel sulle superficie algebriche (n. 6), Annali di Mat. 1905. — 294 — condizioni da soddisfare coi 27 parametri della K,,, il che è, n generale, impossibile. Affinchè esista una Km rispondente al problema, bisogna [nel caso @)] che la K., soddisfi a pen—-2 condizioni. Se la K>, ha un punto 4-plo A fuori di O, le K,, per A dipendono da 2m_- 1 costanti e le condizioni richieste sono 2 di meno. Si hanno dunque, nel caso #), p=n_-3 condizioni per l’esistenza di K,,. Se la K., ha o punti tripli infinitamente vicini ad O, le K,, per essi dipendono da 2m — 0 costanti. T punti d’ intersezione con Ks,, fuori di O, sono 2Mm+3(m—-1— 0) da ridursi a O 2 contatti; e i punti infinitamente vicini ad O, oltre ì punti tripli, sono m_-l—0 da ridursi a m_-lT—-0 2 coppie di punti coincidenti. Quindi le condizioni per l’esistenza della K,, richiesta, sono, nel caso y), n+2(m_-1—-0)—(m_—-0)=nT—-2—-0=p. Si conclude che: Sulle superficie E' la base è in generale costituita dal fascio di curve ellittiche C e dalla loro unisecante; affinchè esista un’altra curva unisecante la C, indipendente dalla prima, la superficie deve soddisfare a p condizioni. Queste condizioni caratterizzano le superficie con un gruppo discontinuo di trasformazioni birazionali in se stesse (*). (1) Cfr. Enriques, Sulle superficie algebriche che ammettono una serie discontinua di trasformazioni birazionali, Rendic. Lincei (1905). Una superticie F? di determinante F° avrà pure in generale il numero- base nguale a 2; e le condizioni perchè la base sia più ampia in guisa che esista un gruppo discontinuo di trasformazioni (*), si riducono alle con- dizioni analoghe per la superficie di determinante 1, F', che corrisponde a F° (Cfr. Nota I). Così, p. es., le superficie d'ordine x > 3, con retta (2 — 8) pla, sono superficie con pî° = 1, possedenti un fascio di cubiche (determinante 83), le quali non ammettono in generale un gruppo discontinuo di trasformazioni in se stesse. 10. Calcoliamo ora il numero M dei moduli appartenenti alle famiglie a), 8), y) di superficie regolari F' (x 8). e) (p=n—2). Una K., con un punto (22 — 3) plo fisso dipende da en 32 Ann 13) (n 83) (2n_-2) 2 2 costanti. Essendoci co° omografie piane che lasciano fermo il punto suddetto, sì otterranno M=8n—-9=8p+7 moduli. B) (p=n—3). Le K., piane, aventi un punto (22 — 2) plo A e un punto 4-plo B, dipendono da 2(21 ki A 8n—13= seta 49) _ (2n ee 2005 n costanti. Tenendo conto che ci sono co° trasformazioni quadratiche lascianti invariato il sistema delle coniche per A e B, si deduce M=8n_-19=8p+5. y) (p=n—2—0). Le K., con un punto (2r—8)-plo e o punti tripli infinitamente vicini, dipendono da 8n—- 3 — 60 costanti. Bisogna defalcare l’ infinità delle trasformazioni proiettive del cono razionale normale d'ordine 0 {4- 1 in S5+s, che è C+ 6. Si ottiene quindi M=8n—-70—-9, cioè M=8p+0+7. Questi numeri dànno luogo ad alcune osservazioni. (1) Loc. cit. RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 40 — 296 — Le superficie regolari di genere superficiale pn =py="p, e di genere lineare p° (P, > 0), contengono, in generale (!), M=9p—2pV+12+ 9 moduli, dove, dx ogni caso, O=>0. Ora, per le superficie @) sì trova M=8p—2pV+9, (pvV= 1) per le £) per le y) M=8p— 2p! +7, M=8p— 2pVH4o +9. Accade dunque che nei casi @) #) e nel caso y) pero <=p-+2, il nu- mero dei moduli da cui dipendono le superficie F' risulta inferiore a quello che viene indicato dalla formula generale: La contraddizione apparente si risolve osservando che le superficie E" appartengono ad una più ampia famiglia di superficie con pv =1, di determinante 2, aventi îl medesimo genere p; entro questa famiglia, le F' sì distinguono per una particolarità aritmetica che diminuisce il numero dei moduli. Infatti, il piano doppio con K,, di diramazione dotata d'un punto (2a — 3)-plo, è un caso particolare del piano doppio con K.,, di dirama- zione dotata di un punto (2x — 4)-plo. I moduli di queste ultime superfici F° risultano M=10n—-12=10p+83, cioè o) M=10p— 2p + 10. Similmente, il piano doppio con K,, di diramazione dotata d'un punto (22 — 3)-plo e d'un punto 4-plo, è caso particolare del piano doppio con Ka, di diramazione dotata d’un punto (22 — 4)-plo e d'un punto 4-plo, il quale contiene M=10n—22=10p+83, cioè 8) M=10p—2p® 4 10 moduli. Onde risulta che, nei casi @) e f), M= 10p — 2p! + 10= 9p — 2p® +12 p>1. se (*) Enriques, Rendic. Acc. Lincei, giugno 1908. — 297 — Per p=1 manca wr modulo, e ciò corrisponde al fatto che le nostre su- perficie coi generi p= P.= 1, contenenti un fascio di curve ellittiche, fan parte di una più ampia famiglia di superficie cogli stessi generi, che non contengono fasci di curve ellittiche: tali sono, nel caso @), i piani doppî con sestica K, di diramazione affatto generale; e nel caso £) le superficie del 4° ordine, che solo in casi particolari sì riducono a quadriche doppie con curva Kz di diramazione. Resta infine da considerare il caso y) per o, di diramazione dotata di un punto O (2% — 3)-plo e o punti tripli infinitamente vicini, è un caso particolare di quello con curva di diramazione K., dotata di un punto (2x — 4)-plo e di o punti quadrupli; piano doppio che si riduce ad avere una curva di diramazione d'ordine più basso, e che contiene un maggior numero di moduli. Geologia. — Sulla presenza di una breccia ossifera quater- naria nelle Formiche di Grosseto. Nota del Corrispondente FEDE- RICO MILLOSEVICH. Nel luglio dell’anno scorso, S. M. il Re mì fece pervenire, per mezzo del suo primo aiutante di campo generale Brusati, alcuni campioni di rocce raccolti in uno dei suoi viaggi nel Tirreno e precisamente nelle isolette dette le Formiche di Grosseto. Mentre compio il gradito dovere di esprimere i sensi della mia pro- fonda gratitudine a S. M. il Re per aver voluto personalmente contribuire ai miei studî mineralogici e litologici sull’arcipelago Toscano, sono ben lieto di poter nello stesso tempo comunicare all'Accademia qualche breve notizia intorno ad alcuni di detti campioni, che hanno importanza per la storia geologica delle isole del Tirreno. Le Formiche di Grosseto formano un piccolo gruppo a breve distanza dalla costa della Maremma Toscana. L'isola maggiore è situata ad una ventina di chilometri all’incirca a ponente di Talamone e si solleva nel suo punto più alto soltanto 11 metri sul livello del mare; la sua lunghezza nell’asse maggiore sorpassa appena il mezzo chilometro. Un'altra isoletta di — 298 — dimensioni minori è appena alta 6 m. sul livello del mare; due scogli com- pletano il gruppo ('). i Per la loro piccolezza e nessuna importanza, queste isole non attras- sero l'attenzione dei geologi, cosicchè niente di particolareggiato si sa su di esse. Il Pareto (*) soltanto dedica qualche parola alla loro costituzione geologica e le dice formate da calcare giurassico. Il Lotti (*), senza farne cenno particolare nel testo, le indica, nella carta geologica, col colore del calcare retico, il quale costituisce anche l'isola di Giannutri ed ha una grande estensione nel promontorio Argentario e nei Monti dell’ Uccellina, che si trovano presso la costa maremmana dirimpetto alle Formiche. I campioni da me esaminati permettono di stabilire che, oltre al cal- care retico vi sono in queste isolette dei lembi di terreno quaternario recente. Fra di essi, quelli che presentano maggior importanza sono dei blocchi di una breccia rossastra con frammenti angolosi di calcare e grossi pezzi di ossa. Della calcite cristallina a struttura stalattitica, o lamellare spatica, o granulare od anche in grandi ma imperfetti cristalli a terminazione rom- boedrica, riunisce e cementa i frammenti riempiendo anche le cavità delle ossa. Altri campioni sono costituiti soltanto da queste varietà di calcite. Purtroppo, la determinazione delle specie cui appartengono le ossa della breccia riesce difficilissima se non impossibile, perchè mancano le facce articolari e si tratta di frammenti rotti prima di cementarsi. Evidentemente sono avanzi fossili di ruminanti; e l'illustre collega De Stefani, che gentil- mente volle esaminare i campioni, è di parere che sieno da attribuire al genere Cervus, senza che sia possibile una determinazione specifica. È noto che brecce ossifere consimili, talune anche con abbondante fauna di mammiferi, sono state osservate e descritte in altre isole del Tirreno, ed attribuite al quaternario recente: tali sono quelle dell'isola di Pianosa, quella della Caverna degli Orsi a Terranera presso Longone nell'Elba e quella della Caverna di Punta degli Stretti sull’Argentario, che è anch'esso un isola riunita di recente alla terraferma. Il Forsyth Major (4) — che, come è noto, è stato lo scienziato che con argomenti specialmente zoologici e paleon- tologici fu il più strenuo assertore della teoria della cosiddetta Tirennide — parla di un ritrovamento consimile nell'isola di Giannutri. !) Carta d’Italia dell’Ist. geogr. militare Foglio 135. Tavoletta di Talamone al 50000. Pareto L., Costituzione geologica delle isole di Pianosa, Giglio, Giannutri, Monte Cristo e Formiche di Grosseto. Atti della V Riunione degli scienziati italiani (Lucca, 1843, pag. 270). (8) Lotti B., Geologia della Toscana. R. Ufficio Geologico, Roma, 1910, con carta geologica. (4) C. J. Forsyth Major, L'origine della fauna nelle nostre isole. Proc. verb. Soc. tosc. sc. nat., Pisa, III, 1881. Die T'hyrrenis, Kosmos, VII, 1883. — 299 — Senza pretendere di entrare nella vessata questione della Tirennide ancora dibattuta fra i geologi, mi limito a segnalare l’importanza del fatto, che anche nelle piccole Formiche di Grosseto, ormai battute e quasi demolite dal mare, si trovino, come in altre isole del Tirreno, gli avanzi di una fauna numerosa, alla cui vita era certamente necessaria una terra ben più vasta, di cui le isole attuali possono non esser altro che l’ultimo residuo. Fisiologia — Acerche sui muscoli striati e lisci degli ani- mali omeotermi. P. I. Dei fenomeni tonici e clonici e della loro genesi nei muscoli striati e lisci. Memoria del Corrisp. F. BoTTAZZI. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Matematica. — Sopra un sistema di equazioni alle derivate parziali che ammettono un teorema nella media. Nota di Lurci Amoroso, presentata dal Corrisp. E. ALMANSI. Il sistema che considero è quello a cui soddisfano la parte reale e il coefficiente dell'immaginario di una funzione di due variabili complesse Lod iv, Co 4- 1/2, 0 cioè du du 27) DU ui Doo. 0 a) drî Di dz dYÈ i d°u du deu du = — =0 dI dC | di dY er, PMR IO Secondo il teorema di Gauss, una funzione % (x,y), armonica in un certo campo finito, è, in ogni punto, la media dei valori che essa prende sopra ogni circonferenza, che ha centro in quel punto; e viceversa — se- condo il Levi (') — ogni funzione v (x,y) continua entro un certo campo, che inoltre in ogni punto abbia come valore la media dei valori che assume sopra una circonferenza arbitraria di centro quel punto, è armonica. Segue, come corollario immediato, che, se % (x1,%1 | %2, 7») è una fun- zione armonica tanto rispetto alla coppia di variabili #,,%1, quanto rispetto alla coppia di variabili 4» ,%:, entro un campo finito S a quattro dimen- sioni, essa assume, in ogni punto x, ,%/,|2,%: di questo campo, la media (1) Cfr. E. E. Levi, Sovra una proprietà caratteristica delle funzioni armoniche, Rend. Accad. Lincei, vol. XVIII, serie 5*, 1° sem., fasc. 1°, 1909. Sullo stesso argomento cfr. V. Volterra, Alcune osservazioni sopra proprietà atte ad individuare una funzione, Rend. Accad. Lincei, serie 52, vol. XVIII, 1909; Tonelli, Rend. Accad. Lincei, serie 52, vol. XVIII, 1909; Vitali, Rend. Accad. Lincei, serie 5°, vol. XX1, 1912. — 300 — dei valori, che assume sopra la intersezione completa delle due varietà a tre dimensioni (2) (X-a}+(-m)î= Ri, (Xo- 2) + (Ya y)= R,,R. essendo costanti arbitrarie. In formule, è 1 271 (0271 (3), u(x:Y1|C2,Y2) = ai Sa u(c,1 + Ri cos 0, ,y;1 + È sen 6, | Lo + Sh cos 0, ,yx + R» sen 0:) d0, db». E, viceversa, ogni funzione % (41 , Ya | £2, Y2), continua entro un certo campo Sa quattro dimensioni, che assuma, in ogni punto x,,% | 22%: di questo campo, la media dei valori che assume sopra la intersezione completa di due varietà (2), R,, R» essendo costanti arbitrarie, è armonica tanto rispetto alla coppia di variabili x, , /1, quanto rispetto alla coppia di variabili x: , y2 - Ma una funzione armonica in x,y è la parte reale di una funzione della variabile complessa x +4 verifica alla stessa (3), consegue, applicando di 1 nuovo le formule precedenti : Son Tia i IU === così, — dh, dé drei 4n*R, I) 0 i dI ; 2 Diu Il (E (E du — = —_- sen 0, — d@, do dyi 4n°Rilo vo i dY1 eve (5) e, analogamente, per cui è (cfr. la Nota citata del Levi alle formule (6) e seguente) Dim ssaa 0 0 dA dYi Infine, analogamente, (MUBNTORU sl 271 oe 2 dU — GO 0, d0, dé tana CF PER 270 (270 dU —_ 0,40, d0 iù È — An? " Ro TaeS (E Re È cOn DE) (6) — 302 — e perciò: diu du 1 e wi 1 du RVESA cos 0 DI dA2 IF dY1, dY2 4n?R, Jo 5 s 0, (cos 0, SUE R, >; sen 0 .) + dU 1 du ) sen @ 0 — —— LO N= | ; (sen :5R; + R, D0, cos 6 .)(d0 d0, “nl 1 RE i dU R; do, d0, + (277 (27 dU ET II gh sen(0, — 0») gd e e infine tenendo conto delle (3) (7) du Diu! d(L1, V| L2,Y2) | ILL Wi dy AR dRo de zià 12 Ò k i fe u cos(0, — 0) d0, dd, = 0, ecc. 24/0 vo DIMOSTRAZIONE DELLA SECONDA PROPOSIZIONE. 4. Sia vu un integrale di (1), regolare entro un campo S a quattro di- mensioni. Per il corollario, di cui al n. l, % verifica allora alla (3);: sussistono quindi, secondo quanto precedentemente, al n. 3, abbiamo dimo- strato, le formule (4), (5), (6), e analoghe. Ma, per ipotesi, du d°u dI dA dY1 dY2 onde consegue, tenuta presente la (7): 27 27 ii i ucos(0, — 03) d0, d0,= 0, ecc 0 e Osservazione 1°. 5. La (3), può scriversi n Ta 271 RACE = u(xc1 + 7, 6080, ,y, + 71 sen 6, | La - Pg COS 6, -Y2 È; Yo Sen 05) db; d0s , — 303 — da cui segue, integrando rispetto ad 7, da O a R,, e rispetto ad r, da O ad R., e dividendo per R, RR, 1 U(t1-Y1 32, Y2) = RR Se + R, cos 0,, ya + Ri sen 0, | Le + TP COS 0, 1Y2 + Rs sen 0.) do, d0, 5 c, essendo, nel piano delle variabili x,,%1, l’area del cerchio che ha centro in #1,%, e raggio Ri, ecco — Questa formula rappresenta una seconda forma, in cui può esser posto il teorema della media. Analoga trasforma- zione può farsi per le altre due (3),. Vale ancora la pena di osservare che teoremi di media ponderata, ana- loghi a quelli espressi dalle (3)», si hanno tutte le volte che si sostituiscono le equazioni del secondo rigo di (1) con altre simili equazioni lineari a coeffi- cienti costanti nelle x e nelle derivate. Al variare di queste equazioni, va- riano le funzioni che danno il peso. Osservazione 2%. 6. È assai facile di vedere che l'ipotesi della continuità per la funzione x relativamente alla dimostrazione della prima proposizione è troppo restrittiva. Tenendo presente le citate Note dei prof. Levi, Tonelli, Vitali, si riconosce, a prima vista, che ad essa può sostituirsi un'ipotesi assai più larga e che consiste nel ripetere, per ambedue le coppie di variabili x,,% | 2, %:, le le condizioni che gli autori sopra citati pongono per ciascuna delle due coppie stesse. Osservazione 3°. 7. Credo opportuno, terminando, richiamare l’attenzione sopra il fatto che ogni teorema della media, in sostanza, porta ad una notevole proprietà dello sviluppo di Fourier. Consideriamo, per es., una funzione % armonica nelle due variabili x ed y: supposto che 7,0 denotino un sistema di coor- dinate polari col polo in #,y lo sviluppo sopra accennato dà ux +7 cos0,y +47 sen 0) = = Ao 4-7 (A, così + A» sen 6) +7? (B, cos 29 -+ B. sen 20) +...; le A,,B, essendo funzioni di 7, y. Segue, calcolando i coefficient, di Fourier, e tenendo presente il significato delle A e delle B: ue) = ft Reos0,y+r5en9) da, du, Y) Gi af + Rcos@,y+-Rsen@)cos 0 d0,.. ecc. 0 formole valide, qualunque sia R al secondo membro. RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 41 — 304 — Il teorema della media porta, in sostanza, a questo: che, dallo prima di queste formule, relativa alla funzione 1 271 pezzi udo, derivano come conseguenza tutte le altre, relative alle derivate della fun- sione u, sempre che la precedente si supponga verificata per un punto generico del piano delle variabili x y e per ogni valore generico di R. Analoga considerazione potrebbe svilupparsi pel teorema dimostrato in questa Nota, relativo al sistema (1). Meccanica celeste. — Esame analitico della teoria del Fabry e del Crommelin sull’origine delle comete. Nota del dott. ing. G. ARMELLINI, presentata dal Socio T. Levi-CIVITA. Il prof. A. Crommelin, in un recente articolo intitolato « The origin and nature of comets », pubblicato nella Rivista di scienza (*), ha profon- damente studiato il problema dell'origine delle comete. Egli si domanda (come del resto aveva già scritto il Fabry qualche anno prima) come mai non sia stata fin qui osservata alcuna cometa netta- mente iperbolica. Non potendo ammettere che tutti questi astri entrino nella sfera d'attrazione del sole, con velocità estremamente piccola, dichiara che questo fatto costituisce una prova innegabile dell'origine solare delle comete. Ora a me sembra che tale ragionamento abbia un punto debole: il Crommelin e il Fabry infatti non tengono conto della distanza perielia che deve risultare assai piccola perchè la cometa sia osservabile. La cometa di Tempel II, p. es., che è una delle più lontane, ha per distanza perielia p = 2,0735322. Per distanze notevolmente maggiori sembra che i raggi solari siano impotenti a determinare nel nucleo cometario lo svolgimento di quelle emanazioni che generano la coda e la chioma. Par- tendo da questo fatto, e basandomi su concetti generalmente ammessi, io mì propongo di dimostrare che, anche nell'ipotesi che molte comete proven- gano dall'esterno del sistema solare, la probabilità di osservarne una con orbita nettamente iperbolica risulta sempre immensamente piccola. La mancanza di tale osservazione non potrà perciò essere invocata come argomento decisivo contro l'ipotesi stessa, come fanno il Fabry ed il Crommelin. ì (1) « Rivista di scienza », anno VII (1910), vol. IV. — 505 — FORMULE DI PARTENZA. Prendendo per centro il sole S, immaginiamo una sfera o di raggio 7, tale che, in essa, l'attrazione solare sia preponderante rispetto a quella degli astri. Indichiamo con N(v,7), o semplicemente con N, il numero delle co- mete che entrano in o, in un certo tempo 7, con velocità fisicamente uguale a v. Sceglieremo 7 in modo che N risulti possibilmente grande, tanto da poter applicare senza errore sensibile il noto teorema di Bernouilli. Indichiamo con g(@,7)dw la probabilità che l'angolo d’incidenza (con- tato dalla normale interna), con cui una delle N comete entra nella sfera 0, sia compreso tra w e 0 + do, ammettendo per semplicità che non di- penda dal punto in cui la cometa passa attraverso o, ma solo da 7 e da w. Avremo allora, qualunque sia 7, (1) S'oto.n doeo=1; mentre, d'altra parte, il numero Na delle comete che entrano in o con un angolo minore o, al più, eguale ad «, sarà dato prossimamente da (2) pes N f gle Toldo: RELAZIONE TRA LE FUNZIONI @. Ciò posto, indichiamo con 0, una nuova sfera concentrica ed interna a Cc, e con o il suo raggio, (O<7). Si tratta di trovare una relazione tra P(0,7) e (0,0). A tale scopo, supponiamo che una cometa entrata in o con angolo di d'incidenza 4 e con velocità v, entri in 0, con angolo d'incidenza u e con velocità v,. Le quantità v, e w saranno legate a v e 4 dalle relazioni (3) rv send=00; sen 1 M Il M/ (4) so Mo ly_ dn la prima delle quali è data dal teorema delle aree, la seconda da quello delle forze vive: M ed / indicano la massa solare e il coefficiente attrattivo; h è la costante delle forze vive. Escludiamo le comete ellittiche che non entrano nelle nostre conside» DIE o 2Mf razioni, e supponiamo, perciò, v > | wo — 306 — Avremo allora, eliminando v;, tra la (3) e la (4), o all TRNRL sen & fa PA I —;) Il secondo membro (che non può mai annullarsi perchè si ha 0 < 7) è una funzione crescente di 0, come possiamo facilmente dimostrare pren- dendone la derivata. Poichè senu, in valore assoluto, deve essere necessa- riamente minore o, al più eguale, ad 1, ne segue che, delle N comete con- siderate, entreranno in o, soltanto quelle che hanno traversato la sfera o con un angolo d'incidenza non superiore a w; essendo w dato dalla relazione (6) snp=t 14 MD. 1P (5) Soddisfacendo v alla condizione di parabolicità o iperbolicità, risulta Q (senyw|= | / = Dalla 6), ricordando il teorema di Bernouilli che, come abbiamo detto, può qui applicarsi senza errore, ricaviamo che il numero Ng delle comete che entrano in o, è dato dall'espressione: (7) Nar (slo (0, A) da =0 <1; e quindi il calcolo è sempre possibile. LI Sia 4 minore di w: le comete entrate in o con un angolo d'incidenza. minore 0, al più, eguale a 4% (supponendo sempre la velocita d'ingresso eguale a v), entreranno in o, con un angolo d'incidenza minore, o, al più, eguale a w: sen Z e sen w essendo legati dalla relazione (5). Noi avremo dunque: Li ou (8) nf gieLr) do=N; f 10,045; da cui, eliminando Ns per mezzo della (7), avremo: osare ]sen=® AME 2) sn (0,7) dw Ro o=0 (9) |g0.0 da = 2 o i ia /o=0 o=arolsen=®{/14 (11) — 307 — che è la relazione funzionale a cui volevamo giungere. In essa, w figura come un parametro arbitrario; il quale, per ciò che precede, è evidentemente fai IT TORINO) sottomesso alla condizione uZ5- Facendo, p. es., u= 2° ritroviamo la formola (1) come caso particolare. Differenziando la (9) rispetto a w, sì ot- terrebbero altri importanti relazioni, che per brevità tralasciamo perchè non necessarie per ciò che diremo. PROBABILITÀ DI VEDERE UNA COMETA; VALORE PROBABILE DELLA DISTANZA PERIELIACA, DELL’ECCENTRICITÀ, ECC. Supponiamo ora data tanto la funzione (0 ,7,), relativa al valore par- ticolare del raggio 7=7,, quanto il numero N, di comete che nel tempo © entrano nella sfera s di raggio 7,, con velocità v. È facile allora il calcolare quante di esse saranno visibili. Infatti, se noi prendiamo come unità di lunghezza il semiasse dell'orbita terrestre, e costruiamo una seconda sfera avente ancora per centro il sole e il cui raggio sia uguale all'incirca a 2, allora, per ciò chè stato detto in principio, potremo considerare come visibili quelle comete che vi entrano. Chiamando con x, il numero di queste comete, si ha: w=Arc. sent |) 4A (i -3) (10) a = | g(0,7)) do ; Possiamo anche calcolare il valore probabile d dell'angolo d'incidenza con cui le 7, comete visibili entrano nella sfera di raggio 2, o sfera di visibilità. La quantità d deve infatti soddisfare alla relazione 00 i (11) pe wo=0 Ora, g(r=2;) è incognita, ma noi possiamo valerci dell’ equazione funzionale (9). Da essa infatti ricaviamo o=aresen== {/14+-2U(1 (11) send (12) IL (0,7) do= i = 0 sro isn= 2 {/14+/(1_1)| Il Ti mo p(0, 7.) do, = e poichè, per ipotesi, g(w,7,) è nota, la (12) ci darà send. — 308 — Analogamente potremo conoscere il valore probabile della distanza del perielio e dell'eecentricità delle x, comete visibili; la formula (9) ha perciò molta importanza in questa teoria. APPLICAZIONE AL CASO PARTICOLARE IN CUI SI SUPPONGA CHE LE COMETE, NELLE REGIONI LONTANE DAGLI ASTRI, SI MUOVANO IN MODO CHE TUTTE LE DIREZIONI RISULTINO EGUALMENTE PROBABILI. Per applicare ora la nostra formula all'esame delle teoria del Crommelin, occorre fare un'ipotesi sulla funzione g. Ci fonderemo perciò sul seguente PosrtuLaTto. — « Facendo astrazione dalle regioni prossime agli astri, « le comete dello spazio si muovono con legge tale che tutte le direzioni « risultano egualmente probabili ». Ammetteremo ancora che dentro certi limiti, tutte le velocità siano equamente ripartite. Prendiamo ora una sfera 2, avente per centro il sole e il cui raggio R sia assai grande: p. es., sia eguale a 100.000 la lunghezza del semiasse del- l'orbita terrestre. Nell’interno di questa sfera l'attrazione del sole è certo preponderante; mentre, d’altra parte, dato il grande valore di R, possiamo ammettere, almeno in prima approssimazione, che tutte le direzioni d’'in- gresso delle comete in È, sieno ugualmente probabili. Allora la probabilità che l'angolo d'incidenza di una cometa in X, sia compreso tra 0 o y, è data dal rapporto tra l’area di una calotta sferica limitata dal parallelo di con- latitudine y e l’area della semisfera corrispondente. Abbiamo dunque: = Y (13) (en «/Jo=0 da cuì: (14) g(r = 100.000; @) = 2 sen w. La (10) ci dà allora, eseguendo i calcoli, (15) fui fra EUMENE (R= 105). Eliminiamo ora »v, introducendo la costante delle forze vive, 4, data dall'equazione (4); e sostituiamo alle lettere i numeri scegliendo, come è stato detto, per unità di lunghezza il semiasse dell’orbita terrestre e per unità di tempo il giorno solare medio. L'unità di massa può essere qual- siasi, giacchè il prodotto MY ha le dimensioni [L® T-?]. — 309 — Avremo: tel 2 CZ 0.000605 (6) i E and). La quantità W (A chiameremo col nome di coefficiente di visibilità) gode della proprietà che, moltiplicata per il numero N, delle comete entrate in X, dall'esterno ci dà il numero x, di esse che risulta probabilmente visibile. RisuLtaTo. — Ora la formola (16) ci mostra che W decresce in maniera estremamente rapida appena h supera 0, cioè appena la traiet- toria si allontana dalla parabola cangiandosi in iperbole. Supponiamo, per dare un esempio, che cento bilioni di comete (10!!) entrino nella sfera X, o sfera d'attrazione del sole. Se la velocità d’ ingresso è inferiore a 130 metri circa al minuto secondo, » è negativa e l'orbita ri- sulta ellittica. Immaginiamo perciò che tutte le velocità d’ingresso siano comprese tra un minimo p. es. di 200 metri e un massimo p. es. di 100 km. al secondo, (massimo notevolmente elevato); e che tra questi limiti siano equamente distribuite. Divideremo, per semplicità, le nostre comete in cento classi, ammet- tendo nella 1* quelle con velocità d'ingresso inferiore ad 1 km; nella 2 quelle con velocità d’ingresso compresa tra 1 e 2 km, e così di seguito. Per l'ipotesi fatta sull’ uniforme distribuzione delle velocità, ogni classe conterrà circa un bilione di comete. Ricordando la nota relazione tra l’ eccentricità e, la distanza perieliaca p, e la costante 4; poichè per le comete visibili si ha p= 2, avremo per queste: (17) (Gta Servendoci allora del coefficiente W, dato dalla formula (16) sarà fa- cile calcolare la seguente (*): TABELLA. Numero Numero Ciasse | delle eomete e Classe |delle comete @ visibili visibili Je 5000 e=.1,0001 6° 7 e= 1,05 2a 180 e =. 1,002 Te 5) e =. 1,08 3a 48 | e= 1,009 82 4 e = 1,10 4a 21) e = 1,02 9a 3 e = 1,183 da 12 e. = 1,03 102 2 CaEZÙiolio ecc. ecc (') Risultati numerici poco dissimili si avrebbero, sia tenendo conto del moto del sistema planetario nello spazio, sia modificando il postulato in modo che le deboli in- clinazioni risultino preferite ecc. — 310 — Da questa tabella risulta che per spiegare come le comete fin qui osservate non abbiano mai presentato un'orbita nettamente iperbolica, non è necessario di supporre per tutte un'origine interna al sistema solare. Anche se molte comete pervenissero dall'esterno, la probabilità di scoprirne una con orbita fortemente iperbolica sarebbe pressochè nulla. Non può quindi essere considerata come soddisfacente la teoria del Fabry e del Crommelin, i quali hanno creduto che la mancata osservazione di orbite nettamente iperboliche sia una prova incontestabile della origine solare dei nuclei cometarii. Matematica. — Sur la representation des fonetionnelles con- tinues. Nota II di R. GATEAUX, presentata dal Socio V. VOLTERRA. I. — PRELIMINAIRES. 1. Dans deux Notes précédentes (Comptes rendus, 4 aout 1918, Reale Accademia dei Lincei, 21 décembre 1913), j'ai étudié la représentation, par la limite d'une somme d’intégrales multiples, d'une fonctionnelle U|[#]| dé- finie et continue dans le champ des fonctions (a), ces fonctions z(@) étant définies, réelles et continues pour a=a<=. Je me propose d'étudier dans la présente Note ce que deviennent les résultats précédemment obtenus, quand les fonctions z(@) sont définies pour toutes les valeurs réelles de «. 2. Je désignerai par £ l'ensemble des fonctions (a) définies, réelles et continues pour toutes les valeurs de la variable réelle @. A(a) et B(a) étant deux fonctions de £2 telles que A(@) = B(a), je dé- signerai par £ (A,B) l'ensemble des fonctions z(a) de £, telles que A(a) = g(a) = Bla). Je dirai que la fonction <,(@) a pour limite la fonction z:(0), si zi(@) tend vers s.(@) pour chaque valeur de «, la convergence étant uniforme dans tout intervalle fini. D'après cela, Je puis définir un écart de deux fonctions z;(@), (0). Je considère la fonetion du nombre positif /: 2 + maximum dans (—/,2) de |e;(a) — <:(0)|. Cette fonction de / admet un minimum que j'appellerai écart des fonetions z,(@),z>(@). Il est aisé de voir qu'il possède bien les propriétés d'un Éécart. Les expressions fonciionnelle continue, fonctionnelle uniformémeni con- tinue, ensemble compact de fonctions ont maintenant un sens parfaitement — 311 — déterminé (Voir par exremple: Fréchet, Thèse, Circolo matematico di Pa- lermo, 1906). 3. J'emploierai, pour représenter approximativement une telle fonction- nelle, des expressions de la forme: (1) V®@[[]= Ko + dle “SL Ki(a,-- 0) (0) aida. K, est une constante; K;. une fonction continue par rapport è l'en- semble de ses variables; 7 est un entier positif, qui, adjoint à la lettre V comme indice supérieur, indique uniquement les limites entre lesquelles sont prises les intégrales. Pour distinguer entre elles plusieurs expressions (1), Jatfecterai Ja lettre V d'indices inférieurs, qui devront également affecter Kok 4. Dans les paragraphes II et III, toutes les fois qu'un passage è la limite sera indiqué il sera sous-entendu que la convergence est uniforme dans tout ensemble compact des fonctions considérées, soient 2, soient 4 et de. II. — REPRESENTATION D'UNE FONCTIONNELLE CONTINUE. 1. Une méthode analogue à celle qui est indiquée dans la première Note citée conduit aux résultats suivants: 2. Soit U|[e]|une fonetionnelle réelle, définie et continue soit dans ®, soit dans 2(A,B). On pent déterminer une suite VW |[2]| telle que: U[e]i= lim VP [2]. N> x 3. Définissons la variation première d'une fonctionnelle U|[2]| par l’égalité: d 30|[s, d7]]=-7 Ua=v|l + 202]] Dans chacun des deux cas précédents, supposons que U)[e]| admette une variation première dU|[z, de]| définie et continue par rapport à l'ensemble des fonctions 2,dz, quelle que soit 2 appartenant au domaine d’existence de U, et quelle que soit la fonction continue dz. On peut choisir les expressions V des seconds membres de telle sorte que la variation pre- mière de U sotît la limite des variations premières des V®. 4. Les V® ont une variation première linéaire par rapport è dz. La variation première de U, qui en est la limite, est donc distributive par rap- port è dz. Comme elle est continue, elle est linéaire. D’où une condition suffisante pour que la variation première d’une fonctionnelle soit linéaire: RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 42 — 312 — Considérons la fonetionnelle U)|2]| définie, réelle et continue, soit dans ®, soit dans Q(A,B). Supposons qu'elle admette une variation pre- miére dU|[e, de] continue par rapport à l'ensemble des fonetions a, dz, quelle que soit 2 appartenant uu domaine d’existence de U, et quelle que soit la fonciion continue dz. Cette variation première est lintaire par rapport à dz. III. — REPRESENTATION D'UNE FONCTIONNELLE D'ORDRE ENTIER. Désignons par £' l'ensemble des fonctions 2(@) = (2) + 2y(a), définies et continues pour toutes les valeurs de la variable réelle a. Définissons la limite et l'écart pour les fonctions <(@) comme au paragraphe I. Nous dirons qu'une fonctionnelle U|[z]| définie dans £' est d’ordre m, si elle est continue, et si U|[AZ: + 4'']| est un polynome de degré m par rapport aux nombres complexes 4,4. Si ce polynome est homogène de degré 72, nous dirons que la fonetion- nelle est homo- gène d’ordre m. St U|Le]| est une fonetionnelle d'ordre m, on peut la mettre sous la E forme: Ul[4]|= Uo + Uil] +-+ Uglle]] +-+ Unl[4] ÙU, étant une constante, Un une fonctionnelle homogéne d’'ordre p, qui admet la représentulion suivante: Dee star il sE [i GEO Aa, K,, étant une fonction complexe continue de p variables réelles. En particulier, U,|[z]] étant une fonetionnelle linéaire : ÙU, |[4]| =lm f" K,(a)z(a)da . IV. — CONDITIONS NÉCESSAIRES ET SUFFISANTES POUR QU UNE FONCTION- NELLE DEFINIE DANS (A , B) SOIT LIMITE D’EXPRESSIONS (1), LA CON- VERGENCE ETANT UNIFORME. Nous avons obtenu (II, 2) une représentation d'une fonctionnelle définie dans (A ,B), en la supposant simplement continue. Dans cette hypothèse, la convergence est uniforme, non pas dans tout le domaine, mais dans tout ensemble compact de fonctions. Restreignant la généralité des fonctionnelles considérées, le théorème suivant nous donne une représentation avec conver- gence uniforme dans tout le domaine L(A, B). — 313 — THEoRÈME. — Soît U|[z]| une fonctionnelle définie dans S(A ,B). Pour qu'on puisse déterminer une suite 0) VEC] VAILA... VOIC], tendant vers U|[z]|., la convergence étant uniforme dans Q(A, B), il faut et il suffit qu'étant donné £ posttif, 1°) on puisse déterminer let n tels que, si zia) et zs(a) satisfont dans l’intervalle (—Ll,1) à l'inégalité |z:(a) — 2(@)|OH-NH: .HC1. Cs Hs Questo composto fu già ottenuto da Busche e Leefhelm (') per mezzo di (*) Journ. f. prakt. chem. [2], 77, 14 (1908). — 346 — idrobenzamide e bromuro di «-naftilmagnesio ed i caratteri descritti dagli AA. concordano con cuelli del prodotto da noi ottenuto. Per azione del- l'acido nitroso gli AA. ne ottennero anche il corrispondente fenil-naftilcar- binolo: Colt CHA Dal cloridrato ottenuto nella riduzione tanto del composto 127° quanto di quello 161° furono preparati i derivati benzoilici della base, col solito metodo di Schotten-Baumann. In ambedue i casi si ebbe un composto che, purificato dall'alcool cristallizza in ciuffi di lunghi aghi setacei fusibili a 178°. Analisi: gr. 0,1438; CO, gr. 0,4520; Hs0 gr. 0,0760. CH.OH. Trovato °/o Calcolato per Cx4H,s0N C 85,72 85,46 H 5,87 5,64 Il derivato benzoilico della naftil-benzilamina : Do pei . NH(CO.C4H;) CEUELS corrisponde appunto alla composizione: C,4H,90N. Il fatto che ambedue i composti 127° e 161°, si trasformano per ridu- zione nella naftil-benzilamina fa escludere il dubbio che uno dei due iso- merici invece che alla forma ossimica del naftil-fenilchetone possa corrispo- dere ad uno dei due seguenti composti : Cs H;—C0 Cs H;—NH | CroHa NH CioHa—C0 Benzoil-a-naftilamina (161-162°) Anilide dell’ac. «-naftoico (160°) formatosi in seguito alla nota trasposizione delle ossime. Anche la facilità colla quale ambedue i composti 127° e 161° formano derivati benzoilici sta contro questa supposizione. Per la interpretazione dei due isomeri, 127° e 161°, non rimangono quindi altro che le due configurazioni stereochimiche : CroHa—CT—CeéH; CioHia—C—C;H; | e | NOH HO—N Altre indagini intorno a questi composti faranno argomento di ulteriore pub- blicazione ('). (1) Il dott. Poccianti si riserva di studiare l’azione dell’idrossilamina sul f-naftil- fenilchetone, come pure quella dell'acido nitrico sopra ambedue i chetoni @ e 8, e ren- derà noti prossimamente i risultati delle indagini attualmente in corso di esperimento. M. B. — 347 — Chimica. — ZBibromotetraidrocarvone e sua trasformazione in buccocanfora (*). Nota di G. Cusmano e P. POCCIANTI, presen- tata dal Socio E. PATERNÒ. Di recente uno di noi (*) ha stabilito la formola I per il bibromomen- tone, descritto fin dal 1896 da E. Beckmann e H. Eickelberg (5), e inoltre ha fatto conoscere che il composto medesimo, sotto l’azione degli alcali, fornisce buccocanfora (II) CH; CH; CH È H.C7 \CHB: H.C NC.0H Hd ho lla CBr CH H,C-GH- CH, H,C CH - CH; In questa Nota diremo di un bibromotetraidrocarvone, da noi ottenuto per la prima volta e per il quale abbiamo dimostrata la formola III, ana- loga a quella del bibromomentone CH; C Br H,C/ \c0 III | SYA CH HIC.CH.CH, H,C CH Br Anche il nuovo composto, trattato con idrato potassico in soluzione acquosa al 2,5 °/,, alla temperatura di 40-50°, si trasforma in buccocanfora. Ora, stando a casi noti (‘), nelle condizioni riferite gli atomi di alogeno legati ad atomi di carbonio secondarî vengono sostituiti dall’ossidrile, mentre gli atomi di alogeno uniti ad atomi di carbonio terziarî o vengono sostituiti con l’ossidrile, o sottratti come idracidi. Perciò, dal bibromomentone e dal (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale dell'Istituto di Studi supe- riori in Firenze. (2) G. Cusmano, questi Rendiconti, vol. XXII, V, 2°, 569. (3) Ber., 29, 418 [1896]. (4) O. Wallach, Ann., 287, 128-131 [1894]; 324, 86-87 [1902]. — 348 — bibromotetraidrocarvone potevamo attendere rispettivamente le due coppie di composti : CH, CH, CH, CH. CH CH C-0H È N H.C/NcHoH HH od Hic/N00 HZ co Ivi | v H,C % Hc co ER Jo vo HOH ENTO No N, ui C. 0H È CH CH Hic CH.0Ho o HG CHACH ICONE ME COCEROHA Ma noi, accanto alla buccocanfora, abbiamo potuto verificare solamente la presenza dei composti biossidrilati. Gli alcooli terpenici non saturi IV e V, seppure realmente si formano in un primo momento della reazione riferita, si devono tosto cambiare nell’isomerica buccocanfora. È noto che il carveolo (VI), per cause diverse, si trasforma facilmente (') in diidrocar- vone (VII) CH; CH, C CH Hc/ NcH.0H H.07 \c0 | VI | v| po ZIE O ZU CH CH H,C=C CH3 3 H.C=C CH; Se si ammette che una analoga trasposizione intramolecolare subiscano gli alcooli IV e V, allora essi forniranno ambedue il dichetone VIII. Quest'ultimo fu descritto da Martine (*) e secondo Semmler e Mc. Kenzie (8) passa facilmente a buccocanfora. Quindi, la formazione di tale sostanza dai derivati bromurati del mentone e del tetraidrocarvone si potrebbe così rias- sumere: (4) O. Wallach, Ann. 287, 128 [1894]; 306, 273 [1899]; 324 86 [1902] e Z'erpene und Campher, pag. 366 (Lipsia, 1909). (*) Ann. de Chim. et Phys. [8], 3, 49 [1904]. (3) Berichte, 39, 1158 [1906]. — 349 — CH, CH; CH CH H.07 \CHBr H,C7 \CH-0H I | —> IV | H.0\ (co HO\ /00 \ CH, CH, CBr C CH CA ECHO CHR SEC CHUCH H,C7 co Hc \c.0H vin —> II CH; CH; H.cL co H,C. co CBr C ni A IVAN / È H,07 \c0 Hc7 \co A 3:;0-CH.CH, H,C-CH-CH; me = EC) E CE Br Hx0/oH-0H Geol CH H;C-CH-CH; H;C-CH-CH; La buccocanfora da noi ottenuta, nonostante provenga da materiale otti- camente attivo e conservi un atomo di carbonio asimmetrico, non manifesta nessun potere rotatorio. Stando agli schemi sopra scritti, ciò poteva preve- dersi nella sintesi dal bibromomentone; dall'altra sintesi, invece, non risulta se l'atomo di idrogeno legato al carbonio asimmetrico in 4 prenda parte alla trasposizione che conduce dall'alcool V al dichetone VIII. Parimente inattiva è la buccocanfora ottenuta (attraverso il dichetone VIII) da Semmler e Me. Kenzie (*) ossidando, o in ambiente acido o con ozono in presenza di acqua, l’ossimetilen-mentone attivo (IX) CH; CH; CH; CH dH 6 o gear io H.C/ \c.0H IX | Lo vin) i II | H,d\ co H H i sc 00 ,c Jco CH CH CH e in questo caso è evidente che si poteva ottenere un composto rotatorio. Ma il fatto più notevole è che anche la buccocanfora estratta dalle foglie di bucco (Barosma o diosma crestata) risulta inattiva Fe identica a quella sintetica. Ora è conosciuta la regola (a cui sin oggi si citava come eccezione solamente il dipentene) che i composti con atomi di carbonio asimmetrico elaborati dalle cellule vegetali o animali si presentano costantemente ir (1) Loc. cit. — 350 — forma attiva. Quindi la buccocanfora costituirebbe un’altra eccezione, e bisogna ammettere che essa si racemizzi all’atto della sua estrazione dalla pianta. La buccocanfora contiene un atomo di carbonio asimmetrico cui è legato un atomo di idrogeno capace di tautomeria. Possiamo quindi spiegare la racemizzazione con l'esistenza di uno scambio cheto-enolico espresso da CHy CH; È È H.C7 Nc.0H H,C7 Nc-0H II | - H Der; CH È H.C- GH-CH; H:C- CH - CH; oppure da CHy CH; CH; ò GH CH H.C/Nc.oH ___ H:07 \c0 H.0 \co > > Il | a vin gui | Hc co H:0 00 Hc ,0-0H CH CH C H,C-CH-CH; HI CAGHE CHANEL O ICH CHE Un meccanismo analogo è stato ammesso, come è noto (*) per spiegare la racemizzazione del mentone (IX) CH; CH CH CH H.C/ N CH; H.C \CH, Si #6 o È H;C-CH-CH; H3C-CH- CH; e di altri composti. In questi casi però il fenomeno di tautomeria e quindi la racemizzazione ha un decorso assai lento e si manifesta specialmente sotto l'influenza di agenti chimici o fisici, mentre per la buccocanfora si manife- sterebbe assai rapidamente. BiBRoM0-1-3-TETRAIDROCARVONE. Il tetraidrocarvone che ci ha servito per la preparazione del composto bromurato si è ottenuto secondo le indicazioni di Vavon (*), riducendo il (1) Stewart, Stereochemistry, 36 (Londra, 1907). (@) Bull. [4], 9, 256 (1911). — 351 — carvone con idrogeno in presenza di nero di platino. Il processo permette di ottenere agevolmente il chetone puro, poichè, se si usa la precauzione di impiegare carvone di fresco distillato, l'idrogeno viene assorbito per tempi eguali in misura costante fino alla quantità corrispondente a quattro atomi; dopodichè un rallentamento sensibilissimo nell’assorbimento segna il pas- saggio dal tetraidrocarvone al tetraidrocarveolo. Ad una soluzione cloroformica di gr. 20 di tetraidrocarvone si aggiunge goccia a goccia il bromo. Si osserva un breve periodo di induzione, durante il quale la soluzione rimane colorata; indi il bromo viene assorbito assai rapidamente e si sviluppa acido bromidrico. Quando si sono aggiunti circa cc. 12 di bromo la soluzione torna a colorarsi e l'assorbimento dell’alo- geno diviene lentissimo anche alla luce solare diretta, sebbene la quantità corrispondente a quattro atomi di bromo sia cc. 13. A reazione finita si diluisce con etere, si lava con acqua e poi con soda; indi si lasciano libe- ramente evaporare i solventi. Dal residuo oleoso si depongono rapidamento gr. 27 di grossi cristalli prismatici; aggiungendo a questi altri 4 gr. forniti dalle acque madri dopo alcuni giorni, si perviene a un rendimento del 75-76 °/,. Rimane un olio che svolge fumi di acido bromidrico e che col tempo assume un colore violaceo. Il bibromotetraidrocarvone, ottenuto nel modo descritto, si purifica con una sola cristallizzazione dall'alcool; allora si presenta in begli aghi lucenti, incolori, che fondono a 81°. Si scioglie nell’alcool a 95° nella proporzione del 5 °/, circa alla temperatura ordinaria, mentre è solubilissimo nell’alcool bollente. È pure molto solubile in etere, cloroformio, benzolo, ligroina, tetra- cloruro di carbonio, ed è insolubile in acqua. Analisi: gr. 0,1529, decomposti con soda nel crogiuolo di Piria, richie- sero cc. 9,8 di AgNO,; 7/10. Trovato Calcolato per Cr0H160 Brs Beata 51,27 51,28 Potere rotatorio: gr. 0,4500 in cc. 15 di alcool a 95°, ossia una solu- zione al 3 °/, in tubo di 200 mm.: aff= — 89,85, da cui: [a]? = — 147,5 Il tetraidrocarvone impiegato nella bromurazione aveva [@]p i —-— 249,1 . Nella nota già citata è stato dimostrato che un atomo di bromo del bibromomentone si può facilmente sostituire con i radicali dell’ idrossilamina, flell’anilina e della piperidina e ottenere composti ben cristallizzati. Queste reazioni e altre simili abbiamo ora tentate sul derivato bromu- rato del tetraidrocarvone, mettendoci nelle stesse condizioni dell’altro caso. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 47 — 352 — Per il momento non si sono ottenuti risultati positivi nè con le basi ami- niche, nè con il cianuro di potassio e il nitrito d’argento. Una reazione nel senso da noi cercato si è avuta però con la piperidina. Piperide Cio His Br0 È NC; ELE Se si mescolano a freddo le quantità corrispondenti a due molecole della base e una del chetone, si ha una reazione violenta con notevole svi- luppo di calore e di fumi: si ottiene un liquido bruno. La reazione si può mitigare usando le due sostanze disciolte nell'etere. Una soluzione di 3 grammi (1 molecola) di dibromotetraidrocarvone si aggiunge alla soluzione di gr. 1.65 (2 molecole) di piperidina. Precipita subito in minuti cristalli bianchi bro- midrato di piperidina, in misura di gr. 1,7, cioè corrispondentemente alla equazione : Cio His Br:0 +2 C;H, N= CH, Br0 - NO; Hi 4 G5H,,jN-HBr. Nel liquido rimane la piperide la quale, fatto evaporare il solvente, si separa come olio (gr. 2,25). Dopo qualche tempo parte di esso cristallizza : percui si spreme alla tromba e si scioglie la sostanza solida in alcool bol- lente. Per raffreddamento si depositano aghetti incolori, lucenti. che all'ana- lisi risultano della composizione della piperide: gr. 0,1219 richiesero cc. 3,86 di Ag NO; n/10: Trovato Calcolato per C,5Hs6BrON Balea 25,17 25,28 La piperide fonde a 117°; proseguendo a riscaldare, il liquido di fusione abbandona a 130° una sostanza solida. TRASFORMAZIONE DEL BIBROMO l-3 TETRAIDROCARVONE IN BUCCOCANFORA. Grammi 1 del chetone bromurato si sbatte con soluzione acquosa di idrato potassico al 2,5 °/0, alla temperatura di 40-50°. Dopo due ore si ha una soluzione limpida, in cui si fa gorgogliare anidride carbonica. Precipita un composto in aghi lucenti, che si riscontra identico con la buccocanfora. Di esso se ne raccolgono gr. 0,45 invece di 0,55 calcolati. Dai dati riferiti risulta che il bibromotetraidrocarvone si trasforma più rapidamente e più completamente in buccocanfora che non il bibromomentone. Per ciò che riguarda la posizione dei due atomi dell'alogeno nel bibro- motetraidrocarvone, la reazione ora descritta stabilisce che uno di essi è legato al carbonio 3 adiacente al carbonile. La posizione dell’altro risulta — 359 — dall'esistenza del monobromo-1-tetraidrocarvone H;C-CH-CH, preparato, ora è qualche anno, da Kétz e Steinhorst (*) facendo reagire quan- tità equimolecolari di bromo e del chetone. Del resto la tendenza dell’alo- geno a sostituire l'idrogeno in 1 sì rileva anche dal fatto che un isomero del nostro composto, il bibromo-1-8-tetraidrocarvone, è stato ottenuto (?) in- troducendo un secondo atomo di bromo nel bromo-8-tetraidrocarvone, ottenuto a sua volta da diidrocarvone e acido bromidrico. Chimica. — Sul! incompatibilità fra salolo, sulfonal e B-naftolo. Nota di Gino BiANCHINI, presentata dal Corrispondente A. PIUTTI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sw cloral-p-aminoazobenzene (*). Nota di MARIO MAYER, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Una grande quantità di composti appartenenti al gruppo degli azo-, ozo-amino-derivati ed affini, in seguito agli studî dell’ Hantzsch (‘) si sono mostrati capaci di esistere in due o più orme variamente colorate, e per lo più differenti anche per qualche altra proprietà fisica, come il punto di fusione, il vario potere assorbente delle loro soluzioni, e via dicendo. Ciò nondimeno, queste forme hanno identica composizione chimica ed ugnale grandezza molecolare. Sono varie le spiegazioni, ancora lontane dall’esser del tutto soddisfacenti, che si invocano per questa nuove specie di isomeria; nè è mia intenzione di discuterle. Mi basti per ora di accennare ad un altro caso nuovo. (1) Centralbl., 1911 (1), 731. (8) Wallach, Ann., 279, 389 e Bayer, Berichte, 3/, 3208. (*) Lavoro eseguito nel R. Istituto di studî superiori in Firenze. (*) Ber. 40, 330, 1533; 43, 106, 1651, 1688, 2512 e seg. — 354 — Nel 1898, M. Betti ('), facendo reagire l’idrato di cloralio col p-amino- azobenzene, ottenne, per eliminazione d'una molecola d'acqua a 90-95°, un composto di color rosso aranciato al quale egli stesso attribuì la costituzione seguente : Na= e CeHs C.H "NH C-C=0C1, on Già il Betti stesso aveva notato che il composto rosso da lui ottenuto direttamente facendo reagire a bagno-maria con poche gocce d'alcool i due costituenti, si poteva avere cristallizzato in pagliette gialle dall’etere di pe- trolio; mentre da un miscuglio di benzene e di etere di petrolio si otteneva in aghi aranciati, fondenti a 127°. Separazione delle due forme. 2 prodotto della sintesi del cloral-p- aminoazobenzene è una polvere rosso-scura che fonde già a 134°-135°, e che sì scioglie piuttosto difficilmente in un miscuglio bollente di un terzo di ben- zene e due terzi di etere di petrolio (porzione bollente fra 35°-90°). Resta sempre indisciolta una piccolissima quantità di una sostanza nero-violacea che dall’analisi e dal comportamento si rivela essere cloridrato di aminoazo- benzene impuro. Dal miscuglio dei due solventi ricristallizza una grande quantità di aghi aranciati fondenti fra 125°, e 126°, a seconda delle preparazioni, che è un miscuglio delle due forme accanto a poca polvere rossa finamente cristallina, che fonde a 136°. Questa, analizzata, corrisponde ai valori richiesti dal cloral-aminoazobenzene puro: gr. 0,2084 dettero gr. 0,3764 di CO; e gr. 0,0715 di H,0; gr. 0,1425. > cc. 14 di azoto a 9°,9 e a 767 mill.; gr. 0,18554 > gr. 0,2305 di Ag Cl (metodo Carius). Per C,4 Hi» N30 Cl3 = 344: Calcolato °/o Trovato C 48,83 49,26 Hi 3,84 8,81 N 12,21 11,97 CI 30,96 30,75 Cristallizzando però da molto etere di petrolio (un litro per 10 gr. di sostanza) 4 o 5 volte successivamente tanto il composto in aghi, quanto la polvere rossa, che è assai poco solubile, si ottiene una soluzione giallo- (!) Gazz chim. ital., 28, 241. — 359 — chiara, che, per raffreddamento, depone pagliette giallo-dorate fondenti a 116°- 117°. Anche queste rappresentano il composto primitivo: I. Gr. 0,1422 dettero gr. 0,2556 di CO, e gr. 0,0474 di H,0 Min ea AORIIZIZZ 7 » 0,2260 > » 0,0413 ’ III. » 0,0795 ’ ce. 8,0 di N a 99,6 e a 750,5 mill. IV. » 0,1620 » gr. 0,1682 di AgCl V. » 0,1346 7 0720014. Per Cha His N; (0) Cl, = 844: Calcolato °/o Trovato oe — n o C 48,83 49,21 48,27 _ — _ H 3,84 3,70 3,59 - —_ —_ N 12,21 _ —_ 12,01 _ — CIMERE.0196 — — - 30,27 31,62 Proprietà delle due forme. — La forma gialla, che sì presenta sempre in scagliette molto leggère, si ottiene pura ed in una certa quantità sola- mente nel modo anzidescritto, non mai per sintesi diretta. Fonde a 116°, trasformandosi in un liquido rosso, che si solidifica sui 120°, e che rifonde allora a 135°. Il punto di transizione delle due forme è dunque verso 120°. Una determinazione di peso molecolare di questa forma ha dato, usando come solvente crioscopico la p-toluidina, un valore sufficientemente appros- simato : Sostanza gr. 0,8085 in gr. 7,52 di solvente: Costante 524. Abbassamento osservato: 0°,130. Peso molecolare trovato: 326; calcolato: 344. La forma rossa, che fonde ad una temperatura più elevata della gialla (136°) ed è, come di regola, la più stabile, si ottiene direttamente dai componenti, e ogni qualvolta si cristallizza la forma gialla dalla maggior parte dei solventi: benzene, toluene, xilene, cloroformio, acetone, piridina, etere etilico, etere acetico. Talvolta, anche le soluzioni in etere di petrolio, dopo avere deposto quasi tutta la sostanza disciolta sotto la forma gialla, lasciano cristallizzare una tenue quantità della modificazione rossa. Pare che già allo stato solido la forma gialla abbia una tendenza a trasformarsi in forma rossa. Lo stesso succede comprimendo fortemente la forma gialla. Le determinazioni di peso molecolare della forma rossa fatte col me- todo ebullioscopico in benzene hanno mostrato che, alla temperatura di ebol- lizione del solvente, il composto è già dissociato nei suoi componenti, il clo- ralio e il p-aminoazobenzene: Peso molecolare calcolato per il composto rosso: 344. Trovato: 189, 215. Peso melecolare dell’aminoazobenzene: 197. — 350 — Non vi può essere però dubbio che la forma rossa sia anch'essa mono- molecolare, come la gialla, perchè, semplicemente evaporando una soluzione della forma gialla si riottiene, parzialmente almeno, la rossa, e perchè, in tutti i casi consimili finora osservati, le due modificazioni presentano sempre ugual grandezza molecolare. Alla temperatura dell’aria liquida le due forme diventano ambedue di colore più pallido, ma non si nota un trasformarsi della modificazione rossa nella gialla. Comportamento chimico delle due forme. — Chimicamente, le due forme, com'era prevedibile, si comportano in identico modo. Dànno con la stessa facilità, in soluzioni alcaline, uguali prodotti di decomposizione. I de- rivati acetilici e formilici che si ottengono per azione dell'anidride acetica e dell'acido formico, sono’ sempre rispettivamente l’acetil- e il formil-amino- azobenzene. I prodotti di salificazione con la brucina risultano anche essi uguali e di medesimo potere rotatorio (vedi in seguito). Le soluzioni alcooliche di una forma qualsiasi del composto contengono sempre, accanto al composto inalterato, l’aminoazobenzene libero, che talvolta sì separa puro, talvolta, invece, contenente cloralio. Evaporando una soluzione in alcool metilico, etilico o amilico, sulle pareti del recipiente si ottengono cristallizzate le due forme, l’una accanto all'altra, o in cristalli misti. Dal complesso delle proprietà chimiche e fisiche delle due forme del cloral-p-aminoazobenzene, non si può concludere che queste rappresentino due isomeri chimici, nel senso dato finora a questa parola, perchè: 1) le due modificazioni conducono, con la stessa facilità, ad eguali prodotti di decomposizione e di addizione; 2) la forma stabile presso il punto di fusione (la rossa) è quella che fonde alla temperatura più elevata. Gli altri criterî, dati dalla chimica fisica, per giudicare se due indi- vidui chimici sono veramente composti isomeri, nel nostro caso non si pos- sono applicare, data la grande labilità del composto nella vicinanza del suo punto di fusione. Così, ad esempio, non è possibile di misurare la tensione di vapore delle due forme. Non resta quindi da ammettere altro, per questo caso, che l’esistenza di una speciale isomeria (cromoisomeria), come fa Hantzsch; oppure sì devono ricondurre i fenomeni osservati a semplici manifestazioni del polimorfismo. Tentativo di scissione in antipodi ottici del cloralaminoazobenzene. — La formola ammessa per il nostro composto rivela la presenza d’un atomo di carbonio asimmetrico e, quindi, la possibilità di una scissione in anti- podi ottici. Poichè il composto, a causa della simultanea presenza di un ossidrile e del gruppo azoico, è dotato di proprietà acide, per quanto assai deboli, fu subito tentata la combinazione del composto racemico con una base forte — 357 — ed otticamente attiva: la bornilamina. Ma unendo in soluzione alcoolica quantità equimolecolari delle due sostanze, si ottennero cristalli di p-amino- azobenzene p. f. 125°, che rivelarono come la bornilamina avesse, al pari degli alcali caustici, scisso il composto primitivo. Sostituita alla bornilamina una base attiva, ma più debole, la brucina, si usò, invece dell'alcool, solvente troppo dissociante, il benzene. Sciogliendo a blando calore in molto benzene quantità equimolecolari del composto e di brucina resa anidra (2/100 di gr. mol. in 40 ce. di benzene), ed evapo- rando lentamente il solvente nel vuoto su acido solforico, dopo alcuni giorni si depositano grossi cristalli rossi, prismatici, lunghi mezzo centimetro e più, mal formati, con strie longitudinali provenienti da ineguale accresci- mento. Questi, lavati con benzene freddo, in cui sono poco solubili, ed essic- cati, rappresentano, in peso, più della metà della somma dei componenti disciolti. Questo fatto si spiega colla presenza di benzene di cristallizzazione, che i cristalli non perdono neanche se mantenuti per molti giorni in una atmosfera rarefatta in presenza di paraffina. Fondono allora fra 45° e 50°. La deter- minazione di azoto, condotta sul prodotto ricristallizzato dal benzene tiepido, conduce ad un valore vicino a quello richiesto per un composto di una mole- cola di brucina con una di cloralaminoazobenzene e 2 molecole di benzene: gr. 0,0882 dettero cc. 6 di azoto a 12,°1 e a 751 mill. Calcolato N °/ 7,83; trovato 8,05. Una soluzione di gr. 0,14 in 20 ce. di benzene (0,7 °/,) mostra una rotazione a sinistra di — 09,65 per 200 mill. di strato; da cui [a]y = — 450,7. Il composto ottenuto, che è il meno solubile, corrisponde dunque al simbolo (=), la brucina essendo sinistrogira ([a]o = — 120°). La soluzione benzenica da cui sono stati ottenuti i cristalli, per ulteriore evaporazione ne abbandona altri, che vengono separati; poi si converte total- mente in una massa vischiosa, che diventa dura e polverizzabile solo dopo molto tempo. Della attività ottica di questa si fa una sommaria determinazione: Soluzione di gr. 0,63 in 20 ce. di benzene. Tubo da 200 mill. Rota- ‘zione osservata — 18°, da cui [a], = — 286°. Il prodotto più solubile e non cristallizzabile corrisponde dunque al simbolo (=). Per isolare il cloralaminoazobenzene attivo dal suo sale di brucina non sì poteva ricorrere che ad un acido organico debole che salificasse la bru- cina; ma tutti i tentativi sono falliti. Le prove fatte, usando soluzioni di- luite di acido ossalico o acetico, hanno sempre condotto all’ossalato e all'ace- tato di brucina, ma anche, contemporaneamente, all'ossalato e all’acetato di aminoazobenzene, mentre si liberava il cloralio. Persino l'acqua fredda agisce in modo simile; ed i cristalli rossi del composto brucinico in un'atmosfera umida vanno in deliquescenza, decomponendosi in brucina, cloralio e amino- azobenzene. Ringrazio il dott. Vico Menabuoni della valida collaborazione prestatami in questo lavoro. — 358 — Chimica. — Sui polimeri dell’ isosafrolo(*). Nota di MARIO MAYER, presentata dal Socio E. PATERNÒ. I polimeri dell’isosafrolo finora conosciuti sono due: quello fondente a 145° e preparato per la prima volta da Angeli e Mola (?), e quello di Pureddu, di p. fus. 95°, preparato recentemente (5). Ambedue questi composti sono da considerarsi come dimeri dell’ isosa- frolo. Per il composto di Angeli e Mola non ho ripetuto le determinazioni di peso molecolare: ho misurato invece la grandezza molecolare del composto di Puxeddu, usando il metodo ebullioscopico ed il benzene come solvente: Concentrazione 1,32 °/,. Innalzamento osservato 09,12. Peso molecolare trovato 300. Per [Cio Hio Os]» si calcola 324. I due polimeri si ottengono non solo dal miscuglio commerciale di iso- safroli (*), ma anche dal solo f-isosafrolo. Partendo da questo, i rendimenti sono anzi molto migliori, ed è perciò opportuno di separare il -isosafrolo puro col metodo dei picrati di Hoering (*) e Baum (°). Gli eventuali polimeri dell’a-isosafrolo non formano oggetto di questa Nota, data la grande difficoltà di preparazione di questo composto. Preparazione del B-isosapolo e sua polimerizzazione. — Il B-isosafrolo, o trans-trans-isosafrolo, di formola (CH) E MIRA) Guglielmo. Sull’uso dei reticoli concavi di d Tizione collo spettrometro (e ‘dal deci Blaserna) ... . . . ti 0 Ra n 822 Lo Surdo. La scomposizione Giri della i riga 0 serie "ai Ballo Gi oi tegolarità\(pres: dal Corrisp. Gar0@s50) AMB. SERGE I 06 Segue in terza pagina. (*) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei pri ssimi fascicoli. (#*) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi d ‘lle Memorie. - — 3. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 15 marzo 1914. N. 6. ATTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXI. 1914 SERE Ei ®, DEEINTE CA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del A5 marzo 1914. Velume XXIII. — Fascicolo 6° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. Va SALVIUCCI 1914 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono ile Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e ‘estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine tati stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca= demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell'Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è dataricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti mon vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Socio Corrispondenti; 50.se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degl autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANNI Seduta del 15 marzo 1914. F. p'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — .Su sistemi tripli coniugati con una famiglia di superficie applicabili sopra quadriche. Nota del Socio Luici BIANCHI. 1. La teoria delle trasformazioni By per le superficie applicabili sulle quadriche generali, quale trovasi esposta nel terzo volume delle mie Zezzoni di geometria differenziale, costituisce (come ormai può dirsi ben confer- mato dalle ricerche più recenti) la più naturale e completa estensione delle trasformazioni di Bicklund per le superficie a curvatura costante, po- sitiva o negativa. Ma nella teoria di queste ultime superficie (deformate della sfera reale od immaginaria) vi ha un altro interessante capitolo: quello che tratta delle famiglie di Lamé costituite di tali superficie, al quale fino ad ora non ne corrispondeva uno analogo per le deformate delle qua- driche generali. La questione che si presentava spontanea, cogli ultimi studî, era di ricercare se colle deformate delle quadriche generali si possano comporre delle famiglie di superficie, le quali, per le loro proprietà, siano da riguar- darsi come la naturale estensione delle famiglie di Lamé di superficie a curvatura costante. Dopo alcuni tentativi diretti ad ottenere la generaliz- zazione richiesta, ho riconosciuto che essa deve opportunamente cercarsi nella teoria dei sistemi tripli coniugati di Darboux (*), cioè di quei sistemi (1) Ved. Darboux, Zegons sur la théorie générale des surfaces, IVèm® part., nn. 1047- 1052; e Zegons sur les systèmes orthogonaux, livre III, chap. III (2ème ed., 1910). RenpicontI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 2513ian Inst \ gupr 17 10° NI; — 384 — tripli di superficie nei quali ciascuna superficie viene intersecata dalle su- perficie delle altre due famiglie secondo le linee di un sistema coniugato. Si vede, invero, che colle deformate di qualunque quadrica si possono costruire, ed in grande arbitrarietà, famiglie di tali superficie applicabili sulla medesima quadrica, o, più in generale, su quadriche differenti, e che appartengono a sistemi tripli coniugati dotati di particolari proprietà, che sono la naturale estensione di quelle ben note per le famiglie di Lamé a curvatura costante. Precisiamo le accennate proprietà supponendo che nel sistema triplo coniugato UN== (COSTIERA DI — COST 201 —C0StE le superficie %w = cost siano quelle applicabili sopra quadriche; allora ab- biamo: 1°) Za corrispondenza segnata su due qualunque superficie w = così dalle linee (w), intersezioni delle altre due famiglie, conserva i sistemi coniugati. 2°) Il sistema coniugato (u,v), intercettato sopra ciascuna w= cost dalle superficie delle altre due famiglie, è quello coniugato permanente (cioè quello che si conserva coniugato applicando la w= cost sulla cor- rispondente quadrica). Allorquando le quadriche Q, su cui sono applicabili le w= cost, si suppongono altrettante sfere (reali od immaginarie), il sistema coniugato permanente è quello ortogonale delle linee di curvatura, ed il sistema triplo coniugato diventa un sistema triplo ortogonale. Rispetto alle trasformazioni B, della teoria generale per le deformate delle quadriche, i sistemi tripli coniugati ora considerati si comportano pre- cisamente come i sistemi tripli ortogonali di superficie a curvatura costante rispetto alle trasformazioni di Backlund, sussistendo la proprietà seguente: Da ogni sistema triplo coniugato, con una famiglia di deformate di quadriche, le trasformazioni Br fanno derivare infiniti altri sistemi della stessa specie, le cui singole superficie della nuova famiglia sono legate alle corrispondenti dell'antica da una trasformazione Br. La tras- formazione per l'intera famiglia è individuata quando si fissi, del resto ad arbitrio, per una singola superficie della famiglia. Aggiungo, in fine, che anche per le trasformazioni By dei nostri sistemi tripli coniugati vale il ieorema di permutabilità, dal quale risultano, per l'applicazione ripetuta del processo di trasformazione, le solite semplifica- zioni. 2. Non è mio proposito, nè sarebbe possibile in una breve Nota pre- liminare, entrare negli effettivi sviluppi relativi al caso generale. Soltanto dirò che la costruzione dei nuovi sistemi tripli coniugati si può ottenere dalla ripetizione continua di /rasformazioni infinitesimali, seguendo i con- — 989 — cetti che ho avuto occasione di esporre in un recente lavoro (!). La natura di queste trasformazioni infinitesime, che diremo T., risulta dalle conside- razioni seguenti: Sopra una superficie S, applicabile sopra una quadrica Q, consideriamo il sistema coniugato permanente (v,v). Ogni punto P di S riceva uno spo- stamento infinitesimo che lo porti in un punto corrispondente P’, per modo che: 1°) la superficie S', luogo di P', sia applicabile alla sua volta sulla stessa quadrica Q, ovvero sopra un'altra (infinitamente poco diversa); 2°) ad ogni sistema coniugato sopra S corrisponda un sistema co- niugato sopra S'; 3°) le sviluppabili della congruenza formata dalle congiungenti PP' < punti corrispondenti, taglino tanto S quanto S' nelle linee del st- stema coniugato permanente. Se queste condizioni sono soddisfatte, il passaggio da S ad S' si dirà una irasformazione infinitesima T: della S. Ora si riconosce che, per qualunque superficie S, deformata di una quadrica, esistono infinite tali trasformazioni infinitesime dipendenti da co- stanti arbitrarie. Mediante una successione continua di trasformazioni infi- nitesime T., vengono a generarsi i nostri sistemi tripli coniugati, precisa- mente come la costruzione infinitesimale di Weingarten per le superficie a curvatura costante, ripetuta in modo continuo, dà luogo ai sistemi tripli ortogonali con una famiglia di queste superficie. Qui consideriamo una classe particolare di trasformazioni infinitesime T:, ma che esistono per qualunque superficie S deformata di una quadrica. Per ciò applichiamo alla S una trasformazione Bx singolare, corrispondente adunque ad una conica focale T, e sia S, una delle superficie trasformate. La medesima trasformazione singolare Bx, applicata alla S,, dà luogo ad una serie o! di trasformate, tra le quali vi ha la S stessa. Diciamo S' la superficie di questa serie successiva alla S; il passaggio dalla S alla S' avviene appunto per una T:, giacchè tutte le condizioni sopra enumerate sono qui soddisfatte, colla ulteriore particolarità che S,S' sono applicabili sulla medesima quadrica. Ogni superficie S ammette co! di tali trasformazioni infinitesime T., poichè, data la S, la S, resta arbitraria in una serie co. Per le co! trasformazioni infinitesime T: ogni punto P di S riceve co! spo- stamenti, le cui direzioni formano un cono col vertice in P, che è facile di caratterizzare geometricamente. Per questo, basta ricorrere alla legge di affi- nità di Ivory e immaginare che la quadrica Q, rotolando sulla superficie applicabile S, venga a toccarla in P; allora si vede che: (') Ved. la prefazione alla Memoria: Sulla teoria delle trasformazioni delle curve di Bertrand e delle superficie pseudosferiche, Memorie della Società dei XL, serie 32, tomo 18 (1913). — 336 — Gli spostamenti impressi dalle co! trasformazioni infinitesime T. od un punto P della S, avvengono secondo le generatrici del cono qua- drico che projetta da P la conica focale T, nella posizione che questa acquista dopo il rotolamento. È bene evidente che le particolari trasformazioni infinitesime T; qui considerate, generano sistemi tripli coniugati, nei quali le superficie di una famiglia sono tutte applicabili sulla medesima quadrica. 3. Come ho sopra accennato, la trattazione analitica dei nostri sistemi tripli coniugati, in generale, richiede ulteriori considerazioni e sviluppi di calcolo, che sono da riservarsi a più ampia pubblicazione. Nella presente Nota mi limiterò a considerare tre casi più semplici, nei quali l’esistenza dei sistemi tripli coniugati e le formole relative si deducono facilmente dalle famiglie di Lamé di superficie a curvatura costante, dalle quali ven- gono a dipendere in modo geometrico assai semplice. Il primo dei casi che vogliamo considerare è quello dei sistemi tripli coniugati con una famiglia di superficie deformate di quadriche di rotazione. Nelle mie ricerche del 1899 sulla inversione dei teoremi di Guichard (1) ho dimostrato (al cap. IV, Mem. cit.) che ai sistemi tripli ortogonali con una serie di superficie costante, positiva o negativa, sono applicabili quelle trasformazioni reali composte di due trasformazioni opposte di Bicklund, reali o puramente immaginarie, che nascono dalla inversione dei teoremi di Guichard. Siano (2),(2') due tali famiglie di Lamé di superficie a curvatura costante K, potendo K essere una costante assoluta, ovvero variabile colla superficie nella famiglia. Si sa che le normali a due superficie corrispon- denti X, 2", in una coppia qualunque P,P' di punti corrispondenti, si in- contrano in un punto P, equidistante da P, P'; e se si fa variare la coppia (P,P') sulle due superficie X, 2", il punto P, descrive una deformata So di una quadrica di rotazione, ed alle linee di curvatura di (2, 2") corri- sponde sopra S, il sistema coniugato permanente. Se facciamo variare X nella famiglia (2) [corrispondentemente 2’ in (2°)], la So descriverà alla sua volta una famiglia (So) di superficie applicabili sopra quadriche rotonde; queste quadriche coincideranno se K è una costante assoluta, e saranno in- vece diverse per K variabile. Ora si verifica che : La famiglia (S;) di deformate delle quadriche rotonde appartiene appunto ad uno dei nostri sistemi tripli coniugati. Nel caso attuale è anche facile riconoscere l'esistenza delle trasforma- zioni By per le famiglie (So) (cfr. n. 1). E infatti, con una trasformazione arbitraria di Bicklund, la coppia (3), (2') di famiglie di Lamé si cangia (1) Ved. la Memoria, Sulla teoria delle trasformazioni delle superficie a curvatura costante, Annali di matematica, ser. 33, tom. III. — 387 — in un’altra coppia che diciamo (3) ,(2') nelle medesime condizioni. Questa ultima determina alla sua volta una nuova famiglia (So) di deformate delle medesime quadriche rotonde, appartenente ad un triplo coriugato ; ed ora sus- siste la proprietà: Le singole superficie So, So; corrispondenti nelle due famiglie (So), (So), sono trasformate luna dell'altra per una Br. 4. Diamo ora le formole effettive per questi sistemi tripli coniugati con una famiglia (S,) di deformate di quadriche rotonde. Per questo, partiamo da un sistema triplo ortogonale (x, v, w) nel quale le w= cost siano a curvatura costante K, dove K sarà, in generale, varia- bile con w. Per fissare le idee, prendiamo p. es. il caso di K positiva e riferiamoci alla nota forma dell'elemento lineare dello spazio 2 (1) ds? = senh?0 du? + cosh?9 dv? + R? (3 dw?, dove 6 = 0(v,v,w) dovrà soddisfare al corrispondente sistema di equazioni a derivate parziali (di Lamé), che qui per brevità omettiamo di scrivere. Si sa che le trasformazioni del sistema triplo ortogonale (u,v,w), di cul è parola al n. precd., dipendono da un sistema lineare omogeneo di equazioni differenziali in una quaderna DPA,M,W di funzioni incognite di x,v,w, che si scrive: IP BI) _—— =senh06.4 , —=cosh@.M , DER - W d ( dw du dA EL cR° + =o=—-<.M 0.®@_- —— È > > + c senh R cosh 6. W, dA Io, dA k d°0 = CM, Pa |-: dV du dw senh 0 dudWw SM 30 LI 2, ) E O, cc ga nio (a) ) d% dv v dU R 0 dM tà RO do cosh 6 IVI SW cosh 9 > dW ai senh 0 uf a EER AI), R NOME pr: PO TASDLA Ce RO 9 cosh 6 dVIwW — 388 — dove c è una costante arbitraria, e si è posto Il sistema (a) è illimitatamente integrabile e possiede l'integrale qua- dratico (2) A° + M?° — e@?* + (cR° + 1) W° = cost; e noi assumiamo la quaderna (®, 4, M, W) di soluzioni per modo che la costante nel secondo membro della (2) sia nulla, e si abbia quindi identi- camente (2*) A° +M? — eD®° + (cR°+ 1) W°=0. Una tale quaderna (®D,4,M,W) fissa appunto una delle indicate trasformazioni; ma a noi qui interessa soltanto di scrivere le formole che assegnano le corrispondenti superficie S, applicabili sopra quadriche rotonde (ellissoide allungato, ovvero iperboloide a due falde). Indicando con (x,%,z) un punto qualunque («,v,w) dello spazio, con Xz, Yz, Zz i coseni della di- rezione principale (w), e con x0, 0,40 le coordinate del punto corrispon- dente di So, abbiamo D LE ) Nya 9 Co 4 VAS W Verifichiamo che queste definiscono in effetto un sistema triplo coniu- gato (v,v,%w), chè le altre proprietà descritte al n. 1 ne seguono imme- diatamente. 5. Per dimostrare che le (3) definiscono un sistema triplo coniugato bisogna provare (Darboux, loc. cit.) che 40,%0 o Sono tre soluzioni di un sistema simultaneo di equazioni (di Laplace) della forma d°w _dloghi DI d log Ho dw SOR) VOI di I (0) dw __dlogH, dw , dlogHs dw DORIA! TO dv dWw d°w __dlogH; dw, dlogHi ww RI dI DdI do du ove H, , Hs, H; sono tre convenienti funzioni. Per questo si comincino a formare le derivate prime, rapporto ad x, v,w, delle (3), tenendo conto delle formole (a), e delle equazioni a cui soddisfano iî coseni (Xx, Yi, Zi) ) (Xa, Ya, Zo) 9 (X3, Ya, Zy) — 389 — delle tre direzioni principali nel sistema triplo ortogonale (1). Si trovano così le seguenti formole: dro _RW senh 0 — ® cosh @ > RW? MO 06) dro __RW cosh 6 — ® senn@ 00 RW? (WX, — MX) D R d°0 R log W dr _P(_R_ wii nl x, cosh 0 —i dw colle analoghe per %yo , Z0- Dopo ciò, se si calcolano le derivate seconde (miste) di Lo Yo 380, si vede che queste sono, in effetto, tre soluzioni di un sistema (a), quando H,,H.,H; si assumano dati da Di E ge canto è FIetoh o SEO w: RW RW le Dunque: Ze formole (3) definiscono un sistema triplo coniugato, c. d. d. 6. La seconda classe di sistemi tripli coniugati, con una famiglia di deformate di quadriche, che vogliamo considerare, si ottiene molto più sem- plicemente dalle famiglie di Lamé a curvatura costante con una costruzione in termini finiti. Le quadriche di cui qui si tratta, sono le quadriche im- maginarie (osculanti l'assoluto) di equazione (4) y+e+(a-y+d)=- 2 costante). Al S 447 delle Zezzoni è ottenuta l’accennata costruzione per le su- perficie reali applicabili sulle quadriche immaginarie (4) appunto partendo dalle famiglie di Lamé a curvatura costante. Ora, colle nuove nozioni sui sistemi tripli coniugati, possiamo completare la costruzione colla proposizione seguente : In ogni famigtia (3) di Lamé di superficie a curvatura costante K (variabile in generale con 3), î piani osculatori, nei punti di una super- ficie X, delle curve traiettorie ortogonali della famiglia, inviluppano una superficie S applicabile sulla quadrica (4); quando ® descrive la fami- glia (3) di Lamé, la S descrive una famiglia (S), appartenente ad uno dei nuovi sistemi tripli coniugati. Per la dimostrazione si consideri ad esempio il caso di una famiglia (3) di Lamé a curvatura costante positiva, per la quale valgono le formule — 390 — del n. 4. Se con é, 7,6 indichiamo le coordinate di quel punto di S che corrisponde al punto (x,y ,) di >, troviamo 1 3 1 3D R' ©) “no, i Di canon RL). colle analoghe per 7,6, dove si è posto TR00 Tr Verificheremo anche qui che le (5) definiscono un sistema triplo (v,0,w) coniugato, provando che È,7,6 sono soluzioni di un conveniente sistema (a). Pongasi, per brevità, 1 r 20 o: senh 0 du! * cosh 9 3v R? Xs, de TE e analogamente si definiscano 2, ,,, sicchè le (5) si scrivono anche R? i=%4+p fe. Derivando rapporto ad %,v,w, si trova dapprima dÉ R? 5® DL pole + coth 9x3) dÌ R° 30 53 — a: 3 2 (0 x 2 gh (o) x.) dÌ R?° dA, R°9d a o | dw Litio D dw ® dw nio e, costruendo le derivate seconde miste, si vede che &,#,é sono soluzioni di un sistema (@), con ATTORI rl O PSI EIA b) TI GOcras > b] ih = @ senh 9 du 2 ®cosh0 dv $ Sl Ehe= Affatto analogamente si procederebbe nel caso di una famiglia pseudo- sferica (Z) di Lamé. Qui osserviamo ancora che l’esistenza delle trasformazioni B, per questi sistemi tripli coniugati segue subito dall'esistenza delle trasformazioni di Backlund per le famiglie pseudosferiche di Lamé. E invero, se, con una trasformazione di Bicklund, cangiamo la (2) in una nuova (2'), e con (8°) indichiamo la famiglia che si ottiene da (') colla stessa costruzione, si ha che: / rispettivi sistemi tripli coniugati, cui appartengono le famiglie — 391 — (5), (S') di deformate delle quadriche (4), provengono l'uno dall’attro per una trasformazione Br. 7. Una terza ed ultima classe di sistemi tripli coniugati, che vogliamo considerare nella presente Nota, consterà di deformate di quei paraboloidi immaginarii tangenti all’assoluto, le quali si ottengono applicando il nuovo metodo di Weingarten alle superficie di curvatura costante (1). Per restare nel caso più semplice, prendasi un sistema triplo ortogonale (u,v,w) in cui le w= cost siano superficie pseudosferiche di raggio =l1 (sistema Weingarten), e sia i 1 MICA ds? = cos°0 du? +- sen?0 dv° + (Di dw? il quadrato dell'elemento lineare dello spazio, riferito al sistema triplo. Indichiamo con Wi, = SeX, 9’ Wi — SxX, , Wi = SxeX, le distanze algebriche dell'origine dalle tre facce del triedro principale nel punto (0,0, w). Dalle formole per le derivate dei coseni delle direzioni principali si traggono le seguenti: 1doW, BL) dWi dI ST a ea, 0 To) o na x xa Ws+ sen0 W34- cos ò , 3 ap VALE oO dw — c080 dudw è IW. 20 dIW: 20 =—-—-W : =—__W,—cos0W;+- seno du DUE dv dai da pSdi Ne IS de = send IUIWw W W È °—_ sen0W, oa Sia dU dv i dIW, 1 d°0 1 d? =— —_ —_w_ tw, dw cos 0 du dWw sen 0 dv 9Iw : Possiamo ora determinare per quadrature tre funzioni incognite (6) =, 0, 0), , n7=7@,v,wv) = i@,v,w) (*) Ved. i $$ 1-4 della mia Memoria, Z'eoria delle trasformazioni delle superficie applicabili sui paraboloidi, Annali di matematica, ser. 3%, tom. X (1906). RenpIcontTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 52 — 392 — dalle formole MIS Sul Econo) Wi dÉ (7) ( ai sen 0+ X; cos 0) W, | dE (2 i ARE aa NET GOT ORRORI e dalle analoghe, per 7,, le condizioni d'integrabilità essendo identica- mente soddisfatte. Così le È,n,6 sono determinate a meno di costanti ad- ditive, ed il sistema triplo (x,v,w) dato dalle (6) è fissato a meno di una traslazione nello spazio. Ora le due prime formole della (7) sono quelle fornite dal metodo di Weingarten, applicato alle superficie pseudosferiche, onde risulta che nel sistema triplo (6) le superficie #w = cost sono tutte applicabili sul parabo- loide (8) (€ Alto) Ciarnayi Di più, sulle w= cost le linee (x, v) sono quelle del sistema coniugato permanente. Per completare le verifiche e dimostrare che le (6) definiscono uno dei nostri sistemi tripli coniugati, resta solo da provare che £,9,6 sono soluzioni di un sistema (@) n. 5. Ma se dalle (7) formiamo le derivate seconde miste, si vede che, in effetto, £, 7, soddisfano ad un sistema (@), in cui si ha semplicemente Hi=W, ’ H,=W: , Hj=W;. Da ultimo, se trasformiamo la famiglia pseudosferica (2) di Lamé in un'altra (2°), i due sistemi tripli coniugati con una famiglia di deformate del paraboloide (8) che se ne deducono, collocati convenientemente nello spazio, derivano l’uno dall'altro per una trasformazione Bx. — 393 — Matematica. — Sulle equazioni alle derivate funzionali. Nota del Socio Viro VOLTERRA. 1. Nella classificazione dei problemi che dipendono dai concetti di fun- zioni di linee, dopo quelli di tipo algebrico (equazioni integrali ed equazioni funzionali) vengono le equazioni integro-differenziali e le equazioni alle derivate funzionali. Fra queste ultime di speciale interesse sono quelle che appartengono al tipo delle equazioni ai differenziali totali, che vennero in modo particolare studiate; ma conviene segnalarne altre di diverso tipo che pure è utile di esaminare. È ciò che mi permetto fare in questa brevissima Nota, limitandomi a darne degli esempî. 1 2. Denotiamo con F|[/(x)]| una quantità che dipende da tutti i valori 0 di /(x) nell'intervallo 0,1, che sia derivabile e non abbia punti eccezio- nali (1). Vogliamo che essa soddisfi alla condizione (1) Sr® F'|[/(2),é]|d8=0, ove F'|[/(x),&]| denota la derivata di F|[/(x)]| eseguita nel punto &. Troviamo facilmente che la funzione {la Ber d | ove con ® si denota una quantità che dipende in modo arbitrario da li(@) [oa alla (1). Reciprocamente se F soddisfa la (1) essa può mettersi sotto la forma precedente, perchè non deve cambiare moltiplicando /(x) per una costante qualunque. La (1) rappresenta una delle equazioni del nuovo tipo. 3. Consideriamo , ed è continua derivabile e senza punti eccezionali, soddisfa FICe, /(2)] ove F dipende dal parametro @ e dai valori di /(x) in tutto l'intervallo 0,1 e non ha punti eccezionali. Esaminiamo la equazione O E+ feto, (1) Volterra, Zegons sur les fonctions de lignes. Paris, Gauthier-Villars, 1913, pag. 29. — 394 — nella quale g(« , 7) rappresenta una funzione nota delle due variabili £ e # e F'[[a, /(x), $]| indica la derivata funzionale di F rispetto a /, eseguita nel punto È. La (2) rappresenta pure una delle equazioni del nuovo tipo. La sua risoluzione può farsi dipendere dalla risoluzione della equazione integro-differenziale (!) df(E, a) da — (sl ;7)f(n,@) dm. (3) Posto AE ne) =ag(f n) + PE Mt Et ove gli asterischi denotano operazioni di composizione di 2* specie, la solu- zione della (3) è data da (EI [AE Md, essendo &(£) una funzione arbitraria. Ciò premesso, risolviamo l'equazione integrale (E)=VE + | AE HT. 0 nella quale @ figura come un parametro costante, e sia WE) =/(8) + | AE 110) /(1) 4 la soluzione. Il nucleo Z(£,7|@) si otterrà facilmente e sarà at xx a x x Ms n|)= Tage aan giacchè si verifica immediatamente che AE n +4, nld=— f AE). 1 Denoti ora @|[6(x)]| il simbolo di una quantità che dipende arbitra- 0 riamente da tutti i valori di @(x) per # compreso fra 0 e 1, e sia continua derivabile e senza punti eccezionali. Se 6(x) dipenderà anche da un para- (*) Vedi Lezioni precedentemente citate cap. XIII. — 395 — metro a, ® resulterà una funzione ordinaria del parametro stesso. In par- ticolare si sostituisca per 0(x), (x, «); resulterà allora ® una quantità che dipenderà da tutti i valori di /(x) per x compreso fra 0 e 1, e sarà una funzione ordinaria del parametro @, cioè avremo (') O Fle/=2[ + norma |] Proviamo adesso che /a (I) soddisfa l'equazione (2). La verifica è molto semplice. Deriviamo ®]|[0(x)]| per rapporto a 6(x) nel punto #: otterremo una quantità che oltre dipendere da 0(x) è una funzione di È. Scriviamola per semplicità ®'(#). Calcoliamo ora dF. Resulterà dP= f DE) {01 + f 2,112) 9) + +f PELA Mandeld, quindi PC /() = (MAM 81) 7 dF SER 19IÙU(E 1 Sal Ode [ SOC) 208 pm) dn . Onde il primo membro della (2) si scriverà, sostituendovi le espressioni pre- cedenti 4 fe (dx x| se m+f eat]. (*) Se per esempio prendiamo 1 Il 2 [0(2)]} = f TOLOLTA 0 (1) o” ove Z(7) è una certa funzione determinata, sarà 1 1 iosa Î Ax) Fx, a) da. 1 1 1 #0 = ff ute 900) 00) de dy (1) 0 1 1 1 FI) e) = ( fut. (x, a) P(Y,@a)dedy, 2 0 e così di seguito. Se prendiamo invece sarà — 396 — Ma dalla espressione trovata superiormente per Z(È ,7|@) si ricava dAÉ , na ) ì El gm + f Et ma=o, (e U) dunque la (4) sarà nulla qualunque siano ®'(é) e /() e per conseguenza la (2) è verificata comunque sì prendano ® ed /. 4. I procedimenti indicati, come in tutti i casi analoghi, possono fa- cilmente farsi discendere dal noto concetto di passaggio dal finito all'infinito, che informa tutti i procedimenti dell'analisi a cui appartengono le que- stioni trattate. È interessante osservare come negli integrali compariscono delle funzioni arbitrarie di linee. ©. Di uno speciale interesse sono la equazione 6) SIOE ME Memo, 1 in cui F" è la derivata seconda di F|[/(x)]| eseguita nei punti È e 7, 0 e l’altra analoga SI 0 o SF. ( (UE MIE Meo, ove File eia F"|[/(@),$, n]. Esse possono considerarsi come equazioni tipiche corrispondenti alle equazioni lineari alle derivate parziali del 2° ordine a coefficienti costanti, e possono respettivamente chiamarsi equazioni lineari alle derivate funzionali del 2° ordine di 1° e di 2° specie. 6. Supponiamo, nella (5), K(£,))=), DI: dis Pi(È) Ps(M) , dis = Usi >| 13 ove le funzioni gi, z.... 9, sono normalizzate. Prendiamo la forma reciproca G(£,)= Dì DI dis Pi(E) Ps(M) , dia = bsi tale, cioè, che (0,d=s n Sin dns = 1 3 Ze WIST \oo=9 — 397 — Poniamo ela ARICNIGIOETAT ouo e cerchiamo le funzioni Ue) = FIT) che soddisfano la (5). Avremo PMO). 5=# f 06€.) 0) da PE). 5. n=0"@ f 06,0) (0) de (GM, 0 4 + + 80) GE, n), e quindi ff IL/(2) ’ Ch n] K($ È n) dé dn a 20"(0) 0 sli n0'0) Se dunque la (5) deve essere soddisfatta, sarà su Or= Ag" +B, A e B essendo due costanti arbitrarie. 7. Passiamo adesso alla (5'). Potremo sempre supporre H(x,y) sim- metrica. Calcoliamo L(x,y) tale da soddisfare il principio di reciprocità ('), cioè (6) H&,9)+L,9=-f He, 91E.M) e, ammesso diverso da zero il determinante. Si riconosce facilmente che L(x,y) sarà simmetrico, e che H ed L saranno permutabili di 2 specie. Poniamo 1 1 1 1 1 r=f reti {LEN e cerchiamo le funzioni or) = FILE) (:) Vedi Volterra, Zegons sur les équations intégrales et intégro-differentielles, Paris, Gauthier-Villars, 1913, pag. 105. — 398 — che soddisfano la (5'). Avremo ©) PIA A= OMO + f, LE.) /(0) de PM): = f LE É x x}r@m+ f Ltw,mM/)dy}+0)LE.m). Per conseguenza, © i = 0"(r 1a f2(E) de +/ di M(3, n) f(€) f(m) dé în} +67) if fre 3g Tg 5) dsl, XX XX M- H-EARLLHLE LU LOL ove in cui si è fatto uso, come precedentemente nel $ 3, della notazione che rappresenta la composizione di 2* specie ('). Ma in virtù della (6), che si può scrivere XKXXX H+L=-—HL, abbiamo HIS PC HULL: quindi Mi H— 2H — OI po Si ha, poi, SSIKENREMEn=-f 19 +16,918, (*) Vedi Volterra, Lecons sur les fonctions de lignes, Paris, Gauthier-Villars, 1913, pag. 179. — 399 — onde la (8) si scriverà = (PINA +S SP"), 5,MEE,me 4 = 20"(r)r — ho'(r), ove L=/He,ae. Affinchè la (5') sia soddisfatta, basterà dunque prendere Des Cal) 6(r) = Ar ;-+B, A e B essendo due costanti arbitrarie. Si è così riesciti ad ottenere gli integrali (II) e (III) delle equazioni del 2° ordine lineari alle derivate funzionali di 1 e di 2* specie considerate analoghi a quelli sui quali si applica l’analisi di Green. 8. Dalla (7) segue PIL) =) + f PIU), 5,70)0/0) da il punto £ è quindi eccezionale (*) e 60'(7) è il coefficiente differenziale di df (x). Facendo uso di una notazione adottata fino dai miei primi lavori sopra questo soggetto (*) potremo scrivere (FU) = Avremo dunque 2+f (19,0) NOE ME + M-M#0), ’ FE) ove si è posto 1 m ={ M(8) dé . 0 Preso dunque 1 ima (Av) PI[/I|=0@)=Ar® +B con A e B costanti, essa verificherà l'equazione SETE et ff E) AE, + + (FUI) LO. (1) Volterra, Lecons sur les équations intégrales et intégro-différentielles, Chap. I, $ VII (®) Sopra le funzioni che dipendono da altre funzioni, Nota II, $ 4, 14. Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, 18 sett. 1887. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 53 — 400 — Meccanica. — Nuovi criterî di stabilità per moti stazionari di prima specie. Nota di UMBERTO CRUDELI, presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. In una Nota comparsa nei Rendiconti di questa R. Accademia (2° se- mestre 1913, pag. 642), ho dato alcuni criterî (condizioni sufficienti) di stabilità, nel caso che il sistema di equazioni differenziali, al quale intendo ricondotto il nostro studio, sia il seguente: 7 nr =Pun Xi + pred + 100 e PRioVa 1) (1) armi 0) + perdo + + Pon dn den \ di = Pai + Pro da + dl + Pun Cn 9 dove le p,, (#,s=1,2;.-.,%) sono costanti reali. Nei riguardi delle co- stanti stesse, giova notare come, nei problemi d'interesse pratico, avviene, per esempio, che, assegnata ognuna di esse costanti entro un certo campo di valori, il quale dipende dalla natura delle applicazioni, si ricerca se esiste la stabilità del moto indipendentemente dai valori che competono alle costanti medesime nell'interno dei rispettivi campi di assegnazione. Tuttavia, la portata dei suddetti criterî potrebbe sembrare, a prima giunta, ristretta, mentre siamo in presenza effettivamente del contrario. Giova, anzitutto, richiamare i criterî su menzionati. PRIMO CRITERIO: 1001) w=0. SECONDO CRITERIO: Basta che, almeno in corrispondenza di un certo valore dell'indice @, si abbia simultaneamente Pao Psi — Pra Pai = 0 (Et elia) dan — (a 1) pa > 0 È — 401 — In cotesti criterî, le quantità 4, , xo, 4a s'intendono assunte così : SLY = DPii (= 1200000) u =|pil (i*j;i,j=1,2,.,9)() Oh — doa = Paa | EZIO (s,7=1,2,..,.a—-1,e41,...,2). I seguenti criterî (cioè terzo e quarto) valgono nell'ipotesi pi; Di; (03534809 = 19 pag). TERZO CRITERIO: A—(n_1)v=0, dove v è una quantità positiva, assunta in modo che si abbia simultanea- mente * Ps Pi sea e Pee — Pss si Pee — Pss (J3E°s;g,8=1,2,-.,6— 1,61, essendo pe: la maggiore fra le costanti pi (i=1,2,,.., 2). Mva="N 0 Ne = < (1)s QUARTO CRITERIO: A—(n_-1)va=0 (almeno in corrispondenza di un certo valore dell'indice @), intendendo as- sunta la quantità va in modo che si abbia simultaneamente Psa Pas Psa Paj Pao — Pss Par — Pss Î (73598848 = boo eea 1 0) Nella prima, nella seconda e nella quarta delle (1); e nella (I) ed (I);, il segno di eguaglianza è necessariamente vincolato. Così, per esempio (qua- lora le p; non siano tutte fra loro eguali), nelle —2= p; il segno di eguaglianza potrà sussistere, volendo, soltanto in corrispondenza della mas- sima delle p;. Ciò premesso, notando che, qualora le p; (é="1,2,...,) non siano tutte negative, i criterî primo, terzo e quarto non resultano soddisfatti: ed osservando, d'altra parte, la struttura del secondo criterio, parrebbe, a prima giunta, che tutti i suddetti criterî comportassero un campo ristretto di sfrut- tamento. Invece, siamo in presenza effettivamente del contrario, come mi accingo a mostrare. > va=>|pg|+ \va> (Is (*) Il simbolo | | significa che va preso il valore assoluto della quantità racchiusa dal simbolo stesso. — 402 — Si osservi, anzitutto, l’equazione determinante Pri — ® , Pio sese Pin Par ‘Pro — è, ..1., Pon (2) Pani ’ Pno DECORO) Pan ni I) e sì noti che, data un'equazione algebrica (3) Lao! +..+a,=0, è necessario, affinchè la (3) abbia tutte le radici con parte reale non jposi- n tiva, che sia a, = 0. Sicchè, nella (2) avendosi a, = — d Bos e trala- = sciando la considerazione del caso particolare, in cui esista qualche radice con parte reale nulla, si vede che, nei riguardi della nostra questione, ri- mane da intendere (4) OSS Ciò premesso, vengo .a mostrare che, qualora la (4) sia soddisfatta, si | può sempre, mediante opportune sostituzioni lineari a coefficienti costanti (fra le quali sarà compresa la sostituzione identica nel caso di tutte le ps negative), trasformare il sistema (1) in un altro sistema fd | = My + 904 + lina d) (5) ". = Qu Y + 92242 + A gdonYn dYn pà = QnYi + Une Ye 4 SR + QunYn è nel quale le 9ss ($=1,2,...,%) siano tutte negative. Si operi, dapprima, la sostituzione ci = PO YO + pi y° do = NA 4g 8° | %; = (f=3,4, 006 0) — 403 — dove le gp, pH, gg! sono costanti. È implicitamente inteso che il de- terminante LI 1 pi ci (1) (1) GA Qi sia diverso da zero. Il sistema (1) si trasformerà, allora, in un sistema nelle y°°, sistema che intenderò risoluto rispetto alle derivate delle y medesime. Allora, designando con pi) e p% i coefficienti rispettivi di y ed y nelle prime due equazioni del sistema così trasformato, resulta che, ponendo 1) “(A 1yfE29 1 1) ELA 1)}2(1)) —_ Yo (6) POP = POV, PO = UV PU =, =, avremo (7) \ DD PRO — Pa PO + pie g®” — Par 00 ( vD 2 Par PO om pe + por u® Oy qu 4 Mediante addizione delle (7) fra loro, si ha (più + ps) D = (pu + por) (70 — 00). Ma UO — 9V=D, dunque (8) f) + pi — Pu + por 5 come resulta pure dalla teoria degli invarianti delle equazioni differenziali lineari (*). La (8) rappresenta l’unica condizione, alla quale dovranno soddisfare i nuovi coefficienti pl e pW: cioè, scelti pi e pS in modo che la (8) sia soddisfatta, esisterà sempre una sostituzione del tipo considerato, che porta il sistema (1) in un sistema nelle y, nel quale i coefficienti di y{° e di y,° saranno rispettivamente le costanti di pf) e p$ scelte. Infatti, la coesistenza delle (6) richiede pPg® = uo, cioè (9) PO = DA) i ong, dove w, è arbitraria. Sicchè, assegnato a D un valore diverso da zero, ma, del resto, qualunque, le (7) diventano, in vu’ e v°, le seguenti equazioni: (10) \ (puwi + fr) 0 — (paet + par wa) VV = wi più D Î (P22 Wi Pio) UDO + (Pe wÎ A wi) VO — wi PS D È ('*) Per la bibliografia relativa a cotesta teoria, vedasi, p. es., Pincherle e Amaldi, Le operazioni distributive e le loro applicazioni all'analisi, Bolugna, 1901, pag. 474. — 404 — le quali sono sempre possibili, giacchè il determinante relativo alle mede- sime è Pa(Pr + Pe2) wi + (08: = pi) wi — Pie (Pu + Psr) Wis il quale, soltanto nel caso p;:=%x,= 0, 91=?2; Oppure nell'altro Pr = Peo= 0, resulta identicamente nullo, casi nei quali le (10) rappresen- tano un'unica equazione. Qualora le (10) non rappresentino un'unica equa- zione, avremo, mediante addizione delle (10) medesime fra loro, 02 Qualora invece le (10) rappresentino un'unica equazione, occorrerà ac- coppiare, con la medesima, l’altra «© — 0 = D. Avute le wu e v, le (9) porgeranno (intendendovi w, diversa da zero) le pî° e 9°. Avremo, poi, nei riguardi delle pP, p0, g0,99, le equazioni (6), che potremo, p. es., trattare così: Si assumano pf" e p®° in modo che si abbia pî° pi) = p®. Allora, nei riguardi delle g{” e 95°, avremo le equazioni (11) PAGO — yu È Pg — 9. Sì osservi, infine, che, avendosi uv = pg, resulterà evidente- mente pig. pHgl) = pg, cioè pig g® = pV 9g. Da cui, qualora p® non sia nulla, segue gg = 90. Invece, nel caso speciale della p°° nulla, avremo (essendo w, diversa da zero) nulla la v, e quindi «= D, sicchè pf” sarà anche allora diversa da zero, mentre p sarà nulla, avendosi PPpmY = p. Per cui, in cotesto caso speciale, la seconda delle (11) diventa un'identità, mentre la gg = gg, anzichè una conseguenza di precedenti resultati, sarà l'equazione da accoppiarsi con la pig) = u®. Ora, operando sulle y la sostituzione yi = yP 4 = PIO + 990 45 = YO gP 49 SP =y® (j=4,5,.,2), ed indicando con p$ e pS i coefficienti rispettivi di y9° ed y nel sistema trasformato, avremo (2 A 1 PE +p$ =p2 +9, 1 1Q+ pO®= 0 + par. giacchè pS = p33. Analogamente proseguendo, avremo PEA pa =P8 + Pa; ecc. ovvero — 405 — Sicchè, denotando, col sistema (5), l’ultimo sistema, al quale conducono quelle successive trasformazioni, resulterà Gai =p0 C) Gaz =. (19 giisicero Gan = i) . Ora, osservando che Do + doo 4 + dan = Pi + por + + Pan rappresenta, in virtù delle precedenti considerazioni; l’unica condizione, alla quale devono soddisfare le gi; (É=1,2,...,), resulta chiaramente che, qualora sussista la (4), si può sempre ottenere che nel sistema (5) tutte le gii (0=1,2,...,%) siano negative. Infine, qualora, in corrispondenza del sistema (5), resulti soddisfatto qualcuno dei criterî da me dati, le soluzioni del sistema stesso saranno certamente stabili e, quindi, tali saranno anche quelle del sistema (1), giacchè la stabilità non si perde attraverso sostituzioni lineari a coefficienti costanti. Matematica. — Sur les fonctionnelles d’ordre entier d'ap- proximation. Nota di R. GATEAUX, presentata dal Socio V. VOLTERRA. I. — PRELIMINAIRES. Désignons par l'ensemble des fonetions réelles (a) de la variable réelle @ définies et continues pour O=@= 1 et telles que o <= z(a)=> 1.$ Soit U|[<]| une fonctionnelle définie, réelle et bornée dans 2. Nous nous proposons de déterminer une ‘/onclionnelle d’ordre n d’approximation de U|[z]|, c'est-à-dire une fonctionnelle V|[z]| d’ordre #, telle que, si V[z]| est une autre fonctionnelle d’ordre n, on ait: maximum |U|[2]|— V[4]]| = maximum|U|[2])— Vi[z][| - On voit immédiatement qu'on peut se borner aux fonctionnelles d'ordre x réelles et c'est ce que nous ferons par la suite. LeMME. — Tout ensemble de fonctionnelles d’ordre n bornées dans leur ensemble dans 2 est compact: c’est-à-dire que de toute înfinité d'entre elles on peut extraire une suite tendant (uniformement ou non) vers une limite. D'après un théorème de M. Fréchet (Sur quelques points du calcul fontionnel, n° 19, Circolo matematico di Palermo, 1906), il suffit pour cela que les fonetionnelles de l'ensemble soient bornées et également continues en toute fonction z. — 406 — La première condition est satisfaite par hypothèse. Quant è la seconde, on démontre sans difficulté que les fonctionnelles de l'ensemble sont égale- ment continues dans tout le champ £. II. — ExISTENCE ET PROPRIETES DES FONCTIONNELLES D'ORDE # D'APPROXIMATION. THEOREME. Zoute fonctionnelle U[c]| définie, réelle et bornée dans 2 admet une fonctionnelle d’ordre n d'approximation. Utilisant le lemme précédent, on établit ce théorème par la méthode qu’a erposée M. Borel pour les fonctions d’une variable (Monezions de va- riables réelles, page 82). THEOREME. // existe des fonctionnelles U|[2]| admettant plusieurs fone- tionnelles d’ordre n d’approximation, méme si ces fonctionnelles U|[]| sont assujetties à étre uniformément continues. Ce théorème est une conséquence immédiate du théorème correspondant démontré par M. Tonelli (Annali di Matematica pura ed applicata, 1908), pour les fonctions continues de deux variables qui sont des fonctionnelles uniformément continues particulières. L'eremple suivant est plus simple que celui qu'a formé M. Tonelli. Rappelons d’abord une remarque de cet auteur. Soit la fonctions F(x,7) définie et continue pour a=x w. Il en résulte que si, par un moyen quel- conque, on trouve un polynome P(x,y) de degré x tel que|F(x,) — P(2, g)| =w,P(x,y) est nécessairement un polynome de degré 7 d'approximation. Venons maintenant è notre exemple. Nous allons définir, dans le do- maine a=, on pourrait en extraire une autre suite admettant u' comme plus petit élément limite; alors le raisonnement de l’avant-dernier paragraphe montrerait qu'on ne peut pas obtenir pour U une approximation égale è u2), douée d’un nombre fini de points unis, nous considérons, sur cette surface, un système continu complet }C}. Désignons par K les courbes transformées des courbes C au moyen de la correspondance (a—1,n-—1) déterminée par I, entre les points de la surface. Nous supposons, en premier lieu, que les courbes K sont irréductibles; et nous démontrons que ces courbes K sont comprises dans un système complet dont la dimension surpasse celle de 3C}. Il suffit alors d’utiliser une extension du raisonnement fait par MM. Enriques et Severi dans leur Mémozre sur les surfaces hyperelliptiques (*) pour éètre conduit à une absurdité. Le méme procédé permet de démontrer que les courbes K sont préci- sément reductibles en a —1 courbes. Le théorème que nous avons en vue, s'établit dès lors sans difficulte. 1. Soit F une surface algébrique sur laquelle il existe une involution I,, d’ordre 2(>2), doublement infinie, n’ayant qu'un nombre fini (éventuellement nul) de points unis. Considérons, sur la surface F, un système continu complet, {C}, irré- ductible, satisfaisant aux conditions suivantes: a) Les points unis de I, ne sont pas des points-base de }C}. 5) Le système {C} n'est composé ni avec I,, ni avec une involution avec laquelle I, serait elle-mème composée. c) La dimension de chacun des systèmes linéaires |C| contenus dans }C} est au moins égale è un. Il existe évidemment une infinité de systèmes de courbes satisfaisant à ces trois conditions. Il suffit, par exemple, de prendre un système simple, sans points-base, de dimension suffisamment grande. En geénéral, un groupe de I, ayant un de ses points sur une courbe C génerique, n'a pas un second point sur cette courbe. ll ne pourra y avoir exception que pour un nombre fini, a, de groupes de I,; ceux-ci auront deux de leurs points sur une courbe C genérique. La correspondance symétrique (2 — 1,7 — 1), définie par I, entre les points de F, transforme une courbe C en une courbe K. Chaque groupe de () Loc. cit., (1), première partie, è partir du Gième alinéa de la pag. 334. — 410 — I,, dont un point se trouve sur C, a x —1 autres points sur K. Ces groupes de a—i points forment une y/_; . À un conple de points de C appartenant è un méme groupe de I,, correspondront 7 —2 points doubles de K. Cette courbe K aura donc (2 —2)a points doubles (variables). Lorsque C décrit le système {C}, K deécrit un système continu ayant un certain nombre de points-base (aux points fondamentaux de I, et aux conjugués, par rapport à I,, des points-base éventuels de }C{) et (2 — 2)a points doubles variables. 2. Supposons les courbes K irréductibles. Sous cette hypothèse, nous allons démontrer que les courbes K sont les courbes totales d'un système continu complet, plus ample que {C}. Considérons un système linéaire complet |C| de }C}. Les courbes K, homologues des courbes de |C|, forment un système rationnel non linéaire, puisque 7 > 2, et dont la dimension, égale è celle de |C|, est au moins égale è un d’après l'hypothèse ec). D'après un théorème de M. Enriques ('), ces courbes K appartiennent totalement è un système linégaire |K|, dont la dimension surpasse nécessairement celle de |C,. Observons, de plus, quela courbe générique du système |K| n'a pas de points doubles variables (?), mais que |K| possède les mémes points-base (avec les mèmes multiplicités) que le système rationnel formé par les courbes K homologues des courbes de |C|. Lorsque |C| décrit le système continu {C}, le système |K| décrit un système continu jK} (que nous supposerons complèté, s'il le faut) qui contient, comme courbe totale, toute courbe K homologue d'une courbe C et dont la dimension surpasse celle de {C{. Si les courbes K sont irreduetibles, elles sont les courbes totales d’un système continu complet {K} dont la dimension surpasse celle de {C} et dont la courbe générique n'a pas de points doubles vartables. 3. Nous montrerons actuellement que les deux propriétés : A) {K{ crréductible et (par suite) de dimension supérieure à celle de {C}, B) {C} w'ayant pas de points-base qui sotent des points unis de In et (par suite) une courbe C ne contenant pas, en général, des points unis de I,, sont incompatibles. On en déduira que les courbes K sont réductibles. (1) Un'osservazione relativa alla rappresentazione parametrica delle curve algebriche. Rendiconti di Palermo (1896). vol. X, pag. 30. (£) Voir Enriques, /ntroduzione alla geometria sopra le superficie algebriche (n. 5). Memorie della Società dei XL (1896), ser. 3%, vol. X, pag. 1. — 411 — Pour démontrer cette incompatibilité, nous utiliserons le raisonnement fait par MM. Enriques et Severi dans leur Mémoire sur les surfaces hyper- elliptiques (*), en l’étendant un peu. Considérons une courbe K de }K} qui ne soit pas la conjuguée d'une courbe de {C}, ce qui est possible en vertu de la propriété A). Soit L la courbe engendrée par les x —1 points des groupes de I, dont le mniòme point se trouve sur K. Lorsque la courbe K varie d'une facon continue dans le système {K} de manière à se réduire èà une courbe K, conjuguée d'une courbe C, de {C}, la courbe L se réduit à la courbe composée (a —2) K, + C,. Observons que lorsque la courbe K se sera réduite è K,, elle aura en général acquis certains points doubles: c’est-à-dire que la con- nexion de la surface de Riemann K s'abaisse en se réduisant è K,. Supposons la courbe L irréductible, et indiquons par x1,%2,..,%n, les x points d’un groupe variable de I,. Pour fixer les idées, supposons que 7» soit le point situé sur K, «,,%3,...,%n, étant les x —1 points situés sur L. Puisque la courbe L est irréductible, on peut faire décrire è x», sur la courbe K (envisagée comme surface de Riemann), un cycle o tel que, sur L, x, et 23 soient échangés entre eux. Lorsque K se réduit à K,, un des points Xi, 3, Cn. par exemple z,, se trouve sur C,, les 7 — 2 autres étant sur K,. Mais cette réduction s'opérant d'une manière continue, la propriété de x, d’étre échangés lorsque x, décrit un certain cycle sur K, doit étre conservée. Deux cas peuvent se présenter: 1) Le cycle o, déerit sur K, devient, sur E , un cycle o non homo- logue è zéro. Lorsque x,» décrit 0, z,, qui se trouve sur C,, et 43, qui se trouve sur K,, doivent s'échanger. Cela ne peut se produire que si C, possède des points unis de I, (°): ce qui n'a pas lieu en genéral, en vertu de la propriété B). 2) Le cycle o, décrit sur Ro se réduit, sur K,, à un point P. Ce point P est nécessairement un des points doubles que K acquiert lorsque cette courbe se réduit à K,, c'est-à-dire, d'après la construction du système jK |, un des points doubles variables des courbes K homologues des courbes C. Le groupe de I, comprenant P, possédera donc deux points P, , P2, communs aux courbes C,, K,. Or, si nous faisons décrire à » sur la courbe K, (envisagée comme surface de Riemann) un cycle infiniment petit o autour de P, x3, qui se trouve sur C,, et x3, qui se trouve sur K,, devront s'échanger. Cette échange ne pourra se faire qu’en l'un des points P, ou P.. Par conséquent, l'un de ces points sera un point uni de l'involution I, . La courbe C, contiendrait donc une point uni de I,, ce qui n’a pas lieu en général [propriété B)]. (1) Loc. cit. (5). (?) Loc. cit. (1), première partie, pag. 335. — 412 — Nous voyons donc que les propriétés A) et B) sont contradictoires si L est supposée irréductible. Il faut donc que L soit réductible de telle manière que l'on ne puisse pas faire décrire è x, , sur K, un cycle tel que x, el xs soient échangés. Il faut donc que L contienne une partie X, lieu de , se réduisant è C, lorque K se réduit è K,. Et cela est encore vrai méme si l’involution I, possède des points fondamentaux unis (!). La courbe X varie sur F d’une manière continue, et doit se réduire è une courbe de {jC}. Mais ce système continu {C} est complet: donc X appar- tient è ce système. La courbe X étant une courbe C, la courbe L — X + K doit ètre une courbe totale de {K}. Cela est absurde, car X n'étant qu'une partie de L, K serait è la fois courbe partielle et courbe totale de JK}. Cette absurdité prouve que les propriétés A) B) sont incompatibles, que L soit réductible ou non. Les courbes K ne peuvent donc étre irréductibles. Les courbes K sont réductibles. 4. Supposons que les courbes K soient réductibles, mais en un nombre de courbes inférieur è x — 1. Alors, une de ces composantes, K', sera le lieu de plusieurs points appartenant è un méme groupe, variable, de I,. Dans ces conditions, on démontrera, en suivant le raisonnement fait plus haut, que le système jK" , complet. comprenant les courbes K' comme courbes totales, a la dimension supérieure à celle de }C}. Le raisonnement de MM. Enriques et Severi, répété comme ci-dessus, conduira alors è une absurdité. Par conséquent: Les courbes K se décomposent en n—1 courbes. 5. Considérons un système linéaire |C;|, triplement infini, contenu dans un système continu complet {C,} satisfaisant aux mémes conditions que le système {C} dont il a été question ci-dessus. Les courbes qui correspondent aux courbes C, au moyen de la correspondance (n —1,n— 1) déterminée sur F par I,, se décomposent donc en 7 —1 parties que nous désignerons Pare Soient x%,,%2,..., n les points d'un groupe générique de I, qui ne sont ni l’un ni l’autre des points-base de |C,|. Considérons les courbes de 1C,| passant par le point x,. Elles forment un réseau que nous indiquerons par X, . Les courbes C,, C3,..., C,, conjuguées des courbes C, de X, passent respectivement par les points «2 ,%3,.-,%, et engendrent des systèmes doublement infinis que nous désignerons per Ts, 33, ..6., Tn. Deux des systèmes 3, ,2>,..,Zn ne peuvent coîncider. En effet, cela ne pourrait se présenter que dans deux cas: 1) X, coincide avec l’un des autres ®, par exemple avec 3.. (1) Loc. cit. (1), première partie, pag. 336. — 413 — 2) Deux systèmes X différents de Z,, par exemple 2, et $;, coin- cident. i Dans le premier cas, les conrbes de ®, passeraient par le point x», ce qui est impossible par construction. Dans le deuxième cas, les courbes C, de 2; passeraient par x, et celles C3 de 2; par x». Cela ne peut arriver pour un point x, générique, car alors, lorsque x, décrirait une courbe C,, les courbes C., C3 correspon- dantes coincideraient, et, contrairement à ce qui a été démontré plus haut, les courbes transformées des C, au moyen de I, ne se décomposeraient pas enzx—1 courbes. Nous avons donc 7 systèmes doublement infinis d7s67267s : X,, D3,..., In. Considérons un groupe générique de I,,, et soit y, un point quelconque de ce groupe. Indiquons par H, le faisceau des courbes C, passant par 71. Les courbes de 2», homologues des courbes C, de H,, passent par un certain point du groupe de I, considéré. Nous indiquerons par y» ce point et par H, le système co! formé par les courbes Cs homologues des courbes C, de H,. De la méme manière, nous désignerons par 43, %4; 4x5 H:,H,,...,Hn les autres points et les autres systèmes co! homologues respectivement de y, dans le groupe de I, considéré, et de H, dans les SVSlemeseS: 2. Faisons décrire au point y,, sur la variété réelle V à quatre dimensions qui représente la surface F dans le sens de Riemann, un cycle quelconque. Les systèmes H,,H»,..,H, varieront respectivement dans les systèmes distinets Z,,Z2,... n, et, par suite, ne coincideront jamais. Donc, après un chemin quelconque décrit par y, sur V, les systèmes H, , H.,...,H, ne subissent aucun changement. Par suite, les points y2,%3,-,%n dépendent rationnellement de 7. Notre théorème est ainsi complétement démontré. .Matematica — Teoremi di unicità nei problemi dei valori al contorno per le equazioni ellittiche e paraboliche. Nota di MauRO PicoNE, presentata dal Socio L. BIANCHI. 1. Nel ristretto spazio che ho potuto concedere alla mia Nota recante lo stesso titolo della presente, inserita nel vol. XXII, pp. 275-282 (2° se- mestre 1913) di questi Rendiconti, non hanno trovato posto le applicazioni ad esempii concreti dei due teoremi di unicità enunciati alla fine della Nota stessa. In questi ultimi tempi mi si è dimostrata l'opportunità di far conoscere quelle applicazioni, in seguito a che, come mi fece osservare il pro- fessore Fubini, sarà soltanto resa palese tutta la portata di quei teoremi, presentemente abbastanza riposta. In questa breve Nota mi permetto appunto di mostrare le applicazioni sopraddette. Si vedrà che, in forza dei citati teo- — 4l4 — remi, sarà possibile dare esempii, oltre i notissimi, di equazioni ellittiche lineari alle derivate parziali del second'ordine, per le quali vale il teorema di unicità relativo agli integrali che prendono valori assegnati sopra il con- torno di un campo connesso che può illimitatamente estendersi come ad esso consente, per esempio, la sola condizione di essere tutto contenuto in un angolo ('). Mi limito a considerare le equazioni ellittiche, per le quali, com’ è noto, ogni teorema di unicità nei problemi dei valori al contorno è anche, sotto speciali ipotesi ulteriori per il relativo campo, un teorema d’esistenza ; ma le considerazioni che farò, offrono anche altrettanti teoremi di unicità relativi agli integrali di un’equazione parabolica lineare alle derivate par- ziali del second'ordine, che prendono valori assegnati sopra il contorno di un campo connesso. 2. Sia data l'equazione ellittica (1) L= (4 E) + (Lt), de da dY dWwY dI dY +23 +28 PAS, per la quale supponiamo definiti i coefficienti in un certo campo Y° del piano 2 ,y, tutto al finito. avente nel suo interno il punto origine delle coordinate, e le funzioni DOTI DIDO dh dk e; SALE, CND ' ia Mo lig zo ’ VMETMET MET day finite e continue in tutto Y, mentre ivi è sempre a> 0 la Enunciamo il teorema di unicità, stabilito nella mia Nota citata, rela- tivo agli integrali dell'equazione (1) assoggettati a prendere valori assegnati sopra il contorno c di un campo connesso C di 7. TEOREMA DI UNICITÀ. — Sî4 9% (x,y) una funzione arbitaria defi- nita in tutto T, ivi finita e continua colle sue derivate px e p,, mentre la g, vi st mantiene sempre diversa da zero; poniamo 3 o Py e indichiamo con 0 una funzione sempre positiva in T, per la quale ivi risulti (1) a=>0., c=>0x, (a—0(c-0xX)— (+ 0y)}=>0. (1) I teoremi finora conseguiti in proposito, sono relativi a campi intieramente con- tenuti entro una striscia, entro un quadrato, entro una corona circolare ecc.; cfr. il ne 9 della mia Nota citata. — 415 — Posto, inoltre, i=— (74 ’ indichiamo con m il minimo della funzione ol 02(5,M+ 18,4) 3 0) 0(5,y) a(x,y)=e e con M un numero positivo non inferiore al massimo dell'altra funzione [È Pa(sY) + ty(5,4) DR 0 6(s , Y) 1 dh li s bc =-(A-——-Z|e P(2 19) al da dY Si ha allora che: dato un campo connesso C di T, se il primo e l’ultimo punto d'incontro di ogni curva p= cost. che invade C, col contorno € di C, limitano su questa un arco la cui protezione ortogonale sopra l’asse a non supera la quantità m po cal M è unico în C l'integrale dell'equazione ellittica L(s)=f che su c prende valori prescritti. Per maggiore chiarezza, facciamo vedere come sia possibile, lasciando alla x completa arbitrarietà tra le funzioni finite e continue in 7, costruire una funzione positiva @ ivi verificante le diseguaglianze (1). Basterà per ciò prendere per 6 una funzione sempre positiva nel campo I° e ivi sempre minore di entrambi i minimi delle due funzioni act— bd? de, certamente non nulli nel campo I° che abbiamo supposto finito. Nell'ipotesi, che converrà in seguito considerare, in cui Z° si estende all’in- finito, la funzione @ esisterà qualora si ammetta pei coefficienti 4,d,C, quello speciale comportamento all'infinito, secondo il quale le due funzioni a e w sì mantengono discoste da zero più di un termine assegnato o. In quest ipotesi, per TY, non si potrà neppure assegnare arbitrariamente la fun- zione g (x,y) e i rimanenti coefficienti h,%,A; si dovrà soddisfare alla condizione che la funzione @(x,%y) si mantenga pur essa discosta dallo zero più di un termine assegnato 7, e che la funzione #(x,y) non superi un numero fisso M. Dall’enunciato teorema di unicità segue che, nel caso che sia, in 7, RenpICcONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 55 — 416 — il campo C non deve soddisfare ad alcuna condizione affinchè per esso valga il teorema; si potrà invero prendere allora per M una variabile positiva infinitesima. Ciò è notissimo; pertanto, nel sèguito, sottintenderemo che /a funzione H(x,y) prenda sempre, in T, anche valori positivi. 3. Ciò premesso, per una maggiore comprensione del teorema di unicità del numero precedente, consideriamo le sue conseguenze in qualche caso particolare. Cominciamo dal più interessante; e prendiamo per funzione la seguente : 2 % Vigo solchiamo cioè il campo I° con la famiglia ® di parabole eguali x* di parametro 4 aventi l’asse delle y per comune asse. Si avrà x = DE Pren- diamo per 6 una costante positiva, minore di entrambi i minimi nel campo T° (supposto finito) delle funzioni A, — (aa) i 0 ay + 24bx + ek” risulterà @(x,y)=1, pem=i. Designamo con N il massimo, in 7, della funzione H (x,y); in forza del nostro teorema di unicità potremo affer- mare che: Dato un campo C di 7, se il primo e l’ultimo punto di incontro di ogni parabola ® che invade C, nel contorno c di C, limitano su questa un arco la cui proiezione ortogonale sull'asse 4 non supera la quantità 6 1 ; d=7 VS) è unico in C l'integrale dell'equazione (I) che su e prende valori prescritti. È molto semplice la costruzione di campi C presentanti la particolarità indicata nel teorema precedente. A tal uwopo (ved. figura) conduciamo la retta 7 per l'origine di equazione y = y x, e consideriamo tutte le parabole D che la incontrano. Sopra ognuna di queste parabole flssiamo per senso posi- tivo di percorso quello, secondo cui deve procedere un osservatore, che cam- mini sul piano x, 7, percorrendo la parabola in guisa che il relativo fuoco giaccia sempre alla sua sinistra. Se, dopo ciò, a partire da un punto d'incontro P, di ogni parabola gp = h della retta 7, stacchiamo sulla parabola, nel verso positivo, un seg- mento di essa, P,P',, la cui proiezione ortogonale sull'asse x è misurata dalla costante d, subito si vede che il luogo dei punti P', è una seconda — 417 — retta 7°. Ed invero, detta È l’ascissa di P',, sarà E£4+-0 quella di P,; e si avrà perciò”: e) e E -+o > 9 Cc n Ne segue, per l’ordinata n di P”,, il valore SOTA Co BseO Cero vb finan CAM OLI Pois gono il luogo dei punti P', è pertanto la retta 7’ di equazione y=(r+i)e+r0+ 7% — 418 — Ne segue che: él campo C soddisferà alle volute condizioni per la validità del teorema di unicità, semplicemente se (ved. figura) è tutto con- tenuto in uno dei due angoli delle rette r,r' solcati dai segmenti di pa- rabola PaPy . i Il coefficiente angolare della retta 7 è in nostro arbitrio; scegliamolo perciò in guisa che i nominati due angoli opposti al vertice abbiano il loro massimo valore. Occorre e basta perciò porre y= —;7; e allora le rette 2% r e r' assumono rispettivamente le equazioni d i GO (7) i” 3 SUO (1°) y= E passano cioè entrambe pel punto origine delle coordinate, e riescono ugual- mente inclinate sull'asse delle x. L'angolo da esse compreso sarà poi acuto, retto, ottuso, secondochè eo , VAART Possiamo pertanto enunciare il semplicissimo teorema di unicità: Indichi k una costante positiva, e 0 un'altra costante positiva minore di entrambi i minimi, in T, delle funzioni k(ac — b?) do 47 aa + 2bkx + che’ sta poi N il massimo, în T, della funzione H(x,y): per ogni campo © di T, tutto contenuto in uno degli angoli delle due rette 7,7", A | CT SA 0/0 Rio AO Gal NA attraversati dall'asse delle x, vale il teorema di unicità relativo agli in- tegrali dell'equazione (I) che prendono sul contorno valori prescritti. Consideriamo il caso, particolarmente interessante, in cui il campo TL sia tutto il piano 4 y,e i coefficienti dell'equazione (I) vi siano definiti in modo che esista sempre una costante positiva 9 minore di entrambi i limiti inferiori, in tutto il piano, delle funzioni @ e w, ed esista un numero po- sitivo N che si mantenga maggiore dei valori di H (x,y); varrà sempre allora il teorema di unicità per campi C soggetti, ad esempio, alla sola condizione d'essere contenuti in uno degli angoli delle rette 7, 7”, attraver- sati dall'asse delle x. Osserviamo che, fissato 4 e quindi 6, l’apertnra del- l'angolo (7, 7"), in cui deve essere contenuto il campo C, dipende dai va- lori di N, ed essa aumenta e tende ad essere di 180° col diminuire del limite superiore N di H (x,y). Comunque, purchè N sia finito, riusciamo — 419 — a costruire campi ©, per cui vale il teorema di unicità, suscettibili dé estendersi illimitamente nelle infinite direzioni contenute in un angolo. 4. Confrontiamo le condizioni ora imposte al campo C con quelle che, anche nelle speciali ipotesi ultimamente fatte pei coefficienti dell'equazione (I), vengono ad esso imposte nei teoremi di unicità finora conseguiti. Facciamo, per semplicità, il confronto avendo supposto 6 = 0. È ben noto (cfr. il n. 3 della mia Nota citata), il teorema: Se 4 e c sono funzioni sempre positive in tutto il piano aventi entrambe ivi limiti inferiori non nulli, e 0" designa una costante positiva minore di questi limiti, mentre N è un numero positivo che non viene mai superato da H(x ,y), per ogni campo C contenuto in una striscia di larghezza non : CRESPI i : superiore a 77 VE. è unico l'integrale dell'equazione d dL d) 04 da de i I” — (a— — Z)} h 29Ahr -+Az=f, (L) 4344 aio Per Pan cin che sul contorno di C prende valori prescritti. Se a e c, oltre ad avere limiti inferiori non nulli, sono tali che anche la funzione k°®ac ke k® s bersi ax* + ck° 2° l'as 49° k Dal. (anta Cl (0A C clio cage 3 TARA. ha limite inferiore non nullo, per il che occorre e basta che — si mantenga c inferiore ad un termine assegnabile [sia ad esempio c=0' 4 x° c'(x. 4), con c‘(z2,y)=0 >0], si potrà anche applicare il teorema di unicità otte- nuto al num. precedente; ed è evidente quanta maggiore libertà di esten- dersi esso consenta al campo ©. 5. Il metodo seguìto al n.3, si può adottare, com' è ben evidente, nel- l'esame delle conseguenze del teorema di unicità enunciato al n. 2 in mol- tissime altre ipotesi che sulla funzione arbitraria @ (x,y) si possono fare. Offre interesse la considerazione della famiglia ® di catenarie y+&cosh =: sì avrà y = senh po 888 nell'ipotesi che il campo 7 sia tutto il piano, supponiamo inoltre non nulli i limiti inferiori delle funzioni ac— b° O (17) = ui; _a 3 x 2 7 = Vo) a senh 7 + 20 senh % +e — 420 — e finito il limite superiore di H, si giunge per il campo C© a condizioni ancora meno restrittive della sua libertà di estendersi illimitatamente in varie direzioni. Nelle ipotesi del n. 3, il coefficiente e dalla (I) deve avere 2 all'infinito un tal comportamento da risultare il rapporto FA limitato supe- riormente, qui il coefficiente e deve invece crescere all'infinito dell'ordine (almeno) di un esponenziale, per modo che il rapporto senh® 7 : 0 risulti limitato superiormente. Considerando la famiglia ® di cerchi concentrici x? + y=h, bisognerà limitarsi a quella parte di Z° che è tutta al disopra della retta y== 8 (e costante positiva), o tutta al disotto della retta y= — «. Si ha at: per cui, se il campo Y è tutto il piano e vogliamo applicare il nostro teorema di unicità a campi C situati ovunque nel semipiano y = 8, dobbiamo supporre che le funzioni cd y (ac — dè) i — ax* + 2bay + cy?” abbiamo, per y = «, limiti inferiori non nulli (ne seguirà il rapporto x?:cy? limitato superiormente). Sarà possibile allora la determinazione della co- stante positiva 0, e si avrà se dunque, inoltre, i rimanenti coefficienti #,%,A dell'equazione sono tali Ho che il prodotto He? non superi un numero positivo N, per un campo C del semipiano y = «, il cui contorno stacchi su ogni cerchio ® (che lo incontra) un arco di proiezione ortogonale sull’asse «x non superiore alla 6 NETTE | quantità d = 7 VA , Yale il teorema di unicità. Ne segue in particolare che: Per ogni campo C tutto contenuto nella porzione dell'angolo retto d° + e? 20 BE = , limitata dalla retta y="s e dalla parabola g=20r +9+ 8, vale il teorema di unicità. — 421 — Meccanica. — Esperienze sulla elasticità a trazione del rame. Nota III di Gustavo COLONNETTI, presentata dal Socio V. VoL- TERRA. Le ricerche sperimentali riferite nelle mie due precedenti Note su questo argomento (') mettono così chiaramente in evidenza l'analogia, d'altronde ben nota, che passa tra l’isteresi elastica e l'isteresi magnetica, che il lettore non avrà mancato di istituire spontaneamente un parallelo fra il concetto di deformazione permanente e quello di magnetizzazione residua. Tale parallelo richiederebbe, per essere svolto a fondo, il tracciamento sperimentale di cicli bilaterali (cioè compresi fra limiti di forza di segni eontrarii) che le nostre macchine per le prove dei materiali non permettono assolutamente di eseguire. Nei limiti puramente qualitativi che fin dal prin- cipio ho imposto alla mia indagine, il fenomeno può però essere approfon- dito nel modo seguente. Uno dei soliti fili di rame, il quale, per un lungo periodo di tempo, aveva servito alle più svariate esperienze, rimanendone energicamente incru- dito, venne, il 2 febbraio 1914, assoggettato ad un carico variabile gradual- mente (in ragione di circa 50 kgr. al minuto primo), alternativamente in senso crescente e decrescente, fra i seguenti limiti: 1200 , 100 , 1000 , 300 , 800 , 500 , 600 kgr. Un tale trattamento può facilmente concepirsi come risultante dalla sovrap- posizione di un primo carico il quale, raggiunti ì 600 kgr., si sia mante- nuto costante durante tutto il resto dell'esperienza, e di un altro sforzo, che diremo, per intenderci, addizionale, il quale varii fra i seguenti valori: + 600, — 500, + 400, — 300, +200 , — 100 , 0 kgr. alternativamente positivi e negativi, e tali che la differenza tra il valore assoluto di uno qualunque di essi ed il valor assoluto del successivo sia una costante positiva. Il comportamento del materiale si può rilevare così dalla tabella nu- merica allegata, come dal diagramma disegnato con tratto continuo nella parte sinistra della fig. 1; esso ha questo di interessante, che basta a ca- ratterizzare completamente lo stato in cui il materiale si viene a trovare alla fine di questa prima fase (preparatoria) dell'esperienza, nel senso che le (*) Presentate, per la pubblicazione in questi Rendiconti, nelle sedute del 1° e del 15 febbraio 1914. — 422 — leggi generali, che ho già avuto precedentemente occasione di enunciare (Nota II), bastano da sole a determinare in qual modo il materiale dovrà deformarsi al variare ulteriore del carico applicato. Ed invero, sia che detto carico prenda a crescere, sia che esso prenda a diminuire, debbono man mano chiudersi successivamente tanti cicli quanti durante le operazioni precedenti ne son rimasti di aperti: in altri termini, le due curve di deformazione che si possono descrivere facendo crescere lo sforzo addizionale fino a 4+- 600 kgr., ovvero facendolo decrescere fino a — 600 kgr., debbono contenere tutti i Fic. 1. successivi punti di regresso corrispondenti rispettivamente ai massimi ovvero ai minimi valori che il carico ha toccati nelle trasformazioni suddescritte, epperò debbono necessariamente presentare l'andamento indicato mediante punteggiate nella figura. L'esperienza, eseguita nel senso dei carichi crescenti, ha completamente ‘confermato queste previsioni, fornendo valori della deformazione pratica- mente coincidenti con quelli osservati alla fine delle varie operazioni di carica realizzate durante il periodo preparatorio. La curva di deformazione che così si ottiene non è più pertanto una delle solite curve limiti di un ciclo chiuso: essa presenta, a fronte di quelle, una curvatura assai più sentita, e ricorda, nel suo andamento generale, quella | che abbiamo a suo tempo convenuto di chiamare la curva di prima defor- mazione. Nè è da credersi che si tratti soltanto di una semplice somiglianza di forma: si riscontra qui un vero e proprio rinnovarsi di quei medesimi — 423 — fenomeni che caratterizzano il comportamento del materiale quando esso vien cimentato per la prima volta. Il cappio ottenuto facendo variare lo sforzo addizionale da 600 kgr. a 0 e viceversa (riferito, nella parte destra della figura 1, ai due nuovi assi 2’ ed y', la cui origine O' rappresenta lo stesso speciale stato di deformazione in cui il materiale si trovava alla fine della prima fase dell'esperienza), presenta infatti immutate tutte le caratteristiche dei processi di prima deformazione di cui ci siamo occupati nella Nota I, tanto per ciò che concerne l’esistenza delle deformazioni permanenti, quanto per ciò che riguarda l'intervento di quelle speciali modificazioni, nella de- formabilità del materiale, che si sono allora denotate col nome generico di incrudimento. Senonchè questo incrudimento ci si presenta questa volta completamente giustificato dallo specialissimo trattamento a cui il materiale è stato in pre- cedenza assoggettato. Ed è poi facile constatare che la stessa deformazione permanente non è qui altro che una semplice manifestazione dei fenomeni di isteresi: se infatti si attribuiscono al carico addizionale valori negativi, la deformazione (intesa sempre contata a partire dallo stato in cui il ma- teriale si trovava alla fine della fase preparatoria) si annulla ben presto ('), (1) L'intensità della /orza coercitiva non raggiunge, nel caso concreto, i 10 kgr. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 56 — 424 — poi diviene a sua volta negativa, raggiungendo una grandezza eguale a quella della massima deformazione positiva precisamente quando il carico addizio- nale diviene eguale a — 600 kgr. (1). Il comportamento del materiale che ha subìto la preparazione dianzi descritta, per quanto in sostanza non differisca da quello che si riscontra nei saggi presi allo stato naturale, cessa pertanto di essere un fatto di ecce- zione, per rientrare nell'àmbito delle leggi generali che regolano i processi di deformazione per cicli chiusi. Alcune esperienze successive mi hanno permesso di riconoscere che la diversa velocità con cui le operazioni sopra descritte potevano venir realizzate, se influiva sull’entità numerica dei singoli risultati, non alterava però meno- mamente l'andamento generale dell'esperienza. A questo proposito mi sono sembrati particolarmente degni di essere qui ricordati alcuni cicli (fig. 2) presentanti tutti i caratteri della bilateralità, che io ho rilevati il 10 febbraio ultimo scorso operando nel solito modo sullo stesso spezzone, dopo di avergli fatte subire tutte le trasformazioni di cui consta la fase preparatoria con la massima velocità che la macchina permette di realizzare quando si rinuncia ad apprezzare le deformazioni, velocità che è di almeno 100 volte più grande di quella adottata nelle esperienze del 2 febbraio. (1) Riprendendo l’esperienza dal principio si verrebbe a realizzare, in un caso anche più generale, quel processo di eliminazione delle deformazioni per alternazioni decrescenti che il Cantone utilizzò sistematicamente nelle sue già citate ricerche. — 425 — Incremento SPECCHIO SINISTRO SPECCHIO DESTRO Sforzo na Deformazione della deform. SII E totale ettaro Differenze etinro Differenze differenze VE ROREEr di parziali parziali parziali (1) (2) dello sforzo Kgr. 2 febbraio 9 0| 834 _ 1893 — — 0 _ * 100 | 989] -+105 | 2021 | -+128 | 4233 | 233 + 2.38 3 200 | 1060| -+121 | 2138| -+117 | +238 | 471 3Ak9198 5 400 | 1299 | +239 | 2375| +237 | +476 | 947 IL 293 ” 600 | 1538 | -+-239 | 2618 | -243 + 482 | 1429 + 2.41 » 800 | 1779 | + 241 | 2867 | -|- 249 + 490 | 1919 + 2.45 » 1000 | 2025 | + 246 | 3119 | +252 | 4498 | 2417 + 2.49 : 1200 | 2272 | -+247 | 3871] 4252 | 4499 | 2916 + 2.50 ” 1100 | 2154 | —118 | 3259 — 116 — 25 2682 — 2.34 ” 900 | 1917 — 287 | 3015 — 240 — 477 | 2205 — 2.98 ” 700 | 1682 | — 235 | 2772| — 243 — 478 | 1727 — (2/99 ” 500 | 1444 | — 238 | 2529 — 243 — 481 | 1246 — 2.41 ” 300 | 1204 | — 240 | 2282 | — 247 — 487 759 — 2.43 D) 100 955 — 249 | 2033 — 249 — 498 261 — 2.49 ” 200 | 1073 |] +118 | 2150 | 4117 + 235 496 + 2.35 ”» 400 | 1813 | -+240 | 2386 | -+236 | +476 | 972 + 2.38 ” 600 | 1551 | 4238 | 2625 + 239 + 477 | 1449 + 2.39 ” 800 | 1790 | 4239 | 2870 | 4245 + 484 | 1933 + 2.42 ” 1000 | 2029 | -+239 | 3119 | -+249 | -+488 {2421 + 2.44 ” 900 | 1911 — 118 | 3001 — 118 — 286 | 2185 — 2.36 » 700 | 1679 — 232 | 2761 — 240 — 472 | 1713 282136 ” 500 | 1441 — 238 | 2520 | — 241 — 479 | 1234 —:12:99 ” 300 | 1200 — 241 | 2274| — 246 — 487 747 —. 2.44 5 400 | 1818 | -+118 | 2390| -+116 | 234 | 981 + 2.34 ” 600 | 1554 | -+2386 | 2630] 4240 | -+476 | 1457 [1233 ”» 800 | 1790 | +236 | 2872 | 4242 | -+478 |1985 + 2.39 ” 700 | 1674 — 116 | 2755 — 117 — 233. | 1702 — 2.383 ” 500 | 1439 | — 235 | 2516 | — 239 — 474 | 1228 — 2.37 ” 600 | 1557 | -+118 | 2632| +116 | +234 | 1462 0| +2.34 ” 700 | 1673 | +116 | 2752) -+120 | +236 | 1698| 236| + 2.86 ” 800 | 1791 | +118 | 23873 | +-121 + 239 | 1937 | 475 | + 2.39 ” 1000 | 2029 | 4238 | 3118 | -+ 245 + 483 |2420 | 958 | + 2.41 » 1200 | 2275 | -+246 | 3367 | -+249 | +495 | 2915 [1453 | + 2.48 ” 1100 | 2157 — 118 | 3250 — 117 — 235 | 2680 | 1218 | — 2.85 ) 1000 | 2040 | —117 | 3132 SING — 235 | 2445 983 | — 2.85 ” 800 | 1801 | —239 | 2891 — 241 — 480 | 1965 503 | — 2.40 ” 600 | 1564 -— 237 | 2646 la 245 — 482 | 1483 21 | — 2.41 (1) Contata a partire dall’inizio dell'esperienza. — (2) Riferita allo stato speciale in cui il materiale viene a trovarsi alla fine delle operazioni preparatorie descritte al principio di questa Nota. — 426 — Incremento SPECCHIO SINISTRO SPECCHIO DESTRO Sforzo Somma | Deformazione /gella deform. n a de parziali parziali parziali (1) (2) dello sforzo Kgr. 2 febbraio 700 | 1681 + 117 | 2764 + 118 + 235 1718 256| + 2.85 » 800 | 1798 + 117 | 2885 + 121 + 238 1956 494] 4 2.88 ” 1000 | 2038 + 240 | 3125 + 240 + 480 | 2436 974| 4 2.40 ni 1200 | 2277 | + 239 | 3867 | -+242 | +481 | 2917] 1455 + 241 ” 1100 | 2159 — 118 | 3251 — 116 — 234 | 2683 1221| — 2.84 ” 1000 | 2040 — 119 | 3134 — 117 — 236 | 2447 985) — 2.36 ” 800 | 1804 — 236 | 2890 — 244 — 480 | 1967 505] — 2.40 ” 600 | 1566 — 238. | 2646 — 244 — 482 1485 23] — 2.41 ” I 400 | 1328 — 238 | 2401 — 245 — 483 | 1002 |— 460| — 2.42 ” 200 | 1085 — 243 | 2155 — 246 — 489 513 |— 949| -- 2.44 ” (0) 838 — 247 | 1909 — 246 — 493 20 |-1442| — 2.47 D) 14 (0) 880 — 8 | 1903 — 6 — 14 6 |-1456 -- 10 febbraio 15 _600 | 1609 = 2640 — = 0 = ” 700 | 1725 + 116 | 2758 + 118 + 234 234| + 2.94 » 600 | 1609 — 116 | 2641 — 117 — 238 ll — 2.88 ” 500 | 1493 — 116 | 2521 — 120 — 236 — 235| — 2.36 ; 600 | 1609 | +-116 | 26989 | -+118 | -+234 ole 452/34 È 700 |:1725-| (+-116 | 2758 | -+119-| (285 234| + 235 ; 800 | 1841] -+116 | 2877| -+119 | 4285 469| + 2.35 ; 900 | 1959 | -+118 | 2997| +120 | +288 707) + 2.38 ” 800 | 1843 — 116 | 2880 — 117 — 233 474 — 288 » 600 | 1609 — 234 | 2644 — 236 — 470 4| — 2.35 ” 400 | 1376 -— 233 | 2404 -— 240 — 473 — 469| — 237 ” 300 | 1257 — 119 | 2284 — 120 — 239 - 708) — 2.39 È 400 | 1375| -+118 | 2399] +115 | -+288 - 475| +2.88 ; 600 | 1607 | 232 | 2686 | -+237 | 4469 Si Go 3 800 | 1840| -+238 | 2875| +239 | +472 466| + 2.36 ; 900 | 1958 | 118 | 2997 | -+122 | +240 706) + 2.40 ” 1000 | 2077 | +119 | 3118| -+121 | +240 946] + 2.40 ; 1200 | 2319 | -+242 | 3367| -+249 | +491 1437 + 2.46 » 1100 | 2203 — 116 | 3249 — 118 — 234 1203] — 2.34 » 1000 | 2086 — 117 | 3130 CILE) — 236 967] -- 2.36 P) 800 | 1850 — 236 | 2892 — 238 — 474 493| — 2.37 : 600 | 1616 — 234 | 2650 — 242 — 476 17) — 2.38 ” 400 | 1380 — 236 | 2408 — 242 — 478 — 461] — 2.39 ”» 200 | 1143 — 237 | 2165 — 243 — 480 — 941| — 2.40 5 0 | 899 | — 244 | 1912| —253 | — 497 —1488| — 2.48 — 427 -- PRO PES 5% SPECCHIO SINISTRO SPECCHIO DESTRO Comma DEI ZIONI FAIemento orzo ella deform. o delle riferito GIORNO ORA : É totale Tattaro Differenze via Differenze differenze a Raen di parziali parziali parziali (1) (2) dello sforzo Kgr. | 10 febbraio 100 | 1016 | + 117 | 2080) -+118 | +285 |” (—1208| + 2.35 D) 200 | 1135 + 119 | 2147 + 117 + 236 |- 967] + 2.86 ” 400 | 1371 + 236 | 2383 + 236 + 472 i— 495) + 2.36 ” 600 | 1606 | + 235 | 2622 | +239 | +474 — Vil SL eg ” 800 | 1843.| -;-237 | 2865. 4243 | 4480 | 459) + 2.40 5 1000 | 2079 | -+236 | 3110| -+245 | +481 940) + 2.41 5 1200 | 2324 | 245 | 3360| -+250 | -+495 | 1435) + 247 | Fisica. — L'effetto Hall longitudinale nelle leghe ferroma- gnetiche di rame, manganese, alluminio (*). Nota di Orravio Bo- NAZZI, presentata dal Corrisp. A. BATTELLI. 1. È ben noto che la resistenza elettrica dei conduttori cambia quando essi vengono introdotti in un campo magnetico. Tale variazione è molto grande specialmente nel bismuto, e fornisce per questo un mezzo semplice e comodo per la misura dell'intensità di un campo: ma essa riesce sensi- bile pure, ed è stata misurata, per molti altri metalli, sia in direzione pa- rallela, sia in direzione perpendicolare al campo magnetico. La teoria elettronica sembra fornirci una facile spiegazione del feno- meno. Infatti le particelle cariche, cui si pensa dovuta la convezione della corrente, sotto l’azione di un campo longitudinale più non percorrono linee rette, ma eliche; e sotto l’azione di un campo trasversale debbono percor- rere delle cicloidi. Nell’ un caso e nell'altro le linee di corrente hanno entro il conduttore una lunghezza più grande: e ciò porta che la resistenza di questo deve risultare, in ogni caso, aumentata. 2. Ora, le esperienze eseguite coi varî metalli hanno concordemente rivelato un aumento di resistenza nella direzione parallela al campo ma- gnetico. Un risultato altrettanto semplice ed uniforme non si è invece avuto per le misure della variazione di resistenza in direzione perpendicolare, ossia (!) Lavoro eseguito nell’Istituto di fisica dell’Università di. Berlino, diretto dal prof. Rubens; completato nell’Istituto di fisica dell’Università di Pisa, diretto dal pro- fessore A. Battelli. — 428 — — secondo la denominazione di Nernst (!) — per le misure dell'effetto Hall longitudinale. Infatti, mentre per molte sostanze (bismuto, cadmio, zinco, mercurio, carbone, argento, oro, rame, stagno, palladio, piombo, platino, tan- talio) è stato trovato anche in questo caso aumento di resistenza (fig. 1) (po- trebbe dirsi: effetto Hall longitudinale positivo), pei metalli ferromagnetici (ferro, acciaio, nichel, cobalto), risultò invece una diminuzione di resistenza (effetto Hall longitudinale negativo) già nelle ricerche di lord Kelvin del 1856 (?). Ricerche ulteriori di altri sperimentatori hanno poi mostrato come possa talora ottenersi anche con metalli magnetici un aumento, usando campi suf- ficientemente deboli. Più precisamente, in certi campioni di ferro e nel nichel (fig. 2) l’effetto Hall longitudinale con campi deboli è positivo; va crescendo col campo fino ad un massimo, oltre il quale decresce e poi si annulla; con R R 10 È Fe, Co H H H Fia. ll. 1 Fi. 2. Fia. 3. Bi, ecc. campi più intensi diventa negativo (*). Nel cobalto, e in altri campioni di ferro, sì riscontra effetto negativo fin dalle prime misure coi campi più de- boli (fig. 3). La teoria elettronica — come ho accennato — offre diretta spiegazione del solo effetto Hall longitudinale positivo. Viene perciò spontaneo di pen- sare che l'aumento di resistenza sia in ogni caso il modo più genuino di presentarsi del fenomeno; e che il contegno caratteristico dei materiali ma- gnetici sia da attribuirsi alla sovrapposizione di altri fenomeni — talora più intensi del primo e, quindi, capaci di mascherarlo — dipendenti dallo stato di magnetizzazione. Questi risultati io ho dovuto qui riassumere, onde si possa ben com- prendere lo scopo e la portata della ricerca da me eseguita sulle leghe di Heusler. 3. Delle leghe magnetiche composte di rame, manganese, alluminio, sco- perte da Heusler, sono state studiate ormai quasi tutte le proprietà fisiche, (*) Nernst, Ann. der Phys., 3/, 783 (1887). (*) Thomson, Math. a. Phys. Pap., II, 307. (*) Grunmach, Ann. der Phys., 22, 141 (1907). — 429 — senza che però si sia potuto concludere in modo abbastanza sicuro sulla causa che provoca le proprietà ferromagnetiche nell’unione di quei tre me- talli non ferromagnetici. Particolarmente importante per tal proposito deve riuscire lo studio di alcune proprietà che sono intimamente connesse coi fenomeni magnetici : quali, ad esempio, l’effetto Joule, l’effetto Hall vero e proprio (trasversale), l’effetto termomagnetico, l’effetto Kerr, e l’effetto Hall longitudinale. Orbene, di questi fenomeni, i primi quattro erano già studiati anche nelle leghe dl Heusler, e si erano ottenuti i seguenti risultati: 1°) L'effetto Joule è in quesle leghe inverso, ossia — essendosi spe- rimentato solo con campi abbastanza deboli (*) — è quale si presenta pure nel ferro e nell’acciaio. 2°) Anche in riguardo all'effetto Hall trasversale ed all'effetto termo- magnetico (°), le leghe di Heusler si comportano nettamente come gli altri materiali ferromagnetici. 3°) Sembrano invece discostarsene del tutto relativamente all'effetto Kerr (3), il quale in esse non si è potuto rivelare. Io mi sono proposto di ricercare se le leghe in discorso si schierino, oppure no, col ferro, nichel, cobalto, in rispetto all'effetto Hall longitudinale, ossia in rispetto alla variazione di resistenza elettrica in un campo magne- tico trasversale. E qui riferisco i risultati da me ottenuti. 4. Data la grandissima difficoltà che offre la lavorazione meccanica di queste leghe, ho dovuto limitare la ricerca allo studio di un solo campione, scelto fra tanti come il meno fragile e il più duttile. La sua composizione centesimale, determinata coll’analisi chimica, era: Cu 72; Mn 8; AL 10. Aveva proprietà magnetiche molto spiccate. Dapprima coll’aiuto di una potente trafila, in seguito col lavoro a mano di un meccanico specialista, si potè ridurre la lega in forma di filo di ur decimo di millimetro di diametro. Due pezzi di questo filo, lunghi circa 70 cm., furono accoppiati saldandoli insieme ad un estremo, e furono avvolti insieme a spirale piana, isolati fra loro, frapponendo tra le varie spire una strisciolina di carta (fig. 4). Il rocchettino così formato equivaleva [dunque all'insieme di due spirali piane, unite in serie pel loro estremo centrale; ed (*) Austin, Verh. der. deut. phys. Ges., 6, 211 (1904). (®) Zahn e Schmidt, Verh. d. deut. phys. Ges., 9, 98 (1907). (3) Ingersoll, Phil. Mag., //, 41 (1906). — 430 — il coefficiente d'induzione di un tal rocchettino per un campo magnetico trasversale (cioè in direzione dell'asse) era addirittura nullo. Aveva una resistenza di ohm 109,962 a 10°. 5. Introdotto il rocchettino fra i poli di un elettromagnete, ne ho mi- surato la resistenza con eccitazioni del magnete gradatamente crescenti. In una prima serie di misure ho adoperato, per campi magnetici deboli, una elettrocalamita a due rocchetti verticali, con estremità polari piane, parallele; nella seconda serie di misure, per campi più intensi, ho usato un grosso elettromagnete tipo Weiss, con estremità polari a tronco di cono, del dia- metro estremo di 20 mm. Fis. 4. In un caso e nell'altro la distanza dei poli era di mm. 5; nell'inter- stizio fissavo il rocchettino di lega ÎHeusler, col suo asse (lungo mm. 2) nella direzione delle linee di forza del campo. Ambedue gli elettromagneti erano stati preventivamente campionati per quella data distanza fissa dei loro poli: era stata cioè determinata — me- diante le variazioni di resistenza di una spirale di bismuto tarata, di Hart- mann e Braun — l'intensità del campo magnetico pei varî valori dell’ in- tensità di corrente eccitante. Le misure di resistenza sono state eseguite col comune metodo del ponte di Wheatstone. La cifra dei centesimi di ohm venne determinata diretta- mente; quella dei millesimi fu calcolata per interpolazione dalle due devia- zioni che si avevano nel galvanometro in senso opposto, aggiungendo o to- gliendo un centesimo di ohm. i Le misure con campi intensi dovettero esser fatte ad intervalli di pa- recchie ore l'una dall'altra, poichè il calore sviluppantesi nell'elettromagnete si propagava ben presto al rocchettino di lega Heusler e ne alterava notevol- mente e rapidamente la resistenza in una misura difficile a computarsi. In tal modo però le determinazioni successive venivano fatte con temperatura dell'ambiente — e quindi anche della lega — sensibilmente diversa ogni volta: e perciò i risultati hanno dovuto poi esser ridotti tutti ad un'unica temperatura, che fu quella di 10°. — 431 — PRIMA SERIE DI MISURE. Intensità Resistenza Intensità Resistenza campo Sa della lega a 10° | campo magnetico della lega a 10° gauss ohm gauss ohm 0 109,962 1820 109,951 300 961 2920 940 720 960 3480 932 1000 959 4960 905 1470 958. | 5850 | 890 SECONDA SERIE DI MISURE. Intensità Intensità Resistenza Intensità Intensità Resistenza di corrente nel- del di corrente nel- e l’elettromagnete | campo magnetico | della lega a 10° l’elettromagnete | campo magnetico | della lega a 10° ampère gauss ohm ampère gauss ohm 0,8 6700 109,872 3,2 18810 109,561 0,9 7630 848 4,4 21140 503 il 9160 808 6,3 23590 — 459 1,2 9870 798 10,3 26760 410 14 11150 750 12,4 27770 393 1,7 12950 698 14,4 28500 380 2,0 14500 658 16,5 29080 375 2,5 16680 615 20,9 29940 364 6. I risultati delle due serie di misure sono riportati nelle due tabelle qui unite, e rappresentati nel grafico della figura 5. RenpIcONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 57 — 432 — Noi vediamo dunque che la lega in studio presenta una diminuzione di resistenza; diminuzione gradualmente maggiore per campi magnetici via via più intensi. Col campo massimo raggiunto nelle misure, di 30.000 gauss, la diminuzione di resistenza importa 0,6 ohm, corrispondente ad una dimi- nuzione relativa di 5,4 . 1078. Ora, poichè la diminuzione di resistenza per un campo magnetico trans- versale, ossia l'effetto Hall longitudinale negativo, è — come ho ricordato prima — caratteristica dei materiali ferromagnetici, noi concludiamo così che anche in riguardo a questo fenomeno le leghe di Heusler possono clas- sificarsi insieme colle altre sostanze ferromagnetiche. Più precisamente, esse sì comportano, almeno in modo qualitativo, come il cobalto e come alcuni campioni di ferro. Non rimane, così, che un solo fenomeno, l' effetto Kerr, che contraddi- stingue le leghe magnetiche di rame, manganese, alluminio, dagli altri ma- teriali magnetici. Senonchè le esperienze in proposito sono state eseguite finora da un solo sperimentatore; onde, per la loro importanza, meritereb- bero ulteriore conferma. Fisica. — Intorno ad un condensatore sferico 0 conico per l'illuminazione laterale nei microscopi. Nota di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. I varî condensatori usati in microscopia per l'illuminazione laterale a fondo oscuro, sono costruiti per scopi e condizioni ben determinate e sono destinati principalmente ai medici e naturalisti, ed un fisico in molti casì non può giovarsene. Dopo aver acquistato parecchi di questi condensatori ed aver trovato ostacolo al loro uso in questo inconveniente, ho cercato di costruirne in modo facile, usando sottili zone sferiche o coniche, tagliate da palloncini o da im- butini (scelti come i più regolari) ed inargentate all’esterno. Essi erano certo imperfetti (ed inoltre, di solito, le condizioni teoriche d'illuminazione non erano che imperfettamente soddisfatte) però si prestavano a qualsiasi adattamento, dimodochè con un solo di essi ho ottenuto facil- mente che fossero visibili così le particelle ultramicroscopiche del vetro ru- bino d'oro, come le particelle sospese ed in movimento browniano, nei liquidi e nei gaz, ciò che avrebbe richiesto tre diversi condensatori dei soliti e non pochi accessorii. È chiaro che i condensatori sferici (e specialmente quelli conici) non possono essere usati utilmente con luce parallela. Se ABCD è la sezione meridiana di una sottil zona sferica, i raggi paralleli all'asse, dopo riflessi dall'arco AB, si concentreranno in un breve arco di caustica molto lontano — 433 — dall’asse medesimo; lo stesso avverrà peri raggi rifless dall'arco CD e nelle altre sezioni meridiane, e s’otterrà così un anello intensamente illuminato attorno e fuori del campo del microscopio. Essi raggi s'incontrano poi sul- l’asse in una lineetta alta quanto la zona o più; saranno quindi illuminate molte parti che non si trovano alla distanza conveniente dall'obbiettivo, con diminuzione della luce utile e con produzione di luce diffusa nociva. In generale, i raggi di luce provenienti da un punto sull’asse e riflessi dall'arco di circonferenza AB non potranno incontrarsi in un punto pure sul- l’asse. Perchè ciò avvenisse, dovrebbe l'arco di circonferenza poter essere assimilato ad un arco d’ellisse avente per fochi i suddetti due punti; ora ciò non è possibile neppure approssimativamente (ad eccezione del caso che la Fia. 1. zona diventi una calotta), perchè i due archi non hanno lo stesso raggio di curvatura. Se però si considera che iraggi emessi da un punto P' sull’asse, dopo riflessi sull’arco di circonferenza brevissimo AB, s' incontreranno approssima- tivamente in un punto P fuori dell’asse (0, più esattamente, in un breve arco di caustica), si vede che i raggi provenienti dal punto P, dopo riflessi possono concentrarsi reciprocamente in un punto P' sull'asse ed opportuna- mente situato. Riferendosi al paragone dell'arco di circonferenza con quello d'ellisse, si ha che questa, se è soggetta alle condizioni di avere un foco in P' e di esser tangente all'arco di circonferenza, non è completamente determinata e potrà esser assoggettata alla condizione di avere un triplice punto di con- tatto coll’arco di circonferenza, e quindi lo stesso raggio di curvatura. Facendo ruotare, la figura, di 360° attorno all'asse P'C, il punto P' rimarrà immobile, l’arco AB descriverò la zona sferica ed il punto P de- scriverà una circonferenza. — 434 — Si potrà dunque ottenere che i raggi riflessi dalla zona sferica, nelle varie sezioni meridiane, si incontrino in un punto dato sull'asse, usando come sorgente di luce una circonferenza o sottil anello di raggio determinato, a una distanza determinata, che emetta luce (utilmente) sotto un piccolo angolo in una direzione determinata. È bensì vero, che ogni punto P di questa circonferenza emetterà anche raggi utili facenti un piccolo angolo colla sezione meridiana su cui esso punto sì trova, e questi raggi non saranno concentrati in P'; difatti la zona gene- rata colla suddetta rotazione dell’arco AB di circonferenza o d'ellisse attorno all'asse CP' non può coincidere coll'ellissoide di rivoluzione avente per fochi P e P', (ia quale sola ha la proprietà di concentrare in P' i raggi emessi dal punto P), perchè questo ha per asse di rivoluzione PP' e non CP', quindi i due elementi di superficie sferica ed ellissoide attorno ad AB hanno di- verso uno dei raggi di curvatura. Inoltre in pratica non si potrà avere una circonferenza luminosa di spes- sore nullo, ma invece una fessura circolare che, per quanto sottile, sarà decomponibile in una infinità di anelli concentrici, di spessore infinitesimo, a ciascuno dei quali corrisponderà un diverso punto di concentrazione dei raggi, approssimativamente sull'asse. In conclusione, i raggi provenienti dalla fessura circolare, per le sud- dette ragioni, saranno concentrati, invece che in un punto, in uno spazio di piccolissimo diametro e spessore, quest'ultimo tanto minore (finchè la diffrazione è trascurabile) quanto più sottile è la fessura. Siccome, diminuendo lo spessore di questa, si diminuirebbe altresì la quantità di luce che serve per l'illuminazione, sarà utile che la fessura sia di grande diametro e corrispondente spessore, e che di essa si produca una immagine im- piccolita, avente il diametro e la posizione e l'inclinazione dei raggi, op- portuni. 1l punto P' ove si concentrano i raggi dovrà trovarsi sulla base supe- riore della zona, un po' al disopra; oppure anche, quando l’obiettivo del mi- croscopio abbia una sufficiente distanza frontale, un po’ al disotto; la zona dovrà esser tagliata ad una distanza di circa 45° dalla sezione equatoriale cui è parallela. Stabilita la posizione del punto P' ove (o attorno al quale) si vogliono concentrati i raggi riflessi dalla zona, per trovare la posizione e il diametro della fessura circolare o della sua immagine e la direzione dei raggi inci- denti, ho disegnato sulla carta, in scala ingrandita, la sezione meridiana ABCD della zona, di cui avevo misurato i diametri e la distanza delle basi; ho trovato il centro C della circonferenza di cui ABCD fa parte, ed ho segnato il punto P'. Condotto pel punto medio M d' incidenza il raggio riflesso P'M, ho trac- ciato il raggio incidente PM che dà la direzione media di questi raggi; e — 435 — per trovare la pozizione del punto P immagine di P', mi son servito della formula 1/p 4 1/p = 2/R cost = 1/f. Se sopra MC come diametro, si descrive una circonferenza, essa taglia su P'M e su PM corde uguali di lunghezza Rcos?, la cui metà è la di- stanza focale principale / per l'angolo di coincidenza i. Segnando il punto di coordinate cartesiane /,/' e, per questo punto tracciando una retta che tagli sopra uno degli assi a partir dall'origine un segmento uguale a P'M, il segmento tagliato sull’altro asse avrà la lunghezza cercata PM, in con- formità d'un noto procedimento facilmente dimostrabile. Le distanze del punto P dalla base maggiore della zona e dall'asse dànno la posizione ed il raggio della fessura. A riguardo della direzione dei raggi incidenti, ossia della loro inclina- zione media sull'asse della zona, conviene notare che questa inclinazione è nulla se la sorgente di luce è una fessura circolare direttamente illuminata dai raggi solari; mentre, se di questa fessura si produce un'immagine con una lente convergente, l'inclinazione media sull'asse dei raggi partenti da questa fessura avrà per tangente il raggio della fessura diviso per la di- stanza focale della lente, e quindi una sola di queste due lunghezze può esser scelta arbitrariamente, quando si vuole ottenere una determinata incli- nazione. L'andamento dei raggi riflessi dall'arco AB, la loro concentrazione in P', la più opportuna altezza della zona riflettente, meglio che colle formule risultano se si costruiscono le caustiche per riflessione del punto P' o del punto P prodotte dall'arco AB. A tale scopo ho costruito un semplice strumento costituito da un paral- lelogrammo articolato insieme con una delle diagonali; questa ruota attorno ad un pernio infisso in C e descrive con una sua estremità l'arco AB, ed i due lati adiacenti rappresentano i due raggi luminosi incidente e riflesso. Una scanalatura nel regolo diagonale lascia scorrere il pernio del vertice opposto a quello che descrive l'arco AB; un'altra scanalatura nel regolo che rappresenta il raggio incidente, fa sì che esso possa scorrere sopra un pernio fisso, che rappresenta il punto luminoso. Tracciando parecchi raggi riflessi successivi, risulta la caustica voluta. Il ragionamento col quale si stabiliscono le condizioni in cui deve funzionare il condensatore conico, è quello stesso che valse per il conden- satore sferico. Sia ABCD la sezione meridiana di una zona tagliata perpendicolarmente all'asse di un cono retto a base circolare che si suppone riflettente, e si voglia che i raggi riflessi dalla zona si concentrino in un punto P' sull'asse. Se consideriamo invece P' come punto luminoso, i raggi che esso emette riflettendosi su AB produrranno in P_un'immagine virtuale; ed i raggi che, andando in senso inverso, formerebbero in P un immagine reale, riflettendosi — 436 — sn AB la formeranno in P'. Facendo ruotare la figura attorno all'asse, P' rimane immobile, A B descrive la zona conica e P descrive una circonferenza. Se dunque si usa come sorgente di luce una fessura circolare, e di questa, mediante una lente, si produce una immagine avente il diametro e la posi- zione della suddetta circonferenza, con raggi aventi la debita inclinazione sull'asse, questi, riflettendosi sulla zona, saranno concentrati in P". Anche in questo caso si sono trascurati i raggi obliqui rispetto alle sezioni meridiane che impediranno la rigorosa concentrazione dei raggi in un punto. Venendo a qualche particolare di costruzione e di uso di questi conden- satori, dirò che quello sferico, che ho quasi sempre usato, era stato tagliato da un palloncino di circa 4 cm. di diametro, dalla parte del collo perchè ivi il vetro era più regolare; era alto 8 mm. e le sue pareti facevano a Fic 2. metà altezza un angolo coll'asse di circa 40°; era stato inargentato e ver- niciato nel modo solito ed incollato colla base inferiore più larga sopra un disco di vetro da specchi, in mezzo al quale incollai un disco di carta nera di diametro un po’ maggiore di quello della base superiore della zona. Prima che mi fossi reso ben conto delle condizioni teoriche necessarie per ottenere il miglior concentramento dei raggi riflessi, collocai questo con- densatore sul piano portaoggetti, avente un foro di circa 4 cm. di diametro d'un sostegno III Zeiss da microscopî, dal quale avevo tolto il condensatore d'Abbe. Facendovi arrivare luce parallela e con un dischetto di carta sot- tile, constatai che i raggi riflessi producevano su questo un anello bril- lantissimo e sottile, lasciando però nell'oscurità la parte centrale; questa si restringeva bensì fino a scomparire se sollevaro il disco di carta, ma lo spazio illuminato diveniva molto esteso, sfumato e meno brillante. Per ottenere che i raggi riflessi fossero meno convergenti, cosicchè il loro punto d'incontro venisse a trovarsi sull'asse delia zona, resi divergenti i raggi incidenti collocando al posto del condensatore d’Abbe una lente ne- gativa (la lente di /2i2t d'un obbiettivo di binocolo da teatro) scelta per — Co) tentativi in modo d’ottener l’effetto voluto. Questa disposizione empirica, teo- ricamente non ottima, è molto semplice e di facile uso. Altri tentativi ho fatto con vario risultato, facendo cadere i raggi riflessi dalla zona sopra una lente emi sferica, colla base in alto. Più opportuno sarebbe stato un disco di vetro con superficie o contorno torico. In seguito cercai d’avvicinarmi, il meglio che mi fosse possibile, alle condizioni teoriche, e trovai graficamente, nel modo già detto, che la sorgente circolare di luce doveva essere 9 mm. distante dalla base inferiore della zona; e perciò incollai questa sopra un disco di vetro, spesso appunto 9 mm. e sulla faccia inferiore di questo incollai un disco di carta nera di dia- metro un po' minore di quello teorico. Il condensatore così formato collocai sul piano portaoggetti suddetto; vi produssi sulla faccia inferiore, mediante una lente convergente e giovandomi dello specchio piano del microscopio, l’immagine d'una fessura circolare attraversata dai raggi solari. Questa era ottenuta col foro a vite, di 10 cm. di diametro, del porta- luce, in cui avvitavo un disco d'ottone di 98 mm. di diametro con tre pic- cole sporgenze simmetriche che entravano nel cavo della vite. La lente con- vergente deve necessariamente avere un diametro uguale o maggiore di quello della fessura, e, se non fosse acromatica, produrrebbe un'immagine di questa quasi interamente decomposta nei varî colori dello spettro e, perciò, larga e meno brillante. Feci uso perciò di una doppia lente (da lettura) di 12 cm. di diametro che resi acromatica incollandola sull’armatura e riempiendo l'intervallo di Xilolo reso un po’ più dispersivo coll’aggiunta di poco solfuro di carbonio. Cercai, in seguito, d’ottenere le condizioni migliori d'illuminazione, non più seguendo la teoria ma per tentativi, collocando cioè sul piano porta-og- getti prima un foglio di carta e producendovi un'immagine molto brillante della fessura e del voluto diametro e poi sostituendo alla carta il conden- satore e cercando d’ottenere sul dischetto di carta sovrapposto un cerchietto molto ristretto e molto brillante. L'osservazione delle particelle d’oro nel vetro rubino non presenta diffi- coltà. Occorre staccare anzitutto dal vetro porta-oggetti, mediante un leggero riscaldamento, il prismetto rettangolare, che viene fornito dalla Casa Zeiss; però, se esso venisse collocato lungo l’asse del condensatore, e illuminato, non sarebbe possibile di veder altro che un'intensa luce verde, perchè lo strato illuminato è troppo spesso. Per evitar ciò e rendere visibili le singole par- ticelle d'oro, ho ricoperto interamente di vernice nera le faccie laterali del prismetto, e con una punta sottile d’ago (o con un bulino) ad 1/3 di milli- metro dalla sommità vi ho tracciato tutt'attorno una sottile linea che met- tesse a nudo il vetro. Collocando il prismetto nel mezzo del condensatore in modo che i raggi riflessi cadessero su questa linea, le singole particelle riuscirono facilmente visibili con varì ingrandimenti. Ottenni facilmente lo — 4388 — stesso scopo anche nel modo solito, producendo nel prismetto scoperto l’im- magine d'una fessura lontana 8 metri, mediante un obbiettivo fotografico di 32 mm. di diametro e 21 em. di distanza focale. Per osservare le particelle di fumo sospese ed in vivo movimento browniano (osservabile anche con mediocre ingrandimento), ho adattato sul condensatore un coperchio d'ottone con un foro centrale chiuso da un vetrino coprioggetti e munito di due tubetti, uno per l'ingresso, l'altro per l'uscita del fumo, p. es., di tabacco, che deve però esser pochissimo denso. Per evi- tare la luce diffusa da tutte le particelle che non sono nel campo del mi- croscopio o alla conveniente distanza, il fondo del campo del microscopio era formato da un foro in una scatola d'ottone colle pareti annerite, dimo- dochè lo strato occupato dal fumo, e illuminato, era molto sottile. Però, a causa della vastità dello spazio occupato dal fumo, in questo si formavano correnti, dimodochè le particelle, oltre al movimento browniano, avevano un movimento comune di traslazione. Per evitare ciò, ho anche fatto entrare il fumo in un tubetto di vetro, cilindrico, colle pareti verticali, chiuso superiormente da un vetrino copri- oggetti e collocato nell'interno del condensatore. Per l'osservazione delle particelle sospese nei gaz sarebbe utile che i raggi riflessi del condensatore fossero orizzontali o anche (se non si richiede un forte ingrandimento e, quindi, una grande distanza frontale) diretti verso il basso, perchè quelli diretti verso l’alto attraversano il vetrino coprioggetti e cadendo sull’armatura dell’obbiettivo, producono facilmente una diffusa e nociva illuminazione del campo. Finalmente per l'osservazione delle particelle colloidali in sospensione nei liquidi ho riempito completamente il condensatore di un liquido che non sciogliesse la colla delle congiunzioni, petrolio, xilolo o anche, per breve tempo, acqua distillata. In questi casi non sarebbe necessario che la zona fosse inargentata, perchè vi si produrrebbe riflessione totale; (il conden- satore sferico o conico potrebbe essere di vetro massiccio). Ricoprii il condensatore col suo coperchio con foro centrale chiuso da un vetrino copri- oggetti; su questo collocai una goccia del liquido da osservare e, su questa, un secondo vetrino coprioggetti (impedivo che i due venissero a contatto, collocandovi presso l'orlo tre pezzetti di stagnola sottile o mica o foglia d'oro). L'osservazione si faceva nel modo solito, con un obbiettivo a secco. Anche col suddetto condensatore, a causa della intensa illuminazione che esso produce, è utile di sostituire lamine di quarzo ai vetrini coprioggetti. Un anello molto luminoso (i cui raggi sono concentrati approssimati- vamente in un punto dal condensatore sferico) può ottenersi facendo riflet- tere i raggi solari, resi convergenti da una lente, sopra un tubetto di vetro inargertato di 1 o 2 cm. di diametro, coassiale colla lente e collocato presso al foco. — 439 — Chimica-fisica. — Slo spettro d’assorbimento ultravioletto della Buecocanfora (‘). Nota di MarIo MAYER, presentata dal Cor- rispondente A. GARBASSO. La buccocanfora, chetone idroaromatico che si estrae dalle foglie del Bucco (Barosma crestata, fam. Rutaceae), ha la costituzione corrispondente alla formola I CH, CH, | | 0 | 0 cH,/ NC.0H co H.C7 \co I | —> | | <— II | CH | C | A | CH CH ZN ZO QESCIEE CENE ossia quella di un 6-ossimenten-5-one, com'è stato già dal 1906 dimostrato da Semmler e Mc Kenzie, e recentemente anche dal Cusmano (*). Allo scopo di spiegare un comportamento anomalo di questa sostanza, e precisa- mente la sua inattività ottica, che non si accorda con la assimmetria moleco- lare di detto composto, è stata invocata da Cusmano e Poccianti (*) la pos- sibilità della coesistenza, in soluzione, del composto corrispondente alla for- mola I con un altro isomero, la cui struttura sarebbe data dalla formola II. L'investigazione spettrochimica delle soluzioni alcooliche della bucco- canfora sintetica, che è racemica come lo è la naturale, ha reso anche pro- babile questa ipotesi, inquantochè la presenza di una banda di assorbimento nello spettro ultravioletto estremo, propria di questa sostanza, rende facile l’ammettere in questo caso, come in consimili conosciutissimi nella lettera- tura sull'argomento (4) un equilibrio in soluzione fra due forme isomere cor- rispondentemente a due composti di formole I e II. (1) Lavoro eseguito nello Stabilimento fotomeccanico e fotochimico dell’ing. A, Ali- nari di Firenze. (*) Semmler.e Me Kenzie, Ber., 39, 1158 (1906); Cusmano, questi Rendiconti, 22 (5) II, 569 (1913). (?) Questi Rendiconti, 22 (5) I, 347 (1914). (*) Smiles, Relation between Chemic. constit. and. physic. properties. London, 1910 pag. 339 e segg. RanDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 58 — 440 — Recentemente anche Gilling (!), studiando la dimetiltetraidroresorcina ha ottenuto un chetoalcool III il cui comportamento spettrochimico fa am- » CECRCES CH3 CHy H 7 cx, CN H.07 \CH, | INI ur | | Sia IV | HO Oa 700 COL DOoL 00.7 C.0H CH CH. CH Udi £ * BUCCOCANFORA o 29 MU 33 35 37 39 4100 Frequenza d’ oscillazione mettere, nelle soluzioni di questo composto, un equilibrio fra le forme iso- mere rappresentate in struttura dalle formole III e IV. Il Gilling non ha pubblicato però ancora i resultati numerici delle sue ricerche spettrochimiche. I nostri, che hanno servito alla costruzione della curva qui annessa alla presente Nota, potrebbero condurre anche ad un’altra interpretazione. La banda persistente situata fra 3700 e 3800 di ascissa corrisponde ad una delle curve del benzene (Smiles, loc. cit., pag. 391); quindi non si può con sicurezza affermare che essa sia esclusivamente dovuta all'equilibrio molecolare al quale è stato accennato più sopra. Accennerò qui brevemente alla tecnica sperimentale seguìta in questa ricerca, tecnica che non differisce molto da quella comunemente usata con tanto successo dalla scuola inglese. Spettrografo. — Lo spettrografo usato fu costruito dalla ditta Steinheil di Monaco; agisce mediante tre prismi di quarzo. L'immagine dello spettro viene fotografata in una camera fotografica del formato di cm. 13 X 18, e munita di dispositivo per eseguire quattro fotografie in serie sulla medesima lastra sensibile. i Sorgente luminosa. — Si adoperò una lampada ad arco alimentata dalla corrente stradale continua a 150 volt, convenientemente abbassata da (1) Trans. Chem. Soc. London, 1/03, 2030, dec. 1913. — 441 — una resistenza adatta. Il polo positivo era costituito da una bacchetta di carbone ordinario da lampada imbevuta di cloruro ferrico e poi arroventata alla soffieria come consiglia il Piutti(*). Per polo negativo servì un cilin- dretto di ferro di diametro uguale alla bacchetta di carbone. I due poli formavano fra di loro un angolo di circa 100°. Materiale fotografico. — Dovendo eseguire fotografie solamente per lo studio della regione violetta ed ultravioletta dello spettro, si usarono comuni lastre di media sensibilità, e precisamente quelle etichetta verde di M. Cappelli. Lo sviluppo fu eseguito con il metolo idrochinone in soluzione alcalina. La luce dell’arco, funzionante a circa 10 amp., era sufficiente per ese- guire delle pose cortissime, come 5 minuti secondi per lo spettro di con- fronto del ferro, e 15 secondi in media per le fotografie eseguite interca- lando fra la fenditura e l'arco lo strato di 60 mill. di soluzione alcoolica di buccocanfora. Soluzioni. — Queste furono racchiuse nel tubo a spessore variabile di Baly e Desch (*) con finestre di quarzo (') di un centimetro di diametro circa. Le tinestrine furono masticiate al tubo di vetro, lungo circa 8 cm., mediante soluzione di colla di pesce in acido acetico glaciale. Per lo studio spettrochimico della buccocanfora servì una soluzione N/4 della sostanza (corrispondente alla soluzione satura del composto in alcool alla temperatura di 15°, ossia gr. 4,2 per 100), ed un’altra 10 volte più diluita, ossia N/40. Furono fotografati gli assorbimenti corrispondenti ai seguenti spessori di strato di soluzione: N/4 60 mill—40—20—10 N/40 60—40--20—5. I limiti della banda d'assorbimento e quelli dell’assorbimento generale nell'ultravioletto estremo furono stabiliti in base al confronto con un arco campione di emissione, preventivamente studiato, della sorgente luminosa impiegata. Rappresentazione grafica. — Il grafico qui annesso è stato costruito prendendo come ascisse le inverse delle lunghezze d'onda, ossia le frequenze di oscillazione e come ordinate, non i logaritmi dei millimetri di strato di cui era stato fotografato l'assorbimento, ma i logaritmi degli spessori rela- tivi. Questi si ottengono dividendo il numero dei millimetri degli strati fotografati per quello dell'ultimo strato — che non presenta più assorbi- (!) Questi Rendiconti, (5), 22, II, 195 (1913). (2) Trans. Chem. Soc. London, 85, 1089 (1904). (*) Ringrazio qui la ditta Carl Zeiss di Jena che mi ha fornito le duc laminette di quarzo necessarie. - Ma mento — su cui sì sperimenta: nel nostro caso quindi 5 mill. di solu- zione N/40. L'esame del grafico rivela appunto la presenza di una banda di assor- bimento il cui massimo coincide colla frequenza 3750, ossia la lunghezza d'onda 268 uu, oltre al solito assorbimento dell’ ultravioletto estremo che presentano una grandissima quantità di sostanze organiche incolore. Se questa banda si deve attribuire solamente alla presenza del nucleo benzenico, il resultato sperimentale al quale si giunge non è meno interes- sante. La buccocanfora è ancora un fenolo: derivato quindi del benzene. Il suo comportamento chimico è quello di un fenolo: forse allora la banda notata ci esprime appunto la presenza di ancora un frammento attivo del nucleo benzenico nella molecola. Ad ogni modo queste osservazioni intorno al comportarsi chimico-fisico di questo singolare composto, oggetto di questa Nota, sono, a parer mio, di una certa importanza. Infatti ci mettono, fra l’altro, in guardia contro pos- sibili interpretazioni unilaterali (*), e ci avvertono che qualche volta non si può concludere, col solo esame spettroscopico, nulla di preciso intorno alla costituzione di certi composti. Chimica-fisica. — Sullo spettro d’assorbimento delle solu- zioni alcooliche di santonina e di suor derivati in presenza di alcali (£). Nota di M. MavER, presentata dal Corrisp. A. GARBASSO. 1. Oggetto della presente Nota è lo studio spettrochimico della colora- zione rosso-violacea che dànno le soluzioni alcooliche di santonina in pre- senza di potassa caustica, nonchè di quella verde che dà la diidrosantonina nelle medesime condizioni (*) e di una simile presentata dalle ossisantonine (*) in soluzione alcoolica addizionata di etilato sodico. La tecnica sperimentale seguìta per lo studio spettroscopico di tali rea- zioni è identica a quella descritta da me in un'altra Nota, pubblicata in questi Rendiconti (*), alla quale rimando per i particolari e per la interpre- tazione delle curve tracciate. Solamente, furono usate lastre sensibili Cappelli etichetta verde, ortocromatizzate in un bagno di pinacromo all’ 1 °/s0. Questa sensibilizzazione è più che sufficiente per poter fotografare tutto lo spettro (1) Cfr. Knorr, Lieb. Ann., 206, 85 (1898). (8) Lavoro eseguito nello Stabilimento fotomeccanico e fotochimico dell’ ingegnere A. Alinari in Firenze. (3) Cusmano, questi Rendiconti (5), 22, I, 507 (1903). (4) Id., Rend. Soc. chim. ital., 1914, pag. 1. (5) Anno 1914 (5), 23, I, pag. 439. — 443 — nell’aranciato e anche un po’ nel rosso; quindi bastante al mio scopo. Le pose date furono, di necessità, un po’ più lunghe di quelle per lastre ordinarie, ma non oltrepassarono mai i 45 minuti secondi. 2. Le soluzioni adoperate per lo studio spettrochimico dei su citati composti furono le seguenti : a) Santonina incolora: N/20 e N/100 in alcool; rispettivamente gr. 1,33 e 0,246 per 100. 5) Diidrosantonina: N/500 e N/2500 in alcool; rispettivamente gr. 0,0496 e 0,0099 per 100. c) Ossisantonine fusibili a 156° e a 212°: N/50 e N/500 in alcool; rispettivamente gr. 0,525 e 0,0525 per 100. Tutte queste soluzioni sono perfettamente incolore e, a parte quelle di santonina, inalterabili alla luce. Però, se ad esse si addiziona un po’ di alcali caustico, in capo ad alcuni minuti si nota una spiccata colorazione rosa-violacea per le soluzioni di santonina, una /lvorescenza giallo-verdastra per quelle di diidrosantonina, ed una simile, una più rossastra, e più lenta ad apparire, per le ossisantonine. Queste ultime richiedono, in generale, l'ad- dizione di etilato sodico quale alcali. 3. Queste varie colorazioni permangono, in generale, assai poco. Le prime soluzioni a scolorarsi sono quelle delle due ossisantonine isomere: quella N/50, in capo ad un quarto d'ora, torna ad esser incolora. Le soluzioni verdi di diidrosantonina resistono anche un’ora e più; quelle rosacee di santonina si scolorano molto lentamente, e, dopo due o tre ore, assumono una colora- zione giallastra che si attenua dopo lungo tempo. In tutti e tre i casi, l’azione della potassa caustica, e dell’ etilato s0- dico, si ammette esser molto semplice e procedere in modo simile: si apre l’anello lattonico caratteristico della santonina, e si forma il santoninato alcalino corrispondente: e cioè : santonina —> santoninato alcalino ; diidrosantonina —> diidrosantoninato ; ossisantonina —> ossisantoninato ; ossia, in istruttura, RIO CH—0H Cio H,30 a Na0H Cio H,,0 <| Nor n° i X\IcH-cA-C0.0Na | | CH, CH3 Ba Com Ora do: CM d Cio His 0,.< » Cio His 0.< Ora, questa reazione di idratazione semplicissima, in lattoni complessi come la santonina ed i suoi derivati, dà origine a prodotti intermedî co- — 444 — lorati; oppure, secondo le vedute moderne, le agitazioni molecolari, inevita- bili durante la reazione, si rendono a noi visibili in questi tre casi con una marcatissima colorazione, provocata dunque dalla comparsa d’una banda d'assorbimento molto simile, e nella regione visibile dello spettro. La comparsa e la scomparsa della colorazione ci dà quindi il modo di seguire l'inizio (e l’induzione), il procedere e il finire della trasforma- zione seguente: à alcali si K lattone (incoloro) —> ossiacido (incoloro) equilibrio molecolare equilibrio molecolare iniziale finale 4. L'esame del grafico che riporta le tre bande d’assorbimento carat- teristiche della santonina, diidrosantonina e delle ossisantonine (ambedue SANTONINA I) OSSI-SANTONINA - -— - DIIDRO-SANTONINA Logaritmi degli spess 607 #4 1 10 7 Frequenza d'oscillazione FIG. 1. questi ultimi composti hanno identico comportamento spettrochimico) in so- luzione alcàlina, rivela che la reazione lattone —> ossiacido sembra decorrere, salvo piccole differenze dovute alla varia natura della sostanza studiata, in modo molto simile per i tre composti presi in conside- razione. Infatti, si nota una banda molto persistente d’assorbimento che si estende, per la parte più importante, nella regione dello spettro visibile compresa fra 540 e 440 uu di lunghezza d'onda. Un po’ irregolare è la santonina, che presenta una doppia banda per diluizioni assai grandi. — 445 — Le curve d’assorbimento date le concentrazioni delle soluzioni adoperate, dànno anche una idea della grande sensibilità della reazione fra la santonina o suoi derivati a anello lattonico chiuso e gli alcali caustici per scopo ana- litico. La reazione è sufficientemente rapida, nettissima e differenziale, 5. Le piccole variazioni nel decorso delle tre curve d’assorbimento dei tre tipi di sostanze studiate (santonina e derivati ossigenati o idrogenati), diventano assai notevoli se si osserva anche il comportamento spettrochimico nell’ultravioletto di detti composti, sempre iu presenza di alcali caustico. Si nota subito qui (nel secondo grafico riportato, e che dà una idea dell'andamento dell’assorbimento nell’ultravioletto estremo), che, mentre le curve della diidrosantonina e della ossisantonina sono molto simili per de- corso, la curva della santonina è di tutt'altro tipo e presenta un brusco flesso in corrispondenza all’ordinata 7 (logaritmo dello spessore relativo) e all'ascissa 3900 (lunghezza d'onda: 256 uu). Ma queste simiglianze e dissi- miglianze si accentuano molto di più, se si pon mente al fatto che nella reazione studiata, lattone —> ossiacido, d % x NS x \ SANTONINA I ES x ts x ù x OSSI-SANTONINA DIIDRO-SANTONINA — \ Logaritmi degli spessori relativi x ‘agi 29) (3000) (MI 32) 3300 (34€ 350 3600037 38 390 400) (H4[ 42 Frequenza d'oscillazione Fic. 2. nel caso della diidrosantonina e della ossisantonina si manifesta una spic- cata fluorescenza, il che non avviene nel caso della santonina. Ora, per il poco che si conosce sulle cause della comparsa della fluorescenza — e quel poco, mal si applica ancora alla precisa interpretazione di fenomeni intermo- lecolari in aggregati atomici così complessi come sarebbe un composto della serie idroaromatica —, siamo portati ad ammettere che la introduzione dei due atomi di idrogeno o di un atomo di ossigeno nella molecola della san- tonina porti con sè di conseguenza un cambiamento abbastanza profondo almeno nei collegamenti fra atomo e atomo della molecola della santonina stessa. In generale, è anche risaputo che le sostanze le quali possiedono una fluorescenza sono piuttosto atte. anche a reazioni vivaci; ciò sarebbe quindi in relazione colla molto maggior velocità di apertura dell'anello lattonico — 446 — che si nota nella diidro- e nella ossisantonina, e che di conseguenza conduce ad una molto più pronta decolorazione delle soluzioni alcaline di questi composti. Ed a questo proposito ricordo qui che la differente velocità di formazione delle ossime della diidrosantonina e della santonina ha servito appunto al Cusmano stesso (loc. cit.) per ottenere la separazione delle due sostanze, inquantochè la santonina è molto più lenta a combinarsi con la idrossilamina. Mineralogia. — Sulle vera natura della miersite e della cuprotodargirite (4). Nota I di E. QuERCIGA, presentata dal Socio G. STRUEVER. Com'è noto, la fase dell’ioduro d'argento stabile a temperatura ordi- naria è l’esagonale, che si rinviene anche come minerale in natura (iodirite); a temperature superiori a circa 147°, questa si trasforma in un’altra fase, ottica- mente isotropa, poco ben conosciuta, poichè tuttora sì ritiene da molti cubica e da altri liquida, senza ragioni assolutamente decisive. Nel 1898, L. J. Spencer descrisse sotto il nome di mzerszte, in onore del prof, H. A. Miers, un mi- nerale nuovo, da lui rinvenuto in due campioni del British Museum, prove- nienti da Broken Hill [ New South Wales (Australia)], che egli ritenne costi- tuito da questa seconda fase dell’ioduro d'argento (?). Si presentava in croste cristalline ed aggregati poco distinti, associata in un campione a calcosina, quarzo e granato, nell'altro a malachite, an- glesite e wad. Alcuni piccoli cristalli furono da lui misurati e descritti: presentavano abito tetraedrico, con facce del cubo abbastanza sviluppate, sfaldatura perfetta secondo il rombododecaedro {110}, geminazione frequente secondo le facce del tetraedro, splendore adamantino, colore giallo pallido, scalfittura e polvere di colorito più intenso; al microscopio apparivano iso: tropi; l’analisi qualitativa mise in evidenza che una parte dell'argento era sostituita dal rame. Due anni dopo, lo Spencer (*), avendo raccolto nuovo materiale, diede ulteriori dettagli sulla miersite. La rinvenne accompagnata anche da limo- nite, cerussite e da cuprite non ancora alterata; determinò ancora la sfalda- tura, la durezza = 2,5; accertò la frattura concoide, l’inalterabilità alla luce solare, l’isotropia ottica delle lamelle di sfaldatura secondo il rombo- (®) Lavoro eseguito nell'Istituto di mineralogia della R. Università di Torino, diretto dal prof. Ferruccio Zambonini. (2) L. J. Spencer, IMiersite a cubic modification of native silver iodide. Nature, 57 (1898) 574. (3) L. J. Spencer, Marshite, miersite and iodyrite from Broken Hill. N. S. W., Min. Mag., XIII, 59 (1901) 41. — 447 — dodecaedro, l’assenza di piroelettricità. Nei cristalli misurati predominavano le facce (100) (010) e (001) del cubo e le (111) del tetraedro, che era pure piano di geminazione. L'analisi qualitativa svelò di nuovo, oltre all’argento ed all’iodio, il rame in quantità variabili nei varî individui, e tracce di cloro. Alcuni cristalli, però, provenienti da due dei campioni, differivano note- volmente dagli altri, poichè, quantunque avessero l’abito tetraedrico, la du- rezza e la sfaldatura della miersite, si presentavano di color più pallido, ed al microscopio apparivano birifrangenti; contenevano solo tracce di rame, e furono considerati da Spencer come un intimo e regolare accrescimento di miersite e iodirite, reso più probabile dall'aver egli trovato cristalli di iodirite con abito tetraedrico composto di quattro romboedri geminati, con angoli vicinissimi a quelli del sistema cubico, tanto che al goniometro sa- rebbe stato impossibile il distinguerli dalla marshite e dalla miersite. Riscaldando, sino a fusione completa, dei frammenti di varî cristalli, otticamente isotropi, di miersite, lo Spencer osservò che, nel raffreddamento, ad un certo punto compaiono, nella superficie omogenea di color giallo vivo, degli aghi giallo-pallidi che si estendono rapidamente, sicchè il campo ri- sulta occupato da due sostanze otticamente isotrope, di colore diverso, sepa- rate nettamente fra loro. A temperatura più bassa, la sostanza giallo-viva si trasforma rapidamente in iodirite birifrangente. La quantità relativa delle due sostanze, che allora sì presentano coesistenti, è variabile nei varî cristalli: in generale la iodirite è molto scarsa; alle volte manca completamente, salvo per il caso dei cristalli birifrangenti accennati, in cui la iodirite è quasi pura. Ripetendo queste esperienze con miscele preparate artificialmente, di concentrazioni comprese fra AgI-+ Cul e 8AgI+- Cul, egli, in seguito, osservò che la miscela 4AgI- CuI, dopo raffreddata, si presentava quasi completamente isotropa con solo qualche punto birifrangente qua e là, mentre, per concentrazioni superiori in Cul, ogni traccia di sostanza birifrangente spariva, per riapparire su vasta scala alle concentrazioni più elevate in AgI. Perciò lo Spencer credette di poter concludere che la miersite fosse un com- posto chimicamente definito, della probabile formola 4AgI.CuI, capace di dare miscele isomorfe colla marshite, e soltanto semplici mescolanze colla iodirite. Un anno dopo, G. T. Prior (*) analizzò quantitativamente alcuni cri- stalli di miersite che al microscopio apparivano esenti da impurità. La composizione trovata concorda benissimo colla formola 4AgI.CuI. Dall in- sieme delle ricerche di Spencer e di Prior, la miersite, da allora in poi, fu considerata, senza alcuna riserva, come costituita da un composto chimico (1) G.. T. Prior, The identity of kilbrickenite with geocronite: and analyses of miersite, marshite and copper-pyrites. Min. Mag., XIII, 605 (1902) 159. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. . 59 — 448 — definito; infatti, come tale è stato riportato dal Dana (!) ed accettato senza altro nei più importanti trattati, come quelli di Groth (*?) e di Hintze (°). Che le conclusioni di Spencer si debbano adottare senza discussione, non mi sembrò sostenibile, poichè il fatto che la miscela 4Ag1.CuI, dopo fusa, cristallizzi in un tutto in massima parte isotropo, « with only a speck here and there of birifrangent iodyrite (‘) », non prova minimamente l'avvenuta formazione di un composto; ed è ovvio che l'analisi di Prior ci dice solo la composizione, non la costituzione del materiale esaminato, per quanto in esso sia semplice il rapporto stechiometrico fra i due ioduri, poichè è noto che molti minerali si presentano con rapporti anche più semplici fra i loro com- ponenti, senza però essere dei composti, ma delle semplici soluzioni solide. Nè si comprende facilmente come Spencer ammetta un composto, dopo aver osservato che frammenti di cristalli isotropi di miersite davano, per raffred- damento dopo fusione, un prodotto costituito in generale da due sostanze, di cui una, per quanto in scarsa quantità, era la iodirite birifrangente. Ammettendo, con Spencer, che il composto 4AgI.CuI dia miscele iso- morfe colla marshite e non colla iodirite, siccome i frammenti da lui esa- minati, prima della fusione, erano isotropi, dovevano avere una concentrazione in AgI minore o, al massimo, eguale a quella espressa da 4AgI.CuI, e non si spiega come poi compaia la iodirite, la quale non dovrebbe rimanere libera, sia che le soluzioni solide, formatesi per le prime, avessero concentrazione in Cul superiore a quella della fase liquida coesistente in equilibrio, sia nel caso opposto; nè si può ammettere una parziale decomposizione del com- posto 4AgI.CuI, perchè certi frammenti si mostrarono, dopo fusione, com- pletamente privi di iodirite. Più logica (o per lo meno con ugual diritto di venire avanzata) sarebbe stata l’ipotesi dell’esistenza di soluzioni solide fra CuI ed AglI in rapporti limitati a temperatura ordinaria, tanto più che « priori non appare invero- simile che la fase regolare dell'ioduro rameoso, stabile a temperatura ordi- naria, disciolga allo stato solido, e ‘stabilizzi anche sotto ai 147°, la fase otticamente isotropa del AgI, che potrebbe pure essere cubica. Allora si comprenderebbe bene come la miersite a massima concentrazione in AglI, monorifrangente prima della fusione, diventasse birifrangente dopo, poichè durante il raffreddamento la formazione dei primi cristalli misti, molto ricchi in Cul e poco suscettibili di variare la propria concentrazione in accordo colla fase liquida coesistente, aumentando la concentrazione di AgI in questa ultima, farebbe subito ad essa sorpassare il limite di solubilità di AgI in CuI allo stato solido, determinando, nella solidificazione, la separazione di (*) E. S. Dana, I Appendix (1899) 47; II App. (1909), 69. (2) P. Groth, Chem. Krystallographie, I (1906) 202. (*) C. Hintze, Handh. d. Mineralogie, I (1912) 2321. (4) Spencer, loc. cit., pag. 44. sì — 449 — AgT, che, giunto alla temperatura di trasformazione, diventa, com’ è naturale, birifrangente. Questa ipotesi non fu però avanzata, anzi fu esclusa da B. Gossner (’): « eine Molekularverbindung von AgI mit Cul mit konstanter Zusammen- setzung und nicht eine isomorphe Mischung haben wir mit ziemlicher Sicher- heit vor uns im Miersit »; e da Groth(?): « scheinen auch keine eigentlichen isomorphen Mischungen von Cul und AgI zu existieren, vielmehr liefert die geschmolzene Mischung beider Salze beim Erstarren eine kubisch kristal- lisierende Verbindung von der Zuzammensetzung 4AgI.CuI und ein Ueber- schuss an AgI scheidet sich getrennt aus, wihrend ein solcher von Cul von den Kristallen der Verbindung aufgenommen wird », Se oltre a ciò si considera che le determinazioni di G. F. Rodwell (*), dei coefficienti di dilatazione e dei punti di fusione di alcune miscele di AgI e Cul, non permettono in alcun modo di dedurre l'esistenza di un even- tuale composto, si vede bene che il problema della costituzione della miersite, dopo più di 15 anni dalla sua scoperta, era ancora da risolvere. Questo lo mi proposi di fare, e l'argomento mi sembrò interessante, anche perchè, più di 20 anni fa, fu descritto, molto sommariamente, da H. Schulze (‘) un minerale analogo, la cuprozodargirite. la cui natura (quantunque la composi- zione risulti, dall'analisi, corrispondere alla formola CuI.AgI) ed il cui stesso diritto di esistere come specie minerale indipendente, sono assai discu- tibili, date le scarse notizie lasciateci da Schulze in proposito, notizie ri- maste poi anche le uniche. Per cercare di raggiungere il mio scopo, intrapresi principalmente quattro serie di esperienze: 1°) Analisi termica del sistema binario AgI+ Cul. 3°) Esame delle sezioni sottili ottenute dai blocchi analizzati termi- camente. 3°) Osservazione microscopica del processo di cristallizzazione, fino a temperatura ordinaria, delle varie miscele di AgI e Cul. 4°) Esperienze sulla sintesi delle miersiti. 1. Analisi termica del sistema binario AgI+ Cul. E certo che, per la natura stessa del giacimento di Broken Hill, va esclusa l'ipotesi che la miersite visi sia formata per via ignea; ma è indi- scutibile che lo studio delle relazioni d’affinità che esistono fra l’ioduro (') B. Gossner, Untersuchungen polymorpher Kòrper. Zeitschr. f. Kryst, XXXVIII (1904) 129. (2) P. Groth, loc. cit., pag. 174. (% G. F. Rodwell, Or the effects of heat on certain haloid compounds of silver, mercury, lead and copper. Phil. Trans., 173 (1882) 1125 e seg. (4) H. Schulze, Chemiker Zeitung (1892) XVI, 1952; E. S. Dana, I Appendix (1899). ERI) = d'argento e quello rameoso, quando si separano dalle loro miscele binarie fuse, avrebbe dovuto gettare buona luce sulla quistione discussa; ed a tale proposito nulla si sapeva finora, perchè, quantunque gli alogenuri degli ele- menti del I gruppo di Mendelejeff sieno stati largamente studiati da questo punto di vista, le ricerche fin qui eseguite riguardano più particolarmente i cloruri, e perchè, d’altra parte, le esperienze di Rodwell nulla rivelano, da sole, in proposito. L'analisi termica venne eseguita adoperando i soliti termoelementi, platino-platinorodio, collegati a galvanometri di Siemens & Halske. Il peso delle miscele adoperate era costantemente di gr. 15, ed ebbi cura che le disposizioni adottate fossero tali da dare buon affidamento sia per ciò che riguarda la velocità di raffreddamento e la sensibilità alle variazioni ter- miche, sia per quanto concerne la protezione dall'ossidazione delle miscele. Gl'ioduri adoperati provenivano da Merk e Kahlbaum, e se si eccettua un po' d'umidità eliminata accuratamente prima d’intraprendere le espe- rienze, non contenevano impurezze svelabili coi comuni saggi analitici. Il punto di solidificazione dell'ioduro d’argento si manifesta a 557°, con un arresto molto netto nella curva di raffreddamento. Se si confronta questa cifra con quelle finora trovate dai varî sperimentatori che se ne occuparono : TAC Ar nell'e ye NEO SORIA (JRE Che ms0c ZA 87710) 139) ” DR o er SZ (05 Giara 00 dI (ET); VOL Rodwelli 0. oa 0 o e ROL (loc. cit., pag. 1133). Ramsay e Eumorfopoulos . . . 556 (Phil. mag., ZL (1896), 360). Stegeri. Me i i MO 20) (Zeitschr tf physik A ChemiegiZog (1903) M60)E Moinkemeyer. . . . . . . . 552 (N. Jahrbuch. Min. Beilbd., XXII (1906), 28). ori oo ooo DI (Ran Ae bingo, L0I5 22 (MOI) 100). QUELCIO NARRATI si vede subito che, mentre le determinazioni di Carnelley, di Rodwell e di Steger dànno valori che, quantunque concordanti, appaiono con grande probabilità troppo bassi, le altre sembrano più attendibili. La temperatura trovata da Ramsay ed Eumorfopoulos (556°) è di solo 1° diversa dalla mia (557°): e siccome questi due valori sono i più alti finora. tro- vati, si può ritenere che rappresentino la temperatura più approssimata a quella vera di solidificazione dell’ioduro di argento. Che questo punto critico, che si manifesta a 557° con notevole tonalità termica, sia poi un vero punto di cristallizzazione della fase cubica dell’AgT, od un punto di chiarificazione, è indifferente per lo scopo di queste ricerche. L'ioduro rameoso, fuso in modo da proteggerlo dall’ ossidazione, cri- stallizzò a 602°. Esistono in proposito altri dati, che sarà bene confrontare : TA Carnelleya eri 60 RES (JA ChemSs0cH99A (1 S79)M279)! Carnelley e 0° Shea. . . . . 628 (J. Chem. soc., 45 (1884), 409). IR0dwelle se e e 0 (loc. cit.). IMI NIKE Y CHAMOIS (loc. cit.). Muerigà o 0 0 0 o 0 06 008 — 451 — Il valore di Minkemeyer, che pure è uno dei più attendibili, non ha l’esattezza delle temperature inferiori da lui date, poichè il punto fisso più alto con cui egli graduò il suo termoelemento è quello dello zinco e da questa temperatura in poi egli dovette ricorrere all’estrapolazione che diminuisce, com'è ovvio, l’esattezza; quindi non è improbabile che anche questo valore, come quello dell'AgI sia inferiore al reale, e più di quello, stante la temperatura più elevata. Il valore di Carnelley e 0° Shea mi sembra troppo alto. La temperatura di trasformazione della fase otticamente isotropa dello Ag I in quella birifrangente fu da me trovato termicamente a 147°; e su questo punto esiste una discreta concordanza fra i varî sperimentatori : Wernicke . . . 139°-13895 metodo ottico (Pogg. Ann., /42 (1871) 560. ioahelli. oo è eo ISO ” dilatometrico (loc. cit., pag. 1183; vedasi dia- gramma tav. 96 stesso volume). Rio hlTauschiRe ee 1458 D) della conduttività (Wiedm. Ann., N. F., 1/7 (1882), 642). Mallard e Le Chatelier 146° ” ottico (Compt. rendus, 97 (1888), 102. Bull. Soc. Min. Fr., 6 (1883), 182). W. Schwarz . . 1459,4-1469,9 » ottico (Beitr. z. Kenntnis d. unkehrb. Umwdlp. polym. Korper. Got- tingen 1892). Zeitschrift fir Kryst. 25 (1896) 613). Steg er A 00170 » termico (Zeitschr. f. physik. Ch, 43, (1903), 601). 20 p ie Monkemeyer ) i IR i Sn (loc. cit.). Stoltzenbero e Huth . 134° ” ottico (Zeitschr. f. physich. Ch., 74 (1910), 644). Sandonnini fees sl d49C ” termico (loc. cit). Quercio nese rel 470. ” termico Sembra, da questo confronto, che il valore di 147° sia il più attendibile, come quello a cui tende il maggior numero di determinazioni, se 'si eccettua quella, antiquata, di Wernicke, e quella evidentemente errata di Stoltzenberg e Huth che trovarono inoltre la temperatura di fusione di AgI a « circa 500° ». La trasformazione della fase esagonale di CuI in quella cubica stabile a basse temperature, fu trovata da me a 402°. Monkemeyer ottenne (loc. cit., pag. 42) termicamente il valore di 400°, otticamente quello di 397°-399%j; altri dati non esistono in proposito, perchè Rodwell dilatometricamente non potè osservare tale trasformazione, I risultati delle esperienze termiche sono esposti nella seguente tabella e rappresentati graficamente nel diagramma della fig. 1. Come si vede da quest’ultimo, tutte le miscele presentano nel raffred- darsi un primo rallentamento di durata variabile, i cui punti d'inizio e di fine si trovano su due curve AcdB ed Aa8B, che hanno in comune i punti di fusione dei componenti puri e si avvicinano di molto a circa 50°/ mol. di CuI, concentrazione alla quale raggiungono anche un minimo di temperatura. — 452 — TABELLA I. o (dit Call I equilibrio | II equilibrio Equilibrî N o monovariante | monovariante | invarianti in peso molecolari inizio fine inizio fine COMPO qua, E” La (602° | 80 i 100 (0 Ag]l) 100 (0 Agl) — — |}402 60 2 87.96 90 559° | 5489 | (87018540 | — 8) 76.45 80 533 | 520 350 384 — -- 4 65.44 70 516 | 500 335 817 — = 5 54 90 60 500 | 492 319 = sa 6 44 80 50 490 | 485 298 = = 7 35.11 40 495 | 490 278 ESS —_ 8 25.80 30 506 | 495 270 9 16.87 20 521 510 245 — —_ 10 8.27 10 535 524 205 = - 101 4.10 5) 544 | 536 175 147 70 i 3 (557 60 12 | 0 (100 Agl) O (100 Agl) | 147 | 130 10 20 30 40, 50 60 TO 80 90 Cul % mol ci Agl Agi Be. di. A temperature più basse, tutte le miscele presentano un nuovo rallen- tamento nella velocità di raffreddamento, che incomincia in corrispondenza ai punti della curva C D, e la cui fine si scorge bene termicamente solo per concentrazioni in Cul superiori al 70 °/,. — 4539 — La miscela 95 °/, AgI presenta inoltre, a 147°, un arresto, che è più breve di quello di eguale quantità di AgI puro; tale arresto non si può osservare con certezza termicamente, nelle condizioni d’esperienza, per con- centrazioni inferiori in AgI. Il diagramma sarebbe dunque del tipo delle sostanze che formano solu- zioni solide in tutti i rapporti ad elevata temperatura, soluzioni che poi, raffreddandosi subiscono una trasformazione; per forti concentrazioni di Ag I sì osserva anche parziale smistamento con susseguente formazione della fase esagonale dello ioduro d’argento messo in libertà. Questo diagramma verrà ampiamente discusso, in base anche ad altre ricerche, in una prossima Nota. Osservo solo, per il momento, che, in base all’analisi termica eseguita, sembra priva di obiezioni l'esclusione della formazione del composto 4 AgI-CuI nelle condizioni d'esperienza, che sono simili a quelle in cui Spencer ammise che esso si formasse. Fisiologia vegetale. — Ricerche sull'azione di nitrati isolati sul periodo germinativo dell’Avena sativa. IV Nota preventiva del dott. F. PLATE, presentata dal Socio R. PIROTTA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Biologia. — Ulteriori osservazioni sulle relazioni degli organi e sulla nutrizione con tiroide di Mammiferi nell’accrescimento larvale e nella metamorfosi degli Anfibî Anuri (*). Nota II del dott. GruLio COTRUNEI, presentata dal Socio B. Grassi. L'influenza delle ghiandole a secrezione interna dei Mammiferi sulle larve degli Anfibî, ha richiamato recentemente lo studio di molti osservatori. Gudernatsch (*) ha per il primo (1912), con ricerche assai interessanti, osservato che la tiroide dei Mammiferi, somministrata a larve di Rana, sotto forma di cibo, accelerava la fase di metamorfosi e la differenziazione dello animale: la tiroide produceva inoltre un arresto dell’accrescimento delle larve. Opposta era l'influenza del timo: favoriva l'accrescimento larvale, ma posponeva o sopprimeva la metamortosi. (!) Lavoro eseguito nell'Istituto d’anatomia e fisiologia comparata della R. Università di "Roma. (*) Gudernatsch, I. F., Feeding experiments on T'adpoles. I. The influence of spe- cific organs given as food on growth and differentation. Arch. f. Entvichlungsmechanik. vol. XXXYV, pp. 457-483, 1912. — 454 — Io (Cotronei, 1913) (') mi son servito della somministrazione di tiroide allo scopo di studiare le correlazioni organiche, squilibrando le secrezioni interne, nell’accrescimento larvale e nella metamorfosi degli Anfibî Anuri. Ho notato che la tiroide, somministrata come unico nutrimento, tendeva a produrre fenomeni letali; la morte sopraggiungeva dopo un tempo vario; per lo più, se le larve, al momento in cui s’ iniziavano gli esperimenti, erano abbastanza sviluppate, la morte sopravveniva quando erano in fase di meta- morfosi; ma la metamorfosi non si compiva: ho però notato che questo non era da confondersi con i fenomeni descritti da Gudernatsch per il timo. Ho dimostrato, con osservazioni macroscopiche e istologiche, che l’ influenza della tiroide dei Mammiferi, somministrata intensamente alle larve degli Anfibî Anuri, si può considerare come influenza disarmonica, oltre che acceleratrice; perchè l’animale inizia la fase di metamorfosi con lo stato di sviluppo dis- armonico di diversi organi. Brachet (1913) (*) si è limitato a comunicare poche parole di conferma ai risultati di Gudernatsch. Romeis (1913) (*) ha studiato il comportamento della rigenerazione di larve di Rane, nutrite con differenti organi a secrezione interna. Babak (1913) (‘) ricorda, a proposito delle ricerche di Gudernatsch, le sue osservazioni sull’influenza del sistema nervoso (*), nei processi morfoge- netici della metamorfosi; ed annunzia che un suo allievo ha ottenuto l’inizio della metamorfosi in larve di Amblystoma, dopo una settimana di nutri- zione con tiroide. Gudernatsch (1914) (5), con un nuovo lavoro pubblicato in questi ultimi giorni, considera molte diete miste: dove la tiroide è mista, con altro nu- trimento, esercita un’azione acceleratrice sullo sviluppo. Il timo è quello che più contrasta l'influenza della tiroide. Gudernatsch ammette, però, che la maggior parte delle larve nutrite soltanto con tiroide di Mammiferi muore subito dopo l'apparizione degli arti anteriori e la simultanea riduzione della (!) Cotronei G., Primo contributo sperimentale allo studio delle relazioni degli organi nell’accrescimento e nella metamorfosi dagli Anfibi Anuri. L'influenza della nutrizione con tiroide di Mammiferi. Bios, vol. II, fasc. I, settembre 1913. (?) Brachet A., Presentation de tétards soumis è des conditions de nutrition spé- ciales. Ann. et Bull. Soc. Roy. d. Sc. Med. et Nat. de Bruxelles, an. 71, fasc. 4°, pa- gina 104. (3) Romeis B., Der Hin/luh verschiedenartiger Ernàhrung auf die Regeneration bei Kaulquappen. Arch. f. Entw. Mech., Bd. 137, an. 1913. (4) Babak E., Zinige Gedanken tiber die Beziechung der Metamorphose bei den Amphibien zur inneren Sekretion. Zentralbl. f. Physiol., Bd. XXVII, n. 10, an. 1913. (9) Veber die Beziehung des centralen Nervensystem zu den Gestalsvorgangen der Metamorphose des Frosches, Phluger, Arch. Bd. CIX, 1905. (5) Gudernatsch. I. F., Meeding experiments on tadpoles. II. A further odia tions to the knowledge of organs with internal secretion. The American Journ. of anat., vol. 15, n. 4, January 14, 1914, pag. 431. — 455 — loro coda (1914, pag. 469). Se la tiroide viene somministrata a lunghi intervalli, gli animali possono essere tenuti vivi per parecchie settimane, però aggiunge: « They will not undergo, however any further changes; except perhaps a continued reduction of their tails, nor will they ever fed again ». Gudernatsch cita alcuni casì nei quali (esperimenti del 1911) afferma di avere ottenuto completo riassorbimento della coda e sopravvivenza da 2 a 4 giorni. In esperimenti del 1912 (che riporta in questo lavoro), alcune larve di B/o riuscirono a riassorbire quasi completamente la coda dietro il trattamento di nutrizione con tiroide; ma non sopravvissero. Importante è questa concordanza di Gudernatsch con i miei risultati: « A recovery from the thyroid influence is extremely rare ». Difatti, soltanto 5 esemplari di un esperimento di parecchie centinaia, e 6 in un altro, riuscirono a soprav- vivere. L'autore conclude che ritiene accertato che la tiroide contiene un prin- cipio che stimola la differenziazione, mentre il timo (e la milza) agisce in modo opposto, favorendo l'accrescimento larvale. Nel mio lavoro del 1913 ho descritto come la nutrizione con tiroide, pur rappresentando una causa acceleratrice, tendeva a culminare, nei casi da me ottenuti, con il fenomeno della morte: ho osservato che la morte so- praggiungeva più rapida, allorquando, con la emissione d'un solo arto, la coda era notevolmente ridotta. Nei casi, però, nei quali io ho ottenuto una sopravvivenza di moltissimi giorni dall'inizio dei fenomeni di metamorfosi, gli esemplari in esame avevano conservato per tutto il tempo la coda, in gran parte non riassorbita. Là dove nei miei esperimenti ho ottenuto una più lunga sopravvivenza, bisogna distinguere due risultati: 1°) L’ arto anteriore sinistro è stato emesso; ma non è stato emesso l'arto anteriore destro. (Cotronei, 1913, Esperimento VIII, pp. 81 e 82). La più lunga vitalità è stata ottenuta in una larva di Rara esculenta, nutrita dapprima con tuorlo d'uovo di gallina: la nutrizione con tiroide s' inizia il 26 giugno; il 6 luglio l’animale emette l’arto anteriore sinistro : É muore il 26 luglio, senza emettere l'arto anteriore destro. L'animale ha preso un aspetto raniforme; ma la coda, dopo 20 giorni dall’ emissione del- l'arto, è ancora lunga mm. 11 (*), mentre la lunghezza rostro-anale misura mm. 9. L’arto anteriore e gli arti posteriori sono notevolmente sviluppati: la coda, per quanto ancora così lunga, non presenta i caratteri larvali: il lembo ventrale si trova appena accennato soltanto verso la parte posteriore: un pò più il lembo dorsale: il diametro trasversale è piccolissimo. 2°) Gli arti anteriori sono stati emessi entrambi. (1) Le misurazioni di questa larva come di quella seguente si riferiscono a esem- plari conservati in alcool a 70°. RennICcONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 60 — 456 — Il caso migliore sì riferisce ad un esemplare di Rana esculenta, che ha emesso l'arto anteriore sinistro (Esperimento X, pag. 32) tra il 10 luglio e l'11 luglio; l'arto anteriore destro viene emesso il 14 luglio. L° animale muore il 4 agosto: è dunque sopravvissuto 25 giorni dall’ emissione del 1° arto; considerando il tempo trascorso, la coda si mantiene ancora lunga, giacchè misura mm. 13,5 (mentre la lunghezza rostro-anale è di mm. 10). Per la descrizione dei caratteri della coda valgono le osservazioni pre- cedenti. Il tubo digerente, nei due esemplari riferiti, si mostrava molto diffe- renziato. Lo stomaco è nettamente distinto e rigonfiato, mentre l'intestino sì presenta ridotto e con diametro assai ristretto. Anche in un esemplare di Bufo vulgaris (Esperimento 9, pag. 32) trovo che l’animale è morto il 24 luglio, mentre l’arto anteriore sinistro è stato emessso l'8 luglio: pure in questo caso la coda è notevolmente lunga. I casi ricordati dimostrano che anche là dove la metamorfosi è stata rapidamente accelerata, la coda mostra tendenza a conservarsi, e in molti casi funzionante, per il tempo della sopravvivenza al regime sperimentato (osservare il diario dei miei esperimenti del 1913); ma ho già notato come Gudernatsch abbia descritto d'avere ottenuto, con gli esemplari nei quali si emettevano gli arti anteriori, contemporanea riduzione della coda; ed io stesso ho descritto (in un unico esperimento, però, 1913; Esperimento VII, pag. 31), una notevole riduzione della coda quando era emesso un arto, e, qualche volta, ancora prima dell'emissione dell'arto: in questi casi, però, le larve non potevano servirsi del residuo della coda per il movimento, e nei miei esperimenti io non ho mai ottenuto sopravvivenza. Bisogna osservare che i fenomeni di riduzione sono anche in relazione con la perdita d’acqua: e poichè la struttura istologica era abbastanza ben conservata, almeno in una notevole parte della coda residuale, dobbiamo pen- sare che la maggiore riduzione della coda era in relazione con il grande addensamento dei tessuti (notevole perdita d’acqua). Prima di chiudere queste brevi osservazioni, ricorderò che in qualche esemplare di Bufo m'è avvenuto di ottenere una riduzione quasi completa. Si trattava di esperimenti preliminari, nei quali era stata poi smessa la nutrizione con tiroide. Ho voluto, nel proseguire le mie ricerche, osservare dopo quanto tempo si lasciavano scorgere gli effetti morfologici di una nutrizione con tiroide (Gudernatsch, nel 2° lavoro dice che, dopo 24 ore, si può scorgere qualche effetto; ma non riferisce osservazioni in proposito); è da notarsi che anche in questo genere di ricerche i risultati che si ottengono bisogna considerarli in relazione icon lo stadio e il grado d'accrescimento degli esemplari speri- mentati. — 457 — Una larva di Rara esculenta di circa 30 mm. di lunghezza totale, che presenta l’abbozzo degli arti posteriori, viene esaminata dopo circa 3 giorni di esperimento. Il tubo digerente, macroscopicamente, già mostra di essersi notevolmente ridotto: lo stomaco però non è rotato a sinistra: il diametro dei giri della spirale intestinale si è molto ristretto: macroscopicamente, la coda mostra un maggiore addensamento. Gli arti anteriori non sono stati emessi. All'esame istologico si nota che le fibre muscolari in una gran parte dell'intestino si sono addensate: i fenomeni degenerativi dell’epitelio larvale sono iniziati; vi sono tuttavia delle parti dell'intestino in cui la struttura larvale appare integra. L'esame istologico della coda non mostra tessuti in degenerazione. Gli arti posteriori si trovano allo stato di tessuto primitivo indifferenziato: si nota solo un orientamento di cellule in strato superficiale: sì scorge qualche vaso sanguigno: non esistono altre differenziazioni istolo- giche. Ad una condizione abbastanza inoltrata nelle modificazioni del tubo digerente, non corrisponde affatto lo stato di sviluppo degli arti. In larve meno sviluppate, alle quali ho somministrato tiroide di mam- miferi per un periodo di tempo più lungo, noto ancora che gli arti sono assai poco sviluppati, formati soltanto di tessuto primitivo indifferenziato, quando sono avanzate le modificazioni del tubo digerente. Questi risultati confermano che le disarmonie di sviluppo si manife- stano presto, con l'influenza della tiroide, prima ancora che sia inoltrata la fase di metamorfosi. I miei risultati del 1913 si riferivano a esemplari che già avevano emesso un arto anteriore. Fisiologia. — vcerche sulla secrezione spermatica. Prime osservazioni sulla secrezione spermatica normale del cane ('). Nota II del dott. G. AMANTEA (assistente), presentata dal Socio L. LUCIANI. Riferirò qui brevemente le prime osservazioni generali, che finora ho potuto eseguire, servendomi del metodo descritto nella Nota precedente, sulla secrezione spermatica normale del cane. Debbo premettere che, dopo essermi assicurato che veramente nel cane l’ejaculazione dura tutto il periodo del coito, (ciò che ha servito di base per la costruzione della vagina artificiale, e ciò che ho facilmente potuto con- statare, stimolando in modo adeguato la zona riflessogena peniena per gli atti sessuali, e quindi imitando le condizioni del coito normale, tenendo tra il pollice e l'indice, lubrificati con vasellina e applicati sulla regione retro- bulbare, il pene dell'animale), sono ricorso allo stesso metodo semplice per stabilire se spermatozoi siano presenti in qualsiasi porzione del liquido sper- matico eliminato durante una intera ejaculazione. Raccogliendo lo sperma (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di fisiologia della R. Università di Roma, di- retto dal prof. L. Luciani. — 458 — in modo frazionato, ho potuto così accertare che nell’ejaculazione del cane è possibile distinguere tre periodi: nel primo periodo, coincidente coi mo- vimenti di coito (movimenti di va e vieni del treno posteriore, amplesso) e col vero orgasmo, lo sperma eliminato è lattescente e ricchissimo di sper- matozoi; nel secordo, che incomincia dal momento in cui il cane fa l’atto di scavalcare, e si confonde senza limiti netti col successivo, lo sperma di- viene sempre più povero di spermatozoi; nel £erzo infine, il liquido elimi- nato, limpidissimo, è affatto privo di spermatozoi. La prima porzione di sperma, se il cane su cui si sperimenta si trovava da molto tempo in completo riposo sessuale, può anche contenere numerosi cristalli. Nelle ricerche istituite col metodo della vagina artificiale, ho finora tenuto conto della durata del coîto fittizio, della quantità di sperma rac- colto, e del numero degli spermatozoi in esso contenuti. La durata del coito è stata misurata dal tempo trascorso dall’introduzione del pene del cane nell’apparecchio, fino al distacco spontaneo dell’animale da quest'ultimo. Lo sperma raccolto nel sacchetto interno e a pareti sottili dell'apparecchio, si è misurato versandolo con cura, e nel modo più completo possibile, in un piccolo cilindro graduato in decimi di cc. e fornito di tappo a smeriglio. Ho calcolato in media, che, la quantità di liquido che rimane aderente alla superfice interna del sacchetto è uguale a cc. 0,2; perciò al liquido versato nel cilindro ho sempre aggiunto, nel valutarne il volume, come costante, ce. 0,2. La numerazione degli spermatozoi ho potuto poi eseguire in modo assai semplice, ricorrendo al noto apparecchio di 7homa-Zeiss. Volendo però fare la conta subito dopo raccolto lo sperma, una difficoltà si presenta, e consiste nella mobilità di cui gli spermatozoi sono dotati. Ho ovviato a tale inconveniente diluendo nel mescolatore, invece che con le soluzioni consi- gliate nel caso degli eritrociti, con una soluzione di bisolfato di chinina all’1°/,, che istantaneamente uccide gli spermatozoi senza alterarli. Si può anche però aspettare che gli spermatozoi perdano i loro movimenti, (ciò che avviene di solito quasi sempre dopo tre ore circa a temperatura dell'ambiente), e quindi procedere alla numerazione nello stesso modo come si pratica pe gli eritrociti. Prima di prendere il campione di sperma, è sempre conveniente di agitare bene il liquido, nello stesso cilindro graduato, capovolgendolo più volte, dopo averlo chiuso col tappo. La diluizione consigliabile per la nume- razione è quella di 1:10 - 1:20. Nelle mie ricerche ho sempre assunto come risultato definitivo per ciascuna numerazione la media di non meno di tre conte successive, sempre eseguite con campioni differenti di sperma, e contando gli spermatozoi distribuiti su almeno 200 quadratini dell’appa- recchio di Thoma- Zeiss. Finora ho così potuto sperimentare su più di 30 cani, di varia taglia e di varia razza, e tutti in perfetta maturità sessuale; non mi è stato però finora possibile di tenere esatto conto dell'età dei singoli animali. — 459 — Prima di istituire altre ricerche ho inteso il bisogno di bene orientarmi di fronte alla secrezione spermatica normale dell’animale, da me prescelto per lo studio. E qui appunto, come già ho detto, riferirò le prime osserva- zioni sulla durata del coito fittizio, sulla quantità di sperma e sul numero degli spermatozoi nel cane, in condizioni affatto normali. La durata del coito fittizio non è la stessa in tutti i cani; ma, per uno stesso animale, normalmente si mantiene sempre costante entro certi limiti, che non vengono mai oltrepassati. Un cane, per es., pel quale la durata del coito fittizio oscilla normalmente fra 8° e 12°, non la presenterà normalmente mai di 5’ a 6’ o di 15’-20'. Tenendo conto di più ejaculazioni successive, provocate intercalando tra l'una e l’altra sufficenti periodi di ri- poso (almeno 3-4 giorni), si può ritenere che in una discreta maggioranza di cani la durata del coito fittizio oscilla fra 7-15’; in un altro buon numero di cani oscilla fra 15' e 18’, come risulta dalla tabella I. Difficilmente si osserva una durata inferiore ai 7’, mentre è più facile osservarla superiore ai 18’. Comunque, posso affermare che durate troppo brevi (1’-5’) o troppo lunghe (25'-30') non sono più da considerare come normali. Se si eseguono raccolte successive di sperma molto ravvicinate tra loro, si nota che la du- rata dell'ejaculazione in un primo periodo diviene sempre più lunga, mentre, quando incomincia la stanchezza dell'animale, diviene eccessivamente breve. TABELLA I. Durata Quantità Numero CANE Peso in kgr. del coito fittizio dello sperma degli spermatozoi in minuti primi in ce. eliminati I SIPRZIIIE 4,600 10 esz, 109.480.000 Lig agi es 4,800 7 2,6 38.740.000 Ise 9,900 10 4,3 44.290.000 Nocsr-® 6,400 16 16,0 164.800.000 NU 6,700 15 2,7 130.680.000 VB Md 7,000 8 4,2 151.620.000 VI: este 7,200 15 13,8 163.590.000 Ndllee o 7,800 11 6,9 211.680.000 ero ta: 8,000 15 6,0 348.000.000 DA 8,600 14 7,1 188.860.000 NG SR), 9,000 9 6,8 208.080.000 Sears taste: 9,600 12 7,9 248.000.000 XII: e 9,900 11 9,0 110.000.000 DS 10,000 10 6,5 280.800.000 NEVA 0, 11,100 18 16,5 199.650.000 DA RCA 11,100 11 9,7 548.340.000 A LES 18,000 8 74 109.520.000 XVI 20,000 8 etti 93.170.000 XI enne 20,100 12 19,1 679.960.000 PORRI ERO 20,300 9 8,8 564.320.000 Esempio della durata del coito fittizio, della quantità di sperma e del numero degli spermatozoi în 18 cani normali, dopo un lungo periodo di riposo sessuale. — 460 — La quantità di sperma è anch'essa normalmente costante, entro certi limiti, per ogni cane. Se lo sperma si raccoglie per più volte, ma senza intercalare tra una raccolta e l’altra un sufficente periodo di riposo, (se si raccoglie, per es., una volta al giorno), la sua quantità è massima il primo giorno, e decresce nei successivi. Per raccolte cioè non distanziate sufficen- temente, la più grande quantità di sperma corrisponde alla prima. Fra la quantità di sperma e le dimensioni dell'animale, esiste un certo rapporto, nel senso che eliminano più spermai cani di taglia maggiore; ma esso non è as- soluto. Basta, a dimostrarlo, il fatto che la maggior quantità di sperma l'ho ottenuta, alle volte, da cani di media taglia. (Vedi tabella I). Sperimentando su animali normali e in riposo sessuale, e riferendomi alla prima raccolta eseguita su ciascuno, ho finora trovato come quantità minima ce. 1,7, e come quantità massima cc. 19,1, indipendentemente dalla taglia. In quanto poi al numero complessivo degli spermatozoi di ogni ejacu- lazione, esso mon è in rapporto nè con la durata del coito, nè con la quantità di sperma eliminata, nè con le dimensioni dell’animale. Proba- bilmente però esiste un rapporto con l'età, di cui però finora non mi è stato possibile tenere esatto conto. Riferendomi sempre alla prima raccolta di sperma eseguita su cani in riposo sessuale, posso dire di aver rilevato che il numero complessivo degli spermatozoi oscilla fra 38,740,000 e 679,960,000 per un'ejaculazione (vedi tabella I). Varî fattori (stimoli periferici, eccitamenti psichici, stato di nutrizione dell'animale ecc.) possono influenzare la durata del coito fittizio; questi stessi fattori, e molti altri ancora, direttamente o indirettamente, in senso positivo o in senso negativo, possono influire sulla complessiva quantità del liquido spermatico eliminato; numerosi fattori infine possono anche far va- riare la produzione e l'eliminazione degli spermatozoi; ma di essi mi occu- però in seguito. Prima di terminare, voglio qui solo accennare ad un fatto, che, seb- bene mi sembri già bene osservato, spero di poter mettere più chiaramente in rilievo in un’ altra Nota. Esso consiste in questo: se si raccoglie lo sperma da un cane normale dopo un lungo e sicuro periodo di riposo sessuale, e poi sì fa una seconda raccolta con un intervallo di tempo opportuno (da 2 a 3 giorni, fino a 10-12), si può nella seconda raccolta ottenere un numero di spermatozoi di molto superiore a quello della prima. Evidentemente la prima ejaculazione ha esercitato un’azione eccitante (trofica) sulla secrezione testico- lare (vedi tabella II). — 461 — TABELLA |II. Numero Data 3 È CANE degli spermatozoi della raccolta ian ERRE O 15 novembre 1913 208.080.000 21 ” 1913 572.400.000 Merita 18 novembre 1918 93.170.000 20 ” 1913 825.500.000 00 ERA 10 novembre 1913 44.400.000 22 ” 1913 189.200.000 IN 8 gennaio 1914 211.680.000 15 L) 1914 450.210.000 NEC, 18 gennaio 1914 110.000.000 21 ” 1914 263.320.000 Esempio del modo come può aumentare il numero degli spermatozoi quando sti eseguono due raccolte successive di sperma, con un intervallo di 2 a 12 giorni tra la prima e la seconda. CORRISPONDENZA Il Presidente BLASERNA presenta un piego suggellato, inviato dal signor A. TRicca, perchè sia conservato negli Archivi Accademici. E. M. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. 2 ne Serie 1a — Atti dell’ ardara pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. "Serio 2° — Vol. I. (1873-74). sa | Vol. IT. (1874-75). — RR Vol. 1IT. UdG: co Parte 12 RI TE o et i 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Ri RETE 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, i i SR Sio e Re % val IV. NE VI VII VIBO sd A della | VOliste di scienze a matematiche e naturali. MBONoL-(5 2). sil): — HEXIX. IO | MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. IS 3 Vol. I-XIII Gi ; "Serie 48 — RENDICONTI. Vol. IVI. (1884-91). 00) crd v Ù i MemoRIE della Classe di scienze f le, LOTITO e naturali, Vol. I-VII. 3 ago MEMORIE della Classe di scienze. morali, Si e flologiche. Vol Tai o: 3 i Maione 0° "dae di bionza.) E; DI matematiche e naturali Ti i Vol. I-IX. "AR PA (SIOE Se, mae della se di A hac mora i, storiche e o filologiche. Nol L DL a 10: - CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE DAT RENDICONII DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E © NATURALI ò DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI dd Rendiconti della Classe di scien ice, matematiche Di o. € ein della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all aLe corrispon- SA denti ognuno ad un ‘semestre. Da o Il prezzo. di ‘associazione per ogni. lume e per tutta 1 i Italia è è di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. ia de associazioni. si ricevono esclusivamente dai seguenti Aacli editori-librai: Ù (i Ermanno Lorscner & o. © SCE Roma, Torino e Firenze, » Utrico Horn. - a Milano, Pisa el Napoli. RENDICONTI — Marzo 1914. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 15 marzo 1914. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sui sistemi sur coniugati con una famiglia di superficie applicabili sopra qua- driche:-\i sana e e Pan Volterra. Sulle equazioni ale diinuie tincigiali INS R: ” Crudeli. Nuovi criterî di stabilità per moti stazionarî di prima specie ra dal Sodio Da Cva). SR » Gateaux. Sur les FineWdimeliee a sur Pinta ne ni duc Dalia Ha n Godeaua.. Sur les involutions douges d’un nombre fini de points unis, appartenant è une surface ‘algébrique (pres. dal Corrisp. Severi). . .L. . .. 0... A AGO) Picone. Teoremi di uricità nei problemi dei valori al contorno per le, equazioni ellittiche e paraboliche! (pres. dal Socio Bianchi)". . . . 3 SS) Colonnetti. Esperienze sulla elasticità ‘a fail del rame me on Socio nina Lear Bonazzi. L'effetto Hall longitudinale nelle leghe ferromagnetiche di rame, manganese, allu- minio (pres. dal Corrisp. Baltelli) . +. . IO » Guglielmo. Intorno ad un condensatore sferico n conico per Pine {etorale nei mi- croscopî (pres. dal Socio Blaserna) . . . ” Mayer. Sullo spettro d’assorbimento ultravioletto della Bi agora fe a dip Car DOSBONE I È E ESTRO AL sg SARTI) Id. Sullo spettro SOSTE delle pia slopalicha di A, e di suoi derivati in presenza di alcali (pres. /d.). . 060. | È RE EUtO Quercigh, Sulla vera natura della miersite e della coni Coi dui Soon Struver) Plate. Ricerche sull'azione di nitrati isolati sul aa germinativo dell’Avena sativa (pres. dal Socio Pirotta) (*).. È È SE A O Aa Cotronei. Ulteriori osservazioni sulle relazioni i organi e x a nutrizione con tiroide di Mammiferi nell’acerescimento larvale e nella metamorfosi degli Anfibî Anuri (pres. dal SOCIO LGRASSAE E IR e DN II TIR POI E NARO ERRATI ALOI Amantea, Ricerche sulla secrezione spermatica. Prime osservazioni sulla secrezione spermatica Mmormaleadeligane (preso dalSocio Ae Vi CORRISPONDENZA Blaserna (Presidente). Presenta un piego suggellato, inviato dal signor A. Tricca, perchè sia conséryato=negli cArchivi accademici RAR I I ERRATA-CORRIGE A pag. 451, linea 34 invece di esagonale, legg. dirifrangente. (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario ‘ufficio, responsabile. Abbonamento postale. 389° 393. 400 405 413 427 439 461 a niet ini Pubblicazione bimensile. Roma 5 aprile 1914. > N... ATA DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXI. 1914 SBRERIRIQ, ONT CA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 aprile 1914. Volume XXIII. — Fascicolo 7° 1° SEMESTRE. E nt cai nsonian Insijg=e \ MAYI®1lga SI i e —enal Museb ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. Va SALVIUCCI 1914 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovranpiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le diseus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Aeca- demia; tuttavia sei Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IDO I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nel!".! .mo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 5056 estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. Si RENDICONTI DELLE; SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. AN__-—-V ae Seduta del 5 aprile 1914. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Meccanica. — Sulla teoria delle distorsioni elastiche. Nota I del Socio CARLO SOMIGLIANA. I. Oggetto di questa Nota è di stabilire nel modo più generale il problema delle deformazioni di un corpo elastico, quando in esso avvengono delle interposizioni o soppressioni di sottili strati di materia lungo una data su- perficie, e l'equilibrio si ristabilisce senza intervento alcuno di MOT esterne. Mitte "i NN E Mn. ea: a lg; x UA n} Deformazioni di questa specie sono state studiate largamente, e con brillante successo, dal prof. Volterra che le chiamò distorsioni. Manterremo anche noi questa denominazione, notando però subito che, in ciò che segue, essa assumerà un significato più ampio di quello che essa ha nei lavori del Volterra. Ecco come porremo il problema delle distorsioni. Sia S lo spazio occupato dal corpo elastico, s la superficie che lo limita. Sia poi o una superficie che supporremo dapprima, per semplicità, tutta RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. (I » — 464 — interna al corpo; lungo di essa immaginiamo venga eseguito un taglio. Le due faccie del taglio siano poi spostate arbitrariamente l'una rispetto all'altra, in modo da lasciare un piccolo spazio vuoto, che allora supporremo riempito da nuovo materiale; oppure in modo da penetrare nelle parti contigue del corpo, nel qual caso supporremo soppresse queste parti che verrebbero in certo modo ad essere doppiamente riempite del materiale del corpo. In en- trambi i casi supporremo saldati i lembi del taglio fra loro o col materiale aggiunto. L'intuizione ci dice che uno stato speciale di tensione, e di equilibrio, si deve determinare nel corpo. Vediamo di studiare la quistione analiticamente e col sussidio dell’ordi- naria teoria dell’elasticità. Le condizioni che devono essere soddisfatte lungo il taglio o sono quelle che ci dicono che i punti corrispondenti sulle due faccie del taglio devono subire spostamenti differenti in modo o da lasciare il vano nel quale avviene la infiltrazione di materia, o da determinare il sottile strato che deve essere soppresso. In un punto qualunque di o, indicando con us, Ve, we delle funzioni arbitrarie dell'ordine di grandezza degli spostamenti elastici , 0, w; con v,v' le normali alle due faccie di 0; con wy, vy, 0, ui ’ x1 Ti 244 Il (5) Ina — È) dé = 2D'(21) -—f D(x) cca Le : Li) lo) doi 2106 A questo modo siamo passati dall’ equazione (1) ad un’equazione ana- loga in cui n è sostituito con x — 1. Ripetendo x volte questo procedi- mento si perverrà ad una equazione integrale di prima specie il cui nucleo sarà I(7,— è) e che quindi sappiamo risolvere. La formola di risoluzione della equazione (1), a cui così perveniamo, si semplifica tenendo conto della identità d Ila) n io, = ea) (8) “na LA, -/ a È E—-a a, la quale è un caso particolare di un'identità più generale che presto dimo- streremo. IDÈ Poniamo, per x, nella (6), una volta n —1 ed un’altra volta n -{ 1. Sommando e sottraendo le due equazioni, risultanti, membro a membro, otte- niamo le altre due equazioni seguenti: % I — &) (È — xo) DIS, (Th (9) 23 == si — xo)--I-:(C1 2) = È (Qi 05 È a0 (3A) 10) 2 e Ia — 70) n_1Ina—-%0) 10, dXI Lr o n Li — Lo si prec Ie —® L@—%), Xo age È S —- Lo Queste equazioni fanno dipendere la risoluzione delle equazioni integrali di Volterra di prima specie i cui nuclei sono I,(x,1 — 2), Mei dalla ge risoluzione delle equazioni analoghe i cui nuclei sono, rispettivamente, I — È î ; le —- 2) = har — ) e une la prima delle quali sappiamo ri- Rel solvere. Vogliamo mostrare che anche l'altra, cioè an) fe Lie 9) de = D(a;), Xi si può agevolmente risolvere. Da essa abbiamo infatti, a causa della (8) che si deduce dalla (10) per a=1, 2, ) ll 1 ] x1 i fr f g(x) — a da =; f D(x) Mit) dall vo) vd Ba VA XX — 476 — Sottraendo questa equazione, membro a membro, da quella ehe si ot- tiene derivando la (11) rispetto ad x,, abbiamo subito 1) sea). III. Passiamo adesso a risolvere l’altra equazione x (18) [Meta lhe-94=20, n>0 ni i i n 109) far hale9e= (5-1) 20. Con ripetuta applicazione di questo procedimento, abbiamo 10) (salette alt) (10) lara -rrazsilo equazione, questa, che sappiamo risolvere. ST — 1V. Alla funzione I, (#) si dà un significato per ogni valore di 7 conve- nendo che (YU ). inve f'eearan. T'UIn+i) 2 Anche in questa ipotesi più generale vale la relazione (14), e quindi, data l'equazione integrale (13) con » qualunque, vale pure sempre la (16) per lo stesso valore di %. Quando x è la metà di un intero dispari, ripe- tendo il procedimento di riduzione x —3 volte, dalla (13) si ottiene 19) fee—-N"Le—-94= 0 9 1 d SS “ron n WE), ossia, notando che PIET e Sen(x — £), dove il simbolo Sen (x — &) indica il seno iporbolico di x — £, anche soa n - e(d _\°-to(- 48) J o V5 la ui) AE E basta derivare due volte, rispetto ad x, questa equazione, per avere i, ie VEE 10. Sappiamo quindi risolvere {la (13) anche quando 7 è la metà di un intero dispari, anzi in questo caso essa si risolve con solo operazioni di de- rivazione. V. Sia data ora l'equazione a derivate parziali a coefficienti costanti di tipo iperbolico ii :9) A e proponiamoci di integrarla col metodo delle ‘caratteristiche [di Riemann- Volterra. L'equazione precedente corrisponde soltanto ad un tipo particolare di equazioni iperbolichè a coefficienti costanti. Il caso generale è stato preso in — 478 — considerazione dal Coulon nella sua bella tesi (*), ma esso dà luogo ad un problema d’inversione avente caratteri diversi e più complessi di quello a cui dà luogo il caso particolare che abbiamo preso in esame ed a cuì sol- tanto vogliamo attenerci. Escludiamo momentaneamente il caso # = 1 di cui vogliamo occuparci a parte più tardi. Allora l'ipercono caratteristico dell'equazione (20) che ha il vertice nel punto (x;,%) dello spazio lineare (&;, 7), nel quale, come si suole, faremo le nostre considerazioni, ha per equazione (21) U—o—P=0, =} 8. Questo ipercono divide lo spazio lineare ad x +1 dimensioni (&;, 7) in tre regioni indefinite e connesse, cioè quella in cui 7? >(£t— 7)? e le due in cui 7? <(£#— 7)? con t>&, ovvero con 15 e) g= ly 7 VR. Sostituendo, per 4, questa espressione di ', nella (20), si vede subito che la detta equazione è soddisfatta assoggettando le due funzione w ed f a soddisfare alle equazioni: CA E cn AE af abadi Lo) de vr O: La funzione g' dev'essere determinata in modo che, per £=0, ossia sulla varietà conica caratterisrica (f — 2)? — r® = 0, si annulli e per TI20Ns1a? dg . . (e, limtatigi— 0 limita E =G(i— 7), 7 GE=0) G essendo il simbolo di funzione determinata. (*) Paris, Hermann, 1902. — 479 — L’integrale della (24) che resta finito per £ = 0 è determinato a meno di un fattore costante e lo assumeremo sotto la forma __D+2_1 (25) i (4) 2 Possiamo prendere inoltre, per w, la funzione 2n n+2X-1 DI ,Ì 2+ 1 Coe) pio, CIEL 1-6), dove F è il simbolo di funzione ipergeometrica; questa funzione, infatti, soddisfa alla (28) e si annulla per 0= 1 se (27) oi 0, 4 resta allora arbitrario essendo, fissato x, soggetto soltanto a soddisfare alla diseguaglianza precedente ed alle altre condizioni perchè la serie 2 dd sia convergente, ossia alle altre condizioni: (27') n+AÀ-1>0,4+2>0,n#-2>0. Lasciamo da parte il caso n = 2 che si presenta con caratteri eccezionali e di cui desideriamo occuparci in seguito. Non diremo parola sul caso 7 = 3 di cui ci siamo occupati nelle Note precedenti, e supporremo perciò che sia n= 4. In questa ipotesi soddisfacciamo alle condizioni (27) e (27’) pren- dendo 4= —1 e quindi 2-n n_3 ; SDA Cr t- t\-? (e 13 (26) y=0 (1— 0) —( È ) li 20 Scegliendo g' a questo modo, abbiamo: / n_3 limitati 10658lim ga P. _ (2_- n) ((- 171)? Ins(i— rt) r=0 r=0 dr 2 Chiamando poi X, la porzione di una varietà regolare ad 7 dimensioni la quale abbia la proprietà di essere incontrata, generalmente, in un punto solo da ogni parallela all'asse 7, nello spazio ($;,7), compresa nell'interno della regione 7° <(t — t)?,T<#, avremo, subito, col solito procedimento, indicando con 9 una soluzione regolare della (16) e con Dg il simbolo di derivata conormale, Le tt? n r(3) | A È (9Dgp — g'Dg) d3,, dove # indica il valore di 7 nel punto d'incontro di X, con la retta r= 0. (28) 2(n—--2) fs@o (-9)7 Ia ((—q)dr= RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 63 — 480 — Nella equazione (28) x è un numero intero maggiore di 3 e quindi, per quello che abbiamo precedentemente stabilito, sappiamo determinare la funzione 4 qualunque sia 2>3. VI. A solo titolo di complemento a ciò che è stato precedentemente espo- sto, aggiungiamo le osservazioni seguenti. Nel caso n= 1 si ha un solo tipo di equazioni iperboliche a coefficienti costanti che può sempre ridursi alla forma d°p__d*g (29) a SIA e questa equazione s'integra nel modo più felice col metodo delle caratte- ristiche di Riemann propriamente detto. Questa integrazione può, però, con- seguirsi anche col metodo di Riemann-Volterra. Le due caratteristiche uscenti dal punto (x ,%) del piano {(£,%) divi- dono questo piano in quattro regioni illimitate semplicemente connesse, e le nostre considerazioni possono aver luogo, indifferentemente, in una qualun- que di esse. Restiamo in quella in cui &É =<"7 e 7<4, e supponiamo che sia limitata da una linea s. La retta & = x divide la regione finita così risultante in due regioni parziali: una adiacente alla caratteristica &5 -— © = x — £, e l’altra adiacente alla caratteristica # + 7=x +. Basta allora applicare il teorema di reci- procità in ciascuna di queste due regioni, assumendo come funzione fonda- mentale, nella prima, RENO I Ve—-n=(e=df) e, nella seconda quo _alhWe—- = @—8)) e combinare fra loro le due equazioni risultanti per pervenire subito ad una equazione come la seguente gi — VCCIO va de = funz. nota che sappiamo risolvere. — 481 — Matematica. — £epresentation d'une fonctionnelle continue, satisfaisant è la condition du cycle ferme. Nota di R. GATEAUX, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 1. Dans une Note présentée le 1° mars 1914 à l'Accademia dei Lincei, 00 j'ai indiqué une représentation d'une fonctionnelle continue U|[4(:)]] d'une — 0 fonctionréelle continue (7). M. Volterra m'a fait remarquer que ce résultat pouvait sans doute étre appliqué aux fonctionnelles satisfaisant è la condi- tion du cycle fermé. Pour tous renseignements sur la question du cycle fermé, on pourra se reporter au chapître VII des Zecons sur les fonetions de lignes de M. Vol- terra (Paris, Gauthier-Villars, 1913). I. — LE PRINCIPE DU CYCLE FERME. 0 2. Soit, dans le champ réel, une fonctionnelle U|[z(#)]| de la fonction z(t) £ — 00 définie et continue ainsi que ses p premières dérivées pour {= @. On dit que cette fonctionnelle satis/azt à la condition du cycle fermé 00 (o) sì, toutes les fois que 4(:) admet la période T, la fonction de 0, U|[(4)]|, ì i — 0 — 0% admob aussi la période T. On dit qu'elle satisfazt à la condition de l’invariabilité de vneréditò dans le temps, si la condition Ong 0-4 VIGO] =UILC+ 2] 0 est vérifiée quel que soit le nombre 4 et pour toute fonction s(t). -— 100 3. M. Volterra a démontré une proposition qu'il a appelée principe du cycle fermé et que j'énonce d'abord sous la forme générale suivante: La condition du cyele fermé et la condition de l’invariabilité de l’héré- dité dans le temps, sont équivalentes s'il y a dissipation des actions hérédi- 6 taîres; c'est-à-dire si la fonctionelle U|[:()]| est très peu modifige quand on modifie arbitrairement (7) pour les valeurs de % inférieures è une certaine limite 0 —/. — 482 — Avant d’énoncer le principe sous une forme précise, je pose une définition. Soient 4(7) une fonction déterminée; (4) une fonction qui tend, avec ses p premières dérivées, vers la fonction z(#) et ses p dérivées correspondantes, la convergence étant uniforme dans tout intervalle fini. 0 —- Si, quel que soit le nombre w positif ou nul, U|[z,(4 + w)]| tend vers (0.0) 60—-—u (o) U;[e(+ w)]| uniformément par rapport è w, je dirai que U|[z(2)]| est — 00 (CI continue d'ordre p, p pouvant prendre les valeurs 0,1,2,.... 6 Traduisons cette condition en inégalités: étant donnés la fonction z(#) (09) et le nombre positif =, on peut déterminer 7 et / positifs, tels que, si l'on a, dans l'intervalle (9 — 2,2), lail) — 0<7,/a()-40|<, |P) — (0 <<, on ait, quel que soit le nombre w positif ou nul, _u ERO Li [VU I[a(+ #I}— Det + I] <è- — 90 =©9 Ceci posé, j utiliserai le principe sous la forme suivante: 0 St la fonctionnelle U|[s(t)]| satisfait à la condition du cycle ferme, et =.(C9 st elle est continue d'ordre p, elle vérifie la condition de l’invariabilité de l’hérédité dans le temps. Inversement, si elle satisfatt à la condition de l'invariabilité de l’hérédité dans le temps, elle vérifie la condition du cycle fermé. II. — REPRESENTATION. 4. Le théorème précédent va nous permettre de donner une représen- 6 tation d'une fonctionnelle U|[(t)]| continue d'ordre p et satisfaisant è la — 90 (1) condition du cycle fermé. Cette fonctionnelle vérifie la relation 0 0 U|E:(9]|= U|E:(l+ 9)]|. — 00 (9 0 Tout revient donc è trouver une representation de U|[z(t)]|. — 00 5. J'indique d'abord quelques définitions dont j'aurai besoin par la suite. — 483 — Soit 8, un nombre déterminé pouvant prendre la valeur +4 co. Soit C CA un ensemble de fonctions <(#) continues, ainsi que leurs p premières dérivées. CI Je dirai que l'ensemble C est compact d’ordre p sì de toute infinité de fonctions de C on peut extraire une suite de fonctions tendant, avec leurs p premières dérivées, vers une fonction limite et ses p premières dérivées, la convergence étant uniforme dans tout eta fini. Je dirai qu'un ensemble T° de fonctions 0, les nombres 0 étant finis, 0 est un ensemble. - Cp, si l'ensemble des fonctions #(£-+@), qu'on déduit ii CO) de toutes les fonctions de I°, est compact d'’ordre p. 6. Je vais utiliser quelques résultats de ma Note du 1° mars (page 311, II, 2). Je les rappelle ici, et comme je me suis mal exprimé dans l’énoncé de l’un d’eux, j'en profite pour le rectifier. Dans cette Note j'ai désigne par £ l’ensemble des fonctions continues (0 0) 3(t), et par @(A; B) l'ensemble de ces fonctions telles que A(7) = s(t) = B(t), — 00 A et B étant deux fonctions continues. (0.0) Soient x un nombre entier positif et é,(f) une fonction ainsi définie: — 00 3(t) quand |<()| <= AO = n quand s(t) > n —n quand (0) <— x. ‘00 St U|[s(4)]| est une fonctionnelle définie et continue d’ordre 0 dans 2 — (Cd on peut la représenter par l’expression UL:()]}= ri | ES fa (006 (0) did, ssi van la convergence étant uniforme dans tout ensemble compact d’ordre 0 de fonetions s(t) K,,o est une constante; K,,; une fonetion continue. dd Dans le cas où U|[s(t)]| n'est définie et continue d'ordre 0 que dans — 00 un domaine (A ,B), on peut eviter l’emploî des Èn(t) et donner pour U une représentation de la forme précédente où È,(t) serait remplacée par s(t). — 484 — 7. Fonctionnelle continue d'ordre 0. satisfaisant à la condition du cycle fermé. i 6 Si cette fonctionnelle est U|[s(:)]|, il nous faut d'abord une représen- — 0 0 tation de U|[<()]|. Appliquons les résultats du n° 6, en prenant 0 comme — 0 limite supérieure des intégrales. Supposons d'abord la fonctionnelle définie pour toutes les fonctions 6 continues z(t): c'est-à-dire supposons qu'il y ait lieu d’envisager des actions — 90 C) de grandeur illimitée. Alors, les fonctions È,(#) étant définies comme au — 0 0 n° 6 à partir de la fonction 40) sj, ona Ur0]I=, lim (Eno + Sf Ja Coe la convergence étant uniforme dans tout ensemble compact d'ordre 0 de 0 fonctions <(t). — 00 Si nous appliquons l'égalité (1), et, effectuons le changement de variables tz4+-9= rt}, nous obtenons la représentation (e) D [50] = lim {Eno + In () l) - DI .: S Kysi —9,...,t5— 0) Ent) En(t) de... desi, is=1 n =n 0 la convergence étant uniforme dans tout ensemble - Co de fonctions s(t). — Dans le cas où l'on ne considère que des actions de grandeur limitée, C) c’est-à-dire que des /onctions s(t). au plus égales, en valeur absolue, à un — 0 certuin nombre positif M, on peut simplifier l’expression précédente en écrivant (7) au lieu de &,(7). 8. Fonctionnelle continue d’ordre p satisfaisant à la condition du cycle ferme. — La condition de continuité est d'autant plus générale et moins restrictive pour la fonctionnelle que p est plus élevé. 0 Soit x un nombre entier positif. Désignons par È.p(t) les fonetions défi- —.(Cd 6 nies de la facon suivante è partir de la dérivée d'ordre p de la fonction 4(t): — 00 — 485 — \ s(1) quand |:P(A)|= 2 Gas.) quand <9({) > —_ n quand s9({) <— n. 0) ©) Si la fonctionnelle U)[s(4)]] est definie pour toutes les fonctions s(t) — 00 — 00 admettant des dérivées continues jusqu'à l’ordre p, on démontre qu'elle admet la représentation È 0) U|[:()]] = lim $Kno + — 00 eso ra CO ‘0 +> |, |, K, [vm —0,..,t5— 0540) ,4(0),...,507(0)] X Si 0n n ——- X Cnp(t1) se. (Co) dr; 000 dts O 0 la convergence étant uniforme dans tout ensemble -C, de fonetions s(t). — 00 K,,o est une constante; K, une fonction continue par rapport à l'ensemble de ses s+p variables. ”- 0) Dans le cas où l'on ne considère que des fonetions s(t) dont la dérivée op) d’ordre p est au plus égale, en valeur absolue, à un nombre positif M., on peut simplifier l’expression précédente en écrivant #(7) au lieu de &,,p(7) . 9. Cas de convergence uniforme. — Reprenons le cas d'une fonctionnelle continue d’ordre 0 satisfaisant è la condition du cycle fermé. Supposons, de plus, que les actions 2(7) ne puissent dépasser, en valeur absolue, un certain nombre positif M. Alors 0 2 U|[l(0]= I Eno + lim — 00 n> 20 + DI ; Jo Ad dl 9 cooler —9) n> 0 ( Tan (1) Ù) - +5 ( cha fi Ko 0). 7, Mei da, s=1 n n , La convergence de la représentation (3) n'est généralement pas uniforme 6 dans tout le domaine D des fonctions continues |s(y)| <= M. — 00 Elle l’est en méme temps que celle de la représentation (2). Or j'ai étudié ce dernier problème dans ma Note du 1° mars (page 313), dans le cas où l’intervalle de variation de £ est (— 00, 00). On passe sans difficulté au — 486 — cas où cet intervalle est (— co , 0). Finalement, on obtient le théorème suivant: 0 TngoreMmE. — Soît U|[e(t)]| une fonctionnelle satisfaisant à la con- — 00 dition du cycle fermé, définie dans le domaine D des fonctions continues O) telles que |z(t)| = M. Pour qu'elle admette une représentation (3), la con- — 00 vergence étant uniforme dans D, il faut et il suffit qu'étant donné s: 1°) on puisse déterminer 1 et n positifs tels que, si l'on a, dans l’intervalle (9 —1,0), |s:(1) — e(0)|(t) ont la méme valeur moyenne dans chacun des intervalles partiels (0—2,06—-13);..3(0— 1,09), on aît () () DIC: I] — UO] [IR]: (A + B)emo:. Dunque: il numero positivo (5) p=|R|: (A+ B)mm è minore dei moduli delle differenze tra le radici delle due equazioni (1) (2), prive di radici comuni. 2. Supponiamo, in particolare, che la (2) sia l'equazione derivata della (1): (6) g(a)= f'(2) =nag8 + (n_—-1)a 8 +-- + an1=0. Allora m=x— 1, R si riduce al discriminante D della (1), e come nu- mero B, non minore dei moduli delle radici di (7), si può assumere lo stesso A ('); dunque: 7/ numero posttivo (7) y =|D|:(2A)roDa è minore dei moduli delle differenze tra le radici di una equazione (1), priva di radici multiple, e le radici dell'equazione derivata (6). 8. Ciò vale, in particolare, quando si suppongono reali i coefficienti della (1). Allora vale pure il teorema di Rolle: « tra due radici reali con- secutive a e 8 (a < #8) della (1) cade un numero dispari di radici dell’equa- zione derivata ». Ora, per quanto precede, noi possiamo aggiungere che: queste radici cadono tutte nell'intervallo più piccolo (a -+-v,f —v), ove v è il numero (7) (*). (') Poichè A, essendo non minore dei numeri (4), non è neppure minore dei numeri n_- 2 n n_- 1 n da As Ao do +1, apo 1 FE Ani Ao e quindi non è minore dei moduli delle radici della (a). (8) Un teorema analogo, enunciato da Laguerre e dimostrato dal Cesàro (Nouvelles Annales de math., 3*me série, tom. IV, pag. 328), dà per » il valore È = 2 . Però esso sup- pone che le radici dell'equazione siano tutte reali. RenpiIconTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 64 — 488 — Ne segue subito che: 22 numero (8) A=2v =2|D|: (ZANTE è minore dei moduli delle differenze tra le radici reali della (1) (2). 4. Ritornando al teorema generale del $ 1, applichiamolo supponendo che l'equazione (2) sia di primo grado, gle)=a4z—a=0, con la radice @ reale o complessa. Allora, per la (4), si ha |R|= MERI BCE inoltre si può assumere B=|a|. Otteniamo così il teorema: se a è un numero qualunque (reale 0 complesso) non radice dell'equazione (1), il numero positivo 9) (2) =If(@]: al (A +e) é minore dei moduli delle differenze tra il numero « e le radici xi(i=1, nio) CAN (Db 5. Questa proprietà della funzione u(@), suggerisce un nuovo metodo di approssimazione delle radici di una equazione algebrica. Per maggior chiarezza, lo esporremo sotto forma geometrica. Incominciamo con l'osservare che nel piano rappresentativo della varia- bile complessa 2, i punti x; (£=1,2,...,), immagini delle radici della (1), saranno tutti contenuti nell'interno del cerchio 7' che ha per centro il punto (origine) 6= 0, e per raggio A. Osserviamo inoltre che: è punti x; sono tutti esterni rispetto ad ogni cerchio Cr che abbia per centro un punto qualsiasi a,, non radice di (1), e per raggio u(a,). Ciò non è che l'interpretazione geometrica del teorema del $ 4. Or prendiamo entro 1°, o sulla sua periferia, un punto @, e descriviamo il corrispondente cerchio C,: esso staccherà da I' una regione T,, tale che nel suo interno e sulla sua periferia non cadranno punti x;. Sia Ti la rimanente parte di 7 (nella quale cadranno i punti x;). Preso in 7, o sul (') La conoscenza di un tal numero è utile nell'operazione della separazione delle radici reali della (1) col noto metodo di Waring-Lagrange. Allo stesso scopo Cauchy dette il numero analogo nn=1) 4 2 VIA): (2A) ove 4 indica pure il discriminante di (1), come D nella (8); però 4 differisce in gene- rale da D per un fattore, potenza di do. — 489 — contorno (e precisamente sulla parte di contorno interna a T') un punto 03, descriviamo il corrispondente cerchio C,: questo staccherà eventualmente (') da Ti una parte che, aggregata a TY), determinerà una regione più ampia T. che, come TY, non conterrà punti x;. Sia 7 la rimanente regione di 1” (nella quale cadranno tutti i punti x;). Preso dentro 7; o sul contorno un punto @3, descriviamo il corrispondente cerchio C3: esso staccherà eventual- mente da 7; una parte che, aggregata a T., determinerà una regione 73, più ampia di 7, e che, come questa, non conterrà punti x,. E così via, con procedimento analogo a quello che si segue nella prosecuzione analitica delle funzioni di variabile complessa. Si ha così una successione di regioni (tutte d'un sol pezzo) T1,T2,T3,..., ciascuna contenente la precedente e tali che in esse (contorno incluso) mai cadono punti x;. Crescendo r, la regione T, andrà estendendosi nel cerchio T' e (insi- nuandosi fra gli n punti x;) tenderà a ricoprire tutto il cerchio T', ad eccezione dei punti x;, ì quali così finiranno per essere separati ed appros- simati di quanto si vuole. Ciò è quasi intuitivo; ma può dimostrarsi rigorosamente. A tal fine basterà dimostrare che: dato ad arbitrio in T' (contorno incluso) un punto 8, che non sia un punto x;, esso è sempre raggiungibile con la costruzione precedente. Infatti, si congiunga il punto # col punto @, (punto iniziale della co- struzione precedente) mediante una linea s tutta contenuta in I e non passante per alcun punto x;; poi si costruiscano, successivamente: la cir- conferenza C, corrispondente al punto @,; la circonferenza C, corrispondente al punto «, ove C, incontra l'arco @, 8 di s, la circonferenza C3 corrispon- dente al punto @3 ove C, incontra l'arco @,f di s, ecc. Dico che, così pro- cedendo, si finirà per incontrare un cerchio C, contenente 8 nel suo interno o sulla sua periferia. Infatti i punti @,, @,,@3,... sono evidentemente legati da una rela- zione ricorrente, del tipo (10) C+ = @, + u(2,) e SAR ove i=|—-1, e 1, 2,... sono numeri reali. Se con la costruzione pre- cedente non sì finisse per incontrare il detto cerchio C,, la costruzione stessa si potrebbe continuare indefinitamente, ottenendo, su s, infiniti punti &,, 9,3... susseguentisi (in questo ordine) sulla linea s nell’arco finito a, . Questi punti ammetterebbero perciò un punto limite / (giacente su 3); e, per la (10), si avrebbe lim i) A Mu i=0 r=% (*) Ciò accadrà certamente se @, si è preso sul contorno di 7. — 490 — Ma e" è sempre finito e diverso da zero; dunque lim u(a,)= 0, ossia, per la (9), I/(&r)| VAO) e i Tala tr 0 reso [ao] (A + |) cioè /(2)= 0. Dunque / coinciderebbe con un punto ;, e quindi la curva s passerebbe per un punto x;, contro l'ipotesi fatta. 6. La funzione u(@) può anche essere adoperata per approssimare le radici realé di un'equazione (1). Infatti, dato un numero reale @,, non radice della (1), si costruiscano le due successioni di numeri reali : (11) xo3%, 3%2 , ... OVE C+, = + u(&,) (2=0,1,2,.) e (12) @a,0_,,@,.. ove ar=0e,—u(o,) (=0,—1,—-2,...). Essendo la funzione u(@) sempre positiva, per « non radice di (1), la prima successione è crescente, e la seconda è decrescente, e però en/rambe tendono a limiti finiti 0 infiniti, che diremo rispettivamente L ed /. Supponiamo che L sia finito. Allora, ragionando sulla relazione ricor- rente (11) come poc'anzi abbiamo fatto sulla (10), si riconosce che L è radice di (1). E siccome, per la proprietà della funzione u(e) ($ 4), nes- suna radice di (1) può cadere negli intervalli (a,,@,), (@,,@:),(@2,@3),..} se ne deduce che L è la più piccola radice di (1) maggiore di @,. Se ne deduce, inoltre, che, se L= + co, non vi è alcuna radice di (1) maggiore di 20. Analogamente si vede che: se / è finito, { è radice di (1), ed è la più grande radice che sia minore di @; se Z/= — co, non esistono radici di (1) minori di 0). Dunque, mediante le successioni (11) e (12), possiamo approssimarci alla radice immediatamente superiore ed alla radice immediatamente infe- riore ad un numero reale dato, &;. — 491 — Fisica. — Za compressibilità del cloruro di metile. Nota di E. BoDAREU, presentata dal Corrisp. A. BATTELLI ('). Nel corso delle esperienze sulla costante dielettrica. dei gas compressi si mostrò necessario conoscere la variazione della densità del cloruro di metile in funzione della pressione, ovvero la dipendenza del prodotto della pressione per il volume dalla pressione stessa. Giacchè questa relazione fra le grandezze citate non si è trovata nella letteratura rispettiva, ho eseguito le misure relative per mezzo d'un appa- recchio costruito nel modo seguente: Una canna di vetro a grosse pareti ben graduata M è !saldata nella parte superiore ad un tubo capillare ripiegato (vedi la figura) che alla sua volta è in comunicazione con un rubinetto di vetro R a tenuta di mercurio. La parte inferiore è invece saldata ad un’altra canna N, lunga circa 4 metri, che funziona come un ramo di manometro. Il volume compreso fra i singoli tratti della canna M fino al punto del tubo capillare fu misurato con grandissima cura pensando con un'ottima bilancia di Nemetz il mercurio che occupava lo spazio tra i singoli tratti. Il gas è stato fornito in bombole d'acciaio dalla Ditta Kahlbaum di Berlino colla garanzia di estrema purezza. Le misure si eseguivano nel modo seguente: Si cominciava a fare per mezzo di pompa di Gaede una grande rare- fazione tanto nella canna graduata quanto nei tubi che ad essa comunicano attraverso il rubinetto R; poi aprendo il rubinetto della bombola si faceva entrare il gas. Ripetendo più volte la stessa operazione, si poteva essere sicuri d'avere scacciata completamente l’aria dalla canna M e d’averla sosti- tuita col gas puro. Dopo si alzava adagio adagio l’imbuto T contenente il mercurio, finchè quest'ultimo non era salito, attraverso il rubinetto, nel tubo capillare fino al punto F; e finalmente si chiudeva il rubinetto R. La pressione del gas così rinchiuso dentro la canna graduata si poteva variare a piacere aggiungendo del mercurio nel tubo N dal disopra, oppure togliendone dall’apparecchio per mezzo d'un altro rubinetto messo in basso come si vede nella figura. La tenuta dei due rubinetti era perfetta. La differenza di altezza delle due colonne di mercurio si leggeva per mezzo d’un cannocchiale fornito di una livella, sopra una scala verticale di (') Lavoro eseguito nell'Istituto fisico della R. Università di Pisa, diretto dal pro- fessore A. Battelli. — 492 — rame ottimamente graduata in millimetri, messa accanto all’apparecchio. Lo stesso cannocchiale permetteva quindi di leggere esattamente la posizione del menisco di mercurio dentro la canna guaduata. % / alla tombola La pressione barometrica era data da un Fortin. Nella tabella che segue sono riportati i valori del prodotto pv alle pressioni corrispondenti (con p indicando la pressione e con v il volume del gas racchiuso). TABELLA I. Temperatura 16°.8 C. Pressione in pv millimetri 760 1.0000 1200 0.9796 1650 0.9648 2100 0.9533 2800 0.9335 — 499 — La seconda tabella mostra la variazione della densità del CH;Cl in funzione della pressione (presa come unità quella del gas stesso a 760 mm. di pressione e a 16°.8 C.). TABELLA II. ————————————————mT————mcct————@ Pressione in Densità millimetri 760 1.000 1200 1.679 1650 2.250 2100 2.898 2800 3.946 Riguardo all’approssimazione con cui si è ottenuto il valore del pro- dotto pv, osserviamo che i volumi dei singoli tratti della canna M furono determinati con un errore relativo minore di '/,;coo- Essendo poi l'errore relativo nella misura di p molto inferiore a quello di v, si può dire che i valori del prodotto pv sono affetti da un errore che non supera 6 unità del 4° ordine decimale. Fisica. — Sulla misura assoluta dell'effetto Peltier fra me- talli ed elettroliti. Nota di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. Sebbene l’effetto Peltier fra metalli ed elettroliti sia un fenomeno di cui una completa teoria dell'elettrolisi dovrebbe render conto in ogni caso, e sebbene perciò sia anzitutto necessaria la conoscenza della sua intensità, cioè della quantità di calore prodottasi o scomparsa (indipendentemente dall’effetto Joule) quando l’unità d’elettricità passa da un metallo ad un elettrolito o viceversa, ben poche determinazioni dirette ed in misura assoluta si hanno di questa quantità. Le determinazioni di Bouty e quelle di Gill dànno valori relativi e, se si considerano le importanti cause d'errore, si può anche dubitare che sia rigorosa la proporzionalità fra essi ed i valori assoluti. Le determinazioni basate sull'uso della formula di Hehlmotz V=T 4dV/4dT sono indirette e dovrebbero esser confermate, da un confronto con misure dirette, perchè la formula cesserebbe d'essere applicabile quando la condizione di riversibilità, che essa suppone, per una qualsiasi causa non si verificasse. Avendo in alcune Note precedenti supposto e poi creduto di dimostrare, con un ragionamento teorico, che la differenza di potenziale V fra metallo ed eletttolito soddisfa alla relazione V = (C — c)/e che vale certamente per — 494 — le coppie voltaiche complete, volli determinare c calore locale o effetto Peltier, per lo zinco a contatto d'una soluzione di ioduro la quale presenta all’ incirca la stessa differenza di potenziale V come lo zinco a contatto della soluzione di solfato, mentre il calore di formazione C è, pei due sali, molto diverso. Il metodo che ho seguìto in queste determinazioni, è quello solito, usato da Jahn: cioè ho fatto passare una stessa corrente per uno stesso tempo, dal metallo alla soluzione e viceversa, ed ho misurato in ciascun caso, e colle debite correzioni, le quantità di calore prodotte presso uno stesso elettrodo. Facendo la differenza di queste quantità di calore, l’effetto Joule, che è lo stesso nei due casi, viene eliminato, e l’effetto Peltier, che ha cambiato segno, rimane raddoppiato. Speciali precauzioni sono necessarie, come ha indicato Jahn, per evitare che le differenze di densità prodotte dalle differenze di temperatura e da quelle (causate dall’elettrolisi) di concentrazione, producano per convezione un au- mento o diminuzione erronee delle quantità di calore che si misurano. Non ho potuto usare l'apparecchio di Jahn, anzitutto perchè, quando ho eseguito le esperienze non avevo e non potevo facilmente costruire lo speciale calorimetro di Bunsen occorrente; inoltre perchè questo richiede molto tempo per ogni esperienza, e specialmente per la preparazione dell’apparecchio, e per di più, quindi, moltissimo tempo avrebbe richiesto lo studio dell'apparecchio. Fu dunque necessario e mi parve anche utile di far uso di un apparecchio più facile a costruire in breve tempo ed altresì di uso più facile e più spedito, e che da quello di Jahn differisce solo perchè le misure calorimetriche sono tte col metodo detto delle mescolanze, ossia per riscaldamento della solu- zicne, invece che col metodo di Bunsen. Questo apparecchio era composto di due bicchierini adiacenti, di vetro sottile, che contenevano ciascuno: 1°) uno stesso peso noto della soluzione; 2°) un elettrodo di zinco, uguale ed ugualmente disposto in entrambi; 3°) un agitatore; 4°) il bulbo di un termometro diviso in decimi di grado. La co- municazione elettrica fra questi due bicchierini funzionanti da calorimetri era ottenuta mediante un vaso rettangolare di vetro, basso, aperto superiormente, nel cui fondo erano stati fatti due fori, meno larghi dei bicchierini e cogli orli interni distanti circa 1 cm., nei quali fori erano stati masticiati due larghi e corti tubi di vetro, sporgenti all’esterno, cioè inferiormente, ed ivi chiusi da fondi di carta pergamena. Ottenevo facilmente una perfetta tenuta di questi fondi, spalmandone di grasso, prima di adattarli, la superficie interna dell’orlo, dimodochè, dopo adattati sulle superfici cilindriche dei tubi suddetti, le pieghe, che si erano necessariamente formate, rimanevano ripiene di grasso che veniva compresso ed immobilizzato dalla legatura, a molte spire, di spago. Questo vaso conteneva una conveniente quantità di soluzione (circa 1 cm. sul fondo) e veniva collocato sopra i due bicchierini in modo che nella so- — 495 — luzione di ciascuno di questi pescasse o affiorasse il fondo di carta pergamena di uno dei tubi suddetti. Nell’interno di ciascuno di questi si trovava inoltre un agitatore ed il bulbo di un termometro le cui indicazioni potevano esser utili per il calcolo delle quantità di calore ricevute o perdute dai bicchierini sottostanti. Per bene agitare la soluzione, condizione essenziale per queste deter- minazioni calorimetriche, usai prima i soliti agitatori ad anello, in numero di quattro, uno per ciascun calorimetro e per ciascuno dei tubi in essi pe- scanti; ma era difficile di ben regolare l'andamento di questi minuscoli agi- tatori, ed avveniva spesso che qualcuno di essi, andando ad urtare contro il termometro o contro le pareti, sì fermasse o funzionasse male ed impedisse anche il regolare andamento degli altri. Ricorsi allora ad una disposizione che ho proposto alcuni janni fà per agitare un liquido contenuto in recipienti ermeticamente chiusi, come p. es. nei termocalorimetri e nei dilatometri. Fissai cioè, normalmente, sulle pareti interne dei suddetti bicchierini e tubi, mediante ceralacca, alcune palette di mica, inclinate di 45° sulla verticale; inoltre, negli orli degli elettrodi cilin- drici o circolari di lamina di zinco praticai colle forbici alcuni tagli parziali, longitudinali o radiali, e colle pinzette ripiegai di 45° uno dei labbri di ciascun taglio, sempre dalla stessa parte, in modo che formasse una paletta inclinata. Inoltre, tutto l'apparecchio veniva fissato sopra uno dei soliti sostegni a tavolino, formati da un disco orizzontale portato da un’asta verticale che può ruotare (ed anche esser sollevata e fissata a varie altezze) entro un tubo portato da tre piedi. Attorno al disco avevo fissato inoltre una striscia di cartone formante un largo orlo verticale; e fissando ed avvolgendo su questo una funicella, tirando uno dei capi ed allentando l’altro a modo di redini, potevo far girare il disco e l'apparecchio in un senso o nell'altro. Se, quando l'apparecchio è completamente immobile, lo si incomincia a far girare, le palette inclinate urtano sul liquido tuttora immobile, ed in parte lo spingono in giro e verticalmente; se si ferma l'apparecchio dopo che ha fatto, mettiamo, un giro, il liquido ancora in moto va ad urtare contro le palette immobili e viene di nuovo parzialmente deviato; se quindi si fa ruotare l'apparecchio in senso inverso, le palette urtano contro il liquido avente un senso di rotazione inversa, e ancora in parte lo deviano. Si può dunque rimescolare il liquido, sia facendo ruotare l'apparecchio in sensi opposti, sia facendolo ruotare sempre nello stesso senso (ciò che richiederebbe una fune continua) con fermate ad intervalli regolari (!). (*) Credo che questo modo di agitare un liquido possa riuscire utile in alcuni casi, in sostituzione dell’agitatore ad anello, p. es. nella determinazione del calore specifico dei solidi col metodo delle mescolanze, perchè spesso avviene che il solido caldo, gettato nel calorimetro, imbarazza o anche impedisce del tutto il moto dell’anello. RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 65 — 496 — Ho calcolato nel modo solito le quantità di calore guadagnate da ciascun calorimetro durante il passaggio della corrente, cioè ho moltiplicato l’equi- valente in acqua del calorimetro, non tenendo conto del tubo che vi pescava, per l'aumento di temperatura che esso ha subìto dall’ istante della chiusura del circuito sino a due minuti dopo l'apertura; con ripetute prove mi sono assicurato che questi due minuti erano sufficienti perchè il calore generato dalla corrente si ripartisse uniformemente in tutto il calorimetro. A queste quantità di calore bisogna aggiungere quelle che ciascun ca- lorimetro ha ceduto all'ambiente ed al tubo che vi pescava, o bisogna de- durle se il calorimetro le ha ricevute. Ho operato perciò nel modo solito, cioè osservavo l'andamento dei 4 termometri per 10 minuti prima della chiusura del circuito, poi di 5 in 5 minuti durante il passaggio della corrente e poi per altri 10 o 20 minuti dopo l'interruzione della corrente. Con questi dati sarebbe teoricamente possibile un calcolo molto esatto delle quantità di calore ricevute o perdute da ciascun calorimetro; nel fatto, siccome l'andamento dei termometri prima e dopo del passaggio della cor- rente non era molto regolare (forse per una causa a cui accennerò in seguito), e non potevo basarvi un calcolo rigoroso, mi contentai di supporre che, nella prima metà della durata della corrente aumentata di due minuti, per effetto dell'ambiente e del vaso di comunicazione persistesse la variazione di temperatura per minuto osservata prima della chiusura del circuito, e nella metà successiva si producesse la variazione media osservata a partire dai due minuti dopo l'interruzione della corrente. Se con C,, Cs s'indicano le quantità di calore, corrette, prodotte dalla corrente in ciascun calorimetro, e con J, ed J: i rispettivi calori Joule e con P,—P i calori Peltier, si avrà: Anche nei soliti bagni a doppia parete, nei quali gli anelli spesso scorrono imper- fettamente, raschiando le pareti e producendo uno stridore sgradevole, si potrebbero agli anelli sostituire striscie d’ottone ad elica, continue 0, meglio, profondamente dentate, sal- date sopra una o entrambe le pareti dell’intercapedine e su quella del recipiente interno, e produrre l’agitazione molto più regolarmente nel modo indicato. Affinchè una striscia piana, non troppo larga, possa essere adattata e saldata sopra una superficie cilindrica, normalmente ad essa ed a 45° coll’asse, è necessario che questa striscia sia tagliata da una lamina piana con un raggio doppio di quello della superficie stessa. (Difatti, se in un punto della superficie cilindrica passano due eliche a = 45° colla generatrice, e sia % il loro raggio di curvatura, e si fanno inoltre due sezioni normali, una secondo la gene- ratrice di raggio infinito, l’altra ad angolo retto e di raggio r, sarà, pel teorema d’Eulero, 1/x4+1/2=1/r). È però chiaro che il suddetto modo d’agitare un liquido non potrà essere usato se l'apparecchio è connesso rigidamente con apparecchi o con oggetti immobili. 497 — Ripetendo l’esperienza colla corrente invertita, supponendo che la sua intensità col reostato o col calcolo sia ridotta la stessa, e che sia la stessa pure la sua durata, se indichiamo con Ci, C, le quantità di calore ora otte- nute (avvertendo che ogni indice indica i valori d'uno stesso calorimetro) ed Ji, Jz i corrispondenti calori Joule, si avrà Ci=Ji—P_, Co=J;+P, quindi P=(0,—C))/2=(0:— 0,)/2. Se i due calorimetri fossero in tutto identici, cosicchè il calore Joule fosse lo stesso in entrambi, basterebbe far passare la corrente in un solo senso, poichè si avrebbe: In questo ragionamento s'è supposto che nei due elettrodi il calore Peltier o locale abbia bensì segno diverso, ma lo stesso valore assoluto. Per assicurarsi che ciò sia esatto, gioverebbe usare un apparecchio più semplice, composto d'un solo calorimetro con due elettrodi molto vicini. Per effetto del passaggio d'una corrente, si avrà C=J- Pi — Pa: e, dedotto J dalla resistenza e dalla intensità della corrente, si potrà ricavare P, — P... Ho eseguito, ricercando le condizioni migliori, cercando di evitare le cause d'errore, molte determinazioni. Ho usato prima recipienti di lamina sottile d'ottone, ricoperti da uno spesso strato di vernice, perchè era facile di costruirli della forma e delle dimensioni volute: ma la vernice presto si screpolava o era intaccata, e fra l’ottone ed il liquido si producevano azioni chimiche con evidente deposito (o isolamento) di rame e con irregolaris- sima produzione di calore; ho usato anche calorimetri di lamina di zinco e poi finalmente di vetro, contenenti 100 oppure 50 cm.* di soluzione. Ho eseguito anzitutto, come prova del metodo, molte determinazioni con una soluzione di solfato di zinco puro contenente 143,5 di sale cristallizzato con 7 molecole d'acqua e {178,5 gr. d'acqua (ossia 25 °/ di sale anidro), la cui densità, misurata col densimetro, risultò, a 219,5, uguale ad 1,296. Ciascuno dei due bicchierini di vetro sottile (da cui era stato tagliato l'orlo) pesava 16 gr.; ciascun elettrodo di lamina di zinco amalgamato pe- sava 8 gr.; il volume della soluzione era di 49 cm.8: quindi il peso 65 gr., e l'equivalente in acqua complessivo era circa 50 gr. Nella seguente tabella trovasi in cima la temperatura iniziale del- l'ambiente e l'indicazione degli elettrodi a cui le temperature sottostanti si riferiscono; nella 1® colonna trovasi l’ora dell’osservazione dei termometri, nelle successive le temperature indicate dai termometri, a partire dalla tem- peratura iniziale suddetta, nell'ordine in cui sì trovavano nell’apparecchio, — 498 — cioè la temperatura 1° in un calorimetro, 2° nel tubo che vi pesca, 3° nel- l’altro tubo, 4° nell'altro calorimetro; nell'ultima colonna trovansi le inten- sità della corrente in Ampère dall’istante della chiusura a quello dell’aper- tura del circuito. l'EMPERATURA AMBIENTE 229,70. Catodo Anodo Ampères | m o | XI 12 — 0,04 0,0 0,0 — 0,10 — 20 0,00 0,0 0,0 + 0,07 0.139 25 + 0,11 0,40 0,40 0,15 0,139 30 0,30 0,65 0,70 0,38 0,138 35 0,47 0,95 | 0,92 0,60 0,136 37 0,52 0.87 0,90 0,63 — 39 0,55 0,80 0,82 0,63 = 41 0,57 0,74 | 0,80 0,64 — 47 0,59 0,67 0,70 0,64 — Anodo Catodo 50 0,61 0,63 0,67 0,63 | 0,141 60 0,78 0,90 0,98 0,70 0,140 ATO 0,99 1,20 1,20 0,85 0,140 5 1,20 1,40 1,44 1,00 0,140 7 1,22 1,40 1,42 1,02 Lo 9 1,22 1,30 1,33 1,03 — 11 1,22 1,25 1.30 1,05 — 15 1,19 Tdi 1,20 1.06 i 20 1,15 1,02 | 1,07 1,02 — I riscaldamenti direttamente osservati nei calorimetri catodico ed anodico sono stati rispettivamente di 0°,52 e 0°,70 nella 1* determinazione, e di 0°,61 e 0°,39 nella 24: dimodochè le differenze dei riscaldamenti sono 0°,13 e 0°,22. L'andamento delle temperature dopo interrotta la corrente, non è stato molto regolare, dimodochè la correzione risulta diversa secondo che si fa in base alle variazioni prodottesi in due oppure in quattro ecc. minuti. A se- conda del modo come si fa la correzione, la differenza dei riscaldamenti risultò di 09,33; 0°,286; 09,25; 09,255; nella 1* determinazione; e di 0°,23 09,255; 09,35; 0°,23 nella seconda. Ho preso come valore più probabile il valor medio 0,26: quindi la differenza della quantità di calore prodotta nei due calorimetri, ossia il doppio del calore Peltier, è di 13 calorie; e poichè la corrente d’intensità media 0,14 ha durato 900 secondi, si ha che la quantità di calore prodotta nel passaggio di 1 Coulomb dallo zinco alla solu- zione, ed assorbita nel passaggio inverso, risulta di 52 milligrammi-calorie. Altre determinazioni eseguite in condizioni svariate, comprendendo anche quelle meno ben riuscite, hanno dato i seguenti valori: 46,1; 60; 55,4; 41,3; 48,5; 58,4; 40,0; 35,5; 51,0; 46,0; la cui media è di 48,9 milligrammi calorie, valore poco diverso da quello trovato da Jahn. — 499 — Con una soluzione di ioduro di zinco, contenente 52 grammi di sale in 202,5 gr. d'acqua, avente la densità di 1,20 a 20°, ho ottenuto i seguenti valori: 37; 46,5; 46; 38; 39,4; 45,5; 45,2; 41: cioè, in media, 42 milli- grammi calorie per Coulomb. La differenza fra questo valore e quello trovato per la soluzione è molto piccola; non appare dunque che vi sia una relazione generale fra il calore Peltier e quello di formazione del sale, nè fra questo e la differenza di po- tenziale fra metallo e soluzione. Come appare dai numeri sopra riferiti, i singoli valori del calore Peltier, tanto per una quanto per l’altra soluzione, non sono molto concordi, nonostante le molte prove fatte e le molte cure usate. Questo disaccordo potrebbe forse esser dovuto a ciò: che lo zinco elettrolitico deposto e gli elettrodi di zinco del commercio formavano una debole coppia voltaica la cui azione è difficile valutare ed era diversa nelle varie determinazioni. Prevedendo la possibile esistenza d'una tale causa d'errore, ho cercato rimediarvi amalgamando for- temente lo zinco, supponendo che lo zinco deposto per elettrolisi si sciogliesse nel mercurio o si amalgamasse: lo che invece non avveniva. Converrebbe quindi usare elettrodi di zinco puro. Un'altra causa d'errore si ha negli scambî di calore fra i calorimetri ed i vasi di comunicazione, di cui non fu possibile di tenere un conto esatto. È forse possibile di evitare o almeno diminuire gli errori che ne risultano, aumentando la profondità della soluzione nel calorimetro anodico, ove si produce maggiore quantità di calore, diminuendola in quello catodico e re- golando anche la quantità di liquido contenuto nel vaso di comunicazione in modo che gli aumenti di temperatura nei tre recipienti siano gli stessi, e quindi gli scambi di calore siano nulli o molto piccoli. È però chiaro che non si dovrebbe invertire la corrente, perchè il calorimetro con poco liquido, divenuto anodico, si riscalderebbe molto di più, quello con molto liquido si riscalderebbe molto di meno del vaso di comunicazione. Per ricavare il calore Peltier, si dovrebbe dunque aver cura che le resistenze dei due calorimetri, nonostante la diversa quantità di soluzione, fossero le stesse, e fossero quindi uguali i calori Joule, dimodochè fosse possibile far uso della suddetta formula P=(C,— C-)/2 ottenibile senza invertir la corrente = Climatologia. — Za distribuzione stagionale e annuale della nebulosità in Italia. Nota di FiLiPPo EREDIA, presentata dal Socio K. MILLOSEVICH. Diversi studiosi, parlando della distribuzione della nebulosità in Europa, hanno quasi incidentalmente accennato al comportamento del fenomeno in Italia. E così Teisserenc de Bort (!) prese in esame le osservazioni raccolte in 21 città italiane dal 1870 al 1882; Elfert (*) esaminò i dati ottenuti in alcune città dell'Italia settentrionale e centrale dal 1864 al 1885. Si deve a Friedemann (*) uno studio più completo e più dettagliato sulla distribu- zione della nebulosità in Italia, e difatti egli prese in esame le osserva- zioni rilevate in 140 città; però mentre per alcune città l'A. esaminò le osservazioni raccolte nel periodo 1879-1906, per altre considerò il periodo 1892-1896, e per altre le osservazioni estese fino al 1907. I valori così ottenuti hanno permesso di indicare, in un modo più completo di quello che non sia stato fatto fin'oggi, la distribuzione della nebulosità per mesi e per anno; ma siamo lontani dal considerare esaurito l'argomento, inquantochè i periodi presi in esame sono diversi e, come giustamente notò l’A., non si poterono ridurre ad una medesima epoca. E tanto più che gli eminenti stu- diosi Cantoni (‘), De Marchi (5) e Roster (°) occupatisi in modo particolare del clima dell'Italia, si limitarono a dare cenni sommarii. Qualche anno prima che venisse alla luce lo studio del Friedemann, la Sezione climatolo- gica del R. Ufficio centrale di meteorologia in Roma aveva iniziato un esame delle numerose osservazioni nefoscopiche raccolte in Italia e in una Memoria, che presto sarà pubblicata negli Annali di meteorologia, sarà dato ampio e minuto conto del materiale di osservazioni finora raccolto; ed è sembrato più adatto, per uno studio generale della nebulosità in Itatia, sottoporre ad esame un periodo di anni ugualmente esteso per le diverse località, e pre- cisamente il periodo 1891-1910. (1) Teisserenc de Bort., Distribution de la nebulosité à la surface du globe. An- nales du Bureau central méteorologique de France, vol. IV, 1884. (3) Elfert P., Die Bewòlkung in Maitteleuropa mit Einschluss der Karpotenlànder. Petermanns Mitteilungen, 36 Band., 136-145, 1890. (*) Friedemann I., Bewòlkung und Sonnenschein des Mittelmeergebietes. Archiv. der deutschen Seewarte, XXXV: Jarhgang, 1913. (5) Cantoni P., Zl clima d’Italia, estratto dal giornale: L'Italia agricola, Milano, 1881. (°) De Marchi L., /l clima d’Italia. La terra di G. Marinelli, vol. IV. (5) Roster G., Climatologia dell’ Italia. Torino, 1909. — 501 — In riguardo alla distribuzione della nebulosità per stagioni, il Friede- mann non se ne occupa, e nei varii trattati di climatologia si trovano notizie limitate. De Marchi nota come la nebulosità settentrionale varii in in- verno da 50 a 60°/, nell'estate da 30 a 40°/,, e nell'Italia meridionale da 20 a 30°/,. Parlando delle particolarità climatiche delle singole regioni, nota come in Lombardia, mentre al piano la stagione più serena è l’estate e la più nuvolosa l'inverno, nella regione dei laghi è invece sereno anche l'inverno e nuvoloso l’autunno. Roster dice che la stagione più nuvolosa è l'inverno, e la maggiore serenità si verifica nell'estate. Egli aggiunge che a questa regola generale fa eccezione però la regione subalpina, dove la pri- mavera è più nuvolosa dell’inverno. Nella regione alpina e nella valle del Po si notano, durante l’anno, due massimi e due minimi: i due massimi nelle stagioni medie, primavera e autunno; i due minimi nell’estate e nell’ inverno, col minimo dei minimi in estate. Il Roster nota ancora come la distribuzione stagionale della nebulosità si comporti in modo diverso nei luoghi continen- tali e nei luoghi marittimi; così, mentre a Udine la nebulosità risulta presso a poco distribuita nella medesima misura nelle quattro stagioni, a Palermo grande è la difterenza fra l’estate e l'inverno, e piccola fra le stagioni medie. Con la presente Nota ci proponiamo di rendere più particolareggiata la distribuzione stagionale di un sì interessante elemento climatico; e a tale intento diamo conto dei valori spettanti ai quattro aggruppamenti stagionali ( D+ G+F M4A+M GH4L+A S+0+N sp e e ant) 3 3 3 3 utilizzando i valori mensili dati nel su accennato studio (in corso di stampa) per 132 città. L’unita tabella contiene tali elementi per le diverse città disposte per latitudine decrescente. DISTRIBUZIONE DELLA MEDIA ANNUA } DISTRIBUZIONE DELL’AMPLITUDINE DELLA NEBULOSITÀ. ANNUA. 5 er Fu 35-%0 4 Î 14) i (FEED) 19-20% si Ego Gini nni IE 21-25%, fan ESE «5-50 IS BRR 1150 R Gu a dg Ancono A YP 25 fi ‘> Ren n° Napoli Trop È Palerm Catania (S CHILOMETRI > 100. 200 Sr, Fic. l. — 502 — Nebulosità a seconda delle stagioni meteorologiche s Fa Gi a cintà |g/Zla|fl = cimrà |g|É|e|f| convà |g|ile|fl comrà |8 SME 2 |E|S|5| S|EISIS 2|E|S/5 S\EISÌE £|L|A|SI 5|&|A|S £|£|R|S E[E|RAS | Auronzo 40|53|49|44| Piacenza 57/49 83 54| Scandicci 54/50(30|45' Benevento 66 58/31/51 Stelvio 41/5759 50) Moncalieri 43[51/42/54| Pisa 54/52 31/47] Caserta 48 47|22!39 Sondrio 36|47|33|45 Asti 45 44 35/50 Vallombrosa 56/58 39/52 Montevergine 68 56/32/53 Belluno 53/67 62:59) Alessandria 52/41|25'50| Urbino 62/56/34|57|| Avellino 6)|52/26|43 Domodossola 41|54/47|51| Ferrara 61|55'38 55| Ancona 73 61|42|63|| Napoli 50/47|22|39 Udine 53|61|48'51| Parma 60 55/38 57| Livorno 55 5485/49) Portici solar 23|42 Conegliano 45|52|40|43| Novi Ligure 52:4433:538| Castelnuovo G. [51/53 37/46 Torre del Greco |47'40|15/34 Varallo 38|54|47|51| Correggio 54'50 3343 Arcevia 60 52/32]55|| Ischia 53 47/23/40 Como 42|49,39 49| Bra 48/51|41/55| Iesi 61 51/34|54| Sassari 62 57|31|53 Valdobbia 42/62 ,61|53| Reggio Emilia |60:53|38 55) Arezzo 55/54 33|49) Potenza 69 62/36|55 Oderzo 50/55/4250) Modena 69/56/39 56) Siena 53 50/27/44 Caggiano 62:52|28|45 Bassano 42|48'37|43| Fossano 47|55|46 56| Massa Marittima'52 52:31|46'| Castellaneta 51|47|22/42 Bergamo 52|53|45'57| Bologna 55/4932 50] Macerata 58 50|32:51)| Deserto M. L. |56/53/27/45 Picco S. Bern. 39/51/4446] Genova 52(57|44/52| Fermo 68'62/33/58'| Pomarico 52|48/26|42 Treviso 56|58/44|52] Ravenna 58/44/24 48) Camerino 67 60:34|58| Lecce 57 43/21/45 Salò 45|51|38 43| Cuneo 39;50|42/52| Perugia 59 58/33 2a Montemurro 59 53/29/46 Biella 37|47/39/46/ Savona 42/46/33 42| Pienza 64 65/45/57) Gallipoli 54'44/19/41 Vicenza 50/50 37/48) Chiavari 48/49/33 45) Ascoli P. 53 4925/45 Cosenza 58'42/20|41 Brescia 51|51|37|51| Bargone 40/40/2638 Teramo 56 50/31|51|| Tirio!o 67/66|43|54 Novara 51|48'32|47| Sestola 51/55 Ss Viterbo 53 54/34/51] Cagliari 54|47|17|44 Spinea 54|56138/50|| Forlì 62/55/38 57| Chieti 52/46/3046) Pizzo 56|45'31/38 Milano 62|57|45'61]| Cesena 57|47|30|52| Aquila 58 55/33 50] Tropea 58/52/31|46 Desenzano 46/45|31|44| Spezia 45/47 Si Avezzano 47|45'24 41| Oppido M. 61|53|31|49 Verona 52|48'34|48| Alassio 39/42/27,37| Tivoli 52 54/28 40| Messina 62:50|25|47 Venezia 63160|48'59| Pistoia 56|57|37/52) Roma 56 54/28 43 Reggio Calabria |61|48'20/45 Padova 55/54/39 51|| Pesaro 62|51|30|54| Agnone 57|50|33|50]| Palermo 64/51|21/47 Vigevano 54/48 34/53 Pescia 54|57|34'50| Velletri 50|48/19 40) Trapani 70|57/22]|54 Pavia 62,54/40/60| Porto Maurizio |42|4t|32,42| Ceccano 56 56/29/49 Riposto 53/46/19|46 Mantova 52|39 25'45| Prato 57'57|36/50) M. Cassino DI 53/30 44| Catania 53/46|20|46 Mirandola 58/47:30|48| Lucca 55/56/34 51| Foggia 64'52/81|50)| Caltanissetta 58137/10|37 Cremona 62/55/41/58| Sant'Agata 5647 27|51| Roccamonfina |47|48/23 37|| Girgenti 60/49 21/47 Torino 48|51|43|54| Camaldoli os 45'63| Elena 53/49 21/42) Mineo 46137|14|35 Rovigo 66/57/45 58| Firenze 96|94 32 48 Bari 60|48}25 46 Siracusa 6l 53/25 58 Tenuto conto del valore raggiunto nelle diverse stagioni, notiamo come la stagione con maggiore nebulosità cada in inverno per le località della val Padana, del versante Adriatico, del medio e basso versante tirrenico e del versante Jonico. Nelle località dell’alto versante tirrenico e in quelle prossime alle Alpi invece la stagione con maggiore nebulosità è la prima- vera. Tale diverso comportamento rispetto alle regioni vicine, appare più distinto sul Veneto a causa dei molti luoghi di osservazioni disseminati nelle varie situazioni orografiche. Nelle località appenniniche poste in speciali condizioni orografiche — quali Vallombrosa, Viterbo, Montecassino, Agnone, Pienza, Tivoli — la maggiore nebulosità succede in primavera; cosicchè, tale spostamento dell’epoca del massimo di nebulosità dall’ inverno alla primavera — 503 — può interpretarsi con una maggiore facilità che offrono i rilievi alla conden- sazione del vapore d’acqua. Le località alpine quali Stelvio, Auronzo, Val- dobbia, Domodossola, hanno il massimo di nebulosità in estate, epoca in cui vengono a intensificarsi le correnti ascendenti sulla molto riscaldata val Pa- dana. Passando a considerare la stagione con minore nebulosità, notiamo che essa suole essere l’inverno per le regioni alpine o per quelle poste sotto la diretta influenza di tali sistemi orografici, e l'estate per il rimanente. Le stagioni intermedie, primavera e autunno, mostrano un andamento non ovunque uniforme. Se consideriamo la successione delle diverse stagioni a seconda della maggiore nebulosità, notiamo come per le località dell’Italia superiore pros- sime alla catena degli Appennini, per quelle situate al centro della val Pa- dana e per quelle prospicienti al versante del medio Adriatico, le stagioni si succedono in quest'ordine: inverno, autunno, primavera, estate. Per le località settentrionali e centrali sottoposte alle influenze orogra- fiche si ha la seguente successione: primavera, inverno, autunno, estate; op- pure: primavera, autunno, inverno, estate. Per le regioni meridionali, situate lungo la dorsale appenninica o costiere, abbiamo invece la successione: inverno, primavera, autunno, estate. A tale distribuzione generale fanno eccezione alcune località, invero limitate, ove due stagioni vicine hanno il medesimo valore. Adunque in linea generale abbiamo un andamento stagionale che ri- corda all'ingrosso quello indicato dalle osservazioni pluviometriche, ma se ne discosta un po' per le località settentrionali e specialmente per quelle della valle Padana. Ricordiamo che quivi le pioggie presentano due mas- simi annuali in primavera e in autunno, mentre nel caso della nebulosità l'autunno si presenta con maggiore nebulosità di quanto si riscontra in pri- mavera e si discosta poco di quanto si nota in inverno. Completiamo le notizie fin'ora esposte con l’esame della distribuzione annuale, i di cui valori, qui appresso riportati, sono stati ottenuti effettuando la media delle cifre relative alle stagioni. E facciamo anche seguire i valori dell'amplitudine ossia della differenza tra il valore del mese più nuvolose e quello del mese più sereno. ReENpICONTI. 1914, Vol. XXITI, 1° Sem. 66 — 504 — Nebulosità annua e amplitudine annua E E E E 3 3 Ss 3, US: È Si ù 5; È a CITTÀ E CITTÀ E CITTÀ IE CITTÀ E CITTÀ E sE SE S|E s|È JA <“|< <|< <|< <|< “|q Auronzo 47|28|| Pavia 54|36)| Cesena 47|37|| Perugia 52/31|| Potenza 56/42 Stelvio 52|23|| Mantova 40|37|| Spezia 40/38|| Pienza 58|30|| Caggiano 47|42 Sondrio 42|14| Mirandola 46|37|| Alassio 36 20 Ascoli 48|38| Castellaneta 40/36 Belluno 60|22]| Cremona 54|32)| Pistoia 51|27|| Teramo 47|35| Deserto M. L. |45|38 Domodossola 48|17|| Torino 49|21|| Pesaro — 49|43]| Viterbo 48|30|| Pomarico 42/31 Udine 53|21| Rovigo 57|32|| Pescia 49|30| Chieti 43|32| Lecce 42/44 Conegliano 45/19)| Piacenza 48|38:| P. Maurizio 40/20) Aquila 49/33|| Montemurro 47|38 Varallo 48|22| Moncalieri 49/20|| Prato 50/33]| Avezzano 39/33/| Gallipoli 39|44 Como 45/20|| Asti 43/24)| Lucca 49'30|| Tivoli 45|33|| Cosenza 40|46 Valdobbia 50|27|| Alessandria 42|42]| Sant'Agata 45'42| Roma 47|36|| Tiriolo 58138 Oderzo 49|22|| Ferrara 52|35)| Camaldoli 61'35|| Agnone 47|33|| Cagliari 41|45 Bassano 42|16| Parma 52/33)| Firenze 48 35) Velletri 39/37|| Pizzo 40|40 Bergamo 53|24| Novi Ligure 46|88| Scandicci 45/37| Ceccano 48|36|| Tropea 47|33 Picco S. Bern. 45|14|| Correggio 46 sol Pisa 46|31|| M. Cassino 45 La Oppido M. 48|37 Treviso 52/23) Bra 49/23)| Vallombrosa 51|27)| Foggia 49|43|| Messina 46/43 Salò 45|24| Reggio Emilia |52|/34!| Urbino 52/38) Roccamonfina |39|34|| Reggio Calabria|43|49 Biella 42|15)| Modena 53|33]| Ancona 60|39|| Elena 41/40 Palermo 46|50 Vicenza 46|21|| Fossano 51|19|| Livorno 48/30 Bari 45|44|| Trapani 51|55 Brescia 48|24| Bologna 46/35]|] Castelnuovo G |47|25]|] Benevento 51|42)| Riposto 41/40 Novara 44|34|| Genova 51|19|| Arcevia 50|39]| Caserta 39/34| Catania 41|42 Spinea 50|25)| Ravenna 43/44 Tesi 51|38)| Montevergine |50|44|| Caltanisetta 36/56 Milano 57|28| Cuneo 46|20|| Arezzo 47|30]| Avellino 45|48!| Girgenti 44/53 Desenzano 42|27|| Savona 41|17|| Siena 44/35)| Napoli 40/36) Mineo 43/37 Verona 45|31|| Chiavari 44|23)| Massa Marittima|46|32|| Portici 41/37|| Siracusa 48/46 Venezia 57|26)| Bargone 36/23) Macerata 48/38|| Torre Greco 34/88 Padova 50|27|| Sestola 51|18)| Fermo 56|4I|| Ischia 41/35 Vigevano 47|36|| Forli 53|39| Camerino 55/46|| Sassari 51|39 La figura 1 indica la distribuzione geografica della nebulosità annua e risulta che la minima nebulosità risiede all'estremo del versante meri- dionale della Sicilia, e che valori più elevati, ma sempre nella categoria dei minimi, si riscontrano nelle località del versante orientale della Sicilia, della Sardegna e della penisola Salentina, mentre spostandosi verso nord si hanno valori via via crescenti che raggiungono cifre elevate lungo la dorsale appen- ninica, le Alpi e nella maggior parte della val Padana. Spostandosi dal centro della valle Padana verso le Alpi, si individualizzano zone di minore nebulosità, che scompaiono di mano in mano che ci avviciniamo alle alte cime; siffatte zone hanno valori poco diversi da quelli che si incontrano nelle città costiere delle località peninsulari. L'andamento di tali zone segue l’oro- grafia della regione, cosicchè le troviamo più estese nella parte della val Pa- dana che costituisce il passaggio dal Veneto all’ Emilia. L'alto e medio versante Adriatico hanno nebulosità superiore a quella che si nota nelle corrispondenti località del versante tirrenico; e specie la Li- — 505 — guria risalta per la minima nebulosità della riviera occidentale e di quella orientale, nebulosità che è quasi identica a quella che si riscontra nelle località marittime meridionali. Nel rimanente versante Adriatico e in quello Tirrenico predomina piuttosto uniformità, che perdura per tutto l'estremo peninsulare. La regione appenninica si mantiene costantemente con nebulo- sità superiore a quella delle corrispondenti località costiere. E infine in Si- cilia al versante tirrenico deve attribuirsi nebulosità alquanto superiore a quella dei rimanenti versanti e specialmente del versante meridionale. Seguendo la distribuzione dei valori relativi all’amplitudine (fig. 2*), si ha come sulle regioni peninsulari e insulari, sul basso versante Adriatico e sul centro della val Padana, risiedano i più elevati valori. Dal centro della val Padana verso le regioni alpine si succedono zone con minore amplitu- dine, fino ai rilievi più elevati che divengono sede dei più piccoli valori. Nelle località peninsulari la regione appenninica si distingue per un'elevata amplitudine che raggiunge cifre poco diverse da quelle che si incontrano nella regione della valle Padana prossima alla centrale. I versanti Adriatico e Tirrenico presentano caratteri diversi, specie nelle alte e medie regioni; difatti, per il primo si hanno valori elevati sulle coste che divengono minori a misura che ci si avvicina alla catena degli Appennini, mentre sulle coste tir- reniche si riscontrano minimi valori che divengono più elevati con l’avvici- narsi alla catena appenninica. È da rilevare la minima amplitudine della Liguria, e specialmente quella della riviera occidentale, che è quasi identica alla nebulosità dei luoghi alpini più elevati. Le rimanenti regioni dei due versanti hanno valori cuasi identici fra di loro e piuttosto elevati. Sul versante Jonico l’amplitudine si mantiene elevata; e tale rimane sul versante orientale siculo, mentre aumenta in Sardegna e sul versante tir- renico-siculo ove si riscontrano i valori più ragguardevoli. Tenuto conto della quantità che la nebulosità raggiunge nell’anno e dell'amplitàdine, sembra adunque che per l'Italia si possa procedere alla seguente distinzione in zone: regione centrale regione superiore zona settentrionale < regione prealpina zona tirrenica (regione centrale regione alpina regione inferiore zona appenninica zona jonica rseggno SUTETIOre regione orientale zona adriatica i regione centrale zona sicula (ear aMiFriore regione occidentale E riassumendo i caratteri delle singole zone, possiamo dire come nella zona settentrionale, la regione centrale ha elevata nebulosità e elevata am- plitudine; la regione prealpina, minore nebulosità e minore amplitudine; la regione alpina elevata nebulosità e amplitudine inferiore a quella notata — nella regione precedente. Nella zona appenninica la nebulosità nell'anno è superiore a 50 °/,, e l’amplitudine oscilla da 31°/ a 35/0. Nella zona adriatica la nebulosità raggiunge nelle regioni superiori e centrali valori superiori a 50 °/, mentre nelle regioni inferiori i valori variano da 40 a 45 °/0. L'amplitudine è elevata (da 46 a 55 °/,) nelle regioni centrali e inferiori, e da 26 a 35 °/ nelle alte regioni. Nella zona tirrenica le alte regioni rap- presentate dalla Liguria, hanno minima nebulosità e minima amplitudine : ie regioni centrali si differiscono dalle corrispondenti adriatiche per una minore nebulosità e minore escursione; e le regioni inferiori, pur avendo ne- bulosità quasi uguale a quella delle corrispondenti località adriatiche, hanno più intensa amplitudine annua. La zona jonica ha minima nebulosità ed ele- vata amplitudine; e tali particolarità si estendono per tutto il versante orientale siculo, mentre il versante siculo settentrionale possiede nebulosità più elevata e amplitudine annua più intensa; quivi notiamo i valori più ragguardevoli. Fisiologia vegetale. — £rcerche sull'azione di nitrati isolati sul periodo germinativo dell’ Avena sativa ('). IV Nota preventiva del dott. F. PLATE, presentata dal socio R. PIROTTA. In tre Note precedenti (*) ho brevemente esposto i risultati ottenuti circa l'azione di nitrati solubili — appartenenti respettivamente al I°, IT°, IIT° e IV° gruppo del sistema periodico degli elementi — sul periodo germinativo dell’ Avena sativa. In quest'ultima Nota vengo ad esporre i risultati ottenuti con i nitrati Cr e U del VI° gruppo, con il nitrato di Mn del VII° gruppo, e quelli di Fe, Co, Ni dell’ VIII° gruppo. In ultimo poi riepilogherò i risultati comples- sivi ottenuti per questa prima serie di ricerche. Nitrato di cromo. — Il Cr, benchè presenti nel suo comportamento chimico molta analogia con il Mn, è stato oggetto di pochissime ricerche, fatta eccezione del bel lavoro del Koenig, il quale trovò che gli ioni del cromo agiscono nell'ordine Cr: < Cr: < Cr0/”, in cui vediamo come all’anione competa la funzione più nociva (*). Dalle mie ricerche risulta che il com- portamento e l'azione specifica del Cr allo stato di ione trivalente si avvi- cinano moltissimo a quelli del manganese. Vi è inoltre da notare che il cromo anche si accumula allo stato ossido nella radice in maggior quantità; ma nel (!) Lavoro eseguito nel R. Istituto Botanico di Roma. (2) Vedi questi Rendiconti, vol. XXII, serie 5%, 2° sem., II° fascic., pag. 598; 12° fascic., pag. 728, (1913); e vol. XXIII, 1° sem., fasc. 8°, (1914). (3) Per mancanza di spazio. la media dei risultati ottenuti per il Cr e Mn è ripor- tata nelle tabelle riassuntive finali della presente Nota. — 507 — germoglio ho potuto anche constatare la sua presenza, il che corrisponde- rebbe anche ai risultati ottenuti dal Koenig, che lo ha trovato in quantità minore nel germoglio che non nella radice, ma sempre presente. Quando comunicherò i risultati delle mie ricerche quantitative, allora tornerò a par- lare più diffusamente sopra questo interessante catione. Nitrato di uranile. — Esito mortale per tutte le piantine. Nitrato di manganese. — Il nitrato manganoso ha dato risultati analoghi ma migliori di quelli ottenuti per il cromo. Solo le due prime soluzioni riescono mortali, mentre dalla “/sco rico- mincia ad avere un graduale sviluppo che diventa normale alle concentra- zioni N/1600 € “/3200, Ove quindi anche il rapporto correlativo fra germoglio e radice ha valore positivo. Siccome però in studii come questi è necessario di tenere conto di ogni circostanza, mi piace far rilevare, che, prima di tutto, i due cationi esaminati hanno nei loro rispettivi nitrati una valenza diversa (Cr e Mn"), cioè sono rispettivamente trivalente e bivalente; che essi hanno un peso atomico quasi uguale, e ricordano nel loro curioso comportamento i cationi Rb° e Sr, di cui esposi già i risultati nelle mie precedenti Note. Nitrati di ferro, cobalto e nickel. — Per il nitrato di ferro adoperai quello in cui il Fe funziona da catione trivalente: i risultati ottenuti furono negativi per tutte le concentrazioni adoperate. Qui è anche da tenere presente che le soluzioni dei sali ferrici reagi- scono acide, a cansa della loro idrolisi, la quale poi è tanto maggiore quanto maggiore è la diluizione delle soluzioni. Onde, come già feci rile- vare a causa dell’idrolisi, non ci troviamo in presenza solo del sale, ma anche d'un acido e d'una base. Per i nitrati di cobalto e nickel ho avuto sempre risultati comple- tamente negativi. RIEPILOGO. In questa prima serie delle mie ricerche intorno, all’azione di nitrati sul periodo germinativo dell’ Avena sativa, come ho già detto, ho seguito l'ordine del sistema periodico degli elementi. Però le mie ricerche si sono limitate ad un numero ristretto di nitrati, e precisamente a quelli più ca- ratteristici di ogni gruppo. E prenderò separatemente in considerazione: I° il peso; 2° lo sviluppo del germoglio; 3° lo sviluppo della radice; 4° lo sviluppo correlativo. 1° Il peso. — Il peso della pianta fresca varia moltissimo a seconda delle soluzioni di nitrato adoperate, ed a seconda delle concentrazioni di questo. Anzi posso dire che si verifica come regola press'a poco costante che coll’ aumentare della diluizione cresce in proporzione anche il peso si da provocare una vera curva ascendente e di percorso abbastanza regolare: ben inteso che questo vale solo per quelle soluzioni che non sono di effetto — 508 — mortale per la pianta. Nel seguente quadro sintetico sono esposti i risultati ottenuti per il peso = 1° gruppo KNO, gr. RbNO, ” CrN0; ” NaNO, ” LiN0; 5) (NHL)NO,; » CulNO;), » AgNO; ” I° gruppo Ba(NO,)a » CA(NO;)a 2 Hg(NO;), » II° gruppo AINO;)3 » IV° gruppo Sn(NO;), gr. Ce(NO;) » Pb(NOg), » Th(NO3)a » VI° gruppo Cr(NO, a ” UOzNO,): »” VIl° gruppo Mn(N0,)s » VI° gruppo Fe(NO,), » Co(NO,)a » Ni(NO;), » Partendo dal concetto che anche risultati negativi possono N/50 N/100 | N/200 —0.6440|/—0.0358| 0.1940 0.0146| 6.0254| 0.1386 —0.0672|—0.0454|—0.0216 —0.0568|—0.0324| 0.0200 —0.0496/—0.0184| 0.0280 —0.0734|/—0.0522|—0.0324 —0.0260|/—0.0216/—0.0168 —0.0170/—0.0124|—0.0078 —0.2160/—0.0142|—0.0112 —0.0034' 0.0874| 0.0906 —0.0136|/—0.0150| 0.0329 —0.0314/—0.0246|—0.0108 —0.0228|/—0.0190| 0.0276 —0.0564|—0.0574|—0.0508 —0.0754/—0.0692] - 0.0402 —0.0074|—0.0066|/—0.0018 —0.0182/—0.0142|/—0.0044 —0.0362/—0.0342|—0.0304 —0.0254|/—0.0216|—0.0084 —0.0492/—0.0454| —0.0382 —0.0112/—0.0062|—0.0022 N/so0 N/s00 0.1580 0.1562 0.0315 0.1234 0.1810 0.1516 0.0672 0.1976 0.2234 0.1734 0.1084 0.9230 0.0450) 0.1376| 0.1358 0.0222 0.0372) 0.0482 —0.0094|—0.0086|/—0.0052 —0.0060)—0.0024|—0.0022 —0.0032 0.1186 0.0418 0.0072 0.0402 0.0566 0.0492 0.0216 0.1504 0.1206 0.0106 0.0464 0.0682 0.0440 0.0366 0.1782 0.1252 0.0210 0.0500 0.0308 0.0368 0.0184) 0.0322) 0.0418 —0.0028| 0.0114) 0.0522 —0.0264|/—0.0192|— 0.0134 0.0072) 0.0218| 0.0532 0.0360/—0.0304/—0.0226 0.0082) 0.0322) 0.0848 —0.0268|—0.0234| 0.0212/|—0.0194|/—0.0164|—0 0138 —0.0062/—0.0014| 0.0174 —0.0244/—0.0214|—0.0196 —0.0254|—0.0226| —0.0208 —0.0258|—0.0234/—0.0218 0.0244| 0.0648) 0.1744 —0.0164/—0.0148|/—0.0124 —0.0194|—0.0182/—0.0152 —0.0204|/—0.0188|—0.0166 0.2714 0.1290 0.1346 0.0290 —0.0318 N/1600 | N/3200 Totale 0.7744 0.8384 0.1921 0.7282 0.3822 0.0092 0.1258 0.3150 0.4890 Con- trollo 140 dist. 0.2452 0.2182 concorrere a meglio spiegare un'ipotesi scientifica, così ho creduto opportuno aggiun- gere anche i risultati per quei cationi che si sono dimostrati di effetto mor- tale. Vediamo appunto anche che le perdite di peso subite dalle piantine diminuiscono a mano a mano che dalle soluzioni più concentrate possiamo a quelle più diluite, e questa graduale diminuzione lascia prevedere come: — 509 — si debba poter arrivare ad un limite, in cui il catione benchè in minima quantità, può essere benissimo sopportato dall'organismo vivente. 2° Lo sviluppo del germoglio. — In gonerale posso dire che la solu- zione “/so riesce di esito mortale per tutti i nitrati adoperati fatta ecce- zione per il nitrato di rubidio. Anche qui lo sviluppo del germoglio migliora a mano a mano che dalle soluzioni più concentrate si passa a quelle meno concentrate. Ecco il quadro sintetico dei risultati ottenuti per il germoglio in cui sono riportate le medie degli accescimenti per ogni soluzione Controllo N/so N/100 N/s00 N/400 N/300 N/1600 N/3300 in Ha0 dist. I° gruppo KNO, cm. = = 64 8.9 NILÙ 12.4 11.8 11.9 RbNO, ” 5.7 5.9 5.8 6.2 6.7 6.5 8.5 13.6 CrNO; ” = - pe: 2.1 3.6 3.9 5.8 IPA NaNO; ”» —_ —_ 5.8 (3) 10.9 12.6 11.9 12.2 LiNO,; ” 1.7 92 4.9 6.7 6.6 8.2 9.9 14.1 (NH.)NO, » —_ — — 3.5 7.3 8.9 7.8 12.6 Cu(NO,)a » = = = —_ = —_ — — AgNO; ” — —_ — —_ — n — —_ I° gruppo Ba(NO;)a » — — = 6.1 108 15.7 15S7 Ca(NO;), » se 11.7 14.7 15.5 17.9 15.4 17.3 16.6 Gr(NO,): » = 6.3 8.2 8.0 7.4 9.8 10.2 16.4 Mg(NO,)a » — — — 1.3 3.6 6.5 9.4 16.8 Zn(NO,), —_ — _ 5.7 To) 8.5 10.9 16.2 Cd(NO;)a — _ 1.9 De _ = - = Hg(NO5), _ - — _ _ - - - I° gruppo AI(NO;); » = = —. 2.1 2.6 8.5 4.6 16.1 IV° gruppo Gn(NO,)a » — = = = 4.1 5.6 5.4 14.3 Ce(NO,)a > — = — = = ss pù Pb(NOg): > —_ = —_ 0.9 1.4 3.2 5.3 11.8 Th(N0O;)s » ner > —_ == = VI° gruppo Cr(NO;); » _ = — 1.0 2.5 8.6 11.8 18.3 UOs(NO;), » = Dax i Da dea di gli Fei VI° gruppo Mn(NO;); » = e TL; 2.5 54 11.3 14.7 17.3 VIli° gruppo Fe(N0;): » — _ — pe = Di Co(NO;), » dA ES Da Fo: FR si ER Ni(NO;); » nb — 510 — Come si vede dalla tabella i metalli alcalini sono quelli che eserci- tano l’azione migliore nelle piantine a cui seguono poi quelli alcalino terrosi: tutti gli altri cationi si distanziano moltissimo da quelli ora menzionati. 3° Lo sviluppo della radice. — Nel quadro che segue sono esposti i risultati medii complessivi ottenuti per l'accrescimento della radice: Controllo N/50 N/i 00 N/00 N/400 N/s00 N/1300 N/sa00 TEEN I° gruppo KNO, cm. - — 8.3 12.1 18.2 1249 8.5 18.2 RbNO, » 6.0 6.8 1742 6.7 8.4 6.9 9.4 17.5 CrN0, » — — = 3.0 0.7 04 1.5 16.4 NaNO, ” —_ —_ 4,5 8.0 12 11913 19.8 15.7 LiNO, ”» —_ — ES 5.2 4.7 6.3 6.4 17.1 (NH.)NO; » = — = 1.8 2.9 5.5 5.2 14.8 Cu(NO;), » — = _ — — — — AgNO, ”» —_ = = = eee — Pat CES I° gruppo Ba(NO,), » di = = — 5.1 7.2 ON MISINTO Ca(NO;); » 4225 15.9 18.3 19.9 20.1. || ul8î Sr(NO), » pe 7.5 8.7 14.2 20.3 20.1 21.8 | 20.6 Mg(NO;)a » —_ —_ = — 1.4 1.9 3.2 19.3 Zo(NO;): » _ 1.3 1.7 3.5 4.0 11.2 19.6 CA(NO;)a = = = - = — — — Hg(NO;)a » —_ — —_ —_ ca, = = TA II° gruppo AI(NO;); » — — — 2.3 29 3.7 4,8 11.3 IV° gruppo Sn(NOs)a » = — > = 2.8 3.7 5.7 | 16.6 Ce(NO;), » E > 4 pre Lor ee RE Pb(NO;), » _ — — 0.5 19 Sul 4.7 17.3 Th(NO;)a » DS —_ _ — —_ —_ —_ VI° gruppo Cr(NO;); » = = = — 4.3 9.8 10.8 13.5 UO(NO,), » Da e PA _ dea dei — 14.1 VII® gruppo Ma(NO;), » — — 3.2 4.7 7.8 94 11.6 14.9 VI° gruppo Fe(NO;)a » Co(NO;)a » Ni(NO;)a » Anche qui sono i cationi alcalini che danno seguono quelli alcalino terrosi: gli altri si distanziano da essi. 4° Sviluppo correlativo. — Come già ebbi a dire nella mia prima Nota, nello studio delle azioni dei diversi elettroliti non basta di controllare i risultati migliori, a cui — 511 — peso, dimensioni etc. ma bisogna soprattutto considerare ì rapporti che pas- sano fra i diversi organi, vale a dire studiare i rapporti correlativi in cui questi organi si trovano. Siccome poi nel caso da me preso in esame le piantine di avena durante il periodo germinativo, ed in soluzione acquosa hanno lo sviluppo migliore, e quindi normale, quando la radice è più lunga del germoglio, così viene a stabilirsi un rapporto fra accrescimento della radice e accrescimento del germoglio: nel caso normale il rapporto è posi- tivo, in quello anormale è negativo. Nella tabella seguente sono riuniti i risultati dei rapporti ottennti: x) n) n/ n) x) n) Li Controllo 50 100 . /g00 400 800 1600 /s200 Heolaisi I° gruppo KNO, em. — 0.9 1.9 90 6.5 Mii =" Sx) 6.7 RbNO, D) 0.3 — 1.4 0.5 IST 0.4 0.9 3.9 CsN0,; ” — — = 200 SIE 3.7 NaNO, » — — | -13|—74|_-37 6.7 7.9 315 LiNO; ” = sa, - Ci Sis 9 35 3.0 (NH.)NO, » Zi da | ig 4A| ZA) =D 2.9 CuNO; ” — — —_ — — —_ — —_ AgNO; ” — —_ — — = Se 15 pa I° gruppo Ba(NOg)a ” = = = == 1.1 | —3.6 | — 6.6 Ca(NO3)a » —_ — 7.5. |==2,2 0.4 0.4 4.5 2.8 Dali St(NO;)a D) = 19 0.5 6.2 12.9 10.3 11.6 4.2 Mg(NO;), » —_ = — — | —2.2 | — 46 | — 6.2 2.5 Zn(NOg)s » _ — | — 0.6 | — 4.0 | —3.6 | — 4.5 0.3 24 CA(NO,)a » — _ —_ — = _ — - Hg(NO,)a » = — ni = = ue Ri Le II° gruppo AI(NO3); » — = = 0.2 0.3 0.2 0.2 4,8 IV° gruppo Sn(NO,)a » = SE se — |-18 | —-19 3.0 DIS: Ce(NOx)s ti e) — —_ ca _ = =; Pb(NO;)x » — tas = = 02 SO 2-06 4.9 Th(NO;)a » £ zl dà sh Sa ni tà: VI° gruppo Cr(NO,)z » = = 2 SAMO JR5 4.8 UOz(N0z), »” = — i = == — — —_ VI° gruppo Mn(N0;)s » — — | — 15 — |=24 1.9 3.1 2.4 VI° gruppo Fe(NO)g » => = pate = Ra pui Co(NO;)a » — — — — —_— 5 -_ == Ni(N0%), » — —_— _ _— —_ > RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem, 67 — 512 — Tenendo dunque conto dello sviluppo correlativo. i cationi possono ve- nire classificati come segue: Rb > Sr >K> Ca>Na>Li> Mg>[Mn > Crl>Zn>Al 85.45 87.68 39.10 4007 23.00 6.94 24.32 54.93 52.0 65.37 27.1 Questi 11 cationi sono dunque quelli che meglio vengono sopportati dalle piantine nel periodo germinativo da me studiato: ben inteso però che anche qui si hanno delle proprietà biologiche specifiche proprie ver ognuno di essi. Intanto è da osservare che il peso atomico di questi elementi varia fra un massimo di 87.63 (Sr) ed un minimo di 6.94 (Li), quindi sì man- tiene piuttosto basso. Dippiù è da notare il parallelismo curioso che passa fra lo Sr ed il Rb da una parte ed il Mn e Cr dall’altra; questo paralle- lismo sì rivela non solo nelle proprietà biologiche ma anche nel peso ato- mico, che sono pressochè uguali. Ho constatato per tanto questo fatti; però per la loro ulteriore ’con- forma ho naturalmente bisogno di molti altri dati sperimenrali, che verrò esponendo in seguito. Fisiologia. — Sull’adattamento degli Anfibi all'ambiente li- quido esterno mediante la regolazione della pressione osmotica dei loro liquidi interni: importanza dei sacch linfatici e della vescica urinaria. Nota I di Bruno BRUNACCI ('), presentata dal Socio L. LUCIANI. Dalle ricerche di L. Fredericq (°) relative all'influenza dell'ambiente esterno sulla composizione salina del sangue di alcuni animali acquatici, risultò già il differente comportamento di alcuni-invertebrati marini rispetto a quello di alcuni vertebrati, nel senso, cioè, che, mentre l’ambiente interno [CI. Bernard (*)] dei primi varia col variare di quello esterno, nei secondi invece « le milieu intérieur, constitué par le sang, s’isole plus ou moins du milieu extérieur dans le quel vit l’animal ». È tuttavia noto che solo con l'estesa e sistematica applicazione dei metodi d'analisi fisico-chimica (concentrazione molecolare e conducibilità elettrica) ai liquidi di animali marini appartenenti alle varie classi d’ in- vertebrati e vertebrati, il Bottazzi (4) potè per il primo stabilire come la (') Ricerche eseguite nell'Istituto fisiologico di Siena. (*) L. Fredericq, Bull. Ac. roy. de Belgique, IV, 1882; Arch. d. zool. expér. et générale, III, 1885. (8) CI. Bernard, Zecons sur les phénomènes de la vie, 1878; Introd. à l'étude de la méd. expérim., 1865. (4) F. Bottazzi, Arch. ital. d. biol., 28, 1897; Arch. di fisiol., III, 1906, e V, 1908; Ergebn. d. Physiol., VII, 1908. — 513 — indipendenza relativa dell'ambiente interno da quello esterno s'inizî coi Teleostet. In base alle ricerche del Bottazzi ed a quelle di successivi ricercatori [Quinton (1), Fredericq (?), Rodier (*), Dekhuizen (4), Dakin (5) ecc. ] l'Hober (9), propose di distinguere gli animali, a seconda dei loro poteri di regolazione osmotica (analogamente a quanto si era fatto per la regolazione termica), in animali pecilosmotici ed animali omeosmotici. Ai primi apparterrebbero tutti quelli che uniformano la concentrazione molecolare dei loro liquidi interni a quella dell'acqua del mare nel quale vivono (invertebrati e verte- brati, fino ai teleostei esclusi); mentre farebbero parte dei secondi tutti gli animali che possiedono una propria e caratteristica concentrazione in- terna, indipendente da quella esterna (dai Teleostei, inclusi, ai Mammiferi). Relativamente agli animali d'acqua dolce, essi si comportano diversa- mente da quelli marini. Qui, infatti, anche gli /nvertebrati possiedono una pressione osmotica superiore a quella dell'ambiente esterno [cfr. Bottazzi ("), Hober (*), E. M., P. Widmark (°), Backman (!°)]. Ciò vale anche pei Vertebrati (Anfibî, Te- leostei, Rettili) [cfr. Bottazzi e Ducceschi (!')]. Dalle esperienze di varî ricercatori è poi resultato che alcuni inverte- brati di acqua dolce possono adattarsi a vivere anche in acqua salata, e che ciò avviene con perdita di peso [perdita di acqua, P. Bert (*°)]. [Cfr. F. S. Beudant (**), H. Eisig ('*), P. Bert (!°)]. i Così pure è noto che in alcuni pesce? ossei (es. Anguilla), la di cui pressione osmotica del sangue ascende circa alla metà di quella del mare ambiente, la concentrazione sanguigna diminuisce considerevolmente allorchè (1) Hober, Pysikalische Chemie d. Zelle u. d. Gewebe, 3. Aufl., 1911. () Fredericq L., Bull. Ac. roy. de Belgique 1898, 1901, 1902, 1911; Arch. de Biol. XX, 1904; Arch. int. de Physiol. XI, 1911. (*) Dakin, Bioch. Journ., III, 1908. (4) Dekhuizen, Arch. néerland., 10, 1905. (5) Rodier, Trav. d. la stat. zool. d’Arcachon, 1899. () Quinton, Compt. rend. Soc. biol., 57, 1899; 57, 1904. Compt. rend. Ac. d. sc., 131, 1900. (?) Bottazzi, Arch. di fisiol., III, 1906. (8) Hober, loc. cit. (*) E. M. P. Widmark, Zeitschr. f. allg. Physiol., X, 1910. (‘°) Backman, Zentralbl. f. Physiol., XXV, 1911; Pfliger®s Arch., 149, 1913. (11) Bottazzi e Ducceschi, Archiv. ital. d. biol., XXVI, 1896. ('?) P. Bert, Compt. rend. Soc. biol., III, 1873; Compt. rend. Ac. d.”sc., 97, 1883; Compt. rend. Soc. biol., 37, 1885. ('8) F. S. Bendant, Ann. d. chemie et d. physique, II, 1816. ('*) H. Eisig, Fauna u. Flora d. golfes von Neapel, XVI, 1887. ('*) P. Bert., loc. cit. — 514 — passano nell'acqua dolce [Quinton (*)]; ed inversamente che, ponendo un’an- guilla, il cui sangue congeli a — 0°,57, dall'acqua dolce, in acqua del mare (del nord, 4= 1°,9) il sangue stesso aumenta nella sua concentrazione fino a congelare a 4= 0°,745, cioè raggiunge il valore medio trovato per il sangue dei Teleostei marini, senza tuttavia pervenire alla concentrazione del mare | Dakin (?)]. i Circa gli Anfibî, esistono numerose ricerche antiche e recenti, ese- guite sia su la pelle della rana staccata dall'organismo [ Matteucci e Cima (£), Reid (4), Bayliss (*)], sia sull'animale vivente [Cl. Bernard (°), Emery (7), P. Bert (*), Spina (°), Semper (1°), Ruziéka (*!), Traube-Mengarini (*?) Durig (?°), Overton (!*)], le quali dimostrano la permeabilità della loro pelle nelle due direzioni e la possibilità che questi animali hanno di perdere, per evapora- zione, fino al 25-30 °/, del proprio peso, per aumentarlo poi di nuovo immer- gendoli in acqua od in soluzioni saline. I resultati ottenuti non sono tuttavia molto concordi, nè per ciò che concerne la pelle staccata dal corpo, nè per ciò che si riferisce alla cute dell'animale vivente. Infatti, mentre, per il primo caso, Matteucci e Cima osservano un passaggio maggiore delle sostanze disciolte dalla faccia interna della pelle verso quella esterna, e Reid nota una corrente maggiore di liquido dall'esterno all’interno, Bayliss invece, pur constatando un passaggio di liquido e di sostanze disciolte in entrambe le direzioni, non osserva una maggiore velocità di diffusione a favore dell'una piuttosto che dell’ altra parte. Anche relativamente alla permeabilità della pelle dell'animale vivente, i resultati sono alquanto diversi, poichè, mentre da varî ricercatori (Spina, Ruziéka, Durig ecc.) è ammessa la permeabilità per l'acqua e per i sali nelle due direzioni, pur notando una caratteristica differenza tra la pelle dell'animale morto e quella del vivo; da altri (Overton) è invece asserita la permeabilità nelle due direzioni soltanto per l’acqua e le sostanze solubili (!) Quinton, Compt. rend. Soc. biol. 57, 1904. (2) Dakin, loc. cit. (*) Matteucci e Cima, Ann. d. chemie et d. physique, XIII, 1845. (4) Reid, Journ. of Physiology, 1890. (5) Bayliss, Bioch. Zeitschr., XI, 1908. (6) C1. Bernard, loc. cit. (7) Emery, Ann. d. sc. natur., XII, 1869. (5) P. Bert, Compt. rend. Ac. d. sc., 73, 1871; Compt. rend. Soc. biol. III, 1873; Compt. rend. Ac. d. sc., 97, 1883. (*) Spina, Veber Resorption u. Secretion, Leipzig, 1882. (1°) Semper, Die natùrlichen Eristenzbeding. d. Thiere, Leipzig, 1880 (Brockhaus) (1) RuZitka, Wiener med. Blatter, Jahrg., /8, 1898. (1°) Traube-Mengarini, Rend. Acc. Lincei, 5, 1896. (!3) Durig, Pfliger's Arch., 85, 1901. ('4) Overton, Verhandl. d. physik. med. Gesell. zu Wiirzburg, 1904. — 515 — nei lipoidi, e, in confronto a questa, la quasi impermeabilità per le sostanze insolubili nei lipoidi. Tutte le ricerche relative alla permeabilità della pelle degli Anfibî ese- guite sull’animale vivente, sono state fatte desumendole dalla variazione in peso del loro corpo immerso in acqua e nelle più svariate soluzioni di cri- stalloidi elettroliti e non elettroliti, sia dopo aver fatto subire all'animale vivo una perdita in peso del 25-30 °/,, per evaporazione, sia nell’ animale normale. Nell’un caso come nell’altro, le ricerche sono state fatte a cloaca aperta ed a cloaca chiusa, e tanto a circolazione sanguigna funzionante ed a sistema nervoso centrale integro, quanto a circolazione sanguigna abolita (asportazione del cuore) ed a sistema nervoso distrutto (Spina). I primi a determinare la concentrazione molecolare del sangue degli Anfibî desumendola dall’abbassamento del punto di congelazione del loro siero, furono Bottazzi e Ducceschi (1896) (1) i quali ottennero i valori se- guenti : Rana escul. (siero) 4 = 0°,563, Bufo viridis ( » ) A=0°,761 (?). Questi numeri sembrarono troppo elevati ad Hamburger (*); ed il Bot- tazzi stesso, in successive ricerche (*), pur ritenendo esatti i valori preceden- temente trovati per la rana, credette che quelli relativi al Bufo viridis fossero effettivamente errati. In queste ricerche successive egli ottenne : per la Rana escul. (siero) 4 = 0°,435 COEN IO ” 7 7 (urina) 4 = 0°,170 La= ADOS) per il Bufo vulgaris (siero) 4 = 09,445 Cao = 121 X 1074 ” IRSA (urina) {IA ‘= 098055 Tao — OP One Nell’esposizione delle nostre esperienze vedremo che il supposto errore del Bottazzi corrisponde invece a quanto effettivamente si verifica in deter- minate circostanze di vita di questa classe di animali (ibernazione), e che l'opinione di Hamburger non era quindi esatta. Dalla conoscenza di questi dati e da quella delle ricerche precedente- mente ricordate (dalle quali già risultava la possibilità negli Anfibî di aumen- tare o diminuire il proprio peso per assunzione o perdita d’acqua), nonchè (') Bottazzi e Ducceschi, loc. cit. (£) Hamburger, Osmotischer Druck ecc., I, 460, 1902. (3) Bottazzi, Arch. di Fisiol., IIT, 1906. — 516 — dalle mie ricerche (*) sul riflesso tonico diffuso, ottenuto appunto nella rana escul. sottraendo acqua dal sistema nervoso centrale, sia per evaporazione (soge giorno dell'animale a sistema nervoso centrale scoperto, sotto una campana di vetro con acido solforico bollito), sia per iniezione sottocutanea di solu- zioni saline ipertoniche, fui indotto ad eseguire le presenti ricerche dal punto di vista della regolazione osmotica di questi animali. Mì sembrò infatti non privo d'interesse uno studio sistematico sull’adattamento degli Anfibî all'ambiente liquido esterno, variando la concentrazione di questo e deter- minando coi metodi fisico-chimiei quella dei loro liquidi interni; mentre nello stesso tempo cercavo di indagare il meccanismo di questa regolazione. Le esperienze precedenti fatte col metodo della pesata dell’ animale non mi sembravano d’altro canto adatte per un più preciso studio del feno- meno che mi proponevo di indagare. Un riassunto dei principali resultati ottenuti da me nella primavera- estate del 1911 fu già comunicato il. 6 ottobre 1911 a Torino in occasione della 1* Riunione della Soc. ital. di biochimica (*?), e successivamente in Roma alla 5* Riunione della Soc. ital. per il progresso delle scienze il 16 ottobre 1911 (*). Da quell'epoca sono state eseguite ricerche nello stesso senso da Backman e Sundberg (4) le quali sostanzialmente ripetevano quelle di Durig e di Overton fatte per pesata, e confermavano in parte le mie. Riferirò ora in successive Note i particolareggiati resultati delle mie esperienze. Esse sono state eseguite nella Rana esculenta in periodo estivo ed in periodo d'ibernazione, prendendo ìn esame: 1°) i limiti dell’adattamento ; 2°) i fenomeni che si osservano negli animali immersi in acqua di- stillata ed in soluzioni saline ipertoniche ; 3°) la concentrazione molecolare e la conduttività elettrica dei loro liquidi interni, nonchè il contenuto degli stessi in sostanze organiche, inor- ganiche ed in N totale 4°) il tempo entro il quale la regolazione osmotica avviene; 5°) l’importanza dei sacchi linfatici e della vescica urinaria; (') Brunacci B., Zeitschr. f. Allg. Physiol., IX, 1908. (*) Brunacci B., Atti della Soc. ital. d. biochimica, 1 Riunione, Torino, 6-8 otto- bre 1911. Ed. Stucchi e Ceretti, Milano, pp. 170-172. (3) Idem, Atti Soc. ital. p. il progresso d. scienze, 5® Riunione, Roma, 12-18 otto- bre 1911, pp. 880-883; Acc. fisiocritici, Siena, 1912; Zentralbl. f. Physiol., XXV, 1911; Pfliùger's Arch, /50, 1912; 153, 1913; Arch. ital. de biol., 58, 1912. (4) Backman e Sundberg, Zentralbl. f. Physiol., XXV, 1911; Pfliger’s Arch. 748, 1912; 152, 1913. — 517 — 6°) i fenomeni che si osservano negli animali immersi in soluzioni saline isotoniche ed ipotoniche ; 7°) l'influenza della temperatura; 8°) l'influenza della pressione barometrica. A) RANA ESCULENTA (estiva). 1°) Ricerca del limite massimo di adattamento. Il primo quesito che mi proposi di risolvere, fu quello relativo al limite massimo di adattamento compatibile con la vita. Allestii perciò sette soluzioni di Ringer (*) contenenti progressivamente grammi 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15 °/o di NaCl ciascuna, e gli altri sali (KC1, Ca Cl, Na HCO;:) in proporzione; e ne misi tre litri in ciascuno dei sette recipienti, nel quale posi cinque rane il più possibilmente eguali per peso e grandezza, preventivamente asciugate con un panno. Tutte queste rane; portate da poco in Laboratorio, erano state tenute per alcuni giorni in acqua di condotta cambiata tre volte al giorno, allo scopo di eliminare dal loro canale digerente ogni residuo di alimento. Gli animali in esperimento furono tenuti sempre in una stanza sotterranea an- nessa all'Istituto, la quale non subiva oscillazioni notevoli di temperatura nelle varie ore della giornata, e nei varì mesi dell'anno; ed era completa- mente allo scuro. EsPERIENZA I (3 giorni di permanenza. Temperatura ambiente, circa, 12° C.). Soluzioni Ringer contenenti gr. 9 10 ll 12 13 14 15 NaCl°/vo 20-V-1911 ore 8,30 . . . 5vive 5 vive 5 vive 5 vive 5 vive 5 vive 5 vive » DO USD Db) ” ” ” ED) ” 1 t ” » 18 Di AeCI ” ” ” ” ” 1 + » » 16 aura ” » ” ” ” 1 + 14 » » 17 ILS ” » E) ” ” 24 2+ D) DINNIS tO DINAR D) D) ” ” 1+ 14) 1+ 21-VI-1911 »} 9 ROEIOA ”» D) 14 1+ 4+ E Era ” DIRO OE ”» ” D) 1+ = Le = » » 16 SEO » ” È) 14 = È De ”» DELA SOM ” ” ” 14 = ES ue ”» » 19 on ” ”» 1+ ” = == ps 22-VI-1911 » 8 on D) D) » 1+ —_ = = ” 5 30l SIRIO ” ” 1+ = ne Bo deci 23-VI-1911 » 8,80... 5 vive 5 vive 2 vive 5 morte © morte 5 morte 5 morte Sospeso l'esperimento (!) Si è usata la soluzione di Ringer, anzichè soluzioni semplici di Na Cl, per ov- viare alle conseguenze dannose di queste ultime [ cfr. J. Loeb, Pfliiger's Arch. 80, 1900, 88, 1902; Micheels, Arch. intern. de Physiol. 4, 1906-907. — 518 — EsPERIENZA II (4 giorni di permanenza; si tralascia la soluzione 15 °/oo. Temperatura, circa, 12° C.). Soluzioni Ringer contenenti gr. 9 10 1 12 13 14 NaCl °/oo 23-VI-1911 ore 11 . + . © vive 5 vive 5 vive. 5 vive vive 5 vive ” Du IO ate ” ” 5) » ” 2 + 24-VI-1911 » 8 RR. » E) ” ”» » 3 + n » 930} n ” ”» ” 1 + — » D IO ” ” » » 1+ — »” » 16,30 Oo » » » » » —_ » » 18 seri D) ” ”» ” 1+ — 25-VI-1912 » 11 SILE » » ” 1+ ”» 3J 26-VI-1911 » 11 AE EVI » ”» ” 24 24 a 27-VI-1911 » 11 . . . 5 vive vive vive 2vive 5 morte 5 morte Sospeso l'esperimento EspERIENZA III (5 giorni di permanenza; si tralascia la soluzione 14/00. Temperatura, circa, 12° C.). Soluzioni Ringer contenenti gr. 9 10 1 12 13 NaCl °/o0 28-VI-1911 Ore 9... 5vive 5 vive 5vive vive 6 vive 29-VI-1911 » 9... » ” 1+ 24 + 30-VI-1911 » Oo » ”» » 3+ = 1-VIL1911 » 9. ” ” 14 —_ — 2-VII-1911 » 9. ” ” 1+ — —_ 3-VII-1911 » 9. 5 vive 5 vive 2 vive 5 morte 5 morte Sospeso l'esperimento Da queste esperienze risultò dunque che la soluzione Ringer contenente l'11 °/oo di NaCl era sempre troppo concentrata sebbene in essa talora le” rane potessero resistere in vita parecchio tempo (Esp. II). Si ritenne perciò come limite massimo la soluzione Ringer contenente il 10 °/ di NaCl, mentre la soluzione 11 °/s, poteva considerarsi ultra-massima. Come limite minimo sì scelse, naturalmente, l’acqua distillata. — 519 — Biologia. — ZWteriori osservazioni sulle relazioni degli or> gani e sulla nutrizione con tiroide di Mammiferi nell’ accresci- mento larvale e nella metamorfosi degli Anfibi Anuri. Nota II (1). del dott. G. COTRONEI, presentata dal Socio B. Grassi. Nel prosieguo delle mie osservazioni sull’ influenza della nutrizione con tiroide di Mammiferi nelle larve di Anuri, ho voluto vedere il nio della tiroide degli animali sperimentati. È noto, per alcuni lavori pubblicati sull'argomento, che la tiroide ten- derebbe a reagire sotto l'influenza del regime: le ricerche in proposito sono, però, tutt'ora controverse. Chalmers Watson asserisce che una nutrizione co- stituita esclusivamente con carne produce nei ratti ipertrofia della tiroide (*) : Le osservazioni di Watson hanno però incontrato obiezioni (Thompson, Por- syth) (*); nè, ricordando ciò che si riscontra nei mammiferi, sì può ritenere accertata l'influenza dell’inanizione (Thompson, Missiroli). In quanto poi all’azione della tiroide, parrebbe, dalle ricerche di Lanz (1895, citato da Vincent), che iniezioni sottocutanee di estratto di tiroide tenderebbero a produrre atrofia della glandula. La maggior parte delle mie osservazioni si riferisce a larve nutrite con tiroide, appartenenti all'esperimento VII (Cotronei, 1913, pag. 31). La tiroide, pari, risulta costituita da piccole vescicole, contenenti col- loide: ma la tiroide è assai meno sviluppata e le vescicole assai inferiori al massimo sviluppo raggiunto dalle vescicole di esemplari nutriti diversamente e esaminati nella stessa fase biologica, subito dopo l'emissione di un arto anteriore. Tenendo conto di tutti i fattori, osserviamo che le larve nutrite' con tuorlo d'uovo di gallina, carne di bue, o sviluppate in condizioni naturali, hanno raggiunto dimensioni assai più cospicue; mentre è noto che le larve nutrite con tiroide, presentano un accrescimento assai più esiguo; siccome in larve allevate con migliore regime di nutrizione, ma in fase meno inoltrata d'accrescimento, si riscontra un sempre meno cospicuo sviluppo della tiroide, mi sembra logico, prima di ogni altra considerazione, porre in relazione il (4) Vedi questi Rendiconti, pag. 4583. (?) Watson, C., On the influence of a meat diet on the tyroid glands. Yournal of Pysiol. 1904, pag. 31; 1906 pag. 84, (3) Con ulteriori ricerche, Missiroli (Arch. di Fisiol., vol. X, 1912) ha riconosciuto che la nutrizione con sostanze albuminoidi fa riscontrare nei cani iperfunzione della tiroide, mentre coi grassi e con idrati di carbonio non si notano modificazioni osserva- bili all’esame istologico. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 68 — 520 — deficiente sviluppo della tiroide in larve nutrite con tiroide di mammiferi, con il deficiente accrescimento raggiunto. Ulteriori osservazioni, eseguite con rigorose indagini di controllo, ci diranno fino a qual punto il regime possa negli Anfibî influire sul comportamento della tiroide. Per le poche e controverse cognizioni in proposito, l’ argomento merita di essere studiato; e giustamente S. Vincent (*) dichiara (pag. 334) « the whole subject of physiological changes in the thyroid under varying conditions is urgently in need of systematic investigation ». Osservato che l'intensa influenza di una nutrizione con tiroide di Mam- miferi si manifesta come causa disarmonica oltre che acceleratrice, è ‘inte- ressante, ricordare alcune esperienze di Wintrebert (°). Questo ricercatore, in 2 esperienze successive, ha tolto dall'acqua dei girini di Rana temporaria e li ha messi al fondo di un grande cristallizzatore chiuso, su uno strato vegetale appena umido. All’inizio degli esperimenti, l'autore dichiara. di averli rimessi nell'acqua, per qualche minuto, 2 0 3 volte al giorno, ma presto s’'accorse dell'inutilità di questa manovra. Nel 1° esperimento, nel quale anche i controlli erano stati tenuti per un giorno fuori dell'acqua, igirini sperimentati emettono gli arti, o un solo arto anteriore, un giorno prima dei controlli. Gli stessi risultati si ottengono quando i controlli non sono stati tenuti fuori dell'acqua. L'interesse di questi esperimenti viene oscurato dal fatto che si tratta di una differenza di tempo troppo breve con i controlli: inoltre gli esemplari che servivano agli esperimenti erano notevolmente grandi (43 mm.). La metamorfosi era già pronta ad effettuarsi; ma l'aver messo i girini fuori dell'acqua, è servito a lasciar esplodere più rapidamente i fenomeni. Wintrebert (*) descrive di avere anche notato delle modificazioni cro- nologiche nelle correlazioni dei fenomeni, in seguito al cambiamento d’am- biente; ed afferma che la fuoruscita degli arti anteriori non rappresenta, nelle larve in inanizione, l'inizio della metamorfosi; il 1° fenomeno è la precoce re- gressione del tubo digerente. Il trasporto nell'aria, mettendo fuori uso le bran- chie e la coda stimolerebbe la loro regressione ma non la loro trasforma- zione: la coda, diviene atrofica ma conserva la sua forma; la regressione anormale delle branchie e della. coda stimola forse il definitivo sviluppo degli arti (membres). (1) Vincent S., Internal secretion and the ductless glands. London 1912. (2) Wintrebert P., Sur le déterminisme de la métamorphose: chez les Batraciens Anoures. VI. La mise des larves ‘hors de l'eau. Cump. Rend, Soc. Biol. vol, 63, an. 1901, pag. 257). (8) Wintrebert P., VII. La marche anormale des phénomènes en inanition. Compt. rend. Soc. Biol. 1, vo]. 63, an. 1907, pag. 43. — 521 — I risultati di Wintrebert meriterebbero di essere estesi per accertare fin a qual punto si potrebbero ottenere identità di risultati con cause di- verse. Si presenta interessante anche uno studio di comparazione dei risultati nelle neotenie (Anuri) con i nostri risultati sperimentali. i L'azione della tiroide come causa acceleratrice tende a prodursi più age- volmente quando le larve sono più avanzate nell'accrescimento : è opportuno dì ricordare, a questo proposito, che Davemport (*) ha dimostrato che, mentre l'uovo di Rana contiene circa il 50 °/, di acqua, in seguito, nei primi 15 giorni, l’acqua aumenta notevolmente; poi, dopo un periodo nel quale culmina, la percentuale d'acqua tende rapidamente a diminuire. Pur tralasciando, per ora, di ricordare tutti quelli che si sono occupati dell’importantissimo argo- mento, ricorderò che Schaper (*), estendendo le ricerche di Davemport, ri- scontrò che le larve di Rana, al 6° giorno hanno, il 66,67 °/, di acqua; fin all'8° giorno l'aumento è piccolo. All'8° giorno, la percentuale dell'acqua aumenta dal 68,29 al 73,58 °/: dal 10° all'11° c'è un aumento dal 76,19 all'84,95°/; dall’ 11° al 14° aumenta fino a 91,56 °/.. Infine al 40°, c'è il 95,02 °/,. A tal epoca l’ autore trova che sono evi- denti le gemme degli arti posteriori. . Dal 40° giorno la percentuale dell’acqua comincia a diminuire. Al 54° giorno, quando il corpo è molto sviluppato, la larva presenta una quantità d'acqua che va al 92,65 °/,; le estremità posteriori vanno progredendo nello sviluppo. In seguito, col progredire della fase di metamorfosi, la percentuale del- l'acqua va sempre più riducendosi, fino a diventare il 76,40 °/,. L'importanza di queste ricerche sta anche in questo: il comportamento dell’acqua, così diverso, in un tempo relativamente breve, è un palese in- dizio dell'attività metabolica che si modifica rapidamente nelle succesive fasi che si susseguono nell'accrescimento larvale: una nutrizione con tiroide viene a modificare il regolare andamento dei fenomeni, e i suoi effetti sono diffe- renti a seconda della fase in cui vengono iniziati gli esperimenti. Che una nutrizione con tiroide modifichi profondamente il chimismo dell’organismo, risulta oramai da una numerosa serie di ricerche sui mam- miferi: una continuata somministrazione con tiroide pone l'organismo in istato patologico per la disintegrazione dell’albumina e per le aumentate ossidazioni; e si sa che con l’aumentata assunzione d'ossigeno non va di pari passo l'eliminazione dell'anidride carbonica: ed è assai importante (') Davemport, The réle of water in growth Proc. Boston Soc. Nat-Hist., XXVIII, 1897. (*) Schaper A., Bettràge zur Analyse des tierischen Wachsthums. Arch. f. Entw. Mech., Bd. 14, pag. 307. — 522 — di ricordare che Leichtenstern ('). (1894) osservò perx2=0, a+=2z=a—--l,si abbia PICO). a] |) 2.6]]| a e formule analoghe per DIES s Ad. quindi: d MORTE x essendo: d°Y dy d° Ufslievoniivol Li 2 2 + 2vw Li = + 2uv Di 2 na: + 2 5 Yy de dE dI dWY d Risolvendo l’equazione (9) rispetto al primo trinomio del 2° membro, e sostituendo al secondo trinomio l’espressione fornita da queste ultime, otterremo: du dg do dp, do av _ di de dt dy di da i i “Tae e onde la (7) darà: CO) An ++ (4 (D+ dyY + fovas S ‘Ora si ha, tanto se lo spazio S è fisso, quanto se è variabile: dU d Se; UA: Ma per la formula (8): bi pio La) a Sos f(e a LI quindi, integrando per parti, e tenendo presente la condizione d’incompres- sibilità dU TILT dI dY de (11) Sues=— fyluatos bro) az=— f pNds. Con una trasformazione analoga, il 2° integrale della formula (10) diven- terà uguale a — IL n NAZ. Onde avremo infine: (12) And fina ( E nas4 ( wos. — 575 — Questa formula risolve il problema. V'intervengono infatti le quantità w ed N che sono indipendenti dal movimento del liquido; e (nella W) le componenti di velocità «,v,, ma non le loro derivate rispetto al tempo, 4. È da notare che la formula (12) sussiste anche se nello spazio S vi sono delle superficie sulle quali la velocità è discontinua, come si rico- nosce facilmente esaminando le trasformazioni eseguite. Consideriamo infatti un integrale del tipo i I=f( +: dY +13) ds ove F,/,g9,% rappresentino funzioni che potranno essere discontinue sopra superficie il cui insieme denoteremo con ©, e delle quali le ultime tre siano legate dalla relazione: cana i dl (5) lr 00 de "i: Le superficie ©, opportunamente completate, se occorre (per es. se © è una superficie aperta situata nell'interno di S), con altre che diremo ®,, e sulle quali le discontinuità saranno nulle, divideranno lo spazio S in un certo numero 7 di spazî S;. E sarà I-S.f(R+ sl +at) d$; dY d& L’integrale esteso allo spazio S; (in cui le funzioni sono continue) po- tremo trasformarlo in un integrale esteso alla superficie 0; di S;. Tenendo presente la relazione (13), e ponendo E=—F.(/e+98+%Mm, ove @,£,y denotano, nei punti di 0;, i coseni della normale interna, avremo: m. J= Dif E do; 5 Ì Si Ora l'insieme delle superficie 0; è formato dalla superficie X che limita l’intero spazio S, e dalle due faccie delle superficie © ed w,. Ma nei punti delle superficie ©, E ha, dalle due parti, valori uguali e di segno con- trario, essendo ivi continue le F,/,9,%, ed essendo uguali e di segno contrario i coseni delle due normali; onde le superficie @, non interverranno nella espressione di J. Se dunque nei punti di w diciamo E ed E” i va- lori di E dalle due parti, si avrà: J= jfnd +J, @+ L') do. ReNDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 75 — 5/6 — Se poi la funzione F è continua nei punti di w, e le funzioni f,g,% sono tali che la quantità fa +4 98 + hy abbia dalle due parti di © valori uguali e di segno contrario, sarà E'+4+- E"= 0, quindi = f Edx. Z come nel caso che non esistano discontinuità. Questo appunto accade nelle trasformazioni d'integrali eseguite nel $ 3: precisamente nella (5-6) (e righi = ; 3 I, nella (8-11) (F=w:/,g9,h=%,v,w),e nell'altra analoga alla precedente ( = Pal La pressione p è infatti continua nello spazio S; la funzione w è continua con tutte le sue derivate; e se vi sono superficie su cui la ve- locità è discontinua, la componente ua 4- v8 + wy ha, secondo le due nor- mali, valori uguali e di segno contrario. 5. Particolarmente interessante è il caso che il corpo C si muova di moto traslatorio uniforme, e che la superficie ®, sia fissa. La velocità normale N è allora nulla sopra 2, e i due primi inte- grali della formula (12) risultano estesi alla sola superficie o di C. Se poi supponiamo che il corpo sì muova parallelamente all'asse delle 4 con ve- locità V,, sarà sopra oN= Ve; onde avremo: cale dY I) (14) A=V050 ( pado— ( do | Wds . Ma la quantità entro parentesi, per una formula dimostrata nella prima delle due Note precedenti a questa ($ 2), è uguale ad [E ndo, ossia 0 d DIG (al ada. Denotiamo poi le componenti di velocità, anzichè con 0 dX u,v,w, con Vu, Vv, Vow (supposto V, = 0). Volendo conservare a W IY da con V?. W; si avrà pertanto: a= vii (2 ade+ ( wos) e denotando con —K il coefficiente di Vi, che non dipende da V, (bensì dalla configurazione del sistema, e dal movimento del liquido nell'istante %): la sua espressione w? +... dovremo nella ultima formula sostituire W SK. Vi. Cio — Possiamo chiamare s7m2/7 quei movimenti i quali (nell'istante 4, 2 cui si riferisce A) si ottengono uno dall'altro moltiplicando le componenti di ve- locità per una costante. Noi vediamo dunque che per movimenti simili il valore di A è proporzionale al quadrato della velocità del corpo mobile. Sembra sia questa l’espressione più generale della legge di proporzio- nalità fra l’azione A — in particolare la componente della forza secondo la direzione del movimento, o resistenza diretta — e il quadrato della velocità del corpo; legge confermata. entro certi limiti, dall'esperienza ('). Supponiamo che A rappresenti la resistenza diretta; e confrontiamo un movimento M col movimento simile M' ottenuto invertendo le velocità di tutte le particelle liquide. Dovrà cambiare di segno la velocità Vo di C, ma V$ e K non varieranno; e perciò non varierà, nè di grandezza, nè di segno, la resistenza A. Quindi avverrà o che A sia nulla per ambedue i mo- vimenti, o che per uno di essi la resistenza abbia lo stesso senso del mo- vimento del corpo. Questo risultato è da considerarsi come un'estensione del noto paradosso di D Alembert. ‘Si deve però tener presente che le formule qui stabilite valgono per qualunque movimento della massa liquida compatibile col dato movimento del corpo C; mentre i valori del coefficiente K forniti dalle osservazioni si riferiscono a quei movimenti particolari che sono provocati dal movimento stesso di C. Per tali movimenti K risulta positivo. 6. Se oltre ad esser fissa la superficie 2, è anche immobile il corpo C, la formula (14), posto Vo=0, darà: (15) A= f wes. In questo caso, se noi confrontiamo due movimenti simili della massa liquida, poichè W e quindi A risultano moltiplicate per il qnadrato della costante per cui si moltiplicano le componenti di velocità, avremo che i valori di A stanno tra loro come i quadrati della velocità in uno stesso punto dello spazio. 7. Si può dare di W un'espressione molto semplice. In un punto qualunque dello spazio S siano, al tempo £#,,4,0,€,ì coseni di direzione della velocità, e sia V la sua grandezza. Sarà u= Va, DINI quindi: wav(iet. +2 po +). IyDE Ma la quantità entro parentesi non è altro che la derivata seconda della (1) V. Levi-Civita, Scde e leggi di resistenza, Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, tomo XXIII, an. 1907. — 578 — funzione w rispetto alla direzione della velocità. Designando questa con v avremo: 2 i) — VEDER dv 8. Un'altra espressione sì può dare della quantità W, e perciò di A. Essendo U = = + v 5 + w . , sarà identicamente: QU QU QU dU dU dU\ Id ato += ( vo Ar even) a 3 ap DO, oa dv \ i e SI Peo DIO AI ti a 3 TAV Poniamo E TORO i TONE __ dv __w dae tie > ei de meg i dY denotiamo cioè con È, 7,6 le componenti del vortice. I coefficienti di DA Du 3 DI nella formula precedente, sono uguali ad dy dé \V2 tum), ecc. (V= + 0° + w?). Si avrà per conseguenza da quella formula, risoluta rispetto a W: DI SPORE UPN LUIGINO € (diri PIENE PREC IO Me? % nur I dd |) ove: D— (of — 101) 35 + (620) SL + (un — 08) È E ovvero: GRIM) pid S. FIS dd dWw dw — 579 — 9. Supponiamo, come nel $ 6, che le superficie o e > siano fisse. Varrà allora la formula (15), da cui, sostituendo a W l’espressione trovata, otterremo: QU QU dU\. A=[.(e sn +v dy + w o) ds— (Oa AN dY or. dar il Se rappresentiamo con w l'insieme delle superficie sulle quali la velocità è discontinua, potremo eseguire sopra i due primi integrali la trasforma- zione esaminata nel $ 4, ed avremo A= ( Ra+ f ("+8") 0 + ( D68, (/1) S essendo ora (16) Dna Nei punti di X x denota la normale interna ($ 2). Nei punti di w x rap- presenta sia l’una che l’altra normale, N è la componente della velocità secondo 7, E' ed E" sono i valori di E dalle due parti ($ 4). Ma osserviamo che nei punti di X, da delle superficie o e X;, che 3 i old w dI abbiamo supposte fisse, N=0, quindi E = La ni . Inoltre sopra o an sopra o Do. O ($ 3). Onde sarà: dn (17) =} [veadot f ®@+E)d0o+ f Des. 20 ‘ s Se lo spazio S non è semplicemente connesso, la massa liquida potrà — essere in movimento senza che si abbiano nè superficie di discontinuità , nè vortici (€ =q=È=0, D=0).. In tal caso avremo (18) = (vedo, 2 Io la quale formula poteva ottenersi direttamente dalle (1) e (2), essendo allora p=—3V+ cost. 10. Altro caso notevole è il seguente . Si abbia nello spazio S una superficie di discontinuità w, chiusa, e che contenga C nel suo interno, la quale superficie potrà anche, in parte, 1580 — coincidere con o. Noi ci avviciniamo così a quello che realmente accade nel caso di un corpo fisso investito da una corrente. Diciamo S' lo spazio compreso fra o ed w, S” quella compreso fra w e Z,. Nello spazio S'’, e nell'istante 4, a cui ci riferiamo, il liquido sia in quiete; nello spazio S" (che supporremo a connessione multipla) il moto sia irrotazionale. Potremo applicare la formula (17), in cui si dovrà porre D= 0, man- cando i vortici in tutto lo spazio S. Inoltre, poichè nello spazio S' non si wW E e (( (IE ) ui) S ha movimento, ed è nulla per conseguenza tanto la velocità V quanto la funzione U, sarà nullo l'integrale esteso a o, e nell'integrale esteso ad © sarà E'= 0, se intendiamo che E' si riferisca alla faccia di © rivolta verso S'. Quanto ad E”, poichè nei punti di «w la componente normale della ve- locità è nulla (il liquido essendo in quiete nello spazio S'), avremo dalla formula (16) e=t di ove s'intende che V rappresenti la velocità sulla faccia esterna di ©, n la normale esterna. Onde sarà per la (17): _1 (22% a=3(V SB do. dy Se « viene a coincidere con 0, ove ai 4, ritroviamo la formula (18). — 581 — Matematica. — Sugli integrali abeliani riducibili. Nota I del Corrispondente FRANCESCO SEVERI. È noto che sopra una curva algebrica C, non può esistere un'infinità continua di sistemi lineari (completi) d'integrali abeliani di 1° specie, ri- ducibili (*). Picard e Poincaré hanno da tempo indicato esempî di curve di genere p>1, possedenti un'infinità discontinua d’integrali ellittici (integrali con due periodi ridotti) (@). In questa Nota mi propongo di mostrare l’esistenza di curve contenenti infiniti sistemi lineari di y(= 1) integrali con 29 pe- riodi ridotti; e ciò anche all'infuori dei sistemi che s'ottengono ovviamente, sulle curve di Picard:Poincaré, combinando linearmente a due a due, a tre a tre, ecc., i loro integrali ellittici. Resta però sottinteso che, nel caso q>1, non potrà esigersi, come accade sempre per g= 1, che ognuno degli infiniti sistemi sia riducibile al genere 9g (°), cioè che provenga da un’invo- luzione di genere 9 della curva sostegno, giacchè si sa anzi che non può esistere una curva algebrica con infinite involuzioni irrazionali di genere ATL (!) Pei concetti fondamentali relativi agl'integrali riducibili, veggansi, ad es., le mie Lezioni di geometria algebrica (Padova, Draghi, 1908). Ved. in particolare a pa- gina 340. (?) Picard, Sur la réduction du nombre des périodes des intégrales abéliennes, ete. (Bulletin de la Société math. de France, tom. XI, 1883, pag. 25) pag. 47; Poincaré, Sur la réduction des intégrales abéliennes (Comptes rendus, tom. 99, 1884, pag. 853); Sur les fonctions abéliennes (American Journal, tom. 8, 1886, pag. 289). (3) Nel trattato di Krazer, Lehrbuch der Thetafunktionen (Leipzig, Teubner, 1908) pag. 493; e nelle mie Lezioni citate, q integrali indipendenti, di 1 specie, di una curva C di genere p (>gq) diconsi riducibili al genere q, quando, mediante una sostituzione ra- zionale, essi possono mutarsi nei q integrali di 1° specie di una curva di genere g. Poin- caré invece adotta questa locuzione anche quando si sappia soltanto che i g integrali hanno 2q periodi ridotti. In generale ciò non porta l’esistenza su C di un’involuzione di genere 9, di gruppi di punti, ma sibbene l’esistenza di un’involuzione adeliana, sulla varietà dei gruppi di g punti di C. (*) De Franchis, Un teorema sulle involuzioni irrazionali (Rendiconti del Circolo. matematico di Palermo, tom. 36, 1913, pag. 368). Noterò di passaggio che oltre alla via, del resto assai semplice, indicata dal De Franchis, per stabilire la citata proposizione, si può seguire quest'altra. È chiaro (formola di Zeuthen) che le involuzioni di genere q>1, sopra una € di genere p, hanno l'ordine limitato. Ma poichè le corrispondenze di dati indici, sopra una curva, si distribuiscono in un numero finito di sistemi con- tinui (ved. il lemma geometrico al n. 4 della mia Memoria, Ze corrispondenze fra i punti di una curva variabile in un sistema lineare sopra una superficie algebrica, Math. = Seri Darò qui un cenno della via seguìta e dei risultati ottenuti nel pre- sente lavoro. i Per brevità un sistema lineare d’ integrali riducibili, i cui periodi ridotti sieno in numero doppio a quello degl’integrali indipendenti contenuti nel sistema, si dirà un sistema regolare. Esso è necessariamente completo (?). Se sulla curva C, di genere p, esistono due sistemi regolari d'’ inte- grali riducibili, si presenta spontanea la considerazione del loro sistema lineare « congiungente» K', e del loro sistema lineare « intersezione » H. Poggiandomi sulle ricerche di Castelnuovo intorno alle varietà di Picard (?) e sopra una disuguaglianza fra il numero degl’integrali indipendenti (di 1° specie) di un sistema d' integrali riducibili ed il numero dei loro periodi ridotti (*), dimostro che i sistemi H, K sono regolari, come i due sistemi dati (n. 1). Ciò posto, si rappresentino gli co?-! integrali di 1° specie di C (4), coi punti di uno spazio lineare Sp-1, sicchè i sistemi regolari d’integrali ridu- cibili, abbiano per imagini certi spazî lineari di Sp-1. Dalla proposizione riferita, segue subito che gli spazî successivamente dedotti, mediante proie- zioni e sezioni, a partire da un gruppo di spazî imagini di più sistemi re- golari, rappresentano nuovi sistemi regolari. Ne deriva un'immediata ed elegante dimostrazione geometrica del teo- rema di Poincaré, circa l’esistenza d'infiniti integrali ellittici sopra una curva di genere p, che possegga w + 1 integrali ellittici dipendenti (p=>w = 2)(°). Nel caso u==8, per esempio, sul piano rappresentativo del Annalen, Bd. 74, 1913); così ne segue, in forza di un noto teorema di Humbert-Castel- nuovo, che le involuzioni di genere >l sono esse pure in numero finito. A proposito della mia Memoria citata dei Math. Annalen, colgo l’occasione per av- vertire che negli enunciati dei nn. 19 e 20, relativi ad una corrispondenza T variabile colla curva generica di un sistema lineare |C|, almeno co?, sopra una superficie, regolare o irregolare, F, va aggiunto in modo esplicito che, qualora |C| sia composto con una in- voluzione In, la corrispondenza T non deve far parte della corrispondenza simmetrica S(a—-1,x—1), generata da I sopra ogni C. Del resto la dimostrazione del n. 19 esclude in modo evidente questo caso, da che in essa si suppone che il luogo dei punti omologhi di un dato x nelle T relative alle co! curve della rete |C], che passan per #, sia una curva; mentre nel caso da escludersi, il luogo suddetto ridurrebbesi ad un gruppo di punti. I teoremi dei nn. 19, 20 valgono evidentemente, arche senza quest’esclusione espli- cita, purchè si riferiscano a sistemi lineari semplici |C|, almeno ceî. (1) Cfr. le mie Lezioni, pag. 340. (£) Castelnuovo, Sugl' integrali semplici appartenenti ad una superficie irregolare (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, (5), tom. XIV, 1905, pag. 593). (3) Ved. le mie Lezioni, pag. 388. (4) Consideriamo come identici due integrali che differiscano per una costante, addi- tiva o moltiplicativa. (5) Sur les fonctions abéliennes (cit.), pag. 305; Krazer (trattato citato), pag. 489. — 583 — sistema che congiunge i 4 integrali ellittici dati, si hanno 4 punti, a tre a tre indipendenti, A, , A», A43, À,4, imagini di quei 4 integrali. Orbene, le intersezioni a due a due delle rette congiungenti due degli A, o due dei nuovi punti che da essi via via deduconsi (rete di Mòbius), rappresentano infiniti integrali ellittici contenuti nel sistema. In generale si trova (restringendo leggermente la portata del teorema del n. 4) che se una curva C, di genere p, possiede u-+1(= 8) sistemi re- golari, a w a # indipendenti, d’integrali riducibili, tali che uno, A, di essi, di dimensione g—1(= 0), sia contenuto nel sistema che congiunge gli altri, la curva contiene un'infinità discontinua di sistemi analoghi ad A. Resta anche ben determinata la struttura di tale infinità, poichè si prova che quei sistemi possono coordinarsi biunivocamente ai vertici di una rete di Mòbius di specie u— 1 (individuata da «+ 1 punti a w a w indipendenti di un Su-1). Va considerato in modo speciale soltanto il caso u= 2, perchè allora il gruppo degli spazî rappresentativi dei tre dati sistemi, non è capace di definirne altri, come A, mediante operazioni 2rferne di proiezione e sezione. Ma da w=2 si risale agevolmente a u=3, con un'opportuna operazione di ampliamento (n. 2) del sistema congiungente i tre dati. La rete di M6- bius (di specie 1) coordinata alla totalità dei sistemi regolari 009 esistenti su C, è allora costituita dai punti d'una retta derivanti da tre di essi, me- diante successive costruzioni di quarti armonici. Allorquando i w-- 1 sistemi dati sieno della stessa dimensione 9 — 1 — e a questo caso ci si può sempre ridurre — gl’ infiniti sistemi regolari che da essi derivano, costituiscono quella che chiamo una configurazione nor- male di sistemi d’ integrali riducibili. Tale configurazione è studiata al n. 5 (Nota II) ove si determina anche il minimo continuo, cui appartengono tutti i suoi sistemi regolari. Naturalmente questi risultati possono riferirsi, non soltanto agl’inte- grali abeliani propriamente detti, ma anche agl’integrali semplici di prima specie d'una varietà. Basta considerare, in luogo d'una varietà di Jacobi, una varietà di Picard. i Il n. 7 (Nota II) è dedicato a stabilire l’esistenza effettiva di varietà (o curve) algebriche soddisfacenti ai teoremi sopra riferiti. E nel n. 8 (Nota II) espongo infine una dimostrazione analitica del teorema generale del n. 4. l. SISTEMI CONGIUNGENTE E INTERSEZIONE DI DUE DATI SISTEMI RE- GOLARI. SISTEMI COMPLEMENTARI. — Sia V una varietà di Picard (o di Jacobi) a p dimensioni, la quale possegga due sistemi regolari A, , A», con- tenenti rispettivamente %, , 9» integrali riducibili di prima specie, indi- pendenti. i RenpIconTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 76 — 584 — Gl'integrali di A, sono allora costanti lungo le varietà algebriche W' a P_—q dimensioni di un sistema co, d’indice 1, appartenente a V (1), e, similmente, le varietà W"”, di livello costante degl'integrali di A,, sono algebriche, a p — 9° dimensioni, e formano un sistema 00%, pure d’ indice 1. Sulla varietà algebrica W a d( d), ammette an- che entro N un sistema complementare, di dimensione / —d—1, cioè un sistema regolare 00°, non avente con M alcun integrale comune. Esso non è altro che l'intersezione di N col complementare di M, entro al si- stema totale S. Ciò premesso, si esaurisce subito anche il caso in cui esista il sistema intersezione H dei due dati sistemi regolari A,, A». Costruiscasi in A, un sistema B,, di dimensione gg 7 — 1, complementare di H: B, è indi- pendente da H e quindi anche da A;. Ed è chiaro che il sistema K, con- giungente A, ed A,, coincide con quello che congiunge B, ed A;. Dal- l'esame del caso precedente, segue pertanto che K è esso stesso un sistema regolare. E si conclude: Anche il sistema congiungente di due dati sistemi regolari d’inte- grali riducibili, è regolare. 2. AMPLIAMENTO DI UN SISTEMA REGOLARE. — Se la varietà picar- diana V, di dimensione p, possiede un sistema regolare A, c09, d'inte- grali riducibili, si può sempre costruire nna picardiana W, di dimensione 9, a cui spettino quegl’integrali, cioè tale che gl’integrali semplici di 1 specie di W, abbiano gli stessi periodi degl’'integrali appartenenti ad A. I punti di W sono le imagini delle oc? varietà tracciate su V, lungo cui sono costanti quegl’integrali ed il punto corrente su W è funzione razio- nale del punto corrente su V. (1) Memoria cit. pag. 43. Ivi trovasi il teorema cui si allude nel testo per le curve di genere 2. () Sur les fonctions abéliennes (cit.), pag. 302. Ved. pure, Castelnuovo, loc. cit., pag. 598. i — deo = Posto ciò, consideriamo un'altra picardiana W' di dimensione g' e sia ® la picardiana, di dimensione g ++ g', che rappresenta la varietà delle cop- pie di punti di W,W'. La ® contiene due sistemi regolari complementari, rispettivamente di 009 e 00 integrali riducibili: i primi hanno gli stessi periodi ridotti degl'integrali di W, ossia di A, e i secondi gli stessi periodi ridotti degl’ integrali di W'. Si è così costruito un sistema regolare più ampio B, 0c09*?"-, cuì ap- partiene un sistema regolare 7deztico al dato sistema 009 A. E quando parliamo di sistemi « identici » d'integrali riducibili, intendiamo alludere a sistemi i cui elementi (integrali) si possono riferire (omograficamente) per guisa che due integrali corrispondenti abbiano gli stessi periodi ridotti. Due varietà di Picard, di dimensione g, a cui spettino rispettivamente due dati sistemi regolari 009, fra loro identici, sono birazionalmente equivalenti. Diremo per ciò che #! sistema regolare B è un ampliamento del si- stema regolare A, ottenuto per prozezione dal sistema lineare degl’ inte- grali di W'. 3. DIMOSTRAZIONE GEOMETRICA DEL TEOREMA DI PoINCARÈ, RELATIVO ALLE CURVE (0 VARIETÀ) CON INFINITI INTEGRALI ELLITTICI. — Dalle proposizioni del n. 1 discende che se, entro alla totalità S degli 0oo?7 in- tegrali semplici di 18 specie di una. varietà algebrica V, esistono più si- stemi regolari d'integrali riducibili, ogni sistema lineare dedotto da. essi con operazioni înlerne di protezione e di sezione, è un sistema regolare d' integrali riducibili. Supponiamo che V possegga w+ 1 integrali ellittici wu, , 2,..., +1, linearmente dipendenti (p => w = 2). Senza introdurre un'effettiva restrizione, sì può ritenere che fra i suddetti integrali non se ne trovino mai w dipen- denti fra loro. Il sistema regolare congiungente quegl' integrali, ha perciò la dimensione 4-1, e viene rappresentato da uno spazio lineare K, in cui sono segnati H+ 1 punti 1, %2,..., Up+1, a W a 4 indipendenti, imagini dei dati inte- grali. A partire allora da quei w +1 punti, con operazioni interne di pro- iezione e di sezione, se ne possono ottenere infiniti altri (com'è ben noto, si ottengono così tutti e soli i punti « razionali » rispetto al gruppo dei u+1 dati, i quali si assumano come vertici della piramide fondamentale delle coordinate proiettive). Si conclude pertanto col teorema di Poincaré: Se una varietà (0 curva) algebrica con p integrali semplici di 1° specie, contiene u+1 integrali ellittici linearmente dipendenti (p=>u= 2) ne contiene infiniti altri. Nel caso u=3, come già abbiamo detto nell’introduzione, gl’ infiniti integrali ellittici vengono rappresentati dai vertici della rete di Mòbius che, sul piano vappresentativo K, è definita dai punti, a 3 a 3 indipendenti, imagini dei 4 integrali ellittici dati. Le rette della rete corrispondono a — 587 — sistemi regolari di 2 integrali riducibili con 4 periodi. Se 4 è una retta della rete, il corrispondente sistema co! contiene alla sua volta infiniti integrali ellittici, rappresentati dai vertici della rete che cadono su a. Tali vertici, come si sa, s'ottengono tutti da tre di essi, mediante successive costruzioni di quarti armonici. Nel caso di w qualunque, potremo similmente dire che gl’ infiniti inte- tegrali ellittici vengono coordinati ai vertici di una rete di Mobius di specie u—1, avente come base un gruppo di u+4-1 punti a u a u in- dipendenti. Le rette, i piani,..., gli Sp-» della rete, rappresentano rispetti- vamente sistemi regolari di 2 integrali con 4 periodi, di 3 integrali con 6 periodi,..., di u—1 integrali con 2(u—1) periodi; e su ognuno degli spazî subordinati della rete, il quale abbia la dimensione X (K=1,2,.., u — 2), resta subordinata una rete di Mòbius di specie %, i cui elementi rappresentano sistemi regolari d’integrali riducibili. In particolare sopra una retta della rete si hanno, come prima, infiniti punti imagini d'integrali ellit- tici, i quali s'ottengono tutti da 3 di essi, mediante costruzioni di quarti armonici. Una tal totalità di punti si chiamerà brevemente una rete di Mò- bius di specte 1, avente come base una terna di punti (allineati). Osservazione. — La dimostrazione esposta cade in difetto nel caso estremo u= 2, perchè allora lo spazio K riducesi ad una retta, su cui sono segnati 3 punti distinti ,,%»,%:. E da questi non se ne possono dedurre altri, con operazioni interne di proiezione e di sezione. Tuttavia proveremo che anche in tal caso la varietà V possiede infiniti integrali ellittici, rappresentati dai punti della rete di Mòbius di specie 1, definita da (41,2, U3). A tale scopo si operi l'ampliamento del sistema K, mediante proiezione di questo sistema da un integrale ellittico v, identico ad « (n. 2), talchè la varietà @ del n. prec., verrà in tal caso ad esser la varietà delle terne dei punti tolti da tre curve ellittiche 7, , T:, 73, alle quali spettino rispet- tivamente tre integrali identici ad ,,v»,v3. Il sistema ampliato 00°, B, contiene un sistema (identico a) K e un altro sistema co! , L, congiungente uz ed w,. Ed è evidente che ad L appartengono infiniti integrali ellittici, ottenibili tutti combinando linearmente w: ,%4, mediante coefficienti interi (o razionali). Se pertanto sul piano B, imagine di B, si segnano le rette K,L (le quali si incontrano in 3), uno, v5 , degl infiniti punti di L (diversi da 3 ,%,), che rappresentano integrali ellittici, costituirà insieme ad w,,%s,%, una quaderna d’integrali ellittici, e tre a tre indipendenti. Saremo perciò ricon- dotti al caso u=3, e si concluderà che la retta K, appartenente alla rete definita da (w,,%2,%4,%;), contiene infiniti vertici della rete stessa, for- manti una rete di Mòbius di specie 1; il che dimostra appunto quanto ab- biamo asserito. — 588 — Matematica. — Swu/l’operatore differenziale binario S di M. Pieri. Nota di MATTEO BortASSO, presentata dal Corrispondente R. MARCcOLONGO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Meccanica. — Su moti turbolenti provocati da solida immersi. Nota di U. CisoTTI, presentata dal Socio T. Levi-CIVITA. 1. Mostra l’esperienza che il movimento di un liquido, scorrente entro un tubo, può aver luogo in condizioni di regime, alquanto differenti fra loro: îl regime di Poiseuille e il regime idraulico. Se il liquido scorre molto lentamente in un tubo rettilineo, i filetti li- quidi si mantengono sensibilmente paralleli alle pareti, senza mescolarsi gli uni cogli altri. È il regime di Poiseuille. Esso può caratterizzarsi ana- liticamente sfruttando le equazioni idrodinamiche di Navier per. i liquidi viscosi, ridotte ai soli termini lineari, nelle componenti della velocità e loro derivate. Il regime di Poiseuille è stabile fino a che la velocità del liquido non passa un certo limite (velocità critica), di là del quale, esso è an- cora possibile, ma cessa di essere stabile. Considerazioni di omogeneità ad esperienze sistematiche hanno condotto Reynolds a ritenere che la velocità critica sia inversamente proporzionale al diametro del tubo e alla densità del liquido, e direttamente proporzio- nale al coefficiente di viscosità. In modo preciso, detti: o la densità del liquido, k il coefficiente di viscosità, 4 il diametro di una sezione trasver- sale del tubo, V la velocità media nella sezione stessa, la instabilità del regime di Poiseuille incomincia a manifestarsi quando il rapporto (rapporto di Reynolds) odV k assume un certo valore, che esperienze di Hagen, Couette e Reynolds stesso hanno concordemente stabilito eguale a circa 2000 in unità (C. G. S.). Detta V. la velocità critica, si ha dunque sensibilmente k Vi= 2000 GU 3 A partire da questa velocità, l'andamento regolare dei filetti — carat- teristico del regime di Poiseuille — si modifica alquanto; questi tendono — 589 — a confondersi insieme e a diffondersi in tutta la massa liquida effluente nel tubo, per dar luogo infine al regime idraulico. Questo nuovo regime non si stabilisce immediatamente dopo V., ma a partire da una velocità superiore, cioè di circa 1,2 V.. Per velocità comprese in questo intervallo, sono 4 priori possibili entrambi i regimi; ma sono entrambi instabili. Trattandosi di moti ron più lenti, per lo studio analitico del fenomeno più non è sufficiente di ricorrere alle equazioni di Navier, ridotte ai soli ter- mini lineari. È questa la principale circostanza per cui lo studio teorico dei moti turbolenti è appena abbozzato ('), e si è ancora in attesa di una soddisfa- cente giustificazione idromeccanica delle risultanze sperimentali. Ciò premesso, veniamo alla questione che forma oggetto della presente Nota. 2. Si consideri un solido sferico, immerso in un liquido viscoso indefi- nitamente esteso. La sfera sia dotata di un moto rettilineo con velocità V; il suo moto si comunica alla massa fluida circostante. Con qual legge? Quando si tratta di una lenta traslazione del solido, a questa domanda risponde esaurientemente la classica soluzione di Stokes pel caso perma- nente, e una altrettanto esauriente soluzione nel caso, più generale, di una traslazione con velocità variabile (?). L'elemento dinamico saliente che caratterizza, si può dire, il regime di Stokes è la resistenza opposta alla sfera dalla massa liquida, e il cui valore assoluto è — com'è ben noto — definito dalla formula R=6mrakV (a= raggio della sfera). Per la trattazione analitica, ancor qui (come già per l’efflusso lento en- tro tubi), trattandosi di moti lenti, si è autorizzati ad usufruire delle equa- zioni di Navier, ridotte alla forma lineare. Che cosa accade quando non si è più nel regime di Stokes? Quando cioè la velocità della sfera più non è lenta? Dal punto di vista matematico, il problema esigerebbe l’ integrazione delle equazioni di Navier, rigorose e non più approssimate. Ci si imbatte (1) Cfr. Sommerfeld, Ein Beitrag zur Hydrodynamischen Erklaerung des Turbo- lenten Fluessigheitsbewegungen. Atti del IV congresso internazionale dei matematici, Roma, 1908, vol. III; Th. v. Karman und H. Rubach, Veber den Mechanismus des Fhis- sigheits-und Lufwiderstandes, Physikalische Zeitscrift, 1912; Mises, Aleine Schwingungen und Turbulenz, Jahresbericht d. Deutschen Mathem. Vereinigung, B. XXI (1912); Foppl; Wirbelbewegung hinter einem Kreiszylinder, Minch. Sitzungherichte, 1913. (2) Cfr. Picciati, Sul moto di una sfera in un liquido viscoso. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XVI (1907). 0090 — quindi nella stessa difficoltà accennata più sopra per lo studio dell’efflusso, non più lento, entro tubi ('). Dal punto di vista fisico l'intuizione ci dice che deve accadere qual- che cosa di analogo a ciò che si verifica per i liquidi scorrenti entro tubi. Ancor qui deve esistere oltre al regime tranquillo (di Stokes), un regime idraulico, e una velocità critica della sfera che segna il termine della sta- bilità di un regime e l’inizio della preparazione ad un nuovo regime. Scopo della presente Nota è di mostrare, con considerazioni elementari suggerite dai criterî di omogeneità, che queste previsioni trovano una giusti- ficazione teorica. Tali considerazioni farebbero anzi prevedere la possibilità dell’esistenza di un terzo regime. In modo preciso, i tre regimi sarebbero caratterizzati dal diverso comportamento della resistenza, quale risulta dalle formule se- guenti: 151 = pakV , Ro = yga?V®, k® it == 926 Bizok 0 dove g,w,y dipendono unicamente dal rapporto di Reynolds: oaV 0 de Il primo regime corrisponde ad una resistenza proporzionale alla velocità, al raggio della sfera ed al coefficiente di viscosità: è il regime di Stokes. Nel secondo regime — regime idraulico — la resistenza varia in pro- porzione al quadrato della velocità e alla superficie del solido. Nel terzo regime la resistenza risulta proporzionale al quadrato del coefficiente di viscosità. Il presentarsi dell’uno o dell’altro di questi regimi, quasi certamente dipende ancor qui — come già nell’efflusso entro tubi — dal valore del rapporto o di Reynolds. Il terzo regime (che analoghe considerazioni di omogeneità mettono in luce anche per i liquidi scorrenti entro tubi) non è stato messo in evidenza nelle esperienze di Reynolds. Non è però improbabile che il suo posto spetti a quell’intervallo V., 1.2 V, in cui è stata constatata l’instabilità dei due primi regimi. (!) Per tentativi di soluzioni approssimate, a partire da quelli di Stokes, cfr. Noe- ther, Veber den Giltigheitsbereich der Stokesschen Widerstandsformel. Zeitschrift ‘fur Math. und Physik, vol. 62 (1913); Oseen, Veber den Gultigkeitsbereich der Stokessehen Widerstandsformel. Ark. f. Mat. Astr. och. Fysik 9, n. 16, (1913). — 591 — Agli esperimentatori spetta di assodare fino a qual punto le previsioni teoriche trovino conferma nella realtà. 3. Il valore assoluto R della resistenza opposta dalla massa liquida alla traslazione della sfera, sarà, in generale, dipendente dalla densità @ e dalla viscosità X del liquido, nonchè dal raggio @ e dalla velocità V della sfera. Ciò si può mettere in rilievo, scrivendo: (1) R=/(0,%4,a,V), f designando la incognita legge di dipendenza. Se si tengono presenti le dimensioni delle cinque quantità fisiche che entrano nella (1), e che, per comodo del lettore, mettiamo in evidenza me- diante le rispettive equazioni maxwelliane di dimensioni: Rieletto cioameta]le = deb (ge ME=%% (£= lunghezze; #= tempi; m = masse), si ottiene da (1), dividendo le lunghezze per 4, i tempi per 7 e le masse per w, (2) R= f(4u0,Aruk, Ra, A tV). dx ?w. Come si vede, la / dipende dai quattro argomenti Auto tArmwali: Ata 3 AnlaVi che si possono rendere puri numeri. Per ciò è necessario e basta che 2,7, u vengano fissati in modo che tre degli argomenti anzidetti sieno puri numeri, i quali, senza togliere nulla alla generalità, possiamo assumere = 1. Questo si può raggiungere in quattro modi distinti. Si richiede cioè che 4, t,w soddisfino ad uno dei quattro sistemi di equazioni seguenti: (1) (arie = 1g (II) main Ni — VA elogia: (III) Raiuno — Zi ME (IV) A uo Muto — Valois] Queste dànno, rispettivamente, per soluzioni: (I) = ci RE 0 > GN (II) a=4 ,v=aV® ,w= 089 (III) ETNA L= 0A = YACES (IVi) VIZI , t=a0°0k! , u==a0%0 RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 71 — 592 — Per queste, la (2) diviene rispettivamente: Ri=/1akV n Ri=/2.00°V°, 2 (8) imho k? Ri=/1=, 4 ir avendo posto per brevità: v ie di 1 ’ 1 Ù o k f=1( 1 ° caV° 1 Ù 1 li ; V h=/(1. ini 1). RSA 7) Come si vede, i quattro coefficienti, puramente numerici, /, ; f2,/3, fa. dipendono unicamente dal rapporto di Reynolds Matematica. — Sur de moyen mouvement asympiotique et les solutions periodiques de certaines équations differentielles. Nota di EmiLe CoTToNn, presentata dal Socio T. Levi-Civira. Dans un fort intéressant Mémoire « Sur les équations linéaires à coef- ficients périodiques et sur le moyen mouvement du noeud lunaire » (Annales de l’École normale, 3° série, tom. 28, 1911) M. T. Levi-Civita a posé la question de l’existence de ce qu'il appelle un moyen mowuvement asympto- tiqgue pour les solutions de l’équation différentielle M) rid ARI) dont le second membre est une fonction régulière (au point de vue du théorème de Cauchy-Lipschitz) périodique par rapport à @ et par rapport à £: il s'agit de savoir sì l'on peut trouver un nombre w tel que toute solution 6= e(t) de (1) puisse se mettre sous la forme g(t)= pit-s(d), e restant borné DOUG toutes les valeurs de #. d#2) — 593 — La réponse est affirmative: M. Levi-Civita l’a démontré dans un cas particulier (Mémoire cité, chap. 2) et M. E. E. Levi dans le cas général (Comptes-Rendus, 1911, tom. 153, pag. 799). La méme question, sous une forme bien différente, avait été résolue par H. Poincaré, dans le chapître XV de son célèbre Mémoire « Sur les courbes définies par les équations différentielles » (Journal de mathéma- tiques, 4°m° sér. tom. l., 1885, p. 220). De plus, l'illustre géomètre a mis en évidence les relations entre les solutions périodiques de (1) et le nombre u, et a proposé l’étude de ce nombre considéré comme fonction des coefficients de l’équation (1). La présente Note se rapporte à ces derniers problèmes; son principal objet est une représentation géométrique mettant en évidence l’intérét du nombre w pour l’étude de la distribution des diverses solutions périodiques d'une équation do (2) era A ZLZZOE de méme nature que (1), mais dont les coefficients dépendent d’un paramètre variable 4. 1. — Revenons d'abord à l’équation (1), dont nous supposons le second nombre entièrement déterminé. On peut admettre que les périodes de /(0,) par rapport à 0 et par rapport à 7 sont égales à 27. Nous représentons géométriquement les solutions de (1) par des cara- cteristiques tracées dans un plan rapporté à deux axes rectangulaires 0/, 00. Ces caractéristiques s'échangent entre elles par les transformations du groupe discontinu G constitué par les translations amenant l'origine O aux points dont les deux coordonnées sont des multiples de 27. La caractéristique passant par le point A, (0, a) de l’axe 00 rencontre la droite #= 2% en un point A,; le coefficient angulaire m, (@) de la droite A, A,, joue dans la suite un ròle important. La démonstration, donnée par H. Poincaré, de l’existence du moyen mouvement asymptotique wu montre que 72, (@) et « ont méme valeur appro- LI AGO LUN , chée à 7 PIÈ par défaut. St u est un nombre rationnel 2 il existe des solutions telles qu'on alt: g(1) + 2r17= g(t+4 2s7). Ces solutions sont doncgdes so/u/ions périodigues, le mot étant entendu au sens large que lui a donné H. Poincaré (Méthodes nouvelles, tom. I, p. 80); parmi les caractéristiques correspondantes, il en est qui admettent les transfor- mations d’un sous-groupe de G. Toutes les solutions peuvent éètre périodiques; s'il en est de non périodiques, elles sont asymptotes à une solution pério- — 594 — dique. Avec la représentation des caractéristiques sur un tore dont H. Poin- caré fait usage, il correspond un cycle è une solution périodique, et un cycle limite à une solution périodique isolée. Réciproquement si (1) admet une solution périodique, w est rationnel. 2. — Considérons maintenant l’équation (2), dont les coetficients dépen- dent du paramètre 4. Nous supposerons que si 4 varie dans un intervalle, d'où nous ne le ferons pas sortir, cette équation jouit des mémes propriétés que l’équation (1). Nous admettrons méme que F (0, £, 4) est une fonction analytique. i La caractéristique issue du point A; (0, @) coupe la droite {= 277 (x entier) en un point appelé plus haut, A,, qui varie maintenant avec 4; désignons donc par 72, (@,4) le coefficient angulaire de la droite Ap Ap. Nous représenterons la variation de m,(a,) par une surface S, dont l'équation, rapportée à trois axes rectangulaires Oa, 04, 0z, sera <=, (a, 4). Cette surface se transforme en elle méme par la translation parallèle à Oa d'amplitude 277. C'est d'ailleurs une surface analytique, ainsi que le montre un théorème de Poincaré ( Méthodes nouvelles, tom. 1, pag. 58). Si le plan 4 —È (p étant entier) coupe la surface S, suivant une ligne réelle Cn, cette courbe est une ligne analytique. À chacun de ses points correspond un système de valeurs de « et de 4, une équation (2) et une caractéristique bien déterminées; cette caractéristique admet l’une des transformations de G : elle correspond donc è une solution périodique pour laquelle le moyen mou- vement asymptotique w =£ D'ailleurs, lorsque p= 0, la courbe Cp. en question est identique à celles considérées par Poincaré dans la recherche des solutions périodiques (au sens restreint du mot) de l’équation (2). En méme temps que la surface S,, nous considererons la surface X définie par z= (4), qui représente la variation du moyen mouvement asymptotique en fonction de 4 et de a. Comme il ne dépend pas de @, cette surface est cylindrique, les génératrices sont parallèles à Oa. La distance des deux points de rencontre de S, et de > avec une méme parallèle à Oz est inférieure è È la surface analytique S, tend donc uni- ; Il ; , formément vers X lorsque 7 tend vers zéro; (4) est donc une fonction con- tinue, comme Poincaré l’avait annoncé; mais n'est pas nécessairement ana- Iytique. Ainsi, pour l’équation dé —=14-4cos@ dt FF è) — 595 — qui s’intègre immédiatement, w (4) est égal è Y/1 — 4° pour |2|< 1; il est nul pour |Z|>1: La section droite de la surface cylindrique se compose d'un demi-cercle et des deux prolongements du diamètre qui le limite. Toute ligne Cp, est située sur X; si elle n'est pas formée de parallèles LI , D O . 0) à l'axe O@, il lui correspond une ou plusieurs bandes B,, du plan 5=È 1 x limitées par des parallèles à cet axe et faisant partie de X. Réciproquement, di n respond nécessairement une courbe C,, et une famille de solutions périodì- ques. Il peut arriver que C,, soit composée de parallàles è l’axe O@; il n'y a plus lieu de parler de bandes B,,, leur largeur étant alors nulle. L'existence de lignes Cp, ainsi constituées, qui paraît si vraisemblable au premier abord, est-elle une conséquence nécessaire de ce qui précède? je ne saurais le dire. Mais, par contre, il est bien évident qu'il existe des bandes Bp, aussì étroites qu'on le veut (c'est è dire que la différence des valeurs extrèmes de 4 correspondant à la bande, est arbitrairement petite). On écarte, bien entendu, le cas où le moyen mouvement asymptotique reste- rait constant dans l’intervalle de variation de 4. Les valeurs w et #, de u(4) pour A=4, et 4==A1;, étant supposées différentes, soit, pour fixer les idées, wu, < &1. La surface analytique S, coupe les plans 4 = 4, et 4= 4, suivant des à une telle bande, située sur un plan 2=* de cote rationnelle, il cor- ] courbes TY et T,. Pour tous les points de 7, on a #<% cea et, pour ceux 1 ; i; deT,,z>W vi et si n est assez grand, il existe un entier p tel que 19 1 bon 0. In questo secondo caso chiameremo /(®) la funzione caratteristica della resistenza di mezzo. Ambedue le denominazioni introdotte si presentano come naturali esten- sioni di denominazioni di uso corrente quando si pensi alla rappresentazione del moto di S mediante il moto di un punto P (di coordinate 41,42,-.-;4n) in un S,, a fondamento della cui metrica sia posta la forma differenziale quadratica (detinita e positiva) dist = > qa dar dqs + 1 La — 598 — Per la prima denominazione la cosa appare senz'altro evidente: rispetto poi alla seconda, è forse il caso di rilevare esplicitamente che, quando si richieda che le Q risultino proporzionali alle Di i valori forniti per esse G dalle (4) sono i più generali cui corrisponda in qualunque atto di movi- mento del sistema una potenza essenzialmente negativa, e di grandezza di- pendente solo dalla grandezza della forza viva di S. 3. Ciò premesso, supponiamo che il sistema delle forze attive su S risulti di un sistema di forze perpendicolari all’atto di movimento e di un sistema di forze dovuto ad una resistenza di mezzo: cioè sia 26 dn 1 Q= Qi — /(®) (h=1,2,...1) ove le Qf, qualunque siano #, le 9 e le 4, soddisfino la relazione da Qn=" 0: I, i TE) a, Posto avremo allora, per la (2), It (5) Pro = 1 TATA e 9 cioè P,,z risulterà una funzione di I,, soltanto, positiva per I,zr > 0 (3): Supponiamo, viceversa, che nel moto di S, P, risulti una funzione di I, soltanto, positiva per I,z > 0: Prc Gal F(1,3) O In questa ipotesi, derivando rispetto a 7, otteniamo, qualunque sia 7; d 14 E P,r=— Si de Cr = F'(I,43) f(Bwr) x (4) Sulla traccia del procedimento seguito nella Nota del Levi-Civita: Su? moto di un sistema di punti materiali soggetti a resistenze proporzionali alle rispettive velocità (Atti del R. Istituto Veneto, serie VII, tomo VII), sarebbe facile di convincersi che la (5) è una diretta conseguenza del fatto che le equazioni del moto di S, in assenza del si stema di forze perpendicolare all’atto di movimento, si possono ricavare dalle equazioni del moto libero dello stesso S, mediante il cambiamento di variabile indipendente dale i) A dt ’ ove t, rappresenti il tempo pel moto libero, e # il tempo pel moto soggetto al sistema di forze derivante dalla resistenza di mezzo di funzione caratteristica f(®). — 599 — e in particolare per 7=0 (scrivendo per semplicità, secondo il solito, B al posto di ©,), 1 d6 1 (6) sian (O) ove si rappresenti con % il valore, necessariamente positivo ('), di (0). Confrontando la (6) colla (1) si ottiene >, @ia= 4/0). Se allora poniamo PIC ddn Î Q= Qi — kf(©) (Vea) subito troviamo che in qualunque atto di movimento del sistema, cioè qua- lunque siano #, le g e le g, dovrà risultare Di Uan = 0. I Possiamo dunque concludere che: Condizione necessaria e sufficiente affinchè il sistema delle forze at- tive su S risulti di un sistema di forze perpendicolare all'atto di movi- mento, e di un sistema di forze dovuto ad una resistenza di mezzo, è che esista una funzione f(©) della forza viva del sistema, sempre positiva per B>O0 e tale che, posto i III Pi, risulti funzione di IT, solamente, positiva per Tx > 0. In tale ipo- tesi, la f(®) coinciderà, a meno di una costante moltiplicativa, colla funzione caratteristica della resistenza di mezzo. (') Essendo F(0)—Pi,,=0, l’ipotesi che sia FI, 2) >0 per Ig >0 porta di conseguenza che (0) non può risultare negativa. D'altra parte non può risul- tare nulla, perchè allora, per la (6), sarebbe & = cost, e, in conseguenza, Pi,7=0. qua- lunque fosse 7. Sarà dunque, necessariamente, F(0)>0. RenpiconTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 78 — 600 — Matematica. — Sopra alcune applicazioni della teoria della chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali. Nota del dott. Lucio SiLLa, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Le ultime ricerche del prof. Lauricella, intorno ai sistemi di funzioni ortogonali, all'equazione integrale di prima specie e alle funzioni permutabili del prof. Volterra, avendo dato luogo di recente a notevoli lavori (1), saranno, a nostro avviso, feconde di nuovi ed importanti risultati, sopratutto se ta- luno, interpretando il comune desiderio, ne agevolerà al più presto lo studio ripubblicandole in una Memoria riassuntiva che il compianto Autore non ebbe agio di fare. Ci proponiamo, per ora, di mostrare che la teoria stabilita nella Nota Sulla chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali, ece. (*) permette, come il Lauricella stesso affermava nel proemio, di trovare utili applicazioni per gli sviluppi delle funzioni in serie di funzioni ortogonali e per la risoluzione dell'equazione integrale di prima specie a limiti costanti. 1. Sia (D) PL) PL), P(2) un sistema finito o infinito (numerabile) di funzioni ortogonali in un certo intervallo (20); le g:(4), g2(£),... siano, cioè, sommabili (integrabili, nel senso del Lebesgue) insieme con i loro quadrati e con i loro prodotti due a due in quell’intervallo, e tali che si abbia: p MORSE } ge) de =| 1. a Il sistema ® è detto chiuso se le equazioni integrali : o . A) fa ge de=0, A) a non ammettono alcuna soluzione effettiva 6(x), cioè non sono eventualmente soddisfatte che da funzioni @(x) diverse dallo zero tutto al più in un insieme (®) Cfr., per esempio, le Note: del prof. E. Daniele, Sui nuclei che si riproducono per iterazione [Rendic. del Circolo mat. di Palermo, tom. XXXVII (1914), pp. 262-266]; e del prof. C. Severini, Sulle equazioni integrali di prima specie del tipo Fredholm [Rendic. della R. Acc. dei Lincei, serie 5°, tom. XXIII (1914), pp. 219-225]. (2) Rendic. della R. Acc. dei Lincei, ser. 5*, tom. XXI (1912), pp. 675-685. — 601 — di punti di misura nulla. Se, invece, esistono soluzioni effettive delle equa- zioni (1), il sistema ® sarà detto aperto ('). Nel caso di un sistema ® aperto, il Lauricella ha dimostrato (*) che sì può sempre, ed in un modo solo, costruire un sistema finito, o infinito e numerabile, di funzioni ortogonali: (M) md), fo), Li(2), che egli ha chiamato sistema complementare di ®, in guisa che il sistema totale che ne risulta: Q=® 9 M= Pi(2) ’ gx(2) DiLOO ui(2) 9 TECA) EOLO sia ortogonale e chiuso. 2. Gioverà ora richiamare un teorema che ha una speciale importanza per le questioni che interessano i sistemi di funzioni ortogonali e la soluzione dell'equazione integrale di prima specie a limiti costanti, e che si può de- nominare di Zischer- Weyl (*). Sia proposta la successione: (2) fi(2); fa(2), .- di funzioni sommabili nell'intervallo (22) insieme con i loro quadrati: di- remo che quella successione è convergente in media se si ha: lo) lim | {/m@) —/x(0)}}de=0. Diremo poi che la successione (2) converge in media verso la fun- zione f(x), se è soddisfatta la condizione: lim f"1/(@)—/.af'de=0. Ciò premesso, il teorema di Fischer-Weyl si può enunciare così: Se la successione (2) è convergente in media, è sempre possibile (ed in infiniti modi diversi) estrarre dalla (2) una successione parziale : (3) fns(2) > fas (2) > fns(®) 30 (1) Per maggiore esattezza di terminologia, preferiamo adottare questa locuzione in luogo dell’altra non chiuso. (*) Nella Nota precedentemente citata: Sulla chiusura dei sistemi di funzioni or- togonali, ecc. (®) Cfr. E. Fischer, Sur la convergence en moyenne (Comptes-rendus de l’Académie des Sciences, tom. CXLIV, 1° sem., 1907, pp. 1022-1024); H. Weyl, Veber die Konver- genz von Reihen die nach Orthogonalfunktionen fortschreiten (Math. Ann., tom. LXVII, 1909, pp. 225-245) e G. Lauricella, Sulla risoluzione dell'equazione integrale di 1° specie (Rend. della R. Acc. dei Lincei. serie 52, tom. XX, 1911, pp. 528-586). — 602 — dove 71,72 ,%3,... sono numeri interi, positivi e crescenti, la quale con- verge uniformemente in generale (*) nell’ intervallo (20) verso un’ unica fun- zione /(x) determinata in tutto (42) (eccetto, al più, i punti di un insieme di misura nulla) e sommabile col suo quadrato in quell’intervallo. Inoltre la successione (2) converge in media verso la funzione f(x), e si può pure scrivere : (4) /(0)= fn) +) fn (2) + [fn (0) — fa): 3. TeoREMA I: se F(x), come pure il suo quadrato e il suo prodotto per una qualunque delle funzioni g(x) del sistema ®, sono funzioni som- mabili nell'intervallo (ab), e se, inoltre, ® è un sistema chiuso, è sempre possibile sviluppare F(x) in una serie di funzioni g(x) che converge uni- formemente in generale nell'intervallo (ab), secondo il teorema di Fischer- Weyl. i Ci limiteremo soltanto ad indicare la dimostrazione di questo teorema, rinviando per i particolari ad una precedente Nota (?). Siano : b a=f F(x) pi(a) de (2° NS ZAN) i cosidetti coefficienti di Fourier della funzione F(x) relativi alla succes- sione D; posto: (5) f;(2) i i li Pi(2) . (j =1,2 ' d, 2); si dimostra che la successione (5) è convergente in media; quindi, per il teorema di Fischer-Weyl, la successione convergerà in media verso una unica funzione F,(x) tale che, applicando la formola (4), si potrà scrivere: F(2)= À; di Pi(d) + DI di Pe) A 1 ni+l dove, beninteso, la serie del secondo membro è uniformemente convergente in generale nell'intervallo (40) considerato. Ora, poichè : | "RO DIST Va (1) È una locuzione del Weyl; s'intende che, indicata con e una quantità positiva ad arbitrio, la successione (3) convergerà in egual grado in un intervallo C: (appartenente ad (a0) e la cui misura non è inferiore a 4-4-8) verso una funzione f(2). (3) Cfr. la nostra Nota: Sulla propagazione del calore (Rend. della R. Acc. dei Lincei, serie 5%, tom. XXI, 1912, pp. 441-447). — 603 — sarà: ta F(2) — Fi(2)f g;(2) de=0:; quindi F(2)=F,(x), essendo ® un sistema ortogonale chiuso. 4. TEOREMA II. Se F(x) è una funzione che soddisfa alle condizioni enunciate nel precedente teorema e, dippiù, il suo prodotto per una qua- lunque delle funzioni u(x) del sistema M, complementare del sistema ®, è sommabile nell'intervallo (ab); se, inoltre, D è un sistema ortogonale aperto, la condizione necessaria e sufficiente affinchè F(x) sia sviluppabile in serie di funzioni gi(x), uniformemente convergente în generale nell’in- tervallo (ab), a norma del teorema di Fischer- Weyl, è che si abbiano: (6) fr@ ui(a) de=0. (Eat) Dimostriamo che la condizione è necessaria. Supponiamo, pertanto, che si sia trovato: (7) F(x)= > di Pi(2) + w di Pi(e) 4» » n,+1 dove le «; sono i coefficienti di Fourier di F(«) rispetto alle funzioni g;(x) del sistema ® ed x, ,%,,... indicano numeri interi, positivi e crescenti: la serie del secondo membro è, inoltre, supposta convergente uniformemente in generale nell'intervallo (40). Moltiplicando ambi i membri della (7) per u;(x) e integrando per serie, fra i limiti 4 e d, si ha: °b ni il F(2) u;(2) d mi af u;(£) pi(2) de + + (=1388 4) giacchè si è tenuto conto che le funzioni g;(@) e #;(x) costituiscono un unico sistema ortogonale (n. 1). Dunque la condizione (6) è necessaria. Ci rimane da provare che quella condizione è sufficiente, vale a dire che, supposto siano soddisfatte le (6), la F() è suscettibile dello sviluppo (7). Costruiamo, a tal uopo, la successione seguente: J ©1(£) ’ DIL) SICCOIO wj(4) = DE di Pi(£) ’ II sì dimostra, con un metodo già noto ('), che questa è convergente in media; (*) Cfr. la nostra Nota già citata. — 604 — quindi, pel teorema di Fischer-Weyl, esisterà una funzione G(x) verso la quale la successione convergerà in media, e tale che si avrà: (8) G@= Ya gl + DI amo) Bas la serie del secondo membro converge, inoltre, uniformemente in generale nell'intervallo (ab). Ora, integrando per serie, dalla (8), si ottiene: fat) g;(a)de=a;. E, poichè si è posto: b f Fa) g;(e) de =0;, e risulterà : sì 1G(2) — F(2)} g;i(7) da = 0. D'altra parte, dalla (8), moltiplicando per w;(x) e integrando per serie fra a e db, abbiamo, a causa della ortogonalità del sistema Q2=®+M b i Gioia =0. Ma, per ipotesi, sussistono la (6); dunque avremo pure: b fi raiu@a=o. Ora, poichè IM è il sistema complementare di D, Q= ® + M è un sistema chiuso e dobbiamo perciò concludere che F(x) = G(). 5. I risultati precedenti trovano utili applicazioni nell'equazione inte- grale di prima specie : 9) (2) = f K(e,9) My) dove g(x) è una funzione data, K(x,y) è il mueleo dell'equazione inte- grale, pur esso noto, e 7(y) è la funzione incognita. Come è noto, per la teoria dello Schmidt (*), esiste una serie finita od infinita (numerabile) di coppie di funzioni ortogonali P:(2) , Vi(4) ; PAL) (7); (1) S'intende che i numeri 71,73... non sono propriamente quelli della formola (7). () E. Schmidt, Zur Theorie der linearen und nicht linearen Integralgleichungen (Math. Ann., tom. 63, 1907, pp. 433-476). — 605 — tali che: U) (O) g(@=hf Ke.) pw vd EM), dove Z,,%,,... costituiscono una successione di costanti positive che, se infinita, ha il solo punto limite A= 00 . Ora se il nucleo K(x,7) è aperto rispetto alle x, se cioè il sistema ® è aperto, talchè le equazioni integrali (1) ammettono soluzioni 0(x) effet- tive, per l’esistenza di una soluzione della (9) debbono essere soddisfatte due condizioni (*): a) che la serie DI az Xî converga, essendo : 1 b a=f 00) pla) da; 6) che g(x) sia sviluppabile in serie di funzioni g;(x) con i coefficienti a;. Ebbene, in base al teorema II (n. 4) possiamo sostituire alla condizione (0) l’altra, in modo cioè che si abbia: (10) fo ui(@) de=0, (Elo Bgco) dove le u,(x),ws(x),... costituiscono il sistema complementare di ®. 6. Il Lauricella ha dimostrato (*) che, alla condizione (2) si può sosti- tuire l'altra equivalente : (11) fue 60(x)de=0, che deve essere soddisfatta da tutte le funzioni @(x) che sono soluzioni delle (1). Ora è facile dimostrare che le condizioni (10) e (11) sono sosti- tuibili l'una all'altra. Infatti, se sussistono le (10) possiamo scrivere (n. 4), che LOS g()= DI, di Pi(x) + x du pi(2) + - - 1 donde, moltiplicando per 6(x), e integrando per serie fra a e d, risulta: Some ar= a f 00) pda +. 1, "a giacchè 0(x) è, per ipotesi, una soluzione effettiva di (1). (1) Cfr. (5. Lauricella, Sull’equazione integrale di 1 specie (Rend. della R. Acc. dei Lincei, serie 5%, tom. XVIII, 1909, pp. 71-75). (3) Nella Nota ora citata. = 6006 — Reciprocamente: siano verificate le (11), per ogni funzione 0(x) che sia soluzione effettiva delle (1). In tal caso, posto: b = f 0 gi(@) de, a si deve avere: ni 6() a Zi ki mi(£) es AESZAR ki pi(x) Sa ‘3 ni+l donde, moltiplicando per g(x), e integrando per serie, si avrà: n b 1 21) o= food H th (AAA & I Dunque deve essere: four =o. (CEMEZEO) Risulta, pertanto, chiaramente spiegato perchè la condizione (2) e la (11) sono sostituibili l'una all'altra: esse, infatti, equivalgono entrambe all’unica condizione (10). 7. Vogliamo, da ultimo, fare un'osservazione relativa all’equazione inte- grale di prima specie (9). Se il nucleo K(x,y) è aperto rispetto alle x, occorre che le condizioni (a) e (b) siano soddisfatte per l'esistenza di una soluzione 4,(y) della (9) e allora si ha (!): b n= Zarp@+ Zadt o («= [OI] nitl 3 La soluzione %,(y) sarà poi urica solo nel caso in cui il nucleo K(«, y) risulti chiuso rispetto alle y (*). Se, invece, il nucleo K(x,y) è aperto rispetto alle y; se, cioè, vi sono soluzioni effettive 0(y) dell'equazione : b (12) SEEM dy=o, o, ciò che fa lo stesso, delle equazioni: b (13) si o(4) di(y) dy = 0, (= 10200), (!) G. Lauricella, Sulla risoluzione dell'equazione integrale di 1 specie (Rendic. della R. Acc. dei Lincei, serie 5%, tom. XX, 1911, pp. 528-536). (®) Cfr. la nostra Nota: Sui ’sistemi di equazioni integrali di 1 specie (idem, serie 5*, tom. XXII, 1913, pp. 13-20). — 607 — in tal caso la soluzione della (9) conterrà una funzione arbitraria. E preci- samente, se si sceglie una funzione arbitraria qualsiasi y(y) nell’intervallo (ab), purchè la' serie D_; @; wi(y), con = f 10) wi(y) dy, sia integra- bile termine a termine in (ad), la funzione: ; 0(4) = xy) — Di Wi(y) soddisferà all’equazione integrale (12) e si potrà scrivere: My) = 4) + 0(4). Ora, indicando con (7). v:(y),... il sistema complementare di &, si può applicare il teorema II (n. 4) alla funzione g(y), giacchè sono soddi- sfatte le (13), e quindi si avrà: i eM=Xbirl)+ Sin + (v=fe 4%) Pertanto la soluzione dell'equazione (9) risulterà espressa in questo modo : hg) = > di hi Wi) +: + I bi vi(Y)t--- Astronomia pratica. — Sulla costruzione delle tavole per correzione del passo dei microscopi micrometrici. Nota di B. Viaro, presentata dal Socio E. MILLOSEVICH. Matematica. — .Su una proposizione dell’Almansi. Nota di LEONIDA TONELLI, presentata dal Corrisp. E. ALMANSI. Matematica. — Sur les surfaces de genres zero et de bi- genre un. Nota di Lucien GoDEAUX, presentata dal Corrispondente F. ENRIQUES. Fisica. — Sulla formazione della rugiada e della brina. | Nota di AntonINO Lo Surpo, presentata dal Corrisp. A. GARBASSO. RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 79 = OS Chimica. — Su fenomeni di trasformazione nei molibdati e wolframati di sodio. Nota I di M. AmapoRrI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sul! incompatibilità fra salolo, sulfonal e B-naftolo ('). Nota di Gino BrancHINI, presentata dal Corrispon- dente A. PIUTTI. Scopo del presente lavoro fu lo studio della natura dell’ incompatibilità che si manifesta nelle miscele di salolo, sulfonal e f-naftolo col rammolli- mento a successiva fluidificazione quando la mescolanza si effettua a tempe- rature superiori a 27°. Siccome questi tre composti, di uso comune in farmacia, hanno la pro- prietà di fondere bene senza scomporsi in misura apprezzabile per mezzo di un abbassamento del loro punto di cristallizzazione, mi sembrò opportuno di ricorrere, in queste mie ricerche, ad nn metodo che ha dato già buoni risul- tati anche nel campo delle sostanze organiche, come lo provano i numerosi lavori apparsi nella letteratura scientifica in questi ultimie anni, e che fu impiegato felicemente a risolvere anche le quistioni delle incompatibilità farmaceutiche da varî sperimentatori, dei quali basti ricordare il Caille (*), i dottori E. Quercigh e Giulia Wautrain-Cavagnari (*) ed il prof. Italo Bel- lucci (*). Ho eseguito, per ottenere lo scopo prefissomi, la misura delle velocità di raffreddamento di miscele binarie e ternarie dei tre componenti suddetti, operando su una massa complessiva di circa dieci grammi per ogni esperienza. Le precauzioni adottate erano le solite, come: disposizione speciale per ottenere il raffreddamento della massa con una velocità uniforme; agitazione continua durante il raffreddamento, finchè la massa della fase liquida non diventava troppo piccola in confronto di quella della fase solida, da render sconsigliabile il rimuovere la miscela per la eventualità di formazione di spazî vuoti che impediscono al termometro di dare indicazioni corrispondenti allo svolgersi dei fenomeni. Per ogni concentrazione furono ripetute le esperienze fino ad ottenere dei dati concordanti e sicuri. Le curve di raffreddamento furono confrontate (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico-farmaceutico della R. Università di Napoli. (*) Comptes Rendus, /48, 1458. (3) Atti Soc. per il progresso delle scienze, 1912. (4) Rend. Acc. Lincei, 1912, II, 610. — 609 — colla curva del dispositivo a vuoto. Ogni volta che, per la limitata massa della fase che avrebbe dovuto produrre anomalie nel raffreddamento del sistema, queste non risultavano molto decise nelle curve relative, l'esperienza fu ripetuta raddoppiando la massa o modificando nel modo più conveniente le disposizioni sperimentali per mettere in evidenza con maggior sicurezza l'andamento dei fenomeni. Sistema sulfonal + $-naftolo. Le miscele fuse di salolo e sulfonal lasciano cristallizzare, nel loro raffreddamento, i componenti allo stato puro. Ciò risulta evidente dall'esame della tabella n. 1, in cui sono riportati i risultati ottenuti nell'analisi termica di questo sistema binario: TABELLA N. l. si N A Durata do Principio dell’arresto eutettico È della Arresto eutettico in secondi cristallizzazione per 10 gr. Salolo B-naftolo di sostanza [e] 100 _ 124.5 67 - 90 10 120.5 67 60 80 20 114 67 80 70 30 108.5 67 90 60 40 95 67 110 50 50 82 67 150 40 60 68.5 67 180 30 70 88 67 140 20 80 99 67 100 10 90 110 67 40 —_ 100 122 67 = Il sulfonal impiegato proveniva dalla Ditta Bayer e C. di Elberfeld, ed aveva il punto di cristallizzazione a 124°,5; il #-naftolo proveniva dalla Ditta Erba di Milano, e cristallizzava a 122°. Tutte le miscele sperimen- tate presentano dapprima un rallentamento della velocità di raffreddamento in corrispondenza all'inizio della cristallizzazione primaria, e quindi un ar- resto che si manifesta a temperatura costante, con durata maggiore o minore in corrispondenza alla cristallizzazione eutectica. Nella fig. 1 è rappresentato il diagramma di stato, il quale ha per base il lato AC del triangolo delle isoterme nel sistema ternario. Nell'area di temperature e concentrazioni M M' E' si verifica la cristallizzazione del sulfonal puro; nella NN'E' invece cristallizza solo il #-naftolo: al disopra delle due curve ME’ ed E'N si trova l’area delle temperature alle quali esiste soltanto la fase liquida costituita dalle mescolanze dei due componenti. Al disotto = Vos della retta M'N' esistono soltanto i cristalli di sulfonal e di 8-naftolo, mec- canicamente commisti. La temperatura eutectica è di 67°; la concentrazione eutectica è di 38 °/ di sulfonal e di 62°/ di #-naftolo espressi in funzione dei loro pesi mo- lecolari. RIGESIE Sistema salolo + #-naftolo . Dall'esame delle curve di raffreddamento delle miscele binarie formate dal salolo e dal $-naftolo, si vede subito che queste due sostanze hanno la proprietà di dare soluzioni solide fra loro in proporzioni limitate. Infatti, quando si lasciano raffreddare le miscele e concentrazioni elevate di B8-naftolo (superiori all’'80 °/, in molecole), si osserva che la cristallizza- zione precede regolarmente dal principio alle fine senza dar luogo ad alcun arresto in corrispondenza alla temperatura di cristallizzazione eutectica; le curve temperature-tempi mostrano solo un intervallo di cristallizzazione che incomincia alla temperatura di saturazione della fase liquida iniziale rispetto al f8-naftolo, e finisce a temperature sempre più elevate di quella eutectica. — 611 — Per le altre concentrazioni si ha regolarmente un rallentamento nella velocità di raffreddamento in corrispondenza al principio della cristallizzazione del salolo o del f-naftolo, ed un arresto alla temperatura eutettica. L'assenza di eutectico per concentrazioni in #-naftolo superiori all'80 °/ di f-naftolo è confermata anche dalla curva delle durate degli arresti eutectici, durate che tendono a zero più rapidamente delle concentrazioni del salolo. Nella seguente tabella n. 2 sono riportati i dati numerici che si riferi- scono a questo sistema binario: TABELLA N. 2. CONCENTRAZIONI Tarta Reino Durate eutettich E della "Arresto eutettico Ì È E n E CIS allizzazione in secondi Sulfonal B-naftolo o 100 0 42.5 — = 90 -10 36 345 sO 85 15 34.5 94.5 160 80 20 43.5 34.5 130 70 30 60 34.5 110 60 40 TE 34.5 100 DÒ 50 85.5 94,5 80 40 60 94 34.5 50 30 70 101.5 34.5 30 RO 80 109 sa Sa 15 85 114.5 sele Sa 10 90 119 PS LR 0 100 122 Le (ad DI Nella fig. 1, il diagramma di stato di questo sistema è rappresentato sul lato BC del triangolo. In esso sono delimitati i campi di esistenza delle varie fasi: il campo QLE" e il luogo degli equilibrî fra cristalli misti di salolo e f-naftolo colla fase liquida; nell'area QQ'L esistono le soluzioni solide sole; nella PE”P' si hanno i cristalli di salolo puro in equilibrio con la fase liquida; al disotto della linea P'Q' si hanno i cristalli di 8-naftolo e di salolo mescolati meccanicamente, e le soluzioni solide; al disopra della curva QE”P la sola fase liquida. Si conclude, quindi, che l’incompatibilità fra salolo e $-naftolo è di na- tura fisica; i due componenti formano soluzioni solide ad alta percentuale di B-naftolo cioè dall'80°/, in poi. La temperatura eutettica è di 34,5: la con- centrazione della miscela eutettica è dell'85°/ di salolo e del 15°/ di B-naftolo. Questo sistema era stato precedentemente studiato dai dottori E. Quercigh e Giulia Wautrain Cavagnari, e dal prof. Italo Bellucci. I risultati delle mie esperienze concordano con quelle dei precedenti sperimentatori per — 612 — cui l'esistenza di soluzioni solide ricche in #-naftolo sembra definitiva- mente provata. Dalle mie ricerche su questo sistema istituite per avere dei dati diret- tamente confrontabili senza obiezione con quelli ottenuti nel sistema ternario, risulta che l’incompatibilità fra il salolo ed il f-naftolo non esiste per tutte le concentrazioni, ma solo per quelle comprese fra il 0 e 1°80°/ di f-naftolo. Il salolo impiegato aveva il punto di fusione a 42°,5. Sistema salolo 4 sulfonal. Anche l’incompatibilità esistente fra salolo e sulfonal è di natura fisica, come si può vedere dai dati riportati nella seguente tabella n. 3. TABELLA N. 8. CONCENTRAZIONI ì_SE0 MOLECOLARI Prigcinio Temperatura ; Dato : della o dell’arresto eutettico cristallizzazi eutettica j o Salolo Sulfonal stallizzazione n seogndi [0] 100 0 42.5 —_ —_ 95 b) 39 34 90 90 10 38 s4 100 80 20 70.5 84 90 70 30 89 9 80 60 40 97 34 80 50 50 105 34 70 40 60 109 34 60 30 70) 112 s4 60 20 80 118.5 84 50 10 90 123 94 30 0 100 124.5 = De Nella fignra 1, nel lato AB del triangolo, è costruito il diagramma di stato di questo sistema binario. Il campo RR'E'" è il luogo degli equilibrî monovarianti fra la fase solida, costituita dai cristalli di salolo, e la fase liquida; il campo E”"SS' è quello delle miscele e delle temperature in cui i cristalli di sulfonal sono in equilibrio colla fase liquida. La concentrazione eutectica è del 92 °/, di salolo e dell'8°/, di sul- fonal, espressi in grammimolecole. La temperatura di cristallizzazione eutectica è di 34°. Miscele ternarie. — Nel campo delle miscele ternarie furono speri- mentate quelle corrispondenti ad otto sezioni parallele al lato sulfonal-8-naftolo ed aventi le seguenti diverse concentrazioni in salolo: 90; 80; 70;55;30; 20;15 e 5°/ in molecole. I risultati sperimentali ottenuti sono riassunti nelle seguenti tabelle nn. 4, 5, 6, 7 ed 8. Dall’insieme di queste cifre si può ottenere la rappre- — 613 — sentazione dei fenomeni che si verificano nel sistema ternario, ricorrendo al solito metodo delle coordinate triangolari. Si osserva che la solubilità del salolo nel f#-naftolo allo stato solido non viene minimamente influenzata dalla presenza del sulfonal, e quindi che nel campo ternario non si osservano per via termica se non cristalli misti binarii. Si stabilì, quindi, che la temperatura dell'eutectico ternario che si forma nelle miscele di salolo, sulfonal e f#-naftolo è di 27°; e le concentrazioni dei rispettivi componenti sono del 15 °/ di f8-naftolo, 7 °/, di sulfonal e 78 °/, di salolo, espressi in molecole. Per tale ragione, la posizione E dell’eutectico ternario è molto vicina al lato salolo + #-naftolo del triangolo delle concentrazioni; da esso partono le tre linee su cui si effettua la cristallizzazione secondaria, che vanno a ter- minare alle tre temperature eutectiche binarie alle concentrazioni relative rappresentate dalle proiezioni E', E", E'" sui lati AB, BC e CB che chia- meremo identicamente E', E”, E”. Il procedere della cristallizzazione che avviene normalmente nella por- zione del campo in cuì non si formano soluzioni solide binarie, viene influen- zato, nell’area rimanente, dalla cristallizzazione delle soluzioni di salolo in B-naftolo. L'area delle concentrazioni rimane divisa in tre campi: I. AE"EE', nella quale la fase cristallina, che si separa inizialmente, è costituita dal sulfonal puro. II. CE'EE” in cui si ha la cristallizzazione primaria delle soluzioni solide di salolo in {-naftolo. III. BE”ERE' in cui la fase cristallina che inizialmente si separa è costituita dal salolo puro. Si conclude, quindi, che: a) l'aggiunta di sulfonal alle miscele di salolo e -naftolo ne pro- voca la fluidificazione a temperature inferiori alla loro temperatura eutectica, finchè però la temperatura ambiente non è inferiore a 27°; 0) è da sconsigliarsi nella pratica farmaceutica l'aggiunta del sul- fonal anche per miscele di salolo e $-naftolo molto ricche in quest’ultimo componente, qualora tali sostanze medicamentose si vogliano somministrare in cartine. — 614 — TABELLA N. 4. — SEZIONE I AL 5°/, DI SALOLO. CONCENTRAZIONI MOLECOLARI Cristallizzazione | Cristallizzazione | Temperatura Salolo Sulfonal | p-naftolo iniziale secondaria eutettica o 5) 95 0 123.5 = 34 5 70 20 112 6l 27 5 60 35 98 62 27 5) 45 50 79.5 64 27 5) 35 60 78 66 27 9) 25 70 87.9 62 27 5 15 80 103 59 27. 5 5 90 115.5 54 27 5) 0 95 120.5 _ — TABELLA N. 5. — SEzionE II aL 15 °/, DI SALOLO. CONCENTRAZIONI MOLECOLARI Cristallizzazione | Cristallizzazione| Temperatura SAC | Saia] | B-naftolo iniziale secondaria eutettica 15 85 0 120 _ 84 15 75 10 115 39 27 15 60 25 104 51 27 15 45 40 85.5 54 27 15 35 50 69 59 27 15 25 60 81 57 27 15 15 70 96 54 27 15 5) 80 108.5 37 27 15 0 85 114.5 = 27 TABELLA N. 6. — Sezione III AL 20°/ DI sALOLO. CONCENTRAZIONI MOLECOLARI Cristallizzazione | Cristallizzazione | Temperatura SAID | Wadi | B-naftolo iniziale secondaria eutettica (C) 20 80 0 118.5 —_ 84 20 75 5 116 47 27 20 60 20 105 49 DI 20 45 35 88 53 27 20 35 45 72 55 27 20 25 55 78.5 56 27 20 15 65 92 58 27 20 5 75 84.5 84 27 — 615 — TABELLA N. 7. — SEezionE IV aL 20 °/ DI saLOLO. CONCENTRAZIONI MOLECOLARI Cristallizzazione | Cristallizzazione | Temperatura Salolo So I B-naftolo iniziale secondaria eutettica o 30 70 0 112 — 34 30 60 10 107 33 27 30 45 25 93.5 41 27 30 35 35 81 47 27 30 25 45 60 49 27 30 15 95 84 41 27 30 0 70 101.5 _ 34,5 TABELLA N. 8. — SEZIONI AL 55 AL 70 ALL'80 ED AL 90 DI SALOLO. = CONCENTRAZIONI MOLECOLARI Cristallizzazione | Cristallizzazione | Temperatura Wola | aa | ata | iniziale secondaria eutettica (1) . 95 45 0 101 —_ 34 5) 35 10 91.5 23 27 55 25 20 72 32 27 b9) 15 30 45 21 27 5) bd) 40 73 28 27 55 0 45 79 — 34.5 70 30 0 89 — 34 70 25 5 80 30 27 70 15 15 50.5 28 27 70 10 20 32 29 27 70 5 25 49 _ 27 70 0 30 73 — 54 5 80 20 0 70.5 — 34 80 15 5) d9 s1 27 80 10 10 38 30 27 80 5 15 28 — 27 80 0 20 43,5 — 34.5 90 10 0 38 = 34 90 d 5) 36 30 27 90 0 10 36 = 34,5 Chimica. — Ossidazioni con bromo sotto l’azione della luce. Nota di R. Ciusa e A. PIERGALLINI, presentata dal Socio G_ C1a- MICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 80 — 616 — Chimica fisica. — Sul calore specifico delle leghe metalliche costituite da soluzioni solide. Nota di Luici RoLLA ('), presentata dal Corrisp. A. GARBASSO. 1. La teoria dei fenomeni termoelettrici, sviluppata recentemente da Bernoulli (*) partendo dall'ipotesi dei guarzi, viene alla conclusione che, in prima approssimazione, la forza termoelettrica fra una soluzione solida diluita e il metallo solvente, per la differenza di un grado di temperatura, è data da v' 0' (1) e OA dove % è una costante, v' indica la frequenza atomica media della lega, v la frequenza atomica del solvente, 0" il punto di fusione della lega e @ il punto di fusione del solvente. La (1) è ricavata ammettendo la formola di Lindemann (*) (2) v = 01 Vv Z < mv ls [m= peso atomico: v= volume atomico], e supponendo che, per appros- simazione, il volume atomico medio della lega (che s'immagina molto di- luita) sia eguale al volume atomico del solvente. Ma la (1) può considerarsi, in certo modo. come una particolarizzazione della formola di Koref (4), verificata già in parecchi casì, secondo la quale, in ciascun composto binario di punto di fusione T;, la frequenza di ciascun atomo componente diventa T (3) nily T,° quando ©; indichi il punto di fusione dell'elemento preso allo stato puro. Per le soluzioni solide di ‘qualunque concentrazione, vale questa formola. L'esperienza dimostra, infatti, che non sempre il calore specifico di una lega binaria, i cui componenti siano miscibili in tutti i rapporti allo stato solido e liquido, si può calcolare dai calori specifici dei componenti allo stato puro, (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di chimica generale della R. Università di (Ge- nova. (3) Zeit. fir Elektrochemie, XVII, 689 (1911). (3) Phys. Zeit. IX, 609 (1909). (4) Phys. Zeit. XIII, 184 (1912). — 617 — mediante la regola del miscuglio. Dunque la frequenza atomica dei compo- nenti, nella lega, non conserva il proprio valore; e il punto di fusione, per le soluzioni solide, sì può definire come quella temperatura alla quale le ampiezze delle oscillazioni atomiche diventano tali che gli atomi vicini, del solvente e del soluto, abbiano a toccarsi. Dunque la frequenza atomica di ciascun componente viene ad esser data da una formola analoga alla (2), dove, al posto di @ e di v, figurano il punto di fusione T; e il volume ato- mico del metallo nella lega. Ma quando si ammetta, come è ben verosimile, che v possa essere posto eguale a quello del metallo allo stato puro, si ha y=ag 10 / AL, / Mv 13 dalla quale, combinata colla (2), si ricava immediatamente la (3). Con ciò si viene ad affermare che la frequenza atomica di un metallo in una lega costituita da una soluzione solida dipende dalla concentrazione di questa. Alla curva di fusione corrisponde una curva di frequenza atomica per ciascun componente; e le formole che possono servire per calcolare quella, saranno, ingenerale, facilmente generalizzate per il calcolo di questa (?). La differenza tra la frequenza atomica di un metallo allo stato puro e in lega, raggiunge un valore massimo, per poi diminuire quando la concentra- zione della soluzione solida è uguale a quella del liquido della fusione: questa legge però riguarda solo le differenze negative, perchè, in accordo colle considerazioni teoriche di van Laar (*) non si sono ancora trovati dei sistemi, costituiti da due metalli miscibili in tutti i rapporti allo stato so- lido e liquido, il cui diagramma di fusione presenti un massimo. L'ecce- zione sarebbe costituita dal comportamento del sistema Pb-Tl, ma non è ancora ben certo se il punto di massimo corrisponda a un composto definito. 2. La conferma sperimentale della (3), sì può avere studiando una proprietà delle soluzioni solide che dipenda dalla frequenza atomica dei com- ponenti: per es. la conducibilità elettrica (*) o il calore specifico. Quanto ai calori specifici (4), sebbene esistano molte misure, non sì conosce una ricerca sistematica completa, guidata dalla teoria. Tuttavia, sebbene su leghe di altra natura, costituite da composti definiti, Schimpff (?), nel la- boratorio di Tammann, ha fatto delle determinazioni molto accurate, dalle quali risultarono, in modo non dubbio, regolarità che indicano l'esistenza di una legge generale. (1) Cfr. van Laar, Zeit. f. phys. Ch. 63, 216, (1908). (2) Ibid. 63, 236, (1908); 64, 272, (1908). (®) Cfr. Wien, Ber. d. prenss. Ak. d. Wiss. (1913), 184. (4) Landolt-Bérnstein-Roth, Tabellen, (1913), 777 e segg. (5) Zeit. fùr phys. Ch., 74, 257, (1910). — 618 — Si può in sostanza ritenere che ogniqualvolta il punto di fusione della lega è più alto di quelli dei componenti, 0, per lo meno, assai più alto di quello di uno dei componenti, il calore specifico è minore di quello calco- lato colla legge di Kopp. La differenza tra il valore calcolato e quello tro- vato non cresce sempre al crescere della differenza tra i punti di fusione della lega e dei componenti, sicchè non sempre la (3), estesa senz'altro a questo caso, sarebbe verificata. Ma non bisogna dimenticare che l’additività del volume molecolare è un'ipotesi che non sappiamo fino a qual punto sia valida, e la (3) stessa ha sempre il carattere di formola approssimata. Non va passato nemmeno sotto silenzio lo studio di Laborde (*), il quale stabilì che, nelle leghe di ferro e antimonio, il calore specifico è sem- pre maggiore di quello che prescrive la regola del miscuglio. Ciò è in con- formità col diagramma di fusione. Quando si applichino le formole della teoria dei guanti per il calcolo dei calori speciffci dei corpi solidi mono-atomici, si ha modo di interpre- tare questi risultati che prima di ora rimanevano solo dati empirici. Per eseguire una ricerca sistematica sopra le soluzioni solide metalliche, io ho considerato le leghe di argento - oro oro - rame rame - nichel nichel - manganese manganese - rame (°). La curva di fusione dei sistemi argento-oro, rame-nichel, come è noto, non ha punti in cui la tangente sia parallela all'asse delle concentrazioni (*). Le curve di fusione dei sistemi oro-rame, nichel-manganese, manganese- rame, hanno un minimo rispettivamente in corrispondenza dell'82°/, in peso di oro, del 45 °/; in peso di nichel e del 32°/, in peso di manganese (*). I calori specifici furono misurati col calorimetro a blocco di rame de- scritto da Koref :(£), e con quello a toluolo, tipo Fabre e Silbermann, mo- dificato da Schottky (°). Il primo servì per la temperatura compresa tra — 190° e 0°, l’altro, tra 0° e 25°. L'errore medio delle determinazioni è sempre inferiore all’ 1 °/o. (') Beiblatter, (1896), 858. (*) Debbo ringraziare i) mio carissimo amico, prof. Nicola Parravano, per aver messo a mia disposizione le leghe di cui ebbi bisogno nel corso delle esperienze, e per: avermi fornito i campioni dei metalli puri che servirono per le fusioni. (3) Landolt-Bérnstein-Roth, (1918), 642, 674. (4) Ibid., pagg. 655, 686, 674. (°) Ann. d. Physik. XXXVI, 49, (1911). L'apparecchio fu costruito dal sig A. Hoenon, meccanico dell’Istituto di chimica fisica di Berlino. (°) Phys. Zeit. X, 634, (1910). — 619 — Prima di sperimentare sulle leghe, si fecero sempre le misure corri- spondenti sui metalli che servirono a prepararle. Si calcolò, colla regola del miscuglio, il calore specifico delle leghe studiate: indi, applicando la (3), si calcolò, per ciascun metallo in lega, il calore atomico a pressione costante colla formola (*) By b e (afa T 2T T; qepnilice panta (Li — i (er - I) nella quale R= 1,685, e T rappresenta la temperatura assoluta media alla quale fu eseguita l’esperienza. Il calore specifico della lega è allora dato da (CITA OSk95 6) + IRNIN PR essendo C, Cp i valori atomici così calcolati dei due metalli il cui peso atomico è A", A"; e i cui pesi rispettivi, nella lega, sono g' . 9”. Si ha, riassumendo (?), la seguente tabella: (*) Cfr. Nernst e Lindemann, Zeit. f. Elektr., XVII, 820, (1911). (2) I risultati delle esperienze verranno pubblicati per intero nella « Gazzetta Chi- mica italiana n. — ‘620 — Lega Ag-Au [Au:20°/]. , Ù n | Cal-ispec.| Cal. spec. Cal. spec. tE; | Dr | 57 | 5 | l (trov.) [calc. colla (5)) | (Reg. del miscuglio) 1279 | Ag:1233| Ag:213 | Ag:217 | 187| 0,0459 0,0453 0.0455 Au:1336| Au:123 | Au: 121 | 234 0,0495 0,0491 0,0493 285 0,0513 0,0505 0,0505 Lega Cu- Au [Cu:20°%]. 1157 | Au:1336| Au:123 115 137 0,0391 0,0384 0,0378 Cu:1356| Cu:330 305 234 0,0430 0,0421 0,0415 285 0,0437 0,0429 0,0428 Lega Cu: Ni [Ni:5°/]. Cu:1356|] Cu:330 | Cu:330 | 137 0,0731 0,0728 00725 1360 | Nî :1724| Ni :301 | Ni : 267 | 234 0,0878 0,0870 | 0,0862 285 0,0906 0,0902 0,0897 Lega Cu-Ni [Ni: 10 °/]. Cu:1356| Cu:330 | Cu:339 | 137 0,0734 0,0736 0,0730 1430 |-Ni :1724| Ni :801 | Ni :274 | 234 | 0,0875 0,0871 0,0869 285 00908 0,0903 0,0901 Lega Ni-Mn [Ni: 5/0]. 1493 | Ni :1724| Ni :301 | Ni : 280 || 137 0,0925 0,0913 0,0897 Mn:15 Mn:227 | Mn:271 | 234 0,1030 0,1028 0,1019 285 0,1062 0,1056 0,1042 Lega Ni-Mn [Ni :10°/]. 1453 | Ni :1724| Ni 301 | Ni : 276 | 137 0,0922 0,0917 0,0915 Mn :1533| Mn:277 | Mn:269 | 254 0,1038 | 0,1044 | 0,1016 | 285 0,1096 0,1057 0,1038 Lega Ni-Mn [Ni :45°/]. 1295 | Nî :1724| Ni :801 | Ni : 260 | 137 0,0923 0,0903 0,0878 Mn:1533 | Mn:277 | Mn:254 | 234 0,1070 0,1031 0,0991 285 0,1109 0,1057 0,1009 Lega Cu-Mn [Mn:10°/]. 1263 | Cu:1356| Cu:330 | Cu:318 | 137 0,0771 0,0752 0,0741 Mn:1538| Mn:277 | Mn:251 | 234 | 0,0899 0,0885 0,0876 285 0,0947 0,0930 0,0909 Lega Cu- Mn [Mn : 32°]. 1138 | Cu:1356] Cn:330 | Cu:302 | 137 0,0827 0,0817 0,0786 Mn:1533 | Mn:277 | Mn:238 | 254 0,0956 | 0,0944 0,0912 285 0,0989 0,0966 00,943 Ol Si ha dunque accordo fra la teoria e l’esperienza. Anche se esso non è perfetto, resta dimostrata, almeno qualitativamente, l’esistenza delle curve di frequenza atomica. Effettivameute si tratta di piccole differenze che sol- tanto con apparecchi di grande sensibilità si riesce ad apprezzare con si- curezza. Ì Nel caso delle leghe di nichel e manganese, di rame e manganese, e di rame e oro, la cui concentrazione corrisponde ai punti di minimo delle curve di fusione, il fenomeno si apprezza particolarmente bene: nelle leghe di rame e nichel, essendo il punto di fusione compreso fra quelli dei com- ponenti, i calori atomici del rame e del nichel diventano rispettivamente minore e maggiore di quelli degli elementi allo stato puro. Così la regola del miscuglio viene a essere verificata, almeno per un largo intervallo di concentrazione. Ciò risulta anche dalle misure di Jiger e Diesselhorst (*), che riguar- dano la costantana [60°/, di rame e 40°/, di nichel]. Per le leghe di ar- gento e oro si deve fare la stessa osservazione: senonchè qui, in ogni caso, il punto di fusione differisce, relativamente, assai poco da quelli dei compo- nenti. E il calore specifico è praticamente uguale a quello della corrispon- dente miscela greggia dei due metalli. Il principio stabilito da Tammann (*) — secondo il quale un corpo, che sì presenti in due stati diversi, ha un più grande calore specifico quando il suo contenuto in energia è maggiore, o, in altri termini, quando, nel pas- saggio allo stato in cui il calore specifico è minore, l'energia che si libera è positiva — si può far valere per ciascun componente delle leghe prese in esame. Intanto, ammettendo il fatto sperimentale previsto dalla teoria di Van Lear, che le curve di fusione di due metalli miscibili in tutte le pro- porzioni allo stato solido e liquido non presentano mai un massimo, si deduce immediatamente che il calore di trasformazione allo stato solido nelle sostanze che passano dallo stato di purezza a quello che caratterizza la soluzione solida, non è mai positivo. Infatti, in tale ipotesi, bisognerebbe che il calore atomico di ciascun metallo di ventasse, nel nuovo stato, più piccolo, in conseguenza della (3) e della (4). Quando la curva di fusione è sempre crescente o decrescente, non si può, a priori, affermar nulla: infatti il calore specifico di uno dei metalli diventa maggiore; e quello dell'altro, minore. Si può però affermare che, nelle curve di fusione a minimo, il calore di miscibilità allo stato solido deve essere negativo. (!) Landolt-Bornstein-Roth, (1913), 754. (8) Krystallissieren und Schmelzen, pag. 25. — 622 — Batteriologia agraria. — Azione dei concimi minerali sul- l’attività di alcuni microrganismi del terreno. Nota di C. Lumia, presentata dal Socio G. CuBONI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisiologia. — Sull'adattamento degli Anfibi all'ambiente li- quido esterno mediante la regolazione della pressione osmotica de: loro liquidi interni: importanza dei sacchi linfatici e della vescica urinaria. Nota II di Bruno BRuNACCI, presentata dal Socio L. LUCIANI. 2° Fenomeni che si osservano nelle rane escul. estive tenute in acqua distillata ed in soluzioni Ringer ipertoniche. Come ho già riferito, prima di porre gli animali nell'acqua distillata o nelle soluzioni saline ipertoniche essi vennero fatti soggiornare in acqua di condotta cambiata tre volte al giorno, finchè nel liquido di lavaggio non si trovavano più i residui alimentari emessi dalle rane. In questo modo era presumibilmente eliminata ogni influenza dell'ambiente dal quale gli animali provenivano, e l'esperimento aveva inizio — sotto questo riguardo — per tutti nelle identiche condizioni. Quando le rane venivano poste nel recipiente con acqua distillata o negli altri con soluzioni ipertoniche, dopo essere state asciugate accuratamente con un panno pulito, non contenevano mai urina in vescica, come era facile per- suadersene premendone l'addome inferiormente ed ai lati. In ciascun recipiente (vasi di vetro) erano versati cinque litri di liquido e tante rane (circa trenta) da occupare un volume pressochè eguale. Ciò per eliminare le possibili influenze dovute alla differente estensione della su- perficie assorbente (Spina, Durig, ecc.), nonchè quelle di una differente irra- diazione di calore. I recipienti contenenti gli animali erano poi conservati, come ho detto, in una stanza sotterranea ed al buio. Dopo 3-8 giorni di permanenza delle rane nei diversi liquidi si osser- vavano costantemente i fenomeni seguenti: a) Le rane în acqua distillata non presentavano mai un mutamento notevole nel colore della pelle; esse erano normalmente vivaci; non contene- vano mai urina in vescica; nè avevano mai liquido in nessuno dei sacchi linfatici. Î — 623 — Aperta la cavità toraco-addominale si notavano tanto lo stomaco quanto l'intestino vuoti di liquido; talvolta nell’ ultimo tratto di questo era raccolta un po’ di bile densa. Il fegato aveva colorito normale con cistifellea con- tenente generalmente poca bile; così pure normali apparivano al colorito ed al taglio la milza ed i reni. I polmoni si presentavano normalmente di- stesi e ben irrorati dal sangue. Il cuore pulsava con ritmo regolare e con- teneva un sangue di colorito rosso-chiaro spontaneamente coagulabile. D) Ze rane in soluzione Ringer ipertonica massima (soluzione conte- nente il 10°/ di NaCl) avevano invece molto mutato nel colore della pelle, divenuta grigiastra. Stimolate adeguatamente (nelle regioni innervate dal Trigemino)(') si ponevano in riflesso tonico diffuso (iperestesiche); contenevano quasi sempre urina in vescica, ed avevano inoltre una considerevole quantità di linfa giallo-citrino-chiara, spontaneamente coagulabile, nell'interno dei saccchi linfatici, specialmente in quelli laterali. La respirazione di questi animali era differente da quella delle rane tenute in acqua semplice, in quanto predominava manifestamente quella che i tedeschi chiamano « einpumpende Atmung ». Aperta la cavità toraco-addominale si notava subito la maggior distensione dei polmoni, come pure si osservava non di rado la presenza di aria tanto nello stomaco quanto nell'intestino. In quest’ultimo organo essa trovavasi spesso commista a liquido verdastro. Il fegato appariva normale con cistifellea contenente per lo più parecchia bile; normali si presentavano anche la milza ed i reni. Il cuore pulsava con ritmo più lento della norma e conteneva un sangue rosso-scuro, denso, spontaneamente coagulabile. Il coagulo era più abbondante di quello formatosi dal sangue delle rane tenute in acqua distillata. c) Ze rane în soluzione Ringer ipertonica ultramassima (soluzione contenente l’11°/ di NaCl) avevano un colorito della pelle più accentua- tamente grigiastro, ed erano sempre un po’ torpide nei loro movimenti. Sti- molate anch'esse adeguatamente si ponevano in riflesso tonico diffuso più presto delle precedenti e per stimoli di intensità minore (iperestesia). Rin- novando lo stimolo non era anzi raro il caso di promuovere un prolungato grido di dolore; e qualche volta anzichè un tono diffuso riflesso si poteva avere un vero tetano. Esse contenevano molta urina in vescica che emet- tevano facilmente non appena si stringevano in qualche modo tra le dita. La linfa dei sacchi linfatici era invece in quantità molto minore che nelle rane precedenti. Contenevano sempre aria nello stomaco e nell’ intestino, commista, in quest’ultimo, a liquido verdastro. La cistifellea conteneva molta bile: il fegato era rosso-scuro in superfice e talora verde-scuro al taglio. Più oscuri anche apparivano la milza ed i reni. I polmoni si mostra» vano molto distesi, ed irrorati da sangue scuro. Il cuore pulsava con ritmo (1) B. Brunacci, Zeitschr. f. allgem. Physiol. IX, 1908. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 81 — 624 — lento e conteneva un sangue più scuro, più denso e più coagulabile del normale. Non di rado sì osservava scarso liquido anche tra i muscoli. d) Quando le rane avevano soggiornato in soluzioni Ringer più concen- trate delle precedènti, esse, come abbiamo riferito, morivano entro un in- tervallo di tempo più o meno lungo a seconda della concentrazione mag- giore o minore del liquido ambiente. I fenomeni che si osservavano in questi casi estremi possono riassu- mersì come segue: Pelle grinzosa, grigiastra la quale si asciugava rapidamente appena l'animale era tolto dal liquido. Emorragie capillari specialmente evidenti nella cute situata tra le due coscie. Sacchi linfatici vuoti di qualsiasi liquido. Polmoni enormemente distesi pieni d’aria, di colorito grigiastro. Lo stomaco e l’intestino contenevano aria. Il cuore, arrestato in diastole era pieno di sangue oscuro e denso. Tutti gli altri organi interni (fegato, milza, rene, ecc.) apparivano di colore molto più oscuro del normale e vi si notavano spesso diffuse emorragie capillari. È stata ritenuta (CI. Bernard, P. Bert, ecc.) come causa della morte di questi animali immersi in soluzioni saline troppo concentrate, la forte sottra- zione di acqua cui essi vanno per tal modo soggetti. Senza voler escludere questo fattore, senza dubbio importante, mi sembra tuttavia che non debba attribuirglisi una importanza esclusiva. È noto infatti che le rane pos- sono sopportare una diminuzione in peso per evaporazione, molto superiore (sino al 25-30 °/,) a quella che si verifica allorchè siano immerse in solu- zioni saline contenenti per es. l'1°/ di NaCl, senza pertanto morire. Tra le cause della morte di questi animali mi sembrerebbe dovesse invece ritenersi come molto importante (oltre alla alterata funzione della pelle, restringimento dei pori cutanei, ecc.) l’eccitamento riflesso del vago [per stimoli dolorifici cutanei (iperestesia, riflesso tonico diffuso), e per l’eccessiva distensione dei polmoni (gli animali finchè vivono pompano continuamente aria)] che determina l'arresto diastolico del cuore. Ho infatti osservato che se sì apre con precauzione la cavità toraco-addominale di rane ap- pena morte e se si punge uno dei polmoni con uno spillo, si accerta, non di rado, contemporaneamente allo sgonfiarsi di entrambi i polmoni, il ristabilirsi per breve tempo delle pulsazioni cardiache. — 625 — Biologia. — Za meteorologia della leishmaniosi interna nel Mediterraneo. Contributo critico agli esperimenti di trasmissione. Nota II del dott. CarLo BASILE ('), presentata dal Socio B. Grassi. Nella mia Nota precedente (?) io misi in evidenza che nelle regioni mediterranee è possibile, soltanto in determinate condizioni meteorologiche, che, in natura, le pulci, che succhiano sangue periferico di bambini o di cani infetti di leishmaniosi, si infettino di leishmavia, e che alla loro volta riescano infettanti. Per quanto appare fin ora, tali condizioni meteorologiche sono date da quei mesi nei quali la temperatura massima in ciascuna decade non è stata mai inferiore a 18° ctgr., nè superiore a 30° ctgr.; le condizioni più favo- revoli però sembrano avverarsi in quei mesi nei quali la temperatura mas- sima, in ciascuna decade, è stata fra 18° ctor. e 22° ctgr.; bisogna anche notare che le pulci vivono nelle case, fra le vesti, le coltri e le materassa ove viene a crearsi una temperatura che nei singoli giorni si mantiene meno variabile che nell'ambiente esterno. Da questi dati sì desume che gli esperimenti eseguiti per infetta respe- rimentalmente di leishmania varii insetti ematofagi e quelli di trasmissione di questi protozoi patogeni ad animali sani per via naturale, hanno valore dimostrativo quando sono eseguiti in opportune condizioni di temperatura. a) Infezione sperimentale delle pulci. — Sin dall'inizio delle mie ricerche sulla leishmaniosi interna nel mediterraneo io pensai che le condi- zioni di temperatura dovessero avere la loro importanza sullo sviluppo delle leishmania nel loro insetto trasmettitore; e nel 1910 infatti ottenni la infe- zione sperimentale delle pulci (Ctenocephalus serraticeps) con virus della leishmaniosi interna del Mediterraneo, mantenendo a 22° ctgr. le pulci che avevano succhiato, con tecnica allora descritta (*), polpa splenica di cane intensamente infetto di leishmaniosi naturale. Lo stesso esperimento fu successivamente tentato, con esito negativo, dal Gabbi in Messina (‘); questo autore il 21 agosto 1911, pose quattro gocce di succo splenico, ottenuto, per puntura della milza, da un bambino infetto di leishmania, sotto una campana di vetro sotto la quale fece arrivare 11 pulci (1) Dall'Istituto di Anatomia Comparata della R. Università di Roma. (?) Rend. Acc. Lincei, Aprile 1914. i (8) Rend. Acc. Lincei, Genn. 1911. (*) Malaria. Ottobre 1911. — 626 — canine e 7 umane; simile esperimento egli ripetè il 10 settembre dello stesso anno con 15 pulci (9 umane e 6 canine). Tanto la prima che la seconda volta l'esperimento fu condotto dal Gabhi, come infatti egli scrisse, a tem- peratura ambiente. Questa, come risulta dalle mie indagini, tanto il 21 agosto quanto il 10 settembre 1911 superò in Messina i 30° ctgr. e quindi, per come ho rilevato nella mia Nota precedente, essa non era adatta al ciclo evolutivo delle leishmania nella pulce. Ma oltre a ciò (lasciando da parte se le pulci hanno o non hanno effettivamente succhiato) riguardo alla tecnica usata dal Gabbi, resta da osservare che, usando poche gocce di succo splenico, queste in ambiente esterno coagulano subito, così che ì parassiti ben presto si alterano e scompaiono; anche per questa sola causa adunque non era possibile la loro ulteriore vitalità ed evoluzione. Così condotto il tentativo del Gabbi di infezione sperimentale delle pulci con virus di origine infantile evidentemente non poteva essere positivo ! b) Trasmissione della leishmaniosi interna per mezzo delle pulci. — La trasmissione, per via naturale, della leishmaniosi a cani sani per mezzo delle pulci fu da me ottenuta, negli esperimenti eseguiti dal dicembre 1910 al giugno 1911 (*); allora migliaia di pulci, raccattate dal dicembre al marzo a Bordonaro, centro endemico di leishmaniosi infantile e canina, furono da me poste a Roma su cuccioli sicuramente sani (nati da madri sicuramente sane ed allevati fuori del contatto di insetti ematofagi) e mantenuti, per tali espe- rimenti, in canile di nuova costruzione e protetto da fitte reti metalliche affinchè nessun insetto ematofago venisse con essi in contatto. Fu in seguito a questi esperimenti, condotti in modo rigoroso e usando cani di controllo, che potei stabilire (giugno 1911), che, in natura, le pulci riescono infettanti dal dicembre al marzo, non escludendo che esse possano riuscire infettanti anche negli altri mesi qualora vi si osservano le condizioni meteorologiche adatte, non solo al ciclo evolutivo delle leishmania, ma anche alla capacità infettante di esse pulci. Successivamente (1912) il Massaglia (?) ed il Marshall (*) tentarono, con esito negativo, di trasmettere, per mezzo di varii ectoparassiti, la leishma- niosi interna da cani sperimentalmente infetti a cani sani. Questi autori non accertarono se le pulci e gli altri ectoparassiti viventi sui cani sperimentalmente inoculati di leishmaniosi presentassero o no nel loro intestino forme evolutive di leishmania. Resta per ciò il dubbio che non solo, per le condizioni meteorologiche forse non adatte, ma anche perchè la inoculazione di leishmania determina quasi sempre negli animali adulti (1) Rend. Acc. Lincei. Febbr., Marzo, Aprile, Giugno, 1911. (*) Patologica 1912. (8) Il R. Army Medical Corps: Sett. 1912. — 627 — una infezione sperimentale lieve, tanto le pulci quanto gli altri ectoparas- siti non si sieno infettati. Questo dubbio ha maggior valore nel caso del Massaglia dove il cane sperimentalmente infetto era di già in via di guari- gione spontanea. Queste ragioni spiegano a sufficienza il reperto negativo osservato dal Massaglia e dal Marshall. Il Sergent invece che nel febbraio 1912 iniziò ad Algeri un esperimento di trasmissione della leishmaniosi interna da cane naturalmente infetto a cane sano per mezzo delle pulci, non solo accertò che le pulci erano infette di protozoi « tipo /e:shmania =, ma anche seguì la mia tecnica precedente, mantenendo le pulci a 22° ctgr.; si pose perciò nelle condizioni di tempera- tura più adatte ed ottenne esito positivo. Anche il Wenyon recentemente (*) ha tentato, in Malta, di trasmettere la leishmaniosi da cane naturalmente infetto a cani sani; egli, su due cuccioli portati dall’ Inghilterra ha posto 300 pulci raccattate su un cane infetto di leishmaniosi naturale. Il Wenyon dopo tre mesi dall'inizio dell'esperimento ha osservato che sui cuccioli si erano sviluppate molte pulci; allo esame microscopico e cul- turale degli organi di questi cuccioli, divenuti cachettici ed anemici, egli non ha riscontrate leishmania onde, molto affrettatamente, ritiene che il suo esperimento di trasmissione della leishmaniosi interna per mezzo delle pulci sia stato negativo. Io piuttosto penso che l'esperimento del Wenyon resti molto dubbio; volendo anche ammettere che i cuccioli non si sieno infettati è da osservare che l’esperimento è stato iniziato con appena 300 pulci rac- cattate su un cane infetto di leishmaniosi natnrale, onde il numero delle pulci infette, ammesso che ve ne fossero state, sarà stato molto esiguo; anzi io dubito che vi fossero state delle pulci infette, perchè l'autore non ha studiato le loro feci per accertare se esse fossero infette o no di protozoi « tipo lezshmania » . Il Wenyon nel suo lavoro non specifica neppure in quali mesi egli ha eseguito tale esperimento; dal complesso del lavoro sembra potersi desumere che egli abbia eseguito l'esperimento nei mesi estivi; perciò, volendo anche ammettere che vi fossero state delle pulci infette, è da osservare che le condizioni metereologiche dell'esperimento mentre erano favorevoli all’attiva moltiplicazione delle pulci, che da lui è stata notata, non erano adatte alla loro capacità infettante. Meritano particolare attenzione gli esperimenti eseguiti da Pereira da Silva (*); questo autore il 27 aprile 1911 pose un cucciolo dell'età di circa un mese a convivere con due cani sperimentalmente infetti di leishmaniosi (*) Trans. of the Soc. of trapie. Medicine and Hygiene. Genn. 1914, (3) Arquivos do Instituto Bacteriologico Camara Pestana. Tom. IV, fase. II. 1913. — 628 — infantile; su questi cani egli, a vario intervallo di tempo, raccolse delle pulci. L'esame delle feci di queste pulci soltanto il 15 giugno, dimostrò la presenza di numerosi parassiti ovali, piriformi, cen o senza flagello, tipo « leishmania ». Il cucciolo morì nel dicembre successivo per rogna; l'esame microscopico degli organi emopoietici fu negativo per le leishmania. In questo caso possiamo ritenere che le pulci dall'aprile al giugno si sieno infettate, ma che successivamente sia per le condizioni meteorologiche non adatte (dal giugno al dicembre) alla loro capacità infettante sia per le speciali condizioni del cane lo esperimento sia riuscito negativo. Un secondo esperimento è stato eseguito dal Pereira da Silva in oppor- tune condizioni meteorologiche. Quest'autore infatti dal 16 al 24 febbraio 1913 pose a far succhiare su un cane sperimentalmente infetto di leishmaniosi infantile (cane 12° dei suoi esperimenti) 22 pulci le di cui deiezioni, esami- nate costantemente nei 15 giorni precedenti non avevano svelato alcun paras- sita; tre di queste pulci, dopo 8 giorni dall'aver succhiato sangue del cane sperimentalmente infetto, presentarono nelle loro feci dei protozoi « #:po0 leishmanta » e si mantennero positive sino alla loro morte; l’ultima di esse morì il 2 marzo. Dal 24 febbraio sino alla loro morte esse furono nutrite su un cane sano (cane 13°); subito dopo la morte il loro contenuto intestinale fu ino- culato in un altro cane sano (cane 14°) il quale morì dopo circa un mese dall’inoculazione; la causa della morte del cane 14° non è stata accertata, il cane 13° sopravvisse. Ambedue i cani (cane 13° e cane 14°) non pre- sentarono nessuna leishmania allo esame microscopico e culturale dei loro organi emopoletici. Quest'esperimento del Pereira da Silva conferma che le pulci si infet- tano succhiando sangue di cane infetto. Il reperto negativo di leishmania negli organi emopoietici dei cuccioli (13° e 14°) nei quali era stata tentata la trasmissione della leishmaniosi per via naturale e per via sperimentale lascia dubitare sulla capacità infettante delle pulci infette; questo risultato trova spiegazione in un altro esperimento eseguito contemporaneamente dallo stesso autore. Un cane (cane 15°) al quale fu inoculata un'emulsione di milza del cane 12° (intensamente infetto di leishmaniosi infantile sperimentale e sul quale le pulci si erano nutrite ed infettate) morto anche esso. come il cane 14°, dopo circa un mese dall'inoculazione, non presentò parassiti all'esame mi- croscopico e culturale dei suoi organi emopoietici. Concludendo il virus del cane 12° inoculato in cani sani sia diretta- mente sia dopo aver subìto evoluzione nelle pulci, non si è più rivelato allo esame microscopico e culturale degli organi emopoietici dei cani nelle inoculazioni in serie. Le stesse condizioni possono essersi avverate nell’esperimento prece- dente eseguito dal Pereira dall'aprile al dicembre 1911. — 629 — Il Pereira da Silva si forza a dubitare che i protozoi da lui osservati nello intestino delle pulci possano essere stati Merpetomonas, ma a ciò è da osservare che il non aver l’autore riscontrato alcuna forma di essi negli organi emopoietici dei cani inoculati costituisce un reperto del tutto opposto a quello ottenuto dal Laveran e dal Franchini, i quali, inoculando in Mus musculus e successivamente in cuccioli, il contenuto intestinale di pulci infette di protozoi da essi definiti Herpefomonas hanno poi osservato nel sangue e negli organi emopoietici degli animali inoculati dei protozoi « tipo /eishmania >. Questo mio studio che ha posto in notevole evidenza la meteorologia della leishmaniosi interna nel Mediterraneo dimostra anche che, nelle ri- cerche su questa infezione, non si deve mai dare valore assoluto a un reperto negativo; così queste mie nuove ricerche confermano pienamente le dedu- zioni dei miei esperimenti di trasmissione, per via naturale, della leishmaniosi interna nelle regioni mediterranee; tali miei esperimenti, eseguiti in modo rigoroso, corroborati dai controlli, hanno dimostrato sin dal 1911 che le pulci infette di leishmania sono infettanti dal dicembre al marzo; non si può escludere che esse possano essere infettanti negli altri mesi dell’anno qualora vi esistano le opportune condizioni meteorologiche. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI GIANFRANCESCHI G., Per lo studio del corista campione dell’ Ufficio Centrale italiano. Pres. dal Socio BLASERNA. Acqua C., Osservazioni ed esperienze sul baco da seta. Pres. dal Socio GRASSI. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Presidente BLASERNA fa omaggio, a nome dell’autore, della pubbli- cazione del Socio straniero C. D. WaLcotT: The Monarch of the Canadian Rockies. E. M. — 630 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 aprile 1914. AGAMENNONE G. — La determinazione delle distanze a cui avvengono i terremoti in base alle osservazioni d'un solo Os- servatorio. (Estr. dalla « Rivista di Astronomia e scienze affini », an. VII). Torino, 1913. 8°. Bateson W. — Problems of Genetics. New Haven, 1913. 8°. BinAGHi R. — La genesi dei tubercoli fer- rugginosi nelle condotte di acqua po- tabile studiata dal punto di vista chi- mico. (Estr. dalla « Rivista di Igiene e di Sanità pubblica », an. XXIV). Biella, 1913. 8°. BinaGHI R. — Tubazioni in ghisa ed altri materiali contenenti ferro studiati in rapporto alla formazione dei tubercoli ferrugginosi e al rammollimento del materiale delle condutture. (Estr. dagli « Atti del II. Congresso dell’Associa- zione degli igienisti italiani »). Ge- nova, 1914. 8°. BurLow B. (First von). — Deutsche Po- litik. Berlin, 1914. 8°. Casacranpi 0. — Tubazioni in ghisa ed altri materiali contenenti ferro stu- diati in rapporto alla formazione dei tu- bercoli ferrugginosi e alrammollimento del materiale delle condutture. (Estr. dagli « Atti del IL Congresso dell’As- sociazione degli igienisti italiani »). Genova, 1914. 8°. DauLa Vepova G. — Scritti geografici scelti e ripubblicati a cura d’un Co- mitato di geografi in occasione dell’80° genetliaco dell’ Autore, 29 gennaio 1914. Novara, 1914. 8°. ErepIA F. — Sulla spartizione della sec- chezza. (Estr. dalla « Rivista me- teorico-agraria», an. XXXV). Roma, 1914. 8°. GaLpIERI À. — Fiori, insetti e fumarole. (Estr. dal « Bollettino della Soc. dei naturalisti in Napoli n, an. XXV). Napoli, 1913. 8°. GaLDIERI À. — Il tufo campano di Vico Equense. (Estr. dagli « Atti della R. Accademia delle Scienze fis. e mat. di Napoli », vol. XV). Napoli, 1913. 8°. GaLDIERI A. — L'origine della terra rossa. (Estr. dagli « Ann. della R. Scuola sup. di agricoltura di Portici », vol. XI). Portici, 1913. 8°. GaLDIERI A. — Osservazioni sui calcari di Pietraroia in provincia di Bene- vento. (Estr. dal « Rend. della R. Acc. delle Scienze fis. e mat. di Napoli », 1913). Napoli, 1913. 8°. GaLpierI A. — Su di una calcite feltri- forme di Nocera. (Estr. dagli « An- nali della R. Scuola sup. di agricolt. di Portici », vol. XI). Portici, 1913. 8°. GaLpieRI A. — Su di una leucofonolite haiiynitica del vulcano di Roccamon- fina. (Estr. dal « Rend. della R. Acc. delle Scienze fis. e mat. di Napoli », 1913). Napoli, 1913. 8° GaLpIERI A. — Sul bolo di Terra di Otranto. (Estr. dagli « Annali della R Scuola sup. di agricolt. di Portici », vol. XI). Portici, 1913. 8°. GaLpIERI A. — Sulla dissoluzione del cal- care in acqua carbonica. (Estr. dagli «Annali della R. Sc. sup. d’agricolt. di Portici», vol. XI). Portici, 1913. 8°. GaLDIERI A. — Sulla fosforite di Leuca. (Estr. dagli « Atti del R. Istituto di Incoraggiamento di Napoli », ser. VI, vol. X). Napoli, 1913. 8°. GerHARTZ H. — Ueber die zum Aufbau der Eizelle notwendige Energie (Trans- formationsenergie). Bonn, 1914. 8°. Loria G. — Le glorie matematiche della Gran Brettagna. (Extr. de la Révue « Isis », I). Wondelgem-lez-Gand, 1914. 8°. — 6831 — Lussana S. — La termodinamica dei gas e dei liquidi in rapporto alle applica- zioni pratiche. (Estr. dagli « Atti della Società Italiana per il progresso delle scienze », 1913). Roma, 1914. 8°, Magi G. A. — Geometria del movimento. Lezioni di cinematica con un’appen- dice sulla geometria della massa. Pisa, 1914. 8°. OrtH J. — Bericht iber das Leichenhaus des Charité-Krankenhauses fùr das Jahr 1912. (Abdr. aus « Charité An- nalen », XXXVII Jahrg.). Berlin, 1913. 8°, OrtH J. — Gesellschaft der Charité-Acrzte. (Sonderabd. aus « Berliner klin. Wo- chenschr. », 1914). Berlin, 1914. 89. OrtH J. — Referat iber Ribbert, Hugo. Das Carcinom des Menschen, sein Bau, sein Wachstum seine Entstehung. (Son- derabd. aus «Zeitschrift fir Krebsfor- schung », Band XIII). Berlin, 1913. 8°. Orta J. — Ueber eine Geschwulst des Nebennierenmarks nebst Bemerkungen îiber die Nomenklatur der Geschwilste. (Sonderabd. aus « Sitzungsberichte der kòn. preussischen Akad. der Wis- senschaften », 1914). Berlin, 1914. 8°. Paocini V. — Il tufo campano di Vico Equense. (Estr. dagli « Atti della R. Accad. delle Scienze fis. e mat. di Na- poli », vol. XV). Napoli, 1913. 8°. TARAMELLI T. - Il paesaggio della « Gio- conda » e l’uomo pliocenico di Castel nedolo. (Estr. dai « Rend. del R. Istit. lombardo di scienze e lettere n, vo- lume XLVII). Pavia, 1914. 8°. Trancoso F. — As radiagdes ultra violetas e infra-vermelhas, seu estudo e apli- cagdes. Lisboa, 1913. 8°. Verworn M. — Irritability. A physiolo- gical Analysis of the general effect of stimuli in living substances. New Ha- ven, 1913. 8°. VoLteRRA V. -- Drei Vorlesungen ber. neuere Fortschritte der mathemati- schen Physik: gehalten im September 1909 an der Clark-University. Mit Zusàtzen und Erginzungen des Ver- fassers deutsch von Dr. Ernst Lamla. Leipzig, 1914. 8°. Waankr H. — Der Kartenmasstab. Histo- risch-kritische Betrachtungen. (Son- derabd. aus « Zeitschrift der Gesell- schaft fùr Erdkunde zu Berlin ». 1914). Berlin, 1911. 8°. Waener H. — Zur Geschichte der See- meile. (Sonderabd. aus « Annalen der Hydrographie und maritimen Meteo- rologie », 1913 Berlin, 1913. 8°. WacLace CampBELL W.— Stellar Motions with special referenee to motions de- termined by meary of the Spectro- graph. New Haven, 1913. 8°. RenpicontTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 82 MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI - Gianfranceschi. Per lo studio del corista campione dell’ Ufficio Centrale italiano (pres, dal Socio Blasemna)ci cu «0 BE SOR » » » Pag. 629 _ Acqua. Osservazioni ed esperienze sul baco da seta (pres. dal Socio Grass) |... .,,» n PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Presidente). Fa omaggio di una pubblicazione del Socio straniero Walcott. 4 SEUECRITINO BIBLIOGRAFICOR, (lee sla 0 open ente 980 SR RENDICONTI — Aprile 1914, INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 aprile 1914. MEMORIE E NOTE DI SQOI O PRESENTATE DA SOCI Volterra, Equazioni integro-differenziali ed egnazioni alle derivate funzionali . . . Pag. 551 Angeli. Sopra gli azossifenoli, ... o bio, SR ROTA Almansi. Sopra le azioni a cui è soggetto un corpo entro una' massa i in i novero AOZOn Severi. Sugli integrali abeliani riducibili . , . . SRI » 581 Bottasso. Sull’operatore differenziale binario S'di M. Pieri (ins dal Manisp: Mi rtoloaao) ( ) » 588 Cisotti. Sui moti turbolenti provocati da solidi immersi (pres. dal Socio ZLevi-Cività), . » n Cotton. Sur le moyen mouvement asymptotighe et les solutions périodiques de certaines équations différentielles (pres. /d.) . . , . . MP IL PINTO Munari. Sopra una espressiva interpretazione cinematica del principio di ao Id.) (*)» 596: Signorini. Caratterizzazione energetica dei moti soggetti a Lesisienga viscosa od idraulica (press/d) e 7 RIOLO, Silla. Sopra alcune please della teqria della ii dei ceto di fans ‘ni Criongdli (pres, dal Socio Volterra). . . . . . Br. SARE n o a » 600 Viaro. Sulla costruzione delle tayole per cortezione del passo Ti microswopî micromenio I (pres. dal Socio Millosevich) (È). +... + RE ae n o I Tonelli. Su una proposizione dell'Almansi (pres. dal dani dimansi) o RIA no» Godeaua. Sur les surfaces de genres zéro et ile bigenre un (pres. dal Corrisp. Enriques) ®) ”» n Lo Surdo, Sulla formazione della rugiada e della brina (pres. dal Corrisp. Gardasso)(®) . n» | Amadori, Sui fenomeni di trasformazione nei molibdati e wolframati di sodio (pres. dal | Socio Ciamician) (*). . . AERII SOR . n 608 I Bianchini. Sull’incompatibilità fra dolo sulfonal e 'Znaftolo (pres. dal di Piuttà) io Ciusa e Piergallini. Ossidazioni con bromo sotto l’azione della luce (pres. dal Socio Cia- mician (*) È » 615 Rolla, Sul calore daebifco delle ine mt cistiuito si inzio ui dei fi Î Corrisp, Garbasso) . p È SERIO COR È » 616 I Lumia, Azione dei concimi ai sull ‘attività di sla microrganismi co ut dci dal Socio Cudoni) (£) Ù Seno 1022 Brunacci, Sull’adattamento degli Anfibi all'apticnio ioido Si i li i della pressione osmotica dei loro liquidi interni; importanza dei sacchi linfatici e della vescica urinaria (pres. dal Socio Zuciani). i; ; » n Basile. La meteorologia della leishmaniosi interna nel dti Goutmbuto pesto agli saro esperimenti di trasmissione (pres. dal Socio Grasst). . +... +... (Segue in tersa pagina) (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo, E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 3 maggio 1914. N. 9. AL DELLA - REALE ACCADEMIA DRI LINCEI ANNO CCCUXI. 1914 str o o GIOSEIN TA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 maggio 1914. I Volume XXIII. — Fascicolo 9° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1914 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se î Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. TUE I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria, negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE, SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. PO Eee =" UNION Seduta del 3 maggio 1914. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Chimica. — Za trinîtrobenzina asimmetrica 1. 2. 4. Nota del Socio G. KOERNER e del dott. A. CONTARDI. I tentativi fatti da Paolo Hepp (*), per preparare la trinitrobenzina 1. 2. 4 non condussero a un prodotto ben definito e puro, ma il lavoro dimostrò fuori di ogni dubbio che nella nitrazione della paradinitrobenzina si formava anche questo trinitroderivato. À Nel 1890 il Lobry de Bruyn (?) riprese lo studio di questo trinitro- benzolo e modificò il processo di nitrazione, sia rispetto ai rapporti tra la binitrobenzina e la miscela nitrante, sia nella composizione della miscela nitrante stessa, sia ancora nella durata della reazione, e mutò infine total- mente il sistema di separazione dei prodotti risultanti dalla reazione. Mentre, infatti, lHepp aveva sempre cercato di separare la miscela della trinitroben- zina asimmetrica dalla paradinitrobenzina basandosi sulla diversa solubilità . delle due sostanze nei varî solventi, il Lobry de Bruyn impiegò come mezzo di separazione la diversa volatilità delle due sostanze stesse. E così egli separò dalla miscela per sublimazione quasi tutta la paradinitrobenzina inal- terata, e purificò il residuo mediante trattamento con acido nitrico e succes- siva cristallizzazione dall’etere o dall'alcool metilico. Egli descrisse la trini- trobenzina dissimmetrica come una sostanza ben cristallizzata, di color giallo chiaro, fusibile a 579,5. Però nelle determinazioni della solubilità della so- (1) Ann. d. Chem., 215, pag. 361. (2) Recueil d. Trav., 9, pag. 186. ReNDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem, 7 83 — 634 — stanza stessa nei varî solventi si accorse che quantunque rispondesse assai bene ai dati analitici, pure essa doveva contenere almeno il quattro per cento di paradinitrobenzina, che non riuscì a separare. Noi abbiamo ripreso lo studio di questo trinitroderivato cambiando total- mente e il materiale di partenza e il processo di preparazione. NO, Nella diuitroanilina ordinaria | fondente a 180° abbiamo sosti- tuito il gruppo amidico con un gruppo nitrico passando attraverso al nitrato del diazocomposto e seguendo il processo da noi già in altra Nota descritto (*). Si trattarono gr. 54 di dinitroanilina ordinaria con lo stesso peso di acido nitrico della densità = 1,48; e a 0° la miscela venne fatta attraver- sare da una corrente di vapori nitrosi fino a completa saturazione, agitando continuamente la massa in modo che il nitrato del diazocomposto, che si andava formando, non dovesse agglomerarsi in un blocco compatto in modo da rendere difficile e pericoloso in seguito il maneggio della sostanza, data la sua grande potenza esplosiva. Scacciati con una corrente d’aria i vapori nitrosi in eccesso, diluito con pochissima acqua a 0° la miscela, raccolto il precipitato su rete di platino e aspirato, il nitrato del diazocomposto venne disciolto in mezzo litro d'acqua fredda, indi a 0° trattato con una soluzione formata da gr. 250 di solfato di rame cristallizzato, gr. 69 di nitrito sodico, disciolti in gr. 1500 di acqua. Lasciato a sè il tutto per qualche ora veniva in seguito riscaldato a b. m. Sul fondo del recipiente si raccoglie un olio bruno che per raffreddamento solidifica. Estratto questo con cloroformio e ripe- tutamente lavata la soluzione cloroformica con acqua, per evaporazione del solvente si ottennero gr. 45 di un olio bruno che dopo breve riposo sì rap- prendeva in una massa cristallina. La purificazione venne in seguito eseguita riscaldando il prodotto per parecchie ore con acido nitrico della densità 1,4; evaporata la massima parte dell'acido, la sostanza risultante venne ripetu- tamente trattata a b. m. con acqua per togliere l'acido picrico formatosi per il precedente trattamento. Nella reazione di sostituzione del gruppo amidico con quello nitrico una parte piccola del diazocomposto dà luogo alla forma- NO: zione del dinitrofenolo | | che viene trattenuto facilmente dalla trini- tro-benzina, ed in seguito per trattamento con l'acido nitrico si trasforma in acido picrico. La trinitrobenzina, così purificata, veniva nuovamente cristal- lizzata dall’acido nitrico diluito, indi lavate ed essiccate le laminette lucenti (*) Rendiconti, R. Acc. Lincei. vol. XIII, Serie 5%, 1° sem., pag. 281. — 635 — e incolore ottenute dall’acido nitrico, venivano nuovamente cristallizzate da etere. La parte ancor bruna rimasta indisciolta nell’acido nitrico diluito che non si poteva imbiancare per un nuovo trattamento con acido nitrico d = 1,4, venne estratta con cloroformio, filtrata dalla resina rimasta insolubile e deco- lorata con nero animale. Per lenta evaporazione dell'etere la trinitro-benzina 1, 2, 4 si ottiene cri- stallizzata in sottili lamine quasi incolore, molto solubili nell’etere, fondenti a 61° (termometro n. 21 474 normale). La determinazione d'azoto ha dato: Sostanza impiegata gr. 0,2112. AzOtoNice nta 0,2 anti 240 HT—758. Azoto trovato °/, 19,69. Azoto calcolato per Cs Hz (NO); °/ 19,7. La trinitrobenzina riscaldata in tubo chiuso a 140° con ammoniaca alcoo- lica sì trasforma quantitativamente nella dinitroanilina dalla quale si era partiti. Sono in corso esperienze per ottenere la trinitrobenzina ‘1, 2, 3 sinora sconosciuta, e speriamo di poter presto riferire in proposito. Correzione alla Nota: Benzine nitro-sostituite ottenute dai corrispondenti amino- derivati. 3 (Rendiconti, vol. XXIII, serie 5*, fasc. 5°). La prima equazione a pag. 283, riga 7, è stampata in modo incompleto e va cor- retta in: 2Cs H; NH,. HNO;+ 2 Cu (NO)»=2C Hs N. NOH +4 Cu (NO; )2+ Cu (NO): +2H,0. Geologia. — Su una Nota di Stetnmann intorno alle rocce di Prato în l'oscana. Nota del Socio CARLO DE STEFANI. Lo Steinmann ha recentemente pubblicato una breve Nota sopra i cal- cari e i Diaspri o Radiolariti concomitanti delle rocce serpentinose dei din- torni di Prato in Toscana, e precisamente di Figline in Val di Ripa (!), e dà pure uno spaccato geologico della regione. Egli deduce che i Diaspri, insieme. con le Serpentine formanti una zona periferica, esterna, alla col- lina, appartengono al Malm medio; i calcari ed i galestri più interni e con- cordanti con le rocce precedenti, appartengono al Titonico, cioè al Giura più alto, ovvero al Neocomiano, fondato sur una foraminifera, la Ca/pionella alpina Lorenz, che egli vi ha ritrovato, la pietra forte al Cenomaniano; il macigno al Turoniano, Senoniano e incertamente al Terziario inferiore. () G. Steinmann, Veder Tiefenabsitze des Oberjura im Apennin, (Geologische Rundschau, Bd. IV, Heft 7; 13 novembre 1913). — 636 — Questa regione fu già oggetto di studio, specialmente per la litologia, — oltre che da Bonney (1879) che riteneva diaspri e fitaniti concotte dal fuoco, e da Sterry Hunt (1883) che riteneva paleozoica la formazione, — da parte del Cossa, di Celso Capacci (*), del Lotti (*) e del Panichi (*), i quali pure accompagnarono le loro Note con alcuni spaccati geologici. Se si dovesse correr dietro a tutte le discrepanze d'opinione che si mani- festano in un argomento così personale e subiettivo come è quello della geo- logia topografica locale, si farebbe opera il più delle volte vana e si perde- rebbe il tempo a scapito delle ricerche e degli studî nuovi che ognuno deve sopra tutto curare: ma quando si tratta del parere di uno scienziato della riputazione dello Steinmano, vale la pena d'intrattenervisi. Il nostro A. si fonda sull’alberese a Calpionella, e sui Diaspri, anche sulla posizione stra tigrafica di essi, come dicevo, esterni al colle e periferici alla pianura, poichè pendono contro questa, cioè verso l'interno del monte. Si tratta di uno di quei rovesciamenti periferici così frequenti all'esterno di un sistema montuoso, che si manifestano specialmente quando sieno a contatto rocce di plasticità così grandemente diversa, come sono appunto quelle della regione di Prato. Il compianto Giordano, per stabilire se vi fosse rovesciamento o no e per determinare la posizione stratigrafica di quelle rocce esterne, aveva fatto la proposta, a vero dire più da ingegnere che da geologo, di aprire un foro per vedere che cosa si trovasse sotto. Ma quelle rocce sono identiche a quei diaspri, calcari, galestri, gabbri, diabasi e serpentine che appaiono poco lontane, in regolare posizione, all'Impruneta presso Firenze (*), come pure, regolarmente, nell’Appennino a tutte le parti dell'orizzonte, e fra noi non vi è contesta- zione che appartengano all'Eocene superiore, non già al Giura rappresentato da ben altre rocce (il Titonico ed il Lias, anche da diaspri), e separato da alta serie di terreni terziarî anche fossiliferi. I calcari e le argille adiacenti partecipano anch'essi in parte al rove- sciamento; perciò lo Steinmann li ritiene sovrastanti ai diaspri, e li attri- buisce al Neocomiano: ma in realtà sono sottostanti e relativamente più antichi. Per poco che l'A. avesse seguitato verso N-E, avrebbe veduto la serie regolarmente invertirsi, diventare ampiamente regolare e formare un ampio e regolare anticlinale; ciò vedesi in parte anche negli spaccati, sebbene limi- tati e locali, del Capacci, del Lotti, del Panichi, i quali tutti ammisero l’esistenza d'inversioni, senza darne completamente ragione, per non avere seguìto tutta la serie più a settentrione. La serie degli strati in quell’anti- (1) C. Capacci, Za formazione ofiolitica del Monte Ferrato (Boll. Comm. geol. 1881). (2) B. Lotti, Rilevamento geologico esequito in Toscana (Boll. Comm. geol 1894). (3) U. Panichi, Ricerche petrografiche, chimiche e geologiche sul Monte Ferrato (Atti Soc. tosc. di sc. nat., Pisa, 1909). (4) C. De Stefani, Carta geologica dei dintorni di Firenze, Osservazioni geolo- giche sul terremoto di Firenze del 18 maggio 1895, Roma 1897, — 637 — clinale accompagnato da lievi pieghe laterali, è la seguente, cominciando dal basso : 1. Arenaria macigno di Val di Bisenzio. In valle del Mugnone contiene Nummulites lenticularis Désm., N. venosa Ficht et Moll, N. suò Beaumonti De la H., M. Tchihatchefii D'Arch., ed appartiene all'Eocene medio, al Luteziano Superiore. In qualche luogo, p. e. alla Golfolina, si trovano, al di sotto, strati litologicamente simili ai seguenti. 2. Strati, nella regione Pratese non molto alti, in prossimità dell’are- naria, mentre assai più lo sono nell'adiacente Val dì Sieve, o verso Firenze, di calcari da cemento, galestri scuri, pietra forte con Znocerami indubbia- mente eocenici, Ostrea Cocchii De St., Pennatulites, Nummulites subitalica Tellini, M. italica Tell, M Guettardi D'Arch., N. venosa Ficht. et Moll, N. variolaria Sow., N. subirregularis De la H., N. sub Beaumonti De la'H., etc. ete. Appartengono alla più alta parte dell'Eocene medio, al Bar- toniano. Le Nummulili vi sono abbondantissime in lenti speciali. Il calcare è formato da Globigerinidae abissali. 3. Calcari marnosi assai alti, specialmente ad Oriente, pure a G/odzge- rinidae con Helminthoidea labyrinthica H., e nei dintorni di Firenze con Nummulites Boncheri De la H., N. laxispira De la H., N. Tournoueri De la H., N. dericensis De la H., N. dudensis Hant, N. curvisp'ra Mgh., N. subirregularis De la H., cec. ('). Rappresentano in Toscana la parte infe- riore dell'Eocene superiore, il Priaboniano. In Liguria gl' /noceramus arrivano fino a questo piano entro i calcari di mare profondo. 4. Alberesi, galestri, diaspri, rocce e»uttive già detti. Nel Fiorentino, fuori delle alghe e delle solite impronte problematiche, non si trovarono che radiolarie nei diaspri, foraminifere (G@lobigerinidae, ed ora, secondo lo Steinmann, Ca/pionella alpina), nei calcari, tronchi silicizzati di A/mus Sp. e di Cupressorylon peucinum Goepp. (?) all’Impruneta, e i denti di P/y- chodus latissimus Ag. al Poggio al Pino (*): ma fuori vi si trovarono pure delle nummuliti, e spicule di spugna e radiolarie trasformate spesso in cal- cite. La posizione stratigrafica sopra tutta la serie, al sommo dell'Eocene superiore, è, per quasi tutti i geologi italiani, omai sicura. Non vi hatraccia, in quei luoghi, di Giura nè di Creta ; le rocce di tali età sono nell'Appennino assai diverse, e ben differente è l’unico lembo più vicino di Creta superiore a Monteripaldi presso Firenze. (‘) M Ruvagli, Mummuliti e orbitoidi coceniche dei dintorni di Firenze (Palaeon- tographia italica, vol. XVI, 1910). (?) L. Pampaloni, Sopra alcuni tronchi silicizzati dell’Eocene superiore dell’ Im- pruneta (Boll. della Soc. geol. it., vol, XXI, 1902, p. 25). (*) G. Canestrelli, Denti di Ptychodus Agass, nel terziario deli’ Appennino tosco- emiliano (Atti Soc. tosc. di sc. nat., vol, XXVI, Pisa 1910, p. 102). — 638 — Se non che lo Steinmann, oltre che sull'esame stratigrafico e litologico imperfetto di breve spazio, si fonda principalmente sopra un indizio paleon- tologico dato, secondo lui, dalla Ca/pionella alpina Lorenz, e dai dispri. Già da molti annì il Pantanelli, troppo presto rapitoci (e fu il primo a vedere le radiolarie nei diaspri), aveva descritto radiolarie dell’Eocene superiore (1). Parmi che, dopo di lui, niun altro ne descrivesse in Italia, attribuendole a quella età. Il Rust, venuto 5 anui dopo di lui e descrivendo radiolarie giu- resì di Germania, sì mostrò sorpreso delle determinazioni del suo predeces- sore; e non prestando fede all'età eocenica, che pure era esattamente deter- minata, ritenne giuresi anche quelle radiolarie italiane. Da allora in poi, quando si ritrova un diaspro, che non sia di età più antica determinata, pel solo fatto di esser diaspro, si attribuisce al Giura. In realtà, trattandosi di organismi così semplici e microscopici, non si riesce a trovare gran diffe- renze fra radiolarie dei diaspri gluresi, cretacei ed eocenici, ed una cagione dell'incredulità straniera è pur questa: che formazioni eoceniche a diaspri, cioè di mare assai profondo, non rispondenti ai tipi classsici dell'Eocene, fuori dell’Italia e della Balcania non se ne conoscono, e queste perciò non ri- spondono ai tipi dell’Eocene conosciuto nei manuali, anche in quelli dello Steinmann. Non deve perciò sorprendere se il paleontologo Steinmann, tro- vando dei diaspri in Italia, propenda a ritenerli giuresi; nè deve sorprendere che nei calcari, da noi ritenuti eocenici, trovi la Ca/pzonella indicata altrove nel Giura superiore e nella Creta inferiore; nè che egli si sia contentato di fare troppo breve osservazione stratigrafica; nè che, secondo un costume, per verità troppo poco scientifico, d'oltr'alpe, abbia mancato di meglio informarsi dei lavori nostri. Tanto meno dovrei sorprendermi delle imperfette osservazioni dell'illu- stre collega germanico; perchè i nostri colleghi italiani fanno per lo meno altrettanto. Due valentuomini come Vinassa e Neviani hanno descritto da molto tempo come Titoniani, cioè giuresi, diaspri di Grizzana e Lagàro e di altri luoghi nel Bolognese (*), raccolti da altri ed attribuiti al Titonico solo perchè dia- spri, e perchè creduti erratici nelle argille scagliose, senza curarsi di stu- diarne e determinarne bene la stratigrafia e l'età sul posto. Ma quelli sono puramente e semplicemente appartenenti all'Eocene superiore insieme con le argille galestrine, coi calcari, con le rocce eruttive che li avvicinano e li circondano. E poichè un errore, come le ciliege, tira l'altro, lo Squinabol (1) D. Pantanelli, / diaspri della Toscana e i loro fossili (Mem. Acc. Lincei, vol. VIII, 1879-80). (2) P. Vinassa De Regny, Rocce e fossili di Grizzana e di Lagaro nel Bolognese (Bell. Soc. geol. it., vol. XIX; 1900); A. Neviani, Supplemento alla fauna a radiolari delle rocce mesozoiche nel Bolognese (Boll, Soc. geol. it., vol. XIX, 1900), — 639 — recentemente, esaminando diaspri del Monginevro nelle Alpi Occidentali ('), li attribuiva al Titonico per identità di due specie con altre di Cittiglio e con altre due del Bolognese ritenute pure giuresi. Bensì, se egli dà valore a quel paragone paleontologico, può attribuire anche i diaspri del Monginevro all’Eocene superiore. Che tali sieno in realtà, ne sono persuaso, perchè, nel- l’ultima Nota che ebbi l'onore di presentare ai Lincei (*), ho attribuito preci- samente all'Eocene superiore le rocce verdi che accompagnano quei diaspri (*). Lo Steinmann trova la Ca/pionella anche nell'alberese concomitante la formazione serpentinosa al M. Maggiore nei Colli Livornesi, ad occidente di Portoferraio e a Casa Bartoli all'Elba, sempre nella stessa formazione delle rocce verdi; e quegli alberesi pure attribuisce al ginra superiore od alla creta inferiore. In questi luoghi, specialmente nei monti Livornesi, sì ripete la medesima stratigrafia dei monti di Prato. Presso Montenero e alla Poggia, negli alberesi, nella più alta parte della formazione serpentinosa stanno lenti di calcare nummulitico trovate dal Salle. Nell'isola d'Elba, oltre il Nummulitico dell'isoletta dei Topi da me trovato, il Lotti lo indica verso l’Acona sopra il calcare ad Zel/minthoidea e sotto calcari rosati e diabasi.. Quanto alla pietraforte cenomaniana, anzi, della creta superiore, essa si trova all'infuori del Macigro. Sopra il Macigno si trovano bensì, sovente Iuoceramus in posto: e se ciò non combina coi trattati di paleontologia, e nemmeno con quelli dello Steinmann, combina però con la realtà, sempre per la solita ragione che le faune eoceniche abissali dell'Appennino non sono prese in considerazione. Il Macigno, a sua volta, non contiene mai fossili più antichi dell'Eocene medio. Gli «/beresi, ed in generale i calcari dell’ Eocene appenninico, sono costituiti da foraminifere abissali, per lo più Globdigerinidae, le quali non sono mai isolate; si comprende che i paleontologi abbiano preferito studiare le Nummulzizdi ben conservate che talora racchiudono in lenti, piuttosto che le altre foraminifere le quali, in sezioni, sarebbero di incompleta determinazione specifica e di assai dubbia utilità. Non metto in dubbio che vi si trovi una foraminifera, la Calpionella, comune altrove nel Giura superiore e nella Creta inferiore: terrà compagnia alle radiolarie che altri attribuisce sempre al Giura ma che si trovano bene e meglio nell'Eocene superiore; e terrà compagnia a qualche altra specie abissale attribuita a terreni alquanto più antichi perchè (1) S. Squinabol, Radiolari della strada nazionale al Monginevro Boll. R Comm. geol., vol. XLIII, 1913, p. 282). (®) C. De Stefani, Za zona serpentina della Liguria occidentale (Rend. Ace. Lincei, 18 maggio 1913). i (®) Debbo soggiungere che alcuni dei calcari ereduti triassici in Val di Bormida facenti parte della zona delle rocce verdi credute permiane sono invece calcari nummu- litici eocenici. — 640 — manca nell’Eocene littorale finora conosciuto. A tali specie relitti non si può dare la prevalenza sulle numerose specie eoceniche e specialmente sulle MWum- mulitidi che si trovano dappertutto a tutti i livelli dell'Eocene e non sol- tanto sotto il Maczgno o sopra le serpentine, e che sono state ormai discre- tamente studiate e determinate da noi. Quanto al carreggiamento della zona serpentinosa sulla quale lo Steinmann insiste, io non mi diffonderò: non uno dei geologi italiani o stranieri che abbia studiato la zona sui posti e non sulle carte stampate, può ritenerla ammissibile: il vedere che altri la sup- pone carreggiata, farebbe venire il dubbio sull'esistenza di carreggiamenti anche nei luoghi dove veramente esistono. Terminerò, volgendolo in italiano, con lo stesso epifonema diretto a noi dallo Steinmann. Egli desidera da noi schiarimenti sulle « numerose contra- dizioni » nelle quali, dice egli, siamo caduti, « se noi non vogliamo rinun- ziare a fondare le nostre conclusioni coi metodi che si debbono usare nella geologia ». Ma la geologia si fonda sulla conoscenza della stratigrafia, ben inteso studiata sul posto e non sulle carte o soltanto sugli scritti dell'uno piuttosto che dell'altro; e della paleontologia, ben inteso non solo di quella talora schematica di uno o di altro trattato, non di una sola foraminifera 0 di una radiolaria, ma di tutti i fossili raccolti noti e studiati. Ora se l’ il- lustre collega Steinmann avesse preso a fondamento l'una e l’altra, sarebbe arrivato a conclusioni più semplici e più naturali (). (') Forse lo Steinmann fu alquanto disorientato dalla Carta geologica d’Italia, foglio 106 Firenze, pubblicata dall'Ufficio geologico. Prescindendo dalla parte strettamente lito- logica, nella distribuzione e nella serie dei terreni terziarî si potrebbero rilevare molte imperfezioni. Cominciando dal terreno più antico, 1° Arenaria Macigno (ea), non devesi confondere con questa il calcare marnoso sulle destra della Sieve, nè l’arenaria di M. Ri- paldi. Quest'ultima contiene cefalopodi, non nummuliti, ed appartiene alla Creta superiore. Il calcare marnoso di val di Sieve non è nn’arenaria, e contiene nummuliti in quantità, non che strati arenacei con /noceramus. Perciò la spiegazione della Carta geologica do- veva dire semplicemente « arenaria (macigno) con nummuliti », e fermarsi qui: lasciando fuori il sèguito « arenaria calcarifera (pietraforte) con ammoniti, inocerami ed altri fos- sili probabilmente di trasporto ». Avvertasi pure che il trasporto di questi fossili è sup- posto nella dicitura, ma non esiste in realtà, ed in ciò sono in parte d'accordo col Lotti che rilevò quei terreni. A questa Arenaria Macigno (e'a) attribuiscasi invece la così detta « Arenaria superiore » (e 3) che forma qualche lembo a destra della Sieve, senza aggiungere «con strati calcarei e letti marnosi intercalati » L° « Arenaria superiore » (e) del ver. sante Fiorentino, nella quale piuttosto prevalgono gli « strati calcarei e letti marnosi intercalati » (e 3), che contiene Inocerami e Nummuliti, invece di essere la roccia Eoce- nica superiore a tutte, e tolta qualche parte che equivale all’Arenaria Macigno (e'a), succede alla detta Arenaria Macigno e andrebbe messa con gli « scisti arenacei ed ar- gillosi rossi e grigi » (es). Nella spiegazione della carta succedono diaspri e ftaniti a radiolarie che accompagnano le masse ofiolitiche » (e°4): e sono i diaspri di Prato; ma questa roccia è la più alta di tutte, e andrebbe messa con parte dell’e ?, eioè coi « cal- cari (alberesi), scisti argillosi » che formano la più alta serie dell’Eocene intorno a Prato ed all’Impruneta. Invece l’altra parte dell’e® a nord e a sud-ovest di Firenze, cioè « cal — 641 — Matematica. — Sugli integrali abeliani riducibili. Nota II del Corrispondente FRANCESCO SEVERI. 4. DIMOSTRAZIONE GEOMETRICA DEL TEOREMA GENERALE. — Le con- dizioni più generali sotto cui una varietà algebrica può possedere un'infinità (discontinua) di sistemi regolari d’integrali riducibili, sono espresse dal seguente teorema: I. Quando sopra una vartetà (0 curva) algebrica possedente p inte- grali semplici di 1° specie, esistono u(= 2) sistemi regolari indipendenti di Qn3023% > Qu integrali riducibili (ove qr4 + qu = p), ed un altro sistema regolare 0097, indipendente da ciascuno di essi, ma contenuto nel loro sistema congiungente, la varietà possiede un'infinità discontinua di sistemi regolari di q integrali riducibili. Dicendo che ì w sistemi dati, A, , A», ...,Ay, sono crndipendenti, inten- diamo che non esista alcun legame lineare (a coefficienti non tutti nulli) fra i loro integrali, cioè che il loro sistema congiungente (regolare) K, abbia la dimensione DI gdi— 1. L'ulteriore sistema regolare 0097!, che si suppone i=1 contenuto in K, verrà indicato con A. Ricorrendo, al solito, alla rappresentazione degli integrali della data varietà, coi punti dello spazio S, a p — 1 dimensioni, avremo ivi gli spazî A,A:,.-. Ap, K imagini dei sistemi omonimi. Nelle ipotesi poste, gli spazî A1, As, .., Ay sono tra loro indipendenti, ed A è indipendente da ciascuno di essi. Indicato con X, lo spazio, a 2%; — qa — 1 dimensioni, congiungente i p—1 sistemi Ai... An, An41, --s Ap, SÌ prova facilmente, con elemen- cari non alberesi, scisti argillosi e pietra forte in strati alternanti con nummuliti ed inn- cerami, probabilmente (anzi certamente non) di trasporto », forma una zona immediatamente sovrastante a quella dell’ Arenaria Macigno insieme con l’e';, ed a questa zona, non a quella e, dovevasi aggiungere « pietra da calce idraulica e da cementi ». A questa zona rispondono alcuni degli strati più a monte nei dintorni di Prato, confusi con la zona ef. Finalmente la zona e% è definita come « calcari » (non) « alberesi, con ZM/elminthoidea labyrinthica e straterelli di arenaria interposti», Ma non è la più alta dell'Eocene: tali sono invece le zone e84 ed in parte la e?. Lo Steinmann, forse, in questo ordinamento non si è bene raccapezzato e non ha conosciuto i lavori di quelli ché hanno compreso in modo differente la serie geologica dei dintorni di Firenze e dell'Appennino. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 84 — 642 — tari considerazioni iperspaziali (!), che gli spazî X,,:,..., Zu non hanno punti comuni. È questa un'osservazione che ci gioverà al n. 8. Dico ora che per dimostrare il teorema I, basta limitarsi a considerare il caso in cui i # +1 sistemi A, A,....Ay, sono a w a w indipendenti. Supponiamo, perciò, che il teorema sia già stato dimostrato sotto questa con- dizione, e si consideri il caso in cui la condizione stessa non è soddisfatta. Allora lo spazio A s'appoggerà a qualcuno degli spazî X,,X2,..., 3. Si appoggi, p. es., a Z,, e sia A' lo spazio a g' — 1 (g'= q) dimensioni, inter- sezione di A e di X,. Avremo entro al sistema regolare X,, congiungente dei sistemi indipendenti A,,A,,..,Ayw-,, un sistema regolare A', indi- pendente da ciascuno di essi. Se i w sistemi A", A,,..., Ay-, sono a #—-1 a ul indipendenti, si potrà applicare il teorema I; se no, si proseguirà similmente, passando da w sistemi a wu — 1, e così via. Si perverrà infine ad un sistema regolare A, di dimensione g9 — 1, contenuto in A, e a cui sarà applicabile il teorema T, per modo che A apparterrà ad un infinità discontinua di sistemi analoghi. Detto B9 un complementare di A in A. i sistemi che congiungono B con quelli della suddetta infinità discontinua, saranno altrettanti sistemi regolari di dimensione co9. E il teorema I risulterà pertanto stabilito, avche a prescindere dalla restrizione posta. Esaminiamo dunque il caso in cui gli spazî A, A,,..., Au sono a w a u indipendenti. Da ogni punto di A esce allora (*) uno, ed un solo spazio, Su-1, appoggiato ulteriormente in un punto ad A,, A>,... Au. Fissato uno, C, di questi 0097! S,_,, su esso, A,A,,..,Ay segnano rispettivamente u +1 punti indipendenti 4,a,,..., 0, i quali possono assumersi come base di una rete di Mobius di specie u—1; ed è chiaro che gli spazî dedotti da A,AÀ:,...,Ay con operazioni interne di proiezione e di sezione, restano biunivocamente coordinati alle loro traccie su C, cioè agli spazî So, S1,---1Sp-a appartenenti alla suddetta rete. Cosicchè quegli spazî risultano in numero infinito come queste traccie. In particolare, agl' infiniti vertici della rete re- stano coordinati infiniti S,-,, rappresentanti altrettanti sistemi regolari. Resta così dimostrato il teorema I, e si vede inoltre come gl'infiniti sistemi regolari 009, deducibili dai u +1 sistemi dati, possan coordi- narsi biunivocamente ai vertici di una rete di Mbbius di specie u —1. Ciò dà l'esatta struttura dell’infinità discontinua formata dai sistemi regolari 009, appartenenti alla nostra varietà: gli elementi di quell'infi- nità sono infatti assimilabili ai punti razionali di uno spazio Sy_1- (!) Cfr., p. es., Bertini, /ntroduzione alla geometria proiettiva degli iperspazî, ecc. (Pisa, Spoerri, 1907), pp. 12-13. Qui, veramente, si considera lo spazio comune alle proie- zioni di 1, ...,Zw da un generico punto di K. Ma, nel caso nostro, vale lo stesso ra- gionamento. (8) Ved. Bertini, loc. cit. — 643 — L'unico caso che sfugge alla dimostrazione precedente, è quello u = 2, giacchè allora C è una retta. Ma in tal caso si procederà come nell’osser- vazione alla fine del n. 3. Si comincerà cioè coll’ampliare il sistema K, facendone la proiezione da un sistema B d’integrali riducibili, identico, per esempio, ad A; e si osserverà che il sistema L, 00?97, congiungente A , B, contiene infiniti sistemi analoghi ad A , B, ognuno dei quali si ottiene com- binando linearmente, con due prefissati coefficienti intieri, le coppie d'’inte- grali corrispondenti di A, B. Si può pertanto assumere in L un sistema A' — indipendente da A,B — per guisa che i quattro sistemi A', B.A,, A; siano a tre a tre indipendenti. Si ricade allora nel caso # = 3, e si conclude che nel sistema K esistono infiniti sistemi regolari x??, biunivocamente coordinati ai vertici di una rete di Mòbius di specie 1. OsseRvazionE. — Se la varietà V possiede almeno due sistemi rego- lari indipendenti A, B d’integrali riducibili, tali che B sia indipendente anche da un complementare C di A, poichè A,C sono pur essi indipen- denti, e, d'altra parte, al loro sistema congiungente S appartiene B, appli- cando il teorema precedente (u= 2), si ha che: Una varietà algebrica, la quale possegga due sistemi regolari indi- pendenti A, B d'integrali riducibili, tali che l'uno, B, di essi, sia indi- pendente anche dal sistema complementare di À, contiene in conseguenza tutta un'infinità discontinua di sistemi regolari, della stessa dimensione di A 0 di B. Da ciò segue che se 2 complementare di un dato sistema regolare A, non è individuato, la varietà contiene infiniti sistemi regolari, della stessa dimensione di A. Invero, se B,C son due diversi complementari di A, e se essi son tra loro indipendenti, vale quanto precede. Se invece B,C hanno in comune un sistema (regolare) D, il complementare E di D, p. es., entro C, è indipendente da A e da B, e quindi si ricade ancora nel caso precedente. i. CONFIGURAZIONI NORMALI DI SISTEMI D'INTEGRALI RIDUCIBILI. — La costruzione geometrica esposta nel n. 4, si può determinare ulteriormente, qualora si supponga che gli spazî A,A,,...,Ap, a w a w indipendenti, abbiano la stessa dimensione 9 — 1 Ma prima di occuparci di ciò, mostriamo come a questo caso ci si possa sempre ridurre, quando V possegga infiniti sistemi regolari d’integrali riducibili. È invero ben chiaro, anzitutto, che, in tale ipotesi, esisteranno sempre u-+1 (w = 2) sistemi regolari A, A,,...,A, nelle condizioni dell'enunciato del teorema I. Si può inoltre ammettere (n.4) che gli spazî A, A, ,..., Ap siano a 4 a w indipendenti, e, quindi (poichè il loro spazio congiungente K ha la dimensione 2g; — 1), che g< g; (f(=1;2,...,w). — 644 — Poniamo precisamente q = 1 = 9»... < Qu. Allora lo spazio 2, con- giungente A, A,,..., Ap_1, incontra A, in uno spazio A'y di dimensione q—1, per modo che entro a X si hanno w + 1 sistemi A, A'n, An, Api di dimensioni rispettive g—-1l,gqg—-1,q,—-1,.-.G_—1,apawm indipendenti. Lo spazio 2" congiungente A, A", ,...,Ay-o, incontra simil- mente A,_, secondo uno spazio Alta, di dimensione g — 1; ece. Così pro- seguendo. st ottengono, entro uno spazio a uq-—-1 dimensioni, u+4-1 spazi a q—- 1 dimensioni, che indicheremo ancora con A, À,;.., Au, apawm indipendenti, e rappresentanti altrettanti sistemi regolari d'integrali ri- ducibili. Gl'infiniti sistemi regolari dedotti da A,A,,..., Ap, con operazioni interne di proiezione e di sezione, si diranno costituire una configurazione normale di sistemi ot d’integrali riducibili. 6. IL MINIMO CONTINUO CUI APPARTENGONO GL'INFINITI SISTEMI DI UNA CONFIGURAZIONE NORMALE. — Nello spazio K, di dimensione ug— 1, sieno A, A,,..., Ap i dati spazî a g—1 dimensioni, a #w a w indipendenti, imagini di altrettanti sistemi regolari. Vi sono 009 spazî C, a u—1 dimensioni, i quali s'appoggiano (in un punto) a ciascuno degli A. Essi riempiono una varietà, evidentemente ra- zionale, M, a u-+g— 2 dimensioni, di cui vogliamo indicare rapidamente le più importanti proprietà, che si stabiliscono con elementari considerazioni di geometria proiettiva iperspaziale. Due spazî A sono punteggiati omograficamente dagli spazî C, così che la varietà M può anche definirsi come il luogo degli spazi congiungenti le u-ple di punti omologhi tolti da nu spazi Sq, omografici. Ne deriva che g generici spazî C sono indipendenti, e che ogni S,_1, il quale incontri q+ 1 spazî C generici (vi sono of spazî Sy_; siffatti), incontra ogni altro C, cioè appartiene ad M. La varietà M viene pertanto a contenere due schiere H,, Hi, rispet- tivamente col, 091 di spazi Ska p Ste per ogni punto di M passa uno spazio dell'una schiera e uno spazio dell'altra; 4 0, rispettivamente, g spazî generici della 1 o della 2 schiera, sono tra loro indipendenti; due spazî di una schiera sono punteggiati omograficamente da quelli dell'altra. Alla schiera H, appartengono evidentemente gli spazî A dati. Indichiamo, al solito, con X; (©=1,2,...,w) lo spazio che congiunge AGATA CLI ss Au. Per 2; passa un sistema lineare L;,0097 di spazî Squ-19 8, preso uno spazio di ciascuno degli L, resta individuato, come intersezione dei u spazî scelti, un Su_1, il quale appoggiasi ad A,, Az, ..., Au ('). Ne deriva che gli spazi generatori della schiera H, pos- sono tutti ottenersi come intersezioni di wu Sy-r,9 omologhi in una pro- (!) Bertini, loc. cit., pp. 12-13. — 645 — spettività, che nasce tra i sistemi L, prendendo per corrispondenti due spazî uscenti da un medesimo punto di A. /x maniera analoga si potrebbero ottenere gli spazî della schiera Ha, a partire da g + 1 spazî generatori di H,. Se indichiamo con Vi fi H+ vg fa =0 ((=1,2,.., 4) le equazioni dei sistemi lineari di iperpiani passanti per 2,,22,.., Zu, e supponiamo le / scelte in modo che nella prospettività d'asse A sieno omologhi w iperpiani corrispondenti agli stessì valori delle v, Ja M viene rappresentata dall’annullare i minori di secondo ordine della matrice delle /, xi ha eil (0) No e): È chiaro che uno spazio Sy_1, il quale sia deducibile con operazioni interne di proiezione e di sezione (in particolare, mediante costruzioni di quarti armonici), dagli spazî A, A;,..., A,, appoggiasi in un punto a cia- scuno dei C e quindi giace nella schiera Ha. Gl'infiniti spazî generatori di H,, che si ottengono con tali operazioni, si può dire che formano una rete R di Mobius, la quale ha come « base » w +1 spazî Sg_1 a # a & indipendenti di un Sug-: (mentre quella considerata al n. 3, aveva come base un gruppo di w +1 punti a w a w indipendenti di un Su_1)- - Ogni varietà continua, che, entro allo spazio ambiente S,y_;, contenga tutti gli Sg, di R, dovrà contenere anche gli spazi-limiti di quelli, cioè tutti gli spazî generatori di Hu. Si conclude pertanto: II. Quando una varietà (0 curva) algebrica V contiene un+- 1 st- stemi regolari A,A,,..., Ap (n= 2),09', auwa u indipendenti, ma congiunti da un sistema K, ool1; d’integrali riducibili di 1° specie, essa contiene in conseguenza infiniti altri sistemi regolari c0t, i quali costi. tuiscono la rete di Mòbius, di specie u—1, che ha come base A.A,,...,Ay-. Il minimo continuo contenente quest infiniti sistemi, entro alla totalità degl’integrali semplici di 1° specie di V, è una varietà razionale M, di dimensione u-+q—2 e di ordine I° ig È 3 Ogni varietà algebrica con infiniti sistemi d'integrali riducibili, pos- siede, per convenienti valori degl’inleri u,q, una siffatta configurazione di sistemi regolari. 7. ESISTENZA. EFFETTIVA DI VARIETÀ ALGEBRICHE SODDISFACENTI ALLE IPOTESI DEI PRECEDENTI TEOREMI. — I teoremi fin qui dimostrati (1) Cfr. Segre, Gli ordini delle varietà che annullano i determinanti dei diversi gradi estratti da una data matrice, Rendiconti della R. Accad. dei Lincei (5), tomo IX, 1900, pag. 253. — 646 — lasciano in sospeso la questione d’'esistenza di varietà, godenti delle pro- prietà indicate. Fissato il numero p dezl'integrali semplici, indipendenti di 1* specie, d'una varietà algebrica — cioè la dimensione della relativa varietà di Picard — e scelti u + 1 interi positivi, non nulli, g,91,---,9 (d=M = = qu), tali che q014---+- 41 3, perchè i periodi normali dei loro integrali (p_2)(p—3) 2 di 1 specie, sono legati da relazioni, delle quali non si può a priori affermare la compatibilità colle condizioni suddette. È però certo che, una volta scelti gl'interi 4,%,.-,4w, sì può sempre costruire una curva di genere 7:(=> p), abbastanza alto, soddisfacente al teorema I. Basterà all'uopo considerare una curva generica tracciata sopra una varietà con p integrali semplici di 1° specie, che soddisfaccia al teorema suddetto. Per le superficie (o varietà algebriche superiori) non havvi invece alcune limitazione, perchè, come hanno dimostrato Castelnuovo-Enriques ('), i pe- riodi normali degl'integrali semplici di 1° specie d'una superficie (o varietà) possono scegliersi del tutto ad arbitrio, compatibilmente colle già ricordate disuguaglianze. Si può in conseguenza affermare p. es. che: Dati ad arbitrio gl’interi positivi p, tw (u <= p), esiste sempre una superficie algebrica F, d'irregolarità p, contenente un'infinità discontinua di fasci ellittici di curve, tale che gli elementi (fasci) di quest’infinità possano rappresentarsi biunivocamente coi punti razionali di uno spazio au—1 dimensioni. In particolare, nel caso u= p, su F esistono infiniti integrali ellittici infinitamente vicini ad ogni integrale semplice di 1° specie della superficie. 8. DIMOSTRAZIONE ANALITICA DEL TEOREMA I. — Poniamoci ora nuo- vamente nelle ipotesi del teorema I, e conserviamo le notazioni del n. 4. Siano di reso gi integrali indipendenti di A;(i=1,2,..,); (O) (0) n 31::107.29, ((=1,2,..,q)i periodi ridotti di v, talchè il periodo di x? al ciclo 01,52, .-,02p 2p cicli lineari primitivi della data varietà V, ed © (1) Sur les intégrales simples de première espèce d'une surface ou d'une variété algébrique à plusieurs dimensions, Annales scientifiques de l'Ecole normale supérieure de Paris, (3), tomo XXIII, 1906, pp. 339-366. — 643 — 29; on (4=1,2,...,2p) si potrà sorivere sotto la forma x mb 0, ove le m s=1 sono interi non tutti nulli, 2ndipendenti, per un dato î, dall’indice 1. Allora l'integrale generico ) Do 16 DONI (1) = OO i=1 (=) di K, avrà lungo o, il periodo 29; di Dam dala, sicchè i suoi 2(41 + «+ qw) periodi ridotti, ulteriormente irriducibili (n. 1), di } 3 salanno, VA 0 (51 22 200) ella uatueegtdela =1 sostituzione lineare esprimente i 2y periodi fondamentali pei periodi ridotti, sarà: r 5) (P) o hag, iO UE 291 (2) Min ù Mg ARPA | (h=1,2,..2p). Questa matrice è diversa da zero, cioè non sono nulli tutti i suoi minori d'ordine 2(91 +-+ 4.) perchè altrimenti il numero dei periodi degl’ in- tegrali di K si ridurrebbe ulteriormente. Suppongasi ora che al sistema K appartenga un altro sistema regolare A, 09, il quale sia indipendente da A,,A»,.., Au. Sieno 4) (r=1, 2,..,9) i valori che vanno attribuiti alle 4° nella (1), per ottenere 9 integrali indipendenti di A e 6,,,0,2,..., 0,29 i periodi ridotti dell’ inte- grale 7-esimo (r=1,2,...,9) Sussisteranno allora le relazioni hs 29 (3) Imi ai d = i s ji (= dl ANT) le 2 essendo interi non tutti nulli, indipendenti dall’indice 7. Considerando queste relazioni, per un 7 fissato, come equazioni lineari nelle 2(/44- -- + 40) quantità DU of, poichè esse son soddisfatte per valori non tutti nulli di queste at) (chè altrimenti l'r-esimo integrale di A si ridurrebbe ad una costante, in quanto avrebbe nulli tutti i suoi periodi ridotti), la matrice formata dai coefficienti e dai termini noti delle suddette equazioni, dovrà essere nulla. — 649 — Se ora si tien conto che fra le @,; non può sussistere alcuna relazione lineare omogenea a coefficienti interi (indipendenti dall’indice 7), perchè altrimenti gl’integrali di A avrebbero meno di 29 periodi ridotti, si con- clude che è nulla la matrice ((O VIEZZIZON , [i sr, (H) () ; (4) | E OO do SU po DU IEZOE Mag, > hj per qualunque indice j (j=1,2,... 29). Ciò posto, indichiamo con @,,@2,..., 0, & interi arbitrari tutti di- versi da zero, e con d il loro minimo comune multiplo. Le (8) possono anche scriversi sotto la forma (5) DE, DI e II ) J ove si è posto Ure = A , Nn; = Nnjd. Nelle (5), i determinanti d'ordine 2(9,+ --- + gp) estratti dalla matrice dei coefficienti #7, uguagliamo evidentemente i corrispondenti determinanti Cabo x a d2Q+" +9) della matrice (2), moltiplicati per l’intero non nullo £# = aît: af, SIE. e quindi anche la matrice degl interi m è diversa da zero. Similmente, i determinanti d’ordine 2(91 + -- + gw) + 1 estratti dalla matrice delle 7 e delle % (per un fissato 7), uguagliano i determinanti corrispondenti estratti dalle (4), moltiplicati per l'intero non nullo #0; laonde la matrice delle m,n è nulla, come la (4). Ne segue che dalle (5), per 7° fissato, si possono ricavare le 2(914+---+-9p) uantità DI e A w come combinazioni lineari a coefficienti razionali in- Ur doi dall'indice r, delle 0,;. Ponendo y=1,2,...,9, si hanno pertanto g integrali o, = > a; 42 9 coi 2g periodi ridotti — ma non î l generalmente primitivi — @. Affinchè si possa però affermare che il sistema B individuato daglintegrali v_, è regolare, occorre provare che i 9 integrali stessi sono indipendenti, giacchè allora, e solo allora, ne seguirà che i 2g periodi 9 sono ulteriormente irriducibili. Non essendovi alcun legame lineare fra gl'integrali v!, se vi fosse un legame lineare fra gl'integrali v,, sussisterebbero, per valori non tutti nulli delle v, le relazioni lineari Dondi (i—=12,.. (9A), RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 85 — 650 — ed allora sarebbero dipendenti anche gl'integrali scelti entro A. Pertanto il sistema B è regolare e 009, qualunque sieno gl'interi non nulli @,, Ar, 0005 Qu Ma per poter da ciò dedurre che la varietà possiede infiniti sistemi regolari 0091, occorre provare che a due gruppi generici di valori delle @ — e sieno (21,@3,...,@4); (21 ,07,..., o) — corrispondono due sistemi regolari distinti B',B". Si ammetta, se è possibile, che B', B” coincidano. Allora la matrice che ha. per orizzontale 7° (-=1 ,...,,0) VAI tr, r 9 r r r_ 9qP) rq(p) (6) CARACAS o cnc 1%, GIA a, ZE &, di ; e per orizzontale (9g + 1)? No 2! al! 70 a! 200 cl 20 "r r al 4 co 60 id SH o n, lis ANO na: a e SA Di RO SO BE me a! 4 (7) ass ove s è un intero fissato nella successione 1,2,...,9, dovrà esser nulla, giacchè il suo annullarsi esprime appunto che l'integrale di B", corrispon- dente ai valori (7) dei parametri, è contenuto in B'. Sottraendo dall’oriz- rr x ia &; sd zontale (7) la sa delle (6) moltiplicata per —; (ove # è fissato), la xi nuova matrice, pure nulla, che così si ottiene, viene ad esprimere, col suo aunullarsi, che B' ha un integrale comune col sistema Z;, definito al n. 4. Questo integrale comune corrisponde ai valori PARI, (Mili Upi? Mor aa, — 4, o, ei Ci 2 159 (8) Inps dis DICO) 7 î di DODOCORO l 7 A Xi i LI L Did MD LITI N00 18 Ss (04 0; Ip: Di dei parametri. Facendo s=1,2,..,9, si ottengono così g integrali co- muni a B' ed a X,, ed è facile vedere che sono integrali indipendenti. Infatti, qualora essi fossero dipendenti, sarebbe nulla la matrice di cui (8) è la orizzontale sea (s=1,...,9), la qual matrice, previa la soppres- sione dei fattori on nulli (per la genericità delle @', 0”) comuni alle sue singole verticali, riducesi a quella che ha per orizzontale s?sima 7 na 989 CRC r (055) (05) À Ei 0) dre ORERICANAE SE L'annullarsi di questa matrice porterebbe a ciò: che l'integrale di A, (a edi Y0 u, ove le e son costanti convenienti non tutte nulle, si = =i i — 651 — ridurrebbe ad una combinazione lineare dei soli integrali w° ,...,u7° di Ai, CI ed esisterebbe perciò un integrale comune ad A, A;; contro il supposto. Si può pertanto affermare che, se B' coincide con B”, il sistema B' ha in comune con %;, qualunque sia :(=1,2,...,9), g integrali indipen- denti, cioè che B' è contenuto in X;. 1 sistemi X,,..., 2g vengono pertanto ad avere in comune (almeno) un sistema B' di dimensione g7— 1(> 0). Ora, come abbiamo già osservato al n. 4, ciò non può accadere, se i sistemi A;,..., Ag dati son tra loro indipendenti. Resta così dimostrato, anche per via analitica, il teorema I. Meccanica. — Un'osservazione sulle figure d'equilibrio dei fiuidi rotanti. Nota del Corrispondente E. ALMANSI. 1. Una massa fluida, omogenea, incompressibile, ruoti intorno ad un asse con velocità angolare costante w. Assumiamo l’asse di rotazione come asse delle 2; gli assi delle x e delle y siano collegati colla massa in movimento. Denotando con V il potenziale newtoniano della massa fluida, in tutti .1 punti della superficie o che limita lo spazio S da essa occupato, deve aversi: U=V+3 (2° + 78) = cost. Diciamo o la densità del fluido, X la costante dell'attrazione, e poniamo: Ui=> 800 IRE 00) ; o = 2ako . Nei punti di o dovrà essere: (1) u=v+a(x*° + y*?)= cost., a=cost>0. Poichè v è il potenziale, per X= 1, di una massa di densità 1 che occupi lo spazio limitato da o, le formule (1) ci dànno una condizione d7 natura puramente geometrica, necessaria affinchè la superficie 0 possa rap- presentare una figura d’'equilibrio. Denoterò con (4) questa condizione: la condizione, cioè, che nei punti di o si abbia v + a(x° + y°) = cost., @ essendo una costante positiva. Ad una superficie o che verifichi la condizione (a) corrisponde un de- terminato valore della velocità angolare ©, dato dalla formula w? = 2ake. — 652 — Alla condizione (a) se ne aggiunge ordinariamente una seconda, la quale viene formulata scrivendo che in tutti i punti di o deve aversi: QU ; ® >0 (= normale int.). Se diciamo p la pressione, U, il valore costante di U sopra o, si ha, iu un punto qualunque della massa fluida: p=oe(v—w). a U PRES, i La condizione n significa dunque che la pressione, supposta nulla i nei punti di o, deve risultare positiva nei punti intinitamente vicini. Consideriamo la condizione più generale che in tutto la spazio S occu- pato dalla massa fluida, ad eccezione della superficie, ove si suppone p=0, sia p>0. Diremo (2) questa seconda condizione. L'osservazione, oggetto della Nota, è la seguente: che la condizione (b) non aggiunge niente alla condizione (a); che, in altre parole, per tutte quelle superficie per cui è verificata la condizione (4), è verificata anche la (0). La condizione (4) è dunque necessaria e su/fciente affinchè o possa rappresentare una figura d’equilibrio. Il quadrato della velocità angolare dovrà essere uguale a 2a/Xo. E quei limiti superiori che, per determinati valori di X e 0, si possono assegnare ad ©, o nel caso generale. o per Sii classi speciali di superficie (limiti che per solito vengono messi in rapporto colla condizione 23.0) non dipendono se non da limiti entro i quali è contenuta, nei diversi casi, la costante (di natura geometrica) @. 2. Poichè U= 4oeu, ed U, = 0% (se v denota il valore costante di % sopra o), avremo: p=kou— uo). Dobbiamo dunque dimostrare che in tutti i punti situati nell'interno dello spazio S, u è maggiore di ws. Consideriamo sopra o un punto P, tale che rispetto al piano normale | all'asse della 2, passante per P,, la superficie o si trovi tutta dalla stessa parte; e tale inoltre che, supponendo di aver assegnato all'asse delle 2 un verso positivo, la retta P,2, avendo la direzione e il verso dell'asse, sia rivolta verso la parte in cui si trova o. Noi supporremo che la retta Pi penetri nell'interno dello spazio $, come avverrà, per esempio, se o ammette in P, un piano tangente determinato. Nel punto P, l'attrazione sarà rivolta dalla parte di o: sarà cioè dv dv MAY, ì 7° 0. Ma per la (1) de quindi 7 Ora nel punto P, « è — 653 — uguale ad %, dunque nell'interno dello spazio S, in cui penetra la retta Pi4, dovranno esservi dei punti nei quali x è maggiore di %,. E la funzione w avrà nello spazio S un valore massimo w' maggiore di ws. Sia © una sfera di centro P, di raggio R, tutta contenuta nello spazio S. Essendo 4°?u= 4°v+4a= —4(m— a), sussisterà la relazione (che si ottiene applicando il teorema della media di Gauss alla funzione armonica ut+i (cr — @)(r° — R?), ove 7 denota la distanza di un punto qualunque dal centro P della sfera): UP) 1 (ud +iR°1— a). Se ne deduce che non può essere 7 — «= 0: altrimenti sarebbe su) = Je de, mentre questa relazione non risulterà verificata se si suppone che P sia un punto in cui la funzione « abbia il valore massimo %', ma che almeno in una parte di 7, v sia diversa da w', quindi minore di w'. Sarà pertanto 7 — a >0, ossia CET E la formula (2) darà: u(P) >; [ua i Di qui vediamo che se «” è il m:r7mo valore di w nell'intero spazio S, non può essere =" in nessun punto P situato nell'interno di S. Vale a dire: il minimo valore di % è il valore v» che v assume sulle superficie; e in nessun punto situato nell'interno di S « può essere uguale ad %,, ma dovrà essere ovunque «> 0; c. v. d.. Rimane così provato che se la pressione è nulla in superficie, essa è positiva in tutti i punti situati nell'interno dello spazio S. Ciò avverrà a maggior ragione se la pressione ha, in una superficie, un valore (costante) positivo. Dalla formula a < 77, che è verificata per qualunque superficie o sulla quale si abbia v-+ a(x° + y°)== cost, deriva, per il quadrato della velo- cità angolare, il limite 2rr/e stabilito dal Poincaré ('). () Figures d’équilibre d'une masse fluide, pag. 11. Il dott. Crudeli ha poi dimo- strato che se la superficie o è convessa in ogni suo punto, deve essere w? < 7ko n Tr ded 7 NAPR . o SIE 6 (ossia « 5) Nuovo limite superiore delle velocità angolari dei fluidi omogenei, ecc., Rend. della R. Accad. dei Lincei, 1° sem. 1910, pag. 666. 0504 — 5. Possiamo riassumere le cose dette, nel modo seguente: O la condizione (a), per una data superficie o e per un dato asse di rotazione, è verificata; e la superficie o è una figura d’equilibrio, purchè la velocità angolare di rotazione sia uguale a V/2ake , e la pressione super- ficiale abbia un valore costante, nulìo o positivo. O la condizione (a) non è verificata; e l'equilibrio non può aver luogo per nessun valore della velocità di rotazione, e per nessun valore (costante) della pressione in superficie. Non vi è dunque nessun caso in cui l'equilibrio non sussista quando la pressione in superficie è nulla, e sussista invece se la pressione stessa ha ua valore sufficientemente grande. Chimica. — Sulla tribenzoina. Nota del Corrisp. L. BaL- BIANO (). Una Memoria di A. Lipp e P. Miller (?) pubblicata nell’ Agosto pas- sato, di cui ebbi notizia soltanto al principio di quest'anno dal sunto del Chem. Zentralblatt. (*), mi obbligò a ripetere alcune esperienze sulla for- mazione e saponificazione della tribenzoina delle quali rendo conto in questa breve Nota. Nel 1902 in una Memoria Sulla saponificazione della tribensoina (4) ho cercato di dimostrare che le deduzioni chimico-fisiche del Geitel (5) e quelle chimiche alle quali era pervenuto il Lewkowitsch (°) dall'aumento del numero di acetile nei grassi insaponificati, e le variazioni del numero di Hener, si potevano spiegare in altro modo senza ricorrere all’ipotesi della saponificazione graduale, come supponevano i due chimici sucitati. Le esperienze, instituite allora, mi dimostrarono che nella saponifica- zione parziale della tribenzoina con una quantità minima di alcoolato sodico in presenza di alcool assoluto (alcoolyse di Haller 1906) si aveva glice- rina, benzoato di etile e tribenzoina inalterata, e nella saponificazione in mezzo eterogeneo, cioè colla soluziono acquosa al 10 °/, -di idrato sodico, si aveva benzoato sodico, glicerina e tribenzoina. D'altra parte l’ eterificazione della glicerina mediante il cloruro di benzoile col processo del Baumann mi dava esclusivamente la tribenzoina solida, cristallizzata, quantunque le quan- (*) Dal laboratorio di chimica organica del R. Politecnico di Torino. (2) I., pr. 88 (1913), 361. (*) C., (1913), II, 1560. (4) G. (1902), 265; (19093) 312. (5) I., pr. 55 (1897), 429. (5) B., 33 (1900), 89. — 655 — tità rispettive di glicerina e cloro-anidride fossero nei rapporti stechiome- trici di numero eguale di molecole. Qneste due serie di fatti mi autorizzavano allora ad appoggiare l’idea che tanto la saponificazione quanto l’eterificazione della glicerina non avve- niva per gradi come altri chimici supponevano. Il lavorîo fatto in questi ultimi dieci anni in difesa delle due ipotesi, riassunto fedelmente nella Memoria di A. Lipp e P. Miller, dimostra all’evi- denza quanto fosse fantastica l’asserzione del compianto Lewkowitch nella inte- ressante conferenza alla società chimica francese nel 1909 « on a demontré d'une manière presque irréfutable que l’hydrolyse s'opère en trois phases » e potrei incominciare questa Nota colle precise parole adoperate nel mio scritto del 1902. « Il meccanismo della saponificazione delle sostanze grasse è un problema sempre discusso, e le ricerche per dilucidare questa questione, che ha una notevole importanza teorica e tecnica, sono ancora fra quelle messe all'ordine del giorno ». La Memoria di A. Lipp e P. Miller dà ora un notevole impulso alla risoluzione del problema nel senso della reazione graduale, ed è perciò che ho ritenuto necessario ripetere quella parte sperimentale che non collima colle mie antiche esperienze, introducendo la modificazione della determina- zione del numero di saponificazione all'analisi elementare dei prodotti del- l'eterificazione ed al residuo inalterato dell’idrolisi parziale. Benzoilazione della glicerina. Gr. 9 glicerina Kahlbaum. dep. dist. 1,26 sciolti in 110 gr. di solu- zione acquosa di NaOH, contenenti 10 gr. di idrato, si addizionarono di cem? 0,5 pari a gr. 0,6 di cloruro di benzoile provvisto dalla casaj Erba e che distillava fra 194-195°. Si agitò fortemente la massa raffreddando con acqua. Si separano tosto dei fiocchi cristallini che, dopo tre ore, vennero estratti con benzolo. Lo strato benzolico, separato dallo strato acquoso-glicerico alcalino, si lavò ripetutamente con acqua fino a reazione neutra, indì si filtrò su filtro di carta asciutto e si distillò il solvente. Il residuo, col raffreddamento, si rapprese in massa solida e venne disseccato in stufa ad acqua a pressione diminuita fino a costanza di peso, poi triturato finamente sì lasciò soggior- nare, rimanendo costante il peso, per qualche giorno in essiccatore ad acido solforico nel vuoto. Questo residuo pesa gr. 0,46 e fonde con riscaldamento rapido del bagno fra 71° e 72°. La determinazione del numero di saponi- ficazione dette il seguente risultato: Gr. 0,365 sostanza richiesero gr. 0,1514 di KOH. N. di sapon. trovato 414,8 Calc. per tribenzoina 416,7 » ” dibenzoina 373,3 CIERE) monobenzoina 286,1 — 6560 — Giova far notare che adoperando soluz. È di KOH e HCI, l'errore di cm. 0,05 nella lettura dei volumi delle soluzioni titolate basta far variare di 2,1 il numero di saponificazione per tale quantità di sostanza. Lo strato acquoso-glicerico si addizionò di cm. 1 di cloruro di hen- zoile agitando fortemente e ratfreddando con acqua. Si ottenne una nuova quantità di precipitato fioccoso cristallino che estratto con benzolo e lavo- rato come il precedente pesava gr. 0,78. e fondeva fra 71° e 72°. Gr. 0,6561 richiesero gr. 0,2717 KOH. N. di sapon. 414,1 tribenzoina 416,4. Nelle seconde acque-alcaline-gliceriche si versò poco a poco cm*. 2 di cloruro di benzoile. Si raccolse gr. 1,53 di etere benzoilico, il cui punto fu- sione è situato fra 71-72°. Gr. 0,8711 richiesero gr. 0,3619 KOH. N. di saponif. 415,4 tribenzoina 4)6,4 Le terze acque-alcaline-gliceriche dettero coll'addizione di cm?. 5 di cloruro di benzoile gr. 2,5 di etere fus. 71-72°. Gr. 0,7897 richiesero gr. 0,3299 KOH. N. di saponif. 417,7 tribenzoina 416,4 Finalmente le ultime acque glicero-alcaline vennero addizionate di un eccesso di liscivia di NaOH (100 cm? di NaOH al 50 °/,) e si versò goccia a goccia, raffreddando ed agitando fortemente, cm*. 25,5 di cloruro di ben- zoile. Il residuo dell'estrazione col benzolo, disseccato nel vuoto a bagno- maria, pesa gr. 12 e fonde fra 70° e 72°. Nelle diverse fasi di benzoilazione si adoperò come somma la quantità di cloruro {di benzoile e di glicerina corrispondenti ad 1 p. mol. dell'ultima per 3 p. mol. del primo. Gr. 0,9584 richiesero gr. 0,3965 KOH. N. di sapon. 413,7 cal. tribenzoina 416,4 Le diverse frazioni residue, esclusa la I®, di cui non rimaneva più sostanza disponibile, si riunirono e vennero cristallizzate ;dal benzolo bhol- lente. I primi cristalli depositatosi dettero alla determinazione del N. di saponiticazione il seguente risultato. Gr. 0,5566 richiesero gr. 0.2315 KOH. N. di saponif. 415,9 cale. tribenzoina 416,4 Sulla seconda frazione di cristalli depositatosi per concentrazione a metà volume circa delle acque madri benzoliche non sì fece la determina- zione del N. di saponificazione. Le ultime acque madri benzoliche si eva- — 657 —- porarono a costanza di peso, prima a bagno-maria ed infine nel vuoto sul- l'acido solforico. Devo avvertire che il benzolo, come anche l’alcool, si se- para difficilmente dai cristalli di tribenzoina e che bisogna insistere più giorni di permanenza nel vuoto su acido solforico per ottenere l'eliminazione completa del solvente. Gr. 0,6051 richiesero gr. 0,2509 KOH. N. di saponif. 414,5 tribenzoina 416,4 Ho determinato con qualche cura il punto di fusione delle due frazioni, prima ed ultima riscaldando il bagno lentamente (1° in 10” a 12”). La I? frazione riscaldata in tubicino di vetro a pareti sottili comincia a dare segno di rammollimento a 75°,5, ed è fusa completamente in liquido scolo- rito a 769,5. La III® frazione dà segno di rammollimento a 71°, ed è fusa completamente in liquido scolorito a 72°. Tutte e due le frazioni rimangono per molto tempo allo stato di surfusione alla temperatura ambiente. La I* frazione dopo 36 ore accenna a cristallizzare alla superficie, mentre la TIII® frazione rimane ancora limpida e solo dopo 48 ore accenna alla for- mazione di pochi germi cristallini. Ho lasciato le due sostanze alla tempe- ratura ambiente per 8 giorni; trascorso il qual tempo esse erano comple- tamente solidificate. Il punto di fusione determinato comparativamente collo stesso lento riscaldamento del bagno (1° in 10" a 12”) dette per la I* sostanza limpidità perfetta a 74°, per la III* a 72°. Il p. f. della 1 era disceso di 2°,5. Ho lasciato risolidificare le due sostanze, e dopo 15 giorni ho trovato che la I? era fusa completamente a 74°, la III* a 720,5. Saponificazione della tribenzoina. Gr. 5,5 di tribenzoina (p. f. 75°,5-76°,5 N. di sap. 415,9) vennero fatti bollire a ricadere per 2 ore con 15 cm. di soluzione acquosa al 10/5 di Na0H. Dopo raffreddamento il liquido e la massa solidificata si agitò con due volumi di etere. Si separò la parte acquosa, e lo strato etereo si lavò con acqua fino a reazione neutra. L'etere filtrato lasciò alla distillazione un re- siduo che alla temperatura ambiente si rapprese in aghi raggiati che vennero disseccati nel vuoto sull'acido solforico fino a costanza di peso. Il residuo pesa gr. 3,6. I° Gr. 0,8323 richiesero gr. 0,3466 KOH. TICA GTARISI ” » 04894 » I II Cale. tribenzoina N. di saponif. 416,3: 414,4 416,4 Il punto di fusione delle due porzioni venne determinato comparativa- mente; il bagno si riscaldò lentamente 1° in 10"-12”. ReNDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 86 — 658 — La tribenzoina primitiva fusa completamente 769,5. Il residuo della saponificazione fusa » 72°. Le due sostanze si mantengono soprafuse in liquido scolorito: la tri- benzoina dopo 24 ore è parzialmente solidificata, mentre il residuo è ancora completamente liquido. Dopo altre 24 ore la tribenzoina è rappresa in massa solida, mentre il residuo conserva ancora una parte liquida. Dopo altre. 48 ore sono tutte e due solidificate ed i punti di fusione sono, 76°,5 fu- sione completa della massa per la tribenzoina — 74° fusione completa della massa pel residuo non saponificato. Ciò dimostra che il punto di fusione della sostanza, che il numero di sapontficazione mi caratterizza come tribenzoina, può anche variare in limiti ristretti di temperatura, come già venne verificato per molti altri gliceridi completi di acidi organici ed inorganici che preseniano il così detto doppio punto di fusione, e di questo fatto importante Lipp e Miller non tennero il dovuto conto nelle deduzioni delle loro esperienze sulla tribenzoina. Le esperienze descritte servono a confermare quanto scriveva nel 1902, cioè che praticamente l’eterificazione della glicerina col cloruro di benzoile non avviene per gradi, ma la prima goccia di cloruro di benzoile, che viene a contatto della soluzione alcalina di glicerina, dà subito la tribenzoina che venne in quest ultima serie di esperienze controllata colla determinazione del N. di saponificazione. La sensibilità di tale determinazione, adoperando come hanno fatto Lipp N 2 decidere la quistione se la tribenzoina sia o no accompagnata di piccole quantità ci dibenzoina, perchè le variazioni di cm*. 0,05 di lettura nel vo- lume delle soluzioni titolate fanno variare di unità 1,5 a 2 (adoperando gr. 0,5 a 1 gr. di sostanza) questa costante, e le determinazioni fatte oscil- lano nei limiti di tale errore. La saponificazione parziale della tribenzoina colla soluzione acquosa al 10°/ Na0H lascia un residuo inattaccato pel quale la determinazione del N. di saponificazione dà risultati concordanti con quello teorico della tri- benzoina, almeno nei limiti dell'errore sperimentale. Con ciò non si può escludere in modo assoluto che, tanto nella eteri- ficazione quanto nella saponificazione, le due reazioni avvengano gradata- mente, e che piccole cause come l'intensità di raffreddamento delle masse reagenti od il modo di agitare la mescolanza, possano far deviare le reazioni graduali concomittanti bimolecolari in senso quantitativo, e far apparire l’in- sieme dei processi praticamente come reazioni tetramolecolari. La determi- nazione quantitativa non serve a risolvere in modo esauriente il problema, ed anche la determinazione del punto di fusione non serve allo scopo, ma queste piccole differenze di condizioni sperimentali possono però servire a spiegare le piccole divergenze fra i risultati dei due chimici tedeschi ed i miei. e Miller, soluz. — di base e di acido e che io ho seguito, non permette di — 659 — Geologia. — Zembi fossiliferi quaternari e recenti osservati nella Sardegna meridionale dal prof. D. Lovisato. Nota del Cor- rispondente A. IssEL. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Sull’operatore differenziale binario S di M. Pieri. Nota di MATTEO BorTASSO, presentata dal Corrispondente R. MARCcOLONGO. 1. È noto (*) che, essendo « una omografia vettoriale, ed u un vettore funzione del punto P, l'omografia d(cu) dP non si sa attualmente esprimere mediante gli operatori differenziali, 0 binari, finora introdotti (A. V. G., I, pp. 63-107) (?). È per tale ragione (1) Ved. C. Burali-Forti et R. Marcolongo, Analyse vectorielle générale: I, Trans formations linéaires (1912); II, Applications à la mécanique et à la physique (19183), Pavia, Mattei e C. In tutto il sèguito, questi due volumi verranno, per brevità, indicati con A. V. G. (3) Anche del quadrato dell’operatore di Laplace per le omografie, cioè di 4%, è stata notata la mancanza (A. V. G., I, pag. 105); esso però risulta, in sostanza, con- tenuto nella [7] di pag. 104 (A. V. G., I). Sostituendo infatti in questa formula 4@ ad @, si ha (A. V. G., pag. 104 [9], pag. 105 [19]): d(grad 4Ka) d(grad 4 Ka) STAN N ng — Re) 204 da=K IP Rot?4a = K IP ar oi a __ y d(4' grad Ka) «ear — Rot 4 Rota. Da questa si deduce facilmente, se @ si riduce ad un numero #m, la nota formula (A. V. G., I, pag. 105 (12): 4°m= div d' sradm. Invero, si ha (A. V. G., I, pag. 105 [11], pag. 102 [2]]): Rotm= grad m/ , 4 Rotm=(4" grad m)/\ , TÀ i Rot 4 Rot m =— div 4' grad m + TERI ; e poichè è (A. V. G., I, pag. 105 [11], pag. 102 [1]): 4' sradm= grad 4m = grad(div grad m), d{(d’ grad m) dP forma scritta per 4°« dà subito l’espressione di 4°m. la è una dilatazione (A. V. G., I, pag. 77 [3]), e, in conseguenza, l’ultima — 660 — che il compianto M. Pieri credè opportuno di introdurre l'operatore binario S(ae,u), tale che: i l( o) (1) El gi age, m) cioè definito dall’eguaglianza (per x vettore arbitrario): d (2) Ste,mM)x=(75 x) u, e svilupparne le numerose e notevoli proprietà (4. V. G., I, pp. 95-97; II, pag. 138). Avendo io notato che fra queste formule manca quella che dà la co- niugata di S(e,u), cioè la KS(e, u), in funzione di @ (o di Ka), e di u, mi son proposto di calcolarla: ma il calcolo svolto mi ha condotto appunto ad esprimere l'operatore binario S(a,u) mediante i già noti operatori diffe- renziali non binari. Ciò non toglie, naturalmente, importanza all’operatore binario S, che, per le sue molteplici e semplici proprietà (fra queste, no- tevolissime: la seconda [7] a pag. 96 sull'espressione della derivata di un prodotto vettoriale, e la definizione di grad e Rot a pag. 150 di A.V. G., I), deve essere ancora conservato; ma è pure importante il fatto che l’opera- tore S possa essere eliminato, poichè in molti casi i calcoli riescono più spediti. Così, oltre ad esprimere con la (II), n. 3, la derivata di «u, indicata nella (1), senza l'operatore S, si è ottenuta l’espressione [(I1I), (IV), (V), nn. 4, 6,8] della derivata sia del prodotto di quante si vogliano omografie, sia di una arbitraria potenza, intera e positiva, d'una omografia; conside- rando, in particolare, il caso in cui le date omografie sono delle derivate. 2. Sviluppo il calcolo tal quale come mi si è presentato. Essendo a,b due vettori costanti, dalla definizione (2) di S si ha: Ste.maXb=(5a)uxb, e, per il teorema di commutazione (A. V. G., I, pag. 32; pag. 67 [4], paco 9A) / Ce TÀ 1) aXKS(a,u)b=uX = a)b=u X del aa K IONE e, poiche a è arbitrario : d(Kab) KS(a,u)b= K u. dP — 661 — Ricordando che (A. V. G., I, pag. 25; pag 70 [1]]): RENI avi roby, ne segue: d(Kah) dP KS(e,u)b= u—rot(Keb)/\u, ossia (A. V. G., I, pag. 69 [1"], pag. 74 [4)): dKa KS(e,u)b=(p U)b-+u (Rota): e siccome questa vale per b arbitrario, si ha: KS(e,u)= Ae + u / Rot Ka, da cui, operando con K nei due membri (A. V. G., I, pag. 67 [4]): (1) SE x /Rotifio.u dP OssERVAZIONE. — Questa formula si può anche dedurre facilmente dalla [4] di pag. 74 (A. V. G., I), cioè dalla: da ; da ) K Rot Ke(u/\x)=(75 4)x—( x)u. Basta osservare che il secondo termine del secondo membro di questa eguaglianza, per la (2), è S(a, u)x, per ottenere subito la (I), poichè x è un vettore arbitrario. 8. La (I) permette ora di mettere subito la (1) sotto la forma: (11) Me) = su + u- K RotKa.u/. Questa ci mostra che, per 7 prodotto funzionale au, non vale (in ge- nerale) la ordinaria regola di derivazione del prodotto di funzioni nu- meriche; poichè all'espressione che ne risulterobbe per la derivata del primo membro, eseguita applicando la legge indicata, occorre aggiungere un terzo termine, come è indicato nel secondo membro della (II). Questo secondo membro si riduce, come è noto (A. V. G., I, pag. 130), ai soli due primi termini quando a è una derivata (e solo allora); il che subito risulta anche dalla nostra (Il). Invero, perchè si verifichi la condi- zione indicata, occorre e basta sia: K RotKa.u/\=0; — 662 — e siccome u è arbitrario, scegliendo opportunamente x, il vettore uAx può identificarsi con qualsivoglia vettore dello spazio; perciò la condizione scritta equivale alla: K RotKa=0, ossia: RotKa=0, la quale è appunto (A. V. G., I, pag. 118) la condizione necessaria e suffi- ciente perchè « sia una derivata. DERIVATA DEL PRODOTTO DI DUE O PIÙ OMOGRAFIE. 4. Se nella (II) si pone u= fa, essendo £ una seconda omografia ed a un vettore costante, si ha: ®) Siena) _ Ul da) | de 25 Ba — K Rot Ka. (8a) Se introduciamo ora, con il Burali-Forti (*), l'operatore A (assiale), simbolo iperomografico il cui campo d’applicazione è formato dai vettori, se cioè poniamo: (4) a/\=Aa , (fa)\=A(fa)=Afa, [essendo priva di significato l'espressione (A#)a], applicando la (II), si ba: dota) _ UP) a __K Rot K(a Dar = 204) 1 __K Rob K(og) . Aa o la _ db DI © pi “lap e al |-255 a—T-@aKRotKf.Aa; ed allora dalle Ù e (4) segue subito: (111) Lob) La dle 52 84 KRotK(ck).A— — a.K RotKf.A— K RotKa.AF (?). Se a e 8 sono derivate, cioè (cfr. n. 3) Rot Ka=0 , RotK#=0, si ha: LIO)ANO deb) lg dle 22 B-} KRotK(ag).A () C. Burali-Forti. Sopra alcuni operatori lineari vettoriali, Atti del R. Istituto Veneto, tom. LXXII, parte seconda, 1912-1913, pp. 265-276. (3) In certi casi, per il prodotto funzionale può essere necessario — a scanso di dannose ambiguità — il segno O. Cfr., per questo, C. Burali-Forti, Sopra alcuni opera- tori ecc., cit. — 663 — e se anche il prodotto «8 è una derivata, sì ottiene: " da d d qu”) de deg, la quale formula, supposto che «, siano delle derivate, vale quando, e sol- tanto quando [come mostra la (III’)], anche @$ è una derivata. Sarebbe quindi interessante di vedere la condizione a cui debbono sod- disfare le omografie @, perchè, essendo esse derivate, sia pure @f una derivata. 5. Una delle forme sotto la quale può esprimersi detta condizione è la seguente: In virtù di una formula ottenuta dal Pensa ('), cioè dalla: 2V (cK co) = |[Rot(a8) — Rote.8 — CKa. Rot f]a, la quale può sciversi: dKaa dP 2V (ek ) = Rot K(a#) — Rot K#. Ka — 08. Rot Ka]a, ove a è un vettore costante, perchè si abbia: Rot K(a#) = Rot(K#Ka)=0, quando si supponga essere Rot Ka = 0, Rot K8=0, occorre e basta risulti: cea) v(KeK (CA "2008, =0, od anche: dKea oe? mi qualunque sia il vettore costante a. In altri termini: Se @ e 8 sono derivate, il prodotto ef risulterà pure una derivata quando e solo quando l’omografia: dKea dKaa ovvero la: sia una dilatazione, qualunque sia il vettore costante &. 6. La (III) può estendersi facilmente al prodotto di un numero qua- lunque di omogratie; e si ha che: (3) A. Pensa, Sopra alcuni operatori differenziali omografici, Atti della R. Acca- demia delle Scienze di Torino, tomo XLVIII, 1912-13, pp. 149-155; pag. 150 (6). — 664 — Se ai, ..,@n sono delle omografie funzioni del punto P, vale la relazione: d(a,;%,... n da, don_ (IV) eri . 1P ) = @, dg 0 Eni jp. + a, 23. .@Gn_o DR ant - + + 9 ... n + K Rot K(0, 2»... an). A — — 2; 03... n. K Rot Ka,.AT— 0, @,... n 9. K Rot Ka,_;. An — — a, @2 ... &n_3 K RotKa, >. Aa, an — << — K Rot Ka, .Aaz... Cn Questa formula si dimostra senza difficoltà per induzione. Supposto in- fatti sia vera per un certo valore intero e positivo m, di 7, sostituiamo in essa, ad @, (per n= m), il prodotto @m &m+1; applicando la (III), si ottiene: da; 09... Cm È da da Deal, ETA, cn domri | Pm + K Rot K(@m &m+.)- A — &m K Rot Kam+;.A — K RotKam. Aamo | + dom d + 9 00 Cmn-2 Gb dp 2 Cm Cm+) + do ni apre e Cm Um+ + + K Rot K(a, @»... Gama). A — @ @2 ... Cm_i K Rot K(am am+) AT — 3 Cm_r K Rot Kam: Amoma — <<“ — K Rot Ka. A 003... mr ‘nella quale si elidono i termini in @, «5... &m_1 K Rot K(om@m+1)- A; dopo ciò, risulta provato che la (IV) vale pure per n= m +1. E siccome essa coincide con la (III) per n=2, si conclude che essa vale per ogni valore intero e positivo di 7, cicè è vera in ogni caso. 7. Come nel n. 4, possiamo osservare che, se le omografie a1, 02,3 n sono delle derivate, allora: quando, e solo quando, è pure una derivata tl loro prodotto a, &,,..., n, Sì ha: d(2,09.&n) dan d AV) pp i a Ra, Tp Vida tali da; + pata e mi sembra degno di nota il fatto che, fra le condizioni ora indicate come sufficienti perchè valga la (IV'), non compaiono affatto i prodotti formati con una parte soltanto delle zx omografie a, ,@2,..., n. Similmente a quanto si è fatto nel n. 5, dalla formula (2) del Pensa (loc. cit., pag. 150): ; 2V (« = - [Rot(a#) — Rota. f]a, — 669 — per a vettore costante, si deduce: 9V [Ken dK(a, " re n) | da = [Rot K(o, «,... @,) — Rot Ka, . K(a, @2... @.)] a; quindi, essendo Rot Ka,=0, affinchè risulti pure Rot K(a, a, ... @,)=0, dK(&, 23... &n-1) @ dP orcorre e basta che l’omografia Ka, sia una dilatazione, qualunque sia il vettore costante a. Dunque: se @,,@,,...,@n sono delle derivate, la (IV') sussiste quando e solo quando l'omografia: dK(a, Aq 0.0 Cn-1) a Ka, IP È per a vettore costante arbitrario, è una dilatazione. 8. Dalla (IV), in particolare, sì ricava quale espressione della derivata di una qualsivoglia potenza intera e positiva n-esima d’una omografia: da” da de da am i li ea a”? SI o? AA ro Si. Di + K Rot Ka". A — a" K Rot.Ka.A — — a'-* K Rot Ka. Aa— --- — K Rot Ka. Ae; la quale, quando a è una derivata, si riduce a: DI 3 n N) G DA (0 ee eden CC a° UE È tap? + K Rot Ka". A; e, se anche a" è una derivata, si ha: da _ da da AvALi VA °° pgn_2 e ANTI: QU. "5 DAG ue wp gol Per quanto si è detto nel n. 7, se 0 è una derivata la (V') sussiste dKa"a quando e solo quando Ka TP è una dilatazione, qualunque sia sl vettore costante a. RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 87 Geometria. — Sopra una questione di geometria cinematica. Nota di Mauro PiconE, presentata dal Socio LuIGi BIANCHI. 1. Una curva C, si dice trasformata asintotica di un'altra curva C, quando quella e questa sono asintotiche curvilinee di una medesima super- ficie rigata. Nella trasformazione si fa corrispondere ad ogni punto M di C il punto M, di C, che sì trova sulla generatrice passante per M ('). Il problema della costruzione di tutte le trasformate asintotiche C, di una curva C si risolve con quadrature. Vi si giunge per parecchie vie, e in una Memoria in corso di stampa (*), ho seguito quella che qui riassumo: Designamo con x,y, le coordinate del punto M di C, in funzione del- l'arco v della curva, con ab Mei i; A, 00 i coseni direttori, rispettivamente, della tangente, della normale principale, della binormale, con ; e a la flessione e la torsione della curva e con le medesime lettere, munite dell'indice 1, gli elementi corrispondenti per la curva trasformata C,. Indichiamo con 6(v) la funzione dell'arco v di C che misura l'angolo di inclinazione del raggio MM, sulla tangente alla C in M, con #(v) la lunghezza del tratto MM,, con o(v) l'angolo (fra 0 e 77) delle binormali in M e in M, alle due curve C e C,. Si ha il teorema (cfr. la mia citata Memoria): Se 0,t,0 sono tali funzioni dell’arco v di C da soddisfare alle equazioni : I dona T cos 0 i do s=(+ot0) T H | d. 0000 I AE REA costo dv È Wan sen o TO le formole x, =X+t(acos0-£ sen 0), (2) ‘ y=y+t(8c0080+4 y5sen0), | zi = +t(yc0009+ È sen 6), (1) Bianchi, Sulle configurazioni mobili di Mòbius nelle trasformazioni asintotiche delle curve e delle superficie, Rendic. del Circolo Matematico di Palermo, tom. XXV, 1° sem., 1908. (®) Picone, Intorno alle trasformazioni asintotiche delle curve e complementi alla Memoria: Sulle congruenze rettilinee W [in corso di stampa nei Rendic. del Circolo Matematico di Palermo ]. — 667 — rappresentano le coordinate del punto M,, corrispondente al punto M di C, nella più generale trasformazione asintotica di C. Di questo teorema ho fatto diverse applicazioni nella Memoria citata; in questa breve Nota mi permetto di mostrare come esso fornisca la com- ‘ pleta risoluzione della seguente questione di geometria cinematica: Determinare tutti i movimenti di una retta in cui la traiettoria di ogni punto è un’asintotica sulla rigata generata della retta. La questione può trattarsi per altre vie, specialmente quando si pensi ch'essa- può anche così formularsi: Costruire tutte le superficie rigate (le diremo rigate R) sulle quali le punteggiate protettive, secondo cui le asintotiche curvilinee segano le generutrici, risultano identiche. La trattazione che vado ad esporre ha il merito di una grandissima semplicità nei calcoli. 2. Alla classe delle rigate R, le cui asintotiche segano le generatrici in punteggiate identiche, appartiene l'elicoide rigata d'area minima. Ve- dremo che l’elicoide rigata d'area minima fornisce un esempio particolaris- simo di tali rigate, nonostante possiamo fin da ora rilevare una proprietà comune a tutte, è la seguente: Le rigate R sono a piano direttore. Ed infatti la linea nel piano all'infinito di ogni rigata R deve risul- tare un’asintotica, e perciò sarà una retta. 8. Per la trattazione analitica del nostro vroblema, domandiamoci, come prima cosa, se esistono trasformazioni asintotiche per una curva C nelle quali il tratto MM, = {(v), congiungente due punti corrispondenti, ha lun- ghezza costante =. Ponendo {= nelle (1), si vede che 6 e o devono soddisfare al seguente sistema di equazioni differenziali ordinarie: (OI T sen 6 va Ti eoto) ; (3) GOBO, di Ah Î deot o leto di dv lo OGIARI E Ne segue che: Per ogni curva C esistono c0* sue trasformate asîn- totiche tali che la distanza fra due punti corrispondenti è costante; cia- scuna trasformata risulta individuata coll’assegnarle, sopra un determi- nato piano, osculanie în M la C, un punto Mi per cui deve passare, e un piano per MM, dal quale deve essere osculata. Se consideriamo ora una rigata R, le sue asintotiche sono trasformate asintotiche di una fissata C fra esse, tali che la distanza fra due punti cor- rispondenti è costante. Designamo con C, l'asintotica di R che stacca sulle generatrici, a partire dai punti di C, un segmento di lunghezza «. Le fun- zioni 0 e o relative alla coppia C e C,, di trasformate asintotiche devono 0 Osti soddisfare al sistema (3), ne segue l’esistenza di due soluzioni 0 e o del detto sistema di cui la prima non dipende da u. Se pertanto con t(v) indichiamo una funzione della sola v, dovremo avere (4) si +coto = sv), e quindi, se si tien conto della seconda delle (8), deoto _T du o W06 I cot o T?\ cos 6 La dv ( °° CS ARTO i CR; I . d° cot o Eguaglianilo le due espressioni che queste equazioni forniscono per iaglagia U sì ottiene dT Ò = = (5) Th Se infine scriviamo che il valore di coto fornito dalla (4) soddisfa alla seconda equazione delle (8), si ricava, tenendo conto della (5), de _ a 0080 do e Troviamo dunque che la torsione e la flessione della C devono essere tali funzioni dell'arco v, che esistano due funzioni 7 e 0 di v verificanti le /re equazioni: dI = 2T così, 1a dv d0 l sen 6 Ò = = a (5) dv T Q ugo: a dr cos 0 == = l 2 E 32 du dr) i E viceversa, riesce evidente che se una curva C possiede l’indicata particolarità, la rigata che si ottiene conducendo per ogni punto di C e nel relativo piano osculatore un raggio inclinato sulla tangente di un angolo misurato dalla funzione 6(v), soddisfacente, colla 7(v), alle (5). è la più generale rigata R. Per la costruzione delle curve C, asintotiche di una rigata R, proce- diamo al modo seguente. Osserviamo che dalla 1% e dalla 3 delle (5) si ricava — 669 — e quindi, designando con a una costante arbitraria, (6) T=a(1+?). i : ai De Ad una curva C si può dunque asseguare ad arbitrio la flessione vai x funzione dell'arco v; la torsione sarà poi fornita dalla (6), dove 7(v) sì ricava dall’integrazione del seguente sistema di equazioni differenziali ordi- narie nelle due funzioni incognite 0 e ©: \ dt mE cos 0 dv GIR (7) do 1 tsen0 Meglio conviene però enunciare il risultato a cui siamo giunti nella forma seguente: La torsione e la flessione, in funzione dell'arco v, di un’asintotica C per la piu generale rifiata R, sono definiti dalle seguenti eguaglianze: tsen 0 do a(14+°) dv’ 1 Il 1 (8) =TtT—- , (= T a(14+2°) Q dove 8 è una funzione di v assegnata arbitrariamente, esprimente l'angolo secondo cui la C taglia le generatrici della rigata R, a è una costante. arbitraria, e © si ricava con una quadratura dall’equazione da cos 0 do A, Costruita la curva C, siano x=@(v) ,y=7(v) , s=î(v) le sue equazioni, le equazioni della rigata R che possiede questa curva fra le sue asintotiche, sono (0) + u(a cos + È sen 6), y=7(0) + u(8 cos 9 + n sen6), 2 = 5(v) + u(ycos0 + È sen 6), \ = 9% | ove u e v designano i parametri delle asintotiche. Già sappiamo che ogni rigata R è a piano direttore. Lo possiamo ve- rificare analiticamente, calcolando il wronsckiano delle re funzioni di v: acos06 4 ésen0 , 8cos0-+-nysen8 , ycos04Ésen0, (9) — 7 sì trova, con un facile calcolo, tenendo presente le equazioni (5), ch'esso è — 670 — identicamente nullo. Segue l’esistenza di tre determinati e costanti coseni direttori /, m,x pei quali è identicamente (10) Z(a cos 9 + È sen 9) + m(8 così + n sen 0) + + n(y cos 0 + È sen 0)= 0. Per individuare la giacitura del piano direttore della rigata R, calco- liamo i coseni direttori della direzione fissa (2, m,) rispetto al triedro mobile determinato dalla tangente, dalla normale principale e dalla binor- male alla C. A tale scopo disponiamo Ja rigata R in modo che il suo piano direttore sia il piano (x,y), la (10) ci darà (11) coto = — I wr mentre y,7,v rappresenteranno i coseni direttori ultimamente menzionati. Dalla (11), se si tien conto della seconda delle (5), si trae C] 7 UA — ——-=tsen0, pe e quindi, poichè f = — ycot@. in I A Senior) ne segue va sen @ n cos 0 ME T Lari (ORE Ora ove #= + 1. Si ha pertanto che i coseni direttori /,m, della direzione fissa, alla quale le generatrici della rigata R si mantengono normali, sono | s60—- Aa), medi E 9) —= (fsen0 — 7 c0s0— ut), (12) ignta (8 7 E n —=_= (y seno —lcoso— vr). WiZEn: Si verifica subito, tenendo conto delle (5), che /,7, sono costanti. I risultati della precedente breve ricerca cine dunque al seguente teorema di geometria cinematica: Si costruisca uno curva C per la quale la torsione e la flessione, in funzione dell'arco v, siano date dalle equaglianae: 1 Ì le aisen 0. dè nigi eee. © Teen —. 02 dove 0 è una funzione arbitraria di v, a è una costante arbitraria e t st ricava dall’equazione t coseni direttori LI, m,n forniti dalle (12) risulteranno costanti. St im- prima ora ad un piano rt un movimento traslatorio nel quale man- tenga la giacitura normale alla direzione l,;m,n, "ed un suo punto M descriva la curva C; la retta comune al piano tt e al piano osculatore in M alla C si muoverà secondo il più generale movimento in cui ogni punto descrive un’asintotica della rigata generata della retta. 4. Notevolmente semplice è la generazione del movimento della retta, quando ad un suo punto M si assegni una traiettoria rettilinea. Bisognerà allora integrare il seguente sistema di equazioni dt __ così A \ogg F GR (7) i i do _ t sen @ che si deduce dal sistema (7), per Da 0. Segue dalle (7): x 100) Dee I e quindi, se 5 designa una seconda costante arbitraria, sen@=send.y/1+4t°. Dalla prima delle (7’) seguirà de È Voosth — 1° sen (eE==1), d'onde sen d r=cotd.son}e° —0) è ORE. send —. Possiamo supporre c= 0, e indicare con 4 la costante TESI avrà t=cotb.senZv, sen6= send. ]/1-+ cot°b sen?k0 , cos9=ecosì cos 4v. Se T=s È (1 + cot?0 sen°Xv) . — ra Se ora supponiamo che la traiettoria rettilinea C del punto M sia l’asse delle =, bisognerà porre nelle (9), 7 =7=0 , 5=%v e quindi a=f#= ={=v=0,y=l. Si hanno subito le espressioni di £,7;4,w e le equazioni della rigata R generata dalla retta mobile risulteranno c=usenbdcoskv, y=—usenkv, z=»v ucosdcoskv. La giacitura del piano direttore della R è normale alla direzione cos d, o, = send. Ù Concludiamo pertanto che: Il più generale movimento di una retta m nel quale ogni punto descrive un'asintotica della rigata descritta dalla retta, colla condizione che la traiettoria di un suo punto M sta una retta assegnata r si genera al modo seguente: Si consideri un piano per la retta mobile m, e ad esso st imprima un movimento trastatorio rettilineo, nella direzione della r, seco trascinando la retta m che contemporaneamente si muove nel piano di moto rotatorio attorno al punto M con una velocità in rapporto co- stante rispetto a quella di M. Meccanica. — Caratterizzazione energetica dei moti soggetti a resistenza viscosa od idraulica. Nota II di A. SIGNORINI, pre- sentata dal Socio T. LEVvI-CIVITA. 1. Mantenendo le denominazioni adottate nella Nota I, poniamo lo) = [O AS) di a=|U> dt, cioè rappresentiamo con o il valore dell'arco di traiettoria percorso da S nell'intervallo (4,# +) e con A il valore dell’azione delle forze attive su S relativo allo stesso-intervallo. Dal risultato ottenuto in fine alla Nota I, segue, in particolare, che: Condizione necessaria e sufficiente affinchè il sistema delle forze attive su S si riduca (a meno di un sistema di forze perpendicolare alla velocità) ad un sistema di forze derivante da una resi- — 673 — stenza di mezzo per la quale (indicando con #, 4, delle costanti positive arbitrarie) la funzione caratteristica abbia la forma h (resistenza viscosa) IS) ky © (resistenza idraulica) le, (E T è che P,: risulti una funzione di ) o solamente, positiva per ne DAN | A A Dal risultato medesimo segue che tutte le volte che il sistema di forze attive su S si riduca (sempre a meno di un sistema di forze perpendicolari all'atto di movimento) ad un sistema di forze derivante da una resistenza di mezzo di funzione caratteristica f(@)=h+ ky® (cioè composta di una resistenza viscosa e di una resistenza idraulica), P,7 risulterà una funzione di 7 e o soltanto, positiva per © e o positivi. La proprietà inversa è pure vera, e si dimostra senza difticoltà osservando che, dall'essere P,-= (1,0), segue IC GRE dg dP° IO er ea / Ott+a 3 3, dt ig ed anche — indicati con % e % i valori positivi (*) di (23) e cl In—9=90 d R (1) gg 108 O= (A+ 41 3), : d@\ ( dp i r ARSIIZCRA i ) 0 Che (iS Mise e vai sono necessariamente positivi, è immediata con seguenza 1°) della diseguaglianza d9 (3 ( RIA EA do E. che, indipendentemente dal valore di B, deve essere verificata perchè si suppone g(7,0) positiva per 7 e o positivi, mentre è /3=0 p(0,0)=Pi,0=0; 2°) della (1) che fa escludere che anche uno solo dei valori in questione possa essere nullo. (i ug do T-0—-0 i RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 88 — 674 — e infine t+7 SS I (h+kV®) dt P,r=l — @ Si o 2. Sia P un punto materiale libero, v la sua velocità, F, ed Fx i componenti tangenziale e normale della forza totale agente sopra di esso, 0 la distanza delle sue posizioni all’inizio e al termine dell'intervallo di tempo qualunque (£,t+ 7). Avendo presenti le conclusioni della Nota I e più specialmente le loro conseguenze poste in evidenza al $ 1, può sembrare anche superfluo di rile- vare esplicitamente che, come abbiamo enunciato fin dal principio della Nota I, allora, e allora solamente, che sia F,=— lv (resistenza viscosa) ovvero F,=—%vV (resistenza idraulica), “P,, sarà una funzione di 7 soltanto, ovvero di o soltanto, positiva pei va- lori positivi del suo argomento. Nel secondo caso, quando ulteriormente Fy sia tale (*) che la traiettoria (*) È opportuno di rilevare, specialmente a giustificazione di quanto è asserito nella nota (6), che condizione necessaria e sufficiente affinchè la traiettoria di P siaun’elica circolare (in particolare un cerchio o una’ retta) è che”sia (a) Fy= OV AH 9 H essendo un vettore costante non nullo parallelo all’asse del cilindro sede dell’elica. La proprietà diretta risulta immediatamente dall’espressione generale di Fy in fune zione di v e del raggio di curvatura della traiettoria. Per dimostrare poi la proprietà inversa, basterà che prendiamo in esame i moti delle proiezioni Pi,Pa di P sopra un piano perpendicolare ad H e sopra una retta parallela ad H. Indicando con Vi, Vs le velocità di P,", Pa, se vale la (@), evidentemente sarà d 1 HS (8) > = Tv +ov AH dv. Fr È (7) ae, A donde si deduce [moltiplicando scalarmente (8) e (7) per Vi e Va] da Sr da, DA di 05 Val di 8%. Ne segue la _ cost, Vi ed anche Va += così. v Ciò prova che v forma un angolo costante con H, e al tempo stesso (sempre in base — 675 — di P risulti un'elica circolare (in particolare una circonferenza o una retta), P; si potrà considerare anche come una funzione di d soltanto, positiva per d>0. Invero le eliche circolari godono la proprietà, sufficiente ad individuarle, che in esse, ad archi di lunghezza eguale, corrispondono corde eguali (?). Si può domandare se non si presenti anche in altri casi la circostanza che P,r risulti una funzione di d soltanto, positiva per d>0: (2) Pd). Alla conclusione che ciò non si verifica, facilmente si perviene nel modo seguente. Derivando la (2) rispetto a 7, gpoichè 0 è funzione di 7 soltanto per il tramite di o, si ottiene, qualunque sia 7. 1 dB: n p\ CO II Td ari 0) SIA ed anche, per 7r=0. È 1 d® = - = — v'(0)V/3 (8) sg 013, perchè, evidentemente, dò (3, Indicando con X il valore positivo (?) di w'(0) dalla (3) si deduce (4) Pic —1—- eco. all’espressione generale della componente normale della forza applicata ad un punto ma- teriale in funzione della velocità e del raggio di curvatura della traiettoria) permette di dedurre dalla (8) che la flessione della traiettoria di P, (se non è identicamente v1 = 0) è costante e +0, così che la traiettoria stessa è una circonferenza (eventualmente dege- nere in un punto). La traiettoria di P sarà dunque un’elica di un cilindro circolare retto, avente l’asse parallelo al vettore H. (*) Le eliche circolari sono caratterizzate (cfr. ad es. Bianchi, Lezioni di geometria differenziale, Pisa, 1902) dall’essere in ogni parte sovrapponibili a sè stesse. In una elica cilindrica a due archi di eguale lunghezza, corrisponderanno dunque corde eguali. Viceversa, se in una curva si verifica questa proprietà, qualunque sia la lunghezza comune dei due archi considerati, risulterà possibile, fissati ad arbitrio due punti P', P” della curva, stabilire una corrispondenza della curva in sè, in cui i punti P’, P'” siano omo- loghi e che conservi le lunghezze degli archi e, al tempo stesso, le distanze. Vuol dire che in tale ipotesi la curva sarà necessariamente sovrapponibile a sè stessa in ogni sua parte, e quindi sarà un'elica circolare, c. d. d. (*) Cfr. la (3) della Nota I. — 6076 — ciò che prova che, se vale la (2), il moto di P è dovuto all'azione di una forza perpendicolare alla velocità e di una resistenza idraulica. Di più, con- frontando la (4) colla (2) [quando si tenga presente che è W((0) +0] si ar- riva (senza escludere che la w possa essere una tunzione multiforme di d) (*) alla conclusione che, sempre valendo la (2), nella traiettoria di P, a due archi di lunghezza eguale (almeno se tale comune lunghezza non è troppo grande), corrispondono corde eguali. Ciò basta (evidentemente) per potere asserire che la traiettoria di P è un’elica cilindrica. Possiamo dunque concludere che l’essere P,: una funzione di d sola- mente, positiva per d > 0, caratterizza, tra i moti di P dovuti all’azione di una forza perpendicolare alla velocità, quelli che hanno per traiettoria un'elica circolare (in particolare, una circonferenza o una retta) (*). Il risultato ottenuto si presta evidentemente ad essere esteso al caso di un sistema olonomo qualunque, in base alla già menzionata rappresenta- zione del moto di un tale sistema mediante il moto di un punto di un S,: ma su ciò non insisteremo, non presentando la cosa un effettivo interesse. Soltanto osserveremo che, se si considera un punto materiale P vinco- lato a restare sopra un piano fisso (e privo di attrito), le considerazioni ora svolte sono sufficienti a concludere che, l'essere P,,7 funzione di d (cioè, se si vuole, della distanza geodetica delle due posizioni occupate da P agli istanti { e #-+- 7 sulla superficie che rappresenta il vincolo), caratterizza, tra i moti di P dovuti all’azione di una forza perpendicolare alla velocità e di una resistenza idraulica, quelli che hanno per traiettoria una circonfe- renza (in particolare una retta). Matematica. — Su una proposizione dell’Almansi. Nota di LEONIDA TONELLI, presentata dal Corrisp. E. ALMANSI. Il prof. Almansi, in una Memoria Sopra una delle esperienze di Plateau (*) è stato. condotto ad enunciare e a dimostrare la seguente pro- posizione: Se f(x): 1°) è una funzione finita e continua insieme alla sua deri- vata f'(x) in tutto l'intervallo (a. db); 2°) assume lo stesso valore negli estremi a e b; b 3°) soddisfa all'uguaglianza fi fi()fd==0} (1) Ciò che necessariamente accadrà nel caso, effettivamente possibile, che la traiet- toria di P sia una circonferenza, (3) Ciò equivale a dire che l’essere Pi,7 una funzione di d' soltanto, positiva per d>0, caratterizza i moti di P che si svolgono sotto l’azione di una resistenza idraulica e di una forza normale alla velocità del tipo Fx = vv 4H [cefr. la nota (2)]. (3) Annali di Matematica, 1906. — 677 — allora è anche frora= i 2) f [de ». La dimostrazione che ne dà il chmo Autore procede per gradi, comin- cia cioè a rivolgersi a funzioni che soddisfano a certe peculiari condizioni, che va poi via via allargando fino a giungere alla classe delle funzioni per cui il teorema stesso è enunciato. In questa breve Nota, ci proponiamo di giungere direttamente alla pro- posizione detta nella sua forma più generale, enunciandola per la classe delle funzioni assolutamente continue (funzioni integrali), che è più estesa di quella considerata dall’Almansi, facendo anche vedere che, abbandonando l'assoluta continuità, sì hanno funzioni per le quali la proposizione stessa non è più valida, pur essendo tali funzioni a variazione limitata. Dimostriamo anzi quest'altro teorema, che contiene il precedente come caso particolare: « Se f(x) è una funzione assolutamente continua nell’ intervallo (a, 0) (*), nei cui estremi assume lo stesso valore, e se esiste l'integrale Strepas, è Orsa io po Avvertiamo che noi, come l’Almansi, ci fondiamo sulla formula di Par- seval, relativa alle serie di Fourier. La Nota termina con una proposizione relativa al rapporto fra l’inte- grale di /? e quello di /'?. 1. Facciamo un cambiamento di variabile mediante la posizione Ip che fa corrispondere all’ intervallo (a, è), l’altro (0, 277). La funzione /(x) viene così mutata in r( e questa F(0) risulterà ancora assolutamente continua, ed assumerà lo stesso a 0)=F(0) | (1) b>a. (*) Relativamente dai due termini della differenza qui considerata, si sa già che il loro rapporto è sempre =. 4, se è f(a)= (0) =0 (ved. Hadamard, Legons sur le calcul des vartations, Paris, Hermann, 1910, pag. 335). = 00 = valore negli estremi 0 e 277. La disuguaglianza da dimostrare diventerà poi fuor % — [rep do = s [Sro x | o La funzione F(0), essendo assolutamente continua è a fortiori conti- nua e a variazione limitata. Il criterio di Jordan ci assicura allora (aven- dosi F(0) = F(27)) che tale funzione è sviluppabile in serie di Fourier, uni- formemente convergente in tutto (0,277): ROSE Dr d (6, cos px 4 dp sen pa) , br Inoltre, sempre per l'assoluta continuità, esiste la dernata F'(0) in tutto l'intervallo (0,277), ad eccezione di più di un insieme di misura nulla, ed è 8 f E'(0) dé = F(0) — F(0). 0 Ricordando ancora l'uguaglianza F(0) = F(27), abbiamo (*) che la serie di Fourier della derivata F'(0) si ottiene derivando termine a termine quella di F(0). Possiamo scrivere così (adottando una notazione dovuta a Hurwitz) SNZE p(— ap sen px + Bb, cos pa) . Dalla formula di Parseval, estesa da Fatou (?) alle funzioni di qua- drato integrabile, deduciamo allora, i F?(0 0) do=r|3d+Y (@+%)( p=l ) fore. +). JE ‘trop d— f° "[P0)]}:d0= 3 sz|S LOLZE che è appunto quanto si voleva dimostrare. Si vede anche che il segno di uguaglianza sta solo quando sia Ap= bp =0 (PEZZO (1) H. Lebesgue, Zecons sur les séries trigonometriques, Paris, Gauthier-Villars, 1906, pag. 104. (3) P. Fatou, Séries trigonometriques de séries de Taylor, Acta math., 1906. — 679 — vale a dire, Go + a, cos 0 | d, sen 6 Diu x —- ll ; 4 x—- a f(2) = 3 40+ 4 008 (2777 4h sen (275 iL 2. Consideriamo la funzione '/(x) definita nel modo seguente. Per ogni 4g 43 ; di (1) Taggia 1 dove i numeratori 4,,4>,43,... sono uguali a zero oppure a 2, si abbia 43 Per definire /(x) sui punti rimanenti dell'intervallo '(0,1), facciamo così. Consideriamo l’insieme I dei punti di (0, 1); dati dalla (1): questo insie- me è perfetto e si ottiene asportando dall’intervallo detto tutti i punti 2%- ternî agli intervalli: O IIRO 2 pera 3) Coe, co 2 022 tata) °) +e o) 2 (0) IRA 0 2 2 2 2 2 2 tete te al a Negli estremi di uno qualunque di questi intervalli (che diconsi inter- valli contigui ad I) la funzione /(#) ha il medesimo valore: per esempio in È si ha: — 680 — Definiamo, allora, la /(x) in ciascuno degli intervalli contigui ad I, ponendola uguale al valore che essa stessa assume negli estremi dell’inter- vallo considerato. La funzione così definita è continua su tutto (0,1) e non mai decre- scente: essa è quindi anche a variazione limitata. In ogni intervallo conti- guo a I (esclusi gli estremi) esiste la derivata /'(x), che è uguale a zero. E poichè la somma delle lunghezze di questi intervalli è uguale ad 1 (tale somma è, infatti, 3+(F+ge)t(a+tatsto)t- = il si ha | (a Ma è f0)=0 . /D=1, dunque, ‘essendo, fre -109, la /(x) non è assolutamente continua. Definiamo ora la /(x) in (1,2) mediante la scrittura {@=/@-2), € in (2, 4) mediante i) E Per la funzione così definita si ha: /(0) = /(4) 4 di f(a)de=0 0 Stra: =0 Side >o. — 681 — e non può dunque essere verificata la disuguaglianza da noi dimostrata per le funzioni assolutamente continue. 3. Vogliamo aggiungere qualche considerazione sul rapporto fra gli ìn- tegrali di f° e /"°. Abhiamo glà ricordato che, nell'ipotesi /(a)=/(9)=0, è si ‘P° da = i = ali di “fd. Se fosse solamente /(a) = 0, quale sarebbe il massimo del rapporto dei due integrali considerati? Si ponga b Jp | (pf? — f°)da, e sì cerchi il minimo di quest'integrale fra tutte le funzioni che soddisfano alla condizione /(a)= 0. Le estremali dell'integrale detto si ottengono integrando l'equazione differenziale f+pf"=0, e sono date da x x fee Cer Cs RE, Per due punti qualunque di ascisse 4, 0 xs, passa sempre una di queste estremali, ed una sola, tutte le volte che è |[z1 — x2|< 77; dunque se è bT—-a TI p- >0; è sempre possibile circondare l’estremale che congiunge i punti (2,0), (0, A), dove 7% è qualunque, con un fascio di estremali che ricopra tutta la striscia compresa fra le rette cr =a,x=d. E poichè qui la derivata seconda ri- spetto a /' di p° /'* — /° è sempre positiva, l’estremale detta dà il mini- mo assoluto fra tutte le funzioni che assumono in a e in d rispettivamente i valori 0 e W. Indichiamo con J, (4) il valore minimo di Jp corrispondente ad %. L’e- stremale che congiunge (4,0) con (0, A) è e si ha perciò Ip(h) = ph? cotg ; Sd RenDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 89 È dunque Jp(2) =0 per - A <=G (con Jp(hK) =0 solo se è i J,(A)<0 per >£ Se ne conclude che Se f(x) è una funzione assolutamente continua che si annulla in a, e tale che il quadrato della sua derivata — considerato là dove questa derivata esiste — sia integrabile, è Srdnza® n potendo aversi effettivamente il segno di uguaglianza (*). Matematica. — Sur les surfaces de genres cero et de bi- genre un. Nota di Lucien GopEAUX, presentata dal Corrispondente F. ENRIQUES. Lorsque M. Enriques introduisit, dans la théorie des surfaces algébri- ques, la notion de plurigenre, il remarqua que la surface du sixième ordre, passant doublement par les aréètes d'un tétraèdre, avait les genres arithmé- tique et géométrique nuls (pa =pg= 0), mais le bigenre égal è l'unité (P:= 1) (?). Plus tard, M. Enriques démontra que toute surface algébrique régulière, dépourvue de courbe canonique mais possédant une courbe bica- nonique d'ordre zéro, peut se ramener, par une transformation birationnelle, à cette surface du sixième ordre (3). M. Enriques fit, de plus, une étude très (4) Considerande delle funzioni a derivata limitata e nulle in a, E. E. Levi (Sui criteri sufficienti per il massimo e per il minimo nel calcolo delle variazioni, Annali di matematica, tomo XXI, ser. III, Lemma I) aveva già trovato che l'integrale di f?, (G— a) 2 (2) F. Enriques, Introduzione alla geometria sopra le superficie algebriche (Chap. VI, n. 39), Memorie della Soc. ital. delle Scienze (dei XL), 1896, ser. 3%, tom. X. On sait que M. Castelnuovo a, vers la mème époque, démontré que les conditions de rationnalité d'une surface sont pa =P,=0. (*) F. Enriques, Sopra le superficie algebriche di bigenere uno, idem., 1906, ser. 88, tom. XIV. Au sujet des surfaces de genres zéro et de bigenre un, voir aussi: G. Fano, Superficie algebriche di genere zero e bigenere uno, e loro casi particolari, Rendiconti non può superare quello di /’° moltiplicato per — 633 — complète de cette surface, et démontra qu'elle est caractérisée soit par les conditions pg = P3=0 , P.=1, soit par les conditions équivalentes pi ONE Dans leur Mémotre sur les surfaces hyperelliptiques (*), MM. Enriques et Severi ont remarqué qu'il pouvait exister, sur une surface de genres un (pa= P,==1), des involutions d'ordre denx, dépourvues de points unis, représentables sur des surfaces de genres zéro et de higenre un. Ensuite, M. Enrigues a fait voir qu'inversement une surface de genres zéro et de bigenre un peut toujours ètre considérée comme représentant une involution d'ordre deux, appartenant è une surface de genres un (?). En d'autres termes, si l'on considère la surface ®, d’ordre six, passant doublement par les arétes du tétraèdre dont les faces sont x=0,y=0,<=0 , v=ay+tby+c+d=0, cette surface a pour équation (5) (1) Po(xys, yav , ava, vay) + cy20 f(x ,y,8,0)=0, > et /» 6tant des polynòmes du deuxième degré, et la surface F, repré- sentée par les équations (1) et u = Ye, est une surface de genres un (po = P,= 1). De plus, M. Enriques a montré que cette surface F, de genres un, peut se ramener (par une transformation birationnelle) è une quadrique double Q. Il existe donc, sur la surface F, deux involutions d’ordre deux, l’une représentable sur ®, l’autre sur Q. Chacune de ces involutions détermine une transformation birationnelle de F en elle-méme. Je me propose de dé- montrer, dans cette Note, que les deux transformations ainsi définies sont permutables, et que leur produit engendre une involution d'ordre deux et de genres un (pa = P.=" 1). En joignant ces résultats à ceux de M. Enriques, on pourra donc énoncer le théorème suivant: del Circ. Matem. di Palermo, 1910, tom. XXIX: L. Godeaux, Sur les involutions appar- tenant à une surface de genres pa=pg=0 , Pa= 1, Bulletin de la Société Mathéma- tique de France, 1918, tom. XLI; Détermination des correspondances rationnelles exis- tant entre deua surfaces de genres pi = pg = 0, Ps=1, Bulletin de l’Académie roumaine, 1913, tom. II. (*) Acta Mathematica, vol. XXXII, XXXIII (XXXII, n. 38). (8) Enriques, Wn'osservazione relativa alle superficie di bigenere 1, Rend della R. Accad. di Bologna, 13 genn. 1908. (3) Enriques, Zntroduzione..., loc. cit. (note au n. 39). — 684 — Toute surface algébrique ®, de genres zéro et de bigenre un (pa= =P3=0,P,= 1). représente une involution d’ordre deux, dépourvue de points unis, appartenant a une surface F de genres un (pa=p.= 1). Cette surface F possede trois transformations birationnelles involutives permutables en elle-méme : La premiére engendre l’involution de genres séro et de bigenre un représentée par ®D. i La deuzième engendre une involution rationnelle qui permet de re- présenter F sur une quadrique double (ayant une courbe de diramation d’ordre huit). La troisième engendre une involution de genres un (Ppa=P3= 1). 1. Soit ® la surface algébrique de genres zéro et de bigenre un (pa = = P=0, P.= 1), représentée par l'équation (1) Po(cYZ, YZV ,80x ,vXY) + xy2v f.(c,y,z,0)=0, dans laquelle gp, et /» désignent des polynòmes du deuxième degré et v une fonction linéaire 4e + By + ce + d. La surface D passe doublement par les arétes du tétraèdre dont les faces sont x=0,y=0,z=0,v=ax+by+ce+d4=0. De plus, c'est une surface générale de sa classe (Enriques). Considérons la surface F représentée par les équations (1) et UA yzor Elle est de genres un (pa=P4= 1), et la transformation T,, d'équa- tions = % q) y=Y 9 d=% 9 u=—u, engendre, sur F, une involution d'ordre deux, dépourvue de points unis, re- présentable sur ® (Enriques). Considérons, sur la surface ®, un système complet |T|, de genre 7 >, et son adjoint Z|. Cos systèmes ont le degré 2, — 2 et la di- mension 77 — 1. En général, ils sont dépourvus de points-base. Si || a des points-base, ils sont au nombre de deux et les courbes T° sont hyperellipti- ques. Il est aisé de voir que les 7°” sont également hyperelliptiques et que |T'| a, par suite, deux points-base (1). Désignons par C, C' les courbes de F qui correspondent respectivement aux courbes I, T°. Soit |C| le système complet contenant les courbes ©. Le système |C| a le degré 47 — 4, le genre et la dimension 2rx— 1, (1) Enriques, Sopra le superficie..., loc. cit. (n. 7). — 685 — Entre une courbe I° et une courbe C. nous avons une correspondance (1,2) dépourvue de points de diramation. Par suite, un groupe canonique de T° a pour correspondant un groupe canonique de C. Or, les 1” découpent, par définition, des groupes canoniques sur les T°; les courbes correspon- dantes C' découpent donc des groupes canoniques sur les courbes C. Or, les courbes C découpent également des groupes canoniques sur les C. Par suite, le système |C] comprend les courbes C". Les courbes de F qui correspondent à des courbes de genre supérieur à l'unité, de ® et à leurs adjointes, sont équivalentes. 2. Supposons actuellement que |T| soit un faisceau de genre deux (1=2). De pareils faisceaux existent certainement sur PD; l'un d'eux est, par exemple, découpé sur la surface (1) par les plans Z4x + uy = 0. Les courbes 7’ sont également de genre deux et forment un faisceau. Les faisceaux |Z|,|T"| ont, de plus, chacun, deux points-base. Le système |C| a maintenant le degré quatre, le genre et la dimension trois. On sait qu@'une courbe de genre trois possédant une involution (co?) d'ordre et de genre deux, est hyperelliptique ('). Les courbes C et C’ sont dans ce cas. Sur chaque courbe C se trouve donc une 93, et les 00? groupes de ces co! 93 forment une involution I, sur F. Mais les courbes C découpant sur les C des groupes canoniques, chacune d’elles contient 00! groupes de I, et, par conséquent, |C| est composé avec I,. Rapportons projectivement les courbes C aux plans d'un S3; F se transforme en une quadrique double Q qui a, nécessairement, une courbe de diramation d'ordre huit (*). Il en résulte que toutes les courbes C sont hyperelliptiques et que les groupes de I, situés sur une courbe C’, y forment la 9} dont nous avons reconnu l'existence plus haut (une courbe de genre trois ne peut en effet contenir plus d'une g}). Nous désignerons par T, la trasformation birationnelle involutive de F engendrant I,. 8. Sur une courbe C, hyperelliptique, de genre trois, T, change un groupe de la 93 en un groupe de cette série. À deux groupes de la gì con- jugués par rapport à T,, correspondent deux points de Q, c'est-à-dire qu'à T, correspond une transformation birationnelle © de Q en elle-mème. De plus, T, étant involutive, il en est de méme de @., D'autre part, à deux points de F conjugués par rapport è la transfor- mation T:="T,T,, correspondent deux points de Q conjugués par rapport à ©. On en conclut que T; est involutive, c'est-à-dire que T,,T, sont per- (*) Voir par exemple: R. Torelli, Sulle serie algebriche semplicemente infinite di gruppi di punti appartenenti a una curva algebrica, Rend. del Circe. Matem. di Palermo, 1914, tom. XXXVII (n. 82, note 38). (*) Enriques, Sui piani doppî di genere uno, Memorie della Soc. ital. delle Scienze (dei XL), ser. 3%, tom. X, 1896. — 6396 — mutables (T,T,=T3T,). On sait d’ailleurs que T; engendre, sur les courbes C ou C', des y; elliptiques (!). Dans le système |C|, il y a deux faisceaux |C|,|C"], dont les courbes sont invariantes pour T, e T3, et aucune courbe C n'appartenant pas è ces faisceaux ne jouit de cette propriété. Par conséquent, la transformation @ laisse invariantes des sections planes de Q appartenant à deux faisceaux. En d'autres termes, © est une bomographie involutive bi-axiale. Les axes de © ne sont pas des genératrices de Q, car les courbes C,C' sont des courbes de genre trois et non des courbes elliptiques. Par suite, © laisse invariants quatre points de Q. Il y aura donc, ces quatre points n'étant pas en général sur la courbe de diramation de Q, huit points de F invariants pour une des transformations T, ,T3. Or, par construction, T, ne laisse aucun point de F invariant: donc T} engendre une involution d'ordre deux possédant huit points unis; et cette involution est, par consé- quent, de genres un (p,=P,.=41) (2). Meccanica. — Sopra la soluzione delle equazioni differen- ziali del moto di un punto attratto da più centri fissi posti in linea retta. Nota dell’ing. dott. G. ARMELLINI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Meccanica. — Potenziali Newtoniani dell’elasticità. Nota di P. BuRGATTI, presentata dal Corrisp. E. MARCcOLONGO. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. (*) Torelli, loc. cit. (8) L. Godeaux, Sur les involutions de genres un emistant sur une surface de genres un, Bull. Acad. roy. de Belgique, 1913; Mémoire sur les involutions appartenant à une surface de genres un, Annales de l'École Normale (en cours de publication). — 687 — Astronomia pratica. — Sulla costruzione delle tavole per la correzione del passo dei microscopî micrometrici. Nota di B. ViaRO, presentata dal Socio E. MILLOSEVICH. 1. Per ricavare la misura degli angoli dai cerchi divisi forniti di mi- croscopî micrometrici (*), si sogliono fare le due letture micrometriche / ed /’ rispettivamemente alle divisioni a ed 4-+-1 fra le quali viene a tro- varsi lo zero micrometrico (*). La somma e la differenza delle due letture, quest’ ultima presa sempre nel senso / —/, servono a dare la lettura corretta. Il prof. Lorenzoni nella sua Memoria: Determinazioni di Azimut ese- quite nel R. Osservatorio di Padova in giugno e luglio 1874 con un Altazimut di Repsold, ed in luglio 1890 con un Altazimut di Pistor, Padova 1891, ci offre, in fine di pag. 11, la correzione seguente della somma delle due letture: a) tnt st+ +, qualora si avverta che qui in luogo del valore particolare 1200 che compete al Repsold, si è posto I per indicare il numero di parti dell'ordine infimo stimabile, equivalente alle rivoluzioni 7 occorrenti per far percorrere al filo mobile la distanza tra due divisioni consecutive del cerchio (*). In questa (*) L'applicazione dei microscopî micrometrici ai cerchi divisi è di origine inglese, e già nel 1789 il celebre strumento di Ramsden, ordinato dal Piazzi a Londra, aveva i microscopî micrometrici per leggere i due cerchi azimutale e verticale. G. Piazzi, Della Specola di Palermo, Palermo, 1792, pp. 20 e 25. (3) Già nel 1814 Bessel insegnava che il risultato era più attendibile qualora ve- nissero sempre puntati ambedue i segni di divisione del cerchio fra cui si trova lo zero del micrometro; e dichiarava che egli seguiva tal regola senza eccezione: Astr. Beod. Kbnigsberg, I, Abth, 1815, pag. VII (Auch wird das Resultat noch dadurch zuverlàis- siger etc....). (*) La (1) si ricava dalla formola esatta seguente: s+= == b+ i \a+n-@- Dl }1- abbandonando nel secondo membro i termini in / —/ d’ordine superiore al primo. Cfr. Lorenzoni, loc. cit., pag. 11, nonchè A. Abetti, /l Piccolo Meridiano di Arcetri. Fasc. num. 7, pag. 34, formola (4). Le formole date dal Weineck, A. N. vol. 109, pag. 201 (a) e (8), e quella dell’Albrecht, Formeln und Hilfstafeln fur geographische Ortsbestimmungen, vierte Auflage, Leipzig 1908, pag. 49, sono parimente formole esatte. Il passaggio di esse a quella di Lorenzoni può farsi facilmente, tenendo conto delle rispettive notazioni. — 683 — formola intenderemo non soltanto I, ma altresì la somma /+/ e la diffe- renza l' —/ espresse in parti dell'ordine infimo, cioè in quei decimi che si stimano a vista sul tamburo che muove la vite del microscopio micrometrico ; ed essi sono dunque decimi delle parti p in cui il tamburo medesimo si trova diviso. 2. La (1) può scriversi come segue: a+ n= ltd. w_y. e ponendo: (2) i sarà @) 4141) = 00) Questa formola dice che la correzione 4(/+-/') è data dal prodotto di due fattori, il primo dei quali dipende dalla somma {+ delle due letture, e l’altro è la differenza delle medesime. In luogo di un valore par- ticolare della differenza !' —/ si può assumere un valore R che sia la media aritmetica di singoli valori /'—/ ottenuti da una serie di osservazioni (*). Il calcolo della correzione 4(2-+/') potrà farsi rapidamente, anche col sussidio delle tavole di moltiplicazione, quando si abbia una tavoletta che dia per interpolazione a vista il valore di C corrispondente al particolare valore della variabile / 4- /' (?). Questa tavoletta può costruirsi come segue. I valori minimo e massimo di /+-/" sono 0 e 2I, ed i corrispondenti valori di C sono, per la tor- mola (2), rispettivamente — 1,00 e + 1,00. Se ora poniamo (*) (4) K=-- (1) « Correction for Runs » nelle: Greenwich, Astronomical observations in the Year, 1837. Introduction, pag. XVI. (8) A. Abetti, fasc. cit., pag. 36. ; ; I O (8) Non è strettamente necessario che sia oi per cui in generale porremo Ke— slo Allora sarà I=mK, e posto 14+-=wK, si avrà = n mR nm et Ly Cc — 689 — sarà I= 10K e quindi 2I= 20K, e posto ancora l+l=nK dove x=0 1 2...20, avremo dalla (2): nK — 10K nT- 10 (5) Cioni ok * o Facendo variare n da 0 a 20, si avranno i seguenti argomenti / + /': 066219 10K° 11Kd8820K8 a cui corrisponderanno rispettivamente i valori di C: — 1.00 — 0.90 —0.80...—0.10 0.00 + 0.10...4-1.00, laonde si ha la seguente tabella dei valori del coefficiente C: nK=14l C nK=l+7 ONNREBIBi PS 00., media: 0,0492 i gh EI n 1,201 0,0498 0 Sa ’ 1,840 0,0550 | 0 ZAR ’ 1,301 0,0534 > media: 0,0541 0 Zago 5 1,818 0,0539 Leca [II]. bo Uni 9g E Cal. spec. = TEO SRO] 1,259 0,0448 Lig giu7 8229881 7 ’ 1,823 0,0471 } media: 0,0463 Exigo 288,1 ” 1,320 0,0470 0 Eri] o 1,394 0,0496 | 0 24(0),9 ” 1,441 0,0513> media: 0,0501 e 1338) 0049400) Per i metalli puri che servirono per preparare le leghe, si ebbero, in buon accordo con quelli di Richards e Jakson ('), i seguenti valori: Antimonio. lo ta 9g E Cal. spec. — 18897 =— 8495 283,25 1,023 0,0440 — 189,1 —85,0 ” 1.048. 0,0451 media: 0,0446 — 190,5 — 88,4 ” 1,039 0,0447 | 0 — 76 ,4 ” 1,128. 0,0485 0 — 75,9 ” 1,097 0,0472 media: 0,0480 0 — 76 ,6 ” 1,123. 0,0483 (1) Zeit. fiir phys. Chemie, 70, 414 (1910). — 696 — Arsenico (cristallino). to ti g E Cal. spec. — 190°9,6 —84°,6 22,42. 1,569 0,0700 — 191,2 —83,9 ’ 1,589 0,0709 media: 0,0701 SENESI 802 ” 1,596 = 0,0694 0 — 7691 ’ 1,699 0,0758 | (0) — 75,9 ” 1,675 0,0747 media: 0,0756 0 — 74,8 ” 1,711 0,0768 i Col calorimetro a toluolo, tipo Fabre e Silbermann, descritto da Schottky (1), fra le temperature di 25°,0 [# 0,1] e 0°, ebbi i seguenti ri- sultati (valori medî): 9g E Cal. spec. LegaVi[i] et 02 0,825 0,0576 Lega: [eee 6-17 0,900 0,0557 Lega [III] User 15,43 0,805 0,0522 ATviMOnio. . CONO ENI 0,898 0,0496 Arsenico . |. OASI 0 741 1,578 0,0813 Quando con C,p si indichi il calore specifico della lega; con 91,9: il peso dei componenti; e con €, es i loro calori specifici; con la formola n So UD G+9? si calcola : Temperatura assoluta Cal. specifico media, Î 137 0,0514 Lega [I] 234 0,0538 285 0,0561 Î 137 0,0489 Lega [II] 134 0,0526 \ 285 0,0549 Î 137 0,0460 Lega [III] | 234 0,0495 285 0,0514 Se ora ammettiamo la relazione v' 0' 1) A (1) Phys. Zeit, X (1909), 634. — 697 — dove v' è la frequenza atomica dell’arsenico nella lega di punto di fusione assoluto 0’, e » ne è la frequenza atomica allo stato puro, in cui fonde a T, gradi (assoluti), possiamo, coi dati sperimentali, ricavare T, . Si ha Csp (91 + 9g.) — 1% Cas = Ya dove con Cas, Cs si indica il calore specifico dell’arsenico e dall’antimonio nella lega, e con Cp il calore specifico, sempre a pressione costante, della lega. Senonchè, il calore specifico dell'antimonio, nelle leghe considerate. è praticamente eguale a quello dell’antimonio puro, perchè il punto di fusione del metallo e delle leghe differisce assai poco. Allora, moltiplicando Cas per il peso atomico dell’arsenico, si ha il calore atomico C dell’arsenico, e, da questo, il valore di »' con l'equazione = A Bè c=tr lr] sal) bo.) quando si supponga che il calore specifico a pressione costante non differisca apprezzabilmente da quello a volume costante. Questo fatto si verifica con migliore approsssimazione a temperatura bassa. Dal calore specifico del me- tallo puro, alla stessa temperatura, si calcola v: e così, nella (1), è tutto noto, meno che T,. Per la lega [I], alla temperatura assoluta media di 137 gradi, si calcola e per la lega [II], alla stessa temperatura, Ibi = 1154 ° Come media, dunque, T, = 1202. Il valore così calcolato non differisce molto da quelli trovati da Goubau e Jolibois, e, data l’ approssimazione delle ipotesi accettate, il risultato presenta un notevole interesse. Tanto più che anche le considerazioni di Biltz (!), sopra la classificazione degli ele- menti in base alla variazione periodica delle frequenze atomiche, sembrano confermarlo. (*) Zeit. fùr Elektr., XVII (1911), 670. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 91 — 698 — Fisica. — Sull’esperienza di Clémeni e Desormes e sulla determinazione dell’equivalente meccanico della caloria. Nota di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. Il calcolo dell’ esperienza di Clément e Desormes, viene di solito ese- guito in modo indiretto e piuttosto illogico, poichè viene basato sulla legge di Poisson (o Laplace) sulla variazione adiabatica di pressione dei gaz, la quale a sua volta viene dedotta dal 1° principio di Termodinamica e ces- serebbe d'esser vera se questo non lo fosse. Quindi il valore che si ottiene pel rapporto dei calori specifici dell’aria a pressione o a volume costante, pare vero solo se si ammette l'esattezza di esso principio, e la celebre dimostrazione che di questo diede Roberto Mayer pare fondata sopra una petizione di principio. Invece è possibile dedurre dall'esperienza di Clément e Desormes il suddetto rapporto senza far uso nè della legge di Poisson, nè del 1° prin- cipio di Termodinamica, ma bensì direttamente con calcolo e ragionamento così semplice e diretto, che forse è quello stesso che era nell’intenzione degli autori, reso oscuro dalle idee, dalle tendenze e dalla fraseologia di quel tempo. Sebbene l’esperienza ed il modo solito di calcolarla siano ben noti, credo necessario ripeterli, per maggior chiarezza, per confronto, ed anche perchè occorreranno in seguito i dati relativi. 1°) Si ha un grosso pallone con aria, che nella prima fase dell’espe- rienza ha la pressione, il volume e la temperatura assoluta indicati da ,, v, T,. La pressione p, è un po' minore di quella esterna p e sarà dun- que p, =p — h, essendo ” piccolo e dato da un apposito manometro ; la temperatura sia la stessa di quella ambiente T contradistinta coll'indice 1 solo per omogeneità d' indicazioni. 2°) Si apre e si richiude rapidamente il grosso rubinetto di cui è munito il pallone; l’aria esterna vi penetra stabilendo l'uguaglianza di pres- sione coll’esterno, e l’aria del pallone si riscalda un poco per effetto di questa compressione. Alla fine di questa seconda fase dell'esperienza, cioè appena richiuso completamente il rubinetto, la pressione il volume e la temperatura siano ps, vs, T: essendo da notare che pì = p pressione esterna e che TT=T-+0dT. 3°) Lasciando il pallone a sè, e supponendo invariate la pressione e la temperatura esterna, il calore prodotto dalla compressione si disperde e l’aria del pallone ritorna alla temperatura ambiente, mentre la pressione decresce perchè il volume è costante. — 699 — Indicando con p; , 03, T3 le condizioni dell'aria del pallone alla fine di ‘questa 33 fase, sarà ps =p — #', essendo #' dato dal manometro, v3 = v; e s_M5 Il passaggio dalla 1 alla 2° fase è rapidissimo quindi adiabatico, e per esso vale la legge di Poisson: (1) fot = os essendo % il rapporto cercato dei calori specifici. Inoltre nella 1 e nella 3 fase, la temperatura è la stessa, quella dell'ambiente, quindi vale la legge di Boyle: (2) Pv = P30s, ossia pivi = pio. Dividendo membro a membro le due uguaglianze (1) e (2), ed osservando chelflgs 3 si ha: kA1l PIT = psipa è (kK—1)logp, = £logps — log ps MB O a On I Pa A Van der Waals (Lehrbuch der Thermodynamik Bd. I) fa notare che nella dimostrazione della legge di Poisson deve essersi introdotto il 1° prin- cipio di Termodinamica che essa legge presuppone. Questa dimostrazione riferita dal Gehler (Physikalisches Worterbuch) e dal Mach (Die Wàrme) mi riesce poco chiara (direi anzi poco persuasiva) e non vi trovo traccia del suddetto principio. Forse Poisson ha cercato d’ottenere con un procedimento (o con un artifi- zio) analitico una legge della compressibilità adiabatica dell'aria, tale da metter d'accordo i valori sperimentali della velocità del suono nell'aria colla formula di Newton, dimodochè in fondo la legge di Poisson sarebbe basata sull'esperienza e solo perciò d'accordo col 1° principio di Termodinamica mentre questo non era conosciuto. Ecco ora come si può ottenere il suddetto valore di 4, senza far uso della legge di Poisson, nel modo che deriva naturalmente dall'esperienza stessa. Ai tempi di Clément e Desormes, in seguito alla costruzione e diftu- sione dell’acciarino pneumatico, era ben noto che l’aria si riscalda per ef- fetto d'una compressione e si raffredda per effetto d'una rarefazione, Senza tener conto della causa, allora sconosciuta, di queste variazioni di temperatura era dunque, anche allora, chiaro che per riscaldare di 1° un chilogramma d’aria, lasciando che si dilati a pressione costante, si richiede maggior quantità di calore che per riscaldarla di 1°, in vaso chiuso a vo- — 700 — lume costante, perchè nel 1° caso occorre compensare il raffreddamento pro- dotto dalla dilatazione suddetta. Se si misura la diminuzione di temperatura prodotta nell'aria da una uguale dilatazione, avremo di quanto meno di 1° si riscalda 1 kgr. d’aria a pres- sione costante quando riceva la quantità di calore che la riscalderebbe di 1° a volume costante, e si potrà agevolmente dedurne il rapporto dei due calori specifici. Il semplice calcolo può esser condotto nel modo seguente: 1°) Si abbia in un recipiente impermeabile al calore 1 kgr. d’aria, e siano p,v,T, le sue condizioni; lo si riscaldi di 1° a volume costante, ciò richiederà una quantità di calore ec, e farà aumentare la pressione di p(1/T). 2°) Lo si lasci dilatare adiabaticamente finchè la sua pressione è ri- tornata quella iniziale (p. es. la pressione esterna), esso si raffredderà, per effetto di questa dilatazione, di 0, T incognito, il suo volume crescerà e di- verrà v =v(T+1—0,T)T [poichè essendo p costante si ha v/T = = v'/(T-+-1 —d, T)] pure incognito ma che non occorre determinare. 3°) Si può ottenere lo stesso risultato, cioè di far passare l'aria dallo stato p, vT allo stato p, 0, T+4+1°— d, T (essendo v' determinato dai va- lori della pressione e della temperatura) riscaldando l’aria di 1° —d,T a pressione costante ciò che richiederebbe una quantità di calore cp (1° — d, T). Siccome non è concepibile che l'aria in condizioni uguali possieda di- verse quantità di calore, quelle che in definitiva avrà guadagnato l’aria nel passare dalle condizioni iniziali alle finali, nei due casi saranno uguali e sarà: (3) co. l°=cp(1—d,T) k= cpeo=1/(1-—-dT). Se invece si riscalda 1 kgr. d'aria di 1° a pressione costante, ciò che richiederà una quantità di calore c, e farà aumentare il volume di (1/T)», e poi la si comprime adiabaticamente fino al volume iniziale, essa per effetto di questa compressione si riscalderà di 0, T, la sua temperatura sarà dun- que cresciuta a partire dallo stato iniziale, di 1° + 0, T e la sua pressione sarà divenuta p' —= p+p(14d,T)/T pure incognita, ma che non occorre conoscere. Lo stesso risultato, cioè d'aver fatto passare 1 kgr. d'aria da T a T+1+d,T a volume costante ed alla pressione corrispondente, si può ot- tenere riscaldando direttamente 1 kgr. d’aria di 1° + d, T a volume costante, ciò che richiederà una quantità di calore c, (14 d; T), e poichè le quan- tità di calore ricevute dall’aria nei due casi devono essere uguali, sarà: (4) Co. 1°= c,(1° + 0,91) k=cple,=1+0:T. — 701 — Le stesse relazioni si ottengono procedendo per raffreddamento, cioè uguagliando la quantità di calore che in definitiva perde 1 kgr. d'aria che viene raffreddato di 1° a volume costante, e poi compresso fino alla pres- sione iniziale con quella che perderebbe la stessa aria se fosse raffreddata d'altrettanto, (1 + d, T), a pressione costante, oppure uguagliando la quan- tità di calore che essa perde quando venga raffreddata di 1° a pressione costante e poi ridotta al volume iniziale, con quella che perderebbe se fosse raffreddata d'altrettanto (1° + d, T) a volume costante. Il valore di X sarà dunque noto se si determina sperimentalmente di quanto si riscalda o raffredda l’aria che subisce una determinata varia- zione istantanea di pressione, oppure di volume. Questa determinazione evidentemente non potrebbe esser fatta con un termometro a mercurio; esso tarda troppo a mettersi in equilibrio di tem- peratura coll’aria, mentre invece la temperatura che si vuol misurare varia rapidamente; inoltre la sua massa è troppo grande. Maggiore probabilità di un buon risultato in questa misura s’'avrebbe usando uno speciale bolometro, di massa piccolissima, di gran superficie estesa per tutto il volume dell’aria, dimodochè della temperatura, certo non uniforme, di questa si potesse avere molto rapidamente (e con opportune cor- rezioni per il calore ceduto nel brevissimo tempo alle pareti) il valore medio. Clément e Desormes hanno evitato le suddette difficoltà: 1° usando come termometro la stessa aria che viene dilatata o compressa; 2° evitando di misurare direttamente la temperatura prodottasi e rapidamente variabile, e misurando invece di quanto ne differisce la temperatura ambiente. Mi pare anche molto opportuna la compressione dell’aria effettuata senza ricorrere a uno stantuffo, il quale produce calore per attrito e ne sottrae per condu- zione e forse anche nel meccanismo stesso della compressione. 3° Evitando di misurare direttamente la temperatura prodottasi e molto rapidamente varia» bile, e misurando invece di quanto ne differisce la temperatura ambiente. La pressione %' osservata nel manometro, nella 3* fase dell'esperienza, misura dunque la variazione di temperatura prodotta dalla rapida varia- zione di pressione. Poichè la variazione di temperatura di 1° fa variare la pressione di (1/T)p, la variazione di pressione /' corrisponderà ad una va- riazione di temperatura 4" T/p. Lo stesso risultato s'ottiene osservando che nella 2% e 38 fase dell'esperienza il volume dell'aria è lo stesso, quindi : pelps= Te/T3, ossia p/(p—M)=(T+0T)/T, quindi, con molta approssimazione trascurando 4’ rispetto a p si ha: OI WI pe La variazione di temperatura OT è stata prodotta nell'esperienza da una variazione di pressione 7 qualsiasi, ma nella formula (83), d\T si riferisce — 702 — ad una variazione di pressione (1/T)yp, dunque in questo caso %= p/T, quindi 0,T = h'/h. Quindi la formula (3) dà: k= cples=1/(1— N'/h)=h/(h—h) come si ottiene facendo uso della legge di Poisson. È possibile variare l’esperienza di Clément e Desormes in modo da ricavarne direttamente il riscaldamento prodotto nell'aria da una determi- nata diminuzione di volume dv = (1/T)v; ma non mi pare che ciò rechi nessun utile, perchè l'esperienza riuscirebbe più complicata e darebbe pro- babilmente valori meno esatti, ed inoltre questo riscaldamento d,T può esser dedotto, con un calcolo molto breve, dall'esperienza solita. Difatti il riscaldamento d,T = #'/h è ottenuto mediante un aumento di pressione p/T, mentre il riscaldamento d,T s'otterrebbe, come s'è visto, mediante un aumento di pressione p (14 d,T)/T, quindi per la proporzio- nalità fra le piccole variazioni di pressione e di temperatura s’avrà: 0,T OT _R'/h h' TETTO, dg inn > Sostituendo questo valore di d,T nella (4) si ottiene: MAGO (I TASE “a Me aL come s'era trovato colla formula (3). I valori ottenuti per d,T e d.T, cioè #'/h ed #'/(h — 4') si riferiscono alle variazioni di pressione o di volume (1/T)v,(1/T)p rispettivamente; se invece queste fossero qualsiasi, purchè molto piccole e vengono indicate con dp, dv, le corrispondenti variazioni di temperatura saranno ad esse pro- porzionali, ed indicandole ancora con d,T,0,T sara: OT RA OM (A =) do (Wp DO OL 3 cioè: i DIANE di A h DI (5) lire (6) E 3 PT da a dove /'/h ed R'/(h —h') sono due costanti numeriche ottenibili coll'espe- rienza per un valore particolare qualsiasi di dp o di dv, uguali approssima- tivamente (per l’aria) a 0,29 e 0,4, ed esprimibili anche come s' è visto da: N Co We ana Ga ? ES Per dp = (1/T)p oppure dv=(1/T)v, le formule (5) e (6) dànno 0,T= hh, dT =HW/(h — N), e per dp = h sarebbe d,T= 7. T/p come s'era già trovato. — 703 — Rimane così dimostrato che sebbene nell'esperienza di Clément e De- sormes la variazione adiabatica dalla 1% alla 2* fase sia indispensabile per ottenere il rapporto X dei due suddetti calori specifici dell’aria, tuttavia non è necessario conoscere le leggi di questa variazione (se essa è sufficien- temente piccola), e basta la conoscenza della variazione di temperatura che essa ha prodotto e che è data direttamente dall'esperienza. È chiaro che il semplice apparechio di Clément e Desormes può ser- vire utilmente: 1° per mostrare la trasformazione del lavoro in calore pro- ducendo la solita rapida compressione, accompagnata da riscaldamento, dell’aria del pallone; 2° per la trasformazione inversa di calore in lavoro producendo invece nell'aria del pallone una rapida dilatazione accompagnata da raffreddamento cioè da consumo di calore; 3° per dedurre da queste espe- rienze l'equivalente meccanico della caloria, calcolando il lavoro impiegato oppure ottenuto, ed il calore che è stato prodotto o consumato, in modo es- senzialmente uguale, ma praticamente più semplice, d'una celebre esperienza di Joule. Si eseguisca nel modo solito l’esperienza di Clément e Desormes, e siano p— h,v,T le condizioni iniziali dell’aria del pallone,e p.v,T + d,T quelle subito dopo aperto e chiuso il rubinetto p—#',v,T quelle finali. Il lavoro fatto dalla pressione atmosferica nel comprimer l’aria del pallone sarà p (v —v'), e siccome la legge di Boyle per la 1 e.3* fase dà: (p—hv=(p—h)v', si avrà per esso lavoro con molta approssimazione p(v—-v)=v(h—hk') (cioè pdv= — vdp) che è molto facilmente calco- labile in chilogrammetri, avvertendo che la pressione dovrà essere espressa in chilogrammi per cm? ed il volume in metri cubi. Il calore prodotto da questo lavoro sarà P. cy 0,T, se P=vD è il peso dell’aria del pallone e D la sua densità. Siccome l'aumento di tempe- ratura d,T è uguale ad #T/p, ed il calore specifico ec, a (1 — 4°) cp/h esso calore sarà: (h—- h)/N' Ron d,T = hp Co lega che potrà anch'esso essere calcolato numericamente; dividendo il suddetto lavoro per questo calore s'avrà l'equivalente meccanico cercato. Non sostituendo i valori numerici, ed indicando con E l'equivalente meccanico della caloria, s'avrà: h_- N p(v—-v)=v(h—-h)= vD (A e hp ossia poichè #'/h= (cp — c3)/cp, rimarrà la nota relazione: UP SEI SLOT PAN sE dr D(c,— &)T — 704 — Fisica. — Za durata minima di un suono suffictente per indi- viduurto. Nota del dott. G. GIANFRANCESCHI, presentata dal Socio P. BLASERNA. Nello studio analitico di suoni importa molto sapere quale sia la durata del periodo più lungo che in essi si verifica, per essere sicuri di tener conto nell’analisi di tutti i suoni componenti. Poichè spesso il periodo più lungo non è quello che corrisponde alla nota fondamentale in cui il suono è stato prodotto: il suono può essere accompagnato per es. da rumori molto bassi, i quali hanno ancora grande importanza nel timbro, oppure può comprendere note superiori il cui numero di vibrazioni non sia un multiplo intero delle vibrazioni del fondamentale, Quando si possiede un tratto abbastanza lungo della curva sonora scritta sì può sempre riconoscere qual'è il periodo più lungo; ma quando non si abbia a propria disposizione che qualche vibrazione seritta, importa molto sapere se quel piccolo tratto di curva sia capace di individuare completa- mente il suono che si vuole studiare. Un problema analogo a questo è quello di determinare il numero minimo di vibrazioni necessario per riconoscere un suono. Questo problema non è nuovo. Già il Savart nel 1880 si era occupato della questione, e dopo lui se ne occuparono Villari e Marangoni, l’Exner, Cross e Maltby, ed il Meyer. I risultati non sono concordanti; secondo alcuni si richiede un buon numero di vibrazioni, secondo altri basta anche una sola, anzi anche una fra- zione di vibrazione. Il Nagel conclude, dalla critica de’ varî sperimentatori, che ordinariamente bastano due vibrazioni di un suono ascoltato per ricono- scerlo completamente. Nel mio studio sulle vocali mi importava conoscere questo numero mi- nimo per giudicare sulla sufficienza di un piccolo numero di vibrazioni scritte. Adoperavo l’ interruttore differenziale del Blaserna. Questo, come è noto, consiste in un cilindro ruotante Z la cui superficie laterale è in parte metal- lica, ad ampiezza variabile a scaglioni. Il circuito elettrico si chiude dal perno su cuì gira il cilindro, alla superficie metallica sulla quale si appoggia un leggero contatto a molla €, che sì può spostare parallelamente ad una generatrice del cilindro. Il circuito include un microfono M dinnanzi al quale si produce il suono voluto e, a lunga distanza, un telefono. Davanti al microfono si produce con continuità per un certo tempo il suono. In un’altra camera è posto il telefono. Si mette in rotazione il cilindro interruttore e si sposta il contatto mobile € verso le durate minori di con- tatto fino a che al telefono è possibile riconoscere il suono. La velocità di Sr) — ‘ rotazione del cilindro si può conoscere determinando la nota che si ottiene soffiando attraverso un disco forato che gira con quello. La frazione di giro che costituisce la durata del contatto si legge direttamente sul cilindro. Così si può calcolare la frazione di secondo che rappresenta la durata minima necessaria per riconoscere il suono. Il contatto strisciante turba leggermente il suono, ma non impedisce di riconoscerlo; anzi quando avanti al microfono si produce un suono, il rumore dovuto allo strisciamento diminuisce sensibilmente. Si può anche evitarlo in parte, facendo in modo che l'interruttore differenziale chiuda un circuito secondario, il quale includa un relais che a sua volta chiuda il circuito principale. Ecco i risultati di alcune esperienze. La durata minima percettibile è rap- presentata con 7 in frazione di secondo. Suoni Altezza Valore di 7 Numero corrispondente di vibrazioni 1 ì Canna d'organo Re» 36 circa 4 La L 5) » ” Treprti b,) i ; 42 Fischi La I » 22 ISCR 7 2 Il » ° . . L 5 - Li 43 : 40 Corista La ! » 4 I ai 3 108 Vocali vari Do se e 0 1 Varie . 2 108 Da questa tabella si può osservare che non esiste un numero minimo di vibrazioni costante per i varî suoni; apparisce piuttosto costante la durata minima del suono. Fanno eccezione il corista normale e le vocali. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 92 = 100 Queste osservazioni permettono le seguenti: CONCLUSIONI. La durata minima di un suono necessaria per riconoscerlo è una costante per i varî suoni se si calcola come tempo, non come numero di vibrazioni. Tale durata costituisce una costante fisiologica, e può rappresentare il tempo minimo necessario all'organo dell'udito per adattarsi al suono che è prodotto esternamente. Questa costante è circa ci di secondo. Graficamente è certo sufficiente una sola vibrazione completa per riconoscere il suono, intendendo per vibrazione completa quella ehe corrisponde al più lungo periodo. Per alcuni suoni, per i quali l'orecchio dello sperimentatore è più eser- citato, la durata minima può diminuire sensibilmente. Questo potrebbe essere giustificato dal fatto che nel caso mio ho potuto percepire il suono del corista normale e quello delle vocali in de di secondo. Ora a questi due suoni io sono in modo speciale abituato, perchè da quattro anni mi occupo dello studio del corista campione, e da due anni delle vocali. Di più, ripetuta l'esperienza con altro sperimentatore si richiedeva un tempo maggiore, e del- l’ordine di quello richiesto per gli altri suoni. Bisogna osservare che col metodo da me adoperato il suono si riproduce più volte e a piccoli intervalli. La velocità con cui girava il cilindro era generalmente di cinque o sei giri al secondo, ed a ogni giro il suono si ripro- duceva. Questa ripetizione facilita naturalmente l'adattamento dell’orecchio alla percezione del suono. Quando dunque il suono venisse prodotto per una sola volta si richiederebbe probabilmente un tempo maggiore di durata. Per ciò che riguarda la questione particolare delle vocali si può con- cludere che niente di più si richiede per il riconoscimento, di quello che basta per gli altri suoni. Se dunque acusticamente due o tre vibrazioni bastano per individuare una vocale, nell’analisi non v'è ragione di richiedere un nu- mero maggiore di onde scritte. — 707 — Chimica. — Su: fenomeni di trasformazione nei molibdati e wolframati di sodio (*). Nota I di M. AmapoRrI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In alcuni lavori precedenti ho studiato termicamente alcune coppie di sali i cui costituenti erano i solfati, cromati, molibdati e wolframati di sodio e di potassio. In questi lavori venivano presi in considerazione non solo i fenomeni di solidificazione dei sali e delle miscele, ma nelle masse solide venivano anche seguite le varie modificazioni che avvengono in seguito a trasforma- zioni dei componenti: tutti questi sali infatti esistono per lo meno in due modificazioni. Nei Rendiconti di questa Accademia furono pubblicate le ricerche che riguardano le coppie tra solfato, cromato, molibdato e wolframato di potassio (*), quelle dei solfati di sodio e di potassio con i relativi carbonati (*) e ni- trati (‘). Altre ricerche furono pubblicate negli Atti del R. Istituto Veneto, e cioè quelle sulle miscele del molibdato e del wolframato di potassio con le corrispondenti anidridi (*), e quelle tra cromati, molibdati e wolframati di sodio e di potassio (5). In tutte queste ricerche le determinazioni dei singoli punti furono sempre fatte seguendo le curve di raffreddamento, come è uso costante di tutti gli sperimentatori in questo campo. In un recente lavoro van Klooster(?) ha voluto studiare il grado di esattezza che si può raggiungere nello studio termico seguendo di confronto il riscaldamento ed il raffreddamento della massa. Come materiale di espe- rienza egli ha scelto appunto i solfati, molibdati e wolframati di sodio e di potassio studiandone la solidificazione, la fusione e le loro trasformazioni. I dati di van Klooster sui solfati di sodio e di potassio ottenuti nel raf- freddamento e riscaldamento concordano con i miei e con quelli di prece- denti autori, salvo le usuali piccole diversità nei valori assoluti di tempe- ratura. Dei corrispondenti cromati van Klooster non si è occupato. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di chimica generale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. (£) Questi Rendiconti, XXII, I, 453. 609 (1913). (3) Questi Rendiconti, XXI, II, 65 (1912). (4) Questi Rendiconti, XXII, II, 832 (1913). (5) Atti R. Istituto Veneto, LXXII, II, 898 (1912-18), (6) Atti R. Istituto Veneto, LXXII, II, 903 (1912-13). (?) Zeit. f. anorg. Chemie, 85, 49 (1914). — 708 — Dal complesso delle ricerche finora compiute dai varî autori è indubbio il dimorfismo di entrambi i solfati e cromati di sodio e di potassio: ho ritenuto perciò inutile occuparmi ulteriormente di questi sali. Interessante e necessario da parte mia si presentava invece il proseguire lo studio dei molibdati e dei wolframati di sodio e di potassio: infatti i risultati ottenuti da van Klooster non sono sempre in accordo con i miei: per il molibdato e per il wolframato di potassio egli trova i miei dati in qualche punto errati, in qualche altro manchevoli: i miei dati sul molibdato e sul wolframato di sodio non erano a conoscenza di quell'autore: le diversità per questi sali non sono rilevanti, ma meritano qualche ulteriore osservazione. Ho voluto perciò ripetere esperienze in proposito seguendo il riscalda- mento e il raffreddamento dei sali, e completare queste ricerche con altre per escludere ogni dubbio sulla natura di certi fenomeni osservati. In tutte queste esperienze i sali vennero riscaldati entro crogiolo di platino: nel centro della massa veniva immerso direttamente una pila ter- moelettrica di PtPtRd dello spessore di 0,5 millimetri: le tempera- ture venivano lette direttamente su galvanometro Siemens ed Halske: Ja pila ed il galvanometro vennero graduate prendendo come punti fissi le temperature di solidificazione del piombo (326°), dell’antimonio (630°) e dell’argento (961°). Le letture venivano fatte di 10" in 10". Il riscaldamento e il raffreddamento venivano fatti in forno a resistenza di filo di nichel e cromo, e venivano regolati mediante un insieme di resi- stenze in modo da avere ogni 10" un aumento o una diminuzione di tempe- ratura variabili da 1° a 2°-3°. Le quantità di sale adoperate erano di 15-20 grammi. Molibdato sodico. — Il molibdato sodico è tetramorfo. Con il me- todo del raffreddamento sovo stati osservati dai varî autori i seguenti punti di solidificazione e di trasformazione : Punto solidif.. Trasform. 18 Trasform. 2% Trasform. 3 Hittner e Tammann (?) 692° 620°-605° = 4109-3309 Boekes (2) LUI ea 692 619 587° 431 Gioschutit(2) MSSeSeE 686 609 975 408 Amadori (loc. cit.) . . 688 614 574 405 Van Klooster (loc. cit.) 685 626 580 397 Il sale adoperato in queste, come nelle precedenti ricerche, fu il mo- libdato sodico Kahlbaum che venne disidratato mediante riscaldamento. Anche in queste ricerche il punto di solidificazione risultò a 688°. I due primi punti di trasformazione risultarono a 616° e 580°. Il terzo punto (*) Zeit. f. anorg. Chemie, 43, 215 (1905). (2) Zeit. f. anorg. Chemie, 50, 355 (1906). (?) Zeit f. anorg. Chemie, 58, 113 (1908). — 709 — di trasformazione fu trovato a 410°; la trasformazione avviene con notevole sviluppo di calore. Van Klooster seguendo il riscaldamento del molibdato sodico ottenne trasformazioni a temperature superiori a quelle avute nel raffreddamento e date nella tabella, e cioè le temperature di trasformazione osservate furono: 640°, 592°, 445°. Anche le mie ricerche fatte riscaldando il sale condussero a tempera- ture di trasformazioni superiori a quelle avute nel raffreddamento. La I e la II trasformazione risultarono a temperature di 10-15° superiori a quelle osservate nel raffreddamento, e cioè a 634° e a 592°: l’altra trasformazione risultò a 444°, e cioè a una temperatura di 34° superiore a quella avuta nel raffreddamento. È noto per le ricerche di Boeke(') quale influenza su quest’ ultima trasformazione possa avere la presenza di piccole quantità di certi sali, e come ad esempio la presenza di 1°/ di solfato abbassi circa 200° quella temperatura di trasformazione. A questo proposito farò notare che in alcune esperienze ho agito con un molibdato sodico, il quale, mentre mostrava lo stesso punto di solidificazione e gli stessì punti di trasformazione I e II subiva la III trasformazione con arresto considerevole a 254°. Il sale mostrò all'analisi che conteneva pic- cole quantità di solfato al quale probabilmente era dovuta la bassa tempe- ratura di trasformazione. È però da notare che, raffreddato il sale, questo per successivo riscalda- mento non dava il punto di trasformazione a 254°, ma a 444°: ciò avveniva non solo se nel raffreddamento si portava il sale a temperatura ordinaria, ma anche se oltrepassata di poco la trasformazione, per es. fino a 220°, subito lo si riscaldava. Se al contrario il sale veniva raffreddato solo fino ad una tempe- ratura superiore anche lievemente a quella cui la trasformazione avviene, per es. fino a 270, per successivo riscaldamento a 444° non si manifestava alcun effetto termico. Wolframato sodico. — I punti di solidificazione e di trasformazione di questo sale trovati con il raffreddamento delle masse fuse sono i seguenti : Punto di solidificaz. Trasform. 1% Trasform. 2 Hittner e Tammann (loc. cit.) 698°, 690° (?) — 570° Boekegi(locsNcit) Rei 698 088° 564 Patravanol(AMI SO ar 698 585 568 VanBkflooster() Ri 700 389 572 Amadori (loc. cit.) . . . . 694 976 560 Van Klooster (loc. cit.) . . . 694 587 970 (1) Zeit. f. anorg. Chemie, 30, 355 (1906); Zeit. f. phys. Chemie, 56, 686 (1906). (3) Gazz. Chim. ital., 29, è, 55 (1909). (3) Zeit. f. anorg. Chemie, 69, 1385 (1910). IO Van Klooster come in precedenti ricerche anche in queste ultime trovò, con il metodo del raffreddamento, che si hanno due effetti termici notevoli a 587° e a 570°, i quali dovrebbero corrispondere a due trasformazioni del wolframato sodico. Riscaldando però la massa salina non riebbe i due ar- resti osservati nel raffreddamento, ma un solo arresto, il superiore, a 587°. In queste mie ricerche compiute come le precedenti su wolframato so- dico Kahlbaum, la temperatura di solidificazione risultò a 696°, e alquanto superiori a quelle avute precedentemente furono le due temperature di tras- formazioni, cioè 582° e 571°; quest'ultima con effetto termico di molto su- periore alla precedente. Riscaldando la massa ebbi un solo arresto a 580°- 584° di durata considerevole. ? Dalla comparsa di questa unica variazione termica che si osserva nel riscaldamento van Klooster deduce che solo una trasformazione ha realmente luogo per il wolframato sodico a 587°. A questo proposito van Klooster compì alcune esperienze. Raffreddata la massa a 586°, un grado sotto la temperatura del primo effetto termico, e mantenuta a questa temperatura per circa mezz'ora, per raffreddamento successivo riottenne l'arresto a 570°. Riscaldata la massa a 583°, e mantenuta a questa temperatura per 15 minuti, per successivo raffreddamento riottenne l'arresto a 570°. Queste esperienze mi sembra confermino l’esistenza di due trasforma- zioni. Infatti la prima esperienza mostra che mantenendo la massa a 586° non sì completa la trasformazione iniziata a 587°, poichè per raffredda- mento sì ha un nuovo effetto termico a 570°: la trasformazione che avviene a 587° quindi è diversa da quella che avviene a 570°. La seconda esperienza mostra che riscaldando la massa a 588° avviene una trasformazione; infatti per raffreddamento si ha l’effetto termico a 570°: non è perciò necessario raggiungere la temperatura di 587° perchè avvenga una trasformazione. La doppia trasformazione che avverrebbe a queste temperature è con- fermata dalle ricerche ottiche compiute da Boeke. Egli osservò che i cristalli di wolframato sodico, i quali al di sopra di 600° sono doppio rifrangenti, poco al di sotto di 600° assumono una forte doppia rifrangenza e cambiano colore; a una temperatura un po’ inferiore diventano rapidamente isotropi. Gli stessi fenomeni si ripetono inversamente per lento riscaldamento dei cristalli. Le ricerche di Boeke hanno inoltre mostrato che le due trasformazioni del wolframato di sodio a 588° e a 564° sono della stessa natura di quelle del molibdato di sodio a 587° e a 481°; cosicchè per le miscele dei due sali si hanno due curve continue distinte di trasformazione che congiungono i due punti di trasformazione del wolframato con quelli del molibdato. Anche nelle mie ricerche sulla coppia wolframato di sodio e wolframato di potassio si notarono due curve di trasformazione distinte che si staccano dai due punti di trasformazione del wolframato sodico osservati. — 711 — Questo complesso di ricerche confermano che il doppio effetto termico osservato nel raffreddamento della massa, è dovuto a una doppia trasforma- zione del sale. In altra Nota verrà trattato dei fenomeni di trasformazione nei corri- spondenti sali di potassio. Mineralogia. — Sulla vera natura della miersite e della cuprojodargirite (1). Nota II di E. QuERCIGA, presentata dal Socio G. STRUEVER. Riassunti sommariamente, nella precedente Nota (*), lo stato attuale del problema ed i risultati ottenuti coll’analisi termica del sistema AgI + Cul, che escludono la formazione, in quelle condizioni, del composto 4AgI.CuI, corrispondente alla miersite di Spencer, espongo qui gli ulteriori risultati ottenuti per altra via, allo scopo di completare e controllare i precedenti. 2) Esame delle sezioni sottili dei blocchi analizzati termicamente. Osservando a luce parallela e convergente, le sezioni sottili che mi preparai tanto dalla parte di fondo che da quella superiore, delle varie masse provenienti dalle fusioni. risulta che: 1. Lo joduro d’argento puro, si presenta in prismi di color giallo- canario, tendente al verde-bottiglia molto chiaro, birifrangenti, con estinzione parallela alla direzione d’allungamento, che è otticamente positiva. 2. Le miscele al 95 °/, AgI, che termicamente presentano un rallen- tamento a 175° ed un arresto a 147°, si mostrano di colore e proprietà simili al AgI puro, ma con molte plaghe colorate un po’ più intensamente, ‘ che, esaminate, anche a luce convergente, si dimostrano monorifrangenti. La presenza di una quantità limitata di sostanza birifrangente, toglie ogni dubbio che l’invarianza dell'equilibrio a 147°, sia dovuta alla trasforma- zione della fase isotropa in quella esagonale del AgI, derivata da uno smi- ° stamento eventuale che accompagna la trasformazione dei cristalli misti, ini- ziatasi a 175°. 3. Miscele al 90°/, AgI, si presentano come la precedente, ma possiedono minor quantità di elementi birifrangenti. Ciò dimostra che anche a questa concentrazione si è manifestato lo smistamento, quantunque l’analisi termica nulla abbia detto in proposito direttamente, e solo l'esame della durata del- l’equilibrio invariante a 147°, per le miscele al 95 °/, AgI, in confronto a (') Lavoro eseguito nell’Istituto di Mineralogia della R. Università di Torino, diretto dal prof. Ferruccio Zambonini. (3) Rend. Acc. Linc., XXIII (1914), 1°, 446. — 712 — quella corrispondente a 100°/, AgI, permetta di dedurre che al 90 °/ AgI, con probabilità, lo stesso fenomeno si dovrebbe verificare, quantunque in proporzioni minori. 4. Le sezioni di miscele all'80 °/, AgI, corrispondenti alla concentra. zione della miersite, tanto se provengono dalla parte di fondo, che da quella superiore dei blocchi, hanno colorito giallo-canario, meno pallido delle pre- cedenti, con qualche punto più chiaro, che, a differenza del rimanente del campo, è birifrangente. Lo smistamento verificatosi anche a questa concen- trazione è, però, molto limitato. 5. Sezioni di miscele al 70 AgI, non mostrano alcun elemento biri- frangente. 6. Le sezioni a maggiori concentrazioni in CuI, presentano pure com- pleta isotropia ottica, il loro colore va diventando sempre più debole, vol- gendo al grigiastro, coll'aumentare del contenuto in Cul. 7. Lo ioduro rameoso puro si presenta, come termine limite di queste variazioni di tinta, grigiastro, quasi incoloro, monorifrangente. 3) Osservazione microscopica del processo di cristallizzazione. Non esistendo in questo Istituto che un vecchio microscopio da cristal- lizzazione di Lehmann reso inservibile, mi costrussi un fornelletto elettrico che applicai colle modificazioni del caso ad un comune microscopio; il pre- parato veniva in esso introdotto nella parte centrale colla saldatura di una pila termoelettrica di platino e platinorodio ben aderente al punto da esa- minare. Mi fu in tal modo possibile seguire, tanto durante il riscaldamento fino alla fusione, che nel raffreddamento fino a temperatura ordinaria, i feno- meni ottici presentati dai componenti allo stato puro e dalle loro miscele a | varie concentrazioni, esattamente dosate. È noto che la misura esatta della temperatura posseduta dal preparato microscopico in esame in tali condizioni, non è delle più facili, come la storia stessa di tali determinazioni ampiamente dimostra a spese anche di valenti sperimentatori; perciò fu mia cura di pormi nelle migliori condizioni compatibili coi mezzi sperimentali di cui potevo disporre, e di graduare la termopila collegata a tutto il sistema, con punti di riferimento fissi e noti: calcolo in tal modo di aver ottenuto dei valori che possiedono un’approssi- mazione di circa a + 5°. 1) Lo ioduro d’argento puro fonde in un liquido che, in istrati sottili e per trasparenza, si presenta di color rosso-sangue; per raffreddamento pro- gressivo passa, a 555°, con un salto brusco ed evidentissimo, al color rosso- aranciato, quindi, per gradi insensibili, all’aranciato intenso, che va man mano facendosi più chiaro, diventando poi giallo-canario, ed impallidendo in se- guito rapidamente. Se la fusione si effettua col vetrino coprioggetti, non è possibile scorgere tracce di orientazione cristallina nel raffreddamento, se si — 715 — eccettua un accenno fugacissimo nei primi istanti in cui appare la colora- zione rosso-aranciata a 555°, fino alla temperatura di formazione della fase esagonale, punto in cui il preparato assume istantaneamente struttura cristal- lina spiccata, mentre contemporaneamente il colore canario-chiaro volge al verde-bottiglia assai debole e si manifesta la birifrangenza generale nel campo, che fino a questo punto si era mantenuto otticamente isotropo. Facendo, invece, l’esperienza senza il vetrino coprioggettì, sì vede che a 555° circa il cambiamento netto di colore è accompagnato da una orien- tazione cristallina di carattere grossolanamente poliedrico; i singoli elementi si deformano però, a temperature poco lontane da quella di formazione, sen- sibilmente per azione di urti dati lateralmente al piatto del microscopio, allungandosi nella direzione perpendicolare a quella degli urti. Per raffred- damento ulteriore la plasticità diminuisce rapidamente, ed a 147° si ha la trasformazione solita. L'aspetto di questa fase, che si dovrebbe col Lehmann chiamare cristallina fluente, assomiglia molto a quello della fase plastica del benzoato di colesterile e delle sue miscele col corrispondente acetato e propionato. La fase dell’ioduro d’argento che esiste alla pressione ordinaria nell’ in- tervallo di temperatura compreso tra 147° e 557° circa risultava poco ben nota, poichè, come osservai, tuttora si ritiene da molti cubica ordinaria, da altri liquida cristallina. — Il Lehmann (') la considerò dapprima come plastica amorfa e rettificò poi la sua opinione (*), dovuta a cattive condizioni sperimentali, ritenendola cristallina plastica, otticamente isotropa, avente per forma tipica l'ottaedro, mentre Tubandt (*) si dimostrò completamente con- trario a escluderla dalle fasì solide cristalline, e d'altra parte Stoltzenberg e Huth (‘) credettero, in base alle loro esperienze ottiche, che si tratti addi- rittura di una fase liquida cristallina. Quest ultimo concetto fu adottato anche da Posner(?) nell'ultima edizione delle Tabelle di Landolt-Bòrnstein in cui riportò come punto di fusione dell'ioduro d'argento quello a 1459, e come punto di chiarificazione quello a 552° (valori da lui adottati). Non è qui il luogo di discutere la portata delle contestazioni di Tubandt, nè le conclusioni di Stoltzenberg e Huth (che credo, in base alle loro stesse espe- rienze, poco convincenti e non molto concordantì col concetto di « cristalli liquidi » esposto dal Lehmann), poichè per lo scopo delle mie ricerche è suffi- ciente sapere che si tratti di una fase cristallina, ciò che da nessuno oramai (4) O. Lehmann, Weder physikalische Isomerie. Yeitschr. f. Kryst., / (1877), 120. (*) 0. Lehmann, Zeitschr. f. Kryst., / (1877) 492 in Nota, e Flissige Kristalle, Leipzig (1904). (8) Tubandt, Nernst Festschrift (1912) 446. (4) Stoltzenbero e Huth, Die kristallinisch-fliissige Phasen bei Monoalogeniden des Thalliums und Silbers. Zeitschr. f. physik. Ch., 7/ (1910), 641. (5) Landolt-Bornsteins Tabellen, IV Aufl. (1912) 246. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 98 — 714 — viene posto in dubbio; noto, soltanto, che nelle mie ricerche non ho potuto riscontrare, nella fase discussa del Ag T, alcuna delle proprietà caratteristiche delle fasi liquide cristalline, e che quelle fra le osservazioni di Stoltzenberg e Huth che sono prive di possibili obiezioni riguardo al metodo sperimen- tale, concordano colle mie, e tutte insieme condurrebbero alla conclusione, adottata già da tanto dal Lehmann, che si tratti, cioè, di cristalli apparte- nenti alla categoria di quelli da lui chiamati: fluenti (/zessende Aristalle). 2) Miscele al 95 AgI e 5CulI (°/ mol.) hanno, allo stato fuso, color rosso-sangue, che nel raffreddamento subisce variazioni analoghe a quelle del AgI puro. A 175° cominciano a delinearsi i primi elementi cristallini sotto il vetrino coprioggetti; essi hanno colore giallo verdastro pallido e ra- pidamente si estendono a tutto il campo. A 147° alcuni cristalli più chiari, sparsi uniformemente nel campo, si manifestano birifrangenti. Eliminando il vetrino coprioggetti si osserva la formazione dei cristalli fluenti a 540-545°. 3) Miscele 90 AgI-+ 10Cu) si comportano analogamente alle prece- denti; la comparsa degli elementi cristallini giallo-verdastro chiari si veri- fica nel raffreddamento a 205°, quella dei cristallini birifrangenti di iodirite, che qui sono in quantità molto minore, a 147°. 4) Le miscele 80AgI-+#-20CulI lasciano apparire i primi individui cristallini soliti verde-giallastri pallidi a 250°, i cristallini birifrangenti in scarsissima quantità a 147°. 5) Miscele di 75 Ag 4-25 Cul si comportano come la precedente. A 147° si manifesta ancora qualche rarissimo cristallino di iodirite nel campo monorifrangente. 6) Miscele a 70AgI + 30 Cul, e 60AgI-+- 40 CuI, appaiono a tem- peratura ordinaria completamente monorifrangenti; le temperature a cui nel raffreddamento compaiono i primi elementi cristallini sono rispettivamente 260 e 270°. Tutte queste miscele, se sono fuse tra due vetrini, non lasciano scorgere tracce di orientazione cristallina in corrispondenza ai punti della curva AabB del diagramma (fig. I, Nota I); fuse invece a superficie libera, lasciano scorgere chiaramente la fase plastica otticamente isotropa alle tem- perature relative. 7) Al 50AgI+4-50Cul, si manifesta, anche tra i due vetrini, già a circa 490° ‘una grossolana orientazione cristallina in tutto il campo che si presenta otticamente isotropo. A circa 300° si osserva nettamente la trasfor- mazione di questi cristalli monorifrangenti in altri della stessa natura, che si conservano tali fino a temperatura ordinaria. 8) Miscele al 40, 30, 20 e 10 AgI, presentano fenomeni analoghi alla serie precedente, con cristallizzazione iniziale e punto di trasformazione della fase cristallina a temperatura sempre più elevata. 9) Miscele al 5 AgI14- 95 Cul, esaminate durante il raffeddamento, passano a 580° dallo stato liquido amorfo a quello cristallino, rimanendo — 715 — otticamente isotrope, come le precedenti: a circa 400° però, si trasformano talvolta, in una fase con forte birifrangenza che dura pochi secondi ed a 390° fa posto alla solita monorifrangente, che permane fino a temperatura ordi- naria. Ordinariamente, invece, si ha passaggio diretto dalla fase cristallina monorifrangente superiore, alla monorifrangente inferiore. Operando, al con- trario, a temperatura crescente, si osserva meglio e costantemente la biri- frangenza fra 390 e 400°. 10) Lo ioduro rameoso puro, in istrati sottili, per trasparenza, si pre- senta, allo stato fuso, di color rosso-aranciato, che volge al giallo col raffred- damento ed a 600° cristallizza nettamente con forme molto simili a quelle osservate da Lehmann (') per il cloruro ammonico; i cristalli, di color giallo, sono perfettamente isotropi e tali si conservano fino a 440°. A questa tempe- ratura si manifesta istantaneamente la birifrangenza generale .e molto forte nel campo, che appare costituito da cristalli prismatici molto allungati, che presentano estinzione parallela alla direzione d'allungamento. A 400°, la birifrangenza sparisce d'un tratto e l’'isotropia ottica si conserva poi fino a temperatura ordinaria. Questi fenomeni sì manifestano benissimo, tanto nel raffreddamento che nel riscaldamento; e per osservare grossolanamente la doppia trasformazione, basta riscaldare comunque, fino a fusione, dello ioduro rameoso fra due ve- trini, ed osservare il raffreddamento: ad occhio nudo, si scorge bene dap- prima la cristallizzazione iniziale accompagnata da un lieve, ma netto cam- biamento del colore rosso-aranciato, poi la trasformazione della fase mono- rifrangente formatasi, nella birifrangente, che si manifesta con variazione note- vole di colore in giallastro, ed infine il passaggio dalla fase birifrangente alla cubica inferiore con nuovo e forte mutamento di tinta. Risulta dimostrato da queste osservazioni, che lo ioduro rameoso di cui B. Gossner (?) scoperse per il primo la fase birifrangente, è trimorfo nel- l'intervallo di temperatura che va da quella ordinaria a quella di fusione. Le tre fasi cristalline hanno all'incirca i seguenti limiti di esistenza: aCul cubico 602-440°; BCul birifrangente 440-402°; yCul cubico 402° — temp. ordinaria. L'esistenza della fase cristallina monorifrangente @ CuI al disopra di quella birifrangente, dà subito ragione del fatto osservato che, tutte le miscele a concentrazioni superiori al 50 °/, di Cul, dànno, nel raffreddamento, come primo prodotto di cristallizzazione, un aggregato di cristalli otticamente iso- tropi, contrariamente a quanto era da aspettarsi in base alla ipotesi finora (1) O. Lehmann, Zeitschr. f. Kryst., 10 (1885) 321 e tav. X, fig. 14,. Ved. anche Lehmann, Nluessige Aristalle. Leipzig, 1904, tav. 39, fig. 5. (3) B. Gossner, Untersuchungen polymorpher Kòrper. Zeitschr. f. Kryst. XXXVIII (1904), pag. 131. — 716 — accettata, che la fase birifrangente fosse l'unica esistente ad elevata tem- peratura. Se si prende la temperatura di 400° come quella più elevata di esi- stenza della fase birifrangente delle soluzioni solide di concentrazione 95 Cul-- 5AgI, e si congiunge con una retta nel diagramma di stato, tale punto con quello che rappresenta la temperatura di trasformazione: aCul > #8 Cul a 440°, si vede subito che il suo prolungamento taglia la curva CD prima di giungere alla concentrazione 90 Cul: ciò indica che il campo di esistenza delle soluzioni solide birifrangenti è molto limitato e spiega come, otticamente, solo per la concentrazione 95 Cul essa si potè os: servare per un breve intervallo di temperatura, e come per le altre concen- trazioni, i cristalli misti, che chiameremo per analogia @, dalla prima fase monorifrangente si trasformino direttamente nei y-cristalli corrispondenti, senza passare per la fase - birifrangente. La trasformazione: a Cul = 8 Cul avviene con effetto termico certa- mente poco considerevole, poichè coll’analisi termica essa non fu avvertita nè da me, nè da Monkemeyer; si dovrebbe credere che anche la variazione di volume debba essere piccola, perchè non fu trovata dilatometricamente da Rodwell. [Ho voluto incidentalmente provare se anche il bromuro ed il cloruro rameosi, dei quali Monkemeyer (loc. cit., pag. 42) osservò la birifrangenza ad elevata temperatura, presentassero, analogamente all’ ioduro corrispondente, una fase cristallina monorifrangente stabile a temperature superiori, e l'espe- rienza confermò le mie previsioni. Un indizio di questa doppia trasforma- zione si può avere anche quì osservando ad occhio nudo, analogamente a quanto dissi per il CuI, il raffreddamento degli alogenuri fusi tra due vetrini colle precauzioni del caso, essendo essi molto più ossidabili. Questi tre monoalogenuri di rame possiedono, quindi, fra la fase liquida e quella cri- stallina birifrangente, una fase cristallina cubica, la quale era sfuggita a Mònkemeyer nelle sue osservazioni microscopiche in base a cui affermava (loc. cit.): « Zwischen den Deckglischen erstarrten die Verbindungen (Cu CI, CuBr, Cul) zu doppeltbrechenden Kristallen ». Mi riservo di tornare in seguito sul polimorfismo degli alogenuri rameosi |. — 717 — Chimica. — Sui dorati. Sistema Ba0 —=B?0° — H°0 a 30° (") Nota II di U. SBoRgI, presentata dal Socio R. NASINI. In una Nota precedente (?) ho riferito sulla preparazione dei borati di bario di cui mi sono servito per lo studio di questo sistema. Siccome nello studio del sistema CaO — B°0° — H?0 a 30° avevo avuio occasione di con- statare [come è dimostrato dai dati riferiti nelle Note sui borati di calcio (8) ] che il sistema perviene all'equilibrio con rapidità notevolmente maggiore se si mettono a reagire un borato preformato con acido borico ed acqua o colla base e l’acqua, piuttosto che se si mettono a reagire l’acido la base e l’acqua, ritenni opportuno anche per i borati di bario di seguire il primo metodo, e constatai subito, in esperienze preliminari, che questo presentava un vantaggio specialmente nei casi in cui occorreva sperimentare con miscugli più ricchi in acido borico e meno in harite. I metodi di ricerca ed i modi di rappresentazione grafica sono gli stessi da me adottati nello studio degli altri borati, ed è superfluo descriverli ancora. L'agitazione in termostato si compieva coi soliti apparecchi per il tempo :che indico nella tabella dove sono riuniti i resultati sperimentali. | L'estrazione delle soluzioni da analizzare si faceva anche qui con pipette due volte ricurve, attraverso tela fitta, tenendo i palloncini in termostato durante l'estrazione. L'analisi si eseguiva coi metodi volumetrici descritti anche per i borati di bario nella Nota precedente. Si adopravano o soluzioni normali, o !/, normali, o */,, normali a seconda dei casi. I resultati otte- nuti furono soddisfacentemente concordanti sia per quello che riguarda le ana- lisi successive di una stessa soluzione, sia per quello che riguarda le analisi di soluzioni a composizione costante (punti di invarianza), riferentisi ad espe- rienze diverse. Le difficoltà analitiche non erano di per sè grandi, data la semplicità del metodo di analisi; ma divenivano in alcuni casì assai rilevanti per le particolari condizioni di solubilità dei composti formantisi. Si aveva in generale da fare o con liquidi ad alto contenuto in barite e piccolo in acido borico, o viceversa: specialmente il contenuto in barite in alcuni punti era estremamente piccolo. Inoltre, nelle zone più ricche ‘in acido borico, quelle riferentisi alla curva del triborato, il precipitato si deponeva molto lentamente; e all'estrazione si aveva un liquido limpido solo adoprando grandi precauzioni. Queste stesse difficoltà io avevo constatate nello studio dei borati (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Pisa. (?) Rend Acc. Lincei, vol. XXIII, 1° sem., fasc. 7°, pag. 530. (3) Ibid., vol. XXII, 1° sem., fasc. 9, pag. 636 e 715 e fasc. 11, pag. 798. — 718 — di calcio, si può dire addirittura identiche. Tuttavia per il bario lo studio della curva del metaborato è assai più facile, perchè questa curva si estende fino a quella della barite, che è relativamente assai alta in confronto a quella della calce. Credo in ogni modo che le ricerche siano in tutti i casi facili- tate dall'impiego di borati preformati; e credo che questa sia la via più adatta per lo studio di questi sistemi riferentisi ai borati alcalino-terrosi. Ho già detto che io avevo a disposizione diversi borati di bario prepa- rati nel modo descritto nella Nota precedente. Precisamente avevo a dispo- sizione l'1-1-4, il 2-5-6 e l'1-3-7. Che i precipitati ottenuti, rispondenti a queste formule, fossero composti unici, o miscugli di borati, per il mio scopo era perfettamente lo stesso, dato che io dovevo impiegarli a reagire fino all'equilibrio con soluzioni variabili di barite in acqua o di acido borico in acqua. E del resto erano queste stesse esperienze che — meglio di ogni sup- posizione preliminare — avrebbero potuto risolvere tale questione, per lo meno per quanto riguarda la temperatura di 30°. Tuttavia, poichè il composto più cristallino, e di composizione più vicina alla teorica ed esente completamente da carbonato, era il metaborato tetraidrato ottenuto nella preparazione IV, fu con questo composto che eseguii dapprima tutte le esperienze. (Di un com- posto simile, il metaborato esaidrato, mi ero servito anche per le esperienze sui borati di calcio). In seguito, avute dallo svolgersi delle esperienze molte indicazioni sulle caratteristiche del sistema studiato, adoprai anche per con- trollo e conferma gli altri borati, specialmente il triborato, come dirò meglio dopo. Nella tabella seguente, le esperienze sono riportate nell'ordine dei punti successivi che le rappresentano sul diagramma. Per ciascuna di esse sì tro- vano indicate le sostanze che furono poste a reagire e il tempo di reazione o, a meglio dire, il tempo in cui furono lasciate in termostato. L'equilibrio si raggiungeva più o meno presto (più presto nella zona in cui la soluzione era ricca in barite, meno presto in quella in cui la soluzione era ricca in acido borico); ma, per precauzione, si protrasse il tempo di reazione in alcuni casi fino a quattro mesi. È notevole che le zone dove la reazione si faceva più lenta, erano quelle stesse del borato di caleio: e precisamente quelle in cui si aveva per corpo di fondo un composto ricco in acido borico in presenza di una soluzione assai concentrata in acido borico (concentrata, s'intende, rispetto alla solubità dell'acido borico). — 719 — (9 ‘K OGRIOGIIZ “ «“ «“ “ OqRIOQUIY + 0orI10q opro 4800'06 ESFL 606688 91706 LEF'06 SFTET98 16SF'68 682'28 F9IS9'F9 c8 18 °/» OH SGOL'E cO'0I LILOF 6896 L696 I G866 I 6IST0 FesL'o ILLEG 6506 °/o QUA OLSIY 06869 SFST SOS. 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Nota II di Livio CAMBI, presentata dal Socio A. ANGELI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Mineralogia. — Zmenite di Val Devero (Ossola)('). Nota di AnceELO BIANCHI, presentata dal Socio G. STRUEVER. Durante gli ultimi anni, in diversi periodi di dimora estiva nella bella conca verde di Baceno, che s'apre a sud-est verso la valle Antigorio (la prin- cipale delle Valli Ossolane), ebbi modo di visitare e conoscere la regione cir- costante, che forma il bacino del torrente Devero, tributario del Toce, per- suadendomi ogni anno più dell'interesse mineralogico che essa presenta. Ad occuparmene seriamente mi spinse, oltre a ciò, il fatto che nessun lavoro di mineralogia ha finora illustrato direttamente questa valle ossolana, che pur confina direttamente con una delle regioni svizzere più sfruttate e meglio studiate, la valle di Binn, e che tanta importanza ha dal punto di vista geo- logico, da poter esser considerata, assieme all'attiguo gruppo del Sempione, una regione classica, per gli studî diretti a spiegarne l'intricato sistema geotettonico (*). Intricato perchè, dal suo sbocco in Valle Antigorio, alle montagne che la circondano lateralmente, alla cima del gruppo del Cervan- done, che ne forma un magnifico sfondo roccioso, questa valle mostra il suc- cedersi e l'alternarsi di una serie di gneîss, differenti per composizione, strut- tura ed origine, con varie formazioni scistose e calcari intercalate, che oramai la maggior parte dei geologi considera come mesozoiche. Ma a tale riguardo mi basta aver accennato così, molto in generale, al motivo tettonico della regione, e ricorderò solo che è interessante la presenza, fra le montagne di confine, di una massa di Serpentina e di rocce verdi, che forma il bacino del laghi di Geisspfad, le punte della Rossa e del Fisso, e spinge le sue propaggini verso sud-ovest, a radicarsi nelle rocce del Cer- vandone (°). (') Lavoro eseguito nel laboratorio di Mineralogia della R. Università di Pavia. (£) Vedansi per la regione le opere ed i lavori ben noti del Gerlach, Traverso, Stella, Schardt, Schmidt, Preiswerk, De Stefani, ecc..., la carta di Schmidt, Preiswerk e Stella e quella recente dell’ Ufficio Geologico Italiano. (3) Studiata specialmente dal Preiswerk. Vedi anche: L. Debuissons, Za Vallée de Binn. Losanna, 1909, pp. 88 e segg. — 723 — Nella ricchissima messe di lavori relativi alla Binnenthal, e nella bel- lissima opera geologico-mineralogica di L. Debuissons che tutti li com- pendia ('), si trova bensì citato o descritto anche qualche giacimento sul ver- sante italiano della catena che separa l’Ossola e la Valle di Binn, ma si tratta solo di località ben prossime al confine, o sul confine stesso, e con- siderate come adiacenze di quest'ultima valle. Onde non ritengo privo di interesse uno studio mineralogico completo della Val Devero, pel quale in- tendo continuare e completare le osservazioni e le ricerche, già da alcuni anni intraprese e troppo spesso ostacolatemi dalle insidie del tempo od im- pedite dalla neve. Frattanto, come Nota. preliminare, non credo inutile far conoscere fin d'ora alcuni cristalli assai interessanti di /{merzte, raccolti nell'estate scorsa, occupandomi per ora della forma cristallina, nella speranza che nuove, for- tunate ricerche, mi permettano di darne in seguito anche un'analisi chimica esatta. Trovai l' Ilmenite cristallizzata in due blocchi diversi, sul versante ita- liano della catena di confine, fra il M. Cervandone e la punta della Rossa, sopra Ja morena del ghiacciaio della Rossa. L'uno è un cloritescisto tipico; l’altro una roccia notevolmente fresca, che l'esame microscopico ha dimo- strato costituita quasi essenzialmente di diallagio, con poca Olivina, qualche lamella di Clorite fortemente pleocroica, e scarsi granuli di Ilmenite, mo- stranti qua e là un principio di trasformazione in Leucoxeno. Si tratta pro- babilmente di una faczes ricca in diallagio delle Wehr/iti, osservate anche dal Preiswerk (*) associate alla dunite del passo di Geisspfad (passo della Rossa). Evidentemente dunque entrambi i blocchi provengono dalla massa di rocce verdi sopra monzionata. Nel cloritoscisto è impiantato un cristallo tabulare di Ilmenite, di di- mensioni notevoli, accompagnato da altri più piccoli in intima connessione con cristalli di Clorite, irregolarmente sviluppati, e con abito per lo più esagonale. Nel 2° campione sono parecchi cristalli e frammenti, di minor dimensione, con forma tabulare assai più tozza, ed essi pure intimamente connessi con una Clorite in cristalli irregolari, in cui prevale l’abito trigo- nale, e che, pei suoi caratteri ottici sembra doversi ascrivere piuttosto ad una Pennina che ad un CQlinocloro. Carattere essenziale e comune nei cristalli di Ilmenite da me trovati è lo sviluppo predominante (oltre all'ampiezza della base) del romboedro: n= }2243}, o ‘del reciproco: n'=}4223}, forme che si presentano pure frequenti nella Ilmenite della Valle di Binn. Anzi in alcuni cristalli di Val Devero si nota l'accoppiamento di emtrambi questi romboedri, diretto (1) Ved. op. cit. (*) Preiswerk, Veber Dunitserpentin am Geisspfadpass. Inaug. Diss. Basel 1901, — 724 — ed inverso, equisviluppati, come nell'esemplare della Binnenthal descritto dal Biicking (') e proveniente dall'Alpe Lercheltini, località assai discosta dalla nostra. Notiamo però subito che, oltre ad altri caratteri distintivi che vedremo, anche in questi cristalli del 2° tipo, lo sviluppo di una delle due forme reciproche accoppiate è tanto preponderante su quello dell'altra, da mantenere il carattere accennato. Alcune forme dell'Ilmenite del Cervan- done sono invece comuni coi cristalli della regione dell’ Ofenhorn (Punta d'Arbola), trovati nei micascisti e resi noti dal Solly (?); altre non si tro- vano alla Binnenthal, ma furono già osservate in altri giacimenti, ed altre infine sono nuove, non ancora riscontrate in tale specie minerale. Le forme da me osservate sono le seguenti: c = {0001} Ci = 2025 ta 0 e 22 4228 MD: PARTOT1 8 = 0221 RAS LAM 2467 M= {4041} , e= {0112} , Y—|88163} , Y'—}16883] , 2 = {5322} . Di esse, tralasciando le forme solite pel minerale, sono descritte colla valle di Binn, oltre ai romboedri n ed »' già ricordati, le: M = 4041} e d = |2467}. La y =}8443} fu invece notata per la prima volta assieme ad altre forme caratteristiche, due anni or sono, dall’ing. Magistretti nella Ilmenite di Val Malenco (*), dove trovasi pure la 7 = {1123}, poco comune per l'Ilmenite. Infine sono finora caratteristiche per la Val Devero le forme: Y= 88163} , Y'=|16833} , 2{5322 che mi risultano nuove pel minerale (*). Coll'angolo tra le facce: (0002): (1011), quasi uguale in tutti i cri- stalli e più volte misurato sugli stessi con ripetizione sul disco, ottenni, fra i valori vicinissimi di: 57°, 58", e 57°, 59’, una media uguale al va- lore calcolato dal Kokscharow per l'Ilmenite di Atliansk (9) (c-7r= 570, 58,30"). Sicchè, calcolata con questo angolo, la costante per i cristalli di Val Devero, coincide con quella data dal Kokscharow: SR 334581 a (') H. Biicking, Groth's Zetschr., 1-576. (Ved. anche Hintze, Handb. der Min., 1908. pag. 1866. i (2) R. H. Solly, Miner. Soc. Lond. 1906, 14, 184. (*) L. Magistretti, [WImenite delle Cave di pietra Ollare di Chiesa (Val Malenco). R. Accad. dei Lincei, Roma, 1° dicembre 1912. (4) La prima di tali forme si trova nella Ematite (ved. Struever, Studi sulla Ema- tite di Traversella. Atti Accad. di Scienze. Torino, 1872). Evidentemente per un errore di stampa viene dal Biicking, nel lavoro citato, a pag. 579, riportata col contrassegno dall'autore usato per indicare le forme della Ilmenite. (3) V, Kokscharow, Mater. Miner. Russl. 1870, VI, 355. — 725 — Colla quale costante mi risulta un accordo grandissimo fra gli angoli calcolati e quelli misurati, come appare chiaramente dalla tabella riportata più avanti. Ecco ora una breve descrizione degli individui dei due campioni trovati: I cristalli del Cloritescisto hanno, come dissi, una forma tabulare molto appiattita, dovuta alla grande estensione della base. Sulle altre forme do- mina in modo assoluto il romboedro inverso: 2" = 4223} , stipando in una sottile fascia, strozzata nel mezzo, la zona dei romboedri di {1° ordine. 1) questa la disposizione costante e caratteristica, che dà l'aspetto tipico alla Ilmenite di Val Devoro. Le altre facce, sottili e lunghe, smussano alterna- tamente gli spigoli fra il romboedro maggiore e la base. Di tali cristalli, quello migliore, la cui base raggiunge la dimensione massima di circa 10 mm., è costituito dalla combinazione delle seguenti forme (ved. fig. 1): 10001} {4333} {2035} {10Î1} {4041} {0221} }4483} {88163|. ETRE 1 cristalli dell'altro pezzo, più numerosi, hanno aspetto più tozzo e mostrano il predominio del romboedro diretto n = {22483}. In parecchi a questo è accoppiato il suo reciproco n’ = {4223} , sempre però ridotto a proporzioni assai più limitate, come tutte le altre forme, il che mantiene ancora l’aspetto tipico, citato per gli individui del Cloritescisto. Sono assai ricchi di forme. ed il migliore di essi presenta questa no- tevolissima e complessa combinazione: 0221} {1120} {0112} {8413 _- o 16883 — 726 — Ho rappresentato questo cristallo nella figura n. 2, attenendomi il più possibile alla sua forma naturale, onde conservare il tipico sviluppo relativo delle facce, che i disegni, meglio di ogni descrizione possono rendere fedel- mente. A metà circa della parte di cristallo libera, in corrispondenza di una fessura fra la base e la (2243), si notano alcune facce, colle quali si ab- bozza un secondo individuo più piccolo, in associazione perfettamente paral- lela col primo, e colla n= (2248) coincidente. Le facce sono ben delimitate e lucentissime, onde se ne hanno imma- ginì riflesse assai nitide e misure esatte. In un altro cristallo dello stesso tipo, ma meno ricco di forme, ho tro- vato invece la = {1128}. Da quanto ho detto, dalle misure, per le quali altri cristalli e fram- menti, oltre quelli descritti, mi servirono, e dalle figure, risulta evidente che questi cristalli di Val Devero meritano di essere annoverati fra i più notevoli di questa specie minerale; e d'altra parte presentano tali caratteri distintivi da non poter essere confusi coi cristalli di Ilmenite, finora cono- sciuti, della vicina Valle di Biun. — 724 — TABELLA DEI VALORI ANGOLARI MISURATI, E CALCOLATI (COSTANTE DI KoKSscHAROW). VALORI ANGOLI LIMITI OSSERVATI MEDIE DIFFERENZE NuMmERO CALCOLATI 0001 | 0172 9832-3837 | 38351/ | ss38 E I0Iol, 5 ” 0221 72,34 - 72,48 MORSNAE | 72398 — 0,0,80” 4 » 4041 81,5 -81,9 SIN | SINGIILA + 0,0 6 ” 1011 57,58 - 57,59 57,58 t/a | 57,581/e = 9 ” 2025 32,27 - 32,34 32,33 32,36 019 5 » 4223 61,31 - 61,35 61,33 61,33 = 15 ” 8443 74,46 - 74,56 74,50 74,52 = LA 6 ” 16883 82,6 -82,15 82,10 82,11 IONI 3 ” 2110 89,48 - 90,15 90,2 90 + 02 6 ” 1123 42,45 - 42,44 42,44!/, | 42,42 LL (0)21/, 3 » 4267 50,18 - 50,20 50,19 50,23 1/a OLI 2 2243 | 4223 52,7 - 52,9 BO 052,10 — 02% 4 8443 » 13,16 - 13,21 13.19 13,19 = 6 2243 | 2423 99,8 -99,12 99,101/, | 99,111/; MO LOIA5 7 » 2243 56,54 - idem 56,54 56,54 = 2 ” 1120 28,19 - 28,39 28,29 28,27 + 02 5 » 1011 26,3 - 26,7 26,4 !/a | 26,5 — .0,0,30% 6 » 2025 35,42 - 35,45 35,44 35,46 = 02 4 ” 8443 56,39 - 56,41 56,40 56,45 = 05 2 » 0221 29,34 - 29,41 29,38 29,39 SEIONI 5 » 2467 14,20 14,20 14,20 = 1 » 1128 18,48 - 18,49 18,481/, | 18,51 DI 2 ) 0112 32,1. - 32,14 32,6 32,3 + 930 7 » 2532 50,31 - 50,33 50,32 50,30 1/a + 0,15% 2 » 6247 82,1 82,1 81,57 !/a + 0,33/ 1 1012 | 10I1 83,56 - 84,15 84,7 84,4 -—L 1038 4 2493 » 75,23 - 75,26 MbIZA [a N5,22 sl 09 3 4041 ” 23,6 - 23,11 23,8 23,8 = 6 0221 » 55,41 - 55,54 55,46 55,50 04 3 2021 ” 25251-25)81l 25,27 25,22 I, 05 4 20291 | 2243 54,10 - 54,17 54,14 54,14 a 5 2021 | 1012 33,59 - 34,2 SATO IZ + 0,0,307 3 » 6247 27,36 - 27,46 27,42 27,44 SEO 3 ” 4483 28,50 - 28,50 28,50 28,51 — Op 2 ” 3252 22,25 22,25 22,28 1/1, OE 1 2025 | 1102 34,13 - 34.22 34,17 34,18 CSMONI 9 Mi è grato chiudere questo primo lavoro coll'esprimere al prof, L. Bru- gnatelli la mia viva riconoscenza per gli insegnamenti ed i consigli affet- tuosi di cui mi fu largo, adempiendo così il più gradito dovere di un di- scepolo verso il suo Maestro. — 728 — Geologia. — Di alcune nummoliti dell'Isola dh Rodi. Nota di LinA PIERAGNOLI, presentata dal Socio C. De STEFANI. Terreni di Rodi. — Masse cretacee si elevano nel centro dell’isola con forme alpestri, a picco: il /lysch eocenico è formato da terreni poco resistenti e occupa anch'esso regioni montuose, ma meno alte, meno a picco e più fertili. ; Il Bukowski nella Geologisehe Uebersichiskarte der Insel Rhodus dice che nella regione occidentale il /ysch occupa essenzialmente il paese mon- tuoso al nord e all'ovest del M. Ataviros, o più precisamente quella parte che si trova tra la formazione cretacea, le montagne del Kitale e i terreni cretacei e eocenici al capo di Kopria e al M. Acramitis. In questa parte occidentale dell’isola manca del tutto il terziario giovine, o appare in pic- coli lembi disturbando poco la struttura generale. Bukowski trovò nummoliti nella regione occidentale dell’isola, in una breccia calcarea scura, inclusa nelle arenarie e negli schisti. Solo il De la Harpe aveva indicato nummoliti dell’isola di Rodi nel. suo lavoro: Z/ude des nummulites de la Suisse. Memoires de la Société Paléontologique suisse, pp. 120-121; aveva trovato la MN. Gizehensis, la N. curvispira e la N. lucasana e questa citazione era sfuggita a tutti quelli che hanno dato la bibliografia dell’isola: appunto in questa parte del /Iysch, di cui parla il Bukowski, si trovano i fossili raccolti dal prof. A. Martelli e a me cortesemente affidati. Brecciole nummolitiche, arenarie di color grigio scuro, contengono una quantità straordinaria di nummoliti, alcune tanto ben conservate e isolate da poterne fare preparazioni microscopiche senza bisogno di calcinazione: in queste brecciole sono incluse piccole ghiaiette calcaree biancastre in gran quantità. Esse sono simili alle brecciole nummolitiche che si trovano nel nostro Appennino toscano: provengono dal /lysch tra Embona e Kastellos, presso Embona, tra Apollona e Embona e dalle masse calcaree che si trovano tra Apollona e Embona. Le specie trovate da me sono le seguenti: Nummulites Gizehensis Forksal, forma A: questa nummolite era cono- sciuta prima col nome di curvispira: così la chiamano d’'Archiac e Heime, de la Harpe ecc. Il Lister per primo, pur chiamandola sempre curvispira, la considera come la forma A della Gizehensis, e finalmente il Boussac la chiama col nome stesso della forma a microsfera. Questa nummolite, insieme colla forma B e colla N. lucasana, è stata rammentata da De la Harpe come frequente nell'isola di Rodi. Ho trovato tanto la forma B che la A, e quest’ultima raggiunge anche 6 mm. di dia- — 729 — metro. Questa specie appartiene al luteziano: si trova tra Embona e Kastellos, presso Embona, tra Apollona e Embona. Nummulites Garnieri, De la Harpe. Forma A. È di piccole dimensioni. È una specie che ha fatto De la Harpe per alcuni esemplari delle basse Alpi a lui mandati da Garnier. Nei pezzi di roccia che ho io non si può ben distinguere la superfice: si vede però che deve essere striata e punteggiata. La spira è regolare, la lamina spirale è discretamente spessa; la camera centrale e piccola, i setti sono fitti, quasi dritti fino all'attaccatura superiore, le camere più alte che larghe. Appartiene al Priaboniano inferiore o Bartoniano. Si trova presso Em- bona, tra Apollona e Embona, tra Embona e Kastellos. Nummulites perforata Denys de Montfort. Di questa specie ho trovato la forma B che è facile riconoscere macroscopicamente a Embona, tra Em- bona e Kastellos. La forma A non è proprio la forma tipo; se ne discosta un po’ per avere la lamina spirale meno grossa e i setti meno curvi: è somigliantissima alla Gwmbelia Rovalti di Prever, ma Boussac include anche questa nella perforata. Anche io sono dell'avviso che la perforata varia spessissimo e non si può fare una specie diversa per ogni variazione. I miei esemplari hanno spira più o meno regolare, quattro giri, camera centrale grande, setti impiantati un po’ obliquamente sulla lamina, ricurvi nella parte superiore; camere più alte che larghe alcune; in altre è invece il contrario. Si trova tra Embona e Kastellos, tra Apollona e Embona. Ap- partiene al luteziano. Non ho potuto isolare altre nummoliti per esaminarle al microscopio, ma all'osservazione diretta ho trovato qualche esemplare di Assilina exponens Sowerby (forma A) presso Embona. Neppure nelle masse calcaree che si trovano presso Embona ho potuto isolare nummoliti colla calcinazione o con altro sistema: ho fatto varie sezioni trasparenti della roccia, e in queste ho notato nummoliti che ho po- tuto riconoscere per la M. Garnieri [A] e la NM. Gizehensis [A]. Oltre a queste ho trovato nelle sezioni alcuni esemplari di Zithotam- nium, di echino, di operculina, quinqueloculine, biloculine, orthofragmine, alveoline, di cui ho potuto distinguere una specie, l’A/veolina oblonga di Fortis, e due esemplari di Vodosarza. Le nummoliti da me indicate sono della parte più alta dell’eocene medio, quindi appartengono a quell'età i terreni che si stendono intorno a Apollona, a Embona, a Kastellos. Il prof. Martelli (*) dice che il /lyseh dell'isola di (') Martelli, L'isola di Stampalia. Bollettino della Società geografica, n. 6, 1° giu- gno 1913, serie V, vol. II, pag. 686. RenpICONTI. 1914. Vol. XXIII, 1° Sem. 95 — 730 — Rodi è molto più alto di quello di Stampalia, e sarebbe compreso nella parte più alta dell’eocene superiore. Io non ho trovato che una nummolite apparte- nente al Priaboniano e Bartoniano: la NM. perforata si trova anche nel fiyseh dell’isola di Stampalia: a me pare quindi che gli strati donde pro- vengono le nummoliti esaminate possano essere più alti di quelle dell'isola di Stampalia esaminati dal Martelli, ma appartengano tuttora alla parte più alta dell’eocene medio, non già all'eocene superiore. Geologia. — Sla origine delle acque sotterranee del ver- sante orientale dell’ Etna (*). Nota di G. PonTE, presentata dal Cor- rispondente G. Di STEFANO. La teoria delle acque piovane infiltranti nel sottosuolo, radicata da due secoli e mezzo nella mente degli idrologi, ha trovato di recente, special- mente in Germania ed in Russia, numerosi oppositori. Gli studiosi di oggi, con osservazioni dirette dei fenomeni e con prove sperimentali vengono a demolire la secolare teoria che il Mariotte, più con la sua autorità di scienziato anzichè con î pochi dati pluviometrici sui quali egli si basava, aveva saputo far prevalere nonostante la efficace opposizione dei francesi Perrault, de la Hire e Sedileau, degli inglesi Derham e Wood- ward, dell'olandese Lulofs e del tedesco Kéistner. Sono le embrionali idee di Aristotele sulla condensazione degli elementi dell’aria nel sottosuolo che vengono oggi ad acquistare un vero valore scien- tifico. Kohler in una sua interessante relazione (*) espone una serie di ricerche e di risultati che militano contro la secolare teoria dell’infiltrazione. Si è potuto constatare, egli dice, che il rendimento delle sorgenti non va paral- lelo con la quantità delle acque infiltranti; che l’abbassamento del livello barometrico apporta un accrescimento nelle sorgenti, non spiegabile con l’au- mento della velocità di permeazione accelerata dalla pressione; che alcune sorgenti, le quali durante lunga siccità disseccano del tutto, incominciano poi a fluire prima che incominci la pioggia; ed infine, che esistono delle sor: genti in cima ai monti le quali in nessun modo possono essere alimentate dalle acque infiltranti. Il primo geologo che scagliandosi contro la dogmatica teoria dell'in- filtrazione diede una nuova spiegazione scientifica sulla origine delle acque (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia e Vulcanologia dell’Università di Catania. (2) F. Kohler, Neuere Grundwassertheorien, Zeitschrift fiur prakt. Geologie, 1910 pag. 23. — 731 — sotterranee fu il dott. Otto Volger. Egli in una conferenza tenuta nel 1877 nel XVIII congresso della società degli ingegneri tedeschi, sostenne che l’aria atmosferica ricca di vapor di acqua penetrando nel suolo ed arrivando nella zona di temperatura più bassa, che non risente delle variazioni prodotte dal riscaldamento solare, ivi si condensi. Alla obieziore mossagli perchè mai le sorgenti scorrano abbondanti dopo le grandi pioggie, egli rispose dimostrando che, come un forte contenuto di vapor d’acqua nell'aria e una rapida diminuzione di temperatura determi- nino la formazione delle nubi e poi la pioggia, così anche nel sottosuolo si ha una condensazione, che fa aumentare le acque sotterranee. La teoria del Volger ebbe subito Hahm e Wolluny avversari, ma da recente il Kénig (*) e l' Haedicke (*) l'hanno rievocata, ed è merito special- ment: di quest ultimo di averla avvalorata con degli esperimenti. Haedicke ha dimostrato in pubblica conferenza che un cilindro di vetro contenente mezzo litro di sabbia perfettamente asciutta e tenuta a 7° C., mentre la temperatura dell'ambiente ove operava era di 10° C., ha permesso di rica- vare in un'ora 4 grammi di acqua proveniente dalla condensazione del vapor d'acqua che man mano è penetrato nella sabbia per diffusione. Keilhack (") nel suo interessante Zelrbuch der Grundwasser und Quel- lenkunde espone in una tabella la quantità di vapore d’acqua che può esser contenuta in un metro cubo d'aria a diversa temperatura: a 10° l’aria con- tiene gr. 9,4 d’acqua, a 15 gr. 12,7 eda 25° gr. 22,8. Cosicchè un abbas- samento di temperatura da 15° a 10° C. produce la condensazione di gr. 3,3 d'acqua. Se dunque in mezzo litro di sabbia, che può contenere circa 200 cm.? d'aria, si condensano gr. 4 di acqua in un'ora con un abbassamento di tem- peratura da 10° a 7°, significa come se attraverso il mezzo litro di sabbia fossero passati metri cubi 2,1 d'aria; intanto nell'aria non si constata alcun movimento; è piuttosto il vapor d'acqua che ha un potere diffusivo gran- dissimo. Di recente il prof. Meydenbauer ha dato una spiegazione, la quale per- mette di riguardare da un punto di vista scientifico diverso il fenomeno della condensazione dell’ umidità dell’aria che scende nel sottosuolo. Secondo questo autore (‘) l'umidità dell'aria non sì comporta come un gas, ma è costituita (‘) F. Konig, Die Vertheilung des Vassers ueber, auf u. in der Erde und die daraus sich ergebende Entstehung des Grundwassers u. seiner Quellen mit einer Kritik des bisherigen Quellentheorien. Iena, 1901. (3) H. Haedicke, Die Entstehung des Grundwassers. Bayr. Industrie und Gewerbe- blatt, 1907. (3) K. Keilack, Zehebuch der Grundwasser-und Luellekunde. Berlin, 1912, pag. 92. (4) Meydeubauer, Die Entstehung des Grundwassers. Zeitsch. d. Verbandes deuts- cher. Architekten und Ingenieur-Vereine. Tahrg. 1, nr. 5, 1912, pag. 41. — 732 — da sferoline di acqua (Dunstballe) il cui diametro varia da mm. 0,02 a mm. 0,006. Le sferoline d'acqua, per effetto di repulsioni reciproche, rimangono libere nell'aria e con essa penetrano nel suolo, ivi aderiscono alla super- ficie delle singole particelle del terreno, e se queste sono molto accostate le sferoline possono toccarsi e raccogliersi in fluida acqua. Secondo questa spiegazione la temperatura non avrebbe alcuna influenza sul fenomeno della condensazione sotterranea, che piuttosto dipenderebbe dalla quantità e dalla grossezza delle sferoline sospese nell'aria e dalla grandezza degli interstizî che ha il terreno permeabile. La teoria del Meydenbauer apre un campo nuovo di ricerche specialmente su quanto riguarda l'influenza che ha la struttura delle rocce nella condensazione. Tante osservazioni, alle quali sin'oggi si era dato poca importanza vengono a portare gran luce sul- l'interessante problema. Per esempio è noto a chiunque il fatto che alcune rocce adoperate per la costruzione degli edifici hanno la proprietà di assor- bire l'umidità dell’aria, mentre altre nello stesso ambiente, pur essendo della stessa natura, solo perchè hanno struttura diversa, rimangono asciutte. I tufi vulcanici più di qualunque altra roccia hanno un potere condensante straordinario e ciò, con la teoria di Meydenbauer, si spiegherebbe ammet- tendo che gli interstizî di questa roccia sono tali che le piccolissime sfero- line di vapor d’acqua penetranti nel sottosuolo possono venire in contatto fra di loro, accumularsi e dar luogo alla vena liquida. L'esame microscopico di tali rocce conforta tale ipotesi: i granellini sono porosi e sono separati l'uno dall'altro da piccoli interstizî. Se si tiene presente che la zona dell’ Etna più ricca di acque sotter- ranee è quella sud-orientale, ove sotto le colate di lava si riscontrano estesi strati di tufo fra i quali si rinvengono tali acque è importante vedere d'onde esse traggano origine. L'Etna sorse fra i terreni post-pliocenici quando essi non erano ancora del tutto emersi, e ciò viene provato dal fatto che i torrenti, i quali scende- vano dai monti Peloritani e da Troina verso il grande golfo Preetneo por- tanti ciotoli e detriti venivano a depositarsi nel mare con i depositi delle deiezioni vulcaniche delle prime grandi conflagrazioni dell’ Etna. Dalle osservazioni fatte nei varî pozzi e cunicoli eseguiti sul versante di Aci dalla Società delle Acque di Casalotto per la ricerca di nuove acque, sì è potuto accertare che al disotto dei banchi di lava sì trovano gli stessì tufi con impronte di foglie di mirto e di alloro che si riscontrano alla Li- catia e al Fasano presso Catania. Questi tufi si estendono fino al mare ove nella balza di Aci son messi allo scoperto in sezione naturale. Le lave ed i tufi che sì succedono con lo stesso ordine nei pozzi della pianura di Aci S. Antonio, nei pozzi dell'altra pianura sottostante di Aci Catena e nella balza in riva al mare fanno ritenere che due faglie parallele alla spiaggia — 733 — si siano formate nel vessante di Aci e per conseguenza due gradini, uno lambito dal mare nella balza di Aci, l’altro a circa 3 chilometri nella balza di Aci Catena. Or è importante fare notare che lungo tali faglie e precisamente fra i tufi scorrono abbondanti masse di acqua, dei veri fiumi sotterranei, che la mitologia aveva personificato in Acis l’infelice amante di Galatea, il quale, oppresso sotto i macigni del vulcano, rapido e furtivo veniva a confondersi fra le onde del mare. Queste acque limpidissime che tengono in soluzione i soli elementi mineralizzanti forniti dalle rocce vulcaniche dell’ Etna, in seno alle quali esse hanno origine e scorrono, non risentano alcuna influenza delle acque piovane. Ciò è stato dimostrato dalle ricerche chimiche fatte continuamente per circa un anno alle acque sotterranee del versante di Aci(*). Le acque pio- vane che dopo l'eruzione del 1911 venivano saturate dagli abbondanti sali solubili sparsi sulle falde dell’ Etna, non arrivarono a penetrare fino al livello delle acque sotterranee. Questa osservazione altrettanto decisiva quanto essa è semplice non può, fino a prova in contrario permettere di spiegare l'origine delle acque sotterranee del versante orientale dell’ Etna con la teoria del Mariotte, mentre quella del Meidenbauer vi trova delle conferme. È un fatto bene accertato che in Sicilia nelle annate di generale sic- cità le sorgenti sono state povere di acqua, ma si è pure constatato che nelle annate in cui sul versante orientale dell’ Etna si è avuta scarsissima pioggia, come risulta dai dati pluviometrici di Acireale, di Catania e del- l'Osservatorio Etneo, le sorgenti non sono diminuite quando la mancanza di pioggia è stata supplita da una notevole umidità nell'aria. Certo questa 0s- servazione merita delle conferme, ed è da sperare che sul versante orientale dell'Etna vengano fatte delle misure dirette dello stato igrometrico dell’aria e della quantità di acqua precipitata, in rapporto con la portata delle sorgenti. D'altro canto se le indagini storiche permettono di accertare che le sor- genti d'acqua ai piedi dell'Etna erano più abbondanti quando il vulcano era tutto rivestito di folti boschi, migliore spiegazione di ciò si potrebbe avere ammettendo la teoria della condensazione anzichè quella delle acque in- filtranti. Un terreno imboschito offre una maggiore superficie evaporante di un terreno ignudo, tanto che se le pioggie sono di breve durata non arrivano ad inumidire il suolo; e si pensi ancora che le piante assorbono una grande quantità di acqua dal terreno, per esempio un bosco di querci assorbe dal suolo circa 250 mm. di acqua in un anno. (*) G. Fonte, Sulla indipendenza delle acque sotterranee dell'Etna dalle precipita- zioni atmosferiche. Rend. Accad. dei Lincei, vol. XXII, ser. 5%, pag. 502. — 734 — Le precipitazioni atmosferiche sull’ Etna oscillano intorno ai 600 mm. di pioggia all'anno, e siccome soltanto il 20 °/, dell'acqua caduta penetra nel terreno arriverebbero nel sottosuolo dell’ Etna appena 125 mm. d’acqua pio- vana, la metà di quante già ne consuma un bosco di querci; or si domanda da dove potrebbero trarre l'acqua necessaria le rigogliose quercìi dell’ Etna non ammettendo la teoria della condensazione? Secondo la vecchia teoria dell'infiltrazione l' imboschimento sarebbe dan- noso alle sorgenti perchè gli alberi non solo assorbono acqua dal terreno ma, con le loro folte chiome, le quali offrono una estesa superficie evaporante, rimandano all'atmosfera tutta l'acqua caduta durante una pioggia di breve durata. Sotto le folte chiome d'un bosco l'umidità è permanente anche quando l'aria esterna è molto asciutta. Una zona di umidità si mantiene sul ter- reno imboschito, dovuta in gran parte al fatto che le correnti d’aria difficil- mente possono penetrare una fitta boscaglia. Questa zona di permanente umidità è quella che determina il regolare regime delle sorgenti poichè una regolare massa di vapore penetra continuamente nel sottosuolo sino alla zona di condensazione. Questa nuova spiegazione permetterà di sostenere scientificamente la esatta quanto antica massima che si rammenta sempre al popolo con la ce- lebre frase dell’ Humboldt: Atterrando le selve sulla cima e sui fianchi delle montagne gli uomini lasciano alle generazioni future due grandi calamità insieme, la penuria di legname e di acqua. Geologia. — Sulla Geologia dei dintorni di Tobruk. Nota di O. I. MiGLIORINI, presentata dal Socio C. DE STEFANI. Fisiologia. — Sullo stato dell'acido carbonico nel sanque. Metodo per dosare piccole quantità di acido carbonico. Nota I dei dottori G. QuacLiaRIELLO ed E. D'Agostino, presentata dal Corrisp. FILIPPO BorTAZzI. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 735 — Patologia. — / così detti ascessi di Dubois, secondo gli studi sulla rigenerazione del timo dei mammiferi ('). Nota preventiva del dott. FRANcEScO FuLci, presentata dal Socio E. MAR- CHIAFAVA. I così detti ascessi di Dubois del timo, noti già da tempo e conside- rati da molti come espressione patognonomica dell’infezione luetica, può dirsi abbiano determinato nei varî antori, che li hanno studiato, un accordo ed un disaccordo, notevole l'uno quanto l’altro. L'accordo deriva dalla constatazione accurata e serena del reperto ana- tomico, per cui le varie descrizioni, e specialmente le recenti, poco differi- scono le une dalle altre. Il disaccordo comincia quando dai dati di fatto osservati si vuole risalire al meccanismo genetico di essi. La presenza infatti di cellule epiteliali appiattite, disposte spesso in vario ordine di strati, nel rivestimento interno della parete della cavità, così detta ascessuale, ha richiamato in modo particolare l’attenzione degli studiosi, come nno dei fatti più importanti e caretteristici, chè in estensione così notevole non si riscontrano certo nel timo, almeno in condizioni normali. E la spiegazione della genesi di quelle formazioni, dovendo special- mente rendere conto della presenza di questi epitelii piatti stratificati, che senza limiti netti sì continuano perifericamente con elementi di aspetto linfoide, ha incontrato difficoltà e provocato il succedersi di numerose ed anche geniali ipotesi, avvalorate spesso dalla conferma di qualcuno o smen- tite dalle critiche severe di altri. Fra le teorie esposte, due però sono quelle che si sono maggiormente affermate: l’una, che dà a queste formazioni il significato di arresti di sviluppo, per cui le cellule epiteliali stratificate, rivestenti la cavità sarebbero residuo di quelle che originariamente tapezzavano il lume dell’abbozzo timico pri- mitivo; l’altra, che riconduce la genesi di queste formazioni ad una vera e propria immigrazione del tessuto timico nell'interno dei corpuscoli di Hassal, i quali perciò vengono dilatati, mentre poi gli elementi immigrati andreb- bero incontro alla necrosi, costituendo il detritus, amorfo, purisimile, che si riscontra nell’interno di esse. Secondo questa seconda ipotesi, emessa già dal Chiari e da molti autori condivisa, l’epitelio piatto di rivestimento non sarebbe quindi altro (') Lavoro fatto nell'Istituto patologico dell’ Università di Freiburg i Br. diretto dal Geheimrath prof. L. Aschoff. — 736 — che il residuo delle cellule epiteliali piatte degli strati più esterni dei corpuscoli di Hassall, infiltrati e straordinariamente ingranditi. Non discuto ora, per brevità, queste due principali teorie, che, se pos- sono in certo modo spiegare una parte del reperto anatomico, non sono però sufficienti per fare comprendere il resto. Nello studio della rigenerazione del timo dei mammiferi, raramente nei conigli, ma, e specialmente, nei cani, io sono qualche volta rimasto sor- preso dall’osservazione di formazioni, che potevano anatomicamente essere avvicinate a quelle descritte nell'uomo, come ascessi di. Dubois e che in questi casi dovevano essere ritenute secondarie alla necrosi dei frammenti di tessuto timico, residuale alla timectomia parziale. Infatti nei pezzi di timo, asportati precedentemente per studiare il meccanismo rigenerativo dell'organo, mai mi era stato dato di rilevare for- mazioni consimili: il timo si era presentato in questi casi perfettamente normale. Ora queste particolari formazioni lasciano riconoscere una parete ed una cavità centrale. La cavità ha un aspetto vario: rotondeggiante, ovoidale, o con piccole ed irregolari sinùosità laterali, ora alquanto superficiali, ora più profonde. Il lume non ne è mai vuoto, ma riempito, più o meno completamente, da una sostanza omogenea, ialina, piuttosto uniformemente colorata dall’eosina, nella quale potevano talora riconoscersi residui dei primitivi corpuscoli di Hassal, in forma di piecole formazioni concentriche, debolmente colorate. Tale massa omogenea è sovente, ma scarsamente, infiltrata da leuco- citi mono, e polinucleati e da cellule a nucleo grande pallido, con nucleolo distinto e con protoplasma ampio, rotondeggiante, vescicoloso [ Degenera- tionszellen] (*). Qua e là irregolarmente sparsi sono residui di carioressi nucleare. Talora nei casi osservati pochi giorni dopo la timectonia (ad es. in un .cane (18"° di protocollo) ucciso diciotto giorni dopo la timectonia parziale) la sostanza che riempiva la cavità era di aspetto quasi ialino verso la peri- feria, ma al centro presentava ancora emazie, piuttosto bene conservate. Le Degenerationszellen erano assai abbondanti. La parete presenta in genere elementi di rivestimento di. aspetto alquanto diverso negli strati più interni, rivolti verso il lume ed in quelli più esterni. Gli strati più interni sono costituiti da elementi di aspetto epiteliale, a nucleo grande, piuttosto pallido, con nucleolo bene distinto e membrana nucleare sottile, ma evidente: nucleo ovoidale, ma più spesso allungato in senso trasversale. (1) Fulci, Deut. med. Wochen, 1913, n. 37; Centralbl. f. allg. Patholog. und pathol. Anatom., 1913, S. 968. — 737 — Il protoplasma è relativamente ampio ovoidale, ma più spesso appiat- tito in senso lineare, così che l'elemento assume l'aspetto di un epitelio piatto. Talora è piuttosto alto, e sporgente nell'interno del lume stesso. Il margine libero di questi epitelii ora è bene delimitato; ora invece è come ricoperto dalla massa del contenuto; ora addirittura indistinto, come se le cellule più interne dei rivestimento della parete sì continuassero con il con- tenuto ialino della cavità stessa. Queste cellule epiteliali appiattite, che talora quasi a guisa di propag- gini, variamente dirette, si spingono nel lume della cavità sono disposte in vario ordine di strati, onde in alcuni punti la cavità può ben dirsi deli- mitata come da un epitelio piatto, pluristratificato. Fra queste cellule epiteliali, morfologicamente riconducibili a quelle che io ho già indicato con il nome Mutferzellen (*), si notano spesso ele- menti dai caratteri istologici riferibili a quelli da me descritti per le Dege- nerationszellen. Verso gli strati più esterni le cellule divengono sempre più piccole, il nucleo più ricco di cromatina, più scuro, il nucleolo meno distinto, il proto- plasma più stretto, rotondeggiante, piuttosto basofilo. Senza alcun limite netto dalle cellule grandi epiteliali appiattite si passa, per una serie di forme intermedie, a cellule di aspetto linfoide, linfocitosimili, degli strati più esterni. Le quali verso l'esterno si presen- tano, a guisa di noduli rotondeggianti, limitate da un tessuto connettivale lasso, variamente provvisto di nuclei, ma in genere povero di essi. Fra le cellule di aspetto linfoide degli strati più esterni, non si notano in genere corpi di Hassal. La parete della cavità, così costituita, per la presenza delle grandi cellule epiteliali, chiare situate verso l'interno, dalle quali senza limiti precisi, ma per gradi, attraverso numerose forme intermedie, si passa, verso Ja periferia, alle cellule linfocitosimili, ricorda uno di quegli stadî (il secondo) che io ho descritto nella rigenerazione dell'organo ed indicato con il nome di /7mo invertito. In questi casì dalle cellule epiteliali, dalle AM/uterzellen, primitivamente originatesi attorno alla massa necrotica, centralmente disposta, si era avuta la produzione, in senso centrifugo, di cellule di dimensioni sempre più pic- cole, sino alle linfocitosimili degli strati più esterni. In questi casi però le cellule epiteliali degli strati più interni, ave- vano un aspetto alquanto più appiattito, meno ovoidale o cilindrico, delle solite Mutterzellen, sebbene il resto dei caratteri morfologici ad esse le identificasse. (*) Fulci, lavori già citati. RevnpicovTI. 1914. Vol. XXIII, 1° Sem. 96 — 738 — Mentre mi riserbo di ritornare più diffusamente sull'argomento nel lavoro completo, credo pertanto opportuno rilevare che per effetto della necrosi e della rigenerazione del tessuto timico si possono ottenere negli animali da esperimento (e specialmente nei cani) delle formazioni par- ticolari, analoghe aî così detti ascessi di Dubois, che sono stati ripetuta- mente descritti nell'uomo e considerati, quasi, come patognonomici della infestone sifilitica, specialmente congenita. Batteriologia agraria. — Azione dei concimi minerali sul- l’attività di alcuni microrganismi del terreno. Nota di C. Lumia, presentata dal Socio G. CuBONI. Nel 1902, in una breve Memoria pubblicata sul periodico Ze Stazioni sperimentali agrarie italiane (vol. XXXV, fasc. VII), affermai il concetto che i concimi minerali esercitano un'azione diretta sui microrganismi del terreno; che la concimazione potevasi considerare come l'apparecchiamento dell'ambiente chimico culturale dei microbi del terreno, e che infine questi coi loro resti e con le loro specifiche funzioni concorrono in larga misura alla vita delle piante coltivate. Dopo il 1902 molte ricerche attinenti alla mia tesi furono eseguite, sia all'estero che in Italia; e fra queste ultime, note- voli quelle fatte dal dottor R. Perotti sulla solubilizzazione biochimica dei fosfati del terreno. Incoraggiato dall'esito di codeste ricerche, volli, lo scorso anno, illustrare meglio il mio concetto in una Memoria che fu presentata alla R. Accademia dei Lincei, dal Socio professore Pirotta, direttore dell'Istituto botanico di Roma, ed esaminata da apposita Commissione, composta dei Soci professori Cuboni e Menozzi. Questa Commissione, mentre mi concedeva l'alto onore di proporre l'accoglimento della Memoria, osservava che nel lavoro man- cava la parte sperimentale; ond'io credetti opportuno di fare omaggio all’ in- dicato giudizio, istituendo una serie di ricerche, al fine di dimostrare speri- mentalmente l’azione dei concimi minerali sull'attività dei microrganismi del terreno. Con questa prima Nota dò conto delle esperienze riguardanti l’azione dei concimi minerali sull’attività dei Saccaromziceti, che sono, come è noto, tanto diffusi nel terreno, dove possono compiere azioni solutive di notevole impor- tanza, specialmente quando si sotterrano erbe verdi (Sovesci). Numerosi lavori analitici e sintetici esistono intorno ai saccaromiceti, e specialmente sul Saccharomyces cerevisiae. Però il Duclaux, nel suo 77a?7é. de microbiologie, Paris 1900, dopo di avere citati ed in parte descritti i lavori di Payen, Béchamp, Liebig, di Adolfo Mayer (1869 e 1871), di Sala. mon e Mathew (1884), di Elion (1893), di Kusserow (1887), e di Stern (1898) così scrive: « Da ciò che precede sì vede che noi sappiamo ancora troppo 30) poco sulla nutrizione minerale del lievito di birra ». Ed il Lafar, Handdueh der Technischen Mycologie, vol. IV, 1905-1907, pag. 88, asserisce che le esperienze sulla nutrizione minerale dei fermenti alcoolici vanno ripetute. Ed egli non ha torto, quando si pensi che il citato Kusserow (Bremerei Zeitung 1897) afferma che una aggiunta di fosfato potassico al mosto di birra non ha effi- cacia notevole sulla fermentazione alcoolica; ed aggiunge che nelle prove fatte non si potè giudicare isolatamente l'efficacia della potassa perchè fu sperimentata insieme con l'acido fosforico (Lafar cit., vol. IV, pag. 86). Infine ricordiamo, per ragioni di affinità, gl’ importanti lavori di Harden e Young (1905-1909), di Jwanoff (1907-1908) e di Lebedew (1909-1910) (?) i quali mirano a spiegare come sì esplica l’azione dei fosfati solubili sulla fermentazione alcoolica ottenuta con la sola zimasi, in ambiente sterile. Ma è uopo notare che l’azione del lievito vivente è circa 40 volte maggiore di quella d'una quantità equivalente di succo di lievito (?), e quindi, ai fini del mio lavoro, mi interessava studiare il comportamento del lievito vivente. Or le ricerche fatte riguardano la batteriologia generale e non la batte- riologia agraria, mentre a me premeva di constatare il comportamento dei concimi minerali in uso oggidì rispetto all’azione, già parzialmente speri- mentata, del fosfato bipotassico. Inoltre, a me premeva di trovare un metodo di sperimentazione che mi permettesse di seguire, passo passo, l'azione delle sostanze minerali, al qual fine non si prestano i metodi adoperati da tutti gli altri sperimentatori, cioè la determinazione per pesata della CO; svilup- pata (metodo Meissl), ovvero la determinazione dell'alcool prodotto e del resi- duo zuccherino. Invece il metodo da me adottato, cioè la fermentazione entro tubi capovolti sopra bagni a mercurio, come indica l'unita figura, riesce per- fettamente allo scopo e dà la percezione oculare diretta dell’azione che le sostanze minerali producono con la loro presenza o con la loro assenza sul- l'attività microrganica. Anzi credo di poter consigliare a scopo dimostrativo il detto metodo di sperimentazione alle Scuole di chimica e batteriologia agraria, perchè con esperienze così condotte si dà modo ai discendenti di acqui- stare il convincimento della sensibilità estremamente grande dei microbi alle minime variazioni dell'ambiente chimico culturale. Nelle mie esperienze feci uso di lievito di birra, quale si adopera nella panificazione, perchè qualunque specie del genere Saccharomyces era buona ai fini delle mie ricerche; e tenuto conto del fatto, che parecchie sono le specie di lieviti che si trovano promiscuamente presenti nel terreno. Prima di dare un esatto resoconto delle esperienze da me seguite, credo opportuno di far notare, che, nelle ricerche intese a stabilire se una data sostanza sia o pur no indispensabile per la vita dei lieviti alcoolici, ha una (1) Vedasi la bibliografia in Arthur Harden: Za fermentation alcoolique, Paris, A. Hermann et fils, 1913. (£) V. Harden, op. cit., pag. 34. DTAO — grande importanza la quantità di lievito stesso che si adopera; giacchè, se il lievito è in forte quantità, si viene a portare nel liquido di coltura col lievito stesso una dose sensibile di quei materiali sui quali si vuole speri- mentare; ed allora non risultano notevoli le differenze che presentano sul tubo di controllo gli altri tubi. Se la quantità di lievito è eccessivamente piccola, si hanno fermentazioni deboli e di lunga durata. Pertanto, con una numerosa serie di esperienze preliminari, delle quali non è qui necessario di dar conto, ho determinata la quantità più opportuna di lievito da impiegare ; come pure ho stabilito il titolo zuccherino più rispondente allo scopo ed alla capacità dei tubi disponibili. Si nota infine, che i lieviti adoperati nelle suc- cessive esperienze non erano, nè potevano essere, egualmente freschi; epperò i risultati delle successive prove non sono fra di loro in maniera assoluta confrontabili, ma sempre abbastanza chiari e netti per poterne dedurre delle conclusioni di valore indubbio. Esperienza I. Ho preparata e poscia fatta bollire una soluzione nutritiva priva di acide fosforico e di potassa, come è qui indicata: Acqua tdistillata Ce ee eee L000000 Glucosio chimicamente puro . . . . . gr. 40,000 Acido tartarico TOM RARE STIRO, 6,000 Cloruro di calcio O e 0,100 Solfato ammonico VER FE a cea 10,900 Solfato di magnesio Icaro s Gi 0,300 Cloruro di sodio Idaggiggivrori af Sie so 0,100 Cloruro ferrico id. SB MR 0) 0,010 In 100 ce. della detta soluzione ho emulsionato otto decigrammi di lie- vito di birra, e poscia ho allestiti tre tubi a mercurio di circa ce. 60 di capa- cità, ma graduati fino a cc. 50. Nel tubo N. I ho posti: ce. 5 della detta soluzione nutritiva più mg. 6 di fosfato bipotassico (uno per mille del complessivo liquido colturale), più cc. 1 di emulsione di lievito, preparata come sopra è stato detto. Nel n. II ho posti: cc. 5 della soluzione c. s. più mg. 6 di solfato di potassio, più mg. 4,4 di fosfato monocalcico asciutto (quantità equimolecolari del fosfato bipotassico del tubo 1), più ce. 1 di emulsione di lievito. Nel n. III (controllo) ho posto: cm. 5 della soluzione come sopra, più cc. 1 della emulsione di lievito. Collocati i tre tubi nel termostato a 28° O. — 741 — Ecco i risultati ottenuti : . Volumi non corretti della CO, sviluppatasi in cc. 1 JI II Con fosfato Nipotassico | "e solfato. | Controllo potassico 18 febbraio 1914, ore 18 — — — 19 ” ” MANDI 7,2 6,2 0,3 20 » " o IN 17,6 16,1 0,5 21 ” ” o Il 22,8 21,8 0,8 22 ” D) DUI 26,9 25,8 152, 28 ” ”» SRI 30,5 29,6 1,8 25 D) D) PIO 34,0 33,0 2,6 26 ” » O All 35,6 34,6 3,0 27 ” » » 10 36,8 35,9 3,4 Alle ore 10 del 27 febbraio furono ritirati i tubi dal termostato per eseguire altra prova. I tubi, di cui alla precedente esperienza, vennero foto- grafati il giorno 22 e la fotografia è riprodotta dalla seguente figura: — 742 — Esperienza II. Ho allestiti i tre seguenti tubi: Nel tubo n. I ho posti: ce. 5 della solita soluzione più mg. 6 di sol- fato potassico, più mg. 4,4 di fosfato monocalcico perfettamente asciutto, più cc. 1 di emulsione di lievito preparata come nella prima prova. Nel n. II, cc. 5 di soluzione più mg. 4,4 di fosfato monocalcico, più cc. 1 di emulsione di lievito. Nel n. III, ce. 5 di soluzione più mg. 6 di solfato potassico, più mg. 5,4 di fosfato tricalcico, più cc. 1 di emulsione di lievito. Messi i tre tubi in termostato il 27 febbraio, alle ore 12. Eccone i risultati : Volumi non corretti della CO sviluppatasi, in cc. I II II Fosfato Fosfato monocalcico Fosfato tricalcico e solfato monocalcico e solfato potassico potassico 27 febbraio, ore (206 = Lat pae. b) ” n 17 Ae 0,4 0,3 0,4 28 ” MRI MS 3 10,2 0,5 10,0 1 marzo gi Jie. 22,1 2,1 18,7 2 » pi 27,4 6) 2971 3 » DEN VT 31,9 4,1 269, 4 ” ME VEE o. È 35.1 4,9 30,1 5 ” one WI Us - E I 9,9 32,0 6 » pi JO: 39,3 5,9 34,0 Esperienza ITI. Ho allestiti con la solita soluzione i tre seguenti tubi: i Nel n. 1, ho posti: ce. 5 della soluzione, più mg. 6 di solfato potas- sico, più ce. 1 di emulsione di lievito c. s. Nel n. IT, ho posti: cc. 5 di soluzione, più mg. 6 di solfato potassico, più mg. 16 di scorie Thomas al 18 °/, di P; O;, più cc. 1 di emulsione di lievito. Nel n. III, ho posti: ce. 5 di soluzione, più mg. 6 di solfato potassico, più mg. 5,3 di fosfato bicalcico, più ce. 1 di lievito. Collocati i tre tubi in termostato a 28° il dì 6 marzo alle ore 12. Ecco i risultati della prova: Volumi non corretti della co, sviluppatasi in ce. I II III Solfato Bolt Cal io e an one 6) marzo, ore 12... ss — _. 9 peli cao! 1,9 33,5 30,0 Et noelSiviszia 1 DAI 40,5 35,9 8» tag dI Sette de 4,3 47,2 41,7 9» salle 7,1 49,5 46,0 10.» ila ae 8,7 50,2 48,2 Ul 9 DO I REI AREE 10,2 — — 12.» a UN CAESAR 11,6 — — 19 © ALII E 12,2 — — Il giorno 10 alle ore 11, ritirati dal termostato i tubi 2 e 3 perchè si era esaurita la graduazione; il 13 alle ore 11 ritirato anche il tubo 1 per eseguire la successiva prova. Esperienza IV. Ho preparati, nel modo consueto, tre tubi: Nel n. I, ho posti: cc. 5 della soluzione solita più mg. 6 di tostato bipotassico, più cc. 1 di emulsione di lievito c. s. Nel n. II, cc. 5 di soluzione c. s. più mg. 24 di perfosfato minerale al 15 °/ di P; 0;, più mg. 6 di solfato potassico, più cc. 1 di lievito c. s Nel n. III, ce. 5 di soluzione c. s. più mg. 24 di perfosfato minerale, più mg. 24 di leucite polverizzata di Civita-Castellana, contenente il 13 °/, . di K0. Posti i tre tubi in termostato a 28°. Risultati: Volumi non corretti della CO, sviluppatasi in cc. I II III Fosfato Retona Perfosfato bipotassico potassico e leucite I fmarzo Mo reni? reo _ _ _ id Clio eoto 21,5 7,4 6,7 15» INI I PSN, 33,1 8,8 TE) 16» DA) LEO 38,4 8,8 7,9 I e rea co 43,5 9,2 8,2 ei, — Ho ritirati i tubi dal termostato alle ore 9 del 17 marzo per eseguire la quinta esperienza. Esperienza V. Ho allestiti i tre seguenti tubi. Nel n. I, ho posti: ce. 5 di soluzione più mg. 5,4 di fosfato neutro di calcio, più mg. 24 di leucite macinata ce. s., più cc. 1 di emulsione di lievito. Nel n. II, ho posti: cc. 5 di soluzione più mg. 12 di perfosfato al 15 °/ di P,0;, più mg. 6 di solfato potassico, più 1 ce. di emulsione di lievito c. s. Nel n. ITT, cc. 5 di soluzione più mg. 24 di perfosfato come sopra, più mg. 15 di carbonato di calcio in polvere, più mg. 6 di solfato potassico, più 1 ce. di lievito c. s. Il liquido di questo tubo si è fortemente agitato fino a scom- parsa di sviluppo gassoso. Posti i tre tubi in termostato a 28° il 17 marzo alle ore 12. Eccone i risultati : Volumi non corretti della CO, sviluppatasi in cc. I II TI Pe fosfato Fosfato Perfosfato carbonato tricalcico e solfato di caloio e leucite potassico e solfato potassico 17m arizo Rox 2 — _ Ue DEMO Koisio o 0,1 0,1 DI ten Dee Ue A 0,3 0,2 19,8 NO dp pit I 0,4 0,3 82,8 2 000; ne CICERO 0,4 0,3 38,8 Vle 9 PIRO i 0,4 0,3 49,6 20000 no Ie ero 0,4 0,3 44,5 OO 90 IE SA 04 0,3 46,9 24» Frpipigii RI IIBIOSO: c 0,4 0,3 48,4 Espertenza VI. Preparati due tubi: Nel n. I, ho posti: ce. 5 della solita soluzione più mg. 16 di scorie c. s., più mg. 5 di cloruro potassico, più cc. 1 di emulsione di lievito. Nel n. II, ho posti: ce. 5 di soluzione c. s., più scorie mg. 16, più sol- fato potassico mg. 6. più ce. 1 di emulsione di lievito. Collocati i due tubi in termostato a 28° il 24 marzo, alle oro 11. Ecco i risultati ottenuti: — 745 — Volumi non corretti della CO» sviluppatasi in cc. I II Scorie e cloruro Scorie e solfato di potassio di potassio DANMAIrZO Ore e — — DAN DECO SERA IA 6,2 6,8 Fo, DALLE e 31,0 32,0 Da 9 DI 95,2 86,2 26000005 peli o 46,0 47,0 DI ” DIMORE 50,5 51,0 CONCLUSIONI : 1°) Se nell'ambiente chimico culturale dei fermenti alcoolici manca l’a- cido fosforico (tubo 1°, esp. III), avvero la potassa (tubo 2, esp. II) o l’anione ed il catione insieme (tubo 3, esp. I), è nulla l’attività dei fermenti stessi. 2°) Il fosfato monocalcico, componente primo dei perfosfati, ed i fosfati bicalcico e tricalcico, componenti accessori dei detti concimi, agendo insieme col solfato potassico, esplicano un'azione quasi identica a quella spiegata dal fosfato bipotassico (tubo 2 dell'esp. I; tubi 1 e 3 dell’esp. II e 3 del- l’esp. III). 3°) Le scorie del Thomas sono un alimento fosfatico utilissimo per il lievito alcoolico (tubo 2, esp. III; e tubi 1 e 2 dell’esp. IV). 4°) I perfosfati, forse a causa dell'acido solforico libero che contengono, impediscono lo sviluppo della fermentazione (tubo 2, esp. IV) e tubo 2, esp. V). Invece essi riescono un utilissimo alimento fosfatico quando agiscono in presenza del carbonato di calcio (tubo 3, esp. V). Quindi, nei riguardi dei lieviti alcoolici, non è da raccomandarsi l’uso dei perfosfati nei terreni privi di calcare e di altri carbonati. 5°) Il cloruro potassico esercita un'azione analoga a duet del solfato potassico (tubo 1, esp. VI). 6°) La leucite macinata di Civita-Castellana è inerte per il lievito alcoo- lico in presenza di fosfato tricacico (tubo 1, esp. V). 7°) Il fermento alcoolico potrebbe costituire un prezioso mezzo diagno- stico per determinare l’assimilabilità comparativa dei materiali insolubili dei concimi e dei terreni. 8°) Il metodo di sperimentazione da me proposto per la fermentazione alcoolica potrà servire per ulteriori ricerche intese a determinare le condi- zioni tutte dell'ambiente chimico e l’azione di quantità crescenti dei diversi RenDICONTI. 1914. Vol. XXIII, 1° Sem. 97 — 746 — materiali. Le quantità di CO, che si sviluppano, si possono facilmente ridurre a zero ed alla pressione normale. * Sata Pervenuto alla fine della presente Nota, compio-il dovere di ringraziare vivamente il chiarissimo professore Giuseppe Cuboni, il quale con la sua con- sueta e larga ospitalità mi ha permesso di eseguire le presenti ricerche presso la R. Stazione di Patalogia vegetale da lui degnamente diretta. Fisiologia. — Ricerche sulla secrezione spermatica. La rac- colta del secreto prostatico del cane. Nota di G. AMANTEA, pre- sentata dal Socio LUCIANI. Fisiologia. — Sull’adattamento degli Anfibi all'ambiente li- quido esterno mediante la regolazione della pressione osmotica dei loro liquidi interni: importanza dei sacchi linfatici e della vescica urinaria. — III. Proprietà chimico-fisiche dei liquidi in- terni delle rane escul. estive tenute în acqua distillata ed in so- luzioni Ringer ipertoniche. — IV. Il tempo entro il quale la re- golazione osmotica avviene. Note di B. BRuNACCI, presentate dal Socio L. LUCIANI. Le Note precedenti saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI SeRRA. Rocce vulcaniche della Sardegna centro-occidentale. Pres. dal Socio STRUEVER. | RELAZIONI DI COMMISSIONI Vengono approvate dalla Classe per l'inserzione negli Atti accademici, salvo le consuete riserve del Consiglio di Amministrazione, le seguenti Memorie, in seguito a parere favorevole delle sottonotate Commissioni: 1. BLASERNA, relatore, e VoLTtERRA. Sulla Memoria del dott. G. Gran- FRANCESCHI: Per lo studio del Corista campione dell’ Ufficio centrale. italiano. — 747 — 2. MaTtTIROLO, rel., e PiroTTA. Sulla Memoria del dott. R. PEROTTI: Studì di biologia sopra l’ Agro romano în rapporto al suo bonificamento agrario. 3. Grassi, rel, e Prrorta. Sulla Memoria del prof. C. Acqua: Osser- vazioni ed esperienze sul filugello. 4. Grassi, rel., e Toparo. Sulla Memoria del dott. L. SANZo: Stadi larvali di Bathophilus nigerrimus Gigl. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLasERNA dà il triste annuncio della morte del Socio straniero prof. EpoarDo SuEss, avvenuta il 26 aprile 1914; apparteneva il defunto Socio all'Accademia per la Geologia e Palcontologia, sino dal 2 dicembre 1883. 1l Socio B. Grassi legge la seguente Commemorazione del Corrispon- dente marchese Giacomo Doria. Quando il nostro Presidente diede il triste annuncio della scomparsa di Giacomo Doria, io non ho riflettuto, e ne sono dolente, che il Millosevich ed il Della Vedova, a lui legati da lunga consuetudine di lavoro e di amicizia in seno alla Società geografica, avrebbero potuto meglio di me commemorarlo; e ho creduto mio dovere offrirmi spontaneamente a questo pietoso ufficio, considerando che il Doria figurava tra i Socî della sezione alla quale ho l’onore di appartenere. Assolverò oggi, meglio che potrò, il còmpito che mi sono assunto, domandando scusa ai due colleghi se non sarà completa la mia esposizione nella parte riflettente la Società geografica. Le pubblicazioni scientifiche del Doria, che riguardano tutte la zoologia descrittiva e corologica, benchè severamente condotte, son poche, brevi e di non singolare valore. Non è perciò il caso di farne menzione speciale; ricor- derò soltanto la sua monografia sui pipistrelli della Liguria, modesta, ma modello del genere. Non è dunque come scrittore di cose zoologiche che il Doria richiama la considerazione dei posteri. Egli, del resto, sembrava sentisse una profonda ritrosìa a pubblicare le proprie ricerche. Altra è la via chel’ha condotto a rendere insigni (servigî alla storia naturale e in special modo alla zoologia. Quando il Doria ha cominciato le sue raccolte zoologiche, i Musei erano ancora tenuti in molto onore anche da parte di coloro che non erano sem- plici cultori della sistematica; e anzi nel nostro Paese avevano un valoroso — 743 — protettore nel più illustre zoologo italiano allora vivente, il De Filippi, di venerata memoria. Purtroppo però tarpava le ali a qualunque azione in favore di essi la penuria dei mezzi di cui disponeva il nostro Paese, appena risorto e pres- sato da moltissimi bisogni impellenti. Se non ostante ciò, già nel 1867, quando aveva appena 27 anni, Gia- como Doria è riuscito ad ottenere che Genova fondasse il Museo civico di storia naturale, ciò si deve all'aver egli offerto in dono tutte le collezioni da lui radunate nella propria casa, e la propria biblioteca, le une e l'altra già ricche, e all'aver aggiunto al dono la promessa di ordinarle, di disporle scientificamente, di accrescerle e di conservarle. Negli anni successivi la nuova zoologia, che allora si denominava scien- tifica, cominciò a trascurare quella descrittiva; i Musei furono paragonati a magazzini; chi di essi sì occupava, veniva considerato cultore di una scienza di ordine inferiore. Che cosa era accaduto? Questo: che essendo difficile se- guire la bandiera del De Filippi sulla quale era scritto unum facere et alterum non omittere, veniva abbandonato ciò che sembrava di minor conto, la pura sistematica che appariva di bronzo di fronte alla morfologia che appariva d'oro. Allora rifulse la virtù del Doria, che non si lasciò scuotere nè scoraggiare dagli apprezzamenti poco favorevoli, e continuò imperterrito nella sua opera, non senza di tanto in tanto rivolgere una parola di risposta o anche di rimbrotto ai suoi avversarî. Così nel 1884 scriveva di essere fermamente persuaso che « la zoologia descrittiva rimane quale fu sempre, il fondamento necessario ed inalterabile di ogni disciplina biologica, e che i progressi e il nuovo indirizzo della filosofia zoologica non dispensano punto i naturalisti, come taluno mostra di credere, dall'obbligo di conoscere e de- finire correttamente le forme ». Alcuni anni dopo, nel 1888, al sopra citato lavoro sui « Chirotteri tro- vati finora in Liguria » faceva precedere un'invroduzione nella quale metteva un’altra volta in luce l’importanza dei Musei e della zoologia sistematica, con considerazioni che credo utile qui riportare almeno in parte, perchè val- gono anche nell'ora che corre, quantunque dettate da oltre 25 anni. « Ad onta di tutte le teorie, colle quali si pretenderebbe dimostrare l’inutilità dei Musei e le declamazioni più o meno lepide dei così detti innovatori della scienza contro gli stabilimenti di simil genere, nessuno può negare che ora più che mai è necessario di radunare ricche serie di quegli animali che si possono conservare in modo riconoscibile, per formarne in certo modo degli Archivî zoologici, i quali in gran parte serviranno, con l’andare degli anni e coll’aiuto degli appunti che si vanno radunando sulla variabilità delle forme e sulla loro area di diffusione, a darci un'idea più esatta della origine e della distribuzione delle specie, nonchè delle modifi- cazioni cui esse vanno soggette. I Musei zoologici sono un'assoluta neces- — 749 — sità scientifica, come lo furono e lo saranno sempre gli erbarii di piante secche. Senza il classico erbario di Kew, non avremmo le grandi flore tro- picali che si pubblicano in Inghilterra; e senza di essi, la Francia, l'Olanda e la Germania non avrebbero dato alla luce tanti pregevoli lavori bo- tanici ». « È doloroso a dirsi: ma l'indirizzo degli studî zoologici in Italia ci ha ridotto al punto che, meno rarissime eccezioni, non abbiamo più nè bi- blioteche da consultare, nè materiali da confronto, per cui fra di noi lo studio delle collezioni diventa sempre più difficile. Infatti, se il nostro sta- bilimento non avesse comunicato all'estero buona parte del suo materiale, questo sarebbe rimasto indeterminato per metà, a disdoro di chi con tanta fatica lo aveva radunato ». Dopo di aver citato come esempî meravigliosi i Musei delle altre na- zioni, il Doria soggiungeva: « Presso di noi, invece, gente dalla fervida im- maginazione, si guarda con mal dissimulata compassione, quasi con disprezzo, chi consacra la propria vita all'ordinamento e allo studio di raccolte siste- matiche »..... i « Noi, non solo non aumentiamo le nostre collezioni, ma perdiamo so- vente per mancanza di cura quelle che radunarono i nostri antecessori : e ciò spesso in modo brutale così che stringe il cuore. Allorchè ultimamente la più grande collezione ornitologica privata che si conosca, e che è un vero mo- numento italiano, fu offerta in dono come base di un Museo nazionale, non si trovò il posto di allogarla, e la splendida occasione fu perduta per sempre!... « Da noi con tanti musei e museini, non siamo in grado di stadiare anche convenientemente piccolissime collezioni esotiche ». Nel 1893 il Doria aggiungeva che « se gli studî faunistici, tassonomici e corologici non furono del tutto dimenticati in Italia, ciò devesi in parte (egli avrebbe potuto aggiungere « in gran parte » !) all'influenza del Museo civico di Genova ». Intanto, la suppellettile scientifica del Museo civico di Genova era di- ventata famosa in tutto il mondo, e già nel 1887 il Doria, alieno da qua- lungue vanterìa, poteva scrivere queste parole: « Io ho potuto in breve ra- dunare un materiale che nessun Museo italiano si può vantare di posse- dere e che per alcune parti supera le collezioni più ricche d'Europa ». Tornava sull'argomento nel 1896, coi seguenti periodi: « Il Museo civico di Genova possiede collezioni di tutti i paesi: ma per quanto riguarda la fauna dell'Arcipelago Malese e della Papuasia, è riconosciuto come uno dei più importanti Istituti del mondo. Le sue collezioni vengono affidate per lo studio ai più valenti specialisti, e perciò sono esattamente nominate ed ordinate. Le sue ricchezze provengono da esplorazioni che per la più gran parte furono compiute da persone dotate di grande attività e di speciale attitudine al raccogliere, e sovente in paesi ancora del tutto ignoti o poco — 750 — conosciuti. Da ciò la spettacolosa quantità di specie nuove ed il numero, ugualmente immenso, di #p?; fortuna delle più ambite per un Museo. « Questi tipi, di grande aiuto per lo studio della sistematica, vengono frequentemente consultati, e naturalisti di tutti i paesi (e fra questi non pochi appartengono ai principali Musei d’Europa) accorrono al Museo civico, per farne argomento di studio ». x * x Tanta altezza aveva toccato il Museo di Genova, perchè il marchese Doria, andando anche molto al di là della promessa fatta all'atto della fon- dazione, lo aveva materialmente sostenuto con munificenza regale e messo in valore colla pubblicazione degli Annali. Questi annali del Museo civico di Genova furono stampati fino al 34° volume, ossia dal 1870 al 1893, a spese del Doria che non badò a sacrifizii perchè fossero nitidamente im- pressi e ricchi di acconcie illustrazioni, elemento che, come egli scrive, è un efficace corredo di ogni contributo biologico e specialmente zoologico. A dimostrare la larghezza di vedute del Doria ricorderò che fino ad allora (1893) gli Annali erano stati per tutti gli zoologi, sia italiani sia stra- nieri, un campo nel quale potevano liberamente produrre i frutti della loro attività scientifica, come fanno fede le Memorie in essi pubblicate da Wie- dersheim, da Weissmann, da Gasco, ecc. S'intende che la parte principa- lissima era dedicata allo studio dei preziosi materiali raccolti nella Malesia, nella Papuasia e nell'Africa, dalle spedizioni scientifiche di Beccari, di L. M. D'Albertis, di Doria, di Antinori, di E. D'Albertis ed altri, spedizioni in gran parte ideate e preparate fra le pareti del Museo civico. « Non tra- scurammo », soggiungeva il Doria, « un altro intento che pur ci stava molto a cuore: vale a dire lo studio della fauna italica e più specialmente della produzione locale, che fu da noi costantemente raccomandata agli amici nostri ». Ciò ‘naturalmente portava anche a dare grande valore a tutta la fauna mediterranea, di cui la nostra fa indissolubilmente parte. Tanta operosità, guidata da così nobili intenti, avrebbe meritato di es- sere coronata da un successo trionfale, e avrebbe dovuto rendere agevole al Doria il proseguimento della sua opera. Invece, nel 1896, quando il Museo contava ormai trenta anni di vita feconda, e gli splendidi Annali erano giunti al 38° volume, il Doria, lungi dal trovarsi su quel piedistallo a cui avrebbe avuto diritto, doveva ancora lottare e con difficoltà sempre più gravi. I locali del Museo erano diventati del tutto insufficienti, e « l'umidità lo aveva invaso in un modo straordinario ». « Il Museo civico di Genova — scrive- vano al Municipio, Doria e il suo impareggiabile collaboratore prof. Gestro, invocando una nuova sede — più non è in grado di ricevere nuove colle- zioni e, quel che è peggio, non più in condizioni di ordinare conveniente- mente e di conservare quelle che già possiede. « Le preparazioni tassider- — 751 — miche », uso sempre le loro parole, « sono spesso rivestite da uno strato di muffa, e vanno deteriorando in modo sensibilissimo ». Più tardi, cioè nel 1901, dopo di aver dato alla luce il 40° volume degli Annali. dovevano sospenderne la pubblicazione. Soltanto nel 1904 potevano riprenderla, perchè (sono le loro parole) da qualche tempo s'era manifestata una corrente favo- revole all'Istituto. La nuova sede del Museo però potè essere inaugurata soltanto nel 1912, un anno prima della morte del Doria, già da lunghi anni sofferente. Alla vigilia dell'inaugurazione, dal letto egli scriveva al nostro collega Capellini che la salute lo aveva abbandonato sul più bello; che avrebbe ve- duto soltanto in sogno il nuovo Museo; ed aggiuugeva: « È quasi mezzo secolo di lavoro e mezzo milione di capitale che ho tolto alla mia famiglia! Ho fatto bene!!! ». Convien dire — aggiunge il pro- fessore Issel, più che amico, quasi fratello — che egli aveva speso viaggiando gran parte delle sue sostanze, e si era impoverito coll’acquisto di materiale scientifico a vantaggio del Museo civico e colla pubblicazione degli Annali di questo Istituto. eat Genova, riconoscente, ha deliberato di intolare il Museo civico al Doria, che ne fu il creatore e che vi aleggia ancora in ispirito. Lo zoologo che visita questo Museo, ha l'impressione che Giacomo Doria sarebbe contento della grandiosa nuova sede delle collezioni, ma non sarebbe soddisfatto e richiederebbe dalla ricca città di Genova altri pode- rosi aiuti. Purtroppo (è d'uopo esser sinceri) in questi ultimi quindici anni il Museo civico di Genova non potè progredire nella stessa misura dei maggiori Musei d'Europa; essi ormai distanziano quello di Genova, che è, pur sempre, grandioso. È vero che in Italia qualunque specialista, il quale voglia averla certezza che la sua collezione sarà ben conservata, non può far di meglio che lasciarla al Museo di Genova: e perciò, legati e doni di raccelte pre- ziose pervengono (lo ha giustamente osservato il sindaco di Genova) e per- verranno sempre a questo Istituto da diverse parti d'Italia; ma questo non basta. Occorre far molto di più, affinchè il monumento, che Genova vuole dedicato al suo grande figlio, sia veramente come questi lo sognava. Occor- rono mezzi molto larghi per aumentare sempre più le raccolte e un perso- nale numeroso, composto di esperti specialisti e di monografi da aggiungere a quegli attuali, perchè sia possibile di illustrare ed accrescere altri gruppi, oltre quelli entomologi. Queste erano le aspirazioni del Doria: i suoi mani riposeranno in pace, soltanto quando sarà assicurato l’esaudimento dei suoi voti. i Ma al Doria da molti anni sorrideva un ideale più vasto : egli vagheg- giava che anche in Italia sorgesse quel Museo nazionale di storia naturale che ormai non manca neppure alle nazioni minori. 9) — La collezione dei vertebrati italiani del Museo di Firenze — egli scri- veva nel 1887 — è un esempio che prova come anche da noi sì possa fare e bene: come collezione regionale, non credo che abbia l’ uguale. È un mo- numento che il Giglioli ha innalzato alla fauna italiana e di cui il Paese gli deve esser grato... Speriamo che lo Stato, apprezzando l'esempio dato dal prof. Giglioli per la collezione italiana, curerà la fondazione di un Museo nazionale, ove sia ordinata una collezione generale. « Soprattutto riflettano (continua il Doria — e la riflessione ancor oggi dopo un quarto di secolo è opportuna —) coloro che governano la pubblica istruzione, che il personale di un Museo veramente nazionale, ove si concentrano tutte le forze del Paese, deve esser libero da qualunque impegno didattico; nessuna ora di lavoro deve esser distolta dall'ordinamento delle collezioni; nessuno dei naturalisti addetti ad un Museo nel vero senso della parola, deve pensare a farsi titoli per arrivare alla sospirata cattedra. Si devono scegliere, per accudire ai sin- goli rami, uomini che abbiano dato prova di essere appassionati cultori della scienza, di esser in certo modo pronti a sacrificarsi per essa. Ad essi si faccia una posizione morale e materiale che soddisfaccia ai loro bisogni e li renda tranquilli per l'avvenire... Nelle Università si abbiano le sole collezioni ne- cessarie per l'insegnamento... Le doti degli stabilimenti superiori si spendano ad organizzare buoni laboratorî, provveduti di tutto l'occorrente affinchè i giovani si possano esercitare in tutti quegli studî che formano la base della zoologia... » :) sagge proposte che Berlino ha realizzato fondando il Museo zoologico indipendente dalla Università: sapienti consigli, ai quali l'Italia invece è stata sorda. Siccome, purtroppo, per Museo molti intendono una collezione di ani- mali impagliati, perchè non nascano equivoci riporterò la definizione datane dal Doria. « Intendiamo per Musei collezioni in cui l’ostensione sia la mi- nima parte, la parte condannata a perdersi in un tempo limitato e che si può sempre rinnovare; in essi, la parte principale deve essere una collezione di studio numerosissima, illimitata per numero di esemplari raccolti in luoghi diversi, esattamente forniti di indicazioni di provenienza, questi disposti in modo che occupino il minor spazio possibile e siano riparati completamente dalla luce, o meglio conservati in una quasi completa oscurità ». Ho voluto fermarmi tanto a lungo su questo argomento per due ragioni: prima, perchè ritengo di rendere così il miglior omaggio alla memoria del Doria: in secondo luogo, perchè non v' ha dubbio che il Doria era bene ispi- rato. Oggigiorno omai tutti sono costretti a riconoscere che se è vero che la zoologia scientifica sta molto al di sopra della zoologia descrittiva, non è meno vero che anche questa è necessaria, perchè, come si esprimeva Linneo, essa è filum ariadneum, sine quo chaos. Se la zoologia scientifica si può paragonare al piano nobile del palazzo delle scienze, quella descrittiva viene ad essere il piano terreno, sul quale sorge quello nobile. Certamente, il cer- — 159 — vello è un organo d'ordine superiore allo stomaco; ma, per il funzionamento di quello, questo non diventa perciò meno necessario: così è della zoologia descrit- tiva rispetto a quella scientifica. Si aggiunga che il limite tra l’una e l’altra non è nettamente definito: tanto è vero che sarebbe assurdo di voler negare ai volumi degli Annali del Museo civico di Genova valore prettamente scientifico, inquantochè, per citare una sola ragione, nella zoologia descrittiva è compe- netrata la zoocorologia, ramo importantissimo dal punto di vista scientifico. X SY. Come ho accennato, il museo di Genova in un tempo breve e con mezzi scarsi si è potuto arricchire di una suppellettile immensa e preziosa, perchè il Doria era nato collezionista e aveva fatto una scuola di naturalisti esplo- ratori. Egli, che aveva un amore infinito per le cose naturali, è stato indefesso, accurato ed abile raccoglitore di piante al principio e alla fine della sua vita; di ogni sorta di animali, ma soprattutto di insetti, per il mezzo secolo in cui potè spiegare la sua attività. La passione delle raccolte diede a lui, di fibra poco resistente e gracile, l'animo di affrontare i disagî e i pericoli. di lunghi viaggi in regioni lon- tane e spesso malsane. Il primo suo viaggio data dal 1862, e si compiè in Persia, dove andò come membro della Missione inviata allo scià dal Governo italiano, insieme con due altri naturalisti, De Filippi, di lui molto più anziano, e Lessona. Ad un certo momento si separò dai colleghi, e da solo compì lunghe pere- grinazioni. Il secondo suo viaggio data dal 1865 ed è diretto ad un lembo del paradiso terrestre dei naturalisti, Borneo, l'isola degli ourang-outan, allora tanto poco nota. Gli era compagno Beccari, sommo botanico, dal quale pur- troppo dovette presto distaccarsi per ragioni di salute. Più tardi il Doria esplorò le coste del mar Rosso (1879) e la Tunisia (1881-82); quando gli anni gli pesarono, sì rivolse a lidi più vicini, le isolette dell'Arcipelago Toscano. Da tutti questi viaggi il Doria ha riportato importanti collezioni zoologiche. Ma ciò che egli ha saputo far raccogliere agli altri è stato molto più prezioso e abbondante. Il Doria sapeva ispirare il gusto per i viaggi, l’amore per le esplorazioni: insegnava agli esploratori i modi di far le rac- colte; indicava loro ciò che più doveva interessarli; li spingeva in regioni dove ancora molto restava da scoprire, e li sorreggeva in queste esplorazioni validissimamente dal lato morale e dal lato materiale. Se in molte esplorazioni fatte dagli italiani nell’ ultimo cinquantennio vennero curate con particolare sollecitudine le raccolte zoologiche, ciò si deve al Doria, e ne fa fede l'immensa suppellettile scientifica accumulata nel Museo civico di Genova. Ricorderò anzitutto il Beccari a Borneo, nelle RenDICONTI. 1914. Vol. XXIII, 1° Sem. 98 — 154 — isole della Sonda, nelle Molucche e nella Nuova Guinea. Il Beccari, specia- lizzato nella botanica, fu dal Doria innamorato anche delle collezioni zoolo- giche, e raccolse molti animali interessantissimi, del tutto nuovi. L. M. D'Albertis era un ardito cacciatore: Doria seppe trasformarlo in un naturalista esploratore. Anche egli si rese famoso nei suoi viaggi in Papuasia: raggiunse i monti, Arfak, dove per la prima volta occhi europei poterono contemplare le meravigliose produzioni di quella natura inesauribile, prime fra tutte le svariate tribù degli uccelli di paradiso. Solo i viaggiatori italiani — scriveva il Doria nel 1878 — hanno avuto fin qui la fortuna di cacciare le più rare e le più belle specie di uccelli di paradiso nelle foreste native! Una certa forma, scoperta dal D'Albertis, era così singolare, che per un momento fu creduta un artefatto, composto di pelli di differenti specie di paradisee. I risultati zoologici delle esplorazioni di Beccari e di D'Albertis sono stati meravigliosi. Dalla Papuasia erano già giunti nel 1878, al Museo di Genova, oltre ad 800 esemplari di mammiferi, 10000 rettili, 3000 uccelli, 2000 pesci, 80000 insetti e un considerevole numero di altri invertebrati. Altre collezioni, altrettanto meravigliose, pervennero al Museo di Genova più tardi raccolte da Beccari a Sumatra (1878), da Fea in Birmania (1885-88), da Modigliani a Nias (1886), da Loria nella nuova Guinea (1889-97), da Modigliani nell'interno di Sumatra e ad Engano (1890-91) e alle isole Mentavei (1894). In quasi tutti questi viaggi il Doria non fu semplice me- cenate, ma la suprema mente direttrice e animatrice. Che la Malesia e la Papuasia siano state la principale mira di Doria per tanti anni, ogni zoologo e ogni botanico lo comprendono. Ma quando sorse l’occasione, il Doria diresse i suoi collaboratori anche ad altri lidi: così fece unire alla spedizione Bove il Vinciguerra, che riportò al Museo di Genova importanti vertebrati dall'Isola degli Stati e dallo stretto di Magellano. Anche verso l’Africa il Doria aveva appuntato il suo occhio parecchie volte; ma vi concentrò tutta la sua attività soltanto nel 1891, quando fu nominato presidente della nostra benemerita Società geografica. Per questa alta carica egli aveva una lunghissima preparazione: e infatti, pur dando la preferenza alle raccolte zoologiche, sapeva giustamente apprezzare anche quelle botaniche e quelle etnografiche, e molto s' interessava anche dei pro- blemi geografici. Ma in quell'epoca non era possibile far soltanto della scienza per la scienza, perchè le nazioni più potenti europee stavano disputandosi il predominio in quelle parti del continente africano, che potevano ancora ritenersi res ru/lius: e l’Italia non voleva, non doveva restar colle mani vuote; l’africanismo, come scrisse Della Vedova, era allora nello spirito dei tempi, era nel Paese. Ecco perchè l’opera della Società geografica, sotto la presidenza di Doria, si svolse specialmente in Africa. — 755 — Nell’Africa orientale il Giuba era stato preso come limite tra la sfera d'influenza dell'Italia e quella dell’ Inghilterrra: confine che non era confine, perchè il corso del Giuba era in gran parte sconosciuto. Bisognava esplorare il Giuba. Ecco una grandiosa impresa di cui la Società geografica prendeva l'iniziativa, auspici Della Vedova, il cui nome merita il primo posto, Doria, Millosewich e altri. Il capitano Vittorio Bottego: ecco per l'impresa l’uomo, del quale Doria genialmente aveva intuito le eminenti qualità di condottiero, di naturalista e di esploratore. La meravigliosa impresa è stata consacrata ai posteri nel libro: // Giuba esplorato ; nella prefazione di questa opera è messa in chiaro la non piccola parte di merito che ne ridonda a Doria. La seconda spedizione Bot- tego, sempre di completa iniziativa della Società geografica, portò alla cono- scenza del corso medio e inferiore dell’Omo, che era anch'esso ignoto. Pur- troppo gli splendidi risultati di questa seconda spedizione, che coincidette colla malaugurata guerra coll’Abissinia, furono scontati con fiere tragedie: essa costò la vita oltrechè al Sacchi compagno del Bottego, al Bottego stesso; e potè essere narrata soltanto da Vannutelli e da Citerni salvatisi quasi per miracolo. La Società geografica, di cui era sempre presidente il Doria, ebbe a soffrire non soltanto per queste perdite, ma anche perchè il Paese, dopo i disastri di Abba Carima e di Adua, alla ricerca di capri espiatorii, coinvolse nelle censure anche la Società geografica, la quale invece, come scrisse Della Vedova, per amor di patria, per zelo di studî, niente altro che per questo, si era accostata ad imprese che facevano parte del programma di un determinato partito politico, e perciò si era trovata esposta alle ripercussioni di acerbe ire. Così è che quella presidenza della Società geografica, che aveva procurato al Doria tante soddisfazioni fino al 1894, dopo quell'epoca gli apportò ogni sorta di dolori. Al Doria però la fortuna concedette di vivere fino al giorno, in cui la nazione unanime spontaneamente rinnovò le gesta africane, questa volta con miglior fortuna; e ciò venne a giustificare, e, più che giustificare, a circon- dare dell'’aureola dei precusori quella Società geografica che egli avea pre- sieduta nei suoi più belli e nei suoi più brutti momenti. Purtroppo, al Doria non fu altrettanto favorevole la fortuna per quei Musei di Storia Naturale che per tutta la sua vita stettero in cima de’ suoi pensieri. Il nostro Paese per ora ai Musei non pensa: o meglio sembra che sia sulla via di disfarsene, se si deve giudicare dalla sorte toccata recentemente al Museo Agrario di Roma. Ma seguiamo l’esempio lasciatoci dal Doria: non scorag- giamoci, e speriamo in giorni più favorevoli a quella coltura scientitica supe- riore, che è stata la gloria dei nostri avi. = O PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MirLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando fra queste il fascicolo 1° dell'opera dei professori OmopEo, PEGLION e VALENTI: Za Colonia Eritrea: condizioni e problemi, edita per cura della Società italiana pel progresso delle scienze; la Memoria a stampa del Socio straniero LAcROIX, avente per titolo: Zes Zatérides de la Guinee et les produits d’altération qui leur sont associés; e il Processo verbale, presentato da G. LECOINTE, relativo alla sessione tenuta in Roma nel 1913, dalla Commissione polare internazionale. E. M. — 757 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 3 maggio 1914. Beuinor A. — Flora padovana, ossia prospetto floristico e fitogeografico delle piante vascolari indigene insel- vatichite o largamente coltivate cre- scenti nella provincia di Padova, con notizie storico-bibliografiche sulle fonti della flora. Padova, 1910-14. 89. De BLaAsio A. — La psico-narco-anestesia nel tatuaggio. (Estr. dall’ « Archivio di antropologia criminale, psichiatria e medicina legale », vol. XXXV), To- rino, 1914. 8°. De SterANI C. — Fossili della creta su- periore, raccolti da Michele Sforza in Tripolitania. (Estr. dalla « Palaeon- tographia italica», vol. XIX). Pisa, 1913. 4°. Lacroix A. — Les latérites de la Guinée et les produits d’altération qui leur sont associés. (Extr. des « Nouvelles Archives du Muséum », 5£ sér., t. V, 1913). Paris, 1914. 4°. LecornTE G. — Procès-verbal de la session tenue a Rome en 1913. (Commission polaire internationale). Bruxelles, 1913. Bruxelles, 1913. 8°. Op6n pe Buen. — Reunion en Roma de la Comisién internacional para el estudio del Mediterraneo. Comunica- cién. Madrid, 1914. 8°. Omoneo A. — La colonia Eritrea: condi- zioni e problemi. Fasc. I. (Società ital. per il progresso delle scienze). Roma, 1913. 8° Porcari G. — Nuove tavole matematiche e nuove formole per abbreviar@ e con- trollare i calcoli usuali, ornate di utili nozioni scientifiche. Roma, 1914. 8°. Fulci. I così detti: ascessi di Dubois, secondo gli studî sulla ri Snerazione del timo dei mammiferi (pres. dal Socio Marchafava) . 5 l'gtigneo . Pag. 935 Lumia. Azione dei concimi minerali sull’ attività di alcuni microrganismi ‘del i (pres, dal Socio Cuboni) RES Ea It ad. Pa LOTO N STRA Amantea. Ricerche LL secrezione ‘spermatica. «La cool du scereto prostatico del cane. (pres. dal Socio Luciani) (0° ae i a E LO TAGE Brunacci. Sull” adattamento degli Anfibi Ai Tignido esterno. I la regola» zione della pressione osmotica dei loro liquidi interni: importanza. dei sacchi linfatici a vescica urinaria. — IM. Proprietà. chimico-fisiche dei liquidi interni delle rane estive tenute in acqua distillata ed in soluzioni Ringer. ipertoniche. — IV, Il tempo entro il suuale la regolazione. osmotica avviene (pres. Id.) O RAR i i sE È MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO: DI COMMISSIONI Serra. uode dc della a Sardegna centro- ode (pres. dal Socio Struever) . gig RELAZIONI DI COMMISSIONI Blaserna relatore) e i ii ui Memoria del dott. Gianfrensohi; « Per lo studio del Corista campione dell’ Ufficio centrale italiano n». |. a Mattirolo (relatore) e Parotta. Relazione sulla Memoria, del dott. Perotti: “ : Studî di biologia sopra, sl Agro romano in rapporto al suo bonificamento agrario n. . o n AT Grassi (relatore). e Pirotta. Relazione sulla MILIONE del prof. Acqua: «Osservazioni a) espe» rienze sul filugello » SER ; SUA: i gio - Grassì (relatore) — e Todaro. Relaziohe Cla i del dott. Sanzo: « Stadî larvali di Bathophilus nigerrimus Gigl. o AR | PERSONALE ACCADEMICO 3 Bia residente), Da annuncio ‘della; mete del Socio straniero prof. Baoardo Suess n - 4 - Grassi. | Commemorazione del Corrisp. marchese Giacomo Don SRISRBE ATA A NI i Sg PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, ino quelle del” Socio straniero Lacroix; dei proff. Omodeo, Peglion, Valenti e del sionor Lenolito » 756 _ BULLETTINO BIBLIOGRAFICO . TUONO PS DOO gio PAR SI RT) RENDICONTI — Maggio 1914. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 maggio 1914. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Rbrner è Contardi. La trinitrobenzina asimmetrica 1.2. 4... TRA SRI O De Stefani. Su una Nota di Steinmann intorno alle rocce di Prato in mie VERO Severi, Sugli integrali abeliani riducibili. . . . . SERE ORGA Almansi, Un'osservazione sulle figure d’equilibrio dei fidi ct. SANE OSIAA QNILL SERIE LACIE AOLO Balbiano. Sulla tribenzoina . . .. 7 1 ORGE à » 654 Issel, Lembi fossiliferi quaternarî e ai osservati nily dirla meiilionale dal lupo sore D. Lovisato(*). . . - 111414659. . Bottasso. Sull'operatore differenziale. io S di M Pieri des. dal e, Mango ” » Picone, Sopra una questione di geometria cinematica (pres. dal Socio Bianchi) . . . . » 666 Signorini, Caratterizzazione energetica dei moti soggetti a resistenza viscosa od idraulica (pres. dal Socio Levi-Civita) . . . . I e OI Tonelli. Su una proposizione dell'AlMEnsì ii dell CI ii ST OO Godeaua. Sur les surfaces de genres zéro et de bigenre un (pres. dal Corrisp. Erriques). » 682 Armellini. Sopra la soluzione delle equazioni differenziali del moto di un punto attratto da più centri fissi posti in linea retta (pres. dal Socio Volterra) (*) . . . . ... .. » 686° Burgatti, Potenziali Newtoniani dell’elasticità (pres. dal Corrisp. Marcolongo) () . <.<.» » Viaro, Sulla costruzione delle tavole per la correzione del passo dei to micrometrici (pres. dal Socio Maillosevich) . .. . ANI, ENIT Silva, Sulla correzione di run alle letture i Soho Sato fatte Ta microscopio micro- metrico (pres. Id.) È) . . . . ; SEI TROTA CN a IN OIDS Rolla. Sul punto di fusione dell'ancdio. de dal Coni ‘Gar lasso) SSA de Guglielmo. Sull’esperienza di Clément e Desormes, e sulla determinazione dell SA meccanico della caloria (pres. dal Socio Blaserna) . . . . . Aglio Gianfranceschi. La durata minima di un suono sufficiente per iidivideando (E ) 0 Amadori. Sui fenomeni di trasformazione nei molibdati e wolframati di sodio (pres. dal Socio Ciamician). . . 7 » 707 Quercigh. Sulla vera maturi della miste e nio cupr coi die dal Soaio Striwer), MNT Storgi, Sui borati. Sistema Ba0 = B*0? — H®0 a 30° (pres. dal Socio Masini) . . . .. » 717 Cambi, Sulla reazione del nitroprussiato con alcuni chetoni (pres. dal Socio Angeli) (*). » 722 Bianchi. Ilmenite di Val Devero (Ossola) (pres. dal Socio Struever). . . . SS RENOIR) Pieragnoli. Di alcune nummotiti dell’Isola di Rodi (pres. dal Socio De sun) ME PRSENA IO OTIZISÌ Ponte, Sulla origine delle acque sotterranee del versante orientale dell’ Etna (pres. /d.). . » 730 Migliorini. Sulla Geologia dei dintorni di Tobruk (pres. /d.) . . . . » 734 Quagliariello e D'Agostino. Sullo stato dell'acido carbonico nel sangue. Metodo per a piccole quantità di acido carbonico (pres. dal Corrisp. Bottazzi) (*). ..../...... »» (Segue în terza pagina) {*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. — Pubblicazione bimensile. Roma 17 maggio 1914. N. 10. DELLA RRALE ACCADEMIA DEI LINCRI ANNO CCCXI. 1914 SHEVTH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del AT maggio 1914. Volume X XIII. — Fascicolo 10° 1° SEMESTRE. rei ANI I NSÙt,): x CA ; ) È ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1914 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano - una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- ‘siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50. agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’altro inserite neì Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta dì stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o ‘in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pra posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. À chi presenti una Memoria per esame è dataricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli aù- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 5088 . estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. DON Seduta del 17 maggio 1914. F. D' Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Geologia. — Zembi fossiliferi quaternari e recenti osservati nella Sardegna meridionale dal prof. D. Lovisato. Nota del Cor- rispondente A. IsseL. Per soddisfare al desiderio espressomi dal mio riverito collega ed amico prof. Domenico Lovisato, infaticabile esploratore della Sardegna, ho esami- nato le ricche serie di fossili recenti e quaternarî da lui raccolte nella parte meridionale dell’isola, e mi faccio ora a render conto delle mie osservazioni. Le specie di fossili comunicatemi dal Lovisato sono in grandissima parte riferibili alla classe dei molluschi, ed io sono riuscito a determinarle quasi tutte, col sussidio di monografie relative alla fauna malacologica mediterranea, e confrontandole con esemplari tipici pertinenti alla fauna odierna del nostro mare. Non ho creduto necessario trascrivere nella mia Nota il catalogo ragio- nato e completo dei fossili sottoposti al mio esame, perchè avrebbe accre- sciuto il volume della Nota senza aumentarne il valore. Mi è parso preferibile il partito di recar solo l’elenco delle specie e varietà più abbondantemente rappresentate, e in particolar modo di quelle che sono più caratteristiche, dal punto di vista della distribuzione geografica e stratigrafica. Ho colto inoltre l'opportunità offertami da questo lavoro per esporre alcune considerazioni sull'ordinamento dei terreni quaternarî. RenpIcoNTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 99 = (00 = I fossili raccolti dal Lovisato provengono dalle aree e dai punti seguenti : 1) Sponda orientale dello stagno di Santa Gilla e specialmente un punto situato sulla sponda di detto stagno, sotto Fangario, lungo la linea ferro- viaria. i 2) Sotto la stazione ferroviaria di Cagliari e lungo la linea ferroviaria in prossimità di questa stazione. Si trova colà un calcare siliceo turoniano, forato da litodomi e da spugne. 3) Banco di sabbia a Lutraria, che si trova fra io stagno di Mon- serrato e S. Mauro, sotto la villa Mossa, come pure un lembo di sabbione sovrapposto a detto banco dall'altra parte del ponticello attraversato dalla ferrovia secondaria. 4) Parte nuova del Camposanto di Cagliari, formazione messa allo sco- perto da poco più di 10 anni, e che consiste in conglomerato ghiaioso e sab- bioso poco tenace, con numerose conchiglie assai alterate (sembrano calcinate) e infrante, punto assai vicino alla riva odierna. 5) Spiaggia delle saline di S. Bartolomeo, presso la stazione biologica, a brevissima distanza dalla riva attuale. 6) Dalla estremità meridionale della Cala Mosca, sotto il semaforo di S. Elia, alla Grotta della Foca. Si tratta di sabbione sciolto o più o meno concreto, il quale si solleva fino a poco più di 1 m. sul livello marino attuale, ed è ricco di conchiglie marine; fra queste poche terrestri, con scarsi coralli, echinodermi e resti di crostacei. Le sabbie riposano sopra calcari a Lithothamnium forati dai litodomi. 7) Spiaggia del Poetto, a breve distanza a nord-est della Cala Mosca, ove si trovano sabbie conchiglifere emerse, analoghe per età e giacitura a quelle della Cala Mosca. i Ricevetti inoltre qualche fossile dal quaternario del Sulcis, dalle vici- nanze dello stagno di Pilo (Nurra di Sassari) e dalla spiaggia emersa delle Saline; ma si tratta di materiale troppo scarso, perchè io possa dedurne illa- zioni di qualche valore. Taccio per analoga ragione di altri campioni di fossili e di rocce provenienti da parecchi punti della Sardegna settentrionale non compresi fra quelli testè ricordati. Dalla prima località, situata, come si è detto, presso le rive dello stagno di Santa Gilla, provengono oggetti di due età diverse, cioè gusci di ostriche, di Cardium, e d'altri molluschi bivalvi, come pure di patelle, in gran parte spezzati, che sembrano di data recentissima ed hanno i caratteri di avanzi di pasto, analoghi secondo Lovisato ai Kjòokkenmòdding, mentre altri, rac- colti in principal modo sotto Fangario e d'aspetto più antico, non subirono cer- tamente alterazione e trasporto per mano dell’uomo. Fra questi abbonda una varietà di Ostrea edulis, affine a quella che vive a Cancale (Atlantico), associata alla var. tarentina, e si trova il Pectunculus violacescens, Lamarck. Valve d'ostriche ed avanzi di altre conchiglie, fra le quali ho cre- — 761 — duto riconoscere l’Eastonia rugosa, Chemnitz, sono cementati con ciot- toli e ciottoletti in un conglomerato assai tenace. Il banco d'ostriche rag- giunge circa 1 m. di potenza, ed è sottoposto a sabbie argillose bigie senza fossili. Al Monte S. Michele, collinetta situata a breve distanza dal punto suaccennato, verso levante, Lovisato osservò tracce-*recenti lasciate dal mare, e raccolse un campione di roccia cui aderiscono tubi calcarei che sembrano di Vermetus. Il materiale estratto dal punto n. 2 (sotto la stazione delle ferrovie reali di Cagliari) consiste in un conglomerato conchiglifero, con Cardium tuberculatum, Linné, Venus sp., Tapes sp., Loripes lacteus, Linné, e fusti di Posidonia, in frammenti di calcare forato dalle foladi e foladi libere (Pholas dactylus, Linné) ('). Dai fori praticati da dette foladi ho tratto sabbia contenente: Conus Mediterraneus, Brug.; Nassa costulata, Renier; Bittium reticulatum, Da Costa; Ce- rithiopsis Metaxae, Delle Chiaie; Rissoa (Zippora) auriscal- pium, Linné; Rissoa (Apicularia) Guerini, Recluz; Loripes la- cteus, Linné. In questi fossili non trovo elementi che mi consentano di ascriverli ad un piano diverso dal recente; infatti sarebbero da riferirsi, secondo Lovisato, al periodo preromano. Il conglomerato si trovava a circa 2 m. sul livello marino. Un esemplare di calcare siliceo, ricevuto da me coll’indicazione di « Piano delle ferrovie reali di Cagliari 7, oltre a numerosi fori di litodomi e ad erosioni di spongiari, conteneva in uno dei primi Venerupis irus, Linné. La località indicata al n. 5 della mia enumerazione (fra S. Mauro e lo stagno di Monserrato) ha fornito buon numero di conchiglie d'aspetto recente, vissute in posto, ed altre, in gran parte artificialmente infrante, associate a manufatti, e sono indubbiamente avanzi di pasti. Le conchiglie non trasportate o mutilate dall'uomo appartengono a 68 specie tutte marine e tutte appartenenti alla fauna attuale. Le più abbon- danti sono: Murex trunculus, Linné; Cerithium vulgatum, Bru- guière (le varietà labrosum e subasperum di Monterosato); Arca Noae, Linné; Ostrea edulis, Linné; var. lamellosa, Brocchi; Venus gallina, Linné; Loripes lacteus, Linné. Notevoli, perchè non comuni: Murex (Ocinebra) Edwardsi, Payraudeau; Nassa (Arcularia)gib- bosula, Linné; Lucina (Divaricella) divaricata, Linné; Lucina borealis, Linné; Corbulomya Mediterranea, Da Costa, e principal- (1) Le foladi appartengono ad individui di non comuni dimensioni e pratàcarono fori che misurano fin 28 mm. di diametro. ® — 762 — mente Lutrarialutrarìa, Linné e Panopaea glycimeris, Born. Oltre alle conchiglie sono da segnalarsi alcuni Balanus. « Gran parte degli accennati fossili sì trova contenuta in un banco dal- l’altra parte del ponticello attraversato dalla ferrovia secondaria » (son parole di Lovisato), che il raccoglitore definisce banco a Lutraria, e giace all'al- titudine di 3 a 4 m. Oltre alla Lutraria, vi sì osservano Panopaea gly- cimeris, Arca Noae, Pinna nobilis, Linné; Murex trunculus ece. Al di sopra di questo giacimento sì vede un sabbione argilloso colle due varietà testà menzionate di Cerithium vulgatum; Cerithiopsis Metaxae, Delle Chiaie; Pirenella conica, Blainville. var.; Cardium edule, ecc. I documenti paleontologici non consentono fin qui di asserire che i due depositi appartengano alla serie quaternaria. ° I gusci mutilati di Ostrea, di Mytilus, d'Arca, di Patella e di Trochus più recenti, per la speciale modalità di frattura di cui portano le tracce, sono da ritenersi per la massima parte residui di pasto. Alcune conchiglie di Columbella rustica, Linné, dall'apice mozzato, raccolte con questi residui, furono probabilmente così ridotte di proposito deliberato, per servire ad uso di monile o affine di ornarne qualche indumento. 1 manufatti consistono principalmente in cocci di fittili non torniti e cotti sulla brace, fittili d’ impasto grossolano di tipo neolitico. Vi sono com- presi pezzi di olle ovoidali, con ansa e senza, ed un frammento di vaso emisferico provvisto di carena ottusa, parallela e prossima al margine. V' ha pure una rozza cuspide scheggiata ed ammaccata, la quale, essendo costi- tuita di roccia piuttosto tenera, non poteva servire che ad uso di stromento contundente. Ricorderò anche ciottolini di pietra verde e frammenti di cal- care, che sembrano trovarsi in quel giacimento perchè trasportati dall'uomo; inoltre residui di scorie metallurgiche, le quali accennano ad un intervento dell’uomo posteriore ai tempi cui si possono attribuire i fittili. Avvalorano l'interpretazione che alcuni oggetti sopraenumerati sieno da considerarsi come relitti di pasti parecchie ossa di piccoli erbivori, artifi- cialmente spezzate, cui erano associati. Il giacimento della parte nuova del camposanto di Cagliari, situato non lontano da questa città verso oriente, è il quarto di quelli esplorati dal prof. Lovisato, dei quali egli mi comunicò ì fossili, che consistono in ossa di ruminanti, cioè di Cervo e di Mufflone, in pessimo stato di conservazione, e in conchiglie in gran parte guaste e calcinate. Queste si distinguono per le dimensioni generalmente maggiori delle normali ed appartengono a 20 specie, fra le quali prevalgono per numero: Cerithium vulgatum, Bru- guière, Eastonia rugosa, Chemnitz, e Cardium edule, Linné. Degne di nota per le dimensioni eccezionali: Cassis undulata, Gmelin; Tritonium nodiferum, Lamarck, e Cardium edule, Linné. Ma specialmente sono meritevoli di particolare attenzione: — 763 — Conus testudinarius, Martini (') attualmente estinto nel Medi- terraneo e che sopravvive nelle acque del Senegal; Cardium edule, Linné, var. Cotronensis, Gignoux. Si tratta di varietà segnalata nei depositi qua- ternarî della Calabria e mancante alla fauna vivente (2); Tapes sene- scens, Doderlein, var. subtriangularis, specie e varietà estinta. propria al pliocene, della quale si trova una buona illustrazione nell'opera di Cerulli- Irelli « Fauna malacologica Mariana » (Paleontographia Italica, Pisa, 1908). L'unico esemplare sottoposto al mio esame corrisponde alla fig. 22 della tav. XII di detta Memoria. Le conchiglie raccolte o osservate nella parte nuova del Camposanto di Cagliari sono spesso impigliate in un conglomerato arenaceo, che ricetta anche qualche corallo ed ossa di piccoli ruminanti. Il giacimento, di cui sì tratta, è interposto fra i livelli di 7 e 10 m. sul mare. La quinta località, fra quelle sopra enumerate, è la spiaggia delle saline di S. Bartolomeo, presso la riva del mare a m. 1,50 su questo, spiaggia sulla quale sorge la nuova stazione biologica. Essa somministrò al Lovisato 25 specie o varietà di conchiglie, parte delle quali erano originariamente impigliate in un conglomerato; tutte appartengono alla fauna vivente. Parmi opportuno segnalare nel numero: Purpura haemastoma, Linné; Nassa(Amycla) semistriata, Brocchi; Conus Mediterraneus, Bruguière, var. oblonga, Bucquoy, Dolfuss e Dautzemberg; Cerithium vulgatum, Bruguière, var. spinosa, de Blainville (non Philippi); Ostrea edulis, Linné, var. Cirnusiì, Payrau- deau; Cardium edule, Linnè, var. Lamarcki, Reeve; Scrobicula- ria plana, Da Costa; Pholas dactylus, Linné. Una sola conchiglia terrestre, l’ Helix (Helicogena) vermiculata, Miiller. Le specie più abbondanti sono Cerithium vulgatum, Bruguière, var. spinosa e Cardium edule, Linné. Colle accennate conchiglie, che sembrano riferi- bili ad una fauna recente, si rinvennero un molare di suino e frammenti d'ossa lunghe indeterminabili. Di gran lunga più ricco di tutti gli altri è il deposito fossilifero che dal Capo S. Elia, sotto il semaforo, si estende all’estremo limite meridio- nale della Cala Mosca, e risulta di sabbie o sabbioni, quali sciolti, quali concreti, adagiati sopra un calcare a Lithothamnium elveziano, forato dai litodomi, sabbie sollevate a 1 m. o poco più sul livello marino. La roccia assume aspetto diverso secondo la grossezza degli elementi e i fossili cui dà ricetto. Ad Is Mesas una roccia analoga apparisce foggiata in strati tabulari, forse perchè costituita di sabbie sottili ed omogenee, tenacemente cementate. (') La specie di cui si tratta è stata recentemente descritta e figurata da Gignoux nell'opera Zes formations marines plioc. et quat. de l'Italie du sud, ete., p. 479. tav. VI, fig. 4-7. Lyon-Paris, 1913. (?) Si troveranno indicazioni in proposito nell'opera precitata di Gignoux. — 764 — I fossili di questa formazione e della parte nuova del camposanto di Cagliari furono in parte determinati dal dott. Maurizio Masera, il quale ne fece oggetto di una tesi di laurea, che rimase inedita (*). Quelli da me stu- diati si riferiscono a 160 specie ben distinte, fra le quali resti (chele) di crostacei brachiuri, tre conchiglie terrestri, un echinide e due corallari. Tutte le altre sono conchiglie marine. I resti di crostacei appartengono, almeno in parte, al genere Callia- nassa; gli echinidi sì riferiscono al Echinus (Strongylorentrotus) lividus; i coralli a Cariophyllia cyatus, Solander, e Cladocora cespitosa, Milne Edwards e Haime. Le conchiglie terrestri sono: 1’ Helix (Iberus) Carae, Cantraine; Helix (Xerophila) trochoides, Poi- ret, ed altra specie indeterminabile. Fra i testacei marini prevalgono per numero di esemplari: Nassa incrassata, Miller; Columbella rustica, Linné; Conus Medi- terraneus, var. Vayssieri, Cerithium vulgatum Bruguière; Bit- tium reticulatum, Da Costa; Turbo rugosus, Linné; Gibbula Adansoni, Payraudeau; Gibbula varia, Linné; Littorina neri- toides, Linné, Barleeia rubra, Adams; Rissoa Guerini, Recluz; Rissoa pulchella, Philippi; Fissurella costaria, Basterot; Pectun- culus insubricus, Brocchi; Pectunculus pilosus, Born; Arca Noae, Linné; Arca barbata, Linné; Cardita calyculata, Linné; Venus verrucosa, Linné; Meretrix chione, Linné; Lucina (Tu- gonia) reticulata, Linné; Loripes lacteus, Linné. Specie o varietà notevoli perchè non comuni: Nassa (Arcularia) gibbosula, Linné; Murex (Pseudomurex) Meyendorfi, Calcara; Triton Parthe- nopaeus, v. Salis (T. suecinctum, Lamarck) T. corrugatum, Lamarck; Cerithiopsis Ragusinum, Brusina; Mytilus edulis, Linné, var. ungulata, Venus verrucosa, Linné, var. turgida, Issel (?); Eastonia rugosa, Chemnitz (8). Ma mi piace chiamare principalmente l’attenzione dei paleontologi, per l’importanza loro dal punto di vista geo- grafico e stratigrafico, sulle seguenti: (£) Un sunto delle osservazioni fatte da questo studioso fu presentato verbalmente alla Società per il Progresso delle Scienze, nella sua riunione tenuta in Genova. (2) Questa varietà, che si distingue per la convessità delle valve, assai maggiore del consueto. si trova pure in parecchi dei nostri depositi subappennini. (3) Specie, rara nel Tirreno e non frequente nel Mediterraneo occidentale, è invece comune nell’Atlantico medio e meridionale, lungo i lidi del Portogallo, del Marocco, delle Canarie e della Guinea, e fu segnalata alle isole Nicobar, alle Liew Kiew e nella Cali- fornia. Si trova fossile in buon numero di depositi italiani, ed esteri, quaternarî e plio- cenici; come pure in altri della Francia e della Svizzera riferibili a parecchi orizzonti miocenici. (Dalla Memoria del prof. R. Meli, Sulla Fastonia rugosa, Chemn. ecc. Modena, 1897). — 765 — Conus testudinarius, Chemnitz; Conus Mediterraneus, Bru- guière, var. Vayssieri, Pallary; Strombus bubonius, Lamarck; Tri- tonidea (Canthareus) viverrata (?), Kiener; Patella Lamarcki, Payraudeau, var. percostata, De Gregorio; Tapes Senegalensis, Gmelin; Cardium edule, Linné, var. Cotronensis, Gignoux. La prima, come si è detto, è vivente nel Senegal, e così la terza e la quarta ; propria- mente caratteristiche la var. Vayssieri del Co nus Mediterraneus. e la var. Cotronensis del Cardium edule, già osservate in alti giacimenti della stessa età. La Patella Lamarcki non è rara nel Mediterraneo meridionale e occidentale e in qualche punto dell'Atlantico, ma si trova con poca frequenza nel Tirreno e lungo le rive della Provenza. La sua var. percostata, che si distingue dal tipo per l'altezza maggiore rispetto al diametro dell’aper- tura, e per le coste assai più sporgenti, è ritenuta specie peculiare dal De Gregorio, e si trova fossile nella caverna d'Addaura in Sicilia. Si tratta perciò di una forma antiquata, estinta. Della Tapes Senegalensis trovai nella raccolta Lovisato tre valve ben conservate, e credo di averle determinate con sicurezza confrontandole colle sette ottime figure di questa specie date dall’Hidalgo nella tavola XLIII della sua opera Moluscos de Espana, come pure consultando le relative descri- zioni. Il settimo giacimento fossilifero, dal quale fu tratto il materiale paleon- tologico sottoposto al mio esame, è quello della Spiaggia del Poetto, che è propriamente la continuazione del lembo sabbioso di Cala Mosca, ed ebbe origine nello stesso periodo di tempo e sotto l’ impero delle medesime con- dizioni. Oltre ad un echinide, l Echinocyamus pusillus, Gray (13 esem- plari), e ad un asteride, l Asterina gibbosa, Forbes (un solo esemplare), il prof. Lovisato ottenne dalla detta spiaggia una dozzina di specie di con- chiglie marine, fra le quali due relativamente abbondanti, la Patella caerulea, Linné, e il Mytilus edulis, Linné, var. angulata. Note- voli: Purpura haemastoma, Linné; Fissurellalatecostata, Bru- gnone; Cardium(Laevicardium)Norvegicum, Spengler, var. Sene- galensis, Dautzemberg. In alcuni punti le sabbie e i tritumi di conchiglie sono più o meno cementati. Quantunque non confortato dal ritrovamento di fossili caratteristici, credo non possa revocarsi in dubbio l'affermazione che si tratta di un lembo qua- ternario contemporaneo a quello di Cala Mosca, e quindi quaternario medio. I fossili di Cala Mosca e della Spiaggia del Poetto appartengono in piccolissima parte alla zona sopramarina; a quella superiore cioè all'alta marea; tali sono la Littorina neritoides, Linné | L. caerulescens, Lamarck), e le tre specie di Helix comprese nella raccolta), e nel rimanente — 706 — consistono in conchiglie e coralli che allignano nelle acque sottili, cioè nei fondi che intercedono fra il livello dell'alta marea e una trentina di m. A rigor di termine non si può affermare tuttavolta che tali specie siano vis- sute proprio al livello in cui erano confinate i molluschi della zona super- ficiale; ma è presumibile che, per fatto del moto ondoso del mare e forse anche per opera dei paguri, abbiano subìto un trasferimento dal largo verso la riva e dal basso all'alto. Con un opera ponderosa intitolata: Zes formations marines pliocènes et quaternaires de l'Italie du sud la Sicile, il dott. M. Gignoux rias- sume i numerosi lavori comparsi intorno ai depositi pliocenici e quater- narî della regione da lui considerata, ed assurge a conclusioni desunte dalle faune e dalla stratigrafia intorno alle vicende verificatesi nel Mediterraneo occidentale, tra la fine del periodo pliocenico e i tempi attuali. Risultato importante dello studio precitato si è la dimostrazione sicura, in base all'esame di numerosi giacimenti fossiliferi, della individualità ben manifesta dei piani: Pliocene antico, Pliocene superiore o Calabriano, Sici- liano e degli strati a Strombus, i due ultimi riferibili al gruppo quater- nario. Ciascuna di queste suddivisioni è caratterizzata dalla estinzione di alcune specie di molluschi e dalla comparsa di altre. Gli esempî tipici del piano Calabriano si ravvisano nei depositi classici di Monte Mario, Valle- biaia, Monte Corvo, dintorni di Catanzaro, Nardò, Girgenti. L'autore scinde poi il Calabriano in inferiore, nel quale le specie immi- grate dal nord sono poco numerose, e in superiore, in cui le specie estinte sono assai scarse, e risultano in maggior numero quelle provenienti dal set- tentrione. Anche le divisioni da lui ammesse sotto i nomi di Siciliano e strati a Strombus sono ben definite, e rappresentate da esempî, quali noti, quali non ancora segnalati prima del Gignoux; tipici, rispetto alla prima, i depositi conosciutissimi di Ficarazzi, di Monte Pellegrino, di Brindisi, di Gallipoli, e, in ordine alla seconda, quelli di Catanzaro, Taranto, Ravagnese, Boveto. Ciascuna di queste fasi cronologiche corrisponde ad antichi livelli marini, più o meno alti sopra il pelo del Mediterraneo odierno. Rispetto al Pliocene, Gignoux ammette che la trasgressione pliocenica fu non maggiore di 200 m., fra Marsiglia e la Spagna, oltrepassò 1000 m. in Calabria, e raggiunse 500 m. in Algeria (secondo Lamothe). Per quanto sì riferisce al quaternario, il livello del Siciliano sarebbe compreso fra 80 e 100 m., e quello degli strati a Strombus segnerebbe rive di 15, 30, 35 m. Parecchi esempî accennerebbero a livelli intermedî fra quelli del Sici- liano e del piano a Strombus; e non mancherebbero casi, massime nel l'estremità meridionale della penisola, di altitudini eccezionali, subordinate alla instabilità del suolo nelle regioni vulcaniche e in quelle soggette a frequenti dislocamenti determinati da terremoti. — 767 — L'autore si è studiato di rintracciare, per ciascuno dei suol piani ma- rini, i corrispondenti livelli d'acqua dolce con fossili caratteristici. Egli, senza indugiarsi nell'esame della fauna terrestre pliocenica antica, accenna alla fauna terrestre contemporanea del suo Pliocene superiore o Calabriano (la stessa propria al complesso denominato Villafranchiano), specie caratte- ristica della quale sarebbe in Francia e in Italia l'Elephas meridio- nalis. Contempla poscia le faune del Siciliano e degli strati a Strombus, e attribuisce ad entrambe, nelle formazioni continentali, l'’Elephas anti- quus, il quale, come dimostrano le note scoperte compiute nella grotta del Principe ai Balzi Rossi, e in Algeria, si sarebbe mantenuto per breve tempo anche posteriormente. Le deduzioni d'ordine stratigrafico, paleontologico e cronologico che emergono dalle numerosissime osservazioni dello stesso autore e di molti geologi da lui citati, mi sembrano in tesi generale ineccepibili. Ritengo, peraltro, di dover mutare il riferimento del suo Calabriano al Pliocene supe- riore, perciocchè quest’ultimo piano, distinto dal Calabriano tipico a causa del maggior numero di conchiglie estinte che ricetta (specialmente Pleu- rotomidae, Cancellaridae, Nassidae, Veneridae) è, per comune consenso, denominato Astiano. Col Calabriano a parer mio esordisce il Qua- ternario. A rigor di termine l'attribuzione del Calabriano al Quaternario o al Terziario si riduce ad una questione di parole; ma, nella seconda ipotesi, sostituendo cioè l'appellativo di Gignoux a quello di Pliocene superiore, sino- nimo di Astiano, non si rispetterebbe la priorità che indubbiamente appar- tiene a quest'ultimo nome (?). Il contine fra i gruppi Terziario e Quaternario, in altre parole fra il si- stema pliocenico e il piano calabriano, si può collocare convenzionalmente al di sopra dell'orizzonte di Monte Mario, che corrisponde all'Astiano superiore, e al di sotto degli strati di Vallebiaia, che rappresentano l’ Infracalabriano. Questa linea di separazione è tantopiù opportuna per il fatto che i fossili di Monte Mario sono ora perfettamente conosciuti in seguito alla monogratia pubblicata dal Cerulli-Irelli nella Palacontographia Italica. L'introduzione di parecchi tipi artici nella fauna marina, non solo nel- l'Europa settentrionale, ma anche in Calabria e a Vallebiaia, giustifica sif- fatta delimitazione fra il Pliocene e il Quaternario. Finalmente, credo pure opportuno di assegnare al complesso degli strati a Strombus e allo spazio di tempo relativo una denominazione regionale, che in certo modo si possa contrapporre a quelle di Calabriano e di Siciliano, vale dire l'aggettivo di Tirreno. (1) L'aggettivo Astiano fu proposto nel 1853 da de Rouville per le sabbie d’Asti; quello di Piacentino, che equivale a Pliocene inferiore, data dal 1857 e è dovuto a Mayer- Eymar. RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 100 — 768 — Dopo aver descritto ì depositi marini quaternarî della Calabria, delle Puglie, della Sicilia, come pure del littorale Tirreno, e accennato per ragioni di confronto a quelli dell'Algeria, della penisola Iberica, della Provenza, del Nizzardo, delle Baleari, il Gignoux porge qualche indicazione sulle ghiaie e puddinghe, e specialmente sui depositi fossiliferi pertinenti allo stesso periodo segnalati in Corsica. Per quanto concerne la Sardegna, ricorda le osserva- zioni di Lamarmora, avvertendo che i fossili citati da questo autore consi- stono esclusivamente in specie littorali non caratteristiche (banales, come egli le definisce), riferibili tutte alla fauna attuale. Le osservazioni e le raccolte fatte dal prof. Lovisato nelle vicinanze di Cagliari dimostrano come non mancano colà lembi fossiliferi, appartenenti a parecchi orizzonti, più o meno recenti (o meglio posteriori al Pliocene) segnatamente a quello a Strombus, illustrato in modo così esauriente dal naturalista francese, vale a dire al mio piano Tirreno. Il Gignoux espone in alcune pagine della sua Memoria e in una carta geografica (pag. 5) la distribuzione dei giacimenti pliocenici inferiori e superiori (Calabriani) marini, Pliocenici continentali, Siciliani e Tirreni. Si è veduto come le raccolte del prof. Lovisato accusino l’esistenza, in varî punti della Sardegna meridionale, di spiagge sollevate, con sabbie e conglo- merati fossiliferi, che hanno tutti i caratteri dell'orizzonte Tirreno tipico. Inoltre, non per la ricorrenza delle specie caratteristiche notate da Gignoux (Strombus bubonius, Lamarck; Conus testudinarius, Martini ecc.); ma per il fatto che vi si rinvengono in una certa misura conchiglie mancanti alla fauna del Mar Rosso e viventi nell'Oceano Indiano, ritengo che sieno da iscriversi al Tirreno alcuni lembi conchigliferi emersi, alli- neati lungo le due rive dell’Eritreo, e specialmente quelli situati a mag- gior altitudine sul livello marino, per esempio i depositi segnalati presso Tor, presso Kosseir, lungo i lidi del golfo D'Akaba, e forse anche alcuni nel deserto di Sues (!). Le mie considerazioni avvalorano l'antica ipotesi, secondo la quale il Mar Rosso non esisteva durante gli ultimi tempi dell'era terziaria, fino a tutta l'epoca pliocenica superiore o astiana (?). A) pari della maggior parte dei geologi ho adottato nella mia Memoria l'espressione di Quaternario come attibuto cronologico dei terreni succe- duti ai pliocenici; e, seguendo l'esempio di Desnoyers, cui è dovuta una definizione precisa di questa antica denominazione, vi comprendo i terreni (*) Scrivo Sues perchè questa voce corrisponde al suono del vocabolo presso gli abi- tanti del paese, secondo la trascrizione italiana, mentre Suez riproduce lo stesso suono a norma della trascrizione francese. i (*) Morfologia e genesi del Mar Rosso. Atti del III Congresso geografico italiano. Firenze, 1898. — Essai sur l'origine et la formation de la Mer Rouge. Bull. de la Soc. Belse de Géol., de Paléont. et d’Hydrol., tome XIII, année 1899, Bruxelles. — 769 — recenti, il deposito dei quali si continua attualmente, e considero il Quater- nario quale era, rispetto ai tempi, e quale gruppo in ordine alla serie stratigrafica. Al vocabolo Quaternario Morlot, seguito da altri studiosi, sostituì Quar- tario, grammaticalmente più corretto; ciònondimeno l'antica espressione con- sacrata dall'uso è ancora quella che conta il maggior numero dei fautori. Non mi dissimulo quanto sia viziosa una terminologia fondata sopra numeri d’ordine, il significato dei quali, col volgere dei tempi, non corri- sponde più al concetto originario. Avrei preferito a Quaternario, Neozoico, secondo il significato attribuitogli dallo Stoppani nel 1873 (Corso di Geo- logia, vol. II); ma la stessa voce era stata proposta da Forbes nel 1854 per il complesso dei gruppi Cenozoico e Mesozoico; di più de Lapparent ne fece sinonimo di Terziario, e da Dollo fu adoperata per designare com- plessivamente Terziario, Quaternario ed Attuale. Per concludere, assumo la voce Quaternario per distinguere l'ultima delle ere geologiche, come pure il gruppo corrispondente, e divido conven- zionalmente questa era nei due periodi Postpliocenico e Attuale od Olocenico (*). Finalmente il primo si suddivide dal basso all'alto, secondo l'ordinamento da me caldeggiato, nei piani Calabriano, Siciliano e Tirreno. Riassumendo in poche parole i risultati di questo studio, concluderò coll’affermare: 1° che lungo le rive del golfo di Cagliari si trovano alla spiaggia del Poetto, a Cala Mosca (e in punti vicini), come pure nella parte nuova del camposanto di Cagliari, depositi pertinenti al Quaternario medio e pre- cisamente al piano Tirreno, in cui sono caratteristiche alcune specie viventi oggi nelle acque del Senegal ed estinte nel Mediterraneo. 2° Che appartengono probabilmente al medesimo orizzonte il banco a Lutraria, situato a nord di Cagliari e la spiaggia emersa delle saline di S. Bartolomeo, nei quali non furono ancora rinvenuti fossili caratteristici. 3° Che spettano all’Olocene (parte all'età preistorica neolitica, parte alla eneolitica) i depositi situati fra S. Mauro e lo stagno di Monserrato, e sotto la stazione delle ferrovie reali di Cagliari, depositi i cui fossili sono riferibili a specie tutte viventi nel Mediterraneo, essendo tuttavolta un po’ diversa la frequenza relativa di dette specie rispetto a quanto si verifica nella fauna attuale del vicino mare, date uguali condizioni fisiche e geo- grafiche. 4° Che l'altitudine massima raggiunta nella Sardegna meridionale dai depositi Tirreni (da 1 a 10 metri) è di gran lunga minore di quelle precedentemente segnalate lungo le rive della Liguria occidentale e del (*) L'espressione Hoiocène fu adoperata da Gervais per designare il complesso di terreni che comprende le alluvioni, le torbe ed altri depositi che continuano a formarsi anche attualmente; equivale presso a poco all’Antropozoico di Stoppani. — MIO — Mar Tirreno (da 15 m. a circa 35), avvertendo che a Ravagnese e a Boveto, presso Reggio di Calabria, questo livello si solleva per eccezione fino ad un centinaio di metri (*). 5° Che, da quanto precede, si palesa ben legittima l'istituzione, per le sabbie a Strombus, di un piano Tirreno, interposto cronologi- camente fra il Siciliano e l'Olocene o Attuale. 6° Che i depositi olocenici, sollevati localmente fino a circa 2 m. (stazione ferroviaria di Cagliari), accusano mutamenti nei livelli rispettivi del mare e deila terra emersa, avvenuti 1m tempi recentissimi, probabilmente posteriori alle memorie storiche. La frequenza di certe specie divenute in seguito più rare (alludo per esempio alla Purpura haemastoma e alla Eastonia rugosa), nei depositi olocenici preistorici, accusa nella fauna marina modificazioni incipienti. Meccanica. — Sopra la soluzione delle equazioni differen- ziali del moto di un punto attratto da più centri fissi posti in linea retta. Nota dell’ing. dott. G. ARMELLINI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 1. In una Nota inserita negli Atti dell'Accademia di Torino (?), il prof. V. Volterra ha mostrato, per primo, la grande utilità che il metodo della stella del Mittag-Leffler poteva avere nella soluzione di molte questioni dinamiche. Il prof. Volterra porta come esempio quei problemi che con- DI y ducono ad equazioni differenziali del tipo p= Y_ > 40 prpr, essendo DISIE ate = 0; equazioni che egli stesso ha profondamente studiato in altri lavori (*). Passando poi ad un problema di attrazione newtoniana, il prof. Volterra esamina il moto di un punto attratto da più punti fissi posti in linea retta. Supponendo che il momento della quantità di moto rispetto alla retta stessa non sia nullo, egli dimostra che l'asse reale dei tempi £ è interamente incluso dentro le stelle relative agli elementi incogniti; donde segue che il problema può ritenersi risoluto facendo uso di noti sviluppi, i quali però, non godono dell'uniforme convergenza. 2. Ciò posto, nella presente Nota io mi propongo di dimostrare che, nella questione ora nominata, non solo l'asse reale dei tempi è incluso nelle (1) Si veda a questo proposito il capitolo III dell’opera precitata di Gignoux. (1) Sopra alcune applicazioni della rappresentazione analitica delle funzioni del prof. Mittag-Leffier, Nota del Socio Volterra, Atti Acc. di Torino, adunanza 16 aprile 1899. (8) Atti Ace. di Torino: adunanze 27 febbraio, e 27 marzo 1898; e 15 gennaio 1899. Note del Socio V. Volterra. ce Ul dl stelle degli elementi incogniti, ma che, oltre a ciò, noi possiamo sempre co- struire una striscia di larghezza finita contenente il detto asse, e limitata da due rette ad esso parallele, la quale resti interna alle stelle ora nomi- nate. Servendoci di questo risultato, potremo grandemente semplificare nel nostro caso gli sviluppi del Mittag-Leffler, riducendoli a serie procedenti secondo le potenze della quantità In tal caso otteniamo anche l'uni- et—1 e! + Ta forme convergenza che, come è noto, non si aveva finchè le nostre cogni- zioni si limitavano a sapere che solo l’asse reale è interno alle stelle degli elementi che si domandano. 5. In una Nota da me pubblicata nei Comptes-Rendus (*), io ho dimo- strato la risolubilità del problema degli x corpi con gli sviluppi del Mittag- Leffler, tutte le volte che si sappia @ préorî che gli urti sono semplici. Come caso particolare di questo teorema troviamo il moto di un punto attratto da più centri fissi, comunque disposti. Sarà bene, però, di far osser- vare che, nel caso generale in cui i centri fissi sono disposti ad arbitrio, è | necessario ricorrere ad una variabile ausiliaria q opportunamente scelta, giacchè l’asse reale dei tempi non è sempre contenuto nelle stelle relative alle variabili. All’opposto, nel caso di cui ora trattiamo, l’asse reale è tutto interno alle stelle nominate, e non occorre quindi alcun uso di parametri ausiliarî; non converrebbe perciò di trattare questo problema col metodo generale che io ho applicato al primo: ma è bene di risolverlo con consi- derazioni speciali. 4. Scegliamo la retta luogo dei punti fissi come asse delle x, chiamando con 7 la distanza del punto mobile P dall'asse fisso, e con + l’angolo che il raggio 7 forma con un piano fisso passante per l'asse stesso. Riferendoci, per ora, alle coordinate cilindriche x 7 &, avremo gl'integrali primi: dI (1) Me = © do rl (2) zl 5 7 \ ini Nelle (1) e (2), c indica la costante delle aree (che supponiamo sempre diversa da zero), h quella delle forze vive, / il coefficiente attrattivo, m; la massa di una qualsiasi degli % punti fissi, ed infine o; la distanza di P da mi. La massa w del punto mobile P non entra nelle nostre considera- zioni, comparendo a fattore nei due membri delle equazioni del moto. (1) Un théorème général sur le problème des n corps. Note de Mr G. Armellini, Comptes-Rendus de l’Académie des sciences, séance du 9 mars 1914. — 772 — Scegliamo ora le tre unità di lunghezza, di tempo, e di massa, in modo che si abbia: (3) cal ; Sme 1: 2f+ = R=1 4 V2r la qual cosa è sempre possibile, come potremmo facilmente dimostrare. Ciò posto, poichè tutte le masse 7; sono positive, e poichè si ha sempre ei = r, avremo, dalle (1) e (2), l'ineguaglianza:. i 1 Ni 4 DELE, (4) nS DIRITTO : Il Và i Studiamo la curva g = rione Per 7=0, si ha y=" 00; crescendo 7 dl P i la y diminuisce; per r=3; si ha y=0; per = la y assume il va- (6 2 di nuovo, finchè, per 7= co, si ha y="0. Qualunque siano quindi le condi- zioni iniziali del moto, se c non è nulla, e se si scelgono le unità di misura Wie 2 TI ; 1 lore minimo, y= . Continuando 7 a crescere oltre Pi la y aumenta in modo da soddisfare alle (3), si ha sempre # = 5. Supponiamo ora assegnato il valore della costante %, e vediamo dentro quali limiti possa variare la 7. Dalla (4) deduciamo: (5) 2h +2fr —1>0: ineguaglianza che studieremo analizzando separatamente i casi di % positivo, nullo o negativo. I caso: h> 0. Il primo membro ammette due radici reali: una, 7,, negativa, i — ESSA 2h Pi l’altra, 7:, positiva, UR cr Mich A mo 2h 75f Il primo membro della (5) si conserva positivo se si ha 7 <7,, oppure r > e: scartando quindi i valori negativi del raggio vettore, perchè privi di significato meccanico, vediamo che in questo caso il punto mobile P può allontanarsi indefinitamente dalla retta luogo dei centri fissi; ma la sua distanza da essa resta sempre maggiore di un limite finito e di- verso da zero. — 7738 — II caso: h= 0. La (5) ci dice che la distanza di P dii fisso può crescere all'infinito, ma deve restare sempre maggiore di TÈ III caso: h<0. In questo caso le due radici 7, e 7» sono reali 2 (dovendo essere necessariamente, come è stato dimostrato, n=-D), e positive, e si ha 7, > 7». L'ineguaglianza è soddisfatta per 7,27 = 73. In questo caso, quindi, /a distanza del punto mobile dall'asse fisso resta sempre compresa tra due limiti finiti e diversi da zero. Indicando, al solito, con |R| il valore assoluto di %, sarà facile il de- durre, dio questa analisi, che si ha sempre: 1 r=> ———=|/2r. af + y2]h L'equazione delle forze vive, chiamando con v la velocità assoluta di P, ci dà allora: PETE mi sanpalo =12/+4/2]8]{ — DO =l Ù 6. Consideriamo ora le equazioni del moto di P in coordinate cartesiane: da da' IT mi(£ — 4) ,' === = = — Si | di & dt La 2 oì dy Acito; dy' LIA RM; y G) | dt Ein > FE oì de ) da I Mi 8 de 75 indi dove con 4; abbiamo indicato l’ascissa di #;; e studiamole applicando noti teoremi. Facciamo crescere o decrescere # partendo dal valore iniziale £, e re- stando sempre sull'asse reale, fino ad un valore reale qualsiasi £; siano TYsX Y's 0; i corrispondenti valori delle variabili, anche essi certamente realt. Avremo, per quanto è stato detto, (10) oi =(£ — 4)? + 7° = di Lui I po (11) C47T°+ 3 si 04 — Indichiamo, con xy, dei valori qualsiasi, in generale, complessi. delle tre variabili. È facile il vedere, tenendo conto della (10), che le fun- zioni p, x, w sono svolgibili in serie di potenze delle quantità: ad_-a=È , V==paeag z—5=5; purchè È 7 siano, in valore assoluto, sufficientemente piccole. Facciamo, per esempio, (12) HE 8‘ 1 8{27+ 2A} Alì “VE, e analogamente per |n| e |Î|, scegliendo il coefficiente 8 al denominatore per semplificare i calcoli. Avremo, finchè £, 7,6 variano dentro questi campi, REST ii SD MT |;e—a|=|x dtt gle Siti = 8 ga 3 === :2/+y/2|h|, e quindi: di 4 = (8) |@ = in Li i MnP2STOI di pe +12 =. DA Sani | Simili ineguaglianze troveremo per |y| e |W|. Analogamente, se con 4'y' 4 indichiamo dei valori in generale complessi delle tre derivate, e poniamo a str4e irta, » e facciamo variare &'.',é' in modo che i loro valori risultino in modulo E (2/4 y/2]0]) I avremo, in virtù 4-7 V2(4— n) inferiori o, al più, eguali a della (11), 4 Ser }4 nf" || |A o similmente per |y'"| e |4"|. 7. Riassumendo: se facciamo variare le quantità x yz x'y'' nell’in- torno di 775 x'7'5', in modo che i moduli le] ly—-7| las le] lp] la_@] — 705 — si conservino sempre inferiori od uguali, ì primi tre a I} 39° È gli altri a Gus i secondi membri delle equazioni (9) saranno sviluppabili V2;4 —sc secondo le potenze ascendenti dei moduli stessi, e rimarranno sempre infe- riori, 0, al più, eguali, gli uni a —_____, egli altri a V2r }4 — n} 2 Ora, dato un sistema di equazioni differenziali dyi dar Yi(YY2, Un); indicando con %10,%Y20--:%no i Valori corrispondenti ad x = xy, se i secondi membri sono sviluppabili in serie di potenze convergenti per lui — Yio| = Zi, e se dentro questi limiti si ha sempre |Y;|= L;; allora gl integrali y; sono sviluppabili secondo le potenze di « — x, € gli sviluppi convergono certamente se |x — x,| è inferiore, o, al più, eguale, al minore dei rapporti : dn da CO nA7 Wade Le Applicando questo teorema al sistema (9), abbiamo, per esso. pre eee per a i Ma en — V2}4— x} V/2n }4—- n} (14) 4 1 |unanio 32 i Lai Nel nostro caso, i sei rapporti risultano tutti eguali fra loro, avendosi: Co lied 32 y24-n a (15) a 27 pizze (4 — rr) Possiamo quindi concludere che gl'integrali #,%,z, 2',y',', sono vip i in serie di potenze della quantità #—?, convergenti per |t-%&|=-. E, poichè £ è un valore reale qualsiasi di 7, ne segue che, se noi costruiamo una striscia di spessore — , limitata da due rette paral- ch uesta gd RenpICONTI. 1914. Vol. XXIII, 1° Sem. 101 lele all'asse reale e distanti da esso, da una parte e dall’altra, di toi (60 — =. striscia è tutta interna alle stelle relative alle variabili 293 2'y'<'. Abbiamo allora, con una trasformazione conforme, er) (er 1)? lied zii “L1) * (16) el — 1) Ce feigiuli cratanainzni iù ecc. ece. Le costanti A; B; ecc. sono facilmente determinabili, date le condizioni iniziali del moto; le (16), uniformemente convergenti per £ reale qualsiasi, rappresentano l'integrale generale del sistema (9). 8. Riassumendo: consideriamo un punto mobile P sottoposto all'attra- zione di più centri fissi mim... Mn posti în linca retta, e supponiamo che il momento della quantità di moto di P rispetto all’asse stesso non sta nullo. Allora, scegliendo le tre unità di misura secondo la (3), e co- struendo una striscia di spessore > limitata da due rette parallele e Coi simmetriche rispetto all'asse reale dei tempi, essa risulta tutta interna alle stelle di Mittag-Leffler relative alle coordinate x yz e alle velocità ), e (3) ya = a) (2 Ww?) TP a 2 2 = ea (92 8) E grad. ove a=ang(P—0,a). Questa equazione prova che ya è complanare con a e P—O, e risulta mod ya = = V/40' costa + (2° + w8)? sen?a . Si vede ancora che P— O è una direzione unita di y; le altre, infinite, sono nel piano per O perpendicolare a P — 0. Perciò la y si potrebbe chia- mare una dilatazione simmetrica rispetto all'asse OP. (4) Per i simboli e le formule dell’analisi vettoriale vedi l’Analyse vectorielle générale, di Burali Forti e Marcolongo, tom. I. Per la teoria dell’elasticità, vedi il tom. IL — 778 — 2. Sia ora u un vettore funzione dei punti O d'uno spazio S racchiuso dalla superficie o; monodromo finito e continuo in tutto S. Allora (4) wW= | yud$, S ove y è la dilatazione precedentemente definita, sarà chiamato il potenziale newtoniano di spazio dell'elasticità. È un vettore funzione del punto P, finito e continuo in tutto lo spazio esterno ad S, e all’oo tende a zero- come —. Anche quando P è interno a o, ha un significato ed è finito e continuo; come risulta dall'espressione (3) di yu. Calcoliamo la divergenza di w. Si ha, tenendo presente che u non dipende da P. divw= | divya d8= | grad yX ud8. Ss CAS Ma d grad 7 1 —— 2 O sl 2 2 » Rei lo rire | grad y= 29? grad a (2° — w?) grad ( TP = 20? grad — (2° — o) grad (Ar); QatE ; e notando che INDIA si trova subito div w = 20° { gradlx udSs= — 20° f Erli ag : 8 (a 27E r Con la forma polare di 4S si vede immediatamente che quell’ integrale è finito e continuo in tutto lo spazio esterno e interno. All’infinito si annulla l come —. e Inoltre, distinguendo ;gli operatori con l'indice o quando si riferi- scono al punto 0, e notando che grad 7 = — grad, 7, risulta î divw=— 20° | grad, ans og [ (divo —Zaivou) 8; S So /S (A {P e, pel teorema della divergenza, divw= 20° { ao +r00 ( Mellyg, lo «/S 1 essendo n un vettore unitario parallelo alla normale interna a 0; la quale dimostra che div w è la somma di due potenziali ordinarii di spazio e di semplice strato. Riferendoci alle proprietà di questi potenziali, si deduce SA subito che grad div w è discontinuo attraverso 0, e che la discontinuità è rappresentata da 877w?(u X n)n Calcoliamo ora la rotazione di w. Si ha ro w= | rotyu dS = | Roty.udS. /S «/S Ma 3 1 o ; d grad 7 OS Roy —D2 Rot —. — (2° — wÈ) Rot e grad — /\; quindi Tad row 29° ( grad È AudS= — 22? f grad 7 /\ u 48. S VD Inoltre Val 1 rob w = — 22° grado i Auds=— 29° il (vot, : cu) roto n) dS /S =20 { 14 +20 [È AUS che sono due potenziali vettori ordinarii di spazio e di semplice strato. E però, riferendoci alle loro proprietà, deduciamo che rotw è finito e con- tinuo ovunque, e che invece rot rotw prova attraverso o la discontinuità 29°[4ru—-4r(uXn)n]. Da tutto ciò risulta che Ew = £? grad div w — ? rot rot W prova, attraverso o, la discontinuità — 8 w® £*7u. Si verifica poi, subito, che all’esterno di S è EwWw=0; e allora dalle cose precedenti si deduce che nei punti di S è (1°) Ew= — 80° 2° nu; teorema analogo a quello di Poisson. In conclusione: / potenziale newto- niano di spazio dell’elasticità è finito e continuo ovunque insieme con la divergenza e con la rotazione; all'esterno di 0 soddisfa l'equazione (1); al- l'interno la (1°). 8. Sia ora u funzione dei soli punti O di 0; e poniamo (5) Va fan do, — 780 — ove y è sempre la dilatazione definita di sopra. Anche questo v è un vettore funzione del punto P, finito e continuo ovunque. Sarà chiamato il poten- ziale newtoniano di semplice strato dell’elasticità. Risulta, come sopra, divv=2e" | grad TX udo. Posto che è un ordinario potenziale-vettore di semplice strato, si ha TI: 1 divv = | grad-Xudo; a T; e quindi divv= 2? div V'. Siccome, per cose note, div v' prova, attraverso o, la discontinuità 47r(u X n), così anche div v prova la discontinuità 8772*(u X n). Analogamente, risulta, come sopra, 1 rotv= 20° ( grad Pr /\u do ; G e, per V'. si ha È 1 rot V ={ grad = Au de: (o) dunque rottv=2W? rotv', Attraverso o, essendo 47r(u / n) la discontinuità di rot v',/8r2*(u A n) sarà quella di rot y. Poichè Evi= 2? 2° A' v': e. per cose note, A'v' è nullo ovunque, risulta, in ogni punto dello spazio, Ev= 0: Si conclude: 70 potenziale newltoniano di semplice strato dell’elasticità è finito e continuo ovunque, e ovunque soddisfa all'equazione (1); la di- vergenza e la rotazione son discontinue attraverso 0 . 4. Consideriamo ancora il potenziale precedente v= fyudo: GG — 781 — e diamo ad ogni punto O di o uno spostamento infinititesimo « lungo la normale a o. Otterremo una superficie 0, parallela a o, il cui potenziale sarà val= i yu do, CSM Risulta evidentemente (È v—v= f dn. do. fon dO do. Ma essendo dO=en, si ha ancora (0) veve fed i do SE n). perchè, rispetto a cotesta differenziazione, l’u è costante. Possiamo pensare u grandissimo, per modo che su risulti finito; e poi serivere semplicemente u al posto di eu. Orbene dy (5) Vi = n) u do sarà chiamato il potenziale newioniano di doppio strato dell’elasticità ; perchè è il potenziale dell’elasticità relativo a due fogli o sovrapposti, nei cui punti corrispondenti sono applicati due vettori u eguali ed opposti; come risulta dalla (0). Dalla definizione stessa risulta che questo v, soddisfa l'equazione (1). Esso è discontinuo attraverso 0; ma lo studio preciso della discontinuità richiede calcoli assai lunghi, che qui omettiamo. In un’altra Nota mostrerò che questi potenziali sono gli elementi ana- litici fondamentali della teoria generale dell’elasticità. Meccanica. — Sopra una espressiva interpretazione cine- matica del principio di relatività. Nota della sign." CLARICE MUNARI, presentata dal Socio T. LEvI-CIVITA. La traduzione matematica del principio di relatività si esplica nella determinazione di un gruppo di trasformazioni puntuali T, fra due quaterne (2 ,y34,t) (2°,y',4" ;l') (interpretabili come luogo e tempo d'un fatto determinato rispetto a due riferimenti diversi) dotate di particolari pro- prietà. Le proprietà, in base a cui si caratterizzano le T sono state, per la prima volta, discusse da Einstein, il quale, nella celebre Memoria Zur Elektrodynamik bewegter Kòrper (Annalen der Physik, 1905), le illustrò dal punto di vista fisico, includendovi in particolare (come fosse necessaria conseguenza dell’omogeneità dello spazio fisico) la condizione di linearità. — 782 — Dal punto di vista geometrico, la teoria dell’ Einstein fu illustrata da Minkowski ('), con un criterio, si potrebbe dire, fusionista di spazio e di tempo. Anche il Minkowski ammette però 4 przori la linearità della trasfor- mazione. Una formulazione fisica e matematica assai soddistacente si trova nella Memoria di Brill (?). Egli, partendo dalle medesime premesse di Einstein, si propone di tro- vare le formule di trasformazione, che ammettono come invarianti tutti i possibili sistemi di onde sferiche (propagantisi con velocità costante c), qua- lunque sia il centro (20%040) @ l'istante iniziale 4, della perturbazione. Ciò è quanto dire che l’equazione (1) (ex)? + (YU) HA (es) — e (e )?=0 deve costituire un invariante bipuntuale. Però anche il Brill, nel procedere alla effettiva ricerca delle T, ne ammette ulteriormente la linearità (*). In realtà, questa ipotesi complementare è superflua; ciò risulta dall’os- servare che l’invarianza della (1) implica in particolare l’invarianza della (2) da* + dy° + da? — e* di®=0 quando si suppongano le due quaterne infinitamente vicine. Ora, se la (2) si conserva, basta interpretare le x, ,4,dc6=x, come coordinate di uno spazio S, euclideo, ed imporre inoltre alle T, che dr tutto o campo reale, a valori finiti di €,y,4,t, facciano corrispondere valori pure finiti di 4, y',2',; per poter facilmente dimostrare, in base alla teoria dei gruppi conformi, che le formule in questione sono lineari. Di ciò dovrò io pure occuparmi nella presente Nota, la quale (seguendo l'indirizzo delle lezioni tenute lo scorso anno dal prof. Levi-Civita all’ Uni- (*) Minkowski, Spazio e tempo. Nuovo Cimento, ser. 58, vol. XVIII, 1909. Oppure: Castelnuovo, /l principio di relatività e i fenomeni ottici. Scientia, vol. IX, anno V (1911). (*) Brill, Das Relativitàtsprinzip. Jahresbericht der deutschen Matematiker. Verein- gung, 1912. (3) A questo proposito rileverò che il sig. Kraft ha assegnato in una recente Me- moria (Weber die Eingenschaften Linearer Raum-Zeit-Transformationen, Bulletin de l’Académie des Sciences de Cracovie, décembre 1912) tutte le trasformazioni fra due qua- terne (2, y,<,t) e (2",y",2",t') che, verificando parte dei postulati di Einstein, con- servano ogni movimento uniforme (qualunque sia la velocità). Ciò implica la linearità, come rileva il sig. Kraft. La sua ricerca è però discretamente laboriosa, per deduzioni concettuali e sviluppi di calcolo, e fa direttamente intervenire, accanto alla condizione cinematica suaccennata (già per sè esuberante in quanto contempla tutte le velocità), la geometria relativistica, prescindendo solo dal postulato della costanza della velocità della luce. — 783 — versità di Padova) mira a sostituire alle intuizioni ed ipotesi più complesse da cui si fa discendere la forma analitica delle T, quest unica condizione cinematica che: un moto rettilineo uniforme con velocità c, si muti per effetto di T in un moto pure rettilineo uniforme con velocita c. Una tale condizione, oltre all'evidente vantaggio d'avere una forma semplice ed espressiva, costituisce ovviamente la vera traduzione schematica del postulato fisico della costanza della velocità della luce, in quanto, nel- l'ambito cinematico, i fenomeni luminosi altro non sono, se non casi partico- lari di movimenti i quali seguono con velocità €, e riescono (con speciali dispositivi) suscettibili di delicato apprezzamento sperimentale. 1. PROBLEMA. — Determinare l'espressione più generale di una tras- formazione puntuale fra due quaterne (a ,y,8,1t), (0,4 ,6',0), per effetto della quale si conservano i movimenti uniformi dotati di una as- segnata velocità c; ed in tutto iL campo reale, a valori finiti di e ,y,z,t corrispondano valori finiti di 2' ,y'.s',t'. Ove giovi per abbreviare la scrittura, indichiamo le 2 ,y, con 4, %,%3 e analogamente le #",y",5 con 41,3) 43- Le cercate formule di trasformazione siano: 1) (= (NR IZ) (=:12:3) (2 = 19 9/60 96400) colle conseguenti relazioni fra i differenziali delle due quaterne: {50 \ dx, = di GAD >», br (WEA ) Sd Î dI & di - (dt = = dt + DI. >” (Udizo Mediante le (1), ad ogni moto Ol definito dalle equazioni es=p() (s=1,2,3) fa riscontro una curva dello spazio 4", y' , <', e' (risultando x", y', 4", espressi in funzione del parametro 4). Questa curva sarà essa pure interpretabile come un movimento ONo', a patto che dall’ ultima delle (1) [in cui si ponga xs= Ps(6)] ; i = F(g, Pa, Pa 36) si possa ricavare £ in termini di //. Di ciò si è assicurati se AO, Di dI Rae %, riesce diverso da zero per il movimento DO. RENDICONTI. 1914. Vol. XXIII, 1° Sem. 102 — 784 — 2. Per ipotesi, ogni qualvolta Ol è rettilineo uniforme ed ha la ve- locità e, lo stesso deve accadere per ONe'. Ciò si può anche esprimere di- cendo che, dall'essere per un gezerico moto rettilineo uniforme (3) da 4+dy? + ds — e di?=0 segue che si ha, nel sistema trasformato, un moto pure rettilineo uniforme, per cui (3’) de? + dy'*+ de'* — c° di? =0. Dico che posso risguardare, nel discutere le conseguenze dell'ipotesi [che (3') scende da (3) in virtù delle formule di trasformazione (1), (2)], L3Y,8,t,dx.,dy,dz,dt, come quantità legate dalla sola (3), ossia che posso attribuire a 7 di queste quantità, valori numerici arbitrarî, purchè l'8° si intenda ricavato dalla (8) stessa. Ciò risulta ovviamente dal riflettere che, scelti a piacimento 8 valori numerici sotto la indicata restrizione, e quindi del tipo Na dae cadi mE GIU, UA GU (con @,$#,y coseni di direzione) esiste effettivamente un moto rettilineo uni- forme, per cui nell'istante 4, il mobile occupa la posizione o, Yo 40, ed è animato da velocità c nella direzione @,f., y. 5. Ora, sfruttando le (2), si ha: de'*+dy?+d2?—e?d('*= forma quadratica nei differenziali delle primi- tive variabili x,y ,3,%, a coefficienti che dipendono esclusivamente da LCENVISISICILE Dovendo la (3') essere conseguenza della sola (3), ne consegue la identità | de? + dy'>+d:*—edt'*=4(dx* + dy° + de — e* dt?) dove 4 è funzione delle sole coordinate. Pongo dst=dax* + dy° + de, ds? = de'? + dy'* + de; con ciò la nostra identità assume l'aspetto (4) ds'* — e* dit®=4(ds° — c* dt). Riferiamoci a determinazioni delle x ,y,4,,dx,dy,dz,dt, per cui non sia ds° — e* dt*=0, e indichiamo per comodità e uniformità di no- tazione, i et con x,, i cd conzs. La (4) può allora scriversi 4 (4) X — 785 — e mette in evidenza che, fra le quaterne 4; , 2%, interpretate come coordìi- nate di uno spazio S, euclideo, passa una trasformazione conforme. Ora il teorema di Liouville (*) dice che: Le più generali trasformazioni conformi dello spazio euclideo dì n > 2 dimensioni in se stesso, si ottengono combinando le inversioni per raggi vet- tori reciproci, coi movimenti e colle similitudini. Da questo teorema risulta, che la nostra trasformazione sarà: o lineare, ovvero prodotto di trasformazioni lineari con una cnversione per raggi vet- tori reciproci. Alla condizione poi, imposta alle T, di far corrispondere, in tutto il campo reale, a valori finiti di x,y, 2,4%, valori finiti di x,y ,4,”, soltanto le trasformazioni lineari soddisfano; possiamo così concludere, che l'espressione più generale delle formule cercate è 4 (5) ci=@+ daga; ((=1,2,3,4) 3 1 le 4 essendo costanti, e il determinante D dei coefficienti 4;; diverso da zero. Essendo 4 il moltiplicatore (necessariamente costante) che, a norma della (4), compete alla (5), pongasi (6) IL (7) a'=|2 DA (8) ata: La (5) può manifestamente risguardarsi come prodotto delle tre sosti- tuzioni lineari (6) , (7) , (8). Dalle due ultime si ha de:=V4dst, talchè la (4°) equivale a 4 4° (9) DE dar i= N 3 daî. 1 1 La (9) mostra che la (6) è un moto rigido dello spazio euclideo Sy, più precisamente anzi (siccome l'origine x;=0 rimane fissa) una rotazione rigida attorno all'origine: quindi (nel campo reale @,4,4,t; 0",4,2',?) una trasformazione di Lorente (?). () Cfr. per es. Bianchi, Geometria differenziale, vol. I, $ 170. (2) Cfr. in particolare, Marcolongo, Sugli integrali delle equazioni dell’elettrods- namica, in questi Rendiconti, vol. XV (1° semestre 1906). — 786 — Le (7) ed (8) interpretate nel campo 4,4 ,4,é corrispondono manife- stamente: la prima ad una trasformazione moltiplicativa, che opera egual- mente sulle coordinate di spazio e su £, e lascia quindi inalterate le velo- cità; (quale per es. risulta da cambiamenti delle unità di lunghezza e di tempo vincolati alla condizione di non intluire sulla misura delle velocità); la seconda ad un arbitrario spostamento dell'origine del sistema di riferi- mento, e dell'origine dei tempi. Come si vede, le T coincidono essenzialmente (a meno cioè di trasfor- mazioni elementari, a p7rz0rz evidenti) colle trasformazioni di Lorentz. Nella loro totalità (in quanto cioè si combinino anche colle sopraddette trasforma- zioni elementari), esse costituiscono un gruppo lineare co!!. 4. Prescindendo dalla restrizione, che a valori finiti della quaterna x;, corrispondano valori pure finiti della quaterna x;, possiamo facilmente vedere, che non soltanto le 00! trasformazioni (5), ma anche una generica trasfor- mazione del gruppo conforme (01%, nel caso nostro di un S, euclideo), con- serva i moti uniformi con velocità c. Invero, sia ON un moto rettilineo uniforme con velocità c; e sia T una trasformazione del gruppo conforme. Se questa si riduce ad un movi- mento, o ad una similitudine, ricadiamo nell'ambito delle trasformazioni lineari. Escluso tale caso particolare, si può sempre, come è ben noto, risguar- dare la T come prodotto di trasformazioni lineari [verificanti tutte la (4°) e quindi la voluta condizione cinematica] per una inversione rappresentata sotto la forma tipica (10) = (@=1,2,3,4). con Tutto si riduce quindi a far vedere che tale inversione conserva i moti rettilinei uniformi con velocità ec. Poichè le (10) rimangono invariate, quando si fa subire a entrambi i triedri 0xye, 0'x'y'2' una qualsiasi rotazione, possiamo, senza pregiudizio della generalità, supporre che il triedro 07yz sia orientato in modo che il piano 0xy contenga la retta sede del movimento DI, e l'asse Ox risulti ad essa parallelo. Allora le equazioni che definiscono il moto, rispetto al triedro 04%, sono (a=a+ct, = — 1387 — e passando dalle x; alle x{ per mezzo delle (10), abbiamo: o Ot ci darei 2008 È 7) (5) o a+ b° + 2act° Ge SaR AO — a+ 6° + 2act Dall'eliminazione di # fra le (11) risulta il moto corrispondente, deti- nito dalle equazioni le quali dicono che ON' è rettilineo uniforme, e segue ancora con velocità €. Vediamo dunque che abbiamo bensì un gruppo 00!5 di trasformazioni, che conservano i movimenti uniformi con velocità c, ma non è rispettata la condizione qualitativa che rimanga sempre finita la corrispondenza nel campo reale: così per es. le nostre formole (11) ove 4 e 2 si facciano en- trambi convergere a zero, donno 2'= 0 per un generico valore di #. Astronomia pratica. — Sulla correzione di run alle letture dei cerchi graduati fatte col microscopio micrometrico. Nota di G. SiLva, presentata dal Socio MILLOSEVICH. 1. In una Nota pubblicata in questi Rendiconti (!) il prof. G. A. Favaro, riassumendo quanto altri autori avevano già esposto sull'argomento indicato dal titolo qui sopra scritto, aggiungeva alcune considerazioni alle quali era stato condotto prendendo in esame la questione. Ricordava egli in partico- lare che nel determinare la cosidetta correzione di run può essere seguìto o il metodo del run medio, o quello del run da lui chiamato attuale, e si soffermava specialmente su questo secondo metodo per svolgere qualche pro- cedimento di calcolo e per concludere con alcuni consigli pratici. Mi parve cosa di qualche interesse approfondire la questione della scelta dell'uno o dell’altro metodo, questione che mi si era già presentata altra volta stu- diando uno strumento universale, e qui esporrò il risultato al quale giunsi in questa particolare ricerca. (1) Sulle correzioni alle letture dei cerchi, ece. Rendiconti, vol. XXII, serie 52, 2° sem. 1913, pag. 209. MIS 2. Sieno A e A-— F i due tratti consecutivi della graduazione, tra i quali cade lo sero micrometrico o linea di fede del microscopio; con A intenderò anche quel numero di gradi e primi d'arco che corrisponde al tratto precedente, e con F il numero di secondi d'arco compresi fra due tratti successivi della graduazione. Sieno /, ed /» le letture al microscopio (*), fatte portando il doppio filo mobile a collimare rispettivamente i tratti A e A + F, e si supponga che nel movimento del filo mobile dal tratto A +- F allo zero micrometrico, e da questo al tratto A le letture sul tamburo della vite micrometrica vadano crescendo. Sia in fine F' quel numero di parti, multiplo del numero delle parti contenute in una intera o in una mezza rivoluzione, che 4 microscopio esattamente aggiustato corrisponde a un in- tervallo di F secondi del cerchio; generalmente F' è eguale ad F o alla sua metà. In pratica ad un intervallo di F secondi, invece di F', corrisponde- ranno E'+-7 parti ed 7 sarà il cosidetto 7ux. Supposto che le letture l, ed l>. sieno state fatte su due tratti della graduazione esattamente distanti di F secondi, con un microscopio per- fetto (anche se non esattamente aggiustato per quanto riguarda la sua di- stanza dal cerchio), senza alcun errore personale di collimazione e di lettura, il valore esatto del zu relativo alla particolare posizione del mi- croscopio, è 7= /, — /2, e il valore p di una parte del microscopio, in se- condi, sarà: \ eg “mile! Nella precedente ipotesi le esatte distanze della linea di fede del mi- croscopio dai tratti della graduazione precedente e seguente, espresse in parti, sono /, e F'— l.; quindi la lettura del cerchio che deriva dalle due letture /,, /2, separatamente o insieme considerate, può scriversi sotto una qualunque delle forme } Fio. Ri r (1) L=A+ n Lu —h E'+r "a Bee E RA i (2) L=A+F—- E'4b7 -AtTt&Ò le ipy | MO A I I e O ERA (3) L=Atw 9 +gS 2 a (1) Per prima lettura /, si deve intendere, come è noto, la somma della lettura 4, effettivamente fatta sul tamburo della vite micrometrica quando si collima il tratto A, e del numero che risulta moltiplicando le intere (o mezze) rivoluzioni compiute dalla vite stessa per il numero, generalmente 60, delle parti in cui è diviso l’intero giro del tam- buro (o per quello, generalmente 30, delle parti in cui è divisa ciascuna delle metà del — 789 — alsebricamente identiche, come è facile verificare. ponendo /, —/» ìn luogo iz S. In pratica, per non essere soddisfatta la ipotesi sopra ammessa, le letture /, ed /s sono affette da errori e la lettura L del cerchio può essere allora calcolata o trascurando l’errore di 72, o in uno dei due modi seguenti. I) Metodo del run medio. — Da più coppie di letture /,,/» fatte al microscopio nelle varie letture del cerchio di una serie di osservazioni si deducono più valori /, — /, del ruz, e se ne.fa la media 7. Sostituendo questa nella (1) e nella (2) si hanno due valori di L, indipendenti tra loro e generalmente non coincidenti; si adotta perciò come lettura del cerchio la loro media che ha l’espressione (3). Questa è, sotto forma molto più concisa, la espressione trovata dal Weineck (*) e, per F= F' (nel qual caso una parte corrisponde a 1 secondo d'arco), il secondo termine di L nella (3), coincide con l'espressione data dall’Albrecht (?), ove si tenga conto della dif- ferenza del segno di 7. Trascurando nella (3) i termini di secondo ordine in r, essa può essere scritta anche sotto la forma EF (10506 (4) pati 9 Pad- 2F° lle Salvo le differenti notazioni, a questa stessa forma, nel caso di F=F", giunge lo Jordan nelle più recenti edizioni del suo Handbuch der Vermes- sungskunde (8). II) Metodo del run attuale. — Se si adotta per r il run attuale, cioè la differenza /, — /» osservata nella stessa lettura del cerchio che si tratta di calcolare, si ha allora la lettura L sotto una qualunque delle formole (1), (2),(3) tra loro identiche, come si è detto, quando vi si metta 7, — ls in luogo di 7. La stessa L può assumere anche altre espressioni, sempre identiche algebricamente alle precedenti, come, ad esempio, la seguente che tamburo). E per seconda lettura ls si deve intendere analogamente il numero di parti che si ottiene addizionando allo stesso prodotto la lettura 4s fatta sul tamburo della vite micrometrica allorchè si collima il secondo tratto della graduazione A+ F. In pratica questo piccolo calcolo di 7, ed /s non viene fatto, poichè dal numero di rivoluzioni si ottengono senz'altro i minuti primi. e dalle letture effettive 4, a, i minuti secondi. (') Der Mikroskop-Run. Astr. Nachr. N. 2605, Bd. 109. (*) Formeln und Hilfstafeln, 1908, pag. 49. (*) Cfr. vol. II, 32 edizione, 1888, pag. 151 e 42 ediz., 1908, pag. 240. Nella 22 edi- zione (1877, vol. I, pag. 229) !lo Jordan indicava invece con un esempio numerico il metodo del run attuale. — 790 — si può ottenere dalla (1) riducendo i termini entro la parentesi quadrata del- l'ultimo membro allo stesso denominatoro e semplificando F(E'— /2) li + di ls LAS (spy, 0 Questa esprime che, quando per il run si assume la differenza delle due letture osservate ai microscopi (run attuale), queste, nel calcolo della lettura del cerchio, hanno peso inversamente proporzionale alla distanza della linea di fede dal tratto della graduazione al quale sî riferiscono (*). Per il calcolo pratico di L si possono trascurare i termini di secondo ordine nella quantità di primo ordine 7 =/, —/,, e in talcaso sì ottiene per L, ad es. dalla (3), l lo TRI te la 6) IumA+ pr TE). 4 Nel caso di F=2F' il terzo termine di questa formola è la correzione 4(l1+- 2») da applicare alla somma delle due letture /, 4 4», già indicata dal Lorenzoni (?). Nelle formole (4) e (5) i due primi termini, identici in entrambe, dànno la lettura del cerchio senza tener conto della correzione del rux, il terzo termine, che differisce nelle due formole solo per l’ultimo fattore (che è il run medio nella prima e il run attuale nella seconda) dà la corre- zione di run. 4. L'errore sistematico della graduazione, comune a più tratti consecu- tivi, per il quale questi tratti sono tutti spostati in uno stesso senso rispetto alla esatta posizione che dovrebbero avere, rimane per intero nella lettura L, tanto se questa è calcolata col metodo del 7ux medio, quanto se è calco- lata con quello del 7ux attuale. Prescindendo da questo errore sistematico considero i seguenti errori: errori accidentali di graduazione per i quali gli intervalli fra tratti consecutivi possono essere alquanto differenti tra loro, e dal valore F che dovrebbero avere; errori dovuti alle imperfezioni del microscopio e in particolare a quelle della sua vite micrometrica e della divisione del tamburo di questa; errori personali di collimazione e di let- (1) Segue immediatamente da questa proposizione che quando /, ed /» sono eguali a circa la metà di #”, la precisione della lettura micrometrica è quella della media di due puntate (7, ed 7,); quando invece /, ed /, sono circa 0 o F‘, la precisione della let- tura micrometrica è quella di una sola puntata. Nei casi estremi, se 1 = 0, la lettura L del: cerchio è uguale ad A, qualunque sia la lettura 7» al secondo tratto della gradua- zione, e se Z/s= F”, la lettura del cerchio è eguale ad A +F qualunque sia la lettura l al primo tratto. (2) Determinazioni di azimut, ecc. Pubbl. della R. Comm. Geod. It. Padova, 1891. — 791 — tura al microscopio. Si supponga determinato l’error medio u del ruz attuale ZL, — la dovuto a questi errori; l’error medio di /, o di /, sarà &= u:4/2 e da questo error medio sarà facile dedurre quello di una lettura Ln cal- calcolata col metodo del 7uz attuale. Per dedurre l'analogo error medio di una lettura L, calcolata col me- todo del 7uz medio, oltre all'errore medio s, di 7, e /», occorre conoscere quello «, di 7. Ora 7 è la media di un certo numero x di valori del 7wx e l’error medio di essa, in causa degli errori sopra accennati, è w:/n. Ma i singoli valori del run non differiscono tra loro e dalla loro media solo per gli errori suddetti, ma anche per le eventuali variazioni che può subire la distanza reciproca tra microscopio e lembo nelle successive letture, o per altri errori che intervengono solo al variare delle posizioni del microscopio rispetto al cerchio. Sia v l’error medio di un valore del 7uz dovuto a questo secondo tipo di cause di errore. Introducendo nel calcolo di L; il 7u% medio, che corrisponde a una posizione media del microscopio rispetto al lembo, in luogo del ruz esatto attuale (incognito) relativo alla particolare posizione del microscopio nella lettura del cerchio che si considera, si commette quindi su 7 un errore dell'ordine degli scostamenti dei valori attuali del run, supposti privi degli errori di primo tipo, dalla loro media, scostamenti dai quali si dovrebbe dedurre, qualora fossero noti, l’error medio v. Ir con- clusione l’error medio «. del 7% medio, introdotto nella (4) per calcolare una determinata lettura, è l'insieme di due parti, e precisamente si ha &=pupin+r. Si applichi ora alla (4) nel caso del yu medio e alla (5) nel caso del run attuale il teorema che permette di dedurre l'error medio di una funzione di più grandezze quando sono noti gli errori medî di queste grandezze; si trascurino le potenze superiori alla seconda di 8,,&,,7,l,—/s, e si otter- ranno gli errori medî Mf ed Mî, di una lettura L, a seconda che è calco- lata col metodo del 7uz medio o con quello del 7uz attuale, dalle re- lazioni dA = i a i+ 92F' 5 | DEA QLa\f F? lr + lo Dina 20 in (Sp) A) e) +) a. Il fattore F?:F"? serve solo a trasformare il quadrato (contenuto fra le parentesi quadre) dell'error medio 7 espresso in parti, in quello dell’errore RemnICcONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem, 103 — 792 — medio M espresso in secondi. Determinando 72,7 in parti, in luogo di M,,M,, sostituendo a #7 e « i loro valori e ponendo si ha I due errori medî sono funzioni di x che può variare da 0 ad 1 al variare della posizione dello zero micrometrico rispetto ai due tratti della graduazione che lo comprendono. Il minimo di mì ed mî, si ha per a= 4, 2 ed è uguale a a in tutti e due i casi. Fuori del minimo è sempre mî = mî a seconda che v° = u? (i == :) ; Se il numero 7 è sufficientemente grande, 1:% si può trascurare rispetto all’ unità, e si può allora concludere che quando sî ritenga utile tener conto della correzione di run è (teoricamente) preferibile adottare il metodo del run medio piuttosto che quello del run attuale, 0 viceversa, a seconda che Verror medio v di un valore del run dovuto essenzialmente alle va- riazioni di distanza del microscopio dal cerchio è minore, 0 maggiore, dell’error medio w di un valore dovuto alle inequaglianze degli intervalli fra tratti consecutivi della graduazione, alle imperfezioni del microscopio e agli errori personali di collimazione e di lettura. 5. Per l'applicazione pratica di questo criterio teorico si può notare quanto segue. Spesso, nel caso di cerchi graduati di non grande diametro, gli errori personali di collimazione e di lettura sono dello stesso ordine di tutti gli altri errori insieme considerati ('), compresi quelli dovuti alla va- riabile posizione del microscopio rispetto al lembo; impropriamente l’in- sieme di tutti questi altri errori è detto da taluno errore accidentale di graduazione. In tali casi il metodo del 7 medio è certo preferibile a quello del run attuale. In caso diverso, per la determinazione approssimata di w e v, si può seguire il metodo seguente. Si determini una serie di ” valori del rux rela- (1) Ctr. A. Venturi, Azimut di Monte Alfano, ecc. Pubbl. della Comm. Geod. Ital. Palermo, 1892; V. Reina, Azimut assoluto di Monte Cavo, ecc. Idem, Padova, 1894; G. Silva, Zo strumento universale « Bamberg », ecc. Atti del R. Istituto Veneto di S. L. A., vol. LXX, 1910-11, pag. 1411. — 793 — tivi agli % intervalli fra h.-4- 1 tratti consecutivi della graduazione, per esempio quelli contenuti in un grado, avendo cura di far ruotare il micro- scopio rispetto al cerchio, o questo rispetto a quello con l'apposita vite dei piccoli movimenti. La stessa operazione si ripeta in 4 regioni del cerchio, distribuite uniformemente sull’ intera circonferenza, o meglio su quella sola parte di essa che viene adoperata nelle osservazioni a cui serve lo strumento. Si facciano gli scostamenti degli 4 valori di ciascuna serie dalla loro media, e da essi si deduca l’error medio di un valore che sarà molto approssima- tivamente w, inquantochè si può ritenere che con le opportune cautele nelle osservazioni il microscopio non si sia allontanato dal cerchio, o avvicinato ad esso durante una stessa serie; indi si facciano gli scostamenti delle - medie delle X serie dalla media generale, e si determini l’error medio »v, della media di una serie; si avrà allora v dalla relazione 6. All'atto pratico gioverà tener conto anche della maggior brevità del metodo del 7% medio rispetto a quello del ru attuale. Per questo si usano ordinariamente tabelle a due argomenti, o, se viene usata per maggiore sem- plicità una tabella ad un solo argomento, questa non dà direttamente la correzione di 7u2; al metodo del ru medio possono bastare invece le ordi- narie tavole di moltiplicazione. Si noti infatti che l’ultimo termine della (4) si può scomporre in due fattori, l’uno costante per tutte le letture del cerchio di una serie di osservazioni, l’altro variabile da una lettura all’altra, per es. si può considerare come costante il fattore i e come variabile, da A ASP) +4, i e IE ab salini l’altro fattore ini o > che è la differenza tra 9 È la lettura del microscopio non corretta per il vu [il secondo termine della (4)]. Per fissare meglio le idee supponiamo il cerchio diviso di 3 in 3 primi, E =F= 180. Ai valori E O. ni ROMA T100 e, —_ ago, del fattore variabile corrispondono i valori 1'29” 2 Senti. 096 00” TS IO ZIBRRA tin. ci. 29/0, della lettura del microscopio non corretta per il run. Trascriviamo questi rispettivamente alla destra e alla sinistra di un foro rettangolare tagliato = te in un cartoncino per modo che, sovrapposto il cartoncino ad una tavola di moltiplicazione, apparisca nel foro la sola colonna che contiene i prodotti del fattore costante per i successivi numeri interi 1, 2, 3,.....90 e vi F' altresì in modo che i corrispondenti valori della lettura non corretti per il run, scritti qui sopra, vengano a trovarsi a fianco dei detti prodotti. Questi, col debito segno, saranno senz'altro le correzioni di 7uz alle letture corri- spondenti. La scomposizione suddetta in un fattore costante e in uno variabile può essere fatta in varî modi a seconda dei differenti casi; nella mia Nota Lo strumento universale « Bamberg », ecc. (citata più indietro) ne ho già dato un altro esempio. 14200 ee 1 28 1.32 127 13: 0.2 2 58 ON 2 59 00 80 Nella stessa Nota feci pure osservare che se i due microscopî ordina- riamente usati nelle letture dei cerchi sono bene rettificati, cosicchè le let- ture /, ,/» fatte su uno di essi sieno molto prossime a quelle /1,/ fatte sull'altro, si può dedurre in una sola volta la correzione di 7ux alla media delle due letture del cerchio eseguite con i due microscopî, anzichè le due correzioni separate : ciò rende il metodo di calcolo del 7uz medio notevol- mente più breve di quello del 7uz attuale. — 795 — Meteorologia. — L'influenza della orografia sulla distribu- zione mensile della nebulosità. Nota di FiLtePo EREDIA, presen- tata dal Socio E. MILLOSEVICAH. Come è noto, dallo studio comparativo delle isanofele, delle isobare, delle isoterme e dei venti, sono state dedotte leggi generali sulla distri- buzione della nebulosità, leggi che sono in stretta relazione con la posi- zione dei grandi centri di azione dell'atmosfera e che vennero enunciate dal Teisserenc de Bort in base all'insieme delle osservazioni raccolte. La nebulosità nei diversi mesi ha una marcata tendenza a ripartirsi per zone parallele all'equatore: e mentre all'equatore trovasi il massimo di ne- bulosità, spostandosi, seguono strisce di minore nebulosità da 15° a 35° di latitudine sia nord che sud, a cuì tengono dietro striscie di maggior ne- bulosità da 35° a 50° di latitudine; e a latitudini superiori, il cielo appare coperto da minor quantità di nubi. Vi sono però alcune circostanze che questa generale ripartizione modificano con perturbazioni, fra cui è da segnalare l'influenza dei venti i quali, se provengono dalle regioni marittime, fanno aumentare la nebulosità nei luoghi posti sotto la loro influenza; men- tre se sono venti continentali, apportano sensibile diminuzione. E ancora i venti che si muovono da una regione calda verso una più fredda, dànno luogo ad un aumento di nebulosità. La presenza di elevate o basse pressioni dà luogo rispettivamente a diminuzione o aumento di nebulosità; e infine i rilievi ter- restri, accelerando la condensazione o la rarefazione, vi esercitano anch'essi una azione preponderante. L'interpretazione delle varie influenze locali può ottenersi solo in quelle regioni ove sono diversi osservatorii che posseggano uniformi serie di 0s- servazioni; ma riesce più evidente, qualora si possa procedere a rappresen- tazioni particolari che permettano di abbracciare l'andamento generale del fenomeno: e credo che a ciò ben corrispondano le rappresentazioni isoplete. Per una generale ricerca sulla distribuzione della nebulosità, sono state esa- minate le osservazioni nefoscopiche raccolte in Italia: e poichè quivi si riscon- trano caratteristiche regioni tanto diverse dal punto di vista climatico, cre- diamo opportuno di effettuare tali rappresentazioni per la distribuzione della nebulosità nella valle Padana. Nell’unita tabella trascriviamo i valori mensili della nebulosità rilevata nelle diverse città situate nell'anzidetta regione e il cui andamento gene- rale viene dato dalle rappresentazioni isoplete che seguono. | = o) a VENEZIA SI m. 24 D 3 PADOVA m.34 TREVISO Q m.26 ® È ® E ODERZO a m. 24 BASSANO m-130 è a CONEGLIANO v m.85 S UDINE m.416 è BELLUNO Di m. 404 v ® rale $ AEON : AURONZO m.874 Bra. 3. superiori fino a raggiungere valori minimi sulle località elevate. Nei mesi da febbraio a giugno permane questo aumento della nebulosità, con l’altitudine, RenDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 104 = 900 ad eccezione delle località vicine a Desenzano e a Sondrio che accusano, al contrario, una diminuzione. L'azione condensatrice del rilievo, specie nei mesi in cui prevalgono le correnti ascendenti, risulta anche dalla figura seguente (fig. 3) ove è ripro- dotta la regione del Veneto dalle località costiere alle più elevate. Risalta distinto l'aumento della nebulosità nei mesi estivi sulle alte regioni rispetto alle basse, e la minima nebulosità nei mesi invernali sulle località a mag- giore altitudine. Ma la rappresentazione forse non ha l'evidenza della prece- dente, a causa della ineguale distribuzione della temperatura dovuta all’ac- cidentalità orografica del Veneto, e anche a causa dellimitato numero delle stazioni meteoriche prese in esame. Chimica. — Sui feromenni di trasformazione nei molibdati e wolframati di potassio ('). Nota II di M. AMADORI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Molibdato potassico. — Questo sale fu studiato termicamente per la prima volta da Hittner e Tammann che ne stabilirono il punto di solidi- ficazione a 926°: essi non trovarono termicamente alcun punto di trasforma- zione, ma dall'intorbidamente della massa solida arguirono che la trasfor- mazione dovesse aver luogo a circa 200°. Nelle mie ricerche precedenti il punto di solidificazione fu trovato a 926°, e nel raffreddamento della massa risultò un debole rallentamento ad una temperatura variabile da 475° a 460°. Assumevo perciò come punto di trasformazione la temperatura massima osservata, e cioè 475°, dando a questa temperatura non già un valore assoluto, ma un valore relativo, perchè come facevo notare, la trasformazione avviene con debole sviluppo di calore. Nel raffreddamento del sale seguìto fino a 200° non osservavasi alcuna ulteriore modificazione termica. Le ricerche di van Klooster proverebbero l’esistenza di 4 forme, e cioè di tre punti di trasformazione a 327°, a 454°, a 479°. Il punto di fusione fu ottenuto a 919°. Da quanto riferisce l'autore sembra che queste esperienze sieno state eseguite solo riscaldando la massa salina: egli osserva che le mie ricerche stabilirono una sola trasformazione, quella cioè che avviene a temperatura più elevata e con minor sviluppo di calore, mentre mi sarebbero sfuggite le due trasformazioni che avvengono con maggior sviluppo di calore a tempe- rature inferiori. (') Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. — 801 — Ho compiuto nuove ricerche sul molibdato potassico impiegando, come nelle precedenti, il sale proveniente da Kahlbaum, esente di solfato (al. l'analisi M003 60.36 °/0; cale. 60.43 °/). Il punto di solidificazione risultò a 928°. Per raffreddamento della massa fusa e solidificata potei notare solo un rallentamento verso 475-455°: anche nel riscaldamento si notò una variazione termica alla stessa temperatura. Secondo van Klooster intorno a questa temperatura si avrebbero due trasformazioni, a 479° con debole sviluppo di calore, a 454° con sviluppo di calore più forte. Anche queste ultime mie ricerche mostrerebbero invece che si tratti di una trasformazione unica che avviene con piccolo sviluppo di calore, e si nota entro un certo intervallo di temperatura. La trasformazione avviene dapprima nelle parti esterne della massa e si fa sentire nelle parti interne con piccolissimo rallentamento nelle variazioni di temperatura, che continua per un breve intervallo e si accentua leggermente quando la trasformazione ‘avviene nella parte interna della massa: per ciò come temperatura di tra- sformazione reale va presa questa ultima temperatura; la temperatura reale di trasformazione è forse un po’ inferiore a quella data precedentemente cioè a circa 460°, ma credo sia da escludere una doppia trasformazione e l’esi- stenza di due punti di trasformazione distinti. L'altra trasformazione osservata da van Klooster a 327°, come ho notato, non si osserva nel raffreddamento fino a 200°. Si nota però che se si porta la massa a temperatura ordinaria, questa assume un aspetto assai diverso e da compatta diviene granulosa. Se si versa la massa fusa in una capsula di platino in modo da avere uno strato dello spessore di 2-3 millimetri, si vede che a una temperatura piuttosto bassa la massa solida compatta co- minciando dai bordi si polverizza, a tratti, con una certa violenza. Ho seguito perciò il raffreddamento della massa al di sotto di 200°: è possibile allora osservare la trasformazione accennata che avviene con no- tevole sviluppo di calore: il sale che si trova in stato instabile subisce di tratto in tratto la trasformazione, e nella massa si hanno corrispondentemente tanti sviluppi di calore che portano a rallentamenti nel raffreddamento e addirittura a ripetuti innalzamenti di temperatura. i Credo interessante riprodurre la curva di raffreddamento del molibdato potassico quale risulta in questo intervallo di temperatura, costruita in base alle temperature date dal termoelemente e lette sul galvanometro di 10 in 10 secondi nel raffreddamento della massa fusa (15 gr.). Riscaldando la massa dopo che è avvenuta la trasformazione tanto se la massa fu portata a temperatura ambiente, come se fu raffreddata solo a 120°, si osserva una sola trasformazione a 322-326°. > 00 Se invece si riscalda dopo aver portata la massa nel raffreddamento solo fino a 200° non si ha alcuna trasformazione a 320°; il che significa che a 200° la trasformazione inversa non era ancora avvenuta. Wolframato potassico. — Hittner e Tammann trovarono la tempe- ratura di solidificazione di questo sale a 906°, 926° (2) La temperatura di trasformazione di questo sale fu data dai detti autori a 300-200°, perchè essi avevano osservato che la crosta salina compatta che sì forma su di un filo di platino per solidificazione del sale fuso intorno a questa temperatura, si polverizza. Nella mie ricerche precedenti avevo trovato la temperatura di solidi- ficazione del wolframato a 894° e una trasformazione a 575° circa, trasfor- mazione che avveniva con piccola variazione termica come quella del cor- rispondente molibdato. La temperatura assunta era la massima avuta in varie determinazioni. Successivamente van Klooster trovò la temperatura di solidificazione del wolframato potassico a 921°: egli non osservò alcuna variazione ter- mica a 575° per cui, secondo l’autore, a questa temperatura non si avrebbe alcuna trasformazione, e l’effetto termico da me osservato sarebbe dovuto a una separazione eutettica. Con il metodo di riscaldamento van Klooster stabilì una trasformazione del wolframato a 388° che avviene con notevole sviluppo di calore: detta trasformazione non gli risultò nel raffreddamento della massa fino a 220°. Il wolframato da me impiegato in queste come nelle ricerche prece- denti fu il wolframato potassico Kahlbaum. All’analisi si ebbe un contenuto di WO; del 70,74°/ (calce. 71,10 °/); era esente completamente di solfati. Certo questo sale conteneva un piccolo eccesso di carbonato come si potè anche osservare aggiungendo al sale fuso una piccola quantità di anidride wolframica che produsse uno sviluppo di gas: questo fu osservato aggiun- gendo quantità crescenti di anidride fino ad una aggiunta di 0,25 gr. di WO; a 20 gr. di K. WO,. — 803 — La temperatura di solidificazione per l'aggiunta di queste quantità di anidride venne elevata da 894° a 898°. Nel raffreddamento della massa solidificata venne nuovamente osservata quella variazione termica già avuta nelle precedenti esperienze a 575°. Nel sale contenente le piccole quantità di carbonato in eccesso la massima tem- peratura cui fu osservata la trasformazione fu di 585-580°. Nel sale a cui fu aggiunta l'anidride in quantità necessaria per la trasformazione del car- bonato a wolframato la trasformazione fu osservata a una temperatura un po' superiore e cioè a 600-595°. Uguali fenomeni si osservarono nel riscaldamento della massa. Effettivamente la temperatura di questa trasformazione è un po’ supe- riore a quella data nella precedente Nota, e cioè la trasformazione del wol- framato puro avviene intorno a 600°. Van Klooster, come fu detto, attribuisce il fenomeno termico da me 0s- servato a un deposito eutettico: infatti anche il punto di solidificazione troppo basso del sale dovrebbe indicare, secondo il detto autore la non pu- rezza del sale. Il wolframato adoperato in queste ultime ricerche si dimostrò all’ana- lisi sufficientemente puro, e l'aggiunta dell'anidride wolframica ha certo av- vicinato maggiormente il sale al grado di purezza. Di quale natura possa essere questo preteso eutettico non è detto da van Klooster. Tanto nelle precedenti, come in queste ricerche non si potrebbe supporre che la presenza eventuale di un eccesso di anidride o di carbonato. L'eutettico wolframato-biwolframato che risulterebbe nella prima ipotesi giace a 542° como ho mostrato in un mio precedente lavoro (*): nelle con- centrazioni limiti dovrebbe trovarsi ad una temperatura piuttosto inferiore a questa, mai ad una temperatura superiore come si verifica per il wolfra- mato puro. In una stessa miscela di wolframato anidride contenente 5,5 9/0 mol. WO3 avevo anzi osservato tanto il punto di trasformazione a 575°, come il deposito eutettico a 530°. Anche un eutettico wolframato-carbonato è da escludere: infatti la pre- senza di piccole quantità di carbonato tende a far diminuire la temperatura a cui si ha l’effetto termico, e l'aggiunta di una quantità considerevole di carbonato fa addirittura scomparire questa variazione termica. È quindi da escludere che l’effetto termico osservato a circa 600° sia dovuto a presenza di eccesso dell’uno o dell'altro sale. Presenza di altre sostanze eterogenee, come anche dell'analisi quanti- tativa e qualitativa pote risultare, mi sembra da escludere; e credo che la variazione termica osservata non si possa attribuire a una separazione eutet- tica, ma si tratti di una vera trasformazione, probabilmente della stessa natura di quella osservata per il molibdato potassico intorno a 470°. (*) Atti R. Istituto Veneto; LXXII, II, 893 (1912-13). a La diversità dei miei risultati da quelli di van Klooster va forse at- tribuita al vantaggio che può offrire la lettura diretta delle temperature sul galvanometro, per cui è più facile colpire le variazioni termiche deboli, ed anche forse alla troppo lenta velocità di riscaldamento e di raffredda- mento adottata da van Klooster: infatti ho osservato che detta trasforma- zione è più visibile se la temperatura varia di 2-3° ogni 10 secondi, che se varia di 1-2° ogni 10 secondi. Riguardo l’altra trasformazione del wolframato potassico noterò che essa non è visibile termicamente nel raffreddamento, come del resto era stato osservato da van Klooster: per il wolframato accade queilo che abbiamo visto per il molibdato; nel raffreddamento si oltrepassa la temperatura di trasformazione senza che essa abbia luogo: anzi il wolframato ha maggior tendenza a mantenersi nella forma instabile, e se il raffreddamento è lento, può venire portato anche alla temperatura ambiente senza che la trasforma- zione abbia luogo. Si notò inoltre, che agendo con il wolframato contenente il piccolo eccesso di carbonato, la trasformazione avviene più facilmente ad una tem- peratura superiore, forse perchè la presenza del carbonato rende meno com- patta la massa che subisce con maggior facilità la trasformazione. Anche nel raffreddamento rapido e di strati sottili viene facilitata as- sai la trasformazione. Avvenuta la trasformazione nel raffreddamento la massa riscaldata su- bisce la trasformazione inversa a 370-374° con notevole arresto nella tem- peratura. Dal complesso delle esperienze di raffreddamento e di riscaldamento credo si possa concludere: 1°) Il molibdato sodico è tetramorfo e presenta un primo punto di trasformazione a 634°; un secondo punto a circa 592°; il terzo punto di trasformazione si trova a 444°: questo ultimo come i precedenti sono le tem- perature di trasformazione ottenuti nel riscaldamento: nel raffreddamento le trasformazioni si manifestano a temperature inferiori: specialmente l’ul- tima trasformazione può venire molto ritardata per presenza di piccole quan- tità di sostanze estranee. 2°) Il wolframato sodico è trimorfo: i punti di trasformazione ottenuti nel raffreddamento sono a 582° e a 571°; nel riscaldamento della massa si ha un solo effetto termico a 580-584°. L'affermazione di van Klooster che sì tratti di una sola trasformazione non appare dimostrata. 3°) Il molibdato potassico è trimorfo con un punto di trasforma- zione a circa 460°: il secondo punto di trasformazione nel riscaldamento delle masse risulta a 322-326°; non possono avere alcun valore i fenomeni termici che si osservano nel raffreddamento, per la grande tendenza che ha — 805 — questo sale a mantenersì in stato instabile nella forma stabile a tempera- tura più elevata. 4°) Il wolframato potassico è pure trimorfo con punto di trasforma- zione circa a 600° e un secondo punto di trasformazione che si osserva solo nel riscaldamento a 370°-374°: per la trasformazione inversa accade quanto fu osservato per il molibdato. Queste ricerchè confermano pienamente i risultati ottenuti nelle mie precedenti ricerche compiute con il metodo adottato generalmente in questo genere di studî vale a dire raffreddando le masse fuse. Qualche diversità nei valori assoluti delle temperature di trasformazione che si verificano so- prattutto là dove si tratta di fenomeni che avvengono con piccole variazioni termiche non hanno alcun significato e non infirmano affatto i risultati sull'andamento generale dei sistemi studiati. Le ricerche di van Klooster mostrano in qualche caso la bontà del me- todo di riscaldamento, così ad esempio per la determinazione dei punti di trasformazione del wolframato potassico: in qualche caso però anche questo metodo non sembra sufficiente, come ad esempio nella determinazione dei punti di trasformazione del wolframato di sodio per il quale io credo si tratti di una doppia trasformazione come risulta nel raffreddamento della massa, anzichè di un'unica trasformazione come risulta dal riscaldamento. Ad ogni modo queste diversità non riguardano quei risultati che per i sistemi da me studiati furono in ogni caso ottenuti con il metodo comu- nemente seguito del raffreddamento delle masse fuse. Chimica. — Sul posto del cerio nel sistema periodico, e sui molibdati complessi del cerio tetravalente (*). Nota di G. A. BaR- BIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. 7" Recentemente sono state studiate, mediante l’analisi termica, alcune leghe di cerio. Nelle leghe cerio-stagno il Vogel (?) ha riconosciuto l’esistenza dei composti Ce.Sn,C, Sn, CeSn.. In base a questi risultati il Tamman (*) e il Vogel concludono che il cerio non può far parte, nel sistema periodico, dello stesso gruppo dello stagno, perchè è stato constatato che gli elementi di uno stesso gruppo, esclusi i primi termini, non dànno composti fra loro. Il posto che il cerio occupa nel quarto gruppo del sistema periodico venne ad esso assegnato dal Mendeleeff ammettendo il cerio trivalente nei (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale dell’ Università di Ferrara. (2) Z. anorg. Chem., 72 (1911), 319. (3) Z. f. Elektrochemie, /7 (1911), 641. — 806 — sali cerosi e quindi tetravalente nei sali cerici. Tutte le ricerche successive hanno confermato, non solo la trivalenza (*) del cerio nei sali cerosì, ma anche il posto assegnato al cerio tra il zirconio e il torio, giacchè vennero ottenuti parecchi sali del cerio tetravalente (*) analoghi ai corrispondenti sali di torio. La conclusione alla quale giungono Tamman e Vogel viene dunque a contrastare con quanto si riteneva come acquisito e dimostrato intorno alla sistematica del cerio. ° Data l’importanza dell'argomento, mi par lecita la domanda se la rego- larità affermata dal Tamman, e riguardante l'incapacità degli elementi omo- loghi a combinarsi fra loro, presenti tale validità di legge naturale che, dinanzi alle deduzioni basate su di essa, debba cedere ogni altra conside- razione chimica. Nella forma nella quale è stata dapprima esposta (5), la regolarità su detta riguarda soltanto gli elementi susseguentisi nei gruppi naturali presi in senso stretto. Con questa denominazione il Tamman intende i sottogruppi del sistema periodico, fatta astrazione dal primo termine, cioè dai termini appartenenti ai piccoli periodi. Ad esempio, rame argento oro costituirebbero un gruppo naturale in senso stretto; e in esso si verifica la regolarità su ricordata, giacchè il rame non dà composti con l’argento, e l'argento non dà composti con l'oro. Altret- tanto si potrebbe ripetere per il gruppo zinco cadmio mercurio. È evidente che la regolarità affermata dal Tamman non è applicabile, nella sua forma originaria, al caso cerio-stagno, perchè questi elementi, non solo non si susseguono, ma fanno parte di sottogruppi diversi. Il Tamman, nella prima Nota (‘) sull'argomento, s'era già proposta la questione se la detta regolarità potesse venir estesa, oltre che agli elementi susseguentisi, anche a tutti’gli elementi di un gruppo naturale, preso sempre in senso stretto; e aveva lasciato insoluta la questione, causa la mancanza di dati sperimentali. Nella seconda Nota (*) non accennò più alla condizione che gli elementi debbano immediatamente succedersi; e infine, nella discussione seguìta al rapporto di R. I. Meyer (5) intorno alle attuali conoscenze sulle terre rare, presentato al congresso del 1911 della Bunsen Gesellschaft, il Tamman ri- tenne di poter applicare la sua regolarità alle leghe cerio-stagno, conside- rando quindi come gruppo naturale in senso stretto Ti, Zr, Th, Ge, Sn, Pb. (1) W. Muthmann, Ber., 3/ (1898), 1829. (2) I. Koppel, Z. anorg. Chem., 78 (1898), 305; R. J. Meyer e R. Jacobi, Z. anorg. Ch., 27 (1901), 389. G. A. Barbieri, Rendiconti Accad. Lincei, 1907, I, 644; 1910, II 6492; Ber., 43 (1910), 2214. (3) Z. anorg. Chem., 49 (1906), 115. (4) Ibidem. (5) Z. f. anorg. Ch., 55 (1907), 294. (5) Zeitschr. f. Elektrochem., 17 (1911), 633. — 807 — Se la regolarità del Tamman, limitata alle coppie di elementi vicini di un sottogruppo, soffre già un'eccezione, giacchè il bromo si combina con lo iodio, essa ne presenta molte altre qualora venga estesa a tutti gli elementi di ciascun gruppo del sistema periodico, anche facendo astrazione dai termini appartenenti ai piccoli periodi. Giova ricordare che al settimo gruppo, oltre al bromo e allo iodio, appartiene il manganese; che il selenio dà composti col cromo, col molibdeno, col wolframio e con l’uranio; che il cesio si combina con l’oro, e il mercurio col bario (1). A me sembra che la regolarità affermata dal Tamman, o non è appli- cabile al caso cerio-stagno, o questo caso costituisce per essa un'eccezione di più. Dopo le leghe cerio-stagno, il Vogel ha studiato le leghe cerio-allu- minio (?). Il cerio si combina anche con l'alluminio, formando i seguenti composti: Cez A, CeAl, CeAl,, CeAl,. Il Vogel conclude, da ciò, che il cerio « ist offenbar kein dem Aluminium nahestehendender Element »; e siccome il lantanio dà anch'esso un composto con l'alluminio (*), il Vogel vorrebbe togliere il lantanio dal posto che occupa nel terzo gruppo. Qui mi pare opportuno di notare che l'alluminio fa parte di un piccolo periodo, e quindi, secondo Tamman, dovrebbe venir escluso dai gruppi natu- rali presi in senso stretto; che se poi si vogliono prendere in considerazione anche gli elementi metallici dei piccoli periodi, siccome lo zinco e il cadmio dànno composti col magnesio, si dovrebbe a maggior ragione togliere lo zinco e il cadmio dal secondo gruppo! L'analisi termica delle leghe metalliche ha reso e renderà inestimabili servigi alla chimica inorganica in un campo finora quasi inaccessibile; ma io dubito ch’essa possa portare un grande contributo alla sistematica degli elementi: e ciò contrariamente all'opinione del Tammapn (‘) — secondo il quale, nei composti metallici delle leghe, l’ individualità%degli elementi si manifeste- rebbe con evidenza maggiore che non nei sali —e del Vogel (?) che, a risol- vere la questione del posto del cerio nel sistema periodico, ritiene d’impor- tanza decisiva lo studio delle leghe del cerio e degli altri elementi delle terre rare. È certo che l’individualità di un metallo, cioè l'insieme dei caratteri ch’esso presenta allo stato libero, ha grande influenza sulla natura dei com- posti che forma nelle sue leghe: ossia la sua individualità non scompare totalmente in tali composti, mentre scompare totalmente nei sali. Ma dal (1) W. Guertler, ibidem, pag. 641. (IZ £arorg A Chio, (1912)041 () Muthmann; Beck. Lieb. Ann., 33/, 46 (1904). (4) Z. anorg. Chem., 59, 290 (1907). (5) Idem, 72, 328 (1911). RenpICONTI. 1914, Vol. XXITI, 1° Sem, 105 — 803 — dal punto di vista della sistematica, non è tanto l’individualità dell'elemento allo stato libero che c' interessa, quanto l’ individualità chimica dell’elemento nei suoi composti. Scriveva il Piccini ('): « Quando parliamo di classificazione degli ele- menti e discutiamo sul posto che si deve assegnare al fosforo e al carbonio, la questione non si aggira sul fosforo bianco o rosso, sul diamante o sulla grafite, ma sibbene su quello che rispettivamente hauno di comune questi corpi semplici, cioè sugli elementi fosforo e carbonio. K Il sistema periodico è una classificazione di elementi, non di corpi sem- plici. Ogni elemento vi occupa un posto corrispondente alla sua individua- lità chimica e, nel caso in cui l'elemento abbia più forme di combinazione (e, quindi, più individualità chimiche), il suo posto corrisponde all'individualità che manifesta nella forma-limite. Si può parlare di forma-limite, o anche, semplicemente, di forma di com- binazione, a proposito dei composti esistenti nelle leghe? Il Tamman (?) stesso ritiene fortuita la corrispondenza che talvolta si nota tra le formule dei composti metallici di certi elementi e le iformule dei composti salini degli elementi stessi. Il campo dei composti metallici è ancora molto oscuro : trarne delle conseguenze per la sistematica degli elementi, mi sembra, almeno, prematuro. Il posto del cerio nel sistema periodico non potrà, almeno per ora, venir confermato o combattuto se non in base allo studio dei composti che il cerio può dare nella sua forma-limite. Le ricerche descritte in questa Nota si riferiscono appunto ai nuovi composti del cerio tetravalente. In una Nota (") precedente, io ho descritto alcuni molibdati complessi di torio analoghi ai silico-molibdati di Parmentier e ai titani- e ai zirco- nimolibdati di Péchard. L'esistenza dei torimolibdati sta in accordo col posto che il torio occupa nel quarto gruppo del sistema periodico. Se il cerio fa parte dello stesso gruppo e precisamente occupa il posto ch'è fra lo zirconio e il torio, è logico di prevedere che, nella sua forma- limite, esso deve dare molibdati complessi analoghi a quelli degli elementi omologhi. L'esperienza ha confermato pienamente tale previsione. Io ho potuto ottenere il composto 4(NH,),0.Ce0;.12M00;.8H;0 ehe corrisponde perfettamente al torimolibdato neutro di ammonio: 4(NH,), 0. ThO,.12Mo0,.8H;0. (!) Appendice al trattato di Chimica inorganica di von Richter, 1885, pag. 406. (2) Z. anorg. Chem., 55, 290 (1907). (*) G. A. Barbieri, Rendiconti Accad. Lincei, XXII, 1° (1913), 781. — 809 — Il composto di cerio, come quello di torio, è cristallizzato in prismi, insolubile nell'acqua, solubile negli acidi diluiti. Dalle sue soluzioni acide, per aggiunta di un sale di ammonio, precipita il composto 3(NH,)0. Ce0, . 12 Mo0;.11H,0 che soltanto per una molecola d'acqua di cristallizzazione differisce dal composto 3(NH,):0.ThO;.12Mo0;.12H;0 che si ottiene dal torimolibdato neutro nelle stesse condizioni. Che l'acido cerimolibdico sia ottobasico, come l'acido torimolibdico, e che quindi il sale con sei molecole di ammoniaca sia un sale biacido, è pro- vato dall'esistenza del sale di argento 4Ag,0. Ce0;.12Mo0; che si può preparare tanto dal cerimolibdato neutro quanto dal cerimolibdato acido per trattamento con nitrato di argento, e che corrisponde al torimo- libdato di argento 4Ag,0.ThO,.12M00,. Data la stretta analogia ch'esiste tra i tori- e i cerimolibdati, è naturale di attribuire a questi ultimi la costituzione che abbiamo attribuita ai primi in basealla teoria sugli acidi complessi, di A. Miolati. È da ammettere che attorno all'atomo di cerio siano coordinati sei gruppi Mo, 0, bivalenti; e le formule dei cerimolibdati vanno quindi scritte nel modo seguente: (NH,)s [Ce(Mo:0,);].8Hs0 {NH,)e Hs [Ce(Mo 0;);].10H, 0 Ags [Ce (Mo, 0,)g] . PARTE SPERIMENTALE. Cerimolibdato neutro di ammonio. (NH,)g [Ce(M0,0,);].8H0. Se ad una soluzione concentrata di molibdato di ammonio si aggiunge a freddo la soluzione diluita di un sale cerico, si ha dapprima un preci- pitato amorfo biancastro; poi, riscaldando fino all’ebullizione, il precipitato si ridiscioglie a poco a poco, e il liquido diventa giallo-citrino. Continuando il riscaldamento, dal liquido giallo limpido si separa una polvere gialla cristallina costituita da bei prismi microscopici trasparenti. Infine, lasciando raffreddare, si deposita una nuova porzione della polvere cristallina; il liquido diventa quasi incoloro, e più non contiene se non traccia di cerio. = 810 — La polvere gialla così ottenuta è il cerimolibdato neutro d'ammonio. Per averlo direttamente allo stato cristallino, ho trovato opportuno di procedere nel modo seguente: Nella soluzione di 30 gr. di molibdato di ammonio in 100 ce. di acqua, mantenuta all’ebullizione, si fanno cadere, a goccia a goccia, 50 cc. di una soluzione al 5°/, di nitrato cerico ammonico. Si forma tosto un abbondante precipitato giallo-cristallino che viene separato per filtrazione alla pompa, lavato prima con soluzione di nitrato d’ammonio, poi con alcool metilico, e infine seccato all'aria su carta da filtro. In questo composto, l'azoto venne dosato come ammoniaca per via acidi- metrica, previa distillazione con soda caustica; il molibdeno venne separato come solfuro con HsS dalla soluzione solforica, e poi trasformato in anidride molibdica; il cerio, dopo eliminato il molibdeno come solfuro, venne preci- pitato con ammoniaca e acqua ossigenata allo stato di perossido idrato, e pesato come Ce0,. Si determinò la perdita di peso alla calcinazione scaldando una quantità nota del prodotto in un crogiuolo di platino contenuto in un altro crogiuolo pure di platino, il cui fondo veniva portato al rosso incipiente. Durante il riscaldamento il prodotto diventa bruno, perchè l'ammoniaca che si svolge riduce un po’ di anidride molibdica ad ossidi inferiori di molibdeno; ma questi poi si riossidano all’aria, e sì finisce coll'ottenere una polvere di color giallo-camoscio, nella quale il cerio è contenuto tutto allo stato ceroso. Du- rante la calcinazione si ha quindi eliminazione di acqua, di ammoniaca e di ossigeno. Si ebbero all'analisi i seguenti risultati: Calcolato per Trovato (NHy)s Ce(Mog 0:)e.8Hz0 Ce 0, 7,65 7,009 - 1,97 Mo 0; TOI 76,94 - 76,30 N 4,97 4,84 - 4,92 - 4,89 Perdita di peso alla calcinazione 16,0 16,44 - 16,22 - 15,9 Il cerimolibdato neutro di ammonio è insolubile in acqua; è solubile negli acidi minerali diluiti. Le sue soluzioni sono gialle. Il complesso che il cerio tetravalente forma con l'acido molibdico [a differenza di quello che coll’acido molibdico forma il cerio trivalente (*)] è molto stabile anche in soluzione: e infatti nei cerimolibdati il cerio non presenta parecchie delle sue reazioni più caratteristiche. L'acqua ossigenata che, com'è noto, riduce istantaneamente il nitrato e il solfato cerico, aggiunta a una soluzione di cerimolibdato in acido sol- (1) G. A. Barbieri, Rendiconti Accad. Lincei, XVII, 1° (1908), 540. — 811 — forico diluito, non esercita alcuna azione. Adoperando una quantità nota di acqua ossigenata, e rititolandola poi con permanganato, si trova ch'essa è rimasta inalterata in presenza del sale cerico. L'acido ossalico non produce alcun precipitato in una soluzione di ceri- molibdato; anzi il cerimolibdato stesso si scioglie facilmente in una soluzione di acido ossalico, con colorazione gialla. Soltanto dopo prolungata ebullizione, una parte del cerio precipita da tale soluzione, allo stato di ossalato ceroso. Questi fatti provano che, anche nelle soluzioni del cerimolibdato negli acidi diluiti, il cerio fa parte di uno jone complesso cerimolibdico. Le reazioni di precipitazione con sali alcalini e alcalino-terrosi con sali di metalli pesanti e di basi organiche, che vennero descritte come caratte- ristiche dei torimolibdati, valgono anche per il cerimolibdato di ammonio: colla sola differenza che i precipitati che si ottengono sono gialli. Il cerimolibdato acido di anilina, appena ottenuto, è giallo; poi, alla luce, diventa verde. Cerimolibdato acido di ammonio. (NH,);H: [Ce(Mo,0,);]. 10H:0 Gr. 5 di cerimolibdato neutro vengono sciolti a freddo in circa 300 cc. di una soluzione di acido solforico al 2°/,; poi il liquido giallo, così otte- nuto, sì versa in un egual volume di soluzione satura di nitrato d'’ammonio. Si forma subito un abbondante precipitato giallo-chiaro cristallino, che viene separato per filtrazione alla pompa, lavato prima con soluzione di nitrato ammonico, poi con alcool metilico e infine seccato tra carta. L'analisi di questo prodotto venne eseguita come fu detto per il composto precedente, e diede ì seguenti risultati : Calcolato per Trovato (NH) Ha [Ce(Mo2 0); ]. 10 H30 Ce 0, 7,65 7,50 Mo 0, 70,65 17,13 N 3,03 3,87 alla caicinazione 16,07 16,22 Al composto corrispondente di torio venne da me (!) attribuita la formula r (NH,)H; [Th(Mo:0,);].11H;0. È probabile ch'esso abbia in realtà la stessa idratazione del composto cerico. Il prodotto analizzato era forse un po’ umido. (*) Questi Rendiconti (1913), 1° 785. — 812 — Il cerimolibdato acido di ammonio è insolubile in acqua; è solubile negli acidi diluiti; presenta in soluzione le stesse reazioni del sale neutro. Cerimolibdato di argento. Ags [Ce(Mo,0,);] . Se ad una soluzione di cerimolibdato neutro (o di cerimolibdato acido) in acido nitrico diluito si aggiunge nitrato di argento in eccesso, si ha un precipitato giallo-aranciato amorfo che contiene argento, cerio e anidride molibdica. Titolando l'argento rimasto in soluzione, si trova che per ogni atomo di cerio sono stati precipitati otto atomi di argento. Per ottenere il cerimolibdato di argento cristallizzato, si fa digerire a freddo il cerimolibdato di ammonio neutro (o anche quello acido) in una soluzione al 10 °/, di nitrato di argento. Dopo circa ventiquattro ore, tutto l’ammonio del cerimolibdato è stato sostituito dall’argento. L'analisi venne eseguita sul prodotto seccato a 120° fino a peso costante. Calcolato pir Trovato Ags Ce(Mo0,07): Ag 30,52 30,36 Ce 0, 6,09 6,23 Mo0; 61,13 61,20 Chimica. — Sulla reazione del nitroprussiato con alcuni che- toni ('). Nota 1I di Livio CamBI, presentata dal Socio A. ANGELI. In una Nota precedente (*) mi occupai della reazione cromatica che diversi chetoni manifestano col nitroprussiato, in presenza di alcali. Le ri- cerche comunicate in quella Nota dimostrarono principalmente che i sali complessi colorati che si generano dal nitroprussiato e dai chetoni sì scin- dono facilmente fornendo l’isonitrosochetone che deriva dal chetone im- piegato. Era già noto, per le ricerche sistematiche di Denigés(*) e di Belà von Bittò (‘), che soltanto i chetoni contenenti aggruppamenti — CHn—C0—, aventi cioè idrogeno mobile congiunto a carbonio, potevano dare la reazione cromatica del nitroprussiato. La formazione del nitrosochetone dimostrava (*) Lavoro eseguito nel laboratorio di Elettrochimica del R. Istituto Tecnico supe- riore di Milano. (*) Questi Rendiconti, XXII (1913), I, 376. (3) Denigés, Bull., /5 (8), 1058. (4) Belà r. Bittò, Annalen, 267, 372. — 813 — appunto la necessità di tale aggruppamento: doveva avvenire una condensa- zione fra l’aggruppamento — NO del nitroprussiato ed il carbonio recante l'idrogeno mobile. i Sulla natura del composto complesso così generato non potevo decidere, soprattutto per l'instabilità, in soluzione acquosa, del sale prodotto dall’ace- tone che avevo tentato di isolare. Si presentavano due ipotesi: che si formasse direttamente l’aggruppa- mento dell’isonitrosochetone, o che invece questo si producesse per una scissione secondaria da una cosiddetta isonitramina formatasi nella reazione principale. Le ricerche che ora comunico vennero dirette a stabilire la natura dei sali prodotti nella reazione su ricordata. Feci già osservare che dal nitroprussiato in soluzione acquosa insieme al prodotto di condensazione del chetone, per azione dell’alcali presente, si forma anche il ferronitritopentacianuro, il quale, almeno nel caso studiato, non si separa dal composto colorato (?). Nelle ricerche presenti approfittai dell'osservazione fatta, che in alcool metilico assoluto (*) il nitroprussiato non reagisce, almeno in modo apprez- zabile, a freddo con l’alcoolato sodico, sia metilico che etilico. Non si nota alcun cambiamento di colore, nè precipitazione del nitritocianuro che è in- solubile in questo solvente (5). Avendo presente d'altra parte, come è ben noto, che gli alcoolati favo- riscono in generale le condensazioni del tipo di quelle cui doveva parte- cipare il nitroprussiato, feci reagire alcuni chetoni in queste condizioni col prussiato stesso. Infatti nei tre casì studiati, con l’acetofenone, l'acetobromo- fenone (0; H, co CH; avente tutti i caratteri di quelli generati in soluzioni acquose, la cui costi- tuzione, come verrà dimostrato nella parte sperimentale, schematicamente rappresentata, è la seguente: ) l’acetilacetone, osservai la separazione di un sale R CO.R, C. (ON); Fe NZ Na, (*) 0 (1) Loc. cit., pag. 377. (2) Il nitroprussiato sodico mentre si discioglie facilmente nell’alcool metilico asso- luto è quasi insolubile nall’alcool etilico assoluto. l (?) L’alcoolato potassico si comporta diversamente, genera un precipitato cristallino, che con tutta probabilità è nitroprussiato potassico. R 27 Ci! (4) Ho usato in generale lo schema |cm Fe i perchè appare probabile che l’aggruppamento dell’isonitrosochetone sia trattenuto da valenze secondarie, manifestantesi fra l’atomo di ferro e quello d’azoto ossimico. — 814 — Questi sali sono ferrocianuri contenenti per ogni aggruppamento Fe (CN); una molecola od un residuo di isonitrosochetone. Nel caso dei due acetofe- noni su citati, questi sali infatti si scindono per semplice azione dell’acqua nel sale di sodio dell'isonitrosochetone e nel ferroacquopentacianuro di K. A. Hoffmann : CH. C0. CH, (ON); Fe NÉ Na, + H0—> ‘0 —>[(CN); Fe H;0] Na; + (C5H;. CO. CH:NO) Na. Questa reazione in condizioni opportune può procedere in modo pressochè quantitativo: per ogni atomo di ferro si libera una molecola di nitroso- chetone. È noto che nella reazione dei chetoni col nitroprussiato si ha una colo- razione diversa a seconda che l'ambiente permanga alcalino o che divenga debolmente acido. Nel caso dell’acetofenone ho isolato il sale che si origina per azione degli acidi diluiti da quello ottenuto direttamente dal nitroprus- siato, ad esso spetta la formola [(CN); Fe C H NO] Na; . Abbiamo cioè la trasformazione seguente: CH. 00. 0,H; 1!" H" I RLCOE (CN); Pe NÉ (ON); Pe NÉ \0 n OH' OH rosso-yioletto azzurro Il prodotto di condensazione diretta del nitroprussiato con i chetoni ap- partiene quindi alla serie di quei ferrocianuri contenuti, nell’ ione complesso, un anione diverso in luogo di uno dei radicali — CN, come ad es.: [(CN); Fe OH] Na, () ; [(CN); FeNO,]Na, ; [(CN); FeAs0,] Na, . Il sale acido invece che ho ricordato si aggruppa a quei ferrocianuri contenenti in luogo di un gruppo —CN una molecola cosiddetta neutra, ad esempio: (1) Come osserva A. Werner (Neure Anschaungen III Auf. 1913, pag. 172) è assai probabile che l’acquoferrocianuro [H,OFe(CN);]Na; in soluzione alcalina dia luogo allo idroxosale qui indicato. — glo — La reazione complessiva del nitroprussiato con i chetoni in presenza di alcoolato si può adunque rappresentare con lo schema seguente: [| (CN): FeNO ] I ACONOH, | 2CH, 022 Ni pai CO. CoHs mi i —=| (CN); Fe MG, +2CH;.0H (1). (0) Non è possibile stabilire per ora quali siano le reazioni intermedie, certo tale condensazione richiama da un lato quelle dei nitriti alcoolici con gli stessi chetoni in presenza di alcoolato, dall’altro quelle che i veri nitro- soderivati organici possono fornire con diversi composti aventi pure idrogeno mobile congiunto a carbonio (?). PARTE SPERIMENTALE. Nelle ricerche che comunico venne adoperato il nitroprussiato sodico parzialmente disidratato (*), ottenuto riscaldando il sale cristallino in stufa a 115°. Debbo però aggiungere che nel caso dell’acetofenone e dell’acetobro- mofenone per confronto ho usato anche il sale cristallizzato asciugato sem- plicemente a 100° e che questo mi fornì gli stessì risultati dell'altro. L'acetofenone usato in queste ricerche bolliva a 200-202° a pressione ordinaria. L’acetobromofenone (Cs H, Br. CO .CH;) venne preparato dal clo- ruro di acetile e dal bromobenzolo, seguendo le indicazioni di Schweitzer (‘), purificato dall'alcool fondeva a 54° (52° Schweitzer). L'acetilacetone del com- mercio rettificato bolliva a 135-7°. Acetofenone. — Aggiungendo ad una soluzione di nitroprussiato iu alcool metilico assoluto contenente acetofenone, raffreddando a 0°, una solu- zione di alcoolato sodico metilico od etilico, si inizia dopo breve tempo la precipitazione di un prodotto in forma di polvere colorata in rosso-scuro. Dopo 2 o 3 ore, sempre mantenendo a 0°, la precipitazione è al termine. Il prodotto così ottenuto venne separato filtrando alla pompa, in atmo- sfera secca, venne lavato ripetutamente con alcool metilico assoluto, ed infine (4) Questo schema è analogo a quello della trasformazione del nitroprussiato in nitri- tocianuro: III II [(CN); FeNO]”+20H =[(CN); Fe NO,]/"+H, 0 (2) F. Sachs, Berichte 37, 2341. (8) Come è noto il nitroprussiato Nas Fe(CN), NO .2H,0 a 100° trattiene l’acqua di cristallizzazione. Il prodotto da me usato aveva perduto all'incirca il 50°/, dell’acqua contenuta; il riscaldamento non venne prolungato, perchè si manifestava in modo sensi- bile una decomposizione del sale. (*) Berichte, 24, 550. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 106 — 816 — con etere assoluto e posto nel vuoto su ac. solforico e potassa fusa. Tenuto nel vuoto per 48 ore circa all’analisi fornì i risultati seguenti: Trovato °/° Calcol. per doni Na,.Hs0 I Tui (001 E Na 20.60 20,28 20,70 20,72 Fe 12927 12799 “20506 12,57 N 19.06 18,74 18,90 18,93 C = == 35,56 35,14 H —_ — 1,95 1,81 Le analisi I riguardano il sale prodotto usando i rapporti: 1 Mol. nitroprussiato : 0,5 Mol. acetofenone : 1 Mol. alcoolato. Le II: 1 Mol. ” : 1 Moll ” : 2 Mol. nt Melle 1 Mol. ” : 1 Mol. ” : 3 Mol. ” Variando quindi i rapporti dei tre reattivi si ottenne sempre lo stesso prodotto dal rapporto 1 Fe:6N:4Na, ed in cui dobbiamo pure ammettere il rapporto 1 Fe:1CH;.CO.GH;. Le condizioni nelle quali si può preparare questo sale sono: gr. 3,5 di nitroprussiato in circa 60 ce. di alcool metilico assoluto, gr. 1,5 di ace- tofenone e gr. 0,6 di sodio disciolto ia 25-30 ce. di alcool metilico od eti- lico assoluto. La reazione è opportuno compierla a 0°. Nel sale da me analizzato ho dovuto ammettere una molecola d’acqua che si elimina difficilmente: con il riscaldamento il sale si decompone ed anche in essicatore a lungo si altera. Questo sale si presenta in polvere rosso-viva, deliquescente, solubilis- simo in acqua, la soluzione è colorata in rosso-violaceo intenso. Esso è in- solubile negli alcooli metilico ed etilico assoluti, si discioglie nell’alcool metilico acquoso (contenente anche piccole percentuali di acqua). Le soluzioni acquose con i sali ferrici dànno un precipitato azzurro-scuro, con quelli ferrosi violetto, con i sali rameici un precipitato pure violetto. Il sale rameico venne precipitato versando, in un eccesso di soluzione di solfato di rame, una soluzione del sale appena preparata in acqua fredda a 0°. Venne raccolto su filtro, lavato, e seccato nel vuoto a peso costante. Aveva la composizione seguente: Trovato °/o Calcol, per dn N ) Cu, Cu 27,65 27.58 Fe 12,19 12,10 — 817 — Le soluzioni acquoso-alcooliche del sale sodico perdono lentamente il loro colore per assumere quello giallo-scuro, e contemporaneamente si separa da esse uno strato acquoso denso che contiene disciolto un ferrocianuro. Lo strato acquoso così separatosi venne raccolto, disciolto in acqua e riprecipitato con alcool: venne infine disseccato nel vuoto. Ottenni così un sale in forma di granuli gialli ed in esso ho riconosciuto, in tutte le sue proprietà caratteristiche, il ferroacquopentacianuro. A conferma l'analisi fornì i risultati seguenti: Trovato °/o Calcolato per Na, Fe(CN); K,0 Fe 20,00 20,46 N 29,17 25,66 Abbiamo cioè il rapporto 1Fe:5N. La soluzione acquoso alcoolica da cui sì è separato il pentacianuro con- tiene il sale sodio dell’ isonitrosoacetofenone, infatti svaporato a freddo l’alcool, con ac. solforico diluito si precipita il nitrosochetone pressochè puro, fonde a 126°. Una scissione analoga il sale violetto subisce anche lasciato a sè a lungo in atmosfera umida trasformandosi in una massa pastosa cristallina, giallo- verde (1). Questa ripresa con acqua acidulata per ac. acetico dà una solu- zione giallo-scura, in cui facilmente si riconosce il pentacianuro, ed un re- siduo di isonitrosochetone. Il rendimento in isonitrosochetone in queste varie scissioni fu di circa 180 °/ del teorico. In soluzioni acquose il colore del sale violetto non scompare completa- mente, anche a lungo, si deve raggiungere uno stato d’equilibrio fra le due reazioni: Fe(CN) Hd LI x UE NO V Sd | to | + Ho NO;. Infatti aggiungendo ad una soluzione di pentacianuro (giallo-scura) una soluzione del sale sodico del nitrosoacetofenone (gialla), gradatamente col tempo si manifesta la colorazione violetta caratteristica, più o meno intensa a seconda delle concentrazioni dei due reattivi. Il sale acido venne preparato aggiungendo ad una soluzione, in alcool metilico contenente circa il 10°/, di acqua, del sale SNO 6, [Na la quantità equivalente di ac. solforico od acetico diluiti in 0 metilico as- soluto e raffreddando a 0°. La soluzione intensamente azzurra venne filtrata, (1) Indubbiamente costituita dai due sali cristallizzati Na, Fe(CN); H. 0 .7H,0 NaON:CH 5 CO SCE — 818 — sempre raffreddando, e dopo precipitata con etere. Ottenni così una polvere violetta che si discioglie in acqua col caratteristico colore azzurro: venne ridisciolta in alcool metilico al 90°/ e riprecipitata con etere e seccata nel vuoto: dopo 48 ore aveva la seguente composizione: Trovato °/o Calcolato per Do ole II Na 16.95 —_ 17,08 Fe 14,37 13,94 13,82 N — 20,34 20,81 Le analisi I e II riguardano due diverse preparazioni del sale, nel quale troviamo adunque i rapporti 8.Na : Fe: 6N. Esso è insolubile in alcool me- tilico assolulo, deliquescente, solubilissimo in acqua. Ha i caratteri dei fer- rocianuri: non svolge iodo dalle soluzioni di ioduro potassico. All'aria umida si decompone lentamente assumendo cnlore giallo-verde: allora ripreso con acqua lascia un residuo di isonitrosochetone e in soluzione passa il ferro- pentacianuro. Acetobromofenone. — Ho esteso la reazione del nitroprussiato a questo chetone per il fatto che in alcuni saggi preliminari il suo isonitrosoderivato si mostrò assai meno solubile nell'acqua, specie acidulata, del derivato del- l’acetofenone e potevo così studiare più agevolmente l'andamento quartita- tivo della decomposizione del sale sodico violetto. La reazione col nitroprussiato, nelle stesse condizioni descritte, procede con questo chetone in modo del tutto simile all’acetofenone. Il sale otte- nuto ha pure caratteri del tutto simili a quello su descritto. Tenuto nel vuoto come l'analogo precedente fornì all'analisi le cifre seguenti: 'l'rovato °/o Calcol. per (e \Nas. CH,0H I II III Na 16,90 — 17,61 17,13 Fe 10,17 10,08 10,46 10,40 N 15,99 15,98 15,89 15,65 Cc = 30,68 — 31,29 H —_ 1:97 2 1,68 i risultati analitici portano ad ammettere come probabile la presenza di una molecola di alcool metilico. Questo sale si decompone in soluzione acquosa in modo simile al prece- dente: ottenni anche da esso l’acquopentacianuro. La decomposizione del sale si pone pure in evidenza impastandolo con poca acqua, dopo breve tempo si ottiene una massa cristallina giallo-verde che, ripresa con acqua acidulata per acido debole, dà un residuo insolubile bianco-giallognolo di isonitroso- — 819 — bromoacetofenone ed in soluzione passa l’acquoferrocianuro. Il nitrosocomposto venne raccolto su filtro, lavato, fino ad eliminazione del ferrocianuro, con acqua acida per ac. acetico e seccato nel vuoto su ac. solforico e potassa. Ottenni in due scissioni usando rispettivamente gr. 1,15 e gr. 2,10 di sale, un rendimento dell’ 87 °/ e dell’ 89°/ del teorico. Il prodotto ottenuto ha tutti i caratteri degli isonitrosochetoni, fonde decomponendosi a 162-4°: è solubile in alcool, poco solubile nell'etere, poco solubile in acqua. All’ana- lisi dimostrò la composizione seguente: Trovato °/o Calcolato per Cs H,Br.CO.CHs. NO N 5,84 6,14 Br 34,66 3,07 Il sale violetto dell’acetobromofenone trattato con acidi deboli, in solu- zione acquosa, assume anch'esso il colore azzurro, ma questo s’attenua len- tamente rendendosi manifesta la decomposizione anche con la separazione dell’isonitrosochetone in minuti cristalli. Acelilacetone. — Scelsi questo chetone alifatico data la notevole sen- sibilità della sua reazione col nitroprussiato e quindi la probabilità che la reazione procedesse, anche in ambiente alcoolico, con grande rapidità, per modo che si potessero fuorviare reazioni secondarie. La reazione venne condotta nel modo su descritto, impiegando etilato sodico. Si separa un prodotto pastoso che si raccoglie con difficoltà: lavato, seccato nel vuoto e polverizzato si presenta di colore rossastro-scuro. È deli- quescente, solubilissimo in acqua con colore rosso che con gli acidi deboli volge al rosso-violetto. Dà con i sali ferrici colorazione verde-azzurra, con quelli ferrosi precipitato rosso-scuro, con i sali rameici un precipitato pure ‘ rosso SCUro. Le analisi diedero i risultati seguenti: Trovato °/o Calcolato per CRI to] Nas °/o I II Na 22,93 23,13 22,66 Fe 14,09 13,75 13,75 N 20,13. 20,83 20,71 Questo sale però in soluzione neutra si presenta alquanto stabile, ma in soluzione alcalina perde rapidamente il color rosso e si manifesta una decomposizione anche del ferropentacianuro. Il liquido alcalino venne acidi- ficato con ac. solforico ed estratto con etere. Questo lasciò un residuo che conteneva ac. acetico ed isonitrosoacetone. L'isonitrosoacetone ricristallizzato fondeva a 68°. Evidentemente l’azione dell’alcali induce la decomposizione — 820 — dell'isonitrosoacetilacetone, contenuto nel sale complesso colorato, in acido acetico ed isonitrosoacetone ('). Riassumendo i caratteri dei composti che ho su descritti, osserverò che la molecola d'acqua trattenuta tenacemente a freddo dal sale dell'acetofe- none e quella dell'alcool metilico con probabilità presente nel sale del bro- moacetofenone indurrebbero a pensare che queste entrino nella costituzione del sale complesso colorato. Come se nella salificazione del pentacianuro Naz as di a | fosse trattenuta un'intera molecola d’alcali e 5 d'alcoolato senza eliminazione dell'acqua e dell'alcool metilico. Ma d'altra parte abbiamo il sale rameico che risponde bene alla composizione anidra Cus a i IE] e così pure il sale sodico ottenuto dall'acetil- 5 acetone. Giova ricordare che nel nitroprussiato ad es. le due molecole di acqua sono trattenute anche a 100°. Riguardo alla grande solubilità in acqua di questi sali, osserverò che essa trova riscontro nella solubilità pure notevolissima che hanno nume- rosi pentacianuri del ferro. Anche la decomponibilità con acqua richiama la dissociazione più o meno spiccata che alcuni pentacianuri possono subire; Fe (CN); ]"” Fe (CN); ]"" ad es.: mi | + NES | NE | + H,0. Noterò infine che il colore dei ferrocianuri che ho descritti, si diffe- renzia da quello dei ferropentacianuri che è generalmente giallo od aran- ciato; ma ricorderò ancora che i sali complessi ferrosi delle diossime stu- diati da Tschugaeff (*) sono colorati in rosso-porpora o rosso-violetto, ed io ho osservato che anche i sali ferrosi degl’isonitrosochetoni hanno in solu- zione un colore simile. Le reazioni che ho esposte possono spiegarci come anche composti di natura assai diversa dai chetoni e dalle aldeidi possano fornire reazioni cro- matiche intense col nitroprussiato, come ad es. alcuni indoli ed il nitro- metano. Sono infatti sostanze che possono fornire isonitrosoderivati e quindi costituire un'ione complesso analogo a quello ottenuto da alcuni chetoni. (1) Analogamente a quanto avviene per l’acetilacetone che si decompone in acido acetico ed acetone per azione degli alcali. (2) Zeit. Anorg. Chem., 16, 158. — 821 — Chimica. — Ossidazioni con bromo sotto l’azione della luce (*). Nota di R. Crusa e A. PIERGALLINI, presentata dal Socio G Cra- MICIAN. H. v. Pechmann (?) per ossidazione del metiletilglicole con acqua di bromo alla luce ottenne l'acetilpropionile; recentemente G. Ciamician e P. Silber (*), e R. Ciusa e A. Milani (4) si servirono della stessa reazione per trasformare il dimetilglicole in diacetile. Pechmann nel suo lavoro ac- cenna inoltre che anche l'acido tartarico e l’idrobenzoino si comportano analogamente: a noi parve perciò non privo d'interesse riprendere lo studio della reazione estendendola ad altri corpi ossidrilati (*). Come era da prevedersi, e come è già noto in parte anche per le ri- cerche analoghe di Benrath (°), la luce ha un'influenza notevolissima sul- l'andamento della reazione, nel senso che al buio il bromo non ha alcuna azione, oppure la ha assai piccola. Per l'acido citrico si ha che la forma- zione del pentabromoacetone al buio avviene in piccolissima quantità e solo dopo un certo tempo, mentre avviene istantaneamente appena si fa arrivare un raggio di luce solare sul miscuglio della reazione (vedi più avanti). In tutti i casi il bromo fu fatto agire in soluzione acquosa in bottiglie di vetro bianco chiusi con turacciolo smerigliato: contemporaneamente sì è fatto sempre la prova al buio mettendo accanto al recipiente di vetro bianco un altro identico coperto con carta nera. Le esperienze furono eseguite nei mesi di giugno e luglio. Acido lattico. Gr. 9 di ac. lattico (una mol.) sciolti in 640 cem. di acqua di bromo al 2,5 °/ (una mol.) furono esposti alla luce perfuna giornata. Al miscuglio della reazione, leggermente giallognolo per bromo ancora presente, si aggiunge successivamente anidride solforosa, acetato sodico e fenilidrazina: precipitò immediatamente il fenilidrazone dell'acido piruvico. Cristallizzato dall’alcool fonde a 182-183° CH; .C(:N,HCH;) COOH Cale. N:15,73; Trov. N:16,07. (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Bologna. (*) H. v. Pechmann Berichte, XXIII, 2427. (3) Rend. R. Acc. Lincei, XX, 1°, 716. (*) Rend. R. Acc. Lincei, XXII, 2°, 684. (5) Vedi R. Ciusa e A. Milani, loc. cit. pag. 682. (6) Liebigs Annalen, 382, 222. = 8232 — L'acido lattico viene ossidato quindi dal bromo alla luce secondo la equazione CH; CHOH COOH + Br,= 2 H Br + CH; CO COOH. In una seconda esperienza gr. 25,5 di acido lattico furono sciolti in 1900 ccm. di acqua di bromo al 2,5 °/,, ed il miscuglio esposto alla luce. Dopo 24 ore si prelevarono 100 ccm. (corrispondenti a gr. 1,94 di acido lattico) e si precipita l'ac. piruvico formatosi sotto forma di idrazone. Il precipitato seccato su ac. solforico pesava gr. 0,5 invece di gr. 2,17 : acido lattico ossidato ad acido piruvico il 23,0 °/,. Dopo altre 24 ore si prele- varono altri 100 cem. ed il fenilidrazone dell'ac. piruvico ottenuto dopo il solito trattamento pesava gr. 0,75; che corrisponde all'ossidazione del 34,56 °/, di ac. lattico ossidato: il liquido della reazione era completamente scolorato e non conteneva più bromo. La prova fu ripetuta al buio, esponendo alla luce del sole l’ac. lattico (una mol.) sciolto nell'acqua di bromo (una mol.) in una boccia coperta da carta nera. Dopo 80 ore circa di esposizione, il miscuglio della reazione trattato come sopra non dà con fenilidrazina alcun precipitato. Acido tartarico. Gr. 24 di ac. tartarico (una mol.) sciolti in 1950 cem. di acqua di bromo al 24°/ (2 mol.) furono esposti alla luce per 5 ore: si notò svi- luppo di gas. Allontanato l'eccesso di bromo con SO,, dopo aggiunta di acetato sodico si ebbe con fenilidrazina un precipitato giallo aranciato voluminoso. Questo precipitato venne messo a digerire a 50-60° con alcool: una piccola parte rimase indisciolta. Dalla soluzione cristallizza per raffreddamento il diidrazone dell’acido formilgliossilico fondente a 209°. COOH . C(:N3HC; H;). C(:N:HC;Hs)H Calc. N:19,85; Trov. N:19,88. La parte rimasta indisciolta è il sale sodico del diidrazone dell'acido formilpiruvico, formatosi evidentemente per azione dell’eccesso di acetato sodico. Sciolto in acqua fornì per aggiunta di acido solforico diluito l'acido libero fondente a 209°. In una seconda esperienza furono esposte due bottiglie contenenti cia- scuno 12 gr. di acido tartarico (1 mol.) sciolti in 1000 ccm. di acqua di bromo al 24 °/ (2 mol.): una delle bottiglie era coperta di carta nera. Dal liquido che subì l’azione della luce si ebbe dopo il solito trattamento un precipitato giallo del diidrazone dell’ac. formilgliossilico. pesante gr. 5. Non si ebbe invece alcun precipitato dal liquido al buio. — 323 — Alla luce il bromo in soluzione acquosa ossida quindi l’ac. tartarico dii acido formilgliossilico con eliminazione di anidride carbonica. COOH . CHOH . CHOH . COOH -+ 2 Br, — 4HBr+ CO, + COOH. CO.CO.H.(1). Anche G. Ciamician e P. Silber ottengono nell’autossidazione dell’acido tartarico alla luce dopo trattamento con fenilidrazina la stessa sostanza (?). Non siamo invece riusciti ad avere neanche in piccola quantità l’idrazone dell’ac. gliossilico che, secondo Renrath (*), si ottiene in grande quantità per ossidazione fotochimica dell’acido tartarico con bromo. La differenza è dovuta certamente alla differente durata dell'esposizione. Acido mandelico. Gr. 17 di acido mandelico (una mol.) sciolti in 720 cem. di acqua di bromo al 24° (una mol.) fnrono esposti alla luce. Dopo circa 6 ore tutto il bromo era scomparso. Aprendo la bottiglia si notò pressione gassosa ed odore di aldeide benzoica. Il liquido per raffreddamento lasciò depositare una sostanza cristallina bianca fondente a 121°: ae. denzotco. Il liquido filtrato dall'ac. benzoico fu trattato con acetato sodico ed acetato di fenilidrazina, col che si ottenne un abbondante precipitato gial- lognolo: il precipitato filtrato e lavato fu fatto digerire con carbonato sodico. La parte indisciolta era formata dal fenilidrazone della benzaldeide (fototropo, P. F. 155°). Dal liquido filtrato si ebbe per aggiunta di acido solforico diluito un precipitato giallognolo, che cristallizzato dall’alcool fuse a 176° come il fenilidrazone dell’acido fenilgliossilico. CH; C(:N3HCH;) COOH Calc. N:11,66; Trov. N:11,80. In una seconda esperienza si esposero alla luce due bottiglie contenenti ciascuna gr. 43 di ac. mandelico (una mol.) sciolti in 1950 cem. di acqua di bromo al 24 °/ (una mol.). Una bottiglia era coperta da carta nera. Dopo 5 ore d’insolazione i due liquidi furono sottoposti allo stesso trattamento. Dalla prova al buio si ebbe pochissimo acido benzoico (quantità non pesabile) gr. 8,25 di fenilidrazone della benzaldeide e gr. 8,75 di fenilidrazone dell'ac. fenilgliossilico. Da quella (1) L’emi-aldeide dell’acido tartronico, come anche l’acido ossi piruvico, possono dar luogo con fevilidrazina allo stesso osazone da noi ottenuto. (2) Berichte, XLVI, 1558. (®) Loc. cit. Renpiconti. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 107 — 824 — alla luce si ebbero invece 12 gr. di ac. benzoico, gr. 6 di fenilidrazone del- l’aldeide benzoica e gr. 14 del fenilidrazone dell'ac. fenilgliossilico. Prodotto ottenuto alla luce al buio Acido. benzoico |. 10) MAN. pr. 12 Piccola quantità Benzalfenilidrazone eee eo 6 8,25 Fenilidrazone dell'ac. fenilgliossilico » 14 MEO L'influenza della luce nell'azione ossidante del bromo è evidente: l’acido mandelico per azione del bromo in soluzione acquosa vien ossidato ad acido fenilgliossilico alla luce più che al buio: alla luce è pure assai più intensa l'eliminazione dell'anidride carbonica dall’ac. fenilgliossilico e l'ossidazione dell’aldeide così formatasi ad ac. benzoico. Glicerina. Gr. 15 di glicerina (una mol.) sciolti in 1000 ccm. di acqua di bromo al 21+°/, (1 mol.) furono esposti alla luce per 5 ore. Tl liquido trattato prima con anidride solforosa e successivamente con acetato sodico ed acetato di fenilidrazina dettero, tenendo il miscuglio a 50-60°, un precipitato giallo-arancio che cristallizzato da un miscuglio di ligroino e benzolo fuse a 134° come l’osazone del gliceroso. Cs H160N, Cale. N:20,89 3 Trov. N:20,85 Dalla prova al buio non si ebbe alcun precipitato con acetato di fenil- idrazina. La glicerina vien quindi ossidata sotto l’azione della luce, dal bromo in soluzione acquosa, a gliceroso. Prima dell'aggiunta della fenilidrazina il liquido dà tutte le reazioni degli zuccheri. Mannite. Gr. 14,2 di mannite sciolti in 500 cem. di acqua di bromo al 24° (1 mol.) furono esposti alla luce per 7 ore. Allontanato il bromo in eccesso con anidride solforosa si aggiunse acetato sodico e acetato di fenilidrazina. Dal miscuglio della reazione tenuto a b. m. si separò lentamente una sostanza giallognola che seccata su acido solforico e cristallizzata dall'alcool fuse a 205-206°, come l’osazone del mannosio. Cis Ho 0, N MiCaleSiNi: 11516478 TrovSNi 570 Anche dalla prova al buio si ottenne un liquido che, come quello che aveva subìto l’azione della luce, mostra, dopo aggiunta di anidride solforosa e neutralizzazione con alcali, le reazioni degli zuccheri, ma in grado molto — 825 — minore. Dal liquido esposto alla luce si ebbero gr. 0,7 di osazone, dalla prova al buio gr. 0,15. Acido citrico. Secondo Cloéz (*) il bromo non agisce sull’ac. citrico anche dopo una insolazione di parecchi mesi. Il cloro invece fatto passare sulla soluzione acquosa d’acido citrico alla luce diretta del sole dà origine a percloroacetone. Come abbiamo trovato noi anche il bromo agisce in modo analogo. Gr. 30 di ac. citrico (1 mol.) vennero sciolti in 1000 cem. di acqua di bromo ‘al 2,5 °/ (1 mol.). La soluzione appena colpita da un raggio di sole s’intorbida immediatamente per la formazione di un composto cristal- lino bianco. Dopo 24 ore si allontana il bromo con anidride solforosa, ed i cristalli formatesi vengono filtrati e cristallizzati ripetutamente dall’alcool legger- meote diluito 80-85 °/,. All’analisi si ebbero dei numeri che concordano con quelli richiesti dal pentabromo-acetone. CHO Br; Calc. Br:88,29 ; Trov. 88,87. Fonde a 75°, il perbromoacetone fonde a 110°. Se la soluzione dell’ac. citrico in acqua di bromo si prepara e si con- serva al buio non si osserva alcuna azione: basta però esporre alla luce tale soluzione perchè si abbia immediatamente la precipitazione del penta- bromoacetone. Solamente, dopo molto tempo (due mesi circa), cominciano a separarsi dalla soluzione tenuta al buio dei cristalli di pentabromoacetone. Queste ricerche saranno continuate. ‘ Mineralogia. — Su/la vera natura della miersite e della cuprojodargirite. Nota III di E. QueRcIGHA, presentata dal Socio G. STRUEVER. In seguito alle ricerche termiche ed ottiche, di cui ho reso conto nelle precedenti Note I e II (*), espongo qui le rimanenti esperienze eseguite sul- l'argomento, e le conclusioni che dal loro complesso si sono venute deli- neando. 4) Esperienze sulla sintesi della miersite. Siccome nel giacimento di Broken Hill la miersite, rinvenuta da Spen- cer, non può essersi formata per fusione, ho cercato di avvicinarmi alle pro- babili condizioni naturali della sua formazione, ricorrendo, nei primi tenta- tivi di sintesi, alla via idrotermale. (*) J. 1861, 370, vedi anche Benrath, loc. cit. (®) Rend. Acc. Lincei XXIII (1914) 1° sem., pag. 446 e 711. — 826 — A tale scopo, riscaldai per circa 90 ore, in autoclave a 300°, un miscu- glio, a parti eguali, di due minerali comuni di rame e d’argento, la calco- sina e l’argentite, finamente polverizzati, con una soluzione concentrata di ioduro potassico. Ottenni in tal modo, frammisti alla maggior parte dei mate- ‘riali posti a reagire rimasti inalterati, dei minutissimi cristallini biancastri, uno dei quali potè essere portato al goniometro e si manifestò della forma di una piramide esagonale combinata col pedione negativo; potei misurare tanto l'angolo di due facce di piramide, quanto quello di una di esse col pedione, ed ottenni i seguenti valori, 1 quali non lasciano alcun dubbio che si tratti di iodirite: angoli misurati: calcolati colle costanti di Zepharovich a:c= 1: 0.81960 (2021): (0221) 52° 19' 520284 (000Î): (2021) 117 40 117 51 Essi presentano una combinazione assai semplice, simile a quella osser- vata da Seligmann nei cristalli di Dernbach (Nassau) ('), colla differenza che in questi ultimi le facce alterne possedevano sviluppo molto diverso, fatto, questo, che non si verifica nei miei. Eseguendo l’esperienza colle stesse sostanze, ma tenendo l’autoclave a 185° per 150 ore, ottenni due minerali sintetici: la covellina e la jodirite. La covellina, Cu S, si presenta in lamine bellissime a contorno esago- nale, del diametro massimo di circa 4 mm., con colore azzurro cupo e riflessi metallici violacei; al microscopio restano opache; riscaldate in tubetto chiuso, dànno, a differenza della calcosina, un sublimato di zolfo. Questo mine- rale, ottenuto sinteticamente già da Knop (*), da Doelter (3), da Weinschenk (*), non era ancora stato riprodotto nelle condizioni suesposte; alla sua formazione non può essere estranea la presenza dell’argentite e dell'ioduro potassico, poichè, ripetendo l’esperienza nelle stesse condizioni, ma escludendo questi due componenti, la covellina non sì forma. La iodirite formatasi si presenta in cristalli prismatici esilissimi, lunghi fino ad 1 mm., nei quali, generalmente, non si possono riconoscere altre facce che quelle del prisma 1010}; in ur individuo potei misurare appros- simativamente anche le facce terminali, e stabilire così, che rappresentava la combinazione del prisma esagonale colle piramidi {3034} e 34041} e col pedione, come si vede dai valori seguenti: angoli misurati calcolati come sopra (1010): (0110) 60° 15 60° 0' (0001): (8034) 35007 35 22 (0001): (4041) 76 19 75 12 (!) G. Seliomann, Zeitschr. f. Kryst. 6 (1882) 230. (*) Knop., N. Jahrb. (1861) 533. (*) Doelter, Zeitschr f. Kryst 71 (1886) 35. (4) Weinschenk, Zeitschr. f. Kryst /7 (1890) 497. — 827 — Non avendo, però, con le esperienze riferite, potuto ottenere la miersite, ricorsi alla cristallizzazione di soluzioni concentrate, calde, di CuI ed AgTI in acido iodidrico. Ottenni, così, dei cristalli tetraedrici, di mm. 8-5 di lato, costituiti da minutissimi individui pure tetraedrici, di color giallo chiaro am- brato, splendore tra adamantino e resinoso, monorifrangenti, fragili, simili a quelli ottenuti da Gossner (') evaporando lentamente le soluzioni di Cal in HI. L'analisi quantitativa dimostrò, però, che essi contenevano quasi il 24 °/, in peso di AgI, quantunque i singoli cristalli mi si mostrassero al microscopio perfettamente omogenei ed isotropi. Avuta, così, una conferma della solu- bilità, allo stato solido, dell’AgI nel Cul, e trovato il metodo di ottenere tali soluzioni solide ben cristallizzate, sottoposi alla cristallizzazione frazio- nata, in essiccatore a vuoto, su potassa, una soluzione satura di quantità eguali di Cul ed AgI, in HI, separando di tanto in tanto ad intervalli regolari di tempo, le singole porzioni depositate. I risultati ottenuti sono i seguenti: 13 porzione. È formata da aggregati tetraedrici, molto compatti, di 4-6 mm. di lato, che sono costituiti da piccoli tetraedri in associazione rigo- rosamente parallela, tanto che portati direttamente al goniometro dànno imma- gini bellissime, come se si trattasse di un unico individuo; misurato, infatti, un angolo fra due facce adiacenti, ottenni il valore di 109° 27’, mentre il teo- rico, come si sa, è di 109° 28'. Questi cristalli hanno colore giallo chiaro, ambrato, e lucentezza resinoso-adamantina; i frammenti esaminati a nicols incrociati appaiono privi di elementi birifrangenti; fusi al microscopio, nel raffreddamento, cristallizzano dapprima otticamente isotropi: in seguito ma- nifestano, a circa 390°, un istante di netta birifrangenza, per ritornare subito monorifrangenti. L'analisi quantitativa di alcuni individui scelti fra i mi- gliori diede un contenuto medio del 6,91°/ in peso di Ag. 23 porzione. È costituita da tetraedri, piccoli ma bellissimi (lato mm. 0.2 — 0.4), completamente monorifrangenti, con proprietà simili a quelle dei precedenti; fusi, però, non manifestano nè durante il raffreddamento, nè durante il riscaldamento susseguente, alcun indizio di birifrangenza. L'analisi diede 11.20°/, di AgI (peso). 3a porzione. Essendosi verificata la cristallizzazione un po’ più rapida- mente, sì osservano, fra i cristalli tetraedrici soliti, dei cristallini prismatici, birifrangenti, di iodirite; ed essendo difficile la loro separazione, ne fu trascu- rata l’analisi. 42 porzione. Cristallini tetraedrici bellissimi, monorifrangenti, di color giallo canario; fusi al microscopio dànno una massa che si mantiene perfet- tamente isotropa fino a temperatura ordinaria. L'analisi diede il 62.8 °/, di AgI in peso. (*) Zeitschr. f. Krist., XXXVIII (1904), 131. — 828 — Sa porzione. Cristalli tetraedrici simili ai precedenti, monorifrangenti; qualche raro individuo porta attaccato un microscopico cristallino birifran- gente: la quantità di iodirite che in tal modo si trova presente accanto alla soluzione, solida, deve, però, per quanto ad occhio si può apprezzare grosso- lanamente, essere inferiore all'1°/. Fondendo al microscopio questi cristalli, si osserva che nel raffreddamento a 147° si manifestano molti punti biri- frangenti, similmente, ma in proporzione maggiore, a quanto accade per le miscele 8 AgI+ 2 Cul. L'analisi diede l'88.54 °/, di Aglin peso. 6 porzione. Questo prodotto non si presenta nè bello nè omogeneo; vi sì osservano, frammisti ai soliti cristalli tetraedici, molti prismi birifrangenti di iodirite, forse perchè fu raggiunto il limite di saturazione delle soluzioni solide di AgI in Cul, come farebbe credere la presenza di qualche piccolo individuo di iodirite attaccato ai cristalli della porzione precedente. Risulta, ad ogni modo, dall'analisi della 52 porzione, che la miersite di Spencer, analizzata da Prior non aveva, con tutta probabilità, la composi- zione limite di questa serie di soluzioni solide, poichè il limite di solubilità di AgI in Cul a temperatura ordinaria sembra superiore all'80 °/, molec. di Agl (miersite di Spencer) e non dev'essere molto lontano dall’88.5 °/ in peso, corrispondente all'86 °/6 molec. circa. A proposito della possibilità di ottenere queste soluzioni solide cristalliz- zate ìn individui distinti, ricorderò qui che anche per cristallizzazione diretta delle masse fuse non dovrebbe esser difficile di ottenerli, poichè, estraendo rapidamente il tubetto della pinza termoelettrica della massa fusa al 60 °/, CuI,ebbi ad osservare che un cristallo si era abbozzato alla sua estremità ; aveva l'aspetto, per quanto incompleto di un rombododecaedro, il che fu confermato dalle misure. Quantunque le facce non fossero perfettamente piane, ottenni i valori (110):(110) = 90° e (101):(110) = 590. DISCUSSIONE DEI RISULTATI. Stabilito, mediante l'osservazione microscopica del processo di cristal- lizzazione dell’ ioduro rameoso, che esso esiste al disopra di 440° in una modificazione cubica, si possono interpretare, in modo esauriente, i risultati dell'analisi termica del sistema Cul + Agi. Infatti, se entrambi i componenti cristallizzano dalla fase liquida amorfa, nel sistema regolare, risulta evidente che possano formare cristalli misti in tutti i rapporti, come è indicato dal diagramma di fusione, che, completato in base agli altri risultati ottenuti per altra via, diventa il diagramma di stato del sistema riportato nella annessa figura. La trasformazione di @ CuI in £ CuI birifrangente che è otticamente molto facile ad osservarsi, non è accompagnata da effetto termico apprezzabile — 829 — nelle condizioni sperimentali adottate per l’analisi termica, poichè non fu osservato nè da me, nè da Moònkemeyer nelle curve di raffreddamento, che al contrario dimostrano benissimo la trasformazione f Cul 2 y Cul; dilato- metricamente Rodwell non potè osservarne alcuna. Facendo passare una retta per il punto E, in cui ha luogo la trasfor- mazione: a Cul Z2 $# Cul, e per l’altro punto H, che rappresenta la tem- peratura di 400° a e a cui la miscela: 95 Cul 4- 5 AgI subisce analoga trasfor- mazione dalla fase mono- alla birifrangente, essa rappresenterà schemati- camente la separazione dei due campi di esistenza di dette fasi; come si vede dalla costruzione grafica, questa retta incontra la curva CD nel punto F al 90°/, Cul, e ciò spiega, come sì disse, il fatto che per miscele di questa concen- trazione non fu possibile otticamente di osservare la comparsa della birifran- Sr) genza. Ra La fine della trasformazione dei cristalli misti, che ha il suo inizio. lungo la curva CD, non si potè osservare termicamente per concentrazioni” inferiori al 70° Cul; per esse però possiamo servirci dei risultati dila- tometrici di Rodwell che possono completare ì dati termici, almeno da quanto risulta dalla seguente tabella I in cui sono riportati, accanto a questi ultimi, i dati corrispondenti che si ottengono per estrapolazione ed interpolazione, costruendo la curva secondo le esperienze di Rodwell ('). TABELLA I. %/o Jia: o rico Ap TO DI AgI inizio fine inizio fine i fine 100 151° 148° 147° 147° 40 Jo. 95 172 149 175 147 83 2 90 197 150 205 ? 8 — 80 239 151 245 ? 6 —_ 70 275 180 270 ? 5) - 60 280 215 278 ? 2 —_ 50 297 235 298 ? Il —_ 40 310 265 819 ? 9 = 30 825 300 385 307 10 7 20 347 837 350 334 3 3 10 370 360 370 354 l) 6 (!) Rettifico, a tale proposito, un curioso errore insinuatosi nella letteratura sulla trasformazione « AGI ZZRAgI osservata dilatometricamente da Rodwell. Infatti, mentre egli (Phil. Trans. 173 (1883) 1136) scrisse che la contrazione « commenced at 142° C and terminated at 156°5 C; but mainly took place between 148° and 151°3» in molti trattati fra cui citerò solo Liebisch Phys. Kryst. (1891) 96; Moissan, Z'raité de chimie minerale, — 830 — Come si vede, i risultati, data la diversità dei metodi di misura delle temperature e della purezza delle sostanza adoperate, si possono considerare molto concordanti e si possono completare per poter tracciare il prolunga- mento della curva C/ della fine di trasformazione. Si ottiene in tal modo la curva C/Z che incontra in L la DA. Essa rappresenta, però, la fine della trasformazione nelle condizioni, molto simili fra loro, delle ricerche termiche e dilatometriche in cui, evidentemente, l'equilibrio fra le varie fasi non si stabilisce in modo perfetto; ancor più spostata dalla reale, sarebbe quella costruita in base ai risultati di ricerche ottiche, sulla fine: della trasforma- zione, poichè qui è ancora più difficile lo stabilirsi dell'equilibrio fra le varie fasi presenti (1). La curva reale dovrebbe invece, secondo le analisi delle soluzioni solide ottenute per cristallizzazione, incontrare la 27 in È, cioè a circa 86 °/, mol. di AgI, ammettendo che la sua solubilità nel Cul non varii molto tra la temperatura ordinaria e 147°: dovrebbe, cioè, non esser molto discosta dalle Cfh, se si considera inoltre che, per alte concentrazioni in Cal, cioè da € ad / le differenze non possono esser molto forti. Dal complesso delle osservazioni esposte risulta il diagramma di stato del sistema Cul +4 AgI riportato nella figura, nel quale: 1) Alla concentrazione 100 °/, mol. di Cal si ha: al disopra di 602°. l'esistenza della sua fase liquida amorfa; nell'intervallo AE da 602° a 440° quella della sua I fase cristallina cubica, a Cul; nell'intervallo EC da 440° V (1905) 537; Gmelin-Krant's, Handb. d. anorg. Chemie V (1908), 2°, pag. 215; Hintze, Handb. d. Mineralogie, I (1912) 2310 si riporta per le osservazioni di Rodwell la cifra di 142° o l’intervallo 142°-145°; lo stesso errore è ripetuto in generale da tutti gli spe- rimentatori che ebbero occasione di citare il Rodwell. Invece tanto dal testo che dei coefficienti di contrazione dati dal Rodwell (loc. cit., pag. 1136) quanto dalla curva temperatura-volumi specifici, data da lui alla tav. 96, risulta chiaramente che si deve considerare come temperatura più verosimile di trasformazione quella di 148° come intervallo in cui il fenomeno della contrazione subordinata si pre- senta nel modo più spiccato, quello 148°-151°, adottato nella presente tabella. (1) Volli vedere se la velocità di diffusione a 100° nei preparati microscopici etero- genei ottenuti per fusione e descritti al $ 3, fosse abbastanza forte per poter venire osser- vata in questo caso, in cui ciò sarebbe molto agevole data la diversità di comportamento ottico dei componenti: trovai che i preparati al 75, 80, ed 85 °/, Ag I, tenuti per 350 ore a bagno maria, divennero perfettamente omogenei e monorifrangenti, ed in quelli al 90 e 95°/, AgI il numero e le dimensioni degli elementi birifrangenti diminuì fortemente; identici risultati osservai nei preparati tenuti alla temperatura ordinaria per varie setti- mane; scaldati in seguito a 150°, tutti presentano, dopo raffreddamento, gli elementi birifrangenti derivati dallo smistamento, nelle proporzioni indicate al $ 3. Queste miscele si prestano così ad una nuova, elegante dimostrazione della diffusione nei cristalli, anche alla temperatura ordinaria. i — 831 — a 402° quella di 8 Cul birifrangente; da 402° a temperatura ordinaria, quella della II fase cubica: y Cul. 2) Alla concentrazione 100°/, AgI si ha, al disopra di 557°, la fase amorfa liquida; nell'intervallo BD fra 557° e 147° quella cristallina mono- rifrangente e fluente, a AgI; da 147° a temperatura ordinaria, la esagonale. 3) Al disopra della curva 47 B esistono le soluzioni liquide amorfi dei due componenti. pre rnI IE DION DIE (274 % mot, di Agl Agl Diagramma di stato del sistema Cul + Ag. 4) Lungo il braccio di curva Aa si inizia la formazione dei cri- stalli misti monorifrangenti di AgI in Cul, cioè degli equilibrî monova- rianti fra questa fase cristallina, la massa fusa ed il vapore, i quali pos- sono coesistere nell'area AcnmaA. Lungo la curva Bd invece ha principio la formazione di cristalli misti fluenti di Cul in Agl, cioè analogamente si iniziano gli equilibri monova- rianti fra questa fase cristallina monorifrangente plastica, la massa fusa ed il vapore, che possono coesistere soltanto nell'area 3 dm xd B. 5) Lungo la curva AcerdB si verifica, nel raffreddamento, l'aumento di un grado di varianza nei sistemi, per eliminazione della fase liquida. 6) L'esistenza delle soluzioni solide monorifrangenti di AgI in Cul è limitata all'area AZHF7ncA, quella dei cristalli misti fluenti monori- frangenti di Cul in Agl, all'area Bdnr DB. Renpiconti. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 108 — 832 — 7) Lungo la linea EZY, sì verifica la trasformazione degli @-cri- stalli misti monorifrangenti, di AgI in Cul, nei f-cristalli birifrangenti il cui campo di esistenza è limitato all'area ZAFCE. 8) La curva CY è il luogo del principio della trasformazione di tali cristalli misti birifrangenti, nella modificazione y monorifrangente, stabile a basse temperature. La Fr è invece quello della trasformazione diretta degli @- nei y- cri- stalli misti. i Lungo la r D si verifica la trasformazione dei cristalli misti fluenti, monorifrangenti, di a AgI nelle Cul, in quelli, pure monorifrangenti ma non plastici, di a AgI in y Cul. 9) Lungo la curva € 7 Z, ha termine, nelle condizioni sperimentali delle ricerche termiche e dilatometriche, la trasformazione suddetta; mentre nell'ipotesi di perfetto equilibrio fra le varie fasi durante il raffreddamento, tale curva dovrebbe avere la direzione C//, se non è molto errato il prendere come limite massimo di solubilità di AgI nel y Cul, a 147°, quello trovato a temperatura ordinaria, cioè dell’86 °/, mol. Agl. 10) A 147°, lungo la retta DZ si ha la trasformazione di @ AgI rimasto puro, dopo la formazione degli ultimi cristalli misti di y Cul a mas- sima concentrazione in AgI, nella fase esagonale. 11) Nell'area C/RMPC esistono soltanto soluzioni solide di AgI in y Cul, mentre nell’area 1% DNM esistono, oltre ad esse, anche i cristalli birifrangenti di # AgI, ad esse meccanicamente commisti. Se un composto si formasse fra CuI ed AgI, si sarebbe dovuto poter osservare termicamente alla temperatura della sua formazione o trasforma- zione, l'invarianza dell’equilibirio, mentre il complesso di tutte le esperienze riferite, esclude tale ipotesi e dimostra che il concetto universalmente accettato della costituzione della miersite è, come già a priorî mi sembrava possibile, effettivamente errato. Anche la cuprojodargirite, che, secondo Schulze, dovrebbe corrispondere ad un composto della formola Cul. AgI, dev’esser considerata come una solu- zione solida analoga alla miersite, quantunque a minor concentrazione in AgI; ed entrambi questi minerali, date le loro strette analogie chimiche, fisiche e cristallografiche, riscontrate anche nelle soluzioni solide artificiali da me otte- nute, si potrebbero raggruppare sotto un solo nome. Seguendo il concetto della priorità, generalmente adottato in simili casì, si dovrebbe conservare il nome di cuprojodargirite proposto da Schulze nel1892, ed abbandonare quello di miersite adottato da Spencer, sei anni dopo, per il minerale di Broken Hill; considerando, però, che quest’ultimo fu dallo Spencer studiato bene cristallograficamente, mentre del primo, a tale proposito, nulla si conosce, sembra più logico di conservare il nome di miersite, tanto più che l'altro sarebbe molto improprio, poichè presuppone in tale minerale un'ana- — 833 — logia colla iodirite, che, com'è ovvio, non esiste affatto dal punto di vista cristallografico. Sotto il nome di miersite si potrebbero, dunque, comprendere le soluzioni solide naturali di AgI nel y Cul, cristallizzate, cioè, nella classe tetraedrica del sistema cubico, ed aventi le proprietà fisiche descritte da Spencer per quella di Broken Hill, la quale, in base a quanto si disse, sarebbe da con- siderarsi uno dei termini, ed il meglio conosciuto, in natura finora, della serie. CONCLUSIONI. 1) La miersite e la cuprojodargirite non sono composti definiti, ma soluzioni solide, appartenenti al sistema cubico, di ioduro d’argento nel y Cul. 2) Si stabilì la solubilità del AgI nel y CuI, che non è completa, ma arriva fino a cira 86°/, molec. di AgI. 8) Si può ottenere l’intera serie di tali soluzioni solide, oltre che per fusione dei componenti, per cristallizzazione frazionata delle loro soluzioni in acido iodidrico. 4) L’ioduro rameoso può esistere in tre modificazioni cristalline, di cui due monorifrangenti, i cui campi di esistenza stanno uno al disopra e l’altro al disotto di quello della fase birifrangente intermedia. 5) È confermata l’esistenza di una fase cristallina fluente, monori- frangente, dello ioduro d’argento, già ammessa dal Lehmann, e contestata in vario senso principalmente da Tubandt e da Stoltzenberg e Huth. 6) Furono ottenuti sinteticamente altri due minerali: la covellina e la iodirite, in condizioni nuove. Mi è grato e doveroso di ringraziare qui, ancora una volta, il prof. Fer- ruccio Zambonini per i preziosi incoraggiamenti e consigli di cui mi è prodigo nelle mie ricerche. Geologia. — SuZ/a geologia dei dintorni di Tobruk. Nota di O. I. MiGLIORINI, presentata dal Socio C. DE STEFANI. Scarsissime sono le notizie originali sulla costituzione geologica delle coste marmariche, essendo esse sino ad ora state visitate da due soli stu- diosi, lo Schweinfurth ed il Pachundaki. Il primo di questi si recò per via di mare a Tobruk nel 1883 ed a Marsa Badia nel 1890 (a N di So- lum): su Tobruk egli scrisse un articolo (*) con qualche breve cenno geolo- gico e da tutt'e due le locaìità riportò alcuni fossili, che furono poi studiati dal (*) Schweinfurth, U., Une visite au port de Tobruk. Bull. de l’Inst. Egypt., Deux. série, n. 4 (Cairo, 1884), pag. 63. — 894 — Blanckenhorn (*) e da altri. Il Pachundaki visitò nel 1902 la piccola baia di Matronh tra Solum ed Alessandria d'Egitto (e quindi, propriamente, fucri dei confini della Marmarica, che incomincia appunto colla baia di Solum), publicando in seguito le osservazioni geologiche fattevi, insieme ad una de- scrizione dei fossili raccolti, alla quale descrizione contribuirono Lambert e Fontan (*). Tutto il rimanente della letteratura geologica su questa regione è fondato sui dati e sui fossili dello Schweinfurth e del Pachundaki, sul- l’esauriente lavoro dello Zittel sull'Oasi di Siuah (*) situata al declivio S del- l'altipiano Marmarico, e sulle deduzioni che si sono volute ricavare dall’an- damento del contorno costiero. Durante un soggiorno di varî mesi a Tobruk (luglio-novembre 1913) ebbi la buona fortuna di poter raccogliere un discreto materiale paleontolo- gico e di fare qualche osservazione geologica. A causa delle speciali condi- zioni in cui si trovava il paese, e per le esigenze del servizio militare, fui costretto a limitare le mie ricerche quasi esclusivamente alla penisoletta che forma il lato N della baia: per la scarsità delle notizie che abbiamo sulla regione, le mie osservazioni, per quanto incomplete, non saranno forse, prive di interesse. Presso Tobruk l'altipiano Marmarico ha un’elevazione di 150 metri (Mdanar) e scende al mare con una serie di balze dovute forse a faglie (fult-scarps degli inglesi). Queste balze sono solcate trasversalmente da numerosi uidian paralleli fra loro, profondi, generalmente brevi. Non ho avuto occasione di esaminare alcuno degli w:dian maggiori. come l’ Vadi Bellgamal o l'V. Saal: per spiegare l'origine di quelli nei dintorni im- mediati di Tobruk non credo sia affatto necessario invocare l'effetto del « periodo diluviale » Sahariano degli autori, essendo l'odierna precipita- zione nella regione costiera considerevole e sufficiente per scolpirli. Dal 15 ottobre al 21 novembre 1913, per esempio, vi furono 17 giorni piovosi (‘), dei quali diversi con pioggia copiosissima: la grande impermeabilità della terra rossa che ricopre tutti i tratti pianeggianti, inoltre, fa sì che anche (*) Blanckenhorn, M., Neues zur Geologie und Palaeontologie Aegyptens. Zeitschr. der. deut. geol. Gesell., vol. 53 (1901), pag. 52. (*) Pachundaki, D. E., Sur la constitution géologique des environs de Marsa Ma- trouh (Marmarique), Comp. rend. Acad. des Sc., vol. CXXXVII, pag. 350, Parigi, 1903; Contribution è l'étude géologique des Environs de Marsa Matrouh (Marmarique), Revue Internationale d’Egypte, vol. IV, (1907). (3) Zittel, A., Bestraege zur Geologie und Palaeontologie der Libyschen Wiste, Palaeontographica, vol. XXX, Cassel, 1883. (4) L’Eredia (Note meteorologiche per Tobruk, Boll. R. Soc. Geograf., serie V, vol. III, n. 4 (aprile 1914) pag. 428) dà solamente 5 giorni piovosi per il mese di otto- bre e 8 per il mese di novemhre. Consultando il mio diario, trovo che, mentre in novembre vi furono effettivamente 8 giorni con pioggia, in ottobre ve ne furono invece 10, e (cioè 1 giorni 13, 17) 19, 20, 21, 22024925, 26, 29! — 835 — con una precipitazione abbastanza leggiera una considerevole massa d’acqua sì riversi negli widian. Forse l’attuale pricipitazione non sarà sufficiente per spiegare la formazione degli uidian maggiori a corso più lungo, ma non mi posso pronunciare in proposito, non avendone personalmente visitato alcuno, ed essendoci ignoto sino a dove perdurino verso l'interno le condi- zioni climatologiche costiere. A questo proposito è da augurarsi che sì istituisca al più presto pos- sibile un regolare sistema di stazioni meteorologiche nella Cirenaica e Mar- marica. A Tobruk esiste, è vero, sin dal luglio del 1913, una R. Stazione Aerologica, ed osservazioni meteorologiche vengono pure registrate dalla R. Marina in diverse località costiere; ma, per quel che io sappia, non si è ancora in alcuna località provveduto alla misurazione della precipitazione, che pur sarebbe il dato praticamente di gran lunga il più interessante: preziosi sarebbero, per citare un esempio, i confronti che ci offrirebbero i dati pluviometrici di Tobruk e di Mdanar, situato circa 20 chilometri nel- l'interno. Prescindendo per ora dalle formazioni recenti, il terreno intorno a To- bruk è costituito da un calcare bianco-giallastro, tenero, poco compatto, ricco in resti organici marini. In alcuni luoghi è un vero impasto di gusci di molluschi e di forami- nifere; altrove si mostra pieno di Zithothamnion. Segue l’elenco dei fossili sinora rinvenuti a Tobruk: quelli contrassegnati con un $ non furono rac- colti da me, ma si trovavano già nel Museo geologico del R. Istituto di Studî Superiori di Firenze, che li ebbe nel giugno 19183 dal sig. avv. Emilio Cetta per mezzo del prof. Annibale Baldacci. Lithothamnion sp. (!). Thracia pubescens Pult. Globigerina sp. Venericardia antiquata Lin. Foraminifere div. sp. Chama gryphoides Lin., var. Briozoi div. sp. austriaca Horn. * Arca turonensis Duj. $ Lucina columbella Lmk. » sub-Helbingi d'Orb. * S.A logAg. * Pectunculus pilosus (Lin.). Lucina leonina Bast. * Ostrea digitata Bichw. Cardium dculeatum Lin. Pecten subarcuatus Tourn. ” fr. erinaceum Lmk. » scabriusculus Math. $ ” n. sp.? n multiscabrellus Sac. * Cardium multicostatum Br. » scabrellus (Lmk). ” aquitanicum Mayer. Mytilus fr. scaphoîides Bron. ” sp. cfr. paucicosta- Radula sp. tum L. (*) Sarà studiato dalla dottoressa C. de Sansonoff. — 836 — * Dosinia orbicularis Ag. Cerithium Bronni rart., var. Venus casina L., mut. asthena transiens Sac. Doll. e Dautz. $ Cyprea cfr. orbignyana Grat. Venus tauroverrucosa Sac. Cassis tuberosa Lamark. » impressa De Ser. S Voluta? sp. » ovata Penn. Oliva clavula Lmk. * Meretrix erycina (Lin.). Terebra fuscata Br. ” sp. n. Fusus rostratus (Olivi). Tellina Cumingii Hanley. $ Clavatula romana Defr. Psammobia affinis Duj. Conus elatus Micht. Abra cfr. Degrangei (Coss.). $ » subacuminatus d'Orb. Corbula carirnata Duj. Psammechinus Gaertneri Lamb. $ Trochus granulosus Born. ’ sp. Monodonia Amedei (Brongn.). Scutella 2 sp. Crepidula crepidula (L.). Amphiope Sp. S * Xenophora Borsoni (Bell.) * Clypeaster subplacunarius * Turritella Archimedis Brongn. Judis. 5 ’ terebralis Lmk. Echinolampas sp. ’ vermicularis (Br.). Crostacei malacostrachi (fram- ’ cfr. tauroverrucosa menti indeterminabili). Sacco. Dentex Sp. Turritella cochleata (Br.). Sargus? sp. Questa fauna è più che sufficiente per stabilire l'età mediomiocenica dei calcari. Mi riserbo di trattare della complessa questione dell'esatto coordinamento stratigrafico di questa formazione nel lavoro più esauriente che sto preparando. Osserverò solo che questa fauna di Tobruk corrisponde assai bene al complesso delle faune delle località egiziane raggruppate dal Blanckenhorn (*) nella parte inferiore dell’Elveziano. Nell'elenco ho contras- segnato con un asterisco le specie comuni a queste località egiziane. La nostra fauna corrisponde anche, in generale, all’Elveziano mediterraneo inteso come formazione littorale, ma ad un Elveziano abbastanza antico, corrispon- dente alle parti inferiori del Miocene medio. Notevole è la presenza del Pecten subarcuatus, della Venus casina mut. asthena e della Macira sub-cordiformis, tipi sinora ritenuti propri del Miocene atlantico della Francia, e di due specie viventi del Mar Rosso, la Tellina Cumingii e la Cassis tuberosa, specie sinora sconosciute al Neu- gene mediterraneo. Anche il Clypeaster subplacunarius ci indica una minore differenzia- zione nelle faune marine mediterranee ed indo-pacifiche nel mediomiocene, (*) Blanekenhorn, U., loc. cit. — 837 — essendo il vivente C/yp. placunarius del Mar Rosso talmente affine da ren- dere forse azzardata la separazione specifica delle due specie. Le altre specie di Tobruk sono comuni nel Miocene Mediterraneo e Danubiano. Gli strati componenti questa formazione miocenica, nei dintorni di To- bruk sono orizzontali od a debolissima pendenza, ed attraversati da nume- rose faglie; forse queste hanno dato origine non solo ai gradini che si incon- trano salendo dal mare verso l'interno, ma anche al golfo stesso, poichè la penisoletta che lo limita a N potrebbe essere un Xorst subordinato. Questi gradini sono regolarissimi in quanto ad andamento orizzontale, ma si mostrano, al contrario, molto variabili in quanto a livello, tanto che talvolta due gradini contigui, per la graduale diminuzione e finale scomparsa del dislivello che li separa, vanno a fondersi in uno solo. L'unico rapporto stratigrafico che mi sia stato possibile constatare nei terreni miocenici nella penisoletta a N del golfo di Tobruk è stata la posizione elevata che occupano gli strati ricchi in Li/hothamnion rispetto agli altri : le specie che si trovano in questi strati a Zi/hothamnion ( Venericardia anti- quata, Venus ovata, Corbula carinata, Turritella vermicularis, T. cochleata) si ritrovano, del resto, anche negli strati più bassi. Per poter stabilire una successione stratigrafica un po' completa dei terreni miocenici intorno a Tobruk, sarà necessario estendere le osservazinni dettagliate e la ricerca dei fossili alla sponda S del golfo: la penisola a N di questo non raggiunge mai i 50 metri sul livello del mare, non offre sezioni naturali di alcuna importanza, ed è attraversata da diverse faglie longitudinali (WNW-ESE), e forse anche da qualcuna minore trasversale; il crostone che riveste quasi tutti gli affioramenti rocciosi, poi, è di grande ostacolo ad un minuzioso esame dei singoli strati. Nella regione da me esaminata i terreni quaternarî e recenti detritici terrestri non assumono l’importanza di quelli consimili della Tripolitania (?) e Tunisia, e mancano affatto le panchine od altri depositi marini di recente formazione, se si eccettua la piccola spiaggia all'estremità N W del golfo di Tobruk e l’altra situata tra le due punte con cui termina la penisola a N del golfo stesso: dietro ambedue queste spiagge è situata anche una sòbca (terreno acquitrinoso salmastro). Nei tratti pianeggianti sono abbastanza estese le terre rosse, ed è pro- babile che lo siano ancor più sul vero altipiano marmarico, a S di Mdanar. Il materiale, di cui è costituita questa formazione superficiale è deri- vato verosimilmente parte dal disfacimento dei calcari e parte vi è stato (*) Stella, A., Sulla importanza dei terreni quaternari in Tripolitania, Boll. Soc. Geol. It. vol. XXXII (1913), pag. 88; Za Missione Franchetti in Tripolitania (Treves, 1914) pag. 108; Crema, C., Franchi, S. e Parona, C. F., Sulla serie dei terreni in Tri- politania settentrionale. Boll. Soc. Geol. It. vol. XXXII (1918). pag. 497). — 838 — trasportato dall'interno dal 94400, la cui potenzialità, come mezzo di trasporto di enorme quantità di polvere, ebbi occasione di osservare personalmente. Alla base dei costoni, poi, sono ovunque più o meno sviluppati i ter- reni detritici di falda. Sul fondo degli widian più grandi non manca qualche deposito alluvionale (sempre ad elementi angolosi), ma in nessuna località ho osservato veri terrazzamenti interni. Sviluppatissimo è il crostone calcareo, di cuì si hanno due varietà diverse, a seconda che sì sia formato sui pendii o sui tratti più o meno pianeggianti. Sui tratti pianeggianti esso è assai potente (in alcuni punti oltrapassa 1 m. di spessore); contiene parecchie impurità o inclusioni cla- stiche, e varia in consistenza da un vero calcare durissimo ad una terra rossa più o meno cementata; spesso racchiude numerose Helîx e Bulimus appartenenti a specie tutt'ora viventi nella regione. Sui pendii più ripidi il crostone ricopre ovunque il calcare miocenico affiorante, e varia di spessore da pochi millimetri ad un decimetro e più; contiene poche impurità ed è sempre durissimo. Le uniche dune mobili neì dintorni di Tobruk sono quelle situate presso alla più meridionale delle due punte con cui termina ad E la penisola a N del golfo. Esse si mostrano composte esclusivamente di foraminifere e di frammenti di conchiglie marine: interessante è il fatto che contengono numerosi pezzi di gusci d'uovo di struzzo, essendo quest’uccello scomparso attualmente dalla regione. In questa regione pre-costiera a gradinate la configurazione del terreno e la natura del sottosuolo non favoriscono la formazione di sorgenti o di veli acquiferi: nella stagione asciutta qualche traccia di umidità è osser- vabile solo lungo il fondo degli uidian, rivelata più che altro all'aspetto più rigoglioso della vegetazione. Che in antico gli abitanti dipendessero per la loro provvista d’acqua dall'acqua piovana accumulata è provato dalla grande cisterna, ritenuta romana, che si trova in un piccolo uadz a N dei ruderi del forte saraceno, e dalle numerosissime cisterne arabe, quasi tutte in uno stato di abbandono, che si incontrano tutt'intorno a Tobruk; di queste si hanno due tipi diversi, quelle semi-naturali e quelle intieramente artificiali. Le prime non sono altro che cavità naturali sistemate: queste cavità sono situate tra il crostone calcareo e la roccia sottostante, specialmente là dove quest'ultima è di natura poco coerente, e devono la loro origine all'azione meccanica delle acque piovane che hanno trovato una via attraverso al cro- stone: sono generalmente situate presso all'orlo di un vadi. Le cisterne intieramente artificiali consistono in vaste camere scavate sotto il crostone; e comunicanti coll’esterno per mezzo di una stretta apertura praticata nel crostone stesso. Non ho trovato alcun terrazzamento costiero od altro indizio di solle- vamento: le basse piattaforme, che spesso si osservano lungo la riva del mare, — 839 — credo che siano dovute all’erosione marina agente sugli strati orizzontali di diversa resistenza. Mi è sembrato, all'incontrario, vedere prove di un recente abbassamento, specialmente lungo la costa settentrionale della penisola a N del golfo, dove il crostone celcareo, in questo punto pieno di /elîx e di Bulimus scende sotto al livello del mare. Fisiologia vegetale. — Alcune ricerche quantitative sull’as- sunzione di ioni nelle piante. Nota preventiva del dott. F. PLATE, presentata dal Socio R. PIROTTA. In collegamento, ed a maggiore conferma dei risultati ottenuti dall’Acqua nelle sue ricerche sulla localizzazione degli ioni nel corpo della pianta, ho volute procedere ad alcuni saggi quantitativi sull’assunzione degli ioni nelle piante. Le piante prese in esame furono il 7y;(7cum sattvum ed il Hyacinthus orientalis, e le soluzioni sperimentate furono quelle di manganese. Ho sperimentato con i sali seguenti: Mn Cl, , Mn Bv,, Mn(N0;)., Mn SO,. Di ogni sale furono presi due grammi e sciolti in 2 litri di acqua distillata; da questa soluzione ho prelevato mezzo litro per determinarne il titolo, e gli altre tre mezzi litri furono impiegati per le colture, e precisa- mente mezzo litro per ogni prova. Le colture furono fatte su speciali appa- recchi di vetro, in modo da eliminare tutte le cause di perdita o assorbi- mento della soluzione per parte di altri corpi estranei alle piante. Triticum sativum. I chicchi di grano furono messi a germinare in termostato; e dopo 8 giorni quando le piantine avevano raggiunto un determinato sviluppo (alt. media del germoglio cm. 11; lungh. med. della radice 14 cm.), furono poste nelle soluzioni preparate e preventivamente titolate. Dopo 24 ore dal- l’ immersione delle piantine nella soluzione di nitrato manganoso in comin- ciano a manifestarsi zone più o meno imbrunite nelle radici, che specialmente verso l’apice sono quasi nere. Invece, per il cloruro ed il bromuro l’oscura- mento delle radici comincia a manifestarsi dopo 48 ore; e finalmente, per il solfato, dopo 4 giorni. È da notare che per il cloruro ed il bromuro l’im- brunimento è un po’ minore che non per il nitrato; altrettanto può dirsi del solfato. Ho voluto accennare a questo fatto del tempo necessario alla formazione dei detti depositi, perchè sembrami oltremodo interessante dal lato biologico; tanto più che il medesimo fatto mì si è ripetuto con il gia- cinto, benchè in periodi di tempo molto maggiori e dipendenti molto proba- bilmente dalla diversa struttura delle radici prese in esame. Dopo 8 giorni RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 109 — 840 — le piantine venivano tolte dalle soluzioni, e di queste veniva determinata la quantità dell’anione e catione rimasti. Cloruro di manganese. In mezzo litro erano contenuti Mn 0,1366 e CI 0,1763. 1* prova. Per gr. 8,8680 di sost. fresca ho trovato nella soluzione: gr. 0,1896 di Mn; 0,= 0,1306 Mn= Mn assorbito gr. 0,0060 » 0,6790 » ClAg =0,1684C1 =C1 ” » 0,0078. 2% prova. Per gr. 9,5354 di sost. fresca ho trovato nella soluzione: gr. 0,1904 di Mn30,=0,1312 Mn = Mn assorbito gr. 0,0054 » 0,6846 » ClAg =0,1693C1 =C1 ’ » 0.0070. 3 prova. Per gr. 8,9920 di sost. fresca ho trovato nella soluzione: gr. 0,1922 di Mn30,=0,1324 Mn= Mn assorbito gr. 0,0042 » 0,6914 » ClAg =0,1712C1 =C1 » » 0,0051. Bromuro di manganese. In mezzo litro erano contenuti Mn gr. 0.0952 e Br gr. 0,2770. 12 prova. Per gr. 7,3344 di sost. fresca ho trovato nella soluzione: gr. 0,1326 di Mn30,= 0,0914 di Mn = Mn assorbito gr. 0,0038 » 0,6240 » BrAg =0,2656 » Br = Br ” >» 0,0114. 2% prova. Per gr. 9,4993 di sost. fresca ho trovato nella soluzione: or. 0,1282 di Mn30,= 0,0884 di Mn= Mn assorbito gr. 0,0068 > 0.6042 » BrAg =0,2572 » Br =Br ” » 0,0198. 3° prova. Per gr. 10,2766 di sost. fresca ho trovato nella soluzione: gr. 0,1262 di Mn30,= 0,0870 di Mn= Mn assorbito gr. 0,0082 > 0,5994 » BrAg =0,2546 » Br = Br ’ » 0,0224. Nitrato manganese. In mezzo litro erano contenuti Mn gr. 0,1010 e NO; gr. 0,2310. 1° prova. Per gr. 7,6354 di sost. fresca ho trovato nella soluzione : gr. 0,1392 di Mn;0,= 0,0964 di Mn= Mn assorbito gr. 0,0046 » 1,0840 » CroHisN,. HNO;=0,2190 di NO;= NO; assorb. gr. 0,0120. 2° prova. Per gr 8,3386 di sost. fresca ho trovato nella soluzione: gr. 0,1410 di Mn30,=0,0972 di Mn= Mn assorbito gr. 0,0038 » 1,1048 » Cao Hi6sN,. HNO;=0,2230 di NO,=NO,; assorb. gr. 0,0080. — 841 — 3° prova. Per gr. 11,4110 di sost. fresca ho trovato nella soluzione: gr. 0,1346 di Mn30,= 0,0928 di Mn= Mn assorbito gr. 0,0082 » 1,0538 » CxoHigN4.HNO;=0,2128 di NO3=NO; assorb. gr. 0,0182. Solfato di manganese. In mezzo litro erano contenuti Mn sr. 0,0860 e SO, gr. 0,2976. 1° prova. Per gr. 10,2346 di sost. fresca ho trovato nella soluzione: gr. 0,1162 di Mn30,=0,0802 di Mn= Mn assorbito gr. 0,0058 » 0,6735 » BaS0,=0,2775 » SO,=S0, ” » 0,0201. 2° prova. Per gr. 7,8412 di sost. fresca ho trovato nella soluzione: gr. 0,1194 di Mn;0, = 0,0824 di Mn= Mn assorbito gr. 0,0038 » 0,6912 » BaS0,=0,2848 » SO,=S0, ” » 0,0128. 3° prova. Per gr. 8,8462 di sost. fresca ho trovato nella soluzione: gr. 0,1174 di Mn350,=0,0810 di Mn= Mn assorbito gr. 0,0050 » 0,6806 » Ba SO, =0,2804 » SO,= SO, ” » 0,0172. Le prove qualitative eseguite sui germogli da una parte e le radici dall'altra davano come presente l'anione nei germogli. Queste prove furono eseguite su una piccola porzione dei germogli e delle radici fresche spap- polandole separatamente in acqua distillata. Ebbene: nell'acqua in cui erano spappolati germogli provenienti dalle culture in soluzioni di bromuro e cloruro, si aveva col nitrato d'argento immediatamente un intorbidamento delle soluzioni dovuto alle formazioni dei rispettivi sali di argento. Lo stesso fatto si aveva con le piante prove- nienti da colture in soluzione di Mn SO,, in cui con BaCl. precipitava Ba SO,. Le radici, qualche volta non davano reazione; qualche altra volta, invece, solo una traccia. Riunendo le ceneri delle radici di ogni serie di prove, ne ho fatta la analisi. Riporto, qui per brevità, solamente i risultati ottenuti per il manga- nese; e riferito al °/, delle ceneri totali: 12 porzione. MnCl, - Ceneri 0.0522. Trovato 0.0146 di Mn = 27.9 °/, 29 ” MnBra - » 0.0474. ” 0.0168 » —=33.8 » Bla ” Mn(N0O:): - » 0.0444. ” 0.0148 > = 34.0 » 4 ” MnS0, - =» 0.0432. ’ 0.0132 » =30.5 » Sull’andamento generale delle analisi eseguite riferirò più ampiamente nella pubblicazione del mio lavoro. Intanto però credo opportuno di riunire in uno specchietto la media dei valori ottenuti per ogni sale e riportandoli poi a 1000 parti di sostanza fresca. go Cloruro di manganese. Per gr. 9.1318 di sostanza fresca = assorbito 0.0052 di Mn = 5.6 */vo ” L) == L) 0.0066 » CI "— Sci O I Bromuro di manganese. Per gr. 9.0346 di sostanza fresca = assorbito 0.0062 di Mn = 6.8 » ” ” = Li) 00176 BIO 005 Nitrato di manganese. Per gr. 9.1283 di sostanza fresca = assorbito 0.0055 di Mn = 6.2 » ” ” = L) 0.0127 » NO; i 13.8 » Solfato di manganese. Per gr. 9.9743 di sostanza fresca = assorbito 0.0048 di Mn = 5.4 » ’ ’ — ” 0,0167 » SO, = 18.6 » Hyacinthus orientalis. I bulbi furono fatti germogliare in acqua comune; e solo quando le radici ebbero raggiunto una lunghezza media variabile fra gli 8 e i 12 cm., furono messi in speciali caraffe contenenti le soluzioni previamente titolate. Siccome però nella caraffa il bulbo doveva mantenersi, stante la forma del recipiente, ad un’altezza fissa, non era possibile di ottenere una esatta misura del volume; così, dopo avere aggiunto !/, litro, si riportava, occorrendo, a volume, con alcune diecine di cm. di acqua distillata. Come ho già accennato in prin- cipio, le radici cominciano ad oscurarsi per il giacinto molto più tardi; e la media è la seguente calcolando dal giorno dell’immersione: 9 giorni per il Mn(NO:)s, 14 per MnCl,, 17 per MnBr,, e 22 per MnS0.. Alla fine dell'esperienza si presentano tutti gli apici radicali scuri o anche completamente anneriti: cioè quelli in cui il deposito è comparso prima, sono sempre più scuri di quelli-in cui il deposito è comparso dopo. Questi depositi sono dovuti alla localizzazione dell’ Mn0O,, come fu già di- mostrato da C. Acqua, E. Houtermans e E. Boselli, e oggi da me confer- mato. Per il giacinto mi sono limitato a contare il numero delle radici per ogni bulbo, ed all’assaggio quantitativo delle soluzioni. E colgo questa occa- sione per avvertire che in tutte le esperienze, nelle quali le radici erano protette dall'azione diretta della luce, non si era mai verificata scomposi- zione spontanea della soluzione, e quindi o intorbidamento o deposito sulle pareti dei recipienti. — 843 — Cloruro di manganese. Le soluzioni contenevano gr. 0.1296 di Mn e gr. 0.1664 di CI. 1 prova, 63 radici. Nella soluzione ho trovato: gr. 0,1786 di Mn30,=0,1232 di Mn; assorbito Mn gr. 0,0064 PI0:63 30 Ae — (031582 » Clseme CI» 0.0082. 28 prova, 46 radici. Nella soluzione ho trovato : gr. 0,1824 di Mn30,=0,1256 di Mn; assorbito Mn gr. 0,0040 » 0,6480 » CIAg =0,1608 » CI; ” CI» 0,0056. Bromuro di manganese. Le soluzioni contenevano gr. 0,0938 di Mn e gr. 0,2724 di Br. 1 prova, 59 radici. Nella soluzione ho trovato: gr. 0,1310 di Mn3;0,=0,0904 di Mn; assorbito Mn gr. 0,0034 » 0,6140 » BrAg =0,2625 » Br; ” Br» 0,0099. 22 prova, 76 radici. Nella soluzione ho trovato: gr. 0,1250 di Mn30,=0,0862 di Mn; assorbito Mn gr. 0,0076 » 0,5866 » BrAg =0,2508 » Br; ) Br» 0,00216. Nitrato di manganese. Le soluzioni contenevano gr. 0,0998 di Mn e gr. 2278 di NO;. 12 prova, 60 radici. Nella soluzione ho trovato: . 0,1348 di Mn30,= 0,0930 di Mn; assorbito Mn gr. 0,0068 1,0588 » Cs.eHis N. HNO;=0,2138 di NO;; assorbito NO; gr. 0,0140. 2% prova, 88 radici. Nella soluzione ho trovato: . 0,1404 di Mn30,=0,0968 di Mn; assorbito Mn 0,0030 1,0954 » Ca, HisN4.HNO;=0,2212 di NO;; assorbito NO: gr. 0.0066. Solfato di manganese. Le soluzioni contenevano gr. 0,0876 di Mn e gr. 0,3074 di SO,. 12 prova, 68 radici. Nella soluzione ho trovato: gr. 0,1120 di Mn30,=0,0812 di Mn; assorbito Mn gr. 0,0064 » 0,6838 » BaSO,= 0,2818 » SO,; ’ SO, » 0,0256. 2% prova, 61 radici. Nella soluzione ho trovato: gr. 0,1184 di Mn; 04= 0,0816 di Mn; assorbito Mn gr. 0,0060 » 0,6902 » BaS0,=0,2844 » SO,; ” SO, » 0,0230. — 844 — Riassumendo anche per il giacinto i risultati, avremo la seguente media, riferita poi a 100 radici: Cloruro di manganese. Per 54 radici = assorb. gr. 0,0052 di Mn = per 100 radici gr. 0,0096 di Mn ” _ ” 0,0069 » C1 = ” 0,0127 » CI Bromuro di manganese. Per 68 radici = assorb. gr. 0,0055 di Mn = per 100 radici gr. 0,0080 di Mn ” = ” 0,0158 » Br= ” 0,0232 » Br Solfato di manganese. Per 65 radici = assorb. gr. 0,0062 di Mn = per 100 radici gr. 0,0095 di Mn ) 0.0243 » SO,= ” 0.0373 » SO, b,) | Nitrato di manganese. Per 49 radici = assorb. gr. 0,0049 di Mn = per 100 radici gr. 0,0100 di Mn 7 = 7 0,0103 » SO,= O) 0,0210 » SO, Da questi brevi cenni quantitativi risulta che l’anione ed il catione vengono assunti nelle proporzioni medesime in cui trovansi nelle soluzioni; e che l’anione emigra prevalentemente nel germoglio, mentre che il catione si localizza specialmente nelle radici. Fisiologia. — Sullo stato dell’acido carbonico nel sanque. I. Metodo per dosare piccole quantità di acido carbonico (*). Nota dei dottori G. QuaGLIARIELLO ed E. D’AcostINo, presentata dal Gorrisp. FiLiPPOo BOTTAZZI. Per consiglio del prof. Bottazzi abbiamo intrapreso una serie di ricerche sullo stato dell'acido carbonico nel sangue, argomento tuttora poco chiaro, a cui îi moderni concetti degli equilibrî chimici potrebbero essere applicati con successo. Esporremo nelle Note successive la via da noi seguìta per lo studio di tale questione: nella presente Nota viene esposto il metodo che ci è ser- vito per il dosamento dell'acido carbonico. Esistono moltissimi metodi per determinare l’acido carbonico di una soluzione; ma a noi interessava prescegliere quello che meglio si adattasse al dosamento di quantità picco- lissime. Escludendo perciò senz’altro i metodi per pesata, abbiamo prescelto il metodo della titolazione ideato da Winkler, e raccomandato dal Kister (Zeitschr. f. anorg. Chem. 13, 127, an. 1897), secondo il quale dà risultati « assolutamente esatti ». Per l’estrazione del- (!) Ricerche fatte nell’Istituto fisiologico della R. Università di Napoli. — 345 — l’acido carbonico dalle soluzioni ci siamo serviti del metodo ideato da Vesterberg (Zeitsch. f. physik. Chem. 70, 551, an. 1910), che abbiamo sostanzialmente modificato, come appresso esporremo. Il principio su cui si basa il metodo di Winkler è il seguente: l’acido carbonico viene raccolto in un eccesso di alcali; il carbonato che si forma viene precipitato sotto forma di carbonato di bario mediante aggiunta di cloruro di bario in eccesso, e l’alcali eccedente, non combinato con acido carbonico, si titola con acido cloridrico; fino a che vi è dell’alcali libero, il precipitato di carbonato di bario, reso del tutto insolubile dal cloruro di bario, che ha con esso un ione a comune, non viene affatto attaccato dall’a- cido stesso. L’alcali più opportuno è indubbiamente la barite, sia perchè in tal caso la quantità di cloruro di bario richiesta è minore, avendo questo sale il solo scopo di depri- mere la solubilità del carbonato, sia perchè ci si può perfettamente assicurare che l’alcali è perfettamente libero da acido carbonico. Il metodo di estrazione del Vesterberg consiste nel far bollire ad un decimo o ad un ventesimo di atmosfera, in presenza di un acido minerale, la sostanza o la soluzione contenente l’acido carbonico, raccogliendo l’acido carbonico, che si sviluppa, in una bot: tiglia contenente una quantità nota di barite e di cloruro di bario, e titolando in secondo tempo la barite eccedente nella bottiglia stessa. AI metodo di Winkler è stato però mossa dal Sorensen e Andersen (Zeitschr. f. analyt. Ch., 47, 279. an.1908) una grave obbiezione Secondo questi autori, precipitando, a temperatura ordinaria, dei carbonati alcalini con Ba Cl,, il precipitato è costituito in parte di carbonato normale BaCO;, e in parte di carbonato acido Ba H, (CO)a; se la precipi- tazione è fatta a caldo, il precipitato è invece costituito di Ba CO, purchè per altro non vi sia alcali libero, nel qual caso il precipitato è costituito, in parte più o meno note- vole, a seconda della maggiore o minore quantità dell’alcali libero, di carbonato basico Ba(0H), Ba CO,. Preoccupati, da tale obbiezione, abbiamo voluto studiare separatamente l’influenza della precipitazione a caldo ed a freddo, e l'influenza degli eccessi notevoli di alcali. Per lo studio della prima questione ci siamo serviti del dispositivo originale del Vesterberg, estraendo l’acido carbonico da quantità determinate (5 cme.) di una solu- zione 0,1167 di Na, CO:, e raccogliendo l’acido carbonico in una soluzione costituita da 35 cme. di Ba(0H), 0,0193 n. + 50 cme. di Ba Cl, al 10 0/4 circa 65 cme. di H30 priva di CO,. Il recipiente contenente tale miscela, in alcuni casi, venne riscaldato; in altri, no. Il risultato dell’analisi fu, in ogni caso, corretto, con un errore medio di circa 1 °/o. Per lo studio della seconda questione, si è aumentata successivamente, in quattro estra- zioni, la quantità della barite, estraendo ogni volta 5 cme. della soluzione 0,1167 n. di Na, CO,, e usando del pari il dispositivo, non ancora modificato, del Vesterberg. Per tutte le prove furono aggiunti all’atto del dosamento 50 cme. di Ba CI, 10 °/o, tranne per l’ul- tima, in cui il Ba Cl» fu introdotto nella bottiglia insieme con la barite prima della estra- zione. I risultati ottenuii furono i seguenti: Soluz. 0,0485 n. HCI 2/5, occorsi 1/a mol CO, estratte 1/, mol CO, Ba(0H), per titolare l’eccesso di Ba(OH)s — in 5 ccesol. Nas COz 15 5,4 0,0, 575 0,0, 584 31 37,4 0,0, 569 5 45 63,8 0,0, 587 #5 45 64,1 0.0, 580 ” Queste prove mostrano dunque che anche notevoli eccessi di barite non producono la precipitazione del sale basico. (Dimostrano, pure, che è indifferente l'aggiunta preven- tiva, o meno, del cloruro di bario). Eliminati i dubbî sorti per le obbiezioni di Sorensen e Andersen, ci siamo preoc- cupati dell'errore, non trascurabile a giudicare dalle misure surriferite, che dà il metodo di Vesterberg applicato alla determinazione di piccole quantità di CO». Gli errori dipen- dono essenzialmente dal fatto che il riempimento della bottiglia con Ba (OH)s e con Ba Cla, come pure la titolazione finale con HCI, avviene all'aria libera, che è sempre più o meno ricca di COa. Le nostre modificazioni, in conseguenza; sono state appunto queste: tanto il riempimento della bottiglia, quanto la titolazione finale, avvengono fuori del contatto del- l'aria libera. Un altro miglioramento apportato è stato. quello di evacuare i recipienti a !/se invece che a !/s0 di atmosfera; con'ciò, non solo abbiamo raggiunto una maggiore attenuazione delle impurità eventualmente contenute nei nostri recipienti, e si è avuto un più perfetto lavaggio terminale dell'acido: carbonico rimasto nel pallone di estrazione: ma ci è stato anche possibile di estrarre soluzioni di sostanze organiche (ad es. siero-albumina) riscaldando appena a 40° C., evitando in tal modo una eventuale scissione o coagulazione per calore. Ed ora esponiamo senz'altro il metodo di Vesterberg, così come è stato da noi modificato. L'apparecchio, disegnato nella figura, è costituito da un pallone di estrazione A, della capacità di circa 250 cme., di vetro di Jena a pareti piuttosto spesse. Esso è chiuso da un tappo di gomma d a due fori: per uno passa il tubo terminale e di un comune imbuto a separazione €, provvisto di rubinetto c; per l’altro passa il tubo f piegato ad angolo ottuso e provvisto di rubinetto g. Il tubo e scende fino a 3-4 cm. dal fondo del pallone; il tubo f si arresta immediatamente al disotto del tappo. L’imbuto c è chiuso in alto da un tappo di gomma 8, attraverso il quale passa un tubo di vetro che stabilisce una comunicazione con una serie di 3 bottiglie di lavaggio a soda (L, L, L): tale comunica- zione può essere interrotta mediante la pinza di Hoffmann a. L'altra parte dell'apparecchio è costituita da una comune bevuta a filtrazione B, della capacità di circa un litro. La bevuta è chiusa da un tappo di gomma è, attraversato da un lungo tubo di vetro piegato ad angolo acuto, la cui estremità inferiore m tocca quasi il fondo della bevuta, mentre l'altra estremità 9, mediante tubo di gomma e pinza di Hoffmann A, è connessa col tubo f del pallone di estrazione. Il tubo laterale p della bevuta è rivestito da un tubo di gomma, nel quale è stato preventivamente introdotto un tubicino di vetro x assottigliato ad una estremità, la quale, lievemente ripiegata ad uncino, arriva fin nell’interno della bevuta, di modo che un liquido introdotto nel tubo di gomma possa cadere goccia a goccia nella bevuta stessa, senza bagnare menomamente il tubo p. Il tubo di gomma porta la pinza 0. A) Lavaggio ed estrazione dei recipienti — I recipienti A, B e C vengono puliti e lavati scrupolosamente con acqua distillata bollita; e dopo aver introdotto nella bevuta 8 alcune gocce di fenolftaleina, si ricompone l'apparecchio, badando a che tanto i tappi quanto le connessioni con i tubi di gomma siano a perfetta tenuta. Aperti tutti i rubinetti e le pinze, e chiusa soltanto la pinza @, con una pompa ad acqua, applicata all’estremità w, si estrae l’aria dai recipienti fino ad */so di atmosfera, leggendo tale valore su un comune manometro intercalato fra la pompa e w. Fatta l’estra- zione, e chiusa la pinza 0, si apre gradatamente la pinza 4, in modo che si stabilisca una assai lenta corrente di aria priva di CO,. Quando tutto il sistema è giunto alla pres- sione atmosferica, si chiude il rubinetto c, si apre la pinza 0, e si estrae di nuovo sino a !/so di atmosfera. B) Riempimento della bevuta B. — Chiusi il rubinetto 9g e la pinza %, si stacca la bevuta dalla connessione col pallone; si riempie con acqua bollita l'estremità libe ra del tubo di gomma È, alla quale si adatta un tubo di vetro r affilato ad un’estremità, che si continua con un sottile tubo di gomma s, di circa 1 mm. di diametro. Tubo di vetro e tubo di gomma sono stati preventivamente riempiti con acqua bollita, e la connessione < — 847 — col tubo % vien fatta in modo che nessuna bollicina di aria penetri nel sistema. Si adatta ora l'estremità libera del tubo di gomma s alla estremità affilata v di una buretta auto- matica D ripiena di barite. Se tutte le connessioni son fatte bene, aprendo la buretta alla sua estremità inferiore (premendo sulla pallina di vetro z), finchè la pinza È resta chiusa, il livello del liquido della buretta deve restare immobile. Assicuratisi di ciò, si porta allo zero il liquido della buretta: e tenendo sempre premuta la pallina , aprendo cauta- mente la pinza è, si lascia entrare nella bevuta la voluta quantità di barite ; dopo di che, chiusa la pinza À, e interrotta cautamente la connessione fra la buretta e il tubicino di gomma s, si innesta quest'ultimo all’estremità del sifone dell’acqua bollita, e, manovrando d 3 mu Ey N27 È 2 N = (NA TKAICKLIIVIKAIIANIZALI OTO [el : VIDIMAATELA PRA FTRIV AUT la pinza 4, si fa entrare nella bevuta una discreta quantità (25-50 cme.) di acqua, in modo da trascinare nella bevuta ogni traccia di barite rimasta nel tubo di gomma. È opportuno di adoperare soluzioni di barite molto diluite (da !/20 a !/100 n.): dato il metodo di riempi- mento della bevuta, si può infatti, occorrendo, introdurre nella bevuta stessa quantità note- voli di soluzione senza pericolo che questa si alteri. Ad ogni modo, è sempre utile, com- pletato il riempimento, assicurarsi che la barite nella bevuta sia perfettamente limpida. Si stabilisce adesso la connessione col pallone d’estrazione, e si apre cautamente la pinza 4, in modo che quella piccolissima quantità di aria compresa fra essa pinza e il rubinetto 9g, penetri dolcemente nella bevuta. Ciò fatto, si riunisce w colla pompa ad acqua, e aprendo la pinza o, ci si assicura che la pressione nella bevuta sia rimasta presso che immutata. Si riporta, comunque, a !/so di atmosfera, e si apre il rubinetto g: anche in questo caso, se le tenute sono perfette, la pressione deve restare immutata. C) Estrazione dell'acido carbonico. — Se la sostanza da analizzare è solida (ad es. Ca CO;) essa può essere introdotta nel pallone A all’inizio delle operazioni. Se invece si deve estrarre una soluzione (e questo è stato il caso per i nostri esperimenti), si toglie dallo imbuto: a separazione il tappo è, si versa nell'imbuto la soluzione in esame, e, aprendo cautamente il rubinetto c, la si fa scendere nel pallone sottostante, avendo cura di chiudere il rubinetto c quando l’ultima goccia di liquido si trova nel foro del rubinetto stesso ReNDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 110 — 848 — Si lava l’imbuto © una o due volte con piccole quantità di acqua bollita, facendo ogni volta scendere l’acqua di lavaggio con le stesse precauzioni indicate per la soluzione (1); e, dopo averlo riempito con soluzione 0,1 n. di HC1 (?), lo si tappa. Aprendo il rubi- netto c, l'acido scorre nel pallone, e nell’imbuto penetra aria pura che ha attraversato le bocce di lavaggio Z. È bene di richiudere il rubinetto c quando ancora 4 o 5 cme di HCI restano nell’imbuto. Si versa ora nel recipiente di ferro smaltato, /, acqua calda (50-60° C): si ha subito una vivace ebullizione del liquido, la quale, mediante successive aggiunte di acqua calda, vien mantenuta per 15 o 20”. (Esperienze particolari ci banno infatti dimo- strato che, dopo 5‘, già la massima parte di CO, è stata estratta, e che dopo 10’ l’estra- zione si può dire completa). D) Lavaggio terminale del pallone d’ estrazione.— Completata l’estrazione, si apre cautamente il rubinetto c: si stabilisce in tal modo una corrente di aria priva di CO, che trasporta nella bevuta tutte le eventuali tracce di CO, rimaste nel pallone di estra- zione e nel tubo f. Tale lavaggio dovrà durare circa 5’. Esperienze speciali, fatte estraendo con bevute nuove palloni già estratti, dimostrano che nel pallone di estrazione non rimane nessuna traccia di acido carbonico. Terminato il lavaggio, si toglie la connessione della bevuta col pallone, previa chiu- sura della pinza È. E) Titolazione dell’eccesso di barite nella bevuta. — È necessario che la bevuta resti in riposo per circa 12 ore, e ciò per varie ragioni. Innanzi tutto, perchè, contro quello che sarebbe da aspettarsi, l’acido carbonico non si combina con la barite se non con una certa lentezza: infatti, in esperienze fatte al riguardo, intercalando varie bevute l’una dietro l’altra, abbiamo visto ad es. che la 12 bevuta non trattiene che il 53,3 °/o dell’a- cido carbonico totale, la seconda il 24,7 °/,, e il rimanente (ossia il 22 °/o) sì raccoglie nelle bevute successive. Per favorire la combinazione dell’acido carbonico colla barite è opportuno l’agitare di tanto in tanto la bevuta messa a riposare. Oltre a ciò, è necessario che il precipitato di carbonato di bario, che forma in un primo tempo quasi una pseudo- soluzione, e che in un secondo tempo si presenta amorfo, diventi cristallino, depositandosi al fondo della bevuta, e lasciando perfettamente limpido il liquido soprastante. Pare infatti accertato che l’acido cloridrico attacchi più facilmente il carbonato amorfo che non il cristallizzato. Dopo il riposo di 12 ore circa, allorchè cioè si è sicuri che tutto l’acido carbonico è combinato alla barite, si connette il tubo % della bevuta con l’estremità del sifone di una boccia contenente soluzione al 10 °/, di Ba Cl perfettamente neutra e priva di C0,; e manovrando la pinza A, si fa penetrare nella bevuta tanta soluzione finchè il volume del liquido nella bevuta aumenti di una metà, così che il BaC], viene a trovarsi nel liquido alla concentrazione di circa il 3 °/o (3). Si applica ora in % la pompa ad acqua, e si estrae aria dalla bevuta fino a ‘/, atmosfera; e, dopo avere con ripetute scosse scacciato ogni eventuale residuo di Ba C], nel tubo di gomma libero di là dalla pinza 4, aprendo cau- (') Nel caso, le quantità di COas da estrarre siano straordinariamente tenui, è bene di tralasciare i lavaggi, coi quali si potrebbe apportare una quantità di CO» maggiore di quella contenuta nei residui della soluzione rimasti aderenti alle pareti dell’imbuto. (£) E indispensabile di notare come sia erronea l'opinione che '’HC] debba in ogni caso esser privo di CO: giacchè fino a quando non abbiamo preparato l’HC1 con le cau- tele necessarie per averlo libero da CO, dovevamo lamentare errori piuttosto notevoli, dovuti a tale inconveniente. (*) Il Ba C1, penetra nella bevuta perchè in questa vige una debole pressione nega- tiva, dipendente sia dal fatto che, durante il riposo, quella parte del gas contenuto nella bevuta che è costituita da CO» è stata assorbita dalla barite, sia perchè la temperatura della bevuta è discesa da 25-35° C., quale è sempre verso Ia fine dell’estrazione, a quella dell'ambiente. — 849 — tamente quest’ultima, si porta la colonna liquida nel tnbo m a livello del liquido della bevuta. Resta ora da titolare l’eccesso di barite non combinata con CO,. Per ciò si unisce l’estremità w del tubo di gomma della bevuta con il tubo di vetro #, piegato ad angolo retto, di una buretta automatica £# ad HCl ‘/,; - !/100 n. Si apre la pinza « della buretta e, osservando il livello dell’ HCI, ci si assicura che tutte le connessioni tengono perfetta- mente. Dopo di che, tenendo la bevuta inclinata in modo che il tubo n venga ad assu- mere una direzione assai prossima alla verticale, si apre cautamente la pinza 0, sorve- gliando contemporaneamente la discesa del liquido nella buretta £; il liquido scende dapprima piuttosto rapidamente: ma allorquando esso è giunto alla pinza 0, si arresta di colpo, e occorre aprire ancora un poco questa pinza perchè il liquido ricominci a discen- dere lentissimamente. Lo si lascia discendere così fino a che esso riempie tutto il tubo %; si chiude allora la pinza 0. Si rimette ora la bevuta nella sua posizione normale, si porta a zero il liquido nella buretta, e, aprendo di nuovo la pinza 0, si fa cascare a goccia a goccia l’HCI nella bevuta, agitando ad ogni goccia, fino a completa scolorazione della fenolftaleina. Si rinchiude allora la pinza 0 e si rilegge il livello del liquido nella buretta. La titolazione eseguita in questo modo richiede parecchio tempo (da 10 a 20”); ma essa è, in compenso, molto esatt® In quanto al tempo, esso non intacca il rigore del dosamento come nelle ordinarie titolazioni fatte in contatto dell’aria. Pare inoltre assai vantaggioso, per una esecuzione rigorosa del metodo di Winkler, che non si formino, per cattiva diffusione, piccole zone di acido cloridrico, nelle quali un po’ del precipitato potrebbe venire disciolto: agitando ad ogni goccia, viene evitato qualsiasi pericolo di tal genere. Abbiamo infine cercato di definire gli errori proprî del metodo così trasformato. In una prima serie di ricerche, già innanzi ricordate, ci siamo preoccupati della possibilità che l'acido carbonico non venisse estratto in modo completo. Ma esperienze. fatte estraendo nello stesso pallone liquidi già estratti, non lasciano alcun dubbio che l'aczdo carbdonico viene estratto completamente. In una seconda serie di ricerche abbiamo cercato di deter- minare a quanto ammonti l'acido carbonico acquistato per impurità dei liquidi di lavaggio e per l'inevitabile apertura dell'imbuto a separazione, apertura che i liquidi da esaminare e quelli di lavaggio porta a contatto, sia pure per brevissimo tempo, con l’aria ambiente. Da un notevole numero di espe- rienze fatte al riguardo estraendo soltanto l'acqua di lavaggio e l’HCI, si desume che tale acquisto è poco variabile, ed è sempre compreso fra 0,0; 25 e 0,0;50 mol. CO; (corrispondenti a 0,5 - 1,00 cme di HCl 2/100). Tuttavia, in esperienze, in cui importa determinare esattamente quantità assai piccole di CO., è opportuno il determinare tale acquisto per un'intera serie di ricerche, rimanendo esso per una stessa serie, quando i liquidi di lavaggio e la solu- zione 0,1, di HCl restano immutati, sensibilmente costante. Per esperienze accurate occorre inoltre che il titolo della barite sia deter- minato per ogni serie di ricerche. Si riempie perciò una bevuta nello stesso modo col quale si riempiono le bevute destinate a raccogliere l'acido car- bonico; e, previa aggiunta del Ba Cl., si titola nel modo innanzi descritto, fuori del contatto dell’aria. È notevole che il titolo della barite ricavato in — 350 — questo modo risulta costantemente un po’ inferiore a quello ricavato titolando all'aria libera l'acido cloridrico contro la barite di circa 0,0; 4 gr. eq. Ba (OH), in cifra assoluta. Tale differenza resta immodificata aggiungendo all'acido cloridrico, prima della titolazione, Ba Cl:. La causa di tale divario va perciò ricercata, con ogni probabilità, nelle inevitabili impurità dell’acqua di lavag- gio, dell’aria residua nella bevuta ecc. In una serie di ricerche, infine, abbiamo determinato l'errore proprio del metodo, adottando le norme sopra esposte circa l'acquisto di CO, per le manovre di versamento del liquido da esaminare e dei liquidi di lavaggio, e circa la titolazione della barite. In questa serie di ricerche, l'acquisto fu di 0,055 mol. CO., ed il titolo della barite fu trovato essere 0,04055 n. In quattro esperienze furono estratti 1, 2,5 e 10 cme. di una soluzione 0,115 n. di Na, CO,, ed i risul- tati furono i seguenti: HC10,0257 | 0 : Sol. 0,115 x Nas C08|]Ba(0H)20,04055%} per dosare CO, estratto CO, Differenza | Differenza estratti nella bevuta oli Ba (08), estratto e, calcolato | assoluta anni eme. cme. eme. mol mol mol mol H 1 10 11,25 0,0,621 0,0,571 0,0,575 |— 0,034 0,7 10 __ 6,55 0,0,1208 | 0,0,1158 | 0,031150 |+ 0,058 0,7 15 0,97 | 0,0,2920| 0,0,2870 | 0,0:2875|— 0,035 | 0,2 10 30 2,15 0,035813 | 0,0,5763 | 0,0,5750 (+ 0.0513 0,2 Come si vede. le differenze fra quantità trovata e quantità calcolata di CO, sono tali che, avuto riguardo alla quantità minima di CO, determi- nata, permettono di affermare che il metodo di cui ci siamo occupati è asso- lutamente preciso, e degno della massima fiducia. Storia della Matematica. — Sul/l”Egodos di Archimede. Nota del prof. G. Vacca, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 1. Nella introduzione al suo scritto sul Me/odo, Archimede (*) rileva l’im- portanza della nuova via, non solo per i risultati da lui scoperti, ma anche per quelli che i matematici futuri avrebbero un giorno ritrovati. Gli storici della matematica hanno ben posto in luce da questo punto di vista l’opera di Archimede, dimostrando quanto sarebbe stato più semplice il. compito di Keplero, di Cavalieri, e degli altri scopritori del calcolo infinitesimale se avessero potuto aver conoscenza dell’opera del geometra Siracusano. To desidero in questa breve Nota richiamare l’attenzione sui teoremi nuovi che propriamente si prefigge di dimostrare Archimede in questo scritto, cioè (1) Archimedis, Opera omnia, ed. I. L. Heiberg, II edit., vol. II, Lipsia, Teubner, 1913, p. 426-428. — 851 — la determinazione del volume dell'unghia cilindrica(*), e del volume della parte comune a due cilindri circolari retti, aventi per basi due circoli inscritti in due faccie adiacenti di un cubo. Questi volumi, come Archimede stesso ha osservato, sono commensu- rabili con quelli del cubo circoscritto, ed offrono, nella geometria solida l’ana- logo della quadratura delle lunule di Ippocrate, della geometria piana. Mentre però l'opera di Archimede completa, fu. ignorata e rimase nascosta fino ai nostri giorni, questi due risultati, furono noti e destarono l’attenzione dei matematici dei secoli scorsi. 2. Nella sua Metrica, Erone (?) aveva riferito come }e conoscenze del volume interno a due cilindri di egual diametro, che s' intersecano ad angolo retto sia interessante per la pratica, trovandosi raffigurato un tale solido nella costruzione delle volte, delle fontane e dei bagni, cioè nei luoghi nei quali non è conveniente adoprare coperture in legname. Egli enunciava quindi la regola data da Archimede per calcolare quel volume. Malgrado che anche questi passi di Erone siano stati scoperti e pubbli- cati soltanto di recente, ciò che essi contengono fu tuttavia fatto conoscere e pubblicato nel 1509 da Luca Paciolo, e nel 1639 da Bonaventura Cavalieri. 8. Luca Paciolo in appendice al trattato dei cinque corpi regolari (*) (del quale egli non è probabilmente autore, come ha dimostrato in un lavoro in corso di stampa nelle Memorie della R. Accademia dei Lincei il cav. Gero- lamo Mancini), riferisce infatti questo problema. « Egli è una colonna tonda a sesto che il diametro suo è 4, cioè de « ciascuna sua basa, ed un’altra colonna de simile grossezza la fora hortogo- « nalmente, domandase che quantità se leva de la prima colonna per quella « foratura cioè che quantità se leva de la colonna per quello buso ». Il Paciolo enuncia dapprima la regola per il calcolo del volume, che consiste nel prendere i due terzi del cubo del diametro delle basi delle due colonne (cioè 42 + nel caso del diametro 4, dell'esempio da lui dato). Egli fa poi seguire questo risultato da un tentativo di dimostrazione, insufficiente ed inesatto. Esso consiste nell'ammettere che, come il volume di una sfera è doppio di quello del doppio cono inscritto in essa, avente per base un circolo massimo e per vertici i due poli di questo circolo (come risulta dal volume della sfera dato da Archimede), così il volume del solido (*) Il nome ungula cylindrica si trova nell’opera: Quadratura circuli, tomus II, auctore R. P. Gregorio a S. Vincentio, S. I, Antverpiae, 1647, liber nonus, pag. 955. . (®) Heronis Alexandrini, Metrica, ed. Hermann Schòne, Leipzig, Teubner, 1908 (Opera, vol. III, p. 130). (*) Fa seguito alla Divina proportione ed è intitolato: Lidellus in tres partiales tractatus divisus quinque corporum regularium et dependentium active perscrutationis, D. Petro Soderino principi perpetuo populi Florentini a M. Luca PacioLo Burgense, minoritano particulariter dicatus. Tractatus tertius, casus 10, fol. 24; Venetiis, 1509, impressum per probum virum Paganinum de Paganinis. ] — 892 — che è parte comune dei due cilindri sia doppio della bipiramide a base qua- drata inscritta in esso. E poichè questa bipiramide vale un terzo del cubo circoscritto, il solido comune ai due cilindri deve esserne i due terzi. Il Paciolo non sa dare altra ragione di questo risultato (che del resto è vero), che questa sola, che cioè nelle due sezioni fatte nei due piani diagonali (pas- santi cioè per le due ellissi intersezioni dei due cilindri), il rapporto tra l’area sezione del solido comune ai due cilindri (che è una ellissi) e l’area della sezione della bipiramide (che è una losanga inscritta nell’ellissi), è eguale al rapporto delle aree delle sezioni fatte con un piano passante per l’asse della sfera e del doppio cono in essa inscritto. Il ragionamento contorto, non è che un tentativo non riuscito, di giu- stificare il risultato (*), forse tratto da Erone, od almeno da qualche matema- tico bizantino il quale abbia riferito il passo di Erone (?). 4. Ma il Paciolo continua proponendo un altro problema: « Casus 11. — Egli è una volta a cruciera et per ciascuna faccia 8, et « è alta 4, così nel colmo degli archi commo nel mezzo della volta; doman- « dase de la sua superficie concava : «Tu dei sapere che la volta in cruciera è composta de doi mezzi canoni, « intersegandose l'uno l'altro nelle loro congiuntioni fanno quattro puncte « de scacheti de palle, et i posamenti sopra le quattro basa se congiungano « a do a do puncte terminando in uno solo puncto... » Anche qui il Paciolo giunge ad un risultato esatto (73 +, supposto 7 = &}), con un ragionamento insufficiente, il che porta a credere che anche di questo risultato egli non è autore. D'altra parte l’area della volta a crociera, che si trova oggi facilmente, era un problema della stessa difficoltà di quello risolto da Archimede. A me sembra quindi probabile che ad Archimede stesso si debba questo risultato, dato sotto questa o sotto altra forma, in qualche altra delle sue opere perdute, forse quella « 7rs0ì Avdidov xaè xvdivdomv », ovvero quella « de superficiebus et corporibus irregularibus » (8). 5. È poi notevole che il Paciolo si proponga ancora il problema. « Casus 15. — Egli è uno corpo sperico che l’axis suo è 10. Uno lo « fora nel mezzo con uno trevello et passalo de l’altro canto, et il diametro (‘) Si noti che Keplero con un metodo analogo, giustifica la misura dell’area di un emisfero data da Archimede, osservando che è verisimile che essa sia (come è difatti), media geometrica tra quella del cono circolare retto inscritto ad esso e quella del cono circoscritto. Cfr. Nova stereometria doliorum, 1615, prima pars, theor. VI (Kepleri, Opera omnia, vol. IV, pag. 561). (2) È interessante il confronto dell’opera di Erone, coi trattati di Luca Paciolo. L'identità di varî esempi numerici, del metodo seguito nelle dimostrazioni, dimostrano chiaramente l'origine greca dei trattati. (3) Cfr. Archimedis, Opera omnia, ed., I. L. Heiberg, vol. II, pp. 542-548, Leipzig, 1913. ino — « del tondo del buso 2, domandase che leva de quella quadratura del corpo « sperico per quella foratura ». Senza seguire il Paciolo nel suo stile contorto, basterà dire semplicemente ehe il suo problema conduce ad osservare che /a porzione di sfera esterna ad un cilindro inscritto in essa, ha lo stesso volume di una sfera avente per diametro l'altezza del cilindro. Forse anche questo risultato fu conosciuto da Archimede, o da aleuno dei suoi discepoli? Concluderò queste notizie su Luca Paciolo osservando, che egli infine, precorrendo Keplero (*), si propone il problema di trovare il volume di una botte, e dà perciò varie regole. 6. Bonaventura Cavalieri nel 1639 (?) senza citare nè il Paciolo, nè altri autori, si propone nel suo problema 80 (p. 435) di « misurare la capa- cità delle botti », e nel suo probl. 81 (p. 450) « come si possi misurare il vano o capacità delle volte fatte a croce ». Egli dà soltanto regole empiriche, poichè (p. 458): « la ragione della « detta misura depende dalli principî della mia geometria conforme ai quali « l'ho dimostrata, quale però tralascio come che sia assai lunga... » 7. È da notarsi che Bonaventura Cavalieri sebbene in questi suoi pro- blemi non citi alcuno, conobbe e studiò l'opera di Keplero (*). Rimane soltanto il dubbio se Keplero a sua volta abbia conosciuto l’opera di Luca Paciolo (*). Aggiungerò infine che queste mie note bibliografiche completano quelle aggiunte da T. Reinach (*) alla sua versione del trattato di Archimede. (*) Nova Stereometria Doliorum vinariorum, Lincii, 1615 (Kepleri, Opera omnia, ed. Frisch Frankofurti, 1863, vol. IV, p. 551. (°) B. Cavalieri, Centuria di varii problemi, Bologna, Monti, 1639. (*) Che egli cita infatti nella prefazione alla sua Geometria indivisibilibus conti- nuorum nova quadam ratione promota, Bononiae, 1635 (fol. è, recto). (*) Negli indici del Frisch dell’ Opera omnia di Keplero, vol. VIII, 2, il nome del Paciolo non appare mai citato. (5) Revue générale des sciences, Paris, 1907, 15 decembre. Il Reinach attribuiva a Leopold Hugo, al principio del sec. XIX, la scoperta dei volumi delle volte, ete. — 854 — Chimica. — Su? dorati. Sistema Ba0-B°0°-H°0 a 30° Nota ITI di U. SBoRGI, presentata dal Socio R. NASINI (’). Nella seguente figura sono riportate le curve di solubilità costruite in base alle esperienze della tabella pubblicata in una Nota precedente (*). Non è stato riportato per intero il diagramma triangolare, perchè in esso la più estesa delle curve di solubilità in una figura, p. e. della grandezza della seguente, avrebbe la lunghezza soltanto di alcuni millimetri e risulterebbero quindi incomprensibili le relazioni tra le varie curve. Ma è stato eseguito naturalmente a parte un diagramma molto più in grande che può del resto ricavarsi sempre dai dati della tabella colle note regole di costruzione. FE FEZHINTE I eee] | et de ALDI US. ABS a H?0 A B:0? Le curve di solubilità sono quattro: la AB che parte dal punto A rispondente alla solubilità dell’acido borico puro a 30° e arriva al punto B (3) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica generale della R. Università di Pisa. (*) Rend. Accad. Lincei, vol. XXIII, 1° sem., fasc. 9°, pag. 717. DA 855. — in cui si hanno per corpo di fondo acido borico ed il triborato coesistenti in quel punto. La soluzione ha qui la composizione seguente 3,65 °/, di B?08, 0,045 °/ (in media) di BaO come risulta dalla tabella. Cristallizza in questo punto dalla soluzione estratta dal termostato l'acido borico. Da B a © si ha la curva di solubilità del triborato in presenza di quantità a mano a mano decrescenti di acido borico. Come si vede la solubilità è minima: il contenuto in Ba0 sale lentamente da 0,04 °/, fino a 0,22 °/7: in questo punto si ha la soluzione del triborato in acqua pura, punto individuato sia teori- camente dalla costruzione grafica, sia sperimentalmente ponendo il triborato preformato in presenza di acqua. I resultati sperimentali dettero come com- posizione della soluzione di triborato in acqua pura 0.2971 °/, B?03, 0,2265 °/ Ba0, 99,4764°/ H?0: dalla costruzione grafica si ricaverebbe 0,30 °/, B*03, 0,22 °/, Ba0, 99,48 °/, H?0. Da questo punto la curva di solubilità del triborato sale, e si ha ora che esso si trova disciolto in soluzioni a contenuto crescente di Ba0. In C si ha per corpo di fondo triborato e metaborato; la soluzione in questo punto contiene 0,31 °/, B*03, 0,31 °/ Ba0 (in media): e da qui decorre la curva di solubilità del metaborato fino al punto D, in cui coesistono barite e meta- borato. Il punto rispondente alla solubilità del metaborato in acqua pura ha la seguente composizione, 0,49 °/, Ba0, 0.23 °/,: B?08, (59.28, H?O deter- minata sperimentalmente: dalla costruzione grafica si avrebbe 0,48 °/, Ba0, 0,22 °° B?03, 99,30 °/, H?O. Lungo la linea CD a partire da circa un terzo della sua lunghezza dal basso, la soluzione estratta dal termostato depone cri- stalli che sembrano e sono presumibilmente di barite.: questo avviene anche in D e lungo la linea susseguente DE. La composizione del punto D è 5,80 °/, Ba0, 0,26 °/, B?03 93,94 °/, H°O, come si vede dalla tabella. Lungo la linea DE si ha, per corpo di fondo, barite. i Per quanto riguarda le linee di coniugazione uscenti dalle varie curve occorre notare quanto segue. Dai punti D, C e B, escono linee divergenti interposte rispettivamente tra la linea della barite e quella dei metaborati (1-1-x), tra quella dei metaborati e quella dei triborati (1-3 -x), e tra quella dei triborati e quella dell'acido borico. Dalle linee BC e CD, curve di solu- bilità dei due soli composti che si hanno come fasi stabili a 30°, i fasci di linee sono convergenti nella direzione della linea dei triborati e dei meta- borati rispettivamente. Si può dunque concludere che si ha formazione di questi dune composti, il che è confermato da molti altri fatti e cioè dalla posizione relativa delle linee stesse nel diagramma, dal fatto che su queste linee si trovano i punti rispondenti alla solubilità dei due composti in acqua pura etc. etc. Ma le linee ottenute non convergono in un punto solo; cosicché è impossibile ricavare con sicurezza il contenuto di acqua di cristallizzazione spettante ai due composti. Questo fatto è inevitabile: linee di coniugazione uscenti da curve di una estensione minima, come quelle che si ottengono per RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 111 896 — gli alcalino terrosi decorrono così vicine le une alle altre, che bastano pochi centigrammi, talvolta persino milligrammi di Ba0 o di B?0* di differenza su cento grammi del miscuglio analizzato, perchè esse si incontrino in un punto piuttosto che in un altro: se si pensa che le determinazioni venivano di necessità eseguite su alcuni grammi di sostanza e se si tien conto delle difficoltà analitiche a cui ho acceunato in principio, si comprende come fosse quasi impossibile ottenere resultati certi su questo punto: sicura è la dire- zione delle linee di coniugazione, quindi l'individuazione dei composti for- mantisi, ma sicuro non può essere il punto di convergenza di quelle linee, quindi non sicuro il numero di molecole di acqua di cristallizzazione spet- tante ai varî composti. Malgrado questo si hanno alcuni indizî che permet- terebbero qualche conclusione anche a questo proposito, ma preferisco risol- vere con certezza la questione determinando — dopo conosciuti i composti che si formano a varie temperature — i punti di trasformazione dei loro idrati. Del resto la questione è del tutto secondaria; chè lo scopo di queste ricerche sui borati è quello di determinare gli aggruppamenti molecolari che si formano come fasi stabili a varie temperature tra B?0? e le varie basi, e le solubilità dei composti formantisi. Ho già detto come a conferma dei resultati ottenuti, ponendo a reagire il metaborato con acido borico o con barite (ed acqua), furono fatte espe- rienze anche cogli altri borati: fu adoprato specialmente il triborato essendo questo uno dei composti stabili a 30°. I punti ottenuti per questa via si disponevano regolarmente sulle curve già individuate colle esperienze fatte con metaborato. Ponendo metaborato e triborato con acqua, o triborato con acqua o il composto 2-3-6 con acqua — adoprando, si capisce, i composti preparati nel modo detto nella Nota I — si osservava sempre nella soluzione un contenuto in barite, nei primi giorni dacchè il miscuglio era in termostato, leggermente più alto di quello rispondente alle curve di solubilità. Dopo, il valore si avvicinava al normale. Ciò era dovuto — credo — al fatto che questi borati per le ragioni dette nella Nota I non erano del tutto puri: lavando il miscuglio dei composti prima di porre in termostato e decantando l’acqua di lavaggio, si osservava una maggior rapidità nel raggiungere i valori definitivi. Valgano per esempio i resultati della esperienza 22 e della 17 ottenuti i primi senza questo lavaggio, i secondi con lavaggio. Comunque dall'insieme dei resultati speri- inentali si ricava che i composti formantisi a 30° sono il triborato e il meta- borato, le curve di solubilità dei quali sono quelle della figura riportata. Il resultato ottenuto è interessante anche in quanto stabilisce già una certa regolarità, nella formazione dei borati di bario e di calcio a 30°. Per il bario manca come composto stabile a questa temperatura il 2-3 che si ebbe invece per il calcio. Anche nella preparazione dei borati di bario un com- posto rispondente alla formula 2-8 sì forma solo intermediariamente nella — 857 — preparazione del metaborato. Invece nella preparazione dei borati di calcio questo composto 2-3 si ottiene con abbastanza facilità. Per quanto riguarda il triborato io ottenni nella preparazione dei borati di bario un precipitato rispondente alla formula di un triborato; Atterberg aveva ottenuto un pre- cipitato simile, ma con le ragioni che ho dette nella Nota I aveva ritenuto trattarsi di un miscuglio di borati. Dal diagramma della figura qui ripor- tata, e dai resultati della tabella si vede come — per lo meno a 30° — questo composto esista stabilmente come tale. Le oscillazioni di composizione riscon- trate da Atterberg potrebbero anche riportarsi alle cause a cui ho accennato nella Nota I. Comunque il triborato esiste come fase stabile a 30°, e con questo si stabilisce una certa regolarità per i borati dei due alcalino terrosi sperimentati a questa temperatura: accanto alla curva dell'acido borico si ha subito la curva del triborato: accanto a quella della base si ha la curva del metaborato: intermediariamente per il calcio si ha il composto 2-3, cioè per il calcio successivamente i composti 1-3, 2-3, 3-8 (ossia in formula più semplice 1-1, metaborato): per il bario manca invece il composto 2-3, il quale a 30° manca anche per i borati alcalini, sodio, potassio, ammonio. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio VoLTERRA, a nome dell'autore prof. ProncHon dell’ Università di Digione, presenta in omaggio all'Accademia l’opera: Motice sur la vie et les travaua de Charles Meray, correspondant de l’ Institut, Professeur d’ Analyse infinitesimale à l' Université de Dijon (1835-1911). Il Socio Volterra discorre della pubblicazione suddetta mostrandone l’interesse. In essa si rievocano la figura e le opere di un matematico di molto valore da poco tempo scomparso il quale, in maniera originale, ha dato in alcuni libri ormai classici, una esposizione sistematica dei fondamenti dell'Analisi, ed in altri pure molto apprezzati ha svolto con metodo proprio i fondamenti della Geometria. E. M. È ka 1 a f VR TA ù È dA: to) MRI 3, o Mami E VOTLURO, È S TUA: di uso della R. Accademia dei Lincei. "i sSerio. IL —_ CAM dell’ SA pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I- XXIII da PAIS Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV- XXVI... Serie 2° — Vall. (1873- -74). NCAA Vol. II. (1874-75). . Vol. MI. (1875- -76) Parte 1% TRANSUNTI. | RE i; 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, d: CO — matematiche e naturali. RARE ir 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, di i storiche e prologiche: È 0x0 IV. v. VI. VII VIII. Sorie 3a - _ - TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). pESGIRI a della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ; Vo I, (1, 2).— II. (1; 2). — HIXIX. Capito | MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, Vol. I-XIIIL. a $ Serie 4° — - RENDICONTI. Vol. LVII. (1884- 91). Sr ER da | Memorie. della Classe di scienze. fisiche, matematiche e naturali. i ine della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, Vol. I-X. du Serie 5a co RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, SS Vol. I-XXIII. (1892-1914). Fase. 10°. La Seri E Renbiconni_ della Classe di scienze ‘morali, storiche e filologiche. SEO ine « Vol. I-XXIT. (1892-1913). da e Ni da MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, IV | SA | Meworie della classe di scienze morali, storiche e flatogiche: 0, L XIL i — CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE | AI RENDICONII DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Ri | DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI R } Nic, VIa Si 0a della Classe di scienze fisiche, matematiche - naturali della R Accademia dei Lincei si pubblicano due - volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon» i denti ognuno ad un semestre. 5 IL prezzo di associazione per. ogni volume e per tutta ia PItalia è di Ti: 10; per g gli altri paesi le spese di posta in più, cixLe associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti ore n | uu Ermanno Loescner & (°° — Roma, Torino e Firenze, Lo | Utaico Horpu. — Milano, Pisa” e Napok. RENDICONTI — Maggio 1914. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 maggio 1914. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Issel. Lembi fossiliferi quaternarî e recenti osservati nella Sardegna meridionale dal profes- sore D. Lovisato. |. ; (057152 AAA alii OI Armellini. Sopra la soluzione ds equazioni dferonziali del moli io un punto attratto da’ più centri fissi posti in linea retta (pres. dal Socio Volterra) 0... 00.0 770 Burgatti. Potenziali Newtoniani dell’elasticità (pres. dal Corrisp. Marcolongo) +... » 776 Munari. Sopra una espressiva interpretazione cinematica del principio di relatività (pres. dal Socio Zevi-Civita) . . . x CIARA Solva. Sulla correzione di run di feto dei Varchi sradieii ‘fatto sl microscopio miero- metrico (pres. dal Socio Maillosevich) . .°. . n» 787 Eredia. L'influenza della, orografia sulla distrìîbuzione i. della iu te 14) n 795 Amadori. Sui fenomeni di trasformazione nei et e wolframati di potassio Coe dal Socio Cramician) . . SIOE i n» 800 Barbieri. Sul posto del cerio ne sione periodi, e sui dati desti del cerio e travalente (pres. /d.) . . .. RE MO Cambi. Sulla reazione del nasa con siga Chetoni quis ‘aal dA o ai? Ciusa e Piergallini. Ossidazioni con dr della luce (pres. dal Socio Cra- MOVIE Me » 821 Quercigh. Sulla vera oa della fer e delli dicdare gal) (etc ‘dal Socio Sti dn » 825 Migliorini. Sulla geologia dei dintorni di Tobruk (pres. dal Socio De Stefani) .. . . ». 838 Plate. Alcune ricerche quantitative sull’assunzione di ioni nelle piante (pres. dal Socio Pirola) n 839 Quagliariello e D' Agostino. Sullo stato dell'acido carbonico nel sangue. I. Metodo per do- sare piccole quantità di acido carbonico (pres. dal Corrisp. Bottazzi) . .-. . . . » 844 Vacca. Sull’” Epodos di Archimede (pres. dal Socio Volterra). . . . SORA RIO Storgi. Sui borati. Sistema Ba0-B?0?H?0 «a 30° (pres. dal Socio ia CR OMBRE PRESENTAZIONE DI LIBRI Volterra. Presenta un’opera del prof. Piorchon e ne parla . LL... 0 0897, E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 6 giugno 1914. N. ll. DT I DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CGEXI. 1914 SHERLH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 giugno 1914. Volume XXIII. — Fascicolo 11° 1° SEMESTRE. JUL Bi 196 SUonal \ ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1914 ri ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle duo Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi siche, matematiche e riaturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- | l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un Vogt] 3 due volami formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- i denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da. Soci, che ne assumono la responsabilità sOnO | j portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste coin caio 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 N00 qualora l’autore ne desideri un | numero maggiore, il sovrappiù della ‘spesa do agli estranei; posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- | demia; tuttavia se î Soci, che vi hanno preso. parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. essi contengono CATE II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- | cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro= priamente dette, da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o . da Corrispondenti. Per le Memorie presentate stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- | E, mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio di dell’art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio | di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contevuti nella Memoria. - c) Con un ringra- | ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- | cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. NI 4. A chi presenti una Memoria per esame è. che i manoscritti non vengono restituiti agli data ricevuta con lettera, nella quale si avverte. ni autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 ov? dello Statuto. 6 5. L'Accademia dà a 75 estratti agli Qu tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; SO scie estranei. La spesa di un numero di copie in più. | °° che fosse richiesto, è messo a. carico degli «|. autori. i IIS - RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 giugno 1914. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Chimica. — Azioni chimiche della luce. Nota XXIX del Socio G. CIAMICIAN e di P. SILBER. Nella presente Nota pubblichiamo alcune esperienze, che servono a col- mare qualche lacuna contenuta in certi nostri precedenti lavori: cogliamo poi l’occasione per fare alcune osservazioni relative ad una Memoria del prof. Paternò, comparsa lo scorso febbraio sulla Gazzetta Chimica. Benzofenone e benzaldeide. — Noi abbiamo già in due riprese (') stu- diato questa reazione ed abbiamo potuto accertare che, per azione della luce sul miscuglio delle due sostanze suindicate, sì ottiene un composto. fusibile a 245°, della formula C,,H,303, che può essere considerato come un pro- dotto di addizione di due molecole d’aldeide benzoica ed una di benzo- fenone : 2 C,Hs 0 + Cis H,,0 os Cr, Has 03 . Ora il prof. Paternò, trascurando completamente le nostre ricerche. de- scrive la stessa esperienza (*); e senza analizzare il prodotto ottenuto, in base ad una determinazione di peso molecolare, suppone che si tratti del trimero della benzaldeide, che fonde a 250°, scoperto da Mascarelli. (') Vedi le nostre Note V e XX in questi Rendiconti, vol. XII, I, pag. 238 (1903); e vol, 20, I, pag. 882 (1911). (3) Gazz. chim., vol. 44, I, pag. 153. Coe. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 112, — 860 — Noi abbiamo purificato ulteriormente il nostro prodotto per ripetute cri- stallizzazioni dall'etere acetico, e non possiamo che confermarne la com- posizione. Analisi col metodo del prof. Pregl: Trovato Calcolato per I II Cs7 Has 0; Ca1 His Og C 81,78 81,95 82,23 79,24 H 9,78 9,82 9,98 0,66 Peso molecolare coll’apparecchio Pregl in acido acetico: Trovato Calcolato per Car H330; 403 422 394 Il composto in soluzione acetica, in cui è assai poco solubile, non si combina nè colla semicarbazide, nè colla fenilidrazina. Acetofenone ed alcool etilico. — Nella nostra prima Nota (*) avevamo ottenuto in questa reazione, oltre all'ordinario acetofenonpinacone, dal punto di fusione 122°, anche un'altra sostanza fusibile fra 80 e 90°, che avrebbe potuto essere l’isomero ottico del primo; siccome in seguito s'è visto che l’acetone coll’alcool etilico dà un prodotto di condensazione, il glicole tri- metiletilemico (*), insieme con altri corpi, così credemmo utile di rifare le nostra vecchia esperienza per accertare la composizione della sostanza in parola. Abbiamo esposto tre tubi, contenenti ciascuno 25 ce. di acetofenone e 125 di alcool assoluto, dal maggio al novembre 1912. Il prodotto, che più non odorava di acetofenone, venne liberato dall'alcool, che conteneva molta aldeida acetica, a b. m. ed il residuo rimase abbandonato a se stesso per un mese. Lentamente la massa finisce per riempirsi di cristalli. Per estrazioni ripetute con etere petrolico, questi passano in soluzione, mentre resta indietro una materia resinosa (14, 8 gr.), che non siamo riusciti a ridurre in forma cristallina. Dalla parte solubile in etere petrolico, con un lungo e paziente trattamento, avvicendando i solventi etere petrolico, alcool metilico e benzolo, siamo in fine riusciti a separare, dall'ordinario acetofenonpinacone, dal punto di fusione 122°, l’altra sostanza, che, allo stato puro, fonde a 86°-87°. Anch'essa ha la composizione del suddetto pinacone Analisi: Trovato Calcolato per Cis His Os C 79,32 79,94 H 7,41 7,44 e però deve essere riguardata come l’altro isomero ottico. (1) Questi Rendiconti, vol. X, I, pag. 98 (1901). (2) Ibid., Nota XVIII, vol. XX, I. pag. 715 (1911). — 361 — Per quanto facessimo ulteriori ricerche per rinvenire altri prodotti, cre- diamo di poter affermare che, come il benzofenone, anche l’acetofenone non dà, con l'alcool etilico, composti di addizione. Benzofènone ed alcool isopropilico. — Per studiare l’azione di un alcool secondario sul benzofenone e sull’acetofenone, abbiamo fatto questa e la seguente esperienza. In due tubi venne esposta una soluzione di 75 gr. di benzofenone in gr. 60 d'alcool isopropilico, dal maggio all'ottobre 1913. Il prodotto contiene una abbondante massa di cristalli. Separati per filtrazione e purificati dal- l'alcool, si dimostrarono formati esclusivamente dal derzopiracone, dal punto di fusione 186°. Il filtrato contiene, oltre all’ alcool, notevoli quantità di acetone; distillato, lasciò un residuo che non era altro se non il suddetto pinacone. Acetofenone ed alcool isopropilico. — Vennero esposti alla luce, in due tubi, 70 gr. del primo sciolti in 70 del secondo, dal giugno al novembre 1913. La soluzione, rimasta incolora, venne distillata prima a b. m.; e così si ottenne l'acetone, e poi con vapor acqueo per eliminare l’acetofenone se fosse rimasto inalterato. Di questo, peraltro, non si rivenne traccia. Il residuo (69,5 grammi) venne sottoposto ad un trattamento simile a quello già descritto: e così, dopo un paziente lavoro, abbiam potuto separare i due acetofenonpinaconi isomeri, dai punti di fusione 122° e 86-87°. Anche in questa esperienza non si formarono altri prodotti. I due chetoni aromatici in parola hanno dunque con gli alcooli etilico ed isopropilico, alla luce, un contegno assai diverso da quello dell’acetone. Etilfenilchetone ed alcool etilico. — Appariva però necessario di studiare ancora il comportamento di questo chetone alla luce, per vedere se esso fosse in grado di subire una condensazione analoga a quella, assai interes- sante, dello etilmetilchetone ('). Dopo le esperienze ora descritte, non era molto probabile che si for- masse il difenacile ossia il dibenzoiletano. Alla luce venne esposta in 6 tubi una soluzione di 150 gr. di etilfenil- chetone in 750 cc. d'alcool assoluto, dal 7 maggio al 1° novembre 1912. La soluzione limpida, giallina, risultante, venne distillata a b. m. per eli- minare tutto l'alcool, il quale nelle prime porzioni conteneva a/deide acetica. Il residuo sciropposo, che aveva ancora l'odore del chetone inalterato, restò abbandonato a se stesso per un mese sull'acido solforico; e durante questo tempo andò riempiendosi di cristalli. Questi, raccolti e spremuti fra carta (25 gr.), furono purificati dall'etere petrolico. Il composto fonde a 138°-139°, ed è uno dei due ezd/fezilpinaconi isomeri. (1) Vedi la nostra XXII Nota in questi Rendiconti, vol. XXI, I, pag. 547. — 862 — Analisi: Trovato Calcolato per C,3 H230, C 79,67 80,00 H 8,32 8,15 Esso si presenta in squame o prismi, solubili nell'alcool e nel benzolo, e poco solubili nell’etere petrolico a freddo. La parte sciropposa, da cui furono separati i cristalli ora descritti (110 gr.), venne distillata col vapor acqueo per eliminare l’etilfenilchetone rimasto inalterato; se ne ebbero 58 grammi. La trasformazione non è dunque così completa come lo è con l’acetofenone: il residuo vischioso, estratto con etere petrolico. lascia indietro una materia resinosa brunastra (7 gr.), da cui non si poterono ricavare sostanze cristalline. L'estratto etereo invece (45 gr.) cristallizza lentamente, e con l'aiuto dell'alcool metilico si potè separare l'altro pinacone fusibile a 138-139°. La parte rimasta ancora sciropposa fu ripresa nuovamente con etere petrolico, separando così altra resina; e per spontaneo svaporamento del solvente, si ebbe una successiva cristallizzazione, la quale potè essere puri- rificata, con alcuni opportuni artificî, impiegando l'etere petrolico e l'etere ordinario. Il prodotto si separa da questo ultimo solvente per evaporazione spontanea, in grossi cristalli che fondono a 113°. Esso ha la stessa composizione del precedente ezz//enz/pinacone, fusibile a 138-139°, di cui costituisce l’altro isomero ottico. Analisi: Trovato Calcolato per Ci8 H 330» C 80,18 80,00 H 8,22 8,15 L'etilfenilchetone si comporta dunque, alla luce, coll'alcool etilico, come l’acetofenone. Acetofenone ed alcool benzilico. — Noi abbiamo già in altra occasione rilevato, a proposito delle reazioni fotochimiche descritte dal prof. Paternò, che esse non sono essenzialmente diverse dalle nostre (1). Ora nella citata Memoria egli descrive, insieme con G. Perret, l’azione reciproca dei due corpi suindicati, la quale non è che una semplice variante di quella che ha luogo fra il benzofenone e l'alcool benzilico. Questa reazione. che è divenuta tipica per tutta una serie di analoghe trasformazioni, non conduce peraltro ad un solo prodotto: ma, come noi abbiamo dimostrato nel 19083 (*), insieme col glicole trifeniletilenico, si formano il benzopinacone e gli idrobenzoini. (1) Questi Rendiconti, vol. XIX, I, pag. 648 (1910). (*) Questi Rendiconti, vol. XII, II, pag. 235; e Gazz. chim., vol. 34, II, pag. 132. — 863 — Il prof. Paternò, non tenendo nessun conto, anche in questo caso, del nostro lavoro, non si preoccupa della presenza delle sostanze che accompagnano il composto d’addizione, il glicole difenilmetiletilenico, ed analizza il pro- dotto greggio della reazione non ottenendo naturalmente numeri soddisfa- centi ('). Siccome noi avevamo, per le ragioni già indicate, preparato questa esperienza ne pubblichiamo i risultati. Alla luce furono esposti 100 gr. di acetofenone sciolti in 100 di alcool benzilico, dal maggio al novembre 1913. Il prodotto venne distillato anzi tutto con vapore acqueo per eliminare l’acetofenone e l’alcool benzilico rimasti inalterati. Il residuo della distillazione, una massa gialla sciropposa, ripresa con etere e liberata dal solvente, rimase abbandonata a se stessa sull’acido solforico sino a che cominciarono a formarsi cristalli. Siccome, per altro, una separazione diretta di questi ultimi appariva poco vantaggiosa, abbiamo estratto a caldo tutto il prodotto con un miscuglio di poco ben- zolo e molto etere petrolico. Restò indietro una resina, di cui non si fece altro esame. Dalla soluzione si separarono lentamente, dopo alcune setti- mane, dei cristalli, che furono riconosciuti per l’acetofenonpinacone, fusibile a 122°; svaporando ora il solvente, si ebbe uno sciroppo assai vischioso, che, non ostante un riposo di tre mesi, non accennava a cristallizzare. Per ricono- scere le sostanze in esso contenute, dopo alcuni vani tentativi, pensammo di trasformarle in eteri benzoici. A questo scopo, 11,5 gr. del prodotto vennero trattati in soluzione piridica (50 gr.) con 12 gr. di cloruro di benzoile. La soluzione rossastra dà con acqua un precipitato oleoso, che, separato dal liquido, fu ripreso con etere; lavando la soluzione eterea con acido sol- forico diluito e poi con carbonato sodico, si separa, entro all'etere, una pol- vere bianca. Svaporando quest'ultimo e trattando il residuo con alcool, restò indietro, in piccola quantità, una materia bianca, cristallina, che purificata dall'alcool, fondeva a 247°. Essa non è altro che il didenzoilidrobenzoino, descritto da Forst e Zinke (*), che, secondo questi autori, fonde pure a 247°. Analisi: Trovato Calcolato per Cs: Hss 0, C 79,36 79.62 H 5,46 9,21 La parte dei benzoati, che è solubile nell’alcool, liberata da quest'ultimo e lasciata per due settimane a se stessa, aiutando la cristallizzazione con pic- cole aggiunte di alcool metilico, si solidifica parzialmente. La materia solida, (!) loc. cit., pag. 156. Calcolato per Cis Hi1e0s , C 78,95, H 7,02 Trovato C 80,60 , H 6,82 (*) L. Annalen, vol. 182, pag. 278. — 864 — bollita con etere petrolico, in cui è insolubile, venne poi purificata dal- l'alcool, dal benzolo e dall’etere. Si presenta in aghi bianchi, fusibili a 147-148°. Analisi: ‘Trovato Calcolato per C,, Hs00; C 79,66 79,52 H 6,08 i 6,02 Il composto doveva evidentemente essere il monobenzoato del glicole difenilmetiletilenico : CH;.C.OH—CH.0.C0C;H; | CHI C.H; Oltre a questi due benzoati, non siamo riusciti a separare altri prodotti cristallini. Per accertare la identità del benzoato menzionato, abbiamo preparato il glicol difenilmetiletilenico, seguendo le prescrizioni di Titfenau e Dorlen- court ('), e l'abbiamo trattato con cloruro di benzoile in soluzione piridica. Il prodotto, purificato come sopra, mantenne, non ostante ripetute ricristalliz- zazioni dall'alcool, il punto ‘di fusione 139-140°. Analisi: | Trovato Calcolato per Css Hs003 C 79,30 79,52 H 6,32 6,02 I due prodotti hanno lo stesso aspetto, e non possiamo per ora dire con sicurezza quale sia la ragione della abbastanza notevole differenza nel loro punto di fusione. Siccome il suddetto glicole può esistere in due forme stereo- isomere, potrebbe darsi che nelle due sostanze di diversa provenienza pre- dominasse uno dei due isomeri sull’altro. La cosa va ulteriormente studiata. Relativamente poi alle ulteriori (*) esperienze che il prof. Paternò ha eseguito col prodotto ottenuto dall’ acetofenone coll’alcool benzilico, dobbiamo dichiarare che non riusciamo a comprenderle. In fine vogliamo ancora ricordare che, nella sua citata Memoria, egli tratta di un'altra esperienza, che sta in relazione con le nostre, senza tenerne conto alcuno. Egli descrive insieme con G. Perret (*), la condensazione, alla luce, del- l’aleool etilico con l'aldeide acetica, da cui si forma un prodotto bollente (1) Annales de chimie et de physique, VIII série; tome 16, pag. 252. (#) Gazz. chim., vol. 44°, I, pag. 157. (8) Ibid., pag. 152. — 865 — fra 175° e 188°, del quale analizza tre frazioni, ottenendo numeri che gli fanno supporre la presenza del glicole dimetiletilenico, bollente a 184°: CH3—CHOH -- CHOH—CH;. Ora bisogna sapere che nella nostra Nota XVIII (*) abbiamo descritto la condensazione dell'alcool etilico con l’acetone, nella quale, oltre al prodotto di addizione, il glicole trimetiletilenico, si forma alcool isopropilico ed il glicole dimetiletilenico in parola. Noi abbiamo però supposto che quest’ul- timo prendesse origine appunto dall'alcool etilico e dall’aldeide acetica for- matasi accanto all'alcool isopropilico. Presentemente abbiamo in corso anche l'esperienza diretta; ma d'altronde è naturale che non possiamo sempre eseguire subito tutte le esperienze già tracciate nei nostri lavori, nè quelle che i nostri studî possono suggerire. Se 11 prof. Paternò avesse tenuto conto del nostro citato lavoro, avrebbe potuto assai facilmente identificare il suo glicole, giacchè esso dovrebbe dare, per ossidazione con acqua di bromo, alla luce, il diacetile, assai facilmente riconoscibile alla sua diossima. APPENDICE. Nella nostra IX Nota (*) abbiamo descritto i prodotti che si formano per azione dell'acido cianidrico sull’acetone in presenza della luce. Siccome, altre volte, gli omologhi superiori possono comportarsi in modo diverso, abbiamo creduto opportuno studiare in questa reazione il contegno del metiletilche- tone. Ci siamo peraltro accorti "che le sostanze contenute nel prodotto, cor- rispondono a quelle avute con l’acetone. La descrizione potrà perciò essere assai succinta. Dobbiamo inoltre rilevare che la reazione si compie, sebbene con minor rendimento, anche all’oscuro: non sì tratta però di una azione specifica della luce. Con l’acetone invece si ebbero al buio risultati assai diversi che alla luce. Siccome peraltro, esperienze fatte in questi ultimi tempi ci hanno provato che sulle azioni dell'acido cianidrico hanno grande intluenza anche piccole quantità di materie estranee, non si può ora esclu- dere che anche nel caso dell’acetone la reazione non sia fotochimica. Acido cianidrico e metiletile hetone. — Le quantità impiegate furono 70 grammi del chetone sciolti in un litro d'acido cianidrico al 2,58 °/ L'esposizione durò due anni; il successivo trattamento venne fatto come nel caso dell'acetone. Quale primo prodotto si ebbe anche qui l’ossalato ammonico ed in altre l'ossamide. (1) Questi Rendiconti, vol. 20°, I, pag. 715, an. 1911. Memorie dell’Accademia di Bologna, VI, vol. 9, pag. 186; Berichte, vol. 44, pag. 1282. (£) Questi Rendicouti, vol. XV, II, pag. 529 (1906). — 866 — Analisi: Trovato Calcolato per Cs H4Os Na N 32,17 31,82 Come venne descritto allora, quale prodotto principale si forma un com- posto ureico, che nel caso dell’acetone è l’acetonilurea e nell'attuale il suo omologo superiore: CH, (0HIEE CH, (GIEIE NA NA, C—NH. DAR Ù—NH; | \co CO—NH CO OH a cui corrisponde l'acido metiletilaminoacetico. Analisi: Trovato Calcolato per C: H10 0, N C 50,59 90,70 H 7,10 7,04 N 19,89 19,72 L'urea che è solubile nell'acqua e negli altri solventi ordinarî, si pre- senta in prismi senza colore, che fondono a 146°. Accanto ad essa abbiamo rinvenuto lamide dell'acido a-metil-a-ossi- butirrico, in forma di una massa cristallina, che fonde a 60°. Analisi : Trovato Calcolato per C5H11 02. N C 51,09 51,28 H 9,49 9,40 N 12,10 11,96 Da cui, per saponificazione con barite, si ebbe l'acido relativo che. in corrispondenza con W. Miller (*), fonde a 69°. A differenza di quanto avevamo trovato con l’acetone, nel caso attuale non abbiamo potuto rinvenire anche l'acido metiletil-a@-amino acetico sud- detto ottenuto da M. D. Slimmer (*) per saponificazione della cianidrina del metiletilchetone con acido cloridrico. Per accertare la costituzione della suddetta urea, l'abbiamo scomposta con acido cloridrico in tubo e separato convenientemente l'acido amidato. Esso forma una massa di aghi bianchi finissimi, i quali sublimano senza fondere. (*) L. Annalen, vol. 200, pag. 282. (?) Berichte, vol. 35, pag. 406 (1902). » — 867 — Analisi col metodo Pregl: Trovato Calcolato per Cs H110, N C 91.26 51.28 H 9,47 9,40 N 11,81 11,97 Lo studio ulteriore del contegno dell'acido prussico, anche all'infuori dell'influenza della luce, presenta, come si vede, qualche interesse, che po- trebbe riguardare anche la fisiologia vegetale; però abbiamo in preparazione alcune esperienze in proposito. Per ultimo sentiamo il grato dovere di ringraziare il prof. F. Pregl per la grande gentilezza con la quale accolse nel suo laboratorio a Graz il dott. Emilio Sernagiotto, dove eseguì alcune micro-analisi riportate nel presente lavoro; esprimiamo inoltre la nostra riconoscenza anche al dott. Sernagiotto che ci ha coadiuvati in queste ricerche. Meccanica. — Sopra le forme quasi-circolari dell'anello di Saturno (*). Nota di U. CisortI, presentata dal Socio Levi-CIviTA. ° O ° ° O O 0 ° O ° 3912 reposito della sa TO îi sindiaro il permet Mida dell'anello di Saturno, senza ammettere preventivamente la forma circolare, come, sia pure ragionevolmente, veniva fatto pel passato, mi permetto di soggiungere quanto segue: La esistenza di direttrici anche non circolari viene messa luminosamente in evidenza, oltre che dalle considerazioni da Lei suggerite, anche dalla sommaria ispezione delle equazioni, dalle quali Ella riescì a far dipendere la forma della direttrice e che presentano così felice analogia con quelle che regolano l’equilibrio di un filo flessibile ed inestendibile (*). Come Ella giustamente osserva, dopo le circolari, assumono speciale interesse, dal punto di vista astronomico, le configurazioni vicine alle circo- lari e che io chiamerei — mi accordi la preferenza — configurazioni quasi- circolari. Ella fornisce una classe di soluzioni corrispondenti a particolari configurazioni quasi-circolari piane (3). A tale proposito mi permetto di richia- mare la Sua attenzione sopra una categoria delle stesse, che mi sembra la più generale possibile; essa comprende, in particolare, quella da lei già (*) Estratto da una lettera al prof. Levi-Civita. (?) Mi riferisco al lavoro: Sulla forma dell'anello di Saturno, Atti del R. Istituto Veneto di scienze lettere ed arti, tomo LXVIII, pp. 557-588. (*) Veggasi altresì: A. Viterbi, Su una classe speciale di forme dell'anello di Saturno, Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, tomo LXIX, pp. 1129- 1149; Sulle direttrici piane dell'anello di Saturno, ibidem, tomo LXX, pp. 1311-1333. RENDICONTI. 1914. Vol. XXIII, 1° Sem. Uelt9: — 868 — messa in evidenza, nonchè un'altra cui corrispondono configurazioni ellittiche, che io credo abbiano, dopo le circolari, il maggior interesse dal punto di vista astronomico. Mi riferisco senz'altro al Suo lavoro. 1. Assunto nel piano della direttrice un sistema di coordinate polari o e d con polo nel centro di Saturno, e detto s l'arco della direttrice con- tato a partire da un'origine arbitraria, positivamente nel senso delle 4 cre- scenti, la questione è ridotta, in sostanza, alla integrazione del sistema co- stituito dalle sue equazioni (14) e (15) \2y+1+je=%. (1) 3 giri a i ds ; (6 e A>Q0 costanti arbitrarie): cioè alla determinazione di due funzioni @ e w dell'argomento +, di cui la seconda serve a caratterizzare la densità lineare dell'anello. In tali equazioni, com’ Ella avrà già intravvisto, ho assunto a= 1, cioè ho assunto come unità di lunghezza il raggio dell'orbita circolare di un satellite (di massa trascurabile di fronte a quella di Saturno), che avesse per moto medio la velocità angolare èw di ciascun anello. Orbene, mi propongo di far vedere che, posto (2) o0=00]1 4 s01(9)}, dove 0, è una costante arbitraria >1, e una costante arbitraria infinitesima, e 9:(+) una funzione arbitraria di 4, è sempre possibile di determinare una v(3), e le due costanti 4 e Z in guisa che le (1) riescano identicamente soddisfatte. Potendosi scrivere la (2) anche nel modo seguente: e do Q Da ne risulta che eg, (quantità di 1° ordine) altro non è se non /o scostamento unitario dei punti della curva (2) dalla circonferenza 0 = 00. Naturalmente, interessando avere delle direttrici chiuse, basterà imporre alla 0;(9) di essere periodica di periodo 247, con 4 numero razionale. Ciò posto, vengo alla parte deduttiva. 2. Poichè, trattando e come quantità di primo ordine, si ha, per (2), dd 1 ll o... . ds VS) +e Lo ® — eo ® le (1), per la (2) stessa, divengono, colla cennata approssimazione, ( 1 1 1 QdW=h- ——-% (a 3) : (8) y no ni 9 | #01 À W°00(1+ 0) = 4. Com’ è facilissimo di accertare, queste equazioni risultano identicamente soddisfatte, entro i limiti della voluta approssimazione, prendendo, SE Il \ Sit (4) o la=l@- nonchè | e — 1 1 (5) ersani Lim: IÈ È pertanto lecito di concludere che le funzioni (2) e (5) rendono sod- disfatte, nelle imposte circostanze, le equazioni (1), qualunque sia la funzione e:(d): basta a tal uopo che le costanti % e 4 sieno legate a 0, dalle rela- zioni (4). Si può dunque asserire, senz'altro, costituire le (2) e (5) l'integrale generale delle soluzioni quasi-circolari piane. 8. In particolare, preso «= — 9381 + 8 008e(9 — Do), con +, costante arbitraria, s, e e, costanti arbitrarie infinitesime, e ____— 5) e=|/+ ar si ha la soluzione (30') della Sua Nota. 4. La (2) può rappresentare anche ellissi, delle cui eccentricità sieno trascurabili le quarte potenze. Infatti, l'equazione di un’ellisse, il cui asse minore è 00, e la cui ec- centricità è e, può notoriamente scriversi, 2o o=—— e—è: :ò-:.:;.z._:z= ’ V1— e? cos + ovvero, trascurando e‘ e potenze superiori, (6) o = (1 +3e cos 4) £ — 870 — Questa rientra manifestamente nella (2); basta prendere Ji (7) 50 Milo — cos: 5. Se, com Ella accenna, si assume come massa unitaria va (M massa di Saturno, % il parametro costante di configurazione dell'anello), la fun- zione w, definita dalla (5), eo 1 | I) = isa. (1) ( 2 SI non è altro che la densità lineare. Poichè, naturalmente, dev'essere w > 0, si esige che sia o, > 1. Nel caso di configurazioni ellittiche (6), si ha, per le (7), 41 ir i 40840 Hi Lo ( 4 ) mentre dalla (6) stessa scende che 0>0%>1. Partendo da questa, con considerazioni identiche alle Sue, si perviene, anche per le configurazioni ellittiche, alla conclusione da Lei già stabilita: la velo- cità angolare di ciascun anello deve essere più grande di quella che com- peterebbe ad un satellite posto alla stessa distanza media da Saturno. Matematica. — Sur les fonctions permutables analytiques. Nota II di JosePH PERÈS, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 1. J'ai demontré, dans ma précédente Note (*), le résultat suivant: Soit f(x ,y) une fonction analytique autour de l'origine a=y= 0 et telle que f(x, x) ne soit pas identiquement nul; on obtient toutes les fonetions g(x ,y) permutables avec elle et analytiques autour de l'origine en formanti tous les développements formels (1) (20) SNA: les constantes do; 413, An, étant arbitraires sous la seule condition que le développement (2) a 0a IPY, SIM JA L (*) Rend. R. Accad. Lincei, 2ième sem. 1913, page 649. — 871 — obtenue en ordonnani les termes de la série (1) suivant les puissantes de x et de y, représente une fonction analytique autour de l'origine. Cette fonetion sera g(x ,y). Il est possible de mettre sous une forme bien plus simple la condition ainsi imposée aux 40, 41;--.-34n,-. Je me restreindrai pour cela au cas où f(x ,y) est du premier ordre autour de l'origine, et je supposerai mème (ce n’est pas une restriction) comme on le fait souvent, que f(x, a)=1. Les differentes puissances symboliques de / sont alors susceptibles de . développements de la forme alfi@g) _sL sar n= 9 (2), |a les 9®(x) étant des fonctions analytiques de x dans un certain cercle autour de x =0. Nous aurons besoin d'une limitation des |9$(x)|: par des calculs trop longs pour les reproduire ici, on peut prouver l’'existence de deux nombres @ et 7 tels que, = 3l pour |z|<@, on ait MQ] Considérons alors l'identité, dont on a précisé le sens plus haut: 00 00° (Pe) x DI, DE, Cpsg qP y! a) DI, An inni € ’ y): 0 0 0 en y faisant <=0, elle ne doit pas cesser d'étre satisfaite. Il vient donc 00 00 Vj (o) ; Da Co, Y? = Dn Cn (i i DI y 9) 1 avec ro =9 (0); d'où Ia _ < Ug_i (Ce) (3) q! = Clog DI, (d— è)! Vi (g=0,1,...00) Mais on a ; 1 (A2%) | . | | < TEA 7 on peut toujours supposer, en réduisant au besoin la valeur de 7, que MN toa AMT sa (8) i Î dY F sen(2a + a, 4 0) St re sen @ i 0 Avremo finalmente le componenti «,v della velocità che possiede il ione allorchè arriva in O, col porre nelle (8): z=0, e quindi a=0. Si trova così: i — IT cos (eo + 0) O \ Fa “ sena, | v= — !/, ko Rn (Ge 71210) n sen 4. Per valutare l’effetto complessivo prodotto da tutti i ioni che arri- vano in O e provenienti dai varî punti della superficie sferica x$ + y5+ 4= ?° si dovrà ricorrere ad integrazioni; ma anche prima di eseguirle le (9) pos- sono fornire utili indicazioni. Si supponga in O un elemento superficiale do orientato perpendicolar- mente alla direzione Oz del campo, e si voglia conoscere l’azione totale pro- dotta dai ioni, che ne colpiscono la faccia superiore. Bisognerà comporre tutte le w corrispondenti ai punti {zo , Yo 60) di quella metà della sfera di raggio 7 e centro O, che sta al di sopra del piano xy; e poi far altrettanto per le v.. È facile riconoscere che quelle due risultanti sono nulle. Infatti, si cominci col comporre l’effetto dovuto ai ioni partenti dal punto (20,00) con quello dei ioni partenti dal punto (—%0, — %o ; 49) simmetrico al primo rispetto all'asse Oz. — 901 — I valori di u e w per questo nuovo punto di partenza si ottengono dalle (9) cambiando @ in 06-+, oppure in 9—7. In ogni modo ne risul- tano. valori eguali e di segno contrario a quelli relativi al punto (40, Yo ; 20) - Dunque gli effetti di tutti i ioni si distruggono due a due. Ciò vale per le componenti di velocità traversali alla direzione del campo, ma non per wo; però questa non è da tenere in considerazione se, come si suppone, do appar- tiene ad un corpo, mobile intorno ad un asse parallelo alla direzione del campo, poichè w, ha rispetto a tale asse un momento nullo. Si supponga in secondo luogo che l'elemento do posto nell'origine O sia parallelo ad Oz, per esempio giaccia nel piano xz. In questo caso le ve- locità da comporre sono quelle possedute dai ioni partenti dai varî elementi della mezza sfera di centro O e raggio 7 posta da una parte del piano «2, p. es. dalla parte dell’asse Oy positivo. In questo caso consideriamo insieme al punto (40, %o 40) il suo sim- metrico rispetto al piano #y, cioè il punto (20,40, — zo). I valori di v e v per questo ultimo punto si ricavano dalle (9) cambiando segno a zo. Sic- come però esse non contengono 2, esplicitamente, ed «, (che contiene 20) è, come si è visto nel precedente paragrafo, sempre positivo, così i valori di w e v restano invariati. Donde questa conseguenza, che nelle integrazioni ba- sterà tener conto di una sola metà della mezza sfera sopra indicata, per esempio il quarto di superficie sferica compreso fra i piani xy ed x2, @ patto naturalmente di raddoppiare il risultato. Con un ragionameuto analogo ai precedenti si può far vedere, che se l'elemento do giacente in O nel piano #2 può essere percosso dai ioni su entrambe le faccie, l’effetto complessivo è nullo. Infatti si ha per risultato zero quando alle x e v dovute ai ioni partenti dai precedenti punti (x5 , Yo » 0) @ (Zo Yo, — &o) Si aggiungono quelli partenti dai punti simmetrici a questi rispetto all'asse 0z. Ne risulta che una lamina mobile non ha tendenza a spostarsi se i ioni possono liberamente giungere sulle sue due faccie. 5. L'integrazione necessaria per calcolare l’effetto risultante dei ioni partenti dalla semisfera, nel cui centro si trova l'elemento do giacente nel piano x, è facilissima per quanto riguarda le componenti « parallele all’ele- mento do, ma non certo per le v normali all'elemento stesso; fortunatamente però non occorre tener conto di queste, come si vedrà più oltre. La risultante delle v relative ai punti di partenza (xo , yo ; 60) € (2030; — go) è, come si è detto poc'anzi, il doppio della % (9) cioè: u=— kocos(c9 + 6):sena. Componiamo coll’effetto di questi due punti quello dei loro simmetrici rispetto al piano yz, cioè quello dei punti (— x5, Yo» 80) O(— X0, Yo, — 80). La « per questi due punti presi insieme si ricaverà dall’ultima equazione RenpIcoNTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 118 — 902 — scritta cambiando segno ad ,, ossia cambiando 0 in r7—@, e si trova: cos(a, — 0) sen &o Sommando questo valore col precedente si avrà la relativa al sistema dei quattro punti, e precisamente: n= se | (cos (eo — 0) — cos(a, + 6 | ) Sen ©) od anche: u=2%esen@. Con questa formola si dovrà evidentemente estendere l'integrazione sol- tanto all'ottavo di sfera compreso fra le direzioni positive dei tre assi, e tale integrazione riesce facilissima. Sia ds l'elemento della sfera di raggio 7 e centro O che si trova in (xo Yo 3 60). Chiamando % l'angolo fra Oz e la retta OM, che va dall’ori- gine O al punto (xo, Yo 0) Sarà o=7seng, e ds=7?°d0sengpdp. Ciò posto la quantità di moto dg parallela ad Ox recata nell’ unità di tempo all'elemento do dai ioni provenienti dai quattro punti considerati più sopra è: dq=ndsdo.u.m dove il primo fattore rappresenta il numero dei ioni che vanno da ds a do nell'unità di tempo. Mettendo per w, ds e 0 i loro valori si ha: iS dg=ndo .r*d0sengdg .2krsengsen0 . m Hr To q= 2kmnr® do sen? g dp sen 0 d0. 0 0 Integrando e ponendo: A =nkmnr3 = nHenr? e quindi: si ha finalmente: (10) q=/s Ado per la quantità di moto riferita alla unità di tempo dovuta a tutti i ioni che colpiscono una faccia di un elemento do parallelo alla direzione del campo. La sua direzione è parallela all’elemento e perpendicolare al campo. 6. È ora facile il calcolare l’azione prodotta sul corpo girevole intorno ad un asse verticale, come nelle esperienze da me descritte. Considererò come primo esempio quello d'un parallelepipedo retto gire- vole intorno alla congiungente dei centri delle sue due faccie orizzontali. Il campo magnetico si suppone sempre diretto verticalmente. Siano 4,0 gli spigoli orizzontali, e c quello verticale. L'effetto delle componenti normali v sopra un dato elemento della superficie del corpo es- — 903 — sendo controbilanciato da quello prodotto sopra un corrispondente egual ele- mento della faccia opposta, basterà tener conto, come del resto si avvertì già, delle componenti orizzontali « parallele agli elementi. Ora essendo /sAdo la quantità di moto recata dai ioni nell’ unità di tempo ad un ele- mento do, per l’intera faccia di area ac, essa sarà !/» A.ac, ed il suo mo- mento rispetto all'asse di rotazione sarà VA 40.5, ossia 1/, A abe. Per ciascuna delle faccie d’area de si avrà un egual valore. Quindi per le quattro faccie laterali il momento w della quantità di moto, che supporemo integral- mente trasmessa dai ioni al corpo mobile, sarà: u= Aabe=AU se con U si rappresenta il volume del parallelepipedo. Questo è l’effetto totale, perchè gli urti ricevuti dalle faccie orizzontali hanno momento nullo. In modo analogo si tratta il caso d'un cilindro verticale mobile intorno al proprio asse. Sia R il raggio della sua sezione ed L l’altezza. Poichè !/»Ado.R è il momento della quantità di moto data nell'unità di tempo ad un elemento do, quello u relativo all'intera superficie laterale 277 RL del cilindro sarà u=AnR*L=AU, indicando qui pure con U il volume del corpo sospeso. Identico risultato si ottiene con corpi d'altra forma, per esempio prismi, coni, sfere, ecc. Dalla formola u=AU=7Henr3 U si deducono queste conseguenze, e cioè che il momento w: 1° è proporzionale all’intensità del campo magnetico; 2° è indipendente dalla grandezza della velocità V attribuita ai ioni, ciò che si comprende pensando, che aumentando V ogni ione è meno deviato dal cammino rettilineo che seguirebbe qualora non esistesse il campo, nel qual caso naturalmente non si producono rotazioni; 3° è proporzionale al volume del corpo mobile; 4° è proporzionale ad 7 e a 7°; ma da ciò non si possono trarre conseguenze sicure, circa l'influenza della rarefazione del gas. Infatti 7 cresce verosimilmente se si diminuisce la pressione del gasi; ma in pari tempo cala 7, perchè diminuisce il numero di molecole e quindi anche dei ioni presenti. La formola precedente si può d'altronde generalizzare assai. Limitandoci al caso d'un corpo di rivoluzione mobile intorno al proprio asse di figura verticale Oz si immagini tracciata nel piano «2 la. sua curva meridiana, e sia dl un elemento di essa, di coordinate x e z. Colla rotazione intorno all'asse Oz, mentre la curva suddetta genera la superficie esposta all’ urto — 904 — dei ioni, l'elemento lineare 47 descrive un'area 2777. dl. Su ciascun ele- mento superficiale do di essa gli urti dei ioni hanno per effetto di comuni- care ad esso una quantità di moto ’/, A cos f . do diretta secondo la tangente orizzontale, essendo f# l'angolo compreso fra Oz e d2. Infatti, non si deve tener conto delle componenti di velocità parallele ad Oz o che incontrano questo asse, perchè hanno momento nullo; e nella espressione della componente efficace si deve porre Hcosf al posto di H, visto che l’azione su un elemento perpendicolare al campo è nulla. Il momento di detta quantità di moto rispetto all'asse di rotazione è !‘/-Acosf.do.x, e per l’intera area generata dalla rivoluzione dell’ele- mento dl è !/s Acost.27x.dl.x, od anche 7Ax*dz, perchè si ha de=dlcosf. Per l'intera superficie di rivoluzione il momento della quantità di moto dovuta all'urto dei ioni nell'unità di tempo sarà dunque Aaa dove l'integrazione va estesa a tutta la curva meridiana. Evidentemente Sasa non è altro allora che il volume U del corpo mobile; dunque wu = AU. Nello stesso modo che la quantità di moto comunicata nell’ unità di tempo coi loro urti dalle molecole di un gas alla parete del recipiente equivale ad una forza continua, che è la pressione del gas, così il momento della quantità di moto comunicata nell'unità di tempo dai ioni al corpo gi- revole equivale ad una coppia agente in modo continuo. Se il corpo è sospeso ad un filo, tale coppia potrà essere equilibrata dalla elasticità di torsione, del filo stesso, ed allora l'angolo di torsione, che a quella è proporzionale, fornirà una misura relativa della detta coppia. Di qui la possibilità di ve- rificazioni sperimentali delle conclusioni tratte dalla teoria, ed enunciate più sopra. Nel caso degli urti delle molecole gassose si ritiene che esse rimbalzino sulla parete urtata; nel caso di ioni nulla di sicuro si può per ora asserire, ed è possibile che essi restino sul corpo girante. WWEsi può fare una obbiezione contro la legittimità del calcolo esposto alla fine del S 5, col quale sì è giunti alla formola g=/» A do. Si supponga sempre l'elemento do collocato in O nel piano x, e anzi lo sì consideri effettivamente come uno deyli elementi di una faccia piana appartenente al corpo esposto all'urto dei ioni. Ora accade, che per certe posizioni attribuite al punto (xo, %o 40) Sulla sfera di centro 0 e raggio 7, la traiettoria porcorsa dai ioni partenti da quel punto prima di giungere in O incontra altrove (punto N sulla figura) il piano ze. Sembra dunque — 905 — che il risultato del calcolo del $ 5 sia errato, perchè non si dovrebbe tener conto, come invece si è fatto, degli urti di quei ioni, che non raggiungono l'elemento do. Se non che, se il punto N fa parte della stessa superficie piana di cui do è uno degli elementi, ha luogo una compensazione pel fatto, che l'effetto prodotto dall’ urto dei ioni in N equivale esattamente a quello, che i ioni stessi avrebbero prodotto arrivando sino in O. Infatti, il punto N è caratterizzato dall'essere y=0 e z (e quindi anche «) differente da zero. Ora se nella seconda delle (5), dopo avervi in- trodotto nel posto di x, e w i valori (6), si pone y=0, si trova dopo alcune opportune trasformazioni : sena. sen(a + a, + 0)=0 e poichè a non è zero: a=—@,—0. Ponendo questo valore di « nella prima delle (8) si trova per la com- ponente secondo x della velocità con cui il ione urta il piano «e: valore identico a quello di w delle (9), che è la componente secondo x della velocità con cui il ione urterebbe il piano medesimo, se arrivasse sino ad O. Mancherà questa curiosa compensazione solo per elementi marginali dalla faccia piana, di cui do è l'elemento in O; ma l’errore rimanente sarà trascurabile, per poco che la faccia stessa abbia dimensioni grandi in para- gone di 7. Per una superficie curva sarà la stessa cosa, purchè il raggio di curvatura sia grande in confronto di 7, ciò che praticamente può conside- rarsi come quasi sempre verificato. 8. L'esposta teoria mette in chiaro il meccanismo e l’essenza stessa del fenomeno delle rotazioni ionomagnetiche, e perciò con essa viene rag- giunto lo scopo che mi ero prefisso; però essa presuppone condizioni di uni- formità e di simmetria, che non sempre possono essere sperimentalmente realizzate. Non lo sono, per esempio, quando la ionizzazione del gas viene pro- dotta mediante scariche esplosive, come nella mia prima disposizione spe- rimentale. Ioni ed elettroni sono allora lanciati in ogni direzione intorno alle scintille con così considerevoli velocità da dar luogo ad effetti meccanici assai notevoli, ed il corpo girante è investito dai ioni assai più dalla parte che guarda verso le scintille che dalla parte opposta. Oltre a questa dissimetria, il fatto stesso del possedere molti dei ioni velocità assai grandi fa sì, che il loro ultimo percorso libero possa assumere valori assai più grandi di quello precedentemente ammesso come valore medio di 7. — 906 — Questa circostanza si può invocare per rendere conto della mia prima esperienza di rotazione ionomagnetica, quella, cioè, della rotazione d'una specie di mulinello ad alette piane verticali. Per spiegare tale fenomeno supposi appunto che ogni aletta riparasse in parte una delle sue vicine dal bombardamento dei ioni, con che si am- mette per una porzione almeno dei ioni un non piccolo libero cammino prima del loro urto sul corpo mobile. Per tentare qualche verificazione sperimentale dei risultati teorici enun- ciati nel $ 6, sarebbe quindi necessario di ionizzare il gas, non col metodo tanto efficace delle scintille, ma in qualche altra maniera; gli effetti osser- vabili sarebbero però, così facendo, di gran lunga meno marcati. Geologia. — Fossili paleozoici dell’ isola d'Elba. Nota del Socio CARLO DE STEFANI. Nel 1892 e nel 1893 io trovavo nella parte orientale dell’isola d’ Elba, alla Cala Baccetti presso il Cavo nei più alti strati di quella regione mi- neraria schistoso-arenacea, cioè negli schisti filladici scuri, un giacimento di fossili che, sebbene mal conservati, subito apparivano paleozoici. Li attri- buivo da prima al Devoniano (1); ma un più attento esame e la successiva comparsa di numerosi lavori sui fossili del Paleozoico più recente, mi hanno persuaso che piuttosto si tratti di Carbonifero. Alcuni fossili, come le Myalinae, si trovano a centinaia, uniti, da vivi, da un bisso: fra questi sono dei noduli, di rado silicizzati, il più spesso cambiati in limonite, che in origine sarà stata pirite, nei quali compaiono in variabile numero le altre specie. Sono per lo più tutte di piccole dimen- sioni, del tipo, si direbbe, della fauna triassica detta di San Cassiano. Fra le specie predominano quelle del genere Schicodus, e la fauna quasi si potrebbe dire di Schizodus. Fuori dei molluschi, quasi mancano altri tipi. I fossili esaminati, come la roccia che li contiene, sono per lo più tutti screpolati e incrinati da fenditure: cioè, direbbero alcuni, milomitizzati; ma i singoli esemplari sono rimasti in posto. Evidentemente, durante lo sposta- mento e le ripiegature della roccia, risentirono notevoli pressioni. Ecco, senz'altro, un breve accenno delle specie trovate. Crostacei Macruri? Un esemplare in parte silicizzato ed altri frammenti, probabilmente segmenti addominali di un cefalotorace, non saprei attribuirli che ad un decapode, forse vicino ai Palinura. Decapodi, nel Paleozoico, non se ne trovarono mai, salvo il genere Palacopemphix Gemmellaro; ma la (1) C. De Stefani, Gli schisti paleozoici dell’isola d'Elba (Boll. Soc. geol. ital. vol. XIII, 1894, pag. 57). — 907 — superficie del nostro esemplare, se pure si tratti di un cefalotorace, ha par- venza assai meno complicata. Trilobite?? Grandemente incerto è un frammento delle Ripe Bianche il quale potrebbe attribuirsi a lobi pleurali, nel numero di 7, di un pigidio; altro del Cavo, anche più incerto, potrebbe rappresentare una glabella. Crinoidi. Numerosi articoli, alle Pietre Nere e al Cavo, talora riuniti in colonna. Si tratta di un Acfinocrinus; come tale lo determinò anche il Meneghini sopra esemplari trovati alle Pietre Nere dal Lotti. Echinoide-Cidaride. Una placca presenta un tubercolo primario perfo- rato e circa 16 tubercoletti secondarî, i quali fanno pensare ai Cidaroidi. Questi vanno dal Carbonifero inferiore all’attualità. Brachiopodi. Numerose specie ma scarsi individui pessimamente conser- vati: uno solo presentava la superficie intatta con appendici tubiformi, cer- tamente un Productidae. Pare vi siano Orthîs, Strophalosia, Chonetes, Strophomena, Lingula, specificamente indeterminabili; ma non aventi, in ogni modo caratteri neozoici. MOLLUSCHI. LAMELLIBRANCHIATI. Joneia 1° sp. n. Per la forma del corsaletto, della fossa del ligamento esterno, dell'impronta muscolare anteriore, e per la struttura radiale del guscio, la attribuisco a questo genere esteso dal Devoniano al Permiano. So- miglia alla Clinopistha parvula De Kon. del Carbonifere Belga, se pure, come altre Clizopistha, è una Jancia; ma la nostra è assai più grande, più rettangolare, e troncata anteriormente. Janeia 2° sp. n. Per le striature radiali risponde bene al genere. Per la forma della parte anteriore, per la estesa lunula, si avvicina alla J. trua- cata Goldfuss del Devoniano Renano; ma ha dimensioni minori, margine palleare più ovale, umbone più acuto, carena e, rispettivamente, concavità esterne più appariscenti. Sanguinolites sp. L’impronta muscolare anteriore e il modo di bifor- cazione delle carene sono come in questo genere del Carbonifero, nel quale sono confusi tipi diversissimi, anche di terreni più antichi. Il S. Selysianus De Kon. del Carbonifero Belga è vicino, specialmente tenendo conto che la figura accenna una seconda piccola carena non indicata nella descrizione; ma è più allungato e, nella parte posteriore, più alto. Solenopsis sp. n. Genere esteso dal Devoniano, e forse dal Siluriano, al Carbonifero. La S. (modiomorpha) attenuata Whiteaves del Devoniano del Manitoba in Canadà, somiglia; ma è più grande, meno triangolare, con parte anteriore meno concava sotto gli umboni e 2 coste superficiali, invece di 3. Cardiomorpha sp. n. Genere esteso dal Devoniano, anzi probabilmente dal Siluriano al Permiano. La €. alata Sandb. del Devoniano di Germania — 908 — ha carena più acuta, ma meno alta; la €. modzoliformis King del Per- miano inglese, è meno quadrata. Cardiomorpha alia sp. La Cardiomorpha (?) sp. Girty del Carboni- fero superiore dell’ Idaho somiglia; ma la nostra è più rettangolaro, più tron- cata alle estremità, più piatta, con umboni più depressi. Palaeoneilo cfr. lamellosa Beushausen. È per lo meno assai vicina a questa specie del Coblenziano inferiore di Germania, se non la diversifica la carena posteriore che mi pare più evidente. Il genere va dal Siluriano infe- riore al Trias. I Palaconeilo sp. n. Per la situazione anteriore dell'umbone somiglia alle P. (Nucula?) inconspicua De Kon. e P. (Nucula?) calliculus De Ryck. del Carbonifero Belga; ma queste, del resto di genere tuttora incerto, sono meno gonfie ed hanno il margine palleare assai convesso. Palaconeilo alia sp. n. La forma quasi triangolare, l'essere più inequi- laterale, il margine palleare assai arrotondato, la poca appariscenza della sinuosità posteriore, il numero e la forma dei denti, distinguono abbastanza bene questa specie. Nucula sp. n. Il genere visse dal Siluriano in poi. La N. grandaeva Goldf. e la V.? erratica Beush. del Devoniano di Germania sono meno ar- rotondate. L'umbone voltato all’innanzi nella nostra specie, è raro nel Pa- leozoico, comune nei tempi successivi. La fossetta ligamentare, situata un poco avanti all'umbone, è carattere da Ctenodontae paleozoiche. L’impronta muscolare accessoria fra l'apice e la parte posteriore, è carattere di MNuculae e Ctenodontae paleozoiche. Macrodon 1° sp. n. Comunissima. Il genere va dal Siluriano al Car- bonifero. Tipi identici a quello del Paleozoico sono incerti nel Trias. La piccolezza dell'area ligamentare avvicina questa specie a quelle Devoniane. Macrodon 2° sp. n. Ha grandissima analogia col M. (Parallelodon) multiliratus Girty del Carbonifero dell'Oklahoma e dell'Arkansas, del quale però non si conosce il cardine, e che è più grande e meno allungato. Cucullella sp. n. La forma trapezoidale, il cardine rettilineare, i denti verticali del cardine posteriore agli umboni, le impronte pediose fanno attribuire la specie a questo genere che principia nel Siluriano e finisce nel Devoniano medio. Alcune forme della €. elliptica Maurer del Devoniano germanico si avvicinano; ma la nostra è più rettangolare e, anteriormente, più troncata. Conocardium sp. n. Il genere va dal Siluriano al Carbonifero. Somigliano alquanto il C. cifeltense Beush. del Devoniano tedesco, il C. intermedium de Kon. del Carbonifero inferiore Belga, il C. uralicum Verneuil del Carboni- fero superiore dell’ Urale e di Sumatra. Myalina 1° sp. n. Combina, per la forma, con le M. allungate, ornate da strie radiali comuni nel Devoniano; e per l'ornamentazione sarebbe inter- — 909 — media fra la M. fenuistriata Sand. e la M. Beushauseni Frech del Devo- niano germanico. Il genere, secondo alcuni, è Siluriano e Devoniano; ma, secondo altri, è pure Carbonifero. Myalina 2° sp. n. È la specie più comune, essendo state unite dal bisso intere colonie di centinaia d'individui di grandi dimensioni. La fos- setta apicale per il bisso ben distingue tale specie dalle Anzhracopiera del Carbonifero. Essa ricorda la M. dilsteinensis F. Roemer del Devoniano di Germania, ma è molto meno rigonfia. Anche la MM. subquadrata Shumard, tanto comune nel Carbonifero superiore d'America, è vicinissima; però sembra che la parte infero-anteriore sia, in questa, più sporgente e più carenata, a con- chiglia solida, quadrata, con umbone tendente all'indietro. Schisodus 1° sp. n. Vicino, ma diverso dallo S. (Myophoria) truncatus Goldf. del Devoniano renano, dallo S. (Dolabra) equilateralis M. Coy del Carbonifero d' Irlanda, e dal M. (Protoschizodus) insignis De Kon. del Car- bonifero Belga. Il genere comincia nel Siluriano e, come Miophorza, termina nel Retico. Schizodus 2° sp. n. Per la sua altezza è sufficientemente distinto dalle altre specie note. È triangolare, con angolosità ventrale, umboni tendenti all'indietro. Schizodus 3° sp. n. Ricorda lo S. (Miophoria) transrhenanus Beush. lo S. (Myophoria) Johannis Beush. del Devoniano e lo S. (Axznus) obseurus Sow. del Permiano d'Inghilterra e di Germania. È rotondeggiante, poco ri- gontio; umboni vòlti all’ innanzi. Schizodus 4% sp. n. Comune: assai allungato posteriormente. Somigliano lo S. (Myophoria) Holeapfeli Beush. e lo S.(Myophoria) inflatus A. Roemer, del Devoniano, lo S. Ferreri Girty e lo S. batesvillensis Weller del Car- bonifero degli Stati Uniti d'America, lo S. Sehlotheimi Gein. del Permiano. Schizodus 5° sp. n. Piccolo, trigono. Molto vicino allo S. Roemeri Beush. del Devoniano ed allo S. Wortheni De Kon. del Carbonifero. Schizodus 6° sp. n. Affine allo S. (Myophoria) schwelmensis Beush. del Devoniano Renano. È quasi ovale, rigonfio; umboni vòlti all’innanzi. Schicodus 7° sp. n. Molto analogo, però diverso, dallo S. obscurus Sowerby del Permiano d'Inghilterra. Molto allungato trasversalmente, con due sottili creste posteriori. Schtsodus 8° sp. n. Quasi tetragono; umboni volti all’innanzi. Assai più breve dello S. Holzapfelt Beush. del Devoniano. Schisodus 9% sp. n. Liscio, umboni appena voltati indietro con 2 carene posteriori. È un tipo più vicino a quelli del Trias (Myophorize) che non a quelli del Paleozoico. Schizodus 10° sp. n. Ovato, posteriormente cuneiforme, quasi triango- lare, con due o tre distinte pieghe anteriori. Lo .S. obseurus Sow. del Per- miano somiglia alquanto; ma più ricorda le vere 7rigonzidae del Secondario. RENDICONTI. 1914. Vol. XXIII, 1° Sem, 119 910 Schizodus (Myophoria)? sp. n.? Frammento anteriore di valva sinistra con 7 od 8 coste radianti. Somiglia notevolmente alla Buehiola imbricata Beush. del Devoniano, ma pure a certe Myophoriae triassiche, p. es. alla M. ornata Miinster del Trias alpino; e ritengo che preferibilmente debba avvicinarsi a questo tipo. Modiola sp. Il genere rimonta al Devoniano. La M. reniformis De Kon. del Carbonifero Belga è più lunga, più alta anteriormente. Goniophora sp. Il genere va dal Siluriano al Carbonifero. La G. Sehwerdi Beush. del Devoniano è meno quadrata e con la carena non rettilineare ri- spetto alla nostra. Allorisma cfr. corbuloides Beushausen. Il genere va dal Devoniano al Permiano; la specie sarebbe del Devoniano di Germania. Dubitavo si trat- tasse di una Zeda; bensì in tutti i cardini delle Nucul/idae fossili si vedono così bene i dentini che quasi non si può sbagliare: e qui mancano. Vero è che la specie del Devoniano ha una lunula poco marcata; ma l'esemplare tipico ha il guscio, mentre il nostro è un nucleo. Lucina sp. Attribuiscono le forme paleozoiche al genere Paracyelas che parmi assolutamente sinonimo. Per lo meno nella forma e nel margine palleare integro la nostra specie somiglia alla Z. (Paracyclas) dubia Beush. del Devoniano Renano, SCAFOPODI. Plagioglypta cfr. eyrtoceratoides De Kon. Comune. Il genere va dal Carbonifero al Trias. La specie citata fu descritta come Ertalis dal Carbo- nifero Belga. GASTEROPODI. Lepetopsis sp. n. La L. (Umbrella) laevigata M. Coy del Carbonifero d'Irlanda è più regolare, con apice più eccentrico senza tendenza di curva- tura all’innanzi. Il genere va dal Siluriano al Carbonifero, forse al Per- miano. Bellerophon antracophilus Frech. La specie fu trovata nel Carbonifero dell’ Ungheria e della Slesia. Il genere va dal Siluriano al Permiano. Euphemus sp. n. È vicino al Z. Urei Flem. comunissimo nel Carbo- nifero; ma le costole longitudinali vi sono circa 16, invece che 25 a 30. Il genere va dal Devoniano al Permiano. Murchisonia 1° sp. n. Somiglia alle forme Devoniane e Carbonifere in- dicate col nome, un po’ vago, di M. angulata Phillips; ma ad ogni modo si distingue dal tipo. Il genere comune nel Devoniano è raro e finisce nel Trias. Murchisonia 2° sp. n. Si può ravvicinare alla M. tricincta Miinster del Devoniano inglese. Murchisonia 3° sp. n. A prima giunta si prenderebbe per un Po/y- phemopsis: ma la presenza di 7 od 8 costoline trasversali la allontana. — 911 — Rispetto alla M. acuta De Kon. del Carkonifero Belga la nostra specie ha spira assai più breve, ultimo giro assai più grande. Ivania sp. n. Per tracce di nodosità longitudinali sì distingue dalle altre specie note. Ivazia o Baylea è un sottogenere delle Murchisonia che sì trova nel Devoniano e nel Carbonifero. Naticopsis sp. n. Comunissima e talora ben conservata. L' ingrossamento calloso sulla columella distingue il genere, esteso dal Devoniano al Trias, dai generi Strophostylus, Diaphorostoma, Turbonttella. Macrochilina 1° sp. n. Vicina alle M. maculata De Kon., conspicua De Kon. e tumida De Kon. del Carbonifero Belga. Il genere durò dal De- voniano al Permiano. Macrochilina? sp. n. La M. (Macrochéilus) Barroisii Gemmellaro, dal Permiano di Sicilia ha l'ultimo giro più gonfio e la spira più ottusa. Loxonema sp. n. Il genere va dal Siluriano al Trias; ma forme assai affini seguitano in terreni più recenti. Sono vicini il Z. Roemeri Kayser del Devoniano dell'Harz, il £. strigilatum De Kon. del Carbonifero Belga, e il Z. (Turbonilla) Montis Crucis Stache del Permiano Tirolese. Holopella? sp. Forma incerta, vicina alla 7. varicosa Holzapfel del Devoniano; però, senza varici. Turbonitella sp. n. È meno gonfia e meno ottusa della 7. subcostata Goldfuss del Devoniano Renano. Il genere è Devoniano e Carbonifero. CEFALOPODE. Un unico frammento, con lobatura semplicissima, ha l'apparenza di un Nautiloide. La Fauna è ben poco suscettibile di paragone con altre già note, e piuttosto che alle singole specie, bisogna guardare al loro insieme. Alcune specie si potrebbero avvicinare ad altre Devoniane, come la Palaeoneilo cfr. lamellosa, la Allorisma. Qualche Schizodus e la abbondante Myalina potrebbero unirsi a forme Devoniane e Carbonifere; la sola Modzola risponde ad una incerta specie del calcare a Bellerophon Permiano del Tirolo; il solo Be/lerophon anthracophilus, e forse la Plagioglypta, rappresentano specie note del Carbonifero. Fra i numerosi Schigodus sono alcuni tipi simili a qnelli del Trias, ed uno perfino alle 7rigoniae più recenti. Alcuni generi (Ctenodonta, Pla- gioglypta, Murchisonia, Naticopsis, Loxonema) si estendono dal Paleozoico al Trias, e gli Schizodus o Myophoria fino al Retico; altri (Nucula, Mo- diola, Lucina) dal Paleozoico arrivano fino ad oggi. Parecchi altri generi invece non giungono al Trias. Alcuni cessauo nel Permiano (Janeia, Car- diomorpha, Allorisma, Bellerophon, Euphemus, Macrochilina); altri nel Carbonifero (.Solezopsis, Macrodom, Conocardium, Myalina, Goniophora, Le- petopsis, Ivania, Turbonitella). Nel Devoniano, mancando nel Siluriano, prin- eojo > cipiano i generi Jareza, Solenopsis, Modivla, Allorisma, Euphemus, Murchi- sonia, Ivania, Naticopsis, Macrochilina, Turbonitella. Il solo gen. Cucullella è, per ora, proprio del Devoniano; il solo Sarguzzolites, del resto incerto, è Car- bonifero. Per queste circostanze si potrebbe essere incerti fra Devoniano e Car- bonifero. I Brachioppodi, pessimamente conservati, escludono il Secondario. La mancanza di specie di Brachiopodi ben conservati, di buoni Trilobiti e di Corallarii, non permette una esatta determinazione, e lascia incerti pure sull’appartenenza ad uno o ad altro piano del Carbonifero. Pei rapporti con specie Devoniane, non sì può escludere che si tratti di Carbonifero infe- riore; mentre certi rari rapporti con forme secondarie avvicinerebbero i fos- sili al Permiano. Probabilmente si tratta di Carbonifero medio o superiore. Dì fronte alla medesima incertezza si trovarono autori che trattarono di altre faune carbonifere d' Europa. Nelle vicinanze del Cavo furono già da tempo trovati dei fossili. Presso Vigneria il Lotti trovò esemplari mal conservati che Meneghini attribuì a Orthoceras sp., Cardioia cfr. Bohemica Barr., Actinocrinus sp. la stessa trovata al Cavo, Monograplus sp., quest ultimo del M. Arco. Il Meneghini stesso ritenne questi fossili Siluriani. Tra Capo Pero e la Cala del Tele- grafo il Fossen raccolse alcuni Urinoidi, che il Meneghini dubbiosamente ri- portò al Carbonifero (*). De Angelis, in seguito, trovò nella stessa regione, a Vigneria presso Rio Marina, una impronta di pianta che attribuì ad Astero- phillites, genere Paleozoico che principia nel Devoniano e ritenne che quei terreni dovessero attribuirsi piuttosto al Carbonifero che non al Siluriano, come prima si credeva (?). i Finalmente il Sacco, dal Malpasso a Ripabianca, trovò una Yezestella, giudicata dal Gortani vicina alla 7. Veneris Fischer del Carbonifero (*). È molto probabile che questi fossili, ed i terreni che li racchiudono, appar- tengano tutti alla medesima età di quelli da me descritti. Il Lotti distinse nella regione orientale dell’ Elba, cominciando dal basso: 1°) Schisti carboniosi Siluriani; 2°) schisti micaceo-arenacei, dubbio- samente cardoniferi; 3°) arenarie, puddinghe permiane. Già sostenni che tale distinzione litologica non regge, essendo i detti strati replicatamente alternanti; e di questo parere sono pure il De Angelis ed il Sacco. Dovreb- besi ora ritenere che neppur paleontologicamente si possano scindere e che appartengano tutti al Carbonifero. Con altri terreni carboniferi d'Italia è difficile il paragone. Nel monte Pisano trovansi dei molluschi entro rocce sottostanti al Carbonifero superiore, che il Fucini attribuisce alla Creta. (*) B. Lotti, Descrizione geologica dell’isola d'Elba. Roma 1896, pp. 31 e 35. (?) G. De Angelis, Sopra il primo fossile vegetale trovato negli schisti carboniosi paleozoici dell'Elba orientale (Boll. Soc. geol. ital., vol. XIII, 1894, pag. 176). (*) F. Sacco, Rinvenimenti di fenestelle all'Elba (Boll. Soc. geol. ital., vol. XXXII, 1913, pag. 439). Î — 913 — Gli strati più alti, a piante, non contengono fossili marini: nè si conoscono nel Westfaliano delle Alpi occidentali, o nel Carbonifero superiore di Sar- degna. Vene sono negli strati di Jano; per un supposto Productus horridus, che poi si trovò inesattamente determinato, questi furono creduti da alcuno Permiani: ma in realtà appartengono al Carbonifero superiore Stefaniano, Però di quei molluschi non fu mai pubblicata l'illustrazione. Pure difficile è il paragone col Carbonifero e col Permiano delle Alpi Carniche, coi quali non è ben nota, per ora, comunanza di specie. Meccanica. — Sul problema dei due corpi nel caso di masse variabili. Nota del dott. ing. G. ARMELLINI, presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. 1. Nel 1884, Gyldén pubblicava (*) una Nota Sul problema dei due corpi nel caso di masse variabili, riducendolo ad equazioni che egli chiama funzionali e che in realtà non sono altro che equazioni integro-differenziali. Le coordinate incognite È ed n vengono infatti date dal sistema (ee CBA (1) Questa via abbandonata dai matematici come un’inutile complicazione viene ora ripresa dal Tommasetti e dallo Zarlatti (*). Non sembra però che il metodo delle equazioni integro-differenziali dia nuovi risultati; ed infatti le quattro proprietà della traiettoria che i due autori dimostrano ed indicano con le lettere @) #) y) d), e l'equazione in coordinate polari a cui arrivano erano già state precedentemente pubblicate da me (*) in due Note apparse su questi Rendiconti. Poichè gli autori non fanno mai il mio nome, io do- mando all'Accademia il permesso di stabilire la mia priorità, tanto più che è necessario di rettificare alcuni errori in cui essi sono caduti. 2. Il Tommasetti e lo Zarlatti dànno grande importanza al caso di masse sempre decrescenti, per lo studio delle orbite cometarie. Essi scrivono infatti (Bulletin, pp. 156-157). « Ainsì p. ex. considérons une comète periodique; si nous supposons, « comme l’observation l'a confirmé en quelque cas, que dans le voisinage x « du périhélie, à cause des actions solaires, quelque soit leur nature, se (1) Die bahnbewegungen in einem Systeme ece.. Astron. Nach., 2593. (*) Comptes Rendus de l’Académie des Sciences de Paris (séance du 13 octobre 1913); e: Bulletin de l’Observatoire de Paris (avril 1914). (3) Questi Rendiconti, sedute del 17 dicembre 1911 e del 2 marzo 1913. — 914 — « produit une dissipation de matière, le noyau de la comète après le passage «au périhélie décrira une trajectoire dont tous les éléments sont grandis (?) « Nos resultats confirment l’'idée de quelques astronomes que toutes les « comètes quasi paraboliques on hyperboliques ont été elliptiques ». Cominciamo ad osservare che il piano dell'orbita resta matematicamente invariabile, qualunque sia la diminuzione o l'aumento di massa; è erroneo quindi scrivere che tu// gli elementi sono « grandis », giacchè l'inclinazione e la longitudine del nodo rimangono invariabili. Occorre anche ricordare che l'orbita relativa di una cometa, non dipende nè dalla propria massa w, nè da quella del sole M, ma soltanto dalla somma M-+ w. Ora w è sempre così piccolo rispetto ad M, che noi possiamo asserire che la trazettoria di una cometa è fisicamente indipendente dalla propria massa. Ciò è tanto vero che noi calcoliamo con la più grande esattezza l'orbita e le pertur- bazioni di una cometa, senza conoscerne la massa. Anche se la massa di una cometa si riducesse, supponiamo pure, alla sua centesima parte, l'orbita resterebbe identica dentro al limite degli errori dell’osservazione. Ma vi è di più. L'aumento secolare della massa solare M, per quanto piccolo, è certa- mente superiore all’ipotetica diminuzione di cui è suscettibile la massa di una cometa. Qualunque sia quindi la cometa che noi studiamo, la quantità M + w è una funzione crescente del tempo. Perciò da questo lato, se non sussistono altre cause di perturbazione, non solo non è vero che l'orbita da ellisse si cangi in parabola, come scrivono il Tommasetti e lo Zarlatti, ma in qualche caso può avvenire esattamente il contrario. 8. Osservo ancora che, dal lato analitico, il problema dei due corpi con masse sempre decrescenti, si riconduce facilmente al caso di masse sempre crescenti. Sia infatti F(/) una funzione decrescente dell'argomento £; la so- luzione e lo studio del problema dipendono dall’equazione: dr Ca _F(6) (2) dp pi È pa Facciamo nella (2) £= — 7 e poniamo F(#)= w(7): avremo essendo d*r d?r URTVEDÌ (8) PE da? "i vg 7 Ora nella (3) (7) è una funzione crescente di 7, se quindi immagi- niamo studiato il movimento definito dalla (3), potremo anche considerare come studiato il movimento definito dalla (2). 4. Il Tommasetti e lo Zarlatti danno nella loro Nota tre leggi del movimento che indicano con le lettere @) 8) y) e, nel Bollettino ne aggiun- — 915 — gono una quarta che indicano con la lettera d). Scrivo in colonna le une accanto le altre le leggi del Tommasetti e dello Zarlatti e le mie. Bene inteso, tolgo le parole tra parentesi che si riferiscono alle masse decrescenti, e che, per quanto ho detto, non ci dànno nulla di nuovo. ARMELLINI. Legge VII. « Se in un istante qualsiasi /, la conica osculatrice alla traiettoria è un’ellisse o una parabola, in tutti gl’istanti successivi la conica osculatrice sarà certamente ellittica ». (Nota II, pag. 298). Teor. II. «|Se M(t) diviene 00 per f= 00] e se 7 ammette un li- mite superiore L, allora crescendo il tempo, 7 diviene minore di ogni quantità assegnata ». (Nota I, pag. 683). Legge VI. « Se in un istante qual- siasi la differenza tra la semiforza ‘viva e la funzione delle forze per il punto B è nulla o negativa, allora [se M() diviene 00 per £t= 0] cre- scendo il tempo 7 diviene minore di ogni quantità assegnata ». (Nota II, pag. 296). « Affinchè l’urto dei due corpi (in senso fisico, cioè affinchè 7 divenga < «) avvenga certamente, qualunque siano le condizioni iniziali del moto, non basta che M(t) divenga co per t=%; ma occorre che essa lo di- venga di ordine non inferiore al primo. Per es. se la massa solare erescesse secondo la legge a +d|/t, alcune comete iperboliche potrebbero sfug- gire alla sua attrazione ». (Nota II, pag. 299). TOMMASETTI @ ZARLATTI. e) « Pour F(t) croissant, si è un instant #, la conique osculatrice est une ellipse ou parabole, en tous les instants successifs elle sera toujours elliptique ». (Bulletin, page 156, et C. R.). 8) « Si F(‘) pour #= 00 tend vers 00, et si 7 admet une limite supé- rieure R, on a limr=0>. ti=0%0 (Bulletin, page 157, et C. R.). y) Si à un instant donné la co- nique osculatrice est une parabole ou ellipse et lim F(1)= co il en resulte t=0%0 lim7=0. t==00 (Bulletin, page 159, et C. R.). d) « Pour toute loi F(/) telle que lim F(4)= Lon (A) où 0LnK<1, t=% =00 quelque cométe hyperbolique pour- rait échapper à l’attraction du so- leil ». (Bulletin, page 159). « Si lim F(4)=lim|A|{ 0u 251, i=0%0 i=% on a le choc ». (Id., page 158). — 916 — 5. Come il lettore vede i risultati sono identici. Dobbiamo però osser- vare che è erroneo asserire come fanno il Tommasetti e lo Zarlatti, nelle proprietà 8) e y) che lim7=0; noi sappiamo solo, come io pubblico, che 7 i=% diviene inferiore ad ogni quantità assegnata: cioè che è sempre possibile trovare un istante i, tale che in esso sia r<&; o, in altre parole, che esso ha per limite 2rferzore lo zero. Ed è facile anzi di costruire degli esempi in cui, benchè r rimanga sempre minore di L, e benchè M(t) cresca all'infinito, pure r non tende ad alcun limite. Il più semplice è di supporre che la massa solare aumenti bruscamente tutte le volte che la terra è al suo afelio. L'orbita terrestre risulta allora composta di una successione di ellissi, la cui distanza perieliaca va sempre decrescendo, mentre la distanza afeliaca resta costante. Se la massa solare crescesse in tal modo all'infinito, il raggio vettore 7° diverrebbe, ad ogni rivoluzione, inferiore ad ogni quantità asse- gnata, perchè la distanza perieliaca andrebbe a zero; ma nello stesso tempo la 7 non tenderebbe ad alcun limite, perchè ad ogni rivoluzione la terra riprenderebbe l’antica distanza afeliaca. L'errore nei risultati proviene dalla mancanza di rigore nelle dimostra- zioni, dove il Tommasetti e lo Zarlatti applicano spesso con poca cautela l'operazione del passaggio al limite; spesso sensa domandarsi nemmeno se questo limite esiste. Per es., volendo dimostrare il teorema #) gli autori dicono: « Pour démontrer la première partie de ce théorème remarquons qu’'à l’instant {= 00 le corps w decrira l’orbite osculatrice limite ». Sarà bene osservare che in molti casi l'orbita osculatrice limite per £#=0 non esiste. Essa esiste soltanto quando gli elementi osculatori per {= co tendono verso limiti ben determinati, e ciò non sempre avviene. La dimostrazione non è quindi soddisfacente. Veniamo al teorema y). Gli autori scrivono che se e(h)<1 si ha e() <1 e ciò è perfettamente vero. Essi ne deducono lim e(6) < 1; e ciò i=% non è esatto. Possiamo vederlo subito tornando a studiare l'orbita terrestre nel caso in cui la massa solare aumenti bruscamente tutte le volte che la terra è al suo afelio. Il valore attuale dell’eccentricità e(1,) è minore di 1; e(t) resta ancora sempre minore dell'unità; eppure il limite per f= 0 di e(t) è precisamente equale ad 1. Infatti la distanza perieliaca tende a zero; c°/F(t) 1 e(6) avere un limite diverso da zero, annullandosi nello stesso tempo il nume- ratore e il denominatore; tutta la dimostrazione è perciò priva di valore. 6. Per giungere all'equazione della traiettoria io comincio dall'espri- mere la somma delle masse M(#) in funzione (approssimata) dell'anomalia vera 4. Giungo in tal modo all'equazione (Nota II, pag. 301) mentre quell’afeliaca resta costante. La quantità potrebbe quindi — 917 — CIA m+ [e + Î À(3) send 29 | cos d — IC + f À(3) cos 4 19 feno u (1) so (1) Il Tommasetti e lo Zarlatti (Comptes Rendus; Bulletin, page 165) partono dall’integrale delle aree add (5) CATE da cui ricavano (supponendo £#= 0 per += 0) 5 (6) el (‘49; Co eseguiscono la quadratura (6) col teorema della media, e ottengono: (7) i=a%., Il Tommasetti e lo Zarlatti cadono anche qui in errore scrivendo, tanto nel Bollettino che nei Comptes Rendus, che @ è una costante incognita. Se a fosse costante, dalla (7) l'anomalia vera d sarebbe proporzionale al tempo t, e l'orbita risulterebbe circolare. L'errore proviene dal fatto che i due autori non hanno posto attenzione al limite superiore dell’integrale (6) che è variabile. In ogni modo giunti a questa, sia pure erronea, conclusione, il Tommasetti e lo Zarlatti non dovevano far altro che sostituire di nuovo il valore di 4 dato dalla (7) nella (5). Avrebbero immediatamente trovato come equazione della traiet- toria un cerchio di raggio "= |/ce . Invece essi hanno amato di seguire la strada già da me battuta espri- mendo, anche loro, le masse in funzione dell’anomalia vera 4. Pongono dunque w(4) = u(ad) e ottengono, (rattando @ come una costante, d? È Dr SIE) Li dé? Digit: race (asino) equazione che naturalmente è erronea; da essa infine ricavano: 1 4; RA sd (5 io pete e (29) cos 9 dI s ni (mag) u(ad)sen os ST gta Ji u 439 Sen Formalmente anche la (8) è errata, giacchè @ essendo funzione di &, non può essere portata al di fuori del segno d'integrazione. Ma soprattutto occorre osservare che, poichè a è una funzione incognita, il problema deve considerarsi come non risoluto. RenDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 120 — 918 — Possiamo però determinare @ con una certa approssimazione ponendo, p. es., u(0)=m+4(9); dove m= u(0) e 4(4) è una funzione che nei casi pratici assume valori assai piccoli di fronte ad 72, e può essere appros- simativamente determinata nel modo che io spiego nella mia seconda Nota. Ma allora si torna alla (4) ed in tale ordine d’idee è a me che spetta la priorità. Il Tommasetti e lo Zarlatti hanno tratto dalla (8) parecchie conclusioni nella forma della traiettoria, sempre supponendo « costante. Inutile dire che tutte queste conclusioni vengono rese prive di valore, dal fatto che a è invece una funzione incognita di d. 7. Domando ora il permesso di riprodurre una parte di una comunica- zione a me diretta dallo Zarlatti, anche a nome del Tommasetti, in cui essi credono di trovare alcuni errori nella mia opera. Poichè in realtà questi errori non sussistono, credo utile di occuparmi della questione con lo scopo precipuo di evitare, un'eventuale inutile polemica. Dice dunque lo Zarlatti: « . + « + . ed è per questa semplice ragione che non abbiamo creduto opportuno di citarle (le mie Note), perchè avremmo dovuto mettere in rilievo degli errori (9? ?) ecc. ecc. i « Secondo le sue Note dei Lincei, p. es. /utfe (92?) le comete iperbo- liche nell'ipotesi di masse crescenti, per leggi F(t) tali che “un n= ai At ove n<1, avrebbero dovuto al limite allontanarsi indefinita- mente dal sole (??), il che è falso. « Inoltre, si rammenti che, nel caso generale, le variazioni dell’eccen- tricità sono dello stesso ordine di quelle del parametro (C. R., e Bulletin) (') quindi (??)., la formola che lei scrive n. AR 09) "ibis o, cos 9 è falsa (99?) ». Evidentemente il Tommasetti e lo Zarlatti hanno letto con troppa fretta i miei lavori, altrimenti si guarderebbero dal trovare erronee delle pro- posizioni, che io non ho mai nè pubblicato, nè scritto, nè pensato. Io ho detto: « Affinchè l'urto dei due corpi avvenga certamente, qua- « lunque siano le condizioni iniziali del moto, non basta che M(?) divenga « 00 per #= 00, ma occorre che lo divenga di ordine non inferiore al primo. < Per es. se la massa del sole crescesse secondo la legge a + d 100 alcune (*) Mi sia permesso di osservare che assai prima del Tommasetti e dello Zarlatti, questa verità era stata dimostrata dallo Stròmgren (Astr. Nachr., 3897); il quale non solo ha fatto vedere che tutte queste perturbazioni sono dello stesso ordine di grandezza, ma ha dato anche formole comodissime per calcolarle. iogo « comete iperboliche potrebbero sfuggire alla sua attrazione ed allontanar- « sene indefinitamente » (Nota II, pag. 299). £ questo è verissimo. Ho scritto dunque « alcune comete iperboliche potrebbero » e non già _ «tutte le comete iperboliche dovrebbero ». Prego caldamente il lettore di verificare la dicitura, per accertarsi egli stesso, con i propri occhi, dell’esat- tezza di quanto scrivo. Del resto, il teorema fondamentale nell’urto, è stato trovato da me (Nota I); ed io non credo di essere illogico a tal punto da dare esempi contrarii ad una proposizione, che io stesso ho scoperto e dimostrato per primo. La seconda osservazione dello Zarlatti non è meno stupefacente. Siamo perfettamente d'accordo che nel caso generale, le perturbazioni dell'eccentricità e del parametro sono dello stesso ordine di grandezza. Ma io ho detto (e l'ho stampato anche in corsivo perchè non sfugga all'at- tenzione del lettore) che la (9) è valida quando la quantità di materia cosmica che cade sul sole, si supponga costante, cioè nel caso în cui la massa sia funzione lineare del tempo. Non comprendo però, perchè il Tomasetti e lo Zarlatti attribuiscono a me la (9). Ogni studioso di mecca- nica celeste sa benissimo che questa formola, che non solo non è errata, ma costituisce uno dei più eleganti risultati ottenuti in questa teoria, è dovuta al Lehmann; ed io ho detto chiaramente nella mia Nota che io non ho in questo altro merito che di esservi arrivato in due righe, partendo dalla (4), mentre il Lehmann v'impiega qualche pagina di calcolo. Non solo, ma ho anche citato scrupolosamente la rivista e il fascicolo in cui il Lehmann la pubblicò. S. Termino questa Nota con una breve osservazione. Alla pag. 160 del Bollettino i due autori arrivano alla seguente conclusione: « Pour F(t) « croissant, l’excentricité des coniques osculatrices est la somme d’une « fonction décroissante du temps et d'un terme osci/lant ». È facile veri- ficare l'inesattezza di questa conclusione ricorrendo al solito esempio del- l'orbita terrestre, nel caso in cui la massa solare aumenti tutte le volte che la terra è all’afelio. Qui l’eccentricità va crescendo e non presenta alcuna oscillazione. Inutile avvertire il lettore che io ho fatto costantemente uso di questo esempio, solo perchè è estremamente semplice: ma che se ne potrebbero trovare molti altri; anche imponendo ad F() la condizione di essere con- tinua, derivabile ecc. — 920 — Meccanica. — Sulla trasformazione di alcuni integrali che st presentano nell’ Idrodinamica(*). Nota del prof. T. Boggio, pre- sentata dal Corrisp. E. ALMANSI. locticot La formula (3) della Sua Nota, testè pubblicata nei Rendiconti di questa Accademia: Sopra le azioni le quali si esercitano fra corpi che si muovono 0 si deformano entro una massa liquida, dalla quale Ella ha dedotto così eleganti applicazioni ai corpi pulsanti, mi pare possa dedursi immediatamente dal teorema di Herz, sulla variazione del flusso. Ecco in qual modo: Sia u(P, 4) un vettore funzione regolare di P e di #, cioè funzione finita e continua, colle derivate prime, del punto P e del tempo &; tale vettore sia definito in una regione S dello spazio, la quale supponiamo fissa o variabile col tempo. Sia poi o una superficie chiusa, contenuta in S, superficie che potrà comunque muoversi o deformarsi col tempo; e indichiamo con v la velocità del suo punto generico P all'istante £. Il teorema di Herz sulla variazione del flusso, è allora espresso dalla formula (?): (n Xu) d f dele, (Ata ‘i (1) ite) 3i do + fmXv.divudo, ove m è un vettore unitario, normale alla superficie 0. Ciò premesso, poniamo u=ga, ove a è un vettore costante, e p è un numero funzione regolare di P e di #; ricordando che (*) div(ga)=gradgXa, la (1) porge: î | gn Xado = feRZA) 474 { nXv. grad gxa do. AMO ici Ù e (*) Estratto di lettera del prof. T. Boggio al prof. E. Almansi. (2) Cfr. Burali-Forti et Marcolongo, Hléments de calcul vectoriel avec de nombreuses applications à la géométrie, è la mécanique, et à la physique mathématique, pag. 116, form. (12) (Paris, Hermann, a. 1910). &) Ofr. i citati Hl6ments, pag. 73, form. (4). — 921 — Ora, supponendo il vettore a unitario, e parallelo all'asse 0x, la quantità nXa vale il coseno dell'angolo che la normale forma coll’asse 0x, ed nXv è la proiezione (con segno), sulla normale, della velocità del punto P, mentre grad pX a vale la derivata parziale di g rispetto ad #; la formula precedente coincide quindi colla Sua formula (3). Ritenendo poi, nella formula precedente, a vettore costante arbitrario, esso può essere portato fuori degli integrali, e quindi, per l’arbitrarietà di a, si conclude: d d(gn) (2) E fono = [SM do + fmev. grad g do . La (1) può considerarsi come una formula fondamentale, come lo è il teo- rema della divergenza, da cui essa è stata dedotia; da tale formula se ne possono dedurre moltissime altre, procedendo nell’identico modo con cui nell'opera: Burali-Forti et Marcolongo, Transformations linéaires (*) (Pavia, Mattei e C., a. 1912), dal citato teorema della divergenza si sono dedotte le altre formole di trasformazione dì integrali, date nei nn. 55, 56, 58. Così, ad es., ponendo u= Kew nella (1), ove @ è un’omografia vet- toriale e w un vettore, funzioni regolari di P e di 7, ed osservando che {pae 325 [a] Ned pa 018:]} nxKew=eanXw , div(Kaw)==I, (KeS Tr) + grade, si ha: d ( _ {denXKw È fanxwdo= | AI do + + fonxv)n (Ka) +eradex teo. Se il vettore w è costante, nell'ultimo integrale un termine si annulla; e portando poi il w fuori degli integrali, per l’arbitrarietà di esso, si deduce A f ando= f © UE) gg + fn grad a do . Se l'omografia @ sì riduce ad un numero %, questa formula diventa iden- tica alla (2). Supponendo l’omografia « assiale, e cioè della forma u/, con n vet- tore funzione regolare di P e di #, questa formula porge, osservando che grad(uA)= —rotu, {7. l., pag. 84, [2]|, i (anno fetta. Fr bAndo= ì se do nXv.rotudo; (*) Nel seguito, citeremo quest'opera colla notazione {7 l.}. — 922 — in particolare, supponendo u="g(P— 0), ove @ è un numero funzione regolare di P e di #, ed osservando che rottu= grad gA(P— 0), {7. L., pag. 79, [2]}, si ha: 2) È (OTTO A. = fee 0V\ndr= f + (P_0)/\ndo 4+ + fuxv.(P-0Agrad gdo. Se la superficie o fosse aperta, si otterrebbero formule analoghe alle precedenti, partendo dal teorema della variazione del flusso per le super- ficie aperte, che è espresso da (!) d 7, AIUTO SPZI, do + i) nX[v.divu-+rot(u/v)] do. 2. Profittando dell'occasione, permetta che La intrattenga ancora su un'altra formula generalissima, che ha molte applicazioni nell’ Idrodinamica. Siano u, Vv, w tre vettori funzioni finite e continue, colle loro derivate prime, del punto P, variabile in uno spazio finito e fisso 7, limitato dalla superficie chiusa 0. La formula in questione è allora la seguente (?): (3) us v)xwdr=— | uXw.vXn do — i — fano. ivvar—f ($ v)xade, ove n è un vettore unitario, normale a o e diretto all’interno di 7. La dimostrazione è semplicissima; si fa partendo dal teorema della divergenza, espresso dalla formula (4) favude=— fuXudo, (7A pas 0 Sa ponendovi (1 Xw) v al posto di u. Osservando che div [(uXw)v]=uXw.divvH4-grad(uXw)Xv, {7.2 pag. 79, [2]} US. aivv+(E$" 4a u)xy. ITA pag A] n uxw.divv (rt (Er) 7. l., pag. 32, [1]}. (3) Cfr. i citati Eléments, pag. 115, form. (11). (®) Questa formula è pure stata riportata nella recente opera: Burali-Forti et Mar- colongo, Applications à la mécanique et à la physique, pag. 140 (Pavia, Mattei e C., a. 1918). — 923 — si deduce, dalla (4), S| uxaivv+ (Tv vert (iv) n |de-— — fuxw.nxvdo, G che è precisamente la (3). Se i vettori u,V,w, sono, all'infinito, infinitesimi d'ordine conveniente, la (8) vale pure se 7 indica il campo indefinito esterno alla superficie 0. Per mezzo della (3) si possono dedurre facilmente, dal principio di Hamilton, le equazioni idrodinamiche di Eulero. Adoperando invece gli or- . dinarî metodi cartesiani, i calcoli risultano complicatissimi, come si può vedere nell'opera di W. Wien, Zehrduch der Hydrodynamik, S 10, pag. 47 (Leipzig, Hirzel, a. 1900), ove si trova, fra altro, una formula che occupa circa un'intera pagina! Supponendo che il vettore w sia costante, esso può essere portato fuori degli integrali; e allora, per l’arbitrarietà di w, dalla (3) si trae du il Ù digp diet mabo u.vXndo — | udivvdr. Ponendo, nella (5), (P—0O)/u al posto di u, ove O indica un punto fisso, sì deduce: (6) [e-oA(pr)e=-f@e- Au. vxnde — [(e_-OAu.dirwdr+ [unvar. CT Queste formule sono utilissime in Idrodinamica. Ne ho già fatte diverse applicazioni (') al calcolo delle azioni dinamiche esercitate da correnti fluide sopra pareti rigide. Le equazioni cartesiane equivalenti, che sono alquanto complicate, sono state assegnate e adoperate dal prof. Cisotti per stabilire il paradosso del d'Alembert (?). (') Boggio, Sul moto permanente di un solido in un fluido indefinito, Atti del R. Istituto Veneto, tomo LXIX, parte 2°, a. 1910; Calcolo delle azioni dinamiche eser- citate da correnti fluide sopra pareti rigide, Rendiconti di questa Accademia, ser. 52, vol. XX, 1° sem. 1911. (*) Cisotti, Sul moto permanente di un solido in un fluido indefinito, Atti del R. Istituto Veneto, tomo LXIX, parte 24, a. 1910. — 924 — Se, in particolare, u= Vv = grad g, ove g è un numero funzione rego- lare di P, la (5) porge, applicando formule note }7. /., pag. 81, [1]; : pag. 77, [3]}, 3f grad (grad g)° di = — IL grad g. grad pX n do — = sl grad g . div grad g dr. T Il primo membro, col teorema del gradiente } 7. /., pag. 108, [3]}, si tras- forma in — il (grad g)? n d0/2; perciò dall’eguaglianza precedente risulta: (7) Suer=— ( grady . div grad gd, o T avendo posto, per brevità, (8) = grad g.gradgXn — (grad g)? n/2 . Questa formula è dovuta al prof. Levi-Civita ('), il quale ne ha fatto utili applicazioni. Se la funzione g è armonica (cioè div grad p= 0), il secondo membro della (7) sparisce, e si ottiene la formula (7) della Sua Nota. Nelle stesse ipotesi, la (6) porge: | (P— 0) A 5 grad (grad gp) de = -— { (P—0)/gradg.grad gXndo — VT (o) [ec — 0) / grad gp. div grad pdr. T Il primo membro può scriversi — foi [(grad g)° (P — 0)] 47/2; quindi, T applicando il teorema della rotazione } 7. /., pag. 108, [2]{, esso si trasforma in — f (grad g)°(P— 0)/n do/2; e perciò, ricordando la (8), si ha la for- mula seguente, analoga alla (7): (9) fe —0)AU do = si (P—0)/grad g. div grad g dr. (ui T Se la funzione g@ è armonica, il secondo membro si annulla. 8. Sia ora C un corpo, che potrà comunque muoversi e deformarsi col tempo; e sia o la sua superficie. Supponiamo, come ha fatto Lei, che il corpo C sia immerso in una massa liquida, limitata, oltrechè da o, da una superficie Z, la quale potrà (1) Levi-Civita, Sulla contrazione delle vene liquide, Atti del R. Istituto Veneto, tomo LXIV, parte 2, a. 1905. — 925 — risultare di più superficie, fisse o mobili, rigide o deformabili, ed anche coincidere, in tutto o in parte, colla sfera all'infinito. L'azione esercitata sul corpo C dal liquido si può caratterizzare per mezzo del vettore risultante R, e del momento risultante M (rispetto ad un punto arbitrario 0) del sistema di pressioni elementari che il liquido esercita sui singoli elementi do della superficie o del corpo C. I due vettori R,M sono espressi da ove p è l'intensità della pressione in un qualunque punto P di 0, e n è un vettore unitario, normale a 0, e diretto all'interno della massa liquida, Se « è il potenziale di velocità, e si suppone incompressibile il liquido, e la sua densità eguale ad 1, le equazioni idrodinamiche si compendiano nell'unica relazione: BERO: . n.d ® pe 5 (grad P) = + costò, mentre la condizione d' incompressibilità esprime che la funzione g deve essere armonica. Si ha allora, dalle formule precedenti, i ( DE R {5 (grad 9)? n do +) oa de, sali i dP Ma 9 (grad 9)? (P_—0)/\ndo + di Ed ndo È Gg e Trasformiamo gli ultimi termini colle (2), (2°); risulta: (1 x ) d R= 3 (gradg)àn—vXn.gradg;do += | gndo, AD ) dtls Ma f.)3 (era pi peso, vXn.(P— 0) /\grad g|do+ / 6 d + È { g(P_0)/\nde. ts Ora osserviamo che, in un punto P di o, vXn essendo la proiezione, sulla normale, della velocità di P, rappresenterà pure la proiezione, sulla stessa normale, della velocità della particella liquida attigua a P; onde si avrà vXn= grad gXn; RENDICONTI. 1914. Vol. XXIII, 1° Sem. 121 — 926 — sostituendo nelle formule precedenti, e ricordando la (8), sì ottiene: \ k= - f Udo 4 È f qndo, (10) o Nes h: 3% | M=— [e-gnu4+ È ( g(P—_ 0)/ndo. /6 0 Indichiamo ora con s una superficie chiusa, che contenga C nel suo interno, e tale che lo spazio compreso fra o ed s sia totalmente occupato dal liquido. Potremo applicare le (7), (9) all'insieme di queste due super- ficie, ed avremo, 4 essendo armonica, SUac+ | Uds=o fe-oAu4+fe-0AU48=9; quindi, dalle (10), segue : dl k =(v#+jS gn do, M= | (e_0)104+£ ( g(_0)/\nde. La prima di queste due formule concorda colla Sua formula (8). Meccanica. — Applicazione dei potenziali newtoniani della elasticità. Nota II di Prerro BURGATTI, presentata dal Corrispon- dente R. MARCcOLONGO. 5. La nota estensione dei metodi di Green all’equazione dell’elasticità, quando venga fatta nella maniera più opportuna, fa appunto vedere che i potenziali definiti nella Nota precedente costituiscono gli elementi analitici fondamentali di cotesta teoria. Indicando con # e #8", s e s' rispettivamente due omografie e due vet- tori funzioni regolari dei punti P d’un campo S limitato dalla superficie 07, e soddisfacenti alla relazione di reciprocità (7) Ti (xe) (ke) sì ottiene, da una nota formula ('), È (8) | grad gXS'.d8 + enXs' .do = _S «DO — ( grad #Xs'.d8+ ( fnxsdo; S 0 (') Analyse vect. générale, tomo I, pag. 111, formula (2). Per le applicazioni del- l’analisi vettoriale alla teoria dell’elasticità, vedi il volume 2° della stessa opera. — 927 — relazione fondamentale, che contiene tutte le relazioni del tipo di quelle comunemente chiamate lemmi di Green nella teoria dei potenziali ordinarii. Supponiamo che sia grad £'=0, e che s' risulti infinito in un solo punto O di S come ; (r = mod (P— 0)), pur ritenendo soddisfatta la (7). In questo caso la (8) non ha più luogo. Possiamo però isolare il punto O con una sferetta o, di centro O e raggio e, e applicare la (8) allo spazio S, compreso fra 0 e 0,, ove #8 ,SS' son regolari. Si ottiene (8) [ grad 8XS'dS, + fenxs BnXs)do = — fenxsdo f BnXsS' do. 60 o Essendo do, = 8° dL, ove dL è l'elemento superficiale della sfera uni- taria, si ha È gnXsdo,=e | enxesdo; To che, per le ipotesi fatte, tende a zero con «. Inoltre sl, dnXsdo, = Xe ( B'ndoe, Co Ke. ove s, è un opportuno valore di s fra quelli che s assume sopra 0,. Supposto (9) lim #° fem dQ=c (costante), €=0 CO la (8') diventa, al limite, (10) s(0)xe= f (3nX5 — g'nX8) do + ( grad px 348, (o) Ss ove s(O) è il valore di s nel punto O. Altra formula fondamentale, che contiene tutte le formule particolari di questo tipo che si adoperano nella fisica matematica. Ciò posto, veniamo ai problemi dell'equilibrio elastico dei corpi omo- genei isotropi. Nelle formule precedenti, siano s e s' gli spostamenti relativi a due deformazioni elastiche infinitesime; # e £' le corrispondenti omografie U delle tensioni interne (dilatazioni). La (7) è soddisfatta, perchè I, (e dl ds Do e I, (6 È vengono a rappresentare la stessa forma bilineare nelle com- ponenti delle definite deformazioni. Inoltre prendiamo s'=ya, che è il — 928 — potenziale newtoniano elementare dell'elasticità definito nella Nota prece- dente. Risulta, allora, grad 8" = E(ya)= 0; e, per le proprietà dette, si vede che è applicabile la (10). Bisognerà però calcolare il limite di 5 B'n do, sulla sferetta di raggio e, quando s tende To a zero. Per note formule, si ha, nel nostro caso (?), (o = densità) PLL O Z9OZA\ A 2 dya Tu (0 20°) div(ya).n — 20 D

0 qualunque, considero due superficie 0, o ottenute da o portando sopra le sue nor- mali verso l'esterno, a partire dai punti di o stessa, dei tratti a/, dt. Lo spazio compreso tra o e 0° contiene i punti la cui vibrazione è decompo- nibile in una parte trasversale, ed una longitudinale. Per la continuità dello spostamento, la vibrazione longitudinale si annulla sopra 0{?, la trasversale sopra c(. La posizione del problema riesce più chiara quando ci riferiamo allo spazio a quattro dimensioni (x ,y,z,%), considerando quindi il tempo come una coordinata. Considero allora il cilindroide a generatrici parallele all'asse { la cui sezione con l’iperpiano t=0 è la superficie 0, e le due ipersuperficie Z,, 2, le cui generatrici hanno come proiezioni sopra #= 0 le Le normali a o. e le cui pendenze, rispetto allo stesso iperpiano, sono - ;}° sezioni di queste ipersuperficie con l'iperpiano f= 7 sono le superficie 0, o. Le funzioni che caratterizzano la vibrazione longitudinale sono definite nello spazio compreso tra Z e X,; quelle che definiscono la vibrazione trasver- sale sono definite tra Z e X,. Le prime si annullano sopra Z,, le altre sopra 2. Entrambe sono determinate dal generare tensioni sopra 2, equi- libranti quelle date. Ricercheremo le formole di rappresentazione per gli integrali di questo problema. 2. Il mezzo possa propagare solo onde longitudinali (mezzo fluido). Sia c la velocità di propagazione delle onde; l'equazione caratteristica del moto sarà: (1) = =c'A4g. La formola di rappresentazione degli integrali di questa equazione (formola di Kirchhoff) si otterrà considerando, oltrechè il cilindroide X e la 2. (co- struita come è indicato nel num. precedente), un cono 2, di equazione a-g=t ra FG Fed. un cilindro X, di raggio @ e il cui asse è la retta enim izi_\ — 933 — Nello spazio compreso tra , 2, 2,,2: sì ha, se g,w sono funzioni re- golari in questo spazio e soddisfacenti la (1), (2) (pD,w — yD,p) d®=0, Ji oe nella quale si è posto eo Dar SH IR DIRDI Aree, ROERO v essendo la normale interna. Si ponga (= GERA c 00 ST a > Si ha perciò, sopra Z, y=D,w=0 Sopra X, si ha poi: g=D,p=0. Quindi, osservando che sopra 2 si ha Dipi=tc: i n== normale esterna a 0, e sopra 3, dY > IE D,g= € deli con un passaggio al limite per o= 0, dalla (2) sì ricava SA gi (3) [ee | (- e CI G de) cd = Ò r da (P dn dove 7, è la minima distanza del punto (£,7,%) dalla o. Dalla (3), con due derivazioni rispetto a , si ricava la formola di Kirchhoff (). i (!) Per i dettagli di questo calcolo, cfr. la mia Nota, Sulla formola di Kirchhoff per la propagazione delle onde, Acc. sc. 'l'orino, vol. 48, 1912-13. Nella seconda e pe- nultima formola di pag. 397 vi è un errore che, però, nessuna conseguenza porta sulla esattezza del risultato. ReNDICONTI. 1914. Vol. XXIII, 1° Sem. 122 — 934 — Ho voluto, per sommi capì, ripetere il ragionamento che conduce, mi sembra, nel modo più naturale, alla formola di Kirchhoff, per mostrare che mediante esso, con facile generalizzazione, sì può giungere pure rapidamente alle formole di rappresentazione degli integrali della dinamica elastica. Basterà, in luogo della (2), applicare la formola di reciprocità del Betti, e, t-rt+ £ in luogo dell’integrale ce. usare degli spostamenti dovuti ad un centro di forza (formole di Stokes) nella forma ad essi data dal Somigliana (?) e da me lievemente modificata nella Memoria già citata. 3. Premetto una formola relativa alle equazioni dei piccoli moti dei corpi elastici, equazioni che pongo sotto la forma: du a di de” TO Cc © dY Dezy EM I (4) La W è il potenziale elastico unitario, ed ex ,.. sono le componenti di deformazione. Sieno (u,v,%w) (v ,v'.w') due terne di funzioni regolari in uno spazio S a quattro dimensioni, limitato da una ipersuperficie X chiusa. In $, queste due terne di funzioni verifichino le (4). Dal sistema (4), con metodi notissimi, si ricava: | dD(,dU AR 2 du EDI me) \l ue, sn | d 5 dI dW DE 5 s=— O I v Og === DOO CR dA (« = gar I: ur W' W' dW' IO Ca dery denz In essa, W' è il potenziale elastico relativo alle (w', 0", 2"), e €29... sono le corrispondenti componenti di deformazione. Integrando la (5) allo spazio S e usando della solita formola di trasformazione di un integra e di volume in integrale di superficie, si ottiene: DI ” = |, e eo DI e (Ga Vla deye dU dezy dU RINO DOW ye mi. i In 0g A lt rali A, Vena IN deyo IN È dee N (') Sulla propagazione delle onde dei mezzi isotropi, Acc. se. Torino, vol. XLI, an. 1905. — 9359 — dove la 7 è la normale interna a X. Si ponga: du dt dIW da _9dW dy _dW de di dn dere dN deye dN deze N dI Mm dex M vi deyy IN dezy dw di dIW de IWdy dIW da Ti E e posizioni analoghe per le U',V', W'. L'ultima formola diverrà : (6) ((WU+oV+e'W—ul'—oV—wW)d3=0. 4. Consideriamo le ipersuperficie 2°, 2, , 3 del n. 1, i coni caratteri- stici 30), 3% di equazioni C(=oP>935 Pale (£ PA T)? = = e un cilindroide 2, di raggio 0 e coassiale con questi coni. Sia n la normale interna a X, (facente cioè, con l’asse #, angolo acuto); v la normale a 05 nel punto corrispondente. Avremo: dI da 1 dA wi oe ° VI1+a® dv DO i Lara W VI+a essendo X,,Y,,Z, la tensione attraverso l'elemento superficiale di o di normale v e d la densità. Analogamente, sopra ®, si ha: a 1 (, du Xy) I ie dI e formole simili si hanno sopra X® e 3}. Sopra X e sopra 2, si ha, invece, ww dv de — 936 — Qnindi, sopra queste superficie, rispettivamente si ha: Supporremo che la propagazione all'esterno di o avvenga per modo che sia u=u bu , v=vn +00, w==wkwr nello spazio compreso tra X e 3; e u= U g VEWV °° wW= Wi nello spazio compreso tra 3, e X,. Le (u,,v:,w) definiscono una vibra- zione longitudinale; le (%»,v».ws) una vibrazione trasversale. Per la con- tinuità dello spostamento, si ha: u = Vi = w,= 0 - sopra 37 ug == %,=0 sopra 3, da cui consegue ('): dUI Xp E 3 + n O sopra Ya dUI x b —0 sopra 3, e formole analoghe. Le XW,Y$W,Z® sono le tensioni dovute allo sposta- mento (v,,0,,w1); e le X®, YO, Z® quelle dovute allo spostamento (Un, 02, ws). L'applicazione della (6) ad una vibrazione generica regolare e ad una vibrazione dovuta ad un centro di forza, condurrà alle richieste formole di rappresentazione, come mostreremo in una prossima Nota. (1) Cfr. la mia Memoria citata, cap. I; e Love, Wave-motions with discontinmties on the front, Proc. Lond. Math. Soc., 1904. — 937 — Matematica. — Proprietà metriche intrinseche caratteristiche delle curve di un complesso lineare e delle superficie rigate di una congruenza lineare. Nota di Gustavo SANNIA, presentata dal Socio Lurci BIANCHI. 1. Le curve sghembe di (ossia le cui tangenti appartengono a) un complesso lineare di rette, si presentano in molte quistioni e sono state oggetto di ricerche da parte di Lie, Appell, Koenigs, Picard ecc. È quindi utile di possedere un criterio per riconoscere se una curva sghemba data appartiene, oppur no, ad un complesso lineare. F. Egan (!) ha dimostrato che fra la curvatura o e la torsione 7 di una di tali curve passa una relazione, che involge anche le derivate &' e 7” di 7 rispetto all'arco s. Noi invertiremo tale risultato; anzi, adoperando i metodi della geometria intrinseca, ritroveremo rapidamente la relazione di Egan, dimostreremo che essa caratterizza le curve di un complesso lineare e, data una di tali curve, daremo il modo di costruire il complesso a cui appartiene. Poi, accoppiando questo risultato con un altro del Picard, per- verremo ad un criterio per riconoscere se una data superficie rigata (*) ap- partiene, oppur no, ad una congruenza lineare. 2. Affinchè una curva sghemba C appartenga ad un complesso lineare, è necessario e sufficiente che esistano una costante p ed una retta r (8), tali che ogni tangente £ di C soddisfi alla relazione: (1) dist (7, () tang(r,t)=p. Siano @,8,y,z,7,6 le coordinate di 7 rispetto al triedro (mobile) formato dalla tangente #, dalla binormale e dalla normale principale di C nel punto estremo dell'arco s. Esse saranno funzioni di s legate dalle re- lazioni (2) esp (3) eé4-Pnt+y5=0; (1) Z'he linear complex and a certain class of twisted curves, Proceedings of the Royal Irish Academy, section A, Dublin, vol. XXIX, 1911, pag. 29. (2) Non sviluppabile; poichè in una congruenza lineare, che non degeneri nel si- stema delle rette di un piano, non esistono superficie sviluppabili. (5) p è il parametro, ed r è l’asse del complesso lineare. Non può essere p= 0 (ossia il complesso non può essere speciale), altrimenti le tangenti di C si appoggereb- bero ad r, e la C sarebbe piana. — Soa e poichè 7 deve restare immobile al variare di s, esse dovranno anche sod- disfare alle seguenti condizioni di immobilità (!) : (4) a —-0oy=0 , 8 —xy=0 , y+oca+%8=0, (5) E -00=0 , y_r=0 , l“+o8+nk+8=0, ove gli accenti indicano derivate rispetto ad s. Essendo poi o9=1, Po= Yo = É0= N0= $o=0 le coordinate di #, si ha (?) momento (7, #) = dist(7, 4) sen(r,)=— Z(o&+@é)=—&, e, inoltre, cos(r,7)=@; quindi la (1) diventa (6) 3 STA Risolvere la questione proposta, equivale a cercare le condizioni di com- patibilità delle equazioni (2), (3), (4), (5) e (6) nelle a,8,y,Z,7,É. Ora, derivando la (6), si ha, per le (4) e (5), (7) é=—py; derivando ancora, si ha, per le (4), (5) e (6), 1 (8) =-r(e+;)?: sostituendo (6), (7) e (8) in (3), si ha (9) B=V—pr; poi dalle ultime due equazioni (4) si ha successivamente t' dai — dr? + 474 (10) dna 5 ar ET VI a. Infine, sostituendo nella (2) i valori (9) e (10) di @,f8,y, si ha: (2x0” — 3x'° + 474)? di il (11) er +e 4 È Viceversa; se la (11) è soddisfatta, le funzioni a #yé 7 di s, definite dalle (6), ..., (10), soddisfanno al sistema (2),..., (5). Ciò risulta dal pro- cedimento da noi seguìto. | Dunque: affinchè una curva sghemba C, definita dalle equazioni in- trinseche o = o(t),é = t(s), appartenga ad un complesso lineare, è ne- cessario e sufficiente che la funzione primo membro di (11) sia una co- (1) Cfr. E. Cesàro, Lezioni di geometria intrinseca, cap. IX, $ 3, Napoli, 1895. (3) Ibid., cap. IX, $ 7. — 939 — stante — la retta r(a,8,y,&,n,%) definita dalle (6), ...,(10). Affinchè il complesso sia reale, occorre e basta, per le (9) e (10), che t abbia un segno costante, opposto a quello di p. Ne segue che: /e curve sghembe reali di un complesso lineare reale sono tutte 0 sempre destrorse o sempre sinistrorse. Notiamo, per finire, che il primo termine della (11) non può essere identicamente nullo, altrimenti, per la seconda delle (10), sarebbe a=0, ossia le tangenti di C sarebbero tutte ortogonali alla retta 7, sicchè la C sarebbe piana, contro il supposto. 8. Ora consideriamo una superficie rigata R, non sviluppabile, sulla quale assumiamo come linee coordinate v le asintotiche rettilinee (genera- trici); e siano (12) dst= Edu® + 2Fdudv+ Gdo, (13) Ddu® + 2D' du dv + D"dv*, ; il corrispondente complesso ha per parametro p e per asse RIE le forme differenziali quadratiche che la definiscono. Le linee v sono asin- totiche, quindi è D= 0; e sono rette (geodetiche), quindi è 0 (*). La (18) si riduce a (14) « 2D'dudv+D"do, sicchè l'equazione differenziale delle asintotiche C del secondo sistema è (15) 2D'du dv + D'do=0. Per un'asintotica C la curvatura o e la torsione 7 coincidono rispetti- vamente con la curvatura geodetica e con la torsione geodetica, e però val- gono (°) _1Pà (0 200 AI i 0: (10) = 4 )t3( 4 | oo ) (1) In generale id (r,s,6=1,2) indicano i simboli di Christoffel costruiti con i coefficienti della (12). Notiamo incidentalmente che: le condizioni necessarie e suffi- cienti affinchè la forma (12), definita e positiva, rappresenti il quadrato dell'elemento lineare di una superficie rigata su cui le v siano le asintotiche rettilinee, sono oi ; I log/_K+2}2) =0, ove K è la curvatura della forma. La seconda condizione risulta subito da una delle due note formole di Codazzi, oppure da alcune formole che servono a risolvere una qui- stione più generale. Cfr. M. Picone, Sulle superficie flessibili ed inestendibili in rigate, pag. 29, Annali di mat., tomo XXII, 1914. (*) Cfr. L. Bianchi, Lezioni di geometria differenziale, 2° ed., vol. I, $$ 85 e 92, formole (4*) e (18). = 0 ove si è posto (17) d=VEG—F° , 4=VED" — 4FD'D"+ 4GD". Le asintotiche C sono anch'esse rette, solo quando è nullo il secondo membro della espressione (16) di a; ed allora R è una quadrica. Esclu- dendo questo caso, sarà o + 0; e sarà pure 7 +0, altrimenti le C sareb- bero curve piane, e la R sarebbe sviluppabile (inviluppo dei piani delle C), contro l'ipotesi. È dunque lecito di imporre alle asintotiche C di soddisfare la (11), il che equivale ad imporre alla R di appartenere ad una congruenza lineare (1). Ora, lungo un'asintotica C si ha, per la (15), ” AG, du= — =; dv 5 ds= 5» ove £ è l’operatore lineare (19) o=3(20 3 2): dunque le derivate ©," della torsione © di C rispetto al suo arco s val- gono, per la seconda delle (16), (19) das , Sp i Per le (16) e (19), il primo membro della (11) si muta nella seguente funzione @ di u, v: \oo(D'\@ D\- 20) DEE i2n()2(3 Rie i D' | d /FD" — 2GD' fi d nni d” ci 4 5 4 D' d* DAG +stam|2(3)] Pel teorema del $ 2, essa deve ridursi ad una costante lungo ogni asinto- tica C: quindi dev'essere 2(g)= 0. Dunque: la condizione necessaria e sufficiente affinchè una superficie rigata R (non sviluppabile, nè quadrica), (20) 9g= (*) Poichè le superficie rigate di una congruenza lineare hanno la proprietà carat- teristica, che ogni loro asintotica appartiene ad un complesso lineare. Cfr. Picard, Z'raité d'analyse, tom. I, cap. XII, $ 29. — 941 — definita dalle (12) e (14). Srna ad una congruenza lineare, è che sia 2(g)= 0. 4. Quando sulla R sono note le asintotiche C, e queste si assumono come linee coordinate «, alla condizione precedente si può dare una forma semplice ed elegante, trovata, per altra via, da M. Picone (?): zl simbolo a dev'essere il prodotto di una funzione della sola vu, per una funzione della sola v, ossia (21) Accenniamo rapidamente a questa riduzione. Essendo le « asintotiche, si ha D"—0: quindi 4=2D'VG , lè Pn IG dv’ poi, per le formole di Codazzi (?), DU 12) D' d (D (12) D' —\et = Se VIT ag (22) a La i (gl (1i0 cu (8) DE (11) 11) DIN 121 DI) O a LIE TE: Sa E+(1 +2) 7+|8(6, dG 12 12 sa dE \121 (12) SIA Di (22 12 { Ì =2}1\P+2}8F. = eee. dG 22 (A i .6 Sor a|E]c i ei 2D' (12) (3 Toei): oi 2 bee e AO I) VIS E O | d (FD — 2GD' DI De Po.) du ( d ) sl dv d (1) Sulle congruenze rettilinee W, Rend. del Circ. mat. di Palermo, tomo XXXVII, nn. 15 e seg.; ed altra Memoria in corso di stampa (ivi). (2) Cfr. Bianchi, loc. cit., pag. 120, formole (IV*). (8) Si ricordino le formole (cfr. Bianchi, loc. cit., $ 81). RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 123 — 942 — Sostituendo questi valori nella (20) e ricordando la formola (*) ) D® > (22) 3 (12), (22)(12) dee peo e ) (1 sl ha DI (22) 2) i NE="Saa o — 4 È CE) Na n e Ora dobbiamo esprimere che £(g)=0, ossia che - =0; con ciò otteniamo N?/9G È D' d log d 2GN 5 STE SAMOA CRA oe ss Da 0) pi n dv E” d? +3 0° > e pai ale 1 Li GITI lg lt) stalla STRA DG è a i poi, sostituendo a = il suo valore (a), a 105 il suo valore tratto r2 dalla (22), a ja il suo valore (23), ed a_ — disca il suo valore ci —- + fa (*), otteniamo 1) PN° (22) GN aN_, Nf12)(22) Ro RU oppure, essendo N-+ 0, FN (22 GIN , 1 (12) (22) 0. d° ta o Teo (') Cfr. Bianchi, loc. cit., $ 87. Si noti che — D'?:d? è la curvatura K della nostra rigata. (?) Si noti che N non può esser nulla identicamente, altrimenti sarebbe nullo il primo termine del primo membro della (11) su ogni asintotica C, le quali perciò sareb- bero curve piane (cfr. la fine del $ 2). (3) Cfr. Bianchi, loc. cit., $ 56. — 943 — , È DINE poi, sostituendo a Coi il valore tratto dalla (24), IGHADE Ce i) Rd) d° io 2 (20 0 JE ENER e RE - Infine, eliminando 2h) mediante le (a), sostituendo ad N il suo d 12) _ > 412) DONI Fu) primo membro dell'ultima uguaglianza stessa si riduce al suo primo ter- mine, e che quindi l'uguaglianza stessa si riduce alla (21) del Picone. valore (24), ed osservando che (*), si riconosce che il Nora. Le quistioni qui trattate, con rappresentazioni e metodi di geometria diffe- renziale metrica, lo erano già state con quelli della geometria differenziale protettiva (Cfr. KR. J. Wilezynsky, Proiettive differential geometry, pag. 167, Leipzig, 1906). Fisica matematica. — Sulla propagazione di onde elettro- magnetiche în un conduttore cilindrico. Nota di A. SIGNORINI, presentata dal Socio T. LeviI-CIVITA. 1. In una Memoria che conto di pubblicare tra breve, ho studiato varie questioni relative alla propagazione di onde elettromagnetiche in un conduttore metallico toroidale. La trattazione delle stesse questioni nel caso di un conduttore cilin- drico indefinito a sezione circolare, già da tempo è stata svolta in modo notevolmente semplice, stante la possibilità di prendere in esame delle pro- pagazioni tipiche di onde elettromagnetiche, aventi, contemporaneamente, le tre proprietà di essere sinusoidali, simmetriche e ciclomagnetiche : tali cioè che — (2,0,%) essendo un sistema di coordinate cilindriche coll’asse coin- cidente coll'asse del conduttore — per esse: 1° la dipendenza del campo elettromagnetico da / e < è caratterizzata. da un fattore complesso della forma e°*+22 (v e q costanti reali); 2° il campo elettromagnetico risulta indipendente da w; 3° le linee di forza magnetica sono circoli situati in piani normali al- l’asse del conduttore e aventi il centro su tale asse (e le linee di forza elettrica sono tutte contenute in piani meridiani del conduttore). (1) È la condizione di integrabilità del sistema (20). — 944 — Iniziando Je mie ricerche mi proposi, naturalmente, di procedere per analogia col caso già trattato, prendendo in esame le. propagazioni di onde che in un conduttore toroidale fanno riscontro alle propagazioni tipiche del caso cilindrico, e ad esse sì riducono al crescere indefinito del raggio della circonferenza direttrice del toro. Ma a ciò sì opponeva, almeno a prima vista, una difficoltà, per il fatto che, potendosi escludere anche solo in base a un esame superficiale delle equazioni fondamentali del campo elettromagnetico che tali propagazioni fossero simmetriche rispetto alla direttrice del toro, risultava fallace il cri- terio che prima di ogni altro si affacciava alla mente per individuarle. Onde si presentava la questione di dare alle propagazioni tipiche del caso cilin- drico una caratterizzazione che si prestasse meglio della primitiva loro defi- nizione a determinare le propagazioni corrispondenti del caso toroidale. Una caratterizzazione energetica avrebbe certamente fatto al caso mio: le semplici considerazioni che seguono mostrano che non è difficile pervenirvi effettivamente, permettendo di stabilire che le propagazioni in questione sono caratterizzate, dentro la totalità delle propagazioni sinusoidali di eguali pe- riodi rispetto a 7 e <, dal fatto che per esse, in corrispondenza a un deter- minato valore dell'intensità efficace della corrente, ad ogni istante risulta minimo il calore di Joule (ed anche il valore dell'energia magnetica) rela- tivo a un qualunque tratto del conduttore limitato da due piani perpendi- colari al suo asse. Questo è il risultato principale contenuto nella mia Nota: soltanto, l’ultimo paragrafo del lavoro è dedicato a stabilire, con considerazioni che non escono dall'ambito naturale del lavoro, alcune proprietà integrali delle fuuzioni di Bessel, che non mi consta siano state finora rilevate e che mi sono riuscite utili nelle ricerche, cui ho già accennato, relative ai condut- tori toroidali, 2. Consideriamo un campo elettromagnetico avente per sede un cilin- dro metallico indefinito, la cui sezione sia un cerchio di raggio 7. Colle notazioni consuete, dentro il conduttore, potendosi ivi trascurare la corrente di spostamento di fronte alla corrente di conduzione, in base alle equazioni fondamentali di Heaviside-Hertz, avremo In conseguenza, assunto come sistema di riferimento il solito sistema di coordinate cilindriche (2,0,%w), per o = risulterà (*): (!) Per le espressioni effettive delle componenti del rotore in un generico sistema di coordinate ortogonali cfr. ad es.: Max Abraham. Enc. der Math. Wiss. IV, 14, n. 20. o) AD) IH le) c Q de Qdw TO 1953H, ?3Hy (1) e leso doi % 4n0 __DHo ?Hg e FEISNO de REA YE ila. Q de v 8. Corrispondentemente alle singole terne di valori possibili per 4, 0 , è consideriamo i valori medi rispetto a w delle componenti di E ed H: 1 271 1 271 EM — — Sf E.dw ecc. ; HM — | H.dvw ecc. c) 27 o 3 ta i È 27 o i o Dalle (1), (2) segue 4rro E Led Il d (0 HM) CHI Q d0 ù IH (3) dro peo eo y GDR da È dH DES, dEI Ta Mo Le (3) risultano suddisfatte allora (') e allora soltanto che E°, E", Hy"° siano dedotte da una soluzione /7(z,0,%) dell'equazione a derivate par- ziali (4) 4ncu DI 1 1I dI i) COM n) ge 0° do mediante le posizioni I o ° N (5) e. E ede\ de de dz ri — tea Mr (1) V. Sommerfeld, Veber die Fortpflanzung elektrodynamischer Wellen lings eines Drahtes. Ann. d. Phys. 67 (1893), pag. 233. — 946 — Nel seguito diremo dedotto da una soluzione 27 reale o complessa della (4) ognuno degli (infiniti) campi elettromagnetici, pei quali i valori di E E ,Hy"° sono legati a Z dalle relazioni (5): convenendo, natural- mente, di considerare come identici due di tali campi, appena coincidono per essi le parti reali delle singole componenti di E e di H. È subito visto che si ha sempre un campo elettromagnetico dedotto da IZ assumendo 190Ò Il II E.=—- ni ).&= È + HR ode de “de de Cc de Ei= :=Hp= Tale campo elettromagnetico è evidentemente l'unico campo elettroma- gnetico simmetrico e ciclomagnetico dedotto da 17 4. Sia C la totalità dei campi elettromagnetici dedotti da una mede- sima soluzione ZZ della (4). Ci proponiamo di dimostrare che in C il campo simmetrico e ciclomagnetico è caratterizzato dal fatto che ad ogni istante esso minimizza il calore di Joule corrispondente a un qualunque tratto del con- duttore compreso tra due piani perpendicolari al suo asse. Per far ciò, osser- viamo che per qualunque campo dedotto da ZZ dovrà essere II 0) dI O) » i LIRA di LES. ey — E E 1 (e ) + E, ; Ho 30 de E. î ES O , E° essendo tali che per qualunque terna di valori di 2,0, si abbia 271__.Y 270 .L 271 ù Zi noav= | EP dy=0. Se dunque diciamo Q il calore di Joule relativo al tratto del condut- tore compreso tra i due piani z = 21, 4 = 22, avremo dra of ‘ds fede f" dip }R*e(E.) + R°e(Ep) + R°e(By)f= + CNZIE Zoo 2 Rm) | +e | T+ + ff fede |R'8®) + R(&9) + Re(E1 si “0 S ciò che evidentemente è sufficiente a provare l'asserto. — 947 — 5. In modo del tutto analogo si potrebbe provare che in C il campo elettromagnetico simmetrico ciclomagnetico è caratterizzato anche dal fatto che ad ogni istante esso minimizza l’energia magnetica, sempre nel senso precisato al $ 4. : SLM 1 2 6. Sia Z/ periodica rispetto a z, con periodo n e rispetto a 7, con $ 27 i i 1 periodo 7; n che, nel nostro conduttore si avrà una propagazione di onde elettromagnetiche. In tale ipotesi l’intensità totale della corrente attraverso una sezione normale del conduttore: Ja 0 {e do (pei dpi= — 2rror (22) 0 n0 ("e do |Jx(2)f (9 a "pa CGS n 2 TAO vi). N73 avi si R*e(H.) dé +37 Di R:(Hy) de = STIMATO EA OE D'altra parte detto U il vettore complesso di Poynting — prodotto vet- tore di E per H (') moltiplicato per SI — e ®© il valore (indipendente da ?) del flusso (entrante) di U attraverso la superficie S che limita il pezzo di conduttore considerato, deve pure essere RT + Re i i Ora su S la componente di U secondo la normale interna è diversa da zero soltanto in quella sua parte che appartiene anche alla superficie del conduttore ed ivi assume il valore Si perviene così alla conclusione che deve essere \ [edo |In(ko)F= Re la J,(£2) I) Oi i | Sede! SII n(k0) + |kP|IL(k0)f |— Re(ko T.(40) J(k0)). Le (6) hanno validità, per qualunque valore di 7, tutte le volte che %° sia un immaginario puro. (') Rappresento, secondo il solito, con H il vettore complesso coniugato di H RenpIcONTI. 1914. Vol, XXIII, 1° Sem. 124 — 950 — Fisica. — Sulla formazione della rugiada e della brina. Nota di AntonINo Lo SuRDOo, presentata dal Corrisp. A. GARBASSO. La rugiada e la brina si depositano sulle superficie dei corpi raffred- dati per il raggiamento contro la volta eeleste; questo raggiamento è mas- simo per una superficie nera ed ha l'intensità (1) Q=o (6) dove o indica la costante di emissione del corpo nero, x la temperatura as- soluta della superficie radiante, e 6 quella grandezza che io ho già definito come temperatura virtuale del cielo (1), la quale rappresenta la temperatura di un corpo nero in equilibrio di radiazione colla volta celeste. Il corpo esposto tende quindi a raffreddarsi quando, come avviene sempre di notte, 06) — 966 — Fisiologia vegetale. — Sw rapporti tra l’azione di un’ illu- minazione istantanea a diversa distanza, e la reazione nei ger- mogli di Vicia sativa. Nota di GiruLia CAMPANILE, presentata dal Socio R. PIiROTTA (’). Le ricerche compiute in questi ultimi anni intorno ai fenomeni eliotro- pici, furono spesso vòlte alla determinazione dei rapporti esistenti tra l’ in- tensità luminosa provocante l'eccitazione, la durata della eccitazione mede- sima, e la conseguente reazione. Fu, ad esempio, enunciata la legge così- detta della quantità della eccitazione. Secondo questa legge, la quantità della eccitazione sarebbe determinata dalla intensità e dalla durata di essa; questi due fattori poi, durata ed intensità, potrebbero variare senza produrre una differenza della reazione, purchè resti costante il loro prodotto, deter- minante la quantità medesima. L'ésattezza di questa legge è stata discussa; ad ogni modo, questi studî stanno a dimostrare l’importanza del nuovo indi- rizzo dato a questo genere di ricerche. Avendo io già sperimentato come ottimo materiale di studio ì ger- mogli della Vicia sativa (*), volli intraprendere, su questa pianta, ricerche intese a stabilire i rapporti esistenti tra intensità e durata di eccitazione da un lato, reazione dall'altro; in quest ultima studiai particolarmente il tempo di latenza ed il movimento, più o meno accentuato, di curvatura. Prima di ogni altra cosa mi sembrò opportuno di ricercare il comportamento di questa pianta di fronte ad una illuminazione istantanea, agente a diverse distanze. Si comprende facilmente che per la medesima intensità luminosa, aumen- tando la distanza, la reazione deve gradatamente diminuire; ma, poichè la reazione stessa è un fenomeno complesso, nel quale può esser compresa non soltanto l'energia del curvamento ma ben anco il tempo che intercede tra l'eccitazione e l'inizio della reazione (tempo di latenza), credei opportuno di ricercare come si comportino questi due fattori per distanze sempre cre- scenti delle piantine dalla sorgente di luce istantanea. Per sorgente lumi- nosa, analogamente a quanto è stato praticato da altri sperimentatori. fu adoperata una lampada a filamento metallico, della energia di 50 candele. Essa era posta alla estremità di un tavolino lungo quattro metri, la cui super- (!) R. Istituto botanico di Roma. (?) La Vicia sativa, come dirò in un lavoro di prossima pubblicazione, pure avendo nella lamina fogliare le cellule epidermiche foggiate a lente, e quindi atte alla recezione dello stimolo luminoso, presenta la sensibilità eliotropica limitata al solo fusticino; la reazione avviene nelle sole zone colpite; non v'è trasmissione di stimolo. — 967 — ficie era annerita; del pari annerite erano le pareti circostanti, perchè non si avessero a verificare riflessioni luminose che potessero turbare l'andamento dell’esperienza. Su detto tavolo si collocavano a distanze di metri 1, 2, 3, 4, taluni piccoli vasi contenenti piantine fatte germinare in modo che risultassero in una linea, disposta nelle mie esperienze, perpendicolarmente ai raggi lumi- nosi. I vasi poi, alle singole distanze, erano posti alternati in modo da non ombreggiarsi a vicenda. La luce si faceva agire per circa un secondo di minuto; si poteva quindi considerare istantanea. La reazione che ne seguiva avveniva in tempi diversi per le diverse distanze; l'osservazione però di detta reazione, e la determinazione esatta del suo inizio alle varie distanze, presentavano enormi difficoltà, data la gran- dissima sensibilità della Vzcia. Dovetti subito escludere il metodo delle osservazioni compiute, ad inter- valli stabiliti, usufruendo di una debole sorgente luminosa, tanto debole da doversi abituare al buio prima di poter distinguere nettamente le piantine: anche una simile sorgente era sufficiente a turbare la reazione. Ricorsi al metodo di toglier via, a regolari intervalli, due vasetti dalle singole distanze, osservarli fuori della camera buia, e quindi eliminarli. Oltre all'enorme sciupìo di materiale, questo secondo metodo presentava grandis- simi inconvenienti, tra i quali non ultimo quello di qualche inevitabile urto alle piantine, data la perfetta oscurità; non potevo poi tener conto della grande differenza individuale pesentata dalla Veccia. Dopo altri tentativi, mi decisi per una via un pò lunga ma molto esatta : quella cioè di rinnovare tutto il materiale ad ogni singola osservazione. Cominciavo col lasciare al buio perfetto, per un !/, d'ora dopo l'ecci- tazione luminosa, le piantine disposte alle varie distanze, ed osservavo quindi se aveva avuto luogo alcun movimento di reazione; successivamente, cambiato materiale, ripetevo l’esperienza nelle stesse condizioni ma lasciavo le piantine al buio per un tempo maggiore [}/» ora]; infine in altre espe- rienze portavo questo tempo a */, d'ora, ad una ora; il tempo medesimo era poi prolungato di !/, ora in '/; ora, fino a 2 ore e !/,. Ho potuto stabilire che la reazione non comincia, per nessuna distanza, ad un tempo di latenza inferiore ai 3/, d'ora. Come si può osservare dal prospetto, con un tempo di latenza di tale durata, abbiamo il curvamento del 6°/ ,5°/ alle distanze rispettive di 1 metro, 2 metri; a 3 metri, 4 metri, nulla. Compiendo le osservazioni dopo 1 ora, aumenta per le distanze di 1 metro, 2 metri, la percentuale delle piantine curvate; si ha un inizio di reazione a tre metri (2°/); a 4 metri, ancora nulla. Le piantine poste a questa distanza, cominciano a reagire (29/0) soltanto dopo un’intervallo di 1 ora e !/» dalla eccitazione luminosa. Come quella ad un'ora e !/,, l'osservazione a 2 ore, 2 ore e !/, ci dà sempre lo stesso risultato: aumento di percentuale; sì mantiene sempre evidentissima 2968 —- la differenza tra il numero delle piantine curvate alle varie distanze: ad es., ad 1 metro, per il tempo di 2 ore !/:, abbiamo il curvamento del 58°/; a 4 metri, per lo stesso tempo, abbiamo invece il 14°/,. L'energia del mo- vimento di curvatura è sensibilmente identica, per tutte le distanze. Il fenomeno procede con regolarità e permette di concludere, per la Vicia sativa almeno, che, aumentando la distanza dalla sorgente luminosa istantanea, n0n varia sensibilmente l'intensità del curvamento ; varia invece notevolmente la durata del tempo di latenza. Lasciando infine, dopo l'eccitazione luminosa, le piantine al buio per un tempo indeterminato (10 ore circa), come si vede dal prospetto, si è avuto il 100°/, del curvamento solo ad un metro e a 2 metri (93°/,). A tre metri e a 4 metri si è avuto rispettivamente l' 82 e il 70 per cento. Si avverta che le piantine di Vicéa eran lasciate crescere in una cassa buia, e venivano usate per l’esperienza, appena raggiunta l'altezza di 3 cm., al massimo 3 cm. e !/,. La cassa era collocata nella stessa stanza, e le piantine venivano disposte sul tavolino usufruendo di una debolissima luce diffusa, tale da non provocare reazione apprezzabile, come fu sempre dimo- strato dal risultato di tutte le esperienze. La luce doveva bastare sempli- _cemente a far scorgere i vasetti sui quali un segnaccio bianco stava ad indi- care la direzione della linea delle piantine. OL 001 PI 001 9 00L 6 O0I 2 00°I a 001 # I0L 6 GG SE 06 > 06 66 (ha S (A 17 SI JE GS "E SE sn SG > 06 "5 WU eZUgIsig 86 SE 6 06 I GP 0 9 S SG "i 06 È td) SI 06 9 96 I Sv l GY ss 06 a: Ca = 07 68 001 GG 00I LT 008 9I 00T 6 VOT 35 001 # 00° L 6 G 81 S 86 Fa 06 OF Lv 9 SG G 8I Ss LI I 66 x 06 TE 06 (6 (WU EZURISI( GG 66 L TE L 26 G 65 T 87 & 06 > 06 06 pa 6 6 9 66 6 o w 06 = 06 ww 09 86 00L SG 00T 8I O0L GI 001 4 001 G 00T | — 001 = 06 66 (dà L 66 6 81 to 6 G SG #9 06 GI 06 G SG 8 96 9 06 68 0 SG Fo 06 GU EZueisI(f 6 y I 14 00I 001 89 00T GS 00T SY O0T OI 00T 9 00T ca 001 = ab SG SG ST vo FI 96 TI LG 6 6 6 SG = 06 so SG LI 06 SI Lo 9I 145 G a T O GE panne 06 ‘> [ *w eZueIsig 06 06 9 LI 6I 96 6 OT G 06 T SG 35] 06 7 06 06 06 66 9 TG _6 66 7 06 G 06 è 06 aqraImo | agsodsa || egramo | egsodse || oqeamo | oqsodsa || exrsmmo | aqsodso oqratno | egsodse | eqeammo | oqsodsa || egeamo | egsodso Qquerg QQuerg Qquerq Qquerd Qquerg QqUET] Querd aquerg ogterd QUerd Qquerd Qquerg Qquerq Qquerg 2410 ()I 5/ 9 910 g 910 g S/7 9 IO] CIO ] | CIO.P. */s IO 8/; 1odop 1qnueggo 19eWNSIY ‘VAIIVS VIDIA VTITN MULAIANOO ‘VANVINVISI HONT V UZNHIZUHAISH UTTHA OIHODHdg — 970 — Botanica. — Sulla funzione delle radici contrattili. Nota preventiva del dott. G. CATALANO, presentata dal Socio A. BoRrziì. La proprietà, che hanno molte radici, di contrarsi, è stata originariamente studiata da H. De Vries (?), e consiste, secondo le sue ricerche, in una particolare manifestazione dei fenomeni di tensione nei tessuti radicali, rive- landosi principalmente con la formazione di rughe alla superficie della radice, cioè in seno ai tessuti esterni della corteccia. Sotto l'influenza di un aumento di turgore, le cellule del parenchima corticale di queste radici, invece di dila- tarsi in tutte le direzioni, si accorciano in direzione longitudinale e si allar- gano trasversalmente. Tutto ciò non è che un caso particolare, ma sostan- zialmente non diverso dall'ordinario, dell'effetto della tensione cellulare, determinato da una grande differenza nella estensibilità della membrana cel- lulare secondo le diverse direzioni. Nel 1897 il Rimbach (?) verificava sperimentalmente siffatta proprietà delle radici in ben 70 specie di piante appartenenti a 6 famiglie Monoco- tiledoni ed a 14 Dicotiledoni. Esempio massimo di contrattilità radicale, secondo l’A., offrono alcune Amarillidee, nelle quali l’accorciamento della radice, per un tratto di 5 mm., ammonta a ben il 70 °/o. Dal punto di vista biologico, il Rimbach ritiene che la contrazione delle radici abbia lo scopo di portare le parti adulte del corpo vegetale dal punto ove sì trovano, in altro punto, mediante l’attività di organi differenti dalle parti stesse soggette a spostarsi. Il Massart (*), confermando siffatte osservazioni, dice che la produzione di radici contrattili avviene solo quando i fusti si trovano situati troppo vicini alla superficie del suolo. Perciò non può mettersi in dubbio che il fenomeno sia una reazione che la pianta esegue quando se sert trop superficielle. Rispetto alle cause determinanti, l'A. ritiene, in base ad esperienze appo- sitamente istituite, che è il contrasto tra l'oscurità e la luce, e non la diffe- renza di pressione e di umidità, qui indique aux plantes, en voie de croîs- (1) Veber die Contraction der Wurzeln, Landwirtschaft. Jahrb.,9, 1880, pp. 37-80; Over de contractie ven wortels, Versl. en Meded der Koninkl. Akad. van Wetenschapen, Afd. Nat., 2 reeks, 14 DI., 1. Stuk, 1880, pp. 12-17. (2) Die kontraktilen Wurzeln und ihre Thdtigheit, Beitr. z. wissenschaft. Botanik, Bd. II, Abth. I, 1897 (Ref. in Bot. Centralblatt, 1898, n.20); ZWeder die Lebensweise des Arum maculatum, Ber. der deutschen bot. Gesellschaft, Jahrg. XV, 1897, Heft 3, pag. 178 (Ref. in Bot. Centr., 1897, n. 27). (*) Comment les plants vivaces maintiennent leur niveau souterrain, Bull. du Jardin Botanique de l'État è Bruxelles, vol I, fasc. IV, 1903. — 971 — sance, à quel moment elles sont encore dans le sol et à quel autre moment elles arrivent dans l’air », e che quindi determina la formazione delle radici contrattili. Secondo il Daniel ('), invece, le radici contrattili del Crocus non sareb- bero che un sistetna compensatore transitorio di riserva alimentare che si sviluppa allorchè per una ragione qualunque, interna od esterna, la nutri- zione generale della pianta si trova ostacolata. Siffatti apparecchi transitorii di compenso sono stati osservati anche dal Cavara (?) nella Scilla difolia, che è una delle specie alle quali sono state attribuite radici contrattili. Alcuni esemplari di questa pianta, coltivati in vasetti ed abbandonati a sè stessi senza inaffiamento, o quasi, durante l'estate, sviluppavano radici tuberizzate, le quali, fungendo come serbatoi di acqua, rappresentavano uno speciale adattamento xerofilo, dovuto alle condizioni eccezionalmente avverse nelle quali le piante erano costrette a vivere. Certamente, come osserva il Terracciano (*), in molte altre monocotile- doni la tuberificazione delle radici è del tutto normale, ed avviene quali che siano le condizioni climatiche e l'esaurimento del terreno; tuttavia, come si vede, è opportuno distinguere diversi casi nello studio delle radici contrattili quando si voglia riconoscere qual'è precisamente la loro funzione. Infatti, non sempre la contrazione ha l'effetto supposto, di far discendere i fusti nel terreno. Perchè ciò avvenga occorre il concorso di molti fattori, alcuni ine- renti alle qualità delle radici stesse, altri a quelle dell'ambiente esterno. Infatti le radici, oltre che contrattili, debbono essere dritte e verticali, altri- menti l’accorciamento si disperderebbe lungo un decorso tortuoso; debbono essere fornite di peli radicali o, meglio, di numerose e sottili ramificazioni verso l'estremità inferiore, in modo che questa possa solidamente fissarsi nel terreno. Occorre, infine, che il cilindro assile, che rappresenta la regione più solida della radice, prenda parte anch'esso alla contrazione o, per lo meno possa seguire passivamente l’accorciamento del parenchima. Ora, siccome non sempre si trovano riuniti tutti questi caratteri in uno stesso caso, come non sempre le condizioni di mobilità dei fusti e la compattezza del suolo per- mettono la discesa dei fusti stessi, il Rimbach bha sentito la necessità di distinguere diverse forme di radici contrattili, a seconda che l’abbassa- mento dei fusti ha luogo realmente, o no. Così pure, non sempre la forma- zione di radici contrattili è un riflesso dipendente dallo stato di posizione (') Sur les racines napiformes transitoires des Monocotilédones, Revue de Botani- que, III, 1891, pag. 455. (2) Un adattamento dei bulbi di «Scilla bifolia» alla xerofilia, Boll. Soc. bot. it., 1911, pag. 96; id. Zuderizzazione di radici secondarie in « Scilla bifolia », Boll. R. Orto Botanico di Napoli, III, pag. 453. (3) Sulle radici transitorie delle Monocotiledoni, nei Rendiconti del Congresso bota- nico di Palermo, maggio 1902. — 972 — del corpo vegetale nel substrato. È stato inoltre dimostrato, come si rileva da quanto si è detto sopra, che formazioni analoghe, se non proprio le stesse radici contrattili, nella Scilla difolia hanno ufficio ben diverso, cioè quello di servire da magazzini di riserva di acqua. Infine non appare ben dimostrato che i fenomeni esteriori (ossia, principalmente, la formazione di rughe alla superficie della corteccia, i quali servono a contrassegnare la carat- teristica proprietà di siffatte radici) dipendano effettivamente da un processo di accorciamento delle radici od abbiano eventualmente tutt'altra origine. Io stesso ho avuto occasione di osservare da vicino la formazione delle dette caratteristiche rughe corticali nelle radici di una Azchardia africana, cioè in una delle specie tipicamente descritte come dotate di radici contrattili, e tuttavia senza poter riscontrare in pari tempo nè un abbassamento del tubero, nè almeno un aumento dello stato di tensione delle radici stesse. Nell intendimento, quindi, di verificare quale parte spetti realmente al fen.meno della contrazione radicale nell'economia delle piante, e se si tratti di una fuuzione piuttosto complicata, come è sembrato fin'ora, ho voluto stu- diare dal punto di vista istologico alcuni tipici casì di radici contrattili. Mi limito qui ad esporre quanto ho potuto rilevare sulla detta specie di Richardia, la cui considerazione ha una particolare importanza, appartenendo essa ad una famiglia, nella quale il fenomeno in parola è largamente diffuso e carat- teristico. La struttura della corteccia radicale in questa pianta è contraddistinta dalla grande regolarità della disposizione delle cellule, in serie radiali e strati concentrici, ciascuno dei quali ne contiene presso a poco un egual numero. La stessa regolarità si riscontra nelle radici delle A/ocasie, secondo van Tieghem (*). Tuttavia, come in queste ultime piante, anche nella Richardia gli ultimi 5-6 strati sono costituiti da cellule più piccole, di forma poliedrica, e non regolarmente seriate con le altre più interne, ma digradanti insensibilmente verso di esse. Cosicchè tutta la corteccia può dividersi in due regioni: l'una esterna, di 5-6 strati, coi caratteri detti, oltre l’epider- mide e uno strato ipodermico; e l'altra interna, fatta di cellule rotonde in sezione trasversale e regolarmente succedentisi in serie radiali. Queste ultime cellule, le quali costituiscono la principale massa del corpo corticale della radice, hanno la proprietà di contrarsi non appena assor- bono acqua dall'esterno, come si può agevolmente verificare in sezioni lon- gitudinali non molto sottili, messe in acqua distillata. Ora, perchè questa facoltà, che hanno le cellule di contrarsi sotto l'influenza di un aumento di turgore, abbia il supposto effetto di far accorciare la radice (e quindi di pro- durre l'abbassamento dei fusti), occorre naturalmente che la contrazione stessa (1) Recherches sur la structure des Aroidées, Annal. des sciences naturelles, V série, Botanique, VI, 1866, pp. 72-210. — 973 — possa divenire permanente, che cioè le cellule possano fissarsi nella forma che assumono qnando aumentano di turgore. Ciò non può aver luogo se non per mezzo dell’accrescimento. Questo, cioè l'ingrandimento delle cellule, dovrebbe procedere in modo che esse possano raggiungere forma e dimensioni definitive, imposte dalle particolari qualità fisiche delle loro membrane, ossia seguendo la tendenza, che hanno queste ultime a dilatarsi trasversalmente ed accorciarsi longitudinalmente. Senonchè, l'osservazione della lunghezza definitiva che assumono queste cellule in confronto a quella che hanno mentre sono in via di accrescimento, porta a concludere che tutto ciò non si verifica, e che l'accrescimento stesso mette invece capo, come nei casi normali, ad un allungamento ed allarga- mento uniformi delle singole cellule. Infatti, in una lunga radice di R7chardia africana, provvista già, nella sua porzione superiore, delle caratteristiche rughe, la lunghezza delle cellule corticali va gradatamente crescendo a partire dal- l'estremità inferiore apicale, fino a raggiungere, nella zona provvista di rughe (nella quale cioè, secondo gli autori, sarebbe avvenuta la contrazione), una lunghezza doppia o tripla di quella delle cellule corrispondenti nelle porzioni inferiori. Ciò specialmente si osserva nelle cellule più esterne della regione interna, vale a dire in quelle che occupano una posizione intermedia rispetto a tutta la massa del parenchina corticale, e che, secondo gli autori, sareb- bero precipuamente impegnate nel fenomeno della contrazione. Al tempo stesso, esse acquistano grande ampiezza trasversale; ma ciò in nessun modo potrebbe portare ad una contrazione dell'intero tessuto, se in pari tempo non si verificasse una diminuzione della lunghezza, rispetto a quella che esse hanno quando sono ancora giovani ed in via di crescita. Questo accrescimento radiale, che maggiormente si verifica nelle cellule immediatamente in contatto col cilindro assile, per via della mutua compressione alla quale sono soggette in tal punto della corteccia, è invece causa, per quanto indiretta, della formazione delle rughe, in seno al tessuto che costituisce la regione esterna della corteccia. Le cellule di quest'ultima (ad eccezione di quelle dell'epidermide e dell’ipoderma), a differenza delle altre, possono segmen- tarsi ed aumentare di numero, seguendo in tal modo, di pari passo, l'aumento dello spessore della radice, che si compie, come sì è detto, per incremento di volume delle singole cellule interne. Di queste ultime, quelle situate immediatamente al di sotto della detta regione esterna capace di segmen- tarsi sono naturalmente sollecitate a stirarsi lateralmente secondo la dire- zione del perimetro; e quando quest'ultimo comincia ad essere troppo grande, rispetto alla possibilità, che dette cellule hanno di ricoprirlo, esse, non poten- dosi segmentare, nè seguire in altro modo un ulteriore aumento della peri- feria, sono costrette a staccarsi l’una dall'altra. Allora perdono il turgore; le pareti vengono in contatto fra loro, ed in ultimo avvizziscono completa- mente, così che nei tratti corrispondenti delle serie radiali di cellule si ori- RenpiconTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 127 — 974 — gina un vuoto, in cui rimangono i residui delle pareti cellulari avvicinate tra loro ed in parte disciolte. Questi vuoti, dapprima si alternano con tratti di serie cellulari ancora intatti; ma infine anche questi si dissolvono, ed il vuoto diventa continuo. La zona esterna (con l'epidermide e l’ipoderma), la quale intanto si è accresciuta per segmentazione, perde, così, ogni appoggio al dì sotto di sè e diventa una sorta di involucro indipendente, troppo ampio rispetto al perimetro che l'accrescimento subìto l'avrebbe fatta capace di rivestire. Così si originano le rughe o crespe trasversali, caratteristiche della porzione superiore di queste radici, e che sono state attribuite a contratti- lità; ma, come si vede, la loro formazione è un effetto indiretto, puramente materiale, dell'accrescimento, combinato con le particolari condizioni di strut- tura delle varie regioni della radice, e non già della contrazione del tessuto parenchimatico. Per tal modo il fenomeno della contrattilità cellulare, dovuto alle varia- zioni di turgore, non può che produrre una semplice /luztuazione dello stato di tensione delle radici giovani, a seconda delle condizioni di maggiore o minore turgore in cui vengono a trovarsi volta a volta le cellule per effetto delle condizioni di umidità o di secchezza esterne. Ora questo processo, come si comprende di leggieri, non può produrre alcun notevole abbassamento dei fusti. Queste variazioni di tensione hanno anzi luogo in tutte le radici della stessa pianta, cioè anche in quelle le quali, per non avere le caratte- ristiche rughe, non sono considerate come contrattili. Tuttavia resta da chia- rire il fatto che la formazione delle radici contrattili (rugose) ha luogo quando i fusti sono troppo superficiali, e cessa quando essi si trovano alla profondità giusta; in altri termini, sì tratta di studiare l'influenza che gli agenti esterni esercitano sull’accrescimento delle radici, quando esse si tro- vano direttamente esposte alla loro azione. A questo riguardo, maggior fondamento acquista l'opinione espressa dal Daniel e confermata dal Cavara in un caso tipico di piante a radici tiranti: che cioè a queste ultime spetti invece una funzione acquifera, sia pure di carattere transitorio, o come risultato di un adattamento. Infatti, la stessa proprietà di contrarsi che hanno le cellule sotto l’ in- fluenza di un aumento di turgore, non esclude siffatta funzione, ma anzi ricorda le proprietà di alcune cellule tipicamente acquifere, quali, ad es., quelle dei così detti « veli radicali » delle radici aereo delle stesse Aroidee. La grande facilità con la quale le cellule contrattili assorbono l'acqua e s'inturgidiscono ; la presenza di areole nelle membrane, le quali permettono rapidi e facili scambî di quest'acqua tra cellula e cellula, e la notevole capa- cità che acquistano allo stato adulto le cellule stesse per effetto dell'accre- scimento, le fanno particolarmente adatte a compiere la funzione acquifera, per cui l’intero tratto della radice che si ingrossa assume il carattere di un vero serbatoio d'acqua, cui la regione corticale esterna, per i particolari carat- — 975 — teri istologici dell'epidermide e dell'ipoderma, fa da mantello protettivo molto efficace. Ma oltre a ciò numerose osservazioni sul comportamento di queste radici, sull’epoca in cui si producono, e sul loro destino finale, provano indubbia- mente che la funzione loro spettante è quella accennata. Il fatto che esse acquistano uno sviluppo considerevole quando le piante sono situate troppo superficialmente, è in evidente rispondenza con le condizioni di maggior sec- chezza in cui si trovano esposti in tal caso i fusti e, quindi, le piante stesse. Nella Richardia africana, che prospera coi tuberi sommersi completamente nell'acqua, le radici raggiungono il massimo sviluppo solo quando il livello ordinario dell'acqua si abbassa fino a scoprire le parti da cui sorgono. Epperò la formazione delle rughe (che dipende, come abbiamo visto, dalla cessazione dello stato di turgore delle cellule per effetto dell’accrescimento, e quindi, dal costituirsi di ampie lacune alla periferia della regione interna della radice) corrisponde esattamente allo stato di esaurimento delle riserve idriche delle radici. Il che ha luogo naturalmente quando esse hanno raggiunto il mas- simo dell’accrescimento in volume, e perduri il loro stato di scoprimento dal terreno o dall'acqua. L’'apparizione delle rughe è quindi connessa con la durata della esposizione alla secchezza delle parti inferiori della pianta, giacchè in tali condizioni avviene precisamente l’impiego e l'esaurimento delle riserve liquide delle radici. Se invece le radici scoperte della Richardia africana, dopo divenute flosce e rugose, si fanno coprire novamente da uno strato d'acqua, non tardano ad imputridire. Tutto ciò spiega perchè le radici si contraggono quando si trovano allo scoperto, e rimangono lisce e sottili quando i fusti, da cui sorgono, sono con- venientemente approfonditi. I Le suddette considerazioni acquistano poi maggior valore dal fatto che le radici, cui è stato attribuito l'ufficio di tirar giù i fusti, si ritrovano per eccel- lenza in piante terrestri a fusti sotterranei. Queste piante cominciano a vege- tare nella stagione umida, ed ingrossano gradatamente le loro radici durante il periodo vegetativo, immagazzinando nei loro tessuti una certa quantità di acqua; e soltanto sul finire del periodo vegetativo, quando cioè si è già nella stagione secca, appaiono in queste radici le caratteristiche rughe nella cor- teccia. Così avviene, per es., nei C70cus (*), nell'Arum maculatum, ed anche in qualche Dicotiledone, come nella /icarza ranunculoides, secondo osser- vazioni del prof. Borzì. A questo riguardo daremo maggiori dettagli in un prossimo lavoro 77 ealenso; intanto, dall’esempio descritto si può concludere che ai fenomeni di contrazione radicale non spetta se non il significato derivante dalla loro natura (1) Goebel, Organographie der Pflanzen, pag. 473. gAnograp — 1976 — prettamente fisica, già stabilita dalle chiare ricerche del De Vries. Essi, da soli, non bastano alla funzione del mantenimento del livello sotterraneo dei fusti, la quale assai più efficacemente si compie per attività incrementale dei fusti stessi, ossia con veri e proprî tropismi, come è stato illustrato nello stesso lavoro del Massart, di cui ci siamo in parte occupati. Fisiologia. — L'azione del radio nello sviluppo primaverile delle uova del baco da seta. Nota di C. Acqua, presentata dal Socio R. PIROTTA. Lo studio dell’azione del radio sullo sviluppo delle uova in diverse forme di animali è stato oggetto di parecchie ricerche, le quali hanno dato în genere risultato positivo, nel senso di accertare un'azione del radio stesso, quantunque possa esplicarsi nei singolari casi in diversa maniera. Come fatto generale si ha la constatazione di un arresto o di un ritardo provocato dal radio nelle uova già fecondate, e di una alterazione indotta nella costituzione dei nuclei. Particolarmente interessanti sono le ricerche della scuola di O. Hertwig, che mettono in evidenza l’azione del radio stesso, facendolo anche agire negli elementi sessuali prima della fecondazione. Naturalmente in questa Nota non m'è possibile entrare nella estesa letteratura. Accennerò soltanto al fatto, più volte constatato, che l’azione del radio si manifesta differente- mente secondo che agisce in diversi stadi di sviluppo, che detta azione non è uguale su tutti i tessuti, e che si esplica anche dopo un periodo di latenza. Fu accennato anche alla possibilità di un'azione acceleratrice, la quale però non sembra confermata. Chi volesse con qualche dettaglio conoscere l’argo- mento può consultare i lavori recenti di Hertwig G. e P. (*) e il lavoro, anch'esso recente, del Vernoni G., (*) nei quali è anche estesamente citata la letteratura. Nel campo della bacologia citerò il lavoro di P. Tomaselli (5), nel quale l'Autrice, dopo avere sperimentato su larve del B. Mori, su crisa- lidi, su farfalle e su seme-bachi, giunge a concludere che il radio, limi- tatamente alle esperienze eseguite, si mostrò inattivo affatto nel campo della bacologia. Tuttavia l'argomento, come opportunamente è osservato in detto lavoro, non può ritenersi esaurito, ed è perciò che io ho creduto ripren- (4) Hertwig G., Parthenogenesis bei Wirbeltieren hervorgerufen durch artfremden radiumbestrahlten Samen; Hertwig P. Das Verhalten des mit Radium bestrahlten Spermacromatins im Froschei. Archivi fir mikroskopische Anatomie, 1913. (?) Vernoni G., Studi di embriologia sperimentale. (L'azione del radio sull’uovo di pollo). Archiv fir Entwicklungsmecanik der Orgonismen, 1911. (*) Tomaselli P., &sercita il radio ‘nessuna influenza sulle manifestazioni della Séricaria Mori? Annuario della R. stazione bacologica di Padova, vol. XXXVI, 1909. — 977 — derne lo studio, limitandolo in queste prime ricerche all’azione sullo sviluppo delle uova durante il periodo primaverile. Usai all'uopo due campioni di radio; l’uno, che già a me servì per esperienze nel campo della fisiologia vegetale, è del tipo così detto a sali incollati; cioè a dire il sale di radio, finissimamente suddiviso, è trattenuto da un mastice speciale, il quale per- mette di fare agire il radio stesso direttamente, senza il bisogno di schermi atti a trattenerlo. Il dischetto con il preparato di radio è calcolato dall'attività di 100.000 unità. L'altro campione, costituito da una quantità considerevole di bromuro di radio (5 milligrammi), è contenuto in una scatolina ricoperta di una sot- tile laminetta di mica. I)etto campione mi fu prestato cortesemente per queste esperienze dal Sen. Prof. B. Grassi, al quale mi è doveroso esprimerei miei ringraziamenti. Designerò il primo campione con la lettera A, il secondo con la lettera B. La prima esperienza fu compiuta con il radio A. Due piccoli lotti di seme bachi, di qualità gialla indigena, del peso ciascuno di gr. 0,2 furono posti entro due cellette scavate in due dischi di sughero ed aventi al fondo uno strato di garza. Un lotto era a contatto diret- tamente col disco radioattivo, dal quale era separato soltanto dalla garza; l'altro lotto era posto alla distanza di circa mezzo metro nella stessa stanza, ed era isolato dal disco radioattivo da un blocco di piombo di tre centi- metri di spessore; questo lotto costituiva il controllo. L'esperienza ebbe principio il giorno 7 aprile; la temperatura dell'ambiente si mantenne di circa 18° C. Dopo 5 giorni, cioè il 12 aprile, furono tolte dal lotto sottoposte a radiazione 20 uova, ed altrettante ne furono parimenti tolte il 19 aprile, cioè dopo 12 giorni. Il 24 e il 25 aprile nel lotto di controllo cominciò ad aversi qualche nascita isolata; nel 26-27-28 le nascite proseguirono e furono complete. Nei lotti radiati non si verificò nessuna nascita, nè si ebbe traccia dello sbianchimento del seme, il quale suole precedere le nascite stesse. Si conservarono questi lotti per oltre 20 giorni, rimasti sempre completamente inattivi, e in seguito si gettarono. Da questa prima esperienza risulta: 1° che il preparato di radio dell'attività di 100.000 unità è sufficiente ad arrestare ogni sviluppo; 2° che un'esposizione di 5 giorni è bastante per ottenere effetti completi. In una seconda esperienza, iniziata il 28 aprile, fu del pari adoperato il radio A. Furono impiegati parimenti due lotti c. s. e nelle condizioni già descritte. La temperatura media fu di circa 20° C. Dopo 10 giorni, cioè a dire l'8 maggio, cominciarono le nascite; ciò dipese dal fatto che il seme adoperato per le esperienze era stato già tolto da parecchi giorni dalla fri- gorifera e si trovava quindi in stato già avanzato di incubazione. Nei giorni 9-10-11 le nascite nel controllo furono complete, ma si constatò con sor- — do presa che anche nel lotto radiato si avevano nascite, e cioè: 1 nel 9 maggio, nessuna nel 10, 11 nel giorno 11, 8 nel giorno 12, 12 nel giorno 13, altre. 3 nei giorni successivi, in totale 35 nascite su circa 270 ovuli che costi- tuivano il lotto. In questo caso adunque l'arresto dello sviluppo non era stato completo dopo 10 giorni, e ciò in opposizione a quanto si era verifi- cato nella prima esperienza, nella quale erano bastati 5 e 7 giorni per pro- vocare l’azione completa. Sorgeva dunque il dubbio in accordo a quanto, come si è detto, era stato descritto in altri casì, che il periodo evolutivo nel quale agisce il radio (poichè nella seconda esperienza le uova erano più prossime al loro schiudimento) non fosse senza influenza. Occorrevano quindi ulteriori ricerche. Le nuove esperienze furono fatte con il radio A, e con il radio B, e si iniziarono il 21 maggio con seme giallo indigeno, il quale era stato tolto dalla frigorifera da alcuni giorni. Furono fatti sette lotti da gr. 0,2 l’uno, contenenti circa 270 ovuli per ciascuno. Uno di tali lotti serviva da controllo; gli altri erano utilizzati come appresso. Due lotti «, 4 furono sottoposti all'azione del radio A, per quattro giorni e mezzo ciascuno, ma in periodi diversi, e cioè @ nel periodo dal 21 al 26, 5 dal 26 al 81. Mentre l’uno di tali lotti era sottoposto all’azione del radio, l’altro era mantenuto alla stessa temperatura, ma in condizioni ordinarie; così ciascun lotto era radiato per uno stesso tempo (giorni 4 1/5), ma in periodi differenti. Altri due lotti c, d, erano sottoposti all’azione del radio B nelle stesse condizioni come sopra. Gli ultimi due lotti e, /, erano sottoposti all’azione del medesimo radio B, ma alla distanza di un centimetro, entro una scatolina di sughero, col fondo di garza ed erano parimenti radiati per quattro giorni e mezzo, ma in periodi differenti come fu detto. La temperatura sì mantenne ad una media di 21° C. Le nascite cominciarono il 8 giugno e si ebbero i risultati trascritti nel seguente prospetto: RapIo À RapIio B RapIo B Con- a diretto contatto a diretto contatto | a 1 cent. di distanza | rRoLLO DATA a d e d | e Î Giugno| giorni 43 | giorni 43 | giorni 43 | giorni 43 | giorni 43 | giorni 43 fi dal 21 al 26|dal 26 al 31|dal 21 al 26|dal 26 al 81|dal 21 al 26|dal 26 al 81 dra Nascite Nascite Nascite Nascite Nascite Nascite | Nascite | 3 2 lea al 1 1 1 5 4 9 26 | 10 Il 14 50 IST 5 5 44 | 5 27 32 114 128 6 3 3001 17 3 63 35 7 8 36 3 14 15 29 6 8 2 18 1 3 4 8 4 9 1 9 1 3 2 2 = 10 3 9 — 1 1 = — 11 — 4 1 — 1 1 i 12 — -_ - - - = _ 13 1 1 1 TOTALE 3 183 | 26 74 74 268 | 265 I risultati di tali esperienze sono visibili a colpo d'occhio. In 4 abbiamo 33 nascite, in è 183; eppure ambedue i lotti risentirono l’azione del radio nelle stesse condizioni, fatta soltanto eccezione per il tempo, che per 2 fu in un periodo posteriore all’altro. Ciò ha bastato a dare una differenza notevolissima. Lo stesso dicasi per i lotti c e d, sottoposti all’azione del radio B, a contatto diretto, che ci pre- sentano rispettivamente le nascite espresse dai numeri 26, 74. Gli ultimi due lotti e, / sono sottoposti all’azione dello stesso radio B, ma non più a contatto diretto, bensì alla distanza di un centimetro. Orbene mentre / dà nascite complete e si distingue dal controllo soltanto per presentarle un po prolungate, come accade sempre quando il seme non ha subìto un’ incu- bazione regolare, e invece non dà che nascite parziali. Analogamente tutti i lotti radiati danno nascite alquanto irregolari e prolungate. La conclusione di tali esperienze è adunque evidente. L'azione del radio è diversa secondo che agisce in periodi differenti di evoluzione delle uova ; nelle mie esperienze fu maggiore quando il seme era più lontano dal suo — 980 — schiudimento e minore quando il seme stesso era più vicino a detto pertodo. Ora prendiamo in esame un'altra quistione. Facendo agire il radio ad una distanza determinata, per modo che non ne risultino conseguenze nocive, si potrà pure avere una qualche differenza, rispetto al controllo, per ciò che riguarda l'epoca e la durata del periodo di schiudimento? A questa domanda già in parte si risponde con un esame di quanto accadde nella precedente esperienza con il lotto /, il quale non mostrò comportamento differente dal controllo, fatta eccezione per un lieve prolungamento del periodo di schiudi- mento. Ma altre prove furono condotte durante la seconda esperienza, sopra descritta. Mentre il primo disco di sughero conteneva nella sua celletta col fondo di garza il piccolo lotto che si trovava a contatto diretto con il pre- parato radifero, altri tre dischi parimenti di sughero contenenti seme-bachi, nelle stesse condizioni e quantità, erano sovrapposti al preparato stesso alle distanze di cm. 3, 6, 9. In questi lotti la radiazione giungeva molto affie- volita per la distanza maggiore ad ogni lotto, ed anche per il fatto che essa doveva attraversare gli strati di seme-bachi dei lotti sottostanti. Poteva dunque sembrare interessante il ricercare l'azione di una debole radiazione. Ma questa non produsse allora effetto apprezzabile; lo schiudimento delle uova avvenne in modo del tutto uguale a quello presentato dal lotto di controllo. Concludendo adunque, l’azione diretta del radio, se debole, non produce — nelle condizioni delle mie esperienze — alcun effetto apprezzabile, se forte arresta l'evoluzione delle uova, ma quest’arresto è in rapporto con il periodo di tempo, durante il quale il radio ha agito, e cioè nei lotti radiati in un periodo più lontano dall'epoca dello schiudimento, l’azione è di molto mag- giore di quella esercitata in un periodo posteriore, cioè a dire più vicino al momento dello schiudimento stesso. Questi primi risultati debbono dare ori- gine a nuovi studî intesi a stabilire con maggiore esattezza i rapporti che passano tra l’azione del radio e il periodo evolutivo, e cioè lo stadio di svi- luppo organico e delle differenziazioni corrispondenti ad esso sviluppo. Intanto m'è sembrato non privo d'interesse il rendere noti questi primi risultati ottenuti. Parassitologia. — Osservazioni e ricerche sulle tignuole della vite. Nota del dott. M. Topi, presentata dal Socio B. GRASSI. TE Sono riunite in questa Nota osservazioni e ricerche sull’ incrisalidamento invernale delle larve delle tignuole della vite [ Conchylis ambiguella, Poly- chrosîis (Eudemis) botrana], che, saltuariamente, ho avuto occasione di fare nell'alto Monferrato, e precisamente nel territorio di Alice Bel Colle; in alcune, come sarà espressamente indicato, ho avuto la collaborazione di - F. Monticelli. * * x La determinazione dei rifugî invernali dove, in aperta campagna, le larve delle ultime generazioni di Comehylis e di Eudemis vanno ad incrisalidarsi, ha molta importanza nel campo pratico per la lotta contro le due tignuole; nè, a questo proposito, possiamo usufruire delle numerose osservazioni ed esperienze francesi, perchè nei nostri sistemi di palatura della vite entra un elemento nuovo, la canna, la quale, al contrario di ciò che avviene coi pali, offre, con l’internodio superiore aperto, un ricercato rifugio alle larve che s' incrisàlidano. Salvo poche vigne condotte su fil di ferro, in cui le canne entrano in minor quantità, il modo qui più usato di impalatura della vite è di mettere un fascio di canne lungo il ceppo ed a cui questo è legato; ad altri due fascetti di canne, poi, situati a monte o a valle, si affida il tralcio a frutto; cosicchè per ogni vite occorrono da 6 a 12 canne, a seconda delle loro di- mensioni. Naturalmente, nè tutte le canne sono tagliate superiormente nè lo sono in guisa da lasciare un pezzo d'internodio; quindi non tutte le canne possono ivi dar ricetto a larve, e, d'altra parte, la canna non offre altro ri- fugio. Le viti sono tenute alte e ciascuna pianta ha dai 60 cm. ad 1 m. di legno vecchio, fra le cui corteccie si incrisalidano pure le larve di Con- chylis e di Eudemis. Per la lotta invernale contro questi parassiti si possono quindi consi- gliare e si consigliano: lo scortecciamento dei ceppi e lo spuntamento delle canne, con relativa distruzione delle parti asportate (l’'aspersione dei ceppi con acqua bollente o caldissima è specialmente efficace contro la sola pirale). Lo scortecciamento dei ceppi, data la loro lunghezza, che rende labo- riosa e non agevole l'operazione, ed i pericoli a cui, per la rigidità degli RenpIcoNTI. 1914. Vol. XXIII, 19° Sem. 128 Ca inverni nelle regioni settentrionali, si deve andare incontro,- riteniamo non possa praticamente adottarsi. Ci è sembrato quindi interessante il determinare quale sarebbe la presumibile efficacia dello spuntamento delle canne, che è operazione facile, economica, che non troverebbe, in pratica, altra difficoltà che la cattiva volontà e il misoneismo di increduli vignaiuoli (*). Per accertarsi dunque dell'efficacia dello spuntamento delle canne, era necessario vedere in quale misura le larve di Zudemis e di Conchylis si dirigessero, per incrisalidarsi, alle punte delle canne ed in quale alle cor- teccie. Se, infatti, la maggior parte delle larve incrisalidasse nelle canne, l'efficacia dello spuntamento sarebbe massima; minima, invece, se vi si tro- vasse soltanto una piccola percentuale di crisalidi. In una vigna, molto danneggiata dalle tignuole, vennero adunque, d’ in- verno, scortecciate 25 viti, ricercandovi le crisalidi, ed al tempo stesso vennero esaminate, col medesimo scopo, tutte le canne che ne costituivano l’ impa- latura. I risultati furono ì seguenti: | CRISALIDI RINVENUTE | CRISALIDI RINVENUTE | CRISALIDI RINVENUTE NET | nelle sotto N nelle sotto | RE nelle sotto canne |la corteccia 9 canne Îla (Roca canne |la corteccia | I 0 O] X 3 QI ARIE 0 0 II 1 ON Sd 2 O 20x 0 1 III 0 N 20 0 0 | XXI 0 0 IV 0 Toi 2000 0 O || SOvu 0 Il V 0 de a 0 1 VO00 1 0 VI 6 5) XV 1 0 XXIV 0 0 VII 3 2 XVI 1 (0) >) 1 1 VIII 0 1 XVII Ù Or IX 0 0 | XVIII 0 0 Totali 19 18 Il numero rilevante, almeno per le località prese in esame e per le annate cuì sì riferiscono queste ricerche, delle crisalidi rinvenute (*), testi- (*) In vista, anzi, di queste difficoltà, si è anche consigliata l’adozione, per la pala- tura delle vigne, di sostegni lisci, non offrenti cioè rifugi alle larve per incrisalidarsi. Ma è evidente che, quando anche la cosa fosse possibile e pratica, le larve si dirigereb- bero totalmente verso i ceppi, dove più difficile ne è la distruzione; di più, siccome le canne occorre siano frequentemente rinnovate, almeno per quella parte che viene distrutta avanti la primavera, si ha una, diremo così, automatica distruzione dei parassiti. (£) Il dott. Maisonneuve, nel 1910, avendo proceduto allo scortecciamento di un certo numero di ceppi nell’Anjou (dove le viti sono, come nella nostra località, circa 4000 per ettaro) ottenne, come media, 2 crisalidi ogni 10 ceppi. L’anno successivo, l’ invasione delle tignuole vi fu formidabile. Il numero delle crisalidi che si rinvengono è in rap- porto con la gravità dell’infezione dell'annata; ma la loro scarsità od abbondanza non sono affatto indizio di debole o forte inyasione di tignuole nell’annata successiva. — 983 — monia della gravità dell'infezione nella vigna in esperimento. Infatti, ri- cerche contemporanee e successive, eseguite in altre località del medesimo territorio, separatamente sui ceppi e nelle canne, ci hanno fatto riscontrare un grande numero di ceppi e di canne privi di crisalidi. È notevole il fatto che, osservando superficialmente, si tenderebbe ad ammettere che nelle punte delle canne si trovasse la quasi totalità delle crisalidi. Ciò dipende, riteniamo, dalla maggiore facilità con cui si possono esaminare le canne, dove si notano, talvolta, riuniti in un solo internodio, fino a 10 bozzoletti con crisalidi (Monticelli); mentre la ricerca sotto le corteccie riesce lunga e penosa. Ma le ricerche sopra esposte ed altre, che citeremo in appresso, dimostrano che vi ha per lo meno un egual numero di crisalidi nelle canne e sotto le corteccie. Si deve anche notare che sulle viti dove le crisalidi abbondano, si trovano numerose tanto nelle canne quanto nelle corteccie (viti VI, VII e X). Da quanto abbiamo riferito devesi adunque concludere che con lo spun- tamento annuale delle canne verrebbesi a distruggere circa la metà delle far- falle che sì schiuderebbero la primavera successiva. Vale a dire — tenendo anche conto della necessità che la pratica debba esser generale e della diffi- coltà di ottenerlo — che il solo spuntamento delle canne, non associato cioè ad altri mezzi di lotta, difficilmente potrebbe dare risultati ben apprezzabili ed evidenti. Si otterrebbero invece risultati più completi con un altro metodo di lotta invernale: quello dei rifugî artificiali, fra cui, molto consigliabili, quelli descritti ed applicati da G. Catoni nel Trentino. Si tratta di applicare, alla base del tralcio e sul legno di due anni, delle fasce di stoffa, ove le larve incrisalidano e dove quindi le crisalidi possono facilmente distruggersi. Nel caso nostro, all'applicazione delle fasce dovrebbe associarsi lo spuntamento delle canne, oppure le fasce dovrebbero applicarsi così ai ceppi come alle canne. È quanto ha fatto, in via sperimentale, F. Monticelli, ottenendo una conferma dei risultati esposti nella tabella precedente: SULLE CANNE SUI CEPPI Riascegapplicate ss n 82 O Has cela pplicate Sa en in? » senza bozzoletti . . » 14 » senza bozzoletti . . » 11 Bozzoletti con crisalidi . . » 23 Bozzoletti con crisalidi . . » 36 Rozzolettifivu o tre I RAO ” VADO og (OLISAITATRAVA 0 te NP E ANSE Ori] SALI AVO LE MO Come si vede. il ceppo è altrettanto, se non più, ricercato dalle larve per l’incrisalidamento, quanto le punte delle canne. Tanto nel caso dell’applicazione delle fasce quanto in quello dello spunta- mento delle canne, la lotta può completarsi col mettere in libertà gli imenotteri — 984 — parassiti, che escono dalle crisalidi, tenendo le fascie e ie punte delle canne in apposite cassette, donde possano uscire gli imenotteri e non le farfalle. Le seguenti cifre dànno un'idea della importanza degli imenotteri parassiti, e di altre cause parassitarie, nella lotta contro le tignuole. Da 100 bozzo- letti si sono ottenuti (Monticelli) 57 farfalle e 22 imenotteri parassiti; le altre crisalidi erano parassitizzate da funghi ed alcuni bozzoletti eran vuoti. All'aperto, prima della schiusura, sicuramente ancora un certo numero di crisalidi sarebbe stato distrutto da predatori, da funghi e da altre cause nemiche. Nelle punte di canna si trovano frequentissimamente: un tenebrionide, del genere Helops, e le larve di un malachide, il Malachius bipustulatus, che sono considerati come predatori delle crisalidi. Ma sulla loro utilità e voracità è lecito di aver forti dubbî. Abbiamo infatti trovato spesse volte gli Helops e le larve di Malachius in compagnia di crisalidi sane ed in- tatte; e, tenuti gli uni e le altre in capsula di vetro insieme con crisalidi, sono morti senza danneggiarne alcuna. * x x Anche nella località presa in esame si nota una grande predominanza di Zudemis sulla Conchylis. Delle 57 farfalline ottenute (Monticelli) da 100 bozzoletti, di cui abbiamo già detto, ben 54 erano di Zudemzs e solo 3 di Conehylis. Nelle catture con l’acqua melassata, di cui si parlerà in un'altra Nota, abbiamo ottenuto una percentuale di Conchylis sensibilmente superiore, e cioè 10 Conehylis e 73 Eudemis. Può darsi che la Conchylis si trovi in abbondanza in certi punti ristretti del territorio: ricordiamo di aver veduto, in alcune sere di estate, svolazzare, in certe località, esclusivamente delle Conechylis in numero considerevole. Batteriologia. — L'influenza della temperatura sulla micro- flora del fieno. Fieni lattici e fieni butirrici (*). Nota del prof. Co- STANTINO GORINI, presentata dal Socio G. BrIosI. In una serie di lavori pubblicati nell’Anzuario dell’ Istituzione Agroria Ponti (*), edito dalla R. Scuola superiore di agricoltura di Milano, io ho co- municato le ricerche batteriologiche sui foraggi infossati, che perseguo dal 1904. In esse ho preso a studiare, da un punto di vista nuovo, i pro- (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di batteriologia della R. Scuola superiore di agri- coltura di Milano. Pervenuto all'Accademia il 6 giugno 1914. (®) Gorini, Ricerche batteriologiche sui foraggi conservati nei silò. Annuario del- l’Istit. agraria dott. Andrea Ponti, volumi V, VI, VII, VIII, IX, X e XI, anni 1904-1914. Milano, Tipografia Agraria. — 985 — cessi fermentativi che si svolgono nei silò in base al comportamento della loro microflora nel latte; per cui sono arrivato a distinguere due tipi prin- cipali di silò, a seconda della direzione fermentativa in essi predominante: i silò lattici e i silò butirrici, distinzione che andrebbe a sostituire la vieta classificazione in silò dolci e silò acidi. Ho messo in luce l'influenza che la temperatura esercita su detti processi fermentativi e, quindi, sulla riuscita dei silò: i silò lattici, nei quali cioè prevale una microflora lattica, si ottengono quando la temperatura non supera i 50° C.; i silò butirrici, nei quali pre- domina una microflora butirrica, si hanno a temperature attorno ai 60° C. Ho dimostrato che il massimo numero dei comuni silò è di natura piut- tosto butirrica; ho posto in chiaro i pericoli che i silò butirrici presentano sia per le funzioni intestinali degli animali, sia per la sanità del latte, sia per la fabbricazione dei prodotti casearî e segnatamente dei formaggi. In forza di ciò, e considerando i vantaggi zootecnici e casearî che offrono per contro ì silò lattici, ho per il primo (1907) proposto e studiato la prepara- zione di silò lattici mediante l'aggiunta di fermenti selezionati e la limi- tazione della temperatura di caricamento. Le prove, fatte con metodo rigoro- samente comparativo, hanno dato risultati conformi alla aspettativa; essì parlano decisamente in favore del nuovo metodo di insilamento, il quale si è rivelato altresì in grado di spiegare una benefica influenza sulla conser- vazione dei foraggi infossati, diminuendo la perdita di sostanze nutritive azotate e zuccherine che sempre si verifica durante il processo fermentativo. La temperatura di caricamento dei silò può e deve variare a seconda dei tipi di fermenti selezionati che si adoperano; vi sono fermenti lattici che funzionano ad alta temperatura (persino attorno ai 50° C.) come ve ne sono di quelli che funzionano a temperatura bassa (persino attorno ai 20° C.); allo scopo di eliminare una buona parte della microflora antagonista, parmi preferibile di usare fermenti lattici che permettono di raggiungere temperature un po' elevate capaci di uccidere i germi meno termoresistenti; naturalmente però la necessità di raggiungere alti gradi di calore è tanto meno sentita quanto più abbondante è la presenza dei fermenti lattici, perchè questi col loro rapido sviluppo finiscono col creare presto un ambiente sfavorevole ai fermenti antagonisti; io ho ottenuto buoni risultati anche contenendo la tem- peratura a 30-35° C. (Vedi la mia Relazione settima per l’anno 1912-913, nell’Annuario Ponti, vol. XI, 1914). Ciò deve però dipendere anche dalla natura dei foraggi infossati e dalla rispettiva microflora naturale. * %x * In un altro lavoro più recente (*), avendo esteso le mie indagini alla mi- croflora dei foraggi non insilati (erbe, fieni, surrogati, ecc.), ho dimostrato (*) Gorini, L'alimentazione delle vaccine e la produzione igienica del latte. (Per — 986 — in linea generale la influenza perniciosa che essa può esercitare sia sulla salute del bestiame, sia sul latte e sui prodotti casearî, qualora detti foraggi abbiano subìto macerazioni o fermentazioni anormali; ed ho avanzato la pro- posta di sottomettere i foraggi, almeno nei casi dubbî o sospetti, ad un con- trollo batteriologico-zimoscopico sul genere di quello da me escogitato per i silò; imperocchè, a mia veduta e per mia esperienza, non basta l'esame microscopico semplice, come oggi si suole eseguire, per giudicare della sa- lubrità di un foraggio: ci sono erbe, fieni, crusche, panelli dichiarati sani all'esame microscopico, che mi risultarono invece pericolosi al controllo batte- rioscopico (!). RES Ultimamente poi ho condotto a termine, sempre col medesimo indirizzo, aleune ricerche particolari sulla fienagione, circa le quali reputo opportuno di riferire brevemente in questa Nota preliminare. In base a queste ricerche, parmi convenga stabilire anche qui, come nei silò, una prima distinzione dei fieni in fieni normali e fieni anormali; chiamando normali quei fieni che non abbiano subìto macerazioni o fermentazioni anormali, che non siano ammuffiti, guasti o abbruciati (cosidetti fieri sca/dati), ho trovato che essi sono alla lor volta suscettibili di una suddistinzione, a seconda della batterioflora predomi- nante, in fieni a prevalente fermentazione lattica e fieni a prevalente fermenta- zione butirrica; onde si può parlare anche qui di fieni normali lattici e di fieni normali butirrici. Ho trovato inoltre anche qui, come nei silò, che nella maggior parte dei fieni comuni predomina la flora butirrica; e che su ciò ha una notevole impor- tanza la temperatura di fermentazione. I fieni che hanno raggiunto temperature non troppo elevate (attorno ai 50°C.) mi sono risultati più ricchi di fermenti lattici che non quelli che hanno raggiunto temperature più alte (attorno ai 60°); siccome. peraltro, ciò deve variare anche a seconda della qualità delle erbe affienate e della rispettiva microflora naturale, ho pensato di eliminare queste cause di divario istituendo il seguente esperimento: Ho preso una stessa e medesima bica di fieno, e l'ho sottoposta al con- trollo zimoscopico-batteriologico nelle sue diverse fasi di fermentazione; orbene un controllo batteriologico dei foraggi). Rend. R. Ist. Lomb. sc. e lett, 26 marzo 1914, vol. XLVII, 1914, pag. 288. (1) Dopo la pubblicazione del suddetto mio lavoro è apparso nel « Centralblatt fiir Bakteriologie » ecc. (Abteilung'II°, 41° vol., 27 maggio 1914, pag. 1) un accurato studio di A. Wigger del Laboratorio di Batteriologia Agraria del Politecnico di Zurigo (diretto dal Prof. Diiggeli) sulla microflora di alcuni foraggi allo stato fresco e fermentato con spe- ciale riguardo alla sua influenza sul latte. Esso viene a corroborare non solamente le mie ricerche, ma anche la mia proposta di un controllo batteriologico dei foraggi, data l’in- sufficienza del controllo chimico e microscopico semplice. — 987 — ho constatato che entro i primi tre, quattro giorni di fermentazione, con una temperatura attorno ai 50-55° C., essa poteva dirsi costituita da fieno preva- lentemente lattico; in seguito, invece, tendeva a diventare sempre più bu- tirrica, man mano che la temperatura saliva a 60-65° C. ed oltre, qual’ è purtroppo frequente ad essere raggiunta nella fienagione ordinaria . Pur riservandomi di ritornare diffusamente sull'argomento, i risultati di queste mie ricerche sui fieni si accordano siffattamente con quelli delle mie precedenti sui silò, che non esito fin da ora a consigliare anche qui una conveniente limitazione della temperatura di fermentazione, a fine di pro- muovere una salutare produzione di fieni a microflora prevalentemente lattica. A tale intento gioverà aver cura di accumulare il fieno a dovere, sten- dendolo per strati, rassettandolo e comprimendolo in guisa da espellerne la maggior quantità di aria; verranno così ostacolate le fermentazioni che pro- vocano l'eccessivo riscaldamento con conseguente perdita di sostanze nutritive e distruzione della microflora benefica, mentre rimane in vita la microflora pericolosa. Importa poi che gli agricoltori interroghino un po’ più di frequente il termometro, il cui uso emerge dal sopradetto assolutamente necessario per regolare i processi fermentativi così nella fienagione come nell’ infossamento dei foraggi. Con esso noi possiamo non solamente prevenice il cosidetto surriscalda- mento che conduce a fieni come a silò anormali (fieni scaldati o abbruciati), ma possiamo altresì contenere la temperatura dei fieni come dei silò normal? entro limiti tali da favorire il predominio della Lena più benefica e delle fermentazioni più conservative. Si avranno così fieni igienici e più nutritivi, con vantaggio evidente per il bestiame, per il latte e per i prodotti caseari. Riassunto. — Le mie ricerche batteriologiche sui fieni si possono rie- pilogare come segue: 1°. — Esse confermano le mie precedenti ricerche sui silò. Risulta in- fatti da esse: a) che prescindendo dai fieni mal riusciti o anormali (ammuffiti, guasti, surriscaldati ecc.), i fieni ben riusciti o normali possono essere suddistinti come i silò normali in due gruppi: fieni lattici e butirrici, a seconda della microflora in essi dominante; 5) che questa microflora sta anche qui in stretto rapporto colla tem- peratura di fermentazione; attorno ai 50° C. prevalgono i fermenti lattici, attorno ai 60° C. prevalgono i fermenti butirrici; c) che la maggior parte dei fieni comuni, come dei silò comuni, è di natura butirrica; e quindi poco propizia sia per le funzioni intestinali del bestiame sia per la sanità del latte e dei derivati; d) che per ottenere fieni lattici è raccomandabile innanzitutto un ac- — 983 — curato caricamento dei fieni in guisa di espellerne la maggior quantità di aria e di poterne moderare la temperatura di fermentazione attorno ai 50° C. 2°. — Esse vengono a rinsaldare l’ importanza della mia proposta di sot- toporre i foraggi ad un controllo zimoscopico-batteriologico per giudicarne la salubrità e l'attitudine casearia. Risulta infatti dalle mie ricerche che si danno fieni normali, cioè nè ammuffiti, nè guasti, nè surriscaldati, i quali sia all'esame organo-lettico sia all'analisi chimica e microscopica semplice possono essere dichiarati sani, mentre contengono una microflora pericolosa tanto per le funzioni intestinali e le conseguenti malattie del bestiame quanto per le qualità del latte e per la riuscita dei prodotti caseari. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLASERNA dà il triste annuncio della morte dei Soci stra- nieri: LupiMAR HERMANN, mancato ai vivi il 5 giugno 1914; apparteneva il defunto all’ Accademia, per la Fisiologia, sino dal 31 agosto 1910. — ApoLro LiEBEN, morto il 6 giugno 1914; faceva parte il defunto dell’Ac- cademia, sino dal 21 agosto 1905, per la Chimica. — Uco KRONECKER, mancato ai vivi il 6 giugno 1914; apparteneva il defunto Socio all’ Acca- demia, per la Fisiologia, sin dal 23 agosto 1897. — 989 — INDICE DEL VOLUME XXIII, SERIE 5°. — RENDICONTI 1914 — 1° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A Acqua. Invia per esame la sua Memoria: « Osservazioni ed esperienze sul baco da seta». 629. — Sua approvazione. 747. — « L’azione del radio nello sviluppo pri- maverile delle uova del baco da seta». 976. ALmansI. «Sulle attrazioni newtoniane di origine idrodinamica ». 287. — «Sopra le azioni a cui è soggetto un corpo entro una massa liquida in mo- vimento ». 473; 570. — « Un’osservazione sulle figure d’equili- brio dei fluidi rotanti ». 651. AmMaDORI. « Sui fenomeni di trasformazione nei molibdati e wolframati di sodio ». 608; 707. — «Sui fenomeni di trasformazione nei molibdati e wolframati di potassio ». 800. — e VirerBi. Inviano per esame la loro Memoria: « Sulla composizione della piromorfite ». 254.— Sua approvazione. 375. AMANTEA. « Ricerche sulla secrezione sper- matica. La raccolta dello sperma del cane n. 164; 369. AMANTEA. «Prime osservazioni sulla se- crezione spermatica del cane». 164; 457. — «La raccolta del secreto prostatico del cane ». 746. Amoroso. « Sopra un sistema di equazioni alle derivate parziali che ammettono un teorema nella media». 232; 299. ANGELI. «Sopra gli azossifenoli ». 473; 557. ARMELLINI. « Esame analitico della teoria del Fabry e del Crommelin sull’origine delle comete ». 138; 304. — «Sopra la soluzione delle equazioni differenziali del moto di un punto attratto da più centri fissi posti in linea retta n. 686; 770. — «Sul problema di due corpi nel caso di masse variabili », 913. ARrtINI. «Sulla diffusione delle rocce a nefelina nella Libia». 25. B BaLBIANO. « Sulla tribenzoina n. 654. — «Sull’anidrificazione della Glicocolla ». 893. BARBIERI. « Ricerche di chimica sistema- tica. Rutenio, sodio, palladio ». 243; 384, RENDICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. 129 — 990 — BaRrBIERI. « Sul posto del cerio nel-sistema periodico e sui molibdati complessi del cerio tetravalente n. 805. — «Palladosalicilati ». 880. BarGAGLI-PETRUCCI. Invia per esame la sua Memeria: «Sull'origine biologica della Terra di Siena (Terre gialle e bolari del Monte Amiata)». 60. — Sua appro- vazione. 177. BasiLe « La meteorologia della leishma- niosi interna nel Mediterraneo ». 539; 625. BeTTI e PoccranTI. «Sulle ossime dello anaftil-fenil-chetone n. 237; 340. BiancHI A. — «Ilmenite di Val Devero (Ossola)».722. BrancHI L. « Sui problemi di rotolamento di superficie applicabili ». 3. — «Sul rotolamento di superficie applica- bili in geometria ellittica ed iperbo- lica ». 119; 195. — « Sopra alcune classi di superficie appli- cabili e di sistemi tripli ortogonali ». 269. — «Sui sistemi tripli coniugati con una famiglia di superficie applicabili sopra quadriche n. 383. BianNcHINI. « Sull’incompatibilità fra salolo, sulfonal e 8-naftolo». 353; 608. BLASERNA (Presidente). Comunica gl’inviti pervenuti all'Accademia per prender parte alle feste commemorative che saranno celebrate dalla R. Accademia di Scienze ed Arti di Barcellona e dalla Biblioteca imperiale di Pietro- burgo, e all'Esposizione internazionale del Panama del 1915. 61. — Annuncia che alla seduta assistono: il prof. De Bodola. 61; S. E. il Ministro della Marina Jill0, il Socio Eriksson eil Socio Marconi. 376; il Socio stra- niero Sir Archibald Geikie e il prof. Pionchon. 549. — Presenta un piego suggellato inviato dal sie. A. Trinca. 461; dal dott. Mei-Gentilucci. 891. — Comunica i nomi dei concorrenti al premio Reale per la Matematica e a quello di Fisiologia normale e patolo- gica, del 1913. 61. BLASERNA. Fa omaggio delle pubblicazioni; del principe von B%l0w. 549; del Socio straniero Walcott. 630. — Comunica i ringraziamenti per la loro nomina, inviati dai Soci stranieri Fredholm. 60; Hill. 178. — Annuncia la morte dei Soci stranieri Gill, Rosenbusch. 178; Suess. 747; Van Tieghem, Hill. 890; Hermann, Lieben, Kronecker. 988. — Riferisce sulla Memoria Gianfranceschi. 747. BoparEu. « La compressibilità del cloruro di metile». 491. Boero. «Sulla trasformazione di alcuni integrali che si presentano nell’idro- dinamica». 873; 920. i Bompiani. « Forma geometrica delle condi- zioni per la deformabilità delle iper- superficie n. 72; 126. Bonazzi. « L'effetto Hall longitudinale nelle leghe ferromagnetiche di rame, manga- nese, alluminio ». 427. BorTasso. « Sull’operatore differenziale bi- nario S di M. Pieri». 588; 659. BorTAZZI. « Ricerche sui muscoli striati e lisci degli animali omeotermi. P.I. Dei fenomeni tonici e clinici e della loro genesi nei muscoli striati e lisci». 299. Brunacci. « Sull’adattamento degli Anfibi all'ambiente liquido esterno mediante la regolazione della pressione osmotica dei loro liquidi interni. Importanza dei sacchi linfatici e della vescica urina- ria». 138; 512; 622; 746. BurGATTI. « Potenziali newtoniani dell’ela- sticità ». 686; 776. — « Applicazione dei potenziali newto- niani dell’elasticità ». 926. Cc Campi. «Sul comportamento degli eteri borici con gli alcoolati». 144; 244. — «Sulla reazione del nitroprussiato con alcuni chetoni n. 722; 812. CampPaniLE. «Sui rapporti tra l’azione di una illuminazione istantanea a diversa distanza, e la reazione nei germogli di Vicia sativa». 966. — 991 — CaraLano. « Sulla funzione delle radici con- trattili ». 970. CerLETTI. È approvata per la stampa la sua Memoria: « Sulla struttura della Nevroglia ». 890. CÙiaravIGLIO e Corpino. — « La distilla- zione della nitroglicerina a bassa tem- peratura ». 37. Ciamician. Riferisce sulla Memoria Ama- dori e Viterbi. 375. — e SiLBER. « Azioni chimiche della luce ». 1135 859: CisortI. « Efflusso da un recipiente forato lateralmente ». 27; 73. Î — « Sui moti turbolenti provocati da solidi immersi ». 588. i — « Sopra le forme quasi-circolari dell'anello di Saturno». 867. Ciusa e PrERGALLINI. « Ossidazioni con bromo sotto l’azione della luce ». 615; 821. CoccHi. Sua Commemorazione. 60; 178. CoLonNETTI. « Esperienze sulla elasticità a trazione del rame». 79; 165; 225; 421. ContarpI. V. Aòrner. Coppora. V. Pellini. Corino. « Se ha luogo una birifrangenza anormale nella prossimità di una riga spettrale di un vapore metallico in un campo elettrico n. 288. — V. Chiaraviglio. Corton. « Sur le moyen mouvement asym- ptotique et les solutions périodiques de certaines équations différentielles ». 592. CorRronEt. Invia per esame la sua Memoria: « Sul tubo digerente del Limulus». 60. — «Ulteriori osservazioni sulle relazioni degli organi e sulla nutrizione con tiroide nell’accrescimento larvale e nella metamorfosi degli Anfibi Anuri. 375; 458; 519. — « Risultati di ricerche sul tubo digerente del Limulus ». 885. CrupELI. «Nuovi criterii di stabilità per moti stazionarii di prima specie ». 400. Cusmano e PocciantI. « Bibrometetraidro- carvone e sna trasformazione in bucco- canfora n. 347. D D'Agostino. V. Qugliariello. De FiLippi. « Relazioni sulla spedizione scientifica nel Karakoram orientale ». 34; 874. De STEFANI. Commemorazione del Corrisp. Igino Cocchi. 60; 178. — «Su una nota di Steinmann intorno ai Diaspri di Prato in Toscana». 280; 635. — Fossili paleozoici dell’isola d'Elba». 906. Dini. Presenta il 1° volume delle Opere di Z. Cremona e ne parla. 185. Doria. Sua Commemorazione, 747. E EnrIques. « Sulla classificazione delle superficie algebriche e particolar- mente sulle superficie di genere li- neare pl =1». 119; 206; 291. EreDIa. « La distribuzione stagionale e an- nuale della nebulosità in Italia ». 500. — « L'influenza della orografia sulla distri- buzione mensile della nebulosità ». 795. F Fano. Riferisce sulla Memoria Galeotti. 375. Foresti. V. Padoa. FuLci. «I così detti ascessi di Dubois, secondo gli studî sulla rigenerazione del timo dei mammiferi ». 735. G GaLroTTI, GIULIANI, HIGGINS, SIGNORELLI e ViaLe. Inviano per esame la loro Memoria: « Gli effetti dell’alcool sulla fatica in montagna ». 177. — Sua ap- provazione. 375. GarEAUX. « Sur la représentation des fon- ctionnelles continues ». 138; 310. — « Sur les fonctionnelles d’ordre entier d'approximation ». 315; 405. — « Représentation d’une fonctionnelle continue, satisfaisant è la condition du cycle fermé ». 481. — 992 — GranFcRANcESCHI. Invia per esame la sua Memoria: « Per lo studio del corista campione dell’ Ufficio centrale italia- no ». 629. — Sua approvazione. 746. — « La durata minima di un suono suffi- ciente per individuarlo ». 704. GiLL. Annunzio della sua morte. 178. — Sua Commemorazione. 376. Gopraux. « Sur les involutions données d’un nombre fini de points unis, apparte- nant è une surface algébrique ». 315; 408. — « Sur les surfaces de genres zéro'et de bigenre un ». 607; 682. GonneLLI. V. Marino. Gorini. « L'influenza della temperatura sulla microflora del fleno - Fieni lat- tici e fieni butirrici ». 890; 984. GRANATA. « Le divisioni dei nuclei in Ha- plosporidium limnodrili ». 59; 109. Grassi. (Segretario). Presenta le pubbli- cazioni giunte in dono segnalando quelle del Socio Masini, del Corrisp. Issel, dei proff. Agamennone e Longo ecc. 184. — Comunica l’elenco dei lavori presentati al concorso ai premî di S. M. il Re per la Matematica e per la Fisiologia normale e patologica, e a quelli del Ministero della P. I. per le Scienze naturali, del 1913. 185. — liferisce sulle Memorie: Bargagli Pe- irucci. 177; Sanzo, Acqua. 747; Cer- letti. 890. — Commemorazione del Corrisp. Doria. 747. GRILL. È approvata per la stampa la sua Memoria: « I minerali dell’isola di Nisiro (Mar Egeo). 60. — « Bournonite della miniera di Brosso (Piemonte) ». 98. — « Epidoto e Granato della miniera di Brosso (Piemonte) ». 585. GueLisLmo. «Sull’uso dei reticoli di diffra- zione, nella misura della dilatazione termica od elastica dei cristalli ». 105; 138. — «Sull’uso dei reticoli concavi di diffra- zione con lo spettrometro ». 232; 322. GuetieLMo. « Intorno ad un condensatore sferico o conico per l'illuminazione laterale nei microscopi ». 482. — « Sulla misura assoluta dell’effetto Pel- tier fra metalli ed elettroliti». 493. — « Sull’esperienza di Clément e Desormes e sulla determinazione dell’equivalente meccanico della caloria n. 698. H HeRMANN. Annuncio della sua morte. 987. HiLr. Annuncio della sua marte. 890. IsseL. « Lembi fossiliferi quaternarii e recenti osservati nella Sardegna me- ridionale dal prof. D. Lovisato ». 659; 759. K KLeBs. Sua Commemorazione. 544. KoERNER e ConTARDI. « Benzine nitroso- stituite, ottenute dai corrispondenti aminoderivati ». 281. — — «La trinitrobenzina asimmetrica l. INA 95EN093! KRronEcKER. Annuncio della sua morte. 987. L Laura. « Sopra le formole di rappresenta= zione degli integrali della dinamica elastica ». 873; 931. Levi-Civira. « Deduzione rigorosa di una relazione fondamentale nella teoria del calore raggiante ». 12. Lincro. Invia per esame la sua Memoria: « Rocce e minerali del Monte Colmine ed adiacenze ». 60. — Sua approva- zione. 375. LieBen. Annuncio della sua morte. 987. Lo Surbo. « Su l'analogo elettrico del fe- nomeno di Zeeman: effetto longitu- dinale ». 41; 82. — « Su l’analogo elettrico del fenomeno di Zeeman: le varie righe di Balmer — 993 — presentano diverse forme di scompo- sizione ». 84; 143. Lo Surpo. « Osservazione diretta della scomposizione delle righe spettrali da- vanti al catodo in un tubo molto sot- tile n. 252. — « La scomposizione catodica della quarta riga della serie di Balmer, e probabili regolarità ». 326. — « Sulla formazione della rugiada e della brina ». 607; 950. Lumia. « Azione dei concimi minerali sul- l’attività di alcuni microrganismi del terreno n. 622; 738. M Maggi. Fa omaggio di un suo volume e ne discorre. 549. MaRcHIAFAvA. Commemorazione del Socio straniero prof. Edwin Klebs. 544. MarconI. « Nuovi metodi per la produzione delle oscillazioni elettriche continue e per la loro utilizzazione nella radiote- legrafia ». 255. MarINoO e GoNNELLI. « Sopra una nuova modificazione del metodo di Kjeldahl] ». 523. MatTIRoLO. Riferisce sulla Memoria Pe- rotti. 747. Mayer. « Sul cloral-f-aminoazobenzene ». 253; 358. — «Sui polimeri dell’isosafrolo n. 253; 358. — « Sullo spettro di assorbimento ultra- violetto della Buccocanfora n. 489. — « Sullo spettro d’assorbimento delle so- luzioni alcooliche di santonina e di suoi derivati in presenza di alcali ». 442. MazzuccHELLI. « Spettri di assorbimento a bassissime temperature ». 953. Mer-GentILUCCI. Invia un piego suggel- lato. 891. MieLIorINI. « Sulla geologia dei dintorni di Tobruk ». 734; 833. MiuLosevica E. (Segretario). Presenta le pubblicazioni dei Socî: Berlese. 375; De Stefani. 891; Lacroix. 760, 756; Liapounoff. 375; Loria G. 549; Noe- ther. 375; Orth. 549; Parona. 375; Pascal, Picard, Silvestri. 60; Tara- melli. 60, 549; Valenti. 756; Wagner. 549; — e quelle dei signori: Agamen- none. 549; Angeletti. 60; Béguinot. 891; Eredia. 549; Omodeo, Peglion. 891. MittLosevica E. (Segretario). Fa partico- lare menzione del vol. XII delle Opere di Eulero. 375; di un volume pubbli- cato in onore del Socio Dalla Vedova. 549. — Commemorazione del Socio straniero Sir David Gall. 376. MiLLosevica F. Riferisce sulla Memoria Rosati. 60. — « Sulla presenza di una breccia ossifera quaternaria nelle Formiche di Gros- seto n. 297. Monti R. «L'apparato reticolare interno di Golgi nelle cellule nervose dei cro- stacei n. 59; 172. Monti V. «Sulla distribuzione mensile della frequenza relativa della neve nelle Alpi settentrionali n. 151. MuvaRI. « Sopra una espressiva interpre- tazione cinematica del principio di re- latività ». 596; 781. N NaccarI. Riferisce sulla Memoria Negro. 890. Nero. Invia per esame la sua Memoria: « Ricerche sperimentali di elettrofisio- logia circa l'azione che sui nervi mo- tori della rana esercitano le scariche elettriche a basso potenziale, ottenuto a circuito aperto dai singoli poli di coppie voltaiche n. 177. — Sua appro- vazione. 890. 0 OLtvart. « Sulle proprietà dello iodio come solvente crioscopico », 41. P Papoa e ForEstI. « Calori di combustione di sostanze fototrope n. 95. — 994 — Papoar e TaBELLINI. « La tensione super- ficiale e l’idratazione in soluzione ». 46; 88. PeLLINI e CoppoLa. « Solubilità e attività». 94; 144 PerEs. « Sur les fonetions permutables analytiques ». 315; 870. PeRroTTI. Invia per esame la sua Memoria: « Studî di biologia sopra l’Agro ro- mano in rapporto al suo bonificamento agrario ». 112. — Sua approvazione. 747. PerR1. « Ancora sul significato patologico dei cordoni endocellulari nei tessuti della vite ». 109; 154. — « Sulle condizioni anatomo-fisiologiche dei rametti dei castagni affètti dalla malattia dell’inchiostro ». 363. Picone. « Teoremi di unicità nei problemi dei valori al contorno per le equazioni ellittiche e paraboliche n. 315; 413. — « Sopra una questione di geometria ci- nematica n. 666. PirraGNoLI. « Di alcune nummoliti del- l'Isola di Rodi ». 728. PrerGALLINI. Ved. Ciusa. Prirorra. Fa omaggio di varie pubblica- zioni del prof. Longo, e ne parla. 61. PizzerttI. « Della probabilità nelle prove ripetute ». 21. Prare. « Ricerche sull’azione di nitrati isolati sul periodo germinativo del- l’Avena sativa ». 161; 458: 506. — « Alcune ricerche quantitative sull’as- sunzione di ioni nelle piante ». 839. PocciantI. Ved. Betti, Cusmano. Ponte. « Sulla origine delle acque sot- terranee del versante orientale del- l'Etna ». 730. PraroLonGo. « I sistemi binarî cianamide- acqua, cianamide-urea e cianamide- diciandiamide ». 46. Puccianti. « Sull' interferografo girante del sig. Sagnac ». 177; 240. — « La decomposizione della riga rossa dell'idrogeno nel primo strato cato- dico n. 2438; 329. — « Confronto fra la scomposizione cato- dica della prima e della seconda riga della serie di Balmer ». 831. Q QUAGLIARIELLO e D'Agostino. « Sullo stato dell'acido carbonico nel sangue. Me- todo per dosare piccole quantità di acido carbonico ». 734; 844. QueRcIGH. « Sulla vera natura della mier- site e della cuproiodargirite ». 446; MERS258 R RicHi. « Sulla teoria delle rotazioni iono- magnetiche ». 897. RoLLa. « Sul calore specifico delle leghe metalliche costituite da soluzioni so- lide ». 616. — «Sul punto di fusione dell’arsenico ». 693. Rosati. È approvata per la stampa la sua Memoria: «Studio cristallografico della Mancherite e della Placodina ». 60. RosenBuscH. Annunzio della sua morte. 178. Rovereto. « La penisola Valdéz, e le forme costiere della Patagonia settentrio- nale ». 103. S SANDONNINI. « Sugli ossialogenuri di piom- bo ». 959. SANNIA. « Un limite inferiore dei moduli delle differenze tra le radici di due equazioni algebriche ». 486. — « Proprietà metriche intrinseche carat- teristiche delle curve di un complesso lineare e delle superficie rigate di una congruenza lineare ». 937. Sanzo. Invia per esame la sua Memoria: « Studî larvali di Bothophilus ni- gerrimus Gigl.». 544. — Sua ap- provazione. 747. SBorgI. « Sui borati: sistema Ba 0-B? 03- H°O a 30° ». 580; 717; 854. ScroLeTTE. « Sulle condizioni che defini- scono assiomaticamente l'integrale ». 214. SERRA. Invia per esame la sua Memoria: « Rocce vulcaniche della Sardegna centro-occidentale n. 746. — 995 — Severi. « Sugli integrali abeliani riduci- bili ». 581; 641. SEvERINI. « Sulle equazioni integrali di prima specie del tipo Fredholm ». 131; 219; 815. SiGNoRINI. « Caratterizzazione energetica dei moti soggetti a resistenza viscosa od idraulica n. 596; 672. — « Sulla propagazione di onde elettro- magnetiche in un conduttore cilin- drico ». 874; 943. SiLBER. Ved. Cramician. SiLLa. « Sopra alcune applicazioni della teoria della chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali n. 600. Silva. « Sulla correzione di run alle let- ture dei cerchi graduali fatte col mi- croscopio micrometrico ». 693; 787. SOMIGLIANA. « Sulla teoria delle distorsioni elastiche ». 280; 463. SouLa. « Sur certaines équations intégra- les ». 79; 182. STRUEVER. « Riferisce sulla Memoria Grill. 60. Surss. Annuncio della sua morte. 747. T TABELLINI. Ved. Padoa. Tepone. « Sulla espressione analitica del- l’ intesrale generale dell'equazione delle onde smorzate ». 24; 63. -- « Su alcune equazioni integrali di Vol- terra risolubili con un numero finito di derivazioni e di integrazioni ». 120, — «Su l’inversione di alcuni integrali e la integrazione delle equazioni a de- rivate parziali col metodo delle carat- teristiche n. 473. ToneLLI. « Sulle funzioni di linee ». 28. —- «Su una proposizione dell’Almansi ». 607; 676. Topi, « Osservazioni e ricerche sulle ti- gnuole della vite ». 890; 981. Tosti. « Dispositivo hertziano per osserva- zioni meteorologiche e previsioni di temporali ». 84. Trinca. Invia un piego suggellato. 461. V Vacca. « Sulla equivalenza per trasla- zione n. 80. — « Sull’Egodos di Archimede ». 850. VAN TrecHem. Annuncio della sua morte. 890. VIALE. « La perspirazione cutanea in alta montagna ». 53. Viaro. « Sulla costruzione delle tavole per la correzione del passo dei microscopii micrometrici ». 607; 687. VioLa. « Riferisce sulla Memoria Lin610. 875. VoLTERRA. Fa omaggio di un volume del prof. Le Bon, e ne «discorre. 112. — Offre una sua pubblicazione. 549. — Presenta un’opera del prof. Pionchon, e ne parla. 857. — « Osservazioni sui nuclei delle equa- zioni integrali ». 266. — « Sulle equazioni alle derivate funzio- nali ». 269; 393. — « Equazioni integro-differenziali ed equazioni alle derivate funzionali ». 473; 551. — 996 — INDICE PER A AsrRoNOMIA. « Sulla correzione di run alle letture dei cerchi graduati fatte col microscopio micrometrico n. G. Silva. 693; 787. ASTRONOMIA PRATICA. « Sulla costruzione delle tavole per la correzione del passo dei microscopî micrometrici n. B. Via- ro. 607; 687. B BaTTERIOLOGIA. « L'influenza della tem- peratura sulla microflora del fieno. Fieni lattici e fieni butirrici ». C. Go- rini. 890; 984. — c« Azione dei concimi minerali sull’at- tività di alcuni microrganismi del ter- reno n. C. Lumia. 622; 738. BioLogia. « La meteorologia della leish- maniosi interna nel Mediterraneo ». C. Basile. 539; 625. — « Ulteriori osservazioni sulle relazioni degli organi e sulla nutrizione con tiroide di mammiferi nell’accresci- mento larvale e nella metamorfosi degli Anfibii Anuri ». G. Cotronei. 375; 453; 519. — « Risultati di ricerche sul tubo dige- rente del Limulus». /d. 885. Boranica. « Sulla funzione delle radici contrattili ». G. Catalano. 970. Bollettino bibliografico. 62; 254; 381; 630; 757. Caimica. « Sui fenomeni di trasformazione nei molibdati e wolframati di sodio ». M. Amadori. 608; 707. — «Sui fenomeni di trasformazione nei molibdati e wolframati di potassio r. Id. 800. MATERIE Caimica. « Sopra gli azossifenoli n. A. Angeli. 473; 557. — « Sulla tribenzoina n. LZ. Balbiano. 654. — « Sull'anidrificazione della glicocolla ». Id. 893. — « Ricerche di chimica sistematica. Ru- tenio, sodio, palladio ». G. A. Bar- bieri. 243; 384. — « Sul posto del cerio nel sistema pe- riodico, e sui molibdati complessi del cerio tetravalente n. Id. 805. — « Palladosalicilati n. /d. 880. — « Sulle ossime dell’anaftil -fenil- che- tone n. M. Betti e P. Poccianti. 237; 340. — « Sull’incompatibilità fra salolo. sulfo- nal e f-naftolo ». G. Bianchini. 353; 608. — «Sul comportamento degli eteri borici con gli alcoolati n. Z. Cambi. 144; 244. — « Sulla reazione del nitroprussiato con alcuni chetoni ». /d. 722; 812. — « Azioni chimiche della luce ». G. Cia- mician e P. Silber. 113; 859. « Ossidazioni con bromo sotto l’azione della luce n. A. Ciusa e A. Piergal- lini. 615; 821. — «La distillazione della nitroglicerina a bassa temperatura ». D. Chiaravi- glio e 0. M. Corbino. 37. — « Bibromotetraidrocarvone e sua tras- formazione in buccocanfora n. G. Cu- smano e P. Poccianti. 347. — « Benzine nitrosostituite, ottenute dai corrispondenti aminoderivati ». G. Kòrner e A. Contardi. 281. — «Latrinitrobenzina asimmetrica 1.2.4 ». Id. Id. 633. — « Sopra una nuova modificazione del | — 997 — metodo di Kjeldahl ». Z. Marino e F. Gonnelli. 523. Crimica. « Sul cloral-8-aminoazobenzene ». M. Mayer. 253; 358. — «Sui polimeri dell’isosafrolo. /d. 253; 358. — «Sulle proprietà dell’iodio come sol- vente crioscopico n. N. Olivari 41. — «I sistemi binarî cianamide-acqua, cia- namide-urea e cianamide-diciandia- mide n. VM. Pratolongo. 46. — «Sugli ossialogenuri di piombo ». G. Sandonnini. 959. — «Sui borati: sistema Ba 0-B? 08-H® 0 a 30° n. U. Sborgi. 5380; 717; 854. CHimica Fisica. « Sullo spettro d’assorbi- mento ultravioletto della buccocan- fora n. M. Mayer. 439. — « Sullo spettro d’assorbimento delle solu- zioni alcooliche di santonina e di suoi derivati in presenza di alcali» /d. 442. — « Spettri di assorbimento a bassissime temperature n. A. Mazzucchelli. 953. — « Calori di combustione di sostanze fototrope ». M. Padoa e B. Foresti. 95. — «La tensione superficiale e l’idrata- zione in soluzione n. VM. Padoa e G. Tabellini. 46; 88. — « Solubilità e attività n. G. Pellini e A. Coppola. 94; 144. — «Sul calore specifico delle leghe me- talliche costituite da soluzioni solide ». L. Rolla. 616. CLimatoLoGIA. « La distribuzione stagio- nale e annuale della nebulosità in Italia ». /. Hredia. 500. CRISTALLOGRAFIA. « Bournonite della mi- niera di Brosso (Piemonte) ». E. Grill. 98. Concorsi a premî. Elenco dei lavori presentati al concorso ai premî Reali per la Matematica e per la Fisiologia normale e patologica e a quelli del Ministero della P. I. per le Scienze naturali. 185. F Fisica. « La compressibilità del cloruro di metile ». E. Bodareu. 491. RenpICONTI. 1914, Vol. XXIII, 1° Sem. Fisica. « L’effetto Hall longitudinale nelle leghe ferromagnetiche di rame, man- ganese, alluminio n. 0. Bonazzi. 427. — « Se ha luogo una birifrangenza anor- male nelle prossimità di una riga spet- trale di un vapore metallico in un campo elettrico ». 0. M. Corbino. 238. — «La durata minima di un suono suffi- ciente per individuarlo ». G. Gianfran- ceschi. 104. — «Sull’uso dei reticoli di diffrazione, nella misura della dilatazione termica od elastica dei cristalli ». G. Gugliel- mo. 105; 138. — «Sull’uso dei reticoli concavi di diffra- zione con lo spettrometro ». /d. 282; 322. — «Intorno ad un condensatore sferico o conico per l'illuminazione laterale nei microscopii ». /d. 432. — «Sulla misura assoluta dell’effetto Pel- tier fra metalli ed elettroliti». /d. 493. — « Sull’esperienza di Clément e Desor- mes e sulla determinazione dell’equi- valente meccanico della caloria ». /d. 698. — «Su l’analogo elettrico del fenomeno di Zeeman: effetto longitudinale ». A. Lo Surdo. 41; 82. — «Su l’analogo elettrico del fenomeno di Zeeman: le varie righe di Balmer presentano diverse forme di scompo- sizione ». /d. 84; 148. — « Osservazione diretta della scomposi- zione delle righe spettrali davanti al catodo in un tubo molto sottile ». /d. 252. — « La scomposizione catodica della quarta riga della serie di Balmer e probabili regolarità ». /d. 326. — « Sulla formazione della rugiada e della brina ». Zd. 607; 950. — « Nuovi metodi per la produzione delle oscillazioni elettriche continue e per la loro utilizzazione nella radiotele- grafia ». G. Marconi. 255. — « Sull’interferografo girante del signor Sagnac ». ZL. Puccianti. 177; 240. 130 — 998 — Fisica. « La decomposizione della riga rossa dell'idrogeno nel primo strato catodico. Jd. 243; 329. — « Confronto tra la scomposizione cato- dica della prima e della seeonda riga della serie di Balmer ». /d. 331. — « Sulla teoria delle rotazioni ionoma- gnetiche ». A. Righi. 897. Fisica-cHIMmIca. « Sul punto di fusione del- l’arsenico n. ZL. Rolla. 693. FisicA MATEMATICA. « Deduzione rigorosa di una relazione fondamentale del ca- lore raggiante n. 7. Zevi-Civita. 12. — « Sulla propagazione di onde elettro- magnetiche in un conduttore cilin- drico ». A. Signorini. 874; 943. FisroLocia. « L'azione del radio nello svi- luppo primaverile delle uova del baco da seta ». C. Acqua. 976. — « Ricerche sulla secrezione spermatica. — La raccolta dello sperma del cane ». G. Amantea. 164; 369. — « Prime osservazioni sulla secrezione spermatica normale del cane ». /d. 164; 457. — « La raccolta del secreto prostatico del cane ». Zd. 746. — « Ricerche sui muscoli striati e lisci degli animali omeotermi. Parte I - Dei fenomeni tonici e clonici e della loro genesi nei muscoli striati e lisci ». PF. Bottazzi. 299. — « Sull’adattamento degli anfibii all'am- biente liquido esterno mediante la re- golazione della pressione osmotica dei loro liquidi interni. Importanza dei sacchi linfatici e della vescica urina- ria n. Brunacci. 138; 512; 622; 746. — «Sullo stato dell’acido carbonico nel sangue. Metodo per dosare piccole quantità di acido carbonico ». G. Qua- gliariello ed E. D' Agostino. 734; 844. — «La perspirazione cutanea in alta mon- tagna ». G. Viale. 53. FISIOLOGIA VEGETALE. « Sui rapporti tra l’azione di un'illuminazione istantanea a diversa distanza, e la reazione nei germogli di Vicia sativa ». G. Oampanile. 966. FISIOLOGIA VEGETALE. « Ricerche sull’azio- ne di nitrati isolati nel periodo germi- nativo dell’Avena sativa». Plate. 161; 453; 506. — « Alcune ricerche quantitative sull’as- sunzione di ioni nelle piante». /d. 839. G GEOGRAFIA. « Dispositivo herziano per os- servazioni meteorologiche e previsioni di temporali ». A. T'osî. 84. GEOGRAFIA FISICA. « Relazioni sulla spedi- zione scientifica nel Karakoram orien- tale ». De Filippi. 34; 874. GeoLoGIA. « Su una Nota di Steinmann in- torno ai diaspri di Prato in Toscana ». C. De Stefani. 280; 635. — «Fossili paleozoici dell’isola d'Elba. Id. 906. — « Lembi fossiliferi quaternarii e recenti osservati nella Sardegnameridionale dal prof. D. Lovisato ». A. Issel. 659; 759. — «Sulla geologia dei dintorni di Tobruk». C. I. Migliorini. 734; 833. « Sulla presenza di una breccia ossifera quaternaria nelle Formiche di Gros- seto n. NM. Maillosevich. 297. — Di alcune. mummuliti dell’ Isola di Rodi ». L. Pieragnoli. 728. — « Sulla origine delle acque sotterranee del versante orientale dell’ Etna ». G. Ponte. 730. — «La penisola Valdiz, e le forme co- stiere della Patagonia settentrionale ». G. Rovereto. 103. GEOMETRIA. « Sopra una questione di geo: metria cinematica ». M. Picone. 666. — «Sulla equivalenza per traslazione ». G. Vacca. 80. M MaTrEMATICA. «Sopra un sistema di equa- zioni alle derivate parziali che am- mettono un teorema nella media ». L. Amoroso. 232; 299. — «Sui problemi di rotolamento di su- perficie applicabili ». £. Bianchi. 3. — « Sul rotolamento di superficie appli- cabili in geometria ellittica ed .iper- bolica n. /d. 119; 195. — 999 — MATEMATICA. « Sopra alcune classi di super- ficie applicabili e di sistemi tripli orto- gonali n. /d. 269. — « Sui sistemi tripli coniugati con una famiglia di superficie applicabili sopra quadriche ». /d. 383. — « Forma geometrica delle condizioni per la deformabilità delle ipersuperficie ». C. Bompiani. 12; 126. — « Sull’operatore differenziale binario S. di M. Pieri ». M. Bottasso. 588; 659. — « Sur le moyen mouvement asymptoti- que et les solutions périodiques de certaines équations différentielles ». C. Cotton. 592. — «Sulla classificazione delle superficie algebriche e particolarmente sulle su- perficie di genere lineare pl® =1 ». F. Enriques. 119; 206; 291. — «Sur la représentation des fonctionnelles continues ». R. Gateaua. 138; 310. — «Sur les fonctionnelles d’ordre entier d'approximation ». /d. 315; 405. — Représentation d’une fonctionnelle con- tinue, satisfaisant è la condition du cycle fermé ». /d. 481. — « Sur les involutions douées d’un nombre fini de points unis, appartenant è une surface algébrique ». Z. Godeaua. 315; 408. — «Sur les surfaces de genres zéro et de bigenre un». /d. 607; 682. — «Sur les fonctions permutables analy- tiques n. /. Pérès. 3815; 870. — «Teoremi di unicità nei problemi dei valori al contorno per le equazioni ellittiche e paraboliche ». M. Picone. 315; 413. — « Della probabilità nelle prove ripe- tute ». P. Pizzetti. 21. — « Un limite inferiore dei moduli delle differenze tra le radici di due equa- zioni algebriche ». G. Sannia. 486. — «Proprietà metriche intrinseche carat» teristiche delle curve di un complesso lineare e delle superficie rigate di una congruenza lineare ». /d. 937. — « Sulle condizioni che definiscono assio- maticamente l'integrale ». Z. Scrolette. 214. Matematica. « Sugli integrali abeliani riducibili». A. Severi. 581; 641. — «Sulle equazioni integrali di prima specie del tipo Fredholm ». C. Severini. 181; 219; 315. — «Sopra alcune applicazioni della teoria della chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali. ZL. Silla. 600. — «Sur certaines équations intégrales ». J. Soula. 79; 132. — «Su alcune equazioni integrali di Vol- terra risolubili con un numero finito di derivazioni e di integrazioni ». O. Tedone. 120. — «Su l’inversione di alcuni integrali e la integrazione delle equazioni a de- rivate parziali col metodo delle carat- teristiche n. /d. 473. — « Sulle funzioni di linee ». ZL. Tonelli. 28. — «Su una proposizione dell’Almansi ». Id. 607; 676. — «Osservazioni sui nuclei delle equa zioni integrali n. V. Volterra. 266. — «Sulle equazioni alle derivate funzio- nali». /d. 269; 393. — « Equazioni integro-differenziali ed equa» zioni alle derivate funzionali ». 473; 551. Meccanica. «Sulle attrazioni newtoniane di origine idrodinamica ». E. Almansi. 287. — «Sopra le azioni a cui è soggetto un corpo entro una massa liquida in mo- vimento n. /d. 473; 570. — «Un’osservazione sulle figure d’equili- brio dei fluidi rotanti ». /d. 651. — «Sopra la soluzione delle equazioni differenziali del moto di un punto attratto da più centri fissi posti in linea retta». G. Armellini. 686; 770. — «Sul problema dei due corpi nel caso di masse variabili». /d. 913. — «Sulla trasformazione di alcuni inte- grali che si presentano nell’idrodina- mica». 7. Boggio. 873; 920. — «Potenziali newtoniani dell’eJasticità ». P. Burgatti. 686; 776. — « Applicazione dei potenziali newtoniani dell’elasticità ». 926. — 1000 — Meccanica. «Efflusso da un recipiente fo- rato lateralmente ». U. Cisotti. 27; 73. — «Sui moti turbolenti provocati da solidi immersi ». /d. 588. — «Sopra le forme quasi-circolari del- l'anello di Saturno n. Ja. 867. — «Esperienze sulla elasticità di trazione del rame ». G. Colonnetti. 79; 165; 225; 421. — « Nuovi criterî di stabilità per moti stazionarî di prima specie ». U. Cru- deli. 400. — «Sopra le formole di rappresentazione degli integrali della dinamica ela- stica». C. Laura. 873; 931. — «Sopra una espressiva interpretazione cinematica del principio di relatività ». C. Munari. 596; 781. — «Caratterizzazione energetica dei moti soggetti a resistenza viscosa od idrau- lica». A. Signorini. 596; 672. — «Sulla teoria delle distorsioni elasti- che n: C. Somigliana. 280; 463. — «Sulla espressione analitica dell’in- tegrale generale dell'equazione delle onde smorzate ». 0. Pedone. 24; 63. MeccanICA cELESTE. «Esame analitico della teoria del Fabry e del Cromme- lin sull’origine delle comete ». G. Ar- mellini. 138; 304. MerEoROLOGIA. «L'influenza della oro- grafia sulla distribuzione mensile della nebulosità ». F. Fredia. 795. — «Sulla distribuzione mensile della fre- quenza relativa della neve nelle Alpi settentrionali ». V. Monti. 151. MineraLoGIA. « Ilmenite di Val Devero (Ossola) ». A. Bianchi. 722. — « Epidoto e granato della miniera di Brosso (Piemonte) ». E. Grill. 535. — «Sulla vera natura della miersite e della cuproiodargirite n. #. Quercigh. 446; 711; 825. N NecRoLoGiE e CommeMmoRAZIONI. Annuncio della morte dei Socî stranieri: G@0, Rosenbusch.178; Suess. 747; Van Tie- ghem, Hill. 890; Hermann, Lieben, Kronecker. 987. Commemorazione del Corrisp. Cocchi. 60; 178; Doria. 747; dei Soci stranieri: Gi22. 376; Alebs. 544. p PARASSITOLOGIA. « Osservazioni e ricerche sulle tignuole della vite ». M. ope. 890; 981. PaTtoLOGIA. « I così detti ascessi di Dubois, secondo gli studî sulla rigenerazione del timo deimammiferi ». F. Fulci. 735. PATOLOGIA VEGETALE, « Ancora sul signi- ficato patologico dei cordoni endocel- lulari nei tessuti della vite ». ZL. Petri. 109; 154. — «Sulle condizioni anatomo-psicologiche dei rametti dei castagni affètti dalla malattia dell'inchiostro ». /d. 363. PeTROGRAFIA. « Sulla diffusione delle rocce a nefelina nella Libia ». 4. Artini. 25. Pieghi suggellati. Inviati da A. 7rinca. 461; Mei-Gentilucci. 891. S STORIA DELLA MATEMATICA. « Sull’ ‘Epodos di Archimede». G. Vacca. 850. Z ZooLogia. « Le divisioni dei nuclei in Haplosporidium limnodrili » L. Granata. 59; 109. — « L’apparato reticolare interno di Golgi nelle cellule nervose dei crostacei ». R. Monti. 59; 172. ERRATA-CORRIGE A pag. 451, linea 34 invece, di esagonale, lego. birifrangente. A pag. 652, linea 6, invece di p= 0 (vu — wo), legg. p=0(U — Up). Pubblicazioni della It. Accademia dei Lincei. Serie 1® — Atti dell’ Accademia ii dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. ‘Serie 2° — Vol. I (1873- 74). . Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. Pi/O 76) Parte 1% TRANSUNTI. 28 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, i matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, ; storiche e filologiche. i Vol IV: OVE VIE SMIME VIII. Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). i MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. Vol. I. (1, 2). — IL. (1, 2), — HI-XIX. MEMORIE della. Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIL oi Serie 4% RenpiconTI. Vol. L VII. (1884-91). i MemoRrIE della Classe di scienze (eri matematiche e naturali, Vol. I-VII. — MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Velsciexo Serie 5* — RenDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e natural). i Vol. I-XXIII. (1892-1914). Fase. 12°. RENDICONTI, della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IXXIIT. (1892-1914). Fasc. 1°-2°. Memorie della Classe di scienze fisiche, pafmalaohe e naturali Vol. I-X. Fasc. 5° MEMORIE della Classe di scienze morali, LL... e filologiche. Vol. I-XII. x Do CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE | AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Hiidioni della disse di scienze fisiche, matematiche ‘e naturali della R Accademia dei Lincei si pubblicano due ‘volte al’ mese. Essi formano due volumi all’ anno, corrispon-= denti ognuno ad un semestre. ni prezzo di associazione per ogni. volume e per tutta l’Italia è di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più, Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti “editori-librai : . Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. i liikico Hoepli. — Milano, Pisa e Napoh. Ù ef RENDICONTI — Giugno 1914. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 giugno 1914. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Balbiano. Sull'anidrificazione della Glicocolla o... 00 0 Lt Pag018935 Righi. Sulla teoria delle rotazioni ionomagnetiche |. . LU. 0.00 ae 897 De Stefani. Fossili paleozoici dell’isola d'Elba . . . . al 1309068 Armellini. Sul problema dei due corpi nel caso di masse variabili oioniata dal Socio Levi-Civita) .. ... . È Lean e Boggio. Sulla trasformazione di Alcuni infelali LA si o ii (pres, : dal Corrisp. Almansi). |. . ; - 0 EN920 Burgatti. Applicazione dei Llceziali renne della elasticità ie 00 Corrisp. Marcol0n90 à » 926 Laura. Sopra le formole di PO degli ico della nà ce ota (Gui i i Socio Somigliana) . . . i EROI Sannia. Proprietà metriche tatoo caridtioiicliohe dana curve di un at lineare e delle superficie rigate di una congruenza lineare (pres. dal Socio Bianchi) . . . . » 987° Signorini. Sulla propagazione di onde elettro-magnetiche in un conduttore cilindrico (pres. dal Socio Zevi-Civita). . . . a ES LIO Lo Surdo. Sulla formazione della rupisai e delia oi (pros Di CES ian . Far050m Mazzucchelli. Spettri di assorbimento a bassissime temperature (pres. dal Socio Paternò) » 953 - Sandonnini. Sugli ossialogenuri di piombo (pres. dal Socio Ciamiciam) . . . - n 11959 Campanile. Sui rapporti tra l’azione di una illuminazione istantanea a diversa ds e la reazione nei sermorgli di Vicia sativa (pres. dal Socio Pirotta) . . . . .. » 966 Catalano. Sulla funzione delle radici contrattili (pres. dal Socio Borz2) . . . . .... » 970 Acqua. L'azione del radio nello sviluppo primaverile delle uova del baco da seta (pres. dal Socio Roo) ene TER TO EER, SIAT i ORI Nodi 2 IRONAIO Topi. Osservazioni e ricerche Done tifo illa vite (pres. dal Socio Grass) . . . . » 981 Gorini. L'influenza, della temperatura sulla iuicroflora del fieno. Fieni lattici e fieni butirrici (pres: dal. Socio :Bré0s)):