0)
\ dA
d°Wm-p i p_a
| A°Wm-p,p > — dY? (p>0).
Inoltre, se s è una linea chiusa avente nel suo interno il polo (4, ),
ed n è la normale esterna alla linea s, si ha
| | “i ds = | Lesa LAO (A 4)
(7) e: -
| freni dem — | Anne cos ny ds (p>O0).
5. Le funzioni /,0(4.t), /o(4, 7) si suppongono finite ed integrabili
pei valori delle variabili che si considerano. Se poniamo
Q t
finte) =D f fisj-o,tmj(t 9) fog ,j(0,0)do (O 0 ne contiene, anzi, infiniti) e sta sempre in un tal gruppo di
iperpiani razionali (anzi in infiniti. se X <2p — 2).
Evidentemente lo spazio congiungente e lo spazio intersezione di due
spazi razionali di X sono anch'essi degli spazi razionali (°).
Un sistema nullo dello spazio XY, rappresentato da un'equazione del tipo
1...2p
x dr,s YrXs= 0
rs
(dove le x e le 7 sono le coordinate di due punti qualunque di X coniu-
gati rispetto al sistema nullo, e le a,,s sono gli elementi di un determi-
nante emisimmetrico d'ordine 2p), si dirà razionale se i mutui rapporti
(°) Cfr. Rosati, Sulle corrispondenze algebriche fra i punti di una curva algebrica
(Rendiconti della R. Accademia dei Lincei (5), vol. XXII, 1918, 2° sem., pag. 481), n. 7.
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 58
— 416 —
delle 4,,s sono numeri razionali, cioè se le @,,s si possono supporre numeri
interi.
Lo spazio polare di un Sy razionale rispetto a un sistema nullo razio-
nale è, evidentemente, razionale; e un sistema nullo razionale di X, che sia
singolare di specie 4 (dove % è necessariamente pari, una volta che X ha
dimensione dispari) ('°), avrà, naturalmente, per spazio singolare (0 centro,
o asse) un Sp_; razionale.
Infine un sistema nullo di un Sx razionale di X si dirà razionale se
si può concepire come indotto in Sx da un sistema nullo razionale di 3.
4. Se i punti di un Sx di X sono a due a due coniugati rispetto a un
determinato sistema nullo di X, cioè, se il complesso lineare, che il sistema
nullo definisce, contiene tutte le rette di Sx, diremo col Kantor (!’), che il
sistema nullo o il relativo complesso lineare ha in Sx uno spazzo totale.
Ricordiamo, a questo proposito, che se un sistema nullo (o complesso
lineare) di x ha per centro o asse un S,;_;, i suoi spazi totali sono tutti
e soli quelli contenuti negli spazi totali di dimensione massima. Questi
ultimi sono della dimensione p-+/—1 e ognuno di essi passa per il
centro del sistema nullo (o complesso lineare) considerato (°).
5. Ciò premesso, dimostriamo che :
Se la varietà V, ammette un sistema A, 09, di integrali riduci-
bili con 2q periodi ridotti, l Sg, congiungente le imagini a e @ di À
è uno spazio razionale.
E infatti se, per fissar le idee, 9 integrali indipendenti del sistema A
sono appunto gli integrali u, , w2, ... tg, indicando con £;,,x(K=1,2...29)
i periodi ridotti dell’integrale %; (j= 1,2... 9), esistono, per definizione,
dei numeri interi 4,,x ({—12...2p;#=1,2...29) per cui sha:
Ad
Ma allora sarà pure, indicando con ®;,x la quantità complessa coniu-
gata di 9;,x,
k=?2q
(3) opus dba ee 0)
l
Ea)
Il
(!°) Vedi per es. Bertini, Introduzione alla geometria proiettiva degli iperspazi
(Pisa, Spoerri, 1902), pag. 105.
(1) Kamtor, Z'heorie der linearen Strahlencomplexe im Raume von r Dimensionen
(Crelle’s Journal, vol. 118, an. 1897).
(1°) Palatini, Sui complessi lineari di rette negli iperspazi (Giornale di Matema-
tiche di Battaglini, vol. XLI, 1908), n. 2.
— 417 —
Or si considerino in Z i 2g punti razionali aventi per coordinate gli
elementi delle singole righe della matrice
ha 7 hai sletate hop
hi,e , ha,9 qua sa hop,s
(4) ;
. . . . ° . . .
hi,29 ATI hop,29
in virtù delle (2) e (3) lo spazio che li congiunge contiene i punti ©,,%s,
«0g 0302, 6g, Quindi esso coincide con l'$,7_, congiungente gli spazi
a ed @, e questo è, come volevasi, uno spazio razionale.
OssERvazIONE. — Il ragionamento fatto esclude evidentemente che la
caratteristica della matrice (4) possa essere inferiore a 29 e quindi esclude,
in particolare, che gli elementi di una sua riga possano essere tutti nulli.
Ciò dimostra, incidentalmente, il teorema ben noto che un sistema li-
neare completo di integrali riducibili non può avere dimensione superiore
alla metà del numero dei periodi ridotti, diminuito di 2 (!*).
Col Severi (!4), un sistema come il sistema A del teorema precedente
si dirà un sistema regolare di integrali riducibili.
6. Il ragionamento del numero precedente è senz'altro invertibile, e
quindi:
Se esiste in X un Sog_1 razionale (AG (ese 21938]
| | |
OSE COOH CsH;, COOH
per analogia con altre simili condensazioni che avvengono fra composti che
contengono il gruppo CO e quelli che contengono il gruppo CH..
Dal prof. Paternò ebbi un poco di questo acido, da lui ottenuto per la
prima volta, per cercare di prepararne alcuni derivati, e per vedere se il
suo comportamento chimico fosse in accordo con la formula di costituzione
attribuitagli.
A questo scopo cercai dapprima di disidratare questo acido nella spe-
ranza di ottenere l’acido f-trifenil-acrilico, per confrontarlo con quello che
era stato preparato da Heyl e Meyer (’).
Questi autori infatti, riscaldando a 220° il dicloro-difenil-metano con il
cianuro di benzile, avevano ottenuto il nitrile dell'acido £-trifenil-acrilico,
che per saponificazione, trasformarono nell'ammide e po nell’acido 8-trifenil-
acrilico. Lo stesso acido ottennero saponificando l'etere metilico dell’acido
B-trifenil-acrilico che si forma riscaldando a 220° il dicloro-difenil-metano
con l’etere metilico dell'acido fenil-acetico. In questa ultima reazione, come
prodotto secondario ottennero una sostanza, in cristalli rossi splendenti, che
fonde a 150-151°, e che riconobbero per «-8-difenil-indone.
Per azione dell'anidride fosforica, sull’acido del prof. Paternò, ho otte-
nuto il difenil-indone di Heyl e Meyer. La formazione di questo prodotto
conferma la costituzione attribuita all’acido f#-trifenil-lattico. L'anidride fosfo-
rica avrebbe eliminato prima una molecola di acqua formando l'acido f-tri-
(') Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma.
(*) Paternò e Ghieffi, Gazz. Chim. Ital.. 40 (2) 323 (1910).
(*) Heyl e Meyer, Ber. 28, 2787 (1895).
RENDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 56
— 440 —
fenil-acrilico, poi un'altra, dando luogo alla formazione del difenil-indone,
secondo lo schema seguente:
Us H; Cs H; Cs H; Cs H; ZA C—C; H ;
(08) La Dal
| | | | XX
CsHs COOH CoHs COOH CO
Quantunque io non sia riuscito a trasformare l'acido f-trifenil-lattico in
acido £-trifenil-acrilico, pur tuttavia ho ottenuto l'etere etilico dell'acido
B-trifenil-acrilico, facendo passare una corrente di HC1 gassoso attraverso ad
una soluzione alcoolica dell'acido #-trifenil-lattico
Ho tentato di ottenere l’etere etilico dell'acido f-trifenil-lattico, prepa-
rando il sale d'argento di questo acido e facendovi agire lo ioduro di etile.
Ho ottenuto però una sostanza, che all'analisi non dà risultati corrispondenti
per l'etere etilico dell'acido 8-trifenil-lattico. La piccola quantità di sostanza
non mi ha permesso di fare altre ricerche per chiarire la sua costituzione.
Ho anche tentato di fare la sintesi dell'acido f-trifenil-lattico con una
reazione analoga a quella con la quale Rupe e Busolt (*) avevano prepa-
rato l'acido 8-difenil-lattico.
Ho fatto agire, a caldo, il benzofenone e l'etere etilico dell'acido fenil-
bromo-acetico in presenza di zinco, per ottenere l’etere etilico dell'acido
B-trifenil-lattico; ma ho ottenuto un prodotto, difficile a purificarsi, sul quale,
per ora, non ho fatto altre ricerche. Non avendo più acido f-trifenil-lattico,
sono costretto perciò a interrompere il lavoro finchè non ne avrò preparato
dell’ altro.
Azione dell'anidride fosforica sull’acido f-trifenil-lattico.
a-B- Difenil-indone.
Ho disciolto gr. 2 di acido £-trifenil-lattico in 800 ce. di xilene, e
alla soluzione ho aggiunto poi circa gr. 10 di anidride fosforica. Ho lasciato
reagire a b. m. per 5 ore. Dopo pochi minuti, la soluzione, che era incolora,
è divenuta di colore giallo arancio-intenso.
Dopo avere distillato in corrente di vapore lo xilene, nel pallone rimane
una sostanza semisolida, di colore granato. Estraendo questa con etere e
(1) Rupe e Busolt, Ber. 40, 4537 (1907).
— 44l —
facendo poi distillare il solvente, resta un olio che, per raffreddamento, cristal-
lizza in prismi di colore rosso-granato.
Si discioglie, non molto, nell'alcool etilico bollente, e per raffreddamento
non si deposita nulla.
Lasciando svaporare lentamente l'alcool, a temperatura ordinaria, si
depositano dei bellissimi prismi, ben formati, di colore rosso rubino. Fon-
dono a 151-153°.
Da gr. 2 di acido f-trifenil-lattico, si ottengono circa gr. 0,50 di questo
prodotto.
Si dissecca a 100° e si analizza:
sostanza gr. 0,2283 CO; gr. 0,7458 H.0 gr. 0,1064
donde °/, trovato C 89,03 H 5,21
CREO calcolato —C 89,40 H 4,90
Questa sostanza è insolubile nell'acqua; è solubile nell’alcool etilico e
metilico; più solubile in acetone e in benzolo.
Neppure a caldo si discioglie negli idrati alcalini.
Con H, SO, concentrato, a freddo, dà una bella colorazione verde-sme-
raldo; a caldo il colore verde passa prima al giallo-arancio, poi al rosso-
rubino.
Non si decolora con anidride solforosa.
Ha caratteri identici all'@-8-difenil-indone che Heyl e Meyer (') avevano
ottenuto come prodotto secondario nella saponificazione dell'etere metilico
dell'acido #-trifenil-acrilico.
Etere etilico dell'acido f-trifenil'acrilico.
CoHs .,C;Hy
| |
0; C
| |
CoHs C00C.H;
Ho disciolto gr. 3 di acido #-trifenil-lattico in 300 ce. di alcool etilico;
ed ho fatto passare attraverso a questa soluzione, una corrente di HC1 gas-
soso, fino a completa saturazione. La reazione avviene con svolgimento di
calore, e occorre raffreddare esternamente il recipiente. La soluzione da inco-
lora, diviene di colore giallo-scuro.
Dopo aver lasciato stare per 12 ore, a temperatura ordinaria, ho distil-
lato l'alcool, ed ho ripreso il residuo con una soluzione diluita di bicarbo-
nato di sodio, fino a reazione alcalina. Precipita così una sostanza polve-
rosa, di colore grigio scuro, solubile in acqua bollente, più solubile nell'alcool.
(‘) Heyl e Meyer, loc. cit.
— 442 —
Dalla soluzione alcoolica, per aggiunta di acqua, precipita una sostanza
fioccosa di colore bianco sporco.
È solubilissima in benzolo e acetone, anche a freddo.
Si cristallizza da una mescolanza di acqua ed alcool (1:1). Si hanno,
così, degli aghetti bianchi, che fondono a 119-120°.
La sostanza, disseccata a 100°, si analizza:
sostanza gr. 0,2081 CO» gr. 0,6404 H,0 gr. 0,1136
donde °/, trovato C 83,93 H 6,10
Cs3Hs0 0, calcolato CC 84,20 H 6,10
Questo etere dà, con H, SO, concentrato, a freddo, una bella colorazione
verde smeraldo, che, per riscaldamento, passa al rosso arancio e poi al rosso
rubino.
Azione dello toduro di etile
sul sale d’argento dell’acido f-trifenil-lattico.
Su gr. 5,2 del sale d'argento dell'acido #-trifenil-lattico, ben disseccato,
in 20 ce. di alcool, ho fatto agire, a caldo, per 1 ora, cc. 15 di ioduro
d'etile.
La soluzione, da incolora, diviene di colore giallo pallido, e al fondo del
recipiente si deposita lo ioduro d'argento. Filtro, lavo bene con alcool bol-
lente; poi distillo tutto l'alcool e lo ioduro d'etile, che non ha reagito.
Rimane così un olio, denso, di colore rosso scuro, che per raffreddamento
cristallizza. Si discioglie molto facilmente in alcool etilico.
Anche questo prodotto, così ottenuto, si colora, a freddo, con H; SO,
concentrato, in un bel verde smeraldo; a caldo passa dal colore arancio al
rosso rubino.
Si cristallizza da una mescolanza di acqua ed alcool (1: 1). Si hanno,
così, dei grossi prismi trasparenti, incolori, che tondono a 116-119°.
La sostanza, disseccata a 100°, è stata analizzata:
I sostanza gr. 0,2419 CO, gr. 0,7318 H,0 gr. 0,1339
II sostanza gr. 0,2561 CO; gr. 0,7746 Hs0 gr. 0,1403
IIl sostanza gr. 0,2390 CO». gr. 0,7232 H,0 gr. 0,1336
donde °/, trovato :
C 82,51 — 82,49 — 82,53
H 6,19— 6,13— 6,25
I risultati analitici ottenuti sono molto differenti dal calcolato per la
formula Cs3 Hs90:, dell'etere etilico dell’acido f-trifenil-lattico, per la quale
si calcola
C°/ 79,8 H9n00:38
Per ora non saprei che formula attribuire a questa sostanza: esperienze che
mi propongo di eseguire in seguito, potranno forse chiarirne la costituzione.
— 443 —
Cristaltografia. — Sullo solfo di Zonda-S. Juan (Repubblica
Argentina). Nota di C. PERRIER, presentata dal Socio C. PARONA.
Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
Chimica. — Sui dorati. Sistema Na?0,B°0?, H°0 a 60°. Nota I
di U. SporcI e F. Mrcacci, presentata dal Socio R. NASINI.
In una serie di Note precedenti vennero studiati, da uno di noi (*),
diversi sistemi costituiti da B*0*, H?O e ossidi di metalli alcalini e alca-
lino-terrosi a 30°, dal punto di vista della regola delle fasi, ullo scopo di
precisare la composizione dei borati formantisi come fasi stabili, ottenendo
insieme le loro curve di solubilità, coi metodi che in dette Note vennero
ampiamente descritti.
Degli alcalini il sistema Na?O - B?O* - H®O era stato già studiato da
Dukelski (*), a 30°: cosicchè, proseguendo ora il nostro studio a temperature
diverse da 30°, riprendiamo appunto da quel sistema. In questa Nota riferiamo
intorno ai resultati ottenuti a 60° per tutta la parte del diagramma che
riguarda i composti che si ottengono come fase solida a partire dall’acido
borico sino al metaborato; prossimamente riferiremo sui composti dal meta-
borato sino alla soda caustica.
I borati di sodio descritti più o meno sicuramente fin qui sono quelli
che riportiamo nella tabella seguente, insieme colle loro composizioni cen-
tesimali.
La notazione adottata nella tabella è la consueta, e cioè: il primo
numero indica le molecole di Na?0; il secondo le molecole di B*O? ; il terzo
le molecole di H?0.
(') Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale della R. Università di
Pisa,
(*) U. Sborgi, Sui dorati. Questi Rendiconti, anni 1912, 1913, 1914.
(*) M. Dukelski, Zeitschr. f. anorgan. Chemie 50 (1906) 38 e seguenti.
— 444 —
TABELLA TI,
Composizione centesimale
Composto SPERIMENTATORI (')
Nas0 °/o|B203 °/o[H:0 °/o
1-1-4 .|30.43 | 34.29 {35.28 | Benedikt (Ber. deutsch. chem. Ges. 7, 700).
1-1-4.5 | 29.14 | 32.85 | 38.01 | Atterberg (Oefvers af K. Vetensh. Akad. Forh. 1874,
6, 16).
1-1-5.5 | 26.87 | 30.29 | 42.83 | Atterberg, loc. cit.
1-1-6 |25.86 |29.16 | 44.98 | Berzelius (Pogg. Ann. 34. 566): Bechi (Sillim. Journ. [2]
19 Nr. 55, p. 120).
1-1-8 |2249 |25.35 |52.16 | Ditscheiner (Ber. deutsch. Ges. 7. 402); Rammelsberg
(Pogg. Ann. 49. 460).
66 |51.07 | 26.27 | Schweizer (Lieb. Ann. 76, 267).
1-2-5 | 21.26 | 47.93 | 3081 | Buron, Payen, Soubciran, Pellerin etc.
1-2-10 | 16.25 | 86.63 | 47.12 | Vohl, Phillips, Campbell, Berzelius, Schweizer, Stromeyer
Marignac, Bechi etc.
1-3-x |22.82 177.18] — Spiegel (Chem. Ztg. 1904, 750).
1-4-10 | 11.89 | 53.63 | 34.48 | Bolley (Ann. Pharm. 68, 122).
1-5-10 | 10.49 | 59.11 | 30.40 | Atterberg, loc. cit.
1-6-12. | 8.89 | 60.17 | 30.94 | Tiinnermann (Kastn. Arch. 29, 8).
2-5-2 | 26.19 | 73.81 - Barthe (J. Pharm. Chim. [6] 7, 303)
1-2-4 | 22
Nello studio a 30°, il Dukelski confermò la esistenza, come fasi stabili
solide, dei composti 1-1-4, 1-1-8, 1-2-10 e 1-5-10. Ecco ora quanto risulta
dalle nostre esperienze a 60°:
I modi di esperienza ed i metodi analitici da noi adoperati sono del
tutto uguali a quelli già descritti nelle precedenti Note; e per brevità sti-
miamo opportuno di rimandare a quelle.
Per la estrazione dei campioni di soluzione adopravamo le solite pipette
due volte ricurve; ma usavamo di riscaldarle a circa 60° prima di intro-
durle nella soluzione, a fine di evitare variazioni di temperatura nelle zone
della soluzione dove avveniva l'estrazione.
La preparazione dei miscugli posti a reagire venne fatta nei modi più
variati, come apparisce dalla tabella che segue: così talvolta ponevamo a
reagire acido borico, soda caustica ed acqua; talvolta partivamo da un borato
preformato con aggiunta della base o dell'acido ecc., per constatare se si
giungeva agli stessi punti o.a punti di una stessa curva per tutte le vie
possibili, il che meglio ci assicurava di aver raggiunto l'equilibrio. Del resto, ci
assicuravamo di aver raggiunto l'equilibrio analizzando campioni estratti suc-
cessivamente. Nella tabella seguente riportiamo anche gli intervalli di tempo,
durante i quali ciascun miscuglio veniva tenuto in agitazione in termostato.
(1) Cfr. Gmelin Kraut®s, Handb. d. anorg. Chemie, Bd. II, Abt 1 (1906), pag. 415
e seguenti.
TABELLA II.
Tempo Soluzione Resto
Numero Sostanze poste di agitazione | Corpo
d'ordine a reagire in Nas 0|B:0,|H,0 Na, 0|B:0,|H:0| di fondo
i termostato °/o °lo | IPO ICT LIA
1 Acido borico, Acqua. ...| 6 giorni] — | 7.39|92.61
2 Acqua, Borace, Ac. borico | 2» 0.58) 9.65/89.79| 0.24|39.96|59.80 H, BO,
3 a) » » > 4» | 1.38|13.68|84.94
3 b) ” ”» ” dò» 1.39|15.92|84.69| 0.44|43.20|56.36 »
4a)( Acqua, Soda caustica e [10 » 2.91|20.13|76.96
4 ,) È Acido borico . ....... ll» 2.92|20.26|76.82| 1.21|42.47|56.32 ”
5 a)( Acqua, Soda caustica e | 5» 3.22|21.06|75.72
5 5) È Acido borico . 9 » 3.08|20.74|76.18| 0.88|44.08|55.09 a
6 a)( Acqua, Soda caustica e | 5° » 3.44|22.51|74.05
6/):0 Acido borico ........ 6 » | 341|2229/74.30| 3.26|45.60|5140|H,B0,1-5-10
7 Acqua, Soda e., Ac. borico | 2» 3.44|22.17|74.39 se |
8 Acqua, Borace, Ac. borico | 6° » 3.40|22.59|74.01| 5.44|42.05|52.51 »
9a) ( Acqua, Soda canstica e | 9» 3.36/21.67|74.97
È 5) ( Acido borico- -;...... 1l » 3:22|21.94|74.74| 7.57|46.45|45.98 1-5-10
10 Acqua, Borace, Ac. borico | 3 » 4.40|23.76|71.84| 8.36|46.91|44.73! ”
11 Acqua, Soda c., Ac. borico | 3° » 4.46|24 07|71.47|11.10|59.40|29.50 ”
12 Acqua, Soda, Ac.tetraborico | 7 » 5.10|25.62|69.28| 8.56|16.80|44.64 ”
13 Acqua, Soda c., Ac. borico | 1°» 5.45|27.08|67.47|10.71|58.83|30.46 ”
14 a) ” ”» ” 80» 6 11|28.94 | 64.95
14 d) ” ” ” 90» 6.08 |28,38|65.54| 8.90|48.82|42.28 ”
15 a) ( Acqua, Borace e Acido bo- | 7: » 6.38|29 13 |64.49
15 Di FCORMRANIOO ei Sal) 6.29|28.77|64.94| 6.80|33,23|50.97 ”
4 Acqua, Soda caustica 1-5-10 | 9» 6.35|29.50|64.15| — A ==
” ” ” 2» 7.15|30.26|62.59| 8.84|45.43|45.71 ”
18 Di Soda, Acido borico, dè» 8.41/33.77|57.82] — — —
IR) Acqua ila 5 » | 8.29|33.57|58.14| 9.35|44.73|45,92 ;
19 DI ”» » ” 3 in IB.64|849 56025 — |
199) » » 1» 4» | 8.53|34.31|57.16) 9.52/44.04|46.44 ”
20 Acqua, Soda c., Ac. borico | 3° » 11.29 |41.47|47.24|12.83|47 81|39.36|1-5-10 + 1-2-5
21 a) )\ Acqua, Soda caustica e | 4» |11.14|39.90|48.96
21 5) Acido borico . .. +... 6°» 11.02|39.90|49.08|18.83|46.69 34.84 1-2-5
— 446 —
Segue: TABELLA II.
Tempo Soluzione Resto
Numero Sostanze poste di agitazione
d'ordine a reagire in Na, 0| Bs 0, | Ha 0 |Nas 0] B403| Hy 0
3 termostate | 0/, °/o °/o °/o °/o °/
22 a) | Acqua, Soda caustica. Bo- | 4 giorni| 8.42|28.05|63.53
22 4) l race, Acido borico.. .... 5» 8 32|27.98|63.70|15.25|39.13|45.62
23 a) ( Acqua, Borace e Acido bo- | 9° » 8.15|27.59|64 26 der
DIANO i I 11» 7.96|27.11|64.98| 8.68|28.88|62.44
24 a) | Acido borico, Borace e | 9° » 7.77|25.70|66 53
24 d) ( ACQUA n ana ll» 7.77|25.73|66.50|12.18|33.52/54.30
25 Acqua, Soda c., Ac. borico | 3° » 7.57(2441|68 02
26 ” ” ” 2» 6.84|20.40|27.24
27 ” ” » 14» 6 48|19.75|73.77|10.95|28.59|60.46
28 Acqua, Borace, Ac. borico | 2» 5.77|16.58|77.65|13 94|32.23|53.83
29 Acqua, Soda c., Ac. borico | 4°» 5.65 |14.89|79.46|10.80|26.17|63.03
30 Acqua, Soda c., 1-5-10...|16 » 5 _60|14.32|80.08|13.79|35.94|50.27
81 a) | Acqua, Borace . ...... 3» 5.14|11.75|83.11
31 d) ”» mil cain eee 4» 5.07|11.72|83.21|12.86|29.18|57.96
82 a) | Acqua, Soda caustica e | 24 ore 5 03|11.16]|83.81
32 5) | Acido borico . ....... 48.» 5.15|11.77|83.08|18.55|42.11/39.34
33 Acqua, Soda c., Borace 3 giorni | 5.78|10.83|83.39|14.68|32.52|52.80
34 a) ” ” ” 38» 6.95|11.42|81.63
31 2) ” ” ” 40» 6.95|11.50|81.55|17.50|38.45 |44.05
35 ” ” ” 8” 10.32|15.26|74.42|17 86|37.33|44.81
36 | Acqua, Borace, Ac. borico | 2 » 10.48|15.29|74.23|16.59]33.43|49.98
Dil a) ( Acqua, Soda caustica e | 4» 11.48|16.57|71.95
37 b)( Borace:........... Dan 11.58|16.62|71.80|18.89|40.57|40.54
38 a) DI aaa EMO 8005 13.93 |18.54|68.43
38 2) DO La e ali o 4» 12.97|18.62|68.41|18.04|35.88|46 08
39 Acqua, Soda c., Ac. borico | 4° » 13.17|18.57|68.26
40 Acqua, Soda c., Borace .. | 2°» 13.10|18.65|68.25
41 a) | Acqua, Soda c., Ac. borico | 3 » 13.36|18.90|67.74
41 8) ” ” ” ò » 13.31|18.75|67.94|18.54|87.57]|43.89
42 a) | Acqua, Soda caustica e | 6° » 13.45 |19.27|67.28
42/5) ( ‘Borace; utili... 8 » |18.51|19.10|67.39|18.58|37.98|43.44
Corpo
di fondo
— 447 —
Seque: TABELLA II
n l'empo Soluzione Resto
Numero Sostanze poste di agitazione l Corpo
d'ordine a reagire in Na, 0[B,0,| H,0 |Na,0|Bs0,|H,0| di fondo
É a i
| Acqua, Soda c., Ac. borico | 2 giorni |14.06|19.77|66.17
44 a) | Acqua, Soda caustica ...| 5» 14.16 |19.98|65.86
44 va Borat ore oe na 7 » |14.12|19.97|65.91|17.62|83.85|48.53 12-5
5 |> » 4 » |16.03|22.61|61.36
46 a) | Borace, Soda caustica e | 3°» 15.89 |22.47|61.64
46 8) ( Acqua LL... 0... 5 » |16.13|23.05|60,82|19.17|37.66|43 17 ”
47 a) » » » 8 » |1641|23.38|[60.20 |
47 d) ” ” ”» 9» |16.38|2338|60,24|16.98|27.28|55.79 ”
48 a) ( Acqua, Soda caustica e | 2° » 16.32|23.03|60.65
48 B) È Acido borico ........ 10 » |16.44|23.45|60.11|18.99|36.16|44.85 È
49 ”» ” 3» |17.20|2387|58.93
50 Acqua, Soda, Ac. tetraborico | 10» 18.49|25.94|65.57|20.55|39.91|39.54 »
51 Acqua, Soda e., Ac. borico | 27 » |19.18|27.09|53.48|20.77|40.63|38.60 È
52 » ” n 4» |2125|31.06|47.69|21,38|48.45|35.17 5
53 a) » » » |12 » |2289|32.85|4476
58 0) ”» ”» 13 » |22.21|32.49[45.30|22.36|45.45|32.19 n
54 Soda c., Acqua, Ac. borico | 60 22.21|32.17|45.62|22.35|40.87|36.88 ”
Come apparisce da questi risultati ('), a 60° noi troviamo come fasi sta-
bili dopo l’H8 BO*, il pentaborato decaidrato 1-5-10, ed il diborato penta-
idrato (borace con 5 molecole di acqua) 1-2-5.
Dobbiamo notare che il punto invariante tra il composto 1-5-10 e
l'1-2-5 è dato dalla sola esperienza 20. Tentammo ripetutamente e per
diversissime vie di riottenerlo, ma sempre il miscuglio posto in termostato
finiva per divenire semisolido, in modo che era impossibile estrarre il cam-
pione della soluzione in quantità adatta per l’analisi. Stiamo ancora facendo
esperienze in proposito e torneremo su questo in seguito quando completeremo
il presente diagramma. Anche è difficilissimo ottenere il punto invariante
tra il diborato (1-2-5) ed il metaborato il quale, come risulta dalle esperienze
che abbiamo in corso, segue immediatamente al diborato.
(') Il diagramma che si può ricavare colle solite regole grafiche da questi resultati
verrà pubblicato insieme ai diagrammi delle esperienze che abbiamo in corso.
RenpIconTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. DI
— 448 —
Per quanto riguarda la composizione delle fasi solide, essa risulta
con molta precisione dalle linee di coniugazione le quali convergono con
tutta regolarità nei punti rispondenti all'1-5-10 e all'1-2-5. Tuttavia, poichè
le convergenti dell'1-5-10 formano un angolo assai acuto e, come è noto,
questo può sempre ingenerare dubbî sull’esattezza delle conclusioni, volemmo
a maggior sicurezza preparare il composto 1-5-10, e analizzarlo dopo averlo
separato dalla soluzione ed asciugato rapidamente tra carta da filtro.
I resultati che ottenemmo sono quelli delle esperienze 11 e 13 (Resto)
i quali concordano bene con la composizione teorica dell’1-5-10 (vedi ta-
bella I), dentro i limiti degli inevitabili errori sperimentali. Dalla espe-
rienza 11 si ricava poi anche la composizione della soluzione del composto 1-5
nell'acqua pura; non così dalla esperienza 13 nella quale sì aveva un eccesso
dei due componenti in soluzione. Giova notare che appunto allo scopo di
avere la composizione della soluzione la esperienza 11 venne condotta nel
modo seguente : Sl preparò il composto mischiando acido borico, soda caustica
ed acqua in quantità pesate; poi si decantò la soluzione sovrastante, sì lavò
per decantazione il precipitato, si aggiunse acqua e si lasciò in termostato
sino ad equilibrio; allora si analizzò la soluzione, e quindi, dopo separato
ed asciugato, il corpo di fondo.
Invece, nella esperienza 183 non si lavò per decantazione; e solo si asportò
il corpo di fondo, si asciugò e si analizzò.
I valori trovati colla esperienza per la composizione della soluzione
dell'1-5 in acqua pura, concordano bene con quelli che si possono ricavare
dal diagramma coi mezzi grafici consueti: da quei valori si ha che la solu-
bilità di 1-5 nell'acqua pura a 60° è data da 39,92 di sale anidro in 100 p.
di acqua.
Anche per l'1-2-5 si cercò sperimentalmente la. composizione della sua
soluzione in acqua pura partendo da borace puro ed acqua. I valori che sì
ottennero sono quelli della esperienza 31; ed essi pure concordano pienamente
con quelli ricavabili con mezzi grafici. La solubilità del borace a 60° è
data perciò da 20,18 di sale anidro in 100 parti di acqua (').
Come abbiamo già detto, riferiremo prossimamente sulle esperienze attual-
mente in corso, dalla curva del diborato a quella della soda caustica.
(*) Horn und van Wagener (Amer. Ch. Journ. 30, 347, an. 1903) dànno per punto
di trasformazione dell'1-2-10 in 1-2-5 circa 60°, e a circa 60° trovano 20 gr. di sale anidro
in 100 grammi di acqua (confr. Landolt-Bòrnstein, Physikalisch-Chemische Tabellen, 1905);
Van’t Hoff e Blasdale (Ber. Berl. Acad., 1905, pag. 1086) trovarono dilatometricamente,
come punto di trasformazione, 60°,
— 449 —
Embriologia vegetale. — Contribuzione all'embriologia delle
Euphorbiaceae. Nota del dott. E. CARANO ('), presentata dal
Socio R. PIROTTA.
Le specie di Euphorbiaceae tinora esaminate dal punto di vista em-
. briologico si comportano in due modi differenti: le une, e sono la grande
maggioranza, producono un gametofito; a 8 nuclei, ordinati nell’ interno del
sacco embrionale nel modo tipico per le Angiosperme; le altre, ancora scarse
in numero (Euphorbia procera, E. palustris, E. virgata, Acalypha Sp.),
producono invece un gametofito in cui i nuclei sono precisamente il doppio
del caso ordinario, e cioè 16, così disposti da formare quattro triadi all’estre-
mità dei due diametri longitudinale e trasversale del sacco, ed un nucleo
secondario nel centro, risultante dalla fusione di quattro di essi.
Il Modilewski, al quale dobbiamo le prime osservazioni sulle £uphor-
biaceae a gametofito 16-nucleato, esprimeva in uno dei suoi lavori (?) il
parere che, estendendo le ricerche a nuove specie di questa famiglia, sarebbe
stato possibile trovarne di quelle in cui fossero riuniti i caratteri dell'una
e dell’altra delle due serie. Ed accennava brevemente ad £uphorbdia lucida,
riserbandosi però di sottoporla ad un più accurato esame prima di darne un
giudizio definitivo.
A me sembra, però, che un caso siffatto non meriterebbe quell’ interesse
che potrebbe invece meritare un altro in cui sì presentasse un comporta-
mento intermedio fra le due serie. Ora questo caso è realizzato in Podrnsettia
pulcherrima, una specie da noi diffusamente coltivata per la vivacità del
colore delle sue brattee, e che qualche anno fa è stata oggetto di studio da
parte della signorina Donati (*).
Il gametofito 16-nucleato nelle specie di Euphorbia suddette ripete la
sua origine da ciò, che fra i quattro nuclei provenienti dalla divisione ridu-
zionale della cellula madre delle megaspore, non si formano membrane;
sicchè, non individualizzandosi quattro distinte megaspore, i nuclei di ridu-
zione rimangono nella medesima cavità, e, per mezzo di due successive divi-
sioni, ne producono in definitiva sedici.
(') Lavoro eseguito nel R. Istituto botanico di Roma.
(*) Modilewski I., Veber die anomale Embryosackentwicklung bei Euphorbia pa-
lustris L. und anderen Euphorbiaceen. Berichte d. deutsch. bot. Gesellsch., Bd. XXIX,
1911, pag. 433.
(3) Donati G., Ricerche embriologiche sulle Euphorbiaceae. Annali di botanica, .
vol. XI, 1913.
— 450 —
In Potnsettia pulcherrima le cose procedono, nel caso più frequente,
secondo il modo tipico: vi è cioè un'unica cellula madre che, dividendosi
riduzionalmente, genera quattro megaspore disposte in pila, tre delle quali
vanno a male, ed una, l’inferiore, mediante tre divisioni dà luogo ad un
gametofito 8-nucleato. Eccezionalmente però le megaspore, separate sempre
da distinta parete e disposte piuttosto che in pila, in tetrade, germinano tutte
e quattro. accennando così alla produzione di quattro sacchi embrionali
distinti. In altri casi due megaspore germinano e due degenerano; in altri
infine ne germinano tre; in una parola in Pormsettia pulcherrima vi è la
tendenza a sviluppare più di una delle megaspore provenienti dalla mede-
sima cellula madre.
Ora se noi stabiliamo un confronto fra il comportamento di Euphorbia
procera, palustris ete., e quello della nostra pianta, vediamo che esiste una
notevole corrispondenza: in entrambi i casi la cellula madre produce quattro
nuclei di riduzione, i quali però, mentre nel primo caso, non essendo sepa-
rati fra loro da pareti, dànno origine ad un gametofito complessivo di 16
nuclei, nel secondo, essendo separati da pareti, generano quattro gametofiti
distinti.
In un prossimo lavoro spero di dare maggiori dettagli in proposito, ed
anche le figure illustrative.
Fisiologia vegetale. — Su: procedimenti culturali suscetti-
bili di provocare un aumento di zucchero negli steli del Mais.
Nota di O. MunEeRATI e G. MezzADROLI, presentata dal Socio
Ri. PIROTTA.
Come è notorio, l’estrazione dello zucchero dal granturco è stata oggetto
di numerosi studî e tentativi, che risalgono allo scorcio del secolo XVIII e
inizio del secolo XIX (*); nel 1839 Pallas affacciava poi nettamente il con-
cetto di asportare le spiche immature come mezzo per accumulare una mag-
gior quantità di zucchero nello stelo (*); nel 1879 Dureau parlava di una
industria dello zucchero di granturco negli Stati Uniti (?).
(*) È opportuno di ricordare che Berti Pichat rivendicava la priorità dell'idea all’ita-
liano Mirabelli (Istituzioni di agricoltura, Torino, vol. IV). Si veggano inoltre altre no-
tizie in Legier E., Mistoire des origines de la fabrication du sucre (Essais sur la fa-
brication du sirop de mais), Paris 1901; Borgnino G. C., Cenni storico-critici sulle
origini dello zucchero in Italia, Bologna 1910; Stohmann, Handbuch der Zuckerfabri-
kation, Berlin 1874.
(') Compt. rend. Académie sciences, tome VII, pag. 692.
(?) Dureau G., L’industrie du sucre de sorgho et de maîs aux Etats Unis. Journal
des fabricants de sucre, 26 mars 1879.
— 451 —
Nel 1906 il chimico americano F. L. Stewart di Murrysville (Pensi I-
vania) brevettava come nuovo il procedimento culturale preconizzato da
Pallas, di asportare cioè le spiche allorchè « l’amido granulare comincia
a depositarsi nelle cariossidi, ossia quando la sostanza liquida contenuta nel
seme comincia a prendere un aspetto opaco o lattescente » (*). Più tardi lo
Stewart completava il suo metodo suggerendo la concomitante asportazione
della infiorescenza maschile.
La comunicazione dello Stewart doveva mettere evidentemente il campo
industriale a rumore. Si parlava già di una Società costituitasì nella stessa
Pensilvania, con un capitale di 10 milioni di dollari; di una prima grande
fabbrica a Pittsburg (*) e di un'altra a Cuba. Per i climi caldi littoranei
degli Stati Uniti e della Repubblica Argentina si pronosticavano due rac-
colti all'anno, con prodotti di 1300 e più quintali per ettaro di steli, e
quindi con un ricavo, per ettaro, di 200 quintali di zucchero, 250 ettolitri
di alcool e 250 quintali di cellulosa come sottoprodotto, cioè, per il solo
zucchero, il quadruplo di quanto possano dare la barbabietola e la canna:
la detronizzazione di queste culture era frattanto vaticinata come verifica-
bile a non lunga scadenza, e nell’ Europa il monopolio della produzione dello
zucchero sarebbe passato dalle regioni del nord a quelle del sud.
Era naturale che in ogni paese, dove la cultura del granturco è pra-
ticata con successo, si ripetessero le prove, e che le riviste agronomiche e
tecnico-industriali le andassero poi man mano segnalando. Le prime inda-
gini in Europa, che a noi consti, furono compiute in Ungheria da G. Doby,
con resultanze molto incoraggianti (*); seguirono, sempre in Europa, le ri-
cerche di E. Heckel a Marsiglia, pure con esito lusinghiero (l'A. si servì
di una varietà di mais a grande sviluppo, il granturco gigante di Serbia,
mentre più tardi Heckel considerava particolarmente degno di attenzione il
granturco della Costa d'Avorio, che contiene normalmente il 10 °/, di sac-
carosio) (4); da segnalarsi, ugualmente in Francia, le indagini di Ph. Vilmorin
(*) Stewart 1. L., Verfahren zur Erzeugung von Maiszucker. Zeitschrift des Vereins
der Deut. Zuckerindustrie, LVI Jahrg. (1906), pag. 567.
(°} The utilizazion of maize plant (Indian Com) for sugar, ece., The American
Sugar Industry, vol. XII (1910), n. 1, pag. 12.
(*) Doby G., Zucker-, Cellulose und Alkoholfabrikation aus Mais. Chemiker Zeitung,
XXXIV Jahrg. (1910), n. 149, pag. 1330.
(4) Heckel E., De l’influence de la castration mile, femelle et totale sur la forma-
tion du sucre dans les tiges du mais et du sorgho sucré (Compt. rend. Acad. des sciences,
tome 155, 1912, n. 16, pag. 686); De la castration chez les végétaur, son influence sur
le maîs et les sorghos au point de vue de la production du sucre (Revue scientifique, LI
(1913), n. 8, pag. 225); Sur la castration mile du mais géant de Serbie (Compt. rend.
Académie des sciences, tome 159 (1914), I, pag. 16.
— 452 —
ed F. Levallois con deduzioni poco ottimistiche ('): ad ogni modo gli A.A.
troverebbero preferibile le varietà a seme zuccherino (Z. M. saccharata).
Nelle Indie Olandesi N. Marx conduceva una serie di esperienze che lo por-
tavano ad affermare come il succo ricavabile dal granturco, sia per il basso
tenore in zucchero, sia per le sue impurità, non può valorizzarsi industrial-
mente (°). Negli Stati Uniti quel Ministero di Agricoltura incaricava
C. F. Clark di stabilire, con studî varî, la importanza del problema, e lo
sperimentatore concludeva che, pur giungendo l'asportazione delle spiche
immature ad aumentare di parecchio, particolarmente in alcune varietà, il
contenuto zuccherino dello stelo, la qualità industriale del prodotto è molto
al di sotto di quella della canna (*).
Vanno infine citate le esperienze compiute su larga scala in Argentina
da I. Bohle (che si servì, per le sue indagini di natura industriale, di una
piccola fabbrica di zucchero a Tucuman), il quale A. concludeva un suo
rapporto prevedendo « molto lontano ancora il giorno in cui si possa parlare
di fabbricazione di zucchero di mais nell’Argentina » ().
*
* x
Spinti dal desiderio di portare un modesto e occasionale contributo allo
studio del problema nella bassa valle Padana, dove il granturco trova delle
condizioni particolarmente propizie di sviluppo, credemmo di intraprendere
alcune indagini tanto nel 1913 quanto nel 1914.
Esperienze del 1913.
Nel 1913 ponemmo a raffronto la facoltà saccarigena del granturco
gigante di Serbia (suggerito da Heckel) e di una delle più reputate varietà,
pure a grande sviluppo, della plaga padana, il « friulotto ».
Da un appezzamento uniforme, nel quale le due varietà erano state
espressamente seminate ai primissimi di aprile, prelevammo, il 28 luglio,
un campione per un primo saggio; e nello stesso giorno, a varii gruppi alterni
di piante, destinate ad analisi successive, vennero asportate rispettivamente:
le sole spiche (a grano immaturo); la sola infiorescenza maschile; le spiche
e l'infiorescenza maschile insieme. Un altro gruppo si tenne evidentemente come
testimonio.
(*) Vilmorin Ph. e Levallois F., Contribution è l histoire du sucre de mais, Revue
scientifique LI (1913), I, 18, pag. 396.
(2) Marx N., Sugar from corn, The Louisiana Planter XLIX (1912), 14, pag. 225.
(9) Clark C. F., Preliminary report on sugar production from maize. U. S. Dept.
of Agriculture, Bureau of Plant Industry, Circ. 111, febr. 1913.
(4) Bohle I., Die Fabrikation von Rohraucker aus Mais. Die deutsche Zuckerin-
dustrie, XXXIX Jahrg. (1914), n. 24, pag. 528.
— 453 —
Una lieve grandinata, sopraggiunta verso la metà di agosto, laciniava
parzialmente il fogliame, così che l’esperienza veniva alquanto a perdere del
suo valore.
Un'analisi fu però egualmente eseguita il 22 settembre. I risultati di
essa figurano nel qui unito prospetto, nel quale, per brevità, sono tralasciate
le indicazioni relative al peso delle piante, lunghezza degli steli, ecc.:
GRANTURCO LOCALE « FRIUOLOTTIO » GRANTURCO GIGANTE DI SERBIA
| Analisi il 22 settembre 1913 Analisi il 22 settembre 1913
Analisi TORA
il 28 luglio il 25 luglio
1913 Asporta- _|Asporta- 1913 Asporta- Tao Asporta-
(all’inizio | Piante ea Spor RN (all’inizio | Piante A LIA a
Sa normali Saia. on sciafior, EE normali | scenza a e Lofion
DIOVA) maschile| Spiche [maschile Lora) maschile| SPiche |maschile
°/o °lo °/o °/o %/o °/o %o °/o DE °/o
Grado Brix nel
sugo 8.5 6.2 7.8 11.5 11.70 6.95 8 6.7 sal 12.1
Saccarosio 1.26 1.75 DID, 5.46 6.12 1.67 53 IR72, 0.15 4.56
Purezza . . 14.8 28.20 | 37.40| 47.4 | 52.30] 24.0 16.6 | 25.6 | 46.8 | 37.6
Riduttori . . . 2.45 1.22 1.56 2 1.56 2.380 1.26 1.79 1.40 1.56
Sostanza secca
oonsteli. = «| 19137 | 721K30126 254516241891 Ml5:01 21.38 | 22.17| 24.04| 26.90
Ceneri °/o sost.
SECCA 4.68 5.79 5.98 4.46 4.50 DIS 4.84 4,39 3.67 3.76
Ceneri °/o steli 0.91 1.22 1.54 Te TESA 0.84 1.03 1.41 0.90 1.01
Altre determinazioni, fatte successivamente per il solo saccarosio, pale-
sarono una degradazione ancora più rapida. Anche nelle condizioni più pro-
pizie (asportazione delle spiche e della infiorescenza maschile) lo zucchero
era mescolato a materiali eminentemente melassigeni, e tali quindi da to-
gliere ogni valore industriale alle piante.
Esperienze del 1914.
Nel 1914 operammo col solo granturco « friulotto », semplificando le
prove per la parte analitica, ma complicando le combinazioni dei tratta-
menti, più per determinare come avrebbero reagito le piante, che non per un
concetto di eventuale applicazione pratica. Ai gruppi, di cui alle prove
del 1913 (asportazione spiche, asportazione infiorescenza maschile, asporta-
zione tanto delle spiche quanto delle infiorescenze maschili), ne aggiungemmo
altri costituiti: da piante nelle quali le spiche vennero asportate senza il
loro rivestimento bratteale; da piante denudate completamente; da piante
private di foglie, di infiorescenze maschili e dell'asse carnoso senza brattee.
L'involuero bratteale, purchè la spica vi sia tolta per una incisione late-
rale, continua a mantenersi verde più o meno a lungo (sino a oltre 15 giorni).
— 454 —
Il 5 settembre si procedeva ad una analisi per il saccarosio, la sostanza
secca e la purezza, e si ottenevano le seguenti cifre:
Saccarosio Sostanza Purezza
secca
a): Controllo? 3a 6.49 8.6 75.4
b) Asportazione infiorescenze maschili . . . . 8.03 10.0 80.3
c) Asportazione infiorescenze maschili e spiche,
compreso involucro bratteale . . . .. . 9.67 12.9 74.9
d) Asportazione infiorescenze maschili e dell'asse
carnoso della spica, lasciando l'involucro
biatboalo:& cor eee a. 10.99 12.9 85.1
e) Denudamento completo . . ....... 141 3.3 42.8
f) Asportazione infiorescenze maschili, foglie e
spiche senza brattee (denudamento completo
lasciando solo involucro bratteale) . . . . 2.83 5.4 52.4
L'accumulo di saccarosio nello stelo fu molto superiore in confronto
al 1913. Apparirebbe inoltre manifesta l'azione esercitata dall’involucro
bratteale delle spiche come organo di assimilazione.
Per ricontrollare l'osservazione a questo ultimo riguardo, ed anche perchè,
come dicevamo, una delle argomentazioni dei fautori della utilizzazione del
mais quale pianta saccarifera è che di questa cultura possano farsi due rac-
colti all'anno, credemmo opportuno di eseguire anche una prova sul gran-
turco in secondo raccolto.
Varietà sperimentata : un cinquantino, seminato nella seconda metà
di luglio in un podere del prof. A. Piva di Rovigo. Asportazione delle
spiche con l'involucro bratteale ; delle spiche senza brattee; denudamento
completo dello stelo ecc.. ai primi di ottobre. Nella seconda metà dello stesso
mese sopravvenivano dei fortissimi freddi e qualche brinata che provocarono
un parziale essiccamento delle foglie, per cui forzatamente lo scopo della
esperienza poteva ritenersi quasi frustrato. Ma poichè bastava mettere assieme
solo alcune cifre comparative, facemmo egualmente, al 24 ottobre, una de-
terminazione per il saccarosio e per la sostanza secca.
Ecco le cifre ottenute:
Saccarosio Sostanza secca
a) Controllo; eran ea 0.51 4.4
b) Asportazione infiorescenza maschile e spiche
insieme con le brattee... elena 3.35 9.9
c) Asportazione infiorescenza maschile e spiche
lasciando involucro bratteale . . . . . . 3.73 10.5
d), Denudamento completo ... . ...... 0.28 5.3
e) Denudamento completo lasciando involucro
bratteale: sona nio e A Rn cao 0.60 6.0
— 455 —
Come era da prevedersi, il titolo in saccarosio si palesò molto basso,
ma si mantenne il parallelismo nella facoltà saccarigena dei singoli gruppi.
CONCLUSIONI.
Mentre ci proponiamo di continuare le nostre osservazioni negli anni
venturi, possiamo sentirci autorizzati, dalle prove di un biennio, a formulare
le seguenti conclusioni :
1°) Rimane ancora una volta confermato (se ve ne fosse stato bisogno)
che con l’asportazione delle spiche immature (secondo il procedimento Pallas-
Stewart) la pianta di granturco reagisce accumulando una quantità più 0
meno notevole di saccarosio nello stelo, e che l'aumento è maggiore quando
si asporti contemporaneamente anche l’intiorescenza maschile. Una delle
varietà considerata da Heckel come preferibile, il granturco gigante di Serbia,
non ha mostrato di possedere una facoltà saccarigena superiore ad una delle
varietà ad alto sviluppo (Friulotto) comunemente coltivate nella bassa valle
Padana.
2°) Risulterebbe, come fatto nuovo, che, rimovendo la spica senza
asportare l'involucro bratteale, si eleva, limitatamente, la facoltà della pianta
di accumulare zucchero Per quanto però detta influenza favorevole possa
trovare la sua facile spiegazione, è prudente di non considerarla ancora come
definitivamente accertata.
8°) L'asportazione della infiorescenza maschile ad avvenuta feconda-
zione porta, anche in piante normali (cioè non private dello loro spiche), ad
un aumento discreto di zucchero nello stelo: le nostre prove, compiute con-
temporaneamente a quelle di Heckel, avvalorano frattanto le resultanze di
questi. La cimatura praticata per consuetudine in molte plaghe italiane e
decisamente riprovata dagli agronomi, ma che Heckel troverebbe consiglia-
bile per il mezzodì della Francia quale mezzo per aumentare il valore ali-
mentare delle « canne » di granturco (!), verrebbe ad essere così riabilitata :
anche questa conclusione va data però con tutto il dovuto riserbo.
4°) La facilità con la quale, in plaghe normalmente non irrigabili
come la bassa valle Padana, il granturco va soggetto ai danni del secco, e
la caduta ricorrente della grandine mettono il granturco, come pianta zuc-
cherifera, in condizioni di sostanziale inferiorità di fronte alla barbabietola ;
nè le varietà così dette cinquantine, da seminarsi in secondo raccolto dopo
il frumento, sembrano offrire requisiti apprezzabili, anche per le eventualità
sinistre cui possono andare soggette. Tanto valga per il mais considerato
dal punto di vista culturale.
5°) Quanto alla utilizzazione del granturco per l'estrazione industriale
dello zucchero, la presenza di rilevanti impurità melassigene, difficilmente
eliminabili, dà alla pianta, almeno per le varietà di cui oggi si dispone,
(*) C. R. Ac. sciences, Tome 159, p. 16.
RENDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 58
— 456 —
un valore pressochè negativo: opinione, questa, che affacciarono negli ultimi
tempi autorevoli studiosi americani, i quali hanno creduto doveroso di atte-
nuare gli entusiasmi e le troppe rosee profezie dei sostenitori delle idee
dello Stewart (*).
Patologia vegetale. — Sulla bdaeteriosi del cetriolo in Ita-
lia. Nota preliminare del dott. G. B. Traverso ('), presentata dal
Socio G. CUBONI. |
Nel maggio dello scorso anno il prof. C. Galimberti, direttore della
Cattedra ambulante di agricoltura in Chioggia, inviava al prof. P. A. Sac-
cardo, l'illustre micologo dell’Università di Padova, alcune foglie e frutti
di cetriolo ammalati perchè vedesse se erano invasi da qualche fungo paras-
sita, e faceva notare che la malattia si presentava con carattere epidemico
e minacciava danni gravissimi. All'esame microscopico non fu possibile di
rilevare la presenza di funghi parassiti che si dovessero ritenere causa della
malattia, la quale invece sembrava doversi piuttosto attribuire ad infezione
bacterica od a disturbi gravi delle funzioni di assorbimento e nutrizione.
Dato l'interesse che il fenomeno presentava, tanto dal lato pratico
quanto dal lato scientifico, perchè una tale malattia non si trovava descritta
nei trattati di fitopatologia, ben volentieri aderii all'invito, fattomi dal
(*) La questione sollevata al Congresso di chimica applicata di Washington - New
York del 1912 in occasione della discussione di una comunicazione di D. Gibbs, Pro-
duction of alcohol and sugar from sap of the nipa palm (Atti Congresso, vol. III,
pag. 18), portava ad esplicite dichiarazioni di H. C. Prinsen Geerligs, antico direttore
del Laboratorio dei fabbricanti di zucchero di Giava e noto fra i più competenti e auto-
revoli. Non ostante le affermazioni di Stewart, secondo le quali i succhi derivanti dagli steli
di granturco si possono, con un processo speciale, facilmente depurare (brevetta Stewart
in Zeit. des Vereins der Deutsche Zuckerindustrie, sept. 1912, pag. 1166), il Prinsen
Geerligs informava che «la grande quantità di gomme e altre impurità sembrano impe-
dire la cristallizzazione dello zucchero, per cui si ottiene una massa cotta della consi-
stenza di un pudding » (Atti, vol. XXVII, pag. 60). Il Prirsen Geerligs ribadiva più tardi
gli stessi concetti in uno dei più accreditati periodici della Germania (Die deutsche
Zuckerindustrie, XXXVIII Jahrg., 1913, n. 43, pag. 933).
Aggiungasi che le fabbriche, di cui si annunciava l'impianto, non sarebbero esistite
mai, perchè la Sccietà, costituitasi a Pittsburg per lo sfruttamento dei brevetti Stewart,
si sciolse senza aver affrontato il problema della fabbricazione dello zucchero (Sucrerie
indigene et coloniale, tome LXXXILI, 1914, I, nn. 10 e sgg.). Si parla oggi nuovamente
di quattro o cinque fabbriche in corso di costruzione nella Florida (Sucrerie indigène,
1914, I, pag. 299), per le quali non è tuttavia possibile di emettere un giudizio. Veggasi
anche il pensiero pessimistico di Parow, dell'Istituto di fermentazione di Berlino (Stéàrke-
sirup und Stirkezucker aus Mais in Nordamerika. Centr. fir Zuckerindustrie, 1913-1914,
n. 20, pag. 706).
(') Lavoro eseguito nella R. Stazione di patologia vegetale di Roma, febbraio 1915.
— 457 —
prof. Galimberti, di recarmi sul posto per fare le opportune osservazioni e
raccogliere materiale per lo studio della malattia.
Debbo premettere, per spiegare l'allarme che la comparsa di questa
malattia aveva suscitato, che la cultura del cetriolo viene praticata su larga
scala nei dintorni di Chioggia, e precisamente in quella lingua di sabbie e
dune costiere che si estende tra la punta di Sottomarina e la foce del Brenta,
attorno a Brondolo. Riservandomi di fornire, nel lavoro definitivo, maggiori
particolari intorno a questa cultura orticola, mi limito qui a far notare che
la superficie coltivata a cetriolo nei pressi di Chioggia, secondo i dati gen-
tilmente fornitimi dal prof. Galimberti, si può valutare a circa 250 ettari,
con un prodotto medio, per ettaro, di 320 quintali. In complesso si può cal-
colare un prodotto di 75-85 mila quintali, che vengono quasi tutti esportati
in Austria ed in Germania, e che rappresentano un valore di oltre quattro
milioni di lire.
Nessuna grave malattia aveva colpito per l’addietro le culture dei ce-
trioli, le quali pertanto riuscivano assai rimunerative. Solo nel 1913 si ebbe
un forte attacco di G/oeosporium lagenarium, che deprezzò notevolmente
buona parte del prodotto e portò di conseguenza perdite non indifferenti (*).
Nel maggio del 1914 comparve la nuova malattia e si diffuse rapidamente
destando serio allarme, il quale crebbe maggiormente nei primi giorni di
giugno allorquando, in seguito ad una grandinata, il malanno accelerò la
sua marcia invadendo parecchi orti che tino ad allora erano rimasti pressochè
immuni.
Fu appunto verso la metà di giugno che io eseguii il sopraluogo, consta-
tando che l'allarme dei coltivatori era purtroppo giustificato, poichè si trat-
tava di una infezione epidemica gravissima. In tutti gli orti i danni della
malattia erano evidenti; ed in quelli più gravemente colpiti, le aiuole pre.
sentavano un aspetto desolante perchè, invece di essere ricoperte dalla lus-
sureggiante verzura che caratterizza le cucurbitacee in generale, apparivano
quasi nude, con pochi ciuffi di verde, come se sopra vi fosse passata una
tiammata devastatrice.
Esaminando da vicino le piante malate, potei constatare che le radici
ed i giovani germogli non presentavano nulla di anormale, mentre i segni
del male apparivano ben evidenti sulle foglie adulte e sui frutti, però con
caratteri diversi.
Sulle foglie il primo sintomo del male si può osservare, come aveva
acutamente notato il prof. Galimberti, esaminando le piante di buon mat-
tino. Si vedono allora, sulla pagina inferiore delle foglie, delle aree irrego-
larmente tondeggianti, od angolose se limitate dalle nervature, larghe 2-5 mm.
(') Vedasi un articolo del prof. C. Galimberti, in « La Venezia agricola » del
28 dicembre 1913.
— 458 —
circa. dalle quali trasuda un liquido incoloro o quasi, al quale, a prima giunta,
non si darebbe importanza. Ma in poche ore i segni della malattia diven-
tano ben più appariscenti poichè, durante il giorno, questa sostanza liquida
evapora e, come se dispiegasse una forte azione caustica, lascia al suo posto
una macchia, dapprima giallognola, poi biancastra ed arida, in corrispondenza
alla quale i tessuti muoiono e seccano completamente, diventando fragilis-
simi e producendo sulla foglia una caratteristica vaiolatura. In seguito a
ciò, le foglie colpite perdono ben presto il loro turgore, si afflosciano e si
raggrinzano; i tessuti morti si staccano e marciscono, e le foglie sono ridotte
a brandelli informi; donde l'aspetto desolante che presenta un’'aiuola forte-
mente colpita dal morbo.
Sui frutti invece, i quali possono venire colpiti dalla malattia in qual-
siasi stadio del loro sviluppo, i fenomeni patologici, pur dimostrando iden-
tità di origine, sono notevolmente diversi, a motivo della diversa struttura
anatomica dell'organo colpito. I frutti colpiti dall’infezione presentano dap-
prima piccole macchie livide, in corrispondenza alle quali, dopo qualche
giorno, si osserva la fuoruscita di una sostanza vischiosa, densa, che a con-
tatto dell’aria assume un colore ambrato e si indurisce formando delle masse
gommose dure, di forma sferoidale od irregolare, specialmente se più punti
d'infezione sono vicini per modo che le loro escrezioni confluiscano insieme,
che raggiungono normalmente un diametro di 1-4 mm., ma che possono tal.
volta anche arrivare ad un centimetro. Se i frutti. sono colpiti dal male nei
primi stadii del loro sviluppo, essi rimangono atrofici, deformati e si devono
considerare senz'altro come perduti. Se invece i frutti sono colpiti quando
hanno già raggiunto uno sviluppo più o meno considerevole, la loro polpa
diviene molle, acquosa, partendo dai punti d’ infezione e propagandosi questa
marcescenza all’intorno, in modo da rendere il frutto inservibile, non solo,
ma a sua volta centro d'infezione quando venga posto tra frutti sani.
Dalla osservazione dei caratteri coi quali si presentava la malattia, assur-
gendo alla indagine intorno alle cause immediate di essa, era logico di con-
cludere fin da principio che la malattia fosse di origine parassitaria.
Se infatti si fosse trattato di alterazioni e squilibrî nelle funzioni di
nutrizione della pianta, la malattia avrebbe dovuto colpire prima o l'appa-
rato radicale o le più giovani parti dei cauli in via di accrescimento. Invece
questi, come abbiamo detto, erano sani, ed i segni del male erano localiz-
zati sulle foglie adulte e sui frutti. D'altra parte, non essendosi riscontrati
nel primo esame funghi parassiti, e non avendo osservato negli orti visitati
alcun insetto od altro animale cui si potesse attribuire l'origine del male,
io fui indotto a coneludere, colle dovute riserve, che doveva molto probabil-
mente trattarsi di infezione bacterica o dacterzosi (*). Questa induzione tro-
(*) Vedasi articolo del prof. C. Galimberti in « La Venezia agricola » del 19 lu-
glio 1914.
— 459 —
vava anche appoggio nel fatto, rilevato dal prof. Galimberti e confermato
dai coltivatori presenti, che la prima comparsa del male si era verificata
pressochè contemporaneamente in due orti distanti non meno di cinque chi-
lometri l'uno dall'altro, ma appartenenti allo stesso coltivatore: facendo pen-
sare al trasporto di germi per mezzo degli strumenti da lavoro.
Esaminando al microscopio il materiale raccolto, mi fu facile di mettere
in evidenza la presenza di numerosi bacterî nelle parti malate e nei pro-
dotti gommosi di escrezione. Per venire però ad una conclusione sicura era
necessario di procedere all’isolamento delle specie bacteriche ed alla riprodu-
zione artificiale della malattia. Mi accinsi perciò a tali ricerche nell'Istituto
d'igiene della R. Università di Padova, col valido aiuto dell'amico prof. D. Car-
bone. al quale mi è grato di esprimere qui la mia viva riconoscenza. Serven-
domi dei frutti malati, che meglio delle foglie si prestavano alle diverse
manipolazioni, riuscii ad isolare diverse specie di bacterî, una delle quali
molto più abbondante delle altre e quindi verosimilmente causa della ma-
lattia. Si trattava di un piccolo bacterio, mobile, fluorescente, non liquefa-
cente la gelatina, del quale mi accingevo allo studio completo, morfologico
e biologico, quando sopravvennero le vacanze estive prima, e poi il mio pas-
saggio dall'Istituto botanico di Padova alla Stazione di patologia vegetale
di Roma, che mi costrinsero a sospendere il lavoro.
Anche alcune prove di infezione artiticiale, iniziate nell'Orto botanico
di Padova, non arrivarono a risultati positivi, oltre che per possibili altre
cause, per il fatto che. sopraggiunto in principio di luglio un periodo di
clima asciutto, evidentemente contrario allo sviluppo del bacterio, anche l' in-
fezione naturale si arrestò completamente, con grande sollievo dei coltivatori.
Noi mi sarei pertanto deciso a pubblicare queste notizie preliminari
prima d’aver ripreso e completato lo studio. se a ciò non mi avessero indotto
la convinzione di fare cosa utile per i fitopatologi. segnalando questa ma-
lattia, ed il fatto che proprio durante questi mesi la stessa malattia veniva
studiata dal Burger (') negli Stati Uniti d'America, e precisamente nello
Stato di Florida, dove produce gravi danni da circa un quadriennio. Dalla
lettura del lavoro dei Burger e dall'esame delle figure che l'accompagnano,
non sembra esservi dubbio che si tratti della stessa malattia, la quale
sarebbe appunto dovuta ad un bactevio mobile riferibile al genere Pseudomonas.
Ad ogni modo mi son fatto premura di chiedere materiale di confronto, che
spero poter avere per completare, anche sotto questo rapporto, il mio studio.
Nel chiudere questa Nota preliminare, credo opportuno, data la impor-
tanza pratica dell'argomento, aggiungere qualche cosa circa i possibili mezzi
di lotta contro la malattia. Il prof. Galimberti. che si era occupato di fare
(1) Burger 0. F, Cucumber /tot (Florida Agricult. Exsper. Station, Bull. 121). Gai-
nesville, 1914. °
— 460 —
alcune esperienze con trattamenti a base di poltiglia bordolese dal 0,5 all’'l °/g
con polvere di zolfo e con zolfo ramato all’ 1 °/,, non ebbe a rilevare, secondo
quanto mi scrive, alcuna azione vantaggiosa da tali trattamenti. Secondo il
Burger però, la poltiglia bordolese avrebbe sensibile efficacia purchè i trat-
tamenti si comincino quando le piante sono molto giovani, con tre o quattro
foglie soltanto e vengano ripetuti ogni dieci giorni con grande diligenza.
Anche in questo campo, che dal punto di vista pratico è senza dubbio il
più importante, mi propongo di fare ulteriori ricerche, se la malattia, come
è probabile, farà la sua ricomparsa nella prossima primavera; ed intorno
ad esse riferirò nel lavoro definitivo.
Biologia. — Contributo alla conoscenza dello sviluppo em-
brionale e post-embrionale degli Scopelini Miller (Saurus
griseus Lowe, CAlorophthalmus Agassizii Bp., Au-
lopus filamentosus Cuv.('). Nota preventiva di Lurci Sanzo,
presentata dal Socio B. Grassi.
I. Saurus griseus Lowe.
Dietro tentativi seguìti per più di un biennio, sono riuscito ad operare,
in questa specie, con esito positivo la fecondazione artiticiale. Per quanto
io sappia, è questo il primo esempio di fecondazione artificiale nel gruppo
degli Scopelidi.
Le uova fecondate sono galleggianti, sferiche, alquanto opaco-bianchicce
per la struttura della capsula ricoverta da un reticolo regolare a maglie
esagonali, come nelle uova di Uranoscopus descritte dal prof. Raffaele.
Mancano di gocce oleose e di spazio perivitellino. Il loro diametro
oscilla da mm. 1,10 a mm. 1,35.
Le medesime uova ho potuto identiticare tra il materiale di uova gal-
leggianti pescate nelle acque dello Stretto di Messina nei mesi da giugno
a novembre.
Il periodo d'incubazione dura 4 giorni e mezzo.
La larva, appena sgusciata, misura dai 4 ai 4.5 mm. È caratteristica
per la presenza di quattro paia di macchie nere disposte, quasi ad uguale
distanza, tra le pettorali e l’ano. A metà della coda un quinto paio di
macchie, egualmente in nero, ed un sesto all'estremo del tronco.
(1) Dall’Istituto centrale di Biologia marina in Messina del R, Comitato talassogra-
fico italiano.
— 461 —
La pinna primordiale s' inizia dorsalmente dal capo e gira attorno al
corpo sino all’ano, restringendosi leggermente in avanti dell'estremo del tronco
candale.
Sono presenti piccole e membranose pettorale.
Si contano 58-60 segmenti: 39-40 addominali, e 19-20 caudali.
La corda, come nelle larve di Clupeidi, è ampia e formata da grossi
segmenti posti l'uno dietro l’altro.
L'occhio è ovale. Ha il maggior diametro leggermente inclinato, con
la sua porzione superiore in avanti, sull'asse longitudinale del corpo. Il tap-
peto corioideo è già formato, e l'occhio risplende di riflessi metallici.
Quasi attigue ed assai sviluppate sono le vesezcole auditive, ciascuna
con evidente rigonfiamento ampollare.
Lateralmente sul tronco si contano 7 bocezuoli sensitivi: 6 dal capo
all'ano, e 1 sulla porzione caudale.
Il sacco vitellino è disteso dal capo sino a livello della 3* coppia di
macchie ventrali; è alquanto rigontio in avanti.
La bocca non è ancora aperta, ma lo diviene nello stesso primo giorno
dalla schiusa.
Sono formati lo scheletro branchiale cartilagineo. la cartilagine di
Meckel e le cartilagini basali del cranio.
L’intestino corre diritto all'indietro, piegando ventralmente ad angolo
ottuso poco prima della sua apertura anale. Al tratto di ripiegamento sta
addossata la vescica urinaria.
Ho potuto allevare le larve tino al 5° giorno dalla schiusa; il mate-
riale vitellino s'è esaurito nei primi tre giorni.
Oltre alle uova ed a le larve ottenute con la fecondazione artiticiale, ho
potuto, con la pesca nello Stretto rinvenire una serie di stadî ancora larvali
fino a quelli di giovanissimi Sawr:, la quale si connette alle larve ottenute
dalle uova in cultura. Così come ho :nesso in rilievo per altri Seopelidz, anche
nello sviluppo di questa specie si ha un periodo di accrescimento larvale,
a cui segue un periodo contradistinto da riduzione, in grandezza, dell'animale.
Tutta la serie è caratteristica per la presenza di sei paia di macchie
peritoneali; delle quali, quattro paia corrispondono a quelle della larva ap-
pena sgusciata, e due sono di nuova formazione. Con l'ulteriore sviluppo
larvale tali macchie si rendono meno visibili, mentre si accenna del pig-
mento lungo la parte laterale del corpo. Nelle semilarve e giovani Sawurz,
mentre non appare più il pigmento ventrale, quello laterale ha pigliato il
predominio, ed è entrato in iscena quello dorsale. Queste modificazioni coin-
cidono, e molto probabilmente vi hanno rapporti, col cambiamento di habz47
dell'animale. Le larve infatti sono pelagiche e vengono sotto luce della lam-
padara; le semilarve in riduzione avanzata capitano invece insieme coi gio-
vani Saurus nella pesca con reti a strascico.
— 462 —
Con tale cambiamento di habitat è da pigliare in considerazione il
mutamento di forma del corpo, di posizione degli occhi, di sviluppo cor-
relativo delle pinne. Il capo ed il tronco, alquanto compressi lateralmente
nelle larve pelagiche, divengono, nelle semilarve e stadî giovanili, schiac-
ciato il primo, e subconico il secondo; gli occhi; da una posizione latero-
ventrale, ruotano in modo da guardare latero-dorsalmente; e delle pinne le
ventrali, sebbene apparse più tardivamente delle altre, assumono presto pro-
porzioni più sviluppate e raggiungono, alla fine del periodo di riduzione in
grandezza dell’ animale, quella forma, grandezza e, pei numerosi segmenti
articolati dei raggi, quella pieghevolezza confacenti alla vita di fondo alla
quale l'animale è passato.
II. Chlorophthalmus Agassizii Bp.
Di questa specie ho potuto identificare tutta la serie di sviluppo lar-
vale dai 4,5 mm. fino ai 47 mm. È caratteristica di tutta la serie una
grande macchia in nero, sulla vòlta peritoneale corrispondentemente alle basi
delle pettorali, ed una piccolissima macchia, anch'essa in nero, all'estremo
caudale. Tutto il resto del corpo si mostra completamente privo di pigmento.
Il capo, negli esemplari più piccoli, è assai tozzo in rispetto allo spessore
del tronco che è assai compresso lateralmente. Tale rapporto con lo svi-
luppo, si va attenuando, di maniera che nell’esemplare, più sviluppato, di
47 mm., sì passa insensibilmente dallo spessore del capo a quello del tronco
che è divenuto subcilindrico.
L'occhio presenta analoghe modificazioni di posizione che in Saurus
griseus.
In esemplari sugli 8 mm. la pinna primordiale è ancora ampia. Man-
cano gli abbozzi della dorsale e dell’anale. All’estremo posteriore della parte
assiale del corpo accenna a piegare dorsalmente. (Il ripiegamento in alto è
assal più tardivo in un Paralepino, come illustrerò in una prossima pub-
blicazione)
Su un ispessimento mesodermico ipocordale che in altezza occupa assai
più della metà della pinna primordiale, si mostrano già abbozzati quattro
ipurali. In esemplari sugli 11,5 mm. la caudale è definitivamente difterenziata.
Allo stesso stadio, si mostrano gli abbozzi per la pinna anale. Il numero
definitivo dei raggi si coglie in esemplari oltre ai 20 mm. L'apparizione
della dorsale è, come in Saurus lacerta e Chauliodus Sloani, tardiva e
posteriore a quella dell’anale. I primi accenni si hanno in stadî sui 15 mm.,
mentre a questo stadio l'adiposa ha la sua forma. Il numero di raggi si com-
pleta in esemplari dai 21 ai 22 mm. Pettorali membranose e, finamente
striate, ed arrotondite, si hanno ancora in stadii sui 18-14 mm. Su esemplari
di 16 mm. sì mostrano abbozzati 13-14 raggi. Conto ancora lo stesso numero
“digg
di raggi a mm. 21,65 e 15-16, numero definitivo, in stadî sui 30 mm.
Nello sviluppo ulteriore le pinne si allungano di molto, sino a raggiungere
l’estremo delle ventrali. Queste sono piccolissime in stadî sui 16 mm.;
presentano il numero definitivo di raggi in esemplari sui 21 mm.
Tutta la serie dai 4,5 ai 47 mm. è da riferirsi allo sviluppo larvale.
Ritengo che anche per questa specie intervenga un periodo di riduzione in
grandezza. Vi è un forte sbalzo tra l'esemplare di mm. 47, quasi comple-
tamente sprovvisto di pigmento, e i più giovani Clorophthalmus che ho po-
tuto raccogliere, con superficie del corpo ricca di pigmento — specie latero-
dorsalmente — che preaccenna a quella definitiva dell'adulto. Tale sbalzo,
assai verosimilmente, è occupato dal periodo riduttivo i cui rappresentanti per
le specie da me studiate, sono relativamente molto rari, quando non siano
rarissimi.
III. Aulopus filamentosus Cuv.
Anche di questa specie, assai affine alla precedente, ho potuto stabilire
degli stadî larvali, rarissimi nel materiale larvale di Scopelidi rinvenute in
questo Stretto.
Posseggo, in tutto, tre esemplari, rispettivamente della lunghezza di
mm. 11.50, 32.70, 40.50.
I caratteri offerti dalle larve non lasciano dubbio veruno che esse appar-
tengano allo sviluppo dell'Ax/opus; e che la Pelopsia Scillae, sotto la quale
denominazione il Facciolà descrisse un esemplare sui 55 mm., debba essere
ora considerata quale uno stadio larvale dell'Au/opus filamentotus.
La larva più piccola è caratteristica per l'ampiezza e la forma delle
pettorali. Queste oltrepassano l'origine dell’anale, e contano ]4"grossi raggi.
La membrana interradiale presenta, alla parte distale fra un estremo e l’altro
di due raggi consecutivi, un’insenatura il cui bordo è pervaso da numerosi
e piccoli elementi in nero. Sono altresì caratteristiche 13 macchie sulla
volta peritoneale, le quali si mostrano ridotte a 10 nella larva di mm. 32,70,
ed a 6 in quella di mm. 40,50.
Nella larva più piccola persiste la pinna primordiale, ed è definitiva-
mente abbozzata la caudale con 19 grandi raggi. Essa, così come negli altri
due esemplari, è alquanto rialzata in alto sull’asse del corpo. Si contano
8 pezzi ipurali. Sul lembo dorsale e sul ventrale della pinna primordiale si
mostrano rispettivamente abbozzate le pinne dorsale ed anale. Si contano
50 segmenti, che è il numero di vertebre da me riscontrato nell'adulto. La
corda è ampia, con elementi stivati tra loro. Il mascellare inferiore sporge
algnanto in avanti dal superiore. L'intestino ha un ampio lume, e termina
un certo tratto in avanti dall’anale.
Nell'esemplare di mm. 32.70 è scomparsa la pinna primordiale e sono
già formate la dorsale con 15 raggi, l'anale con 11 e le ventrali cm. 9.
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 59
— 464 —
È comparsa una piccola adiposa. Le pettorali si mantengono ancora ampie.
Gli stessi caratteri sono da ripetersi per l'esemplare di mm. 40.50. È da
notare l'enorme sviluppo dei primi raggi della dorsale, carattere riscontra-
bile nel maschio dell’adulto.
I tre esemplari, per le stesse ragioni dette per la [specie precedente,
ritengo appartenenti al periodo larvale. Non sarà improbabile rinvenire un
giorno o l'altro, qualche stadio in riduzione.
Parassitologia. — Ricerche sulle tignuole della vite. Nota del
dott. MARIO Topi, presentata dal Socio B. GRASSI.
Benchè assorbito quasi interamente da altre occupazioni, ho potuto fare
anche quest'anno alcune osservazioni biologiche sulle tignuole della vite, ed
alcune esperienze sulla efficacia dei trattamenti insetticidi, di cui qui bre-
vemente riferisco.
*
x x
In primavera avevamo 32 fasce di stoffa, che, essendo state applicate,
durante l'estate precedente, alle viti perchè servissero di rifugio alle larve
(metodo Catoni), racchiudevano 56 bozzoletti con crisalidi di tignuole. Dalle
crisalidi si ottennero 32 Zudemis, 2 sole Conehylis ed 8 imenotteri parassiti.
Queste cifre concordano in gran parte con quelle ottenute, nelle iden-
tiche condizioni, l'anno scorso: la stessa percentuale di Cornchylis sul numero
totale di farfalle schiuse (poco più del 5 °/); quasi la stessa percentuale
di crisalidi non schiuse, probabilmente parassitizzate da funghi o batterî
(21 °/ nel 1913; 25 °/ nel 1914); minore è stata invece quest'anno la per-
centuale degli imenotteri parassiti {14 °%/, invece di 22 °/,). Non solo, ma
sì è anche osservato che gli imenotteri parassiti sono schiusi quando già
erano uscite più della metà delle farfalle. Lo stesso è avvenuto in capsula,
ove tenevamo una ventina di crisalidi: imenotteri parassiti sono usciti da
due crisalidi di tignuola, quando già tutte le farfalle erano schiuse da diversi
giorni dalle crisalidi sane. Questo fatto è in contradizione con quanto sì
ritiene ed avviene di regola: che cioè i parassiti compaiano assai più presto
delle farfalle.
Dal lato pratico della lotta, da ciò consegue che, se sono state collocate
in casse con aperture reticolate le corteccie di viti, le punte delle canne che
hanno servito alla impalatura delle viti o gli stracci appositamente appli-
cati alle viti, conviene conservare queste casse fin molto tardi e non distrug-
gere il contenuto appena compaiano le prime farfalle, come spesso sì con-
siglia; e che ritardare lo scortecciamento per lasciar schiudere i parassiti è
una pratica talvolta non sufficiente allo scopo.
— 465 —
In primavera, in estate ed in autunno ho ripetute le prove di cattura
delle farfalle nell'acqua melassata in fermentazione, per seguire la schiusa
e per constatare o meno la presenza, nella località, di una terza genera-
zione.
Furono posti quattro vasi pieni di liquido in fermentazione in una vigna
molto attaccata dalle tignuole; tre erano ravvicinati tra loro ad una distanza
di una diecina di metri l'uno dall'altro; l'ultimo (il II) era più distante ed
in posizione più soleggiata.
Le catture in primavera sono state molto scarse (15 farfalle in tutto:
12 Zudemis e 3 Conchylis) e distribuite in un numero grande di giorni:
dal 12 maggio al 1° giugno. Non vi è stato un periodo massimo di schiusa,
essendosene catturate giornalmente da 0 a 3.
In estate le catture degli adulti della prima generazione dell’anno sono
state discretamente numerose, come vedesi dalla tabella. Inoltre esse segnano
due massimi, l'uno dal 15 al 18 luglio, l’altro dal 24 al 30; questi mas-
simi ed in generale tutto l'andamento delle catture — e quindi, probabil-
mente, quello della schiusa — concordano in modo straordinario con quelli
ottenuti, con lo stesso sistema, lo scorso anno. Per far notare questa concor-
danza. si riportano, nell’ultima colonna della tabella, le cifre totali dello
scorso anno:
GIORNI Vaso Vaso | Vaso Vaso Conchylis Pigenia Totale | Totale
I II IM IV 1914 | 1913
6- 9 luglio È i ie 2) (SS I 2 Da
9-12» - 2 2 2 1 5) 6 1
12-15.» 3 —_ _ B) 2 4 6 8
15-18.» 10 _ 8 9 6 21 27 10
18-21» 4 _ 7 — 2 9 11 8
21-24» 2 _ 6 5 _ 13 3 8
24-27» 107; 1 TI 13 1 37 98 30
27-30.» 9 1 6 10 — 26 26 13
30 luglio - 2 agosto 3 1 —_ 4 — 8 8 3
2- 5 agosto 4 2 _ — — 6 6 2
TOTATTIIRE 52 7 88 46 12 131 143 83
In autunno si posero nuovamente, nella stessa località, i vasi col liquido
in fermentazione, ma non si catturò nessuna farfalla.
Restano così determinati, per la località presa in esame (Alice Bel Colle)
e con osservazioni, in gran parte, di un biennio, i seguenti punti:
1°) l'assoluta predominanza della Evdemis sulla Conchylis;
2°) la schiusura degli adulti si protrae, in primavera, per circa 20 giorni,
ed in estate per circa 30;
— 466 —
3°) le schiusure primaverili procedono, dall'inizio alla fine, quasi con
la stessa regolarità, mentre le estive diventano numerose nella seconda quin-
dicina di luglio;
4°) vi sono solamente due generazioni annuali: gli adulti della seconda
schiudono alla primavera successiva.
f
Fia. 1. — Uova di Polychrosis (Eudemis) botrana della prima generazione
(var. ingranditi)
Durante lo sfarfallamento, si può assistere, verso il crepuscolo, alla depo-
sizione delle uova. In maggio abbiamo potuto seguire quella della Hudemis.
La femmina, che si appresta alla deposizione, ha volo fermo e sicuro presso
i grappoli fiorali, su cui si posa senza incertezze. Dopo la deposizione di un
uovo, si rialza a volo, dirigendosi verso un altro grappolo o tornando sullo
stesso. L'uovo è deposto in un punto qualsiasi del boccio fiorale o sulle
brattee; ne abbiamo appunto veduti verso la sommità (fig. 1, I) e sui lati
dei petali (fig. 1, II), sulla loro base d'inserzione (fig. 1, III) e sulle brattee
(fig. 1, IV). In cattività si ottengono su qualunque parte della pianta.
7 — 467 —
L'uovo ha l'aspetto di una piccolissima lente, appiccicata per una delle
due faccie; il contorno è leggermente ellittico; ha un colore grigio chiaro
trasparente, è finamente reticolato ed ha dei riflessi iridati che lo hanno
fatto rassomigliare ad una piccola opale.
Il volo dei maschi è invece più rapido, meno fisso, ed essi si sot-
traggono in brevissimo tempo alla vista.
Nella località dove facevamo le osservazioni, la fioritura ha cominciato,
nelle posizioni ben soleggiate, ai primi di giugno.
Le larve di Corchylis hanno raggiunto la maturità più presto di quelle
di Zudemis, come si poteva verificare verso il 20 giugno; una conferma
l'abbiamo avuta con le catture delle farfalle: infatti, dopo il 20 luglio non
abbiamo preso che una sola Conchylis.
Pu
Come insetticidi contro le larve abbiamo usati l’arseniato di piombo
Swift allo 0,8°/, in primavera, e l'estratto di tabacco al 2,5 °/, in estate,
mescolati alla poltiglia bordolese, irrorando con getto ad intermittenza, avendo
cura di bagnare specialmente i grappoli.
In una vigna abbiamo trattato alternativamente un filare sì e l’altro no,
facendo due trattametti primaverili con l’arseniato di piombo, il 28 maggio
ed il 13 giugno; ed un trattamento estivo con l'estratto di tabacco, il 3 agosto.
Forse, data la schiusura delle farfalle, sarebbe stato conveniente anticipare
di qualche giorno tutti questi trattamenti. In questa vigna si coltivavano
principalmente i vitigni /ambrusca e moscato.
In un’altra vigna, in cui si coltivava principalmente il dardéra, si fece
un solo trattamento il 5 agosto con l'estratto di tabacco, usando lo stesso
sistema per il controllo.
Osservando in estate il raccolto e giudicando all'ingrosso, a colpo d'oc-
chio non si sarebbe potuto riconoscere, pel migliore stato dell'uva, quali fos-
sero i filari trattati e quali i non trattati. Tuttavia un minuto esame degli
acini ci ha permesso di notare una indubbia efficacia conseguita coi tratta-
menti.
Nella prima vigna scegliemmo 4 viti di mascato (2 trattate e 2 non
trattate) e 2 di /ambrusca (l'una trattata e l’altra no), che avessero rispet-
tivamente lo stesso numero di grappoli. L'esame degli acini ci ha fatto rico-
noscere, nell'uva delle due piante di moscato trattate, 343 acini guasti od
erosi; in quella zon trattata, 547; nell'uva della pianta di /ambrusca trat-
tata, 248; in quella non trattata, 290.
Nell’altra vigna di barbera scegliemmo pure 2 viti (l’una trattata e
l’altra no), aventi 36 grappoli ognuna. Nell'uva della pianta trattata vi
erano 442 acini guasti od erosi, ed in quella non trattata 759.
— 468 —
Con questo sistema di controllo non abbiamo potuto tener conto quasi
esclusivamente che dei beneficî del trattamento estivo; per le ragioni già
dette, nè in primavera nè in autunno abbiamo potuto fare altri controlli.
Ci sembra tuttavia che, anche entro questi limiti, i risultati ottenuti,
specialmente col barbéra ed il moscato, siano oltremodo incoraggianti per
il trattamento delle vigne con insetticidi contro le tignuole.
Chimica. — SuZlo stato dell’acido carbonico nel sangue.
II. Mobilità dell’ione HCO, alla temperatura 18° C. Nota dei
dottori E. p'AGostINO e G. QUAGLIARIELLO, presentata dal Corrisp.
FILIPPO BOTTAZZI.
Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
Fisiologia. — Sul metabolismo degli aminoacidi nell’orga-
nismo. III: Azione del rene sugli aminoacidi aggiunti al sangue
od al liquido di Ringer circolante. Nota di CamiLLo ARTOM, pre-
sentata dal Socio L. LUCIANI.
Le ricerche di Folin e Denis ('), e più specialmente quelle di van Slyke
e Meyer (?), hanno dimostrato che gli aminoacidi introdotti in circolo scom-
paiono rapidamente, e nella loro quasi totalità, dal sangue. Si è quindi af-
facciato il problema di determinare l’azione dei singoli tessuti in questo
complesso fenomeno; al quale scopo il prof. Lombroso ha iniziato una serie
di ricerche sistematiche sul comportamento dei varî tessuti rispetto agli ami-
noacidi in essi circolanti. Io ho, per suo consiglio, proseguito, sperimentando
col rene sottoposto a circolazione artificiale, le indagini già da lui compiute
sul tessuto muscolare (*).
Van Slyke e Meyer (‘), saggiando il contenuto di aminoacidi negli
organi di cani a cui si era iniettata una soluzione di aminoacidi, osser-
vano che il rene è, insieme col fegato, l'organo capace di assorbire in
maggior quantità gli aminoacidi dal sangue. Così in una esperienza il
rene aveva accumulato, per 100 gr. di tessuto, 60 mmgr. di N ammi-
nico, mentre il muscolo per lo stesso peso di sostanza non ne aveva assor-
bito che 27 mmgr. Aumentando la quantità di aminoacidi iniettati, sì
(!) Journ. of biol. chem. XI, pag. 87, an. 1912.
(2) Journ. of biol. chem. XII. pag. 399, an. 1912.
(3) Rendiconti Accad. Lincei, vol. XXIV, serie 5*, 1° sem., fasc. 1° e 29.
(4) Journ. of. biol. chem. XVI, pag. 197, an. 1913.
— 469 —
può anche produrre un accumulo tre volte maggiore. L'N aminico accumu-
lato scompare in seguito dal rene, meno presto però che dal fegato il quale,
distruggendo rapidamente gli aminoacidi assorbiti, verrebbe a sottrarli con-
tinuamente dalla circolazione e quindi dai tessuti. Solo quando gli aminoa-
cidi penetrino troppo rapidamente in circolo, o quando per condizioni pato-
logiche il fegato sia insufficiente a compiere la sua funzione normale, il rene
gli viene in aiuto eliminando inalterato per le urine l'eccesso di ami-
noacidi.
Lanzillotta (') ha fatto circolare nel rene, per 6-8 ore con l'apparec-
chio di Aducco, soluzione di Ringer cui aveva aggiunto un aminoacido
(glicocolla-alanina-tirosina-acido asparaginico) nella concentrazione 3-4 °/vo»
Otteneva in queste condizioni un prodotto di secrezione nel quale gli ami-
noacidi si trovavano press'a poco nella stessa concentrazione che nel liquido
di circolazione: sommando il contenuto in aminoacidi di questi due liquidi
e confrontandolo con la quantità di aminoacido fatta circolare attraverso il
rene, si nota una diminuzione, pari a 0,8-7 °/ per la glicocolla, 5,3-19,9 °/
per l’alanina, 7.2 °/, per la tirosina. Solo con l'acido asparaginico non si
aveva alcuna diminuzione, anzi si notava a volte un aumento del contenuto
di aminoacidi.
Questo reperto l'A. spiega con una idrolisi delle proteine del tessuto
per opera dell'acido; infatti, ripetendo l'esperimento con acido asparaginico
neutralizzato, ottenne una diminuzione pari a cira il 10 °/, dell’aminoacido
posto in circolazione.
Questa scomparsa di aminoacidi dal liquido di circolazione è attribuita
dal Lanzillotta a un processo di disaminazione chimica per opera degli epitelii
renali. Il fenomeno, osservato dal van Slyke, della singolare attitudine del
rene ad accumulare aminoacidi, sottraendoli dal sangue, potrebbe veramente
spiegare, senza dover ricorrere all'ipotesi della disaminazione, una parte dei
risultati esposti dal Lanzillotta, ma non tutti. Egli avrebbe infatti in al-
cune esperienze ottenuto una scomparsa di aminoacidi notevolmente superiore
a quella capacità di saturazione che possiamo arguire dalle ricerche di van
Slyke. Si può però sempre obbiettare che nelle ricerche con circolazione ar-
tificiale di un organo isolato è possibile che l'accumulo sia ancora più rile-
vante, venendo a mancare quello scambio di aminoacidi dal rene al fegato,
cui van Slyke attribuisce importanza fondamentale nel fenomeno della scom-
parsa, dagli organi, degli aminoacidi accumulati.
%
x *
Per contribuire alla risoluzione di tali quesiti, ho dosato gli aminoa-
cidi del liquido e dell'organo prima e dopo la circolazione: e ho anche ri-
(1) Arch. di Fisiol. XII, 429, an 1914.
— 470 —
cercato se ad una eventuale diminuzione di aminoacidi del liquido corrispon-
desse una produzione, sia nell’organo e sia nel liquido, di ammoniaca che
stesse ad indicare un processo di combustione a spese degli aminoacidi
scomparsi. Allo stesso scopo ho in alcuni casi esteso la ricerca anche all’a-
cetone. Come liquido di circolazione ho usato in una prima serie di espe-
rienze il liquido di Ringer, in una seconda il sangue, al fine di poter chiarire
se e in quale misura la sostituzione del sangue con soluzione fisiologica mo-
difichi (come fu osservato pel tessuto muscolare) i processi metabolici del
rene sopravvivente rispetto agli aminoacidi.
A cani appena uccisi per dissangnamento dalla carotide, asportavo il
rene e lo ponevo nell’apparecchio di Lind ove facevo circolare o il liquido
di Ringer o il saugue defibrinato dello stesso animale, dopo di avervi ag-
giunto una certa quantità di aminoacido (4 gr. per 500 cm.* di liquido al-
l’incirca). La durata di ciascun esperimento era varia a seconda della velo-
cità di circolazione (che, quando si usava il sangue, era sempre molto pic-
cola) ma non oltrepassava mai le ore 3-3 !/s. Il prodotto di secrezione, che,
di regola, era in quantità notevole solo quando il liquido circolante era
soluzione fisiologica, alla fine dell'esperimento veniva mescolato col liquido
refluo dalla vena. Il rene aumentava di peso nel corso della circolazione, e
l'aumento di peso, piccolo quando si circolava con sangue, relativamente ri-
levante quando si adoperava liquido di Ringer, veniva assunto come indice
della quantità di liquido di circolazione che rimaneva nell’organo, e che
perciò doveva sottrarsi dalla quantità iniziale di liquido nei calcoli sopra
il liquido residuante dalla circolazione.
Il dosaggio degli aminoacidi era eseguito col metodo del Sorensen, dopo
eliminazione dell'ammoniaca e, se si operava sul sangue, precipitazione delle
sostanze proteiche con ferro colloidale. In qualche caso ho controllato i ri-
sultati della formoltitolazione col van Slyke. Il dosaggio dell’ammoniaca
era fatto col metodo della corrente d’aria del Folin; quello dell’acetone
(eseguito solo in alcuni casi) col metodo Messinger-Huppert.
Per l'organo, i dosaggi sì eseguivano sugli estratti, ottenuti con alcool
e acqua bollente secondo le istruzioni del van Slyke.
Tralascio per brevità i protocolli delle singole esperienze; e mì limito
a riunire in due tabelle i dati principali delle due serie di circolazioni, con
liquido di Ringer e con sangue rispettivamente.
Nelle tabelle tengo nota:
1°) della quantità di liquido posto nell’apparecchio in principio del-
l'esperimento;
2°) della quantità di aminoacidi aggiunti al liquido stesso, espressa
in grammi;
3°) della pressione (in centimetri di Hg), della velocità (centimetri
cubi effluenti dalla vena in 1’) e della durata della circolazione.
— 471 —
4°) della quantità di aminoacido (rappresentata dai centimetri cubi di
Na OH '/,0a occorrenti per la formoltitolazione) presente complessivamente nel
liquido prima e dopo la circolazione, e della diminuizione corrispondente in
cifra assoluta e percentuale rispetto alla quantità di aminoacido del liquido
prima della circolazione ;
5°) della quantità di aminoacidi del rene normale e di quello cir-
colato, e della differenza relativa; 1
6°) degli aminoacidi scomparsi (sia dal liquido, sia dall’organo) in
cifra assoluta e percentuale;
7°) dell’ NH; del liquido (espressa in cm.* di Ha SO, '/so normale)
prima e dopo circolazione, e della differenza relativa;
8°) dell’ NH; dell'organo normale e di quello circolato e della dif-
ferenza relativa;
9°) dell’ NH3 eventualmente prodottasi nella circolazione, tenuto
conto delle variazioni della stessa nel liquido e nell’organo;
10°) del peso del rene prima e dopo circolazione, e dell'aumento re-
lativo.
Infine nelle osservazioni notai la quantità di liquido raccolto dall’uretere,
e 1 risultati dei dosaggi (non sempre eseguiti) dell’acetone.
RexnpIconTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 60
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— 473 —
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— 474 —
Dalle ricerche riferite emerge :
che, facendo circolare nel rene isolato sangue contenente aminoacidi
in forte concentrazione (8 °/o circa), si avverte sempre, dopo la circolazione,
una diminuzione del contenuto in aminoacidi del sangue circolato, che può
raggiungere persino il 17 °/,;
degli aminoacidi che non si ritrovano, nel sangue circolato, una parte,
che può raggiungere il 3-5 °/, dell'aminoacido posto in circolazione e il 25-
50 °/, di quelli mancanti nel sangue (solo in un caso fu superata notevol-
mente questa cifra), si ritrova inalterata nell'organo. La quantità di ami-
noacido effettivamente scomparsa durante la circolazione è pertanto compresa,
in media, fra il 5 e il 10 °/o.
Adoperando per la circolazione liquido di Ringer con gli stessi ami-
noacidi, si ha sempre una diminuzione dagli aminoacidi della soluzione cir-
colata, che raggiunge il 16,4 °/, (solo in una circolazione con asparagina
oltrepassa il 30 °/,) e che è quindi pressochè ugnale alla corrispondente 0s-
servata nella circolazione con sangue.
Tuttavia nelle esperienze, eseguite facendo circolare soluzione fisiologica,
la quantità di aminoacidi che si ritrova inalterata nel tessuto renale è no-
tevolmente superiore a quella che si riscontra nelle circolazioni con sangue,
e in qualche caso riesce perfino a giustificare di per sè sola la perdita di
aminoacidi nel liquido.
La quantità di ammoniaca che si riscontra nel liquido è spesso rile-
vante così da corrispondere a buona parte degli aminoacidi effettivamente
scomparsi durante la circolazione. Ma dubitiamo che il trattamento fatto
subire agli organi per la ricerca degli aminoacidi abbia potuto in certa mi-
sura alterarne il contenuto in ammoniaca; cosicchè i dati relativi hanno un
valore più comparativo che assoluto, essendo stati ottenuti dopo un eguale
trattamento sia del rene normale e sia di quello circolato.
Ad ogni modo possiamo affermare che, contrariamente a quanto fu 0s-
servato per il tessuto muscolare nelle circolazioni con liquido di Ringer, il
rene, anche se perfuso con soluzione fisiologica, si dimostra sempre capace di
distruggere notevole quantità di aminoacidi. Ciononostante, anche sperimen-
tando col rene si nota che, nelle circolazioni con sangue, la scomparsa asso-
luta di aminoacidi è sensibilmente superiore a quella che si osserva usando
liquido di Ringer. E tale differenza appare più cospicua, quando si consideri
che, se si usa soluzione fisiologica, la circolazione è incomparabilmente più
rapida che non nelle esperienze con sangue; e che quindi con maggiore fa-
cilità e in più larga misura gli aminoacidi disciolti nel liquido di circola-
zione possono subire l'azione degli epitelii renali con cui vengono a contatto.
Concludendo, dalle presenti ricerche risulta che il fenomeno dell'accu-
mulo di aminoacidi nel rene è molto cospicuo, sia che essi circolino disciolti
nel sangue, sia che circolino nel liquido di Ringer; ma che nel secondo caso è
— 475 —
tanto più grande, da poter in qualche esperienza giustificare di per sè solo la di-
minuzione degli aminoacidi osservata nel liquido circolante. Epperò nella to-
talità delle ricerche eseguite col sangue, e sulla maggioranza di quelle ese-
guite con liquido di Ringer, risulta pure che una più o meno cospicua parte
degli aminoacidi mancanti è stata effettivamente distrutta.
Fisiologia. — Sul metabolismo ‘degli aminoacidi nell’orga-
nismo. Nota IV. Azione dell'intestino sugli aminoacidi aggiunti
al sangue o al liquido di Ringer circolante, del dott. Uco Low-
BROSO, presentata dal Socio 1. LUCIANI.
Dell'influenza che l'intestino esercita di fronte agli aminoacidi che
giungono ad esso pel circolo sanguigno non è stato trattato ex-professo.
Però in numerose ricerche, eseguite in questi ultimi anni, è stato indiretta-
mente portato un contributo anche a tale argomento, in quanto che si è
cercato di determinare che cosa avvenga degli aminoacidi che attraversano
la mucosa intestinale durante l'assorbimento alimentare.
La soluzione di questo quesito appariva di capitale interesse per poter
determinare sotto quale forma le sostanze proteiche alimentari penetrino
nel nostro organismo. A questo proposito sì dibattono varie dottrine. Secondo
alcuni l'assorbimento delle sostanze proteiche alimentari avviene senza una
loro profonda idrolisi e soltanto una piccola parte di esse viene assorbita
sotto forma di aminoacidi: secondo altri invece l'assorbimento intestinale
avviene esclusivamente dopo la completa idrolisi delle sostanze proteiche.
Fra gli autori che accettano quest'ultima concezione, esiste poi una discor-
danza, poichè gli uni ammettono una sintesi degli aminoacidi nella mucosa
intestinale, gli altri ritengono invece che essi giungono inalterati nel cir-
colo sanguigno.
Per quanto a prima vista possa sembrare facile la risoluzione di questo
problema, esso è ancora insoluto. Gli autori stessi, che vi hanno contribuito,
riconoscono che le loro esperienze non hanno portato alcun argomento riso-
lutivo a favore dell'una o dell’altra ipotesi.
Accennerò brevemente ai varî lavori eseguiti in proposito.
Il Rona (') introducendo anse intestinali di gatto contenenti aminoacidi
nel liquido di Tyrode vide passare una parte di essi nel liquido esterno,
senza che si modificasse in misura apprezzabile la quantità totale di ami-
noacidi. Dal risultato di tali esperienze non appare appoggiata l'ipotesi di
una sintesi degli aminoacidi nella mucosa intestinale.
\') Biochem. Zeitschr. XLVI, 307, 1912.
ST RATGES
Si deve però considerare che la vitalità delle anse intestinali poste in
tali condizioni era molto problematica. Perchè se nelle anse anche messe
in tali condizioni si possono avvertire ben conservati movimenti peristaltici,
non si può da essi arguire che si sia pure conservata la vitalità e fun-
zionalità del tessuto epiteliale che costituisce la mucosa, e che è probabil-
mente più delicato e labile del tessuto muscolare.
Cohnheim (*) sperimentando con intestino di cefalopodi e pesci immerso
nel sangue degli animali stessi, vide che aminoacidi introdotti nell'intestino
si ritrovano all'esterno, alcuni disamidati profondamente, altri poco.
Anche da queste ricerche, per quanto più complete, non si può trarre
una sufficiente nozione, perchè noi non sappiamo se l’ammoniaca ritrovata
all’esterno sia dovuta alla decomposizione degli aminoacidi o sia ceduta dal
tessuto intestinale,
Comunque secondo il Cohnheim l'intestino o si lascia attraversare dagli
aminoacidi o li idrolizza: non risulterebbe una loro sintesi.
Abderalden (*), pur avendo ripetutamente dimostrato la formazione ed il
passaggio di aminoacidi nel sangue durante la digestione e l'assorbimento
delle sostanze proteiche, ritiene però di non poter azzardare alcuna ipotesi
sulla eventuale loro penetrazione é% foto nel sangue, mancandogli i dati
numerici complessivi sulla quantità formatasi e quella penetrata nel sangue.
E questa nozione, non è evidentemente facile a trarre da ricerche ese-
guite sull'animale in vita, nel quale gli scambi sono troppo rapidi e com-
plessi per garantirci dalla possibile sottrazione di aminoacidi da parte di
uno 0 di un'altro tessuto, come bene hanno dimostrato le ricerche di V. Slycke
e Meyer.
E perciò non mi trattengo a ricordare le indagini eseguite col con-
fronto del contenuto di aminoacidi nel sangue arterioso o venoso prima o.
dopo la somministrazione di sostanze proteiche ecc., indagini che sono molto
interessanti, ma che non chiariscono nulla per ciò che riguarda il problema
da noi preso in esame. Tutte queste ricerche sono molto ben riassunte in
una Nota recentissima di Gayda (*) alla quale rimando il lettore che sì
interessa del problema.
Il Gayda ha inoltre portato all'argomento un notevole contributo spe-
rimentale. Egli introduceva nell'intestino di gatto carne di cavallo idroliz-
zata completamente con acido solforico, e poi faceva circolare liquido di
Tyrode nei vasi sanguigni di tale intestino (dopo averli sbarazzati del con-
tenuto sanguigno con abbondante lavaggio).
Esaminandv di tratto in tratto il liquido circolante egli constatò la
presenza di aminoacidi nel liquido della vena mesenterica e del dutto tora-
(1) Zeitschr. f. physiol. Chem. XXXV, 396, 1902; LIX, 239, 1909; LXI-189-1909.
(3) Zeitschr. f. physiol. Chem. LXXXI, 473, 1912; LXXXVIII, 478, 1913.
(3) Archivio di Fisiologia XIII, 83 - 1914,
— 477 —
cico: il rapporto dell’azoto aminico coll’azoto totale assorbito, è minore del
rapporto dell'azoto aminico coll’azoto complessivo del liquido iniettato nel-
l'intestino. Gayda è incerto se tale risultato si debba interpretare come l’'e-
sponente gi una selezione nell'assorbimento delle varie sostanze proteiche,
o come dovuto ad una formazione di complessi fra gli aminoacidi. Non gli
fu possibile di scegliere fra queste due opposte interpretazioni, perchè gli
mancava un dato necessario, e cioè il quantitativo di aminoacidi scomparsi
dall’intestino. Le ricerche fatte a tale intento andarono fallite, perchè inqui-
nate dal riversarsi nel lume intestinale di aminoacidi contenuti in gran
quantità nel tessuto.
Ciò dimostra quanto favorevole sia, nello studio dell'argomento in esame,
la disposizione adottata nelle nostre ricerche. Di determinare cioè il conte-
nuto in aminoacidi non soltanto del liquido circolante prima e dopo l'esperi-
mento, ma anche quello del tessuto esperimentato : e di determinare poi anche
le sostanze che potevano indicarci l'ulteriore consumo di tali aminoacidi.
Nelle esperienze che riferisco operavo nel seguente modo,
L'animale veniva tenuto digiuno per un periodo di 24 ore (salvo in
alcune esperienze che menzioneremo): poi veniva rapidamente dissanguato
dalla carotide avendo cura di introdurre per la giugulare una certa quantità
di soluzione di Ringer.
Questa pratica allontana l'inconveniente della formazione di trombi du-
rante la circolazione. Estratto l'intestino si vuotava del suo contenuto con
abbondante lavaggio di soluzione fisiologica: si provvedeva poi con ripetute
pressioni digitali a liberare il lume intestinale dal liquido introdotto. Na-
turalmente però piccole quantità, sia di sostanze, come di liquido rimangono
sempre aderenti alle pareti. Il campione intestinale di controllo veniva pre-
levato dal segmento immediatamente vicino all'esperimentato: in qualche
caso due campioni vennero presi uno del tratto orale e l’altro dell’aborale,
e ciò per ottenere una media corrispondente al più possibile a quella del-
l'intestino esperimentato. La circolazione nell'intestino si svolge in forma
assai più rapida e copiosa che non negli altri organi di cui abbiamo rife-
rito nelle precedenti Note (rene, tessuto muscolare) anche quando la pres-
sione del liquido circolante è mantenuta più bassa.
Nelle varie ricerche eseguite si constatò sempre un aumento più o meno
notevole del peso dell'organo esperimentato, dovuto in massima parte o nella
totalità al formarsi del secreto (o filtrato) nel lume intestinale.
Nelle esperienze con sangue si ha una produzione assai più scarsa di
secreto enterico, il quale appare denso, mucilaginoso, con tutti i caratteri e
le proprietà enzimatiche del normale secreto. Nel caso invece di circola
zioni con soluzione fisiologica il secreto, o per meglio dire, il filtrato, era
così abbondinte da dover interrompere le esperienze per deficienza di liquido
circolante.
— 478 —
RICERCHE ESEGUITE CON SANGUE.
die
Cane peso kg. 4,50. — Peso segmento intestino = gr. 108. Dopo ore 1 e mezza
circolazione = gr. 155. Sangue cc. 500 (diluito con Ringer) + @ alanina gr. 4. Pres-
sione 80-120 mm. mercurio. Velocità circolatoria per minuto 14-18 ce.
Per 15 cc. sangue la formoltitolazione richiede . . . . 9.2 cc. Na OH 1/0 %
” » dopocircolaz. la formoltitolaz. richiede 8,2» ”
Per 35 gr. intestino la formoltitolazione richiede . . . 24 cc. Na OH !/w0
” ” dopo circolaz. la formoltitolaz. richiede 80 O) ”
NH, per 100 ce. sangue dopo la circolaz. corrispondono a 5 cc. H, SO, 1/50
» » 55 gr. tessuto » ” 6.5 ” ”
» » ” ” dopo la circolaz. » 7.2 » ”
Complessivamente mancano nel liquido circolato tante sostanze titolabili col formolo
da richiedere 64,6 cc. Na OH !/10 n. Se ne trovano in più nel tessuto da richiedere
36 cc. Na OH !/102. Deficit assoluto = 28,6 cc. Na OH !/,0 x.
JOE
Cane peso ke 17. — Peso segmento intestino = gr. 185. Dopo ore 1 e mezza
circolazione = 195 gr. + succo cc. 55. Sangue cc. 520 + gr. 4 @ alanina. Pressione
120-160 mm. mercurio. Velocità circolatoria per minuto 10-15 cc.
Per 15 cc. sangue la formoltitolazione richiede —. . . . 9,0 cc. Na OH '/o%
” ” dopo circolaz. la formoltitolaz. richiede 7,3. » »
Per 55 cc. succo la formoltitolazione richiede —. . . . 26.9 » »
Per 50 gr. intestino ” ” 24 » ”
” ” dopo circolaz. la formoltitolaz. richiede 27 ” ”
NH; per 100 cc. sangue . one e 3,5 cc. Ha SO !/so #
» » ” 0) dopo la circolaz. corrispond. a . 8,6 » ”
SB ERESSE: 01059000057 ”
» » ” ” dopo la circolaz. corrispond. a . 14 ” ”
Complessivamente mancano nel liquido circolato tante sostanze titolabili al formolo
da richiedere 67 ce. Na OH '/10 n. Se ne trovano in più nel tessuto da richiedere 16,5 cc.
Na OH ‘/10 n. Deficit assoluto 50,5 cc. Na OH !/x x.
» n 50 gr. tessuto .
III.
Cane kg. 720. — Peso segmento intestino = gr. 175. Dopo ore 1 di circolazione
= gr. 195 + succo 20 cc., sangue cc. 550 + glicocolla gr. 4. Pressione 100-140 mm.
mercurio. Velocità circolatoria per minuto (6-10 cc.
Per 15 ce. sangue la formoltitolazione richiede . . . . 10 ce. Na OH !/jo0%
” ” dopo circolaz. la formoltitolaz. richiede 9,3 » ”
Per 20 cc. succo ” ” 12 0icc. Na:0HA/o%
Per 50 gr. intestino ” ” 18 ” ”
cu» dopo circolaz. ” » 12,5 ” ”
NH; per .90rgr. altestino .. +.pe. Ue ge legione OOC a SOL
” ” dopo circolazione . . . . . . 11,5» ”
” sangue è andata perduta.
— 479 —
Complessivamente mancano nel sangue tante sostanze titolabili al formolo da richie-
dere 37,8 cc. Na OH !/10 #. Se ne trovano in più nel tessuto da richiedere 3,6 cc. Na OH !/10 %.
Deficit assoluto 41,4 cc. Na OH !/10 %.
IRNE
Cane peso kg. 12. — Peso segmento intestino gr. 170. Dopo ore 1 e mezzo circola-
zione gr. 200. Sangue ce. 500 + gr. 4 glicocolla. Pressione 80-130 mm. Velocità 10-14 cc.
al minuto.
Per 15 cc. sangue la formoltitolazione richiede . . . . 14,5 cc. Na OH "/10 7
” » dopo la circolaz. » ” TER ”
Per 50 gr. intestino la formoltitolazione richiede . . . . 28 ” »
” » dopo la circolaz. » ” 24,5.» »
NH; per 100 cc. sangue dopo la circolazione . . . . . 14 cc. Ho S04!/0 7
” bONOTARITIVES timo Mese ee n e ZO ” ”
” ” » dopo la circolazione . . . .. 20 ” ”
Complessivamente mancano nel sangue tante sostanze titolabili al formolo da richie-
dere 56 cc. Na 0H!/,0 n. Se ne ritrovano in più nell’intestino da richiedere 18,8 ce.
Na OH '/1o n. Deficit assoluto 37,2 cc, Na OH 1/10 n.
V.
Cane peso kg. 28. — Peso segmento intestino gr. 165. Dopo ore 1 e mezzo circo-
lazione gr. 210. Sangue cc. 510 + 4 gr. glicocolla. Pressione 120-160 mm. mercurio.
Velocità per minuto cc. 8-14.
Per 15 cc. sangue la formoltitolazione richiede . . . . . 14 ce. Na 0H!/10%
” » dopolacircolaz. » ” 10,8. » ”
Per 60 gr. intestino la formoltitolazione richiede . . . . 53,2 » ”
» » dopolacircolaz. » ” 33,6» ”
NH; per 100 cc. sangue dopo la circolazione, perduta.
”» OONPrAtESSILO MN e e e 20) 2100, Ha SOL io
” ” n dopo la circolazione . .. . . 22,5» ”
Complessivamente mancano nel liquido circolante tante sostanze titolabili col for-
molo da richiedere 142,2 cc. Na OH '/,0 n. Se ne trovano nel tessuto in più da richiedere
91,8 ce. Na OH !/10 n. Deficit assoluto 50,9 ce. Na OH 1/10 n.
NU
Cane peso kg. 19 (*). — Peso segmento intestino, = gr. 220. Dopo ore 1 e mezza circo-
lazione gr. 250. Sangue cc. 500 + 4 gr. « alanina. Pressione 140-160 mm. mercurio.
Velocità per minuto 26-30 cc.
Per 15 cc. sangue la formoltitolazione richiede . . . . 11 GOSENAA OE 10872
L) n» dopo la circolaz. » ” 9,6 ” ”
Per 50 gr. tessuto la formoltitolazione richiede . . . . 78 ” ”
”» n dopo la circolaz. » ” 53,8 ” Z
NiGper 100 co. sangue di e 3,5 06 Hg S04 son
” L) ” dopo circolazione . . .. .. 10,2 » ”
“ 50 gr. tessuto . . Gar iaia O ” ”
” L) ” dopo circolazione +... ... 9,5 ”
(*) L'animale viene sacrificato quattro ore dopo l'ultimo parto.
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 61
— 4380 —
Complessivamente mancano nel liquido circolato tante sostanze titolabili al formolo
da richiedere 69,9 cc. Na OH ‘/10 n. Se ne trovano in meno nel tessuto da richiedere
74,2 ce, Na 0H"/n n. Deficit assoluto 141,1 cc. Na OH !/,0 n.
«ESPERIENZE ESEGUITE CON LIQUIDO DI RINGER.
VII.
Cane peso kg. 6,6. — Peso segmento intestino = gr. 140. Dopo ore 1 e mezza circola
zione = gr. 155 + 19 ce. succo. Soluz. Ringer ce. 500 + 4 gr. glicocolla. Pressione
60-30 mm. mercurio. Velocità per minuto 18-26 cc.
Per 10 cc. liquido la formoltitolazione richiede . . . . 10,6 cc, Na 0H!/0
” » dopolacircolaz. » ” 3 ”
Ù) secreto la formoltitolazione richiede . .... 9 » ”
Per 50 gr. tessuto ” ” 14,6 » ”
» n dopolacircolaz. » ” 23,6» ”
NH; per 100 ce. liquido dopo la circolazione . . . . . 6 cc. H, SO '/so
D) ” SECrEtOn a ‘a e TOO D)
Complessivamente mancano nel liquido tante sostanze titolabili al formolo da richie-
dere 35 cc. Na OH !/,0 n. Se ne trovanoin più nel tessuto da richiedere 38 cc. Na OH 1/10 2.
Deficit assoluto 2 cc. Na OH !/10 2.
VIII.
Peso cane kg. 16. — Peso segmento intestino gr. 160. Dopo ore 1 e mezza circola-
zione = gr. 200 4 60 ce. succo. Soluzione Ringer cc. 500 + gr. 4 glicocolla. Pressione
60-100 mm. mercurio. Velocità per minuto 22-30 cc.
Per 15 cc. liquido la formoltitolazione richiede . . . . 15,8 cc. Na OH !/10
” » dopo la circolaz. » » 12,6 ” »
D) secreto la formoltitolazione richiede . . . . 14,2 D) ”
Per 50 gr. tessuto » D) 20,4 ” »
L) n dopo la circolaz. » » 38 » ”
NH; per 100 cc. liquido dopo la circolazione . . . . . 14 cc. Ho SOL !/s0
” 50. gr.ttessuto: | silent ani o pia fait a20 ” ”
” ” ” dopo la circolazione . . . . . . 30 ” »
Complessivamente mancano nel liquido circolato tante sostanze titolabili al formolo
da richiedere 117 cc. Na 0H !/,0 #. Se ne trovano in più nel tessuto da richiedere
87,6 cc. Na OH !/10 x. Deficit assoluto 30,9 cc. Na OH 1/10 n.
IX.
Cane peso kg. 20. — Peso segmento intestino = gr. 170. Dopo ore 1 e mezza cir-
colazione gr. 175 + 125 ce. succo che viene addizionato al liquido circolato. Soluzione
Ringer cc. 520 + 4 gr. asparagina, alcalinizzata al tornasole, acida alla fenoftaleina. Pres-
sione mm. 60-100 mercurio. Velocità al minuto 10-18 cc.
Per 15 cc. liquido la formoltitolazione richiede . . . . 7,2cc. Na 0H1!/10%
” si Ae secreto. "9 i et 05 » b)
» 50 gr. di tessuto la formoltitolazione richiede . . . 18,8» ”
” ” dopo la circolaz. » n 20 ” ”
NH, perduto.
— 481 —
Complessivamente mancano nel liquido circolato tante sostanze titolabili al formolo
da richiedere 24,38 cc. Na OH '/,0 n. Se ne trovano in più nel tessuto da richiedere
9,5 cc. Na OH !/10 n. Deficit assoluto 15,3 ce. Na OH ‘/10 n.
X,
Cane peso kg. 18. — Peso segmento intestino = gr. 145. Dopo ore 1 e mezza circola-
zione gr. 190 + 190 ce. secreto. Soluzione Ringer cc. 550 + 4 gr. asparagina (alcali-
nizzata al tornasole, acida alla fenoftaleina). Pressione 80-120 mm. mercurio. Velocità al
minuto 16-20 ce.
Per 15 cc. liquido la formoltitolazione richiede . . . . 7 cc. Na0H'/o0%
” » dopo la circolaz. » Li) 6,2» n
Per 100 ce. succo la formoltitolazione richiede . . .. 7,38 » ”
Per 50 gr. tessuto ” ” 29 ” ”
” » dopolacircolaz. » ” 22 ” ”
NH; perduto.
Complessivamente mancano nel liquido circolato tante sostanze titolabili al formolo
da richiedere 20,5 cc. Na OH '/10 2. Se ne trovano in meno nel tessuto da richiedere
3,2 cc. Na 0H !/10 x. Deficit assoluto 23,7 cc. Na OH 1/10 n.
XI.
Peso cane kg. 6,50. — Segmento intestino peso gr. 140. Dopo ore le mezza di cir-
colazione gr. 148 + 105 ce. succo. Soluzione di Ringer 500 cc. + 4 gr. « alanina. Pres-
sione mm. 60-100 mercurio. Velocità al minuto 4-10 cc.
Per 15 cc. liquido la formoltitolazione richiede . . . . 11,8 cc. Na OH '/uo #
DI) » dopo la circolaz. » » 11,4» ”
”» secreto » ”» e D)
Per 50 gr. tessuto ” ” DIANO: ”
” » dopo la circolaz. » ” 5,6» »
NH: per 100 cc. secreto e liquido dopo circolaz. . . . 14 cc. Ha SO !/502
» sul tessuto perduto.
Complessivamente mancano nel liquido circolante tante sostanze titolabili al formolo
da richiedere 15,5 cc. Na OH '!/;0 n. Se ne trovano in più nel tessuto da richiedere
2,1 cc. Na OH '/1on. Deficit assoluto 13,4 cc. Na OH 1/10 n.
XII.
Cane peso kg. 15. — Segmento intestino gr. 165. Dopo ore 1 e mezza di circola-
zione gr. 195 + 265 cc. di succo. Soluzione di Ringer 510 ce. + 4gr. « alanina. Pres-
sione mm. 60-120. Velocità al minuto 14-24 cc.
Per 15 cc. liquido la formoltitolazione richiede . . . . 11,9 cc. Na OH 1/0 #
” » dopo la circolaz. » ” 8,2» ”
” secreto ” 81°» ”
Per 65 gr. tessuto ” ” 6,4» »
” » dopo la circolaz. » ” 8,80» ”
NH; per 100 ce. secreto ” ” 33,5 cc. H, SO, !/so n
» ce, liquido dopo circolaz. » 75.» ”
” 65 gr. tessuto D) ”» 10 ” un
»” » » »
» 18 ” ”
— 48902
Complessivamente mancano nel liquido circolante tante sostanze titolabili al formolo
da richiedere 88,1 cc. Na OH !/10 w. Se ne trovano in più nel tessuto da richiedere
74 cc. Na OH !/10 n. Deficit assoluto 14,1 cc. Na OH !/ion.
*
XMax
Dalle esperienze riferite emerge che:
Facendo circolare nell'intestino isolato sangue contenente aminoacidi
in forte concentrazione (8 °/so circa) si avverte sempre una loro diminuzione,
che raggiunge persino il 20 °/.
Parte degli aminoacidi scomparsi dal sangue può trovarsi accumulata
nel tessuto esperimentato, ma tale deposito è sempre assai lieve ed in
qualche caso non soltanto non si riscontra deposito, ma al contrario si av-
verte una scomparsa anche degli aminoacidi preprii del tessuto. In ciò l’in-
testino si comporta in modo assai diverso dagli altri tessuti già studiati.
Specialmente interessante a tale proposito è l’esperienza VI nella quale, es-
sendo molto elevato il contenuto in aminoacidi della mucosa, ne scomparve
il 21 °/, mentre nel sangue ne era scomparso il 18 °/. Il risultato di
questa esperienza suggerisce una nuova serie di ricerche sul comportamento
degli aminoacidi che si trovano già assorbiti nell'intestino. Se il fenomeno
osservato ora incidentalmente è dovuto alla loro scomparsa (e non ad una
casuale loro differente distribuzione nell'intestino) tanto più evidentemente
esso sarà messo in luce con esperienze eseguite con sangue normale invece
che con sangue carico di aminoacidi. Poichè in quest’ultimo caso la ten-
denza dei tessuti a saturarsi di aminoacidi del liquido circolante viene a
controbilanciare ed a mascherare la scomparsa di quelli preesistenti nel
tessuto. Su tale argomento sono in corso esperienze.
Adoperando per la circolazione liquido di Ringer si osserva pure una
diminuzione degli aminoacidi disciolti, inferiore però a quella osservata nelle
esperienze con sangue.
Inoltre nelle esperienze eseguite con liquido di Ringer il deposito degli
aminoacidi nel tessuto è assai superiore, tanto che in qualche caso corri-
sponde esattamente alla quantità degli aminoacidi scomparsi.
La produzione di NH3 osservata nelle varie esperienze non giustifica
che in minima parte il deficit assoluto di aminoacidi constatato : e solo in
una o due esperienze (IV-XII) l' NH; riscontrato, rappresenta una rilevabile
parte dell'N aminico scomparso.
— 483 —
Chimica. — Sul metabolismo degli aminoacidi nell’ organismo.
V. Azione del tessuto muscolare funzionante sugli aminoacidi
aggiunti al sanque circolante. Nota dei dott. U. LomBROso è
PATERNI, presentata dal Socio L. LUCIANI.
Chimica. — Sul metabolismo degli aminoacidi nell’ organismo.
VI. Sul comportamento degli aminoacidi contenuti nella mucosa
enterica o nel lume intestinale. Nota dei dott. U. LoMBROSO e
C. ARTOWM, presentata dal Socio L. LUCIANI.
Fisiologia. — icerche sulla secrezione spermatica. IV. In-
fluenza del riposo sulla secrezione spermatica del cane. Nota
del dott. G. AMANTEA, presentata dal Socio L. LUCIANI.
Fisiologia. — /cerche sulla secrezione spermatica. V. Osser-
vazioni sulla secrezione spermatica dell’uomo. Nota dei dottori
G. AMANTEA e T. RINALDINI, presentata dal Socio L. LUCIANI.
Le Note precedenti saranno pubblicate nei prossimi fascicoli.
Chimica fisiologica. — £icereke sull’arginasi: intorno all’a-
zione dell’arginasi sulla creatina (*). Nota III del dott. AnroNINO
CLEMENTI, presentata dal Socio L. LUCIANI.
Le mie ricerche sistematiche intorno alla distribuzione dell'arginasi nelle
diverse classi di vertebrati hanno portato la dimostrazione, di natura biolo-
gica, della partecipazione effettiva di questo fermento alla funzione uropoie-
tica del fegato; l'arginasi assume quindi un posto di primo ordine tra i
fermenti dell’organismo, e con essa acquistano un singolare interesse fisiolo-
gico tutte le svariate questioni che si collegano alla biologia e alla chimica
biologica, ancora sconosciuta, di questo fermento; primo fra tutti ci si pre-
senta il problema riguardante la specificità di azione dell’arginasi, il quale
si collega da una parte col problema della specificità dei fermenti in genere,
e dall'altra col problema speciale della formazione di urea nell’organismo
per via idrolilica.
Per risolvere il problema della specificità di azione dell’arginasi, è
necessario di ricercare se l’arginasi sia un fermento capace di staccare è
nucleo guanidinico dalla molecola delle diverse sostanze organiche che lo
(*) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica fisiologica della R. Università di Roma,
diretto dal prof. D. Lo Monaco.
— 484 —
portano legato, o se invece essa sia in grado di aggredire solamente la mole-
cola dell’arginina e di staccare il nucleo guanidinico, solo quando esso faccia
parte della molecola di quest’ultima.
Se l’arginasi fosse un fermento generale deguanidinizzante, esso dovrebbe
agire, oltre che sull’arginina, anche sulla creatina, sulla glicociamina e sulla
glicociamilglicina ('), data l'analogia strutturale di questi corpi, come si può
rilevare dalle seguenti formule di struttura :
VALE NH» DALLE NH.
C=NH CaNH C=NH CE=NH
)NH )NH )NH )N(CH)
CH» CH. CH, CH.
| |
CH; CO CO. OH CO-0H
|
CH; NH
| |
CH.NH, CH.
| |
CO-0H CO - OH
(Arginina) (Glicociamilglicina) (Glicociamina) (Creatina)
Come è noto, l’arginina, in seguito all'azione idrolizzante dell'arginasi,
sì scinde in urea e ornitina secondo questa equazione:
NH; du
CENH > C=0 (Urea)
#SNH |, 0 (CR
CH, + CH, 5 NH,
| |
CH», CH,
| |
(Arginina) CHa (Acqua) CH; (Ornitina)
CH. NH; CH - NH,
| |
CO. OH co -0H
Analogamente, per azione dell’arginasi, la glicociamina, la glicociamil-
glicina e la creatina si dovrebbero scindere la prima in urea e glicocolla,
(*) Clementi Antonino, Introduzione del nucleo guanidinico nella molecola dei
polipeptidi, e sua importanza fisiologica. Rend. Acc. Lincci, vol. XXIV, serie 5*, 1° sem,,
fase. 1°; Id., Introduzione del nucleo quanidinico nella molecola dei polipeptidi:
sintesi della quanidoglicilglicina. Gazzetta chimica italiana, anno XLV, parte I, fasc, 1°,
1914.
— 485 —
la seconda in urea e glicilglicina, la terza in urea e sarcosina secondo le
seguenti equazioni :
H
H,
NH. T PALE VALE 5 NH, Ì
NH UC—=0'(Urea) C.NH O C=0 (Urea)
van | SEL SENE è pil \ NH;
CH, -+H CH,- NH; CH, CH.-NH,
| | | |
Co -0H CO -0H CO CO
| |
NH NH
| |
CH, i CH,
| |
CO - OH CO-0H
(Glicociamina) (Glicocolla) (Glicociamilglicina) (Glicilglicina)
NH, NH:
CESNH a Co O (Urea)
S \NH.
ZN ) a 2
DINE + H s.
CH, CH.- NH (CHx)
|
CO - OH CO-0H
(Creatina) (Sarcosina)
Colle presenti esperienze mi sono proposto di ricercare se l’arginasi sia
capace di idrolizzare la molecola della creatina: questo problema ha un’evi-
dente importanza fisiologica, poichè, dopo l’arginina, la creatina si potrebbe
ritenere (anzi è stata da alcuni ritenuta) come la fonte più importante per
l'origine dell’urea, per via idrolitica, nell'organismo. Infatti, come è noto, la
creatina, scoperta per la prima volta da Chevreul nella poltiglia dei muscoli,
è stata riscontrata costantemente in svariati organi e specialmente nel plasma
sanguigno e nei muscoli: nell’urina si riscontra in piccola quantità, essendo
il suo posto occupato dalla anidride della medesima, la creatinina. Dalle
ricerche degli ultimi anni è stato assodato che la creatina rappresenta uno
dei più caratteristici prodotti del ricambio delle sostanze azotate nell’orga-
nismo, insieme coll’urea e coll’acido urico. D'altra parte la creatina non si
è riscontrata come tale nella molecola proteica: si ammette quindi, che essa
derivi da altre pietre strutturali della molecola proteica stessa o del proto-
plasma cellulare, le quali si degradano durante il metabolismo; tutto fa
pensare, data l'analogia strutturale tra creatina e arginina, e la presenza
costante di quest'ultima tra le pietre strutturali delle più svariate proteine,
— 486 —
che nell'organismo la prima derivi dalla seconda, sebbene finora non sia
riuscito possibile il dimostrare nettamente una tale derivazione. Sembra
d'altra parte dimostrato, dalle ricerche di Pekelharing e van Hoogenhujze ('),
che la creatina sia un prodotto tipico finale del ricambio materiale delle
cellule muscolari, e che stia in rapporto non tanto coll’attività contrattile,
quanto coll’'attività tonica della fibra muscolare; in altri termini, la crea-
tina rappresenterebbe, nell'organismo, specialmente l'esponente chimico del
tono muscolare.
L'azione dell’arginasi sulla creatina è stata studiata finora da un solo
autore, il Dakin (*), il quale non potè constatare un'azione dell’arginasi sulla
creatina e creatinina. Abderhalden (*) ha proposto recentemente di chiamare
l’arginasi « deguanidasi »: questa denominazione implicherebbe il concetto della
non specificità dell’azione di questo fermento. Ho creduto quindi di sotto-
porre il problema a nuove ricerche sperimentali. Nelle mie esperienze, per
ricercare se la creatina sotto l’azione dell’arginasi si scinde in urea e sarco-
sina, ho applicato il metodo di Sérensen, fondandomi sul fatto che, mentre
la sarcosina, come ho dimostrato in ricerche precedenti (‘), sî comporta,
alla titolazione secondo il metodo di Sorensen, come un acido monobasico,
la creatina si comporta come un corpo neutrale: se la creatina subisse
l’azione idrolitica dell'arginasi scindendosi in urea e sarcosina, mediante la
titolazione alla formaldeide si potrebbe riconoscere l'avvenuta scissione dal
cambiamento di comportamento della creatina nella titolazione al formolo
secondo il metodo di Sorensen.
Ho condotto le mie esperienze nel modo seguente: fu preparato del-
l'estratto acquoso dal fegato di cane ucciso di recente, nel quale l'azione
dell'arginasi è presente e assai intensa (?); l'estratto acquoso dì fegato veniva
mescolato in un erl/enmeyer con una soluzione */», x di creatina e posto in
termostato a 37° per un tempo determinato, dopo aggiunta di toluolo; pre-
paravo io stesso la creatina per via sintetica, secondo il metodo di Strecker,
vi cH:-N aa + 7, dipendono da
(3) v=n(r+1)—p—D(5—-3)
costanti.
Per n =p-|-r (e = 2) un generico gruppo di % punti sopra una 7)
(a moduli anche particolari) è non speciale, e individua pertanto una 977”
di dimensione # — p => r, cosicchè le C} di S,, birazionalmente identiche
a T,, formano una varietà irriducibile di curve generalmente non speciali.
Se ne deduce (n. 2) che:
Per n =p+r, le curve C$ di S, (r > 2) formano una sola famiglia
di dimensione (3), la cui curva generica è non speciale (e normale in Sp-p).
U na tale Sa si chiamerà una famiglia non speciale di curve di S,.
Per dan qpsr n—r = le Cp di S, formano una sola famiglia,
di dimensione (3), la cui curva generica è speciale e normale.
4. SISTEMI CONNESSI DI RETTE. DIMOSTRAZIONE GEOMETRICA DEL TEO-
REMA DI ESISTENZA DI RIEMANN. — Un sistema commesso di n rette con
n4+p—1 (p=0) intersezioni semplici (nodi), si chiamerà brevemente
un n-latero di genere effettivo p. Gli n-+p — 1 nodi si considerano come
punti in cui si può passare da un lato (ramo) all’altro; si riguardano cioè
piuttosto come « punti di diramazione » che come punti doppî. Si dice perciò
che essi si considerano come vir/ualmente inesistenti, rispetto alle loro qua-
lità di punti doppî, che non permetterebbe il salto da un ramo all’altro.
Se dei suddetti nodi effettivi, se ne possono considerare come inesistenti
soltanto n +9 — 1 (9< p), sensa che per questo lo n-latero divenga
(!°) Si pensi p. es. alle due 93 distinte esistenti sopra la curva canonica del genere 4.
— 884 —
sconnesso, sì dirà che q è il genere virtuale dello - PR in quanto sì
considerino come assegnati ì p— q nodi rimanenti.
Abbiasi un -latero di genere effettivo o virtuale p > 0. Se assegnando
uno de' suoi nodi, che prima si consideravano inesistenti, si rompe la con-
nessione, lo n-latero non potrà scindersi che in due soli pezzi connessi. Se
ne deduce facilmente che « si posson sempre scegliere p nodi convenienti,
« fra quelli che prima stabilivano la connessione, per guisa da ottenere,
« assegnandoli, un x-latero (si sottintende connesso) di genere virtuale zero ».
Ciò posto, mediante elementari considerazioni geometriche, si prova,
col processo d’induzione, che « un n-latero di genere effettivo p = 0, appar-
« tenente ad S, (7 => 2), è sempre proiezione di un %-latero di genere
« effettivo zero, appartenente ad S, ».
La generazione proiettiva delle curve razionali normali mediante stelle
omografiche, permette inoltre di provare agevolmente, sempre per induzione,
che « esistono curve razionali (irriducibili) di ordine 7, infinitamente vicine
«ad un x-latero di genere effettivo zero, dato in S, ». Donde poi, a cagione
della proposizione precedente, segue che esiste sempre qualche curva razio-
nale (irriducibile) d’ordine n, infinitamente vicina ad un n-latero L, di
genere effettivo p= 0, dato in S,.
Un nodo P di L può essere di tre specie, rispetto ad una curva razio-
nale C, infinitamente vicina ad L:
a) P può essere un « punto di diramazione », per guisa che î due
lati incrociantisi in P, sieno sostituiti in C da wr sol ramo. Di tali punti
ne esistono n — 1 e possono essere scelti a priori, purchè sufficienti a sta-
bilire la connessione;
5) oppure P può essere infinitamente vicino ad un nodo di C;
c) o infine i due rami incrociantisi in P possono essere sostituiti
in C da due rami, colle origini distinte, ma infinitamente prossime a P.
I punti di ua delle ultime due specie possono anche mancare; man-
cano simultaneamente solo quando p= 0.
Consideriamo. in particolare, il caso di 7» = 2. Assegnando allora
(-1)(n_- 2) ital ann 1) }
2 2
in modo che gli n—1 punti residui bastino a stabilire la connessione), si
(a—-1)(n_-2)
2
punti doppî infinitamente prossimi ai prefissati. Vuol dire che alla varietà
(irriducibile, n. 2) delle curve piane razionali d'ordine », appartengono tutti
i possibili n-lateri piani: il che si sarebbe potuto stabilire anche usufruendo
della rappresentazione parametrica. E poichè la varietà di tutte le curve
piane irriducibili d'ordine n con d punti doppî, contiene la varietà delle
curve con d-+1,d+2,..., punti doppî, così si conclude che:
nodi dello x-latero piano L (sempre però
avranno curve razionali infinitamente vicine ad L e cogli
— 885 —
La varietà delle curve piane irriducibili d'ordine n con
(_-1)(a_-2)
dI
punti doppi, contiene tutti i possibili n-lateri piani.
Un'altra conseguenza notevole, la quale del resto potrebbe dimostrarsi
anche profittando del teorema riemanniano d’esistenza, è la seguente:
(n — 1) (— 2)
D
fd
Avendosi un n-latero piano L, si assegnino d <= dei
n(n_- 1)
2
possa stabilire la connessione fra gli n lati. Esiste allora sempre qualche
curva irriducibile d'ordine n, infinitamente vicina ad L, la quale pos-
siede d, e soltanto d, nodi, infinitamente vicini agli assegnati.
Ecco la semplice dimostrazione geometrica di questo teorema.
(a_-1)(a—- 2)
2
gliono considerare inesistenti, se ne potranno assegnare p, in modo che lo
n-latero resti connesso (e di genere virtuale zero). Dopo ciò si potrà costruire
una curva razionale D, infinitamente vicina ad L, e con p+-d nodi infi-
nitamente vicini ad altrettanti vertici di L, tra i quali vi sono ì d primi-
tivamente assegnati.
Nella varieta V delle curve piane irriducibili C} esistono dunque curve
infinitamente vicine ad L, e coi d nodi infinitamente vicini agli assegnati :
p. es. la curva D. Queste curve non possono tutte in conseguenza avere
d-+4-1 (0 più) punti doppî, perchè entro V gli elementi (curve), infinita-
mente vicini ad un elemento dato (L), son più numerosi che gli elementi
infinitamente vicini ad L, entro una varietà subordinata a V, qual'è quella
delle curve irriducibili d'ordine n con d + 1 nodi.
Dal teorema precedente segue quest'altro :
Alla famiglia V delle curve piane irriducibili d'ordine n e ge-
nere p, appartiene ogni curva composta da una curva irriducibile di
ordine n—1 e genere p— 1 e da una retta.
Prese infatti rette generiche a, , 4: ,..., @n del piano, sì « assegnino »
do 1398 (2 = anll@e0) 2) vertici dello (2 — 1)-latero a, 43
suoi punti doppi, per modo che coi rimanenti —d nodi si
Posto p= —d, fra gli n -+-p —1 nodi, che sì vo-
se An-r1, per guisa che esso resti connesso, e si chiami K la curva d'ordine
n-—1 e genere virtuale p — 1, così ottenuta. Aggiungendo a K la retta 4,,
se sì assegnano gli x — 1 punti ove a, sega K, si ottiene una curva scor-
nessa Do, d'ordine n e di genere virtuale p—2; se invece si assegnano
soltanto n — 3 delle suddette intersezioni, e si considerano come inesistenti
le altre due P,Q, si ottiene una curva commessa C, d'ordine n e di genere
RENDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 113
— 886 —
virtuale p. Ora, pel teorema precedente, vi sono curve irriducibili di V,
infinitamente vicine a Co e coî d nodi infinitamente prossimi agli asse-
gnati; e poichè esistono co” (h=3n-+p —3) curve di V passanti per
P,Q, e tra esse v'è Co, così esisteranno co” curve di V, passanti per
P,Q, infinitamente prossime a C, e coi 4 nodi infinitamente vicini agli
assegnati. Ciascuna di queste curve, in quanto passa per P,Q ed è infini-
tamente vicina a C,, ha un nodo infinitamente prossimo a ciascuno dei
punti P,Q (**), sicchè è una curva infinitamente prossima alla Di, coi
suoi d/-+-2 punti doppî assegnati. Ne consegue che D, appartiene a V, e
precisamente alla totalità X delle curve di V con d + 2 nodi, la qual tota-
lità ha dimensione non inferiore ad %. La X potrà ben essere riducibile
(anzi, come vedremo, lo è effettivamente); ma comunque D, giacerà in una
parte irriducibile W di X, di dimensione almeno uguale ad %. Poichè una
particolare curva, Do, di W, è sconnessa, lo saranno tutte (4): la curva
generica D di W risulterà cioè composta da una parte E, d'ordine 2 — 1
e genere virtuale p—1 e da una retta a. Dico che E è irriducibile. Invero,
se E fosse spezzata in 4 curve E,,E.,..., E di ordini 2: ,%2,...,% @
di generi p,,P»,..,, con # punti d'intersezione da considerarsi come
inesistenti, sarebbe p —1= Xp, 4-#—4-++1, e poichè E è connessa, do-
vrebbe essere f > 0. Ora, una curva irriducibile, d'ordine x; e genere pi,
dipende da 3, + pi —1 costanti; sicchè E dipenderebbe al più da 33 x; +
+ 2p, — 4 costanti, e quindi D=E+ a, al più da 3x+pT—3—t
parametri, mentre prima abbiamo trovato che la dimensione di W è almeno
Sn+p—3. Si conclude che la generica E è irriducibile. D'altra parte
la varietà W' di /uzze le curve spezzate in una curva irriducibile d'ordine
n—1 e genere p—1 ed in una retta, è irriducibile e dipende precisamente
da 3n4+p—3 costanti: dunque W coincide con W' e resta così stabilito
il teorema enunciato.
Più in generale si prova in modo analogo, col processo d'induzione,
che la condizione necessaria e sufficiente affinchè una curva spezzata C
d’ordine n, appartengo alla varietà delle curve irriducibili d'ordine n
e genere p, è che si possano scegliere alcuni nodi di C, in tal numero
ed in tal posizione, che considerandoli come virtualmente inesistenti, st
ottenga da C una curva connessa di genere virtuale p.
Così p. es. alla varietà delle quartiche ellittiche irriducibili apparten-
gono tutte le curve spezzate in una cubica ellittica ed in una retta, mentre
(15) Cfr. Severi, Intorno alla costruzione dei sistemi completi non lineari, ecc. (Rend.
del Circolo mat. di Palermo, 20, 1905), n. 1, 2°). a
(**) Questa considerazione equivale in sostanza ad un ben noto principio di Enriques,
che cioè una curva variabile con continuità, non può spezzarsi senza acquistare nuovi
punti doppî. Ved. Enriques, Sulla proprietà caratteristica delle superficie irregolari
(Rend. della R. Accad. delle Scienze di Bologna, dicembre 1904).
— 887 —
queste curve non appartengono alla varietà delle quartiche razionali irridu-
cibili, perchè non possono considerarsi in alcun modo come curve connesse di
genere virtuale zero.
Da quanto precede risulta che, se in una generica D=E-| a di W,
sì assegnano i d —x +3 nodi di E ed x —3 soltanto delle intersezioni
di E con a, considerando come inesistenti le altre due P,Q, si ottiene
una curva « totale » di V ed alla D sono pertanto infinitamente vicine
curve irriducibili di V, che hanno i loro d nodi infinitamente vicini agli
assegnati.
Queste considerazioni sono importanti, perchè, come ho già detto, da
esse si trae una dimostrazione algebrico-geometrica del teorema di esi-
stenza di Riemann. Si prova, infatti, anzitutto geometricamente, premettendo
il computo del numero dei moduli di una curva di genere p ('*), che il
gruppo di diramazione G2,+sp-.» di una funzione algebrica ad 7 rami, %,,
Uz , +. Un, di genere p, può assumersi ad arbitrio sulla retta z-pla (sfera
complessa) « (15).
Ciò posto, per dimostrare che si possono scegliere arbitrariamente anche
le sostituzioni in G (purchè beninteso mediante esse la costruenda funzione
risulti connessa), si distribuiscano i punti di G in o=%nx+p—1 coppie
A;,B; (6(=1,...,0) permutanti ciascuna gli stessi due rami. Avendo dimo-
strato la possibilità dell'arbitraria scelta di G, è chiaro che basterà stabilir
l’esistenza della funzione algebrica richiesta, quando i punti di due coppie,
per es. A,,B1; As, Bs, tendono rispettivamente alle medesime posizioni
limiti H,, Hs, trascinandosi dietro le relative sostituzioni. Nè a cagione dei
risultati topologici di Liroth-Clebsch, i quali sono indipendenti da ogni
questione di esistenza, è restrittivo il supporre, finchè p > 0, che le coppie
A.,B, ed A»,B: permutino entrambe gli stessi rami %,,%:, e che questi
quattro punti di diramazione sieno anzi i soli operanti su v,. Astraendo
allora da questi punti, i rami w»,...,%, restano connessi, e, ammesso dimo-
strato il teorema per le funzioni di genere p—1 ad n —1 rami, appena
sia n=>p-+2, si potrà costruire, in un piano per v, una curva E d'ordine
a—-1, la quale si proietti da un centro O, sulla retta (n — 1)-plau=
= (%2,%3,..-n), diramata nel modo assegnato nei punti A:,B3.... , Ag,Bs.
Conducasi la retta OH,, e fra gli 27 —1 punti ov'essa taglia E, scel-
gasi quello, P, che si proietta sul ramo v:; e similmente su OH; si scelga
quel punto Q di E, che corrisponde ad ws.
Posto a= PQ, la curva composta E + a proiettasi da O su % secondo
la retta n-pla (1, %2,...,%n) — Ove %; è la proiezione di a — ed è dira-
(!5) Cfr. ad es. le mie citate Zezioni, pag. 196. Nell'edizione tedesca ho colmato
una lacuna esistente in questo punto e che nelle Zezioni non avevo mancato di segna-
lare in modo esplicito.
(1°) Cfr. Enriques, Sui moduli d'una classe ecc. (citata), n. 1.
— 388 —
mata secondo il convenuto nei punti H,, H:,A43,B:,...,Ac, Bs. Una curva
irriducibile C, d'ordine x e genere p, infinitamente prossima alla E +
(nella quale i nodi P,Q si riguardino come inesistenti), proiettata da O
su v, risolve la proposta questione di esistenza.
Si ha così un processo di riduzione da p a p—1, mediante il quale,
avendo supposto che sia n =>p +2, ci si riduce a dimostrare il teorema
per le curve razionali. E per queste poi lo si stabilisce usufruendo del fatto
che, assegnati su x x —1 punti di diramazione doppî H, ,H.,...,Hn_,
e le sostituzioni permutanti in essi i rami %1,%2,...,%n, @siste sempre, in
un piano per «, un n-latero L= a; 42... 4, che si proietta dal centro O
su x secondo la retta x-pla (u, 2, ...,%n) diramata nel modo prefissato.
Una curva razionale irriducibile, d'ordine x, infinitamente vicina ad L, ove
si riguardino come inesistenti i nodi di L, che danno per proiezioni i
punti H, risponde allora alla questione di esistenza.
Chimica. — // quinto trinitrotoluene, (€), e prodotti dinitro-
alogeno-sostituiti corrispondenti. Nota del Socio G. KORNER e del
dott. A. CONTARDI.
Continuando le nostre ricerche intorno ai trinitrotolueni isomeri, per
giungere alla preparazione dei due termini ancora ignoti, abbiamo voluto
applicare ancora la reazione di sostituzione del gruppo nitrosilico a quello
amidico in binitrotoluidine, convenientemente scelte, collo stesso procedimento
da noi precedentemente usato (*'). Oggetto di questa Nota è lo studio del
nuovo trinitrotoluene:
e di alcuni dinitroalogenotolueni corrispondenti.
Le dinitrotoluidine che per sostituzione del gruppo amidico col nitrosile
possono dare il trinitrotoluene cercato, sono le seguenti:
CH, CH; CH;
I \NH, De dr
NONO. NO\_NH; NH, No;
(1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XXIII, ser. 5%, 1° sem., fasc. 5°;
fasc. 9°; 2° sem. fasc. 10°.
ene
epperò le nostre precedenti esperienze ci hanno dimostrato ehe la sostituzione
di un amido-gruppo con un nitrosile in un'amina aromatica nitrosostituita
avviene assai facilmente quando il nitro-gruppo od i gruppi nitrici si trovano
in posizione orto- o para- rispetto al gruppo amidico; difficilmente e con rese
basse quando i nitro-gruppi si trovano nella posizione meta: era quindi
naturale che si scegliesse come prodotto di partenza la prima di queste
dinitro-toluidine; e ciò anche perchè già nota e facilmente ottenibile.
La binitrotoluidina 1.2.3.5 (CHz in 1, NH: in 2) era stata preparata
da tempo (') trattando l’etere etilico del dinitro-orto-cresolo con ammoniaca
alcoolica. Allo scopo di poter disporre di quantità piuttosto grandi di questa
binitrotoluidina, ne abbiamo studiati altri modi di preparazione.
Era noto, dai lavori del Lellmann e del Wiirthner (?), che. se si tratta
l'acetil-derivato dell’ortotoluidina con una miscela di acido nitrico ed acetico,
si ottengono le due mononitroacetotoluididi isomere :
CH, CH,
TH PARTO I
| |< .CH, | 300 CH,
NO\ ANO:
La miscela di queste due toluididi veniva fino ad ora lavorata, sapo-
nificando parzialmente con potassa caustica in soluzione alcoolica la miscela
stessa, di modo che rimaneva inalterata, come più stabile, la nitrotoluidide:
CH,
A H
| [-00 .CH,
280:
che si separava dall'altra toluidina formatasi, per cristallizzazione dall'alcool,
in granelli duri. Noi abbiamo seguìto lo stesso processo di nitrazione, ma
abbiamo separato le due toluididi per cristallizzazione frazionata dall'alcool.
Le porzioni meno solubili in questo solvente, ripetutamente ricristallizzate,
dànno la toluidide
CH;
NES
N<00 . CH,
DIA
NO;
(*) Stadel, Liebios Annalen, 277, pp. 183-184.
(?) Liebigs Annalen, 228, pag. 240.
— 390 —
in brevi aghi bianchi, solubili a caldo in 15 parti di alcool e fusibili a
201°,6 gradi.
Dalle acque madri, per ripetute cristallizzazioni da soluzioni assai di-
luite, si ottiene la seconda nitroacetotoluidide cristallizzata in grossi prismi
a tavole splendenti fusibili a 158°.
Se queste due acetotoluididi separatamente, o la loro miscela, si trat-
tano con sei volte il loro peso di acido nitrico della densità 1,52 alla tem-
peratura di 0°, versando dopo qualche ora il prodotto della reazione in ghiaccio
finamente diviso, si ottiene la binitrotoluidide nuova:
Cristallizzata dall'alcool, sì presenta in sottilissimi e brevi aghetti bianchi
fusibili a 205°,2. La determinazione quantitativa dell'azoto ha dato:
Sostanza impiegata gr. 0,364.
AZOLO (CC OA (SIM RRI
Azoto trovato 17,86 °/,
» calcolato per C$H30;N3z 17,69 °/,.
Dalla dinitroacetotoluidide si può facilmente ottenere la corrispon-
dente toluidina, riscaldando per 10 minuti a 105° con acido solforico con-
centrato preso nella proporzione di circa 6 volte il peso, e versando in acqua.
La binitrotoluidina così preparata è purissima e fonde a 213°. È da no-
tarsi che con anidride acetica non sì era potuta trasformare mai la binitro-
toluidina nel corrispondente acetilderivato.
Si può giungere anche direttamente alla dinitroacetotoluidide sopra de-
scritta partendo dalla ortoacetotoluidina, introducendola, in piccole porzioni,
in sei volte il suo peso di acido nitrico della densità 1,52, mantenendo
costantemente a 0° la miscela.
Il prodotto della reazione, dopo qualche ora, viene versato in ghiaccio,
e il precipitato vien raccolto su filtro; si purifica cristallizzando dall'alcool.
La resa è però assai scarsa.
Molto più convenientemente si arriva alla dinitrotoluidina cercata ni-
trando l'etere metilico od etilico dell’ortocresolo, e riscaldando questi eteri
con ammoniaca alcoolica.
In un bicchiere di ferro smaltato, raffreddato con una miscela frigorifera,
venivano introdotti 500 grammi di acido nitrico della densità 1,5. Il liquido
era violentissimamente agitato mediante un'elica di vetro mossa da un mo-
torino elettrico, e, goccia a goccia, veniva aggiunto l'etere etilico dell’orto-
CR RON
cresolo, purissimo, bollente a 184°-184°,5; ogni goccia fa, in contatto collo
acido nitrico, una piccola esplosione.
A reazione finita, versato in acqua il prodotto e lavatolo, lo si cristalliz-
zava da alcool. Si ottennero, così, piccoli aghetti bianchi fusibili a 589,4, estre-
mamente sensibili alla luce, che li rende subito brunicci.
In modo perfettamente analogo, sostituendo l'etere metilico dell’orto-
cresolo a quello etilico, si preparò il dinitro-ortocresolato metilico, affatto
simile nell'aspetto al precedente, meno sensibile alla luce e fusibile a 669,5.
Preparammo ancora i due eteri del dinitro-cresolo sopra descritti, trat-
tando con lo ioduro metilico od etilico il sale di argento del dinitro-orto-
cresolo; anche così sì ottengono i due eteri, identici nelle proprietà a quelli
avuti per nitrazione diretta.
In questa preparazione ultima si deve però notare che la reazione tra
lo ioduro alcoolico ed il sale di argento può diventare così violenta da pro-
durre l'esplosione della massa; nè si può diluire lo ioduro alcoolico con un
solvente inerte (alcool metilico assoluto, etere o benzolo), perchè in tal caso
la reazione non si effettua più a temperatura ordinaria ed il riscaldamento
produce profonda alterazione delle sostanze. Per raggiungere lo scopo, bisogna
impiegare un grande eccesso di ioduro metilico, tanto, cioè, quanto basta per
bagnare tutta la massa del sale di argento, trasformandola in una molle
poltiglia.
Comunque ottenuti, i due eteri del dinitroortocresolo, per trattamento
con ammoniaca alcoolica a freddo, dopo qualche giorno, o a 100° dopo qualche
ora, dànno quantitativamente la dinitrotoluidina
CH;
NE,
NOVENO:
Essa si presenta, se cristallizzata dall'alcool in cui è pochissimo solu-
bile, in piccoli aghi piatti di color giallo-limone chiaro, fusibili a 213°; è
poco solubile in tutti i solventi organici generalmente usati.
Trinitrotoluene (8)
Si sospesero or. 19 della dinitrotoluidina sopra deseritta, finmamente pol-
verizzata, in gr. 35 di acido nitrico della densità 1,40, raffreddato il tutto
— 3892 —
a 0°; la poltiglia ottenuta si fece attraversare da una corrente di vapori
nitrosi, fino a che tutto si sciolse nel liquido verde formatosi. Fatta attra-
versare indi la soluzione da una rapida corrente d’aria, si scacciò l'eccesso
dei vapori nitrosi; la soluzione di nuovo si intorbida, e precipita il nitrato
del diazodinitrotoluene. La poltiglia si versò allora sopra ghiaccio pestato
(5-4 chilogrammi) e si trattò con una soluzione di nitrito sodico (gr. 60 di
nitrito sodico in gr. 500 di acqua). Immediatamente si svolgeva azoto e
precipitava il trinitrotoluene formatosi. Dopo circa dodici ore di riposo in
ambiente tiepido, si raccoglie il precipitato su filtro, lo si lava con acqua e
si tratta il prodotto greggio con quattro volte il suo peso di acido nitrico della
densità 1,40 a bagnomaria per qualche tempo, e cioè fino a quando non più
si svolgono vapori rossi. Per raffreddamento della soluzione nitrica, sì otten-
gono bellissimi cristalli quasi bianchi; aspirati, lavati con acqua, ricristal-
lizzati due volte dall'alcool, sono chimicamente purì e fondono costantemente
a 97°,2. La resa è del 90 °/,.
Sottoposti alla determinazione dell’azoto gr. 0,123 di sostanza diedero:
Azoto ce. 19 a = 8° h4= TOSI,
Azoto trovato = 18,53 °/
» calcolato per CH; N306= 18,50 0/0.
Da una miscela di etere ed alcool il nuovo trinitrotoluene cristallizza
in grossi prismi ben sviluppati, leggiermente giallognoli.
Le costanti cristallografiche forniteci dal prof. Artini sono le seguenti:
Sistema rombico classe bipiramidale
a:b:e=0,6363:1:0,3725.
Forme osservate
[100], 3001, {110}, }101}, {201{, {121}, }241|
100.110 = 329,28"
001.101= 30,21".
Piano degli assi ottici }010}. Bisettrice acuta positiva normale a }001|.
Dispersione degli assi ottici appena sensibile: 0 < v.
Per il trinitrotoluene (d) da noi descritto nella Nota precedente (!),
avente la costituzione
i dati cristallografici ottenuti dal prof. Artini sono i seguenti:
(!) Korner e Contardi, loc. cit.
— 893 —
Sistema monoclino classe prismatica
ade ROIO
pi==‘982965,
Forme osservate :
100} , {110}, {001}, {111} 3
1000 ==502:3458
1000018 %30,
111 .110= 549,7”.
Sfaldatura perfetta, abbastanza facile, secondo j001{. Piani degli assi
ottici normali al piano di simmetria. Dalla faccia di sfaldatura escono, al.
quanto obliquamente, le bisettrici acute negative. Dispersione orizzontale per-
cettibile ma debole. Dispersione degli assi ottici piuttosto forte: 0 > v.
Il trinitrotoluene
sciolto in acetone, per aggiunta di qualche goccia di ammoniaca, dà una
colorazione rosea da prima, poi rossa, poi bruna fino al nero. Reagisce colla
massima facilità cogli alcali.
Coll'ammoniaca alcoolica a freddo elimina un nitrosile sostituendola con
un gruppo amidico e rigenerando così la dinitrotoluidina dalla quale si era
partiti. Sottoposto all’ossidazione, dà l'acido trinitrobenzoico corrispondente:
COOH
\wNo,
vol ho
Si sospesero gr. 10 di trinitrotoluene in gr. 500 di acido solforico della
densità 1,8; indi, scaldindo la massa a 50°, sì aggiunsero a poco a poco gr. 14
d acido cromico e si mantenne il tutto caldo a questa temperatura fino a
scomparsa dei cristalli dell'ossidante. Si versò indi in ghiaccio evitando ogni
riscaldamento e la soluzione acquosa risultante si estrasse con etere. Il liquido
etereo, lavato con poca acqua ed evaporato, dà un residuo oleoso che in breve
solidifica in una massa cristallina e quasi bianca. Cristallizzato dall’ acqua
a 65°-70°, si separa sotto forma di lamine rombe splendenti, larghissime,
che all'aria sfioriscono perdendo acqua di cristallizzazione.
RenpiconTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 114
— 894 —
I cristalli laminari fondono a 82° e contengono due molecole di acqua
di cristallizzazione. Disidratato completamente riscaldando da principio a 60°
in una corrente di aria secca, poi a 100°, l'acido fonde a 171°.
Sottoposti gr. 0,198 di sostanza alla determinazione dell’azoto, si ebbe:
Azoto ce. 29 a {= 17° h= 758",
Azoto trovato 16.28 °/,;
» calcolato per C,H3N303= 16,3 °/.
Bollito con acqua, l'acido trinitrobenzoico si altera sostituendo con un
ossidrile, il nitro- gruppo in posizione orto rispetto al carbossile e si ottiene
così l'acido dinitrosalicilico
identificato per il punto di fusione, trovato a 166° (Salkowski dà 165°), la
colorazione rossa che fornisce coi sali ferrici, e le proprietà dei sali di
Bario.
L'acido trinitrobenzoico scaldato con alcool metilico assoluto in tubi
chiusi per alcune ore a 125° perde un gruppo NO» sostituendolo con 0CH;
in modo da trasformarsi nell’acido
vol
NESS
non ancor descritto che si ottiene in splendentissimi cristalli tabulari che
fondono a 132°.
L'acido trinitrobenzoico trattato con ammoniaca alcoolica genera il sale
ammonico dell'acido binitro antranilico, sale che cristallizza anidro dalla
soluzione alcoolica sotto forma di cristalli aghiformi arranciati, mentre d1-
l’acqua lo si ottiene di color più chiaro con una molecola di acqua di cri-
stallizzazione.
Gr. 1,361 di sostanza perdettero a 100° gr. 0,091 di acqua corrispon-
dente a 6,7°/ di acqua, mentre per 1 mol. si calcolano 6,86 °/.
Se in questa reazione invece dell'ammoniaca alcoolica si impiega quella
acquosa si ottiene lo stesso sale misto a molto dinitro salicilato ammonico.
— 895 —
Dal primo, facilmente si può acidificando con un acido minerale giungere
all’acido metadinitroortoacidobenzoico
fusibile a 256°.
Si ottenne trattando il nitrato del diazodinitrotoluene
CH,
/NN:NNO,
vol ho.
preparato nel modo sopra descritto con cloruro RAMICcO in soluzione acquosa
in presenza di molto ghiaccio. Dopo cessato lo sviluppo dell'azoto, si rac-
coglie su filtro il precipitato, si lava, si distilla in corrente di vapore, indi
il prodotto ottenuto si cristallizza dall'alcool (3 di sostanza in 10 di alcool).
Per raffreddamento da questo solvente si hanno sottili aghetti leggiermente
paglierini; per evaporazione lenta di miscela di alcool ed etere, si hanno
grossi prismi fusibili a 65°.
Sottoposti gr. 0,1804 alla determinazione dell'azoto, diedero:
Amovo rice 20/00 = == de
Azoto trovato 12,99 °/,.
” calcolato per C-H; N30, CI 12,90 °/.
Bromodinitrotoluene.
CH;
ARI
iO, N
NO: 0,
Si ottiene in modo analogo al precedente, sostituendo il cloruro col dro-
muro ramico.
— 890 —
Distilla facilmente in corrente di vapore e si scioglie nell’alcool sol-
tanto nelle proporzioni di 1 a 4. Puro, si presenta, se cristallizzato da etere
ed alcool, in grossi prismi giallo-chiari fusibili a 95°.
Sottoposti alla determinazione dell'azoto gr. 0,227 di sostanza, diedero :
Azoto ce S2la li 1208, 525
Azoto trovato 10,88 °/,.
» calcolato per C,H;N0,Br 10,72 °/.
IJododinitrotoluene.
CH,
AN
ac
DA NI
i
Na
i SV} (ELE)
0»
Si preparò in modo analogo ai precedenti; solo, in questo caso occorre
separare per filtrazione il nitrato del diazodinitrotoluene dall'eecesso di acido
nitrico.
Il sale, sospeso in acqua e ghiaccio, venne trattato con ioduro di potassio
in soluzione acquosa. Il precipitato formatosi, raccolto su filtro e lavato, fu
distillato in corrente di vapore e cristallizzato da alcool. Dall'alcool ed etere
sì ottengono piccole tavole raggruppate, di color giallo-limone arico ; se nella
miscela solvente prevale l'etere, allora si separa in prismi isolati, lunghi,
fusibili va; 51905.
Sottoposti alla determinazione di azoto, si ebbe:
Sostanza impiegata gr. 0,378.
A z0ob0cent28.20an 5° 061
Azoto trovato = 9,10 0/5.
» calcolato per C_HsN:0,I= 9,12 °/,.
Questi tre binitroalogenotolueni, e quelli da noi già descritti e corri-
spondenti al trinitrotoluene 1.3.4.5 (CH; in 1), sono studiati cristallo-
graficamente dal prof. Artini, e dettagliatamente saranno quanto prima da
lui descritti.
Un'altra nostra Nota tratterà del sesto trinitrotoluene, che abbiamo otte-
nuto in modo analogo partendo da altri materiali convenientemente scelti.
997 —
Botanica. — Un caso interessante di variazione nel fiore di
una Iris. Nota del Socio R. PiRoTTA.
Da molti anni seguo il modo di comportarsi di alcune forme di /ris a
fiore bianco allo scopo di trovarne l'origine, che è molto discussa.
Le osservazioni hanno dato modo di rilevare non pochi fatti interes-
santi, tra i quali la comparsa più o meno frequente di striature, macchio-
line, e macchio più o meno vistose di color più o meno violaceo sui tepali
e sugli stili ('). Dalle osservazioni continuate fino ad oggi colla massima
cura ho potuto stabilire:
1°) che i medesimi individui producono ora fiori di color bianco puro,
ora fiori con macchioline, lineette, linee o macchie più grandi e anche
vistose;
2°) che le piante che in un dato anno portarono fiori macchiati, li
produssero di color bianco puro nel successivo o nei successivi periodi vege-
tativi;
3°) che la forma, l'ampiezza, la posizione e il numero delle macchie
varia anche nella medesima infiorescenza e nei successivi periodi vegetativi.
Quest'anno però ho potuto osservare nelle mie /77s un caso di varia-
zione del colore dei fiori molto differente da tutti gli altri fino ad ora osser-
vati, il quale per questo suo interesse merita di essere particolarmente fatto
conoscere.
Una piccola ceppaia proveniente da un pezzo unico di rizoma che lo
scorso anno aveva portati fiori tutti uniformemente colorati, cioè bianchi,
ha prodotto quest'anno nel mese di aprile due germogli fiorali, dei quali
uno portò quattro fiori uniformemente colorati come quelli dello scorso anno,
l’altro portò pure quattro fiori, ma colorati di bianco e di violetto. Di
questi quattro fiori, due, fioriti per i primi e cioè, il terminale e quello
mediano per posizione fra i tre laterali, si mostravano divisi da un piano
parallelo all'asse fiorale in due metà simmetriche, una bianca, l'altra vio-
lacea. E precisamente la metà bianca comprendeva metà di un tepalo bar-
bato e metà del corrispondente stilo, un tepalo eretto, un tepalo barbato e il
corrispondente stilo, e metà di un tepalo eretto; la metà violacea compren-
deva metà di questo tepalo eretto, un tepalo barbato col corrispondente
stilo e metà di un tepalo eretto. Cosiechè, considerato l'intero fiore nella
posizione normale delle sue parti, dei cicli trimeri fiorali, quello costi-
(') Di questo fatto è data notizia fin dal 1909, nella Nota inserita in questi stessi
Kendiconti, vol. XVIII, ser. 5%, pag. 481.
— 898 —
tuito dai tepali barbati, ne presentava successivamente uno bianco, un altro
viola e il terzo per metà bianco, e per metà viola; lo stesso, ma in senso
opposto, offriva il ciclo fatto dai tepali eretti; e così ma disposti come le
parti del giro esterno, il cielo fatto dagli stili, colle relative appendici. Lo
stesso modo di distribuzione della colorazione, offre il ciclo dei tre stami,
benchè meno marcatamente.
La barba è però simile in tutti e tre i tepali; mentre la reticolatura
della parte inferiore dei tepali è violacea su fondo bianchiccio nei tepali
o parti violacee, verde, giallognola nei tepali o parti bianche.
Gli altri due fiori deviano più o meno dal tipo dei due precedenti.
Uno infatti, quello più vicino al terminale, ha un tepalo eretto bianco, un
altro violaceo, il terzo per metà bianco, per l’altra metà soltanto in parte
e leggermente violaceo, con una striscia cioè che da un lato va verso la
base del disco e per tutta l'unghia; degli stili uno è bianco, l'altro violaceo,
il terzo metà bianco e metà violaceo. Dei tepali barbati uno è bianco,
l'altro violaceo, il terzo metà bianco, metà violaceo. Il quarto fiore, il più
basso di tutti, presenta due dei tepali barbati bianchi ed uno violaceo, e
degli eretti uno è bianco, l’altro quasi metà bianco e metà violaceo,
prolungandosi il colore violaceo sulla estremità superiore dell'altra metà del
disco, l’ultimo bianco per circa due terzi violaceo nel resto. Dei tre stili,
due sono bianchi, il terzo violaceo.
Diverse sono le spiegazioni che si possono proporre del caso or ora
illustrato, secondochè si voglia considerare una variazione individuale o una
variazione da incrocio. Ma poichè la questione è legata ad altri fatti osser-
vati, mi riservo di discutere il significato ed il valore di questo caso di
variazione del colore del fiore in un lavoro di prossima pubblicazione intorno
alle diverse sorta di variazioni osservate in queste /7/s.
Fisica. — Sul processo per rendere stabile il funzionamento
dei tubi Rontgen mediante l'assorbimento dell'anidride carbo
nica (*). Nota del Corrispondente P. CARDANI.
Nella mia ultima Nota (?), nella quale ho reso conto dei fenomeni che
sì osservano nei tubi Rontgen quali provengono dalle fabbriche, quando, dopo
averli aperti e collegati subito con un manometro ed una pompa, sì sotto-
pongono al riscaldamento e al passaggio delle correnti di un rocchetto di
induzione, ho dimostrato come dagli elettrodi si svolga una notevolissima
quantità di gas, che, col proseguire del processo, va da prima diminuendo
con sufficiente rapidità fino a ridursi, dopo parecchi giorni, sensibilmente nulla;
(') Lavoro eseguito nell'Istituto di fisica della R. Università di Parma.
(*) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XXIV, 1° semestre, fascicolo II.
Seduta del 17 gennaio 1915.
— 399 —
ma ho altresì fatto notare che, anche quando gli elettrodi sembrano esauriti,
col riposo l'emissione del gas per il passaggio delle scariche riprende, così
che la pressione aumenta e conseguentemente cessa anche l'emissione dei
raggi X. D'altra parte ho dimostrato che il gas che veniva emesso dagli
elettrodi non era costituito nè dall'aria, nè dalle combinazioni dei gas che
si trovano nell'aria.
Sebbene mi sembrasse molto strano che i tubi provenienti dalle migliori
fabbriche, e che presentano così notevole stabilità di funzionamento, doves-
sero dar luogo ad una così considerevole emissione di gas da parte degli
elettrodi, qualora fossero stati precedentemente esauriti, per il solo fatto di
esser questi rimasti per qualche tempo in presenza dell'aria atmosferica,
tuttavia ho creduto conveniente di procedere fino in fondo e vedere se col
processo finora seguìto mi riusciva di riottenere la loro perfetta stabilità
di funzionamento.
Per questo ho portato la temperatura del tubo col quale avevo fatto le
precedenti esperienze fino a 400°, ed ho cercato di accelerare l'emissione del
gas residuo, sia col passaggio delle scariche, sia col funzionamento della pompa
Gaede spingendo la rarefazione al massimo limite. Ma dopo parecchi giorni
di lavoro mi accorsi che pochissimo si era guadagnato: lasciando il tubo in
riposo per alcune ore, riprendeva sempre l'emissione del gas da parte degli
elettrodi e presso u poco nella stessa misura. Siccome questo gas non veniva
riassorbito, gli aumenti di pressione si andavano sommando: così, non ostante
il lunghissimo processo di esaurimento fatto subire agli elettrodi, mandando
per alcuni minuti le scariche del rocchetto ad intervalli di alcune ore, la
pressione in quattro giorni era salita dal valore di 625 (pari a 0,052 mm. di
mercurio) al valore di 2714 (pari a 0,226 mm. di mercurio), nè l'aumento
accennava ad arrestarsi.
Tuttavia l'aspetto, che presentava ora il tubo al passaggio delle scariche,
era assolutamente diverso da quello che presentava all'inizio del processo al
quale lo aveva sottoposto. Mentre, da principio, a questa stessa pressione
di 0,226 mm. di mercurio, la luce che invadeva tutto il tubo era di un
colore bianco-azzurrognolo ed il fiocco sul catodo quasi bianco, ora la luce
diffusa nel tubo era di un magnifico colore verde-mare ed il fiocco sul catodo
era di un colore rosso vivo.
L'analisi spettroscopica mi dimostrò che parecchie di quelle righe, che
avevo riferite nella mia precedente Nota, erano scomparse, ed erano rimaste
tre sole righe, quelle precisamente appartenenti all'idrogeno. Dunque gli
elettrodi, da principio, emettono un altro gas che poi col riscaldamento, con
le scariche e col funzionamento della pompa, si va eliminando; e alla fine il
gas che viene emesso è soltanto idrogeno.
Tutti questi fatti mi convinsero che il processo seguìto nella costru-
zione dei tubi Roòntgen per ottenerne la stabilità non era quello che gene-
— 900 —
ralmente sì ritiene ('): non era possibile che per costruire un tubo Rontgen
si dovesse seguire un processo di esaurimento degli elettrodi di alluminio
così lungo e penoso. Ho quindi pensato che questo processo potesse esser
melto diverso e potesse consistere nel saturare gli elettrodi con qualche altro
gas che impedisse la emissione dell'idrogeno. Questa idea veniva avvalorata
dai risultati che io aveva ottenuti, e di cui renderò prossimamente conto,
sull'autorarefazione che si produce nei tubi per l'assorbimento di varî gas
da parte degli elettrodi di alluminio per il passaggio delle scariche, auto-
rarefazione che può raggiungere vuoti molto spinti, da oltrepassare anche
quella pressione per la quale avviene il massimo di emissione dei raggi X.
Tra questi gas, uno di quelli maggiormente assorbiti era l'anidride carbonica,
la quale si dissocia rapidamente per il passaggio delle scariche, come vedremo
in seguito, in ossigeno ed ossido di carbonio: di questi due gas, l'ossigeno
viene assorbito per primo, poi l'ossido di carbonio: e l'aspetto del tubo al
passaggio delle scariche, quando conteneva l’ossido di carbonio, era del tutto
simile a quello che si aveva col gas emesso dagli elettrodi nei primi giorni
del processo da me seguìto per ottenerne l'esaurimento dai gas occlusi.
L'analisi spettroscopica avrebbe potuto assicurarmi se realmente la sta-
bilità di funzionamento dei tubi Réontgen fosse dovuta all'assorbimento del-
l'anidride carbonica 0, meglio, dell’ossido di carbonio: infatti, se nella costru-
zione dei tubi Rontgen l'emissione dell'idrogeno da parte degli elettrodi di
alluminio venisse eliminata saturando gli elettrodi stessi con l'ossido di car-
bonio, è chiaro che sottoponendo i tubi, che così fossero stati preparati, al
riscaldamento e al passaggio delle scariche a temperature elevate, il gas,
che da prima doveva svolgersi, doveva esser evidentemente l'ossido di car-
bonio, e quindi esser visibili allo spettroscopio le sole righe di questo gas;
in seguito, proseguendo l'esaurimento degli elettrodi dall'ossido di carbonio,
doveva cominciare anche l'emissione dell'idrogeno ed aversi nello spettro-
scopio lo spettro sovrapposto dell'ossido di carbonio e dell'idrogeno; infine,
quando tutto l’ossido di carbonio fosse stato eliminato, il gas emesso dagli
elettrodi doveva ridursi soltanto all'idrogeno, e allo spettroscopio doveva
osservarsi il solo spettro di questo gas. A quest'ultimo risultato, come già
dissi, ero pervenuto: si trattava dunque di seguire con l'analisi spettrosco-
pica le modificazioni dello spettro del gas emesso dagli elettrodi prima di
arrivare alla sola emissione dell’ idrogeno.
Ho cominciato col mandare nel tube, col quale aveva fatte le precedenti
esperienze dell'anidride carbonica. Dopo aver ottenuto la dissociazione per il
passaggio delle scariche e l'assorbimento dell'ossigeno, ho esaminato con cura
lo spettro del gas rimasto, cioè dell'ossido di carbonio: esso era costituito
da sei righe, delle quali quattro molto brillanti e due più larghe e più
(*) Vedi, per esempio, I. Stark, Dic Elektrisitàt in Gasen, 1902, pag. 17.
— 901 —
deboli verso il violetto, e di uno spettro a colonnato nella regione meno
rifrangibile; delle sei righe fissai la posizione.
Indi ho staccato il tubo finora adoperato; ne apersi un nuovo, saldan-
dolo subito al manometro ed alla pompa, ed ho ricominciato il processo già
descritto nella precedente Nota, riscaldandolo successivamente, progressiva-
mente e per diversi giorni di seguito, alle temperature di 100°, 200°, 300°
e 400° ed aiutando colle scariche l'emissione del gas.
I risultati dell’analisi spettroscopica furono quelli che avevo preveduti;
e, cioè, da principio, eliminata l’aria che era rimasta aderente alle superfici
degli elettrodi, il gas emesso presentava il sole spettro dell'ossido di car-
bonio; in seguito si aggiunsero allo spettro dell'ossido di carbonio le righe
dell'idrogeno; alla fine scomparve lo spettro dell'ossido di carbonio e rimase
solo quello dell'idrogeno.
Come prova definitiva, ho collocato un ettimo tubo Réontgen in una sca-
tola di amianto, e lo portai a 200° per fare uscire col semplice riscaldamento
un po’ del gas contenuto negli eiettrodi; dopo un'ora di riscaldamento, lo
lasciai raffreddare e vi mandai la corrente del rocchetto. La luce, che inva-
deva tutto il tubo, presentava il solito aspetto bianco-azzurrognolo ; e l’analisi
spettroscopica mi confermò che il gas emesso era ossido di carbonio.
Da tutto quanto precede, risulta dunque manifesto che la stabilità nel
funzionamento dei tubi Rontgen per l'emissione dei raggi X sì doveva otte-
nere facendo assorbire dagli elettrodi una sufticiente quantità di ossido di
carbonio: non mi restava quindi che sottoporre queste conclusioni al con-
trollo dell'esperienza.
Ho fatto la massima rarefazione possibile nel tubo; indi, escluso il tubo
e il manometro, ho mandato per diverse volte, nella pompa, dell’anidride car-
bonica ben secca; finalmente, ridotta convenientemente la pressione, ho rista-
bilito la comunicazione tra la pompa e il rimanente dell'apparecchio. Pre-
parate così le cose, ho di nuovo esclusa la pompa ed ho mandato le scariche
nel tubo, avendo sempre cura, mentre funzionava il rocchetto, di tener chiuso
il rubinetto di comunicazione tra il tubo ed il manometro per evitare che
la scarica potesse qualche volta propagarsi, non ostante le precauzioni prese
e riferite nella precedente Nota, al mercurio del manometro,
Nel seguente prospetto sono riportati: nella prima colonna, indicata con
la lettera T, la durata, in minuti primi, di funzionamento del rocchetto ; nella
seconda, indicata con 4T, il numero dei minuti primi trascorsi tra due let-
ture consecutive della pressione: nella terza, il numero w delle divisioni
lette nella provetta di Mach-Leod (ricorderò che il livello del mercurio
veniva sempre condotto nel ramo esterno sul piano orizzontale passante per
lo zero della graduazione); nella quarta colonna i valori di w? proporzionali
alla pressione P, il cui vero valore in mm. di mercurio si otterrebbe divi-
dendo w? per 12,000, come è indicato nella mia Nota precedente; nella
RenpICcONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 115
— 902 —
quinta colonna le differenze 4P della pressione tra due letture consecutive;
Ad
nella sesta il valore del rapporto di, per vedere l'andamento dell’assor-
bimento.
4Pp : AP
Il 4 w P 4P — RAZR iO P 4P ==
dl 4T
È Da 20002 enna — 02L1|— 81
PMR PO eo 21 gi TO OO eis gp o
1 100,0 | 10000 ; Zali È 72,0 {5184 SEE
DI ERI gi Legio 20 | o '— 6950/85
2 104,0 | 10816 n i 251 67,0 | 4489
1 + 420|+ 420 20 ra i 520,|2296
3 106,0 |11236 271 63,0 | 3969
pi r918 L#918 20 3 — 488 |— 24
4 107,0 | 11449 291 59,0 | 3481
2 0 0 20 — 565 |— 28
6 107,0 | 11449 81] 54,0 | 2916
5 sog 218|— 42 S 20 — 416/21
11 106,0 | 11236 : 35 50,0 | 2500
10 — 420|—. 42 È 20 — 4380 |— 22
21 104,0 | 10816 301 45.5 2070 SLA
; 10 — 249 — 25 = 20 — 373 |— 19
S1 10 102,8 | 10567 0 0 371 20 41,2| 1697 953 13
41 102,8 | 10567 391 38,0 | 1444 È;
fe 10 — 300|T— 30 200/05 — 162|— 8
51 101,3 | 10267 ; 411 55,8 | 1282
10 — 2607|—- 27 , 20 — 140|— 7
61 100,0 | 10000 431 33,8 | 1142
Solo OO 00 20.22 29:26
71 99,0| 9801 451 32,0 | 1024
20 — 547). 27 40 — 154|— 4
91 96,2| 9254 491 29,5| 870
20 4 — 568/|— 28 60 È ; — 184|— 3
111 93,2) 8686 5 551 26,2| 686
20 — 586 — 29 R 45 |< s 71 | 22156
131 90,0| 8100 596 24,8| 615
20 di din 5 Ri RE e Ao) OTO
151 87,4) 7639 616 24,0| 576
20 — 617|T— 831 120 — 114|— 0,9
171 20 83,8| 7022 622 31 736 20 21,5] 462 21 10
191 80,0| 6400 756 21,0| 441 7
Dallo specchio sì vede che la pressione nei primi minuti è aumentata
11449
7310
sociata in ossigeno ed ossido di carbonio. L’assorbimento, da prima più rapido
per la presenza dell'ossigeno, si mantiene poi sensibilmente proporzionale al
tempo, quando il gas che viene assorbito è quasi del tutto costituito dal-
l’ossido di carbonio, e soltanto a pressioni relativamente basse esso dimi-
nuisce, finchè cessa del tutto e la pressione diventa costante.
Dopo questo primo assorbimento di anidride carbonica, il tubo appariva
già molto più stabile di prima: lasciati, cioè, gli elettrodi in riposo per
molte ore, riprese bensì l'emissione dell'idrogeno (la cui presenza sì rive-
lava per una leggera colorazione rosea del fiocco aderente al catodo), ma in
quantità molto minore di quella che si aveva precedentemente. Ciò dimo-
strava che la quantità di ossido di carbonio assorbita dagli elettrodi non era
ancora sufficiente per impedire del tutto l'emissione dell'idrogeno: ho quindi
proseguito per parecchie volte di seguito a mandare, con lo stesso procedi-
mento prima descritto, anidride carbonica nel tubo provocandone poi l’assor-
bimento col passaggio delle scariche: ho così potuto ottenere finalmente il
tubo stabile per molte ore a quella pressione per la quale era anche massima
la emissione dei raggi X.
Trovato in tal modo il processo per ottenere la stabilità di funziona-
mento dei tubi Réòntgen, ho creduto opportuno di esaminare se fosse proprio
nel rapporto di = 1,5, indicando che l'anidride carbonica sì è dis-
— 905 —
necessario, per avere l'assorbimento dell'anidride carbonica, di riscaldare pre-
ventivamento i tubi ed esaurirne gli elettrodi, ovvero se il processo avve-
nisse egualmente anche senza alcun preventivo trattamento. Ho per ciò stac-
cato il tubo, col quale avevo fatto tutte le esperienze prima riportate, e ne
ho saldato un altro nuovo di 12 cm. di diametro, che non aveva mai subìto
alcun trattamento speciale e nel quale per ciò gli elettrodi erano sempre
rimasti in contatto con l’aria atmosferica.
Fatta la massima rarefazione possibile, ho mandato nel tubo anidride
carbonica a pressione piuttosto elevata; ed ho quindi fatto funzionare il roc-
chetto, mantenendo, al solito, l’anticatodo isolato. I fenomeni si presentarono
in modo analogo a quelli osservati nel tubo precedente, dove gli elettrodi
erano stati così lungamente esauriti: soltanto l’aumento iniziale della pres-
sione fu molto superiore di quello che si avrebbe dovuto avere per la disso-
ciazione dell'anidride carbonica, indicando che per il passaggio delle correnti
del rocchetto sì sprigionavano da principio quei gas che erano rimasti ade-
renti agli elettrodi per la loro lunga permanenza in contatto con l’aria atmo-
sferica. Dopo cominciò il solito assorbimento che si protrasse fino al prin-
cipio dei raggi X. Siccome però il tubo non si presenta del tutto stabile,
ho mandato una seconda volta l'anidride carbonica. Nel seguente prospetto
è riportata intera questa seconda serie: le lettere poste in testa alle varie
colonne hanno lo stesso significato che nei quadri precedenti.
4P 4P
ig ario Ep A o PI e
AT AT
9 Q a ds
fe AO E, E a 0
50 101,0 | 10201 100 | 37»: — 418/— 42
50 — 101|— 20 1800 31,2 | 973
100 100,5 | 10100 I 100 | 31 — 465 |— 2,6
100 — 496|— 49 1900 26,6| 708| — 46:
200 98,0 | 9604 Si -122|-12
200! 100 — 484|— 48 2000 242| 586| 12:
300 95,5 | 9120] — © sO | 100 62 |— 06
100 ao 49 13100 22,9| 524] — 02/706
100 929 | 8630 FOO. — 4905
100 RE ee gn) 21,8| 475
500 90,1 | 8118 : 0 21 | 02
A ia Sert 1,3] 454|— 2
600 87,2 | 7604 5 ci fesa Mer Bo
100 ; al— 5605] — 6 2400 - [20,5] 420
700 839 | 7039| — > 100 |: — 20-02
100 D|— 527|— 58 2500 20,0 | 400 ;
800 80,7 | 6512 È SOURIOO i
100 9912 | 506|— 51 2600 ae
900 77,5 | 6006 100 E
100 006 500|— 50 2700 18,7 | 350 :
1000 74,2 | 5506 o 6 5 100 de sel— lo /—0,15
100 — 522|— 52 2800 18,3| 33 -
1100 70,6 | 4984|_ ? 100 Fi: 015
100] CO0| FIStl— 548/— 55 2900|100 179) 820
1200 66,6 | 4436 2 lio 2a00 | 100 La
100: St io sso 4 L53000 173| 299
1300 624 | 3894 È AR IL Ei,
100 Dog |— 488|— 49 3100 168| 282 s
1400 57,5 | 3306 100 | 100 cei
100 a sel 700) lS3000 16,5 | 272
e e al 008
1600 13,5 | 1892 i SI
Dopo altre 5 ore di funzionamento del rocchetto, la pressione da 256
(pari a 0,011 mm. di mercurio), è discesa, a 246 (pari a 0,020 mm. di mer-
curio); e a questo valore rimase stazionaria nei due giorni successivi, non
ostante che le scariche avessero attraversato il tubo per oltre 12 ore.
— 904 —
Il tubo presentava l'aspetto dei soliti tubi Ròontgen: l'emissione dei
raggi X cominciò a rivelarsi, all'elettrometro, alla pressione di 392, pari
a 0,033 mm. di mercurio, e alla pressione di 246 (pari a 0,020 mm. di
mercurio) era già molto abbondante, così che, lasciando l'ago dell’elettro-
metro isolato per 5 secondi mentre le correnti del rocchetto passavano nel
tubo, si aveva una deviazione di 80 divisioni per la carica portata dagli ioni
prodotti dalla radiazione X. Anche coi tubi provenienti dalle fabbriche si
ottennero, nelle stesse condizioni di corrente, deviazioni dello stesso ordine
di grandezza : ma per quauto riguarda Ja relazione tra l'emissione dei raggi X
e la pressione, riferirò in un’altra Nota, influendo molte circostanze sulla
pressione corrispondente alla massima emissione dei raggi X.
Come ho già detto, altri gas vengono rapidamente assorbiti dagli elet-
trodi, oltre l'anidride carbonica; ma se con questi altri gas si possa otte-
nere Ja stabilità di funzionamento dei tubi Rontgen, è argomento di cui mi
occuperò in seguito.
Matematica. — Sopra un teorema d’ unicità relativo alla
equazione delle onde sferiche. Nota di S. ZAREMBA, presentata dal
Socio T. Levi-CIvITA.
1. Allargando un po’ il significato d'un termine comunemente usato,
chiameremo equazione delle onde sferiche l'equazione alle derivate parziali
seguente :
TEU d°U
1 »L—-—;=0.
(o) £r dai DI
Ci proponiamo di dimostrare un teorema fondamentale nella teoria di
quegli integrali della (1), i quali si presentano nella fisica-matematica.
Considereremo le variabili
(2) XCiyT2,0.0Un,0
come le coordinate cartesiane ortogonali d'un punto in uno spazio euclideo (E)
di #-+ 1 dimensioni.
2. Siano
(3) Ai, As;o Ag
n+1 funzioni delle variabili (2), ben definite nell'interno e sul contorno ($)
di un campo limitato (D), situato nello spazie (E).
gna
Quando il contorno (S) di (D) e le funzioni (3) soddisfano a certe con-
dizioni di regolarità, che sembra superfluo di enunciare, sì ha, secondo un
teerema note, la relazione:
ERRO f a )
4 Sa medico e È
(4) i VEDE, ii e ie
designando con 47 l'elemento di volume dello spazio (E), con ds l'elemento
di superficie del contorno (S) e con
(5) A€,,@2, uva
i coseni-direttori della normale a (S), diretta verso l'interno del campo (D).
Le funzioni (5) sono legate fra loro dalla nota equazione:
n
(6) Va+p=1.
(Sil
Sia x una funzione continua, ben definita nell'interno e sul contorno
(S) del campo (D), avendo, nell'interno del campo (D), delle derivate con-
tinue dei due primi ordini.
Supponiamo inoltre che le derivate del primo ordine della funzione w
siano limitate e godano della proprietà seguente: quando un punto
(11,2, €n30), situato neil’interno del campo (D), tende verso un punto M
del contorno (S) di codesto campo, le derivate
du WU du dd
T ” O :
(7) dX, dA don di
tendono verso limiti determinati, eccettuato al più, per M, un certo insieme
di misura superficiale eguale a zero. Ciò posto, è lecito di convenire che,
per un punto M situato in (S), i simboli (7) rappresentano i limiti delle
derivate corrispondenti quando il punto (x, 2, x,.4) tende verso il
punto M, rimanendo nell'interno del campo (D).
Posto
dU WU *
ig = A ie logo
(8) dai ae i a
Il ( LP Ù (9) )
me = SI ALIA
| 2 ( =D E sr : i \ i
si avrà:
È dA; __ du ( n du du )
9 RL
(9) = Da oi
— 906 —
Ora ammettiamo che la funzione «, pur soddisfacendo alle suddette
ipotesi, verifichi inoltre l'equazione (1) nell'interno del campo (D). Dalle
(4), (8) e (9) si avrà
1) Sf [E fatta (RY+(EV ono.
3. Consideriamo il caso particolare in cui una parte (S,) di (S) è una
caratteristica (') della (1) e designamo con (S') il resto del contorno del
campo (D). Per la proprietà specilica delle caratteristiche della (1), si avrà
(11) Da—-p=0
in ogni punto regolare della parte (S,) di (S); quindi, in ciascuno di tali
punti, si avrà dalla (6):
(12) p=3i.
Tenendo conto delle (11) e (12) si vede subito che sia:
US gt gl CA) CAN
19) ia UDI o)
Non è forse inutile di far notare che dalla (12) m07 segue che su (Sì)
la funzione # sia necessariamente costante: in fatti può darsi che su una
parte di S, si abbia
aa
AS
e sul resto
— 1
P 3 V2 7
ma noi considereremo soltanto il caso nel quale la funzione 8 ammette su
(S,) un solo dei due valori precedenti. Ciò posto, basta tener conto della (13)
per ricavare dalla (10) la seguente :
do) 85.2 PA nà 036) ds =
MIETSE o
(1) Per la teoria delle caratteristiche si può consultare l’opera di J. Hadamard,
Legons sur la propagation des ondes et les équations de l hydrodynamique (Paris, 1903,
A. Hermann).
— 907 —
Ecco perchè codesta equazione è interessante: se /’ integrale esteso alla
parte (S') di (S) è eguale a sero, ne segue che, su (Sì), sì ha
(15) ati gi 0, @=a02000
donde risulta che, su (S,), la funzione u è costante.
4. Dal risultato testè ottenuto si possono dedurre varie importanti con-
seguenze, ma, per ora, considereremo soltanto il caso particolare che la (S')
si componga di due parti (S,) e (S») tali, che su (5) la funzione f sia
sempre eguale al numero + 1, o sempre al numero — 1, e che su (So) si
abbia #=0.
Designando allora con e un numero reale in valore assoluto eguale alla
unità e di segno convenientemente scelto, si potrà scrivere la (14) nel modo
seguente:
(16) £ D(a det)
(81) ET di
RETE ie
Da cotesta equazione si può dedurre il teorema seguente, che forma
l'oggetto principale di questa nota :
Esiste al più una sola funzione continua u, che soddisfi nell'interno
del campo (D) alla (1) e che goda delle proprietà seguenti :
1) Su (So) la funzione u stessa e la sua derivata normale si ri-
ducono a delle funzioni date.
2) Su (Sa) la funzione stessa u 0 la sua derivata normale si riduce
ad una funzione data.
In fatti, basta dimostrare che la funzione v è eguale a zero in tutto
il campo (D) nel caso particolare in cui le funzioni date, considerate nel
teorema, sono nulle. Ma in tal caso il secondo membro della (16) si riduce
a zero. Quindi, su (S,) sì verificheranno le (15). Ciò posto, sia (£,, £2, .. £n,t)
un punto qualsiasi dell'interno del campo (D) e (D') la parte del campo (D)
separata mediante il piano
(17) DU
dalla parte (S,) del contorno del campo (D).
Il teorema espresso dalla (16) è applicabile al campo (D'). Quindi,
tenendo conto delle (15), si ricava
ai +(#) \4_o,
— 908 —
dove l'integrazione deve essere estesa alla parte del piano (17) che contri-
buisce a limitare il campo (D'). Ne segue che in ogni punto (E; , € ,... én, 1)
dell'interno del campo (D) le derivate parziali del primo ordine della fun-
zione x sono eguali a zero.
Quindi, la funzione v è costante nel campo (D). Ma questa funzione,
essendo eguale a zero su (So), non può essere che nulla in tutto il campo
(D), come avevamo annunziato.
In un altra Nota spero di mettere in rilievo l’importanza del teerema
che è stato dimostrato.
Fisica matematica. — Sulla distribuzione della massa nel-
l'interno d'un corpo in corrispondenza a un’assegnata azione
esterna. Nota di CorrapINo MINEO, presentata dal Socio P. PIZZETTI.
Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
Fisica. — Persistenza delle correnti futoelettriche nelle cel-
lule di Ester e lreitel dopo la soppressione della luce eccita-
trice. Nota I di 0. M. Corrino e G. 0. TRABACCHI, presentata dal
Socio P. BLASERNA.
Le correnti fotoelettriche, dovute a forti illuminazioni, possono raggiun-
gere una notevole intensità qualora si ricorra alle cellule di Elster e Geitel,
nelle quali l'elettrodo negativo, di potassio o di sodio, è ricoperto da uno
strato sottile costituito da una modificazione allotropica del metallo mede -
simo. Nella cellula è presente un gas inerte, argon o elio, alla pressione
di circa 1 millimetro di mercurio; facendo agire fra gli elettrodi un campo
acceleratore di sufficiente intensità. gli elettroni strappati dalla luce al ca-
todo vengono lanciati con velocità grande verso l'anodo, determinando una
abbondante ionizzazione per urto nel gas. I muovi ioni creati dall'urto diven-
gono alla loro volta produttori di altri ioni; alla produzione di questi par-
tecipano, con campi intensi, anche gli ioni positivi creati dagli urti,, pur
non raggiungendosi, se il campo non è troppo intenso, le condizioni che de-
terminano la scarica permanente al cessare della luce. SOA) piish
Con illuminazioni molto intense, e con differenze di potenziale agli elet-
trodi solo di poco inferiori a quelle cui corrisponde la scarica permanente,
le correnti ottenute con una cellula di Elster e Geitel possono raggiungere
l'intensità di quasi un milliampere, prestandosi. così a diverse e notevoli
applicazioni.
— 909 —
In vista delle applicazioni medesime, e per illustrare ancor meglio il
meccanismo di funzionamento di un apparecchio così interessante, ci è sem-
brato opportuno istituire delle esperienze destinate a stabilire se e quale
parte della corrente normale sussiste ancora dopo la soppressione della luce
eccitatrice, e precisamente dopo intervalli di tempo assai brevi dalla sua
brusca soppressione. E avendoci l’esperienza rivelato che la corrente sussiste
in realtà, decrescendo rapidamente, dopo aver interrotto la illuminazione,
abbiamo voluto ricercare se questo effetto di ritardo sia dovuto ad una po-
stuma emissione di elettroni da parte del catodo, o ad altre cause.
Non era infatti da escludere, senza prove, l'ipotesi che alla eccitazione
della luce seguisse nel metallo anche dopo l'estinzione una ulteriore emis-
sione di elettroni per un brevissimo tempo e in numero anche assai tenue,
ma sufficienti (a causa della esaltazione degli effetti dovuta alla ionizzazione
per urto) per produrre le correnti postume osservate.
Forma oggetto di queste Note l’esporre i risultati delle nostre ricerche,
le quali permettono di risolvere, in modo che crediamo soddisfacente, le que-
stioni che ci eravamo proposte.
v.5
Sue
Sarà bene anzitutto discutere un lavoro di E. Marx e K. Lichtenecker
che, pur avendo un obbiettivo diverso, può sembrare che si riferisca anche
al problema di cui noi ci siamo occupati.
I due autori citati, in una Memoria molto ampia e dettagliata ('), si
proposero di esaminare se inviando su una cellula una certa quantità di
luce costante, e poi la stessa quantità media di luce, ma costituita da un
fascio periodicamente interrotto, si ottenesse la stessa corrente fotoelettrica
nei due casi.
Più esattamente diremo che sulla cellula veniva rinviato per mezzo di
uno specchio rotante un fascio di luce, e si faceva variare dentro larghissimi
limiti la velocità di rotazione dello specchio, con che la stessa quantità
media di luce cadente sulla cella veniva frazionata in un insieme di bru-
sche illuminazioni, delle quali variava in senso inverso la durata di cia-
scuna e l'intervallo fra due luci successive.
La ricerca aveva uno scopo teorico di importanza notevole, e condusse
al risultato che la corrente fotoelettrica rimaneva invariata riducendo la
durata delle illuminazioni fino a 1,46 X 1077 secondi. Questa conclusione
potrebbe far credere a prima vista che la corrente segua istantaneamente
le vicissitudini della intensità della luce eccitatrice.
Ma chi volesse trarre dalle esperienze citate questa conseguenza, che
gli Autori del resto non ebbero motivo di esaminare, poichè sì proponevano
(') E. Marx e K. Lichtenecker, Ann. d. phys., 4/, pag. 124 (1913).
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 116
— 910 —
altro e più elevato obbiettivo, cadrebbe in errore, così come a torto conclu-
sero Bellati e Romanese che l'effetto della luce sul selenio sia istantaneo,
deducendo ciò dal fatto osservato che la variazione di resistenza del selenio
illuminato dalla luce interrotta con un disco forato rotante non mutava al
variare della velocità del disco.
La costanza della corrente fotoelettrica constatata da Marx e Lichte-
necker, può invero essere spiegata anche se sussiste un effetto di ritardo fra
l'azione della luce e la corrente che ne deriva, così come la deviazione di
un galvanometro balistico per una corrente istantanea che trasporti una de-
terminata quantità totale di elettricità è sempre la stessa, qualunque sia
la legge di variazione della corrente, senza che perciò si possa dedurne che
il galvanometro segue istantaneamente con le sue deviazioni le vicissitudini
della corrente variabile.
Noteremo infine che con il fenomeno da noi preso in esame non hanno
nulla da fare le cosiddette « Nachwirkungen » constatate da alcuni con le
cellule fotoelettriche, che si manifestano come effetti di assai lunga persi-
stenza di lievi residui nell'impiego delle cellule con la disposizione elettro-
metrica, e che hanno per origine la distribuzione di lievi cariche statiche
sul vetro della cellula, cosicchè sono quasi del tutto evitate con opportuni
accorgimenti nelle cellule messe in commercio negli ultimi tempi. Effetti
simili non hanno nulla da fare con le correnti residue, misurate galvanome-
tricamente, che noi abbiamo potuto osservare.
*
x *%
La cellula da noi adoperata in queste esperienze fa parte di un foto-
metro di Elster e Geitel fornitoci da Gunther e Tegetmeyer di Braunschweig.
Cominciammo con la ricerca della sua curva caratteristica (curva delle
correnti per tensioni crescenti) sotto l’azione di forti intensità luminose: o
quella di un fascio di luce solare, o quella di un fascio proveniente da una
lampada ad arco per correnti continue, reso parallelo con opportuni disposi-
tivi ottici, atti a conservare quanto più fosse possibile la tinta bianca, senza
ridurne di troppo l'intensità. Con luce non troppo intensa si ottengono le
note forme della curva caratteristica, le quali presentano un flesso corrispon-
dente, secondo la teoria di Townsend, all’inizio della ionizzazione per urto
da parte degli ioni negativi.
Quando si aumenti l'intensità della luce eccitatrice, si osserva però un
andamento singolare della curva nella vicinanza del flesso, andamento che
per quanto ci risulta non è stato finora reso noto da altri.
Come si vede dalla fig. 1 la curva delle correnti presenta un brusco
salto a 19,6 volt, poichè per il minimo aumento in questo valore della ten-
sione applicata agli elettrodi, la corrente aumenta bruscamente fino oltre al
doppio dell’intensità primitiva.
— 911 —
In un’altra esperienza fatta in una giornata di febbraio con un cielo
di magnifica trasparenza, si ebbero per diversi valori della tensione le se-
guenti intensità di corrente:
tensione in volt corrente (unità arbitraie)
19,3 35
19,4 39
19,6 42
19,8 120
25 130
® 4 8 2 6 20 1% re 37 36 Ero. t27 45 Volla
Fi. 1.
Il salto della corrente si produsse perciò entro il campo di variazione
di qualche decimo di volt, dando luogo quasi a una triplicazione della cor-
rente primitiva; mentre ad ulteriori aumenti della tensione, anche notevoli,
corrisposero lievi aumenti della corrente.
Questa esperienza sembra a noi che fornisca come una dimostrazione
tangibile, e della maggiore efficacia, circa la giustezza dell’interpretazione
data dal Townsend al flesso delle curve caratteristiche normali; poichè si è
potuto in certa guisa sorprendere l’inizio improvviso e tumultuoso della fase
di ionizzazione per urto da parte degli elettroni provenienti dal catodo, i
quali per tensioni inferiori costituiscono l’unico veicolo al passaggio della
corrente.
Hilf
La tensione minima capace di produrre la scarica autonoma permanente,
e perciò la tensione minima cui si può sottoporre la cella senza timore di
danneggiarla, dipende anch'essa dalla intensità della luce eccitatrice. Nelle
nostre esperienze cercammo di non superare questo valore critico del campo,
e ci limitammo perciò all'impiego di tensioni non superiori a 75 volt.
ar
La prima disposizione da noi adoperata per constatare eventuali feno-
meni di ritardo, ci fu suggerita dalla necessità che l'apparecchio rivelatore
— 912 —
della corrente fornisse indicazioni assolutamente istantanee; solo così po-
teva sicuramente esser riconosciuto se al cessare brusco della luce eccita-
trice si annullasse istantaneamente la corrente fotoelettrica. Si pensò quindi,
anzitutto, alla deviabilità istantanea del fascio catodico nel tubo di Braun.
Ma la corrente era troppo piccola per dare effetti sensibili di deviazione sul
fascio ricorrendo all'azione magnetica di un rocchetto ordinario; nè poteva
accrescersì l’azione ricorrendo a un rocchetto con grandissimo numero di
spire e con nucleo di ferro, poichè l'autoinduzione del rocchetto avrebbe per-
turbato la fase di cessazione della corrente, e l’'isteresi del ferro avrebbe
potuto da sè produrre effetti analoghi a quello ricercato.
ie
War
'
ADIEISZII
(e)
|
Fia. 2.
Tenendo presente la elevatissima resistenza elettrica equivalente alla
cella, e la tensione elevata agente nel circuito parve perciò preferibile ri-
correre alla deviazione elettrostatica del fascio catodico, secondo la disposi-
zione rappresentata nella fig. 2. In questa € denota la cella, B la batteria
di accumulatori, ed 7 una elevatissima resistenza, capace di assorbire sotto
la corrente di regime che corrisponde a una grande illuminazione costante,
circa metà della tensione della batteria. Agli estremi di 7 erano connesse
le due laminette di un tubo di Braun atto alla misura delle tensioni. La
deviazione elettrostatica, proporzionale alla differenza di potenziale fra le
laminette e quindi alla corrente fotoelettrica 7, avrebbe dovuto seguire istan-
taneamente le variazioni di 7, e permettere così di riconoscere, con illumi-
nazioni intermittenti, se nelle pause brevissime della illuminazione la cor-
rente assumesse bruscamente il valore zero.
Per rendere rapidamente intermittente la illuminazione fu proiettato su
un disco rotante, provvisto di una serie fitta di piccolissimi fori, una imma-
gine molto piccola e luminosa del cratere d'un arco voltaico; la luce emer-
gente dai fori, resa parallela con un buon obbiettivo, cadeva sulla cella. In
queste condizioni, lasciando permanentemente libero il passaggio alla luce,
il cerchietto luminoso del fascio catodico si spostava di un paio di centi-
metri sul disco fluorescente del tubo di Braun. Questo era alimentato da
una macchina elettrostatica a 36 dischi, e il fascio catodico era concentrato
— 913 —
in modo da dare un cerchietto piccolissimo, servendosi del solito artificio
e cioè di far agire sul fascio una bobina percorsa da corrente continua e
coassiale col tubo.
Facendo rotare il disco molto lentamente, il cerchietto di fluorescenza
si spostava periodicamente tra la posizione di riposo e la posizione di mas-
sima deviazione, corrispondente al passaggio continuo della luce. Ma facendo
crescere progressivamente la velocità di rotazione del disco, l'escursione del
cerchietto si andava limitando sempre più fra i due estremi, in modo da
non toccare nè la posizione di zero, nè quella di massima deviazione. Pareva
cioè che la corrente oscillasse periodicamente fra due limiti diversi da zero
e dal valore massimo, come se la cella manifestasse un vero effetto di
inerzia.
Un esame più attento della disposizione sperimentale rivelò, d'altra
parte, che il risultato ottenuto non era esente da dubbî, poichè consentiva
una interpretazione diversa, senza che fosse possibile procedere a prove di-
scriminative.
Supponiamo trascurabile la corrente derivata per conduzione tonica fra
le laminette sottoposte alla differenza di potenziale variabile fra 0 e 7 7.
Bisognerà sempre tener presente la corrente di capacità destinata a
fornire e dissipare le cariche che occorrono per portare le laminette a quella
differenza di potenziale.
Ora se pure la corrente fotoelettrica si annullasse istantaneamente al
cessare della luce, potrebbe ancora sopravvivere per qualche tempo una diffe-
renza di potenziale fra le lamine, che richiederanno un tempo diverso da
zero per scaricarsi nell'unica via consentita: la resistenza 7. Questa resi-
stenza era molto elevata per le ragioni sopra indicate. Ciò non ostante il
tempo di scarica delle laminette potrebbe essere considerato come trascura -
bile, data la piccolezza estrema della capacità elettrostatica geometrica del
condensatore da loro formato. Ma alcune prove ci convinsero, invece, che
quella capacità non è così piccola come apparirebbe a prima vista, data la
piccola superficie e la notevole distanza (circa 1 centimetro) delle lamine.
Per giustificare il valore assai più elevato che misura la capacità vera delle
laminette, basta pensare al gas ionizzato dalla scarica che è fra loro inter-
posto; e invero il funzionamento del tubo, per le sue particolarità costrut-
tive, era regolare solo quando la pressione nell'interno non era estremamente
bassa; poichè, a pressioni bassissime, si creava nell'interno del vetro una
distribuzione abbondante e mutevole di cariche elettrostaticle, che impediva
la proiezione di un cerchietto ben luminoso e fisso sullo schermo. Occorreva
adunque tenere il tubo a una pressione non troppo piccola e allora la pre-
senza di ioni numerosi nello spazio fra le lamine, doveva appunto equiva-
lere a un aumento notevole della loro capacità.
— 914 —
Nell'impossibilità di sceverare in modo sicuro fra l’effetto dovuto alla
capacità delle lamine e quello eventualmente prodotto dal ritardo della cella,
credemmo opportuno abbandonare il tubo di Braun, e ricorrere a una dispo-
sizione completamente diversa, della quale esponiamo adesso il principio.
Nel circuito della cella C e della batteria 8 (fig. 8) è permanente-
mente inserita una resistenza R +7; e sulla parte 7 di questa è derivato, a
traverso un contatto periodicamente intermittente, un galvanometro G. La
luce che cade sulla cella è periodicamente interrotta per virtù di un disco
rotante munito di settori vuoti e pieni; la interruzione è assolutamente
istantanea, poichè l'orlo tagliente del settore vuoto incontra un fascio di luce
di forma rettangolare a contorni nettissimi e paralleli all’orlo. Disco e con-
Î
Aaa
Fia. 3.
tatto intermittente sono meccanicamente solidali, in modo che il contatto
può essere stabilito dopo l’ interruzione della luce e con un ritardo regolabile
a volontà; il contatto dura anch'esso per un tempo regolabile, ma cessa in
ogni caso prima che la luce sia ristabilita. In tal modo il circuito batteria-
cella è permanentemente chiuso; finchè passa la luce il circuito del gal-
vanometro è interrotto in 7, ma se la corrente fotoelettrica sussiste anche
dopo un certo tempo dalla soppressione della luce, poichè viene allora sta-
bilito il contatto 7, una frazione della corrente residua viene a traversare
il galvanometro. Poiche il processo si ripete identicamente a ogni giro del
disco e del contatto, il galvanometro assumerà una deviazione costante e sì
potrà dedurne il valore della corrente residua dopo diversi intervalli di tempo
dalla cessazione della luce.
Volendo constatare la possibile permanenza della corrente anche dopo
intervalli di tempo assai brevi, era necessario che la parte meccanica del
dispositivo funzionasse con la maggiore precisione. Il nostro compito è stato
grandemente facilitato dal fatto che ci siam potuti servire dell’ interruttore
differenziale del prof. Blaserna, ideato e costruito in modo da rispondere
mirabilmente alle esigenze sovraindicate.
Sui particolari della disposizione sperimentale, sui risultati e sulla inter-
pretazione di questi riferiremo in una Nota successiva.
— 915 —
Fisica. — Sull irraggiamento nero; risposta alle osservazioni
del prof. Corbino. Nota di Cino Poli, presentata dal Socio C. SomI-
GLIANA.
Il prof. Corbino fa ad una mia recente Nota alcune critiche che, se
esatte, la svaluterebbero completamente. Ora io mi ero proposto di dimostrare
la compatibilità della formula di Planck colla dinamica classica; e, per far
ciò, ho costruito un sistema di risonatori tale che per esso vale la detta
formula. Siccome nessuna delle ipotesi che fo nella costruzione di quei riso-
natori è in contradizione colla dinamica classica, mi pare di aver raggiunto
lo scopo prefissomi.
Il prof. Corbino invece osserva che ammettere l'ipotesi a°o = cost senza
giustificazione equivale ad introdurre il concetto essenziale dei quanta, e
quindi gli pare che la mia deduzione della formula di Planck « faccia
capo implicitamente allo stesso concetto incomprensibile della teoria dei
quanta >.
Anzitutto l'ipotesi 40 = cost non ha bisogno di giustificazione. Siccome 4
comparisce come costante arbitraria nell’integrazione dell'equazione differen-
ziale del moto di un’ione, posso ad essa attribuire per ogni ione un valore
tale da soddisfare alla condizione posta.
In secondo luogo, il mio metodo conduce sì al concetto di quantum,
ma non più « incomprensibile » come afferma il Corbino, perchè il quantum
è spiegato appunto dalla particolare costituzione del sistema di risonatori
nel quale esso si presenta. Precisamente è chiaro che se in questo sistema
l'energia di due risonatori diversi non può differire che per multipli interi
di un quantum, ciò è esclusivamente conseguenza:
dell'aver determinato le ampiezze delle oscillazioni dei singoli ioni
nel modo detto;
del fatto che ciascun ione oscillante è un gruppo di elettroni;
del fatto che per ipotesi l'energia di ogni ione resta costante.
Concludendo: il Planck pone a priori la variazione dell'energia per
quanta in qualunque risonatore; io invece la trovo in un particolare insieme
di risonatori come conseguenza di certe ipotesi nella sua costituzione: e
quindi il concetto di quarium, che nella teoria di Planck resta incompren-
sibile, nel mio modello ideale è spiegato e reso compatibile coi principi
classici.
— 916 —
Ghimica. — Nuove ricerche sulle metalli-uree (*). Nota di
G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN.
In due Note (*) precedenti ho descritto i composti di ferri- e di vanadi-
urea che corrispondono alle formule generali [ Fe (OCN, Hj)gé] X3z e
[V” (OCN» Hi)s] X3 e, come i composti di cromi-urea {Cr(OCN:Hy)ge] X3,
scoperti da Sell (*) e studiati da A. Werner (‘), sono da considerarsi quali
derivati dagli aquosali [Me"(0Hs);] X3 per sostituzione delle molecole
di acqua con molecole di urea.
Altri elementi, capaci di dare sali esaidrati analoghi a quelli del cromo,
del ferro e del vanadio trivalente, sono l'alluminio e il titanio trivalente.
Ciò mi ha indotto a ricercare se, anche questi elementi, potevano formare
complessi con l'urea.
Con l'alluminio ho ottenuto i seguenti composti :
[A1(OCN.H,)c](010,)3; [Al (OCN3H,);](Mn0,):; [A1(OCN:H,)e]e (01303):
[AI(OCN:H,)]I:; —[AI(OCN:H,)o] I .3L; LAL(OUN-H)e] {xo ae
372
[A1(0CN,H, mu
I
)e] SO,
Non sono riuscito a preparare il cloruro, il bromuro e il nitrato per la
loro eccessiva solubilità.
Come risulta dalle formule su riportate, i sali di alluminio-urea hanuo
composizione del tutto analoga a quella dei corrispondenti sali di cromi-,
ferri- e vanadi-urea. Molto probabilmente l'analogia chimica è accompa-
gnata da isomorfismo. Effettivamente ho constatato che il perclorato di al-
luminio-urea forma cristalli misti col perclorato di vanadi-urea.
Col titanio trivalente, in causa della grande instabilità e solubilità dei
suoi sali, le ricerche furono meno facili che con l'alluminio. Il solo com-
posto che potei isolare allo stato di purezza fu il perclorato di titani-urea
che ha la formula [Ti" (OCN,H,);](C104); e s1 presenta in cristalli prisma-
tici di color lilla, stabili all'aria. Il fatto abbastanza singolare che il re-
siduo dell'acido perclorico, che è un forte ossidante, possa coesistere in un
(') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della Università di Ferrara.
(8) Rendiconti Accad. Lincei, vol. XXII, 1° sem., pag. 867 (1913); vol. XXIV, 1° se-
mestre, pag. 435 (1915).
(*) Proc. Roy. Soc., 383267 (1882); 45321 (1889).
(4) Ann. 322396 (1902).
— 9a —-
composto col titanio trivalente, che è un riducente energico, è una novella
. prova che, nelle metalli-uree, l'atomo metallico forma un complesso colle
molecole di urea: da esse viene circondato e, per così dire, protetto.
Nella presente Nota sono anche descritti il persolfato di cromi-urea e
il persolfato di ferri-urea. Da ricerche precedenti (') venne mostrato che ì
persolfati idrati di magnesio, manganese, cobalto e nickel, che non è possi-
bile ottenere allo stato solido, perchè eccessivamente solubili e instabili, si
ottengono facilmente e ben cristallizzati in combinazione con l'esametilen-
tetrammina. Questa base non può servire all'isolamento di sali idrati di
cromo e di ferro, perchè reagisce con essi formando sali basici. Io ho pen-
sato di preparare i composti dell'acido persolforico col cromo e col ferro
trivalente, sostituendo all'acqua l'urea, e ho ottenuto i seguenti composti:
[Cr (OCN; Hi)e]e (Sa Og)s [Fe'” (OCN; H.)e]: (Sa 08):
che si presentano in bei cristalli prismatici, abbastanza stabili allo stato
di secchezza.
Non mi fu possibile di isolare il persolfato di alluminio-urea.
PARTE SPERIMENTALE.
Perclorato di alluminio-urea.
[AI (OCN» H.)e] (Cl 0,)3
A una soluzione concentrata di perclorato di alluminio (*) si aggiunge
urea in sostanza fino quasi a saturazione; si separa tosto il perclorato di
alluminio-urea sotto forma di una polvere bianca, cristallina, non igrosco-
pica, che, esaminata al microscopio, risulta costituita da prismi trasparenti.
È poco solubile in alcool, solubilissima in acqua: la sua solubilità dimi-
nuisce in presenza di un eccesso di urea e di perclorato di sodio.
Calcolato Trovato
Al 3,95 3,79
N 24,52 24,47
Cl 15,52 15,50
Aggiungendo urea e perclorato sodico ad una soluzione contenente sol-
fato di alluminio e so]fato di vanadio trivalente, si ottiene una sostanza
cristallina, omogenea, colorata in azzurro pallido, che è la soluzione solida
del perclorato di alluminio-urea col perclorato di vanadi-urea.
(*) G. A. Barbieri, F. Calzolari, Z. anorg. Chem. 71,53 (1911).
(?) R. F. Weinland, Fr. Ensgraber, Z. anorg. Chem., 8436s (1913).
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 117
— 918 —
Permanganato di alluminio-urea.
[AI (OCN, H,)e] (Mn 0,)3
Si ottiene facendo reagire, in soluzione concentrata, nitrato di allu-
minio, urea e un permanganato molto solubile; per esempio, quello di ma-
gnesio. Cristalli neri, solubili in acqua con colorazione violetta.
Calcolato Yrovato
Mn 22,15 22,39
N 22,60 22,21
Il permanganato di alluminio-urea è solubile allo stato solido in ogni
rapporto nel perclorato di alluminio-urea. Infatti, facendo reagire una solu-
zione concentrata di perclorato sodico, resa violetta per aggiunta di un po’
di permanganato sodico, con una soluzione concentrata di urea e nitrato di
alluminio, si forma un precipitato cristallino omogeneo tanto più colo-
rato in violetto, quanto più forte è stata l'aggiunta di permanganato sodico.
Bicromato di alluminio-urea.
[AI (OCN, H,)6]:(Crs 0, )a
Da una soluzione concentrata di urea, nitrato di alluminio e biero-
mato sodico si separa sotto forme di cristalli aranciati.
Calcolato Trovato
Al, 0; + Creo (07 39,25 39 47
N 23,66 Doro
Joduro di alluminio-urea.
[A!(OCN: H4)e]I3
Si ottiene aggiungendo joduro sodico in eccesso ad una soluzione di
urea e nitrato di alluminio. Polvere cristallina bianca, molto solubile.
Calcolato Trovato
AI 3a 3,71
N 21,90 21,45
I 49,60 43,90
— 919 —
Perjoduro di alluminio-urea.
[Al(OCN3H,)6]I3z . 3I3
Si ha dal eomposto precedente sciogliendolo in una soluzione concen-
trara di joduro sodico saturata con Jodio. Cristalli color grafite, solubili in
acqua e in alcool.
Calcolato Trovato
1 totale 74,70 74,25
1 addizionato 49,80 49,54
Perjoduro-solfato di alluminio-urea.
I
[AI(OCN:H,)e] so, * I,
Da una soluzione contenente solfato di alluminio, urea (in eccesso) jo-
duro sodico e jodo sì separa sotto forma di cristalli rosso-aranciati, poco
solubili.
Calcolato Trovato
Al 3,14 3,22
N 19,46 18.94
S og 3,92
I totale 44,07 43,76
I addizionato 29,39 28,96
Perjoduro-nitrato di alluminio-urea.
l
[AI(OCN: Ha)e] (yo,), © È
Si prepara come il composto precedente impiegando nitrato di allu-
minio. Polvere cristallina rossastra poco solubile.
Calcolato Trovato
Al 3,03 3:09
I totale 42,69 42,20
Perclorato di titani-urea.
[Ti” (OCN: H,)e] (C10,)z
5 gr. di solfato acido di titanio trivalente 3 Ti, (S0,); . H2S0, . 25H:0
preparato secondo A. Stàhler (') mediante riduzione elettrolitica di una so-
(1) Ber. 392631 (1905).
— 920 —
luzione di acido titanico in acido solforico concentrato, vennero mescolati
con gr. 20 di urea, e poi si aggiunse acqua goccia a goccia, e agitando fin-
chè la poltiglia si trasformò in un liquido turchino-violetto. Da questo, per
aggiunta di perclorato sodico (gr. 30) in soluzione concentrata, si ottenne
il perclorato di titani-urea, polvere cristallina violetta costituita da prismi
trasparenti. Il liquido soprastante diventa incoloro. La sostanza venne spremuta
alla pompa, lavata con alcool, e seccata all'aria su carta da filtro. Si dosò
il titanio come Ti O, per calcinazione, previo trattamento della sostanza con
acido solforico concentrato ; l'acido perelorico col metodo indiretto già de-
seritto ('); l'azoto come ammoniaca.
Calcolato Trovato
Ti 6,71 6,80
(031 15,06 14,88
N 23,70 23,50
Il perclorato di titani-urea allo stato di secchezza è una polvere color
lilla, stabile all'aria. Nell'acqua si scioglie con colorazione violetta che
presto scompare, Trattando la soluzione concentrata di urea e solfato acido
di titanio trivalente con un eccesso di joduro sodico, precipita una sostanza
in cristalli violetti che contiene titanio, urea e Jodio e che probabilmente
è il joduro di titani-urea. Non sono riuscito a ottenerlo allo stato di pu-
rezza, cioè esente da solfato e joduro di sodio in causa della sua grande so-
lubilità.
Persolfato di cromi-urea.
[ Cr(OCN3 H,)c]: (S2 08)3
Il persolfato di ammonio precipita, dalle soluzioni concentrate di clo-
ruro di cromi-urea, una polvere cristallina bianco-verdognola che, dopo alcun
tempo, si trasforma in cristalli verdi ben formati.
Per l’analisi la sostanza venne trattata in soluzione con cloridrato di
idrossilammina a caldo, poi il cromo venne precipitato con ammoniaca e
nel filtrato si determinò lo zolfo come solfato di bario.
Calcolato Trovato
Cr 7,43 (DA
S 154 13,59
Persolfato di ferri-urea.
[Fe (OCN3 H)s]: (S» 08)3
A una soluzione concentrata di cloruro ferrico, si aggiunge tanta urea
in sostanza finchè il colore della soluzione comincia a diventar verde, poi,
(*) G. A. Barbieri, Rendiconti Accad. Lincei, vol. XXIV, 1° sem., pag. 487 (1915).
PEtgojN
una soluzione concentrata di persolfato di ammonio: sì forma tosto il per-
solfato di ferri-urea che è una polvere cristallina verde-azzurrognola. In
acqua si scioglie con colorazione gialla.
Calcolato Trovato
Fe 7,95 7,84
S 13,70 13,82
N 23,95 23,56
Chimica. — Contributo alla conoscenza dei tetrationati (1).
Nota di F. CALZOLARI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN.
Se si confronta la formula dell'acido persolforico Hs S: Og con la for-
mula dell’acido tetrationico Hs Sy Og si vede che quest’ultima si può far
derivare dalla prima per sostituzione di due atomi di ossigeno con due atomi
di zolfo. E se all’acido tetrationico si attribuisce la costituzione proposta
da Blomstrand e da Mendeleeff, la sua analogia con l'acido persolforico ap-
parisce evidente: una coppia bivalente di zolfo —S—S— tiene il posto di
una coppia bivalente di ossigeno —0—0—.
S— SO, OH O — SO; OH
| |
S— SO. 0H O — SO, 0H
Effettivamente fra i tetrationati e i persolfati si riscontrano alcune
analogie. Il tetrationato di potassio cristallizza anidro ed è poco solubile
come il persolfato di potassio. Il tetrationato di sodio e il persolfato di
sodio sono anidri e molto solubili. Il tetrationato di bario cristallizza con
tre molecole di acqua ed è solubile: il persolfato di bario è pure molto
solubile e la sua idratazione sta fra tre e quattro molecole di acqua. Bi-
sogna notare che è quasi impossibile ottenere il persolfato di bario allo
stato di purezza. Lo stesso va ripetuto per il persolfato di piombo che è
stato descritto con tre molecole di acqua ed è molto solubile come il te-
trationato di piombo che cristallizza con due molecole di acqua.
Il confronto non si può estendere più oltre perchè le conoscenze che
sì hanno sui tetrationati sono scarse.
G. A. Barbieri e F. Calzolari (*) hanno descritto numerosi perso]fati
di metalli bivalenti in combinazione con l'ammoniaca, con la piridina e
(*) Lavoro eseguito nell’ Istituto chimico dell’Università di Ferrara diretto dal
prof. G. A. Barbieri.
(*) Z. anorg. Chem. 7/,358 (1911).
— 922 —
con l'esametilentetrammina. Io ho tentato la preparazione dei composti cor-
rispondenti dell'acido tetrationico, per verificare se l'analogia tra persolfati
e tetrationati potesse rivelarsi in tali composti d'ordine superiore. I risul-
tati hanno confermato pienamente le mie previsioni. Riferisco qui sotto le
formule dei tetrationati da me ottenuti, mettendo di fronte ad esse quelle
dei corrispondenti persolfati.
Tetrationati Persolfati
ZnS,0; . 4NH3 ZnS,03 . 4NH3
NiS, 0 . 6NH3z NiS,0; . 6NH;
ZnS,0 . 4C;Hs N ZnS20g . 4C;Hs N
CdS, 0 . 40;HgN CdS, 03 . 4C5Hs N
CuS, 0g . 4C5Hs N CuSs0; . 4C5Hs N
NiS,06 . 4C5HsN Ni$.0g . 4C;Hy N
CoS, 0; . 4C; Hg N — _
MgS, 0, .8H,.0 . 2CNHi» MgS.0; .8H,0 . 2C,N,H
Co 5,0, .8H,0 . 20,NH Co S.0, .8H,0. 2CN.Hi:
Ni $,0, .8H,0 . 2C.NjHy Ni $:03. 8H.0. 2CGNjHi
L'analogia tra i tetrationati e i persolfati è notevole specialmente nei
composti con l’esametilentetrammina che hanno lo stesso grado d’idratazione.
Anche nell'aspetto esterno e nella solubilità v'è somiglianza tra i composti
di addizione dei persolfati e quelli dei tetrationati. Non posso affermare
che tra questi composti esista anche somiglianza cristallografica perchè non
ho ancora potuto ottenere i composti di addizione dei persolfati in cristalli
misurabili.
PARTE SPERIMENTALE.
Ho preparato, dapprima, per doppio scambio tra iposolfito di sodio e
cloruro di bario, l’iposolfito di bario che, essendo poco solubile, si separa
allo stato cristallino dalla miscela delle due soluzioni sature a caldo.
L'iposolfito di bario, sospeso in poca acqua, venne trattato colla quan-
tità calcolata di jodio e dalla soluzione limpida così ottenuta, e che con-
teneva joduro e tetrationato di bario, venne precipitato quest'ultimo me-
diante aggiunta di alcool assoluto.
Le soluzioni dei tetrationati di magnesio, zinco, calmio, cobalto, nikel,
rame vennero preparate facendo reagire il tetrationato di bario, in quan-
tità calcolata, sui rispettivi solfati.
— 923 —
PRODOTTI DI ADDIZIONE CON L' AMMONIACA.
Tetrationato di zinco ammoniaca.
ZnS,0 . 4NH3
Si ottiene dalle soluzioni fortemente ammoniacali di tetrationato di
zinco, in cristalli trasparenti, incolori. Lo zolfo ‘in questo composto e nei
seguenti venne determinato come solfato di bario, previa ossidazione della
sostanza con ipobromito.
Calcolato Trovato
Zn 18,27 18,19
SS 35,85 35,21
N 15,66 15,46
Tetrationato di nickel-ammoniaca.
NiS, 0g . 6 NH;
Cristallizza in prismi microscopici di color lilla da una soluzione di
tetrationato di nickel saturata a freddo con ammoniaca gazosa.
Calcolato Trovato
Ni 15,24 15,10
S 33,92 33,02
N 21,84 21,58
PRODOTTI DI ADDIZIONE CON LA PIRIDINA.
Tetrationato di zinco-piridina.
Zn S, 0 . 4C Hs N
Si separa aggiungendo piridina in eccesso a una soluzione al 10 °/, di
tetrationato di zinco. Cristallini prismatici incolori.
Calcolato Trovato
Zn 10,79 10,65
S 27 20,92
N 9,25 9,02
Tetrationato di cadmio-piridina.
CdS, 06 . 4C6Hs N
Si separa come il composto precedente al quale rassomiglia anche nel-
l'aspetto.
Calcolato Trovato
Cd 417,20 LZ15
S 19,65 19,43
N 8,58 8,39
— 924 —
Tetralionato di rame-piridina.
CuS, 0. £C, Hg N
Questo prodotto si separa, dalle soluzioni concentrate di tetrationato di
rame per aggiunta di piridina, sotto forma di un precipitato microcristal-
lino. Per ottenerlo in cristalli ben formati, bisogna impiegare soluzioni di
tetrationato di rame di concentrazione non superiore all'1 °/ e aggiungere
la piridina in soluzione acquosa e non in forte eccesso. In tali condizioni
il prodotto si separa lentamente in cristalli aghiformi di color bleu-cupo
che sono abbastanza stabili all'aria e quasi insolubili in acqua a freddo,
mentre a caldo si decompongono perdendo piridina.
Calcolato Trovato
Cui cro,52 105%
S 21,28 21,45
N 9.27 9,22
Tetralionato di nickel-piridina.
NiS, 0; . 4C;Hs N
Cristalli aghiformi azzurri.
Calcolato Trovato
Ni 9,79 9,85
N 9,95 9,17
Tetrationato di cobalto-piridina.
CoS, 0g . 4C5H3 N
Cristallini microscopici aghiformi di color rosso-violaceo.
Calcolato Trovato
Co 9,384 9,87
N 9,34 9,04
PRODOTTI DI ADDIZIONE CON L'ESAMETILENTETRAMMINA.
Si ottengono facendo reagire, in soluzione, l’esametilentetrammina sui
tetrationati. Sono composti ben cristallizzati, inalterabili all'aria, solubili
nell'acqua a freddo.
Tetrationato idrato di magnesio-esametilentetrammina.
MgS0,.8H:0.2CNHxe
Prismi trasparenti incolori.
— 925 —
Calcolato Trovato
Mg 3,61 3,69
S 19,06 18,92
N 16,65 16,86
Tetrationato idrato di nickel-esametilentetrammina.
NiS, N . 8H, (0) . 2 Ce INGUEIPA
Prismi trasparenti di color verde-chiaro.
Calcolato Trovato
Ni 8,30 8,22
S 18,14 18,24
N 15,85 15,70
Tetrationato idrato di cobalto-esametilentetrammina.
C0SL0 RES Ho0e 26 Nidi,
Prismi rosei. Questo composto è solubile allo stato solido nei due com-
posti precedenti.
Calcolato Trovato
Co 8,33 8,31
S 18,12 18,45
N 15,84 To,z1
Chimica. — Sugli alogenomercurati (*). Nota di F. CALZOLARI
e U. TAGLIAVINI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN.
Lo studio dei complessi che il mercurio bivalente forma in soluzione
con gli ioni-alogeni fu oggetto di numerose ricerche fisico-chimiche. Si ese-
guirono, a tal uopo, determinazioni crioscopiche ed gine misure
di conducibilità, di forza elettromotrice, di solubilità ecc.
I risultati ottenuti da tali ricerche non sono ancora decisivi, nè del
tutto concordanti. In base ad essi si può soltanto affermare che i tipi degli
alogenomercurati esistenti in soluzione sono in generale molto semplici.
Sembra che su di essi abbia influenza la natura dell’alogenuro alcalino sciolto
con l’alogenuro mercurico. Le Blanc e Noyes (*) riconobbero che nelle soluzioni
di NaCl e HgCl» esiste il composto [HgCl,] Nas, mentre nelle soluzioni
(1) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica dell’Università di Ferrara diretto dal
prof. G. A. Barbieri.
(°) Z. Physik. Chem., 6 (1890), 390.
RenpicontI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 118
— 926 —
corrispondenti di KCl e HgCl, sarebbero legati al mercurio più di quattro
atomi di cloro. Secondo Benrath (') si formerebbe il composto [HgCl,] K,.
Iander (?) ammette nelle soluzioni degli alogenomercurati l’esistenza di
anioni HgX3 e Sherrill (*) ritiene probabile, nelle soluzioni concentrate,
l'esistenza di alogenomercurati contenenti più molecole di alogenuro mercurico.
Noi abbiamo pensato che qualche indicazione, sullo stato in soluzione
degli alogenomercurati, si sarebbe potuto avere, isolando alcuni di questi
sali, dalle loro soluzioni, sotto forma di composti di addizione con l’esameti-
lentetrammina, cioè applicando ad essi il metodo trovato da G. A. Barbieri (‘)
per i polisolfuri di calcio.
Abbiamo eseguito in proposito alcune esperienze orientatrici, e i risultati
che abbiamo ottenuto e che esponiamo in questa Nota ci sembrano non senza
interesse.
Gli alogenomercurati che si prestarono per le nostre ricerche furono
quelli di litio, di magnesio, di manganese, di cobalto e di nickel. I loro
composti di addizione con l’esametilentetrammina si ottengono con grande
facilità; sono poco solubili, magnificamente cristallizzati, stabili all’aria.
Essi differiscono quindi notevolmente dai sali idrati corrispondenti, i quali.
sono tutti di preparazione difficile, perchè estremamente solubili ed igroscopici.
Dalle soluzioni di cloruro mercurico e cloruro di litio, e da quelle di
bromuro mercurico e bromuro di litio non è possibile ottenere, per evapo-
razione, composti cristallizzati, mentre da esse, con l’esametilentetrammina,
sì ottengono facilmente ì seguenti composti di addizione:
2 LiCl . HgCl, .8H;0.2CN,H:
2 LiBr. HgBrs.8H:0.2 HH»
Da una soluzione contenente joduro mercurico e joduro di litio e avente
la densità 3,28, Duboin (*) ha ottenuto, dopo tre mesi, una sostanza cristal-
lina fortemente igroscopica avente la formula 2 Lil . HgI,.8H:0.
Noi abbiamo trovato che il composto di addizione del jodomereurato
di litio con l’esametilentetrammina corrisponde perfettamente a quello del
cloro- e a quello del bromo-mercurato, perchè ha la formula
Zini. Hgl, .8 H.0 192 CeN His .
(*) Z. Anorg. Chem., 58 (1908), 258.
(?) Z. Elektrochem., 8 (1902), 688.
(*) Z. Physik. Chem., 43 (1903), 705.
(4) Rendiconti Accad. Lineei, 1914, II, 8 (1914).
(5) Ann. Chim. Phys., 16 (1909), pag. 258.
Nella letteratura sono descritti i seguenti alogenomercurati di magnesio:
MgCl. .3HgCl, .6 H:0
MgCl.. HgCl,.6H:0
MgI. . Hgl: .9H,0
MgI, .2HgI, .7H.0
Con l’esametilentetrammina gli alogenomercurati di magnesio dànno i
seguenti composti
MgCl. .2HgCl, .10H,0.2CN,H:
MgBr. . 2 HgBr:. 10H:0.2C;NH:
MgI. .2HgI, .10H:;0.2CNHs
Mgl. . Hgl, .10H,0.2GNH»
Secondo Bonsdorff (') il cloruro mercurico si combina col cloruro di man-
ganese, e il bromuro mercurico col bromuro di manganese, ma non si cono-
scono le formule di tali composti. Dal Duboin (?) sono stati preparati i
seguenti jodomercurati di manganese
MnI;.2HgI,. 6H,0
3 MnI, .5 HgI.. 20H,0
Noi abbiamo trovato che i composti di addizione degli alogenomercu-
rati di manganese con l'esametilentetrammina corrispondono perfettamente
a quelli di magnesio, come risulta dalle formule
MnCl, .2 HgCl, .10H:0.2CN,Ha
MnBr, .2HgBr,.10H:0.2CNH>
Mnl, .2HgI, .10H,0.2GN,H,;
Mnl, . Hgl, .10H,0.2CN;jH,;
Degli alogenomereurati di nickel e di cobalto si conoscono con sicurezza
soltanto i seguenti jodomercurati descritti da Dobrosserdoff (*)
Nil,.2Hgl, .6H.0
Nil;. Hgl, .6H,0
Col, .2HgI, .6H;0
Col,. HgI, .6H.0
(1) Pogg. Ann. /7 (1829), 133.
(*) Comptes rendus, 142 (1906), 1339.
(*) Z. russ. phys. Ges. 23, pag. 303. — C. Blatt (1901), II, 332.
— 928 —
L'esametilentetrammina dà cogli alogenomercurati di nickel e di cobalto
i seguenti composti di addizione:
NiCl, .2 HgCl; .10HE,0 .2CGNHg
CoCl, . 2 HgCl, . 10H,0 .2CN,Hs
NiBr, .2 HgBr, . 10H:0 .2C0N4Hi:
CoBrs. 2 HgBr» .10H0.2CgNjHs
Nil, . Hgl, .10H,0.2CN,H
Col, . Hgl, .10H:0.2C6NjHs
Nei composti di addizione da noi finora ottenuti ci sembra degno di
rilievo:
1° la loro regolarità di composizione; tutti contengono due molecole
di esametilentetrammina e dieci molecole di acqua, ad eccezione dei composti
dal litio che ne contengono otto.
2° gli alogenomercurati isolati sotto forma di composti di addizione
appartengono ai tipi più semplici
[HgX; ]Me! [HgX,]Me}
Nei cloro- e nei bromo-mercurati di magnesio, manganese, cobalto e
nickel si riscontra, con l’esametilentetrammina, soltanto il primo tipo: negli
iodomercurati di nickel e cobalto e negli alogenomercurati di litio soltanto
il secondo: negli iodomercurati di magnesio e manganese tanto il primo che
il secondo tipo.
Parte sperimentale.
ALOGENOMERCURATI DI LITIO-ESAMETILENTETRAMMINA.
Cloromercurato di litio-esametilentetrammina.
2 LiCl . HgCl,.8Hs0.20NHs.
A una soluzione molto concentrata di cloruro di litio (8 mol.) e cloruro
mercurico (1 mol.) venne aggiunta una soluzione pure concentratissima di
esametilentetrammina (4 mol.). Dopo alcune ore cominciarono a depositarsi cri-
stalli incolori, trasparenti, inalterabili all'aria. Dall'acqua vengono decomposti
con formazione del composto di addizione insolubile 2 HgC1,. CsN4H1».H30 (!).
Caleolato Li 1,77 CI) LAT N 14,36
Trovato i Io ” 17,90 » 14,47
(!) Grutzner, Archiv. d. Pharm., 236, 370.
(3) In tutti gli alogenomercurati gli alogeni vennero determinati col metodo Volhard,
previa eliminazione del mercurio, con alluminio, in soluzione alcalina per potassa caustica.
— 929 —
Bromomercurato di litio-esametilentetrammina.
2L1iBr. HgBr; O 8H.0 2, CeN His :
‘ Si ottennero cristalli ben formati lasciando evaporare lentamente una
soluzione contenente HgBr, (1 mol.), LiBr (4 mol.), CsN4H1s (4 mol.). Grossi
cristalli prismatici incolori, inalterabili all'aria. Dall'acqua vengono decomposti.
Calcolato Li: 1,44 Bi 833195 N 11,68
Trovato » 1646 » 33,60 n 11,60
Iodomercurato di litio-esametilentetrammina.
2 Lil . HgI,.8H:0.2CN;His..
Venne preparato come il precedente composto di bromo. Cristalli tra-
sparenti, lievissimamente giallognoli, inalterabili all'aria, non deliquescenti.
Con acqua si comportano come i precedenti composti di bromo e cloro.
Calcolato Li 1,21 I 44.28 N 9,76
Trovato » 1,20 » 43,84 » 9,73
ALOGENOMERCURATI DI MAGNESIO-ESAMETILENTETRAMMINA.
Cloromercurato di magnesio-esametilentetrammina.
MgCl, .2HgCl,.10H,0.2C;NH:.
Si deposita da una soluzione concentrata contenente MgCl, (1 mol.),
KCI (8 mol.), HgCl; (2 mol.), CoN,H» (2 mol.) in forma di cristalli pris-
matici incolori, trasparenti, stabili all'aria. È solubile senza alterazione nelle
soluzioni concentrate dei cloruri alcalini; dall'acqua pura viene decomposto.
Calcolato Mg 2,21 Cl 19,38 N 10,21
Trovato » 2,23 n 19,32 2
Bromomercurato di magnesio-esametilentetrammina.
MgBr. 2, HgBr» .10 H:0 .2 CEN» .
Si ottenne da una soluzione concentrata di MgSO, (1 mol.), NaBr (8 mol.),
HgBr. (2 mol.) alla quale si aggiunse CsN4H,: (2 mol.) pure in soluzione
concentrata. Cristalli prismatici incolori del tutto simili a quelli del com-
posto precedente.
Calcolato Mg 1,78 Br 35,15 Ni (9,21
Trovato ” 1,96 » 35,09 » 7,94
— 930 —
IJodomercurati di magnesio-esametilentetrammina.
In 140cc. di acqua si sciolsero 5 gr. di MgS0,.7H:0, gr. 9,0 di
Hg! e gr. 12 di Nal; poi sì aggiunsero gr. 5,6 di CoN4Hi» sciolti in 60 cc.
di acqua; si depositò subito una polvere cristallina lievissimamente gialla
che venne tosto separata per filtrazione e seccata tra carta da filtro. All’ana-
lisi diede risultati concordanti colla formula MgI,.HgI,.10H:0.2CN,H..
Calcolato Mg 2,03 I 42,55 N 9,38
Trovato » 1,96 » 42,95 x 013%
Dall'acqua madre per lenta evaporazione si depositò in cristalli prisma-
tici, incolori, splendenti il composto MgI..2HgI,.10H,0.2CN;H,; ana-
logo al cloro- e bromo-mercurato su descritti.
Calcolato Mg 1,47 I 45,94 N 6,76
Trovato » 1,48 » 45,80 200 00
ALOGENOMERCURATI DI MANGANESE-ESAMETILENTETRAMMINA.
Vennero ottenuti in modo perfettamente analogo a quello descritto per
i composti di magnesio ai quali rassomigliano nell'aspetto e nelle proprietà.
Cloromercurato di manganese-esametilentetrammina.
MnCl . 2 HgCl, .10 H,0 IO, CeN.His DI
Cristalli prismatici incolori trasparenti.
Calcolato Mn 4,87 Cl 18,88 N 9,93
Trovato ” 4,91 ». 193 » 9,69
Bromomercurato di manganese-esametilentetrammina.
MnBry 2 HgBr» .10 H.0 S02, CoN4Hi: .
Calcolato Mn 3,94 Br 34,40 N 8,03
Trovato , 3,90 » 34,64 » 7,95
Iodomercurati di manganese-esametilentetrammina.
MoI, . HgI, .10H:0.2C;NH,».
Calcolato Mn 4,49 I 41,51 N 9,15
Trovato » 4,98 » 41,71 » 9,20
MnI, .2HgI,.10H,0.2CNH.
— 931 —
Prismi incolori trasparenti, che però si alterano lentamente all'aria
diventando bruni.
Calcolato Mn 3,27 I 45,88 N 6,68
Trovato » 3,30 » 45,16 » 6,57
ALOGENOMERCURATI DI COBALTO-ESAMETILENTETRAMMINA.
Anche questi composti vennero preparati come quelli di magnesio.
Mentre tanto col magnesio che col manganese si ottennero due jodomercu-
rati, col cobalto se ne ottenne sempre uno solo anche variando molto le
condizioni di preparazione.
Cloromercurato di cobalto-esametilentetrammina.
CoCl, .2HgCl,.10H:0.2CNH.
Prismi rosei che si possono ottenere della lunghezza di qualche centi-
metro.
Calcolato Co 5,20 Cl 18,79 N 9,90
Trovato » 5,23 » 18,43 » 9,74
Bromomercurato di cobalto-esametilentetrammina.
CoBr» «d HgBr: .10 H:0 .2 CeN,H;» .
Cristalli simili a quelli del composto precedente.
Calcolato Co 4,21 Br 34,26 N 8,01
Trovato » 4,15 » 34,14 » 7,99
IJodomercurato di cobalto-esametzilentetrammina.
Col. . HgI,.10H,0.2CN,H..
Cristalli rossi, stabili all’aria.
Calcolato Co 4,80 I 41,88 N 9,13
Trovato » 4,88 » 41,40 » 9,04
ALOGENO MERCURATI DI NICKEL-ESAMETILENTETRAMMINA.
Le condizioni di preparazione, le proprietà di questi composti sono ana-
loghe a quelle dei composti di cobalto dai quali non ne differiscono che nel
colore.
— 932 —
Cloromercurato di nickel-esametilentetrammina.
NiC]l,.2HgCl,.10H.0.2CN,Hs.
Prismi verdi.
Calcolato Ni 5,18 Cl 18,78 N 9,89
Trovato » 5,26 » 18,50 » 9,72
Bromomercurato di nickel-esametilentetrammina.
NiBr, 12 HgBrs .10 H,0 ..8 CsN4His .
Calcolato Ni 4,19 Br 34,27 N 8,01
Trovato » 4,19 231055 » 7,88
Iodomercurato di nickel-esametilentetrammina.
Nil, . HgI;.10H,0.2CNjH.
Cristallini verdi, trasparenti, inalterabili all'aria.
Calcolato Ni 4,78 I 41,38 N 9,12
Trovato » 4,92 ’ 41,47 » 9,06
Chimica-fisica. — Sul potere elettromotore delle amalgame
di magnesio ('). Nota di Livio CAMBI, presentata dal Socio R. NASINI.
Per le amalgame di magnesio ho compiuto ricerche analoghe a quelle
descritte precedentemente per il calcio.
I solventi adoperati erano gli stessi delle coppie ad amalgame di calcio.
Il cloruro di magnesio anidro venne preparato col metodo di Hempel (?).
Ottenni lo ioduro anidro dal composto con l'etere, preparato seguendo B.N. Meu-
schutkin (*). I dispositivi usati per le misure in questo caso erano in tutto
simili a quelli descritti per le amalgame di calcio.
Le amalgame di magnesio vennero preparate e trattate, prima della mi-
sura, nel modo già esposto a proposito delle ricerche termiche (*).
(') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Elettrochimica del R. Istituto tecnico supe-
riore di Milano.
(?) Berichte, 1888, pag. 260.
(3) Zeit. anorg. Chemie, 49 (1906), 207.
(4) Cambi e Speroni, questi Rendiconti, 1915, I, 734.
— 933 —
III. Forze elettromotrici in alcool metilico.
— Mg, Hguoo-n | Mg C1, 0,35 M | Mg Cl, 0,35 M, Hge Cl, | Hg
— 80°
|
Mg °/ | Mg°/ | Mg°/ | Mg°/o
N. in in E. M. En N. in in F. E. M. EN
peso atomi | peso atomi
TRONI 1 — 1,224 | — 1,007 | 10 | 4,71, 29 — 1,895 | — 1,678
| |
2) 0,64 5 — 1,722 | — 1,505 | 11 | 4,94 30 — 1,898 | — 1,681
3 | 1,32 10 — 1,774 | —1,557 | 12 | 5,37 32 — 1,939 | — 1,722
4 | 1,93 14 — 1,782; — 1,565 | 13 | 5,87 34 — 1,988 | — 1,721
5 | 2,58 18. | — 1,864 | —1,647 | 14 6,36 | 36 — 1,910 | — 1,693
6 | 3,11 21 — 1,825 | — 1,608 | 15 | 6,86 ! 88 — 1,930 | — 1,713
Tal \0:3548 23 — 1,826 | — 1,609 | 16 | 7,40 40 — 1,982 | — 1,715
8 | 3,88 25 — 1,860 | —1,643 | 17 | 9,02 | 45 — 1,950 | — 1,733
9 | 4,27 2 fr: OLO 01,608 E _ _
Tensione del magnesio:
— Mg ' Mg Cl, 0,35 M | Mg C1. 0,35 M, Hg. Cl. | Hg temp. | F. E M. | En
Magnesio in lastra, non amalgamato —- 80°| — 1,702 _
” ” AMMALO AMEALO MRI N ” — 2,048 | — 1881
” in cilindro N ri. SIA: ” — 2,023 | — 1 806
” ” O i e a + 15°] — 2,056 | — 1,802
I valori «a vennero calcolati analogamente a quelli delle amalgame di
calcio, in base alle determinazioni seguenti :
\ F. E. M.
25° 0,0335 V.
757
0,0710 »
Le amalgame dal n. 5 in avanti della tabella III mostrarono un com-
portamento fra loro consimile. Durante le misure della tensione, questa sì ele-
vava gradatamente fino a raggiungere il massimo valore riportato, che in
generale si mantenne costante per 6-10 ore.
Andamento analogo si ebbe per il magnesio: il valore riportato si man-
tenne quasi costante per 4-5 ore. Nella coppia a magnesio misurata a 15°,
si notava un rapido sviluppo di idrogeno e formazione di alcoolato.I valori
+ Hg | Hgo Cla 3
— Hg | Hgs Cla, Mg CI, 0,35 M | KC10,0269M, Mg Ci, 065 Ml
Hgs Cl» | Hg +
25°
—-80°
&n (25°) = + 0,254
En ( = 80).=+0,217
RexDpICONTI. 1915, Vol. XXIV. 1° Sem. 119
— 934 —
massimi e più costanti li ottenni con magnesio amalgamato, preparato ri-
scaldando al rosso il metallo in presenza di vapori di mercurio. Il magnesio
amalgamato è assai più attivo a reagire, a temperatura ambiente, del ma-
gnesio non amalgamato; ed è probabile che la tensione più bassa, presentata
da quest’ultimo, si debba ad un fenomeno di passività.
IV. Forze elettromotrici în piridina.
— Mg, Hguoo-n | Mg I: 0,038 M | AgN0 0,1 M | Ag
25°
Mg % | Mg°/ |
N. in atomi Tdi, | N. in atomi To ak
1 5 | — 1,684 7 25 — 1,848
2 10 — 1,672 8 27 — 1,858
3 14 —- 1,690 9 29 — 1,826
4 18 — 1,720 10 32 — 1,758
5) 21 — 1,704 10 34 — 1,578
6 8 — 1,845 12 8 — 1,584
Tensione del magnesio:
— Mg | Mg Is 0,088 M | Ag NO, 0,1 M : Ag a 25°:
Magnesio non amalgamato F.E.M=— 1,474 dopo 8 ore 1,320
” amalgamato ” = — 1,440
Il contegno delle amalgame di magnesio nella soluzione piridica di
ioduro di magnesio si mostrò assai anormale. Le amalgame fino a circa 30
atomi si mostrarono simili, nel comportamento, a quelle di calcio; le ten-
sioni variarono soltanto lentamente. Invece le amalgame oltre questa con-
centrazione, contrariamente a quanto doveva osservarsi, mostrarono una ten-
sione inferiore ed incostante al massimo grado, fenomeno che si accentua
nel magnesio che mi fornì in molteplici prove sempre tensioni inferiori a
quelle delle amalgame.
Questo fenomeno sembra dovuto ad una passività del magnesio in piri-
dina. È da notarsi che, come le amalgame di calcio, le amalgame di ma-
gnesio si ricoprivano, a lungo, di uno strato bruno di sostanza insolubile in
piridina.
Nel seguente diagramma la curva III è data dai valori s1 a — 80° delle
amalgame di magnesio in alcool metilico; la curva IV segue le f. e. m. delle
coppie in piridiua.
La curva [III mostra un gomito a circa 30 °/, atomi di magnesio; ciò si
accorda con l’analisi termica che ha condotto al solo composto MgHg.. Lo
spostamento da 33 °/ a 30 °/, atomi del flesso è forse dovuto ad una incom-
pleta formazione del composto MgHg: (a 169°).
— 935 —
Nella curva delle tensioni in piridina si rende nuovamente manifesta
l'influenza dei fenomeni di passività cui ho più sopra accennato; dal suo
andamento appare come questi fenomeni siano in relazione con la costitu-
zione della lega.
VW
= SI
70 20 29 07) 4o doo Ng
Riassumendo, dalla media delle f. e. m. delle coppie ad amalgame di
magnesio dai 18°/, ai 30 °/ atomi di magnesio, per il composto MgHg, e
per il magnesio abbiamo, in alcool metilico a — 80°,
— Mg Hg; | Mg C1, 0,35 M | MgCl20,85 M, Hg» CI, | Hg=— 1,851 V.; da cui en = — 1,684
—Mg ” ” » = — 2,035 ” — 1,818
In piridina a 25°:
Msg Hg, | Mg 10,038 M | Ag NO, 0,1M | Ag= — 1,844 V.
Fra magnesio ed MgHgs sussisterebbe quindi, a — 80°, una differenza
di 0,184 Volta.
Debbo osservare, a proposito della tensione del magnesio in alcool me-
tilico, quale risulta dalle mie esperienze, — 1,82 (sx), che questo valore è
assai superiore a quello finora adottato, — 1,59 ('). Quest'ultimo dato, del
resto, appariva assai basso rispetto al calore di formazione dei composti alo-
genati del magnesio. E giova tener presente poi che nell'acqua e nei solventi
ossidrilati si hanno fenomeni di depolarizzazione con i metalli fortemente elet-
troaffini, dovuta alla decomposizione, operata da essi, del solvente.
CONCLUSIONI.
1) Dalle ricerche su esposte risulta l'influenza del solvente sulla ten-
sione dei metalli puri non solo, ma anche delle loro amalgame. Specialmente
nel magnesio e per le sue amalgame in piridina si presentano fenomeni di
(1) Kistiakowsky, Z. Elektr. 19 (1908). Tensione in soluzione acquosa di solfato di
magnesio : — Mg | MgS0,0,5.M; e4=— 1,59 (18°). Ricordo che a 15° in alcool metilico
ho determinato il potenziale (eu) dell’elettrodo — Mg | MgCla 0,85 M =— 1,802.
— 936 —
passività che non si manifestano, o si manifestano in grado minore, nell'alcool
metilico.
2) Dal confronto delle tensioni delle amalgame di magnesio con quelle
di calcio, e dei due metalli, risulta:
Mg — 1,82 V; Ca — 1,98 (en a — 80° in alcool metilico: Mg C1» 0,35 M ; Ca Cl, 0,25 M)
Mg Hg. 1,63; Ca Hgst 1,60 ” ”
Mg Hg: — 1,84; Ca Hg. 1,82 (e 25° in piridina: MgI: 0,038 M; Ca I: 0,0093 M.
Rispetto all’elettrodo, in piridina, Ag | AgNO; 0,1 M).
La tensione del composto di magnesio è superiore, per quanto in piccolo
grado, a quella del composto del calcio, pure essendo le due soluzioni dei
sali di magnesio più concentrate delle due corrispondenti di calcio. Vi sa-
rebbe quindi un'inversione nell’ordine delle tensioni, passando dai due me-
talli ai loro composti che l'analisi termica ci indica come i più ricchi in
mercurio che ci presentano rispettivamente i due metalli. Questo fatto ri-
chiama quanto altri autori avevano osservato sulla tensione di alcune amal-
game in rapporto alle tensioni dei metalli corrispondenti (*).
Da quanto precede si giustificano le ricerche che sto compiendo, sia sul
calore di formazione delle amalgame di cui mi sono occupato, sia sulle ten-
sioni dei composti presentati da altre leghe dei metalli alcalini ed alcalino-
terrosi.
Chimica. — Anidridi e amine da acidi a amidati (*). Nota II
di F. GRAZIANI, presentata dal Corrispondente L. BALBIANO.
In una Nota precedente (3) ho riferito i risultati ottenuti dallo studio
del comportamento di alcuni acidi e-amidati, riscaldati con glicerina o con
idrocarburi : ed ho dimostrato come sia valida la tesi del prof. Balbiano,
che cioè per l’anidrificazione non è necessario l'intervento della glicerina.
Espongo qui i dati sperimentali ottenuti colla leucina, colla tirosina e colla
cistina, dati che mi hanno permesso di trarre le conclusioni già esposte.
Leucina. — La leucina usata per queste ricerche era un prodotto sin-
tetico della Ditta C. A. F. Kablbaum: ben cristallizzata in fogliette bianche,
fondeva a 287°.
Avendo fatto, come il Maillard, il riscaldamento colla glicerina, osservai
durante tutta la reazione sviluppo di vapori ammoniacali. Dalla massa glicerica
(') Cohen e Kettemteil, Z. anorg. Ch. 38 (1904), 198; Kettemteil, ibidem. 213.
(*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica organica del R. Politecnico di
‘l'orino.
(#) Questi Rendiconti, 1915, I, pag. 822.
— 937 —
raffreddata si possono raccogliere degli aghetti colorati in bruniccio. nella quan-
tità di gr. 0,34 (invece di gr. 0 86, quale sarebbe il calcolato per la ciclo-leucil-
leucina: si ha cioè un rendimento, in prodotto greggio, di solo il 89 °/, del teo-
rico, assai inferiore quindi a quello ottenuto coll'alanina. Il Maillard non porta
alcun dato in proposito). Cristallizzati dall'alcool, si hanno dei begli aghetti
bianchi, lucenti, che fondono a 268° (non corr.; il Maillard dà come P. F.
Ide toorh.):
In una prima prova di riscaldamento con difenilmetano, gr. 1 di leu-
cina e cc. 15 dell'idrocarburo vennero portati alla temperatura di 172° in
mezz'ora, e tra 172° e 180° mantenuti per 8 ore: dopo questo tempo il
liquido è giallo carico, e contiene ancora circa la metà (gr. 0,44) di leu-
cina inalterata, che si libera dal difenilmetano lavando con benzolo bollente.
Avendo però estratto 3 volte questo residuo solido con piccole quantità di
alcool perfettamente anidro, per evaporazione del solvente ho avuto un re-
siduo di aghetti bianchi, finissimi, all'aspetto identici a quelli dell'anidride,
e fondenti a 262°-263°: la quantità però è minima (gr. 0,01), e nelle prove
successive non sono più riuscito ad ottenerne nemmeno tracce: non ho po-
tuto perciò accertare la formazione di ciclo-leucil-leucina.
Durante il riscaldamento, nella parte del tubo esterna alla stufa si è
andato formando un deposito bianco cristallino, in gr. 0,52: è solubilissimo
nell’acqua, e dà forte effervescenza con acido cloridrico; non è altro che car-
bonato di isoamilamina: (')
CHa
CH,
CHi
CH-CH,-CH, NH, + €03 .
3
CH-CH,CH-COOH —
|
NH;
Avendo in un’altra prova introdotto il tubo nella stufa già portata a
100°, e poi riscaldato per 40 minuti fino a raggiungere i 245°, la rendita in
carbonato dell’amina fu di gr. 0,85. In altre prove successive ho sperimen-
tato a temperature meno elevate, per vedere se ciò eventualmente favorisse
la formazione dell'anidride: ma il risultato fu negativo, e non ho ottenuto
che un minore rendimento in amina: e ciò pel fatto che, prolungandosi assai
il tempo di reazione, il carbonato di isoamilamina si decompone, ed essa
volatilizza. Così ad es. avendo riscaldato per circa 9 ore senza oltrepassare
i 190°, si ottennero gr. 0,70 di carbonato di isoamilamina; questo si ridusse
a gr. 0,36 in un’altra prova, in cui avevo mantenuto il tubo per 14 ore
a 160°-165°; e infine in un riscaldamento complessivo di 45 ore a 150°-160°,
non si ha affatto deposito di carbonato dell'amina, che man mano che si
forma si decompone e volatilizza: alla fine della reazione vi sono ancora
gr. 0,18 di leucina indecomposta.
(*) Quest’amina fu ottenuta dallo Schwanert (Lieb. Ann. 102, 225) per distillazione
secca della leucina: ma l’ Autore non dà il rendimento della reazione,
— 933 —
Tutte le porzioni di carbonato di isoamilamina vengono trasformate in
cloridrato, e questo purificato per cristallizzazione dall'acqua: si presenta
in mammelloncini bianchi, costituiti da minutissimi aghi. Viene poi trasfor-
mato nel cloroplatinato, che cristallizza in fogliette giallo-oro.
gr. 0,1700 del cloroplatinato, calcinati, diedero gr. 0,0570 di Pt.
gr. 0,3060 » ’ diedero ce. 12,9 di N, letti su KOH a 18° e 732mm,
Trovato Calcolato
per (Cs Kane NH:.HC])) 2iPT (O)
Pro 069355 33,41
N°/ 4,67 4,79
Tirosina. (!) — La tirosina adoperata proveniva dall’ idrolisi dello
scudo della tartaruga: il prodotto era ben cristallizzato, e all’analisi s'era
dimostrato assai puro.
Per mezzo del riscaldamento colla glicerina mi è stato possibile iso-
‘lare e identificare un'anidride della tirosina: e l'intervallo di temperatura
a ciò più favorevole è quello fra 180° e 185°.
Gr. 1 di tirosina sospesi in cc. 15 di glicerina, furono riscaldati per 8 ore
a 170°180°. Il liquido è assai imbrunito, ma perfettamente limpido: anche
mantenuto per 24 ore a 0°, non sì separa nulla di solido: si diluisce allora
con 3-4 volumi di acqua, si lascia in riposo per 24 ore, poi si raccoglie
su filtro il precipitato bruno formatosi: lavato ripetutamente con acqua fredda
e seccato a 100°, il residuo è di gr. 0,43.
In una seconda prova il riscaldamento si fece per 4 ore a 175°-185°;
il prodotto secco, ottenuto collo stesso trattamento del precedente, è di
gr. 0,61.
I prodotti delle due preparazioni (totale gr. 0,94) vengono riuniti ed
esauriti per ebollizione con alcool assoluto: rimane indisciolto un residuo
polverulento, dell'aspetto dell'anidride cornea della glicocolla, costituito forse
da un'anidride complessa della tirosina; ammonta a gr. 0,27 (circa il 29 °/,
del prodotto totale di anidrificazione); nell’alcool si sono sciolti gr. 0,67
(circa il 71°/,), che ripetutamente cristallizzati dall'alcool si presentano in
(') Prendo occasione di questa pubblicazione del dott. Graziani per comunicare che
da tre anni in questo laboratorio si stanno facendo colla sua collaborazione studî d'idro-
lisi di tessuti animali organizzati, mediante acidi diluiti. Abbiamo intrapreso lo studio
dello scudo della tartaruga, della lana e delle scaglie di alcune varietà di pesci. Dalla
tartaruga si è avuto notevoli quantità di tirosina, di glicocolla, di valina e di altri acidi
amidati. Dalla lana il prodotto principale finora isolato è la cistina in quantità notevole
(7,2°/o). Speriamo di potere nel prossimo anno pubblicare nelle Memorie di questa Acca-
demia i risultati dettagliati delle nostre ricerche.
L. BALBIANO.
— 939 —
begli aghi bianchi disposti a rosette: sono costituiti da un'anidride della
tirosina (*), (COOH 1 03N — H.0)x.
Durante il riscaldamento della tirosina colla glicerina i vapori reagi-
vano costantemente alcalino, ed era distintissimo l'odore ammoniacale e fem-
cale proprio dell’ossifenil-etilamina: aumentando la temperatura di riscal-
damento aumenta la loro formazione. Avendo riscaldato gr. 2 di tirosina con
cc. 20 di glicerina per 2 ore a 185°-195°. si svolsero abbondanti vapori di
amina: e per distillazione a pressione ridotta (16-18 mm.) a circa 210° del
prodotto solido separato, si ottenne nel tubo adduttore un lieve deposito solido
dell'amina.
Questa aumentò ancora introducendo il tubo nella stufa a 200°, e man-
tenendovelo per mezz'ora fino a raggiungere i 230°; il prodotto solido fu
di soli gr. 0,35, ma maggiore fu la quantità di ossifenil-etilamina.
Le diverse porzioni di anidride, riunite e ricristallizzate dall’alcool, si
presentano in aghetti bianchi disposti a rosette, di lucentezza sericea: il
prodotto fonde a 278°-279° (non corr.) senza decomposizione, con leggero
imbrunimento che incomincia già verso i 260°.
gr. 0,1858 diedero gr. 0,4506 di CO, e gr. 0,0937 di H,0.
Trovato Calcolato per (Cs Hs Os N)e
C °/o 66,14 66,22
H iS 5,60 5,56
Se come mezzo moderatore del calore si adopera difenilmetano invece di
glicerina, la reazione va nel senso della formazione di ossifenil-etilamina : ma
per ottenere un buon rendimento occorre che la temperatura sia superiore
ai 210°. Infatti in una prima prova, in cuì si riscaldò per più di 40 ore
. raggiungendo solo i 210°, si ebbe decomposizione della tirosina con abbon-
dante residuo carbonioso, e non si potè raccogliere che pochissima amina.
In prove successive, riscaldando a temperature più elevate, si è sempre
formato nella parte fredda del tubo un piccolo deposito cristallino, solubile
in acqua, che sviluppa CO. se trattato con acido cloridrico, e che l’analisi
dimostrò essere carbonato di ossifenil-etilamina. Ma questa cristallizza in
grande quantità, dal difenilmetano, nel raffreddamento: sì presenta in
fogliette lucenti, di aspetto micaceo, assai soffici. Il miglior rendimento in
amina (gr. 0,72, cioè il 96°/, del teorico, che col poco sublimato come car-
(') Anidridi della tirosina non sono finora note. Soltanto il Lòw (Ber. d. d. chem.
Gesell. /5, 1483), da un latte conservato per 8 anni, ottenne un deposito solido, in glo-
betti duri, insolubili in acqua bollente e in alcool, e che bolliti con potassa caustica
davano tirosina: l’autore suppone si tratti di un’anidride della tirosina. Per l’aspetto e
pel comportamento è diverso dal composto da me ottenuto puro: se mai potrà essere lo
stesso prodotto che ho constatato formarsi accanto a quello analizzato, e che è precisa-
mente insolubile in alcool e in acqua.
— 940 —
bonato sale al 97 °/,) l'ottenni introducendo il tubo nella stufa già riscal-
data a 245°, e a questa temperatura mantenendovelo per 2 ore e !/,. A tem-
perature più basse la rendita è assai minore: riscaldato per 10 ore a 215°-
225° si ebbero solo gr. 0,45 di amina.
L'ossifenil-etilamina non si riesce a purificarla per cristallizzazione dal-
l’aleool: anche dopo 5 operazioni, sempre con ebollizione con carbone ani-
male, era leggermente colorata e fondeva a 158°-159°. Si purifica invece
bene per distillazione a pressione ridotta: a 55"" bolle a 210°-212°, e il
distillato perfettamente incoloro si rapprende nel tubo collettore in una massa
cristallina bianchissima.
Avendo dovuto di nuovo fonderlo per raccoglierlo, è leggermente im-
brunito: è tuttavia abbastanza puro, e fonde senza decomposizione a 161° (1).
gr. 0,2062 di sostanza, diedero gr. 0,5312 di CO; e gr. 0,1474 di H, 0.
gr. 0,1848 ” , » cc. 16,2diN, lettisu KOHa 17° e 748mm,
Trovato Calcolato
per HOCH,.CHs.CHs NHs
C°/ 70,25 70,02
H°/, 7,94 8,08
N94 9590 10,21
I piccoli errori di analisi sono da attribuirsi alla leggera decomposizione
avvenuta nella fusione del composto.
Come ho detto, in tutte le preparazioni si aveva un piccolo sublimato
di carbonato dell'amina: si sciolse in acido cloridrico, e si fece il cloropla-
tinato che cristallizza in fogliette giallo aranciate.
gr. 0,1586, calcinati, lasciarono un residuo di gr. 0,0448 di Pt.
Trovato Calcolato
per (HOC; Ha 3 CHs ò CHs NH; ò HC1) ?Pt C14
Pt°/, 28,84 28,53
Cistina. — La cistina adoperata, prodotto dell’idrolisi della lana,
sì presentava in polvere, cristallina bianca, che a 250°-255° imbrunisce
senza fondere: all'analisi si mostrava assai pura: il potere rotatorio è di
[a] = — 213°, 62.
Gr. 0,5 di cistina, sospesi in ce. 10 di glicerina, vengono riscaldati len-
tamente: a 130° incomincia già la decomposizione con sviluppo di idrogeno
solforato: a 165° è intensamente colorato in bruno; mantenuto mezz’ora &
165°-170°, si lascia poi raffreddare.
(1) L'ossifenil-etilamina fu ottenuta da Schmitt u. Nasse (Lieb. Ann. 133, 214), ri-
scaldando la tirosina, in piccolissime quantità (pochi cgr.) a 270°: la base sublimava
sulle pareti fredde del tubo in una crosta bianca cristallina: P. F. 161°-163°.
— 9l —
Sulle pareti fredde del tubo si è formato un deposito cristallino non
molto abbondante, bianco-giallastro, solubile in parte nell'acqua, con residuo
gialio che ho potuto identificare per solfo (è solubile in solfuro di carbonio;
brucia con fiamma azzurrognola e formazione di SO»): la parte sciolta dà
con acido cloridrico sviluppo di CO, e formazione di cloruro di ammonio,
nella quantità di gr. 0,06.
La parte glicerica, liberata per filtrazione dal residuo carbonioso, fu
sottoposta a diversissimi trattamenti: ma ogni tentativo per isolare qualche
composto definito è riuscito vano.
In altre prove, variando qualche poco le condizioni di temperatura, si
ottennero sempre risultati analoghi.
Adoperando il difenilmetano, occorre una temperatura più elevata (sopra
i 180°) e un maggior tempo di riscaldamento, perchè avvenga la decompo-
sizione: ma in queste condizioni essa è assai completa. Come colla glice-
rina, nelle parti fredde del tubo si ha sempre deposito di solfo e di car-
bonato di ammonio (fino a gr. 0,11 da gr. 0,5 di cistina). Inoltre si ha
abbondante sviluppo di acido solfidrico: avendo fatto gorsogliare i vapori
in una soluzione di acetato di piombo, ho potuto verificare che fino il 42 °/y
dello solfo totale della cistina si elimina sotto forma di HyS. Dal difenil-
metano si è sempre separata una polvere nero-bruna, nella quantità di
gr. 0,06-0,07 da gr. 0,5 di cistina, che in parte si scieglie in ammoniaca
riprecipitando con acido acetico: è una piccola quantità di cistina inalterata.
Il residuo, ripetutamente lavato con ammoniaca, contiene ancora in grande
quantità azoto e solfo: ma in alcun modo mi è riuscito di purificarlo, pure
essendo in parte solubile in alcool.
Il cloruro d'ammonio, ottenuto per soluzione in acido cloridrico del car-
bonato sublimato, viene purificato per cristallizzazione dall'acqua: determi-
nato il cloro col metodo di Volhard, gr. 0,1436 di sostanza richiesero ce. 26,5
di soluzione N/,1g di AgNO,.
Trovato Calcolato per NH, CI
C1°/, 65,39 66,28
L'errore piuttosto rimarchevole è dovuto probabilmente a piccole quan-
tità di un'amina che sì trova mescolata al eloruro d'ammonio: il composto
ha infatti permanentemente un odore caratteristico, e trattato con potassa
caustica dà un lievissimo precipitato: ma per la poca sostanza a disposi-
zione non mi è stato possibile isolarla.
RenpicontI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 120
— 942 —
Chimica. — Azzone della luce su benzofenone ed acido butir-
rico (*). Nota di R. pe Fazi, presentata dal Socio E. PATERNÒ.
Il prof. Paternò, come ha accennato in questi Rendiconti (*), ha dato
a me l’incarico di studiare i prodotti che si formano, per azione della luce,
su una mescolanza di benzofenone ed acido butirrico normale.
Il 10 febbraio 1915, fu aperto un tubo che era stato esposto alla luce
dal 28 giugno 1909 al 10 aprile 1910, contenente 80 gr. di acido butir-
rico normale e 50 gr. di benzofenone.
Nell'aprire il tubo si è notato svolgimento di gas, che ha continuato
per qualche minuto, e che si è riconosciuto per anidride carbonica.
Il liquido è di colore giallo arancio intenso; la sostanza solida depo-
sitatasi al fondo del tubo è di colore giallo sporco; filtrata alla pompa e
disseccata, pesa gr. 19, e così impura fonde a 170-176°. Dall’alcool bol-
lente si deposita cristallizzata in prismi, che fondono a 184-186°: si tratta
quindi di benzopinacone.
Il liquido, dopo aggiunta di una soluzione di carbonato di potassio,
fino a reazione alcalina (si è inteso un forte odore di frutta) si è estratto
con etere. Distillato, il solvente rimane un olio leggero, di odore caratteri-
stico, che il prof. Paternò ha riconosciuto per butirrato di propile (5).
Le acque, dopo estratte con etere, si acidificano con HCl diluito. In
fondo al recipiente si deposita una sostanza rossa vischiosa (gr. 11). Le
acque madri, dopo un giorno, sono ancora lattiginose, ma estratte con etere
lasciano poche gocce di residuo oleoso.
Con una piccola porzione di questo acido così impuro, si fa il sale
d’argento, e si analizza:
sostanza gr. 0,0473 Ag gr. 0,0133 Ag °/, 28,11.
Per il butirrato d'argento (C4H,0: Ag) si calcola Ag °/, 55,38.
Per un composto di 1 mol. di butirrato d'argento + 1 molec. di ben-
zofenone (C,,1H703 Ag) si calcola Ag °/ 28,65.
Circa 5 gr. di questo acido, così oleoso, si fa bollire con acqua di barite,
ma non si discioglie che una piccolissima porzione.
La soluzione acidificata con HCI. diluito, deposita poche gocce oleose,
che hanno odore di acido butirrico.
(') Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma.
(2) Paternò, questi Rendiconti. 24 (1), 674 (1915).
(3) Paternò, loc. cit.
— 943 —
La parte indisciolta si fa bollire con pochissimo alcool, ma soltanto una
piccola parte si discioglie. La porzione indisciolta in acqua di barite e in
alcool, si tratta con carbonato sodico. La soluzione filtrata si acidifica
con HCl diluito. Precipita una sostanza di colore giallo mattone, che sì rac-
coglie su filtro e si lava molto bene con acqua. Dopo averla disseccata in
essiccatore per due giorni, se ne determina il punto di fusione: a 120° inco-
mineia a diventare rossa e a 130° circa si. fonde in una goccia oleosa
rossa.
Questo acido si analizza :
Sostanza gr. 0,2044 , CO, gr. 0,5531 , Hs0 gr. 0,1196
Donde °/, :
Trovato Calcolato per 1 molec. di ac. butirrico
+ 1 molec. di benzofenone (C,7 H180;)
C 73,44 75,6
H 6,66 6,51
Con una porzione dell'acido così purificato sì fa il sale d’argento; si fa
disseccare e si analizza :
sostanza gr. 0,0955 Ag gr. 0,0276.
Donde °/;:
Trovato Calcolato per Ci7H1: 03 Ag
Ag 28,90 28,065
Il rimanente degli 11 gr. di acido greggio si discioglie in acqua con
qualche goccia d'ammoniaca. Quindi si aggiunge nitrato d'argento. Precipita
così il sale d’argento in fiocchi gelatinosi di colore giallo bruno. Si lascia
in essiccatore, nel vuoto, per 5 giorni.
Una determinazione d’argento, non avendo dato buoni risultati, si puri-
fica questo sale lasciandolo per 1 giorno in presenza di alcool etilico a
freddo. Si filtra e si lava bene con alcool; questo passa colorato in giallo
pallido; e distillato rimangono poche gocce di un olio di colore rosso bruno,
con odore di acido butirrico.
Il sale d’argento, così purificato, si dissecca nel vuoto, in presenza di
acido solforico, poi a 100° fino a peso costante e si analizza:
sostanza gr. 0,18548 Ag gr. 0,0552
sostanza gr. 0,2361 CO» gr. 0,4681 H.0 gr. 0,0937
Donde °/,:
Trovato Calcolato per C,:H1:0; Ag
Ag 28,79 28,65
C 54,07 54,10
H 4,44 4,50
— 944 —
Il medesimo sale d'argento (circa gr. 1,22), si tiene in sospensione in
pochi c. c. di alcool e si aggiungono poi c. c. 7 di HC1 N/2.
Dopo aver riscaldato a b. m. per 1 ora circa, si deposita il cloruro di
argento. Si lascia ancora a b. m. per 1 ora, poi si filtra. Tl liquido filtrato
è di colore giallo bruno, e per aggiunta di acqua precipita una sostanza del
medesimo colore. Le acque madri anche dopo 8 giorni sono lattiginose. Si
estrae tutto con etere, e si distilla poi il solvente: rimane allora un olio di
colore rosso bruno, che dopo qualche giorno è ancora semi-solido. Si discioglie
tutto in poca ammoniaca e si estrae nuovamente con etere. La soluzione
ammoniacale, dopo aver scacciato l'etere, si acidifica con HC] diluito. Pre-
cipita una sostanza di colore giallo mattone, che si filtra e si lava bene con
acqua. Sono dei cristalli non ben definiti e frantumati, che a 75° incomin-
eiano a colorarsi in giallo arancio, e a 125-180° fondono in un liquido di
colore rosso.
L'acido, così purificato, è solubile in alcol etilico e metilico, benzolo e
cloroformio. In H, SO, concentrato si discioglie colorando la soluzione in
rosso.
Dai risultati analitici ottenuti e dai fatti osservati posso concludere che
il benzofenone e l'acido butirrico normale, hanno dato luogo a due reazioni
ben distinte:
1°) formazione di butirrato di propile, con la quale si spiega la pre-
senza di anidride carbonica e la formazione di benzopinacone;
2°) sintesi di un acido per addizione di una molecola di benzofenone
con una di acido butirrico.
Già Paternò e Chieffi (') avevano avuto formazione di un ossiacido da
una reazione analoga; e cioè da benzofenone ced acido fenil-acetico avevano
ottenuto l'acido f#-trifenil-lattico, secondo lo schema seguente:
CeH; (G20f CeHy CeHs
| | 708 |.
CONICA, ep
| | | |
CH; COOH CsH; COOH
È molto probabile quindi che tra acido butirrico e benzofenone sia avve-
nuta una reazione simile.
In questo caso però è possibile la formazione di tre composti a seconda
che il legame tra il CO del benzofenone ed un carbonio dell'acido butirrico,
è in posizione @, f 0 y, rispetto al carbossile, secondo lo schema seguente:
(') Paternò e Chieffl, Gazz. Chim. Ital., 40 (2), 323 (1910).
C:H5 (GETS
|
CO CH;
| >
OSH (HB
COOH
CH; CH;
|
| OMR. CH; C,H;
708 | Conai | 0Ho0 i Ì :
—>l0—_-CH C————_—__C 0_—_C,-CH,_CH,_C00H
| |
CoH: COOH | CH CH;
La formazione del primo poteva sembrare la più probabile, ma essendo
riuscito in questi giorni a fare la sintesi appunto dell'acido « etil-8-difenil-
lattico, posso affermare fin da ora che non è identico a questo, poichè ha
punto di fusione e proprietà diverse: presto renderò noti i risultati di queste
esperienze che ho ancora in corso.
La formula terza non è da escludersi completamente, ma è difficile che
si sia formato un acido di questo tipo, perchè in queste sintesi il gruppo
CH; reagisce molto difficilmente, così, per es., se si espongono alla luce ben-
zofenone ed acido acetico, si ottengono i prodotti inalterati (').
È quindi molto probabile che l'acido che ho descritto, ottenuto per
azione della luce sopra una mescolanza di benzofenone e acido butirrico nor-
male, abbia la formula II, sia cioè l'acido p-metil-y-ossi-y-difenil-bu-
tirrico.
(1) Paternò © Chieffi, Gazz. Chim. Ital., 40 (2), 322 (1910).
— 946 —
Chimica-fisica. — Sugli equilibriù dell’idrogenazione. Nota di
M. Papoa e B. Foresti, presentata dal Socio G. CIAMICIAN.
In una nostra Nota precedente (*) abbiamo studiato i due equilibri
3CH; CHOH CH; +4- C Hg = CsH;s + 3CH3 CO CH;
CH; CHOH CH; + C, H; CO C:Hy- = CH; CHOH C, H; 4 CH; CO CH;
in presenza di catalizzatori, ne abbiamo determinate le costanti e le ab-
biamo confrontate con i valori ricavati teoricamente, applicando il teorema
di Nernst. i
Per il calcolo delle costanti chimiche delle sostanze che costituivano
i nostri equilibrii, ci siamo limitati ad adoperare la formula in funzione del
rapporto di Trouton e proposta dallo stesso Nernst.
Con tal metodo risultò l'accordo fra l’esperienza e la teoria.
Le costanti chimiche si sarebbero potute calcolare anche in altre ma-
niere con opportuna combinazione di queste due formule proposte da Nernst:
ào n ST
(1) lgp=— qg7jg 15 b8Tt qa tl
(2) 2=(A,4+3.5T—- 6719) (1-2)
0
dove & è la differenza dei calori molecolari del gas e del condensato allo
zero assoluto; p è la tensione di vapore della sostanza considerata alla tem-
peratura assoluta T; 4, il calore di vaporizzaziane allo zero assoluto; 770 la
pressione critica; 4 il calore di vaporizzazione alla temperatura T.
(1) Questi Rendiconti, XXIII (1914), 2° sem., pag. 84.
Approfittiamo dell’occasione per correggere alcuni errori sfuggiti nella stampa:
errato corretto
pag. 85, 2% equazione ga DI mihi lopli= I.
Sai e; 4,571T 2 4,571T
3 RE e H 8 Se H
» 6, ultima equazione K—= da isopr. Cel K—= Pane tenia isopr. Peet
Pacet. Pogtg Pacet. Peg g
» 89, riga 12 Q=107 Q= — 0,7
” ” » 18 log Ire=V0c log Ne 000
» n» 20 loe.K = 0,832 e K,.= 2,15 log K,=0,3226 e K1=2,10
— 947 —
Ma, non conoscendosi le pressioni critiche e i calori di vaporizzazione di
alcune delle nostre sostanze, non abbiamo potuto calcolare le costanti anche
in questa seconda maniera. Il confronto non sarebbe stato privo d'interesse,
date le divergenze già messe in rilievo da C. F. Miindel ('), tra i valori
delle costanti che sì ottengono adoperando l'uno o l'altro metodo di calcolo.
Ora, in un lavoro di U. Grassi (*), resosi noto alcun tempo dopo la
nostra pubblicazione citata, nel quale egli si occupa di queste stesse diver-
genze fra i valori delle costanti chimiche, troviamo determinati sperimen-
talmente i calori dî vaporizzazione e le pressioni critiche di alcune sostanze :
fra queste, il dietilchetone e l’alcool isopropilico.
Ma se con questo abbiamo il valore delle costanti chimiche del dietil-
chetone e dell'alcool isopropilico, manca ancora il modo di calcolare le co-
stanti chimiche dei nostri equilibri, mancando le costanti che si riferiscono
al cicloesano e al dietilcarbinolo. Tuttavia abbiamo creduto di poter calcolare,
con sufficiente approssimazione per i nostri scopi, le costanti ancora ignote,
ammettendo l’uguaglianza del rapporto fra le due costanti di due sostanze
analoghe, calcolate secondo la formula di Trouton, al rapporto fra le costanti
delle stesse sostanze, calcolate con le formule (1) e (2). Così, essendo
3,39:3,71 il rapporto delle costanti del dietilcarbinolo e dell'alcool isopro-
pilico (dalla formula di Trouton), abbiamo creduto di poterlo uguagliare al
rapporto fra la costante incognita del dietilcarbinolo e quella dell’alcool
isopropilico, dedotta dalle formule (1) e (2).
Così abbiamo potuto raccogliere nella seguente tabella le costanti cal-
colate nei due modi; abbiamo inoltre creduto bene calcolare le costanti
anche per mezzo della formula di Trouton corretta in funzione della tem-
peratura assoluta di ebollizione (C=1,331 log T—0,00098 T, dove T è
la temperatura assoluta di ebollizione) (*).
SOSTANZE COSTANTI CHIMICHE
dalle for. (1) e (2) dalla cost. dalla cost.
di Trouton di Trouton corretta
Alcool isopropilico . 4,94 3,71 3,044
Acetone. +. + +. +. 9,74 3,08 3,025
Dietilcarbinolo . . . 4,51 3,59 (4) 3,068
Dietilchetone. . . . 4,54 2,92 3,056
Benzolo. ie ha 4,37 2,9 3,043
Cicloesano. . . . . 4,30 2,85 3,043
In base ai dati di questa tabella si possono così calcolare le costanti
di equilibrio, ottenendo tre serie di valori a seconda che risulta la somma-
(') Zeitschr. fiir Physik. Chemie, 1914, pag. 435.
(?) Nuovo Cimento (6), VII, 1, 313.
(3) Nernst, l'heoretische Chemie (1912), 279.
(4) Media delle due costanti già calcolate nella Nota precedente.
— 948 —
toria delle costanti dell'una o dell'altra colonna. In questa seconda tabella
raccogliamo le XvC con le costanti di equilibrio corrispondenti calcolate e
trovate.
xyC 20 xyC
EQUILIBRIO dalle for. K cale. dal rapp. K cale. dal rapp. K cale. K trov.
(1) e (2) di Trouton di Trout. cor.
Alc. isoprop., benzolo,
cicloesano, acetone . 3,67 21,13 1,94 0,394 1,057 0,0515 0,28
Ale. isoprop., dietilchet., 38,3 | 3,26 I 2,30 Î 3,45
dietilcarb., acetone. . 1,23 na (') 0,012 ii
Da un confronto dei varî valori di K, appare subito come il calcolo
di questi in base a ZvC ricavata dalle formule (1) e (2) porti a risultati
discordanti da quelli sperimentali. Anche in questo caso (*) eli errori do-
vuti all'esperienza non sembrano poter esser causa di discordanze così
notevoli. Queste divengono assai più piccole quando le XvC sì calcolano in
base al rapporto di Trouton, o in base all’equazione in funzione della tem-
peratura assoluta di ebollizione.
Queste nostre osservazioni ci confermano nell’idea che il calcolo delle
costanti chimiche non permetta colle formule finora proposte di giungere a
risultati molto precisi, massime quando si tratti di processi a bassa tonalità
termica.
Chimica-fisica. — Sopra alcune nuove relazioni che servono
a calcolare la frequenza nel moto vibratorio molecolare dei solidi.
Nota del prof. STEFANO PAGLIANI, presentata dal Corrispondente
IL. BALBIANO.
In una Nota precedente (*) ho dimostrato come si possa calcolare la fre-
quenza nel moto vibratorio molecolare di un elemento allo stato solido me-
diante il valore dell'entropia alla sua temperatura di fusione, ed ho calcolato
i valori di v per 26 corpi semplici.
Si potrà quindi, mediante le relazioni ed i coefficienti indicati nella
detta Nota, dedurre v per corpi, di cui ho calcolata l'entropia, ma non si
hanno i dati sperimentali richiesti dalla formola di Lindemann
sf
mV ls
(') Le coppie di questi valori si ottengono a seconda che si consideri l’effetto ter-
mico = — 0,7, oppure = — 0,5.
(8) Nuovo Cimento, loc. cit.
(3) Questi Rendiconti, pag. 855,
— 949 —
Così, applicando il coefficiente dei metalleidi, si ottiene per il cloro
v= 1,6 X 10°? e per il bromo v= 1,1 X10°?.
I valori da me calcolati per il cloro 1,6 X 10"? e per il potassio 1,7 X 10!*
trovano una prima conferma in quello dell'argo, per il quale O. Sackur (')
avrebbe calcolato il valore 1,3 X 10"?. D'altra parte Ramsay e Travers dimo-
strarono doversi collocare l’argo fra CI e K nel sistema periodico. Difatti
abbiamo :
Cloro. . . . m=85,46 v=1,6X10!?
ATTO > . e 39,88 Leo 055
Potassio . . . 39,1 1,7 X 10"!
Confrontando le frequenze dei componenti di un composto binario con
quella di questo, ho trovato che per composti binari di analoga costituzione
come KCL,KBr, NaCl, KI, il rapporto fra la frequenza del composto e la
somma delle frequenze specifiche dei componenti è pressochè costante, cosicchè
(Ges
si può calcolare la frequenza di un eomposto binario moltiplicando per
la somma delle frequenze dei suoi componenti.
Ho potuto verificare detta relazione valendomi dei valori delle frequenze
dei detti quattro sali. le sole state finora determinate direttamente mediante
misure ottiche. Sono quelli stessi valori, che hanno servito al Nernst per la
verifica della formola dei calori specifici di Nernst e Lindemann, in cui ha
trovato in generale valori così concordanti da non lasciar dubbio sulla iden-
tità completa delle frequenze termiche e ottiche (*).
Rubens e Hollnagel (*) trovarono per il cloruro di potassio due valori
delle lunghezze d'onda dei raggi residui, cui corrispondono i due valori di
vX 107°: 4,78 e 4,18 medio 4,48. Dai miei valori delle frequenze 1,7 X 10°
per il K, e 16 X10"'* per il Cl, si calcola colla suenunciata relazione per
KC1 v= 4,4 X 10"'?, risultato quasi coincidente con quello determinato diret-
tamente. Colla suddetta formola di Lindemann (‘), assumendo il coefficiente
= 4,23 X 10°?, quale risultò dalle misure ottiche per la silvina, si calcole-
rebbe 4,7 X 10!*, coll’altra, contenente la costante dielettrica 5,3 X 10"?
Così pure Rubens e Hollnagel ottennero per il bromuro di potassio il
valor medio: 3,6 X 10"?. Dai miei valori 1,7 X 10!* per K e 1,1 X 10"? per
Br si calcola per KBr: 3,7 X 10"*; valore pure quasi coincidente con quello
trovato sperimentalmente. Colla prima formola di Lindemann si calcolerebbe
MAO
(1) Ann. d. Physik, 40 (1913).
(3) W. Nernst, Application de la théorie des quanta à divers problèmes physico-
chimiques. Nei Rapports et Discussions di Bruxelles (1911).
(#) Phil. Mag. Mai (1910). Sitzungsber. Preuss. Akad., 26 (1910).
(*) Physik. Zeits., // (1910).
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 121
— 950 —
Per il joduro di potassio colle misure ottiche si è trovato: v = 3,10
X 10??. Dai miei valori 1,7 X 10°° per il K, e 1,1X10!° peril J, si cal-
cola per KI 3,7 X 10'?, valore pure concordante con quello trovato.
Per il cloruro di sodio le stesse misure ottiche hanno dato i due valori
5,4 X 101° e 6,3 X 104, medio 5,9 X 10"?. Dai miei valori 2,9 X 10!* per
il Na e 1,6 X10!° per il CI, si calcola per NaCl 6,1 X 10!?, valore con-
cordante col medio trovato.
Colla prima delle formole di Lindemann si calcolerebbe 6,0 X 10°, colla
seconda 9,7 X 10??,
L'accordo fra i valori calcolati e quelli sperimentali è così soddisfa-
cente che non si può cousiderare come dovuto soltanto al ‘caso. Potremo
quindi usare, almeno per i sali aloidi, la seguente espressione per calcolare
la frequenza v di un composto binario mediante le frequenze dei compo-
nenti rv) e vy:
v
vb ve
edo:
ni
Credo interessante far notare che la somma delle due frequenze v, e ve
dei componenti risulta così essere la media aritmetica fra la frequenza del
composto e quella che ne differisce di un'ottava.
Secondo il Nernst si dovrebbe ammettere in KCI ed in NaCl la stessa
frequenza per l'atomo metallico e per l'atomo alogeno, e cioè ugual fre-
quenza per Na, K e CI. In realtà solo le frequenze specifiche di K e Cl
si possono considerare come ugnali. Si verifica piuttosto che il rapporto fra
il valore medio delle frequenze specifiche dei componenti e la frequenza del
composto, in ciascuno dei sali omologhi KC1,KBr, KI, NaCl è pressochè
Vate, ; . 4°
costante, ed uguale al rapporto medio 2 per i metalli alcalini.
Non si possono stabilire dei raffronti per altri composti posti perchè
mancano i dati sperimentali, nè posso farlo per i sali, per i quali Nernst
ha verificato le formole dei calori specifici, poichè, come egli stesso afferma (),
per i corpi composti e specialmente per quelli polimeri le formole da lui
impiegate per il calcolo, come anche quelle di Pollitzer, devono essere con-
siderate soltanto come formole di interpolazione; e le frequenze, che in esse
sono assunte, non hanno significato fisico. Per talune sostanze poi, come
i cloruri e ioduri di argento, di piombo, è stato necessario introdurre più
frequenze.
Potremo confrontare i valori medii dai calcolati dalle diverse espres-
sioni date nella Nota precedente, con quelli assunti dal Nernst per i me-
talli nella sua verifica della formola di Nernst e Lindemann, supponendo
(*) Ann. d. Physik., 36 (1911).
— 951 —
come fa l' Einstein ('), che il vero valore della frequenza specifica di un
corpo sia dato dalla media aritmetica dei valori della frequenza dedotta dalla
formola di Nernst e Lindemann e di quella che ne differisce di un'ottava,
cioè da i Il raffronto è fatto nello specchietto seguente :
VENA ta SA ei medio
dalla formola di N. L. °
Ame e eso BI 3,6
Aldi a 1 89 6,3 6,7
Cie e E6:6 DÒ 5,5
Paget: ac sca 4 9 1,4 1,5
Jibggio oso #2,0 15 [es
Dio 3 1 48 3,6 3,5
Aggiungiamo che Einstein, mediante la sua espressione della frequenza
in funzione del coefficiente atomico, della densità e del coefficiente di com-
pressibilità, ha calcolato per la frequenza del rame v= 5,7 X 10"°, concor-
dante col suddetto valore medio.
Come si vede abbiamo un accordo soddisfacente fra i valori delle ultime
due colonne.
Il Nernst poi nello stabilire le frequenze da assumere fece talune ipo-
tesi solo in parte confermate dai valori delle frequenze, sopra ottenuti. Così
nel HgCl suppone che le frequenze dei due atomi siano molto differenti;
ciò non è confermato dai valori delle frequenze di Hg e di Cl, che stanno nel
)
1,6
come l'atomo di piombo, ed il jone cloro come l'atomo di rame; invero
rapporto Suppone invece che il jone mercurio oscilli presso a poco
abbiamo per i due primi corpi il rapporto fra le frequenze Ti poco dif-
ferente dall'unità, ed invece per gli altri due °, molto differente dalla
unità. |
Del resto risulta che in generale l’applicazione delle formole di Einstein
e di Nernst e Lindemann è alquanto arbitraria. Difatti Nernst e Lindemann
stessi (*), volendo venire a qualche conclusione sulla costituzione dei corpi
solidi, li distinguono in due categorie; quelli i cui calori atomici si possono
calcolare bene colla loro formola o anche meglio con quella di Debye (3),
e quelli per i quali si deve applicare una somma di espressioni di quella
forma, ma con diversi valori della frequenza, in modo che si verifichi la
(1) Ivi, 35 (1911).
(*) Sitzungsber. Preuss. Akad., 1912, pag. 1160.
(3) Ann. d. Phys., 392 (1912).
— 952 —
condizione che ad alte temperature sia soddisfatta la legge di Dulong e
Petit. Nella prima categoria entrerebbero i corpi semplici, i metalli special-
mente, ma anche il carbonio allo stato di diamante; nella seconda i metal-
loidi, come zolfo ed il carbonio allo stato di grafite, ed i corpi composti.
Per cui si ammette che nel primo caso si abbia a fare con corpi mono-
atomici, nel secondo con corpi poliatomici.
La stessa formola di Debye è fondata sopra un concetto, che differisce
da quello originale di Einstein in ciò che, invece di un unico numero di
vibrazioni dell'atomo, si ammette tutto uno spettro di vibrazioni specifiche,
il quale però è costituito da un numero finito di linee. Ma anche l' Einstein (?)
venne nel concetto che le oscillazioni termiche degli atomi siano molto lungi
dall'essere monocromatiche.
Nelle premesse della teoria del Debye entra una sola costante neces-
saria; la frequenza limite vm, la quale entra nella definizione di una tem-
peratura caratteristica 0, rilegata col calore specifico di ciascun corpo dalla
legge seguente. Se si considera la temperatura T come un multiplo della
detta temperatura caratteristica 0, il calore specifico per tutti i eorpi mono-
LÀ
MELI: : ; T
atomici è una funzione universale del rapporto di La detta temperatura
Ton SE. h i ,
caratteristica sarebbe definita da 0 = cn Pm, in cui, secondo Paschen-
L
Gerlach
h, quanto di azione = 7,10 X 107? erg sec.
k, costante di Boltzmann = 1,47 X 107° erg.
e quindi f = 4,83 X 107.
S. Ratnowsky (*), appoggiandosi sulla detta teoria giunse per via ana-
litica alla conseguenza che l'entropia è una funzione universale del rap-
porto 3 ossia di TE
Ora se si confronta il valore di v, per ciascuro dei 16 metalli, per i
quali Debye e Ratnowsky hanno dato la temperatura 0, col valpre di v,
medio dei valori dedotti dalle diverse espressioni, indicate nella mia prece-
dente Nota, nelle quali si ammetteva una sola frequenza od al più due fre-
quenze, differenti fra loro di un’ottava, si trova che il rapporto —* non è
v
costante per tutti i corpi. Però per metalli affini si trovano valori molto
prossimi. Così per Fe, Ni, 1,65 e 1,66; per Na e K 1,38 e 1,47; per
Cu, Ag, Au rispettivamente 1,23, 1,22, 1,26, e medio dei 16 rapporti, 1,34.
Cosicchè, se non sì tratta di un caso, vm = ‘/3 v. Cosicchè, siccome da 0= 76
(') Rapports et discussions, Bruxelles, 1911.
(*) Ber. Deuts. Phys. Gesells., 1914,
— 953 —
pet il rubidio si deduce v,= 1,5, così ne risulta v= 1,0, valore che sta
in ordine cogli altri dei metalli alcalini, essendo per Rb, m=85,4.
Infine nel dedurre il calore atomico a pressione costante da quello a
volume costante, come nella formola di Magnus e Lindemann. si introduce
un coefficiente della temperatura determinato, empiricamente, che rende anche
più arbitraria l'applicazione delle formole relative.
Quindi anche piuttosto arbitraria si presenta l'applicazione delle for-
mole, nelle quali la frequenza nei corpi composti si deduce dalla relazione
indicata da Lindemann ('), che la frequenza di un elemento in una combi-
i i T,
nazione si possa calcolare coll'espressione v, = ” | T.° dove v, è la fre-
quenza nota sia allo stato elementare, sia in un'altra combinazione, e T, e T,
sarebbero le temperature di fusione dello elemento libero e dell'uno o del-
l’altro composto. A tale proposito faccio notare che la espressione data dal
Planck (*), della entropia di un corpo solido, la quale conduce alla stessa
conseguenza, cui sono sopra arrivato, che cioè l'entropia varia nei diversi
corpi nello stesso senso che la frequenza, è fondata sulla ipotesi, ammessa
dalla teoria di Einstein, che la frequenza delle vibrazioni degli atomi di un
solido sia indipendente dalla temperatura e dal volume. e che la loro energia
sia un multiplo intero di un quanto elementare di energia, come si è già
sopra accennato. D'altra parte il principio stesso, su cui è fondata la espres-
sione fondamentale del Lindemann, porta ad ammettere che esso non sia
applicabile a rigore che ad una sola temperatura, quella di fusione del corpo,
caratterizzata dalla condizione che le ampiezze di oscillazione degli atomi
raggiungano l'ordine di grandezza delle distanze interatomiche.
L. Rolla (*) ha tentato di applicare la suddetta relazione fra le fre-
quenze e le temperature di fusione per calcolare approssimativamente la
affinità del zolfo per alcuni metalli, però ha dovuto introdurre una frequenza
atomica media per lo zolfo del tutto arbitraria: 8,8 X 10!*; che corrisponde-
rebbe ad una molecola triatomica, stando alla frequenza specifica, sopra tro-
vata per l'atomo di zolfo. Ora tutti i risultati sperimentali ed anche i re-
centi studî dl Beckmann (‘) tendono a dimostrare che le molecole poliato-
miche di zolfo contengono sempre un numero pari di atomi di zolfo, per
qualunque intervallo di temperatura. |
Si può d'altronde dimostrare che anche per i composti la frequenza del
moto vibratorio molecolare è proporzionale alla entropia dell'unità di massa
(*) Discussione sul Rapporto di Nernst, loc. cit.
(*) Planck, Warmestrahlung-Vorles. uber Thermodynamik, 1911; 0. Sackur, Lehr-
buch der Thermochemie u. Thermodynamik, 1912.
(?) Gazz. Chim. ital., 43 (1913); / Quanti di energia ed il principio di Nernst.
Pisa, 1914.
(4) Sitzungsber. Preuss. Akad., 1913, pag. 886.
— 954 —
alia temperatura di fusione, e che il coefficiente di proporzionalità per sali
omologhi, come KC1l, KBr, NaCl si può considerare come costante e si può
dedurre analogamente a quanto abbiamo fatto per i corpi semplici, mediante
; S 1 SE bps
il rapporto a ed il coefficiente della formola di Lindemann per detti sali.
Esponiamo nello specchietto seguente i dati sperimentali introdotti nei calcoli
ed i risultati ottenuti.
M Ta d Si n E
NaCl 98,4 LO7:ia 2,170 0,687 1,43 0,48
KCI 74,5 1045 1,984 0,493 1,12 0,44
KBr 119,0 1023 2,756 0,340 0,84 0,41
Si
Vediamo subito come anche per questi sali tanto i valori dell’entropia,
quanto quelli del termine 2, vanno diminuendo col crescere dei coefficienti
aj
) S :
molecolari, mentre il rapporto = è pressochè costante, e si può assumere
il valor medio 0,44. Ora Lindemann, come si è già accennato sopra, par-
tendo dalla frequenza specifica della silvina, dedotta dalle misure ottiche
di Rubens e Hollnagel, trovò per il coefficiente della sua nota formola
4,23 X 10!° per i detti sali. Adottando questo coefficiente si ottiene come
fattore di proporzionalità nella mia relazione v= a S; il valore a= 9,6 X 10".
Nello specchietto seguente sono posti a confronto i valori di vw X 107?,
dedotti dalle misure ottiche di Rubens e OI quelli calcolati colla
formola di Lindemann v = 4,23. 10!? VEL
, quelli assunti nella ve-
rifica della formola dei calori specifici di e) e Lindemann, e quelli
dedotti dalle mie espressioni :
v 4
—- —9,6X 10?
1) n 3 e DI gi 045S8
at JBL L. N.L. Bi
1 2
NaCl. . 5,9 6,0 5,9 6,1 6,6
KO 4,7 4,4 4,4 4,8
KBr 3,6 DÒ 3,6 ST LO
Anche per questi sali, come per i corpi semplici, si verifica la relazione
che i valori della frequenza vanno diminuendo col crescere del coefficiente
molecolare, come per l'entropia. Si fa notare che il coefficiente di propor-
zionalità nella relazione fra frequenza ed entropia è uguale a quello trovato
per gli alogeni. Si osserva una buona concordanza anche fra i valori della
frequenza, calcolati mediante l’entropia, e quelli determinati direttamente
colle misure ottiche.
I risultati esposti in questa e nella precedente mia Nota mi sembrano
presentare il particolare interesse di far intravedere delle nuove relazioni fra
la teoria atomistica e la termodinamica classica da una parte, e la moderna
teoria cinetica dei calori specifici e ipotesi dei quanti d'energia dall'altra.
— ‘955 —
Chimica-fisica. — Analisi termica di miscele di idrati e
alogenuri alcalini. IIL:. Composti di sodio (*). Nota di GrusEPPE
SCARPA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN.
In continuazione alle ricerche sperimentali intraprese sullo studio ter-
mico delle miscele di idrati e alogenuri alcalini, riferisco in questa Nota i
risultati tecnici ottenuti, studiando il comportamento ad alta temperatura
dei seguenti sistemi: Na OH-Na FI, Na OH-Na CI, Na OH-Na Br, Na 0H-
Na J, formati dall’idrato di sodio e dai corrispondenti sali alogenati.
Il modo di operare fu identico a quello descritto nella Nota precedente (?) :
la fusione delle miscele veniva fatta in corrente di azoto e in crogiolo di
argento, e la misura dello temperature con una pila argento-nichel. Ri-
guardo l’attaccabilità verso l'argento dell'idrato sodico, si deve notare che
essa è alquanto minore del corrispondente idrato potassico; e l'idrato sodico,
inoltre, è assai stabile alla fusione, cosicchè può venire riscaldato a tempe-
ratura piuttosto elevata, senza subir la minima scomposizione. I prodotti
adoperati provenivano tutti dalla ditta C. Erba di Milano. Per l’idrato so-
dico venne determinata la quantità di carbonato e di acqua che esso conte-
neva. L'analisi eseguita su un prodotto preso da un vaso aperto per la
prima volta, dette i seguenti risultati: Na OH contiene Na OH = 97,46 °/,
NAMCO SI 01 Ho 010901
Nel corso delle esperienze il peso delle varie miscele venne tenuto co-
stantemente eguale a grammi trenta.
Sistema Na OH-Na FI.
Sul punto di fusione e di solidificazione dell’idrato sodico si hanno
dati assai scarsi. Hevesy (*), il quale studiò il comportamento termico degli
idrati alcalini, dà questi punti rispettivamente a 318°,4 e a 2999,5.
Neumann e Bergve (‘) trovavano il punto di solidificazione a 300°. Dalle
mie esperienze questi due punti risultarono rispettivamente a 310° e a 290°.
Per il fluoruro potassico il punto di fusione da me trovato a 1005° è
in ottimo accordo con quello dato da Plato (°) (992°), da Kurnakow e
(®) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova,
diretto dal prof. G. Bruni.
(?) Rend. Accad. Lincei, XXIV, 1° sem., pag. 788.
(*) Zeitschrift f. ph. Chem., 73, 667 (1910).
(4) Zeitschrift f. Elektroch., 9, 271 (1914).
(5) Zeitschr. f. phys. Chem. 58, 364 (1907).
— 956 —
Zemezuzny (*) (997°), differisce da quello trovato da Ruff e Plato (*) (980°),
e da Puschin e Baskow (*) (1040°).
Questi due sali dànno luogo a formazione di cristalli misti con lacuna
di miscibilità.
Si ha quindi, a differenza del sistema KOH-KFL, formazione di due
specie di soluzioni solide.
La curva delle temperature di cristallizzazione primaria si trova in-
termedia ai punti di solidificazione dei due componenti, e presenta un
leggerissimo gomito alla concentrazione di 90 mol. °/, di Na OH. Per le
miscele da 29 a circa 90 mol. °/ di idrato sodico si nota, oltre al primo,
un secondo arresto alla temperatura di 360° circa. Il punto di trasforma-
zione di Na OH, che per l'aggiunta di Na Fl viene leggermente abbassato,
forma col limite delle soluzioni solide di Na FI in KOH, un eutettico, il
quale presenta un massimo di durata a circa 80 mol. °/, di idrato sodico
e si annulla rispettivamente a circa 5 e a 10 mol. °/, di Na OH.
Mentre per le miscele da 5 a 80 mol. °/ di Na OH fu possibile co-
gliere con ogui esattezza la temperatura e la durata dell'arresto eutettico,
per le miscele da 80 a 100 mol, °/, di idrato sodico questo non è possi-
bile, poichè l'arresto dovuto alla trasformazione si confonde con quello eu.
tettico (Vedi tabella I e fig. 1).
TaBELLA I.
pass °/, | Pes °/o Mol. °/o Mol. °/o ATI Tempera- Rerapsra ture Temper. | Temper. Durate
inizio ture fine trasforma-| arresto in
NaOH | NuFI Na0H NaFI cristallizzaz.| I arresto |eristallizzaz. [zione NaOH| eutettico | secondi
00.00] 100.00 | 0000 | 100.00 1005 — — — — _
10.00] 90.00] 10.64 89.54 960 —_ 850 _ — —
20.00 80.00] 20.83 79.17 922 360 — — 260 20
30.00 70.00] 31.12 68.88 885 360 _ _ 260 40
40,00 60.00) 41.)5 58.85 8145 360 — — 263 70
50.00 50.00 |. 51.23 48.77 800 360 — — 263 90
60.00 40.00| 6122 38.72 685 365 340 — 265 120
70.00 30.00] 71.14 28.86 580 565 330 — 265 140
80.00 20.00] 8225 Iiao 430 305 320 270 == =
90.00 10.00| 9036 9.64 365 365 318 280 _ a
95.00 5.00| 95.56 4.44 340 _ 315 285 ssi —
100.00] 00.00 | 100.00 00.00 310 — = 290 —- _
(1) Zeitschr. f. Anorg. Chem. 52, 186 (1907).
(£) Ber. 36, 2363 (1908).
(5) Zeitschr. f. Anorg. Chem. 8/, 849 (1913).
— 957 —
U 10 20 30 49 59 60 70 80 90 100 Db) 10 20 30 40 so 60 70 80 90 109
Na FI. mol.% di Na OH NaOH Ma Cl mol%, di Na OH Na OH
Fic. 1. Fre. 2.
Sistema Na OH-Na CI,
Il punto di fusione di Na Cl giace, secondo le mie esperienze, a 806°.
Esso è in buon accordo con quello dato da White (*) (800°), da Arndt (?)
(805°), da Ruff e Plato (*) (820°), da Hiittner e Tammann (‘) (810°), da
Menge (°?) (803°), da Truthe (°), da Sandonnini (") (806°).
Questo sistema è analogo al precedente: si ha formazione di soluzioni
solide di due specie con lacuna di miscibilità. La curva di cristallizzazione
primaria discende dal punto di fusione del cloruro di sodio a quello del-
l'idrato corrispondente, presentando un gomito assai accentuato alla tempe-
ratura di 350° e alle concentrazione di circa 75 mol. °/, di Na OH.
(*) Zeitschr. f. Anorg. Chem. 69, 305.
(2) Zeitschr. f. Elektroch. 72, 337 (1906).
(3) Ber. deutsch. Ges. 26, 2357 (1903).
(*) Zeitschr. f. Anorg. Chem. 52, 191 (1907).
(5) Zeitschr. Anorg. Ch. 72, 162 (1911).
(5) Zeitschr. Anorg. Ch. 76, 137 (1912).
(*) Rend. Accad. Lincei [5], 20, I, 457 (1911).
RenpIconTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem 192
— 958 —
Il punto di trasformazione dell'idrato sodico viene considerevolmente
abbassato per aggiunta anche di piccole quantità di cloruro sodico e dà luogo,
col limite delle soluzioni di Na Cl in Na OH, alla formazione di un ar-
resto euttico. Questo arresto presenta un massimo di durata a 73 circa
mol. °/, di Na OH, e si annulla rispettivamente a circa 5 e a 100 mol. °/
di idrato sodico.
Dalle curve di raffreddamento non fu possibile cogliere alcun punto
della curva di cristallizzazione che discende dal limite delle soluzioni so-
lide di Na Cl in Na OH. Con ogni probabilità la mancanza di questi ar-
resti è dovuta ad uno sviluppo troppo debole di calore non apprezzabile
praticamente (Vedi fig. 2 e tab. II).
TABELLA II.
Temperature | 1° a-|T t Ti È T . | Durati
ara °/o Peso 9/0 Mok °/o Mol. °/o GUT re empera supera ure emper emper a e
inizio ture fine trasforma-| arresto in
Na0H NaCl Na0H NaCl cristallizzaz. | I arresto |cristallizzaz.|zioneNaOH| eutettico | secondi
" |
00.00) 100.00) 00.00) 100.00 806 - _ 2 — —-
5.00| 95.00| 767) 92.83] 790 — 722 — _ -
10.00 90.00 13.96 86.04 770 948 — _ 145 10
20.00 80.00 26.73 73.27 | 720 350 = -- 150 80
30,00 70.00 38.66 61.34 675 950 -- _ 160 40
40.00 6000|. 49.50 50.50 580 398 _ — 150 70
50.00 50.00) 59.52 40.48) 505 360 985 — | 160 100
60.00 40.00 68.80 81.20 |A 18 360 320 . _ 150 140
70.00 30.00 77.43 22.57) 360 360 318 185 160 80
80.00 20.00 85.10 14.90| 345 945 315 240 | 160 50
90.00 10.00 92.96 07.04| 33 330 DIO 270 155 20
100.00 00.00| 100.00 00.00 810 310 _ 290 _- —
Sistema Na OH-Na Br.
La temperatura di solidificazione di Na Br da me trovato (776°) è in
buon accordo con quella data da molti autori, come Ruff e Plato (loc. cit.)
(775°); Kurnakow Zemezuzny (loc. cit.) (768°); Crae (') (761°).
Come appare dal diagramma di solidificazione questi due sali sono com-
pletamente miscibili allo stato liquido. La curva di cristallizzazione pri-
maria consiste di due rami, i quali dipendono rispettivamente dai punti di
solidificazione di Na Br e di Na OH, e s'intersecano in un punto eutettico
alla temperatura di 260° circa.
Dalia curve di raffreddamento si può dedurre con ogni sicurezza che
non si ha formazione, nemmeno in rapporti assai ristretti, di soluzioni so-
lide, giacchè si osserva in modo evidente l'arresto eutettico anche per le
(1) Ann. phys. (3), 55 (1895).
— 959 —
miscele più ricche di ciascuno dei due componenti. Il punto di trasforma-
zione dell’ idrato sodico si osserva solo per la miscela a 95,74 mol. °/, di
Na OH e si mantiene costante a 290° (Vedi fig. 3 e tab. III).
Sistema Na OH-Na J.
Sul punto di fusione dell’ioduro sodico si trovano dati di diversi au-
tori. Ruff e Plato (loc. cit.) dànno questo punto a 650°, Hiittner e Tam-
mann (loc. cit.) a 664°, Kurnakow e ZemeZuZny (loc. cit.) a 660°. Dalle
mie esperienze esso risulta a 665°.
I dati termici di questi due sali sono raccolti nella tabella IV e nella fig. 4.
Come appare dal diagramma di solidificazione questi due sali dànno
luogo alla formazione di un composto decomponibile.
Dal punto di fusione di Na I, la curva di cristallizzazione primaria
discende regolarmente fino a 65 mol. °/, di idrato sodico dove presenta un
evidente gomito; poi ridiscende e s'interseca col ramo di curva discendente
dal punto di solidificazione di Na OH in un punto eutettico a 220° e a
circa 82° mol. °/, di idrato sodico.
Per le miscele sino a 65 mol. °/ di Na OH, si nota, nelle curve di
raffreddamento, oltre al primo, un secondo arresto alla temperatura di 300°,
il quale assume un massimo di durata a 40 mol. °/ di Na OH.
Questo arresto coincide con la formazione di un composto decomponibile
alla fusione, al quale, con ogni probabilità spetta la formola 2 Na OH . 3 Na J.
L'arresto eutettico, si nota benissimo sulle curve di raffreddamento, an-
che per alcune miscele di concentrazione in ioduro sodico superiore a quelle
corrispondenti al composto. Questo è un caso anormale già spiegato da Tam-
mann (') e già trovato da Sandonnini (?) nei due sistemi Pb I.-Pb Fl, e
KCl-Cu Cl. Esso è dovuto al fatto che la reazione che dà luogo al com-
posto non accade completamente durante il tempo in cui avviene il raf-
freddamento.
Il punto di trasformazione di Na OH si presenta per la miscela a
3 mol. °/, di Na J, praticamente alla stessa temperatura che per l’idrato
sodico puro.
Questo e il netto arresto eutettico anche per le miscele le più ricche
dei due componenti, fanno supporre l'assenza di cristalli misti, o la forma-
zione di essi in limiti assai ristretti.
Concludendo l’idrato di sodio dà:
col flnoruro e col cloruro soluzioni solide di due specie con lacuna
di miscibilità ;
col bromuro formazione di un semplice eutettico ;
coll'ioduro formazione di un composto decomponibile alla \fusione
della probabile formola 2 Na OH . 3 Na J.
(') Zeitschr f. Anorg. Chem. 45 (1905), 24.
(*) Rend. Accad. Lincei [5], 20, I, 172 (1911); [5], 20, I, 457 (1011).
— 960 —
Dal comportamento termico di queste coppie di sali sodici e dai sali
potassici già descritti in una Nota precedente, apparisce chiaramente, che
se si eccettuano i fluoruri i quali, avvicinandosi nel comportamento agli
idrati corrispondenti, sì staccano dagli altri alogenuri, la solubilità allo stato
solido, va gradatamente diminuendo passando dai cloruri, ai bromuri ed agli
ioduri, ossia col diminuire dell'elettroaffinità dell’anione.
Il formarsi poi per i sali di sodio di un semplice entettico per il si-
stema Na OH-Na Br, e di un composto per il sistema Na OH-Na J, a dif-
ferenza dei corrispondenti sali potassici, i quali dànno luogo per il sistema
KOH-KBr, a formazione di soluzioni solide con lacuna di miscibilità, e per
il sistema KOH-KJ a un semplice entettico, è da attribuirsi, con ogni ve-
rosimiglianza, ella minore elettroaffinità del Na+ rispetto a quella del K +.
TABELLA III.
Peso °/o | Peso °/o I Mol. °/o | Mot. °/o Lompprasuzo Temperature USI LORO
inizio arresto in trasformazione
Na0H NaBr Na0H NaBr cristallizzazione eutettico secondi Na0H
00.00) 100.00 0.00) 100.00 765 = SA EI
2.50| 97.50 619 93.81 750 260 20 =
10.00 90.50 22.32 77.68 675 260 40 =
20.00 80.00 40.00 60.00 575 260 70 _
30.00 70.00 52.44 47.56 | 475 260 90 —
40.00 60.00 63.29 36.71 | 395 262 110 _
50.00) 50.00 71.84 28.16? 320 260 lo Dt —
60.00} 40.00] 79.36| 20.64| 260 260 150 | —
70.00 30.00 85.78 14.22 | 275 260 120. | =
80.00 | 20 00) 9091] 9.09 | 290 255 703 21 -
90.00] 10.00 95.74 426! 302 250 20. | 290
100.00; 0.00| 100.00| 00.00; 310 — SEUrA 290
TaBELLA IV.
Temperature| Tempera- | Durate Temper. Durate | Temperature
Peso °/o | Peso °/o | Moi. °/o | Mot. °/o Ni ture in | arresto | in trasforma-
NaHU NaJ Na0H NaJ cristallizzaz.| 1 arresto | secondi | eutettico | secondi | zione Na0H
0.001. ‘100.00| "10,00% 00.001 665 i = E
5.00 95.00 16.8 83.66 615 290 20 — sa DE
10.00 90.00 29.41| 70.59 560 290 40 220 20 —
12.00 85.00 33.77| 66.23 540 295 50 220 30 =
15 00 88.00 40.10) 59.90 505 295 70 220 40 _
20.00 80.00 48.54| 51.46). 480 300 40 220 70 =
“30.00 70.00 61.98) 38.02) 320 300 20
35.00 65.00 67.05) 32.95| 290 — — 225 100
40.00 60.00) 71.45 28.57| 289 = — 225 120
45.00 55.00 75.75 24.25) 260 = — 225 140
50.00 50.00 1951 209] 2835 = — 225 150
60.00 40.00 84.74 15.26 245 = —_ 225 120
70.00 30.00 89.74 10.26 270 = — 220 90
80.00 20.00 93.89 6.1) ‘290 — _ 215 40
90.00 10.00 96.98 8.02 305 = —_ 210 20 285
100.00 00.00 00.00 00.00 | 310 — _ _ — 290
— 961 —
700
600
500
400
300°
200
| Si pot
o 10 20 30 40 50 60 70 80 go 100 o 10 20 30 TTà 50 60 70 so 90 100
Na Br. m%,di Na OH. Na0H. Na È mol.% di Na OH. Na CH.
Fia. 3. Fis. 4
Mineralogia. — Contributo alla mineralogia sarda. Sopra
alcuni interessanti cristalli di baritina. Nota di E. GRILL, pre-
sentata dal Corrisp. FEDERICO MILLOSEVICH.
I campioni di baritina sarda da me studiati provengono da due loca-
lità: dal Piolanas Sud (Iglesias) e dalla miniera Piccalinus (Guspini) già
ricordata per il quarzo studiato in una precedente Nota.
Di quest'ultima località ebbi nn solo esemplare. ma assai interessante,
perchè costituito da cristalli con facce e spigoli arrotondati. Tali cristalli,
assai grandi, translucidi, incolori, sono disposti subparallelamente fra lorv
(senza però dar luogo al fenomeno della « haifung ») sopra una matrice di
quarzo e di pirite.
Nelle parti arrotondate essi hanno assunto una lucentezza speciale,
tendente alla lucentezza grassa, che contrasta con quella vitrea-adamantina
delle facce o porzioni di facce rimaste intatte.
La perfetta specularità di talune facce, nonchè la striatura abbastanza
regolare delle zone arcuate, induce a credere che la causa della curvatura
non sia dovuta a corrosione chimica o meccanica, ma sia piuttosto
congenita.
Nonostante la poca perfezione dei cristalli, è ancora possibile ricono-
scere le forme, le quali sono fra le più comuni della baritina e vi costi-
— 962 —
tuiscono la combinazione: c {001}, m {110}, 4 {102}, 0011}, 5 {010}; ove
il pinacoide orizzontale c {001} è il più sviluppato e conferisce quindi ai
cristalli un abito tabulare, assai meno marcato, però, di quello della bari-
tina che passo ora a descrivere.
Gli esemplari provenienti da Piolanas sud sono in numero di quattro;
uno dei quali è costituito da baritina quasi opaca, biancastra, su diaspro
ocraceo, compatto. I suoi cristalli presentano le caratteristiche zonature di
accrescimento, e sono così fortemente appiattiti secondo c {001} da dar luogo
a vere e proprie lamine, che vanno ancora assottigliandosi ai bordi. In mezzo
alle lamine, disposte come stecche di un ventaglio chiuso, sì osservano nu-
merosissimi altri cristallini, dello stesso minerale, irregolarmente distribuiti,
più lucenti, trasparenti e sempre spiccatamente lamellari.
Le facce limitanti questi due tipi d’individui sono quelle delle forme
più comuni già ricordate, e, nei cristalli maggiori esse sono tanto imperfette,
e rugose da non permettere più le misure angolari.
I tre altri campioni di Piolanas sud sono invece in cristalli perfetti, assai
adatti per le misure goniometriche, più o meno trasparenti, con un colore
giallino dovuto ad ossido di ferro.
In due di questi campioni ì cristalli sono molto grandi e si presen-
tano attaccati alla matrice per l’asse [y] (*), precisamente come quelli di
Vassera (Varese) studiati dall'Artini. Secondo questa direzione essi assumono
la maggiore grandezza lineare che, in taluni, non è meno di 10 mm. L'ha-
bitus è perfettamente tabulare e così marcato che per delle dimensioni oriz-
zontali, medie, di millimetri 5 x 7 si ha sempre uno spessore inferiore ai
2 millimetri.
Il terzo campione è costituito invece da cristalli assai più piccoli,
più chiari, meno appiattiti, ma per contro ancora più marcatamente allun-
gati secondo l'asse []. Essi si presentano fittamente aggruppati fra loro
sopra una matrice baritico-ocracea.
Per quel che riguarda le forme cristalline della baritina di Piolanas
sud, mi limiterò a riportarne l'elenco e le combinazioni, poi che, com'è noto,
la baritina sarda è omai ben conosciuta dal lato" cristallografico dopo gli
(1) Nora. — Seguo l’orientazione cristallografica, più generalmente accettata, ossia
quella di Hauy adottata da Miller, Dana, Striiver, Goldschmidt, secondo la quale la di-
rezione di sfaldatura perfetta coincide con |001} e quella di sfaldatura quasi perfetta col
prisma }110}. Nell’altra orientazione seguìta presentemente ancora dallo Tschermak
(Lehrbuch der Mineralogie, siebente Auf., pag. 660, Wien., 1915) il piano di sfalda-
tura perfetta ha il simbolo {010} e il diametro corrispondente al nostro asse [y] è di-
sposto verticalmente e quindi i cristalli appaiono allungati in quel senso.
— 963 —
studii di G. B. Negri ('), C. Riva (*), F. Millosevich (*), G. D'Achiardi (4)
e.G, Limeio.(°).
Le forme da me osservate sono le seguenti:
a }100f = m }110f = 4 {102} 0 f011} « {111}
bolo == 2 {210} y }122}
ce 100.} = 8 4310}
Il prisma verticale 8 310} è nuovo per i giacimenti sardi ; le altre 9
forme sono tutte note e assai comuni. Queste 10 forme sono associate come
segue :
o: a m od
9a ” I PI » %
3° nn » » db
48 "nn * » @
ga > nn » À
6É » n nno n» 4
72 a vo nonno n Te)
La combinazione di gran lunga più comune, e caratteristica per i cri-
stalli più grossi, è la 3* con 4 sempre assai subordinato.
La baritina di Piolanas sud è quindi poco ricca di forme, relativa-
mente a quella dei filoni di Montevecchio, studiata dal Negri, il quale vi
osservò 22 forme sicuramente determinate, con una bella serie di piramidi
(10). Anche sulla baritina di Piolanas sud ho potuto constatare che le pi-
ramidi < {111} e y 122} compaiono sempre con facce piccolissime, sovente
appena percettibili, ma perfette, piane e lucentissime. Questo fatto è assai
notevole data la discreta frequenza di tali forme e la semplicità del loro
simbolo. Del resto, se si prescinde dalle quattro forme e {001}, 72 }110},
o }011}, d }012}, sempre presenti, si può ben dire che tutte le altre sono
pochissimo sviluppate e sfuggono assai facilmente ad un primo esame.
Anche le facce delle quattro forme predominanti sì presentano sui
cristalli da me studiati molto piane. Non tutte però sono lucenti e quindi
(*) Sopra le forme cristalline della Baritina di Montevecchio (Sardegna) Pane-
bianco. Rivista di mineralogia e cristallog. ital., vol. XII, pag. 3, Padova, an. 1892.
(3) Sopra alcuni minerali di Nebida. Rend. R. Acc. Lincei, vol. XI, 1° sem.,
Roma, an. 1897.
(3) Zolfo ed altri minerali di Malfidano presso Buggerru (Sardegna), ibid.; Ap-
punti di mineralogia sarda (baritina dell’isola di S. Pietro); ibid., vol. IX, 1° sem.,
Roma, an. 1900.
(4) Minerali del Sarrabus (Sardegna), Atti d. Soc. tosc. sc. naturali. Memorie,
vol. XVII, Pisa, an. 1900.
(*) Sulla baritina dello scavo Cungiaus. Miniera di Monteponi (Sardegna), Atti
d. R. Accad, d. sc., vol. XLIV, Torino, an. 1909.
— 964 —
particolarmente appropriate per buone misure goniometriche. Quelle del
prisma fondamentale 7 {110} sono, benchè piane, quasi sempre opache o
su tutta la loro estensione, o almeno parzialmente; quelle del pinacoide
c }001} sono invece abbastanza lucenti, ma, specie nei grandi cristalli, leg-
germente screziate.
Di gran lunga più perfette, piane e speculari sono le facce dei due
prismi 0 {011} e 4120}, le quali sono perciò particolarmente indicate per
la determinazione delle costanti.
Prendendo tutte le misure, di egual peso, ricavate dagli angoli (102):
(102) e (011):(011) dei vari cristalli misurati, ho notato, che, mentre
quelle del primo angolo subiscono piccole variazioni e vanno quasi perfetta-
mente d'accordo con il valore calcolato dalle costanti di Negri per la bha-
ritina di Levico [adottate anche per i cristalli di Montevecchio (Sardegna)],
i valori angolari di (011):(011) variano invece a seconda della grandezza
dei cristalli. E precisamente detto angolo aumenta e si discosta assai dal
valore teorico nei cristalli più grossi, mentre esso si mantiene molto vicino
al valore teorico nei cristalli piccoli.
Delle due facce (011), (011), una, dà sovente immagini luminose mul-
tiple (due o tre), mentre l’altra fornisce sempre una immagine unica, net-
tissima. Ma anche in questo caso puntando l’immagine più vicina a quella
data dalla seconda faccia, si ha ancora, quasi sempre, nei cristalli più
grandi un valore angolare maggiore di quello teorico.
Però per eliminare qualsiasi ombra di dubbio ho, naturalmente, scelto
le sole misure ottenute da facce che davano immagini semplici e nettis-
sime. Le misure sono le seguenti:
74°40°
74 40
74 42
74 42
74 46
74 48
74 48
74 50
74 52
74 52
74 46; calcolato (Negri)= 74°38"
(011): (011)
{ATEO
HI
*
Media
Dalla media di questi 10 angoli si ricava per il parametro ec il va-
lore 1,3087 che è (prescindendo da quelli dati da Mohs e da Beudant,
perchè assai antichi) assieme a quello calcolato da Beckenkamp, uno dei
più bassi, come risulta anche dal quadro seguente, in cui è riportato pure
— 965 —
il valore teorico dell'angolo (011):(011) corrispondente alle varie co-
stanti.
a:b:c = 0,81509:1:1,30992 Beckenkamp (011):(011) = cale. 74942’
» =0,81263:1:1,31156 Artini ’ SM)
» = 0,81404:1:1,31189 Negri ” = n» 7437
» = 0,81286:1:1,31252 Repossi ” = » 7436
” - 0,81461:1:1,31269 Fenyés (!) 7 = » 7430
» = 0,81520:1:1,31359 Helmacker ’ = n. 7434
Il valore teorico dell'angolo (011):(011) che si avvicina, più di tutti,
a 74°46' è quello ottenuto dalle costanti di Beckenkamp, nelle quali, però,
3 è diverso da quello dato da Negri che pure si conviene bene
alla baritina di Piolanas sud.
Nei cristalli di questo giacimento sardo bisogna dunque ammettere che,
il rapporto
i ; N l
durante l'accrescimento, il rapporto parametrico — aumenta, ossia le facce
c
di o }011}, soltanto, non si mantengono parallele a quelle primitiue. Questo
fenomeno che ha luogo anche in alcuni altri minerali deve avvenire, a più
forte ragione, nella baritina, la quale presenta, com'è noto da tempo, la
cosiddetta da Kopp « doppelter bildung » cioè il cambiamento completo di
forma durante il suo accrescimento.
Non riporterò gli altri valori angolari ottenuti nella determinazione
delle singole forme, o nella verifica degli altri angoli, poichè essi concor-
cordano, in modo soddisfacentissimo, con i valori teorici ricavati sia dalle
costanti di Negri, o anche di Helmacker (adottate da Dana, Riva e Mil-
losevich).
Osserverò ancora che anche la baritina di Piolanas sud presenta, non
raramente, il già ricordato fenomeno della « Haifung » cioè la spiccata
tendenza a formare degli aggruppamenti ipoparalleli, che per i loro angoli
rientranti hanno tutta l'apparenza di veri e propri geminati.
Teratologia. — Di alcune anomalie nella Beta vulgaris L.
Nota di 0. MuNERATI e T. V. ZAPPAROLI, presentata dal Socio
R. PIROTTA.
Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
(!) Queste costanti sono state adottate da Gonnard, Ungemach e anche da Lacroix
nella sna Mineralogie de la France et de ses colonies.
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 123
220060
Fisiologia vegetale. — Ancora sull’assimilazione diretta del
l'azoto atmosferico libero nei vegetali (*). Nota dei dott. Eva MA-
MELI e Gino POLLACCI, presentata dal Socio GrovANNI BRIOSI.
In una Nota preliminare sull’assimilazione dell'azoto pubblicata nel 1909
e nella successiva Memoria completa (*), noi riferimmo i risultati di nume-
rose ricerche sperimentali il cui scopo era quello di studiare l’assimilazione
dell'azoto libero dell'aria in piante appartenenti a ordini diversi (dalle alghe
alle fanerogame superiori).
In tali esperienze erano da noi state evitate le cause d’errore dovute:
1° all’incompleta sterilizzazione delle culture; 2° alla presenza dei com-
posti azotati dell’aria; 3° allo sviluppo incompleto delle piante; 4° ai me-
todi analitici di dosaggio dell'azoto totale; cause d'errore che complessiva-
mente non erano state evitate da nessuno degli autori che ci avevano pre-
ceduto nello studio di quest'importante problema.
Le culture vennero fatte, parte in mezzo liquido, parte in sabbia di
quarzo puro. Le soluzioni nutritizie adoperate furono: la soluzione completa
Knop e una soluzione nutritizia priva di composti azotati, così costituita:
H.0 gr. 1000 ; Ca HPO, gr. 0,50 ; KH, PO, gr. 0,25 ; MgS0, gr. 0,25 ;
Caso, gr. 0,25 ; Fes(PO,): gr. 0,02.
I metodi d'analisi adoperati furono:
1°) L'analisi indiretta, consistente nella ricerca dell’azoto contenuto
nei semi e nel substrato, e di quello rimasto nel terreno e contenuto nella
pianta. La ditferenza tra le due somme ci dava la quantità di azoto gua-
dagnata o perduta.
2°) L'analisi diretta, consistente nell'analisi dell’aria confinata in
cui alcune piante avevano vissuto per qualche mese. Per confronto con l’ana-
lisi dell'aria esterna, riportata a pressione e a temperatura eguale, si notava
se le piante avevano o no sottratto azoto all'atmosfera.
I risultati ottenuti dalle culture e dalle analisi, concordi nella quasi
totalità, ci permisero di concludere che la proprietà di assimilare l'azoto
libero dell’aria, dalla maggioranza degli autori attribuita al solo plasma
(') Lavoro eseguito nell'Istituto botanico di Pavia, aprile 1915.
(?) Mameli E. e Pollacci G., Sull'assimilazione diretta dell'azoto atmosferico libero
nei vegetali (Atti Ist. botanico di Pavia, XIV, pp. 159-257), 1911 con 3 tavole.
— 967 —
dei bacteri, e fortemente discussa per le alghe, potesse estendersi « anche
alle Crittogame vascolari e alle Fanerogame, in generale al plasma vege-
tale, lenendo ben presente tuttavia, che le condizioni di cultura, sia chi-
miche che fisiologiche, influiscono potentemente sul fenomeno ». È appunto
per quest'ultima ragione che. in piante ottenute da culture fatte in labora-
torio noi riuscimmo a constatare l'assimilazione di quantità d'azoto libero
relativamente tenui, ciò tuttavia non diminuisce l'importanza del fenomeno
e non esclude che in determinate condizioni di sviluppo — a noi per ora
ignote — i vegetali possano usufruire con grande attività dell'azoto libero
atmosferico.
Fra i principali risultati da noi ottenuti erano i seguenti, che ripor-
tiamo integralmente, perchè necessarî agli scopi critici che si prefigge la
seguente Nota:
« Tra le Hydropteridee: l'Azolla caroliniana e la Salvinia natans si
dimostrarono straordinariamente atte all’assimilazione dell'azoto libero atmo-
sferico. Se per la prima specie la sterilizzazione non poteva effettuarsi com-
pletamente causa la sua nota simbiosi con l'Anabdaena, la seconda specie
invece venne resa completamente sterile per mezzo dell’acqua ossigenata,
che si dimostrò un disinfettante utilissimo per tal genere di esperienze. Le
analisi, sia delle piante, sia dell’aria in cui esse avevano vissuto, conferma-
rono i risultati che già dallo sviluppo apparente delle piante si potevano
prevedere ;
« La Zemna major e la L. minor, rese sterili e coltivate in soluzione
sterile esente d'azoto combinato, si svilupparono abbondantemente e diedero
all'analisi notevoli aumenti d'azoto;
« Culture di Raphanus sativus, di Acer Negundo, di Cucurbita Pepo.
di ”olygonum Fagopyrum, ottenute in substrati sterili. ed in ambiente esente
di composti azotati, diedero all'analisi notevoli aumenti di azoto, pienamente
giustificati dalla completa astinenza di azoto combinato a cui queste piante
erano state costrette. .
Il loro sviluppo, relativamente alle condizioni in cui le piante cresce-
vano, era notevole, e dimostrava anche 4 przori che esse assimilavano lo
azoto libero atmosferico;
« Culture delle stesse piante, ottenute in substrato contenente una quan-
tità nota di azoto combinato e in aria priva di composti azotati, diedero
anch'esse all'analisi aumenti d'azoto notevoli, e variabili a seconda della
quantità d'azoto somministrato. Si osserva cioè che ad una maggiore quan-
tità di azoto ricevuta dalla pianta, corrisponde una minore attività assimi-
latrice dell'azoto libero, e che, mentre la pianta che ha assimilato tutto
l'azoto combinato che le è stato fornito, dà la maggiore percentuale di azoto
libero assorbito; il contrario avviene per quelle piante che, al momento
dell'analisi, non avevano assorbito che una parte dell'azoto del terreno ».
— 968 —
Due brevi Note (*) apparse su quest'argomento dopo la pubblicazione
del nostro lavoro, ci porgono l'occasione di confermare pienamente i risul-
tati delle nostre esperienze, che non sono per nulla infirmati da quelli di
Oes e di Molliard, date le condizioni specialissime nelle quali questi autori
hanno posto a vegetare le piante sottoposte ad esperienza, invece di atte-
nersì al metodo da noi seguìto.
Oes conferma anzitutto le nostre ricerche per ciò che riguarda l'assi-
milazione dell'azoto libero dell'aria per parte dell'Az0//a, concludendo anche
egli che quando la pianta manca di nitrati nel substrato si contenta di
un’altra sorgente di azoto; e che questa mancanza di azoto combinato può,
in buone condizioni di cultura, agire come stimolo d'accrescimento.
Che nel caso dell'Azo//a l'assimilazione dell'azoto libero sia facilitata
dall’associazione simbiotica di questa pianta con alghe del genere Arabdaera,
non è una scoperta dell'Oes, come sembrerebbe da alcune parole della Nota
di Molliard, ma è un fatto che era stato già da noi constatato (vedi pag. 62
della nostra Memoria), tanto che dichiarammo che la sterilizzazione di queste
piante non era possibile, data la presenza di endofiti nei loro tessuti. Tut-
tavia, che la presenza dell'alga sia indispensabile per l'assimilazione del-
l'azoto libero da parte dell'Azo//a, neanche l’Oes ha dimostrato, nè poteva
farlo, dato che questa simbiosi è largamente diffusa in tutte le Azo/la,
e data l'impossibilità di privare la pianta del suo ospite. Con tutta pro-
babilità la consociazione favorisce e rende più copiosa l'assimilazione del-
l'azoto libero, dato che, come diversi autori dimostrarono, e noì confermammo,
vi sono alghe capaci di tale assimilazione.
Contrariamente a ciò che avviene nell’ Az0//a, Oes afferma che Salvinia
auriculata, Lemna trisulca, L. gibba e L. polyrrhiza, coltivate in solu-
zioni nutritizie esenti d'azoto, non assimilano l'azoto libero dell'aria. Osser-
viamo anzitutto che la soluzione nutritizia priva d'azoto somministrata dal-
l'autore a queste delicate piante acquatiche, doveva necessariamente essere
inadatta al loro sviluppo se non addirittura nociva, e che essa è ben di-
versa da quella da noi usata. Infatti, la soluzione usata da Oes è così co-
stituita: Hs0 dist. gr. 1000 ; Mg SO, gr. 0,25 ; CaCl gr. 1 oppure gr. 0,62 ;
KH:;PO, gr. 0,50 ; KCL gr. 0,12 ; Fe. Cl; traccie.
È noto che i sali di cloro più adatti per la nutrizione vegetale sono
quelli di potassio e di sodio; Wypfel (*) inoltre trovò che soluzioni di clo-
ruri (di magnesio, calcio, potassio e alluminio), in concentrazioni varie dal
(*) Oes A., Ve!er die Assimilation des freien Stickstoffs durch Azolla (Zeitschr. f.
Bot., V, 145), 1913; Molliard M., L’azote libre et les plantes supérieures (Comptes rendus
de l’Ac. d. Sciences, 160, 310), 1915.
(*) Wypfel M., Weitere Versuche uber den Einfluss der Chloride auf das Wachs-
thum der Pflanze (Jahresher. d. Niederéster. Landes-Realgymn, 23, 1892).
— 969 —
0,5 al 2°/,, sono nocive per piantine di Zea, Phaseolus. Pisum, Cucur-
bita ecc.
Nella soluzione adoperata da Oes il tenore in cloruri è del 0,074-0,112°/,
percentuale rappresentata in massima parte da cloruro di calcio ch'è tra i
sali di cloro uno fra i più nocivi alle piante; non si capisce quindi perchè
egli abbia scelto tale sale e l'abbia somministrato in dosi tanto elevate.
Inoltre, il trasporto delle piantine dall'acqua dolce del fossato o della vasca
nella quale vivevano, ad una soluzione siffatta non può essere avvenuto senza
che il loro sistema radicale ne abbia in qualche modo sofferto.
Un altro appunto che dobbiamo fare alla Nota di Oes è quello della
assoluta mancanza di analisi per ciò che riguarda le Sa/vinia e le Zemna.
Mentre le analisi riportate dall'autore per le Az0//a sono numerose, per le
altre piante non v'è parola, nè di analisi dell'aria dalla quale l'azoto libero
potesse o no essere stato sottratto, nè delle piante stesse. È bensì vero che
lo scarso sviluppo delle culture ottenute dall’Oes, data la soluzione nutri-
tizia ch'egli usò, doveva essere poco incoraggiante per intraprendere la ri-
cerca analitica, ma non è men vero che in questioni così delicate e precise
di chimica fisiologica solo l'analisi rigorosamente condotta può dire l’ultima
parola.
Le esperienze del Molliard riguardano esclusivamente dieci culture di
Raphanus sativus, ottenute in soluzione nutritiva contenente l'azoto sotto
forma di cloruro ammonico. Dalle analisi fatte egli ottiene, in quattro casì,
un aumento d'azoto, e precisamente di mg. 0,19 ; 0,09 ; 0,12; 0,17 (risultati
che, nonostante siano stati ottenuti da piante poste in condizioni di cultura
inadatte al loro buon sviluppo, sono conformi a quelli da noi ottenuti); in
sei casì, invece, una diminuzione di mg. 0,02 ; 0.13 ; 0,16: 0,15;0,08; OST03
Dopo ciò l’autore conclude che il Raphanus salzvus non ha la proprietà di
utilizzare l'azoto libero dell’aria.
Che questa deduzione sia, più che affrettata, illogica, noi possiamo affer-
marlo riportando integralmente le seguenti parole dello stesso Molliard, che
ne fanno fede:
« À la verité, je me suis placé, pour ces premières expériences, dans
des conditions un peu spéciales; les plantes ont toujours eu à leur dispo-
sition de l’azote combiné et, d'après Mameli et. Pollacci, l’ assimilation de
l’azote de l’air serait favorisée par la faim de la plante en azote combiné;
d’autre part, les plantes ont eu è leur disposition du glucose et, de ce fait,
leur nutrition a été en grande partie saprophytique ».
Noi aggiungiamo che non solo per queste due ragioni la soluzione nu-
tritizia adoperata dall'autore era la meno adatta per la dimostrazione in
parola, ma che essa doveva necessariamente essere di ostacolo allo sviluppo
delle piantine, data l'eccessiva quantità di glucosio (50 gr. per 1 litro!)
in essa contenuta. Infatti, osservando al microscopio tessuti di piantine di
— 970 —
Raphanus sativus coltivate in una soluzione nutritizia contenente glucosio
nella proporzione di gr. 50 per un litro, come ha usato Molliard, si nota
un’accentuata plasmolisi nelle cellule dell’apice radicale. Oltre a ciò, lo
sviluppo delle piantine è evidentemente ostacolato e quasi arrestato, quindi,
piante in condizioni così anormali non sono certo adatte per controllare le
nostre ricerche.
L'autore non descrive l'aspetto delle piante al termine delle culture,
che vennero fatte su pomice granulare, imbevuta della ‘soluzione nutritizia.
Per ciò che riguarda le analisi fatte da Molliard osserviamo che varie
sono in esse le cause d'errore, e cioè:
1°) L'analisi del liquido nutritizio dopo la cultura. L'autore dice di
aver constatato che « si può spostare tutta l'’ammoniaca dei liquidi in pre-
senza della pomice. a condizione di polverizzare questa e di raccogliere alla
dîstillazione in presenza di potassa un volume di liquido considerevole ».
Ora, è inevitabile che perdita d'azoto vi sia stata e nella polverizzazione
della pietra pomice e nella susseguente distillazione « di un volume di
liquido considerevole », che si rese necessario per trascinare nel distillato
tutti i composti azotati residuali. Un'analisi siffatta, applicata al solo residuo
rimasto nel substrato dopo le culture, è tanto più una causa d'errore, perchè
ad essa non fa riscontro un'analisi fatta in eguali condizioni e che avrebbe
potuto compensarlo, e cioè l'analisi del substrato prima della cultura, poichè,
supponendo purissima la pietra pomice, la quantità d'azoto contenuta nel
liquido nutritizio somministrato era nota, data la composizione fissa di esso.
Da questo diverso metodo di apprezzamento deriva che nella disegua-
glianza :
N del seme + N della soluzione — N della soluzione
al principio della alla fine della + N della pianta
cultura. < cultura.
sì ottiene nella seconda somma una quantità d'azoto minore di quella real-
mente presente. i
2°) L'uso del semplice metodo Kjeldahl per il dosaggio dell’azoto
totale delle piante. Noi, infatti, facemmo osservare nel nostro lavoro che
« il metodo Kjeldah], eseguito col semplice procedimento dettato dall'autore,
permette di dosare solo l’azoto organico e l'azoto amidico, ma non è neppur
certo che con questo metodo sì riesca ad intaccare qualunque sostanza orga-
nica azotata, poichè, ad esempio, gli alcaloidi e le nucleine vegetali hanno
una costituzione così complessa che il loro azoto offre una grande resistenza
alla riduzione in ammoniaca ». Applicammo quindi in tutte le nostre analisi
il metodo Kjeldahl modificato da Jodlbauer, che permette di dosare l'azoto.
organico, più l’azoto nitrico, anche in dosi minime, quali sono quelle che
si trovano di solito nei vegetali. Si ottiene, infatti, con questo metodo la.
— 971 —
scomposizione completa di tutte le sostanze azotate, come dimostrano le
analisi di prova fatte dall'autore stesso con sostanze diverse, e da noi ri-
petute con quantità note di nitrato e nitrito potassico e di asparagina.
Sono dunque certamente andate perdute nelle analisi del Molliard fatte
col semplice metodo Kjeldahl quelle piccole quantità d’azoto provenienti
dalla decomposizione dei composti nitrici, degli alcaloidi e delle nucleine
vegetali, e questo, tanto nelle analisi dei semi e delle piante, quanto in
quelle del liquido nutritizio dopo la cultura; poichè, per quanto la soluzione
contenesse l'azoto esclusivamente sotto forma di composto ammoniacale, pure
non è da escludere che, in presenza delle secrezioni radicali delle piante e
della pietra pomice granulare che potè anche esercitare un'azione catalitica,
fossero presenti in questo liquido, alla fine della cultura, piccole quantità
di nitrati o di nitriti.
8°) L'incostanza dei risultati ottenuti dall'autore, nelle sue poche
analisi: aumento d'azoto in quattro casi, diminuzione negli altri sei.
Aggiungiamo in fine che causa d'errore non trascurabile in esperienze
siffatte deve essere stata la piccolissima quantità di liquido nutritizio (60 cm.*)
somministrata a ciascuna cultura, per una durata di 7 settimane.
Non è da meravigliarsi quindi se tante diverse cause d'errore insieme
unite: 1) soluzione nutritizia inadatta; 2) somministrazione di essa alle
piante in quantità insufficiente; 3) metodi analitici poco precisi; abbiano
condotto a risultati incostanti, alcuni dei quali tuttavia in accordo coi nostri,
ed abbiano ostacolata la constatazione dei piccoli aumenti di azoto, quali
sono quelli che possono verificarsi in una pianta di Raphanus sativus col-
tivata in tali condizioni in laboratorio.
Non v ha dubbio che la scelta di mezzi nutritizi più adatti e l’esclu-
sione delle cause d'errore delle quali abbiamo fatto cenno al principio della
presente Nota, confermeranno quanto è risultato dalle nostre numerose espe-
rienze rigorosamente condotte, e che ci occuparono per più di due anni, e
cioè che « la facoltà di assimilare l’azoto libero atmosferico è proprietà assai
più diffusa di quanto fino ad ora si ammetteva, e che è presumibile che
anche tutti i vegetali clorofilliani, dalle alghe alle fanerogame, possano, in
condizioni speciali, far uso, con maggiore 0 minore attività, di questo
potere.
— 972 —
Chimica fisiologica. — Contributo allo studio dell’azione dei
fermenti peptolici sui polipeptidi (*). Nota del dott. ANTONINO CLE-
MENTI, presentata dal Socio L. LUCIANI.
La sintesi artificiale dei polipeptidi e lo studio del loro comportamento
biologico formano uno dei capitoli più brillanti della fisiologia dell'ultimo
ventennio, che è valso a versare un fascio di luce nuova sul problema, così
arduo e oscuro, della costituzione chimica della molecola proteica e delle
trasformazioni, a cui essa va incontro durante i fenomeni della digestione nel
tubo intestinale e durante il metabolismo cellulare. Dopo che mediante l’ap-
plicazione del metodo di Kossel e di Kutscher (*), per la determinazione quan-
titativa dei diaminoacidi (basi esoniche), e del metodo di Emilio Fischer (5),
per la determinazione dei monoaminoacidi, una lunga schiera di illustri
chimici tisiologi, sottoponendo alla analisi la molecola delle più svariate
proteine, dimostrarono, che queste ultime sono costituite fondamentalmente
dalle stesse pietre strutturali (gli aminoacidi), e che la differenza consiste in
genere (tranne alcune eccezioni) nelle diverse proporzioni in cui esse sono
presenti, alla attenzione dei fisiologi si è imposto il problema della ricom-
posizione sintetica del complesso edificio molecolare dell’albumina. Le ricerche
di Schaal (4) sulla anidride dell'acido asparaginico e sulla trasformazione di
questo in poliasparaginurea (Grimaux) (5) e in acido poliaspartico (Schiff) (5)
e le ricerche di Schutzenberger (*) sulla unione di diversi aminoacidi (leucine
e leuceine) coll'urea mediante riscaldamento con anidride fosforica, e le
ricerche di Lilienfeld (5), eseguite nel laboratorio di Kossel, e di Balbiano
e Frasciatti (°), rappresentano ricerche iniziali in questo senso, le quali
portarono alla sintesi di prodotti non ben definiti nè ben caratterizzabili, di
cui rimangono sconosciuti la struttura e il grado di parentela con le proteine.
(!) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica Fisiologica della R. Università di Roma.
- (®) Kossel e Kutscher, Beitrdge zur Kenntniss der Eiweisskòrpern. Zeitschrift
f. physiol. Chemie, XXXI, 165, an. 1900.
(3) Emil Fischer, Veder die Ester der Aminosatre. Berichte der deutsche che-
mische Gesellschaft, 34, 4381, an. 1901.
(4) Schaal, Ann. d. Chem., 157, 24, an. 1871.
(5) Grimaux, Sur des colloides azotés. Bull. Société chim., 28, 64, an. 1882.
(5) Schiff, Veber Poliaspartsatre. Ann. der Chemie, 203, 183, an. 1898.
(7) Schutzenberger, Recherches sur la synthèse des matières albuminoides et pro-
teîque. Comptes rendus, /06, 1407, an. 1888.
(®) Lilienfeld, Veder protenihnliche Substanzen. Dubois Archiv., pag. 383, 1894.
(®) Balbiano e Frasciatti, Veber ein neues Derivat des Glykokolls. Berichte der deutsch.
chemische Gesellschaft, 23, 2323, an. 1900; 34, 150, an. 1901.
— 973 —
È ad Emilio Fischer (') che spetta il merito immortale di essere riu-
scito per il primo a trovare dei metodi chimici esatti per legare fra loro le
molecole degli aminoacidi stabilendo legami amidici tra il gruppo car-
bossilico e il gruppo aminico di distinte molecole, e ad ottenere, così,
nuovi corpi chimicamente ben definiti e individualizzabili, che egli chiamò
col nome generico di Polipeptidi e con quello speciale di Di-, Tri-, Tetra-
peptidi a seconda del numero di aminoacidi, che prendono parte alla costi-
tuzione della loro molecola. Emilio Fischer ha voluto così adoperare una
nomenclatura, che mentre da una parte ricorda la nomenclatura attualmente
adoperata per la classe dei saccaridi, dall'altra indica, che questi corpi,
artificialmente ottenuti per sintesi, sono molto affini ai peptoni naturali, i
quali risulterebbero dall'unione di molte molecole di polipeptidi. I polipeptidi
infatti hanno comuni con i peptoni molte reazioni colorate, come ad esempio
la reazione del biureto, e reazioni colorate specifiche a secondo la presenza
o la assenza di speciali aminoacidi nella loro molecola: così ad esempio i
polipeptidi, in cui è presente il triptofano, dànno positiva la reazione del-
l'acido gliossalico e negativa la reazione dell’acqua di bromo. La ebollizione
dei polipeptidi di alto peso molecolare dà luogo a fenomeni, che ricordano
la coagulazione delle proteine; d’altra parte poi i polipeptidi ad alto peso
molecolare tendono a perdere la proprietà di cristallizzare e acquistano la
tendenza a formare prodotti amorfi.
La dimostrazione biologica, che gli aminoacidi si trovano effettivamente
legati fra loro nella molecola proteica in modo analogo a quello in cui lo sono
nella molecola dei polipeptidi, è di doppia natura:
1°) l'isolamento chimico dai prodotti di idrolizzazione delle sostanze
proteiche di polipeptidi, di cui precedentemente era stata compiuta la sintesi
chimica artificiale (Fischer e Abderhalden) (°);
2°) l'analogia esistente tra il modo in cuì i fermenti peptolitici agi-
scono sulla molecola dei polipeptidi e il modo in cui agiscono sulla mole-
cola delle proteine (Fischer e Bergell) (*).
Il metodo, seguìto per la prima volta da Fischer e Bergell e da Fischer
e Abderhalden (*), per studiare l’azione dei fermenti peptolitici sui polipeptidi,
(*) E. Fischer und Fourneau, ZVeder einige Derivate des Glykokolls, Berichte der
deutsche chemisch. Gesellschaft, 34, 2868, an. 1908; E. Fischer, Aminosaure, Polipeptide
und Proteine, pag. 23, Springer, Berlin, 1906.
(*) E. Fischer und Abderhalden, Bildung eines Dipeptides bei der Hydrolise des
Seidenfibroins. Berichte der deutsch. Gesellschaft, 23, 752, an. 1996.
(3) E. Fischer und Bergell, Veder die Derivate einiger Dipeptide und Ihr Ver-
halten gegen Pankreasferment, Berich. der deutsche chem. Gesell., 20, 2592, an. 1903;
E. Fischer und Bergell, Spaltung einiger Dipeptide durch Pankreasferment, Berichte
der deutsch. Chem. Gesell., 27, 2103, an. 1904.
(4) E. Fischer und Abderhalden, Veber das Verhalten verschiedener Poliptide
gegen Pankreassaft, Zeitschr. f. Physiol. Chemie, XLVI, 52, an. 1915; E. Fischer und Ab-
derha!den, Veber das Verhalten einiger Polipeptide gegen Pankreassaft, LI, 264, an. 1907.
RenpiconTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 124
— 974 —
è un metodo essenzialmente chimico e ponderale consistente nell’isolamento e
nella individualizzazione chimica, mediante la eterificazione, degli aminoacidi,
in cui essi vengono o dovrebbero essere scissi per azione dei fermenti.
Abderhalden e Koerker (') hanno elaborato in seguito un metodo ottico
per lo studio dell’azione dei fermenti proteolitici sui polipeptidi, traendo
profitto dal fatto osservato prima da Fischer, che molti polipeptidi sono
otticamente attivi e posseggono un potere rotatorio più forte dei loro pro-
dotti-di scissione, donde la possibilità di constatare e seguire mediante deter-
minazioni polarimetriche la scissione dei polipeptidi operata dagli enzimi.
Hans Euler(*) ha elaborato un metodo elettrometrico per riconoscere
e studiare la scissione dei polipeptidi operata dai fermenti.
I metodi finora in uso non sono dei metodi quantitativi, in senso asso-
luto ed io mi sono proposto di colmare tale lacuna. Poichè gli aminoacidi
sono legati fra loro nella molecola dei polipeptidi in catena amidica, e poichè
la loro scomposizione fermentativa dà luogo essenzialmente alla rigenerazione,
da una parte, dei gruppi carbossilici e, dall'altra, dei gruppi amidici degli
aminoacidi, secondo lo schema generale seguente: .
RT_—C0—NH—-R+H—T—-0H=R—CO0—-0H-#+NH,— R,
è evidente che, determinando quantitativamente i gruppi aminici liberi dei
polipeptidi prima e dopo l’azione dei fermenti peptolitici, possiamo ricono-
scere l’azione da questi esercitata sulla loro molecola. Il metodo che si può
adoperare per la determinazione volumetrica dei gruppi aminici liberi è il
metodo della titolazione al formolo di Sorensen. Lo stesso Sorensen (*), de-
scrivendo il suo metodo, scrisse: « Nello studio della scomposizione di poli-
peptidi o di miscele di polipeptidi, per cui manca finora un metodo general-
mente pratico, la titolazione al formolo potrà essere di grande utilità ». Egli
stesso, pur avendo adoperato il metodo della titolazione al formolo per lo studio
della scissione di miscele di polipeptidi a costituzione chimica poco definita,
non lo applicò per lo studio della scomposizione fermentativa dei polipeptidi
allo stato chimicamente puro. Ricerche invece sulla determinazione quanti-
tativa dei gruppi aminici liberi dei polipeptidi non mancano: Abderhalden
e van Slyke (‘), Abderhalden e Haslian (*) hanno studiato il comportamento
di tutta una serie di polipeptidi rispetto al metodo di van Slyke della de-
(1) Abderhalden und Koerker, Die Verwendung optisch activer Polipeptide zur Pri-
fung der Wirksamkeit proteolitischer Fermente. Zeitschr. f. Physiol. Chemie, LI, 294,
an. 1905.
(?) Hans Euler, Fermentative Spaltung von Dipeptiden. Zeitschr. f. physiol.
Chemie LI, an. 1905.
(8) Sorensen, Enzimstudien. Biochemische Zeitsckrift, 7, 38, an. 1907.
(4) Abderhalden und van Slyke, Die Bestimmung des Aminostickstoffs in cinigen
Polypeptiden. Zeitschr. f. physiol. Chemie, 74.
(9) Abderhalden und Haslian, Veder die Verwendung der Estermethode sim Nachweis
von Aminosaùren neben Polypeptide. Zeitschr. f. physiol. Chemie, 77.
— 975 —
terminazione dei gruppi aminici liberi: Sérensen studiò il comportamento
rispetto alla titolazione al formolo della anidride della glicocolla e della gli-
cilglicina, e trovò, che l'anidride della glicocolla si comporta come un corpo
neutrale e la glicilglicina come un acido monobasico.
Teoricamente noi dobbiamo ammettere, che il comportamento di un po-
lipeptide rispetto al formolo resterà invariato nel caso in cui il polipeptide
non viene scisso dal fermento proteolitico e invece cambierà nel caso in cui
viene scisso dal fermento negli aminoacidi suoi componenti, data la rigene-
razione dei gruppi aminici e carbossilici liberi di questi ultimi.
La leucilglicina è il dipeptide, che io ho scelto per le presenti espe-
rienze.
La d-l-leucilglicina risulta costituita dalla unione in catena amidica
di una molecola di leucina e di una molecola di glicocolla, secondo la se-
guente formola di costituzione
NH;
CH;
|
> CH — CH. — CH — CO — NH — CH;
CH;
CO — OH.
Ho preparato la leucilglicina racemica, secondo il procedimento usato da
Emil Fischer e Brunner ('), cioè per trasformazione della glicocolla in bromi-
socapronilglicina e di questa in leucilglicina. La molecola della leucilglicina
contiene un gruppo carbossilico e un gruppo:aminico: quindi essa presenterà
nella titolazione al formolo il comportamento di un acido monobasico. Per
ricercare se tale comportamento rimanga inalterato, quando il dipeptide non
viene scomposto dai fermenti peptolitici, e come esso varia, quando il di-
peptide viene idrolizzato per azione fermentativa, ho sottoposto la leucilglicina
all’azione del succo panercatico e all’azione dell'estratto acquoso di fegato.
Azione del sueco pancreatico sulla d-l-leucilglicina. — Per studiare
il comportamento della leucilglicina verso il succo pancreatico, 10 ce. di
soluzione 1/40 x. di leucilglicina furono mescolati a ce. 0,5 di succo pan-
cretico ricavato da un cane portante una fistola permanente pancreatica alla
Pawlow, e dopo aggiunta di toluolo furono posti in termostato a 37 gradi per
la durata di 25 giorni. Le cifre ottenute nella titolazione alla formaldeide
di 10 ce. di soluzione di leucilglicina, di soluzione di leucilglicina più succo
pancreatico, e di succo pancreatico più acqua, sono riportati nella seguente
tabella:
(*) Fischer und Brunner, Sintese von Polipeptide, XI, Liebigs'annalen der Chemie,
340, 123, an. 1905; Fischer und Abderhalden, loc. cit., Zeitschr. f. physiol, Chemie, 46,
an. 1905.
— 976 —
1 marzo 1915 (in termostato Quantità adoperata di NaOH 1/5 x
27» ” ao) in cem. in °/ del calcolato
d-l-Leucilglicina 1/40 n. cc. 10 1,25 100
d-l-Leucilglicina 1/40 n. » 10
Î È 1,30
Succo pancreatico » 0.5
Succo pancreatico » 0,5 0,10
Acqua distillata » 10
Come leucina | calcolato 2,50
+ glicocolla ( trovato 1,20
in mgr. in °/o
PRESSO | aggiunta 42 100
d-1-leucilglicina E 0 0
Risulta, da questa esperienza, che 10 cc. di leucilglicina 1/40 x. richie-
devano, sia prima sia dopo un'azione della durata di 25 giorni, dei fermenti
del succo pancreatico, la stessa quantità di cc. di NaOH n/5: èl risultato
di questa esperienza dimostra, che la leucilglicina, non viene idrolizzata
dal succo pancreatico.
Un analogo risultato ebbero Fischer e Brunner (loc. cit.) servendosi del
metodo chimico: essi sciolsero un grammo di leucilglicina in 35 ce. di acqua
e 3 cc. di succo pancreatico, e lo lasciarono a digerire in termostato per 14
giorni: trovarono, che il liquido non era diventato otticamente attivo, e riot-
tennero il dipeptide aggiunto: nella soluzione madre non poterono riscon-
trare col metodo della eterificazione la presenza di glicocolla e di leucinia;
in una seconda e in una terza ricerca il risultato fu eguale. Gli autori ne
dedussero che il succo pancreatico non è capace di idrolizzare la leucilglicina
racemica.
Azione dell'estratto acquoso di fegato sulla d-l-leucilglicina. —
L'estratto acquoso di fegato di cane adoperato fu preparato pestando al mor-
taio con polvere di quarzo frammenti di fegato di cane da poco ucciso,
diluendo con acqua e filtrando: 5 cc. dell'estratto acquoso così preparato
furono mescolati con 10 cc. di una soluzione di leucilglicina racemica 1/20 n.
e messì a digerire in termostato a 37 gradi per la durata di 7 giorni.
Le cifre ricavate dalla titolazione al formolo di 10 ce. di soluzione 1/20 n.
di leucilglicina dalla titolazione al formolo di estratto acquoso di fegato
più la soluzione del dipeptide e dell'estratto acquoso più acqua sono ripor-
tate nella seguente tabella:
— 977 —
10 febbraio 1915 (in termostato Quantità adoperata di NaO0Hr/5
1 ” ” a 179) in cem. in °/o del calcolato
d-l-Leucilglicina 1/20 n. ce. 10 2,30 92
d-l(-Leucilglicina 1/20 n. » 10 70:
Estr. acq. di fegato di cane » 5 0
Acqua » 10
; È 0,60
Estr. acq. di fegato di cane » 5
Come leucina —( calcolato 5.00
+ glicocolla l trovato 3,70
in mgr. in °/o
i PESO: | aggiunta 94 100
d-l-Leucilglina RIA 49 59
Da questa esperienza risulta che, dopo un'azione della durata di 7 giorni
dell'estratto acquoso di fegato dì cane sulla leucilglicina racemica, per la ti-
tolazione al formolo erano necessarî cem. 3,7 di idrato di sodio 1/5 n.;
come si vede, si ebbe un aumento rispetto al numero di cem. di idrato di
sodio necessarî per titolare 10 cc. di soluzione 1/20 x. di lewcilglicina prima
dell'azione dell'estratto acquoso di fegato. Questo risultato dimostra che una
scissione della leucilglicina in leucina e glicocolla avviene per opera dei
fermenti epatici; però questa scissione non è estesa a tutta la quantità di
dipeptide presente nella soluzione, poichè, teoricamente, se tutta la leucilgli-
cina fosse stata scissa in leucina e glicocolla, sarebbero stati necessarî, per
la titolazione al formolo, ce. 5 di NaOH n/5.
In base al calcolo dell’ N aminico, risulta che dei 94 mmgr. di d-/-leu-
cilglicina aggiunta so/o 49 furono scissi per azione dell'estratto acquoso
del fegato: cioè esattamente la metà della quantità totale di d-l-leucilgli-
cina sottoposta all’azione dell'estratto di fegato venne scomposta in lew-
cina e glicocolla.
Questi risultati concordano porfettamente con quelli ottenuti dagli
autori che studiarono precedentemente l’azione dei fermenti proteolitici sui
polipeptidi con altri metodi di ricerca, specialmente per ciò che riguarda
il modo in cui agiscono i fermenti peptolitici sui polipeptidi racemici: infatti,
mentre da una parte confermano, che la leucilglicina viene scissa dall'estratto
di fegato (Abderhalden e Teruchi) ('), e non dal succo pancreatico (Fischer
(‘) Abderhalden und V. Terunchi, Das Verhalten einiger Peptide gegen Organ-
extrakte, Zeitschr. f. physiol. Chemie, 47, 466, 1906; Abderhalden und V. Terunchi, Stu-
dien ber die proteolitische Wirkung der Pressàfte einiger tierischen Organe sowie
des Darmsaftes, Zeitschr. f, physiol. Chemie, 49, 1, 1906.
— .978 —
e Brunner, loc. cit.), rappresentano il primo dato di indole quantitativa
finora noto a favore del principio di E. Fischer, che i polipeptidi race-
mici vengono scissi dai fermenti peptolitici in modo asimmetrico, cioè che
delle due forme otticamente attive, di cui risulta costituito il polipeptide
racemico, ne viene idrolizzata dai fermenti peptolitici solo una metà.
Furono Fischer e Bergell (loc. cit.) che per i primi osservarono che
la pancreatina, agendo sulla carbetoxilglicil-dl-leucina, mette in libertà
della leucina sinistrogira; subito dopo, essi osservarono che la pancreatina,
agendo sulla leucilalanina racemica, mette in libertà leucina sinistrogira e
lascia intatta una parte del dipeptide. Per ciò che riguarda la leucilglicina,
Abderhalden e Teruchi (loc. cit.), facendo agire estratto acquoso di fegato di
vitello su 5 grammi di leucilglicina racemica, poterono isolare dai prodotti
di scissione gr. 1,3 di leucina sinistrogira, e in una seconda esperienza, in
cui sottoposero all’azione dell'estratto di fegato 4 grammi di leucilglicina,
riottennero gr. 0,7 di leucina sinistrogira e gr. 0,5 di cloridrato di etere
di glicocolla e gr. 0,7 di anidride di leucilglicina; così finora, poichè il
metodo adoperato, non può essere strettamente quantitativo, /u dimostrato
solo qualitativamente che la scomposizione fermentativa dei polipeptidi race-
mici decorre in modo asimmetrico. La esperienza surriferita dimostra per la
prima volta quantitativamente, che della quantità to/ale del dipeptide sotto-
posto all’azione dei fermenti peptolitici epatici, solo la metà viene scissa
nei suoi componenti.
Riserbandomi di estendere le presenti ricerche, io credo frattanto di potere
venire alle seguenti conclusioni sintetiche:
1°) Per lo studio della azione dei fermenti peptolitici sui polipe-
ptidi, un metodo praticamente assai adatto è il metodo volumetrico della
titolazione alla formaldeide dei gruppi aminici liberi dei polipeptidi e
dei loro prodotti di scissione.
2° Questo metodo presenta rispetto al metodo chimico di E. Fischer,
il vantaggio di poter adoperare per ogni esperienza quantità piccole di
polipeplidi; rispetto al metodo ottico di Abderhalden, il vantaggio di poter
esperimentare anche con polipeptidi di aminoacidi otticamente inattivi;
rispetto al metodo elettrometrico di Euler, il vantaggio della rapidità
delle determinazioni; rispetto a tutti questi metodi insieme, il vantaggio
di potere eseguire determinazioni rigorosamente quantitative.
3°) Applicando îl metodo volumetrico della titolazione al formolo
si rileva che per azione del succo pancreatico la d-l-leucilglicina non viene
scissa, mentre per azione dei fermenti peptotitici del tessuto epatico, solo
metà della quantità totale di d-l-leucilglicina aggiunta viene idrolizzata;
questo risultato rappresenta il primo dato sperimentale di natura quan-
titativa, finora assodato, a favore del principio dell'azione asimmetrica
dei fermenti peptolitici dell'organismo sui polipeptidi racemict.
— 979 —
Chimica generale. — /n/lvenza esercitata dai sali neutri
sull'equilibrio chimico ('). Nota di G. Poma e di G. ALBONICO,
presentata dal Socio G. CIAMICIAN.
In una Nota che pubblicammo di recente su questi stessi Rendiconti (?),
abbiamo iniziato lo studio dell’azione esercitata dai sali neutri sulle costanti
delle due reazioni inverse di eterificazione e di idrolisi che, avvenendo si-
multaneamente nel medesimo sistema, conducono all'equilibrio seguente:
CH;C0,H + CH:0H => H.0 + CH;00;CH;.
E nostro intendimento riferire nella presente comunicazione, i risultati
cho abbiamo ottenuti nell’ulteriore svolgimento di questa ricerca: nelle
nostre nuove esperienze mantenemmo invariati il metodo d’indagine e le
condizioni sperimentali che già avemmo occasione di descrivere. Così la tem-
peratura, alla quale vennero mantenute le nostre soluzioni, era di 25° * 0,019,
il valore iniziale del rapporto molecolare tra l’acqua e l'alcool metilico venne
conservato, per le seguenti tredici prime tabelle, uguale a due, i sali neutri
adoperati erano cloruri di cationi fortemente elettroaffini, ma dotati di di-
versa avidità per l'acqua. Le quantità di acido cloridrico, che introducemmo
nel nostro sistema, per rendere cataliticamente più rapido lo svolgimento
del processo, erano di 0,2 mole per litro.
TABELLA 1.
In assenza di sale neutro.
Sale neutro:
TABELLA 24.
Ca CI, 0,5 norm. eq.
Numero di mole contenute Numero di mole contenute
in 100 em8 die in 100 ecin® X
l'empo in (= (05 Tempo in he ks
all’inizio all'equilibrio cem all’inizio all'equilibrio cem
A=t0) i ="'"00 t=0 t= 0
a=0,1200 | a, = 0,0329 82" | 55,70) 0,0022 Ai 012.0008| 070328 54’ | 61.70| 0,0026
i=si 26200 ie, = IN7500 22077) «4.40 (00020 DE 111210) MELO 6 54745: M0:0025
a 526000 ie. =2/60131 30007) 88/900) 0:0020 c=2,4183 | co = 2,5055| 158 | 48.90] 0,0025
di di=0,0871| 390 | 35.30| 0,0020 de=0 di =0.0872| 264 | 40,75]. 0,0025
775 | 28,55] 0,0019 358 | 36,30) 0,0025
«È 87 F È P C = %058 E — 08792 È E
2309007; e — 0,0370 valor medio 0,0020 SI AI valor medio 0,0025
L= 170 le, — 0,00240 K=f- 0,169 k,— 0,00301
ki les = 0,00041 ! ky = 0,00051
Per tutto ciò che si riferisce alle nostre tabelle ed al procedimento
matematico che permette di calcolare i valori delle costanti K, 4, e /s rin-
viamo senz'altro il lettore alla nostra precedente comunicazione; vogliamo
(') Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Parma,
(*) Rend. Ace. Lincei, anno 1915, 1° sem, pag, 747.
— 980 —
soltanto ricordare che con le lettere a, d, c, d intendiamo rispettivamente
rappresentare l'acido acetico, l'alcool metilico, l'acqua e l'etere metilico allo
stato iniziale, e con le lettere @,, 21, c1, di le stesse sostanze allo stato
di equilibrio, dopo trascorso un tempo infinito dalla preparazione della mi-
scela.
TABELLA 832. TABELLA 42.
Sale neutro: Ca CI, 1 norm. eq.
Sale neutro: Ca Cl, 1,41 norm. eq.
Numero di mole contenute Numero di mole contenute
in 100 cem? de in 100 cem8
‘l'empo in = Tempo in |ki—-ky
all’inizio all'equilibrio cem' all’inizio all'equilibrio cem?
(e=0) ===100) di==10 \i==l(0.0)
a=0,1200 | a, =0,0822| 55’ | 60,50] 0,0030 =a=0,1200 | a,=0,0317| 58 | 59,50| 0,0033
b5=1,1803 | è,=1,0925| 154 | 46,61] 0,0030 =—4=1,0846 | d,=0,9964| 108 |51,80| 0.003
c=2,8555 | c = 2,4483| 221 | 41,03] 0,0029 = c=2,2526 | ec, =2,2526| 185 | 43,20) 0,0033
d=0 d,=0,0878| 341 | 34,40| 0,0029 d=0 d,=0,0883 | 257 | 38,00| 0,0033
438 | 32,16| 0,0028 354 | 33,50] 0,0033
t=1,9277 ; £=0,0878/ valor medio 0,0029 = 5=1754! ; *=0,0888 | valor medio 0,0033
K= 2 0163 k, = 0,00346 K="2— 0,159 k, = 0,00392
ki ka = 0,00056 ki ky = 0,00059
TABELLA 58. TABELLA 6°.
Sale neutro: Ca CI, 2 norm. eq. Sale neutro: Mg Cl, 0,5 norm eq.
a=0,1200 | a, =0,0312| 57 | 58,10] 00039 @=0,1200 | a. =0,0321| 45’ | 63,72| 0,0025
b=1,0845 | 6,=0,9958| 109 | 49,40| 0,0089 b=1,2353 | 6, = 1,1474| 160 | 48,61| 0,0024
c=2,1650 |c, =2,2538| 188 | 40,60] 0,0038 €=2,4650 | ci =2,5529 | 228 | 43,40| 0,0024
d=0 d,=0.0888 | 244 | 36,65] 00088 4d=0 di=0,0879 | 347 | 36,58] 0,0024
343 | 32,20| 0,0037 444 | 33,30 0,0023
DA ai = 2,0181 ; E= 0,0879
=1,7354 ; #=0,0888 | valor medio 0,0038 © : valor medio 0,00047
K=%— 0,155 k, = 0,00461 K=7° = 0,164 ki = 0,00287
ki ka = 0,00071 ha = 0,00047
TABFLLA 78. TABELLA 88.
Sale neutro: Mg Cl, 1 norm. eq. Sale neutro: Mg Cl; 1,41 norm. eq.
a=0,1200 | a,=0,0814| 42’ | 63,00| 0,0029 = 4=0,1200 | a, =0,0308| 39’ | 62,70! 0,0035
= 1,1975 | ,=1,1089]| 154 | 46,61| 00029 = è=1,1720 | 0,=10828| 151 | 45,10] 0,0033
c=2,8894 | c,=2,4780| 221 | 41.03] 0,0029 e=2,3411 | ci =2,4803| 220 | 39,00| 0,0033
d=0 di=0,0886 | 841 | 34,40] 0,0029 d=0 di=0,0392 | 306 | 34,50) 0,0033
488 | 32,16| 0.0027 403 | 31,10| 0,0082
T=1,9278 ; #=0,0886 | valor medio 0,0029 © 1:9936 3 #=0,0912 | valor medio 0,0082
ka REG ea x LPESESS
— eV k, = 0,0034: K= <= 0,154 ki = 0,00390
Sr lio es 0,00055 ki fra = 0,00060
TABELLA 9. TapeLLa 10°.
Sale neutro: Mg Cl, 2 norm. eq. Sale neutro: Li Cl 1,41 norm.
a=0,1200 | a. = 0,0300 | 144’ | 43,04] 0,0041 a=0,1200 | a =0,0288| 40’ | 62,05| 0,0035
b5=1,1175 | è3,=1,0275| 214 | 36,75| 00041 &=1,2243 | 2,=1,1881| 78 | 51.70| 0,0034
c=2,2307 | c,=23205| 285 | 32,68] 0,0041 c—2,4444 | c0=2,5255| 120 | 4840| 0,00383
d=0 d,= 0,0900 | 382 | 29,65] 0,0040 d=0 d,= 0,0912 | 167 | 42,82| 0,0033
i i tan 210 | 39,10| 0,0033
e ae valor medio 0), a ESE
t=1,7469 ; E=0,0900 veti; i t=1,8758 ; £=0,0912| valor medio 0,0034
FS “idr ki = 0,00450 II 0,140 hi = 0,00395
lt, lea = 0,00070 fi lea = 0,00055
— 981 —
La normalità equivalente della soluzione di barite impiegata nelle espe-
rienze che corrispondono alle prime quattordici tabelle, era 0,1913.
Dai risultati che abbiamo esposti fin qui, appare che anche i cloruri
di calcio e di magnesio esercitano, sia sulla velocità di eterificazione, come
su quella di idrolisi, un'azione acceleratrice, e che questa è subita, propor-
zionalmente, in misura assai maggiore dalla prima che non dalla seconda,
in conseguenza di ciò la costante di equilibrio K = %,:%, diminuisce. Se
confrontiamo ora i risultati avuti impiegando soluzioni contenenti, per litro,
lo stesso numero di mole (non grammo equivalenti) di sale neutro, vediamo
che lo spostamento dell’equilibrio cresce passando dal cloruro di litio a
quello di calcio e da questo al cloruro di magnesio.
Abbiamo già visto, nella Nota precedente, che la costante di equilibrio
determinata in assenza di sale neutro, ma in presenza di 0,2 mole di HCl
per litro, risulta
TaBeLLa 11. TABELLA 122:
H CI= 0,4 norm. H CI 0,6 norm.
Numero di mole contenute Numero di mole contenute
in 100 cem3 XI in 100 cem® x
‘l'empo in ki— ka n ">" Tempo in ki— ka
all’inizio allequilibrio cem all’inizio all'equilibrio cem
se=V L==100) 0 i =‘
a=0,1200 | a, = 0,0328 24" | 74,60] 0,9044 a 0:12000 Ka ‘(0:0928 42” | 73,40] 0,0069
6 =1,2610 | 6,:=1,1740| 74 | 61,95| 0,0043 b=1.2550 | 5,=1,1673| 91 | 61,40) 0,0068
c=2,5190 | cr = 2,6050| 140 | 51,80] 0,0043 c = 2,5070 | cc, =2,5947 | 146 | 54,90] .0,0067
di 0 di=0,0872| 273 |44,30| 0,0042 d=0 d,=0,0877 | 205 | 51,85] 0,0067
= 2,0899 ; È = 0,0871 valor medio 0,0048 té =2,0589 ; éE=0,0887 valor medio 0,006S
a ka a 4
K= ka = 0,1695 ki = 0,00517 K= a 0,1658 li = 0.00S15
fi ly = 000087 ti lia = 0,00135
TABELLA 18?. TABELLA 14à.
H CI= 08 norm. HCI-=1 norm.
a=0,1200 | a. =0,0319| 39 | 79,55] 0,0098 a=0,1200 | a,=0,0816| 35’ | 87,70] 0,0129
O 12600 |: d, = 1.179 72 | 69,90] 0.0097 9I— 15236010) 0 111:82 60 | 78,83] 0,0180
CAVO e = 2,6051 97 | 65.90] 0@096 co=254600 |a = 29950 | (105. 72,30) /0;0128
di0 d,=0,0881| 202 | 5945| 0.0095 Gi=10) di = 0,0884
valor medio 0,0129
&= 2,0475 ; E=0,0881 valor medio 0,0097 t=1,9988 ; E—0,0884
ka x: È k,= 0.01537
K= = 0,1629 ki = 0,01158 K= 2 — 0,1606 ha = 0,00247
Ri ly = 000188 È,
uguale a 0,17, numero notevolmente inferiore a quello che si può calcolare
Rknpiconti. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem.
125
bero (*).
— 982 —
in base alle celebri esperienze del Berthelot e del Péan de Saint-Gilles (*)
e che oscilla, per acidi ed alcooli diversi, intorno a 0,25. Siccome questo
fatto legittimava la ipotesi che l'acido cloridrico non esercitasse sul nostro
processo una azione esclusivamente catalitica, ci è sembrato opportuno ese-
guire alcune delle nostre esperienze operando in guisa da far variare le con-
centrazioni dell'acido cloridrico, senza far variare, in modo apprezzabile,
nessuno dei fattori dell'equilibrio.
I risultati ottenuti in queste esperienze sono raccolti nelle tabelle 1, 11,
12, 13 e 14; da essi appare evidente che la presenza di quantità crescenti
di HCI determina sulla costante di equilibrio K variazioni nello stesso senso
e del medesimo ordine di grandezza di quelle dovute ai sali neutri prima
sperimentati, come è naturale invece, tale presenza fa crescere assai più
rapidamente le singole costanti di eterificazione X, e d'idrolisi %»: è inte-
ressante notare che ciascuna di queste due costanti cresce più rapidamente
delle corrispondenti concentrazioni dell’acido cloridrico; infatti, mentre la
normalità di quest’ultimo varia tra 0,2 ed uno, X, varia tra 0,00240 e
0,01537, e /» tra 0,00041 e 0,00247. Ciò evidentemente conferma le vedute
di coloro che ritengono essere l'attività catalitica delle molecole indissociate
degli acidi forti, più intensa di quella spiegata dallo ione idrogenico li-
Allo scopo di conoscere l'influenza esercitata dalla natura chimica del-
l'alcool
TABEIITA RA:
[Hs0]:[C,H;0H]= 2; in assenza di sale neutro.
TABELLA
16*.
[Hs0]:[C:H;0H]=2; sale neutro: LiCl 2 norm.
Numero di mole contenute
in 100 cem8
all’inizio
t=0
all'equilibrio
{= 0%
a 0,1200
b=1,0213
a, = 0,0492
di SI 0,9505
c=2,0423 | e =2,1131
d=0 d, = 0,0708
t=2,5460 ; E—= 0,0705
K= fa — 0,817
(') Ann. de chim. et de physique, 65 e 06 (1862) e 68 (1863).
(*) H. Goldschmidt, Zetschr. f. Elektrochem., /7, 684 (1911); G
Numero di mole contenute
X in 100 cem X
‘l'empo in FRI Tempo in a=/
ccm3 > all’inizio all'equilibrio cem?
= i=10
48” | 68,15 | 0.00072 a=0,1200 | a' = 0,0364 52” | 64,70| 0,0018
94 | 65,65|0,00071 b=0,9700 | è, = 0,9336 94 | 60,50] 0,0018
2539 59,75 | 0,00065 è = 1,9720 ci =2,0550 | 221 51,05) 0,0018
335 | 56,60|0,00064 d=0 di=0,0836 | 318 | 45,78 | .0,0017
ver estrapo- È 5 7 valor medio 0,0018
Plazione. , + 0,00062 = £=1,7630 ; £=0,083
ki = 0.00092
lia = 0 00050
K=? — 0,198
k,=0,00224
ka = 0,00044
. Bredig, Ztschr. f.
Rlektrochem., /8, 535 (1912); C. S. Snethlage, Ztschr. f. Elektrochem., 8, 539 (1912) e
Ztsehr. physik. chem., 85, 211 (1913); H. S. Taylor, Ztschr. f. Elektrochem., 20, 201
(1914); J, W. Mae Bain, Journ. chem. Soc. London, /05, 1517 (1914),
— 9853 —
e, sopra tutto del suo peso molecolare, sul fenomeno che c’ interessa, abbiamo
sostituito all’alcool metilico l'alcool etilico. Nelle tabelle 15 e 16 abbiamo
appunto raccolto i dati numerici ottenuti in tali esperienze, la normalità del
catalizzatore era ancora 0,2; nelle tabelle che seguono abbiamo fatto variare il
rapporto molecolare iniziale tra l’acqua e l'alcool, ma abbiamo mantenuto
costanti tutte le altre condizioni. A questo punto è necessario avvertire che
siccome la differenza /, — #» nella tabella 14 e in tutte quelle che seguono
e che corrispondono a misure fatte in assenza di sali neutri, diminuisce
TABRILANIN: TABELLA 188.
[H,0]:[G.Hs0H]=3; in assenza di sale neutro. [H:0]:[C,H;0H]= 3; sale neutro: LiCi 2 norm.
Numero di mole contenute Numero di mole contenute
in 100 cem? X in 100 cem8 Da
Tempo in EZIo > 7 Tempo in ki ks
all’inizio all'equilibrio cem? all’inizio all'equilibrio , CEMS
E=0 (=C3 A=HM0) i-=100
Mi=20RI 2009 Ma =(0:0589 583/ | 68,15] 0,00076 A 020002 =10:0458 59’ | 65,10| 0,0017
b=0,8625 | 4, =0,8014| 108 | 65,75 |0,00075 AIDS 075259 OS M6E401 MI0:0 07
e=2,5875 | ci =2,6486| 265 | 60,60|0.00066 CA 8000 Re: 5422465 53100007
di= 0,0611 | 359 | 58,15|0,00065 dE=0 d,=0,0742 | 348 | 48,90] 0,0016
I]
coca
per estrapo- valor medio
0,0017
2,3937 ; = 0,0611 | lazione... 0,00063 = $=1,6346 ; $=0,0742
k="— 0.292 ki = 000089 K=È - 0182 l, = 0,00208
li leg = 0,00026 lei la = 0,0090038
TaBELLA 19?. TABELLA 20.
[Hs0]:[C:H;0H]=4; in assenza di sale neutro. [H,0:C:H;0H]= 4; sale neutro: Li Cl 2 norm.
,1200 | a=0,0662 | 121’ | 66,15|0,00073 = a=0,1200 | a =0,0536 | 57’ | 66,00| 0,018
37447 | dba =0,6909 | 228 | 62,80|0,00071 b=0,7110 | 5:=0,6446 | 132 | 61,25 0,0)17
LO 760 |ai=303188/331 60,15. 0100068 c=2,8430 | ci = 2,9094 | 288 | 55,50 0,0017
d,=0,0588 | 452 | 57,40|0,00067 d=0 d,=0,0664 | 341 | F1,50| 0,0017
; 474 | 47,60) 0,0017
per estrapo- - mi TSE. sa
3049 ; £=0,0540 | ‘lazione... 0.00066 = T=1,5648 ; £=0,0664 | valor medio 0,0017
lea REISEN ZERI CSR ee — n —
K-° — 0280 k,=0 00092 RESSE] ki = 0,00207
k, ka = 0,00026 ki ls — 0,00037
rapidamente, abbiamo calcolato il valore finale da attribuirsi ad essa per
estrapolazione; a ciò siamo stati indotti dal fatto che al crescere del tempo
essa sembra tendere verso un limite. Non avendo però elementi per mettere
in luce la causa di tale diminuzione, così, al valore calcolato per questa
via non assegnamo che un significato provvisorio. La normalità della solu-
zione di barite impiegata per tutte le misure che seguono alla tabella 15
era 0,1906.
— 984 —
TaBeLLA 218.
[H.0:C,B;0H]= 5; in assenza di sale neutre,
TABELLA 222.
[O:H]:[CsH;30H]= 5;
sale neutro: CaCl, 2 norm. eq.
Numero di mole contenute Numero di mole contenute
in 100 cem8 X in 100 cem? X
Tempo in Te Tempo in a]
all’inizio all'equilibrio cems ail’inizio all'equilibrio cem8
=(0) ==.00 ipe=10) fi ="00
a=0.1200 | a, = 0,0724 65’ | 68,50 |0,00079 a=0,1200 | a, = 0,0605 71° | 65.90) 0,0017
= 0,6510 | 24 = 0,6084 | 115 | 66,70 | 0,00078 b=-0,6248 | dj =0,5653 | 122 | 62,61] 0,0017
c = 952560 | er =3:3096 || 292 |62:30:10/00070, c=38;1242 | co = 3.1837.| 24 |\|MA6/30)/20(0017
di=0 d,= 0,0476 | 386 | 60,45 | 0,00068 10 di= 0,0595 | 8371 | 53,20| 0,0016
Der estrapo- A
T=2,2724; E=0,0476 | Piazione E. 000068. 5=1,5381 ; £=0,0595 | __ *2l0r medio 0,0017
K-= 0279 k, = 0,00090 Kohai k = 0,00207
ki ks = 0 00025 ka le, = 0,00037
TABELLA 243.
TABELLA 28°.
[H:0:C,H;0H]= 5; sale neutro:
A=107120098MaT=050659
b= 0,5543 b, = 0,5002
Ci-2237200 I c42:82.61
d=0 di= 0,0541
O-1;01s1l 3 E=10/0541
e= di = 0,215
[HCI]= 0.2 norm.; Temperatura 25°; [GH,CO3H]= 0.12 per t=0.
Li Cl 2 norm.
77’ | 66.10| 0,0018
128 | 63,25| 0,0018
292 | 56,96| 9.0018
387 | 54,20] 0,0018
valor medio 0 0018
ki, = 0,€0229
k, = 0,00049
[OsH]:[C:Hs0H]= 5;
sale neutro: MgCl, 2 norm eq.
a=0,1200 | a, = 0,0639
b=0,5698 | d,=0.5187
c = 2,8190 ci = 2,9061
d=0 d,= 0,0561
$ = 1,5236 = 0,0562
k
K=-:=-02
K 7 0,201
TABELLA 25àA,
82° | 65,50| 0,0018
182 | 62.58| 9,00183
309 | 55,60| 0,0018
404 | 58,10) 0.0017
valor medio 0 0018
k1= 0,00 225
ka = 0,00045
Concentrazione molari di equilibrio
Normalità
SO =] à
n° [S01:(C,Hx0H]] Ha: DE ka
Denti ci bi c, di Li CI i
CH,Co.H | C.H,0H| H,0 |CH,C0,C,H;
1 9 0,0492 0,9505 | 2,1131 0,0708 0 0,317
9 2 0,0364 09336 | 2/0550 00836 9 0198
3 3 0,0589 08014 | 26486 00611 0 0.292
4 3 00458 0,7528 | 25542 00742 2 0182
5 4 0,0662 06909 | 300318 00538 0 0.280
6 4 00536 06446 | 279094 00664 2 0,.79
7 5 00724 06034 | 33056 00476 0 0279
8 5 0,0605 05653 | 31837 00595 9 0181
9 7 0,0817 04871 | 877163 0,0383 0 0,280
10 7 00703 04521 | 35692 (0497 9 0,179
1l 8 0,0848 04337 | 378162 00352 0 0,278
12 8 00747 04115 | 377003 00453 9 0183
3 10 00909 03721 | 40410 00291 0 0,288
14 10 00815 03475 | 3’8985 00385 9 0,189
— 985 —
Nella tabella che segue sono raccolti i valori che la costante di equi-
librio assume sia in assenza di sale neutro che in presenza di una quantità
costante di LiCl, quando il rapporto molecolare iniziale tra l'acqua e l'al-
cool etilico vada crescendo. Gli altri fattori dell'equilibrio, come pure la
concentrazione del catalizzatore, vennero mantenuti invariati.
In una prossima Nota, dopo aver esposti nuovi fatti che abbiamo già
potuto accertare e che sono necessarî per chiudere la presente ricerca, trar-
remo, dalla discussione di tutti gli elementi dei quali saremo così venuti
in possesso, la opportuna conclusione.
Fisiologia. — /cerche sulla secrezione spermatica. IV: In-
fiuenza del riposo sulla secrezione spermatica del cane. Nota del
dott. G. AMANTEA ('), presentata dal Socio LUCcIANI.
Un argomento fondamentale di studio, all’inizio delle indagini che mi
sono proposto di eseguire sulla secrezione spermatica, mi è sembrato quello
del rapporto tra quest'ultimo e il riposo sessuale più o meno prolungato.
Tenendo conto del numero di spermatozoi eliminato in ciascuna ejaculazione,
della quantità totale di sperma raccolto e della durata del coito fittizio,
se‘ondo la tecnica da me proposta e descritta precedentemente (*), mi si
presentava facile una tale serie di ricerche sul cane. Siccome poi il numero
di spermatozoi eliminati rappresenta, entro certi limiti, un criterio di misura
del lavoro testicolare; la quantità di liquido ejaculato un criterio di misura
del lavoro prostatico soprattutto nel cane, in cui mancano vescichette semi-
nali e glandole del Cowper, e intine la durata del coito fittizio un criterio
di misura specialmente del lavoro dei centri nervosi per l'erezione e l’eja-
culazione; così lo studio dell'argomento accennato mi sarebbe appunto servito
a dimostrare il modo come può variare la funzione di tutto il complesso
degli organi suddetti col variare del ritmo della loro attività e del loro
riposo.
Qui mi limiterò solo a riassumere i fatti osservati riportando, a titolo
di esempio, sotto forma di tabelle o quadri, alcuni dei protocolli, che ad
essi si riferiscono. La discussione e le considerazioni che ne deriverebbero
costituiranno l'oggetto di una Nota a parte, che mi propongo di far seguire
alla pubblicazione di altra serie analoga di osservazioni sull’ uomo.
(') Lavoro eseguito nel Laboratorio di fisiologia della R. Università di Roma, diretto
dal prof. L. Luciani.
(2) G. Amantea, Atti della R. Acc. dei Lincei, vol. XXIII, ser. 5%, 1° sem., fase. V.
au. 1914; ibd., vol. XXIII, ser, 5*, 1° sem., fasc. VI, 1914; Arch. ital. de biol., tom. LXII,
pag. 34, an 1914.
— 986 —
Già ho avuto occasione (') di mettere in rilievo il fatto, che, se si rac-
coglie lo sperma di un cane normale dopo un lungo e sicuro periodo di riposo
sessuale, e poi si fa una seconda raccolta con un intervallo di tempo oppor-
tuno, si può in questa seconda ottenere un numero di spermatozoi di molto
superiore a quello della prima; e ho fatto notare come evidentemente la
prima ejaculazione deve avere esercitato in tali condizioni un'azione eccitante
e trofica sulla funzione del testicolo. In altri termini dopo una spece di asso-
pimento funzionale dell'organo per il lungo riposo sessuale, si ha una spece
di risveglio funzionale, per l'impulso impresso all'attività spermatogenetica
dalla prima ejaculazione. Di questo fatto che era stato in precedenza dal
Lode (*), più che dimostrato, intuito, giacchè le sue poche osservazioni e la
sua tecnica non rigorosa (come si desume anche dalle cifre troppo basse che
egli riferisce, relativamente al volume dello sperma raccolto e al numero
degli spermatozoi) non potevano permettere una sicura e vera dimostrazione;
di questo fatto, ripeto, ho già dato chiari esempî. Qui ora credo opportuno
integrarli con altri ancora in una tabella più completa (vedi Tabella I),
dalla quale risulta anche come all'aumento del numero degli spermatozoi
può accompagnarsi aumento, o, più spesso, diminuzione della quantità di
sperma eliminato; mentre la durata del coito fittizio generalmente si pro-
lunga alquanto. Una sufficiente esperienza mi ha tuttavia oramai insegnato,
che il fenomeno da me prima ritenuto costante, tale non si può affermare
in modo assoluto; non si può essere sempre sicuri di sorprendere il testi-
colo in quel grado di assopimento funzionale, quale può avvenire solo dopo un
periodo sufficientemente lungo di riposo sessuale completo, e quale è neces-
sario per osservare netto il fenomeno dell’accennato risveglio funzionale con-
secutivo.
Se invece di tener conto, come sopra, solo delle due prime raccolte di
sperma, si considerano più ejaculazioni successive, provocate in uno stesso
cane mantenuto in condizioni presso a poco uniformi, e distanziate l’ una
dall'altra da intervalli di riposo variabili, i risultati variano soprattutto a
seconda dell'animale, e a seconda del restauro più o meno completo, che si
concede agli organi funzionanti tra le varie ejaculazioni.
(1) G. Amantea, loc. cit.
(*) Lode, Pfliger*s Archif. Bd. L., pag. 278, an. 1891.
— 987 —
TABELLA I.
Durata = Quantità
Cane Data della ricerca | del ua fittizio dello sperma Numero l
minuti primi in cc. degli spermatozoi
1 15 novembre 1913 - ore 19,45 1ò 4,4 208.080.000
” DOT ” ” MiA 14 Dio 572 400 000
(dopo ser g‘orni)
2 18 novembre 1913 - ore 16,30 8 TESI 93 170.000
D) 20 » D) » 16,30 DI 15 825.500.000
(dopo due giorni)
3 10 novembre 1918 - ore 11 O) 83 444.00.000
» 29 » D) » 10 10 4,9 189.200.000
(dopo dodici giorni)
4 3 gennaio 1914 - ore 16,10 ll 6,3 211.680.000
D) 5 » D) » 12,10 12 4,3 450.210.000
(dopo dod:ci giorni)
5) 18 gennaio 1914 - ore 12 11 5 110.000.000
b) Dl ” D) Slo 19 5,8 263.320 000
(dopo fre giorni)
6 28 febbraio 1914 - ore 18 16 16 164.800.000
” 4 Marzo ”» » 16.34 S 12,9 260.580.000
(dopo quattro giorni)
7 23 maggio 1914 - ore 9,30 7 1,8 190.800.000
” Db » ” a it 1,2 199.200 000
(dopo due giorni)
8 29 maggio 1914 - ore 10,20 18 64 217.600.000
ù 3 giugno Ù » 15 17 6,1 252.060.000
(dopo eaigque giorni)
9 9 novembre 1914 - ore 18 ( 12,4 23.560.000
” 14 ” ” ee iZAlo D9 9,8 49.294.000
(dopo cingue giorni)
10 16 gennaio 1915 - ore 14 7 1,7 94.690.000
» 23 ” ” » 19 7 1,7 356.520.000
(dopo sel/e giorni)
ul 6 febbraio 1915 - ore 11,45 7 REI 385.280.000
D) 17 » ”» » 10 ti 8,8 1.210.920.000
(dopo undici giorni)
12 23 febbraio 1915 - ore 12,30 14 7 26.950.000
» 26 ” ”» » 13 IL; 6,9 112.470.000
(dopo (re giorni)
‘Esempî del modo come può aumentare il numero degli spermatozoi, quando si ese-
guono due raccolte successive di sperma, partendo da un riposo sessuale prolungato, e
intercalando tra la prima e la seconda un intervallo da due a dodici giorni.
— 988 —
In qualsiasi esperienza si voglia istituire sulla secrezione spermatica del
cane, è necessario tener conto anzitutto dell'eventuale influenza del fattore
individuale: una stessa esperienza non decorre perfettamente nella stessa
maniera su animali diversi; e ciò per un complesso di motivi che non è
possibile considerare in modo esatto, e che, dovuti in parte all'età, in parte
alle precedenti e attuali condizioni di vita, in parte a variabili rapporti o
correlazioni nervose e umorali, ecc., si sommano in quello che con espres-
sione unica si può indicare come fattore individuale.
Fissata dunque l'importanza di quest'ultimo, ecco in breve ciò che è
possibile in generale osservare, quando sì eseguano, come ho detto, su uno
stesso animale più raccolte successive di sperma a varî iutervalli:
Quando lo sperma si raccoglie parecchie volle successivamente in una
stessa giornata a intervalli regolari, il numero di spermatozoi eliminati si
vede degradare, in maniera più o meno rapida a seconda dell'animale, fino
ad arrivarsi anche a una perfetta azo0ospermia; parallelamente, ma non nella
stessa misura, si vede pure diminuire il volume del liquido ejaculato (talora
si può persino giungere all'aspermatismo), e accorciarsi la durata del coito
fittizio, il quale l’animale compie sempre meno attivamente. In altri termini
si ha un progressivo esaurimento delle attività sessuali, centrali e perife-
riche. Quando poi in una stessa giornata si fanno più raccolte a 7r/ervalli
‘irregolari, allora, pur avendosi anche qui un esaurimento progressivo, tut-
tavia si vede che esso non precipita rapidamente verso il massimo grado,
ma si stabilisce attraversando talora qualche pausa o ripresa, in coincidenza
con i periodi, in cui si concede un più lungo restauro. La Tabella II for-
nisce appunto un esempio del modo come può decorrere la secrezione sper-
matica in un cane, in cui si facciano più raccolte successive nella stessa
giornata.
TaBELLA II.
Durata Quantità È
Data gl ricerca del Sono fittizio dell Seperma Numero i
minuti primi in cc. degli spermatozoi
23 maggio 1914 - ore 9,80 TI 1,8 190.800.000
25 ” n° 12 7 | 1,2 199.200.000
” ” ” 13 4 0,4 86.400.000
” ”» ” n 14 2 Una goccia Scarsi da non potersi contare
206 ” » » 11 7 ] 104.000.000
» » » »” 12,90 Di 0,2 36 800 000
” » ” SALLI5 . 21 0,2 49.800.000
” » » » 16,9 2 0,2 10.720.000
27 ” ” ”» 9,30 6 0,6 88.000.000
» ”» DI) neli3:30 d 0,2 8.320.000
» » ”» » L5 3) 0,1 Assenti
Esempio del modo come può variare la secrezione spermatica, qualora si provochino
più ejaculazioni successive in uno stesso cane e nella stessa giornata.
— 989 —
Provocando ejaculazioni quotidiane, oppure a giorni alterni, di regola
il numero di spermatozoi, dopo una diminuzione iniziale più o meno mar-
cata, presenta oscillazioni più o meno ampie intorno ad una cifra media
sempre inferiore a quella iniziale, ossia a quella media delle due o tre
prime raccolte; un comportamento analogo può presentare anche la quantità
di liquido ejaculato, mentre la durata del coito fittizio presenta in genere
una costanza relativamente maggiore. L'animale inoltre compie il coito fit-
tizio sempre meno attivamente. Qualche volta si può arrivare a un vero
esaurimento.
Dopo una serie di raccolte quotidiane o a giorni alterni, facendo va-
riare il riposo nel senso di prolungarlo, si può osservare un aumento nel-
l'eliminazione di spermatozoi, che oscilla allora intorno ad una cifra media
più alta della precedente. Le Tabelle III e V dànno un esempio vrispetti-
vamente del decorso della secrezione spermatica per raccolte quotidiane o
per raccolte a giorni alterni. Eccezionalmente però può osservarsi anche per
cinque o sei raccolte successive costanza, ovvero addirittura aumento della
quantità di sperma, come risulta dal caso riferito nella Tabella IV.
Se le raccolte quotidiane o più specialmente quelle a giorni alternati,
si iniziano partendo da un periodo di riposo sessuale sufficientemente lungo
dell'animale, si può anche osservare un aumento iniziale più o meno rile-
vante nell’eliminazione degli spermatozoi, al quale poi succede diminuzione
con oscillazione delle cifre successive intorno a una cifra media variabile
sopratutto col variare dell'animale e del restauro (di uno, rispettivamente
di due giorni).
lenpIcoNTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 126
— ‘990°=
TABELLA III.
gilivih nh tali ie
7 del io SUanta Numero
Data della ricerca in dello sperma n Ù
minuti primi in cc. Corteno too]
4 dicembre 1914 - ore 15 18 11,6 135 720.000
5 ” ” » 15 18 10 128.000.000
6 È) ” » 16 15 9,4 52.640.000
7 ” ” gallo 19 10,5 66.150.000
8 ” ” » 17,30 16 10,8 55.080.000
4) ” ” n 16 18 10,5 84.000.000
10 ” ” » 18,30 AIA 12,1 59 290.000
TIME TAGTOTASTE 17 10,1 29.290.000
12 ” ) » 13,45 17 8,1 15.390 000
13 È) 9 » 18 20 8,4 51.240.000
14 ” ” » 12 20 6,5 39 000.000
15 ” ” » 18 16 5,8 5.800.000
16 ” ” » 18,30 ig 9,7 21.340.000
17 ” D) » 16,15 18 10,4 6.240 000
18 ” » 16 20 8,3 83.830.000
Esempio del modo come può decorrere la secrezione spermatica qualora si esegua
su uno stesso cane una raccolta di sperma quotidianamente.
TABELLA IV.
15 febbraio 1915 - ore 15,30 9 4,9 660.480.000
16 ” ” » 17,45 8 4,3 650.740.000
147} ” ” » 15 7 44 454.080.000
18 ” D) » 20.15 8 6 690.000.000
19 ” ” » 18,45 8 4,9 309.680.000
20 ” ” 9 4,6 388.560.000
» 17,50 |
Altro esempio di ejaculazione quotidiana dello sperma in uno stesso cane.
TABELLA V.
15 gennaio 1914 - ore 12,10 12 4,9 450.210.000
J » D) » 12,30 12 4,1 126.280.000
19 » ” mi 12190 11 DZ 208.320.000
21 b) ” » 12 16) 9,2 102.080.000
23 ” È) » 12,15 11 3.3 147.180.000
25 » ” » 13 12 | 2,6 125.840.000
27 ” D) » 14,30 10 | 2,6 124 580.000
29 » ” » 12,30 14 2,7 155.340.000
Sl È) ” » 15,90 15 1;7 52.870.000
2 febbraio » n 15,50 14 2;1 189.840 000
4 ” ” CO 6 9 2 133.200.000
6 ” Dj sii 1l 1,9 40.660.000
8 » » ” 3 9 1,8 288.000 000
10 ” ” » 18 12 2.7 132.030.000
12 ” D) 3 5 0,7 52.500.000
Si continua intercalando due giorni di riposo:
15 febbraio 1914 - ore 12,80 8 i 253.640.000
$ ‘ 237.400.000
18 ” ”» » 183,15 12 2
i 170.040.000
21 ” ” Net 2515 8 2,6 È
o 279.840 000
24 n » » 13,10 9 24
178.800.000
CART. ITA 9 dé 212 100.000
2 marzo ” n LIB) | 9 3 .100.
Esempio di raccolta dello sperma a giorni alterni, e poi con intervalli di tre giorni,
su uno stesso cane.
— 991 —
Se si intercala fra l'una raccolta e l’altra un drtervallo di tre giorni
(ved. Tabella VI) si può assistere a un aumento progressivo del numero
totale degli spermatozoi eliminati in ciascuna ejaculazione, fino a un limite
variabile da cane a cane e che può essere anche il limite massimo rag-
giungibile, intorno al quale poi oscillano le cifre successive; la quantità di
sperma e la durata del coito fittizio si comportano presso a poco come nei
casi precedenti (raccolta quotidiana e a giorni alterni).
Un risultato analogo a questo si ottiene di solito entercalando un
riposo di 4, di 5 e di 6 giorni.
Con intervalli di sette a dieci giorni ho potuto osservare in generale
spiccata tendenza a una minore variabilità sia della quantità di liquido eli-
minato, sia della durata del coito fittizio, mentre per il numero di sperma-
tozoì si può osservare ancora l'aumento progressivo come sopra.
Raccolte eseguite con intervalli superiori ai 10 giorni fanno rilevare
non solo una relativa costanza nella quantità di sperma e nella durata del
coito fittizio, ma anche una variabilità sempre minore nell'eliminazione degli
spermatozoi.
TABELLA VI.
3 del nin Ì Quantita Numero
Data della ricerca în | dello sperma o: 3
| minuti primi in ce. Ton
18 gennaio 1914 - ore 12 bl 5 110.000.000
21 ” ” n 12,50 19 5,8 265 320.000
24 ” » » 13 16 5,2 432.640.000
27 ” ” RIO 15 4,1 354.240.000
30 “ ” » 13,50 15 4,6 361.560.000
2 febbraio > » 15 20 2,7 122.750.000
5 È) È) » 11,45 15, id 515.240.000
8 ” n 13,30 12 3,6 486.000.000
1l ” 13 16 2,8 211.960.000
14 ” ” 18 19 3,9 807.450 000
17 » ” 13:90 16 2,5 266.500.000
20 ” » » 13,45 16 1,6 345.600.000
Esempio di raccolta dello sperma con intervalli di tre giorni su uno stesso cane.
In fine si può ammettere che un riposo sessuale di oltre 15 giorni sia
capace per solito di avviare il testicolo verso quello stato di assopimento
funzionale, su cui sopra ho insistito. Sempre però qualora si sia avuta cura
di tenere l’animale in esperimento lontano da ogni sorgente di eccitamenti
sessuali, e possibilmente addirittura isolato.
Riassumendo si può dire quindi, che, dopo un previo riposo sessuale
sufficientemente lungo, è possibile, provocando una serie di ejaculazioni suc-
cessive, o mantenere l'eliminazione degli spermatozoi nel cane pressochè uni-
— 992 —
forme (ejaculazioni con intervalli di oltre dieci giorni), oppure modificarla,
nel senso di avviarla a un rapido esaurimento (più ejaculazioni successive
nella stessa giornata), o nel senso di un esaurimento graduale e assai ritar-
dato, o di una semplice diminuzione (ejaculazioni quotidiane o a giorni al-
terni), ovvero nel senso di esaltarla fino ad ottenere anche il massimo di
attività (ejaculazioni ogni 3-10 giorni); e ciò facendo variare una sola con-
dizione: il periodo concesso al restauro testicolare. Nella stessa maniera può
diminuire più o meno la quantità complessiva dell’ejaculato, o mantenersi
pressochè costante, col corrispondente variare del restauro concesso alla pro-
stata. In fine può anche diminuire più o meno la durata del coito fittizio,
e quindi dell'erezione e dell'ejaculazione, o mantenersi pressochè costante, &
seconda che si concede un riposo e un restauro più o meno lungo ai centri
sessuali.
Fin qui l'esposizione dei fenomeni osservati: la discussione di essi,
come ho detto, mi propongo di farla in una prossima Nota, dopo avere
esposto altre osservazioni eseguite sulla secrezione spermatica dell’uomo.
Dirò allora, come in base al complesso dei fatti trovati possa intendersi il
normale decorso della funzione del testicolo, come la capacità del testicolo
al lavoro e il suo esaurimento, tenendo anche conto della funzione delle
glandole accessorie (prostata soprattutto), e dell'attività dei centri nervosi.
Fisiologia. — Sull’adattamento degli anfibi all'ambiente liquido
esterno mediante la regolazione della pressione osmotica dei loro
liquidi interni. VI: Importanza dei sacchi linfatici. Nota di BruNO
BRUNACCI, presentata dal Socio L. LUCIANI.
Nelle esperienze riferite precedentemente ho sempre fatto notare la
presenza o l'assenza della linfa nei sacchi linfatici delle rane esculente estive
immerse per un periodo di tempo più o meno lungo nelle varie soluzioni
Ringer o tenute in acqua dolce. Si è visto infatti che, mentre nelle rane
tenute in acqua dolce corrente o in acqua distillata non si notava alcun
accumulo di linfa nei sacchi linfatici; in quelle, invece, che erano state nelle
soluzioni Ringer diversamente concentrate se ne poteva constatare una quan-
tità più o meno abbondante.
Si è inoltre rilevato come tale accumulo di linfa avvenga sino ‘dalle
prime ore, si mantenga in notevole quantità durante i primi otto dieci giorni
per andare poi gradatamente diminuendo sino a scomparire del tutto.
Con la diminuzione della linfa, accumulata nell'interno dei sacchi coin-
cide, come si è visto, l'accumulo dell'orina nell'interno della vescica e l'inizio
dell’eliminazione della medesima nel liquido ambiente.
SERGI
Da tutte queste osservazioni risultava già evidente la importanza dei
sacchi linfatici nella regolazione osmotica delle rane esculente estive.
Ho creduto perciò opportuno eseguire delle esperienze per constatare
quei fenomeni che si sarebbero verificati, dopo l'apertura dei più estesi sacchi
linfatici del tronco, sia nelle rane immerse in soluzione Ringer ipertonica (A),
sia in quelle immerse in acqua dolce corrente, dopo essersi adattate all'am-
biente salino ipertonico (B).
Relativamente al primo ordine di esperienze, cioè a quelle, che si rife -
rivano allo studio dell'importanza dei sacchi linfatici per l'adattamento alle
soluzioni concentrate, esse furono divise in due serie:
In primo luogo (I) cioè, si sono aperti i sacchi linfatici a rane, che
avevano già soggiornato per alcuni giorni nel liquido ipertonico e che vi si
erano quindi adattate, lasciandole poi in detto liquido.
In secondo luogo (II) sono stati aperti i sacchi linfatici a rane, che
avevano prima soggiornato in acqua dolce, nel momento nel quale veni-
vano immerse nella soluzione salina concentrata.
Tanto la prima serie di esperienze quanto la seconda sono state inoltre
suddivise in fre gruppi; e precisamente in un primo gruppo (a) nel quale
venivano aperti soltanto i sacchi linfatici laterali ; in un secondo gruppo (b)
nel quale si aprivano soltanto ì sacchi cranio-dorsale e addominale: in un
terzo gruppo (c), intine, nel quale venivano aperti tutti i suddetti sacchi
linfatici.
La divisione del primo ordine di esperienze nelle serie su riferite, è stata
fatta per vedere se l'adattamento già avvenuto alle soluzioni saline ipertoniche
avesse conferito all'animale una maggiore resistenza di fronte alle soluzioni
medesime allorchè fossero stati aperti ad esso i sacchi linfatici.
In tutte le esperienze l'apertura di questi ultimi fu poi, come si disse,
parziale o totale, per constatare quali tra essi avessero avuto maggiore im-
portanza tanto più in quanto si era sempre osservato come l'accumulo di linfa
avesse luogo sopra tutto in quelli laterali. Tuttavia si comprende come ai
risultati sperimentali non si dovesse assegnare sotto questo riguardo un valore
assoluto, date le comunicazioni esistenti tra il sacco cranio-dorsale e quelli
laterali e tra questi ultimi e quello addominale, attraverso i rispettivi ostia
septi dorsalis et abdominalis, e considerate anche le comunicazioni esistenti
tra ì varî sacchi linfatici.
L'apertura dei sacchi linfatici era fatta per mezzo di un paio di for-
bici a punte sottili con le quali si praticava una piccola asola nelle corri-
spettive regioni della cute.
— 994 —
I risultati sperimentali sono stati i seguenti:
TABELLA I.
A. I) Rane esculente estive adattate all'ambiente ipertonico aperti i sacchi
linfatici e rimesse nell'ambiente ipertonico.
Dig. Sacchi lin-
x Numero | Sacchi iin- | fatici eranio- Pala Fr
Numero e data Rane fatici dorsalele Durata in vita Osservazioni
laterali addominale
|
1 Agosto 1911 5 aperti — quattro giorni Soluzione Ringer contenente
) »| 5 — aperti |quattordici giorni il 10°/00 di NaCl + gli altri
7) 5 aperti aperti quattro giorni sali in proporzione. Temp.
| ambiente 12°-13° C.
) » 15 —_ _ —_ Dopo 336 ore tutte vive.
2 Settem. » | 7 aperti - tre giorni
” ” 7 — aperti sette giorni |
” ) 7 aperti aperti tre giorni
” ) 21 —_ _ = Dopo 7 giorni tutte vive.
A. II) Rane esculente estive normali messe in ambiente ipertonico subito
dopo avere aperti i sacchi linfatici.
1 Asosto 1911 5)
” ” 5
; ” 5
L) » | 15
2 Settem. » T{
|
i Di 7
” D) 7A
” DI) 2]
aperti
aperti
— due giorni
aperti tre giorni
aperti due giorni
_ tre giorni
aperti quattro giorni
aperti tre giorni
TABELLA II.
| Soluzione Ringer contenente
il 10°/00 di NaCl + gli altri
sali in proporzione. Temp.
ambiente 12°13° C.
Dopo 3 giorni tutte vive.
Dopo 4 giorni tutte vive.
B. Rane esculente estive adattate all'ambiente ipertonico (sacchi linfatici
pieni di linfa): apertura dei sacchi e immersione in acqua dolce
corrente.
1 Agosto 1911 5
bo) DD) 5)
” ” DI
” ” 15
2 Settem. » 5
b} ” 1)
”» ” 5
” ” 15
aperti
aperti
aperti
aperti
aperti
aperti
Dopo 20 giorni tutte vive.
Dopo 15 giorni tutte vive.
» » »”
Tanto nelle rane morte in seguito all'apertura degli uni o degli altri
sacchi linfatici, quanto in quelle che ancora resistevano in vita, si nota-
— 995 —
vano emorragie cutanee così diffuse che la pelle in alcuni punti ne era dive-
nuta rossa, soprattutto quella delimitante all’esterno i sacchi linfatici laterali.
All’autopsia si osservavano sempre oltre alle emorragie cutanee, emorragie
diffuse anche nei muscoli; nella muccosa della cavità orale, in quelle dello
stomaco e dell'intestino; e più o meno accentuate anche nel rene e negli
altri organi interni. Il cuore poi si trovava sempre arrestato in diastole.
Dai risultati ottenuti si può dunque concludere che l'integrità di tutti
i sacchi linfatici esaminati è necessaria perchè le rane immerse in soluzioni
saline ipertoniche si mantengano in vita. Si è constatato pertanto che quelli
laterali sono più importanti di quelli cranio-dorsale e addominale; infatti
le rane alle quali erano stati aperti i primi vivevano meno di quelle alle
quali sì erano aperti i secondi. Ciò coincideva col fenomeno già notato che
durante l'adattamento sono precisamente i sacchi linfatici laterali quelli,
che più degli altri, si riempiono di linfa.
La loro importanza si rende più manifesta negli animali che dall am-
biente normale passano all’ipertonico anzichè in quelli già adattati a que-
st ultimo ambiente.
Per quanto riguarda le rane. che dall'ambiente salino venivano immerse
nell'acqua dolce si è osservato che l'apertura dei sacchi linfatici non recava
alcun danno, almeno nei limiti di durata delle osservazioni (20 giorni).
Volendo ricercare le ragioni per le quali i sacchi linfatici laterali si
mostrino più importanti degli altri, devesi in primo luogo escludere che ciò
sia in rapporto con una maggiore superficie sottocutanea assorbente, poichè
i due sacchi linfatici laterali sono certo meno estesi del cranio-dorsale e del-
l’addominale uniti insieme. La vicinanza di spazi linfatici più importanti
(spatium inquinale?), o una maggiore vascolarizzazione (arteria e vena cutanea
magna), o forse anche un'attività secretoria maggiore dell’endotelio dei sacchi
stessi potrebbero fornirci la ragione di ciò.
Patologia. — Su: trapianti del timo. Nota preventiva per il
dott. FRANCESCO FuLciI, presentata dal Socio E. MARCHIAFAVA.
La possibilità di ottenere, mediante trapianti, l’attecchimento e la so-
pravvivenza del tessuto timico, ha determinato, nel volgere di pochi anni,
una serie di ricerche, le quali sono state soprattutto guidate dalla speranza
di poter riuscire, con esiti fortunati, ad evitare i danni di una mancante o
insufficiente funzione specifica od a studiare gli effetti di una ipertimizza-
zione sperimentale.
Già sin dal 1896 Abelous e Billard avevano fatto tentativi d’ innesto.
Essi avevano osservato che, impiantando nelle rane sotto la pelle del dorso
il timo « aussitòt après l’ablation » non si otteneva già un prolungamento
— 996 —
della vita, ma solo una più lenta decolorazione della loro pelle, rispetto ai
controlli. Inoltre Abelous e Billard affermavano che in una rana, la quale
cominciava a decolorarsi, per effetto della timectomia, si può far ricompa-
rire la colorazione primitiva, introducendo sotto la sua pelle del dorso « le
thymus qu'on vient d’enlever ». Però questi autori aggiungono che « au bout
de quelques jours l’animal se redécolore; une nouvelle insertion de thymus
fait reparaître la couleur primitive ».
Non risulta che Abelous e Billard abbiano fatto delle ricerche istolo-
giche; ma già da questa loro esposizione apparrebbe la transitorietà del
trapianto stesso.
Parecchi anni trascorsero senza che di trapianti timici si fosse più
parlato. i
Solo nel 1903 il Sinnhuber riprende lo studio della questione, con una
serie, molto limitata, di ricerche (2 cani soltanto), nelle quali manca anche
il sussidio dell'esame istologico.
Le successive indagini di Fischl (1904), Mitniskaia (1905), Grimani
(1905). Sommer e Floerken (1908), Charrin e Ostrowski (1908), Valtorta
(1909), Ranzi e Tandler (1909), Hart e Nordmann (1910), Klose e Vogt
(1910), Scalone(1910), Gebele (191061911), Dustin (1911), von Basch (1912),
Birscher (1912), Bayer (1912), Nordmann (1914), Klose (1914) ete. hanno
determinato notevole differenza di risultati e quindi di opinioni, le quali,
in gran parte almeno, possono stare anche in rapporto con la relativa defi-
cienza 0 la mancanza completa dei singoli esami istologici.
Spinto da queste considerazioni, ho voluto perciò anch'io occuparmi
dei trapianti del timo, sia per formarmi un'idea chiara della biologia di essi,
sia per avere in queste esperienze (nel caso di esito positivo di esse) quasi
un mezzo di controllo alle esperienze, da me già fatte, sulla rigenerazione
del timo stesso.
Gli animali da me adoperati furono sempre i conigli, del peso varia-
bile da 1200 a 2000 gr. ed anche di più. L'esito fortunato in questi anì-
mali adulti avrebbe avuto certamente significato anche per quelli più gio-
vani.
L'esperienze furono anzitutto distinte in quattro gruppi, a seconda che
furono praticati reimpianti, auto-, omo - o eterotrapianti.
Ogni gruppo di ricerche venne suddiviso in varie serie, a seconda delle
modalità dell'esperienza stessa, della durata in vita degli animali etc.
*
IO
Stabilito con le esperienze fatte nella prima serie del primo gruppo,
gli effetti della disturbata nutrizione per trazione meccanica (senza interru-
zione dei grossi vasi) sul tessuto timico, si passò con l'esperienze della
seconda serie a studiare gli effetti del reimpianto del timo nella regione
— 997 —
del mediastino anteriore stesso. Queste esperienze, ed in parte anche le pre-
cedenti, permisero anzitutto di rilevare la presenza di masse di cromatina,
le quali erano passate dall'interno dei lobuli, in via di necrosi, negli spazi
linfatici del connettivo interlobulare ed in parte anche nei vasi linfatici peri-
vascolari, quasi cromatina fluida, che poteva, in certo modo, servirci ad
indicare le vie normali di efflusso del tessuto timico stesso. Già da queste
prime esperienze la possibilità della coesistenza di processi necrotici e rige-
nerativi del tessuto timico veniva assodata,
Nella terza serie furono ripetute, a maggior conferma, l’esperienze pre-
cedenti, che dimostrarono, in maniera indiscutibile, il possibile esito fortu-
nato di queste indagini, anche in animali già adulti. Il meccanismo rige-
nerativo del timo non differiva nei suoi quattro stati fondamentali (epiteliale,
invertito, linfoide e normale) da quello da me in altri lavori precedenti
osservato e descritto, per cui ogni ripetizione ne sarebbe superflua. Anche
in queste esperienze è stato confermato il procedere relativamente rapido
del processo rigenerativo, per cui ad. es. un periodo di tempo esteso dal
18 luglio all'8 settembre 1913 è stato sufficiente, perchè tutti gli stati fon-
damentali descritti nella rigenerazione si succedessero sino alla ricostituzione
completa dell’organo.
*
x x
Non meno fortunate riuscirono, in genere, le esperienze del 2° gruppo
(auto-trapianti), le quali furono distinte in tre serie, a seconda della durata
in esperimento degli animali stessi, ai quali si tentò costantemente di estir-
pare completamente il proprio timo, per rendere più facile l'attecchimento
dell'innesto. Questo venne fatto nel connettivo lasso sottocutaneo del dorso.
La rigenerazione del timo, che si verifica in questi animali, malgrado che
in qualcuno di essi (ad es. N. 146 di proto collo) la timectomia fosse stata
incompleta, s’ inizia fondalmente con gli stessi elementi e prosegue con le stesse
modalità già note. Essa sembra tuttavia svolgersi con una certa difficoltà nel
tessuto lasso sottocutaneo della regione laterale del dorso. Pur non di meno.
sì è arrivati sovente a constatare l'organo relativamente bene sviluppato, con
corpi di Hassal neoformati, sebbene la sostanza midollare fosse relativamente
poco ampia. All’intorno delle trabecole epiteliali rigeneratrici dell'organo, non è
raro constatare la presenza di qualche cellula gigante del tipo di quelle da corpi
estranei. Piuttosto abbondante è stata la quantità di P/asmazellen osservate, e
specialmente attorno ai vasi sanguigni; relativamente scarsa è stata quella degli
elementi eosinofili. La presenza di tipiche Degenerationszellen è stato alquanto
difficile ad osservarsi; in questi casi si notò piuttosto la presenza di carat-
teristiche cellule fagocitarie, cariche di lipoidi ed anche di eteri colesteri-
nici, le quali ricordavano ie così dette Schaumzellen, o Pseudoxrantomaellen
(Aschoff).
RenpIconTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. IIZITA
— 998 —
Le Mutterzellen timiche stesse avevano sovente nucleo più piccolo dell’or-
dinario, più scuro, nucleolo poco distinto e protoplasma più stretto, poco più
intensamente colorato.
Con la rigenerazione, l'organo trapiantato sembra riacquistare la sua
funzione specifica ed in parte anche i rapporti biologici con i vari altri organi
a secrezione interna, come dimostra lo stato di questi in rapporto a quelli
dei controlli (').
Solo in qualche caso l’autoinnesto ha avuto risultato negativo (ad esempio
coniglio N. 212 di protocollo).
*
x x
Esito completamente negativo ebbero le esperienze del terzo gruppo
(omotrapianti), sia che gli innesti fossero stati fatti su animali già timecto-
mizzati, e con timi provenienti da coniglio morto gia da 24 ore (14 serie);
o con timi freschissimi di animali della stessa cucciolata (serie 2* e 34).
Nella 4* serie, malgrado gl'insuccessi precedenti. volli estirpare a due
animali (N. 137 e 138 di protocollo) completamente il proprio timo, ed
innestai loro nel sottocutaneo della regione laterale del dorso rispettivamente
parte del timo, già ridotto con le forbici in piccoli frammenti, il quale pro-
veniva da un altro coniglio, che da sette giorni era stato trattato con inie-
zioni endovenose di carminio litio, per ottenerne una buona colorazione
vitale. Nel caso di esito fortunato queste ricerche avrebbero avuto importanza,
per la determinazione della genesi dei singoli elementi, che contribuiscono
alla costituzione dei lobuli timici.
Partendo inoltre dal concetto che negli autotrapianti lo sviluppo di essi
era più rigoglioso e più rapido nei reimpianti dell'organo nel mediastino
che negli auto-trapianti di esso nella regione del dorso, ho tentato nella
54 serie di esperienze di praticare omotrapianti, innestando il timo nella
regione del mediastino anteriore stesso, dopo di aver operato l’animale di
timectomia completa. Per potere in questi casi nettamente differenziare una
eventuale proliferazione del timo innestato (omotimo) da quella di qualche
frammento timico, involontariamente lasciato nella timectomia preventiva,
mi sono servito in questi casi per i trapianti di timi di animali della stessa
cucciolata, precedentemente colorati vitalmente con. carminio.
In questi casi la presenza dei granuli del carminio nei frammenti ti-
mici trapiantati, sarebbe bastata a differenziare questi da quelli incidental-
mente rimasti, e quindi rigeneratisi, nel mediastino stesso dell'animale.
Ad uno di questi animali ho inoltre innestato, sotto la pelle del dorso,
parte del proprio timo, per potermene servire come di controllo rispetto
all’omotimo.
(*) Su ciò mi riserbo in seguito di discutere.
— 999 —
L'esame macro e microscopico ha permesso in questi casi di rilevare
che l’omotrapianto cadeva costantemente in necrosi (la quale era più o
meno estesa a seconda del tempo decorso dall'atto operativo) senza mani-
festare attivita rigenerativa alcuna; mentre l’autotrapianto invece nel caso
speciale (serie 5) aveva attecchito e progredito nel suo sviluppo.
Attorno a questi omotrapianti si è, con notevole frequenza, constatato,
oltre alla presenza di plamacellule, situate specialmente in vicinanza dei
vasi sanguigni, la presenza di tipiche cellule giganti da corpi estranei, di
volume talora anche notevole e con nuclei numerosi (20-30 ed anche più).
Non sì notarono mai vere e proprie Degenerationszellen: le cellule eosino-
file furono piuttosto scarse. Dopo circa un mese la necrosi ed il riassorbi-
mento dell'organo innestato erano quasi complete e solo poche tracce di
esso residuavano.
Pupi
Malgrado gli esiti costantemente negativi, ottenuti negli omotrapianti,
anche se tentati tra animali della stessa cucciolata, volli tuttavia nel 4° gruppo
provare gli eterotrapianti, servendomi del timo di due cagnolini che, fre.
schissimo, fu innestato, dopo essere stato ridotto in piccoli frammenti, nel
cellulare sottocutaneo della regione lalerale destra del dorso di quattro co-
nigli, del peso variabile dai 1200 ai 1450 gr. Questi animali. erano stati,
precedentemente all'innesto, completamente timectomizzati, nella speranza
di potere con ciò influire sulla migliore riuscita dell'esperimento stesso. Di
questi quattro animali uno fu ucciso dopo dieci giorni, gli altri furono man-
tenuti in vita sino ad un massimo di 50 giorni. In tutti furono costanti i
processi regressivi dell'organo innestato, nel quale mai sì constatarono feno-
meni rigenerativi.
Nell'’animale ucciso per ultimo il tessuto timico trapiantato era quasi
completamente scomparso e solo il residuo di una vivace reazione organica
con cellule giganti ancora numerose, Plasmazellen abbondanti, vasi sanguigni
neoformati etc. rendeva evidente il punto in cui l'innesto era stato prati-
cato. Ritenni inutile ripetere l’esperienze, data la concordanza dei risultati
ottenuti, che non ammettevano dubbi e la loro coincidenza con quelli. nel
gruppo precedente, osservati e descritti.
gi
Io mi riserbo di parlare in seguito più estesamente di queste esperienze,
specialmente dal punto di vista del loro significato biologico generale, ma
intanto, volendo riassumere quanto essenzialmente risulta dalla serie delle
mie indagini, si può dire che: 7 reimpianto del tessuto timico nel media-
stino anteriore dei conigli dà risultato positivo e la rigenerazione com-
pleta dell’organo, la quale segue alla necrosi di esso, può verificarsi anche
in animali adulti ed in un periodo di tempo relativamente breve, secondo
— 1000 —
il meccanismo da me già indicato e percorrendo i quattro stadi fon-
damentali già descritti. Anche l’autotrapianto può dare risultati positivi,
sebbene la rigenerazione dell'organo, nel connettivo lasso sottocutaneo della
regione laterale del dorso, sembri compiersi con una certa difficoltà. Tut-
tavia in qualche caso può anche aversi esito negativo.
Dai numerosi risultati positivi ottenuti vengono essenzialmente confer-
mati i fatti, già da me affermati, che cioè ta comparsa delle piccole cel-
lule rotonde del timo, è affatto indipendente da una eventuale immigrazione
di elementi linfoidi dall'esterno. Essa avviene indubbiamente per successive
modificazioni delle cellule epitelliali, che prime compaiono nella rigene-
razione dell'organo, le cosidette Mutterzellen. La produzione dei timolin-
fociti si compie quindi, în situ, per una fisiologica differenziazione
delle Mutterzellen stesse. La formazione del midollo e quindi dei corpi
di Hassal segue alla comparsa delle piccole cellule rotonde e quindi allo
stadio linfoide;essasi verifica per ulteriori modificazioni delle piccole
cellule rotonde stesse.
La formazione del reticolo, che è di natura connettivale, avviene
contemporaneamente, ma indipendentemente, da quella del parenchima.
Il timo rigeneratosi nel trapianto é un organo funzionante.
L'omotrapianto è seguito da risultati negativi e la rigenerazione
dell'organo non avviene, anche negli animali che in precedenza erano stati
completamente timectomizzati, anche se si adoperano, per l' innesto, timi
freschissimi di animali della stessa cucciolata e se si fa l'innesto nella
regione del mediastino anteriore stesso.
L’eterotrapianto dà anch'esso risultati negativi.
La comparsa di grossi elementi mononucleati fagocitarii, del tipo
delle così dette Schaumzellen e di numerose cellule giganti da corpi
estranei accompagna, quasi costantemente, il riassorbimento del tessuto
timico, omogeo 0 eterogeneo, trapiantato.
LAVORI RICORDATI.
Abelous et Billard, Compt. rend. de la Soc. de biologie. Paris, 1896, pag. 808.
Bayor, Beitrige z. Klin. Chirurg. 1912. Bd. 82. S. 408.
Birscher, Zentralbl. f. Chirurgie, 1912, S. 138.
Bompiani, Centralbl. f. allgem. Patholog. u. pathol. Anatomie. Bd. 25, S. 929, 1914.
Dustin, Compt. rend. de l’Assoc. des anatom. 1911, pag. 10.
Fischl, Zeitsch, f. experim. Patholog-und Therapie. Bd. 1. S. 388, 1905.
Fulci, Pathologica, 1913, pag. 259, n. 108.
Fulci, Deut. med. Wochen, 1913, n. 37.
Fulci, Centralbl. f. allg. Patholog-und pathol. Anatom. 1913. Bd. 24. S. 968.
Fulci, Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Vol. 23, fasc. 9. Seduta del 3 mag-
gio 1914.
Gebele, Beitrige f. Klin. Chirurg. Bd. 70. S_20, 1910.
—- 1001 —
Gebele, Beitràge f. Klin. Chirurg, 1911, S. 823, Bd. 76.
Grimani, Archivio di anatomia patologica e scienze affini, 1905. pag. 351
Hart und Nordmann. Berlin. Klin. Wochen. 1910, S. 815; Centralbl f. Physiolog.
Bd. 14, 1910.
Klose und Vogt, Klinik und Biologie der Thymusdriise. Tiibingen, 1910.
Klose, Chirurgie der Thymusdrise. Berlin. Verlag. Springer, 1914.
Mitniskaia, Thèse de Genève, 1905.
Nordmann, Miinch. med. Wochen, 1914, S. 1312.
Ranzi und Tandler, Wien. Klin. Wochen, 1909, S. 980, n. 27.
Scealone, il Tommasi, 1908, nn. 80, 31.
Scalone, il Tommasi, 1909, nn. 22, 23, 24.
Scalone, Gazzetta internaz. di medic.. chirurgia ed igiene. Napoli, 1910, nn. 5, 6.
Sinnhuber, Zeitsch. f. Klin. Mediz. Bd. 54, S_38, 1904.
Sommer und Floerchen, Physiolog. med. Gesellsch im Wirzburg, 1908; Deut. med.
Wochen, 1908,
Valtorta, Annali di ostetricia e ginecologia, 1909, pag. 63.
Patologia. — Ulteriori ricerche sulla Leishmamosi. Nota
del dott. C. BasiLe, presentata dal Socio B. Grassi.
Fisiologia. — icerche sulla secrezione spermatica. —
VI. Osservazioni sulla secrezione spermatica nell’uomo. Nota di
_G. AMANTEA e T. RINALDINI, presentata dal Socio L. LUCIANI.
Fisiologia. — vcerehe sulla secrezione spermatica. —
VII. Considerazioni yenerali sul decorso normale della secre-
zione spermatica nel cane e nell'uomo. — VIII. Alcune osser-
vazioni su cani castrati e su cani sottoposti a escissione parziale
dei deferenti. Note di G. AMANTEA, presentate dal Socio L. LUCIANI.
Chimica. — Sul metabolismo degli aminoacidi nell’orga-
nismo. — VII. Azione del fegato sugli aminoacidi aggiunti al
liquido di Ringer circolante. Nota di U. LomBROso e U. LUCCHETTI,
presentata dal Socio L. LUCIANI.
Chimica. — Sul metabolismo degli aminoacidi nell’organi-
smo. — VIII Azione del fegato sugli aminoacidi aggiunti al
sangue circolante. Nota di U. LomBRoso e C. ARTOM, presentata
dal Socio L. LUCIANI.
Fisiologia. — £cerehe sugli effetti dell’alimentazione maidica.
Valore nutritivo delle farine di grano, di mais e dell'uovo nei
ratti albini. Nota VI di S. BAGLIONI, presentata dal Socio L. LUCIANI.
Le Note precedenti saranno pubblicate in un prossimo fascicolo.
— 1002 —
PERSONALE ACCADEMICO
Il Corrispondente FepeRIcCo MiLLosEvicH legge la seguente Comme-
morazione del Socio prof. GIOVANNI STRUVER.
Quando Giovanni Striiver laureato di fresco nell'Università di Gottinga
giunse a Torino nel 1864. le condizioni della mineralogia in Italia erano tut-
t'altro che liete. Questa scienza, che nella prima metà del secolo XIX aveva
fatto fuori d'Italia grandi e brillanti progressi, era presso di noi vappresen-
tata si può dire unicamente da due scienziati. Affrettiamoci ad aggiungere
per conforto del nostro orgoglio nazionale, che questi si chiamavano Arcan-
gelo Scacchi e Quintino Sella. Il primo lavorava da più di un ventennio ad
un'opera non peritura, ma non aveva avuto, nè il tempo, nè i mezzi per
creare una scuola; il secondo pur allora aveva brillato nella scienza di luce
intensa, ma passeggera, perchè troppo presto rapito dalla più gravi cure
della vita politica alle severe indagini scientifiche. Mancava nella giovane
Italia nel campo mineralogico, come in tanti altri, una organizzazione e una,
scuola e, forse per ovviare a un tale inconveniente che doveva apparirgli
manifesto, Quintino Sella si rivolse all'università tedesca e precisamente al
suo illustre amico Sartorius von Walthershausen, perchè gli inviasse un gio-
vane che fosse adatto a coprire l'ufficio di coadiutore del geologe B. Ga-
staldi nella cattedra di mineralogia e geologia del Valentino. tenuta già dal
Sella. E lo scolaro prescelto dall’insigne mineralista di Gottinga per tale
missione di fiducia fu appunto Giovanni Striiver, che in tal modo sotto gli
auspici del Sella entrava nell'arringo scientifico italiano, dove doveva im-
primere orma così profonda.
Egli nacque il 23 gennaio 1842 nella città di Braunschweig, dove compì
gli studi secondari inscrivendosi a 19 anni nella Facoltà di filosofia di Got-
tinga. Questa Università aveva raggiunto in quel tempo il suo massimo
splendore e nel periodo in cui il giovane Striiver ne frequentò i corsi
ebbe la ventura di trovarvi a maestri uomini come il chimico Wòhler, il geo-
logo Seebach, il zoologo Keferstein, il mineralista e petrografo Sartorius
von Walthershausen celebre per il suo magistrale studio sull'Etna. Di
Walthershausen fu assistente volontario fin dal secondo anno di Università
e sotto la direzione di Keferstein pubblicò le sue prime ricerche scientifiche
sopra pesci fossili, che gli servirono come argomento per la sua disserta-
zione di laurea da lui conseguita nell'agosto 1864. Dopo pochi mesi egli
era in Italia, di dove non doveva più muoversi tranne per qualche breve
ritorno in patria.
— 1003 —
A Torino la sua attività trovò un vasto campo per molteplici applica-
zioni: l'insegnamento, la collaborazione col Gastaldi alla compilazione della
carta geologica delle Alpi occidentali, la ricerca scientifica. La quale gli
procurò in breve volger d’anni sì larga e meritata fama da farlo conside-
rare il degno continuatore dell'opera del Sella, che lo ebbe carissimo.
Nel 1871 era già professore straordinario dell’ Università di Torino e
nel 1873, dovendosi istituire una cattedra autonoma di mineralogia nell'Uni-
versità della nuova capitale, fu chiamato a coprirla per le disposizioni del-
l'articolo 69 della legge Casati. In Roma in quel Museo della Sapienza che
era per lui senza famiglia il più gradito soggiorno, continuò per più di
40 anni nella sua mirabile operosità di scienziato e di maestro, compiendo
le più importanti delle sue indagini scientifiche, fondando e ordinando la
più completa collezione di minerali che esista in Italia, guidando i giovami
nel difficile cammino degli studi, impartendo le sue lezioni a generazioni
intere di giovani ingegneri, di chimici, di naturalisti.
E nel pieno esercizio di quest'opera, continuata anche nella sua felice
e sana vecchiezza con ininterrotto e non stanco fervore, serenamente si spense
per malattia improvvisa il 21 febbraio scorso.
Dopo alcune pubblicazioni di minore importanza il nome dello Striiver
divenne celebre di un tratto fra gli studiosi di mineralogia per la monografia
sulla Pirite del Piemonte è dell’ Elba che, pubblicata nel 1869, rimane an-
cora oggidì un modello classico e difficilmente superabile fra le ricerche di
mineralogia descrittiva che furono da lui predilette. Per compiere il suo
studio durato più di 4 anni, fu necessario allo Striiver l'esame accurato
di più di 5000 cristalli, nei quali osservò ben 47 forme semplici diverse
ed un numero assai più grande di combinazioni, da lui raffigurate in una
serie di tavole, che sono considerate dai tecnici quanto di più perfetto si
sia prodotto in fatto di disegno cristallografico. Delle osservazioni assai acute,
che sono anche esposte in detta Memoria e che riguardano l’aggruppamento
delle forme in certe determinate combinazioni e la frequenza di queste, re-
cano un interessante contributo alla soluzione di questioni di cristallografia
teorica.
Questo pregio di sapere assurgere dalla pura e semplice descrizione a
considerazioni concernenti problemi più elevati di indole generale o teorica,
è comune del resto a tutti o a quasi tutti i lavori mineralogici dello Striiver
e ne accresce l’importanza per la scienza. Sotto un tal punto di vista sono
da considerarsi ben più che semplici monografie locali, quelle sui minerali
del Lazio e dei Sabatini e quelle sul celebre giacimento di Val d'Ala. Anche
in esse, dovunque gli si presentò l'occasione, l’insigne mineralista fece rile-
vare fatti attinenti a importanti questioni teoriche di cristallografia, come
le anomalie dei valori angolari contro la simmetria apparente in taluni mi-
nerali e l’importanza del cosidetto abito dei cristalli, o affrontò con solida
— 1004 —
coltura e spirito critico elevato le eleganti ed ardue questioni di genesi dei
minerali in relazione alla loro paragenesi ed al loro giacimento Nè vanno
taciute fra le tantissime benemerenze dello Striver nel campo della mine-
ralogia descrittiva la scoperta di due minerali nuovi, cioè la sellaite e la
gastaldite e il ritrovamento per primo in Italia di specie rare, come la pe-
rowskite, la columbite, la brookite, l'axinite, ecc.
Il procedere delle nostre esatte nozioni scientifiche sul polimortismo e
sull’isomorfismo ha sempre più cresciuto interesse alle ricerche cristallo-
grafiche su composti artificiali inorganici e organici, le quali, più che un
utile, ma modesto contributo alla conoscenza di una delle proprietà di detti
composti, rappresentano un passo tendente a raggiungere una meta lontana,
ma assal seducente: l'esatta definizione dei rapporti che intercedono fra co-
stituzione chimica e forma cristallina di una sostanza. Quando poi nel 1870
il Groth colie sue ricerche cristallografiche sui derivati del benzolo fece
conoscere quella serie di fenomeni cui dava il nome di morfotropia, parve
che una nuova via verso questa meta si aprisse agli studiosi di cristallo-
grafia chimica, via che secondo le apparenze avrebbe dovuto menar più di-
ritta allo scopo, dappoichè sembrava possibile di riuscire a determinare per
così dire quantitativamente l'influenza che la sostituzione di un atomo o di
uno speciale gruppo di atomi con altri esercita sulla forma cristallina di
una molecola. kra ben naturale che in quel tempo lo Striver fosse attratto
ad occuparsi di tali ricerche così promettenti e profittasse della felice occa-
sione di avere a collega Stanislao Cannizzaro, che giusto in quegli anni si
dedicava ai suoi mirabill studi sulla santonina preparandone tanti nuovi
derivati. Lo studio cristallografico di questi (1876-1878) permise allo Striver
di portare in una questione allora palpitante il contributo del suo ingegno
e della sua rara sagacia scientifica, giovando a smorzare i troppo facili
entusiasmi per la novella dottrina della morfotropia con la dimostrazione
dell’inesistenza di rapporti morfotropici che sarebbero stati prevedibili, sve-
lando le relazioni cristallografiche che intercedono fra i vari isomeri della
sautonina, e soprattutto additando il metodo rigoroso da eseguire senza sover-
chie illusioni, ma con serena fiducia, per giungere allo scopo desiderato.
Oggi, a tanti anni di distanza, e tenuto il debito conto del solo reale per-
fezionamento portato in seguito al metodo di tali ricerche, che è l' intro-
duzione degli assi topici, dei parametri cioè riferiti al volume molecolare,
lo studio cristallografico dei derivati della santonina può reggere il con-
fronto con i più recenti lavori dei moderni cristallograti chimici.
Cossa e Strilver furono i primi in Italia a coltivare seriamente e scien-
titicamente la Petrografia: il primo con indirizzo prevalentemente chimico,
il secondo applicando in modo speciale quei metodi ottici di ricerca, che
andavano allora mano a mano sviluppandosi nella scienza straniera.
— 1005 —
Non predilesse la petrografia alla quale contribuì con non molti lavori ;
tuttavia, anche in questo campo, con quel finissimo senso di naturalista, che
era una delle sue migliori qualità, seppe indicare le giuste direttive, così
da valutare la petrografia per quel che deve realmente essere, una branca
cioè della geologia coltivata con metodi propri della mineralogia e quindi
in possesso più dei mineralisti che dei geologi: perehè il perfezionamento
sempre maggiore della tecnica ottica e la più larga applicazione della ana-
lisi chimica non sono sufficienti per le ricerche petrografiche, se queste non
sieno guidate da un criterio geologico: senza di questo anzi hanno prodotto
più male che bene col complicare artificiosamente la materia di per sè assai
complessa. Ricordo che questa opinione il compianto maestro soleva riassu-
mere col dire che la petrografia, come fine a sè stessa, e non in sussidio di
un problema geologico, è una mineralogia inesatta, perchè fatta in cattive
condizioni. Dopo il primo lavoro su rocce alpine e sulla Peridotite di Bal-
dissero del 1871 e del 1874 egli pubblicò nel 1876 i suoi Studi petrogra-
fici sul Lazio, in cui è chiarita la genesi e la natura della lava sperone ed
è fatto conoscere per la prima volta un interessantissimo tipo di roccia
con hauyna; e dopo molti anni rese noti i risultati dello studio dei graniti della
bassa Val Sesia con un importante lavoro di indole geologica che ce lo
rivela sotto un aspetto che egli, per la sua innata gentilezza d'animo, ben
rare volte volle assumere: quello del critico. Anche in questo del resto riu-
sciva a meraviglia: con spirito e garbatezza, ma anche con una logica così
stringente e così tagliente da annichilire l'avversario.
L'opera scientifica di Giovanni Striver, che in questo breve discorso
sono costretto a trattessiare soltanto nelle sue linee principalissime, eccelle
in sense assoluto per alcune sue qualità particolari, che sono: la felice scelta
dell'argomento, il metodo rigoroso ed esatto, l'ordine e la chiarezza della
esposizione, la quale generalmente egli sapeva ridurre nei più brevi termini
possibili e ai soli fatti nuovi e scientificamente importanti. Come nella im-
postazione del lavoro non vi è una osservazione superflua o un esperimento
mal condotto o inutile, così non vi è una parola inutile o superflua nella esposi-
zione dei risultati. In senso relativo poi, cioè riferita agli anni in cui fu
prodotta quest'opera, acquista un'importanza veramente superiore, perchè nel
quarantennio dal 1860 al 1900, che fu quello dell'attività dello Striver, i
suoi lavori rappresentano l’espressione della evoluzione massima della sua
scienza in quel tempo.
Lo Strilver fu mineralista completo; derivò dal Sella la pratica esat-
tissima della cristallografia ed il gusto per le questioni teoriche, dai suoi
maestri di Gottinga e specialmente dal Wénhler il pieno possesso della teoria
e dei metodi di ricerca della fisica e della chimica, ed ebbe oltre a ciò il
vantaggio di una straordinaria inclinazione allo studio delle scienze natu-
rali, anche biologiche, che egli coltivò con profitto e con grande passione
- ReNDICONTI. 1915, Vol, XXIV, 1° Sem, 128
CL0O0EE
fin da giovanetto; il che gli permise di mantenere alla Mineralogia l’indi-
rizzo naturalistico che questa scienza deve avere, pur perfezionandone i me-
todi alla stregua delle novelle conquiste della scienza.
Per tale fortunata coincidenza di felici qualità dell'uomo in un tempo
propizio era a lui destinato l'onore di fondare la prima scuola di minera-
logia esatta nel nostro paese. Scuola intendo non nel senso particolare e
forse un po' gretto della parola, ma nel senso più nobile e più elevato,
perchè egli mostrò il giusto indirizzo della scienza, ne insegnò il vero me-
todo e fornì con i suoi lavori dei mirabili modelli da imitare. Sotto questo
punto di vista tutti i cultori della mineralogia in Italia, anche coloro che
non gli vissero più da vicino, sono suoi scolari, tutti avendo derivato dalla
sua opera qualcosa della loro.
Non coltivò espressamente la mineralogia chimica forse perchè gli man-
carono mezzi sperimentali adeguati: ma alla sua mente aperta a tutte le
nuove correnti di idee non sfuggì l'importanza sempre crescente di questo
campo, del quale lo sviluppo della chimica fisica ha allargato insperata-
mente gli orizzonti. E non è senza significazione il fatto che l'ultimo dei
suoi lavori sia appunto di mineralogia chimica e riguardi certi fenomeni
curiosissimi di reazione fra minerali per semplice contatto e a temperatura
ordinaria, che potrebbero essere il punto di partenza per tutta una serie di
ricerche nuove ed originalissime. Si direbbe quasi che, giunto sulla soglia
della vecchiaia e stanco di una vita operosa, abbia voluto additare ai gio-
vani il nuovo cammino da seguire. |
Da parecchi anni la sua attività scientifica pareva diminuita e la sua
partecipazione, del resto mai molto attiva, alla vita diremo così esteriore
cessata del tutto. Non per questo si sarebbe stati autorizzati a credere che
egli riposasse sui meritati allori. Era invece tutto dedito ad un'opera lunga,
tenace, paziente, opera che l’'ininterrotto contributo giornaliero di anni ed
anni di lavoro rese addirittura colossale: la creazione dapprima, il riordina-
mento poi del Museo Mineralogico della Sapienza.
Il Museo specie negli ultimi tempi era l’unica sua passione, la meta
dei suoi pensieri, lo scopo quasi della sua esistenza. E l’opera era riuscita
degna del grande amore che l'aveva generata.
Nel 1873 lo Striver trovò nell'Università di Roma un discreto Museo
di cui facevano parte essenziale le collezioni Riccioli e Spada; quest'ultima
di grandissima importanza, perchè messa insieme da un conoscitore profondo
dei minerali, che per le sue estese e cospicue relazioni in ogni paese del mondo
si era potuto procurare dei campioni ricchi o rari, taluni anzi di un valore
eccezionale. Intorno a questo nucleo, da lui con somma cura riordinato e
descritto, lo Striiver nei 40 anni della sua permanenza alla Sapienza venne
raggruppando una ricchissima e sceltissima raccolta, con materiale acquistato
con ì fondi della dotazione ed anche, e non in piccola parte di sua borsa,
— 1007 —
o donatogli, o inviatogli in cambio, o raccolto nelle sue escursioni estive in
diverse regioni mineralogicamente importanti, escursioni che soltanto da uua
diecina di anni avea interrotte. I suoi intimi sapevano di non potergli fare
cosa più gradita di un dono di materiale interessante al Museo, i colleghi
d'Italia e dell’Estero gli inviavano o gli offrivano in cambio splendidi o
rari campioni, ai negozianti di minerali era ben noto che gli oggetti di mag-
gior interesse scientifico o più cospicui per mole e bellezza avrebbero tro-
vato in lui un generoso acquirente, pronto anche a spender di suo, ove non
bastassero le risorse del bilancio.
Il Museo di Roma può stare a confronto con i migliori dell’ Estero se
non per il numero, per la qualità degli esemplari, perchè un alto concetto
scientifico ne ha guidato l’ordinamento, perchè vi sono rappresentate tutte
le specie veramente degne di questo nome e per ogni singola specie i gia-
cimenti più importanti. Tutto in esso è opera dello Strilver: dal catalogo,
che è molto più di un elenco inventariale, e contiene particolari e osser-
vazioni di un alto interesse scientifico, al disegno del mobilio appropriatis-
simo e scelto dopo innumerevoli prove e confronti, dalla distribuzione degli
esemplari, all'opera stessa calligrafica delle etichette.
Tedesco di nascita, Giovanni Striiver amò di vero cuore la sua patria
di adozione. Venuto in Italia cinquanta anni fa aveva avuto campo di con-
statare ì progressi da essa compiuti in ogni campo, e sinceramente se ne
compiaceva, augurandole sempre migliori destini. Alla pubblica amministra-
zione portò il contributo della sua esperienza e della sua sagacia collabo-
rando come capo di gabinetto di Guido Baccelli al progetto di riforma uni-
versitaria e partecipando per circa un ventennio ai lavori del Consiglio
superiore della Pubblica Istruzione. Ma modesto, come egli era, di una
modestia addirittura eccezionale, preferì la vita tranquilla del Laboratorio a
tutte le cariche che, pur che avesse voluto, gli sarebbero state di buon grado
affidate; così delle onorificenze e degli attestati di riconoscimento del suo
merito conferitogli da corpi scientifici italiani e stranieri non menava vanto,
pur compiacendosene intimamente; ed una sola volta in tanti anni di rela-
zione con lui accadde che mi mostrasse con legittimo orgoglio e con grande
compiàcenza uno dei contrassegni della estimazione, nella quale era tenuto
dal mondo delle scienze, il diploma cioè che l’' Università di Gottinga suol
rilasciare dopo cinquanta anni dalla laurea ai suoi allievi resisi illustri nel
campo del sapere o della attività umana. Si era nell'ottobre scorso e l'omaggio
tributatogli dalla patria lontana impegnata in una tragica lotta doveva certo
destare nell'animo suo una folla di sentimenti diversi, lieti e tristi insieme,
che egli, così poco espansivo, anche con i suoi intimi, non poteva o non
voleva manifestare, pur non riuscendo completamente a celare.
Poteva sembrare un misantropo, ma chiunque avesse avuto occasione di
avvicinarlo lo trovava invece affabilissimo e di cuore generoso. Severissimo con
— 1008 —
sè stesso nell'adempimento dei propri doveri, era invece indulgente con gli
altri: diligentissimo insegnante, e le sue lezioni erano un modello di pre-
cisione e di chiarezza, era all'opposto un esaminatore fin troppo benevolo,
cosicchè gli studenti che non avessero voluto trar profitto dalla sua dot-
trina trovavano sempre modo di profittare della sua bontà. I suoi allievi
amava senza ostentazione ed aiutava nella carriera senza parzialità, perchè
la moderazione e lo spirito di equità erano le note fondamentali del suo
carattere franco e sincero. Così quest'uomo che avrebbe potuto raggiungere
agevolmente i fastigi della carriera scientifica e trarre profitto della grande
autorità di cui godeva, visse una vita operosamente modesta, facendo larga-
mente il bene, ritraendone pochi vantaggi, pago più che di altro di intime
soddisfazioni spirituali e dell’affetto formato di ammirazione e di ricono-
scenza di coloro, come me, ai quali aveva generosamente prodigato i tesori
della sua dottrina e della sua bontà.
PRESENTAZIONE DI LIBRI
Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono
segnalando quella del Socio Bassani intitolata: L'Ittiofauna della pietra
Leccese (Terra d’' Otranto). Fa inoltre menzione di due fascicoli del prof. A. FA-
varo: Corrispondenti di Galileo Galilei. XXX1: Bonaventura Cavalieri.
XXXII: Francesco di Noailles; di una Commemorazione del prof. E. Fer-
gola, del prof. Pinto; e del volume del prof. A. D'AcHIaRDI: Guida al
corso di Mineralogia. Mineralogia Generale. Finalmente annuncia che per
mezzo del Corrisp. Di Legge, il P. Lars, della Specola Vaticana, ha fatto
dono all'Accademia di una bella serie di carte fotografiche del cielo, per la
zona affidata alla Specola sopraricordata nel lavoro astronomico internazionale,
del quale parla nei riguardi di detta zona.
E. M.
— 1009 —
OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA
presentate nella seduta del 2 maggio 1915.
Bassani FR. — La ittiofauna della pietra
leccese. (Terra d'Otravto). Con 4 tavole,
Napoli, 1915. 4°.
D'AckiarpI A. — Guida al corso di mi-
neralogia. Mineralogia generale. 2%
edizione. Pisa, 1915. 8°.
Favaro A. — Amici e corrispondenti di
Galileo Galilei. XXXI. Bonaventura
Cavalieri. (Estr. dagli « Atti del R.
Istituto Veneto di scien. lett. ed arti ».
t. LXXIV). Venezia, 1915. 8°.
Favaro A. — Amici e corrispondenti di
Galileo Galilei. XXXII. Francesco di
Noailles. (Estr. dagli « Atti e Memorie
della R. Accad. di sc. lett. ed arti di
Padova », vol. XXXI). Padova, 1915. 8°.
GuerRIERI E. — Sulla curva di luce e
sulla variazione del periodo di Y Cygni.
(Estr. dalle « Memorie delle Soc. degli
Spettroscopisti italiani », vol. III). Ca-
tania, 1914. 8°.
Pinto .L. — Emanuele Fergola. Comme-
morazione. (Estr. dal « Rend. della
R. Accad., delle Scienze fis. e matem.
di Napoli 1915 »). Napoli, 1915. 8°.
Royal Society Club. — Foundation, objects,
rules, by-Laws, List of Membres,
London, 1914. 8°.
Luo i i dita
_Amantea. Ricerche sulla secrezione spermatica, IV: Influenza del riposo sulla secrezione sper»
matica del cane (pres. dai Socio Luciani). . +... . + n EA TAI
Brunacci. Sull’adattamento degli anfibi all'ambiente liquido o niente la regolazione
della pressione osmotica dei loro liquidi interni. VI: Importanza dei sacchi linfatici
(pres. dal Socio Luciani) . . + MESSE
Fulci. Sui trapianti. del timo (pres. dal Socio ociafacay: BO A EDI RR AITINA]
Basile. Ulteriori ricerche sulla Leishmaniosi (pres. dal Socio Grassi) (*) . See 1001
"Amantea e Rinaldini. Ricerche sulla secrezione spermatica. — VI. Osservazioni sulla secrezione
spermatica nell’uomo (pres. dal Socio Luciani) (). . ..... SN VI
Id. Ricerche sulla secrezione spermatica. — VII. Considerazioni generali sal econo normale
della secrezione spermatica nel ‘cane e nell'uomo. — VIII. Alcune osservazioni su capi
castrati e su cani sottoposti a escissione parziale dei deferenti (pres. /d.) (®) . . . » n
Lombroso e Lucchetti. Sul metabolismo degli aminoacidi nell'organismo. — VII. Azione del
fegato sugli aminoacidi aggiunti al liquido di Ringer circolante (pres. 14.) (®). . . n»
Id. e Artom. Sul metabolismo degli aminoacidi nell'organismo. — VIII. Azione del fegato
sugli aminoacidi aggiunti al sangue circolante (pres. Id.) (®) .}. . . . MaI DI
Baglioni. Ricerche sugli effetti dell’ alimentazione maidica. Valore nutritivo della RI di
grano, di mais e dell'uovo nei ratti albini (pres. /4.) (LL...
PERSONALE ACCADEMICO
Millosevich Federico. Commemorazione del Socio prof. Giovanni Strùver. . . . + + » 1002
PRESENTAZIONE DI LIBRI
Millosevich E. (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle del
Socio Bassani, dei proff. A. Favaro, Pinto, A. D'Achiardi e del P. Lais . + . n 1008
RBUELETTINOWBIBLIOGRABRI CON asia Net np e ee n cere ARITTV00
(*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
RENDICONTI — Maggio 1915.
INDICE
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Seduta del 2 maggio 1915.
MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI
Severi. Sulla classificazione delle curve algebriche e sul teorema d’esistenza di Riemann. Pagi (B770
Kbrner e Contardi. Il quinto trinitrotoluene, (e), e prodotti dinitro-alogeno-sostituiti cor-
LISPONdENtI on N RT AEREE pa SV e O O
Pirotta. Un caso interessante di variazione Lo da di una Iris... .. SVEEIIIBITA
Cardani. Sul processo per rendere stabile il funzionamento dei tubi Rontgen mediante l’as-
sorbimento dell’anidride carbonica . .. : Sg nr +. . n 898
Zaremba. Sopra un teorema d’unicità relativo ala equazione delle onde sferiche a dal
Socio Levi-Civita) . . . . E e ea A O E
Mineo. Sulla distribuzione della massa nta d un corpo in corrispondenza a un'as»
segnata azione esterna (pres. dal Socio Pizzetti) (#) . .... ROGIOLA «+.» 908
Corbino e Trabacchi. Persistenza delle correnti fotoelettriche nelle colate di Flster e Geitel
dopo la soppressione della luce eccitatrice (pres. dal Socio Blaserna) . : ERICA
Poli. Sull’irraggiamento nero; risposta alle osservazioni del prof. Corbino (nes dal Socio
Somigliana) . . . . . | SEE LITRI Aa VA CI
Barbieri. Nuove ricerche sulle Lon -uree Us dal Soia. Gissi RIGUAR n
Calzolari. Contributo alla conoscenza dei tetrationati (pres. /d.) . . Dan D)
Id. e Tagliavini. Sugli alogenomercurati (pres. /d.) . »
Cambi. Sul potere elettromotore delle amalgame di magnesio RS: sal Socio Wai) . ». 932
Graziani. Anidridi e amine da acidi «-amidati (pres. dal Corrisp. Balbiano) . . . . . n
De Fazi. Azione della luce su benzofenone ed acido butirrico (pres. dal Socio Paternò). »
Padoa e Foresti. Sugli equilibri dell’idrogenazione (pres. dal Socio Ciamician). . . . » 946
Pagliani. Sopra alcune nuove relazioni che servono a calcolare la frequenza nel moto vibra-
torio molecolare dei solidi (pres. dal Corrisp. Balbiano). . . PASLINTRCO ;, » 948
Scarpa. Analisi termica di miscele di idrati e alogenuri alcalini, I: Co di gadio
(pres. dal Socio Ciamician). . . LIRE NOMECA ; RO » 955
Grill. Contributo alla mineralogia sarda. Sapia alcnni ni cristalli di baia Ga
dal Corrisp. /. MaiMlosevich). . . . seni 061
Munerati e Zapparoli. Di alcune anomalie ino 0 ii CI o dal Socio
Pirotta) (*). . . . . Rea » 965
Mameli e Pollacci. Ancora 3)
delle relative Cs_1. Nulla di assurdo ci sarebbe in ciò. perchè in tal caso
fra questi 2 punti d'appoggio, è — 2 dovrebbero esser punti doppî improprî
rispetto alle curve di V.
Per provare che effettivamente V contiene ogni curva spezzata in una
Ci}; ed in una corda di questa, procediamo così: L'imposizione di 2 punti
doppî proprî alle curve di V, equivale a 2 condizioni (al più), sicchè si
avranno in V co” curve siffatte, ove
k=>A4i(A=n(r+1)—(r-3)(p—1)—2).
La varietà X di queste curve, può essere riducibile, e può anche darsi che
qualcuna delle sue parti sia di dimensione 4, e qualche altra di dimen-
sione 4 + 1. Comunque è certo che una, D, delle curve di V composte con
una €27) e con una corda « di questa (la quale sia eventualmente :-secante),
in quarto è appunto una C$ con 2 punti doppî proprî (e forse # — 2 im-
SELE
proprî) appartiene ad una varietà irriducibile W co* contenuta in X. Ora è
facile vedere che ogni curva di W è spezzata. di
Infatti le proiezioni piane della D e di una D di W ad essa infinita-
mente vicina, hanno lo stesso numero %#-+2 di punti doppi, sicchè anche
la proiezione della D, e perciò la D stessa, pel principio già ricordato di
Enriques, è spezzata. Ed è poi chiaro che lo spezzamento di D non può
aver luogo che in una Cf-1 ed in una sua corda. Le curve di W sono
dunque spezzate tutte come D, e quindi W è contenuta nella varietà W,
delle curve composte da una qualsiasi (771 e da una qualsiasi corda di
questa. Ma poichè anche W, è irriducibile e di dimensione Z, si conclude
che W coincide con W,.
Ricordiamoci ora che un qualunque (n — p)-latero di genere effettivo
zero in Sy, è contenuto nella varietà delle curve razionali d'ordine n — p.
Siccome ogni tal curva, insieme ad una sua corda, dà una curva apparte-
nente alla varietà delle curve ellittiche di S,, se ne trae che a questa va-
rietà appartiene ogni (n — p)-latero di genere effettivo zero, insieme ad una
sua corda; e così risalendo dal genere 1 al genere 2, ed in generale da
p—l a p, si arriva al teorema fondamentale:
Alla famiglia non speciale V delle Ci, di S, (n=>p+ 1), appartiene
ogni n-latero composto mediante un (n — p)-latero di genere effettivo zero,
insieme a p corde generiche di questo.
In particolare si possono prendere n — p rette 41, 42,..., @n-p, di cui
ciascuna sia appoggiata alla successiva, ma l’ultima sia sghemba colla prima,
e p corde generiche dell'(n — p)-latero @, 42... Gn-p; oppure n—-p—1l
rette generiche 42, ... , 4n-p, appoggiate ad 4,, e p corde generiche di questo
(n — p)-latero. Si osserverà che così si ottiene un n-latero rappresentante
tipico della famiglia V, nel quale mai tre lati giacciono in un piano.
Per ottenere gli %-lateri contenuti in V, si può anche imporre alle
curve di V di acquistare #4 p —1 punti doppî proprî, perchè in tal modo
la sviluppabile osculatrice di C$, che è d'ordine 2(2 4 p— 1), viene a
spezzarsi in #-+-p—1 fasci di raggi contati doppiamente, e quindi la
curva riducesì ad un sistema connesso di rette. Così s' impongono n + p —
—1—s (e£=0) condizioni, per guisa che l'infinità degli -lateri conte-
nuti in V risulta espressa da:
kiny=a(+1)—(—8)—1)—(+p—1-9=
=nrT—-(r_-2)(p—_1l)+s.
D'altronde, che %,, non sia inferiore ad 27 — (r — 2)(p—1), risulta
pur da ciò che gli w-lateri di genere effettivo p in S,, dipendono almeno
da tante costanti, perchè la condizione d'incidenza di due rette è di dimen-
sione 7 — 2. Vedremo al n. 8 che la varietà degli n-lateri contenuti in V
è spezzata e che in essa vi sono generalmente parti di diverse dimensioni;
-— 1014 —
ma possiamo subito provare che /uliavia în V vi è sempre una famiglia
completa di n-lateri, che ha la dimensione regolare nr — (r — 2)(p— 1).
La cosa si dimostra per induzione, a partire da un (2 — p)-latero di
genere effettivo zero, costituito da 7 —p —1 rette incidenti ad una medesima
ed osservando che l'aggiunta di una corda generica ad un (x — p + ?)-latero
(i=0,1,..,p — 1), aumenta l’ordine ed il genere effettivo di un’ unità
ed il numero dei parametri di 2 unità.
7. COME UNA FAMIGLIA SPECIALE Sl POSSA CONSIDERARE PARZIALMENTE
CONTENUTA IN UNA NON SPECIALE. — Abbiasi in S, una famiglia speciale
(o p+r, qualora
si consideri come inesistente, per ogni retta aggiunta, uno dei punti ov'essa
incontra C', appartiene alla famiglia delle curve piane irriducibili d'ordine
n+d e genere p. E poichè ognuna di queste curve è proiezione di qualche
C5+° di S,, se ne trae agevolmente che la curva speciale Cr di S, insieme
a è sue rette secanti, ove d >p+r — n, può considerarsi con un ele-
mento della famiglia non speciale delle C3+ò irriducibili di S,.
Alla stessa conclusione si perviene nel modo seguente, dal quale risulta
di più che le d secanti, da aggiungersi a C7, non secano altrove la curva.
Si consideri un S) sghembo con S,, e pongasi un’omografia fra S,,S/. La
curva C2 viene mutata in una Cy° di S., e le congiungenti delle coppie di
punti omologhi di C,C", generano una rigata F, di genere p e ordine 2x,
rispetto alle cui generatrici le C, C' sono unisecanti. Si prova, senza difficoltà,
che su F le C,C' appartengono ad un medesimo fascio |C|, di grado 0.
Se pertanto s'aggiunge a |C| una serie lineare gt (0 >0) di generatrici
di F, il sistema lineare somma, di curve unisecanti, d'ordine n + d e ge-
nere p, sarà irriducibile. Proiettando in S,, e tenendo conto dell’osservazione
con cui si chiude il n. 1, si conclude col teorema enunciato.
Un'analisi ulteriore provereloo anzi che le d rette secanti possono sce-
gliersi ad arbitrio.
8. IL TEOREMA FONDAMENIALE PER LE Cp DI UNA FAMIGLIA QUA-
È - i? + r, le
curve di questa famiglia sono a moduli particolari (n. 3). Per valutare la
dimensione x di V, si può ripetere il ragionamento svolto da Noether per
le curve gobbe (1°), e si trova così per x il limite inferiore (8) (n. 3).
Dunque: Una famiglia qualunque di Cf}, nello S., ha dimensione
non minore di n(r +1) —(r—-3)(p— 1).
LUNQUE. — Sia in S, una famiglia V di C$. Se n <
(1?) Noether, loc. cit., pag. 19. Trattandosi"qui di trovare un limite inferiore per %,
non occorre alcuna considerazione del tipo di quelle esposte al n. 3, ove si voleva per-
venire ad un’uguaglianza (valida per le famiglie di curve a moduli generali).
— 1015 —
L'eccesso e di questa dimensione, sul limite inferiore (3), lo chiame-
r
rt 1
remo l'irregolarità di V. Per n= p+r la famiglia è di certo re-
golare.
Sia ora d un intero per cui sia soddisfatto il teorema del num. prec.;
e sia inoltre W la famiglia non speciale delle C2+° di S,. Con un ragio-
namento analogo a quello esposto nel n. 6, si prova che le curve composte
mediante una 05 di V, alla quale vengono aggiunte d rette secanti gene-
riche, costituiscono una parte della varietà formata dalle curve di W dotate
di d punti doppî proprî. Si perviene così alla relazione
a+rd=(n+0)(+1)—(r-3)(p—_1)—-d+e (e=>0),
donde si trae di nuovo a=n(r +1) —(r—-3)(p—1)+e.
Imponiamo ora alle curve di V di acquistare 7 -+p —1 punti doppî
proprî, cioè di spezzarsi in % rette. Si può subito osservare che queste con-
dizioni son compatibili colla definizione di V. Infatti il cono T° che pro-
ietta una generica C% da un punto O, fuori di S,. contiene un sistema li-
neare 0co”*! di sezioni iperpiane, fra cui c'è la C} data ed i gruppi di x
generatrici staccati su Z° dagl'iperpiani (di $,+,) uscenti dal vertice O.
Proiettando tutto sullo S, primitivo, da un generico punto P di S,,,, si
ha in $, un sistema irriducibile c0"+!, di curve Cg, cui appartengono la
curva data ed oo” n-lateri. Poichè questo sistema è contenuto in V (n. 1),
sì conclude che V contiene effettivamente curve degenerate in gruppi di %
rette distinte.
Gli #-4-p—1 punti doppî proprî imposti, equivalgono ad n+p—1—e
(e = 0) condizioni, cosicchè esistono in V infiniti n-lateri dipendenti da
nrT—-(rT-2)(p—1)+e+ parametri. Ciascuno di questi punti n-lateri,
insieme a d sue rette secanti, fornisce un (2 + d)-latero di W. Si ottiene
in tal modo in W una varietà di (2 4 d)-lateri, di dimensione (n 4 d) 7 —
— (_-2)(p—1)+e-+, e si prova così che ad una famiglia non
speciale W, la quale contenga parzialmente una famiglia irregolare di
curve, appartengono due 0 più varietà irriducibili di n-lateri, di cuî
alcune di dimensione regolare e le altre di dimensione irregolare.
Ci resterebbe da mostrare che gli n-lateri esistenti in V son privi di
punti doppî improprî, cioè che il loro genere effettivo coincide col genere
virtuale p. Rimandiamo al n. 9 per talune induzioni in proposito, riservan-
doci di completare questo punto nel lavoro più esteso. Enunceremo conclu-
dendo che:
In ogni famiglia V di curve C$ dello S,, esistono almeno ao-YTYAPL
n-lateri di genere p. L’irregolarità di V non supera la massima irrego-
larità d'una famiglia completa di n-laterî di genere p in Sy.
— 1016 —
Un'altra disuguaglianza cui soddisfa e, è la seguente, che si ottiene
con semplici considerazioni di geometria sopra una curva:
L'irregolarità di V non supera (r — 2)i, i essendo l'indice di spe-
cialità della generica O -
9. SULL'INVERSIONE DEL TEOREMA FONDAMENTALE. — Dato in S, un
n-latero (connesso) L=, 4»... @n, di genere effettivo p = 0, è possibile
costruire una famiglia di curve irriducibili C} di $,, cui appartenga L?
Per rispondere a questa domanda, osserviamo anzitutto che tutti gli n-lateri
aventi lo stesso schema di connessione, formano una varietà irriducibile.
Dicendo che due x-lateri hanno lo stesso schema di connessione 0 che
sono isomorfi, intendiamo che si possa porre fra i loro lati una corrispon-
denza biunivoca tale, che a due lati incidenti dell'uno rispondano due lati
incidenti dell'altro, e viceversa.
Per dimostrare la proposizione enunciata, si può profittare ad esempio
del fatto che, dato un -latero L di genere p = 0, è sempre possibile di
scegliere 2 —1 vertici, i quali bastino a stabilire la connessione fra i lati
di L, per guisa che, dopo ciò, L possa considerarsi come proiezione di un
n-latero Lo di genere effettivo zero, appartenente ad S,, ed avente p corde
appoggiate al centro di proiezione (n. 4). L'affermazione enunciata, sì ricon-
duce allora all'altra, pressochè evidente, che in S, gli #-lateri isomorfi fra
loro, costituiscono una sola varietà.
Premesso questo, ricordiamoci (n. 4) che, dato in S, lo x-latero L,
esiste sempre qualche curva razionale C, ad esso infinitamente vicina, la
quale possiede 9g = p nodi infinitamente prossimi ad altrettanti vertici di L.
Ne deriva che esiste una sottofamiglia V di curve razionali con 9g punti
doppî, alla quale appartengono tutti gli x-lateri isomorfi con L.
Proiettiamo genericamente la C sopra un piano. Poichè la proiezione C'
appartiene alla famiglia delle curve piane irriducibili, d'ordine 7 e genere 9,
se ne deduce, se 27 =>%9-+7, che C appartiene alla famiglia W delle C7
di S,. La sottofamiglia V è pertanto contenuta in W, ed a W apparten-
gono perciò tutti gli w-lateri isomorfi con L. Rispetto a W, n+g—1
nodi di L son proprî, e gli altri p— q impropri.
Se poi r p +3. L'ordine della rigata delle trisecanti di Cp, si
otterrà allora togliendo da g(# + d,p), d volte l'ordine della rigata formata
DI volte l'ordine della
rigata formata dalle rette appoggiate a C$ e a 2 delle sue d secanti; e
dalle corde di Cz appoggiate ad una sua secante; (
infine (3) volte l'ordine della schiera rigata costituita dalle rette appoggiate
a 3 delle d secanti di C5; i quali ordini sono evidentemente funzioni delle
sole 2,p. L'ordine della rigata delle trisecanti di C}, risulterà dunque, in
ogni caso, funzione delle sole 2,p, e dovrà pertanto coincidere colla fun-
zione g(r,p) prima trovata.
Come ho detto, con procedimenti di questo genere, si giustifica in ogni
caso anche l'applicazione del metodo funzionale di Cayley. Nè fanno ecce-
zione i problemi relativi a coniche plurisecanti di curve gobbe (Berzolari,
Severi), giacchè in questi casi, qualora, per la ragione detta sopra, non serva
lo spezzamento in rette, sì potrà ricorrere ad uno spezzamento misto della
p in rette, coniche, cubiche gobbe, spezzamento la cui legittimità si sta-
bilisce, per # => p +3, con procedimenti analoghi a quelli già sviluppati
(n. 6). E sì osserverà poi che l'aggiunta di convenienti rette o coniche o
cubiche, ad una qualunque Cp (2 )
appartenente ad una famiglia non speciale (cfr. col n. 7).
Queste considerazioni fanno senz'altro prevedere come sia possibile assur-
gere rigorosamente alla seguente conclusione generale:
Ogni numero inerente ad una Ch di S,, în quanto sia relativo ad
una condizione algebrica che abbia senso per una curva qualunque di
ordine e genere dati, è una funzione razionale delle sole variabili n, p.
12. APPLICAZIONI ALLE QUESTIONI DI REALITÀ. — Dirò in proposito
soltanto poche parole, perchè applicazioni di questo genere si prevedono
senz'altro, quando si tenga presente il metodo cosidetto della « piccola va-
riazione », che si usa nelle questioni di realità per le curve piane.
RenpIcoONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 180
— 1020 —
Dato un n-latero reale L di genere effettivo o virtuale p, appartenente ad
una famiglia V di C} irriducibili di S,, a partire da un punto vicino ad un lato,
si segua il lato stesso, finchè si arrivi vicino ad un punto doppio proprio P.
Senza bruschi cambiamenti nella curvatura della traiettoria, si prosegua allora
lungo il lato che si connette al precedente attraverso P, e così di seguito.
Si otterrà una traiettoria che rappresenterà con grande approssimazione la
forma di una curva di V vicina ad L, ed avente perciò, rispetto alle curve
della famiglia, il massimo numero di rami reali, purchè si osservino inoltre
queste due regole, d'immediata giustificazione:
1) Ad ogni segmento d'un lato di L, che non contenga nodi propri,
deve esser sempre vicino uno ed un sol pezzo della traiettoria.
2) Quando s'incontra un punto doppio improprio Q, si deve prose-
guire a mantenersi vicini al lato lungo cui si camminava, come se Q non
ci fosse.
Per contare i rami graficamente distinti della curva, si avvertirà che
due rami metricamente distinti, i quali siano « paralleli » a due semiraggi
opposti, situati sullo stesso lato « di L, ed aventi per origini due diversi
nodi proprî, si riconnettono attraverso al punto all’ infinito di 4« (supposto,
beninteso, ch'esso non sia un nodo proprio).
Matematica. — Sopra una classe di sistemi tripli di super-
ficie ortogonali. Nota del Socio Luii BIANCHI.
1. Se l'elemento lineare ds dello spazio euclideo, riferito ad un sistema
triplo ortogonale (%,, ws, 3), assume la forma
(1) ds? = Hî duî + Hîì du 4 Hi dui,
si sa che le sei rotazioni #;x, definite dalle formole
1 ?>3H A
Pin sii H; dui (2 =- k),
soddisfano al sistema delle nove equazioni differenziali del primo ordine:
dPik ei
@) (Sr
dPih dPri
|a giga,
dU; dUK
dove (7,/%,/) indica una qualunque permutazione degli indici 1,2,3.
Viceversa, se le sei funzioni f#;x di u1, ws, 3 verificano le (2), esistono
infiniti sistemi tripli ortogonali con queste rotazioni e dipendenti da tre
funzioni arbitrarie. La ricerca di questi sistemi tripli ortogonali si può com-
— 1021 —
piere in due modi diversi, sostanzialmente equivalenti ('). Il primo modo
consiste nell assumere come incognite i coefficienti H, , H,, Hz nella (1), ed
allora queste tre funzioni debbono unicamente soddisfare al sistema lineare:
2dH;
QUE
(3) = Pn Hx (i = 4).
Nel secondo modo si prendono invece come incognite le tre distanze
(algebriche), che diremo W,,W.,W,, di un punto fisso dello spazio (p. es.
dell'origine) dalle tre facce del triedro principale. In tal caso le W,; debbono
soddisfare al sistema, che diremo l'aggiuzto di (3):
dIW;
dUI
(3%) = Bin Wx (0 4).
Si osservi che se (H,, H:,H3) , (W,,W:, W3) sono due terne qua-
lunque di soluzioni, la prima del sistema (3), l’altra dell’aggiunto (3*),
sì ha:
L'espressione H, W, du, + Ho Wadut + Ha W3duz è un differenziale
esatto.
Le ricerche contenute nella presente Nota muovono dal considerare che,
in molte questioni concernenti i sistemi tripli ortogonali, si riscontra come
una reciprocità fra le proprietà che dipendono dalle H; e quelle che sì rife-
riscono alle W,.
Ora si sa che in quei sistemi tripli ortogonali (w,, ws, 3) in cui la
famiglia u = cost consta di superficie a curvatura costante, basta scegliere
convenientemente i parametri w,,ws perchè i coefficienti Hî, H3 risultino
legati da una relazione lineare
Hî + cHi= cost,
dove ec è una costante che si può porre, del resto, senza alterare la gene-
ralità, = =—1. Dopo ciò, risulta naturale la domanda se esistono sistemi
tripli ortogonali, corrispondenti in certo modo ai superiori secondo l'accennata
legge di reciprocità, e pei quali sì verifichi una relazione della forma
(2) Wi+eWi=cost,
dove ora per altro il valore della costante e risulterà essenziale, e soltanto
saranno da escludersi i casi impossibili c=0,c= 1 (?).
(') Ved. Darboux, Zegons sur les systòmes orthogonaua (2% ediz., 1910. Livre III,
chap. V), od anche le mie Zezioni di geometria differenziale, vol. II, $ 413.
(*) Se fosse c=0, le superficie u, = cost dovrebbero ridursi ad un’unica sfera. Se
c=1, le curve (u,) avrebbero tutte le tangenti a distanza costante dall'origine e sareb-
bero tutte tracciate sopra una sfera col centro in questo punto, casi manifestamente
assurdi.
— 1022 —
Siccome W,, W» sono le distanze dall'origine dei piani principali delle
superficie u3 = cost, la (a) rappresenta un'equazione del secondo ordine a
cui tutte le v; = cost debbono soddisfare, sicchè il problema proposto è il
seguente:
Trovare tutte le famiglie di Lamè composte di superficie integrali
della equazione (a) a derivate parziali del secondo ordine.
Si vedrà che esistono in effetto infiniti di tali sistemi tripli ortogonali
e dipendono da tre funzioni arbitrarie essenziali. Questi sistemi tripli go-
donv di singolari proprietà geometriche, che sono del resto comuni anche a
tutti i loro sistemi paralleli, e per le quali i sistemi stessi vengono a col-
legarsi colle congruenze pseudosferiche.
Avvertiamo che nelle ricerche seguenti sarà trascurato, come ovvio, il
caso che nel sistema triplo figuri una serie di sviluppabili, e per ciò sup-
porremo che nessuna delle rotazioni Pin si annulli.
2. Per trattare analiticamente il nostro problema dobbiamo aggregare
al sistema delle equazioni (2) e (3*) per le nove funzioni incognite fx, Wi;
l'equazione in termini finiti (a) fra W,,W.. Scrivendo in primo luogo per
disteso le (2), abbiamo il sistema :
dPro dPr3 dPs1
i = DS == 30 î ==
dI Bis P3e du, Pa Pag da B3° Pa
dPa _ 9 dPsr E Ps
d: vi P23 P31 3 dui ssa Ban Pair , du, Sr Pie P23
3) de dp. dl dl
P12 Palese ; l dP23 SEE Po)
dUI na ds Ps1 Ps: > a | da Pio Pia»
dPsr dPrr ua ;
\ dU3 da — B23 Pa,
e similmente per la (3*)
Wi dW,
. =BaWa, = BW
a Pia Wa du Pia Wa
IW. Wi
5 2a _sW, A — RW.
( ) d% BaWi , dd B23 Wa
dIW3 dIW;
dd Pa o) dUs P32 2 *
Ora se l'equazione in termini finiti (4) si deriva rapporto ad w,,%2,%3
mediante le (5), e dai risultati si sopprimono i rispettivi fattori non nulli
W,,W.,,W;, si trovano le due equazioni differenziali
d9W,
| \ Ero — cfaWs
(6
PAVCRESA
| ds #7
— 1023 —
e l’altra in termini finiti
(7) Bia Wi + cB3W,=0.
Paragonando le (6) colle equazioni delle due prime linee in (5) e co-
struendo le corrispondenti condizioni d' integrabilità, si hanno le seguenti:
Sa BW) +37 (BW) =0 \ ‘3 e (PW) + (BW) =0
d
Sp (BW) +03 i 0 | Sa (PW +e ALOE,
Eseguendo le derivazioni colle (4) ,(5) e (6), ed osservando la (7), tro-
viamo che si riducono alle tre condizioni:
dre Pai _
(8) \ dUI na dU? mi:
) d dPo: 1
Î dla _ _oBu Ps ’ it I BiePa.
La prima di queste, combinata colla prima equazione della terza linea
in (4), porge
dre da Cl dPa
Ii
vi Bse, SE TED Ps1P32 +
Ed ora, aggregando queste ultime e le due seconde (8) al sistema (4),
questo resta risoluto rispetto a due delle derivate di ciascuna rotazione ed
assume la seguente forma definitiva:
dba __1 dB __
i du, Bse è sa = Ps3 Ps1,
Pr dPri
+ SS =(e—-l
SE, Pas Pa » dl ) Per P23
dPre _ dre _
i RIESG Ba1Ps2 + ila Bis P32,
d dl dP 1
320008 CEE nm C , 6
DU =Pra Pre > i di Bi,
dPis _ RS dPrs
| 2%, = CPe1P23 , “ Pos 5)
dIPr3 dP23 1
—_— = —_ — * >
STA Per Pi3 > sù n Bia Pis >
— 1024 —
Vediamo dunque intanto che: Se in un sistema triplo ortogonale
(ui, ua, us) le superficie us = cost sono integrali della equazione del se-
condo ordine (a)
Wi + eWì= cost
le rotazioni Bir debbono soddisfare al sistema (I).
Inversamente si vedrà fra breve che ad ogni sistema di rotazioni f;x,
che soddisfino le (I), corrisponde un sistema triplo ortogonale della specie
richiesta, univocamente determinato a meno di un’omotetia.
Per semplificare le ricerche conviene osservare la seguente singolare pro-
prietà di costruzione nel sistema (I): // sistema differenziale (I) resta in-
variato per una permutazione qualunque degli indici 1,2,3, purchè st
eseguisca contemporaneamente sulla costante c una corrispondente sosti-
tuzione lineare del gruppo diedrale Gs del rapporto anarmonico.
Per accertarsene basta osservare: 1°) Il sistema (I) non cangia scam-
: SO no
biando l'indice 1 con 2 e mutando e in —-; 2°) esso non muta nemmeno
È
1
1—-e
Dopo ciò la proprietà enunciata resta evidente, e ne segue che la corrispon-
denza (d'isomorfismo oloedrico) fra le 6 permutazioni degli indici e le 6 sosti-
tuzioni lineari del gruppo diedrale su c è data da
per la permutazione circolare (1,2,3), cangiando insieme c in
el
l
Ive , (18); , (1389)>
0) 9 (ag) nen (13) 2%
co cd :
3. Ed ora la prima questione analitica che si presenta è di esaminare
la compatibilità delle 12 equazioni simultanee (I) per le 6 incognite fix,
e valutare il grado di arbitrarietà dell’integrale generale.
Il sistema (I) assegna, per ciascuna delle 8;x, due delle derivate prime
come prodotto di altre due ?, e ciò in guisa che se si costruiscono le 6 cor-
rispondenti condizioni d'integrabilità, delle quali la prima è
Di i È CARI JELtroe 21
aa
si trovano tutte soddisfatte, in virtù delle (I) stesse. Il sistema (I) appar-
tiene dunque ad una delle più semplici classi di sistemi lineari canonici
completamente integrabili del Bourlet (*), ed ammette quindi infinite solu-
(1) Bourlet, Sur les équations aux dérivées partielles simultanées (Annales de
Ecole Normale Supérieure, tom. VIII, 3ème série suppl. (1891)]. Per il caso semplice
attuale ved. anche Darboux (loc. cit.). Livre III, chap. I.
— 1025 —
zioni dipendenti da sei funzioni arbitrarie. Precisamente se consideriamo un
sistema iniziale di valori per %,,w%:,%3, sia per semplicità (0,0, 0), le (1)
posseggono uno ed un solo sistema di soluzioni Br, tali che
Pa , P31
si riducano a due funzioni arbitrariamente date della variabile x,, quando
vi si fa u:=u3=0, e similmente
Pie, P32 a funzioni date di Us, per
Biz P23 a funzioni date di uz, per
u=0,
Uo— VE
|
Ma osserviamo subito che tre di queste funzioni arbitrarie sono soltanto
apparenti, e dipendono dall’arbitrarietà ancora lasciata ai parametri v,, va, 3.
E così, p. es., senza alterare la generalità, possiamo prescrivere che risulti
Ba:(0,0,0)=1 ’ Bss(0,us,0)=1
Bis(0,0,u)=1.
Concludiamo adunque che in realtà :
L'integrale generale del sistema (1) nelle Bix dipende da tre funzioni
arbitrarie essenziali.
Questi risultati conducono naturalmente a cercare di esprimere le 6 in-
cognite 8; per tre sole ausiliarie, e l'’opportuna introduzione di queste tre
incognite ausiliarie viene suggerita dal riconoscere che il sistema (I), ammette
tre integrali quadratici facilmente distinguibili.
Se costruiamo in effetto le tre espressioni
2,=(1 — c) fa + Ph
(9) Q=(1—-c) to — Cb%
A = fis + cBîa »
riconosciamo che a causa delle (I) stesse si ha identicamente
onde segue che £, è funzione della sola %,,: della sola u:, ed 23 di u3.
Inoltre se si considera che, cangiando i parametri w,,%s,%3, le rotazioni
b21:f31 risultano moltiplicate per un fattore arbitrario funzione di w,, e
similmente 8,2, 3» per una funzione di us, e 813, #23 per una funzione di
uz, si vede che è lecito alterare 2,,2,,9; per rispettivi fattori positivi
arbitrarii, ordinatamente funzioni di %, , us, Us.
(') Basta del resto verificare queste ultime ed applicare poi l'osservazione alla fine
del n. 2.
— 1026 —
Procediamo ora alla riduzione del sistema (I) a forme normali, osser-
vando che ci possiamo limitare a supporre la costante c negativa.
E invero, da quanto si è detto alla fine del n. 2, risulta che ogni altro
caso si riconduce a questo, effettuando sugli indici la permutazione circolare
(128) o il suo quadrato (132), poichè dei tre valori
uno è sempre negativo, gli altri due positivi.
4. Limitandoci dunque al caso di c negativa, poniamo
ec=—{g°0,
dove o denota un angolo costante reale (arbitrario).
Secondo Je (9), le tre espressioni
Bi
sen*o
+ 83. : bis pred Pîs
10
DIO) sen?o —cosìT
+ Pa >
e
saranno rispettivamente funzioni la prima di v,, la seconda di ws, la terza
di «3. Ma poichè le due prime sono positive, potremo intanto disporre dei
parametri w,,%s Sì da rendere
(10*) (E
cos? sen?0
Quanto alla terza, avremo da suddistinguere secondo che è diversa da
zero, oppure nulla :
1° caso 23 +0. Senza alterare la generalità, scambiando se occorre i
parametri %,,%», possiamo supporre £: > 0, ed allora disponiamo anche
di v3 in guisa che si abbia
Me FAO A
seno cos?
La forma delle (10*),(10**) suggerisce l'introduzione di tre funzioni
ausiliarie 9, g,w, per le quali esprimiamo le 6 rotazioni colle formole :
e] = COSO cos 8 3 (Pa, == 8000
(11) ‘ Big== Seno c0osg , fs=SeN@
Î Bis== seno cosh w , fs =cososenhw.
— 1027 —
Introducendo questi valori delle #;, nelle (I), ove è da farsi inoltre
c= — tg°0, il sistema si riduce nelle tre funzioni incognite 0, g,vw al
seguente :
EL 20
* —— = coso sen Yy? = — senh
= Io Ù
BIO) dg
Il) ‘ = seno senò , * -— =— coshy
| ) dUI dU3 Y
d d
2 _ seno cosé ; SR gol +
dUI dU?
Risulta già da quanto si è detto al n. 2, e si può constatare anche
subito direttamente, che le condizioni d'integrabilità per questo sistema (II)
sono identicamente soddisfatte, onde l'integrale generale (08, g, w) dipende
da tre funzioni arbitrarie (essenziali).
2° caso 23= 0. In questo secondo caso, avendosi
fia + Pas
seno =“ c080
’
potremo limitarci a prendere il segno superiore, bastando cangiare nel caso
contrario o in — o, Ed allora, mantenendo per #1: , 831 ; fis; fa, le posi-
zioni fatte in (11), poniamo invece
Pais Pos dl
= de,
seno = c0800
dove è da notarsi che, cangiando il parametro 3, si può aumentare l'ausi-
liaria w di una funzione arbitraria di u3. I valori delle rotazioni saranno
dunque ora:
i Ba = coso così , fs, =Sen@
(115) + Big = Seno cosg , fP3:.=8Sen
\ Bi3= Seno e , Boa = 008008,
ed al sistema differenziale (II) si sostituirà l’altro :
0 0
| * = = 050 seng , due
2 3
(1) 39 = seno sen 6 n 2 SA
È 3;
d 4
DE _ song cosò 5 DE 0080 c0s g A
l 2
Anche qui le condizioni d’integrabilità sono soddisfatte, e l'integrale
generale (0, gw) dipende da tre funzioni arbitrarie.
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 131
— 1028 —
Inversamente, ad ogni terna (9, ,w) che soddisfi alle equazioni (II),
ovvero alle (II*), corrisponderà (n. 1) un'intera classe di sistemi tripli orto-
gonali paralleli, le cui rotazioni #; saranno date dalle (11) nel primo caso,
dalle (11*) nel secondo.
o. Ma ora dobbiamo ritornare al nostro problema primitivo (n. 1) e
ricercare se fra i sistemi tripli ortogonali anzidetti ne esiste qualcuno in cui
le superficie v3 = cost soddisfino la equazione (a), la quale, nella nostra
ipotesi di
ca=— tg°0,
assume la forma
(12) costo Wi — seno Wi = cost.
Supponiamo dapprima di trovarci nel primo caso del n. 4 in cui val-
gono le (11) e le (II), ed osserviamo che la equazione (7) n. 2:
Bis W,=tg° 0 P23 Wa
diventa qui per le (11)
coso coshyw.W,== seno sen wp. Wi.
Possiamo dunque porre :
W,=Asenosenhnw , W.=4Acosocoshw,
dove 4 indica un fattore di proporzionalità, il quale a causa della (12) deve
necessariamente essere una costante. Sostituendo al sistema triplo un sistema
omotetico, si può fare senz'altro à=1
W,= seno senhnw , W,=cosocoshy.
Dopo ciò le due formole dell'ultima colonna in (5) dànno concordemente
Wi BRELA: ed inversamente si vede che, ponendo.
(13) W,=seno senh w , W,=cosocoshyw , WEA
3
tutte le condizioni (5) risultano verificate dando alle rotazioni &x i valori (11).
Si conclude quindi :
Ad ogni terna (9, ,w) integrale del sistema (II) corrisponde uno
ed un solo sistema triplo ortogonale colle rotazioni Bin date dalle (11),
le cui superficie us = cost soddisfano alla condizione
Wi Wî tn
costo —sen?o È
In effetto un tale sistema è univocamente definito dalle (13).
— 1029 —
In simil modo si tratta l’altro caso che le f#; siano date dalle (11*),
soddisfacendo 9, g,w al sistema (II*). La (7) n. 2 diventa ora sempli-
cemente
coso W,=seno W,,
e noi poniamo in corrispondenza
W,=Zsencet , W.i= cosce
con 4 fattore di proporzionalità. Ma dalle due equazioni (5)
I dWi
= 8,,W,= coso così W
\ dw, Pa 1 1
W
Î L - = f,,Wa= seno cosg W.
. dU?
risulta ora
d d
Ya y Y= t)
SE (Ae) = seno cosdet , e) À coso cos per,
indi per le (II*)
cole A
dui dU2
Il fattore Z dipende dunque solo da «, ed anzi, aumentando w di una
funzione di uz (n. 4), possiamo rendere senz'altro 4= 1. Così troviamo
(13*) W,=senoet , W.=cosce , LA
e viceversa con questi valori di W,, Ws, W3 sono soddisfatte le (5), e ne
resta definito un sistema triplo ortogonale della specie voluta.
Si osservi che:
In questi sistemi tripli ortogonali (13*) le superficie uz = cost hanno
costante (= tg0) il rapporto Li delle distanze dall’origine dai piani
principali; inoltre le loro trajettorie ortogonali (us) sono curve piane.
Quest'ultima asserzione risulta provata da ciò che il rapporto delle due
rotazioni £#,3, #23 è costante.
6. Così abbiamo risoluto il problema proposto solo nel caso che nella
equazione (a) il valore della costante c sia negativo. Per altro le conside-
razioni alla fine del n. 2 ci dimostrano che, per risolverlo negli altri casi,
basterà riferirsi sempre alle formole del n. 4 con uno scambio opportuno di
indici, effettuando in pari tempo sulla costante e la corrispondente sostitu-
zione lineare. Ora se nella relazione (a)
Wi + eWî= cost
— 1030 —
operiamo la sostituzione circolare (123) cangiando in pari tempo ec in
1 i
per questa diventa
Wi4L, Wi= cost,
e ripetendo l'operazione
W+ sui Wî = cost.
Poichè adunque si ha qui c= — tg* 0, ci resta ancora da esaminare
se fra i sistemi tripli ortogonali corrispondenti alle formole (11) o (11*)
per le rotazioni ne esistono di quelli che soddisfino la condizione
(14) W5+ cos?o Wi= cost,
e di quelli che soddisfino l’altra
(15) Wî + sen?o Wî = cost.
La questione si risolve affermativamente, ambedue le volte, coll’asse-
gnare gli effettivi valori che debbono darsi a W,, W., W;. Il procedimento,
affatto analogo a quello del n. 5, consiste nell'aggregare la equazione in ter-
mini finiti (14), ovvero la (15), alle equazioni differenziali (3*) per le W.
Facciamo i calcoli nel caso delle equazioni (11) e (II) n. 4, ove le equa-
zioni differenziali per le W si scrivono
aW, DA
N = seno cospW, , = coso senhwW
dUI Dai dU3 fi À
dW W
(16) | ——=cosc cos9W, * E È? — coso senhw W3
dUI dU3
W i
È ì — sen@W, 3 Ò è? = seng Wo "
dUI dUI
Se a queste aggreghiamo dapprima la (14), derivando questa rapporto.
ad u,, risulta per le (16) stesse
così W, + coso sen0 W:=0,
onde possiamo porre
W.=Acososen0 , W,=—Acos0,
e 4 sarà per la (14) una costante, che possiamo porre = 1.
Dopo ciò, p. es., dalla prima equazione della seconda linea in (16)
7 209 ] ;
viene W,= 3a} 8 inversamente se si prende
CA]
DOgriA
DAN
(17) Wi a, W.=cososen@9 , W:=— co080
— 1031 —
si soddisfano, a causa delle (II), tutte le equazioni (16), e resta quindi
definito dalle (17) un sistema triplo ortogonale colle rotazioni (11), e con
W., W3 legate dalla relazione
2
Wi
così
ie
In modo analogo, aggregando invece la (15), si trovano le formole
(18) W,= seno seng , Deo , Ws=— c08sgp,
che definiscono un altro sistema triplo ortogonale parallelo al precedente, e
con W,, W, legate dalla relazione
2
Ad +Wî=1.
sen?o
Da ultimo, se si considera il secondo caso del n. 4 e si suppone che
per le 8; valgano le (11*) e per 9, ,w le formole (II*), si trova ancora
che le formole stesse (17) e (18) definiscono i due sistemi tripli ortogonali
cercato.
7. Tutti i sistemi tripli ortogonali le cui rotazioni #;x soddisfano alle
equazioni (I) n. 2 godono di una notevole proprietà geometrica comune di
cui diciamo al numero seguente. Qui osserviamo che, in grazia appunto delle
particolari relazioni (I) a cui soddisfano le {x, si possono stabilire delle
trasformazioni speciali che dànno il passaggio da un sistema tziplo ortogo-
nale noto (,,%:,%z) della specie a nuovi sistemi tripli ortogonali paralleli
al primitivo.
Sussiste invero la proposizione seguente :
Se le rotazioni Bin soddisfano alle condizioni (1), ed è (W,,Ws,Wx)
una terna qualunque di soluzioni del sistema (3*), le formole
\ Hg=PisWi + CB23 Wo
definiscono una soluzione (H,, Hs, H3) del sistema aggiunto.
La verifica è immediata, quando si tenga conto che le #;, soddisfano
alle (1), e le W, alle (3*).
— 1032 —
Dall'osservazione alla fine del n. 2 segue poi immediatamente che si
ottengono medesimamente nuove terne (H,,Hs,H3) di soluzioni delle (3)
colle formole
1
H, = Ba Wo + ea Pz, Wa
BETA
(19) Het
come pure colle altre
H= i DI Lau,
(19") | Ho = #33 W; + Bia Wi
Soltanto si osserverà che ad esempio la trasformazione (19) diventa
illusoria nel caso in cui il sistema triplo (,, 3) di partenza sia quello
speciale in cui la (a) è soddisfatta, cioè :
Wi+eWì= cost.
In tal caso infatti, per le (6),(7) n. 2, risulta identicamente
Hi==/Ho= Gil Tri
i
| D sn an=Hn t DD» Gi Tri,
Y Y
(2)
gli 49 HG essendo numeri interi (intieri caratteristici di S).
(') Le sole corrispondenze biunivoche non singolari, su curve di genere p> 1,
sono quelle date dalle 9} delle curve iperellittiche.
(°) In tutte le formule, quando non sia esplicitamente notato il contrario, gli indici.
di sommazione variano da 1 a p.
— 1082 —
Da queste si traggono le p° relazioni
(21) 2 Gji txj ti È DI hri di — DI Gata — Hu="0.
Se la corrispondenza S non è a valenza zero, i numeri 77 non sono tutti
nulli: e viceversa. E si noti che, com'è facile vedere, i numeri 77, sono
tutti nulli se, e solo se, lo sono i numeri 49HG.
2. Per l'operazione S7! (inversa della S), che porta da un punto y di 5
ai suoi omologhi x'«"... x*, avremo similmente
u(d')+---+ (0) = DI Tri Vi(y) 4 tx,
rt = hm + I Gai Ori
i
Dama = Hm + D_ Ga ani.
i}
Ora, i numeri 419HG si determinano facilmente, imitando il procedi-
mento che segue l’ Hurwitz nel caso che le curve C,C, siano sovrapposte
e si rappresentino a//0 stesso modo su un'unica ciambella (talchè 7,7 = 4).
Si trova così
hu= Ga, Ga = — It è Hu=—Hx,; Gu=lm-
3. Vediamo adesso facilmente che
Se p>1 e il determinante Il dei numeri rin è diverso da zero,
non possono esistere su Cp, nè su Cp, infinite coppie di punti i cui gruppi
omologhi siano equivalenti 0 coincidano.
Infatti, se ogni gruppo (y'y"... y"”) fosse equivalente a qualche altro
gruppo analogo, i y integrali di C,
d Itri Ui(x)
non potrebbero essere linearmente indipendenti ('); quindi seguirebbe ZZ= 0,
contro il supposto. Se poi si verificasse qualcun altro dei casi che vogliamo
dimostrare assurdi, la serie descritta su C, dal gruppo (y' y"... y”) dovrebbe
godere di una delle due proprietà: 1) essere birazionale identica a una
involuzione di C, (loc. cit., n. 1); 2) essere nella stessa classe (?) con
(1) R. Torelli, Sulle serie algebriche ecc. [Rend. Palermo, tomo XXXVII (1914)],
n. 16, III.
(2) Si dice che due serie (di egual dimensione) appartengono alla stessa classe,
quando esse possono mettersi fra loro in corrispondenza biunivoca le che la somma
o la differenza di due gruppi omologhi varii in una serie lineare.
— 1083 —
una serie composta con una involuzione (loc. cit., n. 21, teorema IV). Ma
allora si arriverebbe daccapo alla deduzione che gli integrali sopra scritti
non sono linearmente indipendenti.
Dalla precedente proposizione segue subito che
Se p>1l e D+0, le serie yi, y degli ordini n, v, indotte dalla
corrispondenza S su Cp Cp, hanno gli indici rispettivi v,n, e sono bira-
zionali identiche rispettivamente a Cp Op »
Si potrebbe anche facilmente vedere che
Se è IÎ1+ 0, è anche diverso da zero il determinante degli intieri
caratteristici (scritto al n. 9).
4. Supponiamo p>1 e Z/+0. Chiamando omologhi su C, due punti
quando sono in uno stesso gruppo della serie y,, si ottiene su C, una cor-
rispondenza simmetrica T, di indice v(2 — 1). In modo analogo si ottiene
su C, una corrispondenza simmetrica T, di indici 2(v — 1).
Si ottengono facilmente le rappresentazioni analitiche delle cor-
rispondenze T, T .
Basta osservare che, per es., la T non è altro che il prodotto S_ $,
diminuito dell'identità contata v volte. Con che, detti yy"... gli omologhi
di y nella T, si hanno le formule
ly) + aly) += rog) + I vl + rt
(I
ag = ht + D_ gi tn
‘
Daga = H+ D_ Gi ca (1)
| ha, = Gi= S (ln Gu — Hai 9)
(3) I Gr = — 9 = D (9ni Gu — Gri Yi)
| Ha= TH = > (Hr hu — hu Hu) -
Analogamente si potrebbero scrivere le formule relative a T.
È anche facile di calcolare il comune difetto di equivalenza 3 delle
due serie yy}.
(') Le espressioni delle costanti #* non hanno per noi alcun interesse.
Avverto che le considerazioni di questo numero subiscono qualche lievissima mo-
dificazione, quando si tolga l'ipotesi p> 1,10.
RenpiconTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 138
— 1084 —
Basta osservare che il numero dei punti doppî di y,, ossia dei punti
uniti di T (*), è dato notoriamente da
2n+p_1)—- 2;
e anche, per una importante formula di Hurwitz, da
dla -1)—2() ha — rp).
k
Dal paragone delle due espressioni segue
(4) e=D hi= D_ (lai Gui — Hai 9w) -
k ki
5. Le considerazioni del n. 1 si invertono così: Se due sistemi di pe-
riodi normali cx @x delle due curve C, Cp soddisfano alle relazioni (2'),
esistono fra C, C, infinite corrispondenze, cui competono gli intieri carat-
teristici 29 HG ovvero —% —g9 —H —G.
Tutte queste corrispondenze formano, come diremo, una classe, nel
senso che le serie da esse indotte su C, e su C, formano una classe.
In una classe di corrispondenze (che non sia quella delle corrispondenze
a valenza zero) esistono infinite corrispondenze aventi uno degli indici eguale
a p. Basta osservare che, supposte verificate le (2), il sistema di equazioni
abeliane
ot: + le) =D nuit,
colle costanti 77, genericamente scelte, individua, per ogni punto x di C,
un gruppo (y'...y?) di p punti su C,. In tal senso diremo che il prece-
dente sistema rappresenta una y, di Cp.
Notiamo che le cose dette in questo $ 1, eccettuato naturalmente il
n. 3, si estendono subito al caso di due curve di generi diversz.
$ 2. — CONDIZIONI PER L'IDENTITÀ BIRAZIONALE DI DUE CURVE.
6. Dalle considerazioni del $ 1 deduciamo facilmente le condizioni
necessarie cui debbono soddisfare le 7;n n perchè le due curve C, C, siano
birazionalmente identiche. Basta pensare che, se fra C, C, intercede una corri-
spondenza biunivoca S, il prodotto S_ S, la cui rappresentazione analitica
si deduce subito da quella di S (n. 4), è l'identità. Tenendo dunque pre-
senti le formule (2') (3), abbiamo il
(') Se tali punti fossero infiniti, si ricorrerebbe a un’altra corrispondenza S’, avente
gli stessi intieri caratteristici di S (cfr. n. 5), e non presentante questa particolarità.
— 1085 —
TrorEMA I. — Se due curve C,C, sono birazionalmente identiche,
fra due loro qualunque sistemi di periodi normali ti di intercedono
certe p* relazioni
DI Gii Trj da T DI hri da — DE Gita —Hm=0,
ji i i
dove gli intieri hg HG (dipendenti dalla scelta dei tx ax) soddisfano
alle p(2p — 1) eguaglianze
D (kai Gri — Hai gu) = 1
U
3 Da (Hri Gu — Hr; gui) =00 Î
\
O
î
D (gu Gu — Gui gu) = 0 | k-EL,
DI (Hi hi — hx Hi) = 0 |
e alla condizione che il determinante dei numeri ra= hab S gGiatu è
i
diverso da zero.
7. Le condizioni sufficienti per l'identità birazionale delle curve C, Cp
si deducono dal $ 1 e da un teorema da me dimostrato tempo fa (!): teo-
rema il quale afferma, in sostanza, che se per la corrispondenza S, di cui
si è parlato nel S 1, sì verificano le due circostanze che il determinante
dei numeri 777, è diverso da zero, e il difetto d’equivalenza # delle serie
y} yi ha il valore p, allora nella classe individuata da S vi è una corri-
spondenza biunivoca. Otteniamo così il
TrorEMA II. — Per affermare che due curve C, Cp sono birazio-
nali identiche, basta sapere che esse posseggono due sistemi di periodi
normali tx dix verificanti le p° relazioni
D giant D ma — D_ Gar — Hn=0,
Îi i i
dove gli intieri h9 HG soddisfano alla condizione
DI (Rui Gui — Hui Gui) =P;
ik
e all'altra che il determinante formato coi numeri mu=lm+ D_ gi tri
î
sta diverso da sero.
(') R. Torelli, Sulle varietà di Jacobi [questi Rend., vol. XXII, agosto 1913],
teorema I.
— 1086 —
8. Dal paragone dei teoremi I e II viene il seguente
CoRoLLARIO. — Supposto che î numeri tir di siano due sistemi
di periodi normali di due curve Cp Cp, il sistema delle p> +1 equazioni
nelle hg HG:
(5) I trj du gi + I Ga ri — I tn Ga — Hn = 0
Îi i i
(6) > (Poni Gui — Hui Gui) = P ,
ki
gode della seguente proprietà: se esso ammette una soluzione intera che
non annulli il determinante II dei numeri rta = han + DI Gi Tri, questa s0-
luzione necessariamente soddisfa alle p(2p —1) relazioni
S (ln Gui — Hai Ju) = 1
‘
[si noti che da queste segue la (6)]
Da (Ari Gi — Hun gu) = 0
D (9ri Gi — Grgu=0 ) A+.
0
> (Hr lu — lu Hu) =0 |
Orbene: questa proprietà del sistema (5) (6) implica delle relazioni
fra i coefficienti tir dix: essa è cioè equivalente alle relazioni riemanniane,
ricordate in prefazione, fra le tin e fra le am (0 a parte di esse).
Per giustificare questa affermazione osserviamo, che, scelti degli intieri
hgHG colla sola condizione che soddisfino alla (6), si può sempre risolvere,
in oo? modi almeno, il sistema (5) rispetto alle p(p + 1) dneognite tina
(convenendo che debba essere zx = xi , dix = xi). E la generica di queste
soluzioni non annulla certo il determinante 77; perchè ciò non avviene par-
ticolarizzando ancor più gli intieri 19 H G: basta, per convincersene, pren-
dere due curve C, Co birazionalmente identiche, e scrivere le relazioni di
cui parla il teorema I.
E. M.
| Pubblicazioni della R. Accademia dei ua
Serio 1 — Atti dell’ Ardito pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXII]
«Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI.
Serie 2° — Vol. I. (1873-74).
i «Vol. II. (1874-75).
Re di Ds Vol. 1II. (1875- so) Parte 1% TRANSUNTI.
2 MEMORIE della Classe di scienze fisiche,
matematiche e naturali.
n. i 3* MEMORIE della Classe di scienze morali,
daga storiche e filologiche.'
ul IV. V. VI. VII. VII.
“Serio ga TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84).
MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX.
MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
Vol. I-XIII.
- Serie 4° — RenpicontI. Vol. I-VII. (1884-91). i nica
MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali
Vol. I-VII. i
MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
Vol. I-X.
| Serio na — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
i Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fase. 10°. Sem. 1°.
RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
Vol. I-XXIII. (1892-1914).
dd MemoRIE della Classe. di scienze fisiche, matematiche e naturali
o. — Vol. I-X. I
MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
Vol. I-XII.
*
Re. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE
|A’ RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
o. DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI
1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche
e naturali della R Accademia dei Lincei si pubblicano due
- volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, CONTISBOT:
denti ognuno ad un semestre,
Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta
| Italia è e di L. £0; per gli altri paesi le spese di posta in più.
S Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti
- editori- librai:
Ermanno LorscHer & C.° — Rovio. Torino e Firenze. ©
UrrIco Horprr. — Milano, Pisa e Napoli.
RENDICONTI — Maggio 1915.
INDICE
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Seduta del 16 maggio 1915.
MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI
Severi. Sulla classificazione delle curve algebriche e sul teorema d'esistenza di Riemann. Pag.
Bianchi. Sopra una classe di sistemi tripli di superficie ortogonali . . . . SO
Borzì e Catalano. La dottrina dei moti delle sensitive. Note anatomo- "agiotazione o) e
Freda. Il teorema di Eulero per le funzioni di linea omogenee (pres. dal Socio Voiterra) »
Orlando. Sulle equazioni integrali (pres. dal Corrisp. Di Legge). . .. . . BT
Bianchini. Sopra un’operazione funzionale atta a trasformare i potenziali opa in sim-
metrici (pres. dal Socio Levi-Cwvita) . . . Connie AE RO)
Mineo. Sulla distribuzione della massa ici pieno di un corpo in ara a un’as-
segnata azione esterna (pres. dal Socio Pizzetti) . . . . . RIEN 1)
Trabacchi. Sulla variazione di resistenza del bismuto nel campo Ma gpblito uu dal Socio
Blaserna) . . . posse ; GIS a Mani)
Drago. Sull’attrito ihiono del pilone in campo magutico “Gariglio o dal Corrisp.
ben MARA Malo)
Amerio. Determinazione indi. dello i Sata o Saal Socio Blason e». d-02
Cardoso. Determinazione sperimentale delle costanti critiche dell'azoto, dell’ossido di carbonio,
dell'ossigeno e del metano (pres. dal Socio Paternò). . /. LL...
Monti. Sopra alcuni derivati dell'acido lapacico (pres. Id.) . . . .. . ”
Sernagiotto. Autossidazioni alla luce nella serie dei terpeni (pres. dal Socio fo, n
Comucci. Studio mineralogico della Lepidolite Elbana (pres. dal Corrisp. Millosevich) . »
Basile. Ulteriori ricerche sulla leishmaniosi interna del Mediterraneo (pres. dal Socio
Grass) a Dito PRA Lo PAGO n
Torelli. Alcune A di A sopra una curva iaacbuica (pres. dal Socio Birkin
(*) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorze.
(**) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
1011
1020
1034
1035,
1040
1041
1047
1058
1055
”
1056
1058
1065
1068
1074
1079
E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile.
Abbonamento postale.
Pi Tea CALO
ea
VALI GE DELLA
ANNO/COCCXII
SIE.
SRIRITH QUIEN TA
RENDICONTI
| Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
5 5
I i
Seduta del 6 giugno A915.
Volume XXIV°. — Fascicolo 11° ©
POLIA 1° SEMESTRE.
;
re) i O Mea
TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI
o LO PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI
o a FL 1915
gi PD
REALE ACCADEMIA DEI LINORI |
ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO
PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE
Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle
pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei.
Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano
una pubblicazione distinta per ciascuna delle due
Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze
fisiche, matematiche e naturali valgono le norme
seguenti:
1. I Rendiconti della Classe di scienze fi-
siche, matematiche e naturali si pubblicano re-
golarmente due volte al mese; essi contengono
le Note ed i titoli delle Memorie presentate da
Soci e estranei, nelle due sedute mensili del-
l’Accademia, nonchè il bollettino bibliografico.
Dodici fascicoli compongono un volume;
due volumi formano un'annata.
2. Le Note presentate da Soci o Corrispon-
denti non possono oltrepassare le 12 pagine
di stampa. Le Note di estranei presentate da
Soci, che ne assumono la responsabilità sono
portate a 6 pagine.
3, L'Accademia dà per queste comunicazioni
75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50
agli estranei; qualora l’autore ne desideri un
numero maggiore, il sovrappiù della spesa è
posta a suo carico. j
4.I Rendiconti non riproducono le discus-
sioni verbali che. si fanno nel seno dell’Acca-
demia; tuttavia sei Soci, che vi hanno preso
parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi
sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta
stante, una Nota per iscritto.
II.
I. Le Note che oltrepassino i limiti indi
cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro-
priamente dette, sono senz’altro inserite nei
Volumi accademici se provengono da Soci o
da Corrispondenti. Per le Memorie presentate
da estranei, la Presidenza nomina una Com-
missione la quale esamina il lavoro e ne rife-
risce in una prossima tornata della Classe.
2. La relazione conclude con una delle se-
guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di
stampa della Memoria negli Atti dell’Accade-
mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio
dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio
di far conoscere taluni fatti o ragionamenti
contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ©
ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro-
posta dell’invio della Memoria agli Archivi
dell’Accademia. :
3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre-
cedente, la relazione è letta in seduta pubblica,
nell'ultimo in seduta segreta.
4. A chi presenti una Memoria per esame è
data ricevuta con lettera, nella quale si avverte
che i manoscritti non vengono restituiti agli
autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26
dello Statuto.
5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au-
tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 50.36
estranei. La spesa di un numero di copie in più
che fosse richiesto, è messo a carico degli
autori.
sii
RENDICONTI
DELLE SEDUTE
DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Seduta del 6 giugno 1915.
Presidenza del Socio anziano F. Toparo.
MEMORIE E NOTE
DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI
Fisica. — Sulla distribuzione della corrente in un elettro-
lita posto nel campo magnetico. Nota del Socio prof. Augusto
RIGHI.
1. Anteriori ricerche sperimentali e teoriche (!), rivolte allo studio
degli effetti prodotti dal campo magnetico sul movimento dei ioni e degli
elettroni in un gas percorso dalla corrente elettrica, mi hanno condotto a
dimostrare, che gli urti di essi sulle pareti del tubo che contiene il gas
dànno una risultante tendente a spostare il tubo medesimo, precisamente
come accadrebbe se, invece del gas, la corrente percorresse un conduttore
metallico di identica forma e dimensione. La forza ponderomotrice che agisce
sul tubo non è dunque altro che la risultante delle pressioni dovute agli
urti effettuati dagli elettroni e dai ioni, sia sulle molecole gassose. sia di-
rettamente sulle pareti. L'analogia porta così alla ipotesi, che l’ordinaria
forza ponderomotrice prodotta dal campo su di un filo percorso dalla cor-
rente sia la risultante degli urti degli elettroni, al moto dei quali si attri-
buisce principalmente la propagazione dell'elettricità nei metalli. Anche in
tal caso il cambiamento di forma delle traiettorie delle particelle elettriz-
zate prodotte dal campo fa sì che la pressione sulle molecole e sulla su-
perfice che limita il conduttore (la quale, non permettendo l’uscita degli
elettroni, si comporta eome la parete del tubo) risulti diversa da zero.
Questa nuova teoria delle forze ponderomotrici elettromagnetiche deve
evidentemente applicarsi anche al caso dei liquidi. Esperienze, tanto sem-
(1) Mem. Ace. Bologna, 16 febb. 1913; N. Cimento, luglio 1913.
RenDICONTI 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 159
— 1088 —
plici e intuitive che neppur giudico necessario descrivere, permettono di
mettere in evidenza gli effetti facili a prevedersi, producentisi su lamine
mobili immerse in un elettrolito; e le note correnti liquide, che in certi
casi ben conosciuti si producono nella massa di un liquido percorso dalla
corrente elettrica e posto in un campo magnetico, possono essere in tal modo
interpretate.
La teoria or ora richiamata conduce ad una conseguenza suscettibile
di verificazioni sperimentali. Per giungere a queste, furono istituite le espe-
rienze qui descritte.
2. Si supponga di avere un elettrolita, nel quale siano immersi due
elettrodi piani verticali AB, CD (fig. 1), il primo dei quali sia il positivo.
In assenza di campo magnetico uno ione positivo P acquista, dopo un urto,
una componente di velocità, per opera della forza elettrica, diretta secondo
A Cc
,S
pria
RS>N
D
BE
Frs. 1.
PQ, mentre uno ione negativo N l'acquista nella direzione NR. Ma se agisce
un campo magnetico diretto perpendicolarmente al piano di figura, per
esempio nel senso indicato dalle freccie F (direzione della corrente circo-
lare a cui il campo può essere attribuito), il ione positivo P, astrazione fatta
dalla velocità ad esso rimasta dopo l’ultimo urto, tende a muoversi secondo un
arco di cerchio PS, e il ione negativo N secondo l’arco di cerchio NT.
Entrambi i ioni risultano dunque spostati nel senso da BD verso AC per
opera del campo. La naturale diffusione dei ioni tenderà naturalmente a far
sparire la variazione di densità in ioni (numero di ioni per cc.), che ten-
derebbe ad aumentare in modo continuo; ma si raggiungerà presto una
condizione permanente, con densità in ioni crescente da BD andando
verso AC. Naturalmente, se si supponesse invertita o la direzione del campo
o quella della corrente, la detta densità risulterebbe invece crescente da
AC verso BD. Siccome poi i ioni, colle direzioni supposte nella figura, eser-
citano, in virtù dei loro urti, una pressione sulle molecole più grande nel
sesso da BD verso AC, che nel senso contrario, così si produrrà un leggiero
dislivello del liquido.
La variata distribuzione dei ioni liberi avrà per immediata conseguenza
una corrispondente variazione della densità di corrente, tanto che per una
— 1089 —
data porzione di area d'un elettrodo passerà nell'unità di tempo più elet-
tricità se quell'area è presa presso A o C che quando è presa presso B o D.
In altre parole, deve manifestarsi quell’effetto di spostamento dei filetti di
corrente per opera del campo, identico a quello che si produrrebbe su fili
metallici percorsi dalle stesse correnti, che il sign. Hall si era proposto di
mettere in evidenza, allorchè fu invece condotto a scoprire il fenomeno che
porta il suo nome.
La teoria fa dunque. prevedere uno spostamento della corrente entro il
conduttore, che fino ad ora si è ritenuto non esista Le esperienze seguenti
ne dimostrano l'esistenza nel caso degli elettroliti.
Fia. 2.
3. Temendo varie cause di errore (effetti termoelettrici, galvanomagne-
tici, ecc.) nell'impiego di sonde collocate secondo le linee di corrente, tentai
dapprima di riconoscere se l'intensità di corrente fosse realmente maggiore
fra A e C che non fra Be D, pesando, dopo il passaggio della corrente, delle
porzioni di area nota tolte dagli elettrodi o presso A e C, o presso B e D.
Tali elettrodi erano di rame, ed erano immersi in solfato di rame. Ma,
avendo riconosciuto che tale metodo non era suscettibile di sufficiente pre-
cisione, son ricorso poscia alla polarizzazione degli elettrodi. Se questi sono
di platino ed immersi in acqua acidulata, si prevede una più intensa pola-
rizzazione presso le estremità A e C che non presso B e D. Ecco la disposi-
zione sperimentale adottata :
Esperienza a). Sul polo inferiore della elettrocalamita di Weiss, disposta
col suo asse magnetico verticale, è posta una vaschetta rettangolare di vetro
WXZY (fig. 2), contenente acqua col 0,5 per cento di acido solforico, nella
quale sono immersi gli elettrodi ABC e DEF. Ciascuno di essi è costituito
— 1090 —
da una lastra di platino fissata con gomma lacca contro una lastra di vetro,
ed è diviso in tre parti mediante sottili tagli verticali. Le parti mediane B
ed E sono larghe circa 6 cm., mentre quelle estreme A, C, D, F hanno la
larghezza di 1.2 cm ; la distanza fra AC e DF è 0,8 cm., e l'altezza del li-
quido è di circa un centimetro. Le sei lastrine, che risultano così separate,
sono messe in comunicazione coi pozzetti a mercurio A', B', C', D', E’, F‘,
che servono per stabilire le necessarie comunicazioni.
L'esperienza consiste nel far passare per un.certo tempo la corrente
nel liquido, e nel constatare poscia che si ottiene una corrente di polariz-
zazione più intensa dagli elettrodi A, D, che non dagli elettrodi C, F, o vice-
versa, secondo la direzione del campo e quella della corrente principale. A
tale scopo, si mettono dapprima i tre pozzetti A’, B', C', in comunicazione
con un polo di una batteria (due elementi) di accumulatori, e i tre altri
D', E, F' coll'altro polo: e ciò per un tempo determinato, 30 oppure 60 se-
condi. Subito dopo, tolte quelle comunicazioni, se ne stabiliscono delle nuove,
che sono quelle indicate nella figura. E cioè C', F' sono messi in comuni
cazione coi serrafili di un galvanometro G (modello Siemens a campo fisso,
coll'opportuna derivazione per regolarne la sensibilità); ed altrettanto si fa
con A' e D', coll’avvertenza, però, che la corrente raccolta da A e D cir-
coli nel galvanometro con direzione opposta a quella della corrente ricavata
da CeF.
Il risultato è conforme alle previsioni; giacchè, se non esiste campo
magnetico, non si osserva deviazione sensibile, mentre questa si produce
quando v'è il campo. Per esempio, con campo di circa 6700 gauss e con
corrente nel liquido di 0,2 ampère ho osservato una deviazione corrispon-
dente a circa 0,0003 ampère. I valori numerici sono naturalmente diversi
secondo le circostanze. In particolare esiste per ogni dato valore dell'inten-
sità della corrente una durata di essa, per la quale l'effetto presenta la mas-
sima evidenza.
Molte esperienze si possono fare in successione, senza badare alla po-
larizzazione che rimane dopo ciascuna; ma sì ottengono risultati più rego-
lari lasciando dissipare la polarizzazione stessa dopo ogni esperienza, col
tenere per qualche mezz'ora le sei lastrine in reciproca comunicazione me-
tallica.
4. L'esperionza è resa più facile e rapida modificandola come segue:
Esperienza b). Si mantengano stabilmente i pozzetti B', E' in comuni-
cazione coi poli della batteria, conservando le altre comunicazioni della fi-
gura 2. L'istrumento non darà generalmente che una piccola deviazione, di
cui non si deve tener conto; ma, eccitando il campo si ha una deviazione
che cangia segno invertendo il campo magnetico.
La corrente principale ha qui per elettrodi B ed E, mentre A, D F,
C, fanno da sonde, le quali, per la simmetria della loro situazione, non
— 1091 —
tendono a produrre deviazione. Ma sotto l’azione del campo, che per chia-
rezza continuerò a supporre diretto in modo che i ioni tendano ad adden-
sarsi verso A e D, le comunicazioni attraverso il liquido di A con B e di
D con E divengono più perfette, mentre l'inverso accade per le lastre C ed
F. Di qui la deviazione. A rigore, dovrà divenire migliore anche la comu-
nicazione fra A e D, ciò che tenderà ad attenuare l’effetto il quale però
resta evidentissimo.
Siccome, per questa seconda esperienza, la polarizzazione degli elettrodi
non serve, si possono adoperare elettrodi di rame, e come liquido un qua-
lunque elettrolita, per esempio, solfato di rame.
Una particolarità degna di nota è la seguente. Anche astrazion fatta
dalla momentanea deviazione dovuta ad induzione, che accompagna ogni
variazione di intensità del campo magnetico (che è facile di evitare chiudendo
Fia. 3.
la corrente nel liquido soltanto dopo aver stabilito il campo), si osservano
dapprincipio irregolari deviazioni, generalmente in senso opposto a quello
che si prevede, le quali con una certa lentezza dànno poi luogo ad una de-
viazione stabile corrispondente alle spiegazioni date. Sembra, cioè, che occorra
un certo tempo prima che si stabilisca un regime permanente. Ciò non può
sorprendere se si pensi all'intervento della diffusione, sia rispetto ai ioni
liberi, sia eventualmente rispetto a regioni di variata concentrazione o di
variata temperatura. Inoltre possono intervenire delle azioni magnetiche in
seguito a variazioni locali della permeabilità magnetica del liquido.
o. L'esperienza precedente me ne ha suggerita un’altra, che ne è in certo
qual modo, una semplificazione.
Esperienza c). La vaschetta WXYZ (tig. 3), collocata al posto della
precedente, contiene una soluzione salina ed elettrodi, per esempio, di rame.
Uno di essi, AB, non ha tagli; l’altro ne ha uno a metà, di modo che esso
è in realtà l'insieme di due elettrodi eguali CD, EF. La corrente della sor-
gente M entra nel liquido dall’elettodo AB e ne esce divisa in due dagli
— 1092 —
elettrodi CD, EF. Di qui le due correnti parziali vanno a percorrere in sensi
inversi i due circuiti di un galvanometro differenziale (tipo Siemens a campo
fisso, il cui equipaggio mobile contiene due avvolgimenti uguali, a ciascuno
dei quali si può applicare la necessaria derivazione per regolare la sensi-
bilità).
Regolando, mediante reostati a corsoio R ed S, le due correnti parziali
(a rigore, un solo reostata può bastare), in modo che il galvanometro non
mostri deviazione quando non esiste il campo magnetico, se ne osserva una
se il campo è eccitato. Se, per esempio, AB è l’anodo, e la direzione del
campo è quella indicata dalle freccie curve, la densità in ioni entro il li-
quido sarà crescente andando da BF verso AC (secondo una legge esponen-
ziale), e la corrente uscente da CD sarà più intensa di quella uscente
da EF.
I seguenti risultati numerici potranno fornire una nozione sulla entità
dei risultati ottenuti. La lastra AB era larga 53 mm.; le due CD ed EF
26 mm., e l'altezza del liquido era 5 mm. Indicando con I l'intensità della
corrente totale fornita da M, e con 7, ed 7 quelle delle correnti parziali da
CD a G e da EF a G, ho avuto, con campo magnetico di circa 8500 gauss,
Iin ampères (ii—i2) in ampères (ita): I
0,005 0,000017 0,0037
10 50 00
20 170 89
30 350 117
L'effetto prodotto dal campo magnetico diviene grandissimo se sì riduce
piccolissima l’altezza del liquido; il che è soprattutto dovuto al dislivello
del liquido, di cui si è fatto cenno nel n. 2.
Il risultato di questa terza esperienza non muta, se si ricopre con
guttaperca la parte superiore degli elettrodi, in modo che la parte nuda
inferiore sia interamente sommersa. Se ne deduce che il fenomeno constatato
non può essere attribuito alle lievi variazioni di livello provocate dal campo
magnetico. D'altra parte, siccome il fenomeno Hall è sensibilmente nullo
negli elettroliti, così esso non può avere parte alcuna nella produzione delle
deviazioni osservate.
6. Un'ultima esperienza indico qui sommariamente, riservandomi di
farne più tardi un esame più completo.
Se nell'esperienza c) s'inverte il senso della corrente, non muta perciò
il senso della deviazione; il che si spiega riflettendo che, così facendo, s'in-
verte la direzione delle correnti in ogni parte del circuito, ma in pari tempo
diviene più intensa la corrente parziale in quello di due tratti di circuito
derivato ove prima passava la corrente parziale più debole; e viceversa. Al-
trettanto accade per l'esperienza 2). Ne consegue che le esperienze 2) e c)
— 1093 —
devono riuscire, anche se, invece della corrente continna s’impieghi una cor-
rente alternata. E ciò si è verificato.
Così, lasciate le comunicazioni col galvanometro come nella figura 2, e
messi i pozzetti B', E' in comunicazione con una presa della corrente al-
ternata di città (frequenza 42). ho ottenuto una deviazione, la quale cam-
biava segno invertendo il campo. Del pari ho ottenuto analogo risultato
sostituendo la corrente alternata alla continna nella esperienza della
figura 3.
Ma esaminato il fenomeno da presso, mi sono accorto che le deviazioni
erano, a parità d'intensità di corrente, assai più piccole nel caso della cor-
rente alternata, ed inoltre che esse erano sempre di senso opposto. Si di-
rebbe dunque che il regime stabile, di cui si è parlato alla fine del n. 4,
non faccia a tempo a prodursi. Ma la spiegazione di questo inaspettato fe-
nomeno richiederà ulteriori e, forse, non brevi ricerche. Intanto ho constatato
il passaggio graduale tra il fenomeno ottenuto colla corrente continua e
quello prodottosi mercè la corrente alternata a 42 periodi. Infatti, avendo
disposto i necessarî apparecchi per la produzione di correnti alternate di pe-
riodo variabile a piacere, ho riconosciuto che avveniva l'inversione dell’ef-
fetto allorchè la frequenza era di circa 2,5 per secondo.
Chimica. — Sopra le scissioni di alcuni composti dell’azoto (‘).
Nota preliminare del Socio A. ANGELI.
Ancora molti anni or sono ho dimostrato che la nitroidressilammina,
sotto forma di sale sodico, subisce facilmente la scissione (°)
NOH
| A='OVESCNOR
NO.H
e che in modo perfettamente simile si comportano i sali dell'acido idrossi-
lamminsolfonico e dell'acido benzolsolfoidrossamico
NOH
(HO)SO,H
NOH
| =0NH+C;}H;.S0.H
CsH;.SO,.H
(') Lavoro eseguito nel R. Istituto di studi superiori in Firenze.
(?) Memorie Lincei, 1905, p. 83; vedi anche H. Wieland, die HYydrazine (Stuttgart,
1918), pag. 7.
— 1094 —
Tutti questi acidi sono derivati dell'idrossilammina, nella quale un atomo
di idrogeno è sostituito da un residuo dell'acido nitrico e, rispettivamente,
degli acidi solforico e benzolsolfonico: invece nella scissione compariscono
al loro posto gli acidi nitroso, solforoso e benzolsolfinico. Scissioni analoghe
saranno quindi da aspettarsi dai derivati di quegli acidi che rappresentano
due gradi di ossidazione di uno stesso elemento, quali p. es. gli acidi nitrico
e nitroso.
Naturalmente, questo è il modo più semplice per rappresentare queste
scissioni; ma con tutta probabilità si tratta di processi di idrolisi,
CH; . SO, . NE(0H) + H:0 = CH; . SO;H + NH(0H),,
giacchè anche i derivati bisostituiti dell’ idrossilammina subiscono nelle iden-
tiche condizioni una decomposizione perfettamente analoga, che si può rap-
presentare solamente nel seguente modo:
(CH; . 803)» = N(0H) + H.0 = 2C,H;. S0;H+NO,H.
In questo caso insieme con l’acido benzolsolfonico si forma acido nitroso,
che si può considerare come triossiammoniaca; e che in entrambi i casì le
scissioni avvengano in questo modo, viene anche confermato dal fatto che
gli a-derivati della naftalina,
Co . (a) . SO, . NH . OH e [CioNir (a) . SO» ] == NOH (1),
(1) Come è noto, l'acido benzolsolfoidrossamico viene facilmente ossidato nei due
prodotti
(C5Hs.S0g)» = NOH e (C;Hs.S0);=N=0.
Finora non mi fu possibile di limitare l'ossidazione in modo da ottenere il termine
contenente l’azoto tetravalente
(CsHs È SO), = N treni (0)
analogo alla porfiressina di Piloty (Beriehte, 34, 1884, pag. 2354) ed all’ossido di difenil-
azoto di Wieland) Berichte, 47, 2111):
(CeHs)a = N = (0) .
Wieland però dimentica che un prodotto perfettamente analogo, e del pari fortemente
colorato, è stato preparato da Fremy ancora nel 1845, e che si ottiene in modo simile a
quanto ha fatto Wieland, ossidando cioè i sali dell’acido idrossilammindisolfonico. Ancora
20 anni or sono, Hantzsch e Semple (Beriche, 28, 2744) lo avevano considerato come un
derivato dell’ipoazotide, come la quale può presentarsi nelle due forme molecolari
(SO;Kala =N=0 e {(S$0;Ka)a =N= 0».
Anche il comportamento rispetto all’acido iodidrico è identico a quello che Wieland
ha riscontrato per il suo prodotto.
— 1095 —
per azione degli alcali e successivo trattamento con acidi minerali dilmiti.
forniscono entrambi gli acidi #-naftalinsolfinici isomeri. Queste trasformazioni
sono tanto più notevoli in quanto avvengono a temperatura ordinaria anche
in sosuzione acquosa diluitissima.
Date le grandi analogie di comportamento che si riscontrano fra i derivati
dell'idrossilammina e dell’idrazina (ed acqua ossigenata), e sulle quali ho
richiamato l'attenzione in una Nota pubblicata alcuni anni or sono ('), era
prevedibile che una scissione analoga venisse presentata anche da derivati
dell’idrazina; e già a suo tempo io aveva studiato l’azione degli alcali sopra
la benzolsolfonidrazina
CsH; .S0O,. NH. NH;.
Ma a freddo la reazione non si compie; solamente più tardi F. Raschig,
operando a temperatura più elevata, assieme con acido benzolsolfinico, ebbe
sviluppo di azoto e di idrogeno (*). In modo analogo a quanto io aveva
ammesso per il caso dell’acido benzolsolfoidrossamico, in cui si ha formazione
di biossiammoniaca, Raschig suppone che dalla benzolsolfonidrazina si formi
dapprima ossiidrazina,
CH; . S0.. NH. NH} + H:0=C;H; .S0:H+ NH,. NH(OH),
la quale, perdendo acqua, fornisce la diimmide
HN'-NH
che successivamente si scinde in azoto ed idrogeno. A questo proposito dirò
che già Thiele (*) aveva tentato di preparare la diimmide per decomposizione,
in soluzione alcalina, dell'acido azodicarbonico
COOH.N=N.C00H=2C0; +4- N:H3;
ma non ne ottenne che i prodotti di decomposizione che in questo caso sono
azoto e idrazina:
2 N.H.; = N, + N.H, .
Operando invece la decomposizione dello stesso acido in presenza di acidi
minerati diluiti, io ho notato (‘) che la reazione procede in modo del tutto
diverso: si ottengono cioè acido azotidrico ed ammoniaca, ed ho altresì posto
in rilievo che questo modo di formazione dell'acido azotidrico è perfettamente
(1) Questi Rendiconti (1910), 2° sem., pag. 94.
(3) Zeit. far angew. Chemie (1910), 972.
(*) Liebig's Annalen 27/, 180.
(4) Questi Rendiconti (1910), 2° sem., pag. 99.
RenpIconTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem, 140
— 1096 —
analogo alla formazione dell’acido iponitroso e. del protossido di azoto dalla
biossiammoniaca :
HN=NH N.NH, N
si | ai Il + NH
HN= NH N.NH; N=-NH
HN=0 ‘N.OH N 7
> | -—- | + H.0
HN=0 N.OH i N=0
Tale interpretazione è stata subito accettata da Diels (') il quale se ne
è giovato per spiegare anche altre interessanti scissioni che presentano alcuni
composti azotati da lui scoperti. Riassumendo dunque, la diimmide non fu
ancora possibile di ottenerla allo stato libero, giacchè tosto si scinde in modi
differenti a seconda delle condizioni di esperienza:
2HN=NH=N, +N.H, (Thiele)
2HN=NH=N;H+NH; (Angeli)
HN=NH=N, +H. (Raschig),
Come ho fatto vedere alcuni anni addietro (*), anche la benzolsolfonfe-
nilidrazina perde, per azione degli alcali, acido benzolsolfinico ; e la fenildiim-
mide, che in tal modo si libera, reagisce immediatamente p. es. con l'aldeide
benzoica:
CH;.N=NH +CH;.COH=CH;.NH.NH.C0.CHs;.
Se, invece di operare in presenza di aldeide benzoica, si agita il liquido
alcalino con etere, essa reagisce sopra il composto solfonico primitivo ancora
inalterato, per dare fenilidrazina assieme con un prodotto che si mostrò iden-
tico al benzoldiazosolfone ottenuto la prima volta da Koenigs (*):
CHE è SO,.NH . NH . (GRES + C6H; . N-=NH =C5Hs. N=N. SO, . CsHy +
+C,H;.NH.NH; (*).
(*) Berliner Berichte, 46 (1913), 2002.
(2) Questi Rendiconti (1909), 1° sem., pag. 322.
(3) Berliner Berichte, /0 (1877), 1252.
(4) Secondo W. Vaubel (Berichte, 33, 1711), la fenildiimmide si può preparare per
riduzione del diazoamminobenzolo. A mio avviso, però, le proprietà del composto che così
si ottiene non stanno affatto in buon accordo con tale struttura; sarebbe più verosimile
la formola
\CH=CH pati
ovvero l’altra î
CH=CH
Ho4 N Neg
\CH=CH
che meglio spiegherebbe per quale ragione il prodotto non presenta la reazione dei diazo-
composti alifatici. Vedi anche S. Goldschmidt, B. Berichte 46, 1530.
— 1097 —
Dati questi risultati, era da aspettarsi che la reazione procedesse in
modo analogo anche con i derivati dell'idrazina che contengono due residui
solfonici uniti a due atomi d’idrogeno diversi; il caso più semplice è rap-
presentato dalla dibenzolsolfonidrazina
NH .SO;. CH;
|
NH . SO» . CH;
che venne preparata parecchi anni or sono da Hinsberg ('), il quale aveva
anche notato che il prodotto può fornire un sale di potassio che per riscal-
damento si decompone con formazione di acido benzolsolfinico e sviluppo di
azoto. Evidentemente, anche questa reazionejentra fra quelle che prima ho
esaminate: e, con tutta probabilità, come termine intermedio si forma la
biossiidrazina, la quale, perdendo acqua, fornisce azoto:
NH.OH
NH.OH
e perciò la reazione finale si potrà esprimere nel seguente modo:
NH. S0,. CsH;
I == N, + 2, CSS . SO.H (3)
NH .S0.. CH;
È però chiaro che la decomposizione potrà avvenire anche in modo
graduale: vale a dire che in una prima fase venga eliminato un solo residuo
solfonico,
NH.S0,. CH; NH.OH
| zig
NH. SO». CsH; NH. SO0..CsH;,
e che il prodotto intermedio così formatosi, per ulteriore azione degli alcali,
perda ancora acido benzolsoltinico per dare acqua ed azoto. Per dimostrare
questo, mi sono giovato dello stesso artifizio che a suo tempo mi ha permesso
di studiare la decomposizione dell'acido benzolsolfoidrossamico. In questo
ultimo caso si forma, come ho già più volte detto, acido benzolsolfinico e
biossiammoniaca, la quale può fissarsi, p. es., alle aldeidi (*) oppure anche
(') Berliner Berichte, 27 (1894), 601.
(*) Ho già iniziato alcune esperienze per vedere se la reazione è anche invertibile,
cioè se azoto ed acido benzolsolfinico possono formare dibenzolsolfonidrazina.
(8) Come è noto, 0. Baudisch (Berichte, 46, 115) ha spiegato ingegnosamente, per
mezzo di questa stessa reazione, il processo di assimilazione dei nitrati che si compie
nelle piante sotto l’influenza dei raggi luminosi.
— 1098 —
al nitrosobenzolo, per dare la cosiddetta nitrosofenilidrossilammina:
C.H;. NO + NH(0H))= CH;.N=N.0H
LI + H;0.
Ed una reazione perfettamente analoga avviene anche quando, nelle
opportune condizioni, si faccia reagire il nitrosobenzolo sopra la dibenzol-
solfonidrazina, in presenza di alcali: il termine intermedio prima accennato
si somma nettamente al nitrosobenzolo e si ottiene il prodotto
CeH;.SO..NH,N=N. CeHs
|
0
costituito da aghi incolori brillanti. Riscaldato in tubicino, si decompone
improvvisamente a 102°; riscaldato invece su lamina di platino, esplode con
grande violenza, ed esplode pure per percussione.
La sostanza ha carattere acido, ed i sali, molto probabilmente, derivano
dalla forma tautomera:
CsH; . SO=N—N=N. CeH;
| I
(OH) 0
Con i sali ferrici e di rame fornisce sali complessi che presentano
una grande rassomiglianza con quelli che dà la nitrosofenilidrossilammina
(cupferon).
Per ulteriore azione degli alcali perde anche la seconda molecola di
acido benzolsolfinico e si forma un prodotto che facilmente si scinde in
nitrosobenzolo ed azoto, molto probabilmente l'ossido della fenilazide:
CH;,.N=N=N
| = CGHs.NO+N..
Continuerò lo studio di queste reazioni.
Patologia. — £tologia del gozzo. Nota del Socio B. Grassi.
Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
— 1099 —
Fisica matematica. — Su/l’azione dinamica di una corrente
fluida sopra pareti rigide. Nota del dott. ing. CARLO LuIci Ricci,
presentata dal Socio C. SEGRE.
La spinta che un fluido in moto non permanente esercita contro le
pareti del vaso nel quale si muove, supposto che nelle superficie piane limi-
tanti la massa fluida all'ingresso (0,) ed all'uscita (03) la pressione media
sia eguale a quella dell'ambiente esterno, e la velocità del fluido sia nor-
male a dette superficie e costante in tutti i punti di ciascuna di esse
(= rispettivamente a Vi e Vv»), è espressa da
d :
R = ( of4s _- 2 ( VAS + Q(Vi — Va),
essendo 0 la densità del fluido, F il vettore della forza di massa, S lo
spazio occupato dal liquido, e Q la portata istantanea espressa in unità di
massa.
di
Questa espressione fu stabilita dal prof. T. Boggio nel suo lavoro:
Calcolo delle azioni dinamiche esercitate da correnti fluide sopra pareti
rigide [Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1911, Nota II, pag. 908,
formula (18)].
Mi propongo di dimostrare in questo breve studio, come il secondo ter-
mine dell’espressione di R, nel caso di 0 = costante (liquido omogeneo), si
possa trasformare, e ricondurre alla forma ad esso data dal Masoni, il quale
nel suo Corso di idraulica (3* edizione, Napoli 1908. pag. 167), trattando
per altra via la questione, aveva già dato agli altri due termini un'espres-
sione identica a quella sopra indicata.
Possiamo immaginare l'intero spazio S come scomposto in tubi di
flusso (o di velocità) elementari.
— 1100 —
Consideriamo uno di questi tubi: sia dw l'area della sezione trasver-
sale infinitesima del tubo in un punto qualunque interno; siano inoltre do,
e do, le due sezioni estreme del tubo, ossia i due elementi delle superficie
o, e 0, compresi entro il tubo.
Potremo assumere come elemento di volume quello compreso nel tubo
tra due sezioni trasversali infinitamente vicine. ossia porre:
dS= do . ds
se indichiamo con ds l'elemento d'arco dell'asse del tubo, cioè la distanza
delle due sezioni.
Se @ è costante, nel secondo termine suddetto dovremo calcolare l’ (vas.
x/S
Ora si ha:
vdS$S= vdo ds;
dP
d'altra parte se diciamo P la particella fluida la cui velocità è Vegan
GI nere
vds= VdaP,
ove V è il modulo della velocità, ed il vettore 4P è diretto secondo l’asse
del tubo; perciò si potrà porre:
vdods= Vado dP .
Ora, Vdw è la portata istantanea, in volume, del tubo elementare, la
quale è costante lungo tutto il tubo stesso ed uguale a
Vi do, = Vo dos Ù
Quindi il contributo che detto tubo porta all ( vas è V.do, far,
Ss n
ovvero anche Vi do, (ar, essendo l' far esteso a tutta lunghezza del tubo.
Tale contributo vale quindi: É
Va dos.(P°.— Pi),
ove P, e P, sono i due punti estremi dell'asse del tubo elementare, ossia
i centri delle due sezioni estreme do, e do, .
Quindi si avrà:
vas= ( Vi Po dos— | V, P: de,
-S
—RV0 | P. do, — Vi f Pi d0; .
Vig3 VOI
— 110] —
Ora se diciamo G, e G. i baricentri delle sezioni 0, e 0,, si ha,
com'è noto,
06,= ( P.do, ; Guidi P,d0,,
ion «0
2
e quindi
fvas=v.s:0:— 0,0,
-/S
= VE, 62(Go == G.) .
Perciò il secondo termine dell'espressione di R è:
d dVa
—e | vdas=— o0(G— G,)0, —,
S PI;
e si ritrova così l'espressione ad esso data dal Masoni, conforme a ciò che
sì era più sopra enunciato.
Giova osservare come nella citata espressione di R, mentre il primo
termine rappresenta l’effetto delle forze di massa, ossia l’azione statica del
campo di forze, gli altri due termini rappresentano la vera azione dinamica
del fluido in moto, espressa come la variazione dell’ unità di tempo (deri-
RS A ; QI
vata rispetto al tempo) della quantità di moto; il termine — dd oV dS
S
rappresenta di questa variazione la parte dovuta al variare della velocità
in funzione del tempo (ossia alla non permanenza del moto); ed il termine
Q(vi — V:) — che si ha pure quando il moto è permanente — rappre-
senta la parte dovuta al passaggio della massa tluida defluente nell'unità
di tempo (portata di massa), dalla sezione 0, a monte, alla sezione 0, a
valle.
Matematica. — Alcune questioni di geometria sopra una
curva algebrica. Nota II di RuocreRo TORELLI, presentata dal Socio
E. BERTINI (').
$ 3. — CONDIZIONI PER L'IDENTITÀ BIRAZIONALE
DI DUE VARIETÀ DI JACOBI.
9. Passiamo adesso a cercare le condizioni necessarie e sufficienti affinchè
le due curve C,C, (per le quali adoperiamo le solite notazioni del n. 1) ab-
biano le varietà di Jacobi V, V, birazionalmente identiche. Perciò, detti Y X
i punti di V, V, immagini delle p-ple (y"y"...y2) (2'2”... 22) di punti di
C,C,, poniamo
Va(Y)= 0x4) +-+ 099)
Ux(X) = wua(2) +-+ u(22);
(*) In questa Nota II continua la numerazione della Nota I.
— 1102 —
saranno Vx(Y), Ux(X) [£=1,...,p] due p-ple di integrali di 1* specie,
linearmente indipendenti, di V, Wo
Se tra V, V, intercede una corrispondenza biunivoca, questa sarà rap-
presentata da relazioni analoghe alle (1), e cioè del tipo
(7) Vi(Y)= D rw U;(X) + ma;
e si avrà i
(8) rta = han + DI Gutri > Da Tri = Ha + DI Gi Chi;
(9) 1+0;
hgHG essendo numeri intieri, e ZZ indicando il determinante dei numeri 77.
Ma se supponiamo viceversa soddisfatte le (8) e (9), le equazioni abe-
liane (7) definiranno tra V, V, una corrispondenza che sarà, generalmente,
solo unirazionale (*).
Noi ci proponiamo appunto di vedere quand'è che le (7) definiscono
una corrispondenza birazionale.
Perciò cominciamo a osservare che, se nella corrispondenza (7) i punti
NEXTdi Ve hanno uno stesso omologo, anche due qualunque punti X, Xi
omologhi nella trasformazione di 1 specie definita da X X', tali cioè che
U,(X1) — Ux(X{) = U(X) — Ux(X) modd. 4%,
avranno, com'è facile vedere, uno stesso omologo. Segue che la detta tras-
formazione di 1 specie è ciclica, e quindi esiste un intiero e > 1 tale che
Ux(X)= sU(X') . modd. am.
Il problema di vedere se la corrispondenza (7) è plurivoca è quindi
ricondotto a quello di vedere se è possibile trovare un intiero « > 1 e altri
2p intieri m;n;, non tutti divisibili per «, tali che, presi su V, due punti
X X' soddisfacenti alle relazioni
(10) Ux(X) n Ux(X') = Mk + SI Ni Aki >
si abbia
I Fini U;(X)= DI reni U;(X') modd. tx.
Y
Ora dalle (8) (10) segue
e Dori [U;(X) — U;(X)] = D (Rai mi + Hi n) + D (gim+ Gin) cy,
i i gi
Ul
(1) L'indice > 1 sarà però certamente finito per l'ipotesi I 0.
— 1103 —
e quindi il nostro problema si riconduce facilmente a quello di vedere se
sì possono determinare un intiero £ > 1 e altri 2p intieri m;»; (non tutti
divisibili per «), in guisa da avere
\ SA (lixi mi + Hx na) =0
(11) ; mod. «.
Î 2( (Gri mi + Gri n)=0
Orbene, si vede subito che tal determinazione è possibile se, e solo se,
il determinante del sistema (11) è, in valore assoluto, + 1. Abbiamo così il
Trorema III. — Condizione necessaria e sufficiente perchè due
curve Cp Cp di genere p abbiano la stessa varietà di Jacobi, è che fra
due loro (*) sistemi di periodi normali tx din intercedano p® relazioni
> gitagan td hac — S Gay — Hy=0,
si i i
dove gli interi hg HG soddisfano alla condizione che il determinante
lors hip Hi Hi
Ypr 0 lipp Ho CISCO Hop <
(12) ì
Que Pap Gia
Gp <<< Ipp Gpr--. Gpp
è uguale a 1, e all'altra che il determinante dei numeri -
ren= han + dg tri i
i
é diverso da zero.
10. Da questo teorema deduciamo subito il seguente
CoroLLarIo. — Se le due curve CC, hanno la stessa varietà di
Jacobi, e una di esse, p. es. Ch, è priva di corrispondenze simmetriche
singolari, allora le due curve sono birazionalmente identiche (*).
Supponiamo, infatti, che siano soddisfatte le relazioni di cui parla il
teorema III. Allora, presa una corrispondenza S (fra C,C,) cui competano
(*) Per ciò che riguarda la necessità della condizione, si intenda sistemi qualunque
(e allora gli intieri 49HG, di cui a momenti si parlerà, dipenderanno da essi); per
ciò che riguarda la sufficienza, si intenda sistemi particolari: cfr. gli enunciati dei teo-
remi I e II
(2) Questa proprietà è dovuta a Severi. Cfr. la Nota di Comessatti, citata in pre-
fazione.
RenDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 141
— 1104 —
gli intieri caratteristici 49 HG, dovrà la corrispondenza S_2S essere a
valenza; detta —y(<0 (*)) questa valenza. dovremo avere, causa le for-
mule (3) del num. 4,
(13) DI (’ni Gri — Hyi Gr) = Y
td
S (xi Gui — Hi dad
A <
(14) ( (Qri Gi — Gaga = O) kA!.
ld
DI (Ha hi hp Hg) =0)
Ma da queste segue facilmente che il determinante (12) ha (?) il va-
lore y??: e poichè esso ha, per ipotesi, il valore — 1 (e y>0), segue y= 1.
Le (13) (14) allora, in virtù del teorema Il, portano alla identità bira-
zionale di C, Cp; c. v. d.
$S 4. — QUESTIONI AUSILIARIE.
11. Consideriamo la varietà Vo delle o-ple di punti di una curva Co
Tra le sue varietà canoniche vi sono quelle aventi per imagine le serie
di gruppi di @ punti estratti dai gruppi delle 9852, canoniche di C, (9).
Pertanto, prese, su C,, 0 —1 serie Gio canoniche, la serie Ys costituita
dagli co! gruppi di @ punti ad esse comuni, è imagine di una curva co-
mune a @— 1 varietà canoniche di NG
Proponiamoci di calcolare l'indice e il difetto di equivalenza della
serie yg. Per questo osserviamo che, preso un punto P di C,, i gruppi
della Vo per esso passanti si ottengono così: si considerino le 0 — 1 serie
I7i: subordinate da P nelle date gf7:»; esse hanno a comune un certo
numero u di gruppi di o—1 punti G, G»... Gy: saranno P+ G,,P+ Gi,
..3P + Gy i gruppi richiesti, e quindi w l'indice di yy. Ora sì ha (Comes-
satti) (‘)
(15) | p=a@—8) +0 277,
(1) R. Torelli, Sulle varietà di Jacobi, Nota II [questi Rend., vol. XXII, nov. 1918],
DOO).
(*) Krazer, Zehrbuch der Thetafunktionen (Leipzig, 1913), V Kapitel, $ 2.
(3) Severi, Sulle superficie e varietà algebriche irregolari ecc. [ Questi Rendiconti,
vol. XX, aprile 1911], n. 5.
(4) Determinazione dei gruppi di r +1 punti ecc. [Atti Istit. Ven., tom. LXIX,
an. 1909-10].
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dove
e 79
n (° PI )-e+ bet (p—D(p—-2- (1-5.
k=0
b=—
(eo Do 1) S (CI) net
2 ki 1
X(p_—_2)(p—3)...(p— k):
abbiamo così trovato l'indice di y}.
Si osservi, poi, che (sempre secondo Comessatti, loc. cit.) si ha
G,+4 Go + ---+Gu=(a+2)K—a(e—1)P.
K essendo un gruppo canonico. Adunque Ja corrispondenza simmetrica che
a P fa corrispondere il gruppo G, +-+ Gu ha la valenza
(16) i y=au(0— 1).
Ne segue (') che il difetto d’equivalenza È di y, è dato da
(17) = pla— (e-Da=pS @p—e—2 (°°)
X(p—teT—1)}?*(p—1)(p—2)...(p—%).
e (15) e (17) sono appunto le formule cercate.
12. Dalla precedente considerazione deduciamo una proprietà di cuì
faremo uso in fine del n. 15. Si osservi che la serie costituita dalle o-ple
di punti di C,, resa di ordine p coll’aggiunta di p — @ punti fissi, ha per
imagine, entro la varietà jacobiana V, di Co: una varietà Wo (vedi pre-
fazione). Se poi teniamo presente che le W,_, di V, sono imagini delle
serie costituite dalle p-ple di punti estratti dai gruppi delle 98 di Cp,
vediamo che il difetto d'equivalenza della serie Tri di cui al n°. prece-
dente. rappresenta il carattere di immersione (vedi prefazione) delle va-
rietà oof7! segate su Wo dalle W,_1.
Possiamo perciò enunciare il seguente
LEMMA. — £ntro una varietà di Jacobi V,, le varietà W,_, segano,
su una Wy varietà x! aventi il carattere d'immersione
—
3 Ong, “\p—e— DX
k=0
AIR
Questo lemma è, in fondo, l'inversa del teorema IV.
(1) Torelli, loc. cit., a pag. 4.
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13. Questione II. Riprendiamo a considerare le due curve C,C,, e la
corrispondenza S, di indici x, v, di cui si parlava nel n. 1. Supponiamo,
poi, che su O; si abbia una serie y},, di ordine m e indice n, tale che,
chiamando omologhi due punti quando sono in uno stesso suo gruppo, si
abbia una corrispondenza simmetrica 4 a valenza y.
La corrispondenza S, che intercede fra Ch; C,, muterà tal y}, in una
serie Yin, di indice wr, su C,. Quale sarà il difetto d’equivalenza di
questa Yin?
Tale questione si risolve subito. Infatti la corrispondenza simmetrica,
di indici vu(mz — 1), in cui si corrispondono due punti quando sono in
uno stesso gruppo della yl,,, è data dal simbolo
S19IS+uS"S— wl,
I indicando l'identità su C,; se ne calcolano quindi facilmente gli intieri
caratteristici in funzione di quelli di S e di y; e, con ragionamento ana-
logo a quello fatto in fine al n. 4, si trova che il difetto d'equivalenza ©
della yi,, è dato da
(18) Cé=(u—y) S (lx Gri — Hai Qui) è
hi
che è la formula cercata.
S 5. — SULLE SERIE ALGEBRICHE PIÙ VOLTE INFINITE.
14. Dimostriamo infine il seguente
Trorema IV*. — Sopra una curva C, abbiasi una serie Y& (anche
dotata di punti fissi), birazionalmente identica alla varietà delle o-ple di
punti di un’altra curva Cp, e tale che nessun integrale di 1° specie di Cp
dia somma costante lungo i suoi gruppi.
Se la totalità dei gruppi di p punti, tolti dai gruppi di una gene-
rica gi di Cp, sega sulla yi una yi} avente il carattere di immersione
o— 2
(17) PS 2p—-e—2— è) ( )@-e=nrx
SI Ok
X(P_1)(po2)V9E
allora le due curve Cp G, sono birazionalmente identiche, e la yi appar-
tiene alla classe individuata dalla serie delle o-ple di punti di Cp.
Adoperiamo per C, C, le solite notazioni stabilite al n. 1. La nostra
serie sarà rappresentata (analogamente a quanto avviene per le serie 00!)
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da un sistema di equazioni del tipo
(19) v(/) +-+ 0,9) = DI tri Lux(0) + + ux(e9)] + 2a.
0
(2'...2?) essendo un gruppo di @ punti variabili su C,. Avremo le solite
relazioni
rem = hm + D ga tri
DI tri dn = Han + DI Gir Tri ,
L
e il determinante dei numeri 77, sarà, per ipotesi, diverso da zero.
Se al gruppo (2'...x?) facciamo descrivere la serie to di cui sì è
parlato al n. 11, il corrispondente gruppo di p punti su C, [individuato
dalle (19)] descrive una serie 7, il cui difetto di equivalenza È è appunto
il carattere di immersione delle y7' di cui parla l’enunciato.
D'altronde si pensi che la detta y appartiene alla stessa classe che
la serie y,,, descritta dagli omologhi dei punti del gruppo variabile di Vo
nella corrispondenza S definita, fra C, e C,, dalle equazioni abeliane
ox4Y) +-+ va(y?) = DI Ttzi Ui(a) Ptr.
U
Allora il numero $, essendo anche il difetto della serie Yo» Può calcolarsi
mediante la considerazione del n. 13 e le formule (15) (16); e si trova
pe? po
{=D (505 — Hg) Do—e—2—2( )x
dij h=d _K
SOSTIENI)
Se dunque & ha il valore (17’), dal confronto di (17°) e dall’ ultima
espressione scritta risulta
> (hi; G— Hi gi) =P,
ij
e quindi (n. 7) nella classe definita dalla corrispondenza S vi è una cor-
rispondenza biunivoca. Questa indurrà, fra le o-ple di punti di C,C,, una
corrispondenza biunivoca, rappresentata o dalle
va) + + og) =D milui(e9) + +9] +,
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oppure dalle
vry) + + og) = — D rn [u(0) ++ di (09) + 7
(le 77, essendo opportunamente scelte); e ciò dimostra il nostro teorema.
Questo teorema è manifestamente equivalerte al teorema IV della pre-
fazione.
15. La deduzione dei teoremi V e VI (enunciati in prefazione) dal IV
non offre alcuna difficoltà. Infatti:
A) Se fra le varietà di Jacobi V, V, di due curve C, Cp intercede
una corrispondenza biunivoca che muti una Wp di V, in una W, di V,, 2
quest ultima W, si può, in virtù del lemma del n. 12, applicare il teo-
rema IV; e ne viene il teorema V.
B) Se la serie yÉ, costituita dalle o-ple di punti di una curva C,,
O) 0-p p p
è birazionalmente identica alla serie analoga di un'altra curva Cy, alla y}, resa
di ordine p coll'aggiunta di p — @ punti fissi, si può, pel lemma del n. 12,
applicare il teorema IV*; e ne risulta il teorema VI.
Matematica. — Sopra un'operazione funzionale atta a tras-
formare i potenziali logaritmici in simmetrici. Nota II della signo-
rina LinA BIANCHINI, presentata del Socio T. LEvI-CIVITA.
4. — CONDIZIONE DI REALTÀ.
LEGAME CON POTENZIALI ASSOCIATI LOGARITMICI.
Nelle (7) (*) non è tenuto conto della condizione che «,v risultino reali.
Vediamo come debba specificarsi la funzione / affinchè questo abbia luogo,
supponendo che la /, considerata come funzione del suo argomento 2-+y c083,
si comporti regolarmente in una certa regione I° del piano rappresentativo
(x,y) (per tutti i valori di 4 compresi nell'intervallo 0,7). Questo im -
plica manifestamente che la Y° comprenda, insieme con ogni punto (x , g),
tutto il segmento (4, y cos 4) che lo congiunge col suo simmetrico (x, —y).
Ciò premesso, ove si scinda in / la parte reale dall'immaginaria, ponendo
ET
e più precisamente
f(a + ty c08.9)= g(2,y 0089) + iW(x,y cos d),
(1) Della Nota precedente. Cir. pp. 1041-1046 di questo volume dei Rendiconti.
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dalla prima delle (7) si ha
Tm
u= f gia, 0089) +i ( “p(0,y 008 9) dd.
/
Il coefficiente 8 di 7, scindendo l'intervallo di integrazione nei due
tratti (0,5) 5 (5.2) (e cambiando in quest ultimo, d in 7 — d), può
essere scritto
T
p= {we y 0089) dd = l'ho, y cos I) + w(x, —y c08 9} dd.
La condizione che « sia reale, equivale a #=0; e questa implica, a
sua volta, che si annulli identicamente la funzione sotto il segno ('), ossia,
in sostanza, che (x,y) sia funzione dispari dell’argomento y.
Viceversa è evidente che, sotto tale ipotesi, f = 0.
Notiamo, d’altra parte, che, se w è funzione dispari di y, essa s'annulla
sull'asse reale 0x; la nostra /(x + ‘y) è quindi vincolata alla condizione
di essere reale sull'asse reale (o più precisamente in quella parte di esso
che cade entro il campo TY, cui si riferiscono queste considerazioni).
Con ciò, non solo risulta w funzione dispari di y, ma altresì 9 pari
[g(x,y)= (x, —y)], e subito si verifica che anche la seconda delle (7)
definisce una funzione reale
n D
v= Î y 089 y(x,y 069) di = 2 f ycosd y(x,ycos9) dd.
/0 0
Possiamo quindi concludere: Condizione necessaria e sufficiente per la
realtà delle due coniugate w,v, è che / sia reale sull'asse reale. Comples-
sivamente le dette %,v rimangono definite da
2
\u=2 f 9(0,y0089) d9,
() | “
n
VD
RE Î y cost we, yc089) dd,
A)
(1) Questa affermazione è giustificata dal teorema di Abel, che richiamiamo più
innanzi, al n. 5. Dalle due relazioni reciproche ivi esplicitate, appare manifesto che, per
B=0, « risulta identicamente nullo. Ora la
B(@,Y) "I i [u(2,y 0859) + (4, — y cos 9)} da
è precisamente un caso particolare della prima delle due relazioni suddette, m cui (trat-
tando 2 come parametro costante) si scriva y al posto di r, e si ponga
2a(ycos9) = w(2,ycos8) + (2, — y cos$).
— 1110 —
nelle quali le funzioni sotto il segno, g e w, costituiscono manifestamente
due funzioni associate logaritmiche provenienti da un'arbitraria / reale sul-
l'asse reale. Tale / si dirà l'assiale della coppia simmetrica associata (,v).
Dalla nostra indagine risulta altresì che 4uite le coppie simmetriche si pos-
sono pensare generate in questo modo.
5. — FORMULE INVERSE.
Secondo una proposizione scoperta da Abel si equivalgono (*) le due
relazioni
\ y(7) = ("sw sen9) dg,
|, a f'urs 3) send dd
P( nima J(7 sen +) sen ;
\
che, chiamando % e w rispettivamente @ e 8, e ponendo s=3 — &, si
possono anche serivere come segue :
\ die Je cosd) dd,
]
va
(za | B(r cos 4) così dd.
In base a ciò, le due ultime espressioni trovate per le vu e v equivarranno
rispettivamente alle
T
(2,4) d Y DG cos 4) cos.d dd
XL, ESTONE? s i cr
sile Ù
(Il) L
yYW(x n=t2 (oe y cosd) così dd .
| 2 dy IT ( t)
6. — INTRODUZIONE DI ARGOMENTI COMPLESSI
E RIDUZIONE AD ON’ UNICA RELAZIONE FUNZIONALE.
Poniamo
(8) w=u+| dd,
(*) Circa tale equivalenza, veggasi Beltrami, loc. cit.
— llll —
riprendendo anche la combinazione (morogena, a differenza della w che,
in generale, non lo è)
(AA
Sostituiti per u e v i loro valori forniti dalle (7), la (8) assume l’aspetto
w=u+iv= f (1+ y c0osd) f(a + 74 c089) dd.
()
Indicheremo brevemente con A l’operazione funzionale definita dal se-
. condo membro dell'equazione testè scritta, la quale fa passare dalla funzione
monogena / dell'argomento x + ?y (reale sull'asse reale) alla w= + iv,
funzione in generale non monogena, ma regolare nello stesso campo in cui
tale si suppone /, e reale, al pari di /, sull'asse reale.
Le (II) ci mostrano che, ammesso per w,v il comportamento qualita-
tivo suddetto, rimane univocamente definita anche un’operazione inversa A-,
che fa passare da w ad una funzione monogena f.
7. — GRUPPO DI TRASFORMAZIONI
CHE CONSERVA LE FUNZIONI ASSOCIATE SIMMETRICHE.
Le funzioni /(<), reali sull'asse reale, ammettono un gruppo puntuale
infinito di trasformazioni in sè, che si ottiene ovviamente ponendo
(9) no),
con F funzione (monogena) arbitraria, perchè anch'essa reale sull'asse reale.
È facile riconoscere che questo gruppo ne subordina uno altrettanto
ampio (disgraziatamente però funzionale, anzichè locale) nei potenziali sim-
metrici.
Sia infatti w =w+ iv il rappresentante complesso di una coppia ge-
nerica, e sia / l’assiale relativo. Ove si indichi con T una trasformazione
del tipo (9), e con w' la coppia simmetrica che corrisponde ad /’, avremo
manifestamente
VA e AI
da cui
w = Af'=ATf=(ATA)w.
Apparisce, di qui, che i potenziali associati simmetrici ammettono il gruppo
la cui operazione generica è ATA, gruppo manifestamente simile a quello
delle T, ossia al gruppo conforme.
ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem, 142
— 1112 —
Matematica. — Una condizione necessaria e sufficiente per
l’esistenza di soluzioni nell'equazione integrale di prima specie.
Nota di A. VERGERIO, presentata dal Socio V. VOLTERRA:
Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
Meccanica. — Sulla deformazione di un suolo elastico piano
indefinito, omogeneo ed isotropo, nel caso dell'eredità lineare, per
dati spostamenti in superficie. Nota del prof. R. SERINI, presentata
dal Socio V. VOLTERRA.
1. Nel problema elastico con eredità lineare le equazioni indefinite
dell'equilibrio (in assenza di forze di massa, al qual caso ci si può sempre
ridurre) sono:
9
il Ai a ea A*'w= — ,
do
dove x,v,w sono le componenti dello spostamento.
La funzione 9 è legata alla dilatazione cubica 0 dalla rela zione
(2) I=(1—- AD A.) 0,
nella quale
A/0)=K/0+f 60/0
As/()=(6+2k)/) + f Colt .1) H2wt, ©] /() de (1):
L'operazione A;'/ si ottiene invertendo A,/, risolvendo un'equazione inte-
grale di Volterra di seconda specie.
Dalle (1) e (2) si deduce
(3) AGG.
Per risolvere il problema che forma l'oggetto della presente Nota. mi
servo del teorema dovuto all'Almansi (*), secondo il quale la soluzione del
sistema (1), quando @ è armonica, si può porre sotto la forma
dP dp dg
4 uz —-+U veg —+V w= 8 W,
(4) SE % sla OE
() V. Volterra, Legons sur les fonctions des lignes, cap. VIII; Acta mathematica,
Sur le équations intégrales ecc., vol. 359, articoli 4-7.
(*) E. Almansi, Sull'integrazione dell'equazione A?*=0, Annali di matematica.
— 1113 —
dove le quattro funzioni U, V, W, g sono armoniche, e inoltre 4 soddisfa
alla relazione
(5) 2 _
2. Le equazioni (4) e (5) si applicano al problema del suolo elastico
omogeneo ed isotropo nel caso della eredità lineare. Prendiamo per piano xy
il piano delimitante il suolo elastico il quale occupi la regione per cui < >0.
Essendo dati gli spostamenti in superficie, saranno determinati i valori
di w,v,w per z=0, e quindi, per le (4), i valori di U,V, W che indi-
cheremo con
Use Was
La teoria delle funzioni armoniche cì dà subito U,V,W sotto la forma (1)
U; do A IVO do
(6) du — 2rr Dè fl — 2 a fe
Made,
> A e
Me
dove l'integrazione va estesa al piano xy, ed 7 rappresenta la distanza
del punto xyz dal punto x'y'o del piano.
Posto
(7) Lei Vede =, Si oo x
addi
le (4), in virtù delle (6) e (7), diventano
@ uns 42h deli ee
Per determinare ora la , calcoliamo dalle (8) la dilatazione cubica @.
Essendo
A’*gp=0,
avremo
du | O dw__P 09 ve
"vv “He
dY dE
(1) E. Cesàro, Introduzione alla teoria matematica della elasticità, IX, ‘7.
— 1114 —
Da quest’ultima e dalle (2) e (5) ricavo
d l Ò Ò V W
Bi egli Aria)[ Se+ (4 ian],
dx dy da
. : i d
ossia, risolvendo rispetto a auf
(e
$
Po + Arta) (Ars) (4) o)
Ma i simboli A,/,As/, e quelli composti con essi, sono permutabili
col segno di derivata; quindi, ponendo
(14 ASA)
avremo
PI”, ? Gg 90, dA a)
dE da È
cai dx dY de
Quest'ultima equazione varrà in particolare pei punti del piano xy; ed
allora le due funzioni armoniche
RR
P, co fasano E
dY d&
avendo superficie derivata normale eguale, non possono differire che per
una costante la quale non ci interessa in quanto che nelle (4) entrano solo
le derivate della gp.
Potremo quindi porre
2dU,
g=0( + pi).
da dY da
Avendo così determinate le quattro funzioni U,V,W,g, il problema è
risolto.
Per ottenere la soluzione nel caso ordinario, basta porre eguali a zero
i coefficienti di eredità
g(t, 1) Y(t, 1)
e prendere
Ax=K Ag=L+2K.
(*) Secondo la convenzione solita delle due operazioni indicate, quella a destra è
da intendersi come eseguita per prima.
— 1115 —-
I simboli operatori A, As, e le loro composizioni, si considerino come mol-
tiplicazioni. Allora
G = (1 + AGLA) (1 Ss AA) =
= (IL sa
udine
Se introduciamo, invece delle due costanti d’isotropia L,K, il coefficiente
di contrazione definito dalla relazione
lb
_ 2L+K°
ritroviamo
i 1
ia era
che è il risultato cui giunge l'Almansi (1).
Astronomia. — Za latitudine di Roma negli anni 1912-13,
e l'ipotesi dell’Hirajama. Nota di E. BrancHI, presentata dal Socio
E. MILLOSEVICH.
1. In un breve appunto da me pubblicato nella « Rivista d’astro-
nomia (*) » esprimevo il voto che anche in Italia. con osservazioni indipen-
denti da quelle del servizio internazionale, si portasse un qualche contributo
alla questione del così detto terzo termine del Kimura nel problema gene-
rale della variazione delle latitudini. Ricordavo che, essendo noi posti al-
l’incirca sullo stesso parallelo delle Stazioni internazionali, in nulla pote-
vamo concorrere per la decisione se, o meno, detto termine dovesse affermarsi
come dipendente dalla latitudine e quindi esprimente un moto oscillatorio
annuo del centro di gravità terrestre. Dicevo però ancora che, se in nulla
potevamo contribuire allo studio della questione da questo punto di vista
(da ritenersi riservato a misure fatte in stazioni equatoriali e boreali alte),
ben potevamo invece cooperare per decidere dell’attendibilità o meno della
ipotesi dell’ Hirajama; per decidere cioè se o meno detto termine fosse la
manifestazione di un vizio insito nelle osservazioni internazionali in causa
del tipo di programma che colà si svolge nelle misure di latitudine.
Riportandomi poi ad una Nota sull'argomento pubblicata da me nei
Rendiconti di quest Accademia (5), ripetevo che un contributo in questo senso
doveva attendersi da osservazioni fatte su zenitali assolute, opportunamente
(1) Nella citata Memoria dell’Almansi è sfuggito un errore nel calcolo di G [ for-
mula (58)]. Rettificando il risultato, si trova per G il valore da me dato.
(3) Volume VI, 1912, pag. 801-804.
(3) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, I semestre, 1909, n. 3.
— 1116 —
concatenate fra loro in modo da rendere possibile l'attenta sorveglianza del
moto del polo nel corso dell'anno, con programma cioè obbediente in tutto
alle conclusioni dell’ Hirajama per giungere eventualmente ad un termine £
nullo nel corso dell’intiero anno.
Avendo ultimati il calcolo e la discussione di una lunga serie di osser-
vazioni di latitudine da me fatte all’ Osservatorio al Collegio romano secondo
le direttive ora specificate, riporto qui i risultati ottenuti poichè parmi che
essì possano considerarsi come un modesto ma coscienzioso e forse non inu-
tile contributo allo studio della questione.
Tutti i particolari del lavoro appariranno nel prossimo volume delle
Memorie dell’ Osservatorio.
2. L'ipotesi dell’ Hirajama, sopra ricordata, dice sostanzialmente che
il termine 4 dovrebbe risultare nullo nel corso dell’anno per osservazioni
fatte col metodo di Talcott su coppie così costituite che:
a) sia nulla la distanza zenitale media della coppia;
b) sia nulla la differenza d'ascensione retta delle due stelle costituenti
la coppia;
c) sia intorno alla 7* la grandezza delle due stelle.
Dipendentemente da tali premesse, il programma d'osservazione fu co-
stituito da zenitali assolute, in numero di 50, divise in 12 gruppi; ciascuna
di esse forniva un valore della latitudine, osservata com'era, invertendo du-
rante il suo passaggio; ci si trovava così nel caso di coppie 2deali in tutto
obbedienti alle condizioni volute dall’ Hirajama iper la nullità del termine
del Kimura.
I 12 gruppi furono osservati in catena dal 1 dicembre 1911 al 24 otto-
bre 1913.
Lascio da parte tutto il lato strettamente tecnico del lavoro, sia per
quanto riguarda la discussione delle declinazioni delle stelle e del loro moto
proprio, sia per quanto riguarda lo studio dello strumento usato (un ottimo
Bamberg dei passaggi), sia infine per quanto riguarda la compensazione delle
declinazioni e la conseguente deduzione dei valori definitivi della latitudine.
Questo dirò soltanto: che un primo risultato assai confortante lo si ebbe al
momento di concludere l'errore di chiusura della compensazione dei gruppi
stellari; esso infatti risultò di appena :
— 0”.08..
Noterò, ancora, che il numero delle osservazioni concluse risultò note-
volmente inferiore a quanto sarebbe stato desiderabile, in causa sopratutto
delle poco felici vicende atmosferiche durante il periodo delle osservazioni
ed in causa anche della natura stessa del programma di zenitali assolute.
3. Ecco senz’ altro i valori medî conclusi per la latitudine istan-
tanea:
— 1117 —
TABELLA I.
Epoca v n
oss.
41° 58°
1911.95 537.749 47
1912.04 .-137 30
Lr; .482 18
24 .879 24
32 .268 38
46 .841 17
50 .377 20
67 471 56
78 498 69
.90 .551 39
1913.03 597 39
.13 .536 43
38 .499 29
.63 .590 25
BU) 490 27
1913 80 93.466 82
Se dei precedenti valori si fa una perequazione grafica, si ottengono di
decimo in decimo d’anno le latitudini istantanee della colonna 2* della
tabella II.
TABELLA II.
Epoca ca mal Po Gi
Costrvita inter.® media
1911.95 537.75 — 07.29 59/46 |
1912.0 -73 28001 45 |
Al 62 Po 43
2 46 = 208 .88
3 30 Za EMIR .88 a
4 di ESE 47 \ | 58.468
5 187 + .18 490) psi
6 43 + 09 52
7 48 »? PRI). PP OD PD) DIE) o I) 2)
3 DID IT II 2 PID IO PD»
20) DI PP ID I TO) PIP) MII
PO II PPT D_ I A) O) III
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> D PRI 9)
DMI DL
Hn. I \ d(rBx) A 2) Df )
(!) Si ammette implicitamente che in ogni S sia sempre 1— /rcos3 > 0.
— 580 —
Queste equazioni si possono semplificare, rilevando che, per l'osservazione
finale del $ 1, valgono le relazioni:
na = E,
È : : dl ETRE D
E,,= È,, cos(/-/-) + E, sen(2- (3) = =_4E, Van 03 — dig
2 = È Va 433
—['rE, +(1—/rcos9)E,
V(1={rcos9f+ fr?
En, = DA sen (23 #,) + Er, cos(n3 2.) =
= Lat» as — (10)? 5 e (1— /rc083) VE tfrba
o Vas» PICCO) alta Padano V(1— frcos 9) ) + /!27 a?
(ove al posto di E si può pensare sostituito H). Tenendo conto di esse,
le (3) e (4) — ove si sottragga la (3), [la (4),] moltiplicata per /"” dalla (3):
[dalla (4)3] e, per semplicità, si scriva E,,E,, Ex rispettivamente al posto
di Fa. E Br — si riducono alle seguenti:
I asd 4770 1(2>(rHx) 3d3H.)
fe Ro AI
edi c gii dI |
ed, 470 È DI)
cd a
De D- +H, , 1959H, 1 {| dHy , èHz)
(9) | e dI 1— frcos9| de pe III
a 2DES 47r0
cdl il ode a
1 (a, palle) L069A, 2
\ — 1—frcos9l > dI I° 1—- frcosì ‘dr
pOH __169(07Es) _dE).
TARE A e; II |
u3H, __fsendE, 1925, Il (2E5 ,dEs )
di ET er dI 1—-/rcos9l da dali 29 |
__ eds 1 (23E ti [c089E, 92,
CONDI 1— fr cos9 l x IS | —frcosg dr
S 3. Nell'intervallo di tempo (£,#+- 7), il valor medio del calore di
Joule, sviluppantesi nel tratto di filo limitato dalla sezione normale S e
— 581 —
da una sezione ad essa parallela condotta alla distanza (infinitesima) dx,
è dato da
in modo che, posto
dQ
v= dn
si ha:
t+T A
(7) =" f di { {8} + E2+- Bg} d8.
t -S
Come espressione del quadrato dell'intensità efficace della corrente si
ha poi
o? t+7 2
di, to fre
(8) = Jh u( (E: 18) i
Dovendo, per una ben nota formola di Schwarz, essere
({ 8.48)
= os ’
temente, in qualunque altra sezione) la resistenza efficace (= e) non
eff
sarà mai inferiore alla resistenza ohmica (=) Le due resistenze coin-
cideranno, cioè nella (9) varrà il segno =, allora e allora soltanto che,
ad ogni istante, in ogni punto di S sia
e al tempo stesso valga l'eguaglianza
(11) (J. 3,4) =sf E dS,
la quale richiede, per esser soddisfatta ('), che E, abbia lo stesso valore in
tutti i punti di S (cioè sia indipendente da 7 e 9).
(*) Infatti, se la (11) è verificata, certamente è possibile di soddisfare l'equazione di
2° grado in @:
Ss +2 (. E, d$r+ ( E} dS=0
S S
RenpnIconTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 74
— 582 —
S 4. Vediamo di determinare tutti i casi in cui le (10) e (11) sono con-
temporaneamente soddisfatte in ogni sezione normale di un tratto (non infi-
nitesimo) T del nostro conduttore. Se in T è ad ogni istante:
ETNIE, 1(S(rHx) 3H,)
ce C-
EZIO, dito paio PAD,
dHy + dèHz
(12) es fsen E, .. 19H, da gni ELA
Ù Or 008593 ri 1— frcos 9
3H, ,dHr
_ _fcos9H, _?3H, di de sai dI
1—-/rceosd dr 1— freoss
0
doi 1— freos
®?IHz _ fcos9E,
edo 1— frceos?
(13)
| dI
| IH, fsend E,
| c
|
Derivando la (12), rispetto a #, e tenendo conto delle (13), (13); si trova
ue d(Q2E, , 470,, ) 1(d//frcosd E, d ( fsendE, \}
+)
ri or )G
a dil di a 1— frcoss) 39\1— frcos®
cioè, posto
E s A
= Toca tempo di rilassamento,
ue d | dEL E, ) — f° En
ala 6$—(1—=/rcos 9)”
con un (ed uno solo) valore reale di .c 0, ciò che è lo stesso, è possibile di determinare
una quantità # reale e indipendente da »e #, in modo che si annulli l’integrale
f (En +.) dS.
/8;
— 583 —
Poichè E, non dipende nè da 7, nè da 4, quest’eguaglianza non potrà
essere verificata altro che quando, in T,
1°) la flessione della direttrice sia sempre nulla (cioè il filo sia ci-
lindrico);
2°) si abbia costantemente:
d (dEn da)
2 E; 6 mil
dl
Ma se è /=0, posto, come allora è lecito, /" = 0 (*), dalle (12) segue
anche
dda Ha
= > +57) =.
e dalle (13)
dH _
CW
Se ne conclude che, supposto pure che il filo sia cilindrico, la resistenza
efficace coinciderà colla resistenza ohmica (allora e allora soltanto) che sia:
13) E=|e,+ ee 5}7,
ove è», e sono quantità indipendenti da #, la prima delle quali non dipende
neppure da «;
29) rob H= 7,
cioè
H=grady+ E°, T4P_0),
ove lo scalare w non dipende dal tempo e soddisfa alla condizione
div grad y= divH=0.
$ 5. Limitandosi fin da principio alla considerazione di campi elettro-
magnetici stazionarî, si può arrivare, in modo più semplice, a determinare le
condizioni sotto cui accade che la resistenza efficace coincida colla resistenza
ohmica. Se il campo è stazionario, detto 4 il suo potenziale scalare, sarà
pet p-=1 29
(1) Con ciò le linee (z) si riducono a rette parallele all’asse del conduttore.
— 584 —
onde, se sono verificate le (10), g non potrà dipendere altro che da <. In
conseguenza avremo
dA
RE Li dY 1 Ig
i a
dn Ja, cos (L. nz) dE Ti Var sen (2-/=) ds’
cioè
1 PI
e= : n è
* 1-frcosd da
Evidentemente questa eguaglianza non è compatibile colla (11) altro
che quando sia /f= 0. Ciò porta immediatamente a conclusioni che coin-
cidono con quelle del $ precedente, riferite al caso limite 0= 0.
$ 6. Prima di terminare sarà forse opportuno richiamare l’attenzione
del lettore sul fatto che la resistenza effettiva di un tratto di filo condut-
tore limitato da due sezioni normali può, se il filo non è rettilineo, risul-
tare inferiore alla sua resistenza ohmica (*): questo, perchè nella presente
ricerca non appaia come una restrizione inutile o ingiustificata l'aver rife-
rito resistenza effettiva e resistenza ohmica ad una sezione normale del filo
(cioè, sostanzialmente, a un tratto di filo limitato da una sezione normale
e da una sezione ad essa parallela e infinitamente prossima).
Matematica. — Sulle soluzioni fondamentali delle equazioni
integro-differenziali. Nota I di N. ZeILoN, presentata dal Socio
V. VOLTERRA.
1. Nella sua Memoria sulle equazioni integro-differenziali il prof. Vol-
terra (*) ne inizia lo studio sistematico coll’applicare il metodo di Green
all'equazione tipica di genere ellittico:
d u(t)
+LOL
de
INA VI
dar
+] ER + E gl + ge) eo.
d° ult)
dY?
da? dy°
Il primo problema che si incontra consiste nel formare la soluzione
fondamentale della (I), la quale viene calcolata, nella detta Memoria, me-
(!) V. A. Signorini, Sulla propagazione di onde elettromagnetiche in un conduttore
toroidale (Questi Rend., vol. XXIV, ser. 52, 1° sem.).
(3) Sur les équations intégro-difféerentielles et leurs applications. Acta math.,
tom 35.
— 585 —
diante uno sviluppo in serie. In questa breve Nota mi permetto di trattare
lo stesso problema con un metodo che si applica in casi assai generali d’'equa-
zioni alle derivate parziali (*). Ottengo, nel caso dell'equazione (I), un’'espres-
sione di forma differente da quella del Volterra, ma l'identità dei resultati
si prova senza difficoltà.
2. Procedendo come se si trattasse di un'equazione differenziale a coeffi-
cienti costanti, sostituiamo alla (I) la stessa equazione
(11) Au=0(2.y,830)
con un secondo membro, funzione arbitraria di x ,7,4,%, e cerchiamone
una soluzione qualunque, scritta nella forma
u= [re E e f0(2,0,1:9) F(xr —- A,y—-u,z—-vt,t)dh du dv da.
Chiamiamo, per analogia, F l'integrale fondamentale dell'equazione (I).
Nel metodo ricordato si sostituisce alla funzione 0 la sua rappresenta-
zione mediante l'integrale multiplo del Fourier. Seguendo questa idea,
poniamo:
(1) e=7 RE
_-%0 = — 0
Xx pi(a(0-X) +=) +y (=) da dB dy di du dv 9
e si vede che la risoluzione della (II) viene ridotta a quella dell'equazione
Au = o(4 sv I: t) ei(-N) + ply—11.) +] (-v)) È
di cui la soluzione sia
IAC OE
Troviamo:
1
(2) x(0)+ NrRRA), (ef + P°p+ rw) x(t) de =
1
== n -_—— ——— 71 n VAS
7 Ele +e) 50)
equazione integrale in cui possiamo supporre il limite superiore o variabile
(tipo del Volterra) o costante (tipo del Fredholm).
(') Vedi Zeilon, Das Nundamentalintegral der allgemeinen linearen partiellen
Differentialgleichung mit konstanten Koeffizienten, Arkiv f. Mathematick, Astronomie u.
Fysik. Stocolma 1911; Sur les intégrales fondamentales des équations è caractéristique
réelle de la physique mathématique, Arkiv f. Matematik ecc., Stocolma 1913.
— 586 —
3. Sia D'(@,8,y|]t,) il nucleo risolvente dell'equazione (2); avremo:
RE ar RO
Sn +8 +79)
x(eG.111:0+ [Des fr}. Del2 00; t).
@ <0)=
relazione che più comodamente si scrive
g/ — l
©) s0= Ser
D=s((, a) + D',
denotando con #(f, 7) una funzione (definita mediante un’espressione di limite
conveniente) soggetta alla condizione che
feto, mv ;e) ded, 039).
re:
La soluzione della (II) si scrive adesso:
f { Ci x(a,P,y;4,W,;V; t)X
o Vo -/—m
X gi[ala—) + pu-w+yG-M] da df ... dv
e si forma evidentemente nel modo desiderato per mezzo d’un integrale fon-
damentale F, la cui espressione, scrivendo # invece di. — Z ecc., sarà la
parte reale di
UD Eco
© NPI ie o g'(ae+av+2). da-dPiay®
4. La convergenza dell’integrale (III) può discutersi come nei casi
analoghi delle equazioni differenziali di tipo ellittico. Si osserva che c’è una
singolarità nel punto «=$=y=0; quindi bisogna definire un valore prin-
ipale evitando questa singolarità, il che può farsi in modi diversi. Suppo-
niamo, per es., che la integrazione rispetto a y si eseguisca fra — co e —d,
e fra--d e + co , 0 essendo una piccola quantità positiva; invece di (III),
prendiamo il limite per d = 0 dell’espressione risultante.
Nel caso d'un'equazione del tipo del Volterra, la convergenza è accer-
tata, D essendo allora una funzione sempre finita, almeno per i valori finiti
delle @,8,y. Ora l'equazione (2) fa vedere che D è funzione omogenea,
— 587 —
d'ordine zero, di @,8,y; quindi la funzione sotto il segno J sì comporta,
per i valori grandi di @,#,y, come la funzione
DEGSE SIEE
o° + 8° + y?°°
e la convergenza dell’integrale (III) risulta dalla convergenza dell’ integrale
conosciuto:
gl +0%0 +% +% ei (4£ + pU+ 62) RSI,
i —__ de d 1 er" =====-e=si
all É | app I pipa
us
Al contrario, nel caso d'un'equazione (2) del tipo del Fredholm, la D'
potrà possedere dei poli reali, di modo che la definizione del valore princi-
pale dovrebbe forse modificarsi.
5. L'espressione (IIl) si semplifica con un calcolo in cui interviene Ja
omogeneità della funzione D. Osservando che essa è una funzione reale, la
quale contiene y alla seconda potenza, abbiamo facilmente:
ca ea o e (9) cos( (ax + By + y3) da dB dy;
e scrivendo ay, 8y invece di a, #, troviamo:
+00 +% 1 |é,
sa a do JR ine a? a 36 sa) cos y(ax + 8y 4 2) d(ax) d8 dy .
Ma adesso la integrazione rispetto ad «x e y si riguardi come costi-
tuente un integrale doppio del Fourier, di modo che
"p(— AES 6, 1|6,8)
(IY) = LES)
dp,
+ #41
integrale semplice che richiede la conoscenza del nucleo risolvente dell’e-
quazione integrale
(4) (A va pre eg ore pr
— 588 —
Matematica. — // teorema del valor medio. Nota di Guino
FUBINI, presentata dal Socio C. SEGRE.
Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
Fisica. — Un generatore invertibile per correnti continue,
senza collettore nè contatti striscianti ('). Nota di 0. M. CorBINO
e G. 0. TRABACCHI, presentata dal Socio P. BLASERNA.
In una Nota presentata nella precedente Seduta abbiamo dimostrato
che con un indotto di speciale costruzione debbono verificarsi i seguenti
fatti:
1°) L’indotto deve ruotare in un campo magnetico, sviluppando una
coppia costante, qualora sia attraversato da una corrente continua inviata
tra gli estremi puntiformi dell'albero; e la sua rotazione non si inverte in-
vertendo il campo.
2°) Tenendo in rotazione l’indotto in un campo uniforme di qual-
siasi senso si svilupperà una forza elettromotrice costante che può racco-
gliersi tra gli estremi dell'albero, e cioè senza nè collettore, nè contatti
striscianti.
3°) Questa f. e. m. può ugualmente ottenersi tenendo fisso l’indotto
in un campo ruotante, il che rende possibile ottenere da correnti polifa-
siche una corrente continua, per induzione elettromagnetica, senza organi
in movimento.
*
*x X%
1°) Per ottenere la verifica sperimentale della prima proprietà sì è
proceduto nel modo seguente :
Tra due punte di centro P e @ (fig. 1) può ruotare un asse costituito da
due cilindretti di ottone w ed x riuniti meccanicamente (ma isolati elettrica-
mente) da un manicotto di ebanite, le cui estremità sono filettate in modo
da permettere di avvitarvi i due dadi, pure di ebanite, 4 e d'.
Mediante questi dadi si possono fissare all'asse, ortogonalmente fra
loro, due telai costituiti ciascuno nel modo seguente. Con una lamina di
rame dello spessore di cm. 0,2 si è costruito un telaio rettangolare di
em. 3,6 X 7,4 sostituendo però, nel centro di uno dei due lati maggiori e
per un tratto lungo cm. 3, una laminetta di bismuto al rame.
(*) Lavoro eseguito nell'Istituto fisico della R. Università di Roma.
— 589 —
I lati minori sono stati foggiati in modo (fig. 2), che i detti telai
potessero essere montati sull’asse descritto, stringendoli tra i dadi di eba-
nite 4 e d'; delle lamine di mica li isolavano fra loro. Due nastri di rame
A e B (fig. 1), che partono dagli estremi 7 ed s delle due parti isolate dal-
l'asse fanno capo ai centri N ed M' (fig. 3) dei due lati liberi più lontani
delle due laminette di bismuto, mentre un altro nastro di rame riunisce i
dia
JE
|
|
d
da
Fi. 1. Fis. 2.
centri dei due lati più vicini in modo che una corrente proveniente dalla
parte superiore dell’asse attraversa le due lamine tra i centri dei loro
lati liberi, e torna alla parte inferiore dell'asse; il nastro si svolge in un
piano normale all'asse di rotazione del sistema. In virtù di quanto fu di-
mostrato nella precedente Nota tale sistema, che è rappresentato nella
figura 4, è soggetto, in un campo perpendicolare al suo asse di rotazione, ad
una coppia costante il cui senso è indipendente dalla direzione del campo.
K infatti l'esperienza prova che sì ottiene una rotazione continua e uniforme
che non muta di senso invertendo il campo.
Il movimento dell'apparecchio viene fortemente frenato dalle correnti
indotte che si sviluppano nei telai e che dànno luogo, come è facile rico-
RenDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 75
— 590 —
oa
noscere, a una coppia resistente, il cui valore aumenta con la velocità di
rotazione.
Infatti, supposto che il sistema dei telai ruoti con velocità angolare @,
ognuno di essi sarà sede di una corrente indotta proporzionale alla derivata
del flusso N che lo attraversa. La f. e. m. che genera questa corrente sarà:
dN
ATTI
mentre si ha d'altra parte, indicando con 4 l'angolo formato (fig. 5) dalla
normale al telaio col campo, e con S la superficie del telaio
N= SH cosd9= SH cos wi.
Fia. 5.
Se chiamiamo 7 la resistenza della lastrina e si trascura la resistenza
della parte in rame di ciascun telaio di fronte a quella della lastrina di
bismuto, avremo che l’intensità 7 della corrente indotta dal movimento
sarà: |
1
i= È SH sen ml = n. SHo send.
Il lavoro d4W necessario per una rotazione dd sarà perciò
aw=i Tag = _ l SH sen 9, SH:sen 9.48
Di
= 2 S*H? wsen? 9 db .
La coppia resistente sarà dunque, in valore assoluto,
dW
ila
JI
| va S°H° sen? 4% .
=b0r
Una coppia Cs sarà richiesta dall'altro telaio, e il suo valore sarà
evidentemente
| 1
So =-=-S?H?m cost 9.
s.
La coppia resistente totale sarà adunque
1
C—=SHHio
r
e, come si vede, anche questa coppia è indipendente dalla posizione dei due
telai rispetto al campo. ‘
Nelle condizioni da noi realizzate era molto intensa la coppia motrice,
e altrettanto elevata quella resistente, in modo da poter ritenere trascura-
bile l'ostacolo al moto derivante dagli attriti.
La velocità raggiunta si può calcolare eguagliando perciò la coppia
motrice da noi calcolata nella precedente Nota, e la resistente, non tenendo
conto, in prima approssimazione, dell'ostacolo prodotto dalle correnti di
Foucault nella massa del rame costituente i telai. Si ha così:
KSH?I =! S°2H°@,
e perciò
KIr
(Oldies
S
La costante K dipende, come si disse nel lavoro citato, dal momento
ionico differenziale E del metallo e dalle dimensioni della laminetta.
Si ha all'incirca:
K— E
dove a è la larghezza, ed / la lunghezza della laminetta. Si può così pre-
vedere che con una lamina di un metallo avente una resistenza specifica
più elevata del bismuto, e una costante E non troppo minore, la velocità
raggiunta possa essere maggiore. La coppia è però massima col bismuto: nel
nostro caso colla corrente di una unità elettromagnetica, e un campo di
6000 Gauss, la coppia aveva il valore rilevante di 20000 dine-centimetro,
o di circa 20 grammi-centimetro. Nell’apparecchio poteva mandarsi senza
inconvenienti una corrente di 3 unità e. m.; ne risultava una coppia di circa
59 grammi-centimetro.
xx
Come prevede la teoria, se con un motore si mette in rotazione l’in-
dotto (che a tale scopo porta sull'asse una puleggia) in un campo magne-
tico sia continuo, che alternativo, si ottiene una forza e. m., costante nel
primo caso, pulsante nel secondo, il cui senso dipende unicamente dal senso
di rotazione.
Il valore della f. e. m. fu misurato in corrispondenza della velocità di
tre giri al secondo impressa all'apparecchino e in un campo costante di
6000 Gauss; e fu trovata pari a millivolt 4,3. La velocità potè essere ac-
cresciuta fino a raggiungere una forza e. m. di 18 millivolt ; chiudendo al-
lora l'apparecchio in corto circuito su un amperometro si ottenne una cor-
rente continua superiore a un decimo di ampere.
*
* x
Per verificare la terza proprietà dell’indotto, ci siamo serviti di un
campo Ferraris, ottenuto con un avvolgimento a stella, alimentato da cor-
Fic. 6.
renti trifasi, ed eseguito, come di solito, intorno ad un anello di lamina di
ferro. Nelle cavità di detto anello poteva introdursi un indotto simile a
quello descritto, ma costituito da tre anzichè da due telai, disposti a 60°
l’uno dall'altro, e riempiti nella parte corrispondente al bismuto di lamine
di ferro, allo scopo di intensificare il campo là dove ciò era utile (fig. 6).
I telai erano isolati con mica tra loro e dalla carcassa di ferro. Un
cordone di rame saldato agli estremi del nastro che riunisre i centri dei lati
liberi delle lamine di bismuto, si poneva in comunicazione con un volto-
metro Weston, dove si leggeva direttamente la f. e. m. costante sviluppata.
La velocità di rotazione del campo era nota, essendo nota la frequenza
della corrente che lo alimentava.
Con una velocità del campo pari a circa 54 giri per secondo, la f. e. m.
continua e costante ottenuta era di circa 5 millivolt. Questa esperienza
— 594 —
può rendersi molto suggestiva tenendo l’indotto a notevole distanza dall’a-
nello che produce il campo rotante, e constatando la f. e. m. continua pro-
dotta con un galvanometro sensibile, di bassa resistenza. Riesce così molto
facile il verificare che tutto intorno all'anello, e a notevole distanza, è pos-
sibile ricavare una corrente continua per induzione, e che la sua direzione
si inverte quando si inverte la rotazione del campo o rovesciando la corrente
in una delle fasi, ovvero avvicinandosi all’anello dall'esterno anzichè dal-
l'interno di esso.
Par
Abbiamo già enunciato nel lavoro precedente che fenomeni analoghi,
per quanto in scala più ridotta, debbono potersi ottenere ricorrendo a telai
omogeni di qualunque metallo per il quale la costante E non sia troppo
bassa.
Effettivamente noi abbiamo potuto riprodurre la terza esperienza (per
cui la costruzione dell’indotto è più agevole), ricorrendo a un sistema di
telai costruiti interamente in rame. Mentre questo metallo presenta una co-
1 3
stante Hall che è appena 10000 di quella del bismuto, la costante per gli
effetti elettromagnetici è solo chi della corrispondente nel bismuto. Ed in-
fatti l'apparecchino ha dato i risultati che si potevano prevedere riducendo
7 1 7 ; 1
circa a 150 ciò che si era ottenuto col bismuto.
Fisica. — Motore termico fondato sulla rotazione che su
bisce un disco di bismuto riscaldato al centro o alla periferia,
nel campo magnetico. Nota di L. Treri, presentata dal Socio
V. VOLTERRA.
Nel 1911, in una riunione della Società italiana di fisica (sezione. di
Roma), il prof. Corbino espose e illustrò con l’esperienza la proprietà di un
disco di bismuto di orientarsi nel campo magnetico quando è riscaldato al
centro o alla periferia ('). Il prof. Volterra faceva notare, come disponendo
opportunamente delle sorgenti calde e fredde intorno a un sistema di dischi,
si dovesse realizzare un movimento continuo di rotazione in modo da co-
stituire una vera e propria macchina termica avente una sorgente calda
e un refrigerante. L'esperienza fu fatta dal prof. Corbino con due dischi
di bismuto aventi lo stesso centro e disposti a 90° fra loro; ma il risultato
fu negativo, sia perchè nei dischi si formavano delle intense correnti di
(1) Rend. Acc. Lincei, 52 serie, XX, 1° sem. 1911, pag. 569.
— 595 —
Foucault che si opponevano al moto, dato il grande spessore dei dischi stessi,
sia perchè si incontrarono delle difficoltà pel riscaldamento e raffreddamento
dei dischi, sia perchè ad ogni rotazione di 90 gradi si passava per un punto
morto, che il sistema rotante non riusciva a superare con l’acquistata
velocità.
Sono riuscito a costruire un motorino termico fondato sul precedente
concetto, nel seguente modo :
Un cilindro cavo di bismuto, del diametro di cm. 4,8, alto cm. 3,1 e
dello spessore di cm. 0,05, è sorretto da un leggero sostegno di lamina di
alluminio a forma di © che porta in C un cappelletto di agata che poggia
su una punta. Il cilindro cavo di bismuto vien posto fra le espansioni po-
lari piatte E E, di una grande elettrocalamita Weiss, in modo che, eccitando
l'elettrocalamita, il cilindro di bismuto viene a trovarsi in un campo pres-
sochè uniforme di circa 5000 unità. Se in queste condizioni si concentra nel-
l'area A del cilindro un fascio di raggi provenienti da una lampada ad arco,
il cilindro di bismuto si pone in rotazione nel senso degli indici di un oro-
logio se si guarda dall'alto. La velocità di rotazione del cilindro aumenta
sensibilmente se l’area illuminata si estende fino alla punteggiata A'. Inver-
tendo il campo, non si inverte il senso di rotazione. Se invece si riscalda
la zona punteggiata A' con un fascio anulare, intercettando con opportuno
schermo la luce nella parte centrale di tale zona, si riesce talvolta ad otte-
nere la rotazione del cilindro in senso contrario agli indici di nn orologio
se si guarda dall'alto. Moti rispettivamente contrarî ai precedenti si hanno
se del cilindro di bismuto si illumina l’area A, o la zona punteggiata A’.
Perchè il riscaldamento nella regione illuminata avvenga più rapida-
mente, e perchè sia più rapido il raffreddamento delle altre parti del ci-
lindro, questo è ricoperto, internamente ed esternamente, di uno strato di
nerofumo.
— 596 —
Se si tien presente l’esperienza del Corbino col disco di bismuto, è
facile rendersi conto del funzionamento dell'apparecchio. Nell'esperienza del
Corbino un disco di bismuto è sospeso fra le espansioni polari di una elet-
trocalamita a 45° dalle linee di forza del campo, per mezzo di un filo me-
tallico, che compensa con la sua torsione la coppia orientatrice dovuta al
diamagnetismo, la quale tenderebbe a portare il disco in direzione normale
alle linee di forza del campo. Inviando nel centro del disco un fascio di
luce, il disco ruota disponendosi nella direzione delle linee di forza del
campo: la rotazione si inverte, se del disco si scalda la periferia. La coppia
è massima a 45° dalle linee di forza. Ebbene, se nel cilindro di bismuto
si scalda l’area A a 45° rispetto alle linee di forza del campo, quest'area
viene sollecitata a disporsi nella direzione delle linee di forza del campo, e
perciò il cilindro incomincerà a ruotare nel senso degli indici di un orologio
se guardato dall'alto. In A intanto si presenta una nuova zona del cilindro,
la quale, riscaldata dal fascio di luce che conserva sempre la stessa dire-
zione, sarà anch'essa sollecitata a muoversi nello stesso senso; e così via.
La velocità di rotazione del cilindro non potrà evidentemente essere
grande, a causa delle correnti di Foucault che si generano nella massa di
bismuto; però gli effetti di queste si riducono abbastanza piccoli se è pic-
colo lo spessore del bismuto. La sottigliezza del bismuto influisce proba-
bilmente sulla velocità del cilindro, per un'altra ragione. Come ben si com-
prende, tale velocità dipenderà dalla differenza di temperatura fra A e A,;
e precisamente, se maggiore è questa differenza di temperatura, maggiore sarà
la velocità con cui si muove il cilindro. Se le temperature in A e A, fos-
sero uguali, il cilindro rimarrebbe fermo; e se la temperatura in A, fosse
maggiore che non in A, il disco ruoterebbe in senso contrario. Ora, siccome le
parti riscaldate si muovono da A verso A,, quanto più rapido sarà il ri-
scaldamento delle regioni del cilindro che arrivano in A, e quanto più ra-
pido sarà il raffreddamento di quelle che se ne allontanano, tanto più ra-
pida sarà la rotazione del cilindro. La velocità di rotazione aumenta ancora,
se in un modo qualunque si favorisce il raffreddamento del cilindro a par-
tire dalla generatrice LM (p. es., facendo sgocciolare dell'etere lungo tale
generatrice); e l’effetto sarà ancora maggiore se si riscaldano l'area A e la sua
opposta, e si raffreddano la zona LM e la sua opposta.
Fisica matematica. — Za verifica del principio di recipro-
cità di Volterra, nel caso generale. Nota di G. Tasca Borpo-
NARO, presentata dal Socio V. VOLTERRA.
Questa Nota «>ra pubblicata nel prossimo fascicolo.
— 597 —
Fisica terrestre. — Sul terremoto del 13 gennaio 1915.
Nota di GruLio GraBLOVvITZ, presentata dal socio P. BLASERNA.
Il disastroso terremoto della Conca del Fucino venne percepito general-
mente anche nell'isola d'Ischia col grado V della scala Mercalli e fu se-
guito sino alla fine di gennaio dalla registrazione di ben 73 repliche, tosto co-
municate telegraficamente al R. Ufficio centrale di meteorologia e Geodi-
namica e distinte nel quadro in fine alla presente Nota.
Ne ebbi argomento ad indagini che, se pure sono ben lungi dall'essere
condotte a termine, bastano a fornire già ora qualche particolare degno di
speciale menzione come guida agli obbiettivi da tenersi di mira nello studio
di tali fenomeni che con deplorevole frequenza funestano l’Italia.
Gli strumenti che permisero una sicura determinazione del primo im-
pulso nell'isola d'Ischia, come da relazione inviata al prefato Ufficio, furono
cinque, cioè i pendoli orizzontali con masse di 12 chilogrammi e la vasca
sîsmica,in entrambe le stazioni della Grande Sentinella e del Porto d'Ischia;
ed in quest'ultima il #romografo. Questo strumento, che, costruito nel 1906,
si dimostrò adatto alla registrazione dei terremoti vicini o locali, è di faci-
lissimo trasporto, e per la semplicità del suo maneggio potè essere rimesso
quasi immediatamente in funzione, mentre gli altri ebbero la sorte di quasi
tutti gli apparecchi non frenati della penisola.
Il primo impulso si potè fissare a 72539125 per un punto intermedio
fra le due stazioni avente per coordinate: g = 40° 44” 36” N. e 7= 18° 55’ 24”
est Greenwich; nè v'è da temere errore apprezzabile nel tempo campione,
basandosi questo su una linea meridiana, in cui è apprezzabile anche la fra-
zione di secondo. Inoltre è già nota la pur minima correzione lungo tutta
la sua escursione; ed i controlli, fatti mediante teodolite presso al solstizio in-
vernale con altezze di Vega e Capra in primo verticale, diedero correzioni
di frazione di secondo una volta in più ed un'altra in meno, con vicendevole
quasi completa eliminazione. Pur volendo supporre che l’edificio avesse subìto
un cedimento per effetto del recente terremoto, esso viene escluso dalle me-
ridiane dei giorni precedenti e seguenti, perchè esse si raccordano soddisfa-
centemente.
Dall'ampiezza delle prime oscillazioni la provenienza media degli urti
risultò da N 18° W a conferma della diretta osservazione eseguita alle /ivelle
geodinamiche; quella orientata da NNE a SSW presentava oscillazioni mas-
sime di 90mm= 45”, mentre l’altra, facente con essa angolo retto, aveva
un'ampiezza di poco inferiore, e le oscillazioni verso NNE dell'una concomi-
RenpIconNTI. 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. 76
— 598 —
tavano con quelle verso WNW dell'altra in guisa da dare la suddetta ri-
sultante.
La determinazione della distanza, se non fu ricavabile dalla prima grande.
perturbazione negli apparecchi ch’erano usciti di funzione, si potè fare sulle
repliche immediatamente successive e risultò, in prima approssimazione.
= 160 chilometri, che con la detta direzione corrispondono ad un punto vicino
a Scurcola Marsicana, cioè nella zona disastrosa. Senza volermi pronunciare
definitivamente sulla posizione dell'epicentro, nè voler qui discutere la que-
stione d'un secondo possibile epicentro simultaneo, mi limito a considerare
nel suo complesso la zona del massimo disastro, donde irradiò la propaga-
zione sismica. In tale giudizio credo che la cifra delle vittime, se anche in-
sufficiente a dare un criterio esatto, ha tuttavia un significato maggiore delle
stesse rovine edilizie, le quali nella loro estensione sono certamente più gravi
nei luoghi in cui la popolazione non trovò nè tempo nè luogo da porsi in
salvo. Forse il criterio delle vittime non calza fra un terremoto avvenuto di
giorno ed un altro che avvenga di notte quando tutta la popolazione è nel
sonno; ma per uno stesso terremoto in paesi aventi analoghe consuetudini, le
enormi differenze accertate fra le percentuali delle vittime umane non si
spiegano, nella loro generalità, se non con la diversità di violenza del fenomeno.
Così osservo che di fronte ad Avezzano, al NW del Fucino, col 90°/, di vit-
time si trovano all'est i comuni di Pescina con S. Benedetto, Gioja dei Marsi,
Collarmele ed Ortucchio, con percentuali fra 50 e 75 °/,, mentre Celano, Ajello
e Cerchia, interposti al nord dànno da 10 a 15 °/,, e molto di meno Trasacco,
Luco ed altri situati al SW. Perciò, per le ulteriori deduzioni assumo un
punto centrale del Fucino, cioè: g = 42° N; 4= 18° 35' E.
Ad analoga conclusione pervenne il prof. Martinelli, capo della sezione
geodinamica del predetto R. Ufficio centrale, in un suo pregevolissimo lavoro
intitolato « Prime osservazioni sul terremoto italiano del 13 gennaio 1915 »,
ove, basandosi sulle numerose informazioni pervenute da ogni parte della pe-
nisola fino al 27 gennaio, costruì un grafico dell'intensità graduale del feno-
meno secondo la scala Mercalli. Tali informazioni si addensano naturalmente
di più nella zona maggiormente danneggiata; e se si considera l’eterogeneità
degli apprezzamenti a seconda delle varie fonti da cui emanano, riesce vieppiù
spiccato l'accordo in cui l’elisse allungata, rappresentante il X grado, si trova
rispetto alle località sopra enumerate.
L'autore presenta il suo lavoro in forma preliminare, il che non lo di-
spensa dall’illustrarlo, come fa egregiamente, con confronti sulla anteriore
sismicità della regione e con opinioni di varii studiosi.
Il prof. Agamennone a sua volta s'è già occupato della velocità di pro-
pagazione della prima scossa, utilizzando a tale scopo i dati giunti a sua
cognizione fino alla presentazione, alla Reale Accademia dei Lincei, della
sua Nota intitolata « Il recente terremoto della Marsica e gli strumenti
— 599 —
sismici». Su 20 stazioni ne pone in disparte sette, per le quali, per una
ragione o per l'altra, si nutre qualche sospetto, e dalle altre 13, ponendo
a base le tre più vicine, trae come risultato M 7690 quale media velocità
uniforme del primo impulso, e 7°" 53" 445 quale istante all'epicentro. Non
discuto i criterii coi quali fece lo scarto di 7 stazioni, mentre forse, procu-
randosi i rispettivi sismogrammi, sarebbe venuto a capo delle correzioni da
applicarsi; mai criteri coi quali esclude Ischia e Valle di Pompei, non hanno,
a mio parere, certo fondamento: egli dice che, considerata la distanza re-
lativamente piccola dall’epicentro, può essere che la stessa incerta posi-
zione di quest'ultimo basti a spiegare l'anomalia, tanto più che queste due
‘località si trovano dalla stessa parte. Anzitutto, un miriametro, quant'è la
distanza fra Avezzano e l'epicentro da me considerato, non modificherebbe a
sufficenza le velocità ricavate di 4210 e 5290; inoltre, anche Monte Cassino
trovasi dalla stessa parte, cioè a SSE dell'epicentro, per cui, se la velocità
fosse realmente uniforme, lo spostamento non potrebbe influire sensibilmente ;
invece, basando il calcolo, pei detti due punti, sulla sola stazione di Monte
Cassino, si ottiene rispettivamente M 3909 e M 4800, cioè valori ancor più
bassi. L'incoerenza sta invece nell'elemento di confronto: ed è sempre questa
la sorte delle stazioni più vicine a quelle che si scelgono a fungere da epi-
centro, perchè il piccolo intervallo decorso, posto come divisore, per minime
alterazioni crea enormi differenze nel quoziente. A questo modo le stesse tre
località assunte per base (cioè: Montecassino, Rocca di Papa e Roma, si tro-
vano in non lieve disaccordo, perchè le loro distanze di 64, 68 e 78, divise
pei rispettivi intervalli di 6,10 e 11 secondi sull’ora assegnata all'epicentro,
dànno velocità di ch. 10-7, 6-8 e 7-1; anzi, Montecassino con Rocca di
Papa darebbe, con ch. 4in 488, la troppo esigua velocità di un solo chilo-
metro al secondo.
In cambio, se con gli stessi valori calcolati dall’A., si ricalcolano gl'istanti
per le rispettive località, compresevi le rigettate Ischia e Valle di Pompei,
si ottiene:
h m s S h ms S h ms S
Montecassino . 7 52 52 — 2 Pola .... 758 26 +1 Moncalieri. 7 58 57 +9
Rocca di Papa 52 583 +4 Padova .. 53 35 +4 Graz .... 53 59 +0
Roma ..... 52 54 +1 Trieste .. 53 96 +3 Vienna... 54 18 —2
Ischia... 53 4 +8 Treviso .. 53 37 —6 Amburgo. . 55 880
Valle di Pompei 53 5 +5 Mileto ... 58 37 +3 Granata. . . 56 4 — 20
ove le dette due stazioni non farebbero cattiva figura, nemmeno se l'anomalia
sì volesse intieramente ascrivere ad errori strumentali, perchè le minori di-
vergenze tra quelle escluse si aggirano intorno al mezzo minuto. Ma anche per
queste non sarebbe difficile il chiarire qualche possibile equivoco ; p. es.. per Siena
(Osservanza), il dato direttamente comunicatomi è 7° 53% 525, anzichè 7° 53" 05;
per Catania basta la differenza di parallelo con Avezzano a dare
— 600 —
42°2" — 37° 30' = 4° 32" = km. 503 eccedenti di 3 km. i500 che l’A. prende
per base, mentre la distanza vera, tenuto conto della differenza di longitudine,
è di km. 523.
Inoltre, il porre per base fondamentale di tutto il conteggio la media
di tre dati con le incertezze ammesse dall'A., equivale a scaricare sulle sta-
zioni contigue gli errori delle prime, per cui più corretto mi sembra assu-
mere come incognite l’ora epicentrale (a) e la velocità (y) e, pur ammettendo
la velocità uniforme, dare ugual peso a tutti i dati attendibili, trattandoli
col metodo dei minimi quadrati. Posta l'equazione di condizione «x + dy = £,
e riservandomi di assumere ulteriori informazioni sui dati contestati dall’A.,
ho utilizzato intanto pel calcolo quelli da lui riconosciuti attendibili, aggiun-*
gendone altri avuti dalla cortesia dei dirigenti delle singole stazioni, ai quali
porgo i miei ringraziamenti.
Così procedendo, ho ricavato:
A) x = 7520495822; y=0.1193351;
e su questa base ho ricostruito i valori che si trovano nella colonna A del-
l'annesso quadro, coi rispettivi residui. Escludendo la stazione più lontana,
Granata, per le ragioni che dirò più oltre, si ottiene:
B) x = 7520475284; y= 0,1269923;
ed i valori che se ne ricavano sono nella colonna B.
Dai valori di y si ricavano le velocità di km. 8:379 per A_e 7.875
per B; tuttavia gl'istanti ricalcolati non differiscono di più d’un secondo fra
la distanza di 139 km. (Napoli) e quella di 534 (Mineo); se per le più
prossime la differenza è nulla o lieve, per le più lontane va rapidamente
crescendo ed accenna all'incremento della velocità. Questa, per comodità di
conteggio si potrà considerare uniforme per brevi distanze, ed io tale l'ho
ritenuta in tutte le considerazioni che precedono; ma tale concetto va usato
con parsimonia e sotto determinati punti di vista, non mai come legge pre-
cisa, che valga ad escludere dalla discussione dati che, appunto per le loro
anomalie (quando non siano eccessive), possono guidare alla risoluzione di
qualche problema.
In oggi è bene accertato che il primo impulso, dopo 13 minuti incirca,
varca il cerchio massimo terrestre avente per polo l'epicentro, e, dopo altri
9 minuti, emerge agli antipodi; ciò dà rispettivamente velocità medie super-
ficiali di 14 km., e 18 km. mentre la velocità iniziale non è che di 8 km. nei
primi mille. La detta velocità è danque rappresentabile con una curva che
sul principio può identificarsi con la retta, analogamente al rapporto dell'arco
con la corda, ma, a stretto rigore matematico, non è tale; e nel caso attuale
ne troviamo già nel dato di Granata un chiaro indizio, che stazioni più lon-
tane accentueranno viemmaggiormente.
— 601 —
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— 602 —
Ma se l'accrescimento della velocità è già tanto palese per grandi di-
stanze, su cui i piccoli errori hanno un'influenza trascurabile, il problema
pare più complesso nella zona epicentrale ove, sfuggendo il vero istante per
mancanza di strumenti o per distruzione dei medesimi, bastano incertezze
di qualche secondo a fornirci velocità eccessivamente alte od estremamente
ridotte, mentre e queste e quelle possono avere la loro ragione naturale, in
guisa che l'istante calcolato con l'ipotesi della velocità uniforme ha un si-
gnificato più rappresentativo che reale.
Infine, fatta astrazione dall'accrescimento in questione, è tuttavia di-
seutibile se la velocità sia la medesima in ogni direzione, non dovendosi
dimenticare che la propagazione *del moto sismico avviene attraverso solidi
di varia natura, compattezza, elasticità ecc.
L'urto che giunge per primo in una determinata località ha certamente
seguito la via di più rapida propagazione, che può essere anche molto tor-
tuosa; e da ciò può venir non poco deformata la figura di quel cerchio di
geometrica precisione che viene presupposto da una velocità che sia la stessa
in ogni direzione.
Man mano che la propagazione guadagna distanza, gli urti che giungono
per primi hanno trovato la somma delle vie più sollecite, e tale somma su
grandi distanze potrà anche pareggiarsi, o quasi, in qualunque direzione; ma
su piccole distanze conviene tenere il debito conto della varia costituzione
geologica, non già per discutere a prior: il problema della velocità in base
alle condizioni note della superficie, ma semplicemente per assumere un prin-
cipio più consono allo scopo, quello del tracciamento grafico, quale è in uso
per tutti i fenomeni meteorologici e magnetici e nella stessa geodinamica
per le zone isosismiche. A titolo di semplice saggio, annetto un grafico in
cui, oltre alle linee che chiamerò zsocronosiste, ho indicato in cifre i secondi
d'anticipazione (—) o di ritardo (+) rispetto agl’istanti calcolati sulla base
della propagazione a velocità uniforme; tali residui, necessariamente, armo-
nizzano, in generale, con la forma grossolanamente elittica delle isocronosiste.
Ciò che ho detto per la velocità può valere per la direzione apparente
della provenienza degli impulsi. La direzione ricavata di N 18° W è un pò più
occidendale di Fucino: ed anzi, volendo sottilizzare, presenta fra le due sta-
zioni di quest'isola un divario di 5° che va a convergere verso un punto
situato nel mare presso alle foci del Volturno. Talchè credo che anche col
continuo perfezionarsi dei mezzi di registrazione non sì perverrà ad ottenere
direttamente da questi la precisione che si presuppone ma, per avvicinarvisi,
converrà studiare a fondo le anomalie.
Il grafico da me abbozzato rivela estese lacune, mentre, per raggiungere
meglio gl'intenti prefissi, occorrerebbe anzitutto rendere confrontabili i dati
delle varie stazioni, coi seguenti provvedimenti:
1) con una maggiore uniformità o paragonabilità dei mezzi e metodi
d'osservazione;
— 603 —
2) con la sicurezza del funzionamento degli apparecchi ;
3) con unità di criterio nell'analisi dei sismogrammi;
4) con la perfetta cognizione del tempo-campione.
Quest'ultimo punto, ch'è di capitale importanza, sarebbe completamente
risoluto mediante la telegrafia afila, come già si praticava a Taranto, Monte-
cassino e Firenze; tale mezzo, che non richiede le cognizioni astronomiche ne-
cessarie per trattare uno strumento dei passaggi 0, quanto meno, per tracciare:
un’economica meridiana, sarebbe accessibile a tutti ed avrebbe il grandissimo,
infallibile vantaggio della perfetta simultaneità in tutte le stazioni, mentre con-
fronti meno diretti di quelli ora accennati traggono seco non poche incertezze.
Rispetto agli apparecchi è deplorevole che al vantaggio di registrare
ogni minimo tremito del suolo vada inesorabilmente congiunto l'inconveniente
del loro guastarsi o dello svisamento delle registrazioni per opera dei freni.
Per tale ragione il prof. Agamennone ritiene che non sia prudente, ai fini
degli studii sismici, di fondare osservatorii di prim'ordine, e destinati anche
ai terremoti mondiali, in regioni di alta sismicità; ma in tal caso, con la
frequenza che purtroppo i terremoti hanno dovunque in Italia, si dovrebbe
rinunziare al possesso d'osservatorii di prim'ordine, mentre questi sono tanto
utili sotto molteplici aspetti ed alla stessa sismometria, e tali rimarrebbero
anche se si disinteressassero dei terremoti lontani. Nulla impedisce invece
che, accanto al sismografo per terremoti lontani, vene siano altri adatti alla
registrazione di forti terremoti vicini o locali senza il pericolo che falliscano,
almeno fino a tanto che le diligenti ricerche ed i tentativi di chi studia esclu-
sivamente il problema sismometrico non l'abbiano risolto con un apparecchio
atto a registrare fedelmente ed indistintamente qualsiasi forma ed ampiezza
di moto sismico.
ELENCO
delle registrazioni avute nell'isola d'Ischia dopo la grande perturbazione
delle 7"53"135 del 13 gennaio 1915, a tutto il mese stesso, in corri-
spandenza coi terremoti della Marsica.
Di ISTANTE ii ISTANTE Di ISTANTE Dìî ISTANTE Dì ISTANTE
bh ms h ms h, mis h ms h ms
IE: 20) 13 17 19.7 (1)| 14 12 54.2 ii CERzoo) 20 8 29.0
8 28.4 17 44.6 14 16.7 bi60208 20 3.0
8 34.2 21 20.2 (1) 14 26.5 69.4 QUEI,
8 59.9 QQ 15 35.9 8 56.0 13 29.8 (4)
9 87 23 4.9 17 34.0 13 39 14 30.3
9 23.7 DIRI 17 55.8 (5) 14 19 22002100115:9:(2)
9 30.6 23 25.2 19 40.6 21 42.1 Si e 2a
935.2 .|14 2109 DITRMNOEO DOMEZAI | 9300
9 40.5 2 1120) 21217 I ei | AD
10 91 2805012 21 24.5 533 AUTO) 17 498
1093512 251.3 (2)| 15 0 94 N ZO AC6 24 447.0
10 56.0 Deo TReLo2 SOA O 25. 7 460
11 20.1 (1) 5 30.5 2 15.8 14 58.5 28 18 18.4 (2)
16 635 8 17.7 (6) OEA450] 10 Dblzai |
17 5.0(1) 9 16.0 4 58.0 21 17.6
Le cifre tra parentesi indicano l’ampiezza massima in centimetri di registrazione al
centuplo; la mancanza d’indicazione esprime ampiezze inferiori ad un centimetro.
— 604
STAZIONE | Istante dato uso A | B
heemes LV |hm s
Montecassino |7 52 50 Ch. 57 752 57— 775254— 4
Rocca di Papa. . 52.54 + 8% (n 77] 5259— dl 5257— 3
Roma 52 54-42) » 89| 53 0 5| 58 0— 5
Napoli, Vomero . 53 7 » 139 | 58:64 0153066 2
Ischia . IUERRE 53 12 » 148) 58 7+ 5) 58 646
Valle di Pompei . . 53 10 w. :159.| (58.194 53682582
Siena, Osservanza *. . . | 5340 » 238. 53 17+ 28 58174 28
Siena, Università * . . 58 52 » 234 53 18+ 34) 53 17+ 35
Bolt 58 27 321 | 5828— ll 5329— 2
Bologna enna 58 35 » 328 53 20+ 6) 53 29+ 6
do { Sismogr. Wiechert* | 53 11 rear sgonao 20 5g gl7t 20
è » Vicentini. | 53 32 | ] + 1
Ferrara... 53 30+155| » 349 53 32— 2 5332— 2
Venezia *. . 55 37 » 390 53 36+121| 53 87-+120
Padova . . 53 39 n 896| 59874 2) 58.88-P.1
Trieste . . 53 39 » 407| 5839 0) 5839 0
Treviso . . 3851 » 416 53 40— 9) 59 40— 9
Chiavari . 53 47 | 427 | 53414 6 58 42+ 5
Mileto . 538 40 | 4990) 5841 — 1 5942290
Sald* . 53 20 » 466| 53 46— 26) 53 I7— 27
Catania * 54 18 » 518| 53 51+ 27) 52 52-+ 26
Mineo * 53 30 » 584| 53 54— 24 53 55— 25
Carloforte * 54 37 540 | 53 54-+ 43) 53 56+ 41
Moncalieri. . . 54 7 » 578| 538 59+ 8 54 14 6
Graz. . | 58 59 » 587 BA 0 52M:
Domodossola * | 54 30 | » 618 54 44 26) 54 64 24
Vienna . . | 54 16 n 720) 54 17— 1| 5420— 4
Potsdam . 55 15 » 1155) 55 8+ 7] 55 44.1
Amburgo . . 55 33 | cn 181 55027-- 6551842286
Granata 55 44 » 1576 55 59. 15) 56087323
* Stazioni ommesse nel calcolo delle formole.
— 605 —
Chimica. — L’acido cromisalicilico e î suoi derivati ammo-
niacali (*). Nota di G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. Cra-
MICIAN (°).
In una Nota (*) precedente ho cercato d'interpretare la costituzione di
alcuni salicilati complessi, avvicinandola a quella dei cromiossalati, cioè attri
buendo all’acido salicilico lo stesso valore di coordinazione dell'acido os-
salico.
n / 0.CH, M'=C7,P{, VO Vo, 0.C0
M.c ( Ra R= metallo alcalino Cr È | Rs
MOPRCOMI/E o radicale ammonico 0-C0/;
salicilati complessi cromiossalati
x
x
Ho trovato una conferma di tale interpretazione nello studio dei com-
posti descritti nella presente Nota.
Facendo reagire, in determinate condizioni, l'allume di cromo con un
salicilato alcalino, ho ottenuto una sostanza polverosa giallastra, insolubile
nell'acqua e nei comuni solventi organici, solubile nelle soluzioni degli idrati
e dei carbonati alcalini, nell'ammoniaca e nella piridina.
I risultati che diede all'analisi concordano con la formula
0G, H,
cr oc0
N 00, E, COOH . 3H, 0
Si tratterebbe dunque di un acido cromisalicilico corrispondente ai ferri-
06. H,
salicilati Fe — 0C0 descritti recentemente da R. F. Weinland
oc, H, COR
e A. Herz (‘).
Speciale interesse presentano i derivati ammoniacali dell'acido cromi-
salicilico.
Dalle soluzioni di questo acido nell'ammoniaca concentrata si separa
lentamente una sostanza roseo-violetta, cristallizzata in aghi finissimi micro-
(*) Lavoro eseguito nel laboratoriò di chimica generale dell’Università di Ferrara.
(*) Rend. Accad. Lincei, XXIV, 1° sem., 435.
(3) Rend. Accad. Lincei XXIII, (1914), 2° sem., 408.
(4) Liebigs Ann. 400, 219 (1913).
RenpICcONTI» 1915, Vol. XXIV, 1° Sem. Tiri
— 606 —
seopici, che all'analisi risulta come il prodotto della combinazione dell'acido
eromisalicilico con tre molecole di ammoniaca :
0C, H,
|
Cre=060
\oc, H, COOH . 3NH, .3H, 0
Questo composto deve contenere una sola molecola di ammoniaca allo
stato ammonico, perchè, trattata in soluzione con cloruro di potassio, clo-
vuro di sodio, nitrato di argento, dà i seguenti sali cristallizzati che diffe-
riscono dalla sostanza di partenza, oltre che per l’acqua di cristallizzazione,
anche per la sostituzione di un gruppo NH, con un atomo di potassio o di
sodio o di argento:
006 Hi
OCO
X\00;H,C00K .2NH;.5H,0
Cr
00, H,
Cr — 000
\ oc, H, COONa . 2NH, . 6H, 0
/ 006 BL,
Cr — OC0
Esiste dunque in tutti questi derivati ammoniacali un complesso for-
mato da un atomo di cromo, dus molecole di acido salicilico e due mole-
cole di ammoniaca, che rimane inalterato nelle reazioni di doppio scambio.
Ciò è spiegabile, colla teoria della coordinazione, ammettendo che due mo-
lecole di ammoniaca siano legate all'atomo di cromo mediante valenze se-
condarie, e attribuendo a detti composti la formula generale :
DOCH,
|
OC0
Zi i
Cr00 E C00.| RS
“NE;
/
Ma siccome il numero di coordinazione del cromo è sei, e il cromo dà
di regola composti coordinativamente saturi, e d'altra parte il sale di ar-
gento è anidro e quindi l’acqua contenuta negli altri sali non fa parte del-
— 607 —
l'anione complesso, è forza ammettere che una valenza secondaria leghi
l'atomo di cromo al carbossile impegnato col metallo alcalino, com'è espresso
dalla formula
206 Hi |
000
Cr-0C H, | R.
“x 000
I derivati ammoniacali dell'acido cromisalicilico appartengono quindi al tipo
dei tetracidodiamminosali, e, secondo la nomenclatura proposta da A. Werner,
sono da chiamarsi disalicilato-diammin-cromiati. Essi corrispondono perfet-
tamente ai diossalo-diammin-cromiati [ce pei ci R descritti da Clève (')
e da Pfeiffer e Basci (*), e ai diossalo-diammin-cobaltiati | 00 0N7: 204) ve | R
descritti da Sorensen (5)
Da tale analogia viene confermata l'equivalenza, dal punto di vista
della coordinazione, dell'acido salicilico con l'acido ossalico.
Trattando i disalicilato-diammin-cromiati con acidi diluiti, si mette in
CSR | (Or<0 ) . Di. ag
ibertà l’acido | Ci C00/. | H insolubile in acqua. Lo stesso acido
(NH3)a
può venir ottenuto anche scaldando a 100° il suo sale di ammonio. A questa
temperatura, viene eliminata non soltanto tutta l'acqua di cristallizzazione,
ma anche, per dissociazione termica, l’ammoniaca contenuta allo stato
ammonico.
Quanto alla costituzione della sostanza dalla quale, con ammoniaca, si
preparano ì disalicilato-diammin-cromiati e che in questa Nota chiamo acido
eromisalicilico per brevità e in considerazione della sua solubilità nei liquidi
alcalini, non mi è ancora possibile d’ indicarla con sicurezza. I risultati ana-
litici concordano tanto con la formula
0 C.H,
I
(ESCO ,
No c,H,C00H . 3H,0
(*) K. Vet. Akad. Handl. 6, n. +, pag. 24 (1865).
(*) Liebigs. Ann. 3464 (1906).
(3) Gmelin-Kraut Friedheim Handb., Amore. Ch. V 1509:
— 608 —
quanto con la formula
OH
(0:8.<600), de
a | È ca