{LC di Ai ( A_N (e CO. € € da.‘ 4 "od Li a E MTA ll MELE TUA n oa I ( Mai nia go LC CO (<. NA falda i Mlax ( (€ ea e a mark aaa QUO. (TOUTM (€ MATA Na i GC uo, A CCC I a” A € 4a (74 (€ ì i è (CET Cd COAT DEE ( LAT Ca (CT CX MDAC CA gec CC € COCO TT CAM Liù TU (IT d OE TAI ix € KHADLCC DB CU, € da (( dA €‘ ce. ul d R «i ® € Mi GK CE © c a « «( & CH GRACE è Tic I. ("€ CU M xa i (CU MET KCTELU A aena T0 AU € € I aac Aa cc dia ENCATO © (cammini 7 K €. n x €, MEM TUGBATA ‘€ di (QI <€ &X @ GL SIC © LT (€ T((@€(&. «QC aC di & Lf € « (Ca TRLC| [ € CAO Ca COra € CGIL A (ATC CGA al ea «urea (i Coen A scer LC Guli UA SI «€ U MAL Circ “Gi (C EE LC Lode CU € lu TCS Td ( «camma € Cd mag IC CU Til CT Mc Le «(MU < Urs,pg 9 = 0 1 (",P,ig=1,2,9), avendo posto (2) Vi=ice, con c costante (di omogeneità) a priori arbitraria. 2. — RICHIAMI DI GEOMETRIA INTRINSECA. Per lo studio delle (1), giova far largo posto alla metrica dello spazio ambiente, riferendosi ad una terna (vel momento generica) di congruenze ortogonali [1] ,[2],[3] (*). Designeremo al solito con 1,2,3 le linee, o (') Pp. 807-317 del vol. XXVI di questi Rendiconti (2° semestre 1917). (®) Ricci et Levi-Civita, Méthodes etc., Math. Ann., B. 54, 1900, pag. 143. (3) Ibidem, Cap. II. 23 3 anche le direzioni, corrispondenti ; con 4, Z;, (r=1,2,8) i sistemi coor- > dinati contravariante e covariante della congruenza [7]. Sussisteranno le relazioni di ortogonalità 8) (3) DOSI (i,E=1,2,8), 1 col solito significato delle «x (0 per / +4 e 1 per (=). La derivata di una qualsiasi funzione v rapporto all'arco /; della linea < è evidentemente espressa da 3 4 DS va, le v, rappresentando [come già nelle (1)] derivate (ordinarie, 0, ciò che fa lo stesso, covarianti) della funzione ». Gli invarianti differenziali di prim'ordine relativi alla terna sono (tutti e soli) i coefficienti di rotazione di Ricci: 3 (5) - YVhih =" — Vihk =" I ra dnxrg ti AA (TIA Tra gli invarianti di secondo ordine meritano speciale attenzione i seguenti: dy;; de 3 (6) yiga= a = ni + bat {Yisno (Yntna — Yarun) 4 Yuri Yatin — Yatin Yutjnk k An Î (isj.h,k=1,2,3), legati ai simboli di Riemann e ai parametri di direzione della terna dalle relazioni 3 2 (PT) 78) 72) 70 (7) Vij,hkh 2 resa Urs,pa ài À; , À, ; Giova ricordare altresì che, per le varietà ternarie — ed è il caso nostro — le y con quattro indici si riducono sostanzialmente allo schema , (6 ) Vin="Vhi — Vi+1i+2,k+1k+2 = — Vi+zi+1;k+1k+2 = — Vi+1i+2,k+2k+1 (i,k=1,2.3), colla solita convenzione di risguardare equivalenti gli indici che differiscono per multipli di 3. Le y;x si comportano rispetto ai simboli ax di Ricci come le y a quattro indici rispetto ai simboli di Riemann, avendosi, in luogo delle (7), le formule più semplici 3 (7)) Vik = dun A°° A : LA ag che si possono anche scrivere sotto la forma equivalente 3 ” (7 ) Arp = D nm VW Àn'ir Zx,p . Se ne trae, per derivazione covariante, 3 rpg I nr i a Anrir dario + Yan (Anira dato + Annie Avripo) | - 1 A queste equazioni covarianti (rispetto ai tre indici p,9,7) se ne possono sostituire altrettante singolarmente invarianti, col criterio abituale di satu- rare gli indici. Basta moltiplicare per 4° 29° 29 e sommare rispetto ai tre indici p,g,7. Badando alle (3) e (5), risulta è d (8) Ze rpq *rpa hi o 3° i = VaR Vul x (vin Vijik + Vij Yinn) » i 3. — TRASFORMAZIONE DELLE CONDIZIONI DI INTEGRABILITÀ E DELLE EQUAZIONI DI BIANCHI. La stessa saturazione degli indici (moltiplicazione per, ZM 4) 29° e somma rapporto a p,g,7) può essere applicata alle condizioni di integra- bilità (1). Gioverà preventivamente immaginare sostituita nell'ultimo somma- torio, al posto di v‘°, l'espressione [equivalente in base alle (4)] SO 45°, Ti di; Ove si tenga conto altresì delle (8), (3), (4) e (7), si ricava ( 9) dyin _ sera dx TRIP Xi Viin — Vin Ysin 4 Yij (Yin — Y;nn) È dv dv > dv Mea n), + Vine dix sn (i di, 25 Vij,hk dl; = 0 Nell'ultimo termine compariscono ancora le y con quattro indici, che si riconducono, quando si voglia, a quelle a due, in base alle (6’). Basta pren- dere le mosse dall’osservazione che i primi membri delle (9) sono emisim- metrici rispetto ai due indici % e £, cambiando unicamente di segno, quando si scambiano % e X. Si può perciò limitarsi a considerare nelle (9) tre com- binazioni semplici dei due indici # e %, per es. le seguenti: = {4-1 065 0226 h=t , k=t1+1. Se inoltre, in Le dv Su agili A age SS si attribuiscono a j i valori é,é-+1,6-+-2 (e si tien presente che yi,na= 0) si riscontrano nello sviluppo del sommatorio sole y a quattro indici dello schema (6'), ossia y a due indici. Mi dispenso dall’esplicitare questo cal- colo"in generale, dovendo riprenderlo tra un momento con referenza alla terna principale (anzichè a congruenze ortogonali qualisivogliono). Completo intanto le formule non specializzate, attribuendo col Ricci (’) forma intrinseca anche alle equazioni segnalate dal Bianchi, cui soddi- sfanno identicamente le derivate dei simboli di Riemann. Esse possono essere scritte (*): 3 D39 099 Grogg — 20 =0 (r=1,2,3), dove 3 —- Fai I 3 e G è il relativo invariante lineare 2 ro a? G,,. Per le varietà a tre di- mensioni si ha (*) Grp = rp Ddr ’ G=— 290, Grpq = rpg — DOG Urp, quindi e le precedenti equazioni possono essere scritte 3 (Ge D) == VISTA: Crpg =0. SP Saturiamo anche l'indice ”, moltiplicando per 24% e sommando rispetto ad r. Tenendo conto delle (8),*si ottiene 3 dy, 3 (0) da mE + dra (Ynh Yhik + Vin Ynkx) == 0. 4. — RIFERIMENTO ALLA TERNA PRINCIPALE. Se le tre congruenze [1],[2],[8] costituiscono la terna principale di curvatura (o una di tali terne nei casi di indeterminazione) (4), si ha (11) Vin = Sik Wi (erede z39) (1) Sulle superficie geodetiche in una varietà qualunque e in particolare nelle varietà a tre dimensioni, in questi Rendiconti, vol, XII (1° sem. 1908), pp. 409-420. (°) Cfr. la Nota Sulla espressione analitica spettante al tensore gravitazionale nella teoria di Einstein, ibidem, vol. XXVI (1° sem. 1917), pag. 388. (3) Statica einsteiniana, ibidem, pag. 463. (4) Ricci et Levi-Civita, loc. cit., pag. 163. E ee essendo @è,,,,3z le tre curvature principali, cioè le radici della equa- zione cubica 1 [lex — 04xr|| — 08 3 La loro somma (curvatura media) è Mo = DI afP a;n. Si può quindi, 1 mettendo in evidenza le ©, assumere la (I)Fsotto la forma (I*) po + 0=0. Introduciamo nelle (10) i valori (11) delle yix, ed esplicitiamo distinguendo i tre casi già indicati al n. precedente. In base alle sole (6'), che in virtù delle (11) divengono Yh+1h+2,k+1k+2 =" =" €hk0k (e all’annullarsi identico delle y;n, yi,2a), risulta materialmente: Perh=i|4+1,kK=i+2, (12) i+ Vi+nii+z — Vi+a Vi+ziisi + Qi(Yiiti +2 —— Yii+ai+1) =0; perhi=i|:42,k=i, do dv dv Ù . (13) = dli,s' + i+ Yi+zii + Di Vii+zi T FIRE di + dliso du, = 0; per 4=i,k=i-+1, dw; x dv dv (14) n= — Wi+i Visniijt Di Yitvri PL dia Qi — di dig = 0 (e:="1:32579) Le y con tre*indici distinti, che sole compariscono nelle (12), si possono (attesa la emisimmetria rispetto ai due primi indici) rappresentare con una notazione più comoda, ponendo (15) Vi=" Vi+ri+zi = — Vi+zisris Con ciò le (12) divengono _ Qisr Viva Oi+s Viva + Wi (Vivo + Yi4a) =0, le quali, introducendo le mutue differenze delle curvature principali (16) dj = Wir — Gis), si semplificano ulteriormente in di+) tane di+g Vi+2 è gio Val quanto dire che le (12) si riducono a due sole algebricamente distinte esprimenti che il prodotto (111) divi; =® (L25205) è indipendente dall’ indice £ . Se, nelle (13), si cambia i in d+-1 (il che implica # +1 in +2 e #42 in 2), e poi, senza toccare l'indice 7, si scrive materialmente % al posto di +1 e j al posto di z +2, si ottiene (invertendo anche il ‘ segno) dep dv (IV) di 1 CV n) Yin tgp (On— 03) =0 0 ? A questo stesso schema si riducono le (14), cambiandovi prima < in d +2, e poi scrivendo, senza toccare 7, X in luogo di #-+- 2 e 7 in luogo di 2 +1. In definitiva, le (IV) sostituiscono opportunamente entrambi i gruppi (13) e (14), coll’intesa che i, k,j rappresentano tre indici distinti. Accanto alle (III) e (IV) vanno pur prese in considerazione le (10), che esprimono anch'esse condizioni di integrabilità (valide per qualsiasi varietà a tre dimensioni, a differenza delle (ITI) e (IV) che provengono specificamente dalle equazioni di Einstein). Tali equazioni, riferite anche esse alla terna principale mediante le (11), assumono l'aspetto, già segna- lato dal Ricci, i (17) do; sa di; "lr Da (ox — wi) ya =0. Sotto questo aspetto si vede subito che si tratta di condizioni già im- plicitamente contenute nelle (IV). in virtù delle (I*). Infatti immaginiamo, nelle (IV) stesse, di attribuire a % i due valori diversi da 7 e di sommare. dw;_ dl; ; gli ultimi due sì elidono; alla somma dei medî si può anche aggiungere l'addendo (nullo) corrispondente alfvalore è di X. Risulta così I primi due termini, per essere nulla la somma delle @, dànno — ei Sa n) pra = 0, Ù 1 ossia precisamente la (17). o. — Discussione DELLE (III) E CONSEGUENTE RIPARTIZIONE DEGLI SPAZI POTENZIATI VUOTI IN DUE TIPI À) E B). A norma delle (IIl), vi sono due tipi di metriche @ grz0r? possibili negli spazi vuoti: il tipo A) corrispondente alla restrizione qualitativa +0; e il tipo B) caratterizzato dall'annullarsi di ww. Non a caso ho RenpICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 2 St adoperato la lettera A) per designare il primo tipo, volendo alludere alla necessaria anormalità delle congruenze principali. Si ricordi infatti che, data una terna generica, la condizione necessaria e sufficiente perchè la congruenza [7] sia normale (cioè costituita dalle traiettorie ortogonali ad una famiglia di superficie) è espressa dall'annullarsi della anormalità Vii+1i+2 = Viit+zi+1 è Ù Colla notazione adottata poc'anzi, tale anormalità della [7] vale Vi+i + Vi+2 - Ciò posto, qualora fosse y;+1 + yi+2==0, essendo ciascuna delle y diversa da zero in causa di w + 0,Èsi avrebbe dalle (III) D dis) ns ua di+o Vi+1 e quindi, per le (16), Qi — di+yg = — (Qi4i — Wi) , ossia d;= 0, il che è inconciliabile con v.0 Dunque, nel caso A) le congruenze principali sono tutte tre neces- sariamente anormali; inoltre (dacchè non può neanche annullarsi qualcuna delle d) le corrispondenti curvature sono essenzialmente distinte. 6. — SuppIviISIONE DEL TIPO B). Per questo secondo tipo si ha (111°) d; y;=0 (@=1,2,8), e il modo di annullarsi dei primi membri porge un ulteriore criterio di classificazione. Giova prendere norma dall’ellissoide di curvatura (eventual- mente degenere), che ha per assi le w;. Si è condotti ai tre sottocasi se- guenti : B,) (ellissoide a tre assi). Le d; sono tutte diverse da zero, e le (III) equivalgono all’annullarsi delle y;. Si tratta manifestamente di spazi normali (nel senso di Bianchi), risultando normali le tre congruenze prin- cipali di curvatura. È perciò giustificato il qualificare B,) come tipo o sottotipo normale. B.) (ellissoide rotondo). Una sola delle d, diciamo d3, si annulla, sicchè le (III) esigono V\a=y2= 0. La congruenza [3] risulta quindi normale. Questo sottocaso può dirsi in conformità seminormale perchè è normale una almeno delle congruenze principali. B:) (sfera). L'ultima eventualità « priori possibile si ha supponendo tutte le © eguali tra loro, e quindi [teorema di Schur, immediatamente desumibile dalle (17)] ad una medesima costante. 7. — OVVIA CARATTERIZZAZIONE GEOMETRICA E STATICA DEL soTTOCASsO B.). In relazione al problema meccanico che è origine e scopo delle presenti ricerche, 2/ sottocaso Bz) può dirsi elementare o galiletano. Ed ecco perchè. Dovendosi [per la (I) o (I*)] annullare la curvatura media, riconosciamo in primo luogo che il valore comune (e costante) delle tre curvature prin- cipali non può essere che zero. Si tratta quindi dell'ordinario spazio euclideo, con che si annullano tutte le @;x. Riferendosi a coordinate cartesiane, le derivazioni covarianti si identificano con derivazioni ordinarie, sicchè le (II) sì riducono a DEV l “o EA Ciò val quanto dire V funzione lineare delle coordinate cartesiane, e quindi riducibile senza pregiudizio della generalità (mediante opportuna orienta- zione degli assi e scelta dell'origine) alla”forma e+T 9% (c velocità della luce in assenza d’egni circostanza perturbatrice, 9 costante). L'energia posizionale dell'unità di massa posta nel campo è espressa (!) da eV— e = 9%, come nel caso dei gravi, quando x; rappresenta la quota. La forza statica del campo è il gradiente di —4V®. Essa è quindi costante in direzione, ma non rigorosamente in grandezza; può risguardarsi tale tostochè sia tras- curabile 9x3 di fronte a e?. 8. — FORMA INTRINSECA DELLE (II). Terminerò questa seconda Nota mettendo sotto forma intrinseca (ana- loga a quella sotto cui si ricavarono le condizioni di integrabilità) anche le equazioni (II) di Einstein: la (I) ha già questo carattere, come appare materialmente da (I*). (1) Nota I, nel vol. XXVI di questi Rendiconti (2° semestre 1917), pag. 307. SE Mao All’uopo mi riporto alle (4), che, risolute [mercè le (3)] rapporto alle vr», e riferite alla funzione V anzichè alla », dànno SAVI V\=). — 4 P i dl; Jp Introducendo, in luogo di V, la funzione di sì ha 3) d (dV RAI DEAN: ddg Gn < dln (7, dl; 2a nta sicchè. per derivazione covariante della precedente, risulta 2. 3d (dV & edi SIE I Rel Va i 3 sio + i dl; jpg - d (dV 2 ingl di, Gr )i na + >, À;1pq - Saturando i due indici p,g, mediante moltiplicazione per 49 2? e somma rapporto a p,g, si ottiene, in base alle (3) e (5), » N, 20 19 = d (i dl, Do) + Dj 6a T], ci A norma di questa formula e della (7°), la stessa saturazione, applicata alle equazioni (II), porta alle equivalenti È 1 d (dv Apa CI): raro ahi D Tina 0 (i,54=1,2,3), che appunto volevamo fissare, onde averle in pronto all'occasione. da” — 3 — Fisica terrestre. — Sulla propagazione delle onde sismiche. Nota III del Socio C. SOMIGLIANA. I; Ho accennato, in fine della Nota II ('), alla possibilità di ottenere pel rapporto V,:V, delle velocità superticiali, calcolato secondo la teoria, un valore che maggiormente sì approssimi a quelli osservati per il rapporto Ve:Vs delle velocità di propagazione delle onde prime e seconde, mediante una variazione del valore 1:4 generalmente ammesso pel coefficiente o di Poisson relativo alla terra. Questo valore 1:4 è desunto dal valore medio che quel coefficiente ha pei materiali superficiali terrestri. Niente ci auto- rizza ad ammettere che esso debba conservarsi inalterato pei materiali sco- nosciuti dell'interno. È più naturale quindi di cercarne il valore per via indiretta in base ai dati fornitici dalle osservazioni sismiche. Procedendo con questo criterio noi dovremmo cercare quali siano i valori di o che fanno assumere al rapporto V,:V, valori compresi fra 1,80 e 1,85 (*). Questi valori sono confermati da un gran numero di osservazioni ed indirettamente dal calcolo delle distanze epicentrali. A ragione quindi il prof. De Marchi ed il prof. Oddone hanno richiamato la mia attenzione sulla discordanza fra questi valori ed il valore 1,12 a cui io ero giunto accettando per o il valore 1:4. Volendo studiare la quistione da un punto di vista generale, senza entrare in troppo complicate questioni analitiche, conviene esaminare i limiti entro cui varia il valore del rapporto Vn:Vn delle due maggiori radici della equazione di Rayleigh, quando o varia fra i limiti che a questo coeffi- ciente assegna la teoria dell’elasticità. Ora i limiti imposti ai coefficienti elastici di un materiale isotropo sono determinati dalla condizione di stabilità dell'equilibrio elastico, che si tra- duce nell'altra che l'energia elastica sia rappresentata da un'espressione essenzialmente positiva. Questa espressione colle notazioni solite, e introdu- cendo le costanti Z, w di Lamé, è la seguente: 2R = Meo +yy +8) + 2u(o2 + ++ 30 +34 +30) (') Vol. XXVI, pag. 472 di questi Rendiconti, 6 maggio 1917. (2) Prendo questi valori dall’accurato lavoro eseguito dal prof. Rizzo sui dati del terremoto di Messina del 28 dicembre 1908. Essi risultano da una tabella relativa alla propagazione fino a 11000 chilometri, costruita in base alle osservazioni raccolte in 110 stazioni sismiche. G. B. Rizzo, Sulla propagazione dei movimenti prodotti dal terremoto di Messina del 28 dicembre 1908. Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, tomo LXI, 1911. CES p ESS e le condizioni di positività di questa forma quadratica sono 34 + 2u>0 ud>O Cr 244 risultano per il coefficiente di Poisson i seguenti limiti: e quindi, poichè o —1<0<}. Il valore estremo superiore 1:2 si ha nel caso della incompressibilità del mezzo, À= 00. Il rapporto d*:a° dei quadrati delle velocità di propagazione delle onde trasversali e longitudinali si annulla in questo caso. Mentre per o=—l1 si ha d?:a*—=3:4, ed il modulo di compressione 4 + 2/3 u si annulla. Come si vede, questi limiti non escludono la possibilità di valori negativi pel coefficiente di Poisson. Anche lord Rayleigh nella classica Me- moria On waves propagated..., che è il punto di partenza della nostra ricerca, insiste sopra questa possibilità, quantunque non sia generalmente presa in considerazione dai fisici. Ora il risultato finale a cui si arriva esaminando l'intervallo entro cui varia il rapporto V miV ma. quando si assumono pero tutti i valori possi- bili meccanicamente, può essere riassunto nelle considerazioni seguenti. L'ipotesi meno restrittiva, che si può fare per il valore del coefficiente 0, relativo alla terra presa nel suo insieme, è che esso sia la media di tutti i valori possibili secondo la teoria meccanica della elasticità; cioè sia l 1 1 Se si assume per o questo valore, si trova pel rapporto Vi: Vs un valore che differisce pochissimo da quelli osservati per il rapporto Ve: Vs. Infatti pel valore precedente di o si ha 0°:a?=3:5, e l'equazione di Rayleigh (Nota I, 19) prende la forma F(n)= 57° — 409° 4 72n-32=0. Questa equazione ha le radici reali, e per esse si possono assegnare i se- guenti valori approssimati per difetto a meno di un millesimo : UD = 5,653 Ne = 1,668 3 == 0,678 e ‘hr — 8,989 ypn=iors Na Vi Abbiamo così Questo valore concorda perfettamente coi valori del rapporto Vs: Vs ricavato PAGA dalle osservazioni delle onde prime e seconde, rapporto che ha effettiva- mente significato di una costante terrestre, poichè varia entro limiti ristret- tissimi, quantunque Vs e Vs, prese isolatamente, siano invece crescenti con la distanza dall’epicentro. Non altrettanto può dirsi degli altri due rapporti, in cui compare V,; e quindi un confronto coi nostri valori teorici non pre- senta notevole interesse. Possiamo quindi concludere che l'accordo fra l'ipotesi enunciata da noi e l'osservazione è possibile assumendo per il coefficiente di Poisson il valore — 1:4. Questo valore è meccanicamente possibile; non discuteremo qui della ‘ sua possibilità fisica. Ci proporremo invece di enunciare un'altra interpretazione dei risultati teorici esposti, per la quale questa ed altre difficoltà non si presentano. Notiamo anzitutto che la propagazione, studiata da noi, nel suolo illimitato, non riguarda la fase iniziale, quando le onde partenti dall’ipocentro non sono ancora giunte in superficie e si può effettivamente pensare che l’onda longitudinale proceda separata dalla trasversale, come si suole comunemente ammettere dai sismologi. La nostra soluzione riguarda piuttosto una fase di regime, quando tutte le onde sono arrivate alla superficie del suolo. Ora osservazioni recenti hanno permesso di distinguere fra le onde superfi- ciali, che costituiscono le onde lunghe, varî gruppi, pei quali furono deter- minate le corrispondenti velocità di propagazione. Queste velocità variano pochissimo colla distanza dall’epicentro, sono cioè sensibilmente costanti sulla superficie terrestre. Nella già citata Memoria del prof. Rizzo sono classificati tre gruppi di queste onde, le cui velocità di propagazione V7, Vs ,V$ fra 500 e 11000 chilometri variano fra i seguenti limiti : Vi fra 4,2 e 4,7 Vi » 3,6 » 4,0 » VI » 3,2 » 3,5 » Si può allora fare l’ipotesi che stano questi i tre gruppi di onde che corrispondono alle tre onde da noi studiate teoricamente. I valori di Vi.,Vz,V$ possono effettivamente essere considerati come costanti sulla superficie, come le velocità superficiali delle onde teoriche. Inoltre i valori del rapporto Vi:V$ dati dalle osservazioni, variano entro limiti assai ri- stretti. Dalla tabella, calcolata dal prof. Rizzo alla fine della sua Memoria, risultano per questo rapporto valori compresi fra 1,12 e 1,20 ed un valor medio uguale a 1,15. Ora questi valori si accordano col valore del rapporto teorico V,:Vs che noi abbiamo calcolato, nell'ipotesi che fosse o =1:4 (Nota II). Questo valore era NIN I0l28 Sg Possiamo quindi ritenere che esso concordi con questa nuova ipotesi. Essa è quindi compatibile col valore ordinariamente accettato pel coefficiente di Poisson relativo agli strati superficiali terrestri, che è anche la media dei valori positivi meccanicamente possibili per tale coefficiente. Minore è l'accordo invece fra i valori teorici ed i valori d'osservazione per l'altro rapporto V, :V3, risultando questi più piccoli dei primi. Abbiamo trovato pel valore teorico 2,17, mentre i valori risultanti dalla tabella del prof. Rizzo sono compresi fra 1,26 e 1,35. Mi mancano attualmente altri dati per poter istituire un confronto più esteso. Riassumendo, possiamo dire che lo studio teorico del problema della propagazione delle onde piane in un suolo piano, omogeneo, isotropo, illimi- tato ci ha condotti ad una generalizzazione della soluzione trovata da lord Rayleigh nella sua classica Memoria On waves propagated along the plane surface of an elastic solid del 1885. Siamo così stati condotti alla dimo- strazione dell’esistenza di due altri sistemi di onde, oltre quelli scoperti da - lord Rayleigh. Queste onde esistono qualunque sia il valore della costante di Poisson, che si attribuisce al mezzo vibrante, ‘purchè compreso fra i limiti —1 e 1:2, assegnati dalla teoria. Questo risultato teorico permette di analizzare da un punto di vista generale la possibilità di trovare una rappresentazione meccanica delle onde sismiche mediante la teoria delle onde piane in un suolo piano illi- mitato. , Due di queste possibilità abbiamo preso in esame. La prima, e più seducente, consiste nell’assimilare le tre onde tipiche dei sismogrammi (P) (S) (L) alle tre onde connesse colle tre radici dell'equazione di Rayleigh. La conclusione a cui siamo giunti’ nell'esame di questa ipotesi è che l’ac- cordo coi dati numerici sperimentali è possibile, quando si ammetta che il valore del coefficiente di Poisson per la Terra sia la media di tutti i valori meccanicamente ammissibili, cioè —1:4. Qualora non si vogliano ammet- tere valori negativi per il coefficiente di Poisson, sarebbe questo risultato un argomento di condanna per l'ipotesi enunciata, naturalmente nella sup- posizione che il suolo indefinito sia un modello sufficiente per la rappre- sentazione delle oscillazioni sismiche. L'altra possibilità che abbiamo considerata è che la teoria delle onde associate serva unicamente alla interpretazione meccanica delle onde lunghe, ordinariamente considerate come onde superficiali. È possibile allora trovare delle concordanze numeriche coi dati d’osservazione, senza abbandonare l’or- dinario assunto, che il coefficiente di Poisson per la Terra sia uguale alla media dei valori positivi meccanicamente possibili, o anche alla media dei valori effettivamente misurati sui materiali della superficie terrestre. Solo un esame più approfondito dei sismogrammi potrà decidere quale di queste ipotesi possa essere accettata, o rifiutata. A Vee Il. Per completare l’analisi del problema meccanico studiato nelle due Note precedenti, riprendiamo l'equazione di Rayleigh per le velocità [(19), Nota I]. Introducendo la costante a? — b* 1 di 2(1— 0) {hi quell’equazione diviene (1) — 89 + 8(1+2%)pn—-167=0. Ci proponiamo di studiare come variano le radici di questa equazione quando 7 assume tutti i valori corrispondenti ai valori possibili per 0, cioè ah pl L'equazione (1) si riduce a forma canonica ponendo 8 li e diviene 16 28 P+361-55+3 (5-5)= La condizione perchè le tre radici siano reali si può così scrivere 394(7) = (457 — 28) + (127 — 10) <0. Ora 28 5 | pel eg 0,622... siha 4(1)<0 i 10 Di 1 per tig aa si ha AA Esiste quindi un valore 7’ di 7, compreso fra i limiti indicati, per il quale si ha : Ai Per questo valore si trova «= 0,6790 e pel corrispondente valore a’ di e sì ha o' = 0,2637 cioè un valore di poco superiore al valore 0,25 solitamente assunto per e. Questi valori sono approssimati per difetto. Questo valore o' di o è anche quello per cui le due radici dell'equa- zione di Rayleigh, superiori all’ unità, divengono uguali. Possiamo quindi concludere: ReNDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 3 SARIGUIE Le tre radici dell'equazione di Rayleigh sono reali per -—l1szo=so0. L'equazione ha invece due radici complesse per e Dm Il rapporto delle due radici 7:77» è uguale alla unità per o = 0" e va cre- scendo quando o decresce fino a — 1. È facile verificare che quando o=0, ha cioè il minimo valore non negativo, la radice quadrata di questo rap- porto è ancora inferiore al valore minimo 1,80 fornito dalle osservazioni. Si ha infatti, per o =0, t=1:2; è il caso dei corpi che possono allungarsi senza sensibile contrazione trasversale. L'equazione di Rayleigh diviene n -8y + 167 -8=0 (72 -—67+4)(9—2)=0. Le sue radici sono quindi e si può serivere m=3 +5 Yo=2 n= 3 — V/5 e si ha per il rapporto delle prime due M 1 N ni ER] AL 1.56 sini (Salo) | s Conviene perciò raggiungere come si è visto il valore o = — 0,25 per otte- nere un valore non inferiore ad 1,80. Per o = 1:2 si ha il caso dell'incompressibilità considerato anche da lord Rayleigh. Gli integrali del moto vibratorio da noi trovati hanno valore anche in questo caso, in cui, come per tutti i valori di o superiori a d”, le prime due radici divengono complesse. Vedremo in seguito quale sia la forma che questi integrali assumono. Notiamo finalmente che i valori delle tangenti dei due angoli d’emer- genza delle due onde associate si mantengono sempre reali pei valori di @ compresi fra — 1 e 0°; esse non possono perciò mai degenerare in onde di Rayleigh. Si aveva per queste tangenti 2 igo = —l tgo,=n—1. Per i valori di o uguali a — 1, —1:4, 0 il rapporto 8*:a? ha rispetti- vamente i valori 3:4,3:5, 1:2; e si può verificare che i valori di 7,7 sono rispettivamente maggiori di 4:3, 5:38, 2, Per o=-——1:4 abbiamo trovato n, = 5,659 n° = 1,668. E NE TO NCR Abbiamo perciò per determinare gli angoli di emergenza corrispondenti a queste due radici : i to°0, = 2,3918 t9?0, = 4,653 tg20, = 0,0908 tg°9,= 0,668. La direzione di propagazione della seconda onda longitudinale è perciò po- chissimo inclinata sul suolo. DE Per trovare finalmente quale sia la forma delle vibrazioni che corri- spondono al caso in cui l'equazione di Rayleigh ha due radici complesse, ricordiamo le espressioni generali trovate per le componenti di vibrazione (?): ig 0, == tg° 0) 1 sig P e — VI U 2t9 0, (ctg0. + J9sg Patg0oh+a—- Vi) Elogio i Pa IT NA Vo w=53 (tg0,4-x AA, (tg 1a 3 dove 2 _ 1) M=<0/ loro 1 te°0o,=N— 1, essendo 7 una radice qualunque dell'equazione di Rayleigh. Quando 7 < 1 si hanno per tg0,, tg, valori puramente immaginarî, per V un valore reale; e si hanno allora le onde propriamente dette di Rayleigh. Ma quando 7 è complessa, risultano valori complessi per tutte queste costanti. A cagione della omogeneità delle equazioni del moto, dagli integrali precedenti si pos- sono ancora dedurre, prendendone la parte reale o la parte immaginaria, integrali reali, di cui possiamo vedere sommariamente la forma. Supponiamo net Dalle formole precedenti avremo b? db? Lee gdo ltif tg'0,=a 1-8 V=blVa+t+iB. Ricordando che dalla relazione hban= Ve pis sì ricava O s=((tE+%) 2 pete) dd (*) Per un’inesattezza di calcolo nelle formole (23) (23’) (24) della Nota I, e nelle corrispondenti della Nota II, figurano indebitamente le costanti @,,&s. Esse devono porsi entrambe uguali all'unità; perciò anche il loro rapporto non può essere arbitrariamente fissato, come è detto alla fine della Nota T. ZIONE è facile calcolare i valori della parte reale e della immaginaria di tg 0, tg 0», V. Per brevità scriveremo to 0, =A, + èB, tg, =A, 4+B. , VaeVdktiV,. Le espressioni che formano l'argomento della funzione W divengono atg0, ta — Vi=(A + (Bz 4a —(Vt+iVo)t stg0h {ax — Vt=(Ag+?B2a)gz 4g —-(V+ieVo)t. Perciò se supponiamo che la funzione ®(£) abbia la solita forma Pe) = È. ove c è la costante che determina la frequenza della vibrazione, troviamo D(etg0, a — Vi) e ea D(5tg 0, +a—Vi)= e (Bas Va) Pic(Assta—Vit) Perciò la velocità di propagazione superficiale che compete alle onde corri- spondenti alle due radici complesse coniugate, è la stessa bi Vi=-=(Va' 48° + a)? / 6 _ DD e vengono così a sovrapporsi nella propagazione in superficie le due coppie di onde associate corrispondenti. Il fattore esponenziale dipende, oltre che dalla profondità 4, anche dal tempo. Abbiamo quindi uno smorzamento della vibrazione, in senso generale, non solo rispetto alla profondità, ma anche nel tempo. Il caso dell'incompressibilità del materiale vibrante, caso che è stato preso in considerazione anche da lord Rayleigh, rientra in questi ora stu- diati; si ha infatti in questo caso o = 1:2. I valori a if delle radici complesse sono stati calcolati da lord Rayleigh (*), il quale ha trovato n = 8,5436 + 2,23017. (#) (Scient. Papers, vol. II, pag. 444). Per la radice reale lord Rayleigh trova 0,91275, valore che è stato corretto da Bromwich in 0,91262 (Bromwich, On the Influence of Gravity on Elastic Waves, and, in particular, on the Vibrations of an Elastic Globe (Proc. London Math. Soc., vol. XXX, pag. 103). TETRA (RS Matematica. — Sulle varietà a tre dimensioni dotate di terne principali di congruenze geodetiche. Nota I del Socio GRE- GoRIO RICCI. In questa Nota ed in altra, che la seguirà da vicino, mi propongo di determinare intrinsecamente tutte le Vz3, che godono della proprietà. che è chiarita nel titolo. Con questo intendimento per ognuna di tali Vs deter- mino le terne fondamentali corrispondenti alle terne principali di congruenze geodetiche, le quali quadrate e sommate forniscono poì una espressione canonica del suo ds? (?). Come è intuitivo, per lo spazio euclideo le terne anzidette sono tutte e soltanto quelle costituite dalle rette normali ad un piano e da quelle tracciate nei piani ad esso paralleli in modo che le rette giacenti sopra uno stesso piano costituiscano un reticolato cartesiano ortogonale, il quale ruota (e in particolare può mantenersi parallelo a se stesso) nel passare da un piano all’altro. La infinità di tali terne è quindi rappresentata da una funzione arbitraria di una variabile. Ogni altra varietà a tre dimensioni ammette una sola terna principale | di congruenze geodetiche o non ne ammette alcuna. In particolare ne am- mettono una le V; a curvatura costante positiva (alla quale corrisponde una speciale forma canonica per il loro ds?); non ne ammettono alcuna quelle a curvatura costante negativa. Per la proprietà caratteristica delle terne considerate sei delle rota- zioni, che ad esse competono sono nulle. Vedremo che delle altre tre una sola può essere variabile e perciò ripartiremo le V;, che formano oggetto del nostro studio in due classi, assegnando alla I* classe quelle, per le quali una rotazione è variabile, alla Il® quelle, le cui rotazioni sono tutte costanti. Per queste ultime sono conseguentemente costanti le tre anormalità, cioè quelle semplici combinazioni lineari delle rotazioni, ciascuna delle quali eguagliata a o rappresenta la condizione necessaria e sufficiente perchè una congruenza della terna sia normale. Vedremo che un simultaneo cambia- mento di segno di tutte le anormalità non ha importanza pel problema, che ci siamo proposti e per conseguenza (prescindendo dallo spazio euclideo, che del resto trova posto nella I classe) le V, della II® classe si possono (*) Cfr. Ricci, Sulla determinazione di varietà dotate di proprietà intrinseche date a priori, Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol XIX, ser 5%, 2° sem., se- dute del 20 febbraio e del 7 agosto 1910. ripartire in tre sottoclassi assegnando alla 1® quelle di cui due anormalità sono nulle e la terza è positiva; alla 2* quelle, per le quali due anorma- lità sono positive e la terza è positiva o nulla; alla 3* quelle per le quali due anormalità sono di segno opposto, mentre la terza è positiva o nulla. Un unica espressione canonica per il proprio ds* compete a tutte le varietà della I classe; ed altrettanto può dirsi per ciascuna delle tre sotto- classi, che costituiscono la II? classe. Da ciò deriva la importanza della classificazione riportata sopra e la opportunità di riferirla anzichè ai valori delle anormalità delle congruenze principali, a proprietà equivalenti di quegli invarianti, che si considerano come più atti a caratterizzare intrinsecamente una Vz, voglio dire le sue curvature riemanniane principali. Se non che una maggiore semplicità di risultati consiglia di sostituire. a queste le loro somme due a due, che a tenore di quanto ho proposto per le varietà in generale, dovrebbero «dirsi invarianti principali per le Vs (). Si può allora dire che: a) La I° classe è costituita dallo spazio euclideo e da tutte le Va, per le quali un invariante principale w, è costante e negativo, mentre gli altri due eguali e di segno opposto variano soltanto lungo le linee della congruenza principale corrispondente ad ,. ; b) La II° classe è costituita da tutte le Vs, i cui invarianti prin- cipali tutti costanti sono anche tutti positivi, ovvero, uno positivo e gli altri due negativi, o in fine due nulli e il terzo diverso da 0 e di segno qualunque. In particolare appartengono alla sottoclasse 1% tutte le V3, i cui inva- rianti principali, eguali in valore assoluto, sono due positivi ed uno nega- - tivo; alla sottoclasse 22 le Vs, i cui invarianti principali sono tutti posi- tivi, e quelle, per le quali uno solo di tali invarianti è positivo, mentre degli altri (che sono insieme negativi o nulli) nessuno lo supera e uno al più lo eguaglia in valore assoluto; alla 3 le V3, che ammettono un inva- riante principale negativo e due nulli e quelle, che ammettono due inva- rianti principali negativi, ed uno positivo in valore assoluto minore di uno almeno degli altri due. Tutte le Vs della II* classe ammettono un gruppo transitivo a tre parametri almeno di movimenti rigidi; a quattro parametri se due inva- rianti principali sono eguali; a sei, come è ben noto, se lo sono tutti e tre. Quelle di I* classe, escluso lo spazio euclideo, non ammettono gruppi di movimenti rigidi (*). (*) Cfr. Ricci, Direzioni e invarianti principali in una varietà qualunque. Atti del R. Istituto Veneto, tomo LXIII, 1904, pag. 1235. (*) Cfr. Ricci, Sui gruppi continui di movimenti in una varietà qualunque a tre dimensioni. Memorie della Società italiana delle Scienze detta dei XL, serie 3*, tomo XII. OSO I metodì e i procedimenti, che applicherò in queste ricerche, sono quelli da me esposti nelle due Note sopra citate. Su di essi ritornerò brevemente e per commodità del lettore e per aggiungere alcune considerazioni, che troveranno poi applicazione. Essi, pure non giovandosi dell'algoritmo del Calcolo differenziale assoluto, si inspirano al suo concetto essenziale, se- condo il quale le equazioni poste a base di ogni ricerca non sono legate alla scelta di particolari sistemi di variabili indipendenti. Questa viene invece suggerita opportunamente dai risultati dell'analisi e dall’intento di facilitarne gli ulteriori sviluppi e -di rendere più semplici ì risultati. 1. Si consideri la metrica di ogni Vz come intrinsecamente definita da tre forme differenziali lineari indipendenti wWi= 3, din dar (3); che val quanto dire da una terna fondamentale di congruenze ortogonali Yi di equazioni differenziali Wi.,=0 , Wi+as = 0. Per il ds? della varietà si ha allora la espressione of = 3; Wi 9 e ben s'intende che, data la V3, la terna fondamentale, che la definisce, è determinata a meno di una sostituzione ortogonale. Per la definizione di una V; sono equivalenti due sistemi di forme fondamentali w; e (4;) sempre che da ogni w; si passi alla corrispondente (Y) mediante una trasformazione puntuale, o in altri termini, sempre che, posto (Wi) == np (Zip) dYp , sia integrabile il sistema DU7 1 Àn; o) = I 4 . ( ) ( h p) h/r dn Si ponga geo 1 DI LI d h/p dànirti dàn!r 2 A eo (A) tir __A(9A — Diga d{"), essendo o= È, Oi e designandosi con 4 il determinante (diverso da 0) del sistema di forme wi. {!) Qui, come in seguito, ogni indice fisso indeterminato si intenderà capace di assu- mere ciascuno dei valori 1,2,3; e così ogni sommatorio si intenderà esteso ai valori 1,2,8 degli indici, cui si riferisce. Mi varrò pure della convenzione, per la quale si considerano come equivalenti gli indici, che differiscono per multipli di 3. CORO E Le onx definite mediante queste posizioni costituiscono il sistema com- pleto degli invarianti differenziali di 1° ordine del sistema di forme w; talchè, designando con (ox) le loro espressioni relative alle (w;) le equazioni (nn) = 0h se non sono identicamente soddisfatte, sono da aggiungere alle (1). Nel caso opposto (che si verifica soltanto se le 02, e le (02x) hanno valori co- stanti identici), le (1) costituiscono un sistema completamente integrabile e le (w;) sono quindi equivalenti alle w;. Concludiamo che: « Una terna fondamentale ortogonale e quindi la corrispondente V;, « per la quale gli invarianti differenziali di 1° ordine, devono assumere « valori costanti dati, se esiste, risulta da questi valori completamente de- « terminata ».. Si consideri il triedro T avente per spigoli le tangenti positive alle linee delle congruenze fondamentali uscenti da uno stesso punto P e come senso positivo delle rotazioni intorno alla tangente (4) alla linea della con- gruenza w, si assuma quello, che va dalla tangente (4#.-+ 1) verso la tan- gente (4 4 2). L’invariante onx rappresenta la componente secondo (4) della rotazione, che il triedro T subisce per uno spostamento infinitesimo del suo vertice nella direzione (4) (1). Ricordiamo ancora che gli invarianti @n+:n+2 € — @4+2h4+1 Misurano le proiezioni sulla tangente (4) delle curvature geodetiche delle linee appar- teneuti alle congruenze wWn+s © Wr+, € che (scrivendo 0, in vece di om), l’invariante (2) Cn = @n+1 È Qh£2 sì chiama, per la ragione già riferita, anormalità della congruenza wp. Designamo con dsn l'elemento lineare delle linee di questa congruenza, con Py il complemento algebrico dell'elemento on nel determinante ||g;;|| e poniamo (3) On = — eo ene + 0onn— Pan Ti Oni Qui » dSk+2 d8k+1 Una prima derivazione delle equazioni (A) e la successiva eliminazione delle derivate seconde delle 4,,,, tenuto conto delle (A) conduce alle equa- zioni (B) Onn = ©hk > le quali, se sono identicamente soddisfatte, ci assicurano della completa (*) Cfr. Ricci, Dei sistemi di congruenze ortogonali in una varietà qualunque. Memorie della Reale Accademia dei Lincei, ser. 5%, vol. II, pag. 4. SEronra integrabilità del sistema (A), nel quale si considerino come date le 0,x e. come incognite le 4,,,, mentre nel caso opposto sono da aggiungere al sistema medesimo. L'essere poi, in luogo delle (B), soddisfatte le (B.) da=0 (k£=+ h) è condizione necessaria e sufficiente perchè le congruenze w, costituiscano nella varietà da esse definita una terna principale; di cui le ©,, sono allora le curvature principali riemanniane. 2. Per quanto abbiamo sopra ricordato, l’annullarsi degli invarianti On+1h+2 ® Oh+2h+1 è Condizione necessaria e sufficiente perchè le congruenze n siano geodetiche. Tenuto conto di ciò e delle (2) se si esige che le con- gruenze fondamentali siano geodetiche, le equazioni (A) assumono la forma Diiraa na dd /r+s dlr+2 ddr4i (2) MeE \ = @p(An4rirti Ah+o/r+a — An4aireo Àn+217+1) alle quali sono da aggiungere le (B,) cioè, nel nostro caso, le dOn dOh = = 0, (8) Sh+1 dSh+o se si esige che le congruenze w, siano principali. Nelle stesse ipotesi le (3) ci dànno per le curvature principali rieman- niane wp, e per gli invarianti principali On = Oh+ h+1 + On+2h+2 le espressioni nn = «nOn — Oh+1 Qh+2 (4) pes) | On = 4 0n+1 Oh+2 - E poichè dalle (2) seguono le 2 On Eh+1 + Cn+2 Eh alle (4) si potranno sostituire le \ 2 On = C,, Car: (Cn+s 7 Uyga)? (41) 1 , Î Oin= 1 (rallo, ess. Osserviamo che, come segue dalle equazioni (a), un cambiamento di segno comune a tutte le a, (0 a tutte le 0,) importa soltanto cambiamento nel senso positivo delle linee delle congruenze principali. ReNDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 4 Quanto alle equazioni (8), poichè, indicando con un dei coefficienti in- determinati, esse equivalgono alle - dOK (8° ) = tndnsr dr esse ci dicono che ogni congruenza w,, per la quale la corrispondente on sia variabile, è normale. Ne segue che una al più delle on può essere variabile poichè dalla variabilità, per esempio, di 0, si conclude che è @,= 0, cioè (5) Og, =:03 = con c costante, chè diversamente le 4,,, e le 43,, risulterebbero proporzio- nali e quindi 4à= 0; e che, se una ox è variabile, essa ‘varia soltanto lungo le linee della corrispondente congruenza wy'. Dalle (4) e (5) ricaviamo poi che (6) o = — 20°, o =—Ww=2C@ sono le espressioni degli invarianti principali della Vs di questa classe, la quale (per c = 0) comprende, come caso particolare, lo spazio euclideo. Se si osserva di più che, se si suppongono costanti tutte le on, tali per le (4) risultano pure tutte le ©, si conclude che: Le varietà a tre dimensioni dotate di terne principali di congruenze geodetiche si ripartiscono nelle seguenti due classi : I* che comprende lo spazio euclideo e le Vz, per le quali un inva- riante principale è costante e negativo; mentre gli altri due eguali e di segno opposto variano soltanto lungo le linee della congruenza principale corrispondente all’invariante costante ; II® costituita da varietà, i cui invarianti principali sono tutti costanti. 4. Ci occuperemo, per ora, soltanto delle varietà della 1® classe, che ci proponiamo di determinare intrinsecamente. Come risulta dalle (@), se na congruenza w, è normale, la corrispon- dente forma lineare w, è il differenziale esatto di una funzione, che è natu- rale assumere come variabile indipendente. Nel caso nostro, essendo a,=0, e quindi la congruenza w, normale assumeremo n w=dx, cioè A, =1, djg= 0 ’ dA j3=0. Sarà poi e, funzione della sola x, e (le equazioni (8) e le (a) per R=1 risultando identicamente soddisfatte) rimarranno da determinare ws e 3 in modo che siano soddisfatte le equazioni (a) per 41=2 ed k4=3, nelle quali sia posto a,=0 , a,=@0,—-€ , a=0,+6; cioè le equazioni Re PLIIE ” ELISE 2#3N) dX3 dX9 dà 8/3 dAa,1 ; = (0, — c) 43: dXI dX3 (ei sa di DATO È = = — (0; — 6) dx, > (01 ) 43/2 PLIVE dÀ3/3 dd 0 dX3 dX3 dÀd3:3 VA /1 37 An LR SI e 7) ; dI, dX3 (01-10) dava ds 11 dA vs ari lui (014 c) 42/0 Di queste la 1 e la 4* dànno dp dP dY I, De i Cai 2/2 a 2/3 dx4 342 dx» 3/3 con g e w designando delle funzioni arbitrarie di x,,x», xs indipendenti rispetto ad x, ed x3, come segue dal dovere essere diverso da 0 il deter- minante 4, che per le (5) coincide collo jacobiano delle funzioni @ e w rispetto ad x, ed x,. Possiamo dunque assumere x, = @ , x3 = dopo di che rimangono da soddisfare le equazioni DAS Sea dda dX2 i dX3 le quali integrate dànno LIVE =— (00 —c)x3 + &, e v, essendo simboli di funzioni arbitrarie di x,, le quali però possono assumersi eguali a 0 sostituendo ad x, ed x; come nuove variabili dÀ3/ 1 dX Lo + fui da, , X3 + V) dx, « Riassumendo abbiamo per le forme fondamentali w,,%:,%3 © per il ds? delle varietà della 1® classe le seguenti espressioni: w=dx, , W=dx, — (0, —0)x3ux,, Ww=dx3 + (0, + 0) ced, (2) dst=}14 (01 + e) e? + (ex — 0)? 22} de? + da + da? + 2(c — 0,) 23 0x,dx° +-2(c+4 21) xs da; des. d mento, = As; =(0+c)x: +, SERRE) QUEL Per esse le espressioni degli invarianti principali son dati dalle (6) e quelle delle curvature principali riemanniane dalle on è, 0 =— + 2c0,, og=—e°—2c0. Dunque di queste una è costante, positiva ed eguale in valore assoluto e di segno opposto alla media aritmetica delle altre due. Per c=0 sì ha, come osservammo, lo spazio euclideo, nel quale la congruenza w, risulta normale, mentre le congruenze w, e w, hanno anor- malità eguali, il cui valore è dato da o,. Se poi si ricorda il significato cinematico delle 0, si riconosce che l'essere tra queste diversa da 0 la sola @, importa che il.triedro formato dalle tangenti alle linee delle congruenze principali uscenti da uno stesso punto subisca una semplice traslazione per uno spostamento infinitesimo del suo vertice secondo l'una o l'altra delle linee w, e w3; mentre, se lo sposta- mento ha luogo lungo la linea w,, esso ruota semplicemente intorno alla tangente a questa linea. Segue da tutto ciò e dall'essere 0, funzione soltanto di x,, che le rette w, sono normali ad un sistema di piani paralleli 2, mentre le rette w, (e conseguentemente le ws) parallele fra di loro in uno stesso piano // ruotano di uno stesso angolo nel passare dall’uno all’altro di questi piani. Ciò risulta anche dal fatto che per passare dalla espressione del ds? dello spazio euclideo, che si trae da quella riferita sopra ponendo c=0, alla espressione canonica dx? + dy° + de? basta porre xc=%x, ,y=c0s0x.+sin0x,, s=sin0x3— 0803, essendo 8=— ferda n Per lo stesso cambiamento di coordinate la espressione del ds? delle varietà di I* classe assume invece, per e qualunque, la forma ds° = da* + dy* + de* + c°(y* + 2°) da? + 2cdx}(y sin 20 + 2 cos 20) dy + (y cos 20— « sin 20) de}. Ottica. — Sulle ovali di Cartesio come curve aplanetiche di rifrazione (*). Nota del Corrispondente 0. TEDONE. 1. La curva chiamata dai geometri ovale di Cartesio è composta, come è noto, di due ovali distinte e possiede tre fochi reali, al finito, sul suo asse di simmetria, fochi che compaiono in modo perfettamente simmetrico nell'equazione razionale della curva. In questa Nota, di carattere elementare, ci proponiamo di determinare il comportamento di ciascuna delle coppie di fochi che si possono formare con i tre fochi della curva, dal punto di vista metrico ed ottico, rispetto a ciascuna delle ovali che compongono la curva stessa; comportamento che, come si vedrà, varia col variare della coppia di fochi che si considera e di ciascuna delle ovali (?). 2. PRINcIPIO DI MINIMO. 4) « Si abbia una superficie o di equazione «z=4(x,y), separante due mezzi ottici i cui indici assoluti di rifrazione « sieno 7, ed n». Sia, poi, P un punto fisso di coordinate (2,,0,,c,) e Q « un altro punto fisso di coordinate (as ,d,, Cc»). Allora, i valori estremi « di ciascuna delle espressioni (1) L= 4 234, (1°) L'= nr — ner, «in cui \n=lV@T—a)+y—-b)f+(—), | rn=la—a)+(y—b+0—0, « dinotano le distanze dei punti P e Q da un punto O di o, sono i va- « lori di L, o di L', che corrispondono a punti O di o tali che sieno sod- « disfatte le equazioni (2) DE IL (3) 8—-s8(,y)=0 , “al dani « ovvero le altre Ì CORE dl _ DL (3) a—%k(x.,y) = | ia ) ai (') La ricca letteratura relativa all’ovale di Cartesio si può rilevare dal noto libro del Loria: Ebene Kurven (Leipzig, 1902, B. G. Teubner), pag 174. (?) Ne risulterà, fra l’altro, che alcune delle forme sotto le quali si suole scrivere l'equazione dell’ovale di Cartesio sono da ritenersi inesatte. Tali sono, p. es., le equa- zioni 32) e 33) della Memoria di Haentzschel, Weber ein orthogonales System von bi- zirkul. Kurven... (Jahresbericht des KolInischen Gymnasiums zu Berlin. Berlin, 1908) dalla quale Memoria abbiamo, del resto, ricavata la maniera di passare alla forma razio- nale dell'equazione della nostra curva. « Per ciascuno di questi sistemi di equazioni, può accadere che esso abbia, « ovvero non abbia, soluzioni. E può anche accadere che le sue tre equa- « zioni sieno identicamente verificate quando lo sia la prima di esse. In « quest ultimo caso i punti di o soddisfano alla condizione L = cost, ovvero « L'= cost., e chiameremo o superficie aplanetica di rifrazione rispetto « alla coppia di punti P e @. In ogni caso, se, per un punto O di o, sono « soddisfatte le (3), ovvero le (3'), e si consideri PO come un raggio lumi- « noso uscente da P, supposto che questo raggio sia situato, 0, almeno, « finisca con l’essere situato nel mezzo di indice 7,, possiamo ottenere il « raggio rifratto di PO con le seguenti regole: « 1°) se sono soddisfatte le (3) e i punti P e @ sono situati da « bande opposte del piano tangente 7° in O a 0, il raggio rifratto di PO « è il raggio 0Q; « 2°) se sono soddisfatte le (3) e i punti P e Q sono situati dalla « stessa banda del piano tangente 7, il raggio rifratto di PO è il simme- « trico di 0Q rispetto al piano 7; « 3°) se sono soddisfatte le (3') e i punti P e Q giacciono dalla stessa banda del piano 77 tangente a o in O, il raggio rifratto di PO è il prolungamento del raggio QO; « 4°) se, in fine, sono soddisfatte le (3') ed i punti P e Q giacciono « da bande opposte del piano tangente 7, il raggio rifratto di PO è il « simmetrico di 0Q rispetto alla normale alla superficie o, in O ». Solo se siamo nel primo caso ed i raggi PO, 0Q sieno contenuti per intero nei rispettivi mezzi di indici x, ed x,, il principio precedente è contenuto nel principio del minimo cammino ottico. Nelle stesse ipotesi, se o è una superficie aplanetica, rispetto alla coppia di punti P,Q, il punto Q è un'immagine reale di P. Se, invece, o è aplanetica, il raggio PO è tutto contenuto nel mezzo di indice 7, e siamo nel 3° caso, Q è imma- gine virtuale di P. In ogni altra ipotesi, Q non è, nè immagine reale, nè immagine virtuale di P. x n 5) « Se, nell'enunciato precedente, invece di supporre P fisso, sì sup- « pone soltanto che P debba appartenere ad un piano @, allora i valori « estremi di L, o di L', corrispondono a punti P di @ e a punti O di o « tali che PO sia normale ad « e che, inoltre, sieno soddisfatte, ancora, «le equazioni (3), ovvero le (3’). Valgono, inalterate, le stesse regole di « prima per trovare il raggio rifratto di PO e le altre conclusioni, ed il « caso presente può considerarsi come quel caso particolare del precedente «in cui il punto P si allontani indefinitamente in direzione normale ad @. c) « Potrebbe supporsi che si allontanino indefinitamente nella stessa « direzione, o in direzioni differenti, tutti e due i punti P_e Q. 3. SUPERFICIE APLANETICHE DI RIFRAZIONE. — Si è visto che, se 0 è una superficie aplanetica di rifrazione, rispetto ai punti P_e Q, indicando gi con c una costante, i suoi punti devono soddisfare all’una, o all'altra, delle due relazioni (4) nrtbrnr=c, ovvero (4) niri — Rara = c. E, per decidere se, dei due punti P e @, uno possa considerarsi come im- magine reale, o virtuale, dell'altro, bisogna, se occorre, dividere o in parti in modo che i piani tangenti ad essa nei punti di ciascuna di queste parti, lascino i punti P e Q sempre dalla stessa banda, o sempre da bande op- poste di o, ed applicare, poi, i criteri precedenti. Le superficie i cui punti soddisfano alla (4), ovvero alla (4), sono, evidentemente, superficie di rotazione intorno alla retta PQ. Possiamo, quindi, limitare la nostra attenzione allo studio di una sezione meridiana. Scegliamo, perciò, la retta PQ come asse , sieno e, ed e», con e, >@3, le ascisse di P e Q e limitiamoci a studiare la sezione della superficie pro- dotta dal piano 7y. Notiamo, però, prima, che, se 7, >, si possono de- terminare un fattore 4 e due altri numeri 0 ed e3 in modo che (5) ka = Voe—e , kng= Vee , ke=(e1-02) Ve— e con o>e,,€:,€3 e le radici essendo considerate come positive. 0 ed es possono ritenersi determinati dalle equazioni m_Ve— e e Vo — 63 l ita a, "Vee Il parametro 0 dipende, dunque, soltanto dall’indice di rifrazione relativo dei due mezzi separati da o. Similmente, se n, < #,, si possono determi- nare il fattore X e i due numeri @ ed ez in modo che (5) 4m=ler— 0, knn=Ve—@0 , ke=(e— 0) Ve — 0 con 0 #2, l'equazione della curva, se- zione meridiana della superficie aplanetica da studiare, si può scrivere a) Ve—ela—e)f+tytlo-aVa—a}+y= = (ee — e,)loe— es "Tagore e, corrispondentemente al caso 2, < #,, si può scrivere #8) Veel@—a+y=Va—e/—e+s= = (e — ea)le,—0, i segni +, o —, corrispondendo alle due diverse ipotesi (4) e (4'). Senza limitare in alcun modo il nostro studio, come si vedrà in appresso, potremo sempre supporre che sia (6) e, > 9 > 03. Anzi, poichè le equazioni @) e #8) restano inalterate aumentando x,€,,€2,€3,@ di una stessa quantità possiamo sempre supporre di aver scelto l’origine degli assì in modo che sia (7) ertbetde=0 donde eines 0E Possiamo considerare, per dippiù, le e come radici di un’equazione della forma . (8) g(s) = 45°— gs — ga =0 con \ d =— (10, + 0205 +e) =ef— eo =e@— 00 =E— 0103) 8! (8°) n ASTE C1 2 €3. Nel seguito interpreteremo anche e; e 0 come ascisse di due punti dell'asse 7 ed indicheremo con E,,E,,Ez i punti di ascisse e), €, 63 € con 7; il raggio vettore che dal punto E; va ad un punto qualunque del piano della curva. 4. FORME PRINCIPALI DELL'EQUAZIONE DELL'OVALE DI CARTESIO. — Dalle identità (o -e)ri —(o—e)ri= (e — 00) [e +y° — o(2x + e) — a 08] = =i (Ve— e Si Ve—e Pa) (Ve— es rn pai Ve—e r)= ar (Ver —@ ona Ve — ere) (Ver — e? ia Ve —@ l'a) si ricava subito che, se vale la «@), sia che in essa si consideri il segno +, o il segno —, è (9) 2Vo— e, Ve— 03 male -0)+y —e° + 2004 e+ 26, mentre, se vale la £), qualunque sia il segno che in essa si consideri, è (9) 2V/es —e Vermorn=—[(@—0)+9—0e+200+ e +e 0]. dini og Elevando a quadrato, tanto la (9) che la (9) conducono alla stessa equa- zione razionale che si può porre sotto la forma | 2 2 l "i )° G A) \E-d'+y-790, — g(0) (22 +e)=0, ovvero, ordinata secondo le potenze di @, g ot lo 4a (2° sta e val: a + ae Y + a) LL 293ax = 0. Seguendo la nomenclatura adoperata dai geometri, chiameremo ovale di Car- tesio, tutta intera la curva rappresentata dall’equazione A), o B). Queste equazioni contengono le ascisse e, ,e»,ég in modo simmetrico e restano, quindi, inalterate, eseguendo, su questi numeri, delle permuta- zioni arbitrarie. Queste permutazioni sono, quindi, lecite anche sulle (9) e (9”). Scegliendo come polo uno qualunque dei punti E;, come asse polare l’asse x e chiamando ; la corrispondente anomalia, si trova, subito, l’equa- zione polare dell'ovale di Cartesio sotto la forma C) r24+2[(i—e)coso—Vo— en Vo—ess]lri +R?=0 in cui sì è posto Rî = (ei RAI) L'equazione C) si può dedurre dalla (9) e vale per il caso di o>ei. Per il caso 0 < ez l'equazione corrispondente alla C) si può ricavare dalla (9') e si ottiene dalla C) stessa sostituendo CAS SUSA liga / alia EROE IRA Tenendo presente che il primo membro della A) è di secondo grado in @, dividendo questo primo membro per (0) e scomponendo quindi la funzione di © così risultante in frazioni elementari, si trova subito che la equazione dell’ovale di Cartesio si può anche scrivere Ss? Sì Sì DI. Rile-e)t Hie—e)! Rile—e) © nella quale si è posto (10) S=(7— e)° +y° — RÌ. 5. PROPRIETÀ PRINCIPALI DELL'OVALE DI CARTESIO — L'ovale di Cartesio è una curva algebrica di quarto ordine avente una cuspide in cia- ReENDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 5 SES scuno dei punti ciclici del suo piano. Le tangenti cuspidali, in questi punti, si segano nel foco straordinario (r=0 ,y=0) della curva. Da ciascuno dei punti ciclici si possono condurre alla curva, ancora, tre tangenti in punti al finito. Dei nove punti d'intersezione (fochi ordi- narii della curva), quelli reali sono i tre punti E, , E,, E; dell'asse x. La serie delle ovali di Cartesio confocali, delle curve, cioè, aventi gli stessi fochi reali e, quindi, anche gli stessi fochi immaginarii, è rappresen- tata da ciascuna delle equazioni A), B), D). Facendo variare il foco stra- ordinario si hanno le diverse curve della serie, Le curve reali della serie precedente si dividono in due sistemi: uno si ottiene facendo variare 0 fra e, e + 0, l’altro facendo variare 0 fra — 00 ed e3. Scambiando il senso positivo dell'asse x i due sistemi di curve si scambiano fra loro. A_ valori di 0 compresi fra ez ed e, corrispondono curve immaginarie. Per un punto del piano passa una curva appartenente a ciascuno del sistemi precedenti e queste due curve s'incontrano ad angolo retto. Due curve dello stesso sistema non hanno, quindi, punti reali in comune. Per o= e; (?î=1,2,8) la curva si riduce al cerchio C; di equazione (e— e) -+y° — RE=0 contato due volte. I cerchi C, e Cz sono reali; appartengono come curve limiti a ciascuno dei due sistemi di curve reali che compongono la serie confocale e s'incontrano, quindi, ad angolo retto. C, è immaginario. Un inversione rispetto a ciascuno dei cerchi C; trasforma ciascuna delle curve della serie e, quindi, la serie in se stessa. Ogni curva appartenente al sistema 0 > e, è composta di due ovali distinte inverse una dell’altra rispetto al cerchio C, e, quindi, una interna, l’altra esterna allo stesso cerchio. Ciascuna di queste ovali incontra ortogo- _nalmente il cerchio C3; ha l'asse x per asse di simmetria ed è situata nella. regione del piano in cui x > — Sa Proprietà analoghe valgono per le curve 2 del sistema 0 < ez e, per enunciarle, basta scambiare, negli enunciati pre: cedenti, E, e C, con E; e G;. La serie di curve confocali formata dalle ovali di Cartesio è il doppio sistema di linee ortogonali che, nella rappresentazione conforme determinata dalla funzione di variabile complessa x'+iy'= Pla +9), P essendo la funzione ellittica di Weierstrass con invariante reale e posi- tivo, corrisponde al doppio sistema ortogonale formato dalle rette 2 = cost, y= cost. TIRI A 6. INTERSEZIONI DELLA CURVA CON L'asse 4. — Ci riferiremo, d'ora in poi, soltanto ad una curva del sistema 0 > ei. L'equazione da cui di- pende la determinazione delle intersezioni di questa curva con l’asse # è un'equazione di quarto grado riducibile quando si suppongano note le quan- tità Vee. Queste intersezioni si possono ottenere, facilmente ed in con- formità alle diverse proprietà metriche di detinizione della curva stessa, cercando i punti dell'asse x che soddisfino alle condizioni (Ul qVo—e.(e—e) lola a) = (al) los Chiamando x, , xs, 3,24 i valori di x così determinati e supponen- doli ordinati per ordine di grandezza decrescente, avremo eran enna A (12) re=0+V o— es(e— e) — No—e)(e— e) —N(0— e) (0— 21), e o- ce) +N(o—e)(o— 0) —W0T— e2)(0—- 21), e ESTESE CSO E SI OI) Da queste formole ricaviamo m_o=(leo-a + lo e)leca+le— e). rallenta t—Vo— e) Vea —Ve— e), e quindi (13) (1 — e) (xx: — e) = R?. In modo analogo sì mostrerebbe che aa ea)= is (13') dp (x3 ii coi = = Rî A (#2 e 9) (24 uu 9) = R° , — 03) (ri — e) =Ri , (cv° —e3)(x3— 03) =Rî dalle quali si deduce che le due coppie di punti (x,,%x:),(€3,%,) sono coppie di punti inversi rispetto a C,, che i punti di ciascuna delle coppie (©. , 23) , (12. %,) sono inversi rispetto a Cs e che quelli di ciascuna delle coppie (1, %4) , (12, €3) sono inversi rispetto a Cs. 7. LE OVALI DI CARTESIO COME CURVE APLANETICHE DI RIFRA- ZIONE. — L'equazione dell'ovale di Cartesio, sotto una qualunque delle forme A), B), D), contiene simmetricamente ei, e, 3. Per conseguenza la totalità dei punti reali che costituiscono la detta curva contiene i punti reali dei diversi luoghi di punti rappresentati dalla diverse equazioni (14) Vo =eiatimeS l'o — lix ?i4g = È (ci4 ce Ci+2) Vo si, 20838 E Di pi Non a tutte le equazioni precedenti corrispondono, però, punti reali. Notando, infatti, che Voi: >iWoi==tete-K.01--, per nessun punto reale può essere Yo — rs 4 o0— er= (ee — e)Ve—a, giacchè da essa ne verrebbe Vos (fat 73) < ilo 6724) oe €, Y3 = (0° — €3) 02 01) To +ra Ve i rs Ve — ear, = (01 63) Ve — €2) UE Par ei €3 O In corrispondenza ai due fochi E, , E» possono, quindi, essere soddisfatte da punti reali soltanto lef due equazioni \ Ve—% (dI + esa Po == (ei —_ €9) Ve — i (14) SE SEA fo -ertle—e oi O in corrispondenza ai due fochi {[E,, E, possono ‘essere soddisfatte soltanto le due relazioni (14') Ve — egrrt Vo — e,.f3 = (0.°_ €3) Vo — 9) Ve — 371 —Vo—ea rs = (e, — €3) Lo; e, corrispondentemente ai due fochi E,,E., soltanto le due equazioni (14) Ve—e pen ro = (e, — 63) 102 | Vo — esre—Vo — esra= (6, — 63) Vee a la prima equazione di ciascun gruppo essendo soddisfatta dai punti dal- l’ovale interna a C,, la seconda dai punti dell’ovale esterna. Rispetto all’ovale più grande, dei due fochi E,,E,, uno è imma- gine virtuale dell'altro; mentre, rispetto all’ovale più piccola nessuno di essi può essere considerato come immagine reale, o come immagine vir- tuale dell'altro. E, se O è un punto di questa ovale, il raggio rifratto di E, 0 è il simmetrico, rispetto alla tangente alla curva in O, del raggio OE,. Quando si passi a considerare il comportamento ottico delle due ovali rispetto alla coppia di fochi E;, E,, ovvero E;!, E., bisogna considerare separatamente le due parti in cui ciascuna ovale è divisa dal cerchio C3. Rispetto alle parti di queste ovali che sono esterne a Cs, i fochi E,, E, si comportano, precisamente, come i fochi E,,E,. Rispetto alla parte del- l’ovale più piccola, interna a C3, E, èlimmagine reale di Ez. Invece, se O è un punto dell'ovale maggiore, interno a C,, il raggio rifratto di E30 è il simmetrico di OE,, rispetto alla normale, in O, alla linea. I due fochi Ez, E, si comportano allo stesso modo rispetto alle due ovali e, precisamente, nello stesso modo nel quale si comportano rispetto al cerchio C, di cui costituiscono una coppia di punti aplanetici. Solo è da osservare che, rispetto a C,, oltre alla coppia ricordata, conformemente ad un teorema di Weierstrass, ve ne sono infinite altre disposte su due cerchi concentrici a C,, uno interno e l’altro esterno a C, stesso. Per cia- scuna delle parti di ciascuna delle ovali, esterna a C3, E, è immagine virtuale di E. E, se, infine, O è un punto qualunque della curva, interno a Cs, il raggio rifratto di E30 è il simmetrico di OE, rispetto alla nor- male alla curva in O. 8. CASO PARTICOLARE IN CUI UN FOCO È ALL'INFINITO. — Nel caso particolare accennato la curva aplanetica (ci limitiamo ancora alla conside- razione di una sezione normale della superficie aplanetica corrispondente) rispetto al punto all'infinito P e ad un punto Q, al finito, è il luogo dei punti tali che la somma, o la differenza, delle distanze di un punto della curva da un certo piano fisso @ e dal punto Q, moltiplicate per due costanti positive 7,,%s, rispettivamente, sia costante. Scegliendo come asse x la retta condotta per Q normalmente ad &, chiamando con e l'ascissa di Q e spo- stando, se occorre, parallelamente a se stesso il piano @, quando l'origine delle coordinate si scelga in modo oppurtuno, l'equazione del luogo si può scrivere sotto la forma nè | = i > .) +uala—60"+=0, 1 (15) =St/ (2 — } n, essendo l'indice di rifrazione assoluta del mezzo in cui si trova il foco infinitamente lontano. Dall'equazione precedente risulta subito dg Th È __ Na vLo) 45 inte ° lc i . ; i, to 1 na la quale è una conica di eccentricità 260 2 Lasciando fissi i fochi e facendo variare l'indice relativo di rifrazione =: dei due mezzi si ottiene la serie delle coniche a centro confocali. YA Chimica vegetale. — Sulla influenza di alcune sostanze or- ganiche sullo sviluppo delle piante. Nota II del Socio G. CIAMICIAN e di 0.° RAVENNA. Nella nostra prima Nota su questo argomento (!) abbiamo descritto alcune esperienze dirette a mettere in rilievo l'influenza che alcune sostanze organiche esercitano sullo sviluppo delle piantine segnatamente di fagioli germogliati e cresciuti sul cotone idrofilo. Le prove fatte allora si limitarono al nitrile mandelico in comparazione coll’acido cianidrico e l’amigdalina e ad alcuni alcaloidi: anzitutto la nicotina ed inoltre la morfina, la stricnina e la caffeina. I risultati migliori si ebbero col nitrile mandelico e con la nicotina; peraltro anche queste esperienze non furono esaurienti perchè le coltivazioni vennero troncate prima che le piantine avessero raggiunta la maturità, volendo esaminare a tempo debito il loro contenuto in relazione alle sostanze somministrate. Appariva però necessario ripetere le prove con queste sostanze ed estenderle a molte altre per vedere le differenze di con- tegno che le piantine di fagioli presentavano aì diversi interventi chimici. Appariva pure opportuno non limitare le esperienze ai soli fagioli ma esten- derle ad altre piante. A questo proposito vogliamo dire subito che i fagioli e massime quelli comuni dai semi screziati in rosso si mostrarono, fra le piante da noi esaminate, le più propizie a tali esperienze; il mais, le bar- babietole e il tabacco sono, a parità di condizioni, assai meno sensibili alle sostanze da noi sperimentate; i lupini, se anche ne risentirono l’azione, non modificarono mai il loro abito. Le sostanze sperimentate furono, oltre al citato nitrile mandelico, gli alcoli benzilico e salicilico (saligenina); gli acidi benzoico e salicilico allo stato di sali potassici; la vanillina, l'eugenolo e il tannino; gli acidi amidati alanina ed asparagina; l'acido urico e la xantina allo stato di sali potassici in comparazione con la caffeina: la piridina e la piperidina in comparazione !) Questi Rendiconti, vol. 26, I, pag. 3 (1917). J o con la citata nicotina e poi la chinina, la stricnina e la morfina. Per le prove di germinazione abbiamo impiegato inoltre la cocaina e l’atropina ed. anche l'essenza di senape. Le prove di germinazione furono eseguite ponendo i semi in germinatoi di ferro zincato sul cotone, coperti con carta da filtro, e bagnandoli con le relative soluzioni a 1 per mille. Il nitrile mandelico, l’eugenolo e l'essenza di senape impediscono assolutamente la germinazione dei semi di fagioli; le altre sostanze esaminate si mostrarono invece meno velenose per i semi germinanti ed anzi con alcune di esse si ebbe un anticipo più o meno mar- cato in comparazione coi semi bagnati con acqua. Questo anticipo si verificò segnatamente con l’alanina e con la stricnina e poi in minor grado con la cocaina, l'atropina, la chinina e la morfina. Con la nicotina (') e la caffeina germinò solo una parte dei semi; così pure si comportarono, ma in grado peggiore, con l'alcool benzilico, col benzoato e col salicilato potassico. La vanillina, il tannino come pure l’asparagina si mostrarono indifferenti, cioè la germinazione non venne nè impedita nè anticipata rispetto ai semi testimoni. L'azione antitetica fra il nitrile mandelico e la stricnina, già notata lo scorso anno, potè essere ulteriormente confermata poichè bagnando i semi di fagioli e massime di lupini contemporaneamente con le due sostanze, alcuni germinarono e precisamente il 3 per cento dei fagioli ed il 26 per cento di lupini. Questa azione antitetica si manifestò anche ulteriormente sulle piantine già sviluppate. Per studiare l'influenza delle diverse sostanze sulle piantine germinate sì cominciò a somministrare le relative soluzioni all’ 1 per mille dopo alcuni giorni quando esse avevano raggiunto un adeguato sviluppo come venne fatto l'anno scorso. Abbiamo notato che le piantine, che vivevano nei germinatoi di ferro zincato, sopportavano le sostanze tossiche meglio di quelle crescenti in germinatoi di vetro. Abbiamo voluto accertare un'eventuale influenza dello zinco, che risultò positiva. Facendo uso di germinatoi di vetro ed aggiun- gendo alla soluzione impiegata l'1 per mille di solfato di zinco, si ebbe col nitrile mandelico e con la nicotina una maggior resistenza delle piantine al veleno. All'infuori del nitrile mandelico, le altre sostanze aromatiche impiegate non esercitano un'influenza specifica sulle piantine di fagioli nel senso di modificarne l’aspetto esteriore. Il nitrile invece produsse quelle caratteri- stiche variazioni nella forma e nel colore più cupo delle foglie già osser- vate e descritte l’anno scorso. Peraltro questa volta abbiamo potuto notare (') L’anno scorso eseguendo la prova con la nicotina in germinatoio di vetro, fu osservato che nessun seme potè germinare, a differenza di quanto è avvenuto coi germi- natoi zincati. Abbiamo potuto dimostrare che lo zinco esercita un’azione antitossica tanto sulla nicotina come su altre sostanze. SES che nell’ulteriore sviluppo delle piantine questi caratteri vanno scomparendo, in modo che esse tendono ad assumere l'aspetto normale, che raggiungono con la maturità. La saligenina produce da principio un rallentamento di sviluppo ed un colore più cupo nelle foglie, ma in seguito la pianta assume l'aspetto normale. Coll'alcool benzilico invece si osservano nei fagioli e massime nei lupini segni di sofferenza, che peraltro non impediscono l'ulteriore sviluppo. Analogamente si comportano le piantine coi sali potassici degli acidi benzoico e salicilico, manifestando da principio qualche sofferenza, che peraltro potè essere superata alternando il trattamento con la soluzione nutritizia. i L'eugenolo si mostrò decisamente dannoso ne] senso che attaccò la parte basale del fusto e le radici; poche piantine poterono essere mantenute in vita per qualche tempo. La vanillina invece non esercita nessuna influenza nociva; le piantine sì svilupparono normalmente e così pure col farnino. Gli acidi amidati alanina e asparagina, come era da attendersi, agi- scono favorevolmente; con la seconda si nota da principio un più cupo colore delle foglie. I risultati più interessanti si ebbero peraltro con gli a/caloidi e sopra tutto con la ricotina, sperimentando sui fagioli con le soluzioni dei rispet- tivi tartarati all'1 per mille. Si può dire che tutti gli alcaloidi vegetali propriamente detti, finora esaminati, esercitano un'azione venefica sulle pian- tine di fagioli, mentre che invece la piridina e la piperidina producono soltanto un colore più cupo delle foglie, ma con accrescimento normale e sviluppo rigoglioso. Assai interessante a questo proposito riesce la compa- razione della caffeina con la xantina e l'acido urico. La prima è per le piantine di fagioli un deciso veleno; dopo due giorni di inaffiamento con la soluzione a 1 per mille si seccano le foglie e le piantine muoiono rimanendo i fusti eretti, mentre la xantina e così pure l’acido urico adoperati in forma di sali potassici determinano uno sviluppo rigoglioso e normale senza alcuna sofferenza. Questo fatto apparisce assai rimarchevole quando si pensi che la caffeina è la trimetilxantina: la presenza di metili può determinare dunque anche nelle piante una intensa azione fisiologica di cui il composto fonda- mentale è del tutto sprovvisto. E mentre finora, da quelli che considerano gli alcaloidi come inutilità organiche escrementizie si riteneva che i gruppi metilici, che tanto sovente si riscontrano nei prodotti vegetali, fossero da considerarsi come un mezzo di protezione per smussare per così dire i gruppi troppo reattivi come gli ossidrili o gli immini, da queste esperienze risul- terebbe invece proprio il contrario. Apparisce però assai promettente l'ulte- riore proseguimento di questi studî alfine di comparare l’azione sulle piantine DE gra di fagioli dei più importanti composti organici fondamentali, con quella dei loro derivati alchilici. Fra gli alcaloidi sperimentati, il meno velenoso per le piantine di fa- gioli è la morfina, che determina fenomeni tossici poco rimarchevoli; ven- gono in seguito la chinzra, che fa appassire la base del fusto per cui le piantine si piegano e muoiono, e poi la stricnina, che, da principio, esercita un'azione favorevole, ma che poi determina la caduta delle foglie per cui le piantine periscono. È rimarchevole che l’azione antagonistica fra la stric- nina ed il nitrile mandelico, già accennata per la germinazione dei semi, si manifesti anche con le piantine, le quali, in germinatoio di vetro, si man- tengono più a lungo in vita per azione contemporanea delle due sostanze, che impiegandole separatamente. La nicotina ha sulle piantine di fagioli un'azione marcatamente t08- sica che in germinatoio di vetro le fa perire in pochi giorni; in germinatoi di zinco il veleno è meglio sopportato, e lasciando la pianta in vita deter- mina una modificazione assai rimarchevole nel loro aspetto esteriore, che si — manifesta in un ornamentale albinismo delle prime foglie composte. Come venne osservato anche l'anno scorso, le prime foglie semplici, che hanno un colore più carico, dopo alcuni giorni si incerespano ai bordi e mentre su di esse compaiono delle bollosità, finiscono col cadere. Le foglie composte invece che spuntano successivamente, si sviluppano quasi normali, ma presentano ai bordi in modo assai caratteristico il fenomeno di albinismo. Le piantine assumono un aspetto assai ornamentale, che le fa somigliare a certe piante normalmente albicate, come ad esempio, la Pervinca argentata, V Nex aqui- folium ed altre simili. Pare probabile da studî recenti (*) che l’albinismo sia dovuto anche in questi casi all'azione di certe sostanze tossiche prove- nienti da parassiti che si formerebbero normalmente nelle piante che pre- sentano questi caratteri. L'anomalia peraltro non persiste nelle piantine di fagioli; le ulteriori foglie composte non sono più albicate ed i soggetti acqui- stano a poco a poco l'aspetto normale. Si osserva inoltre, coltivando le pian- tine in vasi sulla sabbia, che le foglie screziate da principio, perdono l’al- binismo e diventano normali. Dai fatti ora esposti apparisce assai probabile quello che l'anno scorso venne già accennato e cioè che gli alcaloidi abbiano anche nelle piante una funzione ancora ignota, ma bene determinata, che potrebbe esser quella di ormoni vegetali (*). Le diverse specie di piante giovandosi pure di prodotti primitivi indifferenti di rifiuto, ne trasformerebbero la costituzione in modo (*) Vedi Pantanelli, 3. Studio sull'albinismo nel regno vegetale, Malpighia, vol. XVII, pag. xI (1903). (*) Questo modo di considerare l’azione degli alcaloidi sarebbe conforme alle vedute del Langley. RenpiIconTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem DI Agora da renderli adatti alle funzioni specifiche a cui devono servire, similmente a quanto avviene negli animali, che ad esempio dalla tirosina producono l'adrenalina delle capsule soprarenali. E però si comprenderebbe che dai composti più semplici, come la piridina, le piante producano gli alcaloidi più complessi e come dalla xantina indifferente ed innocua, i suoi derivati metilati, dotati di peculiari azioni fisiologiche. Riguardo poi alla possibilità che hanno le piante di sbarazzarsi di so- stanze inutili o dannose, riferiamo infine che inoculando in giovani piante di mais, cresciute in piena terra, nel modo consueto i tartarati di piridina e di nicotina e tenendo racchiusa la parte superiore della pianta in un pallone le cui pareti erano bagnate con acido solforico diluito, abbiamo po- tuto dimostrare che i due alcaloidi trasudano attraverso le foglie. Alle piante non mancano però sistemi di eliminazione e se in esse si rinvengono sostanze molto attive, come gli alcaloidi, ciò significa, a nostro avviso, che le piante le producono a scopo determinato. Ci è grato infine porgere i nostri ringraziamenti in modo particolare alla dott. Angela Puricelli e alla signorina Paolina Cicognari per l'efficace collaborazione che ci prestarono nell'esecuzione di queste esperienze. Matematica. — /Mamiltoniani e gradienti di hamiltoniani è di gradienti laplassiani parametri differenziali. Nota III di A. DeL RE, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 1. In addizione a quanto ho°sviluppato nelle mie due precedenti Note (1) sull'argomento di cui nel titolo della presente, tratto qui il caso nel quale in luogo di una funzione scalare semplice U delle ©, ,©09,...,0m (mì rife- risco. ben inteso. circa le definizioni e le notazioni, a quanto venne fatto precedentemente) si abbia una funzione F di una, o più, funzioni U. In tal caso, rammentando che Vo e Go si comportano, rispetto al prodotto di due funzioni scalari. come delle derivate ordinarie, il che dà luogo alla dF(U) a __dF(U) si arriva alla relazione (00212) dF (2) Va GaF(U)=(-1)f 7 Va U. Ga U + Va Ga U ed all'analoga che da questa si deduce scambiandovi G con V. (*) Cfr. questi Rend., fasc. I [tale Nota viene indicata con (H di G, I)] e II, di- cembre 1917. Agia Nella (2) si vede far comparsa il prodotto dell’ hamiltoniano pel gra- diente di una funzione scalare U, e, nell’analoga di cui si è or ora parlato, il prodotto invertito, la cui forma esplicita, quando si tengano presenti quelle di vp U e GQU è, pel Vo U.GoU i=m 0 tm N06) i=m dU 2 (8) ne PIE Sas) =i d0i =i d%i ii \ 00%; i=m d 2 e (— 1)Pe i) pel GoU.ValU. nl dWi L'espressione a 2° membro della (3), cioè il Vo U.G9U coincide con ciò che si direbbe, col Beltrami, nei riguardi della forma quadratica \ @i, ui parametro differenziale primo (puro, come qui sì preferisce dire, in accordo con la defin. al n. 2) e corrisponde alla norma (quadrato del modulo di Vo U e G0U nei riguardi della stessa forma): la indicheremo con Py U. Potremo allora, tenuto conto della (5) di (H di G, I) che vale, evidentemente, pure per la F(U), e della (2) precedente, scrivere la espressione di Lo F(U) nella forma (4) LoFU)= d? d?F(U) dF 0° bela: dU LoU: nella quale riesce facile dare dell'espressione stessa un enunciato in lin- guaggio ordinario, e dedurne che, ove sia 4(U) una funzione della U che soddisfa alla (5) IU Pio, una funzione armonica F(U) esisterà data dalla | |} 40 (6) F(U)=0 fe.) PaU” .40 (con 0 cost. arb.). Così avviene, ad es., nel caso in cui sia U la pot. di esponente + della (7) i Si (0; — di) (con le a; costanti); poichè, avendosi allora, al seguito di breve calcolo m e 2 a LaU=S|t- (0; nd ] Pins si avrà g(U) = Pic ; e quindi (8) Ss00=M-1 —=(m_—l)logaU, Ae ove « è una cost. arb. Dalla (8) deducesi, per la (6) FU) = |4U.e-©-plosev — | 4U(eU)m; e, conseguentemente, secondochè sia m > 2.0 m=2, sarà: al" (9) da (2—m) Un? pmoezl e si presenta così un risultato noto, ed in forma più completa dell’ordinaria (Cfr. Green, Math, Papers, pag. 187 e seg.; Beltrami, Op. Mat., tomo II, pag. 103, in fine; Poincaré, Acta Mathematica, tomo 22, pag. 91, ecc., ecc.). È istruttivo rilevare che alla 12 delle (9), epperò quando m>2, si è condotti dalla stessa (4) prendendo quale funzione U la (7). In fatti, in linea generale, supponendo che in (4) si abbia F(U)= U?, si avrà (10) Lo UP=p(p— 1) Ur-*?Poa U+pU?- LU, Ta e pel bra (10) Lo /U= ; 2 3 vu po U+|/U=. La V| d'onde, ove U sia la (7), trovandosi, dopo brevi calcoli, essere Po U= 40, LoU=="2%, si ricaverà (11) Dis VO = {PU (4 — 45 + 25m). Da questa segue, allora, che {/U” è una funzione armonica, nelle variabili 0), 092,09 0m, Sì 7,8 soddisfanno alla relazione 2 28+sm=0, Da SES Escludendo dunque il caso di m=2 che darebbe r=0 [inammissibile data la questione che sì tratta ], si ritorna ad eccezione della cost. arb. @, alla 1* delle (9). ; 2. Se la F sia una funzione F(U,,U:,...,U,) di p altre funzioni U,,U:,..., Up, osservando che (come per le derivate ordinarie delle fun- zioni di funzioni così per le derivate estensive) si hanno le SIC l cloe se — = Ss p p (12) Vof=)> do VoaUi , GaFf= IE 7 i “di: GoU, SE si avrà, dopo qualche trasformazione, la . AVANT at d'onde, indicando generalmente con Po(V, W) il prodotto (13) Vodo, W—Vg WiGgé={1-=DE hg VvaW= =(— 1)? GaW.VavV che si dirà parametro differenziale misto delle funzioni V, W rispetto m alle 2, o rispetto alla > @}, a tianco delle (12) e pel laplassiano di 1 F(U,,U2,..., Up), troviamo la seguente D )F 2 3F (psi SI CASE Ae (14) LoF= Po(- + ogilaUi: il cui enunciato, in linguaggio ordinario, si presenta anche ovvio. In particolare, se F=U,U;..U,, abbiamo, rispettivamente, per VoF,GaF, LaF le espressioni seguenti (p 5a \ Val(U 106 DA U,) = Ù 10 CA se. UpVa Ui, (15) ni >? Pa I Ga(U, U. ses Up) = DI Ui sio U; ve. Up Giù t=l (ORIO hg Ud +2X Une. Vi. Ta Up Pa(U;, Up), dove il tratto messo superiormente ad una funzione U rappresenta l'assenza di essa, nel prodotto del cui simbolismo fa parte, e dove i valori distinti di é,% si intendono presi da 1 a p. Alle (16) può essere data la interessante forma seguente Lo(U, U. Ut mai LOU; dl k=p Pa(Us Uk) i 9° Di , 0) oa 2 I; 8. Non è senza interesse, dal nostro punto di vista, offrire qui una qualche applicazione delle formole precedenti. Ad es., se nella (16) facciamo U,=U,=-.-=U,=U ed osserviamo che allora il 1° Y della (16) si riduce alla somma di p volte il termine U?-! L0U e il 2° si riduce alla somma di Pez) volte il termine U?-* Po (U,U), e che Po(U,U)= PoU, si trova per p intiero la (10). So inoltre, nella stessa (16), si fa soltanto == U3=--.-=U,, e poi (a titolo di comodità) nel risultato si cambia p iu p+1, si ottiene (per p intiero) un'altra formola che è vera per p qualunque [come si deduce dalla (14) nella supposizione in cui sia F=U, US] e che porta ad una conclusione che sta a base della teoria delle funzioni coniugate iperisferiche quando per U, si scelga la (Zar. In fatti, ove 1 sia U, una funzione omogenea al grado © nel senso euleriano, si avrà Pa(U,, Un = pupe YÉ sli = pUsst.aU TU: do; Pi nd e l'equazione che esprime essere .U, US armonica, risulta perciò essere Ù, Lo UpB+ 2pr U, U?-? 0 3 ovvero, per la (10) applicata ad U?, e per essere Lo Us = ir (m4p+27r—2)U,U8?=0. Questa non può essere soddisfatta altrimenti che ponendo mt+p+2x—2=0, da cui deducesi p=_-m_-27; ed esprime appunto il risultato secondo il quale, per ogni funzione omo- genea U al grado 7 che soddisfa alla equazione di Laplace in m variabili, esiste una sola potenza della radice quadrata 7 della somma dei quadrati di queste variabili che, moltiplicata per U, dia una funzione V pur essa soddisfacente all’equazione di Laplace, che tale potenza è la (2 —m_— 27)"9, sicchè si ha U = Vy®-m-27 \ e che (come deducesi, a parte, ovviamente) la relazione fra U e V è re- ciproca. VATI Matematica. — Proprietà del prodotto graduale. Nota della prof. VircINIA VESIN, presentata dal Corrispondente G. PrANO. Per moltiplicare due numeri con infinite cifre decimali, è necessario operare su numeri approssimati. Il metodo più semplice è quello del pro- dotto graduale, noto già ai tempi di Keplero, e che chiamasi anche prodotto ordinato, simmetrico, abbreviato. Preferisco il primo nome, perchè si parla del grado, e non dell'ordine di un polinomio; la moltiplicazione simmetrica si riferisce al procedimento, qui sotto indicato dalla proposizione 7, mentre il procedimento indicato al n. 6, non è simmetrico; il risultato, o prodotto, è lo stesso. Colla frase « moltiplicazione abbreviata » si può intendere più cose differenti; ed effettivamente s'intendono operazioni quasi identiche, ma non del tutto, a quella che qui esamino. In questa Nota, premessa la definizione di prodotto graduale, ed alcune proprietà, che occorrono nel seguito, enuncio una regola per limitare la differenza fra prodotto ordinario e prodotto graduale; questa regola non la incontrai in alcuno dei numerosi libri relativi a questo soggetto, e non si trova nelle Note del prof. Peano, Approssimazioni numeriche [Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, 1917], che pure sono un'ampia rac- colta di proposizioni e citazioni storiche relative a questo soggetto. Qui adotto le notazioni di queste Note. In quanto segue, ognuna delle lettere @,2 indica una quantità nume- rica, o numero reale positivo, lo 0 incluso. Ognuna delle lettere’, p,g indica un numero intero (positivo, 0 nullo, o negativo). Va indica il valore intero;,di a. X=dieci, è la base della numerazione. Ì, Vna= X-"V(X"a). Definizione. Questo V,4 si può leggere «il valore con x decimali di @ ». Così: Vim= 314, Vor=3 , V_irx=0. Nel caso di x negativo, la corrispon- denza fra il simbolo V, e la sua lettura, è solo all'incirca. Ogni simbolo ha il valore dato dalla definizione, e non quello del linguaggio ordinario. 2. T,a=V,aT—-V,aa4. Def. T,0 si può leggere « il termine di grado x di a ». Così: T,r=0'04, Mod 3. a= ZT,a, ove 7 assume i valori interi. Esprime lo sviluppo di una quantità in frazione decimale. 4. Ma=aT—V,a Def _ Ma si può leggere « mantissa d'ordine % di a », ed è la quantità che ‘ bisogna aggiungere a V,a per avere a. 5. AXnb = ZT,aXT,b, ove 7,s assumono i valori interi, tali che rt+ss=n. Def. aXnb sì legge «il prodotto di grado 2, di @ per è »; ed è la somma dei prodotti dei termini di 4 peri termini di è, limitatamente ai prodotti il cui grado non supera 7». 6. aXnb= ZT,aXV,-,0, ove r assume i valori interi. Si ottiene dalla precedente facendo la somma rispetto ad s. Essa indica un modo di calcolare il prodotto graduale mediante prodotti parziali. 1. AXnbi=a4Xn,0 + IT,aXT,-b, ove r assume i valori interi. Questa permette di calcolare il prodotto, operando simmetricamente rispetto ai due fattori. 8. RMS Esprime la proprietà commutativa del prodotto graduale. 9. AXnb = VpaXnb + MpaXyb. Esprime la proprietà distributiva del prodotto graduale rispetto alla somma, in un caso particolare. Non sussiste questa proprietà in generale. j 10. VpoaXp+xgVgb = VpaXVab. Il prodotto di grado p +9, di due quantità aventi rispettivamente solo p e g cifre decimali, come V,a e V,b, vale il loro prodotto ordinario. dui MoaXpig M 0108 Il prodotto di grado p-+g di due quantità, l'una minore di X?, e l’altra minore di X-?, vale 0. Le precedenti proposizioni da 6 ad 11 sono qui ricordate perchè ser- vono per il teorema che segue. 12} Z cifrea = ZX"T,a, ove r assume i valori interi. Def. fa Ka fr Il nuovo simbolo 2 cifre a si può leggere « la somma delle cifre di a », e si esprime coi simboli precedenti, come è scritto. Quando a ha un nu- mero finito di cifre non nulle, questa somma è finita; quando ne ha infi- nite, la somma è infinita; quando a = 0, la somma = 0. 16% aXb—-aXnb<(3 cifrea) X". Questa regola si applica se a ha un numero finito di cifre; si trova in Vieille (2* ed. 1854), ed in altri autori. Una dimostrazione elementare si trova nel mio articolo: Prodotti approssimati (Periodico di Matematica, fascicolo V, 1917). 14. aXKbh_-aXp+gb < (£ cifre Vpa + S cifre V,b 4-1) XP72, Questa è la proposizione che volevo stabilire. La sua dimostrazione consta dei passi seguenti : (1) aXb=(V,a + M,a)Xb=VpaXb + MpaXb = VpaXbh + MpaX(Vyb + Mb) = VyaXb + MpaXVgb + Mya X Myb e ciò in virtù della prop. 4. (2) adXypigb = Vp&Xp+g0 + Mp0 X p+g Vab in virtù delle proposizioni 8, 9, 11. (3) VpaXKbh — VpaXp+gb <(2 cifre Vpa) X-P-1 (4) Mpa XVab — Mpa Xp+g Vab < (2 cifre Vy0) X-279. Le (3) e (4) derivano dalla prop. 13. (5) M,aXMyb < X-2-1 perchè Ma 4440, e < dello stesso numero aumentato di: x cifre V, + S cifre V_,//2+1= 15, o cifre V: 7-+ cifre V.if/2+1= 11, o cifre V: #+ ScifreV\ /2+1= 14, o ScifreV, a + ScifreV, /2+1=11, o cifre Vo tr + ScifreV; /2+1=14, o cifre V_yr + Scifre V, /24+-1= 13 unità dell'ordine decimale 3. Segue: 7X/2< 4451. La prima e la seconda espressione del resto nel prodotto graduale sono note; ed è appunto, cercando di concordare le due espressioni che ho tro- vato la legge generale. Il prodotto graduale serve pure a calcolare per approssimazione il prodotto di due numeri con un numero finito di cifre decimali. Si ha in questo caso una regola simile alla 14. 15. Se «,v sono interi positivi, lo zero compreso, e se a e d sono quantità numeriche con un numero finito p-+r e g-+s di cifre decimali, cioè se 4a è della forma (intero X X-P-") e 5 è della forma (intero X X79-*), allora: aXb - aXnp+gb < (3 cifre Ma + 2 cifre M,0) X-2-2. Infatti: (1) aXKb=aX(Vab +Myb)=aXVjb + aX Mb =(Vpa + Mp@)X Vab + aX Myb = VpaXVgb + Mpa XVgb + aX Mb ed (2) aXorg 0 = Vp&Xpig Val A- Mp®Kpag Val a Kg Modi Ma (3) Vo ad Mea Mi per la prop. 10; e dalla 13, si ha: (4) Mpa XVab< My4Xp+gVg0 + (3 cifre Mpa) X-2-1 (5) AX Mygb 444269, e minore di questa quantità aumentata: somma delle 3 ultime cifre di x, = 10) ” » 2 ultime cifre di #, e l’ultima di y= 8, ” ” ultima di x e le 2 ultime diy =11, (o) ” » 3 ultime di y = 7 unità dell’ ultimo ordine?decimale. Segue: x Xy < 444276. Aeronautica. — Sulla misura barometrica delle altezze a scopo aeronautico. Neta II di Mario TENANI, presentata dal Socio E. MILLOSEVICH. L'applicazione della formula altimetrica al calcolo delle altezze, ove,’ come è necessario per ridurre l'errore inferiore a 1 m. su 100, si voglia* tener conto della temperatura attuale, richiede mezzi speciali che ora descriveremo: accenneremo pertanto alla speciale disposizione da darsi al termometro a bordo e a una nuova forma di altimetro che permette l’im-. mediata applicazione della formula altimetrica senza calcoli o tabelle di incomodo uso. Misura della temperatura. — Come abbiamo veduto, per una misura dell'altezza con l’approssimazione di circa l’uno per 100, occorre e basta ! conoscere la media delle temperature osservate al suolo e all'altezza che si vuol determinare. Mentre la temperatura al suolo è nota con sufficiente attendibilità, perchè misurata all'ombra e in località generalmente adatta e con ventila- zione, la misura della temperatura in alto richiede speciale attenzione. A bordo il termometro oltre ad essere posto in località ventilata dovrebbe anche essere protetto di giorno dalla forte influenza della radiazione. Negli aeromobili la ventilazione è sempre sufficiente, data la velocità propria sempre notevole di tali apparecchi; ma la difesa dalla radiazione solare è difficile, a meno che non si ricorra a dispositivi speciali. Uno potrebbe essere il ‘ REN seguente: introdurre il termometro in un tubo apposito di sottile lastra di pacfong 4, munito di una finestra Y per la lettura, e di appositi supporti interni per permettere di disporre il termometro 7 secondo l’asse del tubo. La parte del tubo che circonda il bulbo potrà tenersi facilmente pulita fino ad essere speculare internamente ed esternamente; ed il termometro col tubo dovrà collocarsi in posizione tale da ricevere il vento relativo all'aeromobile sull’apertura 8 del tubo che circonda il bulbo. Con tale dispositivo si sarà procurata una sufficiente difesa dalla radiazione solare, provvedendo nello stesso tempo a una ventilazione del termometro, analogamente a quanto av- viene, per gli sferici (per cui il vento relativo è nullo), col termometro ad aspirazione Assmann. Siccome a chi naviga importa conoscere, oltre che la temperatura, anche la temperatura media, per non avere ad ogni momento la noia di calcolarla si potrà leggerla direttamente adattando attorno al tubo anzidetto un secondo tubo € mobile ad attrito sul primo tubo e munito di una finestra, per vedere il termometro, analoga a quella del primo tubo. Sull’orlo di tale finestra sia incisa una graduazione di una diecina di tratti i cui intervalli siano ciascuno lungo il doppio di quelli che rappresentano i gradi del termometro. Si porti al momento di partire lo zero di tale gra- duazione in corrispondenza dell’indice di mercurio. Se dopo esserci sollevati vedremo l'indice di mercurio in corrispondenza del tratto 8, vorrà dire che la temperatura media è quella di partenza meno 8°, operazione che si fa agevolmente a memoria, senza sforzo superiore a quello della semplice let-. tura del termometro: resta anche permanentemente segnata la temperatura di partenza e nulla impedisce di leggere la temperatura attuale. Misura della altezza. — La pressione indicata dal barometro fornisce, insieme con la temperatura media ora ottenuta, quanto basta per misurare l'altezza. Anche coi mezzi attuali si può procedere alla determinazione di questa: basterà, infatti, ricorrere a tabelle già calcolate e leggere l'altezza corrispondente alla pressione e alla temperatura indicata: e sottrarre poi l'altezza, corrispondente in dette tabelle alla pressione di partenza e alla stessa temperatura; ciò, però, può essere per certi motivi lungo ed incomodo; oppure, ciò che è equivalente, ricorrere a una rappresentazione grafica della formula stessa per dedurne l'altezza. E MRI o E Già in altra occasione indicaì un grafico utile per tale procedimento, ma voglio qui indicare una nuova forma da darsi all'altimetro per non dovere ricorrere a tabelle o a grafici. Come subito si comprende, la rappresenta- zione grafica più utile e di uso immediato della formula è quella in coordinate polari: l’indice dell’altimetro si muove dipendentemente dalle variazioni di pressione; se dunque sul quadrante dell’altimetro vi sarà una Fie. 2, — In questa figura (scala !/s) sono contrassegnate solo le curve di altezza 0.5, 1, 1.5, 2 Km. e non si possono distinguere chiaramente le indicazioni — 10°, — 59, 00, 5°, 10°, 15°, 20° che contradistinguono i cerchi concentrici di raggio via via più grande, di cui si parla nel testo. rappresentazione grafica della formula in coordinate polari ove si prenda per argomento la pressione, e per raggio vettore la temperatura media, l’ in- dice segnerà di per sè stesso la direzione del raggio vettore e una apposita graduazione in gradi, segnata sulla mostra stessa, permetterà di rintracciare sul quadrante l'altezza cercata. La figura seguente mostra appunto una tale rappre- sentazione grafica, e cioè la mostra di un altimetro, per altezze fino a 2 km., che offre, senz'alcun calcolo o alcuna consultazione di tabelle, l'altezza cer- cata. L'uso ne è semplicissimo: A è un indice che si porta al momento di partire sotto l'indice dell'altimetro e che, restando fermo, serve a rammen- tare la pressione di partenza (nella fignra 759 mm.): 7 è l'indice dell'al- BE timetro che durante il volo ha assunto, ad esempio, la posizione della figura (630 mm.) (*). Le curve segnate sulla mostra portano scritta un'altezza, e sono linee di uguale altezza della rappresentazione grafica sopra accennata. I cerchi concentrici, segnati sulla mostra, portano l'indicazione della tem- peratura corrispondente al loro raggio. Supponiamo pertanto che la tempera- tura media letta sul termometro sia —5°: l'altezza corrispondente alla pres- sione di partenza si trova sull'indice fisso A in corrispondenza del cerchio segnato col numero — 5°, ed è 11 m. L'altezza nel momento attuale è quella che contrassegna la curva di altezza che incrocia l'indice in corrispon- denza del cerchio segnato —5° ed è 1480 m. L’innalzamento effettuato è quindi 1469 m., differenza dei due numeri letti. L’innalzamento vero era di 1463 m. (vedi luogo citato). Con un altimetro comune (ad es. un altimetro Richard, scala del colon- nello Goulier) nel modo famigliare ai navigatori, sebbene errato, che consiste nel portare lo zero della graduazione altimetrica sotto l'indice al momento di partire, si sarebbe letto un innalzamento di 1573 m. con un errore di -+-110 m., errore che non è affatto trascurabile (7°/, dell'altezza). Si com- prende come fra una curva e l’altra della mostra sia necessaria una inter- polazione ad occhio, sempre facile nei limiti di precisione imposti dall'ap- parecchio. S'intende pure come tale altimetro e solo uno che abbia tali pro- prietà, s'impone quando l'altezza debba essere conosciuta con precisione, come pel tiro o per calcoli di rotta; per l'operazione di atterraggio esso può servire egualmente bene dell’altimetro comune. La tabella seguente contiene alcuni confronti che convinceranno mag- giormente di tutto ciò che si è detto. e e NL MS 7 A INIE= = CAS RS fa E pa DATA 25 na % S Saro Ml RENEE, Di Scene 2 8 Sc eos E E 5 RIS È a eee 2 < 2° È Li < L=] A A 15 luglio . . 1915 260 | 736.9| 5795) 2303 2320 | 2260) 2190/ 2255/+ 16.5 24 gennaio . 1916 | 260 | 749.1] 548.0| 2810 2813 | 2864) 2766) 2857|4+ 4.4 29 n. . 1916 260 | 744.4| 517.8| 3180 3200 | 3280) 8281) 3290|— 0.6 20 aprile. . 1917 | 260 | 738.8| 591.2| 2040 2070 | 2140) 2048| 2135|— 1.0 3 giugno. . 1909 77| 754 | 431 4710 4707 | 4639| 4554| 4734|4 88 9 dicembre 1909 | 77 | 754 | 418 4635 4642 | 4859| 4733| 4984|_ 94 7 luglio. . 1910 77,746 | 418 4725 4780 | 4767| 4692| 49024 0.8 13 agosto. . 1910 77 | 760 | 425 4820 4812 || 4799| 4712) 49184 42 4 gennaio . 1908 77 | 759 | 680 1540 1546 | 1647| 1627| 1647|— 5.0 11 » . 1909 Ti 758 595 1985 1990 2097| 2007] 2097|— 4.9 7 marzo. . 1912 750 | 592 1980 1977 || 2087) 1980) 2087|— 0.7 ERI ER) (1) I dati di questo esempio sono tolti dal lancio di pallone sonda del 4 gennaio 1908 a Pavia. Vedi Ann. dell'Uff. Centr. di Meteor., vol. 32, parte I Gli altri esempi sono tolti dai lanci pubblicati nei medesimi annali. SESIA JOSE Sono esempi tolti dai lanci di Vigna di Valle (260 m. sul livello del . mare) e di Pavia (77 m. s.1.d. m.); le colonne 3® e 4* contengono le pres- sioni osservate al suolo e all'altezza indicata nella colonna 5?, che pel modo come è stata calcolata, si può ritenere esatta. Nelle colonne 6%, 7, 8® e 9® sono contenute le altezze sul livello del mare che avrebbero fornito in quelle circostanze rispettivamente: l’altimetro sopra descritto in questa Nota (1); un altimetro Richard, scala del col. Goulier; un altimetro della fabbrica Agolini di Parma (ipotesi di temperatura media uguale a zero gradi a tutte ‘le altezze); un altimetro della fabbrica De Giglio di Torino (ipotesi iden- tica a quella Goulier fino a 3000 m.; non è facile indovinare l'ipotesi sulla temperatura ammessa per le altezze superiori). Nell'ultima colonna è contenuta la media delle temperature osservate al suolo e all'altezza indi- cata, nei singoli casi. Le considerazioni e gli esempi esposti nella Nota I e nella presente, mostrano: 1°) quale attendibilità possiamo ragionevolmente affidare ai dati di altezza forniti dai comuni altimetri; 2°) quale importanza abbia il tener conto della temperatura media attuale e quale errore induca una errata ipotesi sulla temperatnra stessa; 3°) come per la pratica della navigazione aerea possa essere suffi- ciente prendere per temperatura media la media delle temperature agli estremi dell'altezza da misurare; 4°) come, tenendo conto di tale temperatura, si possa immediatamente avere, con l'uso del nuovo altimetro sopra descritto, il valore dell'altezza in metri con approssimazione di circa un metro per cento. Botanica. — Primi risultati della seminagione del Caprifico (*). Nota di B. Lonco, presentata dal Socio R. PIROTTA. Com'è stato dimostrato dalle ricerche fatte in Italia dal Cavolini, dal Gasparrini e da me, non che da "quelle fatte in Francia dal Leclerc du Sablon, il Ficus Carica L. si presenta — tanto allo stato spontaneo che coltivato — sotto due forme: Fico e Caprifico. È stato anche dimostrato sperimentalmente — prima dal Gasparrini e poi dal Trabut — che seminando il Fico (cioè i frutticini dei /ornit:) si ottengono sia piante di Fico che piante di Caprifico. (*) Per le altezze superiori a 2 km. costruii un altro altimetro della forma indicata per altezze fino a 5 km. (*) Lavoro eseguito nel R. Orto Botanico di Pisa. ERI Ma che cosa si ottiene seminando il Caprifico (cioè quei rari frutticini che si trovano tra le galle dei suoi forniti)? Io ponevo il problema nel 1911 quando al Congresso di Roma dicevo: « ...Quando noi troviamo allo stato selvatico delle piante di Fichi e di Caprifichi non possiamo dire con sicurezza che esse abbiano origine tutte da semi di Fichi (selvatici o coltivati, caprificati naturalmente o arti- ficialmente); potrebbe anche darsi che qualcuna provenisse anche da semi di Caprifichi, e sarebbe interessante sperimentare ciò, vale a dire fare delle seminagioni di Caprifico per vedere se vengono fuori, ed in quali propor- zioni. le due forme — Caprifico e Fico » (1). E, allo scopo di rispondere al quesito, mi proposi di seminare semi (?) di Caprifico, sia d'individui spontanei che d’individui coltivati. . Infatti il 7 marzo 1912 seminai, in altrettanti vasetti, 16 semi di Caprifico selvatico, trovati nei /ornzii raccolti il 25 settembre 1911 sulle vecchie mura di Monteriggioni nel Senese. Ne germinarono 12, ma le pian- tine si mostrarono assai delicate durante il primo periodo del loro accresci- mento, tanto che ne sopravvissero soltanto sei. Le sei piantine superstiti, che, passato il primo periodo, crebbero poi rigogliose, furono nell’anno suc- cessivo messe in terra presso un muro, nella parte più riparata e calda dell'Orto Botanico di Siena, di cui ero allora Direttore. Inoltre, nelle vacanze estive del 1912, scrissi al prof. Enrico Carano pregandolo d'inviarmi, a suo tempo, da Gioia del Colle (Puglie), ove si pratica la caprificazione, dei forzzi7 maturi di Caprifico coltivato. Il 20 set- tembre egli m’inviava gentilmente diversi forniti, tra. le cui galle potei rintracciare 53 semi, che furono anch’essi seminati in altrettanti vasetti. Ne germinarono parecchi, ma, delle piantine ottenute, non ne sopravvissero che 15, che poi, dopo un anno, furono alla loro volta poste in terra nel- l'Orto Botanico di Siena. Tutte le piante continuarono a crescere bene, sotto forma arbustiva e con foglie chi più chi meno divise. Passato nel 1915 alla direzione dell'Orto Botanico di Pisa, allo scopo di continuare le osservazioni, provvidi a trasportare a Pisa le 21 piante, che feci trapiantare all'estremità dell'Orto, lungo il muro di cinta, all'an- golo tra la via Solferino e la via Galli Tassi, disponendone 3 lungo il muro di via Solferino e le rimanenti lungo il muro di via Galli Tassi. Le piante hanno mostrato, nel clima di Pisa, un accrescimento più vigoroso. Gl'individui più sviluppati, già fin dal 1916, avevano presentato l'abbozzo di qualche ricettacolo, che però abortì ben presto senza conti- nuare a svilupparsi. Nel 1917 poi, alcune delle piante hanno portato i (') B. Longo, Sul Ficus Carica, Ann. di Bot., vol. IX, fasc. 4°, 1911, pag. 426. (*) Uso la parola semi per semplicità, ma s'intende sempre frutticini. E rigettacoli, e precisamente cinque delle sei provenienti dai semi di Monte- riggioni e due delle quindici provenienti dai semi di Gioia del Colle. L'esame dei ricettacoli ha rivelato come Fichi rispettivamente un esemplare del primo gruppo e uno del secondo gruppo, e come Caprifichi tutti gli altri ('). Concludendo hanno dato piante di Fico e di Caprifico tanto î semi provenienti da Caprifico selvatico che quelli provenienti da Caprifico coltivato. Manca ancora la fioritura delle altre 14 piante, cioè dei due terzi delle piante sottoposte ad esperimento e di esse riferirò non appena avranno fio- rito, potendosi allora trarre qualche conclusione anche al riguardo della percentuale di piante di Fico e di Caprifico ottenute dalla seminagione. Resta in ogni modo fin da ora acquisito, in base ai risultati già otte- nuti, che la seminagione del Caprifico dà lo stesso risultato di quella del Fico: vale. a dire che da semi di Caprifico — analogamente come da semi di Fico — si ottengono tanto piante di Fico che di Caprifico (?). Fisiologia vegetale. — Sulla influenza diretta della linfa elaborata dal selvatico sul domestico, e sulla azione che soluzioni acide, direttamente assorbite, esercitano sulla pianta. Nota di C. CAMPBELL, presentata dal Socio R. PIROTTA. Dall’osservazione della maggiore resistenza normalmente dimostrata dalle piante selvatiche od inselvatichite verso gli ordinarî od eventuali paras- siti, in paragone alle coltivate, sorse l'ipotesi del prof. Comes che alla maggiore acidità dei succhi fosse dovuto tale diverso comportarsi delle piante selvatiche, in confronto alle coltivate della stessa specie. Enunciata l'ipotesi, lavori sperimentali di indagine analitica, e quindi diretta, furono condotti per controllarne il valore. Se nonchè non manca- rono spesso delle critiche in proposito; l'argomento adunque è ancora con- troverso; ma sussistendo la base dell'ipotesi, mi convinsi della utilità di studiare sperimentalmente la questione, sostituendo alla pura ricerca anali- tica, spesso malsicura, quella biologica. Dato il diverso chimismo dei succhi dei selvatici paragonati coi dome- stici della varietà o specie, e l'influenza che un diverso porta-innesto eser- (!) Incidentalmente fo rilevare che si sono rivelate Fico o Caprifico, sia piante a foglie molto divise, che piante a foglie poco divise; quindi la minore o maggiore pro- fondità dei lobi fogliari non ha valore sistematico — per poter, cioè, diagnosticare se si ha a che fare con piante di Fico o di Caprifico. (*) Così che quando truviamo delle piante di /icus Carica L. selvatiche (siano esse Fichi o Caprifichi) non possiamo dire se esse provengano da semi di Fico o di Caprifico. Certamente le probabilità maggiori sono per i semi di Fico, pel fatto che i semi nei forniti del Fico sono molto numerosi, mentre sono assai pochi quelli che si rinvengono nei forniti del Caprifico. RENDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 8 Sigle cita sul nesto, nella composizione chimica dei suoi succhi, pensai di com- piere l'operazione inversa, a quella normalmente praticata in albericoltura, innestando nella parte superiore di un domestico, un selvatico del genere o della specie, in maniera da esercitare nella pianta sottostante — domestica — l’inflnenza della linfa elaborata dal nesto soprastante — selvatico. E stavo studiando in questi termini Ja questione, quando il prof. Acqua illustrò il suo geniale metodo sperimentale ('), sull'assorbimento artificiale dei liquidi nelle piante, da farmene considerare tutta l’importanza nella questione, tentando l'assorbimento da parte della pianta di soluzioni pure di acidi organici diversi. Venni così ad avere due specie di prove; quella della influenza del diverso chimismo del selvatico sul domestico, a prescindere dalla sua even- tuale composizione da studiarsi separatamente, e quella della diretta influenza di soluzioni acide assorbite dalla pianta, e quindi dalla importanza reale o meno della acidità in generale, e particolarmente di uno od altro acido nei riguardi della ipotesi enunciata, ed in via più lata sulla azione biologica nell'organismo vegetale. À X* x x Azione esercitata dalla linfa elaborata da nesto selvatico sopra sog- getto domestico. — È questo il punto di partenza delle mie esperienze, che, contrariamente alla mia volontà, non ho potuto estendere come avrei voluto. Dette esperienze possono portare argomenti di un certo valore, intorno alla ipotesi del prof. Comes, essendo nota l'influenza che sulla composizione chimica dei succhi vegetali può essere reciprocamente esercitata dal nesto e dal soggetto. Non è stata data spesso nel passato la dovuta importanza all'influenza che poteva essere esercitata sul soggetto — specie se non ridotto al sem- plice sistema radicale — dalla linfa elaborata da un nesto con succhi a diversa composizione chimica; poichè la sola preoccupazione, è stata il più delle volte quella del prodotto che da un nesto poteva ottenersi con uno od altro porta-innesto, e quindi è stata principalmente considerata l’in- fluenza chimica, morfologica e biologica, che il diverso porta-innesto può indurre nel nesto. Apparsa l'ipotesi dei succhi acidi del prof. Comes, a me sorse subito l’idea di provarla sperimentalmente, innestando sulla parte superiore o late- rale di una pianta fruttifera di varietà gentile, un nesto tolto da pianta selvatica della specie o affine, che col gentile, funzionante da soggetto, avesse affinità. Supposi in tal caso che la linfa elaborata da tale nesto non poteva non esercitare la sua influenza sul domestico sottostante o laterale, e che (*) C. Acqua, Sull'assorbimento artificiale di liquidi nelle piante per mezzo delle parti aeree. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Roma 1914. EIA] (ESE quindi la sua maggiore eventuale acidità, avrebbe potuto aumentare la resi- stenza del soggetto verso i parassiti, sempre ammettendo giuste le idee del prof. Comes. i E la mia supposizione ha avuta sperimentalmente conferma, in quanto che, nel secondo o terzo anno dall'innesto, si rende palese l'influenza del nesto sul soggetto, col diverso colorito delle foglie del domestico, e con la maggiore resistenza sia verso la siccità sia verso alcuni parassiti. Eseguii esperienze varie, innestando in due casi sul pesco un pruno, probabilmente il marittimo, e in tre casi sul melo franco il selvatico. In tutti i casi si ebbe in paragone dei controlli: un più intenso colorito del fogliame (più spiccato nel pesco) sul soggetto, una evidente maggiore resi- stenza alla siccità ed anche a taluni parassiti (nel pesco all’Esvasco e nel melo all'Oidio). Esperienze di diretto assorbimento per mezzo delle parti aeree di soluzioni acide. — Ho sino ad ora studiata l'azione di soluzioni al 0,5 °/oo, 1°%/o e 2° di acido tartarico, citrico e malico: recenti esperienze (1917) con acido ossalico e tannico, mi sono state distrutte, prima che potessi rac- cogliere qualche utile indicazione. Volli ancora tentare (1917) soluzioni acide in soluzioni di saccarosio, per variare il potere osmotico delle soluzioni stesse, sia nei riguardi in parola, sia sotto altri aspetti che vado studiando. Esperienze del 1915. — A piante di pesco innestate sul franco, feci assorbire direttamente da un ramo laterale reciso, soluzioni al 0.5 °/so @ 1°/o di acido tartarico e citrico. Il ramo reciso con rasoio sotto acqua, venne posto immediatamente nella soluzione acida. Ogni varietà di pesco in doppio esemplare, — Carmau — Fitzgerald — « (colpito in modo eccezio- nale dall'Anuraphis persicae Bog.) » M°. Girerd — Grwford late —, ha avuto il suo controllo. Si è verificato subito un forte assorbimento di liquido, che nelle prime 24 ore è arrivato a 200 cent. cubici. La soluzione venne rinnovata. L'assor- bimnento cessò però nel secondo giorno d’esperimento; le foglie da un bel verde diventarono giallastre. nel ramo reciso, e un poco meno in qualche laterale. Nel ramo direttamente assorbente, dopo qualche giorno sì ebbe la prova della morte, col disseccamento delle foglie e del ramo stesso; sparì invece l’ingiallimento delle foglie nei rami laterali. Meno tali fenomeni, nessuna azione palese nella pianta in paragone al controllo, sino al cadere delle foglie nell’autunno. Esperienze del 1916. — Oltre al ripetere le esperienze del 1915, con soluzioni di acido tartarico e citrico, feci nuove esperienze sui peschi, con soluzioni di acido malico al 0,5 °/so € 1 °/oo, estendendole ad una piantina di melo franco di piede, in confronto con piantine selvatiche, raccolte in boschi naturali; le prime fortemente colpite da Mizoxzlus laniger Haus. HAS Sulla pianta di pesco Fitzgerald fortemente colpita da Anuraphis persicae ho ripetuto il trattamento, sostituendo l’acido malico all'acido citrico. Come nel 1915, si è verificato subito un forte assorbimento del liquido, molto più sollecito nella pianta di melo, l' ingiallimento delle foglie, a cui è seguito il disseccamento delle stesse sul ramo assorbente, e la morte dello stesso. i : Nessuna sensibile e sicura differenza nelle piante trattate di fronte ai controlli, sino al cadere delle foglie nel tardo autunno. Esperienze del 1917. — Continuazione delle precedenti, in più con acido malico al 2°/6 e di acido tartarico e citrico al 5 °/,0 in soluzione di sac- carosio al 5 °/o. In queste esperienze per semplicità non fu sperimentata la soluzione semplice di saccarosio. Notati gli stessi fenomeni precedenti nelle soluzioni acide semplici. Un più esteso ingiallimento delle foglie nei rametti laterali; con la soluzione acida in soluzione di saccarosio, assorbimento più lento e più diffuso della soluzione, manifestata dal più esteso ingiallimento delle foglie nei rami laterali, dovuto indubbiamente al diverso valore osmotico della soluzione stessa. Nella primavera 1917, si sono però resi palesi diversi fatti, che ulte- riormente confermati, renderebbero palese l'importanza di tali ricerche e l'utilità di estenderle. Nella piantina di melo ed in quella di pesco Fitzgerald, che nel 1916 avevano assorbita la soluzione di acido malico all’1 °/; si sono notate delle differenze, di fronte alle piante controllo, da non potere sfuggire, e cioè nella pianta di melo quasi totalmente scomparsa l'infezione di Mizorilus laniger, un maggiore sviluppo delle foglie apicali e di un verde più intenso. L'infezione di Podosphaera leucotrica El. Ev. nella sua forma conidica di Oîdium farinosum Cootre da cui furono colpite tutte le altre piante franche, ha lasciata immune la pianta in parola, e quelle selvatiche. Però il bel verde delle foglie apicali è andato sparendo nell'estate, con il riapparire della infezione di M/izoxzlus laniger. Come nelle altre piante franche senza alcun trattamento. nell'estate si verificarono altre infezioni di insetti, da cui sono rimaste immuni le sole piante selva- tiche. Delle due piante di pesco della varietà « Fitzgerald » colpite in modo notevole dagli afidi, e per tale causa molto deperite e con numerosi rametti secchi, la pianta prima in migliori condizioni, senza alcun trattamento. tenuta come controllo, nella estate è morta, mentre quella peggiore più colpita da afidi, trattata nel 1915 con acido citrico. e acido malico, nil 1966, è vis- suta, non sclo, ma con un colorito verde delle foglie, più intenso della pianta controllo, prima della morte, e delle piante vicine di altre varietà, pur per- manendo l'infezione di afidi zag = Non è lecito da un primo contributo, trarre delle conclusioni, che nuove e più estese ricerche, se forse non potranno distruggere, potranno modificare; ma è giusto e utile affermare l’importanza di estenderle sulla via tracciata, per la risoluzione dei problemi enunciati. I due metodi sperimentali, se hanno comune lo scopo, hanno però diversa importanza, e diversa difficoltà offrono in pratica, in quanto mentre l’ innesto, potrà trovare anche un'utile applicazione pratica, ed essere senza difficoltà adottata dal coltivatore, il diretto assorbimento resta un metodo sperimentale rigoroso e importantissimo di indagine che spetta prevalentemente a ricerche di laboratorio. Innestando la parte superiore di un soggetto gentile, con nesto sel- vatico a diverso chimismo (più acido), non sarà difficile dopo uno o due anni, determinare le modificazioni indotte dal nesto, confrontando le reazioni chimiche o microchimiche del selvatico, del domestico non innestato, e di quello innestato. che abbia subìto l’ influenza del selvatico, e paragonando la diversa resistenza ai parassiti, anche a mezzo di infezioni artificiali. Sarà utile risperimentare l'influenza di un nesto di vite americana sopra soggetto europeo, sui riguardi della resistenza fillosserica, e stabilire nella stessa il valore del mutato chimismo, ed estendere le esperienze sul diretto assorbimento di liquidi. Il non trovarmi in regione fillosserata, ha resa impossibile una tale esperienza, che ritengo riuscirebbe quanto mai istruttiva. Col metodo del diretto assorbimento di soluzioni acide, che si presta a rigorose e più complesse ricerche, è di necessità più delicato il lavoro di ricerca per seguire l'acido nel sno passaggio nei tessuti vegetali, e deter- minare le modificazioni chimiche e morfologiche che esso può indurvi in generale; e più specialmente nei riguardi della resistenza a dati parassiti. È notevole l’azione negativa del primo momento, in cui si manifesta l’azione tossica dell'acido, ed a cui sembra seguire nel successivo anno una azione benetica e palese. Ma più estese esperienze dovranno meglio illumi- narci in proposito. I risultati fin qui ottenuti sono però più che incoraggianti a proseguire nelle ricerche, con acidi diversi, a varie concentrazioni, e in periodi diversi della vegetazione, il che appunto io mi propongo di fare nelle nuove ricerche che saranno quanto prima intraprese. RTLA Patologia. — Sul possibile passaggio dei tripanosomi nel latte (*). Nota del prof. dott. ALESSANDRO LANFRANCHI, presentata dal Socio B. GRassI. In una precedente Nota (?), su questo argomento, avvertivo che mi limi- tavo a riferire i risultati ottenuti esperimentando sui cani, e, in base ai risultati ottenuti, concludevo: i: a) come sia possibile il passaggio nel latte, dei tripanosomi B7rucey, rodesiense, gambiense; 5) come sia possibile, per i virus Brucey e gambiense, trasmettere l'infezione ai neonati, mediante l'allattamento. Dopo tale pubblicazione, una sola osservazione in merito — che sia a mia conoscenza — è stata resa nota, per opera di H. Velu e R. Eyrand (5), i quali riportano, come una cagna infetta col virus dei cavalli del Marocco, ha trasmessa la malattia ad uno dei suoi piccoli. Nella presente Nota, riporto i risultati ottenuti, con le ricerche eseguite su altre specie animali, con l’impiego dei nirus Brucey, rodesiense, Evansi, gambiense, Lanfranchi: virus tutti favoritimi dal prof. Mesnil dell’ Istituto Pasteur di Parigi, che ancora una volta ringrazio, dei quali ho fatto cenno in precedenti lavori. + xx Le ricerche ebbero il triplice scopo: a) di rilevare se i piccoli, lasciati alla mammella, si infettavano; b) se era possibile la dimostrazione dei tripanosomi con l’esame diretto del latte; c) se il latte era infettante, mediante l’'inoculazione di esso, nel peritoneo dei ratti o dei topolini. RICERCHE COL VIRUS NAGANA. Ratto 1. — Ad una femmina, che ha partorito cinque piccoli, il 24 aprile 1914, si inocula il giorno stesso, nel peritoneo 1 cm5. di soluzione tipo, secondo Laveran e Mesnil. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Patologia e Clinica medica veterinaria nella Regia Università di Bologna. Le ricerche eseguite nel 1917 furono compiute con mezzi concessi all'Istituto dalla Direzione di Sanità pubblica. (*) A. Lanfranchi, Sul possibile passaggio dei tripanosomi nel latte. Rend. della R. Accademia dei Lincei Ciasse di Scienze fisiche, matematiche e naturali, 1916, pag. 869. (*) H. Velu et R. Eyraud, 7rypanosomiase de chevau du Maroc. Infestation d'un feune chien par l’allaitement, Bull. de la Société de Pathol. éxotique. Séance 11 octobre 1916, pag. 567. I tripanosomi comparvero il 26, andarono gradatamente aumentando, e l’animale fu trovato morto il 30 mattina. Non fu possibile raccogliere il latte. Il 2 maggio, si trovano morti tre piccoli; la poltiglia ottenuta dal sangue, organi interni, come quella degli altri due, appositamente sacrificati, inocu- lata nel peritoneo dei topolini, non dà luogo all’infezione. Patto 2. — Ad una femmina che ha partorito quattro piccoli il 25 maggio 1914, il giorno stesso, eguale inoculazione di 1 cm#; ì piccoli vengono separati. I tripanosomi comparvero il 27, aumentarono gradatamente, il 830 mat- tina l’animale morì. Risultati negativi, dei diversi esami fatti sul latte, pre- levato nei giorni 27 e 28. Ratto 3. — Ad un soggetto che ha partorito sette piccoli il 21 marzo 1915, si inocula sotto cute 1 cm? soluzione. I tripanosomi comparvero il 27, aumen- tarono gradatamente, l’animale morì il 4 aprile. Solo il latte, prelevato il 1 aprile, si dimostrò infettante, con l'inoculazione nel topolino. Cavia. — Una cavia, inoculata sotto cute il 9 marzo 1914, partorì il 22 due caviotti; venne a morte il 3 aprile. Tutte le ricerche sul latte furono negative. I due caviotti non si infettarono. RICERCHE COL VIRUS RODESIENSE. Ratto 1. — Una femmina inoculata sotto cute, il 3 marzo 1914, par- torisce il 6 un solo piccolo, rispondentemente alla comparsa tripanosomi:; nel pomeriggio del 9 viene a morte. Tutte le ricerche, negative. Ratto 2. — Il giorno 11 maggio 1915, sì inocula nel peritoneo con 1 cm? soluzione, una femmina che ha partorito quattro piccoli. I tripanosomi comparvero il 13, aumentarono fino al 18, giorno della morte. Tutte le ricerche, negative. Cavia. — Il 12 maggio 1914, ad una cavia gravida, si è inoculato sotto la cute, 2 cm? soluzione. Il 18 tripanosomi rarissimi, e partorisce i caviotti. L'animale viene a morte il 7 giugno. Tutte le ricerche. negative. RICERCHE COL VIRUS DELLA SURRA. Ratto 1. — Ad una femmina che ha partorito cinque piccoli, il 25 maggio 1914, si inocula 1 ecm? soluzione sotto la cute. I tripanosomi comparvero il 28; la mattina del 4 giugno si trova morto l'animale. Solo il latte pre- levato il 31, infettò i topolini. Dei cinque nati, nessuno infetto. Ratto 2. — Il 6 aprile 1915, inoculazione di un animale che ha par- torito sei piccoli. I tripanosomi comparvero il 10; morte dell’animale il 13. Tutte le ricerche, negative. Cavia. — Il 24 aprile 1915, una cavia gravida, si inocula sotto cute con 2 cm3 soluzione. Il giorno dopo, la cavia, partorisce tre piccoli. I tripanosomi comparvero il 27; il 19 maggio, l’animale muore; solo il latte prelevato il 3 (tripanosomi numerosi in circolo), infettò i topolini, mediante inoculazione nel peritoneo. I caviotti non si infettarono. — 64 — RICERCHE COL VIRUS GAMBIENSE. Ratto 1. — Il 28 aprile 1914, ad una femmina che ha partorito cinque piccoli, si inocula nel peritoneo 1 cm? soluzione. I tripanosomi comparvero il 4 maggio. L'animale venne a morte dopo 43 giorni. Ricerche, tutte negative. Ratto 2. — Ad una femmina gravida, si inocula sotto la cute, 1 cm* soluzione l' 8 novembre 1914. I tripanosomi comparvero il 10, e l’animale partorì tre piccoli; venne a morte il 14. Ricerche, tutte negative. Cavia. — Il 15 aprile 1914, ad una cavia gravida, inoculazione sotto la cute di 2 cm? soluzione. Il 21 presenta i tripanosomi; il 22 partorisce due piccoli. Il 18 maggio morte dell'animale. Ricerche, tutte negative. RICERCHE COL VIRUS LANFRANCHII, Ratto 1. — Il 17 aprile 1915, ad un animale gravido, si inocula sottuv la cute, 1 cm? soluzione (virus 1°) (1). I tripanosomi comparvero il 22; il 25, l’animale partorì cinque piccoli; il 28 e mattina fu trovato morto. Ricerche, tutte negative. Ratto 2. — Il 16 maggio 1917, ad una femmina, che ha partorito il giorno antecedente sette piccoli, si inocula sotto la cute 1 cm? di soluzione (virus 1°). I tripanosomi comparvero il 20; aumentarono gradatamente; il 24 mattina, si trova morto l’animale. Delle varie ricerche, positiva quella della prova d'inoculazione del latte del giorno 21, nel peritoneo dei topolini. Cavia 1. — Nel pomeriggio del 29 maggio 1917, ad una cavia che nella notte ha partorito quattro piccoli; si inoculano 2 cm? soluzione, nel peritoneo (virus 1°). 1 tripanosomi comparvero il 13. giugno; l’animale venne a morte il 30. Ricerche, tutte negative. Cavia 2. — Il 1° giugno 1917, ad una cavia che nella notte ha par- torito quattro piccoli, si inoculano nel peritoneo 2 cm? soluzione (virus 2°). I tripanosomi comparvero l’11; il 20 mattina si trova morto l’animale. Ricerche sul latte, tutte negative. Il 24 però, si trova morto un caviotto; l’inoculazione nei ratti, del materiale ottenuto riducendo in poltiglia, sangue, organi interni, diede esito positivo. Il 1° luglio, vennero a morte altri due ca- viotti, ma per ragioni indipendenti dalla volontà, non si poterono eseguire ricerche di controllo per stabilire la causa della morte. Il quarto caviotto, non si presentò mai infetto. Gatto. — Il 19 marzo 1917, ad una gatta, che ha partorito un piccolo da alcuni giorni, si inoculano nel peritoneo, 2 cm? di soluzione tipo (virus 1°). Temperatura precedente l'iniezione, 38,3. (') Chiamo virus 1° quello che fu isolato nel 1912 dal prof. Mesnil, quando mi tro- vavo degente all'Ospedale Pasteur; virus 2° quello che io isolaì sul finire del 1914, in occasione di una grave ricaduta. POI Il 20, tripanosomi assenti, temp. 39; il 21, tripanosomi rarissimi, temp. 39,2; il 22 tripanosomi rari, temp. 39,5; il 23, tripanosomi rarissimi, temp. 89; il 24, tripanosomi assenti, temp. 38,8; viene a morte il gattino; il 25, tripanosomi assenti, temp. 39. La gatta è divenuta tanto cattiva, che non è più possibile esaminarla. Ricerche fatte sul latte, prelevato nei giorni 21, 22 e 23, negative. Il giorno 24, l’animale non aveva più latte. Risultati della inoculazione, nel peritoneo dei ratti, della poltiglia; sangue, organi interni del gattino, negativi. La gattina venne a morte il 2 aprile, e le ricerche di controllo dimo- strarono come essa fosse infetta. — Cavallo. — I 19 giugno 1917, si inoculano, sotto la cute, 5 cm? virus 2°, ad una cavalla baia, fuori d’età, in scadenti condizioni di nutri- zione, detto animale, pur non sapendosi quando abbia partorito, nè da quando abbia cessato di allattare il puledro, presenta secrezione lattea, in discreta quantità. I parassiti comparvero in circolo il giorno 25, si mantennero costanti fino alla morte dell'animale. Per il loro quantitativo in circolo e per l’an- damento della temperatura (vedi figura). Per quanto, fino dal giorno 26, la secrezione lattea andasse diminuendo, pure fu possibile compiere le dovute ricerche, fino all'11 luglio. RENDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 9 ST E I tripanosomi furono rilevabili, rarissimi, all'esame microscopico, solo nei giorni 27 giugno e 1 luglio. Dei ratti si infettarono quelli, inoculati nei giorni 27, 28, 29 e 30 giugno; 6, 7 e 11 luglio. * x x Dall'esame dei risultati ottenuti si rileva, come per tre dei virus ado- perati (Brucey, Evansi, Lanfranchi) si è dimostrata la possibilità del loro passaggio nel latte. Per il solo virus Zanfranchii, si è verificata, in una cavia, la possi- bilità della infezione dei piccoli lasciati alla mammella. Per lo stesso vzrus, si è dimostrata, nel cavallo, la possibilità della messa in evidenza dei tripanosomi, con l'esame diretto del latte al microscopio. In tutti gli altri casi, la dimostrazione dei tripanosomi, è dovuta alla inoculazione del latte in animali di prova. Avuto riguardo alle diverse specie di animali, tale possibilità esiste: sui ratti, per i virus Brucey, Evansi, Lanfranchii ; nelle cavie, per i virus Evansi è Lanfranchii; per quest'ultimo virus, unico esperimentato anche nel cavallo. Di fronte al valore dei risultati positivi, molto relativo è — in senso lato — quello dei risultati negativi, in quanto non si può escludere che esperimenti eseguiti su di un maggior numero di animali, potessero portare a risultati diversi. CONCLUDENDO: Dai risultati delle presenti ricerche resta dimostrato: a) come sia possibile il passaggio, nel latte dei ratti, dei tripanosomi Brucey, Evansi, Lanfranchîii; b) come sia possibile il passaggio, nel latte delle cavie, dei tripa- nosomi Evansi e Lanfranehti; c) come sia possibile il passaggio, nel latte dei cavalli, del tripano- soma Lanfranchi; d) come sia possibile, per il virus Zanfranchii, trasmettere l’ infe- zione ai neonati delle cavie, mediante l'allattamento. go Per le speciali condizioni di alcuni degli animali; adoperati nelle pre- senti ricerche, viene, ancora una volta, confermato il fatto, si-può dire unani- ‘memente ammesso, che i tripanosomi in genere, non passano dalla madre al feto. Laveran e Mesnil, Chaiissat, Lewis, Lingard, Rabinowtch e Kemper; hanno ciò rilevato per il Zewisî; Massaglia per il tripanosoma Brucey e pi Rata Lr Evansi; Nattan e Larrier per l’Evansi, Brucey, congolense, soudanense e gambiense. Il solo esempio di passaggio dalla madre al feto, riportato da Sivori e Leclere, in una cavia, nata da madre infetta di caderas, che mostrò, tin dalla nascita, dei tripanosomi nel sangue, ha un valore molto relativo, poichè con ragione, fa osservare il Mesnil, come l'utero della madre contenesse un feto morto. Meccanica. — Sopra è movimento di rotazione diurna della Terra. Nota II di A. ANTONIAZZI, presentata dal Socio T. LEVI- CIVITA. EQUAZIONI DEL MOVIMENTO E LORO INTEGRAZIONE. Il sistema di coordinate, rispetto al quale abbiamo determinato il momento delle forze, ha l’asse 2 in coincidenza con l’asse di figura della Terra e il piano zy passante per il punto S, perciò l'orientamento di questo piano è dato dalla ascensione retta « dell’astro, contata a partire da un punto fisso dell'equatore, e il detto piano ruota intorno all'asse 4 con velo- cità data da de, Se dunque si indicano con pg» le velocità di rotazione d della Terra intorno agli assi, saranno p g = le velocità di rotazione del sistema di assi. Pertanto le equazioni (3) divengono a DL nea) Ag t (CoA di Ibi CIARA (4) ira a) e =0 dt La terza dà n= costante. » Per integrare le due prime equazioni si ponga da prima P=0 esi sostituiscano in luogo degli assi 2 y gli altri due assi 4,71 fissi nel piano dell'equatore, dirigendo l’asse x, al punto di origine delle ascensioni rette. Se si indicano con p,9, le velocità di rotazione intorno agli assi 21%, dalle (4) si deducono le equazioni di € pui 1 atarm=0 SAGRE dalle quali d° q CE dro ili che si integra in maniera nota e dà 0, C qi=, sen nl + noc08—nÉÎ da ] TR DR n essendo 7, ed 7, due costanti d'integrazione. Risulta poi ) C pi=% cos nt na sen nt. Pi 1 Ta 2 N Per passare da questi valori ai valori cercati pg basta notare che gli assi 2y sono ruotati rispetto ad x,y,, nel verso positivo, dell'angolo @, perciò sarà p=p.c08a+ q, sen a q=@ 008 — p, sen a. Per conseguenza, posto (5) Sat—a=t risulta \ p==,C08t — 13 Sent (6) | g=n sent + ny cost = e si verifica che queste due espressioni costituiscono un integrale completo delle due prime equazioni differenziali (4) nelle quali sia supposto P= 0. Il metodo della variazione delle costanti arbitrarie ci darà l'integrale nella ipotesi che P sia funzione di # non sempre nulla. Se nelle due prime equa- zioni (4) si sostituiscono i valori di 7 e g dati dalle (6), nelle quali si ritengano #,%, funzioni del tempo, risulta SEA A ER dt Ut A di; + cos: =0 da cui da, P duo print COS 7 Von 7 500 i Rimesso in luogo di # il suo valore (5), se si sviluppano seno e coseno -® 3 i P ì 3 P e sì integra per parti considerando A 009 è rispettivamente A Sena Toi ue x 369 come fattore finito, si trova E 1 C sl cos a) n= — $ — — |sen — d ni Cn sent RE, sen A nt du dt + 1 Ki d(Psen a) + feos i ne 7 Alia p 1 f (0) EP cos a) Di ina S — N Cc — No Cn COS T Cn COS 1 n di 1 GC. DULHI d(Psen a) —G]89 (A Re pe ea ell essendo %,%, due costanti d'integrazione. È facile convincersi fin d'ora che i quattro integrali dei secondi membri portano soltanto piccoli termini di correzione. Si noti anzitutto che tenuto conto della espressione trovata per P (Nota I) può porsi B a I (7) Ga 47 801 29, essendo x una costante, a il semigrand'asse dell'orbita, 7 la distanza geo- centrica e d la declinazione dell’astro. Pertanto, le due quantità P cos a, P sen a dipendono soltanto dalla posizione del punto S e possono esprimersi in funzione degli elementi dell'orbita di quel’punto e del tempo, perciò le derivate di quelle due quantità sono somme di termini, ciascuno dei quali contiene un fattore, che sarà o il moto del corpo nella sua orbita o la va- riazione di un elemento dell'orbita. Nella successiva integrazione comparirà invece un divisore dell’ordine di grandezza di 7 cioè della velocità della rotazione diurna della Terra, e quindi assai più grande del corrispondente moltiplicatore. Per questo motivo è lecito semplificare il calcolo dei quattro integrali supponendo (soltanto per il detto calcolo) che il punto $ si muova intorno alla Terra su un'orbita circolare per cui rimangono costanti il moto geocentrico w sull'orbita e la distanza geocentrica 7 = @, nel quale caso il secondo membro della (7) si riduce al prodotto x sen 20. Introducendo quest’ ultima espressione nei quattro integrali, compari- ranno insieme la declinazione vera attuale d dell'astro (2) e la differenza @3 di ascensione retta contata a partire da un punto fisso dell'equatore. Se, per uniformità, anche per @ si vuol porre la vera ascensione retta attuale dell’astro, si dovrà allora al de togliere la variazione dipendente dalla pre- (?) La deviazione dell’asse istantaneo di rotazione dall'asse d’inerzia è affatto tra- scurabile per quanto riguarda la misura di d RZ) cessione pa in ascensione retta, per cui, ad esempio, in luogo del primo inte grale si avrebbe 3, sen È nt Mo e) dt + |sen Ù nt.Psena Di Ma è da notare che la precessione in ascensione retta è di 46”, il moto corrispondente diviso (in seguito all'integrazione) per una quantità dell'or- i dine di grandezza di x porta un fattore così piccolo da rendere assoluta- mente trascurabile l’ultimo integrale, per cui nelle espressioni di x, e di xs possiamo ritenere che @ e d rappresentino l’ascensione retta e la declinazione attuali dell’astro. Possiamo dunque assumere come elementi di riferimento l’eclittica e l’equinozio attuali e allora, essendo « l'obliquità dell'eclittica, 48 la longi- tudine e la latitudine dell’astro, avremo \ send = senf cose + cos f sene sen 4 (8) " cosdcosa= cosf cosà cosò sen a = — sen f sense + cos 8 cos e send. Indichiamo ancora con / la longitudine dell’astro nella sua orbita, con 2 ‘ la longitudine del nodo, con < la inclinazione dell’orbita sulla eclittica e allora, considerando il triangolo formato dai circoli massimi dell'eclittica e dell'orbita e dal circolo di latitudine dell’astro si ha \ cos(/ — L)= cos # cos(A — 2) (9) © sen(f — £)cosg = cos f sen(A— £2) sen(/— £2)senz=senf dalle quali si ricava (sommando le due prime moltiplicate rispettivamente per cos e per —sen £, ecc.) cos 8 cosà = cos(/ — £) cos £ — sen(/— £) sen £ cos ? cos 8 sen À = cos(/ — 2) sen £ + sen(/ — 2) cos £ cos? sen8 =sen(/— £)senz. Combinando queste espressioni con le (8) potremo osservare che, avendo trascurata l’eccentricità dell'orbita (nel caso della Luna questa è circa 0,05), è ragionevole trascurare anche i prodotti senz sen e , senz cos # (per la Luna senz = 0.08 circa) e allora (posto cosîé = 1— 2 sen° 4 7) risulta send = sene sen/ + - - + cosd cosa = cos/ + - - - cosò sena = cose sen/ + - - - e per conseguenza sen 20 cosa = sene sen 2/4. -- sen ?2dsena= sense cose(1 — cos 2/) +... er gr I secondi membri di queste equazioni vanno sostituiti nei quattro inte- grali che entrano a comporre le espressioni di x, ed n,, mentre per i primi termini di quelle espressioni si dovrà tener conto della (7). A integrazioni eseguite risulta o 2xp sen £ C Ni = x sen29 sent + TEL SME cost ts cos( Cul — 21)+ ni 2 = u A CETTE: SA e cos( nt + 21) ARSA CA i A n Ul + 4 dh 2a pi sen & C ne = x — Sen 20 cost — — cos° 1 a senf{- nt — 21) — i È C i A A 2x | sen € G sen’ +e sen( 2 n(+22) +-+ pt e quindi dalle (6) 2x 4 sen € cn—2u 2xu sen & 3 ca+27 ad = —— 0), ma che il metodo può applicarsi con poche modificazioni anche alla ricerca degli urti passati. La mancanza di spazio c impedisce però di sviluppare questo argomento. 14. Termineremo questa Nota cercando di ricollegare il presente risul- tato, con altri relativi allo stesso problema ed ormai divenuti classici. È noto che il Painlevé (op. cit.) affermò che per l’esistenza dell’ urto dovevano verificarsi due condizioni analitiche distinte, senza però dare ulte- “riori particolari. Nel 1903 il prof. Levi-Civita (*) studiando il problema ristretto dei tre corpi costruì una relazione analitica uniforme, caratteristica sia degli urti passati (eiezioni) che dei futuri (collisioni) e pervenne anche ad un nuovo integrale, diverso da quello dell'energia. Più tardi il Bisconcini (*) costruì le due condizioni del Painlevé nel caso generale, ammettendo che nelle vicinanze dell'urto di C, con C, la velocità angolare del raggio vet- tore C, C. restasse finita: ciò che fu dimostrato vero dal Sundman. Ora in una prossima Nota io spero di poter mostrare che, nel caso ge- nerale, le due condizioni del Painlevé possono ricavarsi dall'esistenza di un limite finito per l’espressione che abbiamo ottenuta. Nel caso del problema ristretto vedremo che una di queste condizioni si riduce ad un'identità, restando quindi per gli urti l’unica condizione del Levi-Civita. (*) Cfr. Levi-Civita, Trasettorie ed urti nel problema ristretto dei tre corpi (Ann. di Mat., 1903); id. id., Sur la résolution qualitative du problème restreint des trois corps (Acta Math., n. 4). (*) Sur le problème des trois corps (Acta Math., 1804). ReNDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 13 tig e Matematica. — Differenziali esatti. Nota di C. BurALI-FORTI, presentata dal Corrispondente R. MARcOLONGO. Nell'A. V. G. [Analyse vectorielle générale, di C. Burali-Forti et R. Marcolongo, Pavia, Mattei], vol. I, pag. 118 sono ottenute, con tre pro- cedimenti diversi, sebbene simili, le condizioni affinchè le espressioni diffe- renziali adP , u\dP , uX&P (con @ omografia ed u vettore funzioni del punto P che varia in un campo a tre dimensioni) siano differenziali esatti in tutto il campo. Tali condizioni, insieme ad altre, possono tutte essere facilmente ridotte ad una sola; quella che deve esser soddisfatta affinchè adu sia differenziale esatto in tutto il campo in cui varia P (campo a tre dimensioni). Ciò ottengo mediante la riduzione di una notevole espressione vettoriale alternata (n. 1). Inoltre, tenendo conto della recente ed importante introduzione, fatta da P. Burgatti e R. Marcolongo, degli operatori diffe- renziali d/dP , div, rot, grad , Rot , A, A' su di una superficie (*) trovo pure la condizione necessaria e sufficiente affinchè l’espressione diffe- renziale «du, e tutte le altre che: ne derivano, sia differenziale esatto quando ? varia su di una superficie o. 1. Se a, sono omografie funzioni del punto P, allora, qualunque stano î vettori X,Y, costanti 0 funzioni di P si ha sempre da la (1) 3 XBY— gp Y-Px=]K Rot K(a8) — a K Rot K8}(x/\y}). Essendo a vettore arbitrario indipendente da P, costante, si ha, suc- cessivamente, Agg note regole esposte in A. V. G. (2), da | dKa dKa i So nie eprenzi (oevo (B da) dKea) __oyi _d(Koa)) A yXKB- gp a XXE8 0g y= VIA ip XAP)= [{Rot(K£ - Ke) — Rot K£. Kafa]X(xAy)= a X{K Rot K(a8) — a- K Rot KB}(x /\y) che per l'arbitrarietà di a dimostra la (1) (?). (') P. Burgatti, / teoremi del gradiente, della divergenza,... Mem. della R. Acc. delle Scienze di Bologna, ser. VII, tomo IV; R. Marcolongo, Su alcuni operatori super- ficiali, Rend. R. Accad. dei Lincei, vol. 0a ser. 59, 2° sem. 1917, pag. 2689 e segg. (*) Cfr. anche, A. Pensa, Alcuni operatori differenziali omografici, Atti R. Acc. di Torino, vol. XLVIII (1912). (*) Introducendo l'operatore binario S di M. Pieri [A. V. G., vol. I, pag. 95] il primo membro della (1) assume la forma S(a,py)x — S(e,fx)Y. Se nella (1) al posto di @ si pone l'omografia assiale uA si ha la formula mosonele (fe x)(u/y) — (5 y)u/\x)= (di n H(u, grado) (XAY). Prati ar gone 2. In tutto ciò che segue @ è omografia ed u,v sono vettori, funzioni del punto P che varia, o in uno spazio (continuo, ecc.) a tre dimensioni, ovvero in una superficie o la cui normale nel punto generico P è parallela al vettore unitario N che è pure funzione di P. Affinchè l’espressione differenziale (2) a du sia differenziale esatto in tutto il campo è necessario e sufficiente che : n) (2) Rob K(e-7)=0, 0VVErO "” \ - du ) pr & 2") ) K Rot, K (@ (2) )N-o, secondo che P varia nel campo a tre dimensioni 0 nella superficie o . Per d,d spostamenti arbitrarî di P si ha dalla (1) e da A. V. G., vol. I, pag. 85, [6]. d(adu) — d(e du) = da - da — da - du du du da du SI È du \ } —}K RotK (« . Si) | (@PA9P). dP | Ora: adu è differenziale esatto solamente quando, per d,d spostamenti arbitrarî il primo membro della formula precedente è 7u//0; sarà nullo anche l’ultimo e per P variabile nel campo a tre dimensioni varrà la (2’) poichè A PAdP è vettore arbitrario. È facile dimostrare che: sutte le formule di A. G. V. che contengono gli operatori differenziali d/dP, div, rot , grad, Rot, A, A’, ma NoN î loro prodotti, valgono inalterate per î medesimi operatori con l'indice 0, cioè sulla superficie. Ciò posto valgono pure su o (cioè per dP e dP nor- mali ad N) le eguaglianze precedenti e l'ultimo membro dà la (2°) poichè dPNOP è vettore parallelo ad N. 3. Del teorema ora dimostrato è importante conseguenza il seguente: L'espressione differenziale (8) vXlu è un differenziale esatto in tutto îl campo solamente quando È du (3) rt (K73v)=0, ovvero #) Nxcrote (K(£1) e)=c = lc secondo che P varia in un campo a tre dimensioni o sulla super- ficie 0. Qualunque sia il vettore costante a, è evidente che vXdu è differen- ziale esatto solamente quando è tale vXdu-a=H(v,a)du. Siamo così ridotti al caso del n. 1 con a=H(v,a). Ma da A. V. G., vol. I, pag. 84, [8] si ha subito du } Roi NNCALO Si |K Rot K}H(v,a) Ti |(4PA9P) a | E Rot K H ( A a) | (APA6P)= AE: Di roi (16° va) @2AaPI ict (KE va) Hirt(Kpvoa ((aPA0P)= vot (KS, v.a)x (dPAdP)-a il che dimostra, per la (2'), la (3') poichè a, dZPAdP sono vettori arbitrarî. Dimostra pure (cfr. n. 2) la (8”) poichè a è arbitrario e APNdP è paral- lelo ad N. & 4. Dal teorema del n. 3 risultano pure le condizioni affinchè vAdu , vAadu , a(vA du) siano differenziali esatti bastando sostituire ad «, rispettivamente, le omo- grafie V\ . V\Aa , a- VA. Dal teorema del n. 2 risulta pure la condizione affinchè vXedu sia differenziale esatto poichè vXadu=(Kav)Xdu e basta quindi sostituire Kav a v. Se nei teoremi del n. 2 e n. 3, e in quelli ora considerati, si pone u=P_— 0, con Q punto fisso, cioè du= dP, allora si trovano le condi- zioni affinchè edP, VNIP IVA edPRLa(NNCPTNXIPENXAabE siano differenziali esatti, sia per P variabile in un campo a tre dimensioni, sia per ? variabile su o. In quest’ultimo caso le condizioni (2) ,(3") equi- valgono a quelle che da esse si ottengono sopprimendo l'indice 0°; come il lettore può facilmente verificare. Inoltre per du= @P si ritrovano, come è ovvio, le condizioni esposte a pag. 118 di A. V. G. quando P varia in un campo a tre dimensioni. ARCORE du i STATA : Delle condizioni Rot K (« . Ta) inoì (k TP v) = 0 per P varia bile nello spazio a tre dimensioni, sì può dare una dimostrazione assai più semplice di quella precedente, ma che peraltro, non solo non è valida per P variabile sulla superficie 0, ma non dà, nemmeno in modo indiretto, le di PEGI condizioni affinchè edu, vXdu siano differenziali esatti su o. Ecco la di- mostrazione. Deve essere adu=dx , vXdu=4dm ove x è vettore e 7 è numero funzione di P, ovvero du dx du a gp P=7p4P 3 (KE v)xd2— grad MX dP, che, per essere 4? vettore arbitrario, dànno du dx du l (2) k(a )-kKE , Ka v=grad m. (aes Dunque, affinchè a du, vXdu siano differenziali esatti è necessario e suffi- ciente che esistano x ed 7 soddisfacenti alle (a); ma in virtù delle [6], [2] del n. 69 di A. V. G., dalle (a) si elimina x ed m operando con Rot e rot e si ritrovano le condizioni già ottenute per altra via ('). 5. Quando P varia sulla superficie 0, si ottengono dei casi particolari assai interessanti se al posto dei vettori generici u,v si pongono (ordine arbitrario) i vettori P— 0,N e alla omografia generica @ si sostituisce l’omografia AN/dP o la ciclica di questa (*). Sarebbe importante che questi casi particolari fossero studiati e completamente svolti. Qui ne citiamo uno come esempio. Affinchè u / dP sia differenziale esatto, variando P in o, deve essere, per la (2”) (K Rotsu\)N=0 (') Operando nelle (a) con Rot e rot e facendo uso soltanto delle [6] n. 44 e [3] n. 39 di A. V. G. si dimostra che le condizioni in questione sono necessarie; mentre le [6],[2] del n. 69 provano che sono necessarie e sufficienti. (*) Per tali casi particolari saranno utili le formule seguenti nelle quali si è posto A= dN/dP. TonnNi—rotoN=0nediviNi= diva NE=IR% da RotAà=0 , Rotocà=—N/ TAI grad 4= grad54 = grad I, 4 grado1,14= grad 1.44 112°.N = grad 1h,.4+|(1,4)} — 21.2} N grado CA=1142:.N=— grad 1h. 4XN.N. Cfr. le mie Note, Gradiente, rotazione e divergenza in una superficie (Atti Acc. Torino, vol. XLV); Alcune applicazioni alla geometria differenziale... (idem, vol. XLVI); Fon- damenti per la geometria differenziale... (Rend. Palermo, tomo XXXIII) Nella prima Nota per il gradiente su o di una omografia si tenga conto (Burgatti e Marcologo, loc. cit.) del nuovo significato generale di gradr, che coincide con Grad solo quando è ap- plicato a un numero. a Go condizione che si trasforma successivamente in CIA e du | a CK(55) N 0 qdiveu— (3) + (Cote {N—0 divgsu-NT—-NA/rotsu=0; «ma i due termini di questa sono vettori, l'uno parallelo e l’altro normale ad N e quindi la condizione cercata è (a) divvu=0 e NArotu=0 dalla quale potrà, forse, dedursi la forma generica di u quando siano com- pletamente studiate le equazioni differenziali su o (altro argomento impor- tante di studio che semplificherà notevolmente l’ordinaria algebra-geome- trica su 0). Conviene notare che le (4) sono soddisfatte per u= N quando a è superficie di area minima; cioè per o superficie di area minima esiste un vettore x funzione di P per il quale N\dP=4dx qualunque sia lo spo- stamento d ed è interessante determinare il vettore x che deve avere note- vole importanza per la superficie. Idromeccanica. — Una formola per la determinazione di dislivelli dei corsi d’acqua mediante misure di velocità. Nota di U. CisoTTI, presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. Si consideri un canale scoverto a fondo comunque conformato; il liquido perfetto pesante, che in esso fluisce, sia animato da moto permanente ed irrotazionale. Si ammette che in due sezioni trasversali del canale, di eguale conformazione geometrica, il fondo del canale sia orizzontale (sensibilmente) ed il regime uniforme (essenzialmente diverso se vi è dislivello del fondo tra la sezione a monte e quella a valle). Detti c e ec, i valori delle velocità nelle predette sezioni e H l'altezza del pelo libero sul fondo, nella sezione a monte, il dislivello del fondo tra me: Reggie la sezione a monte e quella a valle è definito dalla seguente formola: dove — al solito — g designa il valore dell’accelerazione di gravità. Essa mi sembra notevole perchè permette molto semplicemente di de- durre il dislivello del fondo tra due sezioni qualsivogliano di un corso d’acqua (nelle condizioni specificate) mediante diretta misurazione dei soli elementi: H,c,c, e parmi atta a non difficile verifica sperimentale. 1. La giustificazione della precedente formola si appoggia sopra con- seguenze elementari delle equazioni idromeccaniche e di uso famigliare agli idraulici. È infatti noto che in ogni punto di un liquido perfetto pesante animato da moto irrotazionale permanente le tre quote verticali: effettiva, cinetica e piezometrica, hanno somma costante. Indichiamo con s la quota verticale ascendente, che conteremo a par- tire dal fondo della sezione a valle, con V il valore della velocità, con p quello della pressione specifica e con @ il peso dell'unità di volume del liquido in moto. L'espressione formale dell'enunciato precedente è allora la seguente: v: z+, 29 uo Î — costante, valida in tutti i punti dello spazio occupato dalla massa liquida e preci- samente, per quanto ci interessa, nella regione compresa tra le due sezioni. a monte e a valle. Chiamando p, la pressione atmosferica, sul pelo libero si ha: P==Par; se si tiene conto di ciò e del fatto che nei punti appartenenti al pelo libero della sezione a monte (£=H+ 4) è per ipotesi V= e, la costante del secondo membro della formola 9 assume il valore H+1+7+®. per cui la formola stessa può scriversi: apt edo, In particolare nei punti del pelo libero, ove p=p., si ha: i, 29 SIERO Se H, designa la profondità del canale nella sezione a valle, avendosi ivi per ipotesi V=c, della precedente si ricava: ci — 0° (1) Higgs D'altra parte l'eguaglianza delle portate attraverso alle due sezioni a monte e a valle (data la costanza della densità e ammessa l’identità geometrica delle due sezioni) porta a stabilire la seguente relazione : (2) ciH, ==> cH » Basta ora eliminare H, tra le due relazioni (1) e (2) per ottenere la for- mola annunciata. Matematica. — Sulle serie di potenze di una variabile som- mate col metodo di Borel generalizzato. Nota I di GustAvo SANNIA, presentata dal Socio EnRICO D’OvIDIO. 1. In due recenti Note (') ho trattato delle serie di potenze del tipo (1) Uo + 18 + 028° + +une +, interpretandole col nuovo metodo di Borel generalizzato (*), ed ho conse- guito risultati di grande generalità e, spero, di qualche interesse. Nella presente Nota ed in una successiva completerò la trattazione, rilevando ciò che chiamerò sommabilità assoluta (e di vario ordine) della (1) nella regione del piano complesso ove è sommabile, e dando poi, per la determinazione di questa regione, dei teoremi che fanno riscontro a quello di Cauchy-Hadamard sul raggio dell’ordinario cerchio di convergenza della serie. Per comodità del lettore, premetterò un cenno di quei risultati che occorrono per il seguito. 2. Fissato un punto z, la (1) diventa una serie numerica, quindi (N, n. 1) è sommabile (B,r) (cioè col metodo di Borel di ordine r, ove r è un intero) se la serie (Co) n i a (2) RE Re i “ (è sti Oseania) n=0 x, (1) In corso di stampa negli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. (3) Cfr. p. es. la mia Nota (che citerò con una N): Generalizzazione del metodo di Borel per la sommazione delle serie (questi Rendiconti, vol. XXVI, ser. 5%, 1° sem., fase. 11°). ehi: la — 0) è una trascendente intera, rispetto ad «a, e l'integrale (3) de eu (a, 2) da (a=> 0) è convergente. Allora la somma u(z) della serie è lo stesso integrale (3), aumentato però della somma dei primi r termini della serie se 7 < 0. 3. La (1) è sempre sommabile (B, 7) (per ogni r) almeno in un punto: il punto z=0 ('). Ora se consideriamo una semiretta qualunque p uscente dal punto 0(z= 0), i punti z ove la (1) è sommabile (B,7) (per un 7 fissato) costituiscono un segmento di origine O (dal quale va forse escluso solo l'estremo), finito o non e che può anche eventualmente ridursi al punto 0. Variando p intorno ad O, si ha che il luogo dei punti del piano ove la (1) è sommabile (B,r) è una regione 0,, semplicemente connessa, che può bene dirsi una stella di centro O (azla Mittag-Leffler). Vanno esclusi solo forse punti del contorno. Essa contiene sempre l’ordinario cerchio di convergenza (*). Variando l’intero 7 da — c0 a + co, si ha una successione di metodi di Borel Ue RI-2)(B, 1), B,0), (8,2), (B,1);....., quindi le stelle de sommabilità della (1) costituiscono una successione illi- mitata in due sensi (O) e Ra Le MILICI ONTO Esse sono tali che ciascuna contiene la seguente (*); perciò ammettono due stelle-limite 0 e t, perr=— oc ed = ++ ©, tali che o /e contiene tutte è v è in tutte contenuta (*). o (a parte il contorno) è il luogo dei punti ove la (1) è sommabile con qualcuno dei metodi (4) 0, come diremo, è sommadile Bg (cioè col metodo di Borel generalizzato) (*). t (a parte il contorno) è il luogo dei punti ove la (1) è sommabile con tutti i metodi (4) o, come diremo, è sommabdile Bt (cioè totalmente sommabile). (*) Come in ogni punto ove è convergente (N, n. 2). (*) Sul quale, si noti, non ‘facciamo alcuna ipotesi, siechè può anche ridursi al centro O. (*) Perchè se una serie è sommabile (B, r), lo è anche (B,r — 1) (N, n. 2). (4) Ma tuttavia contiene anch'essa il cerchio di convergenza (come le 0, e 0). (5) Ed è importante che nella stella o si può (come nel cerchio di convergenza) operare sulla (1) con le regole ordinarie del Calcolo, algebrico e infinitesimale, e che queste operazioni si riflettono in altrettante analoghe operazioni sulla somma w(z) della serie (Per tutto ciò, cfr. le Note citate in principio). RenpICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 14 — 100 — 4. Quando in un punto 4 l'integrale (3) è convergente assolutamente, dirò che la serie (1) è assolutamente sommabile (Br). Che se poi è tale per ogni valore dell'intero 7, dirò che la (1) è assolutamente sommabile Bt. TEOREMA. — Nei punti interni in senso stretto alla stella o, la serie (1) è assolutamente sommabile (B,r — 1). Per il centro O il teorema è evidente (') poichè wu (a,0) vale zero ser>0 e % Si se 7 = 0, quindi (3) è assolutamente convergente per ogni r.. Consideriamo dunque un punto z di o, diverso da 0, e che non stia sul contorno. In esso la (1) è sommabile (B , 7), quindi l'integrale (8) è convergente; ma poichè 4 è contenuto anche in o,-, (che contiene 0,) sarà del pari convergente l'integrale i (6) S CUTE (aSie)Jdg; 0 sicchè per giustificare l’enunciato, resta solo a dimostrare che lo è assolu- tamente. Essendo (o) É Ca (az)” geo) (ad, 2) 3 y Undpr=a 8" pri > Unt+r=1 jus Pit an (48, 1), n=0 ni n=0 ni se si pone z= ge e poi 0a=ò, l'integrale (6) diventa, a meno di un fattore, è 00: 7) (7) il e Py (bel idhi 0 Intanto dalla convergenza dell’integrale (3) in 2, segue che (?) (8) lim eu (ag) = 0, ossia _ 0 tale che sia db le Po utV (bed, |< K per 5=>0, da cui 1 Il b ori LIO) LE p per 2=>0. Essendo 0, > @, è certamente convergente l'integrale rispetto a d tra i limiti 0 e + co del secondo membro ('), quindi è convergente a foriori l'analogo integrale del primo membro, ossia l'integrale (7), è convergente assolutamente. Cor. I. — /n ogni punto interno in senso stretto a 0, la (1) è assolutamente sommabile (B,r —s) (s=1,2,3,...) Poichè tal punto è anche interno in senso stretto a 0,_s,: - Cor. II. — /n ogni punto interno in senso stretto alla stella 1, la (1) è assolutamente sommabile Bit. Poichè tal punto è interno in senso stretto a ogni stella 0, (?). 5. Le definizioni circa la sommabilità assoluta si applicano in parti- colare per “= 1, ossia ad una serie rumerzca qualunque (11) uo dudtut-.. (') Vale K: (7-3) . Cono i (*) Il Borel ha chiamato assolutamente sommabile (senz’altro) la serie (1) quando (3) è convergente assolutamente per ogni 7 positivo 0 nullo, ed ha considerata la regione del piano ove la (1) è assolutamente sommabile, chiamandola poligono di sommabilità (almeno nel caso in cui il raggio di convergenza della serie non è nullo). Poichè, come risulta dalle definizioni, una serie assolutamente sommabile Bi è anche assolutamente sommabile (nel senso di Borel), e non viceversa in generale, si sarebbe indotti ad asserire che il poligono di sommabilità contiene la nostra stella 7. Invece ho dimostrato (nelle Note già citate in principio) che il poligono e la stella coincidono. — 102 — Così è facile dimostrare che: una serze (1) assolutamente convergente è assolutamente sommabile Bt (?). Poichè allora la serie |uo] +|%|+|v2| +:-: è convergente e quindi (N, n. 4) è sommabile Bi; sicchè per ogni r è convergente l'integrale 2°) t: Pi a” n=0 e quindi a fortiori l'integrale Jie o ossia la (11) è assolutamente sommabile (B,7) per ogni r.. 0 n x a a PAGE RASTA EZ0 ni da . (0) Cioè più che assolutamente sommabile nel senso di Borel, come aveva dimo- strato Hardy in Quarterly Journal of Math., vol. 35, 1903, pag. 22. COMUNICAZIONI VARIE Nell’adunanza delle due Classi del 19 gennaio 1918, il Segretario MrL- LOSEVICH presentò un piego suggellato, inviato dai signori: prof. V. GRANDIS, ing. C. CrsarI e D. GARBARINO, per esser conservato negli archivi acca- demici. Nella stessa seduta, il Socio prof. C. SoMIGLIANA offerse una copia del volume I, testè pubblicato sotto gli auspici della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, delle Opere di Alessandro Volta. Il Socio Somigliana dette ampia notizia del volume predetto, met- tendone in luce la importanza per esser tutto consacrato alla scoperta della pila, e ai documenti relativi alla scoperta stessa. La Commissione che di- resse la edizione era composta dei senatori BLASERNA, CELORIA 6 VOLTERRA, e dei professori NaccaRI, SoMIGLIANA e A. VoLTA junior (oggi defunto); il volume fu ordinato e curato dal dott. A. Sozzani (defunto) e dal dott. L. VoLTta. Il Socio Somigliana chiuse la sua interessante comunica- zione rilevando come l’opera ora pubblicata sia degna non solo del grande scienziato italiano che s'intende onorare, ma degna anche del momento attuale, nel quale le scoperte fondamentali, da cui derivarono incomen- surabili benefici all'umanità, come è appunto quella della pila, devono essere bene illustrate e rigorosamente documentate. L'intera Accademia ‘ascoltò con intenso interesse la lucida esposizione del Socio Somigliana, che ebbe parte precipua nella pubblicazione, ed espresse l’augurio che il monumento eretto in onore del grande Comasco sia presto condotto a compimento. E. M. AMI DI RI RO Ae MET FU Unita AS 4 RL VIET TAI È LANA di LU Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXV1. | Serie 2° — Vol. I. (1873-74). I Vol. II. (1874-75). | Vol. 1II. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. i 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali i storiche e filologiche. Vol. V. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — Il. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcONTI. Vol. I-VII. (1884-91). ‘ MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-XXVI. (1892-1918). Fasc. 1°, Sem. 2°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e flologiche Vol. I-XXVI. (1892-1917). Fasc. 7°-10°. MEMORIE , della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. Fasc. 5. smORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. Fasc. 1-6. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispoa- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia è di L. f®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si rirevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LozscHerR & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoepri. — Milano, Pisa e Napok. RENDICONTI — Gennaio 1918. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 gennaio 1918. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Ricci. Sulle varietà a tre dimensioni dotate di terne principali di congruenze geodetiche Pag. Armellini. Ricerche sopra la IA dell’urto nel problema dei tre corpi (pres. dal Corrisp. Marcolongo) . . . . Vea SA REA E CIO OLONA ASTRO I e Burali-Forti. Differenziali IA a Ya). o e A Cisotti. Una formola per la determinazione di dislivelli dei corsi Lauoni mediante misure di velocità (pres. dal Socio Levi-Civita) . . . .. a . Anci Sannia. Sulle serie di potenze di una variabile sommate col nieizio: di Bosi val ra niato (pres. dal Socio £. D'Ovidio) 6 °. è » COMUNICAZIONI VARIE Millosevich (Segretario). Presenta un piego suggellato inviato dai signori: prof. V. Grandis, ing. C. Cesari e D. Garbarino per esser conservato negli archivi accademici . . s » Somigliana. Presenta il I volume delle Opere di Alessandro Volta, pubblicato sotto gli auspici della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dandonecampia. notizia; Voti. Liu o.t at cat Sa ge IT ENI AGIO IS E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. 102 3 at d DS - - vÀ Wa” Me ° Pubblicazione bimensile. | N. 3. Da n Ri DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXV. 1918 SE RrreebiENRA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 febbraio 1918. Volume XX VII.° — Fascicolo 3° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1918 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delledue Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del: l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4'/a. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratt' gratis ai Soci 3 Corrisponden*i, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus» sioui verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe.. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. = 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archiv dell'Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemvlato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe difîscienze fisiche, matematiche e naturali. __r_TrTT—"—T"_—"—"%%2 Seduta del 3 febbraio 1918. A. Ròrti, (Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Chimica fisiologica. — L'azione degli zuccheri sulla secre- zione bronchiale (*). Nota del Corrisp. D. Lo Monaco. L'influenza degli zuccheri sulle secrezioni dell'organismo è un argo- mento che è stato trattato fin dal 1907 nell Istituto di Chimica Fisiologica della R. Università di Roma da me diretto. In quell’anno e nel successivo il dott. Sterbini prima e il dott. Piantoni (*) dopo, eseguirono lunghe serie di ricerche nelle capre, e dimostrarono che gli zuccheri iniettati per vie ipodermiche influenzano la secrezione lattea che aumenta con le piccole dosi e diminuisce con le grandi, senza contemporanea modificazione nei costi- tuenti del latte. i Questi risultati furono confermati nelle donne da un altro allievo del mio Istituto, il dott. U. Sammartino (*), il quale nella Clinica Ostetrica di Roma fece numerose osservazioni. Con esse rimase dimostrato che le dosi piccole di 1 gr. di saccarosio iniettato sotto cute davano rilevante aumento della secrezione lattea anche in donne che si alimentavano scarsamente, mentre dosi alte di 5 gr. giovavano per sollecitare la scomparsa della secrezione. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica Fisiologica della R. Università di Roma. (*) Piantoni G., Influenza degli zuccheri sulla secrezione lattea. Arch. di Farm. Sp. e Sc. affini, Roma, vol. VII, 1908. (3) Sammartino U., Za secrezione lattea e gl’idrati di carbonio iniettati sotto cute. Folia Gynaecologica, Pavia, vol. VIII, 1913. RenpICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 15 — 104 — L'uso di queste iniezioni è entrato in pratica, e molte madri cui mai era riuscito allattare, sono rimaste entusiaste di questa terapia che loro ha per- messo di compiere quella desiderata funzione. Dal prof. V. Nazzari (!) e dai dott. Ricci e D'Amato (*°) venne confermata l’azione nelle mucche nelle quali si notò un aumento giornaliero nella seerezione lattea di 1,5 a 2 litri. i La dimostrata influenza degli zuccheri sulla secrezione lattea lasciava intravedere che anche le altre secrezioni con molta probabilità dovevano mo- dificarsi sotto l'azione degl’idrati di carbonio. Questo complesso e faticoso studio sperimentale fu compiuto da me nel 1914 (*), ed i risultati ottenuti dimostrarono che anche le altre secrezioni come la salivare, la gastrica, la pancreatica, l’enterica, la biliare, la renale ecc., si modificano con le inie- zioni di zucchero, diminuendo con le grandi dosi e aumentando con le pic- cole. Tale modo di comportarsi delle secrezioni per azione degli zuccheri, rappresenta un fatto del più alto interesse, e pone queste sostanze nella lista dei reattivi più sensibili dell'organismo al pari degli alcaloidi, mentre d'altra parte arricchisce la terapia di nuovi mezzi i quali oltrechè ad essere molto efficaci, sono pure innocui e di facile applicazione. Numerose sono le ricerche precedenti sull'azione degli zuccheri, ma per ciò che riguarda la loro influenza sulle secrezioni poco o nulla si sapeva, se si eccettua l’uso dell’ingestione di forti quantità di soluzioni di lattosio per ottenere effetto diuretico. Ma dopo gli studî miei e dei miei allievi le applicazioni alla clinica di questo nuovo mezzo terapeutico si succedono con molta frequenza. Da me (‘) negli animali e dal dott. Cosentino (5) nell'uomo fu studiata la secrezione biliare, mentre il prof. Crispolti (9) si occupò di quella renale nell'uomo sano e nell'uomo patologico. Contempo- raneamente s'iniziarono le esperienze per stabilire il meccanismo di azione degli zuccheri, e il dott. Sammartino (”) dimostrò con le circolazioni arti- ficiali negli organi staccati. che i vasi sanguigni si dilatano con le piccole dosi e si restringono con le forti. (!) Vedi Lo Monaco, L'azione degli succheri sulle secrezioni. Arch. di Farm. Sp. e Sc. affini, Roma, vol. XVII, 1914. (2) Ricci R. e D'Amato A., L'aumento della secrezione lattea nelle mucche per effetto delle iniezioni sottocutanee degl'idrati di carbonio. Agricoltura Italiana, Pisa, 1914, (3) Lo Monaco D., Op. e loc. cit. (4) Lo Monaco D., L'azione degli zuccheri sulla secrezione biliare. Arch. di Farm. Sp. e Sc. affini, Roma, vol. XXI, 1916. (5) Cosentino G. C., L'influenza degl’idrati di carbonio sulla secrezione biliare nell’uomo. Rass. di Clin. e Terap., Roma, 1916. (6) Crispolti C. A., Azione degli zuccheri sulla secrezione renale e sulla circola- zione nell'uomo. Il Policlinico, Roma, vol. XXII, M. 1915. (*) Sammartino U., L'azione degli zuccheri sui vasi sanguigni. Arch. di Farm. Sp. e Sc. affini, Roma, vol. XIX, 1915. IAU — La reazione che essi presentano è rapida ed energica. Si osservò in- fatti che mentre la dilatazione può arrivare al doppio, il restringimento riduce la quantità di sangue che fluisce nell'unità di tempo a un sesto della quantità iniziale o normale che dir si voglia. Con un altro lavoro il Sammartino (!) escluse che gli zuccheri avessero influenza sulla coagulazione del sangue. Restò quindi dimostrata con grande evidenza l'azione sui vasi sanguigni, la quale si deve sommare con quella sull’epitelio glandulare che intensifica l’effetto utile sulle secrezioni. Ciò venne sostenuto da me speri- mentalmente, e dimostrato istologicamente dal dott. Cuzzi nel tessuto glan- dulare della mammella nelle cagne. Altri lavori già pubblicati riguardano l’azione degli zuccheri nella ma- | lattia. Il dott. Cosentino (?) ne studiò l’effetto nelle cardiopatie, nelle ne- fropatie e nelle emorragie interne; mentre il prof. Piantoni (*) ne seguà l'andamento nell’inanizione e nel colera. I dott. Liotta (4) e Barba Mor- rihy (7) poi hanno applicato esternamente la soluzione di saccarosio da me ‘ adoperata sempre per iniezione sia nelle ferite settiche, sia nelle emorragie \ superficiali o cavitarie delle operazioni chirurgiche. Queste pubblicazioni, che hanno messo in evidenza la rapida azione detersiva ed emostatica nelle ferite e quella astringente sui vasi sanguigni di questa sostanza, lasciavano sperare altre applicazioni dello zucchero nelle malattie dove si ha produzione di pus. La gonorrea, il catarro vescicale e le malattie polmonari sono i processi che hanno attirato la mia attenzione. Per ora riferisco gl'importanti risultati ottenuti, iniettando il saccarosio negli ammalati in cui la secrezione bronchiale era copiosa. Prima dirò bre- vemente che questa va di pari passo con l’aumentata circolazione polmo- nare. Infatti in tutti i trattati di Patologia Medica si trova che la mucosa bronchiale nei catarri acuti ha un colorito spiccatamente rosso, i vasi sono pieni e in molti punti si possono seguire coll’occhio. Delle volte si arriva anche allo stravaso del sangue, cosicchè si possono trovare ecchimosi sotto- epiteliali. Ma oltre al rossore normale in questi casi la mucosa bronchiale è tumefatta e succulenta, si osserva allora su di essa un fluido tenace, (1) Sammartino U., L'azione degli zuccheri sul potere coagulante del sangue. Ras- segna di Clin. e l'erap., Roma, 1916. (2) Cosentino G. C., Gl'idrati di carbonio nelle cardiopatie e nelle nefropatie, Rass. di Clin. e Terap., Roma, 1916; e Gl'idrati di carbonio nelle emorragie. Arch. di Farm. Sp. e Sc. affini, Roma, vol. XXI, 1916. (*) Piantoni G., /l saccarosio per via ipodermica ed endovenosa negli stati di ina- nizione e nel colera. Arch. di Farm. Sp. e Sc. affini, Roma, vol. XXIV; 1917. (4) Liotta D., Gli zuccheri nelle ferite. Areh. di Farmac. Sp. e Sc. affini, Roma, vol. XXIII, 1917. (5) Barba Morrihy C., Azione emostatica degli zuccheri direttamente applicati sulle ferite. Arch. di Farm. Sp. e Sc. affini, Roma, vol. XXIV, 1917. — 106 — filante oppure verdognolo, opaco e purulento. Queste condizioni si presen- tano più o mene intense in tutte le malattie dell'albero respiratorio. Contro le condizioni patologiche su riportate che si manifestano con una quantità di sintomi tra i quali mai mancano la tosse e l'espettorato muco-purulento, la terapia interviene con i farmaci di azione astringente ed espettorante allo scopo ultimo di rendere secca la mucosa bronchiale. Però la massima parte di queste sostanze, per non dire tutte, presentano contemporaneamente le due azioni combinate; e mentre l’infinenza sulla espettorazione è evidente e facilmente dimostrabile, l’azione essiccante non è appoggiata da nessuna esperienza. Nei processi bronco-polmonari cronici poi, i farmaci che più si adoperano sono i balsamici, i quali eliminandosi in parte per le vie polmonari, modificano l'esereato, rendendolo più fluido e più facile all'espettorazione, cioè ad essere allontanato dal posto dove è stato formato e dove costituisce oggetto ingombrante e nocivo, perchè ar- resta la funzione del bronchiolo che riempie. I risultati ottenuti con le iniezioni di zucchero sono degni di grande considerazione, e differiscono da quelli di cui brevemente ho riferito, riguar- danti la comune medicazione bronchiale per la via orale. Lo zucchero in soluzione iniettatata sotto cute”negli ammalati dell’al- bero respiratorio determina in modo rapido una diminuzione nella quantità dell’escreato bronchiale, il quale mano mano si riduce cessando spesso completamente. La riprova che l’'essiccamento bronchiale sia dovuto alla cura dello zucchero, si ottenne sospendendo le iniezioni, quando ancora il processo non era terminato. L’escreato allora ricompare dopo un silenzio di alcuni giorni e la sua quantità grado grado aumenta fino a raggiungere quella iniziale. I protocolli di queste ricerche fatte dietro mio consiglio in un Ospedale del fronte, dal dott. Lucherini su soldati”malati di bronco-polmo- nite specifica molto grave ed avanzata, sono in corso di pubblicazione. In base poi ai risultati ottenuti che assodano l'energica azione degli zuccheri suila secrezione bronchiale, ho consigliato altre ricerche con le quali mi propongo di vedere se la cura continuata per lunghissimo periodo ed iniziata nei varî stadî della malattia, riesca a moditicare le. condizioni anatomiche e cliniche del polmone. Dall'osservazione dei casi in cui sì è praticata la cura, si può dedurre che la scomparsa del secreto si è ottenuta quando all'esame clinico il polmone non presenta dilatazioni bronchiali forti o caverne polmonari, mentre quando esistono queste lesioni, il secreto di- minuisce ma non cessa. Inutile acgiungere come la cura da me proposta, in altre malattie dell'albero respiratorio di indole non infettiva che mi pro- pongo di prendere in esame, debba riuscire ancora più efficace che in quelle specifiche.. Occorre ora interpretare il meccanismo di azione dello zucchero sulla secrezione bronchiale, ma prima metterò in rilievo alcuni dei vantaggi che Ù per. li De: — 107 — questa medicazione presenta su quella finora comunemente adoperata. In primo luogo con la nuova cura si evitano i disturbi delle funzioni gastro- enteriche, mentre essi sono molto frequenti quando si adoperano i farmaci espettoranti che producono spesso anorressia, nausea, diarrea ed altri ma- lesseri insopportabili per l'ammalato, che spesso finisce col preferire la tosse e quindi il ritardo della guarigione, alle sofferenze gastro-intestinali che gli procurano i medicamenti. Ne viene così di conseguenza un deterioramento della nutrizione; mentre viceversa la medicazione sottocutanea dello zucchero non lede il normale funzionamento degli organi digestivi, e sviluppa nello stesso tempo una buona quantità di calorie, perchè in parte esso viene bru- ciato nell'organismo. Le iniezioni di saccarosio non sono poi affatto dolorose, specie se fatte intramuscolari. Mai il Sammartino notò simile inconveniente, pure avendo praticato tali iniezioni in dosi forti a molte donne allo scopo di sollecitare la scomparsa della secrezione lattea. L’indolorabilità di esse ne permette l'uso prolungato, che, come abbiamo visto negli animali, non porta per le quantità adoperate alcun danno all'organismo. Nelle persone denutrite per lungo processo tubercolare, sprovviste quindi di pannicolo adiposo, e con muscoli sottili, si può aggiungere alla soluzione qualche centigrammo di cocaina allo scopo di evitare il dolore dovuto allo scollamento dei tessuti denutriti. La cura quindi dello zucchero può prolungarsi quanto si vuole, mentre viceversa con la somministrazione dei comuni espettoranti, nessun medico può vantarsi di avere con essi guarito un processo polmonare, poichè in questi casi, o per una ragione o per un'altra, la pozione viene presto sospesa o cambiata per poi essere del tutto abbandonata, prima che sia av- venuta la guarigione. Ma anche nel caso che essa venga presa regolarmente e ripetutamente, mai la scomparsa dell’espettorato precede la guarigione del- l'affezione dell'albero respiratorio, anzi si nota sempre che l’emissione del secreto bronchiale fra tutti i sintomi è quello che più si prolunga e che finisce per ultimo. Cosicchè la medicazione che viene ora proposta consistente in una sem- plice iniezione intramuscolare quotidiana di 4 o 5 cc. o in dune di 2,5 ce. di soluzione di zucchero, deve ritenersi informata a un nuovo concetto di mec- canismo terapeutico mai finora seguìto. Essa merita la dovuta considera- zione dei clinici e dei medici, perchè, riuscendo con essa a diminuire o a far scomparire completamente il secreto bronchiale, il decorso ed i sintomi delle malattie dell'albero respiratorio dovrebbero cambiare di tipo e presen- tarsi diversissime da quello che comunemente si osserva. Tenendo presente le anzidette premesse, sarà più facile stabilire come sì esplica l’azione dello zucchero sulla secrezione bronchiale. In primo luogo è degno di ricordo il fatto che in tutte le pozioni espettoranti si aggiun- gono sempre forti quantità di sciroppi, i quali vengono adoperati contro la — 108 — tosse per agevolare l’espettorazione, attribuendosi loro un'azione non ben determinata che suol chiamarsi emolliente. Con le nuove esperienze è molto probabile che questo effetto utile che si limita alle primissime vie respira- torie, si debba spiegare come dipendente dall’azione costrittiva vasale che conseguentemente fa diminuire la tumefazione della mucosa. Quest'azione di contatto è molto leggera e fugace, mentre più energica e più persistente ed interessante tutto l’albero respiratorio si presenta quella dovuta alle iniezioni di zucchero. Le esperienze già rammentate del Sammartino sui vasi sanguigni e quelle mie e degli altri miei allievi sulle secrezioni, in- dicano che all’azione sui vasi dell’albero respiratorio si deve accoppiare quella sui vasi linfatici e sulle ghiandole mucipare, le quali al pari di tutte le altre glandule, devono essere influenzate dagl’idrati di carbonio. Non è inverosimile che questi esercitino pure un'azione sugli elementi muscolari lisci lei piccoli e dei grandi bronchi. A questa deduzione si può arrivare rammentando da una parte la rapida guarigione ottenuta con le iniezioni di zucchero in due casi di pertosse studiati dal dott. La Grotteria nell’Ospe- dale del Bambin Gesù di Roma, e dall'altra che da molti si sostiene che la patogenesi di questa malattia risieda nello spasmo dei medesimi elementi, cioè delle fibre muscolari lisce dei piccoli bronchi. Non sì può in base ai pochi casì studiati stabilire in modo completo la portata clinica di questo nuovo metodo terapeutico, ma di esso si può fin d'ora prevedere che sarà largamente utilizzato. La graduale diminuzione del secreto bronchiale e a più forte ragione la scomparsa di esso devono certamente influire sul processo morboso e sulla vitalità e prolificità del bacillo tubercolare. Evidentemente sarà così favorito l'arresto delle degene- razioni dei tessuti polmonari e di tutte le altre complicanze che sono causa della formazione delle caverne e della inguaribilità della malattia; mentre d'altra parte il polmone non più sottoposto al maggior lavoro per la pre- senza della grande quantità del secreto, verrebbe ricondotto in uno stato di normale tranquillità funzionale. Il meccanismo d'azione nella guarigione nel nostro caso non sarebbe eguale a quello del pneumo-torace artificiale di Forlanini, poichè con questa cura il polmone si mette in completo riposo. Esso non può più dilatarsi perchè compresso dal gas; sono così annullate tutte le funzioni respiratorie ed anche la circolazione si riduce di molto. Cessano in questo modo le condizioni necessarie per la produzione del se- creto bronchiale e per la molteplicità del bacillo, e la lesione tubercolare ha tutto il tempo di potere cicatrizzarsi. Nel nostro caso invece il polmone continua a dilatarsi e la guarigione avverrebbe per la scomparsa della se- crezione bronchiale che porterebbe come conseguenza ultima la scomparsa del bacillo tubercolare. Per ora mi limito a concludere che le iniezioni di zucchero diminuiscono il secreto bronchiale anche nei casi più gravi di tu- bercolosi. Contemporaneamente si osserva pure la diminuzione della tosse e — 109 — dei sudori notturni. Quest'ultimo fatto colma una lacuna del nostro studio sulle secrezioni, poichè non era stato possibile studiare l’azione degl’idrati di carbonio sul sudore negli animali di laboratorio, Dalla diffusione dell'uso delle iniezioni di zucchero nei tubercolotici si può prevedere anche un altro grande vantaggio profilattico. È noto in- fatti che una delle principali cause della contagiosità della tisi è dovuta all’ingestione e alla respirazione degli sputi secchi tubercolari pieni di ba- cilli che si sollevano con il pulviscolo atmosferico. Ne viene di conseguenza che limitando la quantità dell’escreato polmonare, il pericolo della infezione della tisi dovrebbe diminuire. Tutto quello infatti che rende sterili gli sputi è dall’igiene raccomandato in tutti i modi e in tutti i sensi; e quindi il pericolo di contagiosità si ridurrebbe pure, se la quantità degli sputi di- minuisse o se essi mancassero del tutto. C'è quindi da aver fiducia che la nuova cura della saccarzficazione che ha su quella del Forlanini il van- taggio di essere più semplice e di potersi fare ambulatoriamente, entrerà presto nella terapia delle affezioni dell'albero respiratorio. Matematica. — A/cune linee e superficie collegate con una linea gobba. Nota di ©. BuraLI-FoRTI, presentata dal Corrispondente R. MARCcOLONGO. Quanto espongo in questa breve Nota serve di complemento ai risultati da me esposti in Sopra alcune superficie rigate dipendenti dalle indica- trici sferiche di una curva gobba (*). 1. Valgono le notazioni poste nella Nota ora citata. Essendo: O un punto fisso, u un vettore unitario funzione dell'arco s della linea gobba P ma invariabilmente collegato con t,n,b (cioè uXt,uXn,uXb costanti) e posto 1 1 f=-bT.t (2) (4 si ha il teorema: Le traiettorie ortogonali dei piani uscenti da O e normali ad 1 sono linee sferiche tracciate în sfere di centro O. Se H è il punto generico di tali traiettorie, allora (1) H=0+r(cosp+ cosp.u A) v ove: V è vettore unitario normale ad u invariabilmente collegato con t,n,b, ma del resto arbitrario; (2) dp/ds=—fXu, cioè, g=h— f fXu.ds; U) r ed h sono delle costanti arbitrarie. (') Questi Rendiconti, vol. XXIII, ser. 5, 2° sem., pp. 201-208. — 110 — Posto w=u/ \v sì ha in generale (a) H=0+r(cosp.v+seng. w) per il punto generico H del piano O|u. Si devono determinare 7, in fun- zione di s in modo che, H', indicando con gli apici le derivate rispetto ad s, sia parallelo ad u. Ora si ha H'=r'(cosp.v+ cosp.w) + rp'(— seng.v+ cosp.w) + + rfA(cosp.v + sengw) da cui si ha subito (8) H'=(r'/r).(H—0)+g.uA(H—0)+fA(H—0) u\H=(r'/r).uA(E—-0)—(g"+fXu).(E— 0); ma i vettori uA(H—0), H—0 sono ortogonali e quindi uAH'=0 solamente quando r'lr=0 e p'+fXu=0 il che dimostra il teorema (*). 2. Dando ad u, rispettivamente, i valori, t, n, b sì ha, ordinatamente, g=1/v , gi=0 , gi=— 1/0 e quindi: Per u coîncidente con t,n,b è vettori H—0 sono paralleli alle tangenti delle curve che hanno la normale principale parai- lela, rispettivamente, ai vettori t,n,b (?). In particolare: Per u=t le linee sferiche H sono tali che P+(H— 0) è una linea parallela alla linea P (3). 3. Il punto H dato dalla (1) è funzione delle tre variabili indipendenti s,r,h e dà, quindi, un triplo sistema di superficie; s = cost., piani uscenti da 0; r= cost., sfere di centro 0; h= cost,, coni di vertice 0. Per le derivate parziali di H rispetto ad s,7,% si ha \ ra fAUX(—0).1 Reti ls). (4) ds d7 E 3 (*) Cfr. la mia Nota citata a pag. 205 per il piano @ in cui m= 0. Per m#0 le traiettorie ortogonali dei piani « dipendono da una equazione differenziale di 2° or- dine in gp. (3) C. Burali-Forti, Introduction à la Géométrie differentielle, Paris, Gauthier- Villars, 1897, pag. 145. (*) C. Burali-Forti, Equivalenti omografiche delle formule di Frenet. Linee e su- perficie parallele (Atti R. Acc. di Toriuo, vol. 52, 1916-17). — 111 — La seconda e terza delle (4) si ottengono dalle (2), (a) in modo ovvio. La prima si ottiene dalla (8) osservando che per essere 7'=0 e g'=— fXu sì ha gut+f=f—fXu.u=u/(f/u) e quindi (gru+f)A(H —0)=ju/(f/u)}fA(H -0)=—f/AuX(H—-0).u. Essendo i vettori (4) due a due ortogonali segue subito che: Ze su- perficie s,r,h= cost., formano un sistema triplo ortogonale e le linee comuni a due superfici qualunque del sistema sono di curvatura per le superficie stesse. In particolare. Su di una superficie sferica di centro O (r= cost.) le linee s=cost., h= cost. formano un doppio sistema ortogonale il cui inviluppo è descritto dal punto (nAf)/Au (5) io a mod (u A f) Che il doppio sistema è ortogonale risulta subito dalle (4). Per l’invi- luppo deve essere (2H/3s) A (dH/34)=0, cioè, per le (4) f\u(H—0)=0; ma si ha pure uX(H—-0)=0 e quindi H—O deve esser parallelo ad (u/f)/u, il che dà, ovviamente la (5) [cfr. mia Nota, 1° teorema a pag. 208 per i casi particolai u=t,n,bh rispettivamente, per i quali la (5) dà rispettivamente Corde 0nl 4. Ci proponiamo ora di determinare: tutte le superficie rigate che hanno la linea P per linea di curvatura. Per il vettore unitario N, parallelo alla normale in P alla superficie si deve avere N, = cosp.n+seng.b con 4 funzione di s tale che N parallelo a t, affinchè la linea P possa essere di curvatura per la rigata che contiene la linea P. Siamo cioè nel caso del n. 1 perr=1,u=t,v=n,w=-b e dovrà quindi essere g=—fXt=1/r. Se u è il vettore unitario che dà la direzione della generatrice uscente da P, ed u fa l’angolo w, funzione di s, con t, allora u=cosw.t-+4senw.NAt e si ha il teorema: Tutte le superficie rigate che hanno la linea P come una linea di RENDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 16 — 112 — curvatura sono descritte dalla retta Pu, essendo u vettore unitario, fun- sione di s, dato da (6) u= c08 9. t+ sen) sen(n+ f di e).n_cos(4+ f dife).b}, ove w è funzione arbitraria di s e h è una costante arbitraria. Segue pure [cfr. n. 2] che: Zssendo P linea di curvatura per la rigata Pu, il punto P+rNy, îcon r costante arbitraria, descrive una linea parallela alla linea P (). (*) Come problemi analoghi si hanno i seguenti: determinare u in modo che la linza P sia, traiettoria ortogonale delle generatrici, o geodetica, 0 assintotica, 0 linea di stringimento per la rigata Pu. Nei primi tre casi è ovvio che basta porre u=cosyn+senyh , cosyb+senyt , cosyt+senyn, rispettivamente, con w funzione arbitraria di s. Per il quarto caso si ha invece: (a) u= cos yt — oy' senym +1 — (04) sen yb con w funzione di s tale che (oy')) =1 in tutto il campo di variazione di s, ma del resto arbitraria. Basta infatti osservare che la linea P è di stringimento per la rigata Pu solo quando [cfr. 22 Nota] u Xt=0; masiha uXt=cosw e quindi, derivando. uXn= = — oy' sen w, vale a dire u= cos yt — oy' sen yn + 42h e dovendo essere a = 1 si ha 4= VI — (0w) sen w. Supposto che la linea P sia di stringimento per la rigata Pu ed avendo No il pre- cedente significato si ha No=(t \ u)/senyw e quindi u=%No, perchè u’ è normale ad u e a t, con % funzione di s e precisamente, come è ovvio, k=(tXu/\u)/senyw. Nel punto generico Q=P + della generatrice Pu, per il vettore N parallelo alla normale in Q alla superficie, si può evidentemente porre N=cos0.N,+sen0.N, /\4; ma d'altra parte N è parallelo a (t4+2w)A\u=senyNo + 2%. Nu e quindi si ha para cioè anal igo sen y e sen w/k è il parametro distributore di Chasles. Derivando la (a) rispetto ad s si può ottenere X e sen w/k in funzione di w e degli elementi della linea P. — 113 — Matematica. — Una espressione differenziale vettoriale alter- nata. Nota di AncELO PENSA, presentata dal Corrisp. R. MARCco- LONGO. Il punto P varia in un campo (continuo. derivabile) a tre o due dimen- sioni; @,$ sono omografie, ed x.y vettori funzioni del punto P; a,u,V sono vettori indipendenti da P (costanti); ® è l'operatore omografico bi- nario definito ponendo: [0] P(a , 8) = Rot(«8) — Rote. f, e che viene introdotto solo per abbreviare la scrittura ('). Principale oggetto di questa Nota è la formula generale seguente: id d [1] pix yi =K}{C8.®(Ky, Ke) — D[K8. Kr, Ke]}(xAy), che per #, oppure y invertibili. assume le forme: A da da P I Ci] Fpanoy— dp ey.ya=KO[K(78), Ka]. RE(xAy). a gia di _ LL) pix pf ra= =} K Rot Ke. CK(8y) — K®[K(8y), Ka]}. Ry(x/y). La dimostrazione della [1], e quindi delle [1'],[1"], è basata sulla formula: [2] av fa. UL 7) ={0y. 0.9) O(Ky.e,Pfa, dalla quale risultano pure le formule notevoli: [8] 2V(a.da.7)= =}Cy.D(a,8) — P(Ky.@,8) + R(a.K Rot K8.Ky)}a [4] av(a i )- =|Cy.D(a,8)— D(Ky.a,8) — R'(@, Ky). RotB} a. (*) Si ha subito: Die): — Roe De _105 P(ap8,7) + P(a,B)y=D(@,fy). — ll4 — Dimostreremo ora queste formule ('). 1. Cominciamo col dimostrare la [2]. Si ha (cfr. 2): l d UaPI) _ de di Ba — K Rot Ke. (fa) A, e quindi i l(a Y de (1) ava &., [av SGF, | ov] fi #a.r ]+ +2V[K Rot Ka. (Ba)/\.y]. Il primo e terzo Psa del secondo membro si sanno già calcolare [efr. c), n. 3, formula (2°); d), $ 3, formula (5)]; rimane da calcolare il secondo. Si ha [cfr. A. V. G., vol. I, nn. 8, 15, 37, 38; e vol. II, pag. 237, form. (4')]: da, PE, da O v(SE pa. )xurva=vx (4 fa gu— ux(15 pa) = dKa d =uXEr:(%p pa) v — vXKy (‘5 za) u— = ux ty | e da a |- vxky. na n |- = (2 X}K UE a K rase = (Ba) X) LAN) - yu — SII yV + rot(Kau)/\yv— rot(Kav)/ yul = (MP dP =(#2)X piru.v— Ti yv.u + R'(RotKe,y)(/v)j— ale ld Pe CKy — K®(Ky, @) + R(Rot Ka, )i(uAV= = uAv)X} Cy. Rota — ®(Ky, a) + R(K Rot Ka, Ky) | 2a ; (1) Dovremo citare i lavori seguenti: C. Burali-Forti et R. Marcolongo, Analyse vectorielle générale (Mattei et C., Pavia), vol. I e II, che indicheremo brevemente con A. V. G.; a) C. Burali-Forti, Alcune linee e superficie collegate con una linea gobba, (Rendiconti R. Accademia dei Lincei, vol. XXVII, serie 52, 1° sem, [1918], pag. 109); 6) M. Bottasso, Sull’operatore differenziale binario S di M. Pieri (Rendiconti R. Acca- demia dei Lincei, vol. XXIII, ser. 5°, 1° sem. [1914], pp. 659-665); c) A. Pensa, Sopra alcuni operatori differenziali omografici (Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. XLVITI [1912]); d) Idem, Su alcune omografie speciali e sugli ‘operatori omogra- fici C,R (Atti R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. LIII, [1917]); e) Idem, Sull'ope- ratore omografico R' (Atti R. Accad. delle Scienze di Torino, vol LITI, [1917]). — 115 -- Di qui si ha, per l’arbitrarietà di u, Vv: av (57 far) —{ Cp. rota — ®(Ky, a) + R(K Rot Ke, Ky) (fa Ma si ha pure [cfr. c), n. 3, formula (2’)]: d | 7 2V ai — Cy . Rot (a8) — D(Ky, af) a ed anche [cfr. d), $ 3, formula (5)]: 2V[K Rot Ke. (#a) A.y]= R'(K Rot Ke, Ky) fa. Sostituendo nella (4) ed osservando che D(Ky, a8) — D(Ky,a@)B=®(Ky.@.£f), si ha la [2]. Per dimostrare le [3],[4] basta osservare che d(fa) _ dB, . pe dba) _ d(Ba) — (ER) _ era — KRotKg.a/\\ j KOPE EA (Rotpa)\ per ridursi alla [2] e ad altre formule note [cefr. e), S 1, formula (4)]. 2. Per y=="1 si ottiene la mia (2) [cefr. e)] sotto la forma: (21) 27 (a LE) ola, p)a; per le mie (4), (6) [efr. c)] si ha, dalle [3], [4], per y= 1: (4) 2V (ada) —}0 (@, 8) + C(Rot K£.. Ka)}a, (6,) 2V (e EE) o(a Eni Rot #}a, nelle quali comparisce la ® in luogo della sua forma esplicita [0], come in c). La forma di (4,) è alquanto diversa da quella della (4) in c); la riduzione di una forma all'altra è assai lunga: direttamente la (4,) sì ot- All tiene dalla (2) applicando a —-— la formula, data in 2): d(cu) _ Per @«=1, dalle [2],[8],{4] si ottengono le mie [2"],[4],[6'1] di c); queste, del resto, si ottengono dalle precedenti [2,], [4] [6,] cal- colando il 2V della coniugata, e ciò per la relazione nota Yy = — VKy. — 116 — Giova notare che per calcolare l’I, delle omografie (?): d (fa) de d(ba) 0) Vea possono usarsi le mie formule (1), (3), (5) di c), giacchè, in generale, I,(a8)=I,(f@), e quindi nelle (7) si può portare y al primo posto, senza alterare l’I,. 3. Dimostriamo ora la [1]. Si ha: VOLLERO TREE n dKa =yXKy (Gp fx)a xXkr (77 8)a= =yX Ky sea) CA “ica! — 2V (7 STO a)xxAy= =1}C8 - ®P(Ky, Ka) — D(K8- Ky, Ka)jaXxAy= = aX}{K®(Ky, Ka): CK8 — K®(K8- Ky, Ko){ (x /y), che per l’arbitrarietà di a, dimostra la [1]. Per dimostrare la [1'] basta porre Bx==x'° SV —=y' cloì ix I vl e sostituire questi valori di x ed y nella [1], o meglio nell'ultimo caso particolare del n. 4. Per la [1'"] si procederà analogamente ponendo yx = x', yY=y, e sostituendo nella [1], o nella seconda del n. 4. 4. I seguenti casi particolari della [1] sono noti. Per f=1, e y=1 (cfr. ‘A. V. Gi, vol.I, pag. 74, 49) da da ape Yo pd e KDil,ka, (x /\y)= K Rot Ka(x/v). (') Se, imitando la notazione [0], si pone: U(@«,8) =grad(a8)—a@gradf, allora le (1), (3), (5) della mia Nota c) assumono le forme: | 68) _ (11) I (ap ) = VE, Ko) Xa (3.) L(c-9ia)=|egrad = +2V0(e, 9} Xa (51) Ti («RED )= (Ke, Ke) +2(E Rote) Ve] Xa. è I ; — 117 — Per e (GP A. G. V., vol. II, pag. 137, (A): Se gg.y— So gy.x=K]08-9(1. Ko) — O(K8,Ko)t(x/\y)= = K{Cg8 - Rot Ka — D(K#, Ka)f (xy). Porto =Mercit.iai: da VAI da Luo Aa SI \ dpi y — qpY rx= EP(Ky, Ka) (x/\y). Le formule precedenti valgono anche quando ? varia sopra una super- ficie 0, intendendo che in tal caso gli operatori differenziali abbiano l’in- dice o [cfr. a) e le Note ivi citate dei prof. Burgatti e Marcolongo |. Chimica. — Ossidazione della santonina per mezzo dei super- acidi organici (*). Nota di Guo Cusmano, presentata dal Socio A. ANGELI. Sino ad oggi sono state descritte quattro mono-ossisantonine C,5 Hig0,, distinte in qualche trattato con le lettere @, f, y, 0 e delle quali nessuna è stata ottenuta per diretta ossidazione, 7% v2/ro, della santonina. Le prime due sono le cosiddette sazzogernine rinvenute nel 1897 da Jaffé, una nella orina di cani, l’altra nell’orina di conigli, cui erasi somministrata santonina ; la terza è l’artemisina che accompagna la santonina nei fiori di Ar/emista maritima; la quarta, infine, è l’isoartemisina, ottenuta nel 1905 da We- dekind e Koch(?), trattando con alcali una monoclorosantonina. Gli autori, prefiggendosi di preparare qualche ossi-santonina, ricorsero al processo accen- nato piuttosto che agli ossidanti, ritenendo impossibile regolarne l’attacco sulla santonina. Per vero dire, non erano soli a pensarla così; nei trattati di chimica e nella mente di molti studiosi di detta sostanza erasi infiltrata quest'idea, nata da lontane esperienze (*) e poco approfondite. Nel 1907, però, Angeli e Marino (4) dimostrarono che la santonina può subire l’ossi- dazione graduale e trovarono che, impiegando il permanganato di potassio in soluzione diluita e convenientemente raffreddata, sì ottiene, come primo ter- mine di una serie di prodotti di demolizione, una bi-ossisantonina C,5 Hg Os. (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica organica del R. Istituto di studî superiori in Firenze. (3) Ber. d. deuts. Chem. Ges., 38, 1845. (3) Heldt, Ann. d. Chemie u. Phar. LXIII (1847), pp. 40-41. (4) Atti della R. Accademia dei Lincei, 1907. Vol, XVI, fasc. 89, 1° sem. — 118 — L'ossidazione si può limitare ancora, servendosi dei superacidi organici. Come difatti comunicai (*) brevemente or son tre anni, facendo agire sulla santonina gli acidi perbenzoico o peracetico ho preparato due mono-ossisan- tonine C,5 H,g80,. Una di esse, per l'appunto, è identica con l’'isoartemisina di Wedekind e Koch; l'altra non si conosceva ancora e quindi potrà prendere posto nel novero delle monoossisantonine ed esservi distinta con la lettera «. Poichè di recente (*) Wedekind ha ripreso lo studio dell’isoartemisina, credo opportuno rendere noto quanto ho raccolto sul comportamento chimico dell’ossi-santonina s. Anzitutto ne ho messo in evidenza la stretta relazione con la sostanza madre: ciò che fino ad oggi non era riuscito per nessuna delle altre mono-ossisantonine. L'ossisantonina s reagisce rapidamente a freddo con l'acido cloridrico d. 1,19 secondo l’equazione Cis Hg (07) + HCl = (0h HRS CI (07 + H,y O ° Si forma una monoclorosantonina la quale, mediante blanda riduzione, resti- tuisce la santonina. A Inversamente, dalla stessa monoclorosantonina, riscaldata con alcool acquoso, si ritorna a l’ossisantonina «: Cis H,n 0; CI + H, 0= Cis Hg 0, | HCl. Le sopraddette reazioni, in parte, sì verificano anche per l’ isoartemisina. Ho già ricordato la sua formazione da una monoclorosantonina; aggiungo di avere accertato che quest'ultima, per riduzione, fornisce santonina; ma nel ricercare se essa si formi per azione dell'acido cloridrico sull’ isoartemi- sina, ho trovato che la reazione dà luogo a varî prodotti clorurati, fra i quali anche la diclorosantonina di Heldt (*). Le relazioni fra le cloro- e le ossi-santonine dimostrerebbero che in queste ultime il quarto atomo di ossigeno, introdotto nella santonina, forma un ossidrile; singolarmente, però, esso non viene messo in evidenza con i reagenti di solito usati a tale scopo. Ciò, come sì sa, è stato osservato anche per l'artemisina; mentre fu trovato (4) che l’@-santogenina di Jaffé si può facilmente acetilare. OSSIDAZIONE DELLA SANTONINA CON ACIDO PERBENZOICO. Una soluzione cloroformica di una mol. di santonina e di due di acido per-benzoico si lasciò alla temperatura di circa 10° in una bevuta aperta, per alcuni giorni, sino a totale evaporazione del solvente. Nel residuo solido, liberato dall’acido benzoico, proveniente dalla decomposizione del superacido, (1) Rendic. Soc. Chim. It. (1914), pag. 1. (*) Bulletin (1916), t. XX, 568. (3) Loc. cit. pag. 32. (4) Lo-Monaco, Gazzetta, XXVII, 5, 92 (1897). TRONO si notò subito che la più gran parte della santonina era rimasta inalterata ; difatti esponendo alla luce solare i preparati, ottenuti cristallizzando frazio- natamente dall'alcool il residuo stesso, questi ingiallivano con rapidità quasi del tutto: qua e là, però, apparivano cristalli incolori liberi o riuniti in gruppetti di un nuovo prodotto. Questo, raccolto e purificato per cristallizza- zione dall'alcool a 95 °/, si ebbe, infine, in prismetti d'un bianco splendente e con il p. f. a 212° circa. La soluzione alcalina, impiegata per estrarre l'acido benzoico dal residuo della soluzione cloroformica sopraddetta, fu acidificata e filtrata: dopo alcuni giorni depositò rosette di cristalli aciculari con il p. f. a 154°. Dei due prodotti di ossidazione, il 1° (p. f. 212°) fu riconosciuto, per diretto confronto, identico con l'isoartemisina o d-ossisantonina di Wedekind e Koch; il 2° (p. f. 154°) è la nuova ossi-santonina, che nella presente Nota viene indicata con «. OSSIDAZIONE DELLA SANTONINA CON ACIDO PERACETICO. Allo scopo di rendere più rapida e redditizia la preparazione delle ossi- santonine d e # si eseguirono varî saggi di ossidazione della santonina con soluzioni acetiche di peridrol e sì: constatarono come migliori le condizioni seguenti. Si riscalda una soluzione di gr. 10 di santonina e ce. 10 di peridrol in cc. 85 d’acido acetico glaciale, in un bagno mantenuto a circa 80°; poichè a questa temperatura molta acqua ossigenata sì decompone, trascorse venti ore si aggiungono 10 ce. di peridrol e si continua a riscaldare per un egual periodo di tempo. Poi si concentra la soluzione in una capsula, su bagno- maria, sino a ottenere uno sciroppo, il quale si tratta con soluzione di car- bonato sodico, che ne scioglie una parte, lasciando indietro una massa resi- nosa. Questa si lava con acqua e sì scioglie in alcool bollente; appena la soluzione si è raffreddata, si raccoglie il deposito cristallino formatosi e che risulta di santonina e di d-ossisantonina. Per avere quest'ultima allo stato di purezza e rapidamente, è bene togliere la più gran parte della santonina meccanicamente, dopo averla fatta ingiallire al sole: in tal maniera, bastano un paio di cristallizzazioni dall'alcool, per avere la d-ossisantonina a p. f. costante. Le frazioni cristalline, che si depongono ancora, per successive concen- trazioni della soluzione alcoolica primitiva, consistono in miscugli a propor- zioni variabili delle due ossisantonine e di santonina. Si comincia dal togliere questa, come sopra è detto, e poi si sciolgono i miscugli dei due isomeri in alcool bollente: prima che le soluzioni siano del tutto raffreddate, si fil- trano per raccogliere la d-ossisantonina depostasi in lunghi aghi; nelle madri rimane l’isomero, che cristallizza più lentamente. Per avere le due sostanze ben pure, occorre ripetere queste cristallizzazioni. RenpIconTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 17 — 120 — Con il processo descritto, da 10 gr. di santonina sì ricavano circa gr. 2 d'iso-artemisina e gr. 1,2 di ossisantonina e; rimane molta santonina inal- terata e si formano prodotti d’'ossidazione più profonda. OSSI-SANTONINA &. Lasciata deporre lentamente dalle soluzioni diluite in alcool o in etere acetico forma grandi prismi piramidati trasparenti, incolori; fatta cristalliz- zare, raffreddando bruscamente le soluzioni concentrate, forma, invece, fasci di prismi aciculari lunghi due-tre centimetri. Fonde a 154° e non si altera, anche se riscaldata lungamente sopra a questa temperatura. Insolubile in acqua; solubilissima in eloroformio; abbastanza solubile in acetone, etere acetico e alcool. Non si colora alla luce solare. Per un'indagine della funzione del quarto atomo d'ossigeno si è provato la reazione con cianato di fenile; ma anche dopo lungo riscaldamento in tubo chiuso a 130° non si è avuto risultato. Fenilidrazone. — La fenilidrazina mette in evidenza un solo carbonile nella ossisantonina e: difatti questa’ sì combina già a freddo con la base, dando un composto che cristallizza dall'alcool in foglioline con il p. f. a 280° circa e un contenuto d'azoto corrispondente a quello di un monofenilidrazone (trovato N °/, 8,36, calce. p. C,:H,g303:N.NH.CHs , 7,95). Acido ossi-santoninico. — Mentre la santonina si discioglie abbastanza facilmente nelle soluzioni acquose di alcali caustici, l’ossi-santonina « vi rimane inalterata. Tuttavia si può aprire l'anello lattonico, in essa esistente, mettendola a contatto con una soluzione alcoolica calda d’etilato sodico: la soluzione sì colora in rosso-sangue e mostra una bellissima fugace fluore- scenza verde. La soluzione stessa, diluita con acqua, si decolora dopo lungo riscaldamento; concentrata dà il sale dell'acido ossisantoninico in forma di massa vetrosa. L'acido, appena liberato, si presenta come un olio incoloro, poco solubile in acqua fredda e che lentamente cristallizza, P. f. circa 100°. Disseccato su acido solforico nel vuoto dette all'analisi C °/,6 3,95 , H 7,25; cale. p. C15Hs2005,C°/ 64,24, H 7,20. Riscaldato in soluzione d’acido sol- forico diluito restituisce l'ossi-santonina originaria. TRASFORMAZIONE DELL'OSSI-SANTONINA £ IN SANTONINA. Una nuova monoclorosantonina. — Gr. 0,8 di ossi-santonina £, pol- verizzata, si mescolano con cc. 3 di acido cloridrico fumante (d. 1,19). La sostanza si scioglie rapidamente alla temperatura ordinaria e subito dopo comincia a deporsi un nuovo prodotto. Dopo un'ora questo vien raccolto alla pompa e lavato prima con acido cloridrico, poi con acqua. Sono poco più di gr. 0,3 di una sostanza ben cristallizzata, contenente cloro, con il p. f. a 196° circa. Senza ulteriore purificazione fu analizzata: trovato Cl */ 12,82; calco- lato p. C:;H,7C10, 12,63. — 21 — Secondo questi dati, per azione dell’acido cloridrico sulla ossi-santonina « sì forma una monoclorosantonina isomera con quella descritta da Sestini ('), la quale fonde a 235° e presenta una maggiore stabilità di fronte all'alcool diluito bollente. La nuova monoclorosantonina si trasforma în ossi-santo- nina e già dopo alcuni minuti d’ebollizione con alcool acquoso. Al medesimo risultato si perviene sciogliendo il composto clorurato in una soluzione alcoo- lica fredda di idrato potassico: da prima si osserva una intensa colorazione rosso carminio, che poi sparisce, mentre si deposita cloruro di sodio. Allora si distilla l'alcool sino a secco; si lava il residuo con acqua e sì discioglie in poco alcool bollente: con il raffreddamento cristallizza l’'ossisantonina. La trasformazione della monoclorosantonina în santonina avviene trattando una soluzione alcoolica della prima con polvere di zinco e qualche goccia di acido acetico; si lascia a freddo per alcune ore; sì filtra e sì pre- cipita con acqua la santonina. Biologia vegetale. — Osservazioni sul fiore del Nespolo e sulla origine della nespola apirena (°). Nota della sig." dott. IRMA PIERPAOLI, presentata dal Socio R. PIROTTA. Avendo avuto occasione di esaminare diversi esemplari di nespoli (Me- spilus germanica L.) coltivati nel giardino del nostro Istituto, con fiori di- versamente costituiti, ho creduto opportuno, per suggerimento del chiarissimo prof. R. Pirotta, d'istituire una serie accurata di ricerche sui fiori e sulla loro costituzione, nelle diverse sorta di nespoli avuti a mia disposizione: indotta pure a far ciò dalle interessanti osservazioni dei professori Longo e Baccarini sulla nespola apirena. | Le mie osservazioni furono fatte per due°anni consecutivi, e quantunque esse non possano dirsi ancora complete, per il programma che mi sono pro- posta di svolgere, pure credo opportuno far conoscere fin d’ora alcuni dei risultati principali. Per questo mio studio ho potuto disporre di: 1°) due esemplari di nespolo avuti col nome di « Nespolo apireno »; 2°) due esemplari di nespolo avuti col nome di « Nespolo d'Olanda »; 3°) due esemplari avuti col nome di « Nespolo mostruoso »; 4°) un forte esemplare del Nespolo apireno avuto dal prof, Longo. Non mi tratterrò a rilevare le differenze osservate fra le parti dei varî esemplari sunnominati, limitandomi ora soltanto ad accennare che nel fiore (1) Bull. Soc. Ch. d. Paris, 5, 202 (1866); e Wedekind e Koch, loc. cit. (*) Lavoro eseguito nel R. Istituto botanico di Roma. esse sono maggiori nel calice, negli stami e nel pistillo. Nelle forme ordi- narie, cioè nei nespoli d’Olanda, in quelli avuti col nome di apireni e nel nespolo mostruoso, il perianzio risulta di calice e corolla ben distinti per colore e per forma, mentre è corollino nel nespolo apireno come è stato già bene rilevato dai professori Longo e Baccarini. Inoltre, nel nespolo di Longo il punto d’inserzione dei sepali sul ricettacolo conico-allungato è visibi- lissimo e non è per tutti e cinque i sepali allo stesso livello, come nei fiori dei nespoli avuti col nome di apireni, d'Olanda e nel nespolo mostruoso, nei quali pure il ricettacolo ha forma diversa, mostrandosi tondeggiante o conico più o meno largo e raccorciato. Anche il punto dove i sepali divengono patenti nella fioritura è diverso, perchè nei nespoli normali essi si ripiegano. circa ad un terzo (nespolo avuto col nome di apireno e d'Olanda), o ad un settimo (nespolo mostruoso) del punto d’ inserzione sul ricettacolo; nel nespolo apireno di Longo invece si ripiegano sul punto stesso d' inserzione. Nei nespoli normali poi ì sepali sono: sempre triangolari alla base e lungamente lineari lanceolati all'apice, nel nespolo avuto col nome di api- reno; alquanto più piccoli e spesso seghettati o profondamente divisi nel nespolo d'Olanda; raggiungono le massime dimensioni, sono quasi fogliacei dopo la fioritura e seghettati ai margini nel tratto sviluppatissimo che segue la base, nel nespolo mostruoso. Gli stami nei nespoli normali variano da 30 a 40; hanno filamento per- fettamente glabro, e partono da un anello giallastro che fa loro quasi da piedistallo, sull'orlo della coppa ricettacolare. Ho abbastanza frequentemente osservata nei fiori del nespolo avuto col nome di apireno, come pure in quelli del nespolo d'Olanda, una migrazione di alcuni stami dall’'orlo della coppa ricettacolare verso il centro. Ma questi stami hanno o il filamento assai breve e l'antera grossa, qualche volta mo- struosa; oppure il filamento ridotto ad un semplice e breve uncino, all'apice del quale ho osservato, ma non sempre, una formazione espansa, anteriforme, evidentemente mostruosa. Fra i diversi casi osservati voglio ricordarne uno in cui esisteva nel fiore un solo pistillo con lo stilo partente dal centro di una zona pelosa irregolarissima sulla superficie della coppa ricettacolare, dove a metà distanza fra lo stilo e gli stami periferici, si osservavano tre stami normali con breve filamento e grossa antera e due coi filamenti ridotti ad uncino privi di antere. Si potrebbe pensare che ci sia una tendenza negli stami dell'orlo ricettacolare a spostarsi verso il centro fino ad occupare alcuni il posto degli stili dei pistilli che andrebbero scomparendo. Tanto più che questa tendenza l'ho notata preferibilmente nei fiori in cui si verificava già qualche grado di riduzione nel numero o nella parti costitutive dei pistilli, come ad esempio nel caso suesposto dove, oltre alla riduzione nel numero dei carpelli, nell'unico superstite non si scorgeva in sezione trasversale che un lontanissimo ed imperfetto accenno a cavità ovarica. — 123 — In un fiore del nespolo d'Olanda ho poi notato (come il prof. Baccarini, ma in due fiori appartenenti al nespolo fatuo) l'assenza completa dell’aureola gialla che fa da piedistallo agli stami, e la scomparsa totale del tratto inter- posto fra gli stami e gli stili. Riguardo agli stami del fiore del nespolo di Longo, le osservazioni da me fatte coincidono con quelle dei professori Longo e Baccarini. I pistilli nel nespolo avuto col nome di apireno, sono normalmente cinque; ma ho osservato fiori con sei, sette, otto, nove pistilli più o meno bene e intieramente sviluppati, e pure fiori con quattro, tre, due. uno e perfino nessun pistillo. Con la scomparsa totale dei pistilli però non ho riscontrati che tre esemplari: il primo raccolto in frutto nel 1916, il secondo raccolto in fiore nel 1917, il terzo raccolto in frutto nel 1917. La superficie della coppa ricettacolare dei fiori normali presenta, come rileva chiaramente il prof. Baccarini, delle zone pelose maggiormente svi- luppate in direzione dei sepali; esse sono cinque nei fiori normali con cinque pistilli, ma non sempre vi è una regolare corrispondenza fra il loro numero e quello dei pistilli; così ad esempio possono rimanere cinque le zone e il numero dei pistilli essere inferiore. Nel fiore del nespolo avuto col nome di apireno, che chiamerò stami- nifero, perchè, come ho già detto, manca in esso ogni traccia di pistilli, la superficie della coppa ricettacolare è invece perfettamente glabra, bianca, e in essa è scomparsa pure l'aureola gialla di inserzione degli stami, come del resto si osserva anche nei fiori del nespolo apireno avuto dal prof. Longo; e a somiglianza dei falsi frutti di questo nespolo anche nei falsi frutti del nespolo avuto col nome di apireno raccolti nel 1916 e nel 1917, manca totalmente nella polpa ogni traccia di cavità e di noccioli. Tra questi esemplari perfettamente staminiferi e apireni e quelli nor- mali della stessa pianta non si può dunque negare una riduzione graduale numerica di pistilli; riduzione graduale che si manifesta pure nella scom- parsa delie parti costitutive di ciascun pistillo. Infatti, ho cominciato col rilevare in diversi falsi frutti, che vanno a male gli ovuli in alcune cavità, dopo essersi normalmente sviluppati; poi che essi non si sviluppano quasi effatto, determinando una riduzione nell'ampiezza della cavità ovarica che si presenta allora assai ristretta, fino a mostrarsi quasi del tutto atrofica senza accenno di ovuli nel suo interno. Nei falsi frutti normali man mano che essi vanno maturando viene formandosi intorno a ciascuna cavità ovarica, un pericarpo forte lignificato che costituisce poi il nocciolo durissimo delle nespole mature. Ora, quando le cavità ovariche si sono ridotte fino al punto di non lasciar traccia della loro esistenza, prima della scomparsa totale del pistillo, rimane ancora nella polpa la zona lignificata del pericarpo che può o no essere resa manifesta all'esterno dallo stilo, il quale a sua volta può o no portare io stigma. — 124 — È naturale che i noccioli, in questi casi, sezionati, si mostrano compatti senza seme e cavità all’interno. Infine scompaiono anche questi residui del pistillo in luogo dei quali non rimane che la polpa ricettacolare. Sulla super- ficie della coppa allora, o rimane la zona dei peli irregolare e ridotta a ricordare quasi la presenza del pistillo che è scomparso, o anch'essa manca completamente; e allora si giunge all'ultimo grado di riduzione, accompa- gnato pure dall'assenza dell’aureola gialla alla base degli stami, perfetta- mente come si riscontra nel nespolo apireno di Longo. Nel nespolo d'Olanda i pistilli sono pure di regola cinque. Ma nei fiori di questa pianta non ho trovato mai, in due anni di studio, il loro numero maggiore di sei, e pure avendo invece potuto rilevare tutti ì gradi di ridu- zione nel numero e nelle parti costitutive dei pistilli fino ad uno, non ho riscontrato nessun fiore perfettamente staminifero. Frequentemente vi ho trovato fiori con stili non terminati da stigma, ma filamentosi e assottigliati all’apice; ed ho talvolta riscontrato il loro parziale concrescimento, pure se terminati da stigmi. Nel nespolo mostruoso più che una riduzione, si nota un accrescimento nel numero dei pistilli. Anche qui il numero che predomina è il cinque; ma ho trovato facilmente fiori con sei, sette, otto, nove pistilli interamente sviluppati; e sono giunta a riscontrare nel ricettacolo di un fruttino con nove stili, ben tredici cavità contenenti ciascuna un ovulo. Ogni volta però che nelle sezioni si rileva un numero di cavità maggiore di cinque, le so- prannumerarie, anch'esse con pericarpo lignificato, sono sempre più piccole delle cinque normali radiali episepale, e si trovano sempre negli spazi inter- radiali epicorollini. Non ho riscontrati fiori con numero di pistilli inferiore a cinque; ad eccezione di uno, sopra 104 osservati, con due stili, che però non ho se- zionato. È curioso poi il fatto di aver trovato due fiori normali in ogni loro altra parte, ma con gli stili tutti senza stigma, all'apice assotuigliati, ricurvi, ondulati. In ogni modo sia pure limitata alla semplice, ma totale scomparsa degli stigmi, una riduzione non nel numero, ma nelle parti costitutive dei pistilli, esiste innegabilmente anche nel nespolo mostruoso. Nel nespolo di Longo i pistilli mancano e al posto degli stili si sa che esiste un gruppo di stami che nell'esemplare da me studiato hanno variato da cinque a sedici. Sopra 180 fiori osservati, il numero predominante degli stami sarebbe otto. Gli stami centrali li ho veduti molto spesso filamentosi, ripiegato-ondulati all'apice privo di antera e simile agli stili senza stigma, già descritti nei fiori normali. Riguardo alle deviazioni più notevoli dal tipo medio riscontrate dal prof. Baccarini nei fiori del nespolo da luì esaminato, posso dire anch'io di averne trovate parecchie: — 125 — 1°) un fiore con l’aureola gialla perfetta nel 1917; 2°) riduzione del tratto di cupola ricettacolare compresa fra gli stami centrali ed i periferici; 3°) fasciazioni e concrescimenti più o meno estesi degli stami; 4°) petalomania degli stami (osservazione del resto che ho fatto pure nei nespoli normali); 5°) in un solo fiore del 1917 ho trovato uno stame centrale privo di antera normale e fornito invece, all'apice assottigliato, di « un'appendice tenue, bianca, papillosa » caratteristica, come quella osservata e descritta dal Baccarini. Le conclusioni principali che si possono ora, a mio modo di vedere, trarre dalle osservazioni fatte e brevissimamente esposte, si possono riassu- mere nel modo seguente: I. Esiste una differenza fra i diversi nespoli da me studiati; ma essa è minima tra quello avuto col nome di apireno e quello d'Olanda, è mas- sima fra il nespolo apireno di Longo e tutti gli altri; II. tra il nespolo normale e il nespolo apireno esistono tutti i gradi di passaggio dovuti: a) alla riduzione successiva delle parti costitutive del pistillo, il quale va man mano perdendo: lo stigma, lo stilo, gli ovuli, la cavità ovarica, il pericarpo; 8) alla riduzione successiva del numero dei pistilli, che vanno scom- parendo uno ad uno fino a zero, e la cui assenza totale determina pure la mancanza dei caratteri secondarî inerenti, quali le zone pelose sulla superficie della coppa ricettacolare e l’aureola gialla degli stami sull’orlo della stessa. III. Il nespolo apireno sembra quindi aver avuto origine per successiva riduzione dei pistilli fino alla loro totale scomparsa; infatti, nel fiore stami- nifero e nel falso frutto apireno del nespolo avuto con questo nome, derivati per graduale riduzione dei fiori normali con stami pistilli, ho riscontrati gli stessi caratteri fondamentali del nespolo apireno di Longo; quali l'assenza completa dei pistilli, la presenza di una coppa ricettacolare glabra e bianca alla superficie. Mancherebbe nel fiore staminifero del nespolo avuto"col nome di apireno, la corona degli stami centrali a filamento piuttosto breve e grossa antera, come esiste nei fiori staminiferi del nespolo"di Longo;°ma una tendenza degli stami periferici a spostarsi verso il centro, raccorciando pure i filamenti ed ingrossando le antere, l'ho notata, sia nei fiori del nespolo avuto col nome di apireno, sia in quelli del nespolo d'Olanda. IV. La riduzione totale dei pistilli io l'ho osservata, sebbene in tre casi, in fiori di determinati germogli; cosicchè a me sembra che l'origine più plausibile del nespolo apireno sia da moltiplicazione fatta da orticultori o frutticultori, di germogli che presentarono per la prima volta questo carattere. — 126 — Patologia vegetale. — Su /a resistenza delle piante al freddo (*). Nota I di E. PANTANELLI, presentata dal Socio CuBonI. Mentre procede in varii luoghi la selezione di piante resistenti al freddo e si vanno precisando le leggi che governano l'eredità di tale resi- stenza, ne ignoriamo quasi del tutto i fattori. La loro conoscenza dipende anzitutto da una chiara nozione delle cause di morte per freddo. Le ricerche ammirevoli di Miiller-Thurgau (1880-86), Molisch (1897) e Maximow (1914) portano al resultato, che la morte per congelamento ac- cada per la sottrazione di acqua dal protoplasma, causata dalla formazione di ghiaccio negli spazii intercellulari o (caso assai raro) entro la cellula stessa. Poichè la disidratazione del plasma non basta per spiegare la morte, perchè non sempre le specie e gli organi resistenti al disseccamento sono resistenti al freddo (Pfeffer 1901; Irmscher 1912), sì è pensato che il con- gelamento determini una coagulazione irreversibile delle albumine plasma- tiche (Fischer 1911), e difatti il protoplasma congelato diventa totalmente permeabile (Néigeli 1861; Dixon e Atkins 1913), analogamente a certi idro- geli non vitali. Maximow crede letale lo schiacciamento o la lacerazione del reticolo plasmatico, prodotti dalla cristallizzazione del ghiaccio, e di- fatti il danno del gelo è tanto maggiore, quanto più ghiaccio si forma fuori o dentro la cellula. Poichè non vi ha dubbio, che la deformazione causata dalla congela- zione del mestruo acquoso sia nociva al protoplasma (Matruchot e Molliard 1902), la concentrazione del succo cellulare dovrebbe avere una grande im- portanza nel determinare la resistenza al gelo. Quanto più concentrato è il succo, tanto più si abbassa il suo punto di congelazione e vengono relegati a temperatura più bassa i conseguenti danni. In molti casi questa regola è stata confermata dall’osservazione e si è anche trovato, che in generale qua- lunque sostanza disciolta, introdotta ad arte nella cellula (Maximow 1912) od anche messa solo a contatto della membrana plasmica esterna, ne aumenta fortemente la resistenza al gelo, e non già in proporzione all’abbassamento della temperatura di congelazione che essa determina nel succo cellulare, ma in relazione al punto eutettico del miscuglio che ne risulta, ossia di quella temperatura, a cui solvente e soluto cristallizzano insieme. Se la resistenza al gelo dipendesse semplicemente dalla pressione osmo- tica del succo cellulare, basterebbe l’esame crioscopico dei succhi per sce- gliere le specie o razze resistenti e potrebbe sperarsi un aumento di resi- (!) Ricerche eseguite nella R. Stazione di Patologia vegetale di Roma. — 127 — stenza da una esaltazione artificiale della concentrazione del succo, ottenuta mediante l'applicazione dei concimi salini, la limitazione della fornitura di acqua, la ventilazione o l’insolazione. Ma già Cavara (1901), confrontando un gran numero di specie esposte al gelo, ebbe ad osservare che non tutte le ‘specie più resistenti hanno il succo più concentrato e le recenti ricerche di Chandler (1914) portano a concludere, che non vi è relazione fra la con- centrazione molecolare del succo e la resistenza al gelo. Ciò spiega perchè in pratica, ad onta dell’estesissimo uso di concima- zioni saline, raramente si è osservato che la concimazione aumenti la resi- stenza al freddo. Couturier (1903) e Maas (1912) ebbero buon resultato con la conci- mazione potassica: Feilitzen (1905) con la concimazione in generale. Ma Chandler non ottenne alcun aumento di resistenza applicando al pesco la concimazione potassica. Dati così scarsi non autorizzano ad alcuna conclu- sione: fu anzi la necessità di chiarire un punto così importante per la pra- tica che, su consiglio del prof, Cuboni, mi spinse alle ricerche che sto per esporre. Prima dobbiamo però spiegare le dette contraddizioni sull'importanza della concentrazione del succo cellulare. Le ricerche accennate hanno por- tato molta luce sulle cause della morte per congelamento. Ma la morte per freddo può aversi anche a temperature superiori a quella di congelazione, certo senza formazione di ghiaccio, come vediamo accadere in tante piante tropicali ed anche in qualche specie nostrana, nonchè in tanti animali a sangue caldo od anche a sangue freddo. Viceversa certi organi, raffreddati con precauzione, tollerano il congelamento senza perire, ed anzi in questo stato resistono a temperature più basse di quella a cui perirebbero se non congelassero; ossia non sempre il congelamento è causa di morte. Come già espresse Pfeffer fin dal 1881, la morte per freddo è dovuta ge- neralmente ed essenzialmente alla diminuzione inframinimale della tempera- tura; la formazione di ghiaccio è un'aggravante o può essere causa propria di morte, per la violenta sottrazione di acqua al plasma, la separazione delle cellule, lo schiacciamento del plasma. Sachs (1860) osservò che varie piante in vaso avvizziscono a bassa temperatura, perchè le radici raffreddate non assorbono più acqua a sufficenza. Molisch (1896) ha confermato questo fatto ed ha trovato che in talune piante tropicali la morte può aversi anche in ambiente saturo di umidità, a temperature superiori a 0°. Egli ascrive la morte per raffreddamento a di- sturbi nel ricambio, mentre persiste (1911) nel ritenere il congelamento causa unica della morte a temperature di gelo. Invece Miiller-Thurgau e Maximow a torto ritengono che la morte per freddo si abbia solo a causa del congelamento. Al contrario Mez (1905) ripete in fondo l’idea di Pfeffer, sostenendo che la morte si ha per la discesa della temperatura sotto al RenpIcONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 18 — 128 — minimum specifico, la cui posizione è stabilita da proprietà ancora miste- riose del plasma; la congelazione, quale processo esotermico, proteggerebbe addirittura contro la morte per freddo. Alcuni allievi di Mez hanno ulte- riormente sviluppato queste vedute, sostenendo che la temperatura minimale è indipendente dalla concentrazione del succo cellulare e può essere molto inferiore al punto di congelazione, che la solidificazione in toto dei succhi cellulari e del plasma accade a temperatura superiore a quella mortale. Ta- lune di queste asserzioni non hanno un valore generale, come provano le osservazioni contrarie di Maximow (1914), ma è indiscutibile la conclusione generale che la formazione di ghiaccio non implica la morte del plasma e viceversa. Tale constatazione lascia aperta la questione, come avvenga la morte per freddo, a parte il congelamento. Gorcke (1906) ha supposto che, essendo le albumine precipitate dai sali a bassa temperatura, quanto più povero di sali è il succo cellulare, tanto meglio resista al freddo la cellula; ma non sempre questa relazione sussiste. Lidfors (1907), accettando questa idea, so- stiene che lo zucchero protegge le albumine del protoplasma contro la de- naturazione; infatti nelle foglie delle piante sempreverdi, nei fusti degli al- beri, nelle patate durante l'inverno o per un forte raffreddamento, l’amido è sostituito da zucchero e la fornitura di zucchero aumenta in tutti gli or- ganismi la resistenza al freddo, così come le varietà ricche di zucchero tol- lerano meglio il freddo. Come poi lo zucchero protegga le albumine plasma- tiche. è ancora da sapersi; e non va taciuto, che nei tronchi di talune specie di alberi è il grasso che, sostituendosi all'amido durante l'inverno, ne de- termina la resistenza al freddo, pur non essendo osmoticamente attivo. 1 fattori della resistenza debbono quindi essere ben diversi, a seconda che si considera la resistenza al freddo o la prevenzione dei danni del gelo. Per questo secondo scopo può bastare l’aumeuto-di concentrazione del succo, ma la conservazione della vita a bassa temperatura non si spiega se non si studia il ricambio in quelle condizioni. Così l'effetto delle concimazioni può essere nei due casi ben diverso o diametralmente opposto. Le mie prove furono condotte con serie di colture in vaso, e cioè in un primo periodo con piante di grano, barbabietola da foraggio e girasole, allevati da gennaio ad aprile in serra fredda, che furono poi esposti a tem- perature sufficienti per il congelamento; in un secondo periodo con piante di pomodoro e granoturco, allevate da aprile a luglio in una serra sog- getta a riscaldarsi durante il giorno fino a 38° C., e poi esposte a tem- perature un poco superiori a 0°, in modo da escludere il pericolo di conge- lamento. Ogni serie constava di 10 vasi, con molte piante ognuno, cuì furono somministrati i singoli sali nutritizi nell'ordine seguente, che permette di distinguere l’azione degli ioni più importanti per il ricambio della pianta: MIZI= 1. Controllo. Acqua di fonte (contenente essenzialmente bicarbonato di calcio). 2. Na NO; (azoto nitrico; catione di poco o nessun valore alimentare). 3. (NH.), CO; (azoto ammonico; anione trascurabile). 4. KHCO, (potassio; anione trascurabile). 5. KNO; (potassio e azoto nitrico). 6. KH, PO, (potassio e acido fosforico). 7. MgSO, (magnesio e acido solforico). 8. Na,S0O, (acido solforico; catione di poco o nessun valore ali- mentare). 9. Na NO; e KH, PO, (concimazione completa; nitrato, potassio e fosfato). 10. Na NO; e KH, PO, e MgSO, (formula completa: potassio, ma- gnesio, azoto, fosforo, solfo). La calce fu mantenuta eguale in tutti i vasi. Na NO3, KNO; e KHCO; furono forniti in soluzione 0,1 mol., gli altri sali in soluzione 0,05 mol. L'umidità del terreno — reso omogeneo e passato per lo staccio di 2 mm. — fu mantenuta costante, al 30°/. Il n. 8 serviva anzitutto per studiare l’azione osmotica, trattandosi di un sale quasi inerte; il n. 9 aveva con- centrazione doppia, il n. 10 concentrazione tripla dei nn. 2-8. Il raffreddamento ebbe luogo nella cella del frigorifero della R. Sta- zione. Il frigorifero ha il vantaggio di poter raffreddare insieme un'intera serie di colture, mantenendo costante la temperatura per un tempo a pia- cere, e di far procedere il raffreddamento o il disgelo con la massima len- tezza ed uniformità, se tale si desideri. Per ridurre al minimo la traspira- zione, la cella fu tenuta satura di umidità. ESPERIENZE A TEMPERATURA DI CONGELAMENTO. Il grano e la barbabietola, partendo da una temperatura esterna di 11° C.. furono raffreddati a — 4,5°, impiegando 5 ore. Indi sì lasciò risa- lire la temperatura nella cella fino a 6°, ciò che si ottenne in 14 ore, ed allora le piante furono riportate alla temperatura ambiente (119,5). Grano. — Softrirono leggermente le piante della eoltura II (nitrato sodico), IIL (carbonato ammonico) e V (nitrato potassico), un po’ di più le colture IX (Na NO; e KH, PO,) e X (tre sali). Ma anche in queste erano piante perfettamente illese. Non è quindi a temersi, che il raffreddamento sia stato eccessivo. Le foglie adulte furono più danneggiate. Fra la resistenza e la concentrazione molecolare del succo (*) misurata col metodo crioscopico non trovai alcuna relazione. La concentrazione in peso delle sostanze solubili era minore nelle piante dei nn. II, Ill e V, (1) Le tabelle troveranno posto nella Memoria estesa. — 130 — rispetto alle colture resistenti, maggiore nei nn. IX e X. La proporzione di minerali solubili (cenere pura dell’estratto acquoso) era maggiore nelle col- ture VII, VIII, IX e X, cioè in rapporto con la concentrazione del liquido ambiente, ma senza alcuna relazione con la resistenza al gelo. Anche l’aci- dità libera dell'estratto non mostrava relazione con questa resistenza. Prima del raffreddamento gli zuccheri non erano più abbondanti nelle piante resistenti. Però durante l'esposizione a bassa temperatura essi scom- parvero in proporzione maggiore nelle piante che ebbero a soffrire. Nel contempo l’amido fu disciolto in proporzione maggiore nelle piante resistenti, per cui queste, a conti fatti, si trovarono nel momento pericoloso più prov- viste di zucchero rispetto alle piante non resistenti. Barbabietola. — Soffàà alla detta temperatura molto più del grano. La massima sofferenza si ebbe nella coltura V (KNO;), poco minore nella II (Na NO;) e III (NH,), CO;, di molto minore nelle colture IV, VII e VIII, trascurabile nelle altre. Qualche foglia gelò anche nelle colture più resi- stenti. Le foglie adulte furono più danneggiate. Come nel grano, i nitrati, o in generale la ricca fornitura di azoto, depressero la resistenza al gelo, ma non si può dire che la resistenza fosse esaltata dagli altri ioni. Anche nella barbabietola, la concentrazione molecolare del succo non differiva in proporzione alla resistenza. Però, a differenza del grano, non vi era rapporto neppure con la concentrazione in peso del succo. La proporzione di minerali solubili era maggiore nelle piante meno sviluppate (II, IV, VI) e nelle colture a liquido del terreno più concentrato (VII, VIII, IX, X); quindi nessun rapporto fra salinità del succo e resistenza al gelo. Lo stesso valeva per l'acidità libera. Gli zaccheri prima del raffreddamento erano più abbondanti nelle col- ture II (Na NO3), V (KNO;), VII (Mg S0,) ed VIII (Na, SO,), cioè in piante poco o molto resistenti, rispetto alle rimanenti colture. Durante il raffred- damento lo zucchero scomparve totalmente in tutte le colture. Ma alla fine del cimento l’amido era scomparso del tutto o quasi nelle piante che resta- rono danneggiate, mentre ne era rimasto una discreta quantità in quelle re- sistenti, in talune, anzi, come in quelle delle colture I, IV, VI la dige- stione dell'amido fu quasi insensibile. & 4 i Sile Chimica. — Aicerche sul gruppo dei tellururi di bismuto (*). Nota II di M. AmapORI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. La ricerca termica e micrografica delle miscele di trisolfuro e tritellururo di bismuto riterita in una Nota precedente (?) ha mostrato come in quelle condizioni di esperienza, non sì formi il solfotellururo naturale, tetradimite, ma un composto di natura diversa, cioè secondo rapporti equimolecolari. A complemento di quelle ricerche ho studiato termicamente altre miscele di Bi—S—Te: esse riguardano quella parte del sistema ternario che inte- ressa allo scopo delle nostre ricerche e che comprende le composizioni di altri solfotellururi naturali. Lo studio è perciò limitato alle miscele che con- tengono più del 40 °/, atom. di bismuto, vale a dire al campo Bi — Bis Teg — — Bi Ss. I tre sistemi binari che limitano questa parte del sistema ternario sono noti. Il sistema Bi— Bi, Te; fa parte del sistema bismuto-tellurio stu- diato da Monkemeyer (5): Bi soliditica a 267°, Bi, Tes a 573°; essi formano un miscuglio eutettico che solidifica a 261° ed ha la composizione 3°/, Bi. Il sistema Bi— Bi,S3 fa parte del sistema bismuto-solfo studiato da Aten(‘): Bi solidifica a 277°, Bi, S: non fonde inalterato perchè prima di raggiungere la fusione lo solfo in parte sublima: non si può perciò ottenere tale composto per soliditicazione di masse di composizione corrispondente: il complesso delle ricerche termiche .e micrografiche mostra tuttavia l’esi- stenza di questo composto la cui temperatura di solidificazione sarebbe supe- riore a 800°. Il sistema Bi, S3 — Bis Tez è quello da me studiato e riferito prece- dentemente: Bi, Te, solidifica a 575°: lo studio del sistema sì estende dal tellururo solo tino a miscele con 85 °/, Bia Sg, per la accennata scomposi- zione del solfuro in miscele più ricche. Si forma il composto Bi, SEUBILROA che solidifica a 615°: questo solfotellururo con Bis S3 forma un eutettico che ha la composizione e la temperatura di solidificazione praticamente uguale a quella del solfotellururo, 614°; con Bi, Tez forma un eutettico prossimo nella composizione e nella temperatura di solidificazione al tellu- ruro (97 °/, Bi»Tez a 570°). (') Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova. (*) Questi Rendiconti, XXIV, 2° sem., pag. 200 (1915). (*) Zeit. f. anorg. Chemie, 46, 415 (1905). (4) Zeit. f. anorg. Chemie, 47, 386 (1905). — 132 — Fa parte del sistema ternario anche il pseudobinario Bi, Te;: Bi, S3 — Bi. I dati termici riferentisi a questo sistema sono intercalati agli altri nella tabella complessiva: essi si possono facilmente rilevare essendo nelle miscele relative uguale la quantità di tellurio e di solfo: risulta la formazione di un eutettico pseudobinario che solidifica a 260°, di composizione assai pros- sima a quella del bismuto: il bismuto solidifica a 268°. TABELLA. o atomici I cristallizza» 20008. o arresti Bi | S | Te zione Diosro DORAM, per 25 gr. 40 60 — ? — — _ 51 9 Al? 612 —_ 50 ” 45 15 685 614 _ 90 » 42 18 670 614 — to0) ” 36 24 642 614 — 170 ” 30 30 615 — - — ” 27 33 615 570 _ 20 (T)» 24 36 614 570 — Ù » 20 40 612 570 - 70 ” 18 42 610 570 —_ 130 ” 12 48 598 570 | — 200 ” 6 54 584 570 — 290 ”» 3.6 56.4 D) 570 — 350 » 1.8 58.2 — 570 _ 370 ” 0 60 575 — — = 45 44 11 680 560 256 20 ” 33 29 648 578 258 25 ” Dr 27.5 600 258 - 20 » 29 953 604 508 256 30 ” 11 44 582 540 258 20 50 42.5 Ts 670 496 258 40 (G) » 37.5 12.5 648 534 260 50 ” 30 20 610 558 260 50 » 25 25 576 260 _ 50 ” 20 30 578 450 258 40 ” 10 40 560 520 256 40 55 36 9 638 468 258 50 » 22.5 22.5 540 260 —_ 60 ” 15 30 544 448 260 60 60 30 10 610 476 260 80 ” 24 15 576 505 260 120 (J) » 20 20 520 260 _ 120 ” 13.33 26-66 516 418 260 100 ” 8 32 508 458 258 70 70 25 5 574 412 258 130 20 10 588 455 260 170 Lib 15 472 260 — 190 D) 10 20 465 372 260 140 ” 5 25 458 420 260 130 80 15 5 495 388 260 210 ” 12 8 470 418 260 230 ” 8 12 425 274 260 260 ” 5 15 416 850 260 230 90 7.5 2.5 458 810 260 300 ” 5 5 360 260 — 330 ” 235) 05 332 276 260 290 100 0 0 268 —_ — = Nella tabella sono riportati nuovamente i dati termici che si riferiscono al sistema Bi,S,— Bi, Te; e costituiscono le miscele a 40 °/, Bi. Ho ritenuto inutile ripetere lo studio dei sistemi binarî studiati da Mòonkemeyer e da Aten; dei dati di questi autori mi sono valso per la co- struzione del diagramma: le temperature di solidificazione del bismuto e del tellururo di Moònkemeyer coincidono con le mie: alquanto superiore è la temperatura di solidificazione del bismuto di Aten, ma questa differenza ed altre eventuali della stessa natura non portano differenze notevoli nel com- plesso. Nelle miscele ternarie si nota in tutte l'inizio di cristallizzazione, la deposizione dell’eutettico binario e la deposizione dell’eutettico ternario. Nel diagramma è rappresentato l'andamento generale del sistema; sono date per semplificazione le isoterme di cristallizzazione e linee di separa- zione dei depositi eutettici. Gli eutettici binarî si riuniscono in due eutettici ternarî che nella tempe- ratura di solidificazione e nella composizione poco differiscono dal bismuto puro. La. linea di separazione dell’eutettico binario Bis S; - Bi, Tex — Bis Teg corre assai prossima a quella di separazione del tellururio ; la linea di sepa- razione dell'eutettico binario Bi,S,- Bi, Te, — Bi, Sy praticamente coincide con quella di separazione del composto. Nel diagramma, per maggior chiarezza della rappresentazione, le curve di separazione degli eutettici binarî tra composto e tellururo e tra composto e solfuro sono tracciate più distanti dalle linee di separazione del tellururo e del composto di quanto in realtà sia. Così pure la posizione degli eutettici binarî e ternarî intorno al bismuto è molto più prossima alla concentrazione del bismuto di quanto non appaia nel diagramma; devesi inoltre osservare che la loro posizione reciproca segnata nella figura è arbitraria, poichè non — 184 — può venir stabilita dalle esperienze, trattandosi di un campo assai ristretto che ha nna composizione ed una temperatura di solidificazione assai prossime a quelle del bismuto. Nella tabella e nel diagramma sono segnate con T,G,J le composi- zioni cui corrispondono la tetradimite, la grunlingite e la ioseite. Come nelle precedenti, anche in queste ricerche non si ha alcun fenomeno che accenni alla formazione di composti ad esse corrispondenti, o che comunque spieghi la natura di detti minerali. CONCLUSIONI. I singoli componenti Bi, Bis S3, Bis Te; ed il composto Bis; - Bi, Te, si separano dalle miscele fuse allo stato puro o in semplici miscugli eutet- tici; non si ha formazione di nuovi composti, nè esiste alcun rapporto di miscibilità tra queste sostanze. Nelle condizioni di esperienza seguite, per via termica, si può affermare che non si hanno fenomeni ai quali si possa attribuire la formazione di sostanze analoghe alla tetradimite, alla grunlingite e alla ioseite. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI SaBaTINI V. — Zl rilievo vulcanico generato da uno o da due punti esplosivi. Pres. a nome del Socio VioLa. FumaroLI G. — Stud? critici di esegesi virgiliana antica. Pres. a nome del Socio VireLLI e del Corrisp. SAVIGNONI. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Corrisp. CASTELNUOVO, relatore, a nome anche del Socio REINA, legge una Relazione con la quale si propone la inserzione negli Atti accademici, della Memoria del dott. F. P. CANTELLI, intitolata: Sullo schema lexiano della dispersione ipernormale. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, messe ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosEvicH presenta le pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia, segnalando quelle del Socio PirorTA: I Parco nazio — 135 — nale dell'Abruzzo; del Socio straniero ÉmiLe PicARD, Les sciences mathé- matiques en France depuis un demi-siécle; e due scritti tecnici del Cor- rispondente C. Guipi. Ricorda ancora: / primi abbozzi di carta geologica del Napoletano pubblicati da Michele Tenore nel 1827, del prof. MELI; e: Su una nuova specie di Trombidide appartenente ad un nuovo genere supposta parassita, allo stato di larva, delle Cavallette, in Puglia, di A. BERLESE. Il Socio PATERNÒ fa omaggio della ultima edizione del" Trattato di Chimica organica del prof. Ca. MourEU, rilevando i pregi di questa pub- blicazione e facendone vivi elogi. CONCORSI A PREMI Il Segretario MiLLosEvicH comunica il seguente Elenco dei lavori presentati ai concorsi ai premi del Ministero della Pubblica Istruzione, per le Scienze fisiche e chimiche. (Scadenza 31 dicembre 1917. — Due premi di L. 2000 ciascuno). 1. Bonacini Caro. 1) « Di una camera stenopica e delle sue appli- cazioni » (ms.). — 2) « Contributi diversi al perfezionamento e alla diffusione delle proiezioni episcopiche » (ms.). — 3) « Sopra il fenomeno del così detto ‘ Raggio-verde ' » (ms.). 2. Draco Ernesto. 1) « Sull'attrito interno del nickel in campo magnetico variabile » (st.), = 2) « Sulla depolarizzazione della luce » (st.). — 3) « Sull’attrito interno del cobalto e del ferro-nichel nel campo magne- tico » (ms.). 3. Marcucci SaLvino. 1) « Una curiosa riproduzione di alcune linee equipotenziali magnetiche » (st.). — 2) « Sulla temperatura dei pendii secondo la loro esposizione ad est o ad ovest » (st.). — 3) « Alcune notizie sul clima di Jesì » (st... — 4) « Intorno alle stagioni locali e alla loro variabilità » (ms.). — 5) « Di una singolare anomalia termica in giugno » (ms.). 4. QuartAROLI ALrREDO. 1) « Magnetochimica. Applicazioni alla Chi- mica analitica » (st.). — 2) « Suscettività magnetica dei sali in solventi organici. Sui fattori che determinano la suscettività delle soluzioni » (st.). — 8) « Paramagnetismo e dissimetria chimica. Nota preliminare » (st.). — 4) « Sulla relazione fra il paramagnetismo dei composti e la forma di com- binazione » (st... — 5) « Magnetochimica. Applicazioni alla Chimica ana- litica. Nota 2* » (ms.). — 6) « Sul significato della suscettività magnetica delle soluzioni. Lo stato nucleare nelle soluzioni » (ms.). RenpICONTI. 1917, Vol. XXVI, 1° Sem. 19 — 136 — 5. SANNA ANDREA, 1) « Confronto chimico tra due prodotti di latte fer- mentato » (st.). — 2) « Decomposizione fotochimica della essenza di senape » (ms.). — 3) « Decomposizione fotochimica dei solfocianuri » (ms.). 6. STEFANINI ANNIBALE. 1) « Per la fisiologia dell'organo uditivo » (st... — 2) « Quante vibrazioni occorrono per riconoscere un suono? » (st.). — 3) « Fenometro a sfere urtantesi per misure assolute del potere uditivo » (st... — 4) « Acumetro telefonico a induzione sinusoidale » (ms.). — 5) « Reotomo con movimento pendolare » (st.). — 6) « Sul potere discrimi- nativo dell'orecchio pei suoni e pei rumori » (ms.). — 7) « Sulla funzione dei due orecchi nell’ascoltazione dei suoni » (ms.). €. TeNANI MARIO. 1) « Sullo spoglio dei diagrammi dei meteorografi » (st... — 2) « Nuovo metodo di misura dei moti orizzontali e verticali del- l'atmosfera per mezzo di un pallone pilota frenato » (st.). — 5) « Intorno alla utilizzazione dei sondaggi dell'alta atmosfera agli scopi della previsione del tempo » (st.). — 4) « Misura della velocità del vento e dell'angolo di pilotaggio durante il volo » (ms.). — .5) « Metodo e tabella per la corre- zione della rotta dalla deviazione dovuta al vento » (ms.). — 6) « Stru- menti e metodi di navigazione aerea » (st.). — 7) « L'indicatore di rotta ‘Crocco’ e sue principali applicazioni » (st.). — 8) « Sulla misura barome- trica delle altezze per scopo aeronautico » (ms.). — 9) « Lo stato presente della nostra conoscenza della temperatura dell'alta atmosfera in Italia » (ms.). 10) « Strumenti di puntamento per bombardamento aereo » (ms.). E. M. — 137 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 3 febbraio 1918. BaRRAcLOUGH H. E. — The War Australia and the engineer (Reprinted from the « Engineering Association of N. S. W.», vol. XXX). Sydney, 1915. 89, pp. 1-32. BerLESE A. — Su una nuova specie di Trombidide appartenente ad un nuovo genere supposta parassita, allo stato di larva, delle Cavallette, in Puglia (Estr. dal « Redia », vol. XIII, pp. 93- 97). Firenze, 1918. 8°. CHeccHETTI G. — Risoluzione grafica delle equazioni. Milano, 1917. 8°, pp. 123. Guipi C. — Sui ponti ad arco in cemento armato (Estr. dagli « Atti della Reale Accad. delle Scienze di Torino », vo- lume LII, pp. 987-995. Torino, 1917, 89. Gurpi C. — Sull’impiego dell’acciaio nelle costruzioni in luogo del ferro omoge- neo (Estr. dal « Giornale del Genio »). Torino, 1917, fol. MaLENOTTI E. — Nuovi Calciditi (Estr. dal « Redia », vol. XIII, pp. 77-92). Firenze, 1918. 89. MeLI R. — I primi abbozzi di carta geo- logica del Napolitano pubblicati da Michele Tenore nel 1827 (Estr. dal « Bollettino della R. Società geografica italiana ». Roma, 1917. 8°, pp. 1-20, Moureau Ch. — Notions fondamentales de Chimie organique. Paris, 1917. 89, pp. 1-548, PrRroTTI R. — Depurazione ed utilizza» zione delle acque cloacali di Roma a scopo industriale ed agricolo. Roma, 1917. 4°, pp. 1-7. Perotti R. — Su la fermentazione del mosto di banane (Estr. da « Le Sta- zioni sperimentali agrarie italiane », vol. L, pp. 483-450). Modena, 1917. 89. PicAarp E. — Les Sciences mathématiques en France depuis un demi-siècle. Paris, 1917. 89, pp. 1-24. PirortA R. — Il Parco nazionale del- l'Abruzzo. Roma, 1917. 8°, pp. 1-30. Rivera V, — Su la fermentazione del mosto di banane (Estr. da « Le Sta- zioni sperimentali agrarie italiane ”, vol. L, pp. 483-450). Modena, 1917. 89, TrEspA1LHIE 0. L, — La Odostica, teoria fisica de los olores. Buenos Aires, 1917. 89, pp. 1-6. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. ci Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVi. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. V. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e natureli Vol. I. (1, 2). — Il. (1, 2), — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche Vol. I-XIII. Serie 4* — ReNDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fsiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MekmoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturcli Vol. I-XXVI. (1892-1918). Fase. 3°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e fAlologiche Vol. I-XXVI. (1892-1917). Fase. 7°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. Fasc. 5. EMORIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. Fasc. 1-6. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R, Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia è di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHaer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Horprri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Febbraio 1918. & INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 febbraio 1918. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Lo Monaco. L'azione degli zuccheri sulla secrezione bronchiale . . . . s + s Pag. 103 Burali-Forti. Alcune linee e superficie collegate con una linea gobba i dal Corrisp. Marcolongo) +... +. È ae E Sl) Pensa. Una espressione differenziale ietiontati init (presi/d.). e Cusmano. Ossidazione della santonina per mezzo dei superacidi organici da dal Socio Angeli). . . . darne è i ale o a geni 117 n Pierpaoli. Osservazioni za fiore del nespol e 00 origine della I apirena (pr dal } Socio Pirotta). SI Ain anizi Pantanelli. Su la resistenza delle dle Cl freddo RR dal Si Cloni) «eso 26 Amadori. Ricerche sul gruppo dei tellururi di bismuto (pres. dal Socio Ciamician) . . » 131 MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Sabatini. Il rilievo vulcanico generato da uno o da due punti esplosivi (pres. a nome dal Socio Viola) * «el a e e E e N ST 3 È Funaioli. Studî critici di esegesi virgiliana antica (pres. a nome del Socio Vitelli e del f Corrisp. Savignoni). . + + ani en see ced RON gl CI N DO RELAZIONI DI COMMISSIONI Castelnuovo (relatore) e Reina. Relazione sulla Memoria del dott. Cartelli, intitolata: Sullo schema lexiano della dispersione ipernormale. RIAD oe FIST PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Pirotta e Picard, del Corrisp. C. Guidi, dei proff. Meli e Berlese . ..... n» Paternò. Fa omaggio di un lavoro del prof. Moureu, e ne parla . . .. .. 0... » 185 CONCORSI A PREMI Maillosevich (Segretario). Comunica l’elenco dei concorrenti ai premi del Ministero della P. I., E La per le. Scienze fisiche e chimiche, del 1917 Li Rn È BULLETTINO :BIBLIOGRAFICO:; ©. > ll Ret RI ER e LO E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. 7 È i i i i È | Pubblicazione bimensile. ATTI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXV. 1918 PSE VU REINIELOCÀA: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche” e naturali. Seduta del AT febbraio 1918. Volume XXVII. — Fascicolo 4° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1918 N. 4. MESTRE CID ARC SPINE LO ci IR ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE L Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la: responsabilità sono portate a pagine 4/1. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci 3 Corrisponden*i, e 30 agli estranei; qualora l’autore né desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è - posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discug= sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II I. Le Note che oltrepassino i limiti indi» cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in,una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni, - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell Accade- mia o in sunto o in esteso senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti ‘contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archiv” dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre» cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemnlato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 80 se estranei. La spesa di un numero di copie în più che fosse richiesto, è messo a carico degli artori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. O °?_ TT—TTTTYTTkTgRg0, eccetto per o= 0, ® e=0r-:, ove gr è il modulo del punto P,. LEMMA. — Quando db tende a + 0, la funzione fr-1(0, 0): @) tende a zero se 0<0<0r; 8) non ha limite finito se or @r_i, assunto un numero o' compreso fra 0 e 0,1, questi esclusi, consideriamo la funzione di d db g(0))— 0°elPey te Dai Tendendo % a -- cc, il suo modulo non può restare limitato, altrimenti l'integrale (3), ove si cambi 7 in r — 1, sarebbe convergente (assoluta- mente) ('), quindi la (1) sarebbe sommabile (B,7— 1) nel punto (g', 0) esterno alla stella 0,_, (il che è impossibile). Ed allora a /ortiori non resterà limitato il modulo della funzione (183), perchè, essendo 0 >g', si ha (a partire da un certo dè > 0) L b db E) o e Pt>be? da cui |fr(0,09)|>]|g(5)]. Dal lemma segue subito il TEOREMA. — Za lunghezza o, del raggio OP, della stella 0, è il limile superiore dei valori di o per î quali la funzione f,-1(b 9) ha un limite finito (che è necessariamente nullo) per b= +0. Altrimenti: su ogni semiretta p uscente da O l’estremo P, del raggio OP, della stella o, è il limite dei punti 2 di p nei quali (14) lim Sert gia)iI0 a=+% () Infatti il modulo del suo integrando vale d7*g(2), ed è ben noto che: Il 1A 9 (3) di (0) convergente, se 4 > 1 e g(2) resta limitata quando è tende a 4-00. — 141 — 7. Sia s= ge un punto P interno in senso stretto al raggio OG della stella o e giacente su p. P è necessariamente anche interno in senso stretto al raggio OP, di qualcuna o, delle stelle (5), quindi (n. 4) in esso la (1) è assolutamente sommabile (B,7 — 1) ed ba per somma (n. 2) (15) u(3) = U,-2(4) +fe Ubi dr) da ove U,-:(:) vale zero se 7< 2 ed è un polinomio se r > 2; ossia, appli- cando le solite trasformazioni, 0 _d y6r-1) (pod ; (15) w(0e!9) = Ups (gei9) + prot eten fe 0 0, 0 ove l'integrale è assolutamente convergente. Ora, detta 7 una variabile complessa, consideriamo } dne integrali 3 CORRE 0 SO (16) | cauto (De) ddl f sai Lab vo vo 7 Il modulo di ciascuno degli integrandi (di cui il secondo è la derivata del primo rispetto a 7) è minore del modulo dell’ integrando di (15') (almeno a partire da un certo 5 > 0) se la parte reale di : è maggiore di ; (*) 0 (come subito sì vede) se 7 è interno in senso stretto al cerchio C che ha per diametro OP. Ne segue che gli integrali (16) sono convergenti uniformemente in ogni area interna a C e perciò che il secondo rappresenta la derivata del primo rispetto a 7; sicchè questo è funzione analitica olomorfa di 7 rell’interno di C. anzi nell'interno del cerchio che ha per diametro 0G, perchè P può prendersi su OG vicino a G quanto si vuole. Tale sarà quindi anche la funzione b U,_s(ne0) + pe ea f e n uS=0 (dei, 1) db 0 che, col porre pe = £ (che cade ancora nel detto cerchio) diventa o _hb (17) p($) = U,o(î) + EP? ei i e Cube 1) db, (E=é8). (1) Per il primo integrando la cosa è evidente. Per il secondo basta dimostrare b b che si ha |by7® air) | 0, cioè se la parte reale 1 1 di — è maggiore di —. N SE Q SE Intanto, quando $ cade sul diametro OG. cioè è = ge'', g(Î) coincide con u(<), come risulta dal confronto con la (15), dunque: TEOREMA (!). — Za somma u(z) della serie (1) su ogni raggio della stella 0 assume i valori di una funzione analitica che è olomorfa nell'interno in senso stretto del cerchio che ha per diametro il raggio stesso. 8. Fin qui non abbiamo fatta alcuna ipotesi sul cerchio di conver- genza y della (1), anzi di esso non ci siamo mai serviti. Ora supponiamo che il suo raggio non sta nullo. Allora la somma «(z) della serie è funzione analitica olomorfa in y, anzi, come ha dimostrato il Borel (loc. cit., cap. IV) nella stella 7. Per il teorema precedente, questa funzione può proseguirsi analitica- mente in ogni cerchio che abbia per diametro un raggio OG di 0, conser- vandosi olomorfa in ogni cerchio che abbia per diametro 0G” (ove G' è un punto interno ad OG) contorno incluso. Ne segue (*) che la (1) è assolutamente sommabile in G', cioè che G' appartiene anche al raggio corrispondente OT della stella 7; ma G' è un punto qualunque di 0G; dunque non solo i punti interni a OT cadono in OG (come accade sempre), ma qui anche viceversa, e perciò OG e OT coincidono, e con essì coincidono necessariamente i raggi OP, delle stelle (5). Coneludendo; Per una serie (1) con raggio di convergenza non nullo tutte le stelle di sommabilità 0, (5) e t coincidono. Dunque per una tal serie il metodo di Borel generalizzato non dà quasi nulla più che il metodo originario (B,0) limitato alle serie assolutamente sommabili. Diciamo « quasi » perchè nor è eseluso che esso possa sommare la (1) in punti del contorno di t nei quali la (1) non sia assulutamente sommabile (*). Sicchè la sua maggiore potenza può efficacemente esplicarsi solo sopra serie con raggio di convergenza nullo. Osserviamo per finire che per le serie che qui consideriamo la deter- mivazione dei raggi OT della (unica) stella di sommabilità © è più sem- plice, poichè essi coincidono con quelli di una qualsiasi delle stelle 0,, dati dal teorema del n. 6. () È l'estensione alla stella o di un teorema di Borel relativo alla stella 7 (Lecons sur les séries divergente, pag. 118). Esso ci dà ragione di molte proprietà della funzione u(2) dimostrate nelle Note citate al n. 1. o (2) Per il teorema di Borel (loc. cit., pag. 122): se la funzione analitica w(2) somma della (1) è olomorfa nell'interno di una circonfereaza passante pel punto O e sulla cir- conferenza, la serie (1) è assolutamento sommabile sul diametro che passa per O, estremi inclusi. i (?) Per tal rispetto sta alla teoria delle serie assolutamente sommabili, come il me- todo di sommazione di Cesàro sta al metodo classico, perchè il metodo di Cesàro non può sommare la (1) che in punti del contorno del suo cerchio di convergenza (oltre che nei punti interni). — 143 — Chimica. — / composti del fluoruro e del cloruro con il fosfato di piombo ('). Nota di M. AmapORI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In una ricerca termica da me compiuta alcuni anni fa (°) sul sistema fluoruro-fosfato di piombo, veniva stabilita la formazione di un composto (3 fosfato + 1 fluoruro) del tipo della piromorfite caratterizzato da un mas- simo nella temperatura di solidificazione delle miscele. I dati termici delle esperienze avevano condotto ad ammettere una trasformazione sia per il fosfato, che per il composto; inoltre si aveva con- cluso per una larga miscibilità allo stato solido tra composto, fosfato e fluoruro nelle modificazioni stabili ad alta temperatura; la miscibilità di- ventava assai limitata tra composto, fosfato e fluoruro nelle modificazioni stabili a bassa temperatura. 11 finoruro adoperato solidificava a 820°, il fosfato a 1006°, il com- posto a 1046°. Le temperature di trasformazione erano risultate a 782° per il fosfato, al 696° per il composto. Ulteriori ricerche hanno mostrato che questi risultati, basati esclusi- vamente sui dati termici, non corrispondono ai fenomeni caratteristici del sistema fluoruro-fosfato di piombo. La causa di questa diversità va ricercata nella natura del fosfato di piombo allora adoperato. Esso proveniva dalla ditta Kahlbaum. Ho già fatto vedere in altra Nota (*) che tale fosfato, quantunque all'analisi risultasse come ortofosfato sufficientemente puro, con- teneva in realtà un lieve eccesso di ossido di piombo; inoltre esso doveva contenere una sostanza estranea presente in piccolissima quantità, di cui non fu possibile stabilire la natura, ma che si deve ammettere presente per l'andamento assuuto dai fenomeni. L'uno e l'altra non influivano sensibilmente sui dati d'analisi; anzi la sostanza estranea presente si contrapponeva, al- meno in parte, al lieve eccesso di ossido di piombo; poca influenza porta- vano pure sulla quantità di anidride fosforica che nel sale costituisce un percento meno elevato. La presenza del piccolo eecesso in ossido di piombo produceva la leggera variazione termica che si osservava nel raffreddamento di quel fosfato do- vuta al depositarsi di una piccola miscela eutettica: infatti, aggiungendo a questo fosfato una quantità di anidride fosforica tale da togiiere l'eccesso di ossido di piombo, quella variazione termica non si osserva più, ed il punto di solititicazione dell'ortofostato sale da 1006° a1014°. (') Lavoro eseguito nell’ Istituto di Chimica Generale della R. Università di Padova. (2) Questi Rendiconti, XXI, 2° sem., pag. 768 (1912). (3) Atti R. Istituto Veneto, LXXV, II, 419 (191617) — 144 — La presenza della sostanza estranea, come è già stato detto, è provata dalla sensibile azione che essa esercita su alcuni fenomeni. Così si è visto che, mentre praticamente non ha alcuna influenza sulla temperatura di so- lidificazione dell’ortofosfato, abbassa sensibilmente la temperatura di solidi- ticazione dell’ortofosfato che si forma dalle miscele con l'ossido ed impedisce la formazione per solidificazione del tetrafosfato. La presenza del lieve eccesso di ossido di piombo e della piccola quan- tità di sostanza estranea esercita una notevole influenza anche sui fenomeni che si hanno nello studio del sistema fluoruro-fusfato. Così la variazione termica osservata nella solidificazione del composto è dovuta alla separazione di una piccola quantità di miscela eutettica; essa fu erroneamente attribuita, come per il fosfato, ad una trasformazione del composto. La diversità del fenomeno non appariva dalla semplice ricerca termica; infatti, anche a motivo della temperatura assai elevata, non era possibile apprezzare la esistenza di una parte fluida separantesi a quella temperatura, e presente in piccola quantità rispetto alla massa per la maggior parte so- lida. Su frammenti ottenuti dalla massa fusa, solidificata e triturata, riscal- dati ulteriormente al di sopra della temperatura della pretesa trasforma- zione, ho potuto osservare come a questa temperatura si abbia realmente un principio di fusione. Che realmente il fenomeno sia di questa natura, risulta quando si ag- giunga alla massa una quantità di anidride fosforica tale da trasformare il fosfato in ortofosfato reale, oppure si impieghi ortofosfato preparato in laboratorio: in tali casi quella variazione termica manca completamente. Nelle miscele del composto con il fluoruro e con il fosfato la mancanza di arresti eutettici che apparentemente risultava, aveva indotto a supporre una larga miscibilità tra le modificazioni stabili ad alta temperatura e una trasformazione e scissione dei presunti cristalli misti con formazione di un eutettoide in solido tra le modificazioni stabili a bassa temperatura, poco 0 nulla miscibili tra loro. Si trattava in realtà di eutettici binari riunentisi in eutettico ternario che segnava la fine di cristallizzazione della fase liquida. È inutile dare qui una spiegazione dettagliata dei fenomeni allora os- servati che del resto risulta evidente dal diagramma dopo quanto fu detto: d'altra parte non avrebbe alcun valore dilungarsi su questo punto. Lo studio del sistema fluoruro-fosfato venne ripetuto totalmente impie- gando ortofosfato preparato in laboratorio, aggiungendo al pirofosfato di piombo la quantità richiesta di ossido di piombo: il pirofosfato a sua volta veniva ottenuto per precipitazione dal nitrato di piombo con fosfato bisodico. Il fiworuro di piombo adoperato solidificava a 820°, il fosfato a 1014°; la fusione delle miscele venne eseguita in crogiolo di platino entro un forno a resistenza di nichel: la massa era costituita da circa 25 gr. di sostanza. — 145 — TaBELLA I. — Fluoruro-fosfato. . INIZIO ARRESTO EUTETTICO °/o in peso °/s molec. di Pby (PO), Pb,(PO,)s | cristallizza- Temperatura Durata zione per 25 gr. 0 0 820° = = 7.80 2.5 774 698° 50” 14.82 5 746 698 90 21.14 7.5 —_ 698 150 26.86 10 742 698 120 86.85 15 800 698 100 45.25 20 846 698 90 58.08 30 922 698 70 63.52 35 946 698 60 76.80 50 1032 695 40 83.22 60 1072 694 30 86.20 65 1084 690 20 88.54 70 1092 686 10 90.85 75 1098 _ _ 92.88 80 1094 1000 30 94.83 85 1080 1004 70 96.75 90 1058 1004 100 98.40 95 1032 1004 140 100 100 1014 - — Pé 10. 206 30 40 SO 60 {0 S0 90 100 Fia. 1. — Fluoruro-fosfato. — 146 — Tra i due sali si ha la formazione di un composto che è caratterizzato da un massimo nella curva di cristallizzazione: esso ha la composizione 3 Pb3(PO,),. 1Pb Fl,, solidifica a 1098° e corrisponde nella composizione. alla /iuoropiromorfite. Con i componenti il composto si separa in miscugli eutettici che si estendono dal fluoruro e dal fosfato fino circa alla concentrazione del com- posto. Si può quindi ritenere nulla o assai piccola la miscibilità del com- posto con i componenti. Nessuna trasformazione si osserva nel raffreddamento del composto. Ho potuto compiere anche lo studio completo del sistema cloruro-fosfato che nelle prime ricerche avevo abbandonato per la volatilità del cloruro. Avevo tuttavia fatto allora notare come dalle poche esperienze fatte si po- tesse presumere la formazione di un composto analogo a quello avuto per il fluoruro. Fu possibile lo studio del sistema impiegando come recipiente di fu- sione, invece del crogiuolo aperto di platino, provette di porcellana sverni- TABELLA II. — Cloruro-fosfato. Inizio ARRESTO EUTETTICO °/o in peso | °/ molec. di Pb, (PO,), | Pbs(PO.J)s | eristallizza- Temperatura Durata zione per 25 gr. 0 0 494° -- i 12 4.44 — 480 220” 20 7,84 ? 480 190 30 12.81 792 480 170 40 18.48 890 480 140 50 25.55 974 480 120 65 38.90 1062 478 110 70 44.44 1090 475 90 74.48 50.00 1110 474 80 80 57.63 1130 474 50 85 65.84 1145 470 20 87.5 70.42 1150 468 10 89.74 75.00 1156 = si 92 79.77 1150 i 986 30 94 84.81 1135 990 50 95 86.68 1126 994 90 97.5 93 05 1074 994 130 98.5 95.75 1040 996 160 100 100 1014 r- A | pe derit ica sette — 147 — 1100 800 $00 400 P8(PO,), so 40 So 60 fo So g0 100 Fre. 2. — Cloruro-fosfato. ciate. Esse vengono intaccate solo leggermente da questi sali di piombo; la quantità di cloruro che sublima in recipiente stretto e a forma alta non è molto forte ed in gran parte si condensa liquida sulle pareti della pro- vetta per ricadere nella massa. La volatilità del cloruro è assai diminuita nelle miscele in cui esso è totalmente legato al fosfato come composto: una maggiore volatilizzazione si ha per le miscele da 20 a 70 °/, mol. fosfato, ma data la natura del sistema. per queste concentrazioni le alterazioni, del resto non eccessive, nella composizione della massa possono essere trascurate. Si ha qui pure la formazione di un composto 3 Pb3(PO,),.1 Pb Cl, che solidifica a 1156° e corrisponde nella composizione alla cloropiromorfite che si trova in natura come minerale. Con i componenti si separa in un miscuglio entettico, dalla cui presenza per le varie miscele, si può dedurre una nulla o assai lieve miscibilità tra composto e componenti. Nessuna trasformazione si osserva nel raffreddamento del composto. Venne anche seguìto il riscaldamento fino a 900° e il successivo raf- freddamento di 60 grammi di minerale finemente polverizzato tenendovi im- mersa la pila termoelettrica; anche per la piromorfite naturale non si 0s- servò termicamente alcuna trasformazione. ReNDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 21 — 148 — A proposito della preparazione artificiale delle piromorfiti e del loro dimorfismo ho visto fatto cenno sul Chemical Abstracts (1914, pag. 1944) di un lavoro di W. Eissner, più largamente riferito nel N. J. f. Min. 1914, I, 205. Secondo questo autore la cloropiromorfite artificiale da lui preparata fonderebbe a 1103°, essa subirebbe una trasformazione a 670°. Ho cercato in varî modi di avere la pubblicazione originale dell’ Eissner ma date le presenti condizioni internazionali non mi fu possibile procurarla. Non posso perciò fare alcuna considerazione sul lavoro di Eissner, non sem- brandomi sufficienti i referata di cui ho avuto visione. Riassumendo: L'ortofosfato di piombo forma per solidificazione di miscele fuse con il fluoruro e con il cloruro di piombo un composto Pbz(PO,),. Pb(Fl, Cl).: questo composto corrisponde nella composizione al minerale « piromorfite ». La fluoropiromorfite solidifica a 1098°, la cloropiromorfite a 1156°; nessuna trasformazione subiscono nel raffreddamento. Con i componenti essi hanno una miscibilità nulla o assai limitata. Patologia vegetale. — Su /a resistenza delle piante al freddo (*). Nota II di E. PANTANELLI, presentata dal Socio CUBONI. Girasole. Queste piante, tolte da una temperatura di 12° C., furono raffreddate a —3,5°, impiegando 3 ore. La temperatura fu mantenuta a —3,5° per 2 ore, indi si lasciò risalire fino a 6°, in 15 ore. Le piante furono allora riportate alla temperatura ambiente di 12°. Gravemente danneggiate appar- vero le colture V (KNO;) e II (NaNO;), poco meno la VII (MgS0,) e VIII (Nas S0,). La sofferenza fu molto minore nella III, IX e X, trascu- rabile nella IV, VI e I; in quest'ultima, cioè in quella che non aveva rice- vuto alcun sale, le piante resistettero meglio di tutte. Nel girasole l’apice del fusto e le foglie giovani soffrirono maggiormente. I nitrati depressero la resistenza anche nel girasole; il loro effetto deprimente fu neutralizzato dalla potassa e dall’acido fosforico. Nulla di più si poteva dedurre dalle apparenze esterne; nessun rapporto passava fra la concentrazione del liquido ambiente, il valore alimentare dei sali forniti e la resistenza al gelo. Anche nel girasole non constatai relazione fra pressione osmotica del succo e la resistenza al gelo. Vi era invece un rapporto discretamente rispet- tato con la concentrazione in peso delle sostanze solubili, maggiore nelle piante resistenti. La proporzione di minerali solubili era maggiore nelle col- ture X, IX, VIII, VII e V, ossia là dove le radici erano bagnate da un (') Ricerche eseguite nella R. Stazione di Patologia vegetale di Roma. — 149 — liquido più concentrato, ma ciò non ebbe effetto sulla resistenza. L'acidità libera era elevata nella coltura I (resistente), ma non meno nella VII (de- licata), mentre era bassa nella IX e X (abbastanza resistenti). Lo zucchero prevaleva, prima del raffreddamento, nelle colture con nitrato (IT, V, IX e X) e con solfato di magnesio (VII), ossia in piante più o meno resistenti. Durante il raffreddamento esso scomparve totalmente. Ma intanto si sciolse più amido nelle piante più resistenti, che ebbero così a disposizione più zucchero nell'ora del cimento. Si noti che la resistenza non fu in relazione con la ricchezza iniziale o residuale in amido — a diffe- renza della barbabietola — ma con la proporzione di amido disciolto. EsPERIENZE A TEMPERATURE SUPERIORI A QUELLA DI CONGELAMENTO. Pomodoro. — Le piante, bene sviluppate a temperatura molto elevata (fra 19° e 38°, in media 28°), furono prima tenute un'ora in ambiente a 18° C., indi riposte (il 18 luglio) nella cella del frigorifero, ove, da una temperatura di 14°, furono raffreddate a 0,7°, impiegando 12 ore. La tem- peratura fu mantenuta a 0,7° per due ore, indi si lasciò risalire fino a 7,8°, in 10 ore. Le piante furono allora riportate alla temperatura ambiente di 18°, Appena tolte dal frigorifero apparivano quasi tutte danneggiate, palesandosi la sofferenza con l’avvizzimento delle parti più adulte; ma bastarono 4 ore di soggiorno a 18° per farne rimettere parecchie. Considerai quindi defini- tivamente danneggiate dal freddo solo quelle che non riuscirono a riacqui- stare il primitivo turgore; non può tuttavia sfuggire l’importanza della con- statazione, che bastò — in specie amanti del caldo — un forte abbassa- mento della temperatura (senza congelazione) per causare una fortissima traspirazione o perdita di acqua (entro certi limiti perfettamente reversibile), contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, e tanto più notevole in quanto accadde in ambiente saturo di umidità e con terreno saturo di umidità. Delle cause di questo fenomeno, che ritengo essenziale per spiegare la morte per freddo, e che ho ulteriormente studiato, ci occuperemo in un'altra Nota. Per ora limitiamoci a riferire. che le colture di pomodoro più danneg- giate rimasero la VII (Mg SO.) e la prima, a rovescio di quanto si era visto nelle piante precedenti. Seguivano la VIII (Na, SO.) e la IX. La III ((NH,):C0;) appariva aver sofferto un po’ meno, ma ancora non poco; meno danneggiate erano la IV (KHCO;) e la V (KNO;). La VI (KH,PO,) se l'era scampata abbastanza bene, e quasi del tutto illese apparivano la X e la II (Na NO;); quest'ultima apparve la più resistente di tutte. Una serie di sofferenza, in ordine decrescente, tatalmente diversa da quella osservata nei precedenti casi. Nessun rapporto potè constatarsi con l'umidità residuale del terreno — che sì mantenne elevata durante tutta l'esposizione — nè con la pressione — 150 — osmotica del liquido del suolo. Anche fra la concentrazione osmotica del succo cellulare e la resistenza al freddo non correva alcuna relazione, mentre fu constatato che le piante meno resistenti avevano i succhi più poveri di estratto. La salinità relativa dell'estratto era molto minore nelle piante resi- stenti, ossia il loro succo conteneva più sostanze organiche disciolte, rispetto alle piante che più soffrirono. Faceva eccezione la coltura X, con sueco molto ricco di sali, e pur ben resistente. Fra le sostanze organiche disciolte nel succo cellulare, nè gli acidi liberi, nè quelli combinati, che erano in quantità molto maggiore, nè gli zuccheri mostravano, prima del raffreddamento, un rapporto col grado di resistenza al freddo. Però durante il raffreddamento accadde in tutte queste piante la distruzione totale dello zucchero, che non fu compensata da corrispondente scioglimento dell’amido nelle piante che più rimasero danneggiate. Invece nelle piante resistenti si sciolse più amido, per cui esse ebbero a disposi- zione più zucchero nelle ore di freddo. L'acidità combinata non variò o diminuì un poco nelle piante più resi- stenti, aumentò fortemente in quelle più danneggiate, più ancora di quanto ebbe a diminuire l’acidità libera; questa invece rimase costante ed aumentò nelle piante che meglio tollerarono il freddo. Tale relazione si spiegherebbe ammettendo che gli acidi fossero più utilizzati per la respirazione nelle piante più delicate, e che in esse avvenisse — per decomposizione di albumine o di aminoacidi — una formazione di basi ammoniche o di ammoniaca addi- rittura ('). Mais. — Fu allevato accanto alla precedente serie, fino alla fioritura. Da una temperatura ambiente di 20° C., le piante furono trasportate nel frigorifero a 13°, e raffreddate a 2°, ciò che si ottenne (il 26 luglio) in 23 ore. La temperatura fu mantenuta a 2° per 7 ore, indi le piante furono riportate alla temperatura ambiente di 21,8°, e subito esaminate. Il danno apparve allora assai diverso nelle singole colture (*). La massima sofferenza si aveva nel vaso VIII (Nas SO,); subito dopo venivano i vasì III ((NH,)s C03) e II (NaNO;); poco meno danneggiate erano la V (KNO;) e la IX; poi la X e la VII (Mg S0O,). In condizioni molto migliori erano la IV (KHCO;) e la VI (KH, PO;); la I mostrava una sola foglia adulta un po' afflosciata. Non passava alcun rapporto fra la prosperità dello sviluppo delle parti aeree o delle radici e la resistenza al freddo. I nitrati e in generale la forte nutrizione azotata depressero la resistenza; la potassa e l'acido fosforico osta- (1) La decomposizione delle albnmine, conformazione di ammoniaca o di amine, quando manca o scarseggia il carbidrato solubile utilizzato per la respirazione, è un fatto già noto per le ricerche di Palladin, Butkevic, Rubner ed altri. Nell’uva congelata accade secondo Muth (1913) una solubilizzazione di azoto. (2) La temperatura di congelazione del mais in natura è —25 C. ne — 151 — colarono un po’ quest'azione sfavorevole, ma meglio di tutte resistettero le piante che non avevano ricevuto alcun sale. In generale la sofferenza crebbe con l'aumento della concentrazione del liquido del suolo. Faceva eccezione la coltura III, ma in questa la reazione alcalina del liquido ambiente doveva ostacolare l’attività radicale, ciò che conferma la deduzione, tratta dalla misura della quantità d’acqua assorbita durante il raffreddamento, che la depressione dell’attività radicale diminuisce la resistenza al freddo. Nelle piante di mais più resistenti non trovai una maggior concentra- zione molecolare del succo cellulare. Durante il raffreddamento la pres- sione osmotica del succo aumentò in ragione inversa dell’appassimento. Intro- ducendo questa correzione, l'aumento di pressione si cambia in una diminu- zione, proporzionale al grado di sofferenza, restando un effettivo aumento di concentrazione solo per la coltura I. che fu la più resistente. Pare quindi che vi sia un nesso fra la resistenza al freddo ed il potere di regolare la ‘pressione osmotica del succo cellulare, mantenendola invariata od aumen- tandola durante il raffreddamento. Si trovò inoltre una relazione con la concentrazione in peso del succo cellulare, e con la distruzione di sostanze disciolte, che si ebbe durante il raffreddamento e fu all'incirca proporzionale alla sofferenza. Ciò fa ritenere che le sostanze importanti per la resistenza abbiano un peso molecolare elevato. Fra le sostanze disciolte nel succo cellulare, i sali minerali non costi- tuivano una proporzione maggiore nelle piante meno sensibili. Durante il raffreddamento, la proporzione di minerali solubili crebbe nelle piante più danneggiate, ed in misura maggiore di quanto corrispondeva alla detta distru- zione delle sostanze organiche disciolte. Doveva quindi accadere una profonda decomposizione di quelle sostanze insolubili, di cui facevano parte gli ele- menti minerali che passavano nel succo. Mentre non vi era relazione fra l'acidità, libera e combinata, prima del' raffreddamento, e la resistenza al freddo, si constatò poi che durante il raffreddamento aumentarono gli acidi organici nel succo delle foglie che tol- lerarono meglio il freddo, mentre prevalse la distruzione degli acidi nelle foglie più danneggiate. Nei culmi la relazione fu meno netta. Le piante più ricche di zuccheri prima della prova non furono sempre le più resistenti. Piuttosto, più resistenti furono le foglie che durante il raffreddamento riuscirono a conservare invariato il loro contenuto zuccherino (IV e VI) od anzi lo accrebbero (I), mentre nelle altre avvenne una distru- zione dello zucchero, tanto più forte quanto maggiore fu il danno. Nei culmi — che nel mais contengono molto più zucchero che le foglie — la rela- zione fu anche più netta. Intanto anche i carbidrati plastici insolubili dimi- nuirono di più nelle piante che non tollerarono il raffreddamento; nelle piante — 152 — resistenti si ebbe anzi un aumento della somma dei carbidrati plastici (solubili ed insolubili), ciò che poteva essere causato, più che da un aumento dell'amido, dall’idrolisi di qualche carbidrato (pectina od emicellulosa), la cui natura non fu determinata ('). Ricapitolando i fatti osservati: 1. Non vi fu relazione diretta fra la resistenza al freddo e il valore alimentare dei sali forniti alla pianta. I nitrati per lo più depressero la resistenza, il potassio e l’aeido fosforico si opposero all'azione sfavorevole dei nitrati, ma non esaltarono la resistenza. 2. Non sì notò alcun rapporto fra la prosperità dello sviluppo e la resistenza al freddo. 3. La concentrazione del liquido del suolo in quattro piante non influenzò la resistenza, in una la depresse (mais). 4. Non sì potè constatare alcun rapporto fra la concentrazione mole- colare (pressione osmotica) del succo cellulare e la resistenza al raffredda- mento. Nel mais resistettero meglio le piante che riuscirono a conservare elevata o ad aumentare la pressione osmotica del succo durante il raffred- damento. ò. Nessuna relazione passava fra la resistenza e la densità del succo nel grano e nella barbabietola; nel girasole, pomodoro e mais le piante più resistenti avevano un succo più ricco di estratto. 6. La proporzione di minerali disciolti nel succo non influì sulla resi- stenza; nel pomodoro anzi le piante più resistenti avevano un succo più povero di costituenti minerali. Durante il raffreddamento avvenne nelle piante più sensibili di mais una solubilizzazione di minerali. 7. Nessuna relazione si notò fra la resistenza e la proporzione di acidi, liberi o combinati, esistenti nel succo prima del raffreddamento. Durante il raffreddamento si ebbe aumento di acidità nelle piante più resi- stenti di mais, ma anche nelle piante meno resistenti di pomodoro. 8. Nessun rapporto passava, prima del raffreddamento, fra la ricchezza in zucchero od in carbidrato plastico e la resistenza. Furoro però più dan- neggiate le piante che durante il raffreddamento ebbero a disposizione meno zucchero, sia perchè questo fu distrutto in maggior copia, sia perchè non si sciolse abbastanza amido. 9. Le dette relazioni furono constatate tanto nella morte per conge- lamento come nella morte per semplice raffreddamento. In ambo i casì il prosciugamento degli organi fu proporzionale alla sofferenza ed ebbe luogo, sebbene l'ambiente fosse saturo di umidità. (') Il rigonfiamento e la parziale idrolisi dell’emicellulosa e della pectina sono già noti per i processi di gelificazione (gommosi) della lamella mediana o sostanza intercel- lulare, ehe seguono ad un brusco raffreddamento. — 153 — Per ora mi limito a trarre da queste constatazioni due deduzioni generali: la sottrazione di calore per l'abbassamento inframinimale di tempe- ratura è la causa essenziale della morte per freddo, e ad essa si oppone la resistenza dell'organo, mentre la formazione di ghiaccio è un fenomeno ac- cessorio; la resistenza al freddo non è in relazione con la concentrazione del succo cellulare, nè col suo tenore in acidi o sali, ma con la proporzione di zucchero, che la cellula riesce a conservare durante il raffreddamento. Vedremo in seguito, se lo zucchero interviene solo come fonte di energia o se anche protegge il protoplasma contro l'autodigestione, come fa prevedere la sua forte azione antiproteolitica. Nelle ulteriori esperienze ho anche cercato di valutare a parte l’azione del freddo sull'attività radicale e sul trasporto di acqua dalle radici alle foglie, poichè tale azione non può evitarsi espo- nendo le piante nel frigorifero. E. M. d Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo 1-XX1I], Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXvVi. | Serie 2» — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). . Vol. 1II. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2» MEMORIE della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali storiche e Alologiche. Vol. V. V. VI. VII. VII. Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIIl. (1876-84). MEMORIE i Classe di scienze fsiche, matematiche e naiurali Vol. I. (1, 2). — Dl. (1, 2). — III-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e flolegiche Vol. I-XIII Berie 4* — RenpicoNTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche Vol. 1-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fsiche, matematiche e natural: Vol. I-XXVI. (1892-1918). Fasc. 4°, Sem. 1°. RenDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXVI. (1892-1917). Fase. 7°-10°. MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. Fasc. 8. . MaxoRIE della Classe di scienze morali, storiche e Alologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. Fase. 1-6. ) fi CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due. volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia è di L. 1©; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscnaer & C€.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoepri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Febbraio 1918. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 febbraio 1918. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Sanwia. Sulle serie di potenze sommate col ‘metodo di Borel generalizzato (pres. dal Socio E. D'Ovidio)'. 8. a. se le al Amadori. I composti del fluoruro e del cloruro con il fosfato di piombo (pres. dal Socio Cia- MiICian) i inn A I I Pantanelli. Su la resistenza delle piante al freddo (pres. dal Socio Cubonî) nie ae O .E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. CESTI | REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXV. 1918 SAITTA OO MINI RENDICONTI 9 Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 marzo 1918. Volume XXVII. — Fascicolo 5° 1° SEMESTRE. RS ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCBRI PROPRIETÀ. DEL DOTT. PIO BEFANI 1918 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi, Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie rresentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del: l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4/s. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci 3 Corrisponden*i, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discuse sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- { demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici, se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude.con una delle se- . guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o insunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. = 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archiv dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall‘art. 26 dello Statuto. 5. L’Accademia-dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 30se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli antori, dl TRA RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ___TTTTLRXLYTrrTFàT9oyT-T Seduta del 3 marzo 1918. A. Ròrti, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulla integrazione dell’equazione (1) A VUE Nota del Socio Luioi BIANCHI. 1. Sia z= (x,y) una superficie integrale dell'equazione (I), dove c indica una costante. Denotando con K la curvatura (totale) di 9 e con @ l'angolo che la sua normale forma coll’asse Oz, abbiamo Ma ARA 4 Fa (r VI+p+qg?° onde la (I) si traduce per la (S) nella proprietà geometrica espressa dalla equazione seguente: (1*) K+csent0=0. Distinguendo i due casi della costante c positiva, ovvero negativa, por- 1 95 : remo Cir Ce Gia region rispettivamente e dimostreremo quanto segne. 1 1° caso: ec=—-,. — L'integrazione della equazione a 2 2)2 (1) ripa lo sì riporta, in generale, a quella della nota equazione dp 2 I. = (2) SR Dpr ReNDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 29 — 156 — che si sa integrare completamente per funzioni di Bessel (Du Bois Reymond); ed in un caso particolare (per superficie rigate) all'altra d°p * == c ) da IP d'integrazione immediata. Da ogni soluzione nota della (2) si ottiene, per quadrature colle formole di Lelieuvre, una superficie S (non rigata) integrale della (1). Quanto alle rigate, che si deducono similmente dalle soluzioni della (2*), sono conoidi rette con generatrici rispettivamente parallele a quelle dell'elicoide rigata ad area minima e poste con queste in un piano normale all'asse. Come per le superficie pseudosferiche, così anche per le superficie in- tegrali della (1) esistono /rasformazioni asintotiche (per congruenze W) che appartengono alla classe delle trasformazioni di Bicklund. Esse cangiano in particolare le rigate della classe (1) in altre rigate. 1 E; 3 : 2° caso: 6 ivo L'integrazione della corrispondente equa- zione 2 2\2 (3) SEO] al si riconduce a quella della celebre Muli della fisica matematica (4) so pifi lg dp° alla quale viene così attribuito un nuovo significato geometrico. Per le superficie integrali della (3) le trasformazioni asintotiche, ap- plicate una prima volta, riescono essenzialmente immaginarie; ma anche qui basta comporre due tali trasformazioni coniugate immaginarie per dedurne trasformazioni realî, che si interpretano in semplici formole per le soluzioni della equazione (4). 2. In un primo modo stabiliamo i risultati ora indicati riferendoci a formole generali per la rappresentazione sferica, le quali si prestano util- mente in molte altre ricerche. Si sa che sulla sfera di Gauss le immagini sferiche (@ , 8) per le linee asintotiche di una superficie non possono scegliersi ad arbitrio, ma debbono soddisfare alla condizione (necessaria e sufficiente) del Dini d (2 n al28) (5) miei =}? },' dove i simboli di Christoffel a) , i ir s'intendono calcolati per l’ele- ' ZI 1 — 157 — mento lineare sferico in coordinate @,8. Se con K=— curvatura della superficie, si ha 1 e 5 dloge _ 9612) dloge _ (pal da di Dea oi e la superficie corrispondente è individuata a meno di un’omotetia. Sia ora (6) ds° = e du? + 2/ du dv + gdr? l'elemento lineare sferico riferito a coordinate curvilinee x, si domandi di cangiare le x, v in altre variabili @, #, v arbitrarie, e rispetto alle quali sia soddisfatta la condizione (5) del Dini. Procedendo come per le equazioni di Darboux relative alle asintotiche virtuali nel problema della deforma- zione (*), si trova che le w,v, quali funzioni di @,8#, debbono soddisfare al sistema di equazioni del 2° ordine del tipo iperbolico: i dloge | du du da dl dU da db (12) a dloge ]/ du dv du nl (22) d0 dd +7 1 dv JE3+ Ya )f da 1 (Noa FT nam a) (1 - ] dv pa dU 2) d 60 LEA de X mati: ) da ali 2) a du dv du dW (2 dlogo | 9v dv _ RIO o) 4} nu ww JE -0 dove i simboli a si riferiscono all'elemento lineare sferico (6) e per lo) o=0(v,v) s'intende una funzione assegnata arbitrariamente di u,v. Le (A) sono appunto le equazioni per le immagini virtuali di asintotiche che volevamo stabilire, e corrispondono esattamente alle indicate equazioni di Darboux. Esse possono servire a trattare il problema di trovare le superficie per le quali la curvatura K è un'assegnata funzione della giacitura del piano tangente (di p, 9) (2). Ne risulta in particolare: esiste una ed una sola superficie della classe con due curve sferiche assegnate quali imma- gini sferiche di due asintotiche di diverso sistema. si avranno formole reali ana- Se la superficie è a curvatura positiva, loghe alle (A), riferendosi alle immagini sferiche (a, $) di un sistema s0- termo-coniugato sulle superficie. Le formole si scrivono ora: (*) Cfr. Darboux, Zegors ete., t. III, pag. 290, e la mia Nota: delle superficie flessibili ed inestendibili (Atti dell’Accademia d Torino, vol. XL, 1905). (2) Si tratta qui dunque dell’equazione a derivate parziali rt — s* = Sulla deformazione F(p,9) sì indica la. 4» — 158 — (11) , dlogo sud (Ri +[2! ‘ui + ee (vuo +{22) 4o=0 (11 drei 9 (A+ +[2)5(+ +50 [v(w. )+|{71 (22) +e gono, (B) dove per Di tot s'intende una funzione arbitraria prefissata di u,v e si è posto, colle consuete notazioni, d°U du du \? DUAN d = === à Ma = De) 4 TT ap Hi 3, ui du dv IU ww UU = CCC Vine de Fe | dL IL Queste equazioni (B) appartengono ora al tipo ellittico e si possono applicare i noti teoremi sulle equazioni di questo tipo al corrispondente problema (di Minkowski). 3. Particolarizziamo le coordinate sferiche v,v nelle ordinarie geogra- fiche, che dànno al ds? la forma ds? = du? + sen?udv?. Le equazioni fondamentali (A),(B) diventano rispettivamente du dlogo du du «adi dp du da dl a 1 dloge (du dv, du Di do w _ (A*) TE È > 1 38 = SSIMIACOR a PESI dv 1 3012) dU dv, dw 2) dloge dv dw _ da 3 + (cotut; dv Ga si \ ds + E? Au + EL 91, v) — senu cosu4,v=0 A du (B*) < i | 404 (2eotu+ 3080 E) VW, 9) + SIOECR,A ei dv — 159 — Applichiamo queste formole alle superficie della classe (I1*) ponendo e distinguendo i due casi K (dipendenti da due costanti ar- bitrarie) sono nuove soluzioni della (4). È da osservarsi per l'integrazione delle (9) che, applicando il metodo di d'Alembert pei sistemi lineari, la corrispondente equazione di Riccati è di immediata integrazione, e quindi: %/ sistema (9) sé integra con quadra- ture. Ma inoltre, se si applica nuovamente il processo di trasformazione usando opportunamente del teorema di permutabilità, si vede che anche qui, dal primo passo in poi, l'applicazione indefinitamente ripetuta delle tras- formazioni si compie în termini finiti. RENDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 23 — 164 — Chimica. — Za ricerca dell’acidità nelle polveri senza fumo. Nota del Socio A. ANGELI. Nell'esame delle polveri senza fumo, a base di eteri nitrici della cel- lulosa e della glicerina, oltre alle determinazioni che si riferiscono ai carat- teri ed alla composizione dei singoli costituenti, vengono eseguiti come è noto anche i cosidetti « saggi di stabilità », i quali servono a fornire un criterio approssimato sullo stato di conservazione dell’esplosivo. Questi saggi di stabilità sono per lo più fondati sul comportamento che presenta l’esplosivo quando venga sottoposto all’azione del calore; per tal modo si sviluppano vapori nitrosi che si riconoscono dal colore giallo rossastro caratteristico, oppure che vengono rivelati dai soliti reattivi od anche dalla loro proprietà di arrossare la carta di tornasole. Per la determinazione quantitativa i vapori vengono ossidati ad acido nitrico, ovvero ridotti per trasformarli in azoto; in altri casi si determina l'aumento di pressione che sì verifica quando l'esplosivo vien riscaldato in recipiente chiuso, ovvero anche la perdita di peso che subisce l’esplosivo stesso. Oppure si tien conto dell’innalzamento di temperatura che si manifesta nella massa dell’esplosivo quando esso si mantenga, per un certo tempo, in un bagno a temperatura costante ed in recipienti poco conduttori del calore (vasi a doppie pareti fra le quali sia stato posta farina fossile od in cui sia stato praticato il vuoto). Questo metodo è stato proposto da Ph. Hess (!) ed al pari dei precedenti trova applicazione nella pratica. Evidentemente la temperatura elevata, cui viene sottoposto l'esplosivo, ha principalmente lo scopo di accelerare i processi di decomposizione che si possono essere iniziati nella sua massa; sopra questo aumento di velocità hanno influenza anche l'umidità e la luce. Affinchè i risultati siano fra di loro comparabili, tutti questi metodi devono venire eseguiti seguendo norme ben determinate e, come si è già detto, essi forniscono criterî solamente approssimati sullo stato di conserva- zione delle polveri senza fumo. Infatti, io ho potuto osservare numerose volte, e soprattutto nel caso della balistite, che i dati forniti da tali saggi possono essere soddisfacenti sebbene l'esplosivo si trovi realmente in non buone condizioni. Ciò dipende, molto probabilmente, dal fatto che i risultati forniti dalle prove al calore non sono in relazione diretta con la quantità di prodotti instabili che l’esplosivo contiene e che, d'altra parte, questi prodotti instabili (!) Mitt. Gegenst. Art. Geniewes. /4 (1883), 92. — 165 — dànno vapori nitrosi solamente dopo di essersi trasformati in uno ovvero più altri prodotti intermedî successivi ('). È noto inoltre che solamente una parte, e talvolta assai piccola, del- l'azoto si manifesta sotto forma di prodotti nitrosi (e protossido di azoto), mentre il rimanente si sviluppa allo stato di azoto libero (?). Finora non è stato possibile di ricercare e tanto meno di stabilire la natura chimica di tutti i prodotti che si trovano nelle polveri avariate e che si formano in seguito a complicatissimi processi di decomposizione; il fatto però che l’azoto contenuto in origine sotto forma di residui nitrici si sviluppa sotto forma di azoto libero ovvero dei suoi ossidi inferiori, conduce necessariamente ad ammettere che almeno una parte dei termini intermedî di decomposizione sieno di natura acida, molto probabilmente acidi organici che derivano dalla nitrocellulosa ovvero dalla nitroglicerina in seguito a processi di ossidazione e di idrolisi. Fra le norme che vengono date per l'esame delle polveri infumi, non manca quella di saggiarle con la carta di tornasole umida; ma come una lunga esperienza mi ha dimostrato, questo saggio può riuscire negativo anche quando si tratta realmente di polveri che hanno marcata reazione acida. Ciò dipende molto probabilmente dal fatto che si tratta di piccole quantità di acidi, pochissimo solubili nell'acqua e che vengono trattenuti tenacemente dalla massa colloide dell’esplosivo e che perciò non è possibile rilevare se sì opera nel solito modo. Per tutte queste ragioni, allo scopo di meglio eseguire la ricerca in parola, sono ricorso all'artifizio di saggiare con un indicatore l’esplosivo sospeso in acqua, dopo di averlo ridotto in trucioli sottilissimi, allo scopo di aumentarne la superficie. Come indicatore ho data la preferenza al dimetilamminoazobenzolo: (CH) N CeH 7 N=NeC5Hy che come è noto è colorato in giallo, mentre invece i suoi sali sono inten- samente colorati in rosso. Esso è una base abbastanza forte e perciò viene salificato anche dagli acidi deboli; inoltre i sali ‘colorati in rosso invece di restare sciolti nel liquido acquoso, come avviene per gli altri indicatori che ho provati, riman- gono fissati alla superficie dell'esplosivo come una materia colorante ad una fibra (8). (*) C. Rullgreen. Zeit. fiir Schiess- und Sprengstoffwesen 7 (1912), 153. (*) P. Vieille. Memorial des Poudres et Salpetres (1909-10), 92. (8) Per mezzo dello stesso indicatoré si può, in modo semplicissimo, porre in evi- denza l’azione decomponente che ‘esercita la luce sopra le polveri senza fumo. A tale scopo si ricopre parzialmente una sottile lamina di balistite con un corpo opaco, ovvero — 166 — Per il saggio si impiega la soluzione alccolica del reattivo al 0,2 per cento; sopra circa mezzo grammo di trucioli di esplosivo si versano pochi cent. cubici di acqua distillata addizionati di tre ovvero quattro goccie di indicatore e si agita; lentamente a freddo, ed in modo più rapido immergendo per qualche istante il tubo da saggio nell'acqua bollente, l’esplosivo si colora in rosso più o meno intenso a seconda del suo grado di acidità. Invece l’esplosivo normale si colora in giallo limone. In ogni caso il liquido sovrastante rimane perfettamente incoloro. Non sempre gli esplosivi acidi manifestano bassa stabilità alle prove al calore; invece essi si infiammano, come numerose esperienze mi hanno dimo- strato, molto più presto degli esplosivi normali, quando in forti cariche, vengano mantenuti a temperature piuttosto elevate; gli esplosivi che reagi- scono acidi bruciano inoltre in modo irregolare ed incompleto ed alle prove di tiro presentano scarti nelle pressioni e nelle gittate. Astronomia. — Sulla nutazione diurna. Nota del Corrispon- dente V. CERULLI. In due opuscoli, uno francese e l’altro italiano, éditi ‘ultimamente, il sig. Boccardi, direttore della Specola di Pino Torinese, ha creduto rispondere alla mia Nota « Ancora sulla polodia » inserita nel nostro Rendiconto 3 giugno 1917, asserendo che io abbia in essa scritto « la nutazione diurna dell'asse d'inerzia della Terra compiersi nel senso retrogrado » . Questo è un nuovo errore del Boccardi, e consiste nell'aver scambiato l’asse di rotazione con l’asse d'inerzia. La mia proposizione, che ogni me- diocre conoscitore degli elementi della Meccanica riconosce giusta, è stata questa: che sia retrograda la nutazione diurna dell’asse di rotazione rzspetto allo sferoide. Sul rimanente contenuto degli opuscoli del Boccardi posso dispensarmi dall'intrattenere l'Accademia. anche con una negativa fotografica e si sottopone per ‘qualche tempo ai raggi del sole. Immergendo la lamina in una soluzione diluitissima del reattivo, le parti colpite dalla luce si colorano in rosso, mentre le altre diventano gialle. — 167 — Matematica. — Proprietà caratteristiche delle equazioni di grado primo p risolubili per radicali. Nota-del dott. GruLio DARBI, presentata dal Socio L. BIANCHI. Con la presente Nota, che ha lo scopo di determinare un nuovo criterio per riconoscere se un'equazione di grado primo p è risolubile per radicali ('), dimostreremo il seguente teorema: La condizione necessaria e sufficiente affinchè un'equazione di grado primo p, irriducibile nel campo assoluto (C) di razionalità, a cui appar- tengono i suoi coefficienti, sia risolubile per radicali, è che qualunque fun- zione razionale in (C) (*) delle sue radici si possa esprimere in funzione lineare omogenea di (p — 1) radici, con coefficienti che sono funzioni razio- nali in (C) della rimanente radice. 1. Sia: (1) 0 un'equazione di grado primo p, irriducibile nel campo assoluto (C) di ra- zionalità, a cui appartengono i suoi coefficienti, la quale sia risolubile per radicali. Sappiamo che il suo gruppo (G) di Galois è d'ordine pd, essendo d un divisore di (p — 1). Esaminiamo dapprima il caso in cui sia d uguale 4 (p—1). Denotando con x, &1,..., %p-1 le radici della (1), sappiamo che tutto il gruppo metaciclico si genera con le dne sostituzioni elementari 0) i OE le sue p(p — 1) sostituzioni sono date dalla formola ei B AN L SAI RT RT Aggiungendo al campo (C) la radice x, il gruppo (C) si ridurrà al gruppo ciclico formato da T e dalle potenze T?,T?,..., TP! —1, mentre l'equa- zione data (1) si riduce all’equazione abeliana a gruppo ciclico: (a) _. (2) e o di grado (p — 1), irriducibile nel campo (C; xo). (*) Cfr. Luigi Bianchi, Teoria dei gruppi di sostituzioni e delle equazioni alge- briche secondo Galois, an. 1899, pp. 197-200, edit. Spoerri, Pisa. (2) Con l’espressione: funzione razionale in (C) delle radici, intendiamo dire: fun- zione razionale delle radici con coefficienti appartenenti a (C) — 168 — Ricordiamo il seguente teorema (): La condizione necessaria e sufficiente, affinchè un'equazione ciclica di grado x, irriducibile in un certo campo (K) di razionalità, a cui apparten- gono i suoi coefficienti, goda della proprietà per cui: ogni funzione razionale in (K) delle sue radici si possa esprimere in funzione lineare di queste con coefficienti appartenenti a (K), è che fra le radici x, ,%2,...,%n della data equazione non esista alcuna relazione del tipo: (3) mt + += 0. essendo C un numero di (K); d un divisore di 7; d< n. Giova notare che il precedente teorema sussiste, se nel campo (K) sono irriducibili le equazioni che danno le radici primitive #"° dell'unità, essendo # un divisore di n uguale o minore di 7. Dimostreremo che le menzionate condizioni sono soddisfatte dall’equa- zione (2). Sappiamo che le radici primitive "° dell'unità, essendo f un divisore di (p — 1) soddisfano ad un'equazione abeliana (?): (4) y(e)=0, di grado 4<, irriducibile in (C). Se la (4) fosse riducibile nel campo (C, xo), il suo gruppo (H) d'ordine 4, dovrebbe ridursi ad un suo sotto- gruppo (H,) d'indice p in (H) (?); ciò è impossibile, essendo tale indice minore di p. Se fra le radici della (2) esistesse una relazione del tipo (3), essendo € un numero del campo (C, xo), 4 un divisore di (p— 1); d0, R>O. Poichè dalle (1) si deduce per © e ' la relazione a coefficienti interi po + (mo — no=0, segue che, indicando con 0 e o delle indeterminate intere, i sistemi di in- teri caratteristici m,%,p,g corrispondenti ai varî moltiplicatori @ di C e questi moltiplicatori stessi sono dati tutti nel primo caso dalle formule n=p=0 , m=qQ=0 , @a=s0Q (0+ 0) e nel secondo caso dalle formule oi ROERO (e@*-+0°£0). Corrispondentemente per v = mq — pa si ha, nei due casi, v=0*° oppure v=0° + Qo0 + PRo?. Per dare nel secondo caso alla formula riguardante v un aspetto più semplice giova porre, indicando con 7 una nuova indeterminata intera, Q—_1 Ot — — (0) O=T—--—_—_ DI 2 secondo che Q è pari o dispari; corrispondentemente risulta D rr di oppure v=a° +rod+ —/— 9°, dove D=4PR — Q? è positivo. Se la curva C è singolare, il numero D che non dipende dalla scelta dei periodi primitivi di J, e che, per quanto risulterà tra poco, ha un si- gnificato geometrico fondamentale per la curva C, lo diremo il determinante di C; e, sempre con linguaggio evidentemente suggerito dalla teoria aritme- tica delle forme quadratiche, diremo che C è della prima o della seconda — 174 — specie, secondo che Q è. pari o dispari, o, ciò che fa lo stesso, secondo che è D=0 oppure D=3 (mod. 4). Notando che se C è armonica è D= 4, mentre se C è equianarmonica è D=83 (e viceversa), risultano dalle cose dette i seguenti teoremi: I. Se la curva C non è singolare, essa ammette infinite y} con gli ordini LEPRI avendosi una yi per ogni valore dell’ordine. » II. Se la curva C è singolare e il valore del suo determinante è D, gli ordîni delle infinite y\ esistenti su C sono dati dai numeri po- sitivi rappresentabili mediante l'una o l’altra delle due forme p=e+tge »,f = re + Pilo secondo che C è della prima o della seconda specie; e per ogni valore dell'ordine v si hanno su C tante yi diverse quanto è il numero delle rappresentazioni diverse di v mediante la forma f 0 f' diviso per 2, per 4 0 per 6, secondo che è D>A, D=40D=3. Di qua sì possono dedurre numerose proposizioni sfruttando la teoria dei numeri rappresentabili mediante forme quadratiche; ci basti indicare, a titolo di esempio, la seguente che dà luogo a un enunciato semplice ed ele- gante: Se C è armonica e v è un numero dispari positivo, il numero delle y} esistenti su C è dato da M— N, essendo M il numero dei di- visori di v della forma 4h 4-1 ed N il numero dei divisori di v della forma 4h 4-3. 4. Se la curva C non è singolare, le sue infinite y) si ottengono consi- derando per ogni valore di la y}a dei gruppi di punti x-pli delle co! gr appartenenti a C; se la curva C è singolare, essa, oltre queste infinite yh: che sì ottengono supponendo o = 0 in tutte le formule precedenti, ne contiene infinite altre. Dette siugolari queste ultime y) si determina subito per esse il minimo valore che può essere assunto da v. Una discussione semplice e sostanzialmente nota, che qui si sopprime per ragioni di spazio, conduce infatti al teorema: III. Se la curva C è singolare ed ha il determinante DD>A, lor- D dine delle sue y\ singolari d'ordine minimo è 4 oppure D+I secondo che C è della prima o della seconda specie; e il numero di queste Y\ è, corrispondentemente, uno o due. — 175 — Nel caso delle curve armoniche ed equianarmoniche le y} singolari d'ordine minimo sono, rispettivamente, una y) e una y}. 5. La classificazione delle curve ellittiche singolari in curve di 1% e 2* specie e l'introduzione per esse del carattere D, il valore geometrico delle quali risulta chiaramente dal teorema III, mostrano che a ricerche classiche sulla teoria dei numeri e delle funzioni ellittiche a moltiplicazione com- plessa può darsi un interessante significato geometrico. Il lettore lo rico- nosce subito appena rifletta che i teoremi seguenti non fanno altro che applicare alle curve ellittiche singolari risultati notissimi di quelle teorie. IV. Le curve ellittiche singolari aventi tutte uno stesso determi- nante, si ripartiscono in un numero finito di classi di curve birazional- mente distinte. V. Gli invarianti assoluti delle curve ellittiche singolari birazio- nalmente distinte dello stesso determinante (ove \ invariante assoluto di una curva ellittica, che è determinato a meno di un fattor costante, sia conve- nientemente detinito) sono numeri interi algebrici, radici di una stessa equazione a coefficienti interi irreducibile (nel campo assoluto di razio- nalità). VI. Una curva ellittica singolare di 2° specie a determinante D è birazionalmente identica a una involuzione (ellittica) di ordine 2 appar- tenente a una curva ellittica singolare di 1° specie col determinante 4D. VII. Il numero delle curve ellittiche singolari di 2° specie col de- terminante D>3 birazionalmente distinte, eguaglia quello delle curve ellittiche singolari di 1° specie a determinante 4D 0 la sua terza parte secondo che è D =7 (mod 8) oppure D=3 (mod 8). Che se poi D=3, è due numeri sono ancora eguali ed equali en- trambi a 1. 6. Ad evitar malintesi sul concetto di y} singolare non è forse inutile avvertire esplicitamente che il numero delle involuzioni ellittiche di un determinato ordine esistenti sopra una curva ellittica è sempre finito ed è sempre lo stesso qualunque sia il modulo della curva. Ma variando il mo- dulo può cambiare il numero delle involuzioni di quell'ordine birazional- mente identiche alla curva. — 176 — Astronomia. — Sopra :l movimento di rotazione diurna della Terra. Nota III di A. ANTONIAZZI (Socio corrispondente del r. Isti- tuto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, e della r. Accademia di Sc. L. ed A. di Padova), presentata dal Socio T. LeEvI-CIVITA. ForMULE DI PRECESSIONE E DI NUTAZIONE. La risoluzione del problema riguardante il movimento diurno della Terra può considerarsi sostanzialmente raggiunta nelle due Note precedenti con il calcolo già eseguito degli integrali primi del movimento (velocità di rotazione). Converrà ora applicare quei risultati alla determinazione delle Formule di Precessione e Nutazione, limitate ai termini praticamente ne- cessarî per gli usi astronomici. Sia il sistema fisso £7$ definito dall'eclittica e dall'equinozio fissi, abbia cioè l'asse £ diretto al polo dell’eclittica fissa e l’asse È diretto al- l'equinozio fisso. Il sistema mobile yz ha l'asse z diretto al polo mobile CÒ del mondo, l’asse y sull’equatore mobile in una ascensione retta @ eguale a quella dell’astro S, perciò l’asse 4, pure situato sull’equatore mobile, avrà l'ascensione retta a — 90°. L'equatore mobile e l’eclittica fissa si intersecano nel punto N formando l'angolo «, obliquità dell'eclittica fissa sull'equatore mobile. L'arco ÈEN=p è lo spostamento dell’equinozio sul circolo fisso di riferimento per effetto delle perturbazioni (prodotte dalla Luna e dal Sole) sul movimento diurno della Terra, cioè la precessione lunisolare in longitudine; l'arco Ny = 0 è lo spostamento dell'equinozio che dipende dal movimento della eclittica dovuto alle perturbazioni dei pianeti sul moto annuo della Terra, cioè la s x rÉ A Ja vrnane seit i : — 177 precessione per i pianeti è sarà Nx =o0 + a — 90°. Le quantità wo, €03 o + a — 90° sono i tre angoli euleriani che definiscono la posizione relativa dei due sistemi di coordinate (v. Tisserand, 7rasté de mécanique céleste, tome II, pag. 372) e pertanto dy le p=— ta sen so c0s(0 + a) — n sen (0 + @) gi do sen £, sen(0 + a) — dei cos (0 + @) di di da cui dU'o : sene gg =? cos(0o + a) + g sen (0 + @) der 4 i psen(0 + a) — 7 cos(o + a). In queste si dovranno sostituire le espressioni trovate di p e g (for- mule (10) della Nota II) e ciò facendo si potrà trascurare la piccolissima precessione per i pianeti o in tutti i termini, ad eccezione che nel primo della espressione di 9. Risulta dWe a3 senen = *75 sel 20 sen (0 + a) — 4200 cose è RAME COSA: 2 PET, (11) deo a a 20 cos(o + a) — C a rcose+2u —@ #6 8608 8082 |. qa AH Per eseguire l'integrazione dei primi termini conviene sviluppare le 3 Fascia” a ? SARA due funzioni 73 Sen 20 sen(c + a), 75 Sen 20 cos(0 + @) in serie i cui ter- mini siano espressi per mezzo degli elementi del moto del corpo S. Tali funzioni sono quelle stesse che entrano nei quattro integrali delle espressioni di n, e di 7 (Nota II), perciò lo sviluppo dovrà essere fatto con maggiore estensione, ma con le stesse direttive del precedente e i risultati che se ne otterranno potranno anche dare l’idea dei termini allora trascurati. — 178 — In luogo delle formule (8) avremo, dalla considerazione del triangolo ©zS della figura precedente e indicando con 4, #6 la longitudine e la lati- tudine di S rispetto all'eclittica e all'equinozio fissi. Î send = sen# 0088 + cos$, sen £, sen (4, + wo) (12) ‘ cosdcos(o-+a)= cosfcos(4 + Wo) cos d sen (0 + a) = — sen #8, sen «, + cos # cos &, Sen (Ao + Wo) . Conviene ora, in luogo delle coordinate 4, £ riferite all'eclittica fissa, introdurre le coordinate 4f riferite alla eclittica attuale rispetto alla quale sono dati dalle effemeridi astronomiche gli elementi del moto del Sole e della Luna. La posizione dell'eclittica mobile rispetto alla fissa è data dalla longitudine ZZ del suo nodo ascendente e dalla sua inclinazione 7. Per semplicità porteremo sull'eclittica mobile l’equinozio fisso, intendendo cioè di contare le longitudini sull'eclittica mobile a partire da un punto distante ancora ZZ dal nodo (*). Il triangolo formato dal punto S e dai poli delle due eclittiche avrà per lati 77, 90° —# , 90° —$, e due angoli saranno 90° — (A— 42) , 90° + (4 — 47) e pertanto sen8= senfcosr + cosfsensrsenlZ — 77) cos 8, cos(A, — ZZ)= cosf cos(A — IZ) cos 8, sen(4, — Z7)= — senf senz 4- cos è cos rr sen(A — I). L'angolo 77 è così piccolo da poterne trascurare le potenze superiori alla prima. Tenuto conto di ciò, sommando le due ultime equazioni moltiplicate rispettivamente per cos(Z74 y,) e per — sen(ZZ-+- ww) € poi sommando le stesse equazioni moltiplicate rispettivamente per sen(17 + w.) e per cos(Z7 +4 w,) si trova sen 8, = sen + 77 cos f sen (4 — 12) (13) ‘ cosp, cos(A, + Wo) = 08 f cos(A + w) + 77 sen # sen(27 4 wo) | cos 8, sen (40 + wo) = cos f sen(4+4 w,) — 7 sen f cos (17 + wo). Le formule (9), con procedimento analogo e ponendo poi 1=cos*17+sen*1% , cosî=cos°1/— sen?17 ci daranno senf = senz sen(/ — 2) cos 8 cos(A +-w,) = cost + è cos(/ + w,) + sen? + è cos(/ — 292 — wo) cos 8 sen (4 +-w,) = cos 1 è sen(/ + w,) — sen + è sen(/—22— 4%) cos £ sen(4— I7)= cos° 3 i sen(/ — 27) — sen? 1: sen((—22+ I). (1) Si confronti J. Bauschinger, Die Bahnbestimmung der Himmelskòrper, pag. 64. — 179 — Nel combinare queste equazioni con le (13) si osserverà che questi calcoli riguardano l’azione perturbatrice prodotta dalla Luna e che questa ha un'orbita inclinata di circa 5° sull'eclittica e pertanto si potranno rite- nere trascurabili le potenze di senz superiori alla seconda e il prodotto mr senz e risulterà seng,=senz sen(/ — £) + 77 sen(/— IZ) cos Bo c08 (4, + Wo) = 008° 3 è cos(f + w) + sen? + 2 cos(/ — 22 — wo) cos 8, sen(ZAh + wo) = cos 3 è sen(/ + w) — sen? + i sen(/ —22-- Wo) e quindi le (12) daranno send = cos «, [senz sen(/ — 2) + 7 sen(/ — ZZ)] + sens, [cos® +; sen(/ + ww) — sen* 3: sen((/ — 22 — w)] cos d cos(o |- a)= cos? 17 cos(/ +) + sen? 37 cos(f —- 22— Y) cosò sen (0 -+ a) = — sens [senz sen(/-— 2) + 77 sen(/ — ZZ)] + cos &, [cos* +; sen(/ + w,) — sen? +7 sen(/ — 22 — wo)]. Da queste si deducono subito le espressioni di sen 20 cos(0 + a) e di sen 20 sen(0 + «). Facendo uso delle leggi del movimento ellittico si dovranno poi esprimere la longitudine vera / dell’astro nella sua orbita e la distanza 7 in funzione della longitudine media L, della longitudine del perigeo ww, dell’eccentricità e dell'orbita e della distanza media a. Si ha (1=L+2esen(L--@)+3e°sen2(L1-@) +... ii 73 1+3e+8ec08(L—m)+3ecs2(L—w)... 2 Allora il tempo viene ad apparire esplicitamente, poichè la longitudine media dell’astro varia proporzionalmente al tempo e si può ammettere, con tutta l’approssimazione necessaria, che siano proporzionali al tempo anche le variazioni delle longitudini del nodo e del perigeo lunare e quella del- l’eccenticità dell'orbita terrestre, nonchè le quantità 7 cos ZZ , 7 sen 27, per cui si può porre L+yw=L + ut Q+tyw=Q+vé D+ W= Wok xt e = + 218 n cos II = St n sen Il = né ReNnpICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 25 — 180 — ritenendo uv x e, é 7 come costanti. Nel caso della Luna si osserverà che, mentre questa percorre la sua orbita in 27 giorni e un terzo circa, il nodo della sua orbita percorre l’intera eclittica in 18 anni e due terzi circa e perciò u è grandissimo in confronto di v. Quando si integra una funzione di L si introduce un divisore dell'ordine di grandezza di wu, mentre quando sì integra una funzione di £ si introduce un divisore dell'ordine di gran- dezza di » e quindi i termini dipendenti dalla sola £ portano il maggiore contributo alla nutazione. Avendo noi ritenuti trascurabili tutti 1 termini periodici che contengono il fattore sen? 7, dovremo ritenere trascurabili i termini periodici che contengono il fattore e* e quelli che dipendono da L e contengono il fattore senz, ovvero e, ovvero 77. Nel caso del Sole, che ha il moto meno rapido di quello della Luna, si conserverà il termine dipen- dente da L, moltiplicato per e. Con queste limitazioni, eseguiti i calcoli e fatte le riduzioni, tenuto conto delle formule 2 sen a cosòb = sen(a +2) + senl(a— 2), 2 senasenb=cos(a — 8) — cos(a + d), 2 cosa cosb= cos (a +2) + cosa — Bd), le formule (11) daranno d ; Se na cose,(1+3@—Gsent) + | cos 2 80 È va] (€ cosp — ysen yw) + dee, 008 88 |É sen &o — x cose, cos 2(Lo + ul) + 3 xe, cosa cos(L, — wo + ut — x0) cos 28, : 2 : FE “€ senz cos + vi) — 2x cosa, sen? +7 cos 2(Q, + vt) +: sen €) ; de n = x cose (È senyw, + n cos w){ — x sen «, sen2(Lo + né) + x senz cose sen(S, + vt) + 2x sen a, sen 4< sen2(2, + v6) +» Occorre appena rilevare che, con le limitazioni adottate, gli ultimi termini delle (11) sono trascurabili e che le variazioni ora calcolate si ri- feriscono all’azione di un solo astro perturbatore e quindi le formule astro - nomiche di precessione e nutazione si deducono dai termini qui indicati, ripetuti per ciascun astro perturbatore; per la integrazione la quantità «4 sì ritiene costante nei secondi membri. ì — 181 — IL MOVIMENTO DELL'ASSE ISTANTANEO DI ROTAZIONE NELL'INTERNO DELLA MASSA TERRESTRE. Se nelle formule (v. Nota II) P dns P di Fato ET si sostituiscono per P e x i loro valori e, dapo eseguita l'integrazione e fatti gli sviluppi del seno e del coseno, si introducono i risultati nelle espressioni (6) di p e 9, sì trova 3 C p== cost fee n sen 20 [cos st nt cosa + sen È nt sen a | dt + A, cost ; 3 C C sen T mia Z sen2d0| sen— nt cosa — cos — n/ sena |dt— hs sent 1 A n A A Cna ) È 7) (0, C g=Se1t |a 3500 20 | cos x nt cosa + sen ii nt sen « | dt + h, sent On a C C — cos cf» e sen 20 [sei Ta né cose — cos x nl seu x | dt + hs cost e d'altra parte si ha (formule 11) 3 de=— x°, sen 20 coso + @) dt +... Ad, sen &, = fl sen29 sen(o + @) di +. Si tratta dunque sempre di integrare le due funzioni a ii 73 Sen 20 sen(0 + a) , 73 Sen 20 cos(o + a), combinate con altre funzioni periodiche. Gli sviluppi di quelle due fun- zioni contengono un termine costante (proveniente dalla prima), termini proporzionali al tempo (uno per ciascuna funzione) e termini periodici. Un ; ; Ski È termine costante m dello sviluppo di 73 Sen 20 sen @ porta nella espressione di p i termini seguenti cos e fmx sen È tdt fr a (OS A a” t— sent * x" = — mx cosa mentre nella espressione di g porta il termine masena. -- 182 — Un termine ut di primo ordine rispetto al tempo porta nella espres- sione di p i termini seguenti AIACZ C Il Un C == — nt dt — = = cost {wx n" t senz né di sent |ux< LCoS 7 nt di A == pla 008, sona e nella espressione di 9 risultano i termini A ultasena + =— ux cosa. Ca Un termine periodico sen Zf porta nella espressione di p i termini. _ (077) C Ca __C COS cf» n sen N nt sen dt dt — sent È 7 cos Ir nt sen di dt = li x — sen (a Mesa a MEA e nella espressione di 9 risulteranno i termini x Cn 2A 0 — cos(a — 4t) — n cos (a 4 dt) . PIO Ss + ®» Si ottengono dunque sempre termini periodici che si corrispondono nelle espressioni di p e g con lo scambio dei seni e dei coseni. Gli argomenti di questi termini si compongono dell’ascensione retta dell’astro e delle tre longitudini: dell'astro nella sua orbita, del nodo e del perigeo dell'orbita, e variano tutti da 0° a 360°. Si può concludere che le due quantità p e 9g oscillano ambedue intorno allo zero e che la velocità di rotazione della Terra intorno al proprio asse istantaneo di rotazione, 0 = n° + p* +9, in media è costante e le sue oscillazioni sono così piccole da doversi sempre trascurare. L'asse istantaneo di rotazione è determinato, rispetto agli assi coordi- nati, dai coseni direttori Lai i 0 0 0 cioè forma con il piano xz l'angolo i, con il piano yz l'angolo z 5 Se ora si considera una coppia di termini corrispondenti delle espres- siooi di p,g (termini che dipendono dal medesimo argomento) si può osser- vare che, mentre l'argomento varia fra 0° e 360°, l’asse istantaneo di rota- K = — 183 — zione si muove descrivendo la superficie di un cono circolare intorno all'asse di inerzia, per cui il movimento complessivo del detto asse si compone di tanti movimenti conici quante sono le coppie di termini periodici nelle espressioni di p e 9, e il polo di rotazione descrive intorno al polo d'inerzia altrettanti circoli minori, ciascuno dei quali nel tempo in cui l'argomento corrispondente varia da 0° a 360°. Ma tutti questi movimenti sono riferiti ad assi mobili nello spazio e rispetto alla massa terrestre. Assumendo due assi xy, fissi nel piano equa- toriale terrestre si può osservare che il movimento di questi rispetto ai precedenti xy avviene nel senso diretto con velocità eguale alla differenza fra la velocità n di rotazione della Terra intorno all'asse d'inerzia e la velocità = del movimento dell’astro intorno all’asse medesimo, per cui l’orientameuto dei nuovi assi coordinati, rispetto ai primi, può essere rap- presentato dall'angolo né —.@. Avremo perciò Po= p cos(nt — a) + g sen(ni — a) do = q c0s(nt — «) — psen(nt — a) e tutti gli argomenti dei predetti termini periodici saranno variati dell’an- golo nt — a. Poichè x è molto grande in confronto delle velocità del mo- vimento dell’astro e delle variazioni degli elementi della sua orbita, tutti quei termini si ridurranno a periodo approssimativamente diurno. Fanno ecce- zione i termini provenienti dalle costanti d'integrazione, i quali si trasfor- mano negli altri termini che hanno per argomenti t_-(nt—a)= ni A e quindi per questi termini vale il periodo di Eulero di c È giorni siderali. Le Variazioni di latitudini che effettivamente si osservano accusano movimenti dell'asse istantaneo di rotazione terrestre aventi periodi diversi da quelli ora accennati; per darne la spiegazione è evidentemente neces- sario ricorrere a ipotesi alquanto diverse da quelle che furono poste a fon- damento del presente studio. Cristallografia. — Sui cristalli di Quarzo di Monte Calanna (Zina). Nota di S. Di FRANCO, pres. dal Corrisp. F. MILLOSEVICA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 184 — MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Mingazzini G. e GiranNULI F. Azcerche cliniche ed anatomopatologiche sulle aplasie emicerebellari. Pres. del Socio B. GRASSI. PERSONALE ACCADEMICO Il Vicepresidente dà il doloroso annuncio della morte del sen. prof. Pietro BLASERNA, che fu per tant'anni, e fino a pochi mesi or sono, Pre- sidente dell'Accademia dei Lincei, nella quale alta e difficile funzione rese beneficî inestimabili all’ Istituzione. Oggi noi sentiamo, dice il Vicepresi- dente, il dolore profondo per la sua dipartita, nè è il momento d’un necro- logio, quale Egli si merita. Certamente Egli verrà degnamente commemorato, mentre in quest'istante rivolgiamo il pensiero a Lui coll'animo profonda- mente commosso. Il Socio MaRrcHIaFAVA si unisce ai sentimenti espressi dal Presidente, con le seguenti parole: Non competente a parlare, ciò che sarà fatto nella solenne commemo- razione, degli alti meriti scientifici di Pietro Blaserna, che fu per tanti anni l'amato Presidente della nostra Accademia, seguendo l’impulso del cuore, sento quasi il dovere, impostomi dall'antica devozione ed amicizia, che io aveva per Lui, di unirmi al rimpianto espresso ora dal nostro Presidente. Di Pietro Blaserna rimarrà sempre in noi la memoria della sua bontà sincera ed illuminata dall'alto sapere, della serenità del suo animo in tutte le vicende della vita, dell'adempimento austero di tutti i suoi doveri d'insegnante, di parlamentare, di accademico, e nelle opere benefiche, della mirabile finezza del suo gusto artistico specialmente nell'arte musicale, della fedeltà nelle amicizie in utraque fortuna. La lunga vita, sebbene l'organismo da lungo tempo non fosse sano, la resistenza agli attacchi delle malattie e la forza di vincerli egli dovè alla rigida sobrietà e alla temperanza, cui fu fedele come il gentiluomo veneto Luigi Cornaro, memore, come disse Cicerone, che potest igitur temperantia et exercitatio etiam in senectute conservare aliquid pristini roboris. Quando, nel principio dell'ultimo autunno, reduce da un breve viaggio nel Basso Isonzo, gli raccontai di essere passato per il suo paesello nativo all'ombra del superbo campanile di Aquileia, di aver visitato la basilica patriarcale custodita dai nostri soldati con l'elmetto da ricordare i legionari — 185 — di Roma imperiale madre di Aquileia, baluardo contro i barbari del Norzcum e della Pannonia, egli ne fu profondamente commosso e al mio invito di ritornarvi insieme nel prossimo autunno assentì con giovanile entusiasmo. Lo rividi dopo il disastro, che farà sempre sanguinare i nostri cuori: era depresso nel corpo e nello spirito e, poco dopo, cominciarono i sintomi di quella progressiva debolezza del cuore, cui doveva soccombere. Dopo molte settimane di malattia, sopportata con l’abituale serenità, l’ultima sera della sua vita, un'ora prima di morire, sebbene le pulsazioni delle arterie non fossero più percettibili e le membra fossero invase dall’algore della morte, egli parlò con voce chiara e limpida e poi, dopo aver detto di sentirsi meglio, come volesse addormentarsi, sì tacque. Stando vicino al suo letto, io vidi sulla tavola vicina, sulla quale di solito erano libri e giornali, un solo libro: questo libro era Zembi di Patria di Tomaso Sillani, lembi della patria nostra da Trento oltre il Quarnaro che Italia chiude e i suoi termini bagna, ove sono i nostri confini ancora sotto il dominio dello straniero. Nella pagina aperta lessi le seguenti parole: Za cattedrale di Trieste canta Roma e l’ Italia da tutte le sue salde pietre. Canta Roma da cui nacque, canta l’ Italia a cui anela. E le campane della torre quadrata, ad ogni vespero, pare che chiamino, urlando, verso l'aperto mare! Le pagine di questo libro di gloria e ancora di tristezza per noi, furono le ultime lette da Pietro Blaserna, pagine che lo ricondussero nelle terre ove passò la lieta fanciullezza e la giovinezza. E se da quell’ultima lettura fu esacerbato il dolore che quelle terre, ritornate già alla Madre Patria per il sangue sparso dai nostri giovani fratelli, siano nuovamente occupate dal- l’oppressore, ebbe certamente il conforto della speranza, della fede che il vessillo redentore d’ Italia ritornerà a sventolare fino ai nostri giusti confini e per sempre! Il Socio CramiciaN aggiunge le parole seguenti: L'uomo insigne e buono che per tanti anni ha retto la nostra Acca- demia ha ben diritto alla nostra più larga riconoscenza. Senza l’opera sua, la riforma della maggiore Accademia italiana, ideata ed iniziata da Quintino Sella, non avrebbe raggiunto così presto il suo fine. Ricordo assai bene tutto lo sviluppo che l'Accademia ha. percorso dal 1880 in qua, essendo stato in quei primi anni a Roma assistente del compianto Cannizzaro. Il trasporto dell'Accademia dagli umili locali che essa occupava in Campidoglio nella sua nuova sontuosa sede a palazzo Corsini e la sua nuova organizzazione, sono dovuti alle assidue cure del nostro antico e venerato Presidente. Assai bene ricorderà questi meriti il nostro Segretario ingegnere Mancini, che gli fu collaboratore fedele ed infaticabile segnatamente poi nella istituzione delle pubblicazioni accademiche. In questo campo la riforma — 186 — che dobbiamo a Pietro BLASERNA assurge ad importanza nazionale, perchè prima di essa il nostro Paese non possedeva un periodico che con regolare frequenza servisse a divulgare in Italia e massime all’ Estero i nostri lavori. I Rendiconti sono opera per cui tutti gli studiosi delle scienze fisiche in Italia devono serbare a Pietro Blaserna grata memoria. Dopo l'Istituto fisico, la nostra Accademia fu l'oggetto delle sue più assidue cure. Per tutte le manifestazioni dell’Accademia tanto all’interno che all’estero egli ebbe la più oculata e la più efficace percezione. La memoria di Pietro Blaserna non sarà mai spenta nei nostri cuori, ma ad attestarne anche ai posteri la nostra gratitudine per le sue beneme- renze, propongo che un busto gli sia dedicato in quest'Aula accanto a quelli degli uomini illustri che lo precedettero nell’ufficio di presidente. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosEVICH, presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando, col farne speciale menzione, il vol. III del Catalogo astrofisico della Specola Vaticana; declin. da + 55° a + 65° », e ricorda Z mo- dulatore di corrente ad uso di microfono del dott. F. MoRANO, e una serie di pubblicazioni del prof. BiGUINOT. Il Socio VoLTERRA fa omaggio, a nome dell'autore prof. LEBON, di varî opuscoli di argomento matematico, richiamando l’attenzione della Classe su di una biografia di DARBOUX, la quale contiene numerosi ed interessanti ricordi personali, essendo stato il Lebon collaboratore del Darboux durante gli ultimi anni di vita del Darboux stesso. CONCORSI A PREMI Il Segretario MiLLosevicH annuncia che hanno richiamato l'attenzione dell'Accademia sui propri lavori pel premio Sarztoro del 1917, i signori: 1. ALLARA Vincenzo. 1) « Il magnetismo negli animali e nelle piante » (ms.), — 2) « Sulla funzione vicariante di alcuni Epitelii » (ms.). — 3) « Sulla origine dei corpuscoli del sangue » (ms.). — 4) « Sulla coagu- lazione del sangue » (ms.). — 5) « Sul male di montagna o degli aviatori » (ms.). — 6) « Sulla quistione del Genio » (st... — 7) « Sulla borsa di Fabricio » (ms.). — 8) « Sulla causa del cretinismo » (ms.). 2. DonaGgio ARTURO. « Ricerche sulla cellula nervosa » (20 opuscoli) (st.). -- 187 — 3. Musciacco Augusto. 1) « La materia raggiante nella formazione delle nebulose » (st.). — 2) « L'ingrandimento degli astri verso l'orizzonte » (st.). — 3) « Per un piccolo mistero nel vortice dei liquidi » (st.). — 4) « Il Restometro » (st.). 4. Novarese NaPoLEONE. « Pedagogica sperimentale » (st.). b. PETRONE AngELO. 1) « L'infiammazione della cartilagine » (st.). — 2) « Breve guida-allo studio dei tumori » (st.). — 3) « Ricerche chimiche e sperimentali sull’avvelenamento da acido pirogallico » (st.). — 4) « Sulla coagulazione del sangue » (st.). — 5) « L'esistenza del nucleo nell’emacia adulta dei mammiferi » (st.), — 6) « Sull’azione degli acidi specialmente del formico nella tecnica della colorazione nucleare ed un nuovo liquido il Formio-carminio » (st... — 7) Ultime ricerche sul sangue » (st.). — 8) « Fisiologia e patologia » (69 opuscoli) (st.). 6. Ruarta CarLo. « I danni dell’aria impura » (st.). %. VanGHETTI GiuLiano. 1) « Vitalizzazione delle membra artificiali » (st... — 2) « Considerazioni varie sul concetto di cinematizzazione chirur- gica » (st.). — 8) « Relazione sulla protesi cinematica al convegno nazio- ‘nale per l'assistenza degli invalidi di guerra, in Milano » (st.). — 4) « Pro- gressi attuali della plastica cinematica » (st.). E. M. RENDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 26 — 188 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ ACCADEMIA presentate nella seduta del 3 marzo 1918. Beeurnor A. — Contributo alla Flora delle isole del Capo Verde e notizie sulla sua affinità ed origine (Estr. da- gli « Annali del Museo Civico di Sto- ria naturale di Genova », serie III, vol. IV, pp. 1-60). Genova, 1917. 8°. Béeuinor A. — Il R. Orto Botanico di Padova (Estr, da « La scienza per tutti», n. 16, pp. 1-16). Milano, 1917. 8°. Bik.urmor A. — L'industria della erbori- steria nella provincia di Padova; suo presente e suo avvenire (Estr. dall’ « Ar- chivio di Farmacognosia e Scienze af- fini », fasc. XII, pp. 1-87). Roma, 1918. 89. Bécuinor A. — L'ipotesi dell’ « Adria » nei rapporti con la corologia delle piante e degli animali (Estr. dalla « Rivista di propaganda geografica», pp. 188-207). Novara, 1917. 8°. Bécuinor A. — Schedae ad Floram ita- licam exsiccatam, series III, fasc. XIII Padova, 1917. 8°, pp. 95-173. Beeuinor A. — Sul polimorfismo sessuale di 7rachycarpus excelsa h. Wendl. e di Chamaerops humilis L. (Estr. dagli « Atti e Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova », vol. XXXIII, pp. 291-299). Padova, TERE Béguinor A. — Sull’azione tossica del Thlaspi alliaceum L. e sui principii attivi di alcune Crucifere velenose 0 sospette (Estr. dagli « Atti dell'Acca- demia Veneta Trentino/Istriana », vol. X, pp. 1-99-110). Padova, 1917. 8°. BrunI G. — Sul valore dell’olio essenziale di chenopodio come antielmintico (Estr. dal « Pensiero medico », pp. 1-12). Mi- lano, 1917. 8°. a Catalogo Astrografico 1900.0 Sezione Va- ticana. Vol. III, Coordinate rettilinee e diametri di immagini stellari su la- stre il cui centro è in declinazione + 62% Roma, 1917, 4°, pp. I-XLIY, 1.143. Fiori ApR. — Schedae ad Floram itali- . cam exsiccatam, series III, fasc. XIII. Padova, 1917, 89, pp. 95-173. IameLLI G. — Di un metodo pratico per la trisezione dell’angolo. Palermo, 1918, 4°, pp. 1-9. LeBon E. — Analyse de travanx mathé- matiques par Frederic Loliée. Paris, 1905, 8°, pp. 1-30. Leon E. — Bibliographie par Henri d’Osmons (Extrait de « La Revue con- temporaine », 1917). Paris, 1917. 8°-fol. LeBon E. — Gaston Darboux (Extrait du « Bulletin de la Société Philomatique de Paris », pp. 1-19). Paris, 1917. 8°. LeBon E. — Notice sur les travaux ma- thématiques. Paris, 1904, 8°, pp. 1-50. LeBon E. — Sur les travaux mathéma- tiques par Henry Carnoy. Paris, 1910, 8°. pp. 1-53. Morana F. — Il modulatore di corrente ad uso dì microfono metallico (Estr. dagli « Atti della Pontificia Accademia romana dei Nuovi Lincei », pp. 1-6). Roma, 1917. 8°. Moureu Ca. — Notions fondamentales de Chimie organique. Paris, 1917, 89, pp. 1-548. RoncaettI V. — Contributo allo studio dell'’optochin (etilidrocupreina) come mezzo chemioterapico (Estr. dal « Pen- siero medico », pp. 1-18). Milano, 1917. 80. Sarra R. — La Variegana (Olethretites — 189 — variegana hb. Lepidottera tortricide) ed binatoria (Estr. dal « Giornale di ma- i suoi parassiti (Estr. dal « Bollettino tematica di Battaglini », vol. LV, pp. del Laboratorio di Zoologia generale e 1-12). Napoli, 1917, 8°. agraria della R. Scuola superiore d’agri- ViscarDINI M. — Nota su alcune corri- coltura in Portici », vol. XII, pp. 175- spondenze duali di carattere proiettivo 187). Portici, 1918. 8°. metrico e studio sulla sfera e sul piano. Usai G. — Una questione di analisi com- + Roma, 1918, 8°, pp. 1-12. i ' n ù; 3 Tomas I ITA RA AVO LIENS ù PEA] 4 i ì (TIM ACRI E #0 VOS: RI a preei Lia n ‘ 9 w Ul fi H ur, ‘ x ì È A v", 4 \ a è ° o) DI È U si } ‘ È È x # Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXvVi. ‘ Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. + 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali storiche e filologiche. Vol. V. V. VI. VII. VIII. ‘Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze Asiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — Dl. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e Alologiche. Vol. I-XIII. Serie 4% — RenpicoNTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e Alologiche. ‘Vol. I-X. ‘Berie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXVI. (1892-1918). Fasc. 5°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e Alologiche. Vol. I-XXVI. (1892-1917). Fasc. 7°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. Fasc. 8. MzrwoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. Fase. 1-6. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon» denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia è di L. £®; per glialtri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti ‘editori-librai : Ermanno LorscaeR & €C.° — Roma, Torino e Firenze. ULr:ico Hoepri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Marzo 1918. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 marzo 1918. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sulla integrazione dell'equazione ri—- s+ c (p3 + gi) AMG Re MIA o per Pag. Angeli. La ricerca dell’acidità nelle polveri senza fumo. 40. e. e +00 + 8a Cerulli. Sulla nutazione diurna (na Darbi. Proprietà caratteristiche delle equazioni di grado primo p risolubili per radicali (pres. dal Socio Bianchi) CIRO PRI A I A O N I RS I ORO II IO MOI SSA SLA OO I Scorza. Sulle curve ellittiche singolari (pres. dal Corrisp. Castelnuovo) . . . ..... » Antoniazzi. Sopra il movimento di rotazione diurna della Terra (pres. dal Socio: Levi- Civita) . SIUATTO SINGARTO IRONICO Sta) Di Franco. Sui Gili di dui di Meo Calanna (Etna) (rs dal OSALO 7) Millose- vich)(*) . BIRRE I IO E MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI. Mingazzini e Giannuli. Ricerche cliniche ed anatomopatologiche sulle aplasie emicerebellari (pres: dal Socio. Grassi) via ii e e e A OA PERSONALE ACCADEMICO Roiti (Vicepresidente). Annuncia la morte del sen. prof. Blaserna e commemora l’estinto » Marchiafava e Ciamician. Si associano alle parole di rimpianto pronunciate dal Presidente » i PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando alcuni lavori del dott. Morano e una serie di pubblicazioni del prof. Béguinot . . . .:}. . » Volterra. Fa omaggio di alcuni opuscoli del prof. Zedon e ne discorre. . . . . .. » CONCORSI A PREMI Millosevich (Segretario). Comunica l'elenco dei concorrenti al premio Santoro, pel 1917. » ADR TORE METEO STAR BULLETTINO! BIBLIOGRAFICO |: UL O RO e ORTO IR NT (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 186 188 E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. Pubblicazione bimensile. AE ELLA ANNO CCCXV. 1918 SII LAO ABIN Ia RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del A7 marzo 1918. Volume XXVII. — Fascicolo 6° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1918 REALE ACCADEMIA DEI LINCFI ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IL Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. [Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta perciascuna delle due Classi, Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi siche, matematiche e naturali si pubblicano re- larmonteo due 70 .l mese; essì contengono te Note ed ì titoli delle Memorio yresentate da Soci e estranci, nelle due sedute monsili del l'Accademia nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'aunata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispou- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4!/a. | 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci 9 Corrisponden*i, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un aumero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus» sivui verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se ' Soci, che vi hanno proso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, sedeta stante, una Nota per iscritto. r——otldo rr LT tar 1 ui __T__—P__o o_o T_-> II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memosie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per lo Memorie }resentato da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell Accade- mia o insunto o in esteso senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria.agli Archivi — dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell’ultimo in seduta segreta 4. A chi presenti una Morioria per esame è ‘ data ricevuta con lettera, uella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contem lato dall art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 90se estranei. La spesa di un numero di e‘ pie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli antori, RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCERI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. TTT Seduta del 1? marzo 1918. Presidenza del Socio anziano E. MonNACcI MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisiologia. — Ricerche sulla « Ghiandola salivare posteriore » dei Cefalopodi (). Nota I del Corrispondente FrLiPPo BotTTAZZI. La « Ghiandola salivare posteriore » dei Cefalopodi, particolarmente degli Ottopodi, è stata oggetto di ricerche sperimentali fatte da varii autori, fra i quali meritano di essere segnalati principalmente Krause (?), Hyde (*), Bottazzi ed Enriques (‘), Livon e Briot (*), Henze ($) e Bottazzi (?). Queste (1) Ricerche eseguite nel Laboratorio di Fisiologia della Stazione Zoologica di Napoli. (3) R. Krause, [1] Die Speicheldrisen der Cephalopoden. Centr. f. Physiol., vol. IX, pag. 273 (1895); Idem, [2] Veber den Bau und. Function der hinteren Speicheldrisen der Octopoden. Sitzungsber. d. k. Akad. zu Berlin, 1897, pag. 1085. (3) J. H. Hyde, Beobachtungen tiber die Secretion der sogenannten Speicheldrisen von Octopus macropus. Zeit. f. Biol., vol. XXV, pag. 459 (1897). (4) Fil. Bottazzi e P. Enriques, Sulle proprietà osmotiche delle glandole salivari posteriori dell’Octopus macropus nel riposo e in seguito all’attività secretiva. Volume giubil. dedic. a L. Luciani. Milano, 1900. (5) Ch. Livon et A. Briot, Sur le suc salivaire des Céphalopodes. Journ. de Physiol. et de Path. génér., vol. VIII, pag. 1 (1906). (Qui sono citate le precedenti pubblicazioni di questi autori). (6) M. Heuze, [1] Chemisch-physiologische Studien an den Speicheldriisen der Cephalopoden: Das Gift und die stickstoffhaltigen Substanzen des Sekretes. Zentr. f. physiol., vol. XIX, pag. 986 (1906); Idem, [2] UVeder das Vorkommen des Betains bei Cephalopoden. Zeit. f. physiol. Chem., vol. LXX, pag. 258 (1910-11); Idem, [3] p-0xy- phenylàthylamin, das Speicheldrisengift der Cephalopoden. Zeit. f. Physiol. Chem., vol. LXXXIII, pag. 51 (1913). (") Fil. Bottazzi, Ricerche sulla Ghiandola salivare posteriore dei Cefalopoli. Pubblicaz. della Staz. Zool. di Napoli, vol. I. pp. 59-146 (con 33 figure nel testo) (1916). ReNDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 27 — 192 — ricerche sono state rivolte allo studio, sia della composizione chimica della ghiandola e del secreto, come anche dell’azione fisiologica degli estratti ghiandolari e del secreto (*). Circa la morfologia e la struttura della ghian- dola, notizie soddisfacenti si trovano nei lavori di Rawitz (?) e di Krause (*), non che in quelli di Pfefferkorn (‘), Wiilker (°), Hillig (9) e Richter (7). Altri lavori di minore importanza trovansi citati nella mia precedente Memoria o saranno rammentati via via in queste Note. L'organo risulta di due corpi ghiandolari distinti, aventi la forma di mandorla o di cuore, dal cui ilo, situato più vicino alla loro estremità pros- simale, partono i condotti escretori, che dopo un breve percorso di lunghezza ineguale si fondono in un condotto unico piuttosto lungo, il quale finalmente va ad aprirsi nella cavità boccale. I corpi ghiandolari ricevono sangue per due piccole arterie staccantisi dall’aorta dorsale o dai due rami principali di questa; e sono inclusi in un seno venoso comune, nel quale giunge sangue che proviene dall’apparato digerente, e che, assorbito dalla ghiandola come da un spugna (ved. appresso), serve alla funzione secretiva di essa. Si comprende, quindi, come questa ghiandola separata dal corpo e immersa in sangue dello stesso animale si trova, più di qualsiasi altra, in condizioni molto simili alle normali, e tali da permetterle una lunga sopravvivenza. La ghiandola è del tipo tubolare. I tuboli presentano una parete costi- tuita essenzialmente di uno strato interno di cellule cilindriche secernenti, e di uno strato circolare esterno di elementi contrattili che ricordano piuttosto le cellule muscolari liscie che le fibre muscolari striate. La parete dei con- dotti escretori, invece, oltre ad elementi connettivali ed epiteliali, contiene tre strati di elementi muscolari striati: due longitudinali, interno ed esterno, e uno medio circolare. I nervi ghiandolari decorrono nella parete dei condotti eseretori, e non sono isolabili. Essi contengono almeno due specie di fibre: motrici e secretrici. (!) Vedi a questo riguardo anche: S. Lo Bianco, Notizie biologiche riguardanti specialmente il periodo di maturità sessuale degli animali del golfo di Napoli. Mitt. Zool. Stat. zu Neapel, vol. XIII, pag. 530 (1899). (2) B. Rawitz, Veder den feineren Bau der hinteren Speicheldrisen der Cephalo- poden. Arch. f. mikr. Anat., vol. XXXIV, pag. 596 (1892). (8) Loc. cit, (2). (4) A. Pfefferkorn, Das Nervensystem der Octopoden. Zeit. f. wiss. Zool., vol. CXIV, pag. 425 (1915). (5) G. Wiilker, ZVeder japanische Cephalopoden. Abhandl. d. Akad. zu Miinchen (II. Klasse), Suppl.-Bd. 3, 1. Abhaudl. (1910). (6) R. Hillig, Das Nervensystem von Sepia officinalis L. Zeit. f. wiss. Zool., vol. CI, pag. 736 (1912). (7) K. Richter, Das Nervensystem der Oegopsiden. Zeit., f. wiss. Zool., vol. CVI, pag. 289 (1913). Meiosi = Per stimolare questi nervi bisogna stimolare il condotto escretore comune o i due rami in cui questo si biforca. L'effetto della stimolazione è molteplice: contrazione rapida dei condotti escretori, facilmente registrabile; contra- zione rapida dei corpi ghiandolari, anch'essa registrabile, dovuta al fatto che anche le ramificazioni intraghiandolari dei condotti contengono muscolatura striata; contrazione lenta impercettibile dei tuboli ghiandolari, dovuta alla tonaca muscolare (liscia) di essi; finalmente, emissione di secreto, per esempio, per una cannulina di platino infissa nel condotto escretore, emis- sione che può anche essere registrata graficamente ('), al fine di studiare il tempo di latenza, la soglia della eccitabilità ghiandolare, la velocità con cui il secreto è espulso ece. I condotti escretori, siano essi ancora uniti ai corpi ghiandolari o sepa- rati da questi, presentano vivaci movimenti automatici, la cui frequenza varia da quattro a sette contrazioni al minuto, alla temperatura media di 20° C. Essi si iniziano all’ilo del corpo ghiandolare, e quindi si com- prende come quelli dei due rami possano presentare un ritmo diverso. I corpi ghiandolari non presentano movimenti visibili. Se l’automatismo sia neurogeno o miogeno è impossibile dire prima di fare ricerche istologiche per vedere se, la parete dei condotti escretori contiene, o no, cellule nervose gangliari. L'atropina e la p-idrossifeniletilamina aumentano la frequenza delle con- trazioni automatiche del condotto, diminuendone l'altezza. La veratrina e la pelletierina vi provocano forte contrattura. Il secreto ghiandolare (qualche goccia), versato sulla superficie esterna del condotto, vi provoca contrattura e aumento della frequenza delle contrazioni ritmiche. Le stimolazioni elettriche (stimoli unici o tetanizzanti di corrente indotta, corrente continua) sono molto efficaci. La soglia della eccitabilità muscolare del condotto escretore è più bassa di quella della muscolatura dei condotti intraghiandolari, e ancora più bassa della eccitabilità secretiva della ghiandola. Il peso medio della ghiandola è di gr. 5,77. Esso varia da un minimo di gr. 4,30 a un massimo di gr. 7,68. Ma alcune ghiandole pesano fino a gr. 12 e gr. 15. Ho trovato che le ghiandole di peso maggiore sono sempre quelle degli Octopus macropus maschi, indipendentemente dalla stagione in cui gli animali sono pescati, dal periodo di loro maturità sessuale ecc. Si intende, che io mi riferisco esclusivamente a Octopus pescati nel golfo di Napoli. L'Octopus vulgaris ha sempre ghiandole di peso assai minore, e lo stesso può dirsi di quelle della Z/edone moschata. Ma in questi ultimi Cefalopodi non ho fatto osservazioni circa una eventuale differenza di peso (1) Per quanto riguarda l’apparecchio da me usato per registrare i movimenti spon- tanei e provocati del condotto escretore, i movimenti provocati dei corpi ghiandolari, la velocità di emissione del secreto ece., ved. il mio lavoro precedente (8). — 194 — delle loro ghiandole, secondo che appartengono a individui di sesso maschile o femminile. Le ghiandole rappresentano, nei maschi, circa 11,41 °/, del peso del corpo degli animali; nelle femmine, circa il 0,58 °/o. Il residuo secco delle ghiandole (stimolate) è, in media, di gr. 25,33 °/o; e varia da gr. 22,71 °/, a gr. 27,87 °/.. Secondo Hyde (*), esso oscilla fra gr. 23 e gr. 25 °/e. -Il residuo secco del secreto fu trovato da me, una volta di gr. 17,75 °/o e un’altra volta di gr. 20,90 °/,: in media, quindi, di gr. 19,32 °/,. Secondo Hyde (?), il residuo secco del secreto ottenuto da ghiandole immerse in sangue sarebbe maggiore (22 °/,) di quello del secreto di ghiandole immerse in acqua di mare (18 °/,). Secondo Krause (*), il contenuto in sostanze orga- niche del secreto varia da gr. 8,4 a gr. 19,8 °/, e il contenuto in ceneri da gr. 2,4 a gr. 3,4°/,. Il contenuto in ceneri sarebbe, dunque, notevol- mente minore di quello dell'acqua di mare delle vasche dell'Acquario (circa gr. 4°/). Il secreto prodotto dalle ghiandole stimolate elettricamente rappresenta, «in media, il 22,15 °/, del peso delle ghiandole stimolate. Il valore minimo trovato è stato il 12 °/,, il valore massimo, ll 30 °/,. Il Krause (4) trovò, che le ghiandole possono dare una quantità di secreto variabile dal 20 al 30 °/, del proprio peso. Mi sono persuaso che tali differenze dipendono, non solo dalla diversa eccitabilità e capacità funzionale delle ghiandole, ma, qualche volta, anche dal fatto che, verso la fine dell'esperimento, il secreto, divenuto eccessivamente denso e filante, ostruisce la cannula infissa nel con- dotto escretore. Infatti, da che uso cannule di platino aventi un lume mag- giore, e ho cura di introdurre in questo di tanto in tanto uno stiletto, la quantità di secreto che ottengo è maggiore. Il residuo secco del sangue arterioso di Octopus macropus è stato da me trovato, in media, di gr. 10,57 °/, con variazioni da gr. 7,56 °/ © gr. 13,35 °/,. Tali variazioni dipendono principalmente dal fatto, che racco- gliendo il sangue da animali ampiamente dissecati, è impossibile evitare che ad esso si mescoli una quantità variabile di acqua di mare, la quale penetra nel sistema vasale per le estremità periferiche aperte di alcuni vasi sanguigni più sottili. Krause (5) ha osservato che il sangue, in cui sia stata (1) Loc. cit. (*). (3) Loc.citn(e). (3) Loc. cit. (£ [2]): (#) Loc. Scipa(aA [121]! (Loc ici (ea N2))A DEIRA ci F A ; to E e — 195 — immersa una ghiandola attiva, apparisce più concentrato, aumentando il suo: residuo secco da gr. 14 °/, a gr. 18 °/. D'accordo con questa osservazione sta il fatto, che il sangue, in cui è stata immersa una ghiandola attiva, presenta una concentrazione molecolare alquanto superiore a quella del sangue fresco. In un caso, io stesso potei constatare che il sangue aveva perduto il 19 °/, del proprio peso. La pressione osmotica del secreto è alquanto superiore a quella del sangue, come dimostrano i seguenti dati numerici da me ottenuti: I. Acqua di mare . . . ..... 4=2,30°C Sangue di 0. macropus. <. .. 0...» —=2,20° » Sangue nel quale erano rimaste immerse le ghiandole durante l'attività . . »=2,51° » SECIeuo aa Pe I a i 2/08 a II. Sangue misto di due Octopus n= 2,1:8%5a Secreto misto delle ghiandole di essi. » = 2,80° » Contrariamente ad altri secreti di invertebrati marini, i quali come io stesso osservai sono isosmotici rispetto al sangue, questo della « Ghiandola salivare posteriore » dei Cefalopodi è dunque un poco iperosmotico. E ciò è dovuto, probabilmente, al fatto che nelle cellule ghiandolari, durante la loro attività, avvengono scissioni di sostanze complesse, con formazione di sostanze osmoticamente attive, le quali, passando nel secreto, ne aumentano la concentrazione molecolare. Per contro, la conduttività elettrica del secreto è quasi eguale a quella del sangue: Sangue ratti Rae RR Aa SCCFCLO Redi 0 ni e se ALII ‘Nel secreto, abbandonato a se stesso in condizioni tali da non poter subire putrefazione, dopo 2-8 settimane appariscono covoni e rosette di cri- stalli di tirosina in numero considerevole. Esso però dà una forte reazione di Millon, anche a freddo, subito dopo essere stato raccolto, vale a dire assai prima della comparsa dei cristalli di tirosina; esso, inoltre, col tempo, tenuto esposto alla luce diffusa, si colora in giallo bruno. La sostanza che dà la reazione di Millon è, molto probabilmente, la p-idrossifeniletilamina, sco- perta da Heuze (!) negli estratti alcoolici delle ghiandole; e da essa vero- similmente nasce la tirosina, per una reazione, catalizzata da una carbossi- lasi, inversa a quella per cui nelle ghiandole la tirosina sarebbe trasformata in p-idrossifeniletilamina. Ho in corso di esecuzione ricerche dirette a sag- giare tale mia ipotesi. (MLA (CANSI) — 196 — Sebbene il secreto, esaminato col metodo degl’ indicatori, abbia reazione neutra o assai leggermente alcalina (pa = 7 — 7,9), bollito, diventa assai opalescente, ma non coagula. Tuttavia. trattato con quattro volumi di alcool a 97 °/,, dà un abbondante precipitato, il che dimostra che esso contiene sostanze proteiche termostabili, o che si trovano nel liquido in condizioni tali da non coagulare al calore. Negli estratti acquosi delle ghiandole (fatti con acqua potabile o con acqua di mare), l’autolisi delle sostanze proteiche procede non troppo len- tamente, anche alla temperatura dell'ambiente, come dimostra il fatto che dopo circa un mese, vi rimangono pochissime proteine coagulabili dal calore, mentre la reazione del biurete svela la presenza di proteosi che sono pre- cipitabili con alcool. Anche in questi estratti, prima limpidissimi, col tempo si formano nume- rosi covoni di cristalli di tirosina, mentre i liquidi si vanno colorando sempre più intensamente in giallo-bruno, come le soluzioni di p-idrossifeniletilamina e quelle di adrenalina. Essi dànno la reazione di Millon, intensissima e a freddo, anche subito dopo la loro preparazione, e anche se le ghiandole furono, immediatamente dopo l'asportazione dal corpo degli animali, buttate in acqua distillata bollente, per distruggerne gli enzimi, e in essa tritate. La sostanza che dà la reazione di Millon rapidamente a freddo preesiste, dunque, nelle ghiandole, e non può essere che la stessa p-idrossifeniletilamina, che in quantità maggiore può ottenersi mediante l'estrazione con alcool. Il secreto e l'estratto non digeriscono l'amido cotto nè il glicogeno, e non idrolizzano il saccarosio. Digeriscono, invece, non molto lentamente, i muscoli freschi di Maja Squinado sospesi in acqua di mare, cioè in ambiente leggermente alcalino, e provocano la formazione di grande quantità di tirosina in una soluzione di peptone Witte. Essi dunque contengono enzimi proteo- litici e peptolitici, contrariamente a quanto era stato affermato da altri autori ('). I detti liquidi fanno anche coagulare lentamente il latte. (1) P. Bert, Jousset de Bellesme, Krikenberg, Bourquelot, Griffiths, cit. da O. v. Firth, . Vergl. chem. Physiol. der niederen "l'iere. Jena, 1903, pag. 215 e segg. — 197 — Geometria. — Fasci di quàdriche rotonde e Curve cartesiane. Nota del Corrisp. Gino LoRIA. L'osservazione, pubblicata di recente ('), che per la così detta « finestra di Viviani » passano co! quàdriche di rivoluzione (*), suggerisce natural- mente la questione se esistano altre curve gobbe di IV e I specie, che siano basi di fasci composti di superficie reali (cioè ad equazioni reali) di II ordine rotonde (°). 1. Per risolverla ricordiamo che una quàdrica di rotazione è caratte- rizzata dall’essere bitangente al cerchio immaginario all'infinito 4. Ciò prova che uno dei fasci richiesto è tagliato dal piano all'infinito in un fascio di coniche I° tutte bitangenti a 4. Ora, se i punti di contatto delle curve T° col circolo 4 fossero variabili, il fascio delle Z avrebbe 4 per inviluppo, mentre un fascio di curve piane non ammette inviluppo. In conseguenza le coniche I° toccano 4 in due punti fissi e del fascio fanno parte tanto il cerchio 4, quanto la corda di contatto (presa due volte) e le due tangenti a 4 negli estremi di questa. Emerge da ciò che mel caso in discorso la quartica base del fascio è l'intersezione di una sfera con una quadrica di rivoluzione. () G. Tiercy, Sur la définition géométrique de ba « Fenétre de Viviani » (L’en- seignement mathématique, T. XIX, 1917, pp. 8314-16). (?) La finestra di Viviani è analiticamente definita da due equazionl della forma ody de —-r=0 . 24y—rae=0; perciò essa è caso particolare di una curva assai più antica, l’ippopeda di Eudosso; infatti questa si può rappresentare col mezzo delle due seguenti equazioni (cfr. F. Gomes Teixeira, Obras sobre mathematicas, T. V, Coimbra 1909, pag. 324): aLy +e —rt=0 , a*+(y_-a'=(r—a), le quali coincidono con le precedenti nel caso a =r/2. Ora la maggior parte delle pro- prietà avvertite dal Tiercy nella prima, sussistona anche nella seconda. Infatti è agevole dimostrare: che per l’ippopeda passano co! quàdriche, tutte di rotazione, eccetto il ci- lindro parabolico 2° — 24x + 2ar=0; che i loro centri stanno sopra l’asse delle x; e che fra essi vi ha un cono a punti immaginari [a(x=7° +y°) +r2°=0], da contarsi” due volte fra quelli passanti per la curva. (8) Notisi che, siccome in un fascio di quàdriche non se ne trova in generale al- cuna rotonda, così per un fascio il contenerne anche soltanto una costituisce una specia- lizzazione; onde non ogni quartica gobba di 1% specie sta in una quàdrica di rivoluzione. Giova anche osservare che il problema enunciato rientra in quello più generale della ri- cerca dei fasci di quadriche dotati di proprietà metriche particolari. Oltre quelli, a cui è consacrata la presente Nota, citiamo il fascio determinato da due quàdriche equi- latere, il quale è tutto costituito di superficie di tale specie. ISATO ea È facile vedere che tale condizione è, non soltanto necessaria, ma anche sufficiente per ottenere un fascio costituito di quàdriche di rotazione. In- fatti, rispetto ad un sistema cartesiano ortogonale, una quadrica che sia di rivoluzione attorno all'asse delle # si può rappresentare mediante un’'equa- zione della forma (1) at +y + ag +28:+y7=0, mentre l'equazione generale di una sfera è (2) a+ y° +a°—2ar — 20y— 2c6+p=0, ove i coefficienti @,#,y,a,d,c,p sì supporranno tutti reali, affinchè sia reale la curva d’intersezione. Perciò tutte le quàdriche del fascio così de- terminato si possono rappresentare con l'equazione (3) (A+ 1)(e° + g°) 4 (4a + 1)? — 2ax — 2by + +2048—0)s+(y7+p)=0, onde effettivamente sono di rotazione attorno ad assi paralleli a 0g; va sol- tanto escluso il caso 4= — 1, chè allora la (8) diviene (4) (1—-a)e — 2ax — 2y-2(P+4+c)z+(p—y)=0, la quale appartiene ad un cilindro parabolico. Dunque: Una sfera ed una quàdrica di rotazione determinano un fascio di cui tutti gli elementi sono superficie di tale specie, eccezion fatta per un cilindro parabolico ; i loro assi sono rette fra loro parallele. 2. Il discriminante D(4) del primo membro dell'equazione (3) è dato da D(4)=(2+1)}(A+D(@2+1) (72+p) — (48— 0)]— (a2-+5°)(a4+ bf mentre in esso il suddeterminante complementare B(4) del termine noto Ay + è espresso come segue: B(4)=(4+1}(c4+1). Emerge da ciò: 1° che D(4) si annulla, oltre che per il valore già considerato 4 = — 1, per altri tre, uno dei quali certamente reale (gli altri due supporremo in seguito sempre distinti); 2° che l'equazione B(4Z)= 0 ha una sola radice, oltre la radice doppia A=— 1. Dunque: Per la quartica d'intersezione di una quàdrica di rotazione con una sfera entrambe reali, passano în generale tre coni quàdrici, uno dei quali ad equazione sempre reale ed inoltre un solo parabolotde (mentre in generale una quartica di prima specie sta su tre paraboloidi), il quale è ellittico ed a equazione reale: (4) (e—-1)(2°-+y°)—2e(ar + by) —(8+ca)s+(pe—y)=0. 9024 — 199 — 3. Siccome nel fascio di quàdriche che stiamo studiando si trovano sempre due coni, le cui equazioni sono reali od immaginarie coniugate. così noi potremo servircene per individuare il fascio stesso. I loro vertici sono reali od immaginarî coniugati, onde il loro punto di mezzo O è sempre reale; i loro assi saranno due rette reali o immaginarie coniugate di 1 specie (perchè hanno reale un punto all'infinito); assumeremo O per origine di un sistema cartesiano ortogonale e per asse delle 4 la parallela condotta da esso alla comune direzione degli assi dei due dati coni. Siccome è sempre reale anche la congiungente dei vertici di questi, così essa determina con Oz un piano reale in cui sceglieremo l’asse delle x. In conseguenza i due coni si potranno rappresentare mediante le due equazioni: (5) @_a+y= a 3 @+at+y=1 +0). Se le quantità a, e, u,v sono reali. i coni hanno reali i vertici e le equazioni; se di più w>Q0 il primo è a punti reali e lo è il secondo quando v > 0. Se invece i due coni sono immaginarî coniugati 4 e c sono quantità immaginarie pure, mentre w e v sono numeri complessi coniugati. Tutte le superficie del fascio sono rappresentate, al variare di Z, dal- l'equazione (6) (+ 2») (a° +4 y°) — (144) 2°—2a(u— 4) x +42c(1-4)z+ + a+ 4v)— 1-+4)e°=0; se le equazioni (5) sono a coefficienti reali, le superficie reali del fascio ‘(6) sì ottengono attribuendo al parametro 4 valori reali; nel caso opposto, affinchè dalla (6) scompaia ogni traccia d’immaginario, è necessario e sufficiente che 4 sia della forma — 4,/4», essendo 4, e Z» numeri complessi coniugati. Il centro della superficie rappresentata dall’'equazione (6) ha per coor- dinate (7) IRR 1 see rego MINI) iL MOTI onde, per gli anzidetti valori del pàrametro, è sempre reale, sta nel piano x ed ha ivi per luogo geometrico l’iperbole equilatera di equazione (8) (c+itta)(.ht2 e) 4uvace = 0. u— v k—v (ur)? Perciò: / luogo geometrico dei centri delle quadriche del fascio con- siderato è un’iperbole equilatera ('), il cui piano contiene gli assi di tutte le superficie del fascio stesso. !) In generale il luogo geometrico dei centri delle quàdriche di un fascio è una is) to, 5 RenpICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 28 — 200 — 4. Consideriamo alcune superficie speciali del fascio (6). a) Per A=— pw/v l’or citata equazione diviene (9) (u—v)a°—2al(u° — 0°) x + 2e(u+w)z—(u—v)e®=0, equazione sempre reale che rappresenta un cilindro parabolico. 3) Il discriminante D(4) del primo membro della (6) è dato da (10) D(2)=42(1 +14) [(# + 74) e — at wr(1+2)]. L'equazione D(4)=0, considerata come biquadratica in 4, ha per radici 0, co, — w/v, le quali corrispondono ai due coni ed al cilindro pa- u(e?— av) v(e° — a*p), reale se tali sono i coni dati, mentre ha la forma — 41/4: se questi sono immaginarî coniugati; onde in ogni caso il terzo cono del fascio ha una equazione reale. Affinchè esso sia a punti reali è necessario e sufficiente [v. l'equazione (6)] che sia rabolico, di cui sopra; la quarta radice vale — , quindi è ora dalla (10) risulta che per la quarta radice dell'equazione (10) si ha uti apr 144 de quantità reale e positiva tanto quando 4,c,w&,v sono reali ed inoltre u>0e v>0 oppue u<0 e vr <0, quanto allorchè a, c sono quan- tità immaginarie pure e w,v sono immaginarie coniugate. Ciò dimostra che: Za curva d’intersezione di due coni di rotazione ad assi paralleli giace sopra un terzo cono a punti reali, sia quando î due coni dati sono entrambi a punti reali, sia quando entrambi sono soltanto ad equa- zioni reali, sia finalmente quando sono immaginari coniugati. c) L'equazione (6) rappresenta una sfera quando e solo quando il pa- rametro 4 soddisfa l'equazione (u+v2) + (2-+1)=0. Da questa si trae cubica gobba; ma, se nel fascio si trova un cilindro, il suo asse si separa da detto luogo (e appunto ciò accade nel fascio in discorso); mentre tale distacco si verifica due volte quando la sua base è un ippopeda di Eudosso od una finestra di Viviani (v. più sopra). — 201 — valore reale se tali sono w e v, della forma — 4,/%, se 4 e v sono quan- tità immaginarie coniugate; in ogni caso, quindi, la sfera risultante è ad equazione reale. Questa può scriversi come segue: e dov +DO+1) ,, 4+1D)0+1), cane pe fe Ora l’espressione che sta al secondo membro è evidentemente positiva se a,C,MW,v sono reali e w,v sono positivi; ma lo è anche quando a e € sono quantità immaginarie pure e w,v complesse coniugate. Emerge da ciò che: Za curva d’ intersezione di due coni di rotazione ad assi paral- leli sì trova sopra una sfera a punti reali tanto se quei due coni sono pure a punti reali, quanto se essi sono immaginari coniugati. Combinando fra loro le due ultime proposizioni si ottiene il seguente risultato: Za curva d’intersezione di due coni di rotazione ad assi pa- ralleli può considerarsi come intersezione di una sfera e di un cono dî rotazione entrambi a punti reali, tanto se è due coni sono a punti reali, quanto se essi sono immaginari coniugati. Nel primo di questi casi la curva è digrammica, nel secondo (se con- tiene infiniti punti reali) è monogrammica (*). 5. La quartica in cui si tagliano i due coni (5) si proietta ortogonal- mente sul piano xy nella curva di equazione Vy(a Fa +y) — Vula—a' +y°)=2e: è questa una curva di 4° ordine avente per cuspidi i punti ciclici del piano e per fuochi i punti dell'asse delle x le cui coordinate sono Risulta da ciò che, se i dati coni sono reali, tali sono anche questi fuochi; ma che, se sono immaginarî, è reale il solo terzo fuoco. Nel primo caso la proiezione consta di una coppia di ovali di Cartesio, fatto importante, notato per la prima volta da A. Quetelet (3). Nel secondo caso (*) L. Cremona, Grundztge eines allg. Theorie das Oberflichen, deutsch von M. Curtze (Berlin, 1870), pag. 224. (*) Per la dimostrazione di tale asserto rimando alla mia opera: Spezielle allg. und trans. ebene Kurven, II Aufi., I Bd. (Leipzig, 1910), pp. 179-80. (3) Cfr. M. Chasles, Apereu historique, 2° 64. (Paris, 1875), pag. 351. — 202 — invece, adottando la nomenclatura di G. Salmon (?), si ha una curva cartesiana. Nel primo caso la curva si può costruire per punti applicando la procedura classica che serve a determinare le proiezioni dell'intersezione di due coni di rotazione ad assi paralleli (*), oppure anche specializzando il metodo noto per delineare l'intersezione di due coni qualunque. Ma nel secondo caso tale procedura non è effettuabile con elementi reali. Siccome però, come vedemmo, la curva obbiettiva può sempre riguardarsi come intersezione di una sfera a punti reali con un cono di rotazione pure a punti reali, così le sue proiezioni si potranno ottenere mediante un altro procedimento noto, quello cioè che serve a rappresentare l'intersezione di due superficie di ro- tazione ad essi paralleli, dopo di avere considerata la sfera come superficie di rotazione attorno al suo diametro parallelo all'asse del dato cono. La risultante costruzione delle curve càrtesiane ci sembra preferibile all’ unica a noi nota relativa a tali curve [alludiamo a quella di Cayley (*), basata sull'uso di sezioni coniche]; inoltre essa mette in evidenza una sostanziale differenza topologica, non ancora avvertita, che passa fra le ovali di Cartesio e le curve cartesiane; le prime, nascendo come proiezioni ortogonali di curve digrammiche, sono costituite da coppie di rami separati; mentre una curva cartesiana, essendo proiezione ortogonale di una curva monogrammica, consta di un solo ramo. Tali conseguenze si verificano agevolmente sulle figure risultanti dall'applicazione del metodo di Monge alla delineazione dell’ in- tersezione di una sfera con una superficie conica ad asse verticale; se vi ha penetrazione la proiezione orizzontale di quella linea consta di due rami, mentre se vi ha strappo essa è costituita da uno solo. (') Analytische Geometrie der hòheren ebenea Curven, deutsch von W. Fiedler (Leipzig, 1873), pag. 811. (3) G. Monge, Géométrie descriptive (Paris, An VII), pag. 75. (3) A. Cayley, Note on the Cartesians with two imaginary axrial Foci (Proc. of the London math. Society, T. III, 1869-71, pp. 181-82, oppure The collected Papers, T. VII, pp. 241-483). faez —- 203 — Mineralogia. — Sui cristalli di Quarzo di Monte Calanna (Etna) (‘). Nota di SaLvaTORE DI FRANCO, presentata dal Corrisp. FEDERICO MILLOSEVICH. Il tipo di roccia in esame di Monte Calanna (Valle del Bove), con noduli di ca/cite e geodi di quarzo, appartiene alle lave più antiche del- l’ Etna. Le rocce più antiche dell’ Etna sono anche interessanti per la presenza di cristalli di ematite, orneblenda, szaboite, calcite, aragonite, quarzo e zeoliti diverse. [ cristalli di quarzo sono molto rari e furono riscontrati per la prima volta dal prof. G. Basile (?) al Monte Calanna. Egli però non parla della calcite che in abbondanza si trova nella lava contenente i cristalli di quarzo e circa l’origine di questi ultimi, ammette la contemporaneità con la formazione della lava che impropriamente chiama trachite quarsifera. Ora il quarzo non si trova nella roccia come elemento costituente della lava, come notò il Basile, ma compare soltanto nelle cavità, e ci fa sospettare indubbiamente l'origine posteriore per lo stato di decomposizione di alcuni elementi silicati della roccia, in seguito all’azione delle acque circolanti. Il quarzo che sembra di trovarsi nella massa della lava appartiene a piccole geodi, come risulta dall'osservazione microscopica delle sezioni. Nelle rocce dell’ Etna il quarzo in cristalli (*) si è trovato sino ad oggi nelle lave di Monte Calanna, mentre nella forma granulare, come inclusioni di arenaria quarzosa, si trova inglobato nella massa lavica e nell'interno delle bombe, specialmente delle eruzioni recenti. Inclusi di arenaria ho incontrato anche in alcune lave di Paternò (*), che fanno parte dell’antica zona eruttiva perietnea. Il Lasaulx (*) nell'opera di Waltershausen non fa cenno alcuno della esistenza dei cristalli di quarzo nelle rocce dell’ Etna (5), ed ho creduto (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia e Vulcanologia della R. Università di Catania. (3) Sulla presenza del quarzo con inclusioni di magnetite in una trachite del- l Etna, Atti Acc. Gioenia di Sc. Nat. in Catania, serie 82, vol. XVI, 1882. (*) La silice idrata o Jalite compare anche sulla superficie e nelle cavità di alcune colate di lava. (4) S. Di Franco, Gli inclusi nella lava etnea di Rocca S. Paolo presso Paterno, Rend. R. Acc. dei Lincei, vol. XXI, serie 52, 2° sem., 1912. (°) Der Aetna, Leipzig, 1880. (9) Anche C. Hintze (Handbuch der Mineralogie, vol. I, Leipzig, pag. 1399), non fa il minimo accenno dei cristalli di quarzo delle lave dell’ Etna, e per la Sicilia cita soltanto quelli della solfara di S. Cataldo presso Caltanissetta. CE RONdReE interessante farne lo studio, trattandosi di un minerale raro dell’ Etna, come precisamente è tra i prodotti del Vesuvio. DESCRIZIONE PETROGRAFICA DELLA ROCCIA. Lava di colore grigio-verdastro, compatta con visibili segregazioni di feldspato bianco, con lucentezza vitrea, che raggiungono talora il diametro di 3 mm, con numerose e piccole masse sferiche od ovoidali di calcite e le cavità tappezzate da cristallini di quarzo, spesso in associazione con minuti cristalli scalenoedrici di calcite. La laminetta della nostra roccia di Monte Calanna, osservata al micro- scopio fa vedere una massa fondamentale a struttura ipocristallina, sparsa da abbondanti e grossi cristalli di /el/dspato, granuli di magnetite, noduli di calcite con orli di epédoto giallo-chiaro; accessoriamente si notano granuli di quarzo e cristalli di analcime. Il carattere porfirico devesi solo ad intexclusi di feldspato; l’augite e ’olivina non vi sono rappresentati, nè allo stato di fenocristalli, nè nella massa fondamentale. Questo tipo di roccia è molto raro tra le lave dell’ Etna, e mai è stato da me riscontrato nell'esame di moltissimi campioni delle differenti eruzioni; ho incontrato però qualche esemplare con soli interclusi di feldspato, ma l'augite e l'olivina erano sempre rappresentati in granuli o in listerelle nella massa fondamentale. La pasta fondamentale della lava in esame risulta da masserelle e liste di feldspato, con lo spigolo di allungamento (010):(001); granuli di epidoto, calcite e magnetite, questi ultimi abbondanti e disseminati uni- formemente. i I fenocristalli di feldspato si presentano ben conservati, in grossi cri- stalli tabulari, alcuni senza contorno definito per riassorbimento magmatico subìto o per incipiente intrusione di massa fondamentale, ricchi di inclusioni di epidoto e vetrose; a nicols incrociati alcuni mostrano una bellissima strut- tura zonata. Non mancano i geminati secondo le leggi dell'albite e di Carlsbad, rari con quella di Baveno. Le sezioni dei cristalli senza struttura zonata normali a (010) dànno come massimo valore di estinzione 32° e nei geminati doppii: I II 29 12° s1° 14° 32° 19° Valori che si avvicinano alla labradorite Ab, An,. — 205 — Invece le sezioni dei cristalli a struttura zonata parallele a (010) dànno le seguenti estinzioni riferite allo spigolo (010) : (001): orlo esterno . . . —27° (labradorite) nucleo centrale . . —32° (bitownite) La magnetite, abbastanza abbondante e ben conservata, si presenta in piccoli e grossi granuli con contorni irregolari, non mancano le forme ottae- driche, che dànno sezioni quadrangolari o triangolari e le forme allungate a guisa di bastoncelli. Qualche volta in piccole masse contornate da epidoto. La calcite è di colore grigio tendente al giallo, a contorni e dimen- sioni irregolari, di rado regolari geometrici. Vi si trovano inclusi granuli di epidoto, raramente di magnetite, una volta soltanto potei osservare il quarzo incluso in un nodulo di calcite, evidentemente si tratta di pseudo- inclusione; infatti nelle geodi risulta sempre la calcite anteriore al quarzo, mai il contrario. L’epidoto oltre a trovarsi abbondantemente nella massa fondamentale, sì trova incluso nei cristalli di feldspato e come orlo dei noduli di calcite; sì presenta in granuli o in aciculi a struttura raggiata. Anche le cavità della roccia sono rivestite da granuli di epidoto e quando si trovano riempite di calcite, la sezione mostra l’epidoto come un orlo, che non si può attribuire a zona di contatto tra la calcite e la roccia stessa. Tra la calcite e l’epidoto qualche volta si osserva una zona costituita di magnetite o di piccoli granuli di colore giallo molto sbiadito simili a globuliti, ma con debole birifrazione. Tale zona è stata formata a spese del- l'orlo di epidoto. Nelle rocce antiche dell'Etna la presenza così abbondante di epidoto non è frequente. 1l quarzo nella massa della roccia è stato da me osservato in pochis- sime sezioni, in granuli arrotondati con estinzioni ondulate ; esso appartiene a piccolissime geodi della roccia e non si può considerare come componente accessorio tra gli elementi della roccia, ma di origine posteriore al conso- lidamento del magma. Nella massa della roccia compaiono sezioni ottagone, isotrope, a rifra- zione nettamente più bassa del balsamo, con tracce di sfaldatura ad angolo retto, che a nicols incrociati presentano talvolta anomalie ottiche; si debbono riferire a cristalli di ana/cime, i quali compaiono anche in piccoli icosite- traedri {211}, nelle cavità di altre rocce analoghe del Monte Calanna. OSSERVAZIONI CRISTALLOGRAFICHE. T cristallini di quarzo si trovano nelle geodi della roccia, irregolarmente impiantati, ora sporgono i cristalli dalla parete delle geodi, altra volta sono — 206 — giacenti, terminati ad ambo le estremità del prisma con le faccettine dei romboedri; spesso în associazione con piccoli cristalli di calcite con la forma dello scalenoedro {201}. Si presentano generalmente limpidi e incolori, che possono raggiungere al massimo la lunghezza di 7 mm.; alcuni campioni sono però poco lucenti, torbidi e biancastri, altri invece ricoperti da patine giallo-brunastre di limonite. : Sebbene i cristalli non siano ricchi di facce, pure presentano un certo interesse per alcune faccettine non riscontrate nei cristalli di quarzo delle lave del Vesuvio, i quali presentano soltanto le forme più comuni.. Le forme da me osservate sono le seguenti: r {100} =}1011} , M{722} —}3031} , /j311f = {4041}; z 3221} — {1011} , 7ej110{ =1012t; m}211} =}1010}; s {412f=}1121}; ct412t 2461610, ig 10251 In qualche cristallo gli spigoli verticali sono modificati in modo da sem- brare facce cristalline, però quegli spigoli non sono netti e lo stato delle faccettine verticali non permette una esatta misura. Anche Aloisi (*) nei cristalli di quarzo dei marmi di Carrara osservò simili faccettine e d'accordo con Molengraaff (?) le ritiene dovute a corrosione, mentre secondo Bombicci (*) sarebbero dovute principalmente a perturbazioni durante la cristallogenesi. Le combinazioni osservate sono: 1) {100} 32216 {211} 2) 100} {221} 4110} j211? 3) 3100} 3221} 3415} 3211} 4) 3100} 3221}. J412} 3211 5) 1100} 3221} {413} 3413} J211} 6) 1100} {221}. 3412} {102 5f {211} 7) 3100} {221} {412 3412} {1025} 3211} 8) 11004 3221} {722} 3311} {412} {412} Jj2I1l La prima combinazione è la più comune, mentre la ottava è rarissima e la seconda è stata riscontrata una volta soltanto. (1) Il Quarzo dei marmi di Carrara. Atti della Società Toscana di Sc. Nat., Pisa, vol. XXV, 1909. (?) Studien am Quarz., II. Groth®s. Zeit. f. Kryst. XVII, pag. 149. (3) Sulle modificazioni degli spigoli verticali del Quarzo di Carrara, e su quelle che strutturalmente vi corrispondono sui cristalli di altre specie minerali. Mem. R. Acc. dell’Ist. di Bologna, serie 5*, vol. II, Bologna, 1892. "AMIN RS PRETE LE Rea pp Aa È & SEMO) In alcuni cristalli le faccettine dei due romboedri }100} e {221} sono incomplete e si arrestano dopo un certo tratto, essendo limitate in alto da una faccettina piana che assume l’aspetto di pseudo-faccia basale, la quale osservata con forte ingrandimento si mostra scabra e rugosa ed è sempre in modo approssimativo normale all’asse di maggiore simmetria: si tratta indub- biamente di arresti di accrescimento. La faccettina di base }111{ nei cristalli di quarzo è ancora dubbia o per lo meno molto rara, in quanto che alcuni autori l'ammettono, mentre altri la escludono completamente. Si possono consultare in proposito i lavori di Spezia ('), di vom Rath (°), di Molengraaff (*), di Lehmann (‘), di De Kroustchoff (*), di D'Achiardi G. (°). I romboedri }100{,{221{ si presentano generalmente con diverso svi- luppo, raramente con sviluppo equidimensionale delle facce romboedriche, sempre piane e splendenti, senza striature, all'infuori di qualche cristallo con accenno di tramoggie. 1 romboedri diretti 3722, {311} sono bene sviluppati, specialmente il secondo e sono stati determinati dalle seguenti misure: (722) :(100) 8 23°27’-23°32’ 23°29’ (media) 23°831' (calc.) (7) (722) :(211) 10 14 40 -14 45 14 43» 14 42» (8II): (100) 15 27 8-27 12 27 7 » DI gbrata Regi), SS dI 8 ta 11 8» Il romboedro inverso {110} è rarissimo, con faccettine strette e lucenti, le quali danno buoni riflessi e si prestano bene alle misure al goniometro. L'angolo che ho misurato è il seguente: (110):(22Î) 9 19°21'-19°26 19°24 (media) 19°22' (cale.). Il prisma }211} si osserva in tutti i cristalli, molto sviluppato con mar- cata striatura orizzontale. Qualche volta tali striature orizzontali risultano dalle facce dei romboedri {100} , }221} in combinazione oscillatoria col prisma 3211}. (') Sull’accrescimento del Quarzo, Atti R. Acc. delle Sc. di Torino, vol. XLIV, 1909. (*) Mineralogische Mittheilungen (Neue Folge), 22, Quarze aus Burke County, Nord-Carolina, Groth's Zeitsch. f. Kryst. u. Min., vol. X, Leipzig, 1885, pag. 487. (*) Loc. cit., pag. 158 (tav. I, figg. 10 e 11). (4) Die pyrogenen Quarze in den Laven des Niederrheins, Verhand]. d. naturhist. Vereins d. preuss. Rheinl. und Westph., XXXIV, 1877, pag. 203, Groth’s Zeitsch. f, Kryst. u. Min., vol. II, Leipzig, 1878, pag. 320. (5) Note sur quelques verres basaltiques, Bull. de la Société Minéralogique de France, vol. VIII, 1885, pag. 70. (*) Società Toscana di Se. Nat. (Processi verbali), Pisa, vol. XI, 1898, pag. 55. (*) Con le costanti del Kupffer a :c = 1, 1,09997, accettate da Dana (The System of Mineralogy, pag. 183) e da C. Hintze (Handbuch der Mineralogie, vol. I, pag. 1266). RenpICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 29 — 208 — Spesso il prisma è rastremato, per modo che il diametro va mano mano diminuendo verso l’estremità libera. i La bipiramide trigonale }412} e i trapezoedri trigonali {412 ,}10. 2. 5{, non presentano nulla di particolare e si osservano in pochi cristalli, la }412{ con facce piccole e lucenti, e i trapezoedri trigonali con facce ampie, rispetto alla grossezza del cristallo. Le misure mi hanno dato i seguenti valori: (412): (2ÎÎ) 12 87°51'-38° 0" 37°54' (media) 37° 58’ (cale.) (413) :(100) 10 28 49-28 53 2851» 28 54» (413): (211) (15 12 5-12,10, 12.800 Joe (412): (22Î) 11 54 48-54 57 54 53» 54 51» (412) : (4Î3) 7 25 55-26 2 25 59 ©» 25 57 “» (10.2.5):(2ÎÎ) 9 14 38-14 41 14388» 14 35» Non ho potuto osservare geminati di penetrazione secondo }111{, invece sì riscontrano geminati a croce secondo {521{. Generalmente i gruppi di cristalli sono associati a fascetti divergenti, altre volte presentano una distinta associazione parallela di due o più individui. E. M. x * Pubblicazioni della R. Accademia de! Lincoi. Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXII].. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali storiche e flologiche. Vol. V. V. VI. VII. VIII. Serie 8* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — Il. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di ‘scienze morali, storiche e flolegiche Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, maiematiche e naturali Vol. I-XXVI. (1892-1918). Fasc. 6°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-XXVI. (1892-1917). Fase. 12°. MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. Fasc. 8. MzmoRir della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. Fasc. 1-6. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutia l'Italia è di L. 1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. . Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscagR & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULr:ico Hora. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Marzo 1918. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 marzo 1918. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Bottazzi. Ricerche sulla « ghiandola salivare posteriore » dei Cefalopodi . . . . . Pag. 191 Loria. Fasci di quadriche rotonde e curve cartesiane . . +. . + SEA Sa . n 197 Di Franco. Sui cristalli di Quarzo di Monte Calanna (Etna) (pres. dal Corrisp. N. Millose- VAC) pi i a I e a RE RT IIS ie OI E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. Pubblicazione bimensile. N. ". ve agi Dl DELLA - REALE ACCADEMIA DEI LINCHI ANNO CCCOXV. 1918 SIL RON ZII RENDICONTI Ulasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 aprile 1918. Volume XXVII. — Fascicolo 7° 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DE! LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO REFANI 1918 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IL Col 1892 si è iniziata la Serie quinta dello pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fie siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Lé Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 41/s. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci 9 Corrispondenfi, e 30 agli estranei; qualora l’autore na desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. i 4.I Rendiconti non riproducono le discuse sivui verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi» cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. = 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archiv’ dell'Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli antori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. n Seduta del ? aprile 1918. A. RòITI, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Chimica. — Sopra i neri di pirrolo. Nota del Socio A. ANGELI. Nelle precedenti comunicazioni sopra questo argomento (*) mi sono limi- tato ad accennare alle materie coloranti che si ottengono dal pirrolo per azione dell’acqua ossigenata in soluzione” acetica. Probabilmenté questo è il processo che più rassomiglia alla formazione delle melanine naturali. Si comprende però subito che il pirrolo doveva essere in grado di dare materie coloranti anche quando si opera in altre condizioni, ed alcune espe- rienze che ho recentemente eseguite hanno dimostrato che questa sostanza, per azione della maggior parte degli ossidanti, può fornire prodotti inten- samente colorati, per lo più in nero ed in bruno; alcuni si sciolgono facil- mente negli alcali, altri invece sono insolubili. In ogni caso, da quanto finora ho potuto constatare, si formano quando si opera in soluzione acida. Così, se ad una soluzione di pirrolo in acido acetico si aggiunge una soluzione di bicromato di potassio, precipita subito una polvere nerissima; l'esperienza sì può anche eseguire impregnando un tessuto di cotone con la soluzione acetica di pirrolo e poi passandolo in un bagno di bicromato; il tessuto rimane tinto in nero ed il colore è stabilissimo al sapone ed alla luce. Il (1) Questi Rendiconti, vol. 24 (1915), 2° sem., pag. 8; ibid. vol. 25 (1916); 1° sem., pag. 761. RENDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 30 PO processo rammenta assai l’analoga colorazione che si ottiene ossidando i sali di anilina. La polvere nera, raccolta su filtro e poi lavata accuratamente con acqua, contiene cromo; a contatto con acido solforico diluito, il cromo in parte si scioglie e colora il liquido in verde; la polvere nerissima rimane però sempre indisciolta ed anche dopo averla lasciata un paio di giorni in presenza di acido contiene ancora cromo. Non è improbabile che almeno una parte del metallo sia combinata alla materia colorante per formare uno di quei sali complessi che si chiamano lacche. Il prodotto nero, per ulteriore azione di bicromato ed acido solforico diluito, passa facilmente in soluzione; estraendo con etere si ottiene ma- leinimmide, identica a quella preparata da Plancher. Ciò dimostra dunque che nella molecola della materia colorante sono contenuti ancora residui pir- rolici; ancora non è nota la sua composizione nè la sua struttura, ma tenendo presente che la maleinimmide si può considerare come il chinone corrispon- dente al pirrolo, ne segue la rimarchevole analogia: anilina —> nero di anilina — chinone pirrolo —> nero di pirrolo —> maleinimmide. Come si è già detto il nero ottenuto dal pirrolo per azione dell’acqua ossi- genata in soluzione acetica, per azione ulteriore dello stesso ossidante for- nisce immide succinica. È facile comprendere per quale ragione i due ossi- danti conducano rispettivamente a derivati maleici ovvero succinici. Materie coloranti analoghe, oltre che dalle soluzioni acetiche, sì otten- gono anche ossidando le soluzioni di pirrolo in acido solforico diluito. Questo è un fatto importante perchè, come hanno dimostrato le ricerche di Dennstedt, il pirrolo per azione degli acidi minerali si trasforma in polimeri. Io ho potuto constatare che tanto il tripirrolo come anche la base amorfa che assieme a questo si forma, forniscono entrambi precipitati neri quando vengano trattati con bicromato, in presenza di acido solforico diluito. Ma se prima di aggiun- gere il bicromato, le soluzioni solforiche si trattano con eccesso di acetato sodico, non si ha subito colorazione; solamente dopo qualche giorno si ha un poco di precipitato nero. ; La soluzione limpida di pirrolo in acido solforico diluito, per aggiunta di acqua ossigenata diventa verdognola e dopo circa un'ora incomincia a separarsi una polvere nera; questo nero non si scioglie in potassa diluita. Anche con cloruro ferrico si forma materia colorante. Il rosso di pirrolo si colora del pari in nero con bicromato ed acido solforico diluito. Questi fatti presentano uno speciale interesse perchè dimostrano che la formazione dei neri di pirrolo molto probabilmente è preceduta da un processo di polime- rizzazione della molecola del pirrolo, che si compie in modo più o meno rapida a seconda dei reattivi che si impiegano. . — 211 — Ancora non è nota la costituzione del tripirrolo di Dennstedt: in ogni caso la struttura che egli assegna al suo prodotto (1): par a H\ BH BH NH NH NH apparisce assai poco probabile e fra altro non lascia comprendere come da questa sostanza si possa avere facilmente pirrolo ed indolo. È invece più verosimile che almeno una parte delle molecole del pirrolo sieno riunite fra di loro per mezzo di soli due atomi di carb®nio, nello stesso modo che due molecole di indolo forniscono i derivati dell’indaco. Prodotti contenenti le catene: CHA-CHECA CH DE i di N N dovrebbero già incominciare ad essere colorati per conto loro e la presenza di tali anelli spiegherebbe come anche queste sostanze possono fornire derivati del pirrolo ovvero, a seconda degli ossidanti che si impiegano, le immidi maleica e succinica. Io ho tentato di ‘trattare le soluzioni di pirrolo, p. es., con perossido di piombo, come si ossida l’indaco a deidroindaco; si hanno sostanze brune, ma ancora non sono riuscito ad ottenere prodotti definiti. Ciò natu- ralmente non esclude che anelli pirrolici possano essere congiunti anche in altro modo; p. es., da catene di quattro atomi di carbonio, dovute ad aldeide succinica che può formarsi in seguito ad idrolisi dell'anello pirrolico. Le aldeidi, come è noto da lungo tempo ed anche i nitrosoderivati, come ho fatto vedere io (?), reagiscono con tutta facilità sopra i pirroli e gli indoli; il cosidetto rosso di pirrolo molto probabilmente ha una tale origine. Come si è già accennato, Fr. Samuely per spiegare la formazione delle melanine ammette che dalla molecola albuminoide si separi in una prima fase un composto ciclico, e come hanno reso probabile le mie esperienze questo composto potrebbe essere il pirrolo; è noto che i derivati del pirrolo sono diffusi negli organismi e basti pensare alla prolina, l’acido @-pirrolidin- carbonico riscontrato da Emilio Fischer fra i prodotti di idrolisi delle sostanze proteiche. (') Dennstedt e Voigtlinder, Berliner Berichte, 27 (1894), pag. 478. (*) Questi Rendiconti, vol. /? (1908), I, pag. 697. — 212 — Naturalmente ciò non toglie che in alcuni casi il pirrolo possa anche avere altra origine. Si sa infatti che la tirosina: (HO).C,H,.CH,.CH(NH.). COOH che è un altro prodotto di demolizione delle sostanze proteiche, per azione della tirosinasi e dell'ossigeno si colora prima in rosso, poi in bruno e finalmente si separa un prodotto nero, una melanina, mentre il liquido sovra- stante rimane perfettamente incoloro. Non riesce difficile intendere come anche dalla tirosina, per azione di fermenti ossidanti, nelle opportune condizioni, possano prendere origine deri- vati del pirrolo; in questo amminoacido, infatti, l'anello benzolico contiene un ossidrile in posizione pata ed è noto come la presenza di questo gruppo favorisca grandemente l'ossidazione e perciò la demolizione dell’ intero anello aromatico: a A n CH-—7CH Cles MO 704. C00H CH 7eH i NHi NH tirosina pirrolo Ciò troverebbe una conferma nel fatto che la presenza di tirosinasi accom- pagna spesso la formazione di tali materie coloranti; la formazione dell'in- chiostro di sepia, dei colori neri dei tumori dei cavalli, del succo delle patate e del sangue degli insetti, la colorazione bruna del pane, sono tutte dovute all’azione di questo fermento ('). Io non ho avuto finora l'opportunità e tanto meno i mezzi a mia dispo- sizione per studiare l’azione delle ossidasi sopra il pirrolo ed i suoi derivati; ho dovuto perciò limitarmi a constatare che bagnando con, questa sostanza sezioni fresche di patate (2), dopo qualche tempo si nota la comparsa di intense colorazioni brune e nere. (1) A. Bach, Die langsame Verbrennung und die Oxydationsfermente (E. Abderhal-Q den, Fort. d. Naturwiss. Forschung. Berlin, 1910, vol. I, pag. 109). (2) L. Rosenthaler, Der Nachweis organischer Verbindungen. Stuttgart, 1914, pag. 631. — 213 — Astronomia. — Su di una pretesa forte variazione di lati- tudine a breve periodo. Nota del Corrisp. V. CERULLI. La componente nord-sud della perturbazione lunare della verticale che in gran parte, anche nella Terra elasticamente deformabile, deve rispecchiarsi in variazioni di latitudine, è data, per la latitudine di 45°, dalla formula: (1) dyg= sin* 77 (cos? d cos° 4 — sin° d) m M con 7 d £ rispettivamente designando la parallasse, la declinazione e l’an- Tel. A golo orario della Luna, e con = 5 5 il rapporto di masse fra Luna e Terra. Assoggettando la (1) all’analisi armonica per estrarre dall’onda com- plessa le onde semplici componenti, si trova che una sola di queste può aspirare a rendersi percettibile, ed è l'onda semidiurna, espressa dal termine: (2) Ap = 0" 008 cos (28°.9841 # + e) dove c è un parametro che può ritenersi costante per parecchi anni di se- guito, e non rappresenta più l'angolo orario della Luna, come nella (1), bensì il tempo medio, contato in ore. Per chi si proponga d'indagare se le variazioni lunari della latitudine siano percettibili negli attuali zenit-telescopî, come tali si sono rivelate le variazioni della verticale al pendolo orizzontale, la formula (2) vien sostituita con vantaggio alla (1), perchè molto più semplicemente rappresenta l’essen- ziale del fenomeno. 27r —_ 28.9841 = 12°.4546 siderali. Dividendo il periodo stesso in 24 parti eguali, si hanno le così dette fasi della marea semidiurna, od ore Ms» di Darwin, che non sono altro che semiore lunari medie, e possono contarsi da una qualunque origine arbitraria. Di esse è chiaro che in un giorno siderale ne entrano 24 (Pagnso Il periodo esatto dell'onda (2) è = 12°.4206 medie = = 46.2479 ossia, in cifra tonda, 46 !/,. Se quindi al culminare 24 di una data stella in una data stazione, diciamo zero la fase della marea in un dato giorno, al culminare del giorno appresso la fase sarà 46 !/, — 24 ossia 22 !/,, al culminare del terzo giorno sarà 20 '/s e così via, decrescendo 2 Riga la fase di circa 1*/, per ciascun giorno, cosicchè in capo a 14 giorni essa avrà attraversato l’intero periodo semidiurno e sarà tornata prossimamente a zero. Segue da ciò che colui il quale porta in diagramma, rispondentemente alle successive culminazioni di una medesima stella, le ordinate fornite dalla formula (1), vede apparire una sinusoide semimensile, e se non tiene pre- sente che l’espressione (1) è sostanzialmente identica alla (2), può facilmente sfuggirgli che la detta sinusoide non rappresenta un'onda quindicinale vera e propria, bensì una espansione dell'onda lunare semidiurna. In tale errore è caduto l’astronomo di Pino Torinese (1), sig. Boccardi, allorchè trovando le variazioni di latitudine della sua stazione dieci volte maggiori di quelle calcolate con la formula (1), ha creduto scoprire una va- riazione semimensile decupla della teorica. In base a quanto precede, la scoperta in parola sarebbe da rettificare dicendo che: la variazione semidiurna della latitudine di Pino Torinese pos- sieda un'amplitudine di 0”.16 anzichè di soli 0”.016. Ma che anche ciò sia erroneo, la più elementare statistica delle osservazioni del Boccardi basta a dimostrare: statistica che, come il lettore facilmente intende, consiste nel classificare le misure di latitudine di Pino Torinese secondo le fasi della marea o semiore lunari medie. Le stelle osservate dal Boccardi soho le 4 zenitali : 1914.0 Ra, M hem B Aurigae (1.9) 553 + 44°56" 321 w Ursae maj. (3.0) 11 5 + 44 58 319 dò Cygni (2.8) 19 42 + 44 55 392 e Cygni (1.3) 20 38 + 44 58 459 [N ed il numero delle osservazioni, limitatamente al triennio 1913, 14,15 è di 1491. Abbiamo esteso il nostro esame a tutte queste misure, senza eselu- derne veruna, per prevenire l'intrusione di qualsiasi elemento arbitrario. La ragione poi perchè non abbiamo considerate le serie delle misure anteriori o posteriori al detto triennio, si fu che le ultime non le conosciamo, nè ci consta che il Boccardi ne abbia pubblicate, e le prime son dichiarate di precisione 20m singolare (?) dallo stesso autore. Abbenchè la riduzione al polo medio non fosse indispensabile, per es- sere le lente variazioni di latitudine, dovute alla polodia, poco disegualmente (1) Dobbiamo occuparcene per il decoro dei patrî studî, gli articoli del Boccardi, relativi all'argomento, avendo trovata ospitalità in periodici strettamente scientifici, quali il Bulletin astronomique di Parigi, i Comptes rendus dell’Accademia di Francia, nonchè le Memorie della pontificia Accademia romana dei Nuovi Lincei. Da queste ultime abbiamo attinte le osservazioni che formano oggetto del presente esame. (2) G. Boccardi, La variazione delle latitudini ecc. nelle Mem. d. pontif. Accad. vol. XXXII, pag. 32. I — 215 — rappresentate nelle diverse fasi del periodo semidiurno, abbiamo tuttavia voluto farla per aver esattamente anche la parte costante della latitudine, e ci siamo serviti delle coordinate x e < pubblicate per gli anni 1913-15 dal prof. Wanach nelle Astron. Nachrichten, vol. 203, pag. 151. La corre- zione inflitta ad ogni misura è stata della forma 4g =— (x + 2) (!). Ad origine delle semiore lunari medie abbiamo assunta l'epoca: 1913 gennaio 0, 0° t. m. Pino Torinese, e per aver prontamente la semiora ri- spondente a ciascuna culminazione osservata, ci siamo serviti di due tabelle ausiliarie, la prima delle quali ci dava la semiora a 0° di tempo medio per ciascun giorno del triennio, e l'altra ci forniva convertite in semiore le ore ed i minuti di tempo medio. Cosicchè dovendosi, per un esempio, cal- colare la semiora di 8 Aur:gae, 18 febbraio 1914, non c’era che da con- vertire l' AR della stella = 5. 53" in tempo medio, e trovato questo = 844]", la prima tabella, sotto la data 1914 feb. 8, ci dava 15.3, e la seconda, con l'argomento 8. 41% ci dava 16.7. La semiora richiesta era quindi = 15.3 + + 16.7 =8. Con tale forma di calcolo abbiamo ottenuto che le semiore si contassero allo stesso modo per tutte e quattro le stelle, com'era necessario per il confronto ed eventuale fusione in media aritmetica delle quattro sì- nusoidi risultanti. Ridotta dunque ogni misura al polo medio, ed inscritta a lato di essa la corrispondente semiora, abbiamo riportato in una prima colonna tutte le misure fatte nella semiora 0, in una seconda tutte quelle della semiora 1, e così via, fino alla 24% colonna, ove abbiamo messe le misure rispondenti alla semiora 23. Colonna per colonna si è poi fatta la media aritmetica di tutte le misure contenutevi, e queste medie, insieme al numero delle misure servite a costituirle, il lettore trova trascritte nel quadro qui appresso. È da avvertire che della latitudine di Pino Torinese il quadro registra solo gl’interi e le frazioni di secondo, omettendo i gradi e i minuti. Nelle due linee in fondo sono poi riportate le medie aritmetiche di tutte le lati- tudini desunte da ciascuna stella, e riferite al polo medio, come pure gli errori medî di ogni singola misura, dedotti dal confronto di queste con le medie anzidette (?). (*) Gli 2 internazionali, a differenza dai diurni, possono considerarsi liberi dell’ef- fetto lunare; non è quindi da temere che la riduzione al polo medio implichi una qualche occultazione dell’effetto stesso. (?) È interessante notare che tali errori medî oscillano attorno a + 07.20, laddove il Boccardi nella sua prima Memoria (Pontif. Acc. XXXII, pag. 19) credette poterli fis- sare a priori a + 0”.0312! Vero è che egli stesso confessa che le osservazioni gli smen- tirono subito tale assunzione, mostrandogli che l’error medio dovesse portarsi almeno a = 0.07, ed anche a * 0”.08. Ma ad ogni modo fu questa la svista radicale ond’egli fu tratto a considerar reali quelle variazioni di 0”.16 che erano puri e semplici errori di ‘osservazione. — 216 — MISURE DELLA LATITUDINE DI Pino TORINESE (triennio 19183, 14, 15) ridotte al polo medio e distribuite per semiore lunari. Semiora f Aurigae a a i Rot d Cygni pa a Cygni I) 0 1617 15 1650 16 16/0210 1621 20 1 28 16 42 18 15 15 15 18 2 23 9 35 10 09° 5 22: 19 5 24 12 40 11 06 16 26 18 4 83 15 45 13 09 15 22 18 5 24 12 42 11 14 10 21 19 6 22 13 44 15 18 16 17 15 7 23 14 44 13 12 19 26 15 8 24 14 49 13 10 19 22 16 9 37 10 ; 42 11 09 18 23 22 10 27 16 40 14 15 19 23 21 11 27 14 40 15 07 17 22 25 12 27 13 48 14 09 18 27 21 13 20 12 51 12 Ibi 13 19 24 14 28 12 54 14 166 12 18 18 15 09 16 48 11 08 14 25 12 16 23 14 42 15 13 15 18 19 17 17 15 45 14 06 20 16 19 18 24 12 46 15 13 19 25 17 19 28 12 48 16 09 16 20 26 20 31 12 47 12 11 15 12 23 21 28 18 44 10 11 16 19 20 22 22 13 41 14 04 18 21 18 23 16.21 12 16.46 12 16.13 18 16.21 21 iaia, = 0.17 + 0.15 + 0.20 Media pesata 16.24 16.45 16.10 16.21 Basta uno sguardo a codesto quadro per accorgersi che di variazioni lunari nella misura annunziata dal Boccardi non c'è traccia. L'errore medio di ogni osservazione di latitudine stando, come c'insegna la penultima riga del quadro, sui 0”.2, l'errore di una ordinata media semioraria, poggiata su 16 e più osservazioni, è sui 0”.05 e meno. Dunque una sinusoide di 07.16 di altezza sarebbe balzata fuori con la massima evidenza, mediante un mas- simo ed un minimo differenti per 0”.16 in quantità, ed intervallati di 12 semiore in posizione. e ciò in modo affatto somigliante in tutte e quattro le stelle. Allo stesso risultato negativo sarebbe venuto anche il Boccardi, pur scambiando l’onda espansa con la semimenstrua, se avesse avuto cura di far quella che gli studiosi di fenomeni periodici chiamano la « riduzione ad un periodo ». L'abbaglio da lui preso dimostra quindi che i confronti delle sue 095 iii EI > SSISTONR Sola misure con la formula (1) furono solo saltuarî, così da non garantirsi contro l'illusione di onde spurie risiedenti negli errori di osservazione, e rappre- sentanti qua e là come una caricatura della vera onda semidiurna. Ma dalle misure del Boccardi c'è anche da trarre un risultato positivo, che l'autore nel suo frettoloso esame non ha avuto tempo di discernere, e questo è che effettivamente la variazione lunare della latitudine di Pino Torinese, non meno che quella di altre stazioni, è minima, come la teoria la vuole, ed in base, anzi, alle sole 1491 osservazioni del triennio esami- nato, affatto impercettibile. 1 numeri del quadro precedente ci consentono, infatti, un calcolo for- male della sinusozde più probabile per ciascuna delle quattro stelle, nonchè — di misurare di ciascuna s:2sozde il grado di attendibilità. Dando a tutte ‘ le medie semiorarie registrate dal quadro, lo stesso peso, risultano le sinu- soidi seguenti (*): Errore medio Errore medio : della semiamplitudine di un’ordinata A Aurigae 0.019 cos(/- 18") + 0.016 + 0:057 w Ursae maj. 0.027 cos (£ + 9°) 0.011 0.040 dò Cygni 0.013 cos (£ + 16°) 0.011 0.038 a Cygni 0.021 cos (£ + 16%) 0.010 0.036 dove # è la semiora lunare media, contata dall'origine anzidetta. La semiamplitudine di ciascuna sinusoide è poco maggiore del proprio errore medio, ed, anzi, nella d Cygni che dagli errori medî registrati nel quadro di pag. prec., pare essere la stella meglio osservata, fra la semiam- plitudine della sinusoide ed il suo errore medio c’è quasi perfetta egua- glianza. Notisi lo stesso in # Aurigae, Ciò vuol semplicemente dire che le diverse misure della semiamplitudine, fornite dal calcolo, sono equivalenti pratici di sero, e tale interpretazione è confortata dal poco accordo fra le costanti della fase, o fasi iniziali, le quali dovrebbero risultar eguali in tutte e quattro le stelle, e la teoria ne fisserebbe il valore a 12* (?). L'interpretazione stessa riceve poi una eloquente conferma se compo- niamo in una media aritmetica le 4 sinusoidi, per avere il risultato com- plessivo delle 1491 misure di Pino Torinese. Troviamo allora la sinusoide definitiva (*): 0”.011 cos (£ + 14°) (*) Sul modo di condurre questo calcolo, vedi Briinnow, Spharische Astronomie, 4 auflage, Berlin 1881, pp. 68, 69. | (*) Il valore teorico della fase iniziale è presso a poco il duplice eccesso della lon- gitudine media del Sole su quella della Luna, per l’epoca origine delle semiore. Vedine l’espressione esatta in Schweydar, Marmonische Analyse der Lotstòrungen, pag. 8. (*) Il risultato non cambia se invece della media semplice prendiamo la media pesata delle 4 sinusoidi, dopo aver attribuito» ad esse ordinatamente i pesi 1 2 2 2, approssimatamente proporzionali agli inversi quadrati degli errori medì. RenpICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 31 — 218 — con un errore medio della semiamplitudine = + 0”.006. Questa sinusoide, che è naturalmente più vicina alla verità che le quattro precedenti, ci mostra, oltre un avvicinamento della fase iniziale al valor teorico, anche una decisa tendenza della semiamplitudine ad annullarsi 0, se vogliamo: ad abbassarsi verso il valor minimo voluto dalla teoria (0”.008). Possiamo dunque conchiuderne che le misure di Pino Torinese, lungi dal lasciar apparire decuplicato l’effetto lunare sulla latitudine, non fanno che confermarne l'evanescenza (*). Fisica. — Sul funzionamento del rocchetto di induzione con gli interruttori di tipo recente. Nota del Corrisp. 0. M. CorBINO. 1. L'uso dei moderni tipi. di interruttori rotativi rapidi nei quali la corrente primaria viene stabilita e interrotta da un getto rotante di mer- curio in seno a un gas inerte e con grande frequenza, ha profondamente modificato le condizioni antiche di funzionamento del rocchetto d' induzione. Anzitutto la rapidità della rottura permette di fare a meno del condensa- tore, cosicchè la teoria della fase di apertura si semplifica riducendosi questa a una scarica senza oscillazioni. In secondo luogo la frequenza con la quale sì susseguono le chiusure e le aperture fa sì che la corrente primaria viene interrotta prima che abbia raggiunto il valore di regime, e ristabilita spesso, mentre ancora sussiste la corrente secondaria destata dalla precedente rottura. Ottenere dal rocchetto, in tali condizioni, correnti secondarie intense e assolutamente unilaterali, come occorrono, ad esempio, nella radiografia in- tensiva, richiede un esame accurato teorico e sperimentale del funzionamento del rocchetto. Questo esame è stato iniziato e approfondito da qualche tempo con varie ricerche mie e del dott. Trabacchi; esse ci hanno condotto alla costruzione di alcuni apparecchi per raggi X il cui successo tecnico è essen- zialmente collegato coi risultati di quegli studi che noi andremo ora espo- nendo e che serviranno di illustrazione alle memorie puramente descrittive già pubblicate. (') Il precedente metodo di ricerca era già stato adoperato da Schweydar sulla serie di latitudini ottenuta in Pulkova con d Cassiopejae dal 1904 al 1911. Risultò la fase ini- ziale in perfetto accordo con la teorica, ma l’amplitudine quadrupla di quanto voleva il calcolo: ciò che Schweydar fu lontano dal ritener una scoperta, l’error medio importando, al solito, una non insignificante aliquota della quantità misurata. Vedi Astr. Nachrichten, Bd. 193, pag. 347 segg. Un'altra serie di latitudini studiata al riguardo del termine lunare (dal sig. Shida) fu quella accuratissima di Carloforte (servizio internazionale), che fornì la semiamplitu- dine 0.009, in quasi perfetto accordo con la feoria (Astr. Nachrichten, loc. cit.). — 219 — In questa Nota sarà dedotta la legge di svolgimento della corrente secondaria e la potenza ottenibile al secondario, nella ipotesi che il ricevi- tore abbia, come i tubi per raggi X non mollissimi, una caratteristica di tipo lineare (V=a4+ di, dove V è la tensione, è la corrente, a e d due costanti); e che per virtù dell’interruttore e del sistema adottato di due avvolgimenti primarî atti a produrre magnetizzazioni opposte del nucleo, sì succedano rapidamente chinsure e rotture del circuito primario con fun- zionamento alternativo dei due avvolgimenti. Sarà così dimostrato che l’ar- tificio di far seguire a una rottura una chiusura atta a magnetizzare il nucleo in senso opposto, artificio che noi abbiamo usato nel nostro apparec- chio, non può condurre da solo a buoni risultati, senza le precauzioni di cui la teoria e l'esperienza hanno rivelato la necessità e l’importanza. Per non complicare l’esposizione ammetterò che siano trascurabili le fughe magnetiche fra primario e secondario. ciò che non altera le conclu- sioni qualitative sull'andamento dei fenomeni. Con ciò le equazioni che do- minano lo svolgimento delle correnti secondarie nella fase di chiusura sono assai più semplici di quelle risolute nella mia prima Memoria del 1908 (!). Chiamando L la self del primario, 7 il coefficiente di moltiplicazione del rocchetto, eguale al rapporto fra i numeri delle spire secondarie e pri- marie, M il coefficiente di induzione mutua, E la f. e. m. costante agente nel primario, 7, ed 7, le resistenze ohmiche del primario e del secondario, sì avrà di, ri +LF ipa —E E: DE rain + m° L- a VM 7 i da U poichè la self del secondario è mm? volte quella del primario. L'ultima equazione, ponendo ret+tb=r di può essere scritta i di rio + m? L pate Ma L= e inoltre, osservando che M=7wmL, dalle due equazioni relative al primario e al secondario si possono ottenere queste altre, nelle quali le correnti 7, e 7» sono separate in due equazioni distinte : rtm?r, di Diano CESSI mec rtm?r, di ircbilioooà È Panini. (1) O. M. Corbino, Ricerche teoriche e sperimentali sul funzionamento ece., Nuovo Cimento, vol. 15, pag. 303, 1908. — 220 — Posto Oa L(r4+m?r.) queste equazioni hanno per soluzione î = A + Ber! ifg= C+ De, dove A,B,C,D sono costanti da determinare con le condizioni ai limiti. Cominciando da 7, si osservi che i valori di A e B sono indipendenti dal fatto che la chiusura sussista per un tempo breve o lunghissimo. Ma in quest ultimo caso si avrebbe, per # grandissimo, L= le c10ì ori ri ri Inoltre la quantità di elettricità passata in meno per il processo induttivo dopo un tempo lunghissimo, deve essere eguale alla variazione del flusso divisa per 7,. Se all'istante della chiusura sopravvive nel secondario la corrente di apertura anteriore, col valore Iz, e se la nuova chiusura tende a produrre una magnetizzazione di senso opposto, il flusso nel primario va- rierà da MI, a Li; e perciò 1 E Ò MIL +L- B Pr L E J î ri, 1 Ru da cui tali pae A rtm?n, Sarà perciò Mo E r Hot i n, cal La È) i Se invece la chiusura determinasse un campo magnetico nel medesimo senso del precedente, come nei dispositivi anteriori, sarebbe MI, —L du L E Fed fi LN I A) (41 ri ri e quindi IE E “ Peer — ut ei rt mr, (13; SL — 221 — Si riconosce da ciò che per il fatto che, il secondario è chiuso sul rice- . vitore, la corrente primaria già dal primo istante raggiunge un certo valore, continuando poi a crescere esponenzialmente fino al valore di regime RL 1 Ma il valore iniziale rapidamente raggiunto è eguale a E n dti rtm?r, (+2) qualora la chiusura provochi una magnetizzazione opposta alla precedente; x mentre è eguale a E s E ra i (nl; E ri (Pa UO Ti, quando la nuova magnetizzazione è nello stesso senso della primitiva. In quest’ ultimo caso perciò la corrente primaria sarà più intensa fin dalla chiusura e conserverà valori più alti fino alla rottura, ciò che come vedremo attenua il trasferimento di energia dal primario al secondario, mentre accresce le perdite ohmiche nel primario. Ma di maggior interesse è lo studio della corrente secondaria, gover- nata come si è visto dalla equazione È rL+ mr dis _ (1) ra + L ri di =- e quindi dalla relazione if, = 0 + De" con rr ie I L(r4+m?r.) Per considerare il caso ordinario in cui la chiusura trovi nel secondario una corrente I, derivante dalla rottura anteriore, e tener conto che la pre- senza del tubo con la sua caratteristica equivale a quella di una resistenza e di una forza contro elettromotrice 4, si osservi che dopo un tempo lun- ghissimo si dovrebbe avere pel caso di una forza contro e. m. di senso costante e perciò dev'essere — 222 — Questo valore di C è esatto anche nel caso del tubo, considerando la fino al momento in cui essa si annulla. Se poi si indica con I, il valore che assume la corrente secondaria dopo qualche istante dalla chiusura, si riconosce che dev'essere IA a (2) i,= 24(5+%)e A poichè deve essere per £= 0 (chiusura) î2 == I, , e per ? grandissimo | a do =— n . Per determinare Is-sì osservi che se il processo di chiusura si svol- gesse in pieno, la quantità di elettricità passata per gli effetti induttivi dovrebbe essere pari alla variazione del flusso divisa per la resistenza. Ma la quantità di elettricità dovuta al processo induttivo risulta dal termine esponenziale di 7 integrato fra 0 e co, ed è perciò eguale a L+° Il flusso varia da Lsl: a mins, poichè sostituendo al tubo 1 una pila di f. e. m. —a, la corrente finale nel secondario sarebbe i. Si può quindi scrivere E a a\L(r+m?r,) La (L: cho,|eT. i — —_—_—__—____E__eme_m—_— A RITI r da cui ponendo u=T+ n , Ve=a+trl 1 e ricordando che si ha Ma=mL , Li:=m?L sì ottiene m r E rIl= — E ZORV EI 1 ast al nina o anche h dimmi m E ale mi m E 0 Le bborasgna — 223 — Cosicchè l'effetto della chiusura sarà di portare rapidissimamente la . corrente I, già esistente nel secondario al valore I». Che se la chiusura fosse avvenuta in modo da magnetizzare il nucleo nel medesimo verso, allora si sarebbe ottenuta una corrente iniziale 1, data da Dai valori iniziali I o I; la corrente decresce fino a zero secondo la legge rappresentata dalla (2) che corrisponde a una esponenziale di ampiezza Ih+% riferita a un asse delle ascisse spostato in alto di - e perciò di andamento ripido, quasi rettilineo. Le migliori condizioni sperimentali, per quanto riguarda il ricavo di correnti secondarie intense, si otterranno quando è maggiore il valore di I,. E si riconosce senz'altro che a parità di con- dizioni è sempre L>L e che perciò la chiusura con magnetizzazione invertita sarà sempre prefe- ribile a quella con magnetizzazione diretta rispetto alla precedente. Ma anche la chiusura a magnetizzazione invertita potrà non dare i suoi effetti più efficaci, qualora non siano convenientemente scelti gli elementi da cui dipende il valore di Is. Essi sono, per un dato tubo, I,, # ed E. Il valore di I,, corrente residua secondaria al momento della chiusura, dipende dalla durata della pausa tra l'apertura e la chiusura, e dalla durezza del tubo, ne) senso che se questo è molto duro la corrente secondaria di rottura, che si svolge anch'essa quasi secondo una retta d’inclinazione variabile, si sarà ridotta di molto nel tempo della pausa. Se il tubo è molle, e la pausa è breve, la chiusura sopravviene mentre la corrente secondaria, e quindi I;, non è molto diminuita dal valore iniziale. La formola ci dice intanto che Is è diverso da I., ma sempre maggiore del valore che avrebbe avuto se I fosse nulla, cioè se la chiusura seguisse dopo una pausa molto lunga. La discussione della formola (3) si facilita se invece di considerare l'intensità massima Is che si stabilisce poco dopo la chiusura si prende in esame la tensione V, esistente ai poli del tubo, tensione che si può rite- nere eguale a 71, +- a, trascurando la perdita ohmica 7,I, nel secondario. Si ottiene dalla (3) r 2 i e ve RK, U DI A 5 sp e nr ni ri E questa formola ci dice che, dopo la chiusura, la tensione ai poli del tubo — 224 — risulta da due frazioni complementari della tensione V, preesistente prima della chiusura e della tensione mE che si desterebbe nel secondario aperto per virtù della tensione E applicata bruscamente al primario. Se il primario venisse chiuso in corto circuito, anzichè sulla tensione E, V, si ridurrebbe alla prima parte; se la chiusura sulla tensione E tardasse di tanto da potersi considerare ‘esaurita la precedente corrente di rottura, e quindi nulle V,, sussisterebbe solo la seconda. Si vede da ciò che la chiusura con senso opposto di magnetizzazione mentre ancora sopravvive la precedente corrente di rottura, esalta la tensione rispetto a quella propria della chiusura, ma può farla discendere al di sotto del valore V, esistente quando la chiusura avviene. Invero se si ha MEN risulta VV: In altri termini una chiusura intempestiva può nuocere in quanto de- prime di colpo la tensione e quindi la corrente preesistente; ciò darà effetti più gravi se m, coefficiente di moltiplicazione del rocchetto, è piccolo come nei rocchetti esistenti. Che se si dà a E ed m un valore elevato, sarà pos- sibile ottenere, anche con una chiusura rapidamente stabilita dopo la rot- tura, che la tensione e quindi la corrente preesistenti vengano esaltate anzichè depresse dalla chiusura. Da alcuni diagrammi della corrente secondaria, che saranno presto pub- blicati dal dott. Trabacchi, apparirà nettamente confermata dall'esperienza la previsione fatta sulla influenza della durata della pausa, della tensione primaria e del coefficiente di moltiplicazione, ottenendosi così la giustifica- zione degli ottimi risultati pratici raggiunti con l’apparecchio radiologico costruito. Ma la semplice considerazione della intensità e della tensione secon- daria va integrata, per un esame completo della questione, con lo studio della energia complessiva ricavabile al secondario per effetto di una rottura seguita da una chiusura, poichè se questa avviene intempestivamente, quando sussiste ancora una notevole energia magnetica nel nucleo tuttora magnetiz- zato dalla corrente secondaria non esaurita, è da prevedere che sostituendosi al libero svolgimento nel tubo della energia di rottura la nuova chiusura, debba derivarne una perdita dell’energia totale trasferita al secondario. Per valutare l'energia complessiva W, ricavata al secondario come effetto di una rottura e di una chiusura operata quando l'intensità di rottura ha ancora il valore Ir, osserviamo che la rottura esplicantesi in pieno libere- Iî L Sa CE rebbe una energia totale 9 dove I, è la corrente primaria all'istante — 225 — J20 ° è ancora concentrata nel . L della rottura; ma di questa una parte mm? nucleo magnetico al momento della chiusura; cosicchè indicando con W, la totale energia svolta nella fase di chiusura si avrà 2 (4) W.=lbo9_m +W.. Per valutare W, si consideri la (1) che può essere scritta rt+m?r, dio ù ri di = —(a+ri)=—.v, dove v denota la tensione agli estremi del ricevitore, qualora si trascuri la resistenza interna 7, del secondario. Moltiplicando per 7» e integrando fra 0 e % si ottiene 2 t LARA ea) frau, 2 TeT AN) dove I denota la corrente secondaria iniziale e I, la corrente secondaria al tempo £. Se si sceglie # in modo che sia divenuto I = 0, cioè che sia cessata la corrente secondaria, il secondo membro diviene la potenza W. svolta nel secondario; si ha perciò srmitilan W.=3L " [=5Lul e poichè abbiamo nella (3) il valore di I, sarà facile dedurre W.. Sostituendone il valore in (4) si ottiene per la energia totale W,, dopo alcuni facili calcoli, L A mEt—-a m talea lei Come si riconosce, W, risulta di tre partì: la prima, rappresentata dal 1° termine, corrisponde alla energia che sì ricaverebbe dalla sola rottura se questa si svolgesse fino all'esaurimento della corrente secondaria; la se- conda, data dal 2° termine, misura l'energia corrispondente a una chiusura isolata; l'insieme dei primi due termini darebbe l'energia dovuta a una rottura seguita da lunghissima pausa e dalla seguente chiusura (I = 0); finalmente il terzo termine fornisce l'eccesso di energia derivante dal fatto che la chiusura con magnetizzazione opposta avviene mentre sopravvive ReENDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 32 — 226 — ancora, col valore I, la corrente di rottura. Ma questo termine aggiuntivo non è sempre favorevole. Infatti se fosse 2mET-a) 2) si ottiene considerando in luogo della fotalità delle curve (1) Della rappresentazione geodetica fra varietà mi occuperò in un altro lavoro. — 232 — (e l’invarianza del loro elemento lineare) la totalità delle superficie conte- nute in V, e prendendo come carattere invariante nella trasformazione la loro curvatura gaussiana ('). Il problema che ci poniamo è quindi il seguente: Deformare una varietà în modo che si conservi la curvatura gaus- stana in ogni punto di una qualsiasi superficie immersa în essa. Si tratti di una varietà a tre dimensioni, V3; nel caso di una varietà a più dimensioni basta pensare alle Vz3 immerse in essa per convalidare il risultato. Le coordinate cartesiane ortogonali di un punto generico della varietà siano x; (t,, 72.03), é=1,...,%; se le variabili 7 sono, come debbono essere, essenziali, in un punto generico della varietà è IU? dI) dXi PL I di dT3 Se il quadrato dell'elemento lineare della varietà è dato da 1,2,3 ds = > andir du, r,8 per la isometria (*) di due varietà è necessario e basta che siano uguali le a,s in punti corrispondenti. Una superficie entro la varietà sarà assegnata dando le © in funzione di due nuovi parametri «,v; la curvatura gaussiana della superficie descritta dal punto «x; (vu, v) è data da di dii da: ||? du du dU DIA È di dXi dXi ._|| 9% dv | dv DAL Ev j dx: dix; di di do dl |] 23 (!) Se si assume come carattere invariante nella trasformazione della Vx l'elemento d'area delle sue superficie si perviene pure subito all’isometria. > (*) Diremo che due varietà sono isometriche quando hanno uguali i quadrati degli elementi lineari corrispondenti: com'è ben noto può essere, in relazione alla dimensione dell'ambiente, che non esistano altre varietà isometriche ad una data all'infuori di quelle uguali (per movimenti). — 233 — Dobbiamo ora sostituire alle derivate delle x; rispetto ad u,v quelle eseguite rispetto alle 7. Scegliendo come si può 7, =, t,=%,t3=td3(7;, 2) si ha: dai | Dai dea | |dai | dai dsl [2 IM de [2] PILA dT3 dI dI dl3 dI PIA dt3 dI I n (ari aridi [20 ande] (da dI di | ( ) dT9 dT3 BIS ° dI dT3 IT 5) dI ELE dig dai d°T3 dx; d T3 dai di .20 tento E°? Stan E;1! di oa dti ° il dt3z dI. E + dT3 dTIdT2| | Idi dXi dz]! ELA dt3 dI di SI dX: dI3 ds dT3 dt, ove E;°°, E,°*, Ei! indicano termini che non contengono derivate seconde di #3. Questa espressione è quadratica nelle derivate seconde di 73 che con- d° ts dt: DETSANI . = —:_—(——*|) col coefficiente Ti dg dt) dI? tiene nel termine dXi dari dT3 || 4 PILA dT3 dI) dXi dXi dTZ dT9 dT3 dI? il quale quindi deve essere invariante nella deformazione indipendentemente a " a » DI è PILE dT dai valori, affatto arbitrarî, da darsi a — e SS . In luogo di esso si può (47 dT7 5 ; È p considerare l’altro dai dI; dz | * dI] dT3 dI dI; dI; dT3 dTa dT3 dI poichè A non contiene le derivate di 73, l’invarianza dell’ ultima espressione si risolve in quella di più altre che si ottengono sviluppando il numeratore; si dimostra così che sono invarianti i complementi algebrici delle 0,s nel determinante CARI di2 413 A Ag Us2 423 431 032 433 RenpIcoNTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 33) — 234 — divisi per A. Se con questi invarianti formiamo un nuovo determinante, esso vale, in virtù di un teorema noto, A, il quale è dunque invariante. Tali sono anche i complementi algebrici delle a, in A*: e di conseguenza le a,s stesso. Sti abbiano due varietà a k = 3 dimensioni poste in corrispondenza tale che due superficie corrispondenti qualsiansi abbiano in punti corri- spondenti la stessa curvatura gaussiana: le varietà si corrispondono ne- cessariamente în un’ isometria. È inutile esaminare le altre condizioni che si ricaverebbero dall’inva- rianza della curvatura di una superficie generica della V, perchè la condi- zione trovata è certo sufficiente; del resto sì verifica facilmente che le espres- sioni invarianti rimanenti si costruiscono con le @,, e con i simboli di Christoffel e con le loro derivate. Si può invece utilmente osservare che la condizione imposta a tutte le. superficie della varietà è esuberante. Infatti, prese due varietà poste in corrispondenza puntuale qualsiasi, l'uguaglianza delle espressioni della curvatura K fornite dalla (1) per le due varietà corrispondenti si traduce in un'equazione a derivate parziali di 2° ordine e di 2° grado; quindi, se per ogni sistema di valori 7, , ta , ©3, 2 Sa i mi le i = si ottengono 3 valori di Sir . l’equazione è iden- tica e si può ripetere il ragionamento già fatto. Per enunciare il risultato in forma geometrica, consideriamo l'elemento di 2° ordine o, di una superficie adiacente ad un suo punto (definito da T,,t,,t3 e dalle derivate prime e seconde di 7): esso ha la curvatura gaussiana di ogni superficie che lo contenga. Fissando 7, ,,,7; e le deri- 273 dI) dz tutti fra loro tangenti nel punto e osculatori a due linee uscenti da esso (cioè contenenti gli elementi di 2° ordine di queste linee uscenti dal punto). Allora: Se una trasformazione puntuale fra due Vs è tale che in ogni fascio gi elementi 0, corrispondenti ve ne siano tre con la stessa cur-- vatura' gaussiana, le due Vs sono isometriche. vate ora dette ad eccezione di , si ha un fascio di elementi 03, Lo stesso enunciato vale per una V,, quando si sia definito in modo analogo il fascio di elementi superficiali. Ad un altro criterio per l'isometria si arriva prefissando un valore di K (arbitrario anche costante purchè = 0) e imponendo che sulle due varietà si corrispondano gli elementi superficiali che hanno quella curvatura. La condizione che sulle due varietà si corrispondano gli elementi su- perficiali di 2° ordine a curvatura nulla esige un esame differente che sarà fatto in un'altra Nota. — 235 — Meccanica. — Zwuclideità dello spazio completamente vuoto nella relatività generale di Einstein. Nota di R. SERINI, presen- tata dal Socio T. LEVI-CIVITA, Nella relatività generale di Einstein il ds? (che congloba le misure di spazio e tempo) corrispondente a fenumeni statici, è della forma (!) (1) dst=V® di — di, dove 3_ (2) (es DE din da; day (RI) ì è il quadrato dell’elemento lineare dello spazio. La V (velocità della luce) e le 4; sono funzioni delle 4;, indipendenti dal tempo. Queste sette quantità sono determinate da altrettante equazioni che le legano al tensore gravitazionale. Se questo si suppone nullo in tutto lo spazio, cioè si tratta dello spazio completamente vuoto, le dette equazioni si ridu- cono alle 3 (1) No=) na =0 (lid 258) 1! 1) ant tE=0, ia dove ODI è la curvatura media dello spazio (2), @;x, Vix rispettivamente i noti simboli del Ricci e le derivate seconde covarianti della V [sempre per la forma (2)]. Moltiplicando ordinatamente la (II) per a“ e sommando rispetto ad t,k, col tener conto della (I), si ottiene la nuova equazione sostituibile alla (1): (1°) ASEZZOO (1) Per tutta la teoria e per le notazioni, vedi i lavori seguenti del Levi-Civita: 1) Sulla espressione analitica spettante al tensore gravitazionale nella teoria di Einstein. Rend. Lincei, 1° aprile 1917. — 2) Statica einsteiniana. Rend. Lincei, 6 maggio 1917. — 3) Realtà fisica di alcuni spazî normali del Bianchi. Rend. Lincei, 20 maggio 1917. — 4) ds° einsteiniani in campi newtoniani. T: Generalità e prima approssimazione. Rend. Lincei, 16 dicembre 1917. II: Condizioni di integrabilità e comportamento geometrico spaziale. Rend. Lincei, 6 gennaio 1918. — 236 — Il sistema (I) ,(II) oppure l'equivalente (I'),(II), deve essere soddi- sfatto in tutto lo spazio. S? tratta di dimostrare che lo spazio (2) è al- lora necessariamente euclideo. La necessità di questa dimostrazione è posta in evidenza dal Levi-Civita (4°, I, $ 3 in nota) di cui riporto le parole: « L'affermazione è intuitiva sotto l’aspetto fisico, rispecchiando, si può dire, il punto di partenza della costruzione speculativa di Einstein. Dal punto di vista matematico si richiederebbe invece una dimostrazione rigo- rosa in base alle equazioni che racchiudono ormai tutta la teoria ». Credo d'esser riuscito a dimostrare l’asserzione in due modi, conside- rando rispettivamente i due sistemi di equazioni di cui è detto sopra. mA SEA PE Lea Seri $ 1. PRIMA pimostRAZzIONE. — La funzione V (velocità della luce), - deve essere regolare (colle sue derivate fino al secondo ordine) e soddisfare alla (I°), in tutto lo spazio. Consideriamo allora il luogo dei punti (3) V(x1,%2, 43) ==y (costante). Esso potrà essere costituito di punti, linee, superfici (isolati) od anche volumi che chiamerò (per una evidente analogia), punti, linee ecc. di livello. Siccome la V è sempre finita, la costante y avrà un minimo 4 ed un massimo wu. Uno di questi valori potrà essere preso dalla V nei punti all’ oo dello spazio, ma allora l’altro è preso in punti al finito. Supponiamo sia w: sic- come poi V — w si trova nelle stesse condizioni di V, potremo sempre sup- porre il massimo uguale a zero. Allora il luogo dei punti (4) =0 sarà costituito da punti, linee, superfici (isolati), o volumi di massimo. Con ciò si intenderà, prendendo p. es. un punto P (isolato) di massimo, che esista un intorno di P in cui V<0. Così potrà esservi un volume S in cui V=0, mentre nei punti esterni ad esso V < 0. Dimostrerò che ciò è impossibile. Infatti per uno spazio curvo qualunque vale la seguente formola, do- vuta al Beltrami ('): (5) fvavas+ [Ava f vide, dove S è un volume, o la superficie che lo limita e di cui v è la normale interna. (1) Vedi E. Beltrami, Sulla teoria generale dei parametri differenziali. Opere, tomo II, pag. (108), formola (8). Da questa si deduce la nostra (5) facendovi U= V. — 237 — In particolare, se la V soddisfa alla (I°), avremo i dV (5) favas=—f vide. Si osservi che la (2) è per la sua natura una forma quadratica defi- nita, positiva: tale dovrà essere anche la sua reciproca e quindi 2 IV dV Ai EN (PS) en (0) V Frs di ddr ds >90, ed è =0 solo se tutte le DI si annullano. Qi Sia ora P il supposto punto (isolato) di massimo. Si potrà allora tro- vare un suo intorno in cui V<0. Le superfici di livello che circondano P corrisponderanno, per un intorno sufficientemente piccolo, a valori decrescenti di y (dato che V ha un massimo in P). Sia o una di queste superficie. Su essa avremo V=e<0 e Do. Il secondo membro della (5’) è quindi negativo, mentre il primo è positivo. L' uguaglianza (5') è quindi impossi- bile, ed è perciò assurdo supporre l’esistenza di un punto P di massimo (*). Analoga dimostrazione si ha pel caso di linee, superfici, o volumi di massimo. Una difficoltà si avrebbe nel caso che linee, superfici o volumi di mas- simo si estendessero in parte all'infinito, potendo allora non aver significato gli integrali della (5'). Consideriamone un caso. Sia X una superficie (isolata), estendentesi in parte all’ oo e su cui V ha il valore massimo zero: prendiamone un punto Q. In un suo intorno sufficientemente piccolo è sempre V< 0: inoltre, dimi- nuendo eventualmente l’intorno, si potrà fare in modo che sulla superficie ‘o che lo limita sia di <0 (e ciò per la proprietà di massimo della V in Q). Sarà solo V=0 nei punti comuni all’intorno e a Z, ed eventualmente dV 3 ; : . sy = 0 nei punti comuni a Y e e. Ciò posto, è chiaro che la (5') non può essere soddisfatta. E così per gli altri casi. Dal ragionamento che precede si deduce che deve essere 4 = w e quindi (7) V=c (costante assoluta). Ma allora dalle (11), essendo Vix=0, deduciamo (8) Cig = 0 di le (8) indicano precisamente che lo spazio è a curvatura nulla, cioè euclideo. (3) Se V=0 fosse un minimo si avrebbe sulla o V=e8%>0 30 e quindi la medesima impossibilità per la (57) — 288 — $ 2. SECONDA DIMOSTRAZIONE. — Dacchè per ipotesi manca ogni azione perturbatrice, si può in particolare desumerne che il nostro spazio (2) è simmetrico, intorno ad ogni suo punto. Si può allora mettere il 4/2? sotto la forma (') (9) di = dg* + 0° (9) [d6* + sen* 6 dg]. La (9) riferisce il nostro spazio alle coordinate polari geodetiche col polo in un punto P: 9g rappresenta la distanza geodetica da P. Le g = cost rappresentano superfici geodetiche passanti per P (?). Per ognuna di esse la curvatura gaussiana in P è data dalla nota formola (*) ESE AC) 0(9) 29° facendovi g= 0: essa è identica per tutte le dette superfici. Si osservi ora che le formole di trasformazione per cui d6* + sen° 0 dp* = débî +4- sen? 6, dî , o) contengono 00° parametri. Tutte le superfici g, = cost sono geodetiche ed hanno in P la medesima curvatura gaussiana. Le 00° superfici geodetiche passanti per P hanno ivi quindi la medesima curvatura gaussiana. Ma questo fatto si verifica per ogni punto del nostro spazio. Infatti in un altro punto P, rispetto a cui lo spazio deve pure essere simmetrico, avremo dlii= dgî + 0î(9,) [40° + sen? © 40°]. Per il teorema di Schur il nostro spazio deve essere quindi a curvatura Riemanniana costante (*). Ma essendo, per la (I), la curvatura media nulla, la curvatura Rieman- niana è nulla, quindi lo spazio è euclideo ed avremo a, = 0. È Prendendo allora per x,, 2,43 coordinate cartesiane, avremo dalle (II) dI dXi dXK V= cz. + ex + 03043 +e con €, c; costanti. Ma V deve essere sempre finita, cosicchè Vi=tcò =0 (,k=1,2,83) quindi (1) Vedi A. Palatini, Lo spostamento del perielio di Mercurio e la deviazione dei raggi luminosi secondo la teoria di Einstein. Nuovo Cimento, luglio 1917. La (9) è la formola (5) del $ 2 con leggero cambiamento nelle notazioni. (8) Vedi Palatini, loc. cit., $ 3. (3) Vedi Bianchi, Lezioni di Geometria differenziale, Pisa, Spoerri, 1902, vol. I, cap. VI, $ 89. (4) Vedi Binnchi, loc. cit., $ 161. 1 bh dei — 239 — Fisica. — Pireliometro integrale. Nota di A. AmERIO, pre- sentata dal Socio CANTONE. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Geodesia. — Sopra un caso limite notevole di triangoli geo- detici. Nota di CorraDINO MinEO, presentata dal Socio P. PIZZETTI. 1. Nelle Zegons sur la théorie générale des surfaces, il Darboux dà una nuova dimostrazione del teorema per il quale le superficie che ammet- tono una sola relazione tra i sei elementi del loro triangolo geodetico sono unicamente le applicabili su superficie di rotazione. A questo scopo l'illustre geometra s’appoggia sulla considerazione d'un nuovo caso limite dei trian- goli geodetici, avvertendo però che le sue osservazioni non sono forse esenti da ogni obiezione (!). Qui mi permetto di mostrare come le formole date dal Darboux, e altre, assai interessanti per se stesse, si possano stabilire direttamente in modo semplice, rigoroso e affatto indipendente dalle considerazioni di Cal- colo delle variazioni, delle quali l’autore si giova. La nuova dimostrazione mette inoltre in evidenza notevoli proprietà della funzione w, che entra nello sviluppo del quadrato della distanza geo- detica di due punti secondo le potenze delle coordinate polari di essi. 2. Consideriamo un triangolo geodetico ABC, descritto sopra una super- ficie qualunque, del quale, al solito, indicheremo con A,B,C le misure degli angoli e con 4,d2,c quelle dei lati opposti. Supponiamo che uno dei vertici, p. es. B, tenda in un modo Aia a un punto D znterno al lato opposto d: allora gli angoli A e C tenderanno a zero, l'angolo B ten- derà a 77, i lati 4 e e tenderanno rispettivamente ad « e y, essendo @ la lun- ghezza dell'arco geodetico CD e y quella dell'arco geodetico AD(a 4+-y= 0). Si tratta di dimostrar le formole ,. ateT—d_ [5] (1) El asa % mo —B [6] (2) Mi Ta Tani i A ie] (9) San (*) Darboux, 7Aéorie genérale des surfaces, Sme Partie, 1894, pag. 187. — 240 — essendo [5] ,[«],[y] rispettivamente le lunghezze ridotte (Christoffel) degli archi geodetici 0, @,y. Riferiamo la superficie a coordinate geodetiche polari, polo nel vertice C, e, adoperando le stesse notazioni del Darboux (capitolo VIII del libro VI), chiamiamo %,,v, le coordinate di A; «,v quelle di B; 6 la lunghezza dell'arco geodetico AB. Avremo (4) U= 00, sid Co; e poi (5) 0° = u? + uò — QZuwo cOs(v — vo) + 2u° ui v sen>?(v — vo); essendo a 1 1 (6) <= P+3 Qt dot (1). Inoltre ERA a VR A (7) eng IO, senB= Gn (*)£ dove 4 (coefficiente dell'elemento lineare ds? = du? + 4°dv? della super- ficie) s intende calcolato nel punto (v,), mentre 4, è calcolato nel punto (o > o). Dalle (5) e (7) segue 60+u_-u)(0+uw— + 2u%, [c08(0 — vo) — 1] __20wuusdo sen A sen(0 — vo) sa o (8) essendo bl (9) o=1+2uu 008 (© — ve) — tto SÈ sen (0 — vo). 0 Il 2° membro della (8), quando il vertice B tende al punto D, ammette limite ben determinato; dunque anche il 1° membro ammette limite. E ab- biamo, denotando con w* quel che diventa w (funzione di u,%,%o0;%o) per u=@ ,v=0% ® badando alla 1° delle (7): Butoho[cos(v — vo) — 1] __ 20yodow* E; 04 — o . AZZ = SY a) o uu, sen?(v — vo) 1+2aww*° A (0 — vo) ossia 0O+u—u YÀo __ 20y gdo A(l— vo) 1+2aww 1+2auw*° 2y lim dalla quale È 04+ut—u À lim —_——-?=-%; A=0,0U=% A (0 = Vo) 2 (*) Darboux, III, pp. 166-167. (?) Ibidem, pag. 169. sesti so ir — 241 - e poichè, com'è noto, Zd=[wo]= [2], la (1), tenute presenti le (4), è dimostrata. Dalle (7), poi, badando che 20 a LIZZANI] Ln PIA pa Lai, Ia Ra, [a] i EDI segue subito senB __[d], ra sen A — [a]' e quindi la (2). Similmente si trova senza difficoltà e e i) sen(0 — de) — 0R0 Yo VW); ovvero A a db 10 lee = 1 2abw*). (10) a pa nia 8. Per stabilire la (3), esaminiamo un caso finora escluso, cioè che il vertice B tenda a un estremo del lato è, p. es. al punto C, percorrendo il lato BC. In tal caso a e A tendono a zero, c tende a d, C resta co- stante e B tende a 77 — C. La 1° delle (7) dà subito o uo — Ào (5) i il, senA = sen(0 — vo)” ossia (11°) lim E DL Notiamo che nel caso particolare d'un triangolo geodetico rettangolo in C, la (11*) diviene ig DI che esprime un teorema di Christoffel ('). Scriviamo la (5) così: (0 uo) (04) = — Qu, cos(0 — vo) + 2u* 43 w sen*(0 — do); (1) Cfr. Darboux, loc. cit., pag. 111. RenDpICONTI, 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 84 — 242 — poi dividiamola per sen À e passiamo al limite col tener presente la (11*): segue senza difficoltà na DI i n = — A cotg 0, ossia (12) dim = * RE I I Da (11*) e (12) (18) lim ATTO Miro. 4. Ma torniamo al caso in cui il vertice C si fa tendere al punto D, e supponiamo, in particolare, che vi tenda movendosi lungo l'arco geode- tico CD. Applicando allora ai due triangoli geodetici BDC e BDA la relazione (11*), potremo scrivere, denotando con D l'angolo BDC e con % l’arco geo- detico BD: e da queste la (3). 5. Poichè, d'altra parte, il limite di A:B, come mostra la (10), è indipendente dal modo con cui il punto C tende a D, deduciamo dalla (10) e dalla (2), ora dimostrata: (14) 1+2emy = UL, (14 che costituisce una delle accennate proprietà della w. Ne otteniamo un'altra così. Facciamo tendere il punto B ad A /ungo l'arco geodetico BA; avremo, per la (11*) del n. 3 applicata al presente caso: lim Mn I ; 8=0,0=», SON(V — vo) = SenA tenendo presente la quale, dalla relazione uu, Sei (0 — vo) sen tA== sen 9%, i Î » } ; t } % — 243 — passando al limite per 9=0, v=%, deduciamo subito (15) | Ri = (1-4 2% Wo)» essendo Y, quel che diventa w per u=%,, v=% ('). Fisica. — Sul doppio strato elettrico al contatto del mercurio con l’aria ionizzata dai raggi di Rontgen (*). Nota dei professori V. PoLARA ed A. MARESCA, presentata dal Socio A. Riccò. Una ricerca del Reboul (*) tende a dimostrare che la costante capil- lare del mercurio al contatto con l’aria o con i liquidi isolanti ionizzati dai raggi X subisce, sotto l’azione di una forza elettromotrice, variazioni ana- ‘ loghe a quelle che si palesano nel caso del mercurio al contatto con gli elettroliti. Poichè tali variazioni si rilegano all’esistenza ed alle modificazioni di un doppio strato elettrico al contatto (‘), ci è parso interessante tentare di mettere direttamente in evidenza tale doppio strato al contatto del mercurio con l’aria ionizzata dai raggi X, ricercando se una variazione della super- ficie di contatto è capace di determinare una variazione di potenziale del mercurio, o, in altri termini, una variazione di densità nel doppio strato. In una precedente Nota (5) abbiamo accennato alle difficoltà che ci si presentarono quando, sperimentando col mercurio al contatto di liquidi or- ganici debolmente conduttori, si tentò incidentalmente di riprodurre il fe- (!) La (15) si può stabilire direttamente tenendo presente che @ verifica l'equazione LA Le ; Casa] Bs (A) VT] ( du n 4° \ dv ) Quanto alla (14), noterò, come semplice verifica, che i termini dello sviluppo di [y] dedotti da essa, giovandosi dei termini dello sviluppo di w calcolati dal Darboux (loc. cit., pag. 167), coincidono con i corrispondenti dedotti sviluppando in serie il 2° membro della nota relazione (cfr. Darboux, loc. cit., pag. 99) uo d = lt] (* dove nella funzione 4 sotto il segno integrale s'intende posto v= vo. (*) Lavoro eseguito nell’Istitato di Fisica della R. Università di Catania, diretto dal prof. G. P. Grimaldi. (3) Reboul, Journal de Physique, 1908, vol. VII, pag. 846. (*) Pellat, Cours d’électricité, tome III, pag. 145. (5) Polara e Maresca, Rend. R. Acc, Lincei, vol. XXVI, 1917, pag. 94. — 244 — nomeno Lippmann nel caso che l’elettrolita fosse sostituito da liquidi iso- lanti ionizzati. Abbiamo ora, ritentando la prova con l'aria ionizzata dai raggi X, so- stituito al galvanometro — che risulta poco sensibile quando il mezzo offre una grande resistenza — un elettrometro capillare da noi stessi costruito, che, se non può servire come strumento di misura perchè sprovvisto degli accessorî necessarî, si adatta benissimo come rivelatore, apprezzando distin- tamente la differenza di potenziale di un centesimo di Volta ai suoi elettrodi. L'apparecchio che serve a produrre la variazione di superficie al con- tatto è quello, ideato dal Pellat, già da noi precedentemente adoperato (1): soppresso il sifone, l'elettrodo « (figura) vien messo in comunicazione con il mercurio della punta dell’elettrometro e l'elettrodo f con il mercurio della pozzetta di tale strumento. Tutto l'apparecchio è stato disposto dentro una cassa foderata di piombo e coperta superiormente da una grande lamina me- tallica, nella cui parte centrale, in corrispondenza dei recipienti A» e B del- l'apparecchio, è stata praticata una finestra coperta di rete metallica. La cassa e la lamina superiore sono state messe in buon contatto col suolo, mentre il tubo focus (Miiller), azionato da un grande rocchetto Klingelfuss di 50 cm. di scintilla, irradiava dall'alto in corrispondenza della finestra. Il rocchetto, l'apparecchio di Pellat insieme al tubo focus che lo irra- diava, e l'elettrometro capillare, sono stati disposti in tre stanze diverse ed alquanto distanti l'una dall'altra: i fili di comunicazione all'elettrometro sono stati anche messi sotto piombo in buon contatto col suolo. Azionando il tubo per qualche minuto non si osservava alcuna tendenza nel menisco dell'elettrometro a spostarsi, anche quando esso era al massimo di sensibilità: era quindi da ritenere eliminata qualsiasi elettrizzazione da parte del tubo e dei fili che lo alimentavano, la quale avrebbe potuto even- tualmente perturbare l'osservazione del fenomeno in istudio. E poichè allon- tanando la grande lamina metallica disposta superiormente alla cassa si no- tava un sensibile movimento del menisco, che determinava la fuoruscita del mercurio dalla punta capillare, è da escludere che l’immobilità del menisco, nel caso che si interponga la grande lamina metallica, si debba ad una po- (*) Polara e Maresca, Rend. R. Acc. Lincei, vol. XXVI, 1917, pag, 92. — 245 — sizione privilegiata del tubo e dei recipienti A, e B (che stabilisca un eguale potenziale in 4 e 5), e ritenere provato il buon funzionamento dello schermo. Rimessa a posto la lamina metallica sopra la cassa, ed azionato il tubo, abbiamo fatte aumentare, dopo circa 60" di ionizzazione, la superficie del- l’elettrodo mercuriale a, premendo sul galleggiante F, ed abbiamo notato un piccolo innalzamento del menisco a cui è seguito, subito dopo, l’abbas- samento dello stesso alla sua posizione originaria. Lo spostamento, per quanto piccolo, si è sempre palesato, in diverse serie di esperienze, molto nitidamente, e dimostra che l'elettrodo di mer- curio a, quando si accresce la sua superficie, assume un potenziale minore dell’elettrodo 4 rimasto invariato, la differenza di potenziale persistendo solo per la durata della variazione. È da ritenere quindi che al contatto del mercurio con l’aria ionizzata dai raggi X, analogamente a quanto accade al contatto del mercurio con l’acqua acidulata e con i liquidi organici debolmente conduttori, si stabilisce ‘ un doppio strato elettrico, il mercurio elettrizzandosi positivamente e l’aria ionizzata negativamente: aumentando la superficie di tale contatto, diminuirà la densità del doppio strato e conseguentemente il potenziale dell’elettrodo corrispondente, finchè una corrente itemporanea dall’elettrodo invariato a quello accresciuto non ristabilirà l'eguaglianza dei potenziali. La differenza di potenziale che si stabilisce fra i due elettrodi @ e durante la variazione di superficie dell’elettrodo mercuriale a, si riscontra essere alquanto minore di quella che l’elettrometro rivela nel caso degli elettroliti. Ora, indicando in generale con o la differenza di potenziale che si sta- bilisce fra gli elettrodi dell’elettrometro, con x il potenziale dell’elettrodo mercuriale 4 quando esso ha la minima estensione s — cioè anche il po- tenziale dell'elettrodo mercuriale 2 — e con y quello dello stesso elettrodo 4 quando esso ha la massima estensione S, si avrà di Yi—=0 x_8S YyY $ Per semplice sostituzione si avrà (1) = S 3 guuna costante dell'apparecchio. Dal confronto cui s'è accennato fra i valori di nel caso dell’aria io- nizzata e degli elettroliti segue quindi, secondo la (1), che al contatto con l'aria ionizzata, nelle condizioni sperimentali da noi indicate, il mercurio indicando con X= — 246 — acquista un potenziale minore di quello che esso assume al contatto con gli elettroliti. La ragione di ciò, oltrechè nella diversa natura del contatto, può forse ricercarsi nella circostanza che, trovandosi il mercurio dei due recipienti A, e B in prossimità d'un involucro conduttore in comunicazione col suolo, cresce la sua capacità in rapporto a quella che esso avrebbe se si eliminasse la presenza di tale conduttore: è questa una delle cause perturbatrici che rendono meno palese il fenomeno di elettrizzazione positiva dei conduttori scarichi sotto l'azione dei raggi X, osservato dal Righi (!), quando si pro- teggono tali conduttori con uno schermo metallico in contatto col suolo. Non ostante questa causa di perturbazione però il fenomeno si palesa sempre distintamente. Esprimiamo ì più vivi ringraziamenti al prof. G. P. Grimaldi per i mezzi messì gentilmente a nostra disposizione e per i consigli ed i suggeri- menti datici. * PEA Crediamo ora opportuno di specificare il contributo portato da ciascuno di noi nelle ricerche che sono oggetto delle tre Note (?) pubblicate in questi Rendiconti, pur dichiarando che ogni idea fondamentale ed ogni difficoltà presentatesi sono state sempre sottoposte al controllo ed all’analisi di en- trambi. Il prof. Polara pensò fin da principio di mettere direttamente in evi- denza l’esistenza di un doppio strato elettrico al contatto del mercurio con l’aria o con i liquidi isolanti ionizzati dai raggi di Ròntgen, mediante il dispositivo ideato dal Pellat per gli elettroliti. Avendo però riconosciuto che il galvanometro non si adattava per ciò come strumento rivelatore, pensò di procedere per gradi, sperimentando prima sui liquidi organici debolmente conduttori, e ricercando anche se per essi vale la legge di Lippmann. Egli ha montato l'apparecchio di Pellat, ha fatto le osservazioni al galvanometro nel caso della glicerina, sia per constatare l’esistenza del fenomeno Lippmann, sia, montando il dispositivo potenziometrico Bouty, per verificare la legge omonima. Ha pensato successivamente a sostituire il galvanometro con l’elet- trometro capillare per osservare il fenomeno nel caso dell'aria ionizzata ed ha fatto in proposito una serie di osservazioni. Il prof. Maresca, rilevando che il metodo del Reboul non svela che in- direttamente l’esistenza di un doppio strato elettrico al contatto del mercurio con l’aria ed i liquidi isolanti ionizzati, pensò per il primo alla opportunità (*) Righi, Memorie R. Accademia delle Scienze, Bologna, tomo V, 1895-96, pag. 733. (3) Polara e Maresca, Rend. R. Acc. Lincei, vol. XXVI, 1917, pag. 91, pag, 122 e questa Nota. Spes 3 — 247 — di mettere in evidenza per altra via l’esistenza del doppio strato. Egli ha suggerito l’uso del galvanometro balistico, ha fatto le osservazioni per l’aleool ed i miscugli di alcool ed etere per la constatazione del fenomeno e per la verifica della legge di Lippmann. controllando anche i risultati ottenuti col metodo del reostato del Pouillet. Ha inoltre costruito e montato l’elettro- metro capillare, determinandone approssimativamente anche la sensibilità ed ha fatto una serie di osservazioni all’elettrometro nel caso dell’aria ionizzata. Chimica. — Ricerche sopra i nitroderivati aromatici. VII: Sulla formazione dei nitro-idrazo-composti ('). Nota di MIcHELE Givua, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Lo studio del comportamento dei nitro-composti aromatici verso alcuni reagenti chimici, ha un doppio interesse, teorico e pratico: pratico, in quanto l'uso dei nitro-composti aromatici ha acquistato ed acquista sempre più im- portanza nello sviluppo della tecnologia chimica moderna; teorico, dappoichè è in base ad una conoscenza completa del dinamismo degli atomi e dei gruppi atomici che sostituiscono gli atomi di idrogeno dell’ipotetico nucleo esago- nale del benzene, che si dovrà giungere a chiarire l'assetto molecolare delle sostanze aromatiche. In una Memoria recente l' Holleman (?) ha accennato alla difficoltà del problema relativo alla entrata dei gruppi sostituenti nell’anello benzenico; invero occorrono ricerche lunghe e sistematiche prima di giungere ad una generalizzazione che non sia di natura puramente empirica. Nel] corso di queste mie ricerche sui nitrocomposti aromatici ho avuto modo di definire la natura di alcune sostituzioni che avvengono in essi, ed ho posto in rilievo due regole di sostituzione, quella di Laubenhcimer e di Koerner (*). Ma queste regole hanno finora un carattere così empirico, che non riescono ad essere inquadrate nella comune concezione kekuleiana, la sola che finora ha avuto valore teoretico ed euristico. * xv La preparazione dei nitroderivati dell’idrazobenzene e dei suoi omologhi non è possibile per nitrazione diretta. L'unico metodo finora conosciuto è quello di E. Fischer (‘) che consiste nel fare agire la fenilidrazina sui cloro- (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Sassari, (3) Rec. Pay-Bas. 35, 1 (1915). (*) Gazz. Chim. ital. 45, I, 345, 352 (1915). (4) Ann. 2/90, 181 (1878); 253, 2 (1889). e — 248 — nitroderivati del benzene che contengono l'atomo alogenico mobile per l’ in- iluenza orto-para dei gruppi nitrici già presenti nella molecola. Questo metodo che è stato in seguito generalizzato non solo a diversi alogeno-nitrobenzeni, bensì a derivati della fenilidrazina ('), è molto impor- tante; la sua formazione rientra nella regola di sostituzione di Koerner da me altrove chiarita. E. Fischer ha fatto reagire con la fenilidrazina il cloruro di picrile: avviene la seguente reazione: CH; . NH. NH; + C1. C:H2(N0,); = CH; . NH. NH. C5H:(N0,)3 + HC1. È da ricordare che il comportamento così caratteristico del cloruro di picrile, ossia la facile reattività dell'atomo di cloro è stata osservata per la prima volta da Pisani (*). A. Werner (*) ha studiato in seguito questa reazione di Fischer con i nitroderivati della fenilidrazina. Così l’o-nitrofe- nilidrazina reagisce coll’ 1.2.4.clorodinitrobenzene formando il 2.2'.4'.trini- troidrazobenzene, secondo lo schema seguente: < VNE.N5+0K \No,= PNE TA NO, 0,N eo ca Ga AID =< NH.NHC)N0.+ HC1. NO: ON Il comportamento dei nitrocomposti aromatici verso la fenilidrazina è stato studiato da varî sperimentatori, ma le conoscenze che possediamo ver- tono soprattutto sui polinitro-composti che hanno i gruppi nitrici in posi- zione meta fra loro. Per tal modo è stato ben chiarito il fatto che la fenil- idrazina agisce come riducente, per cui è possibile passare rapidamente dal gruppo nitrico a quello amidico (‘). Poco è conosciuto sul comportamento della fenilidrazina verso i nitro- composti aromatici con un gruppo nitrico mobile. Sommer (>), studiando l’azione della fenilidrazina sulla trinitrotolil-metil-nitramina e sulla trinitro- metil-p-toluidina ha ottenuto derivati dell’idrazobenzene. Con i polinitro- composti aromatici contenenti un gruppo nitrico labile la fenilidrazina, a freddo, non agisce da riducente, bensì esercita un'azione sostituente. (1) Wilgerodt e collabor.: Journ. prakt. Ch. (2) 37, 345, 454 (1888); 40, 264 (1889); 43, 177 (1891); 44, 67 (1891). (®) Ann. 92, 326 (1854). (*) Ber. Chem. Gesell. 32, 3257 (1899). (4) Cfr. V. Meyer e P. Jacobsen, Lehrb. der Org. Ch. 2, I, pag. 307 (1903). (5) Journ. prakt. ch. 67, 513 (1003). — 249 — Questo comportamento della fenilidrazina, come vedremo in seguito, ha - un carattere generale e costituisce un metodo elegante per la preparazione dei nitro-idrazo-composti. Io ho fatto agire la fenilidrazina sopra il #- e il y-trinitrotoluene, composti che contengono un gruppo nitrico mobile, come ho messo in evi- denza in altri miei lavori. La formazione degli idrazocomposti ha luogo facilmente in soluzione alcoolica alla temperatura ordinaria: la fenilidrazina produce immediatamente nella soluzione alcoolica del nitrocomposto una intensa colorazione rosso oscura, mentre sì ha un notevole sviluppo di calore e contemporaneamente di gas; dopo alcuni minuti sì precipita il prodotto della reazione cristallino colorato in giallo arapciato. I composti da me ottenuti sono i seguenti: CH, CH; 0;N Do O,N Pai ) _N0+ EN. NH.0,H; — teo NH.NH >+HN0: NO, NO, CH; CH3 NO, ( À NO» NO. + EN.NE.CH5=\ 'NE.NUIC > +HNO; NO, NO» L'acido nitroso che si forma nella reazione agisce sopra l'eccesso della fenilidrazina dando luogo ad un processo di decomposizione, con elimina- zione di azoto, secondo l'equazione seguente : SCsHs ° NH ° NH, + 2HO. NO == 4H;0 + 4N, ne 3CeHe . Questa reazione è stata notata anche da Sommer nel lavoro già citato. I nitroidrazocomposti della natura di quelli da me ottenuti, che hanno cioè un gruppo nitrico in posizione orto al gruppo idrazinico secondario, perdono facilmente (come è noto) gli elementi dell’acqua dando luogo alla formazione di nitroso-azocomposti o « azimidossidi » (). Così il 2.4-binitro-5-metilidrazobenzene si trasforma facilmente per l’azione dell'acido cloridrico gassoso in soluzione alcoolica nel nitrosocom- posto seguente: CH; 0.N “n NO e analogamente si comporta il 2.6-binitro-5-meti]-idrazobenzene. (1) Cfr. E. Bamberger e R. Hibner, Ber. 36, 3822 (1903). RenpICcONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 35 — 250 — 2-4-BINITRO-5-METILIDRAZOBENZENE CH; O,N NH. NHK > NO; pura Gr. 2,27 di trinitrotoluene y si sospendono in 10 ce. di alcool metilico e si trattano con gr. 1,04 di fenilidrazina; si ottiene subito una intensa colorazione rosso oscura mentre si ha uno sviluppo graduale di calore. Dopo pochi minuti la soluzione entra in ebollizione mentre si nota uno sviluppo gassoso e rapidamente si separano cristalli colorati in rosso aranciato. Il prodotto della reazione cristallizza dall'alcool etilico in lamelle giallo rossastre che fondono a 155° con sviluppo gassoso. Gr. 0,1228 di sostanza dettero cc. 21 di N (£= 19° ,H= 754) per Cis His (07 N, (288) N59 trovato: 19.61 » calcolato: 19,45. La sostanza è solubile in alcool, acetone, benzene, cloroformio; poco a caldo in etere di petrolio. 2-NITROSO-4-NITRO-5-METIL-AZOBENZENE CH, O,N BIAMO X AEG Da NO Questo composto si ottiene facilmente facendo gorgogliare acido clori- drico gassoso in una soluzione alcoolica del binitro-metil-idrazobenzene ora descritto. Per l’azione dell'acido cloridrico la soluzione alcoolica sì colora intensamente in rosso carminio; dopo alcuni minuti si precipita una sostanza che lavata con alcool freddo si presenta in lamelle colorate in giallo dorato che fondono dopo cristallizzazione da alcool a 120°-121°. Una determinazione di azoto col metodo di Kjeldahl (') ha dato i se- guenti risultati : (!) Date le difficoltà, nel momento presente, di avere in laboratorio una forte cor- rente di gas, dove è stato possibile ho proceduto alla determinazione di azoto col me- todo Kjeldahl, modificato da Williams (cfr. Post-Neumann, 7raité de Chimie anal. ind., vol, 3°, parte I, pag. 393) che dà ottimi risultati con tutti i nitroderivati aromatici, come ho potuto constatare per il trinitrotoluene simmetrico e lo stesso acido picrico. L'ossidazione della sostanza è stata favorita con l'aggiunta di 2 goccie di soluzione al 10°/ di cloruro platinico. — 251 — Gr. 0,4260 di sostanza: ce. 12,4 di H,S0, N !/, per C13H1003 N, (270) N°/, trovato: 20.41 » calcolato: 20,60. La sostanza è solubile in alcool, etere, acetone, cloroformio; poco solu- bile in etere di petrolio. 2-6-BINITRO-5-METIL-IDRAZOBENZENE NO, Il trinitrotoluene # reagisce facilmente con la fenilidrazina in solu- zione alcoolica. Questo idrazocomposto si ottiene come il precedente trattando la fenilidrazina con trinitrotoluene sospeso in alcool etilico assoluto. Per l'aggiunta della base si ha una intensa colorazione rossa, mentre si svolge del calore e il nitroluene passa lentamente in soluzione. Dopo circa 10 mi- nuti si depositano cristalli colorati in rosso. Per cristallizzazione dall'alcool etilico si separano grossi prismi che fondono a 137° con sviluppo gassoso. La sostanza evapora nel tubicino e solidifica in aghetti giallo chiari. Gr. 0,1672 di sostanza: ce. 28,1 di N (£f=15° , H= 740) per C,3H1204N, (288) N° trovato: 19,22 » calcolato: 19,45. La sostanza è solubile in alcool, etere, benzene e cloroformio; pochis- simo solubile in etere di petrolio. METIL-NITRO-N1ITROSO-AZOBENZENE CH; CH, IO; NO el ea lix }, No NO; Sciogliendo il metil-binitro-idrazobenzene ottenuto per l'azione della fenilidrazina sopra il f8-trinitrotoluene, nell’alcool etilico assoluto e facendovi gorgogliare una forte corrente di acido cloridrico gassoso si separa subito un composto giallo, il quale cristallizza dall'alcool in aghetti lucenti che fondono a 154° in un olio giallo chiaro. — 252 — Gr. 0,1436 di sostanza: ce. 25,5 di N (£=18° , H= 760) per C13H1003 N, (270) N°/ trovato: 20,64 » calcolato: 20,60. La sostanza è solubile in alcool, etere, cloroformio e benzene; poco in etere di petrolio. Geologia. — LZ’ Focene ed il Miocene di Sciacca (*). Nota del ott. G. CHECcHIA-RIsPOLI, presentata dal Socio C. F. PARONA. Negli immediati dintorni di Sciacca veniva finora assegnato un grandis- simo sviluppo ai terreni eocenici: come tali infatti erano considerati non solo i calcari bianchi nummulitici del monte San Calogero, ma ‘anche le marne con arenarie e calcari intercalati, che si sviluppano tanto sul dorso settentrionale del San Calogero, che ad est e a sud di questo monte. Nes- suna indicazione si aveva invece sull'esistenza di terreni miocenici. Nella presente Nota andrò esponendo i fatti che ci obbligano a sepa- rare dai calcari dell’ Eocene la soprastante massa delle marne, che deve es- sere riferita invece al Miocene medio. Questo studio non mi sarebbe stato possibile senza le indicazioni fornitemi dal compianto prof. Giovanni Di Ste- fano e senza l'esame del materiale da Lui raccolto nella scorsa estate a Sciacca. In nessun altro punto dei dintorni di Sciacca la successione dei varî membri di quella serie terziaria è così ben visibile come al monte San Ca- logero a causa di una faglia, che, troncandolo verso sud, permette di stu- diarne la intima costituzione. La montagna di San Calogero, l'antico Cronio, è l'estrema propaggine, spingentesi quasi sino al litorale del mare africano, del gruppo dei monti di Caltabellotta e di Sambuca Zabut, da cui è disgiunta da poche e basse alture. La sua forma fortemente disimmetrica è dovuta principalmente alla faglia che la tronca da est ad ovest, di guisa che mentre dal lato setten- trionale il profilo è dolcemente declive, verso il mare diventa ripidissimo. Alla base della frattura si osservano i grossi banchi del calcare roseo a cefalopodi e a Pygope diphia del Titonico e più in alto i calcari marnosi ad Aptychus angulicostatus, Belemnites dilatatus, B. isoscelis, ecc. del Neo- comiano. Questi ultimi si ritrovano anche ai piedi della faglia nelle contrade Isabella e Trubi bianchi. Sul Neocomiano poggiano alcuni grossi strati di un calcare bianco, ta- lora a struttura grossolana, che si estende per tutto il piano delle Giumente (!) Lavoro eseguito nel R. Ufficio Geologico. — 253 — e forma la parte più elevata del monte, su cui s’erge il Convento di San . Calogero (m. 387 s. l. d. m.). In alcuni punti questi calcari sono molto fos- siliferi e contengono tra gli altri fossili: Nummulites atacicus Leymerie, Numm. Guettardi d'Archiac, Numm. variolarius Lamarck, Numm. Heberti d'Archiac et Heime, Mumm. latispira Savi e Meneghini, Numm. anomalus de la Harpe, Numm. laevigatus Bruguière, Numm. Brongniarti d'Archiac et Heime, Numm. millecaput Bonbée. Numm. helvetica Kaufmann, ecc.; Operculina libyca Schwager; MHeterostegina reticulata Ritimeyer; Ortho- phragmina ephippium Schlotheim, Orth. dispansa Sowerby, Orth. aspera Gimbel, Orth. varians Kauffmann. ecc., che indicano nel loro insieme l’ap- partenenza di quei calcari al Luteziano. Di questi, sebbene molto fugace- mente, diede un cenno l’ Hoffmann (*); molto tempo dopo l'ing. Baldacci li riferì all’ Eocene medio (*) ed infine il prof. Di Stefano vi indicò: Num- mulites biarritzensis d'Archiac. N. Guettardi d'Archiac, NM. Ramondi Defr., Orbitoides dispansa J. Sow., Orb. aspera Gimbel ed Ord. priabonensis Gimbel (*), che ho poi rinvenuto quasi tutte nel materiale esaminato. Sezione del Monte San Calogero (Scala 1:50000) CΰS. Calogero 386 R°Straursa A° Campello 5 R° Marchesa NO 1° Pliocene; 2° Miocene medio; 5° Eocene medio; 4° Neocomiano; 5° Titonico. L'Eocene si ritrova poi nella parte pianeggiante al di là della faglia nelle località Mendolito e Sughereto; qui alle nummuliti si accompagnano anche dei corallari. A nord del Convento, e non lontano da questo, sugli strati ora descritti segue un complesso molto potente di marne per lo più tenere, talora un po’ sabbiose, di predominante color giallastro con intercalazioni di arenarie dure giallastre a grana finissima e di calcari in istrati non molto spessi, di color grigio. La formazione delle marne ricopre ininterrottamente, come un man- tello, il dorso del monte e dalle regioni Chiave, Galati, Campello, Siracusa, Montagna, si estende sino al Vallone Carabollace e Portolana; si ritrova (*) Hoffmann F., Geognostische Beobachtungen ecc. 1829. (*) Baldacci L., Descrizione geologica dell’ Isola di Sicilia, Roma, 1886. (3) Di Stefano G., IT Pliocene ed il Postpliocene di Sciacca; osservazioni strati- grafiche (Boll. R. Com. Geol. d’Italia, ser. II, vol. X), Roma, 1889. — 254 — poi nella parte pianeggiante nelle contrade Marchesa, Molara, Mendolito, ecc.; questi ultimi strati vanno a congiungersi, oltre la faglia, con quelli che for- mano il dorso del San Calogero. Verso il mare le marne sono ricoperte dai terreni pliocenici e postpliocenici. Anche questa formazione è fossilifera. Raramente però i fossili si tro- vano nelle marne, come avviene in quelle tenerissime della contrada Sira- cusa ed in quelle più indurite della contrada Galati; invece abbondano in tutti gli strati calcarei intercalati nelle marne. Sulla superficie di questi la erosione ha isolato qua e là placche e radioli ben conservati di Czdarzs (Cyathocidaris) avenionensis Desmoulins, esemplari completi di 77bularza stellata Capeder e rarissimi, per quanto facilmente riconoscibili, denti di piccole dimensioni di Carcharodon megalodon Agassiz. A questi fossili si associano dappertutto Operculina, Heterostegina, Amphistegina e numero- sissime Zepidocyelina, di grandi e piccole dimensioni, le quali gremiscono addirittura la roccia delle regioni Campello e Marchesa. I foraminiferi più comuni che ho potuto determinare sono: Operculina complanata Defrance; Amphistegina Niasi Verbeck; Heterostegina reticulata Ritimeyer; Zepido- cycliha dilatata Michelotti, Zep. Morgani Lemoine et Douvillé R., Lep. angularis Newton et Holland, Zep. Negrii Ferrero, Lep. Verbecki Newton et Holland, Zep. sumatrensis Brady, Lep. Chaperi Lemoine et Douvillé R., ecc. Sul complesso ora descritto non si sovrappone nessun'altra formazione su) dorso del San Calogero, però verso est, cioè alla collina della Guardia, tra il Cimitero e la regione Siracusa, si osservano dei calcari bianchissimi, friabili, di consistenza tufacea, oscuramente stratificati, i quali poggiano con- cordantemente sulle marne. Secondo il Baldacci questo gruppo di strati si estende a nord verso la regione Portolana. Anche questo calcare è fossilifero e contiene, tra gli altri, giganteschi esemplari della Operculina complanata, piccole lepidocicline (Lep. Verbecki, Lep. sumatrensis, ecc.) ed Amphistegina Niasi, nonchè mal conservati radioli di Cidarzs. Tanto il complesso marnoso con strati a Zepidocycelina, quanto i soprastanti calcari dall'aspetto tufaceo. erano stati riferiti all’ Eocene inferiore. Essì però non solo sono sempre superiori al Luteziano, ma contengono anche una fauna indubbiamente miocenica. I loro caratteri paleontologici e litologici e i rap- porti stratigrafici ci obbligano a riconoscere in essi un lembo, anzi l'estremo lembo della grande formazione del Miocene medio, da noi descritta in varî precedenti lavori, la quale dai monti della Busambra abbiamo seguìta e stu- diata sin quasi sotto Caltabellotta e Sant'Anna in provincia di Girgenti (?). Le marne con i calcari a Zepidocyclina rappresentano il Langhiano, i cal- (1) Checchia-Rispoli G., Sul Miocene di alcune regioni della Sicilia occidentale (Atti Soc. Ital. d. Progr. d. Scienze, IV Riunicue, Napoli, 1910), 1911; Id., Sul Mio- cene medio di alcune regioni delle provincie di Palermo e di Girgenti (Giorn. Sc. Nat. ed Fcon. di P.Iormo. vol. XXVIIT), 1911. , — 259 — cari d'aspetto tufaceo l’Elveziano: questi ultimi sono gli equivalenti dei cal- cari glauconitici ad Ittioliti dei dintorni di Corleone (?) e delle breccioline calcaree dei dintorni di Burgio, che contengono anche gli unici avanzi di Mastodon angustidens conosciuti finora in Italia (?). Embriologia. — Contributo alla embriologia dei generi Aster e Solidago. Nota preliminare del dott. E. CARANO, presentata dal Socio R. PIROTTA. Tempo addietro in una Nota pubblicata in questi Rendiconti facevo rilevare la piena contradizione fra i risultati ottenuti dal Winge (*) e i miei a proposito dell’embriologia di Senecio vulgaris (4). Il Winge sosteneva che delle quattro megaspore provenienti dalla divi- sione della cellula madre la superiore o micropilare germinasse per produrre il gametofito femmineo, mentre le altre, anzichè andare a male, come è regola generale per le Fanerogame, persistessero e sostituissero le antipodi mancanti nel gametofito adulto o soltanto manifeste come tre piccoli corpic- ciuoli nella cavità del sacco embrionale. Al mio esame invece risultava che la megaspora fertile è l'inferiore o calazale, che le tre altre vengono da essa schiacciate e che nel gametofito adulto le antipodi, lungi dallo scomparire, come è opinione del Winge, si costituiscono in cellule ben distinte, le quali, dividendo il loro nucleo, possono diventare bi- o plurinucleate, oppure, dividendo anche il citoplasma, possono generare un numero di cellule maggiore di tre. Conceludevo quindi che il Winge fosse caduto in errore, interpretando per meyaspore quelle che in realtà non erano che le antipodi del sacco maturo. A breve intervallo dalla pubblicazione del Winge, qualche cosa di simile a ciò che egli aveva sostenuto per Serecio vulgaris affermava il Palm (5) per Aster Novae-Angliae e per Solidago serotina. Nella prima di queste piante, secondo il Palm, solo eccezionalmente è fertile la megaspora inferiore, ed allora essa, schiacciando le altre, origina (1) Gemmellaro M., /ttiodontoliti del Miocene medio di alcune regioni delle pro- vincie di Palermo e di Girgenti (Giorn. Se. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XXIX), 1912. (*) Checchia-Rispoli G., Sul IMastodon angustidens Cuvier dei dintorni di Burgio in provincia di Girgenti (Giorn. Sc. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XXX), 1914. (3) Winge O., Oogenesis hos Senecio. Botanisk Tidsskrift, Bd. 33, 1913, pag. 245. (4) Carano E., Sull’embriologia di Senecio vulgaris. Rendic. R. Acc. Lincei, CI. sc. fis: mat. nat., ser. 53, vol. XXIV, 1° sem., 1915, pag. 1244. (5) Palm BI., Zur Embryologie der Gattungen Aster und Solidago. Acta Horti Bergiani, Bd. 5, n. 4, 1914. — 256 — un gametofito normale; generalmente invece è fertile una delle altre tre, anzi di regola la superiore, nel qual caso le altre megaspore persistono al disotto della fertile, non solo, ma manifestano anche una notevole attività, sia dividendosi, sia aumentando talune di esse considerevolmente il proprio volume in modo da gareggiare con le dimensioni del sacco. In definitiva queste megaspore formano alla base del sacco un complesso rassomigliante perfettamente alla regione antipodale che d’ordinario si forma nelle altre Asteracee. Tale complesso, oltre all’aspetto, assume anche le veci delle vere antipodi, le quali o non vengono formate affatto o solo parzialmente, ma in ogni modo sono rappresentate da semplici nuclei nella cavità del sacco. Sempre secondo il Palm, le megaspore persistenti, possono, oltrechè subire divisioni nucleari e cellulari, dare origine nel loro interno, essendo potenzialmente dei sacchi embrionali, ad un gametofito talora con numero normale di nuclei, più spess con numero ridotto. Nella capacità da parte di queste megaspore di produrre un siffatto gametofito il Palm è convinto di aver trovato la chiave per la spiegazione delle anomalie illustrate parecchio tempo addietro, e ben altrimenti inter- pretate, dal Chamberlain in Aster Novae-Angliae (*) e dalla Opperman in Aster undulatus (?). In Solidago serotina il Palm afferma che delle quattro megaspore la fertile è « senza eccezione » la superiore o micropilare, la quale, alla stessa guisa che in Aster Novae-Angliae, produce un gametofito, le cui antipodi o non si formano affatto, per la mancata divisione del nucleo inferiore 0 antipodale dello stadio binucleato del sacco, o, se si formano, sono rappre- sentate da semplici nuclei vaganti nell'interno del sacco. Però a sostituirle persistono le altre tre megaspore che si comportano perfettamente come in Aster Novae-Angliae, subendo cioè divisioni nucleari ed anche cellulari, per for- mare alla base del sacco un tutto in nulla differente dal comune aspetto che assumono le antipodi nelle Asteracee. Chi, avendo una certa familiarità con la struttura tipica del sacco embrio- nale delle Asteracee, getta uno sguardo durante la lettura del lavoro del Palm alle figure illustrative che lo accompagnano, non può non essere colpito dalla perfetta identità di aspetto fra le megaspore di questo autore e le ordi- narie antipodi; infatti la frequente plurinuclearità, la facile tendenza alla divisione cellulare oltrechè nucleare, son caratteri che ricorrono quasi nor- malmente nelle antipodi delle Asteracee. In tal modo si viene colti dal dubbio che anche il Palm abbia commesso lo stesso errore d’ interpreta- zione del Winge. Certamente si può obbiettare che le megaspore, assumendo (1) Chamberlain C. J., The embryosac of Aster Novae-Angliae. Bot. Gazette, vol. XX, 1895, pag. 205. (2) Opperman M., A contribution to the life history of Aster. Bot. Gazette, vol. XXXVII, 1904, pag. 358. PESPIA bai petti Se — 257 — l'ufficio delle antipodi, ne assumano anche l’aspetto, e questo è giustissimo, anche perchè sono noti finora degli esempi, constatati e confermati, come nelle Oenotheraceae, di megaspore che si sostituiscono alle antipodi rive- stendone la stessa forma. Non rimaneva dunque per il nostro caso che controllare lo studio dello sviluppo, ciò che ho fatto, sembrandomi che ne valesse la pena, perchè i lavori del Winge e del Palm, sebbene molto recenti, sono già stati ri- portati da parecchi autori per indicare degli esempi di persistenza di altre megaspore oltre la fertile, e dallo stesso Palm nel suo grosso lavoro sui diversi tipi di costruzione del sacco embrionale delle Angiosperme (*) per mostrare una delle modificazioni al 1° tipo 0 « fipo normale ». In attesa di fornire più ampi ragguagli in un lavoro che pubblicherò quanto prima, riporto brevemente in questa Nota i principali risultati delle mie osservazioni che non concordano affatto con quelle del Palm: Le piante che ho esaminate sono Aster Novae-Angliae, Solidago sero- . tina, S. canadensis, S. Riddellii. In tutte ho constatato che delle quattro megaspore prodotte per divisione riduzionale della cellula madre una sola, la megaspora fertile, persiste e, germinando, origina il gametotito femmineo; le altre sono più o meno presto schiacciate e riassorbite, sicchè, a completo sviluppo del gametofito, di esse non rimane più traccia. Nel gametofito femmineo si formano delle antipodi ben distinte, sempre cellulari, in numero vario, frequentemente tre, ma anche due o più di tre. uni-, bi- o plurinucleate e corrispondono in tutto a quelle cellule indicate dal Palm come megaspore. In Aster Novae-Angliae la megaspora fertile è generalmente l’ inferiore o calazale, ma può anche essere una delle altre; anzi spesso ho osservato che due megaspore tendono ad accrescersi, le quali non sono mai contigue, e precisamente di solito sono la seconda e la quarta, meno frequentemente la prima e la terza, ancora meno la prima e la quarta, intanto che le altre vengono schiacciate. Fra le due megaspore accrescentisi si determina una gara per lo spazio; epperò sempre una finisce con l’avere il sopravvento sull’altra, che alla sua volta rimane schiacciata. Nelle tre specie di Sol:4ago ho costantemente osservato che la mega- spora fertile è l’inferiore, proprio al contrario dunque di quel che ammette il Palm. Nonpertanto anche in Solidago l'unica megaspora che si sviluppa schiaccia le altre. Ne deriva dunque che realmente il Palm, come il Winge, ha scambiato le antipodi con le megaspore. (') Palm BJ., Studien uber Konstruktionstypen und Entwicklungswege des Em- bryosackes der Angiospermen. Stockholm, 1915, pag. 207. RenpIcONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 36 Microbiologia. — Sopra una diffusa alterazione batterica del pane. Nota di R. PEROTTI e J. COMANDUCCI, presentata dal Socio G. CUBONI. Nei mesi dal maggio al luglio del decorso anno, si lamentarono dalla cittadinanza romana, con grande frequenza, notevoli casi di alterazione del pane confezionato nei forni della città. Il pane che, in conformità alle di- sposizioni tuttora vigenti, era venduto raffermo di un giorno, presentava, nella sua parte centrale, una zona grigiastra di alterazione più o meno vasta; di colore più scuro verso il centro della mollica, degradante alla periferia, umida più che le parti circostanti, vischiosa ed appiccicaticcia al tatto. In detta zona, gli alveoli non erano più individuabili, e la massa della mollica ten- deva a presentarsi compatta, emanando un odore molto sgradevole. Mantenendo il pane così alterato per altre 24 ore in camera umida, la mollica appariva completamente e profondamente trasformata in un ammasso grigiastro, filamentoso, di odore addirittura nauseante. Il pane risultava, fin dopo le prime 24 ore, immangiabile. I reclami di cui avemmo contezza da parte dell'ufficio d'igiene, si succedettero nel periodo di tempo suaccennato, quasi giornalmente; essi sì riferivano ad un numero piuttosto limitato di panifici, e quasi sempre agli stessi. L’alterazione lasciava sospettare fin dal principio trattarsi di un' infe- zione, che, all'esame preliminare della zona alterata, risultò di natura bat- terica. Difatti, all'esame microscopico diretto, si riscontrarono abbondantis- sime forme batteriche più o meno allungate, ad estremità ottuse, immobili. Procedutosi all'isolamento di questa forma, su agar di fagioli, compar- vero, entro le 24 ore, numerosissime colonie dimostranti un rigoglioso svi- luppo. Esse assumevano due diversi aspetti: le une erano dendritiche e le altre subrotonde, ma entrambi membranose anucleate, di color bianco opaco. Del microrganismo si fecero passaggi in brodo di fagioli e in brodo di carne. Nel primo si sviluppò molto rapidamente ed abbondantemente fin dalle prime 24 ore, iniziandosi la coperta in superficie e deposito al fondo. Nel brodo di carne lo sviluppo fu alquanto più lento, ritardandosi la for- mazione della coperta e scarseggiando il deposito al fondo. Il liquido cultu- rale si presentava, dopo una settimana, torbido nel primo caso e limpido nel secondo. In cultura liquida la forma appariva nettamente bacillare, costituente lunghi fili e misurante: nel brodo di carne, in media, w 5 per 1.2 nel brodo di fagioli ’ u 3 per 1,2 DEMO Og In culture su substrati solidi, invece, la forma appariva raccorciata ed ingrossata; in alcuni casi, sporulata. Le dimensioni in lunghezza erano al- l'incirca la metà della media surriferita, mentre il diametro trasversale era presso a poco uguale o leggermente aumentato. I substrati solidi impiegati furono: agar al peptone, agar di fagioli, gelatina di carne. Quest'ultima viene fluidificata. La culture in infissione, sia in gelatina che in agar al peptone, dimo- strarono sviluppo più rapido e abbondante lungo il canale che in superficie. Nella parte più bassa del canale, però, lo sviluppo si attenuava sensibilmente. Trattasi quindi di una forma andaerobia facoltativa. Prende il Gram e resiste alla decolorazione con alcool per due minuti. Essa pertanto si pre- sentava per molti caratteri affine al Bacdi/lus mesentericus vulgatus Fligge; ma con essa non era identificabile. Questo bacillo è stato riconosciuto causa di una alterazione del pane, specificata con il nome di « pane filante ». Non ci risulta però che detta alterazione, fino ad ora, sia stata segnalata in Italia. In Roma, particolarmente, essa assunse, nel periodo dal maggio al luglio decorso, una grande diffusione. Frequente e temuta è invece nei paesi del nord, dove è stata studiata fino dal 1885, alla cui epoca risale la prima osservazione che si deve a E. Laurent (*) che l’ascrisse al Bacil/us panificans, il cui sviluppo doveva esser favorito dalla leggera acidità della pasta. In seguito F. Kretschemer e Niemilowicz (?) ritennero causa dell’alterazione il Bacdl//us mesentericus vulgatus Fligge, insieme al quale J. Uffelmann (*) trovò il Bace/!lus lio- dermos Fligge. Nel 1897 J. Vogel (4) riferì su tre differenti specie di « bacilli della patata » isolati da 16 campioni di pane filante. Una sola di queste forme conferiva al pane la colorazione rossa; le altre due, invece, furono ritenute la vera causa dell’alterazione e furono indicate con il nome di Bacillus mesentericus panis viscosi I e II A. Juckenack (*), in un altro caso, riconobbe che l'alterazione era dovuta al Bacillus mesentericus fuscus Fligge. Finalmente F. Fuhrmann (°) de- scrisse una nuova specie che chiamò Bacterzum panis della quale eseguì un confronto con il B. mesentericus, il fuscus, il liodermos, il vulgatus e le due forme del Vogel. Risulta nonpertanto dalla descrizione di questa (!) E. Laurent, Bull. de l’Acad. Roy. des Sciences de Belgique, 1885, serie 3°, vol, X, pag. 765. (2) F. Kretschemer e Niemilowicz, Centr. f. d. mediz. vissensch., 1889, Bd. 27, pag. 727. (3) J. Uffelmann, Centr. f. Bact., 1890, Bd. 8, pag. 481. (4) J. Vogel, Zeitschr. f. Hyg.. 1897, Bd. 26, pag. 398. (5) A. Juckenack, Zeitschr. f. Unters. d. Nahrungs. u. Genusmittel, 1899, Bd. 2, pag. 786. (9) F. Fuhrmann, Centralblatt f. Bakt., 2 Abt., 1905, Bd. 15, pag. 385. — 260 — specie, come essa sia molto affine al Baczllus mesentericus panis viscosi I del Vogel, altrimenti chiamato Bacterium mesentericum. i Che la forma da noi isolata fosse causa dell’alterazione su descritta ri- sultò evidente dalle prove d'infezione all'uopo praticate. Una prima prova si eseguì con tre culture in brodo di fagioli, due delle quali aventi 7 giorni di età, e la terza circa un mese, Il liquido di cultura si mescolò nelle proporzioni di 10 cme. per circa 500 gr. d’impasto. I pani, che risultarono ben lievitati, furono estratti dal forno ben cotti. Questo primo esperimento d’infezione fu negativo. Un secondo esperimento di panificazione, infettando con la stessa proporzione di cultura giovane in. brodo di fagioli. fu eseguito con quattro pani di circa gr. 500 l'uno. Due dei pani furono ben cotti mentre gli altri due si ritrassero dal forno pochissimo cotti. Sol- tanto in questi ultimi fu accertato microscopicamente lo sviluppo del bacillo inoculato; però lo sviluppo stesso non era tale da riprodurre i caratteri del- l'alterazione del pane sopra descritti. Questi si manifestarono parzialmente, mantenendo una porzione di tali pani per 4 o 5 giorni in camera umida. Si procedette allora ad un terzo esperimento, inoculando nell’impasto pro- porzioni doppie di liquido culturale e non spingendone troppo oltre la cot- tura. Qui il risultato che si ottenne fu positivo e l'alterazione del pane filante fu esattamente riprodotta con i caratteri che abbiamo descritti. Queste ricerche dimostrano dunque che le condizioni affinchè si ottenga l'alterazione del pane con la nostra forma batterica sono: la insufficiente cottura, che ha per conseguenza un elevato tenore in umidità del pane, e l'abbondante presenza del microrganismo infettante. In quanto al veicolo dell'infezione, la discussione, per i casi altrove verificatisi, è ancora aperta. H. L. Russel (*) suppose, in un caso da lui studiato, che tale veicolo fosse il lievito infetto; ma gli altri sperimentatori ammisero che, generalmente, il bacillo del pane filante si trovasse in forma sporulata nelle farine. Infatti il Thomann (°) in un grammo di farina di segale avrebbe trovato 1400 germi di una forma riferibile al BaciUus me- sentericus panis viscosi II Le nostre ricerche a tale riguardo, ci permettono di attribuire un mag- gior valore all'ipotesi del Russel, poichè risulterebbe necessaria una grande quantità di materiale infettante per riprodurre nelle migliori condizioni l'al- terazione. Ora è più facile ammettere che in un lievito infetto il bacillo possa essere più abbondante che nelle farine. Supponendo altrimenti, non sa- rebbe facilmente spiegabile il fatto che l'alterazione si determinasse quasi sempre negli stessi panificî, -e in numero relativamente limitato. Riteniamo (*) H. L. Russel, 15 Ann. Rep. Agric. Exp. Station Univ. of Wisconsin, 1898, pag. 110. (2) J. Thomann, Centr. f. Bakt., 2 Abt., 1900, Bd. 6, pag. 740. SEG tuttavia che il successo dell'infezione dipenda anche dalla qualità della fa- rina impiegata, ciò che, secondo noi, rappresenterebbe una condizione di no- tevole importanza. La comparsa dell'alterazione che si verificò in Roma, non soltanto nel periodo caldo dell’anno, ma anche in quel periodo in cui per cause a tutti note si dovettero impiegare farine variamente miscelate, e la circostanza inoltre, che l'alterazione cessò, si può dire improvvisamente, nonostante la calda stagione, e cioè verso la metà ‘di luglio, quando si ritornò all'impiego di farine pure di frumento ottenute dal nuovo raccolto, avvalorano la nostra ipotesi della preponderante influenza della composizione della farina sul ri- prodursi dell'alterazione. È noto, infatti, che il Bacillus mesentericus vul- gatus, cui indubbiamente la nostra forma è affine, preferisce per il suo svi- luppo substrati piuttosto ricchi in sostanze albuminoidi, e la farina di fru- mento è, in proporzione, molto meno ricca di queste che la maggior parte delle farine di leguminose indubbiamente impiegate nelle miscele. Concludiamo dunque questa Nota, affermando: che la forma causante l'alterazione filante del pane, nella primavera dell'anno 1917 in Roma, è affine al Bace/lus mesentericus vulgatus Fliigge, forse identica al Bacterium mesentericum del Vogel, e alquante differente dal Bacterium panis del Filhrmann; che fra le condizioni perchè si verifichi l'alterazione, è anzitutto quella della adatta composizione chimica delle farine e che, infine, il veicolo dell'infezione, almeno nel caso da noi studiato, è il lievito infetto. Per evitare il notevole danno che per l’azione del microrganismo si ve- rifica nella pratica della panificazione, oltre alla disinfezione degli utensili e dei locali in cui essa si manifestò nel decorso anno, occorrerà impiegare lieviti di buona preparazione, severamente controllati e, se dovrà continuarsi lo spaccio del pane raffermo, si dovrà conservare questo a temperatura piut- tosto bassa. Tenuto conto di un'altra alterazione del pane, dovuta all’ Oospora lactis, da uno di noi recentemente studiata ('), riteniamo opportuno, in seguito al risultato delle presenti ricerche, far rilevare, come il fatto della resistenza dei germi, che si trovano nell'impasto, sia molto più frequente di quanto forse non è stato fino al presente sospettato e che di esso debba tenersi conto non solo per raggiungere il risultato di una buona panificazione, ma anche per prevenire i pericoli della diffusione dei germi delle malattie infettive. (*) Ficai G. e Perotti R., Sopra una alterazione del pane prodotta da lievito in- etto con Qospora variabilis Lindner. Rend. R. Ace. Lincei, vol. XXVI, serie 5? 1° sem., fasc 9°, 1917. — 262 — PERSONALE ACCADEMICO Il Corrispondente CanTONE legge la seguente Commemorazione dell’Ac- cademico Sen. PieTtRo BLASERNA. Nelle prime ore della sera del 26 febbraio una dolorosissima perdita faceva l'Accademia colla morte di Colui che ne fu Presidente per 12 anni fino al dicembre del 1916. Soci più autorevoli di me, e certo più degnamente, avrebbero potuto dire di Lui in quest'aula, dove la veneranda imagine si presenta ancor viva alla mente di tutti; ma con la designazione da parte dell’ illustre Presidente della Classe si volle che il tributo di omaggio alla memoria dell’estinto venisse da un allievo dell'Istituto di Panisperna, come ad attestare il desiderio di far cosa grata all’ Uomo che si commemora, poichè nulla fu a Lui più caro della Scuola di Fisica creata in Roma; e perciò credetti doveroso accettare l’onorifico incarico, sicuro per altro che la mia parola, solo perchè informata a devoto sentimento di affetto e gratitudine, avrebbe trovato benevolo ascolto presso di Voi. PietRo BLASERNA nacque il 29 febbraio del 1836 in Fiumicello di Aquileja ove il padre, provetto ingegnere di Gorizia, dirigeva in quel tempo alcuni lavori. Compiuti a Gorizia gli studî secondari, seguì a Vienna i corsi universitarî di matematica e fisica; ma da tal soggiorno, prolungatosi coi tre anni di assistentato all'Istituto fisico di Vienna, non è da argomentare che nel Blaserna albergassero in quel tempo sentimenti che non fossero schiettamente italiani, e la prova si ha nel fatto che, dopo due anni trascorsi a Parigi per completare gli studî di fisica sotto la direzione di Regnault, veniva nel 1862 definitivamente in Italia dimostrando fin dai primordi della sua vita d'insegnante quale alto affetto per la Madre Patria alberghi nel- l'animo dei Friulani d'oltre Isonzo. La carriera didattica s' iniziava a Firenze, poichè i severi studî compiuti a Vienna, la pratica acquistata nel difficile agone sperimentale colle ricerche eseguite negli anni di assistentato, e la raffinata perizia raggiunta partecipando ai classici lavori dell’insigne Fisico francese gli procurarono facilmente un incarico in quell'Istituto Superiore; ma un anno dopo, giustamente apprez- zandosi i meriti di Lui, gli si affidava la cattedra di fisica dell’ Università di Palermo; e qual felice scelta sì fosse fatta coll’intuito di chi allora pre- siedeva al governo degli studî lo attesta l'orma indelebile lasciata dal Blaserna in quella Università col lavoro sapiente che dal nulla diede vita ad un Isti- — 263 — tuto fisico donde ebbero poi mezzi di studio e di ricerca illustri professori, ed una non esigua schiera di assistenti che occupano ora cattedre universitarie. Nè meno efficace fu in quel periodo l'opera di Lui nella Scuola, giacchè dal fascino della forma piana ed elegante con cui in lezioni e conferenze erano esposti i trovati della scienza nuova vennero attratti nel laboratorio alcuni studenti, fra i quali il Macaluso; e coll’addestramento di questo primo manipolo di giovani amanti di apprendere ebbe inizio la missione ch’ Egli s’impose sempre in seguito d'infondere con ogni mezzo negli altri l'amore per le discipline sperimentali. E fu grande titolo di onore, giacchè, se in quel tempo non mancarono valorosi insegnanti di fisica, i laboratori, dove esistevano, erano quasi sempre inaccessibili ai giovani, o per un sentimento egoistico che faceva apparire in. ogni allievo chiedente ospitalità un possibile disturbatore, o per un male inteso attaccamento dell'insegnante al materiale scientifico; e nei pochi casì in cui era lecito accedere al laboratorio biso- gnava di solito limitarsi ad assistere agli esperimenti senza penetrare nello spirito della ricerca in guisa da trarne educazione scientifica. Nel Blaserna, spirito aperto alle più alte idealità, dominavano opposti sentimenti, non sa- pendo Egli concepire una vita di laboratorio chiusa nell'orbita di un'attività svolgentesi da un solo individuo per quanto dotato di forti risorse, e vedendo nel giusto uso degli strumenti anche da parte di un numero non piccolo di allievi il mezzo migliore di metterli in opera senza pericolo di gravi danni. Ma la spiccata attitudine del Blaserna ad organizzare una scuola di fisica trovò conveniente campo di attuazione quando Egli, col passaggio a Roma avvenuto nel 1872, potè procurarsi mezzi adatti per agire con quella larghezza di vedute che può dirsi costituisse la nota dominante del suo carattere ed ebbe la fortuna di incontrarsi in Filippo Keller, uomo che alla scienza ed al bene della gioventù consacrò tutte le sue energie. Tem- peramenti assai diversi coltivarono però un ideale comune; e nel cammino per conseguirlo si stabilì fra loro una cordiale amicizia che potè forse appa- rire in troppo vivo contrasto colle abitudini di vita dei due uomini. Sorse così la scuola pratica di fisica in Roma, prima adattata alla meglio nella chiesa della Sapienza, e nel novembre del 1881 stabilita nella più degna sede dell'Istituto di Panisperna. Ricordo con animo grato l'uno e l’altro locale: fu ventura per me e per tanti altri allievi dell’ Istituto l'avere appreso a quella scuola le prime nozioni sul maneggio degli stru- menti, per passare qualche anno dopo coll’ufficio di assistenti all’altro còm- pito più scabroso dell'addestramento dei nuovi venuti, epperò non meno proficuo in quanto non poco si apprende a correggere gli errori degli altri. Seguì dopo qualche anno la scuola pratica per i laureandi affidata in principio ad Alfonso Sella, nome caro alla memoria dei Soci di questa Accademia; ma prima ancora di questa innovazione, e cioè fin dal passaggio della Scuola di fisica in Panisperna, fu istituito un corso settimanale di — 264 — conferenze con partecipazione degli allievi, degli assistenti, e di studiosi di scienze sperimentali che all'Istituto cominciavano a far capo come ad un centro di coltura, corso che si volle creare dal Blaserna coll’ intendimento di diffondere quanto d’importante veniva pubblicandosi nei periodici di fisica italiani e stranieri, affinchè con lavoro non grave dei singoli relatori si po- tessero da tutti seguire i progressi della Scienza. Ed io credo sia stato savio proposito perchè la ricerca scientifica spesso assorbe tanto l’attività dello sperimentatore da non trovarsi tempo di tener dietro al continuo evolversi e rinnovellarsi di metodi d'indagine e d'indirizzi teorici, onde non di rado accade che nel corso di una serie di ricerche sì finisce col restare quasi estranei ad una parte almeno del movimento che si svolge fuori del proprio campo di studio, e se vuolsi riparare al mal fatto si corre il rischio di per- dere l'abitudine di sperimentare. L'unico ostacolo all'attuazione del concetto informatore del nuovo corso avrebbe potuto sorgere dall’insufficienza del nu- mero dei conferenzieri con la necessaria preparazione per un lavoro efficace, se non che per il prestigio del nome di chi stava a capo dell'Istituto si trovò fin dall'inizio un nucleo di giovani volenterosi che rispose all'appello con entusiasmo dando col concorso del suo studio e con la viva parte alla discussione la prova migliore che l'opera spesa dal Blaserna per completare la coltura scientifica degli allievi dell'Istituto raggiungeva pienamente lo scopo. E da quel nucleo vennero fisici, astronomi ed elettro-tecnici ben pre- parati per gli ulteriori studî speciali. Tuttavia parve al sagace Direttore che fosse da colmare ancora una lacuna insita allo stesso ordinamento ufficiale degli studî fisici in Italia, man- cando fra tanti corsi essenzialmente matematici, una cattedra di fisica teorica destinata a svolgere i concetti direttivi della sintesi scientifica con quella estensione che non può essere consentita in un semplice corso di fisica spe- rimentale destinato agli studenti di medicina o d'ingegneria; e coll’autorità del suo nome riuscì ad ottenere per la Facoltà scientifica di Roma l'istitu- zione di un insegnamento di fisica complementare, tenuto prima dal Sella, e poi dal Corbino che ha continuato le belle tradizioni del suo predecessore. In tal modo l'Istituto fisico di Roma, che nella sua auletta fra tanti professori ha avuto l'onore di accogliere gl'insigni fisici matematici Eugenio Beltrami e Vito Volterra, divenne un vero centro di studî fisici, centro cui convergevano studiosi d’ogni parte d'Italia e spesso anche stranieri; e Pietro Blaserna con senso raffinato di liberalità, non disgiunto da spirito intuitivo nel valutarè uomini e cose, fu largo di ospitalità verso le persone che a Lui si rivolgevano per partecipare alla vita dell'Istituto o per compirvi speciali ricerche. Della Scuola di Fisica organizzata dal Blaserna ho parlato prima ancora di dire della sede da Lui concepita con fine accorgimento e studiata nei più minuti particolari; ma credetti di poterlo fare perchè tutti sanno gli alti *Alueinttiiiattmtta — e da er. — 265 — pregi del fabbricato centrale di Panisperna, sia per le condizioni di solidità che si richiedono in un laboratorio di fisica, sia per l’opportuna distribu- zione dei locali, sia pure per il modo sapiente come fu arredato; ed è noto a tutti che gl'istituti congeneri sorti recentemente in Italia vennero in mas- sima parte foggiati su quel tipo; ma non sono riconosciute del pari le gravi difficoltà incontrate dall’ Uomo preclaro per riuscire nell'intento : epperò non deve apparire esagerata la soddisfazione di Lui nell'additare il frutto del- l'assiduo ed intenso lavoro. In tanta operosità spesa per il bene della gioventù, e colle molteplici occupazioni che a Lui venivano per consigli o giudizi in svariate commis- sioni, o per dirigere lavori accademici, o per la parte cospicua nei lavori del Senato, la produzione scientifica di Pietro Blaserna non poteva essere copiosa; tuttavia si hanno prove della versalità dell'ingegno di Lui nel trat- tare elevate questioni scientifiche con pubblicazioni di varia indole. Nel tempo in cui fu assistente a Vienna, seguendo l'indirizzo dato dal Riess allo studio dell’energia svolta per il passaggio della scarica, fece un lungo ed accurato esame degli effetti che si producono quando a piccola distanza dal conduttore di scarica si trova un secondo filo formante con una batteria secondaria un circuito indotto, e nelle condizioni complesse che si creano con la scarica oscillante nel primario pervenne a risultati ben discnssi. Assai laboriose furono anche le ricerche su//o sviluppo e la durata delle correnti d’induzione e delle estracorrenti, ricerche mediante le quali il Blaserna si proponeva di verificare le deduzioni della teoria, che allora si sta- biliva su solide basi dal punto di vista matematico, mettendo in rilievo le modalità essenziali della corrente indotta, coll’uso di un doppio cilindro che permetteva di frazionare ad arbitrio la corrente nel primario e nel secon- dario; ma fin dai primi passi nel campo sistematico dello studio sì trovò Egli di fronte a fatti dai quali si credette poi autorizzato ad ammettere ritardi non trascurabili negli effetti sul secondario a piccola distanza dal primario. Il lavoro diede origine a vivo dibattito, onde si ebbero tosto nuove ricerche da parte di Bernstein e di Helmholtz con risultati assai diversi ma non decisivi; nè a deduzioni sicure sì giunse per il lungo tratto di tempo corso fino alle classiche esperienze di Hertz. Si vede da ciò quanto fosse difficile il problema trattato dal Blaserna prima ancora che si facesse strada la teoria di Maxwell; epperò spetta al nostro Fisico il merito di avere affrontato la questione dal lato sperimentale quando mancava ogni con- cetto direttivo sul meccanismo di produzione della corrente indotta. Della perizia del Blaserna sul modo di sperimentare attestano altresì una ricerca sulle variazioni termiche dell'indice di rifrazione del flint nelle quali Egli trova che basta un aumento di quattro gradi per portare la se- conda delle righe D al posto della prima, un lavoro sull’indice di rifrazione di alcuni alcooli, diversi studî intesi a stabilire le norme, allora interessanti, ReNDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem, 9 ROGO per la graduazione della bussola delle tangenti, una nota pregevole con cui dimostra la polarizzazione della luce emessa dalla corona solare in base alle osservazioni fatte ad Augusta in occasione dell’eclisse totale di sole del 1870, la parte cospicua presa negli studî sul corista normale, ed il modo perfetto di condurre le esperienze di scuola, nelle quali ebbe l’aiuto del modesto e tanto bravo preparatore Campbell. Il ricordo ora fatto delle lezioni richiama alla mente le qualità pre- gevoli del Blaserna come conferenziere: precisione di concetti, forma semplice e naturale di esposizione con voce alquanto dimessa come di persona che discorra in famiglia, parola elegante, colorito vario del periodo inframezzato spesso di arguzie per evitare ogni senso di stanchezza negli ascoltatori. Nè trattò solo argomenti di fisica: dotato di larga cultura in molti rami delle scienze naturali discusse con vera competenza questioni di geo- grafia fisica, come quelle interessanti che si rilegavano alle esplorazioni nel- l'Africa centrale fino al 1870, e le altre di non minore interesse sul mare polare libero delle quali parlò in una conferenza nel dicembre del 1878 alla Società geografica; come pure si occupò fin dal 1872 dei mezzi adatti a dirigere i palloni portando una nota equilibrata fra tante discussioni troppo aeree. E non posso lasciare sotto silenzio i non pochi discorsi tenuti occasio- nalmente ad inaugurazioni di anni accademici, o per mettere in rilievo par- ticolari argomenti scientifici, discorsi nei quali trovava sempre modo di esporre concetti nuovi sulla continua evoluzione del pensiero scientifico. Per la vasta conoscenza acquisita dal Blaserna in fisica terrestre gli fu commesso dal Ministero di studiare l'eruzione dell’ Etna avvenuta nel 1879, e allorchè si volle un assetto definitivo per il servizio geodinamico in Italia, sì diede a Lui la missione di stabilirne le basi col concorso dell’opera del Tacchini; ond'Egli, che dal 1879 avea la presidenza del Consiglio diret- tivo di Meteorologia, fu nominato nel 1887 presidente del Consiglio di Me- teorologia e Geodinamica, e mantenne poi tale ufficio sino al 1907. Parlò autorevolmente in Senato nel maggio 1901 sulla molto discussa efficacia degli spari grandinifughi dimostrandosi assai scettico in base a con- siderazioni teoriche ed ai risultati ottenutisi fino a quel tempo; per cui sostenne l'istituzione di prove definitive da eseguirsi con criteri scientifici. Il Senato seguì il consiglio opportuno, e gli esperimenti compiuti sotto la direzione del Pochettino provarono che lo scetticismo del nostro Fisico era ben fondato. Non mancano nella produzione del Blaserna pubblicazioni di carattere teorico; epperò anche qui abbiamo segni evidenti della sua estesa coltura, trovandosi in questa categoria lavori sulla teoria cinetica dei gas della quale egli fu appassionato studioso, una Nota assai ben fatta sul problema ottico degli anfiteatri, ed una Memoria d’indole esclusivamente matematica che fa seguito all'esame di tal problema. Alla Nota diede occasione l’ interesse — 267 — dell'Autore di costruire per le lezioni un anfiteatro che rispondesse piena- mente allo scopo di lasciare libera la visuale di tutti gli uditori: e lo studio fatto non solo gli permise di risolvere il problema in modo completo, ma lo indusse anche ad esaminare le proprietà di una nuova trascendente legata alla funzione Z ‘presso a poco come questa dipende dalla funzione Y° di Eulero. Ma sotto un altro aspetto è interessante la figura di Pietro Blaserna. giacchè una delle caratteristiche dell’illustre Uomo, se non forse quella cul- minante nella psiche, traeva origine da squisito temperamento artistico per tutte le concezioni musicali; ed Egli riuscì a sviluppare in modo mirabile la naturale attitudine, sia educando l'orecchio da giovinetto al suono del violino fino a raggiungere abilità di maestro, sia colle frequenti audizioni di musica in concerti orchestrali e nelle esecuzioni dei quartetti che meglio si prestano a far gustare la purezza degl’intervalli e degli accordi; onde presto divenne un perfetto conoscitore dell'arte dei suoni e seppe acquistare vera competenza nel giudizio delle più ardue questioni musicali in ogni specie di composizioni. Tanta raffinatezza di percezioni, rispondente ad uffici delicatissimi del- l'organo auditivo, non poteva non riflettersi in una particolare tendenza verso gli studî fisici in istretto rapporto colle sensazioni proprie di quell'organo; ed invero Egli si occupò con particolare passione dell’acustica, come ne fanno fede la maestria con cuì trattava nel corso di lezioni questo capitolo della fisica, il libro dal titolo Teoria del suono nei suoi rapporti colla musica, dove in forma popolare sono ampiamente svolti i concetti esposti in quelle lezioni, e l'opera compiuta nell’aspro dibattito sulla convenienza di adottare un corista unico per tutti gli Stati. In quest'ultima parte il Blaserna fu costretto a sostenere una viva lotta con musicisti più o meno digiuni di nozioni teoriche, i quali facendosi forti della valentia acquistata nel campo pratico, o dall'appoggio di alte autorità ignare affatto d'arte musicale, s impancavano a dettar leggi sull'opportunità di scegliere uno piuttosto che un altro numero per la frequenza del corista normale, sostenendo financo che per la buona funzione dell'orecchio dovessero aversi numeri interi di vibrazioni al secondo per i suoni della scala naturale. Di fronte a così proterva ignoranza dei più rudimentali criteri scientifici, in questioni in cui il buon senso sarebbe bastato a trovare la giusta via di uscita, Egli ebbe parole roventi verso coloro che più si arrogavano il diritto di prender parte alla discussione, mostrando in una relazione quali difficoltà si fossero dovute vincere per ottenere che l'Italia non portasse una nota dissonante nella Conferenza internazionale, dove si trovava preparato già il terreno per l’adozione del corista francese. Nè a questo si arrestò il nostro Fisico, che coll’illustre Arrigo Boito aveva rappresentato l'Italia nel Con- vegno; Egli ottenne infatti che fosse creato nell'Istituto fisico di Panisperna — 268 — l'Ufficio del corista normale, dotando così il laboratorio di nuovi mezzi di studio mentre provvedeva a che in Italia fossero affrontati coi più rigorosi criteri scientifici tutti i problemi inerenti alla migliore fusione dei suoni nella musica polifonica sopra una base possibilmente invariabile. I grandi meriti del Blaserna furono molto apprezzati, e perciò lo vediamo in molteplici commissioni dove portava giudizio obiettivo ed uno spirito calmo di esame che gli procurò sempre il rispetto dei colleghi, Socio delle principali Accademie italiane e di alcune delle straniere, Dottore honoris causa delle Università di Tubinga, Konigsberg, Erlangen, Andrews, Segre- tario generale del Comitato internazionale dei pesi e delle misure, chiamato nel 1890 a far parte del Senato ed ivi acquistare in breve tempo alta esti- mazione in questioni riguardanti più particolarmente la pubblica istruzione, la industria e la guerra, per cui fu talvolta fra i relatori del bilancio, dal 1906 fino al termine di sua vita designato all'altissima carica di Vicepresi- dente del Senato, e negli ultimi anni all'altra non meno onorifica di Vice- presidente dell'ordine Civile di Savoia. In questa Accademia Egli lascia tracce luminose di savia amministra- zione, di tutela scrupolosa del vasto patrimonio artistico e scientifico, di operosità intesa a mantenere alto il prestigio della Istituzione seguendo le orme degl'illustri suoi predecessori, di perfetta dignità nell'ospitare Soci di altre accademie o di sodalizi scientifici e nelle varie circostanze in cui rap- presentava in Italia o all'estero i Lincei, di ammirevole larghezza di vedute e di savio accorgimento nel curare la pubblicazione delle grandi opere ita- liane affidata ai Lincei, di elevati sentimenti patriottici nel promuovere la grande rassegna della produzione scientifica italiana in un cinquantennio di vita nazionale, e di correttezza di carattere accoppiata a bontà d’animo tale da avere Egli con la stima l’affetto dei colleghi. Ora è scomparsa la veneranda figura di quest’ Uomo che senza infingi- menti o blandizie suscitò dovunque simpatie, sì da rendersi gradita la sua presenza fra i giovani studenti e nelle più alte sfere intellettuali. Ma del grande apprezzamento e degli onori conseguiti maì insuperbì, nè profittò mai della posizione eminente per tornaconto personale; con signorilità di modi fu sempre affabile con tutti, e di tutti si cattivò il rispetto dando co- stante esempio d'integrità di carattere e di squisito animo generoso. Si afferma che agli uomini i quali non vogliono procurarsi una famiglia propria sia riservata nella tarda età una triste solitudine con un profondo senso di sconforto nel lento distacco dalla vita. Sorte ben diversa toccò a Pietro Blaserna che nei giorni del forzato riposo, dovuto ad una persistente affezione gottosa, dalla lettura dei libri della più svariata produzione lette- raria, scientifica, e politica avea distrazione alle non lievi sofferenze, e nelle frequenti visite di amici ed allievi trovava conforto come se attorno a Lui fossero i membri di una grande famiglia; e quando lo strazio provato nell’ap- — 269 — prendere il ritorno dell'amata Gorizia sotto l'impero delle armi nemiche determinò una crisi talmente grave da far temere per la vita del Vegliardo, non mancarono le più amorose cure degli intimi e del personale del Îabo- ratorio, non esclusi i più umili. Morì fra le braccia del Corbino, sereno come era vissuto. e col con- sueto aspetto di veneranda diguità apparve il giorno appresso ad ammira- tori, amici e discepoli, accorsi a dare l'estremo saluto, nella scuola pratica dove si espose la salma in segno di riconoscimento dell’opera spesa da Pietro Blaserna per l’organizzazione di un Istituto di fisica degno di Roma: e fu opera altamente meritoria perchè condotta col sentimento nobilissimo di persona che compiendo il suo ciclo vitale spiana alla nuova generazione la via per un avvenire sempre migliore. Il PRESIDENTE ringrazia l’oratore per il tributo reso alla memoria del sen. BLASERNA, e comunica le condoglianze per la perdita di quest'ultimo, inviate dall'Accademia delle scienze dell'Istituto di Francia e da numerosi Soci e Corrispondenti Lincei. Dà poscia partecipazione dei ringraziamenti trasmessi dal Socio CASTEL- nuovo e dai Corrispondenti BagLioniI, BRUNI e CorBINO, per la loro recente elezione. Il Socio ReixA ricorda la morte avvenuta in questi giorni di S. E. l’ono- revole Carcano, ex-Ministro del Tesoro, che aveva per l'Accademia una speciale predilezione, così che nell'alta di lui posizione ebbe mezzo di favo- rirla pur lottando nelle ristrettezze della finanza odierna. L'opera pubbli- cata dall'Accademia dei Lincei col titolo « Cinquant'anni di Storia Italiana » trasse origine da una proposta che il CaRrcANO fece al Presidente del tempo, il compianto senatore prof. BLASERNA, proposta accompagnata dall'elargizione dei mezzi economici per tradurre in attuazione l’idea d’un’ Opera che tornò a grande onore al paese e che giovò a farne conoscere i progressi compiuti in dieci lustri. Si associano alle parole del Socio REINA, il Presidente D'Ovipio, il Vicepresidente RòIri e l’Accademico Segretario Grassi, i quali mettono sempre meglio in luce la nobile, integra e patriottica figura del CaRcANO. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando fra queste alcune Note a stampa dei Corrispondenti ARCANGELI @ SILVESTRI, il volume 2° della « Teoria geometrica delle Equazioni » del Corrisp. EnRIQUES e del dott. CHisini, e le pubblicazioni: « The Rankine — 2700 — Trochoidal Wave » del Socio straniero Sir G. GREENHILL, e « Les gi- sements de l'or dans les colonies frangaises » del Socio straniero LACROIx. Fa inoltre menzione del 1° volume di un'opera di T. J. J. SEE: « Electrody- namic Wave. Theory of Physical Forces » e del 1° volume dell'opera: « A bibliografy of Fishes » (titoli per autori da A a £). Il Socio CuBonI presenta una pubblicazione colle seguenti parole: A nome della Principessa di Venosa ho l'onore di presentare in omaggio all'Accademia un libro, pubblicato per cura e a spese della Principessa stessa, che ha per titolo: Za villa Venosa in Albano Laziale. È un grosso ed elegante volume che ta onore al senno e al buon gusto della Principessa ed anche all'Istituto delle Arti grafiche di Bergamo che, superando difficoltà non piccole create dallo stato di guerra, hanno saputo condurre a termine la splendiaa edizione. Vi sono molte foto-incisioni e foto- cromie che illustrano tutti i particolari della bellissima villa. Anche il con- tenuto spero sarà trovato interessante, sia dal punto di vista storico-estetico, sia da quello botanico-scientifico. Il libro comincia con una biografia di Don Ignazio Boncompagni Prin- cipe di Venosa, fondatore della villa, scritta dal più elegante dei prosatori italiani, Ferdinando Martini, che narra specialmente la parte che ebbe il Principe di Venosa quanto, nel 1867, militò con Garibaldi nelle campagne di Monterotondo e Mentana. Segue un articolo mio che ha per titolo: Cenni sulla storia del giar- dinaggio in Roma ed origini della villa Venosa. La descrizione generale della villa è fatta dalla signorina A. Evangelisti e dal comm. A. Astesiano. La parte principale del libro è formata dal prospetto sistematico delle piante che furono e sono tuttora coltivate nella villa. Tale prospetto è stato redatto con molta cura dai professori E. Chiovenda e G. B. Traverso, che dànno interessanti notizie sulle origini e sulle vicende culturali delle nume- rosissime specie e varietà coltivate. Roma ha avuto, nella sua lunga storia, due volte il primato del mondo nell'arte del giardinaggio: la prima nell'antichità classica; la seconda dopo il Rinascimento, nei secoli XVI e XVII. Allora furono costruite le grandi ville di Frascati e di Roma che ser- virono di modello al famoso Le-Nòtre, il quale venne in Roma per perfe- zionarsi nell’arte sua. Ispirato dalla grandiosità architettonica delle Ville Romane tornò in Francia, dove costruì molte altre ville e parchi, anche più grandiosi e imponenti di quelli di Roma. Le grandi ville romane e francesi trovarono allora imitatori presso quasi tutte le Corti e i grandi Signori di Europa. Ma verso la metà del secolo XVIII, per una delle più singolari rivoluzioni nel gusto estetico che la storia ricordi, le grandi ville classiche — 271 — passarono di moda e cominciarono a trionfare i cosiddetti giardini all’ inglese e con questi cominciò una nuova epoca nell'arte del giardinaggio. Roma allora, per ragioni politiche e sociali a tutti note, non si mantenne più al corrente del giardinaggio moderno, e il primato di quest'arte passò altrove. Dopo quasi due secoli, non dirò di decadenza, ma di stasi in questa arte, il Principe di Venosa è stato il primo nel 1885 a costruire in Albano una villa di perfetto stile moderno. Egli ha introdotto la cultura in piena aria e nelle serre di un grande numero di bellissime piante, specialmente Palme, Cicadee, Orchide, affatto nuove per Roma. L'esempio della villa Venosa è stato in seguito fecondo di progresso per tutte le ville pubbliche e private di Roma e dintorni. Tutto fa sperare che l’arte del giardinaggio tornerà presto ad avere in Roma una posizione degna del suo glorioso passato. In questo rinascimento dell’arte, la storia della villa di Albano esposta in questo libro che oggi la Principessa di Venosa presenta all'Accademia dei Lincei, è sperabile non sarà dimenticata. E. M. — 272 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 7 aprile 1918. ArcancELI G. — Di nuovo sopra alcune varietà del Diospyros Kaki e sul Mela- nogramma del Kako (Estr. dagli « Atti della Società toscana di Scienze natu- rali », vol. XXVI, pp. 1-9). Pisa, 1916. 89, ArcancELI G. — Notizie relative all’Orto botanico pisano. S. 1. et s. d. 8°. pp. 1-5. EnrIQuES F. — Lezioni sulla teoria geo- metrica delle equazioni e delle funzioni algebriche, vol. II. Bologna, 1918. 89, pp. 1-713. Grorce G. — The Rankine trochoidal » Wave (Repr. from the « Proceedings of the Royal Society », vol. 94, pp. 238- 249). London, 1918. 89, Giraup ELLIOT D. — Supplement et Check- List of Mammals of the North Ame- rican Continent. New-York, 1917. 89, pp. 1-192. Lacrorx A. — Les gisements de l’or dans les Colonies francaises. Paris, 1918. 89, pp. 1-60. La villa Venosa in Albano Laziale. Ber- gamo, 1917. fol., pp. 1-301. MeLI R. — Notizia di due rami dl legno racchiusi nel tufo vulcanico del Fosso di Cave (Estr. dalle « Memorie della pontificia Accademia romana dei nuovi Lincei », vol. III, pp. 1-19). Roma, 1917. 4°. Meli R. — Trattati di medicina del XIII secolo, e codice del 1462 dell’opera « De Balneis » di M. Savonarola nella Biblioteca di S. Scolastica in Subiaco (Estr. dalla « Rivista di Storia critica delle Scienze mediche e naturali », anno VIII, 1917, pp. 1-8). Grottafer- rata, 1918. 8°. Report of the proceedings of the second Entomological Meeting. Calcutta, 1917. 8°, pp. 1-340. See T. J. J. — Electrodynamic Wave- theory of physical forces, vol. I. Lon- don, 1917. 4°, pp. 1-158. SiLvestrI F. — Contributions to a kno- wledge of the Oriental Diplopoda Oni- scomorpha, Pt. Î (Repr. from « Records of the Indian Museum », vol. XIII, n. 9, pp. 103-151). Calcutta, 1917. 8° SiLvestrI F. — Gli insetti africani contro la mosca olearia (Estr. dal « Bollettino della Società nazionale degli olivicol- tori », anno XII, pp. 1-8). Roma, 1918. (I } Silvestri F. — On same Lithobioidea (Chilopoda) from India (Repr. from « Records of the Indian Museum », vol. XIII, n. 18, pp. 307-314). Calcutta, 19177801 Tropora G. — Il ciclo di sviluppo del- l’«akamushi» secondo le recenti ri- cerche dei giapponesi Miyajima e Oku- mura (Estr. dal « Redia », vol. XIII, pp. 105-114). Firenze, 1918. 82. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXvVi. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. MII. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze Asiche matematiche e naturali. 3* MemorIE della Classe di scienze morali storiche e Alologiche. Vol. V. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — Il. (1, 2). — INI-XIX. MrmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e Alologiche. Vol. I-XIIIL Serie 4* — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MemorI® della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, sioriche e Alologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fAsiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXVII. (1892-1918). Fase. 7°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-XXVI. (1892-1917). Fase. 12°. MemoRIE della Classe di scienze fisich:, matematiche e naturali. Vol. I-XII. Fasc. 9. sMORIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Voi. XV. Fase. 1-6. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURAL] DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispoa- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia è di L. A@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. P. Maccione & C. STRINI (successori di E. Loescher & GC.) — Roma. RENDICONTI — Aprile 1918. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 aprile 1918. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Argeli. Sopra i neri di pirrolo . . . . Sti AZIO AA Pap Cerulli. Su di una pretesa forte variazione di latitudine a ren rrindo AREA i I Corbino. Sul funzionamento del rocchetto di induzione con gli interruttori di tipo recente » Bottazzi. Ricerche sulla «ghiandola salivare posteriore» dei Cefalopodi. . . . . . . » Bompiani. Nuovi criterî per l’isometria di due ea o varietà (pres. dal Socio Castel NUOVO) Tr RITI il 5 DA TARRE Serio Serini. Buclideità dello spazio ETA vuoto nella relatività SERE di Einstein (pres. dal Socio Levi-Vivita). . . . 5 Lie leitarnal CAM Amerio. Pireliometro integrale (pres. dal Socio ACantone) 0. ARIGTTA: SRITO SG VOL) Minéo. Sopra un caso limite notevole di triangoli geodetici (pres. dal Socio Prazett) en Polara e Maresca. Sul doppio strato eletirico al contatto del mercurio con l’aria ionizzata dai raggi di Rontgen (pres,dal Socio A1CC0) fi Giuni. Ricerche sopra i nitroderivati aromatici. VII: Sulla formazione dei nitro-idrazo-com- posti (pres. dal Socio Paternò). . . . : 5 : 31 SISSI MAI INI? Checchia-Rispoli. L'Eocene ed il Miocene di sede ts asi Sdeio Parona È ” Carano. Contributo alla embriologia dei generi Aster e Lu (pres. dal Socio: Pi- BOLLO) STO , file E Perotti e Comanducci. ‘sE una diffusa a DAS deli pane Gen dal Son Cuboni) » PERSONALE ACCADEMICO Cantone. Commemorazione dell'Accademico sen. Pietro Blaserna . . . a ENO ” Roiti (Vicepresidente). Ringrazia l'oratore per il tributo reso alla memoria del de finta Presa dente sen. Blaserna, e comunica le condoglianze pervenute dall'Accademia delle scienze dell'Istituto di Francia e da numerosi Soci e Corrispondenti Lincei . . . È ” Id. Partecipa i ringraziamenti inviati dal Socio Castelnuovo e dai SAR Bani Bruni e Corbino per la loro recente elezione . . . + ” Reina. Ricorda la morte di S. E. l’on. Carcano e le MENTRE ‘di lui Verso O D'OQvidio (Presidente), Adici (Vicepresidente) e Grassi (Segretario). Si associano alle parole di rimpianto pronunziate dal Socio Pena. . +. +. +... +00 e PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle inviate dai Corrisp. Arcangeli, Silvestri ed Enriques, dai Soci stranieri Sir G. Greenhill, Lacroix erdal'dott.9Chisinit, agusioa «nel Cat Ri fi: PRE RESTA OALog o.) Cuboni. Presenta una pubblicazione della Patio di Doro CONOMPALIA ME BULLETTINO BIBLIOGRAFICO" /h-+1 esso ne ri- sulterà dimostrato a più forte ragione. Sia P un punto di V,., e P' il corrispondente di V),,; sia inoltre £ una direzione di V,., in P e 77 un elemento di V, ortogonale in Pa £ entro Vn+,; vogliamo mostrare che gli elementi corrispondenti #' e 7 rela- tivi a V,+, sono ortogonali. Le superficie geodetiche di V,,, osculatrici alle geodetiche 9g di V, in P sono tangenti a #. Poichè ogni g si muta in una geodetica g' di V,, le superficie geo- detiche osculatrici alle g' toccano #, quindi #" è ortogonale a 7'; la tras- formazione è dunque conforme: essa non conserva le geodetiche, a meno che il rapporto fra elementi lineari corrispondenti sia costante: c. v. d. Per dare una dimostrazione analitica di questo teorema supponiamo h= 2: il tipo della dimostrazione è identico per % qualsiasi. Sia (1) dst = Y ars dt, des (PSI) 1,8 il quadrato dell'elemento lineare della V;; fisseremo una superficie 0° entro Das , . dI: dt: la V; ponendo 73 =%;(7,, 2): scriviamo @ e 8 in luogo di F e a (31 Tg Il quadrato dell'elemento lineare di o è (2) dsz = di, dr + 20,3 dt, dv + dos dti ove bi = + 20 A13 + 0° 433 , bar = 422 + 2f 433 + P° 433, bo =. + @4334+ 8 d3 +08 433. (*) Vedi la mia Nota: Nuovi criteri per l'isometria di due superficie 0 varietà [questi Rend., vol. XXVII, pag. 230]. — 279 — Per l’invarianza delle geodetiche di o devono essere invarianti i sim- boli di Christoffel seguenti: (11) 22) (11) 12) (22) 0012) Riel, ZII costruiti sulla forma (2). Si ha E = dda ly dd 2930; +3 dT3 11 Ta die 1 db DIE 1 dii [i] - dI) 2 vi 2 di ELE dT3 dT3 Di = SA] i ie a È L'ultimo simbolo contiene, delle derivate seconde di 73, soltanto — 1 col coefficiente = (413 + @433) + n (423 + 8 433) Lil quale è dunque invariante; e per l’arbitrarietà di a e # sono pure in- varianti, come si calcola immediatamente, A33/A33 e Aiz/Au (1); e per simmetria anche A12/Ai1, A13/A11, Ag1/Az2, Asg/A02 0) Agi/A33, Ago/A33. In seguito a ciò il sistema di equazioni Air Ars + Gor Agg 4 Gar Ag: = 0 ir di + 2 st "n = Rev) dir Aut + dor Au + 03r a =0 nelle incognite @,; è invariante per la nostra trasformazione e definisce le a, a meno di un fattore di proporzionalità; quindi i coefficienti a, della va- rietà trasformata sono legati alle 4, dalla relazione 4, = 445. Quanto poi alla natura di Z essa si conclude subito osservando che anche le geodetiche della varietà sono invarianti nella trasformazione, quindi per esempio d log 4 > log 4 2 + Am ELET LA SEL d Ty dT3 (') Ars è il complemento algebrico di a,s nel determinante con esse costruito, di- viso per il determinante stesso. — 280 — o, aggiungendo le altre equazioni che si ottengono per simmetria, d log 4 PIA cl gÀ DA, ALI Ty cioè 4 = costante (1). 2. Esaminiamo le trasformazioni puntuali di una Vx che conservano le superficie a curvatura nulla: calcoleremo questa rispetto all'ambiente euclideo contenente la Vy . Sono dunque invarianti nelle trasformazioni in esame le superficie a eurvatura nulla di una Vz qualsiasi immersa in Vy. Per l’espressione già scritta della curvatura (*) si trova che debbono essere invarianti le espressioni dI dd» d: | | dr, ELA! La: dT3 1 dX: dI: dI 1 _- a —- = (2% E? dT3 ! \ dI dT3 dI) dT3 dI dT3 1 (2) Ti d% dI dii Z| — | IX 2a (3) A? Lea €028) Set ELZ su dT3 dT dI3 PLZ Lo Ha pr Da e | dT3 (ove si è posto ch dg) qualsiansi @ e f. 2 Sviluppando la (1) e tenendo conto dell'arbitrarietà di @ e # si ha l’invarianza delle seguenti espressioni: (!) Altre condizioni da ricercare evidentemente non vi sono, perchè quelle trovate sono sufficienti; per la trasformazione da esse individuata le equazioni delle geodetiche sono invarianti. (3) Vedi Nuovi criteri ecc., form. 1. d° Vi BIZ! dla __d° Li di ri d? Li a i tl dx = +2 aeree e = RecRT DEA si dd, î + 3 20 ) Di dr, dI 5 dî Li PLAP di ala ap; E° =» i] ISGP Be — 281 dif | 2% dI dI (8) 1 )|2x dari || _ (AA A? dTg IT ( l \ dx: dx; ELE dI} 20; | 2% dvi ELA dI dI OE EL Lea (A Lo A? BLI dI PLS di d xi dii \ | dT3 dn dI | dT3 Nelle trasformazioni in esame si immerse in Vy. dI, Si | a 202]. 2 ||) A? dT3 dI ( L ) dT3 dh dk dai ||| dI, | DES (TCA) hh) —— ||) =2 >) SORT = i rari dx; di, || | conservano le geodetiche dello Va Se X >38, per il teorema del n. 1, la proprietà trovata basta a con- cludere che: Una trasformazione puntuale fra due varietà Vx (K > 3) che faccia corrispondere i loro elementi superficiali di 2° ordine a curvatura nulla è necessariamente il prodotto di una isometria per una similitudine. 3. Per quanto riguarda le V3, le condizioni ricavate dall’invarianza di (2) portano all’invarianza delle seguenti espressioni: i i e i klT- |Kk ) A?| \ hh kk hk \ h k k h k h I roll de k|-2|l OSE | {EE 2) kk VI) kl k! \ k k k k 9 | Î +-+ |/ L|—-]|? Li)» A? | \ ‘| El hke kk hl h h lo |a | È l HE 1), SS ia pae iti Si n) llna| |x& n. l h l I) h Ù h Ù RICA h k|i|A k 22 k|.|h|—-|E ti I A Î \ Ae hk Th hh Lk hk Lh hh Lk RENDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 39 I \ h h h h h h lle] via A er lu [zx 7 kk kl AD | l l ) ) 2 Î +4 | è k|-|k ESE Ilanl | ze |) 9 | h l h l h i l h Î +5 |e|.|e|+]s|-\6|-|#|-|e|-|% be (+ hl Lk kl hl hk ll hk ll o | n h l h i h i h +4 |#|-\:[+[#|.|2|-|e|-{2|=|8|-[2] hh |kk kk hl hke kl lei |hk|' ove si è scritto per brevità ) dri dh h k in luogo di Luo: uTHk r8 dx: dI, ds Queste espressioni si costruiscono con i coefficienti 4,4 e con le loro derivate prime e seconde; si hanno quindi, oltre le condizioni portate dalle (3-5), nuove equazioni a derivate parziali del 2° ordine alle quali debbono soddisfare i coefficienti della varietà trasformata a,s. Queste equazioni, come le altre ricordate, rimangono invariate, sostituendo alle funzioni incognite altre proporzionali: ma non si può escludere che esi- stano soluzioni non proporzionali fra loro. Ciò in generale non accade certo quindi per una Vz generica sussiste l’ ultimo teorema enunciato per una Va. Per tipi particolari di Vs possono esistere trasformazioni diverse da quelle trovate che conservano le superficie a curvatura nulla. Tali sono gli S3 (euclidei) per i quali le trasformazioni omografiche conservano le superficie a curvatura nulla (sviluppabili). Ciò non vale in . uno Sx (4 > 83) perchè in esso le superficie a curvatura nulla non sono ca- ratterizzate proiettivamente, quindi non sono invarianti per il gruppo delle omografie (!). (1) Una discussione completa del caso X=3 può farsi solo in base alla conoscenza dei tipi di V, rappresentabili geodeticamente (senza essere applicabili) sulle varietà tras- formate, al quale problema, come ho accennato nella Nota già citata, ho dedicato un altro lavoro. — 289. Matematica. — Sulle superficie rigate. Nota di C. BuRALI- FORTI, presentata dal Corrispondente R. MARCcOLONGO. Sia P il punto generico di una linea di arco s (') ed u un vettore unitario funzione di s. La retta Pu descrive, col variare di s, una rigata sulla quale è tracciata la linea P. Detto y l'angolo che t fa con u, deri- vando rispetto ad s la tXu= cos g si ha, indicando le derivate con gli apici. (a) (1/0) nXu-+tXu'=— g'sen gp. La linea P è una geodetica della rigata solo quando nXu=0, per ogni s, perchè il piano tangente in ? alla rigata è normale al vettore t/\u e si ha 0=nA(t/\u)=nXu.t solo quando nXu=0. La linea P è di s/ringimento per la rigata solo quando tXu'=0, perchè, essendo il piano assintotico (°) normale ad u /\u' solo in quel caso si ha 0=(t/\u)X(u/\uw)=—tXu!. La linea P è tradettoria delle generatrici della rigata solamente quando, ed è ovvio, p=cost, cioè g"=0. Dunque la (4) esprime che: « se una linea di una rigata ha due delle proprietà seguenti; è geodetica; è di stringimento; è traiettoria delle ge- neratrici; ha anche la terza ». Cioè abbiamo dimostrato in modo del tutto elementere un noto teorema di Bonnet senza ricorrere alla curvatura geode- tica e ai simboli di Christoffel (°). Questa notevole semplificazione della dimostrazione del teorema di Bonnet lascia prevedere altre semplificazioni per la teoria generale delle rigate, non escluse le questioni che riguardano la loro fiessione. In questa Nota stabilisco appunto il procedimento fondamentale e generale che è tanto semplice da poter dare anche la curvatura media (che per la sua eccessiva complicazione si trascura con gli ordinari metodi algebrici) dalla cui espres- sione si ricava immediatamente il noto teorema relativo alle rigate di area (') Si considerano i soliti elementi t,n,b,0,7 legati dalle formule di Frenet. Per le sup. rigate e le linee si possono esaminare i miei lavori seguenti: (9) Introduction è la Géometrie differentielle (Gauthier-Villars. Paris, 1897); (°) Lezioni di geometria me- trico protettiva (Bocca, Torino, 1904); (°) Geometria analitico proiettiva (G. B. Petrini, Torino, 1912); (4) Fondamenti per la geometria differenziale su di una superficie (Rend. Palermo, tomo XXXIII); (9) Linea in ogni cui punto è assegnata una direzione inva- riabilmente collegata al triedro principale (Atti R. Acc. Torino, vol. LIII, 1918). (2) Per la completa eliminazione dei simboli di Christoffel e la trattazione assoluta degli spazî curvi, cfr. una interessante Memoria di T. Boggio di prossima pubblicazione. — 284 — minima; sì ha sotto forma semplice l’omografia o (“) e quindi le direzioni delle assintotiche e linee di curvatura; i metodi di Minding e di Beltrami per la flessione delle rigate acquistano forma geometrica semplicissima; ecc. 1. Insieme al vettore u, che dà la direzione della gereratrice della rigata uscente dal punto generico P della direttrice (del tutto arbitraria, essendo inutile, per la semplicità dei calcoli, considerare una linea speciale della rigata), introduco pure i noti (°) elementi v, w,1/m,1/n,9 deter- minati da u. Il vettore unitario t è lesato ad u,v,w, da (1) t= cos pu + sen g(cos 4v + son 4W) con g,4 numeri reali funzioni arbitrarie di s e il cui significato geome- trico è ovvio. Facilmente si determinano le condizioni cui devono soddisfare m,n,,À affinchè la rigata sia svz/uppabile 0 non, sia un coro o un ci- lindro, affinchè la linea ?P sia, geodetica, assintotica, di curvatura, di stringimento, traiettoria; ma di ciò non intendiamo occuparci. © Il punto generico della rigata, nella generatrice Pu, sia (2) Q=P+xu essendo x la distanza, arbitraria, di Q@ da P e quindi @ funzione delle due variabili indipendenti s, x. Nel punto @ la normale alla rigata sia parallela al vettore unitario (‘), necessariamente normale ad u, (3) N=cos06v-+sen0w e introduciamo i due numeri (4) Lo== — Mm sen g cosà , h=-—msen send dei quali vedremo subito il significato geometrico. Il piano tangente alla rigata nel punto di @ è normale al vettore (%) (P'+zw/Au=t/Au—(x/m)w; il piano assintotico è normale al vet- tore u/\u =(1/m)w; dunque nel punto centrale, 0 punto di stringimento sì deve avere o=jt\u—(c/mw{Xw=—tAv—x/m=— sengcos4 — x/m, vale a dire il punto centrale nella generatrice Pu è (5) C=P—msengcosdu=P+ e si ha così il significato di x. — 285 — Si è già osservato che la normale alla rigata nel punto Q è parallela. al vettore t\u_— (z/m)w= sen g(sen 4V — cos4w) — (x/m)w =— (k/m)V + (co/m)w — (c/m)w=—(1/m)}hv+ (x — c)wW!: e quindi confrontando con la (3) (6) arT—-X%==htg0 che è la formula di Chasles essendo % il parametro distributore. E si ha così il significato anche di ». Per 6=0 si ha x=%x, cioè N=v e quindi @ è l’angolo che il piano tangente in @ fa col piano tangente nel punto centrale. Risulta ovvia- mente la proiettività fra i piani uscenti da Pu (individuati da @) e i re- lativi punti di contatto; come pure risulta che se @,, @, sono i punti di contatto corrispondenti ai valori 0, , 0, 4- 77/2 di 0 si ha (Q— C0)X(Q— C)=— h° e quindi @,, @: si corrispondono in una involuzione ellittica della quale € è il centro e » il birapporto. 2. Dalle cose precedenti risulta che possiamo ritenere @ funzione delle due variabili indipendenti s,0; il che noi faremo conservando ancora xa=%o+ htg60, funzione di s (per x, e A) e di @ e ponendo (°) LARE. Se osserviamo che x 7 XxX h Q=t+u+Tv= (0 + 0089) + v— w SD = (2'- o 0v — = (2'+ cos pu + ma cos 6 (S°° V— cos0w) I h = drcostp) ag AN si hanno subito le formule '= (2 + 008 9) N, = \ dg Mpa (7) | h? hi Ù | Resi BRR EIA , ' 22, RS SIL nai RAS m cos? 8 Si ha poi ovviamente (°) \ Ni NANI uN cos @ cos 0 (8) {N'ANS="T N A Ni NN — 286 — Se allora consideriamo (°) l’omografia o = 4N/4@Q si ha subito dell’ul- tima delle (7) ed (8) [cfr. (°), n. 39, (4)], indicando con « il segno di A, (9) Ilo=— (cos'6)/h° , (cost0)h=ey/— 120. Se inoltre osserviamo che dalle (7), (8) si ha h h Ù RESET U RIZZI 25 e Qs Ne (2 + cos pg) N, Qu /N,; costg AK. N REA allora si ba subito [efr. (%), n. 33, (3)] 6 ( 608? (10) he= "9 ato gii “ai 3 1 (3'+ cos g) Lao | che dà appunto, e sotto forma assai semplice, la curvatura media, 1,0, della rigata nel punto generico Q. 3. Dimostriamo ora come dalla (10) si deduca subito il teorema di Catalan relativo alle rigate di area minima. Non si toglie nulla alla gene- ralità supponendo P punto centrale, cioè %°=0 e quindi cos 4=0. La formula (10) dà Io=0, per x,0 qualunque, solamente quando 1/n=0 e cosgp=0 e x'=0. La 1/n=0 esprime (°) che w=0, cioè w= cost. Dalla cosg=0 sì trae t= ©- w e quindi la linea di stringimento è una retta normale a tutte le generatrici. La x'=0 equivale ad m' = 0 cioè ad m=cost. Allora la tangente in @ alla linea 9= cost è parallela al vettore t —tg 9v che forma l'angolo @ con t e quindi le linee @= cost sono eliche di asse Pw. Resta così dimostrato, con minimi mezzi, che: le sole superficie rigate ad area minima sono gli elicoidi chiusi a piano direttore. 4. Osservndo che oQ9 = My, che oN= 0 (°) e facendo uso del noto sviluppo generico di o(u AN) si ha VS A , oN=0 Î o(u/\N)=e{—]:c.u4+1lh0.uAN e quindi per la o (11) o=l1c.HuAN,u/\N+ +ey—Ic}Hu,uAN) +Hu AN, u)} e si può quindi utilizzare o per le curvature normali, torsioni geodetiche e curvature geodeliche in direzioni qualunque (°) (?). i (10) (') L'equazione differenziale delle assintotiche è AQ XodQ=0 (2) cioè, riprendendo 8,2 come variabili indipendenti, ed osservando che, per la prima (10) u X cu=0 {(t+ew)Xo(t+@w)ds+ 26-+ uu) X onde} ds=0 che si scinde in due: ds= 0, che dà le generatrici; l’altra è un’equazione differenziale di Riccati e dà il noto teorema del birapporto delle quattro assintotiche curvilinee fisse. Ciò si ottiene senza far uso di determinanti, — 287 — Formerà oggetto di altro studio la flessione delle rigate approfittando. dei notevoli risultati ottenuti in tale campo da M. Bottasso (1). Accenno soltanto alla riduzione assoluta dell'ordinario metodo di Min- ding e di Beltrami. Riprendendo s ed x come variabili indipendenti, per l'elemento lineare 4S si ha dSs® = da +2 cos gdr ds+}1 + (a — 2xo)/m® } ds? e si deve « dati 9,7, x determinare tutte le rigate il cui elemento li- neare 4S ha la forma ora indicata ». Col metodo di Minding si deve determinare u in guisa che u'* = 1/m?, il che si fa subito ponendo u= cos éi +- sen £(cos 7j + cos 7k) con i,j,k terna costante, e derivando si ha la equazione differenziale 2° 4 y'* sen?& = 1/m? che determina » fissato È ad arbitrio. Dopo ciò os- servando che tXu= cos gp, tXv= — x/m , tXw=sengsenA si ha sen? cos° 4 = x$/m? il che determina Z e quindi t e, in conseguenza, P= 0+ (tas. Volendo seguire il metodo di Beltrami si indichi con w l'angolo che il piano osculatore in P fa col piano tangente in 2. Si ha allora nXu= =sen 9 cos w, e poichè tXu= cos g si ricava subito (b X u)° = sen°g sen®wp. si hanno dunque per t,n,b, le condizioni tXu==cosg,nXu=sengcosw, bXu= sengsenw,tXv=— xo/m. Derivando, con le formule di Frenet, la prima si ottiene subito (a) (cos w)/o = xo/(m? sen 9) — g' che esprime come la curvatura geodetica in 7 nella direzione t non varii con la flessione; derivando le due seguenti si ottiene la solita condizione tra 0,t,9,W4W,%0,m, ed eliminando w con la precedente, l'equazione in- trinseca di P. Dopo ciò, determinati t,n,hb da tale equazione intrinseca, si ricava w dalla (@) e dalle prime tre condizioni si ha u= cos gt + sen g(cos wb + sen wb) e la rigata è così determinata. (1) Sulla flessione delle superfici inestendibili (Rend. R. Accad. Lincei, vol. XXIV, ser. 52, 2° sem., pp. 174-182. — 288 — Matematica. — Quelques propriétés des fonetions de Bessel. Nota di JoserH PéRÈS, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Matematica. — Problemi dinamici a due variabili che am- mettono un integrale razionale lineare e fratto rispetto alle com- ponenti della velocità. Nota del dott. E. DE CRISTOFARO, presentata dal Corrispondente R. MaRcOLONGO. Le Note precedenti saranno pubblicate in un prossimo fascicolo. Fisica. — Pireliometro integrale. Nota del prof. ALESSANDRO ‘AMERIO, presentata dal Corrisp. M. CANTONE. I. Il Pireliometro integrale che descrivo è, nel suo principio, quello stesso che fu da me usato durante due stagioni di misure della radiazione solare, a Roma e sul Monte Rosa, delle quali tratta la Memoria: Ricerche sullo spettro e sulla temperatura della fotosfera solare (!). In esso però sono stati introdotti tali perfezionamenti, suggeriti dalla lunga esperienza, che è diventato uno strumento nuovo, per nulla inferiore, a mio giudizio, ai migliori pireliometri già esistenti, e perciò meritevole di esser reso noto. Il principio sul quale è fondato è esposto nella citata Memoria a pag. 21 e seguenti. I perfezionamenti che ho introdotti durante la costruzione di alcuni di essi, sono stati rivolti sopratutto a renderne più agile il maneggio e più sicure le indicazioni. II. Descrizione. — La caratteristica dello strumento è di essere uz ricevitore integrale a pareti speculari. Esso consta di una laminetta sottile e piana di manganina, accurata- mente annerita con nerofumo, di mm. 8 X 2 X 0,2 circa, disposta col centro nel centro di una cavità sferica avente il raggio di cm. 2,2, inargentata e speculare. La superficie della laminetta è misurata con molta cura, mediante una buona macchina a dividere che dà i centesimi di mm. (1) Memorie della R. Acc. dei Lincei, 1914. Vedi pure Misure sullo spettro e la temperatura del cratere nell'arco a carboni, ecc. L' Elettrotecnica, 1914. um. — 289 — La sfera è scavata in un cubo C d'ottone, pure inargentato, ma non . speculare, avente cm. 6 di lato (vedi fig. 1). Il cubo è girevole intorno a due assi perpendicolari tra di loro, i quali passano pel centro della sfera; uno è verticale e coincide con l’asse della colonna BB; l’altro (2) è orizzontale. FIG: 1. Il cubo può girare a mano intorno ai due assi; intorno al secondo può pure girare per mezzo di una vite micrometrica 7; può essere fissato ad essi mediante le due viti / e G. La parete anteriore è attraversata da un'apertura alta mm. 8,1 e larga mm. 2,1, cioè appena un po’ più grande della laminetta, e porta avvitato RenpICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 40 — 290 — un tubo A, fornito di 5 diaframmi rettangolari le cui dimensioni sono leg- germente superiori a quelle dell'apertura praticata nel cubetto e crescono uniformemente da questo in avanti. Nella parete opposta c'è un'apertura circolare di circa 1 cm. di dia- metro, alla quale è avvitato un tubetto / che porta un vetro sottile V in- clinato a circa 30 gradi sull'asse del tubo, ed è chiuso in fondo da un vetro molto più robusto, smerigliato sulla faccia interna e disposto quasi perpendicolarmente all'asse stesso. Su questo vetro smerigliato, quando un fascio di luce entri normal- mente per la finestra anteriore, si proietta l'ombra della laminetta, limitata lateralmente da due lineette simmetriche, luminose, sottilissime; ma se l'in- cidenza non è normale, comparisce una sola lineetta, oppure se ne vedon due, una poco luminosa, l’altra molto, manifestandosi una dissimmetria assai comoda per giudicare dell’esattezza del puntamento. L'insieme dei due vetrini ha lo scopo di costituire un ambiente a doppie pareti, che isoli termicamente l'interno abbastanza bene, impedisca che possa tornare alla laminetta di manganina una quantità apprezzabile dei ‘raggi che essi riflettono, e permetta di osservare verso l'interno per orien- tare bene lo strumento ('). Il coperchino S che si adatta al tubo / permette di completare l'’ iso- lamento quando occorra. La laminetta è saldata a due grossi fili di rame che sono distesi lungo un diametro della sfera, escono per due fori chiusi con tappi di ebanite, e sono saldati a grossi fili flessibili. Questi passano per l'interno della co- lonna B8 e fanno capo ai grossi serrafili fissati alla base in ebanite, mentre permettono i movimenti relativi del cubetto rispetto al sostegno. Al centro della laminetta è piantato e saldato un filino di rame del diametro di mm. 0,02, in modo che la saldatura non produca un ingrossa- mento sensibile nè del filo nè della laminetta, e molto vicino a questa, al filo di rame ne è saldato uno eguale di costantana. Questi fili lunghi circa due cm., sono alla lor volta saldati ad altri di rame di un mm. di diametro, che escono pure attraverso ai due tappi di ebanite, e fanno capo per mezzo di fili flessibili che passano dentro alla colonna B8, ai serrafili minori della base in ebanite. L'insieme è portato da un sostegno a tre piedi, in ottone, fornito di viti calanti. Cure speciali sono prese per proteggere i contatti, di modo che le va- riazioni di temperatura dell'ambiente non cagionino correnti elettriche per- turbatrici. (*) Infatti, come è facile calcolare, le quantità di energia che per riflessione sui due vetri possono ritornare alla lamina sono assolutamente trascurabili. CA — 291 — Servono a questo scopo anche le scatolette S,, Ss e S:; queste ultime | sono in legno. Uno degli ultimi pireliometri costruiti è fotografato nella fig. 2. Fis. 2. III Taratura. — Sia r la resistenza elettrica della laminetta di man- ganina, < l'intensità della corrente che viJsi manda; la quantità di calore che si sviluppa nella laminetta ad ogni minuto secondo è q= 0,288 dr. Se il circuito della pila saldata alla laminetta comprende un galvano- metro, si può determinare la relazione fra i valori di 7, e perciò di 9, con le deviazioni galvanometriche. Dalle deviazioni che si ottengono allorchè l'apparecchio è esposto alla radiazione solare, o ad altra qualsiasi, tenendo conto della relazione trovata, si dedurrà l'intensità che si vuol determinare. L'errore relativo che si commette in questa taratura è Ora, adoprando un buon apperometro Weston, e conoscendo 7 a meno di 1/1000, si riduce l'errore relativo totale a circa 1/200, piccolo per questo genere di misure. — 292 + Nella fig. 3 le ascisse delle linee I e II rappresentano le quantità di calore prodotte nella laminetta di manganina; le ordinate sono rispettiva- mente le corrispondenti deviazioni del galvanometro, o le corrispondenti in- tensità delle correnti. Le ordinate della III rappresentano ancora queste cor- renti, le ascisse invece dànno le precedenti quantità di calore divise per la superficie della laminetta e moltiplicate per 60; vale a dire dànno le quan- tità di calore per cm? e per minuto primo. Le prime due curve servono per le misure di radiazioni di sorgenti ter- restri; la III per la misura della radiazione solare. 180 Euordnote delta | donne È deviozioni del qalvanomitro / E fo) 7 ® Il c11] " le overdì in Po %: 4 le arcirie dlla | è II danno fe piodoni «10° REA Ae fia cone po AASIO ITO pumeo ' } piccol colurie 0 ho 8 1A 46 20 2% 28 92 96 40 44 48 52 56 60 piccole calorie » 107% Fia. 3. Le linee II e III sono sensibilmente rette; la I può anche essere curva, se le deviazioni del galvanometro non sono proporzionali alle correnti. Ripetute prove /atte ad anni di distanza; hanno dimostrato che la co- stante strumentale si mantiene inalterata. Anche le ricerche della dott. Kahanowics (') fatte con un ricevitore in- tegrale, costruito col principio da me esposto, confermano la superiorità sugli altri tipi di ricevitori, e la costanza della sensibilità. È in grazia di questa costanza che tale strumento può sostituire, con vantaggio, altri tipi di pireliometri che essendo fondati sul metodo di ridu- zione a zero, si ritengono molto esatti e sono molto adoperati. Naturalmente sarà bene ripetere la taratura prima di una serie di mi- sure che presenti qualche importante variazione nelle condizioni esterne, come il trasporto in una località lontana; oppure quando è trascorso molto tempo, come si fa ogni tanto la determinazione dello zero di un termometro. (1) Una nuova determinazione della costante della legge di Stefan- Boltzmann. Rend. Lincei, aprile 1917. $ VAT — 293 — Altri pregi di questo strumento sono la comodità e la prontezza delle misure, comodità molto maggiore di quella del pireliometro di Angstrom, del quale non è meno pronto; prontezza molto superiore a quella del pi- reliometro a disco d'argento di Abbot. Aggiungerò che se si usa un galvanometro a sensibilità costante, è pos- sibile, con una conveniente derivazione fissa, e mantenendo sempre costante la distanza della scala, ottenere deviazioni le cui unità siano senz'altro i centesimi della radiazione solare che ad ogni minuto primo colpirebbe un centimetro quadrato. Ciò fa risparmiare tutta una serie di calcoli. IV. Puntamento. — Per puntare lo strumento ci sono due ‘modi: il primo da seguire all’inizio di una serie di misure, in una stazione nuova, | per rettificare il secondo, e questo che è più sollecito e si deve seguire nor- malmente. Il primo consiste nell'esaminare sul vetrino smerigliato se l'ombra della laminetta sia affiancata da due linee luminose eguali della lunghezza della laminetta e simmetricamente disposte. «Pel secondo sono poste sul cubetto due lamine P e @ di ottone anne- rito, la prima fornita di an forellino e la seconda di un punto bianco; quest’ultima è spostabile trasversalmente, e si regola in modo che quando lo strumento è ben puntato, il fascetto di raggi solari che attraversa il fo- rellino cada sul punto bianco. Con questo secondo metodo è facile eseguire rapidamente numerose mi- sure della radiazione solare, rettificando l'orientamento a mano o colla vite micrometrica. Le successive letture si fanno togliendo e mettendo un apposito ottu- ratore di legno che si adatta al tubo anteriore, oppure con uno schermo opportunamente disposto e manovrato. Per la misura di radiazioni che provengano da sorgenti vicine servirà naturalmente solo il primo metodo; e se le radiazioni non saranno luminose, si farà un primo puntamento sostituendone la sorgente con una lampadina. V. Misura della distribuzione dell'energia sul disco solare. — Per questa misura il pireliometro fa parte di un sistema più complesso che comprende un eliostata e due specchi concavi d'argento. (Questi permettono di produrre un’imagine reale del disco solare, nel piano della laminetta di manganina, e di farla scorrere sul piano stesso. Per riferire le deviazioni del galvanometro ai punti del disco solare che le producono, serve un sistema di cerchi tracciati, con punta finissima, sul fondo nero di un'apposita cartella piana in ottone, fissata alla faccia an- teriore del cubo, dopo averne svitato il tubo A. Le modalità dell'uso si trovano spiegate nella Memoria sopracitata. — 294 — Fisica. — Nuovo contributo allo studio della legge di Lippmann al contatto del mercurio con l’alcool etilico e la glicerina (*). Nota del prof. V. POLARA, presentata dal Socio Riccò. Una recente ricerca (?) tende a dimostrare che la densità del doppio strato elettrico al contatto del mercurio con i liquidi organici debolmente conduttori — alcool etilico e glicerina — decresce gradatamente fino ad annullarsi quando si polarizza il mercurio come catodo con f. e. m. progres- sivamente crescente. Il metodo allora adoperato però non si prestava nè a mettere in evi- denza l'eventuale inversione del doppio strato, nè a fornire una misura della f. e. m. occorrente per l'annullamento della sua densità (che è anche la differenza di potenziale che si stabilisce al contatto): l’uso del galvano- metro infatti determinava delle cause d'incertezza, tendendo esso, a variazione di superficie già avvenuta, a deviare permanentemente dalla parte opposta a quella verso cui si spostava per effetto dell’accrescimento di superficie del mercurio estensibile, e tanto più notevolmente, quanto maggiore era la f. e. m. con cui sì polarizzava (*). Ho voluto quindi studiare il fenomeno evitando questa causa di pertur- bazione, per tentare di mettere in evidenza l’ixversione del doppio strato e di misurare con sufficiente approssimazione la f. e. m. occorrente all’annul- lamento di densità del doppio -strato stesso. Ho perciò sostituito al galvanometro balistico, nella disposizione del Bouty (figura), già adottata nella precedente ricerca, un elettrometro capil- lare sensibile al centesimo di Volta, ed osservato lo spostamento del menisco mediante un microscopio il cui oculare è fornito d'una scala che appare divisa, procedendo dall'alto al basso, in 10 mm., ciascuno suddiviso in decimi. I serrafili B e B' delle due cassette di resistenza R ed R', fra di loro riuniti, sono messi in comunicazione col mercurio della pozzetta dell’elettro- metro, mentre l'elettrodo g dell'apparecchio di Pellat è messo in comunica- zione col mercurio della punta capillare. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto fisico della R. Università di Catania diretto dal prof. G. P. Grimaldi. (*) Polara e Maresca, Rend. Ace. Lincei, vol. XXVI, 1917, pag. 122. (*) Polara e Maresca, loc. cit., pag. 125. — 295 — La corrente che serve a polarizzare come catodo il mercurio a è fornita da un solo elemento Daniel, piccolo modello, disposto in P, nella cassetta R essendo inizialmente inserita la resistenza di 10110 Ohm, e nella cassetta R' resistenza nulla. Il galleggiante F, perchè la superficie del mercurio 4 possa aumentare sempre sotto l'impulso di una stessa pressione, è costituito da un bicchiere di vetro contenente una conveniente quantità di mercurio, e lo sì introduce nel recipiente A, solo quando si vuole far variare la superficie di 4. Inserendo resistenza progressivamente crescente nella cassetta R' — avendo cura di escluderne altrettanta nella cassetta R — si nota un diverso innalzamento del menisco dell'elettrometro, in ragione della diversa f. e.m. che si stabilisce fra C e B'. Con l'aggiunta d'una quantità opportuna di mercurio nella canna dell'elettrometro si riporta ogni volta il menisco alla sua posi- zione originaria, e solo allora si fa crescere la superficie del mercurio a: si osserva un temporaneo spostamento del menisco, per la durata della varia- zione di superficie, diverso a seconda della resistenza inserita nella cas- setta R'. Ecco il risultato, sempre concorde, di varie osservazioni fatte con l'alcool etilico e la glicerina: — 296 — Alcool etilico. siena mb scala Lettura alla scala corrispondente DEE Fo nella cassetta di far variare al FR o le due letture dello spostamento potenziometrica la superficie DSS in decimi del menisco R' del mercurio « di mm. (1) 0 Ohm mm. 2 il mercurio fluisce dalla punta — abbassamento 1000. » n.2 mm. 1,1 9 ” 2000 » Li 2 »” 1.3 td » 5000.» n 2 » 1, 5 ” 7000. » » 2 DIRI 3 ” 8000» pei » 1,9 il 5) 8500.» » 2 mar iL ili ” 9000. » »_2 » 2 0 ”» 9100. » 2 » 2+ accenno innalzamento 9500.» » 2 POCZII 1 »” 10000 » » 2 » 2,2 2 ” (') Poichè il microscopio dà imagine rovesciata dell'apparecchio, uno spostamento del menisco verso lo zero della scala, che sta in alto, corrisponde ad un abbassamento, ed uno spostamento verso il dieci ad un innalzamento. 3 Glicerina. Tecise la it SL Lettura alla scala corrispondente DIcionaa Sonno nella cassetta di far variare o Pena DO le due letture dello spostamento potenziometrica la superficie An in decimi del menisco del mercurio @ di mm. 0 Ohm mm. 2 il mercurio fluisce dalla punta _ abbassamento 1000 « » 2 mm. 1 10 ” 2000. » »_ 2 si deb 10 ” 5000 » » 2 » 162 8 » 8000» 02 DI ESTE 3 » 9000. » » 2 a nr his DI) 9100. » » 2 2 accenno innalzamento 9500.» Do » 2,1 1 ” 10000 » » 2 » 2,2 2 ” Dai precedenti risultati si deduce intanto che il doppio strato elettrico al contatto del mercurio con l'alcool e con la glicerina subisce, con l'aumen- tare della f. e. m. che lo polarizza come catodo, non soltanto una progressiva diminuzione nella densità, ma anche, quando la f.e.m. sorpassa un dezer- minato valore, per il quale tale densità assume valor nullo, una inversione; restando così dimostrato che la legge di Lippmann (?) si adatta perfetta- mente anche al contatto del mercurio con i due liquidi organici da me studiati. (*) Pellat, Cours d' électricité, tome III, pag. 149. — 297 — Contrariamente poi a quanto pareva risultasse dalle osservazioni col galvanometro balistico (*), l'annullamento della densità del doppio strato ha luogo per i due liquidi sensibilmente per una stessa polarizzazione, corri- spondente ad una resistenza compresa fra 9000 e 9100 Ohm inserita nella cassetta R': il risultato diverso ottenuto col galvanometro è da attribuire all'incertezza che tale metodo presentava e che perciò appunto aveva solo la pretesa di mettere in evidenza unicamente la progressiva diminuzione della densità del doppio strato. Nell’intendimento di determinare la f. e. m. necessaria per annullare il doppio strato, polarizzando il mercurio come catodo — cioè anche la diffe- renza di potenziale al contatto del mercurio con i due liquidi studiati (*?) — ho misurato la f. e. m. del piccolo elemento Daniel che alimenta il circuito principale, servendomi del metodo potenzimetrico del Bouty (*). Alimentando il circuito principale mediante un accumulatore portatile e disponendo nel ramo derivato in cui è inserito l’elettrometro l'elemento Daniel da misurare o un elemento campione al cadmio della f. e. m. di 1,02 Volta il menisco dell’elettrometro era sensibile solo a variazioni di 50 Ohm nella cassetta potenziometrica R' notandosi con l'elemento Daniel il minimo innalzamento per R'=6100, ed il massimo abbassamento per R'=6150, e con l'elemento campione il minimo innalzamento per R'=5720, ed il massimo abbassamento per R'=5770. Sciegliendo i valori medi come corrispondenti a spostamento nullo del me- nisco, la f. e. m. dell'elemento Daniel sarà espressa da e PZ, X 1,02=1,09 5745 Volta circa (*). i Poichè la resistenza interna di tale elemento (3 Ohm circa) è trascu- rabile rispetto alla grande resistenza (10110 Ohm) inserita costantemente nel circuito principale (quando si voglia fermarsi ai centesimi di Volta nel- l'apprezzamento della f. e. m. fra B' e C), si deduce che ai valori 9000 e 9100 Ohm di resistenza inseriti nella cassetta R' corrispondono per la f. e. m. fra B'e Ci valori di EEE 00 = 97 Vallaa 10110 TELI e 1,09 10110 X9100=0,98 Volta. (1) Polara e Meresca, loc. cit., pag. 124, tavole. (3) Pellat, loc. cit., pag. 147. (3) Pellat, Cours d'électricité, tome II, pag. 478. (4) Scegliendo i valori estremi 6100 e 5770 risulta e = 1,08 Volta circa, l'errore non superando quindi il centesimo di Volta. Con un galvanometro Ayrton e Mather, sensibile alla variazione di ] Ohm nella cassetta R’ si ottiene deviazione nulla nei due casi per R'=6196 e 5765; con questo metodo la f. e. m. risulta quindi di 1,09 Volta circa. ® RenpIcONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 41 — 298 — Fra questi due valori è quindi compresa la f.e. m. capace di annullare la densità del doppio strato quando si polarizza il mercurio estensibile come catodo: essa è sensibilmente eguale a quella determinata dal Pellat (*) per l'acqua acidulata con acido solforico (1/6 d’acido in volume). Ho voluto poi confrontare le modalità del movimento del menisco del- l’elettrometro nel caso dell’alcool e della glicerina con quelle che si osser- vano nel caso dell'acqua acidulata ed ho all'uopo invertito i contatti degli elettrodi « e f con l’elettrometro per potere osservare nel campo del micro- scopio tutto l’ innalzamento del menisco. Per una stessa pressione esercitata dal galleggiante F, ho ottenuto, come media di diverse letture: per l’acqua acidulata uno spostamento del menisco dalla divisione 2 della scala alla divisione 3,5 per l'alcool e la glicerina uno spostamento del menisco della divisione 2 della scala alla divisione 2,7, l'innalzamento essendo quindi di 15 decimi di mm. nel 1° caso e di 7 nel secondo. Ho notato inoltre che mentre nel caso dell'acqua acidulata l’innalza- mento del menisco avviene molto rapidamente, raggiungendo esso la massima escursione mentre il mercurio ha invaso solo una piccola parte recipiente A+, e ritornando poi con altrettanta rapidità alla sua posizione originaria (mentre la superficie del mercurio a continua ad accrescersi o rimane invariata), nel caso dell'alcool e della glicerina invece il menisco si innalza alquanto più lentamente, raggiunge la massima escursione quando il mercurio a ha invaso gran parte del fondo del recipiente A», e ritorna successivamente, con eguale lentezza, alla sua posizione originaria. i (1) Pellat, Cours d’ électricité, tome III, pag. 151. — 299 — Chimica fisiologica. — £tcerche sull’arginasi. Vi Sulla pre- senza dell’arginasi nell’organismo di qualche invertebrato (*). Nota del dott. A. CLEMENTI, presentata dal Corrisp. D. Lo Monaco. Le mie ricerche sistematiche sull’arginasi, hanno dimostrato che « la presenza dell'arginasi nel fegato dei vertebrati è in stretto rapporto col tipo di ricambio azotato della classe cui il vertebrato appartiene: io ho posto in evidenza, che a un ricambio azotato ureotelico è concomitante la presenza di arginasi nel fegato, a un ricambio azotato uricotelico è con- comitante l’assenza di arginasi nel fegato ». I fatti che ho messo in evidenza coi miei precedenti lavori (*) sono rappresentati schematicamente nella seguente tabella da cui risulta, che nella serie dei vertebrati, la presenza di arginasi nel fegato, non solo è legata col tipo del ricambio azotato, ma ancho col tipo della costituzione morfo- logica dell’apparecchio genito-orinario : (') Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica Fisiologica della R. Università di Roma. (*) Clementi A., Veber die Verbreitung der Arginase im Tierwelt, Relazione al IX Congresso internazionale dei Fisiologi a Groningen, 1913, Archivio di Fisiologia, XII; idem, Ricerche sull’Arginasi. Nota I: Un nuovo metodo titrimetico per la ricerca del- l’Arginasi, Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, CI. sc. fis., XXIII, ser. 5°, fasc. 11, 1914; idem, Aicerche sull’Arginasi. Nota II: La distribuzione dell’Arginasi nell’orga- nismo e nella serie dei vertebrati, Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, CI. sc. fiso, XXIII, ser. 5°, fasc. 12, 1914; idem, Ricerche sull’Arginasi. Nota III: Intorno all’azione dell’Arginasi sulla Creatina. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, CI. sc. fis., XXIV, ser. 5*, fasc. 5, 1915; idem, Zicerche sull’Arginasi. Nota IV: Presenza del fermento ureogenetico nel fegato di embrione umano e suo signifiato fisiologico, Rendiconti della kR. Accademia dei Lincei, Cl. sc. fls., XXIV, 1915; idem, L’Arginasi come fermento ureogenetico e le specificità della sua azione deguanidizzante, Ricerche sperimentali, estratto dall'Archivio di Fisiologia, vol. XIV, fasc. III, marzo 1916: idem, Sulla diffu- sione nell’organismo e nel regno dei vertebrati e sull'importanza fisiologica dell’ Argi- nasi, Archivio di Fisiologia, XIII, fase. 3, 1915; idem. Sul tipo del ricambio azotato dei Cheloni (in preparazione). — 300 — RETTILI MAMMIFERI | UCCELLI ANFIBI PESCI Sauri | Ofidii | Cheloni Ricambio $ , : : 3 - È nadia Ricambio uricotelico Ricambio ureotelico Urea Acido urico | Acido urico|Acido urico] Urea(!) Urea Urea (Prodotto metabolic 7 É : : : i. Macra 9 (idem) (idem) (idem) (idem) (idem) (idem) terminale) Arginasi Arginasi | Arginasi | Arginasi Arginasi | Arginasi | Arginasi Presente nel | Assente nel | Assente nel| Assente nel| Presente Presente | Presente fegato fegato fegato fegato nel fegato | nel fegato | nel fegato Vescica Cloaca Cloaca Cloaca Vescica Vescica Vescica distinta dal | (Vescica ;d ;a distinta dal|distinta dal|distinta dal Retto fusa col (idem) (idem) Retto Retto Retto Retto) Dati i fatti rilevati dalle mie precedenti ricerche apparisce evidente l'interesse di stabilire: 1° se l’arginasi esiste anche nell’organismo degli invertebrati; 2° se anche negli invertebrati è riconoscibile un rapporto tra arginasi e tipo del ricambio azotato. Le seguenti analisi, eseguite adope- rando la tecnica descritta precedentemente, mirano a rispondere al primo dei due quesiti formulati. Astacus Fluviatilis. Quantità adoperata Azoto 4 giorni în t tato a 37° i He giorni in termostato a di Na OH 17 io Nototale con aggiunta di toluolo creme |ine/o del (Sérensen) | Sorensen | Kyeldahl calcolato | in mgr. in mgr. | in mgr. Solfato di Arginina . cm? 10 1,6 98,72 4,76 19,0 19.3 Solfato di Arginina . cm? 10 Estratto acquoso di 2,9 Epatopancreas . .. cm? 3 Acquaritino ae a cm? 10 Estratto acquoso di 0,9 Epatopanereas . .. cm} 3 in mgr.| in °/o ion calcolato . . . 3,2 i, | aggiunta 59,0 | 100 (trovato. ... 1,6 ( scomposta | 0 0 (1) Schiff, Zur Kenntniss des Schildkròtenharns, Liebig*s Annalen, 111, 368, 1859. — 301 — Dai dati rilavati in questa analisi risulta, che l’arginasi è assente nel-. l'estratto acquoso di epatopancreas di Astacus Fluviatilis. Larve di Termiti. a Quantità adoperata Azoto 2 giorni in termostato a 37° ION: SR 7 5 si 4,7 N-Aminico N-totale con aggiunta di toluolo 0 TOS (Sorensen) | Sorensen Kyeldahl In em° | calcolato | in mgr. in mgr. in mar. Solfato di Arginina . cm? 10 1,25 96,66 3,62 14,5 15,0 Solfato di Arginina . cm3 10 Estratto acquoso di 1,40 Larve di Formiche cm* 8 ANGQUA cia cm? 10 Estratto acquoso di 0,10 Larve di Formiche cm? 3 in mgr. | in °/o calcolato. . . 2,50 c Come Ornitina Arginina SERIA 0A O) trovato... . 1,30 scomposta 0 0 Dai dati rilevati in questa analisi risulta, che l'arginasi è assente nel- l'estratto acquoso ricavato da larve di termiti. Helix Pomatia. Quantità adoperata Azoto 4 giorni in termostato a 37° di N ia) Sgncose gd ENROE 4.7 N-Aminico N-totale con aggiunta di toluolo Sn (Sorensen) | sorensen | Kyeldahl In em |calcolato | in mgr. | in mgr. in mgr. Solfato di Arginina . cm? 10 1,6 98,72 4,76 19,0 | 19,3 Solfato di Arginina . cm? 10 Estratto di Epatopan- 3,6 CICASiti ta ann cm’ 83 ACQUA rei ge ne cm? 10 Estratto di Epatopan- 0,4 CECAS' siae en em' 3 3 E in mgr.| in°/o calcolato. . . 3,2 iunta 59,0 | 100 Come Ornitina vs Arginina a trovato. . .. 3,2 scomposta | 59,0 | 100 — 302 — Dai dati rilevati in questa analisi risulta che l'arginasi è presente nell’epatopanereas di Helix Pomatia. È interessante notare in proposito che recentemente Delaunay (Recherches sur les échanges asotès des invertebrès, Archives internationelles de Physiologie, XIII, 913, 140) ha constatato la presenza di urea nel sangue di Helix. - In base alle analisi surriferite è lecito affermare, che l'arginasi è pre- sente nell'epatopancreas di alcuni invertebrati, mentre manca in altri. Resta a stabilire, se, anche nel regno degli invertebrati, esista un rapporto tra arginasi e tipo speciale del ricambio azotato dell'organismo, come nel regno dei vertebrati. E. M. Pubblicazioni della R. Accademia de! Lincet. Serle 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuov: Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXViI. Serie 2° —— Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali : storiche e flologiche. Vol. V. V. VI. VII. VII Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vel. I. (1, 2). — Dl. (1, 2). — IIT-XIX. MEmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e flolegiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICcONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXVII. (1892-1918). Fasc. 8°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze ‘morali, storiche e flologiche. Vol. I-XXVI. (1892-1917). Fasc. 12°. ; MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. Fasc. 9. sxoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol XV. Fasc. 1-6. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R, Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia è di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: ULRIco Horpi. — Milano, Pisa e Napoli. P. Maccione & C. StRINI (successori di E. Loescher & (C.) — Roma. RENDICONTI — Aprile 1918. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 aprile 1918. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Issel. Manoscritti e Sezioni di Lorenzo Pareto. . . . PERSE RA Pag Bompiani. Le trasformazioni puntuali di una varietà Sir conservano le superio a curvatura nulla (pres. dal Socio Castelnuovo) . . . RR e) Burali-Forti. Sulle superficie rigate (pres. dal EE) Marcolongo)} 006 INOGORIINI) Pérès. Quelques propriétés des fonctions de Bessel (pres. dal Socio Volterra) ©) CERROPINE,) De Cristofaro. Problemi dinamici a due variabili che ammettono un integrale razionale li- neare e fratto rispetto alle componenti della velocità (pres. dal que Marcolongo) (*) » Amerio. Pireliometro integrale (pres. dal Socio Cantone) . . . + Rea co) Polara. Nuovo contributo allo studio della legge di Lippmann al Cito del mercurio con l'alcool etilico e la glicerina (pres. dal Socio Riccò). . . . . . TORRITA SUE Clementi. Ricerche sull’arginasi. V: Sulla presenza dell’arginasi iicl'orgsnrnio di qualche invertebrato (pres. dal Corrisp.. Lo Monaco). 00 e ——————€@-- e TPm——— e Tre (*) Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. 294 299 E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. Pubblicazione bimensile. EI DELLA 3 | ‘ REALE ACCADEMIA DEI LINCHI ANNO CCCXV. 1918 Steri Lee OE INCERTA: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 maggio 1918. Volume XXVII. — Fascicolo 9° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1 1918 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle - pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delledue Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del: l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4!/.. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci 3 Corrisponden*i, e 80 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discuss sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II I. Le Note che oltrepassino i limiti indî- cati al paragrafo precedente. e lo Mamorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta stampa della Memoria negli Atti dell Accade- mia o in sunto o in esteso, sénza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti ‘ contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore, - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archiv dell'Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, ella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli antori, RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Na _T_— TL 0. — 308 — e dalla (7) abbiamo per determinare a,c le due equazioni a(* +1) =4m + HE ac=|2m(2m + H), indi per c l'equazione quadratica 4m + H DaE mem +- E) ine Le due radici sono 2 + H = RE Vata coi corrispondenti valori a=?2m , a=2m+H pel moltiplicatore a. Come si vede ì due punti (0,0,c) , (0,0,c») sono coniugati armonici rispetto alla sfera, conformemente alle osservazioni del n. 3; essi coincidono nel punto (0,01) della sfera quando la superficie S è ad area minima (H = 0), e la quadrica Q diventa un paraboloide rotondo. 6. Senza invocare la formola (8) sulla quale si è fondata la verifica, possiamo anche stabilirla direttamente e confermare in pari tempo che l’ele- mento lineare dato dalle (4) appartiene alla sfera unitaria. Così resterà nuo- vamente stabilito che sono questi gli elementi lineari sferici soddisfacenti alla condizione (2). Poniamo per un momento (0) =" S e calcoliamo i due parametri differenziali 4,® , 4,® rispetto al ds? dato dalle (4). Derivando la (9), con riguardo alle (A), abbiamo 10) Id_(He—- ed) g— 2e ww, ID _(He +e) gp—2ew ( du ==g 2? ’ w def 2g* ’ e per ciò i 1/93P\° 1}(f0D\-L 4575 A,D ala) +) E? gp? ’ indi a causa della (A*) (11) 4®=2mH4m®D—D=2m(2m+H)—(®+2m)? Ora calcoliamo crilaai — 309 — che per le (10) e per le (4) diventa 2 He — e? — 2e8@) (Heft + e9— 2e0 ©) ( ja[fe +e) a w 1]+3 (e tolse, |}. ) (12) 4,®= - Calcolando l’espressione (He = E. — 2ew (Hef — e-9) g — 2ew mediante le (A), si trova dapprima: Q=} (He 4 e!) — 260 i m(Hed + e) (Pene - 2me ) Di + | di Ì | i +| (He — e-9) — 2e5® È i (He + e-9) — rr + 20) ® i 2 2 — 2007 — 20) PTELÒ P e siccome per la (A*) VI 2 “I — 4im®— 2, sostituendo ed ordinando otteniamo Q= — 4e0 ®* + 4e°(H — 2m) D? + (e-°0 — H? 02° + 8mHe?®d) ® + + 2m (e7?0 Mae H? c?°) : che si risolve nel prodotto dei due fattori Q=—(0+2m)(4e0®? — 4e0°H® + H? 2° — 080), il secondo dei quali è precisamente il denominatore (He? — e-0 — 2e ®) (Hed + e-0 — 260 @) nella (12). Otteniamo quindi, insieme alla (11), l’altra formola A,®=— 2(®P+2m), da cui _di® __ 2(D+ 22m) 4,0 (0+2m?—2m(2m+ H)' e in conseguenza d,D d® = — log f2m(2m +H)—(D+2m)"{. — 310 — Dal teorema di Lie sui sistemi isotermi (Zezzozi, vol. I, $ 47) segue che la espressione __ (He — e9)p—2e8w u du e 2g? 2m(2m + H) — (® + 2)? — __ (H+ e)gy—- 20% 7 dv 29° 2m (21m + H) — (0 +2m? è un differenziale esatto. Ed ora se il ds* dato dalle (4) si riferisce alle linee D= cost ed alle loro trajettorie ortogonali 4 = cost, siccome si ha per la (11) A, D=2m(2m + H)— (D+ 2m) e per le (4) e per le (13) essendo inoltre risulterà (Zezzoni, vol. I, $ 44): 2 E I di cioè d 2 ds*= rn FE) © Fang + Enea +) — (0 +20) dr. Pongasi ora (14) ® +4 2m=|/2m(2m + H). sen e D/2m(2m+H)=R, e il ds? sarà ridotto all’ordinaria forma dell'elemento lineare della sfera unitaria ds'* = da* + sen?a df*, riferito a, coordinate geografiche « , 8. Ed avendosi qui Z= sen e, la for- mola (14) si riduce così alla (8), la quale resta per tal modo nuovamente stabilita. 7. Trattiamo da ultimo di un problema analogo a quello del n. 1 quando ai coefficienti E, G dell'elemento lineare sferico s' imponga l’altra condizione (15) GTtE=a2, dove ora con 2 indichiamo la distanza del punto (v,v) della sfera XY da ur — 311 — piano fisso 7. Una semplice considerazione di metrica non-euclidea ricon- duce subito il nuovo problema alla teoria delle superficie a curvatura costante. Prendasi infatti il piano 77 come piano limite di una metrica (iperbolica) di Poincaré (') definita da da* + dy° + de? 23 de = In questa metrica 2 rappresenta ancora una sfera; questa però è a centro proprio se 77 non incontra X, un'orisfera quando 77 è tangente a X, in fine una sfera a centro ideale se 7 attraversa XY, e a seconda dei tre casi la curvatura assoluta di 2 in metrica iperbolica è positiva, nulla o negativa. Ma pel ds° di X in questa metrica ds° = e du? 4+- 9g dv? la (15) si muta manifestamente nell'altra gre=così, che corrisponde a dare al ds? l’una o l'altra delle due forme: ds? = cos?0 du? + sen?0 dv? ds? = cosh*?0 du? + senh®0 do? . Il problema equivale adunque appunto alla ricerca delle superficie a curvatura costante negativa, o positiva, e nel caso particolare di 7 tangente a X si risolve coll’integrazione dell'equazione (1) Cfr. le mie Zezioni di geometria differenziale, vol. I, $ 187 segg. RenDpICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 43 — 312 — Morfologia vegetale. — Sulla costituzione e sulla distribu- zione dei fiori nelle Phillyrea. Nota preventiva del Socio R. Pr- ROTTA € della Sig." D. BRUNO BALLERINI. Mentre ci riserviamo di esporre particolareggiatamente gli interessanti fatti da noi osservati intorno alla morfologia e alla biologia fiorale delle Phillyrea, crediamo intanto opportuno far conoscere brevemente quanto ab- biamo osservato intorno alla costituzione e alla distribuzione dei fiori in queste piante. Lasciando per ora da parte la dibattuta questione della autonomia delle specie nostrali di Phi//yrea, che alcuni riuniscono tutte in una specie unica polimorfa, dobbiamo però dichiarare che le nostre osservazioni furono fatte sopra numerosi individui appartenenti a quelle forme che sì raccolgono dai sostenitori della autonomia delle specie sotto il nome di Phi//yrea media L. Abbiamo condotte le nostre ricerche direttamente su piante vive delle pendici boscose delle colline della Farnesina sotto Monte Mario e delle Acque Albule. Abbiamo esaminato anche materiale inviatoci dal prof. Cam- pbell raccolto sulle dune verso il Volturno, intorno al quale del resto rife- rirà prossimamente il prof. Campbell medesimo. L'esame accurato di questo materiale vivo ci ha mostrato che vi sono, in queste piante, due sorta di individui fioriferi, gli uni monoclini, gli altri staminiferi. Il fiore monoclino ha corolla giallo-verdastra o bianca, talora tinta lie- vemente di roseo. Nel bottoncino gli stami hanno le antere turgide e piene di polline, mentre il pistillo non è ancora completamente sviluppato. A fiore sbocciato gli stami si presentano colle antere aperte e i sacchi pollinici quasi vuoti, perchè il polline che era già maturo nel bocciolo, esce imme- diatamente. Lo stilo si allunga e i lobi dello stigma che diventano turgidi giallo-verdastri e anche segnati di rosso nel dorso, divaricano portando ta- lora già qualche granello di polline; ma ne sono privi di regola, divaricando dopo che il polline è già fuoruscito, ossia dopo qualche tempo dalla aper- tura del fiore. Contemporaneamente al divaricarsi dei lobi dello stimma di- vergono anche gli stami e le antere si rovesciano all'infuori, mentre pure i lobi della corolla al fondo della quale stanno attaccati i due stami, si rovesciano all'infuori. In alcuni casi però la corolla appassisce man mano, ma rimane persì- stente, cosicchè se ne osservano ancora le tracce nel frutto abbastanza adulto; più spesso invece l'intera corolla cogli stami si distacca e cade e — 8313 — rimane allora soltanto il giovanissimo frutto circondato dal calice sempre persistente. Non appaiono notevoli differenze esteriori tra il fiore monoclino e quello staminifero, quando essi sono in bottone. Le antere sono molto turgide e piene di polline nel fiore chiuso »ome nella forma monoclina. Quando però il fiore è sbocciato non si osserva traccia manifesta del pistillo. Soltanto quando si divarichino considerevolmente gli stami o meglio quando si stacchi completamente la corolla, che del resto è facilmente decidua e porta con sè gli stami, si può osservare coll’aiuto della lente, più o meno facilmente, una piccolissima sporgenza nerastra che da sola rappresenta tutto intero il pistillo. Infatti la ricerca anatomica dimostra che non vi è il più piccolo accenno a logge e ad ovuli. In questi fiori staminiferi la caduta della corolla avviene prestissimo ed è quasi sempre seguìta anche dalla caduta del calice, cosicchè all'epoca della sfioritura si osservano individui che non presentano traccia alcuna di fiore o di sue parti. Ì Non possiamo stabilire con precisione quale sia il rapporto numerico tra individui monoclini e staminiferi poichè, avendo noi limitate le nostre osservazioni a un certo numero di piante vive nelle due località intorno a Roma sopra ricordate e a un certo numero di esemplari da erbario, abbiamo ottenuti risultati non concordanti. Infatti la ricerca su esemplari secchi degli erbarii dell'Istituto Botanico di Roma ci ha dato il seguente risultato: fiori monoclini 28, fiori staminiferi 25, un numero cioè circa eguale degli uni e degli altri. Il computo fatto sugli esemplari dell' Erbario centrale di Firenze, cortesemente comunicatici dal chiaro collega prof. Baccarini, diede invece: fiori monoclinì 73; fiori staminiferi 41, vale a dire circa il doppio di indi- vidui monoclini. Per le piante vive questo rapporto numerico è risultato in un computo fatto alle Acque Albule di circa il doppio di esemplari stami- niferi in confronto di quelli monoclini, il rovescio cioè di quanto si era tro- vato negli esemplari dell’ Erbario di Firenze; e in un altro computo fatto alla Farnesina è risultato, per 62 esemplari, di 29 monoclini e 33 stami- niferi, cioè un numero pressapoco uguale degli uni e degli altri, come negli esemplari dell’ Erbario di Roma. Occorrono dunque a questo riguardo nuove e più accurate indagini. i Le due sorta di individui sopra brevemente descritte, monoclini e sta- miniferi, sono ben definite. Lo studio accurato che noi abbiamo fatto di nu- merosì individui monociini, ci ha però condotti a trovarne alcuni che ci permettono di stabilire che la forma monoclina sia primaria e la stamini- fera derivata. Infatti alcuni fiori che a primo sguardo appariscono monoclini perfetti, mostrano, ad un più attento esame, che il pistillo è meno svilup- pato, lo stilo è più breve e lo stimma non presenta i lobi manifesti; che hanno antere più grandi e più appariscenti di quelle dei fiori monoclini puri, — 314 — Sezionando allora gli ovarii di questi fiori, si osservano ancora due logge biovulate, ma più spesso si trova clie una delle logge è appena accennata e contiene un unico ovulo schiacciato, oppure che le logge sono schiacciate entrambe ed allora con ovuli od anche senza ovuli; e finalmente si vede una traccia soltanto di cavità molto schiacciata, senza ovuli. Sembra dunque dimostrato che la comparsa di individui prettamente sta- miniferi abbia avuto origine dalla continua graduale riduzione del pistillo, che perde lo stimma e lo stilo, riduce e poi perde gli ovuli, le cavità ova- riche e le pareti stesse del pistillo, che finalmente del tutto scompare. Quasi tutti gli autori consultati o non parlano affatto del modo di co- stituzione e di distribuzione dei fiori di queste piante, facendo però com- prendere di solito che le ritengono monocline, o affermano addirittura che sono monocline. È poi veramente curiosa l'affermazione del Clos che le Phillyrea (media e angustifolia) hanno fiori staminiferi e pistilliferi, cioè diclini, mai mono- clini, e che questi fiori si trovano sopra individui diversi, cosicchè la pianta è dioica, mai monoica. La spiegazione di questa stranissima affermazione del valente morfologo francese sembra a noi si possa trovare nell'avere egli os- servato bensì numerosi esemplari ma tutti di erbario, e specialmente nel fatto che essendo la corolla la quale porta gli stami, di regola, più o meno presto caduca, il fiore si presenta all’osservatore costituito dal solo pistillo circondato dal calice. E così è stata male interpretata dal Clos la figura del Tournefort, perchè se è vero che questi tace nel testo degli stami, li mette però nella tavola, la quale rappresenta dunque non già un fiore pi- stillifero, bensì un fiore monoclino dopo la caduta della corolla e con essa degli stami che sono epicorollini. Il solo autore, a nostra conoscenza, che abbia accennato, benchè incidentalmente, al vero stato delle cose, è il Gus- sone, che accenna a mancanza di stilo e quindi a fiori soltanto con stami. I risultati principali di quanto siam venuti sommariamente esponendo colla presente Nota, possiamo così riassumere brevemente: 1°. La Phillyrea media L. è, per quanto riguarda la distribuzione dei fiori, specie pleomorfa con individui pleomorfi e precisamente per quanto riguarda lo sporofito è specie difitica, con due sorta di individui secondo il tipo androdioico, vale a dire con individui staminiferi e monoclini. 2°. La forma monoclina è primitiva, la staminifera è derivata per continua graduale riduzione del pistillo, perchè anche attualmente si incon- trano individui nei quali insieme coì fiori prettamente monoclini se ne tro- vano altri che presentano tutti i gradi di riduzione del pistillo e delle sue parti fino alla totale scomparsa. — 315 — Fisica. — Convertitore di correnti trifasi in correnti con- tinue. Nota del Corrispondente 0. M. CorBINO. 1. La prova fatta da molti anni con gli interruttori a getto di mercurio rotante in seno a un gas, per il funzionamento del rocchetto di Ruhmkorff, ha dimostrato che la periodica interruzione di correnti anche intense, fino a un centinaio di volte per minuto secondo, si compie in essi senza alcun inconveniente; ciò avviene nonostante ad ogni rottura si produca una ener- gica sfiammata per la estracorrente del circuito primario. Se poi la corrente interrotta proviene da un circuito non induttivo, e perciò non dà la tiamma della estracorrente, l'apparecchio funziona quasi senza perdita locale di energia, oltre che senza alcun deterioramento delle parti metalliche. In tutti i casì se il mercurio del getto si volatilizza, esso condensandosi ricade senza alterazione lungo le pareti della marmitta, per le qualità inerti del gas. In un apparecchio da me costruito al principio dello scorso anno, si trasse profitto di questa proprietà del getto rotante di mercurio per stabilire una comunicazione periodica fra le tre fasi di un sistema trifase e un con- duttore che, raccogliendo così la parte più elevata e positiva dell'onda di potenziale, rende disponibile fra quel conduttore e il neutro della rete una corrente raddrizzata periodicamente interrotta. Per raggiungere lo scopo mi servivo di una marmitta in ghisa a chiusura ermetica, nella quale si man- teneva un'atmosfera di gas illuminante; in essa erano disposte sei lamine metalliche, isolate, e distribuite regolarmente come parti di una unica su- perticie cilindrica. Fra due lamine contrapposte il getto rotante di mercurio, aspirato per la rotazione di un albero dal fondo della marmitta e lanciato da due beccucci prossimi alle lamine, stabilisce un contatto periodico. Il motorino sincrono che trascina il getto compie un giro ogni due pe- riodi; e perciò la fase di contatto fra le lamine contrapposte sì sussegue, da una coppia di lamine alla successiva, dopo 1/8 del periodo della corrente; cosicchè, connettendo tre lamine successive alle tre fasi in un senso oppor- tuno, le tre lamine contrapposte rilegate fra loro riceveranno dal getto, per trasmetterla al neutro, una corrente raddrizzata periodicamente interrotta. Un particolare schema di circuiti permette di trasformare questa cor- rente unilaterale, ma periodicamente interrotta, in una corrente praticamente costante; ricorrendo all’accumulazione magnetica di energia in una forte autoinduzione, e utilizzandola in parte per alimentare il ricevitore durante le pause in virtù di una cella ad alluminio opportunamente disposta. L'apparecchio fu già descritto in dettaglio nel Monitore Tecnico del 10 novembre; la corrente con esso ottenuta può considerarsi praticamente — 316 — costante, risultando dalla sovrapposizione di una corrente continua e di una piccola ondulazione, alla quale corrisponde una intensità efficace eguale a circa il 2 o il 3 per cento della corrente continua; si può quindi con essa anche alimentare un arco voltaico, senza che si riesca a manifestare all'esame stroboscopico la minima pulsazione luminosa. Il rendimento globale di quel primo apparecchio era dell'ordine del 75 per 100. 2. La cella ad alluminio, che aveva la funzione di permettere alla self l'alimentazione del ricevitore durante le pause periodiche, le quali venivano così colmate, funziona in condizioni del tutto diverse da quelle degli ordi- narî raddrizzatori elettrolitici; poichè la pausa durante la quale la cella stessa lavora non supera un quinto del tempo in cui essa è inattiva. Il suo funzionamento si mostrò perciò scevro di tutti gli inconvenienti noti dei HETGROIE raddrizzatori, e le sue dimensioni potevano esser piccole, pur prelevando dall’apparecchio una potenza notevole. Ma essa costituiva ancora il punto debole dell'apparecchio: sia per la potenza assorbita, a danno del rendimento, sia per la difficoltà di conservarla in buone condizioni in un esercizio pro- lungato di tipo industriale. Il unovo apparecchio che ho potuto costruire recentemente, e che de- scriverò in questa Nota, presenta il grande vantaggio di fare a meno della cella, richiedendo solo la marmitta col getto rotante e la self; esso, mentre può fornire una corrente praticamente costante, poichè la componente alter- nativa dj ondulazione non supera l'uno per cento della corrente totale, non ha più interruzioni periodiche producentisi fra il mercurio e le lamine, per- mettendo così di elevare di moito la corrente erogata senza perdere troppa energia nella marmitta e senza deteriorare le lamine. Ne risulta un conver- titore veramente industriale di facilissima manutenzione, e capace di fornire. la voluta corrente continua con un rendimento globale superiore al 95 °/. La marmitta contiene tre lamine d',e',/", invece di sei (fig. 1); ed esse sono rilegate alle tre fasi, mentre il duplice getto g',g" pone periodi- — 3917 — camente in comunicazione le lamine col mercurio, e quindi con la massa della marmitta, dalla quale parte il conduttore % che porta la corrente alla self, al ricevitore £ e al neutro /V. Come si vede dalla figura, funzionano ora l’uno, ora l’altro estremo del getto diametrale rotante, col lambire al. ternativamente e successivamente le tre lamine. Dando perciò alle tre la- mine un'ampiezza angolare molto vicina a 60°, si può ridurre a piacere la durata della pausa fra l'abbandono di una lamina e il contatto con la suc- cessiva, o anche ottenere che il nuovo contatto si formi prima che cessi il precedente, e ciò pur restando di circa 60° l'intervallo fra gli orli affacciati delle lamine successive, cosicchè è completamente esclusa la possibilità di corti circuiti permanenti fra le lamine stesse. Scegliendo opportunamente la posizione dello statore del motorino, da cui dipende la posizione del getto rotante, si può fare in modo che ciascuna fase sia utilizzata simmetricamente rispetto alla cresta della sinusoide, e se le lamine hanno una larghezza tale che i due getti tocchino contemporaneamente, per brevissimo tempo, le due lamine, ciò avverrà proprio nel momento in cui le due lamine rilegate alle fasi hanno lo stesso potenziale. In queste con- dizioni è disponibile fra il mercurio del getto e il neutro una tensione pul- sante mai interrotta, rappresentata dalle tre creste sinusoidali delle tre ten- sioni delle fasi. Vengono così due lamine qualunque a trovarsi periodica- mente in corto circuito attraverso al getto, ma ciò si verifica solo negli istanti in cui tra le lamine non esiste tensione o ne esiste una trascurabile, mentre il corto circuito cessa appena fra le lamine, nello svolgersi delle tensioni alternative, si ridesta la differenza di tensione. La larghezza più opportuna delle lamine va determinata sperimentalmente, perchè l'esperienza ha diniostrato che la durata del contatto fisico è leggermente superiore a quella che si desumerebbe dall'ampiezza angolare della lamina, e che su questa differenza agisce la natura del gas che riempie la marmitta. La re- golazione può essere fatta una volta per tutte in fabbrica, ovvero può essere fatta a volontà sull’apparecchio, dando alle lamine una forma trapezoidale e ‘approfondendole più o meno, con che muta di ampiezza la parte della lamina lambita dal getto. Nel primo apparecchio, fornito del dispositivo egualizzatore self-cella elettrolitica per ricolmare le pause, a misura che si riduce la pausa, la cella funziona da condensatore elettrostatico e può essere sostituita da un vero condensatore. Quando poi la pausa si è ridotta a zero, e si ha addi- rittura un brevissimo periodo di sovrapposizione nei contatti di due lamine col getto come nel nuovo dispositivo, la funzione delle celle o del conden- satore diviene superflua ed esse possono sopprimersi; a render costante la corrente nell’ utilizzatore basta in tal caso l’autoinduzione, poichè il contatto fra il getto e le lamine non viene mai a mancare. Non sì formano più dentro alla marmitta archi di rottura, tranne quelli debolissimi dovuti alla — 318 — autoinduzione del filo di linea che va alla lamina, in quanto la corrente cessa in una lamina per crearsi nell'altra che sta in contatto con essa at- traverso il getto. Una piccola rotazione dello statore, col conseguente spo- stamento angolare del getto può far sì che la corrente proveniente dalla lamina si annulli da sè prima del distacco, perchè trovasi in quell'istante a potenziale leggermente superiore l’altra lamina. Ma di questo spostamento, analogo alla rotazione delle spazzole delle dinamo per la commutazione senza scintilla, non c'è in realtà alcun bisogno, poichè l'apparecchio, capace di re- sistere alle ampie sfiammate di rottura delle correnti che alimentano il pri- mario del rocchetto di Ruhmkorff, non subisce alcun danno dalla commuta- zione fra le due lamine in corto circuito; cosicchè si può far lavorare il getto nell’aria anzichè nel gas, per quanto questo sia preferibile. Il consumo totale di energia nella marmitta, in una esperienza eseguita prelevando 35 ampère sotto 150 volt, non supera 50 watt, e resta inferiore a 140 watt, prelevando 70 ampère. È da notare che nell’apparecchio usato il breve contatto periodico fra «due lamine, provocato dal getto, dura circa un trentesimo di periodo; si ha perciò un piccolo consumo a vuoto, di una diecina di watt, che si eleva a 50 watt, quando vengono erogati oltre 5 kilowatt. Computando a 90 watt il consumo del motorino, e ad altrettanti il consumo nella self, si ottiene così un rendimento globale, esclusi i fili per le connessioni, corrispondente a 5250 watt utili su 5380 consumati; e cioè del 97 per cento. Si potevano senza inconvenienti prelevare dall’apparecchio oltre 70 ampère, mentre tutto - l'insieme, della potenza utile non inferiore a 10 kilowatt, pesa meno di 60 kilogrammi, compresa la self. Un gruppo convertitore motore-dinamo di eguale potenza peserebbe oltre 1000 kilogrammi, senza il basamento in ferro. Per brevità non riferirò qui sugli accorgimenti adottati per evitare che, essendo le lamine rilegate alle fasi ed esposte allo strisciamento del getto, questo, rimbalzando, possa determinare dei colpi secchi e brevi di corto cir- cuito tra le fasi e tra queste e la marmitta; invece nessun inconveniente deriva dalle note oscillazioni del rotore del motore sincrono intorno alla posizione di sincronismo, quando queste vengano attenuate coi noti artifizi, bastando perciò la gabbia di scoiattolo in rame che serve per l'avviamento dei motorini a croce di ferro già esistenti in commercio. 3. L'apparecchio descritto permette di ottenere da un sistema di cor- renti trifasi una tensione unilaterale ondulata, di cui le creste si susseguono a un terzo di periodo e sono di ampiezza doppia dei minimi. Da questa ten- sione pulsante si ricava una corrente praticamente costante in virtù della self inserita nel circuito di utilizzazione. Un successivo perfezionamento all’apparecchio contiene una disposizione la quale, ricorrendo sempre al sistema dei contatti di un getto rotante di — 319 — mercurio con lamine metalliche in seno a un gas, e ad un particolare tras- ‘ formatore, consente di avere una tensione ondulata con creste succedentisi a un sesto di periodo, e con minimi differenti dalla cresta di solo il 13 per cento. Riducendo così a poco più di un quarto l'ampiezza della pulsa- zione della forza elettromotrice, e raddoppiandone la frequenza, basterà ri- correre a una self circa otto volte minore per attenuare in egual misura che nel primo dispositivo la pulsazione della corrente continua ottenuta. La disposizione è rappresentata nella fig. 2. In essa 7 rappresenta un trasformatore trifase, nel quale i punti di mezzo dei tre avvolgimenti a bassa tensione sono uniti insieme, costituendo così in N il neutro del si- stema. Rispetto a questo neutro il trasformatore presenta sei estremi «,f,y da una parte, —a, —£f, —y dallaltra, e questi ultimi hanno in ogni istante potenziali eguali e contrarî a quelli dell'estremo di sinistra dello RG: stesso avvolgimento. Il neutro / è collegato al ricevitore £, alla self Z e alla massa della marmitta P, come nella figura. Per le proprietà note del sistema trifase, se con un punto mobile sì esplora il potenziale degli estremi degli avvolgimenti nell'ordine «, —y, #, —a, y, —É$, con intervalli di un sesto di periodo fra un contatto e il successivo, scegliendo la fase del contatto nelle vicinanze del culmine della tensione, il punto verrà a pos- sedere rispetto al neutro i potenziali rappresentati dalla curva della fig. 3, costituita dai sei archetti culminali di una sinusoide. Perciò tra il punto mobile e il neutro esisterà una tensione unidirezionale pulsante; l'ampiezza della pulsazione sarà solo 0,134 dell'ampiezza della sinusoide, e la frequenza sarà sei volte quella della tensione trifase. Basterà pertanto rilegare il ricevitore di corrente continua, attraverso una self, tra il neutro e quel punto mobile che raccoglie la tensione dei sei capi del trasformatore nel modo sopra indicato, per ottenere una corrente continua e praticamente costante. Provvede a questa funzione la marmitta a sei lamine della fig. 2, che contiene un sistema di getti rotanti di mercurio, trascinato dal solito mo- tore sincrono, il quale compie un giro ogni due periodi. Le lamine sono connesse ai capi degli avvolgimenti secondo la indicazione delle lettere ac- RenpIcONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 44 — 320 — canto segnate (per semplicità non sono disegnati i fili di connessione). Il sistema rotante, da cui proviene il mercurio aspirato dal fondo della mar- mitta, alimenta quattro getti di pochi millimetri di lunghezza (poichè i bec- cucci sono vicini alle lamine); e questi beccucci sono disposti in modo che quando, dei due getti vicini, uno sta per abbandonare la lamina, per es. @, l'altro cominci a toccare la lamina vicina —y; restando così per un istante in contatto le fasi «, —y, ciò che avviene però nel momento in cui le rispettive tensioni sono uguali. Ogni lamina è lambita prima da uno dei getti, poscia dal successivo, prima che l’altro l’'abbandoni; ma la distanza angolare dei getti, e l'ampiezza angolare delle lamine sono regolate in modo che il contatto fra il mercurio, e quindi la massa della marmitta, e ognuna delle lamine abbia una durata vicinissima a un sesto di periodo, dopo di che, e prima che il contatto cessi, sì inizia il contatto con la lamina suc- cessiva. Kira. 3. L'artificio dei due getti che si seguono nel lambire la stessa lamina serve a far durare il contatto tra il mercurio e la lamina per il tempo do- vuto, senza che sia per ciò necessario dare alle lamine un'ampiezza troppo grande, poichè, ciò facendo, le lamine contigue, per es. @ e —y, quasi si toccherebbero, e potrebbe tra loro costituirsi un corto circuito permanente; invece il duplice getto (disegnato schematicamente con una forchetta nella figura), crea il corto circuito nel solo istante in cui i potenziali sono eguali, e dopo le lamine restano fra loro isolate. 4. In tutti i dispositivi descritti, poichè il getto mette per poco tempo in contatto le lamine rilegate alle fasi, è indispensabile che questo contatto si compia solo quando fra le lamine insieme toccate esiste una tensione nulla o trascurabile. Occorre pertanto evitare che le lamine siano in ten- sione quando il motorino, nella fase di avviamento o di fermata, sia fuori di sincronismo, ovvero quando, non essendo ben regolata la posizione dello statore, il contatto fra mercurio e lamina non avviene nella prossimità della cresta della sinusoide. A quest'ultima regolazione si provvede una volta tanto nella messa a posto dell'apparecchio; giova in tal caso inserire al posto delle valvole che stanno a monte delle lamine tre lampadine e girare SA Me = 924 lo statore fino a che le lampadine quasi si spengano, denotando con ciò che è divenuta minima la corrente (a vuoto) fra le lamine poste periodicamente in contatto. Ma ad evitare che le lamine siano poste in contatto fuori tempo nella tase di avviamento o di fermata del motorino, è opportuno che in queste manovre le lamine siano senza tensione. Occorre cioè, all’avviamento, in un primo tempo lanciare il motorino e, dopo, a sincronismo raggiunto, dare ten- sione alle lamine; alla fermata togliere tensione alle lamine prima di ar- restare il motorino. Basta a tal uopo che le manovre di lanciare il moto- rino e dar tensione alle lamine siano fasi successive di un unico movimento progressivo dell’apparecchio di comando; ciò che può realizzarsi in diversi modi che non occorre descrivere perchè di uso corrente. Chimica. — Sul peso molecolare di alcuni sali sciolti nel- l’uretano. Nota del Corrispondente G. BRUNI. In uno degli ultimi fascicoli del Journal de Chimie physique (*) il signor M. Stuckgold ha pubblicato un lavoro sulle proprietà dell'uretano etilico come solvente per alcuni sali. In esso egli conclude che l’uretano è un solvente dotato di forte potere dissociante, e ciò sia in base a misure di conduttività, sia in base a misure crioscopiche. Se il signor Stuckgold avesse esaminato la letteratura dell'argomento, sì sarebbe accorto che egli era stato preceduto, almeno per ciò che riguarda l’impiego dell'uretano come solvente crioscopico di sali metallici. Così N. Ca- storo (*) lo aveva già impiegato per determinare il peso molecolare di alcuni sali metallici. Più tardi io e A. Manuelli (*) vi sciogliemmo cloruro manga- noso, cloruro cobaltoso e cloruro rameico, trovando per gli ultimi due pesi molecolari affatto normali e pel cloruro manganoso valori del 10 per cento inferiori al teorico. Questo fatto ha richiamato la mia attenzione sui risultati delle espe- rienze crioscopiche del signor Stuckgold la cui esattezza mi parve subito assai dubbia. Questo autore comincia col verificare la costante crioscopica determinata da Eykman (K=51,4); a questo scopo egli compie tre deter- minazioni ciascuna ad una sola concentrazione con naftalina, urea e nitro- toluolo (non è detto quale dei tre isomeri), trovando rispettivamente K= 53,5; 52,7 ; 53,4. Come media fra questi valori e quello di Eykman prende K = 52,8. Anzitutto nei dati relativi all'urea è incorso evidentemente un grossolano errore di scrittura o di stampa. Infatti, se l'abbassamento del punto di con- () Tome 15, n. 4, 31 dée. 1917, 502-516. (?) Gazz. chim. ital. 28, II, 317 (1898). (*) Zeitschr. f. Elektrochem., 1904, n. 38, 601. — 822 gelamento è 0,053, la concentrazione deve essere 0,06 per cento, anzichè 6,0 come è indicato. Indipendentemente da questo debbono essere incorsi nel calcolo piccoli errori numerici perchè io dai dati stessi di S. deduco per d ia risp. 54,3; 53,0; 54,1. Dopo ciò Stuckgold procede a determinare il peso molecolare dei ioduri di ammonio, potassio e rubidio, e dà i risultati che qui appresso si riportano: ‘ Concentrazione 4 P. mol. trovato Grado di dissociaz. @ NH,I=145 0,76 0,347 115,4 0,25 ” 0,30 0.147 110,0 0,31 KI= 166 0.055 0,031 94 0,76 ” 0,075 0,041 97 0,71 RbI= 205 0,04 0,012 177 0,15 Colpisce qui ‘anzitutto il comportamento così diverso che avrebbero tre sali così simili fra loro come i tre ioduri studiati, fatto che appare assai inverosimile. Ma le ultime tre misure (quelle su KI e RbI) si riferiscono a concentrazioni e ad abbassamenti così minimi che non è possibile trarne ‘ conclusioni quantitative nemmeno approssimate. Stuckgold stesso lo riconosce esplicitamente (pag. 513), ma non si comprende perchè non abbia operato a concentrazioni più forti, mentre dalle sue stesse determinazioni di solubilità risulta che di quei sali possono aversi soluzioni enormenente più concentrate. Mi è parso quindi necessario ripetere le determinazioni crioscopiche sul ioduro potassico a concentrazioni più elevate. Le esperienze furono eseguite nell’ Istituto di Chimica generale di Padova dal dottor Mario Amadori che ringrazio vivamente. L'uretano impiegato era un preparato Erba « purissimo per analisi » e fu ulteriormente purificato distillandolo a bassa pressione e poi cristalliz= zandolo quattro volte dal benzolo anidro per crioscopia. Fondeva costante- mente a 49°. Il ioduro potassico era un prodotto Merck « purissimo per analisi » e fu riscontrato tale. Prima di impiegarlo fu seccato in stufa a 160°. Le determinazioni furono eseguite in corrente di aria secca. Come costante crioscopica ho tenuto il valore di Eykman K=51,4. Concentrazioni Abbassamenti osservati Pesi molecolori trovati 0,428 0,15 146,6 1,524 0,52 150,6 0,725 0,25 149,0 2,358 0,30 151,5 0,933 0,32 149,8 2,850 0,97 151,0 2,000 0,683 151,2 3,966 1,94 S62:198 Media 150,2 Peso molecolare teorico KI =166,0 Grado di dissociazione CI TR0N10 — 323 — Come si vede il ioduro potassico è certamente dissociato in uretano; il grado di dissociazione però è assai inferiore non solo ai valori affatto invero- simili trovati da Stuckgold per questo sale, ma anche a quelli dati pel ioduro ammonico. Esso è piuttosto quasi identico a quello che si avrebbe secondo le misure mie e di Manuelli pel cloruro manganoso (a= 0,11). Si potrebbe cercare di confrontare il valore trovato da noi con quello che si potrebbe dedurre dai valori della conduttività determinati da Stuckgold, ma non credo che questo confronto possa avere molta importanza, data la grande incertezza che lo stesso Stuckgold ammette aversi nel calcolo del valore di 4» per la troppo grande conduttività propria del solvente. Il sig. Stuckgold comunica poi i risultati di una determinazione crio- scopica su soluzioni di salicilato di litio in uretano da cui risulta un peso molecolare doppio, e riferisce che, secondo osservazioni inedite del profes- sore Dutoit, questo sarebbe un comportamento generale dei sali di litio in solventi organici. Il fatto è senza dubbio assai interessante, ma anche qui l'Autore di- mostra di non aver studiato la letteratura delle soluzioni non acquose. Se lo avesse fatto avrebbe trovato che questo comportamento fu scoperto niente- meno che ventidue anni fa da Zanninovich-Tessarin (') nel Laboratorio del prof. Nasini. Questo autore trovò infatti pesi molecolari quasi doppî pel cloruro di litio in acido acetico, ma d'accordo con osservazioni inedite di A. Hantzsch verificò che su questo comportamento hanno grande influenza piccole quantità di umidità presenti nel solvente. Chimica fisiologica. — Sulla composizione chimica di alcuni generi alimentari. Nota del Corrisp. S. BAGLIONI e di SETTIMI. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. (*) Gazz. chim. it. 26, I, 316-317 (1896). — 324 — Fisica. — Nuovo contributo allo studio del doppio strato elettrico al contatto del mercurio con l’aria ionizzata dai raggi di Rontgen ('). Nota del prof. V. PoLARA, presentata dal Socio A. Riccò. È stato recentemente dimestrato (2) che anche al contatto del mercurio con l'aria ionizzata dai raggi di Ròntgen si determina un doppio strato elettrico che si può mettere in evidenza, mediante il solito dispositivo del Pellat (*) — in cui si sopprima l'acqua acidulata ed il sifone — per mezzo della diminuzione di potenziale che subisce il mercurio quando si faccia aumentare la sua estensione (fenomeno di Lippmann). Lo strumento che serviva a svelare in tale ricerca la differenza di po- _tenziale fra il mercurio invariabile e quello estensibile era l’elettrometro capillare, e l'apparecchio di Pellat, irradiato dall'alto da un tubo focus, era disposto in una cassa foderata di piombo, il cui coperchio era costituito da una grande lamina metallica in comunicazione col suolo (4); veniva così sop- pressa ogni elettrizzazione per effetto del tubo e dei fili che lo alimentavano. Poichè però l'innalzamento del menisco dell’elettrometro, durante l’'ac- crescimento della superficie del mercurio estensibile — il mercurio della punta dell'elettrometro essendo messo in contatto con il mercurio estensibile e quello della provetta con il mercurio invariabile — è stato alquanto miì- nore di quello che si è osservato nel caso degli elettroliti, si è pensato che, oltre che la diversa natura del contatto, anche la presenza del conduttore in comunicazione col suolo potesse essere causa della diminuzione di sposta- mento del menisco. Ho creduto quindi opportuno di ricercare sotto quale aspetto si presenta il fenomeno quando si sopprima la grande lamina in comunicazione col suolo che fa da coperchio alla cassa. Poichè in tal caso il tubo focus ed i fili che lo alimentano destano un campo elettrico all'interno della cassa, l’elettrometro segnala, quando sia azionato il tubo, una differenza di potenziale fra i due elettrodi e, per ta- lune posizioni del tubo, l’elettrodo estensibile assume un potenziale più ele- vato di quello invariabile, il menisco abbassandosi fino all'estremo del ca- (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica della R. Università di Catania, diretto dal prof. G. P. Grimaldi. (3) Polara e Maresca, Rend. Acc. Lincei, vol. XXVII, pag. 245, 1918. (3) Pellat, Cours d'électricité, tome III, pag. (4) Polara e Maresca, loc. cit. — 325 — pillare in 30” circa. Se si prova ad azionare il tubo quando è stato di- sposto il bicchiere carico di mercurio nel recipiente A, dell'apparecchio, cioè quando la superficie del mercurio estensibile ha assunto il massimo valore, si vede ancora il menisco abbassarsi, ma molto più notevolmente e rapida- mente di prima, raggiungendo esso l'estremo del capillare in meno di 10", e determinando l’efflusso del mercurio dalla punta: nelle condizioni indicate quindi, assumendo il mercurio estensibile posizioni diverse nel campo creato dal tubo, si accresce la differenza di potenziale fra il mercurio estensibile e quello invariabile. Tutto ciò, che potrà eventualmente perturbare la genuina osservazione del fenomeno nel periodo della variazione di superficie del mercurio esten- sibile, è però perfettamente analogo, negli effetti, a ciò che si nota quando, volendo verificare la legge di Lippmann per l'aleool e la glicerina, si fa uso del galvanometro (!) invece che dell’elettrometro: anche in tal caso infatti la corrente che serve a polarizzare come catodo il mercurio estensibile, de- termina una deviazione permanente nell'equipaggio del galvanometro dalla parte opposta a quella verso cui esso devia nel periodo della estensione del mercurio — verso i numerosi neri della scala cioè se tale estensione pro- duce una deviazione verso i rossi — e tale deviazione permanente si rivela alquanto più notevole se il mercurio estensibile assume la massima super- ficie, a causa della diminuita resistenza del circuito. Durante la estensione del mercurio però, come nel caso ora indicato sì osserva una chiara deviazione temporanea dell’equipaggio del galvanometro verso i numeri rossi della scala (a cui segue, mentre la superficie del mer- curio resta permanentemente accresciuta, una più notevole deviazione per- manente verso i numeri neri della scala), così nel caso dell’aria ionizzata ho potuto chiaramente osservare che il menisco dell’elettrometro subisce un temporaneo e notevole innalzamento (a cui segue un abbassamento rapido e tanto notevole da far sgorgare il mercurio dalla punta). E poichè nel caso del contatto mercurio-alcool e mercurio-glicerina la deviazione temporanea dell'equipaggio del galvanometro verso i numeri rossi della scala è indice (*) d'una variazione di densità nel doppio strato elet- trico, così l'innalzamento temporaneo del menisco dell’elettrometro è da ri- tenere segno d'una analoga variazione nella densità del doppio strato al con- tatto del mercurio con l’aria ionizzata dai raggi di Roòntgen: nell’un caso e nell'altro il fenomeno è solo perturbato, ma pur sempre rivelabile nel suo insieme. Ed è notevole che l'innalzamento del menisco durante l'accrescimento della superficie del mercurio si manifesta in tal caso dell'ordine di grandezza di quello osservato nel caso dell’alcool e della glicerina. (!) Polara e Maresca, Rend. Acc. Lincei, vol. XXVI, 1917, pag. 125. (*) Polara, Rend. Acc. Lincei, vol. XXVII, pag. 294, 1918. — 326 — Spostando convenientemente il tubo focus, si può ottenere che mentre esso è in azione, il mercurio estensibile assuma un potenziale meno elevato del mercurio invariabile (del che ci avverte l'elettrometro con un innalza- mento del menisco), quando il mercurio estensibile ha la minima superficie, e l'inverso accada quando tale mercurio ha la massima superficie (del che ci avverte ancora l’elettrometro con l'abbassamento del menisco). In tali condizioni nel periodo della estensione del mercurio si osserva un chiaro abbassamento del menisco, e appena il mercurio ha raggiunto la massima estensione si nota dapprima un piccolo impulso in alto nel me- nisco stesso, come se esso tendesse a riprendere la sua primitiva posizione, e poi un rapido e permanente abbassamento. Per quanto sia meno facile discernere in questo caso i due impulsi del menisco, perchè concordanti, pare tuttavia, da quanto è stato notato, che al- l'atto dello accrescimento di superficie del mercurio estensibile il menisco si abbassi invece di innalzarsi. Se si considera che il campo elettrico destato nella cassa polarizza in * tal caso il mercurio estensibile e determina una f. e. m. di più di 1 Volta, l'inversione osservata potrà verosimilmente attribuirsi appunto a tale pola- rizzazione, supposto che la f.e. m. con cui si polarizza sia superiore a quella ccorrente per annullare la densità del doppio strato elettrico, e che al con- tatto del mercurio con l’aria ionizzata valga ancora la legge di Lippmann, già dimostrata per gli elettroliti e per l'alcool e la glicerina. Fisica terrestre. — Contributo alla teoria del pendolo oriz- zontale. Nota di G. AGAMENNONE, presentata dal Socio E. MiLLO- SEVICH. 1. In sismometria la disposizione, che si suole dare ad un pendolo ortz- sontale, è mostrata dall’annessa figura, dove A e B sono i due punti di sostegno, e perciò AB è l'asse di rotazione del pendolo; C rappresenta il centro di gravità della massa pendolare; AC il legame rigido o flessibile, ma inestensibile, che collega la massa con A; e BC un braccio rigido che tiene la massa fuori dell'asse di rotazione. Noi ci occuperemo dello sforzo esercitato sopra i due punti A e B, sforzo che bisogna saper valutare, prima di costruire un pendolo orizzontale, allo scopo di attenuare gli attriti che ne derivano allo strumento, e di conoscere la resistenza necessaria al mate- riale occorrente per la sua costruzione. Nel nostro studio supponiamo verticale l'asse AB (come lo è realmente in alcuni *i-mografi, e poco inclinato negli altri), senza peso i lati AC e BC, la massa di peso P concentrata in C, e dapprima niuna restrizione sulla — 327 — specie del triangolo ABC. Decomponiamo il peso P=CD nelle due compo- nenti Q=CF e R=CE, delle quali la 1* rappresenta la sollecitazione del punto A nella direzione AC, come pure lo stiramento suscitato in qualsiasi tratto di AC, mentre la 2* rappresenta la pressione su B in direzione CB ed altresì la compressione in qualsiasi parte del lato BC. PO e Q più e si vede, in linea generale, che per rendere piccoli R e Q, si ha vantaggio nell’allontanare tra loro i due punti A e B e nel fare possibilmente corti i lati BC e AC. Sarà poi RLKQ per BOLKAC e viceversa, e R=Q per AC=BC, quando cioè sarà isoscele il triangolo ABC. Poichè i triangoli ABC e CDE sono simili, sarà R=P Fia. |. Per farsi subito un'idea della variabilità di R e Q al variare dei lati AC e BC i quali ruotano rispettivamente attorno ad A e B, restando sempre nel piano verticale ABC, supponiamo costante, oltre a P, anche AB. In tal caso, R:Q=BC:AC e basterà considerare, volta per volta, le stesse lun- ghezze di AC e BC. Così, per AC=O, sarà Q=0 e R—P ed il pendolo da orizzontale si trasformerà in rovescio, cioè con la massa pendolare in A, che con tutto il suo peso preme su B. Viceversa, per BC=0, sarà R—-0 e Q=P ed il pendolo da oriszontale diverrà verticale, cioè con la massa pendolare in B, sostenuta dal solo punto A. Man mano che © si allontana da AB, crescono Q e R fino all’c0 per AC=BC= 00. Se C va a cadere su AB, Q e R sono proporzionali ai segmenti AC e BC, e se © cade nel Ti 3: 2. Può tornar comodo, valutare le forze R e Q anche in funzione degli angoli del triangolo ABC, simile all'altro CDE. In quest ultimo si ha punto di mezzo di AB, sarà Q=R = sen @ sen } R=P_— eQ=P — sen y sen y col fare crescere il denominatore fino al suo valore massimo per y = 90°, e decrescere i numeratori fino a zero, al limite di a—S=0. Senza volermi trat- , e questi valori diventano sempre più piccoli, RenpIcONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 45 — 928 — tenere sulla discussione generale delle due formule predette, mi limito ad alcuni casi particolari, specialmente quelli che ricorrono più spesso in pratica. Caso I. Nell'ipotesi di y costante, C è obbligato a restare sopra una circonferenza, di cui AB è una corda. Nella 1 formula, R raggiunge il mas- simo (=) per a= 90°, se y< 90°, nel qual caso BC diviene appunto il diametro, e poi R va decrescendo con @ fino ad annullarsi per a=0, ossia B=180° — y, ed allora il pendolo diviene verticale. Se @ cresce a partire da 90°, R va decrescendo fino a P al limite di a—180°—y e £=0, nel qual caso il pendolo si trasforma in rovesezo. Nella 2 formula, Q diviene —) per 8=90°, se y<90°, nel qual caso AC diviene uguale S al diametro, e poi Q decresce con f fino ad annullarsi per8=0 e a=180° — y (pendolo rovescio). Al crescere di 2 al di là di 90°, Q decresce di nuovo fino a P per 8—180°—y e a=0 (pendolo verticale). massimo ( aa p | i I ]l valore massimo a di R e Q diverrà tanto più grande quanto ‘minore sarà y, e diverrà 00 per y=0, nel caso limite di AC=BC=c0. Caso II. Se, invece, si considera costante @, cioè C scorrevole sulla AG, allora nella 1 formula, per y=90°, se a < 90°, R acquista il valore minimo (Psena=P cos £), cioè quando BC L AC. Ma, col decrescere di y, R cresce fino all’oo al limite di y=0 e di #=180°—a, quando BC è parallela ad AC, ossia quando C va all’oo. Per y sempre più grande di 90°, R va pure crescendo, e al limite di y=180° — a e 8=0, uguaglia P, il che avviene quando C cade in A (pendolo rovescio). In quanto a Q, nella 2* formula esso assume il valore P cos a= P sen? per y=90° e #=90°—a, e poi va crescendo, col decrescere di y, fino all'oo pery=0 e f=180°—a. Per y crescente al di là di 90°, Q decresce fino a zero al limite di y= 180° —@a e 8=0 (pendolo rovescio). o Caso III. Se, infine, si fa costante #, nel qual caso C si mantiene su BH, allora nella 2* formula per y=90°, se ?<90°, Q acquista il minimo valore (P sen 8 =P cos a), ciò che si verifica per AC L BC; ma poi Q cresce col decrescere di y, tanto da diventare co al limite di y=0 e a=180°— #8, ‘corrispondente al caso di AC parallela a BH, cioè di C andato a distanza infinita. Ove poi y cresca a partire da 90°, crescerà Q fino ad uguagliare P al limite di y=180° —# e a=0 (pendolo verticale). In quanto a R, la 1 formula fa vedere che esso raggiunge il valore P cos8=P sena per y=90°, e poi col decrescere di y, va sempre più crescendo fino all’oo, al limite di y=0 e a=180°— f, il che significa che C si è allontanato infi- nitamente. Ove poi y crescesse al di là di 90°, R diminuirebbe sempre più fino a zero per y=180°— e @=0 (pendolo verticale). Caso IV. Supposto @a=, sarà pure R=Q, ed il luogo del punto C sarà la L ad AB innalzata dal suo punto di mezzo, come già abbiam visto da principio. SEE A — 329 — P AC sang na e Q=Ptg8=PE R decresce con £ fino al valore minimo P per #=0, quando cioè si ha da fare con un pendolo rovescio, poi cresce con # fino all’o0 per 8= 90°, ossia per AC=BC= co. Q decresce con # fino ad annullarsi per #0 (pen- dolo rovescio), poi crescerà con è fino all’oo per # =90°, ossia AC—BC = cv. 0) seny cose R decresce con @ e si annulla per @ —0 (pendolo verticale), poi cresce con @ ed uguaglia P_per a =45°, ossia AB= BC, indiì cresce ancora fino all’oo, al limite di a—=90°, ossia di AC=BC=co. Q acquista il minimo valore P_per a=0 (pendolo verticale) e poi cresce con « fino all’oo, per a=90°, ossia AC=BC=c0. Caso VII. Resta a fare y= 90°, nel qual caso C resta sopra la circon- ferenza, di cui AB è diametro, ed allora: R= Psena=Pcosf e Q=Pcosa=Psenf. Sarà R=0 per @—0 e 8-90° (pendolo verticale), e crescerà con a fino al valore massimo P per @=90° e 8=0 (pendolo r0- vescio). Q acquisterà il valore massimo P per a=0 e 8=90° (pendolo verticale), poi decrescerà al crescere di @, fino ad annullarsi per a =90° e £2=0 (pendolo rovescio). Caso V. Facendo «= 90°, si avrà: R= Caso VI. Per8=90°, si avrà: R=Ptga= o an (') Alle stesse formule, ed altre consimili, si arriva pure facilmente con la teoria dei momenti. Infatti, considerando il sistema ABC quale una leva non rettilinea col fulero in A, sulla medesima agiscono due sole forze, e cioè P e la reazione del punto di sostegno gr» B ESaR e a CS D hi Fia 2. B uguale in grandezza alla pressione R esercitata dal braccio BC. Perchè il sistema sia in equilibrio, deve aversi: BC RXAB=PXBC, da cui R=P pg=ttge. Per calcolare Q, consideriamo ancora il sistema ABC come una leva, ma col fulero in B. La reazione in A alla forza di trazione secondo AC, uguaglierà Q in grandezza ed agirà col braccio BG, mentre il peso P_agisce col braccio BC. Per l’equilibrio deve essere: E cose” QX BG=P X BG; e poichè Ba= ABsene e BO=ABtga, sostituendo si avrà Q= — 330 — Caso VIII. Se oltre y=90°, fosse a=£f, allora R-=Q=Psen45°= —V4=0,7071P. 5. Le formule che forniscono R e Q nel caso VI sono riportate in una recente Memoria (*) ed hanno richiamata l’attenzione d'un valente sismologo, il quale me ne parlò come se fossero addirittura errate. La mia sorpresa non fu poca nel riconoscere che si trattava proprio di due formulette, da me pubblicate in questi stessi Rendiconti (*), e dessa si accrebbe quando volendo, lì per lì, verificarle, mi parvero realmente errate! Ma poi, non sapendo capacitarmi come mai fossi stato indotto in un equivoco madornale in un problema così semplice, vi pensai meglio e dovei riconoscere che le due formule sono esatte, almeno nel caso speciale cui si riferiscono (caso VI), mentre il critico evidentemente equivocava col caso VII. L'enorme differenza, infatti, che salta fuori per Re Q, quando a=90°, deriva appunto dalla diversa disposizione che si vuol dare allo strumento. Nel caso VI è evidente che, dovendo il braccio BC restare orizzontale, bisogna che al pari di AC diventi . infinitamente lungo al limite di a=90°, ed allora si concepisce come lo sforzo in A e B possa effettivamente ingrandire senza limiti. Nel caso VII, invece, dovendo restare AC L BC, C finisce per cadere in A, per a=90°, ed allora nel pendolo, divenuto rovesczo, ogni sforzo cessa in A e si accumula tutto in B divenendo uguale a P. Quest'ultimo caso, invero, è quello che sì presenta per il primo alla mente, ed è analogo a quello d'un pendolo verticale AB=AC deviato sempre più dalla sua posizione di riposo, ed il cui peso viene decomposto in due componenti: l'una secondo la direzione inclinata del pendolo, l'altra L alla stessa. In queste condizioni, finchè @ è piccolo, Q ed R non possono differire troppo dai valori che risulterebbero nei casi VI e VII; ma col crescere di @, se si vuol continuare nell'analogia e mantenere invariabile AC (lunghezza del pendolo verticale), bisognerebbe spostare sempre più in basso il punto B, in modo da far restare BC L AC, finchè per a=90°, BC diverrebbe infinitamente lungo e parallelo all'asse stesso di rotazione, alla distanza appunto di AC, finendo col sostenere da solo l’intero peso P, mentre si annulla completamente la tensione in AC. Ho ritenuto utile l'insistere su questo equivoco, in cui facilmente anche altri potrebbe cadere, ed ho presa l'occasione per trattare il problema in limiti alquanto più estesi e tali da comprendere tutti i possibili casì che si possono incontrare nella pratica. 4. In una prossima Nota mi riserbo di far conoscere un potente pendolo orizzontale oscillante in direzione N-S che, dopo varî tentativi, sono riuscito a far funzionare fin dall'agosto 1916, sebbene in via provvisoria, nel R. Osser- (1) Giov. Batt. Alfano, Sull'uso degli apparecchi pendoluri in sismometria (Atti dell’Acc. Napoletana scient.-lett. « S. Pietro in V.», vol. IV, pag. 109). (*) Sismoscopio a doppio pendolo orizzontale per terremoti lontani (Seduta del 17 dic. 1905). ì — 381 — vatorio Geodinamico di Rocca di Papa. Il nuovo strumento presenta attual- mente una massa pendolare di quasi tre tonnellate (costituita, per economia, di pezzi di lava accatastati sopra una solida piattaforma in travetti di ferro) la quale oscilla con un periodo di c. 15 secondi e, mediante una speciale e leggerissima leva di paglia, registra ì suoi movimenti sopra una zona affu- micata con un ingrandimento di più che 100 volte. Per mezzo di cosifatto pendolo è stato possibile registrare la fuse a onde lente di molti terremoti lontani la quale, per la sua lievissima entità, sfuggiva agli altri apparati. Quando si abbia da fare con masse pendolari così enormi (e spero di sorpassare l'attuale peso nella costruzione dei due pendoli definitivi ad angolo retto tra loro), si comprende l’importanza della valutazione non solo degli sforzi notevolissimi, cui si trova assoggettato il materiale da costruzione del quale si può disporre, ma soprattutto delle reazioni nei punti di sostegno, se vuolsi dare al pendolo orizzontale la massima delicatezza, a parità di massa, di periodo e d'ingrandimento. Chimica. — / giacimenti di sali potassici di Dallol (Bri- trea) ('). Nota di M. Giua, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Da vario tempo è stata richiamata l’attenzione degli studiosi sui gia- cimenti di cloruro di potassio di Dallol nella Dancalia settentrionale (Eritrea). Il problema della potassa ha interessato le Nazioni dell'Intesa dopo lo scoppio dell’attuale conflagrazione mondiale per la chiusura del mercato te- tesco, unico fornitore di sali potassici. Come è noto i giacimenti di fama mondiale di Stassfurt e di Wittelshain (Alsazia) hanno costituito fino a questi ultimi anni una sorgente straordinaria di ricchezza per la Germania. Con lo scoppio della guerra europea anche in Italia si è cercato di utiliz- zare, come sorgente di sali potassici, le acque madri delle saline e a questo riguardo si sono fatti, nel campo chimico, studî numerosi ed interessanti. Se nonchè i giacimenti naturali di sali potassici sono ancora così diffusi nelle varie parti della superficie terrestre e possono quindi alimentare tutti i bisogni delle industrie chimiche ed agricole, che tali studî presentano più un interesse teorico e momentaneo, dato lo stato abnorme creato dalla guerra, che pratico. In Spagna, nella provincia di Barcellona, è stata segnalata recentemente la scoperta di giacimenti di sali potassici; questi sono in vicinanza dei de- positi naturali di salgemma di Suria. I minerali principali potassici sono la carnallite e la silvina, ma i giacimenti, che datano dalla fine dell’eocene (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Sassari. — 382 — o dal principio dell’oligocene, sono molto irregolari. Comunque, scoppiata la guerra europea, l'estrazione della potassa da questi depositi di sali ha su- bìto alternative di varia sorta, il che ha contribuito a paralizzare lo sfrut- tamento di tali giacimenti. Negli Stati Uniti d'America il problema dei sali potassici va acquistando sempre più importanza, per quanto numerosi siano i giacimenti naturali, come le sorgenti dei laghi salati di Nebraska e i depositi salini di altre regioni. Recentemente in America è stata studiata anche l'estrazione della potassa da alcuni minerali, come i feldspati; ma da una statistica fornita per il 1916 dall’ « United States Geological Survey » (*) si ricava che su 5.216.314 tonn. di potassa di origine minerale prodotta, circa 4.000.000 di tonn. provengono dai sali naturali, sopra tutto dai laghi salati di Nebraska. Dopo lo scoppio dell’attuale conflagrazione, in Eritrea sono stati sco- perti importanti giacimenti di sali potassici che potranno costituire anche nell'avvenire, per la nostra Nazione, una sorgente notevole di ricchezza. In una intervista recente (°), S. E. il Ministro delle Colonie onor. Colosimo, ° ha chiaramente riconosciuta l’importanza di tali giacimenti, dicendo: « Si è per la circostanza largamente intensificato lo sfruttamento delle miniere di potassa di Dallol, nella Dancalia settentrionale, e ingenti partite di questo minerale sono state esportate non solo in Italia ma anche in Francia, in Inghilterra e perfino nel Giappone. A guerra finita il cloruro di potassio, che in quantità rilevantissima continuerà a esportarsi dall’ Eritrea, troverà certo larga utilizzazione come materia fertilizzante per le pratiche agricole ». Qualche mese fa ho avuto occasione di analizzare un grande numero di campioni di minerali salini provenienti dai giacimenti di Dallol, mine- rali fornitimi dal sig. D. Maggiora, che ha studiato in sito, lungamente, l’importanza industriale delle miniere di Dallol. Avendo avuto la necessaria autorizzazione rendo conto pubblicamente delle analisi da me fatte su molti campioni di sali di potassio e di sodio delle miniere di Dallol; in questa prima Nota riassumo i risultati da me ottenuti nello studio della compo- sizione chimica dei minerali salini più importanti (vedi tabelle I e II). Circa l’analisi di questi minerali ho seguite le norme indicate dal Vil- lavecchia nel suo recente Trattato di chimica analitica applicata (*); in realtà le determinazioni eseguite hanno un carattere eminentemente pratico, e però il mio còmpito per ora è stato limitato alla determinazione quan- titativa dei sali solubili in acqua; riguardo all'analisi del residuo insolubile, che in alcuni campioni raggiunge un valore notevole, mi sono fermato a saggi orientativi. I campioni salini di cui è stato riportato il quadro ana- litico presentano tutti, salvo qualche lieve eccezione, una grande omogeneità (') Cfr. Boll. mensile di inform. agrarie dell’Ist. Intern. di Agricoltura, 1017, n. 6. (#) « Tribuna » di Roma del 30 gennaio 1918. (#) Vol. I, pp. 165, 178 e segg., 1916, Hoepli, MIlano. ZAR — 33 IAS nella composizione della parte insolubile in acqua. Detto residuo è formato per più del 90°/, di ossido idrato di ferro con tracce di solfo (libero), di ossido di alluminio e di silice. La determinazione del potassio è stata ese- guita col metodo ordinario all'acido perelorico. TABELLA |. s 8 Cloruro Cloruro Cloruro Solfato Solfato Parte £ DI di di di di di Umidità insolubile E Ei potassio sodio magnesio magnesio calcio in acqua 1 72.58 25.20 0.75 0.30 0.27 0.20 0.05 2 98.60 0.50 0.20 0.20 0.15 0.18 0.03 5) 97.75 1.20 0.15 0.20 0.30 0.12 0.06 4 90.10 1.20 0.42 — 0.17 0.28 741 5) 44.50 53.20 0.18 — 0.09 0.15 1.48 6 97.50 0.80 0.17 0.20. 0.40 0.50 0.08 7 23.00 74.10 0.15 — 0.06 0.22 1.93 8 98.58 38.60 2.04 0.60 2.15 0.35 1.75 9 82.86 14.70 0.40 0.25 0.26 0.70 0.20 10 97.50 _ 0.06 — 0.05 0.38 1.80 11 41.20 48.35 0.21 2.01 _ 0.14 7.60 12 92.35 _ _ Da _ 0.45 7.00 13 72.10 24.30 0.09 — 0.05 0.17 2.87 14 94.45 1.02 0.14 0.09 0.04 0.08 4.15 15 87.10 0.50 0.85 — 0.12 0,40 11.00 TABELLA II. s È Cloruro Cloruro Cloruro Solfato Solfato Solfato Parte SA cai di di di di di Umidità | insolubile E E sodio potassio magnesio magnesio calcio sodio in acqua 16 96.03 — 0.70 1.40 012 _ 0.20 1.14 al; (0.10 1.4 0.40 0.18 0.20 - 0.28 20.64 18 87.62 1.05 0.80 0.45 0.10 _ 0.25 925 19 97.92 — 0.32 0.07 0.23 —_ 030 0.18 29 97.8] —_ 0.24 — 0.16 1.05 0.21 0.02 21 94.20 0.60 1.02 0.27 0.12 _ 0.23 3.10 22 98.34 — 0.41 0.20 0.09 — 0.22 0.03 28 96.30 —_ 0.41 —_ 0.13 2.59 032 0.04 24 98.35 —_ 0.20 0.50 0.32 _ 0.20 0.14 25 61.03 1.96 0.35 _ 1.02 — 0.46 84.49 26 88.00 0.70 0.15 — 0.96 2.25 0.38 7.00 27 51.45 — 0.21 _ 0.75 0.35 0.42 46.65 28 63.00 — 0.35 —_ 0.52 0,34 0.37 34,96 29 62.50 2.00 0.30 — 0.40 — 0.45 84.00 30 54.00 _ 0.20 _ 0.63 0.25 0.39 43.08 31 59.97 _ 0.34 = 1.22 0.30 0.41 37.19 32 6.00 _ 0.80 _ TELO 0.70 0.45 80.97 IMPORTANZA DEI SALINI POTASSICI DELLA MINIERA DI DALLOL. Qualunque riserva di sali potassici costituisce una fonte di ricchezza, ma l’importanza della miniera di Dallol (!) risalta subito quando, in base (1) M. G. Levi (Atti del Comitato per le industrie chimiche, 1917, pag. 61) ha accennato all'importanza dei giacimenti salini di Dallo]. — 234 — ai dati analitici dianzi riportati, si confrontino i giacimenti di sali potassici oggi conosciuti e sfruttati industrialmente. Anzitutto è bene porre in rilievo come questi forti giacimenti di sali potassici derivino dal mare che, insieme al Mar Morto, risulta più ricco di sali potassici, ossia dal Mar Rosso. Nella tabella seguente si riportano alcuni dati sulle acque dei mari più importanti: MARI Parti di cloruro di potassio. in un milione di parti d’acqua Adriatico: (Laguna. veneta) site Se 893 Bala-di-Eeghormn:t: Rie Mediterraneoi bt. II ae SER 000) Mar:Rosso si ali Le A RIT 880, Come si è detto i principali giacimenti di sali potassici oltre a quelli di Stassfurt sono quelli di Wittelshain, di Santander (Spagna) e di Tarapan (Kilì). Per la loro importanza i giacimenti di Ballol possono solo confron- tarsi con quelli di Stassfurt. Non è quindi inutile fare prima una breve ‘descrizione di questi giacimenti. Salini della ricchezza di quelli della miniera di Dallol si ottengono a Stassfurt dopo una lunga escavazione; tanto che per avere sali potassici del contenuto in cloruro intorno al 98-99 °/, occorre lavorare convenientemente i minerali misti qui sotto accennati. I depositi naturali di sali potassici occupano un enorme bacino della Germania del Nord; oltre Strassfurt si tro- vano sali potassici anche a Speremberg presso Berlino e a Segerberg presso Lubek. Tali giacimenti sono profondi e appunto in profondità si distinguono le seguenti regioni: 1°. Regione di anidride o rock-salt; detto così dal solfato di calcio anidro che divide il rock-salt in due strati. 2°. Regione della polihalite; il rock-salt è mescolato con polihalite e vi è presente cloruro di magnesio insieme a piccole quantità di solfo e sostanze bituminose. 3°. Regione della kieserite: presenta molto solfato di magnesio. La miscela ha la composizione ssguente; 65 °/, rock-salt, 17 °/, kieserite, 13 °/ SELE 3°/, bischofite e 2 °/, anidride. °, Regione della carnallite (sali di Stassfurt più notevoli). Contiene il 25 sa di rock-salt, 16 °/, di kieserite e 4°/ di cloruro di magnesio, bromuro di magnesio, boracite e ossido di ferro. In alcune parti però per l’azione dell’acqua è stato asportato quasi tutto il cloruro di magnesio e si ha una miscela contenente il 20 °/ di cloruro di potassio (silvina pura) con 30-40%, di rock-salt ed eguale quantità di kieserite ed altre impu- rezze (1). (*) G. Martin, Smith e Milsom, 7'he Salt and Alkali Industry — Potassium Salts and the Stassfurt Industry, pag. 83, London, 1916. — 335 — Secondo un grande chimico e geologo, il Bischof, la vera composizione dei depositi di Stassfurt è la seguente: ROC SAU RR DORIA Andndee ee ee nt Rolihaliteo SE. 0 Iolosoniterifza Ea eRace ea od Gamallite bi. sl Pel a 02 Cloruro di magnesio . ....... 0,9» Nella miniera di Dallol i minerali potassici affiorano alla superficie terrestre e per quanto localizzati in alcuni punti della intiera regione salina costituiscono depositi enormi e ricchissimi. Lo studio geologico di questo immenso bacino salino dell’ Eritrea renderà naturalmente grandi utilità circa un razionale sfruttamento, anche dal punto di vista chimico. La purezza dei minerali nativi analizzati indica non più una formazione stratigrafica dei depositi salini stessi, bensì una separazione netta fra i singoli minerali che costituiscono i giacimenti cennati. Ma un altro fatto è da notare: dei salini sia potassici che sodici analizzati solo pochi contengono tracce di bromuro e tutti indicano un basso contenuto in cloruro di magnesio. Orbene, i sali a base di magnesio sono anch'essi localizzati. Esistono a Dallol alcune sorgenti termali (temp. uguale circa 80-90°) che contengono molto cloruro di magnesio; dette acque sono soluzioni sature, alla temperatura indicata, del sale di magnesio, con tracce di cloruro di sodio e quantità notevoli di bromuro di magnesio. Alla temperatura ordinaria queste acque si rappren- dono in una massa solida, colorata in giallo per la presenza di tracce di ossido di ferro. Acque sature di cloruro di magnesio alla temperatura ordinaria (40° circa) esistono pure a Dallol, esse contengono pure quantità notevoli di bromo. In una prossima Nota spero di poter riferire sulla composizione chi- mica di queste acque, come pure di molti altri minerali contenenti molto solfato di calcio, ciò che varrà a porre maggiormente in luce la natura dei giacimenti salini di Dallol. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI BorTINI. Sfagnologia italiana. Pres. dal Socio PIROTTA. Comucci. Sullo zolfo dell'isola di Taso. Pres. dal Corrispondente F. MiL- LOSEVICH. ReENDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 46 — 336 — RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio MarcHIAFAvA relatore, a nome anche del Socio Foà, legge una relazione sulla Memoria dei professori MinGAzziNI e GIANNULI, avente per titolo: Contributo clinico ed anatomico patologico sulle aplasie emice- rebellari, proponendo l'inserzione del lavoro negli Atti accademici. La proposta della Commissione è approvata dalla Classe, salvo le con- suete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il Vicepresidente Ròrri dà il triste annuncio di due gravi perdite subìte dall'Accademia in questi giorni, nelle persone dei Soci prof. ERNESTO MonACcI (che fu Segretario della Classe di scienze morali), e prof. PAOLO PIZZETTI. Il Socio ReIinA legge la seguente Commemorazione del Socio Nazionale prof. PAoLO PIZZETTI. Il 14 aprile ultimo scorso, a soli 57 anni di età, spegnevasi in Pisa il prof. PaoLo PIZZETTI docente di Geodesia e di Meccanica celeste in quella Università. Colpito da una polmonite alla vigilia di Pasqua, soccombeva dopo due settimane alla violenza del male, lasciando nella costernazione la famiglia, i colleghi, i numerosi estimatori del suo ingegno e del suo nobile carattere. Nato a Parma il 24 luglio 1860, ventenne appena veniva nel 1880 laureato nella Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri di Roma, e, seguendo la naturale inclinazione che lo portava a dedicarsi agli studî, Egli restava nella Scuola stessa quale assistente alla cattedra di Geodesia. In quell'epoca i professori Pisati e Pucci avevano iniziate le loro memorabili ricerche sul valore assoluto della gravità, dedicandovi tutte le risorse dei due Gabinetti riuniti di Fisica tecnica e di Geodesia. Per sottrarsi alle azioni perturba- trici provenienti dal traffico cittadino, essi compievano durante la notte le loro delicate misure, ed il Pizzetti, subito chiamato a prestare la sua col- laborazione, veniva assegnato alle osservazioni astronomiche. Datano da quel- l'epoca le determinazioni di latitudine da lui compiute, a mezzo di un Universale di Bamberg e riassunte in due appendici della Memoria, Sulla lungheza4a del Pendolo a secondi, presentata alla Accademia dei Lincei nel 1883 dagli stessi professori Pisati e Pucci. — 337 — Della medesima epoca è l’altra pubblicazione, pur di carattere preva- lentemente astronomico, Za determinazione degli azimut, volume nel quale con ampiezza e chiarezza è esposto un argomento che, solo sommariamente, trovavasi di solito trattato nelle Opere di Astronomia pratica e sferica, quello cioè dei metodi di orientamento. Oltre ai procedimenti usati nell'alta Geodesia, sono sviluppati quelli applicabili con strumenti topografici e ma- gnetici. Qua e là in questo volume, di carattere prevalentemente didattico, sì trovano però idee originali, come la proposta modificazione al classico metodo di Struve, consistente nella determinazione contemporanea del tempo e dell'azimut per mezzo della misura delle differenze azimutali fra la Polare ed una stella fondamentale. Il prof. Pizzetti non era però. per sua natura, particolarmente portato verso i lavori di osservazione. Nelle determinazioni di tempo ad esempio, nelle quali si tratta di cogliere l’attimo fuggente del passaggio della imma- gine di una stella sotto i fili del reticolo, occorre una padronanza del proprio sistema nervoso, che spesso non corrisponde alla calma e serenità del carattere. Lo stesso serupolo posto nell'osservare è causa di turbamento, ed il Pizzetti, come egli stesso ebbe occasione di dichiararmi, non riesciva a vincere la propria agitazione. Se scarso è il contributo da lui portato alla Geodesia italiana nel campo delle osservazioni, tanto più ricca è la messe dei frutti raccolti nel campo teorico. Oltre a quelli sopra accennati, aventi carattere astronomico, apparten- gono al periodo del soggiorno di Roma altri lavori rientranti nel dominio della Geometria differenziale, come quello sulla curva di allineamento (luogo dei punti dell’ellissoide terrestre nei quali la normale condotta alla super- ficie è in uno stesso piano coi due estremi della curva) e le due Note dei Lincei, Sulle rappresentazioni geografiche conformi, nelle quali sono trat- tati due casi particolari interessanti di carte geografiche che conservano gli angoli. Nel dicembre 1886, in seguito a concorso, Egli veniva nominato pro- fessore straordinario di Geodesia nella Università di Genova. I primi anni di quel suo nuovo soggiorno sono specialmente dedicati allo studio della combinazione delle osservazioni. Con acuto spirito critico egli esamina i principî sui quali è basata la teoria; analizza i procedimenti e le formole usate; suggerisce modifiche e semplificazioni; discute tutto il metodo cosid- detto dei minimi quadrati e, desideroso di raccogliere tanto lavoro sparso in numerose Note, due volte si accinge a riassumerlo: una prima volta in una Memoria inserita negli Atti de la Société Royale de Liège, Sur le calcul du résultat d’un système d'observations directes (1888), ed una se- conda volta in un volume, / fondamenti matematici per la critica dei ri- sultati sperimentali, facente parte degli Atti pubblicati dalla Università di Genova nella occasione del Centenario Colombiano (1892). — 338 — In questo poderoso lavoro il prof. Pizzetti, mirando alla parte fonda- mentale o filosofica della teoria, si propone di costruirla su postulati che veramente abbiano un carattere sostanziale e razionale. Nella prima parte della pubblicazione schizza arditamente il quadro della teoria, partendo dal concetto dell'errore di osservazione dovuto a Thomas Joung, cioè che esso possa considerarsi come generato dalla sovrapposizione di un gran numero di errori infinitesimi, dovuti a cause indipendenti e soggette a leggi affatto arbitrarie; dimostra come, col crescere indefinito del loro numero, la pro- babilità che l’errore cada entro certi limiti tenda ad avere per espressione analitica la consueta esponenziale di Gauss, generalizzata però nel senso che la grandezza dell'errore vi appare diminuita di una costante (parte co- stante dell'errore). Adottando questa formola, stabilisce in modo non dissi- mile dall'ordinario i concetti di misura di precisione, errore medio, errore probabile. In un secondo capitolo esamina i principî stabiliti da alcuni autori come fondamento della teoria degli errori; confronta il principio della pro- babilità massima, dopo l'esempio di Gauss adottato dalla maggior parte dei trattatisti, con quello del massimo rischio di errore, formulato già da Laplace, ed apertamente si pronuncia in favore di quest'ultimo. Discute poi i postulati sopra i quali diversi autori, in particolare Encke, Stone, Schia- parelli, tentarono di fondare il principio della media aritmetica, pervenendo alla conclusione che nessuno di essi presenta quel carattere di generale evi- denza, necessario per legittimare una dimostrazione del principio in parola. Esamina poi le dimostrazioni colle quali i diversi scrittori pervennero alla legge esponenziale di distribuzione degli errori; critica il procedimento primo di Gauss, esposto nella Theoria motus corporum coelestium; analizza le dimostrazioni di Adrain, di W. Herschell, di Donkin, tutte di natura sem- plice ma non sufficientemente rigorose, e, tornando al principio formulato prima di Joung e svolto in seguito da Hagen, da Quetelet e da Bessel, unitamente agli scrittori inglesi Glaisher, Airy, Crofton, esprime la convin- zione doversi tale principio ritenere come l'unica vera base filosofica sulla quale può erigersi la teoria degli errori. La seconda parte del volume è dedicata alla Combinazione delle osser- vazioni indirette. Supponendo cioè che w incognite fisiche siano legate da 7 equazioni lineari (zx > ©) i cui coefficienti siano dati dalla osservazione, il prof. Pizzetti formula it problema nel senso di dover determinare il sistema di valori più convenienti, invece del sistema di valori più probabili, ed è condotto ad una forma di trattazione semplice ed elegante che può rite- nersi, per così dire, inversa di quella tenuta da Gauss e solitamente seguita. Nel 1900 il prof. Pizzetti, chiamato dalla Facoltà matematica della Università di Pisa, lasciava Genova per trasferirsi sull'Arno, e qui assidua- mente proseguiva un’altra categoria di studî sui quali già aveva pubblicata — 339 — una serie di Memorie; quella riguardante le relazioni fra la gravità e la forma della superficie esteriore di equilibrio di una massa materiale rotante. Anche in questo campo, dopo aver studiato l'argomento sotto varî aspetti, raccoglieva i risultati delle sue ricerche in una più grossa pubblicazione riassuntiva, Principi della teoria meccanica della forma dei pianeti (1913), preziosa per chi voglia addentrarsi in tale studio, senza dover consultare troppe Memorie sparse in Riviste ed Atti accademici. Il prof. Pizzetti pone a base della ricerca il cosiddetto problema di Stokes, consistente nel determinare la funzione potenziale esterna di un pianeta, quando siano note la forma di una superficie di equilibrio esteriore, la massa e la velocità angolare di rotazione, e lo risolve nel caso dell’el- lissoide di rotazione schiacciato, trovando la esatta relazione fra la gravità polare e la equatoriale, relazione che riproduce il noto teorema di Clairaut, quando vi si trascurino i termini piccoli d'ordine superiore al primo. Ana- loga ricerca estende all’ellissoide a tre assi, sempre indipendentemente da ogni supposizione sulla interna distribuzione della massa. Stabilisce poi la formola di Stokes che determina le ondulazioni del Geoide rispetto all’ Ellissoide di riferimento terrestre, quando su tutta la superficie della Terra si suppongano note le anomalie della gravità, cioè le differenze fra gli effettivi valori della gravità superficiale e quelli calcolati nella ipotesi della superficie di equilibrio ellissoidica. Tale formola viene di solito stabilita ricorrendo allo sviluppo della funzione potenziale in serie procedente secondo le potenze negative del raggio vettore: ma questa serie, certamente valida all’esterno di una sfera comprendente tutta la massa, non conserva teoricamente la sua validità fino alle superficie di equilibrio, per cui la legittimità del procedimento è soggetta a qualche dubbio. Il prof. Piz- zetti, e questo è il merito principale del suo lavoro, riesce ad evitare l’im- piego di quello sviluppo, ricorrendo a noti teoremi sulla teoria del poten- ziale. e conferisce così semplicità e maggior rigore alla sua trattazione. A queste ricerche si ricollega un altro gruppo di lavori riguardanti le possibili distribuzioni di massa nell’ interno della Terra. In questi lavori, pure ammettendo che dalla conoscenza della forma del Geoide e della gravità alla sua superficie poche notizie possono ricavarsi sui diversi modi possibili di variazione della densità interna, si stabiliscono per altro delle condizioni ’ limitazioni cui tali distribuzioni di densità debbono sottostare. Nel campo dei lavori di carattere gravimetrico rientra la Memoria sul calcolo delle attrazioni locali dovute alle irregolarità apparenti della massa terrestre, nella quale è indicato un ingegnoso metodo grafico per fare il computo delle attrazioni in parola, metodo del quale il prof. Pizzetti fece più tardi applicazione per ridurre a livello del mare la gravità determinata sul Monte Bianco. Ed allo stesso ordine di ricerche appartengono in ultimo — le due Note concernenti le correzioni da far subire alle latitudini e longi- — 340 — tudini osservate per ridurle a livello del mare, intendendo che lo sposta- mento abbia luogo lungo le linee di forza del campo gravimetrico. Un altro argomento studiato con grande amore è quello della rifrazione terrestre ed astronomica. Premesso in una prima Memoria uno studio gene- rale delle traiettorie luminose, Egli determina in un secondo lavoro una espressione approssimata della rifrazione sferoidica laterale, mostrando come essa risulti dal prodotto della differenza fra azimut astronomico ed azimut geodetico per il coe/peiente di rifrazione. e dando così una ragione teorica del fatto per il quale tanto difficilmente essa può venir constatata in base alle osservazioni. Studia in un lavoro successivo la legge di variazione della rifrazione astronomica, quando si supponga che temperatura e pressione atmo- sferica siano legate dalla relazione empirica stabilita da Mendeleef in seguito alle ascensioni aerostatiche compiute da Glaisher, e dimostra infine in un’ul- tima Nota, caratteristica per acume di spirito critico, qual piccola influenza abbia il modo di variazione della densità atmosferica secondo l’altezza nel calcolo della rifrazione, e come le diverse ipotesi fatte al riguardo non pos- sano quindi condurre a risultati molto dissimili. Molti sono i lavori geodetici di carattere strettamente geometrico che studiano le proprietà metriche di figure tracciate sopra una superficie qua- lunque o sull’ellissoide terrestre, ed in particolare, dal punto di vista delle applicazioni, meritano di essere ricordati quelli che riguardano le deforma- zioni subìte da triangoli geodetici trasportati da una superficie ad un’altra conservando la lunghezza dei lati, e che stabiliscono il grado di precisione conseguibile nel risolvere i triangoli stessi. Su tali ricerche il prof. Pizzetti ritornò più volte negli ultimi anni, ed anche recentemente in occasione di una Memoria pubblicata dal prof. Se- veri, precisando i limiti superiori delle differenze fra gli elementi delle figure superficiali e quelli delle figure corrispondenti su sfere opportunamente scelte. I principali risultati delle sue ricerche Egli introdusse anche nel suo Trattuto di Geodesia teoretica che, nella sua compendiosa semplicità, co- stituisce un bel quadro sintetico delle teorie geodetiche che oggi più importa far conoscere nell'insegnamento universitario. Un quadro informato a criterî più comprensivi, e ricco di notizie bibliografiche, è l'altro inserito nella En- ciclopedia delle scienze matematiche, e già pubblicato tanto nella edizione tedesca quanto in quella francese. Nel 1901, subito dopo il suo trasferimento a Pisa, il prof. Pizzetti veniva incaricato dell’insegnamento della Meccanica celeste. Da esso traeva argomento di alcune pregiate pubblicazioni, concernenti in special modo il ‘problema degli n corpi. Per ben comprendere il valore dell’opera scientitica del prof. Pizzetti, conviene ricordare quali erano le condizioni degli stadi geodetici in Italia — 341 — 40 anni or sono. La Geodesia era un insegnamento fondamentale nelle Fa- coltà di Scienze, obbligatorio per gli allievi-ingegneri, ma di fatto non com- prendeva che i soliti metodi topografici, coll’aggiunta di poche nozioni com- plementari sulla Geometria ellissoidica. Il contributo scientifico dei docenti dell'epoca era pressochè nullo. ° Nel 1880 venivano pubblicati (nella 3° edizione) i Principii di Geo- desia del prof. Schiavoni della Università di Napoli, e questi costituivano la più alta manifestazione che si avesse allora nel campo geodetico, sopra- .utto perchè lo Schiavoni che faceva parte della Commissione per la misura dei gradi in Europa, sorta da poco, con lodevole ampiezza vi trattava il problema della determinazione delle costanti dell’ellissoide terrestre, e dava notevole sviluppo alla teoria dei minimi quadrati e loro applicazioni. Poco dopo, fra il 1883 ed il 1886 venivano pubblicati i Fondamenti di Geodesia del prof. Pucci. Essi rappresentavano un volo rispetto ad ogni pubblicazione anteriore: il problema della determinazione del Geoide vi era posto nella sua maggior generalità. ed i metodi classici per costruire le onde geoidiche rispetto all'ellissoide di riferimento, vi erano largamente esposti insieme alle ricerche originali dell'autore. In pari tempo animato dalla fede più viva, partecipe del vigoroso risveglio manifestato in quel momento da ogni attività scientifica, il prof. Pucci coraggiosamente si dedi- cava alle delicate ricerche sopra ricordate, concernenti la determinazione della gravità assoluta. Sorgeva a questa scuola il prof. Pizzetti e ne riceveva forte impulso animatore: amante dello studio, fornito di buona cultura matematica, dotato di mente lucida, l'un dopo l’altro affrontava i multiformi problemi del campo geodetico, e con instancabile attività, con lavoro assiduo che copre un pe- riodo estendentesi dal 1883 fino a questi ultimi mesi, in tutti gli argomenti portava il contributo del suo ingegno fresco e versatile. Le funzioni di professore universitario rappresentarono per il Pizzetti un sacerdozio ed un apostolato; — alla Scienza con lavoro indefesso di tutti i giorni, di tutte le ore, con un sentimento quasi di religiosa devo- zione, dedicò il fiore dell’operosa intelligenza; — agli allievi distribuì i frutti degli studî propri, per aiutarli a pervenire agli estremi confini della scienza, dai quali è possibile ai più forti spiccare il volo verso regioni an- cora inesplorate. Semplice, austero, alieno dagli onori, ma giustamente orgoglioso di appartenere alla Università pisana, per lunga tradizione tanto benemerita degli studî matematici, serenamente passò; ma il nome suo, che da oltre 7 lustri continuamente ricorre nei severi annali della Scienza, vi è oramai impresso a caratteri non perituri. HO) é 18. 20. 23. 24. — 342 — ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI del prof. Paoto Pizzetti. « Sulla curva d’allineamento ». Giorn. di Battaglini, XXI, 1283. . « Sopra un metodo per la determinazione della latitudine astronomica n. Mem. Acc. Lincei, ser. 38, vol. XV, Roma, 1883. « Sulle rappresentazioni geografiche conformi n. Nota I e II, Rendic. Acc. Lincei, luglio 1885. . « La determinazione degli azimut, metodi per l'orientamento cogli strumenti geod,: tici e topografici », pag. xIv, 271, Roma, Loescher, 1886. . « Un teorema relativo all'errore medio di una funzione di quantità determinate dal- l’esperienza ». Rend. Acc. Lincei, giugno 1886. « Sulla compensazione delle osservazioni secondo il metodo dei minimi quadrati ». Nota I e II, Rend. Acc. Lincei, 2° sem. 1887. . « Sur le résultat le plus convenable d’un système d'observations directes n. Mém. de la Soc, R. des Sciences de Liège, 2° sér., t. XV, 1887. . « Contribuzione allo studio geometrico della superficie terrestre ». Giorn. Società Letture e conversazioni scientifiche, Genova, 1887. . « Gli azimut reciproci di un arco di geodetica n. Atti Acc. Sc.,jTorino, 1888. « Sopra una generalizzazione del principio della mediaj aritmetica$». "Rend. Accad. Lincei, 1° sem, 1889. . « Sopra una certa formola esprimente la probabilità degli errori d osservazione ». Rend, Acc. Lincei, 1° sem. 1889. . « Alcune ricerche sulla probabilità a priori degli errori d'osservazione «. Giorn. di Battaglini, vol. XXVII, 1889. « Sopra il calcolo dell'errore medio di un sistema d’osservazioni”» (#Rend. Acc. Lincei, 1° sem. 1889. . « Sopra il calcolo della refrazione terrestre n. Rend. Acc. delle{Scienze,ATorino, 1889. . « Sur la théorie des observations arrondies ». Astron. Nachrichten, Bd. 124,jKiel, 1890. « Sulle traiettorie dei raggi luminosi n. Ateneo Ligure, Genova, Ciminago, 1890. . « Nota relativa alla statistica matematica ». Atti della Soc. Ligusticafdi Sc. Natur. e Geogr., vol. IT, 1891, Genova. « Sur le calcul des triangles géodésiques ». Mém. de la Soc. « Alzate » { Mexico, 1891. . « Nota relativa all’uso della così detta formola esponenziale nella statistica‘imate- matica ». Ateneo Ligure, 1891, Genova. « La legge di probabilità degli errori d'osservazione n. Rend. Accad. Lincei, 1° se- mestre 1892. . « Fondamenti matematici per la critica dei risultati sperimentali ». Un volume di pag. 214 negli Atti dell’ Università di Genova, pel centenario Colombiano, Genova, Sordomuti, 1892. . « Gli odierni studî sulla figura della terra ». Discorso letto nella solenne inaugura- zione degli Studî all’Università di Genova il 1° dicembre 1892, Genova, Martini, 1893. « Calcolo grafico delle attrazioni locali n. Atti Soc. Ligustica di Sc. nat.,yfvol. IV, 1893, Genova. « Sulla espressione della gravità alla superficie del geoide supposto ellissoidico ». Nota I e II, Rend. Acc. Lincei, 1° sem. 1894. — 343 — 25. « Sullo stesso argomento » in Astron. Nachrichten, Bd. 185, Kiel, 1894. 26. « La determinazione della gravità terrestre ed il loro presente contributo alle nostre conoscenze sulla figura della terra ». Rivista Geografica italiana, dicembre 1894. 27. « Sviluppo in serie relativo alle geodetiche dell’ellissoide di rotazione schiacciato »: Atti Acc. delle Scienze Torino, vol. XXX, 1895. 28. « Sur la réduction des latitudes et des longitudes astronomiques au niveau de la mer ». Astr. Nachr. Bd. 138, 1895. 29. « Intorno alla effettiva determinazione della superficie di livello terrestre entro re- gioni limitate ». Rend. Ace. Lincei, 2° sem. 1895. 80. « Osservazioni intorno alla Nota del prof. Nobile (abbreviazione al calcolo di una linea geodetica etc. »). Rend. Acc. Sc. tis. matem. Napoli, marzo 1896. . « Sopra un punto della teoria di Laplace relativa alla figura di equilibrio di una massa fluida rotante ». Rend. Acc. Lincei, 1° sem. 1896. 32. « Intorno alla determinazione teorica della gravità sulla superficie terrestre ». Atti Ace. Torino, vol. XXXI, 1896. 38. « Sopra nn modo di calcolare la lunghezza di un arco di geodetica date che siano le coordinate geografiche degli estremi di esso ». Rivista di Topografia e Catasto, vol. IX, 1897. 34. « Sopra alcune misure di base eseguite dall'Istituto geodetico prussiano ». Rivista Topogr. e Catasto, vol. X, 1897. 35. « La rifrazione astronomica calcolata in base alla ipotesi di Mendeleef sulla distri- buzione verticale della temperatura dell’aria ». Atti Ace. Torino, vol. XXXIII, 1898. 86. « Sullo stesso argomento ». Astronomische Nachrichten, Bd. 146, Kiel, 1898. 87. « Sui poliedri deformabili ». Rend. Acc. Lincei, 2° sem. 1898. 88. « Della influenza delle deformazioni elastiche sulla durata di oscillazione di un pen- dolo, secondo Helmert n. Nuovo Cimento, Pisa, 1898. 89. « Recensione dell’opera ‘ Einfiihrung in die math. Behandlung der Natuswissenschaften * di W. Nernst e A. Schénflies ». Boll. Bibl. e Storia delle Sc. matem. Torino, 1898. 40. « La gravità sul Monte Bianco » Nota I e II, Rend. Acc. Lincei, 1° sem. 1899. 41. « Recensione dell’opera ‘ Allgem. Untersuch. iber. das Newtonsche Prinzip der Fern- wirkungen mit bes. Ricksicht auf die elektrischen Wirkungen” di C. Neumann », Boll. Bibl. e Storia delle Sc. mat. Torino, 1999. 42. « Sul calcolo dell'errore medio di un angolo nel metodo delle combinazioni binarie ». Atti Acc. Torino, vol. XXXIV, 1899. 43. « Sulla correzione da fare alle latitadini osservate per tener conto dell'altezza dei punti di stazione sul livello del mare ». Rend, Circolo matem. Palermo, vol. XIV, 1900. 44. « Influsso della gcodesia sul progredire delle scienze fisiche e matematiche ». Discorso per la solenne inaugurazione degli studî nella R. Università di Pisa letto il 5 no- vembre 1901, Pisa tip. Vannucchi. 1902. 45. « Un principio fondamentale nello studio delle superficie di livello terrestri ». Rend. Ace. Lincei, vol. X, ser. 58, 1901. 46, « Sopra alcune recenti determinazioni della gravità nell'Oceano atlantico ». Nuovo Cimento, serie V, 7ol. IV, 1902. 47. « Sullo stesso argomento ». Rivista di Topogr. e Catasto, vol. XV, Torino, 1902. 48. « Sulla teoria meccanica della figura dei pianeti ». Lezioni litografate, Pisa, 1902. 49. « Sopra alcune equazioni fondamentali nel problema degli x corpi ». Rend. Acc. delle Scienze di Torino, vol. 88, 1903. 50. « Recensione del libro ‘ Wahrscheinlickeitsrechnung® di E. Czuber ». Boll. di St. e Bibl. della Soc. matem. Genova, 1903. 3 pes (0.0) ReNDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 47 51. 52. 58. 54. 95. 56. 57. 58. 59. 60. Dior: 69. 63. 64. 65. 66. 67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. 75. 76. — 344 — « Sull’impiego delle leghe di acciaio e nickel nella misurazione delle basi geode- tiche n. Nuovo Cimento, ser. 58, vol. VI. « Casi particolari del problema dei tre corpi ». Rend. Acc. Lincei, vol. XIII, ser. 58, 1904. « Di alcuni casi di semplificazione nella compensazione delle reti geodetiche ». Rivista di Topogr. e Catasto, vol. XVI, 1904. « Sur le problème des -n corps alignés ». Mém. de la Sociedad « Antonio Alzate », Mexico, tom. XIX, 1903. « Lezioni di geodesia teoretica n. Bologna, Zanichelli editore, 1905. « Relazione fra i momenti d’inerzia di un corpo, del quale la funzione potenziale è simmetrica intorno ad un asse ». Rend. Acc. Lincei, vol. XIV, ser. 52, 1905. « Notizie riassuntive intorno ai Rendiconti della XIV Conferenza dell'Ass. geodetica internazionale n. Riv. di Topogr. e Catasto, vol. XVII, 1905. « Intorno al calcolo della rifrazione astronomica senza speciali ipotesi sul modo di variare della temperatura coll’altezza ». Rend. Acc. Lincei, XV, 1906. « Sopra il grado di approssimazione nel calcolo dei triangoli geodetici n. Mem. Acc. Torino, LVII, 1906. « Recensione dell’opera ‘ Wahrscheinlichkeits und Kollektivmasslehre di Bruns’». Bollettino di Bibl. e St. delle Sc. mat., 1906. « Sulla questione della più conveniente lunghezza dei lati dei triangoli geodetici ». Rend. del Circe mat. Palermo, XXII, 1906. « Paragone fra due triangoli geodetici di eguali lati ». Rend. Acc. Lincei, gennaio, febbr. ed apr, 1907 e Rend. Circ. matem. Palermo, XXIII, 1907. « Commemorazione del prof. G. B. Favero n. Rend. Acc. Lincei, febbraio 1907. « Hohere Geodàsie ». Monografia nella Encyklopidie der Math. Wissenschaften ecc., vol. VI, I, 3. A proposito di una asserzione di G. B. Airy ». Rivista di Astron. e Scienze affini, Torino, I, 1907. « Le misurazioni fisiche e la teoria degli errori d’osservazione ». Riv. di Scienze, anno I, fasc. 3. « Recensione dell’opera ‘Die Ausgleiungsrechnung * etc. di F. R. Helmert ». Bollet. di St. e Bibl. delle Scienze mat. Torino, 1907. « Sulla dimostrazione di un teorema fondamentale nel calcolo delle probabilità ». Atti della R. Ace. delle Scienze di Torino, vol. XLIII, 1908. «Intorno ad un preteso errore di Galileo » Rivista di Astronomia e Scienze affini, anno 2°, 1908. « L’astronomia e la geodesia come Scienze matematiche » Discorso pronunciato nel congresso della Soc. Ital, pel progr. d. Scienze, 2* riunione, Firenze, 1908. « La massima deviazione accidentale e le osservazioni del tenente Mazzuoli sui risul- tati dei tiri ». Rend. Acc. Lincei, XVII, 1908. « Sulla media dei valori che una funzione dei punti dello spazio assume alla super- ficie di una sfera n». Rend. Acc. Lincei, XVIII, 1909. « Sul significato geometrico del 2° parametro differenziale sopra una superficie qua- lunque n. Rend. Acc. Lincei, XVIII, 1909. « Corpi equivalenti rispetto alla attrazione Newtoniana esterna ». Rend. Acc. Lincei, XVIII, 1909.. « Recensione della Memoria del prof. Venturi sulla bilancia di torsione di Estvos ». Riv. di Astr. e Sc, affini, 1909, n. 6. - « Sul teorema di Malus pei raggi luminosi curvilinei ». Rend. del Circ. mat. Palermo, tomo XXX. 77. 78. 79. 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. 89. 90. 91. 92. — 345 — « Tabelle grafiche per la risolufione approssimata di una equazione di Gauss ». Pisa, fratelli Nistri, 1910. « Intorno alle possibili distribuzioni della massa nell’interno della Terra ». Annali di matematica, tomo XVII, ser. III, Milano, 1910. « Dichiarazione della commissione per lo studio del campanile di Pisa in risposta all’architetto W. H. Goodyear ». Pisa, successori fratelli Nistri, 1910. « Commemorazione di Roberto Daublebsky von Sterneck ». Rend. R. Acc. Lincei, vol. XX, ser. 5°, 1911. « Cenno sull’opera scientifica di R. D. v. Sterneck ». Riv. Astr. e Sc. affini, vol. V, 1911. i i « Sopra il calcolo teorico delle deviazioni del Geoide dall’ Ellissoide ». Atti R. Ace, Se. Torino, vol. XLVI, 1911. « Sopra un procedimento di Helmert in un particolar caso di applicazione del me- todo dei minimi quadrati n. Rend. R. Acc. Lincei, vol. XX, ser. 52, 1911. « Rilevamento ottico del campanile di Pisa ». Annali della società Ing. e Arch. ita- liani, Roma, 1912. « Principî della teoria meccanica della figura dei pianeti », pag. XIV, 251, Pisa, E. Spoerri, 1913. « Commemorazione del Socio straniero Georgio Howard Darwin ». Rend. R. Accadi Lincei, marzo 1913. « Della probabilità nelle prove ripetute ». Rend. Acc. Lincei, vol. XXIII, 1914. « Generalizzazione di alcune formole di Sundman ». Giorn. di Battaglini, 1915. « Sul problema dei due corpi nel caso di masse variabili ». Rend. Acc. Lincei, 29° se- mestre 1915. « Sul moto di rotazione della Terra; a proposito di una recente comunicazione del prof. Cerulli ». Rend. Ace. Lincei, 1° sem. 1917. « A proposito di una recente Nota del prof. Almansi ». Rend. Acc. Lincei, 1° se- mestre 1917, « Geometria delle superficie e geometria della sfera ». Rend. Ace. Lincei, 2° sem. 1917. Il Socio senatore Fano aggiunge affettuosissime parole per onorare l’esimio estinto che aveva avuto collega nell’ Università di Genova. Il PRESIDENTE comunica che hanno inviato ringraziamenti all'Accademia per la loro recente elezione, i Soci stranieri: BarLLAUD, BoRrEL, Dyson, Goursat, HADAMARD, HaLLER, LANGLEY, LALLEMAND, LE CHATELIER, » LINDET. E. M. — 846 — DONO ALL’ ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 maggio 1918. OPERE PERVENUTE IN De AnceLIS D’Ossat G. — Applicazioni della geologia. Altri esperimenti sul- l’evaporazione dei terreni (Dry-farmino) (Estr. da le « Stazioni sperimentali agrarie italiane », vol. 41, pp. 41-55. Modena, 1918. 89. Leone S. — La lotta contro il « Traco- ma » nella Provincia di Siracusa, XIII relazione (1917-1918). Un primo espe- rimento di profilassi visiva. Siracusa, 1917. 8°, pp. 1-32-1-10. Loria G. — Guglielmo Libri come storico » della scienza (Estr. dagli « Atti della Società Ligustica di Scienze nat. e geogr. n, vol. XXVIII, pp. 1-85). Ge- nova, 1918. 89. MarcoTtta C. — La guarigione rapida della scarlattina con l’« antiscarlatti- nosa Alecce » (Estr. dal « Giornale di medicina militare », pp. 1-8). Roma, 1918480, Parona C. F. — Nuovi fossili del mio- cene di Rosignano Piemonte (Estr. dagli « Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino », vol. LI, pp. 1-8). Torino, 1916. 8°. Parona C. F. — Saggio bibliografico sulle Rudiste con indici dei nomi di autore, di genere e di specie (Estr. dal « Bol- lettino del R. Comitato geologico d'I- talia », vol. XLVI, pp. 1-78). Roma, 1917. 80. Parona C. F. — Notevole deformità nel- l'apparato cardinale di un Ippurite (Estr. dagli « Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ». vol. LII, pp. 581-588). Torino, 1917. 89. Parona CU. F. -- Del contributo portato alla litogenesi dai piccoli organismi (Estr. dalla Rivista di Scienze naturali « Natura », vol. VIII, pp. 174-205). Pavia, 1917. 8°. PARONA C. F. — Commemorazione di Fran- cesco Bassani (Estr. dal « Bollettino del R. Comitato geologico d'Italia », vol. XLVI, pp. 89-102). Roma, 1917. 89. Pubblicazioni della R. Accademia de! Lincel. Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuov: Lincei. Tomo I- XXI. ; Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. ‘2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali. È 3* MEMORIE della Classe di scienze morali storiche e flologiche. Volt -V- VIVI. VII: VIII Serie 3* — TransunTi. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fsiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — Il. (1, 2). — III-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filolegiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MemORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXVII. (1892-1918). Fasc. 9°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. - . Vol. I-XXVI. (1892-1917). Fase. 12°. MamorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. Fasc. 9. MzxorIE della Classe di scienze morali, storiche e ArViOgine: Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. Fasc. 1-6. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia è di L. £®; per glialtri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: Urrico Hog. — Milano, Pisa e Napoli. P. Mactione & GC. StrImi (successori di E. Loescher & C.) — Roma. RENDICONTI — Maggio 1918. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 maggio 1918. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sopra certe forme particolari dell'elemento lineare sferico . . . . . +. . Pag. 803 Pirotta e Bruno Ballerini. ‘Sulla costituzione e sulla distribuzione dei fiori nelle Phil- ly.rea se ina ER a a eno SÙ Corbino. Convertitore di in trifasi in dorsani continue: ae tu AN ani Brunt. Sul peso molecolare di alcuni sali sciolti nell’uretano . » . lt I MROZE Baglioni e Settimj. Sulla composizione chimica di alcuni generi ini ©. LO 30 Polara. Nuovo contributo allo studio del doppio strato elettrico al contatto del mercurio con l’aria ionizzata dai raggi di Rontgen (pres. dal Socio Riccò) . . . > » 324 4 Agamennone. Contributo alla teoria del pendolo orizzontale (pres. dal-Socio E. Milosevich) 326 Giua. I giacimenti di sali potassici di Dallol (Eritrea) (pres. dal Socio Paternò) . : . » 881 MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Bottini. Sfagnologia italiana (pres. dal Socio Pirotta). . . e Comucci. Sullo zolfo dell’isola di Taso (pres. dal Corrisp. /. an) sisi ese ee aa RELAZIONI DI COMMISSIONI | Marchiafava (relatore) e Foà. Relazione sulla Memoria dei professori Mingazzini e Giannuli avente per titolo: Contributo clinico ed anatomico patologico sulle aplasie emicerebellari » 8386 - PERSONALE ACCADEMICO Roiti (Vicepresidente). Dà annuncio della morte dei Soci prof. Ernésto Monaci e prof. Paolo Pizzetiv. . .. .. a: A È Re e e) o Reina Commemorazione del Socio TA Dior p. Pisioli SR a ORE N n) Fano Aggiunge affettuose parole in memoria dell’estinto accademico P. Pizsetti. VERE. Eoiti (Vicepresidente) Comunica i ringraziamenti inviati all'Accademia per la loro recente elezione, dai Soci stranieri: Baillaud, Borel, Dyson, Goursat, Hadamard, Haller, Langley, Lallemand, Le Chateliere\IndetN è O SCR in IA BULLETTINO ‘BIBLIOGRAFICO. Li E RE RE OTO COLO {*) Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. x SS E °, se STI RES St DE Porti ie 1 be; N. ‘Pubblicazione bimensile. © N. 10. ATUII DELLA REALE ACCADEMIA DEI CORSA ANNO CCCOCXV. 1918 StEERECERRDO SEEN RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 maggio 1918. Volume XXVII.° — Fascicolo 10° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1918 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delledue Classi, Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4!/s. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratt' gratis ai Soci 9 Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus= sivui verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto, II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamerte dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o insunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archiv dell'Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemvlato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più, che fosse richiesto, è messo a carico degli antori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di- scienze fisiche, matematiche e naturali. NN n Seduta del 19 maggio 1918. F. D'Ovipro, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Geologia. — /eperto paleolitico nell’ alluvione del Simeto {Sicilia). Nota del Socio CARLO DE STEFANI. 4 Credo che in Sicilia non siano mai stati trovati resti dell'età della pietra nell’ humus alluvionale, se non all'Acqua dei Corsari in Provincia di Palermo, località indicata dal Salinas (') e dal De Gregorio, che pur la descrisse, attribuita al Paleolitico (°). A me avvenne di trovarne in una antichissima alluvione sotto le colate basaltiche, al Mulino Scarabuccieri sul Simeto in territorio di Bronte. Il fiume Simeto, dopo avere traversato l’amplissimo Bacino alluvionale del Feudo Nelson al Ponte della Càntera si interna in un solco strettissimo e profondo circa 25 metri entro i Basalti eruttivi dell’ Etna. Questi Basalti fluenti in grande massa dalle pendici dell’ Etna, si sono avanzati, come quelli del 1603, fino al fiume Simeto e si sono arrestati ed accavallati di fronte alla montagna già costituente la sponda destra del fiume. Così è avve- nuto pure nelle eruzioni scese dalla parte settentrionale dell’ Etna fino al- l’ Alcantara. (') E. Salinas, Avanzi preistorici nel travertino nell'Acqua dei Corsari presso Pa- lermo (Rend. Acc. dei Lincei, 20 gennaio 1907, pag. 111), e altrove. (?) A. De Gregorio, Iconografia delle collezioni preistoriche della Sicilia. Palermo, 1917, pag. 48. ReNDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 48 — 348 — Per un breve tratto, passato il Ponte della Càntera, l’alveo del Simeto è interamente in mezzo al Basalte; ma poi, raccolto sulla destra il Troina e raggiunto dopo ulteriore breve cammino il terreno sedimentario, il fiume ha scelto la sua strada, per lunghissimi tratti fra il Basalte duro e resistente, alto in certi punti circa una cinquantina di metri, a sinistra, e la roccia arenacea o schistosa Eocenica, più tenera e sfattibile, a destra. Così il fiume in generale segna il confine tra la lava ed i terreni sedimentari e circoscrive a Ponente la periferia dell’ Etna. Si può dire che le colate delle successive eruzioni lo hanno spinto sempre più verso Ponente: ovvero, in altre parole, i vecchi letti del Simeto sono stati sempre più ad Oriente dei letti più re- centi e di quello attuale. Per l'appunto dopo che il fiume è uscito dalla stretta del Basalte, circa rimpetto alla Casa Rizzo, sulla destra ivi non ripida ma disposta a leggero pendìo, a poco più d'una diecina di metri sul fiume è rimasto un piccolo lembo del Basalte in situazione orizzontale, alto pochi metri, posato sopra l'arenaria, però con intermezzo di un banco di ghiaie. A sinistra invece, dalla parte donde il Basalte fluiva, questo occupa tutta la parete in fondo alla quale non apparisce la base arenacea. Si vede dunque che prima del- l'eruzione il piano alluviale circostante al Simeto arrivava in quel punto fino al pendìo di destra; che ivi era un ripiano terrazzato rispondente ad un letto più antico e più alto del fiume; che il pendìo scendeva da Ponente a Levante; che il letto del fiume nel tempo della eruzione era anche: più profondo di quello odierno e non era in quel punto dove è ora perchè, in- fatti, dovea trovarsi più a Levante; che finalmente la eruzione basaltica lo ha riempito e soverchiato: Poco più a valle, al Mulino Scarabuccieri, mentre sulla destra il pendìo, ivi assai ripido, è di arenaria molto silicea, a sinistra è di Basalte; ma sotto questo compaiono due lembi isolati dell'arenaria, uno piccolo a monte, uno più grande a valle. Altri lembi consimili più bassi seguitano a trovarsi a valle qua e là. Limitandoci ai due lembi predetti, essi si presentano nella parete con forma più o meno irregolare ma in so- stanza di piramide troncata verso il fiume con sezione su per giù triango- lare, ampia alla base, ristretta al vertice. Il lembo più grande si innalza una ventina di metri sul greto del fiume ed è ampio una cinquantina di metri: il più piccolo si alza pochi metri. Sopra quest’ultimo, come nello spazio intermedio fra i due, i banchi delle successive colate basaltiche sovrapposti si presentano sufficientemente regolari e presso a poco orizzontali. Invece intorno e sopra al lembo mag- giore di arenaria vedonsi prima massi avventizî di Basalte franati o spinti da più lontano luogo, forse di eruzione più antica, che ad ogni modo pre- cedettero la corrente lavica. Questi formarono per vario tempo la superficie del terreno perchè sono coperti da suolo campestre, si direbbe da humus, cui succedono grandi massi lavici, scoriacei, accatastati, indi la grande cor- — 349 — rente lavica, irregolare, appunto come se avvolgesse l’ostacolo incontrato e come se in certi punti formasse una cascata dalle parti alte di questo verso i lati rimasti liberi. Nel complesso l’arenaria è coperta da circa 14 m. di Basalte. Evidentemente in quel punto la lava ha incontrato l'estremo limite della valle e si è arrestata. La faccia esterna, che è quella occidentale, dei due lembi arenacei, non presenta altra traccia che non sia quella dell’azione corrosiva del fiume. Esaminando il contatto fra l’arenaria ed il Basalte verso la parte interna del poggio. e sarebbe sulle superfici rivolte ad Oriente e sottoposte al Basalte si vedono queste incavate e corrose come fossero già state soggette ad acque correnti od a sfacimento atmosferico. Nella parte inferiore del lembo più alto e più grande, fino a circa 15 metri sul fiume, fra l’'arenaria ed il Basalte si vedono delle ghiaie della stessa natura di quelle del Simeto attuale. Nella parte più alta queste ghiaie non si vedono più. Il lembo di arenaria più piccolo e completamente sormontato dal Basalte si presenta nello stesso modo. La sua parte orien- tale, per l'appunto ben messa allo scoperto da un vecchio meandro del fiume, mostra che la roccia sedimentare era ed è tutta coperta di humus o terra con ghiaiette isolate, non abbondanti, lentiformi, delle solite rocce, special- mente di arenaria, non però di Basalte, per modo che non apparisce vi sia stato un vero letto recente del fiume, bensì il suolo di un antico ripiano . alluvionale terrazzato. Sopra questa terra e sopra l’arenaria si riversò il Basalte. Le ghiaie sovrapposte ai lembi di arenaria, ad Oriente, dalla parte di Bronte, mostrano che quelle arenarie non sono che segmenti dei contrafforti i quali cingevano, ad Occidente, la destra dell’antico Bacino del Simeto e si connettevano con le pendici tuttora esistenti a destra dell'alveo attuale. Il fiume, facendosi strada nella direzione attuale, per causare il Basalte ha dissecato quello che era l'antico contrafforte di destra prima dell'eruzione e tagliandolo in due ha lasciato la parte montuosa sulla nuova destra e delle piccole fette sulla sinistra. Si può ripetere che prima dell'eruzione il Simeto correva più ad Oriente di oggi, che una piana cingeva il territorio nel quale il Simeto divagava senza alveo costante e certamente senza argini e che il suo letto era allora più profondo di quello di oggi ('). Torniamo al più piccolo lembo di arenaria del Mulino Scarabuccieri ed all' humus con ghiaie che sono nel suo lato orientale. Essendo il materiale terroso, sebbene alquanto indurito a contatto della roccia eruttiva, disgregabile, poco a poco si è sfatto e vi si è formata una cavità, una specie di bassa e piccola grotta a livello del fiume col Basalte (*) Ciò combina in tutto con quello che il Lyell dice e figura della escavazione del Simeto a traverso le lave del 163 \C. Lyell, Principles of Geology, 112 edizione, vol. 1, pag. 8 2. fig 27). — 350 — per tetto e l’arenaria per parete occidentale. In mezzo alla terra scavai uno strumento litico in quarzite durissima di quel tipo di-roccia che accom- pagna talora le arenarie dell’ Eocene o Miocene inferiore che sia. È una specie di raschiatoio, di tipo paleolitico. Somiglierebbe a quell’arnese che De Gregorio (loc. cit.) chiama raschia- toio in selce della Grotta dei Puntali presso Carini (tav. 110, fig. 46) ed all'altro, detto nucleo laminare pure in selce, attribuito al Paleolitico della Grotta di Natale presso Termini (tav. 21, fig. 5). È grosso al più mm. 8: ha mm. 72 di massima lunghezza. ad apice triangolare da una parte, base spianata dall’altra; da un lato pianeggiante, appena convesso, dall’altro pure, ma scheggiato presso l'apice, con uno dei margini quasi rettilineare, l'altro formato ad accetta. È largo mm. 44 dalla parte rispondente, si direbbe, all’accetta o apice; mm. 22 da quella rispon- dente alla impugnatura o base. Il nostro oggetto, di evidente lavorazione umana, è rivestito di sottilis- sima, irregolare concrezione calcitica, prodotto di decomposizione della roccia circostante, che pure attesta la sua antichità. Non avevo arnesi adattati, nè tempo per eseguire uno scavo, che era fuori del mio scopo; ma è probabile che là si trovino altri oggetti consimili. Si sarebbe potuto supporre cne la grotta esistesse da tempi preistorici e fosse abitata da chi lasciò quel ra- schiatoio: ma questa supposizione è da escludere perchè la cavità, la quale si va lentamente ingrandendo tuttora, è troppo piccola e troppo recente e sopra tutto perchè lo strumento fu raccolto da me stesso a dirittura nella serra indurita. Esso non dovette essere trasportato dalle acque nel letto di un fiume, bensì fu abbandonato sul suolo da uomini che abitavano le sponde del fiume stesso sopra un terrazzo adiacente ed alquanto più alto dell'alveo ehe il fiume percorreva quando avvenne l'eruzione. L'eruzione di data ignota del Basalte che raggiunse il Simeto è dunque antichissima, non però preistorica. Scartorius von Waltershausen e von Lasaulx LoEoTO che la lava sulla quale è fabbricata Bronte, scesa fino al Simeto e ricoprente lave più an- tiche, sia un ramo settentrionale della grandiosa sczara degli Zingari d'età non precisata. Sopra un ramo meridionale di questa sarebbero state trovate lampadine greche o romane. Perciò l'età del Basalte di Scarabuccieri sarebbe fra il Paleolitico e l’èra storica greca o romana. — 351 — Ottica. — Sulla mamera di stabilire le formole fondamen- tali dell’ordinaria teoria della diffrazione. Nota del Corrispondente O. TEDONE. 1. Questa Nota si ricollega naturalmente all'altra avente per titolo: Sul principio di Huygens in un campo elettromagnetico, pubblicata in questi stessi Rendiconti (*) e ne costituisce, si può dire, il completo sviluppo. Il principio di Huygens è stato introdotto nell’ottica, principalmente, con lo scopo di giustificare, con sufficiente rapidità e generalità, le leggi fondamentali dell'ottica geometrica, nell'ipotesi ondulatoria, e di ottenere i fondamenti per una trattazione approssimata dei fenomeni di diffrazione. Com'è noto, questo principio, di origine intuitiva, è stato, poi, sostituito dal Kirchhoff, per raggiungere sempre gli intenti sopra indicati, con la for- mola che porta il suo nome e che egli dedussé dall’equazione dei poten- ziali ritardati alla quale, qualunque sia la teoria ottica che si adotta, sod- disfano le componenti del vettore /uce. Noi pensiamo che i risultati ottenuti partendo dal principio di Huygens, o dalla formola di Kirchhoff, restino meglio inquadrati nella teoria elettromagnetica della luce, o, almeno, che l'esposizione delle varie quistioni dell'ottica, dal punto di vista di questa teoria, raggiungano una maggiore uniformità, sostituendo alla formola di Kirchhoff le formole riportate e ridimostrate nella Nota citata e che stanno, con le equazioni di Maxwell del campo elettromagnetico, nella stessa rela- zione in cui la formola di Kirchhoff sta con l’equazione dei potenziali ritardati. Ed è ciò che, precisamente, ci proponiamo di fare nella Nota seguente. 2. CENTRO DI SCUOTIMENTO ELETTROMAGNETICO. — Supporremo che i fenomeni elettromagnetici avvengano in un dielettrico omogeneo ed isotropo (in particolare, nell'aria, o nel vuoto) ed indicheremo con e e « la costante dielettrica e la permeabilità magnetica di esso. Se, inoltre, indichiamo, come al solito, con c la velocità della luce nel vuoto, con C= ia la velocità della luce nel nostro dielettrico e con p un vettore i l'argomento PRATI t essendo il valore del tempo ed ,, la distanza di un punto fisso A, =(%0,%o;40) ad un punto variabile (£, 7,6), i valori del vettore forza elettrica &, e di quello forza magnetica D,, prodotti nel (1) Vol. XXVI, ser. 5°, seduta 4 marzo 1917. — 352 — punto (£,7,î) da un centro di scuotimento situato in Ay, potranno essere rappresentati dalle formole e) ME RE I) (1) &=rot AUT 4 n a = EV rot nelle quali, com'è chiaro, le operazioni rot, 4° ecc. devono esser fatte rispetto alle variabili £,7,. Un campo elettromagnetico: come il prece- dente si attribuisce alle vibrazioni di un, così detto, dipolo di cui p rap- presenta il momento. Se indichiamo con p' e p” le derivate prima e seconda di » rispetto (CE possiamo porre le (1) anche sotto la forma all'argemento ct — 0 Vor (+ 0r)+: 7 —_.È "Al (+37 av+ter)]= = plr+tr+tr)+ +asfox(+3pr+ i) | n=-]/£1 73 A (v+ iv) in cui v sta a rappresentare il vettore unitario di componenti | i | | | dlo Do do DE*STAN 3. CENTRO LUMINOso. — Un centro di scuotimento elettromagnetico sì dirà un centro luminoso quando può comunicare al mezzo circostante vi- brazioni di lunghezza d’onda così piccola da potersi considerare praticamente come infinitamente piccola, come accade per le lunghezze d'onda corrispon- denti alle varie radiazioni luminose, e consideriamo il centro di scuotimento solo in quanto emette queste vibrazioni. Ora, se le (1), o (1’), rappresen- tano una vibrazione armonica, il vettore ») è proporzionale a +9) T 008 7 (1- Ta 4 19) = cos (7 il fattore di proporzionalità essendo un vettore finito e costante, T indi- cando il periodo e 4 la lunghezza d'onda della vibrazione considerata. Ne viene che, in questo caso, i termini delle (1’) che contengono p,p',p" a fattori, stanno fra loro come SA — 3583 — per cui, se 7, è finito e 4, come s'è detto, infinitamente piccola, i termini prevalenti in (1’) sono quelli che contengono p"” e possiamo, perciò, sosti- tuire le (1’) con le l I ; 7 Aa pei aerei vs a = VE rob”. Queste formole rappresenteranno, quindi, il centro luminoso A,, e, da esse, discende “ & 7 E deg $ i == sei $ (3) i e CRANE "900 Vi IAS: 4. PRINCIPIO DI HUYGENS IN UN CAMPO ELETTROMAGNETICO. — Riportiamo qui la dimostrazione delle formole che rappresentano il principio di Huygens in un campo elettromagnetico, data nella Nota citata, per appor- tarvi qualche modificazione che può avere importanza espositiva. Si abbia, dunque, nel dielettrico di cui abbiamo parlato in principio, un campo elettromagnetico ed indichiamo con G(£,7,6,7) , O(È,7,6,7) i due vet- tori, forza elettrica e forza magnetica, che caratterizzano il campo. Conside- riamo in esso una regione S limitata da una superficie o regolare e dentro alla quale i due vettori & ed $ sieno finiti e regolari. Supponiamo, dap- prima, che la regione S sia finita; sia A=(x.y,) un punto interno a questa regione ed indichiamo con r la rice di A da un altro punto variabile di coordinate #,7,. Se racchiudiamo, allora, A con una super- ficie @ interna ad S che potremo sempre supporre sia una sfera col centro in A, chiamando S' la regione compresa fra o ed @, potremo scrivere, come nella Nota più volte citata, le due relazioni do SEG) ]5 ; ed r do eee MUST c) Ce) dS x di =— — lee AE e rot f, 7A d (‘ C CONS CO (e 4) In queste formole i vettori & ed £ sono quelli che definiscono il campo er, i x da r elettromagnetico in'cui, al posto di 7, compare l’unico parametro £ — to che abbiamo messo in evidenza, £ essendo un valore fissato del tempo; n è — 354 — un vettore unitario normale a o ed «, diretto verso l’ interno di S'; e l’ope- razione rot s'intende, naturalmente, eseguita sulle variabili x,y,4. Se, ora, come nella Nota citata, eseguiamo sulla prima delle relazioni precedenti, l'operazione rot, sulla seconda l'operazione Do e sottragghiamo, poi, la prima dalla seconda, troviamo —rot f_ | 6 (È n Jan | = EI f. |5(- car v_ ari db. x r wa AR 5 n von 2), 7 (ig) tera div ÉSI3) i E, se, come supponiamo, non esistono all’interno di S masse elettriche, il secondo membro si riduce a do |. r sl AT | grad { = e(( ALS ed abbiamo i A do do rst [| E(1-3)an]E+ 5 00 |® ((glao —gmà f | C( lc )xa]f= Vogliamo, ora, in questa formola, far tendere a zero il raggio della sfera a. Si noti, verciò, che, indicando con v il vettore unitario di componenti dr dI I de dmn UÙ limite dell'insieme dei termini che, nel primo membro dell'equazione pre- cedente, contengono integrali estesi alla sfera « quando il suo raggio tende a zero, basterà considerare soltanto quelle parti degli integrali stessi che compaiono nel primo e terzo termine e che si ottengono eseguendo le ope- sulla superficie sferica @ è n= vr; e che, volendo cercare il DIE i il de: razioni rot e grad sul solo fattore ni le altre parti avendo per limite zero. I termini da considerare sono, quindi, do Pak Sr (EADATT È _ JE (EX n) Z2-_f ci (24 il vettore (&, in questa equazione, dovendosi sempre ritenere funzione delle variabili d'integrazione #,7,6 e di t-G- Ed, al tendere a zero del raggio di @, essi tendono a — 4r6(02,7,8,1). NGN,” e — 355 — T'enendo conto della formola analoga in $ che si può ottenere dalla precedente scambiando i due vettori E ed I fra loro ed «,w con —u, — 8, si potranno scrivere le due seguenti formole 4n&(x,Y,3,t)= — rot F[S( =) ]7+ de; +52 [[s (27 )an PF gra S[E( t-G xa] 4r9(x,y,8,t)= — rot { NSX nr i do 3 [ela ni | gna f| 51 x a Ad esse si può dare anche la forma seguente 4nE(x,y,2,t)= [tea] na( T C+6) |- VE: Ln A9 —i[ux(7 E +5) | , e It C 4r5(2,Y,2,1)= (tea un (30+ eds )]}+ er + i i +J/E pun —i|x(g Di +9) Ji n: ; nelle quali gli accenti su & ed 5 indicano derivate rispetto a 7. Le (4) e (4) che scno dimostrate nel caso in cui S è finita, valgono anche nel caso in cuì S si estenda all'infinito e sia limitata al finito da una superficie o chiusa ed anche nel caso in cui o si estenda indefinita- mente se il campo elettromagnetico esiste solo in una regione finita dello spazio, 0, più generalmente, se & ed 5 si annullano all'infinito di ordine (4) (4) pa 38 i 3 1 "i i s superiore ad mil gli integrali che compaiono nelle nostre formole conservano un significato. Di ciò ci si convince facilmente con i soliti procedimenti. Se all'insieme dei valori di &,5 e delle derivate prime di questi vettori, rispetto al tempo, in un punto, diamo il nome di condizioni elet- tromagnetiche in questo punto, possiamo dire, a causa delle (4), o (4’), che le condizioni elettromagnetiche in un punto A, interno ad una regione S limitata da una superficie o, al tempo #, sono completamente determinate dalle condizioni elettromagnetiche nei varii elementi di o agli istanti ante- cedenti (3; r essendo la distanza di A dall’elemento variabile della superficie. | Renpiconti. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 49 — 356 — Se i due vettori & ‘ed $ continuano ad essere regolari in S, ma il punto A è esterno ad S, i secondi membri delle (4) o (4’), sono eguali a zero. E questa osservazione, insieme alle (4), o (4') stesse, mostra che, se & ed 5 sono regolari in tutto lo spazio per ogni valore del tempo da — co a t, & ed $ non possono avere che il valore zero in tutto lo spazio e per tutto l'intervallo di tempo considerato. 5. COMPLEMENTI AI RISULTATI PRECEDENTI. — Crediamo utile aggiun- gere ai risultati precedenti le seguenti osservazioni per quanto esse possano considerarsi, in parte, estranei allo scopo particolare che ci siamo proposti di raggiungere. pe Supponiamo che il campo elettromagnetico sia noto all’ istante 7 = 0 e supponiamo, per maggiore semplicità, che questo campo sia indefinito. Vuol dire che all'istante 7 =0 sono noti i due vettori E(£,7,5,0), (£,7,î,0) in tutto lo spazio. Allora il campo stesso è determinato in tutto lo spazio ad ogni istante £ successivo all'istante iniziale e le formole che lo determinano si possono ottenere subito dalle (4). Se supponiamo, infatti, che o si riduca, intanto, ad una sfera di centro A, suc è n=—r e la prima delle (4'), p. es., diventa 1 dnbles psi d= [{LO+6+]/ ET nd) Basta ora supporre che il raggio di questa sfera sia variabile ed eguale a Ct perchè la quistione propostaci sia completamente risolta dalla formola precedente e dalla analoga in I. Dalle formole (4), o (4), si ricavano subito altre formole che valgono nel caso in cui & ed 5 hanno la forma CE, (TUE) SE) BE, k essendo una determinata costante, e, quindi, il campo elettromagnetico è quello determinato dal propagarsi di una sola vibrazione armonica. Sosti- tuendo, infatti, p. es., nella prima delle (4), per E ed ©, i valori prece- denti, e separando, poi, la parte reale dalla parte immaginaria, si ottengono le due relazioni 4n1%U(e,4y,2)=— rob f (810) )cos(tr) di k \do k \do De LA PA, 9 Sa +42 [ (BAn) sen (3 a È grad f (Xn) c0s(£ r) i) di rot (Xn) sen (È r) È + +eE f.( (BAN) )cos(& .- {grad (( Ann) )sen(G” i Altre due formole analoghe si otterrebbero dalla seconda delle (4). — 357 — 6. ESTENSIONE DELLE FORMOLE CHE RAPPRESENTANO IL PRINCIPIO DI Huy6ens. — Supponiamo, adesso, che nel campo elettromagnetico sia C=C+E , Daf +3 &, ed So essendo i vettori dati dalle (1), ovvero (1’), e quindi diventino infiniti nel punto A, che supporremo interno ad S, mentre &*,$* sieno regolari almeno nella regione S che continueremo a supporre limitata dalla superficie 0. Per poter scrivere le nostre formole, in queste nuove ipotesi, escluderemo il punto Ag da S per mezzo di una sfera f di centro A, e interna ad S. Potremo scrivere allora, senz'altro, le (4°) purchè le integra- zioni che compaiono nei secondi membri di esse sì intendano estesi alla superficie o ed alla sfera #8. Notiamo, poi, che su f è n=v e, quindi, 1 YA È r? 7 3 9 P 7 Car=tunlrtort+toar) coxnefux(r+2r), DAU= De di Ri (++ to[ 1X(0+ 5 1) ]f ooie01 Per cui, andando al limite, facendo tendere a zero il raggio della sfera f. si trova Ì 5 AE Lim } (CAM z7 aLe TREO: lea) do 87. C Mi SENT a ca rire res o u 92 2) io eee nica ro=0 SB 9) e 30 | ud R ; indicando con R la distanza dei due punti A, ed A. E l'insieme dei ter- mini, nel secondo membro della prima delle (4), che contengono integrali estesi a #, ha per limite »((—-3) Dior Mecb ) on cReto (3 + 2 grad div ù Co i = 4x7 rot? n | a o ? 3 eli mentre il complesso dei termini analoghi che compaiono al secondo membro della seconda delle (4) converge a Dalle (4') deduciamo, così, le formole in (C(2,y1,9)—Gl2,9,2,09= [}a| (gC+)|- a l C n hi CAP È T (SI È do Viano (0+9) Ji 7? ir [O (e 19151) Dale y1 5, 0)= fr] n (59+9) ]+ Ji do bezt_t PAS; 7. APPLICAZIONE DELLE FORMOLE PRECEDENTI ALLA DETERMINAZIONE DI CAMPI ELETTROMAGNETICI. — Supporremo, intanto, che il campo elet- tromagnetico esista nel vuoto, o nell'aria, per cui sia da porsi, in tutte le nostre formole, #«=u=1,C= ce, e sia determinato da un centro di scuo- timento elettromagnetico Ao. Se, allora. nell'interno del campo viene intro- dotto un corpo estraneo, il campo viene, ordinariamente, modificato tanto all’interno che all’esterno del corpo introdotto. E la determinazione del campo elettromagnetico all’interno del corpo estraneo, come la determina- zione contemporanea del campo aggiuntivo all’esterno di esso, è un problema di solito complesso. La quistione si semplifica. nel caso in cui il corpo estraneo introdotto nel campo elettromagnetico è completamente assorbente tale, cioè, che trasforma in energia termica tutta quanta la energia elet- tromagnetica che viene a contatto con la sua superficie. In questa ipotesi & ed S si possono considerare noti, ad ogni istante, su tutta la superficie del corpo introdotto nel campo, e, precisamente, assumeranno i valori che avevano nel campo primitivo su tutti ì punti di questa superficie che guar- dano il centro di scuotimento A, i valori zero in tutti gli altri punti. Nel- l'interno del corpo estraneo il campo elettromagnetico è nullo; all'esterno & ed © assumono i valori determinati dalle (5) nella ipotesi che le integra- zioni, ai secondi membri, sieno estesi alle porzioni della superficie del corpo esterno che guardano A, e, sotto gli integrali, per i valori di & ed $, si assumono i valori di essi dovuti al centro A, di scuotimento. 8. CASO DEI FENOMENI LUMINOSI. — Quello che abbiamo detto fin qui è applicabile ad ogni specie di fenomeni elettromagnetici. Nel caso, poi, in cui î fenomeni elettromagnetici diventino fenomeni luminosi e le grandezze (9) r fer SRO S' $ + ONE i) Mo, COTTO — 359 — che in essi compaiono sono dello stesso ordine di grandezza di quelle cor-. rispondenti che compaiono nei fenomeni luminosi, nei secondi membri delle (4) e (5), sotto gli integrali, si possono trascurare i termini che contengono a fattore & ed $ rispetto a quelli che contengono © ed S' e si può porre, in essi s=u=1,C=c se, come vogliamo supporre, si tratti sempre di un campo elettromagnetico esistente nel vuoto o nell'aria. Le considerazioni del numero precedente si possono estendere al caso attuale. E, se abbiamo un centro luminoso nel punto A, a causa del quale sia, nel punto (£, 7,6), ” & 1 mr a TOA(COAP) » Dom — TAP È 1 “= e roc 9 0 p” essendo la derivata seconda, rispetto a 7, di un vettose p funzione di E,7,6,t, e introduciamo, poi, nelle vicinanze del punto luminoso un corpo — perfettamente nero (cioè perfettamente assorbente rispetto alle radiazioni luminose), le condizioni ottiche fuori del corpo nero si possono ritenere de- terminate dalle (5) dopo aver introdotto in esse le precedenti semplificazioni, purchè gli integrali s'intendano estesi soltanto alle porzioni della superficie del corpo nero che guardano il centro luminoso e sì sia posto, in questi integrali E, o al posto di & ed 5. Notando che, in queste ipotesi, & = — To \Do , De = ro,\Eo , le formole (5) si possono scrivere mi I , vd do E=G, + ro I rA(MAC) — nA(reAEo) — rn x E) ol a (6) 1 ) do D = Do + mJ r\(nA\Do)— nA(reAD6) Gia r(n Xx Do) LA x” i Cc e, quindi, salvo il nome del vettore che compare in ciascuna di esse, diven- tano identiche. Tenendo conto della relazione rA(nAE)= nr XE) — Ei cos Fn in cui 7 indica la direzione della normale a o, e di formole analoghe, la prima delle (6) che, soltanto, vogliamo prendere in considerazione, si scrive (7) E=G +71, | (cossoà — cosi) Co — (r+ vo) (MX C) + nr x EN! MI, de. SO Supponiamo, ora, che il nostro centro luminoso emetta luce monocroma- tica corrispondente al periodo T ed alla lunghezza d'onda 4=cT e che — 360 — quindi il vettore p sia proporzionale a cos 277 (n-3+9) Potremo allora porre (&, sotto la forma &= 77 008 i Cna 8) a essendo un vettore costante, finito e normale ad x, e ritenere la intensità luminosa, corrispondente a questa luce, proporzionale ad a (7) di- a? ri e L venta allora (8) C=E— gi ) (cos #0à — cos) a — (r +10) (MX.a) + +n(eXa){sen2a(1— {tr 4g) È ? A questa formola, invece che a quella di Kirchhoff, si possono collegare, ‘sotto forma quasi immutata, le considerazioni che lo stesso Kirchhoff fa nella seconda, terza e quarta delle sue Vorlesungen tber mathematische Optik, per giustificare le leggi fondamentali dell'ottica geometrica. 9. SUI FENOMENI DI DIFFRAZIONE. — Supponiamo, in fine, che il centro luminoso A, sia separato dal punto d'osservazione A da uno scherma perfettamente nero nel quale sia praticato un foro di dimensioni così piccole che, su tutta una superficie passante per il suo contorno, si possano ritenera, senza errore sensibile, costanti r, ro, n," e r,. Nella ipotesi che la con- giungente A,A passi nelle vicinanze del contorno del foro si produrranno fenomenti di diffrazione; ed, in tutte queste ipotesi, potrà porsi anche ZN ZN r+r=0 , rtXa=0 , coonn=—cosra, per cui, dalla (8), abbiamo ZN (9) e= Sela f sen (a +6) de e (i) che è, precisamente, la formola da cui si parte per lo studio dei fenomeni di diffrazione. — 361 — Fisiologia. — « L’ergoestesiografo ». Un apparecchio desti- nato a rappresentare graficamente le attitudini a regolare gli sforzi muscolari. Nota del Corrispondente G. GALEOTTI. A tutti è noto quanta incertezza esista ancora per riguardo a quel senso non ben definito, che ci permette di apprezzare l'estensione e la forza dei nostri movimenti (senso muscolare, senso articolare e tendineo, sensibilità profonda) in modo da regolarli secondo le azioni che vogliamo compiere. Questa incertezza comprende tanto i criterî scientifici dall'argomento, invero molto complesso, quanto i metodi che si possono applicare per indagarlo. Sappiamo, per le semplici osservazioni della vita quotidiana, che le aé- titudini muscolari individuali sono molto diverse. Alcune persone son capaci di eseguire, con grande destrezza, agilità e perfezione, tutti i loro movimenti, regolando in modo preciso le contrazioni dei muscoli, adeguatamente allo scopo che vogliono raggiungere. Altre persone, invece, goffe e maldestre, non sono capaci di questa precisione di movimenti e i loro atti sono sempre sproporzionati al fine a cui son diretti. È vero che l'esercizio e l'allenamento possono modificare assai le capa- cità muscolari di queste pers ne, ma non di meno si può con sicurezza af- fermare, che le buone attitudini cinetiche sono attitudini congenite, le quali dipendono da complesse condizioni di costituzione del sistema nerveo-musco- lare e riguardano contemporaneamente organi di senso ed organi centrali. Occupandomi della scelta fisiologica dei candidati all'aviazione, pensai di trovare un modo per investigare 1l grado di attitudine muscolare, di cui ciascun individuo è congenitamente dotato; poichè è facile comprendere quanto sia necessario scegliere i piloti tra le persone, che hanno la capacità di re- golare in modo perfetto ì proprî movimenti. A tal fine ho ideato l'istrumento, che ora passo a descrivere e che ho chiamato ergoestestografo. Esso deve appunto servire a rappresentare l’at- titudine, che ha un individuo, a regolare il proprio sforzo muscolare, in modo adeguato alla sensazione delle resistenze esteriori. L'apparecchio è rappresentato nella fig. 1. Su di un robusto tavolo è imperniata una leva a braccia disuguali. Sul braccio più lungo A (lungh. cm. 60) scorre un manicotto 2. che porta un uncino, a cui è attaccato un peso, e unasticella C, la quale serve a far scorrere il manicotto e il peso su questo braccio della leva Sul braccio corto della leva agisce un'altra leva D, azionata da un manubrio. RENO GOTI Un'occhiata alla figura basta per far comprendere come, spingendo il manubrio in avanti, si faccia innalzare il braccio A della leva principale. A questa leva è congiunta una penna £, la quale scrive sul cilindro rotante le vibrazioni della leva medesima. Un'altra penna G, unita ad angolo retto con l'asticella /, la quale oscilla, per una trasmissione con filo e carrucole, a seconda del movimento del manicotto B, scrive sullo stesso cilindro le escursioni del peso su A e quindi le variazioni della resistenza. F16. 1. — L’ergoestesiografo. Soggetto ed osservatore si dispongono come si vede nella fig. 2. L'osservatore, per mezzo dell'asticella C, fa scorrere ritmicamente il ma- nicotto 8. Il soggetto, ad occhi bendati, impugna il manubrio e, sentendo le variazioni della resistenza, dovute allo scorrimento del peso, deve opporsi ad esse col regolare la propria forza muscolare, in modo da mantenere sempre orizzontale il braccio di leva A. Sul cilindro le penne scrivono due curve: una a grandi oscillazioni re- golari, le quali rappresentano le variazioni della resistenza, e questa chia- merò curva della resistenza; l'altra rappresenta le vibrazioni, le incertezze e gli sbalzi dei muscoli, che tentano di compensare le variazioni della re- sistenza. Questa curva si può chiamare curva muscolare. L'esperimento si fa in generale in due modi. Il soggetto si pone come nella fig. 2, e allora i lievi movimenti che fa sono antero-posteriori: ho chiamato questa, 1* posizione. Ovvero il soggetto si pone lateralmente al tavolo: il piano in cui oscilla la leva A è perpen- — 363 — dicolare all’avambraccio e il soggetto fa piccoli movimenti di lateralità : ho chiamato questa, 2 posizione. Nella prima posizione l'esperimento è più facile e le curve muscolari sono sempre più regolari di quelle ottenute nella seconda posizione. Altri dati riguardanti questi esperimenti sono i seguenti: PILA Fre. 2. — Come si dispongono osservatore e oggetto per un esperimento. Il peso di carica è di Kg. 2 per la prima posizione, di Kg. 1 per la seconda. Le variazioni della resistenza vanno da Kg. 12 (apice inferiore delle oscillazioni nella curva della resistenza) a Kg. 2 (apice superiore delle oscil- lazioni nella curva della resistenza) nel primo caso, da Kg. 6 ad 1 nel secondo. Le escursioni del peso son fatte in modo, che ogni oscillazione ha un periodo di circa 10 secondi. RenpICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 50 — 364 — Con questo apparecchio ho ottenuto già un grande numero di tracciati e si può dire che questi tracciati hanno un. ipo persoriale, come un tipo personale hanno gli ergogrammi, ottenuti con l'apparecchio del Mosso. Ho sperimentato con ‘diverse persone: -con individui non abituati ad alcun ge- nere di lavoro muscolare, con persone abituate a .sport diversi, che richieg- gono destrezza e agilità di movimenti, e cioè con cavallerizzi, motociclisti, automobilisti e aviatori. Naturalmente è sovratutto a questi ultimi, che si è Fre. 3. — Una duona curva ottenuta da un bravo pilota. rivolta la mia attenzione, ed ho potuto sperimentare su un certo numero di piloti, per verità ancora non troppo grande. Ho constatato con soddisfa- zione, che le migliori curve sono state ricavate appunto da aviatori provetti, che avevano fama di grande abilità, mentre curve non tanto buone mi sono risultate da piloti e da allievi poco sperimentati. Curve assai buone ho pure ottenuto da persone abituate a cavalcare, probabilmente perchè addestrate a mantenere le redini, con adatte contrazioni dei muscoli del braccio e del- l'avambraccio, in uno stato di giusta tensione. Cosicchè, in questo riguardo, l'apparecchio si è dimostrato corrispondente allo scopo e cioè capace di mettere in evidenza le buone o cattive attitu- dini muscolari degli individui in esperimento. — 365 — Teoricamente, da un individuo con meccanismi nervo-muscolari perfetti, e cioè capace di compensare in ogni istante le variazioni della resistenza con l'aumentare e col diminuire della contrazione dei suoi muscoli, si do- vrebbe ottenere una semplice linea orizzontale. Ma in realtà ciò non avviene, e ciascun soggetto segue un poco le oscillazioni della resistenza, cosicchè anche una curva muscolare buonissima presenta un andamento ondulato. Riserbando le mie conclusioni definitive, dopochè avrò raccolto un ma- teriale ancora più ampio, posso tuttavia già dare alcuni cenni su diversi tipi di curve da me ottenuti. Fie. 4. — Una cattiva curva, ottenuta da una persona con insufficienti attitudini muscolari. In queste curve è da osservare: a) l'andamento generale della curva. Nei casi migliori la curva mu- scolare si mantiene in una zona mediana del tracciato: ciò vuol dire che la persona in esperimento è capace di apprezzare e di mantenere l’orizzonta- lità della leva. Negli altri casi aleune persone fanno curve, che regolarmente e continuamente discendono: queste persone cioè non si accorgono che la tensione dei loro muscoli va a poco a poco cedendo; altre persone invece fanno curve che continuamente salgono, cioè esse reagiscono alle variazioni della resistenza con un sempre maggior sforzo muscolare. In generale il tipo discendente o ascendente della curva permane nella stessa persona, anche quando sì ripeta molte volte l'esperimento. — 866 — b) l'altezza delle oscillazioni principali. Le curve migliori sono quelle, in cui le oscillazioni principali sono uniformi e poco alte. Curve me- diocri sono quelle, in cui le oscillazioni principali, pur essendo uniformi, sono molto alte: questo vuol dire che il soggetto segue troppo le variazioni della resistenza, cioè non è capace di compensarle immediatamente. Curve peggiori sono quelle, in cui le oscillazioni principali non sono uniformi, ma assai va- riabili in altezza. c) la presenza di dentellature e di sbalzi. Questo è il fatto più importante da considerarsi. Nelle curve ottime le dentellature sono piccolis- sime e non si vedono mai sbalzi della leva. Ciò significa che il soggetto è capace di aumentare e diminuire in modo uniforme la contrazione dei proprî muscoli. Quando non è capace di ciò si hanno vibrazioni e bruschi rinforzi o abbassamenti delle contrazioni: insomma l'individuo regola saltuariamente i suoi muscoli ed allora si hanno quelle curve irregolarissime, che appunto seno caratteristiche delle persone inadatte ,e maldestre. In forma schematica si possono così riassumere queste conclusioni : Curve ottime, che indicano eccellenti attitudini muscolari: La curva rimane in una zona orizzontale mediana del tracciato; oscillazioni principali uniformi e basse con poche dentellature e senza sbalzi. Curve mediocri: Curve ascendenti o discendenti; curve con oscilla- zioni principali molto alte e non uniformi; curve con molte dentellature. Curve cattive, che indicano inattitudine a regolare adeguatamente le attività muscolari: Curve difformi, con grandi dentellature e sbalzi. Come esempio, riporto nella fig. 3 una curva assai buona, ottenuta da un pilota bravissimo, e nella fig. 4 una curva assai cattiva, ricavata da una persona, che non ha precisione nè destrezza o agilità di movimenti e che perciò non potrebbe mai diventare ùn buon aviatore. Meccanica. — Forma intrinseca delle equazioni gravitazio- nali nella relatività generale. Nota di U. CisoTTI, presentata dal Socio TuLLio LEVI-CIVITA. Nei fenomeni statici della meccanica einsteiniana, la forma quadratica quaternaria che congloba le misure dello spazio e del tempo si scinde in un termine che dipende dal tempo, e in una forma quadratica ternaria che è il quadrato dell'elemento lineare dello spazio ambiente (1). In una Nota recente Levi-Civita (?) riferendosi alla statica nei campi vuoti si è valso dei coefficienti di rotazione di Ricci (invarianti y a tre in- (') Levi-Civita, Statica einsteiniana [questi Rend., vol. XXVI (1917). pag. 458 sgg.]. (*) Levi-Civita, ds? cinsteiniani in campi newtontani. II: Condizioni di integrabi- lità e comportamento geometrico spaziale [questi Rend., vol. XXVII (1918), pag. 3 sgg.]. » — 367 — dici) e di altri invarianti che da essi si deducono (invarianti y a quattro in- dici, riducibili per le forme ternarie a due soli indici) per attribuire alle equazioni dei campi predetti una notevole forma intrinseca, maggiormente atta che non la originaria a interpretare i caratteri metrici dello spazio ambiente. Sotto questo stesso punto di vista reputo vantaggioso di applicare il criterio addirittura alle equazioni gravitazionali generali (valide cioè anche per fenomeni dinamici, oltre che statici) che il Levi-Civita stabilì per dare forma analitica esauriente alla geniale concezione einsteiniana ('). Per quanto il riferimento alla originaria forma quaternaria diminuisca i vantaggi che il Levi-Civita potè sfruttare colla limitazione ai fenomeni statici (per la con- seguente riduzione ad una forma ternaria), tuttavia si perviene a qualche ri- sultato degno di nota, particolarmente la circostanza che delle 10 compo- nenti del tensore gravitazionale (eguali ed opposte a quelle del tensore ener- getico) 4 si esprimono ciascuna (a meno di uno stesso fattore costante) quale somma di tre e ciascuna delle rimanenti 6 di due dei succitati inva- rianti y a quattro indici, e in modo preciso il primo gruppo di quelli tra di essi a due soli indici distinti e il secondo gruppo di quelli a tre indici distinti. 1. Richiamo delle equazioni gravitazionali. — Sia 3_ (1) ds dr, 0 la forma quadratica quaternaria che congloba le misure di spazio e di tempo. Il ds? si intenderà a priori qualunque salvo le seguenti restrizioni qualita- tive (?): (2) eV (i(=1,2,8). Assumendo la (1) per forma fondamentale, sieno: 9g‘ gli elementi re- ciproci ai coefficienti 9;x; Yiz,mk i simboli di Riemann di prima specie. Al- lora le posizioni 3 P (3) Ga= D GP) Tit | RATA INNI —_lm (1) definiscono manifestamente un sistema doppio covariante, il cui invariante lineare 3 (4) G ai DA, VII Gi ’ 4, 0 è la curvatura media del ds?. (') Levi-Civita, Sulla espressione analitica spettante al tensore gravitazionale nella teoria di Einstein [questi Rend., vol XXVI (1917), pag. 381 sgg.]. (2) Levi-Civita, Sulla espressione ecc., pag. 384. — 368 — Ciò premesso, il tensore gravitazionale viene dal Levi-Civita (') defi- nito mediante il sistema duppio covariante i cui elementi risultano determi- nati dalle seguenti posizioni: (1) Ain= ) Gia— 2 9a ci, 1 xl dove y dipende dalla costante / di attrazione universale e dal valore c della velocità di propagazione della luce nel vuoto a norma della relazione: Le equazioni gravitazionali si scrivono (*): (II) Tr + Anx=0, rappresentando T,;, gli elementi del sistema doppio covariante che definisce il tensore energetico (?). 2. Riferimento a elementi invarianti. —- Giova riferirsi ad una qua- terna generica di congruenze ortogonali [0], [1],[2].,[3] (*); designando al solito con 0,1,2,3 le linee corrispondenti, sieno 29, gx (£K= 0,1, 2,3) i sistemi coordinati controvariante e covariante della congruenza [4]. Si hanno allora le seguenti condizioni di ortogonalità : (5) do Gin A 700 SIVE, 8 (J,h=0,1,2,3), dove al solito #; rappresenta lo zero o l’unità secondo che è j+* % op- pure j=À. Le precedenti sono notoriamente equivalenti anche a 3 (5') Da 9 Agri Ana = &h> T oppure a (5”) Di 259 A;jn = &n- Ciò premesso si moltiplichino i due membri della (I) e i due membri della (II) per 4 4 e si faecia la somma rispetto ad i e a X da 0 a 3, posto: (1) Levi-Civita, loco ultimo citato, pag. 388. (?) Com'è noto in questo tensore energetico è incluso il contributo di tutti i fenomeni (indipendenti dalla gravitazione) che si svolgono nel posto e nell'istante considerato, (?) Ricci et Levi-Civita, Méthodes de calcul différentiel absolu et leurs applications [Math. Ann., Bd. 54 (1900), pag. 145 sgg.]. — 369 — 3 - 4 3 È (6) Ajh = Di: Ajk A5 255 9 Tjh = DE Ti dj ) Via , 0 0 3 (7) ly,= Dai Ga °° 26°, (000) si ottiene, tenendo conto della (5): il 1 cl (1) “a=7| Tn 3% UT (° e . (Il) tr +an=0. Viceversa da queste moltiplicate per 4;,; 4n/x e sommate rispetto a J e a A, tenendo conto delle condizioni di ortogonalità (5-5”) si ottengonò le (I) e (II): pertanto il sistema (1°) ,(Il') è equivalente al sistema (I), (II). Le equazioni (I°) e (II’) presentano sulle originarie (I) e (II) il van- taggio che in esse non compariscono che invarianti, come scende dalle for- mole (6) e (7). — È ovvio il significato degli invarianti 7; e @ definiti dalle (6). Riferendomi ad es. ai primi è facile riconoscere (*) che: z;n = ta; (j,h=1,2,3) rappresenta la componente ortogonale secondo la linea della congruenza [X] dello sforzo che si esercita sopra un elemento di su- perficie perpendicolare. alla linea della congruenza [] (0 viceversa scam- biando % con j): 1; =%o (7="1,2,83) rappresenta la componente del flusso di energia, ceduta in un secondo di luce, secondo la linea della con- gruenza [7]; infine ©, è la densità di distribuzione della energia. 3. Espressione degli invarianti T,, e G mediante elementi intrin- sect- — Essendo 4,,,; gli elementi del primo sistema derivato covariante- mente secondo la forma fondamentale da quello del sistema 4,,,, le formole 3 (8) Ynij = — Vihj == Da AA Ù definiscono i coefficienti di rotazione di Ricci, che sono invarianti differen- ziali di primo ordine. Consideriamo in modo particolare gli invarianti di se- condo ordine definiti dalle seguenti formole: dynik Fa dY nij < (9) 7nin6=7 sl STA ce 2; 1 Ynip (Ypkj — Yin) È Yotj Ypih — Ypnk Ypij | » (') Levi-Civita, Sulla espressione ece., pag. 384. — 370 — dove ds; rappresenta l'elemento d'arco della linea Î; essi sono legati ai sim- boli di Riemann e ai parametri della quaterna ortogonale [0],[1],[2],[3] dalle relazioni: 9 7] (10) GPilymk — TS Yqr,st Agri dr, Assi dex . Poichè la eliminazione di G,;, tra la (3) e la (7) porge 3 I Im) dd 70 De MIE O O ao I) eliminando in questa gi,mr a mezzo della (10) si ottiene, dopo facili ridu- zioni, tenendo presenti le (5-5”): 3 (11) Fin Di Yarra 0 Analogamente, avendosi dalla (4) per la (3): 3 Piana GR) NUM) Kg: G = Dimà 9 9 4 Gil, mk ’ eliminando 9;,,mx per mezzo della (10) si ottiene: (12) Ga= DI, Verri » 4. Forma intrinseca delle equazioni gravitazionali. — Perla (11) e la (12) le relazioni (I') si possono serivere: (I”) Qin = — DE Virsth 9 Eh DIE Vert (> VESTI Agi 0 che unitamente alle (Il') costituiscono la annunciata forma intrinseca delle equazioni gravitazionali. > Sviluppando le sommatorie e rammentando le relazioni che legano tra di loro i simboli ygr,s«; analoghe a quelle ben note dei corrispondenti sim- — 371 — boli di Riemann, si ottiene con facili riduzioni: | oo = ta 1 Y23,23 + 721,3 AE SÈ Sg 3 1 Y30,30 + Yoz,oe 4 729,23 È» Qasim 3 Yo,o1 + Y13,13 Tr Y30,30 È Cassa = ) Yz, È Ye0,00 + Yor, Ce = CAIO, + Y03,81 f, a”) a | C9g = 29 = x -f Yosss + Yo, Lato dog = @30 2 I Yoris + Yozsa |» Cig = n = + I Yro.oe + Yagsss 1, | dii a ; 3 Y 10,03 + 719,23 i, | Q93 = Q3: = È JY21,13 + Y20,03 { - Matematica. — Di una classe di forme dell’ S, ognuna rap- presentabile nelle coppie di un’ involuzione dell’S,. Nota di G. MAR- LETTA, presentata dal Socio CASTELNUOVO. Il Noether, in una lettera al Segre, e poi l' Enriques (') hanno dimo- strato che l'ipersuperficie cubica dell’S, è rappresentabile nelle coppie di un'involuzione dell'S:. In questa breve Nota presento una classe d’ipersu- perficie, dell'S,, ognuna delle quali gode di questa stessa proprietà; in essa classe è contenuta la cubica sopradetta. La rappresentazione è condotta coi metodi della geometria proiettiva sintetica; si troveranno inoltre alcuni teo- remi, relativi a congruenze di curve piane, che possono interessare. 1. Nell'$S; sian dati, in posizione generica, un punto A e una curva gobba c, irriducibile e priva di punti doppî, d'ordine 8 e genere p= 7 (ul- teriore intersezione, dunque, di due superficie cubiche aventi una retta co- mune e, del resto, in posizione generica tra loro). (‘) Enriques, Sulle irrazionalità da cui può farsi dipendere la risoluzione di una equazione algebrica f(ayz)=0 con funzioni razionali di due parametri [ Mathematische Annalen, Bd. 49 (1897), n. 19. RaxmDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 51 — 372 — Un piano è condotto per A seca c in 8 punti pei quali passa una ed . una sola quartica X avente A come triplo; al variare di ©, per A, si ot- tengono cosi 00° quartiche %X ognuna 8-secante c e con A triplo, le quali quartiche generano una congruenza (razionale). Si vuol dimostrare che questa congruenza è d'ordine 2. Infatti le superficie d'ordine 5 aventi il punto A 4-plo e passanti per la curva c soddisfano ('*) a 20 +- (5-8 —- 7+ 1)= 54 condizioni lineari, onde esse costituiscono un fascio D. Inoltre siccome una qualunque %,, delle quartiche X, ha già 8-+-3-4=4-5 punti comuni con ogni superficie di ®, segue che per £, passa una (sola) di queste superficie; sia @,. L’ulteriore intersezione di , col piano di %, è una retta passante per A e, generalmente, non incidente c. Viceversa è chiaro che ogni piano condotto per una siffatta retta seca ulteriormente g, in una quartica £. Di rette siffatte, in g,, ne esistono 2; infatti g, e il cono che da A proietta c si secano in questa curva, nelle 14 corde di c uscenti da A, ognuna contata due volte, e in una quartica avente A multiplo secondo 4.-8—14.2=4, quartica che dunque è costituita da quattro rette uscenti da questo stesso punto (*). Ne segue senz'altro che le 4-5 = 20 rette di g, passanti per A sono: queste 4 rette, le 14 corde di e sopradette, e altre 2 rette (general- mente) non incidenti c. Dunque sulla superficie @, le quartiche % costitui- scono due fasci. Ed ora siccome per un punto generico dello spazio ambiente passa una sola superficie di ®, si può concludere che le quartiche 8-secanti una data curva gobba (irriducibile e priva di punti doppi) d'ordine 8 e genere p="7, e aventi come triplo un dato punto fuori di questa curva, generano una congruenza d'ordine 2. 2. Nel numero precedente si dimostrò che in ogni superficie del fascio ® esistono due rette, ciascuna passante per il punto A e non incidente la curva c. Tutte queste rette, che per brevità chiameremo notevoli, costitui- scono un fascio; infatti in un piano w, genericamente condotto per A, esiste ‘una sola 4 delle quartiche 4 (n. 1); questa 4" appartiene ad una sola, ', delle superficie del fascio ® ed è complanare con una sola delle due rette notevoli esistenti in questa superficie g'. Nè in © può esistere una retta no- tevole appartenente ad una superficie g”, di ®, non coincidente con g', perchè in tal caso in w oltre della £' esisterebbe un’altra quartica. X, e precisamente l'ulteriore intersezione di © con g”, ciò che è assurdo. Dunque è proprio vero che le rette notevoli costituiscono un fascio; in questo le coppie, ognuna appartenente ad una stessa superficie di ®, generano un'in-: (*) Severi, Su alcune questioni di postulazione [Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tomo XVII (1903)], n. 106. (3) Del resto allo stesso risultato è assai facile pervenire direttamente. - — 373 — voluzione. Ciò posto si indichi con @ il piano del sopradetto fascio di rette notevoli; esso piano seca una qualunque delle superficie di ® nelle due rette notevoli, in essa superficie esistenti, e in una cubica c' 8-secante la curva c e avente il punto A come doppio, cubica che, di conseguenza, appartiene a tutte le superficie del fascio ® perchè con ognuna di esse ha già 8 + 2-4 =38-5-+1 punti comuni. La e' è dunque quella curva, d'ordine 3, che in- sieme con c e con le 14 corde di questa passanti per A, costituisce la (to- tale) base del fascio ®. Si osservi, ancora, che non può esistere alcun’altra cubica, oltre della c', 8-secante e e avente A come doppio, perchè un’altra cubica siffatta dovrebbe far parte anch'essa della base di ®, ciò che è assurdo. _ Concludiamo dunque che esiste una (sola) cubica 8-secante una data curva gobba (irriduci- bile e priva di punti doppi) d'ordine 8 e genere p=7, e che abbia come” doppio un dato punto fuori di questa. 3. Mediante considerazioni perfettamente analoghe a quelle dei numeri precedenti è facile dimostrare i due seguenti teoremi: a) le cubiche 6-secanti una data sestica gobba (irriducibile e priva di punti doppi) di genere p=2, e aventi come doppio un dato punto fuori di questa, generano una congruenza d'ordine 2. * b) esiste una (sola) conica 6-secante una data sestica gobba (irri- ducibile e priva di punti doppi) di genere p=2, e passante per un dato punto fuori di questa (*). 4. Nell'S, sian date: un'ipersuperficie T° d'ordine x avente un piano rr {a — 3)-plo e una retta 7 (n — 2)-pla in questo; si indichi con a una ge- nerica curva di I° secata in un sol punto variabile dagli spazî (*) condotti per 7. Siano, inoltre, Y" un’ipersuperficie cubica passante per 7” e X uno spazio qualunque, del resto in posizione perfettamente generica tra loro e rispetto a T°. Preso un punto generico P_di 7°, si consideri lo spazio X' = Prr; esso seca I” e, ulteriormente, Y in due superticie cubiche y' e y aventi la retta r i - (*) Montesano, Su i vari tipi di congruenze lineari di coniche dello spazio [Ren- diconti della R. Accad. delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, fasc. 7° (1895)], Nota 2*, n. 1; Berzolari, Sulle coniche appoggiate in più punti a date curve algebriche [Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e lettere, serie II, vol. XXXIII (1900)], Nota 22, n. 42; e Severi, Ricerche sulle coniche secanti delle curve gobbe [Atti della R Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXXY (1900)]. — Analogamente a come si fece nel n, 1, si può dimostrare che le cudiche 6-secanti una data curva gobba (irridu- cibile e priva di punti doppi) d'ordine 7 e genere p=6, e aventi come doppio un dato punto fuori di questa, generano una congruenza d'ordine 3. (*) Per es. in un S; passante genericamente per la retta »; cfr. Noether, Veder Flichen, welche Schaaren rationaler Curven besitzen [Mathem. Annalen, Bd, III (1870)]. — 374 — comune; si indichi con ec la curva, d'ordine 8 e genere p= 7, ulteriore in- tersezione di y e y". Per quanto si disse nel n. 1, esistono due (sole) quartiche % ognuna delle quali abbia come triplo il punto (variabile) A= "a, sia 8-secante c e passi per P. I piani di queste due quartiche secano X in due rette /, e 4, incidenti la retta s= 7. Viceversa, data una qualunque, per es. /,, delle rette di X incidenti s, lo spazio /,171= 2" seca a, fuori di 77, nel punto A, ed esiste una sola quartica, £', avente A triplo e passante per gli 8 punti in cui il piano A/, seca c. Questa quartica /' incontra l’ipersuperficie T, fuori di c di 77 e di A, in un sol punto: P. Dunque con la costruzione ora detta rimane stabilita una corrispondenza algebrica biunivoca fra i punti di I° e le coppie di un’'involuzione I esistente nel complesso lineare spe- ciale generato dalle rette dello spazio X incidenti s. Ne segue senz'altro che ogni ipersuperficie, dell'S,, d'ordine n, con piano (n—3)-plo e retta (n—2)-pla in questo, è rappresentabile nelle coppie di un’ involu- zione dell S,. Per n= 3 questo teorema era, come si disse in principio, noto, ma ne è nuova la rappresentazione qui data. Matematica. — Quelques proprictes des fonctions de Bessel. Nota I di JosepH PERS, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 1. Je démontre ici quelques propriétés des fonctions de Bessel, que j'aì énoncées ailleurs et qui permettent d'étudier très simplement les développe- ments de Neumann et leurs généralisations. J'atiliserai quelques résultats de la théorie des fonetions permutables, que je rappelle. Le symbole de composition Îg(2.y) désignant l’intégrale Yy (1) il f(w 5) g(E-y) d5, si les fonctions / et g ne dependent que de y — « (*), en posant y—-x={, il vient (2) îgd=/g9—- = = [/e-ò) g(y— È) dé sno g(i—- 7) da. (1) Sont permutables avec l’unité [ Volterra ]. Bc — 375 — On a d'ailleurs fgo=gf1) et les calculs de composition se font comme les calculs de produits. Sans revenir sur la définition des puissances de composition ('), je rap- pelle que, si n est positif, on a (8) bop) T(n) T(n) et que, si (()=ci(i°+H() (c = constante) on a 4 Po=cii +e (++ E +.). J'ai montré précédemment (*) que l'on peut encore définir la composition dans le cas où l’intégrale (1) cesse d’avoir un sens, / et g devenant infinies d’ordre determinés pour {= 0: il suffit en général de remplacer l’intégrale par sa partie finie. Il en resulte immédiatement (*) que les formules (3) et (4) sont valables quel que soit x distinet d'un entier négatif; fn (1) étant toujours une fonction de £ parfaitement définie (*). Dans tous les cas, l'expo- sant de composition a toutes les propriétés des exposants ordinaires. 2. Ceci posé nous démonstrerons que: THEÉOREME. — // esiste une fonction entière ®(t) telle que la fonetion de Bessel AS, Co (— 1) {n+2r (5) In()= 2,5 ratrri) puisse, quel que soit n, se mettre sous la forme (6) I,(94=I, ®"(1). Pour le démontrer remarquons que le procédé de sommation des séries divergentes de Borel (5) conduit à associer les fonctions fo= atta +- Pant |... et F(1)=% +tagto+a i Pai (') Cf Volterra, Atti della R. Acc. dei Lincei, serie 5%, vol. XI. (3) Cf. deux notes des Rend. R. A. Lincei, 1°” sem. 1917. (3) Parceque la généralisation ainsi obtenue pour la composition en conserve las propriétés. (4) Si 7 est un entier négatif ou nul, ir n'est pas nul, mais représente un symbole de derivation par rapport è &; fn, toujours donné par la formule (4), contient les sym- PP ym boles 1° ; i , etc. (par exemple fo = 1°) (cf. la 2*me de mes Notes précédemment citées). (5) avec une modification de détail, n — 376 — Nous associerons de méme, r étant un exposant quelconque, les fonctions (DO [O=Ttutt + ant to. î o! 0 i e dF (1) ,,d°F dt TÀ que pani et il est immédiat que les fonetions #F(4), <*F(4), £ pour associées, respectivement, les fonctions é? È 5 13 pe (Oa È (£) - 2 (Ge Za) Il est d'ailleurs immédiat, qu'àèà des produits de fonctions { eorrespondront les compositions des fonctions F(t) correspondantes ('). En designant alors par jn(6) (*) la fonetion associée à J, (4), l'équation différentielle de Bessel conduit, d’après les remarques précédentes, à l’équa- tion suivante: = Eeen+e+ er on+ 0 )=o0 que vérifie j,(5). Mais cette équation admet comme solutions fondamentales vu] et (0) [YO] V1+î -1,, raso avec G En comparant les premiers termes du développement en série de }, et de u(é) [yw(É)]" on en déduit que nécessairement et, passant de là aux fonctions associées Jn(), U(4), (0) y(î) = I,)=U®"(1). On a d'ailleurs u (6) = Gra nre ger Co, 2 ==So (6) (6) = FI z(- re ggar+i a 1 (oe . de sorte que UM=I0 , pla OLIO ERO, 2 Le Théorème annoncé est ainsi établi. (') de mème, les exposants ordinaires et de composition se correspondent. (*) Il est aisé de voir que la série jn'$) a un rayon de convergence non nul. — 377 — Remarque I. — La fonction u($) est telle que Poli Dr la fonction associée de TE est sint; on a donc J:(9)/= sint si J,(9)= [sin]! Remarque II. — On sait que si n est entier J, et J_, coincident au signe près et ne fournissent donc qu'une seule solution de l’équation de 2h et n Bessel correspondante. Une seconde solution s’erprime è l’aide de 1a fara da introduisant les logarithmes de composition de M. Volterra (*). Par exemple, si x=0, la seconde solution sera de . On l'exprimera donc aisément par une formule analogue à (6) en (10) J, le symbole / designant le logarithme de composition de &. 3. Le Théorème précédent peut encore se démontrer comme il suit. La transformation qui fait passer de /(6) à F(/) et qui fait correspondre aux produits de fonetions f les compositions des fonctions F_a une expression analytique simple. Comme l'on a lor 1 3 51 9 ala =f mi (1) Oz) sno) (a) riavere la relation entre les fonctions (7) et (8) peut s'écrire © (sF(ty)dy (19) rO=772S,e1(4) dy (3). “— 2isinarty (13) /(0) (1) En effet, par un changement de variable et de fonction très simple on raméne cette équation è l’équatiun Vi — ny=0. (?) Cf. le Mémoire déja cité: Atti della R. A. dei Lincei, (3) Dans les formule» précédentes les contours d’intégration sont les suivants: c est forme par le segment — 0. — R de luxe réel. le cercle de rayon R, dècrit autour de l'origine dans le sevs positif, le segment — R. — 00 de l’axe réel. c’ et c/ sont deux pi LOT ARS ET RE I AIN — 378 — Mais on sait que (DI t pese (15) Jn(t) = 22 e fur du formule qui, par le changement de variable t* Pogelid RT devient t di \ lana In()= 2n ali SIE d. "i Go Il en resulte bien que la fonction associée /,($) est AS (Epto, n /I+î (4 \ contours analogues. Lorsque r est entier, on doit remplacer (13). par fm=t sl “gv Pty) dy et en peut prendre pour c” un cercle de centre l'origine. On obtient alors des formules bien connues. —_ 379 —. Chimica. — £icerche sopra i nitro-derivati aromatici. Sulla formazione dei nitro-idrazo-composti ('). Nota di MicHELE GIUA, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Dopo aver studiata l’azione della fenilidrazina sopra il # e il y-trini- trotoluene e descritti in una Nota precedente (?) i composti ottenuti, ho con- tinuato le ricerche su questo argomento facendo agire la fenilidrazina sopra l'acido 1-3-4-6-trinitro-benzoico e sopra il suo etere metilico. Questi composti contengono un gruppo nitrico mobile come il f8- e il y-trinitrotoluene; trattati con ‘enilidrazina in soluzione alcoolica a tempe- ratura ordinaria dànno luogo facilmente ai seguenti idrazocomposti : COOH COOH 0,N IT 0,N i sE EN.NH.CH= | INH.NHO \4+HNO, 2A NA I Pai NO, NO, COOCH, COOCH, 0,N a eo Co NO, + H,N.NH.CHy= Rab NH..NHK d+HNO; NO, NO, 7 Anche in questo caso, l'acido nitroso che si forma nella reazione agisce sopra l’eccesso di feuilidrazina svolgendo azoto e formando acqua e benzolo. Analogamente a quanto avviene per gli idrazocomposti ottenuti dal £- e dal y-trinitro-toluene, anche il 2-4-dinitro-5-carbossi-idrazo-benzene, in soluzione alcoolica per azione dell'acido cloridrico gassoso, perde una mole- cola di acqua e si trasforma in un nitroso-azo-composto della formula (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale della R. Università di Sassari, (?) Questi Rendiconti, vol. XXVII, 1° sem. 1918, fasc. 7°, pag. 247. RenDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 52 — 380 — L'azione della fenilidrazina sull’acido 1-3-4-6-trinitro-benzoico è carat- teristica; data la presenza d'un gruppo carbossile era da aspettarsi la for- mazione del fenilidrazide o del rispettivo sale trinitrobenzoico della fenil- ‘ idrazina. Invero l'acido trinitrobenzoico simmetrico dà luogo immediatamente alla formazione del trinitrobenzoato, sostanza bianca, pochissimo solubile in alcool, che fonde a 145°, decomponendosi. Per il primo acido trinitrobenzoico la reazione, come ho detto, segue una via diversa, iniziandosi subito coll’at- tacco della fenilidrazina al gruppo nitrico labile; quest'azione è così rapida che dopo pochi istanti si ottiene il prodotto della reazione sotto forma di una massa solida gialla. Dato questo notevole comportamento della fenilidrazina verso i nitro- composti contenenti un gruppo nitrico mobile ho creduto di estendere le mie ricerche anche a derivati della fenilidrazina con gruppi sostituenti legati all’azoto idrazinico. Ho così fatto agire la fenil-metil-idrazina as. sopra il trinitro-toluene -1-3-4-6 ed ho constatato che anche con questa sostanza ha ° luogo una rapida azione sostituente con eliminazione di acido nitroso e con- © seguente formazione di azoto. Avviene quindi la seguente reazione generale: CH, O,N + H,N.N(CHs). CH; = NO, NO, CH, | 0,N » si ti NH. N(CH,)X{ >+HN0, NO, Questo idrazocomposto sostituito è molto interessante data la sua costi- tuzione chimica; il suo comportamento rispetto all'acido cloridrico gassoso, in soluzione alcoolica è diverso dagli altri composti fin qui cennati. Su questo composto, come su altri simili, mi fermerò in una prossima Nota. 2-4-BINITRO-5-CARBOSSI-IDRAZOBENZENE COOH 0,N CIT DEE NH. MIE NO. Gr. 5 di acido trinitrobenzoieo 1-3-4-6 disciolti iu ce. 20 di alcool etilico si trattano con gr. 6 di fenilidrazina, si ha subito una intensa colo- ML — 881 — razione rosso-oscura mentre si nota un aumento di temperatura. Dopo poco ‘ tempo precipita una sostanza gialla: si riscalda a b. m. per circa mezz'ora in modo che il precipitato si disciolga e quindi si lascia raffreddare lenta- mente. Dopo un poco si deposita una massa colorata in giallo-rossastro che cristallizza dall'acqua in aghetti gialli che fondono a 185° con decom- posizione. Resta indisciolta una sostanza brunastra che fonde sotto 100°, ma che non ho studiato ulteriormente. Gr. 0,1183 di sostanza: ce. 18,2 di N (£= 16°, H= 752 mm.) per Ci3 Ho O N4 (318) N°/ Trovato 17,98 ’ Calcolato 17,60. La sostanza è solubile in alcool, acetone, e in acqua a caldo; pochis- simo solubile in etere di petrolio. Sale d’argento. — Per l'aggiunta di nitrato d'argento alla soluzione acquosa dell'acido binitro carbossi-idrazobenzene si ottiene un precipitato fioccoso che imbrunisce rapidamente. All'analisi questo sale mostra un con- tenuto maggiore di argento di quello che non corrisponda alla formula: per cui non si ottiene praticamente un composto puro. La soluzione ammo- niacale del nitrato d'argento viene ridotta rapidamente da questo acido. 2-NITROSO 4-NITRO-5-CARBOSSI-AZOBENZENE COOH ON Pag da N=NC > NO sa Si ottiene dall'acido precedente disciolto in alcool metilico per l’azione dell'acido cloridrico gassoso; per raffreddamento sì precipita una massa cri- stallina gialla. Dall'alcool cristallizza in aghetti giallo-dorati che fondono a 244° con decomposizione. Gr. 01603 di sostanza: cc. 26,5 di N (6f= 15°, H= 748 mm.) per C3HsOs Ni (300) N°/ Trovato 19,15 a Calcolato 18,66. — 382 — La sostanza è solubile in alcool, etere, cloroformio, acetone e benzene; pochissimo solubile in etere di petrolio. 2-4- BINITRO-5-CARBOMETOSSI-IDRAZOBENZENE COOCH; O,N TA N SHANE NO, Gr. 1,75 di etere metilico dell'acido 1-3-4-6-trinitro-benzoico disciolti in 5 ce. di alcool si trattano con gr. 1,5 di fenilidrazina; si ottiene subito una intensa colorazione rossa e dopo poco si ha la separazione d'una massa eristallina colorata in rosso-aranciato, la quale, purificata dall’alcool, fonde a 177-178° con sviluppo di gas. Cristallizza in lamelle lucenti. Dall’alcool metilico assoluto contenente alquanto benzene oltre a questa sostanza, sì ottengono cristalli prismatici colorati in giallo-chiaro che fondono a 147° in un liquido giallo-rosso, che comincia a svolgere gas solamente alla tempera- tura di 175-178°. Si tratta evidentemente di una forma isomera che spesso si presenta nei nitroidrazocomposti ('). Gr. 0,6850 di sostanza: cc. 16,8 di soluzione N ?/, di H,S0, per C,, H;: 0g N, (332) N°/, . Trovato 17,18 ” Calcolato 16,90. La sostanza è solubile in alcool, etere, acetone, benzene e cloroformio ; poco in etere di petrolio. (') Willgerodt e Bòhm, Journ. prakt. Chem. 43, 482 (1891). Pubblicazioni della R. Accademia de! Lincei. Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuov; Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXvVi. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. V. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — Il. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXVII. (1892-1918). Fasc. 10°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-XXVI. (1892-1917). Fase. 12°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. Fasc. 9. MzaworIE della Classe di scienze morali, storiche e Alologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. Fasc. 1-6. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R., Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi fermano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia è di L. 1@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni sì ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: ULrico Hop. — Milano, Pisa e Napoli. P. Magione & C. StRIni (successori di E. Loescher & C.) — Roma. RENDICONTI — Maggio 1918. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 maggio 1918. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI De Stefani. Reperto paleolitico nell’alluvione» del Simeto (Sicilia). . +. è.» » Pag Tedone. Sulla maniera di stabilire le formole fondamentali dell’ordinaria teoria della diffra- ZIONE rea a RAS RE RI A IRE eg LI Galeotti. Sligo n apparecchio destinato a rappresentare graficamente le attitudini a regolare gli sforzi muscolari . è è . - SRI RO io 0) Cisotti. Forma intrinseca delle equazioni gravitazionali 0 Lod generale (pres. dal Socio Levi-Civita) » . . ; ; dla Marletta. Di una classe di forme dell’ SH ognuna prio n coppie di un’ involu- zione dell’Ss (pres. dal Socio Castelnuovo) . . . ee Pérès. Quelques propriétés des fonetions de Bessel RA dal. Socio Volicrioi + RI Giua. Ricerche sopra i nitro-derivati aromatici. Sulla formazione dei nitro-idrazo-compusti (pres; ‘dal Socio Paternò): (a. . na sn I E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. 347 351 361 366 371 374 379 Pubblicazione bimensile. i N. 11. AG Rada. DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCUCNXNV. 1918 SI ST I AI ere RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 giugno 4918. |} Volume XX VII.° — Fascicolo L1i° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1918 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE i I Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del: l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4!/s. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratt' gratis ai Soci s Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus= sivui verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto, II I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente: e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, ia Presidenza noraina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o insunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archiv dell'Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, uella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemvlato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli antoriì. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ASNNNANSIIISISSISISISSSNSTSITONS Seduta del 2 giugno 1918. A. RòlTI, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Suî motori sinceroni senza eccitazione considerati come circuiti di autoinduzione variabile. Nota del Corrispondente 0. M. CorBINO. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Analisi. — Sopra l'integrazione approssimata delle equazioni differenziali. Nota di G. ARMELLINI, presentata dal Socio TULLIO LEVI-CIVITFA. 1. Mi propongo di esporre in questa Nota un metodo per l'integrazione approssimata delle equazioni differenziali; metodo che io spero di poter applicare in Note seguenti ai problemi fondamentali della Meccanica celeste. Il procedimento da me ideato, come i lettori vedranno, è estremamente sem- plice. Ma poichè, non ostante le ricerche in proposito, non mi è stato pos- sibile di rinvenirlo in alcun trattato o Memoria, e poichè d'altra parte mi, sembra che esso possa essere utile non solo nella Meccanica celeste, ma anche in molti problemi pratici, mi sono deciso di comunicarlo all'Accademia. 2. Supponiamo dunque di avere un sistema differenziale di ordine m. Con procedimenti di natura algebrica noì possiamo immaginare di averlo ridotto ad un'equazione differenziale di ordine m tra la. variabile indipen- dente x e la funzione incognita 7: (1) yo = F(0,y,yY,Y...y®D). RenDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 53 — 384 — Supporremo che la (1) non si sappia integrare direttamente. Prendiamo allora sull'asse delle x un intervallo arbitrario p. es. (2) b=>a=ec e proponiamoci di studiare in questo intervallo un integrale particolare y definito dalle condizioni iniziali Vidi CATZOE dove le 4, sono grandezze date a piacere. È questo il problema che più interessa nei casì pratici. Supporremo soltanto l'esistezsa in tutto l'intervallo dato delle deri- vate y®° di tutti gli ordini, e supporremo ancora che i valori che queste derivate assumono nel punto x = d cioè dA Amir Agi non tendano all'infinito al crescere di X. Queste condizioni sono verificate nella grandissima maggioranza dei casi pratici, e di più esse sono suffi- cienti ma non necessarie per l'applicabilità del metodo, onde il procedimento ha una portata più ampia. Inutile aggiungere che tutte le 4 debbono riguardarsi come quantità note; infatti noi conosciamo le prime m —1 tra esse; derivando dunque la (1) e ponendovi # = è abbiamo immediatamente 4, qualunque sia l' in- dice A. 3. Ciò posto, noi ci proponiamo di risolvere il seguente problema: Scelto ad arbitrio un numero n intero e positivo si domanda di determinare n-+ 1 coefficienti costanti a, ay... 4n în modo tale che, rap- presentando l'integrale particolare y col polinomio (3) Yna=4 +@rxH4 ax + +Pane”, l'errore medio della rappresentazione nell'intervallo arbitrario b=>x=c risulti minimo, rispetto ad ogni altro polinomio di grado n. Chiameremo questo tale polinomio Y, col nome di « Polinomio di massima approssimazione di grado n ». Anzi tutto occorre dimostrare l’esistenza e l'unicità di un tale polinomio. A tale scopo basta ripetere, con poche modificazioni, l'analoga dimostrazione data nei Corsi di Analisi, per provare l'esistenza e l'unicità dei polinomi di Tchebicheff ('). Passiamo ora alla determinazione dei coefficienti. 4. Cominciamo ad osservare che senza togliere nulla alla generalità del metodo noi possiamo sempre supporre uguale allo zero quell'estremo dell'intervallo per cui non sono dati i valori della y e delle sue m — 1 (5) V. p. es. E. Borel, Legons sur les fonctions de variables réelles, Ch. IV, pag. 82. Politi reti ad — 385 — derivate. Nel nostro caso supporremo dunque c=0 onde è sarà una quan- tità positiva. Ciò posto indicando con X un intero positivo arbitrario costruiamoci l'integrale definito 20 (4) S= | yer de. 0 Avremo, integrando per parti, da Ue i 1 f na (17) (5) = (10 sn A ya? ) (DI RAI, a DERE ai geo Se RS a k ai Oa: b Y gh+3 b SI (+ Dara) +9 Pata) y'"'xB+4 ) gira DE+DA+I A+ to cioè sostituendo: A, d A, b* 43 53 RR L L PIE ee (One SÒ | a EDIT k+3! Eat (i Ora le 4, sono quantità note, finite e determinate, e di più esse non tendono all'infinito col crescere di £. È chiaro dunque che la serie al se- condo. membro della (6) è certamente convergente qualunque sia il valore di 5: dunque Sx deve riguardarsi come una quantità nota qualunque sia l'indice £. In particolare per #=0 abbiamo nb A ] persa \ 4, dD Às db Às Db Ì (7) SS] ia DI + 31 Di 41 NÈ Inutile aggiungere che S, rappresenta l’area racchiusa tra la curva integrale, l’asse delle , l’asse delle y e la retta x =; area che può i GA 1 IO, Ski 1 quindi esattamente calcolarsi. Così S dà l’ascissa del baricentro, la Ss dà d il momento d'inerzia rispetto all'asse delle y ecc. 5. Ciò posto, rappresentando, in via approssimata, l'integrale partico- lare y per mezzo del polinomio Y, dato dalla (3), l'errore medio E, che si commette nell'intervallo è > x => 0 è espresso, come è notissimo, dalla formola: b (ni ai (Ip de— 1 (è =if }a +ax 4 asa + ana — y}} dx. 0) — 3866— Ora noi ci siamo proposti di scegliere le x 4- 1 costanti 4001... n in modo che l'errore E, risulti minimo. Poichè esse sono indipendenti tra di loro avremo le x +1 equazioni (9) => = Pigeon e Eseguendo le derivazioni le (9) divengono: Ao b | Î y da = (+ artart. ano) da , si ha En = E, giacchè Y, può essere considerato come un particolare polinomio di ordine # in cui ì primi m — x. coefficienti sono uguali allo zero. Poichè dunque E, è una funzione sempre positiva e decrescente (0 almeno non mai crescente) di #, è chiaro che quando n tende all'infinito essa tenderà ad un limite posti- tivo 0. Avremo dunque (12) lim = Q Resta ora a dimostrare che @ è uguale allo zero. Infatti per un » qualsiasi sì ha E. =. Allora chiamando con w, il massimo valore che la quantità |Y_ — y| assume nell'intervallo è => 2 = 0, dalla (8) risulta (13) Un=En=>0. Ma la y, secondo la nostra ipotesi, è una funzione continua. Dunque, per un teorema di Weierstrass ('), data una quantità « piccola a piacere possiamo trovare un polinomio tale che l'errore massimo w, risulti minore di #; perciò secondo la (3) dovrà essere o < e. Ma allora la quantità po- sitiva 0, dovendo essere minore di ogni grandezza asscgDabale 8, è certa- mente uguale allo zero. c. d. d. Matematica. — Derivazione intrinseca nel calcolo differen- ziale assoluto (*). Nota di U. CISsOTTI, presentata dal Socio TULLIO LEVI-CIVITA. È noto che i metodi del C. D. A. si basano sulla considerazione di una forma differenziale quadratica positiva (1) p= Dr ars dar das, I che si denomina fondamentale, in n variabili indipendenti x,,x2,..-,%n- I suoi coefficienti ars, i rispettivi elementi reciproci a e gli elementi differenziali sia di primo (simboli di Christoffel) che di secondo ordine (simboli di Riemann) intervengono nelle formole del C. D. A. In particolar (*) Weierstrass, Berliner Sitzungsberichte, 1885. V. anche Borel, op. cit., pag. 51 e segg. (*) Ricci et Levi-Civita, Meéthodes de caleul differentiel absolu et leurs applica- tions [Math. Annalen, B. LIV (1900), pp. 125-201]. — 388 — modo intervengono i simboli di Christoffel di seconda specie 0, nelle operazioni di derivazione covariante e di derivazione controvariante secondo la forma @. Infatti, se Xr,ra..rm (#1372,---,7m=="1,2,...,%) sono gli ele- menti di un sistema di funzioni (di x), 2, ...,%n) covariante e di ordine m, il suo sistema derivato (covariantemente) secondo la forma ha per ele- menti (°) SXKrira ar. x (77 ) I Xyr Vigili K = LA Si ) Hera X Pi Wi SICILIE ( ) 173 m'tmtai dale a; 2a) q \ Ta oTt-1YT+41.-Tm 0 Se invece X7...*m») rappresentano gli elementi del sistema reciproco di Xrira..tm, rispetto alla forma $, e quindi costituenti un sistema con- trovariante dello stesso ordine (?), gli elementi del primo sistema derivato (controvariantemente) secondo 4 sono (*) | DX (11 Par Tm) n ( I Xi Ts Tm mt) = Ni Atria) a RO ) “na | dI + DI Di n Xn... r1-rQT+1 Tm), i * Scopo della presente Nota è di introdurre un’ unica operazione di deri- vazione, equivalente tanto alla derivazione covariante (I), quanto alla deriva- zione controvariante (I1,). Lo scopo si raggiunge se agli elementi covarianti o controvarianti che definiscono i sistemi dati sì sostituiscono degli invarianti. Giova a tal wopo riferirsi ad una ennupla generica di congruenze ortogo- nali (4) [1]},[2].....[m]. Chiamando, come è consuetudine, con 1,2,....% le linee corrispondenti, sieno e sAhjk (h,k=1,2,..,n) i sistemi coor- dinati controvariante e covariante della congruenza [A]. Posto È (1) q(ha) q(%m) (2) Jr, Ya. Tn = 3h, he... hm Xn, ORARIE hi, kh, SE kh, 7 ovvero — ciò che è equivalente — n_ a (2°) Trita...tm = Di Vesta X(fnn2-Tm) Ar.Jh, Arg /ha sc Ar het 1 tanto le (I) quanto le (I,) sono equivalenti alle seguenti: dd dIr,ra...tm a ASTA - |A (1') Jr T2..eTmY'mt1i I q YriQtmti Jr Ta... Tlm1 QUI+1 00m 9 (1) Loc. cit., pag. 138, formola (19). (3) Loc. cit., pag. 134. (*) Loc. cit., pag. 140, formola (20). (4) Loc. cit., Cap. II, $ 1. — 389 — dove d$r,,., è lelemento d'arco delle linee della congruenza [7m+1] € (3) Vr rms: > © Iqritma 3 Ik 0 a Ari/hk sono i coefficienti di rotazione di Ricct (*) (4ryhl: essendo gli elementi del primo sistema derivato covariantemente secondo 4 dal sistema di elementi Ari/h). Le (1°) hanno il vantaggio, sulle originarie formole di derivazione (I) e (T)), che gli elementi che in esse compariscono sono invarianti. Ciò giustifica la qualifica di zrérinseca che attribuisco alla regola di deriva- zione contenuta nelle (I°). È degna di rilievo la circostanza che in questa derivazione i coefficienti di rotazione di Ricci hanno lo stesso ufficio dei simboli di Christoffel (di seconda specie) nella derivazione covariante: ciò scende in modo immediato dal confronto delle (1°) colle (I). | Come conseguenza delle (I) si deducono le seguenti identità tra gli elementi Xy,ra...rmtm+:tm+s del’ secondo sistema derivato da Xy,rs..rm (°): {I I) Xri Tg... TmTm+tatm+1 T Xi Ta. TmTm+1Ym+a TTD m. n ( = p =. DI, DIRI a 1 1) Afmt+iTm+s, TIP XK, cn T-1QGT+1.0Tm 7 1 1 si dove @drm+t17m+s,77p SOn0 i simboli di Riemann di prima specie. La derivazione intrinseca conduce invece alle seguenti identità equiva- lenti a quelle che precedono: r (II) STriri.otmtmiafmii rita. tmtmtbTmtg = m —_ DI DI VASCA ARA rp Jr, IRSNIAEADIAE L I dove Yrm+:tm+,,7,p SOnO gli invarianti di secondo ordine legati a quelli di primo ordine, definiti dalle (3), dalle relazioni. I rmtitmasTi I Finta Tm+s P j 4 Y "A Tar n = m ‘ n 1 2 ala ( ) Tm+1Tm+3 ,7Lp 3Sp dSri i a + DI } Vira Tm+2 Ì (Vj TIP TO Yj p r1) + Yi mt P Vi Frmta LR rasa tj Ym+177 Yj Ym+2 P ; ) 1 “e ai simboli di Riemann (di prima specie) dalle relazioni (?) n pra TE -42D 0) 0,0 (5) 14) m+1”m+s VP = I quei dg? , st kit Tmta hi, h, 5 (1) Loc. cit., pag. 148. (*) Loc. cit., pag. 148, formola (28). Il prof. Levi Civita corteseraente mi fa rilevare ‘che il primo membro delle (23) va cambiato di segno. Si tratta di un errore materiale sfuggito agli A. nella correzione delle bozze, e che non ha naturalmente conseguenza nel ‘seguito. (*) Loc. cit., pag. 157, formole (20) e (21). — 390 — 1. Che le (I°) sieno conseguenza delle (I) si può dimostrare nel modo seguente. Cambiati nelle (I) 7,72... 7mTm+: in Who... immer; si molti- to NE À h1) 3(h3) hy 7 LETI vue, plichino entrambi i membri per Se, e VILII fm) indi sì sommi ri- Tm DU +1 spetto agli indici %, he... Rm Amwi ch 1 fino a 2; tenendo conto delle (2) si ottiene: 4 DIANE) (6) Jr Ya u.TmTmiti =" Di hy w Hem Rigi SIC kh, A: A ho E LICASTE m n hi h I} IL Rao — > ) l ; i l Sr gh, hs .. s «Tm himta 4 (Xn. 2 hu, qhiy4i so dim 4 r, ) ". 5) m) x ra ) si 0) Tm I Avendosi qemera) Eta ; à Tmta Arata e quindi ®- 3XhbyAglfnta) © DXbabacc lo Plmra o AXiha hm (ragni dZhmti (ped, li mMmt1 IL ht ASt4, ASrmti * la prima sommatoria del secondo membro della (6) si trasforma in x AXh ha... Tom a (ha) Ci) (lim) (7) Dini eli e Dalla (2), moltiplicando per 47/2, 4x,/h, + Zemfhm» d0po aver cambiato gli indici 7,72... 7m in %i fg... Xm, indi sommando rispetto a 8... fw si ottiene XA; he... lim = DI les ..«k Ties Vea eee Tom Ales[h Alcafha «0° Mem[Tm I tm per cui dXh, ha ...h, E AS, lea ... Tm (8) FSE Vo, EEE A fhy Uogfhy <> Alm/hm + Astri: RSA fe ASrm+, AkleiJht ASrme t a n m A Der kea stem T0 los Tom D_1 Ala fto, Menfleo «Alora fina Morwafh4s + MlemfTom 1 1 A Ma è Akafhy _ ;$ Aki] VICI q) : dira TI deq Uso Tenendo conto di questa, delle condizioni di ortogonalità (1hk=%, / 0% * ks e della (8), l'espressione (7) della prima sommatoria del secondo membro della (6) diviene (9) DE i Akjr = €14 = ul () (7) Arena vo DO, 10,0 ddpji Vette ITA A) d8rm+, } TI Tmtr dog” a — 391 — Ma per la (I) (per w= 1) si ha dÀp/t "a \Lq Ì dxq na Apjtq ata ai, dk Ap]k ’ d'altra parte dalla (3) si ricava Ap/tq = — DE Vipj Àijt Àj/q hi per cui la (7°) tenuto conto di (9) diviene ancora 7 dJr, rasetm Sa G (7 ) Kona 2: Za) YrIPYmbi Jrira.rii PIT + A$Stm+: = ati a "a \Lql ; (t) 2(9) +I Tupgt} 4 {Irrria preti Api A ) 3 TI Tmti Quest'ultima sommatoria, per le (2) e tenuto conto delle (9), facilmente si verifica che eguaglia l’ultima sommatoria del secondo membro delle (6); per cui portando nella prima sommatoria del secondo membro delle (6) la sua espressione equivalente (7”) si ottiene senz’altro (1°), Cvardi Con procedimento inverso da (I°) si ricava (I), pertanto (I°) è equiva- lente a (I). . Con criterio analogo partendo da (1,) e tenendo conto delle (2°) si può constatare l'equivalenza di (I,) e (1). In quanto alle identità (II') esse possono dedursi sia direttamente ap- plicando la regola di derivazione contenuta in (I°), sia con procedimento analogo a quello precedentemente sviluppato partendo dalle identità cova- rianti (II). Matematica. — Problemi dinamici a due variabili che am- mettono un integrale razionale lineare e fratto rispetto alle com- ponenti della velocità. Nota del dott. E. DE CRISTOFARO, presentata dal Corrispondente R. MARCcOLONGO. 1. Considerando il caso in cui nel moto di un punto in un piano esiste un integrale della forma: A + Big 4+ Di — Aso + B.y' + Do i dove A, ,B,,C,, As, Bs.C. sono funzioni tinite determinate e ad un sol valore delle coordinate x,y del punto mobile; «',gy'" le componenti della velocità ed % una costante, il Bertrand ('), pervenne alla determinazione h, (!) AMémoire sur quelques-unes des formes les plus simples que puissent présenter les intégrales des équations différentielles du mouvement d'un point matériel, Journal de mathématiques, ser. 2°, tomo 2 (1857). RenpiconTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 54 —.892.= dei coefficienti che risultano della forma A, = 033 — 431Y ’ Ao = 093 — dY B,= 032 + 43% , Bs = 422 + 4% mentre D, e D, risultano determinate da due equazioni del tipo: ni | A°D,— A, D, = 413 — 41Y | B.D, — BDo= a+ an, in cui le a sono costanti. Se poi poniamo: A = Y # 411432433, ed indichiamo con a;; il com- plemento algebrico di «;, il determinante A del sistema (1) è: A=%@G,- G2% + C13Y,3 e le forze risultano determinate dalle due equazioni 9) \ A°X= 33 R+4+ 338 = A(4,2 + 4, 2) { | A°Y= 9954 a ,B=A(— a38 + 419) in cui R=AD,=— ag, + 439% — @33Y S =AD; = 03; — 330 + &33Y . 2. Ora la ricerca del Bertrand può essere completata e si riesce a ca- ratterizzare in modo assai semplice ed elegante i problemi in questione mercè un teorema enunciato dal Cerruti ('). Anzitutto è facile provare, che il problema è uno dei notissimi, Consi- deriamo le rette Ridi il cui punto d'incontro My, supposto 411 + 0, ha le coordinate Sostituendo nelle (2) si ha nX=@A(c +e) AG 11 : 43 AY=@nA (1 E dit) anA(y—y0); 1} e però là forza, di componenti X,Y, è diretta verso il punto My. Il problema è dunque uno dei notissimi in cui la forza è centrale. (*) Questo teorema fu comunicato, senza dimostrazione, dal Cerruti al prof. Marco- longo molti anni or sono; di esso non pare siasi trovata notizia tra le carte lasciate dall’illustre scienziato. — 393 — Se fosse a,1= 0 le due rette R=0,S=0 risulterebbero parallele fra di loro e la forza sarebbe quindi parallela ad una direzione fissa. Nell'ipotesi che sia 4110, assumiamo la S=0 come asse delle x ed il punto M, come origine delle coordinate. Risulta perciò ii 10i=10::1—-I0 e quindi posto 429. d33=V , dn dg =À , G3=U risulta A=01.V , R=41(033% + 4329) , S=411.422Y, A=vt4x+wuy, mentre dalle (2) si ricava ma 2 (RASUENIUEGONE a aù va VE Ax Ag2 . 433. Y 29 ai vYy (3) ie A3 == A? ? A} YA Facciamo ora una trasformazione omografica ponendo: a 3 dt id any n= d dai Si ha agevolmente: d ; i \ dl (Ar — 4A')= k[vx — u(cy — 2'y)} i | di d 4 y ' Ù | de (Ay— yA')= k[ry 4 AMay'—2y)]. Moltiplicando la prima per », la seconda per È e sottraendo membro a membro, e osservando le (4), si ha - dn dé LIRA LISARNAE T DI loa. (6) i Ù Fr: k(ay — 2). Per la derivata seconda di È rispetto a © si ha: d°È "” ”r , ga ED ve u(ay— 2")}, ma xy"—x"y= 0 perchè il moto nel quale le variabili sono x ed y è centrale, quindi si hanno le equazioni d°£ d?r > — Kenzo" e SA DINE. " (7) da RA°ve' , a = RA'VY". — 394 — Esse ci dànno facilmente, per le (3): e però anche 2 moto del problema trasformato è centrale. 3. Dopo ciò è facile trovare le equazioni nel problema trasformato. Infatti, le equazioni del moto primitivo sono (posta eguale ad 1 la massa) : cioè per le (3), (4) n__ dv __ dv Tae RUN onde, posto = 4A kv le (7) assumono la forma E d? (8) gar w°E , a = 0; e queste sono le equazioni notissime del moto di un punto respinto dal- l'origine in ragione diretta della distanza. 4, Vediamo ora qual’è la forma dell’integrale algebrico razionale fratto del primo problema. I valori dei coefficienti sono: A, = 033 — 031Y , B,= 43. + 43,4 , AD, = 411(033.€ + 433 y) As = 493 — 41 Y ’ B. = 422 4+- 00,2 9 AD; = 4,1(023% + 429 9). sicchè risulta , , , A ABD e x (A+ 4324) Dr = h A (4 B (A D a 3 È si DUE Dr) td: 4931" + A22Y + An: (XY' — x'y) * xi (4,3x + A22Y) in cni, a denominatore, per maggiore simmetria si è ritenuto ancora 4%g il che equivale a non fissare la posizione dell’asse 7. In tale caso è Ugo 033 — 423. dae = CV, do dgr — Ugg. dg = — Ag =À, Ao, + 432 — 429. d31 = 3 a Mj e per le (4) " (033% + dA39 Y) = 411(433È + 4327) , "o (433% + A994) = A 1(433 È + Ur0 1). — 395 — Indicando con #', 7" le derivate prime di £,7 rispetto a , dalle (5) e (6) si ricava: kane =E + as(Ey-n8) , kany=N+ag(EN— En) e conseguentemente korn [as3.:0 + 4324 + as(ay — 2'Y)]}= 4398 + 4399, giacchè, per una nota proprietà dei determinanti. risulta A33 413 + A32%12 + aaa = 0; del pari ko [499.0 + 4324 + an (e4 — dy)]}= 4088 + 4209’. Quindi la forma ultima dell'integrale nel problema trasformato è d338' + 432 ny + © (433 È + d32 7) dp 033 EL UTD) n + 0(493 È + d99 7) Ed è facile verificare che in virtù degli integrali delle (8) (9) #=fChor+yShor , n=0Chwr+eShwr in cui 8#,y,d,& sono costanti, si ha subito 4338 + 4307 + 0(433t + 4307) "a d33(P+y) + a32(0 + 8) A93 E + CEL) ny + ‘(193 È + A397)) a33(8+ y) + 139 (9 + «) = Gost, 5. Dalle relazioni AZ, — Q9T Sa @13Y , $= Dx sì ricava A, 1+agEÈ— 37° A sostituendo in “d bde= 5 e risolvendo rispetto a d/ fio da Lia (14 @12È — 413 n)? da cui, con una quadratura, troviamo / espresso mediante 7. Inoltre, poichè conosciamo gl’ integrali del problema nel quale le va- riabili sono &, n potremo trovare tutti gli integrali del problema in cui le variabili sono x ed y. Resta dunque provato il seguente teorema del Cerruti: — 396 — Trasformando con le formole È > Aa n=% a U=kA*.dr il problema del moto di un punto attratto da un centro fisso proporzio- natamente alla distanza, si ottengono tutti quei problemi di meccanica che ammettono un integrale della forma Az'+ Big + Di ost Ar9' + B24'4+ Di i Il teorema però, non vale più nel caso di tre variabili, come sarà mostrato in un prossimo lavoro. Matematica. — Sulla teoria generale delle corrispondenze birazionali dello spazio. Nota I di D. MONTESANO, presentata dal Corrispondente R. MaRcOLONGO. Uno degli argomenti più importanti trattati da Cremona nelle sue clas- siche ricerche su le corrispondenze birazionali dello spazio, riguarda le linee fondamentali di 2* specie, le linee cioè basi dell'uno o dell'altro dei due sistemi omaloidici collegati alla corrispondenza che non sono segate fuori del gruppo dei punti fondamentali dalle linee basi variabili dei fasci del sistema. Cremona, fondandosi sull'esame dei tipi particolari di corrispondenze sino allora noti, affermò che due linee fondamentali di 2* specie omologhe godono la proprietà che la multiplicità di una delle due linee pel sistema omaloidico di cui è base, è eguale all’ordine dell'altra. Tutti i geometri che dopo Cremona ebbero ad occuparsi in qualunque modo dell’argomento, ritennero vera ed enunciarono senza alcuna restrizione la proprietà indicata, non prendendo in esame la parte sostanziale della qui- stione che consiste nel ricercare le particolarità che acquista la rete di su- perficie omologa in uno dei due spazî ad una stella dei piani dell’altro spazio che ha il centro in un punto generico di una linea fondamentale di 2* specie ('). Ora il teorema indicato non regge in ogni caso, perchè in generale per due linee fondamentali di 2 specie omologhe accade che la multiplicità di una di esse per il sistema omaloidico di cui è base, è un multiplo del- (!) Veggasi fra gli altri Sturm, Die Lehre von den geometrischen Verwandtschaften, vol. IV, pag. 542. pie A MOT Li: l'ordine dell’altra, secondo un numero intero k che soltanto în casi par- ticolari ha i valore 1. In questa Nota ed in un’altra che le farà seguito, sono indicati tipi assai semplici di corrispondenze nelle quali il numero % ha valore arbi- trario. In successive pubblicazioni farò noti altri nuovi risultati ottenuti nelle mie lezioni sulla teoria generale delle corrispondenze birazionali dello spazio, teoria per la quale tuttora possono ripetersi le parole scritte 22 anni or sono dal Loria 0): « Malgrado il grande valore degli scritti con eui l' Inghilterra, l'Italia « e la Germania contribuirono a fondare e svolgere la teoria delle corrispon- « denze univoche tra due spazî, non si può dire che questa abbia raggiunto « quel grado di perfezione che altre conseguirono e a cui essa poteva giu- « stamente aspirare; ciò forse dipende dal fatto che la soluzione delle più «ardue e delicate questioni ad essa collegate dipende dalla determinazione « della natura e dal numero delle singolarità delle superficie, determinazione « che offre delle difficoltà che non furono ancora viate. Da ciò forse la spie- « gazione del fatto che i geometri posteriori a quelli citati si occuparono « più di illustrare i metodi dei grandi maestri summentovati che di perfe- « zionarli e completarli ». 1. Nello spazio data una omografia £, si assumano due fasci di qua- driche corrispondenti ®, ®' che abbiano per basi l’uno una cubica 03 ed una corda o di tale linea, l'altro la cubica 03 e la corda 0' omologhe delle predette linee nella £. i Quindi si assegni un sistema razionale X di proiettività intercedenti fra le punteggiate (0), (0°) e si supponga che il sistema sia riferito proiot- tivamente ai fasci D, ®'. ]l procedimento più semplice per ottenere tale sistema, è noto. Basta fissare nello spazio due schiere rigate incidenti 0 , 0' e riferire proiettivamente N la schiera © alla punteggiata (0) e la schiera o' alla punteggiata (0'). Con ciò ogni proiettività fra le punteggiate (0) ,(0") determina una proiettività fra le schiere 0.0 e però individua un punto O dello spazio, vertice del cono inviluppato dai piani sostegni delle coppie di generatrici omologhe delle due schiere; e viceversa. Perciò se si assegna nello spazio ‘una curva razionale s fuori della qua- drica sostegno delle due schiere e si riferiscono proiettivamente i punti O della curva s alle quadriche omologhe 73 , 73 dei fasci ®, ®', le proietti- vità fra le (0),(0'). coordinate a questi punti O, costituiranno un sistema X soddisfacente alle condizioni indicate. (*) Loria, // passato ed il presente delle principali teorie geometriche, Torino, 1896, pag. 252. — 398 — Se la curva s è di ordine X = 1, una retta p della schiera @ ed una retta p' della schiera o' saranno in un piano che segherà la curva s in %_ punti. Corrispondentemente un punto generico P della 0 ed un punto gene- rico P' della o' saranno omologhi in % corrispondenze del sistema X. Inoltre la curva s sega la quadrica sostegno delle schiere @,0' in 2% punti. Corrispondentemente nel sistema X vi saranno 2% proiettività degeneri. Ciò posto, si assumano nei fasci ®, ®" due quadriche omologhe arbi- trarie 77, , 7. Le schiere @, a delle due quadriche che contengono rispetti- vamente le 0 ,0', corrispondendosi nella omografia £, risultano riferite fra di loro con proiettività nella quale risultano omologhe le 0,0". Così fra le schiere 8, 8" opposte alle precedenti resta determinata una proiettività nella quale due generaàtrici omologhe si appoggiano alle o. 0' in punti corrispon- denti nella proiettività del sistema X omologa delle quadriche 773 , 719. E le due proiettività indicate che si hanno, l'una fra le a, a’, l’altra fra le 8, f", determinano una corrispondenza omografica fra i punti delle quadriche 772, 7y. i Col variare delle due quadriche nei fasci ®,®', ne risulta una corri- spondenza birazionale X fra i punti dello spazio S, sostegno del fascio ®, e i punti dello spazio S', sostegno del fascio ®'. La genesi assai semplice di tale corrispondenza permette di stabilirne facilmente le proprietà caratteristiche. 2. Una qualsiasi delle 2% proiettività degeneri del sistema 2 abbia i punti singolari R, R' e sia omologa della coppia di quadriche gs ,03 dei fasci ®, D'. Sulle due quadriche le schiere @,@' che contengono rispettiva- mente le 0,0", si corrisponderanno nella X con proiettività ordinaria, mentre le schiere opposte #, f'" si corrisponderanno nella X con proiettività dege- nere avente per raggi singolari i raggi 7,7" delle due schiere che passano rispettivamente per i punti R, 1. Perciò queste rette saranno linee fondamentali semplici della corrispon- denza X negli spazî S, S' rispettivamente, e propriamente un punto gene- rico A della 7 situato sulla generatrice @ della schiera @ avrà per omologa nella X la generatrice a'= 03°," della schiera @’, omologa della a nella omografia 2. Ed analogamente per la 7°. Dunque la corrispondenza X presenta 2% rette fondamentali semplici in ciascuno dei due spazî. Ogni retta fondamentale semplice 7;= 0'03 dello spazio S si associa ad una retta fondamentale semplice 7; = 0" 03° dello spazio S' in modo che le superficie fondamentali omologhe delle due rette negli spazî S',S sono rispettivamente le o9=0'037{ , 0° =" 0037. Per ogni altra coppia 773 77, di superficie omologhe dei fasci ®, D', si ha sempre che la corrispondenza subordinata alla X che intercede fra i punti delle due superficie, non è degenere. In tale corrispondenza alla retta 0 cor- risponde sempre la retta o’, ma la proiettività che intercede fra i punti — 399 — delle due rette, varia col variare della coppia 77, , 73. Perciò le 0,0’ non sono linee non fondamentali omologhe. ma sono linee fondamentali di 2* specie fra loro omologhe. Così nella corrispondenza che si ha fra le 77, 773, alle cubiche basi | 03, 03 corrispondono rispettivamente due cubiche 03, v3 le quali variano col variare della coppia 7,773; e però le 03,03 sono linee fondamentali di 1 specie della X negli spazî S,S'". Nè la corrispondenza X presenta altre linee fondamentali oltre quelle indicate. Nella corrispondenza subordinata alla X che intercede fra le quadriche omologhe 77», 773 dei fasci ®D, D'. ad una conica generica cs della prima superficie corrisponde una conica cs; dell'altra. Tenendo fisso il piano w della cs e facendo variare la coppia 773 773, la e; varia sulla superficie ww", omologa nella X del piano w, descrivendo su di essa un fascio F' proiettivo al fascio F descritto dalla e. sul piano vw. E come la c». in ogni sua posizione si appoggia alla o soltanto nel punto O=0w, così la cs in ogni sua posizione si appoggia alla o' in un solo punto. Inoltre fissato sulla retta o’ un punto generico O’, vi sono X coppie di quadriche omologhe 773 773, sulle quali risultano omologhi i punti 0, 0°, e però esistono sulla w' % coniche del fascio F” che passano pel punto 0°. Ne segue che i piani delle coniche cy costituiscono un inviluppo razio- nale di classe % riferito proiettivamente al fascio di quadriche 2’. La su- perficie generata dalle due forme proiettive è la 4": questa perciò risulta essere una superficie Wx+,="0"05 7, per î=1,2,..2%. Quel che si è detto per le superficie omologhe dei piani dello spazio $, può ripetersi analogamente per le superficie omologhe dei piani dello spazio S'; e si conclude che la corrispondenza X presenta le rette fondamentali di 2° specie 0,0' fra loro omologhe, multiple di ordine k, sicchè per 4D> 1 non si verifica per la corrispondenza la proprietà enunciata da Cremona. La superticie o’ dello spazio S' omologa della cubica fondamentale 03, assieme con una quadrica 73 del fascio ®' forma la superficie completa di ordine 2(2% 4- 1) omologa nella X di una quadrica 7, del fascio ®. Perciò la o’ è di ordine 4k. Una corda della cubica 03, essendo omologa nella X di una corda della cubica 03, sega la 0° in due punti fuori della 03: questa perciò è multipla —_2 2 Così una retta appoggiata alle 0°, 03, essendo omologa nella X di una retta appoggiata alle 0,03, sega la o’ in un punto fuori delle 0”, 03: perciò la 03 è multipla per la o’ di ordine 2%. Quel che si è detto per la superficie dello spazio S' omologa della 03, può ripetersi per la superficie dello spazio S omologa della 03. = 2k — 1. per la o’ di ordine i RENDICONTI. 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. DD — 400 — Ne segue che nello spazio S' le linee omologhe delle rette dello spazio S sono curve cox+1 = 034 (3; le curve omologhe dei punti della cubica 03 sono curve ec, =" 05° 7), della superficie 0”, e le curve omologhe delle rette dello spazio S appoggiate alla o sono curve cs+i = 0" 0"! 77}. Ed analogamente per lo spazio S' (1). Con ciò la corrispondenza X risulta perfettamente determinata. Matematica. — Quelques propriétes des fonctions de Bessel. Nota II di JosepH PàRÈS, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 4. Jai montré dans ma Thèse (?) que toute fonction analytique de # est développable en une série procédant suivant les puissances de compositions d'une fonction telle que %. Comme une telle fonction peut toujours se mettre sous la forme i RAGA 0) H() étant déterminée par une équation de Volterra, il en résulte qu'elle admet un développement convergent doo) + (0) + + an Ia) +. J'ai déja énoncé ce résultat et indiqué qu'on peut le rattacher au fait suivant: il existe une fonction 1 Serena 00 Sl, D\ _— q\k-1l yk se=-iy/ Ei Va=9)= La mi telle que (16) I. (4) = tf h(19) perde €). (!) Il tipo più generale di corrispondenza biunivoca spaziale che alle quadriche di un fascio 4 fa corrispondere le quadriche di un fascio ®' determin ando fra due quadriche omologhe una corrispondenza omografica, fu ottenuto da Noether, Weber die eindeutige Raumtransformationen, Math. Annalen, vol. III, $ 6, pag. 570. Il caso in cui la corrispondenza presenta il carattere involutorio. fu ottenuto nella mia Nota: Su una classe di trasformazioni razionali ed involutorie dello spazio ..... Giornale di Matematica, vol. XXXI. Anche per la corrispondenza Xsx+: ottenuta in questa Nota, con opportune partico- larità nella costruzione indicata, si può fare in modo che essa presenti il carattere invo- lutorio. (?) Paris 1915. Chap. IV. (*) Voir deux Notes des Comptes Rendus de l'Académie des Sciences (Paris 1918). La formule (16) est valable en remplagant n! par T(2 4-1) et en prenant, si est néces- saire, la partie finie de l’intégrale, quel que soit x. — 401 — 5. Voici d'autres conséquences de la formule (16); en posant Pn (0) = 1° Inw() 2WYIT(MNn4+v+1) t (17) gu) = + f Li(#0e) Var (i) Sr (3) On en déduit que les développements (18) do Po (0) + a1 Pr (0) 4 de Pe) + + an pa) + ont, si v > — 1, les mémes propriétés que les développements o) do To) +@ I (94: + an In() + La méthode de démonstration est exactement la méme (’): si /(t) est analytique dans le cercle |f| a LARSS A ,’ Ù , UA Y = Z($182... Spy Xy Ti Pi, ti) Vi Via Tip XG con t=h+k+29—(n+41), ©=lN+4#+29—(n+1) dove 1, 2... d0,Î1 ja +Jn-o Sono due permutazioni principali complementari degli indici 1,2,...,% di classi o,%# —@ rispettivamente, ed 2,3... do, Sr ja jH-ys due permutazioni analoghe dei numeri 1,2,..., k di classi o',k —o', posto che sia: (4) o=n+1—(h+9) , e=2+1—(@#+9) ciò che implica necessariamente: h14+-9X:), (str173Xs) e l'equazione precedente si riduce effettivamente (scrivendo ora s,s' in luogo di s,,s1) alla seguente: (10) (8 | Xe) È (85 | Xa) ni 0 che rappresenta un complesso di 2° grado luogo delle rette da ciascuna delle quali i punti fissi s,s' restano proiettati mediante coppie di piani ortogonali in una metrica nella quale l'assoluto sia la quadrica dei supple- menti. Esso viene ad essere, in sostanza, il complesso correlativo di quello studiato dall’ Hirst nell'articolo: On the complexes generated by two cor- | relative planes (cfr. Collectanea Mathematica in Memoriam Dominici Che- lini, pag. 51), e gode in conseguenza di tutte le proprietà dualistiche di — 432 — quelle possedute da questo. Interessante è la forma dell’equazione in analisi ordinaria di un tal complesso, e che si deduce ovviamente dalla (10). Suppongasi, infatti, che (essendo e, ,..., e, i vertici della pir..un. orto- gonale di rifer.) sia: t=tt+tre0 40306, + Ue, , (6=8,8 21,2); si avrà da una parte: Xo = Dic — Lan Cai) ien=YPir in per (é,k=1,2,3,4) avendo posto, come d'uso, Pin = Liri Lah — Xik Lai e da un’altra: {Xg= (L1 P23 + ta Par + ts Pie) CI C9 €3 + (ti Pra — ta Pra + ty Pre) Ci C2 @4 + (— li Ps4 + Î3 Pra + La P31) C3 Ce, 04 + (La Ps4 — Î3 Pa + ls Pa3) 02 €3 04 per i fi=‘8,.8% sicchè sarà: i (51 X3l si (GR Pa3 + Sa P31 | $3 Pio) ( 8 P23 + si P31 + 83 P12) + (51 Po — Se Pu +84 Pra) (| SIP — S1Pra + 8 Pa2) + (Sì Pad + 83 Da 4 S4 Pa) (Cr sì Psa + S3 Pra + 81 P31) +( S2Ps4 — 83 Pa + 84 Pas) ( 8 Pas — 83 Pad + % Pas) =0 l'equazione in discorso. Matematica. — Les equations differentielles linéaires d’ordre infini et l’equation de Fredholm. Nota di TRAJAN LALESCO, pre- sentata dal Socio V. VOLTERRA. Dans un travail antérieur, nous avons montré que, dans des cas très généraux, la résolution d'une équation intégrale du type .de Volterra est équivalente è un problème de Cauchy, relatif è une équation différentielle linéaire d'ordre infini et nous en avons tiré la conclusion que l'introduction dans l’Analyse de ce nouvel instrument analytique établit une liaison de continuité entre les équations différentielles d’ordre fini et les équations aux dérivées partielles. D'où sa grande portée dans cette dernière théorie ainsi que l’étendue variée de ses applications. Il est intéressant de développer sur l’équation de Fredholm des consi- dérations analogues. On peut y parvenir, à l’aide d’une suite remarquable de noyaur qui s'introduisent naturellement dans les problèmes bilocaux de la théorie des équations différentielles lingaires d’ordre fini. TI I e POSE — 433 — Prenons un intervalle ab {4< 5) et definissons è l'intérieur de cet intervalle, la fonction G,(2,y) égale dà 3 si x >y età —3 sì e 0 qualunque sia la funzione w. 2. Notiamo perciò che, se con Jn(7) indico la funzione di Bessel di ordine n e di 1* specie, l'integrale «(r) vale: Ì no Ins (1). 2 E poichè: 7 A °r J,s(7) = È =—|J cos (7 cos ) sen"-?y dg “o Vr iosa È — 2\/0 2 — 435 — potremo porre la (7), sopprimendo una costante moltiplicativa, sotto’ la forma: n Tr (2) ri | cos(7 cos g) sen"? gp dp . 0 Questa formola si può anzi verificare facilmente, osservando che: n l , U . n An u(r)= "+ dove gli accenti indicano derivazioni rispetto a 7. Avremo dunque: T Amu(r)= f |— COS (7 cos gp) cos? sen”-*p — 0 n — 1 — 7 Sen(r cos 9) cos g sen"? 9 | dg . E poichè, con una integrazione per parti, si ha: La | cos (7 cos 4) sen” dg Tm Ji sen (7 cos ) cos g sen"? gp dp = o n_-lU aVremo pure: Am(7) =| “— cos (7 cos ) [cos?g sen"? + sen"@g]dg = — u(7) ce. d. d. 3. Il risultato contenuto nella (2) si può interpretare nel seguente modo. Sia do l'elemento superficiale della ipersfera unitaria: Yat= 1 i=i e consideriamo l'integrale (n — 1)? : ( coste — 21) ak: + (cn) n] do, dove le (@,,@»,..., x) indicano le coordinate omogenee di dw. Introdu- ciamo come coordinate di un punto sopra «, un sistema di coordinate geo- grafiche, l’asse polare delle quali sia parallelo alla retta congiungente i punti (212... %n) (2173... 77) Se @ è la colatitudine 0 u,, us, ...,%n-s le variabili rimanenti, si ha: do = sen, sen? v3 ... Sen*73 ns Sen"-? a du, dus ... din, da (ea i) +-+ (en — x) an =7 c08 a — 436 — dove ho posto, come precedentemente, 7 = Y/x, — 21)? + <-- + (en — 21). Avremo perciò: f coste—) ant: + (en — 2) cn] do= = © f cos (7 cos a) sen"? a da, 0 e C è una costante che si calcola facilmente. Si conclude dunque: /’inte- grale della (1) funzione della sola r e regolare per r=0 si può porre sotto la forma: u(r) = f costa, — e) +-+ (e, + 2) n] do, dove w è una ipersfera unitaria e (a,,@,,..., Gn) sono le coordinate omogenee di dé. 3. Poniamo: ; =SS, cos [(21 — 21) 1 +-+ (2a — 27) en] 4(P) u(P') d$Sp dSw la S e la w avendo il significato del n. 1. Facendo la posizione: dp = aio +-+ en @n d= zia + +e n sì ricava subito: vee il il ACE NA = DI cos Àp u(P) a | + È sen 4» u(P) a | ; Integriamo la V rispetto alle (a, ,@2,...,@,) ed estendiamo l’integra- zione ad una sfera unitaria w. Avremo: sl Vee: =| sl p(P) u(P') dSs dSpr X x f cos (e an +-+ (en — 21) an] do. L’integrale superficiale, per quanto precede, vale (7). Dalla (3) con- segue dunque: (4) SS) p(P) p(P') dS, dSn = = f do [fo 2 u(P) d8 [+ f.to (sent) a8, | — 437 — formola che dà la richiesta riduzione a forma canonica. Dalla (4) discende poi: (5) f (0) u(P) u(P') dS, dSw => 0. 4. Se nella formola (5) si pone n=2 e ax=3 si ha: f fx») u(P)u(P')dS dSp => 0 <0S&/S | {E° a (Pu (P) d8, dv = 0. S) 7/8 (k Questa ultima formula fu da me già usata in una ricerca (') di Fisica ma- tematica. i La dimostrazione qui data evita il passaggio al limite ivi usato. 5. Nella formula (5) si ha l'eguaglianza solo se V = 0; cioè se: (6) f cosà, p(P) d8.= vi Send a(P)\d9:=0. /S 8 Se ora la 1° di queste uguaglianze viene integrata, l'integrazione essendo estesa alla sfera unitaria ©, si ottiene, procedendo come prima: (1) fu (2) = dove 7 indica ora la distanza del punto P dal centro di w. E poichè (?) (*) Sopra le vibrazioni armoniche smorzate di un corpo elastico immerso in un Auido. Rendiconti R. Acc. Lincei, vol. XXI, serie 52, pag. 756 e pag. 811. (?) Invero se si pone: ci= &+ hi e quindi: A = CDI ci i=1 i=1 le (6) divengono (poichè le #; non dipendono dalle &;): TOSI (> CA hi) (cos ( DI CA t) u(P) )dS — sen ( DI ci hi) fsen (> di di) (P)iSp=0 i s \i=zl = il sen (DI di hs) (cos (> di 5) u(P) dSs + cos (Dei i=i s i=ì dalle quali consegue: feos (> St SE (P) d$ = fsen (Di 5 5) (Paseo, SS =1 a, e) sen DS \ 0; c) u(P) dSe = 0 s = — 438 — questo centro è qualunque, si deduce che la (7) è valida per ogni punte dello spazio. Si conclude: nella (5) la uguaglianza è verificata solamente per fun- zioni u(P) soddisfacenti la (7) (‘). Matematica. — Sulla teoria generale delle corrispondenze birazionali dello" spazio. Nota II di D. MoNTESANO, presentata dal Corrispondente R. MaRcOLONGO. 1. Nello spazio S data una cubica gobba 03 e fissate una retta 0, corda della cubica, e 2% rette r che si appoggino alle linee 03,0, a ciascuna in un punto, senza presentare ulteriori particolarità, resta determinato un sistema omaloidico di superficie ESE Tor4+1 = 03 o Ta) DO Tk) . Stabilita una omografia fra questo sistema e quello dei piani dello spazio S', nella corrispondenza birazionale X.x+, che ne risulta fra i punti degli spazi S, S', le superficie del secondo spazio, omologhe dei piani del primo, sono superficie ,” IR. r r Xah+1 = 03° 0 4 Ta) 7(2k) formanti un sistema affatto analogo al precedente. Nella corrispondenza Xsx+, sono linee fondamentali di 2% specie omo- loghe le rette 0,0'. Tutto ciò risulta dalla Nota I. È ì : igor 03,0 , 2 ‘ Per 4==1, si ottiene una corrispondenza birazionale X3= }” ,°., 03,0, 2r assai semplice (*). Questa corrispondenza X3 può essese assunta come corrispondenza fon- damentale generatrice di ogni altra corrispondenza Xsx+, del tipo în esame, in base al seguente teorema: (4) Non mi è riuscito di dimostrare che le w(P) soddisfacenti a questa equazione sono identicamente nulle. (2) Un caso particolare della corrispondenza X, è quello nel quale i due sistemi omaloidici collegati alla corrispondenza sono costituiti ciascuno da superficie di 8° ordine aventi in comune quattro rette in posizione generica (linee fondamentali di 1® specie) e le due rette (linee fondamentali di 2* specie) appoggiate alle precedenti. Cayley con procedimento analitico giunge al risultato che la Jacobiana di un sif- fatto sistema sia costituita dagli 8 piani che le rette fondamentali di 1* specie deter- minano con quelle di 22 specie (On the 'rational transformation between two spaces. Proc. of the London Math. Soc., vol. III, n. 102, pag. 175). Invece è noto che la Jacobiana è costituita dalle 4 quadriche che le rette fonda- mentali di 1* specie determinano a tre a tre. — 439 — Date k successive corrispondenze XD, ... XP delti po indicato che în- tercedano rispettivamente fra gli spazî S,S,;S1,Sa;. Sk, 9, per k>Lg se sempre due corrispondenze successive X9, XS+!), per i=1,..k—-1, hanno in comune nello spazio S° la cubica gobba fondamentale e la retta fondamentale di 2° specie, senza presentare ulteriori particolarità, la corrispondenza prodotto 7(1 7 (2 7 (Kk XX XP... X XS è una corrispondenza Xox+, del tipo in esame. Per dimostrare il teorema basta effettuare il prodotto indicato. Se la prima e l’ultima corrispondenza data hanno rispettivamente negli spazî S,S' le cubiche fondamentali 03,03 e le rette fondamentali di 2* specie 0, 0’, nella corrispondenza prodotto alla congruenza lineare di rette Q che ha per direttrici le 0,03, corrisponde la congruenza lineare di rette Q' che ha per direttrici le 0',03, e sempre due punteggiate che abbiano per sostegni due raggi omologhi 7,7' delle due congruenze, si corrispondono con proiettività non degenere, nella quale al punto O==r0 corrisponde il punto 0'= r'0’. In generale se in due spazî S,S' sono date due congruenze lineari di curve Q,Q' riferite fra di loro con corrispondenza biunivoca, e se sempre per ogni coppia di linee omologhe 7,7 delle due congruenze resta deter- minata una corrispondenza biunivoca H,, fra i punti delle due linee, il sistema di tutte queste corrispondenze H,,, costitnisce una corrispondenza birazionale X fra i punti degli spazî S, 5°. Ora affinchè una linea direttrice o della Q ed una linea direttrice 0’ della Q' risultino linee fondamentali di 2* specie omologhe nella corrispon- denza X, è necessario e sufficiente che si verifichino le seguenti condizioni: 1° in ogni corrispondenza H,y il punto o i punti variabili di appoggio della linea 7 alla o debbono avere per omologhi il punto o i punti varia- bili di appoggio della linea 7’ alla 0‘; 2° un punto generico O della o ed un punto generico 0’ della _o' debbono appartenere a X coppie di linee omologhe della congruenza, per kE>0; 3° se esistono coppie di linee omologhe 77’ delle due congruenze, per le quali le corrispondenze H,,r presentino punti singolari, nessuno di questi punti o soltanto un numero finito deve cadere sulle 0,0’ rispettiva- mente. | In tali condizioni può dirsi che ad ogni punto generico della linea 0 dello spazio S (o della linea o’ dello spazio S') corrisponde nell'altro spazio la o' (o la 0) contata 4 volte e che perciò se le 0,0’ sono rispettivamente degli ordini v, v°, esse risultano multiple rispettivamente di ordine 4v", 4v ce) SR la Pa n © Ve cat el nie TRALA | f Dai è B a S $ È _i i. — 440 — per le superficie dello spazio S, o dello spazio S', omologhe dei piani del- l’altro spazio. Ma a giustificare rigorosamente quest'asserzione occorre il ragionamento che segue: Un piano generico w dello spazio S è segato in w punti P da una curva generica 7 della congruenza Q, se w è l'ordine delle curve della congruenza. Corrispondentemente nello spazio S' la superficie 4’ omologa del piano w è segata da una curva generica della congruenza Q', fuori delle linee diret- trici e dei punti base della congruenza, in u punti P'. Ora si fissi uno qualunque dei v punti di sezione della linea o col piano w — e sia il punto O — e per un punto generico 0’ della linea o' si considerino le X curve 7 della congruenza Q' che escono dal punto O’ e sono omologhe di curve 7 della congruenza Q che passano pel punto 0. Su ciascuna delle % linee 7’ ora indicate uno dei w punti P' del caso generale coincide col punto 0’, e però la superficie y' risulta tangente nel punto O' ai % piani che la tangente nel punto O' alla linea o’ determina rispettivamente con le tangenti nello stesso punto alle £ linee 7’ ora indicate. Ripetendo per tutti i v punti O, sezioni del piano w con la o, ciò che si è detto per uno di essi, si deduce che la superficie w' ha una linea multipla di ordine Xv nella o'. Inoltre dal ragionamento fatto segue che ai piani w dello spazio S che hanno in comune un punto O della curva 0, corrispondono superficie y' dello spazio S' che in ogni punto O' della o’ hanno in comune % piani tan- genti, sicchè nella sezione di due siffatte superficie la linea o’ conta per una linea semplice di ordine »'.(£v)? + 4», mentre in generale nella se- zione di due superficie w', omologhe di due piani generici dello spazio $, la linea o' conta per una linea semplice di ordine v'.(4r)?. Ciò prova che nella corrispondenza X se ad una retta generica dello spazio S corrisponde nello spazio S' una curva di ordine n, ad una retta dello spazio S appoggiata alla o nel punto O, corrisponde una curva di ordine n — kv'. Questo fatto può esprimersi dicendo che al punto O corrisponde nello spazio S' una linea di ordine 4v' infinitamente prossima alla linea o’ su tutte le superficie w' omologhe dei piani della stella (0), sicchè ad una retta di tale stella corrisponde, oltre all'anzidetta linea, un'ulteriore curva di ordine n — kv'. Ed analogamente per lo spazio S. Ciò posto, avendo già dimostrata l’esistenza di una corrispondenza bi- razionale X dotata di due rette fondamentali di 2° specie omologhe mul- tiple di ordine % per la corrispondenza, essendo % un numero intero arbi- trario, è agevole dedurre ulteriormente l'esistenza di corrispondenze biunivoche spaziali dotate di due linee fondamentali di ordine v, v', multiple rispetti- — 441 — vamente per la corrispondenza secondo i numeri %v', vr. essendo v,v' due numeri interi arbitrarî. Infatti dopo aver riferito gli spazî S,S' con la corrispondenza X, si riferisca lo spazio So allo spazio S con una corrispondenza birazionale Hu, e lo spazio S' allo spazio Ss con una corrispondenza birazionale Hy,yr, es- sendo le H, H' due corrispondenze arbitrarie che non presentino alcuna par- ticolarità rispetto alla X ('). Con ciò resterà determinata una corrispondenza birazionale & N HXXXH fra gli spazî So, 5, nella quale risulteranno omologhe la congruenza li- neare Q, dello spazio Sg, omologa nella H della congruenza lineare di rette Q=|0,03] dello spazio S, e la congruenza lineare Qv dello spazio Si, omo- loga nella H' della congruenza lineare di rette Q'=|0',03| dello spazio S'. E dalle particolarità che si verificano nella X per le varie coppie di rette omologhe delle Q,Q', si deducono le particolarità che si verificano nella Y per le varie coppie di curve omologhe delle Q,, Qy, e si riconosce che si verificano tutte le condizioni che occorrono per potere concludere che la direttrice 0, della congruenza Q,, omologa nella H della retta 0, e la direttrice oy della Qv, omologa nella H' della retta 0’, sono linee fonda- mentali di 2° specie omologhe nella Y. multiple rispettivamente degli ordini kv' , kv. Dunque esistono sempre trasformazioni birazionali dello spazio, nelle quali si presentano linee fondamentali di 2° specie omologhe, degli ordini v,v', multiple rispettivamente per la trasformazione secondo i numeri kv',kv, essendo v,v',k tre numeri interi arbitrari. (') Volendo fare uso di corrispondenze di tipo noto si potranno assumere due cor- rispondenze bimonoidiche Hy,y,H'yv,y (De Paolis, Sopra un sistema omaloidico formato da superficie di ordine n con un punto n— 1— plo. Giornale di Matematiche, vol, 13). RenpICcONTI. 1918, Vol. XXVII. 1° Sem. 6l — 442 — ‘ Chimica. — Acido cromisolfocianico e cromisolfocianati. Nota di Gino SCAGLIARINI ('), presentata dal Socio G. CIAMICIAN. J. Roesler (*) trattando l’allume di cromo coi solfocianati alcalini ottenne dei sali della formula generale: M, Cr (SCN); + XH, 0. Analogamente potè preparare ì cromisolfocianati di bario, piombo, ar- gento. Dal sale di argento lo stesso autore con idrogeno solforato volle libe- rare l'acido cromisolfocianico. Ma la soluzione di colore rosso-vinoso, nella quale presumibilmente è contenuto l'acido, evaporata a bagno maria svolge acido cianidrico e lascia depositare solfocianato di cromo. Il Roesler non potè ottenere altri cromisolfocianati in causa della loro grande solubilità. In seguito Cioci (*), Rosenheim e Cohn (*) si occuparono di tale argomento specialmente per decidere della quantità di acqua di cristallizzazione con- tenuta nei sali alcalini. Mi parve però interessante riprendere tale studio per rendere più com- pleta la serie dei cromisolfocianati, e per ottenere l'acido cromisolfocianico. Per avere i sali di metalli bivalenti ricorsi, come già avevo fatto altra volta, alla esametilentetramina che, come è risaputo, si combina facilmente cogli idrati dei sali in soluzione formando dei complessi assai stabili ed insolubili. In tal modo potei ottenere i cromisolfocianati di manganese, co- balto, nikel, magnesio, calcio, zinco, cadmio e stronzio, dei quali analizzai soltanto i primi cinque come quelli che si prestavano meglio essendo i più puri. Questi sali di un bel colore rosso-vinoso sono naturalmente fra loro isomorfi ed hanno la formula generale: M; (Cr (SCN)g): . Ito) H,y (0) SF 3 Ce Je N, . Vennero ottenuti partendo dal ceromisolfocianato di ammonio con un sale solubile del metallo di cui si vuole preparare il cromisolfocianato aggiun- gendo quindi una soluzione concentrata di esametilentetramina oppure, assai meglio, trattando il cromisolfocianato di bario con la quantità calcolata di solfato del metallo bivalente e trattare poscia il liquido con una soluzione concentrata di esametilentetramina. (') Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Bologna. (*) Liebigs, Annalen, /47, 185. i (3) Z. Anorg. Chem., 19, pag. 314. (4) Ibid., 27, pag. 294 (1911). — 443 — Per ottenere l’acido corrispondente si approfittò della sua estrema solu- bilità in solventi organici facilmente volatili come, ad esempio, l'etere solfo- rico e per distillazione di esso si potè avere l'acido libero. Cromisolfocianato di manganese ed esametilentetramina = = Mn; (Cr(SCN);): I0 H:0+3 CH N, - Si ottiene, trattando una soluzione concentrata di cromisolfocianato di bario (una molecola) con un'altra pure concentrata }di solfato manganoso (tre molecole circa). La soluzione filtrata per separare il liquido dal solfato di bario formatosi per doppio scambio, viene trattata con una soluzione satura a freddo di esametilentetramina (una molecola di base per un atomo di manganese). Si vanno separando così piccoli cristalli di colore rosso-vinoso, che filtrati e lavati con poca acqua, vennero messi ad asciugare fra carta da filtro. Non si poterono ricristallizzare senza alterazione. I risultati ana- litici sono qua sotto riportati: Calcolato per Trovato Mn; (Cr(SCN)e)a IO H+ 0 +3 Ca His N4 Mn 10.52 10.20 - 10.32 Cr 6.64 6.39- 6.40 N 21.50 21.60 - 21.48 S 24.54 23.75 C 22.96 22.58 - 22.70 H 3.60 4.20- 4.02 Cromisolfocianato di cobalto ed esametilentetramina = i Cos (Cr(SCN)g)s ICO) Hs (0) 3P 3 Ce His N, . Cristalli ben formati, colorati in rosso a riflessi metallici più colorati di quelli di manganese coi quali al microscopio presentano somiglianza nella struttura cristallina. Si ottiene collo stesso procedimento seguito per il sale di manganese. Calcolato per Trovato Cos (Cr(SCN)6), IO H20 + 3 Ce Hia N Co dz 10.80 Cr 6.59 6.10 M 21.28 21.50 N) 25.43 i 25.00 C 22.80 23.02 H 3.54 4.05 — 444 — . Cromisolfocianato di nikel ed esametilentetramina = = Ni; (Cr(SCN)c)» IO H, (0) + Co His N, Cristalli ben formati, colorati in rosso a riflessi metallici. Si ottiene alla stessa maniera dei precedenti. Calcolato per Trovato Nis (Cr(SCN)g)a IO Ha O +4 CoHia Ni Cr 6.59 6.12 N 21.28 21.45 S 25.48 24.90 C 22.80 22.60 H 3.04 4.10 Cromisolfocianato di calcio ed esametilentetramina = = Cas (Cr(SCN)6): IO H, 0,4 3 Co His N . Si ottiene trattando una soluzione abbastanza concentrata di cromisolfo- cianato di ammonio (2 molecole) con un'altra di cloruro di calcio (3 atomi di metallo) a cui venne in precedenza aggiunta una soluzione di esametilente- tramina (3 molecole) di concentrazione tale da impedire la formazione del cloruro di calcio ed esametilentetramina. Piccoli cristalli rossi che, filtrati alla pompa e lavati con poca acqua, vennero seccati fra carta da filtro e sottoposti ad analisi: Calcolato per l'rovato Ca, (Cr(SCN)e)a IO Ha 0 + 3 Ce Hi Nu , Ca 7.90 7.95 Cr 6.79 6.44 S° .07125.26 25.00 N 22.12 ; 22.10 Cromisolfocianato di magnesio ed esametilentetramina = = Mg3 (Cr(SCN))) IO H3 0 + 3 Ce His Ni . Sì ottiene nello stesso modo di quelli manganese, cobalto ecc. Cristal- linì rossi. Calcolato per Trovato Mg,(Cr(SCN)) IO H30 + 3 Co His Ni Mg 4.95 . 4.62 Cr 7.06 7.28 S 26.07 25.45 N 22.83 22.47 — 445 — Acido cromisolfocianico = Hz Cr(SCN);. L'acido cromosolfocianico sì ottiene assai bene trattando una soluzione concentrata e fredda di cromisolfocianato di ammonio o meglio di bario con un’altra soluzione di acido solforico diluita al 10 °/, circa nel rapporto di 8 molecole di acido solforico per una di sale di bario. Durante la reazione conviene raffreddare con acqua ghiacciata. Il solfato di bario formatosi venne per filtrazione separato ed il liquido acquoso trattato ripetutamente con etere fino a che l’etere non si colorava più in rosso, ciò che significava che tutto l’acido cromisolfocianico era passato nella soluzione eterea. La soluzione eterea contenente l'acido cromisolfocianico ripetutamente lavata con acqua fino ad eliminazione completa dell’acido solforico e seccata con solfato sodico anidro, venne evaporata a bagno-maria e meglio ancora a pressione ridotta. Si ottenne così un olio di color rosso vivo che neppure a bassa temperatura (miscela eutectica di ghiaccio e sale) solidifica. In esso olio venne determinato il i L i Da rapporto < che risultò uguale a 6 come stanno a dimostrare le analisi qua sotto riportate, e che è appunto il rapporto secondo il quale si trovano cromo e zolfo nell’acido cromisolfocianico. Cres 03 trovato = gr. 0.7310 Cr» 03 trovato = gr. 0.6583 S a af 1190 S » = » 1.70 L'acido cromisolfocianico non si decompone affatto ad una temperatura inferiore a 40° circa. ma portato a temperatura superiore incomincia a svol- gere acido prussico e vapori di odore. agliaceo. È un acido abbastanza ener- gico quasi paragonabile agli acidi minerali. Difatti la sua soluzione normale intacca energicamente molti metalli, come. ad esempio, la limatura di zinco > con la quale reagisce anche a freddo con svolgimento di idrogeno. Le sotto- riportate determinazioni di conducibilità eseguite alla temperatura di 25° sulla sua soluzione equivalente a diverse diluizioni dànno una idea del grado di dissociazione dell'acido cromisolfocianico: l'equivalente in 10 litri 89 ” 100 » 116 ” 1000 » 124 Questi valori di poco superiori a quelli che si ottengono colle soluzioni equivalenti di acido fosforico ci dànno la misura della energia dell'acido cromisolfocianico. — 446 — Geologia. — Influenza morfologica dei movimenti postumi sull'area dell’Italia. Nota II di G. RovERETO, presentata dal Cor- rispondente Arruro ISSEL. Uscendo, per continuare in questo argomento, dalla regione ligure, quasi ogni parte della Penisola potrebbe servire di esempio per la trattazione: accenneremo pertanto solo ad alcune condizioni più notevoli, e di diverso carattere. Dalla pianura veneta si vede la lunga serie di rilievi formanti la parte marginale delle Alpi — le Prealpi Bassanesi e Bellunesi, l’Altipiano del Cansiglio, le Prealpi Carniche e Friulane — profilarsi orizzontali, in gran- dissimo contrasto con la massa, molto incisa, della zona più interna della catena. Persistendo in una deplorevole generalizzazione di una osservazione fatta dai geomorfologi americani, forse molti vedrebbero in ciò i resti di uno spianamento subatmosferico, e gli applicherebbero senz'altro la designa- zione di pereplain; ma le cose son passate in un modo ben diverso. Difatti, gli accurati e recenti studî che hanno illustrato tale regione — del Dal Piaz, del Dainelli, del Fabiani, dello Stefanini — nonchè gli anteriori del Taramelli, sono sufficienti per dimostrare: che qui si sono avuti dei movimenti postumi; che una orogenesi attenuata, comprendente, come più recente termine gli strati pontici, interessò per lo meno due anticlinali e un sinclinale preesistenti, i quali tornarono a inflettersi e si convertirono, secondo la nostra nomenclatura, in ripieghe; che una falda di carreggia- mento, come abbiam detto in una Nota anteriore, si rimise in movimento; che si produsse un nuovo sinclinale perimetrale a spese dei terreni neogenici. Chiuse l’avvicendamento delle perturbazioni un innalzarsi epeirogenetico, che inclinò, in maniera risentita, gli strati villafranchiani, i quali, come inse- gnano le sezioni dello Stefanini ('), di già posavano, con marcata trasgres- sione, sul pontico. In corrispondenza del sinclinale interno, di ripiega, si hanno ora dei tronchi di valli longitudinali, quali quelli della Val Sugana a monte del- l’Altipiano dei Sette Comuni, della Piave fra Feltre e Belluno ; mentre forse a movimenti più antichi, ossia del miocene, sono dovuti i tronchi longitu- dinali, più interni, dell' Isonzo e del Tagliamento. Le sezioni del Dal Piaz (?) ci informano, che al sinclinale di ripiega, dove è più evidente, sono collaterali, verso il cuore delle Alpi Feltrine, dei (*) Mem. Istit. Geol., Università di Padova, vol. III, 1915. (£) Mem. Istit. Geol., Università di Padova, vol, I, 1912. — 447 — forti rilievi, resi tali dall'accentuazione di antiche pieghe a ginocchio ben decise, e da anticlinali molto innalzati, la cui area è preponderante su quella dei sinclinali; dalla parte opposta, fra lo stesso sinclinale e la pianura, stanno le Prealpi Bellunesi, corrispondenti a un vero anticlinale di ripiega, che, se molto ampio, dà luogo ad altipiani. ad es. a quello del Cansiglio, mentre nei tratti ristretti produce montagne slanciate. Il dosso di questo anticlinale è quello che determina, per lungo tratto, la protilazione orizzontale, la quale fa per questo parte di una super ficie strutturale, e nel contempo rappresenta, rispetto all’erosione, una superficie fondamentale, nella quale cominciò a intagliarsi la montagna, con tutte le sue particolarità orografiche: ma che si contornia ancora in modo unito, data la sua età recente. Nel resto delle Alpi, al contrario, l'antica superficie fon- damentale si può dire scomparsa — accenna solo ad essa l’altitudine media delle vette di alcuni tratti della catena — perchè non si ebbero, per la accen- tuazione delle pieghe, estese superficie strutturali, livellate; ma solo degli spianamenti di abrasione marina durante il sollevamento, di erosione sub- atmosferica dopo, che per la loro antichità sono ora distrutti. Ma nelle Prealpi Bassanesi e Bellunesi abbiamo ancora il problema dei tronchi vallivi che le limitano in senso trasversale. Ora noi, sempre rife- rendoci alle sezioni del Dal Piaz, possiamo dire, ehe il tronco trasversale della Piave, susseguente a una lunga deviazione longitudinale, corrisponde a un abbassarsi dell'asse della ripiega anticlinale; abbassamento originatore di una depressione trasversale, ben riconoscibile per il fatto, che da questa dipende un'interruzione nell’affiorare del giurassico, che è il termine strati» grafico regionalmente più antico. Il tronco trasversale della Brenta è disposto in modo diverso, poichè esso conserva la direzione, ed è in diretta continua- zione, della parte di valle fissata nell’ossatura alpina, e per questo anti- chissima; onde può ritenersi un tronco antecedente, che si è mantenuto, senza spostarsi, nella zona di nuovo rilievo, perchè casualmente una piega trasversale si è inflessa dov'era il suo passaggio; se fosse mancata questa eventualità si sarebbe congiunto col solco longitudinale della Piave. L'analisi dei movimenti postumi vale anche a studiare la morfologia delle pianure, ed è più frequente di quanto non si creda, la corrispondenza morfologica che queste hanno con le loro condizioni tettoniche di profondità; benchè all’esterno appariscano del tutto soggette alle leggi dell’alluviona- mento. Ciò deduco soprattutto dai risultati che ho ottenuti studiando la Pampa Argentina ('); ma mi pare che. la pianura padana possa altresì con- fermare tale concetto. | Da notizie date dal Taramelli (*) si apprende, che uno dei più tipici inclusi della nostra maggior Pianura, la Collina di San Colombano, da me (1) Bull. Soc. Geol. Ital., vol, XXXIII, 1914. (?) Rend. R. Istit. Lombardo, 1909. — 448 — per la prima volta, abbandonando un vecchio concetto (*), risaliente nientemeno che al secolo XVIII, ritenuta dipendente da un piegamento recentissimo, e non un lembo staccato dall’Appennino per l’azione erosiva di correnti acquee, a seguito delle trivellazioni, è risultato il dorso di un ampio anticlinale, che ha una continuazione sotterranea sin sotto Belgioioso, mentre non arriva sotto Pavia. bi) Le trivellazioni hanno eziandio distrutto in gran parte la ‘credenza, almeno così ritengo, che la asimmetria della pianura padana, rispetto ai suoi due opposti acquapendenti, sia solo dovuta alle preponderanti alluvioni pro- venienti dalle Alpi. Invece, tale condizione morfologica dipende anche dal- l'assetto tettonico di profondità, dal maggiore e più ampio sollevamento epeirogenetico alpino rispetto a quello appenninico; come si può provare con una sezione che congiunga le perforazioni di Monza, di Milano, di Belgioioso, ricavando i rispettivi dati dal Mariani (*), dal Salmoiraghi (*) e dal Tara- melli già ricordato. Ora, da questi dati risulta evidente, che le superficie limiti del pliocene marino e del villafranchiano continentale sono inclinate e continuate in modo, “da spostare verso l'Appennino la parte mediana del geosinclinale di cui fanno parte; che i depositi villafranchiani hanno riempiuto la asimmetrica depressione tettonica, e hanno terminato col lasciare al quaternario medio un piano di base corrispondente alla grande disimmetria attuale. L’Appenino Toscano e Umbro deve alcuni dei suoi più caratteristici tratti morfologici a una orogenesi attenuata che originò grandi conche, in gran parte lacustri, al terminare del pliocene, fece manifestare il vulcanismo dell’Antiappennino, e fu seguìto da un movimento epeirogenetico, post-villa- franchiano, il quale, accentuando le influenze dei movimenti eustatici, influì sullo sventramento delle conche, sulla nuova profilazione longitudinale dei corsi d'acqua, e massimamente sul congregare le grandi valli del Tevere e dell'Arno, che possono ricordarsi fra gli esempi più curiosi di corsi composti aggiuntivi, con catture, investimenti di deflusso e brevi tratti antecedenti. Questi concetti furono da me per la prima volta espressi, trattando della morfologia delle valli liguri (‘), fra le quali le più orientali — del Taro, della Vara, della Magra — hanno subìto, benchè attutito, tale movi- mento di orogenesi secondaria; ma nessun autore ha creduto sino a ora di - doverli accettare, e alcuni hanno anzi a essi contrapposto delle afferma- zioni erronee, o affatto insufficienti, che per non incorrere nella taccia di irriverente o di polemista, tralascio di esaminare nei loro particolari. Eppure nei più dei casi è evidente, che la conca è adattata a un sinclinale del (') Rovereto G., Studi di Geomorfologia, pag. 223. (*) Atti Soc. Ital. di Sc. Natur., 1909. (3) Rend. R. Istit. Lomb., vol. XXV, 1892. (4) Rovereto G., Geomorfologia delle Valli Liguri, pp. 198, 207 e seg. — 449 — periodo orogenetico eocenico, benchè a questo sia di molto posteriore; onde è necessario credere, che un’antica area corrugata, sottoposta a nuove spinte orogeniche, abbia ceduto nelle zone di minor resistenza, che erano appunto quelle sinclinaliche. La forma stessa di conca esclude la presenza di faglie longitudinali, e il dubbio che si è avanzato, se in corrispondenza di esse siansi avuti dei veri laghi, non elimina il fatto del racchiudimento montuoso. L'Appennino Centrale è forse il più bel caso italiano di sollevamento epeîrogenetico, accentrato secondo un gruppo montuoso, che nella fattispecie è il Gran Sasso. Questo, con gli altri gruppi della regione, della Majella, del Sirente, del Velino, quando cominciò a inflettersi per il movimento oro- genetico appenninico, si circoscrisse in una cupola (o in un carapace se si ammette che la cupola sia apparente, e rappresenti la modificazione di una falda di ricoprimento), la quale a mano a mano, per i movimenti postumi, sempre più si isolò e si accentuò, ed emerse definitivamente a cominciare dalla fine del miocene, formando così il nucleo orografico dell'Abruzzo. Dopo questo, è suggestivo considerare, che il miocene al Gran Sasso raggiunge la massima altezza locale, nonchè europea, essendone costituita la vetta di M. Gozzano culminante a m. 2455, e che si ha qui il massimo di un rigonfiamento il quale subito decresce ai lati; perchè alla Majella, se- condo cifre del Sacco ('), lo stesso miocene è di già a 1500 m., nel Matese a m. 1200, nel Molise a m. 1000 sul mare. Se a queste cifre si toglie ciò che è dovuto ai movimenti postpliocenici, che si possono stabilire, tenendo conto del fatto, che al Gran Sasso e alla Majella il pliocene trovasi a 600 m. di altitudine, e se si sottrae eziandio il quantitativo dei movimenti eustatici quaternarî, che è di circa 300 m., si ha sempre un enorme rigonfiamento, collegato al miocene, di m. 1500 almeno. . Invece, il rigonfiamento collegato al pliocene ebbe i suoi massimi situati altrove: uno di questi corrisponde al Piceno, dove tal terreno raggiunge ora, secondo il Sacco (°), i 1100 m. di altitudine. Tutto ciò spiega come cupole, la cui prima accentrazione risale all’eocene, possano tuttora avere un'influenza orografica diretta e marcatissima; per di più pone in ehiaro, che quando i movimenti di epeirogenesi sono circoscritti, come è il caso di quelli avvenuti sull'area italiana, questi tendono a deter- minare dei gruppi montuosi divisi da depressioni, e a sostituire quindi, a una catena uniforme e continua, tante parti staccate, non aventi in apparenza legame fra loro. E questa è proprio la condizione della Penisola, dove eziandio si può ritenere, che la stessa classe di movimenti abbia preparato le aree vulcaniche; ma di ciò in una Nota prossima. (1) Mem. R. Accad. Sc. Torino, vol. LIX, 1907; vol. LX, 1908. (?) Bull. Soc. Geol. Ital., vol. XXVI, 1907. RENDICONTI, 1918, Vol. XXVII, 1° Sem. 62 — 450 — Zoologia. — Stadt larvali di P. Sphyraenoides Risso. Nota di Lurci SANZO, presentata dal Socio B. Grassi. In due mie precedenti Note ho fatto conoscere stadî larvali di P. hyalina(*) è P. Rissoi (?) (= P. Coregonotdes C. V.). Quelli di P. Sphy- raenoides Risso, di cui vengo ora ad interessarmi, rappresentano il materiale più ricco che io abbia avuto tra le varie specie di Paralepidini. Sono più di due mila esemplari, ed in ottime condizioni, essendo stati la maggior parte pescati, con retino a mano, ancora viventi nelle acque di questo Stretto. Queste larve ripetono, nel loro sviluppo, dei caratteri comuni alle due prime specie: forte allungamento del muso, forte migrazione dell'ano da avanti indietro, e concomitante comparsa di grandi macchie mediane insistenti, le pre- anali, sulla volta peritoneale ed estendentisi più o meno ai lati dell'addome; caratteri che presi insieme s'affermano sempre più nelle nuove specie in esame come la principale caratteristica nello sviluppo larvale dei Paralepidiri. Ma sulle modalità di questi stessi caratteri si esplicano rilevanti differenze per le quali riesce sicura la distinzione delle varie specie di larve tra loro. Il dettaglio dello sviluppo post-embrionale di questa specie sarà dato nella già pronta Monografia degli Scopelin: le cui tavole — una tren- tina — non possono, per la deficiente mano d'opera cagionata dall'attuale guerra, esser riprodotte. Mi limito pertanto, in questa Nota, a riprodurre alcuni stadî principali della serie, e precisamente stadî di mm. 5.12, mm. 9.68, mm. 15.52, mm. 20.80, mm. 27.20, mm. 84.80. Tali misure sono rispettivamente ripartite come appresso: Larva Larva Larva Larva Larva Larva i di di i di di mm. 5,12 | mm. 9,68 | mm. 15,52 | mm. 20,60 | mm. 27,20 | mm. 34,80 (fig. 1) Dall’apice del muso al profilo an- teriore dell’occhio . . . . + 0.25 0.40 0.52 0.80 1.00 1.50 Diametro orizzontale dell’occhio 0.32 0.40 0.48 0.70 0.70 0.90 Dall’occhio al cingolo toracico . 0.28 0.38 0.55 1.00 0.90 1.70 Dal cingolo toracico all'apertura anale-(inclusa)ilt eni 0.55 0.90 3.00 9:10 | 12.65 | 15.10 Dall’apertura anale alla pinna anale E. 7.25 3.75 5.50 7.10 Base della pinna anale (fra le due Verticali) (ect MM 3.60 7.34 2.40 3.45 4.10 5.00 Dalla pinna anale all’estremo cau- | dale del bronco ; - 0.95 1.00 1.15 1.50 Estensione della pinna caudale (fra le due verticali). . . . 0.12 0.26 0.37 1.00 1.20 2.00 Totale sie smm: 5.12 9.68 | 15.52 | 20.80 | 27.20 | 34.80 (1) L. Sanzo, Stadi larvali di P. hyalina C. V. Memoria LIX del R. Comitato Talassografico italiano. 1917. (*) Idem, Sviluppo larvale di Rissoi Bp. M. LXII del R. C. T. I. 1917. — 451 — Larva di mm. 5.12. — È esile, trasparentissima ; l'estremo posteriore della corda ancora diritto all'indietro; lievissimo ispessimento mesodermico di origine ai pezzi ipurali. Pinna primordiale alta relativamente all'altezza del tronco. Il muso è cortissimo, fortemente schiacciato dorso-ventralmente, ed alquanto ripiegato in alto. L'occhio è relativamente molto sviluppato; ha forma arrotondita anzichè ovale, quale nelle due specie di larve da me descritte. Piccolissime pettorali, membranose (mm. 0.28 di lunghezza). L’aper- tura anale assai vicino al capo. Larva di mm. 9.68. — Il muso è divenuto relativamente più lungo da uguagliare il diametro dell'occhio. L’ano s'è spostato alquanto indietro, nel tempo stesso che sono comparse due macchie peritoneali, assai più piccole che in esemplari di uguale lunghezza delle due specie da me esaminate e dove se ne contano, cinque in P. hyalina ed una in P. Risso?. All’estremo del tronco, a partire dal lieve ispessimento mesodermico di produzione dei raggi ipurali, vengono, per ciaseun lato, in avanti due brevi serie parallele di 5-6 cromatofori ciascuna, che seguono, l'una il profilo superiore, e l’altra quello. inferiore della corda dorsale. Consimili serie di cromatofori si trovano in P. Rissoî, ma ad uno stadio assai più inoltrato di sviluppo. Nella serie di sviluppo da me descritto esse sono presenti nell’esemplare di mm. 23.74. Una seconda macchia ventralmente a metà del tronco caudale, composta di uno o due grandi cromatofori con ramificazioni che abbracciano, dal basso all’alto, il tronco per poco meno della sua metà d'altezza. Una terza mac- chiolina, anch'essa ventrale, a metà tra le due macchie anzidette e rispon- dente alla base della futura pinna anale nella sua porzione anteriore. Tutte e tre le macchie sono di color nero. Una macchiolina di uguale colore al- l'estremo mandibolare. Î Le pettorali ancora piccolissime e membranose. La membrana primor- diale persiste integra in tutta la sua estensione dorso ventrale, ma più alta ventralmente che dorsalmente. L'estremo posteriore della corda è lievissima- mente ricurvo in alto. Si contano 92 segmenti. Larva di mm. 15.52. — Il muso si presenta ancora molto schiacciato, sebbene in minor grado; esso s'è allungato, ma relativamente assai meno che nelle due specie esaminate. L'ano s'è spostato molto addietro, trovan- dosi ora a 3 mm. dal cinto toracico, mentre nello stadio precedente di mm. 9.68 ne distava mm. 0.90. Alle due precedenti macchie peritoneali si sono aggiunte successivamente, e decrescenti da avanti indietro, altre quattro macchioline. Sono apparsi gli abbozzi dei raggi anteriori della pinna anale; se ne contano una dozzina; essì non arrivano al margine della pinna. Lo spazio interposto fra l’ano e l'origine della pinna omonima rappresenta la metà quasi della lunghezza totale del corpo. La pinna primordiale ventrale pre- senta, poco avanti dell'anale, un lembo di rialzo che diviene più accentuato — 452 — con l'ulteriore sviluppo tra la posizione definitiva dell'ano e l'origine del- l'anale. : | L'estremo della corda non si è ancora ripiegato in alto; sono, però, com- parsi dei pezzi ipurali. Dorsalmente la pinna primordiale si è, da avanti indietro, di molto ridotta in altezza fino a scomparire per un certo tratto anteriormente. L'anteriore delle tre macchie si mostra sdoppiata nell'esem- plare in esame, ma tale sdoppiamento non è però costante. Larva di mm 20.80. — Il carattere più saliente di questo stadio, di fronte al precedente, è l'enorme spostamento indietro dell'apertura anale che è divenuta posteriore alla metà della lunghezza totale del corpo. Mentre nello stadio di mm. 15.20 è a 3 mm. dal cingolo toracico, a questo stadio se ne trova discosto per mm. 9.10. Parallelamente con lo spostamento sono andate successivamente comparendo sulla volta peritoneale altre macchie; se ne con- tano ora 11. La pinna anale, che termina vicinissimo alla caudale, presenta trenta raggi; tale numero sì mantiene costante in tutto lo sviluppo ulte- riore, ed è il numero definitivo della specie. L’urostilo è già formato e la pinna caudale presenta i suoi 19 grandi raggi, che è il numero definitivo. È presente a questo stadio l’abbozzo della dorsale a partire dal livello anale indietro. Sono presenti anche delle pic- colissime ventrali, impiantate poco avanti dell'apertura anale ed alle quali la dorsale riesce perciò del tutto posteriore. Il muso è divenuto meno schiac- ciato. Si contano 92-93 segmenti che è il numero definitivo della specie. Sul capo, nello spazio interorbitario, sono apparsi pochi cromatofori in nero. Altri dello stesso colore seguono, in fila, leggermente arcuata, dall'angolo ma- scellare postero-inferiore, in alto ed in avanti, verso il contorno inferiore orbitario. i Larva di mm. 27.20 (fig. 1). — L'ano s'è poco spostato caudalmente. Le macchie peritoneali sono in numero di 13; possono però, in esemplari di uguale lunghezza, trovarsi in numero di 12. Il numero di 12-13 macchie peritoneali si mantiene costante nell'ulteriore sviluppo larvale. Anche in giovani esemplari sugli 8-10 cm., cotali macchie possono rendersi evidenti per trasparenza, diafanizzando in glicerina. In esemplari più sviluppati si estendono tanto cranialmente quanto caudalmente, sino a venire in contatto tra loro; ma la distinzione delle primitive macchie peritoneali m'è riuscita possibile anche in esemplari sui 17 mm. in quanto persiste una linea divi- soria carica di pigmento più o meno che le due macchie contigue. A — 453 L’anteriore delle tre macchie caudali, posta fra l'apertura anale e la pinna omonima, s'è risoluta in una punteggiatura lungo il profilo ventrale del tronco. La dorsale abbozzata mostra nove piccolissimi raggi; compaiono dei cromatofori sul lobo inferiore della caudale, che si mostra alquanto più sviluppato del lobo dorsale. Le pettorali sono tuttavia piccolissime come altresì piccolissime sono le ventrali. Sulla mascella inferiore si notano pochi denti appuntiti e discretamente lunghi; ancora più piccoli, ma altrettanto scarsi sono quelli della mascella superiore. Larva di mm. 34.80. — La pinna dorsale presenta dieci raggi che è il numero definitivo della specie; avanti ad essa persiste un esile avanzo di pinna primordiale, la quale, a sua volta, si continua ancora con la pinna caudale. L'adiposa comparisce ben presto in stadî successivi ed assai vicino alla pinna caudale. L'anale s’avvicina alla forma che ha nell'adulto. Tra la pinna anale e l’ano, che ha raggiunto la sua posizione definitiva, resta inter- posto un rilevante tratto di spazio, corrispondente ad un quinto, quasi, della «sd MEL cada Ti e Vip e ue O ye o Fio. 2. lunghezza totale del corpo, occupato dal residuo di pinna primordiale. Questa s'innalza, piuttosto rapidamente dietro l'apertura anale, per degradare caudal- mente fino a continuarsi con la pinna anale. Le ventrali sono ancora picco- lissime; in stadî molto vicini riescono bene evidenti otto raggi. Le pettorali mostrano ben distinti nove raggi che è il numero della specie. Colle larve avanti descritte ed il cui sviluppo porta alla P. Sphyraenoides si confondono, a prima vista altre larve che, come le prime, hanno la dorsale con dieci raggi retreposta -all'anale, e l’anale con trenta raggi. Anche in queste larve compare sulla volta peritoneale un egual numero di macchie come nella serie gia vista. Il computo dei segmenti dà peròiun risultato minore: 82-84 segmenti anzichè 92-94 che!è il numero definitivo di vertebre in P. Sphyraenotdes. Ed inoltre altri caratteri differenziali costanti lungo la serie che tali larve vengono a costituire, emergono se si mettono a confronto stadî dell'una e dell'altra serie a parità di lunghezza. Queste nuove larve (fig. 2) risaltano dalle prime per avere l’occhio più grosso, il muso più lungo e per trovarsi ad uno stadio più inoltrato”di sviluppo. Le differenze vanno però, con lo svi- luppo larvale stesso, divenendo meno spiccate. — 454 — La seguente tabella, messa a confronto coi valori già dati per le larve di P. Sphyraenotdes, offre un concetto della differenza nella lunghezza del muso, grandezza dell'occhio e posizione dell’apertura anale nelle due serie: Larva Larva Larva LATTA Larva È - i mm:2720] Li mm. 11.20} mm. 16 | mm. 20.80 (fig. 2) mm. 84 Dall’apice del muso al profilo anteriore dell'occhio iper iat eie 0.70 1.05 1.50 2.00 2.40 Diametro orizzontale dell'occhio. . . . 0.50 0.70 0.90 0.90 1.20 Dall’occhio al cingolo toracico . . . .| 0.50 0.95 1.15 1.60 1.60 Dal cingolo toracico all’ apertura anale È (Inclusa) pi IRR OR 1.50 5.60 7.55 | 10.40 | 13.70 Dall’apertura anale alla pinna anale . . 5 25 3.75 4.00 4.80 6.00 Base della pinna anale (fra le due verticali) 1.75 2.35 3,25 4.30 5.10 Dalla pinna anale all’estremo caudale del i TEO NEON ST O gio ri n Meg 0.80 0.85 0.95 1.40 2.00 Estensione della pinna caudale (fra le due Verticali Là. OOLRE CE, Mies o 0.20 0.75 1.50 1.80 2.00 Totale . . . mm. | 11.20 | 16.00 | 20.80 | 27.20 | 34.00 Se tali larve debbano ritenersi specificamente diverse dalle prime, ovvero rappresentino un sesso della stessa specie 2. Sphyraenoides, sarà discusso nel lavoro monografico. Dall’Istituto centrale di Biologia marina in Messina, ELEZIONI DI SOCI Colle norme stabilite dallo Statuto e dal Regolamento, l’ Accademia procedette alle elezioni di Soci e Corrispondenti. Le elezioni dettero i ri- sultati seguenti per la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali: Fu eletto Socio nazionale: Nella Categoria I, per la Matematica: CasTELNUOVO Guipo. Furono eletti Corrispondenti: Nella Categoria II, per la Fisica: Corrino Orso MarRIo; per la Chimica: BRUNI GIUSEPPE. Nella Categoria IV, per la istologia: BaGLIONI SILVESTRO. Furono eletti Soci stranieri : Nella Categoria I, per la Matematica: BoreL EMILE, GouRrsaT EpovarRD; per la Meccanica: HapamaRD Jacques, LAMB Horace; per ALI) — 455 — l’Astronomia: BallLaun BeENJAMIN, Dyson F. W.; per la Geografia ma- tematica e fisica: LALLEMAND CHARLES. Nella Categoria II, per la Fisica: RuTtHERFORD ERNESTO, KAMER- LINGH ONNES HEIKE; per la Chimica: Le CHATELIER HENRI, RICHARDS TaHeopore W., HALLER ALBIN. Nella Categoria IV, per l'Agronomia: Linper Léon; per la Fisîo- - logia: LaneLEY F. N., FREDERICQ Léon; per la Patologia: Roux ÉMILE. L'esito delle votazioni venne proclamato dal Presidente con Circolare del 18 marzo 1918; le nomine dei Soci Stranieri furono approvate con De- creto Luogotenenziale del 4 aprile 1918. E. M. dia INDICE DEL VOLUME XXVII, SERIE 5°. — RENDICONTI 1918 -- 1° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A AGAMENNONE, « Contributo alla teoria del pendolo orizzontale n. 326. AmaporI. « Ricerche sul gruppo dei tellu- ruri di bismuto ». 131. — «I composti del fluoruro e del cloruro con il fosfato di piombo ». 143. AmeRIO. « Pireliometro integrale n. 239; 288. AngELI. « La ricerca dell’acidità nelle pol- veri senza fumo ». 164. — « Sopra i neri di pirrolo ». 209. — «I neri di pirrolo e le melanine ». 417. ANTONIAZZI. « Sopra il movimento di rota- zione diurna della Terra», 67; 176. ARMELLINI. « Ricerche sopra la previsione dell’urto nel problema dei tre corpi ». 87. — Sopra l'integrazione approssimata delle equazioni differenziali n. 383. ArtInIi. V. Millosevich F. B BaaLioni, È eletto Corrispondente. 454. Ringrazia. 269. — e SettImys. « Sulla composizione chi- mica di alcuni generi alimentari », 328. BarLLauD. È eletto Socio straniero. 454. Ringrazia. 346. BrancHI. « Sulla integrazione dell’ equa- zione rt — st-+-c(p° + g*)?=0 ». 155 — « Sopra certe forme particolari dell’ele- mento lineare sferico ». 303. Bi asERNA. Annuncio della sua morte e commemorazione. 184; 262. Bompiani. « Nuovi criterî per l’isometria di due superficie o varietà ». 230. . — « Le trasformazioni puntuali di una varietà che conservano le superficie a curvatura nulla », 278. Borzt. È eletto Socio straniero. 454. Rin- grazia. 346. BortAzzi. « Ricerche sulla - ghiandola sa- livare posteriore - dei Cefalopodi n». 191; 227. BortINI. Invia in esame la Memoria: « Sfagnologia italiana ». 335. Sua ap- provazione. 413. Bruni. È eletto Corrispondente. 454. Rin- grazia. 269. — « Sul peso molecolare di alcuni sali sciolti nell’uretano ». 821. Bruno BaLLerini, V. Pirotta. BuraLi-FortI. « Differenziali esatti ». 92. — «Alcune linee e superficie collegate con una linea gobba ». 109. — «Sulle superficie rigate n. 283. Rampicomti. 1918, Vol. XXVII, 1° Sen. 63 — 458 — C CAMPBELL. « Sulla influenza diretta della linfa elaborata del selvatico sul do- mestico, e sulla azione che soluzioni acide, direttamente assorbite, eserci- tano sulla pianta ». 57. — « Sulle ghiandole fogliari del pesco, in relazione anche alla costituzione del fiore ». 410. CANTELLI. Invia per esame la Memoria « Sullo schema lexiano della disper- sione ipernormale ». 72. Sua appro- vazione. 184. Cantone. Commemorazione dell'Accade- mico sen. Blaserna. 262. Carano. « Contributo alla embriologia dei generi Aster e Solidago ». 255. CasreLNUOvo. È eletto Corrispondente. 454. Ringrazia. 269. — e Rrgfina. Relazione sulla Memoria del dott. Cantelli, intitolata: -« Sullo schema lexiano della dispersione iper- normale ». 134. CeruLLI. « Sulla nutazioue diurna ». 166. — «Su di una pretesa forte variazione di latitudine a breve periodo ». 213. CueccHia-RispoLi. « L'Eocene ed il Mio- cene di Sciacca n. 252. Cramician. Commemorazione del Socio Blaserna. 184. — e Ravenna. « Sulla influenza di alcune sostanze organiche nello sviluppo delle piante ». 88. CisorTI. « Una formola per la determina- zione di dislivelli dei corsi d’acqua mediante misure di velocità n. 96. — « Forma intrinseca delle equazioni gra- vitazionali nella relatività generale ». 366. — « Derivazione intrinseca nel calcolo dif- ferenziale assoluto n. 387. CLemeNTI. « Ricerche sull’ arginasi. V: Sulla presenza dell’arginasi nell’ or- ganismo di qualche invertebrato ». 299. Comanpucci. V. Perotti. Comuccei. Invia in esame la Memoria: « Sullo zolfo dell’isola di Taso ». 325. Sua approvazione. 413. Corsino. È eletto Corrispondente. 454. Ringrazia, 269. — « Sul funzionamento del rocchetto di induzione con gli interruttori di tipo recente n. 218. — « Convertitore di correnti trifasi in cor- renti continue ». 815. — « Sui motori sincroni senza eccitazione considerati come circuiti di autoindu- zione variabile n. 383. CuBoni. Presenta una pubblicazione della Principessa di Verosa e ne parla. 270. Cusmano « Ossidazione della santonina per mezzo dei superacidi organici ». 117. D DarBI. « Proprietà caratteristiche delle equazioni di grado primo p risolubili per radicali ». 167. De CrIsroraRo. « Problemi dinamici a due variabili che ammettono un integrale razionale lineare e fratto rispetto alle componenti della velocità n. 288; 291. DeL RE. « Hamiltoniani e gradienti di ha- miltoniani e di gradienti laplassiani parametri differenziali n. 42. De MarcuÙi. V. De Stefani. DE STEFANI. « Reperto paleolitico nell’al- luvione del Simeto (Sicilia) ». 847. — Commemorazione del Corrisp. prof. Gio- vanni Di Stefano. 414. — e De MaRcHI, Relazione sulla Memoria dell'ing. V. Sabatini, intitolata: «Il rilievo vulcanico generato da uno o da due punti esplosivi ». 413. Di Franco. « Sui cristalli di Quarzo, di Monte Calanna (Etna) ». 183; 203. Di STEFANO. Annuncio della sua morte. 72. Sua commemorazione 414. Dyson. È eletto Socio straniero, 454. Rin grazia. 346. F Fano. Aggiunge affettuose parole in me- moria dell’estinto accademico Pissetti. 345. Foà. V. Marchiafava. — 459 — FrEDERICQ. È eletto Socio straniero. 454. FumaroLI. Invia in esame la Memoria: « Studi critici di esegesi virgiliana an- tica n. 134. G GaLKOTTI. « L’ergoestesiografo. Un appa- recchio destinato a rappresentare gra- ficamente le attitudini a regolare gli sforzi muscolari ». 861. GianNULI. V. Mingazzini. Giorpano. « Enti geometrici coordinati a certi covarianti simultanei estensivi ». 428. Giua. « Ricerche sopra i nitroderivati aro- matici. VII: Sulla formazione dei ni- tro-idrazo-composti ». 247; 379. —.« Igiacimenti di sali potassici di Dallol (Eritrea) ». 381. Goursat. È eletto Socio straniero. 454. Ringrazia. 346, H Hapamarp. È eletto Socio straniero. 454. Ringrazia. 346. HaLLER. È eletto Socio straniero, 454. Ringrazia. 346. IsseL. « Manoscritti e sezioni di Lorenzo Pareto n. 273. K KamerLIncHa OnNES. È eletto Socio stra- niero. 454, L LaALESco. « Les équations différentielles li- néaires d’ordre infini et l’équation de Fredholm ». 432. LaLLemanDp. È eletto Socio straniero. 454. Ringrazia. 346. Lams. È eletto Socio straniero. 454. LaneLEv. È eletto Socio straniero. 454. Ringrazia. 346. LANFRANCHI. « Sul possibile passaggio dei tripanosomi nel latte n. 62. Laura. « Sopra una classe di nuclei semi- definiti positivi ». 484. Le CaatELIER. È eletto Socio straniero. 454. Ringrazia. 246. Levi-Crvita. « ds? einsteiniani in campi newtoniani, Il: Condizioni di integra- bilità e comportamento geometrico spaziale ». 3. Linper. È eletto Socio straniero. 454. Ringrazia. 346. Lo Monaco. « L’azione degli zuccheri sulla secrezione bronchiale ». 103. Longo. « Primi risultati della seminagione del Caprifico ». 55. LogRra. « Fasci di quadriche rotonde e curve cartesiane ». 197. M Masorana. « Dimostrazione sperimentale della costanza di velocità della luce emessa da una sorgente mobile », 402. MaRrcuHiarava. Commemorazione del Socio . Blaserna. 184. — e Foà. Relazione sulla Memoria dei professori Mingazzini e Giannuli a- vente per titolo: « Ricerche cliniche ed anatomo-patologiche sulle aplasie emicerebellari n. 336. Maresca. V. Polara. MARLETTA. « Di una classe di forme dell’S, ognuna rappresentabile nelle coppie di un’involuzione dell'S, ». 371. MatmtiROLO. V. Pirotta. Mineo. « Sopra un caso limite notevole di triangoli geodetici n. 239. MingazzinI e GrannuLI. Inviano in esame una loro Memoria intitolata : « Ricerche cliniche ed anatomo-patologiche sulle aplasie emicerebellari ». 184. È appro- vata. 336. Monaci. Annuncio della sua morte. 8336. MontEsANO. « Sulla teoria generale delle corrispondenze birazionali dello spa- zio ». 896; 488. MiLLosevica E. (Segretario). Presenta un piego suggellato inviato dai signori: prof. V. Grandis, ing. C. Cesari e D. — 460 — Garbarino, per essere conservato negli archivi accademici. 102. MitLosevica E. (Segretario). Comunica l'elenco dei concorrenti al premio Santoro 1917. 186. — Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando alcuni lavori del Corrisp. Silvestri, del prof. A. Favaro ecc. 72; dei Soci Pirotta e Picard, del Corrisp. C. Guidi, dei proff. Meli e Berlese. 134; del dott. Marano e del prof. Bé- guinot. 186; dei Corrisp. Arcangeli, Silvestri ed Enriques, dei Soci stra- nieri Sir G. Greenhill, Lacroix e del dott. Chisini. 269; dei Corrisp. Fan- toli e C. Guidi, e dei proff. Berlese e Dessau. 415. MiLLosevica F. e ArtINI. Relazione sulla Memoria del dott. P. Comucci: « Zolfo sull'’Antinomite dell’isola di Taso ». 413. P PANTANELLI. « Su la resistenza delle piante al freddo ». 126; 148. PateRNÒ. Fa omaggio di un lavoro del prof. Moureu*e ne parla. 185. Pensa. « Una espressione differenziale vet- toriale alternata ». 113. PeRrÈSs. « Quelques propriétés des fonctions de Bessel n. 288; 374; 400. SPEROTTI € ComaNpuceI. « Sopra una dif- fusa alterazione batterica del pane ». 258. PigrPAOLI. « Osservazioni sul fiore del Ne- spolo e sulla origine della nespola apirena ». 121. PirorttA e Bruno BALLERINI. « Sulla co- stituzione e sulla distribuzione dei fiori nelle Phillyrea », 312. — e MartiroLo. Relazione 'sulla Memoria di A. Bottini, avente per titolo: « Sfa- gnologia italiana ». 413. { Pizzetti. Annuncio della sua morte e sua commemorazione. 336; 345. PoLara. « Nuovo contributo allo studio della legge di 'Lippmann al contatto del mercurio con l'alcool etilico e la glicerina n. 294, PoLARA. «Nuovo contributo allo studio del doppio strato elettrico al contatto del mercurio con l’aria ionizzata dai raggi di Rontgen ». 824. — e MaRESca. « Sul doppio strato elet- trico al contatto del mercurio con l’aria ionizzata dai raggi di Rontgen ». 243. R Ravenna. V. Ciamician. REINA. Ricorda la morte di S. E. l'on. Car- cano e le benemerenze di lui verso l'Accademia. 269. — Commemorazione del Socio Pizzetti. 336. — V. Castelnuovo. Ricci. « Sulle varietà a tre dimensioni do- tate di terne principali di congruenze geodetiche n. 21; 75. i Ricci-CurBastRo. Ringrazia l'Accademia per l'ospitalità che volle dare nella sua sede al R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. 72. Ricuarps. È eletto Socio straniero. 454. RèitI (Vicepresidente). Dà annuncio della morte del Corrisp. prof. Giovanni Di Stefano. 72. — Annuncia la morte del sen. prof. Bla- serna e commemora l’estinto. 184. — Ringrazia il Socio Cantone per il tri- buto reso alla memoria del defunto Presidente sen. Blaserna e comunica le condoglianze pervenute dall’Acca- demia delle Scienze dell'Istituto di Francia e da numerosi Soci e Corri- spondenti Lincei. 269. — Partecipa i ringraziamenti inviati da Soci e Corrispondenti di nuova no- mina. 269; 345. — Dà annuncio della morte dei Soci £r- nesto Monaci e Paolo Pizzetti. 336. — Presenta un piego suggellato inviato dal p of. C. Del Lungo, per essere conservato negli archivi accademici. 415. Rivolge un' saluto ai Colleghi, al chiu- dersi dell’anno accademico e propone alla Classe l'invio di un telegramma d'ossequio e di augurî a S. M. 415. — 461 — Roux. È eletto Socio straniero. 454. Rovereto. « Influenze morfologiche dei mo- vimenti postumi sull’area dell’Italia ». 407; 446. RurHERFORD. È eletto Socio straniero. 454. S SaBaTINI. Invia in esame la Memoria: « Il rilievo vulcanico generale da uno o da due punti esplosivi ». 134. Sna approvazione. 413. SANNIA. « Sulle serie di potenze di una variabile sommate col metodo di Borel generalizzato ». 98; 139. Sanzo. « Stadî larvali di P. Sphyrae- noides Risso ». 450. SCAGLIARINI. « Acido cromisolfocianico e cromisolfocianati n. 442. Scorza. «Sulle curve ellittiche singolari ». 171. : SeRINI. « Euclideità dello spazio comple- tamente vuoto nella relatività generale di Einstein ». 235. SettIMI. V. Baglioni. SomieLiana. « Sulla. propagazione delle onde sismiche ». 13. — Presenta il 1° volume delle opere di Alessandro Volta, pubblicato sotto gli auspici della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere dandone ampia notizia. 102. T Trpone. « Sulle ovali di Cartesio come curve aplanetiche di rifrazione ». 29. — « Sulla maniera di stabilire le formole i fondamentali dell’ordinaria teoria della diffrazione ». 351. TenanI. « Sulla misura barometrica delle altezze a scopo aeronautieo ». 51. V VEsin. « Proprietà del prodotto graduale ». 47. VioLa. « Sulle leggi di Curie e di Hatiy ». 421. VoLtERRA. Fa omaggio di alcuni opuscoli del prof. Zedon e ne discorre. 186. — 462 — INDICE PER MATERIE A AnaLISI. « Sopra l'integrazione approssi- mata delle equazioni differenziali ». G. Armellini. 883. AERONAUTICA. « Sulla misura barometrica delle altezze a scopo aeronautico ». M. Tenani. 51. AsTRronoMIA. « Sopra il movimento di ro- tazione diurna della Terra ». A. An- toniazzi. 176. — « Sulla nutazione diurna n. V. Cerulli. 166. — «Su di una pretesa forte variazione di latitudine a breve periodo ». /d. 215. B BroLogiA vEGETALE. « Sulle ghiandole fo- gliari del pesco, in relazione anche alla costituzione del fiore ». C. Camp- bell. 410. — « Osservazioni sul fiore nel Nespolo e sulla origine della nespola apirena ». I. Pierpaoli. 121. Boranica. « Primi risultati della semina- gione del Caprifico ». B. Longo. 55. BULLETTINO BIBLIOGRAF100. 73; 137; 188; 272; 346; 416. C CHÒimica. « Ricerche sul gruppo dei tellu- ruri di bismuto ». M. Amadori. 131. — «I composti del fluoruro e del cloruro con il fosfato di piombo ». /d. 143. — «La ricerca dell’acidità nelle polveri senza fumo ». A. Angeli. 164. — « Sopra i neri di pirrolo n. /d. 209. — «I neri di pirrolo e le melanine ». /d. 417. Chimica. « Sul peso molecolare di alcuni sali sciolti nell’uretano ». G. Bruni. 321. — « Ossidazione della santonina per mezzo dei superacidi organici ». G. Cusmano. 117. — « Ricerche sopra i nitroderivati aroma- tici. VII: Sulla formazione dei nitro- idrazo-composti ». M. Giua. 247; 379. — «I giacimenti di sali potassici di Dallol (Eritrea) ». /d. 331. È — «Acido cromisolfocianico e cromisolfo- cianati n. G. Scagliarini. 442. Crimica FISIOLOGICA. « Sulla composizione chimica di alcuni generi alimentari ». S. Baglioni e Settimj. 323. — « Ricerche sull’arginasi. V: Sulla pre- senza dell’arginasi nell’organismo di qualche invertebrato n. A. Clementi. 299. — « L’azione degli zuccheri sulla secre- zione bronchiale ». D. Lo Monaco. 103. CHimicA veGeTALE. « Sulla influenza di alcune sostanze organiche nello svi- luppo delle piante ». G. Ciamician e C. Ravenna. 88. Concorsi a premi. Elenco dei concor- renti al premio Reale per la Chimica, scaduto il 31 dicembre 1917. 72. — Elenco dei concorrenti al premio del Ministero della P. I. per le Scienze fisiche e chimiche, del 1917. 135. — Elenco dei concorrenti al premio San- toro per il 1917. 186. 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Burali-Forti. 92. — « Alcune linee e superficie collegate con una linea gobba ». /d. 109. — «Sulle superficie rigate n. /d. 283. — « Derivazione intrinseca nel calcolo dlif- ferenziale assoluto ». UV. Cisotti. 387. —- « Proprietà caratteristiche delle equa- zioni di grado primo p risolubili per radicali ». G. Darbi. 167. — « Problemi dinamici a due variabili che ammettono un integrale razionale lineare e fratto rispetto alle compo- ® — 464 — nenti della velocità ». E. De Cristo- faro. 288; 391. MatEMATICA. « Hamiltoniani e gradienti di hamiltoniani e di gradienti laplas- siani parametri differenziali ». A. Del Re. 42. — « Les équations différentielles linéaires d’ordre infini et l’équation de Fred- holm ». 7°. Lalesco. 432. — « Sopra una classe di nuclei semi-de- finiti positivi ». E. Laura. 434. — « Di una classe di forme dell’ S4, ognuna rappresentabile nelle coppie di un’in- voluzione dell’Ss ». G. Marletta. 371. — « Sulla teoria generale delle corrispon- denze birazionali dello spazio ». D. Montesano. 396; 438. — «Una espressione differenziale vetto- riale alternata n. A. Pensa. 113. — « Quelques propriétés des fonctions de Bessel n. J. Pérès. 288; 374; 400. — « Sulle varietà a tre dimensioni dotate di terne principali di congruenze geo- detiche ». G. Ricci. 21; 75. — «Sulle curve ellittiche singolari ». G. Scorza. 171. — «Sulle serie di potenze di una variabile sommate col metodo di Borel genera- lizzato ». G. Sunnia. 98; 139. — «Proprietà del prodotto graduale ». V. Vesin. 47. Meccanica. « Sopra il movimento di rota- zione diurna della Terra ». A. Anto- niazzi. 67; 176. -— « Forma intrinseca delle equazioni gra- vitazionali nella relatività generale ». U. Cisotti. 366. — «ds? einsteiniani in campi newtoniani. II: Condizioni di integrabilità e com- portamento geometrico spaziale ». 7. 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Serie 4* — ReENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEemORIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e natura!s Vol. I-XXVII. (1892-1918). Fasc. 12°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e fAlologiche Vol. I-XXVI. (1892-1917). Fase. 12°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. Fasc. 10. Mzmoriz della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. Fasc. 1-6. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano duc volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispo.- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia è di L. £®; per ghi altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni sì rirevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : ULrIco Horp.i. — Milano, Pisa e Napoli. P. Mactione & C. StrIN (successori di E. Loescher & C.) — Roma. RENDICONTI — Giugno 1918. INDICE Classe di ‘scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 giugno 1918. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Angel. I neri idi-pirroloe-le-melaniners. “n cicue nily o Ne eri RIS api Viola. Sulle leggi di Curie e di Haiùy . ... . . ubi ” Giordano. Erti geometrici coordinati a certi covarianti i snai Ipreà # Sooio Levi Civita)... ne. nix PS) Lalesco. Les équations différentielles insane Ind ;nfini i n de Fredbola (pres. dal Socio Volterra). . . : a Laura. Sopra una classe di sone scmisiefiviti positivi. wie dal Speio e Civita). sd Montesano. Sulla teoria generale delle corrispondenze birazionali dello spazio sa dal Corrisp. Marcolongo). . . . na ARIES) Scagliarini. Acido Gugiaisolfsciaiico 0 cunicoli anati Di dal ‘Socio cinici pra) Rovereto. Influenza morfologica dei movimenti postumi sull’ area. dell’ Italia (pres. dal Corrisp. /ssel) . 3/0 UE RE Sanzo. Stadî larvali di P. Sp di yraenoi d e s Bisso (ji6s dal Socio Grassi BISON) ELEZIONI DI SOCI Risultato delle elezioni nella Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Nomina dei signori: Castelnuovo Guido a Socio nazionale; Cordino Orso Mario, Bruni Giuseppe, Baglioni Silvestro a Corrispondenti; Borel Emile, Goursat Edouard, Hadamard Jacques, Lamb Horace, Baillaud Benjamin, Dyson F. W., Lallemand Charles, Rutherford Ernesto, Kamerlingh Onnes Heike, Le Chatelier Henri, Richards Theodore W., Haller Albin, Lindet Léon, Langley F. N., Fredericq Léon e Roua Émile a Soci stranieri » Indice idel vol. XXVII, 1° sem. 1918 . 417 421 428 432 434 438° 442 446 450 454 457 E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. © DI ur UU WII LP II) d } I) PD \WP A DD) BP) _) DUB )D. ) DE DD TIP 2) PI IO Dro PD ID TP 5) DIE DI )?) LD _2 vp °D) ) . m Dpr DDP_)M P, DI i SP Hd SA a 3 à I >» , PRI SU) DD) DID) ’» » BD» ) 3) è PPD Y * 35) a \ -” li L_S Pelè kewr_— SUL: NOLO > de del SE} i Lf AA -_À_| ooo » i Ss > nai i ia ADANI da SPOSI AA 9 "CX AL e LI VIT 9 > PD << Mato I ) )I >» d ) 2. mi Pa» ) de; >) ta | ) 0) 2a )) | D° 3) )) 207 DA DI V) v2 — de >. 442 3 yY ; PUOI DI d - JB cad % w . | £ mf o RO? è DI ) ID) we Curt * v' roi. e ve È = p CAL = n DE A he III ) ) è 99 I MLD DD II) ». > WD DI » IM 2 DD, » RI) } ) 997 ID wp 20) ° 4 » DI III EVI) % x: >») Do } vp; d ED o DD)» ) P. A) v. " i’ ; ) } ) “da * ) : . AG AR ) )>) Da ”À )) ee = “ DD», Db» vj wa 23) D DI DI 32) e ) È ID > pr > 3» DI PID) VII ) )) ) i DI D 7) ; N << \ ì) S dova 3 PIV Ip DI» _11® 09) DI DEI n JPY A >) VON PVA__RIYD_DO)I_ 1 UATSTAL 9, )* 2) id PD. b]p;b >)2 ID) p, ® DIREI) D Dada Neri - > Dl» #0) PL do DD ie ey o - IDA ITME ui PER ei ) VO > )) ))P )») D > 29 27 MP”. DD rd di YI SPD PVI Id DI) ] », MD DYPT® )II® 2 I 9?) III I bb Do ZAP) 2) £ i ,, » 7 DIP 5} Ip? pm DD PID } 1) Prg» » DI D pe» 2) È PED} )° )) Dpb»LD DJ») DE _D) DD ).DD)), ld 70 25 YDP) PT) IP_DY 25») > BS ISVIDPYA IP) D_D)) __) >» IT) ice vsì © Ei ID bi»: Pb MD), pa Ji Inlzio>:» i D Wp PID Eb) ]> bp »))p PHI 2) Pb ). » ) dl. 1 C' A ‘ n Su ° ‘he d ST CC. | TRS r n - vERRÌ III atliecaen bei LA Sa lea A > dg “ “ Wadi ATL E 7) S N ) ) DI 1) Db UD 9) I >> » DM) DI PAR >, \v» > d» Pb) DD DE > DE : >» I > }, Do» Y ‘p Y) , >» Dd o? D)) DE» y 3,) ))D VIA MII, n; - DID» PIV 3 IR I >» 39 > DIE DST 4 dI as DIL POI LL ae — degli — 2) SRD III dvd,» OR DB dl Piet dd eia Ia (20 Zi DID IT 0) n SD DU Vi ®;) 23 DD IT DT 2 DUO 219% IVI) NEDO LZZAL V 79 dd TIT) 7 A a va o Ye )) )> > PD)» br Prep DB >) 3 die Lr _ ®p:>» ), 29) D) VIDE) 772000 è) Db >) Pd 2 DD) pibp wp >») _MD )D DE 3 20) IL (Ivi SUIT I__IPRB°) DID 2)°d TI 2 Dd >)» >) 0) Pod dI» I2r9 nè PD dI 29 2) 2) DD» peu » I 2) Pra | 207: iP, 2) è iipp))» ») Db Pi) DD. wp IV 1)) 2) » ND): » VA IA 12) 20 2 _ #30) VII V2) Lei») » MI MTEA D- Rei MP) PI» ) DI 3 3 ED: Diga Pb » V}® 2 3 V0) >) dI) YI» DL DI 3a 205 DB Dop) DI)» )) d» 22 LIB ato DD > ad » ))) MI) >, DID. 3) 97 Mao DB >») è ® )») 3i 4 7) DD)» d Ai Td PP? 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