, oppure all'altra y< —/. Supponiamo, per fissare le
idee, che sia soddisfatta la prima. Allora, detto 2 il minimo di y(@) in (4,5),
consideriamo la funzione definita dall'uguaglianza 7(x)=y(x)— (m— 1),
la quale funzione, avendo il minimo uguale ad /, appartiene all'insieme
iy(0)}. È
f(®,9(2);P(2))=/(c.ya)-(m—- 1),y(2)),
e per la condizione e)
f(2,7(0) .7(0))=/(2,Y,y(2));
onde
b b
WCECEOTEAROTONOT
Questa disuguaglianza mostra che il limite inferiore : dell’integrale J in
— 320 —
jy(c)} non può essere inferiore a quello è, di J in }y(4)},. E poichè, d'altra
parte, non può essergli inferiore, ne viene quanto avevamo asserito, 7#=%
Dopo ciò, per i risultati del n. 38 della mia Memoria (T) citata, esiste
in jy(e)f, una funzione y;(), almeno, che rende minimo l’integrale J. E
poichè, in seguito a quanto si è veduto or ora, y,(x) rende minimo J anche
in jy(x)}, si può asserire (Cap. III della stessa Memoria) che yy(x) ha le
sue due prime derivate finite e continue, e soddisfa all'equazione differenziale
di Eulero. Per mostrare che è y4)= yo(0), ricordiamo che yo(x) dà il
minimo di J fra tutte le funzioni di }y(x)}, le quali, circa gli estremi del-
l'intervallo (a,0). sono sottoposte alla sola condizione y(4)= y(2). La for-
mula ai limiti, che dà la variazione di J relativa a yo(z), si riduce nel
caso attuale a
(Io = /y(@,yo@) , YA) (Io)a, — fy(0 > Yo(OyAD)) (dY0)b è
e dovendo essere (dJ), = 0, (0Yo)a = (006, risulta
fufa, yo(a) yo(a)) = fard, yo(0) , y(0)) = fy(0 vola) (0);
ed anche per la condizione 4).
fyla syo(a) , yo(a)) = fy(a , yo(a), yo(0)) -
Questa uguaglianza mostra, in forza della condizione 2), che è y(a) =
= yo(0). La proposizione enunciata è dunque pienamente stabilita.
2. La condizione 4) del numero precedente si è posta solo per poter
applicare i risultati di (T). Ora vogliamo osservare che quei risultati val-
gono anche se alla condizione detta se ne sostituisce un’altra un po' più
generale e precisamente:
d') se ad ogni numero positivo Y possono farsì corrispondere due numeri
a(>0) e M(>Q0), tali che, in tutto il campo (Ay) definito dalle disugua-
gliaize aa <=, |y)=Y ;,|y|=M;si ‘abbia f(7y;7) >|
se, inoltre, fissato un qualsiasi Y, l'integrale J relativo ad una funzione
assolutamente continua y(x), avente almeno un valore minore in modulo
di questo Y, tende a + co col tendere all'infinito del massimo di |y(x)|.
Tale condizione risulta di certo verificata se si ha, p. es., /(X.y,9) =
= g(0,Y) — (x,y), con g(e,y') > cily' tt, (#4) < ca|y[t%+60s
(c1, 62,03, 0,,>, numeri >0). Ed invero, avendosi [ved. n. 8 di (T)]
DAI 1 =
1; gf +03 da > G_ gara (7 P_ITA Tata È
— 321 —
dove 7,7 rappresentano, rispettivamente, il massimo e il minimo di y(2)
in (4,6), si ha
b Ù) b
Srermir= [gear fue) ie >
ml) b
3a fIyileeinso de — f'Jonlyltst + ost de >
c rr — =
> Tara pre al—aGT+ D+ — alba
dovendosi supporre che un valore almeno di y(x) sia, in modulo < Y.
Ora, se il massimo di |y(x)| tende all'oo, tende all’o anche 7 — 7; e poichè
SI)
è as >0, l'integrale | f(2.y,y')dx supera anch'esso qualsiasi limite (').
3. Sempre in merito alla condizione 4), possiamo aggiungere che i ri-
sultati della Memoria (T) — eccettuati al più quelli relativi a campiì limi-
tati (*?) e quegli altri concernenti i problemi isoperimetrici — restano ancora
validi se la /(2,y,%'), invece di diventare infinita con |y|->o di ordine
1+4«a>1 [come si è supposto in 4) e in d')], lo diventa di ordine pre-
cisamente uguale a 1, purchè però si supponga sempre verificata la condi-
zione c). Quest'ultima, poi, può in tutti i casì essere sostituita dall'altra,
più generale,
ly fyta —
7 I fvs<|y|P(y)-{(2,9:9) + QU):
yy
ed anche dalla condizione che la derivata /, diventi infinita, per |y7|>o0,
di ordine non superiore a quello della /.
(‘) Così la condizione d’) è soddisfatta se si ha f=y" — y, oppure f= y/# — y?,
per le quali non è invece soddisfatta la d). La d') è ancora verificata se è f= y/? — cy?,
1%
CONUCi <= sc UDTatti
(5b— a)
‘2 _c n ESIO (b—a)} ra I,
S (Y y| da = D c n? (O Y da +
ESA ATE 2 î
size (e pipalinli 8] fa
((—-a)), l = —\2
pr \ (6— a) (7)
fi
“0
essendo, anche qui, y e y il massimo e il minimo di y(2) in (a, 6).
(#) Nei quali cioè la y non può variare liberamente da — c0 a + co.
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 42
— 322 —
4. Supponiamo ora che, invece della condizione e) sia soddisfatta que-
st'altra:
e') esistono quattro numeri /, 23<, tali che, nel campo
definito dalle disuguaglianze a 0;
inoltre, nei due campi detti la /(x,y,y'"), come funzione di y", abbia un
minimo assoluto per y'= 0 (').
Siano poi verificate le condizioni @), 4), €), 4) del n. 1, per tutti i
valori di x e y' ivi considerati, e per quelli di y compresi fra /, e /3
(estremi inclusi) Dico che. limitandosi alle funzioni y(x) assolutamente
continue în (a, b) e tali che sia y(a)=y(b) e l = y(a)=l, vale anche
qui il teorema analogo a quello del n. 1. Ed invero, analogamente a quanto
si è fatto al n. 4, si può, ad ogni funzione y(2) di cui si parla, sostituirne
sempre un'altra 7(x) soddisfacente alla nuova condizione di verificare, in
tutto (a, 6), la disuguaglianza /» = 7(x) < l3. Se la y(x) soddisfa già da
sè a questa nuova condizione, non vi sarà che da porre 7(2)=y(«); in
caso contrario, detto 7 un valore di (4,2) in cui è y(x) >, si consideri
il massimo intervallo di (a ,) che lo contiene e in cui è sempre y(x)= 3,
e si definisca in questo intervallo (e così in tutti gli analoghi) la 7(%)
ponendola uguale a /3. Analogamente si proceda per quei punti in cui è
y(e) 0, in modo da aversi, in tutto il campo (A),
(1) f(@.y.y)=kf(a+bT—-a , 2h—y,y).
Allora, fra tutte le funzioni y(d) assolutamente continue che verificano
a
la condizione y(a)= y( 9 2) = y(0)=h, ve n° è almeno una che rende
(!) Per es., la funzione /=y"° + y°—y? soddisfa alla nuova condizione e’), ma
non alla e).
() In luogo della condizione e), può considerarsi anche la seguente: per ogni y
maggiore in modulo di un certo Y, è f(2,y,y)>|y|}, con #>0, e ciò qualunque sia
la 2 di (4,0) e la y' di (— c0, +00). Con questa condizione il teorema del n. 1 resta
ancora vero.
(3) Naturalmente all'ipotesi d) può sempre sostituirsi la d’); e si possono anche
tenere presenti le osservazioni del n. 3.
Sai
— 323 —
minimo l'integrale J, che ha le due prime derivate finite e continue e
che soddisfa all'equazione differenziale di Eulero e alla uguaglianza
y(a)=y'(0).
Per quanto è stabilito nella mia Memoria (T), esiste almeno una fun-
zione yo(x), avente le due prime derivate continue e soddisfacente, in
i 9 2), all’equazione differenziale di Eulero, la quale inoltre verifica
3 b nr
l'uguaglianza ys(a) = (4) = h e rende minimo l'integrale
sa+tb
| i f(e,y.y)dx
SELL
a+ d
2
fra tutte le funzioni assolutamente continue che assumono in a e lo
stesso valore £. Completiamo la y,(x) in [-
b
9 - > 5) mediante l'uguaglianza
(2) Ya) = 2h — ya + dt a).
La ys(x) risulta allora continua in tutto (a,4), insieme con le sue
due prime derivate, e verifica le uguaglianze
b i) i;
Yo(a) = Vo lar) =yo(0)=h, yla)=yl0).
Inoltre essa soddisfa, in tutto (a,%), all'equazione differenziale di Eulero,
come si vede subito fondandosi sulla (1) e sulla (2) e sul fatto che tale
a+ d
2
equazione è soddisfatta dalla y,(2) nel tratto (a, li Risulta poi im-
mediatamente che la y,(4) dà il minimo richiesto.
6. Si supponga la funzione /(x,y,y) definita non solo per i valori
di « dell'intervallo (a, d), ma per tutti i valori reali da — co a +00,
e sempre finita e continua, insieme con le sue derivate parziali dei primi
due ordini, e soddisfacente alla uguaglianza
f(et+ b_a,y,y)=f(2,4,9).
Ferme restando le condizioni poste al n. 1, dal teorema ivi stabilito
si deduce l'esistenza di almeno una funzione ys(x): 1°) sempre finita e
continua, insieme con le sue due prime derivate; 2°) soddisfacente ovunque
all’equazione di Eulero; 3°) verificante, per ogni x, l'uguaglianza
y(ea +0 — a)=y2)
— 324 —
e quindi anche le altre due
ye +0 —a)=yle) una +0—a)=%();
b
4°) rendente minimo l'integrale J = /(®.y.y)dx fra tutte le funzioni
a
assolutamente continue che soddisfano alla relazione y(x+-b— a)=y(£).
E un teorema analogo si deduce da quello del n. 4.
È bene osservare che, qualunque sia d, la funzione yo(x), per la sua
b+ò
periodicità, dà il minimo anche dell integrale _f(®,y,y)dax, relati.
(0)
a+
vamente alla stessa classe di funzioni sopra considerate. Questa osservazione
permette di dimostrare direttamente il teorema sopra enunciato, e l'analogo
dedotto da quello del n. 4, senza far uso della formula ai limiti adoperata
al n. 1. Ed invero, una volta stabilita l'esistenza di una funzione minimum,
soddisfacente alla condizione y(a)= y(2) ed avente in (a, d) le derivate
prima e seconda finite e continue, l'osservazione precedente mostra senz'altro
la validità delle due uguaglianze y(a)= y"(2) e y"(a)=y'"(0).
7. Anche dal teorema del n. 5, aggiungendo l'ipotesi fatta sulla / al
principio del numero precedente, si deduce una proposizione d'esistenza per
le soluzioni periodiche.
8. Infine. si possono ottenere dei teoremi d'esistenza per le soluzioni
periodiche, analoghi a quelli stabiliti nelle mie Note Sulle orbite perto-
diche (?).
Matematica. — Gl autovalori e le autofunzioni dei nuclei
simmetrici. Nota I di ATTILIO VerGERIO, presentata dal Socio
T. Levi-CivitA (*).
1. Il prof. G. Fubini, nella sua Memoria intitolata: Equazioni integrali
e valori eccezionali (3), espone un metodo per la ricerca degli autovalori
e delle corrispondenti autofunzioni di un nucleo simmetrico. Tale metodo
però, se dal punto di vista teorico è molto semplice, da quello pratico, in-
vece, presenta delle difficoltà, basandosi esso essenzialmente sulla conoscenza
dei limiti superiore ed inferiore di un certo integrale.
Qui esponiamo un nuovo metodo, il quale, pur avendo con quello del
prof. Fubini qualche punto di contatto, ha su questo il vantaggio di una
maggior portata pratica.
(*) Questi Rendiconti, 1912, pag. 251 e 332, 1° semestre.
(*) Pervenuta all'Accademia il 24 settembre 1915.
(3) Annali di Matematica; tomo XVII della serie III, pag. 111 e seg.
— 325 —
2. È necessario premettere alcune considerazioni.
Sia K(s?) una funzione simmetrica delle variabili s e #, che supporremo
essere finita e continua; pur non escludendo che possa presentare delle di-
scontinuità tali, però, da non infirmare i risultati dello Schmidt (').
Indicheremo con H(s?) il lim I dove y=limy, @ y»=
0.
n ’
n= n=0%0 Usn
Usnss
limite che, com’è noto (°), è una funzione continua positiva e non identica-
Kon+1(8%)
n
mente nulla. Analogamente con H;(s/) il lim , il quale pure esiste
n=
finito e non identicamente nullo (*).
Supposto che 4, sia un autovalore di K(s?) e gy(s) una sua corrispon-
dente autofunzione, si moltiplichino successivamente i membri della seguente
uguaglianza
py(7) = 4y l'E@O py(t) di
A
per K(sr)dr, e si integri da @ a %. Dopo 2x integrazioni, s'otterrà
v(8 pia
PIE la, | Kan+1(54) Py(6)dt;
ed ancora, dividendo ambo i membri per y” e passando al limite per n= 00,
(8) È .
sn rima MISE
Ora, se Z,,Z5,43,... indicano gli autovalori di K(sf), disposti in
ordine crescente rispetto al loro valore assoluto. è noto (4) che sussistono le
relazioni
“pedana cal
Di) — (0 ser51°
(1) Entwicklung willkurlicher functionen nach Systemen vorgeschriebener. Inaugura]
Dissertation. Gottingen, 1905.
(?) Schmidt, loc. cit., $ 11.
(3) Si ha infatti
b as: b b
H(st)= lim AI K(sr) Banti) = Ai K(sr) Hi(rt) dr = 24 H,(sr)K(rt) dr
Va pe V Ja Y Ja
n=%
quindi, se H;(st) fosse identicamente nulla in s ed in t, tale dovrebbe pure essere anche
H(st); il che non è possibile.
Vy
(4) Si sa infatti che è il minimo valore assoluto delle 4y.
— 326 —
sarà quindi ®
b v(s) se v=1 ,
(1) dI H: (50) gu) de = } 90 n
Il nucleo H,(st) non potrà perciò ammettere autovalori diversi da
1 3 a È 3
nz o e di fronte a questi si comporterà come K(st); inoltre i nuclei H(st)
/Y
e K(s7), per tali autovalori ammetteranno le stesse autofunzioni.
Dalle (1) infatti, risulta senz'altro che ogni autofunzione di K(st), cor-
rispondente ad uno degli autovalori +=, lo è anche di H,(st). Per di-
Vr
mostrare la proprietà inversa, basterà osservare che, se y(s) è una auto-
funzione di H,(st), cioè se
) (5) = 1 (H®) vide,
a
b b
w(s) =, Î K(sr) dr f H(rt) (4) di;
e poichè
b
3 Hr) y({)dt= W(r),
come si vede subito moltiplicando i membri della (2) per H(rs)ds ed in-
tegrando, sarà pure
y(s)=À, | K(s) w(‘) di .
A
Dalle (1) risulta ancora che le autofunzioni di K(s) corrispondenti agli
autovalori Zy (v > 1), sono invece soluzioni dell’equazione
°b
| Hs)oga=0.
3. Noteremo ancora che se @1%(s) e i'(s) rappresentano rispettiva-
mente le p, e ps autofunzioni linearmente indipendenti normalizzate del
- . . . . r 1 44
nucleo K(st), corrispondenti agli autovalori X}= + —= e 4 = —
Vr
1
== gela
Vy
H,(st) può mettersi sotto la forma (?)
(3) Hi()= GPS) PP) sc PAS) PA)
,
ssi Àa Si 1
(*) Qui, per comodità, a 4, attribuiamo ambedue i valori ® —— .
%
(*) Schmidt, loc. cit., $ 8.
Posto ora
°b
I H,(ss) ds= lim f
dalla (3) si deduce intanto. ponendo t=s ed integrando.
U
(4) ra et
Vy
Nella (3) si muti s in 7 e si integri, dopo averne moltiplicati i membri
per H,(sr) dr. Essendo
Sa (s7) H(re) de = lim f Steener) Duvall gn
n=% yP
= lim y TL yH(st),
Vee
n=%
avremo, ricordando che X°y=4"y= 1,
Pi
Par
H(s) =) PAPA) PI 9A) P'M(0).
r= y=1
E poichè (?)
il H(ss) ds= lim (È nu SON, = lim dui =
NZ00
v
Ii
avremo infine, mediante integrazione da a a d, dopo aver posto #= s,
(5) U 0 - Pe .
Dalle (4) e (5) si ricavano per p, e ps i seguenti valori
l U' U'
(0) m=g(U+=) ; n=3(0-).
Vr Vi
Nel caso poi che K(s?) ammetta uno soltanto dei due valori ali
Vy
b
(1) U' è una quantità finita. Infatti dall’uguaglianza Hi(st) = K(sr) H(rb) dr,
guag
bb u
facendo t=s ed integrando, si ha l’altra: v=ff K(sr) H(sr) dr ds; da cui, per la
t) a
disuguaglianza dello Schwarz, si deduce -
bd Cb
Un il 1) [H(sr)}} ds drî
(3) Schmidt, loc. cit., $ 11.
— 328 —
come autovalore, uno dei due numeri p, e ps sarà nullo; dovrà quindi, sus-
sistere una delle due seguenti uguaglianze
1
Soana
ui Dn] i
le quali ci forniscono un criterio per riconoscere a priorî quale dei due
3 US
valori © — è ammesso dal nucleo K(st) come autovalore.
Vy
4. Ciò posto, si consideri la funzione simmetrica
F°(st) = K(st) — Hi(st),
la quale, come ora dimostreremo, ha gli stessi autovalori e le stesse auto-
funzioni di K(s7), eccettuato il solo autovalore |Z,|=|—==| e le corrispon-
denti autofunzioni,
Invero, se 4, è un autovalore di K(s/) e %y(s) una sua corrispondente
funzione, sarà i
Le
2, f POP) dA (KG) pl) U—d f A) Od;
e poichè
da
: __\gy() Se va
2, | His) ga) =)", a
avremo, se v= 1,
b
(7) 2, | FO) U=0
per ogni autofunzione ,(s) corrispondente all'autovalore 4, ;
esev>I1,
7) b
ày È F°2(54) py(6) u=% { K(st) gi) dt = pt).
Quindi tra gli autovalori e le autofunzioni di F°°(s?), figureranno gli
stessi valori 4, e le stesse gy(s) (VD > 1).
Inversamente, se 4 è un autovalore di F°°(sf) e w(s) una sua corri-
spondente autofunzione, sarà
2 (FOSSO UA (RG) UOU_1 fl) 40) d=Y0).
— 329 —
E poichè, moltiplicando il primo e l’ultimo membro per gi(s) ds ed inte-
grando, si ottiene, per la (7),
b
foauae=o,
sarà anche
)
f His) Vi) di =0;
a quindi
) fr) (A) di=w8):
il che prova che 4 e w(s) sono anche rispettivamente un autovalore ed
una autofunzione di K(sz).
Rimandiamo il seguito ad un'altra Nota.
@
Matematica. — Sulle superficie di 6° ordine contenenti infi-
nite coniche. Nota II di EuceNIO G. TOGLIATTI, presentata dal
Socio C. SEGRE (').
Nella Nota presente, sèguito di quella pubblicata a pag. di questi
Rendiconti, enumero i tipi di F* irriducibili luoghi di coniche che ho tro-
vato seguendo la via indicata nella Nota anzidetta. Essi son divisi in gruppi
a seconda del genere p (variabile da 0 a 4) del fascio di coniche T che
sì considera sulla F*; ciascun gruppo è diviso in sottogruppi, anzitutto, a
seconda del genere 77 della sezione piana generica, ed ulteriormente pren-
dendo di mira i caratteri proiettivi della sviluppabile formata dai piani delle
coniche, e talora anche quelli della linea multipla della F*. In alcune parti
la classificazione è spinta molto innanzi; altrove (specialmente per superficie
razionali) è solo iniziata. Per molte delle superficie trovate è riportata l’equa-
zione in un sistema di coordinate omogenee xo,%1,%2,%3, la quale per-
mette di verificare facilmente l'esistenza sulla superficie delle singolarità
descritte; per altre, è data solo una costruzione geometrica che ne renda
evidente l’esistenza. Si ricordi infine che, salvo esplicito avviso contrario,
si tratta sempre di superficie normali in S3.
1. — F*° con un fascio di coniche di genere 4.
Esistono sulla F* due punti tripli uniplanari A ,B, a ciascuno dei
quali è successiva una retta tripla infinitesima; le coniche stanno a terne
(1) Pervenuta all'Accademia il 20 settembre 1915.
RenpIcONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 43
— 330 —
nei piani passanti per la retta AB, e coniche complanari si toccano in A
ed in B. Non vi sono linee multiple, onde le sezioni piane generiche sono
di genere 10. L'equazione della F° si può scrivere:
X203 + 2225 Po(20,L1) + 2203 PU(20,01) + Pec, 71) = 0,
dove ge, 94, gs son forme delle variabili indicate dei gradi espressi dai
loro indici ('). Come caso speciale i punti A,B possono anche coincidere.
2. — F° con un fascio di coniche di genere 3.
Si possono ripartire in tre gruppi a seconda del genere 77 delle sezioni
piane generiche.
z = 9. — Le coniche stanno a coppie nei piani passanti per una
retta 7, doppia per F, contenente due punti quadrupli triplanari A, B: il
cono tangente ad F in A (ad es.) si spezza in due piani per 7, ed in un
terzo piano (da contar 2 volte), che contiene nell'intorno di A una retta
doppia infinitesima di F, e che è toccato in A da tutte le coniche del fascio.
L'equazione di F è:
3x3 pe(x0 . xi) + X2X3 Paso , xa) + Pe(Lo ’ xa) =0.
Come caso speciale i punti A, B possono coincidere.
m = 8. — 1°) F ha una conica doppia contenente due punti tripli
uniplanari A,B, ciascuno dei quali ha nel suo intorno una retta tripla
infinitesima. Le coniche stanno a terne nei piani per la retta AB; coniche
complanari si toccano in A ed in B. L'equazione di F è:
wi Paco, Ta) + 209 920,21) + gpe(v0 21) +Q°=0,
dove Q è una quadrica (?). La conica doppia può spezzarsi, i punti A , B
possono coincidere: si hanno così in tutto 4 casi particolari.
2°) Le coniche stanno a coppie nei piani passanti per una retta 7,
che esse incontrano nei due medesimi punti A,B. La retta 7 è doppia
tacnodale, e lungo essa vi è un piano tangente fisso 0; i punti A,B sono
qnadrupli biplanari: il cono tangente ad F in A (o in B) si compone di o
contato due volte, e di un altro piano (pure contato due volte) che contiene
nell'intorno di A una retta doppia infinitesima di F, la cui equazione è:
Poldo 2) +Q- gu, +7 0° = 0.
I punti A, B possono coincidere.
(*) Simili spiegazioni sono in seguito sottintese.
(@) Idem, ibid.
— 331 —
m=?. — L'equazione di F è ora la seguente:
ci pico, ca) + 2i(e3 + 2122) Pc La) +
sli x(£03 + C/305) do)? Pi(Lo ’ x) =» (03 + Li, Xe)? 05
essa mostra che le coniche stanno a terne nei piani passanti per una retta 7,
che esse toccano in un punto fisso A, triplo per F. Esiste poi una retta
doppia oscnodale s, uscente da A (e distinta da 7), lungo la quale rs è
piano tangente fisso.
3. — F° con un fascio di coniche di genere 2.
Il genere 77 delle sezioni piane generiche può essere 7,6, 5.
tt == 7. — F ha una conica doppia, una retta doppia e su questa due
punti quadrupli A, B; le sue coniche stanno a coppie nei piani per la retta
AB, e passano per A, B. Equazione:
Li Pa(co, CA) +03 Qp(c0 +Q PAL, 7) =0.
I punti A, B possono coincidere; la conica doppia (irriducibile o spezzata)
può anche stare in un piano passante per r: si hanno quindi molti casi
speciali.
La conica doppia può anche degenerare in due rette doppie consecutive
alla 7: F ha allora una retta doppia oscnodale col piano tangente o varia-
bile da punto a punto, oppure fisso, ed in quest'ultimo caso esistono ancora
su 7 i punti quadrupli A,B (distinti o no). L'equazione di F è nei due casi:
Pelco 81) + (xo P+ 219) 970,2) + (co P+ 210)? =0,
Poco, dA) + 210 910,0) + 70° = 0.
re = 6. — 1°) Le coniche stanno a terne nei piani per una retta 7,
che esse incontrano in due punti fissi A,B. Vi sono due coniche doppie
passanti per A,B, che sono punti tripli uniplanari, ognuno dei quali ha
nel suo intorno una retta tripla infinitesima. L'equazione di F è:
LITI Po(c0 1) + LoC1A WALL) +Q° 020,2) +9 =0.
Si hanno 10 casi speciali secondochè i punti tripli A, B son distinti o no,
e le coniche doppie sono irriducibili o spezzate, distinte o coincidenti in
una conica doppia tacnodale.
2°) Le coniche stanno a coppie nei piani passanti per una retta 7,
doppia per F, che esse toccano in un punto fisso A, quadruplo per F, al
quale è successivo (nella direzione 7) un altro punto quadruplo. Si hanno
— 332 —
poi altre tre rette doppie, concorrenti in un punto, una delle quali incidente
ad 7 in A: esse possono non esser tutte distinte. L'equazione di F è:
vITIPo(Lo L1)) + re&s(23 + N20) 93202) +
+ x3(z3 + heo) ws(e°, 2.) =0.
Può darsi anche che 7 sia una retta doppia tacnodale a piano tangente
fisso, contenente due punti quadrupli A ,B (distinti o no), comuni a tutte
le coniche di F; ed allora F, di equazione:
ci Pac0 0%) + cod pg(00, 2) +70 = 0,
ha inoltre una conica doppia, passante per A e B, irriducibile o no, che
può anche ridursi a due rette doppie consecutive alle prime due.
m = 5. — 1°) Le coniche stanno a terne nei piani per una retta 7,
su cui F ha due punti tripli consecutivi A = B, comuni a tutte le coniche.
La linea doppia si compone d'una retta doppia oscnodale uscente da A,
e d'una conica doppia passante per A, B, che può anche ridursi a due rette
doppie consecutive alle prime tre. Equazione:
LL(A000 + Are L ae Lî) + 00% (25 + do Le) (doi + datori +02) +
la] bi
+ (a3 + x0 22) (c083+ CIXoXx + i) + (234 2022) = 0.
2
2°) Le coniche stanno a coppie nei piani per una retta 7, doppia
per F, che esse toccano in un punto fisso A. Esistono poi dne rette doppie
d,d,, uscenti da A, ed una retta doppia tacnodale incidente alle d,d,,
lungo la quale si ha un piano tangente fisso. L'equazione di F è:
LA t 1223 P3(10921) + iP) =0.
Le rette 4, d, possono coincidere in una retta doppia tacnodale a piano
tangente fisso.
— 333 —
Geometria. — Le varietà algebriche con indice di singolarità
massimo. Nota II di Gaetano Scorza (*), presentata dal Corrispon-
dente G. CastELNUOVO (**).
4. Imporre a un complesso lineare di X la condizione di avere un
punto singolare in un punto assegnato, cioè di avere per asse uno spazio
di dimensione => 1 passante per questo punto, equivale ad imporgli 2p — 1
condizioni lineari indipendenti; quindi, in corrispondenza agli 00?! punti
di 3: a
L’ipersuperficie F contiene 0°? spazi lineari aventi ciascuno la
dimensione
piepir—l)\d_(2pe_l)=pQp_0),
È utile, per quel che segue, precisare questo risultato, ponendosi alla
determinazione di tutti gli spazî lineari di F aventi la massima dimensione
possibile.
Perchè i complessi di un fascio di complessi lineari di 2 siano tutti sin-
golari, occorre e basta che essi abbiano almeno un punto singolare comune (14);
(#) La numerazione degli articoli o delle note è fatta in continuazione di quella
della Nota I.
(*#*) Pervenuta all'Accademia il 17 settembre 1915.
('*) Siano
»2p 1 **3p
Di Ur,s Tr Ys = 0 e D Q'r,a%r ys=0 (ars 4- ds, =0 ; 9,5 + dip= 0)
r,S 7,S
le equazioni di due complessi lineari di £ dotati ciascuno di un Sg,-1 asse: e supponiamo
che i loro due assi siano indipendenti, per modo che sarà 27 < p.
Senza venir meno ‘alla generalità possiamo supporre che l’asse del primo sia lo
spazio rappresentato dalle equazioni :
Talti = Talt+a =*** = Cap = 0
e l’asse del secondo quello rappresentato dalle equazioni :
di = la == a = Tati = Ca+a = Zap=0
Ciò val quanto dire che nell'equazione del primo complesso sono nulle tutte le 4,4
per cui uno qualunque dei due indici è un numero della successione
12,652;
— 334 —
quindi gli spazî lineari di dimensione massima contenuti nell’ ipersuperficie F
si otterranno considerando in X i sistemi lineari di dimensione massima di
complessi dotati genericamente di retta-asse e le cui rette-assi si taglino
a due a due.
Ma se più rette si tagliano a due a due o stanno in un piano o pas-
sano per uno stesso punto, dunque:
In ogni caso gli spazi lineari di dimensione massima di F_ hanno
la dimensione p(2p — 3); però se p> 2 codesti Spsp-s, di F costituiscono
un unico sistema continuo o*P, rispecchiantesi nel modo chiarito più
sopra sugli co?! punti di X, mentre se p=2 codesti spazi di F (che
sono adesso degli Ss) si distribuiscono (come è ben noto, una volta che
per p=2 F è una quadrica) in due sistemi continui co rispecchiantisi
l’uno, al solito modo sugli 3 punti di X, l’altro sulle 08 reti di com-
plessi lineari speciali di X aventi per assi le rette dei singoli piani di 2.
Se un punto di X è razionale, è evidentemente razionale l’ Sp2p-3) di S
situato su F, che ad esso corrisponde; e se un Spx2p-s) di F è razionale,
e che nell’equazione del secondo complesso sono nulle tutte le a’-,g per cui uno qualunque
dei due indici è un numero della successione
2 12-E2,940
Poichè l’asse di un complesso è il 2uogo dei suoi punti singolari, nessuno dei due
complessi dati ha punti singolari esterni al proprio asse; e quindi, in virtù dell'ipotesi
fatta, ciascuno dei due complessi induce sull’asse dell’altro un sistema nullo non singolare.
Queste due osservazioni portano, in particolare, che i determinanti
TÀ ,
Ù dgt+1,280+2 + - | dal+1,2p ORTA GI
r r
Aal+2,20+1 0 +. + Uel+2,9p E dg, 0 +. 4,90
= e di=
A È
A2p,31+1 A2p,21+2 ILE 0 QST Aia Tia Re 0
sono entrambi diversi da zero.
Se i complessi del fascio determinato dai due complessi dati fossero tutti singolari
5 . AR 3 ; ; 2
l'equazione in — che si ottiene ponendo uguale a zero il determinante |40,,s + #4/r,sl
I
dovrebbe essere un'identità. Ma ciò è impossibile perchè, divisi per w gli elementi delle
prime 27 righe e fatto poi A=1 e u=0, questo determinante si riduce al prodotto
44’,
dunque è assurdo supporre che i nostri due complessi generino un fascio di complessi
tutti singolari; e ciò basta a dimostrare l'affermazione del testo quando si rifletta che,
se i complessi di un fascio sono tutti singolari, l’asse del complesso generico ha una
dimensione fissa.
Del resto la cosa stessa può dedursi da teoremi del sig. Palatini contenuti nella
sua Nota: Sui complessi lineari di rette negli iperspazi (Giornale di Matematiche di
Battaglini, vol. XLI, 19083, pp. 85-96).
— 335 —
tale è pure il corrispondente punto o piano di X, poichè in tal caso l' Spx2p-3)
considerato contiene p(20 — 3) +1 punti razionali indipendenti a cui rispon-
dono in X altrettanti complessi singolari razionali, e gli assi (razionali) di
questi complessi determinano il punto o il piano rispondente a quell’ Sp2p-s-
Quindi possiamo dire che:
L'ipersuperficie F_ contiene infiniti spazi razionali della dimensione
p(2p — 3). Se p>2 tali spazi razionali costituiscono un unico insieme
riflettentesi sull'insieme dei punti razionali di X; se p="2 essi possono
distribuirsi in due insiemi dei quali uno si rispecchia sull'insieme dei punti
razionali di X, e l’altro sull'insieme dei piani razionali di È.
5. Adesso supponiamo che V, sia % volte singolare.
Poichè ogni relazione di Riemann di V, dà luogo ad un sistema nullo
di Vy (**), e quindi a un complesso razionale di 4, possiamo dire che:
Se V, è k volte singolare, lo spazio 3' contiene k +1 punti rasio-
nali indipendenti e non più.
Chiamiamo w l’Sx razionale contenente tutti i punti razionali di 2°”.
Poichè l'esistenza di un sistema regolare di integrali semplici di prima
specie riducibili di V, dà luogo all'esistenza di un sistema nullo (almeno)
di V, avente per asse l'asse del sistema, e poichè inversamente ad ogni
sistema nullo singolare di V, risponde wr sistema regolare di integrali
riducibili avente per asse l’asse del sistema (!9), possiamo dire che:
La varietà V, ammette sistemi regolari o! di integrali riducibili
quando e solo quando n contenga punti razionali appartenenti ad F°®,
ma non ad FD se q1 che sia
almeno 2p — 1 volte singolare, contiene necessariamente infiniti sistemi
regolari di integrali riducibili (!).
Le dimensioni di questi sistemi regolari dipendono dalle molteplicità
che presentano per F©° i suoi punti razionali: in particolare la varietà
conterrà integrali ellittici solo se F° contiene punti razionali semplici.
7. Se K=p* —1 (e come dimostreremo tra poco questa ipotesi è pie-
namente legittima), lo spazio w coincide con 3".
L'intersezione di wu, cioè di X', con un Sy2p-3, di F corrispondente
a un punto M di X è lo spazio lineare di F®, della dimensione
(p—l*—1,
che rappresenta i complessi lineari di 4, aventi per spazio singolare la
retta m uscente da quel punto e appoggiata a t e 7.
Se l' Spep-3, di F che si considera è razionale, cioè se è razionale il
punto M, tale è pure la sua intersezione con lo spazio razionale 2" e la
retta 2; quindi questa retta m è l’asse di un integrale di V, che risulta
ellittico.
Si conclude che V, ammette infiniti integrali ellittici, e che dell'insieme
degli assi di questi integrali ne passa uno per ogni punto razionale di 2°.
Ma allora (come si riconosce subito segando, p. es., con un iperpiano razio-
nale di 2') ogni retta reale appoggiata a © e 7 è retta limite dell'insieme
degli assi di questi integrali, e quindi ogni integrale semplice di 1° specie
di V, è approssimabile mediante integrali ellittici.
8. Adesso supponiamo inversamente che ogni integrale semplice di
18 specie di V, sia approssimabile mediante integrali ellittici.
Allora si riconosce subito che combinando linearmente questi integrali
ellittici a due a due, a tre a tre,.. ap—l a p—l si ottengono 1, il cui indice di singolarità equaglia p? — 1.
Per questo, si consideri la matrice
Wai,l LD 1,2 . . . 01,2p
02,3, 02,2 . >. +. 022
(1)
Op,1 0p,2 . . « Wp,2p
e posto
0jr = Gjr + éB;r re ERI, IRE]
con le a;, e #;, reali, si supponga che le «;, e #;, siano tutte numeri
interi e che il determinante
Ci 2. +. + &,2p
(TI) Cp,1 Ap,2 s . . Xn,2p
PU ia Pop
Ppi Poe > | + Bpap
sia diverso da zero.
Dico che la tabella (1) (ove si suppone naturalmente p > 1) può con-
siderarsi come la tabella di 2p sistemi primitivi di periodi di un corpo
di funzioni abeliane a p variabili indipendenti.
E infatti, in uno spazio ® a 2p — 1 dimensioni, nel quale sia fissato
un sistema di coordinate proiettive omogenee. si considerino i punti @,,
0, ,... 0 le cui coordinate sono date dagli elementi delle righe della ma-
trice (I); per l'ipotesi fatta sul determinante (II) i punti @©,,@9,...,©p
saranno indipendenti, e l'Sp-1,7, che li congiunge sarà indipendente dal-
l'Sp-, imaginario coniugato 7.
Le +p(p —1) rette che congiungono a due a due i punti w; (j="1,
2,...,9) è le +p(p — 1) rette che congiungono a due a due i punti imma-
ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 44
— 338 —
ginarî coniugati ai punti «; hanno per coordinate numeri complessi aventi per
parte reale e per coefficiente dell'imaginario # dei numeri interi; quindi
perchè un complesso lineare di 2 rappresentato da una equazione del tipo
1...2p
> Qr,s Lr Ys= 0 (dr,s + de = 0)
r,S
contenga tutte le rette di 7 e 7 [per il che occorre e basta che contenga
le p(p-— 1) rette ora nominate], bisognerà che i coefficienti «,,s della sua
equazione soddisfacciano a p(p — 1) equazioni lineari omogenee a coefficienti
interi.
Segue che se si introduce, come più sopra, uno spazio S a p(2p —1)—1
dimensioni a rappresentare, nel modo già dichiarato, i complessi lineari di 3,
lo spazio 2' di S, rappresentante i complessi lineari di 2 che contengono
tutte le rette di 7 e 7, è uno spazio razionale.
Ma allora, se F° è l’ipersuperficie di 2’ rispondente alla totalità dei
complessi singolari di X che contengono le rette di 7 e 7, esiste certo qualche
punto razionale di S appartenente a 2" e interno alla prima falda di F®,
poichè i punti reali di 2° interni alla prima falda di Fl’ costituiscono un
dominio a p? —1 dimensioni, e i punti razionali di S situati in X" costitui-
scono in 2" un insieme di punti dovunque denso; quindi, in base all'inter-
pretazione geometrica del teorema di esistenza delle funzioni abeliane che noi
abbiamo stabilita altrove (!*), la nostra affermazione relativa alla tabella (I)
è pienamente dimostrata.
Ciò posto, si consideri una varietà abeliana di rango 1 appartenente alla
tabella (I); cioè una varietà di dimensione p che ammetta una rappresen
tazione parametrica per funzioni abeliane di p parametri appartenenti alla
tabella (I), la rappresentazione essendo tale da far corrispondere ad ogni
punto della varietà, a meno di periodi, un sol gruppo di valori dei parametri.
Tale varietà abeliana sarà appunto di irregolarità superficiale p > 1
e avrà per indice di singolarità p° — 1.
(18) Loc. cit. *), n. 59.
— 339 —
Geodesia. — L'influenza della oscillazione del supporto sulle
misure di gravità relativa compiute a S. Pietro in Vincoli col-
l'apparato di Sterneck a tripode. Nota dell'ing. G. CAssINIS, pre-
sentata dal Corrispondente V. REINA (').
Nella Scuola d’applicazione per gli ingegneri di Roma, e nella sala
stessa dove vennero compiute le memorabili misure di gravità assoluta dai
professori Pisati e Pucci, vennero effettuate tre determinazioni di gravità
relativa, una dal prof. Lorenzoni nel 1898, una seconda dal luogotenente
Edler von Triulzi nel 1894, ed una terza dagli operatori dell'Istituto
geografico militare prof. Guarducci, colonnello Baglione e prof. Andreini
nel 1897.
Tutte e tre queste determinazioni vennero eseguite coll'apparato primi-
tivo di Sterneck, monopendolare ed a tripode, poggiante su un pilastrino
di blocchi di marmo costruito sul pavimento della sala e sempre nel posto
medesimo che già era stato scelto dal prof. Lorenzoni, cioè presso la parete
divisoria fra la sala stessa e la navata centrale della chiesa di S. Pietro
in Vincoli, a metà lunghezza della sala. Il pilastrino veniva così a tro-
varsi verticalmente sopra uno degli arconi della navata destra della chiesa.
I valori ottenuti dai tre osservatori, riferiti al sistema di Potsdam,
sono ì seguenti:
LOFeNzZoni. x. n g= 980°.350 H =592.0
Bol. vi Triulzi Lun .545 ”
Istituto geogr. mil. . . .947 ”
Costruito il nuovo apparato bipendolare con mensola a muro, del gabi-
netto di geodesia della Scuola per gli ingegneri, ed ottenuto. in seguito a
lavori di sterro praticati nel frattempo nei sotterranei della Scuola, un più
adatto locale, si decise di impiantarvi la nuova stazione gravimetrica, e nel
1912, per mezzo di un collegamento fatto direttamente con Potsdam, si
ottenne (?):
g== 980.367; H— 490,3,
(*) Pervenuta all’Accademia il 10 settembre 1915.
(?) V. Reina e G. Cassinis, Determinazioni di gravità relativa eseguite nel 1912 eccs
Mem. della R. Accad. dei Lincei, 1913.
— 340 —
Se ai precedenti valori si aggiunge la correzione + 0°".003, per ridurli
dalla sala superiore al sotterraneo, si ottiene:
Lorenzoni. . ... g= 980.353
Edl-v. Tula e. 0 .348
Istituto geogr. mil. . . .350
g= 980.350
Questo valor medio differisce dunque per 17 unità della terza decimale
del cm. in meno da quello determinato nel 1912 coll’apparato bipendolare.
Incaricato dal prof. Reina, nell'ottobre e novembre 1913, dopo il ritorno
dalla campagna gravimetrica compiuta in quell’anno nell’ Umbria ed in
Toscana, eseguii una serie di ricerche intese a provare se la accennata dif-
ferenza non fosse da attribuire alla mancata correzione per la oscillazione
del supporto, correzione che, coll’apparecchio usato dai precedenti speri-
mentatori, non si era potuta nè constatare, nè, tanto meno, valutare.
Per attuare la ricerca, nella sala superiore, e nel posto stesso dove i
precedenti osservatori avevano disposto il loro apparato, venne eretto un
solido pilastro in mattoni la cui base aveva le dimensioni di 0.70 X 0.30,
mentre l'altezza era di circa 1".50. Su una delle facce verticali la men-
sola poteva essere fissata a diverse altezze dal pavimento. Si incominciò
dal determinare la differenza di gravità fra il sotterraneo e la sala supe-
riore. Nel sotterraneo la mensola venne applicata, come sempre, al grosso
muro di divisione colla chiesa di s. Pietro in Vincoli, e nella sala supe-
riore essa venne fissata ad una delle facce minori del pilastro in una posi-
zione per la quale ia lente del pendolo risultò all'altezza di 0.46 sul pavi-
mento. Le misure nella stazione inferiore vennero eseguite nei giorni 23
e 24 ottobre; in quella superiore, nei giorni 14 e 15 novembre. Non si
riportano qui ì particolari delle misure che vennero effettuate nei modi già
indicati nella citata Memoria. Solo si aggiunge che le osservazioni astrono-
miche per le determinazioni di tempo vennero fatte collo strumento dei
passaggi di Bamberg sistemato nel giardino della Scuola, e con un cronoe
metro Kullberg, il quale, prima e dopo le osservazioni, veniva confrontato
col pendolo Hawelk delle coincidenze. La correzione per la oscillazione
del supporto venne determinata col metodo di Schumann (Mem., pag. 41),
e le temperature vennero ricavate da due termometri Woytacek e da un
pendolo-termometro di nuova costruzione, avente il bulbo (di circa 20°")
estendentesi lungo tutta l’asta del pendolo. Le indicazioni dei tre termo=
metri risultarono sempre assai bene concordanti.
Mi limiterò pertanto qui a dare lo specchio delle durate di oscilla-
zione dei quattro pendoli adoperati, già corrette (per l'ampiezza, la tempe-
— 341 —
ratura, la pressione, l'andamento dell’orologio delle coincidenze, e la fles-
sione del supporto):
DURATE DI OSCILLAZIONE RIDOTTE
Si50 09.507
08.507
<
D149
08.507
S148
08.507
Sotterraneo
Ottobre 23 I 6777 6178
” 208) 2 73 79
” 24 3 71 76
» 24| 4 71 81
67783 6178
Sala superiore
Novembre 14 Il 5782 6780 4870 6183
” 14| 2 80 75 76 83
» 5 8 93 94 76 92
” 15| 4 98 82 77 90
5787 6783 4875 6187
La differenza di gravità fra le due stazioni si può calcolare colla for-
mola (Mem.. pag. 79):
1) RIS Sade 3 +-39(5> 33)
adottando per la stazione inferiore il valore sopra riportato 9g = 980°,867,
ed introducendovi le due durate medie di oscillazione dei quattro pendoli
S= 055076178 , S'= 0.5076187. Si ottiene:
g—-g=— 0°9.003;.
La differenza di livello delle due stazioni essendo H= 10.2, la varia-
zione teorica della gravità, nel passaggio dalla stazione inferiore alla supe-
riore sarebbe,
g" — g= — 1077.3086 H = — 0°.003,,
Si ha dunque un perfetto accordo fra la differenza di gravità determi-
nata sperimentalmente e quella teorica, ciò che prova che, nelle misure fatte
Écol nostro apparato, si è potuto tenere esattamente calcolo di tutte le
— 342 —
cause perturbatrici, ed in particolare di quella che è più difficile a valutarsi,
la oscillazione del supporto.
Per meglio esaminare l'influenza di quest'ultima causa pertubatrice,
vi si dedicò una seconda parte della ricerca. Già si disse che, su una delle
facce verticali del pilastro costruito nella camera superiore, la mensola
poteva fissarsi a diverse altezze. Sempre adoperando il metodo di Schumann,
si determinò la riduzione o a supporto rigido, sia conservando la mensola
in quella posizione nella quale si era determinata la differenza di gravità
(altezza della lente del pendolo sul pavimento 0%.46), sia portandola in una
posizione più elevata, per la quale la lente del pendolo aveva una altezza
sul pavimento di 1".03. I risultati ottenuti, come medie di ripetute deter-
minazioni, sono i seguenti:
Sotterraneo. . . +. = — 4.8X407 me= 01051
Sala superiore (alt. della nta on, 46) 17.0 0.2
’ ’ (alt. della lente 1".03) 41.4 0.2
Questi risultati mostrano come cresca rapidamente la oscillazione del
supporto coll’elevarsi della mensola sul pavimento. Potendosi il pilastro, per
le sue notevoli dimensioni e la sua solidità, ritenere quasi rigido, ne segue
che, coll'aumentare del braccio di leva della forza orizzontale sviluppata
dal pendolo nel suo movimento, è il pavimento stesso, al quale esso è col-
legato, che entra in oscillazione.
Riferendvci alla posizione più elevata, è facile calcolare l'errore che si
sarebbe commesso nel determinare la differenza di gravità fra il sotterraneo
e la sala superiore, qualora non si fosse applicata la riduzione a supporto
rigido. La 1) differenziata dà, a meno di un termine trascurabile,
che può anche scriversi
d (g' — g)e® = 0°m.0004 (dS — dS')
intendendo 4S e dS' espressi in unità della settima cifra decimale del se-
condo. Sostituendo in questa i valori precedentemente trovati (col segno
cambiato)
ASA dS'= 41.4,
sì trova
d(g' —g)= — 0.015.
— 343 —
Senza la riduzione a supporto rigido, si sarebbe dunque trovato nella
sala superiore un valore della gravità inferiore di 15 unità della terza deci-
male del cm. a quello sopra determinato.
Ora, da una comunicazione del prof. Guarducci al prof. Reina risulta
che, nelle sue misure, egli osservava in piedi davanti all'apparato delle
coincidenze; ne segue che i pendoli oscillanti sul tripode dovevano trovarsi
ad un'altezza certamente non inferiore a quella corrispondente alla mia posi-
zione di esperienza più elevata. Come effetto della oscillazione del supporto
si spiegano allora le 17 unità da lui e dagli altri sperimentatori ottenute
in meno, nel determinare il valore della gravità.
Prima di chiudere, sì riuniscono nel seguente specchio i valori delle
durate di oscillazione dei quattro pendoli e del pendolo medio nel sotter-
raneo, negli anni 1912, ‘13 e "14.
| Sis S148 Si49 Si50 Sm
Epoca
| 08,507 08.507 08,507 08,507 05,507
(1) | 19126 | 7283 | 5777 | 6757 4859 6169
(2) 1913.6 | 93 | 75. | 56 59 71
(3) 1914.8 92 82 7801 67 78
_——_—_—— —_——
(2 — (1) eni 10) -2 | 1 0 9
(3) — (2) 39° — l 7 LET? 8 ti
(3Y==(1 ne 9 | DEENI 16 8 9
Questi dati mostrano che la variazione dei pendoli è stata piccolissima:
tutti hanno subìto un lieve allungamento.
Chimica. — Studi intorno a gli indoni. II. Sintesi dell a
metil-B-fenil-indone. Nota di R. pe Fazi ('), presentata dal Socio
E. PATERNÒ (°).
Per azione dell'acido solforico conc., a freddo, sull’etere etilico dell'acido
a-etil- 8-difenil-lattico, ho ottenuto l’'a-etil-8-fenil-indone (*).
Nelle stesse condizioni, l'acido solforico ha reagito in modo simile sul-
l'etere etilico dell'acido a-metil- #-difenil-lattico, dando luogo alla forma-
zione dell’ a-metil- f-fenil-indone.
(*) Lavoro eseguito nel Laboratorio chimico della Sanità.
(*) Pervenuta all'Accademia il 28 settembre 1915,
(*) R. de Fazi, Rend. Acc. Lincei, 24 (2), 150 (1915).
— 344 —
Questo è identico a quello che Rupe. Steiger e Fiedler (1) hanno otte-
nuto per azione del cloruro di tionile sull'acido a-metil- f-fenil-cinnamico,
e che chiamano #-metil- y-fenil-indone.
Ho preparato l’etere etilico dell'acido @-metil- f8-difenil-lattico, secondo
le indicazioni di Rupe, Steiger e Fiedler (*?). Questo etere, come ho già
accennato nella mia Nota I (*), dà con H.S0, conc., a freddo, una bella
colorazione verde-smeraldo.
Per aggiunta di ghiaccio la colorazione verde scompare e la soluzione
diviene di colore giallo intenso, mentre si deposita l’indone in fiocchi di
colore arancio.
Come per l’a-etil- 8-fenil-indone, così per l’a-metil- #-fenil-indone, è
facile spiegare l'andamento della reazione.
L'acido solforico cone., ha prima saponificato l'etere dando l’acido
a-metil- 8-difenil-lattico, poi eliminato una molecola d'acqua dando luogo
alla formazione dell'acido «-metil- #-fenil-cinnamico; quindi una seconda
molecola d’acqua tra il carbossile e l'anello benzenico formando l' @-metil-
B-fenil-indone.
La reazione sarebbe andata dunque secondo lo schema seguente:
CeH; CH, CoEE CH, CsHs CH;
| /0E | | /0R | | |
e 0 H > ce CH — € C —
| | | | |
CA C00 C.H; CHE COOH OTHE COOH
AEDES i s
ci
eni
CO
Di questo indone ho ottenuto l'ossima, il semicarbazone ed il semi-
ossamazone. In questa Nota descrivo anche il semicarbazone dell’ a-etil-
B-fenil-indone che ho preparato per confrontarlo con quello dell’a-metile8-fenil-
indone.
a-metil-B-fenil-indone.
L'etere etilico dell'acido @«-metil- 8-difenil-lattico è stato preparato
secondo le indicazioni di Rupe, Steiger e Fiedler (*).
(') Rupe, Steiger e Fiedler, Ber. 47 (1), 66 (1914).
() Rupe Steiger e Fiedler, loc. cit.
(3) R. de Fazi, loc. cit.
(4) Rupe, Steiger e Fiedler, loc. cit.
— 345 —
Si disciolgono 20 gr. di benzofenone in 60 ce. di benzolo (disseccato
su sodio), e si aggiungono poi 24 gr. di etere etilico dell'acido @-bromo-
propionico e 7 gr. di zinco in granuli.
La reazione si fa in un pallone da 500 cc. a b. m. con refrigerante
chiuso da un tubo a Call».
Si fa bollire per circa 2 ore. Poi si raffredda, e si decompone con
H:S0O, diluito. Si separa quindi la soluzione benzenica e si lava bene con
acqua; si filtra e si distilJa il benzolo. Per raffreddamento, tutta la sostanza
oleosa rimasta, cristallizza in ciuffi di aghi.
Ricristallizzata da una mescolanza di alcool etilico ed acqua (3:1) si
ottengono fini aghi bianchi, che fondono a 101-102°, e che sono l'etere eti-
lico dell'acido a-metil- 3-difenil-lattico.
Da una preparazione si ottengono circa 20 gr. di questo etere.
A gr. 2 di etere etilico dell'acido «-metil- #-difenil-lattico si aggiun-
gone 10 cc. di H,SO, conc. La soluzione diviene immediatamente di un bel
colore verde-smeraldo.
Però, se si fa questa operazione con attenzione, si nota come la colo-
razione verde, pur essendo immediata è preceduta da una fugace colorazione
gialla, poi arancio e rossa.
Si lascia reagire a temperatura ordinaria per 1 giorno.
Si aggiungono quindi dei piccoli pezzi di ghiaccio, mantenendo però a
bassa temperatura (miscuglio di ghiaccio e sale) il recipiente in cui si fa
questa operazione.
L'aggiunta dei piccoli pezzi di ghiaccio deve essere fatta lentamente.
Dal colore verde, la soluzione passa al rosso, all’arancio al colore giallo
intenso. Si sente un odore speciale, simile a quello notato per l' a-etil-
B-fenil-indone (').
Si aggiungono poi pochi cc. di acqua, sempre però a freddo. Si depo-
sitano allora dei fiocchi di colore arancio, che si raccolgono su filtro. Si
disciolgono in alcool etilico bollente, nel quale sono molto solubili.
Per raffreddamento della soluzione si formano alla superficie lunghe
lamelle, di colore giallo-arancio intenso, che si riuniscono per formare dei
reticolati, i quali si depositano, velta per volta, al fondo del recipiente.
Avendo avuto occasione di cristallizzare più volte questo indone, sempre
dall'alcool, ho ottenuto, non soltanto delle lamelle, ma anche dei cristalli
di forma romboedrica.
Questo indone fonde a 86-87°.
Si dissecca e si analizza:
sostanza gr. 0,2054 CO, gr. 0,6564 H;0 gr. 0,1026.
(1) R. de Fazi, loc. cit.
RenpicoNTI. 1915, Vol, XXIV, 2° Sem. 45
— 5346 —
Donde °/,:
Trovato Calcolato per Cis Hia 0
C 87,15 87,24
H 9,98 5,49
Come l'a-etil- #-fenil-indone anche questo indone, con H,S0, cone. a
freddo, si colora in un bel verde smeraldo; a caldo, in rosso. La reazione
è così sensibile che basta un cristallino perchè 100 cc. di H. SO, conc. si
colorino in verde smeraldo.
Con HNO,; conc., a freddo, si colora in rosso.
È una sostanza molto solubile in alcool etilico e metilico, benzolo,
cloroformio, etere etilico ed etere acetico; meno in etere di petrolio.
Da una preparazione si ottiene circa 1 grammo di &-metil- 8-fenil-
indone.
Ossima dell’a-metil- B-fenil-indone.
lc Da;
C=-N—-0H
Si discioglie 1 gr. di @-metil- f-fenil-indone in 80 ce. di alcool etilico,
e si aggiungono poi gr. 0,5 di cloridrato di idrossilammina disciolti in 5 ce.
di acqua. Si fa bollire per 3 ore, e si filtra. Per raffreddamento della so0-
luzione si depositano cristalli di colore giallo, che fondono, così impuri,
a 195-197°.
Questa ossima, disciolta in molto alcool etilico, cristallizza, dopo aver
lasciato la soluzione a svapoiare a temperatura ordinaria per un giorno, in
prismi di colore giallo-verde, e molto lucenti, che fondono a 199-200°.
Con H,SO, conc., a freddo, si colorano in un bel rosso sangue. Con
HNO; cone., a freddo, si colorano in rosso rubino.
La sostanza disseccata a 100° si analizza :
sostanza gr. 0,2118 CO, gr. 0,6332 H:0 gr. 0,1082,
” gr. 0,2516 N. cc. 13,2 a 764 mm. e 22°,
Donde °/,:
Trovato Calcolato per Cis Hi3 0N
C 81,53 81,70
H 9,02 5,90
N 6,10 SUO
-— 347 —
Questa ossima è insolubile in acqua; solubile in alcool etilico e me-
tilico, cloroformio e benzolo; meno in etere di petrolio.
Semicarbazone dell'a-metil- B-fenil-indone.
ani
Cn re LE n 4 a6(7+V®)
dlogo __a dlogo __£
dU pis o ET
DURC E ATE.
ts]
tali che si abbia
(5) a+ p°? + u° = 2ndo,
dove 7 indica una costante. Quando una soluzione è nota, il raggio della
corrispondente sfera inviluppante è dato: da
À
e l'elemento lineare della trasformata X, è
(7) dsf = p° du° + q* dv? .
4. Ora dalla (6), derivando, si trova, per le (4),
IR x 5R ti)
re I (A VON) = —t_ ha,
dU U dv u
e, nella ipotesi che questo valore di R soddisfi alla (3), dovremo avere
E AA 15)= RO Le TIRA,
sa (VA dee aan rd T
(*) Transformations of surfaces of Guichard and surfaces applicable to quadrics
(Annali di matematica, ser. 3%, tomo XXII, pp. 194-197).
— 352 —
Calcolando colle (4) e (5), questa si riduce alla
(8) p/a+gVyE=0,
nella quale, come al solito, y E È VG indicano i valori positivi dei radicali.
Lo stesso significato avendo |/ E, ; V G,, dove E,, G, sono i corrispondenti
coefficienti per la superficie trasformata Z,, abbiamo due diversi casi da
considerare, e cioè
(9) p=VE , q=VG,,
ovvero l’altro
(16) p=—VE , qa=17VG.
Ma il caso (9) è incompatibile colla (8), per la convenzione sui segni
dei radicali; e resta quindi solo il caso (10), nel quale la (8) diventa
VE -VG.=VG- VE.
Siccome le linee di curvatura sono le linee coordinate sopra X e Z,,
ne segue che la rappresentazione dell’una superficie sull'altra è conforme.
Ma Darboux ha dimostrato (loc. cit.) che le trasformazioni D, delle super-
ficie isoterme e quelle di Ribaucour colle sfere ortogonali ad una sfera fissa
sono le uniche trasformazioni di Ribaucour per le quali la corrispondenza
è conforme. Nello stesso tempo egli ha provato che per le trasformazioni
del secondo tipo è il caso (9) che si presenta. Concludiamo quindi:
Le trasformazioni Dm delle superficie isoterme sono le uniche
trasformazioni di Ribaucour che dànno una soluzione del problema delle
superficie di rotolamento.
In una Nota successiva stabilirò un teorema, in certo modo duale di
questo, che cioè le trasformazioni E, delle superficie con rappresentazione
isoterma delle linee di curvatura sono le uniche trasformazioni di Ribaucour
che dànno una soluzione del problema degli inviluppi di rotolamento, per
usare la terminologia usata da Bianchi in due Note in questi Rendiconti (').
(1) Vol. 23, pag. 3; e vol. 24, pp. 366-369.
— 353 —
Matematica. — Sulla necessità della condizione di Weier-
strass per l’estremo degli integrali doppî. Nota di EuceNIO ELIA
LEVI, presentata dal Socio Lurer BrancHi (').
La teoria dei massimi e dei minimi degli integrali doppî, quale è
esposta nei trattati più noti, presenta molte lacune: manca, ad esempio, la
dimostrazione che la condizione di Weierstrass è necessaria. Per quanto
tale dimostrazione non presenti difficoltà di natura essenziale, può essere
utile l’esporla brevemente.
1. Supponiamo che l'integrale di cui si cerca l’estremo sia
x la d d8 de
. ) SS ; t) b) ;
dove C rappresenta un'area assegnata del piano xy che si suppone limitata
da una curva regolare €, /(xyzpg) è una funzione finita e continua colle
derivate dei primi due ordini in un certo campo R dello spazio (x , y , #)
e per valori arbitrari di p e di 9g. Sia #=%(xy) una funzione avente le
derivate prime finite e continue, che dia ad (1) il massimo o il minimo
valore rispetto alle superficie di un certo intorno di ordine 0, le quali assu-
mono gli stessi valori sul contorno c di C.
dÙ di
da 7 ay
in una funzione contenente 2 e le sue derivate, si sostituiscono a queste È
e le derivate corrispondenti, si indichi il risultato della sostituzione colla
lettera greca corrispondente alla latina con cui quella è indicata.
Sappiamo che $(xy) deve essere tale che, per qualunque funzione @(27)
avente derivate prime finite, sia
Poniamo (xy) = ; e in generale conveniamo che quando
(2) S[Co0 + 9r00+9,0,] dr dy=0;
e si sa che perciò, se si ammette che é(xy) abbia pure le derivate seconde,
essa deve essere un estremale, e cioè soddisfare all'equazione di Lagrange
d d
(') Pervenuta all'Accademia il 28 settembre 1915.
— 354 —
Ammettiamo soddisfatta questa condizione: e dimostriamo che affinchè
<(xy) dia a I[z] per es. il valore minimo, occorre che în ogni punto xe Yo
interno a C e per tutti i valori di a e B
(14) E(x03Y0 So, To +@,%o 4 È ; To, %o) =
= /(L0, Yo Soto +, %o + B) — P(Lo Yo) —
— & Yp(d0 Yo) — Pad Yo) 30;
dove Sh=t(x0Y0) to =T(%0Y0) è Xo=%(L0 Yo), e come si disse Y(x0Y0) =
= f(X0Yobotto Ko) ecc.
2. Per semplificare i calcoli che seguono, osserviamo che ci si può
sempre ridurre al caso in cui a >0,#8#=0,%z0=%,=0. Quando ciò
non sia, poniamo
(5) a=%g 0809 , f=osen0, e>0;
e facciamo il cambiamento di variabili
(6) ca=%,+-2'cos6—y send y=y +2" sen0+y' così.
Aggiungendo un apice indicheremo le quantità relative alle nuove variabili;
così C' indicherà il campo corrispondente a C nelle variabili (2’y'), sarà
(7) <(oy)=29)=
= er +e'cos6 — y'sen0,y + 2'sen0-+y' cos 0),
e quindi i
,_ de Y)
= —_-7= pcos0+gsend,
®) 3a
,__dea'yY)
= ——_—=— 6 cos 0.
dg psené + q cos
ed analogo significato avranno é,7',y". La funzione 2'(x'7) darà il mi-
nimo all integrale
(9) Is = {( f'(e'y'3' p'q') da' dy',
i c
dove
(10) /(#y'p'9)=/(2yap9)=
= (ro + a'cos6 — y'sen 0, yo +- x sen0+y'cosò,
3',p' cos0 —q' seno, p'sen0 + g cos 6).
D'altra parte indicando ancora con E' la funzione analoga a E costrutta
— 359 —
mediante la /' e la è" avremo identicamente da (8) e (10)
(11) E(x0,Y0, Soto +@,%o +; 700,%)=
= E'(0,0,%0,704+-01%05 6: %);
cosicchè per dimostrare la (4), basterà dimostrare la disuguaglianza
E'(0,0,60, 0 @.%05 70%) >0,
che è l’analoga della (4) per l'integrale (9), e per a=0>0,8=0,
Xo=Y= 0.
Ci limiteremo dunque a dimostrare che per il minimo, occorre che
(12) E(0,0,îo sto 4 @%0 5 To Xo) =
=f(0,0,00,t0 +a,%x)—S(0,0))— (0,0) =0; a>O.
3. Ciò posto, prendiamo due numeri a e d positivi e tali che il rettan-
golo di vertici (0, —a), (db, —@), (0,4), (0,a) sia interno a C: e sia a
un numero tale che
Dea
Il rettangolo R. di vertici (0, —«), (6, —«), (2,8), (0,8) è allora
interno a C: ed il punto (85,0) è interno a R.. Costruiamo allora una
funzione variata «(x ,y;) colle regole seguenti:
1°) nel campo C— R. sia
(13) (2,7; 8)=t(0,7);
2°) nel triangolo T. di vertici (0, —«),(s°,0),(0,e) sia
(14) s(xy;e) = (2,9) +ex;
3°) nel campo R: — T: (che è un poligono concavo di 5 lati) poniamo
(15) s(0y; e) = xy) + (29 8),
dove (xy ;£) è una funzione avente le derivate prime quasi ovunque e sod-
disfacente in R. — T. alle disuguaglianze
d°w
20
dY
0520
(16) |o(cy ; a)| |
A 0 0, + fa peer Or 0%, + fa 0} | dr dy ;
ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 47
958.
dove /.:... sono valori delle derivate seconde di /(x,y,4,p 9) in punti
della forma (x 1432 + 00,7 + 00x,x + 9%,). Se quindi N è il massimo
valore assoluto delle derivate seconde di /(x,y,4,p,9) in un intorno dei
valori per cui xy è in R:,4= (xy) p=2(2y),4=x(xy), avremo per
(16), se « è sufficientemente piccolo
(28) Sho [200 +2/p 0054: t/a 0} (dn dy<
1.
1. Sia y una superficie algebrica irriducibile d'ordine n = 6, avente
un fascio (*) di coniche (X) generalmente irriducibili.
Indichiamo con (7) l’inviluppo (irriducibile) costituito dai piani di
queste, con w la sua classe, e con s il numero di coniche di (7) esistenti
in un piano generico di (7).
È noto (‘) essere
(1) 12= 2us 4 d + 20,
ove d è il numero dei punti doppi dell’involuzione I} secata dalle coniche
di (4) sopra una sezione piana generica c di y; e d' è il numero di quei
punti (distinti o no) di c, su ognuno dei quali cadono (su due rami) due
punti coniugati della detta 1}.
(1) Pervenuta all'Accademia il 9 ottobre 1915.
(3) Sulle superficie algebriche d'ordine 6 con infinite coniche. [Rendiconti della
R. Accademia dei Lincei, vol. XXIV, ser. 52 (1915)].
(3) È noto essere un fascio ogni sistema (necessariamente) cc! irriducibile di coniche
(generalmente irriducibili) esistente sopra una superficie algebrica d'ordine n > 4. Vedi
De Franchis, Le superficie irrazionali di 5° ordine con infinite coniche [Rendiconti
della R. Accademia dei Lincci, vol. XV, serie 3° (1906)].
(4) Vedi il mio studio Sulle superficie algebriche con infinite coniche, e, in par-
ticolare, su quelle di ordine è [Atti dell'Accademia Gioenia, Catania, ser. 52, vol. VIII,
(1215)], n.° 2.
— 360 —
Si notì, inoltre, che, indicando con p, il genere di c, e con p; il genere
di I, cioè di (4), è (per la formula di Zeuthen) d9= 2(p. +1) — 4p;.
Su
CARE A
Giacchè è d> 0 e d' = 0, dalla (1) si deduce s= 1.
Inoltre, siccome certamente esistono piani tangenti a tre coniche di (%),
ma non a tutte le coniche di questo fascio, così è sempre d > 3; anzi
dò => 4 e, quindi, d <2.
3. Cominciamo a supporre che (7) sia gobbo (e quindi razionale).
Per. d'=0 la (1) da d—=6, e quindi (n.° 1) p.=2.
Dunque y è proiezione della superficie y,, dell'S;, rappresentata, nel
piano. dal sistema lineare |44,2, 2,3,4,5,6,71, ove i punti 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 sono
in posizione generica tra loro.
I piani delle coniche di y,, rappresentate dal fascio |Z}|], generano una
varietà (a tre dimensioni) la quale, come facilmente si dimostra, è d’ordine
tre. Proiettando dunque y, da una retta generica, dell’S, ambiente, in uno
spazio ordinario, si ottiene una superficie y avente un fascio di coniche (%),
e i piani di queste costituiscono un inviluppo gobbo di classe u= 3.
4. Per'di=1 la (1) da d=4, e*quindi(p.°1)p, de
La superficie y è dunque proiezione della superficie y,, dell'S,, rap-
presentata nel piano dal sistema lineare |Zî, »,3]. I piani delle coniche del
fascio (X1), rappresentato da [Zi], generano una varietà (a tre dimensioni)
d'ordine quattro. Ne segue che, per ottenere la superficie y in esame, basta
proiettare y, da un piano © che incontri (genericamente) un solo 77, dei
piani generatori della detta varietà. La traccia, nello spazio ordinario su
cui si proietta, dell'S, = wr, è quella retta (doppia per y) che, contata
due volte, è una conica del fascio (X) proiezione di (%,).
5. Supponiamo, ora, che l’inviluppo (77) sia conico, e indichiamo con V
il suo punto-base, punto che o non appartiene a y, ovvero è triplo per questa
e punto-base per (/%).
Sia pi= 0, cioè (7) sia razionale.
Ragionando come nel n.° 3, si dimostra che, per d' = 0, y è proiezione di
una superficie y, , dell'S;, rappresentata nel piano dal sistema |A;2,2,3,4,5,6,7):
ove i punti 1, 2, 8, 4, 5, 6. 7 non sono in posizione generica tra loro, ma
come ora sì dirà.
Se i punti 2, 3, 4, 5, 6, 7 appartengono ad una stessa conica c’, questa
è immagine di una conica e, di y,, sulla quale le coniche del fascio (1),
rappresentato da |A{|, segnano un’involuzione (quadratica); sia V, il centro
di questa. È chiaro che, proiettando y, da una retta generica, si ottiene
nello spazio ordinario una superficie y avente un fascio di coniche (7), i
— 361 —
cui piani inviluppano un cono razionale di classe u=3; e il vertice V di
questo cono, proiezione di V,, non appartiene a y.
6. Se supponiamo, in particolare, che i 7 punti (n.° 5) 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7
giacciano in una stessa conica c', questa rappresenta un punto V, che è
triplo per y, e punto-base per il fascio (X,). Ne segue che, proiettando y,
da una retta generica, si ottiene una superficie y con un fascio di coniche (/),
i cui piani inviluppano un cono razionale di classe u= 3; il vertice di
questo cono è un punto V triplo per y e punto-base per (/).
7. Sia ora d'= 1, pur essendo ancora (77) razionale; sarà d = 4, e,
qundi, pp. — I
La superficie y è dunque proiezione della superficie y,, dell'S;j, rap-
presentata nel piano dal sistema lineare |4î, s, 3].
a) Siano 1, 2,3 in posizione generica tra loro. Allora le coniche
di y, del fascio (%:), rappresentato da |X{, punteggiano proiettivamente le
rette schembe aventi per immagini il punto 1 e la retta 4},3; le congiun-
genti i punti omologhi generano quindi una schiera rigata. Ebbene, si scelga
come piano centro di proiezione un piano generico w che incontri (in nn
sol punto P non di y,) questa schiera rigata. e si proietti y, in uno spazio
ordinario X; si otterrà la superficie y richiesta. Infatti per P passa una
generatrice 9 della schiera trasversale di quella detta poco sopra, genera-
trice che è incontrata da tutti i piani delle coniche di (7,). Ne segue che
per il punto V, traccia in X dello spazio ©g, passeranno tutti i piani delle
coniche del fascio (%) proiezione di (%,). Inoltre quella conica di (X,), com-
planare con P., dà. la retta doppia di y, retta che, contata due volte, è una
conica di (X); evidentemente l’inviluppo (7) dei piani delle coniche di (7),
è razionale e di classe u=4—1=3. Si noti, infine, che il punto V non
appartiene a y.
5) Supponiamo, invece, che i punti 1 e 2 siano infinitamente vicini
tra loro, onde y, è dotata di un punto doppio V, che è punto-base per (/,).
In questo caso, proiettando y, da un piano w che incontri genericamente un
(solo) piano di una conica di (X,), si ottiene una superficie y con un fascio (X)
di coniche, i cui piani inviluppano un cono razionale e di classe u=4—1=3.
Inoltre esiste una retta doppia di y, la quale, contata due volte, è conica
di (X). Si noti, infine, che il vertice V, del detto cono, è triplo per y e
punto-base per (%).
8. Supponiamo ora p;= 1, cioè che l’inviluppo (7) sia ellittico. Per
d'=0, dalla (1) segue d = 6 e, quindi (n.° 1), p;= 4. L'esistenza della
superficie y si può dimostrare con ragionamenti analoghi a quelli fatti nel
n.° 8 della mia Nota citata per la prima. Comunque, eccone dimostrata
l’esistenza per altra via (1).
(') Ancora: l’esistenza di y è contemplata nel seguente teorema generale (che dimo-
strerò in un mio prossimo lavoro): Per s=7,n=?2w e (k) dotato di punto-base, la
superficie y esiste.
— 362 —
a) Stabilendo un’omografia tra i piani di uno spazio ordinario X e
le quadriche, di un altro spazio ordinario 2°, passanti per sei punti gene-
rici di un cono cubico ellittico y', si viene a stabilire fra XY e X' una
trasformazione doppia, in virtù della quale a y' corrisponde in X una super-
ficie y d'ordine 2 = 6, con un fascio ellittico (4) di coniche i cui piani
inviluppano un cono (ellittico) di classe u =3 ('). Il vertice di questo
cono è, evidentemente, il punto V di 2 corrispondente a V’, punto V che,
dunque, è triplo per y e punto-base per (£).
6) Fra i piani di un inviluppo (7) ellittico di classe u =3, e le
quadriche di un fascio (x), esista una corrispondenza (2, 1), tale che esi-
stano due piani di (77), ad ognuno dei quali corrisponda in (x) una quadrica
(degenere) della quale quel piano sia parte. Il luogo della conica comune
a due elementi omologhi è, a prescindere dai detti due piani, la superficie y
richiesta.
Secondo che il vertice V del cono inviluppato da (77) appartiene ovvero
no alla base di (x), V sarà triplo per y e punto-base per (%), ovvero non
appartiene a y.
9. Per d' =1èd=4, e, quindi, MESI,
Da quanto è noto (*) circa le superficie a sezioni piane di genere tre,
la superficie y esiste.
a) Sia y la superficie, dell'S,, rappresentabile sul cono cubico ellit-
tico mediante il sistema lineare delle curve segate dalle quadriche che toc-
cano il cono in un punto fisso (*). Proiettando y, da uno generico dei piani
incidenti essa in due punti, e incidenti il piano di una conica del fascio
(ellittico) di coniche esistente in y, stessa, si ottiene la superficie y richiesta.
La proiezione di detta conica sarà la retta doppia di y che, contata due
volte, è una conica del fascio di coniche (%) esistente in y. I piani di queste
coniche inviluppano, evidentemente, un cono ellittico di classeu=6—3=3,
il cui vertice V è triplo per y e punto-base per (4).
5) La superficie y è una di quelle studiate dal prof. Scorza (‘). In
questo caso il vertice V, del cono inviluppato dai piani di (7), non appar-
tiene a y.
(*) Infatti la quartica base del fascio di quadriche passanti pei sopradetti sei punti,
per il vertice V’ di 7’, e per un punto generico (di 2°), seca ulteriormente y' in
4*3—6—3=3 punti, onde nel detto fascio esistono tre (sole) quadriche che conten-
gano generatrici di y/.
(£) Castelnuovo, Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere 3
[Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, vol. XXV (1890)]; e Scorza, Ze super-
ficie a curve sezioni di genere 3 [Annali di matematica, ser. 3%, tomo XVI].
(?) Castelnuovo, loc. cit., n.° 9.
(4) Scorza, loc. cit., ni 26 e 50.
— 363 —
82.
10. Sia u=2.
Giacchè è d > 0 e d'= 0, dalla (1) si deduce s<3.
Ilsa =
Cominciamo dall’osservare che il vertice V del cono quadrico, invilup-
pato dai piani di (77), o è doppio per y e non punto-base per (%), ovvero
è quadruplo per y e punto-base per (%).
Dalla (1), inoltre, si deduce (n.° 2) d'<3.
Per d'= 0 la (1) dà d=8 e, quindi, (n.° 1) p.=3.
a) La superficie y è dunque (') proiezione della superficie y,, dell'S,,
rappresentata nel piano dal sistema lineare |4î3, », 3, 4,...., 1 coi punti
1,2,3,4,..., 11 in posizione generica tra loro.
I piani delle coniche del fascio (X,), rappresentato da |Ai], costituiscono
un S-cono quadrico, e il vertice V, di questo è doppio per y,. Proiettando
dunque y, da un punto generico dell’S, ambiente, si ottiene una superficie y
con un fascio di coniche (4) i cui piani inviluppano un cono quadrico, e il
vertice V di questo è doppio per y e non punto-base per (£).
5) Se, in particolare, i punti 2, 3, 4, 5, 6 sono collineari, siccome
la loro retta rappresenta un punto V, quadruplo per y, e punto-base per (41),
così Ja proiezione di y, sarà una superficie y con un fascio di coniche (%)
i cui piani inviluppano un cono quadrico, e il vertice V di questo è qua-
druplo per y e punto-base per (%).
libero — lee =:oretgumdito — 2:
La superficie y è dunque proiezione della superficie y,, dell'S;, rappre-
sentata nel piano dal sistema lineare |4f2 è 3,4,5,6,71-
a) Se i punti 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 sono in posizione generica tra loro,
siccome ì piani delle coniche del fascio (X,), rappresentato da !Zi|, gene-
rano una varietà cubica, proiettando y, da una generica retta incidente uno
(solo) 77, di questi piani, si ottiene una superficie y con un fascio di coniche
(X) i cui piani inviluppano un cono quadrico, e il vertice V di questo è
doppio per y e non punto-base per (%).
b) Se, invece, i punti 1, 2, 3, 4, 5, 6,7 appartengono ad una stessa
conica, allora, proiettando y, come ora si detto, V risulta quadruplo per y
e punto-base per (%).
In ambedue i casi la traccia, nello spazio di y, dello spazio ordinario
individuato da 7, e dalla retta centro di proiezione, è la retta doppia di y,
tale che, contata due volte, sia conica di (%).
13. Per d'=2 è d=4 e, quindi, p;= 1.
La superficie y è dunque proiezione della superticie y,, dell'Ss, rap-
presentata nel piano dal sistema lineare |Zî, »,3|, qualora si scelga, come piano
(1) Castelnuovo, loc. cit.
— 364 —
centro di proiezione, uno generico w dei piani, dell’Sg, incidenti, generica-
mente, due dei piani delle coniche del fascio (%,) rappresentato da |A}. Le
tracce, nello spazio di y, degli spazî a quattro dimensioni individuati da
questi due piani con w, sono due rette doppie per y e, contate due volte,
coniche del fascîo (4) proiezione di (&,).
Il vertice V del cono quadrico inviluppato da (7), sarà
a) doppio per y e non punto-base per (£), in generale;
6) mentre se i punti 1 e 2 sono infinitamente vicini tra loro, V sarà
quadruplo per y e punto-base per (%).
14. Sia, infine, s="2, e, quindi, 9=4 e d'=0.
L' ulteriore intersezione di y con un piano generico di (77) è una conica
irriducibile, la quale genera, al variare del piano, un fascio razionale (£')
distinto da (4). Ne segue che y è razionale, e, quindi, anche (4) sarà razio-
nale; dunque è p_= 1.
Ciò posto, si consideri la superficie y,, dell’Ss, rappresentata nel piano
dal sistema lineare |Zî, »,3], ove i punti 1 e 2 sono infinitamente vicini tra
loro. Indi si assegni un'omografia tra le coppie di una gì del fascio |A{|, e
le rette del fascio |23}. Una coppia e una retta omologhe costituiscono l’im-
magine di una sezione iperpiana di y,. Si ottengono, così, oo’ iperpiani tali
che per un punto generico, dell'Ss ambiente, ne passano due (soli), onde
essi appartengono tutti ad un Sz. Proiettando quindi y, da un piano gene-
rico di questo spazio, si ottiene la superficie y richiesta; il vertice V del
cono quadrico inviluppato dai piani delle coniche di (4), sarà doppio per y
e punto-base per (4).
15. Dallo studio fatto possiamo concludere che
le superficie d'ordine n= 6, con infinite coniche i cui piani costi-
tuiscano un inviluppo di classe u=3 ovvero n=2, sono le diciassette
superficie date nei numeri 3, 4,5, 6,7 (a, b), 8 (a, 8), 9 (a, 8), 11 (a, d),
12 (a, è), 13, (a, d,) 14.
Matematica. — Gl autovalori e le autofunzioni dei nuclei
simmetrici.
Nota II di ATTILIO VERGERIO, presentata dal Socio
T. Levi-Civita (').
5, Calcoliamo i nuclei iterati di F°°(s/) (*); si ha
b
Fs) = CK(s7) — Hi(sr)] [K(72)
essendo °
CARI AR
SE K(sr) Hi(rt) dr=lim f' K(s7) pin 00) dr =
=ylim SIL = yH(st),
ed anche (ved. $ 3)
b
Ii H,(sr) H(r4) de = yH(st),
otterremo :
Fs) = K.(s4) — yH(st).
Analogamente
Fs) = K:(s6) — yHi(sd);
ed in generale
F57(56) a Kon(84) = H(s)
Sar (88) =" Kon+1(84) cr y"H1(sé
Posto ora
b eb
Di,= (frode ; re= aa
ava Wir
sarà
Uintr = Ugnasr — pei U
Uln = Un — MEA] ;
da cui
Una
ùu
VIE:
TO —
7 Uda
y2n E
(!) Pervenuta all'Accademia il 24 settembre gal),
(?) Ved. la mia Nota IL.
ReNDINOOTI, 1915, Vol. XXIV, 2° Sem
48
— 366 —
Ed ancora, posto
T.lim TO,
n=
sì avrà
Un
2n+1
LA
—U
n=0%0 Un
2
y
E poichè il minimo modulo degli autovalori di F°(st , avremo,
per |Z2|, la seguente espressione:
Un 5
MU): 2
dele t |im FT 2 imp}: ().
[Vy||x=e Van gl |Vr[la=o
VEDE
Si presentano ora tre casi:
1°) lim R?= 1, e quindi dal=|7 Il nucleo K(s?) ammette
le Vr
allora ambedue i valori ERE e ngi , come autovalori ;
Vy Vy
2°) lim R®>>.1 e finito; si ha allora per |Z:| un valore maggiore
#0
di [2] (5);
3°) il rapporto R® non tende ad alcun limite; allora la ricerca degli
È 1
autovalori è esaurita, e K(s7) ammette uno solo dei due valori 1 —, come
y
autovalori. Questo caso si presenta quando F°(st)= 0; le costanti y, di
K(sà) sono allora tutte eguali tra loro, ed i due termini di R®) sono sempre
nulli, qualunque sia 7.
6. Supposto che quest'ultimo caso non sì verifichi, sì consideri la fun-
zione
F°(s4) = Fs) — HP(s2),
Usato —_ Usn
yg2n+! paci gin
(') Si osservi che essendo =U (Schmidt, loc. cit., $ 11), il rapporto
\
RO, per ogni x finito, è sempre positivo: tale dovrà quindi essere anche il suo limite,
quando esiste. Inoltre, essendo Re 1, dovrà essere lim RO) I
n=%
(2) In questo caso, K(st) ammetterà uno solo dei due autovalori = i per stabi-
y
lime il segno, ci si potrà servire del criterio esposto alla fine del $ 3.
— 367 —
dove
«0 Finsa(81
H®(st) = lim Pnr1(98) ;
e si ripeta per la F©(s?) il ragionamento fatto per la F°°(s/). Arriveremo
così a trovare per |43| la seguente espressione:
Ula tI
— U' |?
2n
VT I [im Ro},
vr] |yTe||a=o Dee gel |VTa]la=o
Ea
dove potremo ripetere per limite di R le stesse considerazioni fatte più
sopra per RW e continuare, nel caso, la ricerca di nuovi autovalori consi-
derando la funzione
F‘(st) = F®(59) — H9(S0) ;
e così via indefinitamente, sino a ricerca esaurita. Si arriverrà così ad otte-
nere tutti gli autovalori di K(st).
7. Vediamo ora come si possano determinare tutte le autofunzioni del
del nucleo K(s/). Evidentemenle basterà limitarsi a mostrare come si pos-
; î . 3 1 4
sano trovare quelle corrispondenti agli antovalori eee perchè, nello
Vy
stesso modo, si potranno trovare quelle di F°(s/), F®%(s/),... relative
2 3 1 1 . E 0
agli autovalori tt —— © —-,...; le quali, come già sappiamo, sono le
VI: VI:
autofunzioni di K(s/) corrispondenti agli autovalori 43,43, ...
Osserviamo, anzitutto, che, se y(s) è una funzione qualunque finita ed
- SIR x | 1
integrabile, le autofunzioni di K(s7), relative all'autovalore 4 —= , saranno
Vy
tutte rappresentate dall'espressione
®) [UGOMO UE (dad.
ca
Invero si consideri l'equazione integrale di 2 specie
mM ++ f KG) MO U=90).
e
dove (7) è un’autofunzione di K(s?) relativa all’autovalore an
Vy
— 368 —
Essendo K(7) una funzione simmetrica, l'equazione precedente ammet-
terà (*) almeno una soluzione y1(4); moltiplicandone allora ambo i membri
per H(s7) dr, ed integrando, si otterrà (*)
b 1 b
f H(sr) yi(7) dr + "o f H(87) yi(2) dr = g(8),
da )/ y «va
il che prova quanto si voleva.
Potremo allora scegliere p, (ved. $ 3) funzioni yi(5), x2(8) , «... Xp,(8)
tali che, per esse, la (8) rappresenti le p, autofunzioni linearmente indipen-
denti cercate.
In modo affatto analogo si dimostrerebbe che tutte le autofunzioni di
1
—= , sono rappresentate dall’espres-
Vy
sione i
(9) (56) y(1) dt — 7 (A(S0 x(t) di,
«a yi
3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre-
cedente, la relazione è letta in seduta pubblica,
nell'ultimo in seduta segreta.
4. A chi presenti una Memoria per esame è
data ricevuta con lettera, nella quale si avverte
che i manoscritti non vengono restituiti agli
autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26
dello Statuto.
5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au-
tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50.se
estranei. La spesa di un numero di copie in più
che fosse richiesto, è messo a carico degli
autori.
RENDICONTI
DELLE SEDUTE
DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
MA? Maca
Seduta del ? novembre 1915.
P. BLASERNA, Presidente.
MEMORIE E NOTE
DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI
Matematica. — Sulla generazione, per rotolamento, delle
superficie isoterme e delle superficie a rappresentazione isoterma
delle linee di ‘curvatura. Nota del Socio Luror BIANCHI (').
1. In due successive Note pubblicate in questi Rendiconti (*), applicando
i teoremi generali sul rotolamento di superficie applicabili, ho dedotto, da
ogni trasformazione D, di Darboux di una superficie isoterma, una genera-
zione della superficie stessa come superficie di rotolamento; e similmente,
da ogni trasformazione Em di Eisenhart di una superficie X a rappresenta-
zione isoterma delle sue linee di curvatura, una generazione di X come
inviluppo di rotolamento. Indicando con (S,S) le corrispondenti coppie
di superficie applicabili, di cui Ja prima, S, è la superficie d'appoggio, e la
seconda, So, la superficie rotolante, nel primo caso è un punto O, satellite
di So, che descrive la superficie isoterma quando si fa rotolare S, sopra $;
nel secondo è un piano 7 (satellite di S,) che inviluppa la superficie X a
rappresentazione isoterma delle linee di curvatura. Alla questione, già posta
nelle Note citate, di caratterizzare, dal punto di vista della deformazione,
queste speciali coppie di superficie applicabili (S,So), siamo ora in grado
(!) Pervenuta all'Accademia il 3 novembre 1915.
(*) Fasc. 4° e 5°, 1° semestre 1915 (sedute del 21 febbraio e del 7 marzo). Saranno
qui citate come Nota 1), e Nota 2).
ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 50
— 378 —
di rispondere in modo tanto più completo, in quanto le recenti ricerche di
Eisenhart (*) permettono di invertire in certo modo i miei primi risultati.
Si osservi, intanto, che le superficie S d’appoggio nelle nostre coppie
(S,S,) di superficie applicabili sono già perfettamente caratterizzate come
luoghi dei centri delle sfere dell’inviluppo nella corrispondente trasforma-
zione Dm, ovvero nella Em. Ma per questo secondo caso si determineranno
ulteriormente dalle loro relazioni colle deformate del paraboloide rotondo
(ved. n. 8).
Quanto poi alle superficie rotolanti Sy, le potremo caratterizzare da
una proprietà geometrica del sistema (u,v) coniugato, comune alla S, ed
alla sua deformata S, sistema che è sempre reale e corrisponde alle linee
di curvatura delle due falde dell’inviluppo. La proprietà in discorso è la
seguente:
A) Nel caso delle superficie isoterme il sistema coniugato perma-
nente (u,v) della superficie rotolante S, si protetta, dal punto satellite 0,
sopra una sfera di centro O, in un sistema ortogonale.
B) Nel caso delle superficie a rappresentazione isoterma delle linee
di curvatura, il sistema coniugato permanente (u,v) di S, si proietta
ortogonalmente sul piano satellite tt in un sistema ortogonale.
È chiaro che, siccome la proiezione centrale sulla sfera è una proie-
zione ortogonale, le superficie So del caso B) sono da riguardarsi come un
caso limite dell'altro, A), quando il centro O si allontani all'infinito, in una
determinata direzione.
2. Comincieremo dal riscontrare che la proprietà A) si verifica nelle
superficie rotolanti S, corrispondenti ad una trasformazione D,, e la B) in
quelle che corrispondono ad una Em.
Indicando con
ds? = Edu? + Gdo
il quadrato dell'elemento lineare della superficie 2 (prima falda dell’invi-
luppo), con 7, , 7, i raggi principali di curvatura di Z, e con R il raggio
della sfera inviluppante, l'elemento lineare dso comune alle due superficie
applicabili So, S è dato da
2 2
d=B(1+7) de +.G(1 DL S| do* + dR?.
2 1
Ora, nel caso delle superficie isoterme e di una trasformazione Dm, il
raggio R rappresenta altresì la distanza del punto (u,v) variabile di So
dal punto satellite 0: e per ciò, indicando con do l'elemento lineare della
(1) Sulle superficie di rotolamento e le trasformazioni di Ribaucour (questi Ren-
diconti, ottobre 1915).
— 379 —
proiezione centrale di Ss fatta da O sulla sfera unitaria di centro 0, abbiamo
ds$= R° do? + dR?*,
e, paragonando colla precedente, risulta
gn 4 (1 1
2 2
si +) di +6(+7) do.
Questo ha effettivamente la forma ortogonale, e sussiste quindi la pro-
prietà A).
Nell’altro caso, di una trasformazione E,, il raggio R rappresenta la
distanza del punto (v,v) di S, dal piano satellite 77. Indicando questa
volta con do? il quadrato dell'elemento lineare della proiezione ortogonale
di So su 77, abbiamo
dsf=do° + dR°,
e, per ciò,
2 z
de =E(1 i) du? + G(i +7) dv?,
Pa 1)
che ha nuovamente la forma ortogonale. Dunque, se la S, appartiene ad
una trasformazione Em, ha luogo la proprietà B).
8. Prima di procedere all'inversione di questi risultati, ritorniamo sul
primo caso di una superficie X isoterma per constatare un'ulteriore proprietà
che possiede la proiezione centrale del sistema coniugato permanente di So,
e che è del resto una conseguenza della A).
Riferendoci alle formole della Nota 1), abbiamo qui
Se e
indi
1 w \} 1 w \°
dov = e0f— — —| du. + e? =) do.
Ta P, F
Dalle mie ricerche sulle superficie isoterme (') si sa che in quest'elemento
lineare sferico le linee (v,v) sono le immagini delle linee di curvatura di
una nuova supeficie isoterma £, precisamente di quella che in (M») è indi-
cata come proveniente da X per una trasformazione T,,, associata alla Dm
di Darboux. Nel caso A) ha dunque luogo l'ulteriore proprietà che: Ze
proiezioni centrali sulla sfera delle linee del sistema coniugato perma-
nente di ©. ‘ono le immagini delle linee di curvatura di un'altra super-
ficie isote.... 3.
(*) Ved. le duc Memorie nei tomi XI, XII, serie 3%, degli Annali di matematica
(1905). Qui saranno citate con (Mi), (Ma).
— 380 —
Osserviamo ancora, perchè utili per il seguito, le formole che, supposta
nota la X, dànno la S,. Se chiamiamo X;,Y:,Zs i coseni di direzione
della normale a 2, e x0, Yo, le coordinate del punto (u,v) di So,
abbiamo
D'altra parte si è dimostrato, in (M») $ 8, che alla D,, di 2 corrisponde
una D_,, per X, e la corrispondente w è data [ibid., formole (16)] da
_ (20, GS «genre "
w ig Per ciò le precedenti si scrivono anche
Xs Mi Za
(1) Lo = ci Y,= = 5 &, = =.
(0) wW w
4. Per dimostrare che le proprietà del sistema eoniugato permanente,
enunciate in A), B), caratterizzano le superficie rotolanti S, nelle coppie di
superficie applicabili dedotte da una trasformazione Dm, ovvero da Em, noi
cominciamo dallo stabilire le due proposizioni seguenti:
A') Se una superficie S, possiede un sistema coniugato permanente
(u,v), che, protettato da un punto O sopra una sfera di centro O, dà
un sistema ortogonale, ed è S la corrispondente deformata, allora, quando
So st fa rotolare sopra S, il punto O descrive una superficie X le cut
linee (u,v) sono quelle di curvatura.
B') Se una superficie S, possiede un sistema coniugato permanente
(u,v), che sopra un piano rt si proietta în un sistema ortogonale, allora,
rotolando S, sulla deformata S, il piano mr inviluppa una superficie X
le cui linee (u,v) sono quelle di curvatura.
A questo oggetto ricorriamo ad alcune formole generali della teoria
degli inviluppi di sfere, che qui per brevità mi limito a citare riserbando
ad altra occasione i relativi sviluppi.
Consideriamo un inviluppo di co? sfere, la cui superficie S luogo dei
centri, riferita ad un sistema curvilineo qualunque («,v), abbia le due
forme quadratiche fondamentali
(2) ds° = EBdu? + 2F du dv + G dv?
(3) Ddu? +2 D'du dv + D'"dv*,
e sia R= R(«, v) il raggio della sfera inviluppante. L'inviluppo si com-
pone di due falde, e noi vogliamo scrivere l'equazione differenziale delle
linee di curvatura sull’una o sull'altra falda. Denotiamo con 4,R il para-
metro differenziale primo di R, calcolato rispetto alla forma (2), e con
— 8381 —
Ri, Rie, Ros le derivate seconde covarianti di R, e poniamo
d (en=R1n +eDVI—- AR, mi=Ra+eD'/1-4R,
| Re 0)
dove == = 1, il segno distinguendo le due falde dell’inviluppo. Se po-
niamo inoltre
i Ra R R\?
(5) B&=E-(3) , Fo=F_ Don ’ G=6—(3 ) ’
du MIZAIND) dU
l'equazione differenziale delle linee di curvatura dell'inviluppo si scrive
E, du + Fo dv Fo du + Go dv |
(6) =0.
ty du 4 ta dv Tio du +4 23 dv
Ciò premesso, e riferendoci dapprima al caso A’), supponiamo che la
superficie S ammetta una deformata S, per la quale R sia la distanza del
punto (v,v) di S, dall'origine O. Per le formole relative alle derivate se-
conde covarianti della funzione o=+R?, calcolate al S 69, vol. I, delle
Lezioni, avremo
(7) REB=E+DoW_, RRè=F;+DW _, RRa=G+D5W,
dove Do, Di, DI sono i coefficienti della seconda forma fondamentale di Sy,
e W la distanza dell'origine dal piano tangente in (u,v). Se con
ds = edu? +2 fdudv + gdo
indichiamo il quadrato dell'elemento lineare sferico per la proiezione cen-
trale fatta dal punto sulla sfera unitaria, avremo, come al n. 2,
ds? — dR?
asi oe ,
e, per ciò,
(8) bilie Rei Rig
Ora, supposto che per la superficie S, abbia luogo la proprietà descritta
in A'), prendiamo a sistema coordinato quello coniugato permanente, ed
avremo, per le nostre ipotesi,
D'=0
indi, dalle (4), (7) e (8),
F,=0 . to =0.
Così l'equazione differenziale (6) diventa
dudv=0,
— 382 —
le cui linee integrali x = cost, v= cost sono dunque le linee di curvatura
per ambedue lè falde dell’inviluppo, c. d. d.
Un risultato del tutto analogo si avrà nel caso B'), supponendo che
il sistema coniugato permanente (u,v) di Ss, proiettato sul piano 7, dia
un sistema ortogonale. Allora R rappresenta la distanza del punto («,%)
di S, dal piano 77, e si ha quindi
R,, or DZ . Ri, = Di 4 , Ros “a Do Z .
essendo Z il seno dell'angolo d’inclinazione della normale a S, sul piano sr.
Qui il quadrato dell'elemento lineare per la proiezione piana di Ss su 7 è
do? = ds? — dR?.
E prendendo per sistema coordinato (v,v) quello coniugato permanente, ne
dedurremo ancora
F=0 , ti=0,
ciò che porta alla medesima conclusione come nel primo caso. Le proposi-
zioni A'), B') sono, così, stabilite.
5. Ai risultati ottenuti associando ora i teoremi inversi dovuti ad
Eisenhart, facilmente proviamo che le proprietà A), B) sono caratteristiche
per le superficie S, rotolanti nelle coppie (S,S) di superficie applicabili
dedotte da una trasformazione Dm, ovvero da una Em. E invero, se consi-
deriamo il primo caso e supponiamo che il sistema coniugato (vu, v) di Si
si proietti da O sulla sfera in un sistema ortogonale, e sia inoltre sistema
coniugato comune ad S, e ad una sua deformata S, considereremo le sfere
che hanno i centri nei punti di So e pussano per O. Il teorema A') prova
che, quando Ss si deforma in S, seco trasportando le sfere, sulle due falde
X,X, dell’inviluppo di sfere le linee di curvatura corrispondono al detto
sistema coniugato comune, e per ciò 2,2, sono trasformate di Ribaucour
l'una dell'altra. Ma poichè, quando Sy rotola su S, il punto O descrive
la falda 3, dal citato teorema di Eisenhart segue che: /e due superficie
3, X, sono isoterme, e la trasformazione di Ribaucour è una Dm.
Similmente, nel secondo caso, considereremo le sfere coi centri sopra So
e tangenti al piano 77. Deformando S, in S, sulle due falde X, XY, dell’in-
viluppo di sfere le linee (vv) saranno, pel teorema B'), quelle di curva-
tura. Dopo ciò, dal relativo teorema inverso di Eisenhart segue ora: le due
superficie Z, 2, hanno rappresentazione isoterma delle loro linee di cur-
vatura, e la trasformazione di Ribaucour è qui una Em.
Così abbiamo riconosciuto, in effetto, che le proprietà A), B) sono carat-
teristiche per le nostre superficie rotolanti, e possiamo concludere:
TroREMA I). Se una superficie So possiede un sistema coniugato
permanente che da un punto fisso O si protetta, sopra una sfera col
— 383 —
centro in O, în un sistema ortogonale, facendo rotolare S, sulla relativa
deformata S, il punto O descrive una superficie isoterma.
TEOREMA II). Se una superficie So possiede un sistema coniugato
permanente che si proietta sopra un piano tt in un sistema ortogonale,
quando S, rotola sulla deformata S, il piano rr inviluppa una superficie
a rappresentazione isoterma delle lince di curvatura.
Che inversamente ogni superficie isoterma possa generarsi (infinite volte)
nel primo modo, ed ogni superficie a rappresentazione isoterma delle linee
di curvatura nel secondo, è già stato dimostrato nelle Note 1) e 2).
6. Le proprietà caratteristiche che offrono le nostre superficie rotolanti Sy
in riguardo alle proiezioni ortogonali del loro sistema coniugato permanente
sulla sfera, o sul piano, rendono opportune alcune osservazioni sulle proie-
zioni in generale, che, per quanto molto semplici, non mi consta siano state
completamente rilevate altrove.
Se si trasforma una qualunque superficie S, mediante un'omologia di
centro O, in un’altra S', è ovvio che sopra S,S' si corrispondono le linee
asintotiche (0, ciò che torna lo stesso, i sistemi coniugati), e le coppie P, P'
di punti corrispondenti sono allineati con O. Ma diciamo che inversamente:
Se due superficie S,S'", non sviluppabili, si corrispondono punto a punto
in guisa che le asintotiche si cangino in asintotiche, e le coppie di punti
corrispondenti siano allineate con un punto fisso O, st passa da S a S'
con un'omologia di centro O.
In modo più breve, si può enunciare la stessa proprietà così: Ze uniche
protezioni centrali di una superficie non sviluppabile sopra un’altra, che
conservano le asintotiche (i sistemi coniugati), sono le omologie col centro
nel centro di proiezione.
Analiticamente la proprietà si dimostra (') ricordando che le coordinate
(') Il prof. Bertini ha dato di questa proprietà la seguente dimostrazione sintetica
Siano L, 4 le due asintotiche partenti da un punto generico P di una superficie,
ed L',4' le loro corrispondenti uscenti dal punto corrispondente P’ dell'altra superficie.
Le asintotiche L,,4,, infinitamente e rispettivamente vicine a L,, 4, seghino queste in
Q,R, e si seghino fra loro in M. Si osservi, dapprima, che i quattro punti P,Q,M,R
(e analogamente i quattro corrispondenti P/,Q'.M',R?) formano un proprio tetraedro,
non potendo manifestamente accadere, per l'ipotesi, che essi giacciano in un piano. I due
tetraedri corrispondenti PQRM , P'Q'R'M” sono, pure per l'ipotesi, omologici e, conside-
rando (ad es.) i due punti S, N in cui l’asintotica As, infinitamente vicina a A4,, incontra
L,Li, sono parimenti omologici i due tetraedri corrispondenti RMNS, R'M'N’S’. Il piano
d’omologia di quelli coincide col piano d’omologia di questi, perchè i due primi hanno
comuni tre punti, cioè il punto RS.R'S' (queste due rette, ancora per l’ipotesi, trovan-
dosi nei piani tangenti QPR, Q'P'R'), il punto MN.M'N'’ per analoga ragione, e infine
il punto RM.R'M': i quali tre punti non sono in linea retta, per l'osservazione fatta
dianzi. Continuando, si hanno infinite coppie di tetraedri omologici collo stesso piano
d’omologia: e quindi le due superficie hanno i piani tangenti in punti corrispondenti
segantisi sopra un piano, e ciò evidentemente basta per concludere il teorema.
— 3834 —
%,Y,s di un punto mobile sulla superficie, espresse in funzione dei para-
metri x,v delle asintotiche, godono della proprietà caratteristica di s0d-
disfare ad un sistema differenziale della forma (Lezioni, vol. I, S 66)
1 30 20,0, 20
asa
\ du? IM)
(a) I 70 DA 20
| dv? a du “n p dv ’
dove a,0,@,f sono funzioni di x,v. Il sistema (a) è completamente
integrabile, e la sua soluzione generale 0 ha la forma
6=Ax+By+ 34 D,
con A,B,C,D costanti. Ora, se il centro di proiezione è a distanza finita,
poniamovi l'origine, e denotando con x’, y'"," le coordinate del punto di S'
corrispondente a (x, 7,4) di S, potremo scrivere
ega EA pit
Ò Tali e
E poichè x',y'",4" debbono essere soluzioni di un sistema come (a), facil-
mente si vede che T stessa deve essere una soluzione del sistema (a), onde
risultano le formole
asi L = cata DARA
" Ag By +04 D.,°%.. ArBy 0.
8. Ciò posto, consideriamo una varietà algebrica V, di irregolarità
superticiale p > 1, e supponiamo che A e A' siano due suoi sistemi regolari
complementari di integrali riducibili, delle dimensioni rispettive g — 1 e
dale Ap)
Introdotta per gli integrali di V, la solita rappresentazione geometrica
mediante due Sp_,, © e t, imaginarî coniugati di specie p di un Ssp_1;
Z, per modo da poter parlare di sistemi nulli di V, e degli ass: A, e Aj{
di A e A' (3), dimostriamo in primo luogo che:
Esistono sempre infiniti sistemi nulli principali di Vp, rispetto a
cuî A e A' sono associati: cioè, rispetto a cui gli assi A, e Ai di A e A'
sono l'uno lo spazio polare dell'altro.
Siano %1 , 9, «+, 9g Q integrali indipendenti del sistema A, e 94,
Uq+2 +-+, %p g' integrali indipendenti del sistema A': gli integrali %1,%2,...,%p
saranno p integrali indipendenti di V,, e, se
Wii 0,3 0 00... 01,2p
Opi pg +. pp
è la tabella dei loro periodi, le coordinate di 7 in X sono semplicemente
i minori d'ordine p estratti da questa matrice,
(8) Loc. cit. ®, Nota I, nn. 1, 2 e 6.
— 396 —
Indicando i periodi ridotti dell’integrale «; con 9;, ((=1,2,...,29)
per j=1,2,..,9. e con. 2a (m=1,2 129) per ji ge
qHt-2,..,p, avremo, perj=1,2....,9,
dj, = > hra 9a (r=1,2,..,2p),
=1
6, per gg + Lig
m=29'
jr = him (MAE (= 20220)
mel
dove le /% e le #' stanno ad indicare degli opportuni numeri interi.
L'asse A, di A sarà allora l'Ssg_, razionale di X avente per coordi-
nate i minori d'ordine 29 della matrice
hi, ho, . . . ° . hop,
| hy,29 h9,29 n Nt e no hop,29
e l’asse A, di A; sarà l'Ssy_, razionale, indipendente da A,, avente per
coordinate i minori d'ordine 29' della matrice
hit, ii |
hi,og' ho,og' . . . . . hop,29"
Noi dobbiamo dimostrare che esiste un sistema nullo principale di V,,
rispetto a cui i sistemi A e A' sono associati: cioè, in sostanza, che esiste
un sistema nullo razionale di X — avente in 7 e © due spazî autopolari
e soddisfacente inoltre a una condizione geometrica (*) rispetto alla totalità
dei sistemi nulli singolari aventi in 7 e 7 due spazî autopolari — rispetto
a cui gli spazî A, e A; sono mutuamente reciproci; quindi ci è lecito ese-
guire in X una qualsiasi trasformazione razionale di coordinate (1°).
(9) Quale sia questa proprietà, di natura proiettivo-topologica, risulta dall’interpre-
tazione geometrica del teorema di esistenza delle funzioni abeliane. Cfr. Scorza, // teo-
rema fondamentale per le funzioni abeliane singolari (in corso di stampa nelle Memorie
della Società italiana delle Scienze, detta dei XL).
(9) La ragione intima della possibilità di un tal procedimento sta in ciò che è
detto più sopra, al n. 1.
— 397 —
Ebbene, eseguiamo nello spazio 2 la trasformazione di coordinate, che
esprime le antiche coordinate x per le nuove X mediante le formule:
=2 m=29!
A
abg B400 :
Ty = hay X, + d Ham Mon (r= 1 9 2 geero 2p).
=1 m=1
Nel nuovo sistema di coordinate, 7 è lo spazio che ha per coordinate
i minori d'ordine p della matrice
ORdeio ele Lig Di ri O
Il
|
|
TRON (0 rp) GORI IRE E E
0 (0) . . . () Li de . . . 2.297 |
| () 0 PIOBESI > 0 20, 1,9 cai 21,99 |
Sia adesso nello spazio fondamentale rappresentato dalle equazioni
Xogsi = Xo9+2 cs AO Xop = ()
(che è l’asse A, di A e che ha per il sistema A, nelle nuove coordinate X,
lo stesso significato che * ha, nelle antiche coordinate @, per Vp),
\es=2 9
(1) D Crys Xx Xx; = 0) (Cris ap Csi 0)
r,8
l'equazione di un sistema nullo principale di A; e allo stesso modo sia,
nello spazio fondamentale rappresentato dalle equazioni
X\=X.=---=Xy=0.
che è l'asse di A',
PI
(2) DE Cna Xogsr Xogss 0) (cas + Cir = 0)
r,s
l'equazione di un sistema nullo principale di A”. Due tali sistemi nulli
esistono certamente: e il dire che essi sono principali equivale, a dire che,
indicati con 4,,4,,...,%, ® W&W. us... ty due gruppi di indeterminate,
e posto
E, Liynnr=A + + 4929 e
Et inn = MQ + + dgr Li (dio 29)
— 398 —
con ;=|/—1 e le È, 7,é',y' reali, ciascuna delle forme
1:::29 1-29"
È,
Dic a
138 138
sì mantiene diversa da zero e sempre dello stesso segno — diciamo posi-
tiva — qualunque siano, rispettivamente, i valori non tutti nulli delle 4
o delle w (1).
Le equazioni (1) e (2), interpretate come equazioni in X, rappresen-
tano due sistemi nulli aventi per assi, il primo, l’asse Ai di A’, e il se-
condo, l'asse A, di A; e così l'uno come l'altro hanno poi come spazî auto-
coniugati 7 e T (1°).
Segue che, qualunque siano gli interi non nulli @ e 0, l'equazione
1°0:29 1+--29"
(3) Q DI Cris Kr Xs + o DI Cha Nar Xog+s =0
r,s TS
rappresenta un sistema nullo di V,, rispetto a cui A e A' sono associati.
Perchè esso sia principale, occorre e basta che, per valori adesso non
contemporaneamente tutti nulli delle 4 e delle w, si abbia sempre
1°°:29
1°°°2g r
(0) DI Crs Èr Mk @ > Crati >,
1,8 r38
o sempre
+-+29
1 1°°*29!
Q DI Cr,s È Ms 4-0 DI Crasr ig 0;
1,5
Li
r,8
per il che occorre e basta, evidentemente, che 0 e o siano entrambi posi-
tivi (> 0) o entrambi negativi (< 0); dunque la nostra affermazione è
dimostrata (’*).
4. Per un'osservazione già fatta altrove (14), la costruzione del num. pre-
cedente, quando si supponga di sceglier comunque i sistemi nulli (1) e (2)
(1!) Loc. cit. 1), Nota II, n. 8.
(19) Si badi che, per es., il sistema nullo di A rappresentato dall’equazione (1) ha,
per definizione, due spazî autopolari nelle traccie di A, su 7 e 7, che sono degli Sq_1.
('3) Dalla dimostrazione risulta in più la circostanza che, entro il fascio dei sistemi
nulli. contenente i nostri infiniti sistemi nulli principali, considerato come una forma
di 1* specie (reale), questi ultimi son tutti contenuti in uno stesso segmento della forma.
È quanto avremmo anche trovato, nel modo più spontaneo, se avessimo utilizzato i teo-
remi contenuti nella Memoria citata in ® per dimostrare geometricamente il teorema
del testo. Ma abbiamo creduto più comodo, per il lettore, dare una dimostrazione indi-
pendente da quei teoremi, tanto più che essa è assai rapida e semplice
(4) Loc. cit. ®, Nota II, Osservazione del n. 15.
Sao
fra i sistemi nulli principali di A e A’, rispettivamente, dà /u/t7 i sistemi
nulli principali di V,, rispetto a cui A e A' sono associati; se invece si sup-
pone che le equazioni (1) e (2) rappresentino, rispettivamente, un qualsiasi
sistema nullo non singolare di A o di A', l'equazione (3) (dove adesso 0 e 0
sì riguardano come due numeri interi qualunque, diversi entrambi da zero),
al variare di o e o e al variare dei sistemi nulli (1) e (2) fra i sistemi nulli
non singolari di A e A', dà tutti i sistemi nulli (non singolari) di V,,
rispetto a cui A e A' sono associati.
Ma se X‘® e Ka” sono, rispettivamente, gli indici di singolarità di A
e A', esistono ordinatamente, X‘ 4 1 e X‘@° + 1 (e non più) sistemi nulli
non singolari di A e A', linearmente indipendenti: dunque fra i sistemi nulli
(non singolari) di V,, rispetto a cui A e A' sono associati, è possibile sce-
glierne 4 + X + 2 (e non più) linearmente indipendenti.
Segue che:
I) Se A e A' sono due sistemi regolari complementari di integrali
riducibili di Vp, con gli indici di singolarità k® e K®, i sistemi nulli
di V,, rispetto a cui essi sono associati, sono tutti e soli quelli non sîn-
golari di un sistema lineare avente per dimensione k® 4 KP 41;
e poi, se si tien conto dell'indice di singolarità di V,, che:
II) Se A e A' sono due sistemi regolari complementari di V, e gli
indici di singolarità di A,A' e V, sono, ordinatamente, k®, k@" è k,
due casî possono presentarsi :
1°) 0 è KA KW +1=K%, e allora ciascuno dei due sistemi A
e A' individua il proprio complementare;
29) 0 è KO +KMO+1 Si (7 costante d'attrazione)
0 y 0 NY
è la funzione delle forze dell’originario problema.
Per il problema trasformato, di cui ora si tratta, si ha invece quale
Funzione delle forze
È
U )
E essendo una costante (l'energia totale del problema primitivo); quale
Energia totale T — 5 , lo speciale valore 1; quale
Funzione lagrangiana
E
(6) dei
T ed U avendo le espressioni (2) e (5).
2. — CINEMATICA DEL SISTEMA $.
Nella prima delle equazioni vincolari (1),
2 2
D,bB=d,,
0 0
— 424 —
il valore comune dei primi membri va ritenuto diverso da zero. Infatti esso
potrebbe annullarsi solo a patto che si annullassero tutte le È e tutte le n:
il che è quanto dire, riferendosi agli originarî tre corpi, nel caso della loro
coincidenza in un medesimo punto (collisione generale). Ora questa è senza
altro esclusa, per tutto il corso del moto, tostochè si suppone diversa da
zero la costante delle aree (teorema di Sundman) ('). Sotto tale ipotesi, si
può anzi affermare qualche cosa di più: cioè che il limite inferiore del
trinomio È
DM 4
(momento di inerzia polare dei tre corpi rispetto al loro baricentro) (?) è
> 0. Ne consegue, in base alle (3), che è pure >Q0 il limite inferiore
del valore comune 9? dei due trinomii
EPELTE, ++.
Risguarderemo 9 come una prima coordinata lagrangiana del sistema S.
Il significato geometrico risulta subito dalla definizione. Si ha infatti, in
virtù delle (3),
2
UP SD di,
0
donde apparisce che 9g* è il semiperimetro del triangolo dei tre corpi.
Posto
(7) È, = qQ% ’ mv = Qu = 0,1,2),
la definizione di g e le (1) danno
2 2 2
(8) i MR
le quali consentono di interpretare 2, e By quali coseni direttori, rispetto
ad un generico sistema cartesiano ortogonale 0x,x2%:, di due semirette
perpendicolari: indicheremo con «, £ i rispettivi vettori unitarî (le cui com-
ponenti sono appunto tali coseni 2, By).
Per rendere espressiva l’interpretazione, conviene introdurre anche il
vettore unitario
(9) r=a/B,
che individua, assieme coi primi due, un triedro trirettangolo congruente ad
0x0 %,%3. A norma della (9), i coseni direttori y (componenti del vettore y)
valgono naturalmente
(9) Yy = Av41 Br+so — dy+2 Buti (V=0 LS
(!) Cfr. R), $ 10.
(®) Ibidem, $ 1.
— 425 —
Pensiamo @,8,y quali vettori fondamentali del sistema di assi fissi
0xyz, cui viene riferito il moto piano dei tre corpi, supponendo per mag-
gior semplicità, gli assi 0z, Oy situati nel piano del moto, e quindi Oz
perpendicolare a questo piano. In tale accezione, @y,$y,yy si interpretano
come coseni direttori dell'asse Ox, rispetto al triedro (fisso) 0xyz; e rimane
complessivamente definita (rispetto al detto triedro) l'orientazione della terna
0x1%2%3, 0, se si vuole, di un generico corpo rigido C solidale con essa.
Ne consegue che ad ogni sestupla È, , n, verificante le (1) fanno riscontro
un ben determinato valore (positivo) di 4 e un’orientazione dell’ipotetico
corpo C; e, reciprocamente, da 9Q e dall’orientazione di C si risale tosto,
mediante le (7), alle &,, ny. Si può pertanto concludere che la configura-
zione del sistema S corrisponde biunivocamente all'insieme: parametro po-
sitivo 9, orientazione di C.
8. — COMPORTAMENTO CINETICO.
La circostanza testè rilevata assicura che il sistema S rientra nella
categoria di cui ci siamo diffusamente occupati nella Nota M) colla mira
specifica di farne applicazione al problema attuale. Giova anzitutto richia-
marsi ad essa per le formule di (Poisson)
(10) a'=a/w 3 IAA) s iena
in cui, fungendo t da tempo, il vettore © rappresenta la velocità angolare
(dell'ipotetico corpo © rispetto agli assi fissi 0xy2).
Si ha poi, dalle (7) e (3) dei paragrafi precedenti,
py= ga + B°
ossia, badando all'identità 2g + fs +f=1,
(11) py=9°(1—v) (=0,1,2),
donde apparisce che le mutue distanze, e di conseguenza la funzione delle
forze q Sì esprimono esclusivamente per 9 e per le yy.
Passiamo alla forza viva 7 detinita dalla (2). In base alle derivate
delle (7),
(12) = anto, è nq +98,
e alle (10), essa diviene ovviamente una forma quadratica dei quattro argo-
menti 9g’ e ©, ,0wsy,wz (componenti del vettore w secondo gli assi Oxo 1 €23).
È facile constatare che i coefficienti si possono esprimere esclusivamente
per la g e per le y, (rendendoli esenti dagli altri coseni «,fy). Intanto,
— 426 —
a norma delle (2), (5) e (11), basta accertarlo per ognuno dei binomi
E? + mi. A tal uopo conviene esplicitare le componenti delle (10),
| a) = dy4r Wy4+o — Xy+2 041,
(10') ‘ By Beer tov+a — Bree 041,
| YI == Yy41 Oy+e — Yr4g Ova è
e dedurne, quadrando e sommando le prime due, e tenendo presenti le rela-
zioni di ortogonalità,
o + BI = (1 Yi) te + (1 — Yo) 051 T 2Yr41 Year pa Qyeo
Dopo ciò, l’asserto risulta tosto dalle (12), le quali, badando alle identità
ot g=1—-r,
'
Nni= = AAA Wy+2 — Yv+2 0y+1) ,
ovayd- dypi
porgono
(13) &°4n?= 905 + 85) + 2290 + BB) + (1° +80) =
= gie n) và) cs 299 Lava Wy+e — Yv+e 0y+1) +
+ Vl i(1 “a Pe, Wj+s + (= es) (ORSI + IYv+r Yr+2 Oy41 Wy+o } .
Ne desumiamo che anche la funzione lagrangiana (6) del problema
trasformato,
dr ®
dipende, oltre che da g' e dalle wy. esclusivamente da g e dalle yy. Si
trova con ciò soddisfatta anche l'ipotesi complementare. di cui al $ 3 della
Nota M). Possiàmo quindi valerci delle regole ivi stabilite per la costru-
zione delle equazioni del moto.
Rivolgeremo il nostro calcolo a quella delle due forme miste che ab-
biamo chiamata canonico-euleriana, perchè, a differenza dell'altra (euleriano-
lagrangiana), sì presenterà automaticamente regolarizzata anche nell’intorno
di eventuali urti binarî.
4. — ConiucaTE — EQUAZIONI LINEARI DA RISOLVERE
PER PASSARE ALLA QUADRICA RECIPROCA.
Secondo la regola esposta al $ 7 della Nota M), testè ricordata, par-
tendo dalla T (9, ©y ; 9.%Y), si debbono introdurre gli argomenti p, 9
(coniugati a 9,y) a norma delle equazioni
(
I
IT
14 eni . 9, == b]
(14) p 3g =m
— 427 —
e valersene per eliminare g' e le w, dalla stessa T(g'", 0; 9,Yy). Indi-
cando con 0(p,2, ; 9, Y») la forma in tal guisa ottenuta (20 è ia qua-
drica reciproca di 27°), si ha senz'altro dalla (6) la funzione lagrangiana
modificata (o hamiltoniana)
E
i H=09—-+.
(15) 3
La diretta risoluzione delle (14) e la successiva eliminazione delle
q,wy da T richiederebbe tuttavia sviluppi non brevi. nè istruttivi, attesa la
espressione abbastanza complicata di T(9",&, ; g,Y») risultante dalle (2)
e (18). Si arriva allo scopo in modo elegante e perspicuo, esprimendo me-
diante vettori ausiliarî così le equazioni dei vincoli come 7 e le (14), ed
eliminando poi comprensivamente gli elementi ausiliarî con algoritmo vet-
toriale accomodato alle circostanze del caso.
5. — INTRODUZIONE DI VETTORI AUSILIARÌ — L'OMOGRAFIA VETTORIALE
(DILATAZIONE) D.
La sestupla È, mn si compendia opportunamente in due vettori £, 7,
aventi rispettivamente le E, , n per componenti secondo gli assi 0x0%, 2».
Le derivate di questi vettori rapporto a ©.
hanno in conformità, per componenti, Éy, ny.
Mercè l'introduzione di questi vettori, si può attribuire alle equazioni
(1) dei vincoli la forma
EXE —-nXyn=0 , EXa=0,
con che le loro derivate rapporto a t si scrivono
(16) EXE-MyXn=0, YXn+yXE=0.
Anche alle (12) si attribuisce ovviamente forma vettoriale: basta notare
che, in base alle (7) e (10), i loro secondi membri si identificano colle com-
ponenti dei due vettori
q o
pra SAM Ma \@,
7 = ni +7
talchè esse equivalgono a
(17) P=tE+#\o È y=TntyAo.
— 428 —
Conviene ancora definire due altri vettori £,H aventi rispettivamente
per componenti (sempre secondo gli assi Oxo, %s)
IS
, 3T
\ y
| Bat = Une,
(18)
Queste espressioni di ,, Hy mostrano che i due vettori E,H risultano
dall’applicare a &,m' una stessa omografia vettoriale, anzi una stessa dila-
tazione (*) avente per direzioni unite quelle degli assi Oy.
Designeremo con © l’omografia inversa, cioè la dilatazione
1
(19) va (1 PE . (v=0,1,2),
U,
che opera sui vettori fondamentali u, del triedro (unito) Ox0x1%s, riducen-
done le lunghezze nel rapporto di 1 a daetioo Potremo così compendiare
4Um$j pi
le (18) (o meglio le loro risolventi rapporto a &,,m,) nelle due relazioni
vettoriali
(20) #"=DE , y=9DH.
Dacchè l'espressione (2) della forza viva è omogenea di secondo grado
rispetto alle &,, ny, si ha dal teorema di Eulero
Nel secondo membro riconosciamo i due prodotti scalari EX & , HXy.
Risulta quindi, in virtù delle (20),
(21) 2T=EXDE+HX9DH.
Per la costruzione delle equazioni del moto nella divisata forma cano-
nico-euleriana, è mestieri far intervenire, a norma delle (14) del paragrafo
precedente, lo scalare
IT
antggio
e il vettore £ avente per componenti
gi 9A
dIWy
(1) Cfr. Burali-Forti e Marcolongo, Zransformations linéaires (Pavia, Mattei, 1912),
pp. 20-22.
— 429 —
Occupiamoci di esprimere p ed £ in forma appropriata. All’uopo giova
premettere che, se 7° dipende da un parametro generico Lp, pel tramite
delle &,, n, si ha, derivando,
-
IT_ € (37 DS
TO)
Tia 5
dm dd
eni
ciò che, attesa Ja definizione dei vettori E, H,è',x', equivale a
dE' EL
—=Ex xe.
ei dWw
Se ne ricava in primo luogo, ponendo n= g' e badando alle (17),
T
So=(EXE+HXm.
(22) sa
Se poi si nota che il vettore èw si può esprimere, per mezzo delle com-
ponenti w, e dei vettori fondamentali u,, sotto la forma
2
DO Wy Uy ,
(0)
si ha, dalle (17),
de n _
du E 3 A ILE,
con che
Di den si
* = EX(EAu)+HX(7Au,)=uX(EA5+HApn).
Il terzo membro è manifestamente la componente secondo Ox, del vettore
ENE+HA/7.
Il primo membro è, per definizione, l’analoga componente del vettore £.
Ne consegue la espressione di £ sotto la voluta veste vettoriale:
(23) OC=EN5+HAn.
6. — PASSAGGIO ALLA FORMA RECIPROCA 20
MEDIANTE ELIMINAZIONI VETTORIALI.
Le definizioni (22), (23) di p ed £, e le (16), poste, in virtù delle
(20), sotto la forma equivalente
(24) DEXE-DHXgy=0 , DEXn+DHX£=0,
costituiscono in sostanza un sistema di sei equazioni lineari (non omogenee)
nei due vettori 5,H. Esse consentono quindi (in quanto siano indipendenti,
RenpIconTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 57
— 430 —
come infatti sono) di ricavarne le sei componenti in funzione lineare dei
varî termini noti (che si riducono a p ed £), a coefficienti che possono
a priori dipendere da È, e dall'omografia D, ossia, complessivamente,
da g,@,8,y. Portando queste espressioni dei due vettori E, H nella (21),
la 7 diviene una forma quadratica nelle p, Q, (esente dai primitivi argo-
menti 9’, wy); e si ha la @ cercata, la quale si presenta altresì esente
dalle 2, ,f, (ha cioè i coefficienti che dipendono soltanto da 9 e dalle yy):
circostanza questa senz'altro prevedibile in base all’analoga proprietà del a 7,
già rilevata al $ 3.
Anzichè eseguire per via diretta la risoluzione delle (22), (23), (24),
e successiva sostituzione nella (21), conviene trasformare la (21)
mezzo delle altre equazioni,
Dopo alquanti passaggi, tutti immediati sotto il duplice punto di vista
concettuale e formale, l'eliminazione di #,H si troverà automaticamente
compiuta.
stessa a
Prepariamoci anzi tutto l’espressione esplicita di
(25) W=EX DET yX Dq.
Dacchè, a norma della (19), le componenti di DE, Dry sono ordinatamente
Lt
AUmige " * dip >
vv
si ha subito, badando alle (3) e (4),
Pe m?
“v4Umi = 4UmoM, Ma
(26) w=
Ciò premesso, riprendiamo l’espressione (21) di T, e scriviamola, sfrut-
tando le (24), sotto la forma equivalente
2WT=(5EXDE+ HX DH)(f X DE+ pX Dy)
— (DE X È — DH X pn)? — (DEXn+ DH X è)?
Sviluppando materialmente il prodotto e i due quadrati del secondo membro,
ove inoltre si aggiunga (ad esso secondo membro) il binomio, identicamente
nullo per la proprietà caratteristica delle dilatazioni, 2(E X DH) (EX Dy)—
— 2(EX DH)(Dé X 7), si dà a 2W7 la forma di somma dei sei termini
seguenti:
th= (EX DE) (EX DE) — (DEX 8),
t:=(HX ®H)(p9XDy)— (DHX y)?,
lg= (EX DE)()X Dorn) —(DEXn®,
t=(HX®DH)(£X DE) — (DHX),
t,=2{(EX DE) (MX DH) — (FX DI) (DEX n,
i =2{EX DH)(EX Dy)— (EX Dy)(DHX8)}.
— 431 —
Ciascuno di questi può essere trasformato usando l'identità
(A X B)(C x D)— (A Xx D)(BXC)={(A/C)X (BAD)
valida qualunque siano i quattro vettori A,B,C,D.
In primo luogo, per
viene
da cui, cambiando 5, é inH,n,
t:=(H/\7)X(DHX Dr).
Assumendo poi
si ha
th=(E/\N)X(OEA ON),
la quale, colla sostituzione di H,é a £,n, porge
ti=(HA&)X(9DH / Dé).
Infine, per
e
D=
Ùn,
(
B
=5 , B=9DH , C=£,,
risulta rispettivamente
t5=2(Z n) X (DEA DH)= —2(E 7 X(DH A Dé),
tg= 2(£ \ 5) X(DH A Dr).
In ognuno dei termini {; (f=1,..., 6) così trasformati, figura un prodotto
vettoriale del tipo 1
DA \ DB.
Dalla teoria delle omografie vettoriali si sa (*) che un tale prodotto
dipende da A e da B esclusivamente pel tramite del loro prodotto vetto-
riale. E precisamente si ha
DANDB=RDA A B),
l'operatore R applicato alla dilatazione D producendo, a norma della (19),
la dilatazione
1
(27) (ta Umii Mi,e DES (YARE a) (v == 0 b) Il L) 2) Ù
U,
(*) Burali-Forti e Marcolongo, op. cit., pp. 38-39.
— 432 —
Applichiamo questa formula ai vari #;, introducendo per brevità il
simbolo operativo
il quale, in virtù delle (4), (26) e (27), si serive
(28)
@
1
The perte toa)
(aa ) =0,1,2).
Uy
Otteniamo
t=(E/5)X E(EA8),
1
li Fia e .
wi =(E\M)X EEN n),
L= (HA) XEHA5),
1
dr RE o) 6
wi 2(E E) X EH A n).
Ora, in quanto & è essa stessa una dilatazione, si ha ovviamente
1
(+4 +6) = (EAn—HA9XGEA7-HA5),
le quali, badando alla (23) e ponendo
(29) =ENn_-HNèÈ,
si scrivono più semplicemente
wl+a+4)=2X 69,
1
(let Ut45) =XXEX.
La somma delle #; non è altro che 2W 7; si ha quindi
2T=QXECLLAXEX.
— 493 —
È questa, come passiamo ad accertare, la voluta espressione 20 di 27,
tosto esplicitabile come forma quadratica degli argomenti p, 9. E in verità
essa è visibilmente funzione quadratica dei due vettori 2, X, a coefficienti
che, a norma della (28), dipendono soltanto dalle p, ossia, per le (11),
da g e dalle yy: l’asserto sarà quindi provato se constateremo che X è
funzione lineare ed omogenea di p, e delle £,, con analoghi coefficienti.
All’uopo, partiamoci dall'osservazione che, attesa l’'ortogonalità di @,
_B,y, si ha dalle (7):
ZAR
con che la (29) può essere scritta
X=-ENENYVY_-HA(MAy).
D'altra parte, l'identità
ENENV+EAWA\5)+ryA(E/8),
ove si noti che, per l’ortogonalità fra é e y, il termine medio sì riduce a
(EX $)y, porge
—ENENY=(EX8yr+tryA{(EN8).
Poniamovi H,n al posto di £,é, e sommiamo, tenendo conto delle (22)
e (23). Risulta
(30) X=pqa+y/\®,
e rimane in definitiva acquisita per la forma reciproca l’annunciata espressione
(31) 20=L2XEQLKLXIXEXK,
la dilatazione & e il vettore X essendo rispettivamente definiti dalle (28)
e (30).,
— 434 —
Chimica. — Sulla reazione del nitroprussiato con la sol-
fourea (*). Nota di Livio CAMBI, presentata del Socio A. ANGELI.
Ho precedentemente dimostrato (*) che la reazione cromatica che diversi
chetoni dànno col nitroprussiato è dovuta alla formazione di uno ione complesso .
contenente l'aggruppamento del nitrosochetone. Ha luogo cioè una condensa-
zione, fra il nitrosogruppo del prussiato ed il chetone, analoga a quella dei
nitriti alcoolici o dei nitrosoderivati, in mezzo alcalino, con composti ad
atomi di idrogeno mobile.
Delle reazioni cromatiche del nitroprussiato rimane ancora oscura quella
con i solfuri o con alcuni mercapturi alcalini. È probabile che essa sia pure
dovuta ad una condensazione del tipo
III II. (HI
[(CN); Fe NO]" + SR'=[(CN); Fe NO - SR]"' (3).
Occupandomi di questa reazione, ho creduto opportuno di soffermarmi su
l’unico sale finora descritto come contenente l’aggruppamento cromatico del
nitroprussiato con i solfuri, cioè sul sale ottenuto da K. A. Hofmann facendo
reagire la tiourea col nitroprussiato (*).
Questo autore attribuiva al composto (rosso-violetto) la formula
°
III (0) È
| (CN): Fe N<3.C(NE) na Na; :
cioè supponeva un aggruppamento derivante dalla semplice addizione della
solfourea, nella forma HS - C(NH). NH»,, al gruppo NO del prussiato.
Se realmente il sale di Hofmann avesse avuto stretta relazione con i
sali colorati che il nitroprussiato dà con i solfuri (*), le sue scissioni, poco
(1) Lavoro eseguito nel laboratorio di Elettrochimica del R. Istituto tecnico supe-
riore in Milano.
(2) Rendiconti R. Acc. Lincei, XXI (1913), 1° sem., pag. 376; XXIII (1914), 1° sem.,
pag. 812.
(®) Ricorderò che H. S. T'asker e H. O. Jones (Journ. chem. soc. 95 (1909), pag. 1916),
osservarono composti, estremamente labili, intensamente colorati, facendo reagire il cloruro
di nitrosile su alcuni mercaptani e mercapturi, ai quali spetta probabilmente la formola
RS-NO: essi si scindono in biossido d'azoto e bisolfuro.
(*) Liebig*s Aunalen, 3/7 (1900), pag. 28.
(5) Hofmann, a questo proposito, si esprimeva (loc. cit., pag. 28): « Nun ist es mir
aber gelungen mit Thioharnstoff einen prachtvoll gefàrbten Kérper rain zu erhalten, der
zweifellos mit den aus Schwefelalkali und Nitroprussianatrium entstehenden, violett
gefàrbten Stoffen nahe verwandt ist....».
— 435 —
indagate dall'autore, avrebbero presentato notevole interesse; e ne intrapresi
lo studio. Fui così condotto a dover modificare profondamente la formula e
la struttura del sale in quistione.
Già, in primo luogo, la determinazione d'azoto (su cui non si hanno
dati nella citata Nota di Hofmann) mi condusse al rapporto 1Fe:7N in
luogo di 1Fe:8N, come esige la formola suesposta. Questo fatto richiamava
l'osservazione, già da me compiuta, che nella sintesi si sviluppano quantità
rilevanti d'azoto.
È noto, d'altra parte, che i nitriti alcalini in mezzo acido, per acido
debole, trasformano la solfourea in ac. solfocianico con sviluppo quantitativo
d'azoto ('):
NH.,- CS: NH, — NH.-CS-OH — HNCOS.
Pervenni da ciò all'ipotesi che nella formazione del sale colorato non reagisse,
col gruppo NO del prussiato, l'atomo di solfo della tiourea, ma invece reagis-
sero i due aggruppamenti aminici dell’urea stessa: che il sale di Hofmann
avesse la struttura (*)
II
[(CN); Fe NO - NH - CO- SH] Na,
contenesse cioè l'aggruppamento dell’acido nitrosotiocarbamico.
L'ipotesi ricevette una conferma da quanto andrò esponendo.
Secondo la formola proposta dovevano reagire due molecole di nitro-
prussiato con la solfonrea, nella sintesi del sale:
Na: - (CN); Fe NO ERI
i + CS
na0n Nas : (CN); Fe NO - NH - CO - HS
—> .
Na, -(CN); FENO | HiN7 Nas * (CN); Fe - H:0 + N.
Nella reazione di Hofmann si forma infatti in quantità rilevante l'ac-
quoferrocianuro (*). Di più, facendo reagire col nitroprussiato la solfourea
in soluzione di alcool metilico in presenza di un eccesso di aleoolato sodico,
ottenni un sale giallo-aranciato, che contiene indubbiamente un residuo della
tiourea per due atomi di ferro, cui spetta con ogni probabilità la formola
II II
Na; [(CN); Fe -- NO - NH : CO-S— Fe (CN);].
Questo sale si scinde in soluzione acquosa, decomponendosi, e genera il sale
rosso di Hofmann.
(1) E. A. Werner, Journ. chem. soc. /0/ (1912), pag. 2180; 103 (1913), pag. 1221.
(*) Indico schematicamente l’ac. nitrosotiocarbamico con ON * NH - CO - SH: non in-
tendo con ciò escludere che possano intervenire nello ione complesso forme tautomere,
ad es.: CO(SH)N:NOH ; C(N-NO)SH-O0H.
(8) Hofmann, loc. cit., pag. 32.
— 436 —
In seguito, facendo agire la soda su una soluzione acquoso-metilalcoolica
del sale rosso, ho ottenuto un nuovo sale giallo-aranciato bruno; avente la
composizione Na; [(CN); Fe NO - N - CO - S]. Cioè si aveva una salificazione
dell'acido nitrosotiocarbamico, da me ammesso nel sale complesso. Il nuovo
sale, appena preparato, si scinde in soluzione acquosa idrolizzandosi nel sale
primitivo. Invece, mantenuto a lungo nel vuoto, si scinde in parte, a contatto
con l'acqua, con sviluppo d'azoto: ricorda in ciò il comportamento del sale
ON - NK. CO -OK (1), che allo stato secco si decompone violentemente con
l'acqua.
inoltre, con i sali d’argento, con i sali mercurici, il sale rosso si scinde
a caldo rapidamente, svolgendo biossido di azoto, nel rapporto 1NO :1Fe:
questa reazione richiama le scissioni di diversi nitrosoderivati (*). Anche il
sale ottenuto dalla solfourea in soluzione metilalcoolica, in condizioni analoghe,
svolge biossido di azoto nel rapporto 0,5 NO : 1Fe, in accordo con la formola
su citata.
Ma la conferma definitiva che i due atomi di azoto dell'aggruppamento
nitrosato del sale rosso sono effettivamente congiunti fra loro, è data dai
caratteri del prodotto di riduzione di questo sale. Con amalgama di sodio
ottenni un sale giallo che risponde allo schema
II
[(CN)s Fe: NH. NH-CO.SH]Na;.
In esso l'aggruppamento, NH. NH—, dell’idrazina, viene dimostrato
dall'azione dei sali mercurici, dell’ossido mercurico, dei sali d'argento, del
reattivo di Fehling, che lo decompongono con rapido svolgimento d'azoto,
anche a freddo. L'acqua di bromo svolge pure azoto e non genera nemmeno
tracce di nitroprussiato, a differenza del sale rosso che non svolge affatto
gas e genera nitroprussiato.
La riduzione adunque, analogamente a quanto si compie nei nitrosoure-
tani, trasforma in idrazide il nitrosocomposto rosso.
Poteva aversi infine il dubbio che il sale rosso non fosse ferroso, ma
ferrico, come ammetteva Hofmann; potevano discutersi le due formole
II III
Nas [(CN); Fe NO - NH -CO- SH] ; Nas[(CN); Fe NO-NH- CO. S].
(!) Thiele, Liebig'*s Annalen, 288 (1895), 310.
(?) Probabilmente sotto l’azione decomponente del sale d'argento o di mercurio lo ione
complesso si scinde e il gruppo dell’ac. nitrosccarbamico reagisce idrolizzandosi, come
una nitrosoamina: ON. NH.CO.SH — NHO, + HONS. Lac. nitroso nel caso attuale
non può liberarsi essendo presente un aggruppamento ferroso che tende a ridurlo ad NO.
Richiamo che in parte il nitrosouretano può scindersi in ac. nitroso e uretano
(Thiele e Dent, Ann., 802, 247), e che la nitrosoguanidina si idrolizza analogamente
(Thiele, Ann. 273, 133).
» obo
490 —
Hofmann si basava unicamente sulla reazione con cloruro ferrico, con
cui si ha una colorazione o un precipitato verdastro. Ho osservato però un
comportamento simile nei ferrocianuri contenenti nitrosochetone, che sono pure
intensamente colorati. Il comportamento succitato con gli alcali è in accordo
con la formola ferrosa; e d'altra parte il sale rosso non possiede caratteri di
ferricianuro.
Infine ricorderò che, come i nitrosochetoni e le diossime, anche i ni-
trosoderivati della carbamide dànno sali ferrosi colorati intensamente: la
nitrosoguanidina dà, con i sali ferrosi, un complesso dal colore rosso-porpora.
Tutto ciò avvalora la mia ipotesi che al sale di Hofmann spetti la forma
ferrosa.
PARTE SPERIMENTALE.
Reazione della tiourea con nitroprussiato în soluzione acquosa.
Il sale di Hofmann venne dapprima preparato seguendo le indicazioni
di questo autore: facendo cioè reagire un forte eccesso di solfourea sul nitro-
prussiato in soluzione molto concentrata, a freddo (5°). Venne pure isolato
seguendo le sue indicazioni: purificandolo cioè per via di ripetute precipi-
tazioni dalle soluzioni acquose con alcool, e infine disciogliendolo in alcool
metilico acquoso ® riprecipitandolo con etere.
Il sale presenta tutti i caratteri descritti dall'autore: è una polvere
rosso scura, molto deliquescente, solubilissima in acqua. Le soluzioni hanno
un'intensa colorazione rosso-violetta.
Ho sperimentato anche in condizioni diverse l’azione della solfourea
sul nitroprussiato: facendola reagire in presenza di carbonato alcalino, tanto
a freddo come a circa 70°-80°; aggiungendo anche nitrito sodico. Ho notato
sempre però scarsi rendimenti, come del resto nella reazione di Hofmann
(rispetto al nitroprussiato impiegato). La formazione del sale è sempre accom-
pagnata da effervescenza per svolgimento d'azoto.
Le analisi seguenti si riferiscono le I al sale preparato col metodo di
Hofmann, le altre al sale ottenuto con le varianti su accennate. Riporto
anche per confronto le analisi che si trovano nella Nota di quell’autore.
Trovato Calcolato per
Hofmann Cambi Nas[(CN); FeNO-NH:CO-SH] (*)
I II II IV
Na 19.49°%/ 19.02 18.88 19.91 _ 19:42:90
Fe 15.17 14.86 15.22 15.46 15.83 15.47
N _ 25.99 — 26.62 27.94 27.16
S 9.01 —_ — _ 8.96 8.88
(') La formola di Hofmann risponde a percentuali di sodio, ferro e solfo, assai
‘vicine a quella della mia formola.
RENDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 58
— 438 —
Dal complesso di queste analisi si rileva il rapporto costante
8 Na: 1Fe: 15: 7N (1).
La determinazione d'azoto venne compiuta usando il metodo solito, impie-
gando in questo caso acido carbonico secco e freddo proveniente da un Kipp.
Azione degli alcali. — In soluzione acquosa, soltanto impiegando
forte eccesso di alcali concentrato si può notare un passaggio di colore dal
rosso violetto del sale di Hofmann all’aranciato. Il prodotto di salificazione
completa venne isolato versando in una soluzione di alcoolato metilico sodico,
in eccesso, la soluzione acquosa concentrata del sale rosso: precipitò oleoso
il sale giallo-scuro, che, lavato con alcool metilico assoluto e seccato nel
vuoto a peso costante, aveva la composizione
Trovato Calcolato per
Nas[(CN); FeNO-N-CO-S]
Na 27.91 9/ 28.40
Fe 13.07 . 13.80
Il sale, deliquescente, appena preparato si discioglie in acqua idroliz-
zandosi, come dissi, e assumendo il colore rosso-violetto; in soluzioni con-
centrate è rosso-aranciato. Dopo essere stato per molti giorni nel vuoto, si
discioglieva in acqua con riscaldamento e decomponendosi in parte con svi-
luppo di azoto.
Scissioni a biossido di azoto. -— Il sale rosso-violetto, con i
sali d'argento, dà prima un precipitato rossastro che a caldo si decompone
rapidamente, svolgendo biossido di azoto. La reazione venne condotta in un
apparecchio Schulze-Tiemann in cui venne posto dapprima solfato d’argento
in eccesso e infine il nitrososale; ebbi il risultato
Trovato Calcolato per
Na; [(CN); Fe NO-NH-CO-SH]
NO 7.44% 8.31 %
Il rapporto tra ferro ed NO nel sale adoperato in questa determina-
zione risulta 1Fe: 0.93 NO.
Una reazione analoga è fornita dall'ossido mercurico e dai sali mercu-
rici; in diverse determinazioni, eseguite con lo stesso metodo delle prece-
denti, ottenni in media il rapporto 1Fe: 0.85 NO.
Queste decomposizioni ricordano, l’unica decomposizione descritta da.
Hofmann: quella dovuta all'acqua di bromo. Con questo reattivo il sale
(1) Hofmann (pag. 29) cita un fatto che può accordarsi con la mia formola. Nota.
che a 110° il suo sale perde il 4.84 °/, del suo peso, pur conservando il colore vivo in
soluzione acquosa. Sembra, quindi, che l’aggruppamento nitrosato tenda a scindersi
(NO-NH-CO-SH 2 NO'NCS + H;0): infatti nella mia formola si calcola 4.99 °/, di acqua.
— 439 —
rosso si decompone generando nitroprussiato, mentre l’aggruppamento NCS
sì ossida producendo acido solforico, come ho notato.
Riduzione con amalgama di sodio. — Ad una suluzione con-
centrata del sale rosso, raffreddata a 0°, venne aggiunto in piccole porzioni
amalgama di sodio semifluida, mantenendo il tutto in viva agitazione. Il
colore rosso-violetto lentamente scompare per dar luogo ad una colorazione
giallo-oro intensa. Ho impiegato, per ogni atomo di ferro del nitrososale, circa
otto atomi di sodio.
Il nuovo sale formatosi venne separato in forma oleosa con alcool, e
venne purificato ridisciogliendolo in acqua e riprecipitandolo con alcool. Si
separa sempre oleoso, di colore giallo-scuro; non mostra tendenza ad assu-
mere stato cristallino. Lavato ripetutamente, con alcool assoluto, venne
seccato nel vuoto a peso costante. Si presenta in granuli giallo-verdi, deli-
quescente, solubilissimo in acqua.
L'analisi delle diverse preparazioni diede il risultato seguente:
Trovato Calcolato per
I II Nas[(CN); FeNHyNH-CO-SH] ; Na.[(CN); Fe NH,-NH-COS]
Na 20.76°, 22.19 19.89 °/, 24.86
Fe 16.20 15.41 16 09 15.10
N 27.34 26.62 28.29 26.50
S = 9.32 9.24 8.66
Nei due prodotti analizzati, mentre i rapporti tra ferro e sodio variano
da 3Na:1Fe a 3.5Na: 1Fe, rimangono invece costanti i rapporti 1Fe:7N:1$;
il che giustifica la struttura da me data allo ione complesso. La varia-
zione dei rapporti sodio-ferro si può spiegare pensando che in soluzione
acquosa, da cui venne precipitato il sale con alcool, vi era un eccesso di
di alcali e che si aveva probabilmente l'equilibrio:
Nas [(CN);Fe N3H:C0 - SH] + Na OH —5 Na, [(CN);Fe N2H;C0-S] + H0;.
Tale equilibrio sarà certamente influenzato dalle condizioni di concen-
trazione variabili, specie nella purificazione.
Il sale ridotto è assai alterabile: in soluzione acquosa assorbe ossigeno
e da prima si colora in violaceo, infine assume colore verdastro con pro-
fonda decomposizione, per separazione anche di ossido ferrico.
Ossidato con acqua di bromo, assume colore violetto, poi si decompone
svolgendo rapidamente azoto e decolorandosi ('). Così pure, come dissi, sì
decompone con i sali mercurici, d'argento, con l’ossido rameico in soluzione:
(1) Con acqua di bromo a caldo, ottenni uno sviluppo d’azoto rispondente a 1Fe:2.2N..
— 440 —
alcalina. Con ossido mercurico i due prodotti su analizzati diedero i risul-
tati seguenti:
Trovato Calcolato per
I II Nas [(CN); Fe Na H3 CO-SH] ; Nas [(CN);FeN, H, CO-S]
N 7.549%/ 7.38 8.07 7.56
L'aggruppamento dell’idrazina è messo in evidenza, rispondendo entrambe
le determinazioni rispettivamente ad 1Fe:1N..
Reazione della tiourea con nitroprussiato in alcool metilico.
Venne seguito il metodo già da me descritto per la reazione dei
chetoni ('). Alla soluzione alcoolica di nitroprussiato venne aggiunta la sol-
fourea e quindi alcoolato sodico. La reazione procede lentamente: il liquido
sì colora in rosso scuro, e si separa lentamente il sale sotto forma di pol-
vere ocra-scura; contemporaneamente si ha un lento sviluppo d'azoto. Dopo
qualche giorno, il sale venne raccolto su filtro, in atmosfera secca, lavato
ripetutamente con alcool metilico, e infine con etere.
Mantenuto nel vuoto su ac. solforico a peso costante aveva la compo-
sizione seguente:
Trovato Calcolato
I I Na; {[(CN); Fe]Ja CS-NH-NOj-H20
Na 24.31 23.76 24.51
Fe 16.20 16.50 17.00
N — 25.48 25.69
S — 5.27 4.98
NO 4.29 — 4.56
Le analisi si riferiscono a prodotti ottenuti in due diverse preparazioni :
nella prima vennero aggiunte, per una molecola di solfourea e nitroprussiato,
circa quattro molecole di alcoolato, nella seconda tre. ‘Sono evidenti i rap-
porti:
3.5 Na :1Fe:0.55:0.5 NO.
La determinazione del biossido di azoto venne compiuta come la pre-
cedente del sale rosso, avendo questo nuovo sale lo stesso comportamento
del primo rispetto ai sali d'argento e di mercurio.
Il sale è deliquescente; la soluzione acquosa ha colore aranciato scuro;
la soluzione, lasciata a sè, lentamente si colora in rosso-violetto. A caldo si
scinde in ossido ferrico, ferrocianuro e nel sale rosso di Hofmann: nella
soluzione, intensamente colorata in rosso-violetto, si riconosce il sale di Hof-
(3) loc. cit.
— 44l —
mann in tutte le sue proprietà. Infine il sale aranciato, con acqua di bromo,
genera nitroprussiato e ferricianuro.
Chiudendo noterò che, pur non essendo finora noti gli acidi NO.NH-
CO.SH e NH,-NH-CO-SH i cui aggruppamenti ho ammessi nei sali com-
plessi che ho studiati, sono noti i corrispondenti ossigenati: l'acido del sale
di Thiele NO-NK-CO-0OK, e l'acido idrazincarbonico NH.,- NH-C0-0H
del quale conosciamo anche un derivato solforato; la tiosemicarbazide
NH.,-NH-CS.NH,.
Matematica. — Sui gruppi di sostituzioni che operano su
infiniti elementi. Nota di GiuLIo ANDREOLI, presentata dal Socio
V. VOLTERRA.
1. Scopo di questa breve Nota è di presentare a codesta illustre Acca-
demia alcuni risultati da me ottenuti sui gruppi di sostituzioni operanti
su infiniti elementi, e sulle loro applicazioni. La teoria svolta presenta rela-
zioni con quella degli insiemi e con quella dei gruppi del Lie. Tralascio
per ora di accennarne le applicazioni (').
2. Chiameremo sostituzione l'operazione che da qualunque elemento «
d'un certo insieme ci fa passare ad un elemento «a dello stesso insieme;
con la condizione che, se «+ f, sia anche a+; le definizioni di pro-
dotto, potenza, commutatività restano invariate.
Esistono sostituzioni che non ammettono l’ inversa: come la sostituzione
che operando sull'insieme numerabile 4, 42 43 ... muta a, in 42, ... @n iN Qn41-
Il concetto di sostituzione ciclica ordinaria si scinde in tre, nel nostro
caso:
1°) cicli: sostituzioni che permutano n lettere secondo lo schema
(grazia):
2°) cicli infiniti chiusi, 0 anelli: sostituzioni operanti su una infinità
(necessariamente numerabile) di elementi secondo lo schema
alastotol etere A-, Udo dA dg 0 è è
NETTE EI
e che segneremo (0...4_; 44 4,...0); ammettono l'inversa;
3°) cicli infiniti aperti, o catene: operano secondo lo schema
Ora,
Ag 43 . ++ i
li segneremo (4, 4» ...00); non ammettono sostituzione inversa.
(1) Le svolgerò in una prossima Nota.
— 442 —
Si ha il teorema: Ogni sostituzione si decompone în cicli, anelli,
catene operanti su elementi distinti.
Inoltre: La potenza n-esima di un anello è il prodotto di |n| anelli
staccati, per n intero positivo 0 negativo.
La potenza n-esima di una catena è il prodotto di n catene staccate.
Introducendo il concetto di ordine delle sostituzioni nel solito modo,
si hanno i seguenti tipi di sostituzioni: @) quelle ad ordine finito di cicli;
8) quelle ad ordine finito ed un numero infinito di cicli; y) quelle ad
ordine infinito, composte di soli cicli; d) quelle d'ordine infinito, composte
anche d’anelli; e) quelle con catene.
Nelle sostituzioni chiameremo caratteristica il complesso di elementi
che mancano nel denominatore della sostituzione: quelli, cioè, da cui pren-
dono origine le catene; e rango 7 il loro numero o la potenza del loro
insieme.
3. Un certo insieme di sostituzioni si dirà formare gruppo se il pro-
dotto di due sue qualunque sostituzioni appartiene al complesso; esso avrà
ordine a e grado 8, se @« e £ sono il numero o la potenza degli insiemi
delle sostituzioni e degli elementi.
L'inversa d'una sostituzione (se esiste) non è necessariamente compresa
nel gruppo; se è compresa — qualunque sia la sostituzione — il gruppo sì
dirà completo.
Un concetto, che nei gruppi ordinarî diventa quello d’eguaglianza, è
quello che diremo di sudvariansa: un gruppo (0 complesso) Y° è subvariante
di G, se il prodotto di due loro sostituzioni appartiene a G. Vale il teo-
rema: Se G possiede la sostituzione identica, T° sarà un sottogruppo di G.
Inoltre, sulle caratteristiche si può dire: Ze sostituzioni d'un gruppo, aventi
rango uguale 0 maggiore di v, formano un sottogruppo, che segneremo
(vG); il sottogruppo (16) lo diremo di irreversibilità. Oltre questo, vi è
il sottogruppo composto da tutte le sostituzioni che ammettono inversa: lo
diremo primo sottogruppo d’inversione, e lo segneremo (JQG); così anche v'è
il sottogruppo di tutte le sostituzioni che ammettono inversa, appartenente
ancora al gruppo: secondo sottogruppo d'inversione 0 (iQ); esso è sottogruppo
di (JQ). Vi è inoltre il terzo yruppo d'inversione 0 (fG); esso è composto
dall'insieme di sostituzioni del gruppo aventi ordine finito, ed è sottogruppo
di (‘@); infine v'è il sottogruppo di non inversione 0 jG, composto dalle
sostituzioni la cui inversa esiste ma non appartiene al gruppo. Si ha il
teorema:
Qualunque gruppo si decompone identicamente nella somma di
(19), (79), (79): cioè
G= (19) +(I9) ; (19) = (f9) + (39) ; G= (19) + (9 + (79);
(JG), (iG) sozo subvarianti ad (18); (j9) ad (19).
— 443 —
Quindi, per tale teorema, basta studiare separatamente i gruppi Q,
coincidenti con (16) (gruppi di prima specie); quelli coincidenti con jQ
(gruppi di seconda specie); quelli coincidenti con #@ (gruppi di terza specie).
Questi ultimi sono la immediata estensione degli ordinarî.
Si presenta la quistione di convergenza d'un insieme ben ordinato (in
particolare numerabile) di sostituzioni operanti su insiemi d’elementi. Diremo
che un insieme ben ordinato di sostituzioni S converge astrattamente ad
una sostituzione Z, se, scelto un elemento È, si possa sempre trovare una
sostituzione St tale che essa e tutte le seguenti mutino sempre È nello stesso
elemento 7: X muterà È in 7; in modo analogo per la divergenza astratta
e l'indeterminazione astratta. In tal modo, si possono costruire dei criterî
di convergenza astratta per lo studio dei prodotti di infinite sostituzioni:
Sp::93 Sg
Si vede che il simbolo (A, B), gruppo generato dai complessi A e B,
può avere infiniti significati. Infatti, delle sostituzioni limiti, noi possiamo
sceglierne solo aleune — secondo un criterio y — come appartenenti ad
(A, B): in particolae nessuna o tutte.
Un gruppo generico @ si dirà chiuso se tutte le sue sostituzioni limiti
vi appartengono; aperto, nel caso contrario; totalmente aperto se nessuna
v'appartiene, salvo le evidenti
Z= lim S, s Sh = S.
I gruppi ordinari sono talî che dànno luogo a successioni (0 insiemi
ben ordinati) astrattamente indeterminate.
4. I gruppi di prima specie hanno una costituzione particolarmente
semplice: se, per ricorrenza, indichiamo con €, il complesso di sostituzioni
(nG) — FC, ..- Cm Geni
con (e@) indichiamo poi l'insieme di sostituzioni a caratteristica finita, e
con (0Q@) quello a caratteristica infinita, avremo
G= (16) = (e6) + (06) = 0, + (26) = Ci +00, + Cs] + (89) =
Ma (eG) è un gruppo aperto generato da C,,C,,C3,... secondo la legge
(eG) = Ci + [CC + 0] + [010,01 + C10, + CC + Ca] +;
wQ invece è eguale alla somma del complesso y (eG), costituito dalle sosti-
tuzioni limiti di e@ scelte secondo il criterio y — e d'un sottogruppo 9” —
chiuso secondo y: quindi ahbiamo
G= (e6) + r(e6) +9".
— 444 —
Notiamo che @' a sua volta si decompone nella somma di altrettanti
complessi @, relativi alle diverse potenze (d'insieme) @: e supposta cono-
sciuta la teoria di queste, si potrebbe continuare nella decomposizione.
Se nelle catene di C,,Cs,... noi pensiamo introdotti degli elementi @
in modo da trasformare in anelli le catene ('), diremo questi elementi
ideali, e noi passeremo da un gruppo di prima specie ad uno di seconda ;
e se reciprocamente consideriamo certi elementi effettivi come ideali, passe-
remo da uno di seconda ad uno di prima specie. Fra le sostituzioni allora
ve ne saranno alcune che muteranno elementi effettivi in ideali: le diremo
sostituzioni ideali; esse si trovano completando il gruppo di seconda specie
mediante le sostituzioni inverse.
Quindi si ha: Con l'introduzione degli elementi ideali (riguardando
cioè certi elementi come effettivi, altri come ideali) ogni gruppo di seconda
specie è oloedricamente isomorfo ad uno di prima.
Il concetto di transitività si scinde in diversi altri: secondo che esiste
almeno un elemento che si può trasformare in qualunque altro o che
sia il trasformato, o se un qualunque elemento si può trasformare in qua-
lunque altro. Vi è infine il concetto di quasi-transività: se gli elementi si
possono raggruppare in un insieme ordinato di insiemi, sì che un elemento
d'un insieme A si può trasformare in uno di B, solo se A precede B
nell'ordinamento.
Con qualunque di essi vale il teorema:
Un gruppo di transitività a-pla, di grado f, deve essere d'ordine
maggiore di ab: e precisamente d'ordine
Pa.dD,
ove w sia il massimo ordine di sottogruppi lascianti fermi a elementi,
e se almeno uno dei tre numeri a,f,y è un transfinito.
Se un gruppo è regolare-numerabile, la sua transitività deve essere
finita.
Se un gruppo è regolare-continuum, la sua transitività deve essere finita
o numerabile, ecc.
5. Oltre la convergenza astratta, sì presenta la convergenza relativa o
concreta. Data un opportuna definizione di scarto di due elementi e di ele-
menti limiti, ed assegnata una qualunque successione (o insieme ordinato)
di sostituzioni del gruppo, diremo che questa converge concretamente ad
una sostituzione , se, scelto l'elemento 4, cui S, , S,... fanno corrispon-
dere @,,43,..., hanno luogo le due proprietà :
I) qualunque successione 4, as... tende sempre ad un unico elemento-
limite @;
(*) Così da (@1 4 43***00) avremo la (0--*@,@; 143 d3* <* 0).
— 445 —
II) qualunque sia 4 + a’, sarà anche a * e.
La 2 sarà una sostituzione propria, se tutte le @ appartengono all’ in-
sieme degli elementi; impropria, nel caso contrario.
Un gruppo si dirà quasi-ordinato, se, scelta una successione d'elementi
tendente ad un elemento dell'insieme stesso, una qualunque sostituzione
muta tale successione in una avente la stessa proprietà; si dirà ordinato
se sì ha anche che le successioni tendenti ad elementi che non apparten-
gono all'insieme sono mutate in successioni analoghe.
Si ha: Un gruppo quasi-ordinato può essere chiuso con delle sostitu-
sioni proprie.
Un gruppo ordinato può essere ampliato, aggiungendo, ai suoi ele-
menti, tutti gli elementi limiti, ed alle sue sostituzioni tutte quelle 1m-
proprie: esso resterà ordinato; il nuovo gruppo sarà « riducibile »..
Infine un gruppo ordinato @ si dirà connesso, se, date due sostituzioni
00.50 SERE ASSO
SE= {= ;
vl GAD
e due numeri, s piccolo a piacere, n grande a piacere, si possano determi-
nare un numero finito di sostituzioni
ele
So = o
vue plage
in modo che, se lo scarto di a e è è minore di »), sieno minori di # gli
scartuidie n, die Pit Pasi padana A n
I gruppi del Lie sono regolari-continuum, ordinati, connessi, ridu-
cibili.
Matematica. — Sulle varietà algebriche con sistemi regolari
isolati di integrali riducibili. Nota di GAETANO Scorza, presentata
dal Corrispondente G. CAsTELNUOVO.
Un sistema regolare di integrali (') riducibili appartenente a una varietà
algebrica si dice 7solato (su di essa), allorchè ammette uno ed un solo si-
stema regolare complementare; 0, ciò che fa lo stesso, quando è nullo il
suo coefficiente di immersione (*).
Se un sistema regolare è isolato, tale è pure il suo complementare;
quindi ì sistemi regolari di una varietà algebrica, ove esistano, si distri-
buiscono in coppie di sistemi complementari.
(') Secondo il solito, per brevità di discorso, diciamo « integrali » senz’altro, al
posto di « integrali semplici di 1? specie ».
(*) Cfr. Scorza, Sugli integrali abeliani riducibili [Rendiconti della R. Accademia
dei Lincei, ser. 5%, vol. XXIV (2° sem. 1915), pp. 393-400].
RempIcoNTI, 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 59
— 446 —
Nell'ipotesi che una varietà algebrica contenga almeno una coppia di
sistemi regolari complementari isolati, la totalità lineare di dimensione mi-
nima contenente i sistemi nulli della varietà ha una struttura particolar-
mente semplice, e ciò permette di descrivere con sufficiente chiarezza la
distribuzione di tutti i sistemi regolari appartenenti alla varietà.
Precisamente si trova che:
Se una varietà algebrica possiede due sistemi regolari complemen-
tari isolati di integrali riducibili, ogni altro sistema regolare della va-
rietà (eventualmente esistente) o appartiene ad uno dei due sistemi in
discorso, 0 congiunge un sistema appartenente all'uno con un sistema
appartenente all’altro.
Di qua si ricava agevolmente che una varietà algebrica non può pos-
sedere infiniti sistemi regolari isolati di integrali riducibili; anzi si dimostra
che, se p è l'irregolarità superficiale di una varietà algebrica, il numero
dei suoî sistemi regolari isolati di integrali riducibili è necessariamente
finito e del tipo 2" — 2, ove l'intero n non supera p, e sta ad indicare
il numero dei sistemi regolari isolati che non provengono dal congiungere
sistemi regolari isolati di dimensione inferiore.
Questo teorema dà poi luogo a conseguenze semplici ed interessanti
per le varietà algebriche contenenti soltanto un insieme finito di sistemi
regolari di integrali riducibili.
1. In uno spazio lineare X a 20 — 1 dimensioni siano dati due spazî
duali indipendenti A, e Ai, dei quali A, abbia la dimensione 29 —1 e Ai
la dimensione 29'—1= 2(p — q)— 1, essendo 0<9< p (e quindi p>1l
e01 e 0<9Y"< p) 3
Se diciamo %,%° e 4°” gl'indici di singolarità di V,, A e A' rispet-”
tivamente, l'ipotesi che A e A' siano isolati si traduce nell’eguaglianza (3)
(4) ROLO LI=K.
Ora si supponga di avere introdotto, per l'insieme degli integrali di V,,
la solita rappresentazione geometrica (‘), per modo che sia lecito parlare
di sistemi nulli di V, e di asse di un sistema lineare di integrali di V,
e si dicano A, e A;, rispettivamente, gli assi di A e A'.
Siccome gl’indici di singolarità di A e A' sono X° e X°©”, fra i sistemi
nulli di V, ve ne sono X°‘ + 1, linearmente indipendenti, che hanno per
asse A), e X + 1, linearmente indipendenti, che hanno per asse A; (*);
infine, l'insieme dei sistemi nulli di V,, grazie alla (4), è fornito dal si-
stema lineare co” determinato da questi 4‘ + X 4 2 sistemi nulli che
risultano tutti linearmente indipendenti.
Ma, allora, basta ricordare che per ogni sistema regolare di integrali
riducibili di V, esiste almeno un sistema nullo di V,, che ha per asse
l'asse del sistema regolare, e tener presente l'osservazione del n. 1, per
concludere che:
O la nostra varietà V, non contiene altri sistemi regolari di inte-
grali riducibili, all'infuori dei sistemi complementari e isolati A e A';
o, se ne contiene altri, fra questi ve ne sono certamente di quelli che
appartengono ad A o A’. In questa seconda alternativa i sistemi regolari
di V, son forniti tutti dai sistemi contenuti in A 0 A', e dai sistemi
congiungenti quelli contenuti in A con quelli contenuti in A'.
Beninteso, quando diciamo che un sistema regolare è contenuto, per es.,
in A, non escludiamo che esso possa coincidere con A; ma quando parliamo
del sistema congiungente due sistemi contenuti in A e A’, è da intendere
che almeno una volta l'aggettivo « contenuto » sia adoperato in senso stretto,
se si vuole che quel sistema non coincida col sistema di tutti gli inte-
grali di Vp.
Osservazione I. Se la nostra varietà V, contiene dei sistemi regolari
indipendenti da A, è chiaro, per il teorema dimostrato, che ognuno di
questi giace in A'; e quindi A è indipendente non solo da ciascun di essi,
ma addirittura dal sistema che li congiunge.
;
(3) Loc. cit. ©, teor. II).
(4) Scorza, Sugli integrali abeliani riducibili, Note I e II [Rendiconti della R. Acca-
demia dei Lincei, serie 52, vol. XXIV (1° sem. 1915), pp. 412-418 e pp. 645-654]: Nota I,
nn. 1, 2, 6; Nota II, n. 9.
(5) Loc. cit. 2), teor. III).
— 449 —
Ma allora:
Se una varietà algebrica contiene dei sistemi regolari di integrali
riducibili B,, Bs, .., Bn, e poi un sistema regolare A indipendente da
ciascuno di quelli, ma non dal sistema che li congiunge (il sistema A
non è certo isolato su di essa e quindi) /a varzetà contiene infiniti sistemi
regolari della stessa dimensione di A.
Questa proposizione coincide, in sostanza, con quella che ottenne qualche
tempo fa il Severi, come generalizzazione del classico teorema di Poincaré
sulle varietà algebriche con integrali ellittici linearmente dipendenti (°),
poichè la maggiore generalità del suo enunciato è soltanto apparente.
Osservazione II. Se il sistema A della solita varietà V, contiene un
sistema regolare C, ogni complementare di C eriro A è congiunto ad A'
da un complementare di C su V,; e viceversa si vede subito, per il teorema
dimostrato più sopra, che ogni complementare di C su V, contiene A' e
sega A in un sistema regolare che è complementare a C entro A; dunque:
Gli eventuali sistemi regolari isolati su V,, e contenuti in A, sono
tutti e soli è sistemi regolari contenuti în A e ivi isolati.
Più generalmente si riconosce che:
Gli eventuali sistemi regolari isolati su Vp, e congiungenti un st-
stema contenuto în À con un sistema contenuto in A', sono tutti e soli
quelli che congiungono un sistema isolato in A con un sistema isolato
in A” (1).
3. Dimostriamo, ora, che:
Se una varietà algebrica Vp, di irregolarità superficiale p e indice
di singolarità k, contiene dei sistemi regolari isolati di integrali ridu-
cibili, è sempre possibile determinare su Vp n sistemi regolari isolati
indipendenti Ai, A2,.... An, tali che nessuno di essi contenga sistemi
regolari isolati di dimensione inferiore alla propria, e tali che, detti
qi— 1 e k; la dimensione e l'indice di singolarità di A;, si abbia
Q+aot +=
kr bk + +hinpac1=8%.
E infatti, consideriamo tra i sistemi regolari isolati di V, quelli di
dimensione minima; sia A, uno di questi, con la dimensione g, — 1 e l'in-
(5) Severi, Sugli integrali abeliani riducibili, Note I e II [ Rendic. della R. Accad.
dei Lincei, ser. 5%, vol. XXIII (1° sem. 1914), pp. 581-587 e pp. 641-651]; Nota II, n. 4.
(7) Queste osservazioni potrebbero essere facilmente estese dimostrando, ad es., che
il coefficiente d’immersione su Vp di un sistema regolare C congiungente un sistema
regolare C, di A, con un sistema regolare Cs di A’ è la somma dei coefficienti di im-
mersione di C, su A e di Cs su A'.
— 450 —
dice di singolarità %,, e sia A; él suo complementare con la dimensione
qi— 1 e l'indice di singolarità 41. Sarà, evidentemente,
n+a=p e kK+ht+1=%.
Se A; non contiene sistemi regolari isolati (su V,, o, ciò che fa lo
stesso, entro A;) di dimensione inferiore alla propria, il teorema è già di-
mostrato; se no, tra i sistemi regolari isolati contenuti in A; si considere-
ranno quelli di dimensione minima, e si dirà A, uno di questi, e A; 7/ suo
complementare in Ai.
Indicate con ga — 1 e gg —1 le dimensioni di A, e A;, e detti ky
e %s i loro indici di singolarità, sarà:
dta=gq 0 ke +4+1=4%1,
+o+9a=p e bIrt+kt+t4&+2=%.
cioè
Ora, o As non contiene sistemi regolari isolati (su V,, 0, ciò che fa
lo stesso, entro A3) di dimensione inferiore alla propria. e allora il teorema
è dimostrato; o ciò non è, e allora si applicherà ad A; il procedimento
adoperato già per V, e Ai.
— Siccome p> Qi >Q---, questo procedimento non può essere illimita-
tamente proseguito: quindi esso deve arrestarsi, il che val quanto dire che
sì perviene a dimostrare il nostro teorema in ogni caso.
4. La proposizione ora stabilita può essere ulteriormente precisata.
Facciamo vedere infatti che:
Se per la varietà Vp e i sistemi Ai, A2,..., An valgono le ipo-
tesi e le proprietà del teorema del n. 3, i sistemi regolari isolati di Vp.
diversi da Ai, Az,... An sono tutti e soli î sistemi congiungenti A,, À»,
ces An A due a due, a tre a tre, ... an-lan—-1.
E infatti, grazie all'indipendenza dei sistemi A; e alla relazione
D+PIt +=
il sistema Aj congiungente As, A4,..., An è complementare ad A, su Vy;
quindi A; è, al pari di A,, isolato su Vp.
Allo stesso modo, entro Ai, il sistema A; congiungente A3,..., An è
complementare ad As; ma allora A; è isolato entro Ai al pari di A,, cioè
A; è isolato su Vp.
Così continuando e poi scambiando l'ufficio dei sistemi A;, si dimostra.
che ogni sistema congiungente n —1,x—2,..., tre o due sistemi A;, è
isolato su V,.
Viceversa, sia B un qualsiasi sistema regolare isolato appartente a Vp,
e diverso da Ar, As, ug An.
— 451 —
Siccome A, è isolato su V, e non contiene sistemi regolari isolati di
dimensione inferiore alla propria, il sistema B, essendo anch'esso isolato,
o contiene A, o è indipendente da A, e giace in Aj (n. 2). Nella prima
alternativa, B (che è diverso da A,) congiunge A, con un sistema regolare B,
situato in Af e isolato tanto su V, quanto su Ai; quindi, tanto nella prima
alternativa, quanto nella seconda, sarà dimostrato che B è il sistema con-
giungente un certo numero di sistemi A;, se facciamo vedere che entro Ai
ogni sistema regolare isolato diverso da A»,..., A, congiunge un certo nu-
mero di questi sistemi.
Ora, entro A; i sistemi As, A3,.... A, godono delle stesse proprietà di
cui godeno Ai, A», ..., An su V,; quindi, ripetendo il ragionamento fatto
un sufficiente numero di volte, si vede che tutto si riduce a dimostrare
che entro il sistema An-», congiungente A,_, e A,, non esistono sistemi
regolari isolati diversi (da An-» e) da A,_, @ An.
Ora ciò è evidente, perchè A,-, e A, sono complementari isolati entro
Af-2>, e nessuno di essi contiene sistemi regolari isolati di dimensione infe-
riore alla propria; dunque l'asserto è dimostrato.
Di qua segue:
1°) che è sistemi A,, Ao, ..., An possono essere scelti su Vp în un
sol modo, se hanno da soddisfare alle condizioni del teorema del n. 3;
2°) che il numero totale dei sistemi regolari isolati di V, è dato da
n+(3)+(5) + +(,/)=®-2,
dove, grazie al fatto che ciascuno dei numeri q; è almeno uguale ad 1,
n è un numero non superiore a p.
Ma allora possiamo enunciare il seguente teorema:
Una varietà algebrica V, di irregolarità superficiale p(>1), e
indice di singolarità k, 0 non contiene sistemi regolari isolati di inte-
gralî riducibili 0 ne contiene un numero finito. In questa seconda alter-
nativa, il loro numero totale è della forma 2" — 2 con 11)
e indice di singolarità k, contiene soltanto un numero finito di sistemi
regolari di integrali riducibili, il loro numero totale è della forma 2" —2
con n= p, e i sistemi stessi, mell’ipotesi che sia n>1, cioè che quel
numero non sia nullo, sono dati:
a) da certi n sistemi regolari indipendenti A, , Ao... An, con
le dimensioni q; — 1 e gl'indici di singolarità k;(j=1,2,..,%) legati
dalle relazioni
atdget:: + 0an=?
k+%4--+in,+a—1=4%;
b) e poi dai sistemi regolari (tutti distinti) che congiungono quei
sistemi A; a due a due, a tre a tre, ... an-lan—1;
quindi ognuno dei sistemi À; non contiene sistemi regolari di inte-
graliî riducibili di dimensione inferiore alla propria.
In una Nota successiva faremo vedere come questo teorema rientri in
uno più generale, che dà un criterio per distinguere le varietà con infiniti
sistemi regolari di integrali riducibili da quelle che ne contengono soltanto
un numero finito.
Qui ci contenteremo di fissare soltanto le seguenti osservazioni.
Il massimo valore del numero x che appare nei due ultimi teoremi
è p, ed è n=p quando e solo quando i sistemi A), A»,..., A, Sì ridu-
cono a p integrali ellittici. Questo caso, come si dimostra subito valendosi
di un teorema del De Franchis (5), può realmente verificarsi; e allora il
numero totale dei sistemi regolari esistenti è 22 — 2; dunque:
Una varietà algebrica di irregolarità superficiale p, che contenga
soltanto un numero finito di sistemi regolari di integrali riducibili, non
ne può contenere, al più, che 22 —2, questo numero potendo essere effet-
tivamente raggiunto.
Siccome, nell'ultimo teorema dimostrato, il sistema A; ha la dimensione
Q; — 1 e non contiene sistemi regolari di dimensione inferiore alla propria,
deve essere %; < 29;— 2 (°); quindi si ha:
k=2(q+a+--- +90) —20+a—1,
cioè
k=z2p—n_-1.
(8) De Franchis, Ze varietà algebriche con infiniti integrali ellittici [Rendiconti
del Circolo Matematico di Palermo, tomo XXXVIII (2° sem. 1914), pag. 192].
(?) Scorza, Le varietà algebriche con indice di singolarità massimo, Note I e II
[Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, ser. 52, vol. XXIV (2° sem. 1915), pp. 279-284
e pp. 333-338]: Nota II, n. 6.
— 453 —
Ma, evidentemente, n > 2: dunque, infine,
k=2p—3.
Di qua segue che:
Se una varietà algebrica di irregolarità superficiale p non con-
tiene che un numero finito di sistemi regolari di integrali riducibili, i.
suo indice di singolarità non può superare 2p —3;
e inoltre che:
Se una varietà algebrica di irregolarità superficiale p ha l'indice
di singolarità 2p — 2 e contiene qualche sistema regolare di integrali
riducibili, ne contiene senz'altro infiniti (!°).
Queste ultime due proposizioni dànno, per p = 2, dei teoremi ben noti,
dovuti al sig. Humbert.
Meccanica. — Profili di pelo libero in canali di profondità
finita. Nota di U. CisottI, presentata dal Socio T. Levi-CIVITA.
Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
Fisica. — Sul funzionamento del rocchetto di Ruhmkorff con
gli interruttori elettrolitici ('). Nota di 0. M. CoRrBINO e G. 0. TRA-
BACCHI, presentata dal Socio P. BLASERNA.
In una precedente Nota (°) sono stati esposti i risultati di uno studio
sul funzionamento, con corrente alternata, di un interruttore elettrolitico
costituito da una punta di ferro, di nickel o di platino, e una lamina di
alluminio in una soluzione di sale di Seignette; è stato posto in rilievo che
con tale interruttore inserito nel primario di un rocchetto, destinato ad ali-
mentare un tubo generatore di raggi X. il funzionamento di questo era-molto
regolare e che le correnti inverse nocive erano evitabili con facilità di gran
lunga superiore che non nel caso della corrente continua impiegata con l’ordi-
nario interruttore di Wehnelt.
Che con la corrente alternata si ottengano i migliori risultati ricorrendo
all’interruttore modificato, è cosa evidente: potrebbe però nascere il dubbio
(!°) Si ricordi che per il teorema, cui si riferisce la cit. ®, ove l'indice di singo-
larità fosse = 2p — 1, la varietà ammetterebbe senz’altro infiniti sistemi regolari di
integrali riducibili.
- (!) Lavoro eseguito nell’Istituto fisico della R. Università di Roma.
(*) G. C. Trabacchi, Interruttore elettrolitico per la corrente alternata, Rend. R.
Accad. Lincei, 1915, 2° sem., pag. 126.
ReENpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 60
— 454 —
che, quando è arbitraria la scelta del tipo di corrente (alternata o continua)
e l’uso dell’interruttore elettrolitico s'impone per ragioni di semplicità, non
sia abbastanza giustificata la scelta della corrente alternata.
Avendo istituito nuove ricerche, che hanno pienamente confermato i pri-
mitivi risultati, e ne facilitano la interpretazione, crediamo utile di rife-
rirne in questa Nota.
Per le ricerche ci siamo serviti di un buon rocchetto intensivo da 30 cm.
di scintilla, che corrisponde al modello più generalmente usato negli impianti
radiologici di media potenza. Gli clementi da studiare sono: la corrente
primaria, la corrente secondaria che attraversa il tubo, la forza elettromo-
trice agente nel secondario; occorre seguire questi elementi nelle loro rapi-
dissime variazioni col tempo, poichè ben poco insegnerebbe, ai fini della
nostra ricerca, l'osservazione dei valori medî o efficaci forniti dai comuni
strumenti di misura.
Si prestava invece assai bene lo studio col tubo di Braun della devia-
zione del fascio catodico prodotta dall'elemento elettrico da misurare, spe-
cialmente utilizzando l'artificio già adoperato da molto tempo da uno di noi (!),
di combinare cioè ortogonalmente gli spostamenti dovuti a due elementi
elettrici che nello stesso tempo variano con lo stesso ritmo; con che si
ottengono, sul disco fluorescente, dei diagrammi stabili di cui è agevole la
interpretazione.
Per la osservazione della corrente primaria bastava un rocchetto di
poche spire traversato dalla corrente medesima e agente sul tubo.
Per lo studio della corrente secondaria, ci siamo serviti di un roc-
chettino a molte spire di filo fine e isolato, senza ferro, inserito fra un
polo del rocchetto, messo a terra, e un elettrodo del tubo. Infine per la
f. e. m. attiva nel secondario ci siamo serviti di uno dei frazionamenti del
circuito primario che forma uno strato isolato ricoprente l’intero nucleo.
Rilegando ai poli di questo avvolgimento una molto elevata resistenza non
induttiva e una piccola bobina agente sul tubo Braun, la corrente ottenuta
può ritenersi proporzionale alla f. e. m. agente, la quale, a sua volta, è
proporzionale alla derivata dell'induzione magnetica nel nucleo, e quindi alla
f. e. m. attiva nel secondario a circuito aperto.
Non è però da confondere questa f. e. m. con la tensione reale esistente
ai poli del tubo, la quale ne differisce per la perdita di tensione ohmica
lungo il secondario e per la differenza di potenziale elettrostatica o di capacità
dovuta alle spire del secondario stesso, che fra loro e rispetto al primario
agiscono come un condensatore a capacità distribuita. La perdita di tensione
ohmica può essere trascurata, poichè non raggiunge, con la massima corrente
(1) O. M. Corbino, Ricerehe teoriche e sperimentali sul rocchetto Ruhmkorf. Ass.
elettr. ital., Atti, 1907.
— 459 —
avuta nel tubo, se non una piccolissima frazione della totale tensione attiva.
Più difficile a determinare è l’effetto dovuto alla funzione di condensatore;
ma, come sarà visto più in là, è possibile di discutere il problema che ci
occupa tenendone il debito conto.
I tre rocchetti rivelatori della corrente primaria, della corrente secondaria
e della f. e. m. attiva nel secondario agivano sul tubo Braun o separatamente,
per le osservazioni allo specchio girante, o combinandoli due per volta
ortogonalmente per lo studio dei diagrammi stabili. Il tubo Braun era di
grande modello, e lo si alimentava con una macchina elettrostatica a molti
dischi.
Fio. 1. Fic. 2.
Dovendosi procedere al confronto tra il funzionamento del rocchetto con
corrente continua e col Wehnelt ordinario, ovvero con corrente alternata e
con l'interruttore modificato, si cercò anzitutto di realizzare le migliori
condizioni possibili per entrambi i casi, modificando opportunamente la f. e. m.
agente nel primario e il numero di spire di questo; il che era reso possibile
dal fatto che il rocchetto usato, come tutti i rocchetti moderni, ha l’avvol-
gimento di filo grosso diviso in alquante sezioni.
La corrente secondaria attraversante il tubo è rappresentata, come si
osserva allo specchio girante, dalle figg. 1 e 2.
Quest'ultima si riferisce all'uso di una f. e. m. primaria costante e del-
l'interruttore Wehnelt; la prima fu invece ottenuta con una f. e. m. pri-
maria alternativa di 45 periodi e con l'interruttore modificato. Si osserva
subito, dalle figure, che la prima scarica di senso utile è seguìta da oscilla-
zioni che, nel caso della fig. 1, hanno l'aspetto consueto delle scariche oscil-
latorie. Lo smorzamento è piuttosto forte passando dalla prima alla seconda;
ma si attenua nelle oscillazioni successive. Si tratta evidentemente di un
vero processo di scarica oscillatoria proveniente dalla capacità propria del
secondario che viene caricata dalla f. e. m. di rottura. Il primo semiperiodo
è notevolmente più lungo dei successivi; ciò è dovuto al fatto che la prima
— 456 —
mezza oscillazione si svolge mentre il circuito primario è aperto, per la
presenza della guaina gassosa intorno alla punta immersa; le altre si svol-
gono, come si vedrà in seguito, quando il contatto fra punta e liquido è
ristabilito, e, per ciò, anche il primario partecipa al processo oscillatorio
del secondario, reagendo su questo col diminuirne il periodv proprio. Modi-
ficando la resistenza del circuito primario e la lunghezza della punta (con
che sì possono avere correnti secondarie medie, misurate con il milliam-
perometro, d’intensità più o meno grande) si osserva che si modificano
insieme l'ampiezza della prima oscillazione e la sua durata, di modo che
le semionde ottenute coi varî regimi sono all'incirca s7m2/7 fra loro.
Ci @,
Fia. 3. Fia. 4.
Ne risulta che se l'intensità media secondaria passa per esempio da 1
a 3 milliampères, la corrente massima aumenta da 1a {/3, e pure da 1 a Y/3
aumenta la sua durata.
Dalla osservazione della fig. 1 si riconosce, inoltre, che la presenza di
correnti inverse nel tubo è esclusivamente connessa col processo oscillatorio
dovuto alla capacità propria del secondario, e perciò è inevitabile con qua-
lunque mezzo d'interruzione della corrente primaria.
Queste inversioni, inevitabili anche con qualunque valvola, non sembra
che abbiano azione nociva sul tubo. Manca però ogni traccia della cor-
rente inversa dovuta alla chiusura che sussegue all’interruzione. Questa cor-
rente di chiusura, che si sovrappone al processo oscillatorio, è invece ben
evidente nella figura 2, ottenuta ricorrendo alla corrente continua ed all'in-
terruttore Wehnelt ordinario. Essa traversa il tubo mentre ancora è adescato
dal processo oscillatorio dovuto alla rottura, e perciò può essere attenuata
solo con l’impiego di valvole. Questa forma della corrente secondaria con-
ferma quel che uno di noi aveva già enunciato, fondandosi sulla semplice
— 457 —
osservazione dell'aspetto del tubo, la quale aveva già rivelato la mancanza
delle correnti inverse, ricorrendo alle correnti alternate.
La interpretazione del meccanismo con cui ha luogo la constatata assenza
delle correnti inverse di chiusura nella fig. 1 viene resa agevole dallo studio
degli altri elementi elettrici che caratterizzano il funzionamento del rocchetto
nei due casi.
Le figg. 3 e 4 rappresentano i diagrammi osservati combinando orto-
gonalmente la corrente primaria (orizzontale) e la f. e. m. nel secondario,
quando questo è aperto.
lo,
di
Noe
[me
È
B
Fra. 3bis, Fic. 40, È
x
La prima fu ottenuta con corrente alternata; la seconda, con corrente
continua. Esaminiamo dettagliatamente la prima. Quando la corrente primaria
nella sua onda — che chiameremo positiva, e che può passare liberamente per
l'elettrodo di alluminio — ha di poco superato l'intensità massima, prende
origine la f. e. m. secondaria; e la corrente di capacità che percorre il
secondario (e che, come abbiamo visto, è di tipo oscillatorio) reagisce sul
primario, trasferendovi l'oscillazione. La corrente primaria poscia ricomincia
nella sua onda negativa (ridotta dall'alluminio), mentre la f. e. m. secondaria
è molto piccola e dello senso senso di quella utile di apertura.
La f.e.m. secondaria assume un senso opposto, pur restando piccolissima,
solo quando la 47,/dt è positiva (ramo inferiore del diagramma 3). Questa
ultima fase è inattiva, o quasi, nel tubo. Se invece si osserva la fig. 4 ottenuta
con la corrente continua ed il Wehnelt ordinario, si riconosce che la f. e. m.
secondaria di senso utile si manifesta, com'è naturale, durante la rottura
della corrente primaria, ed è anche essa accompagnata da una oscillazione;
ma la f. e. m. utile è subito seguìta (per la chiusura della primaria, che
avviene immediatamente dopo) da uno sbalzo notevole di f. e. m. di senso
opposto, che come vedremo, determina nel tubo il passaggio della corrente
nociva. Le figg. 3° e 4“ sono corrispondenti alle 3 e 4, ma ottenute con
il circuito secondario chiuso sul tubo.
— 458 —
Il processo che si svolge nei due casi pare adunque il seguente: Avve-
nuta la interruzione brusca della corrente primaria (nel caso della corrente
alternata), il tubo è traversato da una scarica di tipo oscillatorio, che abbiamo
osservato nella fig. 1. È però da notare che, appena iniziata la oscillazione,
lo smorzamento delle successive alla prima risulta abbastanza piccolo, ciò
che prova che il tubo, in queste condizioni di avvenuto adescamento, offre
una resistenza ben piccola; tali condizioni, che rendono facile di far passare
nel tubo correnti nei due sensi, perdurano alquanto, e precisamente per un
tempo che appare non inferiore a 1/20 del periodo, e quindi non inferiore a
1/1000 di minuto secondo. Solo quando le oscillazioni sono cessate, il tubo
riprende la sua normale resistenza alla scarica, cioè l’attitudine a non con-
sentire il passaggio della corrente se non è attiva una elevatissima differenza
di potenziale agli elettrodi.
Ora, come abbiamo veduto, nel caso delle correnti continue e dell’in-
terruttore Wehnelt ordinario, la f. e. m. inversa di chiusura segue subito
dopo la rottura, e trova perciò il tubo nelle condizioni di adescamento, cioè
mentre è ancora percorso dalle oscillazioni provocate dalla interruzione. La
f. e. m. di chiusura è massima proprio all'istante della chiusura; e pur trat-
tandosi di una f. e. m. non elevata, poichè è uguale, al massimo, a quella
della batteria moltiplicata per il coefficiente di trasformazione (circa 100),
‘essa riesce ad aprirsi la via nel tubo, ancora adescato dalla corrente oscil-
latoria che lo sta attraversando. Invece, con la corrente alternata l'onda di
f. e. m. inversa è di minore intensità, ed inoltre essa comincia a esercitarsi
solo dopo una buona frazione del periodo, quando cioè il tubo più non è
traversato da alcuna corrente e ha ripreso la sua resistenza normale alla
scarica.
Manca così la possibilità che l’onda inversa nociva trovi facile il
passaggio.
Secondo questa interpretazione, l’annullarsi dell’onda inversa con le
correnti alternate sarebbe dunque dovuto alle circostanze seguenti, bene
illustrate dai diagrammi della fig. 5 che rappresentano le combinazioni
della f. e. m. stradale e, con la corrente primaria 7, e con la secondaria 72.
La rottura della corrente primaria può prodursi, regolando conveniente-
mente la lunghezza della punta, in tale fase della sinusoide che all'istante
della susseguente chiusura del primario la f. e. m. agente in esso sia molto
prossima a zero; ciò è reso facile dal fatto che la corrente è in ritardo
sulla f. e. m., e che la rottura ha luogo poco dopo il massimo positivo della
corrente. In tali condizioni, alla nuova chiusura il primario interviene solo
partecipando alle oscillazioni del secondario, sul quale reagirà; ma solo dopo
circa un altro mezzo periodo avrà origine la f. e. m. induttiva che tenderebbe
a far passare l'onda inversa nel tubo, già diseccitato, e capace perciò di
arrestarla, senza bisogno di valvole.
— 459 —
Come fu detto nella Nota precedente, diminuendo la lunghezza della punta
si può accelerare la fase della interruzione. Con ciò la f. e. m., alla nuova
chiusura, può avere un senso ed un valore nocivi; si riconosce facilmente
nella fig. 6 quel che avviene in queste sfavorevoli condizioni che furono
realizzate accorciando da 15 mm. a soli 5 mm. la punta di ferro dell’inter-
ruttore. Effettivamente alla f. e. m. indotta A, di senso utile, segue imme-
diatamente, in B, un'onda inversa capace di attraversare il tubo; questo la
Fic. 5. Fi. 6.
rivela immediatamente con quelle macchie caratteristiche che sono così ben
note a coloro che han pratica di radiologia.
La manovra di allungare la punta quanto più è possibile, limitatamente
solo al funzionamento regolare dell’interruttore, e che si manifesta così
efficace per eliminare il passaggio delle onde inverse, ha quindi la funzione
di spostare la fase dell’interruzione fino a che la nuova chiusura sì compia
quando la f. e. m. primaria ha assunto il valore opportuno. E se la autoin
duzione è convenientemente scelta, questo istante può rendersi molto prossimo
alla fase in cui la corrente è massima.
Resta solo da esaminare un punto, per la corretta interpretazione dei
diagrammi. Le ordinate delle figg. 3-4-6 rappresentano, come si è detto, non
la tensione agli estremi del secondario, ma la f. e. m. induttiva agente in
esso; e la differenza fra le due costituisce l’effetto della capacità distribuita
del secondario essendo trascurabile la caduta di tensione ohmica. Si può
— 460 —
portare in causa quest'azione osservando che, all'atto del destarsi della.
f. e. m. indotta per la rottura, la tensione utile al secondario andrà crescendo
più lentamente, potendo l’effetto della capacità del secondario paragonarsi,
in certa guisa, a quello di un condensatore derivato tra gli estremi. La elet-
tricità accumulata si scaricherà nel tubo, quando è raggiunta una tensione
sufficiente, dando origine alle oscillazioni. Ma è evidente che, se la f. e. m.,
che fa da generatore unico nel secondario, resta positiva in tutta la metà
superiore del periodo, la presenza della capacità, che può solo ritardarne
l'effetto, non può dare origine ad altre correnti inverse se non a quelle
delle oscillazioni; mancherà in ogni caso la vera f. e. m. inversa di chiusura,
che si rivela nel caso dell’interruttore di Wehnelt e delle correnti continue,
sovrapponendosi nei suoi effetti alle oscillazioni, e prolungandole. Dalla
forma della corrente primaria in questo caso si riconosce subito (fig. 7) la
presenza di oscillazioni, provenienti dal secondario, durante la salita della
corrente che segue alla chiusura.
=
Fia. 7.
Da tutto ciò risulta evidente la convenienza di ricorrere, per gli im-
pianti di non grande potenza, alla corrente alternata ed all'interruttore
elettrolitico sinerono. Oltre alle circostanze pratiche che ne rendono minimo
il costo, facile il maneggio e regolarissimo il funzionamento, questo sistema
offre il vantaggio di escludere completamente la f. e. m. inversa, così come
solo sarebbe capace di fare wn interruttore meccanico sincrono, che, dopo
l'interruzione in un punto dell'onda, vicino al valore massimo, ristabilisse la
chiusura quando la f.e.m. primaria è prossima a zero; e riuscisse inoltre a
rendere inattiva la semionda seguente, di corrente negativa. Il ritmo delle
interruzioni, perfettamente costante anche se si modifica entro larghi limiti
la lunghezza della punta, è determinato dal periodo della corrente alternata,
e perciò non può essere molto elevato, ricorrendo alle reti di distribuzione
ordinarie. Ciò non impedisce che anche con un rocchetto di modeste dimen-
sioni sì possano far passare in un tubo di durezza normale correnti medie
di due o tre milliampére, largamente sufficienti per la radioscopia, e in tubi
di grande durezza le intensità impiegate nella radioterapia.
— 461 —
Fisica. — Velocità di diffusione e idratazione in soluzione.
Nota di M. PapoA & FERNANDA Corsini, presentata dal Socio
G. CIAMICIAN.
Le classiche esperienze di J. Perrin hanno messo in evidenza la stretta
relazione che passa fra la grandezza dei granuli sospesi, in una soluzione
colloidale, e la stratificazione che essi assumono per azione della gravità.
Se fosse possibile di conservare in perfetto equilibrio di temperatura una lunga
colonna verticale di una soluzione salina, si dovrebbe notare, per azione della
gravità, una rarefazione del sale, procedendo dal basso all'alto, secondo le
medesime leggi che permettono di calcolare il decremento della densità
dell’aria coll'’aumentare dell'altezza e la stratificazione delle soluzioni col-
loidali: tutto questo dipende dall’attendibilità dell'ipotesi molecolare, ormai
diventata teoria.
I processi studiati dal Perrin sono strettamente connessi coi fenomeni
della diffusione; più piccola è la massa molecolare, e più grande sarà la
sua velocità di diffusione. Tutto ciò è espresso in una nota formula di
Einstein (?):
1 RT
Vas ,
in cui D è il coefficiente di diffusione, N il numero di Avogadro, T la
temperatura assoluta, R la costante dei gas, & l'attrito interno del solvente
e 7 il raggio molecolare. Herzog (?) ha poi dato una relazione che lega
direttamente la grandezza molecolare con la velocità di diffusione: se » è il
volume specifico del corpo, il suo volume molecolare è dato dalla
Mv Nim .
Dalle due uguaglianze precedenti seguo la
M= Jai 1
— 162.n2N?83 D5y
Introducendo in questa formula il valore di R in gr. cm., cioè 8,3155.107,
il valore di N, che sarebbe, secondo i dati di Perrin, 70,5.10??, e per D,
$, v, i rispettivi valori a 20°, Herzog ha calcolato i pesi molecolari di
(*) Annalen der Physik, /9 (1906), 303.
(*) Zeitschrift fir Elektrochemie, XVI, 1003.
RenpIconNTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 61
— 462 —
alcuni zuccheri, che risultarono vicini ai valori teorici, e quello dell’albumina,
che sarebbe 70.000.
Noi abbiamo avuto l’idea di utilizzare questo metodo per avere una
misura dell'idratazione in soluzione: quando una molecola sciolta si idrata,
deve formarsi un complesso tanto maggiore quanto più grande è il numero
delle molecole di solvente che si combinano; tale complesso avrà, a parità
di temperatura, una velocità media inferiore a quella delle molecole sem-
plici, e quindi ancora una minore velocità di diffusione. Ne viene di con-
seguenza che si dovranno avere, con questo metodo, dei pesi molecolari
superiori ai teorici, per quei corpi che si combinano col solvente, o che,
comunque, ne trascinano seco una certa quantità nel diffondere.
Che il nostro modo di vedere avesse un certo fondamento di verità, lo
si poteva già arguire dal fatto che, assumendo per N il valore, oggigiorno
assai più attendibile, di 60.10?? (!), i pesi molecolari di Herzog diventano
più elevati dei teorici. Si rendevano però necessarie ulteriori esperienze di
diffusione, massime con sostanze che, per molte ragioni ed esperienze prece.
denti, si debbano ritenere idratabili in soluzione: la scelta di queste sostanze
venne, per ora, limitata ai non elettroliti, perchè la diffusione dei corpi
dissociati è un fenomeno più complicato e non sembra facile di ricavarne
dei dati quantitativi sull’idratazione (*).
I dispositivi adottati dai varî autori che hanno misurato delle velocità
di diffusione (*) hanno lo scopo:
1°) di conoscere esattamente la superficie, attraverso la quale il corpo
diffonde, e così pure l’altezza degli strati;
2°) di preservare il liquido che diffonde dagli sbalzi di temperatura,
che potrebbero metterlo in movimento;
3°) di prelevare, dopo un tempo determinato, un certo numero di fra-
zioni del liquido (rappresentanti i varî strati), senza agitare menomamente
il liquido stesso;
(1) Vedi ad es. Svedberg, Die Existenz der Molekile (1912).
(*) Secondo Nernst [vedi ad es. 7'heoretische Chemie, VII ediz. (1918), 400] la
velocità di diffusione degli elettroliti è una funzione della mobilità w e v degli ioni,
AI . - i 3 ; 6 î
= ( nr a) SRI: questa espressione si verifica bene, come rilevasi dalle misure di
9
Oeholm (Zeitschrift fi physikal. Chemie, 7904, L, 309) e di Scheffer (ibidem, 1888, II,
390) per corpi poco idratabili. Per sostanze avide d’acqua, come acido cloridrico, idrato
sodico e potassico, la velocità di diffusione risulta inferiore a quella prevista, ciò che
starebbe a confermare le nostre vedute.
(3) Vedi ad es.: Graham, Annales de Chimie et de Physique, 3me série, vol. 6d, pag. 129;
id., Annalen der Chemie und Pharm., 77, pp. 56, 129; 80, pag. 197; 121, pag. 1; Voigt-
linder, Zeitschrift fiir Physikal. Chemie, III, 316; Arrhenius, ibidem, X, 338; Scheffer,
ibid., XI, 390; Oeholm, ibid., XL, 309, e LXX, 407.
— 463 —
4°) di rendere il più possibile piano il fondo del recipiente in cui ha
luogo la diffusione, allo scopo di conoscere esattamente volume ed altezza
anche dello strato più basso.
Noi abbiamo costruito un apparecchio un poco diverso da quelli che
sono stati usati in precedenza, rappresentato schematicamente dalla figura
qui a lato: R è il recipiente in cui avviene la diffusione, costituito da un
blocco di una lega di piombo, antimonio e zinco, in cui, con un tornio di
precisione, venne praticata una cavità a parete cilindrica ed a fondo perfet-
tamente piano, del raggio di mm. 17,42; versando in questo recipiente
10 cm? di un liquido, questo occuperà un'altezza di mm. 5,24. Il recipiente
è chiuso da un tappo, di gomma per le soluzioni acquose, di ottimo sughero
per quelle benzoliche, attraversato da un capillare aa, ripiegato ad U e da
un secondo capillare 50 con rami assai disuguali, recante all'estremità più
lunga un robinetto M coll'estremità affilata; nel punto N è inserito un altro
capillare terminato con un piccolo imbuto a robinetto. L'altro ramo del
tubo 55 è assicurato al tappo del recipiente R, e la sua estremità aperta ne
rasenta il fondo.
— 464 —
L'apparecchio funziona nel modo seguente: si fa entrare dell'acqua per
l’imbuto e si aspira leggermente per M, in modo da riempire il tratto di
tubo MN; poi si chiude il robinetto M e si fanno arrivare nel recipiente R
40 cm? d'acqua; indi si chiude l’imbuto a robinetto e vi si versano 10 cm?
della soluzione che si vuol far diffondere: anche questa vien fatta discendere
nel recipiente, senza scosse, e così la diffusione comincia. Trascorso il tempo
che si crede opportuno, si prelevano gli strati aprendo il robinetto M: il
liquido scende spontaneamente poichè il capillare 50 funziona da sifone e
sottrae il liquido senza produrre Ja minima agitazione (’).
Questo apparecchio venne fissato solidamente ad un sostegno e posto
sopra una mensola a muro, in una stanzetta appartata; la costanza della
temperatura veniva assicurata con un termoregolatore.
Se si indica con 10.000 la quantità di sostanza presente in tutta la
colonna liquida, la distribuzione di essa a diffusione avvenuta può essere
rappresentata da una serie, ad esempio di 10 numeri se 10 sono gli strati,
proporzionali ciascuno al contenuto di uno strato, e di cui la somma è appunto
10.000. i
Stefan (*) ha dimostrato che, facendo avvenire la diffusione nelle con-
dizioni suesposte, il rapporto ne ha un valore determinato per ogni so-
27.
stanza, una volta fissato il FRS di diffusione. In questa espressione, % è
l'altezza di uno strato, 4 il tempo, % la costante di diffusione, che rappre-
senta la quantità di sostanza che passa nell'unità di tempo (espresso in
giorni) attraverso l’unità di superficie. Per ogni valore numerico dell’espres-
sione precedente, sì ha una stratificazione caratteristica. L'autore citato ha
calcolato e disposto in apposite tabelle le serie corrispondenti ai valori pos-
sibili dell'espressione GAD, cosicchè il calcolo dei coefficienti di diffusione
2Vtk
risulta singolarmente abbreviato.
Nelle tabelle seguenti abbiamo riunito i dati inerenti alle nostre espe-
rienze, riserbandoci di dare altrore maggiori particolari, specialmente per
ciò che riguarda i metodi analitici, che non sono sempre agevoli.
Sostanza aa l'emper. Metodo di dosamento Tempo
°/o in giorni
Alcool metilico . 100 24° densità 1.92
» etilito . . 100 20 ” 8.00
Glicerina. . . . 50 24 ” 1.68
Fenolo.. ..u. 0 22 titolazione con Br 2.70
Saccarosto > ce 210 22 potere rotatorio 1.51
Acetamide NN VETO 24 saponificaz. e titolaz. di NH; 2.00
Esametilentetramina 8 21 titolaz. con rosso di metile 1.87
(*) Se la discesa è lenta, si può accelerarla esercitando una leggera pressione con
un semplice dispositivo, che non descriviamo per brevità, a mezzo del tubo aa.
(?) Sitzungsberichte Akademie der Wissenschaften (1879) 79, 184.
— 465 —
In queste condizioni osservammo le seguenti stratificazioni:
Num. Alcool Alcool Glicerina Fenolo Saccarosio Aceta- Esametilen-
metilico etilico mide tetramina
1 2233 2446 2681 2209 3026 2202 2658
2 2057 2309 2305 2090 2781 1936 2227
3 1778 1694 1787 1876 1981 1577 1745
4 1819 1210 1291 1344 1139 1392 1915
D 892 850 809 1042 561 1080 957
6 653 588 658 738 296 759 577
7 432 412 254 465 141 482 282
8 289 229 128 ALZATE 78 292 134
9 250 157 Tal 59 40 166 67
10 142 105 36 0 0 118 40
h
= 070.22: 0.24 0.26 0.22 0.32 0.22 0.26
2V/kt
Da questi dati si calcolano i valori di % ('), e da questi, con gli altri (?)
raccolti nella seguente tabella, si hanno i pesi molecolari:
Sostanza k v È Peso mol. P. mol. Idrataz.
calcolato trovato (mol. Hs0)
Alcool metilico . 0.789 1.262 0.009172 32 66.6 1.9
» etilico . . 0.396 1.246 0.01006 46 319 TIbEO
Glicerina . . . 0.555 0.793 0.009172 929 250 8.9
Fenolo . . . . 0.525 0.932 0.009116 94 214 6.7
Saccarosio . . . 0.442 0.630 0.009616 342 5830 10.5
Acetamide . . . 0.709 0.870 0.009172 59 109 2.8
Esametilentetramina 0.543 0.753 0.009838 140 221 4.4
La tendenza ad idratarsi in soluzione sembra dunque notevole per le
sostanze da noi prescelte: ad eliminare però qualsiasi dubbio sull'esistenza
di queste anomalie nei pesi molecolari, era necessario di determinarne alcuni
per corpi che presumibilmente non si combinano col solvente (*). Per le
(') Esistono misure di Oeholm sul saccarosio e l’acetamide, di Thowert sugli aleools
etilico, metilico ed il fenolo, e di Heimbrodt sulla glicerina. Taluni dei risultati di questi
autori differiscono non poco dai nostri, ma noi crediamo di dover ritenere come più
attendibili le nostre misure: 1°) perchè i pesi molecolari calcolati con quei valori risul-
terebbero di gran lunga inferiori ai teorici; 2°) perchè le velocità di diffusione a noi
risultano in gran parte inferiori a quelle degli autori citati; ora, la cosa più probabile
è che gli errori commessi siano in più.
(?) I valori di v si calcolano dalle densità che si trovano nella letteratura; quelli
di £ dalle misure, più recenti, di Bingham e White (Zeitschrift fùr physikal. Chemie,
LXXX, 670).
(*) Gli innumerevoli dati crioscopici che si rinvengono nella letteratura permettono
di calcolare facilmente che le sostanze da noi usate hanno in soluzione acquosa molecole
semplici,
Si noti che, per i corpi più densi dell'acqua, quando avviene l’idratazione, i valori
— 466 —
misure eseguite da uno di noi con A. Matteucci (*) sui coefficienti di tem-
peratura della tensione superficiale, in soluzioni benzoliche di idrocarburi
aromatici, non sembra manifestarsi in modo sensibile il fenomeno della
combinazione col solvente: abbiamo dunque pensato di misurare la velocità
di diffusione in benzolo di alcuni idrocarburi, non troppo volatili, per poterli
pesare direttamente dopo aver fatto svaporare il benzolo. Ecco i risultati di
tali esperienze.
Sostanza Cone. della soluz. Temperatura Metodo Tempo
di dosamento in giorni
Naftalina 10 24 pesata 1,08
Difenile . . . 8 26 ” 1,00
Dibenzile . 8
26 ” 0,75
Le stratificazioni risultarono come segue :
Sostanza Naftalina Difenile Dibenzile
2501 2518 2854
2288 2307 2624
1864 1833 1969
1367 1326 1189
876 864 694
594 518 337
341 290 157
112 172 72
70 104 53
47 68 51
AI 0,245 0,26 0,31
2y kt
Finalmente, per la costante di diffusione, i volumi specifici, l'attrito
interno (?) ed i pesi molecolari, abbiamo i seguenti valori:
Sostanza k v È Peso molecolare Peso molecolare
calcolato trovato
Naftalina 1,059 0,8688 0,00593 128 121
Difenile 1,016 0,858 0,00580 154 152
Dibenzile 0,953 0,878 0,00580 182 180
di v, da noi calcolati in base alle densità allo stato puro, saranno più piccoli del vero, e
quindi i pesi molecolari da noi calcolati sono probabilmente maggiori del vero; pei corpi
meno densi dell’acqua l’errore probabile è in senso inverso. Tuttavia, non differendo di
molto le densità da quella dell’acqua, questa consideraziooe non può alterare sensibilmente
i risultati.
(*) Questi Rendiconti, 1914, II, 590.
(3) Le densità della naftalina e del difenile erano già state determinate; quella.
del dibenzile l'abbiamo misurata noi.
L’attrito interno del benzolo è dedotto dalle esperienze di Faust (Zeitschrift fir
physikalische Chemie, LXXIX, 99).
— 467 —
Questi risultati ci sembrano abbastanza soddisfacenti, considerando che,
anche nelle determinazioni dei pesi molecolari coi metodi crioscopico ed
ebullioscopico, si incorre in errori dello stesso ordine di grandezza: e si
noti che nel nostro caso entrano in giuoco numerosi fattori, tutti da deter-
minarsi sperimentalmente; ed entrano tutti (meno il volume specifico) nella
espressione che dà il peso molecolare, con potenze superiori ad uno, cosa
che accresce di molto l'influenza degli errori. Tuttavia noi crediamo che,
con determinazioni numerose ed accurate, si potrà arrivare a risultati ancor
più precisi.
Chimica. — Sopra alcuni derivati della metilvanillina, e
sopra un nuovo prodotto di condensazione (*). Nota preliminare di
B. L. VANZETTI, presentata dal Socio G. KoERNER (?).
In prosecuzione di alcune ricerche sui derivati dell’ 7so/zvz/e (*) ho avuto
occasione di occuparmi, alcuni anni or sono, dei prodotti di condensazione e di
ossidazione della metilvanillina: e precisamente ho potilto preparare una certa
quantità di veratrile e di veratroino, seguendo le prescrizioni ben note per
la preparazione degli analoghi derivati del benzile e della benzoina. Alcun
tempo dopo ripresi il lavoro per tentare la sintesi dell'ucido veratrilico,
corrispondente al benzilico, e mi venne incidentalmente sott’occhio una
pubblicazione di P. Fritsch (4), in cui si trovava la descrizione del vera-
troino e del veratrile, preparati a tutt'altro scopo, con processi poco diversi
da quelli usati da me. Potei così constatare la identità dei risultati e, tra
altro, il curioso comportamento del veratroino, il quale, contrariamente a
quanto accade per i suoi analoghi, non si è potuto ottenere cristallizzato.
È inutile che io elenchi in questo luogo i tentativi da me fatti per otte-
nere questo corpo allo stato cristallino; mi riservo di descrivere per esteso
tutti questi derivati e le loro caratteristiche altrove, quanto prima, e mi
limito ad accennare qui alla preparazione dell'acido veratrilico, per dire di
una interessante reazione di trasformazione riscontrata da me accidentalmente
nel corso delle numerose ricerche, e per quanto so, per la prima volta in
questo gruppo di composti.
(') Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica organica della 'R. Scuola superiore
di agricoltura di Milano e nel laboratorio di chimica generale della R, Università di
Padova.
(*) Pervenuta all'Accademia il 28 ottobre 1915.
(3) Korner e Vanzetti, Ricerche sopra l’olivile (Memorie d. R. Accad, dei Lincei,
1911).
(4) Synthese in der Isochinolinreihe (Lieb. Ann., 329, pp. 37-65, an. 1903).
— 468 -—
L'acido veratrilico (3-4, 3'-4'-tetrametossibenzilico) non si ottiene così
facilmente dai suaccennati composti a funzione chetonica, secondo la nota
trasposizione e ossidazione:
\0H | DIA liggtal NL
CH—C0 — C0H , (C0—Co — CoH
Rao
COOH COOH
come avviene per il benzile, l’anisile, il piperonile ed altri, in cui la rea-
zione è poco meno che quantitativa; ma sembra che la molecola, con la
introduzione di nuovi metossili, sia divenuta più inerte rispetto a quella
reazione e più adatta invece ad altre trasformazioni, a tutta prima im-
previste.
Per esempio, mentre il benzoino si trasforma direttamente in acido
benzilico per semplice azione di una corrente d'aria, in presenza di alcali
a caldo [Klinger (')], il veratroino si ossida quantitativamente a veratrile
e l'ossidazione non procede oltre. Anche il trattamento del veratrile con
potassa acquosa, col metodo indicato da M. Marx per l’esametossibenzile (°),
non conduce a migliori risultati, perchè neppure dopo 20 ore di ebollizione
il veratrile accenna minimamente a passare in soluzione. Solo l’aggiunta di
alcool, o, meglio, il trattamento diretto del veratrile con soluzione alcoolica
di idrato potassico, permette il passaggio in soluzione, in seguito a contatto
prolungato a caldo. Anche in questi casi, però, il rendimento è lungi dal-
l'essere quantitativo; tuttavia l'acido si ottiene subito allo stato di sufficente
purezza, in piccoli gruppi di mammelloni bianchi, o in bellissimi aghi se-
tacei, lunghi più di un centimetro, disposti a sfera. Il punto di fusione loro
è a circa 68°; a 105° avviene una parziale scomposizione (eliminazione
d'acqua) e a 150° s'inizia un imbrunimento, che va aumentando con l’ele-
varsi della temperatura. All’analisi la molecola organica si mostra idratata:
la composizione corrisponde cioè a C,g8 H290;.Hs0.
Con la speranza di trovare una via più acconcia per la preparazione
di questa sostanza, ed avendo un po’ di acido veratrico gentilmente cedutomi
dal prof. Koerner, ò preparato del veratrofenone (3, 4, 3’, 4'-tetrametossiben-
zofenone: punto di fus. 144°.5) attraverso il cloruro di veratroile (fondente
a 70-71°), che fu combinato con una molecola di veratrolo, in presenza di A1C];.
Dal veratrofenone, per addizione di ioduro di Mg-metile, ò preparato il dive-
(1) Ber. d. d. Ges., 19, pag. 1868. — Secondo Biltz e Wienands (Lieb. Ann., 308,
pag. 11), anche l’anisile, in presenza di potassa e in corrente d'aria, si trasforma in acido
anisilico.
(?) Lieb. Ann., 263, pag. 255.
— 469 —
ratrilmetilearbinolo (punto di fus. 95-96°) e il diveratriletilene, dal quale,
per ossidazione, si può ottenere l'acido veratrilico:
R CH R_x_-CH R_x_-0H
R700 4 Mg; ° > p>l R?l<0H —>
OH
COOH
Descriverò, in altro luogo, anche queste sostanze; mi basti dire, per ora,
che questa via non si mostrò conveniente per la preparazione dell’acido ve-
ratrilico, e dovetti perciò ricorrere ancora al veratrile ed ebbi così occasione
di studiarne meglio il comportamento verso l’idrato potassico a fusione. Questa
reazione dà, per l’acido benzilico e per l’anisilico, dei rendimenti abbastanza
elevati; meno per il piperilico. Col veratrile le cose vanno ancor peggio;
tanto che si può avere in prevalenza formazione di acido veratrico. I ren-
dimenti variano inoltre, in sommo grado, col variare della temperatura alla
quale si fa la fusione, e possono intervenire contemporaneamente delle tras-
formazioni più complicate, per le quali la massa assume una colorazione
più scura e si ottengono sostanze di aspetto resinoso. Da queste sostanze
resinose, per azione successiva di varî solventi, sono riuscito ad isolare una
sostanza giallo-arancio, che cristallizza in laminette dall'aspetto dell’azo-
benzolo. Su di essa è tentato alcune prove, che mi hanno condotto a con-
statazioni molto interessanti. Essa è insolubile nell'acqua e nelle soluzioni
alcaline calde, o fredde; solubile nei solventi organici. È sublimabile. Lasciata
ricristallizzare dall’acido acetico, si deposita in bellissimi aghetti rosso-bruni
lucenti; i quali alla temperatura di 110-120° si ritrasformano nel composto
giallo aranciato fondente a 198°. Con acido solforico concentrato freddo dà
una bella colorazione verde-azzurra, che in pochi minuti si muta in una colo-
razione rosea e, in seguito a diluizione spontanea, o provocata, dà luogo a
un intorbidamento rossiccio, dovuto al riprecipitarsi della sostanza allo stato
di polvere. Colorazioni simili sono date dal veratrile e dall’acido veratrilico.
Da una prima analisi risulterebbe che la sua composizione è molto pros-
sima a quella del veratrile, con un po’ meno d’idrogeno. L'aspetto ed il
comportamento chimico fanno pensare ai derivati di nuclei condensati, tipo
fenantrene, o antracene. Parrebbe trattarsi cioè del fenantrenchinone, o del-
l’antrachinone corrispondente; più probabilmente del secondo, perchè non si
à, con o-fenilendiammina la nota reazione delle chinossaline (!); è inoltre
da notarsi che per ossidazione non si è ottenuto l'acido deidroveratrico
corrispondente, noto (*), e d'altra parte il composto è perfettamente indif-
ferente all’azione di SO, e dei bisolfiti alcalini.
Supposto che non si tratti di un composto proveniente da parziale sme-
tilazione, il che è poco vero simile, credo che si potrà ricercare l'analogo
e R>C—=CH; I i
(1) G. Kòrner, Atti Ist. lombardo, giugno 1881; O. Hinsberg, Ber. XVII, 318 (1884);
e G. Kérner, Rend. Acc. Linc., VIII, 219, transunti.
(3) Herissey e Doby, Centralbl., 1909, II, pag. 1807.
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 62
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nella resina rossa che si ottiene dalla scomposizione termica dell'acido ben-
zilico, dalla quale non credo si siano mai potute isolare sostanze cristalliz-
zate ('). Mi sono proposto, perciò, di studiare il prodotto resinoso rosso
dell'acido benzilico, più facilmente accessibile; e spero di poter riferirne
tra breve.
Microbiologia. — Wteriori ricerche sull'attività proteolitica
dei fermenti lattici. II. L'influenza del substrato (*). Nota del
prof. CosranTINO GorINI, presentata dal Socio G. BrIosI (*).
Nell'anno 1907 (*), descrivendo un tipo di batterio acido-presamigeno
isolato dalle mammelle vaccine, davo il primo esempio di un fermento lattico
il quale rivelava il proprio potere proteolitico solamente nelle culture in
latte e non nelle culture in gelatina. Nell'anno 1910 (*), descrivendo un
tipo di cocco acido-presamigeno isolato dal formaggio, davo un secondo esempio
di mancata corrispondenza proteolitica fra le culture in gelatina e le culture
in latte di un medesimo fermento lattico. Venni così a mettere sull'avviso che
la incapacità di liquefazione della gelatina non fornisce un criterio bastevole
per escludere l’azione peptonizzante di un dato fermento lattico sulla caseina (%).
Dimostrai, peraltro, che tale diverso comportamento non è attribuibile ad una
differenza fra l'enzima proteolitico agente sulla gelatina e quello agente sulla
caseina; infatti, se si prende della gelatina sterile, la si fonde, la sì addiziona
di qualche goccia di lattocultura peptonizzata dei suddetti batterî, la si mette
solo per qualche ora alla temperatura di digestione, e la si riporta poi alla
temperatura ambiente od anche in ghiaccio, essa, a differenza della gelatina
di controllo, non risolidifica più, dando così segno indubbio che la sua pepto-
‘nizzazione è avvenuta in grazia dell'enzima proteolitico che era contenuto
nella lattocultura aggiunta (7).
A spiegazione del non parallelismo della gelatinocultura colla lattocultura
io addussi allora la deficiente attitudine eugenesica della gelatina verso quei
tipi di batterî, i quali effettivamente nella gelatinocultura si sviluppavano
(1) A. Jena, Ber., II (1869); Nef, Lieb. Ann., 298, pag. 241.
(3) Lavoro eseguito nel Laboratorio di batteriologia della Scuola superiore di agri-
coltura di Milano.
(*) Pervenuta all'Accademia il 25 ottobre 1915.
(4) Gorini C., Il Bacillus minimus mammae, in Rendic. Ist. lomb. sc. e lett., 1907,
pag. 947; 1908, pag. 122.
(5) Gorini C., / cocchi acido-presamigeni del formaggio. in Rendic. R. Acc. Lincei,
1910, pag. 150.
(9) Le mie ricerche furono poi confermate da varî autori, fra cui S. H. Ayers di
Washington (28° Annuel Report of the Bureau of animal industry of the U. S. Depart-
ment of agriculture, 1911, pag. 229).
(*) Ved. anche il mio lavoro Sui presami animali e microbici, in Rend. R. Ist. lomb.
sc. e lettere 1908, XLI, pag. 117. i
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stentatamente. Senonchè, in seguito, ho incontrato altri tipi di fermenti lattico-
caseolitici i quali non fondevano la gelatina, sebbene vi si sviluppassero
rigogliosamente; per tali casi adunque era necessario di cercare un’altra inter-
pretazione del contraddittorio comportamento in gelatina. Questa ricerca forma
oggetto della presente Nota.
Melo
Data l'insufficienza della gelatinocultura a svelare l’attività proteolitica
dei fermenti lattici, è chiaro che, se si ricorre alle piatte in gelatina per
l'isolamento dei fermenti latticocaseolitici, bisogna trapiantare in latte non
solamente le colonie fondenti ma anche tutte le colonie non fondenti, come
praticai appunto nei miei primi studî sull'argomento.
Desiderando evitare spreco di tempo e di materiale, ho pensato che si
sarebbe potuto agevolare il còmpito allestendo le culture a piatto non più
in gelatina, ma in agar addizionato di latte, che è quanto dire in latte
reso solido coll'aggiunta di agar. Per preparare questo agarlatte, parvemi
superfluo di ricorrere all'aggiunta di estratto di carne e peptone come si usa
per il comune agar nutritivo; dappoichè si tratta di germi proprî del latte,
basta offrir loro un agarlatte nel quale l'agar serva esclusivamente da soli-
dificante. A tal wopo faccio una soluzione semplice di agar in acqua al 2°/,
che distribuisco e sterilizzo in provette o in boccette; al momento dell'uso
la faccio fondere, vi mescolo del latte sterilizzato nella proporzione di 1
su 2 e poi verso nelle piatte l'agarlatte. Per prevenire una intempestiva
parziale solidificazione dell'agar, è consigliabile di riscaldare il latte a circa
50° C. prima di mescolarlo coll’agar; la seminagione può esser fatta per
disseminazione nell’agarlatte tuttora liquido a 40° C., prima di versarlo nella
piatta, oppure per s/risezamento sull'agarlatto già solidificato nella piatta.
A meno che sì tratti di germi anaerobii obbligati, è preferibile questa seconda
maniera perchè riesce più facile di ravvisare le colonie caseolitiche.
Le colonie caseolitiche spiccano sul fondo biancastro opaco dell’agarlatte
per il fatto che attorno ad esse si forma una zona chiara di limpidificazione,
dovuta alla solubilizzazione (peptonificazione) della caseina circostante. Questo
alone è tanto più esteso quanto maggiore è l'attività proteolitica del batterio
e quanto meno numerose e stipate sono le colonie che si sviluppano su una
medesima piatta; ciò per ragioni ovvie di concorrenza vitale. Curioso, però,
che la larshezza dell'alone non è sempre proporzionale alla grandezza della
colonia; vi sono delle colonie di batterî acidopresamigeni piccole, puntiformi,
le quali si circondano di una zona di chiarificazione smisuratamente estesa,
assai più estesa di quella che attornia colonie più grandi. Ciò va d'accordo
con quanto si rileva talvolta anche nelle culture di siffatti batterì in gelatina,
dove si scorgono coloniette, grumetti minutissimi, nuotare in seno a grandi
masse di gelatina fusa (!).
(1) Ved. nel mio lavoro Sui datteri dei dotti galattofori il tipo di cocco che designai
«a rapida e sproporzionata fusione », in Rend. R. Ace. Lincei, 1902, pag. 162.
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Per questo mezzo delle culture su agarlatte ho potuto accertare l’atti-
vità proteolitica in fermenti lattici che nelle culture in gelatina non fluidi-
ficavano; non solo, ma ho potuto svelare tale attività in fermenti lattici che
non la palesavano nemmeno, o appena dubbiosamente, nelle stesse culture in
latte. Tutto ciò sta a provare che la capacità dei fermenti lattici di attac-
care la caseina è di constatazione difficile e delicata; essa si mostra tanto
legata, non solamente alle condizioni di temperatura e di aerobiosi (come ho
dimostrato in altri lavori) (') ma altresì alla natura del substrato, che
differenze anche minime nella composizione di questo possono impedirne la
manifestazione.
Queste differenze minime sono bene spesso inafferrabili, come quelle che
si riferiscono alle qualità del latte impiegato per le culture (?). Già a0 ordgine
i latti possono differire fra loro per ragioni fisiologiche inerenti alle mungane;
ancor più lo possono poi per opera degli enzimi e dei germi ‘che, nel lasso
di tempo più o meno lungo inter corrente fra la mungitura e l’arrivo in La-
boratorio, hanno campo di alterarlo e di elaborarvi varî prodotti eterogenei;
in Laboratorio infine l'operazione della sterilizzazione più o meno profonda a
cui il latte va soggetto, e la più o meno lunga permanenza del latte allo
stato sterile prima di essere coltivato, sono altrettante cause di modificazioni
che, in base alle mie osservazioni, appaiono sufficienti a influire sul dispie-
gamento dell'attività caseolitica da parte dei fermenti lattici.
Ho potuto convincermi di tutto ciò in occasione dei trapianti periodici in
latte che da parecchi anni vado facendo dei fermenti lattici della mia collezione.
Pur troppo nella maggior parte dei casi ho dovuto limitarmi a constatare
il fatto della irregolare comparsa o scomparsa dell'attività caseolitica in un
medesimo fermento lattico, e a riconoscere che il fenomeno non poteva di-
pendere da altro che dalla diversa qualità del latte, senza tuttavia arrivare
a darmene ragione precisa, avendo escluso le altre influenze (temperatura,
aerobiosi, ecc.).
Ultimamente però le suaccennate culture in agarlatte mi hanno messo
sulla via di avanzare un'ipotesi o, meglio, di rintracciare una spiegazione
che può attagliarsi a molti casi.
*
x *%
Come ho fatto conoscere da parecchio tempo (*), una delle sedi abituali di
batterî acidopresamigeni, che sono poi fermenti latticocaseolitici, è la mammella
(*) Gorini, C., Bollettino uff. del Min. agricoltura, Roma, -1897. — Annales de
micrographie, Parigi, 1897, IX, pag. 433.
(?) Gorini C., Rend, R. Ist. lomb. sc. e lett. 1907, XL, pag. 947.
(*) Gorini C., Rend. R. Ist. lomb. sc. e lett., 1901, vol. 34, pag. 1279; Rendiconti
R. Ace. Lincei, 1902, pag. 162. — Landwirts. Jahrbueh der Schweiz, 1902, pag. 22; Cen-
trabl. f. Bakter, II Abt., 8, 1902; Revue générale du lait, 1902.
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vaccina, dalla quale essi fuorescono col latte, e segnatamente colle prime
stille di latte. Se si prende qualche goccia di questo primo latte e lo si
semina per strisciamento su piatte di agarlatte, è ben raro di non assistere
allo sviluppo di colonie munite dell'alone caseolitico sopradescritto. Se però
queste colonie vengono trapiantate in latte, non sempre (com' è ovvio di intuire
da quanto ho esposto indietro) si verifica la conferma dell'attività caseolitica.
Orbene, in alcuni casi di fallita conferma ho provato a riportare la
cultura su agarlatte per assicurarne l'identità; con mia sorpresa, notai che
il batterio più non si rivelava caseolitico nemmeno sull’agarlatte: che cioè
le colonie vi restavano prive di alone caseolitico. Eppure nei rispetti mor-
fologici non c'era dubbio sulla purezza delle culture. Pensai allora d’inda-
gare se nella preparazione dell’agarlatte vi fosse stata qualche modificazione
alla quale attribuire il modificato comportamento del batterio; non ne rav-
visai altra apprezzabile, all'infuori della qualità del latte adoperato. E per
vero, l'agarlatte, che aveva servito alla semina originaria fatta direttamente
dalla mammella, era stato allestito col medesimo latte appena munto; invece
l’agarlatte delle semine successive era stato allestito con latte commerciale
non più certamente fresco e quindi indubbiamente alterato per via enzima-
tica e microbica. Volli ripetere la prova su agarlatte al latte appena munto;
e le colonie di quella medesima cultura ricomparvero coll’alone caratteri-
stico di peptonificazione. Laonde mi parve lecito di supporre che la causa della
mancata manifestazione proteolitica stesse in qualche condizione per cui il
latte commerciale differisce dal latte appena munto.
Troppe sono le cause che possono far variare i due latti, segnatamente
per azione microbica ed enzimatica, perchè io mi proponessi di prenderle
in esame singolarmente. Una però ve ne ha, sulla quale parvemi meritasse
fermare l’attenzione, perchè mi permetteva di estendere al caso mio una
legge fisiologica che è già stata invocata per giustificare la incostanza e per-
fino la perdita di proprietà funzionali presso altri batteri.
È noto, ad es., che certi azotobatterî cessano dall'assimilare l'azoto
libero quando sono coltivati nei laboratorî in mezzi troppo nutritivi, talchè,
volendo utilizzare culture artificiali di quei microbi per arricchire di nitro-
geno il terreno, sì è pensato di affamarli, di obbligarli cioè anche nelle cul-
ture artificiali a lavorare per procurarsi il cibo azotato. Ora, mi domandai,
non potrebbe verificarsi un fatto consimile anche per certi fermenti lattici
rispetto alla loro attività proteolitica? Non potrebbe essere che essi siano
stimolati a produrre il necessario enzima peptonizzante solamente quando
non hanno a disposizione abbondanza di albuminoidi solubili? In tal guisa
sì comprenderebbe, almeno in parte, la sospensione delle loro manifestazioni
caseolitiche in presenza di alcuni latti, considerando che le albumine solu-
bili, naturalmente contenute nel latte, possono variare per ragioni fisiologiche,
considerando ancora che esse possono venire più o meno completamente pre-
cipitate nel processo di sterilizzazione, considerando altresì che un latte può
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arrivare in laboratorio colla caseina già parzialmente solubilizzata da germi
peptonizzanti; e via dicendo.
Io ho incontrato latti commerciali dai quali, mediante candela Cham-
berland, filtrava un siero che dava precipitati non indifferenti con acido
fosfovolframico e con solfato ammonico, mostrando quindi di contenere rag-
guardevoli quantità di albuminoidi solubilizzati. Simili latti avrebbero potuto
ben servire per rispondere al quesito sopraindicato: senonchè, in primo luogo,
il quantitativo di albuminoidi disciolti, che può indurre un batterio a rispar-
miarsi dall’'elaborare enzimi proteolitici, non è certamente suscettibile di
determinazione; in secondo luogo, un latte commerciale può, per via micro-
bico-enzimatica, aver subìto anche altre alterazioni capaci di influire sul
comportamento delle culture. ì
Pertanto, desiderando controllare l'attendibilità della ipotesi avanzata,
ho stimato miglior consiglio mettere a raffronto due agarlatti preparati colla
medesima qualità di latte appena munto, ad uno dei quali fosse stato aggiunto
del peptone secco Witte (') nella proporzione di !/,°/. Facendo culture com-
parative con diversi tipi di fermenti latticoproteolitici, ho constatato che
alcuni di essi, e precisamente quelli a potere caseolitico incostante, nel-
l'agarlatte semplice davano colonie piccole ma alonate, mentre nell'agar-
lattepeptone davano colonie prive di alone caseolitico sebbene meglio svi-
luppate. Resta così provato che dl contenuto di albuminoidi solubili (peptoni)
inun latte è da ritenere altra delle cause per cui un fermento lattico non
manifesta le proprie attività caseolitiche.
Se ora riflettiamo all’altro fatto, da me pure messo in luce, di fermenti
latticoproteolitici che nelle culture in gelatina si sviluppano senza fonderla,
mentre poi l'enzima caseolitico da essi prodotto nelle latto-culture eser-
cita azione fiuidificante sulla gelatina stessa, sembrami logico di ammettere
che la presenza di peptone nella gelatina nutritiva sia la causa della man-
cata elaborazione di enzima proteolitico da parte delle colonie ivi svilup-
pantisi. Disgraziatamente qui non sarebbe indicato di istituire culture com-
parative su gelatina con e senza peptone, perchè la gelatina semplice senza
aggiunta di albuminoidi solubili non è materiale nutritivo sufficiente per i
fermenti lattici, come del resto per la pluralità dei batterî.
*
x x
Riassunto E DEDUZIONI. — Riassumendo, adunque, la presente Nota
reca un nuovo contributo alla dimostrazione, da me già data in precedenti
(1) Ho specificato la qualità di peptone adoperato, perchè data la grande variabilità
dei peptoni che vanno sul commercio, è possibile che con altri peptoni si ottengano ri-
sultati differenti. Circa l'influenza della qualità del peptone sul biochimismo dei bat-
terî vedasi il mio lavoro pubblicato nel 1893 sul « Giornale della R. Società Italiana
d’Igiene », anno XV, n. 5.
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lavori, circa la influenza del substrato sull'attività proteolitica dei fermenti
lattici.
Quest influenza si rivela in modo manifesto cor/rontando il compor-
tamento di certi fermenti lattici nelle culture in gelatina e nelle culture
in latte, in quanto essi, mentre peptonificano il latte, non arrivano a fluidi-
ficare la gelatina, sebbene d'altra parte gli enzimi caseolitici da essi elabo-
rati in latte si dimostrino atti a peptonizzare la gelatina.
Ma l'influenza del substrato è così sensibile che si rivela puraneo con-
frontando il comportamento di uno stesso fermento lattico di fronte a
diverse qualità di latte, sia coltivandolo nel latte liquido tal quale, sia
coltivandolo nel latte reso solido con agar (agarlatte). Onde ne deriva che
l’azione caseolitica di certi fermenti lattici appare incostante per cause per
lo più imprecisabili e dipendenti verosimilmente dalle alterazioni snbìte dal
latte prima, durante o dopo la sua sterilizzazione in laboratorio.
Fra le cause che valgono a spiegare l’incostanza dell'attività caseoli-
tica dei fermenti lattici va annoverato il contenuto in albuminoidi solu-
bili (peptone) del latte, massime del latte commerciale. Per analogia è lecito
di inferire che la mancata fluidificazione della gelatina nutritiva da parte di
certi fermenti latticocaseolitici debba ascriversi agli albuminoidi solubili
(peptone) in essa contenuti.
Ciò guida alla supposizione che presso certi fermenti lattici Io stimolo
a produrre enzimi proteolitici sia subordinato al bisogno di procurarsi del-
l'azoto solubile per il proprio sostentamento; quando essi trovano quest'azoto
solubile in quantità sufficiente e già bell'e pronto nel substrato, potrebbero
esimersi dal secernere l'enzima solubilizzante.
Comunque sia, resta accertato, dalle mie ricerche precedenti e dalle
attuali, che per giudicare della capacità proteolitica di un fermento lattico
non sono criterî sufficienti le culture in gelatina e nemmeno le culture in
qualunque sorta di latte; bisogna esperimentare variando le qualità di latte e
tenendo conto particolarmente delle differenze che possono intercorrere fra
i latti freschi appena munti e i latti commerciali, massime nei riguardi del
contenuto in albuminoidi solubili (peptone), per cause microbiche ed enzi-
matiche.
Ed ora, se sommiamo quello che ho esposto nella presente Nota circa
l'influenza del substrato, con quello che ho esposto nella Nota precedente (')
circa l'influenza della temperatura sulle manifestazioni proteolitiche dei
fermenti lattici, vediamo come occorra procedere guardinghi prima di esclu-
dere che un fermento lattico sia capace di peptonizzare la caseina in am-
biente acido, e come sia lecito di presumere che tale capacità (da me prima-
mente messa in luce) sia più diffusa di quanto indurrebbero a ritenere gli
autori che delle suddette infiuenze non si sono preoccupati.
(3) Gorini C., Rend. R. Acc. Lincei, 1915, 24°, pag. 369.
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Chimica. — Amadisi termica delle miscele degli idrati alca-
lini coi corrispondenti alogenuri. III: Composti di litio ('). Nota
di GrusePPE SCARPA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN.
In due Note (°) precedenti ho esposto i risultati ottenuti studiando il
comportamento termico delle miscele degli idrati di potassio e di sodio coi
corrispondenti composti alogenati.
Da questi risultati sì deduce che la tendenza a dar composti fra idrati
e alogenuri dello stesso metallo aumenta dal potassio al sodio. Dato questo,
per completare le mie ricerche mi parve non privo di interesse di esten-
dere lo studio termico ai sistemi formati dai corrispondenti composti di litio,
per vedere se, data la minore elettroaffinità del Li* rispetto a quella del
Na*, aumenti la tendenza a dare questi composti ossialogenati.
Vennero studiate perciò le quattro coppie di sali seguenti: Li OH-Li F,
LiOH-LiC1, LiOH-LiBr, LiOH-LiJ. Per le esperienze mi servii del di-
spositivo già usato per i sali potassici e sodici.
Dei sali adoperati, l’idrato ed il fluoruro di litio provenivano dalla ditta
Kahlbaum di Berlino; il cloruro, il bromuro e l’ioduro dalla ditta C. Erba
di Milano.
Come per l’idrato di potassio e di sodio, venne STORTO la quantità
di umidità e di carbonato contenuto nell’idrato di litio. L'analisi diede i
risultati seguenti:
Li0H contiene: LiOH—:98,5/:, Li. C0;=0:8/%0, H-:0 —04789.0
La disidratazione dei sali di litio venne fatta per essiccazione in capsula
di platino. Dopo essiccazione però si nota che questi sali, a differenza dei
corrispondenti sali di potassio e di sodio, reagiscono debolmente alcalini, a
causa di piccole tracce di ossido e di carbonato che in essi si formano du-
rante il riscaldamento all'aria.
Durante le esperienze il peso delle miscele fu tenuto costantemente
eguale a venti grammi.
Sistema LiOH-Li Fl.
Sul punto di fusione dell'idrato di litio si hanno dati scarsi ed incerti.
Secondo Dittmar (*) e De Forcrand (4), il punto di fusione di questo sale
giace a 445°; dalle mie esperienze esso risulta a 462°. Alquanto superiore
(*) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica generale della R. Università di Padova,
diretto dal prof. G. Bruni.
(*) Rend. Accad. Lincei, XXIV, 1° sem., pag. 7388; XXIV, 1° sem., pag. 955.
(£) Journ. of Soc. chem. industry, 7, 733 (1888).
(4) Compt. rend., /42, 1255 (1906).
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a quello dato da Carnelley (*') (801°) giace il punto di fusione del fluoruro di
litio, da me trovato a 840°. Come appare dalla figura 1*, questi due sali
sono completamente miscibili allo stato liquido, e danno soluzioni solide,
in rapporti assai ristretti.
La curva di cristallizzazione primaria discende dal punto di solidifica-
zione del fluoruro di litio sino ad un eutettico alla temperatura di 4309,
e risale poi lentamente al punto di fusione dell’idrato di litio. Sulle curve
di raffreddamento si nota in modo evidente l'arresto eutettico per tutte le
miscele da 5 a 85 mol. °/, circa di LiOH. Queste percentuali molecolari
possono quindi essere assunte come i limiti di miscibilità, allo stato solido,
dei due sali, la cui miscela eutettica presenta il massimo di durata a 80
mol di LOHT
TABELLA I.
o ? o o în Temperature Temperature Temperature È
si lo | Mol. °/o | Peso °/o | Peso °/o cristallizzazione fine arresto DES
LiOH LiFI LioH LiFl primaria cristallizzazioni eutettico in secondi
0.00 | 100 00 0.00 | 100.00 840 — — —
2.50 97.00 2.32 97.68 895 740 — —
5.00 95 00 4.64 95.36 820 — 420 10
10.00 90.00 9,30 90.70 810 — 420 20
20.00 80.00 18.80 81.20 770 — 420 25
25,00 75.00 23.50 76.50 750 _ 425 30
30.00 70.00 28.40 71.60 735 _ 425 45
35.00 65.00 88.20 66 80 710 — 450 60
40.00 60.00 38.10 61.90 695 — 30 70
45.00 55.00 43.20 56.80 665 _ 450 80
50.00 50.00 | 47.90 52.10 635 — 430 90
55.00 45.00 58.00 47.00 605 —_ 430 100
60.00 40.00 58.00 42.00 555 _ 450 105
65.00 85.00 63.88 36.12 520 _ 450 115
70.00 30.00 68 30 81.70 495 —_ 430 125
75.00 25.00 | 73.40 26.60 460 _ 430 140
80.00 20.00 78.60 21.20 450 _ 430 160
85.00 15.00 85.90 16.10 455 —_ 430 90
90.00 10.00 89.20 10.80 445 _ 430 10
95.00 5.00 94.60 5.40 455 445 —_ —_
100.00 0.00 | 100.00 0.00 462 _ _ _
Per alcune miscele, che dànno luogo a formazione di cristalli misti, si
potè cogliere in modo preciso la fine della cristallizzazione. (Ved. fig. 1
e tab. 1).
Sistema LiOH-LiCI.
Il punto di fusione del cloruro di litio, da me trovato, giace a 605°, ed
è in buon accordo quindi con quello degli altri sperimentatori [Guntz (?)
(600°), Huttner e Tammann (*) (600°), Zemezuzny e Rambach (4) (614°)].
(1) Journ. of chem. soc., 23, 281 (1878).
(*) Compt. rend., 1/7, 732 (1893).
(*) Rendiconti Accad. Lincei, 22, 1° sem., 631 (1913).
(*) Zeitschr. anorg. Chem., 65, 403 1910).
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 63
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I dati termici di questo sistema sono rappresentati nella fig. 2 e raccolti
nella tabella II. La curva di cristallizzazione primaria discende dal punto
di solidificazione di LiCl sino ad un eutettico alla temperatura di 290°
circa, presentando un gomito evidente per la miscela a 50 mol. °/, di Li 0H;
poi risale direttamente al punto di fusione dell’idrato di litio. L'arresto
D 10 20 20 40 50 60 70 80 90 100 0 10 20 30 40 50 00 È 70 80 0 100 =
Li F1 mol. % Li OH LION fHC? mol. Yy Li OH Li Gil
Hic. 1. ‘ Fic. 2.
eutettico, per tutte le miscele da 45 a 100 mol. °/ di LiOH, si nota a
circa 285°, e assume un massimo di durata per la miscela a 65 circa mol. °/5
di idrato di litio.
TABELLA II.
Mol. °/o Mol. 9/o Peso °/o Peso °/o DEE Temperature Durate Tn Durate
LiOH LiCl LiOH LiCl primaria 1° arresto | in secondi eutettico in secondi
0.00 | 100.00 0.00 | 100.00 605 — —_ = =
5.00 | 95.00 2.87 97.13 575 305 20 _ —_
10.00 | 90.00 9.40 90.60 540 810 40 —_ —
20.00 | 80.00 12.10 87.90 500 Slo 60 _ —_
8000 | 70.00 19.50 80.50 400 515 100 — —
40.00 | 60.00 28.20 71.80 380 815 193 — -_
45.00 | 55.00 31.60 68.40 5340 315 60 280 20
50.00 | 50.09 36.10 63.90 815 215 _ 250 « 40
55.00 | 45.00 40.80 59.20 308 _ _ 290 100
60.00 | 40.00 45.90 54.10 300 - _ 290 140
65.00 | 35.00 51.20 48 80 500 —_ 290 120
70.00 | 30.00 56.80 43.20 830 si _ 290 90
80.00 | 20.00 69.30 30.70 375 _ — 285 70
90.00 | 10.00 83.50 16.50 425 — _ 280 50
95.00 5.00 91.40 8.60 445 _ _ 280 30
100.00 0.00 | 100.00 0.00 462 —_ _ —_ —_
— 479 —
Le miscele da 0 a 50 mol. °/, di LiOH presentano, oltre all'arresto
di prima cristallizzazione, un secondo arresto alla temperatura di 315°, il
quale assume un massimo per la miscela a 40 mol. °/, di LiOH. Questo
arresto corrisponde alla formazione di un composto decomponibile alla fu-
sione e al quale con ogni probabilità corrisponde la formula 2 Li OH - 3 LiC1.
Il presentarsi, in modo assai pronunciato, dell'arresto eutettico per le
miscele a 5 e a 95 mol. °/, di idrato di litio, fa supporre che non si abbia
formazione di soluzioni, nemmeno in rapporti ristretti, fra i due componenti.
Sistema LiOH-Lì Br.
Dalle mie esperienze il punto di solidificazione del bromuro di litio
giace a 550°, temperatura abbastanza concordante con quella data da Car-
nelley (547°) (loc. cit.).
Questi due sali presentano un diagramma di stato, simile a quello dato
dai due sali del sistema precedente. i due rami della curva di cristallizza-
zione primaria, discendendo dai punti di fusione dei due componenti, s' in-
tersecano in un punto eutettico alla temperatura di 275° e alla concentra-
zione di 45 mol. °/, di Li OH. i
TABELLA III.
Mol. 90 Mol. °/o| Peso °/o | Paso °/o So Temperature Durate Ri Durate
LiOI LiBr LiOH LiBr primaria ‘| 1° arresto | in secondi eutettico in secondi
0.00 | 100.00 0.00 | 100.00 550 _ — — =
5.00 | 95.00 1.43 90.57 520 _ = 250 10
10.00 | 90.00 3.00 | 97.00 485 — 255 30
20.00 | 8000 6.50) 93.50 440 -_ —_ 275 50
25.00 | 75.00 8.41 DIDO 500 _ _ 275 60
30.00 | 70.00 10.70 89.50 380 — - — 275 80
40.00 | 60.00 16.50 85.50 320 —_ — 275 120
45.00 | 55.00 1840 | 81.60 275 = — 275 150
50.00 | 50.00 | 22.00 | 78.00 285 —_ = 270 120
55.00 | 45.00 25.20 74.80 295 — = 275 100
60.00 | 40.00 29 30 7070 300 — _ 265 80
65.00 | 35.00 93.90 66.10 310 —_ — 270 50
70.00 | 30.00 39.20 60.80 390 510 60 265 20
75.00 | 25.00 45.80 | 54.70 355 310 125 = =
80.00 | 2000 52.50 47.50 080 310 100 e —_
90.00 | 10.00 71.80 28.20 425 305 50 # =
95 00 5.00 83.90 16.10 440 305 20 —_ —-
100.00 0.00 | 100.00 0.00 462 — = se
I
Le miscele da 0 a 70 mol. °/, di Li OH presentano tutte l'arresto eutet-
tico, il quale scompare per le miscele da 75 a 100 mol. °/, di idrato di litio.
Per le miscele comprese fra queste ultime percentuali si nota invece un forte
arresto alla temperatura di 310°, arresto che assume un massimo di durata
a 75 mol. °/ di LiOH, e che corrisponde alla formazione di un composto
decomponibile. A questo composto — come si può dedurre dall'arresto mas-
— 480 —
simo che si presenta a 310° per la miscela a 75 mol. °/, di Li OH, e dalla
scomparsa dell’arresto eutettico per la miscela della medesima concentra-
zione — spetta assai verosimilmente la formula 3 Li OH ‘ Li Br.
300
4 LU OH. Li |
030 20 30 40 50 60 70 80 90 100
[0] 10 20 39 40 50 60 70 0 90 700
Li Br mol. % Li 08 Li OH Lil mol.% Li-GH Li OH
Fis. 3. Fic. 4.
TABELLA IV.
Mol. °/o Mol. 0/0 Peso %/o Peso Ul Lomuporatgto Temperature Durate SOZIDOTRO Durate
cristaliizzaz. arresto
LiOH LiJ LiOH LiJ primaria 1° arresto | in secondi | eutettico in secondi
0.00 | 100.00| 0.00 100.00 440 _ _ _ —
5.00 95.00| 0.93 99.07 | . 405 _ — 180 30
10.00 9000] 1.90 98.10 368 - _ 180 40)
15.00 85.00| 3.70 96.30 340 —_ —_ 185 60
20.00 80.00 | 4.40 95.60 812 _ _ 180 70
25.00 7500] 5.60 94.40. 290 — _ 180 90
30.00 70.00) 7.10 92.90 245 — — 180 110
35.00 65.00| 8.70 91.30 230 _ — 180 13
40.00 60.00 | 10.60 89.40 205 —_ _ 180 150
45.00 55.00| 12.80 (1720) 180 _ —- 180 180
50.00 50.00 | 15.20 7480 230 — = 182 140
55 00 4500 | 17.90 8210 265 _ — 182 120
60.00 40.00 | 21.10 78.90 295 — — 182 100
65.00 35.00 | 24.90 75.10 310 _ — 180 60
70.00 30.00 | 29 40 70 60 825 —- —- 165 40
75.00 25.00 | 34.90 65.10 328 —_ _ 160 20
80.00 20.00] 41.70 58.30 340 880 120 — _
85.00 15.00] 50.30 49.70 375 830 90 — —_
90.00 10.00 | 61.70 38.30 410 3380 60 _ _
95.00 500] 77.20 22.80 440 325 50 — —
100.00 0.00 |100.00 0.00 462 — — —_ —_
Sistema LiOH — LiJ.
L'ioduro di litio fondeva a 440°. Questa temperatura di fusione è al-
quanto più bassa di quella data da Carnelley (loc. cit.) (446°) e da San-
— 481 —
donnini (') (450°). Questo abbassamento del punto di fusione dell'ioduro di
litio rispetto ai punti di solidificazione dei sopracitati autori è dovuto pro-
babilmente al fatto che lo ioduro da me usato venne disidratato per essica-
zione in capsula di platino; ora, durante questa operazione lo ioduro perde
piccole quantità di iodio, trasformandosi in ossido, il quale abbassa il punto
di fusione dello ioduro di litio puro.
(Questi due sali dànno luogo alla formazione di un composto decompo-
nibile alla fusione.
La curva di cristallizzazione primaria discende dal punto di fusione
dell’idrato di litio sino a un punto eutettico a 45 mol. °/, di LiOH, pre-
sentando un fortissimo gomito per la miscela a 75 mol. °/, di idrato di litio;
dal punto eutettico essa risale regolarmente al punto di fusione dell’ioduro
corrispondente.
L'arresto eutettico giace alla temperatura di circa 180°, e assume un
massimo di durata a 45 mol. °/, di LiOH.
L'arresto che si presenta, per le miscele di concentrazione superiore a
75 mol. °/, di idrato di litio, alla temperatura di 310° circa, è dovuto cer-
tamente alla formazione di un composto non stabile alla fusione.
La mancanza dell'arresto eutettico per la miscela a 80 mol. °/, di Li OH
è un buon indizio per concludere che essa corrisponde alla formazione del
composto, al quale spetterebbe quindi la formula 4 Li OH ‘ LiJ.
Il netto e ancor forte arresto eutettico per le miscele a 5 e a 95 mol. °/,
di idrato di litio fanno lecito di supporre che non si abbia formazione di
soluzioni solide, o, se pure, in limiti assai ristretti.
Concludendo, si ha che l’idrato di litio dà:
col fluoruro formazione di un semplice eutettico e soluzioni solide di
due specie in limiti assai ristretti;
col cloruro, col bromuro e collo ioduro formazione di tre composti, la
cui esistenza, a quanto mi consta, era finora sconosciuta, e ai quali spettano, con
ogni probabilità, rispettivamente le formole: 2 Li OH * 3 Li C1 , 3 Li OH - Li Br,
4Li0H ‘LiJ.
CONCLUSIONI.
Come appare chiaramente dai risultati termici ottenuti, la tendenza a
dare composti fra gl'idrati alcalini e i sali alogenati dello stesso metallo
va aumentando gradatamente passando dal potassio al sodio e al litio, ossia
col diminuire dell'elettroaffinità del catione.
Questo è d'accordo con la teoria di Abegg e Bodlànder (*) sull’elettro-
affinità e sulla formazione di complessi, secondo la quale la tendenza a dare
(*) Atti R. Accad. dei Lincei [5], 22, sem. II, 520 (1913).
(*) Zeitschr. f. anorg. Chem., 20, 458 (1899).
— 482 —
composti molecolari con cationi complessi è tanto maggiore quanto più forte è
l’elettroaffinità dell’anione e quanto più debole l'elettroaffinità del catione,
cosicchè quest'ultimo presenta una grande capacità a rafforzarsi coll'unione di
molecole neutre.
Nel caso dell’idrato di litio infatti, a differenza dell’idrato sodico, e
maggiormente dell’idrato potassico, abbiamo un sale il quale è assai adatto
alla probabile formazione di questi cationi complessi, presentando vicino al-
l’anione monovalente OH, che per i metalli alcalini sappiamo essere un
anione piuttosto forte, il debole catione Li.
Passando dall’idrato di litio agli idrati di sodio e di potassio, ossia
aumentando l'elettroaffinità del catione, la tendenza a dare cationi complessi
con molecole neutre va diminuendo, tanto che, mentre per il sodio si ottiene
un solo composto con lo ioduro corrispondente, per il potassio non si ha for-
mazione alcuna di composti.
In base a queste considerazioni è ora facile di prevedere che questa ca-
pacità a dare composti coi sali alogenati corrispondenti andrà sempre più
diminuendo col passare agli omoloshi del potassio, cioè al rubidio e al cesio,
l'elettroaffinità dei quali è superiore a quella del potassio.
Questo comportamento dei sali di litio, a differenza dei corrispondenti
sali degli altri metalli alcalini, è inoltre in accordo col fatto che il litio,
come sappiamo, essendo il primo termine del primo gruppo del primo pic-
colo periodo, sì discosta alquanto, nel modo di comportarsi, dagli altri me-
talli del suo gruppo, e presenta una grande analogia col primo termine del
secondo gruppo del secondo piccolo periodo, il magnesio, del quale sono già
noti alcuni eloruri basici.
Per ciò che si riferisce invece alla miscibilità allo stato solido, essa
va aumentando dal litio al potassio e cioè in senso inverso alla tendenza
a dare complessi. Essa va poi, come era prevedibile, diminuendo dai fluoruri
agli ioduri ed è forte solo nei primi. Ciò sta in accordo col fatto ben noto
che in varii solfati e silicati minerali l’atomo di Fl è spesso sostituito
parzialmente col gruppo OH (es: apatite topazio).
Nel seguente quadro riassuntivo sono riportati ì risultati delle coppie
studiate in questa e nelle due Note precedenti. In esso, con V si indica la for-
mazione di semplice eutettico ; con X X, cristalli misti con lacuna; con X - X,
cristalli misti in ogni rapporto.
| Pluoruri | Cloruri | Bromuri | Joduri
2LiOH - 3LiCl| 3LiOH-LiBr | 4LiOH- LiyJ
2Na0H - 3Nal
V
Li Xx X
Idrati è Na x X X X Vv
| K WORK X X V
— 483 —
CORRISPONDENZA
Il Presidente BLASERNA presenta un piego suggellato, inviato dal
prof. D. Lomonaco perchè sia conservato negli Archivi accademei.
E. M.
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denze morali, storiche e Alologiche. bra IRRC
RENDICONTI — Novembre 1915.
INDICE
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Seduta. del 21 novembre 1915.
MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI
Levi-Civita. Sul problema piano dei tre corpi. Caratteristiche cinetiche del sistema regolariz-
zante: forza viva e quadrica reciproca . . . die Read
Cambi. Sulla reazione del nitroprussiato con la ira (ei: dal Socio impetià NA
Andreoli. Sui gruppi di sostituzioni che operano su infiniti elementi (pres. dal Socio Volterra) »
Scorza. Sulle varietà algebriche con sistemi regolari isolati di integrali riducibili (pres. dal
Corrisp. Castelnuovo) . . ..:. . ”
Casotti. Profili di pelo libero in canali di “rofonilità finita ot dal Socio a Ca) e)»
Corbino e Trabacchi. Sul funzionamento del rocchetto di Ruhmkorff con gli interruttori elet-
trolitici (pres. dal Socio Blaserna) . . . è. SENSI ME LI PM)
Padoa e Corsini. Velocità di diffusione e idratazione in Scion (pres. dal Socio Oui ”
Vanzetti. Sopra alcuni - derivati della metilvanillina, e sopra un nuovo prodotto di conden-
sazione (pres. dal Socio Koerner). è... ”
Gorini. Ulteriori. ricerche sull'attività proteolitica dei femionti lattici. IL L'isdusna del
substrato (pres. dal Socio :Bri0st). . . SMS RE IO St)
Scarpa. Analisi termica delle miscele degli ;drati Sioalinti coi sorisnundii dacia ul: Com-
posti, dilitio» (pres. “dal“Socio: CaMItan RR
ae CORRISPONDENZA
Blaserna (Presidente). Presenta un piego suggellato, inviato dal prof. D. Lomonaco perchè
Bia «conservato negli ‘Archivi accademici Vo E IE A I
(*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile.
488.
Abbonamento postale.
| Pubblicazione bimensile. - —£oma 15 gennaio 1916., N. 11.
AZOÒILI
DELLA
| REALE ACCADEMIA DEI LINCRI
ANNO CCCXII.
1915
SHRIH_ QUINTA
RENDICONTI
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Seduta del 5 dicembre 1915.
Volume XXIV°. — Fascicolo LL°
2° SEMESTRE.
ROMA
TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI
PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI
1915
ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO
PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE
Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle
pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei.
Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano
una pubblicazione distinta per ciascuna delle due
Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze
fisiche, matematiche e naturali valgono le norme
seguenti:
1.I Rendiconti della Classe di scienze fi-
siche, matematiche e naturali si pubblicano re-
golarmente due volte al mese; essi contengono
Ie Note ed i titoli delle Memorie presentate da
Soci ‘e estranei, nelle due sedute mensili del-
l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico.
Dodici fascicoli compongono un volume;
due volumi formano un’annata.
2. Le Note presentate da Soci o Corrispon
denti non possono oltrepassare le 12 pagine
di stampa. Le Note di estranei presentate da
Soci, che ne assumono la responsabilità sono
portate a 6 pagine.
3. L'Accademia dà per queste comunicazioni
75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50
agli estranei; qualora l’autore ne desideri un
numero maggiore, il sovrappiù della spesa è
posta a suo carico.
4.I Rendiconti non riproducono le discus-
sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca-
demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso
parte, desiderano né sia fatta menzione, essi
sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta
stante, una Nota per iscritto.
II.
I. Le Note che oltrepassino i limiti indi-
cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro-
‘priamente dette, sono senz’altro inserite nei
Volumi accademici se provengono da Soci o
da Corrispondenti. Per le Memorie presentate
da estranei, la Presidenza nomina una Com-
missione la quale esamina il lavoro e ne rife-
risce in una prossima tornata della Classe.
2. La relazione conclude con una delle se-
guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di
stampa della Memoria negli Atti dell'Accade-
mia o insunto o in esteso, senza pregiudizio
dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio
di far conoscere taluni fatti o ragionamenti
contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra-
ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro
posta dell’invio. della Memoria agli Archivi
dell’Accademia.
8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre-
cedente, la relazione è letta in seduta pubblica,
nell'ultimo in seduta segreta. }
4. A chi presenti una Memoria per esame è
data ricevuta con lettera, nella quale si avverte
che i manoscritti non vengono restituiti agli
autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26
dello Statuto.
5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au=
tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50se
estranei. La spesa di un numero di copie in più
che fosse richiesto, è messo a carico degli
autori.
RENDICONTI
DELLE SEDUTE
DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
AANANA
Seduta del 5 dicembre 1915.
P. BLASERNA, Presidente.
MEMORIE E NOTE
DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI
Meccanica celeste. — Sul problema piano dei tre corpi.
Forme esplicite (mista e canoniche) delle equazioni regolarizzate.
Nota II (') del Socio T. Levi-CIviITA (°).
7. — REGOLARITÀ.
Le equazioni canonico-euleriane del moto di S dipendono esclusivamente
[cfr. $ 8 della Nota M), pag. 246 di questo stesso volume] dalla funzione
E
(15) H=09 — U
col valore di ® esplicitato nel $ precedente.
Siamo a priori assicurati (*) che il sistema differenziale ha comporta-
mento regolare anche nell'intorno d’un eventuale urto binario (una delle ©
nulla, e le altre due diverse da zero). Ne abbiamo conferma diretta nella
regolarità della H per tutti i valori finiti degli argomenti p,Q2,,9,%
questi ultimi essendo coseni direttori, ossia legati dalla relazione yî + 3 +
+= 1. Invero, le (11) mostrano intanto che, per qg > 0, come ($ 2) va
sempre ritenuto, può annullarsi una sola delle p (in corrispondenza al va-
(*) Cfr. Nota I, pp. 421-483.
(*) Pervenuta all'Accademia il 30 settembre 1915.
(3) R), pag. 74.
RenpicoNTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 64
— 486 —
dl
U’ piU,
lore —1 della y affetta dallo stesso indice). Con ciò, i rapporti
nonchè (v=0,1,2), si comportano regolarmente, anche in
04 piso U
prossimità di urti binarî; e, in virtù delle (28), (31), (15), lo stesso segue
per H, c. d. d.
8. — DIGRESSIONE SU DUE VETTORI DESUMIBILI DALLA FUNZIONE H.
Studiamo un po' i due vettori w,T°, le cui componenti (secondo gli
assi Oz, x Xg) sono
?2H 2H
= , D=- <=.
39, dYy
Wy
Sappiamo già [ M), $ 8] che @ è la velocità angolare, quello stesso vettore
che ripetutamente figura nei $$ antecedenti; si tratta di renderne espres-
siva anche la dipendenza formale dagli elementi costitutivi della funzione H.
All’'uopo premettiamo che, per essere identicamente
tÒ
|
Le
Li sy,
si ha, dalla (30),
X
3a, i
quindi, in quanto & è una dilatazione,
I=mXEL+/u)XCX=mX(C0+ 6/7).
[Il primo membro è, per definizione, la componente di w secondo 0x,;
l'ultimo membro si presenta come l’omologa componente del vettore EQ +
+ EX / y. Perciò ©
(32) o=CQ0+ GX /y.
In modo analogo segue, dalla (30),
IX
7 pb Hu 2,
dv
talchè, per le (15) e (31),
ret Xe ul RARI
l'ultimo addendo rappresentando il contributo proveniente : sia dal termine
— 487 —
-î (energia potenziale), sia dal fatto che anche l’operatore & dipende
dalle yy.
{ primi due addendi equivalgono complessivamente a
ossia alle componenti W, del vettore
(33) b=pqaEX+2Q/\ EX,
prese con segno cambiato.
Quanto a T*, si vede subito:
1°) che l'energia potenziale dà luogo al contributo =" 3 ;
2°) che, per tener conto dell’intervento delle y, in &, giova porre
(34) ni Ad
°° BUpspicî
e scrivere 0 per disteso sotto la forma
2
1
(31°) 0=9) (+),
0 N)
con che la derivazione dei coefficienti rapporto a yy, tenute presenti le (11),
porge
ue Le_- 2. (24).
Yy
Ne viene
> E dlogg
: ri=—- — 9 — v(Q22 + X8
(35) D+ lee n(0+X9.
e quindi
(36) m|u=U,+T5;,
essendo , le componenti del vettore (33) e le l'} definite dalla (35).
9. — EQUAZIONI CANONICO-EULERIANE.
Ecco ormai le equazioni del moto quali risultano dalla formula gene-
rale (I) [M), pag. 247]:
(I) dp __dH dq _93H,
a di dI , di wP ,
de
(1) (Ip) pr DO:
(I) LIGA
— 488 —
DO sta per
QNo4T/y,
«w e I° avendo le determinazioni specificate nel precedente $.
Una conseguenza delle (I), che va rilevata, è l'espressione della derivata
del vettore ausiliario X.
Si ha in primo luogo dalla (30), applicando materialmente le (1),
dX ?H
deg
dH
+ P+ri0 A) +0) \2+y\ 9.
Sostituendo poi per No la sua espressione e badando alle due identità
2 /\ Neo
VB ADERZII)
nonchè, ancora una volta, alla (30), si trova subito
IX 5H 2dH i
37 —={(p2—-a=|\yr+X +T-( È
(37) < (p > «i Avo T_-(TXy)y
10. — INTERPRETAZIONE DELL'INTEGRALE £ X y= cost.
Sappiamo [ M), S 10] che le equazioni (I) (oltre a comportare l’ iden-
tità geometrica y$ + yî + y3= 1) ammettono i due integrali :
Hi_icosttse
che assume ($ 1) la specificazione
H:=1%
QXy= cost.
Nella citata Nota M), abbiamo anche assegnato, dipendentemente dalla
effettiva costituzione del sistema S quale aggregato di punti materiali, una
condizione sotto cui l'integrale suddetto si interpreta quale integrale del
momento delle quantità di moto rispetto all'asse (fisso) Oz (delle aree ri-
spetto al piano 0xy). Nel caso presente non possiamo riportarci a condizioni
di questo tipo, dacchè S è definito solo astrattamente ($ 1) per mezzo della
forza viva e della funzione delle forze: esso proviene, per trasformazione di
Darboux, dal sistema di tre punti materiali P, (v=0,1,2), che si attrag-
gono secondo la legge di Newton e si muovono in un piano fisso.
— 489 —
Per l interpretazione di X y, conviene quindi far capo al problema
originario. All’uopo, riprendiamo anzitutto la definizione (14) delle 9,, e
esplicitiamo il prodotto scalare £ X y. Avremo
Seri
O
\ (0)
vanno calcolate in base alle (2), (12), (10°) e (7).
. n da
Le derivate parziali o)
Le (12), (10°) e (7) dànno
Ei i GI q + ESei Wyxa — Gs Wy+1 4
da cui
Cos; = a Cyel q' + SE One a Si Wy+2 ,
Cula i E +s q' + Gy Wy+a — Eee Wy+1 )
colle analoghe per n, 7M+1, My+e -
Siccome 7, a norma della (2), dipende da w, pel tramite delle E", 7,
sì ricava immediatamente
DL DU
do Wai
IT ST IT
e ri a + ES .
Sa sy 1% n Ty+2 — DTT Mai
Gira ba Ias
dQT
Sostituiamo in D, oa =—%» e riportiamo in ciascun termine del sommatorio
le derivate di T all'indice y: per es., nel primo termine
2
N
& 25) i DE ICT)
scambiamo v in v +2, con che (tenuto conto che v + 3 e v4- 4 si iden-
tificano rispettivamente con v e v-+ 1, e che all'indice v basta far assu-
mere tre valori consecutivi qualisivogliano) esso diviene
> DU
Pd
Culi ICESE
Procedendo nello stesso modo anche per gli altri tre termini, risulta
2 DU A
= 39 a de (i Yv+2 — Eva o) +35 ALE Yv+2z — Ny+2 to) ].
0 y
Mercè le identità
E, = Ny+1 +2 — Nota Yy+ è
MN= = (E Yy+a pavesi)
— 490 —
[che conseguono dalle (7) e dalla ortogonalità dei vettori @,f8,y] si ha
infine
2 T
rx;=S, (62 chi
0
; Spena SI?
Trasformiamo ulteriormente il secondo membro, facendovi apparire, al
posto delle È,, my, e loro derivate, le componenti xy,yy dei lati del trian-
golo dei tre corpi, colle derivate relative. Già abbiamo ricordato, al $ 1,
che si ha
otin=(&tim),
da cui, derivando rapporto a t,
ay tig=2(&+ in) (tin);
e, moltiplicando membro a membro per
e iy=(G&—émn)°,
si ricava, in base alla definizione (3) di pj,
(x, — iy) (cy +in) = 2606 — matin.
L'eguaglianza dei coefficienti di 7 nei due membri porge
ayyy— yay= 2ps(&ymy — Mi) -
Siccome la variabile t del problema trasformato è legata al tempo £
del problema originario dei tre corpi dalla relazione differenziale
di
d=T:
così, moltiplicando l'identità testè stabilita per m}U, e designando con un
punto sovrapposto le derivate rispetto a £, otteniamo
mi (294, — yi) = 2Umi prim — mE),
che, in causa della (2), può essere scritta
; È DIA IT
mi (XY — YI) = 3 (E Er lr i .
La precedente espressione di 2 X y assume così l'aspetto
QKy=2),mi(avji—wda).
— 491 —
Il sommatorio del secondo membro si può manifestamente risguardare
come componente secondo l'asse Oz, perpendicolare al piano dei tre corpi,
del vettore .
essendo
ri Pigi Paai (= 02)
Ora è facile stabilire, in generale (qualunque sia il moto, anche non
piano, dei tre corpi), che il vettore K suddetto si identifica col momento
risultante delle quantità di moto: nè occorre specificare il polo, poichè,
ritenendosi fisso il baricentro dei tre corpi, è nulla la risultante delle loro
quantità di moto.
Per la dimostrazione, basta sfruttare le relazioni che intercedono fra
i vettori r,, rappresentativi dei lati del triangolo P,P1P», e i raggi vettori
P,-0=R,,
che riterremo darzcentrali, immaginando assunta nel baricentro l'origine O
degli assi fissi di riferimento.
Si ha anzitutto
t,= Roca Sai Ryu: ;
quindi, sostituendo in K,
2_ î LI à
K = Da Ross AN MÎ t, era di Raya N mi Ly .
0 0
Cambiando, nella prima sommatoria, v in v+- 1, e, nella seconda, v in v +2
(in modo da riportare in entrambe il vettore R all'indice v), si ottiene
2 I a
K= Sa R, A (M341 Ty+i — Mies I+s) °
DD
Ciò posto, si ricordi [R), S 3] che
My R, —= Misa Ist Misa Ty+?
e si derivi rapporto a £. La sostituzione in K. porge
2 .
K=> ,R/mk,,
che è appunto il momento risultante delle quantità di moto dei tre punti P,
rispetto ad O, G. d. d.
Concludiamo che
dx 2K,= 008%
— 492 —
non è altro che l'integrale delle aree dell'originario problema piano dei
tre corpi.
11. — AnGoLI DI EuLERO — INTERPRETAZIONE INTRINSECA.
Dacchè ($ 2) le configurazioni di S sono in corrispondenza biunivoca
coll’insieme (9g, orientazione del corpo €), possiamo assumere a coordinate
lagrangiane del sistema la stessa g e i tre angoli di Eulero ®,g,$, che
individuano l’orientazione della terna 0x0, solidale con C.
Dalle note espressioni dei coseni direttori, avvertendo che (per la con-
venzione fatta di riguardare equivalenti gli indici congrui fra loro rispetto
al modulo 3) l'indice zero corrisponde a. quello abitualmente designato
con 3, si ha
(38) Yi="sin& sing, 1:="sinS 0089; (Yo = 008%;
inoltre
a,=sinè sind , fo=—sSindcosòù,
le quali, complessivamente, dànno luogo ad una interpretazione dei para-
metri &,«,$ in relazione diretta col triangolo dei tre corpi.
Per quanto concerne ® e $, vi si perviene, ricordando ($ 1) che le
componenti o, yo del vettore Pì — P, sono legate alle corrispondenti &,,%o
dalle equazioni
co = — N è Yo= 280%,
le quali, per le (7) e per le espressioni surriferite di x, , fo, Si scrivono
o — g? sin*d cos 20, y,=—g° sind sin 24.
È Roo Vab% .. SIIT, )
Da queste apparisce che sin° è = era LC entifica col rapporto
fra il lato P,Ps e il semiperimetro q* (cfr. $ 2) del triangolo dei tre
corpi, mentre 2 misura l'inclinazione dello stesso lato, più precisamente
del vettore P,— Pi sull'asse delle ascisse: si intende che si tratta di incli-
nazione contata, al pari delle anomalie, positivamente nel senso 0a — Oy.
Il significato dell'angolo 9 risulta poi ovviamente dalle (11) e (38).
Si ha infatti dalle (11)
e (v=0,1,2),
donde in particolare
— 493 —
Se ne desume, badando alle (38), che tg*@ fornisce il rapporto fra gli
eccessi del semiperimetro q° sui due lati P,Ps, PoPi.
12. — PRIMA FORMA CANONICA PURA.
Le equazioni del moto del sistema S si possono naturalmente presen-
tare anche nella tipica forma hamiltoniana, assumendo come funzioni inco-
gnite [anzichè le 4,Yy,72, 9, delle (I)] quattro coordinate lagrangiane e
le loro coniugate.
Assumeremo per coordinate 9, ,%,d, ricordando, poichè ne avremo
bisogno tra un momento, le classiche espressioni delle componenti della
velocità angolare in funzione degli angoli di Eulero e loro derivate prime.
Esse sono
| = dcosp+ dr,
(39) oe dsingpt+0Y,
| Wo = drkbeg,
le y avendo, ben si intende, i valori (38).
Per introdurre le coniugate
Py, P3> Po, Py
dei quattro parametri
qQ,® 19 ;d,
conviene immaginare la forza viva 7° espressa mediante i parametri e loro
derivate g', 9", g',4'; dopo di che
dT aida, go PE pan (DI
E, Li ERESSE, ’ A ’ AMEN
Una tale espressione di 7 si può risguardare proveniente dalla
T(q,Y;9",0y) del $ 4, intendendovi le yy, wy sostituite dai loro valori
(38), (39). Dacchè in queste formule non c'è traccia di 9’, si vede, intanto,
che la coniugata di g coincide colla p dei $$ antecedenti [definita dalla
prima delle (14)].
Si ha poi
2 IT dwy
iS
Ps 23 do, dI e
53:
ossia, esplicitando in base alle (38) e ricordando la definizione (14) delle 02,,
ps= 00892, — sin gQ,,
(40) | Pa =,
Py=YL + NL + NALE LX 7,
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 65
— 494 —
le quali, risolute rapporto ad Q,,s,2,, ove si ponga per brevità
(41) o= Moni,
dànno
ar ps cosp + @sin 9,
(42) « Q=— pysing + @ 0089,
lo,= Pe -
Si ha ormai tutto quanto occorre per formare la funzione caratteri-
stica H del sistema hamiltoniano negli otto argomenti
GAD IL
Pa Ps > Po > Py.
Essa è notoriamente l'energia totale T se:
D° o, se si vuole,
(15) H=0@—
in cui sì abbia cura di fare apparire esclusivamente gli otto argomenti
suindicati.
Ponendo mente all'espressione (31) di © [e considerando, ben si intende,
le p, come date dalle (11), e le yy dalle (38)]. l’unica operazione che resti
da fare è la sostituzione, in H, delle Q, mediante le (42): va da sè che il
vettore X deve preventivamente ritenersi espresso per 2, a norma della (30).
Se si nota che nè l'espressione di H, da cui si parte, nè le (38), nè
le (42) contengono esplicitamente L, si può anche affermare a priori che
l'espressione finale di H sarà esente da d. Questa è dunque, come dicono
gli inglesi, una coordinata ignorabile, e, dall'essere 5
sistema canonico di funzione caratteristica H ammette l'integrale
= 0, segue che il
py = così.
In virtù della terza delle (40), questo integrale non è che la nuova
forma assunta dall’integrale delle aree
yi 27 = 0088
Val la pena di notare che, in questo modo, può ritenersi automatica-
mente compiuta anche la riduzione del problema piano dei tre corpi a tre
soli gradi di libertà, sfruttando i suoi tre integrali cardinali delle quantità
di moto e delle aree. Infatti, nel problema trasformato, già si trova eseguita
— 495 —
la riduzione corrispondente ai due integrali delle quantità di moto. L'ulte-
riore abbassamento di un grado di libertà (da quattro a tre, cioè dall’ottavo
al sesto ordine) si ha considerando, in H, la py come una costante arbi-
traria e limitando in conformità il sistema canonico di funzione caratteri-
stica H alle tre coppie di variabili coniugate.
Qi,
P_s PS, Do -
Ulteriore conseguenza delle formule precedenti, di cui trarremo partito
più avanti, è un’espressione vettoriale del binomio pz dè + ps dg. Per rica-
varla, partiamoci dal prodotto
v\QXdy,
ossia dal determinante
o Ya
Q 9 na?
do di dia
Sostituendovi i differenziali delle yy coi loro valori derivanti dalle (38),
si ha
Yo N Ya Nomi Ye
d&| 9 Q, Q, + dp QQ, O,
— sin® cosòsingp cosò cos 9 0 Y% —%
da cui, sviluppando i due determinanti (secondo gli elementi della seconda
riga) e badando ancora alle (38), viene
(9, cosp — L sing) dd + fL(1— 1) — Litona — Le Yora] de.
Ne risulta, in virtù delle (40),
v\QXdy=pzdd + pedo — vo pydo.
Isoliamo il binomio pz 43 + py dg, e notiamo che il dy, fornito dalle (38),
__ adds
di iena
sì può SONO sotto la forma
Vo Yi Va
SE
— 496 —
Dacchè 1,0,0 sono le componenti del vettore unitario w,, il determinante
sì identifica col prodotto
Y AU X dy R
e si ha infine
(43) ps d8+ pedp=y\*X dy,
essendosi posto per brevità
(44) o=2+ Py Uo-
Y
139 — OSSERVAZIONE ELEMENTARE DI CALCOLO VETTORIALE.
Suppongasi che un vettore (incognito) R verifichi le due equazioni
\y\R=A,
e |yXR=a,
essendo assegnati i vettori y ed A, e lo scalare 4: si intende che y ed A
debbono ottemperare alla condizione
(46) YXA=0,
necessaria perchè possa sussistere la prima delle (45).
Vogliamo mostrare che, ritenuto y + 0, risulta univocamente
(47) R=ayt+tA/y.
All’uopo basta rilevare:
1°) che l’espressione (47) di R soddisfa effettivamente alle (45)
2°) che non possono esistere altre soluzioni R* distinte dalla (47).
La prima verificazione è immediata, purchè si tenga conto, nel formare
y/ KR, che si ha identicamente
Y\(A\y)=A-(AX7y)y,
e che l’ultimo termine è nullo, in virtù della (46).
Quanto all’unicità della soluzione, essa risulta dalla circostanza che la
differenza R — R*, ove non fosse nulla, dovrebbe essere ad un tempo pa-
rallela e perpendicolare al vettore y, per ipotesi + 0; parallela, perchè
avrebbe nullo il prodotto vettoriale per y; perpendicolare, perchè avrebbe
nullo anche il prodotto scalare, cod:
— 497 —
14. — COORDINATE SIMMETRICHE — SECONDA FORMA CANONICA.
La relazione delle posizioni di S coll’orientazione di un corpo rigido
ci ha portati naturalmente ad assumere i tre angoli di Eulero &,4,
come altrettante coordinate lagrangiane del nostro sistema, la quaderna
essendo completata da g. Questi parametri, pur avendo ($ 9) una stretta
relazione col triangolo dei tre corpi, difettano di simmetria.
Si rimedia a questo inconveniente, conservando d e associandogli la terna
(48) So = 2Yo , cin p OLO
che, in base alle (38), risulta manifestamente costituita da combinazioni
indipendenti di 9,9, @.
Ove si risguardino le %, quali componenti (secondo gli assi mobili
0x0%,%2) del vettore
(48) é=qy,
sì può dire che » e é (angolo e vettore completamente indipendenti) deter-
minano in modo univoco la configurazione di S.
Le èé,, in base alla loro definizione e alle (11), sono legate al trian-
golo dei tre corpi dalle relazioni semplicissime
(49) S=gn=9-P(1-A)=9—-g=0—n (=0,1,2);
esse rappresentano dunque, coi loro quadrati, i tre eccessi del semiperi-
metro sui lati.
Dalle (49), sommando, si trae
2
SALE
0
con che
(49') naep=g — = ta + Shea.
Si è già osservato che le nuove coordinate E, sono combinazioni di 7,9, %,
esenti da 4. Perciò, anche nel nuovo sistema, la coniugata py di Vv è quella
di prima. Per assegnare le coniugate Z, delle nuove variabili £,, giova
appoggiarsi sulla circostanza che la trasformazione fra le due. sestuple
(4,3%,9;P,Pz Po), (6y, Zy) deve risultare canonica e quindi verificare la
condizione caratteristica
D,
I, 2 dy=pdg + pydd8 + py dp.
— 498 —
Il secondo membro, badando all'identità yXy=1 e alle (48’) e (43), si
scrive
(parXKyrdag4+y\*X qd7).
KR IH
In entrambi i termini si può mettere in evidenza il fattore dt. Infatti, a
norma della (48’),
d=qdy+ydg;
e quindi
yrXdé=yXydq,
in virtù dell'identità yXdy= 0; mentre, per la perpendicolarità fra y/\ 2*
e y, segue
r\RtXdi=y\2*Xqdy.
Ne consegue
2
DZ diy= 7 (party 2*)X di.
0
Eguagliando i coefficienti dei singoli dt, nei due membri, si ricava la
espressione cercata delle Zy: esse si identificano con le componenti del
vettore
1
pie,
Compendiando a lor volta le Z, in un vettore Z, si ha
(50) "(party 2°).
ui
Non è questa ancora la forma che giova, per introdurre nella quadrica @
gli argomenti Z, py. Ma vi si arriva subito, ricordando le (30) e (44),
che dànno
Yo
ossia
)
(51) x=groiiby uo.
0
Coll'intesa che 9 e le yy si risguardano funzioni delle $, a norma delle
(48) [o (48')], la (51) ci porge l’espressione di X nelle variabili trasfor-
mate. Resta da procurarsi l’analoga espressione di 2, dopodichè la trasfor-
mazione di @® potrà ritenersi compiuta, in base alla (31).
Per ricavare £ nella forma desiderata, basta associare l'equazione (50)
all'ultima delle (40),
rXa=py.
— 499 —
Assumendo provvisoriamente come incognita er= 04 i i, le
mi LIO,
dette due equazioni si possono scrivere
(ZI
PE op __!
MIS PI ie
Per la formula (47) del $ precedente, ne ricaviamo
pe <= 00 il
alium fractionum finitae, v. g 3 + 6 + 10 + 15: Me vero invenire
ERA MSI 1 1 :
«summam totius seriei infinitae 3 + 6 + 10 ete. ... Si tamen idem et
« Mengolus praestitit, non miror; saepe enim concorrere solent diversi ».
Chi potrà credere che Leibniz ignorasse Mengoli? Tanto più che nella
minuta di una lettera precedente, non giunta ad Oldenburg, si scusa in
altro modo: « quamquam enim nondum mihi inquirendi in Mengolum otium
«fuerib.... (3).
Non sarebbe stato più naturale che Leibniz. così avido lettore, se non
conosceva Mengoli, avesse chiesto ad Oldenburg notizie intorno a Mengoli?
Ma non ne aveva forse bisogno. l
IV. Il Circolo del Mengoli è un opuscolo che ha pure subìto un giu-
dizio ingiusto da parte di Montucla (*). Non è davvero egli uno dei tanti
quadratori del circolo ma egli espone veramente una quadratura del cir-
colo esatta, quella per mezzo di un prodotto intinito, scoperta dal Wallis.
Mengoli non parla mai di Wallis, sebbene la sua Arzthmetica infinitorum,
pubblicata nel 1655, dovesse essere giunta in Italia.
Egli dice di aver trovato il risultato (4), da molto tempo cercato, nel-
l'anno 1660, cinque anni dopo la pubblicazione dell'opera del Wallis. Per
quanto oscuramente esposta, sebbene forse con metodo più rigoroso, la via
del Mengoli è sostanzialmente la stessa di quella del Wallis, tanto che io
crederei che, sebbene ne taccia il nome, il Mengoli abbia veramente
conosciuto l’opera del grande geometra inglese (3). Soltanto forse a causa
(*) Leibniz an Oldenburg, Paris, 14 Maij 1673; ed. Gehrhardt, pag. 95.
(2) Ibid., pag. 93.
(3) Hist. des math., nouv. éd., II, Paris, an. VII, pag. 92: « Son nom a resté dans
l’oubli et il l’a merité ». Ha quindi parimenti torto il Riccardi il quale dice nella sua
Babl. Mathematica: « collochiamo quest'opera fra le molte nelle quali si ebbe la sven-
«tura di scoprire la quadratura del circolo ».
(4) Circolo, pag. 1.
(9) Wallis, Arithmetica infinitorum, 1655; Opera Omnia, Oxford, 1695, volume 1,
2)
« significet terminum medium inter 1 et 9 il progressione hypergeometrica decrescente
pp. 458-466. Gli enunciati di Wallis sono abbastanza oscuri. Eccone uno: « x (1
DO | 0
15
le, 8° etc. ( continne multiplicando 1 5 X hi etc.) ;
— 513 —
della difficoltà della lettura (il libro del Wallis non fu capito in Francia
dal sommo Fermat), il Mengoli ricostruì da sè, più che non lesse, la lunga
serie di dimostrazioni che lo condussero al risultato :
« Il quadrato all’inscritto circolo è minore che non è il prodotto di
«un numero dispari, per tutti li quadrati de' numeri precedenti dispari, in
« riguardo al prodotto del primo par che è il binario, per tutti li qua-
« drati de gli altri numeri precedenti pari ».
« Il quadrato all’inscritto circolo è maggiore che non è il prodotto
« da tutti i quadrati de’ numeri dispari, presi sino ad un qualche pari, in
« riguardo al prodotto da quest'ultimo pare, che è il binario, per tutti li
« quadrati de gli altri numeri pari precedenti ».
Il metodo del Mengoli, come quello del Wallis, consiste nel calcolare
nn
per interpolazione V (ya — x)dx, considerandolo come termine medio
S0
]
tra gli integrali binomii feno — x)"dx, dove m, n sono interi positivi.
0
Vedremo in una prossima Nota come al Mengoli si debbano altre
scoperte, e tra esse quella delle prime serie convergenti per mezzo delle
quali è possibile calcolare i logaritmi dei numeri razionali.
Matematica. — Sulla condizione Picard-Lauricella per l’esi-
stenza di soluzioni nell'equazione integrale di 1° specie. Nota
di ATTILIO VERGERIO, presentata dal Socio T. Levi-CIvitA (').
1. È già noto il seguente teorema dimostrato dal Picard (*) per le equa-
zioni integrali di 1 specie, a funzione caratteristica chiusa, e poi esteso
dal Lauricella (*) alle equazioni a nucleo qualunque:
condizione necessaria e sufficiente affinche l'equazione
b
(1) ga Î K(st) h(4) di
a
« Circulus est ad quadratum diametri ut 1 ad x (1|3) ». Colle nostre notazioni mo-
derne ciò significa:
Si consideri la successione:
; i 9 1 Da 8 1 » 48 1
= Dei l=o>)da tese lr= 22 dee = — c°) da,
Ù 33 dI 9) da , 35 di x? da 305 So a)
Ten si
Il termine medio tra i primi due di questa successione è: = (1- 2°)? da.
0
(1) Pervenuta all'Accademia il 24 settembre 1915.
(?) Comptes Rendus, 14 juin 1909.
(3) Sull’equazione integrale di 1° specie, Rendiconti della R. Accad. dei Lincei,
vol. XVIII, ser. 52, 2° sem., fasc. 80.
— 514 —
ammetta soluzione, è che sia convergente la serie
(rio. 2
Vad=IL2}| g@yMar.
e che la g(s) abbia la forma
li)
g(3)= Y gus) | gd = Y 98).
a
In tre Note (!) precedenti, apparse in questi Rendiconti, ho conside-
rato dei casì particolari, stabilendo per essi delle condizioni necessarie e
sufficienti, indipendentemente dalla conoscenza degli autovalori del nucleo
e delle relative autofunzioni, senza però riuscire a stabilire uua condizione
analoga pel caso generale.
Qui invece, servendomi di alcuni risultati ottenuti in una Nota pre-
cedente (*?), mi propongo di trasformare la condizione Picard-Lauricella,
rendendola indipendente dalla conoscenza degli autovalori e delle corrispon-
denti autofunzioni del nucleo dell’equazione data, che supporremo simmetrico.
2. Siano 4, gli autovalori, e gy(s) le corrispondenti autofunzioni del
nucleo simmetrico K(s/), che, per maggior generalità, supporremo esser tale
che, se ammette l’autovalore Z, ammetta anche l’altro —4.
In una Nota precedente (*), abbiamo dimostrato che il nucleo
LL Ropga(si
H;(s)= lim Fonsi)
n=% y
MESIA dA 1 } 1
non può ammettere autovalori diversi da 4, = + —= e 42=— "ni e che,
Vy Yy
di fronte ad essi, si comporta come K(st). Come conseguenza, abbiamo
visto che :
Di (r) (7) 1 Po (r) (8) t
H,(st) = ba PÌ (9) ( lo DI Pa (oi gi ( ) :
r=l 1 r=1 2
dove p, e ps indicano il numero delle autofunzioni normalizzate e linear-
mente indipendenti, relative agli autovalori 4, e 4» rispettivamente.
(1) Vergerio, Sull'’equazione integrale di 19 specie (seduta dell’8 novembre 1914);
Una condizione necessaria e sufficiente per l’esistenza di soluzioni nell’equazione inte-
grale di 19 specie (seduta del 6 giugno 1915); Sulla risolubilità dell'equazione inte-
grale di 19 specie, vol. XXIV, fasc. 3, 2° sem.
(*) Vergerio, Gli autovalori e le autofunzioni dei nuclei simmetrici, Rendiconti
dei Lincei, vol. XXIV, fasc. 7, 2° sem.
(*) Ved. l’ultima delle mie Note citate, $$ 2 e 3.
— 515 —
In modo perfettamente analogo, ripetendo, pel nuovo nucleo simmetrico
Fs) = K(st) — H(st),
le considerazioni fatte per K(st), si arriverebbe a dimostrare che il nucleo
- F®,(s
H®(st) = lim ET 186)
i=% RS
DE | 1 1
non può ammettere autovalori diversi da A4=+ —= , 45=— ;
VI VT:
e che
Ds (0) pi” pe gi” (mr)
HP®(st) = N Y3 (8) (4) + i Pi (s) pi (dl
I L T=1 ha
Ad analoghi risultati si perverrebbe ripetendo il ragionamento per il
nucleo
F8(52) se F)(5/) — HXs%);
e così di seguito.
In generale, si dimostrerebbe che gli autovalori del nucleo
(v)
H(st)= lim Fah+1(86)
n=%%0 I RIA
dove
Fs) = FS-D(51) — HNMsc).
. 7 l ,
non possono essere diversi da 4Zgy-, = + —— e 4yg= —
ll MERLO
ip ——= ; ed inoltre
VI, VI,
che
(2) HP) = RT PRI ROL SIL) LO
r=1 ov r=1 day
3. Osserviamo che, posto
(V
BS (s7)
Hs/) = lim — 3
n==% Bi
si ha
b 0)
Di His Hi (nd drm f pote Piiat =
n=20
SR (86)
=T,lir giu = AN)
n= N)
— 516 —
mutando quindi, nella (2), s in 7 ed integrando, dopo averne moltiplicati
i membri per H,(s7) dr, si avrà
Pav1 (1) (5) () (4) Pay PI (8) MP t)
CT, HS(sz N Pavan S} Poval2) x Pav (5) Pv (4)
È si r=1 Ava up div
ed ancora, essendo
(3) Ari
avremo
Poyoi Pay
(4) HP(st)= I pi (5) pal ans xv PRAILO.
r=i
Si moltiplichino ambo i membri di quest’ultima per g(s) g(4) ds dé, è
sì eseguisca la doppia integrazione: posto
\ {890 MOVIEZIENTO]
6)
BRTOICLE
sì ottiene
Pay_1
IRGSOT, )da= S > Tag 45 [d9) 2;
ed anche ricordando la (3),
n Pavi Pay
Pi G°(0) g(9) ds Y db (da) + SAX);
Ey a
r=1
sarà quindi
‘b
rr | 69990 =Y RA.
v NA y
E poichè
b b v
Î [GO(s)]? ds = [| GI(8) ds f H9(54) g(4) di =
a
°D
—| GC) g() d=D,
come si vede subito integrando la (5), dopo averne moltiplicati i membri
— 517 —
per H©(rs) ds, ed osservando che
b
f Hrs) HY(st) de=Hrt}),
avremo infine
(6) I c-— DI Ande
Appresso, moltiplicando i membri della (4) per g(:) dt ed integrando,
si ottiene
Paymi Pay
G)= I PIL PRI:
r=1 r=1
e quindi i
(7) > 6%9)=I 99) da.
Per le (6) e (7) possiamo quindi atfermare che
condizione necessaria e sufficiente affinchè l'equazione (1), a nucleo
simmetrico, ammetta soluzione, è che sia convergente la serie
ga)
SE DI _ Su 1 GM (5)f? ds ;
v r, E "Ur: he.
e che la g(8) sî possa mettere sotto la forma
(7) g(s) = DI Gera
4. Nel caso che le costanti y, di K(s) siano tutte eguali tra loro,
essendo
Fs) = Fs, =---=0,
e quindi
GP (s)= 0 (>1)
la (7°) diventa
reale
g(s) = Gs) = lim | n g(1) de =
b òb
Se f Ks(s7) dr i Em). a) dit =
0,
5 .
_ È | K3(s7) G®(7) dr = ue :
cai‘)
che è la condizione già nota (').
5. Posto ora
U)
[EPSO JO d= 6),
(*) Ved. la prima delle mie Note citate.
ReNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 68
— 518 —
si ha
(8) 66) = [1% g(t) dt= ad Er) dr l'HD) pi
db
= = f FY(57) G(7) de.
Inoltre, essendo
b
f H(sr) Hi°(24) de = 0
va
per ogni w + », perchè le autofunzioni, mediante le quali si può esprimere
H (sr), sono ortogonali a quelle che servono a rappresentare H(7/),
sarà anche
b
f Hî"°(r6). Gi) di —0 (u=#?).
E poichè
F9(sr) = K(sr) — H{M(s7) — H{M(sre) — -.-.- — Hr),
la (8) assumerà la forma
b
GR da f K(s7) G(7) dr.
i Fil
Potendo, con ciò, la (7') scriversi
b N)
g9= f K() YO 4,
una soluzione della (1) sarà data da
GA)
ILA
hi —Di
6. Il caso in cui il nucleo della (1) non sia simmetrico si riconduce
subito a quello ora considerato, cicordando (!) che l'equazione integrale (1)
a nucleo non simmetrico, equivale sempre all’equazione integrale a nucleo
simmetrico
°b
s)= | K60 hM6) de,
dove
DI da
9'(s) "ii K(rs)g(r)dr , K(st)= | K(rs) K(r4) dr.
xi
(*) Lauricella, Sulla risoluzione dell'equazione integrale di 19 specie. Rend. della
R. Accad. dei Lincei, sed. del 28 aprile 1911.
— 519 —
7. Noteremo, da ultimo, che, se la serie
> H{M(sé)
)
è uniformemente convergente, dovrà necessariamente aversi
(9) K(st) = Y HMst)}.
Basta infatti notare che, per la (2),
e ricordare un noto teorema dimostrato dallo Schmidt (*).
In particolare, la (9) sarà sempre valida se il suo secondo membro
si riduce alla somma d'un numero finito di termini; il che accadrà quando
il numero degli autovalori 4,, di K(s), è finito.
Matematica. — Sul concetto di gruppo di monodromia per
una funzione ad infiniti valori. Nota di G. ANDREOLI, presentata
dal Socio V. VOLTERRA.
Matematica. — Sulle varietà algebriche con infiniti sistemi
regolari di integrali riducibili. Nota di GAETANO Scorza, pre-
sentata dal Corrispondente G. CASTELNUOVO.
Fisica. — Sulla legge di Lo Surdo. Nota del dott. CarLO
SONAGLIA, presentata dal Corrispondente A. GARBASSO.
Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo.
(1) Entwicklung willkirlicher Functionen nach Systemen vorgeschriebener. Inau-
gural Dissertation, Géttingen, 1905, $ 8.
— 520 —
Chimica. — Processi di riduzione e ossidazione nel gruppo
dei terpeni. Nota di Guipo Cusmano, presentata dal Socio A. ANGELI.
Altra volta (') è stato dimostrato che nella bromurazione diretta del
mentone e del tetraidrocarvone si formano rispettivamente i composti I
e II, e che questi, trattati con soluzioni diluite di idrati alcalini, forni-
scono ambedue il diosfenol (VI) o bucco-canfora, componente dell'essenza di
Diosma crestata. Per spiegare il risultato, si è proposto lo schema
H,C—CH H,C—CH
H,C7 \CHBr H,C \CHOH
1 Ill
Holu ogliltia> A co Au
META DIA i H,C—CH
CBr C A \Co
H,C-—CH—CH, H,C.- CH CH; d
Le
H,C- CBr H,C-C Ta
STAN AN CH
H;C di HC7 \c0 at H,C-CH—CH;
Il Vv
H,c /cHBr > H.c\ /CHOH
A VA
CH CH
H,C-CH—CH, H;é—CH=-GH:
Biol
/N0-0H
VI
_—-
200
CH
HiC—-CA=SCH
in cui si è ammesso che gli alcali, agendo, come in altri casì noti, sui
gruppi alogenati, diano origine agli alcooli non saturi III e IV; che questi
ultimi, per un processo di mutua riduzione e ossidazione fra ìl doppio
legame e il carbinolo secondario, si trasformino nel chelone V, dal quale
è ovvio il passaggio a bucco-canfora.
(1) G. Cusmano, questi Rendiconti, vol. XXII, ser., 52, 2° sem., pag. 569; G. Cu-
smano e P. Poccianti, ibid., vol. XXIII, ser. 5%, 1° sem., pag. 347.
-- 521 —
Mi son proposto di verificare se i risultati sopradetti siano stati inter-
pretati in modo esatto, specialmente per quanto riguarda la trasposizione
che conduce dagli alcooli non saturi III e IV al chetone saturo V. Perciò
ho cercato di preparare, partendo da chetoni terpenici alogenati e per eli-
minazione degli alogeni mediante gli alcali, alcuni composti contenenti nel
medesimo nucleo un carbinolo secondario e un doppio legame, per poi de-
terminare se e in quali condizioni le due funzioni possono mutuamente mo-
dificarsi nel modo sopradetto.
Uno dei chetoni alogenati che ho impiegato è il tribromotetraidrocar-
vone, preparato da 0. Wallach (?) dal dibromo-1-8-tetraidrocarvone (VII)
CH,
C—-Br
H,C/'\co
VII
3:
p. DAS <——_ "|
/cHOH _Jc-on _/00
Ù Ù G
Il | |
H.(_C- CH, LR, H.C-—C—CH,
il quale, poi, subisce l’idrolisi fra gli atomi di carbonio 3 e 4, più rapi-
damente delle altre forme, fornendo l’acido. Questo secondo meccanismo
sarebbe molto in accordo con la mobilità della molecola dei terpeni.
Parte sperimentale.
AZIONE DEGLI ALCALI DILUITI SOPRA IL TRIBROMOTETRAIDROCARVONE.
Acido a-B-diossicitronellico. — ln un primo saggio si erano messi a
reagire insieme il chetone alogenato e idrato sodico in soluzione acquosa
al 2,5°/, nella properzione di una mol. del primo e tre del secondo. Ma
avendo osservato che dopo alcune ore ia soluzione diveniva neutra, mentre
ancora rimaneva inalterato !/, del peso del tribromuro, si modificarono le
condizioni come segue:
gr. 17,4 (1 mol.) dì tribromotetraidrocarvone. ben polverizzati, si uni-
scono a una soluzione acquosa al 2,5 °/, di gr. 7,2 (4 mol.) d’idrato sodico,
e il tutto si tiene in un agitatore per circa 80 ore. Il tribromuro si discioglie
totalmente, e la soluzione diviene neutra. Questa si concentra a b. m. sino
a che comincia a cristallizzare; allora con il raffreddamento sì separa quasi
tutto il prodotto della reazione; il rimanente si ricava da una nuova con-
centrazione delle madri, nelle quali rimane bromuro di sodio. 1l prodotto,
che ammonta a circa gr. 10, si presenta in lamelle bianche splendenti. Si
— 524 —
può far cristallizzare dall'acqua, in cui è solubile a freddo circa 8°/,; è
solubite nell’alcool bollente. Scolora rapidamente il permanganato. Riscal-
dato a secco, intorno a 185° diviene quasi fluido; fonde a una temperatura
assai superiore, decomponendosi, come più sotto si dirà.
A 100° non perde di peso. Bruciati con acido solforico:
I gr. 0,2172 dànno gr. 0,0696 Na. So,
II gr. 0,1175 » >» 0,0877 ©»
Trovato °/o Calcolato per Cio Hi7 0, Na
I ) Na 10,38
I) =. ‘10,40 AA
Questo composto si forma quantitativamente. Il tribromotetraidrocarvone
viene decomposto in modo analogo anche dall’idrato di potassio. Solamente,
si forma un sale assai solubile, che si purifica in modo disagevole.
L'acido corrispondente al sale C,j,H70,4 Na è liquido e trattiene tenace-
mente l'acqua, per cui l'esatta sua composizione si è fissata con l’analisi del
Sale d’argento. — Questo si prepara puro per l’analisi, mescolando
a freddo la soluzione acquosa diluita del sale di sodio con una di nitrato
d’argento. Se le soluzioni sono abbastanza diluite, il sale d’argento si depone
lentamente in gruppi di foglioline incolori splendenti. Si raccoglie e si lava
bene con acqua, in cui non è troppo solubile a freddo. Si scioglie a caldo
nell'acqua, ma in parte si decompone. Seccato su acido solforico dà all'analisi:
I sostanza gr. 0,2324; CO» gr. 0,3324; Hs0 gr. 0,1162; Ag gr. 0,0815;
II ” » 0,1872; » » 0,2673; » » 0,0935
Trovato °/o - Calcolato per CioHi:704Ag
I C 39,00 38,82
H 5,55 5,05
Ag 35,07 34,91
Tato 38,94
H 3,54
Sale baritico. — Si può ottenere, oltre che dal sale sodico per doppia
decomposizione, anche per azione dell'idrato di bario al 2,5 °/ sul tribromo-
tetraidrocarvone. Cristallizza dall'acqua bollente, in foglioline lucenti. Con-
tiene acqua di cristallizzazione; difatti, analizzato dopo essiccamento al-
l’aria, si ha:
gr. 0,2272 dànno gr. 0,0778 CO; Ba
Trovato °/o Calcolato per
(Cio Ha 04): Ba + 2H,0
Ba 23,83 23,86
— 525 —
e dopo disseccamento a 100°:
g.r 0,2383 dànno gr. 0,0873 di Ba CO;
Trovato °/o Calcolato per (Cio Hi: O4)a Ba
Ba 25,61 25,45
Sale Cio Hi704 Na + CioHig80,. — In un tentativo di eterificazione
dell'acido C,0H,g0,, se ne trattò il sale sodico in soluzione, con la quan-
tità equimolecolare di solfato dimetilico. Si formò una sostanza in scagliette
bianche lucenti, saponose al tatto, contenenti sodio e di reazione acida. Puri-
ficata per cristallizzazione dall'acqua bollente, fonde nettamente a 155°. Dal
quantitativo di sodio sembra trattarsi dell’ unione di una molecola del sale
con una dell'acido libero :
sostanza (disseccata a 110°) gr. 0,1206: Na» SO, gr. 0,0196
Trovato °/ Calcolato per
Cio Hi 04 + Cio Hi:0, Na
Na 5,26 5,40
Nella preparazione del tribromotetraidrocarvone. oltre a una parte soliaa
costituita da questo, si ha una parte liquida. Essa, trattata con idrato sodico,
fornisce una notevole quantità del sale C,.0H,70,Na e, insieme, altre so-
stanze. Fra queste se ne è isolata una che cristallizza dall’alcool diluito in
lunghi aghi bianchi lucenti, p. f. 76°:
sostanza gr. 0.1125; CO, gr. 0,3814; H,0 gr. 0,1441
Trovato °/o Calcolato per CioHi4 0,
C 72,18 712,22
H 8,67 8.51
Possiede odore fenolico; la sua soluzione acquosa si colora, con cloruro
ferrico, in nero-violaceo; precipita con acido carbonico dalle soluzioni alca-
line; volatile con il vapor d’acqua.
OssIDAZIONE DELL'ACIDO Cio Hig 04.
Metileptenone. — Per l'indagine della costituzione dell'acido sì co-
minciò con l’ossidarlo. A tal uopo gr. 2 (1 mol.) del sale sodico si sciolsero
in pochi cc. di acido acetico al 50 °/,; si aggiunsero gr. 2,5 (un at. di 0)
di biossido di piombo, riscaldando leggermente. Si notò sviluppo di acido
carbonico. Facendo passare il vapor d’acqua nel miscuglio, distillò un olio
incoloro di grato odore di banana, alquanto solubile nell’aqua. Ciò che non
passò con il vapor d'acqua conteneva ancora dell'acido C,0H,80, rimasto
inalterato. La parte volatile, sciolta in acqua e alcool, fu trattata con ace-
tato di semicarbazide. Si formò subito un precipitato di foglioline incolore.
Lo stesso fornì l’acqua distillata insieme con l'olio. Il semicarbazone cristal-
RenpicontTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 69
— 526 —
lizzato dall'acqua bollente o da un miscuglio di etere di petrolio e benzolo,
fonde a circa 185°.
I gr. 0,1210; CO, gr. 0,2614; H,0 gr. 0,1020
II gr. 0,0654; N cc. 12.7 a 189,2 ed a 761 mm.
Trovato °/o Calcolato per Cs Hi70N,;
C 58 91 58 92
H 9,36 9,37
N 23,20 22,98
Da questi dati si dedusse per l’olio la composizione C$H,,0; ed essa, in-
sieme con i caratteri del semicarbazone, lo fece riconoscere come metil-
eptenone. A ogni modo, si preparò un campione di quest'ultima sostanza
dall’anidride cineolica, e il confronto levò ogni dubbio.
DECOMPOSIZIONE PER MEZZO DEL CALORE DEL SALE C;0H70,Na.
Metileptenone. — Gr. 0,5 del sale perfettamente disseccato si riscal-
dano in un palloncino sulla fiamma nuda. Il sale fonde decomponendosi
rapidamente. Fra altro si raccolgono gr. 027 di un olio fragrante, da cui
sì ottengono gr. 0,38 del semicarbazone del metileptenone. Il rendimento
di questo chetone è. quindi. quantitativo.
RIDUZIONE DELL'ACIDO Cio Hg 0,.
Gr. 2 del sale C,0H,,0, Na si sciolgono in circa ce. 50 di acqua; si
aggiunge qualche centigr. di nero di platino, preparato di recente, e si agita
tutto in presenza d’idrogeno. Questo viene assorbito per poco più di 220 ce.
a 25° e 764 mm., cioè circa nella quantità di una molecola. Fatto deporre
il nero di platino, si filtra e si concentra la soluzione sino a !/3. Con il
raffreddamento si depongono ciuffi di aghi appiattiti bianchi. Il composto,
a differenza da quello donde deriva, è assai stabile al permanganato; è meno
solubile nell'acqua a freddo; non rammollisce, anche se riscaldato alla tem-
peratura 220°. Disseccato a 100°, dà all'analisi:
gr. 02394; SO, Na, 0,0755
l'rovato °/o Calcolato per Cio Hi904 Na
Na 10,24 | 10,18
Il sale d’argento che si ottiene dal sale sodico, per doppia decompo-
sizione, è in lamine bianco-splendenti; solubile nell'acqua bollente; abba-
stanza stabile alla luce.
— 527 —
Disseccato su acido solforico, fu apalizzato:
gr. 0,1793; gr. 0,2552 C0;; 0,0995 H,0; 0,0620 Ag
Trovato °/o Calcolato per Cio Hi4 04Ag
C 38,81 38,57
H 6,16 615
Ag DAS 34,69
DECOMPOSIZIONE PER MEZZO DEL CALORE DEL SALE C,0H190, Na.
Metileptanone. — Questa decomposizione avviene come nel caso del sale
Cio H,80, Na. Da gr. 0,5 del primo si hanno gr 0,27 di un olio, il quale
si riconosce per metileptanone o isoamilacetone, perchè fornisce un semi-
carbazone che cristallizza dall'alcool bollente in tavolette incolore e fonde a
158° circa (*).
Ringrazio il laureando in chimica sig. E. Gorì per il valido aiuto datomi
in questa ricerca.
Chimica-fisica. — Sul calore di formazione di composti orga-
nici di addizione. IV. Picrati (*). Nota di B. L. VANZETTI e V. Gaz-
ZABIN, presentata dal Socio G. CIAMICIAN.
In una serie di esperienze, i cui risultati furono precedentemente comu-
nicati, abbiamo determinato il calore di combinazione dell'acido pierico con
sostanze di natura chimicamente neutra, come la naftalina, l’eugenolo, l’iso-
safrolo (*). Trovammo che i valori della tonalità termica di queste combi-
nazioni sono piuttosto bassi, in ragione della poca stabilità loro, specialmente
nel caso della naftalina, che non à altre valenze disponibili, oltre a quelle
che si considerano come non saturate, o parzialmente saturate, del nucleo
benzinico. Per il picrato di naftalina si trova, infatti, un calore di combi-
nazione, tra i componenti solidi, di cirsa 1 grande caloria per grammo-
molecola. La tonalità termica sì rivela un po maggiore quando la molecola
del composto, che funziona da base verso l'acido picrico, contiene delle
catene laterali e dei doppî legami di natura etilenica. Così per l'eugezolo
e per l’zsosafrolo trovammo un calore di combinazione di 5,9 e 4,4 circa
grandi calorie per grammo-molecola.
Abbiamo messo inoltre in rilievo il fatto che nel caso dell'eugenolo si
giunge ad un risultato inatteso: mentre si otteneva con una certa facilità
(4) Auden, Perkin e Rose, Journ. ch. soc. of London, 75, pag. 909 (1899).
(2) Lavoro eseguito nell’Istitato di chimica generale della R. Università di Padova.
(3) Questi Rendiconti, vol. XXII, 1° sem., pag. 108 (1913).
— 528 —
il suo picrato, non ci è stato possibile di isolare il picrato del suo isomero,
l’isoeugenolo; e ciò contro la nota regola che nei composti a catena prope-
nilica il doppio legame è meno stabile che non in quelli a catena allilica.
È nostra intenzione di appurare anche questo fatto e di ricercarne le cause,
che in parte possono attribuirsi alla tendenza a polimerizzarsi dell’isoeu-
genolo, ma che forse devono imputarsi anche alla presenza dell’ ossidrile.
Ma su questa apparente anomalia, che ci sembra interessante, avremo occa-
sione di ritornare.
Nel caso dell'a-melzlindolo, in cui si accumulano le due funzioni ammi-
nica ed etilenica, abbiamo ottenuto un valore piuttosto basso (circa 2 grandi
calorie per grammomolecola).
Ora possiamo riportare qualche altro dato quantitativo sui picrati di
alcune basi del gruppo piridico. Con questa esperienza abbiamo voluto
mettere in rilievo le differenze che esistono tra le combinazioni dell'acido
picrico e le ammine terziarie (tipo piridina, chinolina), e quelle dell'acido
picrico ed i corrispondenti composti idrogenati, basi secondarie, in cuì l’ag-
gruppamento contenente l'azoto à perduto completamente il carattere aro-
matico (piperidina, tetraidrochinolina). Lo studio sarà esteso poi alla isochi-
nolina, alle basi del gruppo pirrolico (indoli) e ad. alcune basi naturali
(nicotina, coniina, ecc.), che con le basi studiate si trovano in più diretta
relazione. Il lavoro è stato interrotto per la difficoltà di procurarsi, in questo
momento, sufficienti quantità di tali prodotti.
Le sostanze adoperate furono sottoposte a purificazione rigorosa e con-
trollate con l’analisi elementare, quando ciò parve necessario. come nel caso
dei picrati.
Come si vedrà dai risultati, riportati sotto, i massimi valori sì sono
ottenuti con la piperidina, in confronto con la piréiina; e ciò era perfet-
tamente prevedibile, in base alle cognizioni che si ànno sulla natura di
queste due basi. Il confronto tra piridina e chinolina condusse invece a
valori pressochè eguali; un po minori per la seconda, che può considerarsi
come una base un po' più debole. Per la /elrazdrochinolina si ottennero,
contro ogni aspettativa, dei valori molti bassi, che non abbiamo potuto però
controllare per deficenza di materiale. Ritorneremo su questo prodotto, del
quale ci proponiamo di determinare anche la costante di dissociazione elet-
trolitica, che non ci è stato possibile di trovare nella letteratura a tutt'oggi.
Data la poca solubilità di questi picrati (che non avrebbe permesso di
ottenere effetti termici a bastanza elevati), anzichè determinare il calore di
combinazione della differenza dei calori di soluzione del picrato e dei suoi
componenti, questa volta abbiamo preferito seguire, quasi sempre, la deter-
minazione del calore di combinazione versando contemporaneamente i due
componenti nella soluzione satura del picrato, presente la fase solida. Se
l'acido picrico è finamente triturato, la reazione è quasi istantanea, ciò che
— 529 —
facilita di molto il calcolo. Adottammo il metodo delle bolle sottili di vetro,
immerse, che ci diede sempre ottimi risultati, facilmente controllabili. L'ap-
parecchio calorimetrico usato era del tipo Thomsen con calorimetro di argento
dorato di circa 500 cc. e con agitatore ad elica.
Acido picrico e piridina (punto di fusione del picrato: 164°):
1) Ac. picrico gr. 3,464, piridina gr. 1,195, in gr. 469 di soluz. acquosa;
equivalente del sistema = 476,3. Innalz. di temper. dovuto alla rea-
zione = 0,435°.
Calore della reazione = 207,2 cal.;
calore molecolare di combinazione = 13,70 Cal.
2) Ac. picrico gr. 4,415, piridina gr. 1,523, in gr. 895,6 di alcool a 95 °/;
equivalente del sistema = 250,34. Innalz. di temp. osserv. = 0,921°.
Calore della reazione = 230,47 cal.;
calore molecolare di soluzione e combinazione = 11,92 Cal.
Picrato di piridina gr. 5,938 in gr. 395,6 di alcool a 95 °/g;
equivalente del sistema = 249,6. Abbass. di temp. osserv. = 0,160°;
Calore della reazione = — 39,9 cal.;
calore molecolare di soluzione del picrato = — 2,06 Cal.
da dui si calcola:
calore molecolare di combinazione = 73,98 Cal.
3) Calorimetro a mescolanza:
ac. picrico gr. 0.806 in gr. 350,9 di acqua;
piridina gr. 0,264 in gr. 145 di acqua;
IERI A
A=143,1, B+ = 358,96. Effetto termico della mescol. = 16,76 cal.
Effetto termico riferito alla grammolecola = 4,67 Cal.
4) Ac. picrico gr. 0,827 in gr. 500,2 di acqua;
piridina gr. 0,274 in gr. 188,0 di acqua;
ZII 191088
A=188,1, B+4= 308,3. Effetto termico della mescol. = 14,09 cal.
Effetto termico riferito alla grammolecola = 14,09 cal.
5) Ac. picrico gr. 1,649 in alcool a 95 °/, gr. 250,2;
piridina gr. 0.540 in alcool a 95 °/, gr. 174,6;
la = 020%, to 2,100% =" 24179;
A=105,5, B+2=159,36. Effetto termico della mescol. = 18.55 cal.
Effetto termico riferito alla grammolecola = 2.699 Cal.
(*) Nella equazione
Q= Alte—- ta) +(B+0) (tj— 8),
ta è la temper. della soluzione piridica, tp quella della soluzione picrica, # la temper.
finale della soluzione di picrato; A è l'equivalente in acqua della prima soluzione; B+- 4
quello della seconda soluzione, del calorimetro ed accessorî.
— 530 —
Il calore molecolare di combinazione della piridina con l'acido picrico
risulta, in media, di /3,84 grandi calorie.
Alla concentrazione di 0,22 circa per cento in acqua il picrato di piri-
dina può considerarsi dissociato per circa due terzi (temperatura ordinaria).
Alla concentrazione di 0,5 circa per cento nell'alcool parrebbe disso-
ciato per circa quattro quinti.
Acido picrico e piperidina (punto fusione del pierato: 151-152°):
1) Ac. picrico gr. 4,055, piperidina gr. 1,505, in gr. 456,8 di soluz. acquosa;
equiv. del sist. = 170,6. Innalz. di temper. dovuto alla reaz. = 0,7659;
calore della reazione = 360 cal.;
calore molecolare di combinazione = 20,33 cal.
2) Ac. picrico gr. 3,651, piperidina gr. 1,355, in gr. 456,4 di soluz. acquosa ;
equiv. del sist. = 471.2. Innalz. di temper. dovuto alla reaz. =0,705°;
calore della reazione = 332,2 cal.;
calore molecolare di combinazione — 20,83 Cal.
3) Calorimetro a mescolanza: i
Ac. picrico gr. 2,255 in gr. 352,58 di acqua;
piperidina gr. 0,837 in gr. 120.88 di acqua;
la ="2,027% lor= 2;1459, t.= 1,6789;
A = 121,3, B+9=361,36. Effetto termico della mescol. = 122,42 cal.
Effetto termico riferito alla grammolecola = 12,44 Cal.
4) Ac. picrico gr. 1,84 in gr. 356,0 di acqua;
piperidina gr, 0,683 in gr. 122,2 di acqua;
a = 9,099°, fa, ==" 27079 = 2309%;
A = 122,6, B+ = 864,6. Effetto termico della mescol. = 98,5 cal.
Effetto termico riferito alla grammolecola = 12,24 Cal.
5) Ac. picrico gr. 5,178 in gr. 263,45 di alcool a 95 °/,;
piperidina gr. 1,922 in gr. 165,7 di alcool a 95 °/;
ta = 3,187°, th =4,9269, {-= 3,4889;
A = 10,88, B40= 263,45. Effetto term. della mescol. = 256,6 cal.
Effetto termico riferito alla grammolecola == 7/,35 Cal.
6) Ac. picrico gr. 1,339 in gr. 254,2 di alcool a 95 °/0;
piperidina gr. 0,497 in gr. 119,9 di alcool a 95 °/.:
fi, = 19209, =3 251004459;
A = 72,49, B+ == 161,63. Effetto term. della mescol. = 65,1 cal.
Effetto termico riferito alla grammolecola = 77,13 Cal.
7) Ac. picrico gr. 10,876 in gr. 260,43 di alcool a 95 °/0;
piperidina gr. 4,035 in gr. 119,54 di alecol a 95 9/0;
la =d,0100n — 000
A= 741, B+6= 170,1. Effetto termico della mescol. = 676,3 cal.
Effetto termico riferito alla grammolecola = 14,26 Cal.
— 581 —
Il calore molecolare di combinazione della piperidina con l'acido pierico
risulta. in media, di 20,56 grandi calorie.
Alla concentrazione di 0,5 — 0,6 circa per cento, in acqua, poco meno
che la metà del picrato appare scissa nei suoi componenti.
Alla concentrazione di 0,5 — 2 circa per cento in- alcool al 95 °/,
parrebbe combinato per circa ’'/s0, e alla concentrazione di circa 4/,
[esper. 7) soluz. sovrasatura] sarebbero combinati circa !4/,, del picrato,
a parte, naturalmente, le complicazioni che si possono avere nelle forma-
zioni del sistema « solvente-acido-base ».
Acido picrico e chinolina (punto di fusione del picrato: 204°):
1) Ac. picrico gr. 3,018, chinolina gr. 1,700, in gr. 373,4 di soluz. alcool.;
equiv. del sist. = 242,2. Innalz. di temp. dovuto alla reaz. = 0,735°;
calore della reazione = 178 cal.;
calore molecolare di combinazione = 73,50 Cal.
2) Ac. picrico gr. 3,110, chinolina gr. 1,752, in gr. 452,6 di soluz. acquosa;
equiv. del sist. = 467,2. Innalz. di temper. dovuto alla reaz. = 0,371;
calore della reazione = 173,3 cal.;
calore molecolare di combinazione = 12,77. Cal.
Il calore molecolare di combinazione della chinolina con l’acido picrico
è, in media, di /3,2 grandi calorie circa: molto prossimo quindi a quello
della piridina.
Acido picrico e tetraidrochinolina (p. di fus. del picrato: 141,5°):
1) Ac. picrico gr. 2,906, tetraidrochinolina gr. 1,687, in gr. 458,8 di so-
luzione acquosa;
equiv. del sist. = 472,8. Innalz. di temper. dovuto alla reaz. = 0,257°;
calore della reazione = 121,5 cal.;
calore molecolare di combinazione = 9,58 Cal.
2) Ac. picrico gr. 2,530, tetraidrochinolina gr. 1,460, in gr. 472,5 di so-
luzione acquosa;
equiv. del sist. = 484,7. Innalz. di temper. dovuto alla reaz. — 0,239°;
calore della reazione = 115,8 cal.;
calore molecolare di combinazione = 10,48 Cal.
8) Ac. picrico gr. 3.453, tetraidrochinolina gr. 2,005, in gr. 375 di solu-
zione alcoolica;
equiv. del sist. = 243,6. Innalz. di temper, dovuto alla reaz. = 0,601;
calore della reazione = 146,4 cal.;
calore molecolare di combinazione = 9,77 Cal.
In media, il calore molecolare di combinazione dell'acido picrico con
la tetraidrochinolina sarebbe di circa 9,9 grandi calorie.
— 532 —
Come si vede dai dati sovraesposti, i calori di combinazione dell'acido
picrico con le basi in questione ànno dunque un valore abbastanza elevato,
come è giustificato dalla natura stessa delle basi.
Nella seguente tabella riassumiamo i risultati principali, ponendoli a
confronto con i valori delle costanti di dissociazione elettrolitica, che sono
state determinate ('):
—_TPT_—__—_—_€__,
COSTANTE DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA Cal. di comb.
Dil. K to Autori ea
Piridina 50 — 600 PERI (0 Mea Lundén 13,84 C.
Piperidina 8 256 1,6 X 1073 ” Bredig 20,56»
Chinolina . 60 — 256 lama ” ” 13,20 »
Tetraidrochinolina . _ _ —_ — 9,58 »
Ac. picrico 33 — 500 1,6 X 107! | 18° | Rothmund —
I calori di combinazione da noi determinati si riferiscono però ai due
corpi (acido e base), che reagiscono allo stato puro (rispettivamente solido-
cristallino e liquido) per formare il picrato cristallino. Il solvente non è che
un intermediario, per facilitare la reazione.
In soluzione diluita i picrati di queste basi sono, come abbiamo veduto
per la piridina, parzialmente dissociati nei due componenti acido e base
(più profondamente quello della base più debole); e tale dissociazione sì
mantiene anche quando la soluzione è satura, o soprasatura rispetto al sale.
Naturalmente, la determinazione del solo calore di combinazione in solu-
zione non è sufficiente a dimostrare in qual forma il sale si trovi dissociato,
perchè, data la energia dell’acido in questione, si avrà anche una parziale
dissociazione elettrolitica.
(*) Landolt-Bérnstein-Roth, Tadelle. 1912.
— 599 —
Chimica-fisica. — Zlettrolisi di acidi organici: acido fenil-
propiolico ('). Nota di B. L. VANZETTI, presentata dal Socio
G. CIAMICIAN.
La scomposizione elettrolitica dell'acido acetilenbicarbonico e del suo
sale potassico in soluzione, nelle condizioni da me sperimentate preceden-
temente (°), si presenta come una delle più semplici e più facilmente inter-
pretabili, tra tutte quelle che io ebbi occasione di studiare da alcuni anni
a questa parte. In ultima analisi sì è visto che, impiegando una corrente
di sufficiente intensità, l'acido brucia completamente all’anodo, formando
ossido di carbonio ed anidride carbonica. Nessuna sintesi, dovuta a residui
anodici, ò potuto constatare.
Era interessante di vedere se questa grande facilità alla scomposizione,
dovuta evidentemente alla presenza del triplo legame nella molecola del-
l’acido acetilenbicarbonico, si manteneva anche nel più semplice derivato
della serie aromatica: l'acido fenilpropiolico. L'acido fenilpropiolico, che si
differenzia già notevolmente dall'acido acetilenbicarbonico per essere mono-
basico anzichè bibasico, è ben lungi dal possedere l’energia di quest'ultimo,
che si può paragonare all’acido solforico. L'acido fenilpropiolico si può col-
locare tuttavia tra il formico e l’'ossalico, o, meglio, tra il formico ed il
maleico, a lato dell'acido tartronico, od ossimalonico. La sua costante di
dissociazione elettrolitica è 5,9 X 10-3 a 25°, per una diluizione 60 + 963
(W. Ostwald).
L'acido tu preparato dal cinnamico seguendo le prescrizioni di Lieber-
mann e Sachse ed avendo cura soprattutto di eliminare completamente l’alo-
geno dall'acido cinnamico bromurato.
La elettrolisi fu eseguita sul sale potassico dell'acido fenilpropiolico,
ad una concentrazione di circa 28°/. Non si potè eseguire la elettrolisi
sulla soluzione acquosa dell'acido libero, perchè esso è molto poco solubile
nell'acqua; e non si potè adottare in nessun caso il sètto poroso per sepa-
rare lo spazio anodico dal catodico. Anche in mancanza di sètto poroso,
specialmente se la cellula è piccola e non si provvede ad una viva agita-
zione del liquido, può accadere che, dopo alcuni minuti, la corrente non passi
(!) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica generale della R. Università di Padova,
diretto dal prof. G. Bruni. La parte sperimentale fu eseguita con la collaborazione del
laureando C. L. Spica.
(*) Questi Rendiconti, vol. XXIV, 1° sem., pag. 611 (1915).
RenDpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 70
— 5394 —
più, in causa di un forte deposito di acido libero, che va ad incrostare
l'auodo.
La provetta, in cui si fece l’elettrolisi del sale, aveva un diametro di
circa 4 cm. L'anodo era costituito da una spirale di platino filo; superficie
immersa circa 12 cm*; una rete di platino, disposta attorno l’anodo, funzio-
nava da catodo.
Il cilindro era chiuso da un tappo di gomma in cui entravano, oltre ai
due elettrodi, un termometro, un tubo per l'uscita dei gas ed un agitatore
ad elica munito di chiusura a mercurio.
Furono saggiate, da prima, piccole densità di corrente, ma senza alcun
altro effetto che la scomposizione di acqua. Quasi nessuna scomposizione
organica si manifesta con densità al di sotto di 25 A X dm? se si ha cura
di raffreddare con ghiaccio la soluzione, in modo che la temperatura non
arrivi al 20°; se la temperatura sale al disopra di 50°, incomincia a rendersi
manifesta una scomposizicne, per lo svolgimento di CO,. Contemporanea-
mente però diminuisce la quantità di ossigeno, che si svolge all'anodo.
I. Durata dell’elettrolisi: 4 ore.
A X dm? | 8.3 16.6 | 16.6 25 25 25 | 25 | 25
1°. OO 1199 19° io 50° 52° 45° 70°
Sost. non sat. 0 0 0 (0) 0 0 0 0
CO, 99%) 919% 0 0 0 1.6 24 3,6
0, 16 0 SO 9.100 2070 3050 _
0s/Hs 048] 0.48) 0.42) 0.46| 0.42] 044| 044| —
Il. Durata dell'elettrolisi: 47 ore. Nelle prime ore si ebbe:
A X dm? 41.5 66 75 66 75 66 25 16 6
10 7199. 95° 92° 85° 80° 95° 70° 56°
Sost. non sat. 04 0.2 0.2 (0) 0.3 0 0.1 0
CO» 8.1 Ti 7.9 4.2 TA AOLT.95 | bli246 315
(CH 255. || 247112319 |42948:1|2241 E 118:30425.4 13012
02/Ha 0.35] 0.85] 0.85] 0.45) 0.31) 0.85] 0.41| 0.45
* L'anidride carbonica trovata in queste due analisi è dovuta al carbonato alcalino.
con cui sì è saturato l’acido per formarne il sale.
Il più caratteristico fatto di questa elettrolisi è che non si è mai potuto
constatare la presenza di ossido di carbonio nei gas della scomposizione.
— 585 —
Di là da una certa temperatura si svolgono invece piccole quantità di
composti non saturi, assorbibili dal bromo e dal reattivo solforico.
La ricerca dell’acetilene, che si presenta talora nella scomposizione
elettrolitica di composti aromatici, diede risultato negativo. Nelle prime ore
dell'elettrolisi si ebbe invece marcatissimo odore di acetofenone, del quale,
sulle prime, non era facile di spiegar l'origine. C. Glaser ('), ha trovato che
riscaldando acido fenilpropiolico con acqua a 120°, si forma fenilacetilene,
il quale poi, per addizione di 1 molecola d’acqua, può fornire acetofenone:
Una reazione analoga, evidentemente, avviene anche nella elettrolisi; ed
è molto probabile che tra i prodotti di scomposizione si trovi, quindì, anche
il fenilacetilene. Ma la scomposizione stessa è troppo lenta perchè si possano
separare quantità di tali prodotti riconoscibili all'analisi. Si può tuttavia
escludere che tali sostanze traggano origine da una semplice scomposizione
per le elevate temperature della soluzione elettrolizzata. Alcune prove a
parte dimostrano facilmente che la soluzione stessa del sale può sopportare
anche un prolungato riscaldamento a 120°, senza che una alterazione del
prodotto si renda manifesta.
È però un fatto facilmente constatabile, che le reazioni secondarie di
questi processi -elettrolitici presentano spesso molta analogia con le reazioni
che ànno luogo nei processi termici di scomposizione.
La comparsa dell'anidride carbonica durante il processo di elettrolisi
ad elevate temperature si potrà attribuire in parte al carbossile dell’acido;
ma non deve sfuggire il fatto che, contemporaneamente alla comparsa del CO»,
sì nota una diminuizione dell'ossigeno. Una parte di esso viene quindi fissata
sulla molecola organica, e contribuisce alla formazione del CO,. Ciò si vede
molto bene nelle due piccole tabelle sopra riportate, confrontando il contenuto
percentuale di CO, nella miscela gasosa colle quantità di ossigeno svoltesi,
o, meglio ancora, col rapporto 0,:H,, che va diminuendo man mano che la
temperatura sale mentre cresce il CO, .
Non si può quindi più parlare di una semplice scomposizione elettro-
litica, perchè anche l'ossigeno anodico entra in azione contro la molecola
dell'acido.
Nonostante la presenza del triplo legame, l’acido fenilpropiolico pre-
senta dunque una grande stabilità all’elettrolisi, contrariamente a quanto ho
potuto constatare per l'acido acetilenbicarbonico.
In questo, l'acido fenilpropiolico si avvicina moltissimo all'acido ben-
zoico, col quale à comuni molte altre proprietà, quali ila poca solubilità,
(1) Liebig*s Annalen, /54, pag. 151.
— 536 —
la volatilità con vapor d'acqua, la sublimabilità. Esso si ritrova in massima
parte inalterato dopo il passaggio della corrente, come se si trattasse di un
acido minerale; e le piccole quantità di prodotti secondarî, di aspetto oleoso,
che si separano in seguito ad una scomposiziono forzata (forte densità di
corrent: e temperatura piuttosto elevata), provengono da fatti, che non sono
certo in relazione diretta col processo elettrolitico, ma derivano da reazioni
molto meno chiare e non prevedibili, come sono quelle che ànno la loro
origine nei processi di ossidazione anodica
La formazione di acido benzoico, che avrebbe potuto considerarsi vero-
simile, come conseguenza di una completa ossidazione della catena carbonica,
pare non abbia luogo. In nessun caso ho potuto isolare questo acido, nè
comunque constatarne la presenza nelle soluzioni saline del prodotto sotto-
posto ad elettrolisi.
Patologia vegetale. — Wr'esperienza sull'azione reciproca
fra radici micotrofiche di piante diverse. Nota di L. PETRI, pre-
sentata dal Socio G. CUBONI.
E già noto da lungo tempo come l'olivo vegeti assai stentatamente in
vicinanza di boschi di quercie; un tal fatto può essere spiegato sia come una
conseguenza dell’eccessivo sfruttamento del terreno o di un particolare stato
di stanchezza di questo, sia anche come un effetto dell'antagonismo che even-
tualmente potrebbe verificarsi fra le radici delle due specie di piante. Si
tratta infatti di due apparati radicali essenzialmente diversi per il loro modo
di diffondersi nel terreno e per la struttura delle loro estremità assorbenti.
Mentre nelle quercie è costante la trasformazione della maggior parte delle
radichette in micorize ectotrofiche, nell’olivo le radici mieotrofiche sono tutte
di tipo endotrofico.
È ormai dimostrato che i funghi concorrenti alla produzione di una
categoria di micorize sono sistematicamente diversi da quelli che dànno
origine all'altra. È quindi ammissibile che una lotta per lo sfruttamento
del terreno possa verificarsi fra i funghi simbiotici di alberi a micorize endo-
trofiche e quelli di alberi a micorize ectotrofiche, con una conseguenza sen-
sibile per la pianta ospite, tanto ammettendo un’utilità della simbiosi per
l'albero, come negando un vero e proprio. mutualismo fra fungo e radici,
giacchè resta sempre possibile il danno che una data specie potrebbe risen-
tire dall'azione di un micelio, il cui parassitismo è solo tollerato dalle radici
di un'altra sorta di piante. A questo riguardo anzi è stato più volte oggetto
di discussione il parassitismo che i funghi delle micorize potrebbero eserci-
tare, in condizioni eccezionali, sulle stesse radici, all'estremità delle quali
ordinariamente si trovano in un armonico rapporto di simbiosi. Non esiste
— 587 —
alcuna seria obbiezione contro la probabilità di una tale azione parassitaria
sulle radici di altre piante, le quali con tali funghi non entrano in simbiosi.
Da queste considerazioni muove un’esperienza eseguita su quercie ed
olivi con lo scopo di stabilire i rapporti che vengono a costituirsi fra gli
apparati radicali di queste due piante quando si trovino a vegetare in uno
spazio limitato di terreno, in modo da obbligare le loro radici a svilupparsi
a reciproco contatto.
Una pianta d'olivo di 3 anni venne piantata, insieme con una piccola
querce, della stessa età, in un vaso di fiori di 40 cm. di apertura, in modo
che i due fusti si trovassero alla distanza di circa 10 cm. l'uno dall'altro.
In un altro vaso similmente preparato, fra i due fusti e i due apparati
radicali, a guisa di piano divisorio, venne posto uno strato di letame dello
spessore di 8 cm. Le due coppie di piante vennero lasciate in queste con-
dizioni per 4 anni. La vegetazione dell'olivo si è conservata un po meno
vigorosa nel vaso non concimato, in confronto a quello concimato.
La querce, astrazion fatta dai danni dovuti all'attacco dell’oidio, ha
mostrato uno sviluppo meno vigoroso dell'olivo.
Questo primo resultato dimostra, intanto, che, a parità di età e d'impianto,
l'olivo può vantaggiosamente sostenere la lotta per lo sfruttamento del ter-
reno contro la querce, le radici della quale non posseggono quindi nessuna
azione nociva su quelle dell'olivo.
Nel valutare questo resultato, conviene tener conto delle sfavorevoli con-
dizioni di vegetazione nelle quali la querce si trova rispetto all’olivo, giacchè,
dato il volume limitato di terreno, le radici della prima, per il loro più
rapido accrescimento, assai più presto risentono della deficienza di spazio.
Questo inconveniente è diminuito nel vaso concimato, dove i due appa-
rati radicali possono trovare abbondante materiale nutritivo in uno spazio di
terreno relativamente molto ristretto. In questo caso, anche l’azione dei micelli
delle micorize, sia fra di loro, sia sulle rispettive radici, è alquanto modi-
ficata da quella che può sussistere in un terreno povero di materiali nutri-
tivi (*): una condizione, quindi, meno favorevole per stabilire l'eventuale
azione nociva del micelio delle micorize della querce sulle radici dell'olivo,
o Viceversa.
L'esame accurato delle radici di un anno della querce, cresciute a con-
tatto con quelle dell'olivo nel terreno non concimato, ha dimostrato l’esistenza
di brevi zone brune, in corrispondenza delle quali la corteccia primaria, in
via di esfogliazione per la formazione della prima peridermide, presenta un
processo di umificazione avanzata.
(') E noto che in un terreno ben concimato i funghi delle micorize degli alberi si
comportano come semplici commensali, del tutto innocui (cfr. L. Mangin, in Nouv.
arch. du Museum d’hist. nat. 5ème sér., 1910).
— 538 —
Al microscopio simili zone di tessuto imbrunito mostrano qua e là delle
vescicole irregolarmente ovali, lobate, di dimensioni che oscillano fra i 35-45 4
ei 65-75 u. Queste vescicole, che sono rappresentate nella figura qui unita,
hanno parete ispessita, giallastra, con un contenuto costituito da sostanze
grasse.
Vescicole formate dall’endofita radicale dell'olivo sulle radici della querce
500
li ).
(Ingr.
Esse si originano all'estremità di grossi filamenti di micelio di 6-9 u
di spessore. La formazione di queste vescicole avviene negli strati profondi
del parenchima corticale. In alcune sezioni ne sono state osservate a contatto
della peridermide.
I caratteri del micelio e delle vescicole corrispondono esattamente a
quelli del micelio e delle vescicole che normalmente si trovano nelle mico-
rize endotrofiche dell'olivo. Quale significato si deve attribuire a questo fatto?
Ho già mostrato, in altri lavori (*), che il micelio esterno delle micorize endo-
trofiche, dopo la morte di queste, può vivere da saprofita sulle radici in
decomposizione, giungendo anche a formare quei filamenti moniliformi aerei
che sono stati considerati come fruttificazioni conidiche (Bernard).
Nel caso ora descritto, non si ha questo sviluppo superficiale, ma bensì
uno intercellulare, con formazione di vescicole, quale avviene nel parenchima
vivente della corteccia primaria. La penetrazione nelle radici di un anno della
querce avviene, senza dubbio, poco prima della formazione della peridermide.
Non si può quindi parlare che di un debole parassitismo esercitato sopra un
tessuto morente.
Il danno risentito dalle radici per questa infezione non può essere che
trascurabile. Si verifica -.solo un'accelerazione della morte della corteccia pri-
maria in alcuni punti, ciò che può portare, eccezionalmente, alla formazione
di piccoli cancri. Se il fatto non sembra avere un'importanza pratica, dal
punto di vista delle nostre cognizioni sulle micorize, rappresenta un dato
nuovo per ciò che riguarda l’azione parassitaria, che, indipendentemente dai
(*) Petri L, Studi sulle malattie dell'olivo (Mem. d. staz. di patologia veg., Roma,
G. Bertero 1911).
— 539 —
rapporti normali di simbiosi, certi funghi possono esercitare sulle radici delle
piante superiori.
È interessante il fatto che le radici di un anno dell'olivo non presen-
tano alcuna traccia d’ infezione da parte dell'endofita delle radichette, ciò che
potrebbe far concludere che la ricettività per questo organismo, a una certa
distanza dall’apice, sia molto minore nelle radici dello stesso olivo che non
quella offerta dalle radici della querce. Il micelio ectotrofico di queste ultime
sembra esser privo di qualsiasi azione parassitaria sull’olivo. Così pure la
specificità dei due funghi nella formazione delle micorize resta ben confer-
mata dall’esperienza: infatti, nè le radici dell'olivo hanno presentato delle
micorize ectotrofiche, nè quelle della querce micorize endotrofiche.
Riferendoci ora al deperimento degli olivi, più volte osservato in vici-
nanza di boschi di quercie, si può concludere che la causa di tale deperi-
mento va cercata nell’eccessivo sfruttamento del suolo da parte del bosco, o
in un eventuale marciume radicale per Dematophora, sviluppatasi sui residui
sotterranei del bosco stesso. Un'azione dannosa, dovuta al micelio delle mico-
rize della querce, deve essere assolutamente esclusa.
Fisiologia. — Osservazioni sulla tigmotassi nei Parameci.
Nota del prof. G. A. ELRINGTON ('), presentata dal Socio L. LucIanI.
Lo scopo principale delle presenti osservazioni fu di determinare il
rapporto tra la reazione tigmotattica e le variazioni termiche dell'ambiente.
In occasione delle osservazioni preliminari, potemmo seguire anche gli effetti
che sui paramecî in tigmotassi vengon prodotti dall'urto di altri paramecî
o colpidii, nuotanti in giro. Essendo i risultati di queste osservazioni non
privi di un certo interesse, abbiamo creduto opportuno di unirle alle altre
in questa Nota preventiva.
Il termine « tigmotassi » indica le reazioni presentate dagli organismi
agli stimoli di contatto da parte di corpi solidi. Tra gli infusorî ciliati si
presta molto bene il paramecio allo studio di queste reazioni di contatto.
Come Jennings, Piitter ed altri hanno dimostrato, basta porre pochi para-
mecî in una goccia di acqua contenente frammenti di sostanza organica:
bacterii, tibre di cotone, o piccoli pezzetti di carta sfibrata, ecc. Dopo un
certo tempo, variabile, alcuni dei paramecî diventano positivamente tigni0-
tattici, assumendo una posizione caratteristica di riposo addosso all'oggetto
solido.
(1) Insegnante nel Collegio Internazionale « Angelico » di Roma. Le ricerche furono
fatte nell'Istituto fisiologico dell’Università di Bonn, nel semestre di estate del 1912, per
consiglio e sotto la guida del prof. M. Verworn.
— 540 —
Essi generalmente aderiscono al corpo solido o coll’estremità anteriore
oppure col fianco. In ogni caso le ciglia, che sono a contatto col corpo
estraneo, sono immobili. Le ciglia della doccia orale, di solito, continuano
a battere, mentre quelle delle altre regioni del corpo sono spesso tutte im-
mobili o pulsanti solo in certe regioni. Se le ciglia sono tutte immobili,
esse generalmente giacciono in direzione obliqua alla superficie del corpo:
quelle di un lato sono dirette all’innanzi; quelle dell'altro lato, all'indietro.
Effetti dell'urto da parte di individui nuotanti liberamente. — 1 pre-
parati per l'osservazione contenevano un certo numero di colpidii insieme
coi paramecî. I colpidii nuotavano in giro liberamente, venendo, così, spesso
a urtare contro i paramecî fermi per tigmotassi. Nel maggior numero dei
casi l'urto non modificava la reazione di contatto. L'animale rimaneva fermo,
o, al più, si spostava lievemente in avanti, appena cambiando di posizione.
L'urto produceva, però, un certo effetto sui movimenti delle sue ciglia. Se
un colpidio o paramecio veniva, per es., nel nuoto, a toccare l’estremo poste-
riore di un individuo fermo per tigmotassi, si osservava che le ciglia del-
l'estremo anteriore reagivano battendo più energicamente. Le ciglia delle altre
regioni del corpo, se erano immobili, rimanevano in tale stato. Alcune volte
il protozoo nuotante liberamente veniva a toccare un punto della superficie
laterale dell'individuo fermo; allora spesso si vedeva che reagivano. muo-
vendosi, le ciglia di un punto situato nella superficie del lato opposto a quello
urtato. L'eccitamento prodotto dall’urto nel protoplasma, urto che non era
sufficiente a modificare la tigmotassi, determinava, per così dire, in via riflessa,
un movimento localizzato in alcune ciglia lontane. Il protoplasma dei para-
mecî sembra, quindi, essere dotato di proprietà di condu/tività, oltre che
di proprietà di ecci/abilità, come ogni sostanza vivente.
Effetti delle variazioni termiche. — 1 preparati erano fatti in goccia
pendente, in cui era incluso un pezzetto di carta bibula sfibrata. La goccia
era montata sulla cavità di un tavolino scaldabile di Pfeiffer. I paramecî
provenienti dalla cultura erano centrifugati e lavati due o tre volte in acqua
pura. L'intervallo, che precedeva la reazione di tigmotassi allo stimolo di
contatto, era nei diversi individui molto variabile; ciò che è stato osservato
anche da altri. Appena alcuni individui si fermavano per tigmotassi. si leg-
geva la temperatura nel termometro annesso all’apparecchio; poi si faceva
lentamente salire la temperatura, col far circolare una corrente di acqua
calda. In altre osservazioni sì sostituiva acqua fredda all'acqua calda.
Prendendo in esame dapprima i risultati ottenuti coll’aumento di tem-
peratura, troviamo che già una lieve elevazione termica bastava per modi-
ficare profondamente la reazione al contatto. Il grado preciso, in cui i para-
mecî interrompevano la loro posizione, era variabile e apparentemente indi-
— b4l —
pendente dalla temperatura in cui si erano fermati per tigmotassi. Per una
temperatura iniziale oscillante tra 15° e 19° C, trovammo che la reazione
tigmotattica cessava ad una temperatura oscillante tra 22° e 30° C. Facendo
allora scendere lentamente la temperatura, si notava il punto in cui la tigmo-
tassi tornava ad essere positiva. Se poi si faceva immediatamente risalire
la temperatura, in generale si osservava che la reazione negativa avveniva
a un grado di temperatura superiore che non nel primo esperimento. Ciò ri-
sulta chiaramente dalla seguente esperienza:
La temperatura iniziale era 18° C.; la tigmotassi negativa avvenne
a 29°; tigmotassi positiva si ebbe di nuovo a 27° C.; e la seconda reazione
negativa si ebbe a 33° O.
È probabile che ciò sia dovuto ad una aumentata produzione di CO,
la quale, secondo Jennings e altri osservatori, favorisce la reazione di tigmo-
tassi nei paramecî. In ogni modo, dalle mie ricerche non è confermata
l’affermazione di Pitter (*), che i paramecî cessino di reagire positivamente
allo stimolo di contatto, soltanto quando la temperatura è salita a 37° O.
Una temperatura molto più bassa basta a produrre questo effetto.
Anche l'abbassamento di temperatura produce reazione negativa. Sotto
l'azione del freddo i paramecî, fermi, dapprima cominciano a muovere le
ciglia, e poi si distaccano dall'oggetto e nuotano energicamente nell'acqua.
In una serie di osservazioni facemmo alternativamente abbassare, e poi
salire, e quindi di nuovo abbassare e così via, la temperatura. Vedemmo
che una discesa di 1° a 3°, di solito, bastava a provocare la reazione nega-
tiva, come dimostra il seguente esperimento (esp. IV):
La temperatura ini ziale era di 16° C., a cui alcuni individui mostra-
rono tigmotassi positiva; la reazione negativa fu provocata da 15°; a 13°,
tutti gli individui, che erano fermi in tigmotassi, si misero in energico mo-
vimento. La temperatura tornò ad elevarsi a 14°, in cuì si ripresentò la
reazione positiva, che fu interrotta di nuovo a 13°. Tornando a far salire
la temperatura, alcuni individui ridivennero fermi per tigmotassi. Un ulte-
riore aumento della temperatura a 20° provocò la reazione negativa.
Un altro esperimento merita ancora essere ricordato (esp. X). La tem-
peratura iniziale della reazione positiva era di 17°,5. A 14° avvenne reazione
negativa, e a 13° alcuni individui ridivennero fermi per tigmotassi: individui
che però presentarono reazione negativa abbassando la temperatura a 10°.
I movimenti dei protozoi, a tale temperatura, erano però molto lenti.
() A. Piitter, Studien ber Thigmotaxris bei Protisten, ‘Arch. f. Physiol., 1900,
Supplem.
RenNDICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 71
— 542 —
L'annessa tabella riassume i risultati delle esperienze.
ESPERIMENTO + CONTO +T. SR N +T. —T()
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Concludendo, possiamo dire:
1) lievi variazioni termiche al di sopra o al disotto della tempera-
tura, in cui i paramecî mostravano tigmotassi positiva, bastano a interrom-
pere la reazione, producendo tigmotassi negativa;
2) la reazione positiva sembrerebbe dipendere non solo dallo sti-
molo di contatto, ma anche da certe condizioni interne o stati fisiologici
degli organismi reagenti, poichè in un dato preparato, in cui apparente-
mente le condizioni esterne sono identiche per tutti gli individui, soltanto
un certo numero di essi reagisce positivamente allo stimolo di contatto.
(1) Le indicazioni + T e — T stanno a significare i gradi di temperatura, che pro-
vocavano la reazione di tigmotassi positiva o negativa.
— 543 —
Fisiologia. — Su di alcuni mezzi chimici di difesa contro
:l freddo ('). Nota preventiva di A. MontuORI e R. POLLITZER,
presentata dal Socio IL. LUCIANI.
Il meccanismo con cvi gli animali omotermi riescono a conservare pres-
sochè immutata la temperatura del loro corpo in ambienti freddi, già noto
nelle sue linee generali. è stato meglio chiarito da una serie di nostre ri-
cerche che ci hanno ora condotto ad escogitare dei mezzi farmacologici con
cui si può riuscire a rendere più resistenti gli animali nella lotta contro
le basse temperature. L'esposizione sommaria dei risultati ottenuti con questi
mezzi forma l'oggetto della presente Nota preventiva.
Era noto, da parecchio tempo, che, quando gli omotermi si trovano esposti a
temperature abbastanza più basse di quella del loro corpo, compensano in parte
l'aumentata perdita di calore producendone una maggiore quantità: questa
maggiore produzione è dovuta, per la massima parte. alla esagerazione del
tono generale dei muscoli determinata da un riflesso termico.
Circa dieci anni fa Montuori (*) precisò il meccanismo di questa termo-
genesi compensativa, dimostrando che nel sangue di un animale raffreddato
artificialmente si trovano sostanze che, iniettate in un altro normale, esagerano
in quest'ultimo la produzione di calore. Tali sostanze sì formano nei mu-
scoli in contrazione: sicchè l'aumento della termogenesi. determinato dal
freddo. dipende non tanto dalle più energiche contrazioni muscolari che questo
direttamente provoca, quanto soprattutto da sostanze ipertermizzanti che
produce il muscolo contratto e che eccitano la termogenesi in tutto l’orga-
nismo.
La integrità dei rapporti tra muscoli e sistema nervoso rappresenta una
condizione essenziale per Ja produzione di questi corpi ipertermizzanti, poichè
gli animali in cui viene distrutto o cocainizzato il midollo spinale, oppure
vengono paralizzate col curaro le giunture neuro-muscolari, anche quando
vengono raffreddati forniscono un sangue che, iniettato in altri animali, ab-
bassa la termogenesi anzichè esageraria.
Anche i così detti centri termici, scoperti da Aronshor e Sachs, agiscono
con un meccanismo analogo, poichè il sangue di conigli, resì jpertermici con
(!) Lavoro eseguito nell’Istituto fisiologico della R. Università di Roma, diretto dal
prof. L. Luciani.
(3) A. Montuori, Ricerche biotermiche, pag. 30 (1904).
— 544 —
la puntura del corpo striato, esagera la termogenesi come dimostrò Mon-
tuori (') e come confermarono poi le osservazioni di Mansfeld (?).
Da queste ricerche potè dunque concludersi che uno dei più potenti
mesi di regolazione termica in ambiente /reddo è la formazione di
corpi esageranti la produzione di calore e che si formano nei muscoli per
l’intermezzo del sistema nervoso.
Recentissime ricerche eseguite da noi due, ora in corso di pubblica-
zione (*), hanno confermato la esattezza di questo concetto e ci hanno di
più rivelata un'azione negativa che il sistema nervoso può alle volte spiegare
nelle forme esagerate di raffreddamento.
In perfetto accordo colle precedenti vedute, noi constatammo che la
iniezione venosa o peritoneale di sangue di cavie, modicamente e lentamente
raffreddate, è capace di preservare dalla ipotermia altre cavie tenute egual-
mente in un ambiente freddo. Se però le cavie che fornirono il sangue erano
sottoposte ad un raffreddamento eccessivo (per es., fino alla scomparsa del
riflesso oculo-palpebrale), si aveva un effetto opposto; la iniezione cioè del
loro sangue in altre cavie rendeva queste meno resistenti al raffreddamento.
Quest'ultimo fatto, debitamente vagliato, è di una importanza considerevole
inquantochè ci presenta da un nuovo punto di vista la influenza del sistema
nervoso nella lotta degli omotermi contro le basse temperature.
Fino a che il raffreddamento non raggiunge il punto di deprimere o
sospendere la funzione del sistema nervoso centrale, questo interviene attiva-
mente ed eccita i muscoli alla produzione di sostanze ipertermizzanti, man-
tenendo alla sua norma il livello termico. Ma quando la sottrazione di calore
operata dall'ambiente è tale da rendere insufficiente la iperproduzione, allora
il sistema nervoso, primo a risentirsi della ipotermia, più non è capace di
intervenire, e l’animale si trova nelle stesse condizioni di quelli che siano
privi dei normal: rapporti tra muscoli e sistema nervoso; si formano cioè
sostanze che deprimono i processi di termogenesi ed aggravano il raffred-
damento.
Da quanto si è esposto si deduce adunque che il raffreddamento degli
omotermi e la morte per freddo non dipendono solo dalla insufficienza della
termogenesi compensativa e dei meccanismi protettori contro la dispersione
di calore. Vi è un altro fattore, molto importante, che le citate nostre ricerche
hanno messo in evidenza: ed è la insufficienza funzionale del sistema nervoso,
per cui si formano nell'organismo sostanze che, invece di esagerare la termo-
genesi, la riducono considerevolmente.
(*) A. Montuori, /l sistema nervoso e la termogenesi. Gazz. internaz. di medicina
(1905).
(*) Zentralbl. f. Phys., Bd. XXVII (1913).
(*) A. Montuori e R. Pollitzer, Sull'adattamento alle basse temperature e sulla
morte per raffreddamento. Archivio di farmacologia e scienze affini, anno XX (1915).
— 545 —
Data questa nuova condizione del modo con cuì si determina la inca-
pacità dell'organismo a lottare contro le basse temperature, ne viene di con-
seguenza che, oltre 1 movimenti volontarî che direttamente o indirettamente
esagerano la produzione di calore. noi possiamo provvedere ad una difesa
immediata dal freddo esagerando con opportuni mezzi farmacologici la fun-
zionalità del sistema nervoso, in modo da impedirne l'esaurimento. Potrà
essere questo un espediente che, accompagnato ad una dieta opportuna, diventa
un mezzo complementare di protezione per l’uomo costretto a vivere nei climi
freddi.
[ risultati delle nostre ricerche —- che esponiamo qui in modo sommario,
rimettendoci, per i dettagli, alla pubblicazione definitiva — ci hanno dimostrato
la possibilità di applicare alla pratica i criterî provenienti dalle ricerche
teoriche. Scopo principale delle nostre indagini sperimentali è stato quello
di trovare delle sostanze atte ad eccitare il sistema nervoso centrale, in modo
da esagerare la formazione dei corpi ipertermizzanti ed impedire secondaria-
mente la produzione di quelli ipotermizzanti che determinano, come »i è detto,
lo squilibrio termico e l'abbassamento della temperatura.
Con questo modo di procedere noi non abbiamo indagato (come sì è
fatto già da molti) la influenza di determinate sostanze snlla termogenesi
normale; ma, in base alle nostre precedenti ricerche, abbiamo cercato di
vedere se esistano degli eccitanti del sistema nervoso i quali in dosi mode-
rate sieno capaci di esagerarne la funzione termo-regolatrice contro il freddo,
e soprattutto di impedirne quella depressione che come, abbiamo esposto, è la
più grave causa della ipotermia premortale. Possono infatti trovarsi degli
eccitanti che, mentre non sono capaci di elevare la temperatura del corpo in
ambienti temperati, riescono invece ad impedire l'ipotermia negli ambienti
freddi In modo analogo, benchè diametralmente opposto, gli antipiretici, mentre
non sono in grado di agire sulla normale temperatura, esercitano un effetto
ipotermizzante quando questa è abnormemente elevata.
La semplicissima tecnica veniva indicata dallo scopo stesso delle nostre
indagini. Si trattava di collocare in un ambiente freddo (ghiacciaia) alcuni
animali, somministrare loro determinate sostanze ed osservare il decorso
delle variazioni della loro temperatura in confronto di altri animali testimoni,
tenuti nello stesso ambiente, della stessa specie e grandezza ed egualmente
alimentati. Come animali di esperimento scegliemmo le cavie ed i cani. Le
cavie, perchè, essendo esse, come è noto, provviste di mezzi regolatori contro
il freddo alquanto limitati, si prestavano meglio ad esagerare le condizioni
sperimentali del raffreddamento; i cani, perchè, regolando essi, all'opposto,
abbastanza bene la loro temperatura, potevano dimostrare con maggiore
evidenza la eventuale azione protettiva delle sostanze che si sperimentavano.
Il numero di tali sostanze sarà certamente esteso da ulteriori ricerche;
ci siamo per ora limitati allo studio degli eccitanti generali di uso più
— 546 —
comune (come l'alcool, il caffè, il the), e ciò principalmente per non uscire dal
campo delle possibili applicazioni all'uomo.
Tralasciando di riferire sui tentativi diretti a determinare le dosi minime
efficaci e quelle massime dannose, nonchè altri dettagli di tecnica, esporremo
in modo riassuntivo i più importanti risultati delle nostre osservazioni. Tali
osservazioni, per le cavie, furono eseguite mettendole in una ghiacciaia a
temperatura oscillante fra 5° e 8°C. Per i cani si ricorse invece alla im-
mersione totale in un bagno di acqua corrente a 5°-10° C.
1. Alcool. — Nelle cavie le iniezioni sottocutanee di piccole dosi (1 cc.
di alcool anidro per kgr., debitamente diluito) impediscono momentaneamente
l'abbassamento della temperatura che si verifica nelle altre testimoni. In
secondo tempo però la ipotermia diventa più accentuata in confronto delle
cavie normali.
Dosi più forti (5-10 ccm. per kgr.) determinano sin dall'inizio una
accentuata ipotermia. Nei cani non siamo riusciti a trovare una dose minima
che preservi anche temporaneamente dalla ipotermia.
2. Caffeina e caffè. — Nelle cavie e nei cani la iniezione di piccole
dosi di caffeina (mmgr. 5 a 10 per kgr.) rende gli animali abbastanza più
resistenti al raffreddamento. A differenza dell'alcool, la cui azione transito-
riamente favorevole si determina subito dopo l'iniezione, la caffeina comincia
ad esplicare gli effetti circa 20 minuti dopo; ma questi sono duraturi e non
vengono seguìti da una fase negativa.
L'azione del catfè, dato per bocca o ipodermicamente, è risultata sostan-
zialmente identica. Non è stato possibile di precisarne la posologia; solo diremo
che abbiamo adoperato degli infusi a caldo di buon caffè torrefatto, e ne
abbiamo somministrato tanto quanto approssimativamente poteva corrispon-
dere alla quantità di caffeina verificata attiva. Una osservazione interessan-
tissima per la pratica è stata quella che nei casi in cui, invece dell'in-
fuso a caldo, abbiamo adoperato una decozione di caffè, facendola bollire per
un certo tempo, e specialmente quando aggiungevamo per una seconda deco-
zione nuovo caffè a quello già bollito, abbiamo avuto sempre effetti del
tutto opposti: gli animali si raftreddavano più intensamente di quelli
testimoni. Questa osservazione può spiegarsi con la ipotesi che molti corpi
ad azione ipotermizzante (piridina, idrochinone etc.) che si producono nella
torrefazione, passino a preferenza nel decotto, anzi che nella infusa di caffè.
3. Caffeina (0 caffè) ed alcool. — L'idea di somministrare simultanea-
mente queste due sostanze, per studiarne l’azione sui poteri termo-regolatori,
ci venne suggerita da alcune antiche ricerche di Lewis (*) il quale notò che,
mentre la caffeina o l'alcool separatamente non producono notevole esagera-
(') Lewis. Caffeine in its relashionship to animal heat and as contrasted with
alcohol. Journ. of mental science, 1882, pag. 167.
— 547 —
zione della termogenesi, prese insieme nelle stesse dosi provocano un aumento
della produzione di calore. Noi pensammo che se questo miscuglio era capace
di agire sulla termogenesi normale, durante cioè la fase di perfetto equilibrio
con l’ambiente, avrebbe potuto con maggiore efficacia, somministrata in dosi
anche minori, sostenere le funzioni del sistema nervoso durante il raffred-
damento e mantenerne il potere termoregolatore.
I risultati furono dei più incoraggianti, sia con l'alcool e caffeina, sia”
con l'alcool e caffè, ed egualmente spiccati nelle cavie e nei cani. Tra le
constatazioni fatte in proposito, crediamo più importante di riferire che:
a) L’alcool a piccole dosi, addizionato a caffè o a corrispondente
quantità di caffeina, lungi dall'esercitare un’azione deprimente sulla tempe-
ratura degli animali in ambiente freddo, la esalta sempre: e non solo imme-
diatamente dopo la somministrazione, per poi abbassarla, come avviene quando
lo si propina da solo.
6) A preservare dal raffreddamento si richiedono dosi di caffè e di
caffeina molto minori, quando sono associate a piccole dosi di alcool, rispetto
a quelle che avrebbero un'azione molto debole quando fossero date senza
aggiunta di alcool. Nelle cavie, per es., con una dose di mmgr. 4 di caffeina
+/» cc. di alcool per kgr., si ottengono effetti molto più notevoli che non
con 15 mmgr. di sola caffeina. Nei cani producono gli stessi effetti dosi
eguali di caffeina associate appena ad un quarto della quantità di alcool
richiesta per le cavie.
c) L'azione protettiva del miscuglio alcool-caffeina perdura per pa-
recchie ore; molto più efficace e duratura diventa quando il miscuglio si
propina lentamente, o per iniezioni ipodermiche ripetute, o per ingestione
orale, in modo che l’assorbimento diventi lento e continuo.
d) La quantità dell'alcool da associarsi alla caffeina deve essere molto
limitata, e, in ogni modo, non deve sorpassare quella che da sola sarebbe
capace di preservare l’animale, benchè temporaneamente, dall'ipotermia.
e) Nei limiti ristretti dei nostri esperimenti non abbiamo riscontrato
assuefazione a questo trattamento misto di alcool-caffeina. Le cavie ed i cani
cui abbiamo somministrato per parecchî giorni di seguito questo miscuglio,
raffreddati sistematicamente, hanno sempre dimostrato una molto più ener-
gica resistenza al freddo rispetto agli animali testimonî.
f) La resistenza al freddo degli animali trattati con alcool e caffeina
può essere misurata dal fatto che essi presentano una temperatura che può
superare di circa 7° quella degli animali testimonî tenuti nello stesso am-
biente freddo. Alle volte il raffreddamento uccide i testimoni, mentre quelli
trattati con caffeina e alcool sopravvivono.
4. The. — Il grande uso di the tra gli abitanti dei climi freddi, ed
il contenuto in caffeina di questa droga, avrebbero potuto far credere a priori
ad una azione del the analoga a quella del caffè e della caffeina. I risultati
— 548 —
però dei nostri moltissimi esperimenti furono sempre opposti; la somministra-
zione di the abbassa la resistenza al raffreddamento anche quando al the
sì unisca l'alcool. Alle volte gli animali morivano per raffreddamento, mentre
i testimonî restavano in vita. È difficile dare per ora una spiegazione di
questo fatto che forse dipenderà dalla qualità e dal modo di preparazione
delle foglie da noi adoperate.
Esperimenti analoghi sono in corso circa l'influenza di altre sostanze
sulla regolazione contro il freddo e circa il loro meccanismo di azione. Nella
speranza di poter presto procedere ad applicazioni dirette sull'uomo, abbiamo
creduto opportuno, per ora, di render noti questi primi risultati, che
I) ci additano nel caffè (preparato per infuso a caldo, e non per de-
cotto), addizionato a piccole dosi di alcool, un mezzo comodo e piacevole,
capace di combattere con efficacia gli effetti perniciosi delle basse tempe-
rature ;
II) dimostrano inutile, se non dannoso, l’uso del the;
III) confermano ancora una volta l'azione deleteria del solo alcool
sui poteri regolatori della temperatura del corpo in ambienti freddi.
Chimica fisiologica. — cercle sull’Arginasi. IV. Sulla
presenza dell’ Arginasi nel fegato dell’embrione umano. Nota del
dott. ANTONINO CLEMENTI, presentata dal Socio 1. LUCIANI.
Chimica fisiologica. — Azcerche sulla scissione enzimatica
dei Polipeptidi per azione di estratti di tessuti e di organi
animali. I. Azione del fegato di uccelli, di anfibi, di rettili, di
pesci e di invertebrati sulla d-l-leucilglicina. Nota del dott. AN-
TONINO CLEMENTI, presentata dal Socio L. LUCIANI.
Queste Note saranno pubblicate in uno dei prossimi fascicoli.
PRESENTAZIONE DI LIBRI
Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono,
segnalando quelle inviate dai Soci stranieri DARBOUx, GREENHILL e PICKE-
rING. Fa inoltre particolare menzione del vol. XII, ser. 2%, degli Azzi
dell’ Istituto Botanico dell’ Università di Pavia, offerto in dono dal Socio
Briost; di una Commemorazione del Socio LorENZONI, detta dal profes-
— 549 —
sore AnTONIAZZI a Padova; nonchè del volume pubblicato in occasione del
compiutosi Centenario della Società Elvetica delle scienze naturali, e di
alcune Note a stampa dell’astronomo SEE.
Il Presidente BLAsERNA offre, a nome del Socio CeLoRIA. la pubbli-
cazione intitolata: Arzo bisestile 1916 — Articoli generali del calendario
ed effemeridi del sole e della luna per l'orizzonte di Milano; e poi, a
nome dell’Università di San Domingo, il: Cod:go organico y reglamentario
de Educacion comun.
CONCORSI A PREMI
Lo stesso PRESIDENTE ricorda che col 31 dicembre dell’anno che sta
per terminare, scadono i concorsi: ai consueti due premî Reali, di cui uno
riguarda le Scienze biologiche e l'altro lArcheologia; ai premî del Ministero
della Pubblica Istruzione per la Matematica, per la Storia civile e disci-
pline ausiliarie, e per la Pedagogia; al premio di Fondazione Santoro e
al premio Sella.
Bi. Mi
Renpiconti. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 72
— 550 —
OPERE PERVENUTE IN
DONO ALIL’ACCADEMIA
presentate nella seduta del 5 dicembre 1915.
ANTONIAZZI A. M. -- Commemorazione di
Gius. Lorenzoni. Padova, 1915. 8°.
Articoli generali del calendario ed effe-
meridi del sole e della luna per l’oriz-
zonte di Milano (con appendice). Mi-
lano, 1915. 8°.
BrIosi G. — Atti dell'Istituto botanico del-
l' Università di Pavia. Ser. 22, vol. 129.
Milano, 1915. 8°.
Centenaire de la Société helvétique des
sciences naturelles, 1815-1915. Ge-
nève, 1915. 8°,
CoLomsa L. — Ricerche sui giacimenti di
Brosso e di ‘l'raversella. Parte 22. I
fenomeni di metamorfismo e di depo-
sito nei giacimenti inferiori di Tra.
versella (Estr. dalle « Memorie della
R. Accad. delle scienze di Torino »,
ser. II, vol. LXVI). Torino, 1915. 8°.
CoLompa L. — Sopra alcune relazioni esi-
stenti fra i caratteri strutturali della
leucite e le sue giacitare (Estr. dal
« Boll. della Soc. geol. ital. », vol. 34°).
Roma, 1915. 8°.
DarBoux G. — Legons sur la théorie gé-
nérale des surfaces et les applications
géometriques du calcul infinitesimal.
20 partie. Paris, 1915. 8°.
DeLerosso M. — Note mineralogiche sulla
"valle di Cogne. (Estr. dal « Boll. della
Soc. geol. ital. », vol. XXXIV). Roma,
TOT 88
D'Erasmo G. — La fauna e l’età dei cal-
cari e attioliti di Pietraroja (prov. di
Benevento). (Estr. dalla « Palaeonto-
graphia italica », vol. XXI). Pisa,
1915. 8°.
Piazzo Carnar A. — “ocigo organico y
reglamentario de edu'‘acion comun-
Edicion oficial, Santo Domingo, 1915.
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FiaLLo CaBRAL A. — Cuadro sinoptico de
la doctrina biocosmica de la gravi-
tacion universal y de la jeneracion de
los mundos. Santo Domingo, 1915. 8°.
GREENHILL G. — Note on dr Searle’s
experiment on the harmonic motion
of a rigid body. (Extr. from the « Pro-
ceedings of the Cambridge philoso-
phical Society », vol. XVIII, Part. III).
Cambridge, 1913. fol.
Longo B. — Delectus sporarum-seminum-
fructuum, anno McMxv collectorum,
quae hortus botanicus Senensis pro mu-
tua commutatione offert. Senis, 1915.
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eseguite con gli allievi ingegneri della
R. Scuola di applicazioue di Roma,
1912-13. Roma, 1913. 8°.
MeLI R. — Sopra un lembo di argille
plioceniche affioranti presso la salina
di Corneto-Tarquinia in provincia di
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radialen und ulnaren Gefùh]lsfelder auf
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ced movements. (Repr. from «Brain»,
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nating pulse. (Repr. from the « Jour-
— 551 —
nal of physiology », vol XXXVI). s. 1.
nec d. 8°.
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and the ascending vestibulary connec-
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(Repr. from. « Proceedings of the Mee-
ting of saturday », vol XVI). s. l.
nec d. 8°,
Muskens L. J.J. — Studies on the main-
tenance of the equilibrium of motion
and ist disturbances, so-called « for-
‘ced movements », (Repr. from the
« Journal of physiology », vol. XXXI).
s. 1. nec d. 8°.
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mogliati a raccolta, e loro influenza
sulla futura campagna granicola. (Estr.
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(Repr. from « Science », vol. XXXIX).
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rem on the decrease of the eccentri-
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sisting medium. Mare Island, Cali-
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on the planet Neptune. (Abdr. aus den
« Astr. Nachr. », Bd. 194). Kiel, 1913.
89°
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‘of Plato and Newton on the origin
of the planets. (Abdr. aus den « Astr.
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in man. (Repr. From. « Reading Uni-
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Troporo G. — Osservazioni sulla ecologia
delle cocciniglie, con speciale riguardo
alla mor‘ologia e alla fisiologia di
questi insetti. (Estr. dal « Redia »,
vol. XI). Firenze, 1915. 8°.
RIMINI 11
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col 81 dicembre 1915. ORIO, eni. ERO ORO ERP i AO
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©‘. HRRATA-CORRIGE-
RENDICONTI — Dicembre 1915.
INDICE
Ulasse di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Seduta del 5 dicembre 1915.
MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI
+Levi-Cwita. Sul problema piano dei tre corpi. Forme esplicite (mista e canoniche) delle
equazioni regolarizzate. . . . STI ORO SORIA
Tedone. Campi elettromagnetici o di i una o TE (lesa e it
Maillosevich F.. Alotrichite di Rio (isola d'Elba)... . . ASSTRE ”
Cisotti. Profili di pelo libero in canali di profondità finita (Cic dal Bacio Leda »
Vacca. Sulle scoperte di Pietro Mengoli (pres. dal Socio Volterra) . . . /.0/<.0. + n
Vergerio. Sulla condizione Picard-Lauricella per l’esistenza di soluzioni nell'equazione integrale
di 1° specie (pres. dal Socio Levi-Civita) i 1... 3 »
Andreoli. Sul concetto di gruppo di monodromia per una e ha infiniti vata du
daliSocioVolterzo N one ; Sor Sato)
Scorza. Sulle varietà algebriche con infiniti ioni iepoliri di ni riducibili (5 dal
Comisp. i Cisti ee i ARE
Sonaglia. Sulla legge di Lo Surdo (pres. dal Cotti ul È ea »
Cusmano. Processi di riduzione e ossidazione nel gruppo dei terpeni (pres. dal SoGio si O,
Vansetti e Gazzabin. Sul calore di formazione di composti organici di addizione. IV. Picrati
(pres. dal Socio Ciamician). .. . . SLAVE Ego
Vanzetti. Elettrolisi di acidi organici: ica feat pratico ra on Mei A00n
Petri. Un'esperienza sull’azione reciproca fra radici micotrofiche di piante diverse fa dal
SOCLONGUDONO E SR. : Rae o,
Elrington. Osservazioni sulla Md nei Pirgniar mu i Si) Lasi RA)
Montuori e Pollitzer. Su «di alcuni mezzi chimici di difesa contro il freddo (pres. /d.) . »
Clementi. Ricerche sull’Arginasi. IV. Sulla presenza dell’Arginasi nel fegato dell'embrione |
umano (pres. /d.) (*) 0... ; È ; DESTINI GRA
Id. Ricerche sulla scissione RI dei Polipeptidi per azione di cotta di uf e di
organi animali. I. Azione del fegato di uccelli, di anfibi, di rettili, di pesci e di inver-
tebrati sulla‘d-I-leucilelicina (pres 2/0 OOO eee I A a
PRESENTAZIONE DI LIBRI
Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle inviate
dai Soci Darboux. Greenhill, Pickering e Briosi, dal prof. Antoniazzi ecc. . . . »
Segue in terza pagina. .
(*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo.
548
K. Mancini Segretario d'ufficio responsabile.
Abbonamento postal
©.
DELLA
CCADEMIA DEI LIN
1915
UN si ii OR ia pi
di scien ze fisiche, matematiche e naturali.
w
Ri Nar. DE
ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO
PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE
Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle
pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei.
Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano
una pubblicazione distinta perciascuna delle due
Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze
fisiche, matematiche e naturali valgono le norme
seguenti:
1. I Rendiconti della Classe di scienze fi-
siche, matematiche e naturali si pubblicano re-
golarmente due volte al mese; essi contengono
le Note ed i titoli delle Memorie presentate da
Soci e estranei, nelle due sedute mensili del-
l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico.
Dodici fascicoli compongono un volume;
due volumi formano un’annata.
2. Le Note presentate da Soci o Corrispon=
denti non possono oltrepassare le 12 pagine
di stampa. Le Note di estranei presentate da
Soci, che ne assumono la responsabilità sono
portate a 6 pagine.
3. L'Accademia dà per queste comunicazioni
75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50
agli estranei; qualora l’autore ne desideri un
numero maggiore, il sovrappiù della spesa è
posta a suo carico.
4.I Rendiconti non riproducono le discus=
sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca-
demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso
parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi
sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta
stante, una Nota per iscritto.
II.
I. Le Note che oltrepassino i limiti indi-
cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro»
priamente dette, sono senz’altro inserite nei
Volumi accademici se provengono da Soci o
da Corrispondenti. Per le Memorie presentate
da estranei, la Presidenza nomina una Com-
missione la quale esamina il lavoro e ne rife-
risce in una prossima tornata della Classe.
2. La relazione conclude con una delle se-
guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di
stampa della Memoria negli Atti dell’Accade=
mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio
dell’art. 26 dello Statuto. - 4) Col desiderio
di far conoscere taluni fatti o ragionamenti
contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra-
ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro:
posta dell’invio della Memoria agli Archivi
dell’Accademia.
3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre-
cedente, la relazione è letta in seduta pubblica,
nell’ultimo in seduta segreta.
4. A chi presenti una Memoria per esame è
data ricevuta con lettera, nella quale si avverte
che i manoscritti non vengono restituiti agli
autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 |
dello Statuto. di
5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au-
tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 5056
estranei. La spesa di un numero di copie in più
che fosse richiesto, è messo a carico degli
autori.
RENDICONTI
DELLE SEDUTE
DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Seduta del 19 dicembre 1915.
F. p'Ovipro Vicepresidente.
MEMORIE E NOTE
DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI
Meccanica celeste. — Su! problema piano dei tre corpi.
Caso limite in cui una delle masse è infinitesima. Nota III (')
del Socio T. Levi-CiviTA (?).
16. — RICHIAMI CONCERNENTI IL PROBLEMA RISTRETTO
E LE SUE TRASFORMAZIONI IN COORDINATE ISOTERME.
Facciamo una breve digressione sul problema ristretto nella sua impo-
stazione abituale, al fine di agevolare il confronto colle formule, che dedur-
remo poi per il problema regolarizzato, nel caso limite di 7, infinitesimo.
Rammentiamo in conformità che, quando la massa di P, è trascurabile,
P, e P: possono ruotare uniformemente attorno al loro comune centro di
gravità O con velocità angolare n, legata alle masse e alla distanza
P,P.=p° dalla nota relazione
n° = i (f costante d'attrazione).
In questa ipotesi, si tratta di determinare il moto della massa infini-
tesima P., attratta dai due centri mobili P,,Ps secondo la legge di Newton.
La corrispondente funzione delle forze U©, riferita all'unità di massa (essendo,
colle nostre notazioni, PoP,=gî, PeP:= gi), vale
(58) DO=/(G+ me).
pe PI
(1) Cfr. Nota I, pp. 421-483; Nota II, pp. 485-501.
(*) Pervenuta all'Accademia il 80 settembre 1915.
ReNDICONTI. 1415, Vol. XXIV, 2° Sem. uo,
— 554 —
Detta a l'accelerazione assoluta di P,, si ha, dalla legge fondamentale
della meccanica,
a= grad U.
Riferiamo il moto ad un sistema di assi 07y uniformemente ruotanti.
assieme coi corpi P,,P», coll’origine nel baricentro O (punto fisso), e orien-
tati in guisa che il verso di rotazione x > y coincida con quello dei due
corpi.
Per il teorema di Coriolis, le componenti dell’accelerazione a rispetto
a questi assi hanno le espressioni
ag =% — ny — na,
ay=lj + 2na — n°Y ,
designando evidentemente x,y le coordinate del corpo Py, e il punto so-
vrapposto derivazione rispetto al tempo £.
Le equazioni cartesiane del moto di P, sono pertanto
se ; DIS
X% D È rie no
\ rano
7 : DU
+ Qua — n°y = 3
| 4 ì : dY
cui si attribuisce notoriamente forma canonica, introducendo le ausiliarie
(componenti della velocità assoluta di Po)
Pa=® — ny , Ppy=ytna.
Si ha infatti, da queste stesse posizioni,
ad=potny , y=P_na,
mentre, col tenerne conto, le precedenti equazioni del moto si possono scrivere
dpy _ IU!
Apa QUI
= dMpy E %
di da
NPx è
I secondi membri sono ordinatamente le derivate rapporto a pa, py, e le
derivate rapporto ad 4,y cambiate di segno della funzione
F=3(P2 +25) — (epy — yPa) —_ U.
Perciò le quattro equazioni costituiscono complessivamente un sistema cano-
nico di funzione caratteristica F, essendo coniugate , pe : Y, Py-
Supposto, per fissar le idee, che l’asse Ox sia diretto verso P,, le
ascisse di P,,P, sono rispettivamente
Mo 3
mi+ ms i — mitbms
— 555 —
l’ascissa del loro punto medio M è quindi espressa da
atea
° Mi + Ma st
Trasportando l'origine da O in M (sempre coll’asse delle x diretto verso P.),
l'ordinata y e le componenti px ,p, della velocità assoluta rimangono inal-
terate, mentre l'ascissa x va posta eguale a < +/. Con questa sostituzione,
la precedente espressione di F diviene
(60) F=1(02 +08) — a(opy— ypa) — nlpy— DO.
(39) =
Ecco la funzione caratteristica del problema ristretto, riferito ad assi
mobili coll’origine nel punto medio delle masse finite.
Si può assegnare in modo semplice uma trasformazione canonica, me-
diante cui si sostituiscono alle coordinate cartesiane x,y (e loro coniugate
Pa » Py) coordinate isoterme qualisivogliano #.v (con convenienti p,, p»).
Sia infatti
(61) e+iy=f(u+iv),
con f funzione regolare arbitraria dell'argomento u+ 7v, il legame com-
plesso che compendia le formule di trasformazione fra le coordinate carte-
siane x,y e le coordinate curvilinee x, v: si intende che, per la biunivocità
della trasformazione, va ritenuta diversa da zero (nel campo di valori che
si considerano) la derivata /(u+ v), con che si può invertire la (61),
ricavandone v-+ 7v quale funzione di x + y.
Fra i differenziali delle due coppie di variabili sussiste la relazione
(62) da +-idy=f'(v+ iv) (du+ idv),
e quindi anche, cambiando : in — 2,
(62’) da — idy= f'(u— iv) (du— idv).
Se ora si pone
Nani 1 .
(63) ione (Pu tipo),
con che rimangono manifestamente definite le due quantità reali p,,p, in
funzione lineare di px ,py, si ha complessivamente nelle (61) e (63) una
trasformazione fra le due quaderne (4 ,%,Px Py) (Vv, PurPv), la quale
risulta canonica perchè dà luogo all’ identità
Padx + pydy == pidut pydv .
La verificazione è immediata, bastando moltiplicare membro a membro
la (63) e la (62°), il che dà
(Pa + ipy) (de — idy) = (pu+ ipo) (du— idv).
— 556 —
L'equaglianza delle parti reali si traduce appunto nella relazione caratte-
ristica della canonicità.
Rileviamo ancora una conseguenza delle (61), (63), che si ottiene mol-
tiplicandole membro a membro, ed è
(60 (po + ipy) (e — i) = BEZIZ pt ip) —
ma fr pon, RESI,
7. — APPLICAZIONE ALLE COORDINATE ELLITTICHE.
Assumiamo in particolare
(65) xbiy=4+0*cosh(u+ 0),
le .+,y essendo le coordinate cartesiane coll'origine in M, di cui al $ pre-
cedente. Con ciò le u,v rappresentano notoriamente coordinate ellittiche,
le linee u= cost essendo ellissi e le v = cost iperboli omofocali: i fuochi
comuni cadono nei due punti = 4 g* dell'asse delle ascisse, cioè, nel caso
nostro, in P,, Pa.
Le espressioni delle distanze focali P.P., P.P,, che, secondo le nota-
zioni dei S$ precedenti, vanno ordinatamente designate con gî,3, si otten-
gono tosto dalla (65), aggiungendo ad entrambi i membri = #4 g*, e pren-
dendo i moduli. Si trova così
(66) pi = [cosh 3 (ut io) ., pi=0? (sinh 3 (u+ ?0)|?.
Si ha poi, considerando la (65), e scrivendo brevemente /,/' per
f(u+i0), fut):
fi= È a °° cosh(u+ iv),
p° sinh(u +4 20)
Je
f=
Dal sn |sinb(x +70] =p'|sinh 3(u + <0)|?|cosh +(u+ 20)|?
e quindi, badando alle (66),
(67) |fP=poîe.
Con questa determinazione di |/"|, la (63), eguagliando il quadrato dei
moduli dei due membri, porge
(03) Da + pi =
Il
pig (Pu + Po).
— 507 —
Ove si noti che, per /=4+° cosh(u+- 10), si ha ulteriormente
‘(sinh 2u+? sin 20),
:4®)
f(u—i0v)f(utiv)= i pi cosh (x — 20) sinh(v + 0)
L
8
dalla (64), eguagliando i coefficienti di 7, ricaviamo
RE .
Py — YPa=3 -—— (sin 20.p, + sinh 2u. pr).
8 pipa
Infine dalla (63), scritta
u + 2v ;
seri LA tin),
segue
2
py= vr (cosh « sin v. Pu + sinh « cos v. Po) .
Ne deduciamo, badando alla (59),
n(cpy — YPa) + lp, =
mme I ) = et Le
= "(ta (epy — 922) +( 1 oen,i—
md me Mi Ma
1 aria n De: o aa
mi Ma
(dh
imma coi pi
]
+ sinh u) o u + cos v) + vr (cosh u — cos v) pe ] i
2
Quest'ultima relazione, ove si noti che, per le (66). è
cosh È co 2 sinl HE
sh— cos-— 7 13 sinz;
2 DI D,
I Pi
V
o? (cost 5 = 100SE= 3 + sini 5 no =
“ v 1
2 sh2 — mei — n2( q
p (così o 7 Sin 2) mil; (cosh u + cos v),
(66°)
suv v Uu . Vv
20INC : sa .
sinh = cos- + ?# cosh 3 sin 3
2 i; 2 ; 2 2
= p
. “ v Wi
3 ù 2: 12 2 < 2 fee
sinh® — cos? — + cosh? — sin )=
È ( 2 2 2 2
0° (così 3 — cos? D\=3 =_°(coshu— cos v),
— 558 —
sì scrive più semplicemente
(69) (xp, — ypa) + #lpy =
i A )sino(A_@) +sinmu(É 48)
_ 2 mb ms pipi mi ma)?" mi ma) Pf"
Le formole (68) e (69) conducono immediatamente all’espressione tras-
formata della funziore caratteristica :
(70) F=
i a LPB\,}
+sinbu(1 + )p.j 0°,
in cui U è sempre definita dalla (58), coll’intesa evidente che pî,pî si
devono risguardare ovunque sostituiti coi loro valori (66) in funzione di w,v.
Il sistema canonico corrispondente.
| duo re oe eni
di © Spy © dis paa
(71) P Po
UPu ___ dF dp, _ 2dF
di ia page
ammette l'integrale
(72) F=C,
C essendo la così detta costante di Jacobi.
18. — LA REGOLARIZZAZIONE DI N. THIELE.
Immaginiamo attribuito a C un valore ben determinato, e poniamo
(73) F#= pips(® 0)
Si ha identicamente
DO DI PICO)
ci Sa d) dual:
In quanto si tratti di soluzioni del sistema (71), che si riferiscono all’as-
sunto valore di C, il secondo termine del secondo membro si annulla, e
rimane
QRS 0
atene dora
dita gli
analogamente per le altre derivate parziali rapporto a v,pu,Ps-
— 559 —
Da questo risulta subito che, ove nelle (71) si sostituisca al tempo #
una variabile indipendente ausiliaria /*, definita mediante la posizione
(74) di = pipa dt*,
sì è condotti ad un nuovo sistema canonico di funzione caratteristica F*:
\ du DIE dv dr*
| de ope de a
(71 ) X Nk
di PO i dv
equivalente a (71), nell’àmbito delle n soluzioni che corrispondono ad
uno stesso valore: C di F. e sero di F*. Quest'ultimo sistema presenta
sul primo il vantaggio di essere completamente regolarissato. Infatti,
attesa l’espressione (70) di F, e l’espressione (58) di U©®, nella nuova fun-
zione caratteristica F*, viene a scomparire il denominatore pî gi, talchè la F*
stessa sì presenta come polinomio di secondo grado in py,?x, ì cui coeffi-
cienti, esplicitati a norma delle (66'), sono tutti trascendenti intere in wu, v.
La regolarizzazione del problema ristretto, così conseguita, non differisce
sostanzialmente da quella, già effettuata da N. Thiele (*), delle equazioni
di secondo ordine in u,v. Si ritrovano infatti immediatamente le equazioni
del Thiele, eliminando p,,p» dalle (71’): d'altra parte era pur stato notato
che le equazioni regolarizzate di Thiele sono suscettibili di forma canonica,
coll'introduzione di opportune ausiliarie p,, 2» (?). Nulla dunque di nuovo
in questi nostri sviluppi concernenti il problema ristretto: essi hanno sol-
tanto lo scopo di facilitare il confronto con le formule che ora ci accingiamo
a dedurre come caso limite della nostra trattazione generale concernente il
problema piano.
19. — RITORNO AL PRUBLEMA REGOLARIZZATO PER ?#Mo INFINITESIMA —
ORDINE DI GRANDEZZA DI VARII ELEMENTI — APPROSSIMAZIONE DEI
PRIMI DUE ORDINI.
Supponiamo ms trascurabile di fronte ad m,,7s, tutto rimanendo del
resto finito: intendiamo con ciò che, assieme con #};,7:, anche le coordi-
nate del sistema regolarizzato e loro derivate vanno trattate come quantità
finite.
() Recherches numériques concernant des solutions périodiques d'un cas special
du problème des trois corps (troisième Mémoire), Astronomische Nachricb., B. CXXXVIII,
1895, pp. 1-10.
(3) Cfr. la prefazione della bella Memoria del sig. Birkhoff, The restricted problem
of the three bodies, testè apparsa nei Rendiconti del Circolo matematico di Palermo,
tomo XXXIX, pp. 265-334. In questa Memoria è anche assegnata ($ 5) una nuova tras-
formazione regolarizzante, puramente algebrica.
— 560 —
In tale ipotesi, ove si riprenda per un momento l'espressione (2) di 7,
e si noti che, in base alla (4), mf ,mg contengono m a fattore, appare
ovviamente, dalle (18), che lo stesso accade per le componenti dei due vet-
tori E, H secondo gli assi Ox, , Oxs .
Ne viene, badando alle (23), (29), che, dei vettori @ e X, sono invece
le componenti ,, Xo affette dal fattore 70.
Ciò posto, si noti che dalla definizione (5) di U, scrivendo, come a S 15
(e seguenti), o per go, e ponendo per brevità
(75) U0 — i i
sì ha
U=U9+mU®,
coll'espressione di U®’, già introdotta a $ 16,
(58) O na
Pi
Ne viene, a meno di termini di secondo ordine in 729,
a 1 1 TUO
(76) T=T0(01-®ja)
Esaminiamo ora l'ordine di grandezza dei varî termini costituenti ©,
raggruppandoli nel modo seguente :
> 1 2 (2)
(77) sugo (Q+ Xi) = MA,
(78) LIRA RIA o 0 AE O
SUpi la, pote ; meg vo)
(si intende che scriviamo dappertutto p al posto di go).
A suo tempo terremo conto che
(79) ©=mA+B;
occupiamoci intanto separatamente di A e di B.
Dacchè Q, e X, sono, come s'è detto, di prim'ordine in #,, lo è del
pari CI (Q6 + X3). ed è quindi giustificato di assumerlo sotto la
2
1
8Umo pî
forma mo A. A meno di termini di secondo ordine in 7, si può natural-
mente, nel denominatore dello stesso m,A, sostituire U” ad U.
Riferiamoci ormai a coordinate asteroidiche, badando alle prime delle
(56), (57):
bo =vuZ; , O, = Po . x
— 501 —
Si metta in evidenza il fattore m,. ponendo
(80) Zo = Mo Zi . Po = Mo P3 .
Si ha
(de) (CE #- = (g* 28% + D.
Ponendo ancora
OP= toe0soyo + Lsineny , OP —=—(p00892+ > sinep;),
X0®= g sinspo — = cosppy , XN= d cos PPE
(81) i ;
QP= — G singpo + È cosppy, 2N= psingZî — = cos ppi
È) |
XO= g cosppo+-°sinopy ; X9= = £ sin9pg
j3
si compendiano i varî termini delle rimanenti (56), (57), secondochè con-
tengono o no 72, a fattore, sotto la forma
) Q= 20 + mm, , X=X+mXl,
Q
1 QO,=920+m 20, X,=X0+mX0.
Ove si introducano, per brevità di scrittura, le ulteriori combinazioni
1 E 7(1
(A= QPOP XX,
* |A = QPOAPLXO XD,
e si abbia riguardo alle (81), risulta subito, a meno di termini di secondo
ordine in Mo,
2 > | 1
OF + Xf= (GL oos' 94 g*sin'9) (+7 2j) +2,
Qi + Xi = (Sì sin° 9 + 9° cos? 9) (e; 26 cri) +2mo hs.
Mediante le (55) i due binomii & cos? 9 + g° sin*@,, Ci sin* 9 + 9° cos* gp
divengono + g°Yî, + %°x3, ì quali, in virtù delle (48) e (48), si
identificano colle due distanze 03, pî. Possiamo quindi scrivere semplicemente
. MR, .
\ A+ X=#(#+ 721) Limo ds
(83) i e l
| op+xina(g+ pi) + 200.
È facile adesso far apparire anche in B i termini affetti dal fattore ms.
RenpICcONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 74
— 562 —
Basta combinare la definizione (78) di B colle (76) e (83), e porre
1 l 1 1
I (0) SED ausli È ade
| (ONE 8U‘®p? (Fi Se i (ri mE g* n) ’
\
1 da À
@N Eu A + 400 o? (i pì + moi ) ,
(84)
per desumerne
UO
(78') B= 00 + me(00 — A) MO go -
La (79) porge in conformità
TO
(79) REATI (00 __ 90 e)
e la funzione caratteristica H del problema regolarizzato
E
H=@©®—_-
U
diviene
(85) HH Ly, H9
con
E l l IRA I E
(86) H® Si Q0 DIRTSA UT n 8U© o? la + si (DE t+ 1) Sd U® ,
K TO
(87) HO —00_(602) To.
20. — CONSEGUENTE RIDUZIONE DEL SISTEMA CANONICO
CHE DEFINISCE IL MOVIMENTO.
La (86), tenuta presente la (74), mostra che H° ron dipende da
alcuno dei quattro argomenti
Co o) P 9 Li , Da
(e nemmeno da d). Ciò premesso, si formi il sistema canonico di funzione
caratteristica H = H + m, H© nelle due quaderne coniugate
cl Co , e‘) ’
Pe». PY IZ, =mLi . Pg = Me Pg +
p_.
In primo luogo, a meno di termini affètti dal fattore m,, si ha
do 359 dé _— 3H©
\ dit. app Ia On
(88)
| dpe 32M dpy — IH® —
doit: det i cari PONI
— 563 —
le quali valgono da sole ad individuare le prime quattro incognite
o,
VERE? I,
si intende, a meno di termini che si annullano con m,. In questo stesso
ordine di approssimazione va ritenuto ($S 1)
H©®= 1,
per tutte le soluzioni del sistema (88) che convengono al problema dei
tre corpi, nel caso limite, di cui ora si tratta.
Le rimanenti equazioni, relative alla quaderna
-
So , ’
Zo = Mo LE ’ Pe = Mo Pg ’
per l'indipendenza di H°‘ da questi argomenti, si riducono a
/ de È 2H : dp n° ne 2H
| di o de ° 3(mop$)”
Î DR dZi _ Di QH® MA dpi la 2H
\ 0 di SR È I A ° ”
ossia, più semplicemente, a
| di, 2H do 2H0
delia de ape
(89) i Po
dZ# da SH Pi ea SH
di tai DE i dT "i d i
costituendo evidentemente un secondo sistema canonico nelle due coppie di
coniugate
Co ’ Po,
Zi , P$-
Le variabili della prima quaderna p, d, pp, py, che (ad eccezione di %)
ancora figurano in H©’, vanno ormai risguardate come funzioni di t, cor-
rispondenti ad una ben determinata soluzione del sistema (88): questa può
essere, a priori, qualunque, coll’unica restrizione che i valori iniziali ren-
dano >=,
Concludendo, in questo caso limite, il sistema differenziale, da cui di-
pende la determinazione delle otto incognite, si scinde in due sistemi distinti.
È chiaro senz'altro (in quanto si pensi all'originario problema dei tre corpi,
per mn trascurabile di fronte alle altre due masse) she, dei due sistemi
(88), (89), il primo deve corrispondere al problema dei due corpi, indivi-
— 564 —
duando per mezzo di g e di (lunghezza e orientazione del segmento P,P,)
il moto delle due masse finite 7, , 7; mentre il secondo definisce succes-
sivamente il moto della massa infinitesima nel piano e sotto l'attrazione
delle altre due.
Aggiungeremo qui appresso qualche sviluppo di controllo; in particolare
ritroveremo le formole del $ 17, nell'ipotesi caratteristica del problema
ristretto che il moto di 7,,wms si riduca ad una rotazione uniforme [cioè
che si tratti di una soluzione del sistema (88) nella quale p si mantiene
costante |.
21. — VERIFICAZIONI E RAFFRONTI.
a) Masse finite. — Constatiamo materialmente che il moto non
perturbato dei due corpi P,,P di masse finite (m,,wm:) dà luogo alle
equazioni (88).
Immaginiamo assunte come coordinate lagrangiane del sistema costi-
tuito dai due corpi la loro distanza £? e l'inclinazione del vettore P, — P+
sopra una retta fissa (del piano del moto): sappiamo ($ 11) che tale ano-
malia non è altro che 2. Dacchè le distanze di P,,P, dal loro bari-
centro O valgono rispetfivamente
Ma 2 Mi
mim © mb
2
possiamo risguardare
Ma
ER AI) DI
mi + Ma Peio
come coordinate polari di P,, e
SARE ENI,
Tusa 20 +7
come coordinate polari di P,.
La loro forza viva complessiva è data, in conformità, da
T=:# Ton | (4p* 0° + dpi? +
SÌ i mb \° 4020? 4040? TA Mi Ma (0? 2
Pie) Atina eten),
il punto sovrapposto designando derivazione rispetto a ‘.
La funzione delle forze
Mi My
p°
sì identifica manifestamente coll’ U del $ 19.
/
— 565 —
Ove si fissi il valore dell’energia totale E, e si sostituisca al tempo &
una variabile ausiliaria © definita dalla relazione differenziale
d=U® dt,
il problema in questione equivale (trasformazione di Darboux) (*) ad altro
problema dinamico, avente per forza viva
ci ch AUS na p*(p" + p°4"9)
TACCO Der, pl __1 DEE
(6 ide O ge UO]
per funzione delle forze,
E.
IOACZ ’
e per costante delle forze vive l'unità.
Introducendo le coniugate
sai ELLA
Poe dp’ ’ PAT Sg
ed esprimendo 7° a loro mezzo, si ha
1 1 1 2 sha 1)
80? a 2 (»° sr o Py}
che coincide con ©°® per la prima delle (84).
La funzione caratteristica del sistema eanonico (in p, e loro coniu-
gate), corrispondente al problema regolarizzato dei due corpi, è così
E 1 1 Il F EE E
O On. Gi » n (i La sr) io
ossia proprio la H° del sistema (88), G.0d. a,
Una soluzione particolare del sistema (88) si ha ovviamente, suppo-
nendo p costante (scelta ad arbitrio), p» = 0. In tal caso, il valore, pure
costante, di py, dovrà ritenersi legato a p dalla condizione che risulti
H=1. Indipendentemente da questa sua determinazione, py è legato
alla velocità angolare n del moto delle due masse, in base alla definizione
di n e alla seconda delle (88). Si ha infatti
(1) R), pag. 66.
— 566 —
, . db . DEL MERATE 1 1)
ossia, sostituendo a Pa il suo valore 2A = 10907 E pra: PI è
_ TO: 1
(90) n= ta)
A questa si poteva anche pervenire, ricordando ($ 12) che py rappresenta
in ogni caso il doppio del momento delle quantità di moto dei tre corpi
(rispetto ad Oz).
Per mo =0, e P,, P: animati da moto circolare con velocità angolare x
(attorno ad Oz), si hanno le velocità
SMI BLA RS.
\ 9,
mid Ma mt ma
e quindi i momenti di quantità di moto
7)
3%)
2
mi) Da ul en
‘\m+ m. £ °\m+ ma ì
Sommando ed eguagliando a + py, sì è appunto ricondotti alla (90).
Ricordiamo ancora che, nel moto circolare uniforme compatibile colla
legge di Newton, l'energia totale è metà dell'energia potenziale. Dobbiamo
dunque avere
ego)
(91) USE
Per ricavare questa formula in base al sistema (88), basta combinare le
due condizioni
Sa
de
La prima, tenendo conto che n= 0 e che U9—{ "2. gi seri
a prima, enendo conto Ge Ceppi e che =.f e , SI Scrive
eo.
1 1 1 2) 2 E 2 2E
A I LR eni Recta RATIO. (0)
ia ai Py fmims® 2 (1 tg
e questa, per H = 1, dà appunto la (91).
Sempre per le soluzioni circolari che stiamo considerando, da
E
U® =,
(0) — (0) __
H® — @
1,
come corollario della (91), si ha
(92) 00 —
Dim
— 567 —
b) Massa infinitesima. — Passiamo ormai al sistema (89),
ritenendovi p e py costanti, e po="0 (d non vi comparisce, e non c'è
quindi da occuparsene).
Vogliamo constatare sulle formule l'equivalenza, concettualmente evi-
dente, di tale sistema col sistema (71) del $ 17.
All’uopo cominciamo col fissare le relazioni che intercedono fra le fun-
zioni incognite dei due sistemi: ne trasformeremo poi uno. in modo che
compariscano in entrambi le stesse incognite.
Nel sistema (71) figurano le coordinate ellittiche w, v: in (89) abbiamo
invece Co, 9. Il legame fra queste due coppie si assegna agevolmente, egua-
gliando le espressioni (in x e v da un lato, © e dall'altro) delle due
distanze gi, p: (di P, da P; e da P, rispettivamente).
Dalle (66’) si ha
mentre le (11) e (55) porgono
\ei=a°(1—v)=G+0"— pf sin*9,
| pe=g*1-—1)= + — p*cos*%.
Dal loro confronto si trae
e. 2 2 2 U in? in? V £ 2 U
SC + p° = p° cosh g > Sin°g=sin?> , cos'tp=cos;,
le quali equivalgono a
ano sinh 5 , v= +29 + multiplo arbitrario di 277.
Assumeremo
7 seg Il
(93) {= psinh3 pe
risguardando queste formule come parte di una trasformazione canonica
lo ‘Po Pu» Pv!
La condizione di canonicità
ZL dis + pè de = pu du po dv
porge immediatamente, in base alle (93), le altre due relazioni che com-
— 568 —
pletano la trasformazione, e sono (eguagliando i coefficienti di du, dv nei
due membri)
1 Wa, Lg
g 9 6osh 3 Ze =u >» gPa =
Dacchè, ner la prima delle (93), p cosh 5 vale |/&+?|, che è poi 9,
a norma della prima delle (55) scriveremo più semplicemente
(94) qLi = Pu , Dè a 2/x ,
e trasformeremo il sistema (89) mercè le (93), (94).
Abbiamo anzitutto dalla (77), in virtù delle (94),
1 2 2
(95) A= 200 pî oi (Pu 43-05) O
Le (81) poi, badando che vi si deve anche porre p; = 0, divengono
I on=isinzpy , = —2(f sg pu + sinbg sine)
| X{" = — sinh 5 cos 3 Py , XP= 21 6083 fo 3
ERE EE (20 eo e Mr)
| Ol = 608 3 PY , 2 2(5sinz sin — 9 Pu sinh 9 5085 Po)»
| XxX) — sinh 5 sin 324 , XK = —2i sins po 5
e così le (82) dànno
a = — Py (sin U Pu +2 ; sinh 3 Ve) = — py(sinv pu + sinh v po),
a L. 94 sinh & ‘nh
= p;(sinop, — rl 9Po)= py(sinv p, — sinh « pr) .
Si ha in conformità, dalla seconda delle (84),
dt si
OULA UO serio? | sin o( 4) pu + sim u (È + Des
Mi Ma
e questa, ponendovi per A l’espressione (95), e per py il suo valore
Mi Mo
mi+ ms °
4
2n
— 569 —
desunto dalla (90), diviene
dEi 1 Mi Mo (
96 OUT REL 2 2__n_MmMa 2a di Pda
So, cali nr | sno(È Di)
D'altra parte, l'espressione (87) di H°°, ove si abbiano presenti le
(91) e (92), si riduce immediatamente a
TUA
106S2 E
HP QW _
In virtù della (96). il confronto colla (70) porge
lx
H"= 0 F.
Dacchè, nelle equazioni (89), p e con essa U° va trattata come costante.
è chiaro che basta, nelle (89) stesse, sostituire U‘ d/ a dr per ritrovare
materialmente il sistema (71) di fupzione caratteristica F.
Così è raggiunta anche la prova formale che le equazioni del problema
regolarizzato in coordinate asteroidiche (nel caso limite me = 0, e sotto
l'ipotesi particolare che si mantenga costante la distanza ? delle altre dne
masse) dànno luogo alle consuete equazioni canoniche (71) del problema
ristretto in coordinate ellittiche.
OssERVAZIONE. — Può a primo aspetto parere incongruente che dalle
equazioni generali regol/arzizzate scendano per my= 0 le (71) che nor lo
sono. ma richiedono all'uopo una trasformazione ulteriore ($S 18).
La spiegazione si ha tosto ricordando che l'algoritmo generale di rego-
larizzazione si appoggia essenzialmente sulla circostanza che le masse siano,
tutte e tre > 0 (*). Nulla si può dunque pretendere & priori per il caso
limite n° = 0. A posteriori risulta che, dei due sistemi parziali (88) e
(89) definienti il moto in questo caso limite, il primo rimane regolarizzato
(problema dei due corpi). ma non così il secondo (problema ristretto). Tanto
più, perciò, appariscono interessanti le regolarizzazioni autonome di questo
ultimo problema già segnalate da Thiele e da Birkhoff.
(*) Infatti, soltanto sotto tale ipotesi è legittima la conclusione [R). pag. 74; e $ 7
del presente scritto ] che (v=0,1,2), eec. si comportano regolarmente anche
o
UftoziU,
in prossimità d’un eventuale urto bivario.
RenpICcONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 75
— 570 —
Meccanica. — Sullo schiacciamento polare di Nettuno. Nota
del Corrisp. E. ALMANSI.
1. Il movimento del satellite di Nettuno presenta delle perturbazioni
che il Tisserand (Mécanique céleste, IV, pag. 141) attribuisce alla forma
ellissoidica del pianeta (').
Ammettendo che questa sia la sola causa delle perturbazioni del satel-
lite, io tento qui una determinazione dello schiacciamento polare di Nettuno.
Siccome, a conseguire tale scopo, non è sufficiente la conoscenza delle
perturbazioni del satellite, mi valgo ancora di una formula empirica, espri-
mente una relazione che sembra sussistere, per i pianeti, fra la densità
media, lo schiacciamento, e la durata della rotazione.
Darò da prima questa formula, o piuttosto mostrerò per qual via si
può esser condotti a stabilirla, riferendosi alla ipotesi della origine fluida
dei pianeti.
2. Consideriamo una sfera fluida, le cui particelle si attraggano secondo
la legge di Newton, in equilibrio. La densità sia funzione soltanto della
distanza dal centro. Supponiamo di imprimere alla sfera un moto uniforme
di rotazione, con velocità angolare ©, intorno ad un asse passante per il
suo centro. Se il valore di w è sufficientemente piccolo, la superficie della
sfera assume una forma che differisce pochissimo da quella di un ellissoide
di rivoluzione, il cui schiacciamento è piccolo dello stesso ordine di w?.
Indichiamo con w la densità media della sfera, con A l’inversa dello
SARE : : Lr 3
schiacciamento, con T la durata di una rotazione, ossia —; e poniamo:
(10)
(1) A=cuT®.
Abbiansi ora quante sfere si voglia, di raggi e masse arbitrarie, ma
nelle quali le distribuzioni delle masse siano s7mz/i. Con questo intendiamo
che, detto R il raggio di una delle sfere, di densità media wu, @ la densità
nei punti che distano di 7 dal suo centro, e posto
È,
epic),
la funzione F sia la stessa per tutte. Supponiamo di imprimere alle sfere
(1) La causa probabile delle perturbazioni del satellite di Nettuno forma oggetto
di ricerche da parte del chmo prof. Armellini. Vedasi in questi Rendiconti (vol. XXIV,
serie 5°, 1° sem., fasc. 6°) una sua Nota preliminare, ove sono accuratamente raccolti i
risultati delle più importanti osservazioni fino ad ora eseguite e discusse.
— 571 —
velocità di rotazione pure arbitrarie (ma piccolissime). Trascurando le potenze
dello schiacciamento superiori alla prima, si dimostra che il coefficiente €
ha lo stesso valore per tutte le sfere.
Nel caso dei pianeti il coefficiente c varia dall'uno all’altro, benchè
il suo valore non subisca variazioni molto grandi. Dobbiamo pertanto rite-
nere che le masse dei pianeti non siano distribuite in modo simile. Esami-
niamo i valori di e, mettendoli in relazione con quelli della densità media w.
Vedremo allora che c è tanto più grande, quanto più piccola è la densità
media. Se infatti si pone
(2) ec=c, po
quindi
A=(cutce)T?,
sì possono attribuire a c, e cs valori positivi, uguali per tutti i pianeti,
e tali che la formula precedente fornisca, per le inverse degli schiaccia-
menti, valori che non siano in disaccordo con quanto ci è noto dalle osser-
vazioni.
Assumendo uguale ad 1 la densità media della ‘Terra, e l'ora di tempo
solare medio come unità di tempo, dobbiamo porre
ci= 0,49 , ce=0,0832,
onde avremo la formula
(3) A=(049u+4 0,032) T?
che è appunto quella di cui farò uso.
Nella tabella seguente sono riportati, per la Terra. per Marte, per
Giove e per Saturno, i valori di u, di T, e della inversa dello schiaccia-
mento quale risulta dalla formula (3) (A) e dalle osservazioni (Ao) (?).
Terra Marte Giove Saturno
U 1 0,69 0,25 OS
T 23,93 24,62 9,88 10,28
A 299 294 Jb,L 10
Ào 298 2002 15 10
Notiamo, quanto a Marte, che il valore 200, attribuito ad Ay, è molto
incerto. Alcune osservazioni hanno dato, per l’inversa dello schiacciamento,
un valore notevolmente maggiore.
(*) I valori di w,T,Ao sono ricavati dall’Annuacire du bureau des longitudes,
a. 1915. Solo per la Terra al valore Ao = 293 ho sostituito il valore Ao = 298 che si
accorda meglio colle più recenti osservazioni.
— 572 —
Per Urano (u= 0,23) dalle osservazioni dello Schiaparelli A risulte-
rebbe compreso fra 11 e 13. Supponendo A = 12, la formula (3) darebbe
circa 9 ore come durata della rotazione.
Rispetto a Mercurio e a Venere le opinioni degli astronomi, come è
noto, non sono concordi. Mentre da alcuni si attribuisce a T un valore
poco diverso da 24, altri ritengono che la durata della rotazione sia di
gran lunga maggiore: precisamente uguale alla durata della rivoluzione
siderale (Schiaparelli). Se fosse T- 24. essendo rispettivamente, per i due
pianeti, u= 1,1 e u=0,91, si avrebbe, dalla formula (3),
per Mercurio: A= 330;
per Venere: ATZA2I00
A valori di T maggiori di 24 corrisponderebbero valori maggiori per A,
quindi valori minori per gli schiacciamenti.
Nessuno di questi risultati è, in sostanza, confermato o contradetto
dalle osservazioni. All’osservazione Mercurio e Venere appariscono sferici:
: ; . A ATAERA
ma è da notare che in Mercurio nemmeno uno schiacciamento di 330 sa-
>
rebbe visibile; e del pari invisibile sarebbe probabilmente uno schiaccia-
È JÌ E
mento di Venere uguale ad 975° Non volendo ammettere in Venere uno
schiacciamento di questo ordine di grandezza, la formula (3) porterebbe ad
escludere l'ipotesi della rotazione rapida.
Applicata al Sole, la formula (3) dà, in accordo colle osservazioni,
uno schiacciamento inapprezzabile: circa i
5 ) î Dil'ertelica ==?
DE i 60000
Per Nettuno, ritenendo w = 0.22, si ha, dalla formula (2)
c= 0,635,
valore che adotterremo.
3. Siano / la costante dell'attrazione, M la massa del pianeta, @ il suo
raggio equatoriale, 7 la distanza di un punto qualunque P dal centro O
del pianeta, 4 l'angolo che OP forma col suo piano equatoriale.
Il potenziale del pianeta, arrestando al 2° termine il noto sviluppo in
serie di funzioni sferiche, potremo rappresentarlo colla formula
(4) v=/mji4"2(f_sen9))}.
ove / è una costante.
— 573 —
Esiste una relazione che lega #,A è il rapporto
(0401)
9
i =
tra la forza centrifuga e la gravità sull'equatore del pianeta. Si Da preci-
samente
(5) 1 À
Sanza
S
Trascurando una quantità piccola d'ordine superioro ad w?, nella espres-
sione di Z potremo ritenere
{M 4
I a? M= 3 mau ’
: 27t 2f
osservando, poi, che A denotando con e, la costante 3r° avremo:
2
(8) de ARTI ba
Onde la formula (5) potrà scriversi :
1 l
(7) wi ut =.
Se l'esame delle perturbazioni del satellite ci permetterà di determinare
il valore di £, quest’ultima equazione, insieme con la
ia (&=0.090)G
ci darà dei valori probabili per le due incognite A e T.
sa A
Nella equazione (7), a uT? sostituiamo ra Avremo
pil)
quindi
h
(8) A= x
ove
e
h=d=—
(9) ti n
Il valore della costante c, possiamo ricavarlo dalla formula (6) appli-
cata alla Terra (u=1;4= 0,0038468). Troveremo co = 1,0067. Avendo
supposto, per Nettuno, c= 0,635, la formula (9) darà, per questo pianeta
A=0OT
= 7008
Il Tisserand (Méc. cél., IV, pag. 147), riferendosi ai valori di % per
Giove e per Saturno, suppone che per Nettuno sia #= 0,3 (*). Sembra più
giustificato il valore che noi abbiamo attribuito ad X, deducendolo, mediante
la (9), dalla formula (2), che riposa sopra osservazioni risguardanti un mag-
gior numero di pianeti (?).
4. Vogliamo far vedere, prima di andar più oltre, come la formula (2),
e conseguentemente la (3), corrisponda ad un'ipotesi, assai semplice, sulla
distribuzione delle masse nei pianeti.
Riprendiamo l’espressione del potenziale V, che scriveremo
vai
ponendo
1—- 3 sen*g
LR ipa oe
Introduciamo la quantità mm definita dalla formula
3
Avremo allora
buo
ovvero
V=V+V,
essendo
__fm SE aaa
Vi s Vai manga x}:
Ora, V, è il potenziale di una massa wm situata nel centro del pianeta;
Va (a meno di termini contenenti le potenze superiori dello schiacciamento al
è il potenziale di una massa M — # distribuita uniformemente nello spazio
occupato dal pianeta stesso. Possiamo dunque dire che, nel grado di appros-
1
(1) Come apparisce dalle formule (5) e (8), dalle quali, posto On si ha
o — 3a
h = ’
o
pesta)
il nostro 4 è il rapporto del Tisserand.
(*) D'altronde, per Giove, i valori qui adottati per w, "1° ed A portano ad attribuire
ad Ah, non il valore 0,27 del Tisserand, ma il valore 0,38.
— 575 —
simazione a cui ci atteniamo, l’azione esercitata dal pianeta (nello spazio
esterno) è quella stessa a cui darebbero luogo una massa m posta nel suo
centro, ed una massa M — m distribuita uniformemente nello spazio che
esso occupa.
La massa m potremo chiamarla nucleo del pianeta. Si tratta eviden-
temente di un nucleo ideale: ma l'avere il rapporto MU valore più 0
meno grande. ci fornisce tuttavia un’ indicazione sull'essere più o meno con-
densata verso il centro la massa totale M.
Moltiplicando l'equazione (10) per A; osservando, poi, che il prodotto
KA è uguale, per la formula (8), ad #, e, per la (9), ad - abbiamo:
(i)
da cui
(11)
i TODD i ,
Questa relazione fra il rapporto M * il coefficiente e — relazione otte-
nuta senza tener conto della nostra formula (2) — fa conoscere il valore
del nucleo per quei pianeti per cui è noto e: ossia, in virtù della formula (1),
per quei pianeti pei quali si conoscono lo schiacciamento e la durata della
rotazione.
Ponendo la condizione che il nucleo sia positivo, e minore della massa
totale M. essa relazione fornisce due limiti (già stabiliti per altra via dal
Clairaut) fra i quali deve essere compreso il valore di c. Siccome c, diffe-
risce poco da 1, i due limiti saranno approssimativamente 0,4 ed 1.
Supponiamo, ora, che sussista la relazione (2) fra c e u. E notiamo
che e risulta compreso. per tutti i pianeti, fra i limiti assegnati: esso è
minimo per Mercurio (e = 0,52), massimo per Saturno (c= 0,74). La for-
mula (11), tenendo conto della (2), darà
ossia
ove 9, e 9: denotano due costanti. Calcolando i loro valori numerici, tro-
veremo
qi= 0,145 , q.=0,053.
— 576 —
Ammettere la formula (2) equivale dunque ad ammettere la (12): ad
ammettere, quindi, che, nei pianeti, quanto minore è la densità media,
tanto più la massa è condensata verso il centro. L'avere un pianeta una
piccola densità media, dipenderebbe dunque, in special modo, dall'essere
poco densi gli strati più vicini alla superficie.
I valori estremi del rapporto "i fra il nucleo e la massa totale sa-
rebbero 0,19 (Mercurio), e 0,55 (Saturno). Per la Terra si ha 708
per Giove ni = 036 (d).
5. Abbiamo posto A = ù, e supposto per Nettuno 4= 0,37. Un'espres-
sione di %, in funzione di elementi che dovranno essere forniti dalle osser-
vazioni, possiamo ottenerla nel modo seguente:
Poniamo nel centro O del pianeta l'origine di una terna di assi orto-
gonali 0xyz, assumendo l'equatore del pianeta come piano < =0. Nella
formula (4) potremo porre sen g = i; Supporremo poi uguale ad 1 il raggio
equatoriale 4. Onde avremo
1 1 8° )
M_a Li Ta — e
(13) ii Fosa 75 \
Dalle equazioni del movimento del satellite (ottenute considerando il
sp E 0000) :
pianeta come fisso), x = uni ecc., sì deduce:
” n dV dV
y — ay =YZTE7 60.
dE dY
Poniamo
(14) Gaye — (0)
dM, db, ?3E IM
— (Cc Ea ArÀàE, L= Y
da SA, Tr SA da ET
M, z O ON
gir PI Ea DIRE) SM
dI dl d di
% Ma
dI dA
Da teoremi noti discende che il sistema delle sei quantità Ex ,Ey,.., M;
(e, quindi, il campo elettromagnetico stesso) è univocamente determinato ad
ogni istante / successivo all'istante iniziale ‘= 0, se le dette sei quantità
— oltre a soddisfare alle equazioni (1), (1’) nell'interno di ognuno dei dielet-
trici e conduttori che fanno parte del campo, quando alle costanti che in
esse compaiono si attribuiscono i corrispondenti valori — sono tali che le
componenti tangenziali delle forze elettrica e magnetica sieno continue anche
attraverso le superficie di separazione dei diversi dielettrici e conduttori
adiacenti che, nelle ipotesi fatte. non possono essere che dei piani 2 = cost.;
che, per 4=0, coincidano col sistema di valori ad esse assegnati nello
stato iniziale del campo, e che, infine, soddisfino a certe condizioni ai
limiti se il campo è limitato, naturalmente, da uno, o due, piani 2 =cost.
— 581 —
2. Il problema della determinazione effettiva delle sei quantità E,
E,,..., M; in funzione di x e di 7, nelle ipotesi precedentemente fatte,
si scinde in tre parti distinte e cioè: 1°) la determinazione di E,, Mg;
2°) quella di E,, M.; 3°) quella di E,, M,. Il primo di questi problemi
particolari non presenta difticoltà di sorta: mentre gli altri due costituiscono
due problemi equivalenti, differendo uno dall'altro per il semplice scambio
degli assi y e z. Basterà quindi occuparsi di uno solo di essi (p. es., della
determinazione di E, ed M,); e, ponendo, per semplicità, E,= E, M,=M,
al problema da risolvere può darsi l’enunciato seguente:
Supposto che x vari in un certo intervallo finito, od infinito, I com-
posto di un numero finito di intervalli parziali adiacenti I,,I2,....Ins
ciascuno corrispondente a ciascuno dei dielettriei e conduttori omogenei che
si suppongono nel campo elettromagnetico che consideriamo; supposto che t
varii nell'intervallo da 0 a + c0; dinotande con si, wi Ài (i=1,2,...,n)
n terne di costanti positive în modo che la terna s,, ui, À; corrisponda
all'intervallo li, determinare le funzioni E ed M di x e t nel campo di
variabilità precedente, in modo che:
1°) quando x vurii in li, sieno soddisfatte le equazioni:
DE dM 1
Len, —— À; = 4
£ gta i 0)
dE PINI
cuanti DI iù
essendo c un'altra costante positiva;
2°) sieno continue rispetto a t e rispetto ad x anche per quei va-
lori di x che corrispondono a punti di separazione di due intervalli I;
adiacenti ;
3°) per t=0 assumano dati valori;
4°) se l'intervallo 1 è finito, supporremo che per i valori di x,
che corrispondono ad estremi di questo intervallo, una delle due quantità
E ed M sz riduca ad una funzione assegnata di L.
E, dai noti teoremi accennati in principio, discende che il problema
precedente è determinato ed ha una sola soluzione.
LL
INTEGRAZIONE INDEFINITA DELLE EQUAZIONI
SE SM
ini doro =
\ È +e AL DE
(2) Î d3E 23M
— 582 —
3. Per raggiungere l'intento nel modo più semplice, conviene, anzitutto,
trasformare le (2), ponendo:
21TÀ
E
(3) MN NT one e
4
sicchè le equazioni trasformate in U e V diventano:
È ped zu=o,
(4) À
{x PI aV=0
e formano un sistema di equazioni aggiunto di se stesso. Notiamo, quindi,
che, se U,V e ,w sono due sistemi di integrali qualunque delle (4),
l’espressione
(5) (YU + gV) de — 16 gU+ iv) di
è un differenziale esatto. Perciò, interpretando x e 7 come coordinate car-
tesiane ortogonali di un punto in un piano e supponendo che in una regione
di questo piano, almeno, le quattro funzioni U, V,g,w sieno regolari,
l'integrale di (5), esteso ad un contorno s chiuso, qualunque, appartenente
a questa regione, percorso in un senso arbitrario, è nullo, ossia
| I 1
(6) Siu+gnar—e(19U+1yv)aj=0.
4. Nel seguito, con x e £ indicheremo le coordinate di un punto fisso 0
del piano #7, mentre indicheremo con È e 7 le coordinate di un punto
variabile. Ciò posto, possiamo soddisfare alle (4) in due modi diversi, po-
nendo, per U e V:
e ID ®
(7) Aeg lea
ovvero:
DIC), Cc 9ID
rl = — —kDR., y=--|,
(70) “Agios 7) n°
se, in entrambi i casì, supponiamo:
°D °D ì e
(8) o +#0=0 , (=.
— 583 —
Noi ci serviremo, per ®. come in seguito sarà indicato, di una o dell'altra
delle seguenti espressioni:
edo -w_h
| GIO 9==af |
@=®,=+[((r—t)—(f—- 4] =—_—_____ i
Law &=aì
(94 kt;
li È 1 C*(t — t)° — (È — o)
Og
GUo@—1— E— 2)
in cui, come al solito.
Possiamo così costruire ì seguenti quattro sistemi di soluzioni parti-
colari delle (4):
1) = È m= + 49, ;
2) ge=—l x i Ure = PO 4 hd
JIVABIIO o Da E, ME E 7 2a.
i quali son tali che, quando in ®, si sceglie il segno +,
etlk— 6]
10 \gn—gn=2, kt L) co li | da
è | — ga =0 —v MO ui
Por Pao = , Wa 120 4 Li kKe—= 1)
mentre, quando iu ®, sì sceglie il segno — ,
Te
Put P12=0, Wan — Wio=—2C E o)
c (È —.@)
(10') i K per PH
C l
Pi fi , Pa — Wo =0
G (È — 2) i
dove ni indica la funzione che si ottiene da dici mutando z in el 1.
— 584 —
5. Consideriamo ora la regione o del piano «7, limitata dalle due
caratteristiche del sistema di equazioni (4),
C(e—-t)—(E—-x)=0 , Ce-)+(E—2)=0,
uscenti dal punto O=(x,y) e da una linea s aperta e, ordinatamente,
regolare.
lance dl
Fis. ].bîs
Rispetto alla regione 0, possono darsi dne casi: che essa sia attraver-
sata dalla retta È =, ovvero che sia attraversata dalla retta 7 =. Nel
primo caso supporremo che la linea s sia incontrata in un punto solo da
ogni retta È = cost. che l’incontra, a meno che una parte di s stessa appar-
tenga a questa retta; nel secondo caso supporremo che questo accada per
ogni retta 7 = cost. che l’incontra. Nel primo ca-o la retta È =, nel
secondo la retta €=/ divide o in due parti: chiameremo I la regione
parziale di o adiacente alla caratteristica C(t — ) — (£ — x)=="0; II l'altra
(figg. 1 e 1°).
— 589 —
Supponiamo dapprima, ora, che o sia attraversata dalla retta È = x
(fig. 1), e chiamiamo P,Q,R i punti d'incontro di s con le tre rette
C(r—- 1) — (£—2)=0. 5=2x, e C(€r—-1) + (£É—<)=0, successivamente.
Applichiamo, quindi, in questa ipotesi, la (6) al contorno della regione I
e alle due soluzioni delle (4): (U,V) e (91 ,wn), la soluzione (U, V)
essendo arbitraria ma regolare almeno in o. Notando che sulla caratteristica
OP, adiacente alla regione I, è dÉ = Cdr e che, perciò, su questa stessa
caratteristica
1 1
unU+ gu V) dé — dh giU+: yv) DE
— ho (Ue—lVde)+(cu— 0
e possa estendersi anche oltre; ma, per una qualunque ragione, dobbiamo
limitarci a considerare, in esso, un campo elettromagnetico soltanto nella
detta regione x => 0. Il campo sarà, certamente, determinato ad ogni istante
t>0, se conosciamo i valori /(x), F(7) che E ed M assumono per £t= 0
e per x variabile fra 0 e + 00, e, inoltre, i valori (4), ®(t) che le stesse
quantità assumono per x= 0 e per # variabile fra 0 e + co. Se, infatti,
supponiamo che nelle (12,), (13,) la linea s sia la linea formata dall’in-
sieme degli assi 4 e £ positivi e che quindi la regione o si riduca al qua-
drante positivo del piano 27, dalle dette formole, ricaviamo che, per i punti
O=(x,4) per cui C6(—x=0, i valori di E ed M sono dati ancora dalle
(17), mentre per i punti O, per cui Cf —x = 0, ricaviamo:
neo gg] ole) +/0+ 00 ]+
+î| of) re+ca |}.
| Mr.) = 73) c|s agi + 00 |+
+c|e(1-0) + Pe + 00 |}.
I valori così ottenuti, per E ed M, tendono, per 4=0, ai valori ad essi
assegnati sul semiasse x positivo; ma affinchè tendano ai valori g e ® ad
essi assegnati sul semiasse # positivo, quando x tende a zero, devono essere
verificate le relazioni:
C[9() — /(C)]) — [P() — F(0)]}=0,
(19) À
a C9() — /(0)] — 00) — Ric] =0
— 589 —
le quali si riducono ad una sola, potendosi ottenere la seconda dalla prima
moltiplicando questa per la costante ui Perchè il campo sia determinato,
IT)
come era da attendersi, basta dare tre delle quattro funzioni [bp
del resto, in modo arbitrario.
10. Il campo elettromagnetico sia ora da considerarsi in tutto lo spazio;
e questo sia occupato da due soli dielettrici diversi, separati dal piano x=0.
Distinguiamo con l'indice 1 le quantità che si riferiscono al dielettrico che
occupa la regione x > 0, e con l’indice 2 le quantità analoghe che si rife-
riscono al dielettrico che occupa la regione x <0).
RIGI2:
I dati del problema, in questo caso, sono i valori fi(@), F.(4) che
E,, M, assumono per = 0 ed x variabile fra 0 e + edi valori /s(2),
F.(x) che E., M, assumono per t=0 ed «x variabile fra — 0 e 0, queste
quattro funzioni essendo legate dalle relazioni:
(20) f(0)= /£(0) , F.(0)=F;(0).
E, come risulta subito applicando a ciascuno dei due distinti dielettrici le
considerazioni del num. precedente, 11 problema stesso si può ritenere riso-
luto se riusciamo a determinare, in funzione dei dati, i valori di
(21) g(9)=E(0,9)= E:(0,)) , ®()=M;(0.4=M;(0,2)
per ogni valore di {>0.
Per maggiore chiarezza, torniamo alla considerazione del piano #7 e
della regione o che adesso è il semipiano {> 0 (fig. 2). L'applicazione
delle (12,), (13,), in ciascuna delle due parti di o in cui è x AM 1)
ci porta subito a dividere o in quattro regioni. Nella regione I, in cui
Ct—-x=0,x>0, E, ed M, sono date dalle (17) quando si mutino,
— 590 —
oltre ad E ed M in E, ed M,, anche s,w,C,f,F ina, Ww,C,fixFr-
Similmente, le stesse formole (17), quando, in esse, si mutino E,M,e
u,C,f,F in E., Mo, 2, a, C2,/2, Fo, ci daranno i valori di E,, M,
nella regione IV in cui Ct 4+x <0,x<0. Nella regione II, invece, in
cui Cé—-x=0;D>0, è:
‘nngplo[oig)e nio)
+ [e(-g)-h@+00 |}.
[insita [e(- 3) 1400]
+o| 9(e-)+L@+0% ]},
mentre nella regione III, in cui C+ 4=>0,x<0, si ha:
sedie)
TORE (143) Fd dt: o];
0) Ll+ ro]
+0] (+7) +F@- 0 |}.
Devono essere, inoltre, soddisfatte le condizioni :
pic o) = 0 (0) — È Fd),
(24) Lo î
(A
Ca g +7 90=0: fel 020) +, Fal 026),
la prima delle quali ci assicura che, per x = 0, E, ed M, tendono a g(t)
e D(;), mentre la seconda ci assicura che agli stessi valori (4), ®(4) ten-
dono anche, per <= 0, rispettivamente, E, ed M,. Dalle equazioni (24)
potremo, in ogni caso, ottenere le funzioni incognite g(/) e D(t) e comple-
tare così la soluzione del problema.
Lasceremo da parte lo sviluppo ulteriore della soluzione ottenuta, come
pure l'applicazione di essa all'importante problema dell'incidenza normale
di onde elettromagnetiche piane.
— 591 —
LV
CAMPO ELETTROMAGNETICO ALL'INTERNO DI UN DIELETTRICO
E DI UN CONDUTTORE ADIACENTI.
11. Dei molti problemi della natura dei precedenti, che si possono
immaginare, tratteremo ancora soltanto di quello in cui il campo elettroma-
gnetico debba sempre considerarsi in tutto lo spazio, ma questo sia occu-
pato, nella regione « > 0, dallo stesso dielettrico del num. precedente e,
nella regione «<0, da un conduttore di cui indicheremo con #3, ws, 03,43
le costanti analoghe ad «,u,C,%; con E», M, indicheremo ancora i valori
di E. M, all’interno del conduttore; e con (x), F:(7) quelli a cui ten-
dono E, ed My»; sull'asse x negativo.
Il problema s' imposta nello stesso modo che nel num. precedente.
Tenendo presente ancora la figura 2, noteremo, intanto, che E,, M, sono
dati anche adesso, nelle regioni I e II, dalle stesse formole che nel pro-
blema del numero precedente. In particolare, nella regione II, varranno
ancora le (22) se continuiamo ad indicare con (4), ®(/) i valori a cui
tendono E, ed M,, per x=0. Per calcolare E, ed M;, nelle due altre
regioni III e IV, applicheremo le formole (12) e (13) alla regione => 0,
x= 0, il cui contorno è formato dall'asse @ negativo e dall'asse / positivo.
Troviamo così, per i punti (x ,/) della regione IV:
k,T I, |Ae(t “ t)]
if (È
2 | E, pie
| 205 ì 2(4 a) e ke —= 1) AT
= DE [Wa fo(8) + gna FalÉ)]ro dé +
X+Cgl
da [Wie fo(E) + Pro /(E)]r=o di ,
5) |
TRZNIRE (PL e lle — 2]
05 Î o(T,: ATA TS
DI Mi:(t,x)e 2.4) di
> Î , Can /a(8) + ar Fa(é) Je=o dÈ i
/L-C9
dr Il MT E
le funzioni i, Wii, 3%, in queste formole, essendo costruite con le
costanti e2, wa, Co, fs.
Le (25) sono sempre equazioni integrali in E. ed M, del tipo della
‘(14), e come questa si potranno risolvere. Le formole di risoluzione mostrano,
— 592 —
senza difficoltà. che, per #= 0, E, ed M; tendono ai valori ad essi asse-
gnati: /s(x) ed Fra).
Per i punti (x, 4) della regione III abbiamo, invece:
i sv lu[Ke(t —
| 203 | Ee(t, x) gii DEA] da =
= fe [wu fe($) + Pri Fs($) ]e=o dé +
oca
3F f [Wie f2(8) + Pie Fs(£) ro de DI
at [Vee a SAPORE
ke(t-- 1)
re ff [Wa f2(€) + gar Fs(È)]m=o dé +
d-Caî
na SL Lao /2(€) + peo Fo(E)]rmo dé —
es
So PA. el! kat
— € f — ; — ®(t esca,
DO È Pro P(1) + 5 Woo D( LL
ricordando che 4 e ® devono rappresentare anche i limiti di E, ed M3,
perio DE
Affinchè, ora, quest’ultimo fatto accada, devono essere verificate le due
condizioni seguenti:
| drm 1
ee [| 99 + n dl e"? da +-
«/ 0 Us Eg
+L inse + ra Fe(É)]roo dé = 0,
\
t
203 f M.(t 5 x) €
/0
(27)
RESO, fi È Pr: P(T) ++ - Wan D (© | gh de +
È=we=0
\ Rn [wWer f2(8) + gen Fo(É) rnomo dé = 0,
le quali formole non sono altro che il risultato dell'applicazione della (6)
al triangolo un cui vertice è l'origine, e i due lati adiacenti, disposti sugli
assì x negativo e 4 positivo, sono lunghi, rispettivamente, Cs e #; e a
ciascuna delle due coppie di soluzioni (U,V), (411, wn1), E (U,V), (para). :
— 593 —
Naturalmente, queste due equazioni non sono fra loro indipendenti. Se si
risolve la prima rispetto a <, il che può ottenersi agevolmente notando che
__ec I[&le—-d)]
ca gel
e si sostituisce il risultato nella seconda, si verifica facilmente che questa
si riduce allora ad una identità. Basta dunque che sia soddisfatta una di
esse perchè sia soddisfatta, in conseguenza, anche l’altra.
Per determinare, allora, (1), D(7), e completare così la soluzione del
nostro problema, si osservi che queste due funzioni ineognite devono sod-
disfare alla prima delle (24), da euì si ha
(28) n= gi) Sl
fi(Ci t) + F\( Ci 55
ed alla prima delle (27). Sostituendo in quest'ultima equazione il valore
precedente di ®(/), si trova, per determinare (#) ef, un'equazione integrale
di Volterra di prima specie col nucleo dato da
(goto ve)
ii 2 oo tt (-©O)+1[k(t—o)j=
33 Ko. + Caes) I + 20,611 + (Cisa — 0262) La,
l'argomento di Ir,I,,I, essendo sempre %s(£ — ©). I principii da noi sta-
biliti su quest'argomento ci permettono di risolvere l'equazione agevolmente.
12. Lequazione da risolvere è, infatti, del tipo
(29) Satta Sd DI [EC )]+ eL[k1— I g(r)de=D((),
a,b,c,k essendo 4 costanti e D(#) una funzione nota. Se ora moltipli-
Lheda =]
e JI
t, fra 0 e /,, tenendo conto di altri nostri risultati (*), e cambiando il
nome alle variabili, sì trova
chiamo ambo i membri della (29) per ed integriamo, rispetto
(30) 2ag() +4 | 900 IbI[k(—©]+ (a+ 0 1[4k— c)}{ de=
=_—k for pla aLe mi a CD —®(1).
(1) Vedi: Su l'inversione di alcuni integrali ece. Questi Rendiconti, vol. XXIII,
ser, 52, 1° sem., fasc. 7°, pag. 474, formole (3) e (6”).
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 78
— 594 —.
Derivando questa equazione rapporto a /, sostituendo quindi, al posto di
Ii l'espressione equivalente +(I, + Is) ed eliminando, infine, il termine con-
tenente I, fra l'equazione che così si otterrebbe e la (29), si trova la nuova
equazione
; ; k? ‘ I o
(81) 2ag/i0) + bkg() +5. (c-a) f}e+a) L[-]3+21C--J{9()2 =
; k?
= (6) — ol (c+ a) D(t).
Le equazioni (30) e (31) possono essere risolute rispetto a
t t
(gl) bl Ide e g04C-3 da
0 40,
e, sostituendo i loro valori nella identità
da (de ;
DA) AL Ei t ( ga) 1h Jde,
sì trova subito, per determinare (7), un'equazione differenziale ordinaria
lineare e a coefficienti costanti del secondo ordine.
Matematica. — Sul concetto di gruppo di monodromia per
una funzione ad infiniti valori. Nota di G. ANDREOLI, presentata
dal Socio VOLTERRA.
i. In questa Nota mi permetto mostrare in che modo si applichi la teoria,
da noi accennata nella Nota precedente (*), al concetto di gruppo di mono-
dromia di una funzione analitica ad infiniti valori: funzioni che chiameremo
polimorfe.
Per un teorema di Volterra-Poincaré, è noto che una funzione analitica,
nell'interno del suo campo di esistenza, può avere, al più. un’ infinità nume-
rabile di valori. Supporremo, per ora, che esista un punto, necessariamente
interno al campo, tale che, formando gli sviluppi di Taylor per i diversi
valori della funzione in tal punto, questi sviluppi convergano tutti in cerchi
il cui minimo raggio sia o > 0. Supporremo inoltre che, partendo con questi
valori e seguendo cammini aperti privi di cappii, sia possibile di avere, in ogni
punto d'’esistenza della funzione stessa, tutti i valori di essa funzione. Natu-
ralmente, tale punto potrebbe non esistere: mostreremo in fine come i ragio-
namenti fatti permangano.
(*) G. Andreoli, Sui gruppi di sostituzioni che operano su infiniti elementi (questi
Rendiconti, anno corrente).
— 595 —
Dato un punto x, generico (che non sia di singolarità per nessuno dei
rami della funzione), consideriamo tutti gli elementi analitici corrispondenti
ai diversi valori della funzione in quel punto.
Diremo che:
I) Il punto x, è un punto regolare d’indice 0, qualora il limite
inferiore dei raggi di convergenza degli sviluppi sia 0-0;
II) è un punto regolare d'indice zero, o quasi singolare, se zero
è limite inferiore dei raggi, senza essere il minimo;
III) è punto singolare se zero è il minimo: e, precisamente, di
singolarità parziale se il limite superiore dei raggi è diverso da zero; di
singolarità quasi totale se esso è zero, ma se vi sono dei o (necessariamente
in numero finito) diversi da zero; di singolarità totale se tutti i @ sono
zero.
Le stesse definizioni si adottano per linee e per le aree: notiamo, poi,
- che le definizioni ora date equivalgono a dire che:
I) in un cerchietto di raggio 0, attorno ad #,, non vha alcun punto
di singolarità di nessun elemento analitico ;
II) il punto x, è punto limite di singolarità dei differenti elementi:
III) esso è punto di singolarità per qualche elemento, o non lo è
per qualche elemento, o lo è per tutti.
2. Con tali definizione, valgono i teoremi : Per una funzione polimorfa :
a) L’insteme dei punti d’ indice maggiore 0 equale a 0, è un insieme
chiuso: Ep.
Infatti, se 20, 71,+-3 ny. è una successione di punti tendenti ad +,
nel cerchietto di raggio «, piccolo a piacere, descritto intorno ad x, vi
saranno dei punti x,. Descrivendo attorno ad uno di questi un cerchietto
di raggio 0, in esso valgono tutti gli sviluppi dei singoli elementi anali-
tici: e quindi, per noti teoremi della teoria delle funzioni analitiche (osser-
vando che un cerchietto di raggio 0 — « attorno ad x è compreso in quello
di raggio 0), potremo dire che in un cerchietto di raggio o — « valgono tutti
gli sviluppi riferiti al punto x.
Ma e è piccolo a piacere: quindi iutti gli elementi riferiti ad #4 avranno,
come campo di convergenza, almeno un cerchio di raggio 0, e quindi x è
d’indice eguale o maggiore di @.
b) L'insieme E, dei punti singolari e quasi-singolare è chiuso:
cioè il punto limite d'una successione di punti singolari, o quasi, è un punto
singolare o quasi.
c) L'insieme dei punti quasi singolari è concentrato.
d) L'insieme dei punti singolari è concentrato.
e) L'insieme E dei punti di singolarità totale è chiuso.
Questi cinque teoremi — evidenti, del resto — estendono il teorema:
L'insieme dei punti singolari d’una funzione monodroma è chiuso.
— 596 —
Inoltre, si può fare una classificazione delle funzioni polimorfe in base
al modo con cui sono formati gli insiemi E, Bo, E: si può chiamare così
una funzione polimorfa regolare se insieme E, è costituito da puuti che
ammettono un solo punto limite (si può sempre supporre che esso sia l’ 00);
e funzione polimorfa singolare se E, occupa tutto il piano.
In tal caso il punto #9, da cui abbiamo preso le mosse al n. 1, non
esisterebbe; ma è facile il vedere che ciò che diremo muterebbe di pochissimo
come enunciato, nel caso che vi fosse almeno un punto quasi-singolare.
Se invece non vi fossero che punti totalmente o parzialmente singolari,
diremmo che la funzione è polimorfa irregolare: per ora escluderemo
queste.
3. Passiamo ora al concetto di prolungamento analitico complessivo.
Dati nel piano due punti A, B, non singolari nè quasi singolari: congiunti
A e B con un qualsiasi arco di curva semplice (privo di cappi), invece di
prolungare da A a B i singoli elementi analitici, prolunghiamoli tutti in
blocco.
Con semplici ragionamenti, si vede che, se sull'arco AB non cadono
punti singolari o quasi, si andrà da A in B con un numero finito di ope-
razioni di prolungamento complessivo di raggio @.
Se invece su A B (estremi inclusi) vi sono dei punti quasi singolari,
ciò non è più possibile; ma dato 7 grande ad arbitrio, sì potranno deter-
minare in corrispondenza un intero 7, ed un raggio gr, in modo che i
primi ” elementi si prolunghino complessivamente da A a B mediante x,
operazioni di raggio 0,: per 7 tendente all'infinito, 7, vi tende anche, e or
tenderà a zero.
Infine, se su A B vi è un punto di singolarità, il prolungamento
complessivo diventa impossibile: e lo sarà anche l'ordinario, se la singola-
rità è totale.
Diremo che l'arco A B è regolare, nel primo caso; quasi singolare nel
secondo; singolare nel terzo. Se AB è regolare, e o è il minimo indice dei
suoi punti, diremo che AB è d’indice @.
4. Per la trattazione del gruppo di monodromia d'una funzione polimorfa,
bisogna considerare gli insiemi Ep: i cammini in E; definiranno un sotto-
gruppo G del gruppo di monodromia.
Per le funzioni polimorfe regolari (ammettendo come punto-limite della
successione E, l'o), l'insieme E, si ottiene descrivendo dei cerchi di
raggio 0 attorno ai punti di E, e considerando la parte esterna a tutti questi
cerchi. ‘
Può darsi che sia possibile di trovare un numero @ sufficientemente piccolo
in modo che tutti i cerchietti di raggio 0, descritti attorno ai punti £ di Eo,
risultino staccati; o che ciò non sia possibile. Naturalmente, ciò proviene dal
fatto che l'insieme £&, — £;| ammette limite inferiore diverso da zero,
oppur no.
— 597 —
Nel primo caso, il gruppo di monodromia si ottiene considerando quello
relativo all’insieme Ep: le sue sostituzioni generatrici si ottengono girando
in E; con cammini di indice @ attorno ai punti $ di E,.
Nel secondo caso invece, il gruppo di monodromia, si ottiene dai sotto-
gruppi Gp, ; Gea, Ges... Ove on tende a zero: come sì vede, qui entrano le
questioni di convergenza astratta.
Infatti, supponiamo d'avere due funzioni polimorfe: una per cui esistano
due sol punti singolari (l'origine e l'infinito); l'altra, una qualunque fun-
zione polimorfa regolare. La somma di esse sarà ancora una funzione poli-
morfa regolare. Però noi vedremo che la singolarità della prima fun-
zione sparisce nella somma, più non essendo resa visibile dal fatto che
l’oo è per la seconda un punto di quasi singolarità (anche senza essere di
diramazione).
Si può presentare quindi il seguente caso: data una successione di punti
singolari e di diramazione &,, £, ... tendenti ad un punto limite È, ricono-
scere se È sia semplicemente un punto singolare, oppure ad esso sia sovrap-
posto un punto di diramazione. È ovvio allora costruire dei cammini chiusi
(supporreme d'avere funzioni regolari) che circondano &,, &1 ... È; É1, £0... E;
Eg,E,,..E...1 se Si, So, Sg... sono le sostituzioni ad essi dovute e se
questa successione di sostituzioni converge astrattamente ad S.S sarà la
sostituzione relativa al punto È.
5. Per le funzioni polimorfe può accadere che i campi Es non sieno
connessi, ma constino di pezzi staccati: ciò è dovuto esclusivamente o a
linee chiuse di quasi-singolarità oppure a parti staccate di lacune, che si
riferiscono a diversi rami, ma che, riuniti assieme, non permettono il prolun-
gamento complessivo.
Come abbiamo già detto, il primo caso non presenterebbe alcuna diffi-
coltà, nè alcuna alterazione negli enunciati. Nel secondo caso invece entrano
in considerazione le catene.
Si consideri infatti una funzione polimorfa assegnata coi suoi elementi
in un punto #, d'indice 0; essa abbia l'origine e l’ 0 come punti di dira-
mazione, ed una semiretta 7 non passante per #,, dall'origine. come sezione
per il solo elemento pi (’).
Ora, un qualunque cammino chiuso passante per x, attorno all'origine,
non può essere considerato come cammino di prolungamento complessivo. se
lungo esso sì vuol prolungare p,. D'altra parte, essendo l'origine e l' 00
soli punti di diramazione, girando attorno ad essi, i rami si devono per-
mutare.
Quindi, un cammino chiuso, percorso in un senso, dovrà portare p, ad
arrestarsi alla semiretta 7, e rendere impossibile il prolungamento com-
(*) Possono effettivamente esistere tali funzioni ?
— 598 —
plessivo. Percorso in un altro, dovrà mutare (per semplicità) p, in pa, ps
in ps... Perciò esso darà luogo ad una catena, ed il gruppo di monodromia si
riduce alle potenze di questa.
Se si avessero tre funzioni ,,:, 3 del tipo ora detto, e le tre semi-
rette fossero disposte in modo che l'origine di 7, si trovi su 73, quella di
ra SU 73, quella di 73 su 7, , allora la funzione g, + 4: + g3 si troverebbe
nelle condizioni dette dianzi: il piano verrebbe diviso in quattro regioni, e
il prolungamento analitico complessivo sarebbe impossibile da una regione
all'altra. Bisognerà allora studiare a parte il modo di connettersi dei diversi
sottogruppi di monodromia, allorchè da una porzione di piano si passa al-
l'altra.
6. Notiamo che, per la loro stessa definizione, tutti i punti singolari, 0
quasi, sono tali che i punti interni ad un cerchietto di raggio 0, descritto
intorno ad essi, non appartengono ad E;.
Quindi, l'insieme complementare di E si ottiene formando l'insieme
comune a tutti questi cerchietti: ed è facile il vedere che esso dovrà neces-
sariamente essere composto da un numero finito o da un infinità numerabile
di pezzi staccati (aventi area maggiore o eguale a 770°).
Le generatrici del sottogruppo Go, relativo all'insieme E, si trovano
girando attorno a quei pezzi; le sue sostituzioni girando attorno ad essi
un numero finito di volte.
Quindi
il sottogruppo Ge di monodromia (relativo all'insieme Ep) è formato,
al più, da un infinità numerabile di generatrici: le sue sostituzioni sono
îl prodotto d’un numero finito di generatrici, e quindi formano anche
esse un insieme numerabile.
Resta infine da studiare il sottogruppo Go: esso comprende, come suo
sottogruppo, quello cui converge astrattamente qualsiasi successione
Gp: 3 Cp 3 ce Gone, Ove limon=0.
— 599 —
Meccanica. — Profili del pelo libero in canali di profon-
dità finita. Nota II di U. CisoTTI, presentata dal Socio T. LEvI-
CIVITA.
Nella Nota precedente (') ho assegnato una equazione generale, che
definisce, con approssimazione, il profilo del pelo libero in un canale di pro-
fondità finita.
Assunto l’asse x coincidente col fondo e l'asse y verticale ascendente,
e posto
IY° 1)
I q= n,
m tar
l'equazione è la seguente:
(11) Fy,m)=0,
dove: F è simbolo di funzione arbitraria di y e di n; 9 rappresenta la
portata della corrente nel canale, 9 l'accelerazione di gravità e / il tempo,
Mi propongo ora di discutere la validità di questo risultato e dedurre
alcune notevoli conseguenze da esso.
Conviene intanto notare, fin da ora, che, per #= 0, la (II) definisce la
configurazione iniziale del pelo libero; una volta che questa sia assegnata,
la (II) stessa definisce, per £ qualunque, la forma del medesimo negli istanti
successivi.
1. Dalla (II) si ha, derivando rispetto ad x,
dHay; PE a
dY va dm da
(®) Questi Rendiconti, vol. XXIV, 2° sem., fasc. 11, pag. 508.
LU a 294 4 Da
saldo Ty ni
sì ha
\ I
(1) dy | _2dY #(A4 A+ no
Toi q y° \ i
\_ dn
Escludiamo che la tangente al pelo libero possa divenire verticale. Ciò
analiticamente corrisponde ad ammettere che la di non diventi mai infi-
nita, cioè che non possa mai annullarsi l’espressione entro le nella (1).
Essendo Ye DIE il termine
2 ]
( GY q ) i
qu r
può assumere tutti i valori da 0 fino a + 00 quando # varia da 0 a + 00;
i}
ne segue che, affinchè l’accennata espressione entro le
I non si annulli
mai, è necessario e basta che sia
dF
dn
(2) Gre
dY
ammesso che tutto varii con continuità.
Verificata questa circostanza, dalla (1) scende
lim US Of
{= 10%
cioè: la conformazione assintotica (rispetto al tempo, cioè per {= 00) del
pelo libero è una retta orizzontale.
Dalla (1) scende ancora la seguente disuguaglianza; quando si tenga
conto della (2):
dF
: dI (52)
(3) c = dF
dY |
2. Richiamo dalla Nota precedente la circostanza che l'equazione (II)
è stata dedotta supponendo gli sviluppi (4) arrestati ai primi termini. Ciò,
AGO
in sostanza, equivale ad applicare alla /(2 +4 éy,4) — ivi introdotta — lo
sviluppo di Taylor arrestato al terzo termine, trascurando quest’ultimo;
posto, cioè,
f@tiy,0=[(2 Ot+iyfz® O) - sg +i04,0).
con 0Z£0<1 la quantità che si trascura è. in valore assoluto. data dalla
seguente espressione:
1 "I - \
E=5y°|/2(e + i6y.1)].
Dalla prima delle (6) della Nota I si ha
4
a,
Te =)
da cui, derivando ulteriormente rispetto ad «,
MERLI
li
DAL
io nina
per cui, sostituendo, la precedente espressione di E diviene
il ; :
E=30|Yoe+d0y.t|,
e, per la (3),
dF |
1 dn
i ui
dwyYy |
dove nel secondo membro si deve intendere sostituito x con x + 20.
3. Applichiamo le precedenti considerazioni ad un caso semplice e no-
tevole. Sia e una costante da trattarsi come quantità di primo ordine
— naturalmente quando ha per coefficiente una quantità che si mantiene
finita — e poniamo
(5) F(y,mM0=y—-1—sG(e7n)=0,
dove G è una funzione dell'argomento indicato e tale che essa e la sua
prima derivata rispetto all'argomento stesso non superino, in valore asso-
luto, l’unità ('):
(6) Ca =! ee
(®) Evidentemente ci si può sempre esprimere in tal modo, quando si parla di fun-
zioni che non debbono superare, in valore assoluto, numeri finiti prefissati.
RenDICONTI. 1915. Vol. XXIV, 2° Sem. 79
— 602 —
Scende, dalla (5), che «G può interpretarsi come rapporto tra lo spo-
stamento verticale dalla retta y=1 e l'unità; l'ipotesi che esso va riguar-
dato come quantità di primo ordine, rispecchia la circostanza che la curva (5)
poco differisce dalla retta y="1.
D'altra parte, la retta y=="1 rappresenta il profilo del pelo libero in
un canale tranquillo, di profondità 1. La (5) rappresenta pertanto piccoli
increspamenti alla superficie di un canale, di profondità unitaria, lievemente
perturbato. i
Dalla (5) si ha ancora, derivando. e tenendo presenti le (6),
e, per queste, la (4) diviene
E=0
e, di più, rimane verificata la (2).
4. Per maggior chiarezza reputo non oziosa una avvertenza. A prima
vista dal fatto che, con l'accennata approssimazione, è sensibilmente Da =0,
sì sarebbe tratti senz'altro a dire che, dipendendo allora la F dalla sola y,
è y= costante l'equazione del pelo libero. Ciò non è vero, inquantochè —
come risulta dalla (5) — la y è variabile con 7, il che è quanto dire
con x e con 7.
Immaginiamo infatti, nella (5), la funzione G sviluppata colla formola
di Mac-Laurin:
G(£ 7) = G(0) + en Gi(0em) (0<90<1);
con che la (5) stessa diviene
y=1+e6G(0) + e°nGi(0em).
Non si può ritenere trascurabile 1 ultimo termine, non ostante la presenza
del fattore di secondo ordine e*, poichè l’altro fattore 7 cresce indefinita-
mente, sia con x, sia con /; e non è da dirsi che, per valori di 7 abbastanza
grandi, in valore assoluto, la quantità e*7 sì mantenga di ordine superiore
al primo e sia quindi trascurabile [cfr. n. 3].
Dunque y è da ritenersi effettivamente variabile con n.
Si tratta. insomma, di piccolissimi increspamenti, non permanenti, in
cui la variazione di direzione del pelo libero è così insensibile da ritenersi
trascurabile; mentre non è trascurabile. nello stesso ordine di approssima-
zione, lo scostamento del pelo libero dalla retta y= 1.
5. Per quanto si è visto precedentemente, qualunque funzione G, sod-
disfacente alle sole condizioni (6), è atta a rappresentare un possibile anda-
— 603 —
mento del profilo del pelo libero, nelle circostanze supposte. Così, in par-
ticolare, prendendo per G successivamente le funzioni
sen , Sech , Tangh
soddisfacenti ognuna alle condizioni (6), si hanno altrettanti profili che, allo
stato iniziale (4f= 0), hanno gli andamenti rappresentati rispettivamente
dalle figure 2, 3, 4 e che assintoticamente (per f = 00) tendono a divenire
rette orizzontali.
Fic, 4
Matematica. — Sulle varietà algebriche con infiniti sistemi
regolari di integrali riducibili. Nota di GAETANO ScoRzA, presen-
tata dal Corrispondente G. CAsTtELNUOVO.
In una Nota precedente (*) abbiamo dedotto. per via quasi incidentale,
una proposizione relativa alle varietà algebriche con un numero finito di
sistemi regolari di integrali riducibili. che caratterizza nettamente il numero
di codesti sistemi e la loro configurazione.
Questo nuovo lavoro è dedicato allo studio della configurazione dei sistemi
regolari di una varietà algebrica nell'ipotesi che essi siano infiniti, e si dà,
a proposito di essa, una prima catena di teoremi generali.
(*) Scorza, Sulle varietà algebriche con sistemi regolari isolati di integrali ridu-
cibili [ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, serie 5°, vol. XXIV (2° sem. 1915),
Pr. 445-453].
— 604 —
Grazie al teorema di Severi sul sistema congiungente due sistemi rego-
lari di integrali riducibili, è chiaro che, nell'esame di una varietà algebrica,
contenente infiniti sistemi regolari di integrali riducibili, giova fissar l'atten-
zione su quelli, fra di essi, che non contengano sistemi regolari di dimensione.
inferiore alla propria, 0, come diciamo, che siano purî: essi appariscono,
infatti, come gli elementi primi con cui possono comporsi tutti gli altri.
L'osservazione, come sì vede, è molto semplice; ma sembra, anche, assai
feconda, poichè conduce a introdurre, per lo studio della configurazione dei
sistemi regolari di una varietà algebrica che ne contenga infiniti, una serie
di caratteri che sono altrettanti numeri interi.
Noi dimostriamo, infatti, che il sistema degli integrali di una tale varietà
algebrica può considerarsi, in infiniti modi diversi, come il sistema congiun-
gente di un conveniente numero di sistemi regolari puri indipendenti; ma,
comunque si proceda, restan sempre gli stessi, îl numero di codesti sistemi
puri, le loro dimensioni e î loro indici di singolarità.
1. Un sistema lineare 0097! di integrali (semplici, di 1 specie) con
2g periodi di una varietà algebrica di irregolarità superficiale => 9, si dirà.
puro 0 impuro, secondo che non contiene o contiene sistemi lineari c0'7! di
integrali con 2 periodi, essendo 7 < g.
Da questa definizione segue subito che :
Un sistema lineare impuro di integrali contiene sempre qualche sistema:
puro; ed è poi chiaro che:
Se di due sistemi regolari di integrali riducibili, appartenenti a una
stessa varietà algebrica, uno è puro e l’altro è impuro, essi o sono indi-
pendenti 0 sî appartengono; se invece sono entrambi puri, essi 0 sono
indipendenti o coincidono (*).
2. Due sistemi lineari 009! di integrali con 29 periodi. aventi lo stesso.
indice di singolarità, si diranno 2s0morf, se sono entrambi puri; oppure se
sono entrambi impuri e può stabilirsi una tale trasformazione omografica del
primo nel secondo, che l'insieme dei sistemi regolari di integrali riducibili
appartenenti al primo si rifletta nell'insieme analogo del secondo, due sistemi
regolari omologhi riuscendo sempre (di egual dimensione e) di eguale indice
di singolarità.
Evidentemente, sissemi di integrali isomorfi ad uno stesso sono îs0-
morfi tra di loro; ed allorchè due sistemi impuri sono isomorfi, în ogni
omografia, che ne metta in luce l’isomorfismo, risultano isomorfi i sistemi
regolari omologhi di integrali riducibili.
8. La prima osservazione del n. 1 può essere precisata. Si ha, cioè, che:
(1) Cfr. Scorza, Sugli integrali abeliani riducibili [Rendiconti della R Accademia
dei Lincei, serie 53, vol. XXIV (1° sem. 1915), pp. 412-418 e pp. 645-654]. pag. 418.
— 605 —
Un sistema lineare impuro di integrali può sempre considerarsi come
il sistema congiungente un certo numero di sistemi regolari puri indi-
pendenti di integrali riducibili.
Per tissar le idee, possiamo supporre, com’ è lecito, che il sistema lineare
impuro considerato sia quello, H, di tutti gli integrali di una varietà alge-
brica V; cosicchè V conterrà, per ipotesi, qualche sistema regolare puro di
integrali riducibili. Sia, uno di questi, il sistema A, e sia A' un comple-
mentare di A su V.
Siccome H è il sistema congiungente A con A'. se A' è puro il teorema
è dimostrato; se no. sia B un sistema puro contenuto in A’, e B' un com-
plementare di B in A'.
Siccome A' è il sistema congiungente B con B', H risulta il sistema
congiungente dei sistemi indipendenti A, B e B', ove A e B sono già dei
sistemi puri.
Ora, se B' è puro, il teorema è dimostrato; se no, sì applicherà a B'
il discorso fatto già per H e per A'. Siccome il procedimento non può essere
illimitatamente proseguito, sì finirà per trovare che H è il sistema congiun-
gente di un certo numero di sistemi regolari puri indipendenti A,B,C,...,L,
e allora il teorema sarà dimostrato
4. Un gruppo di sistemi puri di un sistema impuro H, che siano indi-
pendenti e che abbiano H quale sistema congiungente — tale è ad es., per
il sistema H del n. 3, il gruppo A,B,C,...,L ivi trovato —, si dirà un
gruppo fondamentale (di sistemi puri) di H.
Per estensione si dirà poi gruppo /ondamentale di un sistema puro
il sistema medesimo.
In ciascun gruppo fondamentale di un sistema impuro H, un sistema
qualunque del gruppo e il sistema congiungente tutti gli altri sono fra loro
complementari; quindi ogni gruppo fondamentale di H può essere ottenuto
col procedimento adoperato più sopra, e ogni sistema puro di H fa parte
di qualche suo gruppo fondamentale.
Gruppo fondamentale di una varietà algebrica è poi un gruppo fonda-
mentale del sistema totale dei suoi integrali.
5. Un sistema lineare di integrali, 0, ciò che in sostanza è lo stesso,
una varietà algebrica, può avere più gruppi fondamentali; e, anzi, se ne ha
più di uno, ne ha infiniti (n. 6).
Ora il risaltato finale a cui miriamo consiste nel dimostrare che in
questa seconda alternativa 7 var) gruppi fondamentali della varietà risul-
tano tutti costituiti di uno stesso numero di sistemi puri, quelli di un
gruppo essendo inoltre isomorfi rispettivamente a quelli di ogni altro.
6. Sia V, una varietà algebrica, di irregolarità superficiale p e indice
di singolarità #, dotata di sistemi regolari di integrali riducibili, e siano
Ar Ae, An(2 = 2) i sistemi puri di un suo gruppo fondamentale; siano
— 606 —
poi gg — 1 @ &; la dimensione e l'indice di singolarità del sistema A;.
Allora si ha, in primo luogo,
(1) Ea pila pia pi (e
e, in secondo luogo,
(2) kKt+tket4:: + kin+ta—-1=6%,
dove vale il segno superiore 0 l’inferiore, secondo che è infinito o finito
l'insieme dei sistemi regolari di integrali riducibili di Vy.
Siccome la (1) è conseguenza immediata della definizione di gruppo
fondamentale, occupiamoci soltanto della (2), e diciamo A il sistema con-
giungente i sistemi puri A,, A2,.. , A;, e X°° il suo indice di singolarità.
Naturalmente, A sarà il sistema totale degli integrali di V,; e A, 4°
e &°° saranno, rispettivamente, la stessa cosa che A,, 1 0 X.
Nel sistema A, per j = 2, A; e AY-” sono fra loro complementari;
quindi essi hanno in AY uno stesso coefficiente di immersione. Diciamolo 49,
Per quanto abbiamo stabilito altrove, sarà, successivamente (!),
ki + ko PF1= 49 —- 4 : ERO LAA LE 40) SA
OD L- kn +P1=4-4®;
e quindi:
="
REI eg A AS
dr
Siccome ciascuna 4 è positiva o nulla, segue che nella (2) vale il
segno superiore 0 l’inferiore, secondo che una almeno o nessuna delle 4°?
è diversa da zero.
Nel primo caso, uno almeno dei sistemi A°° (e precisamente quello
per cui è diversa da zero la 4°? corrispondente) contiene infiniti sistemi
regolari di integrali riducibili, e quindi la stessa cosa può dirsi per la va-
rietà V,.
Nel secondo caso, A, e A" risultano isolati su V,; poi An-, e A#-®
risultano isolati entro A”, e quindi anche su V,; e via dicendo (?). Ma
allora A,,Az,.., An sono tutti isolati su V,, e V, contiene soltanto un
numero finito di sistemi regolari di integrali riducibili; i quali, come sap-
piamo, sono dati tutti dai sistemi A; e da quelli (impuri) che li congiun-
gono a due a. due, a tre a tre,.., an—-lan—1.
Con ciò è stabilito il teorema enunciato; e si vede, anzi, che la nostra
V, contiene uno, ed un solo, gruppo fondamentale di sistemi puri, quando,
(1) Scorza, Sugli integrali abeliani riducibili [Rendiconti della R. Accademia dei
Lincei, serie 52, vol. XXIV (2° sem. 1915), pp. 398-400], n. 5.
(2) Loc. cit. ©.
— 607 —
e solo quando, non contiene che un numero finito di sistemi regolari di
integrali riducibili.
7. Se A è un sistema regolare di integrali riducibili appartenente
a una varietà algebrica V, ed A'e A" sono due suoi diversi complementari
su V, A' e A" sono isomorfi.
Supponiamo introdotta la solita rappresentazione geometrica del sistema
degli integrali di V, per modo da poter parlare di sistemi nulli di V, di
assi di ALA',A". ecc. (*). Siccome A' e A” sono complementari ad A, è
possibile in infiniti modi scegliere due sistemi nulli (non singolari) g' e y”
di V, dei quali l'uno, @', porti l'asse Aj. di A’, in quello di A, e l’altro,
g", l'asse di A in quello, Ai, di A”. Ma allora il prodotto g'@' è una
omografia razionale. che muta in sè tanto l'imagine quanto l'imagine con-
iugata del sistema totale degli integrali di V, e che trasforma l'asse Al
nell'asse Ai", ogni spazio razionale contenuto in Ai in nno spazio razionale
contenuto in Ai, e ogni sistema nullo razionale di A; (o di uno spazio ra-
zionale subordinato ad A;) in un sì fatto sistema nullo di A; (o di uno
spazio razionale subordinato ad A;). Tanto basta, evidentemente. per con-
cludere che A' e A” sono isomortì (?).
8. Ciò posto dimostriamo che:
Se una varietà algebrica contiene sistemi regolari di integrali
rilucibili, ma è priva di sistemi regolari isolati, î suoi sistemi regolari
puri sono tutti isomorfi tra di loro: cioè, hanno tutti la stessa dimen-
stone e lo stesso coefficiente di singolarità.
Sia V la varietà algebrica considerata, la quale, come è chiaro, con-
tiene certo infiniti sistemi regolari puri; e supponiamo, se è possibile, che
questi sistemi puri non siano tutti isomorfi tra di loro, o perchè non hanno
tutti la stessa dimensione, o perchè, pur avendo una stessa dimensione, non
hanno tutti lo stesso indiee di singolarità
In ogni caso sia A un sistema puro di V, tale che non esistano su V
sistemi puri di dimensione inferiore a quella di A.
Ciascun sistema puro A, di V, non isomorfo ad A, non potrà essere
indipendente da un qualsiasi complementare di A: poichè o A, ha dimen-
sione superiore a quella di A e allora l'affermazione fatta è senz'altro evi-
dente; o A, ha la stessa dimensione di A, ma non lo stesso indice di
singolarità, e allora (n. 7) non può avere con A uno stesso complementare.
Segue (n. 1) che ciascun complementare di A contiene tutti i sistemi puri
di V non isomorfi ad A.
Chiamiamo B il sistema regolare di integrali riducibili, di dimensione
minima, che, in base a quanto è stato detto, contiene tutti i sistemi puri
(*) Si tengano presenti le Note citate in ® e ”.
(3) Se i sistemi A" e A” sono puri, il teorema del testo si riduce al teorema IV
della Nota citata in ® e ivi dimostrato per via diversa da quella attuale.
— 603 —
di V non isomorfi ad A; per la definizione stessa di B sarà impossibile
che V contenga altri sistemi isomorfi a B. Ma ciò è assurdo, perchè, in
virtù dell'ipotesi, B non è isolato su V, e quindi esistono su V infiniti
sistemi aventi con B uno stesso complementare, cioè infiniti sistemi regolari
isomorfi a B; dunque, come volevasi, è assurdo supporre che V contenga
sistemi puri non isomorfi ad A.
Possiamo pertanto asserire che:
Se una varietà algebrica contiene sistemi regolari di integrali
riducibili, ma nessuno di questi è isolato, i suoi gruppi fondamentali di
sistemi puri sono infiniti, ma contengono tutti lo stesso numero di sistemi,
e questi sono tutti isomorfi tra di loro. La dimensione di ognuno di questi
sistemi puri, aumentata di 1, è, poî, un divisore dell’irregolarità super-
ficiale della vurietà; per modo che, se quest’ultima è un numero primo,
i sistemi purî in discorso si riducono a integnali ellittici.
Jon questo il teorema preannunciato nel n. 5 resta stabilito per le
varietà contenenti sistemi regolari di integrali riducibili, ma prive di sistemi
regolari isolati.
9. Adesso supponiamo che V sia una varietà algebrica dotata di sistemi
regolari di integrali riducibili, tra i quali ve ne siano di quelli isolati, e
indichiamo con
(3) AA An (n= 2)
un gruppo fondamentale di sistemi puri di V.
I sistemi regolari isolati di V sono, per quanto sappiamo, in numero
finito e, detti, fra di essi, B, , Ba, ..., Bm quelli che non contengono sistemi
regolari isolati di dimensione inferiore alla propria, i sistemi regolari isolati
di V sono forniti tutti da B, , B...... Bm © dai sistemi regolari che li con-
giungono a due a due, a tre a tre,.., a m—l1 a m— 1. Si ricordi, poi,
che il sistema congiungente B, Bs... ,Bm è il sistema di tutti gli inte-
grali di V: e quindi 7 complementare, ad es., di B, su V, è il sistema BI
congiungente Bè, B3,..., Bm (°).
Siccome B, e Bi sono isolati su V, ognuno dei sistemi A;, essendo puro,
dovrà o appartenere a B, o appartenere a Bi (*): quindi il gruppo fonda-
mentale (3) si spezzerà in due gruppi parziali, poniamo
AO A RI (= 1),
dei quali l'uno sarà formato dai sistemi A; situati in B,, e l'altro dai si-
stemi A; situati in Bi. Di più. il primo sarà un gruppo fondamentale di
sistemi puri di B,, e l'altro sarà un gruppo fondamentale di sistemi puri
di Bi.
(') Vedi la Nota citata in ".
(3) Loe; cit Dj
nà
— 609 —
Ora si consideri in Bj 7 complementare di B, che è il sistema By
congiungente B;,B,,..., Bn; in Bs; 7) complementare di B,, e così via;
e si ripeta a volta a volta il ragionamento fatto. Si troverà, alla fine, che
il gruppo fondamentale (3) si spezza in m gruppi parziali, diciamo
(4) Ai AG RQ00:8] Àn, s Apri PRIEST] Ani sce 3 Arme) gi vee An
che costituiscono, ordinatamente, altrettanti gruppi fondamentali di sistemi
puri di B,,B:,.... Bn.
Ma ciascun sistema B; non contiene sistemi regolari isolati di V di
dimensione inferiore alla propria, cioè non contiene sistemi regolari che
siano isolati in esso, dunque un gruppo parziale (4) o contiene un solo
sistema puro, e allora coincide col corrispondente sistema B;; 0 è formato
di sistemi puri, tutti isomorfi tra di loro, e in tal caso il numero dei suoi
sistemi, la loro dimensione comune e il loro comune indice di singolarità
dipendono soltanto dal corrispondente sistema B;.
Segue che o i sistemi B; sono tutti puri. e allora m= n, i sistemi B;
coincidono coi sistemi A;, e V ammette un solo gruppo fondamentale; o fra
i sistemi B; ve n'è almeno uno impuro, e allora V ammette infiniti gruppi
fondamentali distinti, ma questi contengono tutti lo stesso numero di sistemi
puri, i sistemi di uno risultando rispettivamente isomorfi a quelli di qual-
siasi altro.
Dalle cose dette qui e nel num. precedente ricaviamo il seguente teo-
rema generale:
Una varietà algebrica dotata di infiniti sistemi regolari di inte-
grali riducibili ammette infiniti gruppi fondamentali distinti di sistemi
puri. Due qualunque di questi (ruppi contengono però lo stesso numero
di sistemi puri, e i sistemi dell’uno sono ordinatamente isomorfi a quelli
dell’altro.
Inoltre è chiaro che:
Se una varietà algebrica ammette infiniti sistemi regolari dî inte-
grali riducibili, in ogni suo gruppo fondamentale appariscono almeno due
sistemi puri isomorfi;
e quindi:
Se in un gruppo fondamentale di una varietà algebrica non com-
paiono sistemi puri isomorfi, il gruppo è unico e la varietà contiene sol-
tanto un numero finito di sistemi regolari di integrali riducibile.
10. Precise norme accademiche ci hanno costretti a rimandare a un
lavoro, che sarà pubblicato altrove, alcune semplici considerazioni, le quali
fanno riconoscere che nel teorema del n. 6 è implicitamente contenuta la
generalizzazione completa di un notevole teorema del sig. De Franchis (*);
(1) De Franchis, Ze varietà algebriche con infiniti integrali ellittici [ Rendiconti
del Circolo matematico di Palermo, tomo XXXVIII (2° sem. 1914), pag. 192].
RenpIcONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 80
— 610 —
in esso saranno pure ulteriormente studiate le varietà algebriche con infinità
sistemi regolari di integrali riducibili, ma prive di sistemi regolari isolati,
su cui ormai si concentra tutto l’ interesse delle nostre ricerche.
In particolare vi si troverà dimostrato che:
Una varietà algebrica di irregolarità superficiale p(>1), priva di
sistemi regolari isolati, ma dotata di (infiniti) integrali ellittici, non può
presentare che due aspetti differenti; e cioè:
(p_D(p+2)
i 2
integrali ellittici, nessuno dei quali è a moltiplicazione complessa, costi-
tuiscono, secondo la nomenclatura del sig. Severi, una configurazione
normale ;
6) 0 ha l'indice di singolarità p>—1, e allora ogni suo integrale
(semplice di 1° specie) è approssimabile mediante 1 suoi integrali ellittici ;
questi ultimi risultando tutti a moltiplicazione complessa.
a) 0 ha l'indice di singolarità , e allora i suoî
)
Matematica. — Sull’equazione funzionale Jo K(st) 0(4)dt=0.
Nota di ATTILIO VERGERIO, presentata dal Socio S. PINCHERLE.
Diremo che una funzione appartiene alla classe ® se appartiene ad uno
dei seguenti gruppi di funzioni ortogonali :
1°) funzioni trigonometriche, considerate nell'intervallo a=0,0= 277,
senka ; coske (42010220256
2°) funzioni di Bessel, cioè le funzioni (a=0 ,2=1),
Pu,k = Py (45%) ’
dove P, è una funzione che soddisfa all'equazione
xaPi 4 (2u+1)PrtePa.=0(),
u essendo una costante reale qualunque, e 4, (£K=1,2,3,..) rappresen-
tano le radici positive d'una delle seguenti equazioni :
P,(e)=0 , P..(4) io sP.,(4) — hPy(a) —(/0%
h essendo una costante qualunque, diversa da zero;
3°) funzioni di Lamé;
4°) polinomi di Tchébicheff e, in particolare, polinomi di Jacobi
e funzioni di Legendre;
(*) Gli accenti indicano l’ordine di derivazione.
— 611 —
5°) funzioni Vx (XK=1,2,38,..) soddisfacenti alle seguenti condi-
zioni:
Vi+ (Ap — 9 Va=0 per “ri
Vil 'aVa=0 si CESSO,
ViboW=0 » z=b
dove p e q sono funzioni continue e positive della x, la prima delle quali
non s'annulla nell'intervallo (a, 2); % e @ sono delle costanti positive date,
e 4, una costante positiva ben determinata per ogni soluzione Vx.
Se y(s) (v=1,2,3,..) rappresenta una successione qualunque di
funzioni della classe suddetta ®, sussistono i seguenti teoremi ('):
a) Se la serie
(o °b
DI $y(5) di, , d= | y(8) g(8) ds
vel “a
è uniformemente convergente, sarà
in tutti i punti di (a,b) în cui la funzione g(s) è continua.
Da questo teorema discende, come corollario, l’altro, di cui faremo uso :
Se la funzione data g(s) è tale che le costanti dy, da un indice n
în poi, stano tutte nulle, sarà
in tutti i punti di (a,b) in cui la g(s) è continua.
8) Qualunque sia la g(s), purchè limitata ed integrabile, sarà
sempre valido lo sviluppo
fb Cl b
19(5)}° ds = > di, ; d= Î gy(s) 9(8) ds .
Ah) N=s1 tei]
2. Ciò premesso, consideriamo l'equazione, a nucleo simmetrico,
b
(1) Î K(st) 6(1) dt=0,
a
e proponiamoci di studiare la natura delle sue soluzioni.
Nella (1), dopo aver mutato s in 7, se ne moltiplichino ambo i membri
per K(sr) dr e si integri; avremo così la successione
finooa=o. (n=1,2,..)
(1) Stekloff, Sur certaines égalités générales ecc. Mem. de l’Académie impériale
des sciences de St. Pétersbourg, VIII série, tomo XV, n. 7.
— 612 —
Si dividano ambo i membri della 2n°"" uguaglianza, così ottenuta,
per y" ('), e sì passi al limite per x = 0. Ricordando (*) che la funzione
Kon(S/ DE i
Kam(3%) tende, al crescere di x, uniformemente ad una funzione H(sz) con-
y
tinua, positiva e non identicamente nulla, avremo al limite l'equazione
@) Sao 0(1) dt =0,
le cui soluzioni sono zu/te rappresentate da
TI
(3) 0()= x) | H(s) x) 4.
dove y(s) è una funzione qualunque, purchè integrabile e finita.
Infatti, che ogni @(s) definita dalla (3) sia soluzione della (2), lo si
vede subito, sostituendo in questa, a 0(£), l’espressione (3) ed osservando che
è K,,(57) Ka,(74) d Ra lim K,n(st)
"i pe n=o Y°°
(H(s7) H(74) de lim {
«a n=. a
= H(st) ;
d'altra parte, è poi evidente che, se yw(s) è una soluzione della (2), si potrà
sempre scrivere
vo=v— f AG) vd,
e che quindi la w(s) si potrà mettere sotto la forma (3)
La (3) rappresenterà perciò tutte le soluzioni della (2); e, poichè tra
le soluzioni di questa vi sono evidentemente anche quelle della (1), potremo
affermare che la (3) rappresenterà anche fuzte le soluzioni della (1).
Sostituiamo nella (1). a @(), il valore dato dalla (3). Essendo
Salta farle ; Yen+1(8)
ui e dre=lim “—_- ,
( K(st) di sf H(tr) yx(r) dr = lim f x(r) dr im n,
da n==% n=%
avremo
x(s)= lim dana l8) )
n=0%0 y
E poichè
n atadiaie di -Rene (#0
lim 250 rim i (omar fi loda
n_ i 3(8
=- n) K.(sr) lim xa III dr = iL K,(s7 ie A) ;
n= ve }i y
(1) Si ricordi che y= limyx e che ya = nta.
(*) Schmidt, Entwicklung willkùrlicher Functionen nach Systemen vorgeschrie-
bener. Inaugural-Dissertation, Gottingen 1905, $ 11.
sarà aache
Ne segue che le funzioni y(s), tali che, per esse, la (3) rappresenti le
soluzioni della (1), dovendo tutte soddisfare quest'ultima eguaglianza, avranno
necessariamente tutte le costanti C, eguali tra loro per n= 1 (*). Indicando
con g(s) una qualunque di tali funzioni, alle soluzioni della (1) potrà allora
darsi la seguente forma:
(4) 6(s) = g(5) — qa(s)
3. Alla (4) si può dare anche un'altra forma, che ci tornerà utile.
Siccome l'equazione
°b
g9(8) = | K(st g(t) dé
ammette soluzione, dovrà aversi. per la condizione Picard-Lauricella (*),
Py(8) dy
"b
gi(8) = Da Yy(8) | py(5) y.(8)ds = d 7 ?
dove
e quindi anche
Ed avendosi, per tutte le funzioni g(s) considerate,
(5) sa — si Du
Re py(5) dy Il
ai i li
da cui si deduce che, per tutti i valori di v, dovrà aversi
sarà
Ae
(1) Vergerio, Sull’equazione integrale di 19 specie. Rendiconti della R. Accad. dei
Lincei, seduta dell’8 nov. 1914.
(3) Sull'equasione integrale di 1% specie. Rendiconti della R. Accad. dei Lincei,
vol. XVIII, serie 5%, 2° sem., fasc. 39.
— 614 —
Il secondo fattore di questo prodotto è nullo solo pei valori 4, Le
1
PA vc dovrà quindi essere necessariamente
Yy
dy= 0 (0=3,4,5,..)
Con ciò avremo
Di dhe Pa 5 a
(6) pe SD
El À, y=1 da
dove p, e ps rappresentano il numero delle autofunzioni linearmente indi-
pendenti, relative a 4, e 4; rispettivamente.
Dall'ultima eguaglianza si deduce, notando che Zîy= 23y="1,
Pi LE
fa(8) _ S p(s)d +) p()d= z Ps) da,
y=1
avendo posto p, + p.= p.
La (4) può quindi scriversi
(4) = A) gh:
y=1
4. Facciamo l'ipotesi che le costanti y,, relative a K(s?), siano tutte
eguali tra loro. Sappiamo (*) che allora la (5) è sempre soddisfatta, qua-
lunque sia la g(s), purchè finita ed integrabile in (4,3). Le soluzioni 6(s)
non potranno, in questo caso, essere /uZ/e identicamente nulle; perchè, se
ciò fosse, sì dovrebbe avere, per ogni funzione finita ed integrabile g(s),
g2(8)
y
e si dovrebbe conchiudere (*) che l'equazione
b]
g(s)=
‘db
= | K(st) h(t) dt
«76
(®) Il Lauricella aveva già incidentalmente osservato (Sopra alcune equazioni inte-
grali. Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, seduta 21 giugno 1908) che le soluzioni
della (1) si possono mettere sotto la forma
b
PESTO f du
dove y(s) è una funzione integrabile qualunque. Non avendo però approfondito la que-
stione, non aveva notato che le y(s) non possono essere qualunque, e che la serie si
riduce alla somma d’un numero finito di termini.
(*) Vergerio, Una condizione necessaria e sufficiente per l’esistenza di soluzioni
nell'equazione integrale di 1% specie. Questi Rendiconti, seduta 6 giugno 1915.
(3) Cfr. la prima delle mie Note citate.
— 615 —
ammette soluzione, qualunque sia la (8), purchè integrabile e finita; il che
evidentemente non può essere. Possiamo pertanto affermare che
se le costanti y, di K(st) sono tutte eguali tra loro, le soluzioni
0(s) della (1) non possono essere tutte identicamente nulle; ed anche (ciò
che è poi lo stesso) che condizione necessaria affinchè la (1) sia a fun-
sione caratteristica (*) chiusa è che le costanti yn non siano tutte eguali
tra loro.
5. Osserviamo che dalla (4) si deduce immediatamente che. se K(s2)
è una funzione limitata entro il guo campo di variabilità (tale essendo
g2(8)
rà
allora anche la ). la 9(s) sarà anch'essa limitata o no, a seconda che
lo sarà o no la 0(s).
Analogamente, essendo gs(s) continua (°), la continuità di g(s) dipen-
derà da quella di 6(s); e le eventuali discontinuità di una di esse saranno
della stessa natura di quelle dell'altra.
Ciò premesso, facciamo l'ipotesi che le 7 autofunzioni. linearmente
indipendenti di K(s), relative agli autovalori +, appartengano alla
(Ey. i
classe ®; e tra le soluzioni 6@(s) della (1) consideriamo quelle che sono
continue in (4,0), e quelle che sono puntualmente discontinue.
Per quanto osservammo più sopra, le %(s) corrispondenti saranno fun-
zioni della stessa natura; quindi per il corollario del teorema @) (ved. n. 1),
il secondo membro della (4') sarà nullo in ogni punto di (a, d), se la g(s)
ivi è continua; sarà da eccettuarsi un numero finito di punti, se è puntual-
mente discontinua.
6. Aggiungasi ora la condizione che la K(st) sia una funzione limitata;
e tra le #(s) si considerino quelle che sono limitate. Tali dovendo allora
essere anche le corrispondenti 9(s), avremo, pel teorema #) del n. 1,
p b
vetta ; ve f tras.
y=l a
(!) Per noi le due espressioni nucleo e funzione caratteristica sono sinonimi.
Kan( st)
tai
(3) Invero dalla convergenza uniforme di verso il limite H(st), discende
quella, pure uniforme, degli integrali
b Kan(:
Gent) = Î SSIS) g(i) dt
y a Li
verso il loro limite, il quale perciò sarà una funzione continua.
E poichè, per ogni n =. 1, si ha (cfr. la prima delle mie Note citate)
Ia(8) La den(8)
y 7a
sarà pure g2(s) una funzione continua.
— 616 —
E poichè dalla (6), mediante quadratura ed integrazione, s ottiene
Vi=y \ a? ; (fa [91(8) r=V) ;
v=i
V
(7) ili
avremo
cioè, qualunque sia 7,
e quindi (?)
Quest'ultima eguaglianza ci dice che le soluzioni limitate @(s) saranno
tutte nulle.
Riassumendo :
Se le autofunzioni linearmente indipendenti del nucleo simmetrico
K(st), relative agli autovalori © — cn sono funzioni della classe ®, le s0-
luzioni continue della (1) saranno tutte identicamente nulle in (a. bd).
come pure quelle puntualmente discontinue, eccettuato per quest’ ultime
un numero finito di punti. Se poi K(st) è anche limitata, non solo sa-
ranno nulle tutte le soluzioni continue e puntualmente discontinue (colla
suddetta eccezione), ma lo saranno anche tutte quelle limitate.
7. Non sarà infine del tutto inutile notare che, nel caso in cuì si
sappia 4 priori che le soluzioni dell'equazione (1) che si considera deb-
bano essere /u/te continue, oppure tutte limitate [se tale è anche la K(sé)],
potremo affermare, ricordando il teorema del n. 4, che
se le costanti yn non sono tutte equali tra loro, e le autofunzioni
linearmente indipendenti di K(st), relative agli autovalori i appar-
Vy
tengono alla classe ®, l'equazione (1) sarà a funzione caratteristica chiusa.
(®) Nella seconda delle mie Note citate ho dimostrato che, se g(t) non è soluzione
b
dell'equazione f H(st) A(t) dt= 0, sarà limen=y. Qui si vede subito che il caso di
Za
n=%0
($s
Ù A . an è .
eccezione non è verificato. Invero, se fosse Di, H(st) g(t) dilin Jan18) = ) =0, in grazia
” 5 26
Gals) _— Gan(8)
dell'uguaglianza va = ner (n = 1), sarebbe ga(s) = 0; ed anche, per l’altra
b
Na -f 9(8) ga(5) ds ,
a
V,=0. Si avrebbe quindi, per la (7), Vo=0 (la costante y non potendo essere mai
nulla); da cui seguirebbe g(s) = 0 identicamente, contro il supposto.
(2) Cfr. la prima delle mie Note citate.
— 617 —
Storia della matematica. — Sulle scoperte di Pietro Men-
goli. Nota II di GrovaNNI VACCA, presentata dal Socio V. VOLTERRA.
In una Nota precedente ho posto in rilievo l’attività scientifica del
matematico bolognese Pietro Mengoli. Converrà ora osservare che a lui spetta
un merito non piccolo, finora non osservato da alcuno, se non forse dal Leibniz,
relativo alle notazioni, le quali, come il Leibniz diceva, non sono una piccola
parte dell’arte d'inventare.
V. () È nella Geometria Speciosa pubblicata nel 1659 che il metodo
è esposto diffusamente.
Già Bonaventura Cavalieri nella sua Geometria del 16837 aveva ado-
perato in senso tecnico la parola omnes lineae di una figura data, per indi-
care lo stesso ente che noì indichiamo, seguendo Leibniz, col simbolo f.
Mengoli adopera dapprima la lettera O, per le somme finite.
Così, per lui (?),
0. 2a=t* — t
significa
\Sar=n— n
Adopera invece il simbolo FO (*) per le somme di infinite linee. Indica con &
la variabile che noi diciamo ora abitualmente x, e chiama infine 7 (iniziale
della pavola residuo) ciò che noi chiamiamo ora 1— x.
Allora
FO. ar : FO. {ur ; FO. ar3
rappresentano gli stessi enti che noì indichiamo con
n
4 @ee l
[ a(1—2)da ; | Vx(1—-x)de ; e(1—--2)da ,
0 0
S0 / u
e calcola, con lunghi tentativi dapprima, e poi rigorosamente, tutti gli inte-
grali binomii ad esponenti interi e positivi (*).
(*) Continua la numerazione dei paragrafi della Nota precedente, a pag. 508 di
questo volume.
(®) Geometria speciosa, Bononiae, 1659, Elementum secundum, pag. 38.
(3) ibid., libr. VI, pag. 367 e segg. FO è il principio della parola /orma.
(4) È veramente deplorevole che il Mengoli abbia atteso dodici anni prima di pub-
blicare questi importanti risultati, già contenuti sotto altra forma, nell’Arithmetica inf
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 81
— 618 —
Tutti questi sforzi avevano uno scopo ben chiaro.
« His demonstratis, cogitabam si possent aliae quadraturae inveniri ex
« inventis compositae, in quas insignis aliqua resolvatur; quemadmodum in
« triangula, parabolam Archimedes resolvit. Et quaesivi primum de omnibus
« figuris, in quibus ordinatae ad basim, sunt omnes potestates abscissarum,
« primae, secundae, tertiae, et deinceps in infinitum; quas ex demonstratis
« a Cavallerio ... deprehendebam esse in serie harmonica naturali ab unitate;
« earumque summam demonstravi excrescere in infinitum, in praefatione ad
« meum libellum, cuius titulus Movae quadraturae arithmeticae, seu de
« additione fractorum... » (2).
Nelle quali parole, se non m'inganno. io leggerei il notevole risultato :
[(1+2+2+...)do=,
VI. Lo stile del Mengoli è spesso contorto ed oscuro, a causa forse
della preoccupazione che egli ebbe di esser rigoroso. Le sue notazioni sono
diverse da quelle degli altri matematici. e perciò. sebbene spesso razionali,
insolite. Così ad esempio egli osserva (e Leibniz ripeterà poi come sua
l'osservazione) che invece delle parentesi una semplice virgola può adem-
piere allo stesso ufficio, e scrive quindi «+ è ,c ciò che noi scriviamo
(a+d)c.
Così ancora rileva l'inconveniente tipografico che presenta la linea di
divisione orizzontale, ed adopera invece a tale ufficio le parentesi, scrivendo
a(b) ciò che noi scriviamo Le
Intine invece di scrivere gli esponenti più piccoli in alto, li scrive di
seguito, così scrive 42 53, ciò che noi scriviamo a? d8.
Ciò può spiegare come sia sfuggita all'attenzione dei più la sua teoria
originale, rigorosa e puramente aritmetica dei logaritmi, la quale lo con-
dusse a scoprire ed a pubblicare nel 1659, i primi sviluppi in serie infinita
dei logaritmi dei numeri razionali.
nitorum del Wallis (1655). Così infatti dice i1 Mengoli nella lettera dedicatoria a Gian
Domenico Cassini (Geometria speciosa. Elementum sextum, pag. 348):
« Ante annos duodecim, occasione cuiusdam problematis mihi propositi a D. Antonio
« Rocca Regiensi, de figura unilinea describenda, quae secaret ellipsim in duobus punctis
«innumerabiles eiusmodi fisuras excogitavi, quas tune per Geometriam indivisibilium
« quadrabam... ».
(‘) Geometria speciosa, Elementum Sextum, pag. 863. Nove anni più tardi, nel
1668, Nicola Mercator pubblicava la sua Zogarithmotechnia. Se il Mercator avesse co-
nosciuto l’opera del Mengoli (il che sembra oggi difficile poter accertare) si potrebbe
spiegare in modo assai semplice la genesi della scoperta della serie di Mercator, e capire
altresì come il Mercator non abbia poi scritto più nulla sulle serie infinite, malgrade
che continuasse poi a pubblicare molti anni dopo altri scritti di matematica.
— 619 —
Converrà però adoperare un linguaggio più semplice, per esporre rapi-
damente queste idee del Mengoli.
Dato il numero intero e positivo n, si considerino le due successioni
Il 1 Il 1 al
_ = sv Ga sail
1+3 LO + SES. gl sv) | 3T | San—-1l'
1 1 1 Il 1 1 Il Il
LR ge
Il Mengoli chiama la prima successione di iperlogaritmi del numero »,
e la seconda successione di ipologaritmi del numero x.
Chiama allora logaritmo di » l’unica quantità maggiore di tutti gli
iperlogaritmi e minore di tutti gli ipologaritmi (!).
Se poi n, sono interi e positivi ed m >. se i è intero, si vede
n
subito che il logaritmo di n è compreso tra le due successioni
?
| 1 1 1 1
n dmn, Fn 2n tit +
IRE
di a ii 1 1 l
RIVE LI ET E DR ie, ‘agio app dii 2m
1 1
pr LS smo I"
(poichè queste successioni fanno parte di quelle che definiscono log —, ecc.).
n
Quindi sì conclude facilmente (*) che
logm—logr=log®.
la quale è la proprietà fondamentale dei logaritmi; e si vede pure che è
naturale detinire log — per mezzo delle successioni (A) nel caso in cui —
n n
non è intero.
(!) Porro logarithmus est illa quantitas, ad quam tendunt hyperlogarithmi cum
semper deinceps minuuntur, et ad quam tendunt hypologaritmi cum semper deinceps
augentur; omni minor hyperlogarithmo, et omni maior hypologarithmo. Geometria spe-
ciosa, Introd., pag. 69 i
(*) Patet... quod compositae rationis logarithmus est aggregatus componentium loga-
rithmorum, ibid., pag. 71.
— 620 —
Da questa definizione di logaritmo di un numero razionale il Mengoli
trae immediatamente uno sviluppo in serie infinita (!), cioè:
m me ( 1 sen il )
B log -= — _ \___};
(8) 987 5bl&Grmts f&rn4s)
quindi per esempio:
mea ( + HA (HA
mei (H+ AHI
La prima di queste due formole non è altro, sotto forma leggermente di-
versa, che la formola
1 IGIROLS.i
log lei ea
trovata poi dal Mercator per una via più diretta e più feconda, e riscoperta
più tardi del Brouncker con un metodo sostanzialmente non diverso da
quello del Mengoli.
VII. Rimarebbe ancora da esporre sommariamente quali sforzi il Men-
goli abbia fatto nel suo Arzo, per rendersi conto del cammino percorso
dal sole. Ma i suoi sforzi, per quanto sterili, e per quanto oramai inutili,
perchè Newton già da qualche anno aveva meditato e risolto problemi ben
più vasti, si prestano ad alcune considerazioni che spero di esporre in
un'altra occasione.
(!) Il Mengoli chiama prologaritmi del n. m e del numero n, rispettivamente le
due sommatorie finite che figurano a destra della formola (B), la quale è quindi enun-
ciata da lui così:
Ordinetur summa excessuum primi prologarithmi supra primum, ...et secundi
supra secundum, et tertii supera tertium, et sic deinceps in infinitum: omnium summa
emcessuum, est logarithmus rationis quam habent numeri...,ibid., pag. 74.
— 621 —
Fisica. — Sulla legge di Lo Surdo ('). Nota del dott. CARLO
SoNAGLIA, presentata dal Corrispondente A. GARBASSO.
Dalle ricerche del prof. Lo Surdo sulla scomposizione elettrica delle
righe dello spettro dell'idrogeno appartenenti alla serie di Balmer, risulta
che in direzione perpendicolare al campo elettrico sì osservano scomposte le
varie righe in elementi polarizzati rettilineamente: due elementi esterni,
vibranti parallelamente al campo elettrico; altri interni, a vibrazioni per-
pendicolari. Ma. mentre il numero delie componenti esterne rimane invariato.
varia invece quello delle interne, e precisamente in relazione al posto che la
riga occupa nella serie.
È noto che le lunghezze d'onda delle righe di questa serie si possono
ottenere dalla formula
dove a è una costante ed n un parametro che dà valori interpretabili solo
quando è posto uguale a 3,4,5,6... In questi casi la formula dà la lun-
ghezza d'onda 4 rispettivamente dei termini 1,2,3,4... della serie, cioè
delle righe H._, Hg, H,, rog
Ora, esaminando i risultati ottenuti col suo metodo sulle prime quattro
righe della serie di Balmer, il prof. Lo Surdo trovò che essi rispondono alla
seguente legge (?):
« Il numero d'ordine di una riga nella serîe di Balmer coincide col
«numero delle componenti interne di vibrazioni perpendicolari al campo
« elettrico, ed il numero totale delle componenti coincide col valore del
« parametro n.
Mi è parso interessante uno studio diretto a verificare la validità della
legge di Lo Surdo per le altre righe della serie.
Ma la ricerca si presentava molto difficile per le ragioni che accennerò
in seguito, ed ho dovuto limitarla alla H., la quinta riga della serie, che
trovasi nell'ultravioletto.
() Lavoro eseguito nel Laboratorio di fisica del R. Istituto di studî superiori in
Firenze, novembre 1915.
(?) A. Lo Surdo, Za scomposizione catodica della quarta riga della serie di Balmer
e probabili regolarità [in questi Rendiconti, vol. XXIII serie 5%, 1° semestre (1914),
pag. 328]; id., L'analogo elettrico del fenomeno di Zeeman e la costituzione del-
l'atomo, L’Elettroteenica, vol. I, 1914, pag. 629.
— 622 —
È noto che le righe della serie di Balmer, dal rosso al violetto, vanno
indebolendosi e avvicinandosi e tendono al limite 3645,6 U.À. Ora, col
metodo catodico di Lo Surdo nei tubi molto sottili la luminosità è tale che
si può fare l'osservazione diretta delle righe H,e Hp, decomposte per il
campo elettrico, anche con un modesto spettroscopio ad un sol prisma ('); ma
egli stesso aveva già notato che, mentre la H, si può fotografare con espo-
sizioni di pochi minuti, per la Hz (4101,2 U. À) occorreva circa un'ora.
La H: si trova nell'ultravioletto (3970 U . À), e l'osservazione non si
può fare se non col metodo fotografico. Ma è molto più debole della Hg, e
quindi si comprende che è necessario di prolungare molto l'esposizione mante-
nendo costanti il più possibile le condizioni elettriche del tubo di scarica,
e usando molte precauzioni per evitare l’appannamento della parete del tubo
di vetro per il deposito metallico che la scarica vi produce dopo tempo più
o meno lungo.
Le prove vennero da me prima condotte usando le solite disposizioni
spettroscopiche con prismi e lenti di vetro, già adoperate dal prof. Lo Surdo.
Ma dovetti convincermi, dopo molti e laboriosi tentativi, che il fascio di
radiazioni 3970 U.À., già debole per sè stesso, risultava ancora molto più
indebolito per l'assorbimento nel lungo cammino attraverso le lenti ed i prismi
di flint, tanto che non era possibile di ottenere una prova fotografica netta.
Ho adoperato in seguito una disposizione spettroscopica consimile a
quelle precedenti, nella quale però le lenti ed i prismi erano tutti di quarzo.
Lo spettrografo, con prisma di Cornu, era del ben noto modello costruito
da Hilger di Londra. Sulla fenditura di esso veniva proiettata, mediante due
lenti di quarzo, l’immagine dello spazio catodico del tubo di scarica, disposto
con asse parallelo alla fenditura allo scopo di ottenere sulle prove le configu-
razioni a ventaglio delle righe decomposte dal campo elettrico, configurazioni
che, come è noto, servono bene a distinguere gli elementi di decomposizione
dalle righe non decomposte.
SNA ) S Q Q n:
1 v
Fia. 1.
Il tubo era della solita forma, ma lievemente modificato. La modifica-
zione consiste nel fare il ramo catodico, che prima era di vetro, di sostanza
trasparente alla radiazione H:. Un tubo cilindrico di quarzo Q , del diametro
interno di mm. 2,5, contenente il catodo C, è saldato in S al solito tubo di
(*) A. Lo Surdo, Osservazione diretta della scomposizione delle righe spettrali in
un tubo molto sottile (in questi Rendiconti, vol. XXIII, serie 5*, 1° sem. 1914, pag 252).
— 623 —
scarica, nel quale si trova l’anodo A, mediante un mastice che non dà vapori
apprezzabili. Il catodo C è costituito da un cilindretto d'alluminio a faccia
piana che riempie completamente la sezione; ad esso è attaccato un filo di
platino il quale passa all'esterno attraverso ad un altro tubetto di vetro sal-
dato in T al quarzo pure col mastice. Il catodo si scalda per effetto della
scarica; ma il filo di platino è fatto lungo e sottile per impedire una note-
vole propagazione di calore verso l'estremo superiore, e quindi il rammolli-
mento del mastice. La faccia catodica C è notevolmente distante dalla sal-
datura S, per la stessa ragione.
Il tubo, riempito d'idrogeno alla pressione opportuna, veniva chiuso alla
lampada in F e poteva rimanere lungamente senza subire alterazioni.
Il tubo era collegato con i poli della batteria di 5000 piccoli accumu-
latori esistente in questo Laboratorio. La corrente veniva regolata mediante
delle resistenze ad acqua inserite opportunamente nel circuito. La lunghezza
dello spazio oscuro catodico era di circa mm. 6 con una corrente di circa
1 milliamp. e una caduta di potenziale agli elettrodi di circa 6000 volta.
Le prove fotografiche iniziali furono parecchie e laboriose. Esse mi ser-
virono a stabilire le condizioni migliori relative alla larghezza della fendi-
tura, al valore del campo opportuno per la netta scomposizione della H: che
sì trova in una regione dove la dispersione dello spettrografo corrisponde a
circa 30 Àngstrom per millimetro. E bisognava che la corrente fosse di inten-
sità debole, poichè altrimenti le condizioni del tubo non si potevano mante-
nere inalterate per il lungo tempo necessario ad ottenere delle prove suffi-
cientemente impressionate.
La durata di esposizione, nelle condizioni da me scelte, era di circa
quattro ore.
La maggiore difficoltà è dovuta alla presenza del secondo spettro del-
l'idrogeno, che nella luminosità catodica si presenta ricco di righe in vici-
nanza della H., alcune delle quali particolarmente estese.
Un prolungamento di esposizione è perciò da evitarsi.
Ed anche con esposizioni sufficienti, un gruppo di due righe, relativa-
mente molto intense e vicine, si sovrappone, dalla parte delle lunghezze
d'onda brevi, alla configurazione a ventaglio, anche se il campo è appena
sufficiente alla separazione degli elementi di decomposizione.
Esse sono le 3963.3 e 3902,4 U. À. (*) che non si vedono separate
nelle mie prove a causa della debole dispersione, ma si presentano come
una riga larga, molto più intensa della H., molto espansa in prossimità
della parte catodica.
(1) Joseph Sweetman Ames, On some gaseous spectra: hydrogen, nitrogen. Phil.
Mag., vol. XXX, series 5%, an. 1890, pag. 48.
— 624 —
Perciò le mie prove furono necessariamente condotte a stabilire sepa-
ratamente le caratteristiche della scomposizione della H: nel modo seguente:
1) la simmetricità della scomposizione, dedotta dalla forma del ven-
taglio, in tutte le prove;
2) la doppia esterna, come è stata osservata per le righe Ha. Hp, H,, H3,
mediante l'aggiunta di un prisma di Glan-Thomson, disposto in modo da lasciar
passare solo le vibrazioni parallele al campo clettrico;
3) il numero delle componenti interne, mediante esposizione molto
prolungata e senza prisma, dopo aver fissato la posizione della doppia esterna.
Quest'ultima parte fu la più difficile. Le componenti verso le lunghezze
d'onda più grandi, e quella centrale, che si presenta in questo caso, si vedono
nettamente; mentre quelle verso le lunghezze d'onda brevi si deducono dalla
simmetricità della configurazione a ventaglio, e dalle porzioni di esse com-
ponenti che divergono dal punto corrispondente al limite dello spazio cato-
dico alla seconda luminosità negativa fino a quando non incontrano le due
righe del secondo spettro dell’idrogeno, avanti accennate.
Ma ho potuto stabilire sicuramente che esse componenti interne a vibra-
zioni perpendicolari al campo, sono cinque.
Riassumendo, il comportamento delle prime cinque righe della serie di
Balmer nel campo elettrico, in relazione al numero d'ordine della riga nella
serie, e ‘al valore corrispondente del parametro n, risulta indicato dalla
seguente tabella:
Righe Ha He H, Hs He
Ri. ai e (60862, 4860,7 ‘434010 4101020 RIO
; ANRRS RA PE IIET 3 4 5 6 7
N. totale delle componenti . 3 4 6) 6 7
N. dordine 3 l 2 3 4 5)
Compon. a vibrazioni normali. 1 2 3 4 5
Aspetto delle righe (*). . i: Ka] agi legal
il Ii II MICI
Ho confermato così per il quinto termine della serie di Balmer la legge
di Lo Surdo.
(') Le componenti spostate verso l'alto sono quelle a vibrazioni parallele al campo,
— 625 —
Chimica. — Ricerche sulle combinazioni subalogenate di alcuni
elementi: sui cosiddetti sottocloruri e sottobromuri di bismuto (*).
Nota II di L. MARINO e R. BECARELLI, presentata del Socio R. NASINI.
Dopo aver riferito, in una prima Nota, sul sistema bismuto-iodio (*),
riprendiamo lo studio delle combinazioni del bismuto con il bromo e con
il cloro, nonostante che sull'argomento sì trovi in letteratura un ponderoso
lavoro tedesco di B. G. Eggink (*), perchè le conclusioni dell’autore non
sì accordano, secondo il nostro modo di vedere, con il comportamento chimico
complessivo del bismuto (*). I dati sperimentali riguardanti i due sistemi
considerati, non solo dimostrano erronee le conclusioni dell’Eggink, ma con-
ducono, ove si interpretino convenientemente, ad un caso assai interessante
dal punto di vista teorico e da quello pratico. Se si approfondisce infatti
l'esame obbiettivo e si coordinano le varie osservazioni, senza perdere di
vista il carattere chimico dell'elemento considerato, si giunge a dimostrare
che i nuovi sistemi rappresentano un bellissimo caso di equilibrio fra due
liquidi parzialmente miscibili e una fase solida formata, entro limiti abba-
stanza estesi di concentrazione, da cristalli misti i quali hanno un punto di
fusione più alto di quelli dei componenti: ora, equilibrî di questo tipo non
sono, per quanto a noi consti, ancora ben noti. Oltre a ciò, una maggiore
conoscenza di queste relazioni, se da un lato ci fornisce il materiale speri-
mentale per discutere in seguito alcune nostre considerazioni sui concetti di
(1) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica generale della R. Università di Pisa,
novembre 1915.
(3) R. Acc. Lincei, 21 [5] II 695 (1912).
(3) Zeitschr. f. physik. Chem., 64, 449 (1908).
(4) A questa ricerca, che è una seconda documentazione delle idee esposte nella
mia Nota Nuove ricerche sulle combinazioni inferiori di alcuni elementi |Rend. R. Acc.
Lincei, 24[5]II, 143 (1915)}, farò seguirne altre su argomenti ben diversi. Da esse appare
ancora una volta quali interessanti deduzioni si possono trarre da certi lavori, in apparenza
assai pregevoli, ove si segua il metodo di indagine senza trascurare i caratteri chimici
della sostanza sulla quale si esperimenta. In questo studio sulle combinazioni sub-alogenate
del bismuto ebbi un ottimo collaboratore nel dott. Becarelli. Data l’indole del lavoro,
ciascuno di noi portò il suo contributo personale nella esecuzione delle esperienze. Il
dott. Becarelli eseguì prima l’analisi termica sui varî miscugli, e poi l’analisi chimica
dei varî strati, allo scopo di precisare i punti delle divergenze sperimentali; ciascuno di
noi eseguì allora per proprio conto, a reciproco controllo, le definitive determinazioni,
per cui le conclusioni alle quali siam giunti scaturiscono dall'esame di dati varie volte
controllati e ampiamente discussi.
L. MarIno.
RenpiconTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 82
— 626 —
individuo chimico e di combinazione berthollide, recentemente introdotti da
Kurnakow (') in base a misure quantitative dei diagrammi chimici « com-
posizione-proprietà », dall'altro permette di collegare i nostri risultati con
le ricerche chimico-fisische di Cohen (?) e collaboratori sull’antimonio esplo-
sivo e con quelle chimiche di Schenck (*) sulle soluzioni solide di fosforo
in tribromuro di fosforo, ricerche le quali tendono a stabilire nuove rela-
zioni fra lo stato allotropico e la formazione di soluzioni solide.
Quanto all'interesse pratico. esso deriva non solo dall'avere noi mostrato
che sono per ora da radiarsi dalla letteratura quelle combinazioni del bismuto
con il bromo e con il cloro nelle quali esso figurerebbe come elemento mono-
valente o hivalente, ma anche dall'aver messo meglio in evidenza che, quando
sì vogliono conoscere tutte le variazioni di stato che si succedono in una
massa, con carattere non del tutto metallico, sottoposta a graduale cambia-
mento di temperatura, non sempre basta il solo metodo termico, per quanto
scrupolosamente eseguito, a trarre le opportune conclusioni. Spesso la quan-
tità di calore che nella massa considerata entra in giuoco col passaggio dalla
fase liquida alla fase solida, o viceversa, è-così piccola che ad un'indagine
superficiale potrebbe sfuggire, specie allorquando la massa stessa è poco
conduttrice: cosicchè, ove non si ricorresse ad altri criterî e dispositivi ana-
liticì, sì finirebbe col concludere erroneamente.
Se si osservano infatti le curve di raffreddamento dei varî miscugli di
bismuto con tribromuro di bismuto, anche sperimentando con duecento
grammi di prodotto, non sì riesce a mettere bene in rilievo alcun principio
di cristallizzazione; e solo in vicinanza della temperatura di fusione del
bismuto notasi un effetto termico. Per quanto si segua accuratamente e len-
tamente il raffreddamento, il cambio di direzione nella curva manca fino
alla temperatura di circa 260°, mentre la sostanza solida, probabilmente
cristalli misti, si è già cominciata a formare a 305°.
Ove non venisse svelata per altra via questa presenza della fase solida
che fa equilibrio a due fasi liquide ancora esistenti a quella temperatura,
l'analisi termica condurrebbe ad erronee conclusioni. E ad errati giudizî
porterebbe in tal caso anche l’analisi microscopica, perchè la mancanza di
effetto termico al disopra di 270° farebbe pensare che le diverse sostanze,
osservate al microscopio a temperatura ordinaria, si fossero originate al
disotto di 270°.
E più giustificato appare il nostro rilievo quando facciamo notare che
la massa del solido, non svelato dal metodo termico nelle suaccennate con-
(*) Z. f. anorg. Chemie 88 (1914) pag. 109.
(?) Zeitschr. fur phys. Chem., 47 (1904) pag. 1. — Ibid., 50 (1904), pag. 291. —
Ibia.. 52 (1905), pag. 129.
(3) Berl. Ber. 36, I, 979.
— 627 —
dizioni, può raggiungere il rapporto del 35 °/, del miscuglio: quantità, come
si vede, che non è punto trascurabile e che mostra esser le difficoltà prove-
nienti dal minimo sviluppo di calore che entra in giuoco. Non è dunque
fuor di luogo insistere nel richiamare l'attenzione di coloro, i quali si ser-
vono del metodo termico per lo studio analitico degli equilibrî in miscele
fuse, sulla necessità di bene accertarsi anche per altra via (specie quando
fra i componenti del sistema vi sono combinazioni non metalliche) se esi-
stono o no soluzioni solide o cristalli misti i quali sì originano con picco-
lissimo sviluppo di calore.
La loro presenza, anche se elevato è il rapporto, non può essere allora
svelata col metodo termico se non da apparecchi molto sensibili o da grandi
quantità di sostanza ovvero da una velocità di raffreddamento estremamente
lenta. L'ultimo caso ‘però, come sappiamo, non è certo quello più adatto,
perchè, pur ammesso che essa sia sufficiente per avvertire il principio di
cristallizzazione, potrebbe dar luogo a false interpretazioni quando si segue
l'ulteriore sviluppo della curva di equilibrio.
Ma prima di discutere i risultati delle nostre esperienze, è bene d’accen-
nare a qual punto riprendiamo lo studio dell'argomento, riportando quelle
conclusioni che a noi più interessano, e rimandando, per la completa biblio-
gratia, al trattato del Gmelin Kraut (') nonchè al lavoro di G. B. Eggink (?)
Combinazioni del bismuto col bromo. Dei composti che il bismuto fa col
bromo, quello più conosciuto è il tribromuro. Esso. comunque preparato,
secondo alcuni potrebbe dar luogo, per riduzione, alla formazione di Bi Bri;
ma, secondo Eggink, questo composto non sarebbe BiBr,, bensì BiBr.
Il bibromuro, BiBr,, fu ottenuto da Weber (*) fondendo una mescolanza
di BiBrz e Bi in un rapporto tale da fare BiBr,. I cristalli aghiformi
separati dal liquido rosso-brano, dopo raffreddamento, separano, per azione
dell'acido cloridrico, bismuto metallico. Analogamente si scomporrebbero
dando bismuto e tribromuro quando si scaldassero a temperatura più alta.
Questo comportamento deporrebbe, secondo l’autore, per l'esistenza del
Bi Brs. Però, se si tenta di ottenere lo stesso prodotto da bismuto metallico
e tribromuro, allora esso non corrisponde al BiBr, ma contiene circa il
6,5 °/, di bismuto in più; scioglierebbe del bismuto dando origine ad una
nuova sostanza la quale sarebbe da considerarsi come un sesquibromuro
di bismuto, Bi, Brz (l’analisi darebbe una differenza, fra bismuto calcolato
e trovato, di 0,5 °/0).
(*) Gmelin Kraut, vol. III. 2. pag. 987, 996.
(*) Z. f. physik. Chemie 64, 449 (1908).
(3) Pogg. Ann. /07, 600.
— 628 —
Secondo Muir (*), il BiBrs non sì può avere puro, perchè è molto ditti-
cile liberarlo dal tribromuro. Difatti i prodotti analizzati conterrebbero
sempre più bromo (0,87 °/) di quello che corrisponde alla composizione del
BiBrs. Per riscaldamento si decomporrebbe anch'esso in BiBrz e Bi, ma
per una temperatura che è inferiore a quella del BiCl,. L'autore deduce
anche, che un composto inferiore si forma, dal comportamento del tribromuro
riscaldato in una corrente di idrogeno secco. Con l’innalzarsi della tempe-
ratura, il tribromuro prima fonde in un liquido rosso; poi, in parte distilla,
in parte si riduce a bismuto metallico.
Il prodotto più basso non si potrebbe quindi isolare, perchè la decom-
posizione in tribromuro e bismuto avviene per temperatura relativamente
bassa.
B. G. Eggink, dalle curve di fusione dei varî miscugli di tribromuro
e bismuto e dalle misure della solubilità, conclude per l’esistenza di una
nuova combinazione Bi Br la quale fonde per 287° in due strati liquidi.
‘ombinazioni del bismuto col cloro. — Per quel che riguarda i pro-
dotti clorurati ammessi finora, è da ricordare che varî sono gli autori che
tentarono di ridurre il tricloruro di bismuto che è il composto più facil-
mente preparabile.
Heintz (*) per primo cercò. ma senza successo, di preparare un com-
posto contenente meno cloro. scaldando in corrente di idrogeno il tricloruro.
Schneider (*), dopo aver confermato l'insuccesso del metodo di Heintz,
ricorse alla decomposizione del sale doppio 2 NH, CI. Bi Cl3, scaldato
a 300° in corrente di idrogeno. Eliminato l'acido cloridrico e compiuta la
distillazione del cloruro ammonico, egli otteneva un liquido oleoso rosso, il
quale per raffreddamento solidificava in una massa cristallina corrispondente
ad un nuovo sale doppio. Quanto più prolungato era il riscaldamento, tanto
più la composizione sì avvicinava a quella data dalla formula NH, CI. Bi Cl,.
Il prodotto, deliquescente, per azione degli acidi diluiti metteva in libertà
bismuto metallico e quindi, secondo Schneider. deriverebbe dal bicloruro,
mentre, secondo Eggink, starebbe ad indicare soltanto che si forma un cloruro
più basso del tricloruro. Vedremo che nessuna delle due interpretazioni corri-
sponde alla realtà. Schneider prepara anche il bicloruro scaldando in tubo
chiuso per 4 ore fra 250°-250° una mescolanza di bismuto finamente
polverizzato e calomelano. Secondo lui, dovrebbe compiersi la reazione
2HgCl + Bi= BiCl, 4 2Hg; vedremo invece che la reazione procede
secondo l'equazione 3 Hg CL + Bi = BiCk + 3 Hg.
Dal liquido nero che galleggia sulla mescolanza di mercurio e di bismuto
in eccesso, cristallizza un prodotto di composizione non costante perchè i
(1) Journ. Chem. Soc. 29, 144.
(3) Pogg. Ann. 03, 59.
(*) Pogg. Ann. 96, 150.
— 629 —
dati analitici oscillano molto nelle diverse preparazioni, secondo l'autore, a
causa di un po’ di mercurio e di bismuto che rimane come impurezza. La
sostanza nera ottenuta si scompone, con gli acidi minerali, in tricloruro che
passa in soluzione, ed in bismuto che si separa come polvere nera. Per azione
della potassa concentrata si origina prima ossidulo nero; poi, per addizione
di ossigeno, ossido giallo.
Scaldato all'aria, lascia, già a 300°, sublimare il tricloruro, mentre si
libera bismuto metallico. Ad un simile risultato giunse Weber (') fondendo
in un tubo chiuso un miscuglio di tricioruro di bismuto e di bismuto me-
tallico in un rapporto tale da avere un po’ di eccesso di bismuto rispetto
a quello richiesto per la formola BiCl,. Dopo alcuni giorni di riscaldamento,
lasciò raffreddare e trovò che la massa constava di due strati, dei quali il
superiore, identico a la sostanza di Schneider, !differiva, nel contenuto del
bismuto, solo di 0,7 °/, dal valore teorico calcolato per Bi Cl.,
Mentre Heintz e Schneider ritengono che, scaldando il tricloruro in
corrente d'idrogeno secco, non si formi del BiCls, Muir (*) sostiene che si
origina una sostanza nera la cui composizione corrisponde a quella del
bicloruro e che per riscaldamento sì scinde in un sublimato bianco cristal-
lino, Bi Cl,, ed in un residuo nero di bismuto metallico.
Un cloruro nero, che corrisponde per composizione al Bi Cl,, l'ha prepa-
rato anche Déhérain (3), per il quale prodotto ammetterebbe anzi una for-
mula doppia, BiC1,, allo scopo di poter giustificare la trivalenza del bismuto.
Egli credeva di poter anche ammettere l'esistenza di un altro composto,
Biz Clg; ma dalle ricerche di Eggink risultò che questo non esiste.
Più recentemente Eggink (4) fece sull'argomento uno studio abbastanza
completo. Egli espose una completa e pregevole trattazione dei casi grafica-
mente possibili di coesistenza di fasi solide e liquide per un sistema di
due componenti, ove si presentano due fasi liquide, basandosi sul metodo
gratico da Ry van Alkemade dedotto per stabilire l'equilibrio fra le solu-
zioni saline e le coesistenti fasi solide, e da Bakhuis Roozeboom (°) appli-
cato per i cristalli di miscela; e, determinando le curve di fusione dei
sistemi Bi Cl; —Bi e Bi Br;—Bi, mostrò che, invece delle combinazioni
Bi Cl. e BiBrs, esistono le combinazioni Bi Cl e BiBr. Dalla sua ricerca
risulterebbe, anzi, che non esiste neppure il composto Biz Clx, mentre po-
trebbe formarsi una combinazione endotermica BiCl. Ora le esperienze
finora da noi eseguite non solo hanno confermato i nostri dubbî sull’attendi-
(1) Pogg. Ann. /07, 597.
(3) Journ. Chem. Soc. 29, 144.
(*) Bull. Soc. Chim. 1862, pag. 217. — Dammer, II, pag. 262.
(4) Zeitschr. f. phys. Ch. 64, pag. 452 (1908).
(3) Z. f. phys. Chem. 11, 289 — Ibd. 30, 885.
— 630 —
bilità delle conclusioni di Eggink, ma hanno mostrato che esse vanno ben
altrimenti interpretate.
Fondendo infatti entro i soliti nostri tubi (*) delle miscele di bismuto
con quantità di tricloruro e rispettivamente tribromuro variabili dal 5
all'85°/ si ottengono al disopra di 320° due strati liquidi: uno superiore
nero, l’altro bianco lucente di aspetto metallico.
Coll’abbassarsi della temperatura si origina:
1°. Da uno dei due strati che formano la massa fusa un prodotto
cristallino che non ha punto di fusione costante (per il composto bromurato
fonde infatti completamente nell'intervallo 270°-305°. per quello clorurato
fra 270° e 320°)
Questo per la temperatura di circa 240° si trasforma in altri due pro-
dotti, di cui l'uno fonde intorno ai 260° e l'altro cristallino fonde per il
miscuglio di bromo e bismuto fra 270° e 305° e per quello di cloro e
bismuto fra 270° e 320°.
2°. Dall'altro strato invece una massa che per il bromo fonde a 200°
circa e per il cloro a circa 180° ed è formata dall’eutettico Bi—Bi Brz e
Bi—Bi Cl; rispettivamente.
La massa cristallina proveniente dalla trasformazione è poco igroscopica
ed il rapporto fra bismuto e bromo e fra bismuto e cloro varia non solo
col variare della concentrazione del tribromuro e del tricloruro ma anche
col variare degli strati della massa solidificata come possono mostrare i
seguenti dati ottenuti su cristalli separati dalle diverse miscele fuse per le
temperature su indicate.
La sostanza pesata fu posta in un palloncino tarato e trattata con tant.
nitrato d'argento titolato e tanto acido nitrico quanto basta per sciogliere
il bismuto che si libera. L'eccesso di nitrato d’argento fu dosato nel modo
solito col solfocianuro ammonico.
gr. 0.3918 di sostanza cristallina separata da un miscuglio al 45 °/, di Bi Brz
consumarono ce. 10,0 di AgNO3"/,= 26.62 °/, di Br.
gr. 0,5864 di un secondo strato della stessa sostanza consumarono ce. 18,9
di AgNO; “”/\j, = 25,65 ®,, di Br.
Per sostanza cristallina separata da un miscuglio al 25 °/ di Bi Brz
sì ebbe:
gr. 0,2981 di sostanza cristallina consumarono ce. 9,2 di AgNO; “=
= 24,69 */, Br.
gr. 0,4496 di un altro strato consumarono ec. 13,5 di Ag NO; “/1a = 24,96 %/
di Br.
(1) R. Ace. Lincei, 21 [5]. II, 647 (1912).
— 631 —
e per sostanza cristallina separata da un miscuglio al 55 °/, di BiBr; si
trovò che:
gr. 0,3867 consumarono ce. 11,1 di AgNO; “”/,6= 23,6 °/, di Br.
Analoghi risultati si ottengono per la sostanza cristallina clorurata.
Secondo il nostro modo di vedere questa sostanza separata che non fonde
per una determinata temperatura e che scaldata nelle identiche condizioni
nelle quali si è generata riforma di nuovo i due strati, dai quali prende
origine nuova sostanza che fonde sopra i 270°, non può ritenersi come un
vero e proprio composto ma deve riguardarsi come una serie di cristalli
misti, i quali si formano con piccolissimo sviluppo di calore. I punti di
fusione di questa serie di cristalli sono tutti più alti di quello dei eompo-
nenti, ma ancora non abbiamo potuto stabilire con esattezza i limiti del
campo di esistenza e sopra tutto se v'è un massimo nella curva di equi-
librio perchè la sublimazione del tribromuro e rispettivamente tricloruro
concorre a complicare il risultato sperimentale.
Confermeremo in altre Note quanto qui fu da noi succintamente ri-
cordato.
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— 633 —
INDICE DEL VOLUME XXIV, SERIE 5°. — RENDICONTI
1915 -- 2° SEMESTRE.
INDICE PER AUTORI
A
ABETTI. « Sulla precisione delle osserva-
zioni eseguite col piccolo meridiano
di Bamberg, desunta dal Catalogo stel-
lare di Arcetri ». 313.
ALBonIco. V. Poma.
ALessanDRI. « Derivati formilici ed al-
deidici di pirroli e indoli ». 194,
ALmansi. « Sullo schiacciamento polare di
Nettuno ». 570.
AmaporI. « Ricerche sul gruppo dei tel-
lururi di bismuto ». 200.
ANDREOLI. « Sui gruppi di sostituzioni che
operano su infiniti elementi ». 441,
— Saul concetto di gruppo di monodromia
per una funzione ad infiniti valori.
519; 591.
AnGeLI. « Sopra il nero di pirrolo ». 3.
ARMELLINI. « Sulla forma della traiettoria
nel problema dei due corpi di masse
crescenti, e sulle sue applicazioni per
una possibile spiegazione della grande
eccentricità di Marte ». 300.
ArtiINnI. « Bismutinite di Brosso ». 249.
— Sulla forma cristallina del trinitroto-
luolo @ ». 274.
B
BAGLIONI. « Ricerche sugli effetti dell’ali-
mentazione maidica: di alcune mo-
dificazioni nel metabolismo di cavie
sottoposte ad alimentazione esclusiva
di mais, di frumento o di erbe ». 213.
— Ricerche sugli effetti dell’alimentazione
maidica: contributo alla conoscenza
della natura e delle cause del così
detto maidismo sperimentale delle
cavie n. 254.
BaLzac. « Studio cristallografico della
cianmetil- e della benzilcianmetilglu-
taconimide cuproammoniche ». 183.
BecARELLI. V. Marino.
BeneLLI. V. Ciusa.
BrancHi E. « Sul servizio internazionale
delle latitudini e sul termine del Ki-
mura ». 253.
BrancHi L. « Sulle trasformazioni di Ri-
baucour dei sistemi tripli ortogonali ».
161.
— Sulle superficie le cui linee di curva-
tura di un sistema tagliano sotto an-
golo costante le generatrici dei coni che
le proiettano da un punto fisso ». 221.
RenpICONTI. 1915, Vol. XXIV, 2° Sem. 83
— 634 —
BrancHi L. « Sopra una classe di sistemi
noli ortogonali ». 261.
— «Sulla generazione, per rotolamento,
delle superficie isoterme e delle su-
perficie a rappresentazione isoterma
delle linee di curvatura ». 877.
BLASERNA (Presidente). All’ aprirsi del-
l’anno accademico propone l’invio di
un telegramma a S. M. il Re, e manda
un saluto agli Accademici assenti che
compiono oggi funzioni civili e mili-
tari. 4183.
— Ricorda i concorsi che scadono col 31
dicembre 1915. 549.
-- Offre una pubblicazione del Socio Ce-
loria, 549; dell’ Università di S. Do-
mingo, 549.
— Presenta un piego suggellato, inviato
dal prof. D. Zo Monaco. perchè sia
conservato negli Archivî accademici.
483.
BoggIo. « Resistenza effettiva e resistenza
ohmica ». 6.
BortAsso. « Sulla flessione della superficie
inestendibili ». 174.
BruneTTI. « Altre ricerche sul fenomeno
di Stark - Lo Surdo nell’elio ». 55.
C
Campi « Sulla reazione del nitroprussiato
con la solfourea n. 434.
Cassinis. « L'influenza della oscillazione
del supporto sulle misure di gravità
relativa compiute a S. Pietro in Vin-
coli coll’apparato di Sterneck a tri-
pode ». 359.
CuÒiaraviaLio e Corpino. « Un apparec-
chio per lo studio dei gas e dei va-
pori che si svolgono dagli esplosivi a
temperatura ordinaria ». 120.
CisortI. « Profili di pelo libero in canali
di profondità finita n. 453; 503; 599.
Ciusa e BeNELLI. « Sulla preparazione e
sulla scomposizione del fenilidrazone
dell’aldeide fenilnitroformica ». 20.
CLEMENTI. « Microtitolazione alla formal-
deide, e sue applicazioni in fisiologia».
51; 102.
CLEMENTI. « Ricerche sull’arginasi - IV.
Sulla presenza dell’arginasi nel fegato
dell'embrione umano ». 548.
— « Ricerche sulla scissione enzimatica
dei Polipeptidi per azione di estratti di
tessuti e di organi animali. - I. Azione
del fegato di uccelli, di anfibî, di ret-
tili, di pesci e di invertebrati, sulla
d-l-leucilglicina ». 548.
CoLonNETTI. « Nuove esperienze sulla ela-
sticità del rame ». 113.
CorBIno e TraBACCHI. « Sul funzionamento
del rocchetto di Ruhmkorff con gli
interruttori elettrolitici ». 453.
— V. Chiaraviglio.
Corsini. V. Padoa.
CorronEeI. « Correlazioni e differenziazioni
(sul Bufo vulgaris)». 295.
Cusmano. « Processi di riduzione e ossi-
dazione nel gruppo dei terpeni n». 520.
D
De Fazi. « Studî intorno agli indoni.
I. Sintesi dell’ a-etil-B-fenil-indone ».
150.
— « Studî intorno a gli indoni. II. Sintesi
dell’a-metil-f-fenil-indone ». 343.
Drago. « Sull’attrito interno del nickel in
campo magnetico variabile ». 12.
E
EisenHART. « Sulla superficie di rotola-
mento e le trasformazioni di Ribau-
cour n. 349.
ELRINGTON. « Osservazioni sulla tigmotassi
nei Paramecî ». 539.
E
FeRrgoLA. Sua Commemorazione. 411,
G
GazzaBIn. V. Vanzetti.
Goa. « Sulla presenza, nelle piante, di
composti ematoidi di ferro ». 289.
GorInI. « Ulteriori ricerche sull’attività
— 635 —
proteolitica dei fermenti lattici. I:
L'influenza della temperatura n. 369.
Gorini, «Ulteriori ricerche sull’attività pro-
teolitica dei fermenti lattici. IT: L'in-
fluenza del substrato ». 470.
L
Levi. «Sulla necessità della condizione di
Weierstrass per l'estremo degli inte-
grali doppii». 358.
Levi-Crvirta. « Sulla regolarizzazione del
problema piano dei tre corpi ». 61.
— «Forma mista di equazioni del moto,
che conviene ad una particolare cate-
goria di sistemi meccanici n. 285.
— «Sul problema piano dei tre corpi:
caratteristiche cinetiche del sistema
regolarizzante ; forza viva e quadrica
reciproca n. 421.
— «Sul problema piano dei tre corpi:
forme esplicite (miste e canoniche)
delle equazioni regolarizzate n. 485.
— «Sul problema piano dei tre corpi:
caso limite in cui una delle masse è
infinitesima ». 553.
LomBroso. « Sul metabolismo degli amino-
acidi nell'organismo ». 401.
Longo. « Variazione nel Cosmos bipinnatus
Cav. n. 408.
M
Manasse. « Ilvaite ed altri minerali di
Perda Niedda nell’Oriddese (Sarde-
gna)». 285.
Marino. « Nuove ricerche sulle combina-
zioni inferiori di alcuni elementi ». 143.
— e BecARELLI. « Ricerche sulle combina-
zioni subalogenate di alcuni elementi :
sui così detti sottocloruri e sottobro-
muri di bismuto ». 625.
MarLetta. « Sulle superficie algebriche
d'ordine 6 con infinite coniche ». 109;
359.
MascaRELLI e MARTINELLI. « Ricerche ine
torno a sostanze aromatiche contenenti
iodio plurivalente. (Di alcuni composti
particolari ottenuti nella reazione di
Sandmeyer, applicati a derivata della
naftalina)». 25.
MascaRELLI e Sanna. «Sulla isomeria
degli acidi erucico, brassidinico, iso-
erucico. (Del loro contegno criosco-
pico reciproco)». 30.
— — «Sulla isomeria degli acidi erucico,
brassidinico, isoerucico. (Curve di sa-
turazione dei sistemi binarii)». 91.
MartINELLI. V. Mascarelli.
MiLLosevica E. (Segretario). « Commemora-
zione del Socio nazionale Emanuele
Pergola». 411.
— Presenta le pubblicazioni giunte in dono,
segnalando quelle dei Socî: Celoria,
Bassani, Taramelli, Issel e Silvestri,
del ten. gen. Verri, di due volumi
dell’«Epistolario» di G. Berzelius, e
su un’opera di /. Bersaude. 417.
— Presenta le pubblicazioni dei Socî stra-
nieri: Darboux, Greenhill, Pickering ;
dei signori Antoniazzi e See, dell’Ist.
botanico di Pavia. 548.
MicLosevica F. « Alotrichite di Rio (isola
d'Elba)». 501.
Mincanti. V. Padoa.
Monti. « Di una rara osservazione sismica».
193.
MontuorI e PoLLITZER. «Su alcuni mezzi
chimici di difesa contro il freddo ». 548.
Muto e PoLLaccr. « Ricerche intorno alle
specie Coniothyrium pirina (Sacc.)
Sheldon, Phyllosticta pirina Sace. e
Coniothyrium tirolense Bubàk». 40.
Oppo. V. Pollacci.
pP
Papoa e Corsini. « Velocità di diffusione
e idratazione in soluzione n. 461.
— e Minganti, « Sulla variabilità dei coef-
ficienti di temperatura di reazioni foto-
chimiche conla lunghezza d'onda n.97.
— 636 —
PAOLINI e SILBERMANN. « Sul dosamento
del tiofene nel benzolo ». 206.
PreGLIoN. « L'avvizzimento bacteriaceo del
pomodoro ». 157.
— «Intorno alla Willa Saturnus Klocker ».
211.
PETRI. «Un’esperienza sull’azione reciproca
fra radici micotrofiche di piante di-
verse n. 536.
PiuTTI. « Sopra un miscuglio esplosivo di
fosforo ed aria liquida ». 252.
Pizzetti. « Sul problema dei due corpi
nel caso di masse variabili ». 76.
— «Aggiunta alla Nota ‘Sul problema dei
due corpi nel caso di masse varia-
bili® ». 272.
PoLLacci. V. Mutto.
— e Oppo. «Influenza del nucleo pirrolico
sulla formazione della clorofilla ». 37.
Poma © ALBonico. « Equilibrio chimico ed
azione dei sali neutri ». 43.
R
Reina. Fa omaggio di una pubblicazione
della Società italiana del progresso
delle scienze, contenente la Relazione
della Commissione per lo studio del-
l'Albania; e di un altro lavoro a
stampa, suo e del prof. Cassints. 417.
Riccò. « La nuova zona rossa coronale,
fotoerafata dalla Missione italiana nel-
l’eclisse solare del 1914». 82.
Rosati. « Sulle corrispondenze fra i punti
di una curva algebrica, e, in partico-
lare, fra i punti di una curva di ge-
nere due ». 182.
Sanna. V. Mascarelli.
Scarpa. « Analisi termica delle miscele
degli idrati alcalini coi corrispondenti
alogenuri. III: Composti di litio ».
476.
Scorza. « Le varietà algebriche con indice
di singolarità massimo ». 279; 333.
Scorza. « Sugli integrali abeliani riduci-
bili ». 393.
— «Sulle varietà algebriche con sistemi
regolari isolati di integrali riduci-
bili ». 445.
— « Sulle varietà algebriche con infiniti
sistemi regolari di integrali riduci-
bili n. 519; 608.
SeRRA. « Ricerche petrografiche e mine-
ralogiche nei dintorni di Osilo (Sar-
degna) ». 1838.
SILBERMANN. V. Paolini.
SonagLIA. « Sulla legge di Lo Surdo ». 519;
621.
Tassara. « Sulle vibrazioni di un filo ela-
stico disteso su di una superficie le-
vigata ». 86.
TepoNnE. « Campi elettromagnetici dipen-
denti da una sola coordinata ». 501;
580.
TogLiatTI. « Sulle superficie algebriche
contenenti infinite coniche ». 307.
— «Sulle superficie di 6° ordine conte-
nenti infinite coniche ». 329; 388.
ToneLLi. « Sulle soluzioni periodiche nel
calcolo delle variazioni ». 817.
TraBAccHI. « Interruttore elettrolitico per
la corrente alternata ». 126.
— « Dispositivo semplice per la radioste-
reoscopia ». 190.
— V. Corbino.
Vacca. « Sulle scoperte di Pietro Men-
goli ». 508; 617.
Vanzetti. « Sopra alcuni derivati della
metilvanillina, e sopra un nuovo pro-
dotto di condensazione n. 467.
— Elettrolisi di acidi organici: acido fe-
nil-propiolico ». 533.
— e Gazzazin. « Sul calore di formazione
di composti organici di addizione.
IV: Picrati ». 227.
— 637 —
VeRrGERIO. « Sulla risolubilità dell’equa-
zione integrale di 1% specie », 185.
— « Gli autovalori e le autofunzioni dei
nuclei simmetrici ». 324; 365.
— « Sulla condizione Picard -Lauricella
per l’esistenza di soluzioni nell’equa-
zione integrale di 1 specie ». 518.
VeRrGERIO. « Sull’equazione funzionale
b
| K(st)0(t) dt=0 n.
610.
VoLtERRA. Fa omaggio di due lavori del
prof. Le Bon. 417.
— 638 —
INDICE PER
A
$TRONOMIA. « Sulla precisione delle osser-
vazioni eseguite col piccolo meridiano
di Bamberg, desunta dal Catalogo stel-
lare di Arcetri ». A. Abetti. 313.
— « Sul servizio internazionale delle lati-
tudini e sul termine del Kimura ».
E. Bianchi. 253.
— «La nuova zona rossa coronale. foto-
‘rafata dalla Missione italiana nell’e-
clisse solare del 1914 ». A. Ricco. 82.
B
Boranica. « Ricerche intorno alle specie
Coniothyrium pirina (Sacc.) Sheldon,
Phyllosticta pirina Sace. e Coniothy-
rium tirolense Bubàk ». E. Mutto e
G. Pollacci. 40.
BroLogia. « Correlazioni e differenziazioni
(sul Bufo vulgaris)». G. Cotronei. 295.
Bullettino bibliografico. 419; 550.
Cc
Chimica. « Derivati formilici ed aldeidici
di pirroli e indoli ». L. Alessandri. 194.
— « Ricerche sul gruppo dei tellururi di
bismuto n. I. Amadori. 200.
— «Sopra il nero di pirrolo ». A. Angeli. 3.
— « Sulla reazione del nitroprussiato con
la solfourea n. E. Cambi. 434.
MATERIE
CHImica. « Sulla preparazione e sulla scom-
posizione del fenilidrazone dell’al-
deide fenilnitroformica ». A. Ciusa e
G. Benelli. 20.
— « Processi di riduzione e ossidazione
nel gruppo dei terpeni n. G. Cusmano.
520.
— « Studî intorno agli indoni. I: Sintesi
dell’a-etil-8 fenil-indone ». R. De Fazi.
150.
— « Studî intorno a gli indoni, II: Sintesi
dell’a-metil-8-fenil-indone ». /d. 343.
— « Nuove ricerche sulle combinazioni in-
feriori di alcuni elementi ». ZL. Ma-
rino. 143.
— « Ricerche sulle combinazioni subalo-
genate di alcuni elementi: sui così
detti sottocloruri e sottobromuri di
bismuto ». /d. e A. Becarelli. 625.
— « Ricerche intorno a sostanze aromati-
che contenenti iodio plurivalente. (Di
alcuni composti particolari ottenuti
nella reazione di Sandmeyer, applicati
a derivata della naftalina)». LZ. Ma-
scarelli e G. Martinelli. 25.
— «Sulla isomeria degli acidi erucico,
brassidinico, isoerucico. (Del loro con-
tegno crioscopico reciproco) ». G.
Sanna. 30.
— «Sulla isomeria degli acidi erucico,
brassidinico, isoerucico. (Curve di sa-
turazione dei sistemi binarii) ». /4d.
id. 91.
— 639 —
CrHimica. « Sul dosamento del tiofene nel
benzolo n. V. Paolini e B. Silber-
mann. 206.
— « Sopra un miscuglio esplosivo di fo-
sforo ed aria liquida ». A. Piutti. 252.
— « Analisi termica delle miscele degli
idrati alcalini coi corrispondenti alo-
genuri. III: Composti di litio». G.
Scarpa. 476.
— « Sopra alcuni derivati della metilva-
nillina e sopra un nuovo prodotto di
condensazione n. B. Z. Vanzetti. 467.
CHimica Fisica. « Sulla variabilità dei
coefficienti di temperatura di reazioni
fotochimiche conlalunghezza d’onda».
M. Padoa e T. Minganti. 97.
— «Elettrolisi di acidi organici: acido
fenil-propiolico ». B. L. Vansetti. 533.
— «Sul calore di formazione di composti
organici di addizione. IV: Picrati ».
Id. e V. Gazzabin. 227.
CHIMICA GENERALE. « Equilibrio chimico
ed azione dei sali neutri». G. Poma
e G. Albonico. 43.
CHimica FIsioLoGIca. « Sul metabolismo
degli amino-acidi nell’organismo ».
U. Lombroso. 401.
— « Ricerche sull’arginasi. IV: Sulla
presenza dell’arginasi nel fegato del-
l'embrione umano ». A. Clementi. 548.
— «Ricerche sulla scissione enzimatica
dei Polipeptidi per azione di estratti
di tessuti e di organi animali. I: Azio-
ne del fegato di uccelli. di anfibî, di
rettili, di pesci e di invertebrati sulla
d-l-leucilglicina». /d. 548.
CRISTALLOGRAFIA. « Sulla forma cristallina
del trinitrotoluolo « ». Z. Artini. 274.
— «Studio cristallografico della cianmetil-
e della benzilcianmetilglutaconimide
cuproammoniche ». NM. Balzac. 133.
F
Fisica. «Altre ricerche sul fenomeno di
Stark-Lo Surdo nell’elio ». A. Brunetti.
95.
— «Un apparecchio per lo studio dei gas
e dei vapori che si svolgono dagli
esplosivi a temperatura ordinaria ».
D. Chiaraviglio e M. Corbino. 120.
Fisica. « Sull’attrito interno del nickel
in campo magnetico variabile ». £.
Drago. 12.
— « Velocità di diffusione e idratazione in
soluzione ». M. Padoa e F. Corsini.
461.
— «Interruttore elettrolitico per la cor-
rente alternata n. G. C. Trabacchi. 126.
— «Dispositivo semplice per la radioste-
reoscopia ». /d. 190.
— «Sul funzionamento del rocchetto di
Ruhmkorff con gli interruttori elettro-
litici ». 0. M. Corbino e G. C. Tra-
bacchi. 453.
— « Sulla legge di Lo Surdo ». C. Sonaglia.
519; 621.
FISICA MATEMATICA. « Resistenza effettiva
e resistenza ohmica». 7. Boggio. 6.
— «Campi elettromagnetici dipendenti da
una sola coordinata ». 0. Tedone. 501;
980.
Fisica TERRESTRE. « Di una rara osserva-
zione sismica». V. Monti. 193.
FisroLoGra. « Ricerche sugli effetti della
alimentazione maidica: di alcune mo-
dificazioni nel metabolismo di cavie
sottoposte ad alimentazione esclusiva
di mais, di frumento o di erbe ».
S. Baglioni. 213.
— « Ricerche sugli effetti dell’alimenta-
zione maidica: contributo alla cono-
scenza della natura e delle cause del
cosiddetto maidismo sperimentale delle
cavie ». /d. 254.
— « Microtitolazione alla formaldeide, e
sue applicazioni in fisiologia ». A. Cle-
menti. 51; 102.
— «Osservazioni sulla tigmotassi nei Pa-
ramecî ». G. A. Elrington. 539.
— « Su di alcuni mezzi chimici di di-
fesa contro il freddo ». A. Montuori
e f. Pollitzer. 543.
FISIOLOGIA VEGETALE. « Sulla presenza,
nelle piante, di composti ematoidi di
ferro ». G. Gola. 289.
— « Influenza del nucleo pirrolico sulla
formazione della clorofilla ». G. Pol-
laccì e B. Oddo. 37.
— 640 —
G
GENETICA. « Variazione nel Cosmos bi-
pinnatus Cav. ». B. Longo. 408.
GropEsIa. « L'influenza della oscillazione
del supporto sulle misure di gravità
relativa compiute a S. Pietro in Vin-
coli coll’apparato di Sterneck a tri-
pode ». G. Cassinis. 339.
GroMETRIA. « Sulle superficie algebriche
d'ordine 6 con infinite coniche ». G.
Marletta. 109; 359.
— « Le varietà algebriche con indice di
singolarità massima ». G. Scorza.
279; 388.
M
MATEMATICA. « Sui gruppi di sostituzioni
che operano su infiniti elementi ».
G. Andreoli. 441.
— « Sul concetto di gruppo di mono-
dromia per una funzione ad infiniti
valori ». /d. 519; 594.
— «Sulle trasformazioni di Ribaucour dei
sistemi tripli ortogonali n. L. Bianchi.
161.
— « Sulle superficie le cui linee di cur-
vatura di un sistema tagliano sotto
angolo costante le. generatrici dei
coni che le proiettano da un punto
fisso ». Jd. 221.
— « Sopra una classe di sistemi n2% or-
togonali ». /d. 261.
— « 8gulla generazione, per rotolamento,
delle superficie isoterme e delle su-
perficie a rappresentazione isoterma
delle linee di curvatura ». /d. 377.
— « Sulla flessione delle superficie ine-
stendibili ». 4. Bottasso. 174.
— « Sulla necessità della condizione di
Weierstrass per l’estremo degli inte-
grali doppî ». E. £. Levi. 353.
— « Sulle corrispondenze fra i punti di
una curva algebrica e, in particolare,
fra i punti di una curva di genere
due ». C. Rosati. 182.
— « Sugli integrali abeliani riducibili ».
G. Scorza. 393.
— « Sulle varietà algebriche con sistemi
regolari isolati di integrali riducibili ».
G. Scorza. 445.
MarteMATICA. «Sulle varietà algebriche con
infiniti sistemi regolari di integrali
riducibili ». /d. 519; 603.
— « Sulle vibrazioni di un filo elastico
disteso su di una superficie levigata ».
B. Tassara. 86.
— « Sulle superficie algebriche contenenti
infinite coniche ». £. G. Togliatti. 307.
— « Sulle superficie di 6° ordine conte-
nenti infinite coniche ». /d. 329; 888.
— «Sulle soluzioni periodiche nel calcolo
delle variazioni ». £. Z'onelli. 317.
— « Sulla risolubilità dell’equazione inte-
grale di 1% specie». A. Vergerio.
185.
— «Gli autovalori e le autofunzioni dei
nuclei simmetrici». /d. 324; 365.
— « Sulla condizione Picard-Lauricella per
l’esistenza di soluzioni nell'equazione
integrale di 12 specie ». /d. 513.
— « Sull’equazione funzionale
b
si K(st) 0(t) di=0 ».
Id. 610.
Meccanica. « Sullo schiacciamento polare
di Nettuno». E. Almansi. 570.
— «Sulla forma della traiettoria nel pro-
blema dei due corpi di masse cre-
scenti, e sulle sue applicazioni per
una possibile spiegazione della grande
eccentricità di Marte ». G. Armellini.
300.
— «Profili di pelo libero in canali di
profondità flnita ». UV. Cisotti. 453;
503; 599.
— « Nuove esperienze sulla elasticità del
rame n. G. Colonnetti. 113.
— « Forma mista di equazioni, del moto,
che conviene ad una particolare ca-
tegoria di sistemi meccanici». 7°. Levi
Civita. 235.
MeccanIca ceLESTE. « Sulla regolarizza-
zione del problema piano dei tre
corpi». /d. 61.
— «Sul problema piano dei tre corpi:
caratteristiche cinetiche del sistema
regolarizzante ; forza viva e quadrica
reciproca ». /d. 421.
— 641 —
MeccaNICA cELESTE. « Sul problema piano
dei tre corpi: forme esplicite (miste
e canoniche) delle equazioni regola»
rizzate n. 7. Levi-Civita. 485.
— «Sul problema piano dei tre corpi:
caso limite in cui una delle masse è
infinitesima ». /d. 553.
« Sul problema dei due corpi nel caso
di masse variabili». P. Pizzetti. 76.
— « Aggiunta alla Nota ‘ Sul problema dei
due corpi nelcaso di masse variabili’ »,
Id. 272.
MicrosroLoGIa. « Ulteriori ricerche sull’at-
tività proteolitica dei fermenti lattici.
I: L’infuenza della temperatura ». C.
Gorini. 369.
— « Ulteriori ricerche sull’attività proteo-
litica dei fermenti lattici. IT: L'influenza
del substrato n. /d. 470.
MineRraALOGIA. « Bismutinite di Brosso ».
C. Artini. 249.
— « Ilvaite ed altri minerali di Perda
Niedda nell’Oriddese (Sardegna). £.
Manasse. 285.
— «Alotrichite di Rio (isola d'Elba) ».
F. Millosevich. 501,
MineRALOGIA. « Ricerche petrografiche e
mineralogiche nei dintorni di Osilo
(Sardegna) n. A. Serra. 138.
N
Necrologie. Commemorazione del Socio
E. Fergola. 411.
P
PATOLOGIA VEGETALE. « L'avvizzimento
bacteriaceo del pomodoro ». V. Peglion.
157.
— Un'esperienza sull’azione reciproca fra
radici micotrofiche di piante diverse ».
L. Petri. 536.
S
STORIA DELLA MATEMATICA. « Sulle sco-
perte di Pietro Mengoli ». G. Vacca.
508; 617.
Z
ZimoLogia. «Intorno alla Willia Saturnus
Klocker n. V. Peglion. 211.
ERRATA-CORRIGE
Nella Nota « La frequenzanelle repliche del terremoto italiano — 13 gennaio 1915 »
pubblicata in questi Rendiconti, vol. XXIV, 1° sem., fasc. 12, pag. 1223, sostituire alla
formola
73,08
fette; lina, =
— t4+-0,6871
77,03
t+-0,6871°
A pag. 1248 di questi Rend,, fasc. 12, 1° sem. 1915, devono essere soppresse le righe
8,9 10.
Le figure 4° e 6 delle pag. 457 e 459 di questo volume devono essere scambiate
fra loro di posto.
#
a della R. Accademia do! Linee
RE Serio 1a Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I- XXI
NR Atti della Reale Accademia dei Lincei. Lollo XXIV-XXVI.
Dr serio 2° — Vol. I. (1873- -74).
Pa Vol. II. (1874-75).
Tato a . Vol. III. (1875-76) Parte 1% TRANSUNTI.
#9) RO | 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche,
ST ge i matematiche e naturali.
fe 3* MEMORIE della Classe di scienze morali,
dai storiche e filologiche.
Sti Vol. IV. V. VI. VII. VII.
Tg ‘Serio 3 — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84).
|_°»°‘0‘0‘’0000MemoriIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali
Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX.
aio | MeMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche
CRETA Gee Vol. I-XIII.
et — Serie 4% — RenpicoNTI. Vol. I-VII. (1884-91).
i Ma) MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali,
Vol. I-VII.
Ù MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
di; . Vol. I-X.
RIT - Serie sa — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali
SA Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fase. 12°. Sem. 2°.
n di RenpIcoONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
i Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fasc. 7-8.
MEMORIE della A di scienze fisiche, matematiche e naturali
Vol. I-XI. Fasc.
MemoRIE della Classe ci scienze morali, Se e flologiche.
Vol. I-XII. Vol. XV. Fase. 1-2.
SSR CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE
| °‘’‘’‘AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Gi DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I
«+ °°’ Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche
._’‘—e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due
volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon»
cen ognuno ad un semestre.
Eh Il prezzo di associazione per ogni ‘volume e per tutta
(_ WItaliaèdiL. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più,
“EA Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti
AE | seditori-librai: "i ;
Lo ERMANNO LoEscRER i (HE 2017008 Roma, Torino e Firenze.
Urrico Horpit. — Milano, Pisa e Napoli.
RENDICONTI — Dicembre 1915.
INDICE
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
Seduta del 19 dicembre 1915.
MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI
Levi-Civita. Sul problema piano dei tre corpi. Caso limite in cui una delle masse è infini-
tesima .. . . a e a
Almansi. Sullo a DIE di ico PALA Mr I
Tedone. Campi elettromagnetici dipendenti da una sola SARE FRESCA R00,
Andreoli. Sul concetto di gruppo di monodromia per una funzione ad infiniti valosi fo, dal
Socio Volterra) . . . È CR,
Cisotti. Profili del pelo ea in 'esisr di protoni finita ma dal Socio eni intona FO)
Scorza, Sulle varietà algebriche con infiniti sistemi regolari di integrali riducibili (pres. dal
COILISP. CASUAL III RI O
b
Vergerio. Sull'equazione funzionale sf, K(st) 6(t) dé = 0 (pres. dal Socio Pincherle) . . »
a
Vacca. Sulle scoperte di Pietro Mengoli (pres. dal Socio Volterra) . ./. ./.... 0. »
Sonaglia. Sulla legge di Lo Surdo:(pres. dal Corrisp. Garbasso) . . . n).
Marino e Becarelli. Ricerche sulle combinazioni subalogenate di alcuni dea sui cosid-
detti sottocloruri e sottobromuri di bismuto (pres. dal Socio Masini)... /. +»
Indice del'ivali XXIV;:2° sé; 1915: a DR I e i SR Io
558% —
570
580
594
599
603
610
617
621
625
633:
E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile.
Abbonamento postale.
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