MI ce € (T( (UG E _—_ «E x i «€ Cel €° Ca iI ea O È CL {Cl ;Ù M « ce c e € € (6 (dx (CE ud © CC € € 7 »” (CC [e N TC Gela o «ad € TOTGC TU ( Se CIE MAT TAC €(CMTA «È N y dl div T' = grade X 77 ) cioè, per le formule di Frenet, e per la (1), spa LEA (3) cen er ì rigo (4) divT=0. È anche utile calcolare grad» x, nel caso in cui la curva C sia piana; dalla (2), differenziando e applicando una delle formule di Frenet, si ha: dex =(dP — Td) XN—(P_M)X/T4de, la quale si riduce a de = 4P XN; perciò: (5) gradz=N. Se la curva C fosse sghemba, si troverebbe, analogamente, gradx = N— f.((P— M)XB.grad . 2. Consideriamo un’area piana S, che si muove (rigidamente) in guisa che il suo baricentro descriva la curva C, e che il suo piano sia costante- mente normale a C. Lo spazio, di forma tubolare, descritto dall'area S, si chiama anche flo, e l’area S è una sezione normale di tale filo; la curva C si dice asse del filo. Supponiamo che questo filo, supposto conduttore, sia sede di una pro- pagazione di onde elettromagnetiche; allora, in ogni punto P del filo, i ii) Cfr. Boggio, Sul gradiente di una omografia vettoriale [ Rendiconti di questa Accademia, serie 5, vol. XIX (2° sem. 1910), pag. 389]. Ovvero anche: Burali-Forti et Marcolongo, Analyse vectorielle générale; vol. I, Transformations linéaires, pag. 92 [Mattei, Pavia, an. 1912]. Eertgra. vettori E, H delle forze elettrica e magnetica sono legati dalle equazioni di Heaviside-Herz (cfr. É/6ments, pp. 163, 164): (6) 223 LEE IH, (7) — mE, ove €,8,0,4 sono costanti. A queste, occorre ancora aggiungere l'equazione : (8) divH=0, che esprime che il campo magnetico è solenoidale. La condizione d’ integrabilità div rot = 0, applicata alle (6), (7), porge: . ME, E c Uh (9) div È 3; t 3)" (9) iii: dl ove 0= To = tempo di rilassamento; è chiaro che la (9') è identicamente verificata, a causa della (8). Inoltre, eliminando H fra le (6), (7), risulta: (10) ue dI È E RO | g) = rotrot 8 Ciò premesso, se si vuole che, in qualunque sezione normale S del filo, la resistenza effettiva sia eguale alla resistenza ohmica, occorre e basta (S, $ 3) che, in tutti i punti della sezione S, la forza elettrica sia (in ogni istante) normale alla sezione stessa, e vi abbia la medesima intensità. Queste condizioni sì traducono nell'eguaglianza (11) ERGE ove w è una funzione, da determinarsi, degli argomenti «, Si ha: perciò, sostituendo nella (9), e ricordando la (4), risulta: grad (32 + 5)xT=0; RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 2 PAS e siccome, in generale, grad Ple) == grade, si trae, in virtù della (1), (12) (+7). Questa relazione è stata stabilita dal Signorini (S, $ 4) con esclusivo riguardo al problema da lui trattato: in particolare, tenendo conto, che, in conseguenza delle ipotesi, risulta / =0. Quanto precede mostra invece che essa deriva unicamente dalla condizione d'integrabilità della (6); si ha così anche il significato analitico di tale equazione. 3. Per trovare un'altra condizione, a cui deve soddisfare la v, basta sostituire il valore (11) nella (10); per ciò calcoliamo intanto rot E. Dalla (11) risulta: ° d rt E=uro T+< grade AT, cioè, per le (1), (3), (13) rtE— i B. Ne segue [efr. Zléments, pag. 68, (2)]: rot rt E = Di rot B + 1 i (2 4 gr SE) I; +e (ie B; ricordando la seconda delle (3), e sestituendo nella (10), risulta: be DI I E i Ae an ia) rd pi erde (AB. Moltiplicando scalarmente ambo i membri per B, si ha: opel quindi, lasciando da parte il caso banale di «= 0 (in cui sì ha senz'altro: E=0, H=grad w), dovrà essere: f=0, ovvero fi=0. Se /= 0, la curva C è una linea retta, perciò il filo è cilindrico; la (14) fornisce allora d / du u uo i dU ta: inoltre dalle (13), (7) risulta (16) rtE=0 , la seconda delle quali mostra di nuovo che la (9') è identicamente verificata. Se invece //=0, la curva C è piana, e la (14), moltiplicata scalar- mente per T, porge, ricordando le (1), (5), ue d pl) rid ci ul, 0} (1T fax) ma v ed / sono indipendenti da x; perciò questa relazione, dovendo essere verificata qualunque sia x, fornisce /= 0, e ricadiamo perciò nel caso del filo cilindrico; si conclude quindi che sussistono ancora le (15), (16). Dalle (12), (15) segue: dU u o niag ove » è una costante arbitraria; integrando ancora, risulta: u(s,t)=h-|-4, e, kz essendo una funzione arbitraria di 4. In tal modo abbiamo l'espressione della funzione %, e quindi del vettore E, che avrà direzione fissa. Dopo ciò, si ha dalla (6): rt H= 7°, da cui, T essendo costante, 270 H FIRM a hTA(P_M), ove w è una funzione numerica (indipendente da #), che deve soddisfare, per la (8), all'equazione div grad w= 0. In tal modo abbiamo l’espressione del vettore H. Se escludiamo l’esistenza, nel conduttore, di correnti di spostamento, 2 vuol dire che se deve ritenersi nulla, e la (15) si riduce a = = 0, perciò cl il campo risulta stazionario. OssERVAZIONE. — Limitandosi, fin da principio. alla considerazione di campi elettromagnetici stazionarî, sì può arrivare, in modo assai semplice, a determinare le condizioni sotto cui accade che la resistenza effettiva coin- cida colla resistenza ohmica. Infatti, se il campo è stazionario, detto @ il suo potenziale scalare, sarà E==gradpg. D'altra parte, E deve avere la forma (11) con « indipendente da /; perciò il potenziale g dovrà dipendere solo da 2, e allora avremo IL de 1lT—- fax da E? grad:=; ed è chiaro che il coefficiente di T riesce indipendente da x, solo se f= 0. Ciò porta immediatamente a conclusioni che coincidono con quelle de) pa- ragrafo precedente, riferite al caso limite 09 = 0. Fisica. — Sull’attrito interno del nickel in campo magnetico variabile (*). Nota preliminare del prof. ERNESTO DRAGO, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. 1. Lo studio dello smorzamento delle oscillazioni dei corpi elastici costituisce un mezzo di sensibilità sovente grandissima per rivelare le mo- dificazioni (?) fisico-chimiche interne che possono prodursi nella materia allo stato solido, ed è necessario di prendere in considerazione nella spiegazione dell'attrito interno non solo i fenomeni di agitazione molecolare, ma anche quelli d'orientazione molecolare che caratterizzano essenzialmente il ma- gnetismo. Brown (*) ha trovato che l'attrito interno di un filo di nickel ricotto aumenta in un campo magnetico costante crescente fino a 20 gauss, poi di- minuisce, fino a prendere lo stesso valore che ha in campo magnetico nullo, in un campo di 80 gauss; e diventa dopo sempre più piccolo in campi magnetici costanti crescenti fino a 200 gauss. Riguardo all'influenza del campo magnetico alternato lo stesso autore (4), ricordando le mie precedenti ricerche relative all'azione del campo magne- tico alternato sulla rapidità di smorzamento delle oscillazioni torsionali di fili di ferro (?), ha fatto recentemente esperienze, mostrando che un campo magnetico alternato di 13 gauss diminuisce anche l'attrito interno di un filo di nickel ricotto soltoposto ad una carica di 0,5 X 10° gr. per cm.?, e (®) Lavoro eseguito nell'Istituto fisico della R. Università di Catania diretto dal prof. G. P. Grimaldi, (2) M. Guye, Journal de physique 1912, pag. 260. (®) The scientific proceedings of the Royal Dublin Society, voli XIII, aprile 1911, pag. 55. (4) Idem. febbraio 1914, pag. 215. (") Nuovo Cimento, febbraio 1912, pag. 73. e ea la diminuzione aumenta con il crescere della frequenza da 20 fino a 100 per secondo, mentre il campo magnetico costante dello stesso valore aumenta l'attrito interno. Avendo accresciuto la carica nel filo a 10° gr. per cm.* ed il campo magnetico efficace a 17 gauss, Brown trovò una maggiore lentezza di smor- zamento. Esperienze analoghe, fatte invece con un filo di nickel crudo, mo- strarono nel campo magnetico alternato, e con frequenze comprese tra 20 e 140 per secondo, un aumento di attrito interno. 2. Con lo scopo di esaminare le variazioni di attrito interno dei fili di nickel in campi magnetici variabili ho eseguito molte ricerche adoperando la seguente disposizione sperimentale. Un filo di nickel (*) ricotto avente il modulo di rigidità 815 X 109 [C. G. S.], lungo 20 cm. e del diametro di 0,3 mm. era sospeso, nella maniera già descritta in ura mia precedente Memoria (?), in un solenoide costituito da un tubo di vetro del diametro esterno di mm. 14, su cui erano avvolte per la lunghezza di 34 cm., 234 spire di filo di rame isolato di 0,8 mm. di diametro. Il procotto 477» risultava così eguale ad £6,5; la carica a cui il filo) veniva sottoposto era gr. 218 6, ovvero poco più di 3,09 X 105 gr. per -cm.°, ed il campo magnetico che si poteva destare nel solenoide doveva considerarsi sensibilmente uniforme. 3. Si fecero quindi le prime esperienze creando nel solenoide predetto un campo magnetico costante di 178 gauss, soltanto al principio ed alla fine di ogni oscillazione semplice del filo di nickel, avendo cura di in- vertire la corrente magnetizzante in ciascuno di tali istanti. Il circuito della medesima veniva chiuso da un’asticella metallica recante ad uno degli estremi una grossa punta di platino, la quale sfiorava la superficie del mer- curio contenuto in un pozzetto ad intervalli di 7 secondi, e cioè al principio ed alla fine di ogni oscillazione semplice del filo. Un motorino elettrico ed un sistema di puleggie convenientemente scelte regolava il movimento di rotazione della suddetta asta, ed un commutatore comandato a mano serviva ad invertire la corrente. Le ampiezze d’oscillazione venivano lette con il solito metodo di scala e cannocchiale. I risultati delle esperienze eseguite in tali condizioni sono consegnati nella seguente tabella I e mostrano #/ grande smorsamento delle oscillazioni torstonali dei fili di nichel nel campo magnetico invertito ad intermittenza, fenomeno già trovato da Tomlinson per i fili di ferro. (1) Campioni di nichel e di ferro nichel mi furcno preparati dalla Società francese del « ferro-nichel ». (8) Nuovo Cimento, l. c. TABELLA I. Numero Ampiezza di oscillazioni in divisioni . della scala con il deile oscillazioni semplici campo magnetico campo magnetico terrestre invertito (173 gauss) 0 389 389 5) 879 251 10 370 155 15 361 4 20 352 45 Mentre, infatti. dopo 20 oscillazioni semplici l'ampiezza si riduceva da 389 a 352 divisioni contate sulla scala, quando il filo oscillava nel campo magnetico terrestre, si riduceva invece a 45 divisioni quando agiva il pre- detto campo invertito di 173 gauss. Avendo fatto analoghe esperienze con un filo di ferro dolce ricotto dello stesso diametro e della stessa lunghezza, avente lo stesso modulo di rigidità del predetto filo di nickel, e sottoposto con l’identica carica al medesimo campo magnetico, si ebbero i risultati consegnati nella seguente TABELLA II. Numero Ampiezza di oscillazione in divisioni della scala con il delle oscillazioni semplici campo magnetico campo magnetico terrestre invertito (173 gauss) 0 390 390 5) 382 344 10 374 300 15 366 264 20 358 230 Dal confronto fra le cifre delle due tabelle si vede che mentre dopo 20 oscillazioni semplici l'ampiezza si riduceva a circa 1/8 del valore iniziale nel filo di nickel, non si riduceva nemmeno a metà del valore iniziale con il filo di ferro. Se si rappresentano sull'asse delle ascisse i numeri delle oscillazioni semplici e sull'asse delle ordinate le ampiezze espresse in divisioni della e scala si ottengono con le cifre delle ultime colonne delle tabelle I* e II° i diagrammi della fig. 1. Si vede quindi chiaramente che per causa del campo magnetico varia- bile. destato soltanto quando il filo presenta la massima deformazione ela- stica, l'attrito interno del nickel nelle stesse condizioni diviene molto più grande di quello del ferro. 400 300 200 100 Fire. 1. Facendo variare fra larghi limiti la durata d'oscillazione del sistema senza mutare la carica non si notò variazione alcuna nell’entità del feno- meno descritto. — 4. Per esaminare le variazioni d'attrito interno del filo di nickel nel campo magnetico alternato, dappima si facevano le solite esperienze di prova per aspettare che il filo nuovo adoperato si accomodasse nello stato normale, e dopo si contava il numero di oscillazioni semplici comprese fra le divisioni 400 e 320 lette sulla scala e corrispondenti alle ampiezze angolari 13°40' ed 11° rispettivamente. La corrente alternata a 46 periodi era fornita da una commutatrice, e le intensità di corrente erano misurate con un centiampe- rometro e con un amperometro di precisione, facendo esperienze con campi magnetici di varia intensità, e tali da non influenzare sensibilmente i risul- tati di misura con il poco calore che sviluppavano. Si ebbero così i risultati consegnati nella seguente tabella TIT, ove nella 18 colonna è contenuto il fumero delle oscillazioni semplici eseguite dal sistema, nella 2 colonna le ampiezze corrispondenti osservate in divisioni della scala quando il filo oscillava nel campo magnetico terrestre, e nelle successive colonne le ampiezze analoghe osservate quando il filo oscillava nel campo magnetico alternato. PEAGI TABELLA III. —— Num.ro | Ampiezze in divisioni della scala corrispondenti ai campi magnetici Paso | semplici terrestre 4,3 gauss 8,6 gauss 13,0 gauss 17,3 gauss 26,0 gauss 43,2 gauss 0 400 400 400 400 400 400 400 10 380 377 380 383 387 389 390 20 361 356 360 365 374 377 380 30 343 335 341 349 361 366 370 40 326 316 324 332 348 355 360 45 318 = 316 = = _ — 50 -_ -_ —_ 318 336 344 351 60 — = = — 324 334 342 70 —_ — —_ — = 324 333 80 _ —_ — = = = 326 85 = = - SS = = 321 Se si rappresentano al solito sull'asse delle ascisse i numeri delle oscillazioni semplici e sull'asse delle ordinate le ampiezze espresse in di- visioni della scala si ottengono con le cifre della tabella III i diagrammi 3 YO SS DI Ds BE lee] % = 7) BE Mmmmmmati EREIERERENE NE: ni 5 della figura 2, ove la curva segnata a tratti mostra l'andamento dello smor- zamento delle oscillazioni torsionali del filo di nickel nel campo magnetico terrestre. Pi ye Essa risulterebbe molto vicina a quella che si potrebbe costruire con i valori che nella tabella predetta si riferiscono al campo efficace di 8,6 gauss. Si vede dalla figura che un campo alternato a 46 periodi e di circa 4 gauss rende massimo l’attrito interno di un filo di nickel ricotto, mentre un campo analogo e di circa 9 gauss ha soltanto lieve influenza sull’attrito interno e campi di valore superiore all’ultimo fanno invece diminuire l’at- trito interno del filo predetto. 5. Per studiare inoltre l’azione delle scariche oscillatorie sull'attrito interno del medesimo filo di nickel fu adoperato quasi identica disposizione sperimentale già descritta nella mia citata Memoria, e cioè si collegarono i poli del secondario di un rocchetto d'induzione con gli estremi dell'anzi- detto solenoide magnetizzante e con un micrometro a scintilla le cui sfere d’ottone avevano il diametro di 19 mm. In derivazione su tale circuito era disposto un condensatore costituito da bottiglie di Leyda e nel circuito della corrente alimentatrice del roc- chetto, fornita da 48 accumulatori, sì trovava un interruttore Webnelt ed un elettrodinamometro che segnava 8 ampère. Si ebbe cura di isolare nel miglior modo possibile il circuito di sca- rica mediante isolatori di paraffina, con la quale fu coperta la spirale ma- gnetizzante. La seguente tabella IV mostra i risultati che si ottenevano quando si faceva variare la capacità del circuito di scarica, mentre la distanza esplosiva fra le sfere del micrometro era mantenuta a mm. 0,40. TABELLA IV. Numero Ampiezze in divisioni della scala corrispondenti a delle ci ROL a illante con capacità in circui oscillazioni campo oscillante con capac circuito campo magnetico semplici terrestre dx 10-20 81 X 10-* u. F 162 X 1074 wu. F 0 400 400 400 400 10 381 868 387 389 20 362 336 375 379. 30 344 308 362 368 40 327 —_ 350 358 da ni = 388 348 60 = —_ 327 338 70 = = = 329 Con le cifre riportate in questa tabella IV si sono costruiti i diagrammi della figura 3 in maniera analoga come per i diagrammi della figura 2. RENDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 3 Bigi Si vede così che /acendo crescere la capacità del circuito delle sca- riche oscillatorie da 27 X 10-74 a 162 X 10-4u. F l'attrito interno del filo di nickel ricotto da un valore più grande di quello posseduto nel campo magnetico terrestre va gradatamente diminuendo fino a conseguire un valore più piccolo di quello posseduto nel campo magnetico terrestre. 6. Altre ricerche furono fatte mantenendo costante la capacità del circuito delle scariche oscillatorie a 27 X10-4u. F e facendo variare soltanto la distanza esplosiva tra le sfere del micrometro da mm. 0,20 a mm. 1,20, avendo cura di pulire accuratamente con carta a smeriglio le suddette sfere dopo ogni esperienza. I risultati ottenuti in tal modo sono consegnati nella seguente tabella. V e rappresentati mediante diagrammi forniscono un fascio di curve simili a quelle ottenute con i campi alternati e disegnati nella figura 1. Il campo magnetico così generato. dalle scariche oscillatorie si aggirava intorno a 2 gauss (*) in tutte le serie di ricerche. (*) Per la determinazione esatta di tale campo saranno fatte nuove misure quando avrò a mia disposizione gli apparecchi necessarii giù commissionati. TABELLA V. Numero Ampiezze in divisioni della scala corrispondenti a delle oscillazioni ? campo oscillante, distanza in mm. fra le sfere del micrometro campo magnetico PREIS: REDS 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00 1,20 (0) 400 400 400 400 400 400 400 10 380 370 374 881 387 888 390 20 360 343 348 363 873 90 879 30 342 820 325 943 360 365 369 40 326 _ —_ 326 5346 1019) 359 45 318 —_ — 316 — _ _ 50 = a == — 95 340 949 60 — _ = _ 319 328 341 65 _ = — _ — 322 — 70 — = = — —- — 981 80 _ _ = — —_ — 322 85 = = = = — — 319 Dalle cifre riportate in questa tabella V si vede che per azione delle scariche oscillatorie e per distanze esplosive fra le sfere del micrometro a scintilla inferiori a mm. 0,60, l'attrito interno del filo di nickel ricotto è maggiore che nel campo magnetico terrestre, mentre con distanze esplo- sive superiori a mm. 0,60 è minore. _ Il lieve aumento di temperatura determinato dalle scariche oscillatorie non influenzava sensibilmente l'andamento dei fenomeni descritti. 7. Le variazioni d’attrito interno da me trovate per il nickel in campi magnetici variabili prodotti da correnti invertite ad intermittenza, da cor- renti alternate e da scariche oscillatorie sono certamente da mettersi in re- lazione con quelle già da me osservate nei fili di ferro, e specialmente gli aumenti e le diminuzioni osservate con le scariche oscillatorie possono di- pendere dallo smorzamento di queste. È noto come sul decremento totale delle oscillazioni di un circuito di scarica abbiano influenza cause diverse, fra cui la resistenza di scintilla che per deboli distanze esplosive sembra crescere con il diminuire della sua lunghezza; mentre, d'altra parte, sembra diminuire quando la capacità del circuito di scarica aumenta (*). Ma per poter tirare conclusioni sicure confortate dai risultati sperimen- tali senza perdersi nel campo delle ipotesi, bisogna che io esaurisca altre (') Phys. Zeitschr. VIII, 1907, pag. 494; e Zenneck, Précis"de Téléeraphie sans fil, 1911, pag. 20 (Gauthier-Villars, Paris). ricerche in corso, le quali potranno forse decidere se esiste una relazione tra lo smorzamento delle scariche oscillatorie e quello delle oscillazioni do- vute all'elasticità, e potranno forse dare ragione delle opposte variazioni di attrito interno che si verificano nei campi magnetici alternati. Intanto io ho eseguito esperienze analoghe a tutte quelle descritte nel presente lavoro, adoperando un filo di nickel crudo avente il modulo di ri- gidità 825 X 10° (C. G. S.) e non ho trovato in alcun caso diminuzioni di attrito interno nel campo magnetico variabile, ma sempre aumenti. In questo genere di ricerche non deve sorprendere tale variazione nel- l'andamento dei fenomeni in esame per il lieve aumento di rigidità, ed in effetti anche Brown (!) ha trovato che facendo crescere la rigidità di un filo di nickel da 790 X 106 gr. per cm.? ad 800 X 106 gr. per cm.® non aveva più nel filo alcuna traccia di fatica. Chimica. — Sulla preparazione e sulla scomposizione del fenilidrazone dell’alde:ide fenilnitroformica (*). Nota di R. Ciusa e G. BENELLI, presentata dal Socio G. CrAMICIAN (*). In una Nota precedente (‘) fu accennato alla proprietà del fenilidrazone dell’aldeide fenilnitroformica I di eliminare ipoazotide per riscaldamento: NO, | CeHs C : N NH CeéHs == (CsHs (D; 5 N NH C6Hs)" + NO, . Tale contegno trova un riscontro immediato nella scomposizione che subi- scono i nitroso-derivati corrispondenti: per riscaldamento del nitroso-fenil- - idrazone dell’aldeide m-nitrobenzoica si ha eliminazione di ossido d'azoto (°) NO | 206H; C 3 NNH CeHy =[(CHy C È NNCsHz) H |» + 2N0 ° E. Bamberger anzi, si serve di questa reazione per spiegare il meccanismo dell'ossidazione degli idrazoni mediante l’acido nitroso. La scomposizione del nitro- e nitrosoidrazone ricorda assai da vicino (1) The scientific Proceedings of the royal Dublin Society, vol. XIV, n. 26, 1915, pag. 836. (2) Lavoro eseguito nell’ Istituto chimico della R. Università di Bologna. (*) Pervenuta all'Accademia il 3 luglio 1915. (4) R. Ciusa e B. Toschi, questi Rendiconti, XXII, 2°, pag. 489. (°) E. Bamberger e W. Pemsel, Berichte 36, 161; 347. eo la scomposizione analoga che subiscono il trifenilnitrometano, il trifenilni- trosometano e la nitrosodifenilamina : (CeHs)3 C.NO: Z2 (C6Hs)3 C+ NO: (CsHs)3 C.NO 2 (CeH;); C+ NO : (C:Hs): H.NO > (C:H)} N-+ NO, e i prodotti di ossidazione degli idrazoni mette in relazione coll’esafenil- etano, e colla tetrafenilidrazina. Ciò fu messo in evidenza assai bene da uno di noi in una Nota precedente ('). Lo studio della scomposizione del nitroidrazone è stato perciò ripreso, ed in questa Nota ne comunichiamo i risultati. Avendo avuto occasione di preparare grandi quantità del fenilidrazone dell’aldeide fenilnitroformica, abbiamo potuto studiare anche i prodotti se- condarî della reazione fra benzalfenilidrazone ed ipoazotide: lo studio di tali prodotti forma pure oggetto di questa Nota. Dopo varî tentativi, ci siamo convinti che il migliore modo per studiare la scomposizione del nitroidrazone consiste nello scaldare a ricadere una soluzione di nitroidrazone, perfettamente secco, in xilolo seccato sul sodio, facilitando l'eliminazione del biossido d'azoto mediante una corrente di azoto secco. Dopo alcuni minuti comincia lo svolgimento del biossido d'azoto. Per misurare la quantità di NO, svoltosi, si fa gorgogliare il gas attraverso due bottiglie di lavaggio contenenti la quantità di permanganato sufficiente per ossidare tutta l’ipoazotide teoricamente sviluppabile; e l'acido nitrico for- matosi si dosa gravimetricamente col metodo di M. Busch. La quantità di NO, che si svolge non è costante: assai facilmente dipende dalla rapidità del riscaldamento, del passaggio dell'azoto e dalla umidità presente: NO: trovato per 100 i) 45,3 2) 35,9. Dalla soluzione xilolica fatta raffreddare in corrente di azoto si separa una sostanza incolora, fondente a 170°, della formula C,, H190xN.: Usi His ON: Calcolato ‘C;73,09° = CHeS5.50 + N: 12,17 Trovato » 72,75 » 5,88 » 12,40. Sostanza bianca che cristallizza dallo xilolo sotto forma di aghetti assai solubili in alcool. (') R. Ciusa e B. Toschi (loc. cit.). TER o DAR La costituzione di tale composto si può intendere assai bene ricordando che per scomposizione dell'esafeniletano in xilolo bollente si ottiene xililtri- fenilmetano e trifenilmetano (CeHs)s C_ C(CeHs)z — CH, (CH3)» = = (CeHs)s C. CsH3(CH3): + (CeHs)s CHE Nel nostro caso avviene un processo analogo: il resto idrazonico I, che sì ha in un primo tempo, reagisce successivamente con lo xilolo, e con una parte dell’ NO, formatosi, così che alla sostanza C., Hi903 Ns potrebbe essere assegnata la costituzione data dalla formula IV: NO; | CH; C:N NH CH; = NO. + (CH; C:N NH CH) I CsHs C È N NH CoHs + CséH, (CH3)s = == (0350 C 3 N NH (OIEE | CéHy CH È NNH CeHy | II CsH3(CH3)» II CH; C:NNH CH; Da CéH; C: N NH CH; | a | CeH3(CH3)a CsH»(CH3)s NO, IV Per concentrazione delle acque madri, si può isolare una magnifica sostanza rossa, fondente a 195°; assai facilmente in questa sostanza, che non fu potuta analizzare per la piccola quantità avutane, bisognerà ricer- care il prodotto della reazione tra l’idrazone III, non isolato, e corrispon- dente al trifenilmetano nella reazione analoga del trifenilmetile, ed una parte dell’ NO, (). Per la sostanza C,, Hi902 N3 sì potrebbe anche prendere in considera- zione la formula CH; CH:NNC;H; CH: (08): NO; (*) Il p-nitrofenilidrazone del benzaldeide fonde a 194°, e dalla sostanza fondente a 195° differisce per la sua maggiore solubilità in alcool, e per il fatto che esiste in tre modificazioni cromoisomere. Degli altri nitroidrazoni — 7 isomeri, senza tener conto delle isomerie derivanti dal doppio legame azometinico — nessuno ha un punto di fusione che si avvicina a 195° (vedi più avanti). o A Dalla sostanza fondente a 170° si ha però, per idrolisi con acido solforico, fenilidrazina, e non aldeide benzoica: ciò sta in accordo colla formula IV. Nella preparazione del fenilidrazone dell’aldeide fenilnitroformica col metodo trovato da uno di noi (Ciusa) (') — azione dell’ipoazotide sulla solu- zione eterea del benzalidrazone — è stata già fatta notare la formazione del nitrato di diazobenzolo, e del dibenzaldifenilidrotetrazone. Queste due so- stanze sì separano assai bene dal miscuglio della reazione per filtrazione: l’idrotetrazone si libera dal nitrato di diazobenzolo per lavaggio con acqua, e si cristallizza poi da un miscuglio di benzolo ed alcool. L'aspetto, il punto di fusione ed i numeri avuti all'analisi corrispondono con quelli ri- chiesti dal dibenzoldifenilidrotetrazone Ca lily N, Calcolato © 80,00 H 5,64 N 14,4 Trovato » 79,35 » 6,07 » 14,75. Si scioglie in acido solforico concentrato, con colorazione azzurra. Per distil- lazione dell'etere, rimane una sostanza rossa che si stempera prima con alcool, e poi si fa cristallizzare da un miscuglio di benzolo e alcool. Si ottiene così una sostanza formata in massima parte dal prodotto principale della reazione — fenilidrazone dell'aldeide fenilnitroformica — fondente a 102-105°. Per separarlo dai prodotti secondarî, si fa digerire il tutto con potassa al 10°/. Rimane indisciolta una sostanza rossa, fondente a 183°; cristallizza dal benzolo ed alcool, sotto forma di aghetti rosso-scuri. Questa sostanza fu ottenuta da E. Bamberger per i prodotti secondarî dell'ossida- zione del benzalidrazone con nitrito d’amile (*): Bamberger non dà altro che i numeri ottenuti all'analisi, ed il punto di fusione. All'analisi si hanno dei numeri che concordano con quelli richiesti dalla tormula C:3H2603 Ni: Cos Hog 0g Ni Calcolato C 68,01 H 5,26 N 17,00 p. mM. 494 (Bamberger) Trovato » 67,90» 5,38» 16,86 ” » 68,09 » 4,98 » 17,00 » 493 (0?) Aghetti rossi fondenti a 183° (Bamberger dà 182-188°); poco solubile a freddo nei diversi solventi, insolubile negli alcali e negli acidi. In acido solforico concentrato si scioglie con colorazione bleu-scura. Dalla soluzione alcalina, per aggiunta di un acido, o ,meglio, facendovi gorgogliare una corrente di anidride carbonica, precipita una sostanza rosso- (*) Questi Rendiconti, XVII, 844, (2) Berichte, XXXVI, 84. (*) Ebullioscopia in benzolo. RES 3 PERE mattone, e formata quasi completamente dalla sostanza principale, e fondente a 102°. Se però la sostanza così ottenuta si fa digerire con alcool metilico, si estrae una sostanza fondente a 135°, mentre il nitroidrazone CHs C:NNH CH; | NO: rimane indisciolto. All’analisi, la sostanza, fondente a 135°, dà numeri che corrispondono a quelli richiesti dalla formula C,3H,, 02 N3: C13H1,0:N3 Calcolato C 64,73 H 4,57 N 17,43 p.m. 241 Trovato » 64,42 » 4,74 » 17,68 » 238(‘). Questa sostanza fonde, come si disse, a 135°, e si presenta sotto forma di aghetti rossi, lunghi, setacei; si scioglie assai bene in alcool metilico caldo, in benzolo, in cloroformio ed in alcool bollente; è insolubile in acqua ed in ligroina. Si scioglie in acido solforico, con colorazione verde. È solubile negli alcali. I numeri avuti portano alla formula C,3H,10g N3; si .tratta quindi di un isomero del nitroidrazone, fondente a 102-103°. Dei 7 nitroidrazoni noti (*), nessuno ha un punto di fusione che si av- vicini a 135°. Inoltre la solubilità della sostanza stessa negli alcali diluiti elimina immediatamente la possibilità che si tratti di un isomero nello spazio dei tre fenilidrazoni delle tre nitrobenzaldeidi, e dell’ m-nitrofenil- idrazone dell'aldeide benzoica. L’o-nitrofenilidrazone dell’aldeide benzoica esiste in due modificazioni (*) cromoisomere, ben differenti dalla sostanza fondente a 135°; il p-nitrofenil- idrazone dell'aldeide benzoica esiste inveca in tre modificazioni (4) cromo- isomere, nessuna delle quali è identica alla sostanza in questione. Rimane la possibilità che si tratti di un isomero nello spazio del nitro- idrazone, fondente a 102-103”. Qualunque tentativo però per trasformare la sostanza fondente a 155° in quella fondente a 102-103°, non ha condotto ad alcun risultato positivo. (*) Ebullioscopia in benzolo. (£) I fenilidrazoni delle aldeidi 0-, m-, e p-nitrobenzoica fondono rispettivamente a 157°, 121°, e 160°; l’o-nitro-, m-nitro- e p-nitrofenilidrazone dell’aldeide benzoica fon- dono rispettivamente a 187°, 118°, 194°. Il fenilidrazone dell’aldeide fenilnitroformica fonde, come si disse ripetutamente, a 102-108°. (*) Non ancora pubblicate. (4) Questi Rendiconti, XXII, 2° sem. Assegnando al nitroidrazone fondente a 102° la formola I, per la so- stanza fondente a 135° rimane la costituzione dalla formula II: (OH C_NO; OSES . (6; . NO, | | CHs NH N NNHC;Hs I p. f. 102-108° II p. f. 185° (1). Nell'alcool in cui si stempera il prodotto della reazione fra ipoazotide e benzalidrazone, sì riesce ad isolare una piccola quantità di una sostanza fondente a 202-204°. Questa sostanza si presenta sotto forma di aghetti giallognoli. Con tutta probabilità si tratta della tetrafeniltetrazolina ottenuta da E. Bamberger per ossidazione del benzalfenilidrazone: data la piccola quantità avutane, non si potè analizzare. Riassumendo per azione dell’ipoazotide sulla soluzione eterea del ben- zalidrazone si hanno i seguenti prodotti : 1) fenilidrazone dell’aldeide fenilnitroformica (prodotto principale della reazione): C,3H0N3; 2) nitrato di diazobenzolo; 3) dibenzaldifenilidrotetrazone : C26 Hess N, ; 4) isomero della sostanza fondamentale, fondente a 135°: C,3H,103N3; 5) sostanza fondente a 183°: C.3H2603 Ne; 6) sostanza fondente a 202-204° (tetrazolina?). Chimica. — £/cerehe intorno a sostanze aromatiche conte- nenti iodio plurivalente. (Di alcuni composti particolari ottenuti nella reazione di Sandmeyer, applicati a derivata della naftalina)(?). Nota X di L. MAscARELLI e G. MARTINELLI, presentata dal Socio G. CrAMICIAN (*). Durante le ricerche sulla tendenza dei derivati dinaftilici a formare nuclei pentaatomici contenenti un atomo di iodio plurivalente (‘), avemmo bisogno di trasformare in iodioderivato molta «-nitro-8-naftilamina. L’a-nitro- (') Non si capisce però come dalla soluzione alcalina si ottenga sempre, per azione degli acidi, lo pseudoacido di partenza, e non un miscuglio. Questo caso di isomeria merita perciò uno studio ulteriore. (*?) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica farmaceutica della R. Università di Cagliari. (*) Pervenuta all'Accademia il 1° luglio 1915. (4) L. Mascarelli e G. Brusa, Rendic. R. Accad. Lincei, 1913, II, 494; e Gazz. ch. ital, 1914, I, 549. L. Mascarelli e M. Negri, Rend. R. Accad. Lincei, 1913, II, 498; e Gazz. ch. ital., 1914, I, 556. RenpIcONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 4 CO B-iodionaftalina era già stata preparata da Meldola (') e più tardi da Vesely (?): essa fonde a 889,5. Noi abbiamo voluto compiere la reazione diazoica sulla «-nitro-8-naftil- amina operando in soluzione cloridrica, anzichè in presenza di acido solfo- rico, come fece Meldola, per ovviare all’inconveniente derivante dalla insolu- bilità del solfato corrispondente, e così abbreviare l'operazione ed accrescerne il rendimento. Così facendo non abbiamo trovato, nel prodotto finale di scom- posizione con ioduro potassico, la @-nitro-f-iodionaftalina, ma abbiamo invece isolato due sostanze. L'una è solubile in etere, alcool e negli ordinarî solventi organici: con- tiene iodio; però, anche dopo ripetute cristallizzazioni, il suo punto di fusione non sì elevò sopra 83-84°. L'analisi dimostrò che non contiene azoto, ma che gli corrisponde la Cio Hs C1J. Pel suo modo di formazione e per quanto vedremo, noi riteniamo che si tratti, con ogni verosimiglianza, di «-cloro-f- iodionaftalina, sebbene non abbiamo potuto confrontare le sue proprietà, perchè tale composto non è descritto nella letteratura e noi non abbiamo ancora avuto tempo di prepararlo per altra via. L'altro prodotto invece, pur contenendo iodio, non presenta i caratteri degli iodioderivati organici. Esso è costituito da una polvere gialla, insolubile in etere, alcool, acqua; si decompone facilmente a contatto con acqua, specie a caldo, con sviluppo abbondante di gas; si scioglie a caldo, e senza decom- posizione, nelle soluzioni acquose di cloruro di sodio e di acido cloridrico, da cui poi cristallizza in belle scagliette giallo-oro e fondenti, con decom- posizione a 146-148°. La sua composizione centesimale corrisponde alla Cio HéNs Cl J. Dal suo contegno si può arguire, che esso contiene ancora intatto il gruppo diazoico. In un brevetto di Froehlich (*) trovammo che i derivati diazoici sono in grado di formare composti doppî col monocloruro di iodio, i quali hanno tutte le proprietà del nostro prodotto fondente a 146-148°. La mancanza del gruppo nitrico in tale prodotto ci fa pensare ad una probabile sua sosti- tuzione mediante il cloro, per cui non esitiamo ad assegnar ad esso la for- mula: CI Pu ui Sarà ancora forse necessario di stabilire la vera posizione dei due gruppi sostituenti. (*) Journ. chem. Soc. London, 47, 520 (1885). (?) Ber. d. d. Ch. Ges., 38, 138 (1905). (3) D. R. P. 87970; Chem. Centralbl. 1896, II, 1069. COTE Gli studî di Hantzsch (') sui diazoperaloidi ci dànno modo di inter- ‘pretare come, nelle nostre condizioni, si possa formare l'aggruppamento — N:NC1.JCI. Il cloruro del diazoderivato I, a contatto con lo iodio, che abbondante si libera nell’aggiunta dello ioduro potassico, tende a formare il prodotto II: RN:NCI JE RN:NCI.J., I ta II ‘il quale tosto si scompone in RJH4+-N,+JC], ‘così che quest'ultimo può reagire coll’eccesso di I per dare RN:NCI4+JC1=R.N:NCI.JCI. Nel caso nostro è da prendersi inoltre in considerazione la sostituzione del gruppo nitrico col cloro. Essa avviene, con tutta probabilità, per l'azione del monocloruro di iodio, che si genera nel liquido della reazione o da quello che sta legato al gruppo diazoico. Sappiamo che i derivati peralogenati dei composti diazoici hanno tendenza a perdere l’alogeno e ad agire da aloge- nanti (?); ma non è a nostra conoscenza che l'alogeno vada a sostituire altro gruppo: e già Hantzsch (*) ha osservato che « die Halogene tauschen sich also in Trihalogen-Complex sehr leicht gegenseitig aus, treten aber auch in noch sv grossen Ueberschuss angewandt nie in den Benzolkern des Benzol- diazoniums ein ». Infatti egli (‘) ottenne dalla p-nitroanilina il relativo de- rivato diazoico. che somma anch'esso JC1 senza alterarsi. Nè la vicinanza del gruppo — N:NC1.JC1 al gruppo nitrico, nel nostro caso, può avere gran valore, perchè Ulhmann (*) ebbe a preparare l’'o-iodio-nitrobenzolo dal- l’o-nitroanilina; e Haeussermann e Teichmann, poco prima, ottennero l’o-cloro- nitrobenzolo dall’o-nitroanilina (°). I derivati nitrici del benzolo però resistono all’azione del monocloruro di iodio, come risulta, fra l'altro, dalla preparazione dell’o-iodio-p-nitroani- lina, fatta da Willgerodt (") per azione del monocloruro di iodio sulla p-nitroanilina. Del resto sappiamo, da lungo tempo, che il monocloruro di iodio agisce sulle aniline sostituite (m-nitroanilina, p-nitroanilina, p-tolui (*) Ber. d. d. chem. Ges., 28, 2754 (1895). (*) Billow, Schmachtenberg, Ber. d. d. chem. Ges., 47, 2607 (1908). (8) loc. (citi, 27/62. Neo E (5) Ber. d. d. chem. Ges., 29, 1880 (1896). (8) Ber. d. d. chem. Ges., 29, 1447 nota (1896). ‘(7) Ber. d. d. chem. Ges., 34, 3844 (1901). si ogrea dina, ecc.) (') iodurando nel nucleo, ma in nessun caso sostituendo cloro a radicali presenti. Tuttavia nella serie naftalica i gruppi sostituenti possono avere una certa mobilità rispetto a quelli della serie benzolica; e noi rite- niamo che il cloro nascente (dalla scomposizione del monoioduro) possa stac-. care il nitrogruppo e sostituirvisi, precisamente come avviene quando si scal- dano i nitroderivati della naftalina con pentacloruro di fosforo (?). A con- ferma di tale mobilità citiamo la recente osservazione di Friedlaender e Litner (5) i quali, bollendo con barite il nitrile dell'acido 1-nitro-2-naftoico, ottennero il derivato che contiene l'ossidrile in luogo del nitrogruppo. Abbiamo confermato la nostra supposizione facendo agire una soluzione di monocloruro di iodio sopra il cloruro di f-diazo-a-nitronaftalina. Otte- nemmo così direttamente il prodotto fondente a 146-148°, con tutte le pro- prietà di quello preparato prima: una miscela dei due conserva lo stesso punto di fusione; l’analisi ha dato i valori richiesti per la Cio He Ns Cl3J. Possiamo quindi concludere che nel liquido della reazione sì forma cloro nascente, il quale in tale stato, oppure dopo essersi legato allo iodio, agisce sostituendo il gruppo nitrico; contemporaneamente ìil monocloruro di iodio si somma al gruppo diazoico: N:NC1.JC1 f J NO, NN:NOO (7 5 asa “= ona 2 i E I III Naturalmente, la formazione di cloro-iodionaftalina deriva dalla scompo- sizione del prodotto di somma II: 0 meglio, perchè questo è stabile a bassa temperatura, dalla mancanza di sufficiente quantità di cloruro di iodio, per modo che l'eccesso di composto diazoico, che non può trasformarsi in sale doppio, si decompone normalmente secondo la reazione di Sandmeyer. Abbiamo in corso esperienze sul contegno dei varî derivati della nafta- lina col monocloruro di iodio le quali ci fanno sperare di poter presto ritor- nare su questo argomento. CI PARTE SPERIMENTALE. Applicazione della reazione diazoica alla a-nitro-B-naftilamina, e suc- cessivo trattamento con ioduro potassico.— Vennero sospesi gr. 50 di so- stanza in 250 ce. di acido cloridrico (A = 1.19); si aggiunsero 500 cc. d'acqua, la quale fa precipitare, finamente suddivisa, la maggior parte dell’a-nitro-8- (') Michael e Norton, Ber. d. d. chem. Ges., £/, 118 (1878). (*) De Koninck e Marquardt, 1872 Ved. anche Atterberg, Ber. d. d. chem. Ges., 9, 1187, 1732 (1876); 20, 1843 (1877). (3) Ber. d. d. chem. Ges., 48, 331 (1915). naftilamina; e si portò a 0°. Lentamente si aggiunsero gr. 17 di nitrito sodico sciolti in 200 cc. d'acqua: il liquido rosso-bruno fu versato in una soluzione di gr. 41 di ioduro potassico in 200cc. d’acqua; si decolorò con anidride solforosa; si lasciò in riposo una notte. La polvere cristallina gialla venne raccolta e lavata con etere e con acqua a freddo. Essa sì scioglie con acido cloridrico, nelle soluzioni di cloruro di sodio, nell'alcool: con quest'ultimo sì scompone alla ebollizione. Pura, è in squamette di un bel color oro splen- dente (dall'acido cloridrico non troppo diluito); fonde a 146-148°, scompo- nendosi. L'analisi diede valori corrispondenti a la Cio HéNa Cl3J: Calcolato per °/ ______Irovato x C 30.98 58) 31.29 H 1.56 2.09 1.88 N 1.25 7.25 7.29 CI 27.46 27.10 = Ji 32.75 31.95 — CDLH4- J 60.21 58.95 59.21 La sostanza, bollita con acqua o con alcool, sì scompone svolgendo gas e liberando iodio, mentre si forma un prodotto oleoso semisolido nerastro, solubile in etere, che però non venne ancora esaminato. La stessa decompo- sizione si ha mantenendo a lungo sotto acqua la sostanza, oppure lasciandola a contatto con alcali anche diluiti. L'etere, che servì a lavare il prodotto precedente e quello con cui si estrasse il liquido della reazione, dopo che venne separata la parte solida, fu lavato con alcali, con acqua, seccato con cloruro di calcio, ed evaporato. Il residuo solido, cristallizzato dall'alcool, previa decolorazione con carbone animale, è in prismetti bianchi fondenti a 83-84°. L'analisi dimostrò trat- tarsi di una cloro-iodio-naftalina : Calcolato per °/0 Cio HsC1J A AL C 41.60 41.183 41.45 H 2.10 2.48 2.24 CIH4+ J 56.30 57.01 56.89 Azione del monocloruro di iodio sul cloruro di B-diazo-a-nitro-nafta- lina. — Grammi 5 di «-nitro-8-naftatilamina vennero, nel solito modo e in soluzione cloridrica, trattati con nitrito sodico: nella soluzione rosso-bruna del cloruro di diazonitronaftalina si versò a gocce una soluzione di mono- cloruro di iodio, preparata secondo le indicazioni di Bigot ('). Precipitò una (1) Ann. de chemie et physique (6) 22, 464 (1891). SES a polvere cristallina gialla: raccolta e lavata con acido cloridrico, venne da questo solvente ricristallizzata. Squame giallo-oro, fondenti con decomposi- zione a 148-149°. Ha tutte le proprietà del prodotto ottenuto nell’operazione precedente. Il punto di fusione, più elevato, deve attribuirsi al fatto che per tal modo si ottiene facilmente pura. La miscela a parti eguali dei due pro- dotti fonde alla stessa temperatura. All'analisi si ebbero i risultati seguenti: Calcolato per °/0 CioHsNaC1,J Trovato C 30.98 31.45 H 1.56 1847 N 7.25 Watt CI4-J 60.21 59.69 Abbiamo notato, come già altra volta a proposito di derivati alogenati: della naftalina, che tutte queste sostanze bruciano stentatamente ed hanno la tendenza a distillare anche nella canna a combustione. Specialmente la ossidazione con acido nitrico, nella esecuzione del metodo Carius, è lenta: occorre scaldare in tubo chiuso per tre giorni per avere dati attendibili. Ghimica. — Sulla isomeria degli acidi erucico, brassidinico, isoerucico. (Del loro contegno crioscopico reciproco) (*). Nota III di L. MASCARELLI e G. SANNA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN (?). Nella Nota II (3) pubblicammo i risultati avuti pel contegno crioscopico dei tre acidi erucico, brassidinico, isoerucico, quando vengano sciolti nel- l'acido saturo corrispondente, il dehenico. In questa Nota riassumiamo il contegno crioscopico degli stessi tre acidi, quando vengano sciolti reciprocamente l’uno nell'altro, ed inoltre il comportamento dell'acido behenico, quando esso sia sciolto nei tre acidi. suddetti. Tale studio poteva recarci nuovi dati per chiarire questo particolare caso di isomeria. I risultati ottenuti confermano sempre più quanto abbiamo supposto nella Nota II, cioè che, « ammessa la stessa posizione del doppio legame in tutti e tre gli acidi, due possono avere configurazione simile, l’altro deve averla diversa ». (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica farmaceutica della R. Università di Cagliari. (3) Pervenuta all'Accademia il 1° luglio 1915. (3) Rend. R. Acc. Lincei 23, II, 586 (1914); e Gazz. chim. ital. 45, I, 313 (1915). SER Allora già eravamo propensi a credere che all’acido erucico spettasse la configurazione cis, perchè esso non si scioglie allo stato solido nel behenico, e che agli acidi brassidinico ed isoerucico convenisse la configurazione /rars, perchè entrambi dànno soluzioni solide col behenico. Ora siccome si sa (e lo proveremo con nuove ricerche che abbiamo in corso) che le sostanze sature a catena aperta dànno cristalli misti con la forma più stabile (#razs) del corrispondente composto etilenico, e non con quella meno stabile (czs), così sì poteva prevedere che: l’acido behenico non si scioglie, allo stato solido, nell’erucico; l'acido behenico si scioglie, allo stato solido, nel brassidinico e nel- l’ isoerucico. 1 Infatti così avviene, come lo dimostra lo specchio seguente, che rac- coglie in riassunto i risultati della presente Nota. Acido brassidinico è crioscopicamente normale in acido erucico » isoerucico ” ” ” ” » behenico ” ” ’ ’ » erucico ” ” » brassidinico » isoerucico ” anormale ’ ” » behenico è anormale (lievemente) ” ” » erucico è crioscopicamente normale » isoerucico » brassidinico è anormale (spiccatamente) ” ” » behenico è crioscopicamente anormale ” r (*) » erucico è crioscopicamente normale » behenico (') = brassidinico ” anormale ” ” (*) » isoerucico ’ ’ ’ , Dunque l'acido behenico ha peso molecolare normale se sciolto in acido erucico; ha peso molecolare lievemente anomalo (maggiore del teorico) in acido brassidinico; è decisamente anomalo in acido isoerucico. Inoltre gli acidi brassidinico ed isoerucico sono reciprocamente e spiccatamente anomali. Noi non abbiamo tentato misure dirette a stabilire la concentrazione delle varie soluzioni solide, seguendo il processo di van Bijlert, parendoci assai malagevole l'applicazione del procedimento stesso per la difficoltà di trovare un metodo pratico atto a dosare con esattezza uno di questi acidi in presenza dell'altro. Ma possiamo in linea generale ritenere che i pesi molecolari trovati per i varî acidi ci diano una misura del grado di solu- bilità allo stato solido, poichè riteniamo che non possa qui verificarsi altra causa di anomalia crioscopica. Non fenomeni di dissociazione, poichè le (') Risultati avuti nella Nota II (loc. cit.). sona sostanze sciolte non sono acidi forti, nè (come solventi) hanno potere dis- sociante; non fenomeni di associazione, quantunque gli acidi grassi possano mostrare una certa tendenza a molecole doppie, poichè iu tal caso i pesi molecolari dovrebbero essere sempre maggiori del teorico in tutti gli acidi (solventi) adoperati. Del resto, nella determinazione pratica delle costanti crioscopiche dei varî acidi (che dovemmo eseguire per gli acidi erucico, brassidinico, isoerucico e behenico, non ancora impiegati finora in crioscopia) abbiamo avuto cura di scegliere non solo sostanze carbossilate (acido ben- zoico) ma anche acidi grassi appartenenti alle stesse serie di quelli di cui poi dovevasi determinare il contegno crioscopico (acidi crotonico, elaidinico, oleico): e tali acidi vi si mostrarono perfettamente normali. Vedremo poi, in una prossima Nota, che le curve di saturazione dei varî acidi confermano le regolarità e le anomalie ora osservate per i pesi molecolari. PARTE SPERIMENTALE. Determinazione della costante crioscopica dell’acido erucico. L'acido erucico, da noi impiegato, era quello Kahlbaum, che venne purificato dalle piccole quantità di acido arachico, secondo le indicazioni già riportate nella Nota II (loc. cit.). Esso era in squame bianche, madre- perlacee, fondenti in tubetto a 33-34°. La determinazione del punto di solidificazione, fatta nella solita provetta crioscopica di Beckmann, diede per alcuni campioni 32°,5, per altri 339,3. La media generale dei valori di K, determinata coi soliti metodi con sostanza purificata all'uopo, risultò la seguente (1): (I) naftalina media del valore di K = 52,4 (II) dibenzile ” ” 390/0138 (III) acido crotonico » ” SD (IV) » elaidinico » ” » = 52,1 (V) p-dibromobenzolo » ” "ni 990 (VI) acido benzoico ” ” » = 52,8 (VII) difenile O ’ » =— 58,2 MEDIA GENERALE K = 52,3 Secondo la regola empirica di Raoult (?), sì dovrebbe avere K=338X 0,62 = 209,5; (*) Pubblicheremo in altro loco i particolari di queste determinazioni. (?) Compt. rend. 95, 1030 (1882). Al a valore che si scosta molto da quello trovato sperimentalmente (ciò che suc- cede assai spesso). Si ricava quindi, applicando la ben nota formula di van t Hoff, che il calore di fusione dell'acido erucico è, per 1 Kg.. (306,3)? _ W = 0,02 SIOE 35,88 cal. e per una grammimolecola Id 33 wl_ 35,88 X 388 _ 12,18. 1000 Determinazione della costante crioscopica dell’acido brassidinico. L'acido brassidinico, ottenuto per azione dell'acido nitroso sull’acido erucico, sì presentava in scaglie bianche fondenti in tubetto a 59-60°, e solidificava nella provetta crioscopica a 589,3. La media dei valori di K da noi trovati è: 1) dibenzile — media del valore di K = 44,2 2) naftalina ” » » = 41,6 8) acido benzoico È» ” » = 89,4 4) difenile ” ’ » = 88,6 5) acido oleico ” ” » = 44.1 MEDIA GENERALE » = 41,6 Con la regola empirica di Raoult, si ricava invece: K = 338 X 0,62 = 209,5; e per il calore di fusione di un Kg. di sostanza si ha 2A (831,3)? _ 39 77 cal.» W = 0,002 Lon bar cal. > e per una grammimolecola: 52,77X338 W = 1000 = N88 cal. Determinazione della costante crioscopica dell'acido isoerucico. L'acido isoerucico, purificato per ripetute cristallizzazioni dall'alcool, era costituito da una polvere cristallina fondente in tubetto a 52-58°, e solidificantesi in provetta crioscopica a 51°,2. Le determinazioni vennero fatte in corrente d’aria; e si impiegarono come sostanze, presumibilmente normali, p-dibromobe nzolo, dibenzile e naf- talina. RENDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 5 N rai L'acido isoerucico fonde in un liquido oleoso, giallognolo; le determi- nazioni del punto di congelamento richiedono una certa cura ed anche una certa pratica, poichè il fenomeno di sopraraffreddamento quasi non sì avverte, e l'arresto della colonna termometrica non è sempre netto. Inoltre la difficoltà di avere molto acido isoerucico puro non ci per- mise di fare un maggior numero di misure. I valori ottenuti sono i seguenti : 1) p-dibromobenzolo media del valore di K = 52,6 2) dibenzile ” ” n.059 3) naftalina ” ” » =48,1 MEDIA GENERALE » = 52,54 Con la regola empirica di Raoult, sì ricava: K =338 X 0,62 = 209,5; il calore di fusione, che si calcola per 1 Kg. di sostanza, è Di (324,2)? W = 0,02 52,24. — Ace e per una grammimolecola 40 X 388 i eIodot A A Misure crioscopiche. Dopo aver determinato sperimentalmente le costanti crioscopiche degli acidi erucico, brassidinico ed isoerucico, che finora non vennero ancora im- piegati come solventi crioscopici. passammo a determinare il loro contegno crioscopico reciproco; inoltre vi abbiamo anche studiato il contegno dell'acido saturo corrispondente, behenico, che già nella Nota precedente era stato im- piegato come solvente crioscopico. Pe Solvente: acido erucico (K = 52,3). TavoLa D. N CONCENTRAZIONE Peso umero s Hg in gr. per 100 er. 4 molecolare d'ordine di solvente (K = 52.3) Sostanza sciolta: acido brassinidico (Cx» Hi 0, = 388) 87 1.264 0.20 330.4 88 2.680 0.42 338.7 89 5.719 0.91 328.7 Sostanza sciolta: acido isoerucico (C23H,30, = 388) 90 1.739 0.28 324.9 91 4,246 0.65 341,6 92 6.678 1.02 342.4 93 0.804 0.125 336.3 94 2.620 043 318.6 95 4,234 0.665 333.0 Sostanza sciolta: acido behenico (Cx8H,40, = 840) 96 0.876 0.135 344 4. 97 2.459 0.355 367.8 98 4.326 (1) e 99 0995 0.15 347.0 100 1.926 0.295 341.5 - 101 4.384 (3) = Come risulta dai valori su riportati, l’acido brassidinico ha contegno normale, e così pure l'acido isoerucico: i valori invece ottenuti per l'acido behenico sciolto nell'erucico, potrebbero far pensare ad una anomalia crio- scopica spiccata, se lo studio della curva di congelamento di questo sistema binario, e l'aspetto della massa cristallina che si separa alle varie concen- trazioni, non indicassero chiaramente che alla terza concentrazione già si separano, come prima fase, cristalli di acido behenico, ed anche alla seconda sì cominciano ad avere punti di congelamento incerti, dovuti al fatto che sì è assal prossimi al punto eutectico (vedi più tardi la curva del sistema binario « acido behenico-acido erucico »). Ad ogni modo, i valori ottenuti alle prime concentrazioni (344, 347) si possono ritenere attendibili e dimostrano un contegno normale. .(*) A questa concentrazione si ha innalzamento del punto di congelamento (v. curva relativa, nella prossima Nota). Solvente: acido brassidinico (K= 41). TAVOLA £. NN CONCENTRAZIONE Peso Sd. in gr. per 100 gr. 4 molecolare COLATO di solvente (K=41) Sostanza sciolta: acido erucico (C23H,30, = 388) 102 1.041 0.12 855.8 103 3.039 0.405 307.6 104 1.133 0.88 332.3 Sostanza sciolta: acido isoerucico (Cs» H4: 0, = 338) 105 2.506 0.26 395.2 106 4.505 0.38 486.0 107 9.305 0.76 006.8 108 1.040 0.075 068.6 109 3.897 0.265 602.9 110 5.977 0.415 990,5 Sostanza sciolta: acido behenico (Cx0 Hy, 0, = 340) 111 2.051 0.22 382.3 112 4.506 0.46 401.6 113 7.978 0.83 364.6 114 2.548 0.30 348.3 115 3.982 0.46 954.9 116 5.914 0.68 856.6 117 3.625 0.39 364 118 5.850) 0.67 358 119 8.210 0.97 847 Noi riteniamo, da questi dati, che solamente l'acido erucico abbia con- tegno normale se sciolto in acido brassidinico. L'acido isoerucico invece ci ha dato valori assai elevati, ciò che dimostra aver luogo qui formazione di soluzione solida. Per l'acido behenico abbiamo ripetuto tre volte le misure, le quali hanno sempre dato valori alquanto superiori al teorico e che par- lano in favore di una piccola solubilità allo stato solido. Solvente: acido isoerucico (K = 52,54). TAVOLA: Nooo CONCENTRAZIONE Peso d'ordi in gr. per 100 gr. 4 molecolare Via di solvente (K= 52,54) Sostanza sciolta: acido erucico (Cs°.H430, = 388). 120 2.884 0.47 322.4 121 4.902 0.73 352.8 122 6.944 1.00 364.8 Peso 73 Si A CONCENTRAZIONE TEMPERATURA Numero . ; i in gr. per 100 gr. di d’ordine di RARO i i solvente solidificazione Sostanza sciolta: acido behenico (CxXH,0,= 340) 123 0.000 51.20 124 0.769 51.78 125 4.280 53 88 Sostanza sciolta; acido brassidinico (Cx3 Hi: 0, = 338) 126 0.000 51.20 127 1997 51.20 128 4.700 51.22 129 3.740 51.82 L'acido erucico mostra contegno normale, mentre l'acido brassidinico @ l'acido behenico innalzano già fin dalle prime concentrazioni il punto di congelamento del solvente, ciò che vedremo meglio in una prossima Nota a proposito delle curve di solidificazione riguardanti questi sistemi binarî. Fisiologia vegetale. — Influenza del nucleo pirrolico sulla formazione della clorofilla (). Nota preliminare di Gino PoLLacci e BERNARDO Oppo, presentata dal Socio GirovaNNI BRIOSI. Dai numerosi lavori che sì sono eseguiti, sia sul pigmento del sangue dei vertebrati, sia su quello verde delle piante, emergono soprattutto due fatti : la presenza cioè nelle loro molecole, di un elemento metallico, il ferro nel- l'uno ed il magnesio nell'altro, legati ad un complesso di natura organica, e le relazioni di costituzione che si sono riscontrate specialmente nei loro prodotti di degradazione (?). Ambedue conducono, per riduzione, agli emopirroli e per ossidazione al- l'acido ematinico ed all’imide metiletilmaleica, per cui ne è sorta la sup- posizione che fra la composizione chimica della clorofilla e quella dell’emo- globina debba esistere un'analogia; inoltre, che ciascuno dei due metalli agisca rispettivamente come catalizzatore nella trasformazione dell'acido car- (!) Lavoro eseguito nei laboratorii dell'Istituto botanico e dell'Istituto di chimica generale «della R. Università di Pavia. Giugno 1915, (*) Fra i lavori più recenti vedi: Fischer e Bartholomfus, Berichte 44, 3813 (1911), 45, 466 e 1979 (1912); Willstitter e Asahina, Liebig*s Annalen 385 188 (1911); Will- stitter e M. Fischer, Zeit. physiol. Chem. 87, 481 (1918); Willstitter e Forsen, Liebig's Ann. 396. 180 (1918); Kiister, Zeit. physiol. Chem. 82, 463 (1912); Neucki e Zaleski, Zeit. physiol. Chem. 30, 884 (1911); Zaleski, Berichte 46, 1687 (1913). TIRI bonico in sostanze amidacee e nel ciclo di trasformazione del sangue venoso in arterioso. Se però dall'analogia di composizione chimica vogliamo passare all’in- dagine sulla funzione dei due pigmenti, sembra ovvio, come ha fatto osser- vare recentemente uno di noi (*), che si debba tener conto, non solo dei due elementi metallici, ma anche del nucleo pirrolico per la caratteristica mobilità dei suoi idrogeni metinico ed imidico che ora gli conferiscono un carattere nettamente fenolico, ora invece lo rendono tale da poter formare sali come la pirrolidina. In relazione a questo concetto ci è parso non privo d'interesse lo stabilire quale influenza potesse esercitare un composto pirrolico nella formazione della materia colorante delle foglie, per la quale è nota invece l’azione sin- gola e concomitante di aleuni elementi, non esclusi il magnesio (?) e Interessandoci a tal uopo di poter disporre di un prodotto pirrolico so- lubile in acqua, abbiamo preparato il sale magnesiaco dell'acido a-pirrolcarbo- nico. Questo sale non era ancora conosciuto; cristallizza con due molecole di acqua e corrisponde alla formola normale seguente: CH Bo Naz . COO . Mg. 000. CISA NH NH Le esperienze da noi finora eseguite — e che ci ripromettiamo di descri. vere più estesamente in seguito, assieme coi dettagli di preparazione del pirrolcarbonato magnesiaco — si limitano alle seguenti: Da prima si è cercato quale fosse la quantità precisa di pirrolcarbo- nato magnesiaco sciolta in acqua, che veniva tollerata da piante apparte- nenti a specie diverse. Fra l'altro si è potuto stabilire che la Zea Mays vegeta ancora bene in soluti nei quali il suddetto sale magnesiaco è nella proporzione del 0,50 per mille. Oltrepassando tale dose, si nota un'azione nociva del sale sullo sviluppo delle piantine, i cui tessuti degli apici radi- cali, osservati al microscopio, mostrano una netta plasmolisi. I tessuti sono invece normali nelle piantine nate da semi messi a germinare in soluto acquoso di pirrolcarbonato magnesiaco in cui tale sale è in dose inferiore al 0,50 per mille. (*) B. Oddo, Gazz. chim. ital. 44, II, 268 (1914). (*) Eva Mameli, Sulla influenza del magnesio sopra la formazione della clorofilla (Atti Ist. bot. di Pavia, XV, 151); /l magnesio nelle piante albicate e clorotiche (Rend. Accad. dei Lincei, XXIV, 262); /n/luenza del fosforo e del magnesio sulla formazione della clorofilla (ibid., XXIV, 755). il ferro. Ro O Trovata la dose tollerata, si misero semi di Zea Mays a germinare in soluti aventi le seguenti composizioni: Seme A. Ca (N03): gr. 1,00 (NH): SO, » 0,25 KNO, » 1,00 RGEISSR.07 » 0,25 H, 0 » 1000 Seme 2. Ca (N03): » 1,00 (NH,)s SO, » 0,25 KNO, » 1,00 K H,y PO, » 0,25 TI A Mg + 2H:0: gr. 0,2681 HO 7 . COO NH ? HO, gr. 1000 Si è avuto cura che i sali e l’acqua usati mancassero completamente di ferro. La quantità di pirrolearbonato magnesiaco aggiunta al soluto nutritivo pel seme 8 corrisponde a gr. 0,0247 di magnesio per 1000 gr. di acqua, che è la quantità di tale elemento contenuta nei liquidi nutritivi solitamente usati per le colture artificiali. Il seme A ha dato una piantina che, dopo 20 giorni di sviluppo, ha sole le prime due foglie con una debole quantità di clorofilla; tutte le altre sono perfettamente eziolate. Il seme 5, al contrario, dopo egual tempo di sviluppo, ha formato una piantina con tutte le foglie colorate normalmente in verde e con uno svi- luppo per lo meno tre volte maggiore di quello della piantina del seme 4, benchè anche la soluzione nutritizia somministrata a questo seme mancasse completamente di ferro. La formazione di clorofilla in piante vegetanti in terreno privo di ferro, nelle condizioni suddette, è cosa affatto nuova. Per quanto tali esperienze necessitino di ulteriore conferma, tuttavia, dato il loro interesse, abbiamo creduto per ora opportuno di pigliar data, proponendoci di continuarle dopo la guerra. AMATE Botanica. — £vcerche intorno alle specie: Coniothyrium pirina (Sacc.) Sheldon, Phyllosticta pirina Sace. e Co- niothyrium tirolense Bubàk ('). Nota di ELisA MuTTo © del dott. Gino PoLLaAccI, presentata dal Socio GrovannNI BRIOSI (?). P. A. Saccardo nel 1878 (*) istituì una nuova specie di Phy//osticta : la P. pirina, della quale diede la seguente diagnosi : « Phyllosticta pirina Sace. Maculis arescendo candicantibus, variis, pe- ritheciis plerumque epipbyllis, punctiformibus, lenticularibus, pertusis, 100- 130 « diam., contextu lare celluloso ferragineo; sporulis ovoideis v. elli- psoideis 4-5 X2-2,5 w, hyalinis. Hab. in foliis Piré communis nec non in foliis Piri mali, in Italia or. Gallia, Lusitania ». Nel 1904, Bubàk (4) scoperse un ConzotQhyrium pure sulle foglie di Pirus communis, e di esso pubblicò la seguente diagnosi: « Contothyrium tirolense Bubàk. Maculis subrotondis, albidis vel pal- lide ochraceis, praecise limitatis, saepe concavis, 2-5 mm. latis; pycnidiis sparsis, nigris, innatis, globosis, leviter depressis, 120-250 u diam. poro cen- trali, 10-20 w diam. pertusis; contextu castaneo-brunneo, parenchymatico, sporulis ovoideis v. ellipsotdeis 4,5-7 X 2-4,5 copiosis, olivaceo-brunneis » . Nel 1907 John L. Sheldon rese pubblica una Nota (*) nella quale egli afferma che, dall'esame di un considerevole numero di esemplari del fungo Phyllostica pirina Sacc. su foglie di melo e di cotogno, ha potuto rilevare che le spore nei più maturi picnidii non sono « hyaline » come in origine le descrisse Saccardo, nè « sl/9%4ly smoky » come le dissero Martin (5) e Ellis e Everhart (7), ma considerevolmente brune, l'intensità del colore essendo in ragione diretta della maturità delle spore; e tenendo conto del colore di queste, Sheldon osserva come il Conzothyrium tirolense Bubàk, che si trova su foglie di pero, possa essere una matura Phy//osticta pirina Sace. L'autore non ebbe occasione di confrontare esemplari dei due funghi. Ad ogai modo, mutò in Conzothyrium pirina (Sacc.) Sheldon (8) la /%yl- (*) Lavoro eseguito nell'Istituto botanico di Pavia. (*) Pervenuta all'Accademia il 5 luglio 1915. (3) Saccardo P. A., Michelia, I, pag. 1878; Sylloge Fung. 3, pag. 7, 1884. (4) Bubàk Fr., Oester. Bot. Zeitschr. 54, pag. 183, 1904; Saccard, Sylloge Fung, 18, pag. 309, 1906. (5) Sheldon J. L., Z'orreya F., pag. 142, 1907. (8) Martin George, Journ. Mycol., 2, pag. 17, 1886. (7) Ellis J. B. e Everhart B. M., T'he Vorth American Phyllostictas, pag. 36, 1900. (8) L'autore doveva in ogni modo scrivere: Contothyrium pirinum (Sace.) Sheldon. 3 VA lostieta pirina Sacc., mantenendone gli stessi caratteri diagnostici, all'infuori del colore delle spore. Nel 1908 Carl P. Hartley ('), continuando gli studî e le colture mico- logiche di Sheldon, nota come i preparati di Corzothyrium tirolense Bubàk da lui esaminati gli facciano sembrare identica tale specie al Conzothyrium pirina (Sacc.) Sheldon. Intorno alle colture di questi funghi poco si sa di preciso. Sheldon scrive che « in colture le spore escono dai picnidii in masse brune ». Hartley le ottenne con vario successo negli ordinarî mezzi nutritizî, e su rametti freschi e sterilizzati di melo, rosa, pruno ecc.; ma non diede altri particolari. Avendo noi avuto occasione di osservare numerosissime colture di mi- cromiceti di specie diverse sopra svariati mezzi culturali allo scopo di stu- diare l’infinenza del terreno nutritivo, della temperatura, della luce ece. sopra la morfologia dei funghi, potemmo confrontare fra loro colture di Phyllosticta pirina Sace.. di Coriothyrium pirinum (Sace.) Shedoln e ma- teriale di Conzothyrium tirolense Bubàk. Avendoci l'esame accceurato di tali micromieeti dimostrato che le con- clusioni di qualcuno degli autori sopracitati non sono esatte, pubblichiamo subito quanto abbiamo potuto con certezza stabilire, eliminando anche dei dubbî che riguardano il valore di una specie che invece ha ragione di essere mantenuta come tale. Colture di Conzothyrium pirina (Sacc.) Sheldon e di Phyllostieta pi- rina Sace. in decotto di foglie di melo, inviateci dall’Assoc. intern. des botanistes di Amsterdam, seminate il 10 marzo 1915, e da noi osservate il 31 marzo, presentano i seguenti caratteri : Le colture di Conziothyrium avevano formato dei picnidii con spore brune che misuravano 4-5 X 2-2,5 «. Le colture di Phy/lostieta pirina avevan formato picnidii aventi spore Jaline che misuravano 4,5-6,6 X 2-2,5 4. Le spore di questa Pky//ostieta si sono sempre mantenute jaline anche dopo dei mesi; quelle di Conzo/hyrizim, jaline nei primi stadî di sviluppo, diventavano colorate solo dopo due o tre giorni. Spore di Phyllostieta pirina inoculate in terreno colturale costituito da patata, il giorno 31 marzo, il 9 aprile mostravano picnidii a spore jaline aventi le dimensioni 5,3-7X3,5 &. Osservate il 12 aprile, si presentavano ancora jaline; solo erano di dimensioni maggiori. Osservate il 19 aprile, erano identiche e Jaline; il 24 aprile esse erano sempre jaline e misuravano 7-9,3 X 4,6-5,8 &, Osservate le colture di Phyl/ostieta aventi la data del 10 marzo, esse erano sempre Jaline ed avevano le stesse dimensioni osservate il 10 marzo; vale a dire le spore erano giunte a completo sviluppo. (*) Hartley Carl P., Science, nuova serie, vol. XXVIII, pp. 157-159, 1908. RexpIconTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 6 FRONTE Spore di P. pirina inoculammo pure in agar glucosato il 6 aprile; e, osservate il 19, mostrarono la presenza di picnidii con spore jaline. Inoltre spore della stessa P/y/losticta seminate il 9 aprile sopra bar- babietola ed altre sopra carota, osservate il 26 aprile, avevano picnidii con spore jaline. Viceversa, spore di Cornzolhyrium pirinum seminate il 31 marzo in agar glucosato, osservate il 9 aprile, avevano spore jaline che misuravano 7X3,5-4 w. Il 12 aprile la stessa coltura aveva le spore che si erano colo- rate in olivaceo chiaro; il 19 aprile le spore della stessa coltura sì presen- tavano definitivamente olivacee. Spore di C. pirinum seminate il 6 aprile in patata, osservate il 19, avevano dato picnidii con spore che già erano colorate. Spore di C. pirinum, seminate il 9 aprile in barbabietola, erano olivacee dopo 10 giorni, come pure quelle seminate in barbabietola lo stesso giorno ed osservate il 26 aprile. Le misure delle spore erano eguali a quelle della coltura in barbabietola (7 X 4,5 p). Per gentilezza del prof. Bubàk Franz di Tabor, abbiamo potuto stu- diare pezzi di foglie di Pirus communis attaccate dal Contothyrium tiro- lense Bubàk, e dopo ripetuti esami dobbiamo concludere che esso Conzothy- rium corrisponde al micete al quale Sheldon ha dato il nome di C. pirina. CONCLUSIONI. 1°) I varii mezzi di coltura usati influiscono semplicemente sopra le dimensioni ma non sul colore delle spore del Conzothyrium pirinum (Sace.) Sheldon, e della Phyllosticta pirina Sace. 2°) Le spore del Conzothyrium pirinum (Sacc.) Sheldon nei primissimi stadî di sviluppo si presentano jaline come quelle della Plyl/osticta pirina Sacc., e quindi l'osservatore può essere tratto in inganno nella distinzione di queste due specie. 3°) Le spore della specie PAy/losticta pirina Sacc. si mantennero però, nei diversi mezzi colturali da noi usati, e nei diversi stadî, costantemente jaline anche quando la specie aveva raggiunto il suo definitivo sviluppo; negli stessi terreni nutritizî il Conzothyrium pirinum (Sacc.) Sheldon pro- duce invece spore colorate; quindi la Phy//osticta pirina del Saccardo non è un sinonimo del Cornzothyrium pirinum (Sacc.) Sheldon, ma è ben distinta da esso e va mantenuta come specie. 4°) La specie Conzothyrium pirinum, istituita da Sheldon, ha caratteri completamente eguali a quelli dati per il Conzothyrium tirolense Bubàk, e non può essere accettata’come specie distinta, ma va considerata come sinonimo di quest'ultimo, essendo il C. tirolese stato scoperto e descritto dal Bubàk nel 1904, mentre il C. pirinum dal Sheldon nel 1907. Numero di mole contenute E Chimica generale. — £quilibrio chimico ed azione dei sal: neutri (*). Nota di G. Poma e di G. ALBONICO, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Abbiamo pubblicato recentemente due Note (*) intorno all'influenza che i sali neutri esercitano sugli equilibrî omogenei di eterificazione; inten- diamo ora, occupandoci nella presente comunicazione dello stesso argomento, di riferire i risultati da noi ulteriormente ottenuti proseguendo nella nostra ricerca. L'indirizzo seguito e la tecnica sperimentale impiegata sono gli stessi che già dettagliatamente descrivemmo nelle Note precedenti. Allo scopo di completare lo studio dell’azione dei sali neutri sugli equi- librî omogenei di sistemi contenenti alcool metilico od alcool etilico e quan- tità assolute diverse d'acqua, abbiamo fatto le seguenti esperienze, nelle quali, come al solito, l'acido da eterificare era l’acido acetico. IRABELI ARIE: TABELLA 28. RECON GLCASOHa] = [H,0]:[CH,0H]=5 in assenza di sali neutri. sale neutro: Na Cl 2 norm. (i ( ) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Parma. *) Rend. Acc. Lincei, anno 1915, 1° sem. pp. 747 e 979. Numero di mole contenute in 100 cm8 X in 100 cem® X Tempo in ki kg —_—___—-—________| Tempo in ki ks all’inizio all'equilibrio cem? all’inizio all'equilibrio Cccm° = T = 00 =0) t= 0% a=:0;1200 | «1 = 0,0557 85° | 67,55] 0,0019 Ci =10N 20000495 26’ | 67.10| 0,0033 0I_073 33M NT 0;6741 94 | 63,00] 0,0019 b =0,6991 | di =0,6286 86 | 59,85| 0,0035 ci —=‘3169680i ce. = 3, (011) 150015765.) 050018 e=9,5150 | ce =3,5855.| 174 | 52,42] 0,0032 di_10 d,=0,0643| 259 | 53.70] 0,0018 ci—=0 d,=0,0705| 250 | 47,65) 0,0032 nn mon |PA9]02| 000018 362 | 43,30] 0,0032 i rea Da -— N07 , 0,00) 0,0032 $=1,6548 ; £=0,0643 | valor medio 0,018 ©" 1:3572 ; $= 0,0705 480 | 40, 0 = TTTTSZz® A] 9 = DA = 0,1552 k, = 0,00218 pie LA — 0,1231 valor medio 0,0032 ki la = 0,00033 ka k, = 0,00364 ks = 0,00044 TABELLA 8A. CH:0]:[CH;0H]=5 sale neutro: Li Cl 2 norm. TABELLA 42. [H:0]:[CH;0H] = 5 sale neutro: Ca CI, 2 norm. eq. Numero di mole contenute in 100 cem? X Tempo in kikka all’inizio all'equilibrio cem? =>) fi== (00 a 0,120008/02:=10/0487 21” | 67,58] 0,0036 07072 ni==1010359 82 | 59,80] 0,0036 C=8,55.080 |Uc1 —8,6280)| 169175: 11 | 1010036 Gl=10) d,=0,0713| 247 | 46,80] 0,0036 360 | 41,80] 0,0036 t=1,3527 ; £=0,0713 | 481 | 39,05] 0,0035 K= LA — 01198 valor medio 0,0036 1 ki = 0,00409 k,= 0,00049 TABELLA 5A. [H,0]: [CH,0H] = 5 sale neutro: Mg Cl, 2 norm eq. d= 031 2000Nat=:0950526 21’ | 67,85] 0,0037 b =0,6282 | 2, = 0,5608 55 | 63,20] 0,0037 c=98,1525 | c. =8,2199| 143 | 54,721 .0,0036 di==0 d,=0,0674| 217 | 49,80] 0,0036 329 | 45,00| 0,0036 &=1,2933 ; E=0,0674 | 445 | 41,90] 0,0035 K= ks — 01357 valor medio 0,00836 ki k, = 0,00416 ks = 0,00056 TABELLA 72. [H30]: [CsH;0H] -_ 10 sale neutro: KC12 norm. a=0,1200 | a. = 0,0879 56” | 69,35 | 0,00104 bi=1053789 AA=0/3468 115 67,85 | 0,00107 c=3,7886 | co =3,8206 | 237 | 65,15|0,00104 d=0 di=0,0321 | 354 | 63,20 |0,00102 E=1,8894 ; E=0,0320 valor medio 0,00104 K= È — 0,249 le, = 0,00 138 da 7:, = 000034 Numero di mole contenute in 100 cem? Tempo in ki — ka all’inizio all'equilibrio cem? = i=="100 ai= 0120001000512 20° | 67,50] 0,0040 b=0,5465 | Db = 0,5767 60 | 61,95] 0,0040 c = :8,2400 | ce, = 3,3088143 58500010039 d=0 d,=0,0688 | 222 | 48,20] 0,0088 334 | 43,50|° 0,0038 C=1,2930 ; $=0,0688 valor medio 0,0039 Kx=É— 01296 k, = 0,00448 ki ks = 0,00058 TABELLA 6°. [H207:[C,H:0H]= 10; in assenza di sali neutri. a=0;1200 | .a,= 0,0908 60’ | 69,55 | 0,00084 ‘ b=0,4012 | è,=0,3720 120 | 68,15 | 0,00083 c=4,0121 | co =4,0413 | 240 | 66,20|0,00074 up=0 d,= 0,0292 | 360 | 64,45 | 0,00073 t=2,3098 ; E=0,0292 |P estrapolaz. 0,00071 K= Fat 0,2862 ki1= 0,00099 ki ks = 0,00028 TABELLA 8A, [H,0]: [CH;0H]= 10 sale neutro: Na Ci 2 norm. ai=071200 a,= 0,0850 51’ | 69,25 | 0,00134 b = 0,3853 di ==013508 109 67,30 | 0,00134 c=3,8531 | c=3.8881| 229 | 64,05|0.00133 d=0 di=0,0350 | 347 61,06 | 0,00132 t=1,6909 ; E=0,0350 valor medio 0,00138 K= 2 — 0,219 ki = 0,00170 lea ks = 0,00037 TABELLA 98. CH30]:[C,H;0H]= 10 sale neutro: Numero di mole contenute in 100 cem? Li CI 2 norm. 45 — TABELLA 102. [H:0]: [C,H;0H]= 10 sale neutro: Ca CI, 2 norm. eq. X Tempo in cem? ki — ko all’inizio all’equilibrio d:0 pe=19 ai 01200 | a, = 0;0830 b=0,3879 | è, = 0,3508 ci-(3;32608 e, —:9)9156 di—=0 di 070370 6 =1,6313 ; £=0,0370 k K-f- 7 = 0,201 1 48’ | 68,95 | 0,00136 106 | 67,00|0,00137 226 | 63,68 | 0,00159 344 | 61,54 |0,00185 valor medio 0,00137 ki= 0,00171 k, = 0,00084 Numero di mole contenute in 100 cem? all’inizio all'equilibrio pr=z10) Gi=100 a=0,1200 | a, = 0,0865 b=0,3571 | d,= 0,3234 c=3,5708 | c. = 3,6044 GA=0) 0100897 è = 1,6563 “00 TABELLA 118. [H20]:[C4H;0H]= 10; sale neutro: Mg CI, 2 norm. eq. = 0,230 Numero di mole contenute in 100 cem? all’inizio =10) Liri00 Ci) ) Di—073.64700 = ‘01330942170 0412/((000.1383 c=8,6481 | e, =8,6825 1 337 | 61,90/0,00127 ai=0) di '0,0944 valor medio 0,00129 (= il Gt0) g EL |—____—= all'equilibrio a, = 0,0856 97 Tempo in cem? k, = 0,00166 kg = 0,00037 ki == ka 67,47 | 0,00127 X Tempo in Como e 55° | 69,05 | 0,00189 102 | 67,60 | 0,00140 222 | 64,35 | 0,00140 340 | 62,28 | 0,00135 valor medio 0,00138 Nelle esperienze fin qui compiute abbiamo studiato l’azione di una serie di cloruri, ed abbiamo così posto in luce l'influenza esercitata su di essa dalla natura chimica dei cationi dei sali neutri usati; abbiamo poscia ritenuto opportuno di studiare la stessa azione in rapporto alla natura chimica dei loro anioni. Abbiamo così impiegato il bromuro ed il nitrato di litio, usando cor- rispondentemente, come catalizzatore, acido bromidrico od acido nitrico, della stessa normalità alla quale prima avevamo adoperato l'acido cloridrico. TABELLA 12. Catalizzatore: H BrO, 2 norm. [H,0]:[C.H50H]=5 in assenza di sali neutri. 46 — IDA BETA: Catalizzatore: H Br0O, 2 norm. [H,0]:[C:-H;50H]= 5; sale ncutro: Li Br 2 norm. Numero di mole contenute in 100 cem? X Tempo in ki ks all’inizio all'equilibrio cem? 10 (A=00) = 012000) fat —0/0726 87’ | 68,00 | 0,00070 b=0,6500 | è, =0,6026 | 164 | 65,78 |0,00069 c=3,2494 | c, =3.2968 | 284 | 63,75 | 0,00069 d—0 di=0,0474 | 474 | 58,70/0,00068 t=2,2854 ; E=0,0474 | valor medio 0,00069 K="_— 0,280 le, = 0,00958 ka ta = 0,00268 TABELLA 148, Catalizzatore: HNO; 0, 2 norm. [H,0]:[C:H;0H]=5 in assenza di sali neutri. OO 20008 T=2010729 93” | 68,07 |0.00065 b = 0,6476 b, =0,6005 | 164 66,00 | 0,00065 CSV ci=383,2846| 241 63,95 | 0.00065 0 d,=0,0471| 482 | 58,98|0,00065 t—=2,8003 ; É=0,0471 valor medio 0,0065 K—f:_ 9089 La = 0,00090 li lg = 0,00025 AN i Numero di mole contenute in 100 cem8 Tempo in ki— ka all’inizio all'equilibrio cem? [lpemoit(} Di==100), a'='012004|z=050586 42’ | 68,00 |0,00179 b=0,6126 | 2, = 0,5512 90 | 64,90|0,00176 c=38,0617 | c.=3,1231| 164 | 60,88|0,00180 dE=0 d,=0,0614 | 238 | 56,70|0,00180 478 | 49,31/0,00178 C=1,4384 ; é=0,0614 | valor medio 0,00179 lea k, = 0,00215 es È= Aa rg to ko = 000036 TABELLA 15A. Catalizzatore: HNO,0, 2 norm. [Hs0] :[CsH;0H] = 5 sale neutro: LiNO; 2 norm. a=0,1200 | a, = 0,0598 96’ | 65,78 |0,00139: b=0,6071 bii= 0154701] 162 62,60 | 0,00139: cr=31039% ci = 3,0937 | 244 | 59,45 | 0,00136 di==i0 d,=0,0602 | 486 | 52,65 |0,00136 é=1,4692 ; E=0,0602 | valor medio 0,00138, K=®— 0,0176 k, = 0,00167 ai ls = 0,00029 In tutte le determinazioni di equilibrio fin qui riferite l'acido organico da eterificare era costantemente costituito dall’acido acetico; era interessante di eseguire alcune esperienze impiegando acidi diversi. Nelle misure che se- guono gli acidi usati successivamente, in presenza di alcool metilico ed etilico, furono il formico ed il propionico; il catalizzatore fu l'acido clori- drico O, 2 norm. Sn pg TABELLA 168. [C,H;C00H]=1.2 norm. CH:0]:[CH;0H]=5 in assenza di sali neutri. Numero di mole contenute in 100 cem? X Tempo in asa all’inizio all'equilibrio cem? Ù =:10 i =‘00 ai 031200 | a, = 0,0538 80’ | 67,58 | 0,00189 b=0,7186 | è, =0,6525 74 | 6440 |0,00186 Ci—=19:09999 ici —8,6595. | 138. |-60,09 1000189 d=0 d,=0,0662 | 277 | 52,50|0,00188 t= 15360 + E— 00662 valor medio 0,00188 x _ 0145 k,=0 00219 ki ke=0.00031 TABELLA 182. [C,H;CO0H]=1.2 norm. CASO]: EC, 0HJ]=5; in assenza di sali neutri. a=0,1200 | a.= 0,0695 105/ | 68,20 | 0,00060 Mi=10697300 Na (015867 170 | 66,30 | 0,00062 c=8,1858 | cr=3,2363 | 258 | 64,10|0.00064 i—0 di=0,0505 | 495 509,09 | 0.00064 E=2,0157 : £=0,0505 valor medio 0,00063 Ei 219 le, = 0.00083 ka ks = 0,00020 TABELLA 172. [C,H;C00H]=1.2 norm. [H.0]:[CH,0H]= 5 sale neutro: Li CI 2 norm. Numero di mole contenute in 100 cem? X Tempo in ki — ka all’inizio all'equilibrio cem? 10) ni=ic0 ‘a:= 0712008 Ma T='0}0441 35” | 64,54 |0,00352 dE=10 65100 e, OE 65 | 60,25 | 0,00350 c— 843508 Re —3;5109 95 | 56,51|0,00349 d=0 di=0,0759 | 145 | 51,70|0,00345 800 | 42,05 | 0,00344 par =".0759 î=1,2083 s=0,0759 valor medio 0,0084S x Ae Da K=-®—- 0,101 ki = 0.00387 lea lea = 0,00039 TaBELLA 198. [CaH;CO00H]=1.2 norm. PEGO,]=EG-H0Ha]="bî sale neutro: Li Cl 2 norm. O'—10120008 2100405 60” | 67.30| 0.0017 i 000788 |MNoa—='019938. MITO | 64201 100017 ci 308191727 160:7/9:] M0/0017 d=0 di=0,0745| 258 | 56,60| 0,0017 500 | 49,02| 0,0017 î=1,0931 $=0,0745 valor medio 0,0017 K=-®—=0,105 k, = 000189 Ra ka = 0,00019 Per l'acido formico abbiamo dovuto limitarci a determinare la costante finale di equilibrio, pel fatto che con questo acido, certamente anche per autocatalisi, la velocità di reazione era molto grande; d'altro lato, nelle nostre condizioni sperimentali, la elevata tensione di vapore dell’etere for- mico che avrebbe dovuto formarsi sarebbe stata causa di gravi errori speri- mentali. =. Joe TABELLA 202. [ECO] RO =ò PeErsc_0 [HCI]=0.2 norm.; temperatura 25°; [RCO,H]=1.2 . N. di mole cont. in 100 em? | Acido Alcool allo stato di equilibrio t= 00 2 k 100 4 N. da | Se TO 4 “Koi eterificare | eterificante da di Ci di IE ; RCO.H| ROH| H,0 |RCO.R| # 1 HCO,H GH;0H |0,0690 | 0,6997|3,8048| 0,0510| 0 0,249| — — p id. id. 0,0631 | 0,6670| 3,6763| 0,0569| 2 0,201 | 0,048 | 19,2 3 id. C.H50H 0,0851 | 0,6301| 3,3591| 0,0349 0 0,457 — — 4 id. id. 0,0759| 0,5950| 3,2376|0,0441| 2 0,316 | 0,141 | 30,8 5 | CH,CO.H CH,OH |0,0557|0,6741|3,7611|0,0643| 0 0155) — —_ 6 id. id. 0,0487 | 0,6359| 3,6280| 0,0713| 2 0,120 | 0,035 | 22,5 7 id. C.H;0H |0,0724 | 0,6034|3,3036| 0,0476| 0 0,279 | — - 8 id. id. 0,0605 | 0,5658| 3,1837/0,0595 | 2 0.181 | 0,098| 35,1 9 | C.HsC0.H CH,OH |0,0588 | 0,6525|3,6595|0,0662| 0 0,145 | — _ 10 id. id. 0,0441 | 0,6111| 3,5109| 0.0759 2 0,101 | 0,044 | 30,3 11 id. C,H;50H |0,0695 | 0,5867|3,2365|] 0,0505| 0 0,249 | — — 12 id id. 0,0455 | 0,5333| 3,1122] 0,0745 2 0,105 | 0,144| 57,8 CONCLUSIONE. Prendiamo ora rapidamente in esame i risultati esposti nella presente Nota e nelle altre due da noi già pubblicate, sullo stesso argomento, in questi Rendiconti. La prima conclusione generale che possiamo trarre è che, nelle condi- zioni sperimentali da noi realizzate, la presenza di un sale neutro sposta l'equilibrio omogeneo di eterificazione e di idrolisi, come se una parte del- l’acqua presente nel sistema venisse sottratta al giuoco immediato dell'equi- librio. Tale spostamento dipende innanzi tutto, in modo molto evidente, dalla concentrazione dei sali neutri adoperati e dalla natura dei loro cationi; esso cresce rapidamente al diminuire dell’elettroaffinità di questi ultimi: ordinan- doli infatti secondo la crescente attività presentata dai loro sali di un mede- simo acido, si ottiene la serie K',Na', Li, Ca' e Mg". Meno evidente, ma non trascurabile, è 1’ influenza esercitata dalla natura dell’anione. Così, mentre la presenza di due mole di Li C] per litro determina una diminuzione, nella costante K di equilibrio del 35,7 °/,, quella, ceterîs paribus, di due mole di Li Br fa diminuire la stessa costante del 40 °/, e quella di due mole di Li NO del 37,5 °/,. Nel loro insieme questi primi risultati potrebbero essere completamente spiegati ammettendo che i sali neutri in soluzione formassero degli idrati le Ag cui complessità crescessero al decrescere dell'elettroaffinità dei loro ioni. Ma contro tale ipotesi si eleva una grave difficoltà: Nella 25* tabella della se- conda Nota vediamo infatti che la presenza di una quantità costante di Li C1, in sistemi nei quali il rapporto molecolare iniziale tra l’acqua e l'alcool eti- lico varia come da due a dieci, determina una diminuzione della costante K di equilibrio che, fatta astrazione da piccole oscillazioni che potrebbero deri- vare dagli inevitabili errori sperimentali, sì mantiene invariata. Uno di noi (') ebbe già occasione di porre in luce un fatto analogo a questo. Come abbiamo ricordato precedentemente, l’azione esercitata dai sali neutri sulle concentrazioni apparenti degli ioni rameici può, per le condi- zioni sotto le quali essa si determina, essere spiegata con la formazione degli idrati in soluzione. La determinazione di tali concentrazioni ioniche veniva fatta mediante la misura delle f. e.m. di pile di concentrazione e in base alla nota teoria osmotica della pila ed alla conseguente formula del Nernst. La spiegazione, ammessa provvisoriamente, per interpretare i fatti ora ri- cordati, fu che in soluzione esistesse l'equilibrio Cu(H.0)} = Cu'+nH;0 «e che solo gli ioni anidri fossero elettromotoricamente attivi nello stabilirsi della differenza di potenziale tra l'elettrodo di rame e le soluzioni contenenti gli ioni rameici. L'aggiunta di una sostanza capace di combinarsi, in so- luzione, con l’acqua, stabilendo una concorrenza fra lo ione idratato e la sostanza stessa, doveva far crescere, nella soluzione, il numero degli ioni rameici anidri, anche se in realtà la concentrazione complessiva degli ioni rameici idratati e non, veniva a diminuire. Con questa ipotesi tutti i fatti messi in evidenza nel caso dell’azione dei sali neutri sulla concentrazione degli ioni rameici potevano essere spiegati senza difficoltà; nel caso degli ioni idrogenici, invece, mentre i fatti si ripetevano identicamente per quanto si riferiva all'ordine di attività spiegata dai detti sali neutri in rapporto alla loro concentrazione ed alla natura dei loro cationi, si è osservato che l'incremento apparente della concentrazione ionica dell'idrogeno era indipen- dente, o quasi, dalla sua diluizione. L’analogia con quanto abbiamo ora dimostrato nel caso degli equilibrî di eterificazione è evidente. Il fatto che la diminuzione della costante di equi- librio e l'incremento della concentrazione apparente dello ione idrogenico, determinati da una stessa quantità di sale neutro, si mantengano indipen- denti dalla quantità assoluta d'acqua presente nei rispettivi sistemi, appare difficilmente conciliabile con l’ipotesi che tali variazioni attribuisca soltanto alla formazione degli idrati in soluzione. Per chiarire questo argomento, che presenta un così elevato interesse in sè stesso, ma più ancora per l'intimo (*) Ztschr, physik. Chemie (1914) 87, 196; 88, 678. RenDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 7 IA EA rapporto che lo collega col problema fondamentale dello stato dei corpi in solu- zione, abbiamo già iniziato nuove ricerche sull'azione dei sali neutri in rapporto al potere solvente, al calorico specifico ed alle tensioni parziali di vapore delle miscele idroalcooliche. Come appare dalla ventesima tabella di questa Nota, l’azione dei sali neutri sulla costante di equilibrio è influenzata dalla natura chimica degli acidi organici da eterificare e da quella degli alcooli eterificanti ; infatti, tale costante cresce rapidamente al crescere dei pesi molecolari degli uni e degli. altri. È nostra intenzione compiere una ricerca, seguendo la metodica del Berthelot e del Péan de Saint Gilles, sulla costante dell'equilibrio di eteri- ficazione, in assenza di sali neutri, con alcooli ed acidi diversi. Vogliamo finalmente far osservare che l'azione acceleratrice esercitata dai sali neutri sulle singole velocità di eterificazione e d'idrolisi, come può dedursi dalle variazioni delle corrispondenti costanti di reazione X, e 4, è, generalmente, tanto maggiore quanto più elevata è l'affinità per l’acqua dei sali neutri impiegati; questo risultato quindi si differenzia nettamente da quanto venne dimostrato studiando l’azione dei sali neutri nelle ordinarie condizioni (*). È opportuno poi di rilevare che. nel caso presente, tale influenza fa crescere la velocità di eterificazione, in modo che, grossolanamente, può ritenersi proporzionale alla concentrazione salina complessiva; mentre invece essa determina sulla velocità d’ idrolisi incrementi minori di quanto vorrebbe la legge della semplice proporzionalità. È interessante di osservare che le ve- locità d’idrolisi e di eterificazione oscillano intorno a valori costanti, benchè il rapporto molecolare tra l’acqua e l'alcool varii fortemente. I risultati con- tenuti nella tabella 25* della nostra seconda Nota portavano a concludere che, in queste condizioni, le due velocità dovevano singolarmente assumere valori almeno fra di loro proporzionali; l'insieme di tutti gli altri risultati da noi ottenuti permette di spingere ancor più innanzi le nostre conclusioni e di. dire che dette velocità oscillano intorno a valori costanti, non ostante le forti variazioni delle quantità di acqua e di alcool presenti nei sistemi (?). (1) G. Poma, Veber Neutralsalzwirkung Medd. K. Vetéusk. Akad. Nobelinstitut, Bd. 2, n. 11. Uppsala, 1912. (?) Nella Nota precedente — questi Rend., anno 1915, 1° sem., pag. 979 — il proto scambiò l'intestazione della tabella 22% con quella della tabella 23%, e viceversa; nella tabella 25* la normalità iniziale dell’acido, acetico invece di 0,12, era 1,2; nella stessa tabella, in terza colonna, al posto di « concentrazioni molecolari di equilibrio » bisogna. porre «numero di mole contenute in 100 cem? ». Bee Fisiologia. — Microtitolazione alla formaldeide, e sue appli cazioni in fistologia. I. Generalità sulla microtitolazione alla formaldeide (). Nota del dott. A. CLEMENTI, presentata dal Socio L. LUCIANI (°). I Generalità sulla microtitolazione alla formaldeide. TEORIA. La microchimica ha per scopo di trasformare in micrometodi, i metodi dell'analisi quantitativa, introducendo nella tecnica dei metodi stessi mo- dificazioni tali, che ne sia resa possibile l'applicazione anche quando la quantità della sostanza da esaminare (solida o liquida) sia estremamente piccola (*). Se si consideri quale grande difficoltà, anzi quale ostacolo spesso insu- perabile, rappresenta nella ricerca biologica la scarsezza del materiale d'in- dagine, è facile comprendere di quanto ausilio sia questa nuovissima branca della chimica, applicata alla fisiologia e alla biologia. Basterà in proposito ricordare due micrometodi entrati recentemente nella pratica fisiologica: la microanalisi elementare delle sostanze organiche secondo Pregl (‘), e la mi- crodeterminazione del glicosio nel sangue secondo Bang (*). Il Pregl ha trasformato gli ordinarii apparecchi, usati nella analisi elementare delle sostanze organiche, in microapparecchi (ricordo ad es.: il mieroazotometro, la microbilancia, la quale permette di fare delle pesate con l’approssimazione di più o meno un millesimo di milligrammo), mercè l’uso dei quali si può eseguire l’analisi elementare di una sostanza organica adoperando anche solo 10 milligrammi della sostanza stessa; senza l’uso di questo micrometodo, sarebbe stato impossibile di condurre a termine ricerche importantissime come quelle eseguite recentemente da Tamura (°) nel Laboratorio di Kossel, sulla composizione chimica del protoplasma dei batterii, e quelle di Kossel (') Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica fisiologica della R. Università di Roma. (*?) Pervenuta all'Accademia il 2 luglio 1915. (3) F. Emich, Lehrbuch der Mikrochemie. Wiesbaden, Bergman», 1911. (4) Pregl, Die Mikroelementaranalise. Handbuch der biochemisch. Arbeitdmethode. (5) Bang, Der Blutzucker, pag. 20. Eine Mikromethode zur Bestimmung des Blutzuckers (Wiesbaden; Beremann, 1913). — Zin Verfahren zur Mikrobestimmung von Blutbe- standteilen. Biochemische Zeitschrift, 49, 1913. (5) Tamura, Zur Chemie der Bakterien (I, II, III, IV Mittheilung). Zeitschr. £. phy- siologische Chemie, Bd. 87 e 88 (1913, 1914). = OE e Ealbacher (') su alcuni prodotti di scissione di due protamine, la percina. e la tinuina. Bang ha elaborato, apportando modificazioni ingegnose, nella tecnica per raccogliere il sangue e nella concentrazione delle soluzioni un micrometodo per la determinazione del glicosio nel sangue; servendosi di questo micro- metodo è stato possibile al Bang stesso di eseguire assai interessanti ricerche ad es. sul contenuto in glicosio del sangue di vertebrati e invertebrati (rettili, anfibi, insetti, cefalopodi ecc.) di piccole dimensioni. La trasformazione in micrometodo del metodo di Schiff- Sorensen (?) della titolazione al formolo degli aminoacidi è l'oggetto delle presenti ricerche. A risolvere tale problema sono stato indotto non solo dalla importanza, che lo studio degli aminoacidi ha acquistato in fisiologia, ma anche dal sempre crescente numero di applicazioni fisiologiche del metodo di Schiff-Sorensen (8). Ricorderò, ad esempio, che mediante l'applicazione di questo metodo mi è riuscito possibile di elaborare un nuovo procedimento per la determinazione dell’azione dell’arginasi, che mi ha permesso di condurre a termine la ricerca sistematica dell’arginasi nel fegato e in svariati organi di tutte le classi di vertebrati, dalla quale è scaturita la dimostrazione biologica della importanza fisiologica dell’arginasi (‘) nell'organismo; e mì è riuscito possibile di elabo- rare un procedimento per la determinazione dell’azione dei fermenti pepti- dolitici, che permette di portare la dimostrazione quantitativa assoluta del principio della azione asimmetrica dei fermenti peptidolitici sui polipeptidi racemici (°). 3 Dalla trasformazione del metodo di Schiff-Sorensen in micrometodo è lecito di sperare quindi le più feconde applicazioni non solo nelle ricerche sul contenuto in aminoacidi del sangue o di altri liquidi dell'organismo, ma anche nelle ricerche sui fermenti che scindono i polipeptidi, e nelle ricerche sull’arginasi, le quali sono state ostacolate e rese ardue dalle difficoltà tecniche, che presentano la preparazione in quantità sufficiente dell'arginina e la sintesi artificiale dei polipeptidi. (*) Kossel und Edlbacher, Veder einige Spaltungsprodukte des Thynnis und Percins. Zeitschr. f. physiol. Chemie, Bd. 88 (1913). (#) Schiff, Ann. der Chemie, 310 (1899), 319 (1901), 325 (1902). (*) Sorensen, Enzimstudien. Biochemische Zeitschr., Bd. 7. (4) Clementi A., Veber die Verbreiting der Arginase in Tierwelt. Relazione sul IX Congresso internazionale dei fisiologi di Groningen. Arch. di fisiologia, vol. XII; Ricerche sull'arginasi.(Un nuovo metodo titrimetrico per la ricerca dell’arginasi, Rend. Acc. Lincei); Sulla diffusione nell'organismo e nel regno dei vertebrati e sulla importanza fisiologica dell'arginasi (Archivio di fisiologia, vol. XIII, 1915). (5) Clementi A., Contributo allo studio dei fermenti peptolitici sui Polipeptidi. Rendic. Acc. Lincci, vol. XXIV (1915). Spy SE PARTE SPERIMENTALE. Il punto fondamentale per la soluzione del problema della trasformazione del metodo di Sòrensen in micerometodo consiste nel dimostrare che i risultati, che si ottengono mediante la microtitolazione nell'analisi delle soluzioni di aminoacidi allo stato chimicamente puro, non differiscano molto dai risultati che sono da attendersi in base al calcolo teorico. Il quesito, la cui soluzione apparisce più difficile e a cui mi propongo di rispondere con altre ricerche, è quello riguardante l'applicazione della microtitolazione al formolo, quando nei liquidi da esaminare sono presenti sostanze le quali turbano l'esattezza dei risultati, come ad esempio nel caso in cui si voglia eseguire la deter- minazione quantitativa assoluta degli aminoacidi nel sangue. . Nelle seguenti analisi dirette a dimostrare sperimentalmente la possi- bilità di trasformare in micrometodo il metodo della titolazione al formolo, ho introdotto le seguenti modificazioni alle modalità della tecnica indicate da Sorensen: 1° uso di una soluzione 1/50x di idrato di sodio; 2° uso di soluzioni 1/1000x di aminoacidi o polipeptidi acqua priva di CO?; 8° uso di burette da 1 cme. divise in 200 parti; 4° per 10 o 20cme. di soluzione di aminoacidi, 1 cme. di miscela di formolo, in cui l’alcalinità è spinta possibilmente fino al rosso evidente (secondo stadio di Sérensen). Ho sottoposto all'analisi la glicocolla, la leucina, il dipeptide d/-leucil- glicina, e il guanidopolipetide glicociamilglicina. Qui sotto sono riportati per esteso anche i dati ottenuti nelle diverse fasi in un caso di microtitolazione al formolo: , EaE na Cantsollo Soluzione di glicocolla 1/1000 n Indicatore 1 cem. miscela di formolo | 9 cem. di soluzione Fenolftalcina 9 cem. di acqua distillata | 1 cem. miscela di formolo priva di CO?. cem. di Na OH 1/50n ado- | cem. di Na OH 1/50 ado- perati nella titolazione perati nella titolazione Colore rosa .. . .... 0,550 0,080 Colore rosso (evidente) . . 0,650 0,160 Colore rosso intenso . . . 0,750 0,260 SEDE ORA TaBeLLA I. — Glicocolla. itò tità d t Sostanza adoperata Indicatore Quantità Quen mp di Na OH 1/50x . della nella adoperato: ; soluzione R 0 fenolftaleina > » Lio) l i o E 1/1000 ” "AC del calcolato Colore rosso 10 0,490 98 evidente 20 0,965 96,5 Preparato di glicocolla Kahlbaum ..... | Colore rosso 10 0,490 98 intenso 20 0,965 99,5 In 10 cme., rispettivamente in 20 della soluzione di glicocolla adoperata, erano contenuti mgr. 0,751, rispettivamente mgr. 1,502; la microtitolazione ne dà presenti mgr. 0,735, rispettivamente mgr. 1,470. TapseLLA II. — Leucina. | Nn: E Quantità Quantità adeperata Sostanza adoperata Indicatore di Na OH 1/50% . della Melo adoperato: ; o Fenolftaleina soluzione inooni in °/o 1/1000 7 i del calcolato Colore rosso 10 0.490 98 evidente 20 0,950 95 Preparato di leucina Kahlbaum Colore rosso 10 0,500 190 intenso 20 0,975 97,5 TaBeLLa III. — dI-leucilglicina. La dl-leucilglicina fu SSONAtSso preparata da me se- PI } condo il procedimento evidente 10 0,500 100 indicato da Fischer e Brunner(Syzthese von Polypeptiden XI Lie- bies’ annalen der Che- | Colore rosso mie, 340. 1905). intenso 10 0500 100 PRRGI Hess TapeLLA IV. — Glicociamilglicina. ità Quantità adoperata Sostanza adoperata Indicatore Quantità Si Na 0H Nn della nella adoperato : soluzione fenolftaleina analisi 1/1000 x in cem. in °/o del calcolato La glicociamilglicina a- .1 | Colore rosso 10 0,000 0 doperata su secondo il a ) procedimento da me in- evidente 20 0,000 0 dicato (Clementi, S1n- tesi della Guanidogli- cilglicina, Gazz. chi- micaitaliana, an. XIV, | Colore rosso 10 0,000 0 parte I, fasc. 1). . . intenso 20 0,000 0 La glicociamilglicina si comporta come un corpo neutrale, nella tito- lazione al formolo. I risultati ottenuti nell'analisi surriferite portano alle seguenti con- clusioni : 1° la trasformazione della titolazione al formolo in microtitola- zione è praticamente possibile e da nel caso di soluzioni pure di aminoacidi, risultati conformi alla teoria; 2° risultati conformi alla teoria sì ottengono non solo nel caso in cui si analizzano soluzioni pure di aminoacidi come la glicocolla e la leucina, ma anche nel caso in cui sì analizzano soluzioni pure di poli- peptidi, come la leucilglicina e la glicociamilglicina; 3° la quantità di aminoacidi sufficiente per compiere un'analisi applicando il metodo della microtitolazione alla formaldeide può essere anche inferiore al milligrammo. Fisica. — Altre ricerche sul fenomeno di Stark- Lo Surdo nell’elio. Nota di Rita BRUNETTI (*), presentata dal Corrispondente A. GaRBASSO. Ho completate le osservazioni sullo spettro dell’elio in campo elettrico col metodo di Lo Surdo, i cui primi risultati sono stati pubblicati nei Ren- diconti dei Lincei, seduta dell’11 aprile 1915. Col semplice metodo spettroscopico non mi era riuscito di osservare una scomposizione sensibile delle righe 6678, 5876 (D:), 5016, 4713 dell'elio. Ho attribuito questo a difetto di risoluzione, e ho preso a esaminare con. uno scaglione le dette righe. (!) Lavoro eseguito nel R. Istituto di Studi superiori. Dgr Per questo ho proiettato la regione del tubo da esaminare, disposta ‘orizzontalmente, sulla fenditura orizzontale di un piccolo spettroscopio di Hilger munito di reticolo a gradinata. Lo scaglione che ho adoperato, è composto di 12 lastre di 1 cm. di spessore, col gradino di 1 mm. d’'ampiezza. Per cui a A= 5876 la di- stanza di due spettri successivi raggiunge circa 0,6 U. À., e il potere riso- lutivo circa 1/10 di U. À. Il tubo in cui aveva luogo la scarica era di mm. 1,5 circa di diametro. Ho usato potenziali sagli estremi del tubo compresi tra un minimo di 4000 volts e un massimo di 3000. La riga rossa dell’elio (6678) si scinde in tre elementi, come indica la figura 1: vale a dire un elemento centrale immutato, e due dalla parte delle À brevi a poca distanza reciproca e alla distanza media di 0,6 U. À. dalla principale (a 5000 volts). L'attacco delle componenti laterali della 6678 è alquanto sfumato e poco luminoso. i Della D; si vede risolto il doppietto. Ambedue gli elementi del doppietto sentono l’azione del campo elet- trico. L'elemento più intenso è sempre nettamente scisso in due componenti un poco dissimmetriche e a intensità luminosa differente. | L'elemento del doppietto meno intenso sì presenta pure scisso in due componenti, modellate, per la forma e la distribuzione della intensità, sopra le componenti del più intenso. La riga verde 5016 si scinde, nel campo, in due componenti, ambedue spostate verso le 4 lunghe, dalla principale in media discoste di 0,5 U. À. La figura 2 indica l'aspetto della 5016. La 4713 è di difficile osservazione per il colore e la luminosità. Tut- tavia in ripetute osservazioni, a osservatori differenti, è parso presentasse due elementi di scomposizione rivolti verso le lunghezze d’onda brevi. La scomposizione di queste righe è estremamente sensibile alle varia- zioni del campo nello spazio precatodico. Così che basta il forzare un poco il funzionamento del tubo, cioè bastano le variazioni nel campo elettrico conseguenti a un notevole riscaldamento dell’elettrodo, per produrre varia- zioni sensibili nell’aspetto della scomposizione. È certo, in ogni modo, che anche per queste righe l'aumentare del campo fa crescere lo scostamento delle singole componenti dalla posizione di riposo. Tanto che, usando campi di intensità enorme, al primo chiudere del circuito è stato possibile di vedere per un istante la 5876 scissa in due anche senza lo scaglione. Fia. 1. Fic. 2. SER, Iapesn Alle osservazioni pubblicate nella prima Nota e a quelle che qui rife- risco, mancano ancora l’esame dello stato di polarizzazione delle componenti la figura di scomposizione di ogni riga, e la visione complessiva del com- portamento delle righe di una stessa serie. L’esame dello stato di polarizzazione eseguito per alcune righe a occhio è stato confermato da prove fotografiche; per altre righe ho dovuto accon- tentarmi della sola visione diretta: e precisamente questo nel caso delle righe esaminate con lo scaglione. Nelle osservazioni per visione diretta analizzavo lo stato di polarizza- zione inserendo sul cammino del fascio luminoso proveniente dallo spazio precatodico un prisma di Nicol. Per prove fotografiche ottenevo due spettri contemporanei, con un prisma birifrangente collocato avanti alla fenditura, secondo il metodo noto (1). Riferisco qui riga per riga, così come esse si seguono nelle serie, i risultati dell'analisi di polarizzazione delle singole componenti. Queste nell'elenco sono indicate con Z,,4:,43,..., intendendo che sia A, > Ag > 43 +... Con n intendo il valore del parametro, che indica il posto della riga nella serie. I SERIE PRINCIPALE. Nessuna riga di questa serie è stata osservata. 1 SERIE ACCESSORIA. n=3 5876 1° elemento del doppietto 2 componenti 4,) non pol. À:) pol. ort. 2° ” ’ 2 ” À,) non pol. À») pol. ort. n=4 4471(°) 2 ’ À,) non pol. 4») non pol. n=5 4026 3 » = A;)non pol. 4) non pol. 43) non pol. (*) A. Lo Surdo, Za scomposizione catodica della quarta riga della serie di Balmer e probabili regolarità. Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, seduta del 1° marzo 1914. (3) Non avendo usato lo scaglione per l'osservazione delle righe 4471 e 4026, non ho visto il comportamento delle compagne di queste righe nel doppietto. RenpiconTI. 1915, Vol. XXIV, 8° Sem. 8 Pesi II SERIE ACCESSORIA. nu=3 4713 2 componenti 4,) non pol. 42) pol. ort. (?) II SERIE PRINCIPALE. n=3 5016 2 componenti ,) pol. parall. 4») pol. ort. III SERIE ACCESSORIA. ni Monia 8 componenti 4,) non pol. A.) non pol A) non pol. n=4 4922 4 ” À,) non pol. A») pol. ort. Az) non pol. 4,) non pol. (satellite) A,) non pol. 4.) pol. ort. 43) non pol. 4,) pol. ort. 4;) non pol. (satellite) ) ) (ba d » n=5 4388 n=6 4144 6 ” 4,) non pol. A) pol. ort. 43) non pol. 44) pol. ort. A;) pol. ort. 45) non pol. (satellite) IV SERIE ACCESSORIA. n=3 5048 2 componenti 4,) non pol. 4») non pol. (satellite) Da queste osservazioni si possono dedurre i seguenti risultati: 1°) Sta le serie accessorie, che le principali dello spettro dell’elio subiscono l’effetto del campo elettrico. 2°) Non tutte le serie dello stesso elemento si comportano allo stesso modo. Bag 8°) Nella prima serie accessoria si osserva che solo alla prima riga della serie appartiene un elemento di scomposizione polarizzato: del resto, pei primi tre membri della serie, cresce il numero delle componenti non polarizzate al crescere del parametro che indica il posto della riga nella serie. E questo è eguale al numero delle componenti, più due. 4°) In questa stessa serie, che è una serie di doppietti, per mezzo dello scaglione si riesce per la prima volta a osservare il comporta- mento di uno stesso gruppo di righe. E precisamente si vede che le righe dello stesso doppietto si comportano allo stesso modo. 5°) Se si esclude nella terza serie accessoria l'elemento corrispon- dente al parametro n= 3, - vale per gli altri elementi osservati la legge: gli elementi di scomposizione non polarizzati sono sempre tre, e gli ele- menti polarizzati ortogonalmente al campo crescono di uno al crescere del parametro. 6°) In ogni modo, in questa serie, senza escludere nessun elemento, si ha che dl numero delle componenti la figura di scomposizione corri- sponde al valore del parametro indicante il posto della riga nella serie, cioè questa serie si differenzia per il suo comportamento nel campo elet- trico da quello della serie di Balmer, solo pel numero delle componenti non polarizzate: e del resto per essa si può ripetere la legge che Lo Surdo ha enunciato per la serie di Balmer. Dal complesso di osservazioni raccolte sopra lo spettro dell'elio in campo elettrico risulta ancora: Alcune righe esaminate con mezzi di potere risolutivo mediocre pareva non presentassero scissione nel campo elettrico; osservate invece con mezzi di risoluzione di maggior potenza, si sono rivelate nettamente scomposte, fermi restando il valore del campo e le relative condizioni di eccitazione. Con ogni probabilità, variazioni quantitative del campo elettrico non pro- ducono una variazione di natura qualitativa nella scomposizione delle righe, ma piuttosto, variazioni sulla ampiezza delle scomposizioni. E la varietà dei risultati dipende, in generale, solo da differente potere risolutivo dei mezzi d'osservazione. Va infine messo in evidenza un altro dei vantaggi che presenta il me- todo di Lo Surdo oltre quello già segnato nella Nota precedente: è quello di mettere a disposizione dello sperimentatore tanta copia di luce da ren- dere possibile l’uso dello scaglione, e con questo un esame molto intimo della scomposizione elettrica delle righe d'un elemento. E. M. | Pubblicazioni delli R Accademia dei Lincei. }E Ko la È DELA | Forio 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII ce pe Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. pi i Cau 2% — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Volo (1907 76) Parte 13 TRANSUNTI. Egea i | 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, 3% MEMORIE della Classe di scienze morali, + PIANO storiche e filologiche. cai MW IV. V. VI. VII. VII sBerie 3a — - TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). pra MEMORIE della Classe di scienze TRO matematiche e naturali, agio Mo. (152): — IN) II-XIX i i | _x{°‘’0’00Memorig della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, Vol. I-XIIIL i Serie 4*— Renpiconti. Vol. I-VII. (1884-91). . MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, Vol. IX. ARE x Berio za - RENDICONTI della Classe di . science fisiche, matematiche e naturali. SARRI Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fase. 1°. Sem. 2°. GA _ _ °°vReENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. e Vol IEXXV.((1892=1915). ‘Fase. 1-2. © MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, pr Vol. I-XI. Fasc. 3. MxmORIE della Classe di scienze morali, SAI e filologiche. Vol. T-XIL fi. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE “A AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURATT DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 0, DS I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche ‘e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due Viole al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- | denti ognuno ad un semestre. x i AIA LI Dio ‘di associazione per ogni ino e pes tutta x Italia è di L. 19; per g gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni. si rirevono esclusivamente dai seguenti N editori- librai: i ha - ErmANNO Lorscrer & C.° — Roma, Torino e Firenze. — Urgico Hoepr. — Milano, Pisa e Napoli. li RENDICONTI — Luglio 1915. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie, sino al 4 luglio 1915. Angeli. Sopra il nero di pirrolo . . . . ; TERA Boggio. Resistenza effettiva e resistenza do di dal Socio I di N 1a REVO) Drago. Sull’attrito interno del nickel in campo magnetico variabile (pres. dal Corrisp. Battelli) » Ciusa e Benelli. Sulla preparazione e sulla scomposizione del fenilidrazone dell’aldeide fe- nilnitroformica (pres. dal Socio Ciamician). . . . . SA ST PAID Mascarelli e Martinelli. Ricerche intorno a sostanze av contenenti iodio pluriva- lente. (Di alcuni composti particolari ottenuti nella reazione di Sandmeyer, applicati a derivata della naftalina) (pres. Id.). . ..... È ROERO PMO CIAt Mascarelli e Sanna. Sulla isomeria degli acidi erucico, ERO isoerucico. Del e con- tegno crioscopico reciproco) (pres. Id.) . . . . 7 SIA Pollacci e Oddo. Influenza del nucleo o sulla (nai della clorofilla (e dal Socio Briosi) . . . ci ” Mutto e Pollacci. Ricerche RA allo specie : 0 caso vini (Sace.) sioni Phyllosticta pirina (Sacc.) e Coniothyrium tirolense (Bubàk) (pres. /d.) » Poma e Albonico. Equilibrio chimico ed azione dei sali neutri (pres. dal Socio Ciamician) » Clementi. Microtitolazione alla formaldeide e sue applicazioni in fisiologia. I. Generalità sulla microtitolazione alla formaldeide (pres. dal Socio Zuciani) . . Bia) Brunetti. Altre ricerche sul fenomeno di Stark-Lo Surdo nell’elio (a FRI Cossini Gar- DASEO) RR ER RISI SARI ENNA IA ARTO ERRATA-CORRIGE 12 SL dO A pag. 1248 di questi Rend., fasc. 12, 1° sem. 1915, devono essere soppresse le righe 8,9 e 10. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. i Roma 9 agosto 1915. N. 2. ii DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCHI ANNO CCCXII. 1915 SEB QUO LINEE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X.XIV°. — Fascicolo 2° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all’ Accademia durante le ferie smo al 18 luglio 1915. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d’arrivo) ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1915 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano * una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle idue sedute mensili del. l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. — 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus= sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che. vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino' i limiti indi cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro. priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono. restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 41915. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). AANANND Meccanica celeste. — Sulla regolarizzazione del problema piano dei tre corpi. Nota del Socio T. Levi-CIvITA ('). Le equazioni del problema dei tre corpi (per fissar le idee, sotto forma canonica, in cui sieno assunte come funzioni incognite del tempo # le coor- dinate e le componenti delle quantità di moto) costituiscono notoriamente un sistema differenziale regolare finchè le posizioni dei tre corpi sono distinte. _ Il comportamento del moto in prossimità di un urto fu in questi ultimi tempi oggetto di importanti ricerche, le quali culminano, si può dire, nella scoperta, dovuta al sig. Sundman (*), che (nel caso generale, in cui il momento risultante delle quantità di moto è diverso da zero) il moto è prolungabile analiticamente anche al di là di un urto, non ostante la singolarità delle . equazioni differenziali. Questo risultato rivela il carattere inessenziale (dal punto di vista matematico) della detta singolarità, e induce a domandarsi se non sia possibile di farla scomparire con mezzi diretti: intendo rima- nendo nell'ambito dei sistemi dinamici, con opportuni cambiamenti di va- riabile indipendente e di funzioni incognite. Nel caso particolare del problema ristretto, mostrai, alcuni anni or sono (), come l’intorno d’uno dei due corpi di massa finita si possa rego- (') Pervenuta all’Accademia il 183 luglio 1915. (*) Mémoire sur le problème des trois corps, Acta Mathematica, tomo 36, 1912, pp. 105-179. (3) Sur la résolution qualitative du problème restreint des troîs corps, Acta Ma- thematica, tomo 30, 1906, pp. 806-327. RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 9 SERI larizzare con una trasformazione affatto elementare (e atta a conservare la forma canonica).- Qualche ulteriore accorgimento — di cui la presente Nota — consente addirittura la regolarizzazione completa per il problema piano dei tre corpi. In modo preciso sì constaterà che si possono scegliere i parametri determi- nativi dello stato di moto e la variabile indipendente, per guisa che le equa- zioni differenziali del problema offrano comportamento rervolare anche per posizioni coincidenti di due dei tre corpi (rimanendo esclusa l’eventualità di una collisione generale, tostochè si supponga che non si annulli la co- stante delle aree): beninteso, senza perdere la forma canonica, nè la rego- larità per ogni altro stato di moto. La restrizione che si tratti di moto piano sembra concettualmente irrilevante, e si è tratti a presumere che analoga regolarizzazione possa raggiungersi anche per il problema generale. Ho incontrato finora qualche difficoltà nella costruzione delle trasformazioni regolarizzanti; ma non dispero di superarla con studio ulteriore. 1. — ForMULE DI LAGRANGE E DI R. BaLt. Siano P, (v=0,1,2)i tre corpi, my le loro masse, O il baricentro. Introduciamo i tre vettori R,=(Pi==0 (r=0,1,2) e le loro differenze (corrispondenti ai tre lati del triangolo PP, Pa) (1) r=P.,-P.=R.— Ri , r=P —Pir=R—Ra, r=P—-P=kR—R, convenendo di designarne le lunghezze con Ro, R,,R:, 0 rispettivamente Rosta: Sia poi P un punto generico, e si ponga d,=P,-P_, d=0—P, intendendo altresì che d, e d rappresentino le lunghezze di questi vettori (distanze di P da P, e dal baricentro 0). Si ha ovviamente disp, Pr (Pe 00) Re d, X d,, e tenendo conto che, per essere O il bari- 7) da cui, formando >, 0 centro, 2_ (2) D My R, = 0 , SE 5 si ricava la formula di Lagrange 2 2 2 2 Dama, = DR + md (m designa la massa complessiva mo + m + ms dei tre punti P.,). Facciamo coincidere P, successivamente, con P,,P,, Ps, Scrivendo per brevità J in luogo di x, My Ra (momento d'inerzia polare rispetto al baricentro). Avremo mr +mr=JI+mBiî, mork+mri=J+4+mBî, mort + m r=IJ-+mR8. SRI Ma ; Mo Mi Mm Moltiplichiamo queste equazioni ordinatamente per pen DI i drei. som- miamo, ponendo Mm, Ma x _ Ma Mo (3) Mole ei Re Ne scende la relazione notevole 2 (4) = 0 In modo sostanzialmente identico si stabilisce una espressione, dovuta a R. Ball ('), della forza viva dei tre corpi. Si consideri infatti il loro moto riferito al baricentro 0, o, più esatta- mente, ad un sistema di assi di direzione invariabile coll’origine in O. I vettori R, sono in tal caso funzioni del tempo %; e la velocità di P, rimarrà definita da R,, il punto sovrapposto designando derivazione ri- spetto a 7. Dalla derivazione delle (1), (2) segue che i vettori Ry (velocità asso- lute dei punti P,) e r, (velocità relative: specificamente, ro velocità di P. rispetto a P,, ecc.) sono legati dalle stesse relazioni (lineari) intercedenti fra R, e r,. Ciò basta ad assicurare che la forza viva del sistema dei tre corpì so] 2 ° (5) T=13> myV° (V, lunghezza del vettore R,), 0 (1) Cfr. E. J. Routh, Treatise on the dynamics of a system of rigid bodies (ele- mentary part), 6° ediz. [London, Macmillan, 1897], $ 424. SCIARE alla quale, nelle considerazioni precedenti, fa riscontro 4 J, può anche espri- mersi sotto la forma 2 ” . CE 2 (6) T=4 > mò (vy lunghezza del vettore r,). 0 2. — FUNZIONE LAGRANGIANA IN COORDINATE ASSOLUTE — LEGAME BA- RICENTRALE — TRASFORMAZIONE IN COORDINATE RELATIVE A LEGAME GEOMETRICO. Ritenuto che i tre corpi si attraggano secondo la legge di Newton, si ha la funzione delle forze 2 * (7) ini fe i i DIE To qr} Pa Ton Ty f designando la costante d'attrazione universale. Parametri atti a fissare la posizione dei tre corpi sono per es. le loro coordinate assolute (baricentrali) Xy, Yy, Zy (componenti dei vettori Ry). A mezzo loro e delle loro derivate xo 7 v. 3 Z, , sì possono ovviamente espri- mere U e T, e quindi (8) L=T+U. In questa accezione L costituisce la funzione lagrangiana del problema, e dà luogo, quando si voglia, alle equazioni esplicite del moto, di secondo ordine nelle nove coordinate assolute Xy,Yy,Zy, trattate a priori come indipendenti. In realtà esse sono legate dalla (2), ossia dalle tre equazioni che se ne ottengono proiettando sugli assi, ed è anche perfeftamente legit- timo il tenerne conto preventivamente, riducendo la L mediante la (2), con che essa viene a dipendere da sei (anzichè da nove) parametri e loro derivate prime. Tali sei parimetri possono, ben si intende, essere scelti a piacere, sotto l’unica condizione che le espressioni risultanti per le X,,Y,y,Zy (o, se si vuole, per i vettori R,) verifichino la (2). Per lo scopo che ci proponiamo, è essenziale l'osservazione seguente: Ai tre vettori R,, legati dalla (2), corrispondono diunivocamente i tre vettori ry definiti dalle (1) e in conformità sottoposti al vincolo (9) lo + tr, + Tt, = 0 * Per constatarlo [dacchè già le (1) dànno le r in funzione lineare delle R], basta mostrare che le (1) e (2) sono risolubili rapporto alle R. All’uopo, fissiamone una, per es. Ro, e mettiamo in evidenza nella (2) il termine mR, (m= mo 4- mm, + me). Avremo mR, + m(R, — Ro) + m°(R° — Ro) = 0. Questa, in base alle (1), fornisce senz'altro la voluta espressione di Ro. Complessivamente si ha Ma Mi hdi TT, mM Mo Ma 10 ki=-=@1==1 (10) ia YI Mm Rr= 0. Dalla (23) si ha Ta Li 20 i No MT Mi) (oi x Q0)° cea i e a I o Vl i donde apparisce che e a fortiori pis comporta regolarmente oo U anche per fj=70=0. (1) In quanto, qualora due @ (ossia due lati del triangolo dei tre corpi) si annul- lassero, dovrebbe di necessità annullarsi anche la terza, il che abbiamo escluso. ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 10 SEA 6. — Forma caNONIcA — FUNZIONE CARATTERISTICA. Introdotte (colle specificazioni qualitative di cui al precedente $) le coordinate lagrangiane 9g, (h=0,1,2,8), le equazioni del moto si potreb- bero senz'altro desumere dalla funzione lagrangiana -4, avendo cura di espri- merla mediante le g, e le g, = din, a norma delle (26). 1 Per lo scopo che ci proponiamo, non è indicata la forma lagrangiana (che risulterebbe ancora affètta da singolarità, quando le posizioni dei tre corpi non sono tutte distinte). Ma conviene ricorrere alla forma canonica, associando alle 9, le ausiliarie (coniugate) ad } 7 8 OT Detta 3 (27) O Sia 0 la forma quadratica (degli argomenti p) reciproca alla 27 (degli argo- menti g'), la funzione caratteristica del sistema canonico proveniente dalla A=T+ tI è, classicamente, E 9 —@— — (28) H=@—, l'integrale delle forze vive (19) assumendo la forma (29) ES Tutto ciò vale in particolare ove sì assumano quali parametri 9 quattro delle coordinate relative xy,Yv, per es. Zo Yo: 13%. Una tale scelta, che sì presenta spontanea ed è infatti conforme all'uso comune, ha però l’inconveniente già rilevato, di lasciar sussistere singolarità critiche nella U. Non sarà tuttavia inutile di esplicitare intanto la ®© in coordinate 0, Yo; X1,Y, @ relative coniugate pa, Py» Dei » Py, : CO ne varremo tra poco per rendere più spedito il passaggio alla forma definitiva. Dacchè, a norma dei vincoli (21), cxe=— (X04+ 2x1) , yi=t— (44%), la T rimane definita da 2T= U (mt + mi) (a + g02) + (mt + mò) (e + gi) + + 2mi(20x1 + 41), SEA a se ne desume agevolmente, ricordando le (3), la forma reciproca Ii 5 a (80) 20= ia(22 + 24) +2 (Pa, + Pi) — 2E(Pao Par 1 Puo Py) in cui si è posto, per brevità, Il 1 1 Il 1 (31) TESE LI May Ma Mo Ma Ma 7. — OSSERVAZIONI INTESE A FACILITARE LA TRASFORMAZIONE DELLA ©, Quando si eseguisce una generica trasformazione sui parametri indipen- Edenti 9, passando a nuove variabili y, le coniugate p si trasformano noto- riamente come le derivate di una medesima funzione @. Di qui una regola per ottenere comprensivamente i coefficienti — diciamo a” — della espres- sione trasformata di ©. Si parte dal parametro differenziale 3 dg =, 008 DIRSI D) dn dI relativo alle variabili 9, e, in esso, si sostituiscono materialmente, al posto delle a da i loro valori dn E Y dP_dM dXj dn | Di x | IP . in termini delle nuove derivate; e così per le Da. Nella espressione ri- Uk sultante del parametro si leggono senz'altro i coefficienti ricercati. Stabiliamo ancora un paio di identità, che ci saranno utili tra un momento. Una trasformazione binaria del tipo (22) compendiata in atiy=(E4+in)?, ove si sostituiscano provvisoriamente alle @,y;&,7 le combinazioni com- plesse (32) equivale a e sì presenta così a variabili separate. Ne segue D'altra parte, in virtù delle (32), CI DAS RA IP AR n) ded d6 dY 8 dE e quindi \ d@_, PILA _ 9 da dY de (33) dp POE: dP_ | da dY De: | colle analoghe relative alle lettere È, n,6,î. Ne ricaviamo, in primo luogo, 29) (29° _ 3996129301 ((29\° de) Sì o) 43; Da RECISE ana te tO donde, attribuendo alle varie lettere un indice v (v=0,1) e ponendo mente alla identità £, è, = 0). 80, Ra) Prendiamo poi le due formule dp_1U9d9 dg_1@0009 dé0 Di do i dé 2%, mA e moltiplichiamole membro a membro. Avremo 4 dp IP___L dd dio dix MI eroina che, per le (33) ed analoghe, può essere scritta DI, 22) dg 2) 1 (Cs dc a) ini regno (oa <= asd=- alle al = dYo i 1r i dY1 4% Gi DIS dNo BISI “I da Ove, nel secondo membro, si moltiplichi sopra e sotto per lo $, e si tenga conto una volta ancora delle identità &, i, = 03, si ha, eguagliando le parti reali, VIOLI ai dro dI dYo dY = gif +) (EI + E E — (fim — Moi) ( # Sa a " = i 8. — ESPRESSIONE ESPLICITA DI © {N COORDINATE É0, M0,$1;71- Immaginiamo ormai di assumere quali parametri indipendenti &;. 0, Sin USE Per formare l’espressione di © relativa a tali parametri, la via più spiccia è di prendere le mosse dalla (30), e di trasformarla, secondo i cri- teri esposti nel precedente $, a norma delle (22) (corrispondenti ai valori 0 ed 1 dell'indice »). Alla (30) fa riscontro 1 | 29) PP si TieL(Ga) + Ga ad Ig dd SOTA ) ali Re Gee i IX dYo i la cui trasformazione è immediata in base alle (34) e (35). Sostituendo addirittura nel 4 così trasformato, al posto delle derivate, i simboli pz, Pn : PE, Pn, delle variabili coniugate, si ha la cercata espres- sione di ©: uo: Qi a + 20%) ( Di, Pi, + Pn Pun) ser 0 las (7 UR 0), (Pi Pn — Pro re) | Ù 9. — REGOLARITÀ. Già abbiamo rilevato, alla fine del $ 5, che ta e 0. Se fosse 0 = 2nr + y (n intero >0 , y< 27), l'integrale si potrà spezzare in #-+ 1 intervalli (0,2r)(27r 47)... (nr ,2nr+ y), ciascuno dei quali risulterà composto di una parte positiva e di una negativa, della quale ultima il valore assoluto sarà inferiore a quello della prima. ln ogni caso, dunque, sarà « > 0; con che il teorema è dimostrato. La (6) si presta alla risoluzione di problemi riguardanti il massimo influsso degli accrescimenti della massa, qualunque sia la legge colla quale questi accrescimenti si verificano. Possiamo p. es. chiederci quale massima 2 | . 3 perturbazione, nel valore di > può aver luogo, durante una intera rivolu- zione, per effetto di una variazione totale (positiva) 47M nella massa. Nella espressione di e porremo 0 = 277, e per % porremo il limite superiore f.=. Otterremo un limite superiore di s sopprimendo gli elementi ne- O negativi dell'integrale, ossia limitando l'integrazione fra #7 e 277; con ciò risulterà (7°) eZ = a Il che è quanto dire (trascurando l'effetto della eccentricità) che la pertur- bazione unitaria nel raggio vettore non può superare (nel tempo di una rivoluzione) 3,15 del rapporto fra l'accrescimento della massa e la massa iniziale. 3. Se supponiamo l'incremento della massa espresso in funzione dell’ano- malia 9, la (6) dà senz'altro l'equazione della traiettoria, come l'Armellini PER. ha osservato. In particolare, se sì suppone l'incremento proporzionale alla anomalia 0, si dovrà nella (6) porre pr =yt e si otterrà (8) 1 LA8 (14 200089) + 7(9— send). e Derivando rispetto a 0, si vede subito che la derivata si annulla per valori di 9 uguali a multipli interi di 277: il che esprime che un tal modo di variazione della massa non altera la direzione dei perielii, i quali restano invariati nelle successive rivoluzioni ('). 4. Determinazione dei perielii e degli afelii. — Annullando la deri- vata di 7 rispetto a 0, otteniamo l'equazione che, teoricamente, determina la direzione dei perielii e degli afelii. Osservando che la derivata dell’in- tegrale rispetto al limite superiore, nel secondo membro della (6), è iden- ticamente nulla, otteniamo l'equazione: 0 (9) [Ao o, sen9— { pr cos(0 — a) dr= 0. 0 La determinazione effettiva dei valori di 9 non può, naturalmente, otte- nersi, se non quando si supponga nota la in funzione di 09. Si può tuttavia osservare che, a meno che l'integrale non sia esattamente nullo per 9 = nr (come nel caso contemplato al n. 3), lo spostamento angolare degli apsidi può essere molto rilevante quando la eccentricità es sia piccola. Si può ancora assegnare un limite superiore alle variazioni degli apsidi durante una intera rivoluzione quando si ammetta a priori che tali varia- zioni non superino un angolo retto. Supponiamo che sia 4M l'accrescimento totale della massa, mentre l'anomalia varia da zero fino ad un certo valore @ arbitrariamente scelto (p. es., un po maggiore di 277). In questo intervallo (') Per ottenere il risultato approssimato del sign. Lehman-Fihles citato dall’Ar- mellini, occorre osservare che, trascurando quantità piccole del 2° ordine rispetto ad eo e y, la (8) può scriversi et TIERAT po. =" (14, 0088 Ma sene)(1+200). 6 E NEReiE ; i : 1 Sostituendo, sempre per approssimazione, all’ultima parentesi l’espressione TRPRI. — 8 dove & è una costante, si ha il risultato enunciato del Lehman-Fihles, vale a dire che la traiettoria appare un ellisse il cui parametro diminuisce proporzionalmente al tempo. Ma questa approssimazione ha il difetto di far apparire spostata la direzione del perielio, il che in realtà non è. Del resto mi sembra assai poco chiaro il parlare di una traset- toria, della quale un parametro varia col tempo. Ciò non serve nè a definire geometri- camente la traiettoria, nè a dare la legge del movimento. Faccio eccezione, ben inteso, per le così dette orbite osculatrici, delle quali il significato meccanico è ben definito, e la applicazione astronomica molto importante. case girato sarà où il massimo valore della gr: e quindi, posto, nella (9), 27 + è in luogo di 6, sarà AM e (1 + 9) f il massimo valore assoluto dell'integrale che vi figura. Avremo pertanto (netta ipotesi 3 < 2) un limite superiore dello spo- stamento angolare + del perielio, risolvendo l'equazione i I Mo Affinchè un tal calcolo sia valido, occorrerà, naturalmente, che il valore trovato di 277 + + sia non maggiore dell'intervallo © scelto a priori. Altri- menti bisognerà ricominciare il calcolo con un valore più grande di ©. 5. Relazione fra il tempo e l'anomalia. — Indichiamo con { e T i tempi che, nel moto effettivo e nel kepleriano rispettivamente, occorrono per far variare l'anomalia da 0 a 6, e cerchiamo un limite superiore della differenza t—T, sempre nella ipotesi che la massa totale sia crescente. Dalla (1) abbiamo (11) T—(=- | (R°—°)d0, ove B=x.( + eo 008 6) è l’espressione del raggio vettore nel moto kepleriano. Scrivendo la (6) sotto la forma i 1 RT ed osservando che 1 [Aa I DES = pre = Ri rar R (; 2(3+I): la (11) potrà scriversi m-1=1l (erre 3+) dé TSO na È Chiamiamo R, R» il massimo ed il minimo valore di R nell'intervallo (0, 0), e, il massimo di e determinato come al $ 2 [formola (7')]. Avremo, ricordando che "< R, e che £>0, (12) T-1<È(2+a) fed. 1) SS Introducendo per « la sua espressione il px sen(0 — t) da, si verifica 0 i) i) f edo= pr }1 — cos(0 — )} de. 0 0 Infatti queste due espressioni si annullano entrambe per 6=="0, e le loro derivate rispetto a 9 sono eguali. Avremo dunque 2Rt/2 (E sl T_1<3 (nta) — gesen? 3 (9— 7) de. Sia 4M la massima variazione della massa totale durante una intera facilmente che Ca; , AM rivoluzione. Posto 0 = 27, sarà 27r/ x nell'ultima formola, e quindi l’espressione (13) a +a)/ 4 c° darà un limite superiore della perturbazione che, nella durata di una intera rivoluzione, è dovuta all’accrescimento della massa. Se si indica con @ il semigrand'asse, e con T il periodo della orbita kepleriana, si ha 2rra* V1— è D = a(1+ ©) R.=ua(1— @). La (13) può quindi scriversi 2T(1+e)/ 2 4M (1 — eifla (È 2}, +e, a M,’ ovvero, se sì trascura l’eccentricità e, nella parentesi, il termine «,0, risulta co=fM,a(1— e) c= di Mo Così per un incremento, poniamo, di un milionesimo della massa, il periodo resta alterato di meno di 4 milionesimi del proprio valore. DERIORE Astronomia. — Za nuova zona rossa coronale, fotografata dalla Misstone italiana nell’eclisse solare del 1914. Nota del Socio A. Riccò ('). Nell’adunanza del 17 gennaio scorso ebbi l'onore di presentare alla Accademia alcune delle fotografie fatte dalla Missione italiana per l’eclisse totale di sole del 21 agosto 1914, osservato in Teodosia (Crimea); e feci notare che in questa eclisse si era ottenuta per la prima volta una riga, o piuttosto una zona lucida rossa nello spettro della corona solare. In talune delle dette fotogratie — che sono un semplice ingrandimento ottico positivo delle negative originali, ingrandimento eseguito su carta foto- grafica dal sig. L. Taffara — la detta zona si vede con tutta sicurezza, ma però è, per sua natura, assai delicata. Invece nella negativa originale — fatta su lastra pancromatica Wratten per spettroscopia, sensibile all’ infrarosso, presa quasi alla fine della tota- lità, quando si produceva il /lash, ossia la ricomparsa delle righe lucide dello strato invertente — la zona in discorso, osservata col nostro macromi- crometro, che serve alle misure delle fotografie celesti e che ha l’ingrandi- mento 12, si vede ben distintamente, e nonostante la debole dispersione del prisma obbiettivo (angolo rifrangente 20°) con cui la fotografia fu ottenuta, vi si scorge anche traccia della divisione della zona nelle righe di cui è composta. Però desiderando di rendere l’immagine della zona ancora più evidente ed atta alla riproduzione in zincogratia con artifizii fotografici, senza però toccare la negativa originale, accolsi ben volentieri la cortese offerta di cooperazione del prof. G. Ponte, già assistente nell’Osservatorio, ora docente nell’ Università di Catania, molto esperto nelle operazioni fotografiche. Egli ha fatto una diapositiva ingrandita 3 !/, volte; poi di questa ha preso per contatto una negativa, che ha rinforzata col bicloruro di mercurio; poi con questa negativa ha tirato per contatto la positiva che qui presento; la quale è inevitabilmente un po’ dura, ma in essa la nuova zona è assai evidente, cosicchè è riuscita ben distinta anche nella zincografia che accom- pagna questa Nota (fig. 1). Questa zona si vede più distintamente al lato ovest del sole che sta per riapparire, ma si vede anche al lato opposto, quantunque non chiara- mente perchè si proietta su di una parte lucida dello spettro; in conclu- (') Pervenuta all'Accademia il 1° luglio 1915. Deco sione, la zona fa tutto il giro del sole, e più o meno evidentemente si osserva pure in altre di queste nostre fotografie di fasi diverse dell’eclisse. Da ciò si deduce che la sostanza coronale ignota, cui è dovuta questa zona, si estende a notevole altezza sul sole, poichè, quantunque la luna nel- l’eclisse fosse apparentemente più grande del sole, ed a Teodosia la massima fase sia stata 1.016, ossia di circa mezzo minuto di arco più grande del diametro solare, pure la zona di cui si tratta non fu interrotta in alcuna sua parte. CRORID, b F G h HK Fic. 1. — Spettro della cromosfera e della corona solare. R= Nuova zona rossa coronale. Il carattere della zona evidentemente non è quello dei gruppi di righe lucide del /ash, le quali inoltre sono tutte corte perchè appartenenti ad uno strato di pochissimo alto sulla fotosfera. La posizione di questa zona nello spettro, presso la riga C od Ha dell'idrogeno e presso al suo lato più rifrangibile (ove nè noi nelle eclissi totali di sole del 1900 e del 1905, nè altri in molte altre eclissi avevano osservato questa zona lucida), indicava che essa era nuova, e ci rivelava nella corona solare una sostanza non prima riconosciuta. La piccola dispersione del nostro prisma e la nota compressione della parte rossa dello spettro prismatico rendevano poco sicura la determinazione della lunghezza d'onda della nuova zona. Però con misure fatte colla grande vite orizzontale del macromicrometro, la quale dà direttamente i 300"! di millimetro, e con una costruzione grafica in grande scala fondata sulle righe note Hg, D:, H, e 6678 dell’elio, ho ottenuto subito per lunghezza d'onda So del contorno interno della zona, che è il più forte e più netto, Z = 6367 unità Angstròm. Le Missioni inglese, francese e spagnuola, con spettrografi più dispersivi, hanno potuto determinare più esattamente ed hanno presto pubblicato (?) la lunghezza d'onda della più lucida componente della zona in discorso, ed hanno dato 7 = 6374 unità Angstròm. La Missione inglese, diretta dal prof. Cortie (*), con fortissima dispersione ha inoltre trovato che la zona si compone di tre gruppi di righe, i quali sì estendono da 4 = 6363.0 a 4= 6643.9, cioè fin oltre la riga C. Recentemente il prof. E. Paci, dell’Osservatorio di Catania, ha assunto di fare colla formola d’interpolazione di Cornu la laboriosa determinazione della lunghezza d'onda delle righe del /lasf, ed intanto ha calcolato la lunghezza d'onda del limite concavo e più refrangibile della nuova zona rossa, adoperando come righe di riferimento le righe C, D3, F; ed ha otte- nuto 4 = 6363, che coincide con quello trovato da Cortie. Il limite esterno e meno refrangibile, nella nostra fotografia negativa non è determinabile con sicurezza per la presenza della riga C, grossa ed intensamente nera, che forse fa parere più chiara la nuova zona presso di essa riga. Di là dalla C non si riconosce con sicurezza la nuova zona. Vi si osservano le righe 6678 e 7065 dell’elio. Nello spettro della fotosfera non esiste una riga a 6374. Nel magnifico spettro fotografico, dovuto al prof. Hale, della fotosfera e delle macchie solari, intorno a quella lunghezza d’onda non vi è, per la fotosfera che una debolissima traccia di righe fine; per le macchie, proprio a 6374,3 vi è soltanto una riga debole, mentre poi fra i limiti dati da Cortie vi sono, nello spettro della fotosfera ed in quello delle macchie, molte righe e gruppi di righe forti; ed intorno a 4= 6495 vi è un gruppo fitto e for- tissimo che non ha riscontro nello spettro della corona. Scheiner (*) riporta lo spettro della cromosfera determinato da Young, e vi trova una riga debolissima a 4= 6374; ma Young stesso, nell’aureo suo libro The Sua (pp. 206-207) non mette questa riga nell'elenco delle righe della cromosfera. Recentemente Walter S. Adam e Cora G. Burwell hanno pubblicato (4) le lunghezze d'onda delle righe lucide della bassa cromosfera e del fask, ottenute con grande precisione, e senza eclisse, colla forre-telescopio ed un potentissimo spettrografo dell’Osservatorio solare di Monte Wilson. A A= 6374 non vi è alcuna riga, e neppure nello spettro della fotosfera di (1) Monthly Notices, febr. 1915, pag. 316. (3) Ivi, genn. 1915, pag. 116. (3) Spectral Analyse der Gestirne, pag. 198. (4) Astrophysical Journal, vol. XLI, pag. 153. Rowland, riportato per confronto; le righe più vicine sono 4= 6371 e À = 6278, entrambe assai deboli ed attribuite, da Rowland, la prima al ferro, la seconda al nikel. Ma poi il carattere della zona rossa coronale, che anche Cortie dice essere costituita da dands and flutings (bande e scana- lature), è affatto diverso da quello delle citate righe e gruppi di righe. E poichè gli spettri delle comete e degli idrocarburi (o del carbonio) hanno zone scanalate nel rosso, dirò che non ve ne è alcuna a 4= 6374. Negli spettri a serie di righe, dati dal prof. Kayser (') per 15 metalli, non ve ne è alcuno che abbia la riga 6374. L’Argon, l’Helium, il Kripton, il Neon, il Xenon non hanno nel loro spettro la riga 6374; il Neoholmium ha una riga a 6374,07, ma questo corpo non è ancora ben conosciuto; pare sia un miscuglio o un prodotto di di- saggregazione (*). Nelle nostre fotografie manca la riga verde coronale 5303, che ordina- riamente è la più intensa e la più frequentemente osservata; ed anche altre Missioni non l'hanno ottenuta. Però la Missione guidata da Cortie l’ha ottenuta in un gruppo di quattro righe, più deboli di quelle della zona rossa. In conclusione, la riga verde coronale in questa eclissi è stata tanto debole da non esser visibile, nè fotografabile per la maggior parte delle Missioni. Anche questo è un fatto nuovo o quasi nuovo perchè anche in eclissi precedenti e per qualche osservatore non fu visibile la riga coronale verde. Dunque in questa eclissi si è avuta, se non assolutamente la comparsa di una nuova zona spettrale rossa e la scomparsa della riga verde. per lo meno la zona rossa più che mai forte e la verde più del solito debole. Però bisogna notare che nei tempi recenti si hanno lastre fotografiche assai più sensibili al rosso, e si adoprano assai più spesso che non in passato: e ciò può aver condotto alla recente scoperta della zona rossa coronale per mezzo della fotografia. Quanto alla osservazione visuale della zona rossa in discorso, non pare che in passato abbia mai avuto luogo. Respighi (*) nell'eclisse del 1871, Gautier e Wolfer (‘') in quella del 1900, e certamente anche altri, hanno visto col prisma obbiettivo anelli colorati, e fra essi uno rosso, ì quali sono immagini monocromatiche della corona, sfumati verso l'esterno; ma quegli osservatori dichiarano che l'anello rosso corrispondeva alla riga C del- l'idrogeno, come gli altri anelli corrispondevano ad altre righe dell’ idro- geno e dell’elio. Evidentemente si trattava della luce della cromosfera riflessa 1 (1) Handbuch der Spectroscopie, vol. II, pp. 517 e seguenti. (3) Vol. V, pag. 67, 519, 647; Vol. V, pag. 163, 813. (8) Atti della R. Acc. dei Lincei Sess. IV, 3 marzo 1872. (*) Archives des sciences ph. et nat., vol. 10°, pag. 207. RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem, 12 "age dalla corona: quindi di un fenomeno affatto diverso da quello della nuova zona rossa coronale. Non ostante la brevità del tempo nella osservazione della eclisse che generalmente diminuisce la ponderazione, è difficile di ammettere che in passato abili osservatori non si siano accorti di una riga o zona rossa sensibilmente più refrangibile della riga C. Matematica. — Sulle vibrazioni di un filo elastico disteso su di una superficie levigata. Nota di BARTOLOMEO TASSARA, presentata dal Corrispondente 0. TEDONE ('). 1. Il dott. F. Sbrana (*) ha dato una soluzione generale del problema delle vibrazioni di una corda elastica tesa, attorno alla sua posizione di equilibrio, in un mezzo resistente. Ed è pervenuto a questa soluzione ser- vendosi della formula che il metodo di Riemann fornisce per l'integrale generale dell'equazione indefinita del problema, che è un caso particolare dell'equazione a derivate parziali lineare del 2° ordine, con due variabili indipendenti e a coefficienti costanti. In questa Nota vogliamo far vedere che il problema precedente può interpretarsi anche come quello delle vibrazioni trasversali di un filo ela- stico omogeneo disteso su di una superficie levigata a curvatura costante, o almeno tale lungo la linea che è figura di equilibrio del filo. Basterà perciò far vedere che le equazioni indefinite dei due problemi coincidono. 2. Sia (1) f(x, y,8)=0 l'equazione di una superficie levigata sulla quale sia disteso un filo flessi- bile qualunque, e sulla quale questo filo debba rimanere continuamente durante il suo movimento. Supporremo, come al solito, che le forze esterne applicate all'elemento ds del filo possano essere sostituite da un'unica forza : dell'ordine di grandezza di ds stesso, applicata ad un suo punto arbitrario e di componenti Xds, Yds, Zds secondo i tre assi coordinati x ,y,z. Inoltre, se con À indichiamo una indeterminata, le componenti secondo gli stessi tre assi dell’azione della superficie snllo stesso elemento della linea si pos- sono scrivere: (*) Pervenuta all'Accademia il 10 luglio 1915. (2) Vedi Sbrana, Sulle vibrazioni di una corda elastica in un mezzo resistente. Rendic. della R. Accad. dei Lincei, ser. 5%, 1° sem., fasc. 38° e 5°, TR Le equazioni del movimento del filo saranno quindi: Tg 2 (re) px pad, PIA ds PI {dA dy 3? 22) là = À — (2) STO noY (1 ds LEgai dy° da dm dI d/ + T da oto 2 3) 4242} dove con u indichiamo la densità del filo. Alle equazioni precedenti, perchè il problema del movimento sia deter- minato, bisogna aggiungere le condizioni agli estremi della linea a la con- dizione ds = cost, se il filo è inestendibile, o una data relazione T= /(60) fra T e la dilatazione @ che subisce l'elemento ds filo, se il filo stesso è elastico. Introducendo la nuova variabile {, per mezzo dell'equazione =, 1 potremo dare alle (2) la forma DICA df \Bzpetag YX+43 (2) o Se poi indichiamo con w e v un sistema di coordinate curvilinee qua- lunque sulla superficie (1), per modo che il quadrato dell'elemento lineare di questa superficie assuma la forma ds° = Edu° +2Fdudv+ Gdo, ed indichiamo la forza viva unitaria relativa all'elemento ds con (3) BG=t(2 + ye + <; °)= (Ex? + 2Fxv+ Gv) e con © l’espressione analoga (4) = (27 +y0 +23) = (Bui + 2F, vi, + Got dove o,= E sg=£ ti Spi DIA dI NI, i PI; i di 7 dX 7 du Lea U, = : — 88 — al posto delle (2) o (2') si possono ancora sostituire le altre | E bo PIC, n. \ “| di dw du > ne du ) d PIC) PIG DT PIA IS = — — DS La na dÎ IV = di, —t |+0 dove dY de dI dY dE mia — =X_-L+Y® ZL Qu vani: une avaro Qu 2, SARI ED, Nelle equazioni (5) la indeterminata 4 risulta eliminata; ed in esse le inco- gnite sono, ora, % e v. 3. Supponiamo che il filo sia teso e fissato agli estremi sulla super- ficie e non soggetto a forze esterne. Nella posizione di equilibrio, come è noto, il filo si distende secondo una geodetica della superficie. Scegliamo allora per coordinate curvilinee su di essa le geodetiche ortogonali alla geo- detica L, posizione di equilibrio del filo, e che chiameremo linee v, e per linee coordinate « le loro traiettorie ortogonali. Assumiamo a parametro l'arco delle geodetiche v contato a partire dalla L, che sarà quindi la «=0, e a parametro v l'arco della L contato da un suo punto fisso. È noto, allora, che il quadrato dell'elemento lineare della superficie assumerà la forma ds? = du? + Gdv® a /G (/G)w=1 , (215) no (). dU con Si avrà così (6) BG= 7 — 1 2 (7) T (u° + Go), (4° + Gui). Tenendo poi conto che, per essere le forze esterne nulle, Qu=0,Qv= 0, ed introducendo nuovamente il parametro s al posto di #,, le (5) si ridu- cono a du 1936 VY}= a (1) Tae 2° Ml ea de E ds ds 2 nu \7sf / 3 E FRI 2 A, i (1) Vedi Bianchi, Lezioni di geometria differenziale, ed. 1894, cap. VI, pp. 154 e 179.. ERRO 4. Supponiamo, ora, che il filo sia elastico e che compia soltanto delle vibrazioni infinitesime attorno alla sua posizione di equilibrio. in modo che sia soddisfatta la legge di Hooke, che cioè la tensione del filo sia propor- zionale alla dilatazione che essa produce nel filo stesso. Indicati allora con dv e dv gli incrementi che le coordinate di un punto qualunque del filo subiscono nel passaggio dalla posizione di equilibrio a quella di movimento, ad un dato istante, e con % e v le coordinate del medesimo punto allo stesso istante, sì avrà: u=du , v=v+d. Se poi indichiamo con T, il valore costante di T nella posizione di equilibrio, e con JT l'incremento che subisce la tensione stessa quando il filo passa dalla sua posizione di equilibrio a quella di movimento, si avrà pure: IT=-T,490T=1T4- 460, con X costante, e @ essendo la dilatazione che un elemento ds del filo su- bisce nel passare dalla posizione di equilibrio a quella di movimento. Si può osservare che o V(4 du)? + (do + d dv)? — dv == vie gegio ’ e quindi, trascurando infinitesimi di ordine superiore, dU e per T abbiamo BID, 9 = dei (9) T=T+% 7 Osserviamo ancora che, per una nota formola di geometria differenziale, indicata con K la curvatura totale della superficie, si ha, nel nostro caso, e perciò, lungo la linea u=0, 14/2 Ki: LI VG ) du? u=1l Sviluppando VG nell'intorno del valore x=0, in serie di Maclausin, si ha allora VG=1—4K#+... e quindi oi DIC, See o ic SCA (10) dU or Pa RE ER nio dove i membri stanno a rappresentare termini di ordine superiore. Sostituendo, nelle equazioni (8) del movimento, du al posto di « e v+ dv al posto di v, per T il suo valore dato dalla (9), per G e le sue derivate le loro espressioni date dalle (10); tenendo conto che ds = dv a meno di infinitesimi di ordine superiore, e tenendo conto soltanto dei ter- mini di 1° ordine, si avrà Î d° du d° du 4 \ TG =D PE Tod, (RO) 1 TA e) gi pe Se perciò supponiamo che la curvatura della superficie data (1) sia costante, o almeno tale sia iungo la linea posizione di equilibrio del filo, la 18 delle equazioni trovate (11) coinciderà con l’equazione indefinita del problema delle vibrazioni di una corda elastica tesa, attorno alla sua posi- zione di equilibrio, in un mezzo resistente. Possiamo anzi osservare che il nostro problema presenta una maggiore generalità di quella del problema accennato, potendo la curvatura K essere positiva o negativa per quanto il metodo dato dallo Sbrana per risolvere il suo problema basti a risolvere il nostro in ogni caso. La 2 delle (11) è l'equazione, molto nota, delle vibrazioni di una corda elastica tesa nel vuoto. O] Chimica. — Sulla isomeria degli acidi erucico, brassidinico, isoerucico. (Curve di saturazione dei sistemi binart) ('). Nota IV di L. MASCARELLI e G. SANNA, presentata del Socio G. CrAMICIAN (°). A complemento delle ricerche esposte nella III Nota (*), e per altre che abbiamo tuttora in corso, ci tornava utile il conoscere l'andamento delle curve di saturazione che si possono avere combinando due a due gli acidi erucico, brassidinico, isoerucico, behenico. L'esistenza di tre acidi aventi la composizione e la costituzione del- l’acido erucico, non può dipendere che da fenomeni di isomeria, o di poli- meria, o di polimorfismo. Le determinazioni della grandezza molecolare di questi diversi acidi, riportate nelle Note II e III, esclusero che si tratti di polimeria. Rimangono dunque i fenomeni di isomeria e di polimorfismo. Siccome la differenza tra polimorfismo ed isomeria chimica sta sopra tutto nel fatto che il primo è legato allo stato cristallino. mentre la seconda può esistere anche allo stato liquido, e gassoso, così lo studio dell'equilibrio solido-liquido nei varî sistemi binarî possibili tra questi acidi poteva esserci vantaggioso. Nell’eseguire le curve di solidificazione non abbiamo potuto applicare il metodo di analisi di van Bijlert per accertarci se le due sostanze erano solubili allo stato solido e in quale misura, e ciò per le ragioni già dette nella III Nota; tuttavia dai risultati della stessa Nota abbiamo modo di conoscere e classificare i varî tipi di curve, perchè conosciamo i valori dei pesi molecolari che, a piccole concentrazioni, hanno questi varî acidi sciolti reciprocamente negli altri usati come solventi. Quindi nei diagrammi qui riportati la curva coniugata, che rappresenta la composizione del solido, è tratteggiata approssimativamente. Dall'esame di queste curve si ricava che: I) l'acido erucico ed îl brassidinico | ®® dànno cristalli misti; le loro curve sono costituite di due II) l'acido erucico e l'isoerucico rami (su cui si separa il sol- DA . . ; vente puro) incontrantisi in un III) l'acido erucico ed il behenico punto eutettico. TE. : È OTO dànno cristalli misti limitata- IV) l'acido isoerucico ed il brassidinico | mente; le loro curve risultano Wiu'nedotirassidimicoted al belie con ancora di dueftami (Gu.cni però sì separano cristalli misti). dànno cristalli misti in tutti i rapporti; la curva è rappre- VI) l’acido isoerucico ed il behenico sentata da un solo ramo, che giace tutto fra le temperature di fusione dei due componenti. È (') Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica farmaceutica della R. Università di agliari. (*) Pervenuta all'Accademia il 12 luglio 1915. (*) Rend. R. Accad. Lincei (1915). == igor Tralasciando l’acido erucico, che entra come componente dei primi tre sistemi, nei quali non vi ha formazione di cristalli misti, per tutti gli altri acidi vi può esser dubbio se tutti siano monomorfi o se piuttosto non si tratti di sostanze, in parte almeno, dimorfe, le quali presentino contempo- raneamente il fenomeno dell’isodimorfismo. Si sa che i tipi di curve sono gli stessi, sia che si tratti di due componenti isomonomorfi, o di due compo- nenti isodimorfi, purchè in questo secondo caso i cristalli misti che si otten- gono, abbiamo la forma cristallina del componente che è in prevalenza. È ben noto l'esempio del solfato di magnesio (Mg SO, .7H:0) e del solfato di ferro (FeSO,.7 H:0): il primo allo stato puro cristallizza sempre nel si- stema monoclino; però dalle soluzioni miste dei due sali si separano cri- stalli misti rombici o monoclini, a seconda che prevale l’uno o l’altra sale. La forma rombica può contenere fino al 18.8 °/, di solfato ferroso; la mono- clina fino al 54,0°/, di solfato di magnesio. Si spiega questo fatto ammet- tendo che entrambi i sali siano dimorfi, sebbene una sola forma sia stabile quando i sali si trovano allo stato puro. Dalle soluzioni miste invece ognuno dei due sali può, per così dire, costringere l’altro a cristallizzare nella propria forma. Anche in questi casì di isodimorfismo si sa che la curva di saturazione mostrerà un punto multiplo là dove cessa la formazione di una specie di cristalli e comincia l'altra specie. Lo studio poi delle soluzioni solide esteso ai composti organici ha di- mostrato che buona parte di questi, sebbene non sieno fra loro isomorfi nello stretto senso della parola, tuttavia possono dare reciprocamente cristalli misti. È quindi assai verosimile che gli acidi brassidinico, isoerucico, e behe- nico (componenti dei sistemi IV, V, VI), pur non essendo tutti isomorfi, diano cristalli misti per fenomeni di isopolimorfismo. Ci piace far notare come le curve ottenute per i varî sistemi (vedi diagrammi nella parte sperimentale) rappresentino i principali tipi- stabiliti per via teorica dal Roozebeoom (?) e precisamente i tipi I, IV, V nel caso di formazione di cristalli misti. Nessuna delle curve accenna alla formazione di composti; lo che elimina la possibilità che il terzo isomero, non prevedibile dalla teoria, possa risultare da un prodotto di addizione degli altri due. Nel seguente prospetto riassumiamo il contegno reciproco di due qual- siasi degli acidi da noi studiati. La disposizione è quella adottata dal Tammann (*) per esporre in modo sinottico il comportamento reciproco degli (*) Zeit. f. physik. Ch., 30, 385 (1899). (*) Zeit. f. Elecktrochemie, /4 (1908); e Bruni, Feste Lòsungen und Isomorphismus, Leipzig 1908. ago a elementi e specie dei metalli nei fenomeni di saturazione che avvengono nelle miscele binarie. acido V xv DI erucico curva I curva II curva III acido xVx xVx brassidinico curva IV curva V acido XX 1s0erucico curva VI acido behenico V = Semplice eutettico: i componenti non formano composti nè cristalli misti. xVx = Cristalli misti limitatamente; curva con eutettico. X—T—-X= Cristalli misti in tutti i rapporti; curva unica senza eutettico. Dallo specchio subito si rileva che: tutte le coppie contenenti acido erucico hanno un contegno normale; l'acido behenico ha comportamento normale con l'acido erucico; dà cristalli misti limitatamente con il brassidinico; dà cristalli misti in tutti i rapporti con l'isoerucico; l'acido brassidinico ed isoerucico dànno cristalli misti limitatamente. Se anche qui, come nella maggior parte dei casi finora studiati per sostanze organiche, la solubilità allo stato solido è indizio di somiglianza di costituzione e (pei derivati etilenici) di configurazione, dobbiamo con- cludere che l'acido erucico è quello che ha configurazione diversa da tutti gli altri, perchè vi si mantiene in tutti crioscopicamente normale. Gli acidi bra ssidinico ed isoerucico, che sono allo stato solido solubili, il primo limi- tatamente, il secondo completamente nell’acido behenico, avranno configura zione simile a quest'acido. Si comprende, poi, che l’acido brassidinico e l’iso- erucico diano tra loro cristalli misti. Ciò, come si vede, conferma pienamente quanto si disse nelle Note II e III: lascia però insoluta la questione della esistenza di due acidi a legame etilenico aventi costituzione trans. RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 13 Serg4 ro Occorrono perciò altre ricerche, che abbiamo già intraprese, tenendo conto dei lavori di Biilmann (*), e di Stobbe e Schénburg (*). Alcune però ci sono riuscite negative; altre non sono ancora sufficientemente controllate: ci riserviamo quindi di tornare sull'argomento prossimamente. PARTE SPERIMENTALE. Tutti gli acidi vennero purificati secondo le indicazioni date nelle Note precedenti. Nella provetta crioscopica essi solidificavano : acido behenico. . . . . . . punto di solidificazione 79°.2 ni ErUCICOn..a o n, A ” ” 389.3 » brassidinico . . .. . ” ” 58°.3 » ISGGEUCICO . do LL + ohh ” ’ 519.2 Le determinazioni vennero fatte in corrente di gas inerte (*). I. Sistema acido erucico - acido brassidinico (diagramma 1). — Da quanto è detto nella Nota III possiamo escludere che nei due rami della curva si separino cristalli misti. Il punto eutettico è alla temperatura di 31°.7, concentrazione circa 83 °/, di acido erucico, 17°/ di acido brassi- dinico. (O) 100% 220 78 (8000 AO OM OSATO MO 90 100 acido erucico acido brassidinico II. Sistema acido erucico - acido isoerucico (diagramma II). — Sui due rami si separa il solvente puro, poichè i pesi molecolari reciproci sono nor- (') Ber. d. d. chem. Ges., 42, 182, 1444 (1909). (?) Liebig's Annalen, 402, 187 (1914). (3) Per brevità riportiamo qui solo i diagrammi dei varî sistemi; pubblicheremo per esteso in altro luogo tutti i dati sperimentali. Bene mali (Nota III). L'eutettico è alla temperatura di 29°.7 e alla concentra- zione di circa 78°/, acido erucico, 22°/, di acido isoerucico. Root) CT Relnner ue 1: 339,3 Pri E, erucico DI RARITÀ III. Sistema acido erucico - acido behenico (diagramma III). — Anche qui sono normali i pesi molecolari dei due acidi sciolti reciprocamente l'uno nell'altro (Note II e III). L'eutettico è alla temperatura di 33°.1, concen- trazione circa 96 di acido erucico e 4 di acido behenico (diagramma III.is). SEELOTTIE LE BU ILERENDE, ATEO] ocz) Su Ra Die] acido erucico i TIR IV. Sistema acido isoerucico - acido brassidinico (diagramma IV). — L'anomalia crioscopica reciproca dei due acidi è assai forte (Nota III). La curva di saturazione mostra che si tratta di due sostanze, le quali formano una serie ininterrotta di cristalli misti, che ammettono un punto di transi- zione il quale giace a temperatura intermedia tra i punti di fusione dei due componenti. Il punto di transizione è alla temperatura di 52° circa e con- centrazione circa 45 °/ di acido brassidinico e 55 °/, di acido isoerucico. Questo sistema appartiene al tipo JV di Roozeboom. x Cie Si55 60° id Piva LAI RIPA 589,3 0 10 €20. (3000 N40) N50 MSIGO70 N80 OOUIAT0O acido isoerucico acido brassidinico V. Sistema acido brassidinico - acido behenico (diagramma V). — Su entrambi i rami della curva si separano cristalli amisti (Note II e III). La 800 400 (o) 10 E O 0 OE 000) 100 acido brassidinico acido behenico curva appartiene al ripo V di Roozeboom. L'’eutettico è a temperatura di 57°.2 e concentrazione 91 °/, di acido brassidinico e 9°/ di acido behenico. a 7 VI. Sistema acido isoerucico - acido behenico (diagramma VI). — I due x acidi dànno una serie ininterrotta di cristalli misti. La curva è costituita SÌ =] © (co (=) ° 752 ve, Aglio: n 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 acido isoerucico acido behenico di un solo ramo decorrente fra i punti di fusione dei due componenti: appar- tiene quindi al tipo I di Roozeboom. Chimica fisica. — Sulla variabilità dei coefficienti di tem- peratura di reazioni fotochimiche con la lunghezza d'onda. Nota di M. PapoA e TERESA MinGANTI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN ('). Le esperienze eseguite da uno di noi con A. Zazzaroni (*), per deter- minare i coefficienti di temperatura di trasformazioni fototropiche con luci variamente colorate, rendevano desiderabile di esaminare dal medesimo punto di vista alcune reazioni fotochimiche, delle quali sia ben nota la vera natura. Per ora abbiamo pensato di ricorrere alla reazione di Eder, perchè fra le più facili ad esaminarsi, la quale consiste nella precipitazione di calo- melano, per azione della luce, da una soluzione acquosa di ossalato ammo- !) Pervenuta all'Accademia il 10 luglio 1915. (°) (3) Questi Rendiconti, I, 828 (1915). sang gs nico e cloruro mercurico (40 gr. di ossalato ammonico in un litro d’acqua, e 25 gr. di cloruro mercurico in un mezzo litro): reazione da assimilarsi alla grande classe delle reazioni fotochimiche di ossidazione-riduzione. Questa reazione è stata utilizzata, dall'autore citato, per un attinometro, e per questo venne studiata con cura speciale. Roloff (*), riprendendo lo studio di questo liquido attinometrico, riuscì ad aumentare la sensibilità, preparandolo nel seguente modo: alla soluzione di Eder, saturata con ossalato ammonico, sì aggiunge, a piccole porzioni nitrato mercurico, finchè precipita l’ossalato di mercurio, e poi si filtra. Questo liquido, secondo Roloff, è tre volte e mezzo più sensibile del pri- mitivo. Secondo Jodlbauer e Tappeiner (?), conforme ai dati di Gros (*), la sensibilità viene di gran lunga aumentata per aggiunta di traccie di sostanze fluorescenti, come la tetrabromo- e la tetraclorofluoresceina. Eder (‘) ha ancora trovato che i raggi più attivi sulla sua soluzione sono quelli violetti ed ultravioletti, e che quelli rossi gialli e giallo-verdi non agiscono affatto. Anche l’azione della temperatura è stata da Eder esaminata per un intervallo notevole (*). Dai dati di Eder, riferentisi ad esperienze eseguite con la luce solare, si calcolano facilmente i seguenti coefficienti di tempe- ratura: da.-15* a 125 3 a. 20%at90% ne 219094000 AR Nelle nostre esperienze abbiamo fatto uso della luce di una lampada ad arco, luce che veniva concentrata e filtrata attraverso dei palloni sferici riem- piti con le soluzioni opportune (°). La temperatura veniva mantenuta co- stante per mezzo di un termostato, in cui, lateralmente, era praticata una piccola finestra provvista di una lastra di quarzo; una provetta di vetro 0 di quarzo, a seconda delle luci impiegate, contenente la soluzione sensibile, veniva posta dentro il termostato in corrispondenza della finestra. Per la (*) Zeitschrift fir physikalische Chemie, XIII, 330. (*?) Photoch. Mitt., 296 (1905); Berichte, 38, 2602. (*) Zeitschr. f. physik. Chem., XXXVII, 188. (‘) Eder e Valenta, Beitrige zur Photochemie II, 18 (1904). (5) ibidem, pag. 11. (5) I particolari relativi sono descritti nella citata Nota di Padoa e Zazzaroni. SA) luce ultravioletta adoperammo una lampada a vapori di mercurio, facendone passare la luce attraverso una soluzione di nitrosodimetilanilina ('). Il liquido sensibile fu preparato secondo le indicazioni di Roloff; ma, non ostante la maggior sensibilità, anche da noi verificata, rispetto alla miscela di Eder, nelle nostre condizioni non si potevano ottenere se non piccole quantità di precipitato; e d'altra parte non sarebbe stato conveniente di provo- care una precipitazione abbondante, per non incorrere negli errori inerenti alle variazioni di concentrazione. Per tali ragioni abbiamo ricorso, per le pesate, al metodo della microanalisi secondo Pregl, pur valendoci di una bilancia chimica comune, resa però più sensibile del solito. Per le luci bianca, bleu ed ultravioletta, potemmo servirci semplice- mente della soluzione predetta; per la luce verde, poichè questa non vi agiva se non con estrema lentezza, abbiamo aggiunto alla soluzione qualche goccia di una soluzione acquosa diluita di tetrabromofluoresceina. Oltre a ciò, abbiamo fatto altre esperienze, facendo agire la luce bianca su questa soluzione sensibilizzata, abbreviando il tempo di esposizione per evitare la formazione di un precipitato abbondante, che, oltre a far variare la concentrazione della soluzione mercurica, avrebbe fatto diminuire la quan- tità del sensibilizzatore, trascinandolo seco in buona parte. Per cause non sempre precisabili, si ottennero talvolta delle notevoli oscillazioni in successive esperienze fatte in condizioni eguali. Ma contro gli eventuali errori ci siamo garantiti eseguendo un grande numero di deter- minazioni; tanto è vero che le medie generali di tutte queste esperienze corrispondono perfettamente alle medie di quelle più attendibili, qui ri- portate : Luce impiegata Tempo Temperatura Peso del pre- di esposizione cipitato (1074 gr.) Biancato E. Gui 0, 30' 20° 12 ” 12 12 ” 30° 16 16 16 ” 20° 22 ” 30° 24 26 ” 40° 33 34 36 (*) Questa sostanza lascia passare anche dei raggi verdi, gialli e rossi; ma questi non potevano agire sulla nostra soluzione in modo apprezzabile. — 100 — Luce impiegata Tempo Temperatura Peso del pre- di esposizione cipitato (107* gr.) Bianca con sensibilizzatore . DI 20° 48 52 54 46 ” 30° 84 81 2.5 40° 85 101 128 108 Ultravioletta . . . . . . 30" 20° 16 14 18 15 18 ’ 40° 17 18 18 19 Bleu scuro toe a 45' 20° 16 19 12 ’ 40° 20 26 20 Verde con sensibilizzatore . . 30' 20° 32 28 29 ’ 40° 93 93 91 Per mezzo di questi dati si calcolano facilmente i seguenti coefficienti di temperatura, per l'intervallo da 20° a 40°: Zona luminosa Massimo d’intensità Coefficienti (4) (4) Luce bianca (nostre esperienze). _ _ 1.29 ’ » (secondo Eder). . _ — 1.24 » ultravioletta. . . . . 400-280 366 1.05 » bleu scuro . . . . . 478-410 448 1.21 » verde con sensibilizzatore 540-505 933 1.75 » bianca » ” — —_ 1.50 — 101 — Risulta evidente che, conforme a quanto si è trovato in precedenza per le sostanze fototrope, i coefficienti di temperatura aumentano col crescere della lunghezza d’onda della luce agente; il valore trovato per la luce bianca, in perfetto accordo con i dati di Eder, non è che la risultante dei varî coefficienti caratteristici per le singole lunghezze d'onda delle luci attive semplici. Anche con la luce bianca il sensibilizzatore usato fa innal- zare notevolmente il coefficiente di temperatura, perchè rende preponderante l’azione di raggi (gialli, verdi) che senza di esso non avrebbero agito se non in maniera trascurabile; il valore massimo si ottiene con la luce verde. La luce rossa non agisce neppure col sensibilizzatore. A proposito di reazioni sensibilizzate con sostanze fluorescenti, vogliamo fare osservare che nel processo di assimilazione delle piante la clorofilla agirebbe contemporaneamente da catalizzatore e da sensibilizzatore, secondo le vedute di Timiriazeff (') che sono generalmente accettate; il massimo d'azione si trova nella regione del giallo e dell’aranciato: ora, da certe esperienze di Kreusler (*°) sulla dipendenza dell'attività di assimilazione dalla temperatura, si rileverebbe un incremento notevole, tanto che, passando da 2°.35° a 1.8, tale attività diviene 2,8 volte maggiore. Da questo dato si può calcolare il coefficiente di temperatura, che sarebbe 2,14: senza voler dare troppo peso a queste deduzioni, che potrebbero esser alterate dai fattori biologici non facilmente calcolabili, ci sembra si possa ritenere che, anche in questa reazione fotochimica di capitale importanza, il coefficiente di temperatura dev'essere assai superiore ad uno. Dal complesso dei dati finora rilevati, e da altri fatti che verranno esposti in seguito, sembra dovrà esser alquanto modificata l'opinione, ora generalizzata (*), che le reazioni fotochimiche siano sempre caratterizzate da voefficienti di temperatura vicini all'unità. (') Czapek, Biochemie der Pflanzen, pag. 614 (1913). (*) André, Chimie agricole, pag. 96 (1909). (*) Vedi, ad esempio, D. Berthelot, Compt. Rend., pag. 440 (1915). RenpIcoONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 14 — 102 — Fisiologia. — Microtitolazione alla formaldeide e sue appli- cazioni in fisiologia ('). Nota II del dott. A. CLEMENTI, presentata dal Socio L. Luciani (°). II; Applicazione allo studio dei fermenti peptidolitici della microtitolazione alla formaldeide. In ricerche precedenti (5) io ho studiato l’azione dei fermenti peptolitici sui polipeptidi mediante la determinazione quantitativa dei gruppi aminici liberi. I risultati, ottenuti colla microtitolazione alla formaldeide, nella analisi di soluzioni di aminoacidi e di polipeptidi chimicamente puri (4), mi hanno fatto prevedere la possibilità teorica di applicare la microtitolazione al formolo nello studio dei fermenti che scindono i polipeptidi, ottenendo il vantaggio dell'uso di quantità di polipeptidi ancora inferiori a quelle adope- rate nelle ricerche precedenti in cui ho impiegato il metodo originale di Sorensen. Ho studiato nelle seguenti esperienze con questo procedimento l’azione del succo pancreatico, dell'estratto acquoso di fegato e di muscoli sul dipeptide 4/-leucilglicina; le prove decorsero sempre sotto l'influenza antisettica del toluolo. TABELLA I. QUANTITÀ ADOPERATA e] 48 oRE A 87° IN TERMOSTATO DI Na 0H'1/50% ISUoNO dl-leucilglicina 1/10007 cme. 10: Estratto acquoso di fegato di vitello cme. 0,2. Moluo10 CNC CT 1,170 Acqua distillata cme. 10: Estratto acquoso di fegato di vitello cme 0,2. MOTORI RR N on 0,425 Rericrazo da 1,000 Come leucina + glicoeolla . . . l trovato . . . 0,745 in mmgr. in 0/o Neszlanta Fs 1,88 100 dileucile cina ee e | idrolizzata. . 0,94 50 (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica fisiologica della R. Università di Roma. (*) Pervenuta all'Accademia il 2 luglio 1915. (*) A. Clementi, Contributo allo studio dell’azione dei fermenti proteolitici sui polipeptidi. Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. XXIV, serie 5°, 1° sem., pag. 972. (4) A. Clementi, Microtitolazione alla formaldeide e sue applicazioni in fisiologia. I. Generalità sulla microtitolazione alla formaldeide. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XXIV, serie 5*, 2° sem., pag. 51. — 103 — TABELLA II. QUANTITÀ ADOPERATA 48 oRE A 37° IN TERMOSTATO pi Na OH 1/50 n IN omo. dl-leucilglicina 1/10007 cme. 10: Estratto acquoso di fegato di vitello cme. 0,2. INoluo10RCMe MR. SRO. deo: 1,050 Acqua distillata cme. 10: Estratto acquoso di fegato di vitello cme. 0,2. AMbbalo ame) e e e n 0,425 ( calcolato E 1,000 Come leucina + glicocolla . . . a io E 0,625 in mmgr. Info ( aggiunta In5 1,88 100 dI-leucilglicina. . ./.. 0... 2 l iarolizzata. . 0,47 25 TABELLA III. QUANTITÀ ADOPERATA [«) Jo 48 ORE A 87° IN TERMOSTATO pi Na OH 1/50 n IN omo. dl-leucilglicina 1/1000 7 cme. 20: Estratto acquoso di muscolo pettorale di cane liberato dal sangue e freschissimo eme. 0,5. . . . 1,200 Acqua distillata cme. 20: Estratto acquoso di muscolo pettorale di cane CNC OE NI SVI TTT datti 0,150 calcolato 0. 2,000 Como leucina + glicocolla . . .. trovato . . . 1,050 in mmgr. in °/o (ERO e 3,76 100 CECCHI ENICIT A N l idrolizzata. . 0,18 5 — 104 — TABELLA IV. ———_—_————-- -=* *---——————_—_—————————=—=—-;i QUANTITÀ ADOPERATA (2 ORE A 87° IN TERMOSTATO DI Na0H1/50 A en ioti dl-leucilglicina 1/1000 x cme. 20: Estratto acquoso di mucosa intestinale di vitello OMCAO O RR 1,850 Acqua distillata cme. 20: Estratto acquoso di mucosa intestinale di vitello CID CHIODI TN INI NIN N 0,400 ( calcolato RE 2,000 Come leucina + glicocolla . dP Ò (Cazioe a 1,450 in mmgr. in °/, ( aggiunta DE 3,76 100 Paola ero de lidrolizzata 1,68 45 TABELLA V. QUANTITÀ ADOPERATA (0) 48 ORE A 37° IN TERMOSTATO Di Na0H 1/50n in'ome dI-leucilglicina 1/1000 x cme. 20: Estratto acquoso di muscolo di vitella cme. 0,2. 1,300 Acqua distillata cme. 20: Estratto acquoso di muscolo di vitella cme. 0,2. 0,300 calcolato . . 2,000 Come leucina + glicocolla . trovato.‘ . . 1,000 in mmgr. in °/o (aggiunta . . 3,76 100 alleuciloli cina i e idrolizzata . 0,0 0 — 105 — - TaBELLA VI. x g90 QUANTITÀ ADOPERATA GIORNI A IN TERMOSTATO N DI Na0H 1/50 n IN cme. dI-leucilglicina 1/1000n cme. 20: Estratto acquoso di muscolo di cane (lavati con acqua e lasciati 24 ore a temperatura ambiente) Cmc ario n le 1,325 Acqua distillata cme. 20: Estratto acquoso di muscolo di cane cme. 0,5. 0,310 ( calcolato Se 2,000 Come leucina + glicocolla . (trovato RI 1,015 in mmgr In °/o | aggiunta - 3,76 100 dl-leucilglicina . . 1 $ ( idrolizzata . 0,0 0 TaBELLA VII. QUANTITÀ ADOPERATA pi Na0OH 1/50 n IN cme. 7 GIORNI A 37° IN TERMOSTATO di-leucilglicina 1/1000 n cme. 20: Estratto acquoso di fegato di cane MEDA 24 ore .della morte dell'animale) cme. 0,5. . 1,435 Acqua distillata cme. 20: Estratto acquoso di fegato di cane cme. 0,5. 0,200 ( calcolato De 2,000 Come leucina + glicocolla . . .. l'irovato Sars: 1,285 in mmgr. in °/o ( aggiunta 30% 3,76 100 d-leucilglicina . 53 ( iarolizzata A 0,87 25 — 106 — I risultati ottenuti in queste esperienze confermano, per quanto riguarda l'erepsina intestinale e la peptidasi epatica, i risultati delle mie ricerche precedenti ('). e cioè dimostrano quantitativamente, che solo la metà (o meno della metà) della quantità totale della 4/-leucilglicina sottoposta alla loro azione viene idrolizzata dai fermenti peptidolitici; dimostrazione quanti- tativa del principio dell’azione asimmetrica dei fermenti peptidolitici sui polipeptidi racemici, dedotto finora specialmente dalle osservazioni pola- rimetriche. Per quanto riguarda l'azione degli estratti muscolari sulla d/-leucilgli- cina i risultati ottenuti nelle presenti ricerche meritano qualche considera- zione, poichè da essi non si.rileva, che l'estratto muscolare abbia esercitato un'azione evidente sul dipeptide; è da ricordare in proposito, che in alcune esperienze Aberhalden e Teruuchi (?) facendo agire succo ottenuto con la pressa di Buchner da muscoli di vitello su gr. 1,5 di glicilglicina, su 4 gr. di leucilglicina e su 4 gr. di glicildl-alanina adoperando il metodo della eterificazione, non poterono constatare alcuna scissione dei dipeptidi aggiunti oppure una lievissima scissione. Gli Autori rilevarono questo fatto, ma non si credettero autorizzati per ciò a concludere, che il succo pressato di vitello possiede poca o nessuna azione proteolitica; essi ricordarono, che in altre esperienze, dove fu adoperato succo di muscoli freschi di coniglio, si potè constatare un'azione proteolitica. Per spiegare quindi questa contraddi- zione essi emisero l'ipotesi, o che i muscoli di vitello non sono adattati alla scomposizione e alla rigenerazione rapida delle proteine a differenza dei muscoli di conigli, o che i muscoli, adoperati nella loro esperienza, non erano abbastanza freschi; conclusero in ogni modo rilevando, che questo fatto meri- tava di essere ulteriormente studiato. tanto più che nel succo di muscolo di cane, essi trovarono presente l'azione proteolitica. I risultati delle mie ricerche credo che mettono nuovamente sul tappeto il problema della esi- stenza e del comportamento dei fermenti peptidolitici nel tessuto muscolare : infatti, oltre l'ipotesi di Aberhalden si può fare un'altra supposizione e cioè, che la presenza o l'assenza di sangue nel tessuto muscolare adoperato deter- mini o partecipi alla variazione dei risultati delle diverse esperienze: mi riservo frattanto di riprendere la questione e mediante ricerche esaurienti risolverla definitivamente. Le conclusioni, a cui le presenti ricerche conducono sono le seguenti: 1°. La microtitolazione alla formaldeide può trovare campo di applicazione fecondo nella ricerca e nello studio dei fermenti che idrolizzano i polipeptidi. (*) A. Clementi, loc. cit. (?) Aberhalden e Teruuchi, Studien der die proteolistitche Wirkung der Prebsdàfte einiger tierischer Organe sowie des Darmsaftes. Zeitschrieft f. Physiologische Chemie. Bd. 49, 1906, pag. 5. — 107 — 2°. La dimostrazione quantitativa del principio di Emilio Fischer del- l’azione asimmetrica esercitata dalle peptidasi sui polipeptidi racemici, che a me è riuscito di portare per la prima volta applicando il metodo originale di Sorensen, scaturisce anche da queste ricerche in cui fu applicato il me- todo della microtitolazione al formolo. 8°. A spiegare i risultati negativi ottenuti per quanto riguarda l’azione peptidolitica di estratti acquosi muscolari sono necessarie ulteriori esperienze che stabiliscano la parte che nel determinismo di tali risultati spetta al sangue o al siero di sangue. Mi riserbo di studiare la possibilità pratica dell’applicazione della microtitolazione alla formaldeide per la determinazione dell’azione dell’argi- nasi, per la ricerca quantitativa degli aminoacidi nel sangue e in altri liquidi dell'organismo. : ; i dara du R. Accat domia del Lincei. Dre della Reale ia dei Lincei. ono XXIV-XXVI. erie 2% — Vol. I. (1873-74). : Vol. IL (1874-75). Vol. MI. ato; nia Parte 1% TRANSUNTI.. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. ie sa MEMORIE della Classe di scienze morali. SUULIC e PIodogione: SE 1 IV. v. VI. VIL VIII Hi, ca sa TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. - Vol. I-XIIIL Berio A. — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884- 91). ‘a i — MamorIE della Classe. "di scienze sen matematiche e naturali, ; Vol. I-VII. - MemoRIE della * Classe di “scienae morali, storiche e filologiche, Vol IX. i MEA Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fasc. 2°. Sem. 2°. Voli XXIV. (1892-1915). Fasc. 1-2. © MieorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e e naturali. Vol. I-XI. Fasc. 3. | MemorIE della Classe di scienze morali, PROT e filologiche. Vol TX. CONDI ZIONI DI ASSOCIAZIONE 1 DELLA R. ACCADEMIA DRI LINCRI Di Hondiconi delli Classe di scienze fisiche, matematiche oi della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due denti ognuno ad un semestre. ; S. n prezzo di. associazione per ogni Foloi e per tutta "Italia è è di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più, Le: associazioni sl ricevono esclusivamente dai seguenti La Ca E id: Dono e Firenze. - Ursico Morri. — Milano, Pisa e Napoh. volte al mese.. Essi formano due volumi all'anno, CORTISDORES © MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. vr rie. EE — -Raitpiconi della. Classe di scienze Asione) Msnilione e naturali, | RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, RENDICONTI — Luglio 1915. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCIO PRESENTATE DA SOCI pervenute all’Accademia durante le ferie, sino al 18 luglio 1915. Levi-Civita. Sulla regolarizzazione del problema piano dei tre corpi. . . . . . . Pag. Pizzetti. Sul problema dei due corpi nel caso di masse variabili . . . . o Riccò. La nuova zona rossa coronale, fotografata dalla Missione italiana Aell'eclistà solare dello lA azzo, ; 7 Ù ”» Tassara. Sulle vibrazioni di un filo dda o su dié una parità loviesta (oe dal CorrispalZie4dona)a nni SIZE ART ar io) Mascarelli e Sanna. Sulla isomeria Menli acidi erucico, C sbrass RO isoerucico. (Curve di saturazione dei sistemi binarî) (pres. dal Socio Ciamician) . . + FURL Padoa e Minganti. Sulla variabilità dei coefficienti di temperatura di reazioni fotoni imiche con la lunghezza d’onda (pres. Id.) . . . . Se caio sl o oe Clementi. Microtitolazione alla formaldeide e sue AA in io II. Applicazione allo studio dei fermenti peptidolitici della microtitolazione alla formaldeide (pres. dal SOCLO/ LU AANA)T: SITA NE O OS I SEO eg a RO See ICI SIA 0 IE TN O E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. È ira LIDI Pubblicazione bimensile. Roma 21 agosto 1915. N. 5. AIOI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCHI ANNO CCCXII. 1915 SHIE,ILILH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXIV®°. — Fascicolo 3° 2° SEMESTRE. ©» Comunicazioni pervenute all’ Accademia durante le ferie sino al 1° agosto 4915. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo) TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1915 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da ‘Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; «due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono’ oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, cho ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus» sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo. a carico degli autori, RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1945. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d’arrivo). Geometria. — Sulle superficie algebriche d'ordine 6 con infinite coniche. Nota di GruserpE MARLETTA, presentata dal Cor- rispondente G. CastELNUOVO ('). Scopo di questa Nota è di assegnare le superficie algebriche d’ordine n = 6, con infinite coniche tali che i loro piani costituiscano un inviluppo di classe u=4, cioè (*) di classe massima. 1. Sia y una superficie algebrica irriducibile d'ordine n= 6, avente un fascio (*) di coniche (%) generalmente irriducibili. Indichiamo con (7) l’inviluppo (irriducibile) costituito dai piani di queste, inviluppo che supporremo sempre di classe u= 4, e con s il numero di coniche di (%) esistenti in un piano generico di (7). È noto (‘) essere (1) 12=2us4+d + 20, (!) Pervenuta all'Accademia il 18 luglio 1915. (8) In generale: per una superficie d'ordine n> 4, è sempre u4. Vedi De Franchis, Le superficie irrazionali di 5° ordine con infinite coniche [Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XV, ser. 32 (1906)]. (4) Loc. cit, in (1). RenpIcONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 15 — 110 — ove d è il numero dei punti doppî dell'involuzione Iì secata dalle coniche di (X) sopra una sezione piana generica c di y; e d' è il numero di quei punti (distinti o no) di c, su ognuno dei quali cadono (su due rami) due punti coniugati della detta I}. Si noti inoltre che, indicando con p; il genere di c, e con p; il genere di I}, cioè di (%), è (per la formula di Zeuthen) d9=2(p.+ 1) — 4p:. 2. Si osservi, ora, che dalla (1), giacchè d e d' non sono negativi ed è u==4, si deduce s=1. Inoltre, siccome certamente esistono piani tangenti a tre coniche di (£), ma non a tutte le coniche di questo /ascio, così è sempre d => 3; anzi precisamente d = 4 e, quindi, d' = 0. 8. Sia (77) razionale e gobbo, onde (nn. 2 e 1) la sezione piana gene- rica della superficie y è di genere p,= 1. Ne segue che y è proiezione della superficie y,, dell’ Sg, rappresentata nel piano dal sistema lineare |Zî,;|, ove i punti 1,2,3 sono in posizione generica tra loro. I piani delle coniche di y, aventi per immagini le rette uscenti dal punto 1 (p. es.), coniche che costituiscono un fascio (£,), generano una va- rietà a tre dimensioni la quale, come facilmente si dimostra, è d'ordine quattro. Proiettando y, da un piano generico, in un S3, otteniamo una su- perficie y d'ordine x = 6, la quale possiede tre fasci di coniche; e i piani delle coniche di ognuno di questi fasci costituiscono un inviluppo (77) gobbo, razionale e di classe u= 4. Che (7) sia gobbo, si dimostra osservando che se, invece, fosse conico, dovrebbe esistere un S, passante per il piano centro di proiezione, e conte- nente o una curva incontrata da tutti i piani del fascio (%,), ovvero un punto comune a tutti questi piani medesimi. La prima ipotesi è assurda perchè il piano centro di proiezione è generico, e quindi non incontra la va- rietà costitnita dai piani del fascio (X,); la seconda ipotesi, poi, si esclude subito, osservando che dune qualunque coniche di (£,) non giacciono in uno stesso S,. i 4. Supponiamo, ora, che l’inviluppo (77), pur essendo ancora gobbo, sia ellittico, onde (nn. 2 e 1) è po =3. Dunque (') la superficie y esiste, ed è riducibile, mediante una trasfor- mazione cremoniana, a un cono cubico ellittico, sul quale le sezioni piane di y sono rappresentate da curve d'ordine otto, passanti doppiamente per il vertice del cono, con altri tre punti-base doppî e due punti-base semplici (distinti o infinitamente vicini) (?). (!) Scorza, Le superficie a curve sezioni di genere 3 [Annali di Matematica, ser. 38, tomo XVI, n. 50; e tomo XVII, nn. 7 e 8]. (?) Si noti che y non è alcuna delle superficie studiate dal Castelnuovo, Sulle super- ficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere 3 [Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, vol. XXV (1890)], perchè y è irrazionale e (%) non ha alcun punto-base. — 111 — 5. Supponiamo, ora, che l’inviluppo (77) sia conico, cioè abbia un (solo) punto-base V; questo sarà doppio per y e punto-base per il fascio (£). 6. Sia (77) razionale, onde (nn. 2 e 1) la sezione piana generica di y è di genere p,=1. Ne segue che y è proiezione della superficie y,, dell’ Sg, rappresentata nel piano dal sistema lineare |Zîg|, ove i punti 1 e 2 sono infinitamente vicini tra loro. 7. Sia ora (7) ellittico (e conico), sia cioè p; = 1, e quindi (nn. 2 e 1) Pe= 8. Ne segue, tenendo conto dei citati lavori di Castelnuovo e di Scorza, che y esiste ed è rappresentabile sul cono cubico (ellittico) mediante un sistema lineare 00° di curve del sesto ordine segate da quadriche che toc- cano il cono in un punto fisso (*), e passano per due punti generici di questo cono medesimo. 8. L'inviluppo (7) sia di genere p;= 2. Proiettando genericamente sopra un piano 7 il fascio (4), sì ottiene un sistema (7) co! di coniche (generalmente irriducibili) d'indice v= 6, cui appartengono, ognuna contata due volte, le quattro rette 2, ,de,03,d4, tracce, in 7, dei quattro piani di (77) passanti per il centro di proiezione. Anzi, se D è un punto qualunque di una di queste quattro rette, delle sei coniche di (£') passanti per D due coincidono con questa retta (doppia) medesima. Stabiliamo ora un’omografia fra le coniche-luogo di 7 e i punti di un S;. È noto (?) che alle coniche di 7, ognuna costituita da una retta doppia, cor- rispondono i punti di una superficie w di Veronese. Siccome le rette d,, ds, b3, by appartengono ad un fascio, ad esse, contate due volte, corrispondono quattro punti B,,B,,B3,B, di una stessa conica # di w. Inoltre, al sistema lineare co‘ delle coniche di 7 passanti tutte per un punto D di è,, p. es., corrisponde l’iperpiano tangente doppio X di w lungo la conica d corrispon- dente di D, e, per quanto sopra si disse, quest’iperpiano > deve segare la sestica c°, corrispondente di (4'), in sei punti, due dei quali devono coinci- dere in B,, onde X passa per la tangente di e° in B,. Ripetendo il medesimo ragionamento per ogni punto di 2,, si deduce che la tangente di c° in B, deve appartenere a tutti gli iperpiani tangenti doppî di « lungo le coniche di questa passanti per B,. Ma tutti questi iperpiani hanno in comune soltanto il piano tangente a w in B,, quindi la tangente di c° in questo punto appartiene a questo piano tangente. Conclu- dendo, possiamo affermare che la curva c° e la superficie w si toccano nei punti B,.B,,B:,B,, onde c° appartiene all’iperpiano tangente doppio di w lungo la conica #, e il birapporto di questi quattro punti, considerati in £, (*) Castelnuovo, loc. cit. in (5), n. 9. (*) Segre, Considerazioni intorno alla geometria delle coniche di un piano e...» [Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, vol. XX (1885)], n. 1. — 112 — è eguale a quello (*) dei quattro spazî ,,f:,f3,f;, che, contenendo £, passano rispettivamente pei piani tangenti w in questi punti medesimi. Ciò posto, dicasi g la rigata cubica normale cui appartiene c°, e ' la conica di g passante pei punti B,,B., B:,B,. Il piano tangente g in B,, p. es., e quello tangente w in questo stesso punto, hanno in comune la tangente di c° in B, stesso, onde essi giacciono in uno spazio passante per le due coniche complanari # e #. Ne segue che il birapporto dei punti B,, B.,B:,B,, considerati in #", è eguale (*) a (8,,f2,f3,f.), e di conse- guenza {= f'. Infine, siccome le generatrici di y stabiliscono fra i punti di 7 e quelli della retta direttrice di g la stessa proiettività stabilita dai piani genera- tori dell'ipersuperficie cubica I° (*), costituita dai piani tangenti di w nei punti di #, concludiamo che g, e quindi e°, giace in T, il che è assurdo, perchè, se così fosse, la conica generica di (/') sarebbe degenere. Concludiamo dunque che l'ipotesi p; = 2 è da escludere (‘). 9. L'ipotesi p; = 8, infine, si esclude pure, sia indirettamente da quanto si disse nel num. precedente, sia osservando che le tangenti alle coniche di (X) in V, punto-base (n. 5) di (77) e di (X), dovrebbero formare un cono quadrico (degenere o no); ciò che è assurdo, perchè il fascio (X) è di genere Pi=3 e non iperellittico. 10. Dal breve studio che si è fatto, possiamo concludere che le superficie d'ordine n= 6, con infinite coniche i cui piani costi- tuiscano un inviluppo di classe n = 4, sono le quattro superficie y delle quali si parla rispettivamente nei nn. 3, 4, 6, 7. (4) Chiamando corrispondenti un punto di £ e uno spazio per Bi ,Bs,B,,B4 ogni qual volta questo contiene il piano tangente w in quello, si ottiene un’omografia. (?) Come la (8) sostituendo #" e rispettivamente a t e w. (3) Essendo £t=#", g e w si toccano nei quattro punti B,,B,,B;, Bs (anzi in ogni punto di t="?"), onde le generatrici di g uscenti da questi punti appartengono ai piani tangenti di w in essi, e quindi la retta direttrice di 9, avendo già quattro punti in 7, appartiene a questa. (4) Le considerazioni fatte in questo n. 8, un po’ lunghe, non sono inutili; esse «guidano, come si vedrà in un mio prossimo lavoro, alle proprietà delle superficie con infinite coniche, qualunque siano i valori di ,w,s,pi. Per es., osservando che la c* (analoga alla c° del testo) non deve giacere sull’ipersuperficie luogo dei piani delle co- on+1 45 niche di w, si deduce u < , limite assai più vantaggioso di quello conosciuto e rammentato nella (1). — 113 — Meccanica. — Nuove esperienze sulla elasticità del rame. Nota di Gustavo COLONNETTI, presentata dal Socio G. A. Mago ('). In una recente ripresa delle mie ricerche sull'isteresi elastica ho potuto, per mezzo di nuove disposizioni sperimentali (*), realizzare quei cicli bila- terali il cui interesse teorico io avevo già cercato di mettere in rilievo nel- l’ultima Nota in cui mi sono occupato dell'argomento (*). A conferma di quanto avevo scritto in quell'occasione, riferirò qui la storia di una provetta sulla quale io ho lungamente sperimentato nello scorso mese di aprile, ed il cui comportamento mì sembra riassumere assai bene i risultati delle mie più recenti osservazioni. A questi risultati io continuo, s'intende, ad annettere un valore pu- ramente qualitativo, convinto che, in un problema complesso e delicato com'è quello del comportamento elastico dei materiali dotati di isteresi, non occorre tanto, allo stato attuale delle nostre conoscenze, precisare nu- mericamente le proprietà specifiche dei singoli corpi, quanto farsi un'idea chiara dell'andamento generale dei fenomeni e rendersi conto del modo con cui le esperienze debbono essere condotte se si vuole con esse riuscire a portare un po’ di luce sulle relazioni che intercedono fra le forze esterne applicate e le deformazioni da esse prodotte. Le esperienze che sto per descrivere vennero eseguite colla macchina per prove alterne a trazione e pressione, recentemente costruita dalla ditta Fratelli Amsler di Sciaffusa per il Laboratorio sperimentale dei materiali da costruzione della R. Università di Pisa, su di una provetta di 20 milli- metri di diametro ricavata, secondo le norme per l'uso di detta macchina (‘), da un tondino di rame di 40 millimetri di diametro. Le deformazioni vennero misurate col solito apparecchio a specchi di Martens, su di una lunghezza utile di 200 millimetri; l'ingrandimento, di mm ; le deforma- 1 5000 zioni dell'asse geometrico della provetta si ottenevano, come d'uso, sommando le differenze delle letture relative a due generatrici opposte, epperò risul- tavano espresse in decimillesimi di millimetro. 500 volte, permetteva di apprezzare nelle singole letture (*) Pervenuta all'Accademia il 7 luglio 1915. (*) Cfr. G. Colomnetti, Una nuova macchina per prove alterne a trazione e pres- stone, «iornale del genio civile, 1915. (8 Id, Esperienze sull’elasticità a trazione del rame, Nota III, Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, ser. 5%, vol. XXIII (15 marzo 1914) (4) Cfr. la mia Nota già citata, Giornale del genio civile, 1915. di Sa Le tre tabelle numeriche allegate a questa Nota, coi relativi diagrammi (fig. 1 e 2) disegnati in assi coordinati obliqui come quelli che accompagna- rono i miei precedenti scritti sull'argomento ('), si riferiscono a tre sole fra le numerose esperienze da me effettuate sul saggio: e precisamente alla prima eseguita in ordine di tempo, ed a due altre, svolte parecchi giorni appresso, dopo che il materiale era stato ripetutamente e variamente cimentato, e poi assoggettato al noto processo di eliminazione delle deformazioni me- diante alternazioni decrescenti del carico. Bic. di Questo processo si è rivelato perfettamente idoneo a determinare la formazione di uno stato del materiale, praticamente assai ben definito, che si può dire neutro in quanto il saggio si presenta privo di deformazioni apprezzabili, ed atto a subire, sotto l'azione di sforzi eguali e di segno contrario, variazioni di dimensione alla lor volta sensibilmente eguali e di segno contrario. In questo stato neutro però le proprietà del materiale si rivelano in generale nettamente distinte da quelle che lo caratterizzavano nello stato iniziale. Ciò dipende, come è noto, da un complesso di alterazioni nelle pro- prietà del materiale le quali si producono sotto l’azione delle prime sollecita- (') Cfr. G. Colonnetti, Esperienze sull'elasticità a trazione del rame, Nota I, Ren- diconti della R. Accademia dei Lincei, ser. 52, vol. XXIII (1° febbraio 1914). — 115 — zioni esterne che ad esso vengono applicate: la cosa appare nettamente a chi osservi la fig. 1 nella quale, per maggior chiarezza, è stato riportato con linea punteggiata il ciclo chiuso (fig. 2) che il materiale tende a de- scrivere dopo un conveniente numero di inversioni dello sforzo. Questo ciclo chiuso (che nella fig. 8 è stato disegnato in assi coor- dinati ortogonali affinchè apparisse nelle sue vere dimensioni relative) si presenta sensibilmente simmetrico rispetto all'origine e dotato di tutte quelle proprietà che si sono già riscontrate nei cicli chiusi unilaterali ('). HIGas2: Si è così condotti a precisare il concetto di incrudimento attribuen- dogli un significato affatto analogo a quello a cui alludono i fisici quando parlano di accomodamento dei cicli. Riesce inoltre profondamente modificata la portata dell’abituale distin- zione fra deformazioni elastiche e deformazioni permanenti, in quanto essa non sembra derivare da caratteristiche proprie del materiale, ma piuttosto dall'ordine con cui su di esso si succedono le sollecitazioni, cioè dal modo con cui vien condotta l’esperienza. In realtà ciò che è veramente essenziale nella deformazione dei mate- riali di cui qui si tratta (e, forse, non soltanto di questi) è la mon inver- tibilità del fenomeno. (*) Cfr. G. Colonnetti, Esperienze sull'elasticità a trazione del rame, Nota II, Ren- diconti Cella R. Accademia dei Lincei, ser. 5%, vol. XXIII (15 febbraio 1914). — 116 — Bisogna pertanto decidersi a rinunciare definitivamente a tutte le for- mole più o meno complesse con cui da molti autori (') si è cercato di esprimere le deformazioni di questi materiali come funzioni monodrome delle sollecitazioni. Dal punto di vista scientifico tali formole avranno sempre il difetto di non rappresentare che un caso molto particolare di deformazione, spesso 4 Fia. 3. creato convenzionalmente dallo sperimentatore e per nulla corrispondente al modo con cui i materiali lavorano nelle costruzioni; in ogni caso il pro- blema generale resta affatto insoluto. Mentre dal punto di vista tecnico, tenuto conto della forma molto allungata dei cicli (fig. 3), pare assai discutibile se vi sia davvero qualche motivo di rinunciare ai vantaggi della classica formola di Hooke, la quale, nella sua impareggiabile semplicità, riesce, ancora meglio di ogni altra, a compendiare con sufficiente approssimazione l'infinita varietà dei processi che si verificano nei materiali dotati di isteresi elastica. (*) Cfr. C. Bach, Elastizitàt und Festigkeit, Berlin, 1911. — 117 _- TABELLA I. Data dell’esperienza: 14 aprile 1915, ore 16; temperatura 14°. SPECCHIO SINISTRO SPECCHIO DESTRO Randi Sforzo Somma Deformazioni (positivo delle totali se di trazione) Letture Differenze Letture Differenze differenze ]mm Kgr. n parziali = parziali parziali 10000 0 1500 1500 0 176 80 256 500 < 1676 1580 256 125 142 267 1000 1801 1722 529 140 156 296 1500 1941 1878 819 165 181 346 2000 2106 2059 1165 — 127 — 152 — 279 1500 1979 1907 886 — 116 — 163 — 279 1000 1863 1744 607 — 115 — 162 — 277 500 1748 1582 330 — 181 — 146 — 277 0 1617 1436 55 — 136 — 144 — 280 — 500 1481 1292 — 227 — 120 — 175 — 295 — 1000 1361 1117 — 522 — 122 — 187 — 309 — 1500 1239 930 — 8831 — 134 — 198 — 832 — 2000 1105 732 — 1163 128 158 281 — 1500 1228 290 — 882 121 160 281 — 1000 1349 1050 — 601 113 170 283 — 500 1462 1220 — 318 99 184 283 0 1561 1404 — 39 121 164 285 500 1682 1568 250 138 152 285 1000 1815 1720 595 141 162 303 1500 1956 1982 838 148 174 322 2000 2104 2056 1160 ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 16 — 118 — TABELLA II. Data dell'esperienza: 24 aprile 1915, ore 10; temperatura 15°. SPECCHIO SINISTRO SPECCHIO DESTRO Sforzo Somma Deformazioni (positivo i aa delle totali se di trazione) Letture Differenze Letture Differenze differenze dea Kgr. a parziali 500) parziali parziali 10000 0 1500 1500 0 145 128 273 500 1645 1628 273 167 110 DIUT 1000 1812 1738 550 167 i 122 289 1500 1979 1860 239 172 136 308 2000 2151 1996 1147 — 153 — 125 — 278 1500 1998 1871 869 — 160 — 120 — 280 1000 1838 1751 589 — 168 — 112 — 280 500 1670 1639 309 — 150 — 130 — 280 (0) 1520 1509 29 — 167 — 113 — 281 — 500 1352 1396 — 252 — 164 — 125 — 289 — 1000 1188 1271 — 541 — 181. — 118 — 299 — 1500 1007 1153 MS40 — 165 — 140 — 305 — 2000 842 1013 — 1145 . 135 137 272 — 1500 977 1150 — 873 164 116 280 — 1000 1141 1266 — 593 164 116 280 — 500 1305 1382 — 313 166 114 280 0 1471 1496 — 83 159 125 284 500 1630 1621 251 169 119 288 1000 1799 1740 539 167 130 297 1500 1966 1870 836 o iz 186 307 2000 2137 2006 1143 — 119 — TABELLA III. Data dell’esperienza: 24 aprile 1915, ore 15; temperatura 15°. SRI SPECCHIO SINISTRO SPECCHIO DESTRO ARSA Dee (positivo gp o ag delle totali se di trazione) Letture Differenze Letture Differenze differenze Lab Kgr. a parziali tod parziali parziali 10000 0 1500 1500 0 — 157 — 115 — 272 — 500 1343 1385 — 272 — 158 — 121 — 279 — 1000 1185 1264 — 551 — 160 — 128 — 288 — 1500 1025 1136 — 839 —- 168 — 140 — 308 — 2000 857 996 — 1147 136 140 276 — 1500 993 1136 — 871 163 IRE 280 — 1000 1156 1253 i — 591 163 117 280 — 500 1319 1370 — 3sI1 166 115 281 0 1485 1485 — 30 153 129 282 500 1638 1614 252 161 124 285 1000 1799 1738 557 163 136 299 1500 1962 1874 836 170 143 313 2000 2132 2017 1149 — 153 — 125 — 278 1500 10,19 1892 871 — 158 — 121 — 279 1000 1821 IUzAral 992 — 166 — 113 — 279 500 1655 1658 313 — 158 — 126 — 279 0 1502 1582 3 — 162 — 118 — 280 — 500 15340 1414 — 246 — 166 — 123 — 289 — 1000 1174 1291 — 585 — 174 — 125 — 299 — 1500 1000 1166 — 834 — 168 — 142 — 310 — 2000 832 1024 — 1144 — 120 — Fisica. — Un apparecchio per lo studio dei gas e dei vapori che si svolgono dagli esplosivi a temperatura ordinaria. Nota di D. CHiARAvVIGLIO e 0. M. CoRBINO, presentata dal Socio EMANUELE PATERNÒ ('). Nelle nostre ricerche sul sistema fulmicotone-nitroglicerina avevamo accertato che, a rarefazioni molto spinte, la tenuta degli apparecchi a vuoto, contenenti una sensibile quantità di esplosivo, non era più così buona come in assenza di questo; sembrava cioè che si sviluppasse progressiva- mente e costantemente una certa quantità di gas, per effetto di una decom- posizione lenta dell’esplosivo, anche a temperature ordinarie. Di questo sviluppo di gas a temperature ordinarie parlano tutti gli autori che trattano della stabilità degli esplosivi, deducendone l’esistenza sia dall’accertamento del medesimo fatto a temperature molto superiori, sia da osservazioni indirette quali, per es., la diminuzione del contenuto in azoto di polveri di vecchia data. Tuttavia l'osservazione fatta allora incidentalmente, mentre si seguiva un obbiettivo diverso, ci sembrò meritasse uno studio particolareggiato per vedere se, con appositi apparecchi, fosse possibile misurare direttamente quello sviluppo gassoso e seguirlo d'ora in ora, per riconnetterlo con la im- portante questione dei metodi attualmente in uso nella determinazione del grado di stabilità degli esplosivi. L'apparecchio da noi ideato a questo scopo, qual'è risultato da una lunga serie di esperienze orientative destinate a raggiungere le condizioni più favorevoli di funzionamento, e ad evitare per quanto era possibile le cause perturbatrici, è rappresentato nella seguente figura. Esso permette che in un ambiente, dove è disposto l'esplosivo da stu- diare, si produca il vuoto più spinto che oggi si sappia ottenere, mercè la circolazione di una massa di mercurio che non viene mai in contatto con corpi estranei (tubi di caoutchouc, ecc.); permette inoltre che in quell’am- biente sia assolutamente eliminata la possibilità di rientrata di gas, che non siano quelli provenienti dall'esplosivo; consente infine che dei gas e dei vapori che si sviluppano lentamente da questo si misuri la pressione, coi metodi più delicati che si possan raggiungere, e che i gas stessi ven- gano accumulati e raccolti per poterli eventualmente analizzare. Tutto l'apparecchio è in vetro, e le diverse parti sono saldate diretta- mente senza giunti a grasso. I palloni A e B, della capacità di circa due (') Pervenuta all'Accademia il 26 luglio 1915. — 121 — litri, comunicano per mezzo di un tubo a U le cui branche verticali sono lunghe più di 76 centimetri. Normalmente il pallone B è pieno di mercurio, i || Dal Z| questo può spostarsi, attraverso al tubo a U, verso A, o essere richiamato in B, ricorrendo al rubinetto R che permette di far rientrare aria secca in B, o di farvi il vuoto con una pompa ausiliaria di qualunque natura. — 122 — Il pallone A è connesso a una serie di tubi disposti come in una pompa Topler. Così può esser fatto il vuoto in un ambiente che comunica con %, analogamente a quanto può farsi con una macchina Topler; con la modifi- cazione essenziale che la comunicazione fra i palloni A e B è in vetro, anzichè esser costituita da un tubo di caoutchouc, che produce sempre alte- razioni nel mercurio e nel funzionamento di simili apparecchi. E poichè viene così resa impossibile la manovra del sollevamento e abbassamento del pallone B, vi si è sostituito il giuoco della rarefazione e della rientrata dell’aria nel pallone B attraverso al rubinetto R. Il mercurio in B è sempre in contatto di aria accuratamente disseccata prima di farla rientrare; il palloncino con anidride fosforica. serve ad assicurarne il grado di dissecca- mento. I gas provenienti da 4 e che, quando l’orifizio e è aperto, si diffondono in A, vi raggiungono dopo breve tempo la pressione del luogo di origine. Se allora il mercurio passa da B in A, l’orifizio e viene a chiudersi, e i gas contenuti in À si comprimono progressivamente raccogliendosi nel tubo capillare a d. “Si riconosce subito dalla disposizione della figura che il pallone A oltre a funzionare da pompa Topler per la espulsione dei gas raccolti attraverso al tubo a ded, fanziona anche da provino di Mac-Leod, poichè permette di misurare, prima della espulsione, i gas che si trovano allora condensati nel capillare ab. La pressione raggiunta dopo ottenuta la compressione viene misurata dal dislivello del mercurio fra «2 e a d'. Il volume del gas compresso è limitato dal mercurio del pallone A, e da quello del tubo di espulsione de è che resta sospeso nel capillare 2a a un'altezza arbi- traria. Questa posizione del menisco superiore in a è può essere modificata a volontà con la manovra dei rubinetti 4, e v; poichè il tubo verticale vu x y è permanentemente pieno di mercurio; e così quando v è chiuso e si apre «, il mercurio attraverso «sd invade il capillare dc d e si porta al punto voluto in da. Qualora invece si chiuda x e si apra », il capillare 2cd viene a porsi in comunicazione col serbatoio C, pieno di mercurio fino a circa la metà. Questa manovra permette un progresso notevole sulla pompa Tòopler. E invero se attraverso 4’ si fa il vuoto con la stessa pompa ausiliaria, in C, il mercurio viene aspirato dal capillare de da; e allora i gas raccolti nel capillare 42, si espandono in c d, e vengono poi spinti dal mercurio pro- veniente dal pallone A, con che possono essere espulsi assai facilmente rac- cogliendosi sotto il rubinetto 9. In queste condizioni il mercurio circola da A verso aded in colonnine frazionate, come în una pompa Spreugel, e permette così la espulsione completa del gas condensato in AB, espul- — 123 — sione che, come è noto, non si riesce a raggiungere nella Tòpler quando il gas condensato si raccoglie in una bollicina ehe si fissa sulla parete del tubo. Poichè nella manovra una certa quantità di mercurio è passata dal sistema A B al serbatoio C, basta, per riportarvelo, chiudere v, e aprire 0, e far rientrare aria secca in C; con che attraverso alla punta x m il mer- curio ripassa nel sistema AB quando si rifà il vuoto in B per preparare la successiva operazione. Si può così riconoscere che l'apparecchio consente tutte le manovre necessarie, facendo circolare il mercurio sempre in ambiente secco e privo di corpi estranei. I rubinetti 0,v, (attraverso ai quali il liquido è obbligato a passare solo in piccolissima parte a ogni manovra), sono costruiti in modo speciale che permette quasi l'eliminazione dei grassi, sempre pericolosi per l’ inqui- namento che ne consegue nel mercurio. Essi del resto, come sì riconosce dalla figura, restano sempre sotto pressione di colonne di mercurio superiori a 76 centimetri, e perciò non sono da temere, anche in caso di non per- fetta tenuta, possibili rientrate di aria. I gas espulsi vengono, come si è detto, raccolti fra d e 9g; con manovre facili a concepire essi possono essere estratti, per l'eventuale analisi, attra- verso al rubinetto 9 e al capillare ricurvo r. MISURA DELLA PRESSIONE. La pressione dei gas raccolti in A viene eseguita, come si è detto, servendosi dello stesso pallone, e del capillare sovrastante, come di provino di Mac-Leod. E poichè è molto grande la capacità del pallone A (circa due litri, come si è detto), la misura può farsi molto esattamente anche se la pressione iniziale è assai piccola. Così se questa è solo di un cento- millesimo di mercurio, con che il prodotto pv in millimetri di mercurio- millimetri cubici è misurato del numero 20, si potranno raccogliere nel capillare a è circa 4 millimetri cubici di gas alla pressione di 5 millimetri, il che permette una misura ancora abbastanza esatta. Ma poichè il provino di Mac-Leod che si fonda sull’applicazione della legge di Boyle, permette solo la valutazione della pressione dei gas, e non quella dei vapori eventualmente presenti, abbiamo creduto opportuno aggiun- gere all'apparecchio un manometro di non minore sensibilità, ma capace di misurare la totale pressione del miscuglio di gas e vapori, senza bisogno di comprimerli, per la misura, in minor volume. Ci siamo per questo fondati sulla dissipazione di calore provocata dalle particelle gassose presenti su una spirale di filo di platino, lievissimamente riscaldata da una corrente elettrica, avente la resistenza di circa 23 ohm, e disposta in un'ampolla di vetro saldata all’apparecchio a vuoto. — 124 — La spirale costituiva una delle branche di un ponte di Wheatstone, disposto con tutte le cautele per le misure di grande precisione La corrente elettrica che alimentava il ponte serviva insieme per il riscaldamento della spirale, di una diecina di gradi, e per la misura della resistenza di essa. E poichè l'ampolla era immersa in un termostato a du- plice involucro che garantiva entro un millesimo di grado la costanza della temperatura della parete di vetro, mantenuta a circa zero gradi, e poichè, d'altra parte, un dispositivo potenziometrico di alta precisione permetteva, per confronto con una pila normale Weston, che la corrente riscaldatrice fosse tenuta ad un valore determinato e costante entro i limiti di un venti- millesimo, ne risulta che la temperatura e quindi la resistenza assunta dalla spirale, e misurata dal ponte, è funzione soltanto della pressione dei gas e dei vapori che circondano la spirale. La legge di dipendenza fra la pressione del gas ambiente e la tempe- ratura, e quindi la resistenza assunta dalla spirale, non è facile a dedurre a prior?. Essa, secondo le belle ricerche di Knudsen, sarebbe lineare per un filo molto sottile, anche dentro limiti estesi di variazione della pressione. Ma non è più tale, come risulta da alcune esperienze eseguite con una spi- rale identica alla nostra dai dott. Marini e Blache, qualora il filo non sia di spessore piccolissimo. D'altro canto se si vuole adoperare una corrente riscaldatrice non troppo debole, perchè il dispositivo elettrico abbia una sufficiente sensibilità, e se si vuole inoltre che il filo resti a una temperatura non troppo superiore a quella ambiente, occorre che esso non sia sottilissimo. Fu quindi necessario eseguire una taratura diretta, determinando caso per caso la legge di dipen- denza fra la pressione e la resistenza del filo, ciò che poteva farsi facil- mente col nostro apparecchio, ricorrendo a un gas di nota costituzione, modi- ficandone progressivamente la pressione, e misurando questa al provino di Mac-Leod, mentre si seguiva al ponte la legge di variazione della resistenza. Si potè così tracciare una curva che mette in relazione la pressione del gas e la resistenza della spirale. La curva ottenuta ha valore, rigoro- samente, solo per il gas che fu usato nelle esperienze di taratura. Ma la teoria della trasmissione del calore a traverso i gas, nel regime delle alte rarefazioni, quale è stata svolta nelle Memorie del Knudsen e confermata nel miglior modo desiderabile dalle sue ricerche sperimentali, permette di prevedere che nelle nostre condizioni la curva tracciata può anche servire per qualunque gas o vapore, purchè di costituzione molecolare poliatomica. E invero la forma di elica a fitte spire data al filo, e il suo spessore non piccolissimo, permettono di considerare come eguale a 1 il coefficiente di accomodazione della teoria di Knudsen. La trasmissione del calore viene allora a essere determinata solo dal coefficiente teorico di conducibilità del gas; che, per il regime delle pressioni assai basse, dipende alla sua volta da — 125 — alcune costanti molecolari in modo conosciuto. E si può facilmente ricono- scere che il coefficiente medesimo è praticamente lo stesso per quei gas le cui molecole abbiano il medesimo numero di gradi di libertà, cosicchè sia lo stesso il rapporto fra i calori specifici a pressione e a volume costante. Si potrà quindi senza errere notevole, ammettere la identità del coefficiente per quei gas o vapori a costituzione molecolare complessa, che conferisce alla molecola il maggior numero possibile di gradi di libertà, cioè 6; e ri- correre per la taratura del manometro elettrico a uno di questi gas, per i quali sia facile la misura della pressione al provino di Mac-Leod. Che se nell’a mbiente limitato comune al provino e al manometro elettrico si intro- duce un miscuglio di gas e vapori, il primo misurerà la sola pressione par- ziale dei gas, il secondo la pressione totale del miscuglio; e si potrà così dedurre la tensione dei vapori presenti. Le condizioni da noi realizzate nella disposizione elettrica del ponte eran tali che la variazione di un milionesimo di millimetro nella pressione del gas intorno al filo di platino produceva lo spostamento di circa un mil- limetro sulla scala del galvanometro. Erano quindi nettamente percepibili le variazioni della tensione del vapore di mercurio che riempiva l'apparecchio quando se ne provocava con un lieve raffreddamento sotto zero gradi la par- ziale condensazione prima dell’ampolla contenente il filo di platino e im- mersa nel termostato a ghiaccio. Con l'apparecchio sopradescritto noi abbiamo eseguito una lunga serie di esperienze preliminari sullo sviluppo progressivo di gas occlusi da parte di corpi pulverulenti come l’anidride fosforica, come anche da parte di so- stanze esplosive come il fulmicotone. E possiamo annunziare fin da adesso che la legge di sviluppo continuo di gas da parte del fulmicotone rivela nettamente un processo di lenta decomposizione a temperatura ordinaria. Non si poteva invero attribuire lo sviluppo di gas osservato a semplice libe- razione di gas imprigionati nella massa pulverulenta, poichè veniva ridotto a circa la decima parte raffreddando l’esplosivo dalla temperatura ambiente a quella di zero gradi; mentre per lo sviluppo dei gas semplicemente occlusi in corpi pulverulenti un simile abbassamento di temperatura avrebbe pro- dotto un effetto trascurabile. La ricerca presenta, a nostro parere, un grande interesse, poichè lo svi- luppo progressivo di gas per lenta decomposizione alla temperatura ordinaria è legata ad una modificazione continua dell'esplosivo, colla quale a sua volta è intimamente connesso lo stato di conservazione ed il grado di conserva- bilità dell’esplosivo stesso: ora è noto con quanta incertezza noi possiamo renderci conto dello stato di conservazione e del grado di conservabilità di un dato esplosivo, i migliori indizii per ciò non potendosi trarre nella pra- tica che dagli ordinarî metodi per la misura della stabilità nei quali gli RenDpICONTI. 1915, Vol, XXIV, 2° Sem. 7 — 126 — esplosivi sono sottoposti a riscaldamento (da 80 a 135°) che sono ben lungi dal rappresentare le ordinarie condizioni di conservazione. La possibilità di accertare e misurare la lenta decomponibilità di questi corpi già alla temperatura ordinaria offre quindi il modo di impo- stare la questione della stabilità e della conservabilità su basi completa- mente nuove e assai promettenti; noi non possiamo per ora continuare queste ricerche; ci riserviamo tuttavia di riprenderle quando ne avremo la possibilità. Fisica. — Znterruttore elettrolitico per la corrente alternata (*). Nota di G. C. TRABACCHI, presentata dal Socio P. BLASERNA (°). Quando si deve far funzionare con la corrente alternata un rocchetto che debba servire per alimentare dei tubi per la produzione dei raggi IG uno dei più gravi problemi che si incontrano è certo quello della scelta dell'interruttore. L'impiego della corrente alternata viene imposto sovente dal fatto che la distribuzione urbana della energia elettrica è fatta in quasi tutti i paesi con tale corrente e i piccoli impianti; specialmente se debbono essere tras- portabili, non possono in generale essere muniti di complessi dinamo-motore atti a trasformare localmente la corrente alternata in continua. La soluzione ideale del problema è per ora rappresentata dal noto inter- ruttore a turbina, azionato da un motore sincrono, il quale interrompe la corrente nell'istante in cui essa assume i suoi valori massimi: alcuni di tali interruttori utilizzano solo la metà di ogni periodo, altri, più perfezionati, con opportuni dispositivi utilizzano ambedue i semiperiodi; uno spintero- metro a punta e piano inserito nel senso conveniente tra un polo del rocchetto e il tubo è sufficiente per eliminare le correnti di chiusura che sono sempre molto deboli. Tali interruttori sono però assai costosi e per di più non ne è facilis- simo l’uso e la manutenzione, così che è andato diffondendosi l'interruttore elettrolitico malgrado le difficoltà che presenta il suo uso con la corrente alternata. I difetti essenziali dell’ interruttore elettrolitico con la corrente alternata sono principalmente due: 1° La punta di platino si logora rapidamente essendo ad ogni periodo sottoposta per la metà del tempo a funzionare da catodo. 2° Durante il semiperiodo in cui la punta è catodo, e che diremo semiperiodo inverso, avvengono delle interruzioni, in generale irregolari, le (1) Lavoro eseguito nell'Istituto Fisico della R. Università di Roma. (?) Pervenuta all'Accademia il 29 luglio 1915. ZIO quali più che le chiusure che hanno luogo nel semipericdo utile, provocano delle correnti che sono deleterie per il tubo perchè ne determinano rapida- mente la metallizzazione e l’indurimento. Al primo inconveniente si suole ovviare sostituendo alla punta di platino una di ferro che può essere di tanto in tanto rinnovata dato il suo costo esiguo: all'acido solforico si sostituisce una soluzione salina. Per eliminare le conseguenze del secondo inconveniente sono stati pro- posti varî dispositivi di valvole da inserirsi tra il rocchetto e il tubo per arrestare le correnti indotte dirette in senso opposto al normale. Rimane però sempre difficile trovare le condizioni di buon funziona- mento a seconda dell’autoinduzione del rocchetto e della durezza del tubo impiegato. vata Allo scopo di introdurvi dei miglioramenti mi sono innanzi tutto pro- posto di studiare il funzionamento dell'interruttore elettrolitico per corrente alternata, con un mezzo che permettesse di rendersi conto di tutte le moda- lità delle interruzioni. Ho pertanto istituito un dispositivo di studio per i varî interruttori che mì proponevo di esaminare fondato sull'uso del noto /udo a raggi catodici munito di schermo fluorescente, il quale realizza il più perfetto oscillografo che sì conosca. Due bobine di opportuno avvolgimento sono disposte in modo da agire ortogonalmente sul fascetto catodico: in una delle bobine passa la corrente alternata presa direttamente; nell'altra la stessa corrente che attraversa il primario del rocchetto e l'interruttore. La prima determina gli spostamenti secondo l’asse x, la seconda secondo l’asse y. Dalla forma delle curve ottenute è facile desumere quauto si cerca. La fig. 1 rappresenta due diagrammi relativi ad uno degli interruttori elettrolitici, più usati con la corrente alternata, costituito da una punta e una lamina di ferro in una soluzione di carbonato di potassio (d = 1,036). I due diagrammi corrispondono a stadî attraversati durante le manovre di accomodamento: non è raro ehe durante il funzionamento si ripassi saltua- riamente dall'uno all’altro di essi data la irregolarità delle interruzioni durante il semiperiodo inverso. Da questi diagrammi si deducono con facilità quelli ordinarî della: corrente studiata e si vede chiaramente che tale corrente durante il semz- periodo utile subisce una buona interruzione durante la fase di massimo seguìta da altre di effetto trascurabile; però durante il semiperiodo inverso avviene (sebbene in misura ridotta) la stessa cosa. Non si comportano meglio altri interruttori analoghi che sono stati pro- posti allo stesso scopo e nei quali la lamina è di piombo. — 128 — È bene notare che per la giusta interpretazione del diagramma oscillo- grafico è necessario determinare il senso in cui esso viene percorso; per fare questa determinazione in modo semplice e sicuro io guardo la figura che si disegna sullo schermo fluorescente attraverso a fenditure praticate radial- mente in un disco opaco che gira sull'asse di un motore sincrono messo in moto da corrente della stessa frequenza di quella che passa nell'interrut | | | I | | | tore; le fenditure sono equidistanti e in numero uguale alla metà dei poli dell’ induttore del motore, se perciò l'occhio di chi guarda è fermo si vede il puntino immobile in una certa posizione: movendo l'occhio nel serso del moto del disco si vedrà la figura disegnarsi lentamente in modo da poter fissare, senza tema di errore, il senso in cui è percorsa. È con questo metodo che ho potuto segnare le frecce che si vedono nelle figure. Il funzionamento di questo interruttore varia assai con la temperatura del liquido, la punta si logora rapidamente, e la corrente per la metà del — 129 — periodo, oltre a dar luogo alle scariche dannose di cui sì è parlato, e ehe devono essere arrestate da buone valvole, scalda inutilmente il liquido con notevole spreco di energia. Allo scopo di eliminare per lo meno in parte questa corrente dannosa ed inutile, ho pensato di sostituire alla lamina di ferro una di alluminio cambiando il liquido usato ordinariamente con uno di quelli che meglio si prestano alla funzione polarizzatrice dell'alluminio. In questo modo essendo notevolmente ridotta l'intensità della corrente durante il semiperiodo inverso era da prevedersi anche la cessazione delle interruzioni durante questo tempo; infatti tali interruzioni sono conseguenza dell’etfetto termico della corrente, effetto che per la legge di Joule si riduce in misura più forte che non la corrente stessa. Le previsioni sono state completamente confermate dalle esperienze, così che con il dispositivo, che ora descriverò, ho potuto realizzare un interruttore che funziona in modo che si avvicina assai a quello dell’interruttore con motore sincrono il quale saltando è? semiperiodi inversi interrompe la corrente quando essa ha raggiunto il suo valore massimo durante il semi- pertodo utile. La lamina è, come ho detto, di alluminio: la sua superficie immersa è utile che sia variabile, perchè la densità di corrente che l’attraversa è bene che non sia mai troppo piccola: la si immergerà quindi più o meno a se- conda che si adoperano correnti intense o deboli. Tra i liquidi che ho spe- rimentato, quelli che ho trovato migliori sono: il tartrato doppio di sodio e potassio (soluzione al 20 °/,). il bicarbonato di sodio (soluzione satura); la punta può essere di ferro, ma, tenuto conto che il suo logoramento è mi- nimo, perchè minima è la corrente inversa, può essere anche di platino che non si logora affatto: così è facile adattare per la corrente alternata, qua- lunque comune interruttore elettrolitico per corrente continua, cambiando solo il liquido e la lamina. Usando il platino si realizza anche una maggiore conservazione del liquido: la lamina di alluminio serve per molto tempo, e non è necessaria per essa nessuna preliminare formazione; quando la si usa per la prima volta si forma con la stessa corrente alternata in 30 secondi al massimo. Jl buon funzionamento dell’apparecchio non varia sensibilmente con la temperatura del liquido e perciò ne è possibile l’uso anche per varie ore di seguito senza inconvenienti. Riporto (fig. 2) alcuni diagrammi analoghi a quelli della fig. 1, ma relativi alla nuova disposizione usata con liquidi di varia specie: il primo corrisponde al carbonato di potassio; il secondo al bicarbonato di sodio; il terzo al tartrato di potassio e sodio. — 130 — Come si vede, deducendo mentalmente dalle figure il diagramma usuale della corrente nei varî casi, durante il semiperiodo inverso non vi sono mai interruzioni e per i due ultimi liquidi usati la corrente inversa è debo- lissima rispetto alla diretta. Fic. 2. Usando pertanto tali liquidi si realizza una notevole economia nella corrente: per sincerarsene basta anche un mezzo grossolano: se alla lamina di alluminio, senza mutare le altre condizioni, si sostituisce una lamina di ferro o di piombo, pur non ottenendosi aumenti nella corrente indotta uti- — 131 — lizzabile, si vedrà aumentare notevolmente la intensità efficace della corrente primaria. La fase della interruzione può essere variata regolando la lunghezza della punta; aumentandola, la interruzione ritarda sempre più rispetto al mas- simo della corrente e in conseguenza la successiva chiusura si può facilmente far avvenire quando la f. e. m. della corrente è molto prossima ad annul- larsi, come è dimostrato dai diagrammi della fig. 3. Il primo corrisponde ad una punta lunga, il secondo ad una breve. Se, come accade per tutti 1 rocchetti moderni, è in proprio potere mo- dificare l’autoinduzione del primario insieme alla resistenza inserita nel cir- cuito, si possono ottenere condizioni di funzionamento anche migliori di quelle descritte, come lo provano i diagrammi della fig. 4; in essi si vede che pur determinandosi la interruzione nella fase di massimo, la susseguente cor- rente di chiusura è praticamente trascurabile; l'interruzione è poi una sola per ogni periodo. Quando tutto è così ben regolato è anche possibile connettere il tubo generatore di raggi X al rocchetto senza bisogno di intercalare delle valvole: in mancanza di autoinduzioni e resistenze ampiamente variabili è però sufficiente, anche usando i tubi più molli, inserire uno spinterometro uguale a quello che si usa con l'interruttore a motore sincrono. Data la grande regolarità di funzionamento di questo apparecchio che possiamo chiamare interruttore sincrono elettrolitico, ne consegue che usando — 132 — la disposizione descritta con la corrente alternata è da ritenersi che i risultati che si possono ottenere per la produzione dei raggi X, sono migliori di quelli che l’ordinario interruttore elettrolitico dà con la cor- rente continua: con questa, infatti, la legge con cui si susseguono le inter- ruzioni è determinata da condizioni che variano assai con il funzionamento, cosicchè è difficile che le modalità della interruzione siano sempre le stesse, mentre colla corrente alternata dopo la interruzione segue un intervallo determinato di riposo durante il quale tutto torna sempre nelle stesse con- | | | | Fic. 4. dizioni; è infatti caratteristica la stabilità sullo schermo fluorescente, delle figure oscillografiche riportate nella fig. 2 e seguenti. In virtù di tale stabilità ne è stata possibile la esatta riproduzione proiettandone la immagine, con un buon obbiettivo, sul vetro spulito di una camera fotografica sul quale era appoggiato un foglietto di carta trasparente che serviva a tracciare il diagramma. Con l'interruttore elettrolitico ordinario e la corrente continua l'oscil- lografo rivela in generale che le interruzioni non si seguono a intervalli regolari e inoltre le correnti di chiusura, data la costanza della f. e m., sono quasi sempre tali da generare correnti indotte capaci di attraversare i tubi danneggiandoli, se non si fa uso di buone valvole. Il funzionamento dei tubi generatori di raggi X è, invece, con l'inter- ruttore descritto, assolutamente perfetto, con gran beneficio per la loro durata, essendo completamente eliminate le scariche dannose: le correnti di apertura, durante il semiperiodo inverso, mancano del tutto, la corrente di chiusura, durante il semiperiodo utile, si può rendere così debole che una interruzione di pochi millimetri tra piano e punta è sufficiente ad eli- minarla. — 133 — Una prova brillante della regolarità del funzionamento è data dal fatto che, alimentando in parallelo con la corrente alternata i primari di due rocchetti, in ciascuno dei quali era inserito un interruttore elettrolitico sincrono in modo che i due interruttori erano disposti in sensi rispettivamente inversi, sono riuscito facilmente ad ottenere che due tubi emettessero con grande regolarità i raggi X alternativamente, utilizzando cioè, metà per ciascuno, ogni intero periodo. Disposti i due tubi a conveniente distanza tra loro e dallo schermo fluorescente si ottiene una doppia immagine degli oggetti interposti che, guardata coi due occhi attraverso a due serie di fori praticati in modo oppor- tuno in un disco opaco che ruota per mezzo di un motore sincrono, da la completa sensazione del rilievo. Sui particolari di questo dispositivo radiostereoscopico riferirò in una prossima Nota. Cristallografia. — Studio cristallografico della cianmetil- e della benzilcianmetilglutaconimide cuproammoniche (*). Nota della dott. Fausra BaLzac, presentata dal Socio C. F. PARONA (?). Il prof. Icilio Guareschi pubblicò, alcuni anni or sono (*), una interes- sante Nota sopra alcuni nuovi composti cuproammonici che preparò facendo agire i sali ammonici di alcune immidi su opportune soluzioni cuproam- moniche. Essi sono delle glutaconimidi cuproammouniche sostituite come le se- guenti, la formula delle quali è scritta secondo le idee del Werner: cianmetilglutaconimide cuproammonica (C7Hs N3 00): [Cu(NH3),].2H:0; metilcianmetilglutaconimide cuproammonica (Cs Hg N300)3[Cu(NH:),].4H:0; etiletanmetilglutaconimide cuproammonica (Co Ho N» 03): [Cu{NH3),]; benzilcianmetilglutaconimide cuproammonica (Ci4Hu Na 02): [Cu(NH:),].2H30; cianfenilglutaconimide cuproammonica (CH; N20): [Cu(NH3),] ecc. (1) Pervenuta all'Accademia il 26 luglio 1915. (*?) Lavoro eseguito nell'Istituto di mineralogia della R. Università di Torino, diretto dal prof. Ferruccio Zambonini. (*) Icilio Guareschi, Sopra alcuni nuovi composti cuproammonici, Atti della R. Ac- cademia delle Scienze di Torino (1897), 193. RENDICONTI. 1915, Vol. XXIV. 2° Sem. 18 — 154 — Siccome appariva interessante lo studio delle relazioni morfotropiche esistenti fra i composti di questa serie in dipendenza dei varî gruppi sosti- tuentisi nell'’imide, come pure dell’acqua di cristallizzazione, ho seguìto con piacere il consiglio del chino prof. Ferruccio Zambonini di incominciarne lo studio, eseguendo le mie ricerche su materiale dovuto alla cortesia del prof. Guareschi, il quale mise a mia disposizione i sali da lui stesso pre- parati. In questa prima Nota espongo i risultati del mio studio su due sali che fra loro differiscono di un solo gruppo benzilico. e cioè la cianmetil- e la benzilcianmetilglutaconimide cuproammoniche, che cristallizzano en- trambe con due molecole di acqua, I. — Cranmetilglutaconimide cuproammonica (C}Hs N: 02): [Cu(NH3:),j].2H:0. Sistema cristallino: monoclino, classe prismatica: ada 3406: 10200107 Pi==1959592 Forme osservate: c {001} = a }100} ss 3111} d 3012}. Combinazioni: Ca 8 abbastanza comune (tig. 1) casd rara (fig. 2). Fia: 2. Si presenta in minuti cristallini di colore azzurro-violetto, a faccie piane, splendenti, e fu ottenuta dal prof. Guareschi aggiungendo ad una — 139 — soluzione concentrata del sale ammonico della cianmetilglutaconimmide una di solfato di rame ammoniacale contenente un eccesso di ammoniaca. Ricristallizzata dalle soluzioni acquose calde di ammoniaca al 10°/,, nelle quali manifesta una discreta solubilità, la ottenni in cristallini che misurano fino a 3 mm. di lunghezza e !/3 di mm. di spessore. Sono assai stabili alla temperatura ordinaria, alterandosi assai facilmente a tempera- tura elevata: verso 100° si scompongono in modo sensibile, perdendo H:0; a 125° circa si eliminano 2 molecole di ammoniaca e due d’acqua, lasciando un residuo di color verde olivo I cristalli sono costantemente tabulari secondo j001} ed allungati nella direzione dell'asse y. Il pinacoide base {001}, che si rinviene sempre in tutti i cristalli, presenta faccie molto estese, che dànno, al goniometro, im- magini buonissime. L’'ortopinacoide }100} ha faccie molto sottili, che dànno, però, immagini discrete. Il prisma {111} è costituito da faccie variamente sviluppate. però discrete per le misure. Il prisma }012}, che raramente pre- senta tutte le sue faccie, è, quando esiste, sempre subordinato; le sue fac- ciette hanno sviluppo disuguale e dànno immagini pallide e multiple. Nella seguente tabella sono raccolti gli angoli misurati e quelli cal- colati in base alle costanti surriferite. SPIGOLI LIMITI NumERO . ; delle delle MEDIA CALCOLATI misurati misure misure (001): (100) 83059" - 84° 9" fi 84° 1’ li (001) :(I11) 7111 - 7130 7 7119 bi (100) : (I11) 5755 - 58 4 5 58 00 * (111):(111) 98 41 > 98 57 3 98 51 98°48” 1/, (001) : (012) 44 57 - 45 23 5 45 18 45 0 (012):(111) 7150 - 7219 2 72 4'/ 71 55 (100) : (012) 86 2 - 8612 3 86 9 85463) I cristalli di questa sostanza sono abbastanza fragili, pur presentando una certa flessibilità. La polvere ha colore violaceo chiaro. Densità = 1,539 a 17° (determinata col metodo dei liquidi pesanti, e la bilancia di Westphal). Siccome il peso molecolare è = 466, il volume molecolare risulta = 302. Al microscopio, i cristalli molto tabulari secondo (001), lasciano scor- gere, se poggiati su una faccia di questa forma, un debole pleocroismo : nella direzione dell'asse y: color azzurro-violetto; in direzione normale all'asse y: color azzurro-violetto più chiaro. A nicols incrociati in luce parallela essi presentano estinzione parallela rispetto allo spigolo [(001):(100)]. — 136 — In luce convergente da {001} emerge una bisettrice fortemente inclinata rispetto alla normale alla faccia. L'angolo apparente degli assi ottici risulta assai grande. Il piano degli assi ottici è parallelo a {010}. Col compensatore di Babinet sì osserva che la direzione d'allungamento su {001} — e, cioè, l'asse y — è otticamente negativa. Per poter confermare l'appartenenza di questa sostanza alla classe pri- smatica ricorsi all'esame delle figure di corrosione. Trattai, perciò, i cristalli, a freddo ed a caldo, con acqua ammoniacale; ma non ottenni se non figure poco nitide, assai strette, con la direzione di allungamento parallela a 3010}, e normale, quindi, alla direzione di allungamento del cristallo. Tali figure, per la loro imperfezione, non dimostrano in modo inconfutabile l'appartenenza della cianmetilglutaconimide cuproammonica alla classe suaccennata; ma, per quanto è stato possibile di osservare, apparisce molto probabile che questi cristalli sì possano veramente ascrivere alla classe prismatica del sistema monoclino. II. — Benzilcianmetilglutaconimide cuproammonica. Sistema cristallino, triclino: 1940460 1110955501050 Gtbi== 051941; Forme osservate: a {100} e {001} = 2010 4 110. Si presenta in fogliette cristalline di color azzurro-pallido che sono limitate da qualche faccia laterale brillante, e male si prestano alla deter- minazione cristallografica. Ricristallizzando questo composto dalle soluzioni sature a caldo di am- moniaca al 10°/, non si ottengono individui migliori; e risultato analogo si ha tentando di variare le condizioni di esperienza. Le misure che ho potuto prendere sono riportate nella seguente tabella : SPIGOLI LIMITI NumERO } : delle delle MEDIA CALCOLATI misurati misure misure (100): (110) 39937’ - 39058 7 39046 * (100) : (001) 57 38 - 57.58 5 57 45 * 010) : (100) 69 00 - 69 44 I 69 18 * (110): (0910) 7042 - 71 2 TY 70 49 70°56° (001): (110) 62 49 - 63 8 5 62 58 di (001) : (010) 97° - 98° 2 —_ 970634” — 137 — In questi cristalli si riscontrano due zone, misurabili, come si vede. a sufficienza: ho potuto constatare anche, in qualcuno degli individui meglio conformati, l’esistenza di un altro pinacoide appartenente alla zona [001:010] e precisamente posto tra la (001) e la (010); ma, data la natura di queste faccie piccolissime, non mi fu possibile se non determinarne con approssima- zione l'angolo d’inclinazione sulla (001), che è di circa 20°. Il pinacoide {100} è sempre estesissimo: le sue faccie raggiungono una lunghezza di quasi cai c A| 1 mm. con una larghezza di circa 0,3; il pinacoide | 3110} è sempre meno esteso; ed infine le faccie È di {010} e di j001{ sono esilissime; le prime spe- cialmente raggiungono raramente '/,, mm. di lar- | | | ghezza (fig. 3). bell Muli Densità = 1,424 a 23°. | Siccome il peso molecolare di questo com- | posto è 696, ne risulta il volume molecolare = 453. I Al microscopio i cristalli appoggiati sulla || © (100) — che è l’unica faccia attraverso la quale | | _, Da 6 sì possano esaminare — mostrano in luce ordi- | naria un debole pleocroismo; una direzione di mas- sima estinzione, negativa, forma, per la luce bianca, | un angolo di 12° con lo spigolo [(100):(110)]. |! In luce convergente si vede emergere da (100) | un asse ottico all'orlo del campo. Per quanto risulta dallo studio dei due com- posti ora descritti, l’entrata del gruppo benzilico |, RE sii 2-4, nella molecola della cianmetilglutaconimide pro- | Ci duce un completo cambiamento nella struttura Fio. 3: dell’edificio cristallino. Rispetto, poi, alla densità si ha, com'era da prevedersi, una sensibile di- minuzione nel benzilderivato: ciò che conseguentemente porta ad un aumento del volume molecolare. Per quanto riguarda il colore, il benzilderivato è sensibilmente più chiaro. Ringrazio vivamente il prof, F. Zambonini che coi suoi consigli mi guidò, agevolandomi in ogni modo, nel presente lavoro. —198t= Mineralogia. — vcerche petrografiche e mineralogiche nei dintorni di Ostilo (Sardegna) (*). Nota di AURELIO SERRA, pre- sentata dal Corrispondente F. MiLLOSEvICH (°). Non credo privo di interesse occuparmi delle rocce che si sviluppano in questa zona, poichè gli studiosi che vi rivolsero le osservazioni sfiorarono appena l'argomento, per cui. all’epoca presente, si hanno dati mal sicuri sulla loro esatta consistenza. Già il La Marmora (*) distinse le roccie del castello di Osilo, di Bo- naria e di S. Antonio, da quelle che si rinvengono ai piedi del villaggio ed alla Fontana del Fico. Tali differenziazioni pur vennero confermate dal Lovisato (*) il quale delimita ancor più le formazioni ammettendo l’esi- stenza delle « trachiti e delle andesiti, delle rocce recenti e della trachite antica ». I dati da me raccolti assumono maggior rilievo in quanto tendono ad eliminare siffatte distinzioni riducendo ad un unico tipo la roccia ovunque dominante: vedremo, infatti, come questa talvolta mostri un aspetto anomalo, mascherando in tal guisa la sua vera natura, onde può essere tratto facil- mente in inganno chi si contenti di una superficiale indagine. Al castello di Osilo la roccia è compatta, di color bruno; frequentemente presenta strati colorati in rosso di varî toni. La struttura è ipocristallina: al microscopio si notano grandi interclusi di plagioclasio che presentano, in massima, una estinzione media di 44°, riferibili quindi alla bitownite: non è però da eseludersi la labradorite Abs An,, avendosi estinzioni anche fra i 35 e i 88°. Assai frequenti i geminati polisintetici, con frequente accenno ad accresci- mento zonale. Il meroxeno notasi con abito pseudo-esagonale, con forte assorbimento, di color bruno, sensibilmente pleocroico. Colore degli assi: a = giallognolo 6 = bruno c = rosso-cupo Per ordine di frequenza seguono interclusi di augite; meno frequenti gli interelusi di iperstene. La massa fondamentale appare costituita da un (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Sassari. (*) Pervenuta all'Accademia il 21 luglio 1915. (*) Voyage en Sardaigne par Albert La Marmora. (4) Gita inaugurale del Club alpino italiano al castello di Osilo, 1879. — 139 — esile velo vetroso ; le piccole liste feldspatiche non sono sempre evidenti : spesso si notano invece sferoliti, globuliti, trichiti di meroxeno e di augite. Raramente si notano la magnetite e la ilmenite. Gli strati di color rosso, che macroscopicamente con tanta frequenza è dato rilevare, in altro non differenziano se non per una alterazione ocracea dipendente dalla ricchezza in ferro del minerale originario meroxeno. Gli elementi qualitativamente riscontrati in questa roccia rispondono in gran parte a quelli più sotto riportati nell'analisi quantitativa. In questa se ne trascurarono alcuni, poichè solo rivelati dalla ricerca microchimica. Seguendo il Behrens ('), un frammento di roccia venne polverizzato e trattato a caldo con HFI ed alcune goccie di H, SO, . Il residuo della evaporazione, ripreso con acqua debolmente acidulata, rivelò il cloro con la formazione di cloruro di argento in cristalli cubici ed ottaedrici, il fosforo per la comparsa dei cristalli trimetrici emimorfi di fosfato ammonico-magnesiaco, lo zolfo per la formazione di cristalli di alluminato di cesio. Una lamina sottile della roccia venne trattata con HCl caldo: in questa guisa il plagioclasio venne corroso, profondamente attaccato il meroxeno con residuo di silice gelatinosa, totalmente attaccati gli ossidi di ferro, debole residuo di ferro titanato. Peso specifico 2.54. L'analisi quantitativa fornì i seguenti risultati: SEO e Vate e OLII RISO LE LIO ia al e fe ROA9 BLOOR RT E OZO MORTE e e NRE 0190 BROS PES, SIRO MIR E 10:92 CROCE RO EE e NITRO METRES e do KON e a Te NASO eo O REI, 3.60 perdita per arroventamento. . 3.73 104.92 Seguendo Loewinson-Lessing, si dedusse la seguente notazione: a=1.55 ; f=67 1.2 RO. Rs 0; . 3.8 Si 0; R:0:RO= 1:83.28. Seguendo Osann, la seguente formola : 859,65 d4,n l10,8 f4s Ma,6 » (1) Behrens, Anleitung zur microchemicher Analyse, Leipzig 1899. — 140 — Per la costituzione chimica questa roccia è quindi da ritenersi come andesite. La composizione è resa evidente dal seguente diagramma: I risultati si accordano con la costituzione mineralogica, per la quale si deve ritenere come un’andesite meroxenica. Presenta grande analogia con quella da me raccolta a « Contrada Fe- nosu e S'Adde de S'Ulmu » (?): anche queste, per prodotti di natura ocracea, si presentano di colore rossastro. La differenza si manifesta nella quantità degli elementi; comune in tutte il plagioclasio, solo in questa si hanno estin- zioni più ampie; sempre comune la biotite e l’augite; sempre accessorî magnetite ed ilmenite. Una certa analogia presenta anche con quelle di Val Barca e di Pala Mantedda studiate dal Millosevich (?): in queste si avrebbe una maggiore quantità di iperstene e mancanza di meroxeno. Il pas- saggio di queste roccie è graduale, e non è possibile di stabilire ove si ori- ginino le une ed ove abbiano termine le altre. Ai piedi del villaggio si trova una roccia costituita da elementi fram- mentizî della su accennata. Gli elementi costitutivi di questa roccia tufacea si mostrano variamente "cementati: spesso rotti, corrosi ed alterati; al microscopio si notano grandi interclusi di plagioclasio, di meroxeno, di augite, di iperstene; accessoria- mente si hanno microliti di magnetite e di ilmenite. In questa roccia si rinvengono spesso druse di cristalli di quarzo, in cui si notano le seguenti forme: {1010}, }1011}, {0111t, 32111}, 5161}. (1) Ricerche su roccie eruttive basiche della Sardegna seitentrionale. Rend. Accad. Lincei, 1908. (2) Studi sulle rocce vulcaniche della Sardegna. Rend. Accad. Lincei, 1908. — 141 — Gli spigoli rispondenti alle facce plagiedriche, per raffreddamento, previo riscaldamento, si elettrizzano negativamente. Presentano una colorazione rosea violacea, dovuta probabilmente ad un debole pigmento di ossido di manganese. A temperatura superiore a 400°, gradualmente si scolorano poichè in questa guisa si verifica perdita di ossigeno. Col ristabilirsi delle condi- zioni fisiche primitive non si ha ritorno di colore; si deve ritenere probabile, in base alle esperienze su riferite, che con lo sparire della colorazione avvenga una scomposizione chimica per eliminazione di ossigeno. Frequentemente si notano piccole plaghe di calcedonio e di mesolite. La calcite molto spesso si trova associata a questi minerali: si rinviene anche da sola a costituire piccole geodi; nei cristallini frequentemente si riconoscono le seguenti forme: . {1070} , {2131}, {0172}, {1011{. Circa l'origine di questi minerali si deve ritenere che essi siano prodotti del disfacimento dei minerali della roccia preesistente: non è il caso di ammettere contemporaneità di formazione, poichè derivati da successive e graduali alterazioni. Verso sud, e precisamente a R. Pirricone, la roccia presenta un aspetto verdastro dovuto ad alterazione del meroxeno che passa a clorite. I cristalli componenti frequentemente si mostrano appannati e rendono visibili partico- lari corrugamenti. In qualche punto è dato notare la presenza di ossidi di manganese. Presso « Fundana e Sa Pedra» vennero messi allo scoperto alcuni filoncelli di solfuri di rame dati da calcopiride e da erubescite. I lavori sono invero condotti con troppa economia perchè allo stato attuale delle ricerche si possa esprimere un giudizio sulla importanza del giacimento. La presenza di questi solfuri confermerebbe le idee dello Stella ed i dati da me raccolti su analoghe manifestazioni metallifere, che cioè effettivamente la sede originaria della mineralizzazione sia la roccia vulcanica: ulteriori ricerche potranno meglio metterla in evidenza e potranno suggerire utili criterî per una eventuale coltivazione. Proseguendo lungo la strada provinciale, verso Sassari, è dato riscon- trare sempre la roccia compatta con gli stessi caratteri di quella del Castello di Osilo. Nella R. Abealzu si possono accertare i rapporti fra le roccie vul- caniche e le sedimentarie, le quali nel sassarese vennero dal De Stefani riferite all’elveziano ed al langhiano (*). Il calcare, di apparenza saccaroide, si. estende’ sopra la bruna roccia andesitica: al contatto si mostra colorato in rosso, ed all'analisi rivela notevole quantità di ferro e di silice. (') De Stefani, Cenni preliminari sui terreni mesozoici della Sardegna. Rendic. Accad. Lincei, 1891. ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 19 — 142 — Verso nord-est, e precisamente a M. Pala Enistra, è dato rinvenire banchi compatti di materiale frammentizio, colorati in rosso. Talora assumono una consistenza terrosa; talaltra passano al conglomerato con noduli di roccie a facies abissale della stessa natura della roccia eruttiva ed anche, talvolta, di calcare miocenico. Si hanno fenomeni di avanzata devitrificazione e di effervescenza con gli acidi. Lì presso è dato rinvenire anche la roccia identica a quella che domina tutta la zona, la roccia andesitica bruna e compatta: però, di frequente, appare decomposta e colorata in rossastro. Il calcare immediatamente sovra- stante si mostra giallo-rosso, è di grana fine, talora mostrasi poroso. Al microscopio si rendono evidenti piccole sferette che dimostrano l’origine per sedimentazione chimica: nelle sezioni provenienti da materiali di contatto si notano cristalli feldspatici e di meroxeno, invero evidenti anche ad occhio nudo. Le osservazioni da me compiute mi autorizzano a non accogliere la distinzione — in questa zona — fra trachite antica, trachite anfibolica e prodotti lavici recenti, poichè questi ultimi mancano affatto, e la roccia designata come trachite antica altro non è che un prodotto di alterazione da ritenersi con tutta sicurezza posteriore alle colline di Osilo, colline che il Deprat (’) nella sua fugace escursione riferì a lobradoriti augitiche post- elveziane. Più giustamente il Millosevich (*) propende a ritenere anteriori ai cal- cari miocenici, basandosi su analogie riscontrate con roccie da lui studiate ed appartenenti alle serie più antiche; ciò infatti viene confermate dalle mie osservazioni, poichè in diversi punti mi fu dato rinvenire il calcare miocenico decisamente sovraincombersi alla roccia andesitica preesistente. Accertate le inesatte determinazioni fatte dal Lamarmora’ (*) e dal Lovisato (‘) nel limitato campo da me esplorato, per ragioni induttive si spiegano facilmente i dubbî espressi sui rapporti di talune roccie sarde. Così al Narcao, al M. Essa, a S. Michele di Arenas, all'Arcuentu, ai monti di Pula e Monastir, roccie che secondo La Marmora mostrerebbero molta somiglianza con quelle che formano oggetto del mio studio, nel modi- ficare i concetti che concernono l'apparizione della « roccia-anfibolica » (an- desite) e della « trachite antica » (andesite alterata, tufo andesitico), si spiega facilmente la presenza degli inclusi e pur facilmente si spiega come la roccia derivante da alterazione debba costituire la parte superiore delle (1) Deprat, Comptes Rendus, Acad. Sc., Paris, 1907. (*) Voyage en Sardaigne par Albert La Marmora. (*) loc. cit. (4) Sulle roccie vulcaniche della Sardegna settentrionale, Genova, tip. A. Ciminaco, 1907. — 143 — colate, per le quali deve ritenersi assolutamente fuori causa il riferimento ad un periodo più recente di quello dei depositi subapennini, questo riferi- mento può ammettersi solo in quanto riguarda il conglomerato nel quale sì ha modo di riscontrare noduli di calcare miocenico. Un'altra lacuna è quindi colmata, e lo studio dello sviluppo riguardante le roccie della Sardegna rimane così attendibilmente delineato con dati utili e precisi sui quali mi propongo di ritornare ampiamente in una successiva Memoria. Chimica. — Muove ricerche sulle combinazioni inferiori di alcuni elementi ('). Nota di L. MARINO, presentata dal Socio R. NAsINI (?). Da una serie di pregevoli lavori, apparsi in questi ultimi anni, risulta che, applicando le leggi degli equilibrî chimici (*) allo studio dei rapporti esistenti fra i varî gradi di ossidazione di uno stesso elemento, o fra questo ed i suoi composti tipici, è possibile il dimostrare che esistono” nuove combi- nazioni nelle quali la valenza dell'elemento considerato è ancora diminuita di grado. Un tal complesso di ricerche, mentre porta un nuovo contributo sperimentale all'antica ipotesi della valenza variabile, sempre in completo accordo con le odierne teorie, viene d’altro canto a confermare sempre più il concetto che il grado di valenza per un dato elemento, non solo dipende dalla natura della coppia di elementi che reagiscono, ma è definito anche dalle esterne circostanze, dalle variabili del sistema considerato ed in parti- colar modo dalla temperatura. La conoscenza di queste condizioni di equi- librio lascia anzi dedurre la variazione dell'energia libera messa in giuoco nella graduale saturazione di questi gradi di valenza, sia in casi semplici, quali ad es. i composti alogenati del fosforo, sia in casi più complicati quali il sesquicloruro di platino o di palladio, i cloruri di iridio, gli ossidi del tungsteno ece., allo scopo evidente di potere dal confronto delle singole affinità risalire a conclusioni più generali e sui rapporti dell’affinità totale e su queste parziali affinità di valenza. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale di Pisa. (2) Pervenuta all'Accademia il 6 luglio 1915. (3) Vedere ad es. Abel, Z. f. anorg. Chem., 26, 861 (1901); Férster u. Seidel, ibid., 1/4, 106 (1897); Fredenhagen, Z. f. anorg. Chem., 29, 396 (1907); Peters, Z. f. phys. Chem., 26, 198 (1898); G. N. Lewis, Z. f. phys. Chem. 35, 449 (1906); Bose, Z. f. Elektr., 13, 477 (1907), 14, 814 (1908), e 14, 85 (1908); Denham, Journ. of the chem. soc., 93, 424 (1908) e 93, 833 (1908); Lothar Wohler u. S. Streicher, Berl. Ber., 46, 1577 (1913). — 144 — Studî e confronti, fatti in questa direzione, potranno in seguito portare notevoli vantaggi teorici e pratici, purchè le rispettive condizioni di equili- brio vengano assai accuratamente discusse, se non si vogliono trarre erronee deduzioni. Dico, accuratamente, perchè non sempre basta un semplice esame dei dati sperimentali per avere il diritto di concludere. Dalla conoscenza dell'equilibrio, ad es. fra caleio e idrogeno ('), si sarebbe portati ad ammet- tere l’esistenza di un sottoidruro di calcio; per gli idruri di cerio e di lan- tanio, dal comportamento anormale che si osserva nella misura della pres- sione di dissociazione (*), si sarebbe tentati di ammettere una particolare variazione nella struttura molecolare degli idruri; per le combinazioni di idrogeno e nichel (*), dall’incapacità dell’ idruro, ottenuto dal nichel ridotto ad alta temperatura, di idrogenare il benzolo, si vorrebbe ammettere che debba esistere un idruro più povero in idrogeno, forse Ni. H, . Dal diagramma di equilibrio fra bismuto e cloro (4) dovremmo giungere al sottocloruro di bismuto; e lo stesso avverrebbe per gli altri sottosali dello stesso metallo. Le misure di polarizzazione del cloruro di bario non ancora fuso farebbero confermare l'esistenza di un sottocloruro di bario (5), già ammesso da Guntz (9); e le misure di tensione per i composti alogenati dell'iridio svelerebbero un monocloruro di iridio, Ir Cl, finora non noto. Analogamente, per altri elementi si sarebbe giunti ad accettare la formazione di ossidi o di cianuri o di com- binazioni complesse inferiori. Ora non bisogna dimenticare che nella misura degli equilibrî chimici, specie allorquando i varî gradi di valenza sono collegati ad eterogenei, com- pleti stati di equilibrio, intervengono sovente le influenze di diversi fattori che velano il fenomeno principale; e solo un accurato esame dei fatti osser- vati può dar luce nelle conclusioni che se ne posson ritrarre. Scopo infatti di queste nuove ricerche si è quello di mettere in rilievo come, in molti casi, i valori sperimentali ottenuti han condotto ad erronee conclusioni perchè furono trascurati alcuni particolari di osservazione i quali, se apparentemente possono sembrare di secondaria importanza, sostanzialmente formano la base di qualsiasi logico ragionamento. Scegliamo per ora, fra i varî argomenti da discutersi, quelli dell'idruro di calcio e del sottocloruro di bario. i Com' è noto, dopochè Moissan (”) ha fatto rilevare che il calcio metal- (1) Z anorg. Chem., 82 (1913), 130. (?) di der Chem.. 325, pag. 281. (5) P. Sabatier, Die Hydrierung durch Katalyse, Leipzig 1913. (4) Z. f. phys. Chem., 64, 488 e 499. (°) Z. f. anorg. Chem., 4/7 (1904), 424. (9) Bull. Soc. Chim., [8], 29, 490 (1903). (7) Compt. rend., 127 (1899), 29; Ann. chim. phys., [7], /8 (1899), 311; Bull. Soc. chim., [3], 21 (1899), 876. — 145 — lico assorbe idrogeno, Gautier (') fece notare che per 675° comincia l'idruro a dissociarsi, e che un analogo fenomeno si osserva per le corrispondenti com- binazioni di bario e di stronzio. Una più completa ricerca sulla dissociazione dell’idruro di calcio fu pubblicata recentemente da Moldenhauer e C. Roll- Hansen (*), e, entro limiti ristretti di temperatura (641-747°), anche da J. N. Brénsted (*). 1 Moldenhauer e Roll-Hansen stabilirono la curva di dissociazione tanto per l’idruro di calcio preparato dalla fabbrica elettrochimica di Bitterfeld, quanto per l’idruro di calcio puro sintetico. In base alla curva ottenuta per l’idruro normale Ca H., essi si domandarono se non fosse possibile anche per il calcio una combinazione Ca H analoga a quelle ammesse da Troost e Haute- feuille (4) quando l'idrogeno agisce sui metalli alcalini, ad es. Na .H e K,H. L'esistenza di una tale combinazione credono essi di poter dedurre dalle misure di tensione. Difatti, se il calcio assorbe la metà dell'idrogeno richiesto per avere Ca H; , cioè quanto ne richiede l’ipotetico composto CaH, la curva ‘assume realmente una nuova direzione; per circa 917° la pressione osservata è di 105 mm., che si ripete anche evacuando diverse volte l'apparecchio. Facendo assorbire a questa stessa sostanza tanto idrogeno da avere CaH., si riottiene una pressione di 186 mm. di mercurio, pressione che coincide con quella letta in varie altre esperienze per la dissociazione del CaH,. A prima giunta questo direbbe che, oltre all’idruro normale, esiste una com- binazione contenente meno idrogeno. Ora da un lungo ed accurato studio dell'argomento (*), i risultati del quale verranno minutamente descritti in un altro lavoro che pubblicherò insieme con P. Quinto, risulterebbe che i valori ottenuti per la curva di dissociazione dei composti di idrogeno e calcio sono assai prossimi a quelli dati da Moldenhauer e Roll-Hansen, l. c., ma possono avere un significato solo per il composto più idrogenato. Quando si tenta di costruire la seconda curva, che dovrebbe rappresen- tare la dissociazione del CaH, allora i fatti osservati svelano che durante la misura si ha da fare con un fenomeno facile a sfuggire, a causa del quale una parte dell'idrogeno si sottrae alla misura; donde i valori più bassi. Si potrebbe subito obiettare che l'idrogeno reagisce col tubo di quarzo entro il quale avviene la reazione; ma questo non è, perchè col dispositivo (1) Compt. rend., 134 (1902), 1108. (?) Z. f. anorg. Chem., 82 (1913), 130. (*) Z. f. Elektr. 20, 81 (1914). (4) Ann. Chim. Phys. [5], 2, 273. (5) Rispetto alla preparazione dell’idruro di calcio, che oggi si prepara in grande col brevetto tedesco (D.R.P., 188570) in grossi pezzi compatti che servono per avere idro- geno in grandi quantità a scopo militare, posso confermare che non è possibile preparare, come vorrebbe il brevetto, questo composto per azione dell'idrogeno a pressione atmo- sferica sul calcio fuso (795° circa), perchè per questa temperatura la pressione di disso- ciazione è già più grande di quella atmosferica. SUE impiegato (tubo di ferro entro tubo di quarzo) posso dimostrare, come sarà descritto nella seconda parte del presente lavoro, che tutto l'idrogeno impiegato, entro i limiti delle temperature raggiunte, si ritrova o libero nello spazio del tubo e dell'annesso manometro, o combinato al calcio nelle parti più fredde. La causa di questa differenza deve ricercarsi nella volatilità del calcio. Con l’innalzarsi della temperatura, il processo di dissociazione sarebbe dato dall'espressione d’equilibrio Ca H. = Ca + Hi; ma al disotto degli 800° un po' di calcio viene a condensarsi nelle parti meno roventi del tubo che lo contiene. In questo piccolo spazio di deposi- zione, che è variabile, la temperatura è inferiore a quella costante del tratto in cui avviene la dissociazione, per cui dell'idrogeno reso libero se ne fissa sul calcio distillato tanto quanto corrisponde alla pressione di dissociazione del- l’idruro per la temperatura che acquista il calcio deposto nel punto consi- derato. Con qualche piccolo artificio è possibile di misurare questa distanza e stabilire in qual modo è distribuito l'idrogeno nelle singole parti dell'appa- recchio, al momento in cui si interrompe l’esperienza; per cui è da esclu- dersi che la nuova curva delle misurate pressioni di dissociazione indichi la presenza di un muovo composto. Praticamente, detta curva è assai vicina a quella data da Moldenhauer e Roll-Hansen, ma non spetta all'equilibrio di dissociazione . 2CaH, => 2CaH+H.. Se così fosse, in una delle parti del tubo, ad una adeguata temperatura, la sostanza analizzata dovrebbe avere una composizione assai vicina al rap- porto CaH, mentre in realtà i documenti analitici conducono sempre, a se- conda della quantità di idrogeno impiegato o all'idruro normale o ad un miscuglio di Ca H, + Ca. I documenti analitici e la relativa discussione confermano dunque pie- namente questa conclusione e mostrano che per questa via non è possibile di dedurre l'esistenza di un composto di idrogeno e calcio nel quale il calcio funzioni da elemento monovalente. Ciò posto, è chiaro che: 1) non si può parlare di calore di combinazione del primo o del secondo atomo di idrogeno; 2) si spiega perchè, quando dai valori di p sperimentalmente trovati calcoliamo il valore di Q (= calore di combinazione) servendoci della equa- zione abbreviata di Nernst logp= 7lp+1.75 log T4+ 1.6, — 147 — si osserva una differenza in meno rispetto ai dati ottenuti per via calori- metrica. Che non si possa parlare di calore di combinazione del primo o del secondo atomo di idrogeno, risulta evidente quando si ricordi che l'equilibrio da considerarsi è espresso da CaH, = Ca+H;. e non da 20aH, <=" 2CaH+ Hg; la quale equazione potrebbe ipoteticamente dar poi luogo alla seguente, solo con l’innalzarsi della temperatura, perchè allora soltanto 20485 <> 2C044H;. Quanto alla discrepanza fra il calcolato ed il trovato, basta far osser- vare che, nell'anzidetta formola abbreviata del Nernst, Q varia col variare della pressione (espressa in atmosfere) p e col variare di T (temperatura assoluta), e che, per un certo valore della temperatura, Q nella maggior parte dei casi (entro i limiti dell’esattezza concessa dalla su riportata for- mola, ma varrebbe lo stesso ragionamento se si applicasse la formola più esatta) rimane determinato con grande approssimazione se p rappresenta la vera misura della pressione. Ora nel nostro caso il suo valore è influenzato dalla quantità di calcio che sublima, la quale, oltre alle cause minori, varia molto con la temperatura. E quanto più alta è questa, tanto più rilevanti sono le diffe- renze che sì avranno nel valore di p e quindi nel valore di (, perchè mag- giore è la quantità di calcio che si trova in grado di riassorbire una parte dell'idrogeno durante l'esecuzione dell'esperienza. La ricerca di J. N. Bròn- stedt (‘), che misura la tensione di dissociazione dell'idruro di calcio nell’ in- tervallo di temperatura fra 641° e 747°, confermerebbe questo modo di vedere. Egli ottiene per Q,s un valore più grande di quello dedotto termodinami- camente da Moldenhauer e Roll-Hansen (Q,3= 43900; Qoo0 = 42000 cal.), e, per conseguenza, più vicino a quello che trovarono Guntz e Basset (?), cioè 46200 cal. Per via calorimetrica Brònstedt trova, per il calore di com- binazione, Q,8= 45100 cal., che, come si vede, è assai vicino al precedente. E la differenza non è dovuta soltanto al fatto che Guntz e Basset si riferi- scono al calcio solido, mentre Moldenhauer sì riferisce al calcio liquido. Finchè per il sistema considerato fondiamo il ragionamento sulla posizione delle curve di tensione e consideriamo i componenti indipendenti e le relative 1) Z. f. Elektr., 20, pag. 81 (1914). (*) Z (*) Compt. Rend. 140, 863; C. B. 1905, I, 1305. — 148 — fasi, avremo sempre nella volatilità del calcio una causa di errore non trascurabile, capace di spostare l'equilibrio per la temperatura considerata. Per quanto riguarda il sottocloruro di bario, bisogna ricordare che Guntz (') l'ottenne per la prima volta da bario metallico sul rispettivo cloruro. Ebbe una massa bruna omogenea al microscopio, cristallina, che, scaldata al rosso verso 1000° nel vuoto allo scopo di fondere il prodotto, lasciò volatilizzare il bario, e rimase del cloruro baritico Ba Cl,. Secondo lui, sarebbe questa la causa per la quale non si riesce a preparare il bario elettrolizzando il cloruro fuso. Senza discutere per ora se questa sia proprio la vera causa di questo insuccesso, ho potuto però confermare che, se si sotto- pone all’elettrolisi il cloruro di bario fuso impiegando un anodo di carbone, sì ottiene subito uno sviluppo di cloro, ma poi l'intensità diminuisce senza produrre alcun effetto utile. La quantità di bario che assorbe il corrispon- dente cloruro fra 850-860° può variare: per cui i cristalli bruni omogenei al microscopio hanno spesso una composizione compresa fra quella del Ba C1 e quella del BaCl,. Data l'impossibilità di purificarlo, il prodotto veniva preparato in questo modo: in una navicella di alundo, posta entro un tubo di quarzo e rivestita di ferro, scaldavo gv. 1:0414 di BaCl, anidro, mesco- lati con gr. 0.3434 di bario, per circa un'ora nel vuoto ad una temperatura compresa fra 855 e 860° in modo da fondere il bario. Dopo raffreddamento, separavo i cristalli colorati che apparivano più modificati, e su essi dosavo il bario sotto forma di solfato. Per gr. 0.409 di prodotto si trovò di bario gr. 0,289, cioè una percentuale di bario di 70.66, mentre per Ba CI si calcola 79.48 e per BaCl, 65.95. Questo farebbe credere che il bario si diffonde nei cristalli di cloruro di bario prima ancora che questo fonda e prenda origine una soluzione solida. Lo stesso fatto si deve verificare quando sì preparano. i composti del tipo Ba X.NaX che Guntz ottiene o per elettrolisi del mi- scuglio BaCl. + NaCl o per fusione, in crogiuolo chiuso, del miscuglio Ba Cl, :2 Na. Se si opera in crogiuolo di ferro chiuso e si varia la quantità di sodio riducendola ad es. alla metà, si ottiene una massa cristallina gri- giastra, per la quale, ove si abbia cura di sciegliere rapidamente i cristalli di apparenza più omogenei, si trova un contenuto in bario inferiore a quello che si calcola per Ba Cl. NaCl. E lo stesso avviene per lo ioduro. Anche quindi per questi sali probabilmente si tratta di una soluzione solida di sodio in cloruro di bario. Io ho cercato di vedere se potevo in modo non dubbio provare l’esistenza della soluzione solida; ma le gravi difficoltà sperimentali incontrate non mi permettono di dire ancora l'ultima parola decisiva. Non si può infatti escludere che si tratti di polverizzazione metal- lica in cristalli di cloruro di bario, analogamente a quanto avrebbero trovato Lorenz e Bitel (*) per le nebbie metalliche di piombo in cloruro di piombo (1) Bull. Soc. Chim. [3], 29, 490 (1908). (?) Z. f. anorg. Chem., 9/ (1915), pag. 46. — 149 — e di argento e tallio nei rispettivi cloruri, giacchè in un caso sono riuscito ad avere dei cristalli colorati, apparentemente omogenei, di BaCl;+- Ba, ma con spigoli incolori. Questi cristalli si trasformano in cristalli di cloruro baritico, otticamente vuoti all’ ultramicroscopio. A questo risultato sembra contraddicano le deduzioni di Haber e di Tolloczo (*), i quali trovano che la polarizzazione per il puro cloruro di bario a 600° (elettrolisi con anodo di nichel e catodo di grafite) è sempre più alta di quella che si calcola con la regola di Thompson per la reazione (1) Ba + Ni C1, = BaCl, + Ni + 122400 cal. utilizzando come calore di reazione il dato di Guntz nella scomposizione Ba (sol.) +2H:0 + Aq= Ba(0H). Aq + Hg (secco) + 92500 cal. e serven- dosi dei numeri di Thomson discussi da Ostwald. È cioè sempre superiore a 2.86 volts, mentre con la regola di Thomson si calcola 2.65 volts. In realtà, misurando la polarizzazione con il dispositivo di Haber e Tolloczo si ottiene subito un valore variabile da 2.95-3 volts, che si abbassa, in meno di un minuto, a 1.95 volts, ma l’interpretazione da darsi deve esser diversa. Gli autori ritengono che questo valore rappresenti una differenza troppo grande rispetto alla tonalità termica della 1 reazione, per potere ritenere il valore di 1.95 volts come corrispondente all'energia libera di formazione di Ba Cl. (solido) e Ni da bario metallico e NiCl,, per cui rimarrebbe inspiegato il valore iniziale più alto. Tale differenza spiegherebbero invece bene ammettendo il sottocloruro, perchè allora si può attribuire il valore di 1.9 volts alla reazione 2 Ba Cl + Ni CI, = 2 BaCL, 4- Ni, dalla quale si può calcolare, per l’osservata tensione di 1.9 volts, con la regola di Thomson, la tonalità termica dell'ultima reazione che è di 87800 cal. Ora, questo non contraddice a quanto sopra ho affermato, perchè, pur ammettendo che l’ipotetico prodotto Ba Cl non sia che una soluzione solida, sussisterebbe l’ultima reazione, e quindi sempre le stesse conclusioni. Ad ogni modo, prima di poter comprovare anche per tali reazioni la relazione fra il valore della polarizzazione e la tonalità termica, occorrerebbe chiarire tutti i possibili fenomeni che si compiono all’anodo o al catodo, perchè, come risulta dagli interessanti lavori di R. Lorenz e collaboratori (*) sui sali fusi, oltre all'eventuale originarsi di sottocloruri, anche altre cause genesi di nebbie metalliche, solubilità dei metalli nel fuso, e, secondo me, anche la diffusione del prodotto in vicinanza del punto di fusione, mentre costituiscono un complesso di fenomeni proprî dei sali fusi. possono contribuire a moditicare grandemente l'andamento del fenomeno principale che si studia. Continuerò la trattazione degli argomenti ricordati in questa Nota. (1) Z. f. anorg. Chem., 4/ (1904), 424; Ann. Phys., 26 (1908), 935. (*) Die Elektrolyse geschmolzener Salze, Bd. 3, Knapp 1906. RenpIcoNTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 20 — 150 — Chimica. — Studi intorno agli indoni. I. Sintesi dell’a-etil- B-fenil-indone ('). Nota di R. pe FAZI, presentata dal Socio E. PATERNÒ (°). L’a-8-difenil-indone, che ho ottenuto per azione dell'anidride fosforica sull’acido #-trifenil-lattico (*), mi ha fatto pensare alla possibilità di otte- nere derivati dell’indone partendo da derivati dell'acido cinnamico. Interessante era di ottenere acidi cinnamici, i quali avessero, nelle po- sizioni @ e f, gruppi diversi. La sintesi dell'acido 8-metil-cinnamico, di Schroeter (‘); quella dell'acido f-fenil-cinnamico di Rupe e Busolt (*); e più ancora quella dell’acido @-metil- f-fenil-cinnamico di Rupe, Steiger e Fiedler (°), mi hanno indicato la via per ottenere acidi di tale tipo. Facendo agire l’a-bromo-butirrato di etile sul benzofenone in presenza di zinco in granuli, ho ottenuto l'etere etilico dell'acido @-etil-8-difenil-lattico, secondo lo schema seguente: C;Hs CH; Cs5Hs C.H; | | | / OZnBr | CO + CHBr +Zn= € C-H | | | CH; C00 C.H; CH; C00C,H; CeHy CHE . CeHi C.H; | >. OZnBr | | 208 | C__——_—__ CH + H0 = Zn0 + HBr + CC__C-H | | | | CH; C00G: H; CH; CO0C:H; Questo etere, con H,S0, conc., dà, a freddo, una fugace colorazione gialla e arancio, e passa poi subito ad un bel colore verde smeraldo. n Questa colorazione verde, Rupe e Busolt (") l'hanno notata per l'acido B-difenil-lattico, per l'acido f-fenil-cinnamico, e per alcuni derivati. Heyl e Meyer (5) osservarono che l’@-8-difenil-indone dava una colorazione verde 1) Lavoro eseguito nel Laboratorio Chimico della Sanità Pubblica. 2) Pervenuta all'Accademia il 20 luglio 1915. 3) R. de Fazi, questi Rendic., 24 (1), 440 (1915). 4) G. Schroeter, Ber., 37 (1), 1090 (1904); id., Ber., 40 (2), 1589 (1907). 5) Rupe, e Busolt, Ber., 40 (2), 4537 (1907). 5) Rupe, Steiger e Fiedler, Ber., 47 (1), 66 (1914). ?) Rupe c Busolt, loc. cit. ) ( ( ( ( ( ( ( (8) Heyl e Meyer, Ber., 28, 2787 (1895). — 151 — con l'acido solforico concetrato. Io l'ho notata ancora per l'acido f-trifenil- lattico e per i suoi derivati ('). Ma non soltanto l'etere etilico dell'acido @-etil-8-difenil-lattico (dal quale ho ottenuto, come dirò, l’a-etil-8-fenil-indone) dà tale colorazione, bensì anche l'etere etilico dell'acido @-metil--difenil-lattieo — che ho prepa- rato secondo le indicazioni di Rupe, Steiger e Fiedler (9) — dà una bella colorazione verde smeraldo con H,SO, conc., a freddo. E da questo etere, per azione dell’H,SO,, ho avuto, come descriverò in altra Nota, l’a-metil- 8-fenil-indone, identico a quello che Rupe, Steiger e Fiedler ottennero per azione del cloruro di tionile sull’acido «-metil-8-fenil-cinnamico. Dunque: l'acido f-trifenil-lattico e l'a-f-difenil-indone; l'etere etilico dell'acido @-etil-8-difenil-lattico e l’a-etil-8-fenil-indone; l'etere etilico del- l'acido «-metil-8-difenil-lattico e l’a-metil-8-fenil-indone, dànno tutti questa caratteristica colorazione verde-smeraldo. La colorazione (sia verde smeraldo più o meno intenso, sia bleu o violacea, od altra) che questi acidi cinna- mici, eteri lattici o acidi lattici, dànno a freddo con H,S0, conc., sono il vero indizio della formazione dell’ indone. Il fatto notato da Stoermer e da Voht (*) è la migliore conferma. Questi autori hanno studiato la trasformazione degli acidi «-cinnamici, dalla forma stabile alla forma d//o. L'acido @-etil-cinnamico e l'a-metil-cinnamico sono stati trasformati nella forma a//o, per azione dei raggi ultravioletti. L'acido «-metil-cinna- mico, stabile, con H. SO, conc. non dà, a freddo, colorazione; l'acido 4/l0 a-metil-cinnamico dà invece una colorazione bleu violacea. Dal primo, gli autori non sono riusciti ad ottenere l’a-metil-indone; dal secondo, invece, sì. E ciò si spiega molto facilmente, con l'osservare le due formule stereo- isomere: CeHs- C—H CH; C- H Il | CH — € — COOH COOH —C— CH; I II non dà colorazione con H; SO, cone. dà colorazione con H.SO, conc. non dà l’a-metil-indone dà l’a-metil-indone fi \ cH | ; CT— CH. tu REA RA Così pure per l'acido «-etil-cinnamico. (6,0) (1) R. de Fazi, loc, cit. (?) Rupe, Steiger e Fiedler, loc. cit. (*) Stoermer e Voht, Lieb. Ann., 409, 37 (1915). ilo Questo fa pensare che sarà possibile la sintesi dell’indone, trasformando prima l'acido cinnamico in acido a/l/o cinnamico, e disidratando poi questo, ‘con un disidratante appropriato : CASIO CHi-C—-H o N H_T-CT—C00H COOH—C-H Anche M. Bakunin (') ha accennato alla possibilità di ottenere l’ indone dall'acido @//o-cinnamico. Ho voluto dire poche parole su queste colorazioni, che gli indoni dànno, a freddo, con H.SO0, conc., poichè possono essere utili, non soltanto per la sintesi degli indoni, ma, in molti casi, anche per riconoscere gli acidi cin- namici stabili, dagli a//0-acidi. L'a-etil-8-fenil-indone l'ho ottenuto per azione dell'acido solforico, sul- l’etere etilico dell'acido «-etil-8-difenil-lattico. Già Gràbe e Aubin (*) avevano adoperato l'acido solforico come disi- dratante tra un gruppo fenico ed uno carbossilico. Dall'acido difenil-orto- carbonico avevano ottenuto il difenìl-chetone: CH; PASTI Pai Cell, = H,0 + CeéH, LS COOH X00 Roser (*) trasformò in indoni alcuni derivati dell'acido cinnamico per azione dell’acido solforico. Dall’acido dibromo-cinnamico, ottenne il dibromo - indone: Ao: RSI: — Br Tan CH; C-Br — H.0 + | | I — Br NANA H00C (010) (®) M. Bakunin, Gazz. chim., 80 (2), 355 (1900). (2) Gràbe e Aubin, Ber., 20, 845 (1887). (3) Roser, Lieb. Ann., 247, 129 (1888). — 153 — Liebermann ('), facendo agire l'acido solforico conc. sull'acido 4//0 cin- namico, ottenne non l’indone, ma un dimero, il truxone: CHs—-CT—H ZON - SIE pi: erp e () COOH - C—-H AA rad CO (0,0) Stoermer e Voht (?), come ho accennato, appunto per azione dell'acido solforico sull’acido allo a-metil-cinnamico, hanno ottenuto l’a-metil-indone. È facile comprendere come io abbia potuto ottenere l’a-etil- 8-fenil- indone, dall’etere etilico dell’acido «-etil-8-difenil-lattico. L'acido solforico conc., a freddo, ha prima saponificato l'etere dando l'acido a-etil-8-difenil-lattico; poi ha eliminato da questo una molecola d’acqua, ‘formando l'acido a-etil-8-fenil-cinnamico; e finalmente una seconda molecola d’acqua tra il carbossile e l'anello benzerico, dando luogo alla formazione dell’a-etil-8-fenil-indone. La reazione sarebbe andata, dunque, secondo lo schema seguente: CeHs C.H; CsHs C.H; CH; C.Hs | AOL | | /0H | | | | | | Î | | CH; C00C,H; CH; C00H CHs COOH ARIES: AGE Ve dea) CO Questo metodo per la sintesi degli indoni è molto semplice; e si hanno buoni rendimenti, poichè da 2 gr. di etere etilico dell’acido «-etil-8-difenil- lattico ho sempre ottenuto almeno 1 gr. di @-etil-8-fenil-indone. Di questo indone ho ottenuto l'ossima ed il fenil-idrazone. Ho in corso esperienze per trasformare questo indone nell’ idrindone e nell’idrindene corrispondente. Etere etilico dell'acido a-etil-B-difenil-lattico. CeH; C.H,; | CHs COOC.H; (!) Liebermann. Ber., 3/ (2095), (1898). (*?) Stoermer e Voht, loc. cit. — 154 — Si disciolgono 20 gr. di benzofenone in 60 c.c. di benzolo (disseccato su Na), e si aggiungono poi 14 gr. di «-bromo-butirrato di etile e gr. 10 di zinco in granuli. La reazione si fa in un pallone da 500 c.c.; a b. m., con refrigerante chiuso da un tubo a CaCl,. Dopo pochi minuti di ebullizione, la reazione avviene con una certa vivacità; e la soluzione, da incolora, diviene di colore giallo-bruno. Si lascia bollire per circa 2 ore. Poi si raffredda e si decompone con H;S0, diluito. Si separa la soluzione benzenica e si lava bene con acqua; e, dopo aver filtrato, si distilla il benzolo. Per raffreddamento tutta la massa cristallizza in ciuffi di aghi. Si filtrano alla pompa e si lavano poi con poco alcool. Cristallizzati da una mescolanza di acqua ed alcool (1:35), si ottengono grossi aghi bianchi e lucenti che fondono a 107-108°. La sostanza si dissecca a 100° e si analizza: I sostanza gr. 0,2222: CO; gr. 0,6192; H.0 gr. 0,1478 II sostanza gr. 0,2282: CO; gr. 0,6401; Hs0 gr. 0,1518 Donde °/p: i Trovato Calcolato per C,9He203 C 76,00 - 76,50 76,51 H 744 - 7,44 7,38 Questo etere, con H, SO, conc., a freddo, si colora in un bel verde sme- raldo; a caldo, in rosso. Per aggiunta di acqua, la soluzione, dal colore dal colore verde passa al colore giallo intenso. È una sostanza molto solubile in alcool etilico e metilico, in benzolo, cloroformio, etere etilico ed etere acetico; meno solubile in etere di petrolio. Da una preparazione si ottengono circa 20 gr. di questo etere. Azione dell'acido solforico sull’etere etilico dell'acido a-etil-B-difenil-lattico : a-etil-B-fenil-indone. A 2 gr. di etere etilico dell'acido @-etil-8-difenil-lattico si aggiungono 10 c.c di H, SO, cone. La soluzione diviene immediatamente di un bel colore verde smeraldo. Però, se si fa questa operazione con attenzione, si nota come la colora- zione verde, pur essendo immediata, è preceduta da una fugace colorazione gialla, poi arancio e rossa. — 155 — Si lascia reagire a temperatura ordinaria, per 1 giorno. Sì aggiungono quindi dei piccoli pezzi di ghiaccio, mantenendo però a bassa temperatura (miscuglio di ghiaccio e sale) il recipiente in cuì si fa questa operazione. L'aggiunta dei piccoli pezzi di ghiaccio deve essere fatta lentamente. Dal colore verde, la soluzione passa ad una serie di colori, nelle sfumature più strane, dal verde al rosso, dal rosso all’arancio, dal colore arancio al giallo intenso, e si nota un odore speciale. Si aggiungono poi pochi c. c. di acqua, sempre però a freddo. Si depositano così dei fiocchi di colore giallo-arancio, che si raccolgono su filtro. Si disciolgono in alcool etilico bollente, nel quale sono molto solubili. Per raffredìdamento della soluzione, si depositano grossi prismi, lucenti, di bel colore giallo-arancio, che fondono a 92-93°. La sostanza — disseccata a 50°, e tenuta in essiccatore nel vuoto, su P.0;, per 3 giorni — si analizza: I sostanza gr. 0,2288: CO» gr. 0,7286; H.0 gr. 0,1232 II sostanza gr. 0,2018: CO». gr. 0,6448; H:0 gr. 0,1112 Donde °/o: Trovato Calcolato per C,:H,0 C 86,85 - 87,14 87,20 H 6,03 - 6,16 6,00 Questo indone, con H,S0, conc., a freddo si colora in un bel verde smeraldo; a caldo, in rosso. La reazione è così sensibile che basta un cri- stallino perchè 10 c.c. di acido solforico si colorino in un bel verde sme- raldo. Con HNO; conc., a freddo si colora in rosso. È una sostanza molto solubile in alcool etilico e metilico, benzolo, cloroformio, etere etilico ed etere acetico; meno in etere di petrolio. Da una preparazione si ottiene, sempre, più di 1gr. di «-etil-8-fenil- indone. Ossima dell'a-etil-B-fenil-indone duri =0iH% | Li ga C= NOH Si disciolgono 2 gr. di «-etil-8-fenil-indone in 40 c. c. di alcool etilico, e si aggiungono poi 2 gr. di cloridrato di idrossilammina disciolti in 10 c. c. di acqua. — 156 — Si fa bollire per 3 ore. Per raffreddamento si depositano degli aghi di colore giallo, che fondono a 178-182°. Si cristallizzano da una mescolanza di alcool etilico e acqua (2: 1). Si hanno così dei lunghi aghi, lucenti e di un bel colore giallo-oro, che fondono a 182-183°. Con H,S0, conce., a freddo si colorano in rosso-sangue. Si dissecca a 100° la sostanza, e si determina l'azoto: sostanza gr. 0,1992: N c.c. 9.4 a 758 mm. e 23°. Donde °/.: Trovato Calcolato per C,7HisNO N 5,27 0,60 Fenil-idrazone dell'a-etil-B-fenil-indone (NIE | CaN—-—NH— CH; Si disciolgono 2 gr. di «-etil-8-fenil-indone in 40 c.c. di alcool etilico, e si aggiungono poi 2 gr. di fenil-idrazina. Si fa bollire per 2 ore a b. m. Si distilla un po’ d'alcool e si filtra. Per raffreddamento della soluzione, si depositano cristalli di colore giallo intenso, che fondono a 182-134°. Cristallizzati nuovamente dall'alcool, nel quale sono molto solubili, si ottengono prismi di colore giallo, che fondono a 136-138°. La sostanza si dissecca a 100°, e si determina l'azoto: I sostanza gr. 0,1210: N. c.c. 10,2 a 758 mm. e 25° II sostanza gr. 0.2114: N. c.c. 16,2 a 760 mm. e 23° Donde °/.: Trovato — Calcolato per CasHsoNa N 9,33 - 8.50 8,63 Questo fenil-idrazone dà, con HaS0, conc., a freddo, una colorazione rosso-bruna. — 157 — Patologia vegetale. — L’avvizzimento bacteriaceo del pomo- doro. Nota del prof. Virrorio PEGLION, ' presentata dal Socio G. CIAMICIAN ('). Nel maggio 1914, il prof. Calabresi, direttore della Cattedra ambulante di Agricoltura di Vasto accertava nelle coltivazioni di pomodoro colà abba- stanza diffuse per l'esportazione dei prodotti primaticci, la presenza di una malattia caratterizzata, come primo sintomo, dall'avvizzimento delle foglie che poscia si accartocciano e si essiccano, indi da progressivo intlaccidamento dei tessuti dello stelo cui segue la morte della pianta. Alcune piante colpite mì furono spedite in esame, ed esse presentavano i sintomi anzidetti, senza alcuna parvenza esterna di infezione fungiva, se si esclude qualche macchia di Septoria lycopersici. Sezionando trasversalmente lo stelo, appaiono evidenti lesioni localizzate nella regione vascolare: aree più o meno vaste, formanti talora un aneilo pressochè continuo, sono colpite da un caratteristico imbrunimento ed anzichè la sodezza specifica dei tessuti sani soggiaciono ad accentuata disorganizza- zione; l'ago di platino penetra senza sforzo per qualche centimetro di lun- ghezza in seno ai tessuti dissociati e ridotti allo stato di poltiglia mucosa. Le sezioni longitudinali rivelano che codesta alterazione del sistema vascolare si estende per lunghissimi tratti dello stelo e da questo nelle ramificazioni, mei picciuoli e nei peduncoli fiorali. L’alterazione resta netta- mente localizzata nella parte aerea ed in nessun caso se ne è constatata traccia nel fittone. L'esame microscopico conferma la profonda disorganizzazione subìta dal sistema vascolare della pianta: in seguito al disfacimento del floema esterno ed interno si formano lacune in cui restano isolati gli elementi xilematici. I vasi legnosi, ma soprattutto codeste cavità lisigeniche del floema si rive- lano infarciti da un microorganismo che vi pullula a miriadi e di cui si constata la presenza allo stato, per così dire, di coltura pura, anche nelle propaggini ultime del processo patologico in seno agli organi che esterna- mente non presentano ancora segni di alterazione. Ho proceduto all’ isolamento di questo microorganismo mercè la comune gelatina di brodo di carne e successivamente coll'agar al brodo, quando la temperatura del laboratorio non consentiva l'uso della gelatina. Ottimi resultati ho avuto anche colla gelatina di brodo di fagiuolo glucosato, pre- parata secondo le indicazioni del Mazè per la separazione dei rizobi e che, (') Pervenuta all'Accademia il 26 luglio 1915. RENDICONTI, 1815, Vol, XXIV 2° Sem, 21 a più riprese, ho verificato molto adatta per la coltura di bacteri fitopa- togeni. In tutti i casì, sì isola un bacterio corto, immobile, che si. sviluppa lentamente nei detti substrati formando colonie rotondeggianti opalescenti all'inizio indi di color giallo, man mano più carico; nelle strie su gelatina esso forma una patina gialla di aspetto lievemente viscido; nelle infissioni sì sviluppa prevalentemente in superficie, ma anche lungo il canale d’ innesto, formando colonie più pallide; la gelatina è liquefatta soltanto dopo parecchie settimane. Nei substrati glucosati la viscidità si accentua, ed all'esame mi- eroscopico sì osserva frequente e caratteristico incapsulamento; nessuna traccia di sporificazione anche nelle colture molto vecchie. L'attitudino patogenica di questo bacterio è stata dimostrata mediante inoculazioni a piante di pomodoro, prelevate dal vivaio dell'orto della Scuola e coltivate in vaso nella serra. Dopo 10-15 giorni le piante inoculate pre- sentavano il primo sintomo caratteristico: l’avvizzimento delle foglie che in breve disseccano e si disarticolano; sezionando il fusto appaiono illividite e disorganizzate le zone anzidette della sezione vascolare: l'esame microsco- pico rivela la presenza di miriadi di bacteri i cui caratteri culturali resul- tano identici a quelli osservati nelle colture ricavate direttamente dal ma- teriale ricevuto da Vasto. Le inoculazioni ripetute durante i mesi di giugno, e luglio 1914 dettero costantemente resultati positivi col pomodoro, negativi col tabacco e colla datura. Sembra che il prolungato sviluppo in substrati artificiali attenui pro- fondamente la virulenza del bacterio: le colture in gelatina ed in agar che attraversarono l'estate 1914, riprese nell’autunno ed adibite ad inoculazioni in piante di pomodoro tenute in serra, determinarono lesioni molto ristrette e localizzate nei tessuti dello stelo. Inoculando le stesse colture pure a frutti immaturi di pomodoro, staccati dalla pianta ebbi resultati positivi: il bacterio determina sollecita disorganizzazione della polpa è prelevando materiale da innesto da questi frutti si riesce a provocare lesioni più accentuate nel fusto di piante viventi e sane. Anche quest'anno la, malattia ha tornato a manifestarsi negli orti di Vasto, ed il materiale gentilmente fornitomi dal prof. Calabresi ha confer- mato le osservazioni compiute nel 1914. Questa malattia rientra fra le bacteriosi vascolari; intese nel senso secondo il quale fu creato questo gruppo da Erwin F. Smith. Le zooglee bacteriacee occupano non soltanto il lume dei grossi vasi legnosi ma sì. diffondono nel parenchima annesso, ed in seguito alla disorganizzazione di esso e del floema occupano, le cavità lisigeniche che ne resultano: lesioni tutte che alterano sino ad impedire la circolazione dei liquidi, donde il progressivo avvizzimento delle foglie e l'essiccamento più o meno sollecito della pianta. ” — 159 — Come tale essa non può assimilarsi alle forme di bacteriosi del pomo- doro di cui è stata antecedentemer. te segnalata la presenza in Italia dal Voglino (') e dal Pavarino (I prospettate più specialmente come bacteriosi del frutto di pomodoro, sebbene il Pavarino, nel diligente studio intorno al malanno quale si verifica nel Vogherese, abbia rilevato che l'infezione non sia localizzata nei frutti, ma attacchi tutte le parti aeree della pianta; tuttavia la natura delle lesioni osservate sui germogli e l' illustrazione anatomo- patologica datane, ed infine i caratteri del microorganismo specifico non hanno nulla di comune con quanto sì osserva nelle piante infette degli orti di Vasto. Esiste invece una grandissima analogia sia dal punto di vista eziolo- gico che anatomo-patologico tra queste e le piante di pomodoro colpite dalla malattia descritta da Erwin F. Smith col nome di «Grand Rapid Tomato diseare », bacteriosi vascolare ben distinta dal « Brown Rot of Solanaceous » illustrata dallo stesso antore. Quest'ultima malattia, comune a parecchie specie di Solanacee, fu descritta dallo Smith (*) sino dal 1896 ed esaurien- temente illustrata di recente (‘): essa è dovuta al Bac. Solanacearum. L'altra infezione bacteriacea del pomodoro è stata osservata nell'estate 1909 mentre infieriva nelle coltivazioni di pomodoro di Grand Rapids nel Michigan: ne fu data un’'illustrazione sommaria nel 1910 (?) ed un ulteriore studio nel 1914 (°); l'agente specifico è l’Ap/anobacter michiganense, i cui carat teri morfo-biologici corrispondono a quelli rilevati nello studio del micro- organismo isolato dai pomidoro provenienti da Vasto. La malattia sembra piuttosto diffusa nel nord America, a quanto scrive lo Smith, e da un cenno incidentale dato dal Jones. Lo stesso Smith ritiene che si debba considerare identica la malattia bacteriacea delie patate stu- diata dallo Spickermann (°) in Vestfalia nel 1908 e sommariamente descritta nel 1910. Ma nel particolareggiato studio testè pubblicato dallo Spicker- mann (5), ov è ampiamente illustrato il microorganismo specifico di questa (') Voglino P., Annali R. Accad. di Agricolt. Torino, 1909, pag. 277 (*) Pavarino G. L., Sulla batteriosi del pomodoro. Atti Ist. Bot. della R. Univer- sità di Pavia, pp. 338-344, vol. XII, 1910; Sul marciume dei pomodori. Riv. di Pat. veg., anno VI, n. 6, 1913. (5) Erwin F. Smith, A dacterial disease of tomato, eggplant and Irish potato. Bull. 12 Div. of veg. phys. and pathol. Washington, 1896. (‘) Erwin F. Smith, Bacteria in relation to plant diseases, vol. 3°, Washington, 1914. (9) Erwin F. Smith, A new tomato disease of Economic importance Science, vol. XXXI, n. 808, 1910. (9) Erwin F. Smith, Bact. in rel. to plant diseases, vol. 3°, 1914. (‘) Spieckermann A.. Veder cine noch nicht beschrieb. bakter. Gefasserkrank. der Kartofelpflanze. Centr. f. Bakt., II abt., 1910. (*) Spieckermann A. und Kotthoff, Die Bakterienringfaule der Kartoffelpfanze. Landwirtsch. Jahrbucher, heft 5, 1914. — 160 — « Bakterienringfaule» della patata (Bact. sepedonicum) non v'ha il minimo cenno che indichi che questo Autore fosse edotto delle ricerche dello Smith intorno alla bacteriosi in parola; tant'è che fra le specie bacteriacee, paras- site della patata, studiate dallo Spickermann in confronto al B. sepedonicum, non figura l’Aplanobdacter anzidetto. A differenza di quanto è stato accertato in America, la malattia quale sì è manifestata a Vasto sembra circoscritta, quasi localizzata in alcuni orti; così almeno mi fu riferito dal prof. Calabresi, nè io ho avuto occasione di accertarne la presenza altrove, in alcuna delle coltivazioni industriali di pomodoro tanto estese ormai nella Valle padana. - Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. ero e —_ Atti dell’ Meosiblina, pontificia dei Nani) Lincei. Tomo I-XXIII “©. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV- XXVI. erie 2- — Vol. I. (1873-74). 5 MOLTE (1874-75) cd Vol. UL (1875- I, Parte 1a Tarn PISO 5 La MEMORIE della Classe di scienze fisiche, È ap PET Le | matematiche e naturali. CRE Col MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. og < Vol. IV. V. VI. VII. VII ie ai - TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). — MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I. (1,2) — Il. (1,2). — I-XIX. TAN ; Mie RO — MEMORIE della du di ‘scienze morali, storiche e filologiche, ci O SN Vol: I-XIII. da DE. Serie 4% — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884- 91). è tt; Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, SEGA i wi VR I-VIL i i SN SA A — MEMORIE della Classe di scienze morali, sioriche e filologiche, Tuc VO SPANO IX: “Serio [ol _ - RENDICONTI. della Classe ‘di scienze fisiche, HORA e naturali, i | Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fase. 3°. Sem. 2°. i Sud EU a della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, SIE Up Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fase. 1-2. Siti si — MEMORIE della Classe di scienze fisiche, a e naturali, Vol. I-XI. Fase. 3. LASA Mrworie della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. ere ei Vol I-XII ———_ —_—__—=—=—__—_—_a=__Y_;y,y=,-oo©llf$}}E::- i È - PRON "rea 3 ART IRE CONDIZIONI D DI ASSOCIAZIONE Sg (AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI i da: Ùp Fouliconi della Please di scienze fisiche, matematiche Le Thaturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon» “denti ognuno ad un ‘semestre. «Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta i Palio è è di L. £9; per gli altri paesi le spese di posta in più, » _—»—Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti i "editori librai: Pi ) — Ermanno, LoESCHER ‘aio Romi Torino e (Ii — Utaico Horpit. - _ Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Agosto 1915. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferîe, sino al 1° agosto 1915. Marletta. Sulle da algebriche d'ordine 6 con infinite coniche (pres. dal Corrisp. Castel UOC) ; ara: VELE Colonnetti. Nuove esperienze sn elasticità d% rame ver ni dc Maggi PEPERONI) Chiaraviglio e Corbino. Un apparecchio per lo studio dei gas e dei vapori che si svolgono dagli esplosivi a temperatura ordinaria (pres. dal Socio Paternò)... /././... » Trabacchi. Interruttore elettrolitico per la corrente alternata (pres. dal Socio Blaserza) . » Balzac. Studio cristallografico della cianmetil- e della POR a cuproam- moniche (pres. dal Socio Parona) . . . D) Serra. Ricerche petrografiche e mineralogiche nei dito di Osilo (Sardegna) e "al Corrisp. Maillosevich) . . . . ERE ORO Marino. Nuove ricerche sulle ioni inferiori di Ja ai oa dal Socio Nasini) » De Fazi. Studi intorno agli indoni. I. Sintesi dell’a-etil-B-fenilindone (pres. dal Socio Paternò) | \ 0°. . SRERA 1) Peglion. L'avvizzimento Vira nd Mi i, dal Gua (Gc Sa DOVA E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. 109: 113 120 126 133 138 143 150 157. Abbonamento postale. | | : } 4 1 i I n= EMIA CCCXII 494 5. pagina È è PIO BEFANI ccadem 0 x À agost tl 7°. — Fasc Î 1 i o È È ear a ; 2 . AM = E S AS o a O S I FROG ERO A bl Ce obi et E a do È sa Ue) 3) i = Data ol PETRA IE 2 59 : [ca "o. - È O ES fi È e : SCI i fa 3 ENI S 33 de Qi all a a pie XxXIV° pervenuie al smo al Nota .0) te | port ni LA TE VDICONTI fisiche, matematiche e (2° SemesTRE. fa l CUI SR.) REI icazioni ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. {Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme ‘seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- ‘:golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volmne; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon= denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. ‘4,I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia sei Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta - stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione:la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 4915. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). O, Matematica. — Sulle trasformazioni di Ribaucour dei sistemi tripli ortogonali. Nota del Socio Lurci BIANCHI (). 1. Ribaucour per il primo, costruendo la teoria dei sistemi ciclici, ha riconosciuto l’importanza, in geometria infinitesimale, della considerazione di quegli inviluppi di sfere a due parametri, sulle cui due falde si corrispon- dono le linee di curvatura. Le due superficie S, S' che formano le due falde di un tale inviluppo di Ribaucour, si diranno derivate l'una dall'altra per trasformazione di Ribaucour. In altre parole, due superficie S,S' saranno trasformate di Ribaucour l'una dell'altra se si corrispondono punto a punto in guisa che le normali in ogni coppia P, P' di punti corrispondenti s° in- contrino in un punto M,, equidistante da P, P', e quando P descrive una linea di curvatura di S il corrispondente P' descrive una linea di curvatura di S'. In tal caso la sfera descritta col centro in M, e di raggio MP= MP' è la sfera inviluppante. Nella presente Nota mi propongo di risolvere il problema di costruire le trasformazioni di Ribaucour pei sistemi tripli di superficie ortogonali. Più precisamente si ricercano tutte le coppie possibili di sistemi tripli orto- gonali (3), (3) che si corrispondono punto a punto e per linee di curvatura in guisa che, 2n una delle tre serie deì sistemi tripli, le superficie corri- spondenti siano trasformate di Ribaucour l'una dell'altra. Comincieremo dal (1) Pervenuta all'Accademia il 14 agosto 1915. RenpiconTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 22 — 162 — dimostrare che la circostanza, supposta per una delle tre serie, si verifica necessariamente anche per le altre due. 2. Siano %,,2,%z i tre parametri che fissano la posizione di ogni singola superficie nelle rispettive tre serie, sicchè nella nostra ipotesi sì corrisponderanno nei due sistemi (2), (2) i punti di eguali coordinate cur- vilinee (%,, 2,3). Ora supponiamo, di più, che due qualunque superficie corrispondenti S,S' in una delle tre serie, p. es. nella u3 = cost, siano toccate in ogni coppia P, P' di punti corrispondenti da una medesima sfera, Descriviamo allora per ogni tale coppia di punti il circolo C normale alla sfera inviluppante e quindi alle due superficie S,S". È ben noto che il sistema degli co? circoli costruiti è un sistema ciclico (ved. Lezioni di geo - metria differenziale, vol. II, $ 281), cioè ammette una serie oc! di super- ficie ortogonali, fra le quali figurano le due S,S'. Inoltre si sa che la. congruenza degli assi di questo circolo ha sviluppabili reali, e queste cor- rispondono alle linee di curvatura (v1),(v:) di S,S'. Se con F, ,F: si indi- cano i due fuochi della congruenza sull’asse del circolo C, le rette PF, , P'F, sono le tangenti a due linee di curvatura corrispondenti di S,S', e similmente le congiungenti PF;,P'F, dànno le tangenti alle linee di cur- vatura dell’altro sistema (ibid., $ 276). D'altra parte queste due tangenti PF,,P'F, sono le normali nel punto P a due superficie corrispondenti di una delle altre due serie, diciamo le u, = cost; e similmente PF, , P'F. saranno le normali a due superficie corrispondenti dell'altra serie u, = cost. E siccome PF,=P'F, , PF:=P/F., ne risulta appunto che anche due superficie corrispondenti della serie u, = cost, o della u» = cost, sono tras- formate di Ribaucour l'una dell'altra. 3. Premesse queste considerazioni geometriche, andiamo a ricercare col- l'analisi tutti i sistemi tripli ortogonali (2) trasformati di Ribaucour di un sistema dato (2). Questo sistema sarà definito, nel solito modo, dalla corrispondente espressione del ds? (1) ds? = H? du + Hî du + Hî dui, e si riterranno le consuete notazioni (X;, Y;, Z) é=1,2,8 pei coseni di direzione degli spigoli del triedro principale, e fix (é = 4) per le sei rota- zioni. Si sa che queste rotazioni #x sono legate dal sistema differenziale dui = Pi Pin (A) ) i (i+%=1) dt a | dUI n QUK (E È Bui Pix + Note le sei rotazioni #;x, in funzione di v, , %», 3; è determinata l’im- magine sferica del sistema triplo; ma esistono infiniti di questi sistemi — 163 — colla stessa immagine sferica, cioè con eguale orientazione del triedro prin- cipale, che per ciò diconsi paralleli. Essi corrispondono alle singole terne (H,,Hs,H3) di soluzioni del sistema differenziale (B) > = Pri Hx (#4), il cui integrale generale dipende da tre funzioni arbitrarie essenziali. Ricordiamo che i nove coseni (X;, Y;, Z;) sono determinati, a meno di movimenti, dal sistema di equazioni ai differenziali totali BD. = = — Pri Kar Pu Xi (a) \_px ((*%=*0)) DUI 210 (10 In fine, note le H; e le X,, si hanno per quadrature le coordinate x ,Y,4 del punto variabile, che descrive il sistema triplo (3), dalle formole: (2) CL aa F SIA , LEA dUi dUi dUi 4. Pel secondo sistema triplo (3), che supponiamo legato a (Z) da una trasformazione di Ribaucour, manteniamo le medesime notazioni, distin- guendole con un soprassegno. Le normali in due punti corrispondenti, P=(x,y.8), P=(#,7,3) a due superficie della serie vu; = cost, s' in- contrano, per ipotesi, in un punto F; equidistante da P, P; onde ponendo PF;= R;, deduciamo x+RX;=Z%=< RX: colle analoghe in y , 4. Ma non alteriamo la generalità, limitandoci a prendere il segno supe- riore, bastando cangiare nel caso contrario H; in —H;; così avremo (3) X=X+ R, Ora, indicando con £ , n, i coseni della direzione da P a P, poniamo i E=a,X+agX3 + a3 Kg (4) ‘n= Yi t+axYa to Yi é=a,)Z, + aa4Z° + a3Z3, dove a,,@,, @3 sono tre funzioni di wu, , vu», v3 legate dalla relazione (3) Gu — 164 — Denotando poi con T il valore algebrico del segmento PP, avremo (6) a=x+T5, colle analoghe per 7,#; e, sostituendo nelle (3), = T (7) ini Ora dobbiamo avere SX?= 1 (!); e siccome SK 101 = dalle (7) deduciamo 1 URBE Roron e per ciò (8) X;=X— 2aÈ. Ma si osservi che, inversamente, se le @; soddisfano la (5), queste formole D.C = XK; iS 2a;(a Xi + Aa IX + 3 X3) dànno in effetto i coseni di direzione (X;. Y;, Z;) é=1,2,8, degli spigoli di un triedro trirettangolo, perchè risulta identicamente sa) (4). 5. Il nostro problema analitico consiste nel trovare le condizioni a cui debbono soddisfare le funzioni incognite T, a, ,@s, 3 affinchè le formole (6) definiscano un sistema triplo ortogonale (2) col triedro principale (X;,Y,Z). Le condizioni a ciò necessarie e sufficienti saranno date dalle relazioni - dE i (9) SX 3, = 0 4), soddisfatte le quali il nuovo sistema triplo ortogonale (3) sarà trasformato di Ribaucour del sistema (2) e i raggi R,, R:, R3 delle tre sfere invilup- panti saranno dati dalle formole AL T (10) ora s Re=37 La condizione (9), a causa delle (2), (6), (7), si scrive 4 x DT dé \_0:. (04) S(K,— 2a) (1X:+ a e4rtt)_o; (*) Col simbolo $ indichiamo la somma di tre termini simili rispetto agli assi 7,y,2. — 165 — e per calcolarla conviene tener conto delle seguenti identità: SKXXx=0, S$SkKé=ax , Sé=1, e delle altre che ne seguono per derivazione, tenendo conto delle (a): d se 20 9 SK, E 2% dUi dUi dUi Si trova, così, ST da at +1(3- sii) 2m a H—0, ossia i(T+2He) H;W;du; è un differenziale esatto, onde 14 (15*) F = fam, du, + HyWy dus + HsW; dus) . dr _ dv dun dui grabilità per le (12), servendosi delle (A). (!) La medesima condizione si otterrebbe costruendo le condizioni d'inte- — 167 — Le formole (6), che dànno il sistema (>) derivato, diventano, così, 2F (10) T=27wpwwi (WX+WX:+ Wi XK). Viceversa, se si prende una terna qualunque (W,, We, Ws) di soluzioni del sistema (B*), le formole (16), dove F è calcolata con una quadratura dalla (15*), daranno un sistema triplo ortogonale (>) derivato per trasfor- mazione di Ribaucour dal sistema (3). E invero tutte le condizioni calcolate al n. 5 risultano allora soddisfatte. 7. Possiamo anche esprimere tutti gli elementi nelle formole (16) per l’unica funzione F e le sue derivate, ricordando che sì ha, per le (15), 15 F be i Hi dU; Le equazioni di condizione (B*) per le W, si traducono allora, per la funzione F, nelle tre equazioni simultanee del secondo ordine dF___ 1095, dF 1 93H, 5F du: Us Hi du, du, Hi dui dda d°F et 1 93H, 3F 1 3H; dF dUs dU3z = Ho dU3 due | Hz dus dU3 d°F 1 9dH3 dF_, 19d3H, dF dU3 dUI H, UU, dU3 Hi dU3z 2dU) i Scritte colla notazione simbolica delle derivate seconde covarianti, calcolate rispetto alla forma differenziale (1), queste si esprimono più brevemente così: (C*) F,,=0 s Fxa3=0 , F;,=0. Ed osservando, poi, che sì ha O Wt+W+Wi=4,F, WiX1 4 WeX: 4 Wolo= 2 Fia ID dove 4,F,y(x,F) indicano i noti parametri differenziali, daremo alle (16) la forma definitiva seguente: (II) i , J7=Y— r(y.F), — 168 — Queste formole, nelle quali si ponga per F una qualunque soluzione del sistema (C), dànno tutti i sistemi tripli ortogonali () derivati dal primi- tivo (2) per trasformazione di Ribaucour. Osserveremo che le formole (8) pei coseni X; si scrivono, alla loro velta, 2 9F TACE F), ecc. * Wintyo so ei (I*) X;= Xi Hit 8. Dalle (10), calcolando i raggi R; delle sfere inviluppanti, abbiamo CO i i 2a; 2a; Wi ossia HF di an Ui Ne risulta il teorema di Ribausour [ved. Darboux, Zegons sur les systèmes orthogonaux (2*"° édition), pag. 400): Dato un sistema triplo ortogonale (3), se st prende una soluzione qualunque F del sistema (C), e sulle tre normali in un punto P si riportano i tre segmenti PF;=R; dati dalla (17), le tre sfere coi centri in F,,F., F3 che passano per P, passano anche per un secondo punto Pil quale descrive un nuovo sistema triplo ortogonale (3). Ma la ricerca eseguita nei nn. precedenti dimostra, inoltre, che questo teorema di Ribaucour dà il più generale sistema triplo ortogonale (3) de- rivato da 2 per una trasformazione di Ribaucour. 9. È già stato osservato dal Darboux (loc. cit., pag. 401) che il teo- rema di Ribaucour, applicato alla ricerca di nuovi sistemi tripli ortogonali, non dà nulla di più dei metodi combinati delle trasformazioni parallele (o di Combescure) e delle inversioni per raggi vettori reciproci. Si riconosce meglio l'identità dei due metodi, ponendola sotto questa forma più espressiva : Se due sistemi tripli ortogonali (3), (3) sono trasformati di Ribau- cour l’uno dell’altro, esistono due altri sistemi tripli ortogonali (2'),(2') rispettivamente paralleli a (3),(3) e che si deducono l'uno dall'altro con un'inversione per raggi vettori reciproci. Per dimostrarlo, riferiamoci alle formole sopra stabilite ed osserviamo che, siccome W,, We, W; soddisfanno alle (B*), se si pone c= W, Xi + WoXrt Wi Xi (18) ‘ y=WYtW.Y.+ Wi Yz | I-W,Z/4+W,Z,+W,Z, queste formole definiscono un sistema triplo ortogonale (2') parallelo a (3). — 169 — Precisamente, derivando queste rapporto ad «;, si ottiene dove 7 dIW: H,= oa + Bri War + fiW,, od anche, esprimendo per la funzione F, , Fi (19) H; da H; b) formole che dànno i valori dei coefficienti H; pel sistema (2°). Con una inversione per raggi vettori reciproci, rispetto alla sfera col centro nell’ori- gine e di raggio = 1, cangiamo il sistema (2') nell’inverso Sor colle formole (0) = r ’ , DA n’ Y ii 8 + ya > Y a+ y + ,$ + yi 4° Queste, derivate rapporto ad %;, coll’osservare che si ha da' e) dx =—HX, , — (a? r2 NEON dUi dUi a ATL; È du Ji i | (N°) A 3 dànno le formole PEA H! BE i Xx, 9 x Wi dui 4y4e\® a+ y+- 42)" ovvero anche, colle notazioni del n. 4, et H! i Hi Vv wi a +y?+ a? > 3 Ly + s18 i 2a E) = Dunque il sistema (2') è parallelo al sistema derivato (3), c. d. d. Possiamo anche dire che la trasformazione di Ribaucour, la quale con- duce dal sistema (2) al derivato (3), sì decompone in questi tre passaggi successivi: 1°) da (>) a (2') con una trasformazione parallela (o di Com- bescure); 2°) da (2') a (I) con una inversione per raggi vettori reciproci ; 3°) da (2") a (2') con una trasformazione parallela. In conclusione: Ze trasformazioni di Ribaucour dei sistemi tripli ortogonali si compongono di trasformazioni di Combescure è di inversione per raggi vettori reciproci. 10. Il metodo, che abbiamo tenuto in questa Nota per la ricerca delle trasformazioni di Ribaucour dei sistemi tripli ortogonali, si estende facil- RENDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 29 — 170 — mente al problema analogo pei sistemi nr ortogonali nello spazio Sn euclideo definito da (21) dst=dxt + da +--- + dx}, = Hî duî + Hi du + --- + H7, dui, . Estese le considerazioni geometriche del n. 2 ai sistemi n? ortogonali, basta invero riprendere i calcoli dei nn. 3-7 colle formole generali dei si- stemi 22“ ortogonali per giungere ai risultati seguenti. Si prenda una qualunque soluzione F = F(v,,%:,...,v,) del sistema differenziale Fig=0 (i 4), ottenuto eguagliando a zero le derivate seconde miste covarianti di F [cal- colate rispetto alla forma differenziale (21)], sistema la cui soluzione gene- rale contiene n funzioni arbitrarie essenziali. Allora le formole stesse (I) 2 2F (11) dan ap 70) o Iii daranno il più generale sistema n? ortogonale (3), derivato per trasforma- zione di Ribaucour dal sistema primitivo (3). La formola (17) per g=1,2,...,% fornisce i raggi delle x ipersfere, che toccano le x superficie coordinate in un medesimo punto P di (2), e passano per un secondo punto (P) che descrive il nuovo sistema x?° orto- gonale (3). È questo il seorema di Ribaucour esteso all’S, euclideo. Osserviamo, ancora, che dalle (II), servendosi delle formole di deriva- zione invariantiva, si calcolano facilmente i coefficienti H; pel sistema de- rivato (3), e si trova (22) H; — H; cei formole che valgono in particolare per n= 3. Ed anche qui, nello spazio euclideo ad 7» dimensioni, si vede che le trasformazioni di Ribaucour si decompongono in trasformazioni parallele ed in- versioni per raggi vettori reciproci. Ma non è senza interesse osservare che, se dagli spazî euclidei si passa agli spazî generali a curvatura costante, rappresentandosi questi conformemente sullo spazio euclideo con conserva- zione delle sfere, esistono ancora manifestamente le trasformazioni di Ribau- cour, ma non sono più decomponibili come nello spazio euclideo. 11. Ritornando per semplicità al caso dello spazio ordinario, conside- riamo sulle tre normali alle superficie coordinate in un punto P i tre centri F,, F:, F3 delle sfere inviluppanti. Da quanto si è detto al n. 2, risulta che il triangolo F, Fs F3 viene proiettato dai due punti corrispondenti P,P di (X),(X) secondo i due rispettivi triedri principali. Inoltre, se — I71 — spostiamo la coppia (P, P) lungo le corrispondenti superficie di una delle tre serie, p. es. della uz = cost, il lato FF; del triangolo descrive una congruenza ciclica di cui F,,F: sono i fuochi. Similmente per gli altri due lati. Un' ulteriore proprietà della trasformazione di Ribaucour si ha nel se- guente teorema: In ogni coppia (>), (3) di sistemi tripli ortogonali derivati l'uno dall'altro per trasformazione di Ribaucour, i tre centri delle sfere invi- luppanti descrivono (re sistemi tripli coniugati. Per dimostrarlo prendiamo p. es. le coordinate «3, 3, #3 del centro F3 date da (23) ank dg = è dI ca =_494 Wi, 373 colle analoghe. Se si osservano le identità ee ao, dU; dUz dU3 IX IX IX x = Ba, XK , > = Pa, X>o ’ > = cai Xi — Ps3 Xi ’ e le altre d di F\_W o Wicca (FEAR (FTA BP). 3 (Deng dU3 Wi ir W? dU3 ì sì calcolano dalle (2:) le derivate prime (24) HW. — £. at e) dUI Wî dz H.W; — #30F | du, W? (WiX.— Wi X3) dn _F 1% erette x). Sarà provato il teorema se si dimostra che le derivate seconde miste DEAL, PR: DEU, UU Us Ue ui da — 172 — si compongono linearmente ed omogeneamente colle rispettive coppie di de- rivate prime i de i dus” Us du ds)” mediante coefficienti che rimangono gli stessi per 3,43. Questo risulta subito dalla forma delle (24), coll’osservare le seguenti identità : n. d Wi | (WLW) = (fe i ) wi — WrX3) + i W +fr :(WsXx— WiX;) Wi Wi dI Il dW, I: Wi) raga E, d Pa Wa Wi dA3 1 PAVA ds (Wi Xi at W. Xs) cn F dUs + W, ds (Wi LE TR W, X3). Osserviamo, di più, che, se si pone PS Psa F BE Bs2 F RE (25) hi == Jak = W, 4 06 = 186 W, , h3z = W, , dalle formole P) d dala I risulta e 1 dh _ E AE DI 05 dU ani ine Bai i hi du, fai Pro sa Wi i Dopo ciò, si vede che x3,%3,43 sono tre soluzioni del seguente sistema differenziale : 30 dlgh 36 , dlgh. dI dui via 0 da dui du: ) 36 >ligh, 30 MEl10 >0 dU?, dUZ dUz dUs DUI dUZ 30 dlgh, 20 4 3lgla PL) dU3 di di dUI dU3 dUI H e questo caratterizza appunto il sistema triplo coniugato. 12. Termineremo queste considerazioni sulle trasformazioni di Ribau- cour pei sistemi tripli ortogonali coll’osservare che sussiste anche qui un — 173 — teorema di permutabilità, di cui non è difficile dare la dimostrazione, colle formole effettive: Se due sistemi tripli ortogonali (Z,) ,(Z2) provengono da un mede- simo (3) per trasformazioni di Ribaucour, esiste una serie ©! di sistemi come (X) (determinabile con una quadratura). da ciascuno dei quali pro- vengono egualmente (X,),(X) per trasformazioni di Ribaucour. In fine osserviamo che le formole per le trasformazioni di Ribaucour dei sistemi tripli ortogonali includono, come caso particolare, quelle delle trasformazioni stesse per le superficie isolate S. Basta infatti considerare la S nel sistema triplo ortogonale determinato dalle sue superficie parallele. Se riferiamo la S alle sue linee di curvatura (w,v), e riteniamo le consuete notazioni, si otterranno tutte le trasformate S di Ribaucour della S nel modo seguente: Si determini una terna di funzioni W,, Wi, W3 di u,v che soddisfino al sistema differenziale 1 3VG ) VE Wi _ _2I/G wr dWi _ 1 3Y w, dv VE dU y/G >» 2W: VE Wi VG | d =! Fre ° 2 Wi; U ra dv ri determinata con una quadratura la funzione F data da F =f(aw du+ VG Wydv) , sì avrà, per le formole richieste, 2F pae e PA OE d=% — 174 — Matematica. — Sulla flessione delle superficie inestendibili. Nota di MaTtTEO Bortasso, presentata dal Corrispondente R. MAR- coLongo ('). Stabiliremo, per la flessione di una superficie inestendibile, alcune for- mule omografico-vettoriali assolute, fondamentali per tutti i problemi della applicabilità, come risulterà, oltrechè dagli esempî dei nn. 7-9, da un pros- simo lavoro sul problema del rotolamento di una superficie sopra un’altra, ad essa applicabile. Siano S, S due superficie; e fra il punto generico P di S ed il punto generico P, di S, sia stabilita una corrispondenza biunivoca, per modo che P, è funzione di P, variabile in S, e P è funzione di 2, variabile in S (°). Per gli elementi N (vettore unitario normale in P ad .S), la dilata- zione o di S, e per i corrispondenti N , 0, di S, valgono le note posizioni e proprietà essenziali: (a) oa. Neo. A causa della corrispondenza tra P e P,, ad ogni spostamento dP,dP,..., normale ad N, corrisponde uno spostamento determinato dPy , ÎPo , ... nor- male ad N. Inoltre, affinchè S de S, siano applicabili, come supporremo, nei punti corrispondenti P, P,, occorre e basta (Fond., n. 9) che per ogni spostamento 4P di P si abbia: (2) (dP)° = (dP,)?, Ciò equivale a dire (A. V., I, pag. 47, od /som.) che esiste una ts0- meria vettoriale À, ad invariante terzo positivo, (e) e n (*) Pervenuta all'Accademia il 81 luglio 1915. (*) Citeremo i lavori seguenti: «@) C. Burali-Forti et R. Marcolongo, Analyse vecto- rielle générale, vol. I, II (Pavia, Mattei e C., 1912-13); 2) C. Burali-Forti, Gradiente, rotazione e divergenza in una superficie (Atti della R. Accademia di Torino, vol. XLV, 1909-10, pp. 388-400); c) Id., Fondamenti per la geometria differenziale su di una super- ficie, col metodo vettoriale generale (Rend. Circ. matem. di Palermo, tom. XXXIII, 1° sem. 1912, pp. 1-40). d) Id., Zsomerie vettoriali e moti geometrici [Mem. R. Accad. di Torino (2*), LXV, 1915, n. 14]. Nel seguito richiameremo brevemente e rispettivamente: questi lavori con « A. V. n, « Gr. n, « Fond. », « Isom. ». — 175 — funzione di ? (e, quindi, anche di 7), tale che, per d arbitrario, (d) AGP IPSANNTRO) In ciò che segue supponiamo che u sia un vettore funzione di P e nor- male ad N (cioèò uXN=0), e poniamo w=4u. Ne segue che wu è normale ad Ny, perchè nu XNo=4uX4N=uXN=0. FORMULE FONDAMENTALI DELLA FLESSIONE. 1. Per l’omografia 44, che non è un'isomeria (Ford., pag. 9), si hanno le notevoli formule seguenti, che la caratterizzano completamente: (1) _UA.N=(0,43— 20) dP (3), (2) di .u=H}(20—0,4)u, N} dP,. La (1) segue subito differenziando la 28 delle (4), poichè, per le (a) 6 (d), si ha, così, di.N=dN — 4%dN= 0, dP, — 46 dP= 0,4 dP— ko dP. Per la (2) si osservi che, differenziando A0P = 0, si ha: di.dP=ddP, — AddP, e quindi, sviluppando i doppî prodotti vettoriali e per le (4), (2), si ottiene: (dA.dP)A(AP.\dP.) = (ddP,XdP, — AdOPXdP) dPo — — (ddP.XdPo — Ad6PXdP) dPi = (ddP,XdP, — d6PX6dP) dP, — (ddP,X dP, — ddPXdP)6P, =} d[(dP.)? — (*P)°] dP,— 3 d[(4P.)} — (dP)°] dP,=0; il che prova che d4.dP è parallelo a dP Ad, cioè ad N. E siccome dP è arbitrario fra i vettori u normali ad N, è dA.u=7N,, da cui, molti- plicando internamente per N, per il teorema di commutazione e la (1)°, sì ha: RNA URINA (Re =dP,X(A6 — 0,4), che, sostituita nella precedente, dà la (2). (1) Che equivalgono a: (d)° RA URIMERESAN NE (8) Ossia l’equivalente: (1)° dKi.No,=(0K4 — KA. 00) dP,. Anche nel seguito scriveremo (in generale) una sola delle formule, ottenendosi l’altra cambiando 0,74, N,u, P, in 00, KA, No, Wo. — 176 — OssERvazionE. — Siccome, per le (a) e (d), Zo — 0,4 trasforma ogni vettore u (normale ad N) in un vettore normale ad N, le (1) e (2) espri- mono che l’omografia di trasforma vettori paralleli o normali ad N in vettori normali o paralleli ad N,. 2. Differenziando wu = 4U, e per la (c)°, si ha: du, = du + du = 1 a+ ddu = 200 KA dp + dA .1, dalla quale, per la (2), s'ottiene immediatamente: du _, (3) ap, ap + HiQ0—0%4)u, Noi. Applicando i due membri della (3) ad N =4N, e moltiplicando poi vet- torialmente per No, si ha: du gi _duy (ds aan @ ennatin , (Gem) an =2| (CENAN |. Siccome 4 è invertibile, le (4) esprimono che è vettori Zi N du * dP, sono entrambi o nulli, o non nulli: se il primo è parallelo ad N, tl secondo è parallelo ad No, ed inversamente. No La condizione di parallelismo di DI N con N (che comprende l’an- nullamento del primo vettore) è dunque un invariante di flessione. 3. Dalle (3) si ottiene pure, facilmente, du, du Li pi re dig! 5 die du da du, _j du du \ du o si (aux (00) Infatti, la prima si ha subito operando sui due membri della (3) con I,; operando invece con I, ,I,, si ha { A. V., II, pag. 136 [10],[(11]; vol. I, pag. 38 [5], pag. 49 (49; e (af: duo _j du x Lo lgp + 0-52) uX0(275 14) N, du, _j du qu, ) Lp Lp + 00 0) uXR(2K75 KA)N, du du =I, -- + (40 — 05.4) uXARK 75 N, MII dalle quali seguono subito f A. V., I, pag. 23 [5], pag. 38 [2]; e (4), n. 1, osserv.f le due ultime (5). 4, Osserviamo che quando su N è parallelo ad N, i vettori 4 DN, d (07) N risultano, per le (4), paralleli ad Ny; perciò (n. 1, osserv.) dP dp 7 p 9 p 09 p bi è) S * ; du, _ pu (,_ , da (6) lp rp (112003) pel TAI parallelo ad N. du E dalle (3)-(5) segue che non è un invariante di flessione, mentre dP lo è sempre il suo invariante primo; e lo sono anche gli altri due inva- d rianti purchè N sia un vettore (nullo 0) parallelo ad N . Notiamo pure che, operando con 2V nella (8), si ha subito (A. V., 1, pag. 70 [1], pag. 44 [7], pag. 49 [4]): (7) rote, wu = 4 rottu— N, (20 — 54) u. 5. Se g è un numero funzione di P (e, quindi, anche di 7.) variabile in S, per la (d) si ha (A. V., I, pag. 90 [2']) Zgrad:g=grad; g; e poichè (7ond., n. 11) Gradsg = gradeg — NXgrad» p.N, operando con 4 nei due membri sì ha: (8) À Gradgg = Grad, P. Dalla (8), e per le (c), (5), segue subito che i numeri d Grads 9 AIA ° 2 (9) (Grad, g)? , I PT) = div Grad» gp, sono invarianti di flessione, qualunque sia 4; mentre l’ invariante secondo e d Grad g ievoidieee = dP 6. Siano O un punto e k un vettore unitario, entrambi indipendenti da P (cioè costanti). E utile considerare i numeri ben noti (Gr., n. 6) lo sono soltanto sotto le condizioni indicate per le (6) (?). (10) s=kX(P— 0) , e=4(P— 0? , w=(P— 0)XN, . i clan d Grad ERRE (*) Sotto tali condizioni, Is gni è l’ordinario 4389; inoltre gli elementi (9) corrispondono a 4,9, 4s@, tutti però calcolati rispetto alla prima forma differenziale (4P)?. Dalle (9) e dall'espressione della curvatura geodetica in P alla linea p = cost [Fond., n. 23 (3)] risulta subito che tale curvatura non varia con la flessione. RenpIcoNTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem, 24 d — 178 — di significato geometrico preciso e semplice, e dipendenti inoltre esclusiva- mente da 0, P, N, k, e, quindi, assoluti. Sottintendendo l'indice P a Grad, è già noto (Gr., n. 6) che si ha: (11) Gradz=kK—kKXN.N, (12) Grado=(PT— 0)— wN, d Grad 4 dP (18) = _kKXN.c—H(0k,N). Inoltre, poichè, differenziando la 3* delle (10), per le (a) si ha: du=NXdP+odPX(PT— 0)=[N+o(P— 0)]}XdP, differenziando la (12), si ottiene immediatamente : d Grad 0 (14) IP =1—-wso —H|JN+o(P- 0),N} (?). Operando con I, nelle (13) e (14), si hanno subito le note formule [ Gr., n. 6 (13), (21)]: (15) I PITIlI = div Gradz= —kXN.10, (di Beltrami), (16) 1, dorate _ div Grade =2—w. ho. Se operiamo invece con I,, si ha: d Grad 07) L5- =[1- (Gmads].Lo, d Grad d Grad (18) hg Lg =1+ (Grad o)*—20].1x0 (?). la cui dimostrazione, sotto forma assoluta, è notevole per la sua semplicità. Basta infatti applicare regole più volte citate, osservando che, per le (11), (12), (10), è (Grad 2)}-=1—(KkXN)? , (Grado) =204+w? — 2u?=20—w?, (!) Per dP sempre normale ad N, il termine — H(N, N) della (14) può essere trascurato; non però quando convenga considerare dP variabile fuori del piano tangente in P. A seconda della forma che si sceglie per la (14), i calcoli seguenti subiscono lievi modificazioni; i risultati coincidono. é (?) Le (15), (16), (17), (18) corrispondono alle ordinarie formule espresse col tachi- grafo 4: A,g=— HZ ; dse=2— wH, Ass:z=(1—-4:2)£X, 4s0—-A4sno=1+(40—-20)K. — 179 — per ottenere successivamente, dalla (14)(A. V., II, pag. 136 [10]; vol. I, pag. 46 [8]; /ond., n. 5), DOTUTE (KXN)".1.9 + ok XCkXN.0)N = (kXN)°.Lo=[1— (Grad 2)].L20; I, POTITO _ 1,(1— 00) — [N+e(P— 0)]X0(1— wo) N =I(1— w0)—[N+o(P— 0]X(2— w10) N =1(1T—-w0)—2+wlho= =3 _- 2010 + w?Io —- 2+ x 10 =(2—w10)+w*Lho—1= Linate I li + [20 — (Grad o)?].Ilo — 1. Si può infine notare che dalle (13) e (14) risulta subito (Zond.. n. 5): d Grad gg __ d Grad 0 (19) ae N=0 _, Cova N= le quali, per il n. 4, provano che dutti e ire gli invarianti di ciascuna d Grad srad delle omografie CGIE 2 rale non variano per la flessione della su- per ficie. ALCUNE APPLICAZIONI. 7. Nelle semplici formule assolute precedenti sono del tutto scomparse le cinque coordinate ordinarie (x.y .4.u,v), i sei coefficienti (£, 7, G, D,D',D'") delle due forme differenziali quadratiche fondamentali (4P)?, — dPXdN, i simboli di Christoftel, le derivate covarianti, i tachigrafi 4; sono cioè eliminati gli elementi algebrici, inevitabili intermediarî fra le coordinate (non necessarie) e gli enti geometrici, per lasciare il posto a questi stessi enti e ad operatori pure geometrici, quali sono le omografie vettoriali. Si comprende facilmente che, facendo uso delle formule assolute ora esposte, vengono eliminati i laboriosi e non brevi calcoli che occorrono ordinariamente nelle questioni relative alla flessione ('). Ma gioverà portarne un esempio. (*) Si ha così la riprova della potenza di questi metodi assoluti, che non solo hanno apportato, in breve tempo ed in tanti campi, grandi semplificazioni nella deduzione dei risultati classici, o dei risultati nuovi recenti, ma si sono pure dimostrati strumenti effica- cissimi per completare tali risultati e stabilirne dei nuovi. Cfr., ad es., Burali-Forti per la Geometria differenziale, Marcolongo per l'Elettrodinamica, Burgatti per l’Elasticità, — 180 — Esaminiamo il primo problema di Calò, identico al problema A) di Bianchi (*), indicando con M, un punto fisso e con @ il semiquadrato della distanza di 2, da My. Il problema di Calò è individuato dalle condizioni: (a) (4P))}=(dP.)? , [KX(P_ 0O}f}=(Ah_- Mb); e per il problema A) di Bianchi, oltre alle (@), si ha una ferza condizione che esprime come la normale PM, condotta da P al piano O|k, sia tras- portata, con la flessione di S in S,, nel segmento 7,4%; cioè k abbia, rispetto al piano tangente in P, eguale orientamento di P, — M rispetto al piano tangenie in P,. Ora, che questa terza condizione sia conseguenza della (a) si dimostra subito, senza risolvere i due problemi e constatare l'identità dei risultati (Bianchi, loc. cit., $ 1-11). Differenziando la seconda delle (@) e dividendo per 2 (n. 6), si ha: Po kxap= telo xap,, la quale, per essere k e (P— M.)/s vettori unitarî, e AP, dP, vettori di egual modulo [per la 1* delle (@)], esprime appunto la terza condizione indicata. 8. Si trova pure facilmente l'equazione differenziale di S, nell'ipotesi (8) 0, ==2i Scritta perciò la (18) per P0, 00; tenuto conto delle (19), (6). (8); ponendo z*/2 al posto di 00 e P al posto di P., ed eliminando Igo=1}0% (teorema di Gauss) con la (17), si ha: d(z Grad 3) d(z Grad 2) _ idiGradia (1) Leto ela che è una prima forma assoluta dell'equazione differenziale (di 2° ordine) di S. Boggio per l’Idrodinamica, Bottasso per l’Astatica, ecc. E ne risulta ancora quanto sia vacua l'opinione di certo autore, che rivolgendosi di recente ai giovani analisti vettoriali italiani, vuol ridurre il calcolo omografico assoluto e le DERIVATE RISPETTO AD UN PUNTO (eterno nodo della questione!) alle funzioni lineari di Hamilton, alle matrici cubiche di Cayley e Sylvester, alle dyadics (e dyads) di Gibbs. (*) B. Calò, Risoluzione di alcuni problemi sull’applicabilità delle superficie [Ann. di matem, (3°), IV, 1900, pp. 124-130]; L. Bianchi, Alcune ricerche sul rotolamento di superficie applicabili (Rendic. Circ. matem. di Palermo, tomo XXXVIII, 2° sem. 1914, pp. 1-42). — 181 — Osservando che [A. V., I, pag. 77 [4]] d(3 Grad 8) _ = d Grad 2 H(Gr ; AP Ap + H(Grad < , Grad 2), e calcolando i due invarianti I, , I3. la (I) diventa: d Grad 2 dP (II) div Gradz + (Gradz)? — 2 Grad g X C Grada—=15 che è un’altra forma dell’equazione differenziale di S. Ponendo infine, al posto di Grad #, il valore (11), dopo facili riduzioni si ha: (111) 19. (KXN)° +KX0k+XN_o0, che è appunto la forma assoluta della (22) di Bianchi (loc. cit., pag. 14), la quale, ridotta direttamente, dà X Leigh LINEE i 240 riducibile subito alla (NI). Alla (III) si dà pure facilmente la forma (IV) I,o — Gradz X Co Grad: + IN o, notevole perchè riduce l'equazione differenziale di ,S alla forma semplicissima quando si ponga come condizione che le linee di livello di S (z= cost) debbano essere assintotiche di S [cfr. Yond., pag. 26 (3)]. Resterà da di- scutere quando tal condizione è soddisfatta. 9. In modo analogo si trova l'equazione differenziale di S,, dopo aver provato che kXN 1 (20) RO E TAL formula che si ottiene facilmente senza bisogno di conoscere l'equazione differenziale di S. Infatti, osservando che wr= (Po — Mo) XNo=24kXA4N=%KXN, scritta la (16) per co, Po, € fatto il cambiamento precedente, si ha: d(a Grad 2) I dP =2—zkXN.1,0,: e quindi. per formule precedenti, skXN.1h0,=2+2ekXN.1L0T—-14+(KXN)?, da cui segue subito la (20). — 182 — Anche per gli altri problemi di Calò si può subito dimostrare l’ identità con i corrispondenti di Bianchi, e si ottengono facilmente le equazioni diffe- renziali di S ed S,; e non è dubbio che, sviluppando i calcoli, debbano presentarsi, in modo semplice, nuove proprietà. Inoltre, se, rotolando S, su S, ad S, si collega rigidamente una retta 7, le proprietà della congruenza descritta da 7” devono potersi ottenere, con calcoli semplicissimi, tenendo conto di quanto ha fatto il compianto M. Pieri in uno dei suoi ultimi inte- ressanti lavori (!). Matematica. — Sulle corrispondenze fra i punti di una curva algebrica e, in particolare, fra i punti di una curva di genere due. Nota di CARLO Rosati, presentata dal Socio E. BERTINI (°). Nella classica rappresentazione di Hurwitz di una corrispondenza alge- brica fra i punti di una curva C di genere p, ad ogni corrispondenza T viene associato un gruppo di 4p? numeri interi %;x gia Ha Ga (é,k4=1,2...p) e le condizioni per l'esistenza di T vengono espresse da p° relazioni quadra- tiche fra i periodi a;x dei p.integrali normali di prima specie della curva; i coefficienti di queste, che diremo relazioni di Hurwitz per laT, sono poi i suddetti interi (caratteristici di T). In un lavoro di prossima pubblicazione ho dato una semplice interpre- tazione geometrica delle p° relazioni di Hurwitz e ne ho tratto alcuni risul- tati relativi ad una curva C, di genere p e, in particolare, ad una curva di genere due, dei quali credo opportuno esporre qui l'enunciato. in Gik Hix Gal” l'omografia razionale 2 di un Ssp_; definita dalle formule ox = ha a+ + hip&p + Hi pa + + Hip Cop OXn+i = Gi Li + ti + Yip Lp + Gi Lp+1 + "e - Gip X2p (i =1 ’ 2h =D) ’ 1. Ad ogni corrispondenza T, cui spetti il determinante si associ e si consideri nello stesso Ssp_; l'Sp-1="@ intersezione dei p iperpiani che hanno per coordinate i periodi dei p integrali normali di 1 specie della curva. Le p* relazioni di Hurwitz esprimono allora che l’omografia razio- nale Q trasforma in sè lo spazio a. 2. Diciamo speciale una corrispondenza che ha per immagine un’omo- grafia singolare. Tali corrispondenze esistono soltanto nel caso in cui la curva (') M. Pieri, Sulla rappresentazione vettoriale delle congruenze di raggi (Rendic. Circe. matem. di Palermo, tomo XXXIII, 1° sem. 1912, pp. 217-246). (3) Pervenuta all'Accademia il 2 agosto 1915. — 183 — possegga sistemi regolari di integrali di 1 specie riducibili. Si dimostra infatti che: Il determinante i d di una corrispondenza T ha sempre per carai- teristica un numero parîi 2g. Quando è 0 p, è una combinazione lineare a coefficienti costanti, dei nuclei K., K3, ...K,-, e può porsi quindi sotto la forma (8). 5. È degno di nota il fatto che, se K(st) soddisfa alle condizioni per esso poste al n. 3, l'equazione g()=1 f E) 900 di non può sussistere che per tutt'al più due soli valori di 7. Moltiplicando invero ambo i membri della (5) per g(t) df ed integrando, si ha: G 8) 8 Pe) _ a 900) 4g 20) PL P(8) cioè BA +4 ai -1=0; À quindi non può assumere più di due valori distinti. Nel caso che K(s?) sia un nugleo simmetrico, uno di Lone due valori dovrà necessariamente essere l’uno dei due seguenti: ;F a Ta ; essendoy (!) L. Sinigallia, Sulle funzioni permutabili di seconda specie, Rend. della R. Acc. dei Lincei, seduta del 15 dicembre 1912. — 188 — com'è noto, | il minimo modulo degli autovalori di un nucleo simme- Yy trico (*). 6. Una proprietà, del tutto analoga alla precedente, è posseduta dai nuclei simmetrici le cui costanti y, siano tutte eguali tra loro. Infatti, se 7 è un autovalore e %(s) una corrispondente autofunzione di un tale nucleo, sarà (9) gp(s) = 1 (k6) g(0) di ; dalla quale, mediante moltiplicazione ‘per. K(s7)dr ed integrazione, dopo aver cambiato in essa s in 7, sì ottiene pis), = 1 ( K,(0) g(t) di g=% f"Ks(5) 90) &. E poichè ne = K(st) (*), l'ultima uguaglianza potrà scriversi: g=#7 f E) 90); la quale, confrontata colla (9), ci dà Ali dh Gli autovalori di K(s/), dovendo soddisfare a la precedente uguaglianza, non potranno essere dunque diversi da © mA . / 7. Vogliamo da ultimo mostrare come, nel caso di K(st) simmetrico, si possa con facilità conoscere il valore della costante y==limy,, la cui nNn=ZB0 ricerca riesce molto lunga e laboriosa, anche nei casi [come il seguente : K(st)=s+%] in cui il nucleo ha forma semplicissima, quando ci si voglia servire della conoscenza dei valori delle y,. (') Si sa, infatti, che = "Tia eri e n=% Uan+s n= Yn Da Vy lore assoluto. Cfr. Vivanti, Sui nuclei simmetrizzabili, Rend. del R. Ist. lomb. di scienze e lettere, vol. XLVIII, fasc. 2-3, nota a pp. 121-122. (*?) Cfr. la seconda delle Note citate. è il minimo autovalore del nucleo K,(st) e che quindi sarà quello di K(st), in va- — 189 — A tale scopo, ci proponiamo di mostrare la relazione molto semplice, che lega tra loro le costanti @,f e y. Riprendiamo la relazione K;(st) = a K3(st) +#K(st); e, dopo aver in essa mutato s in 7, moltiplichiamone i membri per K,-,(87) ed integriamo da a a d. Otterremo Ky-s(5%) = x K,-,(88) + p K,(5t) ’ Ki o(s)— piK_ (4) Kx41(54) ed anche Si elevi al quadrato e si eseguisca la doppia integrazione, rispetto alle due variabili s e (. Ricordando che bb "db (Cb b di f K,+2(82) Kn(57) ds de = f Hi K,.(s0) ds at Kaiser) de = Ji : i) Kia Jf Wok b b = f [iaia dr = Us Ò avremo Usni4 — 28 Uon+? + b° Usn = & Usnss. Ed ancora, dividendo ambo i membri per Us, e tenendo presente l’ugua- 2n+2 glianza =In, 2n Yn Inv — 2BInt 8° = @°Yn. Infine passando al limite per #= co, sì ha pia) 005 che è la relazione cercata; dalla quale si ricava _a+28ta |a +48 Vira 9 ù dove bisognerà naturalmente prendere quello dei due segni = che rende positivo y. Nel caso, poi, che si avessero due valori positivi, per discernere quale dei due dev'essere scelto basta ricordare che, nel nostro caso, deve sussi- stere la relazione Uri — 190 — Infatti dovendo, in ogni caso, aversi (') Usnts Uan <= ins = de: pri y" 9 dovrà essere U.>y. Il segno di uguaglianza però, nel nostro caso, dev'essere escluso. Invero, se fosse U,=y, dovrebbe essere, qualunque sia 2, Un, = y"; ) y vV$ e, per conseguenza, le costanti y, = T_ dovrebbero essere tutte eguali 2n tra loro. Ora ciò non è possibile, perchè allora sarebbe vu» = K(st); cioè «= 0, contro il supposto. Analogamente, dovendo essere y,-; < y,, sarà necessariamente y, < y. Fisica. — Dispositivo semplice per la radiostereoscopia (*). Nota di G. C. TrABACCHI, presentata dal Socio V. VoLTERRA (5). È noto che, fra i varî metodi proposti per la ricerca di elementi estranei nell'interno del corpo umano per mezzo dei raggi X, è di indiscutibile efficacia la stereoradiografia, ma le operazioni necessarie per ottenerla, non sono così rapide come servirebbe in certi casì urgenti per cui sarebbe utile potervi supplire qualche volta con la stereoradioscopia. (Gli apparecchi complicati e costosi finora necessarî per ottenere la stereoscopia allo schermo tluorescente ne hanno talmente impedito la diffusione che, a quanto mi risulta, pochi dei nostri radiologi ne conoscono l'esistenza e forse nessuno l’ha veduta realizzata. Avendo ottenuto ottimi risultati con un dispositivo molto semplice ne propongo l’uso, ritenendo che con esso potrà essere messo a portata di tutti un mezzo di studio assai utile. Si immaginino (fig. 1) due rocchetti poco differenti i cui primarî R, ed R, siano disposti in parallelo e alimentati da corrente alternata in X, Y. In ciascuno dei due circuiti sia inserito un interruttore sincrono elettrolitico (‘), (!) Schmidt, Entwicklung willkurlicher Functionen nach Systemen vorgerschrie- bener. Inaugural-Dissertation, Gottingen 1905, $ 11. (*?) Lavoro eseguito nel Laboratorio fisico dell’Istituto De Merode in Roma. (3) Pervenuta all'Accademia il 14 agosto 1915. (4) Ved. Rend. Accad. Lincei, 2° sem. (1915). — 191 — in modo però che, mentre, percorrendo uno dei circuiti, si passa, nell’ interrut- tore I,, dalla punta alla lamina, nell'altro I, si passa dalla lamina alla punta. Collegando i due secondarî S, ed S, a due tubi T, e T, capaci di produrre i raggi X, ne risulterà che le emissioni di raggi non saranno con- temporanee, perchè, mentre un tubo utilizza una metà di ciascun periodo, il secondo utilizza l’altra. Esaminando infatti la luce destata su uno schermo fluorescente dai due tubi, si riscontra, con un apparecchio stroboscopico, che i tubi brillano alternativamente e ad intervalli uguali a un semiperiodo. E. Fic. l. Si consideri ora un disco (fig. 2), sul quale siano praticati lungo una circonferenza quattro fori A), A», A3, A4, ed altri quattro (m,, ms, M3,M1) spostati rispetto ai primi come mostra la figura, lungo un'altra circonferenza concentrica alla prima e il cui raggio differisca dal primo della distanza media degli occhi (63 "/m). Supponiamo di far ruotare tale disco in modo che i fori passino succes- sivamente avanti agli occhi di un osservatore (gli A..., ad es., avanti al sinistro; gli m... avanti al destro). Ne consegue che i due occhi vedranno alternativamente: e se il disco è mosso da un motore sincrono con la cor- rente che passa nei rocchetti e munito di otto poli, la visione dei due occhi avverrà ad intervalli di un semiperiodo. Se dei due tubi precedentemente descritti noi ci serviamo per proiet- tare da due convenienti punti sullo schermo fluorescente l'ombra di un corpo — 192 — e guardiamo la duplice immagine attraverso il disco forato ruotante, abbiamo la completa visione in rilievo con tutti i ben noti vantaggi. Le ombre, infatti, di elementi appartenenti a piani diversi non si con- fondono sullo schermo, ma appariscono separate nello spazio, permettendo di vedere dei particolari che nella radioscopia ordinaria sfuggono facilmente. Il commutatore C permette di scambiare la fase dei due tubi in modo che mentre ad una posizione corrisponde la visione anteriore del soggetto studiato, all'altra corrisponde la visione posteriore: così l'osservatore senza muoversì e senza muovere il soggetto ha la possibilità di vedere da due punti opposti; poichè il cambiamento può farsi rapidamente e con grande facilità se ne può trarre notevole vantaggio nel giudicare la posizione di un corpo estraneo in casì difficili. È ovvio che, usando interruttori meccanici che potrebbero essere messi in funzione dallo stesso motore che porta il disco forato, si potrebbe otte- nere la stessa visione stereoscopica, sia con la corrente alternata, sia con la continua; ma l’uso dell' interruttore elettrolitico e della corrente alternata rende il sistema così semplice che può essere con grande facilità realizzato con gli apparecchi esistenti in qualunque gabinetto o laboratorio di radiologia. È chiaro che, se i poli del motore non sono otto come in quello da me usato, i fori non saranno quattro per serie, ma tanti quante sono le coppie di poli. Siccome il motore deve portare il solo carico del disco forato, esso può essere piccolissimo in modo che motore e disco possono essere facilmente — 193 — montati su qualunque criptoscopio portatile senza aumentarne troppo il peso e diminuirne la comodità. Se si temesse che un motore troppo piccolo non fosse capace di con- servare il sincronismo si potrebbe collegare un motore di dimensioni maggiori al disco ruotante mediante una trasmis:ione meccanica il che alleggerirebbe anche notevolmente il criptoscopio. Quei radiologi che volessero usare il dispositivo descritto potrebbero procurarsi due rocchetti uguali, che potrebbero poi essere accoppiati (coi primarî e i secondarî in serie o in parallelo secondo la necessità) per radio- grafia e terapia. Uno separato servirebbe per la radioscopia semplice. Fisica terrestre. — //; una rara osservazione sismica. Nota di V. Monti, presentata dal Socio A. BATTELLI ('). Sono rarissimi i casi in cui, in occasione di terremoto, si è potuto nettamente accertare un transitorio e rapido mutamento nella veduta di cui normalmente sì gode da qualche determinata località. Debbo al cortese interessamento dell'avv. Cancani- Montani la conoscenza di un caso del genere, perfettamente documentato, avvenuto a Roma or fa qualche anno. Se soltanto ora mi accade di pubblicarne la notizia, ciò si deve ad un prolungato smarrimento delle carte ove stavano le informazioni avute in proposito. Il 10 aprile 1911, ad ore 105/, circa, fu avvertita a Roma una non forte scossa, d'origine laziale. Al momento del terremoto due operai, certi Ferrazza Domenico da Cappadocia, maestro muratore, e Lombardi Giuseppe da Sora, manovale, trovavansi sul tetto del palazzo Borghese, sulla piazza omonima, occupati nel lavoro di certo ristauro, vicini l'uno all'altro e rivolti verso la parte di monte Mario. Dal punto ove essi si trovavano non sì scorgeva che una piccola parte del quartiere dei Prati di Castello, rimanendone la parte maggiore celata dietro interposte costruzioni. Pochi minuti dopo avvenuta la scossa, riferì il Ferrazza che egli ed il suo compagno erano stati ad un tratto sorpresi dal movimento del tetto; che, prima pure di comprendere di che si trattasse, sì eran presi per mano l'un l'altro ed avevano sollevato gli occhi dal lavoro; che in quel momento era loro apparso, per un tempo brevissimo, tutto intiero il quartiere dei Prati, dal piano stradale in su, per sparire subito dopo ai loro sguardi; che essi non erano stati presi da spavento durante il fenomeno, ma avevano continuato a percepire tutto quanto li circondava. Pare perciò da escludere ogni sospetto di allucinazione. (') Pervenuta all'Accademia il 9 agosto 1915. RenpiconTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 26 — 194 — Chimica. — Derivati formilici ed aldeidici di pirroli e in- doli ('). Nota del dott. Luror ALESSANDRI, presentata dal Socio A. ANGELI (°). Le ricerche, le quali formano l'oggetto della presente Nota, sono una estensione di quelle, che lo scorso anno ho iniziate, per consiglio del prof. An- geli, allo scopo di sottoporre ad uno studio più approfondito e più generale le aldeidi della serie del pirrolo. A tal fine ho dovuto prima di tutto portare un perfezionamento ai metodi che servono alla loro preparazione, giacchè ì processi consigliati conducevano in qualche caso a rendimenti così scarsi da rendere pressochè inaccessibili alcuni termini. Ancora nel luglio dello scorso anno (*) ho dimostrato come dai com- posti alogenati del magnesio-pirrolo, scoperti da B. Oddo, è possibile di ottenere, in modo sollecito e con rendimento molto migliore in confronto degli altri metodi conosciuti, l’a-pirrolaldeide di E. Bamberger e G. Djierdjan (‘). A tal riguardo fo notare come alquanto più tardi, e precisamente nel fasci- colo dei Berliner Berichte pubblicato il 26 settembre 1914, W. Tschelinzeff ed A. Terentjeff (©) hanno proposto lo stesso mio metodo per la prepara- zione della medesima aldeide. Come è noto, mentre la cosiddetta aldeide «-pirrolica HC CH 17 N(Oa_ COL HOc 27€ COH NH non presenta molte delle reazioni comuni alle vere aldeidi, e fra altro non addiziona il residuo — NOH della biossiammoniaca per formare il corrispon- dente acido idrossammico, l’aldeide N-metil-a-pirrolica HC CH DANCE HOC > C— CoH N.CH; (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica farmaceutica del R. Istituto di studî superiori di Firenze. (2) Pervenuta all'Accademia il 9 agosto 1915. (*) Questi Rendiconti, vol. XXIII (1914), 2° sem., pag. 65. (4) Berl. Ber. 33 (1900), pag. 586. (5) Berl. Ber. 47 (1914), pag. 2652. — 195 — dà invece anche questa caratteristica reazione, verificata finora solo qualita- tivamente a causa della rarità e dell'instabilità del prodotto ('). Inoltre, siccome nella medesima occasione venne accertato, pure qualitativamente, che, al contrario dell’aldeide N-metilata, l’aldeide @-pirrolica fornisce un sale sodico, si ritornò a proporre per quest'ultima la struttura di composto ossimetilenico HC CH ‘:P0]/ \0a. PERS 20 CH (0H) la quale spiega molto meglio le anomalie riscontrate. Non altrettanto significativo riuscì lo studio comparato del comporta- mento dei corrispondenti derivati «-metilindolici : C= CH(0H) C— COH CH, > C.CH, SH, , C.CH, N N.CH, Infatti mentre da un lato l’aldeide @-metilindolica non dette origine in nessun modo ad acido idrossammico, dall'altro lato dall'aldeide N-metil- a-metilindolica, per quanto si variassero le condizioni d'esperienza, si riuscì ad ottenere soltanto traccie d'un sale di rame, che si colorava in violetto con percloruro di ferro: tal risultato attribuimmo allora con ragione al fatto che si tratta d’'un’aldeide ortobisostituita (*). Ed in realtà, anche altre esperienze comparative, da me eseguite sui due derivati (condensazioni con fenilidrossilammina, con acetofenone; azione di potassa alcoolica e di acido nitroso), fornirono solo i prodotti di partenza in massima parte inal- terati. Col tine di prepararmi l’aldeide f-indolica, per la quale era da aspet- tarsi che le reazioni avessero luogo più facilmente e con buoni rendimenti, risultando così veramente significative, e poichè, a detta di Ellinger, il ren- dimento in tale aldeide nell’azione di cloroformio e potassa sull'indolo è assai scarso (*), ho voluto provare se, partendo dai composti alogenati dei magnesio-indoli, fosse stato possibile, per azione dei formiati alchilici, d’otte- nere le aldeidi con buon rendimento. Ma in tal modo tanto l'a-metilindolo (da cui, come più accessibile, cominciai la ricerca) quanto l’indolo stesso mi fornirono bensì assai piccole quantità delle ?-aldeidi, ma i prodotti princi- pali delle reazioni furono rispettivamente un composto cristallino p. f. 76°,5 (*) A. Angeli e L. Alessandri, questi Rendiconti, vol. XXIII (1914), 2° sem., pag. 93. (3) Anche le aldeidi apiolica ed asarilica, fra altre, ortosostituite, non dànno acidi idrossammici. (*) Berl. Ber. 39 (1906), pag. 2515. — 196 — ed un olio che solo a temperatura molto bassa cristallizza, isomeri delle rispettive aldeidi e che, bolliti con alcali caustico diluito, dettero @-metilin- dolo e indolo, ed entrambi anche acido formico. Si tratta evidentemente dei derivati formilici CH CH CH, > IO cr O CH N coH N con Allora ho rivolto le mie ricerche ai derivati pirrolici. L’aldeide a@-di- metilpirrolica era già stata preparata da G. Plancher ed U. Ponti per azione di cloroformio e potassa su quel pirrolo, mentre non poterono aver buoni resultati applicando la medesima reazione all’'a8-dimetilpirrolo (!). Per azione di formiati alcoolici sui composti alogenati di questi ma- gnesio-pirroli ho ottenuto: dall’ea-dimetilpirrolo, con scarso rendimento, l’al- deide di Plancher (p. f. 142-143°) HC C—COH CSI o S0.0H, NÉ ed in maggior quantità il derivato formilico, non ancora conosciuto, che fonde a 35°, HC CH CH..CK Y0.0E N — COH dall’a8-dimetilpirrolo, con disereto rendimento, la nuova aldeide (l’ossim® ha-p.f, 191°): C,H, N.(CH)..COH, che assomiglia molto nell'aspetto all'a-pirrolaldeide, fonde a 89° e per ossi- dazione con permanganato potassico in soluzione acetonica fornisce l'acido 2-4.dimetilpirrol-5. carbonico già conosciuto (*), per cui non v'è dubbio le spetti la struttura di «-aldeide: HC C.CH; ] Ne- con cH.cK Ye—c NH (!) Questi Rendiconti, vol. XVIII (1909), 2° sem., pag. 469. (?) Gazz. chim. ital., vol. XIX (1889), pag. 88. — 197 — Ambedue queste aldeidi, riscaldate sotto forma di sale sodico secco in tubo chiuso a 100° con una molecola di ioduro di metile, dettero i rispettivi derivati metilici, i quali, per analogia a quanto fu accertato per l’aldeide N-metil-a-metilindolica, preparata in condizioni analoghe (*), sono da rite- nersì sostituiti all’azoto. Dall’aa-dimetilpirrolaldeide ebbi un tal derivato con buon rendimento e potei purificarlo ed analizzarlo: ha p. f. 96°, e con biossiammoniaca fornì, soltanto in certe condizioni, una colorazione rosso-ciliegia col percloruro di ferro. Dall'a8-dimetilpirrolaldeide ottenni, con scarso rendimento, oleoso, il metilderivato, che tentai di purificare per distillazione e del quale non ho potuto analizzare se non l’ossima (p. f. 145°). Tale N-metilderivato reagì solo in parte con biossiammoniaca, dando poi col pereloruro di ferro una colora- zione rosso-mattone. Rimandando ad altro tempo un più esteso studio di queste sostanze ancora non troppo accessibili, volli completare le ricerche comparative ini- ziate sopra l'a-pirrolaldeide ed il suo derivato N-metilico. A tale scopo ho ripetuto con maggiori quantità di prodotti e più d'una volta la preparazione, da me proposta, dell’a-pirrolaldeide dallo ioduro di pirrol-magnesio e formiato alcoolico, e l'ho ottenuta con discreto rendimento e molto pura. Però, a parer mio, è da completare lo studio della reazione per quanto riguarda il prodotto liquido indicato da Tschelinzeff e Terentjeff (*) come una mesco- lanza di pirrolo e formiato alchilico, che rimarrebbero inalterati, giacchè è assai probabile, per analogia con quanto ho constatato nei casi soprariferiti, che contenga l’ N-formil-pirrolo HC CH HC{ cn N- COH d Tale liquido ha invero punto d’ebollizione ed altre proprietà fisiche molto vicine a quelle del pirrolo, ed è verosimile ne contenga: ma da alcune osser- vazioni mi risulta che possiede anche notevoli caratteri chimici differenziali, oltre ad un contenuto d’azoto quasi coincidente con quello calcolato per il derivato formilico. Inoltre la formazione d’un tal derivato spiegherebbe come gli autori citati, pur migliorando con molta diligenza e perizia le condi- zioni d'esperienza, non sien riusciti a migliorare il rendimento oltre un certo limite. Ho preparato il sale sodico di questa «-pirrolaldeide in stato di pu- rezza: all'analisi dette una percentuale di sodio coincidente con quella cal- (') Loc. cit., questi Rendiconti, vol. XXIII (1914), 2° sem., pag. 93. (*) Loc. cit., Berl. Ber. 47 (1914), pag. 2652. — 198 — colata per la formula C;H, NO Na, e questo couferma che si tratta di un vero sale, cui non si può assegnar struttura diversa da quella proposta HC_CH Ia ON IE La medesima «-pirrolaldeide si condensa con fenilidrossilammina, e la sostanza che si forma (p. f. 120°) è instabile alla luce solare, come gli altri eteri N-fenilici delle ossime ('): per l’analisi le compete la composi- zione corrispondente appunto alla struttura: C, H, N . CH=N . CeHs Ì 0 Allo scopo di prepararmi l’ N-metil-@-pirrolaldeide, descritta da E. Fi- scher come alterabilissima (*), sospettando che tale instabilità fosse inerente al metodo di preparazione seguìto (azione di solfato di metile sulla soluzione alcalina dell’aldeide), cui forse non fu fatto succedere un adatto modo di purificazione, mi son giovato anche per questa aldeide, del metodo che già, come ho indicato, m'aveva dato buoni risultati per le altre aldeidi. Ho fatto agir cioè lo ioduro di metile sul sale sodico secco dell’aldeide, avendo cura speciale che rimanesse un lievissimo eccesso di metilato sodico, dopo il riscaldamento a 100° in tubo chiuso, vale a dire a reazione finita. Ottenni così un olio assai stabile anche allo stato greggio, più ancora se distillato a pressione ridotta, tanto che dopo più d'un mese ha mante- nuto inalterati i caratteri fisici e chimici, assumendo appena una leggera colorazione rosso-bruna, sebbene conservato all'aria in tubetto chiuso con sughero. Per quanto in tutti i suoi caratteri corrisponda al prodotto otte- nuto da Fischer, onde non rimanesse alcun dubbio sulla sua identità con esso, ne preparai il fenilidrazone, che fuse nettamente a 123° (non cor- retto) ed aveva tutti i caratteri del medesimo derivato di Fischer. Ho voluto poi prepararne anche un altro derivato più stabile (*) e caratteristico, cioè l’azina, che ha p. f. 120° ed all'analisi mostrò d'avere la composizione (CCH7N):N-N:(CH,N). Infine anche l' N-metil-a-pirrolaldeide da me pre- parata reagisce facilmente con biossiammonica e dà quindi, col percloruro di ferro, la caratteristica colorazione viola-azzurra già descritta; ma a causa () Cfr. questi Rendiconti, vol. XXIV (1915), 1° sem., pag. 64; e precedenti Note, ivi citate. (*) Berliner Berichte 46 (1913), pag. 2508. (*) A proposito della instabilità dei fenilidrazoni, cfr. M. Busch e W. Dietz, Central- blatt, 1915, I, pag. 194. — 199 — della piccola quantità di prodotto disponibile, non sono riuscito ancora ad ottener libero l'acido idrossammico. Del resto le difficoltà incontrate nell'isolare gli acidi idrossammici di queste N-metilaldeidi pirroliche, seppure essi, specialmente nel caso dei pirroli polisostituiti, si formano realmente, devono essere inerenti alle par- ticolari proprietà di tali derivati idrossammici contenenti azoto a funzione basica. Ho accennato sopra che in soluzione acetonica l'ossidazione con perman- ganato potassico mi ha permesso di passare dalla 2-4-dimetilpirrolaldeide all'acido 2-4-dimetilpirrol-5-carbonico: ho constatato che anche l’a-metilin- dolaldeide, nelle stesse condizioni d’ esperienza, dà con buon rendimento l'acido 2-metilindol-3-carbonico, identico in tutto a quello già conosciuto (') Plancher invece, operando in soluzione acquosa alcalina, da tale aldeide non potè ottenere se non acido acetilantranilico (?) Si può dunque affermare fin da ora, che questo metodo di ossidazione si presta a realizzare il passaggio da tali composti aldeidici agli acidi corrispondenti, in modo più generale (5). Accennerò infine che, per azione del nitrato d’etile sullo ioduro di a-metil- indol-magnesio, ho ottenuto con discreto rendimento il 3-nitro-2-metilindolo, identico, per le proprietà e l’analisi, al derivato medesimo ottenuto da A. An- geli e F. Angelico (4) per azione pure di nitrato d’etile sopra l’a-metilin- dolo in presenza di sodio. Tenuto conto dei resultati soprariferiti, avuti nell'azione dei formiati alchilici, non è escluso affatto che si ottenga insieme anche un derivato N-sostituito: ricerche ulteriori in proposito chiariranno la questione. Terminando questo cenno riassuntivo, compio il gradito dovere di rin- graziare il laureando sig. Mario Passerini per il valido e diligente aiuto prestatomi nell'esecuzione di queste esperienze, che verranno descritte detta- gliatamente nella Gazzetta chimica italiana. (') Berliner Berichte XXI (1888), pag. 1926; e Gazz. chim. ital. XXII (1892), 2°, pag. 20. (*?) Questi Rendiconti, vol. XVI (1907), 1° sem., pag. 130. (3) Invero Ellinger (loc. cit.) ottenne acido f-indolcarbonico da f-indolaldeide in soluzione acquosa alcalina. (4) Questi Rendiconti, vol. XXII (1903), 1° sem., pag. 845. — 200 — Chimica. — £vcerche sul gruppo dei tellururi di bismuto (*). Nota di M. AMmaADORI, presentata dal Socio G. CrAMICIAN (?). Accanto al solfuro di bismuto Bis S3 rombico (bismutina), al seleniuro Bi; Se; rombico (guanaiuatite), ed al tellururo Bis Te; romboedrico (tetra- dimite) esistono in natura e presentano uno speciale interesse un gruppo di minerali di forma romboedrica costituiti di bismuto e di tellurio insieme a zolfo e talora a selenio. Con il nome tetradimite sì indica, infatti, oltre al comune tellururo puro di bismuto. Bi, Te3, quei minerali che accanto al tellururo contengono una quantità variabile di corrispondente solfuro, Bis S3, giungendo nella composizione ad una quantità massima all’incirca del rapporto 1S:2Te. Questa composizione è abbastanza comune nei minerali naturali, e corrispon- derebbe a quella di un composto 2 Bi, Te; . Bis S3 . Lo zolfo ed il tellurio si accompagnano al bismuto anche nella grux- lingîte la cui composizione si avvicina alla formula 3 Bi S. Bi Te. La joseite oltre al bismuto, tellurio e solfo contiene una rilevante quantità di selenio ed ha una composizione prossima alla formula Biz Te (S, Se). La natura di questi minerali non è ben nota, ed il problema si pre- senta assai interessante soprattutto in ciò che riguarda le tetradimiti, Infatti, mentre Berzelius (*) ritenne l'esistenza di un tellururo Bi, Te,, e di un solfotellururo Bi, Sg . 2 Bis Te3, Rose (‘) e Rammelsberg (*) conside- rarono il tellururo puro e gli altri minerali di composizione mista come miscele isomorfe delle forme romboedriche degli elementi Bi,Te,S e Se. Genth (°), ammettendo l'esistenza di un composto del tipo Bis Mz, diede alle tetradimiti e alla joseite una composizione variabile secondo la formula Bis (Te, Se, S, Bi). Questo autore avrebbe osservato forme cristalline rombiche di tetradimite. Muthmann e Schroder (") attribuirono alle tetradimiti da loro studiate la costituzione 2 Bi, Te; . Bis S:; alla grunlingite la costituzione 3 Bi S. Bi Te. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. (*) Pervenuta all'Accademia il 30 luglio 1915. (*) Pogg. Ann. (1824), I, 271. (4) Gibb. Ann. 72, 196 (1822). (5) Mineralch. (1860), 4; (1875), 4; (1895), 4. (5) Zeit. f. Kryst. 12, 487 (1887); Am. Journ. Sc. 40, 114 (1890). (*) Zeit f. Kryst. 29, 144 (1898). Ze Anche il Groth (’) considerò da principio il tellururo come una miscela isomorfa di bismuto e di tellurio; in seguito riconobbe la possibilità del- l'esistenza del tellururo e del composto solfotellururo, entrambi di forma romboedrica, non escludendo, in base ai dati di Genth, la possibilità che tellururo e solfotellururo possano cristallizzare in forma rombica, isomorfi al seleniuro ed al solfuro; caratteri cristallini assai prossimi alla tetradimite attribuì alla joseite, Biz Te (S.Se) e alla grunlingite, Bi, S3 Te. Ultima- mente (?) il Groth ammette potersi trattare per la grunlingite di soluzioni solide di Bi Te e BiS; per le tetradimiti conferma l’esistenza del com- posto 2 Bis Tez . Bi, S3, di forma romboedrica, mentre ritiene che non sì possa fare alcuna precisa affermazione sulla forma cristallina del tellururo puro: egli si augura nuove ricerche su questo gruppo di minerali, la cui natura non è ben definita. Il Dana (*) attribuisce alle varie tetradimiti, Bis (Te, S)3, forma cri- stallina romboedrica e ne distingue due varietà: l'una che non contiene solfuro Bis Te,, l’altra che contiene solfuro 2 Bi, Te; . Bi, $3; alla joeseite, di composizione dubbia, e alla grunlingite, Bi (Te,S), attribuisce caratteri crì- stallini simili a quelli delle tetradimiti. L’Hintze (‘) pure riunisce in un sol gruppo le diverse specie di tetra- dimite, la joseite e la grunlingite, non essendo possibile, come afferma, una precisa classificazione. Quantunque appaia di per sè da rigettare l’ipotesi considerante la tetradimite come miscela isomorfa degli elementi, ricorderò che anche recenti studî termici, come vedremo più avanti, hanno dimostrato che nessun rap- porto di isomorfismo esiste tra bismuto da una parte e solfo, selenio, tellurio dall’altra. In tutti e tre i casi si nota invece la formazione di un composto del tipo Bi, M} (M=S, Se, Te); questo composto è dello stesso tipo di quelli che si trovano in natura, nella bismutina, nella guanaiuatite. nelle tetradimiti. A questo proposito è opportuno fin d'ora osservare che non si ha alcun accenno a formazione di composti del tipo Bi M o del tipo Biz M;, i quali sarebbero i presunti componenti binarî della grunlingite e della joseite: ciò non esclude 4 priori la possibilità che i composti ternarii corrispondenti sì possano formare nel sistema ternario. Per quanto riguarda il comportamento reciproco dei solfuri, seleniuri e tellururi in genere ricorderò che mentre tra i due primi esiste general- mente isomorfismo perfetto, tra essi ed il tellururo l’isomorfismo ha luogo in rapporti assai limitati. Nel caso dei derivati del bismuto, ciò potrebbe (*) Tabell. Uebersicht (1874), 8, 73; (1882), 12; (1889), 14; (1898), 18. (*) Chemische Krystall. I, 148, 150 (1906). (3) System of Mineralogy /892, 39; First Appendix /899, 31. (4) Handbuch der Mineralogie, I, 402 (1899). RenpIcoNTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. DATI — 202 — presumersi ad esempio anche dalla stessa forma cristallina che è rombica per il solfuro ed il seleniuro, romboedrica per il tellururo. Le tetradimiti che accanto al tellururo contengono il solfuro, potrebbero essere ritenute costituite da miscele isomorfe di tellururo con solfuro dovute ad un isodimorfismo dei componenti: certo i limiti di miscibilità appaiono troppo lati. Più verosimile sarebbe ritenere l'esistenza di un composto tra solfuro e tellururo di bismuto 2 Bi, Teg . Bir $3: questa composizione infatti, è quella che più comunemente si incontra nei solfotellururi naturali. Ammessa l'ipotesi della formazione del composto 2 Bi, Tez . Bi, S$3 dob- biamo chiederci in quale relazione esso si trova con componenti ed in special modo con il tellururo, e di quale natura sieno quei minerali di composizione intermedia al tellururo ed al composto. Se si vogliono considerare come mi- scele isomorfe non potrebbero esserlo tra tellururo e solfuro, ma tra tellu- ruro e composto. Passando alla grunlingite e alla joseite si deve notare che questi mi- nerali si scostano nella loro composizione dalle tetradimiti e si avvicinano a quella di altri presunti composti; tuttavia, come generalmente vien fatto osservare, essi hanno caratteri cristallini assai prossimi a quelli delle tetra- dimiti. Per la grunlingite e per la joseite dovremmo in parte ripetere quanto abbiamo osservato per le tetradimiti: nell’ isomorfismo che in genere si nota tra solfuri e seleniuri si può avere per la joseite una spiegazione della parziale sostituzione tra solfo e selenio. Per cercare di risolvere le questioni che abbiamo posto, ho istituito una serie di ricerche tendenti a stabilire la natura di questi minerali e le loro possibili condizioni di formazione. Per circostanze ovvie, indipendenti dalla mia volontà, ho dovuto inter- rompere il lavoro iniziato, ma credo opportuno non tardare a far conoscere alcuni risultati ottenuti esponendo in questa Nota ciò che riguarda la for- mazione della tetradimite dai componenti Bis Tez - Bi, Sg per solidificazione ed i rapporti di isomorfismo fra solfuro e tellururo. Altre ricerche riguardanti buona parte del sistema ternario Bi-Te-S ho portato a termine: mi riserbo di pubblicare queste ricerche insieme ad altre sullo stesso argomento. La formazione dei due componenti della tetradimite alla solidificazione venne già studiata in ricerche termiche e micrografiche. Minkemeyer (*) per il sistema bismuto-tellurio stabilì la formazione del composto Bi, Te; caratterizzato da un massimo nella curva di solidifi- cazione: la temperatura di cristallizzazione fu determinata a 573. (1) Zeit. f. an. Chem. 46, 419 (1905). — 203 — Aten (') per il sistema bismuto-solfo non riuscì ad uno studio completo, | perchè per le temperature elevate che si devono raggiungere per la fusione "lo zolfo in parte subblima. Dal bismuto puro potè giungere a una concen- ‘trazione di 52,5 °/, S (inizio cristallizzazione: 760°). Le sue ricerche ter- È miche e micrografiche mostrano però che, quantunque non si possa raggiun- gere la formazione e la cristallizzazione del composto Bi. Sz puro, si può Fritenere che esso si formi e si separi dalle miscele fuse studiate; la tem- “peratura di cristallizzazione del solfuro puro è superiore a 800°. La parte “del sistema solfo-solfuro non venne studiata per la sublimazione dello zolfo prima della fusione delle miscele. Ricerche da me eseguite e non ancora pubblicate sul sistema bismuto- selenio provano anche per questo la formazione del composto Bis Sez che cristallizza puro, caratterizzato da un massimo, a 690°. Mentre la solubilità fra tellururo e tellurio allo stato fluido è completa, la solubilità fra seleniuro e selenio è limitata per modo che si ha forma- zione di due strati liquidi. È verosimile che ciò avvenga anche tra solfuro e solfo: questo comportamento è infatti abbastanza comune per i seleniuri e solfuri metallici. La temperatura che si deve raggiungere per portare a fusione entrambi gli strati liquidi e la facile distillazione dello zolfo impe- direbbero di studiare anche parzialmente quella parte del sistema zolfo- bismuto che si riferisce allofzolfo-solfuro di bismuto. Il tellururo di bismuto adoperato in queste ricerche veniva preparato per fusione dei due elementi e cristallizzava a 575°. Il solfuro di bismuto veniva ottenuto mescolando i due elementi nel rapporto voluto; venne anche impiegato il trisolfuro ottenuto per precipi- tazione. Il solfuro di bismuto puro non fu portato a fusione per la accennata scomposizione che subisce. Lo studio del sistema solfuro-tellururo fu però possibile per concentrazioni da 0 a 85 °/, solfuro senza avere una decompo- sizione tale da influire sui risultati delle esperienze. Anche l’analisi delle masse fuse e solidificate provò che l’alterazione non ha luogo in modo ap- prezzabile. Le miscele vennero fuse in provette di vetro in corrente di gas azoto. La massa adoperata era di 25 gr. (!) Zeit. f. an. Chem. 47, 387 (1905). — 204 — TABELLA. INIZIO ARRESTO EUTETTICO °/o peso °/o molec. di dn Hp istallizza- Durat: Bi. S, Bi, S, cris Di 1Zza Temperainia urata zione per 25 gr. 0 0 575° —_ — 1.94 3 _ 570° 370” 3.93 6 ? 570 350 6.65 10 584 570 290 13.88 20 598 570 200 ZIDIT 30 610 570 1380 24.30 339 612 570 70 29.96 40 614 570 50 34.43 45 615 570 20 39.10 50 615 — = 49.04 60 642 614 170 59.96 70 670 614 120 65.82 75 685 614 90 78.43 85 (12 612 50 100 100 ) = pe: 800 700 600 500 0 0 20 30 40 50 60 70 80 90 I00 Bi. Tg % molecolari Bix.Ss Le ricerche termiche provono la formazione di un composto in rapporti equimolecolari fra il tellururo ed il solfuro di bismuto: Bi, Te; . Bi, Ss. REND. R. ACCAD. DEI LINCEI (CI, sc, fis, ecc.) 1919. 90°/ mol. Bia Tey 10 °/, mol. Big Ss Ingrandimento: 35 diam. II 55 °/o mol. Bia Teg 45 °/o mol. Bi, Sg Ingrandimento: 35 diam. V 40 °/, mol. Bi, Tes 60 °/0 mol. Bis Sg Ingrandimento: 55 diam. M. AMADORI 66.66 °/0 mol. Bi, Tea 33.33 °/o mol. Bis Ss Ingrandimento: 35 diam. IV 50 °/o mol. Bis Tes 50 °/ mol. Bia Sg Ingrandimento: 70 diam. VI 15 °/, mol. Bis Teg 85°/, mol. Bi, Sg Ingrandimento: 35 diam. i - nie. i (Ui NO “gine LO d i ni MAIO» ha , N s i è VE LU Zio La temperatura di solidificazione del composto è 615°: esso forma con il tellururo un miscuglio eutettico che ha la composizione di circa 3 °/, mol. Bi. S3 e solidifica a 570°; con il solfuro forma un miscuglio eutettico che ha una composizione ed una temperatura di solidificazione assai prossima alla propria. L'eutettico composto-tellururo si estende all'incirca fino ai componenti. L'eutettico composto-solfuro si estende dal composto verso il solfuro; nell'ultimo tratto lo studio del sistema non fu compiuto per la scomposizione del solfuro nelle miscele; è tuttavia presumibile dalle durate dell'arresto eutettico che questi si approssimi assai al solfuro. Nessun'altra variazione termica si osservò nel raffreddamento fino a 200° sì da presupporre un qualche fenomeno in seno alla massa solidificata, come ad esempio trasformazioni, scomposizione o formazione di altro composto. Le ricerche micrografiche fatte sulle masse solidificate confermano quanto risulta dalle ricerche termiche ed è stato sopra esposto. 1 masselli non si prestano molto bene ad essere levigati, perchè assai teneri e facilmente sfaldabili: caratteristica questa comune anche ai minerali naturali. L'intacco fu eseguito con soluzioni di cloruro ferrico in acido cloridrico aumentandone le concentrazione con l'aumento in contenuto di solfuro nelle miscele. L'aspetto delle leghe così intaccate è assai evidente anche ad occhio nudo o con piccolo ingrandimento con lente. L'ingrandimento delle micro- grafie a luce riflessa di cui è dato l'aspetto fotografico nella tavola tinale è di 70 diametri per la micrografia del composto, di 35 diametri per le rimanenti. La micrografia della miscela a 50°/, mol. ha un aspetto omogeneo di cristalli di Bi, Te . Bi S3 . Nelle micrografie a 10, 33.33, 45 mol. Bis Sg sì nota il deposito primario del composto accanto al deposito eutettico com- posto-tellururo. Le micrografie a 60, 85 °/, mol. Bis S3 mostrano il deposito primario del solfuro, e il deposito eutettico composto-solfuro. CONCLUSIONI. Le ricerche termiche e micrografiche sulle miscele di tellururo e di solfuro mostrano che tra il tellururo Bis Te; ed il solfuro Bi, S; non si hanno rapporti di isomorfismo, ma formazione di un composto Bi» Te . Bis Ss: pure tra questo composto ed i componenti non esistono rapporti di isomorfismo. Nelle condizioni di esperienza seguite non si ha alcun accenno a formazione di un composto 2 Bi, Te; . Bi, S3 o di cristalli misti in genere, che si possa presumere dello stesso tipo delle tetradimiti naturali. — 206 — Chimica. — Sul dosamento del tiufene nel benzolo (*). Nota di V. PaoLINI e B. SILBERMANN, presentata dal Corrispondente A. PERATONER (°). La capacità dei sali di mercurio di sostituire direttamente l'idrogeno legato ad atomi di carbonio venne scoperta da Volhard (*) che studiò in questo senso anche il tiofene. Agitando questa sostanza con soluzione di sublimato (in presenza di acetato sodico), egli ottenne due composti, per sostituzione di uno o di due atomi di idrogeno del tiofene mediante — Hg Cl; ma non potè separare quantitativamente, come composto mercurico, il tiofene contenuto negli olii di catrame e nel benzolo commerciale, e ciò probabil- mente a causa della debole idrolizzazione del cloruro mercurico nell'acqua (*). Meglio si prestano invece sali mercurici, quali acetato, solfato o nitrato, che l’acqua decompone profondamente. Così Denigès (?) aveva già proposto la reazione col solfato pel dosamento del tiofene nel benzolo, avendo ottenuto, a seconda del solvente adoperato (acqua o acetone), due differenti combina- zioni che riteneva prodotti di addizione del tiofene con solfato basico di mercurio, ma ghe, secondo Dimroth, sarebbero da considerarsi piuttosto quali prodotti di sostituzione del mercurio. L'impiego dell’acetato mercurico, consigliato dal Dimroth per la faci- lità e rapidità della reazione, che sì effettua facendo bollire a ricadere per 1/2 ora il benzolo in esame con la soluzione acquosa del sale, passò nella letteratura come metodo di Dimroth pel dosamento del tiofene, calcolandosi le percentuali di quest'ultimo secondo la formula attribuita dall'autore al composto mercurico ottenuto C,H,S(Hg0 . CO.CH:)Hg.0OH, di un dimercuri- ossi-acetato di tiofene: e ciò tanto più, in quanto un controllo del metodo, eseguito da Liebermann e Pleus (°) con 3 miscugli di benzolo-tiofene a com- posizione nota, aveva fornito valori soddisfacenti. Ma Schwalbe (”), esaminando, secondo tale metodo, con grande accura- tezza un certo numero di diverse qualità di benzolo, non riuscì ad ottenere risultati coincidenti, giungendo invece a precipitati, dai quali calcolando in (') Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica farmaceutica della R. Università di Roma. (*) Pervenuta all'Accademia il 1° agosto 1915. (*) Volhard, Annalen, 267} 172. | (4) Dimroth, Berichte, 32, 758. (9) Denigès, Compt. rend. /20, 628 e 781; Bull. Soc. chim., 15, 1064. (6) Liebermann e Pleus, Berichte, 37, 2463. (*) Schwalbe, Berichte 38, 2208. — 207 — base alla formula di Dimroth, la quantità di tiofene superava di circa 40 °/ i valori teorici. Determinando poi nel prodotto di Dimroth la percentuale di zolfo (analisi omessa dal Dimroth) e trovandovene 2,7 - 2,8 °/, invece del 5,73 °/ richiesto, Schwalbe mise in dubbio l'esattezza della formula di Dimroth e altresì quella delle ricerche di Liebermann e Pleus, ma ad alcun’altra conclusione non potè giungere pel dosamento del tiofene. Nè più fortunato è stato a questo riguardo uno di noi (Paolini), quando, alcuni anni or sono ('), sul tiofene ha fatto agire una soluzione acquosa satura, a freddo, di acetato mercurico. AI prodotto ottenuto, in apparenza identico a quello di Dimroth, e che forniva dati analitici notevolmente approssimati a quelli richiesti da un tetramercuri-derivato, venne attribuita la formula 0.H3C.Hg HO CH HgC,H30, | | 0:H:C.Hg HCO—-S-CH HgC:H30; ) ammettendosi una soluzione dei doppî legami, secondo l’equazione, data tut- tavia con riserva e solamente in via di probabilità: C,H,8 + 4Hg(C.H30,): +2H,0 =(C.H;0, Hg),C,H,8 + 40,H,0+0;. L'ossigeno liberato avrebbe poi ossidato una parte del tiofene disponi- bile, giustificandosi così il rendimento oltremodo basso in composto tiofen- mercurico (intorno al 50 °/,), senza che però potesse isolarsi un supposto prodotto di ossidazione dalla rimanente soluzione acquosa. Di fronte all’ in- certezza di questi risultati, la quistione del dosamento del tiofene dovevasi considerare come ancora aperta. Avendo noi ora ripreso queste ricerche, riteniamo di essere giunti alla risoluzione del problema. ME In primo luogo era nostro intendimento di passare dal composto mer- curico, da uno di noi precedentemente ottenuto, ad un derivato tetrajodurato che per l'alta percentuale di jodio e per la supposta assenza dei doppî legami avrebbe fatto intravedere una importante azione terapeutica. Per tale tras- formazione ci siamo avvalsi dell’osservazione fatta da Dimroth (?) a propo- sito delle sue ricerche sui prodotti di sostituzione aromatici del mercurio, che cioè il residuo —HgAlog., unito alla molecola organica, si lascia rim- piazzare con somma facilità da alogeno. Il nostro composto tiofen-mercuri-acetico è stato quindi dapprima tras- formato, nel modo precedentemente descritto (*), in derivato cloromercurico () Paolini, Gazzetta Chimica, 37, I, 53. (@) Dimroth, Berichte, 35, 2033. (*) Paolini, Gazzetta chimica, 47, I, 58, — 208 — per azione della soluzione di cloruro sodico, e questo poi agitato, in forma di polvere finissima, a freddo con soluzione di jodio in joduro potassico. La sostituzione di jodio avviene subito e assai blandamente, secondo lo schema + NaCI +3? R.Hg(,H30, —> RHgCl —-> RJ+HgJCl. Ma con nostra sorpresa osserrammo che la quantità di jodio consumata era costantemente inferiore a quella calcolata per un tetramercuriderivato; così ad es. bastavano 5 gr. di jodio (di fronte a gr. 7 preveduti) per la trasformazione completa di 7 gr. del composto cloromercurico in jododerivato del tiofene. Epperò quest'ultimo si è appalesato quale mescolanza di due corpi distinti, dei quali uno è il diiodotiofene, noto da parecchio tempo e preparato da Volhard ('), fondente a 40°,5 e presentante anche le altre proprietà del prodotto di Volbard (forma cristallina, odore, solubilità ecc.); l’altro è il tetrajodotiofene, finora non descritto, dal punto di fusione 198°. La sepa- razione dei due composti è stata fatta mediante acido acetico glaciale caldo che asporta tutto il dijodotiofene. Abbiamo avuto un rendimento di circa 70°, di dijodo- e circa 30 °/, di tetra]odo-tiofene. Dato il modo blando e rapido in cui procedono le reazioni dal composto tiofen-mercuri-acetico sino agli jodotiofeni, talchè non è ammissibile neppure l'eliminazione di jodio dal tetrajodotiofene già formato, per spiegare la for- mazione del dijododerivato, la più ovvia interpretazione del nostro risultato è quella di considerare già il precipitato mercuri-acetico come un miscuglio di prodotti bi- e tetrasostituiti dell’acetato mercurico, e cioè col mercurio legato direttamente al carbonio del nueleo tiofenico a legami inalterati, non già di idroderivati, la cui genesi richiederebbe la soluzione dei doppî legami. Non è improbabile che le proporzioni di questi due composti nel precipitato che si ottiene, quando si operi sul tiofene con la soluzione acquosa dell’ace- tato mercurico, siano variabili, potendo prevalere o l'uno o l'altro a seconda delle condizioni di temperatura, di concentrazione ecc. A questo almeno accen- nerebbero i divergenti risultati di esperienze e di analisi fatte a parecchi anni di distanza. Certo si è che il prodotto ora sperimentato, essendo formato da circa 70°/ di bimercuri-aceto-tiofene, di fronte a soli 30 °/, del tetra- mercurio-aceto-derivato, contiene quasi tutto il tiofene adoperato, per cui non è sostenibile l'ipotesi, precedentemente invocata, di una parziale ossidazione di questa sostanza di partenza, per chiarire un rendimento che sembrava troppo basso in composto tetramereurico esclusivamente. Comunque sia, abbiamo potuto dimostrare che, variando la condizione di esperienza e principalmente cambiando solvente, si elimina ] inconveniente (1) Volhard, Annalen, 267, 172. — 209 — cennato di ricavare un miscuglio, pervenendosi invece alla preparazione del puro derivato tetra-mercuri- acetico. Tetramercuriacetato di tiofene Cs2H30,% . Hg . CTC » Hg . C.H30, | | C.H30..Hg.C—S—-C. Hg. C,H;0,. Grammi 9,5 (un po’ più del calcolato) di ossido mercurico si sciolgono in 15 ce. di acido acetico glaciale; si filtra e si aggiunge al filtrato, ancora caldo, una soluzione di gr. 0,84 di tiofene (1/100 di mol.) in 5 ce. di acido acetico. La soluzione limpida viene ora riscaldata per 1/4 d’ora sul bagno maria bollente, e poi lasciata in riposo per alcune ore, durante le quali si va formando un abbondante precipitato bianco. Aggiungendo indi l’ugual volume d’acqua e filtrando, il precipitato si lava con acqua sino a reazione negativa del mercurio nel filtrato ; disseccato, pesa gr. 11, onde il rendimento risulta del 98 °/,. Questo composto è insolubile in tutti i solventi, tranne nell’acido ace- tico glaciale, in cui, a caldo, si discioglie nel rapporto di circa 1:5. Solfo (Carius): Sostanza gr. 0,6614. Solfato di bario raccolto gr. 0,1320. Trovato: 2,86 °/ Calcolato: 2,86 °/, Il tetramercuriacetato di tiofene così ottenuto è affatto esente dal com- posto dimercuri-acetico, dappoichè, trasformandolo dapprima, secondo Paolini, in composto cloromercurico, se ne può ricavare quantitativamente il tetra- Jodotiofene. Tetrajodotiofene C4J,S . Grammi 10 di tetramercuricloruro di tiofene secco, e finamente stacciato, si agitano a freddo con una soluzione di gr. 10 di jodio e gr. 20 di Joduro potassico in acqua, sino a decolorazione di tutto lo jodio. Il tetrajodotiofene separato si raccoglie, si lava sul filtro con soluzione di joduro potassico, poi con acqua, e si dissecca infine in essicatore. Pesa gr. 5,5, invece del calco- lato 5,8. Cristallizza dal tetracloruro di carbonio (1:40) in polvere cristallina che fonde a 198°. Ha colore leggermente giallognolo, ma non odore nè sapore. Si scioglie difficilmente in tetracloruro di carbonio, facilmente nel solfuro di carbonio, mentre è insolubile in tutti gli altri solventi. Analisi: gr. 0,1936 di sostanza diedero gr. 0,3070 di AgJ. Jodio trovato: 85,74°/ calcolato: 86,06 °/, RenDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem, 23 — 210 — Peso molecolare, in CCL: gr. 0,4954 in gr. 39,2 di CCI, innalzarono il punto d’ebollizione di 0,1°. Trovato: 606 Calcolato: 588 Di fronte a questi fatti osservati, ci siamo di nuovo occupati della de- terminazione quantitativa del tiofene nel benzolo, ed abbiamo elaborato il seguente METODO PEL DOSAMENTO DEL TIOFENE che, provato con varî misengli artificiali di benzolo-tiofene, ha dato eccel- lenti risultati distinguendosi per semplicità e rapidità. Dopo avere dapprima disciolto un po’ più della quantità calcolata di ossido mercurico nel peso doppio di acido acetico glaciale, si raffredda, la- sciando pur depositare l'acetato mercurico. Indi si aggiunge il benzolo, in esame pel dosamento del tiofene, e si riscalda sul b. m. all’ebollizione, a ricadere, per circa 15 minuti. Il precipitato formato, costituito solamente da tetramercuriacetato di tiofene, si raccoglie dopo raffreddamento del ben- zolo, si lava più volte con etere, si asciuga a 100° e sì pesa. Dosamenti di controllo: 1) Da 100 gr. di benzolo all'1°/, di tiofene : precipitato mercurico gr. 12,8, corrispondenti a gr. 0,96 di tiofene. ” 2) Da 100 gr. di benzolo al 0,5 °/ di tiofene: a) composto mercurico gr. 5,6 corrispondenti a 0,42 di tiofene; db) ” ” D) 6,0 ” » 0,46 » ” 3) Da 100 gr. di benzolo al 0,1°/ di tiofene: precipitato gr. 1,32, corrispondenti a gr. 0,1 di tiofene; 4) Da 100 gr. di benzolo al 0,05 °/, di tiofene: precipitato gr. 0,6, corrispondenti a gr. 0,045 di tiofene. — 211 — Zimologia. — Intorno alla Willia Saturnus Klocker. Nota del prof. Vittorio PeGLION, presentata dal Socio G. Cra- MICIAN ('). Nel procedere ad indagini circa la microflora del terreno ortivo annesso alla scuola agraria di Bologna, ho isolato un lievito i cui caratteri morfo- logici corrispondono a quelli assegnati dal Klocker (*?) a Willa Saturnus. Com’ è noto, questo caratteristico saccaromicete fu trovato dal Klocker in un campione di terreno proveniente dall'Himalaja. Lo stesso Klocker ritrovò in seguito questa specie, od una specie molto affine in campioni di terreno raccolti in Danimarca ed in Italia; non sembra però che di questa ultima siano stati rilevati i caratteri morfo-biologici atti ad identiticare, o meno, questa forma europea colla forma asiatica ì cui caratteri servirono al Klocker per definire la nuova specie di lievito. Scopo di questa mia breve Nota è appunto il rilevare alcune differenze di ordine biologico che si avver- tono tra il comportamento di W. Saturnus tipica e la forma isolata dal terreno dell’orto di questa scuola. Questo lievito si è costantemente sviluppato in soluzioni al 10 °/ di saccarosio, acidificate con acido lattico (2 °/00), in cui si seminavano poche goccie di acqua di lavatura di detto terreno. Dopo 48 ore di permanenza in termostato a 25° la superficie libera del liquido è ricoperta da un velo candido continuo e liscio dapprima, ma che rapidamente s increspa, indi si disloca, intorbidando il liquido di coltura. Al 4° giorno il liquido stesso è in preda ad un energico processo fermentativo, che dà origine ad un gra- devolissimo profumo di essenza di mela. Ho preparato colture pure seguendo il classico metodo di Hansen ed utilizzando per l'isolamento un infuso di frumento germinato e gelatinizzato: sì ottengono colonie dapprima punctiformi ed isodiametriche finchè incluse nello spessore dello strato di gelatina; raggiunta la superficie libera del substrato esse tendono ad espandersi ed a lobarsi, assumendo un aspetto farinoso ; coll'invecchiare, le colonie stesse diventano di color bianco-sporco. I caratteri morfologici corrispondono perfettamente a quelli assegnati dal Klocker a W. Saturnus: le cellule vegetative sferoidali od ovate (4-6 u dm.) si moltiplicano per gemmazione soprattutto nelle soluzioni nutri- tizie zuccherate; coltivato su fette di carota 0 trasportato su cono di gesso, nelle opportune condizioni di temperatura ed umidità, questo lievito spori- (*) Pervenuta all'Accademia il 26 luglio 1915. (*?) Klocker A., Centralblatt f. Bakt., 1902, pag. 129; id, Lafar Handb. d. techn. Mykol., IV band, pag. 188. — 212 — tica rapidamente: le cellule-asco contengono da 1-4 spore, limoniformi e munite di un caratteristico anello sporgente in corrispondenza dell'asse maggiore della spora. Le spore stesse misurano in media 3 X 2 w. Per quanto riguarda le proprietà fisioloigche di W. Saturnus il Klocker si limita ad accennare che esso fa fermentare il destrosio, il fruttosio ed il saccarosio, previa inversione di quest'ultimo, mentre è inattiva verso lat- tosio, maltosio ed arabinosio; e che durante la fermentazione si ha forma- zione di un etere (etere acetico?). Secondo il Lindner (') questo lievito coltivato in un mosto di densità pari a 14° Balling, dà origine a debole fermentazione e formazione di schiuma; dopo 46 giorni si constata la for- mazione di 1°/, di alcool; dopo 1 anno e 4 l’alcool formato è scomparso. Sotto questo punto di vista il lievito, isolato da me, si distacca profon. damente dalla specie tipica del Klocker, quale viene prospettata da questi rilievi funzionali, tanto da doversi considerare per lo meno come una varietà, fisiologicamente molto più attiva. Ho eseguito numerose prove di fermentazione di mosto artificiale al 10 °/ di saccarosio: la W7//ia forma dapprima il caratteristico velo bianco che invade l’intera superficie libera del liquido vivendo acrobicamente; indi si sviluppa anaerobicamente, determinando viva fermentazione del liquido: . questa perdura attiva e con abbondante svolgimento di anidride carbonica per 4-5 giorni. Agitando il liquido in guisa da distribuire uniformemente nella massa le cellule di lievito e lasciandolo quindi in riposo nel termostato a 25°, dopo 10-12 ore, durante le quali il fenomeno fermentativo ha ripreso, parte del lievito si deposita sul fondo e parte vien trasportato a galla for- mando un anello od un ferro di cavallo di schiuma regolarmente disposto alla superficie del liquido, e che sì rinnova non appena il liquido agitato sia lasciato in riposo. Queste prove di fermentazione dimostrano che il lievito in parola è un fermento alcoolico discretamente attivo, in specie se si paragona da questo lato con ciò che il Lindner ha osservato studiando la W. Saturnus tipica. Una prova di fermentazione con soluzione di saccarosio (10 °/,) neutra, ad- dizionata con tracce di sali minerali e con peptone (2 °/00) durata 10 giorni ha fornito all'analisi i seguenti resultati: Alcool (in peso). . . . . 4,44 % Glicerinai cede iS Una serie di prove, fatte in vista di determinare l'influenza esercitata dalle diverse forme di alimento azotato, ha dimostrato che questo lievito si adatta ad utilizzare tanto l'azoto organico (peptone ed asparagina) quanto l'azoto ammoniacale. Infatti una soluzione di saccarosio al 10°/ fu divisa (1) Lindner, Mikrosk. Betriebskontr. in der Gar. gew. V auf. / / / — 213 — in tre parti, addizionate rispettivamente: I) con peptone (2 °/00); II) aspa- ragina (2°/00); 1lI) solfato ammonico, oltre a tracce di sali minerali e se- minate nelle stesse condizioni con una medesima coltura pura di Wz//ia; dopo 12 giorni di permanenza in termostato a 25°, l’analisi dei liquidi rivelò le seguenti percentuali di alcool (in peso): DES e II IR RT n VI, e e 078 A malgrado di queste varianti nella composizione del substrato, si verifica costantemente, non appena la fermentazione è avviata, la formazione di un delicato, gradevolissimo profumo che ricorda non già l’etere acetico, ma bensì l’essenza di mela ; non posso per ora almeno, fornire altri ragguagli in proposito, poichè le attuali contingenze non hanno permesso di procedere ad indagini più approfondite sulla biochimica di questo caratteristico lievito, che anche da questo studio sommario mi sembra doversi ritenere come una varietà fisiologica della specie scoperta dal Klocker. Fisiologia. — Azcerche sugli effetti dell’alimentazione mardica. Di alcune modificazioni nel metabolismo di cavie sottoposte ad alimentazione esclusiva di mais, di frumento o di erbe (*). Nota VIII di S. BagGLIONI, presentata dal Socio L. LUCIANI (°). In continuazione delle ricerche sull’alimentazione maidica nell uomo e negli animali, dopo aver stabilito gli effetti di questa dieta nei ratti (Note VI e VII) mi proposi estendere le esperienze alla cavia, animale quasi esclusivamente erbivoro. Scelsi pertanto sei cavie sane e normali, di cui quattro adulte e due in via di sviluppo, di sesso diverso, che precedentemente erano state alimen- tate con erbe di varia spece. Ognuna fu rinchiusa entro una gabbia usata per le precedenti ricerche di ricambio materiale dei ratti (*), che permet- teva di misurare esattamente la quantità di cibo assunto giornalmente e di raccogliere separatamente le fecce e l'urina. Tre ne alimentai con farina di mais impastata, a freddo, con altrettanta quantità, oppure con una quantità doppia d’acqua condotta; una continuai ad alimentare con erbe, e due final- (*) Ricerche eseguite nel Laboratorio fisiologico di Roma. (*?) Pervenuta all'Accademia il 3 agosto 1915. (3) Questi Rendiconti, vol. XXII, 2° sem., pag. 721 (1913). cali mente con farina di frumento impastata con altrettanta quantità. d'acqua, oppure con pane imbevuto d'acqua. Ogni mattina pesavo la quantità di cibo consumato nelle 24 ore precedenti, pesavo l'animale, preparavo e pesavo il nuovo alimento, raccoglievo le fecce e l'urina. Le fecce pesavo semplicemente appena raccolte: dell'urina determinavo la quantità, il peso specifico e il grado della reazione, titolandone su cinque cc., filtrati e diluiti con dieci d'acqua, l’alcalinità (o eventualmente l'acidità) mediante soluzione 7/10 di acido ossalico (o eventualmente di soda). Come indicatore mi servii del- l'acido rosolico, e spesso, per controllo, della fenolftaleina. Nei giorni in cui, per la scarsezza del liquido, non potevo esaminare l'urina, la lasciavo nel cilindro per farla unire a quella del dì successivo. Abbondante aggiunta di cloroformio ne impediva la fermentazione ammoniacale. Gli animali erano tenuti in una camera ampia, ben aereata e ben illu- minata, la cui temperatnra in media oscillò tra 18-25°C. (mesì di giugno e luglio 1915). Oltremodo scarse sono le nostre nozioni sull'alimentazione, sulla secre- zione urinaria e sul metabolismo, in genere, della cavia. Ecco quanto al riguardo ho potuto attingere all'articolo Codaye, redatto da Ch. Livon, nel dizionario del Richet (*). Irregolarissimo è il regime alimentare quotidiano. La cavia è un animale molto impressionabile; la minima causa turba le sue funzioni respiratorie, circolatorie e, molto probabilmente, digestive, poichè non sì potrebbero spiegare altrimenti le notevoli variazioni che si osservano da an giorno all'altro; basta, infatti, cambiare l’animale di gabbia o lasciarlo solo, per vedere la sua razione giornaliera subire un fortissimo turbamento. Ali- mentando tre serie di cavie, di cui la prima era costituita di maschi di 300-400 gr., la seconda di maschi di 700-800 gr. e la terza di femmine gravide di 1000 g. circa, con cavolo, frumento e avena, Livon vide che in media consumavano al giorno 18 serie $ di circa 340 gr., 90 gr. di cavolo e 13 gr. di frumento e avena 2 gi DIC” ’ 762 » 149 » ” » 24 ’ ” tI AINETI NERI » 1005 » 122 » ’ n 27» 7 ” Sulla secrezione urinaria possediamo i dati dell'Alezais (?) il quale, alimentando due caviotti adulti, di circa 730 gr., con cavolo e frumento, vide che eliminavano in media 60 ce. d'urina al giorno (oscillante tra i due estremi di 85 e 32 ce.), ossia circa 7 cc. per 100 gr. di peso del corpo. Era un liquido (?) Tome ITI, pp. 863-948 (1898). (*) Alezais, De l'urine du cobaye, Compt. rend. de la Soc. de Biolog., 48, pp. 213- 214 (1896); ibidem, 49, pp. 413-414 (1897). — 215 — alcalino, giallo-latteo all'emissione, che diveniva giallastro dopo che, col riposo, si erano depositati sali, e imbruniva col tempo al contatto dell'aria. Talora, senza causa apparente, era colorata in rosso scuro, come se fosse ematurica; nei giorni seguenti ritornava però lattea. La sua densità media era di 1026, che scendeva a 1024 dopo il deposito dei sali; le cifre estreme 1021 e 1032 corrispondevano alla variazioni estreme della quantità. È molto ricca di sostanze solide, di urea, di acido fosforico ecc. Confrontando i valori medî generali dell’urea, eliminata coll’urina, dall'uomo, dal coniglio e dalla cavia, si trovano i seguenti rapporti: 4.5 - 9 - 12. Ciò indica la forte inten- sità dei processi catabolici della cavia. Secondo Chossat (*), la durata della vita della cavia sottoposta al digiuno assoluto è, in media, di 6 giorni. Anche G. Swirski (?) trovò una durata simile, impedendo agli animali digiunanti di rimangiare le fecce. Nessuna notizia ho potuto trovare sulle modificazioni che subisce la secrezione urinaria di quest animale nelle varie alimentazioni o nel digiuno. Del coniglio (e, in genere, degli erbivori) sì sa, però, che, nel digiuno, l'urina diventa acida (*); ordinariamente si crede che la morte, relativamente rapida, di questi animali in inanizione, sia conseguenza in gran parte appunto del- l'acidosi, che si svolge nei loro liquidi interni, pel consumo dei proprî tessuti e per la mancanza del normale alimento ricco di sali alcalini. Nelle seguenti tabelle I-VI ho riassunto i risultati delle mie esperienze, riserbandomi, nella prossima Nota, di metterne in rilievo il valore discutendo le cause del cosiddetto maidismo sperimentale della cavia. (1) E. Bardier, /nanition; Richets, Dict. d. Physiol., tom. IX (1913). (?) G. Swirski, Veder die Resorption und Ausscheidung des Eisens im Darmeanale des Meerschweinchens, Pfliigers Arch., 74, pp. 466-510 (1899). (*) Cfr. ad es. L. Pincussohn, Physikalische Chemie des Harns, C. Oppenheimers Handb. d. Bioch, III, /, pp. 684-708 (1910). — 216 — TABELLA I. Cavia I. è — Peso del corpo 570 gr. Alimento 50 gr. di farina di mais + 50 cc. d’acqua. URINA Peso s , "I del sio Fecce Reazione SII $ assunto Osservazioni SARO gr. gr. |Quan-| Den-| alcalina Slide gr. tità | sità | cc. acido CERRO è ossalico N/10 n/10 1/575| 59 | 0.75] 26 (ros.)* 16 Urina torbida. Reaz. Heller negativa. 21585| 54 |4.0 | 14 Di LI Fecce normali. 3|565| 19 |1.3 | 14 Fecce secche. 4|540| 22 |1.6 | 20 [1032] » 8 Reaz. Heller negativa. 5|520| 222 14 Fecce giallastre secche. 61487] 14/2 22 |1030 (ros.) 6 | Fecce umide, con membrane mucose. 7475) 15 |0.4 | 10 Fecce secche. 8/460| 19 |0.6 | 10 |10386 n 4 | Mangia con appetito. Urina chiara, gialla — Heller, debolmente positiva. 9450) 18|0.6| 6 Urina fortemente acida alla carta di tor- nasole. Fecce piccole. Si alimenta con Li del 165 ini | 24 fd 1 12 13 14 15 Si alimenta con si 151 (È ih 435 405 370 365 330 gr. di trifoglio fresco, che mangia con appetito: | (ros.) i Urina scura torbida. Fecce grosse, umide, nere. 250 gr. di erbe di orto (rosolaccio): (REST ros.) 40 fen.) Urina torbida scura. Fecce grosse, umide, 6.8] nere. Heller, debolmente positiva. Si torna ad alimentare con farina di mais e acqua in parti uguali: 21 16 21 18 1.8 0.7 30 24 18 12 1033 (ros.) 4.8 (fen.) 0.8 (ros.) 1.6 Urina torbida gialla. Heller, negativa. Fecce grosse, scure, dure. Urina debolmente alcalina (tornasole). Fecce secche giallastre. (fen.) 2.0] Fecce durissime, giallo-brune. Heller, negativa. Mangia con grandissimo appetito. (ros.) 1.8] Urina acida al tornasole. Fecce secche giallastre. Muore. * L'indicazione (ros.) significa che la titolazione fu fatta coll’acido rosolico come indicatore; (fen.) significa che fu fatta invece colla fenolftaleina. — 217 — Sezione: Stomaco, ripieno di gas, vuoto di cibo, con liquido debolmente acido (torna- sole); tenue, congesto e pieno di gas; crasso, pieno di fecce e gas; cieco, ripieno di poltiglia giallastra, commista a grosse bolle gasose: peso, 52 gr., 5 gr. di detta poltiglia stempero con 30 ce. di H,O e filtro. Il filtrato ha reazione acida alla carta di tornasole e, titolato colla fenolftaleina, ha grado di acidità di 0.5. La reazione dell'amido (iodio) è negativa nella poltiglia. Reni, congesti; vescica, ripiena d’urina acidissima (tornasole). Cistifellea, rigurgitante di bile. TABELLA II. Cavia II. 9 — Peso 465 gr. Alimento, 50 gr. di farina di frumento fine + 50 ce. d'acqua. URINA Mona Reazione d cha [=== SSOTU ALLOMI gT. {Quan-| Den- lcali E tità | sita | ce. acido | _e°Îta, ce. Se n/10 1|488| 70 [3 36 (ros.) 27 Fecce secche biancastre. Urina torbida» Heller, negativa. 2 464 (ja 11 ” 5.5 Heller, negativa. Ha rifiutato il cibo, che si trova lievitato. 3| 425 0/2 25 Urina chiara. Idem. 4| 405 4 |0.6 | 12 [1032] » Dal Si dà solo farina senz'acqua. Heller, . positiva. . 5|390| 0 |0.4| 5 Si dà pane di grano, secco, imbevuto con altrettanta quantità di acqua. Mangia subito con appetito. 6|370| 11 |6 18 Idem. 71355 6 |0.05| 11 |1022| » 2.0 Urina chiara. Heller, positiva. Morte. Sezione: Stomaco, contenente poltiglia fluida, bruno-giallastra, debolmente alcalina (tornasole); tenue e retto, ripieni di gas fetido; cieco, pieno di massa poltacea bruno-giallastra, di cui una parte stempero con altrettanta acqua (il liquido filtrato ha evidente reazione acida alla carta di tornasole). Amido (iodio) assente. eni, ingrossati, iperemici. RenpIcoONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 29 — 218 — TABELLA III. Cavia III. — Peso iniziaie, 435 gr. Alimento, erbe di orto di varia specie (rosolaccio trifoglio, lattuga e cavolo). Peso , F del a Fecce |corpo Pa gr. tità ce. 1|435| 217 |33 |112 21425 | 206 |30 |110 3] 420| 215 | 34 |126 4| 428 | 158 | 38 66 5] 420| 217 |35 |110 6|406| 248 |48 |144 7|415| 195 (55 52 8/410| 197 | 46 68 9|410| 208 | 47 94 10 400| 200 | 45 88 11| 395 | 197 | 39 92 12[385 | 198 | 45 74 13] 365] 230 |28 |210 14|370| 172 | 20 44 15|1360| 216 |48 |100 16| 380 | 185 | 25 92 17|375| 209 |20 |190 18| 360| 178 | 35 28 19/860] 128 | 30 36 20| 365 | 192 | 28 |100 21/340] 147 |18 | 100 22] 305 | 217 | 0.8/190 gr. |Quan-| Den- sità URINA Reazione alcalina ncida CC. acido ARTE TA N/10 (ros.) 88 ” 50 » 126 ” 79 ” 99 D) 115 D) 62 ” 44 ” 52 (ros.) 63 (fen.) 15 (ros.) 75 (fen.) 11 (ros.) 89 (fen.) 57 (ros.) 189 (fen.) 42 (Toso (fen.) 26 (ros.) 20 (ros.) 81 (ros.) 114 (fen.) 3 (ros.) 34 (fen.) 8 (ros.) 42 (fen.) 29 (ros.) 88 (fen.) 24 (ros.) 42 (fen.) 4 (ros.) 111 (fen.) 60 Osservazioni Rosolaccio. Urina torbida lattea. Heller, negativa. Fecce grosse, nere. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Fecce molli. Idem. Idem. Idem. Idem. Erbe un po’ bagnate. Idem. Idem. Idem. Rosolaccio. Idem Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Rosolaccio e trifoglio. Idem. Idem. Idem. Idem. Urina scura torbida. Fecce umide. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Lattuga Urina chiara poco torbida. Fecce umide. Rosolaccio. Urina scura torbida. Heller positiva. Fecce molli. Idem. Idem. Fecce molli. Cavolo e lattuga. Idem. Idem. Lattuga. Urina chiara. Fecce molli. Trifoglio. Urina scura torbida. Fecce secche. Idem. Idem. Idem. Cavolo. Fecce umide. Idem. Idem. Lattuga. Morte. Sezione: Stomaco, contenente mediocre quantità di liquido chiaro filante giallo-verdo- gnolo, fortemente alcalino (tornasole); tezue, vuoto, congesto, senza gas; cieco, ripieno di poltiglia densa granulosa giallo-bruna, a reazione neutra (tornasole); crasso e retto, pieni di fecce; reni, normali; cistifellea, rigonfia di bile chiara giallo- verde; vescica, ripiena di urina fortemente alcalina. — 219 — TaBELLA IV. Cavia IV. 9 — Peso, 640 gr. subito dopo aver mangiato abbondantemente erbe. Dopo tre giorni di digiuno, si alimenta con 25 gr. farina di mais impastata, a freddo, con 50 cc. d’acqua. URINA = paro Cibo Reazione £ | del Fecce RITI S assunto ——_—_———_—_ Osservazioni o) (Le gr. BI. [Quan-|Den alcalina ;a gr. tità | sità ce. dolo (SLEOdA ce. 0 n/10 1570 0 6.0| 40 (ros.) 30 Fecce secche. Urina scura torbida. Heller, negativa. 21540] 0 | 0.5] 24 Urina chiara debolmente acida (torna- sole). Perde pelo. 3| 520 0 0.0] 14 |1028| » 1.6 Urina chiara. Heller, negativa. 4|1535| 37 | 0.0| 14 Mangia con appetito. 5|510| 22 0.0] 18 |1022) » .8 Urina chiara. 6|510| 35 0.0] 20 ldem debolmente acida (tornasole). 7|500| 42 0.0 26 |1018 (ros.) 5.6] Idem fortem. acida (tornasole). Heller, ; positiva. 8|500| 42 | 0.1|] 38 [1018 ” 4.5) Urina giallo-paglierina chiara. Idem (fen.) 15.0 91490] 42 0.1) 26 Urina chiara, fortem. acida (tornasole). 10|495| 51 0.0] 28 [1020 (ros.) 9.0 Urina chiara limpida, come sopra. Heller, (fen.) 21.0 positiva. 11|490| 46 | 0.3] 38 Idem. 12|470| 35 4.0] 20 |1017 (ros.) 2.4| Idem. Fecce piccole, giallastre, secche. (fen.) 4.8 13/465 | 43 1.7] 38 Idem. Idem. 14|450| 37 1.1] 15 |1015| » 3.6] » 1.5] Idem Heller, positiva. Fecce piccole secche. 15|450| 38 | 1.7 18 16/450] 35 | 0.3] 20 [1025] » 4.0] » 2.4| Idem. 17|442| 33 1.1] 25 Idem. Fecce nere piccolissime, simili a quelle dei topi. 18/435] 41 1.1] 17 [1020] » 6.5] » 1.4| Urina chiara. Fecce piccole, in parte umide. 19/430| 41 | 4.1] 26 ldem. Fecce piccole umide. 20|420| 41 | 0.0| 22 [1016] » 8.2] » 0.0 21/420) 89 | 3.0] 26 22/420| 45 0.4] 24 |1016| » 8.6 Idem. Heller, debolmente positiva. (fen.) 3.0 23/410] 42 | 6.5) 22 Urina rosso-scura. Fecce grosse molli. 24|398| 42 | 6.3] 18 [1018|(ros.) 1.8| » 2.5 Urina rosso-scura (mescolata a fecce ?). Heller, positiva. Fecce grosse umide. 25/395 | 44 |11.0| 10 Idem. Fecce quasi diarroiche. 26/392] 50 | 4.5] 12 |1015| » 3.8] » 0.0| Idem. Idem. 27/385] 48 | 3.5] 14 Idem. Idem. 28/3751 46 14 |1016| » 7.0 Idem. Fecce diarroiche. (fen.) 2.38 29/370) 55 | 6.0] 18 Idem. Idem. 30/355] 42 | 2.0] 12 Idem. Idem. 81|350| 38 16 Idem. Fecce diarroiche, pochissime. 32|335 | 16 | 2.0] 18 |1018|(ros.) 17.0 Urina scura (mescolata a fecce ?). Fecce diarroiche. Morte. Sezione: Pediculosi. Stomaco, vuoto; tenue, vuoto, congesto; cieco, pochissimo disteso, contenente poltiglia gliallo-scura, commista a gas, di reazione acida; vescica, con- gesta; reni, normali. do Ot dI nosso co © — 220 — TABELLA V. Cavia V.— Peso, 184 gr. Alimento, pane di frumento 15 gr. inzuppato con 80 cc. d’acqua. URINA Reazione Quan-| Den- lcali tità | sità SR Su ce ossalico Sr sa a n/10 / bj 8 ò 9 7 |1028/(ros.) 0.3/(fen.) 0.6 12 9 (fen.) Osservazioni Pane solo, senz'acqua. Urina alcalina (tornasole). Pane con acqua. Urina debolmente acida (tornasole). Appetito, Idem. Idem. Idem. Idem. Idem Idem. Idem. Heller, negativa. Idem. Urina debolm. acida (tornasole). 1.4| Urina acida anche all’acido rosolico. Fecce secche piccolissime. Heller, positiva. Morte. Sezione: Pediculosi. Stomaco, vuoto; cieco, mediocremente pieno di poltiglia bruna e gas; reazione della poltiglia alla carta di tornasole, debolmente acida. 24 225 232 230 228 223 212 206 211 207 212 210 202 202 200 193 194 196 195 192 192 187 185 170 169 46 0.0 0.20 0.0 mo (exe) op n Hi dI (=) OR RIOSIZIOZI n ATI où so Uuobbuirotni © Hu °° Dì 20 TaBELLA VI. Cavia VI. è — Peso iniziale, 212 gr. Alimento, farina di mais 20 gr. + 40 cc. d’acqua. 1020|(ros) 1.5|(fen.) 1020] » 2 1015] » 6 (fen.) 1. 9 3 1018|(ros.) (fen.) 5) 6 1016|(ros.) 11.0 (fen.) 4.0 2 6 1020|(ros.) 6. 1 (fen.) 1018/(ros.) 6.0 n 8.0 ” 9.0 1.2 Urina chiara, giallo-paglierina. Reazione (tornasole) anfotera. Urina chiara. Heller, negativa. Fecce piccole, secche. Idem. Idem. Idem. Idem. Fecce nere piecolissime, secche. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Fecce piccole molli. Idem. Fecce piccoliss., secche. Appetito. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Idem. Fecce in parte molli. Urina rosso-scura (mescolata a fecce ?). Fecce grosse umide. Idem. Fecce quasi diarroiche Urina scuro-nerastra (commistaa fecce ?). Fecce diarroiche. Morte. Sezione: Pediculosi. Stomaco, vuoto; tenue, fortemente iperemico, ripieno di poltiglia giallognola; cieco e retto, enormemente rigonfi di poltiglia gialla e gas, a reazione neutra. Pareti fortemente iperemiche; reni e surreni, normali; vescica, idem, vuota. ‘ E. M. es SEE della R. Accademia de! Lincei. = ‘Berio di Atti dell’ Accademia. ‘pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIIl. GA . Atti della Reale Accademia dei Lincei. nono XXIV-XXVI. set Serie 22 — Vol. I. (1873- 274). È | Vol. II. (1874-75). Vol. It (8, tolo Parto a TRANSONTI Tra Ca) MEMORIE della Classe di scienze niche i ; matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche | e flologiche. pair Vol. IV. v. VI. VII. VII. Serie se "TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). i MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. L (1,2). — IL (1, 2). — INI-XIX. fuso iù della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, io Vol, I-XII. i ; i - Berio 4* — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). . MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-VII. | MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, i - Vol. I-X. | Serie "da _ — RENDICONTI della. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-XXIV. (1892- 1915). Fasc. 4°. Sem. 2°. TRE | RenpICONTI della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. evi Vol I-XXIV. (1892-1915). Fasc. 1-2. > - Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. Fasc.. 3. asd della Classe di scienze moratti, FIORINO e SITO Vol. I-XII. — CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE i AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche ‘e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due Volumi: all'anno, corrispon» - denti ognuno ad un semestre. SH prezzo di associazione per. ogni volume e per tutta Li Italia è di L. 10; per £ gli altri paesi le spese di posta in più, Le associazioni sì ricevono esclusivamente dai seguenti editori. libra: - Ermanno Lorscner & Ta o Roma, 70090 e Firenze. Utrico Horn. =i Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Agosto 1915. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie, sino al 15 agosto 1915. Bianchi. Sulle trasformazioni di Ribaucour dei sistemi tripli ortogonali. . . . . . Pag. Bottasso. Sulla flessione delle superficie inestendibili (pres. dal Corrisp. Marcolongo) . . » Rosati. Sulle corrispondenze fra i punti di una curva algebrica e, in particolare, fra i punti di una curva di genere due (pres. dal Socio Bertini) . . . OA) Vergerio. Sulla risolubilità dell'equazione integrale di 12 specie (pres. dal Sa Tia ‘Givi L) Trabacchi. Dispositivo semplice per la radiostereoscopia (pres. dal Socio Volterra) . . » Monti. Di una rara osservazione sismica (pres. dal Socio Battell) . . . . Sete Alessandri. Derivati formilici ed- aldeidici di pirroli e indoli (pres. dal Socio i Di tea Amadori. Ricerche sul gruppo dei tellururi di bismuto (pres. dal Socio Ciamician) . . » Paolini e Silbermann. Sul dosamento del tiofene nel benzolo (pres. dal Corrisp. Peratoner) » Peglion. Intorno alla Willia Saturnus Klocker (pres. dal Socio Ciamician). . . . » Baglioni. Ricerche sugli effetti dell’alimentazione maidica. Di alcune modificazioni nel meta- bolismo di cavie sottoposte ad' alimentazione esclusiva di mais, di frumento o di erbe (pres: dal'-Socio Luciani) GLi SIRO en 161 174 182 185 190 198. 194 200 206 211 218. K. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 16 settembre 1915. N. 5b. PETE REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXII. 1915 S HEùI BH} QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXIV°. — Fascicolo 5° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all'Accademia durante le ferie sino al 5 settembre 1915. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo) TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1915 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO ‘ PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta perciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fis siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l’Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispone denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- idemia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe, 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. | 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è — data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Socio Corrispondenti; 50se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. POT SSL I I RE VR MSI ste e a ieri RENDICONTI DALLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1945. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d’arrivo). ANN - . Matematica. — Sulle superficie le cui linee di curvatura di un sistema tagliano sotto angolo costante le generatrici dei coni che le proiettano da un punto fisso. Nota del Socio Luror BIANCHI ('). 1. Da recenti studî sui sistemi tripli di superficie ortogonali, di cui è apparso un primo saggio nel fascicolo 10° (1° semestre) di questi Rendi- conti (*), sono stato condotto a considerare, in particolare, una classe di superficie definita dalla seguente proprietà delle linee di curvatura di un sistema: queste linee di curvatura tagliano tutte, sotto il medesimo angolo costante 0 (non retto), le generatrici dei coni che le proiettano da un punto fisso O dello spazio. Le superficie così definite, esclusa un’'ovvia classe particolare di cui ora subito diremo, vengono a dipendere, in modo geometrico notevole. dalle superficie pseudosferiche. La classe particolare accennata, che nel seguito intenderemo di esclu- dere, è data da quelle superficie X le cui normali in ogni punto P sono inclinate dell'angolo costante - — © sul raggio vettore OP che va dal punto (*) Pervenuta all'Accademia il 26 agosto 1915, (*) Sopra una classe di sistemi tripli di superficie ortogonali (seduta del 16 masg- gio 1915). RenpIcONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 29 — 222 — fisso al piede della normale P. Ciò equivale manifestamente a dire che tutte le sfere col centro in O segano la superficie X sotto quest'angolo co- stante, onde segue che le linee d’intersezione di queste sfere con X sono linee di curvatura di X; per ciò X è intanto una superficie modanata, la cui sviluppabile direttrice è un cono col vertice in O (ved. Zezioni di geo- metria differenziale, vol. II, $ 319). Di più le linee di curvatura dell’altro sistema sono tracciate nei piani tangenti di questo cono, e, incontrando ivi le rette del fascio col centro in O sotto l'angolo costante 0, sono spirali logaritmiche (eguali) col polo in O. Viceversa, ogni superficie modanata a direttrice conica, il cui profilo piano generatore sia una spirale logaritmica col polo nel vertice del cono, è una superficie X della classe richiesta. Se prendiamo il punto fisso O come origine delle coordinate cartesiane, e scriviamo l'equazione di queste superficie modanate X sotto la forma ordi- naria 2 = (x,y), è chiaro che le superficie X sono tutte e sole le superficie integrali della equazione a derivate parziali del primo ordine (1) px + qy — £ Va+F+Fe/1+pP+ = seno, poichè questa esprime appunto che la normale alla superficie è inclinata ; IT dell'angolo Tio sul raggio vettore che va al piede della normale. Dalle considerazioni seguenti intenderemo escluso questo caso ovvio di superficie della classe richiesta, dove i coni proiettanti, su cui le dette linee di curvatura sono /ossodromiche sotto l'angolo 0, si riducono a piani. 2. Per una superficie qualunque $, si scrive subito l'equazione differen- ziale di quelle linee, tracciate su S, la cui tangente in ogni punto P è inclinata dell'angolo costante o sul raggio vettore OP. Essa è manifestamente Va 49° + 2° Vda® + di? + de? == COSO, ovvero, se poniamo per brevità o? = x° +-y° + #?, \ I(x + pe)? — e? cost o(1 + p?)f da* + (2) è + 2f(2 + ps) (4 + 94) — 0° cos°0 pg} da dy + + i(y + 42)? — e* cost o(14- 9°) dy° = 0. Per le superficie generali da noi cercate, queste linee debbono coinci- dere con un sistema di linee di curvatura di S, per il che occorre e basta — 223 — che l’equazione (2) di secondo grado nel rapporto di abbia una radice a comune coll'analoga per le linee di curvatura (2) I +99) —pgr} da? +11 + pL— (14-99) r{ de dy + + {pa — (1+9°)s} dy°=0. Eguagliando a zero la risultante delle due equazioni di secondo grado (2), (2*), si ha dunque l'equazione a derivate parziali del secondo ordine caralteristica per le superficie richieste. Risulterà, dalle ricerche seguenti, che l'integrazione di questa equazione (che non importa scrivere esplicita- mente) equivale a quella della equazione per le superficie pseudosferiche. È poi evidente che l'equazione del 1° ordine (1) fornisce un integrale par- ticolare dell'equazione stessa. Non lascieremo di osservare che nel caso limite, ove il punto fisso O sì respinga all'infinito, in una determinata direzione, l'integrazione della corrispondente equazione del 2° ordine si effettua subito geometricamente. In questo caso le superficie integrali, come risulta dalle proprietà della rappresentazione sferica, sono tutte e sole le superficie modanate la cui sviluppabile direttrice ha i piani tangenti inclinati dell'angolo costante e sulla detta direzione, restando arbitrario il profilo piano generatore (?). 8. Per ricercare le superficie S dotate della proprietà prescritta ci ser- viremo delle formole per la rappresentazione sferica: cosa che possiamo fare senza omettere alcun caso, perchè, come facilmente si vede, nessuna svilup- pabile trovasi fra le superficie richieste. Indichiamo con (3) ds'* = e du? + g dv® il quadrato dell'elemento lineare nella rappresentazione, sicchè intanto i coefficienti e, 9 dovranno soddisfare all’equazione DO A i 4 mu a sa du )ta( dv )+I n che dà la condizione necessaria e sufficiente perchè l'elemento lineare (3) appartenga alla sfera di raggio = 1. (1) Si consideri che le immagini delle linee di curvatura inclinate di un angolo costante sopra la direzione fissa sono eliche sferiche congruenti per rotaziono attorno al diametro della sfera che ha quella direzione, e le loro traiettorie sono circoli massimi i cui piani inviluppano un cono di rotazione. Di qui le proprietà segnalate nel testo. — 224 — Indichiamo, al solito, con (X;, Y;,Z) i =1,2.3 i coseni di direzione dei tre spigoli del triedro principale, e cioè con X,, Y1,Z i coseni della tangente alla v = cost Koi Va Zio ” ” u= così DOPO IA, ” della normale alla sfera. Questi soddisfano, come si sa, alle equazioni del quadro seguente: 1 le (o q e. > IA dU Vg ?v dv Ve du DR e /g - (5) DA DORIA 1 i AVO aa dU V9 dv dVU Ve dU ds dÀs 4) \ du al ii it ‘colle analoghe per YeZ. Determiniamo poi la nostra superficie S in coor- dinate tangenziali prendendo per incognite le tre distanze (algebriche) W,, W., W; dell'origine O dalle tre facce del triedro principale col vertice nel punto (x,y ,z) di S; precisamente poniamo W,i,=SxX, n W.=SxX, 9 W,=SxX,. ‘Come risulta derivando, le tre funzioni W,, W., W; debbono soddisfare al sistema differenziale / N Dai \ cem È Wi ’ MIEI a dv V9 dv dU Ve du Î dIWa =. Ve Wi 9, Wa i V Wi dU dv Viceversa, se (W,, W., W.) è una terna qualunque di soluzioni delle (I), si ha una corrispondente superficie S coll'assegnata immagine sferica, data dalle formole (6) a= W,Xk+W.Xx + Wiki, «colle analoghe per y , 4. Ora, venendo alla nostra ipotesi, supponiamo che sulla S le linee di curvatura di un sistema, p. es. le = cost, abbiano in ogni loro punto P — 225 — la tangente inclinata dell'angolo fisso e sul raggio vettore OP. Siccome X., Y:,Z> sono i coseni di direzione della detta tangente, mentre quelli del raggio vettore OP, essendo a+ y +e = Wi + W+ W8, possono scriversì Li de FIR APIRSO RIA E VW+-W}+ Wi VW+Wi+ Wi VWi+ Wi+ Wi" la nostra ipotesi si traduce nell'equazione rX°byYr + sZs do Wo n08.0 VW°+ Wi+ Wi VW°+W+W: i ossia (7) Wi + Wi= tg°o Wi. Viceversa, se le funzioni W,, Wi, W,; soddisfano alle equazioni differen- ziali (I), ed a questa (7) in termini finiti, la superficie S, data dalle (6), apparterrà alla classe richiesta. Il nostro problema si riduce dunque ad esa- minare per quali forme particolari dell'elemento lineare sferico (3) ammette soluzioni il sistema che si ottiene aggregando alle (I) l'equazione in ter- mini finiti (7). 4. Per questa ricerca procediamo, come insegnano i metodi generali, formando le conseguenze differenziali della (7) che si aggregheranno al si- stema (I). Derivando la (7) rapporto ad %,v, ed osservando le (I), troviamo: PSE SCALE EA o? Pai aVe 08) \ Wi} pui e al (8) a w. eg We TICA LygW.'= “i 1800 dv Ve du Vytera lA \ i Ora, i casi, in cui si annullasse W, o W., sono da escludersi: il secondo, perchè incompatibile colla (7); il primo, perchè condurrebbe appunto alle superficie modanate del n. 1('), caso che trascuriamo. Ed allora, soppri- (*) Se W,=0, per la (7) si può fare W,=tgoW,, e le (I) dànno dVyg dWa dW. = 0 a n i AU ban =gcoto Wa. La prima di queste dice che le linee u = cost sulla sfera sono circoli massimi (geodetiche), onde si può fare g=1, e resta = 0A — Oto A SV eV U'COSt), formole che, come subito si vede, corrispondono alle superficie modanate del n. 1. — 226 — mendo dalle (8) i fattori W,,W,, ed aggregando alle (I) le equazioni così ottenute, otteniamo per le funzioni incognite W,, W., Wa. il sistema seguente : {| 9dW oa - IW 1 3Vg — = tggo — — W.,—VeW 5 n= La \ w È Vga dv Vea wW Ve dw Na } dWa _19ye dW (1 3Yg (LD i e LI A N II (Berio mi I Dax, a W,+yg Wi dW dW uva = y W, Ò toa SES Vg W, Questo è un sistema lineare omogeneo ai differenziali totali in W,,W., Wi; e se costruiamo le relative condizioni d'integrabilità, troviamo che esse si riducono all’unica seguente: SERIE dp — 9 20 — -- = — ) > | ) 1g ‘3; (7 dV ) du (7 dU )+: ds Se supponiamo che i coefficienti e, g dell'elemento lineare sferico (3) soddisfino, insieme alla (4), anche alla (9), il sistema differenziale (II) è completamente integrabile, sicchè l'integrale generale (W,, Wes, W3) di- pende da tre costanti arbitrarie, potendosi fissare ad arbitrio, per un sistema iniziale u=%,,0=% delle variabili, i valori di W,, W., Wi, ciò che fissa la terna integrale. Ma di più si vede che il sistema differenziale (II) ammette l'integrale quadratico Wi dk Wî— tg*oWî = cost, e basta quindi prendere i valori iniziali di W,, Wes, W; in guisa ch si annulli la costante del secondo membro, dopo di che risulterà soddisfatta la (7), e le formole (6) daranno una superficie S della classe cercata. 5. Il nostro problema è, così, ricondotto essenzialmente alla ricerca di quelle forme (3) dell'elemento lineare sferico, i cui coefficienti e, 9 soddi- sfanno insieme alla (4) ed alla (9), ossia alle due equazioni dVU 1187 dU du Ve ovvero pa VA? A I) LO pg]=0 dd\Yg dv dUul\Ve dU — 227 — dove U è funzione di soltanto, e V di v soltanto; e poichè, cangiando i parametri x, v, si viene a moltiplicare U per una funzione arbitraria di «, e V per una funzione arbitraria (positiva) di v, possiamo disporre dei para- metri in guisa da rendere U=V= 1, dopo di che avremo ATENEI OO (10) va= Le, (7 De) +91 La forma di questa seconda suggerisce l'introduzione di un angolo ausiliario colle posizioni V/g= sen : NI, Ve du onde risulta = dw = Ul, dU e la prima delle (10) si traduce nell’equazione a derivate parziali per © d°w du dU dU = sen. Questa è la notissima equazione da cui dipende }]a ricerca della superficie pseudosferiche. E viceversa, se © è una soluzione della (IIl), assumendo MIA V/9= sen @w 4 l'elemento lineare 4 2 (11) Oi (e) du? + sen? dv° appartiene alla sfera di raggio =1; ed avendosi hi 1 3V9 lay Ye du Re) o tutte le condizioni sono soddisfatte. Pertanto ad ogni soluzione w della (III) corrispondono co? superficie S le cui linee di curvatura «= cost, proiet- tate dall'origine, sono lossodromiche, sotto l'angolo fisso arbitrario 0, dei coni proiettanti. Esse si ottengono integrando il sistema differenziale com pletamente integrabile corrispondente a (II): | dIW, a 9 do dW, n | sosia) tg°o W, — n Wi, <> cos wW, RANE dW. A | 3 (A) di W, ira cot*o(cos oW, + sen wW.) dIW3 ea dd dWi > | oa, Wi «fe Se oWi, — 228 — scegliendo una terna integrale (W,, W., W3) che soddisfi inizialmente alla (7), e quindi anche per tutti i valori di v,v (n. 4). Sostituiti i valori di una tale terna nelle formole (6), si ha così una delle nostre superficie S, coll'assegnata rappresentazione sferica (11), le quali vengono in effetto a dipendere da due costanti arbitrarie. Si osservi, per altro, che una di esse è puramente moltiplicativa in W,,Ws,W,, e non è quindi altro, per le (6), se non una costante d’omotetia. 6. Conviene, ora, che interpretiamo geometricamente i risultati ottenuti, per la qual cosa cominciamo dallo scrivere il sistema differenziale (5), cui soddisfano i nove coseni (X;, Y;, Z;) nel caso attuale dell'elemento lineare sferico (11), e cioè X DX PARATA a 2 — cosmX, dU du dv IX dIX (12) < È =X 5 Sn =— cos X, — sen w Xy X P) X De: i , LESGETCÌ o Xg du du dv Segue, da queste, che si ha d° Xo è Ud = cosw. Xa, cioè le tre funzioni E=X, , n=Y, , î=2, sono soluzioni dell'equazione di Moutard d°@ du dv = c0$0.0 legate dall'identità quadratica P+p+e=1. Per le formole di Lelieuvre relative alle asintotiche (Zezzoni, vol. I, $ 77), vi corrisponde quindi una superficie pseudosferica S, di raggio= 1, le cui coordinate xs, %o;4, di un punto mobile si calcolano per quadrature dalle formole (Lelieuvre): dIY» dIZe Vi Zo dio _| du du dXe _ du o A Yi Zi dv dv e I — 229 — le quali, osservando le (12), si trasformano subito nelle altre do (13) —=X,, Si = c08 wX; — sen wX, . Per l'elemento lineare sferico ds, della superficie pseudosferica So, rife- rita alle asintotiche (vv), risulta di qui la ben nota forma (14) ds° = du? + 2 cos © du dv + dv. Si osservi, di più, che, per le prime (13), X3, Y:,Z3 sono i cosenì di dire- zione della tangente all’asintotica v = cost su So, e si ha, per la (11), do \} dX3 4 dI} + d28 = i du + sen?@ do. Ne concludiamo quindi: La forma (11) dell’elemento lineare sferico, con w soluzione della (III), sî ottiene, nel modo più generale, considerando la congruenza delle tangenti alle asintotiche di un sistema di una superficie pseudosferica So e prendendo nella rappresentazione sferica della congruenza il sistema sferico (ortogonale u,v) che corrisponde alle asintotiche dei due sistemi. 7. Ora esaminiamo meglio la dipendenza geometrica delle nostre super- ficie S dalle pseudosferiche Ss, partendo dall'osservazione che X., Ya, Zo sono, ad un tempo, i coseni di direzione della tangente alla linea di cur- vatura u = cost sopra S e della normale alla superficie pseudosferica S,. Pertanto, nella congruenza della tangente alle x = cost su S, l’immagine sferica (u,v) delle sviluppabili è quella delle asintotiche della pseudosfe- rica So, e per ciò la congruenza stessa non è che una congruenza di Gui- chard (ved. Lezioni, voL IT, $ 151). Le sue sviluppabili (wu, v) tagliano cioè non solo la prima falda focale S, ma anche la seconda, che diremo $', lungo le linee di curvatura. Questo confermeremo ora subito col calcolo diretto, e di più dimostreremo che questa seconda falda S' è, alla sua volta, una superficie della medesima classe: con questo, però, che le sue linee di curvatura lossodromiche dei coni protettanti dall'origine sono quelle del- l’altro sistema v= cost, e l'angolo 0 si cambia nel suo complemento IT — — 0. 9 Prendiamo le formole (6), che definiscono S; e derivandole rapporto ad u,v, osservando le (A) e le (12), otterremo 1 Do = eg Wi Xi . dU cosìo da 1 1 >W, = —_- (cosoW, + senoW,).X, = dv sen? È Xs s costo 3» RexDpICONTI. 1915, Vol. XXIV. 2° Sem, 30 — 230 — indi, pel ds* della S, 14 Ja di » — cos'o È ; PW NEI 2 2 perde DA d 2% n W3 du +( "i ) o Nella congruenza delle tangenti alle linee «= cost sopra S, il primo fuoco F è il punto di contatto con S; e per l’ascissa 0 del secondo fuoco F' misurata sul raggio, che coincide col valore algebrico del raggio di curva- tura geodetica delle v = cost, abbiamo dalla (15) cos?o È Q => Indicando dunque con 2", y'",4' le coordinate di F', avremo le formole Vol = Wi Xi; ee tg*oW, Xx, + Wi Xi 9 colle analoghe per y',', che definiscono la seconda falda focale S'". Deri- vando rapporto ad «,v, abbiamo da' Wix de W, dv costo du = coso (cos wX, + sen @X:), e conseguentemente (15)) ds'? A. (Ma) 214 W dp! Sal du nei Indicando gli accenti quantità relative alla S', si deduce inoltre, dalle for- mole, precedenti Xi1= X. , Y:= coswX, + sen @X; , X3= sen@wX, — cos wX;, e quindi Wi= SeX=— tg?oW, , Wi=Sz'X:=cos0W,+senoW,, Wi= Se'X= senoW, + cosmW;. Come si vede, le linee x,v sono linee di curvatura per la S', e, a causa della (7), sussiste fra Wi, Wi, Wi la relazione quadratica Wi + Wy = cot'oWi°. Ma questa è la (7) stessa, scambiato « con v e cangiato o nel comple- mento 99 onde risultano confermate le proprietà enunciate. Compendiando i risultati ottenuti, abbiamo la proposizione seguente: Nota una superficie S della classe richiesta, se ne ha subito una seconda S' costruendo la congruenza delle tangenti a quelle linee di cur- — 231 — vatura di S che sono lossodromiche, sotto l'angolo o, dei coniì che le protettano dall'origine, e prendendo la seconda falda focale S' della con- gruenza stessa. Sopra la S' le linee di curvatura lossodromiche dei coni protettanti dall'origine sono quelle del sistema opposto, e l’angolo d'ineli- . 3 Ò TT nazione o è cangiato nel suo complemento 9 = 8. La costruzione ora indicata dà in sostanza una trasformazione 7v0- lutoria delle nostre superficie S, che vengono sempre a presentarsi a coppie associate (S, S'), sicchè le superficie di una stessa coppia sono le due falde focali di una speciale congruenza di Guichard e corrispondono ad una me- desima superficie pseudosferica So, le normali di S essendo parallele alle tangenti delle asintotiche di un sistema di So, e quelle di S' alle tangenti delle asintotiche dell'altro sistema. Ora osserviamo che si ottiene un'altra trasformazione involutoria sem- plicissima delle superficie S dall’inversione per raggi vettori reciproci rispetto all'origine. E infatti, siccome l'inversione conserva gli angoli e le linee di curvatura e lascia fisse le rette per l'origine, è evidente che sussiste il teorema: Una superficie S, le cui linee di curvatura di un sistema sono los- sodromiche, sotto l’angolo costante o, dei coni che le proiettano dall’ori- gine O, si cangia per un’ inversione rispetto all'origine în un’altra super- ficie S della medesima classe, e corrispondente allo stesso angolo 0. E qui non fa nemmeno eccezione il caso delle superficie modanate del n. 1, le quali per l'inversione si cangiano in altre tali superficie mo- danate. Ritornando al caso generale, osserviamo che, mentre la superficie S corrispondeva ad una certa soluzione © della (III), la sua trasformata S per raggi vettori reciproci corrisponderà ad una nuova soluzione w, la quale si può subito calcolare dalle formole d’ inversione. Sembra così, a prima giunta, che questo risultato dia una nuova classe di trasformazioni delle superficie pseudosferiche. Ma una più attenta analisi dimostrerebbe che, in realtà, le trasformazioni così ottenute si riducono in sostanza alle trasformazioni di Backlund. 9. Si è ricondotta la determinazione delle superficie S a quella delle superficie pseudosferiche S,, ed alla successiva integrazione del sistema diffe- renziale (A). Che cosa possiamo dire rispetto alla integrazione di quest'ultimo sistema? Dimostreremo che: l'integrazione del sistema differenziale (A) si può effettuare in termini finiti, appena si conoscano le linee geodetiche della superficie pseudosferica S,, nel caso di o = 45°, 0 quelle di una sua trasformata di Lîe nel caso generale. Cominciando dall’indicato caso particolare di o = 45°, già per sè molto — 232 — notevole, osserviamo che il sistema differenziale (A), essendo qui tgo= 1, diventa: ; RAVE, E En | dU dU dv X* dWa i dWi ; (A*) | zi ZI ron = cosoW, + senwW, | aly, x i =senmW,. Ora, supposto di averne una terna integrale W,,Ws.. W3, che soddisfi alla corrispondente condizione (7) (16) Wi+Wi=W, dimostriamo che Sulla superficie pseudosferica S, le linee Ws= cost formano un st- stema di oricicli paralleli. Per questo cominciamo dal calcolare il parametro differenziale primo - 4,W. della W, rispetto all'elemento lineare (14) della Si, cioè dIW.\? dW.\° IW. dIW: 3 1 dv 100009 du VU ANNE 2 L) sen® @ e troveremo subito, dalle (A*) e dalla (16), (17) 4,W,= W2. Indi calcoliamo la curvatura geodetica _ delle linee W.,= cost dalla for- Ig mola di Bonnet dW:i dW:. dWai dIW: MENA cos w —— — COS @ LIES (È A RI e 09 i STRA dU sen oVA4,W, dv sen @ V4,W. \ i ed avendo riguardo alle (A*), alla (16) ed alla (17), troveremo, dopo sem- plici riduzioni, (18) — =" l. L9 Le formole (17), (18) dimostrano appunto che le W,= cost formano sulla So un sistema di oricicli paralleli. E allora se prendiamo sulla Sy a linee coordinate (@,) questi oricicli a = cost, e le loro geodetiche orto- gonali 8 =cost (parallele nel senso non euclideo), daremo all'elemento lineare ds, la forma tipica parabolica (19) dsi = da? + e?* d8°, — 253 — dopo di che avremo, a meno di un fattore costante, W.=e*. E introdu- cendo questo valore di W. nelle (A*), avremo le formole definitive da du Jena seno dV \\Ve=#02 = e°% Wi n A ( dove si osserverà che la relazione quadratica (16) fra W,, W.., W. non è altro che la ben nota relazione clhoa== dl a cui soddisfa l'arco @ delle geodetiche £ = cost contato dall’oriciclo a =0. 10. Possiamo facilmente invertire i risultati precedenti e dimostrare: La terna più generale (Wi, Wa, Wi) di soluzioni del sistema (A*) si ottiene riducendo l'elemento lineare della superficie pseudosferica Sa (in uno degli co* modi possibili) alla forma tipica parabolica (19), ed assumendo quindi W,, Was, W; dati dalle formole (20). Tutto si riduce a verificare che W,, Ws, W., calcolati dalle (20), sod- disfano in effetto al sistema (A*). Ora si sa che, se il dsj, dato dalla (19), si trasforma in coordinate curvilinee qualunque in (21) dsì = Edu? + 2Fdudv + Gdo, la funzione ®= e* soddisfa alle equazioni del sistema di Weingarten (ved. Lezioni, vol. I, $ 184) (11) d® (11) 3® _ TA RA e il 2® (12) 3@ (12) 3® _ du dv ei =? 2® (220 (2220 _ \ do ni: u 426 i ì simboli di Christoffel riferendosi alla forma differenziale (21). Nel caso particolare della forma (14), si ha E—=G=1,F-= cos, e le precedenti diventano d°D du? d° du dI I° dv du du = c08 0. D SARE] seno dV dU sen du dV AIA dv w — 234 — È siccome i valori (20) sono dD dD d Wi 7 W,=® , Wa= — cot D@ ’ dU dv dU le precedenti dimostrano che tutte le equazioni del sistema (A*) risultano verificate, c. d. d. 11. Possiamo dare un’altra forma a questo risultato ricordando che le congruenze di Guichard, e quindi le superficie che ne formano le falde focali e le loro evolute (superficie di Voss). dipendono dalle deformazioni infinite- sime delle superficie pseudosferiche. Nel caso attuale di o = 45°, la corri- spondente soluzione della equazione alle deformazioni infinitesime d°® dU dv = c080.0 è data da W:= e, e corrisponde al movimento infinitesimo parabolico della S, in se medesima, nel quale gli oricicli @ = cost strisciano in se stessi; onde concludiamo : Le superficie S della nostra classe, colle linee di curvatura di un sistema inclinate di 45° sulle generatrici dei coni che le proiettano dal punto fisso, corrispondono singolarmente ai movimenti parabolici infinite- simi în se stesse delle superficie pseudosferiche. Da questo caso particolare di o = 45° passiamo al caso generale di 0 qualunque, applicando le trasformazioni di Lie nel modo seguente: Se nel sistema differenziale (A), con o qualunque, cangiamo le funzioni incognite W,, Wa, W;, ponendo W,=igoW! , W.=Wi, Wi=tgoWi, e nello stesso tempo cangiamo i parametri v,v ponendo UACORO MARONI Doo il sistema (A) diventa precisamente il sistema (A*) scritto per Wi,W,,W,, e pei nuovi parametri u',v'. Ma, per questo cangiamento di parametri, la soluzione g(v,v) della (III) si cangia nella nuova (utgo , vcot 0) pre- cisamente colla trasformazione Ls di Lie. Concludiamo quindi: Per integrare il sistema differenziale (A), con o qualunque, basta conoscere della superficie pseudosferica S, la superficie derivata per tras- formazione Las di Lie, e su questa le linee geodetiche. Se si parte da una superficie pseudosferica S, di cui siano note tutte le trasformate di Bicklund e di Lie (p. es. dalla pseudosfera, o da un'eli- — 235 — coide del Dini), si sa che, nell'applicazione indefinitamente ripetuta dei pro- cessi di trasformazione, si conoscono delle nuove superficie, senza alcuna integrazione, le trasformate di Lie e di Backlund, e sopra di queste le linee geodetiche. E così anche la ricerca delle corrispondenti superficie, con linee di curvatura di un sistema lossodromiche, dei coni che le proiettano da un punto fisso, si compie senz'altro 7 termini finiti. Meccanica. — Zorma mista di equazioni del moto, che con- viene ad una particolare categoria di sistemi meccanici. Nota del Socio T. Levi-Crvita (). Nel dar forma esplicita alla regolarizzazione del problema piano dei tre corpi, secondo il criterio esposto in una Nota recente (?), ho riconosciuto l'opportunità di ricorrere ad un tipo misto di equazioni del moto, che può essere vantaggiosamente usato anche in altri casi. Questa circostanza e, sopra tutto, il desiderio di rendere più agile la Nota che dedicherò prossi- mamente alla esplicita regolarizzazione suddetta, mi consigliano di stabilire a parte alcune formule preparatorie e la conseguente deduzione delle equa- zioni miste. Tutto si riduce, come agevolmente si capisce, a combinazione appropriata dei procedimenti abituali; non priva tuttavia di qualche ele- ganza, e resa qua e là più spedita da concetti e notazioni di calcolo vet- toriale. 1. — RICHIAMO D'UNA CONSIDERAZIONE CINEMATICA povura A KiRcHHOFF (*). Sia C un corpo rigido girevole attorno ad un punto O. Si designino con 0înS gli assi cui viene riferita l'orientazione di C; con Ox, (v=1,2,3) tre assi mobili solidali col corpo (costituenti al solito un triedro trirettan- golo congruente ad OÉnt); con w la velocità angolare (di C rispetto agli assi OEnt). Sia f un generico vettore fisso (rispetto al riferimento 05Nî). Al variare del tempo 4, varia (in causa del moto di ©) l’orientazione del vettore f, rispetto agli assi 0x, x2x3. Designeremo indifferentemente con di con f, la derivata di f, presa in tale accezione. Essa dovrebbe chiamarsi ovvero (1) Pervenuta all'Accademia il 19 agosto 1915. (*) Sulla regolarizzazione del problema piano dei tre corpi, in questo stesso volume dei Rendiconti, pp. 61-75. (8) Cfr. Vorlesungen tiber mathematische Physik, B. I, Mechanik, lezione V, $ 3. — 286 — relativa, attribuendo invece la qualifica assoluze alle derivate prese con referenza agli assi fissi 06m. Nei paragrafi seguenti considereremo esclu- sivamente derivate della prima specie. (a) Designando qui, per un momento, con ra le derivate assolute, si ha manifestamente di f rar Giova poi rammentare che, per un vettore m comunque variabile, sussiste la relazione generale dm dm 1 gie (1) di dt ne Per m del tipo f (fisso rispetto agli assi Oînî), se ne ricava df i \ arie i (2) di f/\w. Ciò premesso, immaginiamo, ad ogni istante #, attribuito a C un arbi- trario spostamento infinitesimo, a partire dalla posizione che ad esso compete nel moto considerato. La successione delle posizioni, in tal guisa modifi- cate, dà luogo al così detto moto variato. Sia « (vettore) la rotazione elementare atta a realizzare lo spostamento attribuito a C nell'istante #. Un generico vettore f (fisso) subirà in con- seguenza, rispetto al triedro mobile 0x, 243, una variazione df definita da (8) sf=fs. Nel passaggio dal moto originario al moto variato, anche la velocità angolare © subirà un certo incremento è@, che si calcola subito in base alla stessa definizione di velocità angolare. Infatti, nel moto originario, la rotazione elementare, con cui C passa, dalla posizione che gli compete nel- l'istante , alla posizione dell'istante 4 + d/, è espressa da wdf. Nel moto variato, fra le due orientazioni di C relative agli istanti { e # -4- dt, inter- cede un divario ulteriore di de: un tale incremento (verificantesi nel tem- puscolo dt) va riferito agli assi fissi e si precisa quindi sotto la forma de dt segue, in base alla (1), (4) do=- +w/£. di. Il suo rapporto a dt fornisce la cercata espressione di èw. Ne con- 2. — DEFINIZIONE DI UNA PARTICOLARE CATEGORIA DI SISTEMI OLONOMI. Sia S un sistema olonomo a vincoli indipendenti dal tempo, dotato di n +3 gradi di libertà, specificati come segue. La configurazione del sistema è univocamente individuata da % parametri lagrangiani gn (h=1,2.....%), in concorso coll'orientazione di un corpo rigido C liberamente girevole, il che importa tre ulteriori gradi di libertà. La dipendenza dall’orientazione di C può, se si vuole, pensarsi diretta- mente realizzata a mezzo di tre parametri (per es., i tre angoli di Eulero), o, indirettamente, pel tramite di elementi geometrici sovrabbondanti, quali coseni direttori o vettori unitarî: ad es., i tre vettori fondamentali u, (v=1,2,8) corrispondenti agli assi del triedro 0x,x,x3 solidale con C; od anche — ed è questo il criterio cui ci atterremo — pel tramite degli altri tre vettori fondamentali @,f,y, che individuano il triedro fisso OÉnt rispetto al corpo C. Le componenti «,,fy,yy (v=1,2,8) di tali vettori si identificano naturalmente coi nove coseni direttori. Le formule (di Poisson) DO da _ dP _ dy (2°) Poi GIATORE a e N appariscono in conformità casi particolari della (2), e assicurano che le ve- locità dei punti del sistema S possono in definitiva risguardarsi quali fun- zioni lineari ed omogenee delle derivate 4 dei parametri 9, e del vettore @, o, se si vuole, delle sue tre componenti ©, secondo gli assi Ox,22%3. La forza viva T di $ si presenta, così, quale forma quadratica degli n+ 3 argomenti 4, ,y, i coefficienti potendo dipendere (in modo qualunque) dalle 9g, e dall’orientazione di C: diciamo dalle 9, e dai vettori a, 8, y. Nell'ipotesi che il sistema S sia sollecitato da forze conservative, la relativa funzione delle forze U potrà egualmente risguardarsi dipendente dalle q, e da a,B,y. La funzione lagrangiana L=T+0 sarà così funzione di tali argomenti e delle n + 3 caratteristiche cinetiche dn, 0y, che compariscono quadraticamente in T. ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. S1 — 238 — 3. SPOSTAMENTI VIRTUALI — MoTo vARIATO — IPOTESI COMPLEMEN- TARE SULLA DIPENDENZA DI L DALL'ORIENTAZIONE DI C — ESsPRES- SIONE DEL dL. Uno spostamento virtuale di S, ad un generico istante #, può ritenersi individuato dagli incrementi 39, dei parametri g,, in concorso (cfr. $ 1) con una rotazione elementare e, questa e quelli affatto arbitrarî. Subordinatamente avremo, a norma della (3), (8) de=a e 38=B/8 , 3y=yAe, e Èw definito dalla (4). È inoltre chiaro che èL sarà necessariamente funzione lineare ed omo- genea delle dgr, è9, e dei due vettori «, è@, 0, se si vuole, delle loro com- ponenti ey, èwy secondo gli assi 0x,x,%3. Dacchè dgr, din, do sono variazioni di quantità 9r,4x,y, che effet- tivamente appariscono in L, i relativi coefficienti in èL coincidono colle ; .. 9dL IL ?L derivate parziali — , — , dino din dd direttamente esprimibili quali derivate di L, ma si desumono dall’incre- mento parziale che L subisce facendo variare l'orientazione C, ossia attri- buendo gli incrementi (3') ai vettori @,8,y. Avremo, comunque, ; mentre i coefficienti ey delle ey non sono n 3 de (Font sa 2) +3, C- Se, 3) Per lo scopo che abbiamo in vista, giova fissare l'attenzione sul caso in cui L dipende dall’orientazione di C pel tramite d'uno solo dei tre vet- tori a,8,y. In conformità, ammetteremo da ora innanzi che L dipenda esclusivamente da y. In tale ipotesi la variazione parziale 3 OLD 1 dovuta alla rotazione elementare #£, si riduce manifestamente a le èyy essendo definite dalle (3'). (1) Va notato che, dall'essere ben determinata la dipendenza di L dal vettore y, non risulta egualmente determinata l’espressione analitica di L in termini di Y1,Y2,Ys; e ciò in causa dell'identità yz +? +Y3=1, la quale consente di attribuire all’espres- — 239 — Introducendo il vettore TY, che ha per componenti __aL È dYv (5) Di (ESM, rispetto agli assi 0x,4243, sì può scrivere L= TXdy=TX(yNe)=eX(T/y). Le e, del caso generale si identificano pertanto, nell’adottata ipotesi, colle componenti del prodotto vettoriale FAY 0): Introducendo un secondo vettore 2, definito dalle componenti (6) OE (v=1,2,3), sì attribuisce alla variazione totale èL della funzione lagrangiana l’espressione RAT; o E = La (Sg lat gp) + ANI 4 PANXE. Avuto riguardo alla (4), ove si ponga (7) NM=LNAw+TFXy, sì è condotti alla forma tipica (8) a= (Tam + Tan) +ooxepoxi, Fia qh dIn sione analitica suddetta infiniti aspetti formalmente distinti. Ciò non pertanto si arriva poi sempre, come è naturale, allo stesso valore di 9L. Infatti due diverse espressioni L’ ed L” possono differire soltanto pel fatto che l’unità vi è talora sostituita dal trinomio u=ti +13 +?. Siccome du =0 [per la terza delle (3')], così la differenza ( dL AN ET du du Jo. è pur nulla, c. d. d. (*) L'osservazione (testè fatta in nota) circa l’indeterminazione dell’espressione for- male di L si riverbera nel fatto che il vettore I, avente per componenti le (5), dipende esso stesso dalla forma che si attribuisce alla L. Però l’indeterminazione si riduce (nelle componenti) a termini addizionali della forma DI Li 9 DI Yy, ossia, vettorialmente, ad dU dYv du un vettore parallelo a y. Nel prodotto vettoriale I /\y, questo non reca contributo alcuno. ù quindi indifferente, nei riguardi del èL, l’espressione di L, in base a cui viene intro- dotto il vettore T. Za in cui sono messi in evidenza i coefficienti delle singole caratteristiche èIn,8 e loro derivate 37, È . 4. — EQUAZIONI DEL MOTO IN FORMA EULERIANO-LAGRANGIANA. La materiale applicazione alla (8) della regola formale, in cui si tra- duce il principio di Hamilton (*), dà luogo alle seguenti equazioni del moto: d ? L 5L (9) Ie (4=1,2,..,2), d 10 — R= MU, (10) Fr © la derivata vettoriale dovendo essere presa — ben si intende — nella stessa accezione sotto cui si presenta quella di #, cioè ($ 1) con referenza agli assi Ox1%2%3. La (10) equivale perciò alle do; TRS (v=.1:,2/,3). Si possono ulteriormente esplicitare le o, in base alla (7). Ove si con- venga di risguardare coincidenti due valori dell'indice v congrui rispetto al modulo 3, si ha tosto do 0y41) + RS ICE Bo Yi) (v =1,2, 3). O,ICA = (Quai Wyk+9 È appena necessario aggiungere che il sistema (9), (10) va completato colla terza delle formule di Poisson [terza delle (2')], cioè (11) CA rimanendo, così, complessivamente detinite le derivate seconde delle gn € prime delle ©wy,%y in funzione delle gr, ga, vw, Yv- 5. — EsEMPIO. Un' illustrazione ovvia di quanto precede è offerta da un solido pesante, liberamente girevole attorno ad un suo punto O, il quale punto si suppone costretto a percorrere una retta verticale (mediante vincolo privo d'attrito). Si ha un sistema materiale S con quattro gradi di libertà, la cui posi- zione può pensarsi individuata dalla quota verticale 9 di O rispetto ad un (*) Cfr. per es. Kirchhoff, loc. cit., lezione III, $ 3. — 241 — sistema di assi fissi QEnb, con L$ verticale verso il basso, nonchè dall'orien- tazione (rispetto agli assi suddetti) di una terna solidale Ox,x:@3, che riterremo costituita dagli assi principali d'inerzia relativi al punto O. Essendo Y1,Y:,Y3 i coseni direttori della verticale rispetto agli assi mobili, le componenti della velocità di O secondo tali assi valgono ordina- tamente qYi: IV» Ms - Il corpo ipotetico C, considerato precedentemente, è senz’ altro identifi- cabile collo stesso solido S: ci troviamo quindi nelle condizioni indicate al$ 2. Dalla ben nota espressione generale della forza viva di un solido in funzione delle sei caratteristiche (notando che, nel caso presente, ove si assuma O come centro di riduzione, esse sono 9Y1 > 9Y2 3 4Y3 , Vi 1 02, Wa), sì ha tosto 3 T=t4mq° +3), A,00+4M7A, 1 (I dove M è la massa del solido, A, il suo momento d'inerzia attorno all'asse Oxry, € Wi Wi 0g C1, Co, 63 designando le coordinate del baricentro G rispetto agli assi solidali. Rappresenteremo con d il vettore G—0 di componenti c,, cs, 63. La quota verticale di G vale manifestamente 3 10 DI Cv; 1 perciò, detto P il peso del corpo, la funzione delle forze rimane espressa da 3_ U=P(1+X,0w%). 1 Ne consegue SE 3 La=T4U={ MM +: TAMA +2 (1400). Ù “La Come si vede, L dipende da 9, /,t%y,Yy (v=1,2,8), oltre che dalle costanti M, A), cy, P: si trova quindi soddisfatta l'ipotesi complementare del $ 3. — 242 — Le (5) dànno i. bo + My î- == Pey + Mj (04, Cy+o — W+2Cv+1) è “ donde apparisce che il vettore Y° non è altro che Pd +Mj0/d. Siccome è / d rappresenta la velocità relativa w del baricentro G rispetto ad un sistema di assì paralleli agli assi fissi coll’osigine in O, si può anche scrivere, più semplicemente, T=Pd | M/w. ! Si sa, dalla teoria dei sistemi rigidi, che le derivate parziali della forza fviva rapporto alle caratteristiche ©, coincidono colle componenti del momento delle quantità di moto rispetto al centro di riduzione: il punto O, nel caso nostro. Perciò il vettore £, definito dalle (6), si identifica qui col momento risultante delle quantità di moto del sistema rispetto ad O. Posto, per brevità. M=MgW/ry, la (7) diviene MNo=2/\0w-+d Py + M. Il secondo addendo è manifestamente il momento del peso Py, applicato in G, rispetto al punto O. Basta quindi scrivere la (10) sotto la forma (10') DL o\Q=d\Py+M per riconoscervi compendiate le equazioni di Eulero (che varrebbero se O fosse fisso) col termine addizionale M: in esso sì rispecchia l'influenza della mobilità di O sul moto di rotazione del corpo. Le equazioni di tipo lagrangiano [(9) dello schema generale] si ridu- cono presentemente ad una sola: ed è Une Mi (+ A) —P=0. Serivendola | L p (9) SM &°' . dh ; : ravvisiamo nel termine — Î) l'accelerazione perturbatrice (rispetto a quella — 243 — normale della gravità n = g), che si riscontra nella caduta di O, per effetto della rotazione del solido. Mediante le (10’) e (11), si possono eliminare da da le derivate delle %y, yy, rimanendo così caratterizzata la perturba- zione mediante lo stato di moto del sistema. 6. — OSSERVAZIONE D'INDOLE GENERALE CONCERNENTE LA INTERPRETA- BILITÀ DI QUALCHE COMPONENTE DI £ COME MOMENTO DELLE QUAN- TITÀ DI MOTO DI S. Nel $ 1 abbiamo supposto, astrattamente, che la posizione del sistema materiale S dipenda, in modo univoco, da certi parametri g e dalla orien- tazione di un corpo (fittizio) C, senza però fare alcuna ulteriore ipotesi sulle modalità di quest'ultima corrispondenza. Può in particolare accadere che la corrispondenza fra la posizione di S (per valori generici attribuiti alle 9) e l'orientazione di C abbia qualche aspetto prossimo all'identità: sia tale, per es., che ad una rotazione elemen- tare di C attorno ad un asse determinato — diciamo 0x3 per fissare le ‘idee — corrisponda una identica rotazione d'insieme del sistema S. In tal caso, ove si consideri il passaggio del sistema S dalla posizione che gli compete nell'istante { a quella che va ad occupare nell'istante t + dt, è chiaro che la velocità v di un generico punto P del sistema si può scindere in due addendi, uno dei quali è il contributo che si avrebbe qualora C ruotasse esclusivamente attorno all’asse 0x3, rimanendo inalte- rate le 9, mentre il secondo, v*, è dovuto a variazione delle 7 e rotazione attorno ad un asse perpendicolare ad 0x3. Il primo addendo, detto uz il vettore unitario corrispondente all’asse 0x3, vale 303 \(P_0). Si ha, in conformità, v=0303 \(P_-0)+v*, dove — ed è questa la circostanza essenziale — v* non dipende da w;, ma soltanto dalle altre due componenti %,,w, di w (oltre che dalle qe dalla posizione del sistema). Ne consegue dV = A — 244 — Ciò posto, ove sia 7 la massa dell'elemento circostante a P, si ha, per definizione, T=}) mvXv, il sommatorio intendendosi esteso a tutti gli elementi materiali del sistema. Deriviamo T rapporto ad +, ricordando da un lato la (6) e dall'altro dV l'espressione testè ricavata per * Si ha tosto Q=D[mvXju A(P_0)}]}=usX [(P—0)/ mv]. Il coefficiente di uz nel prodotto scalare testè scritto si presenta come il momento risultante K delle quantità di moto del sistema $S rispetto al punto O. Si ha quindi Ls = K, rappresentandosi ovviamente con K, (v=1,2,3) le componenti del vet- tore K. secondo gli assi Oz, .x2%3 . i Di qua il teorema: Ogniqualvolta una rotazione elementare dell’ ipo- tetico corpo rigido C, attorno ad un asse qualsiasi passante per O, corri- sponde ad una identica rotazione d’insieme del sistema S, la componente del vettore £ rispetto all'asse di rotazione coincide col momento risultante, rispetto allo stesso asse, delle quantità di moto di S. In quest'enunciato è detto asse qualsiasi passante per O, mentre la dimostrazione formale testè esposta contempla l’asse coordinato Oxs (soli- dale con C). È chiaro tuttavia: 1°) che, se si tratta di un altro asse qualsiasi, supposto pure soli- dale col corpo, basta assumerlo (come è certo lecito, non essendosi fatta alcuna speciale ipotesi sulla terna 0x2 43) quale asse 0x3 per accertare che la conclusione sussiste; 2°) che, se anche l’asse in questione è concepito variabile col tempo rispetto a C (per es. fisso rispetto agli assi Oîmt), basta aver riguardo alla posizione da esso occupata nel corpo nell'istante generico che si considera. Infatti la precedente dimostrazione fa intervenire so/tazto la distribuzione delle velocità ad un dato istante: è quindi inessenziale l'ipotesi che sia solidale con C l’asse attorno a cui C ed S ammettono rotazioni elementari identiche. C.D. Di Va da sè che se, per tre direzioni indipendenti, vale l'eguaglianza delle componenti di 2 e di K, si ha addirittura Q2=- K: tale è il caso dell'esempio riferito al $ 5. — 245 — 7. — MODIFICAZIONE DELLA FUNZIONE LAGRANGIANA. L'ipotesi, introdotta fin dal principio, che il sistema S possegga n +-3 gradi di libertà, implica che la forma quadratica T negli 7-+ 3 argomenti Qn,®y sia irriducibile. Ne viene che le n + 3 derivate parziali i li Gh Wy funzioni lineari ed omogenee nelle 9,,ty, riescono indipendenti. Perciò le equazioni , considerate quali 2T (12) Core. (011,242) OT —_0N v=1,2, (6) M (v=1,2,83) sono complessivamente atte a definire le x +3 quantità gn, in funzione lineare dei secondi membri pn, y, i coefficienti dipendendo in modo qua- lunque dalla configurazione del sistema, ossia ($ 3) dalle q, e dalle yy. Poniamo (con ovvia estensione del procedimento di Hamilton) n 3 (13) H=,mintY, 0, —L, 1 1 ciò che, in base alle (12) e (6) (per essere T omogenea di secondo grado negli argomenti 91,0, ed L=T+ U), equivale a (13) H=T-U. Risguardiamo tale H quale funzione degli argomenti pn, y,492,%, immaginandovi sostituite le gx, wy, che figurano nella formula di defini- zione, mediante le loro espressioni desunte dalle (12), (6). Avremo da un lato © (3H e (?H SH èH= (È pn+ Ti en) + (34 or). D'altro lato la materiale differenziazione della (13), tenute sempre presenti e (12) e (6) | sotto la forma mad? | da ar OL = 2L èH = D) — — ò uo — — è o). da (în Ph 201 (») + 24 (0 N af RENDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 32 TOA Il confronto delle due espressioni di $H, dacchè gli incrementi dpr, d9r, èQ, , èy si possono assumere ad arbitrio (*), fornisce le relazioni 14) n= (15) Deli (f:= 1, 2562000))5 (16) «da (17) Crm (=1,2,3), che possono naturalmente considerarsi come altrettante identità, in virtù delle (12) e (6). Più particolarmente le (14) e (16) si identificano colle risol- venti delle stesse (12) e (6) rapporto alle 41,0; le (15) e (17) esprimono (in modo comprensivo, a mezzo della funzione H) il risultato della sostitu- PLASL d4h ; dYv i zione delle /n,%, tratte dalle (12) e (6) in 8. — FORMA CANONICO-EULERIANA DELLE EQUAZIONI DEL MOTO. La funzione hamiltoniana H, costruita nel modo ora detto, basta da sola a dedurre le equazioni del moto di S sotto l'aspetto di sistema di prim'ordine nei 2a + 6 argomenti Pri dns Le; fi; esprimendo altresì le T,,wy quali combinazioni in termini finiti degli argo- menti indicati. i Lo si constata ovviamente, trasformando le (9) e (10) mercè le (14), SII). Anzi tutto la definizione (5) delle I, in virtù delle (17), si scrive ?dH (18) bea ©=10209)0 (*) A dir vero, le yy designano coseni direttori e sono quindi legate dalla relazione ++ y?=1. Nulla vieta però di risguardare provvisoriamente, nella definizione (13) di H e nelle (6) e (12), le tre y come indipendenti, e con ciò i loro incrementi come arbitrarî. Le (14), (15), (16) e (17) risultano, così, necessarie conseguenze delle (6) e (12), qualunque siano le y (nonchè le g,p ,): in particolare, quindi, se si torna ad attribuire alle il loro effettivo significato di coseni direttori. 2A ES Si intende, poi, che tali T, e le Q, si ritengono qui ancora compendiate nei due vettori TY ed £; mentre le (16) Wy = (129) individuano il vettore w. Con ciò seguita a valere la detinizione (7) di DI, (7) De=LQN0K+T\y, e il gruppo (euleriano) d = — DU (10) di Q= No non richiede ulteriore modificazione formale. Il gruppo (lagrangiano) (9) diviene invece, attese le (15) e la defini- zione (12) delle pr (che equivale a pn = DL) 3 Gn dpr ___dH De (19) pg on (e=12G- 7) cui vanno associate le dan è H 14 Ai = sN). (14) Tr Sa (4h=1,2,...,%) e la formula (vettoriale) di Poisson dy (11) ir N. Complessivamente, il sistema dPn IH din ?H Ia Se TSO na =1,2 ’ , (Ia) ; n E n) de (I (0559) rima dy (Io) di = A ’ costituito, come si vede, dalle (19), (14), (10) ed (11), definisce le deri- vate dei 22 4-6 argomenti pr, gn, 2y, y in funzione degli argomenti stessi. Le (18), (16) e (7) assicurano che i secondi membri si esprimono esclust- vamente per mezzo della H. — 2438 — 9. — INTEGRALI DI TIRO GENERALE POSSEDUTI DAL SISTEMA (I). La (I) implica y Xy=yî ++ y3= cost, il che è già sottointeso (colla specificazione che la costante abbia il valore 1) nell’interpretazione delle yy quali coseni direttori. A prescindere da questa identità geometrica, due sono gli integrali effettivi ammessi in ogni caso dal sistema (1): l'in- tegrale delle forze vive che, a norma della (13'), assume la forma (20) H=cost; e l'integrale (21) QX y= cost. Il primo membro è la componente £; di £ secondo l’asse fisso Oî. Ogni- qualvolta sono applicabili le considerazioni del $ 6, si tratta del corrispon- dente integrale del momento delle quantità di moto (o delle aree). Ecco la verificazione diretta dell’esistenza dei due integrali. Si ha in primo luogo di _$ (21 dn 30 da) 1} (2140 | 3 de) di =“ dt sli dh di ea di dI di î Il primo sommatorio è nullo, in conseguenza delle (I); il secondo, attese le (16) e (18), si scrive 3 (0 CS Exe Zxr. 1 dt dt dt di Sostituendo per 5 e n le loro espressioni (I) ,(Ic), risulta Dido (7 w)XF. Il secondo membro è identicamente nullo, in virtù della (7); e quindi dH _ dt Quanto al prodotto scalare £ X y, la sua derivata è da dy a QX e pi ‘ossia, per le (I) e (Ic), DO Xy+LX(y/\@), che va pure a zero in forza della (7), ci died — 249 — Mineralogia. — Bismutinite di Brosso. Nota del Corrispon- dente E. ArTINI ('). Una rapida visita alla miniera di Brosso, fatta recentemente col gentile permesso dell'ing. comm. V. Sclopis, mi dà modo di aggiungere una nuova ed interessantissima specie minerale a quelle, già tanto numerose, di questa classica località, illustrate da precedenti lavori di varî scienziati. Si tratta della dismutinite, specie rarissima in Italia, non essendo essa conosciuta finora che a Boccheggiano, dove forma rari e sottilissimi prismetti aghiformi, interelusi nella ematite compatta, con pirite e calcopirite (*). Un minerale solforato, ricchissimo di bismuto, di colore grigio-chiaro, con lucentezza metallica, fu, per vero dire, trovato già qualche anno fa nella miniera del Baitello, in Val Trobiolo, sopra Pisogne; ma in quantità così scarsa, e così intimamente misto a calcopirite entro alla massa quarzosa che fa da matrice, che non mi fu ancora possibile riunire una quantità di materiale veramente puro sufficiente per constatare se proprio si tratti di bismutinite, o di qualche altro, più raro, minerale di Bi. A. Brosso la bismutinite fu incontrata, in notevole quantità, fin dall'anno scorso, nel cantiere Salvère, in corrispondenza ad una delle faglie che, com'è noto, tagliano il giacimento, e che spesso dànno luogo ad arricchimento locale dei minerali più rari; ma per la rassomiglianza grande dei caratteri esterni fu da tutti considerata, senz’altro, come stibnite, e perciò trascurata. Avendone io raccolto varî esemplari, ed essendo stato colpito da una certa lieve diversità nella lucentezza e nel colore, ritornato in sede sottoposi il minerale a ricerca chimica, e agevolmente potei constatare che esso è costi- tuito da puro solfuro di bismuto. La nostra bismutinite si presenta in aggregati bacillari, o in prismi di singolare nitidezza, che possono raggiungere dimensioni relativamente cospicue (oltre 10 cm. di lunghezza, per 15 mm. di larghezza), freschissimi, interclusi in una massa di siderite spatica, entro alla miscela, caratteristica del cantiere Salvère, di pirite ed ematite scagliosa, con calcopirite, pirrotite, sfalerite e magnetite come accessorî. La lucentezza è metallica, assai viva, specie sulle superfici fresche della sfaldatura {010}, chè facilissima e perfetta; il colore è un grigio di piombo chiaro, passante al bianco di stagno. Il p. sp., determinato col picnometro sopra circa 5 gr. di materiale purissimo, scelto con ogni cura, risultò = 6.73. (') Pervenuta all'Accademia il 19 agosto 1915. (*) E. Tacconi, Note mineralogiche sul giacimento {cuprifero di Boccheggiano. Rendic. R. Accad. Lincei, seduta del 10 aprile 1904. — 250 — Al cannello, sul carbone, il nostro minerale fonde con facilità, dando l'aureola gialla del Bi; con joduro potassico, senza aggiunta di solfo, for- nisce invece la notissima larga e fugace anreola di color rosso granato. In HNO,, a caldo, si scioglie completamente, con grande facilità; la soluzione, fortemente diluita dopo evaporazione della maggior parte dell’acido libero, si intorbida, lasciando precipitare il nitrato basico di Bi. Anche in HC1, a dolce calore, il minerale si scioglie facilmente, con copioso svolgimento di H.S; analizzando, coi soliti metodi, la soluzione celo ridrica, constatai la presenza di grandissima quantità di Bi, e lievi tracce di Fe; non trovai proporzioni apprezzabili di Sb, Pb, o Cu. La non comune nitidezza dei prismi di questa bismutinite, benchè essi non siano terminati alle estremità, mi convinse essere utile sottoporne alcuni, scelti tra i migliori, a misura goniometrica. Le forme osservate sono le seguenti: 1100}, 010} , {210{*, {110}, {340}*, {120}, {130}, {140}, {150*. Di queste, le tre segnate con asterisco sarebbero, per quanto mi risulta, nuove per la specie; sono però tutte e tre note per la stibnite, specie iso- morfa con la bismutinite. Le facce più sviluppate e più nitide sono quelle di {010} e di {110}; le immagini da queste riflesse sono così distinte da permettere la determi- nazione dell'angolo del prisma fondamentale, e perciò della costante 4/0, con una precisione che oso ritenere eccezionale per il nostro minerale. Tutte le altre forme sono solo saltuariamente presenti, o rare, e rappresentate da faccette molto più strette, e spesso fortemente striate. Tra le innumerevoli facce che si potrebbero distinguere nella zona verticale, tenni conto però esclusivamente di quelle che erano ben riconoscibili con la lente, e che for- nivano un'immagine unica, sicura e distinta. gio—09359015 ANGOLI OSSERVATI SPIGOLI MISURATI ANGOLI N. Limiti Medie it: (010) . (110) 16 |45°. 6 — 45°.39 459,25’ È (110) . (110) 8 |89.0 — 89 .24| 89.11 899.10” (110) . (100) 1 _ 44 41 44 .85 (210) . (110) 2 |18.3 — 18.9| 18.6 18 .21 (340) . (010) 3 |35.10 — 87.11| 36.21 87 .16 (340) . (110) 2 8.15 — 8.07 8.36 OLE) (120) . (010) l — PIT APSORZA 26.54 (150) . (010) 1 — 18 .48 18 .4l (150) . (110) 1 -- 26 .38 26 .44 (140) . (010) 3 |13.54 — 15.28] 14.40 14 .14 (150) . (010) l E 11.35 11.28 — 251 — È notevole che il valore dell'angolo del prisma fondamentale da me determinato ‘sui cristalli di Brosso è molto vicino a quello misurato da G. Rose (') sui cristalli di trisolfuro di bismuto artificiale: (110). (1Î0) = 890.20" ; «:9=0.9884:1; si allontana invece assai da quello determinato da P. Groth (?) nella bismu- tinite naturale di Tazna, in Bolivia: (110) . (1Î0)=88°.8" ; a:b=0.9679:1. Ma sulla attendibilità dell'angolo dato da quest'ultimo autore, e accettato poi senz'altro nella massima parte dei trattati, non è possibile alcuna discus- sione, poi che nel testo originale non sono riferiti nè il numero nè i limiti delle misure che servirono di base al calcolo; solo risulta che le misure furono eseguite sopra un unico cristallo, a superficie alterata. In ogni modo il valore dell'angolo misurato dal Groth esce notevolmente dai limiti, abba- stanza ristretti, delle mie numerose osservazioni. Un altro minerale, che credo nuovo per la località, ma di importanza assai minore, potei raccogliere a Brosso. Si tratta di una specie del gruppo delle leptocloriti. Gli individui, allungati, assai mal formati, si presentano, straordinariamente rari, con calcite scalenoedrica, i cui cristallini son riuniti a formare aggregati paralleli, nelle geodine di una massa di pirite alquanto alterata. Il colore del minerale fresco è nerastro; ma in qualche punto esso è coperto da una lieve patina rossastra, d'alterazione. Si osserva una sfalda- tura facilissima secondo un piano (base) normale all'allungamento; le lami- nette di sfaldatura hanno forma triangolare equilatera, e tra nicols incrociati si presentano perfettamente isotrope. A luce naturale la loro tinta è verde cupo, o verde d’olive acerbe, se le lamine sono estremamente sottili; quelle appena un poco più grosse appaiono affatto nere ed opache. Alcuni individui allungati, sottilissimi, mi permisero di constatare il forte pleocroismo del minerale; supponendo che questo sia romboedrico, si ha, secondo lo spessore: e = giallo-rossastro, a rosso-bruno, fino a bruno-nerastro: w = Verde-oliva, a verdone cupo, fino a nero. L'assorbimento è, come d’ordinario in questo gruppo, @ >>. e. Il minerale viene attaccato a caldo da HCl concentrato. Al cannello, sul carbone, fonde abbastanza facilmente, dando una massa nera, scoriacea, magnetica. Per i caratteri osservati ritengo assai probabile che si tratti di cron- stedtite. (') Poggendorfis Ann. d. Phys., ann. 1854, vol. 91, pag. 401. (*) P. Groth, Beitrag zur krystallographischen Kenntniss des Wismuthglanzes. Zeitsc hrift fiir Krystall., ann. 1881, vol. V, pag. 252. — 252 — Chimica. — Sopra un miscuglio esplosivo di fosforo ed aria liquida ('). Nota del Corrispondente ArNALDO PIUTTI (°). In occasione di alcune ricerche sulle temperature alle quali non hanno più luogo combinazioni fra elementi che si uniscono energicamente nelle con- dizioni ordinarie, ho fatto, tempo fa, la osservazione, non accennata nella letteratura, che il fosforo giallo non sì combina coll’ossigeno liquido, ma con formazione di piccole crepature e senza notevole mutamento di colore, acquista la proprietà per la quale, tolto dal bagno, percosso, toccato con ferro caldo od altrimenti sottoposto all'azione di una scintilla elettrica, esplode con estrema violenza. Un solo grammo di fosforo provoca tale esplosione da perforare o fran- tumare la capsula di lamiera di ferro nella quale è avvenuto il raffredda- mento come potrebbe fare un qualunque esplosivo frangente. Se lo scoppio avviene in un bicchiere di alluminio, ancorchè svasato, l'onda esplosiva è così rapida ed intensa da produrre uno sfiancamento cir- colare, regolarissimo, sulle pareti. Se nella cavità cilindrica di un blocco di piombo si introduce un grammo di fosforo giallo e tutto si ratfredda coll’aria liquida sino a che assume la sua temperatura di ebollizione e quindi si comprime rapidamente con un pistone di acciaio di sezione uguale a quella della cavità, lasciando cadere sull'estremità superiore di esso un peso di cinque chilogrammi dall'altezza di mezzo metro, il fosforo esplode con tale violenza da sfiancare il foro, pro- ducendo nello stesso tempo una massa di vapori bianchi che lentamente si dissolvono nell'aria. Tutti questi esperimenti e specialmente quelli di percussione e di riscaldamento debbono eseguirsi colle massime cautele e con limitate quantità di materia per evitare le conseguenze della proiezione di sostanza infiammata, che si verifica in ogni senso in seguito all'esplosione, la quale ha luogo con violenza ancora maggiore se il fosforo è ricoperto con aria liquida, ma non avviene più se tolto da essa si lascia a sè per 1-2 minuti. Per decidere se lo scoppio dipende dalla rapida disgregazione di una nuova allotropia del fosforo, stabile soltanto a temperatura molto bassa, op- pure se occorre a prodarlo l'assorbimento di ossigeno, come nel caso del carbone, con formazione di una miscela esplosiva analoga a quella che si ottiene col clorato potassico, ho fatto diverse prove avvolgendo il fosforo in (*) Pervenuta all'Accademia il 4 settembre 1915. (?) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico-farmaceutico della R. Università di Napoli. — 258 — stagnola e ricoprendo il tutto con uno spesso strato di collodio, o sempli- cemente immergendolo in questo più volte e seccando poscia con forte corrente di aria. In queste condizioni ha luogo effettivamente ancora la esplosione; ma non potendosi escludere la penetrazione dell'ossigeno attraverso gli involucri così preparati, ho ripetuto la esperienza sia raffreddando il fosforo in un bagno di pentano contenuto in un tubetto metallico a pareti sottili, immerso nell'aria liquida, o più semplicemente in un tubo di assaggio, raffreddato nello stesso modo e contenente il fosforo nel quale, mentre era fuso, si erano immersi i due reofori collegati solamente alla loro estremità con un sottile filo di ferro per creare nel punto voluto un corto circuito. Per il pas- saggio della corrente elettrica stradale non ebbe mai luogo l'esplosione, ma solamente la rottura del tubo e la conseguente accensione del metalloide. Queste esperienze, che però non escludono la eventuale formazione di allotropie del fosforo diverse dalle conosciute e stabili solamente a tempe- rature più basse di quella alla quale il Ph giallo I si trasforma in P giallo II (') dimostrano che l'esplosione non può avvenire senza l' inter- vento dell'ossigeno. Il fosforo rosso fortemente compresso, sottoposto alle medesime prove non esplode, ma abbrucia con fiamma assai viva ed egualmente si comporta lo solfo ordinario. Non potendo, nell’attuale momento, completare queste ricerche, mi limito a prenderne data, riservandomi lo studio di questo argomento, che ho inten- zione di estendere alle varietà gialle dell’arsenico e dell’antimonio, nonchè ad altri elementi. Astronomia. — Sul servizio internazionale delle latitudini e sul termine del Kimura. Nota di E. BIANCHI, presentata dal Socio E. MiLLosEviICH (?). Il prof. G. Boccardi, in Saggi di astronomia popolare, ba voluto fare una recensione critica delle mie due Note pubblicate nei Rendiconti dei Lincei, Sulla latitudine di Roma negli anni 1912-1913 e Sui valori del termine e nel problema della variazione delle latitudini (3). Debbo, in proposito, rilevare una cosa soltanto: e cioè che io non ho affatto concluso, come mi fa dire il prof. Boccardi, « che dl grado di pre- (') Vedi P. W. Bridgman, I Am, Chem. Soc., 86, 1344 (1914); Chem. Zentralbl. 1914; II, 1025. (*) Pervenuta all'Accademia il 18 agosto 1915. (*) Rend. Lincei, 1° sem., fasc. 11 e 12 (1915). RenpiconTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 83 — 254 — cisione delle osservazioni delle stazioni internazionali è molto inferiore a quello che si era ammesso fino ad oggi». Questo non dissi, nè potevo dire, essendo ben noto a tutti proprio il grado di altissima precisione delle misure che in quegl’Istituti si fecero e si fanno con esemplare severità e serenità scientifica. Altra cosa, e ben diversa, io dissi; ed essa risulta manifesta a chi legge quelle due mie Note. Nei riguardi poi delle critiche che il prof. Boccardi accenna, qua e là, sul mio lavoro, non credo di dover in nulla modificare quanto ho fatto e seritto; lascio ai cultori del problema di giudicare sull’attendibilità delle critiche stesse. Fisiologia. — vcerehe sugli effetti dell’alimentazione maidica. Contributo alla conoscenza della natura e delle cause del cosid- detto maidismo sperimentale delle cavie. Nota IX di S. BAGLIONI, presentata dal Socio L. Luciani ('). Come ebbi a rilevare già nella prima Nota (?) di questa serie di ricerche Bezzola (°) trovò che le cavie sottoposte a dieta alimentare esclusiva di prodotti maidici, muoiono con fenomeni di deperimento generale. In seguito, pur confermando questo risultato, vidi che gli stessi effetti dannosi ha anche l'alimentazione esclusiva con farina di frumento (loc. cit.) ; non è quindi questa una proprietà specifica del mais. Ma specialmente le successive ricerche di Axel Holst e Teodoro Fròlich (*) hanno trovato una larga eco tra i patologi, per aver essi creduto di aver scoperto la causa dello scorbuto umano. Axel Holst e Teodoro Frolich (1912), alimentando cavie esclusivamente con diverse spece di cereali secchi (frumento, avena, mais, ecc.), oppure con pane, videro, entro circa un mese, morire gli animali con sintomi molto simili allo scorbuto umano (iperemia gengivale, labilità dentaria, emorragie diverse, distacchi epifisari di ossa lunghe, lesioni istologiche caratteristiche del midollo osseo). Mediante alimentazione esclusiva con erbe o sostanze vegetali fresche (cavolo, carote, ecc.), gli animali morivano presentando la (*) Pervenuta all'Accademia il 3 agosto 1915. (*) Questi Rendiconti, vol. XVII, 1° sem., pp. 609-617 (1908). (3) C. Bezzola, Beitrag zur Kenntnis der Ernàhrung mit Mais. I. Einwirkung der Maisfitterung auf Meerschweinchen. Zeits. f. Hygiene, 56, pag. 75 (1907). (4) A. Holst u. Th. Fròlich, Veder ewperimentellen Skorbut. Ein Beitrag zur Lehre von dem Einfluss einer ecinseitigen Ernàhrung. Zeits. f. Hygiene, 72, pp. 1-120 (1912). II. Weitere Untersuchungen iiber das Konserviren und Extrahieren der spezifischen Bestandteile der antiskorbutischen Nahrungsmittel, ibidem, 73, pp. 334-344 (1913). — 255 — stessa perdita di peso (30-40 per cento), ma senza gli altri sintomi scor- butici. Con la somministrazione di diversi vegetali crudi antiscorbutici, la suddetta malattia poteva essere totalmente, o quasi, impedita, oppure influen- zata favorevolmente. Anche da poco bollite agivano tali sostanze ugualmente, sebbene in grado minore. Il disseccamento o la scottatura distruggeva però le proprietà antiscorbutiche di varî alimenti. La causa dello scorbuto deve quindi, secondo Holst e Frélich, ascriversi alla mancanza di certe sostanze chimiche di natura sconosciuta negli alimenti. V. First (') continuando le ricerche di Holst e Fròlich, ha trovato che le sostanze antiscorbutiche non appartengono ai gruppi delle proteine, dei grassi, degli idrati di carbonio, della cellulosa, nè dei sali in generale, e neanche a quello degli enzimi. Diversi semi inoltre (cereali, piselli, lenticchie), che producono lo scorbuto nelle cavie, perdono tale azione quando cominciano a germogliare. In suc- cessive ricerche, Holst e Fròlich videro che l'alcool a $0 per cento caldo, mescolato con 1 per cento di acido citrico, scioglie la sostanza antiscorbu- tica (di natura ignota) del cavolo fresco. In Italia queste esperienze furono ripetute, variamente modificate, ma essenzialmente confermate da Centanni e Galassi (*), Rondoni (*) e Ramoino (*), che cercarono di utilizzarle specialmente nella questione pellagrologica, am- mettendo in generale che gli effetti dannosi di una tale dieta unilaterale fossero dovuti alla mancanza di sostanze alimentari sconosciute, ma indispen- sabili (vitamine, merositine ecc.). Come ho osservato in una recente Memoria riassuntiva (*) sull'argomento, nessuno dei ricordati sperimentatori ha però studiato le eventuali modifica- zioni prodotte, nel ricambio materiale della cavia. dal regime maidico o cereale esclusivo; anzi quasi nessuno ha neppure tenuto conto della quantità di cibo assunto, delle fecce e dell'urina eliminata. Prima di pensare a spie- gazioni ipotetiche, quali quelle basate sull'azione di presunte nuove sostanze, si devono evidentemente eliminare quelle basate su dati, da tempo acquisiti e ripetutamente confermati nella nostra scienza. (') V. Fiirst, Weitere Beitrige zur Aetiologie des eaperimentellen Skorbuts des Meerschweinchens, ibidem, 72, pp. 121-154 (1912). (?) E. Centanni e C. Galassi, Sul doppio effetto tossico e unilaterale dell’alimenta- zione maidica, Sperimentale, 47 (1918). (8) P. Rondoni, L'alimentazione maidica e il monofagismo, Pathologica, 7, pp. 191 197 (1915); Ricerche e considerazioni sul maidismo sperimentale, Ric. d. Biol. ded. al prof. A. Lustig, pp. 299-314 (1914); Alimentazione maidica e vitamine, Sperimentale, 69, (1915); P. Rondoni e M. Montagnari, Alterazioni istologiche nelle cavie alimentate a mais, ibidem. (4) P. Ramoino, Contributo allo studio delle alimentazioni incomplete. IMI. Ricerche nelle alimentazioni frugivore, Pathologica, pag. 185 (1915). (9) S. Baglioni, Sugli effetti dell’alimentazione cereale, specialmente maidica, nel- l’uomo e negli animali. Boll. d. R. Accad. medica di Roma, anno 41, fase. 5-6 (1915). OG Fu pertanto che intrapresi le esperienze, i cui singoli risultati esposi nella precedente Nota VIII (*'). Essi mi sembrano dimostrare varî fatti: 1. La durata della sopravvivenza di cavie, sottoposte a dieta maidica esclusiva, dipende in parte dalla quantità di acqua aggiunta alla farina: la cavia I, alimentata con una miscela di farina e acqua in parti uguali, sebbene interrotta per dne giorni da alimentazione erbacea, visse per un numero di giorni minore della metà della cavia IV dello stesso peso (a di- giuno) e della stessa età, che fu alimentata costantemente con una miscela fatta della stessa farina col doppio di acqua. Credo, pertanto, che una delle cause principali della morte di questi animali alimentati esclusivamente con cereali o sostanze disseccate, dipenda appunto dalla scarsezza di acqua che ingeriscono. Nè vale offrir loro acqua da bere, poichè è noto che non bevono acqua spontaneamente. Il loro alimento normale (le erbe fresche) contiene sempre una quantità percentuale molto forte di acqua. 2. L'alimentazione esclusiva con poltiglia di farina maidica e acqua induce, nelle funzioni digestive, notevoli e profonde modificazioni che con- cernono: a) la quantità di cibo assunto giornalmente; nella I e nella VI cavia, a un primo periodo di pochi giorni, in cui ingerivano quantità abbastanza grande di poltiglia (46-59 gr.), seguì un secondo periodo, molto più lungo, in cui ne ingerivano una quantità più piccola che andò rapidamente dimi- nuendo nella prima, mentre rimase presso che costante (fra 30 e 37 gr.) nella sesta. Minori oscillazioni si ebbero nella quantità di cibo assunto dalla cavia IV. Fortissima differenza presentarono, però, tutte in confronto colla quantità di cibo assunto normalmente in forma di erbe; la cavia III, infatti, sebbene di minor peso, ingeriva quantità oscillanti tra 150 e 250 gr. pro die; ossia, almeno tre a cinque volte la quantità assunta dalle cavie I e IV. Questa differenza, che è poi da considerare come il fattore princi- pale dei danni dell’alimentazione maidica in questi animali, credo dipenda probabilmente dal disgusto innato e dal senso di sazietà — anche per volume molto minore di cibo — per tale alimentazione; 6) la quantità e qualità delle fecce eliminate; in tutte e tre le cavie alimentate con farina maidica, si notò nn primo periodo di alcuni giorni, in cui la produzione di fecce diminuì fortemente o scomparve del tutto; in un secondo periodo più lungo, si eliminavano pochi grammi (1-4) di fecce giallognole o scure, piccole e secche; nel terzo ed ultimo periodo la quan- tità aumentò (sino a 11 gr. nella IV e 6 nella VI), divenendo più grosse, molli e diarroiche. 3. La detta alimentazione maidica esclusiva induce anche nella secre- zione urinaria notevoli e profonde modificazioni che riguardano: (!) Questi Rendiconti, pag. 213. — 257 — a) la quantità dell'urina eliminata giornalmente, che, in media, oscillò tra 10 e 20cc. nelle cavie I e VI e tra 15 e 38 nella cavia VI. Tale quantità era almeno cinque -dieci volte minore della quantità eliminata dalla cavia III ad alimentazione erbacea, che eliminava quasi sempre più di 100 cc. di urina al giorno; b) î caratteri fisico-chimici dell'urina, la quale perdeva gli usuali aspetto latteo torbido e colore scuro per divenire chiara e giallognola (tranne gli ultimi giorni, in cui però, per essere le fecce diarroiche, il colorito scuro era forse dovuto a loro inquinamento). Il peso specifico aumentò solo nella ‘cavia I (1030-1036), mentre nelle altre due si mantenne presso che uguale a quello dell'urina della cavia III (1012-1025). Differenza notevolissima mostrò, invece, la reazione chimica, di cui diminuiva il grado di alcalinità sino ad assumere gradi abbastanza elevati di acidità. Mentre, infatti, il grado totale di alcalinità, espresso in ce. della soluzione decinormale di acido ossalico necessarî per la neutralizzazione, usando l'acido rosolico come indicatore, del- l’urina delle 24 ore della cavia III alimentata con erba, oscillò tra un minimo di 20 e un massimo di 189, mantenendosi nel maggior numero dei casì tra 60 e 80, nella cavia I, durante l'alimentazione maidica, scese a 8, per poi dive- ‘nire 6 di acidità, nella IV scese, in un primo periodo, da 30 a 1.3 per raggiungere un massimo grado di acidità di 9, e in un periodo successivo ri- tornare a 3-8 di alcalinità; e nella cavia VI oscillò tra 1.5 e 9. Usando come indicatore la fenolftaleina, si ebbero valori del grado di alcalinità ancora minori e rispettivamente maggiori del grado di acidità, pel noto fatto che da fenolftaleina è sensibile anche «agli acidi debolissimi (CO»). In alcuni giorni (cavia IV e VI) ebbi pertanto differente reazione secondo l'indicatore usato. Nella cavia I osservai, inoltre, che il grado di acidità aumentava nei -giorni, in cui l’animale introduceva minor quantità di farina. Molto probabil- mente questo mutamento della reazione chimica dell'urina sta a significare ‘un profondo perturbamento dell'intero metabolismo corporeo, caratterizzato da un abnorme produzione di acidi nei liquidi dell'organismo (sangue), ossia da un’acidosi. Le cause di tale acidosi erano forse due. La prima dipendeva probabilmente dall’inanizione parziale, per cui l'animale non assumendo cibo sufficente, consumava i proprî tessuti (ciò si verificò specialmente nella -cavia I). Abbiamo ricordato, infatti, che negli erbivori il digiuno trasforma appunto la reazione alcalina dell'urina in acida. La seconda causa era insita | nell’alimento maidico, pel fatto che esso contiene minore quantità di sali ‘alcalini delle erbe, o i suoi costituenti (specialmente proteine, grassi e carboidrati) nell’organisino producono un’eccesiva quantità di acidi, o final- mente, ristagnando nel cieco, subisce fermentazioni acide. A favore di que- ‘st ultima ipotesi sta l'osservazione che la poltiglia trovata nel ceco delle «cavie, giunte a morte, era commista ad abbondante gas ed aveva reazione o acida. Ricorderò che anche nell'uomo recenti ricerche (') hanno dimostrato che l'alimentazione esclusiva cereale (pane di frumento) produce abnorme acidità delle fecce e aumento dell'ammoniaca eliminata coll’urina. Probabil- mente i tre accennati fattori concorrono insieme nella produzione dell’acidosi cereale della cavia. Un'altra alterazione della secrezione urinaria che comparve spesso, verso la fine dell'esperienza, fu l’albuminuria. 4. Un'ulteriore costante e notevole influenza ebbe l'alimentazione mai- dica esclusiva sul peso del corpo. Tranne un breve periodo iniziale nelle cavie I e VI, in cui il peso aumentò di alcuni grammi, esso diminuì costan- temente e gradualmente con deperimento progressivo e generale. La curva della diminuzione del peso fu rapidissima nella I, molto meno rapida nella IV e nella VI. La I morì dopo aver perduto il 36 °/,, la IV dopo aver perduto il 41°/, e la VI dopo aver perduto il 21°/, del peso del corpo. Quest'ultima differiva dalle altre, perchè era in via di sviluppo. La III morì dopo aver perduto il 30 °/,. 5. Le lesioni anatomopatologiche grossolane che potei osservare erano specialmente a carico delle pareti del tubo gastroenterico. 6. Le due cavie (IT e V), l'una adulta e l'altra in via di sviluppo, alimentate con farina di frumento, sopravvissero ancora meno delle altre, presentando essenzialmente gli stessì disturbi, ossia scarsa assunzione di cibo (specialmente nella II), arresto della produzione fecale, diminuzione della quantità di urina eliminata, diminuzione della sua reazione alcalina. La II morì dopo aver perduto il 24°/, del proprio peso: la V, invece, alimentata con pane, senza diminuire affatto di peso: in questa è però notevole il fatto del quasi completo arresto della produzione fecale. In base a tutti questi fatti io credo che le cause del cosiddetto mai- dismo sperimentale delle cavie, ossia dei danni prodotti dall'alimentazione esclusiva col mais non siano da ricercare nella mancanza di nuove ed ignote sostanze alimentari ipotetiche, ma risiedono quasi tutte nelle note proprietà chimiche di questo cereale. Le cavie mantenute artificialmente per lungo tempo con la farina o con le cariossidi maidiche, soffrono e muoiono perchè, in confronto della loro alimentazione abituale (prevalentemente erbacea), a) introducono una minore quantità di acqua; b) ingeriscono una quantità di cibo insufficente a coprire le perdite; si trovano, quindi, in istato di inanizione cronica parziale; c) questo alimento, per essere forse, in confronto delle erbe, molto meno ricco di cellulosa e di scorie, non favorisce la produzione delle fecce (1) E. Arderhalden, G. Ewald, A. Fodor e C. Roese, Versuche ber den Bedarf an Fiweiss unter verschiedenen Bedingungen. Ein Beitrag cum Problem des Stickstoffmi- nimums. Pfliigers Arch., 160, pp. 911-521 (1915). — 259 — e quindi, ristagnando nel cieco, dà luogo ad abnormi fermentazioni, special- mente acide; d) producono ed eliminano una quantità di urina molto minore del normale, con costituzione chimica diversa, soprattutto per essere scarsamente alcalina o persino acida; e) e finalmente il loro metabolismo interno subisce una profonda alterazione, dando luogo probabilmente ad un’intossicazione acida (acidosi). ‘lale azione dannosa non è però specifica del mais; altri cereali pro- ducono gli stessi effetti. E io credo che anche le cavie su cui sperimenta- rono i surricordati autori (Holst, Fròlich ecc.) alimentandole con cereali secchi, ebbero a soffrire i suddescritti disturbi e morirono per le stesse cause. Le lesioni ossee, costatate da questi osservatori, è noto, possono essere inter- pretate come effetti di una lenta intossicazione acida; come pure l’azione be- nefica da loro riscontrata per l'aggiunta di diversi vegetali crudi ecc. può essere facilmente spiegata attribuendola ai loro costituenti noti (acqua, cel- lulosa, sali alcalini ecc.), senza ricorrere all'ipotesi di sostanze ignote. E. M. POcio di este eee ann —» (4 be. A ba dl È è PARO TA se \ Va | Y (AT OILO) ASS TTY TIE RPPTERO PAC FOTI Otis x i VE ONERI FAC oe Pa hdoi Rod Nera ROMS ANITA PELI RESTI 1000 URTO an ranno i ROLE dI; hi (1570 Va PERE i d isfri Ipo vati LIFT IVO LETT LECCE Ù DUO "ODE o GUSTI O CO TOLNINZAIA er Pon Madera. \ a RI Pe er) 9 { TIC) e ALE) SARDIALI { e, LI LOIRA sta Di CASTRO UAL OO F ae pr um } SORA RA TOTI i SITI SI (It! i i id \ ILE ANIA i = na n) è) è 5 sa Ja) s pil Gre i ’ o sr) È ADE ne. i Ud b . fi . I -(1875- 76 ) Parte. 1a TRANSUNTI. det À; : CENE 2° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, } matematiche e naturali. 3a MEMORIE. della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. i LA di “scienze dI matematiche e naturali. da (1, 2). — IILXIX. i sse. di scienze morali, storiche e è sigg i 13 Io (1884- 91). | asse di scienze. ich, matematiche e naturali. io di scienze roi Cini e * flologiche . (1892-1915). Fasc. 3-4. la novus di scienze IRR, matematiche e naturali. } th i da = Ma % i i CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R ACCADEMIA DEI LINCRI E mes SI formano due v volumi < all’ anno, corrispon- ‘gn Li altri paesi | te ‘spese di E in più. si ricevono o esclusivamente dai seguenti VI d5: % da ì Ai RENDICONTI — Settembre 1915. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie, sino al 5 settembre 1915. Bianchi L. Sulle superficie le cui linee di curvatura di un sistema tagliano sotto angolo costante le generatrici dei coni che le proiettano da un punto fisso . . . . . Pag. Levi-Civita. Forma mista di equazioni del moto, che conviene ad una particolare categoria di sistemi: meccanici, ti 00 e nt VER E I e TI Artini. Bismutinite di Brosso. . . PIRANO ARM i) Piutti. Sopra un miscuglio esplosivo di Fosturo ed aria guida, LOR AI Bse) Bianchi E. Sul servizio internazionale delle latitudini e sul termine del Kimi è Gre dal Socio Millosevich) . . . . ; i 6 Sirio Baglioni. Ricerche sugli effetti deine lainicai Contributo alla conoscenza della natura e delle cause del cosiddetto maidismo sperimentale delle cavie (pres. dal Socio Lucianiyi DL IE EE I a LEN o AE A ORC 254- E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. nad tera: vi | Pubblicazione bimensile. Roma 10 ottobre 1915. N. 6. vo) CIR: REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXII. 1915 Sw ERETTO VIN TECA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXIV°. — Fascicolo 6° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all'Accademia durante le ferie simo al 19 settembre 4915. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo) TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1915 Tosi i rie e ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta dello pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon= denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe, 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - è) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento: all'autore. - d) Colla semplice pro- , posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA" REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 41945. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d’arrivo). ANNA Matematica. — Sopra una classe di sistemi n°" ortogonali. Nota del Socio Lurei BrancHI ('). 1. Nella Nota inserita nel fascicolo 10° (1° semestre 1915) di questi Rendiconti (*), ho considerato una classe di sistemi tripli di superficie orto- gonali dello spazio ordinario, che dipende in modo singolare dalle superficie pseudosferiche. Dimostro, ora, che esistono nello spazio S, euclideo, ad dimensioni (n => 3), sistemi n?" di ipersuperficie ortogonali, che ne costi- tuiscono la naturale generalizzazione. La loro ricerca dipende essenzialmente dalla integrazione di un sistema differenziale [sistema (C), n. 8], che offre un notevole esempio di sistemi lineari canonici, completamente integrabili, del Bourlet. Per maggiore chiarezza, ricordiamo le formole fondamentali pei sistemi nl ortogonali nello spazio S, euclideo ud n dimensioni (8). Il quadrato dell'elemento lineare ds dello spazio, riferito al sistema n° ortogonale (%,,%2,....%n), assuma la forma (1) ds = daî + de +-+ dxi,= Hî dui + Hî da + --- + Hi duî,, dove «,,%2,...,%, indicano le coordinate cartesiane ortogonali del punto (') Pervenuta all'Accademia il 10 settembre 1915. (2) Sopra una classe di sistemi tripli di superficie ortogonali (seduta del 16 maggio 1915). (*) Ved. Darboux, Legons sur les systèmes orthogonaua et les coorduonnées curvili- gnes, livre II, chap. I (2ème édition, 1910). RENDINOOTI. 1915, Vo! XXIV, 2° Sem 34 ZAR variabile. Le condizioni perchè questo ds* appartenga all'S, euclideo, date dall’annullarsi dei simboli riemanniani a quattro indici per la forma diffe- renziale > H? duî, aquistano, colla introduzione delle (x — 1) rotazioni i _ 19 | la forma seguente: di \ DEtk _ by fn ((F%4+!) (A) Aa da bri _ da (i,ke) | pane a > Pri dra. Qui, nelle formole della prima linea, bisogna far percorrere ad (7,%,2) tutte le terne di indici diversi prese fra 1,2,3,..,%; e nelle (A) il simbolo sommatorio sta ad indicare che l'indice variabile 4 assume tutti i valori da 7 a #, com esclusione dei due valori particolari 1°’, k. Ad ogni sistema (8), integrale delle (A), corrispondono infiniti sistemi ni ortogonali (paralleli). Ciascuno di questi è individuato da un sistema di valori di (H,, Hs,... H,), assoggettati soltanto a soddisfare alle equazioni differenziali 2dHj (B) > = Bri Hx (i), le cui condizioni d'integrabilità sono identicamente soddisfatte, a causa delle (A) della prima linea, talchè l'integrale generale (H, , H2, ..., H,) dipende da n funzioni arbitrarie, potendosi assegnare ad arbitrio la funzione della w; (variabile parametrica) a cui si riduce la H; quando le rimanenti variabili (principali) assumono valori iniziali dati uf? . 2. Tutti gli infiniti sistemi n?" ortogonali, corrispondenti alle medesime rotazioni f;x, hanno a comune, in ogni punto (v1,%2,..,%n) dello spazio, l’orientazione dell'r°%° principale, ì cui coseni di direzione degli spigoli sono dati dalle formole 1 da H; dui’ (7) pla xn_ l’indice inferiore < riferendosi allo spigolo (%;), il superiore r all'asse (x) a cui è relativo. — 263 — Questi coseni di direzione, indipendentemente dall’indice superiore 7 che omettiamo nella scrittura, soddisfano al sistema di equazioni ai diffe- renziali totali (!): (ir). A O \ ag |X__Lgx du; - di \ Queste, note le #;x in funzione delle x, determinano perfettamente gli n° coseni XM, a meno di una sostituzione ortogonale a coefficienti costanti, cioè a meno di una rotazione nell’ $S,.. Scelto un qualunque sistema integrale (H, , Hs,..., H,) delle (B), resta determinato per quadrature (a meno di una traslazione) il corrispondente sistema n?" ortogonale dalle formole dI e) conini D.A (CRA FASEEZOÌ Introduciamo ora, insieme colle » funzioni H;, le altre Wi, Wi... Wa, che dànno le distanze (algebriche) dell'origine dalle n facce dell' °° prin- cipale, cioè (3) Na (= 1,2,...,). In virtù delle (a), queste soddisfano al sistema di equazioni a derivate parziali dW; B*) Ù dUK = fin Wx DESIO che diciamo /’aggiunto del sistema (B). Viceversa, se le W,, W.,..., W, soddisfano alle (B*), resta determi- nato dalle (3) un sistema w?° ortogonale corrispondente, che si ha, in ter- mini finiti, colle formole (4) a=) Wi XI EEA (') Le equazioni (a) sono, sotto altra forma, le equazioni differenziali di Christoffel Da ua {i ki dr ati RARI che risultano dall’equivalenza delle due forme differenziali (1). — 264 — E invero, derivando le (4) rispetto ad x, coll'osservare le (a) e le (B*), si trova subito dr (ha S ) x i || W n x ) dUK dUX ale ce Pr hi (IONI formola che pone in evidenza il sistema w?'° ortogonale, coi seguenti valori hi per le H;: (5) hi = dW; & da; sia DI BuWi. 3. Ricordate queste generalità dalla teoria dei sistemi n?" ortogonali, veniamo all'oggetto proprio della presente Nota. Indichino ce, ,c:,..,0n # costanti arbitrarie, che qui, per evitare la suddistinzione di molti casi particolari, supponiamo tutte diverse da zero e fra loro diseguali, e domandiamo: Fsistono sistemi n? ortogonali, nei quali W,,Wa,.., W, siano legate dalla relazione quadratica (1) cWi teo Wi +; +enWi = cost? Il problema proposto consiste nel ricercare se esistono #x(2—1) += #° funzioni delle Bix ’ Wi 4 che insieme soddisfino alle equazioni differenziali (A), (B*), ed all’equazione in termini finiti (I). È facile l'eliminare di qui le W; e formare un nuovo sistema di equazioni differenziali per le 8;x, che dovremo aggregare alle (A). Per ciò deriviamo la (I) rispetto ad una qualunque w;. e, osservando le (B*), avremo dW:; (i) ) We ve i W 0) ai + 2-6 Bri Wx Escludendo senz’altro i casi più ovvii, e di facile trattazione, nei quali qualcuna delle W; si annulli, deduciamo dalla precedente: dIW: O) (6) Ci cr DI cr PriWx. Confrontando questa colla (B*) dW; dUK = PinWx (==) costruiamo la corrispondente condizione d’integrabilità — 265 — Indicando con £ il primo membro, e sviluppando colle (B*), abbiamo ah e sua - Ci Bir Bri Wi + > e 2/08 ne (A Wa) + GLASITE o (Pn Wa); ed osservando le (A), le (B*) e la (6), troveremo anvia fap, ia ER Lo, 43 sa (e) + ci Bin Bri Wi + vi cr Bin Bri Wi — Pri Dx Pa Wa. x 3 Gli ultimi tre termini si distruggono e, poichè supponiamo W,=* 0, restano le equazioni nelle sole (8;1) dPix LG dri _ dUi dun i (ik) —dDeabiPa, x che dobbiamo aggregare alle (A) Bin 1 din dbm = N fifa. dUi UK TU Di qui, risolvendo rapporto alle due derivate, risultano le formole Pi ica Cr — Ck QU; Te Ck aero Ci Pri Barr db a_i ab Rag Bir. dUK TRA la seconda delle quali non è che la prima, scambiato é con 4%. Concludiamo adunque: In ogni sistema nP'° ortogonale, nel quale Wi, Wai,..., Wn stano legate dall’equazione quadratica (I), le n(n —1) rotazioni Bi debbono soddisfare al seguente sistema di 2n(n — 1) equazioni a derivate parziali, dPi \ 2 = Ba Pin (iF%k*0) dU (0) CO rl È) dui a Ter xi PXK 9 che include in particolare il sistema (A). 4. La prima questione che ora si presenta è quella di esaminare la compatibilità delle 27(2 — 1) equazioni (C) nelle (2 — 1) funzioni inco- gnite fix, e di valutare il grado di arbitrarietà dell’integrale generale. — 266 — Si osservi che, nel sistema (C), di una qualunque delle incognite fx sono assegnate Zu/te le derivate prime, in funzione omogenea quadratica dPin Ux ciò, per la funzione incognita #8; la variabile ux è parametrica; le altre n —1 sono principali. Le condizioni d'integrabilità per le (C) saranno identica- mente soddisfatte se i due valori tratti dalle (C) per una medesima deri- vata seconda principale coincidono, in virtù delle (C) stesse. Ma per due derivate seconde delle incognite, fatta eccezione della derivata che non vi figura. Per d Bik 3 Bir DU Um È © dUm dUL dove /,m siano indici diversi fra loro e da 2, X, la coincidenza segue già dalle (C) della prima linea. Resta dunque da verificarsi che, per le — Ck (dl) € + a era Bra Bn n ati nia Ba Pa + — ci — caT (30 De, + ci EX Bai Pur + ea I tre primi termini manifestamente si distruggono: ma anche gli ultimi tre si elidono, a causa della identità (co Ci) (cc Cn) + (en CI) (Ca -= ci) = (ci Dee Ck) (ci — ci), onde segue effettivamente © = 0. Concludiamo che il sistema lineare cano- nico (C) è completamente integrabile. Se scegliamo adunque un sistema iniziale di valori per le variabili w; [sia per semplicità il sistema (0,0,...,0)], sarà determinato univocamente un sistema integrale (8) delle (C) preseri- vendo che la rotazione fx si riduca ad una funzione arbitraria data della sua variabile parametrica x, quando le altre variabili (principali) si an- nullano. Sembra, così, che l'integrale generale delle (C) dipenda da 2(n — 1) — 267 — funzioni arbitrarie, quante sono le incognite #;x. Però, di queste funzioni arbitrarie, n sono soltanto apparenti, dipendendo dall'arbitrarietà ancora lasciata ai parametri v;; in realtà adunque: L'integrale generale (8) del sistema (C) dipende da n(n — 2) fun- zioni arbitrarie essenziali. 5. Una proprietà notevole del sistema differenziale (C) è questa: che esso possiede n integrali quadratici nelle rotazioni. Si considerino infatti le espressioni quadratiche nelle 130, GN ha 3Ba = Ce = d i 2 dUi; - (2) Cn) Ba nie (ci-= Cn) Bin — ui , ossia, per le (C), 139, mA pesi — INI (A là È S ner: RI 2 di 4 ( \ Ck) Bu Bri Bin + (e; Cn) Pin Deva dI Bxx P espressione che identicamente si annulla. Ne segue che la £, è una fun- zione della sola ux; e poichè, cangiando il parametro x, tutte le $3x si moltiplicano per un medesimo fattore, funzione arbitraria di v,, e quindi 9, pel suo quadrato, ne risulta che possiamo disporre del parametro x così da ridurre £, ad una costante. Ne concludiamo quindi: Il sistema differenziale (C), scelti convenientemente i parametri %,, U2 , ++, Un, possiede gli » integrali quadratici { (ce) fa + (06 2) PT + (0 1) Bi1= cost e dn ee i + cs) B2, = cost | (ci — Cn) Bin D (c. er” Cn) Bin Di È: (Cnr — — Cn) di ù —ÎC0suì 6. Supponiamo scelto per le rotazioni (8;x) un qualunque sistema inte- grale delle (C). È facile vedere che esisteranno in effetto (infiniti) sistemi nr‘ ortogonali con queste rotazioni, e soddisfacenti alla condizione (1). Per determinarli, dovremo associare alle (B*) le equazioni (6), e formeremo così il sistema dW:; ce BinWyx (II) 5 — 268 — Questo è un sistema lineare ai differenziali totali per le funzioni incognite Wi, Wi,..., W,, e dal calcolo stesso eseguito al n. 3 risulta che esso è completamente integrabile. D'altra parte, se poniamo per un momento O= ce Wib+eooW+---+e,Wi, subito vediamo che, a causa delle (II), tutte le derivate di ® si annullano, e però ® è una costante. Scelto adunque un qualunque sistema (W,,W,, «.«, W,) integrale delle (II), sarà verificata la condizione (I), e le formole (4) daranno il sistema 42° ortogonale corrispondente. In questo sistema i valori 4; delle H; si calcoleranno, secondo le (5) e per le (II.), dalle formole (ira (7) hi VI ZO e ,I Così, ad ogni sistema (#;x) di rotazioni che soddisfino alle (C), corrispondono infiniti sistemi 2?" ortogonali colle W; legate dalla relazione quadratica (I). E qui è ancora da osservarsi che, figurando nel sistema (C) solo le diffe- renze ci — Ck, st possono alterare le n costanti c, di una medesima co- stante additiva, senza che varii l'immagine ipersferica del sistema. 7. Rispetto alla integrazione del sistema differenziale (C), poco appren- dono i metodi generali. Ma, in grazia del suo significato geometrico, possiano facilmente riconoscere che: noto un sistema particolare (Bin) di soluzioni delle (C), potremo trovarne infiniti nuovi integrando equazioni differen- ziali ordinarie. Per questo si supponga che le 7 costanti €, ,c»,...,C, non abbiano tutte lo stesso segno, ciò che possiamo sempre ottenere alterandole, secondo l'osservazione superiore, di una medesima costante additiva. Si considerino allora quei particolari sistemi x?" ortogonali nei quali è soddisfatta la con- dizione (1), annullandosi la costante del secondo membro (8) coWiteWit---— e0Wh=0. Indicando questi come sistemi (2), dimostriamo: Se si assoggetta un tale sistema (3) ad un'inversione per raggi vet- tori reciproci rispetto all'origine, il sistema n! derivato (Z) appartiene alla medesima classe. Prendendo per semplicità = 1 il raggio dell’ipersfera d’ inversione, le formole d’inversione sono dove si è posto ona 4a + bat W+W+. + Wa. — 269 — Derivando rapporto ad :, coll’osservare che si ha ZI EL QUI x dUi = 2h DI LI x = 2hiWi 5 DI risulta nn (7) Queste formole dimostrano che i valori X{ dei coseni di direzione per il sistema derivato sono rn=xp— ti, Q ed i nuovi valori delle H; meio Indicando con W; le quantità analoghe alle W;, abbiamo subito, dalle precedenti, >) W; (9 We. ) Di qui segue appunto che la relazione (8) per le W; si traduce nell’ana- loga per le W;, c. d. d. Inoltre, derivando la (9) rispetto ad ux, abbiamo dW.__1 2Wi ha 3% ni; PinWx + Ero Wa, cioè DM ta) + dui as (fa _ 0 Wx ’ onde deduciamo che le rotazioni fx pel sistema derivato (3) sono _ 2W; h Bin= Bia — ? L, ovvero anche, per le (7), 10 RETRO: Wi. ( ) Bir Bir DIA RE cx Bxk I DI Dunque: noto un sistema (Bin) di soluzioni delle (C), se ne ottengono infiniti nuovi dalle formole (10), ponendovi per le Wi un sistema di solu- sioni del sistema di equazioni (11) ai differenziali totali, soddisfacenti alla condizione iniziale (8). XENDICONTI. 1915, Vol, XXIV, 2° Sem. 35 — 270 — 8. Supponiamo ora, al contrario, che le costanti c; abbiano tutte il medesimo segno: per es. il positivo, ciò che possiano ottenere aumentandole tutte di una stessa costante (n. 6). Allora, se nelle (C) facciamo il can- giamento reale di funzioni incognite (11) | fa= |/ E pa. dB _ 0 o dui Pa Bux (0°) te E dba O cn Cx gr gi | n rr ING che sono le (C) stesse ove si cangino le c; nelle loro inverse 2. Le for- mole (11) dànno il passaggio dalle soluzioni (#;x) del sistema (C) a corri- spondenti (8°x) del sistema (C'). e viceversa. Alla considerazione dei sistemi x? ortogonali (3) che verificano la (I), (12) > caWi= cos, conviene quindi associare quelli dei sistemi (2°) che verificano l’altra (12') Si Mi = cost. 7 li Quando siano noti i valori dei coseni X; relativi alle rotazioni (#;x), e così quelli X} per le rotazioni (£°), è facile vedere che si avranno senza altro, in termini finiti, i sistemi (3) corrispondenti alla (12), e quelli (2°) corrispondenti alla (12°). E infatti, se nelle equazioni differenziali (II) poniamo i / Ci queste diventano | dX, ld ’ | Sn fax IX (i) + | dUi mal Ai (D.C (AAA che sono precisamente le equazioni differenziali (a) per le X{. Similmente, ponendo af Wi Ve; Xi ’ si identificano le (II) per le W; colle (a) per le X;. — 271 — 9. Supposto ora soltanto che le rotazioni fx soddisfano alle (C), con- sideriamo tutti gli infiniti sistemi n?“ ortogonali (paralleli) corrispondenti a queste rotazioni. Uno qualunque di questi sistemi sarà individuato (n. 1) da » funzioni H;, che soddisfino alle (B), oppure da » funzioni W; che soddisfino al sistema aggiunto (B*) Ora diciamo che nel caso nostro: Da un sistema noto (Wi, Wa,...,W,) di solusioni delle (B*) si passa ad un sistema di soluzioni (H, ,H,,...,Hn) del sistema aggiunto colle for- mole lineari Wi o na (13) Het BriWa. Ui x Per dimostrarlo, si derivi questa rapporto ad uz (4 +), e ne verrà di _ d Ad dai (Pa) )+ I Cia o (BW): QUE ed eseguendo le derivazioni, col porre mente alle (C) ed alle (B*), si ottiene 23H; dUK of BI, GA) _ WD = n Bri Bua + ci Bin Bri Wi + D_ cx Pax BriWx + 7 i I x + W_d > cx BP t cx BE E cow, SI mIa Bk è I tre termini contenenti Wy in fattore si elidono a causa della identità cile — cl +oa—c)t ero )=0, e, raccogliendo i rimanenti, sì può scrivere dH; Wi | € | ma St) EA + DI cr PaWa { ossia precisamente Hi SE == Pri H, . Cc. d. d. Le formole (13) dànno dunque trasformazioni parallele dei nostri sistemi tripli ortogonali, con sole quadrature (n. 1). Se si applicano queste trasformazioni ai particolari sistemi (2) corri- spondenti alla relazione (I), risulta, per le (II), H=H,=---=H;=0, e la trasformazione diventa illusoria, riducendosi il sistema trasformato ad un punto. Anche è da osservare che, se tutte le costanti c; si aumentano di una medesima costante c (n. 6), i nuovi valori H; delle H; sono, per le (5), A Hij=H;+ch, cioè il sistema 2° derivato è una combinazione lineare di quello corrispon- dente alle H; e del primitivo dato dalle &; . In fine, per l'inversione di queste trasformazioni parallele basta osser- vare che, se si prendono H,,H»,...,H, date da un qualunque sistema di soluzioni delle (B), le equazioni (B*) per le W;, insieme colle (13), formano un sistema di equazioni ai differenziali totali completamente integrabile. Meccanica celeste. — Aggiunta alla Nota « Sul problema der due corpi nel caso di masse variabili », del Socio PaoLO PIz- ZETTI (2). Nella mia Nota, pubblicata con questo titolo nel 2° fascicolo del presente volume dei Rendiconti, il paragone da me fatto dell'orbita effettiva con una orbita kepleriana difetta di generalità pel fatto che io ho supposto che, in quella posizione particolare da me assunta come iniziale, la velocità rela- tiva delle due masse sia ortogonale al raggio vettore, mentre, come è chiaro, sì possono immaginare orbite spiraliformi, prive di afelii e di perielii. Di ciò mi fa giusta osservazione il chino prof. Armellini in una sua gentile lettera. Non è difficile conseguire la desiderata generalità modificando un poco il calcolo. Mi limito, per semplicità, al caso in cuì risulti ellittica l'orbita kepleriana che serve di confronto (ossia quell’orbita kepleriana che corri- sponde al valore iniziale M, della massa totale e ai valori iniziali del raggio vettore e del vettore velocità). È facile rifare il calcolo pei casi iper- bolico e parabolico. Possiamo, nel caso in parola, determinare due quantità e, e y tali chesia 0 ®, l'integrale del 2° membro si mantenga eofMo di segno costante ed in valore assoluto superiore ad ———. Un esempio c semplice lo abbiamo quando supponiamo l'incremento della massa proporzio- nale al quadrato della anomalia. Posto infatti g = A6@?, e quindi gr=At?, sì ha I) ( gp: cos(0 — 7) de = 2A(6— sen 6). 1 contiene p+ 1 integrali ellittici, a p a p indipendenti, ad ogni suo integrale semplice di 1® specie sono infinitamente (1) Pervenuta all'Accademia il 17 settembre 1915. (2) Severi, Sugli integrali abeliani riducibili [ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, ser. 5%, vol. XXII (1° sem. 1914), pp. 581-587 e pp. 641-651]. — 280 — vicini degli integrali ellittici (*), poichè la totalità degli integrali semplici di 18 specie di una tale varietà è assimilabile a quella dei punti reali e complessi di un S,-, (reale), mentre i vertici di una rete di Mòbius appar- tenente a un S,-;, presi insieme coi loro punti limiti, dànno una totalità assimilabile a quella dei punti reali di un Sp_; (reale). Comunque sia di ciò, sorge la questione di decidere se esistano o no delle varietà algebriche su cui ad ogni integrale semplice di 1% specie siano infinitamente vicini degli integrali ellittici. La risposta affermativa a questa domanda, insieme con la caratteriz- zazione precisa delle varietà per cuì si verifica il fatto considerato, è fornita agevolmente dal metodo geometrico a cui già abbiamo avuto occasione di far ricorso per lo studio degli integrali abeliani riducibili (?). Ecco in breve i risultati a cui siamo pervenuti, insieme col richiamo delle nozioni e dei teoremi atti a chiarirne la portata. Una varietà algebrica V, di irregolarità superficiale p > 1 ammette in generale una ed una sola relazione di Riemann (relativamente a un qual- siasi sistema primitivo di cicli lineari della sua riemanniana); ma può darsi che essa ne ammetta più di una, e allora ne ha infinite (*). In ogni caso possiamo dire che V, ha l'indice di singolarità k se fra le sue relazioni di Riemann ve ne sono X +1 indipendenti e non più, e dire che V, è non singolare 0 k volte singolare secondo che si ha X=0 oppure # > 0 (*). Dato p, il numero X è assoggettato alla diseguaglianza k=zp—1 (3). Allorchè V, ammette una sola relazione di Riemann, ossia è non sin- golare, questa relazione è principale e di caratteristica 2p (5); d'altra parte la condizione necessaria e sufficiente perchè V, contenga un sistema regolare di integrali semplici di 1* specie riducibili è che fra le sue rela- zioni di Riemann ve ne sia qualcuna di caratteristica inferiore a 2p (7); quindi: Una varietà algebrica, contenente sistemi regolari di integrali sem- plici di 1° specie riducibili, è necessariamente singolare. (*) Vedi più innanzi (n. 2) per la definizione precisa. di questa frase. (?) Scorza, Sugli integrali abeliani riducibili. Note I e II [ Rendic. della R Acca- demia dei Lincei, ser. 5%, vol. XXIV (1° sem. 1915), pp. 412-418 e pp. 645-654]. (3) Loc. cit. ®, Nota II, n. 8 e n. 10. (4) Scorza, Il teorema fondamentale per le funzioni abeliane singolari [Memorie della Società italiana delle Scienze (detta dei XL), in corso di stampa] n. 57. (5) Loc: Cite), (8) Loc. cit. 3, Nota II\n. 10. (*) Loc: cit. 9; Nota JI, n. 19. — 281 — In base a questa osservazione, le varietà richieste son da cercare fra quelle singolari. Ebbene noi dimostreremo che: Le varietà algebriche di irregolarità superficiale p >1, su cui ad ogni integrale semplice di 1° specie sono infinitamente vicini degli inte- grali ellittici, sono tutte e solo quelle, effettivamente esistenti, per cui l'indice di singolarità è uguale a p>— 1; nel qual teorema è implicito il fatto che p? — 1 è non solo un limite supe- riore, ma addirittura un massimo per k. i Un altro teorema, a cui saremo condotti spontaneamente dalle consi- derazioni che seguono e che, sebbene non si riconnetta in modo stretto con lo scopo principale di questa Nota, non ci sembra privo di importanza, è il seguente: Una varietà algebrica di irregolarità superficiale p>1, che sia almeno 2p — 1 volte singolare, contiene infiniti sistemi regolari di inte- grali semplici di 1° specie riducibili (*). 1. Fissiamo sulla riemanniana della varietà algebrica V, di irregolarità superficiale p > 1 un sistema primitivo di 2p cicli lineari RARI TE e serviamocene (al modo che è indicato neì nn. 1 e 2 della nostra Nota I già citata) per rappresentare omograficamente gli integrali semplici di prima specie di V, sui punti di un Sp_, imaginario, di specie p, di uno spazio reale Z a 20 —1 dimensioni (?). Diciamo t quell'S,-, e © lo spazio imaginario ad esso coniugato. L'imagine e l'imagine coniugata di un sistema lineare 0097 (9 < p) di integrali semplici di 12 specie di V, saranno, rispettivamente, l’ Sy. di 7, in cui quel sistema si riflette, e l'S,-, di 7 ad esso coniugato: l’asse del sistema sarà poi lo spazio a 29 — 1 dimensioni, necessariamente reale, che ne congiunge le imagini (3). (') Di qua facendo p= 2 si trae la nota proposizione che una superficie iperellittica (di rango 1) tre volte singolare ammette infiniti integrali ellittici. Del resto per p = 2 questo teorema è contenuto nel precedente ed è da esso precisato. (*) Il modo a cui si allude nel testo e che giova tener presente consiste nel fissare in Z un sistema di coordinate proiettive omogenee e nel far corrispondere ad ogni inte- grale semplice di 1 specie di V,y (determinato a meno di una costante additiva e di una costante moltiplicativa) il punto di X che ha per coordinate i periodi dell’integrale ALUCICLIU/IG/ a eo Cante (3) Loc. cit. ®, Nota I, n. 2 e n. 6. Cogliamo l’occasione per avvertire che nell’im- paginazione di questa Nota è incorso un errore: le prime cinque righe della pag. 415 sono le ultime righe del n. 2, non del n. 1. — 282 — In particolare gli assi degli integrali semplici di 1 specie di V, sa- ranno le rette reali appoggiate a 7 e 7. A questo proposito è utile tener presente che la condizione necessaria e sufficiente, perchè un sistema lineare 0097? di integrali semplici di 1® specie di V, (9 et) con le H,,Z,.n e $, reali. L'asse di J è, per definizione, la retta congiungente il punto di 2 avente le coordinate H, +4 iZ, , Ho 4 Za, ... Hop + #Zop col punto avente le coordinate EG — 24, 4 H, — iL RACC Hop — iZop: (1) Loc. cit. 3), Nota I, n. 5 e n. 6. — 283 — cioè la retta le cui coordinata sono date da Price, HZ, Mie 15228) e allo stesso modo l’asse di I è la retta le cui coordinate sono date da pipi (12,28). Ora, per l'ipotesi fatta su J, l'integrale I può scegliersi in infiniti modi distinti in G, di guisa che risulti | — &r]<8 (e=1,2,..., 29), essendo « un numero positivo assegnato ad arbitrio; ossia di guisa che risulti |IHr-m| 2); e b') una serie di varietà FF ,..., FP! rappresentanti gli insiemi dei complessi singolari di 4 di specie >4,2=6,...,>2p—2. Le F®, Fl, ..., FP” sono, successivamente, le varietà dei punti doppî, tripli, ... . (p —1)-pli di FW; F@-V è una varietà di Segre di 2* specie con gli indici eguali entrambi a p —1; ed F@-®, F@-9,..., F® sono, ordinatamente, le varietà delle corde, dei piani trisecanti, ..., degli Sp. (p— 1)-secanti di FP. i Lo spazio 2" e le varietà F®, F,..., FP? sono reali; e i punti reali di F° si distribuiscono in due falde, delle quali una, quella che chia- miamo la prima falda. è atta a dividere la totalità dei punti reali di 2" in una regione di punti interni e in una regione di punti esterni. — 285 — Mineralogia. — Zlate ed altri minerali di Perda Niedda nell’Oriddese (Sardegna). Nota di ErnESsTO MANASSE, presentata dal Corrispondente FEDERICO MILLOSEVICA ('). Del giacimento ferrifero di Perda Niedda (*) nell’Oriddese, e della sua importanza industriale, si è già occupato ampiamente e con grande compe- tenza l'ing. A. Ciampi (*), il quale, dopo averne diretto le esplorazioni, sopraintende ora ai lavori di miniera. Rimandando al predetto autore per tutti i dettagli riguardanti il gia- cimento in parola, mi limiterò per mio conto ad accennare come si tratti di un grandioso ammasso lenticolare di minerali di ferro che rinvienesi al contatto fra calcari cristallini, spesso saccaroidi, bianchi o grigi, fittamente stratificati e contenenti abbondanti vene di calcite spatica e rocce granitiche rosee e bianche, a grana media, e povere di mica. D'ordinario le zone mineralizzate assumono apparenza di banchi interstratificati con i calcari cristallini. Nelle parti superiori del giacimento il minerale è limonite, compatta e picea, oppure cavernosa, accompagnata da ematite e magnetite. Ma i banchi più ragguardevoli, sia per la qualità che per la quantità del materiale, sono di magnetite con scarsissimo siderose. Nelle zone più profonde poi si rin- vengono abbondanti minerali solforati — segnatamente pirite, ma anche blenda nella varietà marmatite, galena, arsenicopirite, calcopirite, ecc. — in matrice di fluorina violacea e di quarzo spesso verdognolo per pigmenti cloritici. Le rocce calcaree della regione furono riportàte da alcuni autori al siluriano, da altri al cambriano medio (4); e la formazione granitica, il cui riferimento cronologico viene implicitamente ad interessare la dibattuta e importantissima quistione relativa all'età dei graniti sardi, fu ritenuta sia anteriore alle rocce sedimentarie, sia ad esse posteriore. Il Ciampi considera il calcare cristallino di Perda Niedda derivato, per metamorfismo di contatto, dai calcari del cambriano medio, che sono invece a struttura compatta e in grandi banchi con stratificazione poco appariscente; e ritiene, di conseguenza, il granito posteriore, in base principalmente ai grandiosi fenomeni di con- tatto manifestatinsi a Perda Niedda nei piani di separazione fra calcari cri- (') Pervenuta all'Accademia il 18 settembre 1915, (*?) Cioè « Pietra Nera » in dialetto sardo. (*) La miniera di Perda Niedda in Sardegna. Rass. Min., vol. XXX, n. 14, pag. 209, Torino 1909. (4) Vedasi, a tal proposito, Merlo, L° Inglesiente propriamente detto e la sua costi- tuzione geologica. Rass. Min., vol. XXI, nn. 5, 6, 7, pp. 65, 88, 99. Torino 1904, RenDpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 37 — 286 — stallini e graniti. In ciò l'autore concorda con quanto fu già osservato dal La Marmora, dal Bonermann, dal Lovisato, dal Lotti e dal Riva, i quali tutti ascrissero le rocce granitiche della Sardegna ad un'unica formazione. che ritennero postsiluriana (*). . Quanto alla genesi del giacimento secondo il Ciampi la mineralizza- zione è dovuta alla sostituzione delle rocce calcaree cambriane per effetto di soluzioni metallifere e di mineralizzatori, in diretta dipendenza delle in- trusioni granitiche attraverso ai calcari stessi. Si sarebbero così depositati i minerali solforati, e in principal modo la pirite, dalla quale, per varie cause e con diverse fasi, avrebbero avuto origine i minerali ossigenati di ferro, attualmente utilizzati. Notevole analogia esisterebbe pertanto, indipendentemente dalla diversa età delle formazioni rocciose, fra il giacimento di Perda Niedda, quello, in grande prevalenza piritoso, di Gavorrano, ed anche, sotto molti riguardi, i grandiosi depositi ferriferi dell’isola d' Elba. In questa breve Nota mi occupo soltanto di alcuni minerali di contatto di Perda Niedda, riserbandomi di dare in seguito altre notizie, man mano che andrò studiando tutto il materiale con squisita gentilezza messo a mia disposizione dall'ing. Ciampi, che vivamente ringrazio. Fra i più interessanti minerali di contatto di Perda Niedda è da anno- verarsi l’ilvaite, specie nuova per la Sardegna (*). Si presenta essa in masse compatte o a struttura fibroso-raggiata, di colore nero-piceo, rivestite d’or- dinario di patine giallastre di idrossido ferrico. Spesso anche è in cristalli imperfetti, tutti simili fra loro, della semplicissima e caratteristica combi- nazione: 110%, {120} 3 {101} : {111} L'abito dei cristalli, rappresentato dalla fig. 1, è assai più tozzo che nell’ilvaite elbana (3) e ricorda piuttosto quello dell’ilvaite di Campiglia (‘) e di Herbornseelbach (Nassau) (5) (1) Vedasi C. Riva, Ze rocce granitoidi e filoniane delta Sardegna. Atti R. Acc. Sc. fis. e mat., vol. XIII, serie 2%, n. 9. Napoli 1904. (2) Dallo stesso ing. Ciampi mi sono stati poi donati degli esemplari di ilvaite di altra località sarda, di Orroli nell’Ogliastra. Quivi, entro gli scisti filladici paleozoici, si ha un filone di blenda e galena, in matrice pirossenico-ilvaitica, che sembra dovuto a - sostituzione di un banco calcareo intercalato agli scisti medesimi. Per la natura della ganga e anche per il fatto che non lungi da Orroli frequentemente rinvengonsi filoni di porfidi quarziteri attraverso gli scisti, il tipo di giacitura, nelle sue linee fondamentali, ricorda quello notissimo del Campigliese, in Toscana. (2) E. Grill, Osservazioni cristallografiche sull’ ilvaite elbana. Mem. Soc. It. delle Scienze (detta dei XL), serie 32, tomo XVIII. Roma 1913. (4) A. D'Achiardi, Mineralogia della Toscana, vol. II, pag. 153. Pisa 1873. (5) M. Bauer, Beitràge cur Mineralogie- VI Reihe: Ueber den Liévrit von Her- bornseelbach in Nassau. N. Jahrb. fiir Min., Geol. und Pal., Bd. I, pag. 81. Stuttgart 1890 . — 287 — Dei prismi verticali {110} di regola possiede facce listiformi e }120} le ha molto più ampie; ma, alle volte, i due prismi presentano presso a poco uguale sviluppo. Le forme terminali }101{ e {111{, di consueto, appariscono equisviluppate; in alcuni casi però, estendendosi molto le facce di }101}, vengono ad essere ridottissime quelle di {111}. Comunque le facce di una stessa forma, appartengano esse ai due prismi verticali, o al macrodoma, oppure alla bipiramide, appariscono quasi sempre inegualmente sviluppate; nè si prestano mai ad esatte misure goniometriche a causa delle scabrosità, curvature, corrosioni e velature limonitiche che costantemente presentano. Quasi tutti i cristalli sono terminati ad ambedue le estremità. Le di- mensioni loro variano assai; i cristalli più grossi misurano cm. 2 circa nella direzione dell'asse e per cm. 1.7-1.6 circa secondo y e z. Si hanno poi frequenti unioni di molti individui e subindividui in posizione parallela o quasi, e gruppi anche lievemente divergenti. Durezza 6 circa; peso specifico uguale a 3.95, un pochino inferiore a quello proprio dell’ilvaite perchè il minerale di Perda Niedda è sempre leg- germente inquinato di limonite. Chimicamente considerata, questa ilvaite sarda è una varietà alquanto manganesifera. L'analisi, infatti, ha dato, per 27.74 °/. di FeO, il 6.43 °/o di Mn0; ciò che conduce al rapporto molecolare Mn0 :Fe0= 1 :4.22. I risultati ottenuti sopra materiale liberato il meglio possibile dalle impu- rità di idrossido ferrico sono qui appresso messi a confronto con i valori lI Il III teorici richiesti dalla formula Ca(Fe, Mn)?(Fe. 0H)[Si0*], nella quale MniPe=e4 Trovato Calcolato (1) H?0 2.66 2.20 Sio? ZITTA 29.50 Al203 0.67 — Fe?03 19.47 19.53 Fe0 DIA 28.12 Mn0 6.48 6.94 Cao 325 TIVA! Mg0 0.51 _ 100.15 100.00 (1) Per i calcoli dei componenti furono adottati i pesi atomici stabiliti dal Comitato internazionale per il 1914. — 288 — Per la rilevante percentuale in MnO la varietà di Perda Niedda diffe- risce assai dall’ilvaite elbana, che ne contiene 0.51-3.02 °/, (*), mentre si av- vicina, anche per questo carattere, a quella di Herbornseelbach (6.78-8.68 °/, di MnO), e forse anche all’altra di Campiglia, di cui non si ha un’analisi completa, ma solo dei saggi di von Rath, dai quali risulterebbe un discreto tenore in Mn0 (?). Nelle zone di contatto di Perda Niedda più abbondante dell’ilvaite è il granato, il quale, se di regola si presenta, associato a magnetite, ilvaite, wollastonite, actinoto, ecc., in concentrazioni filoniformi che attraversano i calcari cristallini scistosi, forma anche da solo, può dirsi, estesi banchi roc- ciosi, potenti fino a 2 metri, e stratificati quasi in concordanza dei calcari cristallini e dei minerali di ferro. Tali banchi granitiferi anzi, secondo il Ciampi, definiscono nettamente il contatto fra le due formazioni sedimentaria ed eruttiva. Comunemente il granato è in cristalli di colore verde cupo; come ecce- zione ha colore colofonia che richiama alla mente quello dell'idocrasio. Tanto nell'un caso quanto nell’altro si tratta della varietà ferri-calcifera; ma, oltre SiO?, Fe?0? e Ca0, in piccole quantità sono presenti A1?08, Mn0O, Mg0; mancano però completamente TiO? e Cr?08. I cristalli, di dimensioni variabilissime (il diametro loro da un minimo di mm. 2-5 passa ad un massimo di cm. 2-2.5), consistono semplicemente delle solite forme {110 ,{211{, in generale equisviluppate, alle quali ecce- zionalmente si aggiunge l’esacisottaedro {321} in liste esilissime, ma assai lucenti. Delle due forme essenziali, ora predomina il rombododecaedro, ora l'icositetraedro, ambedue quasi sempre con le facce omologhe di ampiezza assal diversa. Durezza 6 a 7. Peso specifico uguale a 3.83. Sulla varietà di colore colofonia furono fatti soltanto dei saggi quali- tativi per determinarne la natura chimica; del granato verde venne eseguita invece l’analisi completa, e i risultati sono qui appresso riportati insieme III alle percentuali teoriche per Ca? Fe?[Si04 ff: Trovato Calcolato S10? 35.09 35.56 A1*08 2.01 — Fe?03 29.82 31.88 Mn0 0.53 —_ Cao 33.10 33.06 Mg0 0.48 — 101.083 100.00 (5) E. Grill, Mem. cit. (£) Vedasi A. D’Achiardi, Op. cit. — 289 — Accompagna il granato, che anche ingloba, la wollastonite in masse bianchissime a struttura fibroso-raggiata, con durezza di 4 a 5 e peso spe- citico di 2.86. L'analisi eseguitane poco si discosta da quella calcolata per Ca?[Si0? ]?. Infatti: Trovato Calcolato H?0 0.85 —_ Si0? 50.49 51.82 A1?08 tracce Fe?0? 0.54 — Cao 47.72 48.18 Mg0 0.51 —_ 100.11 100.00 Fisiologia vegetale. — Sulla presenza, nelle piante, di com- posti emato:di di ferro (*). Nota II del dott. G. GoLA, presentata dal Socio 0. MatTIROLO (°). Nella Nota precedente (*) rilevai la presenza di composti proteici nel materiale grezzo estratto dalle piante, e gli inconvenienti che da ciò deriva- vano per la preparazione di composti ematoidi di ferro sufficientemente puri, e per la possibilità di arrivare a conclusioni inesatte. Ad ovviare a questo, mi valsi, in una nuova serie di esperienze, della proprietà che l'acido picrico ha di dare. con i composti in questione, dei picrati solubili nell'alcool. etere, acetone, ed in altri solventi organici neutri. Tale proprietà non è comune alle combinazioni proteiche dell'acido picrico. Mi valsì, nel maggior numero dei casi, dello stesso materiale grezzo ottenuto per azione degli alcali sull'erba di prato e sulla segatura di pioppo. Dopo qualche giorno di digestione nell’acido picrico in soluzione alcoolica, la com- binazione si può estrarre con alcool e etere; assai più rapida è la formazione del picrato se si opera su materiale grezzo di fresco preparato, il quale, dopo precipitazione dalla soluzione alcalina, sia stato lavato ripetutamente con acqua, poi con alcool, e. ancora umido di alcool, sia sottoposto alla picra- tazione. Dopo picratazione, l'estrazione del composto si fa assai facilmente e si ottiene una soluzione bruna, contenente però un eccesso di acido picrico. (') Lavoro eseguito nel R. Orto Botanico di Torino. (?) Pervenuta all'Accademia il 13 settembre 1915. (*) Ved. Rend., vol. XXIV, 20 giugno 1915, pag. 1239. Debbo rettificare un errore nel quale sono incorso in tale Nota; a pag. 1248, linea 11, in luogo di pirrolo, leggasi indolo. — 290 — Tale soluzione, lavata con acqua, perde con molta facilità l’acido in eccesso, e, per ulteriore aggiunta di acqua, anche l'acido combinato si stacca facil- mente per idrolisi, così che il composto organometallico precipita allora dalla soluzione, e poi, per successive lavature con acqua, viene totalmente depi- cratato. Una scissione ancora più rapida si può fare con soluzione di bicar- bonato di sodio, la quale scioglie il composto ferrifero; dalla soluzione, questo può venire riprecipitato per aggiunta di acido acetico; sì raccoglie su filtro il residuo, lo si lava accuratamente con acqua acidula per acido acetico, e poi con alcool, e infine si essicca. Si ha un corpo bruno solubile in piridina, che, bruciato, lascia per re- siduo solo ossido di ferro. Il materiale ferrifero, così ottenuto, non contiene affatto composti proteici e si presta quindi assai per il trattamento con potassa fusa. Anche in questo caso ottenni, per azione della potassa a 200°-240°, la serie dei composti organici di ferro precedentemente descritti, differenti fra loro per i caratteri di solubilità nell'acido acetico glaciale, ma eguali fra loro per altre proprietà, compresa quella di dare, per riscaldamento con pol- vere di zinco o di alluminio, dei composti pirrolici. È da osservare che per azione delle soluzioni acetiche acquose più non si aveva lo sviluppo di odore indoloide, come col metodo di preparazione indicato nella Nota precedente. La preparazione dei picrati di questi composti ferruginosi costituisce quindi un metodo ottimo per una purificazione preliminare, ed io me ne valsi per avere, con un certo grado di purezza, combinazioni ematoidi da Lactarius controversus., Penicillum glaucum, lievito di birra ecc. L'impiego di questo metodo vale per estrarre la massima parte di composto ferrifero dal materiale preventivamente preparato per azione della soluzione alcalina sui vegetali; meno generalmente si presta per l'estrazione diretta dalla pianta. Sembra che il composto ferrifero sia nella pianta legato a sostanze proteiche; e non sempre l'acido stacca facilmente la proteina dal composto organometallico. Risultati abbastanza buoni si ottengono talora facendo agire la macerazione picrica per più giorni; ma in parecchi casì il rendimento è, relativamente, assai scarso. Anche la necessità di trattare grandi quantità di vegetale rende difficile l’uso di solventi organici e di acido picrico in misura tale da fissare tutti gli alcali e le proteine in essi contenuti. Quando si pensi che, col metodo della soluzione di soda, per ottenere dal legno 170 grammi di materiale impuro occorsero 1000 litri di solvente su un quintale di segatura, e che per un quintale di erba secca ne occorsero 4000, si comprenderanno le difficoltà materiali di tali esperienze. — 291 — Operando sui tessuti verdi con solventi organici, occorrono inoltre par- ticolari cautele per eliminare totalmente la clorofilla e i suoi derivati, che possono indurre facilmente a conclusioni errate. Le esperienze, sopra le quali ho riferito finora, sono state, come già dissi, controllate di frequente mediante saggi condotti in modo analogo su sangue di bue; e le analogie, e spesso anche le identità di comportamento, mi permettono di affermare con un certo fondamento il carattere ematoide delle combinazioni ferriche da me estratte da parecchi vegetali. Ma un carattere saliente dei composti ematici animali è dato dal fatto che il ferro si trova nella molecola in uno stato di combinazione tale che, per trattamento con HCl in piccola quantità, in mezzo povero o privo di acqua, si forma un legame Fe—Cl particolarmente stabile e caratteristico. La possibilità di tale legame è subordinata all'esclusione di un qual- siasi trattamento preliminare con alcali acquosi; anche l’emina, quando sia stata declorurata con alcali, più non può riprendere il Cl. Nelle mie esperienze avevo sempre avuto tra le mani combinazioni state preventivamente trattate con alcali, e perciò di tipo ematinico, e quindi incapaci, se fosse stata vera l'analogia con i pigmenti del sangue, di dare la combinazione Fe—C1. I numerosissimi saggi tentati sopra ogni sorta di estratti sodici di piante svariatissime, fresche o essiccate, non mi hanno mai permesso di arrivare a risultato alcuno. Ho ricorso allora al trattamento diretto della pianta, senza uso preven- tivo di alcali. Ho sperimentato anzitutto il metodo di Zaleski per la preparazione del- l'emina acetica, quello che è ora più usato, e che permette di avere pro- dotti più puri; colle piante verdi non riuscii a nulla. Operando su micelio essiccato di Pericillum ebbi risultati incompleti: cioè solo una parte assai piccola di combinazione ferrifera viene estratta, un'altra parte è estraibile solamente con piridina a caldo, e la parte maggiore rimane nel micelio anche dopo questo trattamento. All'incontro, il metodo di Mérner, secondo il quale si fa preventivamente un estratto con alcool acidulo per H.S0,, e lo si riscalda poi alla ebolli- zione, previa aggiunta di HCl, ha dato per risultato il distacco quasi com- pleto del ferro dalla molecola organica. Risultati assai migliori ottenni operando con alcool a 95°, acidificato con il 3°/, di HCI concentrato. I tessuti vegetali vengono fatti rapidamente essiccare, meglio ancora previa ebollizione con acqua per ucciderli, poi triturati finamente, estratti con alcool per eliminare clorofilla, lipoidi varii ecc., e fatti di nuovo essic- care: la polvere, così preparata, si addiziona di alcool acidulato, e si scalda in pallone a ricadere per 10-15 minuti; si filtra rapidamente, si spreme il residuo, e al filtrato si aggiungono due volumi d'acqua; dopo 24 ore si filtra, —_ 9098 e il residuo viene raccolto. lavato con acqua acidula per acido acetico, e lasciato essiccare. Il filtrato viene sottoposto a dialisi per 36-48 ore, in capo al quale periodo sì ha una separazione di abbondante deposito ferrì- fero, che viene raccolto, lavato e seccato come il primo composto separatosi ; entrambi vengono lavati con alcool e con etere per esportare i lipoidi fram- misti, poì con acqua bollente, leggermente acidula per acido acetico, fino a che il liquido di lavatura più non dia reazione di cloruri. Si ha così una polvere bruna leggermente violacea, ricca di ferro, ma contenente ancora qualche altro residuo minerale, specialmente quella oltenuta per semplice diluizione e non per dialisi. Tale composto, ridotto con polvere di zinco o di alluminio in tubetto riscaldato, dà nettamente la reazione dei pirroli; scaldato con sodio metal- lico in tubetto di vetro operando come per la reazione di Lassaigne, dà un residuo, che disciolto in acqua, acidificato con acido nitrico, e trattato poi con nitrato di argento, dà la reazione dei cloruri; è solubile in alcool caldo acidificato con HC1, e meglio ancora in piridina. Quest'ultima opera una completa separazione del composto ferrifero dagli altri residui minerali dei quali si è fatto cenno, onde, dopo questa dissoluzione, si può avere un deri- vato organometallico lasciante per residuo solo ossido di ferro. Gli altri solventi organici neutri sono senza azione apprezzabile; è sol- tanto dal Penzcil/lum che, previo il trattamento indicato, sì può separare dalla parte rimanente solubile in piridina una frazione di combinazione ferrifera solubile in etere, in cloroformio, in etere di petrolio. Versando la soluzione piridica in alcool acido per HCl, e scaldato alla ebollizione, si ha una soluzione bruna, che, diluita con acqua, o meglio ancora dializzata, dà di nuovo in parte il composto precedente eminoide. Tra gli altri caratteri di questa combinazione eminoide stanno la solu- bilità in acido acetico glaciale, la insolubilità nei solventi neutri, la colo- razione bruna rossastra delle soluzioni piridiche. Non ho ancora potuto avere tale materiale ben cristallizzato, quantunque per lenta evaporazione della soluzione acetica abbia potuto osservare la se- parazione di laminette brune, splendenti, di aspetto cristallino. Anche questi, come gli altri corpi sopra considerati, dànno con acido picrico delle combinazioni solubilissime nei solventi neutri; e anche questi, per azione della potassa a 200°-240°, si comportano come gli estratti otte- nuti per azione delle soluzioni alcaline sui tessuti vegetali. Così anche la possibilità, per parte delle piante, di dare per trattamento con HCl una combinazione organometallica clorurata avente molti caratteri dell'emina, si è potuta avverare. I risultati migliori li ottenni colle foglie di Pterocarya caucasica e con quelle di Po/ygonum cuspidatum; anche altre piante mi fornirono risul- tati qualitativamente eguali, ma con rendimento minore (tali la crusca di — 293 — frumento, il micelio di Pericillum glaucum, il tallo di Boletus edulis). È da avvertire, infatti, che da specie a specie sì possono avere, per trattamento con alcool e HCI, risultati variabilissimi, in quanto frazioni maggiori o minori di ferro totale possono essere estratte in combinazione eminoide; il rendi-. mento minore l’ottenni colla crusca di frumento e col Boletus edulis. Non potrei ancora affermare se, prolungando l’azione dell'alcool acido. tale rendimento sarà maggiore; è da ritenere che questo vario comporta- mento sia in gran parte in dipendenza dallo stato di combinazione del gruppo cromogeno ferrifero con altri composti organici. È assai probabile che la combinazione del ferro allo stato di nucleoproteide descritta dal Petit sia assai diffusa nelle piante, e che le combinazioni ematoidi da me estratte siano nelle piante in forma di nucleoproteidi, come del resto farebbe pen- sare anche il comportamento cogli alcali. Sarà oggetto di studii ulteriori l'esame di questi diversi stati di com- binazione; ma già le osservazioni che ho potuto fare finora mi permettono di ritenere che essi siano assai svariati. Per esempio il Penzci/lum cede il composto ematoide già per trattamento con acido picrico alcoolico, e già col metodo di Zaleski si ha, sebbene con difficoltà, una combinazione Fe Cl. La crusca di frumento ha pure dato, come si disse, scarso rendimento col metodo dell’ HCl alcoolico, mentre maggiore è quello colle soluzioni alcaline acquose. Del resto anche lo stesso plasma cellulare oppone una resistenza gran- dissima alla fuoruscita dei composti ferruginosi; mentre nei globuli di sangue bastano trattamenti assai semplici per lasciare uscire la combinazione pro- teica del ferro, e per distaccare poi la proteina dal gruppo cromogeno me- tallifero, nelle piante ciò è straordinariamente difficile; p. es.: se col clo- roformio e coll'etere si provoca la fuoruscita del succo cellulare dal lievito di birra o dal Coprinus comatus, o dal Boletus edulis, o dai fiori di Cha- maerops humilis, si vede che solo una piccola parte dei composti di ferro passa nel liquido, mentre la parte maggiore rimane nelle cellule. L'esame di tali questioni formerà oggetto di ricerche ulteriori. Il complesso dei saggi finora eseguiti mi ha condotto alle seguenti con- statazioni : In un gran numero di piante, le più svariate, in modo da far rite- nere il fatto come generale. esistono dei composti di ferro organici, i quali: per la solubilità nelle soluzioni acquose alcaline, per la solubilità in piridina dopo che siano stati staccati dalla molecola proteica, per l' insolu- bilità negli acidi diluiti, per la proprietà di dare dei picrati solubili nei solventi neutri ; per il comportamento sotto l'azione degli alcali acquosi a caldo che staccano il ferro. per la resistenza agli acidi agenti a caldo in soluzione acquosa, e soprattutto per la resistenza all'azione degli alcali a temperatura RENDICONTI. (415, Vol. XXITU 2° Sem, 38 — 294 — anche di 240°, dimostrano di avere il ferro legato alla molecola organica con una stabilità tale che non è stata finora riscontrata che nei composti ematici del sangue; per la proprietà di dare coll’ HCl alcoolico a caldo dei composti con- tenenti ancora ferro, e aventi alcuni caratteri dell’emina, e solo allorchè non abbiano risentito l'azione degli alcali; per i composti pirrolici che da tali combinazioni ferrifere si possono avere, è da ritenerri come assai probabile l’esistenza nelle piante di ‘com- binazioni di ferro chimicamente, e forse anche biologicamente, analoghe a quelle che sono caratteristiche del pigmento del sangue di molti animali. Non è mia intenzione di approfondire molto lo studio della struttura chimica di tali composti, poichè per ciò occorrebbero una cultura e dei mezzi di lavoro che non posseggo; credo riuscirà interessante spiegare il loro va- lore biologico. È possibile che il nucleoproteide ferrifero estratto dall’ orzo da Pictet, che il composto analogo all'ematogene studiato da Stoklasa nella cipolla, che il composto estratto da Tarbouriech e Saget dal Rumex obdtu- sifolius, siano tutti da ascriversi allo stesso corpo o gruppo di corpi ema- toidi da me studiati. L'esame dei caratteri spettroscopici, che per ora si limitano ad un assor- bimento nella zona del giallo e del verde, quello del rapporto N:Fe, che nei prodotti di scissione dei composti ematici è di 4:1, potranno meglio valere a identificare questi corpi ematoidi. Ma è inoltre da stabilire quali variazioni qualitative e quantitative abbiano luogo nei diversi periodi della vita della pianta, p. es.; a foglie verdi e ingiallite; quali relazioni essi abbiano cogli enzimi ossidanti: è noto che la perossidasi dello Sehinus mollis (Schinasi) contiene ferro; è pure noto che Bach ha trovato pirrolo tra i prodotti di scomposizione di alcune perossidasi; si sa anche che l'emoglobina può dare reazioni spiccate di pe- rossidasi, ma non è stabilito se tale proprietà sia insita nel composto stesso, o sia dovuta a sostanze che ne sono difficili a separare; tutto ciò porta a studiare più intimamente il valore del ferro nella fisiologia della respirazione. — 295 — Biologia. — Correlazioni e differenziazioni (Sul Bufo vul- garis). Nota II di GruLIO COoTRONEI ('), presentata dal Socio BATTISTA Grassi (°). Ho formulato in breve nella Nota precedente (*) i quesiti che mi son proposto nel mio studio: nel prosieguo dell'esposizione che io verrò facendo in queste note sintetiche, insieme con i risultati della mia analisi, terrò a far risaltare e a fissare quei dati che credo possano servire di guida e di lume nell'interpretazione dei fenomeni che m' interessano. Nelle recenti ricerche di Stockard (‘) a proposito della localizzazione degli abbozzi oculari, ritorna, sotto una veste moderna e sperimentale, una delle questioni fondamentali della morfologia. Dalle antiche ricerche di Geoffroy Saint-Hilaire (?) può dirsi iniziato il nuovo periodo che nelle mo- struosità vede fenomeni da considerarsi in relazione a perturbamenti dello sviluppo normale. Secondo la dottrina del celebre morfologo, un mostro non è se non un feto sotto le comuni condizioni; ma in cui uno o parecchi organi non hanno partecipato alle trasformazioni che fanno il carattere dell'organiz- zazione (°). Questa dottrina (degli arresti di sviluppo) è stata sperimental- mente sostenuta per varî argomenti studiati. Per ricondurcìi a un esempio concreto, il che mi sembra il modo migliore per delineare un problema, la ciclopia (Stockard) sarebbe la persistenza dell'unico abbozzo primario oculare, mediano. Gli occhi dei vertebrati dunque (nell'ontogenesi) sarebbero dati da un solo abbozzo. (!) Lavoro eseguito nell’ Istituto d’Anatomia comparata alla R. Università di Roma. (*) Presentata nella seduta del 20 giugno 1915. () Rend. Accad. Lincei, vol. XXIV, serie V, 1° sem., pag. 1248. (4) Stockard C. R., An experimental Study of the position of the optic anlage in « Amblystoma punctatum », with a discussion of certain eye defects: American Journal of anatomy, vol. XV, pp. 253-290 (1913). Queste ricerche sono state eseguite con il metodo di asportazione di determinate aree embrionali: dello stesso autore il lettore consulti tutta una serie di ricerche eseguite con soluzioni saline, ricerche che partono dal 1907. (5) Una chiara e lucida esposizione delle idee di Geoffroy Saint-Hilaire il lettore troverà nel recentissimo compendio di E. Rabaud, La tératogenèse: étude des variations de l’organisme, Paris, Doin, 1914. (5) Rabaud, pag. 24. — 296 — Questo concetto si riconduce, a sua volta, alla dottrina di Kupffer (uni- cità degli abbozzi olfattivi) ('). È evidente l’importanza che scaturisce dall'accettare 0 respingere una tale soluzione per lo studio della localizzazione originaria della forma e, quindi, per lo studio delle potenze organiche (*). Certo, a voler distruggere tutta una costruzione scientifica non mi sembra sufficiente il dire che deter- minati fatti sperimentali si possono anche spiegare assumendo una nuova ipotesi. Ma le ricerche di un osservatore così originale e valoroso come lo Stockard (al quale si è associato il Leplat) si ricollegano a problemi fon- damentali; e quindi per lo studioso trascendono dall’importanza limitata ad un determinato organo. Che non si debba concludere per l’unicità dell’abbozzo oculare prescindendo dai risultati di altri organi risulta, secondo lo Spemann, dal considerare gli organi compresi tra gli occhi. Come mai, osserva lo Spemann, i difetti prodotti dallo Stockard si limitano ai territorî compresi tra gli occhi? È ancora da ricordare che Dareste riteneva che la ciclopia fosse un fenomeno di fusione precoce per arresto di sviluppo del territorio olfattivo. Numerosi ricercatori hanno poi ammesso che le malformazioni oculari debbano la loro origine a influenze (diverse e variamente ammesse) esercitate dal sistema nervoso centrale (Rabaud (*), Spemann (‘), Lewis). Come ho già accennato Stockard, aveva osservato tra i suoi reperti altre malformazioni concomitanti; ma evidentemente egli nega un'influenza mor- fogenetica correlativa (causale per la ciclopia). Lo stesso Leplat ha appena accennato come altre malformazioni (acces- sorie dal punto di vista del suo studio) si riscontrino nei ciclopi (confluenza delle fosse nasali e delle ventose; nanismo; imperforazione boccale). Queste stesse anomalie sì riscontrano, secondo l’autore, anche quando non si verifica ciclopia. (*) Va subito ricordato che gli studiosi di embriologia normale (mi riferisco, per il momento, agli Anfibii) sono per lo sviluppo pari degli abbozzi oculari. Eyclesheymer (1895) ha veduto nella ana palustris che l’accenno ottico è duplice e già si distingue nella piastra midollare per essere pigmentato. In quanto alle fossette olfattive, e in generale all’abbozzo olfattivo, il cuncetto di Kuppfer, che partiva da considerazioni filogenetiche (ciclostomi), è ritenuto falso (si consulti il capitolo di K. Peter, in Handduch de; Verg. u. Exper. Entw. d. Wirbeltiere di Oscar Hertwig). (8) In relazione con le ricerche che formano :oggetto di queste esposizioni ho eseguito esperimenti di innesti e di rigenerazioni, il cui esito sarà riferito in seguito. (8) Per le indicazioni bibliografiche sulle ricerche di Rabaud il lettore consulti il recente compendio, sopra ricordato. (4) Speman, Hans, Veder ecperimentell erzeugte Doppelbildungen mit cyclopischem Defekt. Zool. Jahrbiicher. Suppl. VII, 1901; Idem., Zur Entwicklung des Wirbeltie- rauges. Zool. Jahrbiicher. Abt. f. Allgem. Zool. BA XXXII, 1912; Idem., UVeder die Entwicklung des umgedrehter Hirnteile bei Amphibienembrjonem. Zool. Jahrbicher. Supp. XV, Bd IIT, 1912. — 297 — E poi noto che i ciclopi (anche quelli che si producono senza azioni sperimentali) presentano tutta una serie di malformazioni, sulle quali ora io non posso indugiarmi. Questi brevi cenni che precedono servono a far delineare l’importanza che, per le mie ricerche, può risultare dall'associare tutti i varî elementi di studio che scaturiscono dall'organismo considerato come un insieme. Le modificazioni concomitanti, anomalie o mostruosità che si riscontrano. in determinate condizioni. sono tutte ugualmente dovute a una medesima causa, o ad una causa che si manifesta in una determinata azione morfogenetica su altri organi, lasciando quindi osservare un'influenza dominante di un organo nella morfogenesi di determinate regioni ? Dal divenire di una massima modificazione a traverso condizioni minori si può rilevare — almeno è possibile di attenderselo — una relazione causale. Nel seriare i risultati analitici, io comincerò con l’esporre quelli che si riferiscono al Bufo vulgaris. Nella limitazione delle modificazioni organiche che m' interessano, sono la bocca (vestibolo boccale) e le fosse nasali che mostrano le prime devia- zioni dallo sviluppo normale (prescindo dalle ventose). Dal mio quaderno di laboratorio (1914-1915) rilevo che negli esperi- menti con cloruro di litio sul Bu/o vulgaris, gli stadî da prima prevalen- temente adoperati furono quelli a 2 e 4 blastomeri; le soluzioni di cloruro di litio, adoperate per ottenere risultati positivi furono, w/10 e w/12. Il tempo, durante il quale deve agire la soluzione per produrre i suoi effetti, varia in relazione con lo stadio di sviluppo, e, come hanno dimostrato i miei esperimenti dal febbraio ai primi di aprile 1914 e 1915 per il Bu/o vulgaris, in relazione con la temperatura e, naturalmente, con il grado di concentrazione. La temperatura agisce in modo duplice: accelera per determinato aumento lo sviluppo embrionale, e quindi fa che il sale in soluzione agisca sui stadii più inoltrati; inoltre la variazione di temperatura modifica la dissociazione elettrolitica. Le modificazioni morfologiche più lievi da me riscontrate sono rappre- sentate dall’avvicinarsi delle fosse nasali; ho ottenuto un esemplare molto interessante, nel quale le narici sono addirittura diventate attigue con un semplice accenno di sbocco comune. In questi casi la bocca (vestibolo boccale) non presenta modificazioni (almeno apprezzabili). Seriando i risultati secondo il grado maggiore di complicazione negli altri reperti che vengono ora descritti (figg. 1 a 6), notiamo che, insieme con la fusione delle narici e con il procedere della fusione delle fosse nasali, — 298 — sì assiste a una modificazione nelle direzioni di accrescimento nella regione vestibolo-boccale [Vestibule buccal di Van Bambeke (1889) e di K. Keiffer 1889; Mundbucht di Goette; Rissel di Fr. Schulze (1)]. Una prima modificazione si riferisce allo spostamento dell'apertura boccale che migra dalla parte ventrale in avanti; poi anche verso l'alto, contemporaneamente e in relazione con questi processi si scorge che l’'aper- tura boccale tende a dirigersi in senso prevalente dorso-ventrale. La fig. 1 mostra una fase di questo processo ; la narice (in alto della figura) e già unica. Le figure 1 e 6 sono ingrandite circa 10 volte e disegnate con l’ausilio del micro- scopio biloculare di Zeiss; le figg. 1 e 5 si riferiscono a larve conservate in alcool; la fig. 6 a larva ancora viva. Nelle figure sono riprodotte soltanto la bocca (vestibolo) e la narice, (in alto), mediana. Le figure 2 e 3, riferentisi ad altri esemplari, mostrano come le labbra tendono a chiudersi sulla linea mediana. La fig. 4 mostra la riduzione della regione vestibulo-boccale, e nello stesso tempo lo spostamento in alto e in avanti. Questo processo conduce alla produzione di bocche a proboscide. Ho ottenuto nel Bufo vulgaris reperti nei quali questo fatto è molto accentuato (assai più che non i falti accennati da Stockard nei pesci). La fig. 5, nello stesso tempo che mostra i fenomeni di riduzione del reperto precedente, per altro conduce a quello seguente. La fig. 6 si riferisce a un reperto molto interes- sante che merita qualche maggiore cenno descrittivo e ciò servirà anche a meglio illustrare i reperti precedenti. È stata designata da un esemplare ancora vivente il 30 marzo: questa larva proveniva da un lotto di uova (*) Per la terminologia e per lo studio normale il lettore consulti il fondamentale lavoro di C. van Bambeke e Héron-Royer: Le vestibule de la bouche chez les tétards des Batracien anoures d'Europe, Archive de biologie, tome IX, pag. 185. — 299 — deposte in un acquario del laboratorio il 1° marzo e trattate allo stadio di 2 blastomeri con una soluzione di cloruro di litio 72/12 per un tempo durato dal giorno 1° marzo (ore 143) al giorno 4 marzo (ore 14). Va notato che in questo esperimento la mortalità è stata forte; s'è sviluppato meno d'un quinto delle uova trattate, ed io credo attribuirlo alla lunga durata dell'esperimento; ciò serve anche a dimostrare il grado dif- ferente di resistenza delle uova alle azioni nocive. L'interesse, per me grande, che presenta questo reperto ('), sta nel mostrare uno dei gradi del divenire di processi che già si delineavano nei reperti prima accennati. È evidente uno spiccato spostamento dal basso in alto, e in avanti, degli abbozzi del vestibolo boccale; questo spostamento si accompagna alla variazione di determinate forze che agiscono nello sviluppo della forma normale e che stabiliscono determinate direzioni d'accrescimento, poichè ne risulta come affermarsi di un processo ulteriore, nel caso in esame la formazione di una parziale chiusura nel territorio che darebbe il labbro superiore con la conseguente formazione (pseudo-formazione) di un piccolo vestibolo (morfologicamente la parola non è esatta in questo caso), mentre a sua volta la parte che corrisponde al labbro inferiore si chiude, parzial- mente formando un altro piccolo vestibolo boccale, e la piccola cavità che lo forma mostra nell'interno altre formazioni boccali (vero vestibolo) Il reperto che abbiamo riferito ci fa scorgere un caso di accenno di doppia formazione nello sviluppo primario, in cui le due parti (piccoli vestiboli) non sono simili; tuttavia la produzione morfologica descritta non cessa, per questo, di essere meno importante, in quanto questo processo di eteromorfosi (non rigenerativo) ci conduce a pensare che non si tratti soltanto di arresti di sviluppo nella regione in esame (questo fatto da solo non avrebbe cer- tamente condotto ai reperti dianzi descritti), ma che sono intervenute forze tali da indurre gli abbozzi embrionali a dirigersi in modo da condurre a una profonda variazione della forma. Ecco quindi che con questa Nota abbiamo esposto alcuni fatti che ci lasciano scorgere più intimamente il problema fondamentale del nostro studio. Per la valutazione esatta dei reperti riferiti aggiungo che quando accenno a chiusura che si manifesti nella regione vestibolare, il lettore non deve pensare a un reale fenomeno di saldatura, ma bensì a una persistente (‘) Credo interessante ricordare che sono riuscito a riottenere questo risultato speri- mentale in condizioni alquanto differenti: da un lotto di uova di Bufo vulgaris (6 aprile 1915) con tappo vitellino ridotto e trattato con una soluzione di Cloruro di litio m/10 per 20 ore. L’avere ottenuto lo stesso reperto in condizioni di tempo così differente mi dimostra. con un caso concreto l'influenza che hanno lo stadio e la temperatura in relazione col tempo d’esperimento (come accennavo più sù). — 300 — chiusura in parti che nello sviluppo normale si comporterebbe in modo molto differente. In tutti i reperti che possono essere compresi tra quelli rappresentati dalla fig. 1 alla fig. 6 e in cui si riscontrano evidenti modificazioni spaziali, le formazioni boccali non possono essere adatte alla funzione nutritiva. Meccanica. — Sulla forma della traiettoria nel problema dei due corpi di masse crescenti, e sulle sue applicazioni per una possibile spiegazione della grande eccentricità di Marte. Nota di G. ARMELLINI, presentata dal Socio T. Levi CIVITA (?). 1. — In una mia Memoria (*), apparsa da poco tempo, ho studiato il problema dei due corpi di masse variabili. Nel caso speciale, però, in cui le masse siano crescenti, è possibile di esaminare più da vicino le particolarità del moto e formarsi anche un'idea sulla forma della traiettoria. Siccome questo caso ha grande importanza per il sistema planetario, dedico ad esso la presente Nota, che potrà servire come appendice alla Memoria citata. Poichè come è evidente, il movimento ha luogo in un piano, sceglie- remo, al solito, uno dei corpi O come origine e determineremo la posizione dell'altro A, per mezzo delle sue coordinate polari 7,4. Chiamando con M(t) la somma delle masse di A ed O, e prendendo le unità di misura :n modo che tanto il coefficiente attrattivo 7 quanto la costante delle aree ce (c-+ 0) si riducano uguali ad 1, partiamo dall’equazione (53) della mia Memoria: i 1 d x ù = — 0089 + (e) sen 4 + sen sf M() cos 3 dd — S — cos #f M(%) send dd, () 1 La 1 dove — e {-— sono i valori di — e della sua derivata per 9=0. d3 ]o 1 La (1) diviene, come è chiaro, approssimata, se al posto di M(t) si sostituisce la sua espressione approssimata in 9, ciò che è stato fatto nella Memoria; mentre è matematicamente rigorosa, posta sotto la forma qui scritta. Le quadrature, è vero, non sono più eseguibili; ma, per le ipotesi fatte scan EE : su M(t), il primo membro = risu'terà certamente finito per ogni valore (') Pervenuta all'Accademia il 19 settembre 1915. (*) /l problema dei due corpi di masse variabili, Memoria di G. Armellini (in Mem, Società italiana delle Scienze detta dei XL, ser #2, tomo XIX}. — 301 — finito di 4. Ne risulta, come prima conseguenza, che él corpo A non può urtare l’altro corpo O, se non dopo aver compiuto, intorno ad esso, un numero infinito di rivoluzioni (*). Ciò che del resto poteva anche dedursi dal teorema II della mia Memoria e dall’integrale delle aree dd (2 pi glé La (2) anzi ci mostra che 4 è funzione crescente di 4; e poichè, per ipotesi, M(:) è funzione crescente di #, ne deduciamo che essa è anche funzione cre- scente di 4. Ne segue che, essendo K un intero positivo qualsiasi, avremo (3) ("Mo sen9 dI < 0. 0 2. Teorema I. — Za traiettoria non può mai passare due volte per uno stesso punto del suo piano (*). Infatti, se, per 9=d,, stha r=7r,, e se, dopo un certo tempo, 3 assume il valore 3, + 2Ka, r avrà in quell’istante un valore minore di ri (*). Dimostraz. — Senza togliere nulla alla generalità della questione, possiamo assumere l’asse polare in modo che sia 9,= 0. Indicando allora con rs il valore di 7 per &= 9, + 2Ka=2Kr, dalla (I) e dalla (3) avremo 1 1 2KRT (4) — — -=— M({)sengdd>0, UO (A 0 da cui (5) Paine Oh eloot (') Supponiamo naturalmente che la costante delle aree sia diversa da zero. (?) Nel caso generale in cui M(t) non è crescente, il teorema non sussiste più. Si dimostra allora, però, che, se M(t1) = M(ts) e se negli istanti £, e ta, A passa per uno stesso punto P del piano, i due rami della traiettoria non possono avere in P un contatto superiore al 1° ordine (teorema III della mia Memoria). (8) La presente dimostrazione prescinde da ogni ipotesi sulla forma della traiettoria, ed è quindi valida in ogni caso. Supponiamo però di sapere a priori che in un caso particolare l'orbita ammetta un perielio od afelio; vale allora un teorema recentemente dato dal prof. Pizzetti (Sul problema dei due corpi di masse variabili, Nota del Socio P. Pizzetti, questi Ren= diconti, luglio 1915) il quale dimostra che, per uno stesso valore positivo di #, il raggio vettore è più piccolo del valore che esso avrebbe nel moto kepleriano. Potevamo, anzi, Yconsiderare il teorema I come caso particolare del bel teorema del Pizzetti; ma abbiamo dato una nuova dimostrazione, giacchè altrimenti sarebbero sfuggite, alle nostre con- ; DONE ; PNE ddr siderazioni, alcune orbite a forma di spirale per cui il 18 può essere, p. es., sempre negativo. Colgo l'occasione per ringraziare caldamente il chino prof. Pizzetti delle lusin- ghiere parole che egli ha avuto nella sua importante Nota per i miei lavori. RenpIcoONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 39 — 302 — Osservaz. I. — Da questo teorema non si potrebbe dedurre, che l'orbita di A sia una spirale avvolta intorno all'origine 0, giacchè noi non sappiamo se il corpo A compie, effettivamente, delle rivoluzioni complete intorno ad O. Supponiamo, però, che in un caso particolare si sia giunti a dimostrare che, da un certo istante in poi, 7 resta sempre minore di una quantità L finita e ben determinata, benchè incognita. Dall’integrale delle aree (2) potremo concludere che A compie un'infinità di rivoluzioni intorno ad O. La sua traiettoria avrà allora, per il teorema I, la forma di una spirale, di cui ogni spira è interna alla spira precedente. Un caso impor- tantissimo, in cui ha luogo questo fatto, si ha quando la differenza iniziale tra la forza viva e la funzione delle forze è nulla o negativa (teorema IX della mia Memoria), cioè nel caso nei pianeti e delle comete paraboliche. Osservaz. II. — Supponiamo di essere riusciti a dimostrare che 7 tende all'infinito insieme con £#. Se ne dedurrà che A_ ron può compiere alcuna rivoluzione completa intorno ad 0. Teorema II. — L'angolo compreso tra un perielio e l’afelio suc- cessivo (supposto che esistano) è sempre minore di due retti. Dimostraz. — Cominciamo ad osservare che, avendo supposto l’esi- stenza di un afelio, 7 ammetterà, per tutti i tempi successivi, un limite su- periore finito L (teorema V della Memoria). Il corpo A compirà dunque infinite rivoluzioni intorno ad O. Ciò posto, dalla (2) abbiamo: gi (6) 3 =— = dd r° dd dt r? dd dt Immaginiamo (ciò che non toglie nulla alla generalità della questione) ehe A passi al perielio per d=0. L'equazione (1) ci dà allora, tenendo presente la (6), dr sen d È) Di (7) ar ====1008 sf M() cos 3 dd — sen 9f M()sen3 dd, dt Po È ° da cui risulta che il > è negativo per 9 = 7. D'altra parte la derivata To è funzione continua di 4, ed è positiva per 4 positivo e sufficientemente piccolo, avendosi un perielio per += 0. Se ne conclude che, nell'intervallo 0LI a, giacchè allora Marte era più vicino alla zona degli asteroidi. Ma allora il coseno dell'anomalia eccentrica è negativo: queste pioggie, quindi, hanno aumentato l'eccentricità di Marte. Osserviamo ancora che ia materia che andava cadendo su Marte appar- teneva, in ogni istante, a quella parte dell'anello più vicino al pianeta, cioè a quella parte la cui attrazione si opponeva in ogni istante all'attra- zione solare. L'effetto sarà quindi maggiore: precisamente come se queste pioggie fossero state molto più forti. Tutto ciò spiega forse in modo assai semplice la grande eccentricità di Marte. Si può supporre che, allo stato iniziale, esso avesse presso a poco la stessa eccentricità degli altri pianeti; in seguito, per le ragioni ora dette, questa aumentò notevolmente (*). (1) Analogamente si potrebbe spiegare la grande eccentricità di Mercurio ammet- tendo l’esistenza di un anello di materia cosmica (ora scomparso) tra Mercurio e Venere. Ma per Mercurio data la sua vicinanza al Sole, si può anche ricorrere all'ipotesi delle maree, le quali secondo il Darwin possono aumentare l’eccentricità di un'orbita. — 307 — Matematica. — Sulle superficie algebriche contenenti infinite coniche. Nota I di EucenIO G. TOGLIATTI, presentata dal Socio C. SEGRE ('). Tra le superficie algebriche contenenti sistemi infiniti di curve algebriche di tipo particolare, le più interessanti, dopo le rigate, sono certo quelle che posseggono infinite coniche. Si sa che le superficie di 4° ordine luoghi di coniche furono determi- nate da Kummer (*). Quelle di 5° ordine sono pure conosciute (almeno nei tipi principali): le razionali già da tempo (*); le irrazionali per due lavori recenti del De-Franchis ed uno mio (4). Nelle Note presenti espongo i risultati a cui sono pervenuto cercando i tipi proiettivamente distinti di superficie di 6° ordine luoghi di coniche (gli sviluppi relativi si troveranno in un'apposita Memoria). Per raggiungere questo scopo riconobbi conveniente prescindere anzitutto dal valore partico- lare dell'ordine della superticie, per stabilire alcune proprietà comuni a tutte le superficie algebriche luoghi di coniche. I teoremi così ottenuti, mentre permettono di ritrovare assai facilmente i risultati relativi ai valori 4 e 5 dell'ordine della superficie, si applicano bene a superticie di 6° ordine, e si potrebbero anche applicare a superficie di ordine > 6: le trattazioni a cui si arriva sono sempre uniformi, per quanto le difficoltà pratiche vadano allora notevolmente crescendo. 1. Escluse le rigate e la superficie romana di Steiner (*), se una super- ficie algebrica irriducibile d'ordine 7, che indicheremo brevemente con F”, (1) Pervenuta all'Accademia il 2 settembre 1915. (*) Kummer, ZVeder die Flichen vierten Grades, auf welchen Schaaren von Kegel- schnitten liegen, Crelle, 64 (1865), pp. 66-76. (*) Oltre le F9 con retta tripla, si hanno infatti la FS con C* doppia di 1° specie [Clebsch, Veder die Abbildung einer Classe von Flichen 5. Ordnung, Abhand]. Gesell. Gottingen, 15 (1870), pp. 2-64], e la FS con C* doppia e punto triplo su questa [Caporali, Sulla superficie del quinto ordine dotata d'una curva doppia del quinto ordine, Ann. di matem., (2) 7 (1875), pp. 149-188]. (*) De Franchis, Ze superficie. più volte irregolari, di 5° ordine con punti tripli, questi Rendiconti, (5) 15: (1906), pp. 217-222; id., Ze superficie irrazionali di 5° ordine con infinite coniche, id., pp. 284-286; Togliatti, Sulle superficie algebriche, del 5° or- dine, irriducibili, con un fascio ellittico di coniche, questi Rendiconti, (5) 21s (1912), pp. 35-37. Pure alle F5 luoghi di coniche è dedicato (in parte) un lavoro recente del Marletta, Sulle superficie algebriche con infinite coniche, e, in particolare, su quelle di ordine 5, Atti Accad. Gioenia, (5) 8 (1915), Mem. XIV. (5) Questa restrizione è essenziale per il sèguito. — 308 — contiene infinite coniche, queste si distribuiscono in uno o più fasci. Se la F" contiene più fasci di coniche (almeno due), questi sono tutti razionali, ed anche la superficie è razionale; se la F” contiene un sol fascio di coniche, il cui genere indicheremo con p, essa sì può riferire birazionalmente ad un cono di genere p. Oltre al genere p di un fascio di coniche, T, giacente su una F”, vi sono da considerare altri caratteri, e cioè: la classe a della sviluppabile formata dai piani delle coniche (la F” si suppone ora immersa in uno spazio S3); il numero s delle coniche di T giacenti in ciascun piano della sviluppabile; il genere 7 delle sezioni piane generiche della F. Tra i ca-. ratteri m,p,&,s,7v intercedono delle relazioni. Anzitutto, considerando l’involuzione I di 2° grado e genere p che le coniche di T segano sulla sezione piana generica C di F”, e cercando le coppie di I che stanno su rette uscenti da un punto generico del piano di C ('), sì trova che (1) an=m42p—-as—-k— 1, dove % è il numero delle coniche di T ridotte ad una retta da contar due volte e che, per di più, sia doppia (almeno) per la F”. Esaminando poi il gruppo dei punti doppî della I (il cui numero è dato dalla formola di Zeuthen), si trova che esso si compone sempre almeno di 4 punti, onde (2) 1a1=>2p+1. Essendo 7 < } (m—-1)(m— 2), di qui risulta (3) p=B|jmm-3) |. dove il simbolo E indica « parte intera ». Infine, dal confronto delle (1), (2), si ricava per il numero, as, delle coniche del fascio il cui piano passa per un punto generico dello spazio la limitazione (4) os=im- 2h 2. I teoremi precedenti bastano già per compiere, una volta fissato il valore di m, uno schema dei tipi possibili di F* luoghi di coniche. (1) Castelnuovo, Alcune osservazioni sopra le serie irrazionali di gruppi di punti appartenenti ad una curva algebrica, questi Rendiconti, (4) 7a (1891), pp. 294-299, $ 1; Segre, /ntroduzione alla geometria sopra un ente algebrico semplicemente infinito, Ann. di matem., (2) 22 (1894), pp. 41-142, n. 53. — 309 — Si osservi perciò che il piano della conica generica del fascio T sega ancora F” in una linea y d'ordine # — 2, irriducibile o spezzata, ma che non può contenere alcuna componente rettilinea variabile col piano della conica considerata. Ad es., per m=4 quella linea può essere una conica irriducibile (dello stesso fascio di quella di prima, oppur no), oppure una retta fissa da contar due volte, che sarà doppia per la F4; per m=5 la linea y può essere una C* irriducibile, oppure si può comporre di una conica (del fascio T) e di una retta fissa, oppure di una retta fissa da contar tre volte che sarà tripla per la F°. Infine, per m=6 la linea y può essere una C* irriducibile, oppure può comporsi d’una conica di T e di una retta doppia della F5, o di una retta quadrupla della F°, o di due coniche. E così via, per valori di m > 6. Quando la linea y ha una componente irriducibile di ordine >2 (od anche di 2° ordine, purchè si tratti allora di una conica non appartenente al fascio T), questa è incontrata da ogni conica di T in un punto variabile od in due; nel secondo caso si ha da considerare su di essa un'involuzione di coppie di punti che si può facilmente studiare. È quindi chiaro che si possono sempre trovare, per ogni forma della curva y, i valori possibili di e e di s: bisognerà perciò valersi anche della (4). Dando poi al genere p di T i valori che può assumere, in base alla (3), la (1) permette di cal- colare 77 in funzione di £. La via qui sommariamente indicata conduce a riconoscere possibili varî tipi di superficie, per ciascuno dei quali si avranno i valori di p,7r,@,8,%. 3. Rimane da discutere l’esistenza effettiva di tutte queste superficie. Per ciò torna comodo ricorrere al sistema lineare aggiunto a quello delle sezioni piane di F". Se 7>1, un tal sistema, che è segato su F” (fuori delle linee multiple) dalle superficie aggiunte d’ordine m — 3, esiste, ed è composto col fascio T di coniche ('): le sue curve coincidono cioè coi gruppi di una serie lineare 97? sopra T, Ciò permette di costruire la F” con un riferimento algebrico tra i piani d'una sviluppabile di classe @, e di tipo noto, e le F"-* aggiunte di: un fascio. Nel maggior numero dei casi si può scegliere questo fascio in guisa che i suoi elementi contengano tutti una componente fissa, il che sem- plifica la costruzione; ad es., per m = 6, se le coniche di T stanno a coppie nei piani di un fascio, le F* aggiunte costrette a contenere due coniche complanari di T hanno tutte come parte il piano delle due coniche, e perciò (in generale) consentono di sostituire, nella costruzione della F°, un fascio di quadriche al fascio di F*, ecc. E sarà pure facile scrivere l'equazione della superficie costruita; dopo di che il suo studio ulteriore non presenta più difficoltà essenziali. (') Enriques, Introduzione alla geometria sopra le superficie algebriche, Mem. Soc. it. delle Se. (dei XL), (8) 10 (1896), pp. 1-81, n. 30. RenpiconTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 40 — 310 — 4. Il procedimento ora esposto cade in difetto quando 77 = 1, mancando allora il sistema aggiunto a quello delle sezioni piane. Si osservi però che le superficie con sezioni piane di genere 1 sono note, e sono razionali o rigate; escludendo le rigate ellittiche, una F" con sezioni piane di genere 1 è proiezione d'una F” di S, (m < 9), razionale, di cui è nota la rappre- sentazione sul piano, e che (per #m < 8) contiene sempre uno o più fasci di coniche; anzi, in questo gruppo rientrano tutte le F# con più fasci di coniche, come ora diremo brevemente. Quando per ogni punto d’una superficie passano due o più coniche gia- centi su di essa, la superficie contiene due o più fasci di coniche, oppure un sistema co! di coniche di indice > 1, È noto che tali superficie erano già state determinate dal Koenigs ('), con procedimenti che si possono però notevolmente semplificare. Infatti la sezione piana generica d'una superficie con più fasci di coniche (necessariamente tutti razionali) contiene più serie lineari 93, e quindi è di genere 0 od 1; mentre una superficie con un si- stema co! di coniche di indice >1 possiede sempre un sistema lineare di coniche (almeno 00°) che contiene il precedente (*), che ha lo stesso suo grado d, e quindi la dimensione d + 1 (*). Perciò la superficie contiene sempre una rete omaloidica di coniche; che permette di rappresentarla sul piano con un sistema lineare di coniche, per modo che le sezioni piane risultano ancora razionali. Ricorrendo allora ai noti teoremi sulla riduzione all'ordine minimo dei sistemi lineari di curve piane di genere 0 od 1 (*), sì trova che le sole superficie normali per ogni punto delle quali passino due o più coniche sono le quadriche, la rigata cubica di S,, la superficie del Veronese, la F* di Ss rappresentata sul piano dal sistema lineare di tutte le C*4 con due punti base doppî distinti e le F” di S, sue proiezioni. Escludendo dunque le rigate e la superficie di Steiner, le F* con più fasci di coniche (o, più generalmente, le F” luoghi di coniche con sezioni piane di genere 1) sono determinabili come proiezioni di una F” di Sm, con mz=8. 5. La dimensione dello spazio normale per una F” luogo di coniche è facilmente determinabile nel caso di superficie razionali e vale n—z+41; per superficie irrazionali poco si può dire, in generale, oltre ciò che è dato (') Koenigs, Détermination de toutes les surfaces plusieurs fois engendrées par des coniques, Ann. éc. norm., (3) 5 (1888), pp. 177-192. (?) Castelnuovo ed Enriques, Sopra alcune questioni fondamentali nella teoria delle superficie algebriche, Ann. di matem., (3) 6 (1901), pp. 165-225, n. 17. (3) Segre, Sui sistemi lineari di curve piane algebriche di genere p, Rendiconti Palermo, 1 (1887), pp. 217-221. (4) Per questi teoremi si veda ad es. Ferretti, Sulla riduzione all'ordine minimo dei sistemi lineari di curve piane irriducibili di genere p; in particolare per i valori > 0,1,2 del genere, Rend. Palermo, 16 (1902), pp. 236-279, teoremi VII e X. — 311 — dal teorema Riemann-Roch per superficie qualsiasi ('). E cioè quella dimen- sione risulta > m—z—p+1; come caso speciale, la F” è normale in Sz se le aggiunte d'ordine m — 4 della sezione piana generica formano un sistema lineare regolare. Così una F* irrazionale, luogo di coniche, è sempre normale in S3; e lo stesso accade per una F° irrazionale luogo di coniche, finchè il genere della sua sezione piana generica è > 5. (*) Severi. Sul teorema di Riemann-Roch e sulle serie continue di curve apparte nenti ad una superficie algebrica, Atti Accad. Torino, 40 (1904-1905), pp. 766 776. E. M. etto nsy cio sa : x, i : pe, o dipana 6 do e DAI EVIICIDIUE Drais Lai RIGO e RIE RO RI PT TR > 5 ST Rit ri sr Dea Mae RO ( et RArasdiotatina cente A0i Alreo eee = ‘ | Pena. i, 3 tam Gre ni 153 £ Gi See }i : i y A È È Pr SIIT 8) DI, Ii < ( pete SOR * ‘ Reprgia - Att dell Lia sonia ni Nuovi Lincei Tomo I- XXIII È Atti della Reale Accademia dei Dt Tomo XXIV-KXVI.. | - (1875. 10) Parto [tI TRANSONTI. si RD I MEMORIE. della Classe di scienze Asiche, LIPAE Ss na SS _ matematiche e naturali. AS Seu Se 98 MeworiE della Classe di scienze morali, w i i storiche e filologiche. Val. IV. Y. VI. VII VII. Rag I TRANSUNTI. Vol. IVI (sro: 84). dia ca. della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. i ov0k Le (152): Sul (1, 2). — II-XIX. Mr ORIE sflla | Classe di scienze morali, storiche e Alologiche. i ol. I XIIL DIS: dt e naturali. , storiche e fiologrona; R pICONTI della Classe SR scienze Asiche, matematiche e naturali. vat Viol 1-XXIV. (1892- 1915). Fasc. 6°. Sem. 2°. ONTI della. Classe di scienze morali, storiche e filologiche ol. I-XXIV. (1892- 1915). Fasc. 3-4. EMORIE della’ Classe di scienze. ‘fiale, matematiche e naturali. Vol. 1-XI. Fasc. dui , Minore della. Classe di scienze morali, storiche € flologiche. Ma TXIL i RENDICONTI — Settembre 1915. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie, sino al 19 settembre 1915. Bianchi. Sopra una classe di sistemi nPli ortogonali. . . . . ; E RIGRARA Pizzetti. Aggiunta alla Nota « Sul problema dei due corpi nel caso di masse variabili E RAMRERSI TC) Artini. Sulla forma cristallina del trinitrotoluolo @ . . SEL) Scorza. Le varietà algebriche con indice di singolarità massimo SIA dal coni Castel- NUOVO) |. . NT aUAL, eat, Manasse. Ilvaite x altri OE di Boyle Niedda nell dano (arden) (e Co. Corrisp. Milosertich i) Ao: È È ERE ORE, Gola. Sulla presenza, nelle piante, di Sodi eat di fs a dal S ocio o Maetirato) n Cotronei. Correlazioni e differenziazioni (Sul Bufo vulgaris) (pres. dal Socio Grasst) . . » Armellini. Sulla forma della traiettoria nel problema dei due corpi di masse crescenti, e sulle sue applicazioni per una possibile spiegazione della grande eccentricità di Marte (pres. dal Socio Levi-Civita). . . . pia po Togliatti. Sulle superficie algebriche ni ue Coco RO da Bacio Segr) 0) 261 272 274 279 285 289 295 300: 307 E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. Abbonamento postale. PR 5 SRI GL CRT 1 en Pubblicazione bimensile. - Roma 21 ottobre 1915. SE FI DELLA N. ‘4. REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXII. 1915 Ssriebo E Rif QU ZEN: A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. " Volume XXIV®°. — Fascicolo 7° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all'Accademia durante le ferie sino al 3 ottobre 4915. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo) ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1915 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: i 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon= denti non possono ‘oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. QUIS 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro: posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casì, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si ayyerte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. Aa 5. L'Accademia dè gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50se estranei. La spesa di un numero di copie in più - che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’Accademia durante le ferie del 1915. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d’arrivo). ratava Astronomia. — Sulla precisione delle osservazioni eseguite col Piccolo Meridiano di Bamberg desunta dal Catalogo stellare di Arcetri. Nota del Corrisp. A. ABETTI ('). Il prof. Viaro ha pubblicato nelle Memorie dell'Istituto Veneto (?) il suo catalogo di 1645 stelle, frutto della sua solerte applicazione astronomica in Arcetri fino al principio dell'anno 1914. Non tocca a me dire del libro, ma non posso tacerne del tutto chiamando in causa l'istrumento impiegato, il Piccolo Meridiano di Bamberg, che riuscì a dare risultati paragonabili a quelli ricavati con strumenti più poderosi del classico tipo a cannocchiale diritto. Questo fatto è di somma importanza per l'osservatorio di Arcetri perchè di fronte ad esso corre il pensiero sulla convenienza di preferire un Gran Meridiano di tipo identico al piccolo che diremo B, anzichè al tipo consueto che diremo R, alludendo ai Repsold con cannocchiali diritti che odiernamente tengono il primato. Il tipo B deve la sua origine al mio pen- siero, confortato dall'autorità del mio maestro il Lorenzoni, di far applicare, nel 1894, da Bambersg al suo classico strumento di passaggi, portato all’aper- tura di mm. 89, un buon cerchio diviso, leggibile con due microscopî (*). La diversità di B rispetto ad R, a pari apertura obiettiva, consiste nel cannoc- chiale spezzato che concede una rapidissima inversione insieme ai due mi- (!) Pervenuta all'Accademia il 2 ottobre 1915. (?) Vol. XXVIII. Vedi anche il fasc. 33 delle Pubbl. di Arcetri a pag. 5. (3) Cfr. Pubbl. di Arcetri, fasc. 7. RenpIcoONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 41 — 314 — croscopî che si trovano situati accanto all’oculare. E per ciò un solo operatore, ritto sempre della persona, fa tutto da sè con celerità, sicurezza, ed oso aggiungere con soddisfazione. Il tipo R esige due operatori, uno all’oculare, l’altro ai microscopî, massimamente poi quando si tratta di stelle prossime allo zenit. Il catalogo di Arcetri, oggi, prova che lo strumento impiegato riuscì a dare risultati paragonabili a quelli dei più celebri cataloghi elaborati con forze più poderose. Pertanto io sono giunto a concludere che un tipo B col massimo obiettivo di cui è capace la sua struttura, servirebbe ottimamente per l’osser- vazione a campo illuminato di tutte le stelle della Bonner Durchmusterung (BD), boreale ed australe, fino alla 10* grandezza. E nelle stelle più piccole di BD si contengono tanti vergini programmi di osservazioni utilissime e neces- sarie che terrebbero impegnati parecchi strumenti B per un notevole periodo di anni. Siccome il Piccolo Meridiano fu ideato bastevole per le stelle di 82 in 9* grandezza ('). esso, così come sta, è insufficiente per quelle dalla 9* alla 10* che è il campo da mietere; quindi io penso che pur restando esso in servizio utilissimo per il tempo, per le stelle di confronto agli equato- riali e per i problemi geodetici, un suo maggior fratello sarebbe ottimamente impiegato, per la formazione di cataloghi di piccole stelle, nel nostro superbo salone meridiano, che è pronto del tutto per riceverlo su base cospicua. Preferendo la costruzione B alla R io mi lusingo di poter eseguirla e dirigerla in Italia, siccome feci col grande e col piccolo Equatoriale, e per- tanto riuscirei ad avere un notevole risparmio di spesa sulla somma ormai garantita all'Osservatorio per l'acquisto del Gran Meridiano. E nel mentre che questo maggior tipo B, dedicato, siccome dissi, ai cataloghi di piccole stelle, soddisferebbe pienamente l'astronomia di posizione, per la quale fu costruita la gran sala meridiana, il risparmio potrebbe costituire il primo fondo per uno sviluppo pratico in Arcetri anche dell’Astrofisica. Ma riman- dando ad un prossimo futuro, lo studio dei dettagli che si riferiscono ai disegni, alle spese, ed all’intesa colla Facoltà e colla Soprintendenza del- l'Istituto di Studî Superiori da cui l'Osservatorio di Arcetri dipende, passo ora a produrre la prova della bontà del Piccolo Meridiano di Bamberg. ta Il prof. Viaro dà a pag. x1x della Introduzione al suo catalogo i se- guenti valori dell'errore probabile di una osservazione: Ea = =2108032 ss = © 0".56 ma siccome ogni posizione catalogata è stata conclusa con quattro osserva- (1) Bastando così nel 1894, a me solo, nel primo impianto dell’Osservatorio. Cfr. il luogo citato Pubbl. di Arcetri, fase. 7. — 315 — zioni (') i suoi errori si deducono dai soprascritti mediante la divisione per J/4, e quindi abbiamo: in a © 05.016 in dt-0”.28. Questo risultato concorda pienamente con quello esibito da Lewis Boss nel suo catalogo equatoriale AG A/0any a pag. (16); catalogo ottenuto con uno strumento a cannocchiale diritto assai più poderoso (?). Tuttavia nel- l'uno e nell'altro caso questi errori, che in arco tornano, tanto per l’una quanto per l’altra delle due coordinate, fino a Sui) esprimono soltanto il carattere di buona concordanza delle osservazioni tra loro, ma non dicono quanto le posizioni catalogate concordano con posizioni tipo, cioè coi capisaldi della nostra astronomia di posizione, che sono il risultato di una lunga e larga elaborazione, ormai secolare, da Bradley a noi. Se il confronto fra posizioni nostre attuali e posizioni tipiche portasse a concludere una differenza media complessiva dell'ordine suddetto potremmo accontentarci. Questo si veritica per il catalogo di Arcetri e nel con- fronto ivi fatto, a pag. 135, per 287 stelle comuni col recentissimo catalogo fondamentale generale PGC (*) concluso dallo stesso Lewis Boss, per 6188 stelle scelte da lui, adottando le posizioni di 80 cataloghi che contengono osservazioni ripetute per un secolo e mezzo dal 1755 al 1906, abbiamo quanto ci occorre pel nostro scopo. Anzitutto riassumiamo sinotticamente quel confronto Boss PGC- Arcetri. Perciò riuniamo le differenze contenute nel quadro di Viaro in 29 gruppi di dieci valori ciascuno (4) e componiamo le tre prime colonne della tabella qui sotto, poscia nelle due colonne seguenti facciamo i quadrati delle cifre significative, e per ultimo scriviamo a pie' di esse le somme [44] nel loro vero ordine decimale. (') Salva qualche eccezione; e furono simmetriche rispetto al piano meridiano, cioè due col cerchio all’ovest e due col cerchio all’est. (3) Cioè con obbiettivo di mm. 203 con amplificazicue 180, mentre il nostro PM è di mm. 89 con amplificazione 44. (*) Preliminary General Catalogue of 6188 Stars for the Epoch 1900, including those visible to the naked eye and other well-determined Stars, prepared at the Dudley Observatory, Albany N. Y. by Lewis Boss. Published by the Carnegie Institution of Washington, 1910. (4) Meno l’ultimo di sette, ma a cui possiamo, per semplicità, impunemente attri- buire il peso dieci senza timore di alterazione finale. — 316 — Boss PGC- Arcetri. ARC da 40 QUADRATI 9 a 64 + 0.012 + 019 144 861 68 » 117 + 0.001 40.91 1 441 127 » 208 — 0.015 + 0.14 225 196 212 » 252 + 0.016 0.00 256 0 259 » 288 — 0.002 + 0.07 4 49 2901 » 325 + 0.004 12024 16 576 380 » 860 — 0.023 — 0.16 529 256 862 » 402 + 0016 + 0.20 256 400 400 » 485 0.000 + 0.02 0 4 490 » 550 | — 0.006 + 0.15 36 225 570 » 623 — 0,004 — 10.95 16°. 1225 628 » 701 — 0.001 0 1 1849 702 » 724 — 0.001 + 0.05 1 25 725 » 750 + 0.007 AOAI5 49 225 753 » 782 — 0.020 Zi 400 289 786 » 818 + 0.005 — (0.18 25 324 825 » 881 — 0.004 inzio 16 484 884 » 946 + 0.007 ob 49 225 947 » 1028 | + 0.030 — 0.04 900 16 1036 » 1079 | + 0.008 + 0.04 64 16 1082 » 1129 | + 0.008 0.01 64 49 1138 » 1223 — 0.005 2{240:82 25 1024 1237 » 1304 — 0.008 + 0.13 64 169 1307 » 1399 + 0.019 — 0.14 361 196 1408 » 1469 — 0.004 SAIL: 16 196 1486 » 1581 + 0.017 0097 289 1369 1536 » 1571 + 0.017 — 082 289 1024 1573 » 1600 + 0.005 + 0.07 25 49 1615 » 1642 + 0.020 + 0.33 400 1089 une 08.004521 a Siccome ogni 4a e 40 della tabella ha il peso p eguale a 10, se noi intendiamo fatta la moltiplicazione per dieci dovremo considerare quale somma dei quadrati l’espressione 10[44] relativa ad un numero di 29 osservazioni. — 317 — D'altra parte l’errore probabile corrispondente all'unità di peso è rap- presentato da: o= ?/s j che nel nostro caso, essendo p sempre uguale a dieci, diventa s=% LA e fatto il calcolo coi due valori di [44] troviamo o, = + 0°.027.= + 0".41 o, = +1 0".44. Complessivamente abbiamo dunque per tutte due le coordinate © 0".4. Come si vede questa è una buona conseguenza riportandola tutta allo strumento adoperato, tanto più buona dal mio punto di vista se si pensa che da esso io non pretendeva (!) maggior precisione di 2” per una singola osservazione, ovvero sia 1” su quattro. Questo dato bastò per iniziare con un mezzo così modesto un lavoro sistematico corrente di catalogo stellare, ed il Viaro con buone virtù lo portò a compimento con un successo maggiore dell’aspettazione. Di fronte a questo risultato, io, ripeto qui in fine quanto ho detto dapprincipio : che nel campo dell'astronomia di posizione converrà all'Osservatorio di Arcetri restar attivo con un cerchio meridiano maggiore di quello che ora possiede; ma, ciocchè è più. dello stesso identico tipo. Matematica. — Sulle soluzioni periodiche nel Calcolo delle Variazioni. Nota di LroNIDA TONELLI, presentata dal Socio S. Pin- CHERLE (?). L. Lichtenstein, nella sua recente Memoria, Veber einige Eristenapro- bleme der Variationsrechnung (Methode der unendlichvielen Variabeln) (*), fondandosi sulla considerazione degli sviluppi in serie di Fourier e sfruttando la ben nota formula di Parseval, è giunto a stabilire l’esistenza della solu- zione in certi problemi di Calcolo delle Variazioni, determinando precisamente i coefficienti degli sviluppi detti di tali soluzioni. Riferendoci qui a quella parte del lavoro che trattà dei problemi nel piavo (nei quali cioè la funzione incognita dipende da una sola variabile), vogliamo osservare che i teoremi d’esistenza in essa contenuti scendono tutti, (1) Cfr. Pubbl. di Arcetri, fasc. 7, pag. 57. (?) Pervenuta all’Accademia il 28 settembre 1915. (*) Journal fir die reine und angewandte Mathematik (november, 1914). — 318 — ad eccezione di quello del $ 4 (cap. I), come casi particolari dai teoremi da me enunciati in due Note inserite nei Comptes rendus del giugno 1914 (?). Nel $ 4 citato, il Lichtenstein si occupa delle soluzioni periodiche del problema di minimo studiato, e stabilisce la seguente proposizione: « Sia F(x,y) una funzione finita e continua, insieme con le sue derivate parziali 2QF >°F dy de zione F(X +27 ,y)= F(2,y), ed esista un numero positivo Yo tale che, per tutti i valori reali di x e y; di più, valga sempre la rela- È Mn) ; per ogni y= Yo, Sia o > 0, e, per ogni yZ=— Yo, n <0. Ciò posto, fra tutte le funzioni y(x), continue insieme con la propria derivata prima e soddisfacenti alla uguaglianza y(x + 27)= y(x), ne esiste almeno una 27 dy 2 che rende minimo l'integrale f a + F(x, ) | da ». /0 7 Nelle pagine che seguono, mi propongo di mostrare come il metodo da me indicato nelle Note sopra ricordate, permetta di trattare anche la questione delle soluzioni periodiche, e in modo assai più generale di quello che non sia consentito al Lichtenstein. Non sarà poi male osservare che il mio metodo serve allo studio della medesima questione pure in quei problemi isoperimetrici dei quali è fatto cenno nelle mie Note citate, e fra i quali rientra, come caso particolaris- simo, quello considerato dal Lichtenstein al cap. I. $ 6 del suo lavoro. 1. Sia /(2,9.y') una funzione finita e continua, insieme con le sue derivate parziali dei due primi ordini, in tutto il campo definito dalle disu- guaglianze EZIO (A) si 0, fosse verificata la fy1y =0: non lo facciamo qui per semplificare i ragionamenti. CARI continue per ogni y finito; e si possano determinare dei numeri positivi (> 0) N, M,«@,/, in modo che si abbia d) f>—Nin tutti i punti di (A), e /(x,y,y)>|y|!t® m(y) in tutti quelli del campo parziale i « 0 ZYyZHk o |y|>M, (A) essendo m(y) una funzione continua, sempre maggiore di zero, tale che lg]t+* my) 29; e) yf,=0 in tutto il campo definito dalle disuguaglianze a == d, |y|=>,—-0, oppure all'altra y< —/. Supponiamo, per fissare le idee, che sia soddisfatta la prima. Allora, detto 2 il minimo di y(@) in (4,5), consideriamo la funzione definita dall'uguaglianza 7(x)=y(x)— (m— 1), la quale funzione, avendo il minimo uguale ad /, appartiene all'insieme iy(0)}. È f(®,9(2);P(2))=/(c.ya)-(m—- 1),y(2)), e per la condizione e) f(2,7(0) .7(0))=/(2,Y,y(2)); onde b b WCECEOTEAROTONOT Questa disuguaglianza mostra che il limite inferiore : dell’integrale J in — 320 — jy(c)} non può essere inferiore a quello è, di J in }y(4)},. E poichè, d'altra parte, non può essergli inferiore, ne viene quanto avevamo asserito, 7#=% Dopo ciò, per i risultati del n. 38 della mia Memoria (T) citata, esiste in jy(e)f, una funzione y;(), almeno, che rende minimo l’integrale J. E poichè, in seguito a quanto si è veduto or ora, y,(x) rende minimo J anche in jy(x)}, si può asserire (Cap. III della stessa Memoria) che yy(x) ha le sue due prime derivate finite e continue, e soddisfa all'equazione differenziale di Eulero. Per mostrare che è y4)= yo(0), ricordiamo che yo(x) dà il minimo di J fra tutte le funzioni di }y(x)}, le quali, circa gli estremi del- l'intervallo (a,0). sono sottoposte alla sola condizione y(4)= y(2). La for- mula ai limiti, che dà la variazione di J relativa a yo(z), si riduce nel caso attuale a (Io = /y(@,yo@) , YA) (Io)a, — fy(0 > Yo(OyAD)) (dY0)b è e dovendo essere (dJ), = 0, (0Yo)a = (006, risulta fufa, yo(a) yo(a)) = fard, yo(0) , y(0)) = fy(0 vola) (0); ed anche per la condizione 4). fyla syo(a) , yo(a)) = fy(a , yo(a), yo(0)) - Questa uguaglianza mostra, in forza della condizione 2), che è y(a) = = yo(0). La proposizione enunciata è dunque pienamente stabilita. 2. La condizione 4) del numero precedente si è posta solo per poter applicare i risultati di (T). Ora vogliamo osservare che quei risultati val- gono anche se alla condizione detta se ne sostituisce un’altra un po' più generale e precisamente: d') se ad ogni numero positivo Y possono farsì corrispondere due numeri a(>0) e M(>Q0), tali che, in tutto il campo (Ay) definito dalle disugua- gliaize aa <=, |y)=Y ;,|y|=M;si ‘abbia f(7y;7) >| se, inoltre, fissato un qualsiasi Y, l'integrale J relativo ad una funzione assolutamente continua y(x), avente almeno un valore minore in modulo di questo Y, tende a + co col tendere all'infinito del massimo di |y(x)|. Tale condizione risulta di certo verificata se si ha, p. es., /(X.y,9) = = g(0,Y) — (x,y), con g(e,y') > cily' tt, (#4) < ca|y[t%+60s (c1, 62,03, 0,,>, numeri >0). Ed invero, avendosi [ved. n. 8 di (T)] DAI 1 = 1; gf +03 da > G_ gara (7 P_ITA Tata È — 321 — dove 7,7 rappresentano, rispettivamente, il massimo e il minimo di y(2) in (4,6), si ha b Ù) b Srermir= [gear fue) ie > ml) b 3a fIyileeinso de — f'Jonlyltst + ost de > c rr — = > Tara pre al—aGT+ D+ — alba dovendosi supporre che un valore almeno di y(x) sia, in modulo < Y. Ora, se il massimo di |y(x)| tende all'oo, tende all’o anche 7 — 7; e poichè SI) è as >0, l'integrale | f(2.y,y')dx supera anch'esso qualsiasi limite ('). 3. Sempre in merito alla condizione 4), possiamo aggiungere che i ri- sultati della Memoria (T) — eccettuati al più quelli relativi a campiì limi- tati (*?) e quegli altri concernenti i problemi isoperimetrici — restano ancora validi se la /(2,y,%'), invece di diventare infinita con |y|->o di ordine 1+4«a>1 [come si è supposto in 4) e in d')], lo diventa di ordine pre- cisamente uguale a 1, purchè però si supponga sempre verificata la condi- zione c). Quest'ultima, poi, può in tutti i casì essere sostituita dall'altra, più generale, ly fyta — 7 I fvs<|y|P(y)-{(2,9:9) + QU): yy ed anche dalla condizione che la derivata /, diventi infinita, per |y7|>o0, di ordine non superiore a quello della /. (‘) Così la condizione d’) è soddisfatta se si ha f=y" — y, oppure f= y/# — y?, per le quali non è invece soddisfatta la d). La d') è ancora verificata se è f= y/? — cy?, 1% CONUCi <= sc UDTatti (5b— a) ‘2 _c n ESIO (b—a)} ra I, S (Y y| da = D c n? (O Y da + ESA ATE 2 î size (e pipalinli 8] fa ((—-a)), l = —\2 pr \ (6— a) (7) fi “0 essendo, anche qui, y e y il massimo e il minimo di y(2) in (a, 6). (#) Nei quali cioè la y non può variare liberamente da — c0 a + co. RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 42 — 322 — 4. Supponiamo ora che, invece della condizione e) sia soddisfatta que- st'altra: e') esistono quattro numeri /, 0; inoltre, nei due campi detti la /(x,y,y'"), come funzione di y", abbia un minimo assoluto per y'= 0 ('). Siano poi verificate le condizioni @), 4), €), 4) del n. 1, per tutti i valori di x e y' ivi considerati, e per quelli di y compresi fra /, e /3 (estremi inclusi) Dico che. limitandosi alle funzioni y(x) assolutamente continue în (a, b) e tali che sia y(a)=y(b) e l = y(a)=l, vale anche qui il teorema analogo a quello del n. 1. Ed invero, analogamente a quanto si è fatto al n. 4, si può, ad ogni funzione y(2) di cui si parla, sostituirne sempre un'altra 7(x) soddisfacente alla nuova condizione di verificare, in tutto (a, 6), la disuguaglianza /» = 7(x) < l3. Se la y(x) soddisfa già da sè a questa nuova condizione, non vi sarà che da porre 7(2)=y(«); in caso contrario, detto 7 un valore di (4,2) in cui è y(x) >, si consideri il massimo intervallo di (a ,) che lo contiene e in cui è sempre y(x)= 3, e si definisca in questo intervallo (e così in tutti gli analoghi) la 7(%) ponendola uguale a /3. Analogamente si proceda per quei punti in cui è y(e) 0, in modo da aversi, in tutto il campo (A), (1) f(@.y.y)=kf(a+bT—-a , 2h—y,y). Allora, fra tutte le funzioni y(d) assolutamente continue che verificano a la condizione y(a)= y( 9 2) = y(0)=h, ve n° è almeno una che rende (!) Per es., la funzione /=y"° + y°—y? soddisfa alla nuova condizione e’), ma non alla e). () In luogo della condizione e), può considerarsi anche la seguente: per ogni y maggiore in modulo di un certo Y, è f(2,y,y)>|y|}, con #>0, e ciò qualunque sia la 2 di (4,0) e la y' di (— c0, +00). Con questa condizione il teorema del n. 1 resta ancora vero. (3) Naturalmente all'ipotesi d) può sempre sostituirsi la d’); e si possono anche tenere presenti le osservazioni del n. 3. Sai — 323 — minimo l'integrale J, che ha le due prime derivate finite e continue e che soddisfa all'equazione differenziale di Eulero e alla uguaglianza y(a)=y'(0). Per quanto è stabilito nella mia Memoria (T), esiste almeno una fun- zione yo(x), avente le due prime derivate continue e soddisfacente, in i 9 2), all’equazione differenziale di Eulero, la quale inoltre verifica 3 b nr l'uguaglianza ys(a) = (4) = h e rende minimo l'integrale sa+tb | i f(e,y.y)dx SELL a+ d 2 fra tutte le funzioni assolutamente continue che assumono in a e lo stesso valore £. Completiamo la y,(x) in [- b 9 - > 5) mediante l'uguaglianza (2) Ya) = 2h — ya + dt a). La ys(x) risulta allora continua in tutto (a,4), insieme con le sue due prime derivate, e verifica le uguaglianze b i) i; Yo(a) = Vo lar) =yo(0)=h, yla)=yl0). Inoltre essa soddisfa, in tutto (a,%), all'equazione differenziale di Eulero, come si vede subito fondandosi sulla (1) e sulla (2) e sul fatto che tale a+ d 2 equazione è soddisfatta dalla y,(2) nel tratto (a, li Risulta poi im- mediatamente che la y,(4) dà il minimo richiesto. 6. Si supponga la funzione /(x,y,y) definita non solo per i valori di « dell'intervallo (a, d), ma per tutti i valori reali da — co a +00, e sempre finita e continua, insieme con le sue derivate parziali dei primi due ordini, e soddisfacente alla uguaglianza f(et+ b_a,y,y)=f(2,4,9). Ferme restando le condizioni poste al n. 1, dal teorema ivi stabilito si deduce l'esistenza di almeno una funzione ys(x): 1°) sempre finita e continua, insieme con le sue due prime derivate; 2°) soddisfacente ovunque all’equazione di Eulero; 3°) verificante, per ogni x, l'uguaglianza y(ea +0 — a)=y2) — 324 — e quindi anche le altre due ye +0 —a)=yle) una +0—a)=%(); b 4°) rendente minimo l'integrale J = /(®.y.y)dx fra tutte le funzioni a assolutamente continue che soddisfano alla relazione y(x+-b— a)=y(£). E un teorema analogo si deduce da quello del n. 4. È bene osservare che, qualunque sia d, la funzione yo(x), per la sua b+ò periodicità, dà il minimo anche dell integrale _f(®,y,y)dax, relati. (0) a+ vamente alla stessa classe di funzioni sopra considerate. Questa osservazione permette di dimostrare direttamente il teorema sopra enunciato, e l'analogo dedotto da quello del n. 4, senza far uso della formula ai limiti adoperata al n. 1. Ed invero, una volta stabilita l'esistenza di una funzione minimum, soddisfacente alla condizione y(a)= y(2) ed avente in (a, d) le derivate prima e seconda finite e continue, l'osservazione precedente mostra senz'altro la validità delle due uguaglianze y(a)= y"(2) e y"(a)=y'"(0). 7. Anche dal teorema del n. 5, aggiungendo l'ipotesi fatta sulla / al principio del numero precedente, si deduce una proposizione d'esistenza per le soluzioni periodiche. 8. Infine. si possono ottenere dei teoremi d'esistenza per le soluzioni periodiche, analoghi a quelli stabiliti nelle mie Note Sulle orbite perto- diche (?). Matematica. — Gl autovalori e le autofunzioni dei nuclei simmetrici. Nota I di ATTILIO VerGERIO, presentata dal Socio T. Levi-CivitA (*). 1. Il prof. G. Fubini, nella sua Memoria intitolata: Equazioni integrali e valori eccezionali (3), espone un metodo per la ricerca degli autovalori e delle corrispondenti autofunzioni di un nucleo simmetrico. Tale metodo però, se dal punto di vista teorico è molto semplice, da quello pratico, in- vece, presenta delle difficoltà, basandosi esso essenzialmente sulla conoscenza dei limiti superiore ed inferiore di un certo integrale. Qui esponiamo un nuovo metodo, il quale, pur avendo con quello del prof. Fubini qualche punto di contatto, ha su questo il vantaggio di una maggior portata pratica. (*) Questi Rendiconti, 1912, pag. 251 e 332, 1° semestre. (*) Pervenuta all'Accademia il 24 settembre 1915. (3) Annali di Matematica; tomo XVII della serie III, pag. 111 e seg. — 325 — 2. È necessario premettere alcune considerazioni. Sia K(s?) una funzione simmetrica delle variabili s e #, che supporremo essere finita e continua; pur non escludendo che possa presentare delle di- scontinuità tali, però, da non infirmare i risultati dello Schmidt ('). Indicheremo con H(s?) il lim I dove y=limy, @ y»= 0. n ’ n= n=0%0 Usn Usnss limite che, com’è noto (°), è una funzione continua positiva e non identica- Kon+1(8%) n mente nulla. Analogamente con H;(s/) il lim , il quale pure esiste n= finito e non identicamente nullo (*). Supposto che 4, sia un autovalore di K(s?) e gy(s) una sua corrispon- dente autofunzione, si moltiplichino successivamente i membri della seguente uguaglianza py(7) = 4y l'E@O py(t) di A per K(sr)dr, e si integri da @ a %. Dopo 2x integrazioni, s'otterrà v(8 pia PIE la, | Kan+1(54) Py(6)dt; ed ancora, dividendo ambo i membri per y” e passando al limite per n= 00, (8) È . sn rima MISE Ora, se Z,,Z5,43,... indicano gli autovalori di K(sf), disposti in ordine crescente rispetto al loro valore assoluto. è noto (4) che sussistono le relazioni “pedana cal Di) — (0 ser51° (1) Entwicklung willkurlicher functionen nach Systemen vorgeschriebener. Inaugura] Dissertation. Gottingen, 1905. (?) Schmidt, loc. cit., $ 11. (3) Si ha infatti b as: b b H(st)= lim AI K(sr) Banti) = Ai K(sr) Hi(rt) dr = 24 H,(sr)K(rt) dr Va pe V Ja Y Ja n=% quindi, se H;(st) fosse identicamente nulla in s ed in t, tale dovrebbe pure essere anche H(st); il che non è possibile. Vy (4) Si sa infatti che è il minimo valore assoluto delle 4y. — 326 — sarà quindi ® b v(s) se v=1 , (1) dI H: (50) gu) de = } 90 n Il nucleo H,(st) non potrà perciò ammettere autovalori diversi da 1 3 a È 3 nz o e di fronte a questi si comporterà come K(st); inoltre i nuclei H(st) /Y e K(s7), per tali autovalori ammetteranno le stesse autofunzioni. Dalle (1) infatti, risulta senz'altro che ogni autofunzione di K(st), cor- rispondente ad uno degli autovalori +=, lo è anche di H,(st). Per di- Vr mostrare la proprietà inversa, basterà osservare che, se y(s) è una auto- funzione di H,(st), cioè se ) (5) = 1 (H®) vide, a b b w(s) =, Î K(sr) dr f H(rt) (4) di; e poichè b 3 Hr) y({)dt= W(r), come si vede subito moltiplicando i membri della (2) per H(rs)ds ed in- tegrando, sarà pure y(s)=À, | K(s) w(‘) di . A Dalle (1) risulta ancora che le autofunzioni di K(s) corrispondenti agli autovalori Zy (v > 1), sono invece soluzioni dell’equazione °b | Hs)oga=0. 3. Noteremo ancora che se @1%(s) e i'(s) rappresentano rispettiva- mente le p, e ps autofunzioni linearmente indipendenti normalizzate del - . . . . r 1 44 nucleo K(st), corrispondenti agli autovalori X}= + —= e 4 = — Vr 1 == gela Vy H,(st) può mettersi sotto la forma (?) (3) Hi()= GPS) PP) sc PAS) PA) , ssi Àa Si 1 (*) Qui, per comodità, a 4, attribuiamo ambedue i valori ® —— . % (*) Schmidt, loc. cit., $ 8. Posto ora °b I H,(ss) ds= lim f dalla (3) si deduce intanto. ponendo t=s ed integrando. U (4) ra et Vy Nella (3) si muti s in 7 e si integri, dopo averne moltiplicati i membri per H,(sr) dr. Essendo Sa (s7) H(re) de = lim f Steener) Duvall gn n=% yP = lim y TL yH(st), Vee n=% avremo, ricordando che X°y=4"y= 1, Pi Par H(s) =) PAPA) PI 9A) P'M(0). r= y=1 E poichè (?) il H(ss) ds= lim (È nu SON, = lim dui = NZ00 v Ii avremo infine, mediante integrazione da a a d, dopo aver posto #= s, (5) U 0 - Pe . Dalle (4) e (5) si ricavano per p, e ps i seguenti valori l U' U' (0) m=g(U+=) ; n=3(0-). Vr Vi Nel caso poi che K(s?) ammetta uno soltanto dei due valori ali Vy b (1) U' è una quantità finita. Infatti dall’uguaglianza Hi(st) = K(sr) H(rb) dr, guag bb u facendo t=s ed integrando, si ha l’altra: v=ff K(sr) H(sr) dr ds; da cui, per la t) a disuguaglianza dello Schwarz, si deduce - bd Cb Un il 1) [H(sr)}} ds drî (3) Schmidt, loc. cit., $ 11. — 328 — come autovalore, uno dei due numeri p, e ps sarà nullo; dovrà quindi, sus- sistere una delle due seguenti uguaglianze 1 Soana ui Dn] i le quali ci forniscono un criterio per riconoscere a priorî quale dei due 3 US valori © — è ammesso dal nucleo K(st) come autovalore. Vy 4. Ciò posto, si consideri la funzione simmetrica F°(st) = K(st) — Hi(st), la quale, come ora dimostreremo, ha gli stessi autovalori e le stesse auto- funzioni di K(s7), eccettuato il solo autovalore |Z,|=|—==| e le corrispon- denti autofunzioni, Invero, se 4, è un autovalore di K(s/) e %y(s) una sua corrispondente funzione, sarà i Le 2, f POP) dA (KG) pl) U—d f A) Od; e poichè da : __\gy() Se va 2, | His) ga) =)", a avremo, se v= 1, b (7) 2, | FO) U=0 per ogni autofunzione ,(s) corrispondente all'autovalore 4, ; esev>I1, 7) b ày È F°2(54) py(6) u=% { K(st) gi) dt = pt). Quindi tra gli autovalori e le autofunzioni di F°°(s?), figureranno gli stessi valori 4, e le stesse gy(s) (VD > 1). Inversamente, se 4 è un autovalore di F°°(sf) e w(s) una sua corri- spondente autofunzione, sarà 2 (FOSSO UA (RG) UOU_1 fl) 40) d=Y0). — 329 — E poichè, moltiplicando il primo e l’ultimo membro per gi(s) ds ed inte- grando, si ottiene, per la (7), b foauae=o, sarà anche ) f His) Vi) di =0; a quindi ) fr) (A) di=w8): il che prova che 4 e w(s) sono anche rispettivamente un autovalore ed una autofunzione di K(sz). Rimandiamo il seguito ad un'altra Nota. @ Matematica. — Sulle superficie di 6° ordine contenenti infi- nite coniche. Nota II di EuceNIO G. TOGLIATTI, presentata dal Socio C. SEGRE ('). Nella Nota presente, sèguito di quella pubblicata a pag. di questi Rendiconti, enumero i tipi di F* irriducibili luoghi di coniche che ho tro- vato seguendo la via indicata nella Nota anzidetta. Essi son divisi in gruppi a seconda del genere p (variabile da 0 a 4) del fascio di coniche T che sì considera sulla F*; ciascun gruppo è diviso in sottogruppi, anzitutto, a seconda del genere 77 della sezione piana generica, ed ulteriormente pren- dendo di mira i caratteri proiettivi della sviluppabile formata dai piani delle coniche, e talora anche quelli della linea multipla della F*. In alcune parti la classificazione è spinta molto innanzi; altrove (specialmente per superficie razionali) è solo iniziata. Per molte delle superficie trovate è riportata l’equa- zione in un sistema di coordinate omogenee xo,%1,%2,%3, la quale per- mette di verificare facilmente l'esistenza sulla superficie delle singolarità descritte; per altre, è data solo una costruzione geometrica che ne renda evidente l’esistenza. Si ricordi infine che, salvo esplicito avviso contrario, si tratta sempre di superficie normali in S3. 1. — F*° con un fascio di coniche di genere 4. Esistono sulla F* due punti tripli uniplanari A ,B, a ciascuno dei quali è successiva una retta tripla infinitesima; le coniche stanno a terne (1) Pervenuta all'Accademia il 20 settembre 1915. RenpIcONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 43 — 330 — nei piani passanti per la retta AB, e coniche complanari si toccano in A ed in B. Non vi sono linee multiple, onde le sezioni piane generiche sono di genere 10. L'equazione della F° si può scrivere: X203 + 2225 Po(20,L1) + 2203 PU(20,01) + Pec, 71) = 0, dove ge, 94, gs son forme delle variabili indicate dei gradi espressi dai loro indici ('). Come caso speciale i punti A,B possono anche coincidere. 2. — F° con un fascio di coniche di genere 3. Si possono ripartire in tre gruppi a seconda del genere 77 delle sezioni piane generiche. z = 9. — Le coniche stanno a coppie nei piani passanti per una retta 7, doppia per F, contenente due punti quadrupli triplanari A, B: il cono tangente ad F in A (ad es.) si spezza in due piani per 7, ed in un terzo piano (da contar 2 volte), che contiene nell'intorno di A una retta doppia infinitesima di F, e che è toccato in A da tutte le coniche del fascio. L'equazione di F è: 3x3 pe(x0 . xi) + X2X3 Paso , xa) + Pe(Lo ’ xa) =0. Come caso speciale i punti A, B possono coincidere. m = 8. — 1°) F ha una conica doppia contenente due punti tripli uniplanari A,B, ciascuno dei quali ha nel suo intorno una retta tripla infinitesima. Le coniche stanno a terne nei piani per la retta AB; coniche complanari si toccano in A ed in B. L'equazione di F è: wi Paco, Ta) + 209 920,21) + gpe(v0 21) +Q°=0, dove Q è una quadrica (?). La conica doppia può spezzarsi, i punti A , B possono coincidere: si hanno così in tutto 4 casi particolari. 2°) Le coniche stanno a coppie nei piani passanti per una retta 7, che esse incontrano nei due medesimi punti A,B. La retta 7 è doppia tacnodale, e lungo essa vi è un piano tangente fisso 0; i punti A,B sono qnadrupli biplanari: il cono tangente ad F in A (o in B) si compone di o contato due volte, e di un altro piano (pure contato due volte) che contiene nell'intorno di A una retta doppia infinitesima di F, la cui equazione è: Poldo 2) +Q- gu, +7 0° = 0. I punti A, B possono coincidere. (*) Simili spiegazioni sono in seguito sottintese. (@) Idem, ibid. — 331 — m=?. — L'equazione di F è ora la seguente: ci pico, ca) + 2i(e3 + 2122) Pc La) + sli x(£03 + C/305) do)? Pi(Lo ’ x) =» (03 + Li, Xe)? 05 essa mostra che le coniche stanno a terne nei piani passanti per una retta 7, che esse toccano in un punto fisso A, triplo per F. Esiste poi una retta doppia oscnodale s, uscente da A (e distinta da 7), lungo la quale rs è piano tangente fisso. 3. — F° con un fascio di coniche di genere 2. Il genere 77 delle sezioni piane generiche può essere 7,6, 5. tt == 7. — F ha una conica doppia, una retta doppia e su questa due punti quadrupli A, B; le sue coniche stanno a coppie nei piani per la retta AB, e passano per A, B. Equazione: Li Pa(co, CA) +03 Qp(c0 +Q PAL, 7) =0. I punti A, B possono coincidere; la conica doppia (irriducibile o spezzata) può anche stare in un piano passante per r: si hanno quindi molti casi speciali. La conica doppia può anche degenerare in due rette doppie consecutive alla 7: F ha allora una retta doppia oscnodale col piano tangente o varia- bile da punto a punto, oppure fisso, ed in quest'ultimo caso esistono ancora su 7 i punti quadrupli A,B (distinti o no). L'equazione di F è nei due casi: Pelco 81) + (xo P+ 219) 970,2) + (co P+ 210)? =0, Poco, dA) + 210 910,0) + 70° = 0. re = 6. — 1°) Le coniche stanno a terne nei piani per una retta 7, che esse incontrano in due punti fissi A,B. Vi sono due coniche doppie passanti per A,B, che sono punti tripli uniplanari, ognuno dei quali ha nel suo intorno una retta tripla infinitesima. L'equazione di F è: LITI Po(c0 1) + LoC1A WALL) +Q° 020,2) +9 =0. Si hanno 10 casi speciali secondochè i punti tripli A, B son distinti o no, e le coniche doppie sono irriducibili o spezzate, distinte o coincidenti in una conica doppia tacnodale. 2°) Le coniche stanno a coppie nei piani passanti per una retta 7, doppia per F, che esse toccano in un punto fisso A, quadruplo per F, al quale è successivo (nella direzione 7) un altro punto quadruplo. Si hanno — 332 — poi altre tre rette doppie, concorrenti in un punto, una delle quali incidente ad 7 in A: esse possono non esser tutte distinte. L'equazione di F è: vITIPo(Lo L1)) + re&s(23 + N20) 93202) + + x3(z3 + heo) ws(e°, 2.) =0. Può darsi anche che 7 sia una retta doppia tacnodale a piano tangente fisso, contenente due punti quadrupli A ,B (distinti o no), comuni a tutte le coniche di F; ed allora F, di equazione: ci Pac0 0%) + cod pg(00, 2) +70 = 0, ha inoltre una conica doppia, passante per A e B, irriducibile o no, che può anche ridursi a due rette doppie consecutive alle prime due. m = 5. — 1°) Le coniche stanno a terne nei piani per una retta 7, su cui F ha due punti tripli consecutivi A = B, comuni a tutte le coniche. La linea doppia si compone d'una retta doppia oscnodale uscente da A, e d'una conica doppia passante per A, B, che può anche ridursi a due rette doppie consecutive alle prime tre. Equazione: LL(A000 + Are L ae Lî) + 00% (25 + do Le) (doi + datori +02) + la] bi + (a3 + x0 22) (c083+ CIXoXx + i) + (234 2022) = 0. 2 2°) Le coniche stanno a coppie nei piani per una retta 7, doppia per F, che esse toccano in un punto fisso A. Esistono poi dne rette doppie d,d,, uscenti da A, ed una retta doppia tacnodale incidente alle d,d,, lungo la quale si ha un piano tangente fisso. L'equazione di F è: LA t 1223 P3(10921) + iP) =0. Le rette 4, d, possono coincidere in una retta doppia tacnodale a piano tangente fisso. — 333 — Geometria. — Le varietà algebriche con indice di singolarità massimo. Nota II di Gaetano Scorza (*), presentata dal Corrispon- dente G. CastELNUOVO (**). 4. Imporre a un complesso lineare di X la condizione di avere un punto singolare in un punto assegnato, cioè di avere per asse uno spazio di dimensione => 1 passante per questo punto, equivale ad imporgli 2p — 1 condizioni lineari indipendenti; quindi, in corrispondenza agli 00?! punti di 3: a L’ipersuperficie F contiene 0°? spazi lineari aventi ciascuno la dimensione piepir—l)\d_(2pe_l)=pQp_0), È utile, per quel che segue, precisare questo risultato, ponendosi alla determinazione di tutti gli spazî lineari di F aventi la massima dimensione possibile. Perchè i complessi di un fascio di complessi lineari di 2 siano tutti sin- golari, occorre e basta che essi abbiano almeno un punto singolare comune (14); (#) La numerazione degli articoli o delle note è fatta in continuazione di quella della Nota I. (*#*) Pervenuta all'Accademia il 17 settembre 1915. ('*) Siano »2p 1 **3p Di Ur,s Tr Ys = 0 e D Q'r,a%r ys=0 (ars 4- ds, =0 ; 9,5 + dip= 0) r,S 7,S le equazioni di due complessi lineari di £ dotati ciascuno di un Sg,-1 asse: e supponiamo che i loro due assi siano indipendenti, per modo che sarà 27 < p. Senza venir meno ‘alla generalità possiamo supporre che l’asse del primo sia lo spazio rappresentato dalle equazioni : Talti = Talt+a =*** = Cap = 0 e l’asse del secondo quello rappresentato dalle equazioni : di = la == a = Tati = Ca+a = Zap=0 Ciò val quanto dire che nell'equazione del primo complesso sono nulle tutte le 4,4 per cui uno qualunque dei due indici è un numero della successione 12,652; — 334 — quindi gli spazî lineari di dimensione massima contenuti nell’ ipersuperficie F si otterranno considerando in X i sistemi lineari di dimensione massima di complessi dotati genericamente di retta-asse e le cui rette-assi si taglino a due a due. Ma se più rette si tagliano a due a due o stanno in un piano o pas- sano per uno stesso punto, dunque: In ogni caso gli spazi lineari di dimensione massima di F_ hanno la dimensione p(2p — 3); però se p> 2 codesti Spsp-s, di F costituiscono un unico sistema continuo o*P, rispecchiantesi nel modo chiarito più sopra sugli co?! punti di X, mentre se p=2 codesti spazi di F (che sono adesso degli Ss) si distribuiscono (come è ben noto, una volta che per p=2 F è una quadrica) in due sistemi continui co rispecchiantisi l’uno, al solito modo sugli 3 punti di X, l’altro sulle 08 reti di com- plessi lineari speciali di X aventi per assi le rette dei singoli piani di 2. Se un punto di X è razionale, è evidentemente razionale l’ Sp2p-3) di S situato su F, che ad esso corrisponde; e se un Spx2p-s) di F è razionale, e che nell’equazione del secondo complesso sono nulle tutte le a’-,g per cui uno qualunque dei due indici è un numero della successione 2 12-E2,940 Poichè l’asse di un complesso è il 2uogo dei suoi punti singolari, nessuno dei due complessi dati ha punti singolari esterni al proprio asse; e quindi, in virtù dell'ipotesi fatta, ciascuno dei due complessi induce sull’asse dell’altro un sistema nullo non singolare. Queste due osservazioni portano, in particolare, che i determinanti TÀ , Ù dgt+1,280+2 + - | dal+1,2p ORTA GI r r Aal+2,20+1 0 +. + Uel+2,9p E dg, 0 +. 4,90 = e di= A È A2p,31+1 A2p,21+2 ILE 0 QST Aia Tia Re 0 sono entrambi diversi da zero. Se i complessi del fascio determinato dai due complessi dati fossero tutti singolari 5 . AR 3 ; ; 2 l'equazione in — che si ottiene ponendo uguale a zero il determinante |40,,s + #4/r,sl I dovrebbe essere un'identità. Ma ciò è impossibile perchè, divisi per w gli elementi delle prime 27 righe e fatto poi A=1 e u=0, questo determinante si riduce al prodotto 44’, dunque è assurdo supporre che i nostri due complessi generino un fascio di complessi tutti singolari; e ciò basta a dimostrare l'affermazione del testo quando si rifletta che, se i complessi di un fascio sono tutti singolari, l’asse del complesso generico ha una dimensione fissa. Del resto la cosa stessa può dedursi da teoremi del sig. Palatini contenuti nella sua Nota: Sui complessi lineari di rette negli iperspazi (Giornale di Matematiche di Battaglini, vol. XLI, 19083, pp. 85-96). — 335 — tale è pure il corrispondente punto o piano di X, poichè in tal caso l' Spx2p-3) considerato contiene p(20 — 3) +1 punti razionali indipendenti a cui rispon- dono in X altrettanti complessi singolari razionali, e gli assi (razionali) di questi complessi determinano il punto o il piano rispondente a quell’ Sp2p-s- Quindi possiamo dire che: L'ipersuperficie F_ contiene infiniti spazi razionali della dimensione p(2p — 3). Se p>2 tali spazi razionali costituiscono un unico insieme riflettentesi sull'insieme dei punti razionali di X; se p="2 essi possono distribuirsi in due insiemi dei quali uno si rispecchia sull'insieme dei punti razionali di X, e l’altro sull'insieme dei piani razionali di È. 5. Adesso supponiamo che V, sia % volte singolare. Poichè ogni relazione di Riemann di V, dà luogo ad un sistema nullo di Vy (**), e quindi a un complesso razionale di 4, possiamo dire che: Se V, è k volte singolare, lo spazio 3' contiene k +1 punti rasio- nali indipendenti e non più. Chiamiamo w l’Sx razionale contenente tutti i punti razionali di 2°”. Poichè l'esistenza di un sistema regolare di integrali semplici di prima specie riducibili di V, dà luogo all'esistenza di un sistema nullo (almeno) di V, avente per asse l'asse del sistema, e poichè inversamente ad ogni sistema nullo singolare di V, risponde wr sistema regolare di integrali riducibili avente per asse l’asse del sistema (!9), possiamo dire che: La varietà V, ammette sistemi regolari o! di integrali riducibili quando e solo quando n contenga punti razionali appartenenti ad F°®, ma non ad FD se q1 che sia almeno 2p — 1 volte singolare, contiene necessariamente infiniti sistemi regolari di integrali riducibili (!). Le dimensioni di questi sistemi regolari dipendono dalle molteplicità che presentano per F©° i suoi punti razionali: in particolare la varietà conterrà integrali ellittici solo se F° contiene punti razionali semplici. 7. Se K=p* —1 (e come dimostreremo tra poco questa ipotesi è pie- namente legittima), lo spazio w coincide con 3". L'intersezione di wu, cioè di X', con un Sy2p-3, di F corrispondente a un punto M di X è lo spazio lineare di F®, della dimensione (p—l*—1, che rappresenta i complessi lineari di 4, aventi per spazio singolare la retta m uscente da quel punto e appoggiata a t e 7. Se l' Spep-3, di F che si considera è razionale, cioè se è razionale il punto M, tale è pure la sua intersezione con lo spazio razionale 2" e la retta 2; quindi questa retta m è l’asse di un integrale di V, che risulta ellittico. Si conclude che V, ammette infiniti integrali ellittici, e che dell'insieme degli assi di questi integrali ne passa uno per ogni punto razionale di 2°. Ma allora (come si riconosce subito segando, p. es., con un iperpiano razio- nale di 2') ogni retta reale appoggiata a © e 7 è retta limite dell'insieme degli assi di questi integrali, e quindi ogni integrale semplice di 1° specie di V, è approssimabile mediante integrali ellittici. 8. Adesso supponiamo inversamente che ogni integrale semplice di 18 specie di V, sia approssimabile mediante integrali ellittici. Allora si riconosce subito che combinando linearmente questi integrali ellittici a due a due, a tre a tre,.. ap—l a p—l si ottengono 1, il cui indice di singolarità equaglia p? — 1. Per questo, si consideri la matrice Wai,l LD 1,2 . . . 01,2p 02,3, 02,2 . >. +. 022 (1) Op,1 0p,2 . . « Wp,2p e posto 0jr = Gjr + éB;r re ERI, IRE] con le a;, e #;, reali, si supponga che le «;, e #;, siano tutte numeri interi e che il determinante Ci 2. +. + &,2p (TI) Cp,1 Ap,2 s . . Xn,2p PU ia Pop Ppi Poe > | + Bpap sia diverso da zero. Dico che la tabella (1) (ove si suppone naturalmente p > 1) può con- siderarsi come la tabella di 2p sistemi primitivi di periodi di un corpo di funzioni abeliane a p variabili indipendenti. E infatti, in uno spazio ® a 2p — 1 dimensioni, nel quale sia fissato un sistema di coordinate proiettive omogenee. si considerino i punti @,, 0, ,... 0 le cui coordinate sono date dagli elementi delle righe della ma- trice (I); per l'ipotesi fatta sul determinante (II) i punti @©,,@9,...,©p saranno indipendenti, e l'Sp-1,7, che li congiunge sarà indipendente dal- l'Sp-, imaginario coniugato 7. Le +p(p —1) rette che congiungono a due a due i punti w; (j="1, 2,...,9) è le +p(p — 1) rette che congiungono a due a due i punti imma- ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 44 — 338 — ginarî coniugati ai punti «; hanno per coordinate numeri complessi aventi per parte reale e per coefficiente dell'imaginario # dei numeri interi; quindi perchè un complesso lineare di 2 rappresentato da una equazione del tipo 1...2p > Qr,s Lr Ys= 0 (dr,s + de = 0) r,S contenga tutte le rette di 7 e 7 [per il che occorre e basta che contenga le p(p-— 1) rette ora nominate], bisognerà che i coefficienti «,,s della sua equazione soddisfacciano a p(p — 1) equazioni lineari omogenee a coefficienti interi. Segue che se si introduce, come più sopra, uno spazio S a p(2p —1)—1 dimensioni a rappresentare, nel modo già dichiarato, i complessi lineari di 3, lo spazio 2' di S, rappresentante i complessi lineari di 2 che contengono tutte le rette di 7 e 7, è uno spazio razionale. Ma allora, se F° è l’ipersuperficie di 2’ rispondente alla totalità dei complessi singolari di X che contengono le rette di 7 e 7, esiste certo qualche punto razionale di S appartenente a 2" e interno alla prima falda di F®, poichè i punti reali di 2° interni alla prima falda di Fl’ costituiscono un dominio a p? —1 dimensioni, e i punti razionali di S situati in X" costitui- scono in 2" un insieme di punti dovunque denso; quindi, in base all'inter- pretazione geometrica del teorema di esistenza delle funzioni abeliane che noi abbiamo stabilita altrove (!*), la nostra affermazione relativa alla tabella (I) è pienamente dimostrata. Ciò posto, si consideri una varietà abeliana di rango 1 appartenente alla tabella (I); cioè una varietà di dimensione p che ammetta una rappresen tazione parametrica per funzioni abeliane di p parametri appartenenti alla tabella (I), la rappresentazione essendo tale da far corrispondere ad ogni punto della varietà, a meno di periodi, un sol gruppo di valori dei parametri. Tale varietà abeliana sarà appunto di irregolarità superficiale p > 1 e avrà per indice di singolarità p° — 1. (18) Loc. cit. *), n. 59. — 339 — Geodesia. — L'influenza della oscillazione del supporto sulle misure di gravità relativa compiute a S. Pietro in Vincoli col- l'apparato di Sterneck a tripode. Nota dell'ing. G. CAssINIS, pre- sentata dal Corrispondente V. REINA ('). Nella Scuola d’applicazione per gli ingegneri di Roma, e nella sala stessa dove vennero compiute le memorabili misure di gravità assoluta dai professori Pisati e Pucci, vennero effettuate tre determinazioni di gravità relativa, una dal prof. Lorenzoni nel 1898, una seconda dal luogotenente Edler von Triulzi nel 1894, ed una terza dagli operatori dell'Istituto geografico militare prof. Guarducci, colonnello Baglione e prof. Andreini nel 1897. Tutte e tre queste determinazioni vennero eseguite coll'apparato primi- tivo di Sterneck, monopendolare ed a tripode, poggiante su un pilastrino di blocchi di marmo costruito sul pavimento della sala e sempre nel posto medesimo che già era stato scelto dal prof. Lorenzoni, cioè presso la parete divisoria fra la sala stessa e la navata centrale della chiesa di S. Pietro in Vincoli, a metà lunghezza della sala. Il pilastrino veniva così a tro- varsi verticalmente sopra uno degli arconi della navata destra della chiesa. I valori ottenuti dai tre osservatori, riferiti al sistema di Potsdam, sono ì seguenti: LOFeNzZoni. x. n g= 980°.350 H =592.0 Bol. vi Triulzi Lun .545 ” Istituto geogr. mil. . . .947 ” Costruito il nuovo apparato bipendolare con mensola a muro, del gabi- netto di geodesia della Scuola per gli ingegneri, ed ottenuto. in seguito a lavori di sterro praticati nel frattempo nei sotterranei della Scuola, un più adatto locale, si decise di impiantarvi la nuova stazione gravimetrica, e nel 1912, per mezzo di un collegamento fatto direttamente con Potsdam, si ottenne (?): g== 980.367; H— 490,3, (*) Pervenuta all’Accademia il 10 settembre 1915. (?) V. Reina e G. Cassinis, Determinazioni di gravità relativa eseguite nel 1912 eccs Mem. della R. Accad. dei Lincei, 1913. — 340 — Se ai precedenti valori si aggiunge la correzione + 0°".003, per ridurli dalla sala superiore al sotterraneo, si ottiene: Lorenzoni. . ... g= 980.353 Edl-v. Tula e. 0 .348 Istituto geogr. mil. . . .350 g= 980.350 Questo valor medio differisce dunque per 17 unità della terza decimale del cm. in meno da quello determinato nel 1912 coll’apparato bipendolare. Incaricato dal prof. Reina, nell'ottobre e novembre 1913, dopo il ritorno dalla campagna gravimetrica compiuta in quell’anno nell’ Umbria ed in Toscana, eseguii una serie di ricerche intese a provare se la accennata dif- ferenza non fosse da attribuire alla mancata correzione per la oscillazione del supporto, correzione che, coll’apparecchio usato dai precedenti speri- mentatori, non si era potuta nè constatare, nè, tanto meno, valutare. Per attuare la ricerca, nella sala superiore, e nel posto stesso dove i precedenti osservatori avevano disposto il loro apparato, venne eretto un solido pilastro in mattoni la cui base aveva le dimensioni di 0.70 X 0.30, mentre l'altezza era di circa 1".50. Su una delle facce verticali la men- sola poteva essere fissata a diverse altezze dal pavimento. Si incominciò dal determinare la differenza di gravità fra il sotterraneo e la sala supe- riore. Nel sotterraneo la mensola venne applicata, come sempre, al grosso muro di divisione colla chiesa di s. Pietro in Vincoli, e nella sala supe- riore essa venne fissata ad una delle facce minori del pilastro in una posi- zione per la quale ia lente del pendolo risultò all'altezza di 0.46 sul pavi- mento. Le misure nella stazione inferiore vennero eseguite nei giorni 23 e 24 ottobre; in quella superiore, nei giorni 14 e 15 novembre. Non si riportano qui ì particolari delle misure che vennero effettuate nei modi già indicati nella citata Memoria. Solo si aggiunge che le osservazioni astrono- miche per le determinazioni di tempo vennero fatte collo strumento dei passaggi di Bamberg sistemato nel giardino della Scuola, e con un cronoe metro Kullberg, il quale, prima e dopo le osservazioni, veniva confrontato col pendolo Hawelk delle coincidenze. La correzione per la oscillazione del supporto venne determinata col metodo di Schumann (Mem., pag. 41), e le temperature vennero ricavate da due termometri Woytacek e da un pendolo-termometro di nuova costruzione, avente il bulbo (di circa 20°") estendentesi lungo tutta l’asta del pendolo. Le indicazioni dei tre termo= metri risultarono sempre assai bene concordanti. Mi limiterò pertanto qui a dare lo specchio delle durate di oscilla- zione dei quattro pendoli adoperati, già corrette (per l'ampiezza, la tempe- — 341 — ratura, la pressione, l'andamento dell’orologio delle coincidenze, e la fles- sione del supporto): DURATE DI OSCILLAZIONE RIDOTTE Si50 09.507 08.507 < D149 08.507 S148 08.507 Sotterraneo Ottobre 23 I 6777 6178 ” 208) 2 73 79 ” 24 3 71 76 » 24| 4 71 81 67783 6178 Sala superiore Novembre 14 Il 5782 6780 4870 6183 ” 14| 2 80 75 76 83 » 5 8 93 94 76 92 ” 15| 4 98 82 77 90 5787 6783 4875 6187 La differenza di gravità fra le due stazioni si può calcolare colla for- mola (Mem.. pag. 79): 1) RIS Sade 3 +-39(5> 33) adottando per la stazione inferiore il valore sopra riportato 9g = 980°,867, ed introducendovi le due durate medie di oscillazione dei quattro pendoli S= 055076178 , S'= 0.5076187. Si ottiene: g—-g=— 0°9.003;. La differenza di livello delle due stazioni essendo H= 10.2, la varia- zione teorica della gravità, nel passaggio dalla stazione inferiore alla supe- riore sarebbe, g" — g= — 1077.3086 H = — 0°.003,, Si ha dunque un perfetto accordo fra la differenza di gravità determi- nata sperimentalmente e quella teorica, ciò che prova che, nelle misure fatte Écol nostro apparato, si è potuto tenere esattamente calcolo di tutte le — 342 — cause perturbatrici, ed in particolare di quella che è più difficile a valutarsi, la oscillazione del supporto. Per meglio esaminare l'influenza di quest'ultima causa pertubatrice, vi si dedicò una seconda parte della ricerca. Già si disse che, su una delle facce verticali del pilastro costruito nella camera superiore, la mensola poteva fissarsi a diverse altezze. Sempre adoperando il metodo di Schumann, si determinò la riduzione o a supporto rigido, sia conservando la mensola in quella posizione nella quale si era determinata la differenza di gravità (altezza della lente del pendolo sul pavimento 0%.46), sia portandola in una posizione più elevata, per la quale la lente del pendolo aveva una altezza sul pavimento di 1".03. I risultati ottenuti, come medie di ripetute deter- minazioni, sono i seguenti: Sotterraneo. . . +. = — 4.8X407 me= 01051 Sala superiore (alt. della nta on, 46) 17.0 0.2 ’ ’ (alt. della lente 1".03) 41.4 0.2 Questi risultati mostrano come cresca rapidamente la oscillazione del supporto coll’elevarsi della mensola sul pavimento. Potendosi il pilastro, per le sue notevoli dimensioni e la sua solidità, ritenere quasi rigido, ne segue che, coll'aumentare del braccio di leva della forza orizzontale sviluppata dal pendolo nel suo movimento, è il pavimento stesso, al quale esso è col- legato, che entra in oscillazione. Riferendvci alla posizione più elevata, è facile calcolare l'errore che si sarebbe commesso nel determinare la differenza di gravità fra il sotterraneo e la sala superiore, qualora non si fosse applicata la riduzione a supporto rigido. La 1) differenziata dà, a meno di un termine trascurabile, che può anche scriversi d (g' — g)e® = 0°m.0004 (dS — dS') intendendo 4S e dS' espressi in unità della settima cifra decimale del se- condo. Sostituendo in questa i valori precedentemente trovati (col segno cambiato) ASA dS'= 41.4, sì trova d(g' —g)= — 0.015. — 343 — Senza la riduzione a supporto rigido, si sarebbe dunque trovato nella sala superiore un valore della gravità inferiore di 15 unità della terza deci- male del cm. a quello sopra determinato. Ora, da una comunicazione del prof. Guarducci al prof. Reina risulta che, nelle sue misure, egli osservava in piedi davanti all'apparato delle coincidenze; ne segue che i pendoli oscillanti sul tripode dovevano trovarsi ad un'altezza certamente non inferiore a quella corrispondente alla mia posi- zione di esperienza più elevata. Come effetto della oscillazione del supporto si spiegano allora le 17 unità da lui e dagli altri sperimentatori ottenute in meno, nel determinare il valore della gravità. Prima di chiudere, sì riuniscono nel seguente specchio i valori delle durate di oscillazione dei quattro pendoli e del pendolo medio nel sotter- raneo, negli anni 1912, ‘13 e "14. | Sis S148 Si49 Si50 Sm Epoca | 08,507 08.507 08,507 08,507 05,507 (1) | 19126 | 7283 | 5777 | 6757 4859 6169 (2) 1913.6 | 93 | 75. | 56 59 71 (3) 1914.8 92 82 7801 67 78 _——_—_—— —_—— (2 — (1) eni 10) -2 | 1 0 9 (3) — (2) 39° — l 7 LET? 8 ti (3Y==(1 ne 9 | DEENI 16 8 9 Questi dati mostrano che la variazione dei pendoli è stata piccolissima: tutti hanno subìto un lieve allungamento. Chimica. — Studi intorno a gli indoni. II. Sintesi dell a metil-B-fenil-indone. Nota di R. pe Fazi ('), presentata dal Socio E. PATERNÒ (°). Per azione dell'acido solforico conc., a freddo, sull’etere etilico dell'acido a-etil- 8-difenil-lattico, ho ottenuto l’'a-etil-8-fenil-indone (*). Nelle stesse condizioni, l'acido solforico ha reagito in modo simile sul- l'etere etilico dell'acido a-metil- #-difenil-lattico, dando luogo alla forma- zione dell’ a-metil- f-fenil-indone. (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio chimico della Sanità. (*) Pervenuta all'Accademia il 28 settembre 1915, (*) R. de Fazi, Rend. Acc. Lincei, 24 (2), 150 (1915). — 344 — Questo è identico a quello che Rupe. Steiger e Fiedler (1) hanno otte- nuto per azione del cloruro di tionile sull'acido a-metil- f-fenil-cinnamico, e che chiamano #-metil- y-fenil-indone. Ho preparato l’etere etilico dell'acido @-metil- f8-difenil-lattico, secondo le indicazioni di Rupe, Steiger e Fiedler (*?). Questo etere, come ho già accennato nella mia Nota I (*), dà con H.S0, conc., a freddo, una bella colorazione verde-smeraldo. Per aggiunta di ghiaccio la colorazione verde scompare e la soluzione diviene di colore giallo intenso, mentre si deposita l’indone in fiocchi di colore arancio. Come per l’a-etil- 8-fenil-indone, così per l’a-metil- #-fenil-indone, è facile spiegare l'andamento della reazione. L'acido solforico cone., ha prima saponificato l'etere dando l’acido a-metil- 8-difenil-lattico, poi eliminato una molecola d'acqua dando luogo alla formazione dell'acido «-metil- #-fenil-cinnamico; quindi una seconda molecola d’acqua tra il carbossile e l'anello benzenico formando l' @-metil- B-fenil-indone. La reazione sarebbe andata dunque secondo lo schema seguente: CeH; CH, CoEE CH, CsHs CH; | /0E | | /0R | | | e 0 H > ce CH — € C — | | | | | CA C00 C.H; CHE COOH OTHE COOH AEDES i s ci eni CO Di questo indone ho ottenuto l'ossima, il semicarbazone ed il semi- ossamazone. In questa Nota descrivo anche il semicarbazone dell’ a-etil- B-fenil-indone che ho preparato per confrontarlo con quello dell’a-metile8-fenil- indone. a-metil-B-fenil-indone. L'etere etilico dell'acido @«-metil- 8-difenil-lattico è stato preparato secondo le indicazioni di Rupe, Steiger e Fiedler (*). (') Rupe, Steiger e Fiedler, Ber. 47 (1), 66 (1914). () Rupe Steiger e Fiedler, loc. cit. (3) R. de Fazi, loc. cit. (4) Rupe, Steiger e Fiedler, loc. cit. — 345 — Si disciolgono 20 gr. di benzofenone in 60 ce. di benzolo (disseccato su sodio), e si aggiungono poi 24 gr. di etere etilico dell'acido @-bromo- propionico e 7 gr. di zinco in granuli. La reazione si fa in un pallone da 500 cc. a b. m. con refrigerante chiuso da un tubo a Call». Si fa bollire per circa 2 ore. Poi si raffredda, e si decompone con H:S0O, diluito. Si separa quindi la soluzione benzenica e si lava bene con acqua; si filtra e si distilJa il benzolo. Per raffreddamento, tutta la sostanza oleosa rimasta, cristallizza in ciuffi di aghi. Ricristallizzata da una mescolanza di alcool etilico ed acqua (3:1) si ottengono fini aghi bianchi, che fondono a 101-102°, e che sono l'etere eti- lico dell'acido a-metil- 3-difenil-lattico. Da una preparazione si ottengono circa 20 gr. di questo etere. A gr. 2 di etere etilico dell'acido «-metil- #-difenil-lattico si aggiun- gone 10 cc. di H,SO, conc. La soluzione diviene immediatamente di un bel colore verde-smeraldo. Però, se si fa questa operazione con attenzione, si nota come la colo- razione verde, pur essendo immediata è preceduta da una fugace colorazione gialla, poi arancio e rossa. Si lascia reagire a temperatura ordinaria per 1 giorno. Si aggiungono quindi dei piccoli pezzi di ghiaccio, mantenendo però a bassa temperatura (miscuglio di ghiaccio e sale) il recipiente in cui si fa questa operazione. L'aggiunta dei piccoli pezzi di ghiaccio deve essere fatta lentamente. Dal colore verde, la soluzione passa al rosso, all’arancio al colore giallo intenso. Si sente un odore speciale, simile a quello notato per l' a-etil- B-fenil-indone ('). Si aggiungono poi pochi cc. di acqua, sempre però a freddo. Si depo- sitano allora dei fiocchi di colore arancio, che si raccolgono su filtro. Si disciolgono in alcool etilico bollente, nel quale sono molto solubili. Per raffreddamento della soluzione si formano alla superficie lunghe lamelle, di colore giallo-arancio intenso, che si riuniscono per formare dei reticolati, i quali si depositano, velta per volta, al fondo del recipiente. Avendo avuto occasione di cristallizzare più volte questo indone, sempre dall'alcool, ho ottenuto, non soltanto delle lamelle, ma anche dei cristalli di forma romboedrica. Questo indone fonde a 86-87°. Si dissecca e si analizza: sostanza gr. 0,2054 CO, gr. 0,6564 H;0 gr. 0,1026. (1) R. de Fazi, loc. cit. RenpicoNTI. 1915, Vol, XXIV, 2° Sem. 45 — 5346 — Donde °/,: Trovato Calcolato per Cis Hia 0 C 87,15 87,24 H 9,98 5,49 Come l'a-etil- #-fenil-indone anche questo indone, con H,S0, cone. a freddo, si colora in un bel verde smeraldo; a caldo, in rosso. La reazione è così sensibile che basta un cristallino perchè 100 cc. di H. SO, conc. si colorino in verde smeraldo. Con HNO,; conc., a freddo, si colora in rosso. È una sostanza molto solubile in alcool etilico e metilico, benzolo, cloroformio, etere etilico ed etere acetico; meno in etere di petrolio. Da una preparazione si ottiene circa 1 grammo di &-metil- 8-fenil- indone. Ossima dell’a-metil- B-fenil-indone. lc Da; C=-N—-0H Si discioglie 1 gr. di @-metil- f-fenil-indone in 80 ce. di alcool etilico, e si aggiungono poi gr. 0,5 di cloridrato di idrossilammina disciolti in 5 ce. di acqua. Si fa bollire per 3 ore, e si filtra. Per raffreddamento della so0- luzione si depositano cristalli di colore giallo, che fondono, così impuri, a 195-197°. Questa ossima, disciolta in molto alcool etilico, cristallizza, dopo aver lasciato la soluzione a svapoiare a temperatura ordinaria per un giorno, in prismi di colore giallo-verde, e molto lucenti, che fondono a 199-200°. Con H,SO, conc., a freddo, si colorano in un bel rosso sangue. Con HNO; cone., a freddo, si colorano in rosso rubino. La sostanza disseccata a 100° si analizza : sostanza gr. 0,2118 CO, gr. 0,6332 H:0 gr. 0,1082, ” gr. 0,2516 N. cc. 13,2 a 764 mm. e 22°, Donde °/,: Trovato Calcolato per Cis Hi3 0N C 81,53 81,70 H 9,02 5,90 N 6,10 SUO -— 347 — Questa ossima è insolubile in acqua; solubile in alcool etilico e me- tilico, cloroformio e benzolo; meno in etere di petrolio. Semicarbazone dell'a-metil- B-fenil-indone. ani Cn re LE n 4 a6(7+V®) dlogo __a dlogo __£ dU pis o ET DURC E ATE. ts] tali che si abbia (5) a+ p°? + u° = 2ndo, dove 7 indica una costante. Quando una soluzione è nota, il raggio della corrispondente sfera inviluppante è dato: da À e l'elemento lineare della trasformata X, è (7) dsf = p° du° + q* dv? . 4. Ora dalla (6), derivando, si trova, per le (4), IR x 5R ti) re I (A VON) = —t_ ha, dU U dv u e, nella ipotesi che questo valore di R soddisfi alla (3), dovremo avere E AA 15)= RO Le TIRA, sa (VA dee aan rd T (*) Transformations of surfaces of Guichard and surfaces applicable to quadrics (Annali di matematica, ser. 3%, tomo XXII, pp. 194-197). — 352 — Calcolando colle (4) e (5), questa si riduce alla (8) p/a+gVyE=0, nella quale, come al solito, y E È VG indicano i valori positivi dei radicali. Lo stesso significato avendo |/ E, ; V G,, dove E,, G, sono i corrispondenti coefficienti per la superficie trasformata Z,, abbiamo due diversi casi da considerare, e cioè (9) p=VE , q=VG,, ovvero l’altro (16) p=—VE , qa=17VG. Ma il caso (9) è incompatibile colla (8), per la convenzione sui segni dei radicali; e resta quindi solo il caso (10), nel quale la (8) diventa VE -VG.=VG- VE. Siccome le linee di curvatura sono le linee coordinate sopra X e Z,, ne segue che la rappresentazione dell’una superficie sull'altra è conforme. Ma Darboux ha dimostrato (loc. cit.) che le trasformazioni D, delle super- ficie isoterme e quelle di Ribaucour colle sfere ortogonali ad una sfera fissa sono le uniche trasformazioni di Ribaucour per le quali la corrispondenza è conforme. Nello stesso tempo egli ha provato che per le trasformazioni del secondo tipo è il caso (9) che si presenta. Concludiamo quindi: Le trasformazioni Dm delle superficie isoterme sono le uniche trasformazioni di Ribaucour che dànno una soluzione del problema delle superficie di rotolamento. In una Nota successiva stabilirò un teorema, in certo modo duale di questo, che cioè le trasformazioni E, delle superficie con rappresentazione isoterma delle linee di curvatura sono le uniche trasformazioni di Ribaucour che dànno una soluzione del problema degli inviluppi di rotolamento, per usare la terminologia usata da Bianchi in due Note in questi Rendiconti ('). (1) Vol. 23, pag. 3; e vol. 24, pp. 366-369. — 353 — Matematica. — Sulla necessità della condizione di Weier- strass per l’estremo degli integrali doppî. Nota di EuceNIO ELIA LEVI, presentata dal Socio Lurer BrancHi ('). La teoria dei massimi e dei minimi degli integrali doppî, quale è esposta nei trattati più noti, presenta molte lacune: manca, ad esempio, la dimostrazione che la condizione di Weierstrass è necessaria. Per quanto tale dimostrazione non presenti difficoltà di natura essenziale, può essere utile l’esporla brevemente. 1. Supponiamo che l'integrale di cui si cerca l’estremo sia x la d d8 de . ) SS ; t) b) ; dove C rappresenta un'area assegnata del piano xy che si suppone limitata da una curva regolare €, /(xyzpg) è una funzione finita e continua colle derivate dei primi due ordini in un certo campo R dello spazio (x , y , #) e per valori arbitrari di p e di 9g. Sia #=%(xy) una funzione avente le derivate prime finite e continue, che dia ad (1) il massimo o il minimo valore rispetto alle superficie di un certo intorno di ordine 0, le quali assu- mono gli stessi valori sul contorno c di C. dÙ di da 7 ay in una funzione contenente 2 e le sue derivate, si sostituiscono a queste È e le derivate corrispondenti, si indichi il risultato della sostituzione colla lettera greca corrispondente alla latina con cui quella è indicata. Sappiamo che $(xy) deve essere tale che, per qualunque funzione @(27) avente derivate prime finite, sia Poniamo (xy) = ; e in generale conveniamo che quando (2) S[Co0 + 9r00+9,0,] dr dy=0; e si sa che perciò, se si ammette che é(xy) abbia pure le derivate seconde, essa deve essere un estremale, e cioè soddisfare all'equazione di Lagrange d d (') Pervenuta all'Accademia il 28 settembre 1915. — 354 — Ammettiamo soddisfatta questa condizione: e dimostriamo che affinchè <(xy) dia a I[z] per es. il valore minimo, occorre che în ogni punto xe Yo interno a C e per tutti i valori di a e B (14) E(x03Y0 So, To +@,%o 4 È ; To, %o) = = /(L0, Yo Soto +, %o + B) — P(Lo Yo) — — & Yp(d0 Yo) — Pad Yo) 30; dove Sh=t(x0Y0) to =T(%0Y0) è Xo=%(L0 Yo), e come si disse Y(x0Y0) = = f(X0Yobotto Ko) ecc. 2. Per semplificare i calcoli che seguono, osserviamo che ci si può sempre ridurre al caso in cui a >0,#8#=0,%z0=%,=0. Quando ciò non sia, poniamo (5) a=%g 0809 , f=osen0, e>0; e facciamo il cambiamento di variabili (6) ca=%,+-2'cos6—y send y=y +2" sen0+y' così. Aggiungendo un apice indicheremo le quantità relative alle nuove variabili; così C' indicherà il campo corrispondente a C nelle variabili (2’y'), sarà (7) <(oy)=29)= = er +e'cos6 — y'sen0,y + 2'sen0-+y' cos 0), e quindi i ,_ de Y) = —_-7= pcos0+gsend, ®) 3a ,__dea'yY) = ——_—=— 6 cos 0. dg psené + q cos ed analogo significato avranno é,7',y". La funzione 2'(x'7) darà il mi- nimo all integrale (9) Is = {( f'(e'y'3' p'q') da' dy', i c dove (10) /(#y'p'9)=/(2yap9)= = (ro + a'cos6 — y'sen 0, yo +- x sen0+y'cosò, 3',p' cos0 —q' seno, p'sen0 + g cos 6). D'altra parte indicando ancora con E' la funzione analoga a E costrutta — 359 — mediante la /' e la è" avremo identicamente da (8) e (10) (11) E(x0,Y0, Soto +@,%o +; 700,%)= = E'(0,0,%0,704+-01%05 6: %); cosicchè per dimostrare la (4), basterà dimostrare la disuguaglianza E'(0,0,60, 0 @.%05 70%) >0, che è l’analoga della (4) per l'integrale (9), e per a=0>0,8=0, Xo=Y= 0. Ci limiteremo dunque a dimostrare che per il minimo, occorre che (12) E(0,0,îo sto 4 @%0 5 To Xo) = =f(0,0,00,t0 +a,%x)—S(0,0))— (0,0) =0; a>O. 3. Ciò posto, prendiamo due numeri a e d positivi e tali che il rettan- golo di vertici (0, —a), (db, —@), (0,4), (0,a) sia interno a C: e sia a un numero tale che Dea Il rettangolo R. di vertici (0, —«), (6, —«), (2,8), (0,8) è allora interno a C: ed il punto (85,0) è interno a R.. Costruiamo allora una funzione variata «(x ,y;) colle regole seguenti: 1°) nel campo C— R. sia (13) (2,7; 8)=t(0,7); 2°) nel triangolo T. di vertici (0, —«),(s°,0),(0,e) sia (14) s(xy;e) = (2,9) +ex; 3°) nel campo R: — T: (che è un poligono concavo di 5 lati) poniamo (15) s(0y; e) = xy) + (29 8), dove (xy ;£) è una funzione avente le derivate prime quasi ovunque e sod- disfacente in R. — T. alle disuguaglianze d°w 20 dY 0520 (16) |o(cy ; a)| | A 0 0, + fa peer Or 0%, + fa 0} | dr dy ; ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 47 958. dove /.:... sono valori delle derivate seconde di /(x,y,4,p 9) in punti della forma (x 1432 + 00,7 + 00x,x + 9%,). Se quindi N è il massimo valore assoluto delle derivate seconde di /(x,y,4,p,9) in un intorno dei valori per cui xy è in R:,4= (xy) p=2(2y),4=x(xy), avremo per (16), se « è sufficientemente piccolo (28) Sho [200 +2/p 0054: t/a 0} (dn dy< 1. 1. Sia y una superficie algebrica irriducibile d'ordine n = 6, avente un fascio (*) di coniche (X) generalmente irriducibili. Indichiamo con (7) l’inviluppo (irriducibile) costituito dai piani di queste, con w la sua classe, e con s il numero di coniche di (7) esistenti in un piano generico di (7). È noto (‘) essere (1) 12= 2us 4 d + 20, ove d è il numero dei punti doppi dell’involuzione I} secata dalle coniche di (4) sopra una sezione piana generica c di y; e d' è il numero di quei punti (distinti o no) di c, su ognuno dei quali cadono (su due rami) due punti coniugati della detta 1}. (1) Pervenuta all'Accademia il 9 ottobre 1915. (3) Sulle superficie algebriche d'ordine 6 con infinite coniche. [Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XXIV, ser. 52 (1915)]. (3) È noto essere un fascio ogni sistema (necessariamente) cc! irriducibile di coniche (generalmente irriducibili) esistente sopra una superficie algebrica d'ordine n > 4. Vedi De Franchis, Le superficie irrazionali di 5° ordine con infinite coniche [Rendiconti della R. Accademia dei Lincci, vol. XV, serie 3° (1906)]. (4) Vedi il mio studio Sulle superficie algebriche con infinite coniche, e, in par- ticolare, su quelle di ordine è [Atti dell'Accademia Gioenia, Catania, ser. 52, vol. VIII, (1215)], n.° 2. — 360 — Si notì, inoltre, che, indicando con p, il genere di c, e con p; il genere di I, cioè di (4), è (per la formula di Zeuthen) d9= 2(p. +1) — 4p;. Su CARE A Giacchè è d> 0 e d' = 0, dalla (1) si deduce s= 1. Inoltre, siccome certamente esistono piani tangenti a tre coniche di (%), ma non a tutte le coniche di questo fascio, così è sempre d > 3; anzi dò => 4 e, quindi, d <2. 3. Cominciamo a supporre che (7) sia gobbo (e quindi razionale). Per. d'=0 la (1) da d—=6, e quindi (n.° 1) p.=2. Dunque y è proiezione della superficie y,, dell'S;, rappresentata, nel piano. dal sistema lineare |44,2, 2,3,4,5,6,71, ove i punti 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 sono in posizione generica tra loro. I piani delle coniche di y,, rappresentate dal fascio |Z}|], generano una varietà (a tre dimensioni) la quale, come facilmente si dimostra, è d’ordine tre. Proiettando dunque y, da una retta generica, dell’S, ambiente, in uno spazio ordinario, si ottiene una superficie y avente un fascio di coniche (%), e i piani di queste costituiscono un inviluppo gobbo di classe u= 3. 4. Per'di=1 la (1) da d=4, e*quindi(p.°1)p, de La superficie y è dunque proiezione della superficie y,, dell'S,, rap- presentata nel piano dal sistema lineare |Zî, »,3]. I piani delle coniche del fascio (X1), rappresentato da [Zi], generano una varietà (a tre dimensioni) d'ordine quattro. Ne segue che, per ottenere la superficie y in esame, basta proiettare y, da un piano © che incontri (genericamente) un solo 77, dei piani generatori della detta varietà. La traccia, nello spazio ordinario su cui si proietta, dell'S, = wr, è quella retta (doppia per y) che, contata due volte, è una conica del fascio (X) proiezione di (%,). 5. Supponiamo, ora, che l’inviluppo (77) sia conico, e indichiamo con V il suo punto-base, punto che o non appartiene a y, ovvero è triplo per questa e punto-base per (/%). Sia pi= 0, cioè (7) sia razionale. Ragionando come nel n.° 3, si dimostra che, per d' = 0, y è proiezione di una superficie y, , dell'S;, rappresentata nel piano dal sistema |A;2,2,3,4,5,6,7): ove i punti 1, 2, 8, 4, 5, 6. 7 non sono in posizione generica tra loro, ma come ora sì dirà. Se i punti 2, 3, 4, 5, 6, 7 appartengono ad una stessa conica c’, questa è immagine di una conica e, di y,, sulla quale le coniche del fascio (1), rappresentato da |A{|, segnano un’involuzione (quadratica); sia V, il centro di questa. È chiaro che, proiettando y, da una retta generica, si ottiene nello spazio ordinario una superficie y avente un fascio di coniche (7), i — 361 — cui piani inviluppano un cono razionale di classe u=3; e il vertice V di questo cono, proiezione di V,, non appartiene a y. 6. Se supponiamo, in particolare, che i 7 punti (n.° 5) 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 giacciano in una stessa conica c', questa rappresenta un punto V, che è triplo per y, e punto-base per il fascio (X,). Ne segue che, proiettando y, da una retta generica, si ottiene una superficie y con un fascio di coniche (/), i cui piani inviluppano un cono razionale di classe u= 3; il vertice di questo cono è un punto V triplo per y e punto-base per (/). 7. Sia ora d'= 1, pur essendo ancora (77) razionale; sarà d = 4, e, qundi, pp. — I La superficie y è dunque proiezione della superficie y,, dell'S;j, rap- presentata nel piano dal sistema lineare |4î, s, 3]. a) Siano 1, 2,3 in posizione generica tra loro. Allora le coniche di y, del fascio (%:), rappresentato da |X{, punteggiano proiettivamente le rette schembe aventi per immagini il punto 1 e la retta 4},3; le congiun- genti i punti omologhi generano quindi una schiera rigata. Ebbene, si scelga come piano centro di proiezione un piano generico w che incontri (in nn sol punto P non di y,) questa schiera rigata. e si proietti y, in uno spazio ordinario X; si otterrà la superficie y richiesta. Infatti per P passa una generatrice 9 della schiera trasversale di quella detta poco sopra, genera- trice che è incontrata da tutti i piani delle coniche di (7,). Ne segue che per il punto V, traccia in X dello spazio ©g, passeranno tutti i piani delle coniche del fascio (%) proiezione di (%,). Inoltre quella conica di (X,), com- planare con P., dà. la retta doppia di y, retta che, contata due volte, è una conica di (X); evidentemente l’inviluppo (7) dei piani delle coniche di (7), è razionale e di classe u=4—1=3. Si noti, infine, che il punto V non appartiene a y. 5) Supponiamo, invece, che i punti 1 e 2 siano infinitamente vicini tra loro, onde y, è dotata di un punto doppio V, che è punto-base per (/,). In questo caso, proiettando y, da un piano w che incontri genericamente un (solo) piano di una conica di (X,), si ottiene una superficie y con un fascio (X) di coniche, i cui piani inviluppano un cono razionale e di classe u=4—1=3. Inoltre esiste una retta doppia di y, la quale, contata due volte, è conica di (X). Si noti, infine, che il vertice V, del detto cono, è triplo per y e punto-base per (%). 8. Supponiamo ora p;= 1, cioè che l’inviluppo (7) sia ellittico. Per d'=0, dalla (1) segue d = 6 e, quindi (n.° 1), p;= 4. L'esistenza della superficie y si può dimostrare con ragionamenti analoghi a quelli fatti nel n.° 8 della mia Nota citata per la prima. Comunque, eccone dimostrata l’esistenza per altra via (1). (') Ancora: l’esistenza di y è contemplata nel seguente teorema generale (che dimo- strerò in un mio prossimo lavoro): Per s=7,n=?2w e (k) dotato di punto-base, la superficie y esiste. — 362 — a) Stabilendo un’omografia tra i piani di uno spazio ordinario X e le quadriche, di un altro spazio ordinario 2°, passanti per sei punti gene- rici di un cono cubico ellittico y', si viene a stabilire fra XY e X' una trasformazione doppia, in virtù della quale a y' corrisponde in X una super- ficie y d'ordine 2 = 6, con un fascio ellittico (4) di coniche i cui piani inviluppano un cono (ellittico) di classe u =3 ('). Il vertice di questo cono è, evidentemente, il punto V di 2 corrispondente a V’, punto V che, dunque, è triplo per y e punto-base per (£). 6) Fra i piani di un inviluppo (7) ellittico di classe u =3, e le quadriche di un fascio (x), esista una corrispondenza (2, 1), tale che esi- stano due piani di (77), ad ognuno dei quali corrisponda in (x) una quadrica (degenere) della quale quel piano sia parte. Il luogo della conica comune a due elementi omologhi è, a prescindere dai detti due piani, la superficie y richiesta. Secondo che il vertice V del cono inviluppato da (77) appartiene ovvero no alla base di (x), V sarà triplo per y e punto-base per (%), ovvero non appartiene a y. 9. Per d' =1èd=4, e, quindi, MESI, Da quanto è noto (*) circa le superficie a sezioni piane di genere tre, la superficie y esiste. a) Sia y la superficie, dell'S,, rappresentabile sul cono cubico ellit- tico mediante il sistema lineare delle curve segate dalle quadriche che toc- cano il cono in un punto fisso (*). Proiettando y, da uno generico dei piani incidenti essa in due punti, e incidenti il piano di una conica del fascio (ellittico) di coniche esistente in y, stessa, si ottiene la superficie y richiesta. La proiezione di detta conica sarà la retta doppia di y che, contata due volte, è una conica del fascio di coniche (%) esistente in y. I piani di queste coniche inviluppano, evidentemente, un cono ellittico di classeu=6—3=3, il cui vertice V è triplo per y e punto-base per (4). 5) La superficie y è una di quelle studiate dal prof. Scorza (‘). In questo caso il vertice V, del cono inviluppato dai piani di (7), non appar- tiene a y. (*) Infatti la quartica base del fascio di quadriche passanti pei sopradetti sei punti, per il vertice V’ di 7’, e per un punto generico (di 2°), seca ulteriormente y' in 4*3—6—3=3 punti, onde nel detto fascio esistono tre (sole) quadriche che conten- gano generatrici di y/. (£) Castelnuovo, Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere 3 [Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, vol. XXV (1890)]; e Scorza, Ze super- ficie a curve sezioni di genere 3 [Annali di matematica, ser. 3%, tomo XVI]. (?) Castelnuovo, loc. cit., n.° 9. (4) Scorza, loc. cit., ni 26 e 50. — 363 — 82. 10. Sia u=2. Giacchè è d > 0 e d'= 0, dalla (1) si deduce s<3. Ilsa = Cominciamo dall’osservare che il vertice V del cono quadrico, invilup- pato dai piani di (77), o è doppio per y e non punto-base per (%), ovvero è quadruplo per y e punto-base per (%). Dalla (1), inoltre, si deduce (n.° 2) d'<3. Per d'= 0 la (1) dà d=8 e, quindi, (n.° 1) p.=3. a) La superficie y è dunque (') proiezione della superficie y,, dell'S,, rappresentata nel piano dal sistema lineare |4î3, », 3, 4,...., 1 coi punti 1,2,3,4,..., 11 in posizione generica tra loro. I piani delle coniche del fascio (X,), rappresentato da |Ai], costituiscono un S-cono quadrico, e il vertice V, di questo è doppio per y,. Proiettando dunque y, da un punto generico dell’S, ambiente, si ottiene una superficie y con un fascio di coniche (4) i cui piani inviluppano un cono quadrico, e il vertice V di questo è doppio per y e non punto-base per (£). 5) Se, in particolare, i punti 2, 3, 4, 5, 6 sono collineari, siccome la loro retta rappresenta un punto V, quadruplo per y, e punto-base per (41), così Ja proiezione di y, sarà una superficie y con un fascio di coniche (%) i cui piani inviluppano un cono quadrico, e il vertice V di questo è qua- druplo per y e punto-base per (%). libero — lee =:oretgumdito — 2: La superficie y è dunque proiezione della superficie y,, dell'S;, rappre- sentata nel piano dal sistema lineare |4f2 è 3,4,5,6,71- a) Se i punti 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 sono in posizione generica tra loro, siccome ì piani delle coniche del fascio (X,), rappresentato da !Zi|, gene- rano una varietà cubica, proiettando y, da una generica retta incidente uno (solo) 77, di questi piani, si ottiene una superficie y con un fascio di coniche (X) i cui piani inviluppano un cono quadrico, e il vertice V di questo è doppio per y e non punto-base per (%). b) Se, invece, i punti 1, 2, 3, 4, 5, 6,7 appartengono ad una stessa conica, allora, proiettando y, come ora si detto, V risulta quadruplo per y e punto-base per (%). In ambedue i casi la traccia, nello spazio di y, dello spazio ordinario individuato da 7, e dalla retta centro di proiezione, è la retta doppia di y, tale che, contata due volte, sia conica di (%). 13. Per d'=2 è d=4 e, quindi, p;= 1. La superficie y è dunque proiezione della superticie y,, dell'Ss, rap- presentata nel piano dal sistema lineare |Zî, »,3|, qualora si scelga, come piano (1) Castelnuovo, loc. cit. — 364 — centro di proiezione, uno generico w dei piani, dell’Sg, incidenti, generica- mente, due dei piani delle coniche del fascio (%,) rappresentato da |A}. Le tracce, nello spazio di y, degli spazî a quattro dimensioni individuati da questi due piani con w, sono due rette doppie per y e, contate due volte, coniche del fascîo (4) proiezione di (&,). Il vertice V del cono quadrico inviluppato da (7), sarà a) doppio per y e non punto-base per (£), in generale; 6) mentre se i punti 1 e 2 sono infinitamente vicini tra loro, V sarà quadruplo per y e punto-base per (%). 14. Sia, infine, s="2, e, quindi, 9=4 e d'=0. L' ulteriore intersezione di y con un piano generico di (77) è una conica irriducibile, la quale genera, al variare del piano, un fascio razionale (£') distinto da (4). Ne segue che y è razionale, e, quindi, anche (4) sarà razio- nale; dunque è p_= 1. Ciò posto, si consideri la superficie y,, dell’Ss, rappresentata nel piano dal sistema lineare |Zî, »,3], ove i punti 1 e 2 sono infinitamente vicini tra loro. Indi si assegni un'omografia tra le coppie di una gì del fascio |A{|, e le rette del fascio |23}. Una coppia e una retta omologhe costituiscono l’im- magine di una sezione iperpiana di y,. Si ottengono, così, oo’ iperpiani tali che per un punto generico, dell'Ss ambiente, ne passano due (soli), onde essi appartengono tutti ad un Sz. Proiettando quindi y, da un piano gene- rico di questo spazio, si ottiene la superficie y richiesta; il vertice V del cono quadrico inviluppato dai piani delle coniche di (4), sarà doppio per y e punto-base per (4). 15. Dallo studio fatto possiamo concludere che le superficie d'ordine n= 6, con infinite coniche i cui piani costi- tuiscano un inviluppo di classe u=3 ovvero n=2, sono le diciassette superficie date nei numeri 3, 4,5, 6,7 (a, b), 8 (a, 8), 9 (a, 8), 11 (a, d), 12 (a, è), 13, (a, d,) 14. Matematica. — Gl autovalori e le autofunzioni dei nuclei simmetrici. Nota II di ATTILIO VERGERIO, presentata dal Socio T. Levi-Civita ('). 5, Calcoliamo i nuclei iterati di F°°(s/) (*); si ha b Fs) = CK(s7) — Hi(sr)] [K(72) essendo ° CARI AR SE K(sr) Hi(rt) dr=lim f' K(s7) pin 00) dr = =ylim SIL = yH(st), ed anche (ved. $ 3) b Ii H,(sr) H(r4) de = yH(st), otterremo : Fs) = K.(s4) — yH(st). Analogamente Fs) = K:(s6) — yHi(sd); ed in generale F57(56) a Kon(84) = H(s) Sar (88) =" Kon+1(84) cr y"H1(sé Posto ora b eb Di,= (frode ; re= aa ava Wir sarà Uintr = Ugnasr — pei U Uln = Un — MEA] ; da cui Una ùu VIE: TO — 7 Uda y2n E (!) Pervenuta all'Accademia il 24 settembre gal), (?) Ved. la mia Nota IL. ReNDINOOTI, 1915, Vol. XXIV, 2° Sem 48 — 366 — Ed ancora, posto T.lim TO, n= sì avrà Un 2n+1 LA —U n=0%0 Un 2 y E poichè il minimo modulo degli autovalori di F°(st , avremo, per |Z2|, la seguente espressione: Un 5 MU): 2 dele t |im FT 2 imp}: (). [Vy||x=e Van gl |Vr[la=o VEDE Si presentano ora tre casi: 1°) lim R?= 1, e quindi dal=|7 Il nucleo K(s?) ammette le Vr allora ambedue i valori ERE e ngi , come autovalori ; Vy Vy 2°) lim R®>>.1 e finito; si ha allora per |Z:| un valore maggiore #0 di [2] (5); 3°) il rapporto R® non tende ad alcun limite; allora la ricerca degli È 1 autovalori è esaurita, e K(s7) ammette uno solo dei due valori 1 —, come y autovalori. Questo caso si presenta quando F°(st)= 0; le costanti y, di K(sà) sono allora tutte eguali tra loro, ed i due termini di R®) sono sempre nulli, qualunque sia 7. 6. Supposto che quest'ultimo caso non sì verifichi, sì consideri la fun- zione F°(s4) = Fs) — HP(s2), Usato —_ Usn yg2n+! paci gin (') Si osservi che essendo =U (Schmidt, loc. cit., $ 11), il rapporto \ RO, per ogni x finito, è sempre positivo: tale dovrà quindi essere anche il suo limite, quando esiste. Inoltre, essendo Re 1, dovrà essere lim RO) I n=% (2) In questo caso, K(st) ammetterà uno solo dei due autovalori = i per stabi- y lime il segno, ci si potrà servire del criterio esposto alla fine del $ 3. — 367 — dove «0 Finsa(81 H®(st) = lim Pnr1(98) ; e si ripeta per la F©(s?) il ragionamento fatto per la F°°(s/). Arriveremo così a trovare per |43| la seguente espressione: Ula tI — U' |? 2n VT I [im Ro}, vr] |yTe||a=o Dee gel |VTa]la=o Ea dove potremo ripetere per limite di R le stesse considerazioni fatte più sopra per RW e continuare, nel caso, la ricerca di nuovi autovalori consi- derando la funzione F‘(st) = F®(59) — H9(S0) ; e così via indefinitamente, sino a ricerca esaurita. Si arriverrà così ad otte- nere tutti gli autovalori di K(st). 7. Vediamo ora come si possano determinare tutte le autofunzioni del del nucleo K(s/). Evidentemenle basterà limitarsi a mostrare come si pos- ; î . 3 1 4 sano trovare quelle corrispondenti agli antovalori eee perchè, nello Vy stesso modo, si potranno trovare quelle di F°(s/), F®%(s/),... relative 2 3 1 1 . E 0 agli autovalori tt —— © —-,...; le quali, come già sappiamo, sono le VI: VI: autofunzioni di K(s/) corrispondenti agli autovalori 43,43, ... Osserviamo, anzitutto, che, se y(s) è una funzione qualunque finita ed - SIR x | 1 integrabile, le autofunzioni di K(s7), relative all'autovalore 4 —= , saranno Vy tutte rappresentate dall'espressione ®) [UGOMO UE (dad. ca Invero si consideri l'equazione integrale di 2 specie mM ++ f KG) MO U=90). e dove (7) è un’autofunzione di K(s?) relativa all’autovalore an Vy — 368 — Essendo K(7) una funzione simmetrica, l'equazione precedente ammet- terà (*) almeno una soluzione y1(4); moltiplicandone allora ambo i membri per H(s7) dr, ed integrando, si otterrà (*) b 1 b f H(sr) yi(7) dr + "o f H(87) yi(2) dr = g(8), da )/ y «va il che prova quanto si voleva. Potremo allora scegliere p, (ved. $ 3) funzioni yi(5), x2(8) , «... Xp,(8) tali che, per esse, la (8) rappresenti le p, autofunzioni linearmente indipen- denti cercate. In modo affatto analogo si dimostrerebbe che tutte le autofunzioni di 1 —= , sono rappresentate dall’espres- Vy sione i (9) (56) y(1) dt — 7 (A(S0 x(t) di, «a yi 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50.se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MA? Maca Seduta del ? novembre 1915. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulla generazione, per rotolamento, delle superficie isoterme e delle superficie a rappresentazione isoterma delle linee di ‘curvatura. Nota del Socio Luror BIANCHI ('). 1. In due successive Note pubblicate in questi Rendiconti (*), applicando i teoremi generali sul rotolamento di superficie applicabili, ho dedotto, da ogni trasformazione D, di Darboux di una superficie isoterma, una genera- zione della superficie stessa come superficie di rotolamento; e similmente, da ogni trasformazione Em di Eisenhart di una superficie X a rappresenta- zione isoterma delle sue linee di curvatura, una generazione di X come inviluppo di rotolamento. Indicando con (S,S) le corrispondenti coppie di superficie applicabili, di cui Ja prima, S, è la superficie d'appoggio, e la seconda, So, la superficie rotolante, nel primo caso è un punto O, satellite di So, che descrive la superficie isoterma quando si fa rotolare S, sopra $; nel secondo è un piano 7 (satellite di S,) che inviluppa la superficie X a rappresentazione isoterma delle linee di curvatura. Alla questione, già posta nelle Note citate, di caratterizzare, dal punto di vista della deformazione, queste speciali coppie di superficie applicabili (S,So), siamo ora in grado (!) Pervenuta all'Accademia il 3 novembre 1915. (*) Fasc. 4° e 5°, 1° semestre 1915 (sedute del 21 febbraio e del 7 marzo). Saranno qui citate come Nota 1), e Nota 2). ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 50 — 378 — di rispondere in modo tanto più completo, in quanto le recenti ricerche di Eisenhart (*) permettono di invertire in certo modo i miei primi risultati. Si osservi, intanto, che le superficie S d’appoggio nelle nostre coppie (S,S,) di superficie applicabili sono già perfettamente caratterizzate come luoghi dei centri delle sfere dell’inviluppo nella corrispondente trasforma- zione Dm, ovvero nella Em. Ma per questo secondo caso si determineranno ulteriormente dalle loro relazioni colle deformate del paraboloide rotondo (ved. n. 8). Quanto poi alle superficie rotolanti Sy, le potremo caratterizzare da una proprietà geometrica del sistema (u,v) coniugato, comune alla S, ed alla sua deformata S, sistema che è sempre reale e corrisponde alle linee di curvatura delle due falde dell’inviluppo. La proprietà in discorso è la seguente: A) Nel caso delle superficie isoterme il sistema coniugato perma- nente (u,v) della superficie rotolante S, si protetta, dal punto satellite 0, sopra una sfera di centro O, in un sistema ortogonale. B) Nel caso delle superficie a rappresentazione isoterma delle linee di curvatura, il sistema coniugato permanente (u,v) di S, si proietta ortogonalmente sul piano satellite tt in un sistema ortogonale. È chiaro che, siccome la proiezione centrale sulla sfera è una proie- zione ortogonale, le superficie So del caso B) sono da riguardarsi come un caso limite dell'altro, A), quando il centro O si allontani all'infinito, in una determinata direzione. 2. Comincieremo dal riscontrare che la proprietà A) si verifica nelle superficie rotolanti S, corrispondenti ad una trasformazione D,, e la B) in quelle che corrispondono ad una Em. Indicando con ds? = Edu? + Gdo il quadrato dell'elemento lineare della superficie 2 (prima falda dell’invi- luppo), con 7, , 7, i raggi principali di curvatura di Z, e con R il raggio della sfera inviluppante, l'elemento lineare dso comune alle due superficie applicabili So, S è dato da 2 2 d=B(1+7) de +.G(1 DL S| do* + dR?. 2 1 Ora, nel caso delle superficie isoterme e di una trasformazione Dm, il raggio R rappresenta altresì la distanza del punto (u,v) variabile di So dal punto satellite 0: e per ciò, indicando con do l'elemento lineare della (1) Sulle superficie di rotolamento e le trasformazioni di Ribaucour (questi Ren- diconti, ottobre 1915). — 379 — proiezione centrale di Ss fatta da O sulla sfera unitaria di centro 0, abbiamo ds$= R° do? + dR?*, e, paragonando colla precedente, risulta gn 4 (1 1 2 2 si +) di +6(+7) do. Questo ha effettivamente la forma ortogonale, e sussiste quindi la pro- prietà A). Nell’altro caso, di una trasformazione E,, il raggio R rappresenta la distanza del punto (v,v) di S, dal piano satellite 77. Indicando questa volta con do? il quadrato dell'elemento lineare della proiezione ortogonale di So su 77, abbiamo dsf=do° + dR°, e, per ciò, 2 z de =E(1 i) du? + G(i +7) dv?, Pa 1) che ha nuovamente la forma ortogonale. Dunque, se la S, appartiene ad una trasformazione Em, ha luogo la proprietà B). 8. Prima di procedere all'inversione di questi risultati, ritorniamo sul primo caso di una superficie X isoterma per constatare un'ulteriore proprietà che possiede la proiezione centrale del sistema coniugato permanente di So, e che è del resto una conseguenza della A). Riferendoci alle formole della Nota 1), abbiamo qui Se e indi 1 w \} 1 w \° dov = e0f— — —| du. + e? =) do. Ta P, F Dalle mie ricerche sulle superficie isoterme (') si sa che in quest'elemento lineare sferico le linee (v,v) sono le immagini delle linee di curvatura di una nuova supeficie isoterma £, precisamente di quella che in (M») è indi- cata come proveniente da X per una trasformazione T,,, associata alla Dm di Darboux. Nel caso A) ha dunque luogo l'ulteriore proprietà che: Ze proiezioni centrali sulla sfera delle linee del sistema coniugato perma- nente di ©. ‘ono le immagini delle linee di curvatura di un'altra super- ficie isote.... 3. (*) Ved. le duc Memorie nei tomi XI, XII, serie 3%, degli Annali di matematica (1905). Qui saranno citate con (Mi), (Ma). — 380 — Osserviamo ancora, perchè utili per il seguito, le formole che, supposta nota la X, dànno la S,. Se chiamiamo X;,Y:,Zs i coseni di direzione della normale a 2, e x0, Yo, le coordinate del punto (u,v) di So, abbiamo D'altra parte si è dimostrato, in (M») $ 8, che alla D,, di 2 corrisponde una D_,, per X, e la corrispondente w è data [ibid., formole (16)] da _ (20, GS «genre " w ig Per ciò le precedenti si scrivono anche Xs Mi Za (1) Lo = ci Y,= = 5 &, = =. (0) wW w 4. Per dimostrare che le proprietà del sistema eoniugato permanente, enunciate in A), B), caratterizzano le superficie rotolanti S, nelle coppie di superficie applicabili dedotte da una trasformazione Dm, ovvero da Em, noi cominciamo dallo stabilire le due proposizioni seguenti: A') Se una superficie S, possiede un sistema coniugato permanente (u,v), che, protettato da un punto O sopra una sfera di centro O, dà un sistema ortogonale, ed è S la corrispondente deformata, allora, quando So st fa rotolare sopra S, il punto O descrive una superficie X le cut linee (u,v) sono quelle di curvatura. B') Se una superficie S, possiede un sistema coniugato permanente (u,v), che sopra un piano rt si proietta în un sistema ortogonale, allora, rotolando S, sulla deformata S, il piano mr inviluppa una superficie X le cui linee (u,v) sono quelle di curvatura. A questo oggetto ricorriamo ad alcune formole generali della teoria degli inviluppi di sfere, che qui per brevità mi limito a citare riserbando ad altra occasione i relativi sviluppi. Consideriamo un inviluppo di co? sfere, la cui superficie S luogo dei centri, riferita ad un sistema curvilineo qualunque («,v), abbia le due forme quadratiche fondamentali (2) ds° = EBdu? + 2F du dv + G dv? (3) Ddu? +2 D'du dv + D'"dv*, e sia R= R(«, v) il raggio della sfera inviluppante. L'inviluppo si com- pone di due falde, e noi vogliamo scrivere l'equazione differenziale delle linee di curvatura sull’una o sull'altra falda. Denotiamo con 4,R il para- metro differenziale primo di R, calcolato rispetto alla forma (2), e con — 8381 — Ri, Rie, Ros le derivate seconde covarianti di R, e poniamo d (en=R1n +eDVI—- AR, mi=Ra+eD'/1-4R, | Re 0) dove == = 1, il segno distinguendo le due falde dell’inviluppo. Se po- niamo inoltre i Ra R R\? (5) B&=E-(3) , Fo=F_ Don ’ G=6—(3 ) ’ du MIZAIND) dU l'equazione differenziale delle linee di curvatura dell'inviluppo si scrive E, du + Fo dv Fo du + Go dv | (6) =0. ty du 4 ta dv Tio du +4 23 dv Ciò premesso, e riferendoci dapprima al caso A’), supponiamo che la superficie S ammetta una deformata S, per la quale R sia la distanza del punto (v,v) di S, dall'origine O. Per le formole relative alle derivate se- conde covarianti della funzione o=+R?, calcolate al S 69, vol. I, delle Lezioni, avremo (7) REB=E+DoW_, RRè=F;+DW _, RRa=G+D5W, dove Do, Di, DI sono i coefficienti della seconda forma fondamentale di Sy, e W la distanza dell'origine dal piano tangente in (u,v). Se con ds = edu? +2 fdudv + gdo indichiamo il quadrato dell'elemento lineare sferico per la proiezione cen- trale fatta dal punto sulla sfera unitaria, avremo, come al n. 2, ds? — dR? asi oe , e, per ciò, (8) bilie Rei Rig Ora, supposto che per la superficie S, abbia luogo la proprietà descritta in A'), prendiamo a sistema coordinato quello coniugato permanente, ed avremo, per le nostre ipotesi, D'=0 indi, dalle (4), (7) e (8), F,=0 . to =0. Così l'equazione differenziale (6) diventa dudv=0, — 382 — le cui linee integrali x = cost, v= cost sono dunque le linee di curvatura per ambedue lè falde dell’inviluppo, c. d. d. Un risultato del tutto analogo si avrà nel caso B'), supponendo che il sistema coniugato permanente (u,v) di Ss, proiettato sul piano 7, dia un sistema ortogonale. Allora R rappresenta la distanza del punto («,%) di S, dal piano 77, e si ha quindi R,, or DZ . Ri, = Di 4 , Ros “a Do Z . essendo Z il seno dell'angolo d’inclinazione della normale a S, sul piano sr. Qui il quadrato dell'elemento lineare per la proiezione piana di Ss su 7 è do? = ds? — dR?. E prendendo per sistema coordinato (v,v) quello coniugato permanente, ne dedurremo ancora F=0 , ti=0, ciò che porta alla medesima conclusione come nel primo caso. Le proposi- zioni A'), B') sono, così, stabilite. 5. Ai risultati ottenuti associando ora i teoremi inversi dovuti ad Eisenhart, facilmente proviamo che le proprietà A), B) sono caratteristiche per le superficie S, rotolanti nelle coppie (S,S) di superficie applicabili dedotte da una trasformazione Dm, ovvero da una Em. E invero, se consi- deriamo il primo caso e supponiamo che il sistema coniugato (vu, v) di Si si proietti da O sulla sfera in un sistema ortogonale, e sia inoltre sistema coniugato comune ad S, e ad una sua deformata S, considereremo le sfere che hanno i centri nei punti di So e pussano per O. Il teorema A') prova che, quando Ss si deforma in S, seco trasportando le sfere, sulle due falde X,X, dell’inviluppo di sfere le linee di curvatura corrispondono al detto sistema coniugato comune, e per ciò 2,2, sono trasformate di Ribaucour l'una dell'altra. Ma poichè, quando Sy rotola su S, il punto O descrive la falda 3, dal citato teorema di Eisenhart segue che: /e due superficie 3, X, sono isoterme, e la trasformazione di Ribaucour è una Dm. Similmente, nel secondo caso, considereremo le sfere coi centri sopra So e tangenti al piano 77. Deformando S, in S, sulle due falde X, XY, dell’in- viluppo di sfere le linee (vv) saranno, pel teorema B'), quelle di curva- tura. Dopo ciò, dal relativo teorema inverso di Eisenhart segue ora: le due superficie Z, 2, hanno rappresentazione isoterma delle loro linee di cur- vatura, e la trasformazione di Ribaucour è qui una Em. Così abbiamo riconosciuto, in effetto, che le proprietà A), B) sono carat- teristiche per le nostre superficie rotolanti, e possiamo concludere: TroREMA I). Se una superficie So possiede un sistema coniugato permanente che da un punto fisso O si protetta, sopra una sfera col — 383 — centro in O, în un sistema ortogonale, facendo rotolare S, sulla relativa deformata S, il punto O descrive una superficie isoterma. TEOREMA II). Se una superficie So possiede un sistema coniugato permanente che si proietta sopra un piano tt in un sistema ortogonale, quando S, rotola sulla deformata S, il piano rr inviluppa una superficie a rappresentazione isoterma delle lince di curvatura. Che inversamente ogni superficie isoterma possa generarsi (infinite volte) nel primo modo, ed ogni superficie a rappresentazione isoterma delle linee di curvatura nel secondo, è già stato dimostrato nelle Note 1) e 2). 6. Le proprietà caratteristiche che offrono le nostre superficie rotolanti Sy in riguardo alle proiezioni ortogonali del loro sistema coniugato permanente sulla sfera, o sul piano, rendono opportune alcune osservazioni sulle proie- zioni in generale, che, per quanto molto semplici, non mi consta siano state completamente rilevate altrove. Se si trasforma una qualunque superficie S, mediante un'omologia di centro O, in un’altra S', è ovvio che sopra S,S' si corrispondono le linee asintotiche (0, ciò che torna lo stesso, i sistemi coniugati), e le coppie P, P' di punti corrispondenti sono allineati con O. Ma diciamo che inversamente: Se due superficie S,S'", non sviluppabili, si corrispondono punto a punto in guisa che le asintotiche si cangino in asintotiche, e le coppie di punti corrispondenti siano allineate con un punto fisso O, st passa da S a S' con un'omologia di centro O. In modo più breve, si può enunciare la stessa proprietà così: Ze uniche protezioni centrali di una superficie non sviluppabile sopra un’altra, che conservano le asintotiche (i sistemi coniugati), sono le omologie col centro nel centro di proiezione. Analiticamente la proprietà si dimostra (') ricordando che le coordinate (') Il prof. Bertini ha dato di questa proprietà la seguente dimostrazione sintetica Siano L, 4 le due asintotiche partenti da un punto generico P di una superficie, ed L',4' le loro corrispondenti uscenti dal punto corrispondente P’ dell'altra superficie. Le asintotiche L,,4,, infinitamente e rispettivamente vicine a L,, 4, seghino queste in Q,R, e si seghino fra loro in M. Si osservi, dapprima, che i quattro punti P,Q,M,R (e analogamente i quattro corrispondenti P/,Q'.M',R?) formano un proprio tetraedro, non potendo manifestamente accadere, per l'ipotesi, che essi giacciano in un piano. I due tetraedri corrispondenti PQRM , P'Q'R'M” sono, pure per l'ipotesi, omologici e, conside- rando (ad es.) i due punti S, N in cui l’asintotica As, infinitamente vicina a A4,, incontra L,Li, sono parimenti omologici i due tetraedri corrispondenti RMNS, R'M'N’S’. Il piano d’omologia di quelli coincide col piano d’omologia di questi, perchè i due primi hanno comuni tre punti, cioè il punto RS.R'S' (queste due rette, ancora per l’ipotesi, trovan- dosi nei piani tangenti QPR, Q'P'R'), il punto MN.M'N'’ per analoga ragione, e infine il punto RM.R'M': i quali tre punti non sono in linea retta, per l'osservazione fatta dianzi. Continuando, si hanno infinite coppie di tetraedri omologici collo stesso piano d’omologia: e quindi le due superficie hanno i piani tangenti in punti corrispondenti segantisi sopra un piano, e ciò evidentemente basta per concludere il teorema. — 3834 — %,Y,s di un punto mobile sulla superficie, espresse in funzione dei para- metri x,v delle asintotiche, godono della proprietà caratteristica di s0d- disfare ad un sistema differenziale della forma (Lezioni, vol. I, S 66) 1 30 20,0, 20 asa \ du? IM) (a) I 70 DA 20 | dv? a du “n p dv ’ dove a,0,@,f sono funzioni di x,v. Il sistema (a) è completamente integrabile, e la sua soluzione generale 0 ha la forma 6=Ax+By+ 34 D, con A,B,C,D costanti. Ora, se il centro di proiezione è a distanza finita, poniamovi l'origine, e denotando con x’, y'"," le coordinate del punto di S' corrispondente a (x, 7,4) di S, potremo scrivere ega EA pit Ò Tali e E poichè x',y'",4" debbono essere soluzioni di un sistema come (a), facil- mente si vede che T stessa deve essere una soluzione del sistema (a), onde risultano le formole asi L = cata DARA " Ag By +04 D.,°%.. ArBy 0 20, 1,9 cai 21,99 | Sia adesso nello spazio fondamentale rappresentato dalle equazioni Xogsi = Xo9+2 cs AO Xop = () (che è l’asse A, di A e che ha per il sistema A, nelle nuove coordinate X, lo stesso significato che * ha, nelle antiche coordinate @, per Vp), \es=2 9 (1) D Crys Xx Xx; = 0) (Cris ap Csi 0) r,8 l'equazione di un sistema nullo principale di A; e allo stesso modo sia, nello spazio fondamentale rappresentato dalle equazioni X\=X.=---=Xy=0. che è l'asse di A', PI (2) DE Cna Xogsr Xogss 0) (cas + Cir = 0) r,s l'equazione di un sistema nullo principale di A”. Due tali sistemi nulli esistono certamente: e il dire che essi sono principali equivale, a dire che, indicati con 4,,4,,...,%, ® W&W. us... ty due gruppi di indeterminate, e posto E, Liynnr=A + + 4929 e Et inn = MQ + + dgr Li (dio 29) — 398 — con ;=|/—1 e le È, 7,é',y' reali, ciascuna delle forme 1:::29 1-29" È, Dic a 138 138 sì mantiene diversa da zero e sempre dello stesso segno — diciamo posi- tiva — qualunque siano, rispettivamente, i valori non tutti nulli delle 4 o delle w (1). Le equazioni (1) e (2), interpretate come equazioni in X, rappresen- tano due sistemi nulli aventi per assi, il primo, l’asse Ai di A’, e il se- condo, l'asse A, di A; e così l'uno come l'altro hanno poi come spazî auto- coniugati 7 e T (1°). Segue che, qualunque siano gli interi non nulli @ e 0, l'equazione 1°0:29 1+--29" (3) Q DI Cris Kr Xs + o DI Cha Nar Xog+s =0 r,s TS rappresenta un sistema nullo di V,, rispetto a cui A e A' sono associati. Perchè esso sia principale, occorre e basta che, per valori adesso non contemporaneamente tutti nulli delle 4 e delle w, si abbia sempre 1°°:29 1°°°2g r (0) DI Crs Èr Mk @ > Crati >, 1,8 r38 o sempre +-+29 1 1°°*29! Q DI Cr,s È Ms 4-0 DI Crasr ig 0; 1,5 Li r,8 per il che occorre e basta, evidentemente, che 0 e o siano entrambi posi- tivi (> 0) o entrambi negativi (< 0); dunque la nostra affermazione è dimostrata (’*). 4. Per un'osservazione già fatta altrove (14), la costruzione del num. pre- cedente, quando si supponga di sceglier comunque i sistemi nulli (1) e (2) (1!) Loc. cit. 1), Nota II, n. 8. (19) Si badi che, per es., il sistema nullo di A rappresentato dall’equazione (1) ha, per definizione, due spazî autopolari nelle traccie di A, su 7 e 7, che sono degli Sq_1. ('3) Dalla dimostrazione risulta in più la circostanza che, entro il fascio dei sistemi nulli. contenente i nostri infiniti sistemi nulli principali, considerato come una forma di 1* specie (reale), questi ultimi son tutti contenuti in uno stesso segmento della forma. È quanto avremmo anche trovato, nel modo più spontaneo, se avessimo utilizzato i teo- remi contenuti nella Memoria citata in ® per dimostrare geometricamente il teorema del testo. Ma abbiamo creduto più comodo, per il lettore, dare una dimostrazione indi- pendente da quei teoremi, tanto più che essa è assai rapida e semplice (4) Loc. cit. ®, Nota II, Osservazione del n. 15. Sao fra i sistemi nulli principali di A e A’, rispettivamente, dà /u/t7 i sistemi nulli principali di V,, rispetto a cui A e A' sono associati; se invece si sup- pone che le equazioni (1) e (2) rappresentino, rispettivamente, un qualsiasi sistema nullo non singolare di A o di A', l'equazione (3) (dove adesso 0 e 0 sì riguardano come due numeri interi qualunque, diversi entrambi da zero), al variare di o e o e al variare dei sistemi nulli (1) e (2) fra i sistemi nulli non singolari di A e A', dà tutti i sistemi nulli (non singolari) di V,, rispetto a cui A e A' sono associati. Ma se X‘® e Ka” sono, rispettivamente, gli indici di singolarità di A e A', esistono ordinatamente, X‘ 4 1 e X‘@° + 1 (e non più) sistemi nulli non singolari di A e A', linearmente indipendenti: dunque fra i sistemi nulli (non singolari) di V,, rispetto a cui A e A' sono associati, è possibile sce- glierne 4 + X + 2 (e non più) linearmente indipendenti. Segue che: I) Se A e A' sono due sistemi regolari complementari di integrali riducibili di Vp, con gli indici di singolarità k® e K®, i sistemi nulli di V,, rispetto a cui essi sono associati, sono tutti e soli quelli non sîn- golari di un sistema lineare avente per dimensione k® 4 KP 41; e poi, se si tien conto dell'indice di singolarità di V,, che: II) Se A e A' sono due sistemi regolari complementari di V, e gli indici di singolarità di A,A' e V, sono, ordinatamente, k®, k@" è k, due casî possono presentarsi : 1°) 0 è KA KW +1=K%, e allora ciascuno dei due sistemi A e A' individua il proprio complementare; 29) 0 è KO +KMO+1 Si (7 costante d'attrazione) 0 y 0 NY è la funzione delle forze dell’originario problema. Per il problema trasformato, di cui ora si tratta, si ha invece quale Funzione delle forze È U ) E essendo una costante (l'energia totale del problema primitivo); quale Energia totale T — 5 , lo speciale valore 1; quale Funzione lagrangiana E (6) dei T ed U avendo le espressioni (2) e (5). 2. — CINEMATICA DEL SISTEMA $. Nella prima delle equazioni vincolari (1), 2 2 D,bB=d,, 0 0 — 424 — il valore comune dei primi membri va ritenuto diverso da zero. Infatti esso potrebbe annullarsi solo a patto che si annullassero tutte le È e tutte le n: il che è quanto dire, riferendosi agli originarî tre corpi, nel caso della loro coincidenza in un medesimo punto (collisione generale). Ora questa è senza altro esclusa, per tutto il corso del moto, tostochè si suppone diversa da zero la costante delle aree (teorema di Sundman) ('). Sotto tale ipotesi, si può anzi affermare qualche cosa di più: cioè che il limite inferiore del trinomio È DM 4 (momento di inerzia polare dei tre corpi rispetto al loro baricentro) (?) è > 0. Ne consegue, in base alle (3), che è pure >Q0 il limite inferiore del valore comune 9? dei due trinomii EPELTE, ++. Risguarderemo 9 come una prima coordinata lagrangiana del sistema S. Il significato geometrico risulta subito dalla definizione. Si ha infatti, in virtù delle (3), 2 UP SD di, 0 donde apparisce che 9g* è il semiperimetro del triangolo dei tre corpi. Posto (7) È, = qQ% ’ mv = Qu = 0,1,2), la definizione di g e le (1) danno 2 2 2 (8) i MR le quali consentono di interpretare 2, e By quali coseni direttori, rispetto ad un generico sistema cartesiano ortogonale 0x,x2%:, di due semirette perpendicolari: indicheremo con «, £ i rispettivi vettori unitarî (le cui com- ponenti sono appunto tali coseni 2, By). Per rendere espressiva l’interpretazione, conviene introdurre anche il vettore unitario (9) r=a/B, che individua, assieme coi primi due, un triedro trirettangolo congruente ad 0x0 %,%3. A norma della (9), i coseni direttori y (componenti del vettore y) valgono naturalmente (9) Yy = Av41 Br+so — dy+2 Buti (V=0 LS (!) Cfr. R), $ 10. (®) Ibidem, $ 1. — 425 — Pensiamo @,8,y quali vettori fondamentali del sistema di assi fissi 0xyz, cui viene riferito il moto piano dei tre corpi, supponendo per mag- gior semplicità, gli assi 0z, Oy situati nel piano del moto, e quindi Oz perpendicolare a questo piano. In tale accezione, @y,$y,yy si interpretano come coseni direttori dell'asse Ox, rispetto al triedro (fisso) 0xyz; e rimane complessivamente definita (rispetto al detto triedro) l'orientazione della terna 0x1%2%3, 0, se si vuole, di un generico corpo rigido C solidale con essa. Ne consegue che ad ogni sestupla È, , n, verificante le (1) fanno riscontro un ben determinato valore (positivo) di 4 e un’orientazione dell’ipotetico corpo C; e, reciprocamente, da 9Q e dall’orientazione di C si risale tosto, mediante le (7), alle &,, ny. Si può pertanto concludere che la configura- zione del sistema S corrisponde biunivocamente all'insieme: parametro po- sitivo 9, orientazione di C. 8. — COMPORTAMENTO CINETICO. La circostanza testè rilevata assicura che il sistema S rientra nella categoria di cui ci siamo diffusamente occupati nella Nota M) colla mira specifica di farne applicazione al problema attuale. Giova anzitutto richia- marsi ad essa per le formule di (Poisson) (10) a'=a/w 3 IAA) s iena in cui, fungendo t da tempo, il vettore © rappresenta la velocità angolare (dell'ipotetico corpo © rispetto agli assi fissi 0xy2). Si ha poi, dalle (7) e (3) dei paragrafi precedenti, py= ga + B° ossia, badando all'identità 2g + fs +f=1, (11) py=9°(1—v) (=0,1,2), donde apparisce che le mutue distanze, e di conseguenza la funzione delle forze q Sì esprimono esclusivamente per 9 e per le yy. Passiamo alla forza viva 7 detinita dalla (2). In base alle derivate delle (7), (12) = anto, è nq +98, e alle (10), essa diviene ovviamente una forma quadratica dei quattro argo- menti 9g’ e ©, ,0wsy,wz (componenti del vettore w secondo gli assi Oxo 1 €23). È facile constatare che i coefficienti si possono esprimere esclusivamente per la g e per le y, (rendendoli esenti dagli altri coseni «,fy). Intanto, — 426 — a norma delle (2), (5) e (11), basta accertarlo per ognuno dei binomi E? + mi. A tal uopo conviene esplicitare le componenti delle (10), | a) = dy4r Wy4+o — Xy+2 041, (10') ‘ By Beer tov+a — Bree 041, | YI == Yy41 Oy+e — Yr4g Ova è e dedurne, quadrando e sommando le prime due, e tenendo presenti le rela- zioni di ortogonalità, o + BI = (1 Yi) te + (1 — Yo) 051 T 2Yr41 Year pa Qyeo Dopo ciò, l’asserto risulta tosto dalle (12), le quali, badando alle identità ot g=1—-r, ' Nni= = AAA Wy+2 — Yv+2 0y+1) , ovayd- dypi porgono (13) &°4n?= 905 + 85) + 2290 + BB) + (1° +80) = = gie n) và) cs 299 Lava Wy+e — Yv+e 0y+1) + + Vl i(1 “a Pe, Wj+s + (= es) (ORSI + IYv+r Yr+2 Oy41 Wy+o } . Ne desumiamo che anche la funzione lagrangiana (6) del problema trasformato, dr ® dipende, oltre che da g' e dalle wy. esclusivamente da g e dalle yy. Si trova con ciò soddisfatta anche l'ipotesi complementare. di cui al $ 3 della Nota M). Possiàmo quindi valerci delle regole ivi stabilite per la costru- zione delle equazioni del moto. Rivolgeremo il nostro calcolo a quella delle due forme miste che ab- biamo chiamata canonico-euleriana, perchè, a differenza dell'altra (euleriano- lagrangiana), sì presenterà automaticamente regolarizzata anche nell’intorno di eventuali urti binarî. 4. — ConiucaTE — EQUAZIONI LINEARI DA RISOLVERE PER PASSARE ALLA QUADRICA RECIPROCA. Secondo la regola esposta al $ 7 della Nota M), testè ricordata, par- tendo dalla T (9, ©y ; 9.%Y), si debbono introdurre gli argomenti p, 9 (coniugati a 9,y) a norma delle equazioni ( I IT 14 eni . 9, == b] (14) p 3g =m — 427 — e valersene per eliminare g' e le w, dalla stessa T(g'", 0; 9,Yy). Indi- cando con 0(p,2, ; 9, Y») la forma in tal guisa ottenuta (20 è ia qua- drica reciproca di 27°), si ha senz'altro dalla (6) la funzione lagrangiana modificata (o hamiltoniana) E i H=09—-+. (15) 3 La diretta risoluzione delle (14) e la successiva eliminazione delle q,wy da T richiederebbe tuttavia sviluppi non brevi. nè istruttivi, attesa la espressione abbastanza complicata di T(9",&, ; g,Y») risultante dalle (2) e (18). Si arriva allo scopo in modo elegante e perspicuo, esprimendo me- diante vettori ausiliarî così le equazioni dei vincoli come 7 e le (14), ed eliminando poi comprensivamente gli elementi ausiliarî con algoritmo vet- toriale accomodato alle circostanze del caso. 5. — INTRODUZIONE DI VETTORI AUSILIARÌ — L'OMOGRAFIA VETTORIALE (DILATAZIONE) D. La sestupla È, mn si compendia opportunamente in due vettori £, 7, aventi rispettivamente le E, , n per componenti secondo gli assi 0x0%, 2». Le derivate di questi vettori rapporto a ©. hanno in conformità, per componenti, Éy, ny. Mercè l'introduzione di questi vettori, si può attribuire alle equazioni (1) dei vincoli la forma EXE —-nXyn=0 , EXa=0, con che le loro derivate rapporto a t si scrivono (16) EXE-MyXn=0, YXn+yXE=0. Anche alle (12) si attribuisce ovviamente forma vettoriale: basta notare che, in base alle (7) e (10), i loro secondi membri si identificano colle com- ponenti dei due vettori q o pra SAM Ma \@, 7 = ni +7 talchè esse equivalgono a (17) P=tE+#\o È y=TntyAo. — 428 — Conviene ancora definire due altri vettori £,H aventi rispettivamente per componenti (sempre secondo gli assi Oxo, %s) IS , 3T \ y | Bat = Une, (18) Queste espressioni di ,, Hy mostrano che i due vettori E,H risultano dall’applicare a &,m' una stessa omografia vettoriale, anzi una stessa dila- tazione (*) avente per direzioni unite quelle degli assi Oy. Designeremo con © l’omografia inversa, cioè la dilatazione 1 (19) va (1 PE . (v=0,1,2), U, che opera sui vettori fondamentali u, del triedro (unito) Ox0x1%s, riducen- done le lunghezze nel rapporto di 1 a daetioo Potremo così compendiare 4Um$j pi le (18) (o meglio le loro risolventi rapporto a &,,m,) nelle due relazioni vettoriali (20) #"=DE , y=9DH. Dacchè l'espressione (2) della forza viva è omogenea di secondo grado rispetto alle &,, ny, si ha dal teorema di Eulero Nel secondo membro riconosciamo i due prodotti scalari EX & , HXy. Risulta quindi, in virtù delle (20), (21) 2T=EXDE+HX9DH. Per la costruzione delle equazioni del moto nella divisata forma cano- nico-euleriana, è mestieri far intervenire, a norma delle (14) del paragrafo precedente, lo scalare IT antggio e il vettore £ avente per componenti gi 9A dIWy (1) Cfr. Burali-Forti e Marcolongo, Zransformations linéaires (Pavia, Mattei, 1912), pp. 20-22. — 429 — Occupiamoci di esprimere p ed £ in forma appropriata. All’uopo giova premettere che, se 7° dipende da un parametro generico Lp, pel tramite delle &,, n, si ha, derivando, - IT_ € (37 DS TO) Tia 5 dm dd eni ciò che, attesa Ja definizione dei vettori E, H,è',x', equivale a dE' EL —=Ex xe. ei dWw Se ne ricava in primo luogo, ponendo n= g' e badando alle (17), T So=(EXE+HXm. (22) sa Se poi si nota che il vettore èw si può esprimere, per mezzo delle com- ponenti w, e dei vettori fondamentali u,, sotto la forma 2 DO Wy Uy , (0) si ha, dalle (17), de n _ du E 3 A ILE, con che Di den si * = EX(EAu)+HX(7Au,)=uX(EA5+HApn). Il terzo membro è manifestamente la componente secondo Ox, del vettore ENE+HA/7. Il primo membro è, per definizione, l’analoga componente del vettore £. Ne consegue la espressione di £ sotto la voluta veste vettoriale: (23) OC=EN5+HAn. 6. — PASSAGGIO ALLA FORMA RECIPROCA 20 MEDIANTE ELIMINAZIONI VETTORIALI. Le definizioni (22), (23) di p ed £, e le (16), poste, in virtù delle (20), sotto la forma equivalente (24) DEXE-DHXgy=0 , DEXn+DHX£=0, costituiscono in sostanza un sistema di sei equazioni lineari (non omogenee) nei due vettori 5,H. Esse consentono quindi (in quanto siano indipendenti, RenpIconTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 57 — 430 — come infatti sono) di ricavarne le sei componenti in funzione lineare dei varî termini noti (che si riducono a p ed £), a coefficienti che possono a priori dipendere da È, e dall'omografia D, ossia, complessivamente, da g,@,8,y. Portando queste espressioni dei due vettori E, H nella (21), la 7 diviene una forma quadratica nelle p, Q, (esente dai primitivi argo- menti 9’, wy); e si ha la @ cercata, la quale si presenta altresì esente dalle 2, ,f, (ha cioè i coefficienti che dipendono soltanto da 9 e dalle yy): circostanza questa senz'altro prevedibile in base all’analoga proprietà del a 7, già rilevata al $ 3. Anzichè eseguire per via diretta la risoluzione delle (22), (23), (24), e successiva sostituzione nella (21), conviene trasformare la (21) mezzo delle altre equazioni, Dopo alquanti passaggi, tutti immediati sotto il duplice punto di vista concettuale e formale, l'eliminazione di #,H si troverà automaticamente compiuta. stessa a Prepariamoci anzi tutto l’espressione esplicita di (25) W=EX DET yX Dq. Dacchè, a norma della (19), le componenti di DE, Dry sono ordinatamente Lt AUmige " * dip > vv si ha subito, badando alle (3) e (4), Pe m? “v4Umi = 4UmoM, Ma (26) w= Ciò premesso, riprendiamo l’espressione (21) di T, e scriviamola, sfrut- tando le (24), sotto la forma equivalente 2WT=(5EXDE+ HX DH)(f X DE+ pX Dy) — (DE X È — DH X pn)? — (DEXn+ DH X è)? Sviluppando materialmente il prodotto e i due quadrati del secondo membro, ove inoltre si aggiunga (ad esso secondo membro) il binomio, identicamente nullo per la proprietà caratteristica delle dilatazioni, 2(E X DH) (EX Dy)— — 2(EX DH)(Dé X 7), si dà a 2W7 la forma di somma dei sei termini seguenti: th= (EX DE) (EX DE) — (DEX 8), t:=(HX ®H)(p9XDy)— (DHX y)?, lg= (EX DE)()X Dorn) —(DEXn®, t=(HX®DH)(£X DE) — (DHX), t,=2{(EX DE) (MX DH) — (FX DI) (DEX n, i =2{EX DH)(EX Dy)— (EX Dy)(DHX8)}. — 431 — Ciascuno di questi può essere trasformato usando l'identità (A X B)(C x D)— (A Xx D)(BXC)={(A/C)X (BAD) valida qualunque siano i quattro vettori A,B,C,D. In primo luogo, per viene da cui, cambiando 5, é inH,n, t:=(H/\7)X(DHX Dr). Assumendo poi si ha th=(E/\N)X(OEA ON), la quale, colla sostituzione di H,é a £,n, porge ti=(HA&)X(9DH / Dé). Infine, per e D= Ùn, ( B =5 , B=9DH , C=£,, risulta rispettivamente t5=2(Z n) X (DEA DH)= —2(E 7 X(DH A Dé), tg= 2(£ \ 5) X(DH A Dr). In ognuno dei termini {; (f=1,..., 6) così trasformati, figura un prodotto vettoriale del tipo 1 DA \ DB. Dalla teoria delle omografie vettoriali si sa (*) che un tale prodotto dipende da A e da B esclusivamente pel tramite del loro prodotto vetto- riale. E precisamente si ha DANDB=RDA A B), l'operatore R applicato alla dilatazione D producendo, a norma della (19), la dilatazione 1 (27) (ta Umii Mi,e DES (YARE a) (v == 0 b) Il L) 2) Ù U, (*) Burali-Forti e Marcolongo, op. cit., pp. 38-39. — 432 — Applichiamo questa formula ai vari #;, introducendo per brevità il simbolo operativo il quale, in virtù delle (4), (26) e (27), si serive (28) @ 1 The perte toa) (aa ) =0,1,2). Uy Otteniamo t=(E/5)X E(EA8), 1 li Fia e . wi =(E\M)X EEN n), L= (HA) XEHA5), 1 dr RE o) 6 wi 2(E E) X EH A n). Ora, in quanto & è essa stessa una dilatazione, si ha ovviamente 1 (+4 +6) = (EAn—HA9XGEA7-HA5), le quali, badando alla (23) e ponendo (29) =ENn_-HNèÈ, si scrivono più semplicemente wl+a+4)=2X 69, 1 (let Ut45) =XXEX. La somma delle #; non è altro che 2W 7; si ha quindi 2T=QXECLLAXEX. — 493 — È questa, come passiamo ad accertare, la voluta espressione 20 di 27, tosto esplicitabile come forma quadratica degli argomenti p, 9. E in verità essa è visibilmente funzione quadratica dei due vettori 2, X, a coefficienti che, a norma della (28), dipendono soltanto dalle p, ossia, per le (11), da g e dalle yy: l’asserto sarà quindi provato se constateremo che X è funzione lineare ed omogenea di p, e delle £,, con analoghi coefficienti. All’uopo, partiamoci dall'osservazione che, attesa l’'ortogonalità di @, _B,y, si ha dalle (7): ZAR con che la (29) può essere scritta X=-ENENYVY_-HA(MAy). D'altra parte, l'identità ENENV+EAWA\5)+ryA(E/8), ove si noti che, per l’ortogonalità fra é e y, il termine medio sì riduce a (EX $)y, porge —ENENY=(EX8yr+tryA{(EN8). Poniamovi H,n al posto di £,é, e sommiamo, tenendo conto delle (22) e (23). Risulta (30) X=pqa+y/\®, e rimane in definitiva acquisita per la forma reciproca l’annunciata espressione (31) 20=L2XEQLKLXIXEXK, la dilatazione & e il vettore X essendo rispettivamente definiti dalle (28) e (30)., — 434 — Chimica. — Sulla reazione del nitroprussiato con la sol- fourea (*). Nota di Livio CAMBI, presentata del Socio A. ANGELI. Ho precedentemente dimostrato (*) che la reazione cromatica che diversi chetoni dànno col nitroprussiato è dovuta alla formazione di uno ione complesso . contenente l'aggruppamento del nitrosochetone. Ha luogo cioè una condensa- zione, fra il nitrosogruppo del prussiato ed il chetone, analoga a quella dei nitriti alcoolici o dei nitrosoderivati, in mezzo alcalino, con composti ad atomi di idrogeno mobile. Delle reazioni cromatiche del nitroprussiato rimane ancora oscura quella con i solfuri o con alcuni mercapturi alcalini. È probabile che essa sia pure dovuta ad una condensazione del tipo III II. (HI [(CN); Fe NO]" + SR'=[(CN); Fe NO - SR]"' (3). Occupandomi di questa reazione, ho creduto opportuno di soffermarmi su l’unico sale finora descritto come contenente l’aggruppamento cromatico del nitroprussiato con i solfuri, cioè sul sale ottenuto da K. A. Hofmann facendo reagire la tiourea col nitroprussiato (*). Questo autore attribuiva al composto (rosso-violetto) la formula ° III (0) È | (CN): Fe N<3.C(NE) na Na; : cioè supponeva un aggruppamento derivante dalla semplice addizione della solfourea, nella forma HS - C(NH). NH»,, al gruppo NO del prussiato. Se realmente il sale di Hofmann avesse avuto stretta relazione con i sali colorati che il nitroprussiato dà con i solfuri (*), le sue scissioni, poco (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di Elettrochimica del R. Istituto tecnico supe- riore in Milano. (2) Rendiconti R. Acc. Lincei, XXI (1913), 1° sem., pag. 376; XXIII (1914), 1° sem., pag. 812. (®) Ricorderò che H. S. T'asker e H. O. Jones (Journ. chem. soc. 95 (1909), pag. 1916), osservarono composti, estremamente labili, intensamente colorati, facendo reagire il cloruro di nitrosile su alcuni mercaptani e mercapturi, ai quali spetta probabilmente la formola RS-NO: essi si scindono in biossido d'azoto e bisolfuro. (*) Liebig*s Aunalen, 3/7 (1900), pag. 28. (5) Hofmann, a questo proposito, si esprimeva (loc. cit., pag. 28): « Nun ist es mir aber gelungen mit Thioharnstoff einen prachtvoll gefàrbten Kérper rain zu erhalten, der zweifellos mit den aus Schwefelalkali und Nitroprussianatrium entstehenden, violett gefàrbten Stoffen nahe verwandt ist....». — 435 — indagate dall'autore, avrebbero presentato notevole interesse; e ne intrapresi lo studio. Fui così condotto a dover modificare profondamente la formula e la struttura del sale in quistione. Già, in primo luogo, la determinazione d'azoto (su cui non si hanno dati nella citata Nota di Hofmann) mi condusse al rapporto 1Fe:7N in luogo di 1Fe:8N, come esige la formola suesposta. Questo fatto richiamava l'osservazione, già da me compiuta, che nella sintesi si sviluppano quantità rilevanti d'azoto. È noto, d'altra parte, che i nitriti alcalini in mezzo acido, per acido debole, trasformano la solfourea in ac. solfocianico con sviluppo quantitativo d'azoto ('): NH.,- CS: NH, — NH.-CS-OH — HNCOS. Pervenni da ciò all'ipotesi che nella formazione del sale colorato non reagisse, col gruppo NO del prussiato, l'atomo di solfo della tiourea, ma invece reagis- sero i due aggruppamenti aminici dell’urea stessa: che il sale di Hofmann avesse la struttura (*) II [(CN); Fe NO - NH - CO- SH] Na, contenesse cioè l'aggruppamento dell’acido nitrosotiocarbamico. L'ipotesi ricevette una conferma da quanto andrò esponendo. Secondo la formola proposta dovevano reagire due molecole di nitro- prussiato con la solfonrea, nella sintesi del sale: Na: - (CN); Fe NO ERI i + CS na0n Nas : (CN); Fe NO - NH - CO - HS —> . Na, -(CN); FENO | HiN7 Nas * (CN); Fe - H:0 + N. Nella reazione di Hofmann si forma infatti in quantità rilevante l'ac- quoferrocianuro (*). Di più, facendo reagire col nitroprussiato la solfourea in soluzione di alcool metilico in presenza di un eccesso di aleoolato sodico, ottenni un sale giallo-aranciato, che contiene indubbiamente un residuo della tiourea per due atomi di ferro, cui spetta con ogni probabilità la formola II II Na; [(CN); Fe -- NO - NH : CO-S— Fe (CN);]. Questo sale si scinde in soluzione acquosa, decomponendosi, e genera il sale rosso di Hofmann. (1) E. A. Werner, Journ. chem. soc. /0/ (1912), pag. 2180; 103 (1913), pag. 1221. (*) Indico schematicamente l’ac. nitrosotiocarbamico con ON * NH - CO - SH: non in- tendo con ciò escludere che possano intervenire nello ione complesso forme tautomere, ad es.: CO(SH)N:NOH ; C(N-NO)SH-O0H. (8) Hofmann, loc. cit., pag. 32. — 436 — In seguito, facendo agire la soda su una soluzione acquoso-metilalcoolica del sale rosso, ho ottenuto un nuovo sale giallo-aranciato bruno; avente la composizione Na; [(CN); Fe NO - N - CO - S]. Cioè si aveva una salificazione dell'acido nitrosotiocarbamico, da me ammesso nel sale complesso. Il nuovo sale, appena preparato, si scinde in soluzione acquosa idrolizzandosi nel sale primitivo. Invece, mantenuto a lungo nel vuoto, si scinde in parte, a contatto con l'acqua, con sviluppo d'azoto: ricorda in ciò il comportamento del sale ON - NK. CO -OK (1), che allo stato secco si decompone violentemente con l'acqua. inoltre, con i sali d’argento, con i sali mercurici, il sale rosso si scinde a caldo rapidamente, svolgendo biossido di azoto, nel rapporto 1NO :1Fe: questa reazione richiama le scissioni di diversi nitrosoderivati (*). Anche il sale ottenuto dalla solfourea in soluzione metilalcoolica, in condizioni analoghe, svolge biossido di azoto nel rapporto 0,5 NO : 1Fe, in accordo con la formola su citata. Ma la conferma definitiva che i due atomi di azoto dell'aggruppamento nitrosato del sale rosso sono effettivamente congiunti fra loro, è data dai caratteri del prodotto di riduzione di questo sale. Con amalgama di sodio ottenni un sale giallo che risponde allo schema II [(CN)s Fe: NH. NH-CO.SH]Na;. In esso l'aggruppamento, NH. NH—, dell’idrazina, viene dimostrato dall'azione dei sali mercurici, dell’ossido mercurico, dei sali d'argento, del reattivo di Fehling, che lo decompongono con rapido svolgimento d'azoto, anche a freddo. L'acqua di bromo svolge pure azoto e non genera nemmeno tracce di nitroprussiato, a differenza del sale rosso che non svolge affatto gas e genera nitroprussiato. La riduzione adunque, analogamente a quanto si compie nei nitrosoure- tani, trasforma in idrazide il nitrosocomposto rosso. Poteva aversi infine il dubbio che il sale rosso non fosse ferroso, ma ferrico, come ammetteva Hofmann; potevano discutersi le due formole II III Nas [(CN); Fe NO - NH -CO- SH] ; Nas[(CN); Fe NO-NH- CO. S]. (!) Thiele, Liebig'*s Annalen, 288 (1895), 310. (?) Probabilmente sotto l’azione decomponente del sale d'argento o di mercurio lo ione complesso si scinde e il gruppo dell’ac. nitrosccarbamico reagisce idrolizzandosi, come una nitrosoamina: ON. NH.CO.SH — NHO, + HONS. Lac. nitroso nel caso attuale non può liberarsi essendo presente un aggruppamento ferroso che tende a ridurlo ad NO. Richiamo che in parte il nitrosouretano può scindersi in ac. nitroso e uretano (Thiele e Dent, Ann., 802, 247), e che la nitrosoguanidina si idrolizza analogamente (Thiele, Ann. 273, 133). » obo 490 — Hofmann si basava unicamente sulla reazione con cloruro ferrico, con cui si ha una colorazione o un precipitato verdastro. Ho osservato però un comportamento simile nei ferrocianuri contenenti nitrosochetone, che sono pure intensamente colorati. Il comportamento succitato con gli alcali è in accordo con la formola ferrosa; e d'altra parte il sale rosso non possiede caratteri di ferricianuro. Infine ricorderò che, come i nitrosochetoni e le diossime, anche i ni- trosoderivati della carbamide dànno sali ferrosi colorati intensamente: la nitrosoguanidina dà, con i sali ferrosi, un complesso dal colore rosso-porpora. Tutto ciò avvalora la mia ipotesi che al sale di Hofmann spetti la forma ferrosa. PARTE SPERIMENTALE. Reazione della tiourea con nitroprussiato în soluzione acquosa. Il sale di Hofmann venne dapprima preparato seguendo le indicazioni di questo autore: facendo cioè reagire un forte eccesso di solfourea sul nitro- prussiato in soluzione molto concentrata, a freddo (5°). Venne pure isolato seguendo le sue indicazioni: purificandolo cioè per via di ripetute precipi- tazioni dalle soluzioni acquose con alcool, e infine disciogliendolo in alcool metilico acquoso ® riprecipitandolo con etere. Il sale presenta tutti i caratteri descritti dall'autore: è una polvere rosso scura, molto deliquescente, solubilissima in acqua. Le soluzioni hanno un'intensa colorazione rosso-violetta. Ho sperimentato anche in condizioni diverse l’azione della solfourea sul nitroprussiato: facendola reagire in presenza di carbonato alcalino, tanto a freddo come a circa 70°-80°; aggiungendo anche nitrito sodico. Ho notato sempre però scarsi rendimenti, come del resto nella reazione di Hofmann (rispetto al nitroprussiato impiegato). La formazione del sale è sempre accom- pagnata da effervescenza per svolgimento d'azoto. Le analisi seguenti si riferiscono le I al sale preparato col metodo di Hofmann, le altre al sale ottenuto con le varianti su accennate. Riporto anche per confronto le analisi che si trovano nella Nota di quell’autore. Trovato Calcolato per Hofmann Cambi Nas[(CN); FeNO-NH:CO-SH] (*) I II II IV Na 19.49°%/ 19.02 18.88 19.91 _ 19:42:90 Fe 15.17 14.86 15.22 15.46 15.83 15.47 N _ 25.99 — 26.62 27.94 27.16 S 9.01 —_ — _ 8.96 8.88 (') La formola di Hofmann risponde a percentuali di sodio, ferro e solfo, assai ‘vicine a quella della mia formola. RENDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 58 — 438 — Dal complesso di queste analisi si rileva il rapporto costante 8 Na: 1Fe: 15: 7N (1). La determinazione d'azoto venne compiuta usando il metodo solito, impie- gando in questo caso acido carbonico secco e freddo proveniente da un Kipp. Azione degli alcali. — In soluzione acquosa, soltanto impiegando forte eccesso di alcali concentrato si può notare un passaggio di colore dal rosso violetto del sale di Hofmann all’aranciato. Il prodotto di salificazione completa venne isolato versando in una soluzione di alcoolato metilico sodico, in eccesso, la soluzione acquosa concentrata del sale rosso: precipitò oleoso il sale giallo-scuro, che, lavato con alcool metilico assoluto e seccato nel vuoto a peso costante, aveva la composizione Trovato Calcolato per Nas[(CN); FeNO-N-CO-S] Na 27.91 9/ 28.40 Fe 13.07 . 13.80 Il sale, deliquescente, appena preparato si discioglie in acqua idroliz- zandosi, come dissi, e assumendo il colore rosso-violetto; in soluzioni con- centrate è rosso-aranciato. Dopo essere stato per molti giorni nel vuoto, si discioglieva in acqua con riscaldamento e decomponendosi in parte con svi- luppo di azoto. Scissioni a biossido di azoto. -— Il sale rosso-violetto, con i sali d'argento, dà prima un precipitato rossastro che a caldo si decompone rapidamente, svolgendo biossido di azoto. La reazione venne condotta in un apparecchio Schulze-Tiemann in cui venne posto dapprima solfato d’argento in eccesso e infine il nitrososale; ebbi il risultato Trovato Calcolato per Na; [(CN); Fe NO-NH-CO-SH] NO 7.44% 8.31 % Il rapporto tra ferro ed NO nel sale adoperato in questa determina- zione risulta 1Fe: 0.93 NO. Una reazione analoga è fornita dall'ossido mercurico e dai sali mercu- rici; in diverse determinazioni, eseguite con lo stesso metodo delle prece- denti, ottenni in media il rapporto 1Fe: 0.85 NO. Queste decomposizioni ricordano, l’unica decomposizione descritta da. Hofmann: quella dovuta all'acqua di bromo. Con questo reattivo il sale (1) Hofmann (pag. 29) cita un fatto che può accordarsi con la mia formola. Nota. che a 110° il suo sale perde il 4.84 °/, del suo peso, pur conservando il colore vivo in soluzione acquosa. Sembra, quindi, che l’aggruppamento nitrosato tenda a scindersi (NO-NH-CO-SH 2 NO'NCS + H;0): infatti nella mia formola si calcola 4.99 °/, di acqua. — 439 — rosso si decompone generando nitroprussiato, mentre l’aggruppamento NCS sì ossida producendo acido solforico, come ho notato. Riduzione con amalgama di sodio. — Ad una suluzione con- centrata del sale rosso, raffreddata a 0°, venne aggiunto in piccole porzioni amalgama di sodio semifluida, mantenendo il tutto in viva agitazione. Il colore rosso-violetto lentamente scompare per dar luogo ad una colorazione giallo-oro intensa. Ho impiegato, per ogni atomo di ferro del nitrososale, circa otto atomi di sodio. Il nuovo sale formatosi venne separato in forma oleosa con alcool, e venne purificato ridisciogliendolo in acqua e riprecipitandolo con alcool. Si separa sempre oleoso, di colore giallo-scuro; non mostra tendenza ad assu- mere stato cristallino. Lavato ripetutamente, con alcool assoluto, venne seccato nel vuoto a peso costante. Si presenta in granuli giallo-verdi, deli- quescente, solubilissimo in acqua. L'analisi delle diverse preparazioni diede il risultato seguente: Trovato Calcolato per I II Nas[(CN); FeNHyNH-CO-SH] ; Na.[(CN); Fe NH,-NH-COS] Na 20.76°, 22.19 19.89 °/, 24.86 Fe 16.20 15.41 16 09 15.10 N 27.34 26.62 28.29 26.50 S = 9.32 9.24 8.66 Nei due prodotti analizzati, mentre i rapporti tra ferro e sodio variano da 3Na:1Fe a 3.5Na: 1Fe, rimangono invece costanti i rapporti 1Fe:7N:1$; il che giustifica la struttura da me data allo ione complesso. La varia- zione dei rapporti sodio-ferro si può spiegare pensando che in soluzione acquosa, da cui venne precipitato il sale con alcool, vi era un eccesso di di alcali e che si aveva probabilmente l'equilibrio: Nas [(CN);Fe N3H:C0 - SH] + Na OH —5 Na, [(CN);Fe N2H;C0-S] + H0;. Tale equilibrio sarà certamente influenzato dalle condizioni di concen- trazione variabili, specie nella purificazione. Il sale ridotto è assai alterabile: in soluzione acquosa assorbe ossigeno e da prima si colora in violaceo, infine assume colore verdastro con pro- fonda decomposizione, per separazione anche di ossido ferrico. Ossidato con acqua di bromo, assume colore violetto, poi si decompone svolgendo rapidamente azoto e decolorandosi ('). Così pure, come dissi, sì decompone con i sali mercurici, d'argento, con l’ossido rameico in soluzione: (1) Con acqua di bromo a caldo, ottenni uno sviluppo d’azoto rispondente a 1Fe:2.2N.. — 440 — alcalina. Con ossido mercurico i due prodotti su analizzati diedero i risul- tati seguenti: Trovato Calcolato per I II Nas [(CN); Fe Na H3 CO-SH] ; Nas [(CN);FeN, H, CO-S] N 7.549%/ 7.38 8.07 7.56 L'aggruppamento dell’idrazina è messo in evidenza, rispondendo entrambe le determinazioni rispettivamente ad 1Fe:1N.. Reazione della tiourea con nitroprussiato in alcool metilico. Venne seguito il metodo già da me descritto per la reazione dei chetoni ('). Alla soluzione alcoolica di nitroprussiato venne aggiunta la sol- fourea e quindi alcoolato sodico. La reazione procede lentamente: il liquido sì colora in rosso scuro, e si separa lentamente il sale sotto forma di pol- vere ocra-scura; contemporaneamente si ha un lento sviluppo d'azoto. Dopo qualche giorno, il sale venne raccolto su filtro, in atmosfera secca, lavato ripetutamente con alcool metilico, e infine con etere. Mantenuto nel vuoto su ac. solforico a peso costante aveva la compo- sizione seguente: Trovato Calcolato I I Na; {[(CN); Fe]Ja CS-NH-NOj-H20 Na 24.31 23.76 24.51 Fe 16.20 16.50 17.00 N — 25.48 25.69 S — 5.27 4.98 NO 4.29 — 4.56 Le analisi si riferiscono a prodotti ottenuti in due diverse preparazioni : nella prima vennero aggiunte, per una molecola di solfourea e nitroprussiato, circa quattro molecole di alcoolato, nella seconda tre. ‘Sono evidenti i rap- porti: 3.5 Na :1Fe:0.55:0.5 NO. La determinazione del biossido di azoto venne compiuta come la pre- cedente del sale rosso, avendo questo nuovo sale lo stesso comportamento del primo rispetto ai sali d'argento e di mercurio. Il sale è deliquescente; la soluzione acquosa ha colore aranciato scuro; la soluzione, lasciata a sè, lentamente si colora in rosso-violetto. A caldo si scinde in ossido ferrico, ferrocianuro e nel sale rosso di Hofmann: nella soluzione, intensamente colorata in rosso-violetto, si riconosce il sale di Hof- (3) loc. cit. — 44l — mann in tutte le sue proprietà. Infine il sale aranciato, con acqua di bromo, genera nitroprussiato e ferricianuro. Chiudendo noterò che, pur non essendo finora noti gli acidi NO.NH- CO.SH e NH,-NH-CO-SH i cui aggruppamenti ho ammessi nei sali com- plessi che ho studiati, sono noti i corrispondenti ossigenati: l'acido del sale di Thiele NO-NK-CO-0OK, e l'acido idrazincarbonico NH.,- NH-C0-0H del quale conosciamo anche un derivato solforato; la tiosemicarbazide NH.,-NH-CS.NH,. Matematica. — Sui gruppi di sostituzioni che operano su infiniti elementi. Nota di GiuLIo ANDREOLI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 1. Scopo di questa breve Nota è di presentare a codesta illustre Acca- demia alcuni risultati da me ottenuti sui gruppi di sostituzioni operanti su infiniti elementi, e sulle loro applicazioni. La teoria svolta presenta rela- zioni con quella degli insiemi e con quella dei gruppi del Lie. Tralascio per ora di accennarne le applicazioni ('). 2. Chiameremo sostituzione l'operazione che da qualunque elemento « d'un certo insieme ci fa passare ad un elemento «a dello stesso insieme; con la condizione che, se «+ f, sia anche a+; le definizioni di pro- dotto, potenza, commutatività restano invariate. Esistono sostituzioni che non ammettono l’ inversa: come la sostituzione che operando sull'insieme numerabile 4, 42 43 ... muta a, in 42, ... @n iN Qn41- Il concetto di sostituzione ciclica ordinaria si scinde in tre, nel nostro caso: 1°) cicli: sostituzioni che permutano n lettere secondo lo schema (grazia): 2°) cicli infiniti chiusi, 0 anelli: sostituzioni operanti su una infinità (necessariamente numerabile) di elementi secondo lo schema alastotol etere A-, Udo dA dg 0 è è NETTE EI e che segneremo (0...4_; 44 4,...0); ammettono l'inversa; 3°) cicli infiniti aperti, o catene: operano secondo lo schema Ora, Ag 43 . ++ i li segneremo (4, 4» ...00); non ammettono sostituzione inversa. (1) Le svolgerò in una prossima Nota. — 442 — Si ha il teorema: Ogni sostituzione si decompone în cicli, anelli, catene operanti su elementi distinti. Inoltre: La potenza n-esima di un anello è il prodotto di |n| anelli staccati, per n intero positivo 0 negativo. La potenza n-esima di una catena è il prodotto di n catene staccate. Introducendo il concetto di ordine delle sostituzioni nel solito modo, si hanno i seguenti tipi di sostituzioni: @) quelle ad ordine finito di cicli; 8) quelle ad ordine finito ed un numero infinito di cicli; y) quelle ad ordine infinito, composte di soli cicli; d) quelle d'ordine infinito, composte anche d’anelli; e) quelle con catene. Nelle sostituzioni chiameremo caratteristica il complesso di elementi che mancano nel denominatore della sostituzione: quelli, cioè, da cui pren- dono origine le catene; e rango 7 il loro numero o la potenza del loro insieme. 3. Un certo insieme di sostituzioni si dirà formare gruppo se il pro- dotto di due sue qualunque sostituzioni appartiene al complesso; esso avrà ordine a e grado 8, se @« e £ sono il numero o la potenza degli insiemi delle sostituzioni e degli elementi. L'inversa d'una sostituzione (se esiste) non è necessariamente compresa nel gruppo; se è compresa — qualunque sia la sostituzione — il gruppo sì dirà completo. Un concetto, che nei gruppi ordinarî diventa quello d’eguaglianza, è quello che diremo di sudvariansa: un gruppo (0 complesso) Y° è subvariante di G, se il prodotto di due loro sostituzioni appartiene a G. Vale il teo- rema: Se G possiede la sostituzione identica, T° sarà un sottogruppo di G. Inoltre, sulle caratteristiche si può dire: Ze sostituzioni d'un gruppo, aventi rango uguale 0 maggiore di v, formano un sottogruppo, che segneremo (vG); il sottogruppo (16) lo diremo di irreversibilità. Oltre questo, vi è il sottogruppo composto da tutte le sostituzioni che ammettono inversa: lo diremo primo sottogruppo d’inversione, e lo segneremo (JQG); così anche v'è il sottogruppo di tutte le sostituzioni che ammettono inversa, appartenente ancora al gruppo: secondo sottogruppo d'inversione 0 (iQ); esso è sottogruppo di (JQ). Vi è inoltre il terzo yruppo d'inversione 0 (fG); esso è composto dall'insieme di sostituzioni del gruppo aventi ordine finito, ed è sottogruppo di (‘@); infine v'è il sottogruppo di non inversione 0 jG, composto dalle sostituzioni la cui inversa esiste ma non appartiene al gruppo. Si ha il teorema: Qualunque gruppo si decompone identicamente nella somma di (19), (79), (79): cioè G= (19) +(I9) ; (19) = (f9) + (39) ; G= (19) + (9 + (79); (JG), (iG) sozo subvarianti ad (18); (j9) ad (19). — 443 — Quindi, per tale teorema, basta studiare separatamente i gruppi Q, coincidenti con (16) (gruppi di prima specie); quelli coincidenti con jQ (gruppi di seconda specie); quelli coincidenti con #@ (gruppi di terza specie). Questi ultimi sono la immediata estensione degli ordinarî. Si presenta la quistione di convergenza d'un insieme ben ordinato (in particolare numerabile) di sostituzioni operanti su insiemi d’elementi. Diremo che un insieme ben ordinato di sostituzioni S converge astrattamente ad una sostituzione Z, se, scelto un elemento È, si possa sempre trovare una sostituzione St tale che essa e tutte le seguenti mutino sempre È nello stesso elemento 7: X muterà È in 7; in modo analogo per la divergenza astratta e l'indeterminazione astratta. In tal modo, si possono costruire dei criterî di convergenza astratta per lo studio dei prodotti di infinite sostituzioni: Sp::93 Sg Si vede che il simbolo (A, B), gruppo generato dai complessi A e B, può avere infiniti significati. Infatti, delle sostituzioni limiti, noi possiamo sceglierne solo aleune — secondo un criterio y — come appartenenti ad (A, B): in particolae nessuna o tutte. Un gruppo generico @ si dirà chiuso se tutte le sue sostituzioni limiti vi appartengono; aperto, nel caso contrario; totalmente aperto se nessuna v'appartiene, salvo le evidenti Z= lim S, s Sh = S. I gruppi ordinari sono talî che dànno luogo a successioni (0 insiemi ben ordinati) astrattamente indeterminate. 4. I gruppi di prima specie hanno una costituzione particolarmente semplice: se, per ricorrenza, indichiamo con €, il complesso di sostituzioni (nG) — FC, ..- Cm Geni con (e@) indichiamo poi l'insieme di sostituzioni a caratteristica finita, e con (0Q@) quello a caratteristica infinita, avremo G= (16) = (e6) + (06) = 0, + (26) = Ci +00, + Cs] + (89) = Ma (eG) è un gruppo aperto generato da C,,C,,C3,... secondo la legge (eG) = Ci + [CC + 0] + [010,01 + C10, + CC + Ca] +; wQ invece è eguale alla somma del complesso y (eG), costituito dalle sosti- tuzioni limiti di e@ scelte secondo il criterio y — e d'un sottogruppo 9” — chiuso secondo y: quindi ahbiamo G= (e6) + r(e6) +9". — 444 — Notiamo che @' a sua volta si decompone nella somma di altrettanti complessi @, relativi alle diverse potenze (d'insieme) @: e supposta cono- sciuta la teoria di queste, si potrebbe continuare nella decomposizione. Se nelle catene di C,,Cs,... noi pensiamo introdotti degli elementi @ in modo da trasformare in anelli le catene ('), diremo questi elementi ideali, e noi passeremo da un gruppo di prima specie ad uno di seconda ; e se reciprocamente consideriamo certi elementi effettivi come ideali, passe- remo da uno di seconda ad uno di prima specie. Fra le sostituzioni allora ve ne saranno alcune che muteranno elementi effettivi in ideali: le diremo sostituzioni ideali; esse si trovano completando il gruppo di seconda specie mediante le sostituzioni inverse. Quindi si ha: Con l'introduzione degli elementi ideali (riguardando cioè certi elementi come effettivi, altri come ideali) ogni gruppo di seconda specie è oloedricamente isomorfo ad uno di prima. Il concetto di transitività si scinde in diversi altri: secondo che esiste almeno un elemento che si può trasformare in qualunque altro o che sia il trasformato, o se un qualunque elemento si può trasformare in qua- lunque altro. Vi è infine il concetto di quasi-transività: se gli elementi si possono raggruppare in un insieme ordinato di insiemi, sì che un elemento d'un insieme A si può trasformare in uno di B, solo se A precede B nell'ordinamento. Con qualunque di essi vale il teorema: Un gruppo di transitività a-pla, di grado f, deve essere d'ordine maggiore di ab: e precisamente d'ordine Pa.dD, ove w sia il massimo ordine di sottogruppi lascianti fermi a elementi, e se almeno uno dei tre numeri a,f,y è un transfinito. Se un gruppo è regolare-numerabile, la sua transitività deve essere finita. Se un gruppo è regolare-continuum, la sua transitività deve essere finita o numerabile, ecc. 5. Oltre la convergenza astratta, sì presenta la convergenza relativa o concreta. Data un opportuna definizione di scarto di due elementi e di ele- menti limiti, ed assegnata una qualunque successione (o insieme ordinato) di sostituzioni del gruppo, diremo che questa converge concretamente ad una sostituzione , se, scelto l'elemento 4, cui S, , S,... fanno corrispon- dere @,,43,..., hanno luogo le due proprietà : I) qualunque successione 4, as... tende sempre ad un unico elemento- limite @; (*) Così da (@1 4 43***00) avremo la (0--*@,@; 143 d3* <* 0). — 445 — II) qualunque sia 4 + a’, sarà anche a * e. La 2 sarà una sostituzione propria, se tutte le @ appartengono all’ in- sieme degli elementi; impropria, nel caso contrario. Un gruppo si dirà quasi-ordinato, se, scelta una successione d'elementi tendente ad un elemento dell'insieme stesso, una qualunque sostituzione muta tale successione in una avente la stessa proprietà; si dirà ordinato se sì ha anche che le successioni tendenti ad elementi che non apparten- gono all'insieme sono mutate in successioni analoghe. Si ha: Un gruppo quasi-ordinato può essere chiuso con delle sostitu- sioni proprie. Un gruppo ordinato può essere ampliato, aggiungendo, ai suoi ele- menti, tutti gli elementi limiti, ed alle sue sostituzioni tutte quelle 1m- proprie: esso resterà ordinato; il nuovo gruppo sarà « riducibile ».. Infine un gruppo ordinato @ si dirà connesso, se, date due sostituzioni 00.50 SERE ASSO SE= {= ; vl GAD e due numeri, s piccolo a piacere, n grande a piacere, si possano determi- nare un numero finito di sostituzioni ele So = o vue plage in modo che, se lo scarto di a e è è minore di »), sieno minori di # gli scartuidie n, die Pit Pasi padana A n I gruppi del Lie sono regolari-continuum, ordinati, connessi, ridu- cibili. Matematica. — Sulle varietà algebriche con sistemi regolari isolati di integrali riducibili. Nota di GAETANO Scorza, presentata dal Corrispondente G. CAsTELNUOVO. Un sistema regolare di integrali (') riducibili appartenente a una varietà algebrica si dice 7solato (su di essa), allorchè ammette uno ed un solo si- stema regolare complementare; 0, ciò che fa lo stesso, quando è nullo il suo coefficiente di immersione (*). Se un sistema regolare è isolato, tale è pure il suo complementare; quindi ì sistemi regolari di una varietà algebrica, ove esistano, si distri- buiscono in coppie di sistemi complementari. (') Secondo il solito, per brevità di discorso, diciamo « integrali » senz’altro, al posto di « integrali semplici di 1? specie ». (*) Cfr. Scorza, Sugli integrali abeliani riducibili [Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, ser. 5%, vol. XXIV (2° sem. 1915), pp. 393-400]. RempIcoNTI, 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 59 — 446 — Nell'ipotesi che una varietà algebrica contenga almeno una coppia di sistemi regolari complementari isolati, la totalità lineare di dimensione mi- nima contenente i sistemi nulli della varietà ha una struttura particolar- mente semplice, e ciò permette di descrivere con sufficiente chiarezza la distribuzione di tutti i sistemi regolari appartenenti alla varietà. Precisamente si trova che: Se una varietà algebrica possiede due sistemi regolari complemen- tari isolati di integrali riducibili, ogni altro sistema regolare della va- rietà (eventualmente esistente) o appartiene ad uno dei due sistemi in discorso, 0 congiunge un sistema appartenente all'uno con un sistema appartenente all’altro. Di qua si ricava agevolmente che una varietà algebrica non può pos- sedere infiniti sistemi regolari isolati di integrali riducibili; anzi si dimostra che, se p è l'irregolarità superficiale di una varietà algebrica, il numero dei suoî sistemi regolari isolati di integrali riducibili è necessariamente finito e del tipo 2" — 2, ove l'intero n non supera p, e sta ad indicare il numero dei sistemi regolari isolati che non provengono dal congiungere sistemi regolari isolati di dimensione inferiore. Questo teorema dà poi luogo a conseguenze semplici ed interessanti per le varietà algebriche contenenti soltanto un insieme finito di sistemi regolari di integrali riducibili. 1. In uno spazio lineare X a 20 — 1 dimensioni siano dati due spazî duali indipendenti A, e Ai, dei quali A, abbia la dimensione 29 —1 e Ai la dimensione 29'—1= 2(p — q)— 1, essendo 0<9< p (e quindi p>1l e01 e 0<9Y"< p) 3 Se diciamo %,%° e 4°” gl'indici di singolarità di V,, A e A' rispet-” tivamente, l'ipotesi che A e A' siano isolati si traduce nell’eguaglianza (3) (4) ROLO LI=K. Ora si supponga di avere introdotto, per l'insieme degli integrali di V,, la solita rappresentazione geometrica (‘), per modo che sia lecito parlare di sistemi nulli di V, e di asse di un sistema lineare di integrali di V, e si dicano A, e A;, rispettivamente, gli assi di A e A'. Siccome gl’indici di singolarità di A e A' sono X° e X°©”, fra i sistemi nulli di V, ve ne sono X°‘ + 1, linearmente indipendenti, che hanno per asse A), e X + 1, linearmente indipendenti, che hanno per asse A; (*); infine, l'insieme dei sistemi nulli di V,, grazie alla (4), è fornito dal si- stema lineare co” determinato da questi 4‘ + X 4 2 sistemi nulli che risultano tutti linearmente indipendenti. Ma, allora, basta ricordare che per ogni sistema regolare di integrali riducibili di V, esiste almeno un sistema nullo di V,, che ha per asse l'asse del sistema regolare, e tener presente l'osservazione del n. 1, per concludere che: O la nostra varietà V, non contiene altri sistemi regolari di inte- grali riducibili, all'infuori dei sistemi complementari e isolati A e A'; o, se ne contiene altri, fra questi ve ne sono certamente di quelli che appartengono ad A o A’. In questa seconda alternativa i sistemi regolari di V, son forniti tutti dai sistemi contenuti in A 0 A', e dai sistemi congiungenti quelli contenuti in A con quelli contenuti in A'. Beninteso, quando diciamo che un sistema regolare è contenuto, per es., in A, non escludiamo che esso possa coincidere con A; ma quando parliamo del sistema congiungente due sistemi contenuti in A e A’, è da intendere che almeno una volta l'aggettivo « contenuto » sia adoperato in senso stretto, se si vuole che quel sistema non coincida col sistema di tutti gli inte- grali di Vp. Osservazione I. Se la nostra varietà V, contiene dei sistemi regolari indipendenti da A, è chiaro, per il teorema dimostrato, che ognuno di questi giace in A'; e quindi A è indipendente non solo da ciascun di essi, ma addirittura dal sistema che li congiunge. ; (3) Loc. cit. ©, teor. II). (4) Scorza, Sugli integrali abeliani riducibili, Note I e II [Rendiconti della R. Acca- demia dei Lincei, serie 52, vol. XXIV (1° sem. 1915), pp. 412-418 e pp. 645-654]: Nota I, nn. 1, 2, 6; Nota II, n. 9. (5) Loc. cit. 2), teor. III). — 449 — Ma allora: Se una varietà algebrica contiene dei sistemi regolari di integrali riducibili B,, Bs, .., Bn, e poi un sistema regolare A indipendente da ciascuno di quelli, ma non dal sistema che li congiunge (il sistema A non è certo isolato su di essa e quindi) /a varzetà contiene infiniti sistemi regolari della stessa dimensione di A. Questa proposizione coincide, in sostanza, con quella che ottenne qualche tempo fa il Severi, come generalizzazione del classico teorema di Poincaré sulle varietà algebriche con integrali ellittici linearmente dipendenti (°), poichè la maggiore generalità del suo enunciato è soltanto apparente. Osservazione II. Se il sistema A della solita varietà V, contiene un sistema regolare C, ogni complementare di C eriro A è congiunto ad A' da un complementare di C su V,; e viceversa si vede subito, per il teorema dimostrato più sopra, che ogni complementare di C su V, contiene A' e sega A in un sistema regolare che è complementare a C entro A; dunque: Gli eventuali sistemi regolari isolati su V,, e contenuti in A, sono tutti e soli è sistemi regolari contenuti în A e ivi isolati. Più generalmente si riconosce che: Gli eventuali sistemi regolari isolati su Vp, e congiungenti un st- stema contenuto în À con un sistema contenuto in A', sono tutti e soli quelli che congiungono un sistema isolato in A con un sistema isolato in A” (1). 3. Dimostriamo, ora, che: Se una varietà algebrica Vp, di irregolarità superficiale p e indice di singolarità k, contiene dei sistemi regolari isolati di integrali ridu- cibili, è sempre possibile determinare su Vp n sistemi regolari isolati indipendenti Ai, A2,.... An, tali che nessuno di essi contenga sistemi regolari isolati di dimensione inferiore alla propria, e tali che, detti qi— 1 e k; la dimensione e l'indice di singolarità di A;, si abbia Q+aot += kr bk + +hinpac1=8%. E infatti, consideriamo tra i sistemi regolari isolati di V, quelli di dimensione minima; sia A, uno di questi, con la dimensione g, — 1 e l'in- (5) Severi, Sugli integrali abeliani riducibili, Note I e II [ Rendic. della R. Accad. dei Lincei, ser. 5%, vol. XXIII (1° sem. 1914), pp. 581-587 e pp. 641-651]; Nota II, n. 4. (7) Queste osservazioni potrebbero essere facilmente estese dimostrando, ad es., che il coefficiente d’immersione su Vp di un sistema regolare C congiungente un sistema regolare C, di A, con un sistema regolare Cs di A’ è la somma dei coefficienti di im- mersione di C, su A e di Cs su A'. — 450 — dice di singolarità %,, e sia A; él suo complementare con la dimensione qi— 1 e l'indice di singolarità 41. Sarà, evidentemente, n+a=p e kK+ht+1=%. Se A; non contiene sistemi regolari isolati (su V,, o, ciò che fa lo stesso, entro A;) di dimensione inferiore alla propria, il teorema è già di- mostrato; se no, tra i sistemi regolari isolati contenuti in A; si considere- ranno quelli di dimensione minima, e si dirà A, uno di questi, e A; 7/ suo complementare in Ai. Indicate con ga — 1 e gg —1 le dimensioni di A, e A;, e detti ky e %s i loro indici di singolarità, sarà: dta=gq 0 ke +4+1=4%1, +o+9a=p e bIrt+kt+t4&+2=%. cioè Ora, o As non contiene sistemi regolari isolati (su V,, 0, ciò che fa lo stesso, entro A3) di dimensione inferiore alla propria. e allora il teorema è dimostrato; o ciò non è, e allora si applicherà ad A; il procedimento adoperato già per V, e Ai. — Siccome p> Qi >Q---, questo procedimento non può essere illimita- tamente proseguito: quindi esso deve arrestarsi, il che val quanto dire che sì perviene a dimostrare il nostro teorema in ogni caso. 4. La proposizione ora stabilita può essere ulteriormente precisata. Facciamo vedere infatti che: Se per la varietà Vp e i sistemi Ai, A2,..., An valgono le ipo- tesi e le proprietà del teorema del n. 3, i sistemi regolari isolati di Vp. diversi da Ai, Az,... An sono tutti e soli î sistemi congiungenti A,, À», ces An A due a due, a tre a tre, ... an-lan—-1. E infatti, grazie all'indipendenza dei sistemi A; e alla relazione D+PIt += il sistema Aj congiungente As, A4,..., An è complementare ad A, su Vy; quindi A; è, al pari di A,, isolato su Vp. Allo stesso modo, entro Ai, il sistema A; congiungente A3,..., An è complementare ad As; ma allora A; è isolato entro Ai al pari di A,, cioè A; è isolato su Vp. Così continuando e poi scambiando l'ufficio dei sistemi A;, si dimostra. che ogni sistema congiungente n —1,x—2,..., tre o due sistemi A;, è isolato su V,. Viceversa, sia B un qualsiasi sistema regolare isolato appartente a Vp, e diverso da Ar, As, ug An. — 451 — Siccome A, è isolato su V, e non contiene sistemi regolari isolati di dimensione inferiore alla propria, il sistema B, essendo anch'esso isolato, o contiene A, o è indipendente da A, e giace in Aj (n. 2). Nella prima alternativa, B (che è diverso da A,) congiunge A, con un sistema regolare B, situato in Af e isolato tanto su V, quanto su Ai; quindi, tanto nella prima alternativa, quanto nella seconda, sarà dimostrato che B è il sistema con- giungente un certo numero di sistemi A;, se facciamo vedere che entro Ai ogni sistema regolare isolato diverso da A»,..., A, congiunge un certo nu- mero di questi sistemi. Ora, entro A; i sistemi As, A3,.... A, godono delle stesse proprietà di cui godeno Ai, A», ..., An su V,; quindi, ripetendo il ragionamento fatto un sufficiente numero di volte, si vede che tutto si riduce a dimostrare che entro il sistema An-», congiungente A,_, e A,, non esistono sistemi regolari isolati diversi (da An-» e) da A,_, @ An. Ora ciò è evidente, perchè A,-, e A, sono complementari isolati entro Af-2>, e nessuno di essi contiene sistemi regolari isolati di dimensione infe- riore alla propria; dunque l'asserto è dimostrato. Di qua segue: 1°) che è sistemi A,, Ao, ..., An possono essere scelti su Vp în un sol modo, se hanno da soddisfare alle condizioni del teorema del n. 3; 2°) che il numero totale dei sistemi regolari isolati di V, è dato da n+(3)+(5) + +(,/)=®-2, dove, grazie al fatto che ciascuno dei numeri q; è almeno uguale ad 1, n è un numero non superiore a p. Ma allora possiamo enunciare il seguente teorema: Una varietà algebrica V, di irregolarità superficiale p(>1), e indice di singolarità k, 0 non contiene sistemi regolari isolati di inte- gralî riducibili 0 ne contiene un numero finito. In questa seconda alter- nativa, il loro numero totale è della forma 2" — 2 con 11) e indice di singolarità k, contiene soltanto un numero finito di sistemi regolari di integrali riducibili, il loro numero totale è della forma 2" —2 con n= p, e i sistemi stessi, mell’ipotesi che sia n>1, cioè che quel numero non sia nullo, sono dati: a) da certi n sistemi regolari indipendenti A, , Ao... An, con le dimensioni q; — 1 e gl'indici di singolarità k;(j=1,2,..,%) legati dalle relazioni atdget:: + 0an=? k+%4--+in,+a—1=4%; b) e poi dai sistemi regolari (tutti distinti) che congiungono quei sistemi A; a due a due, a tre a tre, ... an-lan—1; quindi ognuno dei sistemi À; non contiene sistemi regolari di inte- graliî riducibili di dimensione inferiore alla propria. In una Nota successiva faremo vedere come questo teorema rientri in uno più generale, che dà un criterio per distinguere le varietà con infiniti sistemi regolari di integrali riducibili da quelle che ne contengono soltanto un numero finito. Qui ci contenteremo di fissare soltanto le seguenti osservazioni. Il massimo valore del numero x che appare nei due ultimi teoremi è p, ed è n=p quando e solo quando i sistemi A), A»,..., A, Sì ridu- cono a p integrali ellittici. Questo caso, come si dimostra subito valendosi di un teorema del De Franchis (5), può realmente verificarsi; e allora il numero totale dei sistemi regolari esistenti è 22 — 2; dunque: Una varietà algebrica di irregolarità superficiale p, che contenga soltanto un numero finito di sistemi regolari di integrali riducibili, non ne può contenere, al più, che 22 —2, questo numero potendo essere effet- tivamente raggiunto. Siccome, nell'ultimo teorema dimostrato, il sistema A; ha la dimensione Q; — 1 e non contiene sistemi regolari di dimensione inferiore alla propria, deve essere %; < 29;— 2 (°); quindi si ha: k=2(q+a+--- +90) —20+a—1, cioè k=z2p—n_-1. (8) De Franchis, Ze varietà algebriche con infiniti integrali ellittici [Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tomo XXXVIII (2° sem. 1914), pag. 192]. (?) Scorza, Le varietà algebriche con indice di singolarità massimo, Note I e II [Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, ser. 52, vol. XXIV (2° sem. 1915), pp. 279-284 e pp. 333-338]: Nota II, n. 6. — 453 — Ma, evidentemente, n > 2: dunque, infine, k=2p—3. Di qua segue che: Se una varietà algebrica di irregolarità superficiale p non con- tiene che un numero finito di sistemi regolari di integrali riducibili, i. suo indice di singolarità non può superare 2p —3; e inoltre che: Se una varietà algebrica di irregolarità superficiale p ha l'indice di singolarità 2p — 2 e contiene qualche sistema regolare di integrali riducibili, ne contiene senz'altro infiniti (!°). Queste ultime due proposizioni dànno, per p = 2, dei teoremi ben noti, dovuti al sig. Humbert. Meccanica. — Profili di pelo libero in canali di profondità finita. Nota di U. CisottI, presentata dal Socio T. Levi-CIVITA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Sul funzionamento del rocchetto di Ruhmkorff con gli interruttori elettrolitici ('). Nota di 0. M. CoRrBINO e G. 0. TRA- BACCHI, presentata dal Socio P. BLASERNA. In una precedente Nota (°) sono stati esposti i risultati di uno studio sul funzionamento, con corrente alternata, di un interruttore elettrolitico costituito da una punta di ferro, di nickel o di platino, e una lamina di alluminio in una soluzione di sale di Seignette; è stato posto in rilievo che con tale interruttore inserito nel primario di un rocchetto, destinato ad ali- mentare un tubo generatore di raggi X. il funzionamento di questo era-molto regolare e che le correnti inverse nocive erano evitabili con facilità di gran lunga superiore che non nel caso della corrente continua impiegata con l’ordi- nario interruttore di Wehnelt. Che con la corrente alternata si ottengano i migliori risultati ricorrendo all’interruttore modificato, è cosa evidente: potrebbe però nascere il dubbio (!°) Si ricordi che per il teorema, cui si riferisce la cit. ®, ove l'indice di singo- larità fosse = 2p — 1, la varietà ammetterebbe senz’altro infiniti sistemi regolari di integrali riducibili. - (!) Lavoro eseguito nell’Istituto fisico della R. Università di Roma. (*) G. C. Trabacchi, Interruttore elettrolitico per la corrente alternata, Rend. R. Accad. Lincei, 1915, 2° sem., pag. 126. ReENpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 60 — 454 — che, quando è arbitraria la scelta del tipo di corrente (alternata o continua) e l’uso dell’interruttore elettrolitico s'impone per ragioni di semplicità, non sia abbastanza giustificata la scelta della corrente alternata. Avendo istituito nuove ricerche, che hanno pienamente confermato i pri- mitivi risultati, e ne facilitano la interpretazione, crediamo utile di rife- rirne in questa Nota. Per le ricerche ci siamo serviti di un buon rocchetto intensivo da 30 cm. di scintilla, che corrisponde al modello più generalmente usato negli impianti radiologici di media potenza. Gli clementi da studiare sono: la corrente primaria, la corrente secondaria che attraversa il tubo, la forza elettromo- trice agente nel secondario; occorre seguire questi elementi nelle loro rapi- dissime variazioni col tempo, poichè ben poco insegnerebbe, ai fini della nostra ricerca, l'osservazione dei valori medî o efficaci forniti dai comuni strumenti di misura. Si prestava invece assai bene lo studio col tubo di Braun della devia- zione del fascio catodico prodotta dall'elemento elettrico da misurare, spe- cialmente utilizzando l'artificio già adoperato da molto tempo da uno di noi (!), di combinare cioè ortogonalmente gli spostamenti dovuti a due elementi elettrici che nello stesso tempo variano con lo stesso ritmo; con che si ottengono, sul disco fluorescente, dei diagrammi stabili di cui è agevole la interpretazione. Per la osservazione della corrente primaria bastava un rocchetto di poche spire traversato dalla corrente medesima e agente sul tubo. Per lo studio della corrente secondaria, ci siamo serviti di un roc- chettino a molte spire di filo fine e isolato, senza ferro, inserito fra un polo del rocchetto, messo a terra, e un elettrodo del tubo. Infine per la f. e. m. attiva nel secondario ci siamo serviti di uno dei frazionamenti del circuito primario che forma uno strato isolato ricoprente l’intero nucleo. Rilegando ai poli di questo avvolgimento una molto elevata resistenza non induttiva e una piccola bobina agente sul tubo Braun, la corrente ottenuta può ritenersi proporzionale alla f. e. m. agente, la quale, a sua volta, è proporzionale alla derivata dell'induzione magnetica nel nucleo, e quindi alla f. e. m. attiva nel secondario a circuito aperto. Non è però da confondere questa f. e. m. con la tensione reale esistente ai poli del tubo, la quale ne differisce per la perdita di tensione ohmica lungo il secondario e per la differenza di potenziale elettrostatica o di capacità dovuta alle spire del secondario stesso, che fra loro e rispetto al primario agiscono come un condensatore a capacità distribuita. La perdita di tensione ohmica può essere trascurata, poichè non raggiunge, con la massima corrente (1) O. M. Corbino, Ricerehe teoriche e sperimentali sul rocchetto Ruhmkorf. Ass. elettr. ital., Atti, 1907. — 459 — avuta nel tubo, se non una piccolissima frazione della totale tensione attiva. Più difficile a determinare è l’effetto dovuto alla funzione di condensatore; ma, come sarà visto più in là, è possibile di discutere il problema che ci occupa tenendone il debito conto. I tre rocchetti rivelatori della corrente primaria, della corrente secondaria e della f. e. m. attiva nel secondario agivano sul tubo Braun o separatamente, per le osservazioni allo specchio girante, o combinandoli due per volta ortogonalmente per lo studio dei diagrammi stabili. Il tubo Braun era di grande modello, e lo si alimentava con una macchina elettrostatica a molti dischi. Fio. 1. Fic. 2. Dovendosi procedere al confronto tra il funzionamento del rocchetto con corrente continua e col Wehnelt ordinario, ovvero con corrente alternata e con l'interruttore modificato, si cercò anzitutto di realizzare le migliori condizioni possibili per entrambi i casi, modificando opportunamente la f. e. m. agente nel primario e il numero di spire di questo; il che era reso possibile dal fatto che il rocchetto usato, come tutti i rocchetti moderni, ha l’avvol- gimento di filo grosso diviso in alquante sezioni. La corrente secondaria attraversante il tubo è rappresentata, come si osserva allo specchio girante, dalle figg. 1 e 2. Quest'ultima si riferisce all'uso di una f. e. m. primaria costante e del- l'interruttore Wehnelt; la prima fu invece ottenuta con una f. e. m. pri- maria alternativa di 45 periodi e con l'interruttore modificato. Si osserva subito, dalle figure, che la prima scarica di senso utile è seguìta da oscilla- zioni che, nel caso della fig. 1, hanno l'aspetto consueto delle scariche oscil- latorie. Lo smorzamento è piuttosto forte passando dalla prima alla seconda; ma si attenua nelle oscillazioni successive. Si tratta evidentemente di un vero processo di scarica oscillatoria proveniente dalla capacità propria del secondario che viene caricata dalla f. e. m. di rottura. Il primo semiperiodo è notevolmente più lungo dei successivi; ciò è dovuto al fatto che la prima — 456 — mezza oscillazione si svolge mentre il circuito primario è aperto, per la presenza della guaina gassosa intorno alla punta immersa; le altre si svol- gono, come si vedrà in seguito, quando il contatto fra punta e liquido è ristabilito, e, per ciò, anche il primario partecipa al processo oscillatorio del secondario, reagendo su questo col diminuirne il periodv proprio. Modi- ficando la resistenza del circuito primario e la lunghezza della punta (con che sì possono avere correnti secondarie medie, misurate con il milliam- perometro, d’intensità più o meno grande) si osserva che si modificano insieme l'ampiezza della prima oscillazione e la sua durata, di modo che le semionde ottenute coi varî regimi sono all'incirca s7m2/7 fra loro. Ci @, Fia. 3. Fia. 4. Ne risulta che se l'intensità media secondaria passa per esempio da 1 a 3 milliampères, la corrente massima aumenta da 1a {/3, e pure da 1 a Y/3 aumenta la sua durata. Dalla osservazione della fig. 1 si riconosce, inoltre, che la presenza di correnti inverse nel tubo è esclusivamente connessa col processo oscillatorio dovuto alla capacità propria del secondario, e perciò è inevitabile con qua- lunque mezzo d'interruzione della corrente primaria. Queste inversioni, inevitabili anche con qualunque valvola, non sembra che abbiano azione nociva sul tubo. Manca però ogni traccia della cor- rente inversa dovuta alla chiusura che sussegue all’interruzione. Questa cor- rente di chiusura, che si sovrappone al processo oscillatorio, è invece ben evidente nella figura 2, ottenuta ricorrendo alla corrente continua ed all'in- terruttore Wehnelt ordinario. Essa traversa il tubo mentre ancora è adescato dal processo oscillatorio dovuto alla rottura, e perciò può essere attenuata solo con l’impiego di valvole. Questa forma della corrente secondaria con- ferma quel che uno di noi aveva già enunciato, fondandosi sulla semplice — 457 — osservazione dell'aspetto del tubo, la quale aveva già rivelato la mancanza delle correnti inverse, ricorrendo alle correnti alternate. La interpretazione del meccanismo con cui ha luogo la constatata assenza delle correnti inverse di chiusura nella fig. 1 viene resa agevole dallo studio degli altri elementi elettrici che caratterizzano il funzionamento del rocchetto nei due casi. Le figg. 3 e 4 rappresentano i diagrammi osservati combinando orto- gonalmente la corrente primaria (orizzontale) e la f. e. m. nel secondario, quando questo è aperto. lo, di Noe [me È B Fra. 3bis, Fic. 40, È x La prima fu ottenuta con corrente alternata; la seconda, con corrente continua. Esaminiamo dettagliatamente la prima. Quando la corrente primaria nella sua onda — che chiameremo positiva, e che può passare liberamente per l'elettrodo di alluminio — ha di poco superato l'intensità massima, prende origine la f. e. m. secondaria; e la corrente di capacità che percorre il secondario (e che, come abbiamo visto, è di tipo oscillatorio) reagisce sul primario, trasferendovi l'oscillazione. La corrente primaria poscia ricomincia nella sua onda negativa (ridotta dall'alluminio), mentre la f. e. m. secondaria è molto piccola e dello senso senso di quella utile di apertura. La f.e.m. secondaria assume un senso opposto, pur restando piccolissima, solo quando la 47,/dt è positiva (ramo inferiore del diagramma 3). Questa ultima fase è inattiva, o quasi, nel tubo. Se invece si osserva la fig. 4 ottenuta con la corrente continua ed il Wehnelt ordinario, si riconosce che la f. e. m. secondaria di senso utile si manifesta, com'è naturale, durante la rottura della corrente primaria, ed è anche essa accompagnata da una oscillazione; ma la f. e. m. utile è subito seguìta (per la chiusura della primaria, che avviene immediatamente dopo) da uno sbalzo notevole di f. e. m. di senso opposto, che come vedremo, determina nel tubo il passaggio della corrente nociva. Le figg. 3° e 4“ sono corrispondenti alle 3 e 4, ma ottenute con il circuito secondario chiuso sul tubo. — 458 — Il processo che si svolge nei due casi pare adunque il seguente: Avve- nuta la interruzione brusca della corrente primaria (nel caso della corrente alternata), il tubo è traversato da una scarica di tipo oscillatorio, che abbiamo osservato nella fig. 1. È però da notare che, appena iniziata la oscillazione, lo smorzamento delle successive alla prima risulta abbastanza piccolo, ciò che prova che il tubo, in queste condizioni di avvenuto adescamento, offre una resistenza ben piccola; tali condizioni, che rendono facile di far passare nel tubo correnti nei due sensi, perdurano alquanto, e precisamente per un tempo che appare non inferiore a 1/20 del periodo, e quindi non inferiore a 1/1000 di minuto secondo. Solo quando le oscillazioni sono cessate, il tubo riprende la sua normale resistenza alla scarica, cioè l’attitudine a non con- sentire il passaggio della corrente se non è attiva una elevatissima differenza di potenziale agli elettrodi. Ora, come abbiamo veduto, nel caso delle correnti continue e dell’in- terruttore Wehnelt ordinario, la f. e. m. inversa di chiusura segue subito dopo la rottura, e trova perciò il tubo nelle condizioni di adescamento, cioè mentre è ancora percorso dalle oscillazioni provocate dalla interruzione. La f. e. m. di chiusura è massima proprio all'istante della chiusura; e pur trat- tandosi di una f. e. m. non elevata, poichè è uguale, al massimo, a quella della batteria moltiplicata per il coefficiente di trasformazione (circa 100), ‘essa riesce ad aprirsi la via nel tubo, ancora adescato dalla corrente oscil- latoria che lo sta attraversando. Invece, con la corrente alternata l'onda di f. e. m. inversa è di minore intensità, ed inoltre essa comincia a esercitarsi solo dopo una buona frazione del periodo, quando cioè il tubo più non è traversato da alcuna corrente e ha ripreso la sua resistenza normale alla scarica. Manca così la possibilità che l’onda inversa nociva trovi facile il passaggio. Secondo questa interpretazione, l’annullarsi dell’onda inversa con le correnti alternate sarebbe dunque dovuto alle circostanze seguenti, bene illustrate dai diagrammi della fig. 5 che rappresentano le combinazioni della f. e. m. stradale e, con la corrente primaria 7, e con la secondaria 72. La rottura della corrente primaria può prodursi, regolando conveniente- mente la lunghezza della punta, in tale fase della sinusoide che all'istante della susseguente chiusura del primario la f. e. m. agente in esso sia molto prossima a zero; ciò è reso facile dal fatto che la corrente è in ritardo sulla f. e. m., e che la rottura ha luogo poco dopo il massimo positivo della corrente. In tali condizioni, alla nuova chiusura il primario interviene solo partecipando alle oscillazioni del secondario, sul quale reagirà; ma solo dopo circa un altro mezzo periodo avrà origine la f. e. m. induttiva che tenderebbe a far passare l'onda inversa nel tubo, già diseccitato, e capace perciò di arrestarla, senza bisogno di valvole. — 459 — Come fu detto nella Nota precedente, diminuendo la lunghezza della punta si può accelerare la fase della interruzione. Con ciò la f. e. m., alla nuova chiusura, può avere un senso ed un valore nocivi; si riconosce facilmente nella fig. 6 quel che avviene in queste sfavorevoli condizioni che furono realizzate accorciando da 15 mm. a soli 5 mm. la punta di ferro dell’inter- ruttore. Effettivamente alla f. e. m. indotta A, di senso utile, segue imme- diatamente, in B, un'onda inversa capace di attraversare il tubo; questo la Fic. 5. Fi. 6. rivela immediatamente con quelle macchie caratteristiche che sono così ben note a coloro che han pratica di radiologia. La manovra di allungare la punta quanto più è possibile, limitatamente solo al funzionamento regolare dell’interruttore, e che si manifesta così efficace per eliminare il passaggio delle onde inverse, ha quindi la funzione di spostare la fase dell’interruzione fino a che la nuova chiusura sì compia quando la f. e. m. primaria ha assunto il valore opportuno. E se la autoin duzione è convenientemente scelta, questo istante può rendersi molto prossimo alla fase in cui la corrente è massima. Resta solo da esaminare un punto, per la corretta interpretazione dei diagrammi. Le ordinate delle figg. 3-4-6 rappresentano, come si è detto, non la tensione agli estremi del secondario, ma la f. e. m. induttiva agente in esso; e la differenza fra le due costituisce l’effetto della capacità distribuita del secondario essendo trascurabile la caduta di tensione ohmica. Si può — 460 — portare in causa quest'azione osservando che, all'atto del destarsi della. f. e. m. indotta per la rottura, la tensione utile al secondario andrà crescendo più lentamente, potendo l’effetto della capacità del secondario paragonarsi, in certa guisa, a quello di un condensatore derivato tra gli estremi. La elet- tricità accumulata si scaricherà nel tubo, quando è raggiunta una tensione sufficiente, dando origine alle oscillazioni. Ma è evidente che, se la f. e. m., che fa da generatore unico nel secondario, resta positiva in tutta la metà superiore del periodo, la presenza della capacità, che può solo ritardarne l'effetto, non può dare origine ad altre correnti inverse se non a quelle delle oscillazioni; mancherà in ogni caso la vera f. e. m. inversa di chiusura, che si rivela nel caso dell’interruttore di Wehnelt e delle correnti continue, sovrapponendosi nei suoi effetti alle oscillazioni, e prolungandole. Dalla forma della corrente primaria in questo caso si riconosce subito (fig. 7) la presenza di oscillazioni, provenienti dal secondario, durante la salita della corrente che segue alla chiusura. = Fia. 7. Da tutto ciò risulta evidente la convenienza di ricorrere, per gli im- pianti di non grande potenza, alla corrente alternata ed all'interruttore elettrolitico sinerono. Oltre alle circostanze pratiche che ne rendono minimo il costo, facile il maneggio e regolarissimo il funzionamento, questo sistema offre il vantaggio di escludere completamente la f. e. m. inversa, così come solo sarebbe capace di fare wn interruttore meccanico sincrono, che, dopo l'interruzione in un punto dell'onda, vicino al valore massimo, ristabilisse la chiusura quando la f.e.m. primaria è prossima a zero; e riuscisse inoltre a rendere inattiva la semionda seguente, di corrente negativa. Il ritmo delle interruzioni, perfettamente costante anche se si modifica entro larghi limiti la lunghezza della punta, è determinato dal periodo della corrente alternata, e perciò non può essere molto elevato, ricorrendo alle reti di distribuzione ordinarie. Ciò non impedisce che anche con un rocchetto di modeste dimen- sioni sì possano far passare in un tubo di durezza normale correnti medie di due o tre milliampére, largamente sufficienti per la radioscopia, e in tubi di grande durezza le intensità impiegate nella radioterapia. — 461 — Fisica. — Velocità di diffusione e idratazione in soluzione. Nota di M. PapoA & FERNANDA Corsini, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Le classiche esperienze di J. Perrin hanno messo in evidenza la stretta relazione che passa fra la grandezza dei granuli sospesi, in una soluzione colloidale, e la stratificazione che essi assumono per azione della gravità. Se fosse possibile di conservare in perfetto equilibrio di temperatura una lunga colonna verticale di una soluzione salina, si dovrebbe notare, per azione della gravità, una rarefazione del sale, procedendo dal basso all'alto, secondo le medesime leggi che permettono di calcolare il decremento della densità dell’aria coll'’aumentare dell'altezza e la stratificazione delle soluzioni col- loidali: tutto questo dipende dall’attendibilità dell'ipotesi molecolare, ormai diventata teoria. I processi studiati dal Perrin sono strettamente connessi coi fenomeni della diffusione; più piccola è la massa molecolare, e più grande sarà la sua velocità di diffusione. Tutto ciò è espresso in una nota formula di Einstein (?): 1 RT Vas , in cui D è il coefficiente di diffusione, N il numero di Avogadro, T la temperatura assoluta, R la costante dei gas, & l'attrito interno del solvente e 7 il raggio molecolare. Herzog (?) ha poi dato una relazione che lega direttamente la grandezza molecolare con la velocità di diffusione: se » è il volume specifico del corpo, il suo volume molecolare è dato dalla Mv Nim . Dalle due uguaglianze precedenti seguo la M= Jai 1 — 162.n2N?83 D5y Introducendo in questa formula il valore di R in gr. cm., cioè 8,3155.107, il valore di N, che sarebbe, secondo i dati di Perrin, 70,5.10??, e per D, $, v, i rispettivi valori a 20°, Herzog ha calcolato i pesi molecolari di (*) Annalen der Physik, /9 (1906), 303. (*) Zeitschrift fir Elektrochemie, XVI, 1003. RenpIconNTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 61 — 462 — alcuni zuccheri, che risultarono vicini ai valori teorici, e quello dell’albumina, che sarebbe 70.000. Noi abbiamo avuto l’idea di utilizzare questo metodo per avere una misura dell'idratazione in soluzione: quando una molecola sciolta si idrata, deve formarsi un complesso tanto maggiore quanto più grande è il numero delle molecole di solvente che si combinano; tale complesso avrà, a parità di temperatura, una velocità media inferiore a quella delle molecole sem- plici, e quindi ancora una minore velocità di diffusione. Ne viene di con- seguenza che si dovranno avere, con questo metodo, dei pesi molecolari superiori ai teorici, per quei corpi che si combinano col solvente, o che, comunque, ne trascinano seco una certa quantità nel diffondere. Che il nostro modo di vedere avesse un certo fondamento di verità, lo si poteva già arguire dal fatto che, assumendo per N il valore, oggigiorno assai più attendibile, di 60.10?? (!), i pesi molecolari di Herzog diventano più elevati dei teorici. Si rendevano però necessarie ulteriori esperienze di diffusione, massime con sostanze che, per molte ragioni ed esperienze prece. denti, si debbano ritenere idratabili in soluzione: la scelta di queste sostanze venne, per ora, limitata ai non elettroliti, perchè la diffusione dei corpi dissociati è un fenomeno più complicato e non sembra facile di ricavarne dei dati quantitativi sull’idratazione (*). I dispositivi adottati dai varî autori che hanno misurato delle velocità di diffusione (*) hanno lo scopo: 1°) di conoscere esattamente la superficie, attraverso la quale il corpo diffonde, e così pure l’altezza degli strati; 2°) di preservare il liquido che diffonde dagli sbalzi di temperatura, che potrebbero metterlo in movimento; 3°) di prelevare, dopo un tempo determinato, un certo numero di fra- zioni del liquido (rappresentanti i varî strati), senza agitare menomamente il liquido stesso; (1) Vedi ad es. Svedberg, Die Existenz der Molekile (1912). (*) Secondo Nernst [vedi ad es. 7'heoretische Chemie, VII ediz. (1918), 400] la velocità di diffusione degli elettroliti è una funzione della mobilità w e v degli ioni, AI . - i 3 ; 6 î = ( nr a) SRI: questa espressione si verifica bene, come rilevasi dalle misure di 9 Oeholm (Zeitschrift fi physikal. Chemie, 7904, L, 309) e di Scheffer (ibidem, 1888, II, 390) per corpi poco idratabili. Per sostanze avide d’acqua, come acido cloridrico, idrato sodico e potassico, la velocità di diffusione risulta inferiore a quella prevista, ciò che starebbe a confermare le nostre vedute. (3) Vedi ad es.: Graham, Annales de Chimie et de Physique, 3me série, vol. 6d, pag. 129; id., Annalen der Chemie und Pharm., 77, pp. 56, 129; 80, pag. 197; 121, pag. 1; Voigt- linder, Zeitschrift fiir Physikal. Chemie, III, 316; Arrhenius, ibidem, X, 338; Scheffer, ibid., XI, 390; Oeholm, ibid., XL, 309, e LXX, 407. — 463 — 4°) di rendere il più possibile piano il fondo del recipiente in cui ha luogo la diffusione, allo scopo di conoscere esattamente volume ed altezza anche dello strato più basso. Noi abbiamo costruito un apparecchio un poco diverso da quelli che sono stati usati in precedenza, rappresentato schematicamente dalla figura qui a lato: R è il recipiente in cui avviene la diffusione, costituito da un blocco di una lega di piombo, antimonio e zinco, in cui, con un tornio di precisione, venne praticata una cavità a parete cilindrica ed a fondo perfet- tamente piano, del raggio di mm. 17,42; versando in questo recipiente 10 cm? di un liquido, questo occuperà un'altezza di mm. 5,24. Il recipiente è chiuso da un tappo, di gomma per le soluzioni acquose, di ottimo sughero per quelle benzoliche, attraversato da un capillare aa, ripiegato ad U e da un secondo capillare 50 con rami assai disuguali, recante all'estremità più lunga un robinetto M coll'estremità affilata; nel punto N è inserito un altro capillare terminato con un piccolo imbuto a robinetto. L'altro ramo del tubo 55 è assicurato al tappo del recipiente R, e la sua estremità aperta ne rasenta il fondo. — 464 — L'apparecchio funziona nel modo seguente: si fa entrare dell'acqua per l’imbuto e si aspira leggermente per M, in modo da riempire il tratto di tubo MN; poi si chiude il robinetto M e si fanno arrivare nel recipiente R 40 cm? d'acqua; indi si chiude l’imbuto a robinetto e vi si versano 10 cm? della soluzione che si vuol far diffondere: anche questa vien fatta discendere nel recipiente, senza scosse, e così la diffusione comincia. Trascorso il tempo che si crede opportuno, si prelevano gli strati aprendo il robinetto M: il liquido scende spontaneamente poichè il capillare 50 funziona da sifone e sottrae il liquido senza produrre Ja minima agitazione (’). Questo apparecchio venne fissato solidamente ad un sostegno e posto sopra una mensola a muro, in una stanzetta appartata; la costanza della temperatura veniva assicurata con un termoregolatore. Se si indica con 10.000 la quantità di sostanza presente in tutta la colonna liquida, la distribuzione di essa a diffusione avvenuta può essere rappresentata da una serie, ad esempio di 10 numeri se 10 sono gli strati, proporzionali ciascuno al contenuto di uno strato, e di cui la somma è appunto 10.000. i Stefan (*) ha dimostrato che, facendo avvenire la diffusione nelle con- dizioni suesposte, il rapporto ne ha un valore determinato per ogni so- 27. stanza, una volta fissato il FRS di diffusione. In questa espressione, % è l'altezza di uno strato, 4 il tempo, % la costante di diffusione, che rappre- senta la quantità di sostanza che passa nell'unità di tempo (espresso in giorni) attraverso l’unità di superficie. Per ogni valore numerico dell’espres- sione precedente, sì ha una stratificazione caratteristica. L'autore citato ha calcolato e disposto in apposite tabelle le serie corrispondenti ai valori pos- sibili dell'espressione GAD, cosicchè il calcolo dei coefficienti di diffusione 2Vtk risulta singolarmente abbreviato. Nelle tabelle seguenti abbiamo riunito i dati inerenti alle nostre espe- rienze, riserbandoci di dare altrore maggiori particolari, specialmente per ciò che riguarda i metodi analitici, che non sono sempre agevoli. Sostanza aa l'emper. Metodo di dosamento Tempo °/o in giorni Alcool metilico . 100 24° densità 1.92 » etilito . . 100 20 ” 8.00 Glicerina. . . . 50 24 ” 1.68 Fenolo.. ..u. 0 22 titolazione con Br 2.70 Saccarosto > ce 210 22 potere rotatorio 1.51 Acetamide NN VETO 24 saponificaz. e titolaz. di NH; 2.00 Esametilentetramina 8 21 titolaz. con rosso di metile 1.87 (*) Se la discesa è lenta, si può accelerarla esercitando una leggera pressione con un semplice dispositivo, che non descriviamo per brevità, a mezzo del tubo aa. (?) Sitzungsberichte Akademie der Wissenschaften (1879) 79, 184. — 465 — In queste condizioni osservammo le seguenti stratificazioni: Num. Alcool Alcool Glicerina Fenolo Saccarosio Aceta- Esametilen- metilico etilico mide tetramina 1 2233 2446 2681 2209 3026 2202 2658 2 2057 2309 2305 2090 2781 1936 2227 3 1778 1694 1787 1876 1981 1577 1745 4 1819 1210 1291 1344 1139 1392 1915 D 892 850 809 1042 561 1080 957 6 653 588 658 738 296 759 577 7 432 412 254 465 141 482 282 8 289 229 128 ALZATE 78 292 134 9 250 157 Tal 59 40 166 67 10 142 105 36 0 0 118 40 h = 070.22: 0.24 0.26 0.22 0.32 0.22 0.26 2V/kt Da questi dati si calcolano i valori di % ('), e da questi, con gli altri (?) raccolti nella seguente tabella, si hanno i pesi molecolari: Sostanza k v È Peso mol. P. mol. Idrataz. calcolato trovato (mol. Hs0) Alcool metilico . 0.789 1.262 0.009172 32 66.6 1.9 » etilico . . 0.396 1.246 0.01006 46 319 TIbEO Glicerina . . . 0.555 0.793 0.009172 929 250 8.9 Fenolo . . . . 0.525 0.932 0.009116 94 214 6.7 Saccarosio . . . 0.442 0.630 0.009616 342 5830 10.5 Acetamide . . . 0.709 0.870 0.009172 59 109 2.8 Esametilentetramina 0.543 0.753 0.009838 140 221 4.4 La tendenza ad idratarsi in soluzione sembra dunque notevole per le sostanze da noi prescelte: ad eliminare però qualsiasi dubbio sull'esistenza di queste anomalie nei pesi molecolari, era necessario di determinarne alcuni per corpi che presumibilmente non si combinano col solvente (*). Per le (') Esistono misure di Oeholm sul saccarosio e l’acetamide, di Thowert sugli aleools etilico, metilico ed il fenolo, e di Heimbrodt sulla glicerina. Taluni dei risultati di questi autori differiscono non poco dai nostri, ma noi crediamo di dover ritenere come più attendibili le nostre misure: 1°) perchè i pesi molecolari calcolati con quei valori risul- terebbero di gran lunga inferiori ai teorici; 2°) perchè le velocità di diffusione a noi risultano in gran parte inferiori a quelle degli autori citati; ora, la cosa più probabile è che gli errori commessi siano in più. (?) I valori di v si calcolano dalle densità che si trovano nella letteratura; quelli di £ dalle misure, più recenti, di Bingham e White (Zeitschrift fùr physikal. Chemie, LXXX, 670). (*) Gli innumerevoli dati crioscopici che si rinvengono nella letteratura permettono di calcolare facilmente che le sostanze da noi usate hanno in soluzione acquosa molecole semplici, Si noti che, per i corpi più densi dell'acqua, quando avviene l’idratazione, i valori — 466 — misure eseguite da uno di noi con A. Matteucci (*) sui coefficienti di tem- peratura della tensione superficiale, in soluzioni benzoliche di idrocarburi aromatici, non sembra manifestarsi in modo sensibile il fenomeno della combinazione col solvente: abbiamo dunque pensato di misurare la velocità di diffusione in benzolo di alcuni idrocarburi, non troppo volatili, per poterli pesare direttamente dopo aver fatto svaporare il benzolo. Ecco i risultati di tali esperienze. Sostanza Cone. della soluz. Temperatura Metodo Tempo di dosamento in giorni Naftalina 10 24 pesata 1,08 Difenile . . . 8 26 ” 1,00 Dibenzile . 8 26 ” 0,75 Le stratificazioni risultarono come segue : Sostanza Naftalina Difenile Dibenzile 2501 2518 2854 2288 2307 2624 1864 1833 1969 1367 1326 1189 876 864 694 594 518 337 341 290 157 112 172 72 70 104 53 47 68 51 AI 0,245 0,26 0,31 2y kt Finalmente, per la costante di diffusione, i volumi specifici, l'attrito interno (?) ed i pesi molecolari, abbiamo i seguenti valori: Sostanza k v È Peso molecolare Peso molecolare calcolato trovato Naftalina 1,059 0,8688 0,00593 128 121 Difenile 1,016 0,858 0,00580 154 152 Dibenzile 0,953 0,878 0,00580 182 180 di v, da noi calcolati in base alle densità allo stato puro, saranno più piccoli del vero, e quindi i pesi molecolari da noi calcolati sono probabilmente maggiori del vero; pei corpi meno densi dell’acqua l’errore probabile è in senso inverso. Tuttavia, non differendo di molto le densità da quella dell’acqua, questa consideraziooe non può alterare sensibilmente i risultati. (*) Questi Rendiconti, 1914, II, 590. (3) Le densità della naftalina e del difenile erano già state determinate; quella. del dibenzile l'abbiamo misurata noi. L’attrito interno del benzolo è dedotto dalle esperienze di Faust (Zeitschrift fir physikalische Chemie, LXXIX, 99). — 467 — Questi risultati ci sembrano abbastanza soddisfacenti, considerando che, anche nelle determinazioni dei pesi molecolari coi metodi crioscopico ed ebullioscopico, si incorre in errori dello stesso ordine di grandezza: e si noti che nel nostro caso entrano in giuoco numerosi fattori, tutti da deter- minarsi sperimentalmente; ed entrano tutti (meno il volume specifico) nella espressione che dà il peso molecolare, con potenze superiori ad uno, cosa che accresce di molto l'influenza degli errori. Tuttavia noi crediamo che, con determinazioni numerose ed accurate, si potrà arrivare a risultati ancor più precisi. Chimica. — Sopra alcuni derivati della metilvanillina, e sopra un nuovo prodotto di condensazione (*). Nota preliminare di B. L. VANZETTI, presentata dal Socio G. KoERNER (?). In prosecuzione di alcune ricerche sui derivati dell’ 7so/zvz/e (*) ho avuto occasione di occuparmi, alcuni anni or sono, dei prodotti di condensazione e di ossidazione della metilvanillina: e precisamente ho potilto preparare una certa quantità di veratrile e di veratroino, seguendo le prescrizioni ben note per la preparazione degli analoghi derivati del benzile e della benzoina. Alcun tempo dopo ripresi il lavoro per tentare la sintesi dell'ucido veratrilico, corrispondente al benzilico, e mi venne incidentalmente sott’occhio una pubblicazione di P. Fritsch (4), in cui si trovava la descrizione del vera- troino e del veratrile, preparati a tutt'altro scopo, con processi poco diversi da quelli usati da me. Potei così constatare la identità dei risultati e, tra altro, il curioso comportamento del veratroino, il quale, contrariamente a quanto accade per i suoi analoghi, non si è potuto ottenere cristallizzato. È inutile che io elenchi in questo luogo i tentativi da me fatti per otte- nere questo corpo allo stato cristallino; mi riservo di descrivere per esteso tutti questi derivati e le loro caratteristiche altrove, quanto prima, e mi limito ad accennare qui alla preparazione dell'acido veratrilico, per dire di una interessante reazione di trasformazione riscontrata da me accidentalmente nel corso delle numerose ricerche, e per quanto so, per la prima volta in questo gruppo di composti. (') Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica organica della 'R. Scuola superiore di agricoltura di Milano e nel laboratorio di chimica generale della R, Università di Padova. (*) Pervenuta all'Accademia il 28 ottobre 1915. (3) Korner e Vanzetti, Ricerche sopra l’olivile (Memorie d. R. Accad, dei Lincei, 1911). (4) Synthese in der Isochinolinreihe (Lieb. Ann., 329, pp. 37-65, an. 1903). — 468 -— L'acido veratrilico (3-4, 3'-4'-tetrametossibenzilico) non si ottiene così facilmente dai suaccennati composti a funzione chetonica, secondo la nota trasposizione e ossidazione: \0H | DIA liggtal NL CH—C0 — C0H , (C0—Co — CoH Rao COOH COOH come avviene per il benzile, l’anisile, il piperonile ed altri, in cui la rea- zione è poco meno che quantitativa; ma sembra che la molecola, con la introduzione di nuovi metossili, sia divenuta più inerte rispetto a quella reazione e più adatta invece ad altre trasformazioni, a tutta prima im- previste. Per esempio, mentre il benzoino si trasforma direttamente in acido benzilico per semplice azione di una corrente d'aria, in presenza di alcali a caldo [Klinger (')], il veratroino si ossida quantitativamente a veratrile e l'ossidazione non procede oltre. Anche il trattamento del veratrile con potassa acquosa, col metodo indicato da M. Marx per l’esametossibenzile (°), non conduce a migliori risultati, perchè neppure dopo 20 ore di ebollizione il veratrile accenna minimamente a passare in soluzione. Solo l’aggiunta di alcool, o, meglio, il trattamento diretto del veratrile con soluzione alcoolica di idrato potassico, permette il passaggio in soluzione, in seguito a contatto prolungato a caldo. Anche in questi casi, però, il rendimento è lungi dal- l'essere quantitativo; tuttavia l'acido si ottiene subito allo stato di sufficente purezza, in piccoli gruppi di mammelloni bianchi, o in bellissimi aghi se- tacei, lunghi più di un centimetro, disposti a sfera. Il punto di fusione loro è a circa 68°; a 105° avviene una parziale scomposizione (eliminazione d'acqua) e a 150° s'inizia un imbrunimento, che va aumentando con l’ele- varsi della temperatura. All’analisi la molecola organica si mostra idratata: la composizione corrisponde cioè a C,g8 H290;.Hs0. Con la speranza di trovare una via più acconcia per la preparazione di questa sostanza, ed avendo un po’ di acido veratrico gentilmente cedutomi dal prof. Koerner, ò preparato del veratrofenone (3, 4, 3’, 4'-tetrametossiben- zofenone: punto di fus. 144°.5) attraverso il cloruro di veratroile (fondente a 70-71°), che fu combinato con una molecola di veratrolo, in presenza di A1C];. Dal veratrofenone, per addizione di ioduro di Mg-metile, ò preparato il dive- (1) Ber. d. d. Ges., 19, pag. 1868. — Secondo Biltz e Wienands (Lieb. Ann., 308, pag. 11), anche l’anisile, in presenza di potassa e in corrente d'aria, si trasforma in acido anisilico. (?) Lieb. Ann., 263, pag. 255. — 469 — ratrilmetilearbinolo (punto di fus. 95-96°) e il diveratriletilene, dal quale, per ossidazione, si può ottenere l'acido veratrilico: R CH R_x_-CH R_x_-0H R700 4 Mg; ° > p>l R?l<0H —> OH COOH Descriverò, in altro luogo, anche queste sostanze; mi basti dire, per ora, che questa via non si mostrò conveniente per la preparazione dell’acido ve- ratrilico, e dovetti perciò ricorrere ancora al veratrile ed ebbi così occasione di studiarne meglio il comportamento verso l’idrato potassico a fusione. Questa reazione dà, per l’acido benzilico e per l’anisilico, dei rendimenti abbastanza elevati; meno per il piperilico. Col veratrile le cose vanno ancor peggio; tanto che si può avere in prevalenza formazione di acido veratrico. I ren- dimenti variano inoltre, in sommo grado, col variare della temperatura alla quale si fa la fusione, e possono intervenire contemporaneamente delle tras- formazioni più complicate, per le quali la massa assume una colorazione più scura e si ottengono sostanze di aspetto resinoso. Da queste sostanze resinose, per azione successiva di varî solventi, sono riuscito ad isolare una sostanza giallo-arancio, che cristallizza in laminette dall'aspetto dell’azo- benzolo. Su di essa è tentato alcune prove, che mi hanno condotto a con- statazioni molto interessanti. Essa è insolubile nell'acqua e nelle soluzioni alcaline calde, o fredde; solubile nei solventi organici. È sublimabile. Lasciata ricristallizzare dall’acido acetico, si deposita in bellissimi aghetti rosso-bruni lucenti; i quali alla temperatura di 110-120° si ritrasformano nel composto giallo aranciato fondente a 198°. Con acido solforico concentrato freddo dà una bella colorazione verde-azzurra, che in pochi minuti si muta in una colo- razione rosea e, in seguito a diluizione spontanea, o provocata, dà luogo a un intorbidamento rossiccio, dovuto al riprecipitarsi della sostanza allo stato di polvere. Colorazioni simili sono date dal veratrile e dall’acido veratrilico. Da una prima analisi risulterebbe che la sua composizione è molto pros- sima a quella del veratrile, con un po’ meno d’idrogeno. L'aspetto ed il comportamento chimico fanno pensare ai derivati di nuclei condensati, tipo fenantrene, o antracene. Parrebbe trattarsi cioè del fenantrenchinone, o del- l’antrachinone corrispondente; più probabilmente del secondo, perchè non si à, con o-fenilendiammina la nota reazione delle chinossaline (!); è inoltre da notarsi che per ossidazione non si è ottenuto l'acido deidroveratrico corrispondente, noto (*), e d'altra parte il composto è perfettamente indif- ferente all’azione di SO, e dei bisolfiti alcalini. Supposto che non si tratti di un composto proveniente da parziale sme- tilazione, il che è poco vero simile, credo che si potrà ricercare l'analogo e R>C—=CH; I i (1) G. Kòrner, Atti Ist. lombardo, giugno 1881; O. Hinsberg, Ber. XVII, 318 (1884); e G. Kérner, Rend. Acc. Linc., VIII, 219, transunti. (3) Herissey e Doby, Centralbl., 1909, II, pag. 1807. RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 62 — 470 — nella resina rossa che si ottiene dalla scomposizione termica dell'acido ben- zilico, dalla quale non credo si siano mai potute isolare sostanze cristalliz- zate ('). Mi sono proposto, perciò, di studiare il prodotto resinoso rosso dell'acido benzilico, più facilmente accessibile; e spero di poter riferirne tra breve. Microbiologia. — Wteriori ricerche sull'attività proteolitica dei fermenti lattici. II. L'influenza del substrato (*). Nota del prof. CosranTINO GorINI, presentata dal Socio G. BrIosI (*). Nell'anno 1907 (*), descrivendo un tipo di batterio acido-presamigeno isolato dalle mammelle vaccine, davo il primo esempio di un fermento lattico il quale rivelava il proprio potere proteolitico solamente nelle culture in latte e non nelle culture in gelatina. Nell'anno 1910 (*), descrivendo un tipo di cocco acido-presamigeno isolato dal formaggio, davo un secondo esempio di mancata corrispondenza proteolitica fra le culture in gelatina e le culture in latte di un medesimo fermento lattico. Venni così a mettere sull'avviso che la incapacità di liquefazione della gelatina non fornisce un criterio bastevole per escludere l’azione peptonizzante di un dato fermento lattico sulla caseina (%). Dimostrai, peraltro, che tale diverso comportamento non è attribuibile ad una differenza fra l'enzima proteolitico agente sulla gelatina e quello agente sulla caseina; infatti, se si prende della gelatina sterile, la si fonde, la sì addiziona di qualche goccia di lattocultura peptonizzata dei suddetti batterî, la si mette solo per qualche ora alla temperatura di digestione, e la si riporta poi alla temperatura ambiente od anche in ghiaccio, essa, a differenza della gelatina di controllo, non risolidifica più, dando così segno indubbio che la sua pepto- ‘nizzazione è avvenuta in grazia dell'enzima proteolitico che era contenuto nella lattocultura aggiunta (7). A spiegazione del non parallelismo della gelatinocultura colla lattocultura io addussi allora la deficiente attitudine eugenesica della gelatina verso quei tipi di batterî, i quali effettivamente nella gelatinocultura si sviluppavano (1) A. Jena, Ber., II (1869); Nef, Lieb. Ann., 298, pag. 241. (3) Lavoro eseguito nel Laboratorio di batteriologia della Scuola superiore di agri- coltura di Milano. (*) Pervenuta all'Accademia il 25 ottobre 1915. (4) Gorini C., Il Bacillus minimus mammae, in Rendic. Ist. lomb. sc. e lett., 1907, pag. 947; 1908, pag. 122. (5) Gorini C., / cocchi acido-presamigeni del formaggio. in Rendic. R. Acc. Lincei, 1910, pag. 150. (9) Le mie ricerche furono poi confermate da varî autori, fra cui S. H. Ayers di Washington (28° Annuel Report of the Bureau of animal industry of the U. S. Depart- ment of agriculture, 1911, pag. 229). (*) Ved. anche il mio lavoro Sui presami animali e microbici, in Rend. R. Ist. lomb. sc. e lettere 1908, XLI, pag. 117. i — 471 — stentatamente. Senonchè, in seguito, ho incontrato altri tipi di fermenti lattico- caseolitici i quali non fondevano la gelatina, sebbene vi si sviluppassero rigogliosamente; per tali casi adunque era necessario di cercare un’altra inter- pretazione del contraddittorio comportamento in gelatina. Questa ricerca forma oggetto della presente Nota. Melo Data l'insufficienza della gelatinocultura a svelare l’attività proteolitica dei fermenti lattici, è chiaro che, se si ricorre alle piatte in gelatina per l'isolamento dei fermenti latticocaseolitici, bisogna trapiantare in latte non solamente le colonie fondenti ma anche tutte le colonie non fondenti, come praticai appunto nei miei primi studî sull'argomento. Desiderando evitare spreco di tempo e di materiale, ho pensato che si sarebbe potuto agevolare il còmpito allestendo le culture a piatto non più in gelatina, ma in agar addizionato di latte, che è quanto dire in latte reso solido coll'aggiunta di agar. Per preparare questo agarlatte, parvemi superfluo di ricorrere all'aggiunta di estratto di carne e peptone come si usa per il comune agar nutritivo; dappoichè si tratta di germi proprî del latte, basta offrir loro un agarlatte nel quale l'agar serva esclusivamente da soli- dificante. A tal wopo faccio una soluzione semplice di agar in acqua al 2°/, che distribuisco e sterilizzo in provette o in boccette; al momento dell'uso la faccio fondere, vi mescolo del latte sterilizzato nella proporzione di 1 su 2 e poi verso nelle piatte l'agarlatte. Per prevenire una intempestiva parziale solidificazione dell'agar, è consigliabile di riscaldare il latte a circa 50° C. prima di mescolarlo coll’agar; la seminagione può esser fatta per disseminazione nell’agarlatte tuttora liquido a 40° C., prima di versarlo nella piatta, oppure per s/risezamento sull'agarlatto già solidificato nella piatta. A meno che sì tratti di germi anaerobii obbligati, è preferibile questa seconda maniera perchè riesce più facile di ravvisare le colonie caseolitiche. Le colonie caseolitiche spiccano sul fondo biancastro opaco dell’agarlatte per il fatto che attorno ad esse si forma una zona chiara di limpidificazione, dovuta alla solubilizzazione (peptonificazione) della caseina circostante. Questo alone è tanto più esteso quanto maggiore è l'attività proteolitica del batterio e quanto meno numerose e stipate sono le colonie che si sviluppano su una medesima piatta; ciò per ragioni ovvie di concorrenza vitale. Curioso, però, che la larshezza dell'alone non è sempre proporzionale alla grandezza della colonia; vi sono delle colonie di batterî acidopresamigeni piccole, puntiformi, le quali si circondano di una zona di chiarificazione smisuratamente estesa, assai più estesa di quella che attornia colonie più grandi. Ciò va d'accordo con quanto si rileva talvolta anche nelle culture di siffatti batterì in gelatina, dove si scorgono coloniette, grumetti minutissimi, nuotare in seno a grandi masse di gelatina fusa (!). (1) Ved. nel mio lavoro Sui datteri dei dotti galattofori il tipo di cocco che designai «a rapida e sproporzionata fusione », in Rend. R. Ace. Lincei, 1902, pag. 162. — 472 — Per questo mezzo delle culture su agarlatte ho potuto accertare l’atti- vità proteolitica in fermenti lattici che nelle culture in gelatina non fluidi- ficavano; non solo, ma ho potuto svelare tale attività in fermenti lattici che non la palesavano nemmeno, o appena dubbiosamente, nelle stesse culture in latte. Tutto ciò sta a provare che la capacità dei fermenti lattici di attac- care la caseina è di constatazione difficile e delicata; essa si mostra tanto legata, non solamente alle condizioni di temperatura e di aerobiosi (come ho dimostrato in altri lavori) (') ma altresì alla natura del substrato, che differenze anche minime nella composizione di questo possono impedirne la manifestazione. Queste differenze minime sono bene spesso inafferrabili, come quelle che si riferiscono alle qualità del latte impiegato per le culture (?). Già a0 ordgine i latti possono differire fra loro per ragioni fisiologiche inerenti alle mungane; ancor più lo possono poi per opera degli enzimi e dei germi ‘che, nel lasso di tempo più o meno lungo inter corrente fra la mungitura e l’arrivo in La- boratorio, hanno campo di alterarlo e di elaborarvi varî prodotti eterogenei; in Laboratorio infine l'operazione della sterilizzazione più o meno profonda a cui il latte va soggetto, e la più o meno lunga permanenza del latte allo stato sterile prima di essere coltivato, sono altrettante cause di modificazioni che, in base alle mie osservazioni, appaiono sufficienti a influire sul dispie- gamento dell'attività caseolitica da parte dei fermenti lattici. Ho potuto convincermi di tutto ciò in occasione dei trapianti periodici in latte che da parecchi anni vado facendo dei fermenti lattici della mia collezione. Pur troppo nella maggior parte dei casi ho dovuto limitarmi a constatare il fatto della irregolare comparsa o scomparsa dell'attività caseolitica in un medesimo fermento lattico, e a riconoscere che il fenomeno non poteva di- pendere da altro che dalla diversa qualità del latte, senza tuttavia arrivare a darmene ragione precisa, avendo escluso le altre influenze (temperatura, aerobiosi, ecc.). Ultimamente però le suaccennate culture in agarlatte mi hanno messo sulla via di avanzare un'ipotesi o, meglio, di rintracciare una spiegazione che può attagliarsi a molti casi. * x *% Come ho fatto conoscere da parecchio tempo (*), una delle sedi abituali di batterî acidopresamigeni, che sono poi fermenti latticocaseolitici, è la mammella (*) Gorini, C., Bollettino uff. del Min. agricoltura, Roma, -1897. — Annales de micrographie, Parigi, 1897, IX, pag. 433. (?) Gorini C., Rend, R. Ist. lomb. sc. e lett. 1907, XL, pag. 947. (*) Gorini C., Rend. R. Ist. lomb. sc. e lett., 1901, vol. 34, pag. 1279; Rendiconti R. Ace. Lincei, 1902, pag. 162. — Landwirts. Jahrbueh der Schweiz, 1902, pag. 22; Cen- trabl. f. Bakter, II Abt., 8, 1902; Revue générale du lait, 1902. — 473 — vaccina, dalla quale essi fuorescono col latte, e segnatamente colle prime stille di latte. Se si prende qualche goccia di questo primo latte e lo si semina per strisciamento su piatte di agarlatte, è ben raro di non assistere allo sviluppo di colonie munite dell'alone caseolitico sopradescritto. Se però queste colonie vengono trapiantate in latte, non sempre (com' è ovvio di intuire da quanto ho esposto indietro) si verifica la conferma dell'attività caseolitica. Orbene, in alcuni casi di fallita conferma ho provato a riportare la cultura su agarlatte per assicurarne l'identità; con mia sorpresa, notai che il batterio più non si rivelava caseolitico nemmeno sull’agarlatte: che cioè le colonie vi restavano prive di alone caseolitico. Eppure nei rispetti mor- fologici non c'era dubbio sulla purezza delle culture. Pensai allora d’inda- gare se nella preparazione dell’agarlatte vi fosse stata qualche modificazione alla quale attribuire il modificato comportamento del batterio; non ne rav- visai altra apprezzabile, all'infuori della qualità del latte adoperato. E per vero, l'agarlatte, che aveva servito alla semina originaria fatta direttamente dalla mammella, era stato allestito col medesimo latte appena munto; invece l’agarlatte delle semine successive era stato allestito con latte commerciale non più certamente fresco e quindi indubbiamente alterato per via enzima- tica e microbica. Volli ripetere la prova su agarlatte al latte appena munto; e le colonie di quella medesima cultura ricomparvero coll’alone caratteri- stico di peptonificazione. Laonde mi parve lecito di supporre che la causa della mancata manifestazione proteolitica stesse in qualche condizione per cui il latte commerciale differisce dal latte appena munto. Troppe sono le cause che possono far variare i due latti, segnatamente per azione microbica ed enzimatica, perchè io mi proponessi di prenderle in esame singolarmente. Una però ve ne ha, sulla quale parvemi meritasse fermare l’attenzione, perchè mi permetteva di estendere al caso mio una legge fisiologica che è già stata invocata per giustificare la incostanza e per- fino la perdita di proprietà funzionali presso altri batteri. È noto, ad es., che certi azotobatterî cessano dall'assimilare l'azoto libero quando sono coltivati nei laboratorî in mezzi troppo nutritivi, talchè, volendo utilizzare culture artificiali di quei microbi per arricchire di nitro- geno il terreno, sì è pensato di affamarli, di obbligarli cioè anche nelle cul- ture artificiali a lavorare per procurarsi il cibo azotato. Ora, mi domandai, non potrebbe verificarsi un fatto consimile anche per certi fermenti lattici rispetto alla loro attività proteolitica? Non potrebbe essere che essi siano stimolati a produrre il necessario enzima peptonizzante solamente quando non hanno a disposizione abbondanza di albuminoidi solubili? In tal guisa sì comprenderebbe, almeno in parte, la sospensione delle loro manifestazioni caseolitiche in presenza di alcuni latti, considerando che le albumine solu- bili, naturalmente contenute nel latte, possono variare per ragioni fisiologiche, considerando ancora che esse possono venire più o meno completamente pre- cipitate nel processo di sterilizzazione, considerando altresì che un latte può — 474 —- arrivare in laboratorio colla caseina già parzialmente solubilizzata da germi peptonizzanti; e via dicendo. Io ho incontrato latti commerciali dai quali, mediante candela Cham- berland, filtrava un siero che dava precipitati non indifferenti con acido fosfovolframico e con solfato ammonico, mostrando quindi di contenere rag- guardevoli quantità di albuminoidi solubilizzati. Simili latti avrebbero potuto ben servire per rispondere al quesito sopraindicato: senonchè, in primo luogo, il quantitativo di albuminoidi disciolti, che può indurre un batterio a rispar- miarsi dall’'elaborare enzimi proteolitici, non è certamente suscettibile di determinazione; in secondo luogo, un latte commerciale può, per via micro- bico-enzimatica, aver subìto anche altre alterazioni capaci di influire sul comportamento delle culture. ì Pertanto, desiderando controllare l'attendibilità della ipotesi avanzata, ho stimato miglior consiglio mettere a raffronto due agarlatti preparati colla medesima qualità di latte appena munto, ad uno dei quali fosse stato aggiunto del peptone secco Witte (') nella proporzione di !/,°/. Facendo culture com- parative con diversi tipi di fermenti latticoproteolitici, ho constatato che alcuni di essi, e precisamente quelli a potere caseolitico incostante, nel- l'agarlatte semplice davano colonie piccole ma alonate, mentre nell'agar- lattepeptone davano colonie prive di alone caseolitico sebbene meglio svi- luppate. Resta così provato che dl contenuto di albuminoidi solubili (peptoni) inun latte è da ritenere altra delle cause per cui un fermento lattico non manifesta le proprie attività caseolitiche. Se ora riflettiamo all’altro fatto, da me pure messo in luce, di fermenti latticoproteolitici che nelle culture in gelatina si sviluppano senza fonderla, mentre poi l'enzima caseolitico da essi prodotto nelle latto-culture eser- cita azione fiuidificante sulla gelatina stessa, sembrami logico di ammettere che la presenza di peptone nella gelatina nutritiva sia la causa della man- cata elaborazione di enzima proteolitico da parte delle colonie ivi svilup- pantisi. Disgraziatamente qui non sarebbe indicato di istituire culture com- parative su gelatina con e senza peptone, perchè la gelatina semplice senza aggiunta di albuminoidi solubili non è materiale nutritivo sufficiente per i fermenti lattici, come del resto per la pluralità dei batterî. * x x Riassunto E DEDUZIONI. — Riassumendo, adunque, la presente Nota reca un nuovo contributo alla dimostrazione, da me già data in precedenti (1) Ho specificato la qualità di peptone adoperato, perchè data la grande variabilità dei peptoni che vanno sul commercio, è possibile che con altri peptoni si ottengano ri- sultati differenti. Circa l'influenza della qualità del peptone sul biochimismo dei bat- terî vedasi il mio lavoro pubblicato nel 1893 sul « Giornale della R. Società Italiana d’Igiene », anno XV, n. 5. — 475 — lavori, circa la influenza del substrato sull'attività proteolitica dei fermenti lattici. Quest influenza si rivela in modo manifesto cor/rontando il compor- tamento di certi fermenti lattici nelle culture in gelatina e nelle culture in latte, in quanto essi, mentre peptonificano il latte, non arrivano a fluidi- ficare la gelatina, sebbene d'altra parte gli enzimi caseolitici da essi elabo- rati in latte si dimostrino atti a peptonizzare la gelatina. Ma l'influenza del substrato è così sensibile che si rivela puraneo con- frontando il comportamento di uno stesso fermento lattico di fronte a diverse qualità di latte, sia coltivandolo nel latte liquido tal quale, sia coltivandolo nel latte reso solido con agar (agarlatte). Onde ne deriva che l’azione caseolitica di certi fermenti lattici appare incostante per cause per lo più imprecisabili e dipendenti verosimilmente dalle alterazioni snbìte dal latte prima, durante o dopo la sua sterilizzazione in laboratorio. Fra le cause che valgono a spiegare l’incostanza dell'attività caseoli- tica dei fermenti lattici va annoverato il contenuto in albuminoidi solu- bili (peptone) del latte, massime del latte commerciale. Per analogia è lecito di inferire che la mancata fluidificazione della gelatina nutritiva da parte di certi fermenti latticocaseolitici debba ascriversi agli albuminoidi solubili (peptone) in essa contenuti. Ciò guida alla supposizione che presso certi fermenti lattici Io stimolo a produrre enzimi proteolitici sia subordinato al bisogno di procurarsi del- l'azoto solubile per il proprio sostentamento; quando essi trovano quest'azoto solubile in quantità sufficiente e già bell'e pronto nel substrato, potrebbero esimersi dal secernere l'enzima solubilizzante. Comunque sia, resta accertato, dalle mie ricerche precedenti e dalle attuali, che per giudicare della capacità proteolitica di un fermento lattico non sono criterî sufficienti le culture in gelatina e nemmeno le culture in qualunque sorta di latte; bisogna esperimentare variando le qualità di latte e tenendo conto particolarmente delle differenze che possono intercorrere fra i latti freschi appena munti e i latti commerciali, massime nei riguardi del contenuto in albuminoidi solubili (peptone), per cause microbiche ed enzi- matiche. Ed ora, se sommiamo quello che ho esposto nella presente Nota circa l'influenza del substrato, con quello che ho esposto nella Nota precedente (') circa l'influenza della temperatura sulle manifestazioni proteolitiche dei fermenti lattici, vediamo come occorra procedere guardinghi prima di esclu- dere che un fermento lattico sia capace di peptonizzare la caseina in am- biente acido, e come sia lecito di presumere che tale capacità (da me prima- mente messa in luce) sia più diffusa di quanto indurrebbero a ritenere gli autori che delle suddette infiuenze non si sono preoccupati. (3) Gorini C., Rend. R. Acc. Lincei, 1915, 24°, pag. 369. — 476 — Chimica. — Amadisi termica delle miscele degli idrati alca- lini coi corrispondenti alogenuri. III: Composti di litio ('). Nota di GrusePPE SCARPA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In due Note (°) precedenti ho esposto i risultati ottenuti studiando il comportamento termico delle miscele degli idrati di potassio e di sodio coi corrispondenti composti alogenati. Da questi risultati sì deduce che la tendenza a dar composti fra idrati e alogenuri dello stesso metallo aumenta dal potassio al sodio. Dato questo, per completare le mie ricerche mi parve non privo di interesse di esten- dere lo studio termico ai sistemi formati dai corrispondenti composti di litio, per vedere se, data la minore elettroaffinità del Li* rispetto a quella del Na*, aumenti la tendenza a dare questi composti ossialogenati. Vennero studiate perciò le quattro coppie di sali seguenti: Li OH-Li F, LiOH-LiC1, LiOH-LiBr, LiOH-LiJ. Per le esperienze mi servii del di- spositivo già usato per i sali potassici e sodici. Dei sali adoperati, l’idrato ed il fluoruro di litio provenivano dalla ditta Kahlbaum di Berlino; il cloruro, il bromuro e l’ioduro dalla ditta C. Erba di Milano. Come per l’idrato di potassio e di sodio, venne STORTO la quantità di umidità e di carbonato contenuto nell’idrato di litio. L'analisi diede i risultati seguenti: Li0H contiene: LiOH—:98,5/:, Li. C0;=0:8/%0, H-:0 —04789.0 La disidratazione dei sali di litio venne fatta per essiccazione in capsula di platino. Dopo essiccazione però si nota che questi sali, a differenza dei corrispondenti sali di potassio e di sodio, reagiscono debolmente alcalini, a causa di piccole tracce di ossido e di carbonato che in essi si formano du- rante il riscaldamento all'aria. Durante le esperienze il peso delle miscele fu tenuto costantemente eguale a venti grammi. Sistema LiOH-Li Fl. Sul punto di fusione dell'idrato di litio si hanno dati scarsi ed incerti. Secondo Dittmar (*) e De Forcrand (4), il punto di fusione di questo sale giace a 445°; dalle mie esperienze esso risulta a 462°. Alquanto superiore (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica generale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. (*) Rend. Accad. Lincei, XXIV, 1° sem., pag. 7388; XXIV, 1° sem., pag. 955. (£) Journ. of Soc. chem. industry, 7, 733 (1888). (4) Compt. rend., /42, 1255 (1906). — 477 — a quello dato da Carnelley (*') (801°) giace il punto di fusione del fluoruro di litio, da me trovato a 840°. Come appare dalla figura 1*, questi due sali sono completamente miscibili allo stato liquido, e danno soluzioni solide, in rapporti assai ristretti. La curva di cristallizzazione primaria discende dal punto di solidifica- zione del fluoruro di litio sino ad un eutettico alla temperatura di 4309, e risale poi lentamente al punto di fusione dell’idrato di litio. Sulle curve di raffreddamento si nota in modo evidente l'arresto eutettico per tutte le miscele da 5 a 85 mol. °/, circa di LiOH. Queste percentuali molecolari possono quindi essere assunte come i limiti di miscibilità, allo stato solido, dei due sali, la cui miscela eutettica presenta il massimo di durata a 80 mol di LOHT TABELLA I. o ? o o în Temperature Temperature Temperature È si lo | Mol. °/o | Peso °/o | Peso °/o cristallizzazione fine arresto DES LiOH LiFI LioH LiFl primaria cristallizzazioni eutettico in secondi 0.00 | 100 00 0.00 | 100.00 840 — — — 2.50 97.00 2.32 97.68 895 740 — — 5.00 95 00 4.64 95.36 820 — 420 10 10.00 90.00 9,30 90.70 810 — 420 20 20.00 80.00 18.80 81.20 770 — 420 25 25,00 75.00 23.50 76.50 750 _ 425 30 30.00 70.00 28.40 71.60 735 _ 425 45 35.00 65.00 88.20 66 80 710 — 450 60 40.00 60.00 38.10 61.90 695 — 30 70 45.00 55.00 43.20 56.80 665 _ 450 80 50.00 50.00 | 47.90 52.10 635 — 430 90 55.00 45.00 58.00 47.00 605 —_ 430 100 60.00 40.00 58.00 42.00 555 _ 450 105 65.00 85.00 63.88 36.12 520 _ 450 115 70.00 30.00 68 30 81.70 495 —_ 430 125 75.00 25.00 | 73.40 26.60 460 _ 430 140 80.00 20.00 78.60 21.20 450 _ 430 160 85.00 15.00 85.90 16.10 455 —_ 430 90 90.00 10.00 89.20 10.80 445 _ 430 10 95.00 5.00 94.60 5.40 455 445 —_ —_ 100.00 0.00 | 100.00 0.00 462 _ _ _ Per alcune miscele, che dànno luogo a formazione di cristalli misti, si potè cogliere in modo preciso la fine della cristallizzazione. (Ved. fig. 1 e tab. 1). Sistema LiOH-LiCI. Il punto di fusione del cloruro di litio, da me trovato, giace a 605°, ed è in buon accordo quindi con quello degli altri sperimentatori [Guntz (?) (600°), Huttner e Tammann (*) (600°), Zemezuzny e Rambach (4) (614°)]. (1) Journ. of chem. soc., 23, 281 (1878). (*) Compt. rend., 1/7, 732 (1893). (*) Rendiconti Accad. Lincei, 22, 1° sem., 631 (1913). (*) Zeitschr. anorg. Chem., 65, 403 1910). RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 63 — 478 — I dati termici di questo sistema sono rappresentati nella fig. 2 e raccolti nella tabella II. La curva di cristallizzazione primaria discende dal punto di solidificazione di LiCl sino ad un eutettico alla temperatura di 290° circa, presentando un gomito evidente per la miscela a 50 mol. °/, di Li 0H; poi risale direttamente al punto di fusione dell’idrato di litio. L'arresto D 10 20 20 40 50 60 70 80 90 100 0 10 20 30 40 50 00 È 70 80 0 100 = Li F1 mol. % Li OH LION fHC? mol. Yy Li OH Li Gil Hic. 1. ‘ Fic. 2. eutettico, per tutte le miscele da 45 a 100 mol. °/ di LiOH, si nota a circa 285°, e assume un massimo di durata per la miscela a 65 circa mol. °/5 di idrato di litio. TABELLA II. Mol. °/o Mol. 9/o Peso °/o Peso °/o DEE Temperature Durate Tn Durate LiOH LiCl LiOH LiCl primaria 1° arresto | in secondi eutettico in secondi 0.00 | 100.00 0.00 | 100.00 605 — —_ = = 5.00 | 95.00 2.87 97.13 575 305 20 _ —_ 10.00 | 90.00 9.40 90.60 540 810 40 —_ — 20.00 | 80.00 12.10 87.90 500 Slo 60 _ —_ 8000 | 70.00 19.50 80.50 400 515 100 — — 40.00 | 60.00 28.20 71.80 380 815 193 — -_ 45.00 | 55.00 31.60 68.40 5340 315 60 280 20 50.00 | 50.09 36.10 63.90 815 215 _ 250 « 40 55.00 | 45.00 40.80 59.20 308 _ _ 290 100 60.00 | 40.00 45.90 54.10 300 - _ 290 140 65.00 | 35.00 51.20 48 80 500 —_ 290 120 70.00 | 30.00 56.80 43.20 830 si _ 290 90 80.00 | 20.00 69.30 30.70 375 _ — 285 70 90.00 | 10.00 83.50 16.50 425 — _ 280 50 95.00 5.00 91.40 8.60 445 _ _ 280 30 100.00 0.00 | 100.00 0.00 462 —_ _ —_ —_ — 479 — Le miscele da 0 a 50 mol. °/, di LiOH presentano, oltre all'arresto di prima cristallizzazione, un secondo arresto alla temperatura di 315°, il quale assume un massimo per la miscela a 40 mol. °/, di LiOH. Questo arresto corrisponde alla formazione di un composto decomponibile alla fu- sione e al quale con ogni probabilità corrisponde la formula 2 Li OH - 3 LiC1. Il presentarsi, in modo assai pronunciato, dell'arresto eutettico per le miscele a 5 e a 95 mol. °/, di idrato di litio, fa supporre che non si abbia formazione di soluzioni, nemmeno in rapporti ristretti, fra i due componenti. Sistema LiOH-Lì Br. Dalle mie esperienze il punto di solidificazione del bromuro di litio giace a 550°, temperatura abbastanza concordante con quella data da Car- nelley (547°) (loc. cit.). Questi due sali presentano un diagramma di stato, simile a quello dato dai due sali del sistema precedente. i due rami della curva di cristallizza- zione primaria, discendendo dai punti di fusione dei due componenti, s' in- tersecano in un punto eutettico alla temperatura di 275° e alla concentra- zione di 45 mol. °/, di Li OH. i TABELLA III. Mol. 90 Mol. °/o| Peso °/o | Paso °/o So Temperature Durate Ri Durate LiOI LiBr LiOH LiBr primaria ‘| 1° arresto | in secondi eutettico in secondi 0.00 | 100.00 0.00 | 100.00 550 _ — — = 5.00 | 95.00 1.43 90.57 520 _ = 250 10 10.00 | 90.00 3.00 | 97.00 485 — 255 30 20.00 | 8000 6.50) 93.50 440 -_ —_ 275 50 25.00 | 75.00 8.41 DIDO 500 _ _ 275 60 30.00 | 70.00 10.70 89.50 380 — - — 275 80 40.00 | 60.00 16.50 85.50 320 —_ — 275 120 45.00 | 55.00 1840 | 81.60 275 = — 275 150 50.00 | 50.00 | 22.00 | 78.00 285 —_ = 270 120 55.00 | 45.00 25.20 74.80 295 — = 275 100 60.00 | 40.00 29 30 7070 300 — _ 265 80 65.00 | 35.00 93.90 66.10 310 —_ — 270 50 70.00 | 30.00 39.20 60.80 390 510 60 265 20 75.00 | 25.00 45.80 | 54.70 355 310 125 = = 80.00 | 2000 52.50 47.50 080 310 100 e —_ 90.00 | 10.00 71.80 28.20 425 305 50 # = 95 00 5.00 83.90 16.10 440 305 20 —_ —- 100.00 0.00 | 100.00 0.00 462 — = se I Le miscele da 0 a 70 mol. °/, di Li OH presentano tutte l'arresto eutet- tico, il quale scompare per le miscele da 75 a 100 mol. °/, di idrato di litio. Per le miscele comprese fra queste ultime percentuali si nota invece un forte arresto alla temperatura di 310°, arresto che assume un massimo di durata a 75 mol. °/ di LiOH, e che corrisponde alla formazione di un composto decomponibile. A questo composto — come si può dedurre dall'arresto mas- — 480 — simo che si presenta a 310° per la miscela a 75 mol. °/, di Li OH, e dalla scomparsa dell’arresto eutettico per la miscela della medesima concentra- zione — spetta assai verosimilmente la formula 3 Li OH ‘ Li Br. 300 4 LU OH. Li | 030 20 30 40 50 60 70 80 90 100 [0] 10 20 39 40 50 60 70 0 90 700 Li Br mol. % Li 08 Li OH Lil mol.% Li-GH Li OH Fis. 3. Fic. 4. TABELLA IV. Mol. °/o Mol. 0/0 Peso %/o Peso Ul Lomuporatgto Temperature Durate SOZIDOTRO Durate cristaliizzaz. arresto LiOH LiJ LiOH LiJ primaria 1° arresto | in secondi | eutettico in secondi 0.00 | 100.00| 0.00 100.00 440 _ _ _ — 5.00 95.00| 0.93 99.07 | . 405 _ — 180 30 10.00 9000] 1.90 98.10 368 - _ 180 40) 15.00 85.00| 3.70 96.30 340 —_ —_ 185 60 20.00 80.00 | 4.40 95.60 812 _ _ 180 70 25.00 7500] 5.60 94.40. 290 — _ 180 90 30.00 70.00) 7.10 92.90 245 — — 180 110 35.00 65.00| 8.70 91.30 230 _ — 180 13 40.00 60.00 | 10.60 89.40 205 —_ _ 180 150 45.00 55.00| 12.80 (1720) 180 _ —- 180 180 50.00 50.00 | 15.20 7480 230 — = 182 140 55 00 4500 | 17.90 8210 265 _ — 182 120 60.00 40.00 | 21.10 78.90 295 — — 182 100 65.00 35.00 | 24.90 75.10 310 _ — 180 60 70.00 30.00 | 29 40 70 60 825 —- —- 165 40 75.00 25.00 | 34.90 65.10 328 —_ _ 160 20 80.00 20.00] 41.70 58.30 340 880 120 — _ 85.00 15.00] 50.30 49.70 375 830 90 — —_ 90.00 10.00 | 61.70 38.30 410 3380 60 _ _ 95.00 500] 77.20 22.80 440 325 50 — — 100.00 0.00 |100.00 0.00 462 — — —_ —_ Sistema LiOH — LiJ. L'ioduro di litio fondeva a 440°. Questa temperatura di fusione è al- quanto più bassa di quella data da Carnelley (loc. cit.) (446°) e da San- — 481 — donnini (') (450°). Questo abbassamento del punto di fusione dell'ioduro di litio rispetto ai punti di solidificazione dei sopracitati autori è dovuto pro- babilmente al fatto che lo ioduro da me usato venne disidratato per essica- zione in capsula di platino; ora, durante questa operazione lo ioduro perde piccole quantità di iodio, trasformandosi in ossido, il quale abbassa il punto di fusione dello ioduro di litio puro. (Questi due sali dànno luogo alla formazione di un composto decompo- nibile alla fusione. La curva di cristallizzazione primaria discende dal punto di fusione dell’idrato di litio sino a un punto eutettico a 45 mol. °/, di LiOH, pre- sentando un fortissimo gomito per la miscela a 75 mol. °/, di idrato di litio; dal punto eutettico essa risale regolarmente al punto di fusione dell’ioduro corrispondente. L'arresto eutettico giace alla temperatura di circa 180°, e assume un massimo di durata a 45 mol. °/, di LiOH. L'arresto che si presenta, per le miscele di concentrazione superiore a 75 mol. °/, di idrato di litio, alla temperatura di 310° circa, è dovuto cer- tamente alla formazione di un composto non stabile alla fusione. La mancanza dell'arresto eutettico per la miscela a 80 mol. °/, di Li OH è un buon indizio per concludere che essa corrisponde alla formazione del composto, al quale spetterebbe quindi la formula 4 Li OH ‘ LiJ. Il netto e ancor forte arresto eutettico per le miscele a 5 e a 95 mol. °/, di idrato di litio fanno lecito di supporre che non si abbia formazione di soluzioni solide, o, se pure, in limiti assai ristretti. Concludendo, si ha che l’idrato di litio dà: col fluoruro formazione di un semplice eutettico e soluzioni solide di due specie in limiti assai ristretti; col cloruro, col bromuro e collo ioduro formazione di tre composti, la cui esistenza, a quanto mi consta, era finora sconosciuta, e ai quali spettano, con ogni probabilità, rispettivamente le formole: 2 Li OH * 3 Li C1 , 3 Li OH - Li Br, 4Li0H ‘LiJ. CONCLUSIONI. Come appare chiaramente dai risultati termici ottenuti, la tendenza a dare composti fra gl'idrati alcalini e i sali alogenati dello stesso metallo va aumentando gradatamente passando dal potassio al sodio e al litio, ossia col diminuire dell'elettroaffinità del catione. Questo è d'accordo con la teoria di Abegg e Bodlànder (*) sull’elettro- affinità e sulla formazione di complessi, secondo la quale la tendenza a dare (*) Atti R. Accad. dei Lincei [5], 22, sem. II, 520 (1913). (*) Zeitschr. f. anorg. Chem., 20, 458 (1899). — 482 — composti molecolari con cationi complessi è tanto maggiore quanto più forte è l’elettroaffinità dell’anione e quanto più debole l'elettroaffinità del catione, cosicchè quest'ultimo presenta una grande capacità a rafforzarsi coll'unione di molecole neutre. Nel caso dell’idrato di litio infatti, a differenza dell’idrato sodico, e maggiormente dell’idrato potassico, abbiamo un sale il quale è assai adatto alla probabile formazione di questi cationi complessi, presentando vicino al- l’anione monovalente OH, che per i metalli alcalini sappiamo essere un anione piuttosto forte, il debole catione Li. Passando dall’idrato di litio agli idrati di sodio e di potassio, ossia aumentando l'elettroaffinità del catione, la tendenza a dare cationi complessi con molecole neutre va diminuendo, tanto che, mentre per il sodio si ottiene un solo composto con lo ioduro corrispondente, per il potassio non si ha for- mazione alcuna di composti. In base a queste considerazioni è ora facile di prevedere che questa ca- pacità a dare composti coi sali alogenati corrispondenti andrà sempre più diminuendo col passare agli omoloshi del potassio, cioè al rubidio e al cesio, l'elettroaffinità dei quali è superiore a quella del potassio. Questo comportamento dei sali di litio, a differenza dei corrispondenti sali degli altri metalli alcalini, è inoltre in accordo col fatto che il litio, come sappiamo, essendo il primo termine del primo gruppo del primo pic- colo periodo, sì discosta alquanto, nel modo di comportarsi, dagli altri me- talli del suo gruppo, e presenta una grande analogia col primo termine del secondo gruppo del secondo piccolo periodo, il magnesio, del quale sono già noti alcuni eloruri basici. Per ciò che si riferisce invece alla miscibilità allo stato solido, essa va aumentando dal litio al potassio e cioè in senso inverso alla tendenza a dare complessi. Essa va poi, come era prevedibile, diminuendo dai fluoruri agli ioduri ed è forte solo nei primi. Ciò sta in accordo col fatto ben noto che in varii solfati e silicati minerali l’atomo di Fl è spesso sostituito parzialmente col gruppo OH (es: apatite topazio). Nel seguente quadro riassuntivo sono riportati ì risultati delle coppie studiate in questa e nelle due Note precedenti. In esso, con V si indica la for- mazione di semplice eutettico ; con X X, cristalli misti con lacuna; con X - X, cristalli misti in ogni rapporto. | Pluoruri | Cloruri | Bromuri | Joduri 2LiOH - 3LiCl| 3LiOH-LiBr | 4LiOH- LiyJ 2Na0H - 3Nal V Li Xx X Idrati è Na x X X X Vv | K WORK X X V — 483 — CORRISPONDENZA Il Presidente BLASERNA presenta un piego suggellato, inviato dal prof. D. Lomonaco perchè sia conservato negli Archivi accademei. E. M. fe 08 co dei Nuovi Lincei. Tomo 1 je 1% TRANSUNTI, | cROÙ è MEMORIE della Classe di scienze fiche, «_—_ °° matematiche e naturali. RINORIE della Classe di scienze morali, i We pSENTECRO € pria ag ESPIOI | matematiche e naturali. : pro storiche. LI Rologiohe 3 ; è 3 Rd a asse di scienze fiche, masi è natural 92- 1918). - Fase + Sem. 2°. "dé scienae SOCI Storiche e Allogiche ; 915). Fase. | Dì da oa e marti. do spese di po in ) più vamente. dai EA denze morali, storiche e Alologiche. bra IRRC RENDICONTI — Novembre 1915. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta. del 21 novembre 1915. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Levi-Civita. Sul problema piano dei tre corpi. Caratteristiche cinetiche del sistema regolariz- zante: forza viva e quadrica reciproca . . . die Read Cambi. Sulla reazione del nitroprussiato con la ira (ei: dal Socio impetià NA Andreoli. Sui gruppi di sostituzioni che operano su infiniti elementi (pres. dal Socio Volterra) » Scorza. Sulle varietà algebriche con sistemi regolari isolati di integrali riducibili (pres. dal Corrisp. Castelnuovo) . . ..:. . ” Casotti. Profili di pelo libero in canali di “rofonilità finita ot dal Socio a Ca) e)» Corbino e Trabacchi. Sul funzionamento del rocchetto di Ruhmkorff con gli interruttori elet- trolitici (pres. dal Socio Blaserna) . . . è. SENSI ME LI PM) Padoa e Corsini. Velocità di diffusione e idratazione in Scion (pres. dal Socio Oui ” Vanzetti. Sopra alcuni - derivati della metilvanillina, e sopra un nuovo prodotto di conden- sazione (pres. dal Socio Koerner). è... ” Gorini. Ulteriori. ricerche sull'attività proteolitica dei femionti lattici. IL L'isdusna del substrato (pres. dal Socio :Bri0st). . . SMS RE IO St) Scarpa. Analisi termica delle miscele degli ;drati Sioalinti coi sorisnundii dacia ul: Com- posti, dilitio» (pres. “dal“Socio: CaMItan RR ae CORRISPONDENZA Blaserna (Presidente). Presenta un piego suggellato, inviato dal prof. D. Lomonaco perchè Bia «conservato negli ‘Archivi accademici Vo E IE A I (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. 488. Abbonamento postale. | Pubblicazione bimensile. - —£oma 15 gennaio 1916., N. 11. AZOÒILI DELLA | REALE ACCADEMIA DEI LINCRI ANNO CCCXII. 1915 SHRIH_ QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 dicembre 1915. Volume XXIV°. — Fascicolo LL° 2° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1915 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1.I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono Ie Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci ‘e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano né sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- ‘priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o insunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro posta dell’invio. della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. } 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au= tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. AANANA Seduta del 5 dicembre 1915. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Meccanica celeste. — Sul problema piano dei tre corpi. Forme esplicite (mista e canoniche) delle equazioni regolarizzate. Nota II (') del Socio T. Levi-CIviITA (°). 7. — REGOLARITÀ. Le equazioni canonico-euleriane del moto di S dipendono esclusivamente [cfr. $ 8 della Nota M), pag. 246 di questo stesso volume] dalla funzione E (15) H=09 — U col valore di ® esplicitato nel $ precedente. Siamo a priori assicurati (*) che il sistema differenziale ha comporta- mento regolare anche nell'intorno d’un eventuale urto binario (una delle © nulla, e le altre due diverse da zero). Ne abbiamo conferma diretta nella regolarità della H per tutti i valori finiti degli argomenti p,Q2,,9,% questi ultimi essendo coseni direttori, ossia legati dalla relazione yî + 3 + += 1. Invero, le (11) mostrano intanto che, per qg > 0, come ($ 2) va sempre ritenuto, può annullarsi una sola delle p (in corrispondenza al va- (*) Cfr. Nota I, pp. 421-483. (*) Pervenuta all'Accademia il 30 settembre 1915. (3) R), pag. 74. RenpicoNTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 64 — 486 — dl U’ piU, lore —1 della y affetta dallo stesso indice). Con ciò, i rapporti nonchè (v=0,1,2), si comportano regolarmente, anche in 04 piso U prossimità di urti binarî; e, in virtù delle (28), (31), (15), lo stesso segue per H, c. d. d. 8. — DIGRESSIONE SU DUE VETTORI DESUMIBILI DALLA FUNZIONE H. Studiamo un po' i due vettori w,T°, le cui componenti (secondo gli assi Oz, x Xg) sono ?2H 2H = , D=- <=. 39, dYy Wy Sappiamo già [ M), $ 8] che @ è la velocità angolare, quello stesso vettore che ripetutamente figura nei $$ antecedenti; si tratta di renderne espres- siva anche la dipendenza formale dagli elementi costitutivi della funzione H. All’'uopo premettiamo che, per essere identicamente tÒ | Le Li sy, si ha, dalla (30), X 3a, i quindi, in quanto & è una dilatazione, I=mXEL+/u)XCX=mX(C0+ 6/7). [Il primo membro è, per definizione, la componente di w secondo 0x,; l'ultimo membro si presenta come l’omologa componente del vettore EQ + + EX / y. Perciò © (32) o=CQ0+ GX /y. In modo analogo segue, dalla (30), IX 7 pb Hu 2, dv talchè, per le (15) e (31), ret Xe ul RARI l'ultimo addendo rappresentando il contributo proveniente : sia dal termine — 487 — -î (energia potenziale), sia dal fatto che anche l’operatore & dipende dalle yy. { primi due addendi equivalgono complessivamente a ossia alle componenti W, del vettore (33) b=pqaEX+2Q/\ EX, prese con segno cambiato. Quanto a T*, si vede subito: 1°) che l'energia potenziale dà luogo al contributo =" 3 ; 2°) che, per tener conto dell’intervento delle y, in &, giova porre (34) ni Ad °° BUpspicî e scrivere 0 per disteso sotto la forma 2 1 (31°) 0=9) (+), 0 N) con che la derivazione dei coefficienti rapporto a yy, tenute presenti le (11), porge ue Le_- 2. (24). Yy Ne viene > E dlogg : ri=—- — 9 — v(Q22 + X8 (35) D+ lee n(0+X9. e quindi (36) m|u=U,+T5;, essendo , le componenti del vettore (33) e le l'} definite dalla (35). 9. — EQUAZIONI CANONICO-EULERIANE. Ecco ormai le equazioni del moto quali risultano dalla formula gene- rale (I) [M), pag. 247]: (I) dp __dH dq _93H, a di dI , di wP , de (1) (Ip) pr DO: (I) LIGA — 488 — DO sta per QNo4T/y, «w e I° avendo le determinazioni specificate nel precedente $. Una conseguenza delle (I), che va rilevata, è l'espressione della derivata del vettore ausiliario X. Si ha in primo luogo dalla (30), applicando materialmente le (1), dX ?H deg dH + P+ri0 A) +0) \2+y\ 9. Sostituendo poi per No la sua espressione e badando alle due identità 2 /\ Neo VB ADERZII) nonchè, ancora una volta, alla (30), si trova subito IX 5H 2dH i 37 —={(p2—-a=|\yr+X +T-( È (37) < (p > «i Avo T_-(TXy)y 10. — INTERPRETAZIONE DELL'INTEGRALE £ X y= cost. Sappiamo [ M), S 10] che le equazioni (I) (oltre a comportare l’ iden- tità geometrica y$ + yî + y3= 1) ammettono i due integrali : Hi_icosttse che assume ($ 1) la specificazione H:=1% QXy= cost. Nella citata Nota M), abbiamo anche assegnato, dipendentemente dalla effettiva costituzione del sistema S quale aggregato di punti materiali, una condizione sotto cui l'integrale suddetto si interpreta quale integrale del momento delle quantità di moto rispetto all'asse (fisso) Oz (delle aree ri- spetto al piano 0xy). Nel caso presente non possiamo riportarci a condizioni di questo tipo, dacchè S è definito solo astrattamente ($ 1) per mezzo della forza viva e della funzione delle forze: esso proviene, per trasformazione di Darboux, dal sistema di tre punti materiali P, (v=0,1,2), che si attrag- gono secondo la legge di Newton e si muovono in un piano fisso. — 489 — Per l interpretazione di X y, conviene quindi far capo al problema originario. All’uopo, riprendiamo anzitutto la definizione (14) delle 9,, e esplicitiamo il prodotto scalare £ X y. Avremo Seri O \ (0) vanno calcolate in base alle (2), (12), (10°) e (7). . n da Le derivate parziali o) Le (12), (10°) e (7) dànno Ei i GI q + ESei Wyxa — Gs Wy+1 4 da cui Cos; = a Cyel q' + SE One a Si Wy+2 , Cula i E +s q' + Gy Wy+a — Eee Wy+1 ) colle analoghe per n, 7M+1, My+e - Siccome 7, a norma della (2), dipende da w, pel tramite delle E", 7, sì ricava immediatamente DL DU do Wai IT ST IT e ri a + ES . Sa sy 1% n Ty+2 — DTT Mai Gira ba Ias dQT Sostituiamo in D, oa =—%» e riportiamo in ciascun termine del sommatorio le derivate di T all'indice y: per es., nel primo termine 2 N & 25) i DE ICT) scambiamo v in v +2, con che (tenuto conto che v + 3 e v4- 4 si iden- tificano rispettivamente con v e v-+ 1, e che all'indice v basta far assu- mere tre valori consecutivi qualisivogliano) esso diviene > DU Pd Culi ICESE Procedendo nello stesso modo anche per gli altri tre termini, risulta 2 DU A = 39 a de (i Yv+2 — Eva o) +35 ALE Yv+2z — Ny+2 to) ]. 0 y Mercè le identità E, = Ny+1 +2 — Nota Yy+ è MN= = (E Yy+a pavesi) — 490 — [che conseguono dalle (7) e dalla ortogonalità dei vettori @,f8,y] si ha infine 2 T rx;=S, (62 chi 0 ; Spena SI? Trasformiamo ulteriormente il secondo membro, facendovi apparire, al posto delle È,, my, e loro derivate, le componenti xy,yy dei lati del trian- golo dei tre corpi, colle derivate relative. Già abbiamo ricordato, al $ 1, che si ha otin=(&tim), da cui, derivando rapporto a t, ay tig=2(&+ in) (tin); e, moltiplicando membro a membro per e iy=(G&—émn)°, si ricava, in base alla definizione (3) di pj, (x, — iy) (cy +in) = 2606 — matin. L'eguaglianza dei coefficienti di 7 nei due membri porge ayyy— yay= 2ps(&ymy — Mi) - Siccome la variabile t del problema trasformato è legata al tempo £ del problema originario dei tre corpi dalla relazione differenziale di d=T: così, moltiplicando l'identità testè stabilita per m}U, e designando con un punto sovrapposto le derivate rispetto a £, otteniamo mi (294, — yi) = 2Umi prim — mE), che, in causa della (2), può essere scritta ; È DIA IT mi (XY — YI) = 3 (E Er lr i . La precedente espressione di 2 X y assume così l'aspetto QKy=2),mi(avji—wda). — 491 — Il sommatorio del secondo membro si può manifestamente risguardare come componente secondo l'asse Oz, perpendicolare al piano dei tre corpi, del vettore . essendo ri Pigi Paai (= 02) Ora è facile stabilire, in generale (qualunque sia il moto, anche non piano, dei tre corpi), che il vettore K suddetto si identifica col momento risultante delle quantità di moto: nè occorre specificare il polo, poichè, ritenendosi fisso il baricentro dei tre corpi, è nulla la risultante delle loro quantità di moto. Per la dimostrazione, basta sfruttare le relazioni che intercedono fra i vettori r,, rappresentativi dei lati del triangolo P,P1P», e i raggi vettori P,-0=R,, che riterremo darzcentrali, immaginando assunta nel baricentro l'origine O degli assi fissi di riferimento. Si ha anzitutto t,= Roca Sai Ryu: ; quindi, sostituendo in K, 2_ î LI à K = Da Ross AN MÎ t, era di Raya N mi Ly . 0 0 Cambiando, nella prima sommatoria, v in v+- 1, e, nella seconda, v in v +2 (in modo da riportare in entrambe il vettore R all'indice v), si ottiene 2 I a K= Sa R, A (M341 Ty+i — Mies I+s) ° DD Ciò posto, si ricordi [R), S 3] che My R, —= Misa Ist Misa Ty+? e si derivi rapporto a £. La sostituzione in K. porge 2 . K=> ,R/mk,, che è appunto il momento risultante delle quantità di moto dei tre punti P, rispetto ad O, G. d. d. Concludiamo che dx 2K,= 008% — 492 — non è altro che l'integrale delle aree dell'originario problema piano dei tre corpi. 11. — AnGoLI DI EuLERO — INTERPRETAZIONE INTRINSECA. Dacchè ($ 2) le configurazioni di S sono in corrispondenza biunivoca coll’insieme (9g, orientazione del corpo €), possiamo assumere a coordinate lagrangiane del sistema la stessa g e i tre angoli di Eulero ®,g,$, che individuano l’orientazione della terna 0x0, solidale con C. Dalle note espressioni dei coseni direttori, avvertendo che (per la con- venzione fatta di riguardare equivalenti gli indici congrui fra loro rispetto al modulo 3) l'indice zero corrisponde a. quello abitualmente designato con 3, si ha (38) Yi="sin& sing, 1:="sinS 0089; (Yo = 008%; inoltre a,=sinè sind , fo=—sSindcosòù, le quali, complessivamente, dànno luogo ad una interpretazione dei para- metri &,«,$ in relazione diretta col triangolo dei tre corpi. Per quanto concerne ® e $, vi si perviene, ricordando ($ 1) che le componenti o, yo del vettore Pì — P, sono legate alle corrispondenti &,,%o dalle equazioni co = — N è Yo= 280%, le quali, per le (7) e per le espressioni surriferite di x, , fo, Si scrivono o — g? sin*d cos 20, y,=—g° sind sin 24. È Roo Vab% .. SIIT, ) Da queste apparisce che sin° è = era LC entifica col rapporto fra il lato P,Ps e il semiperimetro q* (cfr. $ 2) del triangolo dei tre corpi, mentre 2 misura l'inclinazione dello stesso lato, più precisamente del vettore P,— Pi sull'asse delle ascisse: si intende che si tratta di incli- nazione contata, al pari delle anomalie, positivamente nel senso 0a — Oy. Il significato dell'angolo 9 risulta poi ovviamente dalle (11) e (38). Si ha infatti dalle (11) e (v=0,1,2), donde in particolare — 493 — Se ne desume, badando alle (38), che tg*@ fornisce il rapporto fra gli eccessi del semiperimetro q° sui due lati P,Ps, PoPi. 12. — PRIMA FORMA CANONICA PURA. Le equazioni del moto del sistema S si possono naturalmente presen- tare anche nella tipica forma hamiltoniana, assumendo come funzioni inco- gnite [anzichè le 4,Yy,72, 9, delle (I)] quattro coordinate lagrangiane e le loro coniugate. Assumeremo per coordinate 9, ,%,d, ricordando, poichè ne avremo bisogno tra un momento, le classiche espressioni delle componenti della velocità angolare in funzione degli angoli di Eulero e loro derivate prime. Esse sono | = dcosp+ dr, (39) oe dsingpt+0Y, | Wo = drkbeg, le y avendo, ben si intende, i valori (38). Per introdurre le coniugate Py, P3> Po, Py dei quattro parametri qQ,® 19 ;d, conviene immaginare la forza viva 7° espressa mediante i parametri e loro derivate g', 9", g',4'; dopo di che dT aida, go PE pan (DI E, Li ERESSE, ’ A ’ AMEN Una tale espressione di 7 si può risguardare proveniente dalla T(q,Y;9",0y) del $ 4, intendendovi le yy, wy sostituite dai loro valori (38), (39). Dacchè in queste formule non c'è traccia di 9’, si vede, intanto, che la coniugata di g coincide colla p dei $$ antecedenti [definita dalla prima delle (14)]. Si ha poi 2 IT dwy iS Ps 23 do, dI e 53: ossia, esplicitando in base alle (38) e ricordando la definizione (14) delle 02,, ps= 00892, — sin gQ,, (40) | Pa =, Py=YL + NL + NALE LX 7, RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 65 — 494 — le quali, risolute rapporto ad Q,,s,2,, ove si ponga per brevità (41) o= Moni, dànno ar ps cosp + @sin 9, (42) « Q=— pysing + @ 0089, lo,= Pe - Si ha ormai tutto quanto occorre per formare la funzione caratteri- stica H del sistema hamiltoniano negli otto argomenti GAD IL Pa Ps > Po > Py. Essa è notoriamente l'energia totale T se: D° o, se si vuole, (15) H=0@— in cui sì abbia cura di fare apparire esclusivamente gli otto argomenti suindicati. Ponendo mente all'espressione (31) di © [e considerando, ben si intende, le p, come date dalle (11), e le yy dalle (38)]. l’unica operazione che resti da fare è la sostituzione, in H, delle Q, mediante le (42): va da sè che il vettore X deve preventivamente ritenersi espresso per 2, a norma della (30). Se si nota che nè l'espressione di H, da cui si parte, nè le (38), nè le (42) contengono esplicitamente L, si può anche affermare a priori che l'espressione finale di H sarà esente da d. Questa è dunque, come dicono gli inglesi, una coordinata ignorabile, e, dall'essere 5 sistema canonico di funzione caratteristica H ammette l'integrale = 0, segue che il py = così. In virtù della terza delle (40), questo integrale non è che la nuova forma assunta dall’integrale delle aree yi 27 = 0088 Val la pena di notare che, in questo modo, può ritenersi automatica- mente compiuta anche la riduzione del problema piano dei tre corpi a tre soli gradi di libertà, sfruttando i suoi tre integrali cardinali delle quantità di moto e delle aree. Infatti, nel problema trasformato, già si trova eseguita — 495 — la riduzione corrispondente ai due integrali delle quantità di moto. L'ulte- riore abbassamento di un grado di libertà (da quattro a tre, cioè dall’ottavo al sesto ordine) si ha considerando, in H, la py come una costante arbi- traria e limitando in conformità il sistema canonico di funzione caratteri- stica H alle tre coppie di variabili coniugate. Qi, P_s PS, Do - Ulteriore conseguenza delle formule precedenti, di cui trarremo partito più avanti, è un’espressione vettoriale del binomio pz dè + ps dg. Per rica- varla, partiamoci dal prodotto v\QXdy, ossia dal determinante o Ya Q 9 na? do di dia Sostituendovi i differenziali delle yy coi loro valori derivanti dalle (38), si ha Yo N Ya Nomi Ye d&| 9 Q, Q, + dp QQ, O, — sin® cosòsingp cosò cos 9 0 Y% —% da cui, sviluppando i due determinanti (secondo gli elementi della seconda riga) e badando ancora alle (38), viene (9, cosp — L sing) dd + fL(1— 1) — Litona — Le Yora] de. Ne risulta, in virtù delle (40), v\QXdy=pzdd + pedo — vo pydo. Isoliamo il binomio pz 43 + py dg, e notiamo che il dy, fornito dalle (38), __ adds di iena sì può SONO sotto la forma Vo Yi Va SE — 496 — Dacchè 1,0,0 sono le componenti del vettore unitario w,, il determinante sì identifica col prodotto Y AU X dy R e si ha infine (43) ps d8+ pedp=y\*X dy, essendosi posto per brevità (44) o=2+ Py Uo- Y 139 — OSSERVAZIONE ELEMENTARE DI CALCOLO VETTORIALE. Suppongasi che un vettore (incognito) R verifichi le due equazioni \y\R=A, e |yXR=a, essendo assegnati i vettori y ed A, e lo scalare 4: si intende che y ed A debbono ottemperare alla condizione (46) YXA=0, necessaria perchè possa sussistere la prima delle (45). Vogliamo mostrare che, ritenuto y + 0, risulta univocamente (47) R=ayt+tA/y. All’uopo basta rilevare: 1°) che l’espressione (47) di R soddisfa effettivamente alle (45) 2°) che non possono esistere altre soluzioni R* distinte dalla (47). La prima verificazione è immediata, purchè si tenga conto, nel formare y/ KR, che si ha identicamente Y\(A\y)=A-(AX7y)y, e che l’ultimo termine è nullo, in virtù della (46). Quanto all’unicità della soluzione, essa risulta dalla circostanza che la differenza R — R*, ove non fosse nulla, dovrebbe essere ad un tempo pa- rallela e perpendicolare al vettore y, per ipotesi + 0; parallela, perchè avrebbe nullo il prodotto vettoriale per y; perpendicolare, perchè avrebbe nullo anche il prodotto scalare, cod: — 497 — 14. — COORDINATE SIMMETRICHE — SECONDA FORMA CANONICA. La relazione delle posizioni di S coll’orientazione di un corpo rigido ci ha portati naturalmente ad assumere i tre angoli di Eulero &,4, come altrettante coordinate lagrangiane del nostro sistema, la quaderna essendo completata da g. Questi parametri, pur avendo ($ 9) una stretta relazione col triangolo dei tre corpi, difettano di simmetria. Si rimedia a questo inconveniente, conservando d e associandogli la terna (48) So = 2Yo , cin p OLO che, in base alle (38), risulta manifestamente costituita da combinazioni indipendenti di 9,9, @. Ove si risguardino le %, quali componenti (secondo gli assi mobili 0x0%,%2) del vettore (48) é=qy, sì può dire che » e é (angolo e vettore completamente indipendenti) deter- minano in modo univoco la configurazione di S. Le èé,, in base alla loro definizione e alle (11), sono legate al trian- golo dei tre corpi dalle relazioni semplicissime (49) S=gn=9-P(1-A)=9—-g=0—n (=0,1,2); esse rappresentano dunque, coi loro quadrati, i tre eccessi del semiperi- metro sui lati. Dalle (49), sommando, si trae 2 SALE 0 con che (49') naep=g — = ta + Shea. Si è già osservato che le nuove coordinate E, sono combinazioni di 7,9, %, esenti da 4. Perciò, anche nel nuovo sistema, la coniugata py di Vv è quella di prima. Per assegnare le coniugate Z, delle nuove variabili £,, giova appoggiarsi sulla circostanza che la trasformazione fra le due. sestuple (4,3%,9;P,Pz Po), (6y, Zy) deve risultare canonica e quindi verificare la condizione caratteristica D, I, 2 dy=pdg + pydd8 + py dp. — 498 — Il secondo membro, badando all'identità yXy=1 e alle (48’) e (43), si scrive (parXKyrdag4+y\*X qd7). KR IH In entrambi i termini si può mettere in evidenza il fattore dt. Infatti, a norma della (48’), d=qdy+ydg; e quindi yrXdé=yXydq, in virtù dell'identità yXdy= 0; mentre, per la perpendicolarità fra y/\ 2* e y, segue r\RtXdi=y\2*Xqdy. Ne consegue 2 DZ diy= 7 (party 2*)X di. 0 Eguagliando i coefficienti dei singoli dt, nei due membri, si ricava la espressione cercata delle Zy: esse si identificano con le componenti del vettore 1 pie, Compendiando a lor volta le Z, in un vettore Z, si ha (50) "(party 2°). ui Non è questa ancora la forma che giova, per introdurre nella quadrica @ gli argomenti Z, py. Ma vi si arriva subito, ricordando le (30) e (44), che dànno Yo ossia ) (51) x=groiiby uo. 0 Coll'intesa che 9 e le yy si risguardano funzioni delle $, a norma delle (48) [o (48')], la (51) ci porge l’espressione di X nelle variabili trasfor- mate. Resta da procurarsi l’analoga espressione di 2, dopodichè la trasfor- mazione di @® potrà ritenersi compiuta, in base alla (31). Per ricavare £ nella forma desiderata, basta associare l'equazione (50) all'ultima delle (40), rXa=py. — 499 — Assumendo provvisoriamente come incognita er= 04 i i, le mi LIO, dette due equazioni si possono scrivere (ZI PE op __! MIS PI ie Per la formula (47) del $ precedente, ne ricaviamo pe <= 00 il alium fractionum finitae, v. g 3 + 6 + 10 + 15: Me vero invenire ERA MSI 1 1 : «summam totius seriei infinitae 3 + 6 + 10 ete. ... Si tamen idem et « Mengolus praestitit, non miror; saepe enim concorrere solent diversi ». Chi potrà credere che Leibniz ignorasse Mengoli? Tanto più che nella minuta di una lettera precedente, non giunta ad Oldenburg, si scusa in altro modo: « quamquam enim nondum mihi inquirendi in Mengolum otium «fuerib.... (3). Non sarebbe stato più naturale che Leibniz. così avido lettore, se non conosceva Mengoli, avesse chiesto ad Oldenburg notizie intorno a Mengoli? Ma non ne aveva forse bisogno. l IV. Il Circolo del Mengoli è un opuscolo che ha pure subìto un giu- dizio ingiusto da parte di Montucla (*). Non è davvero egli uno dei tanti quadratori del circolo ma egli espone veramente una quadratura del cir- colo esatta, quella per mezzo di un prodotto intinito, scoperta dal Wallis. Mengoli non parla mai di Wallis, sebbene la sua Arzthmetica infinitorum, pubblicata nel 1655, dovesse essere giunta in Italia. Egli dice di aver trovato il risultato (4), da molto tempo cercato, nel- l'anno 1660, cinque anni dopo la pubblicazione dell'opera del Wallis. Per quanto oscuramente esposta, sebbene forse con metodo più rigoroso, la via del Mengoli è sostanzialmente la stessa di quella del Wallis, tanto che io crederei che, sebbene ne taccia il nome, il Mengoli abbia veramente conosciuto l’opera del grande geometra inglese (3). Soltanto forse a causa (*) Leibniz an Oldenburg, Paris, 14 Maij 1673; ed. Gehrhardt, pag. 95. (2) Ibid., pag. 93. (3) Hist. des math., nouv. éd., II, Paris, an. VII, pag. 92: « Son nom a resté dans l’oubli et il l’a merité ». Ha quindi parimenti torto il Riccardi il quale dice nella sua Babl. Mathematica: « collochiamo quest'opera fra le molte nelle quali si ebbe la sven- «tura di scoprire la quadratura del circolo ». (4) Circolo, pag. 1. (9) Wallis, Arithmetica infinitorum, 1655; Opera Omnia, Oxford, 1695, volume 1, 2) « significet terminum medium inter 1 et 9 il progressione hypergeometrica decrescente pp. 458-466. Gli enunciati di Wallis sono abbastanza oscuri. Eccone uno: « x (1 DO | 0 15 le, 8° etc. ( continne multiplicando 1 5 X hi etc.) ; — 513 — della difficoltà della lettura (il libro del Wallis non fu capito in Francia dal sommo Fermat), il Mengoli ricostruì da sè, più che non lesse, la lunga serie di dimostrazioni che lo condussero al risultato : « Il quadrato all’inscritto circolo è minore che non è il prodotto di «un numero dispari, per tutti li quadrati de' numeri precedenti dispari, in « riguardo al prodotto del primo par che è il binario, per tutti li qua- « drati de gli altri numeri precedenti pari ». « Il quadrato all’inscritto circolo è maggiore che non è il prodotto « da tutti i quadrati de’ numeri dispari, presi sino ad un qualche pari, in « riguardo al prodotto da quest'ultimo pare, che è il binario, per tutti li « quadrati de gli altri numeri pari precedenti ». Il metodo del Mengoli, come quello del Wallis, consiste nel calcolare nn per interpolazione V (ya — x)dx, considerandolo come termine medio S0 ] tra gli integrali binomii feno — x)"dx, dove m, n sono interi positivi. 0 Vedremo in una prossima Nota come al Mengoli si debbano altre scoperte, e tra esse quella delle prime serie convergenti per mezzo delle quali è possibile calcolare i logaritmi dei numeri razionali. Matematica. — Sulla condizione Picard-Lauricella per l’esi- stenza di soluzioni nell'equazione integrale di 1° specie. Nota di ATTILIO VERGERIO, presentata dal Socio T. Levi-CIvitA ('). 1. È già noto il seguente teorema dimostrato dal Picard (*) per le equa- zioni integrali di 1 specie, a funzione caratteristica chiusa, e poi esteso dal Lauricella (*) alle equazioni a nucleo qualunque: condizione necessaria e sufficiente affinche l'equazione b (1) ga Î K(st) h(4) di a « Circulus est ad quadratum diametri ut 1 ad x (1|3) ». Colle nostre notazioni mo- derne ciò significa: Si consideri la successione: ; i 9 1 Da 8 1 » 48 1 = Dei l=o>)da tese lr= 22 dee = — c°) da, Ù 33 dI 9) da , 35 di x? da 305 So a) Ten si Il termine medio tra i primi due di questa successione è: = (1- 2°)? da. 0 (1) Pervenuta all'Accademia il 24 settembre 1915. (?) Comptes Rendus, 14 juin 1909. (3) Sull’equazione integrale di 1° specie, Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, vol. XVIII, ser. 52, 2° sem., fasc. 80. — 514 — ammetta soluzione, è che sia convergente la serie (rio. 2 Vad=IL2}| g@yMar. e che la g(s) abbia la forma li) g(3)= Y gus) | gd = Y 98). a In tre Note (!) precedenti, apparse in questi Rendiconti, ho conside- rato dei casì particolari, stabilendo per essi delle condizioni necessarie e sufficienti, indipendentemente dalla conoscenza degli autovalori del nucleo e delle relative autofunzioni, senza però riuscire a stabilire uua condizione analoga pel caso generale. Qui invece, servendomi di alcuni risultati ottenuti in una Nota pre- cedente (*?), mi propongo di trasformare la condizione Picard-Lauricella, rendendola indipendente dalla conoscenza degli autovalori e delle corrispon- denti autofunzioni del nucleo dell’equazione data, che supporremo simmetrico. 2. Siano 4, gli autovalori, e gy(s) le corrispondenti autofunzioni del nucleo simmetrico K(s/), che, per maggior generalità, supporremo esser tale che, se ammette l’autovalore Z, ammetta anche l’altro —4. In una Nota precedente (*), abbiamo dimostrato che il nucleo LL Ropga(si H;(s)= lim Fonsi) n=% y MESIA dA 1 } 1 non può ammettere autovalori diversi da 4, = + —= e 42=— "ni e che, Vy Yy di fronte ad essi, si comporta come K(st). Come conseguenza, abbiamo visto che : Di (r) (7) 1 Po (r) (8) t H,(st) = ba PÌ (9) ( lo DI Pa (oi gi ( ) : r=l 1 r=1 2 dove p, e ps indicano il numero delle autofunzioni normalizzate e linear- mente indipendenti, relative agli autovalori 4, e 4» rispettivamente. (1) Vergerio, Sull'’equazione integrale di 19 specie (seduta dell’8 novembre 1914); Una condizione necessaria e sufficiente per l’esistenza di soluzioni nell’equazione inte- grale di 19 specie (seduta del 6 giugno 1915); Sulla risolubilità dell'equazione inte- grale di 19 specie, vol. XXIV, fasc. 3, 2° sem. (*) Vergerio, Gli autovalori e le autofunzioni dei nuclei simmetrici, Rendiconti dei Lincei, vol. XXIV, fasc. 7, 2° sem. (*) Ved. l’ultima delle mie Note citate, $$ 2 e 3. — 515 — In modo perfettamente analogo, ripetendo, pel nuovo nucleo simmetrico Fs) = K(st) — H(st), le considerazioni fatte per K(st), si arriverebbe a dimostrare che il nucleo - F®,(s H®(st) = lim ET 186) i=% RS DE | 1 1 non può ammettere autovalori diversi da A4=+ —= , 45=— ; VI VT: e che Ds (0) pi” pe gi” (mr) HP®(st) = N Y3 (8) (4) + i Pi (s) pi (dl I L T=1 ha Ad analoghi risultati si perverrebbe ripetendo il ragionamento per il nucleo F8(52) se F)(5/) — HXs%); e così di seguito. In generale, si dimostrerebbe che gli autovalori del nucleo (v) H(st)= lim Fah+1(86) n=%%0 I RIA dove Fs) = FS-D(51) — HNMsc). . 7 l , non possono essere diversi da 4Zgy-, = + —— e 4yg= — ll MERLO ip ——= ; ed inoltre VI, VI, che (2) HP) = RT PRI ROL SIL) LO r=1 ov r=1 day 3. Osserviamo che, posto (V BS (s7) Hs/) = lim — 3 n==% Bi si ha b 0) Di His Hi (nd drm f pote Piiat = n=20 SR (86) =T,lir giu = AN) n= N) — 516 — mutando quindi, nella (2), s in 7 ed integrando, dopo averne moltiplicati i membri per H,(s7) dr, si avrà Pav1 (1) (5) () (4) Pay PI (8) MP t) CT, HS(sz N Pavan S} Poval2) x Pav (5) Pv (4) È si r=1 Ava up div ed ancora, essendo (3) Ari avremo Poyoi Pay (4) HP(st)= I pi (5) pal ans xv PRAILO. r=i Si moltiplichino ambo i membri di quest’ultima per g(s) g(4) ds dé, è sì eseguisca la doppia integrazione: posto \ {890 MOVIEZIENTO] 6) BRTOICLE sì ottiene Pay_1 IRGSOT, )da= S > Tag 45 [d9) 2; ed anche ricordando la (3), n Pavi Pay Pi G°(0) g(9) ds Y db (da) + SAX); Ey a r=1 sarà quindi ‘b rr | 69990 =Y RA. v NA y E poichè b b v Î [GO(s)]? ds = [| GI(8) ds f H9(54) g(4) di = a °D —| GC) g() d=D, come si vede subito integrando la (5), dopo averne moltiplicati i membri — 517 — per H©(rs) ds, ed osservando che b f Hrs) HY(st) de=Hrt}), avremo infine (6) I c-— DI Ande Appresso, moltiplicando i membri della (4) per g(:) dt ed integrando, si ottiene Paymi Pay G)= I PIL PRI: r=1 r=1 e quindi i (7) > 6%9)=I 99) da. Per le (6) e (7) possiamo quindi atfermare che condizione necessaria e sufficiente affinchè l'equazione (1), a nucleo simmetrico, ammetta soluzione, è che sia convergente la serie ga) SE DI _ Su 1 GM (5)f? ds ; v r, E "Ur: he. e che la g(8) sî possa mettere sotto la forma (7) g(s) = DI Gera 4. Nel caso che le costanti y, di K(s) siano tutte eguali tra loro, essendo Fs) = Fs, =---=0, e quindi GP (s)= 0 (>1) la (7°) diventa reale g(s) = Gs) = lim | n g(1) de = b òb Se f Ks(s7) dr i Em). a) dit = 0, 5 . _ È | K3(s7) G®(7) dr = ue : cai‘) che è la condizione già nota ('). 5. Posto ora U) [EPSO JO d= 6), (*) Ved. la prima delle mie Note citate. ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 68 — 518 — si ha (8) 66) = [1% g(t) dt= ad Er) dr l'HD) pi db = = f FY(57) G(7) de. Inoltre, essendo b f H(sr) Hi°(24) de = 0 va per ogni w + », perchè le autofunzioni, mediante le quali si può esprimere H (sr), sono ortogonali a quelle che servono a rappresentare H(7/), sarà anche b f Hî"°(r6). Gi) di —0 (u=#?). E poichè F9(sr) = K(sr) — H{M(s7) — H{M(sre) — -.-.- — Hr), la (8) assumerà la forma b GR da f K(s7) G(7) dr. i Fil Potendo, con ciò, la (7') scriversi b N) g9= f K() YO 4, una soluzione della (1) sarà data da GA) ILA hi —Di 6. Il caso in cui il nucleo della (1) non sia simmetrico si riconduce subito a quello ora considerato, cicordando (!) che l'equazione integrale (1) a nucleo non simmetrico, equivale sempre all’equazione integrale a nucleo simmetrico °b s)= | K60 hM6) de, dove DI da 9'(s) "ii K(rs)g(r)dr , K(st)= | K(rs) K(r4) dr. xi (*) Lauricella, Sulla risoluzione dell'equazione integrale di 19 specie. Rend. della R. Accad. dei Lincei, sed. del 28 aprile 1911. — 519 — 7. Noteremo, da ultimo, che, se la serie > H{M(sé) ) è uniformemente convergente, dovrà necessariamente aversi (9) K(st) = Y HMst)}. Basta infatti notare che, per la (2), e ricordare un noto teorema dimostrato dallo Schmidt (*). In particolare, la (9) sarà sempre valida se il suo secondo membro si riduce alla somma d'un numero finito di termini; il che accadrà quando il numero degli autovalori 4,, di K(s), è finito. Matematica. — Sul concetto di gruppo di monodromia per una funzione ad infiniti valori. Nota di G. ANDREOLI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Matematica. — Sulle varietà algebriche con infiniti sistemi regolari di integrali riducibili. Nota di GAETANO Scorza, pre- sentata dal Corrispondente G. CASTELNUOVO. Fisica. — Sulla legge di Lo Surdo. Nota del dott. CarLO SONAGLIA, presentata dal Corrispondente A. GARBASSO. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. (1) Entwicklung willkirlicher Functionen nach Systemen vorgeschriebener. Inau- gural Dissertation, Géttingen, 1905, $ 8. — 520 — Chimica. — Processi di riduzione e ossidazione nel gruppo dei terpeni. Nota di Guipo Cusmano, presentata dal Socio A. ANGELI. Altra volta (') è stato dimostrato che nella bromurazione diretta del mentone e del tetraidrocarvone si formano rispettivamente i composti I e II, e che questi, trattati con soluzioni diluite di idrati alcalini, forni- scono ambedue il diosfenol (VI) o bucco-canfora, componente dell'essenza di Diosma crestata. Per spiegare il risultato, si è proposto lo schema H,C—CH H,C—CH H,C7 \CHBr H,C \CHOH 1 Ill Holu ogliltia> A co Au META DIA i H,C—CH CBr C A \Co H,C-—CH—CH, H,C.- CH CH; d Le H,C- CBr H,C-C Ta STAN AN CH H;C di HC7 \c0 at H,C-CH—CH; Il Vv H,c /cHBr > H.c\ /CHOH A VA CH CH H,C-CH—CH, H;é—CH=-GH: Biol /N0-0H VI _—- 200 CH HiC—-CA=SCH in cui si è ammesso che gli alcali, agendo, come in altri casì noti, sui gruppi alogenati, diano origine agli alcooli non saturi III e IV; che questi ultimi, per un processo di mutua riduzione e ossidazione fra ìl doppio legame e il carbinolo secondario, si trasformino nel chelone V, dal quale è ovvio il passaggio a bucco-canfora. (1) G. Cusmano, questi Rendiconti, vol. XXII, ser., 52, 2° sem., pag. 569; G. Cu- smano e P. Poccianti, ibid., vol. XXIII, ser. 5%, 1° sem., pag. 347. -- 521 — Mi son proposto di verificare se i risultati sopradetti siano stati inter- pretati in modo esatto, specialmente per quanto riguarda la trasposizione che conduce dagli alcooli non saturi III e IV al chetone saturo V. Perciò ho cercato di preparare, partendo da chetoni terpenici alogenati e per eli- minazione degli alogeni mediante gli alcali, alcuni composti contenenti nel medesimo nucleo un carbinolo secondario e un doppio legame, per poi de- terminare se e in quali condizioni le due funzioni possono mutuamente mo- dificarsi nel modo sopradetto. Uno dei chetoni alogenati che ho impiegato è il tribromotetraidrocar- vone, preparato da 0. Wallach (?) dal dibromo-1-8-tetraidrocarvone (VII) CH, C—-Br H,C/'\co VII 3: p. DAS <——_ "| /cHOH _Jc-on _/00 Ù Ù G Il | | H.(_C- CH, LR, H.C-—C—CH, il quale, poi, subisce l’idrolisi fra gli atomi di carbonio 3 e 4, più rapi- damente delle altre forme, fornendo l’acido. Questo secondo meccanismo sarebbe molto in accordo con la mobilità della molecola dei terpeni. Parte sperimentale. AZIONE DEGLI ALCALI DILUITI SOPRA IL TRIBROMOTETRAIDROCARVONE. Acido a-B-diossicitronellico. — ln un primo saggio si erano messi a reagire insieme il chetone alogenato e idrato sodico in soluzione acquosa al 2,5°/, nella properzione di una mol. del primo e tre del secondo. Ma avendo osservato che dopo alcune ore ia soluzione diveniva neutra, mentre ancora rimaneva inalterato !/, del peso del tribromuro, si modificarono le condizioni come segue: gr. 17,4 (1 mol.) dì tribromotetraidrocarvone. ben polverizzati, si uni- scono a una soluzione acquosa al 2,5 °/, di gr. 7,2 (4 mol.) d’idrato sodico, e il tutto si tiene in un agitatore per circa 80 ore. Il tribromuro si discioglie totalmente, e la soluzione diviene neutra. Questa si concentra a b. m. sino a che comincia a cristallizzare; allora con il raffreddamento sì separa quasi tutto il prodotto della reazione; il rimanente si ricava da una nuova con- centrazione delle madri, nelle quali rimane bromuro di sodio. 1l prodotto, che ammonta a circa gr. 10, si presenta in lamelle bianche splendenti. Si — 524 — può far cristallizzare dall'acqua, in cui è solubile a freddo circa 8°/,; è solubite nell’alcool bollente. Scolora rapidamente il permanganato. Riscal- dato a secco, intorno a 185° diviene quasi fluido; fonde a una temperatura assai superiore, decomponendosi, come più sotto si dirà. A 100° non perde di peso. Bruciati con acido solforico: I gr. 0,2172 dànno gr. 0,0696 Na. So, II gr. 0,1175 » >» 0,0877 ©» Trovato °/o Calcolato per Cio Hi7 0, Na I ) Na 10,38 I) =. ‘10,40 AA Questo composto si forma quantitativamente. Il tribromotetraidrocarvone viene decomposto in modo analogo anche dall’idrato di potassio. Solamente, si forma un sale assai solubile, che si purifica in modo disagevole. L'acido corrispondente al sale C,j,H70,4 Na è liquido e trattiene tenace- mente l'acqua, per cui l'esatta sua composizione si è fissata con l’analisi del Sale d’argento. — Questo si prepara puro per l’analisi, mescolando a freddo la soluzione acquosa diluita del sale di sodio con una di nitrato d’argento. Se le soluzioni sono abbastanza diluite, il sale d’argento si depone lentamente in gruppi di foglioline incolori splendenti. Si raccoglie e si lava bene con acqua, in cui non è troppo solubile a freddo. Si scioglie a caldo nell'acqua, ma in parte si decompone. Seccato su acido solforico dà all'analisi: I sostanza gr. 0,2324; CO» gr. 0,3324; Hs0 gr. 0,1162; Ag gr. 0,0815; II ” » 0,1872; » » 0,2673; » » 0,0935 Trovato °/o - Calcolato per CioHi:704Ag I C 39,00 38,82 H 5,55 5,05 Ag 35,07 34,91 Tato 38,94 H 3,54 Sale baritico. — Si può ottenere, oltre che dal sale sodico per doppia decomposizione, anche per azione dell'idrato di bario al 2,5 °/ sul tribromo- tetraidrocarvone. Cristallizza dall'acqua bollente, in foglioline lucenti. Con- tiene acqua di cristallizzazione; difatti, analizzato dopo essiccamento al- l’aria, si ha: gr. 0,2272 dànno gr. 0,0778 CO; Ba Trovato °/o Calcolato per (Cio Ha 04): Ba + 2H,0 Ba 23,83 23,86 — 525 — e dopo disseccamento a 100°: g.r 0,2383 dànno gr. 0,0873 di Ba CO; Trovato °/o Calcolato per (Cio Hi: O4)a Ba Ba 25,61 25,45 Sale Cio Hi704 Na + CioHig80,. — In un tentativo di eterificazione dell'acido C,0H,g0,, se ne trattò il sale sodico in soluzione, con la quan- tità equimolecolare di solfato dimetilico. Si formò una sostanza in scagliette bianche lucenti, saponose al tatto, contenenti sodio e di reazione acida. Puri- ficata per cristallizzazione dall'acqua bollente, fonde nettamente a 155°. Dal quantitativo di sodio sembra trattarsi dell’ unione di una molecola del sale con una dell'acido libero : sostanza (disseccata a 110°) gr. 0,1206: Na» SO, gr. 0,0196 Trovato °/ Calcolato per Cio Hi 04 + Cio Hi:0, Na Na 5,26 5,40 Nella preparazione del tribromotetraidrocarvone. oltre a una parte soliaa costituita da questo, si ha una parte liquida. Essa, trattata con idrato sodico, fornisce una notevole quantità del sale C,.0H,70,Na e, insieme, altre so- stanze. Fra queste se ne è isolata una che cristallizza dall’alcool diluito in lunghi aghi bianchi lucenti, p. f. 76°: sostanza gr. 0.1125; CO, gr. 0,3814; H,0 gr. 0,1441 Trovato °/o Calcolato per CioHi4 0, C 72,18 712,22 H 8,67 8.51 Possiede odore fenolico; la sua soluzione acquosa si colora, con cloruro ferrico, in nero-violaceo; precipita con acido carbonico dalle soluzioni alca- line; volatile con il vapor d’acqua. OssIDAZIONE DELL'ACIDO Cio Hig 04. Metileptenone. — Per l'indagine della costituzione dell'acido sì co- minciò con l’ossidarlo. A tal uopo gr. 2 (1 mol.) del sale sodico si sciolsero in pochi cc. di acido acetico al 50 °/,; si aggiunsero gr. 2,5 (un at. di 0) di biossido di piombo, riscaldando leggermente. Si notò sviluppo di acido carbonico. Facendo passare il vapor d’acqua nel miscuglio, distillò un olio incoloro di grato odore di banana, alquanto solubile nell’aqua. Ciò che non passò con il vapor d'acqua conteneva ancora dell'acido C,0H,80, rimasto inalterato. La parte volatile, sciolta in acqua e alcool, fu trattata con ace- tato di semicarbazide. Si formò subito un precipitato di foglioline incolore. Lo stesso fornì l’acqua distillata insieme con l'olio. Il semicarbazone cristal- RenpicontTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 69 — 526 — lizzato dall'acqua bollente o da un miscuglio di etere di petrolio e benzolo, fonde a circa 185°. I gr. 0,1210; CO, gr. 0,2614; H,0 gr. 0,1020 II gr. 0,0654; N cc. 12.7 a 189,2 ed a 761 mm. Trovato °/o Calcolato per Cs Hi70N,; C 58 91 58 92 H 9,36 9,37 N 23,20 22,98 Da questi dati si dedusse per l’olio la composizione C$H,,0; ed essa, in- sieme con i caratteri del semicarbazone, lo fece riconoscere come metil- eptenone. A ogni modo, si preparò un campione di quest'ultima sostanza dall’anidride cineolica, e il confronto levò ogni dubbio. DECOMPOSIZIONE PER MEZZO DEL CALORE DEL SALE C;0H70,Na. Metileptenone. — Gr. 0,5 del sale perfettamente disseccato si riscal- dano in un palloncino sulla fiamma nuda. Il sale fonde decomponendosi rapidamente. Fra altro si raccolgono gr. 027 di un olio fragrante, da cui sì ottengono gr. 0,38 del semicarbazone del metileptenone. Il rendimento di questo chetone è. quindi. quantitativo. RIDUZIONE DELL'ACIDO Cio Hg 0,. Gr. 2 del sale C,0H,,0, Na si sciolgono in circa ce. 50 di acqua; si aggiunge qualche centigr. di nero di platino, preparato di recente, e si agita tutto in presenza d’idrogeno. Questo viene assorbito per poco più di 220 ce. a 25° e 764 mm., cioè circa nella quantità di una molecola. Fatto deporre il nero di platino, si filtra e si concentra la soluzione sino a !/3. Con il raffreddamento si depongono ciuffi di aghi appiattiti bianchi. Il composto, a differenza da quello donde deriva, è assai stabile al permanganato; è meno solubile nell'acqua a freddo; non rammollisce, anche se riscaldato alla tem- peratura 220°. Disseccato a 100°, dà all'analisi: gr. 02394; SO, Na, 0,0755 l'rovato °/o Calcolato per Cio Hi904 Na Na 10,24 | 10,18 Il sale d’argento che si ottiene dal sale sodico, per doppia decompo- sizione, è in lamine bianco-splendenti; solubile nell'acqua bollente; abba- stanza stabile alla luce. — 527 — Disseccato su acido solforico, fu apalizzato: gr. 0,1793; gr. 0,2552 C0;; 0,0995 H,0; 0,0620 Ag Trovato °/o Calcolato per Cio Hi4 04Ag C 38,81 38,57 H 6,16 615 Ag DAS 34,69 DECOMPOSIZIONE PER MEZZO DEL CALORE DEL SALE C,0H190, Na. Metileptanone. — Questa decomposizione avviene come nel caso del sale Cio H,80, Na. Da gr. 0,5 del primo si hanno gr 0,27 di un olio, il quale si riconosce per metileptanone o isoamilacetone, perchè fornisce un semi- carbazone che cristallizza dall'alcool bollente in tavolette incolore e fonde a 158° circa (*). Ringrazio il laureando in chimica sig. E. Gorì per il valido aiuto datomi in questa ricerca. Chimica-fisica. — Sul calore di formazione di composti orga- nici di addizione. IV. Picrati (*). Nota di B. L. VANZETTI e V. Gaz- ZABIN, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In una serie di esperienze, i cui risultati furono precedentemente comu- nicati, abbiamo determinato il calore di combinazione dell'acido pierico con sostanze di natura chimicamente neutra, come la naftalina, l’eugenolo, l’iso- safrolo (*). Trovammo che i valori della tonalità termica di queste combi- nazioni sono piuttosto bassi, in ragione della poca stabilità loro, specialmente nel caso della naftalina, che non à altre valenze disponibili, oltre a quelle che si considerano come non saturate, o parzialmente saturate, del nucleo benzinico. Per il picrato di naftalina si trova, infatti, un calore di combi- nazione, tra i componenti solidi, di cirsa 1 grande caloria per grammo- molecola. La tonalità termica sì rivela un po maggiore quando la molecola del composto, che funziona da base verso l'acido picrico, contiene delle catene laterali e dei doppî legami di natura etilenica. Così per l'eugezolo e per l’zsosafrolo trovammo un calore di combinazione di 5,9 e 4,4 circa grandi calorie per grammo-molecola. Abbiamo messo inoltre in rilievo il fatto che nel caso dell'eugenolo si giunge ad un risultato inatteso: mentre si otteneva con una certa facilità (4) Auden, Perkin e Rose, Journ. ch. soc. of London, 75, pag. 909 (1899). (2) Lavoro eseguito nell’Istitato di chimica generale della R. Università di Padova. (3) Questi Rendiconti, vol. XXII, 1° sem., pag. 108 (1913). — 528 — il suo picrato, non ci è stato possibile di isolare il picrato del suo isomero, l’isoeugenolo; e ciò contro la nota regola che nei composti a catena prope- nilica il doppio legame è meno stabile che non in quelli a catena allilica. È nostra intenzione di appurare anche questo fatto e di ricercarne le cause, che in parte possono attribuirsi alla tendenza a polimerizzarsi dell’isoeu- genolo, ma che forse devono imputarsi anche alla presenza dell’ ossidrile. Ma su questa apparente anomalia, che ci sembra interessante, avremo occa- sione di ritornare. Nel caso dell'a-melzlindolo, in cui si accumulano le due funzioni ammi- nica ed etilenica, abbiamo ottenuto un valore piuttosto basso (circa 2 grandi calorie per grammomolecola). Ora possiamo riportare qualche altro dato quantitativo sui picrati di alcune basi del gruppo piridico. Con questa esperienza abbiamo voluto mettere in rilievo le differenze che esistono tra le combinazioni dell'acido picrico e le ammine terziarie (tipo piridina, chinolina), e quelle dell'acido picrico ed i corrispondenti composti idrogenati, basi secondarie, in cuì l’ag- gruppamento contenente l'azoto à perduto completamente il carattere aro- matico (piperidina, tetraidrochinolina). Lo studio sarà esteso poi alla isochi- nolina, alle basi del gruppo pirrolico (indoli) e ad. alcune basi naturali (nicotina, coniina, ecc.), che con le basi studiate si trovano in più diretta relazione. Il lavoro è stato interrotto per la difficoltà di procurarsi, in questo momento, sufficienti quantità di tali prodotti. Le sostanze adoperate furono sottoposte a purificazione rigorosa e con- trollate con l’analisi elementare, quando ciò parve necessario. come nel caso dei picrati. Come si vedrà dai risultati, riportati sotto, i massimi valori sì sono ottenuti con la piperidina, in confronto con la piréiina; e ciò era perfet- tamente prevedibile, in base alle cognizioni che si ànno sulla natura di queste due basi. Il confronto tra piridina e chinolina condusse invece a valori pressochè eguali; un po minori per la seconda, che può considerarsi come una base un po' più debole. Per la /elrazdrochinolina si ottennero, contro ogni aspettativa, dei valori molti bassi, che non abbiamo potuto però controllare per deficenza di materiale. Ritorneremo su questo prodotto, del quale ci proponiamo di determinare anche la costante di dissociazione elet- trolitica, che non ci è stato possibile di trovare nella letteratura a tutt'oggi. Data la poca solubilità di questi picrati (che non avrebbe permesso di ottenere effetti termici a bastanza elevati), anzichè determinare il calore di combinazione della differenza dei calori di soluzione del picrato e dei suoi componenti, questa volta abbiamo preferito seguire, quasi sempre, la deter- minazione del calore di combinazione versando contemporaneamente i due componenti nella soluzione satura del picrato, presente la fase solida. Se l'acido picrico è finamente triturato, la reazione è quasi istantanea, ciò che — 529 — facilita di molto il calcolo. Adottammo il metodo delle bolle sottili di vetro, immerse, che ci diede sempre ottimi risultati, facilmente controllabili. L'ap- parecchio calorimetrico usato era del tipo Thomsen con calorimetro di argento dorato di circa 500 cc. e con agitatore ad elica. Acido picrico e piridina (punto di fusione del picrato: 164°): 1) Ac. picrico gr. 3,464, piridina gr. 1,195, in gr. 469 di soluz. acquosa; equivalente del sistema = 476,3. Innalz. di temper. dovuto alla rea- zione = 0,435°. Calore della reazione = 207,2 cal.; calore molecolare di combinazione = 13,70 Cal. 2) Ac. picrico gr. 4,415, piridina gr. 1,523, in gr. 895,6 di alcool a 95 °/; equivalente del sistema = 250,34. Innalz. di temp. osserv. = 0,921°. Calore della reazione = 230,47 cal.; calore molecolare di soluzione e combinazione = 11,92 Cal. Picrato di piridina gr. 5,938 in gr. 395,6 di alcool a 95 °/g; equivalente del sistema = 249,6. Abbass. di temp. osserv. = 0,160°; Calore della reazione = — 39,9 cal.; calore molecolare di soluzione del picrato = — 2,06 Cal. da dui si calcola: calore molecolare di combinazione = 73,98 Cal. 3) Calorimetro a mescolanza: ac. picrico gr. 0.806 in gr. 350,9 di acqua; piridina gr. 0,264 in gr. 145 di acqua; IERI A A=143,1, B+ = 358,96. Effetto termico della mescol. = 16,76 cal. Effetto termico riferito alla grammolecola = 4,67 Cal. 4) Ac. picrico gr. 0,827 in gr. 500,2 di acqua; piridina gr. 0,274 in gr. 188,0 di acqua; ZII 191088 A=188,1, B+4= 308,3. Effetto termico della mescol. = 14,09 cal. Effetto termico riferito alla grammolecola = 14,09 cal. 5) Ac. picrico gr. 1,649 in alcool a 95 °/, gr. 250,2; piridina gr. 0.540 in alcool a 95 °/, gr. 174,6; la = 020%, to 2,100% =" 24179; A=105,5, B+2=159,36. Effetto termico della mescol. = 18.55 cal. Effetto termico riferito alla grammolecola = 2.699 Cal. (*) Nella equazione Q= Alte—- ta) +(B+0) (tj— 8), ta è la temper. della soluzione piridica, tp quella della soluzione picrica, # la temper. finale della soluzione di picrato; A è l'equivalente in acqua della prima soluzione; B+- 4 quello della seconda soluzione, del calorimetro ed accessorî. — 530 — Il calore molecolare di combinazione della piridina con l'acido picrico risulta, in media, di /3,84 grandi calorie. Alla concentrazione di 0,22 circa per cento in acqua il picrato di piri- dina può considerarsi dissociato per circa due terzi (temperatura ordinaria). Alla concentrazione di 0,5 circa per cento nell'alcool parrebbe disso- ciato per circa quattro quinti. Acido picrico e piperidina (punto fusione del pierato: 151-152°): 1) Ac. picrico gr. 4,055, piperidina gr. 1,505, in gr. 456,8 di soluz. acquosa; equiv. del sist. = 170,6. Innalz. di temper. dovuto alla reaz. = 0,7659; calore della reazione = 360 cal.; calore molecolare di combinazione = 20,33 cal. 2) Ac. picrico gr. 3,651, piperidina gr. 1,355, in gr. 456,4 di soluz. acquosa ; equiv. del sist. = 471.2. Innalz. di temper. dovuto alla reaz. =0,705°; calore della reazione = 332,2 cal.; calore molecolare di combinazione — 20,83 Cal. 3) Calorimetro a mescolanza: i Ac. picrico gr. 2,255 in gr. 352,58 di acqua; piperidina gr. 0,837 in gr. 120.88 di acqua; la ="2,027% lor= 2;1459, t.= 1,6789; A = 121,3, B+9=361,36. Effetto termico della mescol. = 122,42 cal. Effetto termico riferito alla grammolecola = 12,44 Cal. 4) Ac. picrico gr. 1,84 in gr. 356,0 di acqua; piperidina gr, 0,683 in gr. 122,2 di acqua; a = 9,099°, fa, ==" 27079 = 2309%; A = 122,6, B+ = 864,6. Effetto termico della mescol. = 98,5 cal. Effetto termico riferito alla grammolecola = 12,24 Cal. 5) Ac. picrico gr. 5,178 in gr. 263,45 di alcool a 95 °/,; piperidina gr. 1,922 in gr. 165,7 di alcool a 95 °/; ta = 3,187°, th =4,9269, {-= 3,4889; A = 10,88, B40= 263,45. Effetto term. della mescol. = 256,6 cal. Effetto termico riferito alla grammolecola == 7/,35 Cal. 6) Ac. picrico gr. 1,339 in gr. 254,2 di alcool a 95 °/0; piperidina gr. 0,497 in gr. 119,9 di alcool a 95 °/.: fi, = 19209, =3 251004459; A = 72,49, B+ == 161,63. Effetto term. della mescol. = 65,1 cal. Effetto termico riferito alla grammolecola = 77,13 Cal. 7) Ac. picrico gr. 10,876 in gr. 260,43 di alcool a 95 °/0; piperidina gr. 4,035 in gr. 119,54 di alecol a 95 9/0; la =d,0100n — 000 A= 741, B+6= 170,1. Effetto termico della mescol. = 676,3 cal. Effetto termico riferito alla grammolecola = 14,26 Cal. — 581 — Il calore molecolare di combinazione della piperidina con l'acido pierico risulta. in media, di 20,56 grandi calorie. Alla concentrazione di 0,5 — 0,6 circa per cento, in acqua, poco meno che la metà del picrato appare scissa nei suoi componenti. Alla concentrazione di 0,5 — 2 circa per cento in- alcool al 95 °/, parrebbe combinato per circa ’'/s0, e alla concentrazione di circa 4/, [esper. 7) soluz. sovrasatura] sarebbero combinati circa !4/,, del picrato, a parte, naturalmente, le complicazioni che si possono avere nelle forma- zioni del sistema « solvente-acido-base ». Acido picrico e chinolina (punto di fusione del picrato: 204°): 1) Ac. picrico gr. 3,018, chinolina gr. 1,700, in gr. 373,4 di soluz. alcool.; equiv. del sist. = 242,2. Innalz. di temp. dovuto alla reaz. = 0,735°; calore della reazione = 178 cal.; calore molecolare di combinazione = 73,50 Cal. 2) Ac. picrico gr. 3,110, chinolina gr. 1,752, in gr. 452,6 di soluz. acquosa; equiv. del sist. = 467,2. Innalz. di temper. dovuto alla reaz. = 0,371; calore della reazione = 173,3 cal.; calore molecolare di combinazione = 12,77. Cal. Il calore molecolare di combinazione della chinolina con l’acido picrico è, in media, di /3,2 grandi calorie circa: molto prossimo quindi a quello della piridina. Acido picrico e tetraidrochinolina (p. di fus. del picrato: 141,5°): 1) Ac. picrico gr. 2,906, tetraidrochinolina gr. 1,687, in gr. 458,8 di so- luzione acquosa; equiv. del sist. = 472,8. Innalz. di temper. dovuto alla reaz. = 0,257°; calore della reazione = 121,5 cal.; calore molecolare di combinazione = 9,58 Cal. 2) Ac. picrico gr. 2,530, tetraidrochinolina gr. 1,460, in gr. 472,5 di so- luzione acquosa; equiv. del sist. = 484,7. Innalz. di temper. dovuto alla reaz. — 0,239°; calore della reazione = 115,8 cal.; calore molecolare di combinazione = 10,48 Cal. 8) Ac. picrico gr. 3.453, tetraidrochinolina gr. 2,005, in gr. 375 di solu- zione alcoolica; equiv. del sist. = 243,6. Innalz. di temper, dovuto alla reaz. = 0,601; calore della reazione = 146,4 cal.; calore molecolare di combinazione = 9,77 Cal. In media, il calore molecolare di combinazione dell'acido picrico con la tetraidrochinolina sarebbe di circa 9,9 grandi calorie. — 532 — Come si vede dai dati sovraesposti, i calori di combinazione dell'acido picrico con le basi in questione ànno dunque un valore abbastanza elevato, come è giustificato dalla natura stessa delle basi. Nella seguente tabella riassumiamo i risultati principali, ponendoli a confronto con i valori delle costanti di dissociazione elettrolitica, che sono state determinate ('): —_TPT_—__—_—_€__, COSTANTE DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA Cal. di comb. Dil. K to Autori ea Piridina 50 — 600 PERI (0 Mea Lundén 13,84 C. Piperidina 8 256 1,6 X 1073 ” Bredig 20,56» Chinolina . 60 — 256 lama ” ” 13,20 » Tetraidrochinolina . _ _ —_ — 9,58 » Ac. picrico 33 — 500 1,6 X 107! | 18° | Rothmund — I calori di combinazione da noi determinati si riferiscono però ai due corpi (acido e base), che reagiscono allo stato puro (rispettivamente solido- cristallino e liquido) per formare il picrato cristallino. Il solvente non è che un intermediario, per facilitare la reazione. In soluzione diluita i picrati di queste basi sono, come abbiamo veduto per la piridina, parzialmente dissociati nei due componenti acido e base (più profondamente quello della base più debole); e tale dissociazione sì mantiene anche quando la soluzione è satura, o soprasatura rispetto al sale. Naturalmente, la determinazione del solo calore di combinazione in solu- zione non è sufficiente a dimostrare in qual forma il sale si trovi dissociato, perchè, data la energia dell’acido in questione, si avrà anche una parziale dissociazione elettrolitica. (*) Landolt-Bérnstein-Roth, Tadelle. 1912. — 599 — Chimica-fisica. — Zlettrolisi di acidi organici: acido fenil- propiolico ('). Nota di B. L. VANZETTI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. La scomposizione elettrolitica dell'acido acetilenbicarbonico e del suo sale potassico in soluzione, nelle condizioni da me sperimentate preceden- temente (°), si presenta come una delle più semplici e più facilmente inter- pretabili, tra tutte quelle che io ebbi occasione di studiare da alcuni anni a questa parte. In ultima analisi sì è visto che, impiegando una corrente di sufficiente intensità, l'acido brucia completamente all’anodo, formando ossido di carbonio ed anidride carbonica. Nessuna sintesi, dovuta a residui anodici, ò potuto constatare. Era interessante di vedere se questa grande facilità alla scomposizione, dovuta evidentemente alla presenza del triplo legame nella molecola del- l’acido acetilenbicarbonico, si manteneva anche nel più semplice derivato della serie aromatica: l'acido fenilpropiolico. L'acido fenilpropiolico, che si differenzia già notevolmente dall'acido acetilenbicarbonico per essere mono- basico anzichè bibasico, è ben lungi dal possedere l’energia di quest'ultimo, che si può paragonare all’acido solforico. L'acido fenilpropiolico si può col- locare tuttavia tra il formico e l’'ossalico, o, meglio, tra il formico ed il maleico, a lato dell'acido tartronico, od ossimalonico. La sua costante di dissociazione elettrolitica è 5,9 X 10-3 a 25°, per una diluizione 60 + 963 (W. Ostwald). L'acido tu preparato dal cinnamico seguendo le prescrizioni di Lieber- mann e Sachse ed avendo cura soprattutto di eliminare completamente l’alo- geno dall'acido cinnamico bromurato. La elettrolisi fu eseguita sul sale potassico dell'acido fenilpropiolico, ad una concentrazione di circa 28°/. Non si potè eseguire la elettrolisi sulla soluzione acquosa dell'acido libero, perchè esso è molto poco solubile nell'acqua; e non si potè adottare in nessun caso il sètto poroso per sepa- rare lo spazio anodico dal catodico. Anche in mancanza di sètto poroso, specialmente se la cellula è piccola e non si provvede ad una viva agita- zione del liquido, può accadere che, dopo alcuni minuti, la corrente non passi (!) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica generale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. La parte sperimentale fu eseguita con la collaborazione del laureando C. L. Spica. (*) Questi Rendiconti, vol. XXIV, 1° sem., pag. 611 (1915). RenDpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 70 — 5394 — più, in causa di un forte deposito di acido libero, che va ad incrostare l'auodo. La provetta, in cui si fece l’elettrolisi del sale, aveva un diametro di circa 4 cm. L'anodo era costituito da una spirale di platino filo; superficie immersa circa 12 cm*; una rete di platino, disposta attorno l’anodo, funzio- nava da catodo. Il cilindro era chiuso da un tappo di gomma in cui entravano, oltre ai due elettrodi, un termometro, un tubo per l'uscita dei gas ed un agitatore ad elica munito di chiusura a mercurio. Furono saggiate, da prima, piccole densità di corrente, ma senza alcun altro effetto che la scomposizione di acqua. Quasi nessuna scomposizione organica si manifesta con densità al di sotto di 25 A X dm? se si ha cura di raffreddare con ghiaccio la soluzione, in modo che la temperatura non arrivi al 20°; se la temperatura sale al disopra di 50°, incomincia a rendersi manifesta una scomposizicne, per lo svolgimento di CO,. Contemporanea- mente però diminuisce la quantità di ossigeno, che si svolge all'anodo. I. Durata dell’elettrolisi: 4 ore. A X dm? | 8.3 16.6 | 16.6 25 25 25 | 25 | 25 1°. OO 1199 19° io 50° 52° 45° 70° Sost. non sat. 0 0 0 (0) 0 0 0 0 CO, 99%) 919% 0 0 0 1.6 24 3,6 0, 16 0 SO 9.100 2070 3050 _ 0s/Hs 048] 0.48) 0.42) 0.46| 0.42] 044| 044| — Il. Durata dell'elettrolisi: 47 ore. Nelle prime ore si ebbe: A X dm? 41.5 66 75 66 75 66 25 16 6 10 7199. 95° 92° 85° 80° 95° 70° 56° Sost. non sat. 04 0.2 0.2 (0) 0.3 0 0.1 0 CO» 8.1 Ti 7.9 4.2 TA AOLT.95 | bli246 315 (CH 255. || 247112319 |42948:1|2241 E 118:30425.4 13012 02/Ha 0.35] 0.85] 0.85] 0.45) 0.31) 0.85] 0.41| 0.45 * L'anidride carbonica trovata in queste due analisi è dovuta al carbonato alcalino. con cui sì è saturato l’acido per formarne il sale. Il più caratteristico fatto di questa elettrolisi è che non si è mai potuto constatare la presenza di ossido di carbonio nei gas della scomposizione. — 585 — Di là da una certa temperatura si svolgono invece piccole quantità di composti non saturi, assorbibili dal bromo e dal reattivo solforico. La ricerca dell’acetilene, che si presenta talora nella scomposizione elettrolitica di composti aromatici, diede risultato negativo. Nelle prime ore dell'elettrolisi si ebbe invece marcatissimo odore di acetofenone, del quale, sulle prime, non era facile di spiegar l'origine. C. Glaser ('), ha trovato che riscaldando acido fenilpropiolico con acqua a 120°, si forma fenilacetilene, il quale poi, per addizione di 1 molecola d’acqua, può fornire acetofenone: Una reazione analoga, evidentemente, avviene anche nella elettrolisi; ed è molto probabile che tra i prodotti di scomposizione si trovi, quindì, anche il fenilacetilene. Ma la scomposizione stessa è troppo lenta perchè si possano separare quantità di tali prodotti riconoscibili all'analisi. Si può tuttavia escludere che tali sostanze traggano origine da una semplice scomposizione per le elevate temperature della soluzione elettrolizzata. Alcune prove a parte dimostrano facilmente che la soluzione stessa del sale può sopportare anche un prolungato riscaldamento a 120°, senza che una alterazione del prodotto si renda manifesta. È però un fatto facilmente constatabile, che le reazioni secondarie di questi processi -elettrolitici presentano spesso molta analogia con le reazioni che ànno luogo nei processi termici di scomposizione. La comparsa dell'anidride carbonica durante il processo di elettrolisi ad elevate temperature si potrà attribuire in parte al carbossile dell’acido; ma non deve sfuggire il fatto che, contemporaneamente alla comparsa del CO», sì nota una diminuizione dell'ossigeno. Una parte di esso viene quindi fissata sulla molecola organica, e contribuisce alla formazione del CO,. Ciò si vede molto bene nelle due piccole tabelle sopra riportate, confrontando il contenuto percentuale di CO, nella miscela gasosa colle quantità di ossigeno svoltesi, o, meglio ancora, col rapporto 0,:H,, che va diminuendo man mano che la temperatura sale mentre cresce il CO, . Non si può quindi più parlare di una semplice scomposizione elettro- litica, perchè anche l'ossigeno anodico entra in azione contro la molecola dell'acido. Nonostante la presenza del triplo legame, l’acido fenilpropiolico pre- senta dunque una grande stabilità all’elettrolisi, contrariamente a quanto ho potuto constatare per l'acido acetilenbicarbonico. In questo, l'acido fenilpropiolico si avvicina moltissimo all'acido ben- zoico, col quale à comuni molte altre proprietà, quali ila poca solubilità, (1) Liebig*s Annalen, /54, pag. 151. — 536 — la volatilità con vapor d'acqua, la sublimabilità. Esso si ritrova in massima parte inalterato dopo il passaggio della corrente, come se si trattasse di un acido minerale; e le piccole quantità di prodotti secondarî, di aspetto oleoso, che si separano in seguito ad una scomposiziono forzata (forte densità di corrent: e temperatura piuttosto elevata), provengono da fatti, che non sono certo in relazione diretta col processo elettrolitico, ma derivano da reazioni molto meno chiare e non prevedibili, come sono quelle che ànno la loro origine nei processi di ossidazione anodica La formazione di acido benzoico, che avrebbe potuto considerarsi vero- simile, come conseguenza di una completa ossidazione della catena carbonica, pare non abbia luogo. In nessun caso ho potuto isolare questo acido, nè comunque constatarne la presenza nelle soluzioni saline del prodotto sotto- posto ad elettrolisi. Patologia vegetale. — Wr'esperienza sull'azione reciproca fra radici micotrofiche di piante diverse. Nota di L. PETRI, pre- sentata dal Socio G. CUBONI. E già noto da lungo tempo come l'olivo vegeti assai stentatamente in vicinanza di boschi di quercie; un tal fatto può essere spiegato sia come una conseguenza dell’eccessivo sfruttamento del terreno o di un particolare stato di stanchezza di questo, sia anche come un effetto dell'antagonismo che even- tualmente potrebbe verificarsi fra le radici delle due specie di piante. Si tratta infatti di due apparati radicali essenzialmente diversi per il loro modo di diffondersi nel terreno e per la struttura delle loro estremità assorbenti. Mentre nelle quercie è costante la trasformazione della maggior parte delle radichette in micorize ectotrofiche, nell’olivo le radici mieotrofiche sono tutte di tipo endotrofico. È ormai dimostrato che i funghi concorrenti alla produzione di una categoria di micorize sono sistematicamente diversi da quelli che dànno origine all'altra. È quindi ammissibile che una lotta per lo sfruttamento del terreno possa verificarsi fra i funghi simbiotici di alberi a micorize endo- trofiche e quelli di alberi a micorize ectotrofiche, con una conseguenza sen- sibile per la pianta ospite, tanto ammettendo un’utilità della simbiosi per l'albero, come negando un vero e proprio. mutualismo fra fungo e radici, giacchè resta sempre possibile il danno che una data specie potrebbe risen- tire dall'azione di un micelio, il cui parassitismo è solo tollerato dalle radici di un'altra sorta di piante. A questo riguardo anzi è stato più volte oggetto di discussione il parassitismo che i funghi delle micorize potrebbero eserci- tare, in condizioni eccezionali, sulle stesse radici, all'estremità delle quali ordinariamente si trovano in un armonico rapporto di simbiosi. Non esiste — 587 — alcuna seria obbiezione contro la probabilità di una tale azione parassitaria sulle radici di altre piante, le quali con tali funghi non entrano in simbiosi. Da queste considerazioni muove un’esperienza eseguita su quercie ed olivi con lo scopo di stabilire i rapporti che vengono a costituirsi fra gli apparati radicali di queste due piante quando si trovino a vegetare in uno spazio limitato di terreno, in modo da obbligare le loro radici a svilupparsi a reciproco contatto. Una pianta d'olivo di 3 anni venne piantata, insieme con una piccola querce, della stessa età, in un vaso di fiori di 40 cm. di apertura, in modo che i due fusti si trovassero alla distanza di circa 10 cm. l'uno dall'altro. In un altro vaso similmente preparato, fra i due fusti e i due apparati radicali, a guisa di piano divisorio, venne posto uno strato di letame dello spessore di 8 cm. Le due coppie di piante vennero lasciate in queste con- dizioni per 4 anni. La vegetazione dell'olivo si è conservata un po meno vigorosa nel vaso non concimato, in confronto a quello concimato. La querce, astrazion fatta dai danni dovuti all'attacco dell’oidio, ha mostrato uno sviluppo meno vigoroso dell'olivo. Questo primo resultato dimostra, intanto, che, a parità di età e d'impianto, l'olivo può vantaggiosamente sostenere la lotta per lo sfruttamento del ter- reno contro la querce, le radici della quale non posseggono quindi nessuna azione nociva su quelle dell'olivo. Nel valutare questo resultato, conviene tener conto delle sfavorevoli con- dizioni di vegetazione nelle quali la querce si trova rispetto all’olivo, giacchè, dato il volume limitato di terreno, le radici della prima, per il loro più rapido accrescimento, assai più presto risentono della deficienza di spazio. Questo inconveniente è diminuito nel vaso concimato, dove i due appa- rati radicali possono trovare abbondante materiale nutritivo in uno spazio di terreno relativamente molto ristretto. In questo caso, anche l’azione dei micelli delle micorize, sia fra di loro, sia sulle rispettive radici, è alquanto modi- ficata da quella che può sussistere in un terreno povero di materiali nutri- tivi (*): una condizione, quindi, meno favorevole per stabilire l'eventuale azione nociva del micelio delle micorize della querce sulle radici dell'olivo, o Viceversa. L'esame accurato delle radici di un anno della querce, cresciute a con- tatto con quelle dell'olivo nel terreno non concimato, ha dimostrato l’esistenza di brevi zone brune, in corrispondenza delle quali la corteccia primaria, in via di esfogliazione per la formazione della prima peridermide, presenta un processo di umificazione avanzata. (') E noto che in un terreno ben concimato i funghi delle micorize degli alberi si comportano come semplici commensali, del tutto innocui (cfr. L. Mangin, in Nouv. arch. du Museum d’hist. nat. 5ème sér., 1910). — 538 — Al microscopio simili zone di tessuto imbrunito mostrano qua e là delle vescicole irregolarmente ovali, lobate, di dimensioni che oscillano fra i 35-45 4 ei 65-75 u. Queste vescicole, che sono rappresentate nella figura qui unita, hanno parete ispessita, giallastra, con un contenuto costituito da sostanze grasse. Vescicole formate dall’endofita radicale dell'olivo sulle radici della querce 500 li ). (Ingr. Esse si originano all'estremità di grossi filamenti di micelio di 6-9 u di spessore. La formazione di queste vescicole avviene negli strati profondi del parenchima corticale. In alcune sezioni ne sono state osservate a contatto della peridermide. I caratteri del micelio e delle vescicole corrispondono esattamente a quelli del micelio e delle vescicole che normalmente si trovano nelle mico- rize endotrofiche dell'olivo. Quale significato si deve attribuire a questo fatto? Ho già mostrato, in altri lavori (*), che il micelio esterno delle micorize endo- trofiche, dopo la morte di queste, può vivere da saprofita sulle radici in decomposizione, giungendo anche a formare quei filamenti moniliformi aerei che sono stati considerati come fruttificazioni conidiche (Bernard). Nel caso ora descritto, non si ha questo sviluppo superficiale, ma bensì uno intercellulare, con formazione di vescicole, quale avviene nel parenchima vivente della corteccia primaria. La penetrazione nelle radici di un anno della querce avviene, senza dubbio, poco prima della formazione della peridermide. Non si può quindi parlare che di un debole parassitismo esercitato sopra un tessuto morente. Il danno risentito dalle radici per questa infezione non può essere che trascurabile. Si verifica -.solo un'accelerazione della morte della corteccia pri- maria in alcuni punti, ciò che può portare, eccezionalmente, alla formazione di piccoli cancri. Se il fatto non sembra avere un'importanza pratica, dal punto di vista delle nostre cognizioni sulle micorize, rappresenta un dato nuovo per ciò che riguarda l’azione parassitaria, che, indipendentemente dai (*) Petri L, Studi sulle malattie dell'olivo (Mem. d. staz. di patologia veg., Roma, G. Bertero 1911). — 539 — rapporti normali di simbiosi, certi funghi possono esercitare sulle radici delle piante superiori. È interessante il fatto che le radici di un anno dell'olivo non presen- tano alcuna traccia d’ infezione da parte dell'endofita delle radichette, ciò che potrebbe far concludere che la ricettività per questo organismo, a una certa distanza dall’apice, sia molto minore nelle radici dello stesso olivo che non quella offerta dalle radici della querce. Il micelio ectotrofico di queste ultime sembra esser privo di qualsiasi azione parassitaria sull’olivo. Così pure la specificità dei due funghi nella formazione delle micorize resta ben confer- mata dall’esperienza: infatti, nè le radici dell'olivo hanno presentato delle micorize ectotrofiche, nè quelle della querce micorize endotrofiche. Riferendoci ora al deperimento degli olivi, più volte osservato in vici- nanza di boschi di quercie, si può concludere che la causa di tale deperi- mento va cercata nell’eccessivo sfruttamento del suolo da parte del bosco, o in un eventuale marciume radicale per Dematophora, sviluppatasi sui residui sotterranei del bosco stesso. Un'azione dannosa, dovuta al micelio delle mico- rize della querce, deve essere assolutamente esclusa. Fisiologia. — Osservazioni sulla tigmotassi nei Parameci. Nota del prof. G. A. ELRINGTON ('), presentata dal Socio L. LucIanI. Lo scopo principale delle presenti osservazioni fu di determinare il rapporto tra la reazione tigmotattica e le variazioni termiche dell'ambiente. In occasione delle osservazioni preliminari, potemmo seguire anche gli effetti che sui paramecî in tigmotassi vengon prodotti dall'urto di altri paramecî o colpidii, nuotanti in giro. Essendo i risultati di queste osservazioni non privi di un certo interesse, abbiamo creduto opportuno di unirle alle altre in questa Nota preventiva. Il termine « tigmotassi » indica le reazioni presentate dagli organismi agli stimoli di contatto da parte di corpi solidi. Tra gli infusorî ciliati si presta molto bene il paramecio allo studio di queste reazioni di contatto. Come Jennings, Piitter ed altri hanno dimostrato, basta porre pochi para- mecî in una goccia di acqua contenente frammenti di sostanza organica: bacterii, tibre di cotone, o piccoli pezzetti di carta sfibrata, ecc. Dopo un certo tempo, variabile, alcuni dei paramecî diventano positivamente tigni0- tattici, assumendo una posizione caratteristica di riposo addosso all'oggetto solido. (1) Insegnante nel Collegio Internazionale « Angelico » di Roma. Le ricerche furono fatte nell'Istituto fisiologico dell’Università di Bonn, nel semestre di estate del 1912, per consiglio e sotto la guida del prof. M. Verworn. — 540 — Essi generalmente aderiscono al corpo solido o coll’estremità anteriore oppure col fianco. In ogni caso le ciglia, che sono a contatto col corpo estraneo, sono immobili. Le ciglia della doccia orale, di solito, continuano a battere, mentre quelle delle altre regioni del corpo sono spesso tutte im- mobili o pulsanti solo in certe regioni. Se le ciglia sono tutte immobili, esse generalmente giacciono in direzione obliqua alla superficie del corpo: quelle di un lato sono dirette all’innanzi; quelle dell'altro lato, all'indietro. Effetti dell'urto da parte di individui nuotanti liberamente. — 1 pre- parati per l'osservazione contenevano un certo numero di colpidii insieme coi paramecî. I colpidii nuotavano in giro liberamente, venendo, così, spesso a urtare contro i paramecî fermi per tigmotassi. Nel maggior numero dei casi l'urto non modificava la reazione di contatto. L'animale rimaneva fermo, o, al più, si spostava lievemente in avanti, appena cambiando di posizione. L'urto produceva, però, un certo effetto sui movimenti delle sue ciglia. Se un colpidio o paramecio veniva, per es., nel nuoto, a toccare l’estremo poste- riore di un individuo fermo per tigmotassi, si osservava che le ciglia del- l'estremo anteriore reagivano battendo più energicamente. Le ciglia delle altre regioni del corpo, se erano immobili, rimanevano in tale stato. Alcune volte il protozoo nuotante liberamente veniva a toccare un punto della superficie laterale dell'individuo fermo; allora spesso si vedeva che reagivano. muo- vendosi, le ciglia di un punto situato nella superficie del lato opposto a quello urtato. L'eccitamento prodotto dall’urto nel protoplasma, urto che non era sufficiente a modificare la tigmotassi, determinava, per così dire, in via riflessa, un movimento localizzato in alcune ciglia lontane. Il protoplasma dei para- mecî sembra, quindi, essere dotato di proprietà di condu/tività, oltre che di proprietà di ecci/abilità, come ogni sostanza vivente. Effetti delle variazioni termiche. — 1 preparati erano fatti in goccia pendente, in cui era incluso un pezzetto di carta bibula sfibrata. La goccia era montata sulla cavità di un tavolino scaldabile di Pfeiffer. I paramecî provenienti dalla cultura erano centrifugati e lavati due o tre volte in acqua pura. L'intervallo, che precedeva la reazione di tigmotassi allo stimolo di contatto, era nei diversi individui molto variabile; ciò che è stato osservato anche da altri. Appena alcuni individui si fermavano per tigmotassi. si leg- geva la temperatura nel termometro annesso all’apparecchio; poi si faceva lentamente salire la temperatura, col far circolare una corrente di acqua calda. In altre osservazioni sì sostituiva acqua fredda all'acqua calda. Prendendo in esame dapprima i risultati ottenuti coll’aumento di tem- peratura, troviamo che già una lieve elevazione termica bastava per modi- ficare profondamente la reazione al contatto. Il grado preciso, in cui i para- mecî interrompevano la loro posizione, era variabile e apparentemente indi- — b4l — pendente dalla temperatura in cui si erano fermati per tigmotassi. Per una temperatura iniziale oscillante tra 15° e 19° C, trovammo che la reazione tigmotattica cessava ad una temperatura oscillante tra 22° e 30° C. Facendo allora scendere lentamente la temperatura, si notava il punto in cui la tigmo- tassi tornava ad essere positiva. Se poi si faceva immediatamente risalire la temperatura, in generale si osservava che la reazione negativa avveniva a un grado di temperatura superiore che non nel primo esperimento. Ciò ri- sulta chiaramente dalla seguente esperienza: La temperatura iniziale era 18° C.; la tigmotassi negativa avvenne a 29°; tigmotassi positiva si ebbe di nuovo a 27° C.; e la seconda reazione negativa si ebbe a 33° O. È probabile che ciò sia dovuto ad una aumentata produzione di CO, la quale, secondo Jennings e altri osservatori, favorisce la reazione di tigmo- tassi nei paramecî. In ogni modo, dalle mie ricerche non è confermata l’affermazione di Pitter (*), che i paramecî cessino di reagire positivamente allo stimolo di contatto, soltanto quando la temperatura è salita a 37° O. Una temperatura molto più bassa basta a produrre questo effetto. Anche l'abbassamento di temperatura produce reazione negativa. Sotto l'azione del freddo i paramecî, fermi, dapprima cominciano a muovere le ciglia, e poi si distaccano dall'oggetto e nuotano energicamente nell'acqua. In una serie di osservazioni facemmo alternativamente abbassare, e poi salire, e quindi di nuovo abbassare e così via, la temperatura. Vedemmo che una discesa di 1° a 3°, di solito, bastava a provocare la reazione nega- tiva, come dimostra il seguente esperimento (esp. IV): La temperatura ini ziale era di 16° C., a cui alcuni individui mostra- rono tigmotassi positiva; la reazione negativa fu provocata da 15°; a 13°, tutti gli individui, che erano fermi in tigmotassi, si misero in energico mo- vimento. La temperatura tornò ad elevarsi a 14°, in cuì si ripresentò la reazione positiva, che fu interrotta di nuovo a 13°. Tornando a far salire la temperatura, alcuni individui ridivennero fermi per tigmotassi. Un ulte- riore aumento della temperatura a 20° provocò la reazione negativa. Un altro esperimento merita ancora essere ricordato (esp. X). La tem- peratura iniziale della reazione positiva era di 17°,5. A 14° avvenne reazione negativa, e a 13° alcuni individui ridivennero fermi per tigmotassi: individui che però presentarono reazione negativa abbassando la temperatura a 10°. I movimenti dei protozoi, a tale temperatura, erano però molto lenti. () A. Piitter, Studien ber Thigmotaxris bei Protisten, ‘Arch. f. Physiol., 1900, Supplem. RenNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 71 — 542 — L'annessa tabella riassume i risultati delle esperienze. ESPERIMENTO + CONTO +T. SR N +T. —T() 1 18 99° (°] (0) di (0) 17,5 22 22 27 >: &k 18 ? IT 13 14,5 23 DE: DE si 3 16 24 4 16 15 l4 13 14 20 DE 13 15 5 16,5 15 Ni 6 15 13 sino a 5°. tatti in movimento 7 15,5 25 20 10 O No 8 16 26 21 16,5 17 14 9 | 15 25 18 na 10 17,5 14 13 10 11 16 13 Ma Io ” 12 16 13 14 | 13 AL 15 13 18 15 oi Die; 22; 2% 14 20 18 17 13 15 13 ecc. sa so DE SIE ter 12 15 18 29 27 38 29 33 16 19 29 E 30 17 19 29 30 Concludendo, possiamo dire: 1) lievi variazioni termiche al di sopra o al disotto della tempera- tura, in cui i paramecî mostravano tigmotassi positiva, bastano a interrom- pere la reazione, producendo tigmotassi negativa; 2) la reazione positiva sembrerebbe dipendere non solo dallo sti- molo di contatto, ma anche da certe condizioni interne o stati fisiologici degli organismi reagenti, poichè in un dato preparato, in cui apparente- mente le condizioni esterne sono identiche per tutti gli individui, soltanto un certo numero di essi reagisce positivamente allo stimolo di contatto. (1) Le indicazioni + T e — T stanno a significare i gradi di temperatura, che pro- vocavano la reazione di tigmotassi positiva o negativa. — 543 — Fisiologia. — Su di alcuni mezzi chimici di difesa contro :l freddo ('). Nota preventiva di A. MontuORI e R. POLLITZER, presentata dal Socio IL. LUCIANI. Il meccanismo con cvi gli animali omotermi riescono a conservare pres- sochè immutata la temperatura del loro corpo in ambienti freddi, già noto nelle sue linee generali. è stato meglio chiarito da una serie di nostre ri- cerche che ci hanno ora condotto ad escogitare dei mezzi farmacologici con cui si può riuscire a rendere più resistenti gli animali nella lotta contro le basse temperature. L'esposizione sommaria dei risultati ottenuti con questi mezzi forma l'oggetto della presente Nota preventiva. Era noto, da parecchio tempo, che, quando gli omotermi si trovano esposti a temperature abbastanza più basse di quella del loro corpo, compensano in parte l'aumentata perdita di calore producendone una maggiore quantità: questa maggiore produzione è dovuta, per la massima parte. alla esagerazione del tono generale dei muscoli determinata da un riflesso termico. Circa dieci anni fa Montuori (*) precisò il meccanismo di questa termo- genesi compensativa, dimostrando che nel sangue di un animale raffreddato artificialmente si trovano sostanze che, iniettate in un altro normale, esagerano in quest'ultimo la produzione di calore. Tali sostanze sì formano nei mu- scoli in contrazione: sicchè l'aumento della termogenesi. determinato dal freddo. dipende non tanto dalle più energiche contrazioni muscolari che questo direttamente provoca, quanto soprattutto da sostanze ipertermizzanti che produce il muscolo contratto e che eccitano la termogenesi in tutto l’orga- nismo. La integrità dei rapporti tra muscoli e sistema nervoso rappresenta una condizione essenziale per Ja produzione di questi corpi ipertermizzanti, poichè gli animali in cui viene distrutto o cocainizzato il midollo spinale, oppure vengono paralizzate col curaro le giunture neuro-muscolari, anche quando vengono raffreddati forniscono un sangue che, iniettato in altri animali, ab- bassa la termogenesi anzichè esageraria. Anche i così detti centri termici, scoperti da Aronshor e Sachs, agiscono con un meccanismo analogo, poichè il sangue di conigli, resì jpertermici con (!) Lavoro eseguito nell’Istituto fisiologico della R. Università di Roma, diretto dal prof. L. Luciani. (3) A. Montuori, Ricerche biotermiche, pag. 30 (1904). — 544 — la puntura del corpo striato, esagera la termogenesi come dimostrò Mon- tuori (') e come confermarono poi le osservazioni di Mansfeld (?). Da queste ricerche potè dunque concludersi che uno dei più potenti mesi di regolazione termica in ambiente /reddo è la formazione di corpi esageranti la produzione di calore e che si formano nei muscoli per l’intermezzo del sistema nervoso. Recentissime ricerche eseguite da noi due, ora in corso di pubblica- zione (*), hanno confermato la esattezza di questo concetto e ci hanno di più rivelata un'azione negativa che il sistema nervoso può alle volte spiegare nelle forme esagerate di raffreddamento. In perfetto accordo colle precedenti vedute, noi constatammo che la iniezione venosa o peritoneale di sangue di cavie, modicamente e lentamente raffreddate, è capace di preservare dalla ipotermia altre cavie tenute egual- mente in un ambiente freddo. Se però le cavie che fornirono il sangue erano sottoposte ad un raffreddamento eccessivo (per es., fino alla scomparsa del riflesso oculo-palpebrale), si aveva un effetto opposto; la iniezione cioè del loro sangue in altre cavie rendeva queste meno resistenti al raffreddamento. Quest'ultimo fatto, debitamente vagliato, è di una importanza considerevole inquantochè ci presenta da un nuovo punto di vista la influenza del sistema nervoso nella lotta degli omotermi contro le basse temperature. Fino a che il raffreddamento non raggiunge il punto di deprimere o sospendere la funzione del sistema nervoso centrale, questo interviene attiva- mente ed eccita i muscoli alla produzione di sostanze ipertermizzanti, man- tenendo alla sua norma il livello termico. Ma quando la sottrazione di calore operata dall'ambiente è tale da rendere insufficiente la iperproduzione, allora il sistema nervoso, primo a risentirsi della ipotermia, più non è capace di intervenire, e l’animale si trova nelle stesse condizioni di quelli che siano privi dei normal: rapporti tra muscoli e sistema nervoso; si formano cioè sostanze che deprimono i processi di termogenesi ed aggravano il raffred- damento. Da quanto si è esposto si deduce adunque che il raffreddamento degli omotermi e la morte per freddo non dipendono solo dalla insufficienza della termogenesi compensativa e dei meccanismi protettori contro la dispersione di calore. Vi è un altro fattore, molto importante, che le citate nostre ricerche hanno messo in evidenza: ed è la insufficienza funzionale del sistema nervoso, per cui si formano nell'organismo sostanze che, invece di esagerare la termo- genesi, la riducono considerevolmente. (*) A. Montuori, /l sistema nervoso e la termogenesi. Gazz. internaz. di medicina (1905). (*) Zentralbl. f. Phys., Bd. XXVII (1913). (*) A. Montuori e R. Pollitzer, Sull'adattamento alle basse temperature e sulla morte per raffreddamento. Archivio di farmacologia e scienze affini, anno XX (1915). — 545 — Data questa nuova condizione del modo con cuì si determina la inca- pacità dell'organismo a lottare contro le basse temperature, ne viene di con- seguenza che, oltre 1 movimenti volontarî che direttamente o indirettamente esagerano la produzione di calore. noi possiamo provvedere ad una difesa immediata dal freddo esagerando con opportuni mezzi farmacologici la fun- zionalità del sistema nervoso, in modo da impedirne l'esaurimento. Potrà essere questo un espediente che, accompagnato ad una dieta opportuna, diventa un mezzo complementare di protezione per l’uomo costretto a vivere nei climi freddi. [ risultati delle nostre ricerche —- che esponiamo qui in modo sommario, rimettendoci, per i dettagli, alla pubblicazione definitiva — ci hanno dimostrato la possibilità di applicare alla pratica i criterî provenienti dalle ricerche teoriche. Scopo principale delle nostre indagini sperimentali è stato quello di trovare delle sostanze atte ad eccitare il sistema nervoso centrale, in modo da esagerare la formazione dei corpi ipertermizzanti ed impedire secondaria- mente la produzione di quelli ipotermizzanti che determinano, come »i è detto, lo squilibrio termico e l'abbassamento della temperatura. Con questo modo di procedere noi non abbiamo indagato (come sì è fatto già da molti) la influenza di determinate sostanze snlla termogenesi normale; ma, in base alle nostre precedenti ricerche, abbiamo cercato di vedere se esistano degli eccitanti del sistema nervoso i quali in dosi mode- rate sieno capaci di esagerarne la funzione termo-regolatrice contro il freddo, e soprattutto di impedirne quella depressione che come, abbiamo esposto, è la più grave causa della ipotermia premortale. Possono infatti trovarsi degli eccitanti che, mentre non sono capaci di elevare la temperatura del corpo in ambienti temperati, riescono invece ad impedire l'ipotermia negli ambienti freddi In modo analogo, benchè diametralmente opposto, gli antipiretici, mentre non sono in grado di agire sulla normale temperatura, esercitano un effetto ipotermizzante quando questa è abnormemente elevata. La semplicissima tecnica veniva indicata dallo scopo stesso delle nostre indagini. Si trattava di collocare in un ambiente freddo (ghiacciaia) alcuni animali, somministrare loro determinate sostanze ed osservare il decorso delle variazioni della loro temperatura in confronto di altri animali testimoni, tenuti nello stesso ambiente, della stessa specie e grandezza ed egualmente alimentati. Come animali di esperimento scegliemmo le cavie ed i cani. Le cavie, perchè, essendo esse, come è noto, provviste di mezzi regolatori contro il freddo alquanto limitati, si prestavano meglio ad esagerare le condizioni sperimentali del raffreddamento; i cani, perchè, regolando essi, all'opposto, abbastanza bene la loro temperatura, potevano dimostrare con maggiore evidenza la eventuale azione protettiva delle sostanze che si sperimentavano. Il numero di tali sostanze sarà certamente esteso da ulteriori ricerche; ci siamo per ora limitati allo studio degli eccitanti generali di uso più — 546 — comune (come l'alcool, il caffè, il the), e ciò principalmente per non uscire dal campo delle possibili applicazioni all'uomo. Tralasciando di riferire sui tentativi diretti a determinare le dosi minime efficaci e quelle massime dannose, nonchè altri dettagli di tecnica, esporremo in modo riassuntivo i più importanti risultati delle nostre osservazioni. Tali osservazioni, per le cavie, furono eseguite mettendole in una ghiacciaia a temperatura oscillante fra 5° e 8°C. Per i cani si ricorse invece alla im- mersione totale in un bagno di acqua corrente a 5°-10° C. 1. Alcool. — Nelle cavie le iniezioni sottocutanee di piccole dosi (1 cc. di alcool anidro per kgr., debitamente diluito) impediscono momentaneamente l'abbassamento della temperatura che si verifica nelle altre testimoni. In secondo tempo però la ipotermia diventa più accentuata in confronto delle cavie normali. Dosi più forti (5-10 ccm. per kgr.) determinano sin dall'inizio una accentuata ipotermia. Nei cani non siamo riusciti a trovare una dose minima che preservi anche temporaneamente dalla ipotermia. 2. Caffeina e caffè. — Nelle cavie e nei cani la iniezione di piccole dosi di caffeina (mmgr. 5 a 10 per kgr.) rende gli animali abbastanza più resistenti al raffreddamento. A differenza dell'alcool, la cui azione transito- riamente favorevole si determina subito dopo l'iniezione, la caffeina comincia ad esplicare gli effetti circa 20 minuti dopo; ma questi sono duraturi e non vengono seguìti da una fase negativa. L'azione del catfè, dato per bocca o ipodermicamente, è risultata sostan- zialmente identica. Non è stato possibile di precisarne la posologia; solo diremo che abbiamo adoperato degli infusi a caldo di buon caffè torrefatto, e ne abbiamo somministrato tanto quanto approssimativamente poteva corrispon- dere alla quantità di caffeina verificata attiva. Una osservazione interessan- tissima per la pratica è stata quella che nei casi in cui, invece dell'in- fuso a caldo, abbiamo adoperato una decozione di caffè, facendola bollire per un certo tempo, e specialmente quando aggiungevamo per una seconda deco- zione nuovo caffè a quello già bollito, abbiamo avuto sempre effetti del tutto opposti: gli animali si raftreddavano più intensamente di quelli testimoni. Questa osservazione può spiegarsi con la ipotesi che molti corpi ad azione ipotermizzante (piridina, idrochinone etc.) che si producono nella torrefazione, passino a preferenza nel decotto, anzi che nella infusa di caffè. 3. Caffeina (0 caffè) ed alcool. — L'idea di somministrare simultanea- mente queste due sostanze, per studiarne l’azione sui poteri termo-regolatori, ci venne suggerita da alcune antiche ricerche di Lewis (*) il quale notò che, mentre la caffeina o l'alcool separatamente non producono notevole esagera- (') Lewis. Caffeine in its relashionship to animal heat and as contrasted with alcohol. Journ. of mental science, 1882, pag. 167. — 547 — zione della termogenesi, prese insieme nelle stesse dosi provocano un aumento della produzione di calore. Noi pensammo che se questo miscuglio era capace di agire sulla termogenesi normale, durante cioè la fase di perfetto equilibrio con l’ambiente, avrebbe potuto con maggiore efficacia, somministrata in dosi anche minori, sostenere le funzioni del sistema nervoso durante il raffred- damento e mantenerne il potere termoregolatore. I risultati furono dei più incoraggianti, sia con l'alcool e caffeina, sia” con l'alcool e caffè, ed egualmente spiccati nelle cavie e nei cani. Tra le constatazioni fatte in proposito, crediamo più importante di riferire che: a) L’alcool a piccole dosi, addizionato a caffè o a corrispondente quantità di caffeina, lungi dall'esercitare un’azione deprimente sulla tempe- ratura degli animali in ambiente freddo, la esalta sempre: e non solo imme- diatamente dopo la somministrazione, per poi abbassarla, come avviene quando lo si propina da solo. 6) A preservare dal raffreddamento si richiedono dosi di caffè e di caffeina molto minori, quando sono associate a piccole dosi di alcool, rispetto a quelle che avrebbero un'azione molto debole quando fossero date senza aggiunta di alcool. Nelle cavie, per es., con una dose di mmgr. 4 di caffeina +/» cc. di alcool per kgr., si ottengono effetti molto più notevoli che non con 15 mmgr. di sola caffeina. Nei cani producono gli stessi effetti dosi eguali di caffeina associate appena ad un quarto della quantità di alcool richiesta per le cavie. c) L'azione protettiva del miscuglio alcool-caffeina perdura per pa- recchie ore; molto più efficace e duratura diventa quando il miscuglio si propina lentamente, o per iniezioni ipodermiche ripetute, o per ingestione orale, in modo che l’assorbimento diventi lento e continuo. d) La quantità dell'alcool da associarsi alla caffeina deve essere molto limitata, e, in ogni modo, non deve sorpassare quella che da sola sarebbe capace di preservare l’animale, benchè temporaneamente, dall'ipotermia. e) Nei limiti ristretti dei nostri esperimenti non abbiamo riscontrato assuefazione a questo trattamento misto di alcool-caffeina. Le cavie ed i cani cui abbiamo somministrato per parecchî giorni di seguito questo miscuglio, raffreddati sistematicamente, hanno sempre dimostrato una molto più ener- gica resistenza al freddo rispetto agli animali testimonî. f) La resistenza al freddo degli animali trattati con alcool e caffeina può essere misurata dal fatto che essi presentano una temperatura che può superare di circa 7° quella degli animali testimonî tenuti nello stesso am- biente freddo. Alle volte il raffreddamento uccide i testimoni, mentre quelli trattati con caffeina e alcool sopravvivono. 4. The. — Il grande uso di the tra gli abitanti dei climi freddi, ed il contenuto in caffeina di questa droga, avrebbero potuto far credere a priori ad una azione del the analoga a quella del caffè e della caffeina. I risultati — 548 — però dei nostri moltissimi esperimenti furono sempre opposti; la somministra- zione di the abbassa la resistenza al raffreddamento anche quando al the sì unisca l'alcool. Alle volte gli animali morivano per raffreddamento, mentre i testimonî restavano in vita. È difficile dare per ora una spiegazione di questo fatto che forse dipenderà dalla qualità e dal modo di preparazione delle foglie da noi adoperate. Esperimenti analoghi sono in corso circa l'influenza di altre sostanze sulla regolazione contro il freddo e circa il loro meccanismo di azione. Nella speranza di poter presto procedere ad applicazioni dirette sull'uomo, abbiamo creduto opportuno, per ora, di render noti questi primi risultati, che I) ci additano nel caffè (preparato per infuso a caldo, e non per de- cotto), addizionato a piccole dosi di alcool, un mezzo comodo e piacevole, capace di combattere con efficacia gli effetti perniciosi delle basse tempe- rature ; II) dimostrano inutile, se non dannoso, l’uso del the; III) confermano ancora una volta l'azione deleteria del solo alcool sui poteri regolatori della temperatura del corpo in ambienti freddi. Chimica fisiologica. — cercle sull’Arginasi. IV. Sulla presenza dell’ Arginasi nel fegato dell’embrione umano. Nota del dott. ANTONINO CLEMENTI, presentata dal Socio 1. LUCIANI. Chimica fisiologica. — Azcerche sulla scissione enzimatica dei Polipeptidi per azione di estratti di tessuti e di organi animali. I. Azione del fegato di uccelli, di anfibi, di rettili, di pesci e di invertebrati sulla d-l-leucilglicina. Nota del dott. AN- TONINO CLEMENTI, presentata dal Socio L. LUCIANI. Queste Note saranno pubblicate in uno dei prossimi fascicoli. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci stranieri DARBOUx, GREENHILL e PICKE- rING. Fa inoltre particolare menzione del vol. XII, ser. 2%, degli Azzi dell’ Istituto Botanico dell’ Università di Pavia, offerto in dono dal Socio Briost; di una Commemorazione del Socio LorENZONI, detta dal profes- — 549 — sore AnTONIAZZI a Padova; nonchè del volume pubblicato in occasione del compiutosi Centenario della Società Elvetica delle scienze naturali, e di alcune Note a stampa dell’astronomo SEE. Il Presidente BLAsERNA offre, a nome del Socio CeLoRIA. la pubbli- cazione intitolata: Arzo bisestile 1916 — Articoli generali del calendario ed effemeridi del sole e della luna per l'orizzonte di Milano; e poi, a nome dell’Università di San Domingo, il: Cod:go organico y reglamentario de Educacion comun. CONCORSI A PREMI Lo stesso PRESIDENTE ricorda che col 31 dicembre dell’anno che sta per terminare, scadono i concorsi: ai consueti due premî Reali, di cui uno riguarda le Scienze biologiche e l'altro lArcheologia; ai premî del Ministero della Pubblica Istruzione per la Matematica, per la Storia civile e disci- pline ausiliarie, e per la Pedagogia; al premio di Fondazione Santoro e al premio Sella. Bi. Mi Renpiconti. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 72 — 550 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALIL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 dicembre 1915. ANTONIAZZI A. M. -- Commemorazione di Gius. Lorenzoni. Padova, 1915. 8°. Articoli generali del calendario ed effe- meridi del sole e della luna per l’oriz- zonte di Milano (con appendice). Mi- lano, 1915. 8°. BrIosi G. — Atti dell'Istituto botanico del- l' Università di Pavia. Ser. 22, vol. 129. Milano, 1915. 8°. Centenaire de la Société helvétique des sciences naturelles, 1815-1915. Ge- nève, 1915. 8°, CoLomsa L. — Ricerche sui giacimenti di Brosso e di ‘l'raversella. Parte 22. I fenomeni di metamorfismo e di depo- sito nei giacimenti inferiori di Tra. versella (Estr. dalle « Memorie della R. Accad. delle scienze di Torino », ser. II, vol. LXVI). Torino, 1915. 8°. CoLompa L. — Sopra alcune relazioni esi- stenti fra i caratteri strutturali della leucite e le sue giacitare (Estr. dal « Boll. della Soc. geol. ital. », vol. 34°). Roma, 1915. 8°. DarBoux G. — Legons sur la théorie gé- nérale des surfaces et les applications géometriques du calcul infinitesimal. 20 partie. Paris, 1915. 8°. DeLerosso M. — Note mineralogiche sulla "valle di Cogne. (Estr. dal « Boll. della Soc. geol. ital. », vol. XXXIV). Roma, TOT 88 D'Erasmo G. — La fauna e l’età dei cal- cari e attioliti di Pietraroja (prov. di Benevento). (Estr. dalla « Palaeonto- graphia italica », vol. XXI). Pisa, 1915. 8°. Piazzo Carnar A. — “ocigo organico y reglamentario de edu'‘acion comun- Edicion oficial, Santo Domingo, 1915. DO FiaLLo CaBRAL A. — Cuadro sinoptico de la doctrina biocosmica de la gravi- tacion universal y de la jeneracion de los mundos. Santo Domingo, 1915. 8°. GREENHILL G. — Note on dr Searle’s experiment on the harmonic motion of a rigid body. (Extr. from the « Pro- ceedings of the Cambridge philoso- phical Society », vol. XVIII, Part. III). Cambridge, 1913. fol. Longo B. — Delectus sporarum-seminum- fructuum, anno McMxv collectorum, quae hortus botanicus Senensis pro mu- tua commutatione offert. Senis, 1915. 89, Meli R. — Escursioni tecnico-geologiche eseguite con gli allievi ingegneri della R. Scuola di applicazioue di Roma, 1912-13. Roma, 1913. 8°. MeLI R. — Sopra un lembo di argille plioceniche affioranti presso la salina di Corneto-Tarquinia in provincia di Roma. (Estr. dal « Boll. della Società geol. ital. », vol. 34°). Roma, 1915. 8°. Musgens L. J.J. — Anatomical research about cerebellar connections. (Repr. from « Proceedings of the Meeting of Friday », 1907). s. 1. 1907. fol. Muskens L. J. J. — Die Projektion der radialen und ulnaren Gefùh]lsfelder auf die postzentralen und parietalen Gross- hirnwindungen. (Separat-Abdruck aus « Neurologisches Centralblatt », 1912). Leipzig, 1912. 8°. Muskens L. J. J. — An anatomico-phy- siological study of the posterior lon- gitudinal bundle in its relation to for- ced movements. (Repr. from «Brain», vol. XXXVI). London, 1914. 8°. Muskens L. J. J. — Genesis of the alter- nating pulse. (Repr. from the « Jour- — 551 — nal of physiology », vol XXXVI). s. 1. nec d. 8°. Musxens L. J. J. — Rolling movements and the ascending vestibulary connec- tions. (Fasciculus Deiters ascendens). (Repr. from. « Proceedings of the Mee- ting of saturday », vol XVI). s. l. nec d. 8°, Muskens L. J.J. — Studies on the main- tenance of the equilibrium of motion and ist disturbances, so-called « for- ‘ced movements », (Repr. from the « Journal of physiology », vol. XXXI). s. 1. nec d. 8°. PasseRINI N. — I semi di frumento ger- mogliati a raccolta, e loro influenza sulla futura campagna granicola. (Estr. dalla « Agricoltura toscana », an, VI). Firenze, 1915. fogl. PauLov A. — Fisiko matematiceskie edikt. Tiflis, 1915. 8°. PicxEeRING E. C. — The study of the stars. (Repr. from « Science », vol. XXXIX). s. 1. nec .d. 8°. Sez T. J. J. — The Euler-Laplace theo- rem on the decrease of the eccentri- city of the orbits of the heavenly bo- dies under the secnlar action of a re- sisting medium. Mare Island, Cali- fornia, 1915. 8°. See T. J.J. — The faint equatorial belts on the planet Neptune. (Abdr. aus den « Astr. Nachr. », Bd. 194). Kiel, 1913. 89° See T. J. J. — Some remarkable views ‘of Plato and Newton on the origin of the planets. (Abdr. aus den « Astr. Nachr. », Bd. 201). Kiel, 1915. 8°. SrenHousE R. W. — Bovine tubercolosis in man. (Repr. From. « Reading Uni- versity College Review », vol. V). Cambridge, 1915. 8°. Troporo G. — Osservazioni sulla ecologia delle cocciniglie, con speciale riguardo alla mor‘ologia e alla fisiologia di questi insetti. (Estr. dal « Redia », vol. XI). Firenze, 1915. 8°. RIMINI 11 x n 6 Sura boo par t n i $ Ii, Hi rta) ITA UGO SF ICINTENO Gli) SIN] rai ile e - , 7 co x È t 4: VE 3 e da ness (TIRA, ' VRLA Med) a cata e vi dt i. i x pe i " o TON E , x PURE: ‘ PUPO. n, FE rn A POETI PIRATI, 4 » S (°° PI . L tai p» L'A 3 » «pi ; Ù i «E È e 225 ” 6 i Mi 6 x i; 5 SII % te Hi LA | i . : fi , 9 4 Li 4 LI i i; 5 Ca - È n n 4 se CI 5 5, O è î le 3, ; î ì w Lr : [ Ù Loop n 7 ù Ù Poeti or a (k è ; n pi .; - DI 4 ta sa } È r, "O A - n “i È È IN n Ì i " x . dla = . N \ ì A ») WA Fi. o, DI Sal. L29 È sali . i +, es Cienpate 0) . 1 pi gh (ALATI È » E ‘concoRS ti PREMI | col 81 dicembre 1915. ORIO, eni. ERO ORO ERP i AO A SE 4 DR E ER ©‘. HRRATA-CORRIGE- RENDICONTI — Dicembre 1915. INDICE Ulasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 dicembre 1915. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI +Levi-Cwita. Sul problema piano dei tre corpi. Forme esplicite (mista e canoniche) delle equazioni regolarizzate. . . . STI ORO SORIA Tedone. Campi elettromagnetici o di i una o TE (lesa e it Maillosevich F.. Alotrichite di Rio (isola d'Elba)... . . ASSTRE ” Cisotti. Profili di pelo libero in canali di profondità finita (Cic dal Bacio Leda » Vacca. Sulle scoperte di Pietro Mengoli (pres. dal Socio Volterra) . . . /.0/<.0. + n Vergerio. Sulla condizione Picard-Lauricella per l’esistenza di soluzioni nell'equazione integrale di 1° specie (pres. dal Socio Levi-Civita) i 1... 3 » Andreoli. Sul concetto di gruppo di monodromia per una e ha infiniti vata du daliSocioVolterzo N one ; Sor Sato) Scorza. Sulle varietà algebriche con infiniti ioni iepoliri di ni riducibili (5 dal Comisp. i Cisti ee i ARE Sonaglia. Sulla legge di Lo Surdo (pres. dal Cotti ul È ea » Cusmano. Processi di riduzione e ossidazione nel gruppo dei terpeni (pres. dal SoGio si O, Vansetti e Gazzabin. Sul calore di formazione di composti organici di addizione. IV. Picrati (pres. dal Socio Ciamician). .. . . SLAVE Ego Vanzetti. Elettrolisi di acidi organici: ica feat pratico ra on Mei A00n Petri. Un'esperienza sull’azione reciproca fra radici micotrofiche di piante diverse fa dal SOCLONGUDONO E SR. : Rae o, Elrington. Osservazioni sulla Md nei Pirgniar mu i Si) Lasi RA) Montuori e Pollitzer. Su «di alcuni mezzi chimici di difesa contro il freddo (pres. /d.) . » Clementi. Ricerche sull’Arginasi. IV. Sulla presenza dell’Arginasi nel fegato dell'embrione | umano (pres. /d.) (*) 0... ; È ; DESTINI GRA Id. Ricerche sulla scissione RI dei Polipeptidi per azione di cotta di uf e di organi animali. I. Azione del fegato di uccelli, di anfibi, di rettili, di pesci e di inver- tebrati sulla‘d-I-leucilelicina (pres 2/0 OOO eee I A a PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle inviate dai Soci Darboux. Greenhill, Pickering e Briosi, dal prof. Antoniazzi ecc. . . . » Segue in terza pagina. . (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 548 K. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. Abbonamento postal ©. DELLA CCADEMIA DEI LIN 1915 UN si ii OR ia pi di scien ze fisiche, matematiche e naturali. w Ri Nar. DE ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta perciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon= denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus= sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade= mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 4) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro: posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 | dello Statuto. di 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 5056 estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 dicembre 1915. F. p'Ovipro Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Meccanica celeste. — Su! problema piano dei tre corpi. Caso limite in cui una delle masse è infinitesima. Nota III (') del Socio T. Levi-CiviTA (?). 16. — RICHIAMI CONCERNENTI IL PROBLEMA RISTRETTO E LE SUE TRASFORMAZIONI IN COORDINATE ISOTERME. Facciamo una breve digressione sul problema ristretto nella sua impo- stazione abituale, al fine di agevolare il confronto colle formule, che dedur- remo poi per il problema regolarizzato, nel caso limite di 7, infinitesimo. Rammentiamo in conformità che, quando la massa di P, è trascurabile, P, e P: possono ruotare uniformemente attorno al loro comune centro di gravità O con velocità angolare n, legata alle masse e alla distanza P,P.=p° dalla nota relazione n° = i (f costante d'attrazione). In questa ipotesi, si tratta di determinare il moto della massa infini- tesima P., attratta dai due centri mobili P,,Ps secondo la legge di Newton. La corrispondente funzione delle forze U©, riferita all'unità di massa (essendo, colle nostre notazioni, PoP,=gî, PeP:= gi), vale (58) DO=/(G+ me). pe PI (1) Cfr. Nota I, pp. 421-483; Nota II, pp. 485-501. (*) Pervenuta all'Accademia il 80 settembre 1915. ReNDICONTI. 1415, Vol. XXIV, 2° Sem. uo, — 554 — Detta a l'accelerazione assoluta di P,, si ha, dalla legge fondamentale della meccanica, a= grad U. Riferiamo il moto ad un sistema di assi 07y uniformemente ruotanti. assieme coi corpi P,,P», coll’origine nel baricentro O (punto fisso), e orien- tati in guisa che il verso di rotazione x > y coincida con quello dei due corpi. Per il teorema di Coriolis, le componenti dell’accelerazione a rispetto a questi assi hanno le espressioni ag =% — ny — na, ay=lj + 2na — n°Y , designando evidentemente x,y le coordinate del corpo Py, e il punto so- vrapposto derivazione rispetto al tempo £. Le equazioni cartesiane del moto di P, sono pertanto se ; DIS X% D È rie no \ rano 7 : DU + Qua — n°y = 3 | 4 ì : dY cui si attribuisce notoriamente forma canonica, introducendo le ausiliarie (componenti della velocità assoluta di Po) Pa=® — ny , Ppy=ytna. Si ha infatti, da queste stesse posizioni, ad=potny , y=P_na, mentre, col tenerne conto, le precedenti equazioni del moto si possono scrivere dpy _ IU! Apa QUI = dMpy E % di da NPx è I secondi membri sono ordinatamente le derivate rapporto a pa, py, e le derivate rapporto ad 4,y cambiate di segno della funzione F=3(P2 +25) — (epy — yPa) —_ U. Perciò le quattro equazioni costituiscono complessivamente un sistema cano- nico di funzione caratteristica F, essendo coniugate , pe : Y, Py- Supposto, per fissar le idee, che l’asse Ox sia diretto verso P,, le ascisse di P,,P, sono rispettivamente Mo 3 mi+ ms i — mitbms — 555 — l’ascissa del loro punto medio M è quindi espressa da atea ° Mi + Ma st Trasportando l'origine da O in M (sempre coll’asse delle x diretto verso P.), l'ordinata y e le componenti px ,p, della velocità assoluta rimangono inal- terate, mentre l'ascissa x va posta eguale a < +/. Con questa sostituzione, la precedente espressione di F diviene (60) F=1(02 +08) — a(opy— ypa) — nlpy— DO. (39) = Ecco la funzione caratteristica del problema ristretto, riferito ad assi mobili coll’origine nel punto medio delle masse finite. Si può assegnare in modo semplice uma trasformazione canonica, me- diante cui si sostituiscono alle coordinate cartesiane x,y (e loro coniugate Pa » Py) coordinate isoterme qualisivogliano #.v (con convenienti p,, p»). Sia infatti (61) e+iy=f(u+iv), con f funzione regolare arbitraria dell'argomento u+ 7v, il legame com- plesso che compendia le formule di trasformazione fra le coordinate carte- siane x,y e le coordinate curvilinee x, v: si intende che, per la biunivocità della trasformazione, va ritenuta diversa da zero (nel campo di valori che si considerano) la derivata /(u+ v), con che si può invertire la (61), ricavandone v-+ 7v quale funzione di x + y. Fra i differenziali delle due coppie di variabili sussiste la relazione (62) da +-idy=f'(v+ iv) (du+ idv), e quindi anche, cambiando : in — 2, (62’) da — idy= f'(u— iv) (du— idv). Se ora si pone Nani 1 . (63) ione (Pu tipo), con che rimangono manifestamente definite le due quantità reali p,,p, in funzione lineare di px ,py, si ha complessivamente nelle (61) e (63) una trasformazione fra le due quaderne (4 ,%,Px Py) (Vv, PurPv), la quale risulta canonica perchè dà luogo all’ identità Padx + pydy == pidut pydv . La verificazione è immediata, bastando moltiplicare membro a membro la (63) e la (62°), il che dà (Pa + ipy) (de — idy) = (pu+ ipo) (du— idv). — 556 — L'equaglianza delle parti reali si traduce appunto nella relazione caratte- ristica della canonicità. Rileviamo ancora una conseguenza delle (61), (63), che si ottiene mol- tiplicandole membro a membro, ed è (60 (po + ipy) (e — i) = BEZIZ pt ip) — ma fr pon, RESI, 7. — APPLICAZIONE ALLE COORDINATE ELLITTICHE. Assumiamo in particolare (65) xbiy=4+0*cosh(u+ 0), le .+,y essendo le coordinate cartesiane coll'origine in M, di cui al $ pre- cedente. Con ciò le u,v rappresentano notoriamente coordinate ellittiche, le linee u= cost essendo ellissi e le v = cost iperboli omofocali: i fuochi comuni cadono nei due punti = 4 g* dell'asse delle ascisse, cioè, nel caso nostro, in P,, Pa. Le espressioni delle distanze focali P.P., P.P,, che, secondo le nota- zioni dei S$ precedenti, vanno ordinatamente designate con gî,3, si otten- gono tosto dalla (65), aggiungendo ad entrambi i membri = #4 g*, e pren- dendo i moduli. Si trova così (66) pi = [cosh 3 (ut io) ., pi=0? (sinh 3 (u+ ?0)|?. Si ha poi, considerando la (65), e scrivendo brevemente /,/' per f(u+i0), fut): fi= È a °° cosh(u+ iv), p° sinh(u +4 20) Je f= Dal sn |sinb(x +70] =p'|sinh 3(u + <0)|?|cosh +(u+ 20)|? e quindi, badando alle (66), (67) |fP=poîe. Con questa determinazione di |/"|, la (63), eguagliando il quadrato dei moduli dei due membri, porge (03) Da + pi = Il pig (Pu + Po). — 507 — Ove si noti che, per /=4+° cosh(u+- 10), si ha ulteriormente ‘(sinh 2u+? sin 20), :4®) f(u—i0v)f(utiv)= i pi cosh (x — 20) sinh(v + 0) L 8 dalla (64), eguagliando i coefficienti di 7, ricaviamo RE . Py — YPa=3 -—— (sin 20.p, + sinh 2u. pr). 8 pipa Infine dalla (63), scritta u + 2v ; seri LA tin), segue 2 py= vr (cosh « sin v. Pu + sinh « cos v. Po) . Ne deduciamo, badando alla (59), n(cpy — YPa) + lp, = mme I ) = et Le = "(ta (epy — 922) +( 1 oen,i— md me Mi Ma 1 aria n De: o aa mi Ma (dh imma coi pi ] + sinh u) o u + cos v) + vr (cosh u — cos v) pe ] i 2 Quest'ultima relazione, ove si noti che, per le (66). è cosh È co 2 sinl HE sh— cos-— 7 13 sinz; 2 DI D, I Pi V o? (cost 5 = 100SE= 3 + sini 5 no = “ v 1 2 sh2 — mei — n2( q p (così o 7 Sin 2) mil; (cosh u + cos v), (66°) suv v Uu . Vv 20INC : sa . sinh = cos- + ?# cosh 3 sin 3 2 i; 2 ; 2 2 = p . “ v Wi 3 ù 2: 12 2 < 2 fee sinh® — cos? — + cosh? — sin )= È ( 2 2 2 2 0° (così 3 — cos? D\=3 =_°(coshu— cos v), — 558 — sì scrive più semplicemente (69) (xp, — ypa) + #lpy = i A )sino(A_@) +sinmu(É 48) _ 2 mb ms pipi mi ma)?" mi ma) Pf" Le formole (68) e (69) conducono immediatamente all’espressione tras- formata della funziore caratteristica : (70) F= i a LPB\,} +sinbu(1 + )p.j 0°, in cui U è sempre definita dalla (58), coll’intesa evidente che pî,pî si devono risguardare ovunque sostituiti coi loro valori (66) in funzione di w,v. Il sistema canonico corrispondente. | duo re oe eni di © Spy © dis paa (71) P Po UPu ___ dF dp, _ 2dF di ia page ammette l'integrale (72) F=C, C essendo la così detta costante di Jacobi. 18. — LA REGOLARIZZAZIONE DI N. THIELE. Immaginiamo attribuito a C un valore ben determinato, e poniamo (73) F#= pips(® 0) Si ha identicamente DO DI PICO) ci Sa d) dual: In quanto si tratti di soluzioni del sistema (71), che si riferiscono all’as- sunto valore di C, il secondo termine del secondo membro si annulla, e rimane QRS 0 atene dora dita gli analogamente per le altre derivate parziali rapporto a v,pu,Ps- — 559 — Da questo risulta subito che, ove nelle (71) si sostituisca al tempo # una variabile indipendente ausiliaria /*, definita mediante la posizione (74) di = pipa dt*, sì è condotti ad un nuovo sistema canonico di funzione caratteristica F*: \ du DIE dv dr* | de ope de a (71 ) X Nk di PO i dv equivalente a (71), nell’àmbito delle n soluzioni che corrispondono ad uno stesso valore: C di F. e sero di F*. Quest'ultimo sistema presenta sul primo il vantaggio di essere completamente regolarissato. Infatti, attesa l’espressione (70) di F, e l’espressione (58) di U©®, nella nuova fun- zione caratteristica F*, viene a scomparire il denominatore pî gi, talchè la F* stessa sì presenta come polinomio di secondo grado in py,?x, ì cui coeffi- cienti, esplicitati a norma delle (66'), sono tutti trascendenti intere in wu, v. La regolarizzazione del problema ristretto, così conseguita, non differisce sostanzialmente da quella, già effettuata da N. Thiele (*), delle equazioni di secondo ordine in u,v. Si ritrovano infatti immediatamente le equazioni del Thiele, eliminando p,,p» dalle (71’): d'altra parte era pur stato notato che le equazioni regolarizzate di Thiele sono suscettibili di forma canonica, coll'introduzione di opportune ausiliarie p,, 2» (?). Nulla dunque di nuovo in questi nostri sviluppi concernenti il problema ristretto: essi hanno sol- tanto lo scopo di facilitare il confronto con le formule che ora ci accingiamo a dedurre come caso limite della nostra trattazione generale concernente il problema piano. 19. — RITORNO AL PRUBLEMA REGOLARIZZATO PER ?#Mo INFINITESIMA — ORDINE DI GRANDEZZA DI VARII ELEMENTI — APPROSSIMAZIONE DEI PRIMI DUE ORDINI. Supponiamo ms trascurabile di fronte ad m,,7s, tutto rimanendo del resto finito: intendiamo con ciò che, assieme con #};,7:, anche le coordi- nate del sistema regolarizzato e loro derivate vanno trattate come quantità finite. () Recherches numériques concernant des solutions périodiques d'un cas special du problème des trois corps (troisième Mémoire), Astronomische Nachricb., B. CXXXVIII, 1895, pp. 1-10. (3) Cfr. la prefazione della bella Memoria del sig. Birkhoff, The restricted problem of the three bodies, testè apparsa nei Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, tomo XXXIX, pp. 265-334. In questa Memoria è anche assegnata ($ 5) una nuova tras- formazione regolarizzante, puramente algebrica. — 560 — In tale ipotesi, ove si riprenda per un momento l'espressione (2) di 7, e si noti che, in base alla (4), mf ,mg contengono m a fattore, appare ovviamente, dalle (18), che lo stesso accade per le componenti dei due vet- tori E, H secondo gli assi Ox, , Oxs . Ne viene, badando alle (23), (29), che, dei vettori @ e X, sono invece le componenti ,, Xo affette dal fattore 70. Ciò posto, si noti che dalla definizione (5) di U, scrivendo, come a S 15 (e seguenti), o per go, e ponendo per brevità (75) U0 — i i sì ha U=U9+mU®, coll'espressione di U®’, già introdotta a $ 16, (58) O na Pi Ne viene, a meno di termini di secondo ordine in 729, a 1 1 TUO (76) T=T0(01-®ja) Esaminiamo ora l'ordine di grandezza dei varî termini costituenti ©, raggruppandoli nel modo seguente : > 1 2 (2) (77) sugo (Q+ Xi) = MA, (78) LIRA RIA o 0 AE O SUpi la, pote ; meg vo) (si intende che scriviamo dappertutto p al posto di go). A suo tempo terremo conto che (79) ©=mA+B; occupiamoci intanto separatamente di A e di B. Dacchè Q, e X, sono, come s'è detto, di prim'ordine in #,, lo è del pari CI (Q6 + X3). ed è quindi giustificato di assumerlo sotto la 2 1 8Umo pî forma mo A. A meno di termini di secondo ordine in 7, si può natural- mente, nel denominatore dello stesso m,A, sostituire U” ad U. Riferiamoci ormai a coordinate asteroidiche, badando alle prime delle (56), (57): bo =vuZ; , O, = Po . x — 501 — Si metta in evidenza il fattore m,. ponendo (80) Zo = Mo Zi . Po = Mo P3 . Si ha (de) (CE #- = (g* 28% + D. Ponendo ancora OP= toe0soyo + Lsineny , OP —=—(p00892+ > sinep;), X0®= g sinspo — = cosppy , XN= d cos PPE (81) i ; QP= — G singpo + È cosppy, 2N= psingZî — = cos ppi È) | XO= g cosppo+-°sinopy ; X9= = £ sin9pg j3 si compendiano i varî termini delle rimanenti (56), (57), secondochè con- tengono o no 72, a fattore, sotto la forma ) Q= 20 + mm, , X=X+mXl, Q 1 QO,=920+m 20, X,=X0+mX0. Ove si introducano, per brevità di scrittura, le ulteriori combinazioni 1 E 7(1 (A= QPOP XX, * |A = QPOAPLXO XD, e si abbia riguardo alle (81), risulta subito, a meno di termini di secondo ordine in Mo, 2 > | 1 OF + Xf= (GL oos' 94 g*sin'9) (+7 2j) +2, Qi + Xi = (Sì sin° 9 + 9° cos? 9) (e; 26 cri) +2mo hs. Mediante le (55) i due binomii & cos? 9 + g° sin*@,, Ci sin* 9 + 9° cos* gp divengono + g°Yî, + %°x3, ì quali, in virtù delle (48) e (48), si identificano colle due distanze 03, pî. Possiamo quindi scrivere semplicemente . MR, . \ A+ X=#(#+ 721) Limo ds (83) i e l | op+xina(g+ pi) + 200. È facile adesso far apparire anche in B i termini affetti dal fattore ms. RenpICcONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 74 — 562 — Basta combinare la definizione (78) di B colle (76) e (83), e porre 1 l 1 1 I (0) SED ausli È ade | (ONE 8U‘®p? (Fi Se i (ri mE g* n) ’ \ 1 da À @N Eu A + 400 o? (i pì + moi ) , (84) per desumerne UO (78') B= 00 + me(00 — A) MO go - La (79) porge in conformità TO (79) REATI (00 __ 90 e) e la funzione caratteristica H del problema regolarizzato E H=@©®—_- U diviene (85) HH Ly, H9 con E l l IRA I E (86) H® Si Q0 DIRTSA UT n 8U© o? la + si (DE t+ 1) Sd U® , K TO (87) HO —00_(602) To. 20. — CONSEGUENTE RIDUZIONE DEL SISTEMA CANONICO CHE DEFINISCE IL MOVIMENTO. La (86), tenuta presente la (74), mostra che H° ron dipende da alcuno dei quattro argomenti Co o) P 9 Li , Da (e nemmeno da d). Ciò premesso, si formi il sistema canonico di funzione caratteristica H = H + m, H© nelle due quaderne coniugate cl Co , e‘) ’ Pe». PY IZ, =mLi . Pg = Me Pg + p_. In primo luogo, a meno di termini affètti dal fattore m,, si ha do 359 dé _— 3H© \ dit. app Ia On (88) | dpe 32M dpy — IH® — doit: det i cari PONI — 563 — le quali valgono da sole ad individuare le prime quattro incognite o, VERE? I, si intende, a meno di termini che si annullano con m,. In questo stesso ordine di approssimazione va ritenuto ($S 1) H©®= 1, per tutte le soluzioni del sistema (88) che convengono al problema dei tre corpi, nel caso limite, di cui ora si tratta. Le rimanenti equazioni, relative alla quaderna - So , ’ Zo = Mo LE ’ Pe = Mo Pg ’ per l'indipendenza di H°‘ da questi argomenti, si riducono a / de È 2H : dp n° ne 2H | di o de ° 3(mop$)” Î DR dZi _ Di QH® MA dpi la 2H \ 0 di SR È I A ° ” ossia, più semplicemente, a | di, 2H do 2H0 delia de ape (89) i Po dZ# da SH Pi ea SH di tai DE i dT "i d i costituendo evidentemente un secondo sistema canonico nelle due coppie di coniugate Co ’ Po, Zi , P$- Le variabili della prima quaderna p, d, pp, py, che (ad eccezione di %) ancora figurano in H©’, vanno ormai risguardate come funzioni di t, cor- rispondenti ad una ben determinata soluzione del sistema (88): questa può essere, a priori, qualunque, coll’unica restrizione che i valori iniziali ren- dano >=, Concludendo, in questo caso limite, il sistema differenziale, da cui di- pende la determinazione delle otto incognite, si scinde in due sistemi distinti. È chiaro senz'altro (in quanto si pensi all'originario problema dei tre corpi, per mn trascurabile di fronte alle altre due masse) she, dei due sistemi (88), (89), il primo deve corrispondere al problema dei due corpi, indivi- — 564 — duando per mezzo di g e di (lunghezza e orientazione del segmento P,P,) il moto delle due masse finite 7, , 7; mentre il secondo definisce succes- sivamente il moto della massa infinitesima nel piano e sotto l'attrazione delle altre due. Aggiungeremo qui appresso qualche sviluppo di controllo; in particolare ritroveremo le formole del $ 17, nell'ipotesi caratteristica del problema ristretto che il moto di 7,,wms si riduca ad una rotazione uniforme [cioè che si tratti di una soluzione del sistema (88) nella quale p si mantiene costante |. 21. — VERIFICAZIONI E RAFFRONTI. a) Masse finite. — Constatiamo materialmente che il moto non perturbato dei due corpi P,,P di masse finite (m,,wm:) dà luogo alle equazioni (88). Immaginiamo assunte come coordinate lagrangiane del sistema costi- tuito dai due corpi la loro distanza £? e l'inclinazione del vettore P, — P+ sopra una retta fissa (del piano del moto): sappiamo ($ 11) che tale ano- malia non è altro che 2. Dacchè le distanze di P,,P, dal loro bari- centro O valgono rispetfivamente Ma 2 Mi mim © mb 2 possiamo risguardare Ma ER AI) DI mi + Ma Peio come coordinate polari di P,, e SARE ENI, Tusa 20 +7 come coordinate polari di P,. La loro forza viva complessiva è data, in conformità, da T=:# Ton | (4p* 0° + dpi? + SÌ i mb \° 4020? 4040? TA Mi Ma (0? 2 Pie) Atina eten), il punto sovrapposto designando derivazione rispetto a ‘. La funzione delle forze Mi My p° sì identifica manifestamente coll’ U del $ 19. / — 565 — Ove si fissi il valore dell’energia totale E, e si sostituisca al tempo & una variabile ausiliaria © definita dalla relazione differenziale d=U® dt, il problema in questione equivale (trasformazione di Darboux) (*) ad altro problema dinamico, avente per forza viva ci ch AUS na p*(p" + p°4"9) TACCO Der, pl __1 DEE (6 ide O ge UO] per funzione delle forze, E. IOACZ ’ e per costante delle forze vive l'unità. Introducendo le coniugate sai ELLA Poe dp’ ’ PAT Sg ed esprimendo 7° a loro mezzo, si ha 1 1 1 2 sha 1) 80? a 2 (»° sr o Py} che coincide con ©°® per la prima delle (84). La funzione caratteristica del sistema eanonico (in p, e loro coniu- gate), corrispondente al problema regolarizzato dei due corpi, è così E 1 1 Il F EE E O On. Gi » n (i La sr) io ossia proprio la H° del sistema (88), G.0d. a, Una soluzione particolare del sistema (88) si ha ovviamente, suppo- nendo p costante (scelta ad arbitrio), p» = 0. In tal caso, il valore, pure costante, di py, dovrà ritenersi legato a p dalla condizione che risulti H=1. Indipendentemente da questa sua determinazione, py è legato alla velocità angolare n del moto delle due masse, in base alla definizione di n e alla seconda delle (88). Si ha infatti (1) R), pag. 66. — 566 — , . db . DEL MERATE 1 1) ossia, sostituendo a Pa il suo valore 2A = 10907 E pra: PI è _ TO: 1 (90) n= ta) A questa si poteva anche pervenire, ricordando ($ 12) che py rappresenta in ogni caso il doppio del momento delle quantità di moto dei tre corpi (rispetto ad Oz). Per mo =0, e P,, P: animati da moto circolare con velocità angolare x (attorno ad Oz), si hanno le velocità SMI BLA RS. \ 9, mid Ma mt ma e quindi i momenti di quantità di moto 7) 3%) 2 mi) Da ul en ‘\m+ m. £ °\m+ ma ì Sommando ed eguagliando a + py, sì è appunto ricondotti alla (90). Ricordiamo ancora che, nel moto circolare uniforme compatibile colla legge di Newton, l'energia totale è metà dell'energia potenziale. Dobbiamo dunque avere ego) (91) USE Per ricavare questa formula in base al sistema (88), basta combinare le due condizioni Sa de La prima, tenendo conto che n= 0 e che U9—{ "2. gi seri a prima, enendo conto Ge Ceppi e che =.f e , SI Scrive eo. 1 1 1 2) 2 E 2 2E A I LR eni Recta RATIO. (0) ia ai Py fmims® 2 (1 tg e questa, per H = 1, dà appunto la (91). Sempre per le soluzioni circolari che stiamo considerando, da E U® =, (0) — (0) __ H® — @ 1, come corollario della (91), si ha (92) 00 — Dim — 567 — b) Massa infinitesima. — Passiamo ormai al sistema (89), ritenendovi p e py costanti, e po="0 (d non vi comparisce, e non c'è quindi da occuparsene). Vogliamo constatare sulle formule l'equivalenza, concettualmente evi- dente, di tale sistema col sistema (71) del $ 17. All’uopo cominciamo col fissare le relazioni che intercedono fra le fun- zioni incognite dei due sistemi: ne trasformeremo poi uno. in modo che compariscano in entrambi le stesse incognite. Nel sistema (71) figurano le coordinate ellittiche w, v: in (89) abbiamo invece Co, 9. Il legame fra queste due coppie si assegna agevolmente, egua- gliando le espressioni (in x e v da un lato, © e dall'altro) delle due distanze gi, p: (di P, da P; e da P, rispettivamente). Dalle (66’) si ha mentre le (11) e (55) porgono \ei=a°(1—v)=G+0"— pf sin*9, | pe=g*1-—1)= + — p*cos*%. Dal loro confronto si trae e. 2 2 2 U in? in? V £ 2 U SC + p° = p° cosh g > Sin°g=sin?> , cos'tp=cos;, le quali equivalgono a ano sinh 5 , v= +29 + multiplo arbitrario di 277. Assumeremo 7 seg Il (93) {= psinh3 pe risguardando queste formule come parte di una trasformazione canonica lo ‘Po Pu» Pv! La condizione di canonicità ZL dis + pè de = pu du po dv porge immediatamente, in base alle (93), le altre due relazioni che com- — 568 — pletano la trasformazione, e sono (eguagliando i coefficienti di du, dv nei due membri) 1 Wa, Lg g 9 6osh 3 Ze =u >» gPa = Dacchè, ner la prima delle (93), p cosh 5 vale |/&+?|, che è poi 9, a norma della prima delle (55) scriveremo più semplicemente (94) qLi = Pu , Dè a 2/x , e trasformeremo il sistema (89) mercè le (93), (94). Abbiamo anzitutto dalla (77), in virtù delle (94), 1 2 2 (95) A= 200 pî oi (Pu 43-05) O Le (81) poi, badando che vi si deve anche porre p; = 0, divengono I on=isinzpy , = —2(f sg pu + sinbg sine) | X{" = — sinh 5 cos 3 Py , XP= 21 6083 fo 3 ERE EE (20 eo e Mr) | Ol = 608 3 PY , 2 2(5sinz sin — 9 Pu sinh 9 5085 Po)» | XxX) — sinh 5 sin 324 , XK = —2i sins po 5 e così le (82) dànno a = — Py (sin U Pu +2 ; sinh 3 Ve) = — py(sinv pu + sinh v po), a L. 94 sinh & ‘nh = p;(sinop, — rl 9Po)= py(sinv p, — sinh « pr) . Si ha in conformità, dalla seconda delle (84), dt si OULA UO serio? | sin o( 4) pu + sim u (È + Des Mi Ma e questa, ponendovi per A l’espressione (95), e per py il suo valore Mi Mo mi+ ms ° 4 2n — 569 — desunto dalla (90), diviene dEi 1 Mi Mo ( 96 OUT REL 2 2__n_MmMa 2a di Pda So, cali nr | sno(È Di) D'altra parte, l'espressione (87) di H°°, ove si abbiano presenti le (91) e (92), si riduce immediatamente a TUA 106S2 E HP QW _ In virtù della (96). il confronto colla (70) porge lx H"= 0 F. Dacchè, nelle equazioni (89), p e con essa U° va trattata come costante. è chiaro che basta, nelle (89) stesse, sostituire U‘ d/ a dr per ritrovare materialmente il sistema (71) di fupzione caratteristica F. Così è raggiunta anche la prova formale che le equazioni del problema regolarizzato in coordinate asteroidiche (nel caso limite me = 0, e sotto l'ipotesi particolare che si mantenga costante la distanza ? delle altre dne masse) dànno luogo alle consuete equazioni canoniche (71) del problema ristretto in coordinate ellittiche. OssERVAZIONE. — Può a primo aspetto parere incongruente che dalle equazioni generali regol/arzizzate scendano per my= 0 le (71) che nor lo sono. ma richiedono all'uopo una trasformazione ulteriore ($S 18). La spiegazione si ha tosto ricordando che l'algoritmo generale di rego- larizzazione si appoggia essenzialmente sulla circostanza che le masse siano, tutte e tre > 0 (*). Nulla si può dunque pretendere & priori per il caso limite n° = 0. A posteriori risulta che, dei due sistemi parziali (88) e (89) definienti il moto in questo caso limite, il primo rimane regolarizzato (problema dei due corpi). ma non così il secondo (problema ristretto). Tanto più, perciò, appariscono interessanti le regolarizzazioni autonome di questo ultimo problema già segnalate da Thiele e da Birkhoff. (*) Infatti, soltanto sotto tale ipotesi è legittima la conclusione [R). pag. 74; e $ 7 del presente scritto ] che (v=0,1,2), eec. si comportano regolarmente anche o UftoziU, in prossimità d’un eventuale urto bivario. RenpICcONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 75 — 570 — Meccanica. — Sullo schiacciamento polare di Nettuno. Nota del Corrisp. E. ALMANSI. 1. Il movimento del satellite di Nettuno presenta delle perturbazioni che il Tisserand (Mécanique céleste, IV, pag. 141) attribuisce alla forma ellissoidica del pianeta ('). Ammettendo che questa sia la sola causa delle perturbazioni del satel- lite, io tento qui una determinazione dello schiacciamento polare di Nettuno. Siccome, a conseguire tale scopo, non è sufficiente la conoscenza delle perturbazioni del satellite, mi valgo ancora di una formula empirica, espri- mente una relazione che sembra sussistere, per i pianeti, fra la densità media, lo schiacciamento, e la durata della rotazione. Darò da prima questa formula, o piuttosto mostrerò per qual via si può esser condotti a stabilirla, riferendosi alla ipotesi della origine fluida dei pianeti. 2. Consideriamo una sfera fluida, le cui particelle si attraggano secondo la legge di Newton, in equilibrio. La densità sia funzione soltanto della distanza dal centro. Supponiamo di imprimere alla sfera un moto uniforme di rotazione, con velocità angolare ©, intorno ad un asse passante per il suo centro. Se il valore di w è sufficientemente piccolo, la superficie della sfera assume una forma che differisce pochissimo da quella di un ellissoide di rivoluzione, il cui schiacciamento è piccolo dello stesso ordine di w?. Indichiamo con w la densità media della sfera, con A l’inversa dello SARE : : Lr 3 schiacciamento, con T la durata di una rotazione, ossia —; e poniamo: (10) (1) A=cuT®. Abbiansi ora quante sfere si voglia, di raggi e masse arbitrarie, ma nelle quali le distribuzioni delle masse siano s7mz/i. Con questo intendiamo che, detto R il raggio di una delle sfere, di densità media wu, @ la densità nei punti che distano di 7 dal suo centro, e posto È, epic), la funzione F sia la stessa per tutte. Supponiamo di imprimere alle sfere (1) La causa probabile delle perturbazioni del satellite di Nettuno forma oggetto di ricerche da parte del chmo prof. Armellini. Vedasi in questi Rendiconti (vol. XXIV, serie 5°, 1° sem., fasc. 6°) una sua Nota preliminare, ove sono accuratamente raccolti i risultati delle più importanti osservazioni fino ad ora eseguite e discusse. — 571 — velocità di rotazione pure arbitrarie (ma piccolissime). Trascurando le potenze dello schiacciamento superiori alla prima, si dimostra che il coefficiente € ha lo stesso valore per tutte le sfere. Nel caso dei pianeti il coefficiente c varia dall'uno all’altro, benchè il suo valore non subisca variazioni molto grandi. Dobbiamo pertanto rite- nere che le masse dei pianeti non siano distribuite in modo simile. Esami- niamo i valori di e, mettendoli in relazione con quelli della densità media w. Vedremo allora che c è tanto più grande, quanto più piccola è la densità media. Se infatti si pone (2) ec=c, po quindi A=(cutce)T?, sì possono attribuire a c, e cs valori positivi, uguali per tutti i pianeti, e tali che la formula precedente fornisca, per le inverse degli schiaccia- menti, valori che non siano in disaccordo con quanto ci è noto dalle osser- vazioni. Assumendo uguale ad 1 la densità media della ‘Terra, e l'ora di tempo solare medio come unità di tempo, dobbiamo porre ci= 0,49 , ce=0,0832, onde avremo la formula (3) A=(049u+4 0,032) T? che è appunto quella di cui farò uso. Nella tabella seguente sono riportati, per la Terra. per Marte, per Giove e per Saturno, i valori di u, di T, e della inversa dello schiaccia- mento quale risulta dalla formula (3) (A) e dalle osservazioni (Ao) (?). Terra Marte Giove Saturno U 1 0,69 0,25 OS T 23,93 24,62 9,88 10,28 A 299 294 Jb,L 10 Ào 298 2002 15 10 Notiamo, quanto a Marte, che il valore 200, attribuito ad Ay, è molto incerto. Alcune osservazioni hanno dato, per l’inversa dello schiacciamento, un valore notevolmente maggiore. (*) I valori di w,T,Ao sono ricavati dall’Annuacire du bureau des longitudes, a. 1915. Solo per la Terra al valore Ao = 293 ho sostituito il valore Ao = 298 che si accorda meglio colle più recenti osservazioni. — 572 — Per Urano (u= 0,23) dalle osservazioni dello Schiaparelli A risulte- rebbe compreso fra 11 e 13. Supponendo A = 12, la formula (3) darebbe circa 9 ore come durata della rotazione. Rispetto a Mercurio e a Venere le opinioni degli astronomi, come è noto, non sono concordi. Mentre da alcuni si attribuisce a T un valore poco diverso da 24, altri ritengono che la durata della rotazione sia di gran lunga maggiore: precisamente uguale alla durata della rivoluzione siderale (Schiaparelli). Se fosse T- 24. essendo rispettivamente, per i due pianeti, u= 1,1 e u=0,91, si avrebbe, dalla formula (3), per Mercurio: A= 330; per Venere: ATZA2I00 A valori di T maggiori di 24 corrisponderebbero valori maggiori per A, quindi valori minori per gli schiacciamenti. Nessuno di questi risultati è, in sostanza, confermato o contradetto dalle osservazioni. All’osservazione Mercurio e Venere appariscono sferici: : ; . A ATAERA ma è da notare che in Mercurio nemmeno uno schiacciamento di 330 sa- > rebbe visibile; e del pari invisibile sarebbe probabilmente uno schiaccia- È JÌ E mento di Venere uguale ad 975° Non volendo ammettere in Venere uno schiacciamento di questo ordine di grandezza, la formula (3) porterebbe ad escludere l'ipotesi della rotazione rapida. Applicata al Sole, la formula (3) dà, in accordo colle osservazioni, uno schiacciamento inapprezzabile: circa i 5 ) î Dil'ertelica ==? DE i 60000 Per Nettuno, ritenendo w = 0.22, si ha, dalla formula (2) c= 0,635, valore che adotterremo. 3. Siano / la costante dell'attrazione, M la massa del pianeta, @ il suo raggio equatoriale, 7 la distanza di un punto qualunque P dal centro O del pianeta, 4 l'angolo che OP forma col suo piano equatoriale. Il potenziale del pianeta, arrestando al 2° termine il noto sviluppo in serie di funzioni sferiche, potremo rappresentarlo colla formula (4) v=/mji4"2(f_sen9))}. ove / è una costante. — 573 — Esiste una relazione che lega #,A è il rapporto (0401) 9 i = tra la forza centrifuga e la gravità sull'equatore del pianeta. Si Da preci- samente (5) 1 À Sanza S Trascurando una quantità piccola d'ordine superioro ad w?, nella espres- sione di Z potremo ritenere {M 4 I a? M= 3 mau ’ : 27t 2f osservando, poi, che A denotando con e, la costante 3r° avremo: 2 (8) de ARTI ba Onde la formula (5) potrà scriversi : 1 l (7) wi ut =. Se l'esame delle perturbazioni del satellite ci permetterà di determinare il valore di £, quest’ultima equazione, insieme con la ia (&=0.090)G ci darà dei valori probabili per le due incognite A e T. sa A Nella equazione (7), a uT? sostituiamo ra Avremo pil) quindi h (8) A= x ove e h=d=— (9) ti n Il valore della costante c, possiamo ricavarlo dalla formula (6) appli- cata alla Terra (u=1;4= 0,0038468). Troveremo co = 1,0067. Avendo supposto, per Nettuno, c= 0,635, la formula (9) darà, per questo pianeta A=0OT = 7008 Il Tisserand (Méc. cél., IV, pag. 147), riferendosi ai valori di % per Giove e per Saturno, suppone che per Nettuno sia #= 0,3 (*). Sembra più giustificato il valore che noi abbiamo attribuito ad X, deducendolo, mediante la (9), dalla formula (2), che riposa sopra osservazioni risguardanti un mag- gior numero di pianeti (?). 4. Vogliamo far vedere, prima di andar più oltre, come la formula (2), e conseguentemente la (3), corrisponda ad un'ipotesi, assai semplice, sulla distribuzione delle masse nei pianeti. Riprendiamo l’espressione del potenziale V, che scriveremo vai ponendo 1—- 3 sen*g LR ipa oe Introduciamo la quantità mm definita dalla formula 3 Avremo allora buo ovvero V=V+V, essendo __fm SE aaa Vi s Vai manga x}: Ora, V, è il potenziale di una massa wm situata nel centro del pianeta; Va (a meno di termini contenenti le potenze superiori dello schiacciamento al è il potenziale di una massa M — # distribuita uniformemente nello spazio occupato dal pianeta stesso. Possiamo dunque dire che, nel grado di appros- 1 (1) Come apparisce dalle formule (5) e (8), dalle quali, posto On si ha o — 3a h = ’ o pesta) il nostro 4 è il rapporto del Tisserand. (*) D'altronde, per Giove, i valori qui adottati per w, "1° ed A portano ad attribuire ad Ah, non il valore 0,27 del Tisserand, ma il valore 0,38. — 575 — simazione a cui ci atteniamo, l’azione esercitata dal pianeta (nello spazio esterno) è quella stessa a cui darebbero luogo una massa m posta nel suo centro, ed una massa M — m distribuita uniformemente nello spazio che esso occupa. La massa m potremo chiamarla nucleo del pianeta. Si tratta eviden- temente di un nucleo ideale: ma l'avere il rapporto MU valore più 0 meno grande. ci fornisce tuttavia un’ indicazione sull'essere più o meno con- densata verso il centro la massa totale M. Moltiplicando l'equazione (10) per A; osservando, poi, che il prodotto KA è uguale, per la formula (8), ad #, e, per la (9), ad - abbiamo: (i) da cui (11) i TODD i , Questa relazione fra il rapporto M * il coefficiente e — relazione otte- nuta senza tener conto della nostra formula (2) — fa conoscere il valore del nucleo per quei pianeti per cui è noto e: ossia, in virtù della formula (1), per quei pianeti pei quali si conoscono lo schiacciamento e la durata della rotazione. Ponendo la condizione che il nucleo sia positivo, e minore della massa totale M. essa relazione fornisce due limiti (già stabiliti per altra via dal Clairaut) fra i quali deve essere compreso il valore di c. Siccome c, diffe- risce poco da 1, i due limiti saranno approssimativamente 0,4 ed 1. Supponiamo, ora, che sussista la relazione (2) fra c e u. E notiamo che e risulta compreso. per tutti i pianeti, fra i limiti assegnati: esso è minimo per Mercurio (e = 0,52), massimo per Saturno (c= 0,74). La for- mula (11), tenendo conto della (2), darà ossia ove 9, e 9: denotano due costanti. Calcolando i loro valori numerici, tro- veremo qi= 0,145 , q.=0,053. — 576 — Ammettere la formula (2) equivale dunque ad ammettere la (12): ad ammettere, quindi, che, nei pianeti, quanto minore è la densità media, tanto più la massa è condensata verso il centro. L'avere un pianeta una piccola densità media, dipenderebbe dunque, in special modo, dall'essere poco densi gli strati più vicini alla superficie. I valori estremi del rapporto "i fra il nucleo e la massa totale sa- rebbero 0,19 (Mercurio), e 0,55 (Saturno). Per la Terra si ha 708 per Giove ni = 036 (d). 5. Abbiamo posto A = ù, e supposto per Nettuno 4= 0,37. Un'espres- sione di %, in funzione di elementi che dovranno essere forniti dalle osser- vazioni, possiamo ottenerla nel modo seguente: Poniamo nel centro O del pianeta l'origine di una terna di assi orto- gonali 0xyz, assumendo l'equatore del pianeta come piano < =0. Nella formula (4) potremo porre sen g = i; Supporremo poi uguale ad 1 il raggio equatoriale 4. Onde avremo 1 1 8° ) M_a Li Ta — e (13) ii Fosa 75 \ Dalle equazioni del movimento del satellite (ottenute considerando il sp E 0000) : pianeta come fisso), x = uni ecc., sì deduce: ” n dV dV y — ay =YZTE7 60. dE dY Poniamo (14) Gaye — (0) dM, db, ?3E IM — (Cc Ea ArÀàE, L= Y da SA, Tr SA da ET M, z O ON gir PI Ea DIRE) SM dI dl d di % Ma dI dA Da teoremi noti discende che il sistema delle sei quantità Ex ,Ey,.., M; (e, quindi, il campo elettromagnetico stesso) è univocamente determinato ad ogni istante / successivo all'istante iniziale ‘= 0, se le dette sei quantità — oltre a soddisfare alle equazioni (1), (1’) nell'interno di ognuno dei dielet- trici e conduttori che fanno parte del campo, quando alle costanti che in esse compaiono si attribuiscono i corrispondenti valori — sono tali che le componenti tangenziali delle forze elettrica e magnetica sieno continue anche attraverso le superficie di separazione dei diversi dielettrici e conduttori adiacenti che, nelle ipotesi fatte. non possono essere che dei piani 2 = cost.; che, per 4=0, coincidano col sistema di valori ad esse assegnati nello stato iniziale del campo, e che, infine, soddisfino a certe condizioni ai limiti se il campo è limitato, naturalmente, da uno, o due, piani 2 =cost. — 581 — 2. Il problema della determinazione effettiva delle sei quantità E, E,,..., M; in funzione di x e di 7, nelle ipotesi precedentemente fatte, si scinde in tre parti distinte e cioè: 1°) la determinazione di E,, Mg; 2°) quella di E,, M.; 3°) quella di E,, M,. Il primo di questi problemi particolari non presenta difticoltà di sorta: mentre gli altri due costituiscono due problemi equivalenti, differendo uno dall'altro per il semplice scambio degli assi y e z. Basterà quindi occuparsi di uno solo di essi (p. es., della determinazione di E, ed M,); e, ponendo, per semplicità, E,= E, M,=M, al problema da risolvere può darsi l’enunciato seguente: Supposto che x vari in un certo intervallo finito, od infinito, I com- posto di un numero finito di intervalli parziali adiacenti I,,I2,....Ins ciascuno corrispondente a ciascuno dei dielettriei e conduttori omogenei che si suppongono nel campo elettromagnetico che consideriamo; supposto che t varii nell'intervallo da 0 a + c0; dinotande con si, wi Ài (i=1,2,...,n) n terne di costanti positive în modo che la terna s,, ui, À; corrisponda all'intervallo li, determinare le funzioni E ed M di x e t nel campo di variabilità precedente, in modo che: 1°) quando x vurii in li, sieno soddisfatte le equazioni: DE dM 1 Len, —— À; = 4 £ gta i 0) dE PINI cuanti DI iù essendo c un'altra costante positiva; 2°) sieno continue rispetto a t e rispetto ad x anche per quei va- lori di x che corrispondono a punti di separazione di due intervalli I; adiacenti ; 3°) per t=0 assumano dati valori; 4°) se l'intervallo 1 è finito, supporremo che per i valori di x, che corrispondono ad estremi di questo intervallo, una delle due quantità E ed M sz riduca ad una funzione assegnata di L. E, dai noti teoremi accennati in principio, discende che il problema precedente è determinato ed ha una sola soluzione. LL INTEGRAZIONE INDEFINITA DELLE EQUAZIONI SE SM ini doro = \ È +e AL DE (2) Î d3E 23M — 582 — 3. Per raggiungere l'intento nel modo più semplice, conviene, anzitutto, trasformare le (2), ponendo: 21TÀ E (3) MN NT one e 4 sicchè le equazioni trasformate in U e V diventano: È ped zu=o, (4) À {x PI aV=0 e formano un sistema di equazioni aggiunto di se stesso. Notiamo, quindi, che, se U,V e ,w sono due sistemi di integrali qualunque delle (4), l’espressione (5) (YU + gV) de — 16 gU+ iv) di è un differenziale esatto. Perciò, interpretando x e 7 come coordinate car- tesiane ortogonali di un punto in un piano e supponendo che in una regione di questo piano, almeno, le quattro funzioni U, V,g,w sieno regolari, l'integrale di (5), esteso ad un contorno s chiuso, qualunque, appartenente a questa regione, percorso in un senso arbitrario, è nullo, ossia | I 1 (6) Siu+gnar—e(19U+1yv)aj=0. 4. Nel seguito, con x e £ indicheremo le coordinate di un punto fisso 0 del piano #7, mentre indicheremo con È e 7 le coordinate di un punto variabile. Ciò posto, possiamo soddisfare alle (4) in due modi diversi, po- nendo, per U e V: e ID ® (7) Aeg lea ovvero: DIC), Cc 9ID rl = — —kDR., y=--|, (70) “Agios 7) n° se, in entrambi i casì, supponiamo: °D °D ì e (8) o +#0=0 , (=. — 583 — Noi ci serviremo, per ®. come in seguito sarà indicato, di una o dell'altra delle seguenti espressioni: edo -w_h | GIO 9==af | @=®,=+[((r—t)—(f—- 4] =—_—_____ i Law &=aì (94 kt; li È 1 C*(t — t)° — (È — o) Og GUo@—1— E— 2) in cui, come al solito. Possiamo così costruire ì seguenti quattro sistemi di soluzioni parti- colari delle (4): 1) = È m= + 49, ; 2) ge=—l x i Ure = PO 4 hd JIVABIIO o Da E, ME E 7 2a. i quali son tali che, quando in ®, si sceglie il segno +, etlk— 6] 10 \gn—gn=2, kt L) co li | da è | — ga =0 —v MO ui Por Pao = , Wa 120 4 Li kKe—= 1) mentre, quando iu ®, sì sceglie il segno — , Te Put P12=0, Wan — Wio=—2C E o) c (È —.@) (10') i K per PH C l Pi fi , Pa — Wo =0 G (È — 2) i dove ni indica la funzione che si ottiene da dici mutando z in el 1. — 584 — 5. Consideriamo ora la regione o del piano «7, limitata dalle due caratteristiche del sistema di equazioni (4), C(e—-t)—(E—-x)=0 , Ce-)+(E—2)=0, uscenti dal punto O=(x,y) e da una linea s aperta e, ordinatamente, regolare. lance dl Fis. ].bîs Rispetto alla regione 0, possono darsi dne casi: che essa sia attraver- sata dalla retta È =, ovvero che sia attraversata dalla retta 7 =. Nel primo caso supporremo che la linea s sia incontrata in un punto solo da ogni retta È = cost. che l’incontra, a meno che una parte di s stessa appar- tenga a questa retta; nel secondo caso supporremo che questo accada per ogni retta 7 = cost. che l’incontra. Nel primo ca-o la retta È =, nel secondo la retta €=/ divide o in due parti: chiameremo I la regione parziale di o adiacente alla caratteristica C(t — ) — (£ — x)=="0; II l'altra (figg. 1 e 1°). — 589 — Supponiamo dapprima, ora, che o sia attraversata dalla retta È = x (fig. 1), e chiamiamo P,Q,R i punti d'incontro di s con le tre rette C(r—- 1) — (£—2)=0. 5=2x, e C(€r—-1) + (£É—<)=0, successivamente. Applichiamo, quindi, in questa ipotesi, la (6) al contorno della regione I e alle due soluzioni delle (4): (U,V) e (91 ,wn), la soluzione (U, V) essendo arbitraria ma regolare almeno in o. Notando che sulla caratteristica OP, adiacente alla regione I, è dÉ = Cdr e che, perciò, su questa stessa caratteristica 1 1 unU+ gu V) dé — dh giU+: yv) DE — ho (Ue—lVde)+(cu— 0 e possa estendersi anche oltre; ma, per una qualunque ragione, dobbiamo limitarci a considerare, in esso, un campo elettromagnetico soltanto nella detta regione x => 0. Il campo sarà, certamente, determinato ad ogni istante t>0, se conosciamo i valori /(x), F(7) che E ed M assumono per £t= 0 e per x variabile fra 0 e + 00, e, inoltre, i valori (4), ®(t) che le stesse quantità assumono per x= 0 e per # variabile fra 0 e + co. Se, infatti, supponiamo che nelle (12,), (13,) la linea s sia la linea formata dall’in- sieme degli assi 4 e £ positivi e che quindi la regione o si riduca al qua- drante positivo del piano 27, dalle dette formole, ricaviamo che, per i punti O=(x,4) per cui C6(—x=0, i valori di E ed M sono dati ancora dalle (17), mentre per i punti O, per cui Cf —x = 0, ricaviamo: neo gg] ole) +/0+ 00 ]+ +î| of) re+ca |}. | Mr.) = 73) c|s agi + 00 |+ +c|e(1-0) + Pe + 00 |}. I valori così ottenuti, per E ed M, tendono, per 4=0, ai valori ad essi assegnati sul semiasse x positivo; ma affinchè tendano ai valori g e ® ad essi assegnati sul semiasse # positivo, quando x tende a zero, devono essere verificate le relazioni: C[9() — /(C)]) — [P() — F(0)]}=0, (19) À a C9() — /(0)] — 00) — Ric] =0 — 589 — le quali si riducono ad una sola, potendosi ottenere la seconda dalla prima moltiplicando questa per la costante ui Perchè il campo sia determinato, IT) come era da attendersi, basta dare tre delle quattro funzioni [bp del resto, in modo arbitrario. 10. Il campo elettromagnetico sia ora da considerarsi in tutto lo spazio; e questo sia occupato da due soli dielettrici diversi, separati dal piano x=0. Distinguiamo con l'indice 1 le quantità che si riferiscono al dielettrico che occupa la regione x > 0, e con l’indice 2 le quantità analoghe che si rife- riscono al dielettrico che occupa la regione x <0). RIGI2: I dati del problema, in questo caso, sono i valori fi(@), F.(4) che E,, M, assumono per = 0 ed x variabile fra 0 e + edi valori /s(2), F.(x) che E., M, assumono per t=0 ed «x variabile fra — 0 e 0, queste quattro funzioni essendo legate dalle relazioni: (20) f(0)= /£(0) , F.(0)=F;(0). E, come risulta subito applicando a ciascuno dei due distinti dielettrici le considerazioni del num. precedente, 11 problema stesso si può ritenere riso- luto se riusciamo a determinare, in funzione dei dati, i valori di (21) g(9)=E(0,9)= E:(0,)) , ®()=M;(0.4=M;(0,2) per ogni valore di {>0. Per maggiore chiarezza, torniamo alla considerazione del piano #7 e della regione o che adesso è il semipiano {> 0 (fig. 2). L'applicazione delle (12,), (13,), in ciascuna delle due parti di o in cui è x AM 1) ci porta subito a dividere o in quattro regioni. Nella regione I, in cui Ct—-x=0,x>0, E, ed M, sono date dalle (17) quando si mutino, — 590 — oltre ad E ed M in E, ed M,, anche s,w,C,f,F ina, Ww,C,fixFr- Similmente, le stesse formole (17), quando, in esse, si mutino E,M,e u,C,f,F in E., Mo, 2, a, C2,/2, Fo, ci daranno i valori di E,, M, nella regione IV in cui Ct 4+x <0,x<0. Nella regione II, invece, in cui Cé—-x=0;D>0, è: ‘nngplo[oig)e nio) + [e(-g)-h@+00 |}. [insita [e(- 3) 1400] +o| 9(e-)+L@+0% ]}, mentre nella regione III, in cui C+ 4=>0,x<0, si ha: sedie) TORE (143) Fd dt: o]; 0) Ll+ ro] +0] (+7) +F@- 0 |}. Devono essere, inoltre, soddisfatte le condizioni : pic o) = 0 (0) — È Fd), (24) Lo î (A Ca g +7 90=0: fel 020) +, Fal 026), la prima delle quali ci assicura che, per x = 0, E, ed M, tendono a g(t) e D(;), mentre la seconda ci assicura che agli stessi valori (4), ®(4) ten- dono anche, per <= 0, rispettivamente, E, ed M,. Dalle equazioni (24) potremo, in ogni caso, ottenere le funzioni incognite g(/) e D(t) e comple- tare così la soluzione del problema. Lasceremo da parte lo sviluppo ulteriore della soluzione ottenuta, come pure l'applicazione di essa all'importante problema dell'incidenza normale di onde elettromagnetiche piane. — 591 — LV CAMPO ELETTROMAGNETICO ALL'INTERNO DI UN DIELETTRICO E DI UN CONDUTTORE ADIACENTI. 11. Dei molti problemi della natura dei precedenti, che si possono immaginare, tratteremo ancora soltanto di quello in cui il campo elettroma- gnetico debba sempre considerarsi in tutto lo spazio, ma questo sia occu- pato, nella regione « > 0, dallo stesso dielettrico del num. precedente e, nella regione «<0, da un conduttore di cui indicheremo con #3, ws, 03,43 le costanti analoghe ad «,u,C,%; con E», M, indicheremo ancora i valori di E. M, all’interno del conduttore; e con (x), F:(7) quelli a cui ten- dono E, ed My»; sull'asse x negativo. Il problema s' imposta nello stesso modo che nel num. precedente. Tenendo presente ancora la figura 2, noteremo, intanto, che E,, M, sono dati anche adesso, nelle regioni I e II, dalle stesse formole che nel pro- blema del numero precedente. In particolare, nella regione II, varranno ancora le (22) se continuiamo ad indicare con (4), ®(/) i valori a cui tendono E, ed M,, per x=0. Per calcolare E, ed M;, nelle due altre regioni III e IV, applicheremo le formole (12) e (13) alla regione => 0, x= 0, il cui contorno è formato dall'asse @ negativo e dall'asse / positivo. Troviamo così, per i punti (x ,/) della regione IV: k,T I, |Ae(t “ t)] if (È 2 | E, pie | 205 ì 2(4 a) e ke —= 1) AT = DE [Wa fo(8) + gna FalÉ)]ro dé + X+Cgl da [Wie fo(E) + Pro /(E)]r=o di , 5) | TRZNIRE (PL e lle — 2] 05 Î o(T,: ATA TS DI Mi:(t,x)e 2.4) di > Î , Can /a(8) + ar Fa(é) Je=o dÈ i /L-C9 dr Il MT E le funzioni i, Wii, 3%, in queste formole, essendo costruite con le costanti e2, wa, Co, fs. Le (25) sono sempre equazioni integrali in E. ed M, del tipo della ‘(14), e come questa si potranno risolvere. Le formole di risoluzione mostrano, — 592 — senza difficoltà. che, per #= 0, E, ed M; tendono ai valori ad essi asse- gnati: /s(x) ed Fra). Per i punti (x, 4) della regione III abbiamo, invece: i sv lu[Ke(t — | 203 | Ee(t, x) gii DEA] da = = fe [wu fe($) + Pri Fs($) ]e=o dé + oca 3F f [Wie f2(8) + Pie Fs(£) ro de DI at [Vee a SAPORE ke(t-- 1) re ff [Wa f2(€) + gar Fs(È)]m=o dé + d-Caî na SL Lao /2(€) + peo Fo(E)]rmo dé — es So PA. el! kat — € f — ; — ®(t esca, DO È Pro P(1) + 5 Woo D( LL ricordando che 4 e ® devono rappresentare anche i limiti di E, ed M3, perio DE Affinchè, ora, quest’ultimo fatto accada, devono essere verificate le due condizioni seguenti: | drm 1 ee [| 99 + n dl e"? da +- «/ 0 Us Eg +L inse + ra Fe(É)]roo dé = 0, \ t 203 f M.(t 5 x) € /0 (27) RESO, fi È Pr: P(T) ++ - Wan D (© | gh de + È=we=0 \ Rn [wWer f2(8) + gen Fo(É) rnomo dé = 0, le quali formole non sono altro che il risultato dell'applicazione della (6) al triangolo un cui vertice è l'origine, e i due lati adiacenti, disposti sugli assì x negativo e 4 positivo, sono lunghi, rispettivamente, Cs e #; e a ciascuna delle due coppie di soluzioni (U,V), (411, wn1), E (U,V), (para). : — 593 — Naturalmente, queste due equazioni non sono fra loro indipendenti. Se si risolve la prima rispetto a <, il che può ottenersi agevolmente notando che __ec I[&le—-d)] ca gel e si sostituisce il risultato nella seconda, si verifica facilmente che questa si riduce allora ad una identità. Basta dunque che sia soddisfatta una di esse perchè sia soddisfatta, in conseguenza, anche l’altra. Per determinare, allora, (1), D(7), e completare così la soluzione del nostro problema, si osservi che queste due funzioni ineognite devono sod- disfare alla prima delle (24), da euì si ha (28) n= gi) Sl fi(Ci t) + F\( Ci 55 ed alla prima delle (27). Sostituendo in quest'ultima equazione il valore precedente di ®(/), si trova, per determinare (#) ef, un'equazione integrale di Volterra di prima specie col nucleo dato da (goto ve) ii 2 oo tt (-©O)+1[k(t—o)j= 33 Ko. + Caes) I + 20,611 + (Cisa — 0262) La, l'argomento di Ir,I,,I, essendo sempre %s(£ — ©). I principii da noi sta- biliti su quest'argomento ci permettono di risolvere l'equazione agevolmente. 12. Lequazione da risolvere è, infatti, del tipo (29) Satta Sd DI [EC )]+ eL[k1— I g(r)de=D((), a,b,c,k essendo 4 costanti e D(#) una funzione nota. Se ora moltipli- Lheda =] e JI t, fra 0 e /,, tenendo conto di altri nostri risultati (*), e cambiando il nome alle variabili, sì trova chiamo ambo i membri della (29) per ed integriamo, rispetto (30) 2ag() +4 | 900 IbI[k(—©]+ (a+ 0 1[4k— c)}{ de= =_—k for pla aLe mi a CD —®(1). (1) Vedi: Su l'inversione di alcuni integrali ece. Questi Rendiconti, vol. XXIII, ser, 52, 1° sem., fasc. 7°, pag. 474, formole (3) e (6”). RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 78 — 594 —. Derivando questa equazione rapporto a /, sostituendo quindi, al posto di Ii l'espressione equivalente +(I, + Is) ed eliminando, infine, il termine con- tenente I, fra l'equazione che così si otterrebbe e la (29), si trova la nuova equazione ; ; k? ‘ I o (81) 2ag/i0) + bkg() +5. (c-a) f}e+a) L[-]3+21C--J{9()2 = ; k? = (6) — ol (c+ a) D(t). Le equazioni (30) e (31) possono essere risolute rispetto a t t (gl) bl Ide e g04C-3 da 0. Supporremo inoltre che, partendo con questi valori e seguendo cammini aperti privi di cappii, sia possibile di avere, in ogni punto d'’esistenza della funzione stessa, tutti i valori di essa funzione. Natu- ralmente, tale punto potrebbe non esistere: mostreremo in fine come i ragio- namenti fatti permangano. (*) G. Andreoli, Sui gruppi di sostituzioni che operano su infiniti elementi (questi Rendiconti, anno corrente). — 595 — Dato un punto x, generico (che non sia di singolarità per nessuno dei rami della funzione), consideriamo tutti gli elementi analitici corrispondenti ai diversi valori della funzione in quel punto. Diremo che: I) Il punto x, è un punto regolare d’indice 0, qualora il limite inferiore dei raggi di convergenza degli sviluppi sia 0-0; II) è un punto regolare d'indice zero, o quasi singolare, se zero è limite inferiore dei raggi, senza essere il minimo; III) è punto singolare se zero è il minimo: e, precisamente, di singolarità parziale se il limite superiore dei raggi è diverso da zero; di singolarità quasi totale se esso è zero, ma se vi sono dei o (necessariamente in numero finito) diversi da zero; di singolarità totale se tutti i @ sono zero. Le stesse definizioni si adottano per linee e per le aree: notiamo, poi, - che le definizioni ora date equivalgono a dire che: I) in un cerchietto di raggio 0, attorno ad #,, non vha alcun punto di singolarità di nessun elemento analitico ; II) il punto x, è punto limite di singolarità dei differenti elementi: III) esso è punto di singolarità per qualche elemento, o non lo è per qualche elemento, o lo è per tutti. 2. Con tali definizione, valgono i teoremi : Per una funzione polimorfa : a) L’insteme dei punti d’ indice maggiore 0 equale a 0, è un insieme chiuso: Ep. Infatti, se 20, 71,+-3 ny. è una successione di punti tendenti ad +, nel cerchietto di raggio «, piccolo a piacere, descritto intorno ad x, vi saranno dei punti x,. Descrivendo attorno ad uno di questi un cerchietto di raggio 0, in esso valgono tutti gli sviluppi dei singoli elementi anali- tici: e quindi, per noti teoremi della teoria delle funzioni analitiche (osser- vando che un cerchietto di raggio 0 — « attorno ad x è compreso in quello di raggio 0), potremo dire che in un cerchietto di raggio o — « valgono tutti gli sviluppi riferiti al punto x. Ma e è piccolo a piacere: quindi iutti gli elementi riferiti ad #4 avranno, come campo di convergenza, almeno un cerchio di raggio 0, e quindi x è d’indice eguale o maggiore di @. b) L'insieme E, dei punti singolari e quasi-singolare è chiuso: cioè il punto limite d'una successione di punti singolari, o quasi, è un punto singolare o quasi. c) L'insieme dei punti quasi singolari è concentrato. d) L'insieme dei punti singolari è concentrato. e) L'insieme E dei punti di singolarità totale è chiuso. Questi cinque teoremi — evidenti, del resto — estendono il teorema: L'insieme dei punti singolari d’una funzione monodroma è chiuso. — 596 — Inoltre, si può fare una classificazione delle funzioni polimorfe in base al modo con cui sono formati gli insiemi E, Bo, E: si può chiamare così una funzione polimorfa regolare se insieme E, è costituito da puuti che ammettono un solo punto limite (si può sempre supporre che esso sia l’ 00); e funzione polimorfa singolare se E, occupa tutto il piano. In tal caso il punto #9, da cui abbiamo preso le mosse al n. 1, non esisterebbe; ma è facile il vedere che ciò che diremo muterebbe di pochissimo come enunciato, nel caso che vi fosse almeno un punto quasi-singolare. Se invece non vi fossero che punti totalmente o parzialmente singolari, diremmo che la funzione è polimorfa irregolare: per ora escluderemo queste. 3. Passiamo ora al concetto di prolungamento analitico complessivo. Dati nel piano due punti A, B, non singolari nè quasi singolari: congiunti A e B con un qualsiasi arco di curva semplice (privo di cappi), invece di prolungare da A a B i singoli elementi analitici, prolunghiamoli tutti in blocco. Con semplici ragionamenti, si vede che, se sull'arco AB non cadono punti singolari o quasi, si andrà da A in B con un numero finito di ope- razioni di prolungamento complessivo di raggio @. Se invece su A B (estremi inclusi) vi sono dei punti quasi singolari, ciò non è più possibile; ma dato 7 grande ad arbitrio, sì potranno deter- minare in corrispondenza un intero 7, ed un raggio gr, in modo che i primi ” elementi si prolunghino complessivamente da A a B mediante x, operazioni di raggio 0,: per 7 tendente all'infinito, 7, vi tende anche, e or tenderà a zero. Infine, se su A B vi è un punto di singolarità, il prolungamento complessivo diventa impossibile: e lo sarà anche l'ordinario, se la singola- rità è totale. Diremo che l'arco A B è regolare, nel primo caso; quasi singolare nel secondo; singolare nel terzo. Se AB è regolare, e o è il minimo indice dei suoi punti, diremo che AB è d’indice @. 4. Per la trattazione del gruppo di monodromia d'una funzione polimorfa, bisogna considerare gli insiemi Ep: i cammini in E; definiranno un sotto- gruppo G del gruppo di monodromia. Per le funzioni polimorfe regolari (ammettendo come punto-limite della successione E, l'o), l'insieme E, si ottiene descrivendo dei cerchi di raggio 0 attorno ai punti di E, e considerando la parte esterna a tutti questi cerchi. ‘ Può darsi che sia possibile di trovare un numero @ sufficientemente piccolo in modo che tutti i cerchietti di raggio 0, descritti attorno ai punti £ di Eo, risultino staccati; o che ciò non sia possibile. Naturalmente, ciò proviene dal fatto che l'insieme £&, — £;| ammette limite inferiore diverso da zero, oppur no. — 597 — Nel primo caso, il gruppo di monodromia si ottiene considerando quello relativo all’insieme Ep: le sue sostituzioni generatrici si ottengono girando in E; con cammini di indice @ attorno ai punti $ di E,. Nel secondo caso invece, il gruppo di monodromia, si ottiene dai sotto- gruppi Gp, ; Gea, Ges... Ove on tende a zero: come sì vede, qui entrano le questioni di convergenza astratta. Infatti, supponiamo d'avere due funzioni polimorfe: una per cui esistano due sol punti singolari (l'origine e l'infinito); l'altra, una qualunque fun- zione polimorfa regolare. La somma di esse sarà ancora una funzione poli- morfa regolare. Però noi vedremo che la singolarità della prima fun- zione sparisce nella somma, più non essendo resa visibile dal fatto che l’oo è per la seconda un punto di quasi singolarità (anche senza essere di diramazione). Si può presentare quindi il seguente caso: data una successione di punti singolari e di diramazione &,, £, ... tendenti ad un punto limite È, ricono- scere se È sia semplicemente un punto singolare, oppure ad esso sia sovrap- posto un punto di diramazione. È ovvio allora costruire dei cammini chiusi (supporreme d'avere funzioni regolari) che circondano &,, &1 ... È; É1, £0... E; Eg,E,,..E...1 se Si, So, Sg... sono le sostituzioni ad essi dovute e se questa successione di sostituzioni converge astrattamente ad S.S sarà la sostituzione relativa al punto È. 5. Per le funzioni polimorfe può accadere che i campi Es non sieno connessi, ma constino di pezzi staccati: ciò è dovuto esclusivamente o a linee chiuse di quasi-singolarità oppure a parti staccate di lacune, che si riferiscono a diversi rami, ma che, riuniti assieme, non permettono il prolun- gamento complessivo. Come abbiamo già detto, il primo caso non presenterebbe alcuna diffi- coltà, nè alcuna alterazione negli enunciati. Nel secondo caso invece entrano in considerazione le catene. Si consideri infatti una funzione polimorfa assegnata coi suoi elementi in un punto #, d'indice 0; essa abbia l'origine e l’ 0 come punti di dira- mazione, ed una semiretta 7 non passante per #,, dall'origine. come sezione per il solo elemento pi (’). Ora, un qualunque cammino chiuso passante per x, attorno all'origine, non può essere considerato come cammino di prolungamento complessivo. se lungo esso sì vuol prolungare p,. D'altra parte, essendo l'origine e l' 00 soli punti di diramazione, girando attorno ad essi, i rami si devono per- mutare. Quindi, un cammino chiuso, percorso in un senso, dovrà portare p, ad arrestarsi alla semiretta 7, e rendere impossibile il prolungamento com- (*) Possono effettivamente esistere tali funzioni ? — 598 — plessivo. Percorso in un altro, dovrà mutare (per semplicità) p, in pa, ps in ps... Perciò esso darà luogo ad una catena, ed il gruppo di monodromia si riduce alle potenze di questa. Se si avessero tre funzioni ,,:, 3 del tipo ora detto, e le tre semi- rette fossero disposte in modo che l'origine di 7, si trovi su 73, quella di ra SU 73, quella di 73 su 7, , allora la funzione g, + 4: + g3 si troverebbe nelle condizioni dette dianzi: il piano verrebbe diviso in quattro regioni, e il prolungamento analitico complessivo sarebbe impossibile da una regione all'altra. Bisognerà allora studiare a parte il modo di connettersi dei diversi sottogruppi di monodromia, allorchè da una porzione di piano si passa al- l'altra. 6. Notiamo che, per la loro stessa definizione, tutti i punti singolari, 0 quasi, sono tali che i punti interni ad un cerchietto di raggio 0, descritto intorno ad essi, non appartengono ad E;. Quindi, l'insieme complementare di E si ottiene formando l'insieme comune a tutti questi cerchietti: ed è facile il vedere che esso dovrà neces- sariamente essere composto da un numero finito o da un infinità numerabile di pezzi staccati (aventi area maggiore o eguale a 770°). Le generatrici del sottogruppo Go, relativo all'insieme E, si trovano girando attorno a quei pezzi; le sue sostituzioni girando attorno ad essi un numero finito di volte. Quindi il sottogruppo Ge di monodromia (relativo all'insieme Ep) è formato, al più, da un infinità numerabile di generatrici: le sue sostituzioni sono îl prodotto d’un numero finito di generatrici, e quindi formano anche esse un insieme numerabile. Resta infine da studiare il sottogruppo Go: esso comprende, come suo sottogruppo, quello cui converge astrattamente qualsiasi successione Gp: 3 Cp 3 ce Gone, Ove limon=0. — 599 — Meccanica. — Profili del pelo libero in canali di profon- dità finita. Nota II di U. CisoTTI, presentata dal Socio T. LEvI- CIVITA. Nella Nota precedente (') ho assegnato una equazione generale, che definisce, con approssimazione, il profilo del pelo libero in un canale di pro- fondità finita. Assunto l’asse x coincidente col fondo e l'asse y verticale ascendente, e posto IY° 1) I q= n, m tar l'equazione è la seguente: (11) Fy,m)=0, dove: F è simbolo di funzione arbitraria di y e di n; 9 rappresenta la portata della corrente nel canale, 9 l'accelerazione di gravità e / il tempo, Mi propongo ora di discutere la validità di questo risultato e dedurre alcune notevoli conseguenze da esso. Conviene intanto notare, fin da ora, che, per #= 0, la (II) definisce la configurazione iniziale del pelo libero; una volta che questa sia assegnata, la (II) stessa definisce, per £ qualunque, la forma del medesimo negli istanti successivi. 1. Dalla (II) si ha, derivando rispetto ad x, dHay; PE a dY va dm da (®) Questi Rendiconti, vol. XXIV, 2° sem., fasc. 11, pag. 508. LU a 294 4 Da saldo Ty ni sì ha \ I (1) dy | _2dY #(A4 A+ no Toi q y° \ i \_ dn Escludiamo che la tangente al pelo libero possa divenire verticale. Ciò analiticamente corrisponde ad ammettere che la di non diventi mai infi- nita, cioè che non possa mai annullarsi l’espressione entro le nella (1). Essendo Ye DIE il termine 2 ] ( GY q ) i qu r può assumere tutti i valori da 0 fino a + 00 quando # varia da 0 a + 00; i} ne segue che, affinchè l’accennata espressione entro le I non si annulli mai, è necessario e basta che sia dF dn (2) Gre dY ammesso che tutto varii con continuità. Verificata questa circostanza, dalla (1) scende lim US Of {= 10% cioè: la conformazione assintotica (rispetto al tempo, cioè per {= 00) del pelo libero è una retta orizzontale. Dalla (1) scende ancora la seguente disuguaglianza; quando si tenga conto della (2): dF : dI (52) (3) c = dF dY | 2. Richiamo dalla Nota precedente la circostanza che l'equazione (II) è stata dedotta supponendo gli sviluppi (4) arrestati ai primi termini. Ciò, AGO in sostanza, equivale ad applicare alla /(2 +4 éy,4) — ivi introdotta — lo sviluppo di Taylor arrestato al terzo termine, trascurando quest’ultimo; posto, cioè, f@tiy,0=[(2 Ot+iyfz® O) - sg +i04,0). con 0Z£0<1 la quantità che si trascura è. in valore assoluto. data dalla seguente espressione: 1 "I - \ E=5y°|/2(e + i6y.1)]. Dalla prima delle (6) della Nota I si ha 4 a, Te =) da cui, derivando ulteriormente rispetto ad «, MERLI li DAL io nina per cui, sostituendo, la precedente espressione di E diviene il ; : E=30|Yoe+d0y.t|, e, per la (3), dF | 1 dn i ui dwyYy | dove nel secondo membro si deve intendere sostituito x con x + 20. 3. Applichiamo le precedenti considerazioni ad un caso semplice e no- tevole. Sia e una costante da trattarsi come quantità di primo ordine — naturalmente quando ha per coefficiente una quantità che si mantiene finita — e poniamo (5) F(y,mM0=y—-1—sG(e7n)=0, dove G è una funzione dell'argomento indicato e tale che essa e la sua prima derivata rispetto all'argomento stesso non superino, in valore asso- luto, l’unità ('): (6) Ca =! ee (®) Evidentemente ci si può sempre esprimere in tal modo, quando si parla di fun- zioni che non debbono superare, in valore assoluto, numeri finiti prefissati. RenDICONTI. 1915. Vol. XXIV, 2° Sem. 79 — 602 — Scende, dalla (5), che «G può interpretarsi come rapporto tra lo spo- stamento verticale dalla retta y=1 e l'unità; l'ipotesi che esso va riguar- dato come quantità di primo ordine, rispecchia la circostanza che la curva (5) poco differisce dalla retta y="1. D'altra parte, la retta y=="1 rappresenta il profilo del pelo libero in un canale tranquillo, di profondità 1. La (5) rappresenta pertanto piccoli increspamenti alla superficie di un canale, di profondità unitaria, lievemente perturbato. i Dalla (5) si ha ancora, derivando. e tenendo presenti le (6), e, per queste, la (4) diviene E=0 e, di più, rimane verificata la (2). 4. Per maggior chiarezza reputo non oziosa una avvertenza. A prima vista dal fatto che, con l'accennata approssimazione, è sensibilmente Da =0, sì sarebbe tratti senz'altro a dire che, dipendendo allora la F dalla sola y, è y= costante l'equazione del pelo libero. Ciò non è vero, inquantochè — come risulta dalla (5) — la y è variabile con 7, il che è quanto dire con x e con 7. Immaginiamo infatti, nella (5), la funzione G sviluppata colla formola di Mac-Laurin: G(£ 7) = G(0) + en Gi(0em) (0<90<1); con che la (5) stessa diviene y=1+e6G(0) + e°nGi(0em). Non si può ritenere trascurabile 1 ultimo termine, non ostante la presenza del fattore di secondo ordine e*, poichè l’altro fattore 7 cresce indefinita- mente, sia con x, sia con /; e non è da dirsi che, per valori di 7 abbastanza grandi, in valore assoluto, la quantità e*7 sì mantenga di ordine superiore al primo e sia quindi trascurabile [cfr. n. 3]. Dunque y è da ritenersi effettivamente variabile con n. Si tratta. insomma, di piccolissimi increspamenti, non permanenti, in cui la variazione di direzione del pelo libero è così insensibile da ritenersi trascurabile; mentre non è trascurabile. nello stesso ordine di approssima- zione, lo scostamento del pelo libero dalla retta y= 1. 5. Per quanto si è visto precedentemente, qualunque funzione G, sod- disfacente alle sole condizioni (6), è atta a rappresentare un possibile anda- — 603 — mento del profilo del pelo libero, nelle circostanze supposte. Così, in par- ticolare, prendendo per G successivamente le funzioni sen , Sech , Tangh soddisfacenti ognuna alle condizioni (6), si hanno altrettanti profili che, allo stato iniziale (4f= 0), hanno gli andamenti rappresentati rispettivamente dalle figure 2, 3, 4 e che assintoticamente (per f = 00) tendono a divenire rette orizzontali. Fic, 4 Matematica. — Sulle varietà algebriche con infiniti sistemi regolari di integrali riducibili. Nota di GAETANO ScoRzA, presen- tata dal Corrispondente G. CAsTtELNUOVO. In una Nota precedente (*) abbiamo dedotto. per via quasi incidentale, una proposizione relativa alle varietà algebriche con un numero finito di sistemi regolari di integrali riducibili. che caratterizza nettamente il numero di codesti sistemi e la loro configurazione. Questo nuovo lavoro è dedicato allo studio della configurazione dei sistemi regolari di una varietà algebrica nell'ipotesi che essi siano infiniti, e si dà, a proposito di essa, una prima catena di teoremi generali. (*) Scorza, Sulle varietà algebriche con sistemi regolari isolati di integrali ridu- cibili [ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, serie 5°, vol. XXIV (2° sem. 1915), Pr. 445-453]. — 604 — Grazie al teorema di Severi sul sistema congiungente due sistemi rego- lari di integrali riducibili, è chiaro che, nell'esame di una varietà algebrica, contenente infiniti sistemi regolari di integrali riducibili, giova fissar l'atten- zione su quelli, fra di essi, che non contengano sistemi regolari di dimensione. inferiore alla propria, 0, come diciamo, che siano purî: essi appariscono, infatti, come gli elementi primi con cui possono comporsi tutti gli altri. L'osservazione, come sì vede, è molto semplice; ma sembra, anche, assai feconda, poichè conduce a introdurre, per lo studio della configurazione dei sistemi regolari di una varietà algebrica che ne contenga infiniti, una serie di caratteri che sono altrettanti numeri interi. Noi dimostriamo, infatti, che il sistema degli integrali di una tale varietà algebrica può considerarsi, in infiniti modi diversi, come il sistema congiun- gente di un conveniente numero di sistemi regolari puri indipendenti; ma, comunque si proceda, restan sempre gli stessi, îl numero di codesti sistemi puri, le loro dimensioni e î loro indici di singolarità. 1. Un sistema lineare 0097! di integrali (semplici, di 1 specie) con 2g periodi di una varietà algebrica di irregolarità superficiale => 9, si dirà. puro 0 impuro, secondo che non contiene o contiene sistemi lineari c0'7! di integrali con 2 periodi, essendo 7 < g. Da questa definizione segue subito che : Un sistema lineare impuro di integrali contiene sempre qualche sistema: puro; ed è poi chiaro che: Se di due sistemi regolari di integrali riducibili, appartenenti a una stessa varietà algebrica, uno è puro e l’altro è impuro, essi o sono indi- pendenti 0 sî appartengono; se invece sono entrambi puri, essi 0 sono indipendenti o coincidono (*). 2. Due sistemi lineari 009! di integrali con 29 periodi. aventi lo stesso. indice di singolarità, si diranno 2s0morf, se sono entrambi puri; oppure se sono entrambi impuri e può stabilirsi una tale trasformazione omografica del primo nel secondo, che l'insieme dei sistemi regolari di integrali riducibili appartenenti al primo si rifletta nell'insieme analogo del secondo, due sistemi regolari omologhi riuscendo sempre (di egual dimensione e) di eguale indice di singolarità. Evidentemente, sissemi di integrali isomorfi ad uno stesso sono îs0- morfi tra di loro; ed allorchè due sistemi impuri sono isomorfi, în ogni omografia, che ne metta in luce l’isomorfismo, risultano isomorfi i sistemi regolari omologhi di integrali riducibili. 8. La prima osservazione del n. 1 può essere precisata. Si ha, cioè, che: (1) Cfr. Scorza, Sugli integrali abeliani riducibili [Rendiconti della R Accademia dei Lincei, serie 53, vol. XXIV (1° sem. 1915), pp. 412-418 e pp. 645-654]. pag. 418. — 605 — Un sistema lineare impuro di integrali può sempre considerarsi come il sistema congiungente un certo numero di sistemi regolari puri indi- pendenti di integrali riducibili. Per tissar le idee, possiamo supporre, com’ è lecito, che il sistema lineare impuro considerato sia quello, H, di tutti gli integrali di una varietà alge- brica V; cosicchè V conterrà, per ipotesi, qualche sistema regolare puro di integrali riducibili. Sia, uno di questi, il sistema A, e sia A' un comple- mentare di A su V. Siccome H è il sistema congiungente A con A'. se A' è puro il teorema è dimostrato; se no. sia B un sistema puro contenuto in A’, e B' un com- plementare di B in A'. Siccome A' è il sistema congiungente B con B', H risulta il sistema congiungente dei sistemi indipendenti A, B e B', ove A e B sono già dei sistemi puri. Ora, se B' è puro, il teorema è dimostrato; se no, sì applicherà a B' il discorso fatto già per H e per A'. Siccome il procedimento non può essere illimitatamente proseguito, sì finirà per trovare che H è il sistema congiun- gente di un certo numero di sistemi regolari puri indipendenti A,B,C,...,L, e allora il teorema sarà dimostrato 4. Un gruppo di sistemi puri di un sistema impuro H, che siano indi- pendenti e che abbiano H quale sistema congiungente — tale è ad es., per il sistema H del n. 3, il gruppo A,B,C,...,L ivi trovato —, si dirà un gruppo fondamentale (di sistemi puri) di H. Per estensione si dirà poi gruppo /ondamentale di un sistema puro il sistema medesimo. In ciascun gruppo fondamentale di un sistema impuro H, un sistema qualunque del gruppo e il sistema congiungente tutti gli altri sono fra loro complementari; quindi ogni gruppo fondamentale di H può essere ottenuto col procedimento adoperato più sopra, e ogni sistema puro di H fa parte di qualche suo gruppo fondamentale. Gruppo fondamentale di una varietà algebrica è poi un gruppo fonda- mentale del sistema totale dei suoi integrali. 5. Un sistema lineare di integrali, 0, ciò che in sostanza è lo stesso, una varietà algebrica, può avere più gruppi fondamentali; e, anzi, se ne ha più di uno, ne ha infiniti (n. 6). Ora il risaltato finale a cui miriamo consiste nel dimostrare che in questa seconda alternativa 7 var) gruppi fondamentali della varietà risul- tano tutti costituiti di uno stesso numero di sistemi puri, quelli di un gruppo essendo inoltre isomorfi rispettivamente a quelli di ogni altro. 6. Sia V, una varietà algebrica, di irregolarità superficiale p e indice di singolarità #, dotata di sistemi regolari di integrali riducibili, e siano Ar Ae, An(2 = 2) i sistemi puri di un suo gruppo fondamentale; siano — 606 — poi gg — 1 @ &; la dimensione e l'indice di singolarità del sistema A;. Allora si ha, in primo luogo, (1) Ea pila pia pi (e e, in secondo luogo, (2) kKt+tket4:: + kin+ta—-1=6%, dove vale il segno superiore 0 l’inferiore, secondo che è infinito o finito l'insieme dei sistemi regolari di integrali riducibili di Vy. Siccome la (1) è conseguenza immediata della definizione di gruppo fondamentale, occupiamoci soltanto della (2), e diciamo A il sistema con- giungente i sistemi puri A,, A2,.. , A;, e X°° il suo indice di singolarità. Naturalmente, A sarà il sistema totale degli integrali di V,; e A, 4° e &°° saranno, rispettivamente, la stessa cosa che A,, 1 0 X. Nel sistema A, per j = 2, A; e AY-” sono fra loro complementari; quindi essi hanno in AY uno stesso coefficiente di immersione. Diciamolo 49, Per quanto abbiamo stabilito altrove, sarà, successivamente (!), ki + ko PF1= 49 —- 4 : ERO LAA LE 40) SA OD L- kn +P1=4-4®; e quindi: =" REI eg A AS dr Siccome ciascuna 4 è positiva o nulla, segue che nella (2) vale il segno superiore 0 l’inferiore, secondo che una almeno o nessuna delle 4°? è diversa da zero. Nel primo caso, uno almeno dei sistemi A°° (e precisamente quello per cui è diversa da zero la 4°? corrispondente) contiene infiniti sistemi regolari di integrali riducibili, e quindi la stessa cosa può dirsi per la va- rietà V,. Nel secondo caso, A, e A" risultano isolati su V,; poi An-, e A#-® risultano isolati entro A”, e quindi anche su V,; e via dicendo (?). Ma allora A,,Az,.., An sono tutti isolati su V,, e V, contiene soltanto un numero finito di sistemi regolari di integrali riducibili; i quali, come sap- piamo, sono dati tutti dai sistemi A; e da quelli (impuri) che li congiun- gono a due a. due, a tre a tre,.., an—-lan—1. Con ciò è stabilito il teorema enunciato; e si vede, anzi, che la nostra V, contiene uno, ed un solo, gruppo fondamentale di sistemi puri, quando, (1) Scorza, Sugli integrali abeliani riducibili [Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, serie 52, vol. XXIV (2° sem. 1915), pp. 398-400], n. 5. (2) Loc. cit. ©. — 607 — e solo quando, non contiene che un numero finito di sistemi regolari di integrali riducibili. 7. Se A è un sistema regolare di integrali riducibili appartenente a una varietà algebrica V, ed A'e A" sono due suoi diversi complementari su V, A' e A" sono isomorfi. Supponiamo introdotta la solita rappresentazione geometrica del sistema degli integrali di V, per modo da poter parlare di sistemi nulli di V, di assi di ALA',A". ecc. (*). Siccome A' e A” sono complementari ad A, è possibile in infiniti modi scegliere due sistemi nulli (non singolari) g' e y” di V, dei quali l'uno, @', porti l'asse Aj. di A’, in quello di A, e l’altro, g", l'asse di A in quello, Ai, di A”. Ma allora il prodotto g'@' è una omografia razionale. che muta in sè tanto l'imagine quanto l'imagine con- iugata del sistema totale degli integrali di V, e che trasforma l'asse Al nell'asse Ai", ogni spazio razionale contenuto in Ai in nno spazio razionale contenuto in Ai, e ogni sistema nullo razionale di A; (o di uno spazio ra- zionale subordinato ad A;) in un sì fatto sistema nullo di A; (o di uno spazio razionale subordinato ad A;). Tanto basta, evidentemente. per con- cludere che A' e A” sono isomortì (?). 8. Ciò posto dimostriamo che: Se una varietà algebrica contiene sistemi regolari di integrali rilucibili, ma è priva di sistemi regolari isolati, î suoi sistemi regolari puri sono tutti isomorfi tra di loro: cioè, hanno tutti la stessa dimen- stone e lo stesso coefficiente di singolarità. Sia V la varietà algebrica considerata, la quale, come è chiaro, con- tiene certo infiniti sistemi regolari puri; e supponiamo, se è possibile, che questi sistemi puri non siano tutti isomorfi tra di loro, o perchè non hanno tutti la stessa dimensione, o perchè, pur avendo una stessa dimensione, non hanno tutti lo stesso indiee di singolarità In ogni caso sia A un sistema puro di V, tale che non esistano su V sistemi puri di dimensione inferiore a quella di A. Ciascun sistema puro A, di V, non isomorfo ad A, non potrà essere indipendente da un qualsiasi complementare di A: poichè o A, ha dimen- sione superiore a quella di A e allora l'affermazione fatta è senz'altro evi- dente; o A, ha la stessa dimensione di A, ma non lo stesso indice di singolarità, e allora (n. 7) non può avere con A uno stesso complementare. Segue (n. 1) che ciascun complementare di A contiene tutti i sistemi puri di V non isomorfi ad A. Chiamiamo B il sistema regolare di integrali riducibili, di dimensione minima, che, in base a quanto è stato detto, contiene tutti i sistemi puri (*) Si tengano presenti le Note citate in ® e ”. (3) Se i sistemi A" e A” sono puri, il teorema del testo si riduce al teorema IV della Nota citata in ® e ivi dimostrato per via diversa da quella attuale. — 603 — di V non isomorfi ad A; per la definizione stessa di B sarà impossibile che V contenga altri sistemi isomorfi a B. Ma ciò è assurdo, perchè, in virtù dell'ipotesi, B non è isolato su V, e quindi esistono su V infiniti sistemi aventi con B uno stesso complementare, cioè infiniti sistemi regolari isomorfi a B; dunque, come volevasi, è assurdo supporre che V contenga sistemi puri non isomorfi ad A. Possiamo pertanto asserire che: Se una varietà algebrica contiene sistemi regolari di integrali riducibili, ma nessuno di questi è isolato, i suoi gruppi fondamentali di sistemi puri sono infiniti, ma contengono tutti lo stesso numero di sistemi, e questi sono tutti isomorfi tra di loro. La dimensione di ognuno di questi sistemi puri, aumentata di 1, è, poî, un divisore dell’irregolarità super- ficiale della vurietà; per modo che, se quest’ultima è un numero primo, i sistemi purî in discorso si riducono a integnali ellittici. Jon questo il teorema preannunciato nel n. 5 resta stabilito per le varietà contenenti sistemi regolari di integrali riducibili, ma prive di sistemi regolari isolati. 9. Adesso supponiamo che V sia una varietà algebrica dotata di sistemi regolari di integrali riducibili, tra i quali ve ne siano di quelli isolati, e indichiamo con (3) AA An (n= 2) un gruppo fondamentale di sistemi puri di V. I sistemi regolari isolati di V sono, per quanto sappiamo, in numero finito e, detti, fra di essi, B, , Ba, ..., Bm quelli che non contengono sistemi regolari isolati di dimensione inferiore alla propria, i sistemi regolari isolati di V sono forniti tutti da B, , B...... Bm © dai sistemi regolari che li con- giungono a due a due, a tre a tre,.., a m—l1 a m— 1. Si ricordi, poi, che il sistema congiungente B, Bs... ,Bm è il sistema di tutti gli inte- grali di V: e quindi 7 complementare, ad es., di B, su V, è il sistema BI congiungente Bè, B3,..., Bm (°). Siccome B, e Bi sono isolati su V, ognuno dei sistemi A;, essendo puro, dovrà o appartenere a B, o appartenere a Bi (*): quindi il gruppo fonda- mentale (3) si spezzerà in due gruppi parziali, poniamo AO A RI (= 1), dei quali l'uno sarà formato dai sistemi A; situati in B,, e l'altro dai si- stemi A; situati in Bi. Di più. il primo sarà un gruppo fondamentale di sistemi puri di B,, e l'altro sarà un gruppo fondamentale di sistemi puri di Bi. (') Vedi la Nota citata in ". (3) Loe; cit Dj nà — 609 — Ora si consideri in Bj 7 complementare di B, che è il sistema By congiungente B;,B,,..., Bn; in Bs; 7) complementare di B,, e così via; e si ripeta a volta a volta il ragionamento fatto. Si troverà, alla fine, che il gruppo fondamentale (3) si spezza in m gruppi parziali, diciamo (4) Ai AG RQ00:8] Àn, s Apri PRIEST] Ani sce 3 Arme) gi vee An che costituiscono, ordinatamente, altrettanti gruppi fondamentali di sistemi puri di B,,B:,.... Bn. Ma ciascun sistema B; non contiene sistemi regolari isolati di V di dimensione inferiore alla propria, cioè non contiene sistemi regolari che siano isolati in esso, dunque un gruppo parziale (4) o contiene un solo sistema puro, e allora coincide col corrispondente sistema B;; 0 è formato di sistemi puri, tutti isomorfi tra di loro, e in tal caso il numero dei suoi sistemi, la loro dimensione comune e il loro comune indice di singolarità dipendono soltanto dal corrispondente sistema B;. Segue che o i sistemi B; sono tutti puri. e allora m= n, i sistemi B; coincidono coi sistemi A;, e V ammette un solo gruppo fondamentale; o fra i sistemi B; ve n'è almeno uno impuro, e allora V ammette infiniti gruppi fondamentali distinti, ma questi contengono tutti lo stesso numero di sistemi puri, i sistemi di uno risultando rispettivamente isomorfi a quelli di qual- siasi altro. Dalle cose dette qui e nel num. precedente ricaviamo il seguente teo- rema generale: Una varietà algebrica dotata di infiniti sistemi regolari di inte- grali riducibili ammette infiniti gruppi fondamentali distinti di sistemi puri. Due qualunque di questi (ruppi contengono però lo stesso numero di sistemi puri, e i sistemi dell’uno sono ordinatamente isomorfi a quelli dell’altro. Inoltre è chiaro che: Se una varietà algebrica ammette infiniti sistemi regolari dî inte- grali riducibili, in ogni suo gruppo fondamentale appariscono almeno due sistemi puri isomorfi; e quindi: Se in un gruppo fondamentale di una varietà algebrica non com- paiono sistemi puri isomorfi, il gruppo è unico e la varietà contiene sol- tanto un numero finito di sistemi regolari di integrali riducibile. 10. Precise norme accademiche ci hanno costretti a rimandare a un lavoro, che sarà pubblicato altrove, alcune semplici considerazioni, le quali fanno riconoscere che nel teorema del n. 6 è implicitamente contenuta la generalizzazione completa di un notevole teorema del sig. De Franchis (*); (1) De Franchis, Ze varietà algebriche con infiniti integrali ellittici [ Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, tomo XXXVIII (2° sem. 1914), pag. 192]. RenpIcONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 80 — 610 — in esso saranno pure ulteriormente studiate le varietà algebriche con infinità sistemi regolari di integrali riducibili, ma prive di sistemi regolari isolati, su cui ormai si concentra tutto l’ interesse delle nostre ricerche. In particolare vi si troverà dimostrato che: Una varietà algebrica di irregolarità superficiale p(>1), priva di sistemi regolari isolati, ma dotata di (infiniti) integrali ellittici, non può presentare che due aspetti differenti; e cioè: (p_D(p+2) i 2 integrali ellittici, nessuno dei quali è a moltiplicazione complessa, costi- tuiscono, secondo la nomenclatura del sig. Severi, una configurazione normale ; 6) 0 ha l'indice di singolarità p>—1, e allora ogni suo integrale (semplice di 1° specie) è approssimabile mediante 1 suoi integrali ellittici ; questi ultimi risultando tutti a moltiplicazione complessa. a) 0 ha l'indice di singolarità , e allora i suoî ) Matematica. — Sull’equazione funzionale Jo K(st) 0(4)dt=0. Nota di ATTILIO VERGERIO, presentata dal Socio S. PINCHERLE. Diremo che una funzione appartiene alla classe ® se appartiene ad uno dei seguenti gruppi di funzioni ortogonali : 1°) funzioni trigonometriche, considerate nell'intervallo a=0,0= 277, senka ; coske (42010220256 2°) funzioni di Bessel, cioè le funzioni (a=0 ,2=1), Pu,k = Py (45%) ’ dove P, è una funzione che soddisfa all'equazione xaPi 4 (2u+1)PrtePa.=0(), u essendo una costante reale qualunque, e 4, (£K=1,2,3,..) rappresen- tano le radici positive d'una delle seguenti equazioni : P,(e)=0 , P..(4) io sP.,(4) — hPy(a) —(/0% h essendo una costante qualunque, diversa da zero; 3°) funzioni di Lamé; 4°) polinomi di Tchébicheff e, in particolare, polinomi di Jacobi e funzioni di Legendre; (*) Gli accenti indicano l’ordine di derivazione. — 611 — 5°) funzioni Vx (XK=1,2,38,..) soddisfacenti alle seguenti condi- zioni: Vi+ (Ap — 9 Va=0 per “ri Vil 'aVa=0 si CESSO, ViboW=0 » z=b dove p e q sono funzioni continue e positive della x, la prima delle quali non s'annulla nell'intervallo (a, 2); % e @ sono delle costanti positive date, e 4, una costante positiva ben determinata per ogni soluzione Vx. Se y(s) (v=1,2,3,..) rappresenta una successione qualunque di funzioni della classe suddetta ®, sussistono i seguenti teoremi ('): a) Se la serie (o °b DI $y(5) di, , d= | y(8) g(8) ds vel “a è uniformemente convergente, sarà in tutti i punti di (a,b) în cui la funzione g(s) è continua. Da questo teorema discende, come corollario, l’altro, di cui faremo uso : Se la funzione data g(s) è tale che le costanti dy, da un indice n în poi, stano tutte nulle, sarà in tutti i punti di (a,b) in cui la g(s) è continua. 8) Qualunque sia la g(s), purchè limitata ed integrabile, sarà sempre valido lo sviluppo fb Cl b 19(5)}° ds = > di, ; d= Î gy(s) 9(8) ds . Ah) N=s1 tei] 2. Ciò premesso, consideriamo l'equazione, a nucleo simmetrico, b (1) Î K(st) 6(1) dt=0, a e proponiamoci di studiare la natura delle sue soluzioni. Nella (1), dopo aver mutato s in 7, se ne moltiplichino ambo i membri per K(sr) dr e si integri; avremo così la successione finooa=o. (n=1,2,..) (1) Stekloff, Sur certaines égalités générales ecc. Mem. de l’Académie impériale des sciences de St. Pétersbourg, VIII série, tomo XV, n. 7. — 612 — Si dividano ambo i membri della 2n°"" uguaglianza, così ottenuta, per y" ('), e sì passi al limite per x = 0. Ricordando (*) che la funzione Kon(S/ DE i Kam(3%) tende, al crescere di x, uniformemente ad una funzione H(sz) con- y tinua, positiva e non identicamente nulla, avremo al limite l'equazione @) Sao 0(1) dt =0, le cui soluzioni sono zu/te rappresentate da TI (3) 0()= x) | H(s) x) 4. dove y(s) è una funzione qualunque, purchè integrabile e finita. Infatti, che ogni @(s) definita dalla (3) sia soluzione della (2), lo si vede subito, sostituendo in questa, a 0(£), l’espressione (3) ed osservando che è K,,(57) Ka,(74) d Ra lim K,n(st) "i pe n=o Y°° (H(s7) H(74) de lim { «a n=. a = H(st) ; d'altra parte, è poi evidente che, se yw(s) è una soluzione della (2), si potrà sempre scrivere vo=v— f AG) vd, e che quindi la w(s) si potrà mettere sotto la forma (3) La (3) rappresenterà perciò tutte le soluzioni della (2); e, poichè tra le soluzioni di questa vi sono evidentemente anche quelle della (1), potremo affermare che la (3) rappresenterà anche fuzte le soluzioni della (1). Sostituiamo nella (1). a @(), il valore dato dalla (3). Essendo Salta farle ; Yen+1(8) ui e dre=lim “—_- , ( K(st) di sf H(tr) yx(r) dr = lim f x(r) dr im n, da n==% n=% avremo x(s)= lim dana l8) ) n=0%0 y E poichè n atadiaie di -Rene (#0 lim 250 rim i (omar fi loda n_ i 3(8 =- n) K.(sr) lim xa III dr = iL K,(s7 ie A) ; n= ve }i y (1) Si ricordi che y= limyx e che ya = nta. (*) Schmidt, Entwicklung willkùrlicher Functionen nach Systemen vorgeschrie- bener. Inaugural-Dissertation, Gottingen 1905, $ 11. sarà aache Ne segue che le funzioni y(s), tali che, per esse, la (3) rappresenti le soluzioni della (1), dovendo tutte soddisfare quest'ultima eguaglianza, avranno necessariamente tutte le costanti C, eguali tra loro per n= 1 (*). Indicando con g(s) una qualunque di tali funzioni, alle soluzioni della (1) potrà allora darsi la seguente forma: (4) 6(s) = g(5) — qa(s) 3. Alla (4) si può dare anche un'altra forma, che ci tornerà utile. Siccome l'equazione °b g9(8) = | K(st g(t) dé ammette soluzione, dovrà aversi. per la condizione Picard-Lauricella (*), Py(8) dy "b gi(8) = Da Yy(8) | py(5) y.(8)ds = d 7 ? dove e quindi anche Ed avendosi, per tutte le funzioni g(s) considerate, (5) sa — si Du Re py(5) dy Il ai i li da cui si deduce che, per tutti i valori di v, dovrà aversi sarà Ae (1) Vergerio, Sull’equazione integrale di 19 specie. Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, seduta dell’8 nov. 1914. (3) Sull'equasione integrale di 1% specie. Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, vol. XVIII, serie 5%, 2° sem., fasc. 39. — 614 — Il secondo fattore di questo prodotto è nullo solo pei valori 4, Le 1 PA vc dovrà quindi essere necessariamente Yy dy= 0 (0=3,4,5,..) Con ciò avremo Di dhe Pa 5 a (6) pe SD El À, y=1 da dove p, e ps rappresentano il numero delle autofunzioni linearmente indi- pendenti, relative a 4, e 4; rispettivamente. Dall'ultima eguaglianza si deduce, notando che Zîy= 23y="1, Pi LE fa(8) _ S p(s)d +) p()d= z Ps) da, y=1 avendo posto p, + p.= p. La (4) può quindi scriversi (4) = A) gh: y=1 4. Facciamo l'ipotesi che le costanti y,, relative a K(s?), siano tutte eguali tra loro. Sappiamo (*) che allora la (5) è sempre soddisfatta, qua- lunque sia la g(s), purchè finita ed integrabile in (4,3). Le soluzioni 6(s) non potranno, in questo caso, essere /uZ/e identicamente nulle; perchè, se ciò fosse, sì dovrebbe avere, per ogni funzione finita ed integrabile g(s), g2(8) y e si dovrebbe conchiudere (*) che l'equazione b] g(s)= ‘db = | K(st) h(t) dt «76 (®) Il Lauricella aveva già incidentalmente osservato (Sopra alcune equazioni inte- grali. Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, seduta 21 giugno 1908) che le soluzioni della (1) si possono mettere sotto la forma b PESTO f du dove y(s) è una funzione integrabile qualunque. Non avendo però approfondito la que- stione, non aveva notato che le y(s) non possono essere qualunque, e che la serie si riduce alla somma d’un numero finito di termini. (*) Vergerio, Una condizione necessaria e sufficiente per l’esistenza di soluzioni nell'equazione integrale di 1% specie. Questi Rendiconti, seduta 6 giugno 1915. (3) Cfr. la prima delle mie Note citate. — 615 — ammette soluzione, qualunque sia la (8), purchè integrabile e finita; il che evidentemente non può essere. Possiamo pertanto affermare che se le costanti y, di K(st) sono tutte eguali tra loro, le soluzioni 0(s) della (1) non possono essere tutte identicamente nulle; ed anche (ciò che è poi lo stesso) che condizione necessaria affinchè la (1) sia a fun- sione caratteristica (*) chiusa è che le costanti yn non siano tutte eguali tra loro. 5. Osserviamo che dalla (4) si deduce immediatamente che. se K(s2) è una funzione limitata entro il guo campo di variabilità (tale essendo g2(8) rà allora anche la ). la 9(s) sarà anch'essa limitata o no, a seconda che lo sarà o no la 0(s). Analogamente, essendo gs(s) continua (°), la continuità di g(s) dipen- derà da quella di 6(s); e le eventuali discontinuità di una di esse saranno della stessa natura di quelle dell'altra. Ciò premesso, facciamo l'ipotesi che le 7 autofunzioni. linearmente indipendenti di K(s), relative agli autovalori +, appartengano alla (Ey. i classe ®; e tra le soluzioni 6@(s) della (1) consideriamo quelle che sono continue in (4,0), e quelle che sono puntualmente discontinue. Per quanto osservammo più sopra, le %(s) corrispondenti saranno fun- zioni della stessa natura; quindi per il corollario del teorema @) (ved. n. 1), il secondo membro della (4') sarà nullo in ogni punto di (a, d), se la g(s) ivi è continua; sarà da eccettuarsi un numero finito di punti, se è puntual- mente discontinua. 6. Aggiungasi ora la condizione che la K(st) sia una funzione limitata; e tra le #(s) si considerino quelle che sono limitate. Tali dovendo allora essere anche le corrispondenti 9(s), avremo, pel teorema #) del n. 1, p b vetta ; ve f tras. y=l a (!) Per noi le due espressioni nucleo e funzione caratteristica sono sinonimi. Kan( st) tai (3) Invero dalla convergenza uniforme di verso il limite H(st), discende quella, pure uniforme, degli integrali b Kan(: Gent) = Î SSIS) g(i) dt y a Li verso il loro limite, il quale perciò sarà una funzione continua. E poichè, per ogni n =. 1, si ha (cfr. la prima delle mie Note citate) Ia(8) La den(8) y 7a sarà pure g2(s) una funzione continua. — 616 — E poichè dalla (6), mediante quadratura ed integrazione, s ottiene Vi=y \ a? ; (fa [91(8) r=V) ; v=i V (7) ili avremo cioè, qualunque sia 7, e quindi (?) Quest'ultima eguaglianza ci dice che le soluzioni limitate @(s) saranno tutte nulle. Riassumendo : Se le autofunzioni linearmente indipendenti del nucleo simmetrico K(st), relative agli autovalori © — cn sono funzioni della classe ®, le s0- luzioni continue della (1) saranno tutte identicamente nulle in (a. bd). come pure quelle puntualmente discontinue, eccettuato per quest’ ultime un numero finito di punti. Se poi K(st) è anche limitata, non solo sa- ranno nulle tutte le soluzioni continue e puntualmente discontinue (colla suddetta eccezione), ma lo saranno anche tutte quelle limitate. 7. Non sarà infine del tutto inutile notare che, nel caso in cuì si sappia 4 priori che le soluzioni dell'equazione (1) che si considera deb- bano essere /u/te continue, oppure tutte limitate [se tale è anche la K(sé)], potremo affermare, ricordando il teorema del n. 4, che se le costanti yn non sono tutte equali tra loro, e le autofunzioni linearmente indipendenti di K(st), relative agli autovalori i appar- Vy tengono alla classe ®, l'equazione (1) sarà a funzione caratteristica chiusa. (®) Nella seconda delle mie Note citate ho dimostrato che, se g(t) non è soluzione b dell'equazione f H(st) A(t) dt= 0, sarà limen=y. Qui si vede subito che il caso di Za n=%0 ($s Ù A . an è . eccezione non è verificato. Invero, se fosse Di, H(st) g(t) dilin Jan18) = ) =0, in grazia ” 5 26 Gals) _— Gan(8) dell'uguaglianza va = ner (n = 1), sarebbe ga(s) = 0; ed anche, per l’altra b Na -f 9(8) ga(5) ds , a V,=0. Si avrebbe quindi, per la (7), Vo=0 (la costante y non potendo essere mai nulla); da cui seguirebbe g(s) = 0 identicamente, contro il supposto. (2) Cfr. la prima delle mie Note citate. — 617 — Storia della matematica. — Sulle scoperte di Pietro Men- goli. Nota II di GrovaNNI VACCA, presentata dal Socio V. VOLTERRA. In una Nota precedente ho posto in rilievo l’attività scientifica del matematico bolognese Pietro Mengoli. Converrà ora osservare che a lui spetta un merito non piccolo, finora non osservato da alcuno, se non forse dal Leibniz, relativo alle notazioni, le quali, come il Leibniz diceva, non sono una piccola parte dell’arte d'inventare. V. () È nella Geometria Speciosa pubblicata nel 1659 che il metodo è esposto diffusamente. Già Bonaventura Cavalieri nella sua Geometria del 16837 aveva ado- perato in senso tecnico la parola omnes lineae di una figura data, per indi- care lo stesso ente che noì indichiamo, seguendo Leibniz, col simbolo f. Mengoli adopera dapprima la lettera O, per le somme finite. Così, per lui (?), 0. 2a=t* — t significa \Sar=n— n Adopera invece il simbolo FO (*) per le somme di infinite linee. Indica con & la variabile che noi diciamo ora abitualmente x, e chiama infine 7 (iniziale della pavola residuo) ciò che noi chiamiamo ora 1— x. Allora FO. ar : FO. {ur ; FO. ar3 rappresentano gli stessi enti che noì indichiamo con n 4 @ee l [ a(1—2)da ; | Vx(1—-x)de ; e(1—--2)da , 0 0 S0 / u e calcola, con lunghi tentativi dapprima, e poi rigorosamente, tutti gli inte- grali binomii ad esponenti interi e positivi (*). (*) Continua la numerazione dei paragrafi della Nota precedente, a pag. 508 di questo volume. (®) Geometria speciosa, Bononiae, 1659, Elementum secundum, pag. 38. (3) ibid., libr. VI, pag. 367 e segg. FO è il principio della parola /orma. (4) È veramente deplorevole che il Mengoli abbia atteso dodici anni prima di pub- blicare questi importanti risultati, già contenuti sotto altra forma, nell’Arithmetica inf RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 81 — 618 — Tutti questi sforzi avevano uno scopo ben chiaro. « His demonstratis, cogitabam si possent aliae quadraturae inveniri ex « inventis compositae, in quas insignis aliqua resolvatur; quemadmodum in « triangula, parabolam Archimedes resolvit. Et quaesivi primum de omnibus « figuris, in quibus ordinatae ad basim, sunt omnes potestates abscissarum, « primae, secundae, tertiae, et deinceps in infinitum; quas ex demonstratis « a Cavallerio ... deprehendebam esse in serie harmonica naturali ab unitate; « earumque summam demonstravi excrescere in infinitum, in praefatione ad « meum libellum, cuius titulus Movae quadraturae arithmeticae, seu de « additione fractorum... » (2). Nelle quali parole, se non m'inganno. io leggerei il notevole risultato : [(1+2+2+...)do=, VI. Lo stile del Mengoli è spesso contorto ed oscuro, a causa forse della preoccupazione che egli ebbe di esser rigoroso. Le sue notazioni sono diverse da quelle degli altri matematici. e perciò. sebbene spesso razionali, insolite. Così ad esempio egli osserva (e Leibniz ripeterà poi come sua l'osservazione) che invece delle parentesi una semplice virgola può adem- piere allo stesso ufficio, e scrive quindi «+ è ,c ciò che noi scriviamo (a+d)c. Così ancora rileva l'inconveniente tipografico che presenta la linea di divisione orizzontale, ed adopera invece a tale ufficio le parentesi, scrivendo a(b) ciò che noi scriviamo Le Intine invece di scrivere gli esponenti più piccoli in alto, li scrive di seguito, così scrive 42 53, ciò che noi scriviamo a? d8. Ciò può spiegare come sia sfuggita all'attenzione dei più la sua teoria originale, rigorosa e puramente aritmetica dei logaritmi, la quale lo con- dusse a scoprire ed a pubblicare nel 1659, i primi sviluppi in serie infinita dei logaritmi dei numeri razionali. nitorum del Wallis (1655). Così infatti dice i1 Mengoli nella lettera dedicatoria a Gian Domenico Cassini (Geometria speciosa. Elementum sextum, pag. 348): « Ante annos duodecim, occasione cuiusdam problematis mihi propositi a D. Antonio « Rocca Regiensi, de figura unilinea describenda, quae secaret ellipsim in duobus punctis «innumerabiles eiusmodi fisuras excogitavi, quas tune per Geometriam indivisibilium « quadrabam... ». (‘) Geometria speciosa, Elementum Sextum, pag. 863. Nove anni più tardi, nel 1668, Nicola Mercator pubblicava la sua Zogarithmotechnia. Se il Mercator avesse co- nosciuto l’opera del Mengoli (il che sembra oggi difficile poter accertare) si potrebbe spiegare in modo assai semplice la genesi della scoperta della serie di Mercator, e capire altresì come il Mercator non abbia poi scritto più nulla sulle serie infinite, malgrade che continuasse poi a pubblicare molti anni dopo altri scritti di matematica. — 619 — Converrà però adoperare un linguaggio più semplice, per esporre rapi- damente queste idee del Mengoli. Dato il numero intero e positivo n, si considerino le due successioni Il 1 Il 1 al _ = sv Ga sail 1+3 LO + SES. gl sv) | 3T | San—-1l' 1 1 1 Il 1 1 Il Il LR ge Il Mengoli chiama la prima successione di iperlogaritmi del numero », e la seconda successione di ipologaritmi del numero x. Chiama allora logaritmo di » l’unica quantità maggiore di tutti gli iperlogaritmi e minore di tutti gli ipologaritmi (!). Se poi n, sono interi e positivi ed m >. se i è intero, si vede n subito che il logaritmo di n è compreso tra le due successioni ? | 1 1 1 1 n dmn, Fn 2n tit + IRE di a ii 1 1 l RIVE LI ET E DR ie, ‘agio app dii 2m 1 1 pr LS smo I" (poichè queste successioni fanno parte di quelle che definiscono log —, ecc.). n Quindi sì conclude facilmente (*) che logm—logr=log®. la quale è la proprietà fondamentale dei logaritmi; e si vede pure che è naturale detinire log — per mezzo delle successioni (A) nel caso in cui — n n non è intero. (!) Porro logarithmus est illa quantitas, ad quam tendunt hyperlogarithmi cum semper deinceps minuuntur, et ad quam tendunt hypologaritmi cum semper deinceps augentur; omni minor hyperlogarithmo, et omni maior hypologarithmo. Geometria spe- ciosa, Introd., pag. 69 i (*) Patet... quod compositae rationis logarithmus est aggregatus componentium loga- rithmorum, ibid., pag. 71. — 620 — Da questa definizione di logaritmo di un numero razionale il Mengoli trae immediatamente uno sviluppo in serie infinita (!), cioè: m me ( 1 sen il ) B log -= — _ \___}; (8) 987 5bl&Grmts f&rn4s) quindi per esempio: mea ( + HA (HA mei (H+ AHI La prima di queste due formole non è altro, sotto forma leggermente di- versa, che la formola 1 IGIROLS.i log lei ea trovata poi dal Mercator per una via più diretta e più feconda, e riscoperta più tardi del Brouncker con un metodo sostanzialmente non diverso da quello del Mengoli. VII. Rimarebbe ancora da esporre sommariamente quali sforzi il Men- goli abbia fatto nel suo Arzo, per rendersi conto del cammino percorso dal sole. Ma i suoi sforzi, per quanto sterili, e per quanto oramai inutili, perchè Newton già da qualche anno aveva meditato e risolto problemi ben più vasti, si prestano ad alcune considerazioni che spero di esporre in un'altra occasione. (!) Il Mengoli chiama prologaritmi del n. m e del numero n, rispettivamente le due sommatorie finite che figurano a destra della formola (B), la quale è quindi enun- ciata da lui così: Ordinetur summa excessuum primi prologarithmi supra primum, ...et secundi supra secundum, et tertii supera tertium, et sic deinceps in infinitum: omnium summa emcessuum, est logarithmus rationis quam habent numeri...,ibid., pag. 74. — 621 — Fisica. — Sulla legge di Lo Surdo ('). Nota del dott. CARLO SoNAGLIA, presentata dal Corrispondente A. GARBASSO. Dalle ricerche del prof. Lo Surdo sulla scomposizione elettrica delle righe dello spettro dell'idrogeno appartenenti alla serie di Balmer, risulta che in direzione perpendicolare al campo elettrico sì osservano scomposte le varie righe in elementi polarizzati rettilineamente: due elementi esterni, vibranti parallelamente al campo elettrico; altri interni, a vibrazioni per- pendicolari. Ma. mentre il numero delie componenti esterne rimane invariato. varia invece quello delle interne, e precisamente in relazione al posto che la riga occupa nella serie. È noto che le lunghezze d'onda delle righe di questa serie si possono ottenere dalla formula dove a è una costante ed n un parametro che dà valori interpretabili solo quando è posto uguale a 3,4,5,6... In questi casi la formula dà la lun- ghezza d'onda 4 rispettivamente dei termini 1,2,3,4... della serie, cioè delle righe H._, Hg, H,, rog Ora, esaminando i risultati ottenuti col suo metodo sulle prime quattro righe della serie di Balmer, il prof. Lo Surdo trovò che essi rispondono alla seguente legge (?): « Il numero d'ordine di una riga nella serîe di Balmer coincide col «numero delle componenti interne di vibrazioni perpendicolari al campo « elettrico, ed il numero totale delle componenti coincide col valore del « parametro n. Mi è parso interessante uno studio diretto a verificare la validità della legge di Lo Surdo per le altre righe della serie. Ma la ricerca si presentava molto difficile per le ragioni che accennerò in seguito, ed ho dovuto limitarla alla H., la quinta riga della serie, che trovasi nell'ultravioletto. () Lavoro eseguito nel Laboratorio di fisica del R. Istituto di studî superiori in Firenze, novembre 1915. (?) A. Lo Surdo, Za scomposizione catodica della quarta riga della serie di Balmer e probabili regolarità [in questi Rendiconti, vol. XXIII serie 5%, 1° semestre (1914), pag. 328]; id., L'analogo elettrico del fenomeno di Zeeman e la costituzione del- l'atomo, L’Elettroteenica, vol. I, 1914, pag. 629. — 622 — È noto che le righe della serie di Balmer, dal rosso al violetto, vanno indebolendosi e avvicinandosi e tendono al limite 3645,6 U.À. Ora, col metodo catodico di Lo Surdo nei tubi molto sottili la luminosità è tale che si può fare l'osservazione diretta delle righe H,e Hp, decomposte per il campo elettrico, anche con un modesto spettroscopio ad un sol prisma ('); ma egli stesso aveva già notato che, mentre la H, si può fotografare con espo- sizioni di pochi minuti, per la Hz (4101,2 U. À) occorreva circa un'ora. La H: si trova nell'ultravioletto (3970 U . À), e l'osservazione non si può fare se non col metodo fotografico. Ma è molto più debole della Hg, e quindi si comprende che è necessario di prolungare molto l'esposizione mante- nendo costanti il più possibile le condizioni elettriche del tubo di scarica, e usando molte precauzioni per evitare l’appannamento della parete del tubo di vetro per il deposito metallico che la scarica vi produce dopo tempo più o meno lungo. Le prove vennero da me prima condotte usando le solite disposizioni spettroscopiche con prismi e lenti di vetro, già adoperate dal prof. Lo Surdo. Ma dovetti convincermi, dopo molti e laboriosi tentativi, che il fascio di radiazioni 3970 U.À., già debole per sè stesso, risultava ancora molto più indebolito per l'assorbimento nel lungo cammino attraverso le lenti ed i prismi di flint, tanto che non era possibile di ottenere una prova fotografica netta. Ho adoperato in seguito una disposizione spettroscopica consimile a quelle precedenti, nella quale però le lenti ed i prismi erano tutti di quarzo. Lo spettrografo, con prisma di Cornu, era del ben noto modello costruito da Hilger di Londra. Sulla fenditura di esso veniva proiettata, mediante due lenti di quarzo, l’immagine dello spazio catodico del tubo di scarica, disposto con asse parallelo alla fenditura allo scopo di ottenere sulle prove le configu- razioni a ventaglio delle righe decomposte dal campo elettrico, configurazioni che, come è noto, servono bene a distinguere gli elementi di decomposizione dalle righe non decomposte. SNA ) S Q Q n: 1 v Fia. 1. Il tubo era della solita forma, ma lievemente modificato. La modifica- zione consiste nel fare il ramo catodico, che prima era di vetro, di sostanza trasparente alla radiazione H:. Un tubo cilindrico di quarzo Q , del diametro interno di mm. 2,5, contenente il catodo C, è saldato in S al solito tubo di (*) A. Lo Surdo, Osservazione diretta della scomposizione delle righe spettrali in un tubo molto sottile (in questi Rendiconti, vol. XXIII, serie 5*, 1° sem. 1914, pag 252). — 623 — scarica, nel quale si trova l’anodo A, mediante un mastice che non dà vapori apprezzabili. Il catodo C è costituito da un cilindretto d'alluminio a faccia piana che riempie completamente la sezione; ad esso è attaccato un filo di platino il quale passa all'esterno attraverso ad un altro tubetto di vetro sal- dato in T al quarzo pure col mastice. Il catodo si scalda per effetto della scarica; ma il filo di platino è fatto lungo e sottile per impedire una note- vole propagazione di calore verso l'estremo superiore, e quindi il rammolli- mento del mastice. La faccia catodica C è notevolmente distante dalla sal- datura S, per la stessa ragione. Il tubo, riempito d'idrogeno alla pressione opportuna, veniva chiuso alla lampada in F e poteva rimanere lungamente senza subire alterazioni. Il tubo era collegato con i poli della batteria di 5000 piccoli accumu- latori esistente in questo Laboratorio. La corrente veniva regolata mediante delle resistenze ad acqua inserite opportunamente nel circuito. La lunghezza dello spazio oscuro catodico era di circa mm. 6 con una corrente di circa 1 milliamp. e una caduta di potenziale agli elettrodi di circa 6000 volta. Le prove fotografiche iniziali furono parecchie e laboriose. Esse mi ser- virono a stabilire le condizioni migliori relative alla larghezza della fendi- tura, al valore del campo opportuno per la netta scomposizione della H: che sì trova in una regione dove la dispersione dello spettrografo corrisponde a circa 30 Àngstrom per millimetro. E bisognava che la corrente fosse di inten- sità debole, poichè altrimenti le condizioni del tubo non si potevano mante- nere inalterate per il lungo tempo necessario ad ottenere delle prove suffi- cientemente impressionate. La durata di esposizione, nelle condizioni da me scelte, era di circa quattro ore. La maggiore difficoltà è dovuta alla presenza del secondo spettro del- l'idrogeno, che nella luminosità catodica si presenta ricco di righe in vici- nanza della H., alcune delle quali particolarmente estese. Un prolungamento di esposizione è perciò da evitarsi. Ed anche con esposizioni sufficienti, un gruppo di due righe, relativa- mente molto intense e vicine, si sovrappone, dalla parte delle lunghezze d'onda brevi, alla configurazione a ventaglio, anche se il campo è appena sufficiente alla separazione degli elementi di decomposizione. Esse sono le 3963.3 e 3902,4 U. À. (*) che non si vedono separate nelle mie prove a causa della debole dispersione, ma si presentano come una riga larga, molto più intensa della H., molto espansa in prossimità della parte catodica. (1) Joseph Sweetman Ames, On some gaseous spectra: hydrogen, nitrogen. Phil. Mag., vol. XXX, series 5%, an. 1890, pag. 48. — 624 — Perciò le mie prove furono necessariamente condotte a stabilire sepa- ratamente le caratteristiche della scomposizione della H: nel modo seguente: 1) la simmetricità della scomposizione, dedotta dalla forma del ven- taglio, in tutte le prove; 2) la doppia esterna, come è stata osservata per le righe Ha. Hp, H,, H3, mediante l'aggiunta di un prisma di Glan-Thomson, disposto in modo da lasciar passare solo le vibrazioni parallele al campo clettrico; 3) il numero delle componenti interne, mediante esposizione molto prolungata e senza prisma, dopo aver fissato la posizione della doppia esterna. Quest'ultima parte fu la più difficile. Le componenti verso le lunghezze d'onda più grandi, e quella centrale, che si presenta in questo caso, si vedono nettamente; mentre quelle verso le lunghezze d'onda brevi si deducono dalla simmetricità della configurazione a ventaglio, e dalle porzioni di esse com- ponenti che divergono dal punto corrispondente al limite dello spazio cato- dico alla seconda luminosità negativa fino a quando non incontrano le due righe del secondo spettro dell’idrogeno, avanti accennate. Ma ho potuto stabilire sicuramente che esse componenti interne a vibra- zioni perpendicolari al campo, sono cinque. Riassumendo, il comportamento delle prime cinque righe della serie di Balmer nel campo elettrico, in relazione al numero d'ordine della riga nella serie, e ‘al valore corrispondente del parametro n, risulta indicato dalla seguente tabella: Righe Ha He H, Hs He Ri. ai e (60862, 4860,7 ‘434010 4101020 RIO ; ANRRS RA PE IIET 3 4 5 6 7 N. totale delle componenti . 3 4 6) 6 7 N. dordine 3 l 2 3 4 5) Compon. a vibrazioni normali. 1 2 3 4 5 Aspetto delle righe (*). . i: Ka] agi legal il Ii II MICI Ho confermato così per il quinto termine della serie di Balmer la legge di Lo Surdo. (') Le componenti spostate verso l'alto sono quelle a vibrazioni parallele al campo, — 625 — Chimica. — Ricerche sulle combinazioni subalogenate di alcuni elementi: sui cosiddetti sottocloruri e sottobromuri di bismuto (*). Nota II di L. MARINO e R. BECARELLI, presentata del Socio R. NASINI. Dopo aver riferito, in una prima Nota, sul sistema bismuto-iodio (*), riprendiamo lo studio delle combinazioni del bismuto con il bromo e con il cloro, nonostante che sull'argomento sì trovi in letteratura un ponderoso lavoro tedesco di B. G. Eggink (*), perchè le conclusioni dell’autore non sì accordano, secondo il nostro modo di vedere, con il comportamento chimico complessivo del bismuto (*). I dati sperimentali riguardanti i due sistemi considerati, non solo dimostrano erronee le conclusioni dell’Eggink, ma con- ducono, ove si interpretino convenientemente, ad un caso assai interessante dal punto di vista teorico e da quello pratico. Se si approfondisce infatti l'esame obbiettivo e si coordinano le varie osservazioni, senza perdere di vista il carattere chimico dell'elemento considerato, si giunge a dimostrare che i nuovi sistemi rappresentano un bellissimo caso di equilibrio fra due liquidi parzialmente miscibili e una fase solida formata, entro limiti abba- stanza estesi di concentrazione, da cristalli misti i quali hanno un punto di fusione più alto di quelli dei componenti: ora, equilibrî di questo tipo non sono, per quanto a noi consti, ancora ben noti. Oltre a ciò, una maggiore conoscenza di queste relazioni, se da un lato ci fornisce il materiale speri- mentale per discutere in seguito alcune nostre considerazioni sui concetti di (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica generale della R. Università di Pisa, novembre 1915. (3) R. Acc. Lincei, 21 [5] II 695 (1912). (3) Zeitschr. f. physik. Chem., 64, 449 (1908). (4) A questa ricerca, che è una seconda documentazione delle idee esposte nella mia Nota Nuove ricerche sulle combinazioni inferiori di alcuni elementi |Rend. R. Acc. Lincei, 24[5]II, 143 (1915)}, farò seguirne altre su argomenti ben diversi. Da esse appare ancora una volta quali interessanti deduzioni si possono trarre da certi lavori, in apparenza assai pregevoli, ove si segua il metodo di indagine senza trascurare i caratteri chimici della sostanza sulla quale si esperimenta. In questo studio sulle combinazioni sub-alogenate del bismuto ebbi un ottimo collaboratore nel dott. Becarelli. Data l’indole del lavoro, ciascuno di noi portò il suo contributo personale nella esecuzione delle esperienze. Il dott. Becarelli eseguì prima l’analisi termica sui varî miscugli, e poi l’analisi chimica dei varî strati, allo scopo di precisare i punti delle divergenze sperimentali; ciascuno di noi eseguì allora per proprio conto, a reciproco controllo, le definitive determinazioni, per cui le conclusioni alle quali siam giunti scaturiscono dall'esame di dati varie volte controllati e ampiamente discussi. L. MarIno. RenpiconTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 82 — 626 — individuo chimico e di combinazione berthollide, recentemente introdotti da Kurnakow (') in base a misure quantitative dei diagrammi chimici « com- posizione-proprietà », dall'altro permette di collegare i nostri risultati con le ricerche chimico-fisische di Cohen (?) e collaboratori sull’antimonio esplo- sivo e con quelle chimiche di Schenck (*) sulle soluzioni solide di fosforo in tribromuro di fosforo, ricerche le quali tendono a stabilire nuove rela- zioni fra lo stato allotropico e la formazione di soluzioni solide. Quanto all'interesse pratico. esso deriva non solo dall'avere noi mostrato che sono per ora da radiarsi dalla letteratura quelle combinazioni del bismuto con il bromo e con il cloro nelle quali esso figurerebbe come elemento mono- valente o hivalente, ma anche dall'aver messo meglio in evidenza che, quando sì vogliono conoscere tutte le variazioni di stato che si succedono in una massa, con carattere non del tutto metallico, sottoposta a graduale cambia- mento di temperatura, non sempre basta il solo metodo termico, per quanto scrupolosamente eseguito, a trarre le opportune conclusioni. Spesso la quan- tità di calore che nella massa considerata entra in giuoco col passaggio dalla fase liquida alla fase solida, o viceversa, è-così piccola che ad un'indagine superficiale potrebbe sfuggire, specie allorquando la massa stessa è poco conduttrice: cosicchè, ove non si ricorresse ad altri criterî e dispositivi ana- liticì, sì finirebbe col concludere erroneamente. Se si osservano infatti le curve di raffreddamento dei varî miscugli di bismuto con tribromuro di bismuto, anche sperimentando con duecento grammi di prodotto, non sì riesce a mettere bene in rilievo alcun principio di cristallizzazione; e solo in vicinanza della temperatura di fusione del bismuto notasi un effetto termico. Per quanto si segua accuratamente e len- tamente il raffreddamento, il cambio di direzione nella curva manca fino alla temperatura di circa 260°, mentre la sostanza solida, probabilmente cristalli misti, si è già cominciata a formare a 305°. Ove non venisse svelata per altra via questa presenza della fase solida che fa equilibrio a due fasi liquide ancora esistenti a quella temperatura, l'analisi termica condurrebbe ad erronee conclusioni. E ad errati giudizî porterebbe in tal caso anche l’analisi microscopica, perchè la mancanza di effetto termico al disopra di 270° farebbe pensare che le diverse sostanze, osservate al microscopio a temperatura ordinaria, si fossero originate al disotto di 270°. E più giustificato appare il nostro rilievo quando facciamo notare che la massa del solido, non svelato dal metodo termico nelle suaccennate con- (*) Z. f. anorg. Chemie 88 (1914) pag. 109. (?) Zeitschr. fur phys. Chem., 47 (1904) pag. 1. — Ibid., 50 (1904), pag. 291. — Ibia.. 52 (1905), pag. 129. (3) Berl. Ber. 36, I, 979. — 627 — dizioni, può raggiungere il rapporto del 35 °/, del miscuglio: quantità, come si vede, che non è punto trascurabile e che mostra esser le difficoltà prove- nienti dal minimo sviluppo di calore che entra in giuoco. Non è dunque fuor di luogo insistere nel richiamare l'attenzione di coloro, i quali si ser- vono del metodo termico per lo studio analitico degli equilibrî in miscele fuse, sulla necessità di bene accertarsi anche per altra via (specie quando fra i componenti del sistema vi sono combinazioni non metalliche) se esi- stono o no soluzioni solide o cristalli misti i quali sì originano con picco- lissimo sviluppo di calore. La loro presenza, anche se elevato è il rapporto, non può essere allora svelata col metodo termico se non da apparecchi molto sensibili o da grandi quantità di sostanza ovvero da una velocità di raffreddamento estremamente lenta. L'ultimo caso ‘però, come sappiamo, non è certo quello più adatto, perchè, pur ammesso che essa sia sufficiente per avvertire il principio di cristallizzazione, potrebbe dar luogo a false interpretazioni quando si segue l'ulteriore sviluppo della curva di equilibrio. Ma prima di discutere i risultati delle nostre esperienze, è bene d’accen- nare a qual punto riprendiamo lo studio dell'argomento, riportando quelle conclusioni che a noi più interessano, e rimandando, per la completa biblio- gratia, al trattato del Gmelin Kraut (') nonchè al lavoro di G. B. Eggink (?) Combinazioni del bismuto col bromo. Dei composti che il bismuto fa col bromo, quello più conosciuto è il tribromuro. Esso. comunque preparato, secondo alcuni potrebbe dar luogo, per riduzione, alla formazione di Bi Bri; ma, secondo Eggink, questo composto non sarebbe BiBr,, bensì BiBr. Il bibromuro, BiBr,, fu ottenuto da Weber (*) fondendo una mescolanza di BiBrz e Bi in un rapporto tale da fare BiBr,. I cristalli aghiformi separati dal liquido rosso-brano, dopo raffreddamento, separano, per azione dell'acido cloridrico, bismuto metallico. Analogamente si scomporrebbero dando bismuto e tribromuro quando si scaldassero a temperatura più alta. Questo comportamento deporrebbe, secondo l’autore, per l'esistenza del Bi Brs. Però, se si tenta di ottenere lo stesso prodotto da bismuto metallico e tribromuro, allora esso non corrisponde al BiBr, ma contiene circa il 6,5 °/, di bismuto in più; scioglierebbe del bismuto dando origine ad una nuova sostanza la quale sarebbe da considerarsi come un sesquibromuro di bismuto, Bi, Brz (l’analisi darebbe una differenza, fra bismuto calcolato e trovato, di 0,5 °/0). (*) Gmelin Kraut, vol. III. 2. pag. 987, 996. (*) Z. f. physik. Chemie 64, 449 (1908). (3) Pogg. Ann. /07, 600. — 628 — Secondo Muir (*), il BiBrs non sì può avere puro, perchè è molto ditti- cile liberarlo dal tribromuro. Difatti i prodotti analizzati conterrebbero sempre più bromo (0,87 °/) di quello che corrisponde alla composizione del BiBrs. Per riscaldamento si decomporrebbe anch'esso in BiBrz e Bi, ma per una temperatura che è inferiore a quella del BiCl,. L'autore deduce anche, che un composto inferiore si forma, dal comportamento del tribromuro riscaldato in una corrente di idrogeno secco. Con l’innalzarsi della tempe- ratura, il tribromuro prima fonde in un liquido rosso; poi, in parte distilla, in parte si riduce a bismuto metallico. Il prodotto più basso non si potrebbe quindi isolare, perchè la decom- posizione in tribromuro e bismuto avviene per temperatura relativamente bassa. B. G. Eggink, dalle curve di fusione dei varî miscugli di tribromuro e bismuto e dalle misure della solubilità, conclude per l’esistenza di una nuova combinazione Bi Br la quale fonde per 287° in due strati liquidi. ‘ombinazioni del bismuto col cloro. — Per quel che riguarda i pro- dotti clorurati ammessi finora, è da ricordare che varî sono gli autori che tentarono di ridurre il tricloruro di bismuto che è il composto più facil- mente preparabile. Heintz (*) per primo cercò. ma senza successo, di preparare un com- posto contenente meno cloro. scaldando in corrente di idrogeno il tricloruro. Schneider (*), dopo aver confermato l'insuccesso del metodo di Heintz, ricorse alla decomposizione del sale doppio 2 NH, CI. Bi Cl3, scaldato a 300° in corrente di idrogeno. Eliminato l'acido cloridrico e compiuta la distillazione del cloruro ammonico, egli otteneva un liquido oleoso rosso, il quale per raffreddamento solidificava in una massa cristallina corrispondente ad un nuovo sale doppio. Quanto più prolungato era il riscaldamento, tanto più la composizione sì avvicinava a quella data dalla formula NH, CI. Bi Cl,. Il prodotto, deliquescente, per azione degli acidi diluiti metteva in libertà bismuto metallico e quindi, secondo Schneider. deriverebbe dal bicloruro, mentre, secondo Eggink, starebbe ad indicare soltanto che si forma un cloruro più basso del tricloruro. Vedremo che nessuna delle due interpretazioni corri- sponde alla realtà. Schneider prepara anche il bicloruro scaldando in tubo chiuso per 4 ore fra 250°-250° una mescolanza di bismuto finamente polverizzato e calomelano. Secondo lui, dovrebbe compiersi la reazione 2HgCl + Bi= BiCl, 4 2Hg; vedremo invece che la reazione procede secondo l'equazione 3 Hg CL + Bi = BiCk + 3 Hg. Dal liquido nero che galleggia sulla mescolanza di mercurio e di bismuto in eccesso, cristallizza un prodotto di composizione non costante perchè i (1) Journ. Chem. Soc. 29, 144. (3) Pogg. Ann. 03, 59. (*) Pogg. Ann. 96, 150. — 629 — dati analitici oscillano molto nelle diverse preparazioni, secondo l'autore, a causa di un po’ di mercurio e di bismuto che rimane come impurezza. La sostanza nera ottenuta si scompone, con gli acidi minerali, in tricloruro che passa in soluzione, ed in bismuto che si separa come polvere nera. Per azione della potassa concentrata si origina prima ossidulo nero; poi, per addizione di ossigeno, ossido giallo. Scaldato all'aria, lascia, già a 300°, sublimare il tricloruro, mentre si libera bismuto metallico. Ad un simile risultato giunse Weber (') fondendo in un tubo chiuso un miscuglio di tricioruro di bismuto e di bismuto me- tallico in un rapporto tale da avere un po’ di eccesso di bismuto rispetto a quello richiesto per la formola BiCl,. Dopo alcuni giorni di riscaldamento, lasciò raffreddare e trovò che la massa constava di due strati, dei quali il superiore, identico a la sostanza di Schneider, !differiva, nel contenuto del bismuto, solo di 0,7 °/, dal valore teorico calcolato per Bi Cl., Mentre Heintz e Schneider ritengono che, scaldando il tricloruro in corrente d'idrogeno secco, non si formi del BiCls, Muir (*) sostiene che si origina una sostanza nera la cui composizione corrisponde a quella del bicloruro e che per riscaldamento sì scinde in un sublimato bianco cristal- lino, Bi Cl,, ed in un residuo nero di bismuto metallico. Un cloruro nero, che corrisponde per composizione al Bi Cl,, l'ha prepa- rato anche Déhérain (3), per il quale prodotto ammetterebbe anzi una for- mula doppia, BiC1,, allo scopo di poter giustificare la trivalenza del bismuto. Egli credeva di poter anche ammettere l'esistenza di un altro composto, Biz Clg; ma dalle ricerche di Eggink risultò che questo non esiste. Più recentemente Eggink (4) fece sull'argomento uno studio abbastanza completo. Egli espose una completa e pregevole trattazione dei casi grafica- mente possibili di coesistenza di fasi solide e liquide per un sistema di due componenti, ove si presentano due fasi liquide, basandosi sul metodo gratico da Ry van Alkemade dedotto per stabilire l'equilibrio fra le solu- zioni saline e le coesistenti fasi solide, e da Bakhuis Roozeboom (°) appli- cato per i cristalli di miscela; e, determinando le curve di fusione dei sistemi Bi Cl; —Bi e Bi Br;—Bi, mostrò che, invece delle combinazioni Bi Cl. e BiBrs, esistono le combinazioni Bi Cl e BiBr. Dalla sua ricerca risulterebbe, anzi, che non esiste neppure il composto Biz Clx, mentre po- trebbe formarsi una combinazione endotermica BiCl. Ora le esperienze finora da noi eseguite non solo hanno confermato i nostri dubbî sull’attendi- (1) Pogg. Ann. /07, 597. (3) Journ. Chem. Soc. 29, 144. (*) Bull. Soc. Chim. 1862, pag. 217. — Dammer, II, pag. 262. (4) Zeitschr. f. phys. Ch. 64, pag. 452 (1908). (3) Z. f. phys. Chem. 11, 289 — Ibd. 30, 885. — 630 — bilità delle conclusioni di Eggink, ma hanno mostrato che esse vanno ben altrimenti interpretate. Fondendo infatti entro i soliti nostri tubi (*) delle miscele di bismuto con quantità di tricloruro e rispettivamente tribromuro variabili dal 5 all'85°/ si ottengono al disopra di 320° due strati liquidi: uno superiore nero, l’altro bianco lucente di aspetto metallico. Coll’abbassarsi della temperatura si origina: 1°. Da uno dei due strati che formano la massa fusa un prodotto cristallino che non ha punto di fusione costante (per il composto bromurato fonde infatti completamente nell'intervallo 270°-305°. per quello clorurato fra 270° e 320°) Questo per la temperatura di circa 240° si trasforma in altri due pro- dotti, di cui l'uno fonde intorno ai 260° e l'altro cristallino fonde per il miscuglio di bromo e bismuto fra 270° e 305° e per quello di cloro e bismuto fra 270° e 320°. 2°. Dall'altro strato invece una massa che per il bromo fonde a 200° circa e per il cloro a circa 180° ed è formata dall’eutettico Bi—Bi Brz e Bi—Bi Cl; rispettivamente. La massa cristallina proveniente dalla trasformazione è poco igroscopica ed il rapporto fra bismuto e bromo e fra bismuto e cloro varia non solo col variare della concentrazione del tribromuro e del tricloruro ma anche col variare degli strati della massa solidificata come possono mostrare i seguenti dati ottenuti su cristalli separati dalle diverse miscele fuse per le temperature su indicate. La sostanza pesata fu posta in un palloncino tarato e trattata con tant. nitrato d'argento titolato e tanto acido nitrico quanto basta per sciogliere il bismuto che si libera. L'eccesso di nitrato d’argento fu dosato nel modo solito col solfocianuro ammonico. gr. 0.3918 di sostanza cristallina separata da un miscuglio al 45 °/, di Bi Brz consumarono ce. 10,0 di AgNO3"/,= 26.62 °/, di Br. gr. 0,5864 di un secondo strato della stessa sostanza consumarono ce. 18,9 di AgNO; “”/\j, = 25,65 ®,, di Br. Per sostanza cristallina separata da un miscuglio al 25 °/ di Bi Brz sì ebbe: gr. 0,2981 di sostanza cristallina consumarono ce. 9,2 di AgNO; “= = 24,69 */, Br. gr. 0,4496 di un altro strato consumarono ec. 13,5 di Ag NO; “/1a = 24,96 %/ di Br. (1) R. Ace. Lincei, 21 [5]. II, 647 (1912). — 631 — e per sostanza cristallina separata da un miscuglio al 55 °/, di BiBr; si trovò che: gr. 0,3867 consumarono ce. 11,1 di AgNO; “”/,6= 23,6 °/, di Br. Analoghi risultati si ottengono per la sostanza cristallina clorurata. Secondo il nostro modo di vedere questa sostanza separata che non fonde per una determinata temperatura e che scaldata nelle identiche condizioni nelle quali si è generata riforma di nuovo i due strati, dai quali prende origine nuova sostanza che fonde sopra i 270°, non può ritenersi come un vero e proprio composto ma deve riguardarsi come una serie di cristalli misti, i quali si formano con piccolissimo sviluppo di calore. I punti di fusione di questa serie di cristalli sono tutti più alti di quello dei eompo- nenti, ma ancora non abbiamo potuto stabilire con esattezza i limiti del campo di esistenza e sopra tutto se v'è un massimo nella curva di equi- librio perchè la sublimazione del tribromuro e rispettivamente tricloruro concorre a complicare il risultato sperimentale. Confermeremo in altre Note quanto qui fu da noi succintamente ri- cordato. "a i x Ei (ICE e Pit IT a (TA RE 03133 tp] uni ti %. “ 1A 1 7 a Le 4 n bè te tO Fasti, PAM DI i Pi È, DI 1) x \ A h 5 HA fi D CI “ Ù LIPPI TI IDE Ù Dar vi! i ua) NE î prizzi nd da Ù dd ar) INI tI È i] RSU ' ù i CONTI se i pai lati _ e n * Ul x Rea 5 i " tea = a ama a n . ” rat s , Ù > ‘ tn . i (lb ino Well mate A MORTE) [IRIHIACCARS i PT [RUI LOT] DI ro P. Lea MIUR DAT Sui tir ri x / Man bo = x a ì n - » ‘ x î MISS o _ T IA VE LISCA — 633 — INDICE DEL VOLUME XXIV, SERIE 5°. — RENDICONTI 1915 -- 2° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A ABETTI. « Sulla precisione delle osserva- zioni eseguite col piccolo meridiano di Bamberg, desunta dal Catalogo stel- lare di Arcetri ». 313. ALBonIco. V. Poma. ALessanDRI. « Derivati formilici ed al- deidici di pirroli e indoli ». 194, ALmansi. « Sullo schiacciamento polare di Nettuno ». 570. AmaporI. « Ricerche sul gruppo dei tel- lururi di bismuto ». 200. ANDREOLI. « Sui gruppi di sostituzioni che operano su infiniti elementi ». 441, — Saul concetto di gruppo di monodromia per una funzione ad infiniti valori. 519; 591. AnGeLI. « Sopra il nero di pirrolo ». 3. ARMELLINI. « Sulla forma della traiettoria nel problema dei due corpi di masse crescenti, e sulle sue applicazioni per una possibile spiegazione della grande eccentricità di Marte ». 300. ArtiINnI. « Bismutinite di Brosso ». 249. — Sulla forma cristallina del trinitroto- luolo @ ». 274. B BAGLIONI. « Ricerche sugli effetti dell’ali- mentazione maidica: di alcune mo- dificazioni nel metabolismo di cavie sottoposte ad alimentazione esclusiva di mais, di frumento o di erbe ». 213. — Ricerche sugli effetti dell’alimentazione maidica: contributo alla conoscenza della natura e delle cause del così detto maidismo sperimentale delle cavie n. 254. BaLzac. « Studio cristallografico della cianmetil- e della benzilcianmetilglu- taconimide cuproammoniche ». 183. BecARELLI. V. Marino. BeneLLI. V. Ciusa. BrancHi E. « Sul servizio internazionale delle latitudini e sul termine del Ki- mura ». 253. BrancHi L. « Sulle trasformazioni di Ri- baucour dei sistemi tripli ortogonali ». 161. — Sulle superficie le cui linee di curva- tura di un sistema tagliano sotto an- golo costante le generatrici dei coni che le proiettano da un punto fisso ». 221. RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 83 — 634 — BrancHi L. « Sopra una classe di sistemi noli ortogonali ». 261. — «Sulla generazione, per rotolamento, delle superficie isoterme e delle su- perficie a rappresentazione isoterma delle linee di curvatura ». 877. BLASERNA (Presidente). All’ aprirsi del- l’anno accademico propone l’invio di un telegramma a S. M. il Re, e manda un saluto agli Accademici assenti che compiono oggi funzioni civili e mili- tari. 4183. — Ricorda i concorsi che scadono col 31 dicembre 1915. 549. -- Offre una pubblicazione del Socio Ce- loria, 549; dell’ Università di S. Do- mingo, 549. — Presenta un piego suggellato, inviato dal prof. D. Zo Monaco. perchè sia conservato negli Archivî accademici. 483. BoggIo. « Resistenza effettiva e resistenza ohmica ». 6. BortAsso. « Sulla flessione della superficie inestendibili ». 174. BruneTTI. « Altre ricerche sul fenomeno di Stark - Lo Surdo nell’elio ». 55. C Campi « Sulla reazione del nitroprussiato con la solfourea n. 434. Cassinis. « L'influenza della oscillazione del supporto sulle misure di gravità relativa compiute a S. Pietro in Vin- coli coll’apparato di Sterneck a tri- pode ». 359. CuÒiaraviaLio e Corpino. « Un apparec- chio per lo studio dei gas e dei va- pori che si svolgono dagli esplosivi a temperatura ordinaria ». 120. CisortI. « Profili di pelo libero in canali di profondità finita n. 453; 503; 599. Ciusa e BeNELLI. « Sulla preparazione e sulla scomposizione del fenilidrazone dell’aldeide fenilnitroformica ». 20. CLEMENTI. « Microtitolazione alla formal- deide, e sue applicazioni in fisiologia». 51; 102. CLEMENTI. « Ricerche sull’arginasi - IV. Sulla presenza dell’arginasi nel fegato dell'embrione umano ». 548. — « Ricerche sulla scissione enzimatica dei Polipeptidi per azione di estratti di tessuti e di organi animali. - I. Azione del fegato di uccelli, di anfibî, di ret- tili, di pesci e di invertebrati, sulla d-l-leucilglicina ». 548. CoLonNETTI. « Nuove esperienze sulla ela- sticità del rame ». 113. CorBIno e TraBACCHI. « Sul funzionamento del rocchetto di Ruhmkorff con gli interruttori elettrolitici ». 453. — V. Chiaraviglio. Corsini. V. Padoa. CorronEeI. « Correlazioni e differenziazioni (sul Bufo vulgaris)». 295. Cusmano. « Processi di riduzione e ossi- dazione nel gruppo dei terpeni n». 520. D De Fazi. « Studî intorno agli indoni. I. Sintesi dell’ a-etil-B-fenil-indone ». 150. — « Studî intorno a gli indoni. II. Sintesi dell’a-metil-f-fenil-indone ». 343. Drago. « Sull’attrito interno del nickel in campo magnetico variabile ». 12. E EisenHART. « Sulla superficie di rotola- mento e le trasformazioni di Ribau- cour n. 349. ELRINGTON. « Osservazioni sulla tigmotassi nei Paramecî ». 539. E FeRrgoLA. Sua Commemorazione. 411, G GazzaBIn. V. Vanzetti. Goa. « Sulla presenza, nelle piante, di composti ematoidi di ferro ». 289. GorInI. « Ulteriori ricerche sull’attività — 635 — proteolitica dei fermenti lattici. I: L'influenza della temperatura n. 369. Gorini, «Ulteriori ricerche sull’attività pro- teolitica dei fermenti lattici. IT: L'in- fluenza del substrato ». 470. L Levi. «Sulla necessità della condizione di Weierstrass per l'estremo degli inte- grali doppii». 358. Levi-Crvirta. « Sulla regolarizzazione del problema piano dei tre corpi ». 61. — «Forma mista di equazioni del moto, che conviene ad una particolare cate- goria di sistemi meccanici n. 285. — «Sul problema piano dei tre corpi: caratteristiche cinetiche del sistema regolarizzante ; forza viva e quadrica reciproca n. 421. — «Sul problema piano dei tre corpi: forme esplicite (miste e canoniche) delle equazioni regolarizzate n. 485. — «Sul problema piano dei tre corpi: caso limite in cui una delle masse è infinitesima ». 553. LomBroso. « Sul metabolismo degli amino- acidi nell'organismo ». 401. Longo. « Variazione nel Cosmos bipinnatus Cav. n. 408. M Manasse. « Ilvaite ed altri minerali di Perda Niedda nell’Oriddese (Sarde- gna)». 285. Marino. « Nuove ricerche sulle combina- zioni inferiori di alcuni elementi ». 143. — e BecARELLI. « Ricerche sulle combina- zioni subalogenate di alcuni elementi : sui così detti sottocloruri e sottobro- muri di bismuto ». 625. MarLetta. « Sulle superficie algebriche d'ordine 6 con infinite coniche ». 109; 359. MascaRELLI e MARTINELLI. « Ricerche ine torno a sostanze aromatiche contenenti iodio plurivalente. (Di alcuni composti particolari ottenuti nella reazione di Sandmeyer, applicati a derivata della naftalina)». 25. MascaRELLI e Sanna. «Sulla isomeria degli acidi erucico, brassidinico, iso- erucico. (Del loro contegno criosco- pico reciproco)». 30. — — «Sulla isomeria degli acidi erucico, brassidinico, isoerucico. (Curve di sa- turazione dei sistemi binarii)». 91. MartINELLI. V. Mascarelli. MiLLosevica E. (Segretario). « Commemora- zione del Socio nazionale Emanuele Pergola». 411. — Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Socî: Celoria, Bassani, Taramelli, Issel e Silvestri, del ten. gen. Verri, di due volumi dell’«Epistolario» di G. Berzelius, e su un’opera di /. Bersaude. 417. — Presenta le pubblicazioni dei Socî stra- nieri: Darboux, Greenhill, Pickering ; dei signori Antoniazzi e See, dell’Ist. botanico di Pavia. 548. MicLosevica F. « Alotrichite di Rio (isola d'Elba)». 501. Mincanti. V. Padoa. Monti. « Di una rara osservazione sismica». 193. MontuorI e PoLLITZER. «Su alcuni mezzi chimici di difesa contro il freddo ». 548. Muto e PoLLaccr. « Ricerche intorno alle specie Coniothyrium pirina (Sacc.) Sheldon, Phyllosticta pirina Sace. e Coniothyrium tirolense Bubàk». 40. Oppo. V. Pollacci. pP Papoa e Corsini. « Velocità di diffusione e idratazione in soluzione n. 461. — e Minganti, « Sulla variabilità dei coef- ficienti di temperatura di reazioni foto- chimiche conla lunghezza d'onda n.97. — 636 — PAOLINI e SILBERMANN. « Sul dosamento del tiofene nel benzolo ». 206. PreGLIoN. « L'avvizzimento bacteriaceo del pomodoro ». 157. — «Intorno alla Willa Saturnus Klocker ». 211. PETRI. «Un’esperienza sull’azione reciproca fra radici micotrofiche di piante di- verse n. 536. PiuTTI. « Sopra un miscuglio esplosivo di fosforo ed aria liquida ». 252. Pizzetti. « Sul problema dei due corpi nel caso di masse variabili ». 76. — «Aggiunta alla Nota ‘Sul problema dei due corpi nel caso di masse varia- bili® ». 272. PoLLacci. V. Mutto. — e Oppo. «Influenza del nucleo pirrolico sulla formazione della clorofilla ». 37. Poma © ALBonico. « Equilibrio chimico ed azione dei sali neutri ». 43. R Reina. Fa omaggio di una pubblicazione della Società italiana del progresso delle scienze, contenente la Relazione della Commissione per lo studio del- l'Albania; e di un altro lavoro a stampa, suo e del prof. Cassints. 417. Riccò. « La nuova zona rossa coronale, fotoerafata dalla Missione italiana nel- l’eclisse solare del 1914». 82. Rosati. « Sulle corrispondenze fra i punti di una curva algebrica, e, in partico- lare, fra i punti di una curva di ge- nere due ». 182. Sanna. V. Mascarelli. Scarpa. « Analisi termica delle miscele degli idrati alcalini coi corrispondenti alogenuri. III: Composti di litio ». 476. Scorza. « Le varietà algebriche con indice di singolarità massimo ». 279; 333. Scorza. « Sugli integrali abeliani riduci- bili ». 393. — «Sulle varietà algebriche con sistemi regolari isolati di integrali riduci- bili ». 445. — « Sulle varietà algebriche con infiniti sistemi regolari di integrali riduci- bili n. 519; 608. SeRRA. « Ricerche petrografiche e mine- ralogiche nei dintorni di Osilo (Sar- degna) ». 1838. SILBERMANN. V. Paolini. SonagLIA. « Sulla legge di Lo Surdo ». 519; 621. Tassara. « Sulle vibrazioni di un filo ela- stico disteso su di una superficie le- vigata ». 86. TepoNnE. « Campi elettromagnetici dipen- denti da una sola coordinata ». 501; 580. TogLiatTI. « Sulle superficie algebriche contenenti infinite coniche ». 307. — «Sulle superficie di 6° ordine conte- nenti infinite coniche ». 329; 388. ToneLLi. « Sulle soluzioni periodiche nel calcolo delle variazioni ». 817. TraBAccHI. « Interruttore elettrolitico per la corrente alternata ». 126. — « Dispositivo semplice per la radioste- reoscopia ». 190. — V. Corbino. Vacca. « Sulle scoperte di Pietro Men- goli ». 508; 617. Vanzetti. « Sopra alcuni derivati della metilvanillina, e sopra un nuovo pro- dotto di condensazione n. 467. — Elettrolisi di acidi organici: acido fe- nil-propiolico ». 533. — e Gazzazin. « Sul calore di formazione di composti organici di addizione. IV: Picrati ». 227. — 637 — VeRrGERIO. « Sulla risolubilità dell’equa- zione integrale di 1% specie », 185. — « Gli autovalori e le autofunzioni dei nuclei simmetrici ». 324; 365. — « Sulla condizione Picard -Lauricella per l’esistenza di soluzioni nell’equa- zione integrale di 1 specie ». 518. VeRrGERIO. « Sull’equazione funzionale b | K(st)0(t) dt=0 n. 610. VoLtERRA. Fa omaggio di due lavori del prof. Le Bon. 417. — 638 — INDICE PER A $TRONOMIA. « Sulla precisione delle osser- vazioni eseguite col piccolo meridiano di Bamberg, desunta dal Catalogo stel- lare di Arcetri ». A. Abetti. 313. — « Sul servizio internazionale delle lati- tudini e sul termine del Kimura ». E. Bianchi. 253. — «La nuova zona rossa coronale. foto- ‘rafata dalla Missione italiana nell’e- clisse solare del 1914 ». A. Ricco. 82. B Boranica. « Ricerche intorno alle specie Coniothyrium pirina (Sacc.) Sheldon, Phyllosticta pirina Sace. e Coniothy- rium tirolense Bubàk ». E. Mutto e G. Pollacci. 40. BroLogia. « Correlazioni e differenziazioni (sul Bufo vulgaris)». G. Cotronei. 295. Bullettino bibliografico. 419; 550. Cc Chimica. « Derivati formilici ed aldeidici di pirroli e indoli ». L. Alessandri. 194. — « Ricerche sul gruppo dei tellururi di bismuto n. I. Amadori. 200. — «Sopra il nero di pirrolo ». A. Angeli. 3. — « Sulla reazione del nitroprussiato con la solfourea n. E. Cambi. 434. MATERIE CHImica. « Sulla preparazione e sulla scom- posizione del fenilidrazone dell’al- deide fenilnitroformica ». A. Ciusa e G. Benelli. 20. — « Processi di riduzione e ossidazione nel gruppo dei terpeni n. G. Cusmano. 520. — « Studî intorno agli indoni. I: Sintesi dell’a-etil-8 fenil-indone ». R. De Fazi. 150. — « Studî intorno a gli indoni, II: Sintesi dell’a-metil-8-fenil-indone ». /d. 343. — « Nuove ricerche sulle combinazioni in- feriori di alcuni elementi ». ZL. Ma- rino. 143. — « Ricerche sulle combinazioni subalo- genate di alcuni elementi: sui così detti sottocloruri e sottobromuri di bismuto ». /d. e A. Becarelli. 625. — « Ricerche intorno a sostanze aromati- che contenenti iodio plurivalente. (Di alcuni composti particolari ottenuti nella reazione di Sandmeyer, applicati a derivata della naftalina)». LZ. Ma- scarelli e G. Martinelli. 25. — «Sulla isomeria degli acidi erucico, brassidinico, isoerucico. (Del loro con- tegno crioscopico reciproco) ». G. Sanna. 30. — «Sulla isomeria degli acidi erucico, brassidinico, isoerucico. (Curve di sa- turazione dei sistemi binarii) ». /4d. id. 91. — 639 — CrHimica. « Sul dosamento del tiofene nel benzolo n. V. Paolini e B. Silber- mann. 206. — « Sopra un miscuglio esplosivo di fo- sforo ed aria liquida ». A. Piutti. 252. — « Analisi termica delle miscele degli idrati alcalini coi corrispondenti alo- genuri. III: Composti di litio». G. Scarpa. 476. — « Sopra alcuni derivati della metilva- nillina e sopra un nuovo prodotto di condensazione n. B. Z. Vanzetti. 467. CHimica Fisica. « Sulla variabilità dei coefficienti di temperatura di reazioni fotochimiche conlalunghezza d’onda». M. Padoa e T. Minganti. 97. — «Elettrolisi di acidi organici: acido fenil-propiolico ». B. L. Vansetti. 533. — «Sul calore di formazione di composti organici di addizione. IV: Picrati ». Id. e V. Gazzabin. 227. CHIMICA GENERALE. « Equilibrio chimico ed azione dei sali neutri». G. Poma e G. Albonico. 43. CHimica FIsioLoGIca. « Sul metabolismo degli amino-acidi nell’organismo ». U. Lombroso. 401. — « Ricerche sull’arginasi. IV: Sulla presenza dell’arginasi nel fegato del- l'embrione umano ». A. Clementi. 548. — «Ricerche sulla scissione enzimatica dei Polipeptidi per azione di estratti di tessuti e di organi animali. I: Azio- ne del fegato di uccelli. di anfibî, di rettili, di pesci e di invertebrati sulla d-l-leucilglicina». /d. 548. CRISTALLOGRAFIA. « Sulla forma cristallina del trinitrotoluolo « ». Z. Artini. 274. — «Studio cristallografico della cianmetil- e della benzilcianmetilglutaconimide cuproammoniche ». NM. Balzac. 133. F Fisica. «Altre ricerche sul fenomeno di Stark-Lo Surdo nell’elio ». A. Brunetti. 95. — «Un apparecchio per lo studio dei gas e dei vapori che si svolgono dagli esplosivi a temperatura ordinaria ». D. Chiaraviglio e M. Corbino. 120. Fisica. « Sull’attrito interno del nickel in campo magnetico variabile ». £. Drago. 12. — « Velocità di diffusione e idratazione in soluzione ». M. Padoa e F. Corsini. 461. — «Interruttore elettrolitico per la cor- rente alternata n. G. C. Trabacchi. 126. — «Dispositivo semplice per la radioste- reoscopia ». /d. 190. — «Sul funzionamento del rocchetto di Ruhmkorff con gli interruttori elettro- litici ». 0. M. Corbino e G. C. Tra- bacchi. 453. — « Sulla legge di Lo Surdo ». C. Sonaglia. 519; 621. FISICA MATEMATICA. « Resistenza effettiva e resistenza ohmica». 7. Boggio. 6. — «Campi elettromagnetici dipendenti da una sola coordinata ». 0. Tedone. 501; 980. Fisica TERRESTRE. « Di una rara osserva- zione sismica». V. Monti. 193. FisroLoGra. « Ricerche sugli effetti della alimentazione maidica: di alcune mo- dificazioni nel metabolismo di cavie sottoposte ad alimentazione esclusiva di mais, di frumento o di erbe ». S. Baglioni. 213. — « Ricerche sugli effetti dell’alimenta- zione maidica: contributo alla cono- scenza della natura e delle cause del cosiddetto maidismo sperimentale delle cavie ». /d. 254. — « Microtitolazione alla formaldeide, e sue applicazioni in fisiologia ». A. Cle- menti. 51; 102. — «Osservazioni sulla tigmotassi nei Pa- ramecî ». G. A. Elrington. 539. — « Su di alcuni mezzi chimici di di- fesa contro il freddo ». A. Montuori e f. Pollitzer. 543. FISIOLOGIA VEGETALE. « Sulla presenza, nelle piante, di composti ematoidi di ferro ». G. Gola. 289. — « Influenza del nucleo pirrolico sulla formazione della clorofilla ». G. Pol- laccì e B. Oddo. 37. — 640 — G GENETICA. « Variazione nel Cosmos bi- pinnatus Cav. ». B. Longo. 408. GropEsIa. « L'influenza della oscillazione del supporto sulle misure di gravità relativa compiute a S. Pietro in Vin- coli coll’apparato di Sterneck a tri- pode ». G. Cassinis. 339. GroMETRIA. « Sulle superficie algebriche d'ordine 6 con infinite coniche ». G. Marletta. 109; 359. — « Le varietà algebriche con indice di singolarità massima ». G. Scorza. 279; 388. M MATEMATICA. « Sui gruppi di sostituzioni che operano su infiniti elementi ». G. Andreoli. 441. — « Sul concetto di gruppo di mono- dromia per una funzione ad infiniti valori ». /d. 519; 594. — «Sulle trasformazioni di Ribaucour dei sistemi tripli ortogonali n. L. Bianchi. 161. — « Sulle superficie le cui linee di cur- vatura di un sistema tagliano sotto angolo costante le. generatrici dei coni che le proiettano da un punto fisso ». Jd. 221. — « Sopra una classe di sistemi n2% or- togonali ». /d. 261. — « 8gulla generazione, per rotolamento, delle superficie isoterme e delle su- perficie a rappresentazione isoterma delle linee di curvatura ». /d. 377. — « Sulla flessione delle superficie ine- stendibili ». 4. Bottasso. 174. — « Sulla necessità della condizione di Weierstrass per l’estremo degli inte- grali doppî ». E. £. Levi. 353. — « Sulle corrispondenze fra i punti di una curva algebrica e, in particolare, fra i punti di una curva di genere due ». C. Rosati. 182. — « Sugli integrali abeliani riducibili ». G. Scorza. 393. — « Sulle varietà algebriche con sistemi regolari isolati di integrali riducibili ». G. Scorza. 445. MarteMATICA. «Sulle varietà algebriche con infiniti sistemi regolari di integrali riducibili ». /d. 519; 603. — « Sulle vibrazioni di un filo elastico disteso su di una superficie levigata ». B. Tassara. 86. — « Sulle superficie algebriche contenenti infinite coniche ». £. G. Togliatti. 307. — « Sulle superficie di 6° ordine conte- nenti infinite coniche ». /d. 329; 888. — «Sulle soluzioni periodiche nel calcolo delle variazioni ». £. Z'onelli. 317. — « Sulla risolubilità dell’equazione inte- grale di 1% specie». A. Vergerio. 185. — «Gli autovalori e le autofunzioni dei nuclei simmetrici». /d. 324; 365. — « Sulla condizione Picard-Lauricella per l’esistenza di soluzioni nell'equazione integrale di 12 specie ». /d. 513. — « Sull’equazione funzionale b si K(st) 0(t) di=0 ». Id. 610. Meccanica. « Sullo schiacciamento polare di Nettuno». E. Almansi. 570. — «Sulla forma della traiettoria nel pro- blema dei due corpi di masse cre- scenti, e sulle sue applicazioni per una possibile spiegazione della grande eccentricità di Marte ». G. Armellini. 300. — «Profili di pelo libero in canali di profondità flnita ». UV. Cisotti. 453; 503; 599. — « Nuove esperienze sulla elasticità del rame n. G. Colonnetti. 113. — « Forma mista di equazioni, del moto, che conviene ad una particolare ca- tegoria di sistemi meccanici». 7°. Levi Civita. 235. MeccanIca ceLESTE. « Sulla regolarizza- zione del problema piano dei tre corpi». /d. 61. — «Sul problema piano dei tre corpi: caratteristiche cinetiche del sistema regolarizzante ; forza viva e quadrica reciproca ». /d. 421. — 641 — MeccaNICA cELESTE. « Sul problema piano dei tre corpi: forme esplicite (miste e canoniche) delle equazioni regola» rizzate n. 7. Levi-Civita. 485. — «Sul problema piano dei tre corpi: caso limite in cui una delle masse è infinitesima ». /d. 553. « Sul problema dei due corpi nel caso di masse variabili». P. Pizzetti. 76. — « Aggiunta alla Nota ‘ Sul problema dei due corpi nelcaso di masse variabili’ », Id. 272. MicrosroLoGIa. « Ulteriori ricerche sull’at- tività proteolitica dei fermenti lattici. I: L’infuenza della temperatura ». C. Gorini. 369. — « Ulteriori ricerche sull’attività proteo- litica dei fermenti lattici. IT: L'influenza del substrato n. /d. 470. MineRraALOGIA. « Bismutinite di Brosso ». C. Artini. 249. — « Ilvaite ed altri minerali di Perda Niedda nell’Oriddese (Sardegna). £. Manasse. 285. — «Alotrichite di Rio (isola d'Elba) ». F. Millosevich. 501, MineRALOGIA. « Ricerche petrografiche e mineralogiche nei dintorni di Osilo (Sardegna) n. A. Serra. 138. N Necrologie. Commemorazione del Socio E. Fergola. 411. P PATOLOGIA VEGETALE. « L'avvizzimento bacteriaceo del pomodoro ». V. Peglion. 157. — Un'esperienza sull’azione reciproca fra radici micotrofiche di piante diverse ». L. Petri. 536. S STORIA DELLA MATEMATICA. « Sulle sco- perte di Pietro Mengoli ». G. Vacca. 508; 617. Z ZimoLogia. «Intorno alla Willia Saturnus Klocker n. V. Peglion. 211. ERRATA-CORRIGE Nella Nota « La frequenzanelle repliche del terremoto italiano — 13 gennaio 1915 » pubblicata in questi Rendiconti, vol. XXIV, 1° sem., fasc. 12, pag. 1223, sostituire alla formola 73,08 fette; lina, = — t4+-0,6871 77,03 t+-0,6871° A pag. 1248 di questi Rend,, fasc. 12, 1° sem. 1915, devono essere soppresse le righe 8,9 10. Le figure 4° e 6 delle pag. 457 e 459 di questo volume devono essere scambiate fra loro di posto. # a della R. Accademia do! Linee RE Serio 1a Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I- XXI NR Atti della Reale Accademia dei Lincei. Lollo XXIV-XXVI. Dr serio 2° — Vol. I. (1873- -74). Pa Vol. II. (1874-75). Tato a . Vol. III. (1875-76) Parte 1% TRANSUNTI. #9) RO | 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, ST ge i matematiche e naturali. fe 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, dai storiche e filologiche. Sti Vol. IV. V. VI. VII. VII. Tg ‘Serio 3 — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). |_°»°‘0‘0‘’0000MemoriIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. aio | MeMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche CRETA Gee Vol. I-XIII. et — Serie 4% — RenpicoNTI. Vol. I-VII. (1884-91). i Ma) MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-VII. Ù MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. di; . Vol. I-X. RIT - Serie sa — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali SA Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fase. 12°. Sem. 2°. n di RenpIcoONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. i Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fasc. 7-8. MEMORIE della A di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-XI. Fasc. MemoRIE della Classe ci scienze morali, Se e flologiche. Vol. I-XII. Vol. XV. Fase. 1-2. SSR CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE | °‘’‘’‘AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Gi DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I «+ °°’ Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche ._’‘—e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon» cen ognuno ad un semestre. Eh Il prezzo di associazione per ogni ‘volume e per tutta (_ WItaliaèdiL. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più, “EA Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti AE | seditori-librai: "i ; Lo ERMANNO LoEscRER i (HE 2017008 Roma, Torino e Firenze. Urrico Horpit. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Dicembre 1915. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 dicembre 1915. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Levi-Civita. Sul problema piano dei tre corpi. Caso limite in cui una delle masse è infini- tesima .. . . a e a Almansi. Sullo a DIE di ico PALA Mr I Tedone. Campi elettromagnetici dipendenti da una sola SARE FRESCA R00, Andreoli. Sul concetto di gruppo di monodromia per una funzione ad infiniti valosi fo, dal Socio Volterra) . . . È CR, Cisotti. Profili del pelo ea in 'esisr di protoni finita ma dal Socio eni intona FO) Scorza, Sulle varietà algebriche con infiniti sistemi regolari di integrali riducibili (pres. dal COILISP. CASUAL III RI O b Vergerio. Sull'equazione funzionale sf, K(st) 6(t) dé = 0 (pres. dal Socio Pincherle) . . » a Vacca. Sulle scoperte di Pietro Mengoli (pres. dal Socio Volterra) . ./. ./.... 0. » Sonaglia. Sulla legge di Lo Surdo:(pres. dal Corrisp. Garbasso) . . . n). Marino e Becarelli. Ricerche sulle combinazioni subalogenate di alcuni dea sui cosid- detti sottocloruri e sottobromuri di bismuto (pres. dal Socio Masini)... /. +» Indice del'ivali XXIV;:2° sé; 1915: a DR I e i SR Io 558% — 570 580 594 599 603 610 617 621 625 633: E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. Abbonamento postale. ni PL DA I° MG DI di. IS di L9 doo < —° e ge # 2 1) 5 id») PP ME) DI» DS °D Tan) dI MP) )I9)> Pd > I P_RD 1,3 PRO DO BID I VIII 32 Rem») a 33 202 2 LR 120 DI DS DI 5) dt DI PVI UP IIS i» Hioib >» wimp p)» PL wap! |} 25 Do Pen): b >>» Eb )d di E) ip VV IDA ID D, DINI) 0) 3 TRA »b ?P 2PD D > DM)» ID II PIL dd I 20D DD > pl D 10») 27 Db I I dI) 322) b> Pp »»» ») ID >) >lu | % bi»: > » >» 3035 DI) ) DL d Ia DI D )» Pb »». 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