6. NA sn —— i MAU IS ua «i è € adi a A Tae. I anna AU ‘ Mn ( A € TM A TAM « € (LU € Ca ECO TMT EL CT € € dî € (Gi dii “C4 e ((Q©@ (UE € UU Va d. € (A66, CRC aura O EC * (1 (CE GT TC | UR Cad € CE LA (. CK GCT « Mala @ ‘ (OE KT GC DE AATATOTE UT MUCO € €. C \ eesai CC CAE ii KGC ‘ au «( anmar, € ( (O (€ O. UT TM CC EU GT CE ROTX TO La ca € dala 7 , ( CC. (O CU. CC QUE CdaO Camo € KO 100 O € «MT TO Mo dd € TM. “€ TUT € CM CT Man a & € CIO. (O DOO Ud € a «TOMI | KG € CNOCTECCEO CT Cade CCET (( TETI OC EL Ta Tau wi l € CCL QUE. A € CT. € uh E « € CO. TUC € «CTTE € IM < € ? (°° CEI î € ((CORNCT di MU AI € € UT CO ACC Ki €deaaux ( € MITA TOO OTCGi! °° alla A (€ CU Cf CO € (cui € (€ ( Gua to Md COTE «AUT CC ae M_c| Cio € ARE, € € a <: C ed (E i CRE Cd CC EC GEO Cd CL CETO. dc € CO CC «dl C mi i € ( _U@ OL Gua. i € (C@G Cl t_( Le( @ 6 Ue. GT ONT CCA Ce @er ad nd E, LEM < E cos CCG CE A IC AE € € CE (€ T.OCC OT TATE KU Ce Cw di 4 TT MA 0 «MAT. Cada Cad (l& «[m @iila, ci Mana «| dCi, «e € cd Le i GU. € #0 Tac ali C(@ «ic TSCS ua, dl TU «(€ CRC ET €C_A um. GL Tau «€ € ((UMI ate («| Cara TT dC LUO CL de € (Md @ CCR «CJ Mala € Ga dA (dl «€ E TEU (CA ((MMIE << Cc € cu La (I ama aq, TACM@SK E, CE na dl | (( a «dd Ca CCC e (A (€, na TCA CAM È CUI E € goud £ < ud ACTA (Mi «l TMT A «i MLT ‘ CAT TUO AdCOLUC CAM E € Mal rat € UT dl X AC «UA A car MUTE | CIT ae TTCHEMAA a MC & ‘ coua UTC GU IL TTT UM ME 4 | (CTK (CT MIT «TUC CCA «ll ann. € ‘ E (Ta TAC CIAC MUX KO CUAEEIT € SETrag I CH SC OOO UE A UG CAT CC UAC ( MUC “i CCI (er SNC O Welt Ma a wer €. ( € CO (AC UT MT « GMT TE o ad ‘ (€ (CT di (rec Ml C(ROT UO € C“ cc dI DA OH È OAK dà DIC UTO ATO LC è | © Pubblicazione bimensile. ASITRI DE REALE ACCADEMIA DEI LINCRI |, ANNO CCCXVI. 1919 SERLH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXVIII. — Fascicoli 1°%2° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all'Accademia durante le ferie del A919. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). A 66IIL TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DSL DOTT. PIO BEFANI ROMA | ca | 1919 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- . siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2 Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4!/s. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci 3 Corrisponden*i, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca demia; tuttavia se | Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. H. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall°art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. EA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO: CCGCXVI. Al=plS Serio IENA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME XXVIII. 20 SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1919 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1919. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d’arrivo) NNO <«T 0, in ogni intorno di @ esiste un numero (almeno) # di G tale che risulti | g(2) — /|<&. Analoga defini- zione per + x (0 — 00) è un Lm. (4) Per un teorema di R. Bettazzi che ha chiamato confini i Lm (Rend. del Circolo Mat. di Palermo, t. VI, 1892, pag. 173). (9) C. R, t. 162, 1918, pag. 287. (8) Ed ha dimostrato che una funzione è la derivata asintotica del suo integrale indefinito di Denjoy. ENDICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem 4 — 26 — nente 4 ed avente a come punto limite; e si può dire classe derivata di f(x) in a l'insieme di tali numeri. Questa classe coincide con quella definita dal Burali-Forti. Perchè i suoi numeri sono limiti ordinarii di (1) in convenienti sotto- gruppi di G, ed io ho dimostrato che (1): Ogni numero della classe limite (di Peano) di una funzione in un punto limite a del suo campo G, e nessun altro numero, gode della pro- prietà di essere il limite ordinario della funzione, considerata solo nei punti di un conveniente sottogruppo S di @& avente a come punto li- mite (?). Matematica. — Sopra due classi di curve gobbe. Nota di FiLIPPO SIBIRANI, presentata dal Corrisp. G. PEANO (°). 1. Delle curve C, che hanno per binormali le normali principali di una curva assegnata C si sono occupati di recente T. Hayashi (4) e M. Bot- tasso (°): aggiungo qui una proprietà non rilevata dagli Autori predetti, e cioè: lo spigolo di regresso della sviluppabile, luogo degli assi delle eliche circolari osculatrici a C, è una curva C,. E dimostro che la rigata, luogo degli assi delle dette eliche osculatrici ad una curva C è sviluppabile solo se la C è tale che le sue normali principali siano le binormali di un’altra curva, oppure è un'elica cilindrica. Se P descrive una curva data, Q è un punto rigidamente connesso al triedro fondamentale in P, perchè Q descriva una curva tale che archi cor- rispondenti sulle curve P e Q siano proporzionali, occorre che la curva P soddisfi ad una equazione intrinseca della forma a/o* + b?/1° + 2h/or = e? con a, b*,c*,2h costanti e a?5*° = h*; il caso dell’eguaglianza dà mani- festamente una curva di Bertrand. Solo per codeste curve la curvatura ri- (1) Cfr. il n. 6 della mia Memoria: / limiti di una funzione in un punto limite del suo campo (Memorie della R. Acc. delle Scienze di Torino, serie II, vol. LXVI, n. 5). (2) Giovandomi di questa proprietà, ho potuto fare (nella Memoria citata) uno studio approfondito del comportamento di una funzione, di una o più variabili, intorno a un punto limite del suo campo; in particolare, ho potuto estendere un bel teorema (a prima vista paradossale) di W. H. Young. (*) Pervenuta all'Accademia il 26 giugno 1919. i (4) T. Hayashi, On the curve whose principal normals are the binormals of a given curve. Giornale di Matematiche di Battaglini, vol. LIV (1916). (9) M. Bottasso, ProVlemi sulla determinazione delle linee sghembe. In « Scritti matematici offerti ad Enrico D'Ovidio in occasione del suo LXXV genetliaco », Torino, Bocca, 1918. DEMO, a spetto ad una retta rigidamente connessa al triedro fondamentale è costante e la retta è appunto la PQ. Non può essere P rigidamente connesso al triedro fondamentale di Q, salvo il caso che la curva P sia un'elica cilin- drica e PQ la sua retta rettificante. s 2. Sia C una curva gobba, P(s) un suo punto. L’elica circolare passante per P e che ha ivi lo stesso triedro fondamentale ed ha flessione e torsione uguali a quelle di C in P si dice osculatrice alla C in P (!). Il raggio 7 del cilindro circolare sul quale sta l’elica e la sua incli- nazione + sono dati da not /(1°-|- 0°), o/e ==‘cotg vd: Poichè le generatrici del cilindro sono parallele alla retta rettificante dell'elica e questa ha in P la stessa retta rettificante di C, l’asse dell’elica oseulatrice sarà dato da (1) Q=P+no°/(t° 4 0°) +-x(b/o— t/r) ove x è una variabile numerica. La (1), ritenendo variabile s ed x, è l'equazione della rigata luogo degli assi delle eliche osculatrici a C. Perchè codesta rigata sia sviluppa- bile occorre e basta che sia (2) [P + nee*/(e* 4 0°)]'X [b/o — t/e] A [b/o — t/r7"=0 indicando con l'accento la derivazione rapporto ad s. Eseguendo la derivazione (escludendo che la linea sia piana), l’equa- zione (1) dà (2) _ [or?/(e° + 0)]'[r/a® — o/e] = 0. Se è nullo il secondo fattore, la C è un'elica cilindrica; gli assi delle eliche osculatrici formano il cilindro il quale ha per direttrice normale la evoluta della sezione retta S del cilindro su cui sta C. Invero, se w è l’in- clinazione dell'elica C, è ot°/(t* + o°)= o sen° w, ed il secondo membro esprime il raggio di curvatura della sezione retta S nel punto che sta sulla generatrice passante per P. Se è nullo il primo fattore della (2’), sarà allora, denotando con £X una costante, (3) s/o = k(s/0* + s/t°) (1) Vedi ad es. D’Ocagne, Cours de Géometrie descriptive et de Géometrie infini- tésimale. Paris, Gauthier-Villars, 1896. PEJO GELIA e questa è la condizione a cui deve soddisfare C perchè le sue normali prin- cipali possono essere le binormali di un'altra curva ('); questa è poi (4) Q=P+%n. Derivando rapporto ad s (5) Q= to — 4)/e — bU/e e, per la (8), QUA (b1l/e—t1/2)=n|k/®° — (e—2/e°{=0. Ciò mostra che la tangente alla linea (4) in Q è parallela alla retta rettificante in P_ alla C; onde la (4) è lo spigolo di regresso della svilup- pabile Q=P+4n+(bl/e—t1/e), luogo degli assi delle eliche osculatrici a C. Che poi la (4) abbia per binormali le normali principali di C risulta dalla Nota di Hayashi; ma si può ritrovare rapidamente. Dalla (5), tenendo conto della (8), si trae ds, ds denotando con l'indice 1 gli elementi relativi alla linea Q. Derivando rap- porto ad s, la seconda, si ha — VA — ko) ; ti=t1— k/o —bVklo Lem =D VR[YRt+1e—&DI/2e(0—M) da cuì Vor =Vkfe 9 /2e—# n=t1/4/e +bY(e— 4)/e onde bo=t, Ann=—n, come si voleva provare. Derivando l’ultima equazione rapporto ad s, si trae t=Vk(0T—-k), altro risultato trovato dall’ Hayashi, con procedimento assai laborioso. (1) T. Hayashi, loc. cit. SELOgnei 3. Il punto P descriva una curva C e sia Q un punto rigidamente con - nesso al triedro fondamentale di P. Se u è un vettore unitario rigidamente connesso al detto triedro, 7 una costante, sarà (6) Q=Pt+ ru. Indicando con l'indice 1 gli elementi relativi alla curva Q, si ha de- rivando la (6) rapporto ad s ('): (7) tig btu se si pone f=l/obT-1l/rt. Dalla (7) sì ricava dsî=|[14r*(£ A u)?] ds?. Perchè la curva @ abbia archi proporzionali ai corrispondenti archi di P oecorre e basta che sia costante (EA u®=f°— (uXf)=1/0°+1/2—[1/ouXb—1/ruXt]}. Il numero (f / u)® rappresenta (*) il quadrato della curvatura di C secondo la retta «= Pu rigidamente connessa al triedro fondamentale di C. La curvatura secondo una retta siffatta non coincidente con gli spigoli del triedro fondamentale è nulla solamente se la curva è un'elica cilindrica e la retta x la generatrice del cilindro passante per P. Dunque la curva storta Q può avere arco uguale a quello della curva C solo se C è un'elica cilindrica e Q trovasi sopra la generatrice del cilindro, nel qual caso la curva ( è la curva P che ha subìta una traslazione. Prescindendo da questo caso, il rapporto w fra l'arco s, e l'arco s è maggiore di 1. Nella mia Nota citata ho dimostrato che per le curve C che soddisfano all’equazione intrinseca (8) ate + 09/1 + 2h/re= e ove le costanti a,2, soddisfano alla limitazione (9) a? b° <= hè, esiste una retta w relativamente alla quale la curvatura è costante; il vet- tore u unitario posto su è definito da (uXb)}=1—%a? , (uXt}=1—2°8® , (uXt&(uXb)=#h k=2{a® + 6° + |(a°— 03) + 44°} (*) Cfr. F. Sibirani, Sulla curvatura delle linee gobbe. Giornale di Battaglini, vol. LII (1914). (2) F. Sibirani, loc. cit. ed il quadrato della curvatura secondo « è e?°X. Il rapporto u è allora u=V1+r?ek. In particolare, se a° 6° = 4*, la C è una curva di Bertrand, essendo il primo membro della (8) un quadrato perfetto. In questo caso X = (a* + 6°)? ed il vettore u è dato da uXt=a(a +69)! , uXb=b(a°+09)-122, Si conclude: Essendo C una curva storta, se e solo se soddisfa ad un'equazione intrinseca della forma (8), colla condizione (9), od, în particolare, è uno curva di Bertrand, esiste un punto Q rigidamente connesso al ‘triedro fondamentale di C che descrive una curva C, tale che archi corrispon- denti su C e C, sono proporzionali; l'eguaglianza si ha solo se C è un'elica cilindrica e Q si trova sulla generatrice del cilindro. Moltiplicando scalarmente la (7) per u si ha ds, txug = 1% Se u appartiene al piano normale di C appartiene anche al piano nor- male della curva Q; se u non appartiene al piano normale di C l'angolo che la tangente in Q forma con la retta PQ è costante se e solo se la curva C soddisfa ad una equazione della forma (8). Ma è impossibile che sia u rigidamente connesso al triedro fondamentale della curva Q; infatti se così fosse il rapporto fra l'arco di P e l’arco corrispondente di Q sarebbe minore di 1 e ciò contraddice ad un risultato precedente. Chimica. — Trasformazione di cicloesanoni in pirocatechine (*). Nota di Guinpo Cusmano, presentata dal Socio A. ANGELI (?). — In una Nota (*) apparsa nel dicembre 1913 ho fatto conoscere che il composto di-bromurato risultante dall’alogenazione diretta del mentone non corrisponde alla struttura proposta per esso da Beckmann e Eickelberg (*), sì bene a quella espressa dalla formola I scritta qui sotto; e poco tempo dopo, nel marzo 1914, a guisa di riprova, ho dimostrato (*) che il ‘bibro- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica organica del R. Istituto di Studî superiori di Firenze. (?) Pervenuta all'Accademia il 21 giugno 1919. (3) Rendic. Acc. Lincei, vol. XXII, serie 5°, 2° sem., pag. 569. (4) Berichte, 29, 418 [1896]. (5) Rendic. Acc. Lincei, vol. XXIII, serie 52. 1° sem., pag. 347. Soto = motetraidrocarvone ha una struttura analoga (formola II). Le ricerche in proposito mi condussero all’ interessante trasformazione di quei due composti alogenati nella buccocanfora (III): CH, CH, CH, | | |Br “AN A A I) | ni) | | LETI | | se Da Vv T H,C—CH—CH, H,C—CH—CH, H,C—CH—CH; Mi ero proposto di delucidare un tale schema e anzi avevo già reso conto (') di alcuni fatti raccolti, allorchè la guerra mi distolse dal lavoro scientifico. Intanto nel luglio 1915 O. Wallach (?) pubblicò uno studio in cui sono ripetute le stesse mie esperienze e conseguiti i medesimi risultati; però le ricerche sono estese anche al cicloesanone e a numerosi suoi omo- loghi mono-, bi- e trimetilici. Tutti questi chetoni, per trattamento con bromo, dànno derivati bisostituiti nei quali l'A. ammette la presenza del- l'aggruppamento BrC—C0O—CBr piuttosto di quello. —CO—CBr, i N | basandosi appunto su quanto avviene per il mentone e il tetraidrocarvone. Tutti i composti bromurati, poi, reagendo a freddo con soluzione diluita acquosa d’ idrato potassico forniscono chetoli non saturi che si comportano allo stesso modo de la buccocanfura. Questa sostanza, come trovarono Semmler e Me. Kenzie (*) già parecchi anni addietro, si trasforma sotto l’azione degli alcali ‘a caldo, in un @-ossiacido pentaciclico, dal quale è poi facile arrivare al diidrocanforforone (IV): i CH, CH, CH, | | | OH \oH.CooH \:0 LR a e = |__| :0 cri a H.C—-CH—CH, H:;C--CH—CH; H,C-CH—CH, Similmente si comportano i chetoli di O. Wallach; per cui quest'emi- nente chimico, nel complesso delle reazioni che son venuto qui esponendo, (') Rendic. Accad. Lincei, vol. XXIV, serie 5°, 2° sem., pag. 521. (2?) Nachr. K. Ges. Wiss., Géttingen, 1915, 244-63 e Liebig’s Ann., 4/4, 296-366 (1918). Io però ho letto i riassunti negli Abstracts del Journ. Chem. Society. (3) Berichte, 39, 1158 [1906]. gore ha segnalato un metodo per trasformare i chetoni esametilenici in quelli pentametilenici. Oggetto della presente breve Nota è di porre in evidenza un'altra tras- formazione che ho fatto subire alla buccocanfora e che potranno subire i chetoli congeneri. Vi sono stato condotto dall'osservazione che l’una e gli altri posseggono la composizione generale e il carattere chimico, contempo- raneamente chetonieo e fenolico, dei dichetoni esametilenici. Tra questi sòno ben noti i meta (diidroresorcine) e i para; ma degli orto i trattati dànno come unico rappresentante l’ 1-metil-2,3-dichetoesametilene descritto nel 1902 da Harries (*), e con esso appunto credo si possano unire la buccocanfora e i chetoli di Wallach per formare il gruppo delle di-idropirocatechine. Da queste ai composti aromatici corrispondenti il passo è breve: e io per es. ho trasformato la buccocanfora in metil-isopropilpirocatechina (V), dando così compimento alla serie seguente di passaggi che si inizia dal mentone o dal tetraidrocarvone: CH, CH, | È AR id Ù È CHy \ }:0 2 20 = ] l H,C-CH-CH, H;(-CH-CH, /N 0g 7 \0H i | Re AES N: 0 H,C-CH-CH, H,0-CH-CH, ei SA ggdi Î | H;0-CH-CH} H,C-CH-CH; In modo analogo si potranno mettere in relazione con gli o-difenoli moltissimi altri monochetoni esametilenici, mentre sino ad oggi, com'è noto, erasi realizzato il passaggio da questi ai fenoli monovalenti (?). (1) Berichte, XXXV, 1178 [1902]. (2) Se la formola attribuita da Bredt (Liebig's, Anno 3/4, 339) al canfoisochinone è vera, Il HsC . Cc . CHs da questo composto si dovrebbe poter passare alla buccocanfora e alla metilisopropil- pirocatechina — e ciò mi propongo di verificare prossimamente. pl AR Per generare nel nucleo della buccocanfora il nuovo doppio legame ne- cessario per trasformarla in metil-isopropilpirocatechina, ho sottratto, in con- dizioni opportune, una molecola di acido bromidrico dalla monobromo-bucco- canfora che ho descritto nel 1913 (1. c.). Avendo sin d’allora osservato che questo composto, per azione degli idrati di sodio o potassio si trasforma in un ossi-timochinone, ho determinato l'eliminazione dell’idracido alogenico col seguire queste due vie, in cui è evitato l’ambiente alcalino: 1°) In un palloncino da distillazione si riscalda qualche grammo della sostanza al di sopra del punto di fusione. A circa 130° si produce un rapido svolgimento di acido bromidrico che continua anche cessando di ri- scaldare dall’esterno; terminata la decomposizione se ne fa distillare il pro- dotto, che passa a circa 270°. Il distillato è un olio denso, ma per sfrega- mento con una bacchetta si rapprende in una massa cristallina, che tenuta qualche ora su piastra porosa, dà la metil-isopropilpirocatechina allo stato di purezza. 2°) Si riscalda a ricadere, per pochi minuti, la monobromo-bucco- canfora con anidride acetica e acetato sodico anidro: in tal modo essa perde acido bromidrico e si trasforma nel derivato di-acetilico della pirocatechina. Il derivato si cambia nel fenolo saponificando con acqua a 150° in tubo chiuso; il prodotto ottenuto si lava bene con acqua, si fa essiccare su sol- fato sodico anidro, poi si distilla e si procede come nel caso descritto in- nanzi. Un campione del difenolo così preparato e senz'altro analizzato dette questi numeri: Sostanza gr. 0,2107: CO, gr. 0,5553, H.0 gr. 0,1603: trovato °/, C 71,87, H 8,45; calcolato per CioH140:: C 72,22, H 8,51. La metil-isopropilpirocatechina non era conosciuta e fra gli omologhi della pirocatechina diviene interessante per lo scheletro del paracimolo, che contiene, così comune fra i terpeni. Essa sì scioglie poco nell'acqua fredda; molto nei comuni solventi organici, eccezion fatta per l'etere di petrolio che può servire per cristallizzarla in bei prismi incolori. Il suo p.f. è 48°, Sciolta in alcool dà con cloruro ferrico una bella colorazione verde. Il suo potere riducente si manifesta, fra l'altro, per la facilità con cui si trasforma in soluzione acquosa in un ossi-timochinone; l'ossidazione diviene rapidis- sima in presenza di alcali acquosi. Le soluzioni acquistano un colore rosso- ‘ violaceo e acidificate depongono un ossi-timochinone con il p. f. a 165° circa. Anche le basi organiche favoriscono l'ossidazione: p. es. l'anilina dà con la metil-isopropilpirocatechina e acqua soluzioni d'un bell’azzurro violaceo. Feniluretano. — La metilisopropilpirocatechina riscaldata a 75-80° con isocianato di fenile ne addiziona due molecole, formando una sostanza cri- stallina che fonde a 170°. Analisi: gr. 0,1370 dettero ce. 8,5 d'azoto a 22° e 745 mm., cioè 7,03 °/, mentre per Cx4Hy0,Ns si calcola N°/, 6,93. RenpICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° sem. 5 LEO paia Fisica. — Sulla determinazione delle proprietà d'un appa- recchio aereo durante il volo in funzione della densità attuale dell’aria. Nota di MARIO TENANI, presentata dal Socio E. MiLLo- SEVICH ("). i 1. Molte proprietà di un apparecchio aereo sono, come è subito visto, funzione della densità dell’aria in cui esso si sostiene e si muove: eppure nessuno degli strumenti attualmente in uso per la navigazione tiene conto di questo elemento fondamentale. Ciò può trovare le sue ragioni, secondo il mio modo di vedere, principalmente in questi due fatti: 1° che fin qui il consumo di combustibile, che in particolar modo dipende dalla densità del- l’aria, aveva un'importanza tutto affatto secondaria: ciò che importava nelle applicazioni belliche era l'ottenimento del massimo effetto dell'aereo nelle condizioni necessariamente imposte del momento dell’azione, e, per i voli generalmente brevi che erano necessari, il rendimento della macchina non preoccupava affatto; 2° che finora le prove in volo degli aerei hanno attra- versato uno stadio preparatorio che mal si prestava a stabilire con precisione tale rendimento nelle varie condizioni. Le esigenze della sicurezza nella navigazione aerea, quale ora si pro- spetta, richiedono invece una ricerca accurata delle proprietà degli aerei nelle varie condizioni offerte dall'atmosfera alle varie quote, e una più esatta determinazione del consumo. 2. Ritenendo, secondo i risultati dell'esperienza, che la composizione del- l'aria si mantenga costante fino alle più alte quote oggi raggiungibili in volo, la densità dell’aria on a una quota 4, ove g sia l’accelerazione della gravità, p la pressione, £ la temperatura centigrada, / la tensione del va- pore d'acqua in mm. di mercurio è, come è noto, espressa dalla formula p gno Pl ) NETTI —=#1299 I Cra (1) CA (o VS reol'aerarng ove @ è il coefficiente di dilatazione dei gas, 9, l'accelerazione della gra- vità al livello del mare a 45° di latitudine. = © Perquanto può riguardare le attuali applicazioni aeronautiche si può osser- vare che, essendo x molto prossimo all'unità (superiore sempre a 0,99682) 0 fino a 10 km, trascurandone l'influenza si commette un errore che, dati i valori intorno cui oscillano le pressioni e le temperature anche alle mas- sime quote, è sempre dell'ordine del grammo per metro cubo d’aria. (') Pervenuta all'Accademia il 21 giugno 1919. 9a Occorre inoltre osservare che il rapporto DR non può assumere alle alte quote valori molto elevati perchè, diminuendo la temperatura, diminuisce rapidamente la tensione massima /max del vapore d’acqua; sicchè si può facilmente verificare che, trascurando di considerare completamente lo stato igrometrico dell’aria, l'errore che si commette nel calcolo della densità è sempre inferiore a 10 grammi per me. al suolo, a 5 gr. a 3000 metri, a 2 gr. a 5000 metri e molto meno alle altezze superiori. Trascurando per- tanto l'influenza dello stato igrometrico dell’aria e dell’accelerazione della gravità, sì avrà come espressione della densità dell’aria ai vari livelli ) 1 (2) e=1,298 do Ita: 3. Le seguenti considerazioni meteorologiche daranno un’idea delle va- riazioni che la densità subisce alle varie quote nei nostri climi. La formula altimetrica h—hy= A log (14 ci) ci dice. che al crescere della temperatura media /», ad altezza costante 4, la pressione p deve pure essa crescere, fin che , rimane costante, sicchè gli effetti della temperatura e della pressione sulla densità secondo la for- mula precedente, tenderebbero ad elidersi. Siccome però la pressione al suolo po varia essa pure, solo l'esperienza può decidere se alle alte quote p et variino insieme in modo da rendere l'oscillazione della densità molto piccola, non ostante le grandi variazioni della temperatura, o se sì verifichi il caso contrario e quindi le oscillazioni della densità risultino molto forti e importanti per le applicazioni aeronautiche. Ciò è appunto quanto si verifica. Ecco un quadro dei valori estremi della densità in kg. per mc. osser- vati in Italia alle varie quote, da me calcolati in base ai risultati dei lanci di pallone sonda effettuati a Pavia (anni 1906-1912): Altezza km. 03) 1 2 3 4 5 6 7 8 Minimi 1,173 1,073 0,974 0,884 0,800 0,718 0,644 0,575 0,517 Massimi 1,304 1,181 1,034 0,926 0,831 0,760 0,681 0,603 0,539 Differenza. 0,131 0,108 0,060 0,042 0,031 0,042 0,037 0,028 0,022 (') Gli estremi al suolo qui riportati si riferiscono agli istanti in cui furono effet= tuati lanci di pallone-sonda: la densità al livello del mare durante l’anno può variare nei nostri climi da 1,127 a 1,340 con una differenza di 0,213 equivalente al 18°/, della minima e al 17°/, della media. I dati della tabella furono calcolati in base alle osser- vazioni ottenute e pubblicate per cura del prof. P. Gamba negli Annali dell’Uff, Centr. di Meteorologia, vol, 28, 30, 32, 33, 34, 35 e 36, parte I, già da me riassunte nelle Memorie del R. Osserv. al Collegio Romano, ser. III, vol. VII, parte I. derta goes Si può facilmente calcolare, in base ai valori medî annui della densità dell’aria alle varie quote, che queste oscillazioni equivalgono rispettivamente, agli effetti del volo, ai seguenti cambiamenti di quota: Altezza km. 0 1 2 3 4 5 6 7 8 Metri ; 1085.1000 600 500 400 600 500 420 350 Si noti inoltre che i numeri della precedente tabella rappresentano le densità corrispondenti alle condizioni estreme realmente osservate alle varie quote, e che è probabile che a tutte le quote le massime oscillazioni della densità siano anche notevolmente superiori. I numeri precedenti si prestano poi a un'importante constatazione di indole meteorologica. Confrontiamo le predette oscillazioni della densità alle varie quote con le corrispondenti oscillazioni della temperatura: Altezza km. VI 2 3 4 5 6 7 8 Mass. temp. oss. 26°,8 229,0 159,8 993 39,7 -294 -89,5 -1499 -21°,7 Min. temp. oss. -4°,0 -79,9 -9°,2 -15°,7 -23°,1 -319,6 -40°,9 -480,5 -569,0 Differenza 309,8 299,9 259,0 250,0 269,8 29°,2 320,4 339,6 349,3 e notiamo che, se la pressione fosse rimasta costante alle varie quote non ostante la variazione di temperatura, queste differenze avrebbero dato luogo a una variazione di densità tra il massimo g' e il minimo @ espressa da 3 (CE ASI Q 00 T ù ove T e T' rappresentano gli estremi della temperatura in gradi dallo 0 asso- luto, e cioè nel nostro caso alle seguenti variazioni : Altezza km. 0 1 2 3 4 5 6 7 8 Oscill. tra gli estr. della ders. 0,149 0,121 0,092 0,086 0,084 0,087 0,090 0,086 0,082 Si vede chiaramente quanto si è detto prima che, nella zona qui con- siderata, ed astraendo i primi strati prossimi al suolo, alle temperature più alte si accompagnano pressioni più alte e inversamente, per modo che l'’oscil- lazione nella densità viene in effetto considerevolmente diminuita. 4. Si comprende pertanto l'impossibilità di enunciare le proprietà di un aereo in funzione della quota e la necessità di enunciarle invece in fun- zione della densità dell’aria, o di qualche elemento che le sia univocamente legato, come possono essere, ad esempio, le altezze sul livello del mare alle quali in media durante l’anno si manifestano i singoli valori della densità: così si è effettivamente cominciato a fare nella tecnica. (1) Id., ib. ge A Tali altezze risultano leggermente diverse per le singole regioni per le quali è stato potuto effettuare il calcolo delle densità medie e, finchè non sì saranno prese opportune convenzioni internazionali, assisteremo a questo fatto imbarazzante e poco compatibile con una scienza che sì sviluppa in questi giorni, che uno stesso numero esprimerà secondo i paesi una diversa densità dell’aria. Durante il volo interesserà dunque al pilota per giudicare delle proprietà della macchina il conoscere il valore della densità dell'aria in cui naviga, oppure, ciò che è equivalente, il valore delle corrispondenti altezze secondo quanto è stato detto; e queste soltanto e non la quota di navigazione sul livello del mare saranno quelle che possono interessarlo per quanto riguarda le proprietà della macchina che sono funzione della densità. Ad esempio recentemente il Col. Crocco (*') ha definito una quantità, cui ha dato il nome di consumo orario unitario (il consumo di benzina di un'aeronave corrispondente alla velocità di un km. ora), che entro certi limiti comprendenti tutti i casi pratici, è funzione della sola densità dell’aria e che permette facilmente di calcolare il consumo totale per un determinato viaggio, la velocità propria da tenersi, la massima velocità del vento superabile durante tutto il percorso ecc., senza avere pertanto nessuna relazione fissa con la quota contata dal l. d. m. Questa quantità, così importante per la naviga- zione, si può facilmente determinare alle prove, ma rimane inatilizzata per la pratica se non si ha il modo di conoscere con una certa precisione e prontezza la densità attuale dell’aria o l'altezza corrispondente secondo le accennate convenzioni; non si può infatti ammettere che durante il volo si debba calcolare con la formula precitata o con l'uso di tabelle la densità attuale dell’aria o l'altezza corrispondente. ©. Credo opportuno pertanto descrivere qui una semplice trasformazione che* possono subire i barometri aneroidi che servono per i comuni altimetri, atta a trasformarli in strumenti che indichino direttamente la densità del- l'aria o l'altezza convenzionale corrispondente o qualunque altro elemento che, come il consumo orario unitario predetto, sia funzione unicamente della densità dell’aria. L'applicazione ricorda molto da vicino quella da me esposta in questi stessi Rendiconti (*) a proposito della misura delle altezze dal livello del mare, e consiste nel sostituire alla mostra comune dell'altimetro una rappre- sentazione della formula (2) in coordinate polari. L'indice dell’aneroide si muove in funzione della pressione: se pertanto sì prende la pressione come anomalia della rappresentazione grafica, l'indice segnerà ad ogni istante l'anomalia corrispondente alla pressione del momento. (1) L'Aeronauta, Roma, anno II (1919). n. 2; vedi pure applicazioni nel n. 4. (2) Vol. XXVI, s. 52, 2° sem., pag. 343, e XXVII, s. 52, 1° sem, pag. 51. PS cd Prendiamo poi come raggio vettore della rappresentazione i valori della tem- peratura. Potremo così disegnare una serie di cerchi concentrici corrispon- denti ciascuno a un particolar valore della temperatura. Preso ora un va- lore qualunque della densità (ad esempio quello corrispondente all’altezza convenzionale 0 m. o a un dato valore del consumo orario unitario ecc.) calcoliamo le coppie di valori p e ‘ a lui corrispondenti. Su ogni cerchio potremo segnare un punto che rappresenta ciascuna di tali coppie di valori e, riunendo i punti così ottenuti, avremo una curva (di densità costante) sulla mostra dell’aneroide. Tracciando molte di tali curve, ad esempio quelle corrispondenti alle densità di 50 in 50 grammi per me., oppure corrispondenti in media alle quote di 100 in 100 m., oppure quelle corrispondenti ai vari valori del consumo orario unitario, e contrassegnando tali curve col valore dell'elemento che ha servito a tracciarle, avremo una mostra che ci permetterà senz'altro di determinare, con la conoscenza della temperatura, o la densità dell’aria. o l'altezza convenzionale del momento, o il consumo orario unitario del mo- mento, o qualsiasi altro elemento necessario alla navigazione che sia fun- zione della densità dell’aria. Basterà infatti leggere sul cerchio contrassegnato col valore della tem- peratura attuale dell’aria, sotto l'indice il valore dell'elemento cercato. Questo semplice strumento, e gli analoghi che si potranno costruire su tale principio, permetteranno al pilota di conoscere con precisione e rapipità durante il viaggio quegli elementi che, come sì disse in principio; sì tende oggi a determinare con gran cura nelle prove. e potrà offrirgli, molto più precisa- mente dell'altimetro, le informazioni necessarie per una sicura navigazione. Il metodo di trasformazione degli attuali strumenti è però generale e si può applicare anche ad altro genere di apparecchi, che indicando indiret- tamente una determinata quantità, devono poi essere corretti per tener conto della densità variabile del mezzo. : Ne è esempio l'indicatore di velocità che misura la velocità dell'aereo misurando la pressione che il vento relativo all'aereo stesso esercita in un manometro. La velocità corrispondente a una determinata pressione è però funzione della densità dell’aria; sicchè, volendo rilevare direttamente dallo strumento l'indicazione della velocità propria effettivamente tenuta dall'aereo senza laboriose correzioni, si potrà sostituirne la mostra con una rappresen- tazione erafica, analoga alle precedenti, in cui si prenda per anomalia la pressione direttamente indicata dall'indice dello strumento e per raggio vet- tore si prenda la densità dell'aria (o qualche altro elemento, come l'altezza convenzionale, il consumo orario unitario ecc., che ne dipenda univocamente). In tale principio rientra una mostra corretta per indicatore di velocità, da me precedentemente descritta ('). (*) L’Aeronauta, Roma, anno I (1918), n. 6. è L S iaia: > i i SAN SES Fisiologia. — A proposito di una comunicazione « Sur l'action hémolytique du sang des jeunes anquilles encore transparentes », di E. Gley('). Nota del dott. G. BuaLIa, presentata dal Corrisp. V. Apvucco (°). Il Gley, venuto a conoscenza, dalla lettura di un riassunto uscito recente- mente nelle « Archives italiennes de biologie » (*), di alcune mie ricerche sulla azione tossica che esercitano sul sangue gli estratti acquosi del corpo di giovani anguille ancora trasparenti, vuole mettere in evidenza che a lui spetta la priorità dell'argomento. Perciò in una comunicazione, pubblicata nel luglio scorso nei « Comptes rendus des séances de la Société de biologie », ricorda che nel Rapport an- nuel, che sommariamente rende conto delle ricerche intraprese con i fondi della Caisse des récherches scientifiques, dell'anno 1914, ma pubblicato soltanto nel 1917 (4), trovasi scritto sotto il suo nome: « Mes recherches ont porté cette année (1914) sur deux questions differentes ...... La seconde question étudiée est celle de l’apparition de la proprieté torique chez les tres jeunes an- quilles. Or lorsque ces animaua remonteni le cours des fleuves, leur sang pos- séde déjà son pouvoir hémolytique. Je me propose de poursuivre cette recherche qui n'a pu cette année élre achevée ». E più oltre, nella stessa comunicazione, il Gley dice: «...Jl est trés aisé de se procurer à Nantes au printemps, une grande quantité de jeunes an- guilles transparentes, ce animaua remontant la Loire à cette epoque en nombre immense. La difficultè est de recuillir du sang, tant l’amimal est petit el effilé. Je sui parvenu à en obtenir quelques gouttelettes en coupant la téte dun membre considérable d’eremplaires. Mais cette fuible quantité ne m'a permis que de con- stater Vaction hémolytique «in vitro » de ce sang, à dose très mimme, sur des globules rouges de lapin. La détermination eracte du pouvoir hémolytique, telle que nous l’avons pratiquéee, L. Camus et moi, dans nos recherches sur le serum (') E. Gley, Sur l'action hemolytique du sang des jeunes anguilles encore trans- parentes. Compt. Rend. de la Soc. de biol. Paris, tom. LXXXII, n. 22, an. 1919, pag. 817, (®) Pervenuta all'Accademia 1°11 agosto 1919. (3) G. Buglia, Sur l'action toxique exercée sur le sang par les eatraits aqueux du corps des jeunes anguilles encore transparentes. Archives ital. de biol., tom. LXIX, fasc. (II, 21919 pag. 119; (4) Ministère de l’instruction publique. Caisse des recherches scientifiques. Année 1916, Rapport annuel adressé ... Melun, Imprimerie administrative, 1917. EA E d'anquille, n'a pas été possible. C'est justement cette étude que je me proposais de faire dans un nouveau séjour à Nantes ». Per la verità debbo innanzi tutto rilevare che le mie ricerche, che hanno ora provocata la comunicazione del Gley, non sono di data recente, perchè già le avevo pubblicate in esteso sino dal 1917 negli Atti della Società toscana di scienze naturali (1). Vennero cioè pubblicate nell’anno stesso in cui veniva resa nota l'intenzione del Gley di intraprendere ricerche sul po- tere emolitico del sangue delle giovani anguille ancora trasparenti. Dirò poi che le suddette mie ricerche erano state condotte a termine (non ideate soltanto) sino dalla primavera del 1915, assieme ad altre, sulla vitalità e pressione osmotica delle giovani anguille ancora trasparenti (?). La pubblicazione venne ritardata per il fatto che nel maggio 1915, essendo stato chiamato a prestar servizio militare, dovetti allontanarmi dalla sede di studio e le vicende delia guerra m'impedirono per lungo tempo di occuparmene. Per questo stesso motivo dovetti anche ritardare sino ad ora la pub- blicazione di nuove ricerche sulla tossicità generale dell’estratto acquoso delle giovani anquille ancora trasparenti (*). ricerche iniziate pur esse nel periodo precedente la guerra (1915). Indipendentemente però da tutto questo, desidero render noto che l'idea di studiare il veleno dell'anguilla, durante ì primi periodi dello sviluppo di quest'animale (quando cioè ha ancora il corpo trasparente ed è conosciuta in Toscana col nome di czeca, e, se sarà possibile, anche prima, cioè quando si trova allo stato di Zeptocephalus), da parecchi anni (da quando entrai a far parte dell'Istituto di fisiologia di Pisa) era già stata manifestata a noi, allievi di laboratorio, dal nostro direttore ‘prof. V. Aducco. E non soltanto essa era rivolta all'indagine dell'eventuale potere emolitico del sangue delle giovani anguille ancora trasparenti, ma anche alla ricerca del luogo di origine e della natura del veleno dell'anguilla. Fu appunto seguendo questa direttiva che ‘agli esperimenti coll’estratto acquoso del corpo di giovani anguille ancora trasparenti, riferiti nelle mie (1) G. Buglia, Sull’azione tossica che gli estratti acquosi del corpo delle giovani anguille ancora trasparenti (cieche) esercitano sul sangue. Atti della Soc. toscana di sc. nati, residente in Pisa. Memorie, vol. XXXI, 1917, pag. 168. (2) G. Baglia, Osservazioni intorno alla vitalità ed alla pressione osmotica delle giovani anguille ancora trasparenti (cieche). Atti della Soc. toscana di sc. nat. resi- dente in Pisa. Memorie vol. XXXI, 1916, pag. 102; Archives ital. de biol., tom. LXVI, fasc. I, 1916, pag. 1. (8) G. Buglia, Sulla tossicità degli estratti acquosi del corpo delle giovani anguilie ancora trasparenti (cieche). Atti della Soc. toscana di sc. nat. residente in Pisa. Me- morie, vol. XXXII, 1919, pag. 165. SANE pubblicazioni più sopra ricordate, ne associa. altri sull’estratto di pelle di anguilla adulta e sul Ziquido filante secreto esternamente dalle anguille adulte e dalle giovani auguille (cieche). I risultati sino ad ora ottenuti mi spingono a continuare alacremente le ricerche nella speranza di poter portare nuovamente qualche contributo sull'argomento. Fisiologia. — £Acerche sulla secrezione spermatica. V : Osser- vazioni sulla secrezione spermatica dell’uomo (*). Nota di G. AMANTEA e T. RINALDINI, presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI (*). Le nozioni fisiologiche sul comportamento della secrezione spermatica nell'uomo sono assai scarse ed incomplete. Anzi possiamo dire, che esse si riducono a quelle forniteci finora da tre osservatori, gli unici che si trovano perciò ricordati in quasi tutti i trattati più recenti: il Mantegazza (*), il Lode (‘) e il Guelliot (*). Il primo (1860) in base a osservazioni personali stabilì che la quan- tità di sperma, che sì può ejaculare in ogni singolo atto sessuale, può nor- malmente oscillare fra cm*. 0,75 e em?. 6; potè inoltre notare la diminuzione progressiva di spermatozoi nelle ejaculazioni che avvengono a brevi inter- valli fra loro, e avrebbe calcolato che il riposo necessario al soggetto per eliminare di nuovo la quantità massima di sperma è di 4 giorni. A. Lode (1891) potè sperimentare su quattro individui sani, rispettiva- mente di 17, 29, 35 e 40 anni, esegaendo complessivamente 24 osservazioni, e tenendo conto della quantità dell’ejaculato, del suo peso specifico e del numero degli spermatozoi. La quantità media di sperma nelle 24 osserva- zioni fu di cm*. 3,375; il numero medio degli spermatozoi di 60.876 per mm?, e di 226.257.800 per ogni ejaculazione; il peso specifico oscillò fra 1027 e 1046. Il Guelliot ritiene inferiore al vero le cifre date dal Lode per gli sper- matozoi, e colle sue ricerche perviene al numero di 412.500.000. (') Ricerche eseguite nel laboratorio di Fisiologia della R. Università di Roma. Il piano delle ricerche è del dott. G. Amantea; le ricerche furono eseguite in colla- borazione col dott. T. Rinaldini, che ne fece oggetto della sua tesi di laurea. Esse sa- ranno proseguite dal dott. G. Amantea; e il lavoro completo sarà pubblicato successiva- mente altrove. (3) Pervenuta all'Accademia il 22 luglio 1919. (3) Mantegazza P., Gazz. Med. Ital. Lombarda, 1866. (*) Lode A., Pfliiger's Arch., Bd. L, pag. 278, 1891. (3) Guelliot, cit. da R. W. Taylor in. « Patologia e cura delle funzioni sessuali », Ann. d. Mal. d. Org. gen.-urin., 1892, T. X, pag. 77 seg. ReNDICONTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sem. 6 Data la scarsezza delle osservazioni riferite, e data l’importanza del- l'argomento, noi abbiamo creduto non solo utile, ma necessario riprendere lo studio del decorso fisiologico della secrezione spermatica nell’uomo, allo scopo di colmare le lacune. Ci siamo pertanto proposti di esaminare su molti soggetti la quantità dello sperma eliminato e il numero degli spermatozoi corrispondenti a cia- scuna ejaculazione, tenendo conto, fino al possibile, di tutte le principali condizioni e di tutti i principali fattori presumibilmente capaci di indurre variazioni apprezzabili. Abbiamo scelto i nostri soggetti di esame fra persone intelligenti, capaci di valutare la necessità di fornirci dati esatti e completi. Il maggior numero dei nostri soggetti appartiene al gruppo dei professionisti, e di questi i più sono medici. Molti di loro vollero anche seguire le nostre osservazioni da vicino. mostrando per esse vivo interessamento, e cooperandoci molto util- mente colla scrupolosa esecuzione di quanto da loro sì esigeva per ragioni di indagine scientifica. Abbiamo potuto finora sperimentare su novantuno soggetti, eseguendo complessivamente più di 305 osservazioni, i cui risultati saranno oggetto della presente e della successiva Nota. Per ciascuno dei nostri soggetti furono raccolte le seguenti notizie gene- rali (ossia su dati e condizioni. relative al soggetto stesso), e particolari (ossia su dati e condizioni relative a ciascun atto sessuale) : a) Notizie generali: luogo di nascita; età; epoca della pubertà; al- tezza; colorito della cute e dei capelli; stato generale; stato civile e pro- fessione; prolificità nella famiglia; temperamento sessuale; capacità sessuale; abitudini sessuali; passato sessuale; malattie veneree (progresse e attuali); indicazioni relative ai testicoli, e ai vasi serotali (varicocele); malattie ge- nerali e relative cure precedenti e attuali; abitudini personali rispetto ai cibi, al vino, agli alcoolici, al caffè e al tabacco. b) Notizie particolari: modalità dell'atto; riposo sessuale precedente; ora nella quale fu compiuto; durata di esso; grado e decorso dell’eccita- mento; indicazioni sul comportamento e sull'intensità del piacere durante l'atto e nell’ejaculazione; caratteri del liquido eliminato; ora nella quale avvenne l'ultima ingestione di cibi e bevande; loro qualità e quantità; con- dizioni generali al momento dell'atto (con speciale riguardo alla stanchezza muscolare e nervosa); condizione sociale della donna e suoi rapporti col soggetto; temperamento sessuale della donna. Il liquido raccolto in un comune condom ci doveva essere portato entro le 24 ore successive all'atto sessuale. A ciascun soggetto si raccomandava di spremere dopo l'atto stesso l'uretra, per raccogliere anche lo sperma in essa rimasto, e così almeno ridurre la perdita di liquido che non sarebbe stato possibile evitare in modo assoluto. SETA To pp Inoltre si consigliava di far cadere nel condom, prima di annodarlo 0 legarlo accuratamente, un pezzettino di canfora o un cristallino di timolo, allo scopo di impedire o limitare i fenomeni di alterazione da microbî. L’ejaculato era con cura misurato in un adatto cilindretto di vetro for- nito di tappo a smeriglio e graduato in decimi di cm*. Nella misurazione si tenne sempre conto del liquido che rimaneva aderente alla superfice in- terna del condom, e che, in base alla media di numerose determinazioni all'uopo istituite, è risultato eguale a cm?. 0,3 (altrove (!) per lo sperma di cane si trovò eguale a em°. 0,2); alla quantità di liquido quindi versato nel cilindretto graduato si aggiungevano, come costante, cm*. 0,3 allo scopo di valutarne più esattamente il volume complessivo. Trattandosi di quantità molto piccole, si lavava anche il condom con una quantità esattamente nota di soluzione fisiologica, tenendone poi conto scrupoloso nel calcolare il volume del liquido e il numero di spermatozoi. La conta di questi ultimi si è eseguita secondo il metodo già preceden- temente descritto da uno di noi (?) per la numerazione degli spermatozoi nello sperma del cane. servendosi dell’apparecchio di Thoma-Zeiss per la conta dei globuli del sangue, e diluendo lo sperma nel mescolatore con so- luzione di bisolfato di chinino all'1% (trattandosi di sperma contenente spermatozoi ancora mobili), o con soluzione fisiologica (trattandosi di sper- matozoi immobili). La diluizione che abbiamo trovato opportuna è quella di 1:10. Nei casì di scarsezza eccessiva di spermatozoi siamo ricorsi a diluizione di 1:3-1:2, e talora persino all'esame diretto dello sperma come tale, ciò che è sempre però reso difficile dalla presenza di troppi granuli di talco o amido, che il liquido porta con sè dalla superfice dei condoms. Come risultato definitivo per ciascuna numerazione abbiamo sempre assunto la media di non meno di tre conte successive, eseguite con campioni differenti di sperma e contando gli spermatozoi distribuiti su almeno 200 quadratini dell'apparecchio di Thoma-Zeiss. Per assicurare inoltre alle nostre osservazioni una maggiore uniformità, le numerazioni furono eseguite tutte da uno solo di noi (G. Amantea), Le numerose osservazioni potute così eseguire, pur concedendoci di com- pletare e di estendere le scarse nozioni esistenti nella letteratura sull’ im- portante argomento, non sono certo sufficienti a permetterci ancora la solu- zione di tutti i problemi, che ci eravamo proposti, e che sì possono agevol- mente desumere dal suesposto piano di lavoro. Comunque in conformità dei descritti criterî generali seguiti nelle nostre indagini, e partendo dalle condizioni e dai fattori presupposti e considerati (1) G. Amantea, Atti d. R. Acc. d. Lincei. vol. XXIII, 1° sem., 1914. (2) G. Amantea, loc. cit. capaci di influenzare in qualche modo la secrezione spermatica nell'uomo, i risultati da noi sinora ottenuti potranno essere distinti in due gruppi, a seconda che si considerino quelli riferibili a condizioni o fattori relativi a ciascun soggetto, ovvero quelli riferibili a condizioni o fattori relativi a cia- scun atto sessuale. All'esposizione di tali risultati (che sarà fatta nella Nota successiva), riteniamo però necessario far qui precedere quella di alcuni fatti di carat- tere generale, che nettamente si ricavano dal complesso delle nostre osser- vazioni, e che per la loro evidenza ci sembra che possano costituire la base di altrettante leggi fisiologiche della secrezione spermatica nell'uomo. Fa- remo inoltre qui seguire i dati più generali raccolti circa i limiti entro cuì abbiamo visto oscillare il vo/ume dello sperma ejaculato. e il numero degli spermatozoi, riferendoci a tutte le nostre osservazioni (più di 300 su 91 soggetti). In primo luogo ci pare che meriti attenzione il fatto da noi rilevato. che 4 parità di ogni altra condizione, il volume dello sperma e il numero di spermatozoi per ciascuna ejaculazione variano col variare dei singoli soggetti esaminati. Abbiamo accertato infatti che si trovano soggetti, 1 quali mai raggiungono le cifre, che altri invece abitualmente superano. Il /attore individuale assume così, nella fisiologia della secrezione spermatica dell'uomo, particolare valore. E anche quando per due o più soggetti esista coincidenza per uno dei dati da noi ricercati (volume dello sperina e numero degli spermatozoi eli- minati), di solito manca la concidenza per l'altro. Sicchè si può con altre parole affermare, che, a parità di conlizioni, soggetti che eliminano Lo stesso volume di sperma, non elimina 0 di solito lo stesso numero di spermatozot, e viceversa. Nei riguardi poi del rapporto tra volume di sperma e numero di sper- matozoi ejaculati, dal compiesso delle nostre osservazioni si ricava la regola. che, per uno stesso soggetto il numero degli spermatozoi, în ejaculazioni successive, non è mui esattamente proporzionale al volume dell'ejaculato. Inoltre. quasi come corollario della regola precedente, risulta accertata anche l’altra, per ejaculazioni successive di uno stesso soggetto che, le va- riazioni del volume dell'ejaculato mantengono una relativa indipendenza rispetto alle variazioni del numero di spermatozoi con esso eliminati. Infine #l volume dell’ejaculato e il numero degli spermatozoi in esso contenuti variano generalmente nello stesso senso, ma qualche volta anche in senso inverso: mai però proporsionalmente. Il volume dell’ejaculato, riferendoci a tutte le nostre osservazioni su tutti i nostri soggetti, ha presentato variazioni fra cm?. 0,5 e cm?. 13,4, come limiti estremi eccezionali. Le quantità invece che si son viste più frequen- temente ricorrere hanno oscillato fra cm?. 3-4 e cm8. 6-7. ogg E Per ciò che concerne il numero di spermatozoi che può essere elimi- nato con una ejaculazione, bisognerà distinguere quello relativo, cioè calco- lato per mm?. di sperma, e che esprime la densità dell’ejaculato in sperma- tozoi, da quello assoluto, cioè il totale degli spermatozoi eliminati. Il numero relativo, riferendoci sempre a tutte le nostre osservazioni, ha presentato variazioni fra 0 e 480.000 per mm?., come limiti estremi ecce- zionali. Mentre le cifre relative, che con maggior frequenza si sono riscon- trate hanno oscillato fra 50.000-100.000 e 350.000-400.000 per mm?. Il numero assoluto di spermatozoi che si può eliminare con una ejacu- lazione ha variato fra 0 e 2.592.000.000, come limiti rispettivamente minimo e massimo eccezionali. Le cifre assolute che sono invece ricorse con mag- gior frequenza hanno oscillato fra 50.000.000-100.000.000 e 500.000.000- 700.000.000. E. M. RENDICONTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORI&K E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1919. (Ogni Nota o Memoria porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). TT _—rT'r_r_rtftfgc——-—-——T"rrr Chimica fisica. — Sopra una dimostrazione termodinamica (*). Nota di ArRIGO MAZZUCCHELLI, presentata dal Socio E. PATERNÒ (°). Nel suo System of physical Chemistry (*), W. Mc. C. Lewis richiama l’attenzione sui risultati divergenti a cui giungono due dimostrazioni, am- bedue apparentemente ineccepibili, della relazione fra pressione e costante di equilibrio nelle soluzioni diluite. Una di esse è dovuta al Planck il quale, per via analitica, arriva alla formula 220 della 3 ed. della sua Thermodynamik, mentre l'altra dimostrazione, data dal Rice (4), attraverso la descrizione di un ciclo isoterm» giunge alla formula d Vi— Vi Ip ceppi ove K è la costante di equilibrio (costante di formazione del sistema finale, riferita, come usuale, alla concentrazione in volume) e V.— V, la varia- zione di volume dovuta alla trasformazione integrale del sistema iniziale nel finale. Invece la formula del Planck, dopo fattavi qualche trasformazione per tener conto del diverso significato dei simboli, conduce alla relazione d nasa 1 dv ‘peE= arr +5 pp (') Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico dell’Università di Roma. (3) Pervenuta all'Accademia il 14 luglio 1919. (3) 22 ed., vol. II, pag. 140. (4) Trans. Faraday Soc., /2, 1917, (318). CERA ove Xn simboleggia l'aumento del numero di molecole nel passaggio dal si- 1ldv , SA stema iniziale al finale, e 3 è la compressibilità della soluzione. Il Lewis osserva giustamente che la questione merita ulteriore studio ; e la presente Nota vuole appunto indicare quale è la causa di questa diver- genza, e il modo di eliminarla. Nella sua dimostrazione il Rice si serve di una modificazione del classico schema, dovuto al van 't Hoff (consistente in grandi serbatoi, di cui ognuno contiene una delle sostanze iniziali o finali a una concentrazione ben detinita, e in una « scatola di equilibrio » attraverso cui può compiersi la trasformazione reversibile delle prime nelle seconde), in quanto che egli ammette inoltre che tutto ciò sia immerso in una massa di solvente, sottoposta a una pressione che può variarsi a nostra scelta, e che si trasmette liberamente al contenuto dei serbatoi e della scatola at- traverso alcune delle loro pareti, semipermeabili per il solo solvente. Si ottiene così lo scopo di poter variare liberamente la pressione sotto cui si opera, senza che con ciò variino le concentrazioni in volume delle varie sostanze. Riferendosi allora a una reazione qualsiasi, per es. ZA = — uB + VC, si compie il seguente ciclo, di cui esporremo le formule al- gebriche più sotto, insieme colle modificazioni da noi proposte. I. Trasformazione reversibile da sinistra a destra sotto la pressione co- stante P. II. Variazione reversibile della pressione da P a P'. III. Ritrasformazione reversibile da destra a sinistra sotto tale pres- sione P'. IV. Ristabilimento reversibile della pressione da P' a P. Si ottiene così una formula che, sottratta da una. del tutto simile, ri- cavata da un ciclo P+ dP e P', dà la espressione sopracitata. Ora, io propongo di apportare allo schema precedente questa modifica- zione: invece di considerare tutto il sistema immerso nel solvente, che tra- smette la pressione ed entra od esce liberamente dai varî serbatoi a seconda delle variazioni di quella, ammettere che tutti quanti i serbatoi e la sca- tola sian mantenuti del tutto separati durante le variazioni della pressione, che hanno luogo, per ciascuno di essi, mediante uno stantuffo speciale. Il ciclo allora, ripetendo fedelmente tutti i passaggi del Rice (*), si presenta così. Col ben noto sistema di cilindri, stantuffi, e pareti semipermeabili, si converte reversibilmente 4 moli di A in w moli di B+v moli di C. Se (®) Notiamo tuttavia che la dimostrazione riuscirebbe assai più spigliata se, invece di due cicli, fra cui si fa poi la differenza, si eseguisse un ciclo solo fra P_e P4-dP; ma per rendere i ragionamenti più direttamente paragonabili ho preferito seguire in tutto il Rice. SET le concentrazioni di queste sostanze nei varî serbatoi sono risp. a,0,c, il lavoro osmotico ottenuto sarà, come di consueto, Be RT (tog K — log da i Inoltre, se la reazione da sinistra a destra è connessa con un aumento di volume V. — V, (sotto la pressione P), il sistema compirà pure il la- voro P(V:—V.). II. Si varii ora reversibilmente la pressione da P a P', mentre corri- spondentemente il volume totale del sistema (i tre serbatoi + la scatola) varia da V, a Vj. Ciò porta con sè un lavoro, da parte del sistema, dato Va salt 3 4 i da DI pdVs. D'altra parte questa variazione di pressione e di volume, date le condizioni in cui noi operiamo, ha portato con sè una variazione di concentrazione delle varie sostanze nei serbatoi, la quale, supponendo che tutte le soluzioni abbiano una compressibilità uguale fra loro e uguale a quella del solvente puro (come è giustificato, trattandosi di soluzioni diluite) sarà in ogni caso proporzionale a , talchè le varie concentrazioni diven- ONECINSE CV, VECEVZEVA, Naturalmente, varia anche la conc. totale del miscuglio nella scatola, ma di questo non occorre tener conto. III. Successivamente, sotto la pressione costante P', si fa retrocedere la reazione (decorrere, cioè, da destra a sinistra) ottenendo il lavoro osmo- £ br eY (Vi \EYY tico RT (log SI — log K) mentre, se a causa della trasforma- zione avvenuta il volume del sistema varia da Vs a VI (sotto la pressione P') si otterrà pure il lavoro P'(Vi— V3). IV. Finalmente si riconduce reversibilmente la pressione al valore P, Vi Vi gono risp. DEA e quindi il volume a V,, ottenendosi il lavoro sE paVi. Pel 2° principio, la somma di tutti questi lavori deve essere zero, 0ssìa deve essere i +Y-% RT (tog K + log Do AT K.) + 2 Va IVEA +P(V— VW) PW W+ | ‘pari [, ‘pev=o. Integrando per parti: e AVI PVI PV ev d IDE dV=PV! fv d v, p Pea (gra 27) °D» Jv IVA e 17 Jp 14) 2 RenpICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. t/ I ei È e quindi, dopo qualche riduzione, “ E. RT (logK+(u+v—8) log; —logK.) = f, (Vi — Va) dp. 2 1 Eseguendo lo stesso ciclo fra le pressioni P + dP e P' avremmo avuto RT (log (K + dK) + («+ v — 4) log i — log K) = b 2 PdPo ciDias = |, (M- Vada | (VV) dp+ MV) 92, e, sottraendone la prima espressione, RT (log (K + dK) + (4 +» — 2) log tidh — log k) =(V,— Vy)0P, 2 ovvero, al limite, RT4logKT-(u+vT—4)dlogV:=(Vi— Va) dP, cioè ai ra, SI ape pr sa ar (ove l'indice 2 nel secondo termine a destra può senz'altro omettersi) che è la formula del Planck. i Se per tal modo si è dimostrato che, con la modificazione da noi sug- gerita, anche il ciclo usato dal Rice conduce alla formula del Planck, non è ancora provato che tale sostituzione sia di per sè giustificata e doverosa. Lo si potrà peraltro riconoscere, considerando che nei cicli termodinamici relativi alla legge di massa occorre assoggettare alle speciali condizioni im- poste, caso per caso, dal problema, non solo la scatola di equilibrio, ma anche i serbatoi delle sostanze iniziali e finali. Così, per dimostrare in tal modo le due formule che dànno la variazione colla temperatura della co- stante di equilibrio a volume o a pressione costante ('), occorre (e basti questo accenno che potrò svolgere in altra occasione) che si compia a vo- lume o risp. a pressione costante il passaggio dall'una all’altra temperatura delle sostanze iniziali e finali. Analogamente qui occorre che dette sostanze sian trattate, per quanto concerne le variazioni di pressione, come lo sono in realtà i sistemi in equilibrio a cui si vuole applicare tale formula. E questi, in tutti i casì finora sperimentati, sono appunto stati compressi in modo che subissero, senza alcun compenso, la diminuzione di volume richiesta (*) La prima formula ha avuto, come è noto, dal van ’t Hoff il nome di isocora, mentre la seconda, che in pratica è la sola usata per gli equilibrî gassosi, non ha nome: ma logicamente dovrebbe chiamarsi isodara. io) La dalla compressibilità delle soluzioni, mentre, per poter loro applicare con rigore la formula del Rice, sarebbe stato necessario che, prima di effettuare la compressione, si fosse aggiunto, caso per caso, tanto solvente che a com- pressione avvenuta il volume della soluzione fosse lo stesso come sotto la pressione iniziale. Possiamo anche presentare la. questione così: Nei casi finora sperimen- tati una compressione, oltre a far variare la costante di equilibrio nel senso che favorisce il sistema a volume totale minore, secondo che vuole il prin- cipio di Lechatelier-van 't Hoff, viene anche a operare un certo aumento della concentrazione in volume (a causa della compressibilità della soluzione). E | questo aumento di concentrazione, pur non avendo influenza diretta sulla co- stante di equilibrio, favorisce però, come di regola generale, il sistema col numero di molecole minore, di cui aumenta così la quantità relativa, talchè, nella misura sperimentale, tale aumento figura come una ulteriore variazione della costante di equilibrio; onde è logico che la formula teorica, se vuol esser rigorosa, debba pure tenerne conto. Fisica. — L’« audion » come rivelatore di azioni elettrosta- tiche. Nota del prof. RiccARDO ARNÒ, presentata dal Socio G. Co- LOMBO ('). È noto che negli « audion » l'emissione di elettroni (negativi) da parte del filamento incandescente dà luogo ad una vera e propria corrente elet- trica (positiva) dall'elettrodo più freddo al più caldo, cioè dalla lamina al filamento stesso incandescente: la cui intensità di regime può essere di qualche milliampère, se si crea artificialmente tra filamento incandescente e lamina una differenza di potenziale elettrico di alcune diecine di volt, mediante, per esempio, una batteria di accumulatori connessa col polo ne- gativo al filamento incandescente. Tra il filamento e la lamina è situata la cosiddetta griglia, cioè un conduttore a maglie metalliche, isolato; perciò il flusso di elettroni ema- nante dal filamento resta in un certo qual modo filtrato dalla griglia, e ne consegue che il segno e il valore del potenziale elettrico della griglia hanno influenza sul valore della corrente di ionizzazione. Le esperienze che seguono (?) mostrano quale grande sensibilità possa (1) Pervenuta all'Accademia il 26 luglio 1919. (2) Gli esperimenti descritti nella presente Nota furono ampiamente diseussi col chiarissimo prof. Quirino Majorana, al quale porgo vive grazie per il gentile interessa= mento a questi miei studî, che spero saranno l’inizio di nuove ricerche e tali da portare nuovi contributi sul funzionamento dell’« audion » anche per quanto riguarda la sua pra tica applicazione nella telegrafia senza fili. ET OE presentare l'« audion » come rivelatore di azioni elettrostatiche drusche agenti sulla griglia. La disposizione sperimentale è la seguente: un « audion », tipo fran- .cese con filamento incandescente rettilineo, griglia costituita da un filo me- tallico avvolto a solenoide attorno al filamento incandescente, e lamina co- stituita da un tubetto metallico cilindrico, esterno alla griglia a solenoide e avente anch'esso per asse lo stesso filamento incandescente, è montato su una tavoletta isolante di ebanite in modo da poggiare su essa soltanto per mezzo di tre delle quattro prese di corrente, e cioè le due per la corrente di incandescenza del filamento e quella per la lamina. La presa della griglia conviene che resti sospesa in aria per la più rigorosa isolazione; ad essa viene connessa un'appendice metallica formante una specie di antenna. Il filamento è portato all'incandescenza mediante un elemento doppio di accumulatore (volt 4, amp. 0,6). Tra il filamento incandescente (negativo) e la lamina (positiva), si sta- bilisce un circuito esterno all’« audion », contenente una batteria di accu- mulatori (80 a 120 volt), un milliamperometro e un telefono. Il milliam- perometro segnerà da tre a cinque milliampère. Ciò posto, se all'antenna di griglia si avvicina druscamente una bac- chetta di ebanite elettrizzata, all'atto stesso dell'avvicinamento la corrente di ionizzazione cade istantaneamente a zero. Avvicinando la bacchetta con grande lentezza, non sì nota alcun effetto. Una spiegazione probabile dell'azione è la formazione, per induzione elettrostatica di cariche elettriche positive sul filamento incandescente. Il filamento incandescente rappresenta infatti la parte del circuito (filamento, accumulatori ecc.) più vicina alla griglia, la quale rappresenta ‘alla sua volta la parte più lontana di un conduttore (antenna-griglia) sul quale agisce per induzione la carica elettrica negativa della bacchetta di ebanite elet- trizzata. Cosicchè, essendo negativa la carica inducente, è positiva la carica indotta nell'antenna della griglia e negativa quella indotta nella griglia; positiva quella indotta dalla griglia sul filamento e negativa quella indotta da essa sulle parti lontane del circuito di alimentazione. Una carica positiva. del filamento incandescente ha per effetto la neu- tralizzazione locale, sul filamento stesso, degli elettroni che altrimenti con- tribuirebbero a formare l'intensità di corrente di regime; tale intensità perciò ne risulta ridotta, e, per sufficiente valore della carica indotta, addirittura annullata. La spiegazione probabile della non apprezzabile azione nel caso di av- vicinamento /enio della bacchetta di ebanite elettrizzata all'antenna di gri- glia si ha nella esiguità delle masse elettriche positive, in tal caso generate per induzione elettrostatica in ogni tempuscolo sul filamento incandescente ; sicchè tali masse positive possono risultare subito neutralizzate dall'emissione negativa del filamento incandescente e restare praticamente senza azione. AZ, PIA Con una bacchetta di vetro elettrizzata (carica positiva), si ha annul- lamento della corrente di ionizzazione nell’« audion » all'atto dell'allonta- namento, anzichè all’atto dell’avvicinamento: e ciò è in armonia col segno inverso della carica inducente, rispetto a quella dell’ebanite. Anche in questo caso il fenomeno si constata solo per spostamenti bruschi della carica inducente. Ma una variazione brusca del potenziale elettrico sulla griglia (la quale, com'è detto, agisce per induzione elettrostatica sul filamento incandescente) si può ottenere anche modificando, anzichè la distanze di una determinata massa elettrica inducente dall’antenna di griglia, la capacità elettrica del sistema induttore: ed infatti l'esperienza consente di dimostrare che mante- nendo, per esempio, una bacchetta di ebanite o di vetro elettrizzata in po- sizione fissa rispetto all'antenna di griglia, basta interporre e togliere dru- scamente tra la bacchetta di ebanite elettrizzata e l'antenna di griglia, op- pure introdurre 2ruscamente tra la bacchetta di vetro elettrizzata e l’an- tenna di griglia, un corpo conduttore qualsiasi, per esempio una lastrina me- tallica o una mano, perchè la conseguente variazione nella distribuzione delle linee di forze elettriche, e quindi nel potenziale elettrico del corpo induttore, si ripercuota esattamente sulla corrente di ionizzazione. L'« audion » rileva piccolissimi spostamenti del corpo induttore 0 picco- lissime variazioni della sua capacità elettrostatica, tanto che è possibile d’in- fiuenzarlo anche a distanza di parecchi metri, e seguire per esempio su un milliamperometro a lettura diretta conîgli spostamenti dell'indice sulla scala anche i tremolii della mano che regga la bacchetta elettrizzata. Tutti i fenomeni ora descritti cambiano segno se, invece di agire sul- l'antenna di griglia, si agisce su una parte qualsiasi dei conduttori connessi col filamento incandescente. Ciò non ha bisogno di spiegazione. Un particolare interessante dell'esperienza, in favore della spiegazione probabile sopradata, consiste in una specie di isteresi che presenta l’ « au- dion », dopo azioni elettrostatiche energiche, per riprendere il valore di re- gime nella corrente di ionizzazione. Ciò evidentemente dipende dal tempo necessario al filamento incandescente per saturare, con la limitata emissione di elettroni di cui esso è capace. le cariche positive indotte su esso. Fisiologia. — /icerche sulla natura del veleno dell'anguilla. I: L'ittiotossico è termostabile (!). Nota del dott. G. BuGLIA, pre- sentata dal Corrisp. V. Apucco (?). Angelo Mosso (*), studiando il veleno dell'anguilla, constatò che il siero del sangue di questo animale perde l'azione tossica, se viene riscaldato a 100° C. Ugolino Mosso (‘), nelle ricerche che fece per stabilire la natura di detto veleno, trovò che la temperatura di 70° C è già sufficiente per distrug- gere l’azione tossica del siero dell'anguilla. Più recentemente Camus e Gley (°) ottennero la scomparsa dell'azione globulicida del siero di anguilla portandolo alla temperatura di 58° C per 15°. Io stesso, riferendo i risultati di alcune mie ricerche sulla tossicità dell'estratto acquoso del corpo delle giovani anguille ancora trasparenti (cieche), della pelle di anguilla adulta e del liquido filante, secreto esternamente dalle cieche e dalle anguille (6), emisi l'opinione che la sostanza tossica, contenuta in detti liquidi, venga alterata o distrutta dal calore. a | Da tutte queste ricerche risulterebbe dunque che il veleno dell'anguilla è una sostanza fermolabile. Occupandomi di nuovo presentemente dell’azione tossica dell'estratto acquoso del corpo di giovani anguille (cieche), ho avuto occasione di fare esperimenti anche col siero di sangue dell'anguilla adulta e studiare gli effetti del riscaldamento su questi liquidi. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologia della R. Università di Pisa, diretto dal prof. V. Aducco. (®) Pervenuta all'Accademia il 17 luglio 1919. (3) A Mosso, Un venin dans le sang des murénides. Arch, it. de biol., tom. X, 1888, pag. 141-169. (3) U. Mosso, Recherches sur la nature du venin qui se trouve dans le sang de Vanquille. Rend. d. R. Acc. dei Lincei, 2 giugno 1889, pag. 804; Arch. it. de biol., tom. XII, 1889, pag. 229-236. (3) L. Camus et E. Gley, Recherches sur l'action physiologique du serum d'angquille. Contribution à l'étudèé de l'immunité naturelle et acquise. Arch. intern. de pharmacodyn., vol. V, 1898, pag. 247-305; I. Gley, Zravaue du laboratoire, tom. I, Masson et C. 6d,, Peris 1912, pag. 18-86. (9) G. Buglia, Sull’azione tossica che gli estratti acquosi del corpo delle giovani anquille ancora trasparenti (cieche), esercitano sul sangue. Atti d. Soc. Tose. di Sc. Nat. Vol. XXXI, 1917; Arch. it. de biol., 1919, tom, LXIX, pp. 119-138; G. Buglia, Sulla tossicità degli estratti acquosi del corpo delle giovani anguille ancora trasparenti (cieche). Atti d. Soc. Tosc. di Sc. Nat., vol. XXXII, 1919; A;rch. it, de biol.,, 1919, tom. LXIX. SERRE I risultati ottenuti dimostrano, contrariamente a quanto risulta dalle ricerche precedenti, che il veleno dell'anguilla è una sostanza termostabile. Il riscaldamento fa scomparire l’azione tossica dell'estratto acquoso del corpo di cieche e del siero di sangue di anguilla, non perchè distrugga il veleno, ma perchè provoca fenomeni di adsorbimento da parte delle sostanze albuminose, che sono contenute in questi liquidi e che coagulano sotto l’azione del calore. Infatti con opportuni mezzi si riesce facilmente a ridare al li- quido, reso innocuo dall'azione del calore ('), la sua tossicità normale. Ho ottenuto questo risultato, sottoponendo a disgregazione meccanica (mercè la macinazione in mortaio di vetro, con cristallini di quarzo) il pre- cipitato fioccoso dato dall’estratto di cieche e il coagulo gelatinoso formatosi dal siero di anguilla, quando vengono riscaldati per un certo tempo a tempe- rature prossime o superiori a quella di 60° C. Anche con la digestione triptica ho potuto raggiungere effetti analoghi a quelli ottenuti col disgregamento meccanico, però non costantemente e non sempre in modo così manifesto. Riferisco alcuni esperimenti, in cui sottoposi all'azione del disgregamento meccanico l'estratto acquoso del corpo di czeche e il siero del sangue di an- guilla, dopo averli tenuti alla temperatura di 70° e 100° C, rispettivamente per 30' e 15°. I. — Esperimenti con estratto acquoso del corpo di CIECHE: A) Si prepara l'estratto di czeche tritando nel mortaio, con cristalli di quarzo, 10 gr. di cieche e aggiungendo alla poltiglia 20 cc. di soluzione di NaCl al 0,9%. La miscela viene agitata e centrifugata. L'estratto ha reazione neutra; sottoposto all’azione del calore, dà abbondante precipitato fioccoso. a) Azione tossica generale: 2 cc. di estratto di cieche, iniettati nella cavità addominale di una rana, producono la morte (dando i soliti fenomeni di avvelenamento, analoghi a quello del siero di anguilla) in 4 ore. 2 cc. dello stesso estratto, portati alla temperatura di 70° C per 307, iniettati nella cavità addominale di una rana, non producono fenomeni tossici degni di nota. L'animale muore dopo 3 giorni. 2 cc. dell'estratto, portati a 70° C per 30', vengono disgregati in mortaio. Si ottiene una miscela di colore grigio giallastro che, dopo averla lasciata sedimentare per qualche minuto, si inietta nella cavità addominale di una (!) In realtà il calore non rende del tutto innocui l'estratto di cieche e il siero di anguilla: infatti l'iniezione di questi liquidi riscaldati. produce negli animali, sebbene dopo lungo tempo, fenomeni di intossicamento più o meno gravi, ed anche la morte. La qual cosa si potrebbe spiegare ammettendo che in questi liquidi, pervenuti nell'organismo vivente, si metta in libertà dopo un certo tempo, la sostanza tossica adsorbita, STORE rana. Un'ora circa dopo l'iniezione, compaiono evidenti fenomeni di avvele- namento (catalessi, paresi, paralisi e contratture fibrillari agli arti posteriori). La morte avviene entro 5 ore. 5) Azione emolitica: Soluzione Estratto Sangue di di defibrinato Denso Gio Na C1 0.9 °/o cieche di cane p CO) gocce gocce 1 _ 1 niente emolisi 5 9 ”» emolisi ” 5 n emolisi ” 2 a 70° per 30” ” niente emolisi » 5 id. ” niente emolisi n 2 a 70° per 30’ ” emolisi eppoi disgregato ” 5 id. ” emolisi B) Si prepara l’estratto di cieche come precedentemente. a) Azione tossica generale: ) 2 cc. di estratto di czeche, iniettati nella cavità addominale di una rana, dànno la morte in ore 1 e 45". l 2 cc. dello stesso estratto, portato alla temperatura di 100° C per 15°, iniettati nella cavità addominale di una rana, non producono fenomeni tossici degni di nota. L'animale muore dopo 2 giorni. 2 ce. dell'estratto, portato a 100° C per 15' eppoi disgregato in mor- taio, iniettati nella cavità addominale di una rana, dopo 2 ore dànno feno- meni di avvelenamento consistenti in paralisi degli arti posteriori, tremori, contratture. La morte avviene dopo 7 ore e 30°. 5) Azione emolitica : Soluzione Estratto Sangue di di defibrinato Na C10.9°/ cieche GEL Dopo 12 ore ce. ce. 1 — 1cc. niente emolisi n 1 n» emolisi ” 1a 100°C per 15’ »_» niente emolisi ” la 100°C per 15’ 1» niente emolisi eppoi disgregato 1 id. 1 goccia lieve emolisi po Sas Mad II. — Esperimenti con siero di sangue di anguilla: A) Il siero venne ottenuto dal sangue raccolto recidendo la coda di 4 grosse anguille del peso medio di 300 grammi. Colore giallo bruno con qualche riflesso verdastro, reazione leggermente alcalina. Riscaldato a 70° C, non precipita in fiocchi ma forma una massa gelatinosa di colore verdastro opaco. a) Azione tossica generale: 4 cc. di questo siero, iniettato nella cavità addominale di una rana, ne produce la morte (dando i caratteristici fenomeni di avvelenamento) in ore 3 e 15” 4 ce. dello stesso siero, portato alla temperatura di 70°C per 30" e iniettato in una rana, non produce fenomeni tossici degni di nota. Dopo 2 giorni l’animale è ancora vivo. ‘4 cc. del siero, riscaldato a 70° C per 30’, viene disgregato in mortaio. La mescolanza, di colore grigio verdastro, si lascia sedimentare per qualche tempo, eppoi si inietta nella cavità addominale di una rana. Produce la morte dell'animale (dando fenomeni analoghi a quelli prodotti da siero normale), in 5 ore. b) Azione emolitica: Tre — TT EEzEEe;ee€£€e=ee€e«€*sge£€C€e€£€”E*.r-=--::===_a=ce Soluzione Estratto Sangue _di di defibrinato Dopo 6 ore Na C10.9°/ cieche di cane CCÒ gocce gocce 1 _ 1 niente emolisi ” 2 ” lieve emolisi ” 5 0) emolisi ” 2 a 70° per 30” ” niente emolisi ” Deld: ” niente emolisi ” 2 a 70° per 30’ ” emolisi eppoi disgregato 2) 5 id. n emolisi B) Siero di sangue ottenuto da 3 grosse anguille. Colore verdastro, rea- zione leggermente alcalina. Riscaldato a 100° C non fiocchifica, ma dà un coagulo gelatinoso di colore verdastro, opaco. a) Azione tossica generale: 4 ce. di questo siero, iniettato nell'addome di una rana, ne produce la morte (dando i caratteristici fenomeni di avvelenamento) in ore 2 e 10°. RenpIcoONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 8 Lipgie 4 ce. dello stesso siero, portato alla temperatura di 100° C per 15' e iniettato nell’addome di una rana, non produce alcun fenomeno tossico degno di nota. L'animale muore dopo 3 giorni. 4 cc. del siero, riscaldato a 100° C per 15' eppoi disgregato in mor- taio, iniettato nell'addome di una rana l'uccide, dando i soliti fenomeni del siero normale, in ore 4. 5) Azione emolitica: Soluzione Estratto Ranco Na 0098 sccielo Siti cane | Dopo 6 ore GC gocce gocce 1 _ i IC niente emolisi » 2 ” emolisi ” 2 a 100° per 15’ ” niente emolisi » 5 id. D) lieviss. emolisi ” 2 0 100° per 15° ” emolisi eppoi disgregato » 5 id. ” emolisi Una prova indiretta che la tossicità dell'estratto di cieche e del siero di anguilla scompare col riscaldamento, perchè il veleno viene adsorbito dalle sostanze albuminose contenute in questi liquidi o che coagulano per l’azione del calore, si può avere sperimentando con la bile di anguilla che è priva, o quasi del tutto, di sostanze albuminose. La bile di anguilla (come quella di altri animali) conserva inalterata la sua tossicità anche se riscaldata a 100°C; la perde, invece, se si riscalda dopo aggiunta di sostanze albuminose (ad es. estratto di muscoli). I risultati che ho riferito dimostrano dunque che il veleno dell'anguilla, contrariamente a quanto si riteneva è una sostanza termostabale. Fisiologia. — Ricerche sulla secrezione spermatica. VI: Osser- vazioni sulla secrezione spermatica dell’uomo. Nota di G. AMANTEA e T. RINALDINI, presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI ('). Continuando l’esposizione dei principali fatti osservati nelle nostre ri- cerche sulla secrezione spermatica dell’uomo, dei quali abbiamo riassunto quelli più generali nella Nota precedente (?), riferiremo in questa i dati raccolti finora, tenendo presenti, secondo il piano e il metodo di indagine descritti, i più importanti fattori, presumibilmente capaci di indurre varia- zioni apprezzabili nel volume dello sperma e nel numero degli spermatozoi eliminati. Merita considerazione il fattore dell'età del soggetto. Nessuno si era finora proposto di indagare, con metodo fisiologico e assumendo opportuni criterî di misura, l'influenza dell'età sulla secrezione spermatica. Ma avendolo vo- luto noi tentare, ci siamo trovati di fronte a non lievi difficoltà, quando si è trattato di rivolgere l’attenzione alle età estreme (pubertà e vecchiaia). Abbiamo potuto compiere osservazioni solo su soggetti tra i 19 e i 64 anni; e possiamo affermare che, tenendo conto del volume dell’ejaculato e del nu- mero degli spermatozoi corrispondenti a ciascuna ejaculazione, differenze so- stanziali non abbiamo rilevato. Merita tuttavia menzione il caso di un nostro soggetto di 64 anni, che dichiarava di avere oramai incompleta e breve l'erezione da non potere compiere il coito, ed eliminava un numero di sper- matozoi superiore a quello raggiunto, a parità di condizioni, da soggetti adulti e giovani. : Da 60 dei nostrì soggetti abbiamo potuto ottenere notizie esatte circa la comparsa (quasi sempre in seguito a masturbazione) della prima ejacu- lazione di liquido filante e limpido, riferibile alle glandole accessorie, e se- guìta a breve intervallo dall’ejaculazione di vero e proprio sperma: si verificò tra i 9 e i 17 anni, come limiti estremi, e con la maggiore frequenza tra i 12 e i 14 anni. Pur avendo in generale sperimentato su soggetti in buone condizioni fisiche, abbiamo motivi per affermare che lo stato apparentemente florido ovvero quello deperito non trovano spesso diretta corrispondenza nel volume dell'ejaculato e nel numero di spermatozoi eliminati. (1) Pervenuta all'Accademia il 22 luglio 1919. (*?) G. Amantea e T. Rinaldini. Rendiconti d. R. Acc. d. Lincei, vol., XXVIII, 1° se- mestre, 1919. PRG Vee? L’avere ricercato anche i dati relativi alla prolificità nella famiglia, ci ha permesso di stabilire che i soggetti, i quali ci hanno fornito gli ejacu- lati più densi di spermatozoi, appartengono in grande maggioranza a famiglie, in cui la prolificità è la regola per gli ascendenti maschili. Riconosciamo però la necessità di un maggior numero di osservazioni in questo senso per poter trarre sicure induzioni. Il temperamento sessuale, dedotto oltre che dalle dichiarazioni del sog- getto, anche dalla sua capacità sessuale e dalle sue abitudini sessuali, influisce sul numero di spermatozoi e sul volume dell’ejaculato, inquantochè ad esso appunto può essere, entro certi limiti, legato il funzionamento più o meno attivo dei testicoli e delle glandole accessorie dell'apparato genitale maschile. Tale influenza si collega, così, intimamente con quella del riposo sessuale, di cuì diremo in seguito. Il temperamento sessuale può inoltre spiegare, il più delle volte, anche il passato sessuale. Quantunque individui con passato sessuale molto attivo e laborioso ci si siano dimostrati capaci di ejaculazioni, che per volume di li- quido e densità di spermatozoi eguagliavano o superavano altre di soggetti con passato calmo e morigerato, non si può negare che la questione po- trebbe convenientemente risolversi solo potendo seguire determinati. soggetti durante tutta la loro vita sessuale, ciò che non sarebbe certo realizzabile almeno per l’uomo. Uno fra i più importanti argomenti che abbiamo dovuto considerare, e che ci ha permesso osservazioni meritevoli di più dettagliata menzione, è quello dell’influenza esercitata sulla secrezione spermatica dalle malattie ve- neree 0 da malattie di altra natura dei testicoli, degli epididimi e del cordone. In nessuno dei nostri soggetti ci è stato possibile di eseguire osservazioni prima e dopo che la malattia fu contratta. Abbiamo perciò potuto solo tener conto della malattia in atto o pregressa, e ciò su molti dei nostri soggetti. Più precisamente, su un totale di n. 91 soggetti si ebbero: n. 25 casì di blenorragia pregressa o in atto senza complicazioni; » 5 » » sifilide pregressa o in atto (dei quali 1 compreso pure fra i blenorragici e 1 fra i varicocelatosi); » 14 » © epididimite pregressa o in atto da blenorragia; 1 » » gomma testicolare in atto (compreso pure fra i blenorragici, fra gli epididimitici e fra i Inetici); » 5 » » orchite pregressa unilaterale da parotite; » 3 » » orchite pregressa unilaterale da trauma; » 17 » » varicocele sinistro {dei quali 10 compresi pure fra i blenor- ragici e 1 fra i luetici). Tutti gli altri soggetti non avevano mai sofferto malattie veneree e pre- sentavano normali i testicoli e i loro annessi. ES Il fatto più saliente, che si ricava dal complesso delle osservazioni ese- guite su soggetti con blenorragia pregressa o in atto, è rappresentato dalle cifre sensibilmente più basse, raggiunte per ciò che riguarda il numero rela- tivo (per mm.) e assoluto (per ejaculazione) di spermatozoi eliminati, in con- fronto con quelle trovate nel complesso delle osservazioni sui soggetti sani. In questi ultimi infatti la densità di spermatozoi per mm?. ha variato fra 0 e 480.000 (come limiti eccezionali), con una maggior frequenza di cifre oscil- lanti fra 50.000-100.000 e 350.000-400.000; nei primi invece la densità ha variato fra 0 e 308.000 (come limiti eccezionali), con una maggior fre- ‘quenza di cifre oscillanti fra 10.000-50.000 e 120.000-190.000. Il numero assoluto variò nei sani fra 0 e 2.092.000.000 (limiti estremi eccezionali), con una maggiore ricorrenza di cifre oscillanti fra 50.000.000- 100.000.000 e 400.000.000-700.000.000; mentre nei blenorragici si ebbero come limiti estremi eccezionali 0 e 862.000.000, con una maggiore ricorrenza di cifre oscillanti fra 5.000.000-40.000.000 e 150.000.000-300.000.000. La differenza tra i due gruppi è risultata evidente, e il numero delle osservazioni ci sembra che permetta di assumere i dati riferiti a base di una conclusione sicura, indipendentemente dagli altri fattori comuni e com- pensantisi. Il volume dell’ejaculato ha presentato variazioni nello stesso senso ma _ meno marcate che non quelle del numero di spermatozoi. Nei riguardi dei rapporti con quest ultimo, sì è però sempre verificata la costanza delle leggi generali esposte nella Nota precedente (?). Nei casi di epididimite blenorragica, sia bilaterale sia unilaterale, tutti i fatti suesposti sono risultati molto più marcati. Rileviamo ancora che spesso negli epididimitici lo sperma si è presentato più fluido e meno gela- tinoso che nei normali. In uno soltanto dei nostri soggetti con pregressa epididimite bilaterale si accertò l'azoospermia ; ma si tratta precisamente di quello che figura anche tra i luetici e che presentava durante il periodo di osservazione una: gomma testicolare in atto. Non ci risulta una diminuzione più accentuata di spermatozoi nei soggetti con epididimite bilaterale rispetto a quelli con epididimite unilaterale. Ma siccome in questi ultimi, a parità di altri fattori, le cifre sono rimaste sempre decisamente al disotto della metà di quelle medie dei soggetti sani, si potrebbe pensare che dall’epidi- dimo malato, anche se da un solo lato, partono forse stimoli abnormi inibitorii -pel trofismo testicolare e per la spermatogenesi. Sulla base di analoghe osservazioni, lo stesso possiamo affermare pei casì di varicocele sinistro; mentre pei casi di sifilide, di orchite da parotite e di orchite traumatica, riteniamo ancora troppo scarso il numero dei dati raccolti per trarre fondate conclusioni. (') G. Amantea e T. Rinaldini, loc. cit. = ‘09 == » ; Nei riguardi dell'eventuale influenza, sulla secrezione spermatica, delle malattie generali e delle relative cure (pregresse e attuali), non risultano parti- colari rapporti apprezzabili. Così pure non risulta una decisa influenza da parte delle varie abitudini personali ai cibi, alle bevande, agli alcoolici, al caffè, al tabacco. Vedremo non- dimeno quale possa essere l'influenza immediata dell’ingestione dei cibi, di bevande alcooliche, nervini ecc. i Per uno stesso soggetto non abbiamo osservato differenze notevoli e costanti, nel volume dell'ejaculato e nel numero di spermatozoi, col va- riare della modalità dell’atto sessuale (coito, masturbazione, ecc.). Va eccet- tuato il solo caso della polluzione, per cui, pur non avendo potuto valutare il volume totale del liquido eliminato, del quale si potè avere sempre un'ali- quota soltanto, il numero di spermatozoi calcolato per mm.* è stato trovato costantemente e marcatamente scarso, anche in confronto colle cifre ottenute per gli stessi soggetti in seguito a coiti preceduti da un riposo sessuale più breve che le polluzioni. Se successive osservazioni confermeranno tali risul- tati. soprattutto nei casi di polluzioni patologiche, potrà rimanerne chiarita la genesi dell'effetto debilitante delle polluzioni stesse, che in base a questi nostri primi risultati sembrerebbe doversi mettere piuttosto in rapporto con l'attività dei centri nervosi, che non con vere e proprie perdite materiali. La durata dell’atto non ci ha permesso di osservare particolari differenze. Interessa tuttavia rilevare che la durata media del coito nei nostri soggetti — a parte ogni influenza della volontà — risultò di 9210! (durata media normale). Tenendo conto del grado e decorso dell’eccitumento che può precedere l'atto sessuale, conviene distinguere un eccitamento, per così dire, occasionale, che insorge sotto forma di eccitamento soprattutto psichico, favorito da condizioni occasionali varie (disoccupazione, noia, ecc.), e determinato da stimoli varii, specialmente visivi; un eccitamento da euforia, quale può per es. seguire a un pasto abbondante e succolento; e infine un eccitamento da vero bisogno sessuale, che ricorre a intervalli determinati di riposo sessuale e può assu- mere gradi varî di intensità nei diversi soggetti. Ebbene, mentre nei primi due casi un grado di eccitamento anche marcato può coincidere con una eli- minazione anche assai scarsa di sperma e di spermatozoi, nel terzo caso l'eliminazione è per solito corrispondente al periodo di riposo che l’ha pre- ceduta, e di cui vedremo in seguito tutta l’importanza. Abbiamo accennato che i cidi e le bevande (alcoolici in dose eccitante, nervini in genere) possono portare a uno stato euforico, che favorisce senza dubbio l’eccitamento sessuale. Per ciò l'effetto in questo senso è massimo nel periodo dell'assorbimento digestivo. Ma l'effetto stesso si esplica in direzione opposta per alimenti o bevande ingerite in quantità eccessiva. i i E Nessuna osservazione però abbiamo potuto eseguire in condizioni di vero abuso. Il lavoro muscolare e quello cerebrale, se di grado rilevante, influiscono più o meno intensamente sul bisogno sessuale, deprimendolo; mentre una vera influenza sul volume dell’ejacnlato e sul numero di spermatozoi non abbiamo potuto finora rilevare. Abbiamo tentato anche di stabilire se esistesse un rapporto tra il com- porlamento e il grado del piacere durante l'atto e nell’ejaculazione, e il vo- lume di liquido e il numero di spermatozoi eliminati. Fondandoci all'uopo sui dati riferiti da soggetti intelligenti, capaci di fine autosservazione e di critica, abbiamo accertato che talora ‘ad atti sessuali, decorsi quasi senza vera sensazione di voluttà, corrispondono ejaculati normali per volume e den- sità di spermatozoi. Ma il fattore che tra tutti merita speciale attenzione, come quello che ha dimostrato di influenzare in maniera decisa e in tutti i casi la secrezione spermatica, è rappresentato dal riposo sessuale, ossia dal periodo più o meno lungo di tempo che intercede fra atti sessuali successivi. L'influenza del riposo sessuale ci è risultata sempre positiva, nel senso che un più lungo riposo porta a un aumento nella quantità dell’ejaculato e nel numero degli spermatozoi, fino a un certo limite massimo e non più superabile, che varia a seconda degli individui. Coll’ individuo varia altresì l'ampiezza del periodo di riposo minimo, necessario a raggiungere tale limite massimo. In altre pa- role, si può affermare che per ogni soggetto esiste un periodo di riposo sessuale, al quale corrisponde l’ejaculazione della massima quantità di sperma e del mas- simo numero di spermatozoi. Cosicchè, per atti sessuali successivi a intervalli corrispondenti a tale periodo, il volume di liquido e il numero di sperma- tozoi eliminati, a parità di altri fattori, sì mantengono pressochè costanti intorno ai rispettivi limiti massimi. Come poi per ogni soggetto esiste un periodo di riposo sessuale, cui corrisponde il massimo di viadula.o e il massimo di spermatozoi eliminabili, così pure bisogna ammettere che per ogni soggetto esiste un periodo di riposo sessuale capace di condurre più 0 meno rapidamente, e sempre nel caso che non intervenga prima esaurimento der centri nervosi per gli atti sessuali, all’eli- minazione della minima quantità di sperma e all’azoospermia. In uno dei nostri soggetti, capaci di compiere tre o quattro coiti successivi coll’intervallo di mezz'ora, al terzo si arrivava all’azoospermia, e al quarto talora anche alla aspermia. Un altro invece, di pari capacità sessuale, al quarto eliminava ancora parecchi milioni di spermatozoi. Nelle ricerche di cui abbiamo sommariamente riassunto i principali ri- sultati non si è potuto tener conto della vitàlità degli spermatozoi, per la difficoltà di avere lo sperma nelle opportune condizioni di tempo e di con- servazione a ciò indispensabili. img 4 Si potè invece rivolgere l'attenzione ai caratteri morfologici degli sper- matozoi, e accertare che spermatozoi normali, eguali tra loro nella dimen- sione e nella forma, si eliminano dai soggetti robusti e sani; mentre sper- matozoi disuguali tra loro per forma e dimensioni si eliminano dai blenor- ragici, più ancora dagli epididimitici, e talvolta anche dai soggetti di costi- tuzione gracile. 1 i E. M. MR E ITER ORE I ION RNA o io VO TIR E * È È del: | Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. ‘Serie 1 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 18 TRANSUNTI. 22 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 38 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol IV. V. VI. VII. VIII - Serie 8° — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876 84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2), — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeEMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXVIII, (1892-1919). Fasc. 11°-12°, Sem. 1°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXVII. (1862-1918). Fasc. 7°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. Fase. 1-10. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione .per.ogni volume e per tutta l’Italia è di L. 10; per gli altri paesì le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti ‘editori-librai: ‘ULRrIco HoepLi. — Milano, Pisa è Napoli. P. MagLIonE & C. STRINI (successori di E. Loescher & 0.) — Roma. RENDICONTI — Luglio 1919. INDICE _ Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1919. Pirotta. Osservazioni sul fiore dell'Olivo . . . MCO : ig e O Lazsarino. Sopra alcuni casi singolari nella teoria n) giroscopi a vimmdcttici e (pres. dal Corrisp. Marcolongo) . . . . > 7 DI ” Armellini. Osservazioni fotometriche sopra n C a &qiilae » e su Giov tri Sdal Corx1s pie /)t1€0/96) MMMSSE tar noie, e Miti Go LICRA Za, III Freda. Sulla teoria elettronica delle forze slot negato ei dal Socio Cordino) . » Sannia. Classe derivata di una funzione (pres. dal Socio EDO) Sibirani. Sopra due ‘classi di curve gobbe (pres. dal Corrisp. Peano) . . . aan Cusmano. Frasformazione di cicloesanoni in pirocatechine (pres. dal Socio ang) A to Tenani. Sulla determinazione delle proprietà d’un apparecchio aereo durante il volo in fun- zione della densità attuale dell’aria (pres. dal Socio Mallosevich) |... La... » Buglia. A proposito di una comunicazione « Sur l'action hémolytique du sang des jeunes anguilles encore transparentes », di E. Gley (pres. dal Corrisp. Aducco). . . . sa. » Amanica e Rinaldini. Ricerche sulla secrezione spermatica. V: Osservazioni sulla secrezione spermatica dell’uomo (pres. dal Corrisp. Baglioni) . LL... Mazzucchelli. Sopra una dimostrazione termodinamica (pres. dal Socio Paternò) . . . . » Arnò. L° « audion » come rivelatore di azioni elettrostatiche (pres. dal Socio Colombo) . . » Buglia. Ricerche sulla natura del veleno E I: L’ittiotossico è termostabile (pres. dal'iCOrrisp.VAGUCCO) ET : MEN pi c1) Amantea e Rinaldini. Ricerche sulla secrezione Son VI: Oi sulla secrezione spermatica dell’uomo (pres. dal Corrisp. Baglioni) LL... 8 4+6 E. Maucini Segretario d'ufficio responsabile, 47 51 54 59 E AT Pubblicazione ‘bimensile. SETA DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCHI ANNO CCCUXVI. 1919 SiR QUE N'TA RENDICONTI Classe di sciinize. fisiche, matematiche e rali. Volume XXVIII. — Fascicoli 34° 2° SEMESTRE. io pervenute all'Accademia durante le. ferie del 1919. (Ogni Memoria o Nota porta a piedi pagina la data d'arrivo). ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1919 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE L Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delledue Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi. siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Boci e estranei, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da » Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4'/.. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che. si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se 1 Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite neî Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- > ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 80se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. s DÌ RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1919. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo) PARO RETI Matematica. — Sopra una disuguaglianza fra i generi di una superficie algebrica. Nota I di ANNIBALE COMESSATTI, presen- tata dal Corrisp. F. SevERI (). 1. Fin dal 1905 Castelnuovo ha dimostrato che una superficie alge- brica i cui generi p,,pa soddisfano alla disuguaglianza py => 2(pa + 2) contiene un fascio irrazionale di curve (?). Questo importante risultato è stato poi maggiormente precisato da Rosenblatt, il quale ha fatto vedere che, se si eccettuano le superficie contenenti un fascio di curve razionali. (rigate) od ellittiche, e le superficie delle coppie di punti di due curve, una delle quali ha il genere 2, la disuguaglianza predetta può essere soddisfatta soltanto in corrispondenza a tipi che posson dirsi banali, e di cui rimane tuttavia dubbia l’esistenza (*). Già da tempo il prof. Castelnuovo m'aveva cortesemente comunicata la previsione che i risultati ottenuti da Rosenblatt con metodo aritmetico-geo- metrico procedente da alcune disuguaglianze fondamentali della teoria delle (*) Pervenuta all'Accademia il 10 settembre 1919. (2) ‘Castelnuovo, Sulle superficie aventi il genere aritmetico negativo [ Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, T. XX (1905), pp. 55-60]. (*) Vedi la Nota di Rosenblatt, Sur les surfaces irrégulières dont les genres su- tisfont à l'inégalité pg =2(pa+ 2) [Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, T. XXXV (1913), pp. 237-244] dove si trovano le citazioni di altri due lavori del me- «desinao A. RENDICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 9 266 — superficie algebriche, potessero ritrovarsi e maggiormente precisarsi spin- gendo più in là le conseguenze del procedimento trascendente con cui egli era pervenuto a stabilire l’esistenza del fascio irrazionale sulle superficie in questione. L'autorevole previsione è stata confermata dalla ricerca, di cui nella presente Nota espongo la linea direttiva, la parte sostanziale dei principali ragionamenti, e le conclusioni, rimandando la parte di dettaglio e gli ac- cessorî non essenziali ad altra pubblicazione. 2. La considerazione d'una superficie algebrica F con pg > 2(Pa +2): conduce con Castelnuovo a studiare il comportamento di q = pg — Pa=- =n-+1 funzioni di due variabili Ur (27) , (2Y), ... Une: (24) , (integrali picardiani di 18 specie di F), indipendenti nel senso che nessuna loro combinazione lineare a coefficienti costanti può esser costante, fra i . (n+1\ . RA D(usur) . n— l i cui ( n ) Jacobiani Xx = DS intercedono m=( 9 )+1 re- lazioni lineari omogenee indipendenti, del tipo (1) Dad Kaii0h DA RE VO E SE Oer, a coefficienti costanti. La condizione affinchè una combinazione lineare delle (1), cioè una re- lazione del tipo (2) » cin Xin = 0, esprima l'annullarsi dello jacobiano di una combinazione lineare delle x, e quindi l’esistenza di due integrali di 1 specie di F funzioni uno dell'altro, è che i numeri @,x sian del tipo @&; fx — ax fi, cioè possano interpretarsi in uno spazio Sa | e de: I - 1] come coordinate di un punto giacente sulla grassmarniana Wen-r delle rette di S,. Ora il punto ox è arbitrario entro lo spazio T di dimensione m —1 individuato in Sa dagli m punti indipendenti 4%, e perciò l’esistenza di coppie d’integrali funzionalmente dipendenti è legata a quella di punti comuni a T e alla Wemn-n; punti che esistono certamente, attesa la dimensione di T._ Di qui la conclusione di Castelnuovo; ma di più, la circostanza che lo spazio T e la W.n-, non hanno in comune un sol punto, ma un numero — 67 — finito > 1 (se #>2) di punti (distinti o no) (') o addirittura una varietà di dimensione > 0, induce a prevedere che quella conclusione possa, per la stessa via, precisarsi ulteriormente. 3. Per procedere nella nostra indagine, conviene ora introdurre un’altra espressiva interpretazione geometrica. Dette y1,%2,..-%n+1 coordinate non omogenee di punto in un Sn+,, pongasi (3) yvi= (27), (132 1); e si consideri il luogo descritto, al variare di 4,7, dal punto y;. Se quel luogo è una curva, le ; risultan tutte funzionalmente dipendenti (cioè fun- RA RI. È 70 1 ; zioni di una fra esse) e le relazioni (1) sono in numero di ( sE ) perchè d ciascun jacobiano X;x è identicamente nullo. Lasciato da parte questo caso, di cui terremo conto nelle conclusioni, il luogo considerato sarà una super- ficie D appartenente allo S,+,, e le X;x potranno interpretarsi come coor- dinate grassmanniane delle rette improprie dei suoi piani tangenti. Si vede poi facilmente che tale interpretazione geometrica è indipendente, sia da un cambiamento delle variabili x, 7, come da una sostituzione lineare eseguita sulle «. Le predette rette improprie formano un sistema K (congruenza o even- tualmente rigata) appartenente allo. S, improprio di Sn+,, e contenuto negli m complessi lineari indipendenti rappresentati dalle equazioni (1). L'annullarsi dello jacobiano d'una combinazione lineare delle u, cioè l’esistenza entro al sistema di relazioni (1) d'una relazione del tipo (2), dà luogo ad un complesso speciale del sistema lineare (1), contenente K. Un complesso siffatto è costituito da tutte le rette appoggiate ad un S,_» (sin- golare); pertanto lo stesso accadrà delle rette di K, e quindi quello S,-2 sarà vertice di un cono (di co! $S,_:) contenente ®. Più in generale, se 7 combinazioni lineari indipendenti v,,v2,...,v, delle w son funzioni di una fra esse, K ammette un S,-n direttore vertice di un cono contenente ®; e viceversa. Collegando l’interpretazione geometrica ora esposta, colle considerazioni del numero precedente, risulta che gli S,-s direttori di K sono in corrispon- denza biunivoca coi punti comuni allo spazio T e alla Ws,-n, e quindi che le rette di K soddisfano a molteplici condizioni d'incidenza. Dall’ana- lisi di esse ci proponiamo di dedurre che le rette di K passano tutte per un punto 0 sono appoggiate ad una retta e ad un Sn-s sghembo con essa. Supporremo x >3 riserbandoci di includere per via anche i casi n= 1,2,3. —1 - A - . (') Se T ha la dimensione m -—1=(" 9 ) ed è in posizione generica rispetto 1 (e : (Schubert). È . . so = a Wan-1) il numero dei punti comuni è 2 = (68 5. Anzitutto non è difficile provare che fra le intersezioni di T con W sì posson sempre trovare due punti infinitamente vicini. E invero, nell’ipo- tesì contraria, T e W avrebbero in comune ent. punti distinti, e quindi esisterebbero altrettante relazioni funzionali fra coppie di combi- nazioni lineari delle v, cioè altrettanti Sn-s distinti direttori di K. Si prova allora, senza difficoltà sostanziali, che, se tutte le v non son funzioni di una fra esse (il che si è già escluso, ma d'altronde è inconciliabile coll’ ipotesi che la varietà intersezione di T° é W abbia dimensione zero), quelli S,-s debbono passare tutti per un S,-n (£ > 2) direttore di K. Ma allora posson sempre considerarsi due Sn-s, direttori di K, e infinitamente vicini, bastando per ciò che essi passino per lo Sn-n; e pertauto risulta assurda l'ipotesi che i punti comuni a T e W siano tutti distinti. Dimostriamo ora che K ammette uno spazio direttore di dimensione Zali C(u,v)=—|5ÉRw— éÈB » Lu ) al + + |EÉR, — £&,R , o 3 oo + |ÉERh — &R ’ Lu > GO I termini di A,, e di A,, contenenti R,,y saranno perciò rispettivamente | È Ruvu Fi È uu R ;) Lu , La | | St Rui — Suu Ba a Lu > La + + | E Rua — Esuu B 1 Lum > (05) + \ERuuu — Suuu R » Zu è Lo |, (*) Cfr. p. es. Bianchi, op. cit., vol. II, $ 226. (?) Sarà perciò C=0 solo per quelle R soluzioni della (6) che verificano una ulte- riore equazione di Laplace, non certo identica giacchè il coefficiente di R,» nella espres- sione di C non è identicamente nullo. bl LEA mentre R.,,, non compare in C, C,,C,, Cw, A, A [le altre derivate terze e quarte di R che compaiono in queste espressioni si esprimono tutte, ec- cetto Rs in funzione di R e delle sue derivate prime e seconde per mezzo della (6)]. Quindi poichè, come si è osservato, la (4) deve sussistere in corrispondenza a ogni soluzione R della (6), dovrà risultare nullo il coeffi- ciente di R,,,, in AA,» — AL Ax, cioè dovrà essere (|ÉRuu fu, Zu, Xe | + \ER,—&.B, a, Lu] + [R— £R, Lu, Lau) > + en] + ESE GE o Anche questa relazione fra la R e le sue derivate R,,, Rx, Ru, Rev [la R,, si elimina mediante la (6)] deve sussistere se R è una qualsiasi soluzione della (6) e perciò identicamente: in essa R,, non compare nel primo membro, e, nel secondo, compare solo nel termine er oizo] Ù |fReo — SwB ; Tu, Lun] - Perciò dovrà essere È Cu dg Ela o Ora, poichè 7, y,3 sono soluzioni di un'equazione Zyu,= Te(U 0) dat (VA tale relazione porge PACO) ?=0; e perciò, non essendo identicamente nullo il fattore di x, sarà y= 0, ele asintotiche v = cost. della So saranno rettilinee. Siccome ciò vale anche per le asintotiche x= cost., si conclude che S, è una quadrica. iii rà por er Fio pe MN Fisica. — Sulla costituzione delle radiazioni catodiche nel tubo Coolidge ('). Nota del prof. ViriLIO POLARA, presentata dal Socio T. Levi Civita (?). Si ammette generalmente che i raggi catodici consistono di particelle elettrizzate identiche, le quali si susseguono incessantemente sulla traiettoria sensibile del raggio, pur rimanendo abbastanza spaziate da non influenzarsi mutuamente (regime balistico). Ora, se le esperienze del Perrin hanno definitivamente accertato che i raggi catodici constano di particelle elettrizzate negativamente in movimento, nessun dato sperimentale è ancora intervenuto a mettere fuori di dubbio che si possano realmente trascurare le azioni reciproche dei corpuscoli succeden- tisi nel raggio, dovendosi in generale invece considerare l’evenienza che tali cariche si succedano con frequenza qualunque, ed in particolare con frequenza così rapida da potere considerare il fenomeno come un flusso continuo (regime idraulico). Il Levi-Civita (*), prospettando per il primo questa eventualità, ha fatto notare che mentre nel primo caso, com'è intuitivo, l'ampiezza delle devia- zioni dovute a campi magnetici esterni deve riuscire indipendente dall’ in- tensità del flusso d'elettroni emanati dal catodo, nel caso invece della non validità del regime balistico tale deviazione deve diminuire al crescere del- l'intensità del flusso, dovendo sussistere la legge della proporzionalità inversa. nel caso-limite del regime idraulico. Senza l'ausilio di dati sperimentali in proposito, i fenomeni in questione “non si sa se rappresentarli con lo schema stabilito dal Levi-Civita (4) con la sua teoria assintotica delle radiazioni elettriche o con quello prospettato recentemente dal Signorini (*), che rappresenta un notevole progresso sulle precedenti rappresentazioni provvisorie ed incomplete, poggiate su ipotesi ausiliarie di speciali comportamenti cinematici dell'elettrone in moto. Donde la necessità, ad evitare che le teorie ricordate rappresentino mere specula- zioni concettuali senza alcun pratico interesse, che esperienze risolutive sag- (') Lavoro eseguito nell’Istituto fisico della R. Università di Catania. (*) Pervenuta all’Accademia il 14 luglio 1919. (8) Levi-Civita, N. C., 1909, vol. XVIII. (4) Levi-Civita, Rend. Acc. Lincei, 1909, 1° semestre. (5) Signorini, N. C. 1912, vol. IV. RenDICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 10 rie gino il fondamento stesso delle ipotesi ed assicurino che vige nelle emissioni catodiche l'uno o l'altro dei regimi indicati. Non è certamente facile, ideare un dispositivo nel quale si possano generare raggi catodici di intensità va- riabile. fissi restando tutti gli altri elementi, giacchè, mentre nei tubi Crookes ordinarî la quantità di elettricità emessa dal catodo in un secondo (intensità) può solo essere influenzata dalla differenza di potenziale fra anodo e catodo, che rifiettendosi sulla velocità dei corpuscoli altera per conto proprio la de- viabilità dei raggi in campo magnetico, nei comuni tubi Whenelt a raggi catodici lenti la intensità della corrente ausiliaria, che porta all’ incande- scenza il catodo, non può variare che entro limiti ristretti. Più opportuno sarà quindi tentare di trar profitto delle preziose proprietà riscontrate recen- temente nei tubi Coolidge per risolvere l'importante questione prospettata dal Levi-Civita. Secondo le ricerche di Boll e Mallet (') invero l'intensità del flusso catodico in tali tubi cresce col crescere della corrente che alimenta la spi- rale di tungsteno che ne costituisce il catodo, almeno finchè non si oltre- passi un certo valore della intensità della corrente ausiliaria alimentatrice, .mentre la differenza di potenziale fra anodo e catodo può conservare quel valore, invariabile, che meglio risponde alle esigenze della ricerca. Occorrerà naturalmente dar forma conveniente al tubo Coolidge perchè possa osservarsi la deviazione magnetica dei raggi catodici in esso generati, e credo che sia opportuna, dato l'alto grado di rarefazione, una disposizione analoga a quella ideata dal Lenard (*) per la determinazione del rapporto La dei corpuscoli emanati dalle lamine battute da raggi ultravioletti nei vuoti spinti: l'anticatodo, forato al centro, dovrà essere messo al suolo perchè funzioni da schermo per la parte residua del tubo, dove un elettrodo piano metallico, disposto nella regione perpendicolare insieme con la direzione del fascio catodico e con quella del campo magnetico adoperato, sarà collegato ad un elettrometro. L'osservazione della massima deviazione all’elettrometro, dell'intensità di corrente che genera il campo magnetico deviatore e della corrente che alimenta nei varî casi la spirale di tungsteno, potrà fornire gli elementi per la ricerca. Essa non si presenta a tutta prima molto difficile, per quanto è pos- sibile prevedere, dal lato sperimentale: date però le modeste risorse di questo Laboratorio e le attuali difficoltà di provvedersi all'estero del materiale oc- corrente (difficoltà rese ancor più gravi dalle autorizzazioni ministeriali ri- (') Boll et Mallet, Journal de physique, 1916, mai-juin, pag. 169. (*) Lenard, Ann. d. phys., II, pag. 359, an. 1900; cfr. anche Thomson, Cond. electr. trought. gases, pag. 137. AR chieste dalle disposizioni vigenti) non posso nutrire sicura fiducia di avere presto a disposizione un tubo Coolidge che risponda allo scopo. Credo però che la via indicata sia ben adatta: ed è perciò che l’addito comunque a chi potrà studiare il problema con maggiore ricchezza di mezzi sperimentali. La non validità del regime balistico a me pare risulti però da altre considerazioni. Ammesso infatti che sia trascurabile l'azione mutua dei corpuscoli ema- nanti da un catodo riscaldato, il Richardson (') ha dedotto la relazione CR I=A0°e 8 fra l'intensità I della corrente di ionizzazione (adotteremo questa denomi- nazione per distinguerla dalla corrente che alimenta il catodo) generata e la temperatura assoluta + del filamento che costituisce il catodo, A e d essendo due costanti determinate. Al crescere della temperatura del filamento, in accordo con i risultati sperimentali ottenuti dal Richardson stesso per il caso di filamenti di car- bone, dovrà quindi aumentare indefinitamente la corrente di ionizzazione. Ma più accurate esperienze eseguite da Pring e Parker (*), con fila- menti di carbone preventivamente sottoposti a speciali processi di progres- siva purificazione, e disposti in ambienti a pressione variabile da mm 0,001 a mm. 0,027 di mercurio, han messo in evidenza che le variazioni della corrente di ionizzazione con la temperatura del filamento (o anche con la corrente che lo alimenta) diventano sempre meno sensibili a misura che questa si innalza, per modo che già a 1800° circa la corrente di ionizza- zione cresce quasi insensibilmente con la temperatura. Analogo risultato è stato ottenuto da Boll e Mallet (*) nelle spirali di tungsteno dei tubi Coolidge, in cui la corrente di ionizzazione cresce dap- prima notevolmente col crescere della corrente alimentatrice della spirale, ma finisce poi per assumere un valore sensibilmente costante. È quindi da ritenere che le azioni elettriche e magnetiche esercitate su ciascun corpuscolo dall'insieme degli altri non sieno. in tali condizioni, trascurabili, ciò che implica in fondo l'instaurazione d'un regime che, sco- standosi notevolmente da quello balistico, si approssimi a quello idraulico. Nè vale l'importante osservazione di Richardson e Brown (4) che com- putando il numero di corpuscoli presenti ad ogni istante fra una lamina di platino incandescente ed un’altra lamina parallela distante mm. 2, dedu- (1) Richardson, Phy]. Trans., a. 1903, vol. CCI, pag. 497. (?) Pring e Parker, Phyl. Magz., 1912, vol. 283, pag. 199. (3) Boll et Mallet, loc. cit. (*) Richardson e Brown, Phyl. Magz., 1908, vol. 16, pag. 375. aim cendolo dal massimo di corrente osservata e dall'ipotesi che valga la legge di Maxwell per la distribuzione dei quadrati delle velocità fra gli elettroni emessi, si ottiene un valore così esiguo (cinque appena) da doversi escludere senz'altro l'ipotesi di azioni reciproche fra i corpuscoli presenti, giacchè tale computo si riferisce al caso che fra le due lamine di cm? 0,1 di superficie non sia stabilita alcuna differenza di potenziale, nel qual caso la corrente di ionizzazione osservata assume solo valori dell'ordine di 4,7 X 107! Ampères. Si noti invece che nel caso dei tilamenti di carbone adoperati da Parker e Pring ('), quando la differenza di potenziale fra anodo e catodo è di 200 Volta circa, la corrente di ionizzazione alla temperatura di 1800° assume valori di 8,6 X 10-° Ampères per cm? di catodo; e nel caso dei filamenti di tungsteno di cm? 0,04 di estensione adoperati da Richardson e Bazzoni (?), quando fra anodo e catodo si stabilisce la differenza di potenziale di 20 Volta circa, si nota una corrente che cresce bruscamente, a quel potenziale, da 11 X 107? a 11 X 1074 Amperes. E se la superficie catodica fosse, nelle in- dicate esperienze di. Pring e Parker e di Richardson e Bazzoni, di cm? 0,1, come nel caso prospettato da Richardson e Brown nel computo di cui mi sto occupando, le correnti assumerebbero rispettivamente i valori di 8,0 l'OT 8 XL Amperesdiì EESS1T075 11 TX 10 x 1071= FI X 10-4= 2,7 X 1074 Amperes, quando in questo secondo caso cì si limiti a considerare la corrente che vige prima del brusco innalzamento. D'altra parte nelle esperienze di Pring e Parker essendo i due elettrodi disposti alla distanza di cm. 4,8, la differenza di potenziale di 200 Volta = 200 X 103 U. E. M., stabilita fra anodo e catodo, determina un campo d'in- tensità 200X108 2 o nia, 1 arti X 10!'° =4X 10° dine per cm., mentre nelle esperienze di Richardson e Bazzoni, supposto che la distanza fra gli elettrodi sia di cm. 2 (essa non risulta dal lavoro dei citati autori), la differenza di potenziale di 20 Volta = 20 X 1C8 U. E. M., stabilita fra anodo e catodo, determina un campo d' intensità 20 X 108 a 2 X' = 10° dine per cm. (*) Parker e Pring, loc. cit., pag. 199. (*?) Richardson e Bazzoni, Phyl. Magz., 1916, vol. 32, pag. 426. RITA, ec È facile di trovare ora un limite inferiore del numero dei corpuscoli pre- senti fra due lamine di cm? 0,1 di estensione e fra loro distanti 2 mm., riferendosi al regime di corrente avuto da Pring e Parker e da Rickardson e Bazzoni rispettivamente, giacchè 11 tempo £ e / impiegato da ogni cor- puscolo, lanciato dal catodo con la velocità iniziale x = 1,5 X 10° em. per secondo (*), a percorrere lo spazio s = 2 X 107! cm. sotto l’azione del campo X=4X 10° dine per cm., ed X'—= 10° dine per cm., sarà fornito rispetti- vamente dai valori positivi delle radici delle equazioni s=ul +1/0® 0 1/0 +ut —s=0 sa=u'+1/0* 0 if'+u—s=0, essendo f=X e/lm=4X10° X 1,7 X 107 = 6,8 X 10% f=X'e/m= 10° X 1,7 X107= 1,7 X10°. Sarà quindi po UE e UV +2 de Ta ’ rai Di * Ora Vu + 2fs > V2/s=2X6,8X 10! X2X 102 = al y/27 X 105= y/2,7 X10!5 = 1,6 X 108 — w+ Put + 2/s > 1.6 X 108 — 1,5 X 107 > 1,6 X 108 (1— 1/10) = = 1,6X9X 107 = 14X 107 = 1,4X 108 MES VIE 0,2 X 10-8= 2 X 10-? i DIS 1029 Sole Analogamente Va +2/s>2/s= III ALZA SRI - O) TRI 15 am XIX I0KIXIOE P0;8X101=2,6x1012 9 —u+ 1 +2/s>2,6X10? — 1,5X10">2,6X SRL we 15 2 15 35 X10°(1—10 ")>a0x10* (1 — 1/9) = E° X 102=1,7X10? 5 1.7 X10° a r SEE E 2 3) LO TX IO E (4) (*) Richardson e Brown, luc. cit., pag. 375. Se ap 3g La corrente è = 8,6 X 10-7 Ampères — = 8,6 X 1073 U. E. M. sarà deter- minata dalla emissione di N=- SR = 8,6 X 10!° corpuscoli per secondo (3); e la corrente d' = 2,7 X 10-* Ampères = 2,7 X 1075 U.E.M sarà determi- . nata dalla emissione di III Co 20 NI= = 2,7 X 10!5 corpuscoli per secondo (4). Un limite inferiore del numero di corpuscoli presenti fra le due lamine, tenute presenti le relazioni (3) ed (1) , (4) e (2) rispettivamente, sarà nei due casi, quindi, Né = 8,6 X 101° X 2X 10-° = 17 X 10° = 17000 N'l = 2,7 X 10153 =2,7X 10% >2X 108. Dati i valori elevati così dedotti — che si accrescono ulteriormente per differenze di potenziale più cospicue fra anodo e catodo — è naturale pensare che non possano essere trascurabili gli effetti mutui dei singoli elet- troni presenti, condizione essenziale per la validità del regime balistico. Fisica terrestre. — Sulla oscillazione barometrica annua. Nota del prof. F. VERCELLI, presentata dal Socio U. SOMIGLIANA ('). Nelle nostre regioni la curva barometrica è principalmente costituita da un complesso di ondulazioni più o meno ampie, di aspetto irregolare, aventi durate comprese fra un giorno ed un mese circa. La caratteristica ondulazione annua, che nelle zone di tipo nettamente continentale od ocea- nico si presenta con grande ampiezza e regolarità, da noi si presenta invece con piccola ampiezza e con caratteri non ancora bene definiti, variabili da sito a sito e da anno ad anno. Lo studio di queste lente variazioni del livello medio barometrico ha notevole importanza nelle ricerche climatologiche, nello studio statistico di alcuni fenomeni, come ad esempio dei temporali (*), e nelle ricerche recenti sull’analisi, la sintesi e la previsione della pressione barometrica (*). (1) Pervenuta all'Accademia il 15 agosto 1919. (2) E. Oddone, La frequenza dei temporali in Val Padana. Boll. Soc. met. ita- liana, 1917. (8) F. Vercelli, questi Rend. giugno 1915, vol. XXV, serie V, fasc. 11; Memorie R. Istituto Lombardo, marzo 1916, vol. XII, serie III, fasc. IX. == == Varî lavori vennero compiuti su questo argomento, tra cui uno assai lodato di J. Hann('), ricorrendo a rappresentazioni di valori medî calcolati per lunghe serie di anni, come si usa fare per caratterizzare il medio anda- mento annuo della temperatura. Ma se i principî di probabilità giustificano l'uso delle medie nel caso dei fenomeni termici, non così avviene in quelli barometrici. Nel primo caso vi è una curva, con periodicità ben evidente e con lievi perturbazioni ; nel secondo le perturbazioni prevalgono di molto sul fenomeno che si vuole met- tere in evidenza, e il periodo annuo non ha un carattere ben definito e per- manente. I risultati conseguiti nello studio dell'onda annua barometrica re- stano quindi alquanto dubbî. Essi, ad ogni modo, dànno solo un andamento medio ideale, che molto può ditferire da quello reale delle singole annate, come ho già avuto occasione di rilevare (?). Il metodo di analisi e i risultati raggiunti nei lavori citati consentono di compiere in modo diretto e preciso l'esame dell'andamento annuo baro- metrico di una data stazione, mediante eliminazione delle oscillazioni di minore durata. In questa Nota accennerò sommariamente ad una indagine, fatta con tale procedimento, sulla curva barometrica di Ferrara per il ven- tennio 1898-1917. Il lavoro fu compiuto in gran parte a Ferrara, durante l'estate 1918, presso la sede del Comando del Servizio Aerologico militare, a cui esprimo i doverosi ringraziamenti per gli aiuti ed i mezzi posti a mia disposizione; e venne ultimato nell'Osservatorio marittimo di Trieste. La scelta della stazione fu consigliata sopratutto dalla grande unifor- mità dei dati, determinati personalmente dal compianto direttore dell'Osser- vatorio di Ferrara, prof. Bongiovanni. La curva, tracciata in base alle letture giornaliere delle ore 9-15-21, nella scala di 2 cm. al giorno per le ascisse e 5 mm. per ogni millimetro. di pressione per le ordinate, risultò di una lunghezza di circa 146 metri. Sottoposta ad accurata analisi, la curva risultò costituita in massima parte dalle onde tipiche, già rilevate in moltissimi altri diagrammi, cioè da onde con periodi di circa giorni 1, 2/3, 4!/,, 8, 16 e 32. Per cui si ri- tenne sufficiente di procedere alla eliminazione successiva di queste onde per far risaltare con chiarezza l'onda annua. L'eliminazione fu compiuta con un apparecchio automatico ideato dal- l'ing. ten. D. Tavanti, addetto al R. Servizio aerologico; prestarono cura e attenzione somma il personale dirigente e quello subordinato della Sezione aerologica di Ferrara. (1) J. Hann, Die Verteilung des Luftdruckes ber Mittel. und Sudeuropa. Wien, ed. Hélzel, 1887. (2) F. Vercelli, Presagi meteorici in rapporto alle operazioni di guerra (cam- pagna 1917). Pubblicazione del Comando 38 Armata, gennaio 1918. SII La curva residua, dopo eliminate le onde accennate, venne ridotta in scala di 1 mm. al giorno, per le ascisse, lasciando inalterata la scala per ‘le ordinate. Su questa curva, lunga circa 7 metri, venne compiuto lo studio delle oscillazioni annue. Essa presenta ancora numerose perturbazioni, dovute ad onde eliminate solo parzialmente. a causa del rapido smorzamento, oppure ad onde diverse da quelle eliminate, o anche a variazioni del tutto irregolari. Queste perturbazioni sono però così lievi che non tolgono la possibilità di studiare i caratteri specitici delle fluttuazioni di lunga durata. L'esame della curva rivela che indubbiamente esiste una relazione fra l'andamento annuo solare e la variazione del livello medio barometrico, per quanto questa relazione risulti piuttosto complessa. Su venti anni di osservazioni si scorge diciotto volte un massimo inver- nale, più o meno elevato, ma ben netto, seguìto da una rapida discesa e da un minimo primaverile, a cui succede una lenta e graduale ascesa nell’epoca autunno-invernale (fig. I, a). Fanno eccezione i periodi 1914-15 e 1916-17, in cuì il massimo invernale risulta molto attenuato e anticipato nella sta- gione autunnale, e il minimo primaverile spostato in gennaio-febbraio (fig. II). L'ondulazione annua, anche prescindendo dalle piccole perturbazioni sopra accennate, non è pura ma accompagnata da oscillazioni che l’analisi perio- dale conduce a distinguere in tre gruppi principali. aventi periodi rispetti- vamente di circa 6.4 e 2 mesi, e corrispondenti quindi ad armonici supe- riori (29, 39, 5°) di una serie Fourier. Tra queste ondulazioni secondarie quella semestrale suole prevalere per ampiezza e regolarità (fig. I, 5), determinando la forma caratteristica della curva annua: massimo invernale molto pronunciato, seguìto da una rapida discesa e da in minimo in marzo-aprile, da un massimo secondario estivo e da un minimo in ottobre novembre. Quanlo prevale l'onda quadrimestrale (fig. II, a), si hanno due massimi e due minimi secondarî. Dopo eliminazione delle oscillazioni di 2, 4 e 6 mesi, si ottengono ìso- late le ondulazioni annue (fig. I, c). Esse non conservano, da un anno all’altro, gli stessi precisi caratteri. L'ampiezza oscilla fra 3 mm. di mercurio e 8 mm. circa. Il massimo si presenta nell'epoca novembre-dicembre, ed il minimo in maggio-giugno. Fra l'onda annua barometrica e quella termica vi è quindi uno spostamento di fase di circa quattro mesi. Occorre notare che l'onda annua, se è fattore prevalente nell'andamento della temperatura, è solo fenomeno di secondaria importanza nelle variazioni barometriche, risultando di ampiezza molto minore di quella delle oscilla- zioni di breve durata. Dalla curva studiata possiamo ancora eliminare le oscillazioni annue. Per l’ineguaglianza di queste oscillazioni la curva residua non risulta una retta, ma una linea, lievemente ondulata attorno ad un asse di quota 762,6 mm., e non scostantesi da tale asse più di 1 mm. (fig. I, d). SITE Cacdlia zone daro ia, Xica annua. I Oscillazioni normali: a) Curva residuo: dopo eliminate le onde Brevi $9- 3) Curra dedolla doc a) eli minando le inde annue è O urvror dedolla da ca)el:minando le orde con periodo di Ke 6 mest x A) Curra dedlolta da c)elrminando le orde annue. Gio 760 TRE AL 4012/112431 4T516/7|819140144/42] 11213 /4N4161x [8 1a liokalt 112/3/4I5l6ly1} 1905 1906 1907 1908 ano iS ii 61- 760) - . Titalatete letalatoletatia] «219 1415161v1S19Helxla] 11a13l4lsle|xlelolt44|42]/11213 {4l516(3} 1905 1906 1907 1908 I Oscillazioni eccezionali: x) lurra residuo dopo elr'ninate le Onde breve 6) Curra dedlollar Fer cx) eliminazn < 20 °e onde Qi 4 6 mes. x F6 È; Quetetza 1/213|4Isl6l7]a19lq1]4\n|21 ife l2) 1913 494% \x Oscillazione annua media nel ventennio 66° 1898-1917 DIRE RETE REA: - ReNDICONTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sem. 11 RO Il diagramma fra il 1909 e 1917 presenta una ondulazione con un massimo nel 1913. Essa però non ha corrispondenza nel diagramma che pre- cede, e pare costituire un fatto isolato. Costruendo una curva che abbia per ordinate le corrispondenti ordinate medie delle singole oscillazioni annue, per il ventennio considerato, si ottiene una curva che presenta solo lievissimi scarti da una linea molto regolare (fig. III), avente il minimo in maggio, il massimo in novembre ed un’am- piezza corrispondente a circa è mm. di mercurio. Escludendo quindi i due anni eccezionali già menzionati, si trova che questo andamento medio corrisponde, con buona approssimazione, all’anda- mento vero delle singole annate. Nelle previsioni barometriche, basate sulla sintesi delle ondulazioni riconosciute presenti nel periodo che si considera, sì possono quindi attribuire all’onda annua i caràtteri ora rilevati. La pos- sibilità di casi eccezionali non è esclusa; ma nelle ricerche sulla previsione barometrica tali casi possono venire riconosciuti con evidenza e in tempo utile per tenere conto delle opportune modificazioni. Chimica. — Sui carvomentoli isomeri e sulla scisstone del carvomentolo inattivo negli antipodi ottici (). Nota del dott. Vin- cENZO PAOLINI, presentata dal Oorrisp. A. PERATONER (°). Gli studî compiuti in questi ultimi anni da Haller e Martine (3), dal Brunel (‘), e più recentemente da Pikard e Littlebuy (*), hanno condotto alla conoscenza completa delle diverse forme isomeriche del mentolo, men- tan-ol. Tale risultato sì è conseguito, principalmente, individualizzando e sepa- rando le singole modificazioni stereoisomere sotto forma dei loro eteri ftalici acidi, ottenuti per azione diretta dell'anidride ftalica sull'alcool: co COOH Cei= a TS LÌ 9 il À è | US | OE | Ù 1] 0, SS N | o N < | ® ' — 110 — Era quindi evidente che un vero rapporto di dipendenza esisteva tra il manifestarsi del fenomeno e la grandezza dei giochi della linea d'asse. Era pure lecito di ritenere, per i risultati della’ esperienza riportata, che, quando i sommergibili vennero costruiti in Inghilterra e quando perciò i laschi esistenti tra le varie parti dell’accoppiatoio erano ancora contenuti entro i limiti di una buona lavorazione, nessun inconveniente si producesse, almeno alle andature normali del battello. E che, col procedere del tempo, aumentandosi a mano a. mano per effetto dei continui urti tra le parti i giochi in parola fino a raggiungere i notevoli valori che nelle condizioni attuali si erano constatati, si siano venuti manifestando i fenomeni di riscal- damento della linea d’asse in misura sempre più vistosa ed impressionante. Pur riservandoci di svolgere in un secondo tempo alcune ricerche teo- riche più esaurienti quali, per la sua pratica importanza, merita il problema della valutazione dell’effetto dei giochi sul comportamento delle linee d'assi neì fenomeni di vibrazioni torsionali, riteniamo non privo d'interesse indi- care un procedimento che, nel caso in esame, ci ha permesso di sottoporre a calcolo il fenomeno e di ottenere dei risultati veramente notevoli, elimi- nando ogni causa di avaria. Se perciò sì vuol dare alcuna importanza alla conferma che l’esperienza ha fornito alle conclusioni del metodo adottato, sembra che, quando sì tratti di giochi sufficientemente piccoli da non costituire una vera soluzione di continuità e quando la frequenza delle oscillazioni sia sufticientemente grande, sia lecito di ritenere, per le conseguenze pratiche che se ne possono ricavare, che una linea d’assi in cui esistano dei. laschi tra le varie parti sì comporti nelle sue oscillazioni torsionali libere come se i giochi stessi sì potessero tradurre in una maggiore lunghezza del sistema elastico. In altri termini, il modo pratico di tener conto dei giochi consisterebbe sempli- cemente nell'attribuire all'albero una lunghezza virtuale maggiore dell’effet- tiva per un tratto tale che la torsione da esso subìta per effetto del mo- mento motore eguagli l'angolo di cui possono ruotare, in conseguenza dei giochi esistenti, una rispetto all'altra le due estremità dell'asse. Calcolando in tale ipotesi (per mezzo delle formule che la teoria insegna) la frequenza delle oscillazioni torsionali della linea d'asse nel caso in esame, con ì giochi elt'ettivamente misurati tra le varie parti dell’accoppiatoio, si riscontrava la esatta coincidenza di tale frequenza con quella di un termine che compariva nelle serie di Fourier esprimente il momento motore, per l'ir- regolare funzionamento di un cilindro del motore Diesel, intorno ai 300 giri. Era appunto in tali condizioni che i lamentati fenomeni di riscaldamento si venivano a produrre, ed il nodo delle vibrazioni torsionali, il quale — come la teoria indica — coincide con la sezione in cui si ha la massima sollecitazione del materiale. veniva proprio a corrispondere con la zona del- l'asse in cui il fenomeno stesso si verificava in misura più vistosa. — lll —- Il calcolo basato sul modo che abbiamo esposto di considerare il feno- meno ci veniva così a fornire una brillante conferma della ragionevolezza della ipotesi fatta. Si confermava che era naturale che gli inconvenienti non si fossero do- vuti manifestare appena costruiti i sommergibili (poichè in tali condizioni abbiamo osservato come non si poteva produrre nessuna risonanza pericolosa alle andature normali dei battelli), ma che essi non dovettero tardare a verificarsi in misura sempre più grave nella zona della linea d’asse corri- spondente alla sezione nodale delle vibrazioni. Si dimostrava che il fenomeno doveva veramente attribuirsi alla riso- nanza tra le oscillazioni torsionali libere del sistema elastico e le irregola- rità periodiche del momento motore. Si rintracciava la causa determinante la quale era valsa, col procedere del tempo, a modificare così radicalmente il modo di comportarsi della linea d'asse in relazione alle onde di oscillazioni torsionali da rendere pericolose delle condizioni di fatto che prima consentivano un funzionamento abbastanza regolare dei due battelli. E si potevano perciò additare con sicurezza i mezzi per giungere alla completa soluzione del problema, eliminando ogni ulteriore pericolo di avaria. Seguendo tali conclusioni, venne provveduto a rimettere i sommergibili in completa efficienza bellica, agendo contemporaneamente sulle tre gran- dezze che esercitavano la loro influenza ‘sul fenomeno: inerzia delle masse volanti esistenti sull’asse, diametro dell'asse, entità dei giochi tra le varie parti dell'accoppiatoio. Le condizioni del battello divennero assolutamente regolari: la risonanza tra vibrazioni torsionali libere dell'asse e irregolarità del momento torcente si potevano produrre soltanto, come il calcolo e l’esperienza concordemente dimostrarono, ad andature ben discoste da quelle normali di esercizio: ogni possibilità di inconvenienti od avarie era del tutto eliminata. In una sistemazione provvisoria, nella quale, per economia di tempo, ci si era limitati a modificare soltanto le masse volanti ed il diametro dell'asse, il funzionamento del battello, per quanto migliorato, permetteva ancora il ripetersi del fenomeno intorno ai 280 giri. Applicando anche a tale caso il ragionamento sopra esposto della valu- tazione degli effetti dei giochi, si confermava per tale andatura il prodursi delle risonanze nell'ipotesi di uno squilibrio di potenza nei varî cilindri del motore a combustione. Sembra perciò che, almeno in relazione alle conclusioni pratiche cui consente di giungere, sia lecito di concedere abbastanza fiducia al procedimento che abbiamo esposto. _ Certo è che i giochi esistenti in una linea d'assi influiscono in notevole misura sul comportamento effettivo di essa nei riguardi delle vibrazioni torsio- nali e non è lecito in nessun caso prescindere da essi, per quanto trascura- bile possa sembrare il loro valore. Mentre invece quasi sempre in pratica è ossibile di prescindere, senza alterare di molto i risultati dei calcoli, da fe- nomeni secondarî, come l’effetto dell’ inerzia delle masse dell’asse o l’azione di estinzione dovuta alla natura del momento resistente o all’ isteresi elastica del materiale, fenomeni secondarî i quali pure sono stati oggetto di ricerche e di indagini teoriche profonde da parte di tanti studiosi. La letteratura tecnica tace finora sull’importante problema che i dati di fatto cui abbiamo accennato ci hanno permesso di porre nella sua vera luce e, solo in quanto le numerose esperienze eseguite si sono incaricate di dare una dimostrazione indiretta al modo semplice — ma non per questo meno attendibile — di tradurre in numeri il particolare fenomeno che si presen- tava, abbiamo ritenuto opportuno dare un cenno del procedimento che, nei casi della pratica, può valere per trarre qualche volta delle conclusioni sicure. Forse dal punto di vista puramente teorico sarebbe facile obbiettare che l'ipotesi circa il comportamento di una linea d’assi che presenti dei giochi non risulta, per ora, da quanto abbiamo detto, analiticamente così dimostrata da potere su di essa basare un calcolo rigoroso e completo: ma è anche vero che, dal punto di vista pratico, qualche valore bisogna' pure attribuire ai risultati dell'esperienza ed alle conferme che da essa derivano. Mentre la scienza si ribella ad un procedimento di calcolo che non sia rigorosamente dimostrato nelle premesse sulle quali esso si appoggia, l’in- gegneria tollera — e ne è piena — un metodo risolutivo che possa anche sembrare ad una critica un poco accurata non del tutto rigoroso ma che le consenta di rintracciare delle soluzioni soddisfacenti al problema che si è proposto. Nell'esercizio delle linee d'assi, specialmente a bordo delle navi, come osservava fino dal 1903 il Melville, il prodursi delle risonanze torsionali è da temersi più spesso che non venga fatto generalmente di pensare. Gli è che, molte volte, o i fenomeni secondarî che da essa derivano non si manifestano in così grave misura da diventare oggetto di particolari ri- cerche e provvedimenti, o, se da essi risulta compromesso il. funzionamento della linea d'asse, si è spesso indotti ad attribuirli a cause che con la vera non hanno nulla di comune (come per es. sollecitazioni torsionali periodiche dovute alle punte del momento torcente, difetto di lubrificazione, slivella- mento di qualche tronco della linea d’asse). Bisogna perciò, quando ci si trova a dover decidere su inconvenienti di tal natura, non trascurare di prendere in considerazione la possibilità di risonanza tra gli impulsi periodici del momento motore e le oscillazioni tor- sionali libere del sistema elastico, tenendo conto però delle effettive condi- zioni di funzionamento della linea d’asse. — 113 — Nel caso che abbiamo illustrato, la risonanza si verificava soltanto per la contemporanea presenza di due circostanze accidentali le quali valevano, ciascuna da parte sua, a modificare profondamente le caratteristiche delle due funzioni periodiche che entravano in risonanza. La esistenza (che del resto in pratica non è mai infrequente) di laschi tra le varie parti della linea d'asse influiva sulle oscillazioni torsionali libere del sistema elastico; e la differente distribuzione della potenza sulle varie manovelle per irrego- lare funzionamento di qualche cilindro (praticamente inevitabile, trattandosi di motore a combustione) introduceva un nuovo termine nell’espressione del momento torcente. Se si fossero trascurate queste due particolari circostanze, nessuna riso- ‘nanza si sarebbe rintracciata e nessun provvedimento sicuro si sarebbe perciò potuto indicare per la soluzione del problema. Chimica. — Su//a trasformazione dell’asparagina nel dipeplide dell’ acido aspartico ('). Nota di C. RAvENNA e G. BOSINELLI, pre- sentata dal Socio G. CraMICIAN (?). : È stato dimostrato da Pringsheim (3) che, facendo bollire la soluzione acquosa dell'asparagina ordinaria (levogira), essa viene facilmente in parte ràcemizzata. Per l'esecuzione di una ricerca che verrà pubblicata a suo tempo, abbiamo avuto occasione di preparare una quantità notevole di asparagina destrogira ed approfittammo, a tal fine. dell'osservazione di Pringsheim. Siamo partiti da kg. 3.400 di asparagina che a porzioni di 300 gr. si facevano bollire rispettivamente con tre litri d'acqua per un tempo variabile da 18 224 ore. Le soluzioni venivano poi concentrate a più riprese; e l'aspa- ragina, che si separava per raffreddamento, si esaminava al polarimetro in soluzione cloridrica al 10 per cento. Da principio si separava la sola aspa- ragina originaria che veniva utilizzata per una nuova ebollizione con acqua, e per ulteriore concentrazione cristallizzavano dei miscugli pressochè inattivi perchè contenenti quantità equimolecolari delle due asparagine antipode, Per separare l'asparagina destrogira, non essendosi dimostrato agevole il metodo meccanico, i cristalli venivano disciolti in acqua nella quantità di 2 gr. per 100 ce. e, dopo aggiunta di un poco di solfato di magnesio e di fosfati acidi di potassio e di calcio, si abbandonava a sè la soluzione in recipiente (*) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica agraria della R. Università di Bologna. Questa ricerca. iniziata prima della guerra, è stata condotta a termine soltanto ora in causa del nostro richiamo alle armi. (£) l'ervenuta all'Accademia il 26 luglio 1919. (3) Zeitschrift fùr ; liysiologische Chemie, LXV, 89 (1910). Renviconti. 1919, Vol. XXVIII. 2° Sem. 15 — 114 aperto, per 15 giorni, alla temperatura del laboratorio. In breve il liquido si ricopre di una patina di muffe che attaccano rapidamente l’asparagina na- turale, di modo che per concentrazione della soluzione si separa il composto destrogiro. Abbiamo così ottenuto circa 60 gr. di asparagina destrogira pura. Le ultime acque madri da cui era stata separata l’asparagina inattiva, per ulteriore concentrazione non forniscono più cristalli, ma soltanto una quantità rilevante di un liquido sciropposo che era stato del resto già osser- vato anche da Pringsheim. Lo studio del liquido sciropposo, che contiene dunque i prodotti in cui si trasforma l’asparagina durante l'ebollizione, si presentava interessante: esso venne perciò da noi intrapreso e forma l'oggetto della presente Nota. Lo sciroppo, trattato con alcool, si trasforma in una massa gommosa, elastica, che difficilmente si può polverizzare. Diluita questa con acqua dà un abbondante precipitato con l'acetato di piombo. Il precipitato, sospeso nel- l'acqua fornisce, dopo eliminazione del piombo con idrogeno solforato, un liquido che concentrato lascia un denso sciroppo il quale, per trattamento con alcool assoluto o con acetone, si trasforma questa volta in una polvere bianca, soffice, amorfa. La sostanza è solubilissima nell'acqua, e pressochè insolubile in tutti i solventi organici, ha sapore acido; riscaldata non fonde, ma intorno ai 120° si decompone risonfiandosi. Dà la reazione del biureto. Questi caratteri hanno fatto supporre che il corpo in parola fosse l'acido asparagil-aspartico (dipeptide dell'acido aspartico), C00H. CH,.CH(NH,).CO.NH.CH(C00H).CH,.CO0H, preparato per la prima volta da E. Fischer e E. Koenigs (*) dall’acido 2.5- dichetopiperazin-3.6-diacetico. La determinazione del peso molecolare nell'acqua diede numeri oscil- lanti fra 182 e 206, cioè inferiori ma abbastanza vicini al teorico (248), tenendo conto che il corpo, in soluzione acquosa, è notevolmente dissociato. Inoltre la sostanza si trasforma per idrolisi soltanto in acido aspartico. L’idro- lisi venne eseguita bollendo per 12 ore 5 gr. della sostanza con 30 gr. di acido solforico a 25 per cento. Dal liquido, intensamente colorato in bruno e convenientemente diluito, si precipitò l'acido solforito con carbonato di bario e barite, e nel filtrato dal solfato di bario venne eliminato il bario con la quantità esatta di acido solforico. Il liquido, filtrato e concentrato frazionatamente a tre riprese, lasciò ogni volta separare dei cristalli (cioè gr. 3 nella prima frazione, gr. 1 nella seconda ed una piccola quan- tità nella terza), tutti uguali nella forma. I cristalli delle due prime fra- (') Berichte XL, 2, 2048 (1907). — 115 — zioni, analizzati, risultarono, come si disse, costituiti da acido aspartico quelli della terza frazione erano in quantità troppo piccola. Calcolato per C, H NO, Trovato (in 100 parti) 19 frazione 28 frazione C 36,09 36,25 36,19 H_ 5,26 D,OL 5,41 N 10,52 10,98 10,67 Sebbene tutti i caratteri menzionati avessero dimostrato sicuri indizi che la sostanza in esame fosse realmente l'acido asparagil-aspartico di Fischer, tuttavia le numerose analisi eseguite dopo molteplici tentativi di purificazione non diedero risultati corrispondenti alla formula indicata. Soltanto la percentuale trovata di azoto confermò che il corpo era in relazione con l'acido aspartico e non con l’asparagina. I mezzi di purificazione consistevano nel ridiscio- gliere la sostanza e riprecipitarla con acetato di piombo oppure nel sostituire l'acetoue all'alcool. Traseriviamo alcune delle molte analisi eseguite nelle quali sì osserva sempre una percentuale assai superiore, massime nel carbonio. Calcolato per Cs H,, Na 0: Trovato PI (in 100 parti) I i II C 38,71 42,05 41,50 42,49 H 484 0,67 6,12 5,42 N 11,29 da109% 11,67 — Abbiamo inoltre cercato di purificare la sostanza precipitandola come sale di rame o di argento. Il sale di rame venne preparato trattando la so- luzione acquosa con acetato di rame. L'analisi diede numeri non corrispon- denti, ma che si avvicinano alla composizione della formula Cz Hi 07 N, Cu dove un atomo di rame sostituisce due atomi di idrogeno dell’acido aspa- ragil-aspartico. Calcolato per Cs Hio Ne 07 Cu Trovato (in 100 parti) C 3101 29,79 H 3,25 3,79 N 9,04 8,82 Cu 20,53 19,72 Il sale d'argento si preparò trattando il sale di calcio della sostanza con nitrato d'argento. L'analisi diede numeri che si avvicinano a quelli in- dicati dalla formula Cs Hio07N: Ag». Calcolato (in 100 parti) Trovato C 20,79 21,01 Hi 2,15 2,24 N 6,07 6,61 Ag 46,72 46,14 — 116 — La formazione di un sale biargentico dell'acido asparagil-aspartico tri- carbossilico si può spiegare ammettendo che uno dei carbossili salifichi il gruppo aminico. Falliti dunque tutti i tentativi per purificare l'acido asparagil-aspartico, abbiamo cercato di prepararne un’anidride, nella speranza di poter giungere per questa via a riottenere il dipeptide allo stato di purezza. A ‘questo scopo la sostanza (5 gr.) venne riscaldata in tubo aperto, con bagno d'olio per alcune ore alla temperatura di 210°. Con questo trattamento si trasforma in una massa facilmente friabile (gr. 3,8 dai 5 impiegati), anch'essa amorfa, pressochè insolubile nell'acqua fredda e poco solubile a caldo. La sostanza si scioglie invece facilmente nell’acido cloridrico concentrato anche a freddo, e dalla soluzione riprecipita inalterata per diluizione con acqua. Per questa via è possibile la purificazione. Riscaldata fino a 320°, non fonde e non si decompone. Per l’analisi la sostanza venne disciolta in acido cloridrico con- centrato, precipitata per diluizione, separata centrifugando, lavata ripetuta- mente con acqua e seccata nel vuoto su acido solforico. Infine venne nuova- mente scaldata a 210° fino a peso costante. L'analisi diede i numeri richiesti dalla formula minima C, Hg NO, che corrisponde a una molecola di acido aspartico meno due molecole di acqua. Calcolato per C4 Ha NO Trovato (io 108 parti) CO 49,48 49,15 IRIS :00. RO) N 14,43 14,22 Era però da supporre che l'anidride in parola avesse la formula dimera di quella indicata e cioè che stesse in relazione con l'acido asparagil-aspar- tico da cui presumibilmente eravamo partiti. Così è in realtà. Lasciando infatti in contatto per 15 ore la detta anidride con un piccolo eccesso di acqua di barite a freddo (gr. 1,5 di anidride e cc. 90 di barite '/; nor- male) ed eliminando successivamente il bario con la quantità esatta di acido solforico. abbiamo ottenuto un liquido che decolorato con carbone e concentrato nel vuoto, lascia un residuo sciropposo il quale a sua volta, per contatto con l'alcool, fornisce una polvere bianca, solubilissima nell'acqua e che analizzata diede finalmente i numeri esatti, richiesti dalla formula Cs His N3 07, cioè dall'acido asparagil-aspartico. Calcolato per Cs His Na 07 Trovato (in 100 parti) : C- 38,74 38,81 H 4,84 5,08 N 11,29 11,283 Questa sostanza si è dimostrata per tutti i suoi caratteri uguale a quella primitivamente estratta dalle acque madri dell’asparagina; rimane perciò A — ll7 — accertata la formazione dell’acido asparagil-aspartico per semplice ebolli- zione della soluzione acquosa di asparagina. Da quanto si è detto testè, risulta anche confermata la supposizione fatta più sopra, che all’anidride della composizione C, Hz NO» debba asse- gnarsi la formula dimera. Poichè infatti essa fornisce per trattamento con barite l’acido asparagil-aspartico, C$ Hi: N30;, essa deve considerarsi come un’anidride dell'acido stesso ed avrà per conseguenza la formula empirica CsHs N:0,. Inoltre, ammessa per l'acido asparagil-aspartico la struttura del dipeptide (II), che è dedotta dal suo modo di formazione (!), la detta ani- dride è da ritenersi come una ulteriore anidride dell’acido dichetopiperazin- diacetico (III) e si potrà ad essa assegnare la struttura indicata dalla for- mula (IV), o più probabilmente dalla (V). (1) (II) COOH 010) NH, \CH.cH,-C00H NH/ NCA-CH-C00H ol NH) COOH-CH.,-CH NH) 00H COOH 2 mol. acido aspartico acido asparagilaspartico (III) (670) a C00H-CH,- | COOH-CH, i (010) acido dichetopiperazindiacetico (IV) (V) CO CH, co | so | CO —-N7 \CH-CH, OE CH,—CH N—C0 cH N N STA CO | 60 | CH, —C0 anidride dell’acito dichetopiperazindiaceticu Dalle esperienze riassunte in questa Nota è dunque risultato che per “semplice ebollizione dell’asparagina, e cioè senza intervento di reattivi ener- gici, si forma il dipeptide dell'acido aspartico di Fischer. Questo risultato appare di notevole interesse anche dal punto di vista del metabolismo ve- getale, qualora si consideri la grande diffusione dell'asparagina nelle piante e l’importanza dei polipeptidi la cui formazione è in stretto rapporto con la sintesi delle sostanze proteiche. (1) E. Fischer e E Koenigs, luogo citato. — 1183 — Chimica fisiologica. — Dispositivo per la determinazione volumetrica di piccole quantità di anidride carbonica, spostandola dai liquidi, mediante una forte corrente di aria, a temperatura e pressione ordinarie ('). Nota di A. CosTANTINO, presentata dal Corrisp. V. Apucco (°). Il dosaggio dell'anidride carbonica libera e combinata, mediante la fis- sazione di essa con una soluzione titolata di idrato di bario e la successiva titolazione dell’eccesso di barite con un acido, rende, per la sua semplicità ed esattezza, non pochi servizi nel campo della chimica analitica e parti- colarmente nelle ricerche di biochimica. Il metodo tuttavia richiede alle volte condizioni, specialmente per i li- quidi di origine animale, che rendono poco spedita tale determinazione. Nella determinazione globale dell’anidride carbonica libera e combinata, contenuta nei liquidi, occorre operare in ambiente acido e a temperatura fra i 70°-80° C. Di più, affinchè la soluzione di barite possa trattenere to- talmente 1’ CO;, bisogna che la corrente di aria, da cui questa è spostata, sia lentissima (circa 1800 ce. all'ora) e passi attraverso un lungo strato di so- luzione di barite. i Nelle esperienze del Pettenkofer riscontriamo appunto l’uso di tubi spe- ciali lunghi un metro. O. Warburg (*) sostituì ai tubi di Pettenkofer una bevuta alla Volhard a due bolle. Essendo lo strato di barite inferiore a quello usato dal Pettenkofer, l’autore consiglia di riscaldare, verso i 609-700 C., il recipiente ad assorbimento dell’ CO,. Anche con tale variante la corrente di aria deve essere lenta e, data la lentezza, il pallone, ove si svolge dai liquidi l’CO,, deve essere riscaldato fra i 70°-80° C. Non solo, ma per il dosaggio di piccole quantità di CO,, occorre che il recipiente ad assorbimento, contenente la barite, non ceda al liquido riscal- dato fra i 60°-70° C., alcali o acidi. L'A. consiglia l'uso di recipienti di vetro di Iena o di quarzo. A lato di tali dispositivi ne sono descritti nella letteratura altri, che permettono di fare una rarefazione di aria nel sistema a sviluppo e ad as- sorbimento dell CO». In tal caso si può portare il liquido in esame ad ebol- (!) Lavoro eseguito nell’ Istituto di fisiologia della R. Università di Pisa, luglio 1919. (2) Pervenuta all'Accademia il 30 luglio 1919. (*) Warburg, Wassanalytische Bestimmung kleiner Kohlensàuremengen, Zeit. f. phy- siol. Chem., vol, 61, pag. 261, 1908. — 119 — lizione, senza elevare di molto la temperatnra (circa 40° C.). Anche con que- st'ultimi mezzi l'assorbimento da parte della barite avviene lentamente e, non poco tempo è richiesto per condurre a termine l’esperimento. Ricordo i lavori di W. Dibbet (!), Vesterberg (*) e di Quagliariello- D'Agostino (3). Essendomi proposto di dosare a temperatura e pressione ordinarie, per via volumetrica, piccole quantità di CO, libera e combinata, contenuta nei liquidi, adoperando una forte corrente d’aria, mi sono valso di un dispo- sitivo molto semplice, che permette di usare, per l'assorbimento dell’ CO», un solo recipiente, fatto di vetro comune, contenente uno strato di barite di pochi centimetri. Riassumo brevemente il funzionamento del dispositivo da me adottato e lo riproduco schematicamente in una figura. Si pongono nel pallone di Classen (B), della capacità di circa 700 cc., 20-25 cc. di acqua distillata, in modo da ricoprire l’estremità del tubo (t), e 1 cc. di Ha SO, concen- trato, per liquidi contenenti anidride carbonica combinata. Indi si versano nella botti- glia (A) di Woulf a tre vie, della capacità di circa 850 cc., per la determinazione volume- trica dell’ COs, 100 cc. di acqua distillata, gr. 5 di Ba Cla e alcune goccie di una soluzione idroalcoolica di fenolftaleina. Il tubo di afflusso di detta bottiglia porta nella parte infe- riore un rigonfiamento, munito di parecchi fori. Si uniscono i due recipienti (A) e (B), mediante un tubo di gomma(*), e vi s' inizia la purificazione dell’aria e dei liquidi facendo (1) W. Dibbet, Zur Methodik der Kblensdurebestimmung in Blut, Arbeit aus den Pathol. Inst. zu Tubingen, vol. 6, pag. 228, 1908. (*) Vesterberg, Zeit. f. Physik.-Chem., vol. 70, pag. 551, 1901. (*) Quagliariello e D'Agostino, Atti R. Accad. dei Lincei, vol. 28, pag. 884, 1914. Gli autori seguirono il metodo di Vesterberg, con leggere modificazioni. (4) Le diverse parti del sistema sono congiunte tra loro con tubo di gomma a pres- sione. = circolare l’aria in sistema chiuso (') e obbligandola a percorrere la via indicata dalle let- tere E-D-C-R-B-A-E. Si tiene quindi aperto il rubinetto (R) e si manovra il rubinetto a tre vie (D), in modo, come risulta dalla figura, da escludere il tratto sovrastante a (0). L'aria passando più volte attraverso il tratto intercalato (C), costituito da tre bot- tiglie ad idrato di potassio e calce sodata, viene privata dell’anidride carbonica. Dopo dieci minuti tutta l’aria e il liquido sono privi di COa. La piccola quantità di aria, con- tenuta nel breve tratto sovrastante a (C), viene pure essa messa in circolo e purificata. Al termine dei dieci minuti si manovra, quindi, il rubinetto a tre vie (D), in modo da escludere momentaneamente il tratto D-C-R, obbligando l’aria a passare da (D) per l’altra derivazione. Dopo alcuni secondi si riporta la corrente di aria a passare di nuovo per gli appa- recchi purificatori (C). Ripetendo due o tre volte questa operazione, tutto il sistema viene privato dell’ CO». Necessitano non più di 15 minuti per poter iniziare l’analisi. Si arresta la circolazione dell’aria; si esclude durante la ricerca, dal sistema chiuso, il tratto D-C-R, mediante la chiusura del rubinetto (R) e quello a tre vie (D), volgendo quest’ultimo dalla parte sovrastante al tratto D-C-R. Indi dalla buretta contenente idrato di bario si fa pervenire nella bottiglia (A), pel dosaggio volumetrico dell’ CO3, una determinata quantità di soluzione. Dopo si introduce dalla parte (F) del pallone di Classen il liquido in esame. Ese- guita quest'ultima operazione, si incomincia di nuovo a far circolare l’aria. La forte corrente d’aria, circolante in sistema chiuso, scaccia a freddo dal pallone (B) 1' CO: e, col ripassare più volte (*) attraverso lo strato di barite contenuto nella bot- tiglia (A), viene a cedere totalmente, dopo un tempo relativamente breve (30 minuti), CO» alla soluzione di idrato di bario. La titolazione dell’eccesso di barite si può eseguire nella bottiglia stessa di Woulf, con un dispositivo a tutti noto e che è rappresentato schematicamente nella figura. Riporto alcune determinazioni fatte. Prove in bianco. Titolazione della soluzione di barite con una soluzione titolata di HCI, nella bottiglia di Woulf, contenente 100 cc. di acqua distillata. A B Dopo avere purificato dall’CO» l’aria Dopo aver fatto circolare l’aria purificata e i liquidi (ved. metodo): per: 60 minuti 30 minuti Il TÈ 1 IÙG Ba (0H)s Ba (O0H)a Ba(0H)s Ba(0H)g “= neo 14.1 — 50 © 16.4 50 © 14.1 50 °° 16.4 HCl HC1 HCl HCl 50 °° 14.1 50 © 16.4 50 © 14.0 50 © 16.3 (!) Serve all'uopo una pompa rotativa ad olio minerale, di Grandis. Nella figura è contrassegnata con la lettera (E). Dalla parte aspirante della pompa porre una bottiglia a CaCl, privo di ossido di calcio. Egualmente bene può servire, invece della pompa Grandis un piccolo aspiratore del tipo di quelli che si adoperano per il gas illuminante. (*) Il volume dell’aria circolante contenuta nel sistema chiuso, prescindendo da quella contenuta nella parte intercalata (C), che si elimina durante la ricerca, è di circa litri 2.2. Al minuto primo passano per la bottiglia di Woulf (A) litri 5.7. Cioè ogni mi- nuto primo il volume di aria racchiuso nel sistema ripassa circa 2 !/s volte per la Woulf; in 804, durata dell’esperimento, circa 75 volte. — 121 — Determinazione dell’ COs contenuta nel carbonato sodico. Soluzione acquosa contenente gr. 0.10368 di Nas CO; °/ cc. Calcolata Trovata i Durata della corrente d’aria mmgr. C0s mmgr. COg in minuti primi 6.4 6.38 30 10.6 10.5 30 8.6 8.5 30 21.0 20.8 35 Risulta che il sistema chiuso a circolazione di aria, privata dell'CO., mediante una serie di apparecchi intercalati solo all’inizio dell'esperimento, trova nelle analisi chimiche pet via volumetrica una ottima applicazione, permettendo di dosare piccole quantità di CO», sia libera, sia combinata, allontanando quest'ultima dai liquidi, in presenza di acidi forti, alla tem- peratura e pressione ordinarie. L'operare a temperatura ordinaria evita il pericolo, particolarmente per liquidi contenenti sostanze organiche, di occasionare a più alte temperature scissioni, con produzione di CO». L'insieme del dispositivo su descritto, per la sua semplicità, per la sua esattezza e per la rapidità con cui si può eseguire un'analisi (durata com- plessiva circa */, d'ora), si presta per determinare quantità di CO, superiori ai 10 mmgr., richiedendo pure in questi casi pochissimo tempo (ved. tabella). L'operatore, inoltre, è posto al sicuro da inconvenienti che possono ac- cadere durante l'andamento dell'analisi. Ad esempio qualora si analizzino li- quidi a contenuto oscillante di CO, ad es. orina, non si corre il rischio di perdere l'esperimento, se nell'apparecchio ad assorbimento (A) si è posto un quantitativo di barite, insufficiente a trattenere tutta l’ CO, che si libera dal liquido in esame. Infatti, operando in sistema chiuso, l’ CO, non va per- duta e, quindi, basterà un'ulteriore aggiunta di barite per legare integral- mente la parte rimasta libera. Tale procedimento potrà, credo, trovare applicazione per altre sostanze, come mi propongo di verificare con ulteriori ricerche. RenDICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 16 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1919. (Ogni Nota o Memoria porta a pie’ di pagina la data d’arrivo). _TT—_rTTr—rygr—7T—<--<-<-<-3. Supposto per semplicità (e come del resto è lecito a meno di una sostitu- zione lineare sulle ) che si tratti dello spazio yjp=%y:=-;-=%;=0, avremo anzitutto i un=fs(U), us = fs(0), uf), e quindi (9) Xsi = fs(u) N Xsi= f3(u1) Zia Xg==fi(d) Xx, (i=2,3,.., #41). Delle relazioni (1), le prime (5) possono identificarsi con quelle che 2 esprimono la mutua dipendenza delle u,,%s,...,%:, cioè colle Xi, = Xg=---= Xx = Xg=---=X._=0, (*) Pervenuta all'Accademia il 10 settembre 1919. — 124 — e le altre nm — ( A possono seriversi sotto la forma n+1l 6) 3 Xu(a®-PaM fi) + +e fim) +00, i=l+1 dove gli indici 7,s sono ambedue maggiori od eguali a #-+ 1. Il numero n—-t+1 2 dei termini del secondo sommatorio è dunque ( ): e siccome la differenza fra il numero delle equazioni (6) e il numero di quei termini | tenuto conto che m > (i DE 0 risulta > (4-2) (—1—- 1), così, finchè 2<4# 0, per cui pj=2(pa+ 2) possiedono un fascio ir- razionale di genere p=q—s (e=0,1,2) e un altro fascio di ge- nere Q_—-p- SEP 5. Vediamo ora di precisare maggiormente il risultato ottenuto. Perciò osserviamo che, se pg <0, la diseguaglianza pg > 2(pa + 2) è verificata dalle rigate di genere > 1 (pa <—1,p="g) © dalle superficie ellittiche con pg > 1 (pa =—1,p=9— 1); e soltanto in questi casi. Supposto dunque pa = 0 ed escluso il caso delle superficie con un fascio di curve ellittiche [p® —=1,p=g (Enriques)], avremo pg =>4, e sulla F esisterà il sistema canonico irriducibile di dimensione > 3. Appli- cando la formula di Zeuthen alla y3r-s segata sopra una curva canonica dalle curve, di genere 77, del fascio di genere p, avremo p => 2(p— 1) (a —1)+1, e, per la nota formula di Castelnuovo-Enriques I=>4( 1) 1) 4° In virtù della relazione di Nòther p? +I= 12 pg +-9, se ne ricava. ase=] Pa= (PT) e infine, tenendo conto che Py =SZ( Pap pine viene TT_-3 (ped) Aaa cioè 7 < 2; ovvero, se 7-3 op=1,£ = 2. Ma questi ultimi casi si escludono rapidamente in varî modi (*); e poichè le ipotesi 77 = 0,1 con- ducono ai casi già considerati, potremo soltanto supporre 77 = 2. Allora un ragionamento esposto da Rosenblatt al n. 7 della sua citata Nota di Palermo permette rapidamente di concludere che dev'essere e = 2, e quindi si cade sulla superficie delle coppie di punti di due curve di generi pa + 2,2 (?). In definitiva le conclusioni a cui siam pervenuti possono riassumersi negli enunciati seguenti: I. Il genere geometrico d’una superficie algebrica di genere aritme- tico pa => 0. non contenente fasci di curve ellittiche (p® = 1), non può (*) Per esempio si osservi che, se 7=3 o p=1,in tutte le formule precedenti vale il segno = e quindi pa =p—2, I=4(p—1)(1--1)—4. Ne segue che le curve del fascio di genere p non hanno punti doppî: e quindi, se p > 1, hanno tutte il genere 3. Su esse le curve dell’altro fascio, che ha il genere 2, debbono segare una y!s priva di punti doppî e quindi la nostra superficie è rappresentabile doppiamente senza curva di diramazione sulla superficie delle coppie di punti di due curve di generi p,2. Ma allora dalle formule di Severi segue pa = 2p — 3=p—2, quindi p=1,pa=— 1: il che è assurdo, perchè in tal caso è e= 1. L'ipotesi p=1 conduce analogamente a pa =— 1 e quindi alla stessa conclusione. (8) Il procedimento di Rosenblatt è stato da me modificato, ma la tirannia dello spazio mi vieta di entrare nei particolari di tale variante. — 127 — superare 2(pa+4 2), e il limite superiore è raggiunto per ogni valore di pa dalla superficie delle coppie di punti di due curve di generi pa + 2,2. II. Le superficie algebriche per cui pg = 2(pa + 2) appartengono ai tipi seguenti : a) rigate di genere >1 (po=0,pa<—1,P=Ps— Pa); b) superficie ellittiche di genere geometrico p, >1(Pa=—1, P=P9—Pa—1= po); c) superficie delle coppie di punti di due curve di generi pa + 2,2 (Pa =2(Pa +2), p=po—pa—-2=Pa +4); d) superficie di genere lineare p® =1(p= ps — Pa). In quest'ultimo caso la disuguaglianza pg = 2(pPa + 2) non è però ne- cessariamente verificata, come nei casi precedenti. Meccanica. — Le equazioni alle variazioni, per cause per- turbatrici variabili, nel concetto di Volterra di variazione prima per una funzione di linea. Nota di MauRO PicoNE, presentata dal ‘Socio Gran AnToNIO Maggi ('). Si abbia la funzione di linea TL "DI T e=|[t, 91(1); gal6),.9s(0) |; le funzioni @,,%2,...,y ricevano gli incrementi w,(4), w:(4), ..., w(6) - Si ponga, per un fissato valore di #, X(0,,02,..,0)= |, 919) + W(0), a PA) + WA(I]], ove 0,,05,...,0y sono dei parametri arbitrarî. Per le ricerche compiute dal Volterra (*), fin dal 1887, sulle funzioni di linea, parmi lecita 1’ ‘nduzione che si possa sempre in pratica riguardare come prima approssimazione del- l'incremento della funzione x la sua variazione prima sr) H(E)+ +0 d01 d09 ove con SI abbiamo indicato il valore della derivata o per dI D) d0; oi=0 =.= 0=0. In questo concetto di variazione prima per una funzione di linea è possibile, mediante sole quadrature, approssimare le perturbazioni di un moto, (!) Pervenuta il 80 settembre 1919. (*) Volterra, Sopra le funzioni che dipendono da altre funzioni [questi Rendiconti, 2° semestre 1887, pp. 97-105]. 128 — è dovute a cause perturbatrici che siano assegnate funzioni dei tempo, del posto e di talune velocità, non appena sia noto un sistema di perturbazioni relative ad un certo sistema di parametri del moto, dovute cioè a cause perturbatrici che, dirò parametriche. Ciò mostrerò in questa Nota. In Note ulteriori poi applicherò la teoria de leralo! al calcolo delle per- turbazioni del moto dei proietti d'artiglieria, dovute a cause perturbatrici e variabili da punto a punto lungo la traiettoria e parametriche (*). Queste applicazioni saranno esposte qui quasi solamente nei loro risultati, mentre la loro completa esposizione, particolareggiata anche nei riguardi delle pra- tiche approssimazioni numeriche, trovasi in lavori che usciranno nella Ri- vista d'Artiglieria e Genio del Ministero della Guerra (?). Si riesce, in particolare, al calcolo delle perturbazioni nel moto del proietto, provocate da vento comunque variabile lungo la traiettoria. Con tale risultato viene per la prima volta risoluto razionalmente il problema, posto dalla pratica del tiro in guerra, del calcolo delle correzioni da appor- tare al tiro, a causa del vento. Si riconosce facilmente, dopo ciò (cfr. i ci- tati lavori nella Rivista d’'Artiglieria e Genio), che la soluzione empirica di questo problema, adottata durante la guerra dalle artiglierie francesi (*) ed inglesi e proposta dal Borel, è fondata sopra due ipotesi in contradizione. 1. Le quantità x, , 2,..., n siano costituite dai parametri da cui uni- vocamente dipende la posizione di un sistema materiale S e da talune ve- locità. Siano poi gi(f#,&1,.--3%n):--=:@Py(03%13.-3 n), v assegnate fun- zioni del tempo £ e delle quantità %,,%2,..-, n. L'indice 7 prenderà iu seguito sempre i valori 1,2, ..., 7; gl’indici / rIMPVal OLE, Cp Il moto di S sia definito dal seguente sistema di equazioni differen- ziali e di condizioni iniziali: | de (1) 1 AR e hei o Li (0) =x, dove le /; sono note funzioni degli x +v + 1 argomenti #, x;, gr. Per l'intervento di cause perturbatrici variabili, assegnate in funzione del tempo, del posto e di talune velocità, le funzioni g, ricevano gli incre- (*) Il calcolo delle perturbazioni dovute a cause perturbatrici parametriche fu già da me trattato nella Nota: Formole razionali per la correzione del tiro [Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, febbraio 1917]. (*) Una prima esposizione meno completa di ciò lio già fatto nelle mie Tavole di tiro da montagna [Fascicolo IB, Zeoria e metodi di compilazione] pubblicate dal Co- mando della 6% Armata e adottate da questa e dal IL e V Corpo d'Armata. (3) Cfr. la pubblicazione del Ministero della Guerra francese: Instruction sur le tir d’artillerie, 2me fascicule p. 19 [ Paris, Imprimérie nationale, novembre 1917]. — 129 — menti w,, noti in funzione di £ e delle x;; si tratta di calcolare, in fun- zione di 4, le corrispondenti variazioni prime delle x;, di calcolare cioè le perturbazioni del moto di S. Indichiamo con X; la funzione x;, corrispon- dente allo stesso valore del tempo e alle funzioni xy =, + 0,w, ove le o; sono v parametri arbitrari. Le X; riescono definite dal seguente si- stema di equazioni differenziali e di condizioni iniziali: dX; la ati A: RE CAI (0 RESO 0 TTI ENO #9 PSA, Xi(0) =). Poniamo (5 ) = ;(t); le variazioni prime delle quantità 4;, che r/0 ci proponiamo di calcolare, sono date da dri= Fal) A Sil) ++ Fold). Deriviamo rispetto a 0, (') ambo i membri delle equazioni (2), si ha AAA Pad d dX dfi a DEE cl) +, di dI, k=i dIXk zi di IX VXk 320, dr Xi S| ner d07 0 Se in queste equazioni facciamo o, = 0, =-..0,=0, osservando che, posto ; I=y Ò ; d ) ; l=vy d) ni i Ain) sit y Aa Zi) dXk o it dx dXx'o dXk ii IP dAklo di ) di ) =") (ww) =fr(0. Da v 0) Si se o so le funzioni @;x(%),fir(t) riescono note funzioni di #, si trova che le fun- zioni È;(t) soddisfano, ciò che le definisce completamente, al seguente si- stema di equazioni differenziali lineari e di condizioni iniziali: din de Ft din Br + Br (3) din di = Cnr far +-+ @nnénr + Bar, Sir (0)=-+= En (0)0/=0 (1) È ben noto (cfr., per esempio, Goursat. Cours d'Analyse, t. III), che se, come i . di é "n supponiamo, le funzioni /; e le loro derivate di ; [ sono continue nel dominio che Uk occorre considerare, le funzioni X; definite dalle (2) sono continue e possiedono le deri- dXi 3 ° La 3 ra SCR . S continue, in un dominio nel quale basta rimanere perchè sia legittimo il pro- Ur cedimento del testo. vate RenprconTi. 1919, Vol. XXVTIT. 2° sem. 17 — 130 — Questo sistema è appunto quello delle equazioni alle variazioni per le cause variabili, perturbanti il moto di S (assegnate funzioni del tempo, det. posto e di talune velocità), alle quali competono gli incrementi w, delle fam- zioni Pr. Il sistema (3), ridotto omogeneo, di; (4) "di A Msi ott è quello delle equazioni alle variazioni (*!) relative a variazioni di para- metri del moto che non compaiono esplicitamente nelle equazioni differen- ziali (1). Onde il teorema: Noto un sistema di n perturbazioni del moto, linearmente indipendenti, dovute a variazioni di n parametri che non compaiono esplicitamente nelle equazioni differenziali del moto, si calcolano mediante sole quadrature le per- turbazioni dovute a cause perturbatrici variabili, che siano cioè assegnate fun- zioni del tempo, del posto e di talune velocità. 2. Nelle equazioni differenziali dei moti della meccanica celeste, dA in generale della meccanica applicata, è raro che i parametri x, che fissano le condizioni iniziali, compaiano esplicitamente nelle equazioni differenziali. Se ci mettiamo in questa ipotesi, il sistema di derivate dA, dX: OA SER ) (ISO) o= "iL, 497 dI, dA dI: costituisce appunto un sistema completo di integrali fondamentali per il si- stema omogeneo (4), il cui determinante, per ‘= 0, ha gli elementi della diagonale principale eguali ad uno, e gli altri nulli. Si ha dunque che: | Se nelle equazioni differenziali del moto non compaiono esplicitamente i parametri che fissano le condizioni imiziali, noto @ sistema delle n perturba- “zioni dovute, ciascuna, alla variazione di uno solo degli indicati parametri, st calcola mediante sole quadrature la perturbazione dovuta ad una qualunque causa perturbatrice variabile. 3. A proposito delle equazioni alle variazioni (4) è interessante un'os- servazione che mi sembra sfuggita al Poincaré. Supponiamo che nei secondi membri delle (1) non compaia esplicitamente il tempo, e indichiamo con Fi(x1,%2,..,%n) questi secondi membri. Si ha: Questi secondi membri stessi F;(x1, 2, ...,%n) costituiscono un partico- tare sistema di integrali delle equazioni alle variazioni (5). (') Poincaré, Les méthodes nouvelles de la Mécanique celeste (Paris, Gauthiers- Villars), t. I, p. 162. Ne segue che: Gli integrali del sistema dx; di =F;(x 12,000, 175) , x;(0) = vi” ’ come funzioni dei loro valori iniziali, soddisfano alle equazioni lineari alle de- rivate parziali seguenti : = (0) (0) (o) Li 7 > Fa(a 99 i) o Fidi da, La) k=1 dI Matematica applicata. — Della volgarizzazione ed appli- cazione della fisica-matematica in medicina ('). Nota I del profes- sore S. SàLaGHI, presentata dal Socio A. RuFFINI (*). LA LINEA DELLA CONSONANZA E LA SERIE ARMONICA. In un precedente studio di acustica fisiologica sottoposi gli accordi mu- sicali alla analisi geometrica (*). Presi come ordinate le altezze dei suoni secondo la frequenza delle vibrazioni; come ascissa il tempo, la durata mu- stcale dei medesimi, durante la quale le note sono tenute. Procedendo dagli accordi semplici ai complessi, osservai che la con- giungente la sommità delle ordinate. da principio rettilinea, va poi grada- tamente incurvandosi nella parte superiore: dà origine ad archi di conica in ordine crescente di schiacciamento: prima rami di iperbole, quindi para- bola ed intine ellisse. Al limite, col sovrapporsi della parte destra e sinistra della conica, termina in un segmento rettilineo (conica degenerata) (*). (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di terapia fisica della R. Università di Bologna. (*) Pervenuta all'Accademia il 23 settembre 1919. (3) Questi Rendiconti, Note I e II, vol. XXVII, serie 58, 2° sem., fascicoli 3° e 49. Roma, agosto 1918. (*) Dal lato sperimentale, acustico-musicale, potei verificare che, quando da prin- cipio la congiungente è rettilinea, l'accordo è consonante (triade mg.). Proseguendo, la congiungente cessa di essere rettilinea, per incurvarsi, presentando la convessità verso l’alto; allora comincia la dissonanza, e cresce poi di asprezza di pari passo col grado di incurvamento dell’arco. La linea retta sarebbe quindi l’immagine grafica della consonanza. Trovai inoltre che la dissonanza non può crescere indefinitamente. Ad un certo momento (al limite, corrispondente alla conica degenerata in un segmento rettilineo) si ricade nella consonanza. Questa però perde allora il carattere, che ha comunemente, di accordo di posa ed acquista il carattere di accordo di moto. URI Ora mi propongo di esaminare il decorso ulteriore di questa congiun- gente lungo il campo uditivo. La sì proluughi pertanto, oltre l'accordo perfetto maggiore, verso gli acuti, e prosegua rettilinea a raffigurare la linea della consonanza (1). Nella nuova rappresentazione si osserva che, ad intervallo eguale di ascisse, la retta incontra la sommità delle ordinate degli armonici in ordine progressivo di intonazione. Le ottave susseguentisi in direzione degli acuti vanno, come s'intende, allungandosi nel valore delle ascisse in progressione geometrica di ragione due. Coll'allargarsi dello spazio occupato dalle ottave successive, si estendono gli spazî vuoti tra suono e suono. spazi che possono essere occupati con suoni nuovi consonanti. E questi — cosa inattesa e sin- golare — costituiscono ìl germe, l'origine di altrettanti armonici che si ve- dranno poi apparire nelle ottave susseguenti. E così. dai nuovi suoni via via aggiunti. verrà fuori gradatamente l'intera serie armonica. Il procedimento è descritto in calce (*). Per poterlo seguire, è bene di confrontare la unita tavola della « linea della consonanza lungo il campo uditivo ». (*) Sappiamo che nelle nostre costruzioni grafiche le ordinate, rappresentanti la fre- quenza delle vibrazioni nei singoli suoni, crescono di ottava in ottava in progressione geometrica di ragione due. Siovandoci del metodo che i matematici chiamano, con Lalanne, dell’anamorfismo geometrico (Lalanne, Mémoire sur les tables graphiques et sur la Géo- metrie anamorphique, Annales des Ponts et Chaussées, 1846), possiamo fare in modo che la nostra congiungente conservi sempre la forma rettilinea. A tal uopo occorre che in una nuova rappresentazione grafica le ascisse crescano nella stessa proporzione delle ordinate. (2) Partendo, poniamo, dalla ottava seconda, che va dal do (16) al do (32) e co- struendo in essa l’accordo perfetto maggiore: do (16), mi (20), sol (24), do (32), scorgesi come la terza nota (il sol, terzo armonico del do di 8 vibrazioni) sia equidistante dagli estremi. Viene quindi naturale il pensiero di inserire la nota simmetrica del mi (20) tra il sol (24) ed il do (32). Come la prima metà della ottava (16-24), divisa in due parti eguali dal mi, dà la consonanza perfetta, così parimente la seconda metà dell'ottava (24-32), divisa in due parti eguali dal nuovo suono intercalato, darà. una consonanza perfetta. Tale nota aggiunta avrebbe evidentemente 28 vibrazioni; e noi troviamo che il settimo armonico del do (8) è una nota di 56 vibrazioni la quale può avvicinarsi, in certo modo, al si bemolle. La nota aggiunta non è dunque altro che l’origine del settimo armonico. Nella terza ottava, che va da 32 a 64 vibrazioni, abbiamo gli stessi intervalli equi- distanti come nella ottava seconda, ma di larghezza raddoppiata. Tra di loro pensiamo naturalmente di intercalare quattro note simmetriche nella frequenza delle vibrazioni. Ed esse, inalzate di ottava, riproducono il nono, l’undecimo, il tredicesimo, il quindice- simo armonico, Questi armonici possono, però con molta buona volontà, ravvicinarsi alle note re, fa diesis, la bemolle e st. La quarta ottava, che va da 64 a 128 vibrazioni, contiene gli stessi otto intervalli equidistanti, di larghezza però doppia di quella che hanno nella ottava precedente. Qui parimenti inseriamo altri otto suoni simmetrici o equidistanti, rappresentati dal numero delle vibrazioni. E questi, elevati di ottava, riproducono nuovi armonici, precisamente il 17°, il 19°, 21°. 28°, 25°, 27°, 29°, 31° armonico. E così potrebbe continuarsi indefinitamente, perchè gli armonici sono illimitati come i numeri. Quelli intanto, che furono qui ricostruiti e riconosciuti come tali, sono raccolti nella nostra tavola. — 133 — TAVOLA raffiguranie il decorso della linea della consonanza lungo la serie armonica. Per comodità di calcolo e per economia di spazio nel disegno, le operazioni vi sono fatte nel registro basso. Volendole riferire al registro medio, ove nei libri di testo sono comunemento inscritti i principali armonici, conviene moltiplicare per otto il nu- mero delle vibrazioni. Ciò equivale a spostare di tre ottave in alto tutta la costruzione. La notazione seguìta nell’ordine delle ottave è secondo il sistema chiamato degli indici. Le linee verticali punteggiate indicano l'altezza d’intonazione dei suoni nuovi che furono aggiuuti nei luoghi simmetrici. dos dos isol_s do: mis so0l_a sis do, ‘re_, miL, fa#_, sol_; Indi, Serie armonica 1 2 3 4 D 6 7 8 9 10 11 19 d5 240 232 224 216 20827 200, 192 : 184 176 168 160 152 144 196 128 120 il ; I I ' I | Ù I | : i | TCA | | (] I ! i i I lc I ì ! ' | i ' i I ! | i | i i | 10 a | || si?_, sif_, doo reo mi. fa*, solo lado 810 si#o 14 TORO 7 18. 19 20-21 22 23. 24 25 76. 27, 28 29 30 248 31 256 doz 32 — 134 — Dando una occhiata alla suddetta tavola, scorgesi che il numero degli armonici, compresi in ciascuna ottava, cresce in direzione degli acuti in pro- gressione geometrica di ragione due. Al contrario, l'intervallo masicale tra gli armonici stessi va gradata- mente diminuendo: dapprima è di ottava, poi di quinta, poi di terza, di tono, di semitono, di quarto, di ottavo di tono. La suddivisione degli inter- valli in parti aliquote è indefinita. Se un giorno dovesse farsi l’ attuazione in pratica di un simile frazionamento, è da prevedere che vi farebbe Duccio la varietà. Troppa è la simmetria. Poichè l'incontro tra la retta congiungente la sommità delle ordinate e gli armonici avviene sempre ad intervallo eguale, ne è derivato che la progressione geometrica di ragione due nelle coordinate si è scissa in una pro- gressione aritmetica. Nè poteva essere altrimenti; in quanto, come è noto, i suoni armonici crescono anche per rapporto al numero delle loro vibrazioni, ossia per le y, come i numeri IRODOOE 2, 3, 4, ecc., posto il fundamen- tale come 1. Avendo gli opportuni istrumenti, sirena ed altro, potrebbero verificarsi sperimentalmente i risultati ottenuti coll'analisi geometrica. Intanto però prego di riflettere che in tema di rapporti tra le vibra- zioni sonore la teoria gode di una supremazia incontrastata. Qui essa ha fatto già valere l’opera dell'ingegno, ed. al controllo sperimentale rimarrà affidato soltanto un lavoro materiale. Chimica. — Sui corvomentoli isomeri e sutla scissione del carvomegiolo inattivo negli antipodi ottici (*). Nota II del dot. Vin- cEeNZO PAOLINI, presentata dat Corrisp. A. PERATONER (°). Materiale di partenza. — Dall’essenza del carumcearvi fu isolato il carvone allo stato puro attraverso la combinazione con idrogeno solforato. Aveva le seguenti costanti: p. eb. 2249-2259; d°° — 0,9596; [a]o =+ 629,04. Dal carvone, per riduzione con polvere di zinco e idrato sodico secondo Wallach (*), fu preparato il diidro-carvoue; questo fu trasformato nell’ iso- mero carvenone per riscaldamento con acido solforico diluito; e finalmente dal carvenone, per riduzione con sodio ed alcool, si pervenne al carvomentolo puro, p. eb. 218°. 1) Lavoro eseguito nell’Istituto chimico-farmaceutico della R. Università di Roma» (*) (?) Pervenuta all'Accademia il 6 settembre 1919. (3) Annalen, 286, pp. 130 e 277, pag. 130. — 135 — Fu costatato sperimentalmente che era inattivo. CH; CH, CH; CH, ‘CH; CH CESSGHS NY ad DTA NH (0, C CH CH | Ì | I CH CH C CH ni Di ie O0H e Hoc Sé H,C7 ta MOIO Hal 700 ERSU, H,C /CHOH C CH CH CH ] | | Ì CH. CH, CH; CH; Carvone Diidro-carvone Carvenone Carvomentolo Italato di carvomentolo e stricnina. — Gr. 20 di carvomentolo, sciolti in 70-80 ce. di benzina di petrolio (60°-70°), si fanno reagire per 5-6 ore con sodio metallico in nastri ed in eccesso (gr. 4 invece di 3), e dopo questo tempo la soluzione del sale sodico dell’alcool, decantata dall'eccesso di me- tallo, si fa gocciolare sulla quantità teorica di anidride ftalica (gr. 19,40), sospesa in molto etere di petrolio, agitando continuamente. Dopo 48 ore di riposo, si aggiungono al prodotto della reazione 400-500 cc. di acqua lieve- mente alcalina per idrato sodico; nell'acqua passa l'etere ftalico acido sotto forma di sale sodico, e dalla soluzione acquosa, per aggiunta di acido sol- forico diluito, si separa ben presto lo ftalato acido, dapprima oleoso, ma che dopo riposo sott'acqua sì rapprende in una massa semisolida, appiccicaticcia. Lavato e disseccato nel vuoto, viene disciolto in poco alcool assoluto, ed alla soluzione alcoolica si aggiunge la quantità equivalente di stricnina finamente polverizzata, che passa prontamente in soluzione. Il sale di stric- nina è molto solubile in alcool: ma per aggiunta di un doppio volume di etere etilico, si forma rapidamente un precipitato bianco cristallino che, rac- colto su filtro, pesa esattamente la metà delle sostanze impiegate. Questo sale di stricnina meno solubile contiene la modificazione sini- strogira. Purificato per successive cristallizzazioni dall'alcool diluito, il sale fonde costantemente a 155°-156°, e si presenta in forma di aghetti incolori. 0,2268 gr. sostanza ; 0,6818 CO? ; 0,1454 H.0 CO0C;0 Hg Calcolato C 73,52 H È CH 2) + al K/EG— F° KVEG— F° \ ED" + GD — 2FD' erge dove K indica la curvatura (non nulla) della superficie. Per la risoluzione del problema enunciato conviene porre questa equa- zione sotto un’altra forma facendo sparire le derivate di D, D', D". Ponendo =: D SRI D' gir D VEG—F? VEGLIE È VEG—F?° seriviamo la (A) nel modo seguente: dfl9Ig_m_19P. n dul K du K dv oo dl Ig Lp," ti } — L.A 4 ai Sag: dina ; 4 Koi + GA — EF4')gp=0); eseguendo parzialmente le integrazioni coll’aver riguardo alle formole di Codazzi TT | s "| se la n DI e oe si trova la nuova forma richiesta NR _ dlogK dg) _ (A*) A: NILE ARIA A 1(2dlogK è@_, dlogK dg 21) ga + KF9—5( nn) ei pedale ari (*) Vedi le mie Zezioni di geometria differenziale, vol. II, $ 224 ss. — 157 — dove 6,1) 12) Pe, Sono le derivate seconde covarianti di rispetto alla prima forma fondamentale (!). 2. Supponiamo ora che esista per la superficie S una funzione caratte- ristica fissa per tutte le configurazioni che la S assume per flessione. In tal caso la relazione (A*), lineare omogenea in 4,4", 4” dovrà necessariamente ridursi ad una identità, annullandosi i coefficienti di 4,4",4" (?). La questione proposta è così ridotta alla ricerca di quelle forme del ds? per le quali esistono soluzioni comuni alle tre seguenti equazioni del se- condo ordine: dlosK ig. ,. Pili Du arti, (1) = (eta poet o) i paso Degni, du Ww e __3dlog K dg Saba Queste possono anche compendiarsi nella formola Pri du? + 2p12 du dv + P22 dv? = = dlog K dg — K(Edu + 2F dudv+ Gdo), che ne pone meglio in evidenza la natura invarzantiva. Siccome g non può ridursi ad una costante [altrimenti dalle (1) si avrebbe K =0 contro l'ipotesi], possiamo semplificare la ricerca assumendo a linee coordinate « = cost. le linee g = cost., e le loro trajettorie ortogo- nali come v= cost. Così avremo F=0 , = g(v) (funzione di v); e le (1), sostituendo ai simboli di Christoffel i loro valori effettivi, diven-- tano ordinatamente P on 53 gp + KEgp=0 (2) ) "(7 DE 1a), FA Lrrae 1 053G 2E Dal arte rall (1) I valori effettivi sono CdP. (11) {1} 39 dira N __ 39 (12/99 __ (1299 Pia dudo na 2) dv _d°@ Sp dp _\22}d9 Pao S 3a du 12) 90° (5) Cfr. Lezioni, vol. II, $ 254. SS gli accenti avendo il solito significato di derivazione. La media di queste, non essendo nulla g', equivale alla è (KE)=! o (ED) =0, e dà (3) KE=/(v) (funzione di «); indi dalla terza risulta 3 log Y/G (4) ZA y cioè VG è il prodotto di due funzioni: l'una di «, l’altra di v; e la se- conda di queste, disponendo del parametro v, può farsi costante, onde avremo (5) VG = U (funzione di x), e sarà, per la (4), AR A (6) Pars UÙ' P. Ora la prima delle (2), osservando che per la (3) du fr # inu diventa 7 CERENE E (7) papera 79 fg=0, 7a dalla quale segue che anche Slegli è funzione di v soltanto; indi, di- sponendo del parametro , potremo rendere VE =V (funzione di v). Ma dalla (7), osservando che dalla (6) derivando segue ,__ (30? UAAR g' a (i “i £ U? i n o Ps deduciamo UU" +/U)=0; e siccome il primo fattore YU non può annullarsi, avremo Ue lire agpao ae — 159 — onde la (6) e la (3) daranno gp LO Md 8 sii (8) on) U” * prc a grass (84) K=— ga: D'altra parte il nostro ds* ha la forma ds? = V® du? + U? do, «e la sua curvatura K è data da UU + VV”. Sea I sicchè, paragonando colla (8*), risulta V”=0 e quindi V=av+d, con a, è costanti. Viceversa, se il ds* ha la forma (9) ds* = (av + db)? du + U? dv?, i calcoli eseguiti dimostrano che basta prendere g in guisa da soddisfare la (8), cioè p=cU"' (c costante), e questa 4 soddisfa al sistema (1), indi all'equazione caratteristica (A) di Weingarten in tutte le configurazioni di una superficie S d’elemento li- neare.(9). - Ora due casì sono da distinguersi, secondo che nella (9) la costante « è nulla, oppure diversa da zero. Nel primo caso si può fare D=1 esi ha il ds° tipico delle superficie di rotazione; nei secondo è lecito fare a=1, b=0 e si ha l’altra forma tipica del ds?: ds* = v° du* + U? dv, “che appartiene (Darboux, loc. cit.) a tutte e sole le superficie spirali. Con- cludiamo quindi: Esistono due sole classi di superficie applicabili con funzione caratteristica p fissa in tutte le deformazioni della superficie, e sono: 1° le deformate delle superficie di rotazione con (I) ds du U*do%; 2° le deformate delle superficie spirali con (II) ds=vdu° + U?dw, — 160 — ed ambedue le volte p=U' è funzione caratteristica fissa in tutte le defor- mazioni. 8. Lasciando da parte il primo caso ben noto (I), proseguiamo nel se- condo caso (II) lo studio delle corrispondenti deformazioni infinitesime. In generale si sa che ad ogni soluzione dell'equazione (A) di Weingarten corrisponde (a meno di una traslazione) una deformazione infinitesima di S, le cui componenti st , «7 , 88 (e costante infinitesima) si calcolano per quadrature dalle formole RA dp! 2) g+(D PR n x dI \_ dU dU dv wu K|/EG—F* , dI n 3) "n dP 29) al CY 9+(D TS du K EG — F° 0 ed analoghe per 7, #, alle quali possiamo dare la forma. equivalente P) OO A e ei dI du dv du dv dU VEG — F° KJEG — F* (10) Tati pe IPER dI ____ du dv dU dv wo VEG=r * Ryea=F Interpretando #,7,4 come coordinate di un punto nello spazio, questo punto P=(#,7,5) descrive la superficie S corrispondente per ortogonalità “di elementi alla S ed individuata dalla funzione caratteristica g. Se applichiamo le formole (10) al nostro caso (II), ponendovi g = U', troviamo dI _ Uv de Ù da __ UDU' da % i TRE) A Oa DA, dti 12) 2202 See IT ie d°x (22) de , (22) dx da dv? = ali si ha dr 19dax U' da =-—-p+btLarar-+DX du Iv vu sa U dv + da UU' de ) dv? v* > passi onde le (11) si scrivono de de dla E 2 du du nudo > du vo Sotto questa forma la loro integrazione è immediata; e disponendo delle costanti additive in #,7,4, possiamo prendere (12) OR 3 ae MA Il punto P=(#,7,5) risulta situato nel piano tangente in Palla su- hr srese asino E perficie S; e poichè la curvatura geodetica ni delle linee v= cost. è data, v in grandezza e segno, da si vede che P coincide col centro di curvatura geodetica delle linee v = cost. Abbiamo dunque il risultato: Se per una superficie S d’elemento lineare (II) ds? = v? du? + U? do? sî considera la superficie S luogo dei centri di curvatura geodetica delle linee v= cost., questa S corrisponde per ortogonalità d’elementi alla S, e la fun- zione « caratteristica della relativa deformazione infinitesima è data da g = U°. È manifesto che in questo caso, deformando comunque la superficie $ che trasporti eco rigidamente i segmenti tangenti PP, la superficie S luogo degli estremi P corrisponde sempre per ortogonalità d'elementi alla S. 4. La proprietà ora segnalata per le deformate delle superficie spirali è tanto più notevole che essa è esclusiva per queste superficie, come viene espresso dalla proposizione seguente: Se due superficie S,S si corrispondono per orltogonalità d’elementi, ed egni punto P_di S giace nel piano tangente nel punto corrispondente P_ alla S, questa S è applicabile sopra una superficie spirale e la Sèd luogo dei centri di curvatura geodetica delle trajettorie ortogonali delle linee inviluppate sulla S dai segmenti TP. — 162 — Per la dimostrazione prendasi a sistema coordinato sopra S un sistema ortogonale (uv, v) nel quale le linee «= cost. siano quelle inviluppate sulla S dai detti segmenti PP. Colle consuete notazioni (*), posto T= PP, po- tremo scrivere a=x+ TX; , q9=y4+TY , s=3+ TZ, e di qui, derivando, abbiamo CS ce Tm D' U VG dv VG a E D" > | È a ni + +VE)ATT%. L'ipotesi che S,S si corrispondano per ortogonalità di elementi. si traduce nelle tre condizioni dI dI = dI = IL SX, —=0, SX, =0 , VESX, zo + VOS: du che, calcolate colle (13), diventano = Sei DE IT = — 3T VG de = de =>) pe Me) VET%a PD, do 20 +y6 , Va w n w Intanto, non figurando in queste formole D,D',D", si vede che la proprietà, supposta in una configurazione di S, si mantiene per tutte. Ora la prima delle (14) dà ca di T VEG dv O dunque: P è il centro di curvatura geodetica delle linee v = cost. Dalla terza segue sp: T=V7G, con V funzione di v; e successivamente, dalla seconda, (15) | TuT Dunque Y/G è il prodotto di una funzione di w per una funzione di v, e la seconda di queste pnò farsi eguale a una costante; così abbiamo vVa=U. (#) Cfr. particolarmente Lezioni, vol. II, pag. 91. Allora, dalla (15), Va=_—-1, e, integrando, possiamo prendere V= — v, indi T=—./G=— Uv, e, in fine, dalla prima delle (14) abbiamo d log VE iu POSERO Così VE = vw(4); e, cangiando il parametro «, possiamo fare VE=, ritornando alla forma caratteristica (II) del ds? per le superficie spirali. La nostra proposizione è stabilita e possiamo anche enunciare i risul- tati sotto la forma: Condizione necessaria e sufficiente affinchè una superficie S sia applica- bile sopra una superficie spirale, è che esista una superficie S corrispondente alla S per ortogonalità d’elementi coi punti situati nei rispettivi piani tan- genti di S. Matematica. — Sur les ensembles effectivement énumérables et sur les definitions effectives. Nota del Socio EmiLE BoREL ('). Divers géomètres, notamment M. Burali Forti, ont mis en évidence les contradictions auxquelles conduisent certaines définitions de la théorie des ensembles. Pour échapper à ces contradictions, j'ai proposé d'introduire la notion d'ensemble effectivement énumérable. La lecture d'un intéressant Mémoire de M. Sierpinski (*) me conduit è revenir sur cette définition et à préciser quelques points sur lesquels ma pensée n’avait pas été exprimée d'une manière suffisamment claire. Un ensemble dénombrable, d'apròs Cantor, est un ensemble tel qu'une correspondance biunivoque peut exister entre ses éléments et les entiers po- sitifs. Cette détinition a été longtemps admise comme claire et l'on a raisonné sur les ensembles dénombrables comme sî, pour chacun d’eux, on possédait effectivement une correspondance biunivoque avec les entiers po- sitifs. Mais on s'est apergu que l’on arrivait ainsi à des contradictions. à des paradoxes, et de nombreuses discussions ont eu lieu au sujet de ces paradoxes. J'ai montré que ces paradoxes disparaissent si l’on renonce à la (') Pervenuta all'Accademia il 20 ottobre 1919. (*) L'aciome de IM. Zermelo et son role dans la théorie des ensembles et l'analyse, par W. Sierpinski (Bulletin de l’Académie des sciences de Cracovie, avril-mai 1918). RenDICONTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sen. 29 — 164 — définition précèdente et si on la remplace par la définition de l'ensemble effectivement énumérable, c'est è dire de l'ensemble pour lequel on connaît effectivement ane correspondance biunivoque avec les entiers positifs. En d'autres termes, un ensemble effectivement énumérable est un ensemble donné sous la forme (1) UI UU chaque éiément wu, étant connu quand on donne son rang (et inversement). Bien entendu, lorsqu'un ensemble effectivement énumérable est"donné, il est possible, d’une infinité de manières, de modifler le numérotage; les ensem- bles effectivement énumérables ainsi obtenus sont équivalents è l'ensemble donné, mais ne lui sont pas identiques; dans certains cas mème, ils ont des propriétes nettement différentes; en tous cas, il en sont logiquement distincts. Ces notions sont très loin d'ètre réellement nouvelles; toute la théorie clas- sique des séries infinies repose implicitement sur elles. Lorsque l'on admet ces definitions, il est clair qu’une infinité effective- ment énumérable d’ensembles effectivement énumérables peut éètre mise sous la forme d'un ensemble effectivement énumérable; il suffit, pour cela, d'énoncer en termes finis l’un des procédés bien connus. D'une manière gé- nérale, les raisonnements classiques sur les ensembles dénombrables s'appli- quent sans difficulté anx ensembles effectivement énumérables, à condition de prendre soin, dans chaque cas, de préciser les lois et les méthodes que l'on utilise. Lorsque l'on veut appliquer aux ensembles dénombrables les résultats démontrés pour les ensembles effectivement énumérables, il est nécessaire de raisonner, pour chaque ensemble dénombrable, sur une correspondance supposée réalisée, c'est è dire, en définitive, de supposer l'ensemble dénom- brable donné sous la forme (1). Ceci implique l'axiome de M. Zermelo; ou, tout au moins, l'axiome de M. Zermelo affirme la possidilité abstraite de mettre un ensemble dénombrable sous une forme telle que (1), sans donner d'ailleurs effectivement un moyen déterminé de le faire. La question prin- cipale, è mon avis, est de savoir si l'on a le droit d’appliquer à une telle suite (1) congue abstraitement, mais non effectivement définie, les méèmes ruisonnements qu'à une suite (1) effectivement donnée. L'étude des paradoxes de la théorie des ensembles, en particulier l'étude de l'ensemble des nombres qui peuvent étre détinis par un nombre fini de mots, semble prouver que certains raisonnements, qui ne conduisent è aucune contradiction pour les ensembles effectivement énumérables, conduisent au contraire à des contra- dictions lorsqu'on les applique à des ensembles dénombrables. Il ne me pa- raît pas douteux que les ensembles ou les correspondances « définis » au moyen de l’axiome de M. Zermelo n'ont pas les mémes propriétés que les sep iti — 165 — ensembles et les correspondances effectivement définis: s'ils « existent », c'est d'un autre genre d'existence. Aussi doit-on savoir gré è M. Sierpinski d’avoir énuméré d’une manière très détaillée les diverses questions dans lesquelles intervient l’axiome de M. Zermelo. Sans entrer dans le détail de cette énumération, qu'il me soit permis de remarquer que, si l'axiome de M. Zermelo intervient nécessaire- ment dans un problème, c'est en général parce qu'il est implicitement admis dans l’énoncé méme du problème; ainsi, toutes les fois qu'il est question d'ensemble dénombrable et non pas d’ensemble effectivement énumérable au sens strict du terme, l’axiome de M. Zermelo est postulé. Si l’on introduisait uniquement des ètres effectivement définis, tels que les ensembles effective- ment énumérables, l’axiome de M. Zermelo n’aurait pas è intervenir, et les nouveaux énoncés obtenus, peut étre plus restrictifs en apparence, auraient la méme portée au point de vue des applications. Fisica. — Sulla gravitazione. Nota I del Corrisp. Q. MAJO- RANA ('). Origini della ricerca. — In un precedente lavoro (?) sulla influenza del movimento della sorgente o di uno specchio, sulla propagazione della luce, esprimevo il dubbio che fra le cause incognite, che possono influire sul fenomeno, potesse esservi anche il campo gravitazionale della nostra terra. Ciò dicevo, non perchè ragioni specifiche mi inducessero in tale dubbio, ma piuttosto per procedere completamente alla ricerca di tutte le cause stesse. Lasciando quindi da parte il primitivo problema, dopo i risultati sperimen- tali descritti nel suaccennato lavoro, mi son proposto sin dall’aprile 1918 di ricercare nuovi fatti sperimentali, che potessero gettar luce sulla natura intima del fenomeno gravitazionale. Scopo della presente relazione è di render conto del risultato di tale ricerca. Premetto, peraltro, che le considerazioni che qui svolgerò, ed i fatti da me ora constatati, non sembrano avere nulla di comune colla ricerca precedente; nè io ho la pretesa di voler arrivare, anche in un tempo lontano, a stabilire con tutta sicurezza un legame tra due generi tanto diversi di ricerca; solo ho voluto accennare alla occasione, che mi indusse ad intraprendere l’attuale lavoro. i Caratteri della legge di Newton. — Fra tutte le leggi fisiche cono- sciute, quella della gravitazione universale apparisce sinora la più perfetta, nella sua semplicità: proporzionalità dire/ta alle masse agenti, inversa al (1) Pervenuta all'Accademia il 13 ottobre 1919. (2) Vedi: questi Rendiconti, XXVI, pp. 118 e 155, an. 1917; XXVII, p. 402 anno 1918; Atti R. Ace. di Torino, LIII, p. 793, an. 1918; Phil. Mag., XXXV, p. 163, an. 1918. — 166 — quadrato delle distanze. Nessuna causa esteriore od interiore, rispetto alle masse che si considerano, si è sinora dimostrata capace di turbare, con tutta sicurezza, il rigore della legge stessa. Se anche un'influenza potesse venire ammessa, per opera delle reazioni chimiche o variazioni di tempera- tura manifestantisi nelle masse agenti ('), ciò potrebbe portare alla meno- mazione del principio della costanza della massa, ma non della legge di Newton, propriamente detta. Una delle caratteristiche più speciali di questa legge, è la nessuna influenza della natura del mezzo, nella manifestazione della forza attrattiva. Come è noto, tutte le azioni naturali, per le quali si ha la possibilità di ottenere del lavoro ad una certa distanza dalla località in cui vi sia della materia, si manifestano in guisa differente al variare del mezzo interposto: così dicasi delle azioni meccaniche (propagazione di urti o vibrazioni, di semplice pressione, attraverso un mezzo materiale), delle calorifiche, delle elettriche, delle elettromagnetiche, delle luminose, dei raggi catodici ece. In tutti questi casi, la natura del mezzo (sia questo materiale o costituito dall’ipotetico etere) ha un'importanza capitale sui fenomeni constatabili; al variare del mezzo, variano in genere, e talvolta in misura notevolissima, tanto la velocità di propagazione, quanto la entità dei fenomeni stessi. Questo principio vale per le azioni di carattere sia statico, che dina- mico. Veramente, circa le prime occorre fare una restrizione, per quanto riguarda la pressione meccanica che, come è noto, si trasmette senza mutar di valore, a traverso la materia di qualunque natura. Ma è da osservare che, in ogni modo, oltre al potersi constatare la differente velocità di propaga- zione, nello stabilirsi di una determinata pressione, a traverso un mezzo materiale, si sa che il mezzo ezere non consente la propagazione della pres- sione meccanica. Per la forza di gravitazione, nulla di simile si è potuto sinora consta- tare. Non voglio qui discutere il problema della velocità di propagazione di detta forza: se cioè quella sia dell'ordine della velocità della luce, o molto superiore. Certamente, dopo che l'actîo in distans degli allievi di Newton (non di Newton, che mai l’ammise) fu relegata fra le cose assurde, non vi ha cultore di scienze fisiche che non pensi con convincimento al valore finito di tale velocità; la misura di esso potrebbe essere messa in evidenza da delicatissime osservazioni astronomiche, e nulla può oggi indurci a negare la generica giustezza del suo concetto. Piuttosto fermiamo la nostra atten- zione sul fatto, generalmente ammesso, della niuna in/luenza del mezzo sulla manifestazione statica dei fenomeni gravitazionali. Due masse, a (1) Come è noto, ricerche del genere hanno dato luogo a vivaci discussioni e smen- tite; vedi Landolt, Zeitschr. fiir Chemie, XII, p. 1, an. 1894; Shaw, Philosophical Traa- sactions, R. Soc. of Londun 216, p. 849, an. 1916. — 167 — parità di distanza, sit attirano con la stessa forza, sta nel vuoto, sta se immerse in un mezzo di densità materiale qualsiasi. Inoltre: una sfera materiale omogenea, di determinata densità, subisce, da parte di altra massa esterna, un'attrazione direttamente proporzionale al suo volume. E ancora: la direzione, il senso, il valore delle forze sollecitanti due masse in presenza, non mutano, se, rimanendo immutate le altre condizioni di queste, si dispongono nella loro vicinanza altre masse, le cui azioni, su ciascuna delle prime, siano esattamente equilibrate. Questi, ed altri teoremi simili che potrebbero enunciarsi, sì traducono ancora nella negazione di un carattere speciale della materia, che potrebbe definirsi permeabilità gravi- tazionale (analogo, sino ad un certo punto, alla permeabilità elettrica, od a quella magnetica) oppure imperfetta trasparenza gravitazionale (analoga mente a quanto succede per la materia traversata dalla luce). Ricerche sperimentali anteriori. — Varii fisici hanno cercato di veri- ficare sperimentalmente sino a qual punto tale principio, da me ora così enunciato, fosse veramente esatto. Così Austin e Thwing ('). che sperimen- tavano con una bilancia di Cavendish, tipo Boys, interponevano fra le masse mobili sospese al filo di torsione, e quelle fisse, degli schermi di diverse sostanze più o meno dense; e mai trovarono con ciò, variazioni nelle forze attrattive, almeno dentro il limite di precisione dell'esperimento e cioè dell'1°/ delle forze agenti. Successivamente la questione fu ripresa da Kleiner (2), Laager (*), Cremieu (*), Erisman (*). Per opera di quest'ultimo fisico, la precisione dell’esperienza venne spinta sino al valore di 1/1200 della forza attrattiva. Va notato che. mentre il metodo seguìto da tutti gli autori citati era quello della bilancia di torsione, Laager ha anche speri- mentato pesando una palla di argento di gr. 1,5, alternativamente circondata o no da una sfera cava a pareti spesse, di piombo. Così egli non scorse variazione superiore ad 1/15000 circa, del peso totale. : Non mi consta che altri autori abbiano ripreso più recentemente tali ricerche. Ad ogni modo esse hanno valso a riaffermare la precisione della legge di Newton, almeno dentro i limiti d’approssimazione raggiunti. Dubbii sulla esattezza della legge di Newton. — Il fisico e l’astro- nomo sono stati indotti, per quanto si è detto più sopra, a ritenere come nulla la azione del mezzo, nella manifestazione delle forze newtoniane. Ma è tale convincimento giustificato dei tutto dai fatti osservati? Le citate espe- rienze, come sì è visto, non hanno consentito, al più, che una precisione di di 107° (Laager), nello studio della eventuale influenza del mezzo. Una tale (*) Phys. Rev. 5, an. 1897. (2) Archives de sc. phys. e nat. IV, 20, p. 420, an. 1905. (3) Dissert., Ziirich, 1904. (4) Compt. rend. 140, p. 80, 1905; 14. 653 e 713, an. 1905; 143, p. 887, an. 1906. (5) Vierteljahrschr. d. Naturforsch. Geseì' ©ivich, 58, p. 157, an. 1908. — 168 — approssimazione, se può rappresentare uno sforzo sperimentale notevole, è pur tuttavia troppo piccola, se si vuole, con quel convincimento, interpretare tutti i fenomeni che la natura ci offre allo studio. Infatti, secondo l'esperimento di Laager, una sfera di circa 1 gr. non muta sensibilmente di peso, se racchiusa dentro una sfera di piombo della massa di qualche chilogrammo. Ma è lecito credere che lò stesso accadrebbe se tale massa esterna fosse di un ordine di grandezza assai superiore, p. e. di qualche quintale o tonnellata? Se diciamo massa la proprietà della materia da cui, in ragione diretta, dipende il peso, ci si può domandare quale sarebbe la massa di 1 cme. di materia, p. e. di argento posto al centro della terra, dato che esistesse un mezzo per determinarla dallo esterno della terra stessa. E quale valore avrebbe quella massa, se collocata al centro del sole? Apparirebbe sempre come di gr. 10,5? Come può esser lecito dalle, diciamo pure, grossolane esperienze citate, trarre la conseguenza che le masse situate al centro della terra, od al centro del sole (cioè di una massa 333000 volte maggiore), esercitino, su altre masse esteriori, forze attrat- tive, come se fossero perfettamente isolate? Eppure il convincimento si è radicato nella mente del fisico che la legge di Newton sia, da questo lato, impeccabile. È vero che a giustificazione di ciò stanno le osservazioni astro- nomiche; ma occorre riflettere che in tal caso le masse in giuoco, hanno dimensioni piccole, di fronte alle loro distanze reciproche; inoltre l’astronomo deduce dalla terza legge di Keplero, e dalle perturbazioni del moto degli astri, valori di massa, che potrebbero non aver nulla da vedere con le masse vere; la materia interna degli astri potrebbe essere schermata da quella più vicina alla crosta esteriore e, forse adottando il concetto di una massa apparente, i fenomeni si svolgerebbero, da questo lato, come se la legge di Newton fosse rigorosamente esatta. Dico /orse, perchè, come farò vedere, potrà darsi che anche l'astronomo avrà modo di accorgersi di questa azzone di schermo della materia sulla gravitazione, se effettivamente esiste. Ma prima di andare avanti, occorre precisare anzitutto i caratteri, se- condo cui questo probabile fenomeno si debba presentare. Vi sono due aspetti possibili e diversi, dai quali la questione può esser considerata. Il primo aspetto si ricava dallo esame dei fenomeni attrattivi elettrici e magnetici, nei quali casi, come è noto, si parla di permeabilità. Questa è caratteristica della materia del mezzo, e da essa dipende la misura della forza manifestan- tesi fra due masse elettriche o magnetiche; si moltiplica infatti per un fattore costante (l'inverso della permeabilità) l’espressione della forza nel vuoto, per ottenerne il valore a traverso il mezzo naturale. Essendo ciò vero per qualunque spessore di questo, se ne deduce che il fenomeno della permeabilità elettrica o magnetica, è constatabile anche per piccolissime distanze fra le masse agenti. Per ricercare il secondo aspetto, occorre considerare fenomeni di altro iu Tal) — 169 — genere, nei quali cioè si manifesti assorbimento della azione a distanza. Della energia irradiata (come onde sonore, luce, particelle catodiche ecc.) si va affievolendo di solito, non solo secondo la legge della ragione inversa del quadrato delle distanze (analoga a quella di Newton), ma anche perchè il mezzo ne va progressivamente assorbendo una parte. In questo caso, è so- vente difficile, sotto spessori piccoli, osservare il fenomeno dell’affievolimento dell’azione, ad una certa distanza. Così l’aria, trasparentissima sotto piccoli spessori, indebolisce notevolmente la luce del sole, se il suo spessore è di parecchi chilometri. La legge di tale affievolimento non corrisponde ad una semplice proporzione; interviene invece un fattore esponenziale; variabile con lo spessore del mezzo. Quale dei due aspetti considerati può aiutarci a costruire un modello del fenomeno gravitazionale? Anzitutto, secondo le vedute più comuni, noi dovremmo, se mai, paragonare questo fenomeno a quello attrattivo ciet- trico o magnetico, piuttosto che alla propagazione di energia. Ma tal para- gone apparisce difettoso: infatti, mentre nel caso elettrico la forza è dipen- dente dalla permeabilità del mezzo materiale (essa varia cioè notevolmente non appena si muti la natura di questo), nulla di simile avviene per la forza gravitazionale. Paragoniamo invece questa, ad un fenomeno di propagazione dinamica, che dia luogo ad assorbimento progressivo. Gli esempii di teorie imbastite con tal proposito non mancano e cito al riguardo il lavoro di Isenkrahe (?) nel quale se ne trovano riassunte parecchie, dovute ad Eulero, Riemann, Dellingshausen, Lesage, Thomson, Preston. In qualcuna di queste può la gravitazione essere raffigurata come un fenomeno di assorbimento e di equi- librio dinamico. Ma l'accettazione di esse, sia pure notevolmente modificate o perfezionate, sarebbe, a rigore, subordinata a fatti sperimentali che sinora sono sempre mancati. Se prescindiamo però da tale giustificato scrupolo, vediamo come si presti meglio il secondo modello, ad una possibile, e sia pure, parziale interpretazione del fenomeno gravitazionale. Infatti con esso resterebbe spiegato, perchè non si osservi azione del mezzo, se questo è di piccolo spessore; potrebbe inoltre non accader lo stesso per spessori molto notevoli. Per cui, sembra più probabile, nel caso del fenomeno gravitazionale, che esista un carattere del mezzo definibile come potere assorbente, piutto- sto che come permeabilità. Ora, tale ordine di idee porterebbe a due conse- guenze, che separatamente voglio prendere in esame: 1°) apparente diminuzione della massa materiale, causata dall’assor- bimento; (1) Uber die Ziruckfirung der Schwere auf Absorption. Zsch. t. Math. u. Phys., 37, Supplement, p. 163, an. 1892. — 170 — 2°) probabile equiparazione del fenomeno gravitazionale, ad una pro- pagazione o trasmissione continua di energia a distanza. Dirò subito che queste due conseguenze non presentano, secondo me e per ora, egual grado di probabilità. La prima assurge forse, per ragione di logica, e per la dimostrazione sperimentale di cui dirò più tardi, al grado di certezza. La seconda ha per ora un certo grado di probabilità, da stabi- lire; di essa dirò dunque, facendo tutte le riserve che sono del caso. Massa vera e massa apparente. — La prima conseguenza porterebbe alla nozione di massa vera e di massa apparente dei corpi. La massa vera sarebbe quella che si dovrebbe prendere in esame, al limite, per una estrema suddivisione della materia: ciascuna particella di questa, esercite- rebbe nel suo intorno, delle azioni sensibilmente proporzionali alla propria massa vera. Con l’accumularsi in una data località, di particelle materiali, le forze attrattive esercitantisi fra queste ed altre masse esteriori, sarebbero proporzionali alla massa apparente, che risulterebbe, in conseguenza della azione di schermo, alquanto più piccola della vera. Il fisico e l’astronomo applicando la legge di Newton, e misurando le forze attrattive, tra masse necessariamente non piccolissime, non potrebbero osservare che il loro valore apparente. Inoltre, la distribuzione di tali forze non sarebbe così semplice, come vorrebbe quella legge. Per spiegare ciò, occorre anzitutto completare l'ipotesi fatta, dell’assorbimento, con l’altra che la forza elementare fra due particelle materiali poste in presenza, si svolga sempre secondo la congiun- gente di queste, ed il suo valore venga dato dalla legge di Newton, modi- ficata secondo il principio dell'assorbimento progressivo. Nulla giustifica ancora tale ipotesi complementare; ma ricorro ad essa per la sua semplicità, benchè argomenti che non considero, possano in avvenire modificarla. Ciò posto, se prendiamo in esame p. e. l’azione attrattiva mutua fra due sfere materiali omogenee, è chiaro che essa si dovrà manifestare, anche col prin- cipio dell'assorbimento, secondo la congiungente i centri delle sfere: ciò per ragioni di simmetria. Ma non è però detto che i punti di applicazione delle due forze eguali e contrarie, siano precisamente i centri, come nel caso dello smorzamento nullo; certamente, anzi, sarebbero due punti alquanto più riavvicinati. Infatti, qualunque sia la legge dello smorzamento, le azioni elementari fra le particelle elementari delle località più riavvicinate delle due sfere verrebbero smorzate di meno. Concretata, o, meglio, constatata la legge dello smorzamento, l’analisi potrà stabilire la misura di tale riavvici- namento; dichiaro però di non avere avuto sinora tempo di approfondire la questione, sotto tal riguardo. È appena il caso di dire che più complicato si presenta il problema della attrazione fra una sfera ed una seconda massa non sferica, ed ancora più, quello fra corpi di forma qualsiasi. Osservo poi che, in generale, la massa apparente di un corpo, può forse assumere valori differenti, a seconda della posizione del punto materiale su — 01 —- cui il corpo esercita l’azione newtoniana. Si vede dunque che, se le ipotesi da me ora formulate sono attendibili, si apre un vasto campo di studio per il fisico e l'astronomo, chiamati a stabilire caso per caso i valori di quella grandezza. Smorsamento della orza gravitazionale. — Le ipotesi fatte si basano sulla possibilità che, per una causa che non indago, il mezzo possa aftievolire la propagazione della forza gravitazionale. Ho cercato se altri prima di me abbia per id passato formulata un'ipotesi del genere; ma, all'intuori di un vago accenno di H. Poincaré (*), nulla ho trovato. Quell’illustre fisico avrebbe ricorso all'idea dello smorzamento della gravitazione, per seguire l’idea di Arrhenius dell' infinità dell'universo. Se questa fosse giusta, egli dice, anzitutto il cielo ci dovrebbe apparire cosparso di stelle tutte riavvi- cinate, e quindi luminoso, in tutti i suoi punti, come il sole. Si potrebbe giustificare la mancanza di tale fenomeno, col dire che lo spazio interstel- lare assorba la luce, in misura sia pure minima; e quindi la maggioranza delle stelle, assai lontane, non invierebbe luce sino a noi. Ma la forza newtoniana esistente nei punti del nostro sistema solare dovrebbe però, se- condo tale ipotesi, essere infinita od indeterminata, contrariamente a ciò che si osserva. Per tirarsi d’impaccio, dice Poincaré, e volendo ammettere l’ infi- nità dell'universo di Arrhenius, si deve anche ammettere che /a legge di Newton non sia rigorosamente esatta, e che la gravitazione subisca una specie di assorbimento, traducentesi in un fattore esponenziale. Ora, l’ipo- tesi dello smorzamento così formulata, è troppo vaga, e del resto il Poincaré non sembra dare ad essa troppo peso. Non si comprende se l’autore intenda che lo smorzamento sarebbe causato solo dalla materia delle stelle frappo- ste fra noi e l'infinito, od anche dal vuoto interstellare, benchè anche que- st'ultima idea debba riscontrarsi nelle sue parole. Infatti, le stelle luminose - della parte dell'universo a noi relativamente vicina, sono certamente poche: e cioè quelle che si vedono e che nell'insieme contribuiscono a stabilire, di notte, il debole grado di luminosità del cielo. Come lo stesso autore nota (?), in cielo non vi debbono essere delle altre stelle oscure, in misura notevole; ciò per considerazioni che l'autore stesso svolge (contrariamente a più anti- che idee di lord Kelvin) e secondo le quali la maggior parte dei corpi celesti deve essere luminosa. Per cui, se anche, come sarebbe logico di ammet- tere, la parte lontanissima dell’universo (dove cioè sì trovassero stelle che non arrivano a tramandar luce sino a noi) fosse costituita come la più vi- cina, anche là non vi sarebbero stelle oscure. La materia dunque, che po- trebbe assorbire la forza gravitazionale, sarebbe quella che costituisce i s0/z dell'universo, sia pure accompagnati dai loro piccoli pianeti e satelliti. È (') Les hypotèses cosmogoniques, Préface, p. LXVII. Seconde édition 1913. (*) loc. cit., p. LXV. RENDICONTI. 1919, Vol. XOSViLITAs99 Sem. DE (e) rg dunque assai poca cosa di fronte alla enormità degli spazii interstellari; e l'ipotesi di Poincaré, fatta a giustificazione dell'altra di Arrhenius, verrebbe completata dicendo che anche il vuoto debba assorbire la forza gravitazio- nale. Ciò va assai di là dai ragionamenti che qui ora svolgo; io mi limito invece ad avanzare l'ipotesi che sia proprio la materia, la causa dell’assorbi- mento della forza di gravitazione; e, non volendo arrivare a considerazioni che potrebbero diventare metafisiche, è mia intenzione di sottoporre quella ipotesi ad accurato esame, cercando di stabilire, ove sarà possibile, le neces- sarie verifiche sperimentali. Applicazione al caso del sole. — Prima di andare avanti in queste considerazioni, occorre vedere se nulla, di già acquisito alla scienza, contra- dica senz'altro il nuovo concetto di massa apparente. Sperimentalmente, sinora, niente giustilica tale concetto. Le nostre misure con la bilancia di Cavendish, sia pure molto perfezionate, o quella, già citata, di Laager, hanno sempre fatto vedere la costanza della masso, al variar del mezzo; ma ciò può spiegarsi con la mancanza di sensibilità negli apparecchi usati; e forse, con altri più sensibili, il risultato potrebbe esser diverso. Ora, prima di pensare alla costruzione di apparecchi del genere, sarà bene, uscendo dal nostro laboratorio, rivolgere l'attenzione ai fenomeni di fisica stellare, per vedere se nulla si opponga alla fatta ipotesi, e, meglio ancora, se da essi sì possano ricavare i criterii direttivi nella costruzione suddetta. Il caso che più probabilmente ci può offrire argomenti pro o contro la formulata ipotesi, è evidentemente quello del sole, che con la sua massa astronomica di 2.108 grammi (333,000 volte quella della terra), rappre- senta la più grandiosa agglomerazione di materia, a noi relativamente pros- sima. Questa è costituita dalla massa racchiusa nella fotosfera, chè quelle della cromosfera e della corona sono, di fronte ad essa, trascurabili. La densità media della massa solare risulta perciò di circa 1,41. Tutte le varie teorie sulla costituzione del sole, oggi accettate, ammettono natural- mente la esattezza di questa cifra; anzi. ne fanno un punto di partenza per la deduzione di molte caratteristiche della struttura solare, quale la distri- buzione delle densità, delle pressioni, delle temperature ecc. Ciò posto, è noto che, ammessa la temperatura superficiale del sole di circa 6000°, che certamente deve essere molto inferiore a quelle delle varie profondità, si dice che il sole sia costituito da una massa gassosa. Infatti esso è formato da elementi chimici, per la grande maggioranza a noi noti, ed i cui punti critici sono tutti al di sotto di 6000°. Ma si deve trattare di uno stato gassoso del tutto speciale; ciò perchè la vischiosità della materia, dovuta alla enorme pressione e alla densità media di 1,41 (assai grande per un corpo gassoso), lo fa rassomigliare di più allo stato liquido. Certamente si tratta di materia in condizioni del tutto diverse, da quelle che possono osservarsi o realizzarsi alla superficie della terra o nei nostri laboratorii. — 173 — Comunque, appare a primo esame alquanto strana la conformazione esterna del sole con dordî nettissimi; infatti si potrebbe credere che una massa gassosa, libera di espandersi, dovesse piuttosto presentare bordi sfumati. L’imbarazzo del fisico nello spiegare tale nettezza dei bordi, apparisce evi- dente quando si esaminino le differenti ipotesi avanzate per spiegarla. Così Schmidt, Julius, Abbot (1) sarebbero d’avviso che quella nettezza sia dovuta ad un'illusione ottica. Più attendibile è però l’idea del Bigelow e di altri che fanno vedere come il fenomeno possa essere dovuto ad un effetto termo- dinamico e gravitazionale. l gas, con peso atomico superiore a 40, passereb- bero, dentro 1/2000 del raggio solare, da una grande densità ad altra pic- lissima ed evanescente, al di sopra della fotosfera. I gas più leggeri, a partire dal Ca (p. at. 40), esisterebbero invece in misura notevole anche ad altezze spropositate, come può avvenire per l'idrogeno delle protuberanze. Più recen- temente uno studio del Véronnet (*) mostra come i gas reali sieno caratte- rizzati dalla esistenza di un vo/ume limite, con una densità dell'ordine di quella dei liquidi; e che la densità di essi crescerebbe, passando dalla cro- mosfera alla fotosfera, all'incirca da zero a quel valore, solo in una pro- fondità di 5 km. Tutto ciò ho voluto richiamare, per stabilire che, già alla superficie del sole, si ammette debba esistere una densità notevole (altrimenti, non si vedrebbero i bordi netti). Una seconda questione è quella di sapere come siano distribuite le densità della materia alle diverse profondità. nel sole. Ora il problema è legato all’altro della distribuzione delle temperature ed all'altro, ancora più incerto, anzi sì può dire del tutto indeterminato, della proporzione con cui i varî elementi sono compresi nella massa solare. Comunque, per giustificare il valore di 1,41, della densità media, e partendo da un valore quasi tra- scurabile alla fotosfera (*), alcune teorie (‘) portano ad ammettere al centro del sole una densità di 28,16 (Homer Lane) od anche di 31,5 (W. Thomson). Secondo altri poi, potrebbe esistere al centro del sole un nucleo addirittura liquido o solido (?). Queste ed altre citazioni, che per brevità non faccio, fanno vedere la grande incertezza che regna nelle teorie della costituzione interna del sole. Per cui, mi sembra, che esse non possano costituire argomenti atti a con- tradire la ipotesi, che oggi formulo, dello smorzamento gravitazionale. La massa del sole di 2,10? gr. potrebbe, secondo tale ipotesi, non essere che apparente; è la massa vera potrebbe superar quella, anche di molto. Baste- (1) Bigelow, A. treatise on the sun’s radiation. New York, 1918, p. 79. (*) Bullettin astron. de l’observ. de Paris, t. XXXV, p. 101, an. 1918. (3) Ciò è, secondo me, in contradizione col fatto della nettezza del bordo solare. (*) Bosler, Les théories modernes du soleil, p. 188-202. (5) Emden, Ann. d. Physik, VII, p. 176, 1902 e Bosler, loc. cit., pp. 217-281. — 174 — rebbe p.e., supporre l’esistenza neHo interno del sole di corpi a forte den- sità, per giustificare tale nuovo fatto, e nessuna delle teorie citate sarebbe sufficiente per lasciar negare la possibilità di ciò. Farò vedere presto con quali criterii sono riuscito a stabilire un ordine di grandezza probabile, del sospettato fenomeno ed a realizzare una espe- rienza di controllo, della esistenza di questo. Meccanica. — Sulle onde progressive, di tipo permanente, oscillatorie (seconda approsssimazione). Nota I di UMBERTO CRU- DELI, presentata dal Socio T. Levi-CIvita ('). Nello studio, in idrodinamica, delle onde progressive di tipo perma- nente, il Levi-Civita pervenne (?) all’equazione d N) Tio + im) w(f—im)|— io) È IS) TIE STRETTI (1) Pervenuta all'Accademia il 12 ottobre 1919. (3) Rend. della R. Accad. dei Lincei, II sem. 1907, pag. 77. Si pensi ad un canale rettilineo a sponde verticali col medesimo stato di moto lungo ogni retta perpendicolare alle sponde. Basterà allora istudiare cotesto moto in una se- zione parallela a coteste sponde. I caratteri qualitativi del moto stesso vengono supposti essere quelli che corrispondono ad onde propagantisi entro il canale senza alterazione di forma. La qualifica « permanente » sta qui a significare che, per un osservatore dotato della velocità di propagazione, il movimento ha carattere stazionario. Detta c la grandezza di cotesta velocità di propagazione ed assunto un sistema di assi .2, y, animati dalla stessa velocità, avremo che le componenti della velocità in discorso saranno — c, 0, supponendo orizzontale il fondo del canale ed intendendo l’asse y verticale e l’asse 7, scorrente sul fondo, rivolto in senso opposto alla traslazione. La regione del moto sarà rappresentata, nel piano 2 y, da una striscia L, semplicemente connessa, indefinita, limitata, inferior- mente, dall'asse 2 e, superiormente, da una linea libera /. Qualora questa linea consti di tratti riproducentisi periodicamente, le onde diconsi oscillatorie; diversamente si ha un tipo di onde, che comprende (come caso particolare) il caso dell’onda solitaria, studiata, sperimentalmente, da Scott Russell, da Darcy, da Bazin, e, teoricamente [in via approssimata |, da Boussinesq e da lord Rayleigh. Il movimento del liquido nella striscia L, semplicemente connessa, viene supposto ovunque regolare ed irrotazionale. Esisterà, perciò, il potenziale 9 (2, y) (potenziale di velocità) uniforme e regolare in L. La funzione sarà funzione armonica, a motivo della incompressibilità del fluido; quindi si potrà defi- nire la funzione associata w (detta funzione di corrente). Denotate con v e v le compo- nenti della velocità relativa del fluido in un generico punto (2, y), ammetteremo natu- ralmente che sia positivo il limite inferiore dei valori di u, dovendosi, ogni singola par- ticella fluida, ritenere dotata di velocità assoluta non rilevante in confronto alla velocità di propagazione (— c, 0), in modo, cioè, che la suddetta velocità relativa possa differire soltanto di poco dalla (c, 0). Ciò premesso, posto p+iy=f,u—iv=%w, e consi- pe — 175 — la quale può dirsi insieme differeziale e alle differenze finite. In essa î=| —1, mentre g è la grandezza dell'accelerazione della gravità ed / è la variabile complessa pg 4-7; tutto essendo ricondotto alla determina- zione d’integrali w (7) della (1), reali sull'asse reale, regolari nella striscia w= *g, finiti all'infinito e tali che la loro parte reale non scenda, in cotesta striscia, al disotto di una costante positiva (del resto. comunque pic- cola). Il caso, poi, che si tratti di onde oscillatorie, si traduce analiticamente 2rif nella periodicità di w (/) (con periodo reale); per cui, allora, posto È — e ® (dove è rappresenta il periodo), la funzione ew (/) diventa funzione uniforme e regolare della variabile complessa £ nella corona corrispondente, nel piano $, eni alla suddetta striscia. Posto, inoltre, a=e © (con che « resulta frazione propria), la corona C, corrispondente alla striscia w= = g, si trova limi- tata, internamente, dalla circonferenza |&|=@ e, esternamente, dalla circonfe- renza s i. E la equazione (1) si trasforma nella seguente : CAI A BARRE SE DIS 5 1g) 1(8) w(È ) 2r | w(ak) ae (#4 Le condizioni qualitative, imposte alla w, saranno allora le seguenti: essere regolare nella corona C; essere reale sulla circonferenza |É|=1: essere tale che la sua parte reale non scenda, in tutta la C, al disotto di una co- stante positiva. Posto w =c(1-+ «) (dove con e denoteremo la velocità di propagazione), avremo che l'equazione delle onde progressive di tipo permanente, nel caso si tratti di onde oscillatorie, potrà scriversi (col noto significato dei simboli) Fei D+( Dt (i) = — E e(at) +e(-) +elad)e(È) (Eee) e(È)( la quale sì trasforma in sè stessa nello scambio di é in -—. L'equazione Ss derato un piano di Gauss rappresentativo dei valori f, sul quale la striscia L viene rap- presentata in modo conforme dalla striscia limitata delle rette w=0 e w= 9g (essendo 9 la portata del moto relativo per unità di larghezza del canale, nell’ipotesi di ritenere unitaria la densità del liquido), il Levi-Civita pervenne a caratterizzare il problema mec- canico, relativo al suddetto moto di un liquido pesante, mediante la equazione funzionale superiormente riprodotta.. — 176 — in discorso può, brevemente, scriversi A (s) =B (e), dove A, come si vede, è un operatore lineare (nei riguardi di s e della sua derivata), mentre B è un operatore non lineare. L'equazione considerata dal Levi-Civita come caratteristica delle solu- zioni approssimate è la equazione A (e)=0. Ora, supponendo « sviluppabile in serie di potenze intere e positive di un parametro wu, cioò a =@, + $ (4), riterremo, in prima approssimazione, a =@,. Corrispondentemente l’equa- zione A (€) =0 verrà scritta (2) FAUCI + \e(a8)—e(È)i—0. Di questa equazione denoteremo con #, la soluzione (privata del ter- mine costante) uniforme e regolare in C e reale sulla circonferenza |}|=1. +90 Sicchè. «, (£)= > and (con a10=0). Mediante sostituzione nella (2), si 00. 2rres | osservi che dovremo avere identicamente NI sla + e) + (ai — ar) lant=0, dove hai Quindi, non tutti i coefficienti @,;s essendo nulli, è neces- sario che esista un intero |m| tale che (3) m(ar DIE E) +4 -&)=0, USI cioè OMNES k sli Cyraa PE m’ condizione che supponiamo soddisfatta. Si noti, incidentalmente, la conse- guente restrizione 4 >|m|. Ciò premesso, sì osservi che non possono esistere due interi |m|, fra loro diversi, tali che la (3) resulti, da entrambi, sod- disfatta. Infatti, dalla (3), si ha metli_ k. Ora, se esistessero due ai” v(aiv +1) 1— a (considerata come funzione di v) assumesse valori fra loro eguali, dovrebbe esistere almeno un valore positivo di v annullante la prima. derivata di cotesta funzione; cioè dovrebbe essere, per un certo v positivo, valori positivi di v, in corrispondenza ai quali l’espressione ai — 4vaî' loga,= 1. Ma, per v= 9, il primo membro di cotesta eguaglianza vale uno; dunque — 177 — dovrebbe esistere anche un valore positivo di v annullante la prima derivata della funzione ai — 4v aî' log @,. Dovrebbe, pertanto, aversi pure ai — 2vloga,= 1 in corrispondenza ad un certo v positivo. E quindi, con ragionamento ana- logo, anche aî'= 1 per un certo valore positivo di v. Il che è assurdo, essendo &«;, reale e diverso dall'unità. La «,(5) resulta dunque espressa mediante @1,m $" + @,-mé-", in cui porremo 4,,m = #1 + ius, 4,,-m= # — im», affinchè essa resulti reale sulla circonferenza |É|=1. Noi assumeremo us=0,#}=#; sicchè e (€) =p(8" +5"). Per semplicità, supporremo |m| = 1; ed avremo così la soluzione di Airy, s.(E#)=pu(5+5), dell'equazione (2), dove, in tal caso, @, = Vi (intendendo preso del radicale il valore aritmetico). Ora, si consideri l’equazione A(#) = B(«1). Ivi si metta @,(1— as 4°) al posto di @, ed a7!(14+- @.w°) al posto di a; e, inoltre, si metta e,= 1 — W® I ags(8 +) al posto di e. Dopo avere osservato che il 2 secondo membro B(£,) contiene u* come fattore comune, si assumino o = 2, =3 e sì trascurino nella A(e,)= B(e,) i termini che contengono w con grado superiore al terzo; poi si dividano ambo i membri per uf. Avremo, così, identicamente, ana — ' + E(a + ar) {(F- 5) + o s(el+ ar) + Aci — am) (E — 89) = Qin) (ESILE La). Intanto, a:3=0 per s+3. Inoltre, tenendo presente che @, -V3 1° resulta n 2k 2 k? 1 s e, infine, ka — L Solera Nell'ipotesi di validità del metodo di approssimazioni successive che: scaturisce manifesto dalle presenti considerazioni, ritenendo la funzione di Airy, «1 =u($ -|- #7), come soluzione in prima approssimazione della equa- zione A (8) =B (e), potremo riguardare la funzione ko —i1 eo = p(E+ 8) — 7 a+ 8°) come soluzione in seconda approssimazione dell'equazione medesima. Per una prossima Nota ci riserviamo lo studio di dettaglio connesso con cotesta seconda approssimazione (formazione esplicita dell'equazione del pelo libero; espressioni delle componenti di velocità, ece.) ed il raffronto coi resultati di Stokes. f Meccanica. — Deviazione dei raggi luminosi in un campo elettrico o magnetico uniforme, secondo la teoria di Einstein. Nota di Rocco SERINI, presentata dal Socio T. Levi-CIvita (*). Supposto che uno strato di spessore /, occupato da un mezzo impola- rizzabile (aria o vuoto), sia sottoposto all’azione di un campo elettrico o . magnetico uniforme, normale alle faccie dello strato e di intensità C, lo spazio ivi compreso non rimane più, secondo la teoria di Einstein, rigoro- samente euclideo, ma si atteggia a varietà normale del Bianchi. Inoltre la velocità della luce non è più c = 3.10"'° cm/sec, come in assenza di ogni causa perturbatrice, ma varia da punto a punto del campo; e parimenti l'andamento dei raggi non è più rettilineo. Nella presente Nota determino l'andamento d'un raggio nello strato, ottenendo il valore per la deviazione del medesimo, supposto che confini con continuità ottica, cioè senza dar luogo a rifrazione, con un mezzo in cui la velocità della luce è c. Nell'ultimo paragrafo studio numericamente la formola ottenuta, dimo- strando la pratica impossibilità di misurare direttamente tale deviazione con esperienze da laboratorio. Non sarebbe forse invece improbabile mettere in evidenza qualche divario con esperienze interferenziali. 1. Richiamo di alcune formole (*?). — Nell'ipotesi precedente, di un campo elettrico (magnetico) uniforme, il Levi-Civita dimostra che, se (3) Pervenuta all'Accademia il 7 ottobre 1919. (®) Vedi T. Levi-Civita, Realtà fisica di alcuni spazi normali del Bianchi, Rend. Lincei, 20 maggio 1917. pe si De — 179 — p=_— Cs è il potenziale del campo, il ds? dello spazio è dato da (1) ds? = ds* + daî + sen? t de , dove Reee (2) i Vf. C ? essendo /= 6,6 .107* (CGS) la costante dell'attrazione universale. La velocità della luce è data allora dalla relazione È aa. (3) V=ceR +-.cse R, con c;, Cc, costanti da determinarsi. sd (puri numeri) sieno tali da po- terne trascurare le potenze superiori alla seconda: ipotesi ampiamente giu- ! stificata dall'ordine di grandezza di R. In tale ipotesi il ds* si può considerare euclideo. Infatti le superfici z= cost. hanno per metrica Supporremo d'ora innanzi che x drî + sen? KR daz, Hi ì % GRIN I 5 che per l'ipotesi precedente. ponendo senz ={-="} , si può scrivere p p R R p dr'+atd($) I 1 RI}: che è l'elemento lineare del piano in coordinate polari (0 Lo 0) è La (1) si può quindi ridurre alla forma euclidea (1°) ds° = da° + dy*;+ de?, quando si introducano coordinate cartesiane ortogonali. Prenderemo allora per piano 2 = 0 il piano mediano dello strato. 2. Velocità della luce: andame»rto del raggio luminoso. — Le co- L stanti ci, cs della (3) dovranno essere calcolate come segue: Per 3=— 3 i e z=_, deve essere V=c. Scrivendo allora la (3) sotto la forma 3 z Z Mex cosh +7 sen RE: RenpIcONTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sem. 24 CERO si trova immediatamente, colle date condizioni ai limiti dello strato, (3) Ve cos à se Di 2R Ora l'andamento dei raggi luminosi corrisponde all'equazione variazionale (4) af _=0 1) e quindi, ricordando la (1') e osservando che a noi importa solo l’anda- mento dei raggi, possiamo dire che il nostro problema è ridotto a conside- rare le traiettorie del problema dinamico ordinario, in cui il potenziale sia (5) ESSO. Ra te R e l'energia totale nulla, il che dà la condizione (6) è + g°=2U. Ora, nel nostro ordine di approssimazione, si 2.) (5') Us 1 Re): Ne risulta, dalla (6), per il quadrato della velocità iniziale, il valore 7 5 o? (6 ) U = 1 4R? . Il nostro problema è ora ridotto al seguente problema elementare di meccanica: Un punto materiale parte dalla posizione (0, 0, -4) con velocità di grandezza v,, avente una data direzione, sotto l’azione del potenziale unitario (5'). Quale ne è la traiettoria? (1) Vedi T. Levi-Civita, Statica einsteiniana, $ 4. Rend. Lincei, 6 maggio 1917. — A. Palatini, Lo spostamento del perielio di Mercurio e la deviazione dei raggi lumi- nosi secondo la teoria di Einstein, Nuovo Cimento, luglio 1917. — 181 — Appare intanto ch'essa è piana: quindi, preso tale piano per piano 2%, avremo le equazioni differenziali (7) go n SAT colle condizioni l 3 2 x=0, eo) , L="U00090) , $=%,560a;, per é#= 0, indicando con a, l'angolo del raggio coll’asse «. Con tali condizioni si ottiene immediatamente \ arx=W% C082,.È, 8 L i (8) ) s=— 5 cos +Rosena seng. Osserviamo ora che, se non ci fosse perturbazione, si avrebbe R=0 e quindi vy== 1. La traiettoria sarebbe rettilinea e il mobile impiegherebbe per attraversare lo strato: del rapporto da si pos- a, R sono trascurare le potenze superiori alla seconda. Essendovi la perturbazione, il tempo T necessario per attraversare lo il tempo T,= —- strato deve differire da T, per quantità dell'ordine almeno di + La con- clusione precedente deve quindi valere per T e per ogni ‘, Ha, 08N3.H30 Calcolato 1072506 Hp.fb:89 N 4,84 Trovato » 72,40 » 6,32 » 4,54(1). La porzione insolubile in acqua bollente non è altro che il derivato benzoilico. Per purificarlo si può. cristallizzare ripetutamente dall'alcool in presenza di carbone animale; o meglio si può trasformarlo prima nel clori- drato, che cristallizza assai bene dall'acqua e dall'alcool, e successivamente scomponendo il cloridrato con ammoniaca. Il derivato benzoilico cristallizza dall'alcool sotto forma di aghetti in- colori fondenti a 174°, solubilissimi in piridina ed in benzolo a freddo ed a caldo, assai solubili in alcool bollente, meno a freddo; insolubili in ligroina ed in acqua. All'analisi sì hanno dei numeri alquanto inferiori per il carbonio. CeHy CO . CH, 0.Ns Calcolato C 76,71 H 5,98 Trovato » 75,24 » 6,20 Questo benzoilderivato, saponificato con potassa alcoolica o idrolizzato con gli acidi, dà acido benzoico. La base non fu possibile però riottenerla pura. Il peso molecolare fu determinato usando come solvente il benzolo: M Calcolato 438; trovato 440 (*) Per riscaldamento la sostanzafperde, assieme all’acqua, acido benzoico: la perdita di peso è del 5,26 9/0, anzi che del 3,15 °/, come si calcola per una molecola d’acqua. — 187 — Il benzoato del derivato benzoilico fondente a 127°, sciolto in acqua bol- lente e trattato con ammoniaca. fornisce lo stesso derivato benzoilico fon- dente a 1740. Il cloridrato si ottiene sospendendo il derivato benzoilico in molta acqua bollente ed aggiungendo acido cloridrico in quantità calcolata. La base si scioglie e per raffreddamento si hanno piccoli aghetti inco- lori fondenti a 219°, poco solubili in acqua fredda, pochissimo solubili anche a caldo in acido cloridrico. Questo cloridrato come ho detto più sopra cri- stallizza assai bene anche dall'alcool. Anche questo derivato dà numeri alquanto inferiori per il carbonio: : CeH.CO.C,,Hx,0,N,.HCI Calcolato C 70,81; H 5,68 Trovato » 69,82; 69,32 =» 6,08; 5,81. Il cloraurato cristallizza assai bene dall'alcool, sotto forma di aghetti gialli fondenti a 1959. C», Ha, 0,N,. COCHs HO. AuCl; Cale. Au 25,31; trovato Au 25,39. Anche il bicromato si ottiene assai facilmente sotto forma di aghetti sottili giallo-rossastri, pochissimo solubili in acqua fredda, un poco più in acqua bollente. (Ce1 Ho 0 Na. COCH;): H3 Cra 0; Calcolato. Cr 9,50; trovato 9,45. Il solfato ed il nitrato sono ambedue ben cristallizzati, ed assai poco solubili. L'azione fisiologica, che presenta un certo interesse per la presenza del gruppo benzoilico, è decisamente stricnica, e, per le esperienze eseguite dal prof. R. Luzzatto della R. Università di Modena, circa dieci volte inferiore a quella della stricnina. i La presenza dell'idrossile nella molecola dell’ isostricnina, che si deve ammettere per il contegno di questa base col bromo, può considerarsi come dimostrato dalle esperienze descritte in questa Nota. In, relazione alla presenza dell’idrossile sta forse il contegno di questo alcaloide col nitrato d'argento ammoniacale e col liquido di Fehling; reattivi che vengono da esso ridotti come ha fatto osservare Pictet ('). (®) Berichte 38, 2787.‘ ReNDICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 25 — 188 — Chimica. — £icerche sopra i nitroderivati aromatici. VIII: Azione della fenilidrazina sul trinitro-p-xilene e sugli eteri del 2,4, 6-trinitro-m-cresolo (*). Nota di MicHELE GIUA, presentata dal Socio G. PATERNÒ. La fenilidrazina reagisce col trinitro-p-xilene come reagisce coi nitro- composti aromatici contenenti un gruppo nitrico labile. Questa reazione è stata descritta in una Nota precedente (?). La reazione fra fenilidrazina e trinitro-p-xilene si compie a caldo, per lunga ebollizione in soluzione alcoo- lica, nelle seguenti fasi: I. CH, CH, xo, di bea: ON 7/0: + A AO, + HO. NO CH; CHz IL CH; CH; 0,N7 a fl \NE.NH.C,H; eee + H:N.NH.C,H5=0N N0; + CeHe + N, + H.0 CH, i CH3 III. CH; CHs /“- VUU (FP) Ora la (19:) dà V.-—-d@{0U UN47/40 ae; et] eo) (Ae GL atri ta(T°) o Vor ed escludendo il caso V=0 che riporta alla soluzione già nota A=0,! B= —U, sarà anche V'+ 0, e la (21) si scrive PA ESRI LIE i) 1 UE ov U' du (° I uiue: I Ne segue che si ha necessariamente UUE (22) uu” = k (costante), con X# 1, indi L'A 2 22* de (097) V(1—-k)v' e integrando CLS (28) V= av!" con a nuova costante, come anche dalla (22) (24) UEcUs con c costante. Rimane ancora da soddisfare la terza delle (19), per il che si osservino le formole l+k e LI 1 d (U 1-% IN) 2 O ZATTIZ mani] pari k_ID' VUU I (6 U ’ prize e U b) du (7) U U 6) Ì xk CE: 1-k SI, a Boyer 2g Us; Ve 2 Ve e sostituendo nella (193) e riducendo, viene (+4) (1-4) qa _A-Me pa _ 144 4 2 1—-%° Sdi e — 221 — Di qui si vede che, oltre al valore X="1, deve escludersi anche k=--1, e resta la formola 2e 4 U1+% RESO ASA PSA (0) ssh + (de) dalla quale, derivando, segue la (24). Per questa classe di superficie spirali avviene che il sistema differen- ziale (19) ammette co! soluzioni, dipendenti dalla nuova costante a arbi- traria nella formola (23) per V. Esse sono quindi applicabili sopra infinite altre superficie spirali senza che sì corrispondano nell’applicabilità le eliche cilindro-coniche, e può dirsi che fra le superficie spirali esse tengono il posto analogo a quello che compete alle superficie di curvatnra costante fra le superficie di rotazione. Fisica. — Sulla gravitazione. Nota II del Corrisp. Q. Maso- RANA (‘). Probabile natura energetica della gravitazione. — Secondo le fatte ipotesi, si può ammettere, per spiegare il fenomeno gravitazionale, che dalla materia, qualunque essa sia, sì sprigioni continuamente un flusso di energia, che voglio chiamare /lusso gravitazionale; questo, andando a colpire altra materia, e con un meccanismo di cui sarebbe ora prematuro il parlare, deter- minerebbe la formazione delle forze newtoniane. Esso inoltre, pur essendo dotato di un grandissimo potere di penetrazione, finirebbe per essere assor- bito, sia pure parzialmente, dalla materia. Ora, per rispettare il comune principio della conservazione dell’energia, occorre completare queste vedute con l'altra che /a materia sia in uno stato continuo di trasformazione; la perdita di energia da sua parte, co - risponderebbe a tale lenta trasformazione. Un tale ordine di idee non è del resto nuovo nella scienza: basta pensare alle moderne teorie di fisica cor- puscolàre, ed alla radioattività; colla differenza che p. e., il radio si tra- sforma in qualche migliaio di $anni, mentre per tutte le altre specie di materia occorrerebbero tempi, di ordini di grandezza assai superiori. Le nuove caratteristiche del fenomeno gravitazionale sarebbero dunque: emissione di energia da parte della materia, progressivo assorbimento di questa col propagarsi della forza gravitazionale a traverso altra materia esi- stente nello spazio; la forza attrattiva potrebbe essere una conseguenza di tale assorbimento. A questo punto, e sempre se le ipotesi fatte sono atten- (1) Pervenuta all'Accademia il 13 ottobre 1919. c DO 29 — dibili, si arriva ad un'altra conseguenza di estrema importanza: l'energia gravitazionale assorbita dalla materia non può perdersi; dovrà, se mat, trasformarsi e ciò potrà avvenire dando luogo p. e., ad energia calorifica. Ciò equivale a dire che materia, în presenza di altra materia, si riscalda. Non mi nascondo la sorpresa che tale ipotesi possa suscitare fra i cultori di fisica; è perciò che, come ho già detto, io la avanzo con tutte le riserve possibili, pronto a prendere in considerazione tutti quegli elementi, che ora possono sfuggirmi. Ma, sin da ora, a conforto di tale ipotesi richiamo l’atten- zione del lettore su qualche fatto astronomico o cosmogonico. È noto il di- saccordo tra i fisici ed astronomi da un canto, ed i geologi e biologi dal- l’altro, circa l'origine del calore solare. La teoria di Helmbholtz sulla pro- gressiva contrazione del sole non concede a questo astro un'età superiore a 50 milioni di anni ('). Più recentemente il Véronnet (?) crede poter ridurre questa cifra a soli 2 milioni. Per contro i geologi stimano l'età della terra a cifre comprese tra 50 milioni ed un miliardo di anni. Essendosi, secondo la teoria di Laplace, la terra formata dopo del sole, ne deriva che questo astro deve avere un'età almeno eguale, il che è in contraddizione con la teoria di Helmboltz. Non mancano però teorie cosmogoniche che attribuiscono alla terra una vita passata superiore a quella del sole (*); e vi ha chi, come il Véronnet, accusa i geologi di errare nelle loro determinazioni. Tutto ciò indica il contrasto di idee ancor oggi esistente, fra gli scienziati, nell'inter- pretazione di uno fra i più grandiosi fenomeni naturali; questo contrasto fa quindi pensare alla nostra ignoranza di qualche fatto, che potrebbe contri- buire a mantenere il calore solare. Un sospetto del genere venne, quando si scoprì il radio, che, con il suo continuo sviluppo di calore, avrebbe potuto fornire un'elegante via di uscita nella controversia; ma la vita relativamente breve di quel corpo, ed il fatto che esso non si rivela come esistente alla superficie del sole, sono argomenti che tolgono valore ad una spiegazione del genere. La questione della origine del calore solare, non è dunque ancora risolta con sicurezza. Un altro fatto che voglio richiamare, è quello della relativa assenza di stelle oscure nel cielo. Si sa anzitutto che la proporzione fra le stelle bianche, o leggermente gialle, e quelle rosse, o vicine alla cosiddetta fase di estinzione, è di circa 95 a 5(‘); questo è un fatto rilevato direttamente, il quale può venire posto in raffronto col ragionamento di Poincaré citato in principio di questa Nota. Sembrerebbe da ciò, che si possa concludere, per spiegare la costituzione del nostro cielo, che tutte le stelle che vediamo si sieno accese (1) Vedi Poincaré, loc. cit., pag. 209; Bosler, loc. cit., pag. 149. (2) Les hypothèses cosmogoniques. Paris, Hermann, 1914, pag. 121. (?) Faye, L'origine du monde. Paris, 1907, pag. 281. (4) Faye, loc. cit., pag. 253. — 223 — quasi contemporaneamente. Ciò vale secondo le idee sin qui ammesse; e siccome a taluno sembra strana questa coincidenza di età degli innumerevoli astri che ci circordano, così si è voluto far intervenire la mano di Dio, per spiegare la formazione di questi. Ora è evidente che una tale concezione esce dall’èmbito delle scienze positive, e che ad essa sì deve solo ricorrere, quando il fisico non ha da applicare leggi e principii, precedentemente ri- conosciuti. Le nuove teorie da me proposte, ed in particolare quella della trasfor- mazione in calore dell'energia gravitazionale, darebbero ragione, tanto della enorme quantità di calore emessa dal sole (e quindi di un'età di questo assai superiore a quella derivante dalla teoria di Helmholtz), quanto della relativa assenza di stelle oscure. Si potrà concludere infatti, secondo tali teorie, che le agglomerazioni di materia debbono dar luogo ad una sopraele- vazione di temperatura tanto maggiore. quanto più grande è la quantità di materia raccolta in un determinato spazio. Glì astri di dimensioni parago- nabili a quella del sole non potrebbero essere che incandescenti, e solo quelli simili al nostro globo terrestre, sarebbero freddi. Ma tutto ciò non costituisce che un'ipotesi, sulla cui probabilità, un'accurata discussione, 0, meglio, ri- cerche delicate di laboratorio, potranno in avvenire gettar luce. Matematica. — n icorema su certe equazioni funzionali e sua interpretazione meccanica. Nota di GIULIO ANDREOLI, presen- tata dal Corrisp. MaRrcoLONGO ('). 1. In alcune ricerche sulle equazioni integrali singolari, sono state da me considerate funzioni del tipo f(x + at). Su queste funzioni si può enunciare un teorema semplicissimo che am- mette una immediata interpretazione fisica. Il teorema è: Non si possono trovare n funzioni fi fx, »fn, le quali soddisfano identicamente, per ogni x e per ogni t, alla (A) "=/1(0+ at) +fs(2 + 20) 4+-- 4 /an(0 + a2t)=0 a meno che esse non siano polinomi di grado n —2 al più, se le a sono co- stanti tutte diverse fra loro. Ne segne immediatamente il corollario: (*) Pervenuta all'Accademia il 26 ottobre 1919. — 224 — Non esistono mai funzioni f soddisfacenti alla (A) se ad esse si im- pone la condizione di avere, in tutto l'intervallo (— 0, + do), modulo mas- simo finito. Sulle / non faremo nessuna ipotesi, salvo che esse non siano totalmente discontinue. Nel caso però che esse ammettano derivate, sino all'ordine 2 — 1 in- cluso, la dimostrazione è quasi immediata. Infatti, indicando con 91,92,» 9n tali derivate, si avrà ovviamente LF date! i Wote Pe In =0 °F dani Q + o Gt + an In (0) DO : Fr n_l n—l nl ){n1 Tia Qt gitt--- + In= 0 Ora queste ultime relazioni dànno precisamente un sistema di 7% equa- zioni omogenee ad 7 incognite (le 9). Siccome il determinante di tale si- stema è precisamente il determinante di Vandermonde relativo alle @, ... @,, e questo è diverso da zero, così avremo, come solo sistema di valori che le risolva, 9=92= Ya3=-= n= 0. E siccome queste sono le derivate (n — 1)-esime delle /, si deduce che le / stesse (se derivabili x — 1 volte) devono essere dei polinomî di grado 2 — 2: si vede che in tal caso esse possono effettivamente soddistare la (A). Un'altra via, in tal caso, è indicata in fondo. 2. Nel caso che invece le / non si suppongano derivabili, bisogna pro- cedere alla dimostrazione per induzione completa. Supponiamo quindi vero il teorema per n, e dimostriamo che esso è vero anche per x +1. Consideriamo perciò la funzione Da, = tt) +4 fut (01 + n 0) e diamo ad 7 un aumento è, alla un aumento 4%; avremo (04 A0+A=/(+at+h) ++ /ar (£ + nat + das) ove si ponga L=h+ ak. Ora poniamo /,+,= 0, cioè R= — @n+:17: supponendo, ciò che non lede la generalità, @,-1 0. Se @n+, fosse nullo, vi sarebbe almeno un altro a diverso da zero, e muteremo gli indici. — 225 — In tale ipotesi, la /; diventa dAyj= (GC; — &n4) È 3 Ann = 0. Avremo quind D(r — an hi) t +4) = = f (1 ++ A) +4 /a (0 + n + An) + fava (€ + 0001 8); e se la ® fosse identicamente nulla, anche quest'ultima sarebbe tale; dun- que, in questa ipotesi, la loro differenza sarebbe ancora identicamente nulla; avremo cioè 3fa+at+4)- (x +@ad)}+ +-+ Jfno+ant +4) — ne +Poni)f kt sl Ifn+: (CE 00418) — fasi (x + an+4:0)f = ={c+attX)- (+ ai) + pr e I/n(Ct4ant +2) — fa(e + ant)}=0 identicamente. Ora noi abbiamo supposto vero il teorema per x; le differenze h(aLattAd—fi(a + at) sono a lor volta funzioni di x + a;t; dunque tutte le prime x fra le / sono tali che It) —f() è un polinomio di grado x — 2 al più: e quindi se esse hanno un sol punto di continuità (*') dovranno essere le / polinomî di grado (a — 1) al più. Ed allora, essendo aliene n) anche la /+, sarà un polinomio di grado x — 1, e resta dimostrato vero il teorema per x + 1, se esso vale per x. Intanto, per n= 2, si ha l'equazione fia +09) +/2(x + a!) =0. Ponendo in essa x = — @,/, si trae, qualungne sia é#, f.(0) + fe((e — @1)t)=0; ciò che ci dice essere /» (e quindi /,) costante (polinomio di grado zero). (') Basta ripetere, per dimostrare ciò, quanto si fa nel caso dell’equazione f(@a+y)=f(0) +f(g). — 226 — Così, per il principio d’induzione completa, resta dimostrata la vali- dità del teorema. 3. Una conseguenza importantissima di tutto quanto precede è che: TrorEMA II — Se una funzione F (x, 1) è rappresentabile mediante la somma di n funzioni fi(x + at), essa non lo è che in un sol modo, escluso tutt'al più dei polinomi di grado 2n — 2. Infatti, supponiamo dapprima che sia Pl, )= I fi+a9+Y gil@ +8) e che sia anche scrivendo nei primi due sommatori i termini che hanno le stesse @, ed ove può essere anche m=7, 0 m=0, e quindi possono mancare rispettiva- mente il primo o il secondo sommatorio, : Se tale doppia rappresentazione esiste, facendo la differenza si avrà 0=D bile+ a) + gie + Bi) + Mile + ne) ove 0=/— gp. Intanto, per il primo teorema tale identità è impossibile, a meno che le 6,y,h siano polinomî di grado 2x — m — 2 al più; e resta dimostrato l'assunto. Ne segue il corollario: Una funzione F(x ,t) il cui modulo massimo sia finito, se è decompo- mibile nella somma di n funzioni f(x — at), anche esse aventi modulo mas- simo finito, lo è in modo unico e determinato. Infatti sarà allora mod / ; mod g;; tutti minori di A; quindi mod F limitato. Ora un'altra decomposizione dif- ferisce da questa per dei polinomî, e quindi non potremo avere mod g ; mod è finiti. In altri termini: per il ragionamento fatto, le 9,9, devono essere dei polinomî da un lato e quindi il loro modulo massimo è l’ oo. Dall'altro, se esistesse una doppia decomposizione del tipo detto, i loro moduli debbono restare finiti; e quindi vi è contraddizione. 4. È facile poi notare che, nell'ipotesi che vi sieno derivate -sime, la decomponibilità della F in funzioni del tipo detto equivale ad affermare aituntivicza È N>ai che essa soddisfa a E OS 0 da y; balia 0 n ove le radici di ad È" +-.--+a,=0 sieno le a. Cioè vale il Trorema III. — Se abbiamo F=fi(x — a0)+/.(a— 60 + cceb/a(e — asl), avremo anche 2” F da” OM=atita i+. +at=o de DI e reciprocamente, sempre che le radici della E +. bPan=0 sieno le «. La dimostrazione della diretta è semplice e si riduce ad una VG, Per dimostrare l'inversa, sì ponga o. M=(>- 32) M=o. Si ricava subito On (Fl=W(d — 20) (W arbitrario) e si ponga allora Si avrà Ono (F) = wa (0 — ant) + Ward -— @n10) ove w», si ricava facilmente da w,, e ws, è arbitrario. Così proseguendo, arriveremo proprio a scrivere F=fi(a — at) +-+ /n(a — ant). È facile poi risalire da tale teorema a quello enunciato in principio. 5. Passiamo intine a dare l’interpretazione fisica di tale teorema di analisi. RenDpICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 30 — 228 — Se in un certo corpo alcune proprietà subiscono una variazione, e questa si trasmette progredendo con velocità @ e restando immutata come inten- sità, tale variazione si porrà (') sotto la forma /(x 4 @t): intendendo che in un punto «, al tempo %,, la variazione abbia lo stesso valore che in xs al tempo %,, se (£° — x)=a(h — = to). Se per una qualunque causa si sovrappongono diverse di tali variazioni, supposte piccole e minori in valore assoluto di A fisso, esse con la loro sovrap- posizione non daranno mai luogo ad un movimento della stessa natura, se le velocità delle componenti sono tutte diverse fra loro (le diremo perturbazioni semplici). Infatti, da quanto si è detto, non potrà mai aversi n—_l D fr(e + art) = /n(x + ant) se le « sono diverse tra loro, a meno che le / sieno polinomî; ed in tal caso contraddiremo all'ipotesi fatta: Mod / < A (fede): In un caso speciale, ciò equivale a dire: In tutti 1 problemi fisici, la cui soluzione dipende da d d° 4 METTERE la sovrapposizione di n di queste perturbazioni ds ia dg; Degni zitta 5 @ non dà mai luogo ad una perturbazione tale che DIG DPL ne ni B Infatti, per note teorie, le soluzioni di tali equazioni sono: (1 + Va; 1) 4 gi(e — Vas 1) (=). (*) Almeno nel caso più semplice di variazione per piani paralleli ad un dato; in altra Nota tratteremo il caso più generale ed anche l'estensione del teorema per funzioni f(®-tat,y+-Bt) oppure /(ur+»y +e): dSLÉ dii RR — 229 — Quindi, escluso il caso dei polinomî, non potremo trovare delle /, tali che Silo+/an+Ygi(e-1an=0. poichè, trattandosi di perturbazioni, i moduli delle /,g restano finiti. Nasce quindi il problema, che ci proponiamo di studiare: Trovare le perturbazioni semplici, che compongono una assegnata F(x,t) a modulo finito, dopo che siasi riconosciuta la possibilità di tale decomposizione (vedi teor. III). Tale teorema e tale problema possono avere una importanza capitale nella marea e nella previsione del tempo. Meccanica. — Deformazion simmetriche del suolo elastico. Nota I di Rocco SeRINI, presentata dal Socio T. Levi-Civita (*). Del problema della deformazione del suolo elastico omogeneo ed iso- tropo si conoscono più metodi di risoluzione: nessuno di questi considera però specialmente il caso della deformazione simmetrica rispetto ad una normale al piano, deformazione generata da condizioni al contorno che go- dano della stessa simmetria. Questo caso, che mi pare di qualche interesse, viene considerato nel presente lavoro. Mi servo pereiò di alcune formole semplici del Beltrami per la deter- minazione di funzioni armoniche simmetriche nel semispazio limitato da un piano. Nel $ 1 enuncio il problema, mentre nel $ 2 trovo la soluzione gene- rale delle equazioni indefinite dell'equilibrio. Tale soluzione contiene due funzioni armoniche arbitrarie. In una Nota successiva, $$ 3 e 4, mostrerò come si possano determi- nare queste due funzioni, rispettivamente per dati spostamenti e per date tensioni al contorno, accennando anche ai casi misti, che si risolvono pure senza difficoltà. Tutto si riduce alla risoluzione di due semplicissimi tipi di equazioni integrali, uno dei quali fu già considerato dal Beltrami (*). 1. EQUAZIONI INDEFINITE DELL'EQUILIBRIO. — Prendiamo il piano del suolo per piano z= 0, e il suolo occupi la regione s > 0. Possiamo sempre supporre che siano nulle le forze di massa, cosicchè le equazioni indefinite (*) Pervenuta all'Accademia il 16 ottobre 1919. (*) E. Beltrami, Sulla teoria delle funzioni potenziali simmetriche, Mem. Accad. Bologna, serie IV, tomo II oppure Opere, tomo 3. CENI0IO dell'equilibrio sono, indicando con #,w,w le componenti dello spostamento (1) ; gori si Se le condizioni ai limiti sono simmetriche rispetto all'asse 2, la w sarà funzione soltanto di 2,7 = |? +y?, e inoltre (2) u=axf(f,3) , v=yf(f.2), cosicchè le prime due delle (1) saranno in sostanza identiche. Dalle (1) si ricava in modo ben noto (3) A 00 Supponiamo di conoscere 0: si osservi allora che, per la (3), 30 A°(6)=2, d e quindi dalla terza delle (1) si avrebbe 2° — 3 dg sr, (4) w=T essendo W una funzione armonica da determinarsi. Dimostrerò ora che la conoscenza delle due funzioni 0, W permette di determinare la soluzione generale del sistema (1); per il quale scopo basterà ora trovare la funzione /(7,) che entra nelle (2). 2. INTEGRALE GENERALE DELLE EQUAZIONI INDEFINITE. — Si consi- deri la funzione cilindrica di prima specie d'ordine zero, In (4). Allora la funzione (5) o(r,a)= fe 5 In (18) w(s) ds, dove r= |/x*+y?, è nel semispazio « = 0 una funzione armonica, simme- trica rispetto all'asse 4 ed anche la più generale, potendosi, data (7,0), cioè i valori della funzione sul piano, determinare in modo unico la fun- zione W(7) (?). (1) Vedi p. es. R. Marcolongo, 7'eoria matematica dell’equitibri, dei corpi elastici, cap. IV. Milano, Hoepli. (2) Vedi Beltrami, loc. cit., $$ 2, 3, 4 la ETERO, al) “ai — 231 — Le due funzioni armoniche 9 e W saranno allora date rispettivamente dalle formole (6) 0 =fa 10 (75) x(5) ds, (7) Ww= (el(r94M9) ds. “0 Veniamo ora alla determinazione della funzione /. Perciò osserviamo che dalla quarta delle (1) si ricava du do gd dI dY d8 ossia, per le (2), | df dw 8 Ai cl) 18) a S Dalle (2) sì ha 1 d/ xd 2, — vr A° A N 4 —_ — è» dA a ezio essendo poi sì ottiene, coi risultati precedenti, dalla prima delle (1), divideudo per x, SAI si (2/+r A) + Tio, CORTILI TANT de° (02) e quindi, per la (8), (9) i me r\w? dr dr da df 1 (È DI De) ; d°F Ln Ridurrò ora il secondo membro alla forma Juli avremo quindi 3 (=F+40) +0), e le funzioni /(7), (7) saranno poi da determinarsi in base alla (8). Consideriamo perciò la funzione (6°) 0; ni f ec I0(1°8) #5! ds. [La funzione sotto il segno si mantiene finita anehe per s= 0, perchè Ip(x) — 232 — si annulla di primo ordine per x = 0]. Per la 6, vale la relazione, facile a verificarsi, d°0, 30 Ho) de iI Si osservi inoltre che, per la (4), duo: (8° - 0° È d°W dr da __. 20? STE SA de uu der Ma ora, per la (10), i IA E (0) arredi da sal o) = AU da x: de per di più, posto "00 (77) W.=— | e1(r5) 2(8) 4s, 0 si ha d°W *W, (10”) Pla dr dE d8 Dalla (9), tenendo presente l'osservazione fatta e le formole (10), (10°), (10"), otteniamo l PI (11) fWa=_i(c00+ 9 wi) +0) + 0). avendosi posto 22 + 0° 9° — 3 (12) dig 20 2 23 Rimane ora da verificare la (8). Osserviamo perciò che dalla (11) si ottiene 1 di 2/+r3l=—a(20,+42)_gt(- GS Lt +iw, Ai sl + 2(2/+ rl) +2m + rm. Dimostriamo ora che 1 29 = POS) r 0, + dr ’ Sai di VD Pr AIA NESTA RO a Infatti, dalla (6°), (13’) £ 0, 2A (O Và AG K(r8) +1 (13) | x(s) ds Ora la I (x) soddisfa alla equazione differenziale (*) d ; po (0h(0)) =— xI(x); quindi nel nostro caso d ; ona (rI(r8)) = — rsli(r8), ossia I(7s3) + slo (rs) = — 810 (78). Dalla (13'), tenendo conto di quest'ultima relazione, ne scende la prima delle (13): analogamente per la seconda. Ne viene df PA 2f+r 3 — a6+02 3 ce TT +34) +22+ rm : ma dalla (4) dw 230, dW “ala quindi, essendo Cis f =1, ne risulta P) 2/+r I =6_ 2 (22472) +2m + rm. Confrontando colla (18), si ottiene, per determinare /,#, l'equazione 3(224- rl) +2m+ rm =0. Questa dovendo essere verificata qualunque sia z, si scinde nelle due 2+rl"=0, 2m+rm=0. Ricaviamo di qui (1) Beltrami, loc. cit., $ 2. — 234 — essendo C,,C, costanti. Ma queste costanti devono essere nulle. Infatti esse portano alla deformazione il contributo u=E0 4 Il primo termine, in entrambe le formole, tenendo x e y costanti, di- venterebbe infinito per # = c0: mentre il secondo diventa infinito per "= 0. Siccome queste circostanze non debbono presentarsi, così è necessario che Ud 0 ConcLupeNDO: Definite le due funzioni 9, W mediante le (6), (7) è le corrispondenti 0,, W, mediante le (6'),(7'), la soluzione generale delle equazioni indefinite per l'equilibrio è data dalle relazioni 4910} __y30» PAIA y C neri (I) (oculo) (e W, essendo 1 ELA (11) f=(c0 +87 W). Si tratterà ora di vedere come le due funzioni 0, W possano determi- narsi mediante i dati al contorno, ossia come si determinano le due fun- zioni x(s) , 4(s) mediante le quali si costruiscono le 0 -W e le corrispon- denti 9,,W,. Chimica. — icerche sopra i nitroderivati aromatici. IX: Sul comportamento del trinitroanisolo (*). Nota di M. GiuA e F. CHERCHI, presentata dal Socio G. PATERNÒ (?). Il trinitroanisolo simmetrico OCA, O,N7 Jo vr oltre che per le proprietà peculiari di etere dell’acido picrico, ha acquistato recentemente importanza per l’impiego nella tecnica degli esplosivi. Data la sua costituzione chimica si può prevedere che il suo comportamento, dal (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale della R. Università di Sassari. (2) Pervenuta all'Accademia il 16 ottobre 1919. — 235 — punto di vista della stabilità e della facile reattività, lo metta alla pari con gli esplosivi organici nitrati più stabili, come il trinitrotoluene e lo stesso trinitrobenzene. Studî recenti sul trinitroanisolo sono stati eseguiti da Maslaud e Sparre (') e da Broadbent e Sparre (?). {l1 gruppo ossimetilico del trinitroanisolo è facilmente. sostituibile per l'influenza orto-para dei gruppi nitrici presenti nella sua molecola. Il com- portamento del trinitroanisolo è da porre così in relazione con quello del cloruro di picrile, il cui atomo alogenico subisce la stessa influenza orto-para. Il trinitroanisolo reagisce facilmente con le basi organiche dando prodotti di sostituzione e può essere adoperato con vantaggio, in luogo del cloruro di picrile, in molte reazioni sintetiche. Con l’' idrato d’'idrazina viene tra- sformato nella 2-4-6-trinitrofenilidrazina, con la fenilidrazina, nel trinitro- idrazo-benzene, e con l’anilina nella trinitrodifenilamina. Trattando il trinitroanisolo in soluzione alcoolica con la metilfenilidra- ina asimmetrica si ottiene il trinitrometilidrazobenzene seguente: NO, ONT PALENO:0 Ò RITNO; Gr. 10 di trinitroanisolo disciolti in 130 cc. di alcool etilico assoluto, sì trattano con grammi 5 di metil-fenilidrazina as.; dalla solizione rossa, dopo poco tempo, sì precipita una sostanza rossa oleosa dalla quale, per cristallizzazione dall'alcool, si ottengono aghetti colorati in rosso-granato, che fondono a 153° in un olio denso rossastro. Gr. 0,1233 di sostanza: cc. 23,3 di N(t= 24, H= 732 mm). Per C,3 Hi, O6Ns5—N°/ trovato 21,03; calcolato 21,02. La sostanza è solubile in alcool, etere e benzene, molto solubile anche a freddo in acetone e cloroformio; poco solubile in ligroina. Si discioglie nell’acido solforico cone. con colorazione rosso-oscura; negli alcali si discio- glie con colorazione verde-oscura. Le reazioni fra trinitroanisolo e fenilidrazina, idrato d'idrazina ed ani- lina, verranno descritte per esteso nella Gazzetta chimica italiana. (1) Eigh. int. Congr. of app]. Chem. 4, 77, (1912). (2) Ibid.. pag. 15. RenpICcONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 31 Chimica. — Sui prodotti di riduzione del pulegone: il pu- legolo (*). Nota II del dott. V. PaoLINI, presentata dal Corrispon- dente P. PERATONER (?). Materiale di partenza. — Dall'olio di menta pulegio fu isolato per mezzo del composto bisolfitico il puro pulegone bollente a 2219-2220, destro- giro, con [a]) = + 220,85". Riduzione. Gr. 50 di pulegone vengono disciolti in 200 ce. di alcool etilico assoluto, e nella soluzione si introducono a poco a poco gr. 15,15 di sodio in pezzi: verso la fine dell’operazione si aggiunge ancora un po’ di alcool sino a scomparizione del sodio. Il liquido, da principio appena gial- lognolo, si colora fortemente in bruno verso la fine della reazione; si ri- prende con acqua, e si estrae con etere. Si lava l'etere per togliere l’alca- linità, e, dopo distillazione del solvente, si sottopone il residuo oleoso, bruno, alla distillazione in corrente di vapore. Col vapor d'acqua distilla la frazione alcoolica (70 °/)) che resta facilmente separata dal prodotto resinoso. Disseccato accuratamente con carbonato potassico fuso, bolle fra 210 e 2150; nel vuoto bolle a 104°-105°, H= 16 mm. Possiede odore penetrante di menta, è sinistrogiro: ap = — 99°30' (tubo da 1 dem.). Presenta insomma tutti i caratteri del così detto pulegolo del Thiemann. Flalati acidi. — Gr. 25 di frazione alcoolica ben secca vengono disciolti in 70-80 ce. di benzina di petrolio, ed aggiunti in due riprese di un leggiero eccesso di sodio metallico (gr. 5 invece di 3,5). Dopo 4-5 ore si decanta la. soluzione del sale sodico dall’eccesso di metallo, e si fa gocciolare sulla quantità teorica di anidride ftalica (gr. 24,00) sospesa in 300-400 ce. di benzina di petrolio. Si agita continuamente finchè l'aggiunta sia completa, e si lascia in riposo. Dopo 40 ore il prodotto della reazione si tratta con 400-500 cc. di acqua alcalina per idrato sodico, con che passano in soluzione, sotto forma di sale sodico, gli eteri ftalici acidi, mentre nella benzina di petrolio ri- mane una traccia trascurabile di alcool. 3 Ftalato di l-mentolo. — Il liquido acquoso alcalino, separato dalla ben- zina, viene acidificato con acido solforico diluito; si separa ben presto una () Lavoro esecnito nell'Istituto chimico-farmaceutico della R. Università di Roma. (2) Pervenuta all'Accademia il 22 settembre 1919. — 237 — massa molle appiccicaticcia, che non indurisce nemmeno col tempo. Solu- bilissimo in tutti i comuni solventi organici, sì riesce tuttavia facilmente ad effettuare una prima depurazione sciogliendo lo sciroppo nella quantità stret- tamente necessaria di bènzina (70°-80°), ed abbandonando la soluzione alla evaporazione spontanea. Ben tosto si separa una notevole quantità di aghi, soffici, bianchi, riuniti a ciuffetto, che ricristallizzati dall'etere di petrolio bollente, o dall’acido acetico al 90 °/, mantengono costante il punto di fu- sione 1079-1089, ed il potere rotatorio specifico [a]p = — 107° 50. L'analisi fornisce numeri teoretici per un ftalato acido di mentolo. Gr. 0,500, sciolti in 10-15 cs. di alcool, consumano per la neutralizza- COOH i n . 16,30 di — I i h) zione cc. 16,30 di NaOH 10 mentre un acido monobasico CsyH, — 59,24; onde [a]p =— 549,6". La sua natura di composto non saturo è rivelata dalla prova positiva al permanganato secondo Bayer e dall’assorbimento di bromo, decolorandone la soluzione. Infatti. una soluzione in alcol assoluto (1:10) decolora in meno di un minuto 3 goccie di una soluzione di permanganato 1 °/,. Una soluzione in benzina di petrolio assorbe rapidamente bromo, deco- lorandone la soluzione; ma il prodotto. bromurato incolore, liquido denso oleoso, sottoposto a distillazione. imbrunì lievemente, e fornì alla determi- nazione di bromo numeri un poco inferiori a quelli richiesti per la formula Ci Hg OBr?. Data l'esiguità della sostanza rimastami, non sono in grado di precisare se tale deficienza fosse dovuta a lievi impurezze rimaste nel prodotto, 0, come ritengo più verosimile, a parziale decomposizione avvenuta durante la distillazione. Chimica-fisica. — Calori di fusione, velocità di cristallizza- zione ed affinità chimica nei cristalli. Nota di M. PADOA, presen- tata dal Socio G. Cramtcian (!). Richiamo brevemente i risultati esposti in due Note precedenti (*). Paragonando le velocità lineari di cristallizzazione di corpi notoriamente isomorfi, e però di uguale struttura molecolare (almeno allo stato solido), ho fatto rilevare che quelli che contengono doppi legami sono dotati di ve- locità di gran lunga superiori aì corpi saturi corrispondenti; da questo ho presunto che l'affinità chimica (che nei corpi non saturi si presenta più in- tensa sotto forma di valenze residuali) estenda la sua azione anche nel pro- cesso di formazione dei cristalli. Una conferma di questo modo di vedere ho poi trovato dimostrando con calcoli ed esperienze termochimiche che il valore termochimico (quantitativamente equivalente all'affinità) dei legami fra atomi di carbonio in composti organici corrisponde al valore dei legami fra gli atomi di carbonio della grafite. Sviluppando il concetto ora esposto, si viene alla conclusione che il processo della cristallizzazione è un caso particolare (® Pervenuta all'Accademia il 80 ottobre 1019. (?) Questi Rendiconti, 1918, II, pag. 09 e 327. — 240 — di reazione chimica ('); l'affinità di questo processo dovrà essere espressa o per lo meno inclusa nel calore di fusione del corpo considerato; pertanto, a parità di condizioni (grandezza molecolare, struttura), quei corpi che sono dotati della maggiore velocità di cristallizzazione dovranno avere il calore di fusione più alto. Non esistono nella letteratura dati sufficienti per poter istituire siffatti confronti;.e però ho dovuto eseguire parecchie misure, le quali hanno dimostrato che le previsioni erano perfettamente attendibili. Ho riunito, nella tabella che segue, i numeri riguardanti i calori di fusione espressi in piccole calorie per grammo di sostanza. Veramente sarebbe più giusto di fare il confronto tra i calori molecolari di fusione; ma anche nel modo predetto i risultati non vengono svisati perchè le sostanze fra le quali si istituisce il confronto hanno pesi molecolari assai poco diversi. Nella stessa tabella sono anche riportate le velocità di cristallizzazione in mm. per minuto: fra queste è stata cor- retta la cifra riguardante l’idrazobenzolo perchè la determinazione prece- dente non era esatta, essendosi impiegato un prodotto contenente molto azo- benzolo; è stata poi aggiunta quella riguardante il diidrofenantrene, che non era nota. I calori di fusione vennero tutti determinati col calorimetro a ghiaccio di Bunsen. Formula Pof Cal. fus. Velocità | Naftalina CioHi 81° 39,9 9000 { Diidronaftalina Cra Hso 15° -5,22 150 . | Benzolo Co He 504 30,4 34500 { Cicloesano CH 50 5,87 3600 | Azobenzolo CoHs.N:N.CsHs 68° 82.39 3800 i Idrazobenzolo Cs H;. NH. NH. CH 1340 22,88 30 | Stilbene C,H;.CH:CH.CH; 124° 40 6000 Dibenzile CeH;.CH,.CH..CsH; 510 31,02 580 ‘ Etere dimetilico del-. CH,C00.CH l'ac. fumarico | uH.COOCH; 102° 57,86 13500 Etere dimetilico del- CH,.COO CH. Î l'ac. succinico | CH..C00CHz Sopra 580 j Acido cinnamico Cs H;.CH:CH.COOH alto 8 62901 480 { Acido idrocinnamico C$Hy CH, .CH,. COOH 480 28,18 210 | Fenantrene Cio Bio 100° 23,7 _ 1600 i Diidrofenantrene Ci 940 17,55 1200 (1) Questo concetto è implicito nelle considerazioni svolte da Nernst [Theoretische Chemie, VII ediz. (1913), 614, 705] sulla velocità di cristallizzazione considerata come reazione in sistema eterogeneo, e da Marcelin [Compt. Rend. 151 (1910), 1052]. Che le forze alle quali sono da attribuire certi fenomeni considerati d’indole fisica, come quelli di capillarità ed altri, siano della stessa natura delle forze chimiche, è stato anche recentemente sostenuto da Langmuir [ he constitution and fundamental properties of solids and Uquids. Journal of the Am. Chem. Soc. (1916), 2221, (1917), 1848]. bia — 241 — Come si vede, per ciascuna delle varie coppie di corpi isomorfi presi in esame, alla maggiore velocità di cristallizzazione caratteristica dei com- posti contenenti doppi legami corrisponde il maggior calore di fusione. Si può anche notare che i corpi non saturi fondono in generale a temperatura più alta dei corrispondenti saturi, ciò che denoterebbe la maggiore stabilità dei relativi cristalli. Per ciò che riguarda i calori di fusione, non si pos- sono confrontare i valori inerenti a serie diverse di composti; così l’etere succinico, benchè composto saturo, ha un calore di fusione superiore al ben- zolo : ciò potrebbe significare che il calore di fusione è la risultante di varie tonalità termiche e. non della sola affinità inerente all'unione delle molecole nel cristallo, nello stesso modo come il calore di soluzione è la somma al- gebrica dei varii calori di ionizzazione, idratazione ecc. Formula IRE Cal. fus. Velocità (Tolano:-! ..,.. i .-. CeHs.C=0.C5H; 60° 28,68 330 ( Stilbene . . . . CoHs.CH=C,H; 124° 40,00 6000 Etere metilico dell’ ac. \. fenilpropiosilico . CsHs.C=C.C0O0CH, . 180 22,87 25 Î Etere metilico dell’ac. cinnamico . . . CeHs.CH=CH.C00CH,; 33° 26,16 60 Si noti che per questi corpi a legami tripli la velocità di cristallizza- zione è inferiore a quella dei corrispondenti isomorfi a legami doppî e si avvicina a quella dei corpi, pure corrispondenti, a legami semplici (si con- frontino i dati relativi al tolano con quelli del dibenzile). La corrispondenza coi calori di fusione è però mantenuta. e, alle minori velocità di cristalliz- zazione dei composti a tripli legami, corrispondono minori calori di fusione. I punti di fusione dei corpi a legami tripli sono pure inferiori a quelli dei corpi a legami doppii. Per interpretare questo comportamento, si può dare, a mio parere, una duplice spiegazione. I. Che le molecole dei composti a tripli legami abbiano nello stato cristallino la medesima forma delle corrispondenti a legami doppî e sem- plici è dimostrato dall’isomorfismo cristallino trovato da Boeris (!) fra tolano, stilbene e dibenzile e dalla formazione di soluzioni .solide dimostrata da Bruni (?). La necessità di ammettere in questo caso pei derivati acetilenici forme fumariche è stata discussa da Pfeiffer (3) e da Bruni (4); questi autori (*) Questi Rendiconti, 1900, I, 382. (£) Ibid., 1899, I, 462; 1902, II, 194. (3) Zeitscrift fr physikal. Chemie, XLVIII, 40. (4) Questi Rendiconti, 1904, I, 626. — 242 — ritengono che ciò non sia facilmente conciliabile con le formule stereochimiche di van't Hoff e ammettono la rottura dei tripli legami e l’esistenza di va- lenze non soddisfatte. Come argomento chimico viene portato il fatto che da derivati acetilenici si ottengono spesso in prevalenza derivati fumarici; comunque sia. mi sembra che, se l’isomorfismo su ricordato ci costringe ad ammettere che tutte le molecole a tripli legami siano a forma anti nello stato cristallino, ciò non sia affatto dimostrato per lo stato liquido: la possibilità di ottenere con - processi di addizione forme maleiche e fumariche, sia pure in proporzioni diverse, autorizza piuttosto a credere che allo stato liquido sarebbero in equilibrio molecole dell'una forma e dell'altra. Ciò che si dice pei tripli legami, vale anche per quelli semplici, nei quali la trasposizione apparisce molto più facile. i La conseguenza di tutto questo, dal punto di vista della velocità di cristallizzazione, è ovvia: le molecole a legami doppî, nel cristallizzare, non hanno bisogno di cambiar forma, perchè allo stato liquido son tutte fuma- riche (oppure, se del caso, tutte maleiche) e però, con l’aiuto delle valenze latenti, cristallizzano con grande rapidità; al contrario, quelle a legami semplici e tripli debbono, in parte almeno, subire una preventiva trasposi- zione, ciò che è cagione di ritardo. Alla stessa conclusione si arriva se si considerano i liquidi relativi come soluzioni della forma maleica nella fu- marica, perchè è noto che i corpi sciolti ritardano la cristallizzazione. L'in- fluenza della configurazione molecolare mi pare bene illustrata dal seguente esempio: il dibenzile, come si rileva dai dati sopra riportati, ha una velo- cità di cristallizzazione di 580 mm. al minuto; il diidrofenantrene, dal quale il primo non differisce se non per la chiusura di un terzo anello, ha la velocità di 1200; ora, nel primo è possibile l'equilibrio allo stato liquido fra la forma maleica e la fumarica, mentre ciò non è nel secondo. / I PA N 74 S de % ia RIA Nd NE RREAI X ER ZA CH.-CH. CH.,-CH, dibenzile diidrofenantrene A I LA S A DS À DI LISA NI Bir À RARA NIZZA SIA IR CH=CH CH=CH stilbene fenantrene Nè si saprebbe a quale altra ragione attribuire tale differenza nella velocità di cristallizzazione, ove si rifletta che la chiusura del nucleo do- vrebbe al contrario provocarne una diminuzione, come accade pel caso per- 20432 fettamente parallelo dello stilbene e del fenantrene, che hanno rispettivamente le velocità di 6000 e di 1600. i II. La seconda spiegazione consisterebbe nell'ammettere che le va- lenze latenti dei legami tripli non entrino in azione nella formazione dei cristalli. ° Dai calcoli termochimici di Thomsen (!) si rileva che il valore del le- game semplice fra due atomi di carbonio (nei primi termini della serie delle paraffine) è di 14,71 cal., quello del legame doppio nelle corrispondenti ole- fine è di 13,27, e quello del legame triplo nell'acetilene, allilene, dipropar- gile è molto vicino a zero. Se nel processo di cristallizzazione dovessero entrare in giuoco le valenze latenti dei legami tripli, si dovrebbe pertanto avere un forte sviluppo di calore, ciò che sarebbe contraddetto dai valori bassi ottenuti pei calori di fusione. Non mancano accenni ad un comporta- mento chimico anormale dei composti a tripli legami: così l'acetilene pu- rissimo non si combina che lentamente col cloro alla luce del sole (*), mentre è ben noto che l'etilene vi si combina assai bene ‘alla luce diffusa. Molinari (*) ha poi sostenuto che l’ozono non attacca i legami tripli; e, sebbene Harries (‘) abbia poi trovato che anche in questo caso si formano ozonidi, dalla polemica che ha avuto luogo fra questi autori risulta che, con aria ozonizzata a tenore non troppo elevato, i legami tripli non vengono intaccati. mentre. a parità di concentrazione, ciò avviene in modo completo coi legami doppî. Non si può per ora dire se l'una o l’altra spiegazione sia da prefe- rire, 0 se l'una escluda l’altra, o se finalmente entrambe concorrano in realtà a dar ragione dei fatti osservati. Certamente non si poteva pensare, come ho detto fin dall'inizio dei miei lavori sopra questo argomento, che la velocità di cristallizzazione fosse soltanto una funzione dell’affinità chimica; ma in- tanto, nei casi in cui non vi può essere dubbio sulla univocità della strut- tura molecolare allo stato liquido, come nei composti ciclici qui considerati, l’azione delle valenze latenti come acceleratrici del processo di cristallizza- zione risulta evidente. In tutti i casi poi, alle maggiori velocità di cristal- lizzazione corrispondono, come espressione della tonalità termica complessiva del processo, i maggiori calori di fusione, e viceversa. . Debbo qui ringraziare il capitano dott. Antonio Laudati, che mi ha validamente coadiuvato nella esecuzione delle misure, di cui sono qui ripor- tati i risultati. (1) Thermochemische Untersuchungen (1906), 310. (2) Rémer, Liebios Annalen, 2.33, 133. (8) Berichte, 40, 4154; 4/, 585. (4) Berichte, 40, 4905; 4/, 1227. I LO RenpIcontTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. — 244 — Chimica fisiologica. — Intorno alla attività riduttrice delle radici delle graminacee : la riduzione del nitrato di calcio per le radici delle graminacee (*). Nota II di Giovanni SANI, presen- tata dal Socio G. KORNER (?). Ho l’onore di riferire brevemente, a codesta illustre Accademia, i risul- tati di alcune ricerche che miravano a stabilire l'entità della attività ridu- cente delle radici delle graminacee in genere e della riduzione del nitrato di calcio in ispecie, perchè hanno portato alla constatazione di fatti che non mi sembrano destituiti di ogni interesse; mentre, scopo principale dello studio che ho in corso, e che spero di presentare fra breve, è la prima so- stanza organica azotata che si forma nella riduzione dei nitrati nelle gra- minacee. Come era da prevedersi, anche il contenuto cellulare dei tessuti delle radici delle sraminacee comunemente coltivate frumento, avena, orzo, mais, contiene sostanze riduttrict; ne ho determinato la quantità tanto nell’estratto acquoso come tale, quanto nell’estratto acquoso previamente defecato. A tale scopo, porzioni pesate di radici vennero soppestate energicamente in grosso mortaio d'acciaio ed esaurite poi con acqua bollente aggiunta a piccoli volumi; le determinazioni quantitative vennero compiute tanto nel liquido come tale, quanto sul liquido dopo defecazione con acetato basico di piombo, eliminando poi il piombo in eccesso con carbonato sodico e pesando il rame ottenuto dall’ossidulo di rame con il metodo di Allihn. Ricerche al microscopio mi confermarono l'assenza completa di amido nelle radici delle graminacee, ciò non esclude la possibilità che nelle radici vi sia anche glucosio; però, non avendo materiale sufficiente per ricercare la natura delle sostanze riducenti, ho riferito i risultati in rame metallico, riserbandomi, s intende, di vedere nel prossimo anno da che è provocata la riduzione. Trascrivo i dati analitici ottenuti: RADICI DI FRUMENTO. Sostanza fresca.. . . . gr. 9,15 Sostanza secca ... . . » 4,14 Sostanza secca . . . . ° 45,24= 86,08 Umiditàt. fi, Sere MEDA 61— 68:92 (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio chimico agrario del R. Istituto superiore agrario di Perugia. (2) Pervenuta all'Accademia il 19 ottobre 1919. bpiiccozio: AE E LI E CAVI — 245 — Attività riducente delle radici di frumento per il liquido di Fehling: gr. 12,61 di radici di frumento forniscono gr. 0.1461 di rame metallico, il che dà per cento 1.16: RADICI DI GRANOTURCO (mais). Sostanza fresca. . . . .. . gr. 15,619 SOSUANZANSECCRIRR 3,196 Sostanza secca. . .. ... %o 20,43 Upea e e VI Attività riducente delle radici di granoturco per il liquido di Fehling (riduzione diretta) : gr. 5,767 di radici secche forniscono gr. 0,6464 di rame metallico; il che dà per cento 11.20; gr. 5,767 di radici secche di granoturco, dopo defecazione del liquido, for- niscono gr. 0,369 di rame metallico; il che dà, per cento, gr. 6.39. NB. Nelle radici esistono in copia nitrati (reazione marcatissima con la difenilammina). — RADICI DI AVENA. Sostanza fresca. . . .. . . gr. 3,9688 Sostanza secca. . +... . » 2,40 Sostanza secca . . «+0 9/o 160.60 UMIdita eee en n 39,40 RADICI DI AVENA. Gr. 11,077 forniscono gr. 0,210 di rame metallico ; il che dà °/, gr. 1.89. RADICI DI ORZO. Gr. 6,086 forniscono gr. 0,3770 di rame metallico ; il che dà °/, gr. 6.20. Per tutte le piante le determinazioni vennero fatte all’inizio della fio- ritura, momento nel quale la necessità di utilizzare nitrati, se non è cessata, è certo assal attenuata (però l’attività riducente è tutt'altro che diminuita) ; mentre pel mais furono eseguite con piante aventi poco più di un mese di vita e la riduzione venne operata non solo alla ebollizione ma ancora in mezzo eminentemente alcalino, come è il liquido di Fehling. Ma le radici delle piante hanno reazione acida; restava a vedere se, nelle condizioni naturali, nelle radici avveniva o no riduzione di nitrati. A tale scopo ho preso radici di piantine di mais, le ho schiacciate in mor- taio d'acciaio in modo da ottenerne fine pasta, poi le ho chiuse entro pallone — 246 — con soluzione di nitrato di calcio all'1°/,0; in altro pallone ho posto la stessa pasta di radici, la stessa soluzione di nitrato di calcio ed ho aggiunto 30 cme. di soluzione sodica di sale di Seignette, quella stessa che serve, unita alla soluzione di solfato di rame, a dare il liquido di Fehling. Dopo 24 e dopo 48 ore-ho determinato l'acido nitrico: 1°) nella soluzione di nitrato di calcio all'1°/0; 2°) nella soluzione di nitrato di calcio con la pasta delle radici; 3°) nella soluzione di nitrato di calcio più la pasta delle radici ed insieme la soluzione di sale di Seignette alcalina per soda, ed ottenni i seguenti risultati : 1°) Nitrato di calcio all'1°/0 29°) Nitrato di calcio all’1 °/oo 3°) con radici di granoturco \VEZIIONE IV—=6153 VE41056 = Di-26 b29 D'= 338,5 p= 128,5 p= 728,5 f= 23,9 f= 25 il 39,63 °/0 viene ridotto, poi la riduzione si arresta. Con determinazioni successive nel liquido ove era la pasta di radici volumi di ossido di azoto rimasero costanti; ciò, a mio parere, pone in rilievo fatti non scevri di interesse. In primo luogo, dunque, a freddo (temp. ordinaria), in medio acido, si riduce il nitrato di calcio; in secondo luogo, la riduzione del nitrato di calcio si arresta ad un determinato momento e più non progredisce; in terzo luogo, l'attività riducente pel nitrato di calcio da parte del succo cellulare delle radici è assolutamente ostacolata dalla soluzione sodica del sale di Seignette e con ogni probabilità dalla soda contenuta: ciò (e sarebbe in op- posizione con l'affermazione del Leuw citata prima), sì vedrà quando nuovo materiale potrò avere a mia disposizione. Ho inoltre constatato che nel primo pallone, dopo aleuni giorni, si aveva un'abbondante vegetazione di muffe, pur essendo cessata la riduzione; nell’aitro pallone il liquido contenuto ap- pariva come sterilizzato. Data la diffusione degli acidi organici nei tessuti e considerando i mol- teplici fenomeni di riduzione che continuamente si verificano nelle piante, nessuna meraviglia che la riduzione del nitrato di calcio sì verifichi in medio acido; ma il fatto che tale riduzione si verifica 7 vit70, avvalora certo la mia convinzione che le radici vive possano compiere questa riduzione e quella di altri sali, specie fosfati e solfati. Il fatto poi che la riduzione cessa ad un determinato momento per non più progredire, fa certamente pensare alla probabilità che il prodotto di ri- duzione del nitrato di calcio sia tossico per l'agente stesso di tale riduzione, sia esso un enzima od altra sostanza, forse proteica, sensibile, e, quando questo raggiunga una determinata concentrazione, ne inibisca l'ulteriore attività; i) che non avverrà nelle piante, per l'immediata utilizzazione del materiale 4 9 — 247 — stesso appena forinato, il che ne impedisce l'accumulo e quindi l'azione nociva. Data l'importanza di questo fatto posto in luce dalla semplice espe- rienza or ora esposta, volli vedere se si verificava anche con altre radici : a tale scopo presi delle radici di frumento non più fresche, ma secche all'aria ed all'ombra, ed ebbi conferma piena della cosa. Anche qui dopo un deter- minato momento, di poco minore del precedente, la riduzione non procede più oltre; ecco i dati ottenuti: Nitrato di calcio all’ 1 °/vo Nitrato di calcio all’ 1 °/v0 con radici di frumento NESSO V—=6,8 il 35,88 °/ viene ridotto; poi la Mito t= 26 riduzione si arresta. fi="26 p= 725 ;y= 25 Infine la soluzione del sale di Seignette, alcalina per soda, impedisce assolutamente ogni riduzione del nitrato di calcio per parte del succo delle radici delle graminacee; ha cioè un effetto che può paragonarsi a quello del prodotto che si genera nella riduzione del nitrato di calcio quando abbia raggiunto un determinato grado di concentrazione nel liquido di esperimento. Si sa che gli alcali influiscono energicamente sull'attività ed anche sulla vita dei fermenti organizzati, come pure sui fermenti amorfi, che alcune fermentazioni non si verificano se non in medio acido e che agiscono anche sugli albuminoidi. Date le diverse condizioni in cui si verifica la riduzione del liquido di Fehling e quella del nitrato di calcio per effetto del succo delle radici, penso che differenti debbono essere gli agenti di tali riduzioni, come pure non deve essere uguale l'intensità riducente. La prima è data dal'a quantità di so- stanze chimiche realmente presenti, in quanto che riducendo si ossidano e quindi scompaiono; l’altra, con ogni probabilità, è continuativa, cioè la quan- tità della sostanza operante la riduzione è limitata, non così la sua azione quando scompaia o si elimini 1l relativo prodotto generato. La possibilita di ripetere la riduzione del nitrato di Ca, în vitro, a mezzo delle radici, senza alcuna aggiunta, permette di separare la sostanza organica azotata che si forma, tanto più che il numero delle sostanze orga- niche azotate e non azotate è assai più limitato in questi organi che non negli altri delle piante. Per la scarsezza del materiale che io ebbi fin qui a disposizione, restano senza risposta molti fatti. Spero prossimamente di potere intanto stabilire quale è il primo prodotto organico azotato che nelle radici può formarsi per riduzione del nitrato di calcio e quale sia l'agente di riduzione dei nitrati; perciò non ritengo opportuno di formulare ipotesi nuove. — 243 — Fisiologia. — adiceccitamento degli organi ematopoietici nella malaria. Nota del dott. AnTonINo PAIS, presentato dal Socio B. GRASSI ('). La conferma della mia tesi, che «i raggi X, eccitando gli organi ema- topoietici, possono temporaneamente esaltare i poteri di resistenza dell’orga- nismo in alcune malattie infettive », ho voluto cercare nella malaria. All'esperimento mi incoraggiarono le considerazioni seguenti: 1°) La vivace reazione degli organi ematopoietici nell’infezione pa- lustre. La fagocitosi attivissima negli organi ematopoietici e specialmente nella milza; l'iperattività del midollo osseo; i movimenti leucocitarî del sangue, nella malaria acuta, attestano la viva e diretta partecipazione di questi organi e di questi tessuti alle vicende dell'infezione. La mancanza di queste stesse reazioni, e la profonda leucopenia, e le alterazioni midollari nella malaria cronica, alle quali fanno riscontro la più grande tenacia o gra- vità dell’ infezione e la mancanza delle vivaci periodiche. manifestazioni reattive dell'organismo, sembrano esserne la conferma. Poichè i raggi X sì mostrano appunto capaci di suscitare le forme reat- tive che noi ritroviamo nella malaria — fagocitosi, modificazioni leucocitarie del sangue, trasformazione del midollo giailo delle ossa in midollo iperfun- zionante con esaltata attività eritroblastica — mi sembrò che si dovesse espe- rimentare se a tali moditicazioni degli organi ematopoletici corrispondessero modificazioni nel decorso della malattia. 2°) La curva termica della malaria si presta molto bene a rivelare le modificazioni reattive dell'organismo sotto lo stimolo dei raggi X. La curva termica è contemporaneamente rivelatrice del ciclo di vita dell'emosporidio e di ben definite fasi funzionali dei leucociti. Golgi ha per primo dimostrato che « il fagocitismo è processo che svol- gesi periodicamente quale regolare funzione dei globuli bianchi, funzione che si svolge con precisabili modalità in corrispondenza di determinate fasi del ciclo evolutivo dei parassiti malarici ed in determinato periodo di ciascun accesso febrile ». 3°) Le reazioni eventualmente provocate dai raggi X non avrebbero potuto attribuirsi che ad azione diretta negli organi ematopoietici, dovendo escludersi sicuramente l'influenza dell'energia radiante sulla vita e sullo svi- luppo dell’emosporidio. (1) Pervenuta all’Accademia il 25 luglio 1919. — 249 — È noto infatti come i raggi X, a differenza dei raggi ultravioletti, a, £ del radium, non esercitino alcun potere sui microrganismi, nelle dosì, pur elevatissime, usate in terapia. A maggior ragione le dosi più piccole che mi proponevo di usare non avrebbero potuto influire se non sugli organi ematopoietici ed in modo speciale sui leucociti che occupano il grado più elevato nella gerarchia delle radio- sensibilità. Sulla guida della mia ipotesi iniziai le esperienze nella primavera del 1917, nelle diverse forme e tipi di malaria. Le irradiazione venivano dirette diffusamente sulla milza; i raggi, fil- | trati con filtri spessi da 1 a 4 mm., emergevano da un tubo molto duro a regime molto costante. La quantità di energia usata nelle varie esperienze fu molto varia: dalle alte dosi, comunemente usate in terapia distruttiva, alle dosì piccolissime, frazioni di unità X, non mai, io credo, esperimentate sinora. Da 3000 osservazioni su 250 casi di malaria, emersero le conclusioni seguenti: Le alte dosi di raggi X aggravano le manifestazioni termiche dell'in- fezione malarica; rendono anticipaute l’accesso febrile; più elevata e pro- lungata la curva termica; rendono doppie e triple rispettivamente la terzan e quartana; tendono ad aggravare sino alla sub-continuità la estivo-autunnale. Le piccole dosi, al contrario, rendono più tenui le manifestazioni ter- miche; gli ascessi febrili postecipanti, meno elevati, di minor durata; e possono. sopprimere le manifestazioni febbrili dell’ infezione. Tali manifestazioni dipendono non solo dalla dose, ma da questi altri due fattori: 1°) tipo e periodo dell'infezione; 29) momento in cui viene irradiato l’ infermo. Tipo e periodo dell'infezione. — Le varie forme di malaria e i varî periodi dell'infezione esigono quantità diverse di energia. Una eguale dose è capace di attenuare o aggravare le manifestazioni termiche a seconda si tratti d'una forma terzana, quartana, estivo-autunnale, di forme acute 0 croniche. In tesi generale può dirsi che quanto più acuta è la forma infettiva, e gravi e aritmiche sono le manifestazioni febbrili, tanto più piccole sono le dosi necessarie a modificare la curva termica. L'ora dell’irradiazione. — Ogni forma malarica ha un'ora ottima di irradiazione nella quale una determinata dose si mostra capace di attenuare o reprimere le manifestazioni termiche dell'infezione. Prima o dopo di que- st'ora, la stessa quantità di raygi può essere insufficiente a determinare modificazioni della curva o può renderne più grave lo sviluppo. 250 — Queste condizioni, e la varietà molto estesa dei fenomeni a cui danno luogo, trovano una plausibile spiegazione nella mia ipotesi. Che le alte quantità di raggi. ledendo gli organi ematopoietici o dimi- nuendo la loro attività. rendano più virulento indirettamente lo sviluppo del- l'emosporidio, si deve ammettere senza difficoltà. Ed inversamente sembra logico ammettere che le piccole dosi, eccitando gli organi ematopoletici, pos- sano esaltare quelle reazioni organiche che raggiungono ìl più alto grado nella spontanea guarigione dell'infezione. La diversa-sensibilità delle varie forme di malaria dovrebbe mettersi in rapporto con lo stato di differente funzionalità degli organi ematopoietici e quindi con il loro diverso grado di radiosensibilità. Sappiamo infatti che gli elementi cellulari sono tanto più sensibili al- l'azione dei raggi X, quanto più alta è la loro attività funzionale e ripro- duttrice. Nella malaria la radiosensibilità senubra appunto tanto più grande, quanto maggiore e più recente è la reazione degli organi ematopoletici. Tale fenomeno trova esatto riscontro nella leucemia. i L'influenza esercitata dal momento vario dell irradiazione, si spieghe- rebbe considerando che l’esaltamento degli organi ematopoietici, e quindi l'esaltamento delle difese specifiche dell'organismo, deve seguire una curva nella quale l’optimum può coincidere, essere cioè in fase, od essere sfasato con la normale e ritmica curva reattiva dell'organismo. Se l’optimum dell’eccitamento coincide con il momento utile, nel quale sono cioè più elevate le normali reazioni difensive (una di tali reazione, come Golgi ha rivelato, è appunto la fagocitosi), si avranno effetti terapeu- tici; se l'optimum precede il momento utile, si avranno invece queste due possibilità opposte: 1°) che dopo una fase di esaurimento gli organi ematopoietici rag- giungano la loro attività normale, sì che l'episodio morboso si svolga in condizioni di ricostituita resistenza: in tal caso l’irradiazione non avrà arre- cato sul decorso dell'infezione alcun effetto apprezzabile: 2°) che la fase di esaurimento coincida con l'episodio febbrile, forse con la schizogenesi, in ogni modo con il momento in cui l'organo reagisce più attivamente: in tal caso l’emosporidio, libero dal controllo dell'organismo, assumerà maggiore attività, e si avrà di conseguenza un esaltamento della forma morbosa. E. M. ndreoli, Un teorema su certe equazioni funzionali e sua interpretazione meccanica (pres. dal Te MIRA DI A IE IS AI MRO AI TI) SOR Deformazioni smnsiche del suolo elastico (pres. dal Socio Levi-Civita) vw aaa Giua e Cherchi. Ricerche sopra i nitroderivati aromatici. IX: Sul comportamento del trini- ©. troanisolo (pres. dal Socio Paternò)... L00024 Upg Sui prodotti di riduzione del Ci il pulegolo (pres. dal Corrisp. Peratoner) ” Padoa. Calori di fusione, velocità di cristallizzazione ed affinità chimica nei cristalli (pres. | dal Socio Ciamician) . VIRSIONI e O SO e A EAT — Sani. Intoriio alla attività iiduttrice delle radici delle graminacee: la riduzione del nitrato di calcio per le radici delle graminacee (pres. dal Sociv Aoerner) |...» Pais A. Radioeccitamento degli organi ematopoietici nella malaria (pres. dal Socio Bat- i CES ARE a ar ” ° RENDICONTI — Settembre-Ottobre 1919. INDICE ——— Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1919. Bianchi. Sulle superficie spirali. . . . . 2 Sa RA Borel. Sur les ensembles effectivement sane stabili et sur Ù Aefinitione efotives. Sn Majorana. Sulla gravitazione . . . ... È e Crudeli. Sulle onde progressive, di tipo permanent, oscillatorie (out nei -(pres. dal Socio Levi-Civita) . . . ... . ; Re Le Serini. Deviazione dei raggi lomigiosi in un campo slettaica CO) i pigra nia secondo la teoria di Einstein (pres. /d.) . pur | SEO Salaghi. Della volgarizzazione ed applicazione Tola iron inatici in mena (pres. dal Corrisp. Ruffini) . .. . . RR RR) Ciusa. Ricerche sulla stricnina e pon de Ha Sizia Qin) ; san ‘ Giua. Ricerche sopra i nitroderivati aromatici. VIII: Azione della: fenilidrazina su trinitno: p-xilene e sugli eteri del 2,4, 6-trinitro-m-cresolo (pres. dal Socio Paternò) . . . . » Paolini. Sui prodotti di riduzione del pulegone: il pulegolo (pres. dal Corrisp. Peratoner) » Panichi. Ricerche petrografiche sul vulcano. di Roccamonfina (pres. dal Corrisp. 7. Mil- . losevich) . SOI A DR ETA IS ft, Peglion. La torcia Aecofori (Microsphaera funi dell’oidio della quercia nel Bolo- gnese (pres. dal Socio Ciamician) . . . . ; da n St CIT Sani. Intorno all’attività riduttrice delle radici delle graminacee: la riduzione dd nitrato di calcio per le radici delle graminacee (pres. ::1 Socio Koerner). . ./ Le 5.0» Albanese. Ricerche sperimentali sulle cause che determinano la refrattari età nei trapianti. V: Nuove ricerche sulla azione disintegratrice del siero di sangue di una specie animale per le proteine dei tessuti (nervi) di altra specie (pres. dal Corrisp. Galeotti) . . . » Cotronei. Correlazioni e, differenziazioni (pres. dal Socio B. Grassi). 2. ....°... 0» Pais A. La fase di eccitamento nello stimolo da raggi X (pres. /d.) . . ...... n Bianchi. Sue superficie spirali . . Majorana: Sulla igravitazione Vi. 00 ee ee ne s % 155 163. 165. 74° 178 183. 185. (Segue in terza pagina ) K. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. SE E: o *: È i 0 esiste una curva (reale) la quale possegga un circuito passante per uno solo dei punti-base (reali), le curve di dotate di analoga proprietà si distri- buiscono in u distinti continui, essendo Ou pi e cvascuna di esse è fornita di almeno up + 1 circuiti. Il punto-base im que- stione è uno stesso punto B per tutti i continui (>). Invero le parti reali delle curve reali di 4 costituiscono un fascio di curve grafiche del tipo studiato ai numeri 66 e 67 del citato lavoro, onde intanto segue l'unicità di B. i Inoltre, se si esclude il caso ovvio in cui ogni curva reale di g sia del tipo richiesto, il piano projettivo si può immaginare diviso in un numero pari (- 2 «) di regioni, ciascuna delle quali è opposta al vertice a se stessa in B. Ed è lecito ordinare tali regioni ciclicamente attorno a B in tal ma- niera che ciascuna di quelle aventi posto dispari si possa immaginare ge- nerata (coll’esclusione di eventuali regioni semplicemente connesse) da un circuito di una curva di , il quale ruoti (deformandosi) intorno a B, senza passare per ulteriori punti-base, mentre la curva stessa descrive in g un continuo. Sono così introdotti 2 wu continui in cui si distribuiscono le curve di aventi un circuito che passi per un sol punto-base. Si aggiunga che nel sistema connesso (8) di cui fa parte B gli ulteriori punti-base si ripartiscono in w gruppi situati rispettivamente entro le regioni di posto pari ed in ciascun gruppo sono in numero pari non nullo. (!) Brusotti, Sui fasci di curve grafiche (in corso di pubblicazione). (2) Per p=0, se una curva di g ha la detta proprietà, lo stesso avviene per ogni altra curva (reale) di g. Si può quindi porre u= 1. (*) Mem. cit.,, num. 61. Due punti-base diconsi fra loro collegati se sono estremi di un segmento appartenente ad un circuito di una curva di g e non passante per ulte- riori punti-base. Ora dato un puuto-base si introducano tutti quelli collegati con» esso, poi gli ulteriori collegati con uno dei precedenti; e così via fin che sia possibile. Così si costruisce un sistema connesso di punti base. ul iv de 0 È |; * ] Ci è 2 > He} i fa — 253 — Ma la connessione fra due punti di diverso gruppo non può avvenire che per mezzo di B. Segue che per una curva appartenente ad uno dei w continui sopra ri- cordati, trovandosi il punto-base B isolato sul circuito dispari, due punti- base di due diversi gruppi sono situati sopra due diversi circuiti pari. Onde il numero totale k dei circuiti di una curva appartenente ad uno dei detti continui è => + 1. Ma poichè per il teorema di Harnack (*), è k=p+1, è pure, a più forte ragione, u-+1-

1 punti-base reali, esiste una cubica il cui ovale passa per b—1 di essi, di tali cubiche nel fascio esiste uno ed un sol continuo. In questa forma, e soltanto per il caso d — 9, ìl teorema è dimostrato dal Mohrmann, con procedimento non breve e forse non suscettibile di estensione (°). (*) Harnack, Veber die Vieltheiligheit der ebenen algebraischen Curven (Mathema- tische Annalen, Bd X; pp. 189-198). Cfr. Enriques, Z'eoria geometrica delle equazioni, (Zanichelli, Bologna), vol. II, pag. 264; e G. Lery, Sur lu fonetion de Green pour un contour algébrique [ Aunales scientifiques de 1° Ecole normale supérieure, 32 (1915) pa- gine 49-185]. (2) Mohrmann, Veber das Buschel von ebenen Kurven 3. Ordnung mit neun reellen A iunkten (Mathematische Annalen, Bd LXXIV, pp. 319-340). Vedasi specialmente $ 5. 254 — Matematica. — /Invarianti e covarianti metrici nelle deforma». sioni di specie superiore delle superficie. Nota I di E. BOMPIANI, presentata dal Socio G. CASTELNUOVO. 1. In una Nota (?) di carattere preventivo sulle deformazioni delle su- perficie che lasciano invariati gli elementi lineari e le prime v—1 curva- ture delle sue curve (deformazioni di specie v), ho mostrato che una su- perficie è individuata, rispetto al gruppo di tali deformazioni, dalla cono- scenza delle v forme differenziali binarie Ia se > 2 Fy = DAI % )E.0 sus, s]duî da + (2) [u,0,0,w] du dub + elio) sr Di Ki) [s.u—-s,0,m]du du! (u=1.,...,%) ove n tha, dr x h,k,l,m ENI . v.. (2 : ] FT! dui dui dui du 0) essendo ;(%,,%») (£=1,...,) le coordinate di un punto generico della superficie di S, che si vuol deformare: cioè se due superficie, i cui punti siano riferiti agli stessi parametri w,,%s, si corrispondono in una deforma- zione di specie v, i simboli [f,%,/,7m] che figurano in F,,F4,..., Fw hanno gli stessi valori in punti corrispondenti, e viceversa. Le forme precedenti sono le più semplici per individuare una super- ficie rispetto ad un tale gruppo quando sia assegnato il sistema coordi- nato u, us le cui linee (u, = cost, vs = cost.) si corrispondono sulle due superficie applicabili di specie v, in quanto ciascuna introduce, come coeffi- cienti, simboli [ ] non contenuti nelle precedenti e caratteristici di una de- formazione la cui specie supera di L la precedente. Ma esse or sono atte a costruire una teoria invariantiva poichè un cambiamento di variabili (v,,%s) in (v1,%;) ne muta completamente la (‘) Basi analitiche per una teoria delle deformazioni delle superficie, di specie superiore (questi Rendiconti, vol. XXV, 1916,). Allo stesso argomento si collegano le - altre mie Note: Problemi nuovi di geometria metrico-differenziale (ibid., vol. XXIV, 19151); Affinità e superficie applicabili (vol. XXVI, 19171). (?) Ricordo che E. E. Levigha chiamato ordine di un simbolo [h,#.7,m] il mag- giore dei due numeri 41 +4+-%,/4+m. Se h1+-k=!-+m il simbolo si dice principale; altrimenti, dedotto.GPer le citazioni e maggiori particolari cfr. Basi analitiche ecc. orti Sir ra 2% ai — 259 — struttura (introducendo derivate di w,,%: rispetto ad 1, ws fino all'ordine v incluso). Il problema della ricerca degli invarianti e dei covarianti assoluti di una superficie rispetto alle deformazioni ‘di fspecie v, cui sono destinate questa Nota ed una successiva ('), si spezza nei seguenti: 1°. Costruzione di espressioni invarianti in una deformazione di specie v, quando si lasci immutato il sistema di linee u,, Us. 2°. Formazione, per mezzo delle precedenti, di espressioni covarianti o invarianti (relativi) rispetto alle trasformazioni di linee coordinate. 3°. Costruzione degli invarianti e covarianti assolute. Il primo problema è di carattere differenziale; gli altri due sono di carattere algebrico; per il primo bastano le forme Fy,, per gli altri ci serviremo di un nuovo sistema di /orme simboliche Lu (n= v) i cui coeffi- cienti hanno la proprietà di trasformarsi per un cambiamento di variabili come i cocflicienti di una forma algebrica (e i loro quadrati hanno un no- tevole significato geometrico). Il risultato fondamentale di questa ricerca è l'estensione del « theorema egregium » di Gauss sull’invarianza della curvatura di una superficie nelle applicabilità; proveremo infatti l'esistenza (dandone l'effettiva costruzione) di un sistema d'invarianti e di covarianti per deformazioni di specie v—1 contenenti i coefficienti della forma che (insieme con le precedenti) serve ad. individuare le deformazioni di specie »v. 2. Partiamo da alcune osservazioni elementari relative al problema 1°. In una deformazione di specie v sono invarianti tutti i simboli principali d'ordine < » ed ogni invariante è funzione di essi. Però la differenza [h.k,l,m|l_-[h—1,kK+1,/+1,m—-1] h+k=l4m=» per % ed m = 1, ovvero [hr kt, m} — (+1, 6-1,/+1,m+1] per £ ed / = 1, pur essendo costruita con due simboli principali di or- dine v, risulta (*) esprimibile per soli simboli principali d’ordine 3) dimensions (Comptes Rendus de l’Acad. des sciences, t. 164, 1917,). SENO LIZA TE REST VE E — 250 — 5. Poichè le forme simboliche Ly possono considerarsi, nei riguardi delle trasformazioni di variabili sulla superficie, come forme algebriche nei differenziali du,, du, possiamo, con le regole note per queste, costruire gli invarianti e i covarianti in una deformazione di specie v. Basta eseguire le sprze sulle forme Ly (u=1,...,v) e sui covarianti che così se ne deducono, fino a trovare un sistema completo d'invarianti. Bisogna però tener presente che, operando su Ly di indici differenti, si ottengono covarianti o invarianti simbolici, poichè vi figurano prodotti di matrici fra loro diverse: si otterranno invarianti o covarianti effettivi moltiplicando due di quelli simbolici contenenti matrici delle stesse di- mensioni (in particolare facendone il quadrato). 6. Il teorema fondamentale corrispondente a quello di Gauss è il se- guente : Gli invarianti e i covarianti effettivi che si ottengono a partire dalla sola forma Ly (che, con le precedenti, serve a caratterizzare le deforma- zioni di specie v) restano tali nelle deformazioni di specie v — 1. Basterà provarlo per le spinte eseguite direttamente su Ly; perchè gli altri covarianti o invarianti si formano con esse e con le spinte eseguite sul sistema di L, e delle spinte già trovate. Ma poichè le spinte prima considerate risultano già forme effettive e non simboliche, non si potrà ope- rare su di esse e sulla Ly senza ottenere invarianti o covarianti simbolici; mentre il teorema vale per i covarianti effettivi (non ottenuti come prodotti di quelli simbolici). È poi naturalmente da escludere la spinta nulla ese guita su Ly, cioè L*, che dà appunto la v-esima forma fondamentale. La r-esima spinta eseguita su Ly è definita dall'operazione [on € r\_hy YL "(II 28), —_-— —_ Pr AL, RIE (o CL) ddu? ddu dduî ddu? (per avere un risultato non nullo, dev'essere 7 pari e < »); quindi TC (v_-r\(v-r\€ ia SL, ( )( ) —1p("\x ( a) v) A h k 3a ( ) D) X Lupo, nep Lynrsp,her-p GUiSTTR+® dutt. Dimostriamo che i coefficienti di questa forma (che pure contengono derivate d'ordine v) sono invarianti (fissate le linee coordinate sulla super- ficie) per deformazioni di specie v—1 (invece che 7). Il coefficiente di dui"? dui in questa forma, per {=v—r, è a (v—-r\{(v_-r\< r Da ( k î ) (; n) Da (= 1)? (2) Ly-x-p,k+p Lyr-i+h+9, r+t-h-g (mentre, se fosse £ => v — 7, basterebbe scambiare w, con %s; quindi scam- — 258 — biare l'ordine degli indici in ogni L,-n,,). Servendoci dell’identità numerica r\._.{r= 1) = i) (o) ni | do t (; —1 osservando che per o =7 manca il primo coefficiente binomiale a destra dell'uguaglianza e così il secondo per e=0, e cambiando l'indice nella seconda sommatoria che si presenta, quel coefficiente si scrive a (v—-r\{v—-r — 1 For Lyn-p=1 s R+9+1 Ly-,-1+k+9+1 ar+t-h-9-1 : . Ma le espressioni formate con le Ly_n,n che compariscono in ciascuna pa- rentesi sono proprio del tipo esaminato in fine al n. 2: è così provato quanto si voleva ('). Notiamo esplicitamente il corollario: Soltanto nelle deformazioni di specie dispuri (=v—1) esiste un in- variante formato con sole spinte eseguite sulla forma Ly (e non con spinte delle spinte), ed è 2 o*(Ly 9 Ly) TT Lyo Lov => (1) Liga + + 13(7)1 HS 7. I covarianti e gli invarianti finora ottenuti sono relativi, in quanto per una trasformazione di variabili vengono moltiplicati per una potenza del determinante della sostituzione; poichè anche J/EG — F° viene moltipli- cato per detto determinante, per avere gli invarianti e i covarianti asso- luti di una deformazione basta dividere quelli (relativi) trovati per una conveniente potenza di VEGT—F®. Nella Nota successiva darò alcune conseguenze del teorema fondamen- tale. (') Sono evidentemente nulli i termini dello sviluppo precedente, per quali j 2k-+0)=r+t—1. — 259 — Meccanica. — Sopra alcuni casi singolari nella teoria dei giroscopi asimmetrici pesanti. Nota II di ORAZIO LAZZARINO, pre- sentata dal Corrisp. R. MARcOoLONGO (’). 2. PER U COSTANTE NON SI HANNO CASI PARTICOLARI IN CUI LE RO- TAZIONI NON SIANO PERMANENTI. — Per vedere se, per Z costante, esistano eventualmente dei casi particolari in cui S e 7 non siano costanti, si può considerare la (VI”,) scritta sotto la forma (VI”) (SAaeQ.T=(g \e92)X(k Ag)S. Il caso finora escluso & A @e2=0 annulla identicamente la (VI); però la (VI’,) porge, in tale ipotesi, e quindi S=cost, T = cost. Supposto ora g A@2= 0, i casi che si possono presentare sono (12) kr Ag=0,(gAc9)X(kAg}=0, (gAe9)X(k Ag)+0. Se è k1Ag=0 dalla (VI), risulta T'=0 e quindi T= cost, S= cost. Il caso (g/\@2) X (k, Ag)=0 è incompatibile con la ipotesi U = costante. Infatti, supposto U = «2 Xk/g=0, si ha (13) (gAc2)A(khn Ag) = — eQ2XkA\g.g=0; e da qui, poichè è per ipotesi g +0, risulta evidente l'incompatibilità della condizione U = costante con la seconda delle (12). Finalmente la terza ipotesi rientra nel caso del giroscopio asimmetrico generale per il quale si è già visto che S e 7 devono essere costanti. Quindi si può dire che « con l'ipotesi U = costante, solo le rotazioni permanenti sono compatibi.i ». Esaminando più particolarmente il caso k, Ag=0, il caso cioè in cui la retta che passa per il punto fisso e per il baricentro del giroscopio sì mantiene verticale, si vede subito che per la (I) si ha (a2) =0 e quindi aQ= cost, cioè «in questo caso il vettore del momento rispetto ad 0 dell'impulso si mantiene costante non solo in grandesza, ma anche în direzione e verso ». () Pervenuta all'Accademia il 1° giugno 1919. RenNDICONTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sum. 34 — 260 — Inoltre, poichè i moti possibili sono rotazioni permanenti. sarà £' = 0 e quindi anche a 2'=0 e perciò dall'equazione (a Ql' =a2+2/\a2=0 sì deduce cioè « dl giroscopio ruota permanentemente attorno ad un asse parallelo al vettore del momento rispetto ad O dell'impulso ». In particolare, se il giroscopio è simmetrico rispetto ad un asse Os, sì ha aQ=-AQ+aH(s,S)Q2=AL+a.2X S.S dove A e a sono numeri reali, e allora la (14) sì scrive o) a.Q2Xs.Q2AS=0 e questa è soddisfatta quando sia 2/s=0 oppure 2Xs=0, essendo a+ 0. Quindi « în questo caso particolare, i moti del giroscopio saranno « delle rotazioni permanenti attorno ad un asse fisso nello spazio, parallelo «o perpendicolare all'asse di simmetria del girosc 0». Se, infine, il giroscopio è simmetrico rispetto al punto fisso, allora, ri- ducendosi l'omografia @ d'inerzia ad un numero, la (14) risulta identica- mente soddisfatta, il che significa che « qualunque retta passante per tl « punto fisso può essere un asse permanente di rotazione, che resta però « sempre lo stesso durante il moto ». 8. STUDIO DEL CASO IN CUI L'INVARIANTE PRINCIPALE S È COSTANTE. Indicando con S, il valore costante di S, si ha ade: cioè « la protezione del vettore «A dell'impulso sulla retta che congiunge « il punto fisso col baricentro del giroscopio si mantiene costante durante «il moto ». In questo caso le equazioni (III) e la (VI,) si scrivono (A) QXaQ=2T; (a0f=2U; gXaQ=S ;gXa2/2=0 e le due ultime rappresentano rispettivamente un piano passante per il punto fisso O e il cono degli assi permanenti di rotazione (cono di Staude). Secondochè queste due equazioni sono o no tra loro indipendenti, cioè a dire secondochè il detto piano taglia il cono o ne è un elemento costitu- tivo, si hanno evidentemente due casì diversi. Cominciando dall'esame del primo caso, in cui il piano per O taglia il cono di Staude, osserviamo che la (VI»), per S'=0 e tenendo conto tiileeite E n A TE — 261 — della (VII), dà la relazione (1) dT/dU = (2g°T—gX2.5)/(28°U — S) la quale, per le (A), può anche seriversi (1') dT/dU=[Q2Xa2.g° — gXQ.g8X aQ]/[(eQ)?. 8° — (gX aL)]. D'altra parte, l’espressione di 4T/4U può ricavarsi direttamente dalle (A): infatti, derivando le (A) rispetto ad Z e tenendo presente che l’omografia @ è una dilatazione, si ricavano le equazioni (B) aQXd2/4U= dT/dU ; a°2 X dQ/dU=1 ; agXdQ/AU=0; Kyg X d&/dU=0, dove (2) Ky= — (02) \4 a.2 /\ è la coniugata dell'omografia (3) pr=(eQ) \ - 2/\.0. Ora dalla 22, 3* e 4 delle (B) sì ottiene al modo solito la relazione a*2 X 0g /\ Kyg.dQ/dU = ag \ Kyg e, in modo analogo, dalla 18, 3? e 4 delle (B) si ha aQ X ag /\ Ky8.d2/dU = (dT/4U). ag \ £yg. Dividendo a membro a membro queste due relazioni e risolvendo ri- spetto a dT/4U, si ottiene la nuova espressione cercata, cioè (4) AdT/dU = a X ag A Kyg, a°Q X ag \ Kyg. Per dimostrare che le formole (1’) e (4), considerate come funzioni di 7, sono fra loro identiche, basta provare che sussiste l'identità (5) aRXag Kyg.[(aQ)g° — (gXaQ)]— — QX ag Kyg.[2XaQ.g° — gXa2.g8XQ]=0. Il primo membro della (5) può scriversi, per formole note, a X (ag /\ Kyg).[(g Aa) /\g]Xa9Q — — a*2X (ag \Kyg).[(g Aa) \g]X 9; e quindi, ponendo os you x EN v — 2602 — sì ha successivamente (5') aQXu.vXa®_- aQXu.vXa= =Q2Xau.V XaQ—- a2Q2Xau.vX£=(a2/\2)X(vA ou). Ora, si osserva che il vettore (v / au) risulta parallelo al vettore g; infatti si ha identicamente (v/\aeu)\g=YVXg.auT—auXg.v= =[(g Aa) /\g]Xg.cu— (ag A Kyg)X ag.v=0. Depo ciò, indicando con # un numero reale, la (5') può scriversi (5”) m.aQ2 NABRp=0) per la 4 delle (A); dunque la (5) è identicamente soddisfatta, e quindi ia (1') e la (4) sono tra loro identiche, c. d. d. Dopo ciò, è chiaro che la (VI») del sistema di Schiff, dalla quale si è ricavata la (1'), non è più indipendente dalle altre equazioni del sistema perchè è conseguenza della (VI,) che coincide con la 42 delle (A), e quindi sì conclude che « perchè, nel caso in cui è costante l'invariante S, possa « sussistere l'equivalenza fra le equazioni di Euler- Poisson e quelle di « Schiff, è necessario trovare una nuova equazione, ERRO dalle « altre, che sostituisca la (VIp) » Per la ricerca di questa nuova equazione si osserva che dalle (V) e (VI) sì possono dedurre come conseguenza [v. loc. cit. (*)] le equazioni (6) coca 0a 10 dove il vettore a è definito dalla relazione (7) a=a2' +2 AcQ+g/k,. Associando alle (6) l'equazione (8) kXa=0, sì ha un sistema che conduce alla relazione (9) gXaQ,k,.a=0 e, poichè il primo fattore della (9) equivale ad UV", che è per ipotesi di- verso da zero, si conclude che deve essere necessariamente a = 0, deve cioè sussistere necessariamente l'equazione (I) di Euler. Osservando inoltre che, quando 7 è funzione del tempo, sussiste l'equivalenza fra le equazioni di Schiff e quelle di Poisson [v. loc. cit. (')], si conclude che « nel caso « S= costante basta aggiungere al sistema di Schiff l'equazione (8) perchè « sussista l'equivalenza fra questo e il sistema di Euler-Poisson ». sian? radi Conviene cercare l’espressione della (8) in funzione di S, 7,7. So- stituendo ai vettori K e a le loro espressioni (V) e (7) e supponendo che sia «2 /\g=+0, si può scrivere, poichè è U'+0, [(R— T)(2Ug— S,.aQ) + %(g°.a@ — Sg) +U".g A aQ] X X[e2 +2 /\aQ]=0, e da qui. sviluppando, tenendo conto delle (III) e delle (IV) e osservando che è soda —gX2/ao=S' 0, sì ottiene l'equazione cercata (10) [#e° — (£-- T)S+g A aQXa2+2U.gXQT—2TS]U=0 che può anche scriversi, poichè è U'+-0, sotto la forma (11) kg —(h+T)S+2U.gXQ+gXaQ/aQ=0. tematica. — Muove regole per la riduzione degli inte- grali multipli generalizzati di Riemann. Nota I di MAURO PICONE, presentata. dal Socio L. Brancni (!). Nella teoria degli integrali di Lebesgue, il Fubini (*) ha ottenuto un risultato che enunciamo al modo seguente: Sia E un insieme di punti limitato e misurabile, in uno spazio Sn ad un numero qualunque n di dimensioni; siano a e b i limiti inferiore e superiore della coordinata x dei punti di E; designamo con G(€) l’in- sieme sezione di E con l'iperpiano x = è, È essendo un valore dell'in- tervallo (a,b); sia infine f(x,Y,8,..) una funzione definita in E ed ivi sommabile. Si ha che: 1° escluso al più un insieme X' di valori di x în (a,b) di misura (lineare) nulla, l’insieme G(x) è misurabile in un Sn-r (3); 2° escluso al più un insieme X, X = X', di valori di x in (a,b) di misura (lineare) nuila, la funzione f(x ,Y,8,...) è sommabile în G(x); (!) Pervenuta all'Accademia il 25 settembre 1919, (*) Fubini, Sugli integrali multipli (questi Rendiconti, 1° semestre 1907). (3) Non so se è stato mai osservato che: Se l'insieme E è misurabile in Sn al modo di Borel, l'insieme G(x) è sempre, senza eccezione, misurabiie in Sno1r pur esso al modo di Borel e di classe non superiore a quella di E. — 264 — 3° destgnamo con 1 J RO AN ACT IELSO (1) Grey (0:98) dy da una funzione delle x che ha il valore dell’integrale di Lebesque della funzione f, esteso a G(x), per ogni valore di x în (a,b) fuori dell'in- sieme X, e che è arbitrariamente definita in X; la funzione (1) è som- mabile în (a,b), e si ha ) n (2) È BI RI eis= f da L DUCA E NA TROER((- SE Ja IG) Secondo questo teorema di Fubini si può dunque sempre ricondurre il calcolo dell'integrale di una qualunque funziona sommabile, esteso ad un insieme di S,, al calcolo di un integrale esteso ad un insieme di un S,_, variabile, seguìto da quello di un integrale semplice (esteso ad un inter- vallo) e quindi anche al successivo calcolo di # integrali semplici; fornisce sempre, cioè, come si dice, /4 r7duzione degli integrali multipli. Per le applicazioni alle ordinarie questioni di Analisi (ad esempio, nella teoria delle equazioni alle derivate parziali. delle equazioni integrali, ecc.) mi è parso sempre utilissimo stabilire sotto quali condizioni il teorema di Fubini rimane valido nel campo delle funzioni non limitate che ammettono un integrale generalizzato di Riemann, imponendo, nella riduzione, di non eseguire che incegrali di Riemann (*). In questa e in successive Note esamino appunto la questione ora enun- ciata, giungendo a regole nuove per la riduzione degli integrali multipli generalizzati di Riemann, regole che si manifestano soprattutto (cfr. gli esempî al n. 6) assai utili per le applicazioni indicate. Non così mi pare si possa dire delle regole già note che si trovano nei trattati. le quali sono raramente applicabili e talune riescono quasi sempre di laboriosa applicazione. Ai criterî ottenuti qui sono vicini quelli dati dal De la Vallée-Poussin (nel suo Cours d'Analyse) nel caso partico- lare di una funzione / non negativa, generalmente continua con punti iso- lati di discontinuità. Avendo in vista le applicazioni, mi sono limitato a stabilire quei cri- terî considerando le condizioni di cose che si presentano, d'ordinario, nei problemi dell'Analisi. Ma non è difficile stabilire gli stessi criterî in ipo- tesi molto più larghe, abbandonando, per esempio, quella della misurabilità secondo Jordan degli insiemi ai quali si estendono gli integrali. (1) Questo risultato è dimostrato nel modo più semplice ai n. 48 e 44 del recente brillante libro del De la Vallée-Poussin, /Integrales de Lebesque, fonetions d'ensemble, classes de Baire [ Paris, Gauthier-Villars, 1916, collection Borel]. (*) Uso lvcuzioni e notazioni del Cours d’Analyse infinitésimale del De la Vallée- Peussin — 269: — 1. Chiamiamo qui dominio ogni insieme di punti E, ad un numero qualunque di dimensioni, limitato, chiuso, dotato di punti interni e misu- rabile (J) (*); porzione di un dominio E ogni dominio contennto in E. Sia P un punto del dominio E: diremo che questo punto è singolare per l’'integrabilità (R) [al senso di Riemann] di una funzione /, se, comunque si assegni un numero positivo «, si può sempre trovare una porzione di E, contenente P, di diametro minore di e, sulla quale la funzione non è inte- grabile (R). } La funzione / possegga nel dominio E un'infinità di punti singolari per la sua integrabilità (R). Questi punti costituiscono un insieme F che si dimosira essere chiuso e che supporremo pur esso misurabile (J). Se la funzione / riesce definita (limitata e) integrabile (R) in ogni dominio 4 contenuto in G=E— F, dirò che l’insteme Y è dn E l'insieme dei punti singolari per l’integrabilità (BR) della funzione f. Può darsi che ib f(P) dP tenda ad un limite determinato e finito allorchè la misura di -4 tende alla misura di G=E— F. Se ciò avviene, diremo, con Jordan (*), che /a /un- zione f possiede un integrale generalizzato (R) esteso al dominio cd anche che la /unzione | è in E integrabile (R) in modo generalizzato. Porremo dunque per definizione () | /2)ee= lim | f(P)ap, maA=mGA), GU=[H+ 4 ](/(P)>A) (*); dico che G, è misurabile. Si ha invero: Gi = lim GO, n= . mentre, essendo H di misura nulla e /(P) integrabile (R) in 4,, Vin- sieme G®isurabile. 1 Ne segue, intanto, che /(P) è misurabile in G. Anche |/| possiede un integrale generalizzato (R) esteso al dominio E; e se dimostriamo la som- mabilità di |f|in G, ne seguirà quella di f. Prendiamo la successione (3) per modo che risulti . ci ma mAdn A) indico quella parte di E in cui è f(P)> A. (3) Poniamo cioè |f|n=|f| quando è |f| <= , |f|n="%, quando è |fI>. — 267 — Si ha: (4) (L) f ln dP= = (1) f lndP +) f,_,_Wln a = (8) f IIa +3; ne segue che l'integrale (1) fl dP è, rispetto ad , limitato, e quindi la sommabilità di |f| e di /. Dalle (4) si deduce poi, passando al limite per 7 infinito, 6) (L) (I/1eP = (R) f Ir1e2. D'altra parte, se consideriamo un qualunque dominio 4 contenuto iti G, si ha: (1) [.|/1e2= = tim {(1) (,IfhaP}= tim{( | \/heP{=®) f.\rleP. poichè, da un certo momento in poi, si avrà, in 4, |f|1==|f|. Facendo ora tendere la misura di -4 a quella di G, si potrà asserire che (L) f.I/1d2 = (R) I/12P, relazione questa che, con la (5), dimostra completamente il nostro teorema per la funzione non negativa |/|. Ma il teorema risulta subito dimostrato anche per una funzione /, di segno comunque variabile, pensando che, posto ela sì ha f.=0,f:.=>0,f=f—-fs.|f\|=htf: e che dall'integrabilità (R) in imodo generalizzato di |f| in E, ne segue quella di /, e di /.. RenpICcONTI. 1919. Vol .4I, 2° Sem, 35 COSI Meccanica. — Deformazioni simmetriche del suolo elastico. Nota II di Rocco SERINI, presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. Nella Nota I (') ho determinato un tipo di soluzione generale del pro- blema del suolo nel caso della simmetria. Tale soluzione contiene due funzioni armoniche arbitrarie, costruite a loro volta mediante due funzioni 4(7),y(7) del raggio vettore r del piano. La risoluzione di un dato problema del suolo consiste nel determinare queste ultime funzioni che soddisfano nei varî casi a quattro equazioni in- tegrali: combinando tali equazioni a coppie, otteniamo i quattro tipi di pro- blemi classici. Le dette equazioni integrali, aventi per nucleo una funzione cilindrica di Bessel, sono state risolte dall’ Hankel. Dal seguito apparirà evidente la semplificazione, rispetto alle tratta- zioni di Boussinesq e di Cerruti (?), dalle quali si potrebbe dedurre la spe- cificazione relativa al caso simmetrico. La nuova trattazione ha essenzialmente il vantaggio di applicare diret- tamente le funzioni potenziali simmetriche studiate dal Beltrami (*) e di ridurre ad un tipo unico la risoluzione dei problemi. 3. LE EQUAZIONI INTEGRALI DELL'HANKEL. DEFORMAZIONE PER DATI SPOSTAMENTI AL conToRNO. — L'Hankel dimostra un teorema da cui di- scende immediatamente il seguente: Se /(x) è una funzione che soddisfa nell'intervallo 0, co alle condi- zioni di Dirichlet e se I, (x) rappresenta la funzione cilindrica di Bessel, di prima specie e d'ordine 2, si ha 3 (15) Sau08)dy f Ca) dl. se £> 0. Se é= 0, l'integrale vale /(0) per #= 0, e zero per nr>0. Quindi l'equazione integrale (16) S 290102) de=/%) (1) Vedi questi Rendiconti, ottobre 1919. (2) Vedi per es. V. Cerruti, Ricerche sull'equilibrio dei corpi elastici isotropi, Mem. Ace, Lincei, /3, 1882; I. Boussinesg, Equilibre d’élasticité d'un sol isotrope sans pesanteur, C. R. Acad. sciences, Paris, 86, 1878. (8) Vedi E. Beltrami, loc. cit., $ 2. S269— è soddisfatta da (17) g(e)= f Yf(y)In(y5) dé, coll'avvertenza che, se n > 0, debba essere /(0)=0 ('). Il risultato precedente ci permette di ottenere la risoluzione del pro- blema del suolo dalle formole (I) (II) stabilite nella Nota I. Infatti, siano dati in primo luogo i valori di u,v,w per £z=0; essi . saranno funzioni della sola ”. Dalla terza delle (I) si ottiene per la (7) (moltiplicando e dividendo per s sotto il segno di integrale) n À (18) w(0,7)=W(0,7)= I 1,(r8)s 8 gs, 0 da cui si ha, giusta le (16) e (17), Ur) (18') a = (IGO w(0,6).6at. Il dare v,v equivale, nel caso nostro della simmetria, a dare lo spo- stamento 0(7) lungo il raggio vettore 7 nel piano. Si osservi inoltre che deve essere, per la condizione di simmetria, (19) c(0)=0. Ma, dalle (I) (II), o(rhr= — e0,(0.,7) + W1(0,7); quindi, per le (6') (7'), _ ("oe 4a eno. Ma, come è ben noto (*), (20) L(e)= — 1 (2); cosicchè y e 4 dovranno soddisfare alla equazione [hr i ds —:G(7)L Ricordando la (19), si ottiene di qui OO + "i I,(s) o(d) dt, (1) “n. (1) Vedi H. Hankel, Die Fourier'schen Reihen und Integrale der Cilinderfunctionen, Mathematische Annalen, VIII (1875), pp. 481-482. (9) Vedi per es. C. Neumann, Bessel’schen Functionen, Leipzig, 1867, pag. 10. — 270 — À ” la quale, essendo già noto Mu) per la (18), mi determina gx: il problema è così risolto. 4. DEFORMAZIONE PER DATE TENSIONI AL CONTORNO. CASI MISTI. — Se n indica la normale interna al suolo e si suppone la densità o= 1, CERA do E le equazioni ai limiti, siccome ran (05 Ta Ea 1, diventano (!) ue) 2 — == bor Hi io ge ( 4=0 de (22) . . (1 . . . . . . . N-+20*(42) + (0° — 208) 0, =0. 4=0 Delle due prime equazioni (22) basterà poi tener conto di una, p. es. la prima. Ma, per le (I)(II), Lr ca Ae (78) È x(5) — s 10) | ds . Basta infatti ricordare le espressioni (6’) (77) di 0,, W,, la (20), e inoltre che, per le (12), Q* a|+f= RO Per di più 5 2} = --£( I, (rs) s 4(5) ds; Ta quindi la prima delle (22) diventa, quando si osservi che DR) M=tp(). e si tenga conto dei risultati precedenti, e dividendo per di (23) ( I, (rs) 2*s so ds — p(P)L CA) Di qui si ha, osservando che, per le condizioni di simmetria, (24) p(0)=0, (23) dl sf I.(r0) p(t).t dt. (!) Vedi Marcolonpo, loc. cit., pag. 206. Le prime due scritte appartengono al se- condo tipo di equazio i. la terza al primo tipo [formole (2) (2°)]. fio a — 271 — Vogliamo ora tener conto della terza delle (22). Ora abbiamo, dalla terza delle (I), (d) =(-40+3) - — f Lt C8x(0+ +20)4s, e, dalla (6), 00 de f Io(rs) x(s) ds; vo la terza delle (22) dà, ricordando che per la (12) 20° fe 2° — 03, e che NN) (24) fiutro)| 20° 2(s) + è* 0) |sde= N) ; da cui ML (24) 247) + ara I.(r0) N(6). (dt. Ma conoscendosi di già y(7) per la (23'), si ricaverà di qui 4(7) ed il problema è risolto. I casi misti sono ora completamente risolti. Se infatti supponiamo dati, in superficie, L, M, w, allora le (23) (18') mi dànno rispettivamente y(7), A(r): che se suppongo invece dati x, v, N, allora le (21’) (24’) formano un sistema nelle due incognite y(7),4(7) avente per determinante i L& da che è diverso da zero, e quindi sono risolubili rispetto a 4 e x. Meccanica. — Sopra è moti di precessione regolare del giro- scopio simmetrico pesante. Nota di Lucio SILLA, presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. Come è noto, per 9/70scopio simmetrico si intende un corpo rigido fis- sato per un suo punto O, il quale abbia eguali due dei tre momenti prin- cipali di inerzia relativi a quel punto, ad esempio A e B, ed abbia, inoltre, il baricentro G situato sull'asse di figura OE, cui spetta il terzo momento d'inerzia C. Se il giroscopio simmetrico è pesante, si dimostra che, nel movimento del corpo, l’asse 0$ si sposta restando sempre compreso entro lo spazio li- mitato da due falde coniche di rotazione attorno alla verticale Og, col ver- DIRT tice comune in O, e le cui ampiezze 0, e 0, rappresentano i valori estremi fra i quali oscilla l'azgolo 8 di nutazione, cioè l'angolo CO. Allorchè, per determinate condizioni iniziali, risulta 09, =90,, il moto del giroscopio è detto di precessione regolare: si osserva allora che l’asse di figura del corpo ruota con velocità angolare costante attorno alla verti cale (asse di precessione) e descrive un cono rotondo, mentre il giroscopio ruota con velocità angolare costante attorno al proprio asse. Nel moto di precessione regolare, adunque, l'angolo 0 resta costante e 0" è perciò nulla; quindi è nulla la nutazione dell'asse del corpo. Il vet- tore w (la così detta rotazione) è in tal caso risultante di due vettori: l'uno, w", diretto secondo 0z, che rappresenta la velocità di precessione dell'asse del giroscopio; l’altro, g'. diretto secondo Ot, che rappresenta la velocità propria di rotazione del giroscopio attorno al proprio asse. Tanto w' quanto g' sono costanti; inoltre il parallelogrammo, di cui w' e g' sono due lati adiacenti ed © ne è la diagonale uscente da O, resta eguale a sè stesso durante tutto il movimento. Quanto ai due coni coniugati caratteri- stici della rotazione dei sistemi rigidi, essi sono entrambi rotondi, l'uno at- torno alla verticale Os, l'altro attorno all'asse OC del corpo, e il moto del giroscopio si può ottenere facendo rotolare, con moto uniforme, il secondo cono sul primo. Lo studio delle precessioni regolari e di quelle pseudo-regolari del gi- roscopio simmetrico pesante è stato fatto magistralmente dal Klein (*), in- sieme con la discussione dei varî casi di stabilità del movimento. In questa Nota io mi propongo di mostrare, con un procedimento assai rapido e semplice, come sia possibile di ottenere la condizione cui debbono soddisfare le costanti arbitrarie, affinchè il moto del giroscopio simmetrico pesante si riduca ad una precessione regolare, facendo uso di ovvie formole vettoriali e partendo direttamente dalla legge dinamica del momento risul- tante delle quantità di moto. Assumiamo due terne di assi ortogonali, entrambe con l'origine nel punto O: l'una fissa e con l’asse diretto secondo la verticale discendente, l'altra mobile, collegata col corpo e coincidente con gli assi principali di inerzia relativi al punto O, dei quali 05 rappresenta, come si è detto, l'asse del giroscopio rivolto positivamente verso il baricentro G. Sia R un vettore variabile; indichiamo con dh il vettore derivato di R rispetto agli assi fissi e con R quello rispetto agli assi mobili. Si ha, dalla teoria dei vettori, i (1) F. Klein und A. Sommerfeld, Veder die Theorie des Kreisels. — 273 — dove @ rappresenta, come si è dichiarato innanzi, il vettore rotazione della terna di assi collegati col corpo. La legge del momento risultante delle quantità di moto si traduce, poi, nell'equazione vettoriale v S dI (2) rami in cui K e FT rappresentano, rispettivamente, il momento dell'impulso e il momento delle forze applicate rispetto al punto O. Denotiamo con k il vettore unitario secondo Oz (verticale discendente) e con y il vettore unitario secondo Ot (vettore costante rispetto agli assi collegati col corpo). Applicando la (1) al vettore k, abbiamo l'equazione (3) 0=k-+e/k, che riassume le ben note /ormole del Poisson. Dalla (2), inoltre, si ottiene, a causa della (1), (4) K+eNK=Tr. Le formole (3) e (4) sono fondamentali per la deduzione del risultato che abbiamo in vista. Ricordiamo che, per sua definizione, K. è un vettore che ha per pro- iezioni Ap, Bg e Cr sugli assi mobili, quando p,9,7 indichino le proie- zioni, sugli stessi assi, del vettore w. Noi possiamo anche rappresentare con Ap+o, Aq+0 , Ar+-(C— A)r quelle proiezioni di K, atteso che A = B, per l'ipotesi fatta in principio; quindi sarà (5) K=A0+(C—-A)rx. Quanto al peso P del corpo, esso è rappresentato vettorialmente da Pk; il suo momento I°, rispetto ad O, detta ©, la distanza OG del baricentro dal punto fisso, è dunque così espresso: b_y EP xAki od anche (6) T=Pbh, avendo posto (7) h=yxA/k. Teniamo presente che le grandezze vettoriali incognite del problema sono © e k, le quali ci dànno la velocità angolare di rotazione del corpo e l'ubicazione della verticale rispetto al corpo; ossia le quantità scalari P,1, di cui è noto il significato, e îi cosenì Yi, Y: @ Ys degli angoli che — 274 — 0z forma con la terna mobile. Per determinare quelle incognite noi dispo- niamo delle equazioni (2) e (3). È appena necessario di a che K è riducibile, sostanzialmente, alla incognita principale w, mediante la (5); inoltre il momento T° è ridu- cibile a k, a causa delle (6) e (7). Notiamo, altresì, che dalla (4), proiettando i vettori che figurano in quell’equazione sull'asse OC, si ricava dr TE = 0, e quindi r = costante. Affinchè il giroscopio abbia un moto di rotazione uniforme attorno alla verticale 0z, occorrerà che sia (8) o= twk. In questo caso il vettore k è immobile rispetto al corpo; quindi, ri- spetto alla terna di assi collegati col corpo, sarà k costante e, del pari, sarà costante il vettore K, talchè dovrà aversi K=0. La condizione necessaria e sufficiente, adunque, affinchè si verifichi il moto anzidetto, è, per la (4), o\K=T. Questa condizione si può utilmente trasformare. Per la R0) noi pos- siamo, infatti, scrivere o\K=PGk e quindi ancora, formando il prodotto @ A K, mediante la (5), (9) o\K=(C—A)rw\y=PGh Ma, dalla (8), si ottiene o/\Ny= tok Ag; dunque sarà pure, per la (7), (C—-A)r (tok Ay)= *(CT—A)rwh=PGh; o, infine, ft (C—A)ro— PGfjh=0, che equivale all’unica condizione scalare +(C— A)ro—Ph=0. Passiamo ora alla ricerca delle precessioni regolari, nel supposto che sia asse di precessione la verticale Oz. — 275 — Detti, come in principio, 4' e L’ rispettivamente i vettori componenti di © secondo k (vettore unitario sulla verticale discendente) e secondo x (vettore unitario secondo l’asse del giroscopio, diretto verso il baricentro), si ha, come condizione caratteristica della precessione regolare, (10) o=Vk+ gg. Di qua si trae, in particolare, proiettando sull'asse OL, (11) r=trate, con V'e p costanti. Si tratta ora di vedere in qual modo si possa, con la condizione (10), rendere soddisfatte le equazioni (3) e (4). Procuriamoci, innanzi tutto, nel modo più conveniente, e tenendo conto della (10), le espressioni di K,K e w/K. Dalla (5), a causa di (10), abbiamo frattanto K=Ag"k+}(C—A)r + Agg. Di qua, derivando rispetto agli assi mobili, risulta K=Avk. E se A tiene conto successivamente delle (3), (10) e (7), potremo an- cora scrivere K=-AV°owAk=—A4WggyA\k=—AUg h. Infine, da (9), (10) e (7), oAK={(CT—A)rWkAgx=(AT— C)rdh. Ora non resta che sostituire i valori di K, K ed w /\ K, così prepa- rati, nella equazione fondamentale (4). Tenendo conto anche di (6), otteniamo — AV'gh+(AT—- C)rdh=PGh; ovvero \AYg—(A— C)ry + POfh=0. Così, per la (11), sì perviene all’equazione definitiva (12) (C_A)W?13 + Cp + Po,=0. Questa relazione contiene soltant» elementi scalari che sono specitici per la questione meccanica di cui si tratta. Il problema generale della ro- RenpIconTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 3 — 276 — tazione di un sistema rigido con un punto fisso dipende notoriamente da sez parametri arbitrarî, cioè da 8, do e do, valori iniziali degli angoli di Eulero, e da 0, d e 4, che individuano la rotazione iniziale del sistema. In un moto regolare di precessione si deve avere 00=0; quindi, se si sta- bilisce il valore di cos, cui deve essere, per tutti i tempi, eguale Y3, ossia cos (5Oz), l'equazione (12) dà la condizione alla quale debbono sod- disfare i quattro elementi iniziali residui, affinchè il moto del giroscopio segua le leggi cinematiche della precessione regolare. Fisica. — Za relazione fra l’effetto Corbino e l’effetto Hall al variare del campo magnetico e della temperatura. Nota di . 0. TRABACCHI, esentata dal Socio 0. M. CorBino. Già fin dal suo primo lavoro Sulle azioni elettromagnetiche dovute agli toni dei metalli deviati dalla traiettoria normale per effetto del campo, il prof. Corbino aveva enunciato che tali azioni dipendono da un coefficiente E caratteristico del metallo, il quale è legato al coefficiente dell'effetto Hall, E, e alla conducibilità elettrica, c, per lo stesso metallo, dalla relazione (1) Ei=*Ratce® Questa relazione fu da lui precisata in un lavoro successivo, ricorrendo alla teoria di Drude dei fenomeni galvanomagnetici, convenientemente mo- dificata in qualche punto, e riferendosi al coefficiente dell'effetto Hall 1s0- termico. Essa fu all'ingrosso verificata per varî metalli da Adams e Chapman nel loro lavoro sull'effetto Corbino ('). Nella deduzione teorica della formula (1) erano stati trascurati rispetto all'unità alcuni termini che possono considerarsi effettivamente di lieve entità per tutti i metalli, ma che non sono più trascurabili nel caso del bismuto. Anzi, secondo ulteriori deduzioni teoriche (°), sembrerebbe che proprio con la presenza di tali termini possano spiegarsi le forti variazioni di E, di R e di c, constatate nel bismuto al variare del campo, e ciò indi- pendentemente da altre variazioni che arrecherebbero ai coefficienti mede- simi i mutamenti delle costanti elettroniche in campi di diversa intensità; sembra cioè che la presenza di quei termini darebbe luogo a mutamenti di quei coefficienti, proporzionali al quadrato del campo, ciò che all'ingrosso si verifica con l’esperienza, mentre solo le deviazioni dalla legge di propor- zionalità delle variazioni al quadrato del campo sarebbero dovute ai muta- menti delle costanti (*). (*) Adams e Chapman, Phil. Mag., VI serie, vol. XXVIII, 1914. (3) Freda, Rend. Lincei, vol. XXV, 1916; Corbino, Nuovo Cimento, vol. XVI, 1918. (3) Trabacchi, Rend. Lincei, vol. XXVIII, ser. V, 1° semestre, fasc. 3. — 277 — Si può per altro dimostrare che la formula (1) resta rigorosamente va- lida, completando la teoria da entrambi i punti di vista: cioè non trascu- rando alcun termine, e ammettendo inoltre la variabilità delle costanti, oltre che con la temperatura, anche con la intesità del campo. Occorre anzitutto definire esattamente le grandezze fisiche che corri- spondono ai simboli E, R, c. L'effetto del campo sugli elettroni che traspor- tano la corrente consiste, nel caso più generale, in una rotazione delle linee equipotenziali rispetto alle linee di corrente, per un angolo costante in tutta la lamina (1). Nei due casi estremi di elettrodi estesi all'intero contorno 0 di elettrodi puntiformi, si hanno, rispettivamente, l'effetto Corbino (rotazione delle-sole linee di corrente e conseguenti azioni elettromagnetiche) e l’ef- fetto Hall (rotazione delle sole linee equipotenziali e conseguenti azioni elettrometriche). Coi simboli ordinariamente adottati (*), l’effetto Corbino dipende dal coefficiente (*) 1 miss —MsSs mentre l'effetto Hall isotermico dipende dal coefficiente (‘): Said | Mi Si — Ma Sa — Hs* + (ms, — My 83)? kR Se la conducibilità c, che dipende dalla distribuzione degli elettrodi, viene misurata sotto l'azione del campo con elettrodi adduttori puntiformi, sì ha d'altra parte (°) s° + (Mm, Si — Mo S2) ? (di= ° 81 + 82 Si ha quindi, per ogni valore del campo (mutino o no le costanti elet- troniche), a condizione che le grandezze contenute nella formula siano misurate tutte e tre per gli stessi valori del campo e della temperatura. Si riconosce da ciò l’importanza di una verifica quantitativa della for- mula; e poichè i valori di E, R,c non possono verificarsi con esattezza se non a meno di un coefficiente di proporzionalità dipendente dalla forma e dalle dimensioni della lamina, dalla disposizione degli elettrodi, e dalla (*) Corbino, Nuovo Cimento, vol. I, giugno 1911. ) Corbino, Nuovo Cimento, vol. XVI, 1918, pag. 186. (*) Freda, Rend. Lincei, vol. XXV, 1916, pag. 146. (4) Corbino, Nuovo Cimento, vol. XVI, 1918, pag. 195. (5) Corbino, Nuovo Cimento, vol. XVI, 1918. COgRI® sensibilità degli strumenti di misura, appare evidente l'opportunità di effet- tuare le misure su una determinata lamina, sottoponendola all’azione di camp diversi e in un ampio intervallo di temperatura, con che subiscono delle grandi variazioni le tre grandezze misurate. Rimanendo immutata la dispo- sizione sperimentale, gli apparecchi di misura e la lamina, e cambiando solo il campo e la temperatura, la relazione suddetta può essere verificata, sostituendo alle grandezze E, R,c tre altre più direttamente derivanti dal- l’esperienza e ad esse proporzionali. Siano queste = fl} n E' R/ si dovrà avere pig = sostante per tutte le temperature e per tutti i valori del campo. Tale verifica forma l'oggetto della presente ricerca. Le lamine di bismuto che mi hanno servito alle misure erano state ottenute dalla medesima fusione, ed erano destinate una alla determinazione di c e di R, ed una alla determinazione di E, mediante la misura dell’effetto Corbino. Le misure di c ed R sone state fatte con una lamina analoga a quella descritta nella Nota relativa alla « determinazione delle costanti elettroniche del bismuto »(*), alle temperature di + 20° e di — 70°, usando tutti gli accorgimenti descritti nella Nota sopra citata, allo scopo di evitare tutte le cause di errore che possono verificarsi in tali operazion 1. I valori trovati per R e e sono rappresentati nella fig. 2, nella quale le ascisse sono i valori del campo e le ordinate le varie grandezze consi- derate. La lamina d di bismuto (fig. 1), che ha servito per la misura di E, era di forma circolare, del diametro di mm. 70 e dello spessore di mm. 2. Alla sua periferia era saldato un anello di ottone, P, la cui sezione era di circa mm? 25; nella parte centrale era ugualmente saldato un secondo elettrodo di ottone, Q, dello spessore di mm. 4 e del diametro di mm. 15. Un disco R, anch'esso di ottone, dello spessore di mm. 2, tornito in piano come l’anello sopra descritto e dello stesso diametro, era ad esso collegato lungo la sua periferia mediante numerose viti, che assicuravano un buon contatto elettrico. Al centro del disco di ottone era avvitata una canna di ottone, B, attraverso (1) Trabacchi, Nuovo Cimento, vol. XVI, 1918, pag. 197. — 209 — la quale aveva passaggio, convenientemente isolato, un grosso filo A di rame, il cui estremo comunicava con l’elettrodo centrale del disco di bismuto; tra il disco di ottone e quello di bismuto intercedeva una distanza di mm. 0,5. Tutto era fissato dentro una scatola di legno a pareti sottili, costituente, nella sua parte esterna, una bobina, nella quale erano avvolte circa 300 spire di filo di rame, disposte nello stesso piano della lamina. La scatola era a sua volta contenuta nell'interno di una cassetta XY di rame, foggiata in modo, come può rilevarsi dalla sezione rappresentata nella fig. 1, da poter Fia 1. circondare l'apparecchio da tutte le parti, mediante una doppia parete nella cui intercapedine poteva mettersi acqua o una opportuna miscela frigorifera. La cassetta di rame, come è indicato nella figura, era disposta fra le espansioni polari di una grande elettrocalamita di Weiss, aventi il diametro di cm. 10, e separate da una distanza di cm. 5. Date le dimensioni della lamina di bismuto, si poteva ritenere che il campo in tutta la sua esten- sione fosse » nsibilmente costante; e tale infatti si rivelò in una misura esplorativa, che feci precedere alle determinazioni. L elettrocalamita era provveduta di raffreddamento a circolazione d’acqua, e la intensità della corrente magnetizzante non raggiungeva mai, nel corso delle esperienze, valori capaci di far variare la temperatura fra le espansioni polari di più di un decimo di grado, come era rivelato da un termometro opportunamente disposto. Un amperometro permetteva di misurare accuratamente la intensità della corrence magnetizzante; a valori determinati di essa corrispondevano — 280 — valori noti del campo, essendone stata fatta la determinazione prima della introduzione della vaschetta. Era in corrispondenza di tali valori che venivano fatte tutte le succes- sive misure. l I Ss — NS) (rl D ù -_ Qo 21 4 HH PIZG 1 iii RARAIIGS ei / Zi SAS: \\ Ù; yo Ww al sRE, SE s N 3 . È . È Ei (cn) LI ' “y (°) it + DO ° Pea la) ww la (©) (©2) Pa) (04) [Ke] dd (©) x Fond (CA i. Fia. 2. Il flusso radiale di corrente, destinato a produrre (sotto l’azione del campo) l’effetto induttivo sulla bobinetta che circondava il disco, era otte- nuto collegando i conduttori A e B con una batteria di accumulatori, indi- pendenti da quelli che alimentavano la elettrocalamita; un amperometro permetteva di assicurarsi che in tutte le esperienze la corrente avesse la stessa intensità. La bobina avvolgente la periferia del disco era, come si è lieta — 281 — detto, solidamente fissata tra le espansioni polari della elettrocalamita, in modo che non potessero verificarsi movimenti capaci di generare effetti indut- tivi perturbatori; così pure fu provveduto ad ottenere l’assoluta costanza della corrente magnetizzante anche nei casi di notevoli intensità, senza di che il galvanometro collegato con la bobina sarebbe stato in continua agitazione. Ogni misura veniva ripetuta con campo invertito, in modo da poter eliminare ogni possibile azione induttiva di tipo ordinario; si prendeva in- fatti la media dei due valori, che del resto risultavano sempre assai poco differenti. Le misure alla temperatura dell'ambiente (20°) venivano fatte riem- piendo la vaschetta di acqua: quelle alla temperatura bassa (— 709) erano ottenute riempiendo la vaschetta di una miscela di anidride carbonica solida e benzina. Tale bassa temperatura si conservava facilmente per tutto il corso di una serie, tanto più che la vaschetta era completamente circondata da un involucro di feltro, che non è stato rappresentato in figura per semplicità. Per correggere gli effetti del ferro della elettrocalamita, effetti messi in evidenza a suo tempo dal prof. Corbino (*), tutte le misure venivano cor- rette prendendo, per il valore di E'.H cercato, quello della intensità di una corrente che, percorrendo una spira avente lo stesso diametro del disco, e sosti- tuita al suo posto, produceva un effetto induttivo uguale, nelle stesse condizioni di campo e di temperatura. Per rendere paragonabili i valori trovati alle due temperature, veniva compensata con un reostato la diminuzione di resistenza della bobina alla temperatura di — 70°, onde non venisse alterata la sensi- bilità del sistema. I valori di E'.H, trovati in tal modo alle due temperature considerate, sono rappresentati nella fig. 2; da essì si sono dedotti i valori di E’ nei varî casi, in modo che, dividendo tali valori per i singoli prodotti R'.c' cor- rispondenti (alla stessa temperatura), ho ottenuto i punti segnati lungo la retta orizzontale corrispondente al loro valore medio; essi non si allontanano molto da questo, autorizzandoci a ritenere che possa, nel limite degli errori , inevitabili, considerarsi costante il valore di Rug: come ci eravamo pro- posti di dimostrare; mentre variano entro limiti notevolmente ampî il campo e la temperatura, in modo da determinare forti variazioni della conducibilità e delle costanti dell’effetto Hall e dell’effetto Corbino. (‘) Corbino, Nuovo Cimento, serie VI, vol. I, 1911. — 282 — Chimica — £Aicerche sopra i nitroderivati aromatici. X: Sulla nitrazione del timolo ('). Nota di MicHELE Gua, presentata dal Socio G. PATERNÒ (°). Nella letteratura chimica si trovano dati assai dubbî sull'esistenza dei varî nitroderivati del timolo. Lallemand (*), che ha descritto alcuni di que- sti composti, afferma che il binitrotimolo, per ulteriore nitrazione, si tra- sforma nel trinitrotimolo. Armstrong e Rennie (‘) hanno trovato che, invece del trinitrotimolo, sì forma il trinitro-m-cresolo; in tal caso, per l’azione dell'acido nitrico concentrato, viene eliminato il gruppo isopropilica, al posto del quale entra un gruppo nitrico. In seguito G. Maldotti (8) ha descritto varî derivati del trinitrotimolo, ma i risultati descritti sono stati subito con- traddetti da A. T. Larter (9). Interessandomi conoscere il comportamento del trinitrotimolo, ho cercato di ottenerlo coni metodi di Lallemand e Maldotti, nitrando direttamente il - timolo; inoltre ho nitrato gli eteri etilico e metilico del timolo per ottenere i corrispondenti eteri del trinitrotimolo, e su questi ultimi composti ho fer- mato maggiormente la mia attenzione. Atcherley (7) afferma che, versando l'etere metilico del timolo in un miscuglio nitrico-solforico ‘concentrato, si ottiene l'etere metilico del trini- trotimolo. Per risolvere la quistione della identità dei composti otteruti nitrando il timolo e i suoi eteri metilico ed etilico, ho preparati gli eteri etilico @ metilico del trinitro-m-cresolo, trattando gli eteri del m-cresolo con una miscela nitrico-solforica concentrata. I composti sono perfettamente identici, e per l’azione di varî reagenti dànno origine agli stessi derivati. Così gli eteri metilico ed etilico del trinitro-composto, ottenuto per nitrazione degli eteri () Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale della 'R. Università di Sassari. (2) Pervenuta all'Accademia il 16 ottobre 1919. (8) Ann. Chim. Phys. (3) 49, 149 (1857). (4) Chem. News, 47, 115 (1883). (8) Gazz. chim. ital., 30, II, 365 (1900). (9) Chem. News, 94, 23 (1901). (7) Ibid., 24, 96 (1871). — 283 — del timolo, per azione dell’ammoniaca alcoolica a 60°, dànno origine alla 2-4-6-trinitro-5-metil-anilina. NH, o.,N No, H3C AL NO: La stessa sostanza, come è noto da parecchio tempo (*), si ottiene per riscaldamento con ammoniaca alcoolica degli eteri metilico ed etilico del trinitro-m-cresolo. Con idrato d’idrazina i composti accennati dànno origine alla 2-4-6- trinitro-5-metil-fenilidrazina. NH.NH, vo H3C e, NO; che descrivo in una Nota seguente. La fenilidrazina reagisce pure con queste sostanze, dando origine ad un identico composto che descrivo pure in altra Nota. Trattando l'etere etilico del timolo, disciolto in acido solforico concen- trato, con acido nitrico fumante e facendo avvenire la nitrazione a tempe- ratura piuttosto bassa e in breve tempo, ho separato una sostanza bianca, fusibile a 96-97°, che all'analisi ha mostrato un contenuto in azoto corri- spondente all’etere etilico del binitrocresolo. Staedel e Kolb(?) hanno de- scritto l’etere etilico del binitro-m-cresolo come una sostanza bianca, che fonde a 97°. Questo composto corrisponde alla formola seguente: e per ulteriore nitrazione si trasforma nell’etere etilico del 2-4-6-trinitro- m-cresolo. Nitrazione del timolato di etile. — L'’etere etilico del timolo è stato preparato dal timolo (gr. 45 in 100 ce. di alcool etilico), idrato sodico (gr. 16 (1) W. Staedel e A. Kolb, Ann. Chem., 259, 222 (1890). (?) Ibid., pag. 219. ReNDICONTI. 1519. Vol. XXVIII, 2° Sem. 37 — 284 — in 40 cc. di acqua) e joduro di etile (gr. 47). L'etere puro bolle a 222° (H=750mm.). Gr. 10 di etere, disciolti in 20 cc. di acido solforico concentrato, si fanno sgocciolare sopra 25 cc. di acido nitrico della densità 1,48. Tempera- tura massima 50°. Prodotto dapprima oleoso, che poi solidifica e cristallizza . dall'alcool in lamelle che alla luce si colorano in giallo-oscuro; si fonde a 75°. Gr. 0,1273 di sostanza: cc. 18 di N (f(= 22°; H— 731,5 mm). Per Cs Hg 04 N3 N Trovato 15,85 Calcolato 15,54. Gr. 10 etere in 20 ce. di acido solforico concentrato e 25 ce. di acido nitrico (4 = 1,51) Temp. massima di nitrazione 10°. Aghetti bianchi che fondono a 95-96°. Gr. 0,1578 di sostanza: cc. 17,7 di N (f= 2305: H—= 723,1 mm). Per Co Hip Os Na N90 trovato 12,34 calcolato 12,39, Disciogliendo questa sostanza nell’acido nitrico fumante, mantenendo la temperatura per circa mezz'ora a 50°, questa sostanza si trasforma nel tri- nitro-composto precedente. Nitrazione del timolato di metile. — L'etere è stato ottenuto da ti- molo e solfato dimetilico. P. eb. 211-212° (H = 745 mm). Nitrato nelle atesse condizioni dell'etere precedente, dà origine a una sostanza colorata leggermente in giallo, che cristallizza dall'alcool in prismi fusibili a 93-949. Gr. 0,1227- di sostanza: cc. 17,9 di N (6= 23°; H— 783;9mm)p Per C$H, 0, N, N o trovato 16,32 calcolato 16,34. Questo lavoro sarà pubblicato per esteso nella Gazzetta chimica italiana. Mineralogia. — La sellaite del marmo di Carrara (*). — Nota di A. PELLOUX, presentata dal Corrisp. F. MILLOSEVICH. Debbo alla cortesia dei signori De Champs e Caselli, appassionati cul- tori delle scienze naturali, l'aver avuto in esame un cristallo da essi recen- temente acquistato alla cava della Piastra, presso Carrara, cristallo che, per l'abito dimetrico e per il debole potere rifrangente, aveva richiamato la loro attenzione, e che ho identificato con la sellaite. Trattandosi di un minerale raro, perchè sin qui trovato soltanto nell'ani- drite che affiora presso le morene del ghiacciaio di Gebroulaz in Taran- (!*) Lavoro eseguito nel Museo civico di storia naturale di Genova. "e ” ERP tasia ('), ed in un blocco incluso nella lava vesuviana del 1872 (?), credo opportuno darne la descrizione, mentre spero che il ritrovamento di altri campioni mì permetta, in seguito, di continuare lo studio su materiale più abbondante. Il cristallo di cui si tratta è isolato e si trovava frammisto ad altri di quarzo che, come questo, erano stati distaccati dal marmo Il suo abito è prismatico e le dimensioni sono di 5 mm., secondo l’asse verticale, per 3 mm. di diametro. Vi ho osservato le seguenti forme, delle quali l'ultima sarebbe nuova per la sellaite: a (010) m (110) e (011) s (112) W (551) (4.11.1) Le coordinate delle facce sono riportate nella seguente tabella, in cui i valori degli angoli misurati sono posti a confronto con quelli calcolati, par- tendo dalle costanti ricavate da A. Sella per la sellaite di Gebroul adottate anche dallo Zambonini per quelle del Vesuvio, costanti per cui a:c=1:0,6596 | NOVERO | COORDINATE MISURATE COORDINATE CALCOLATE LETTERE SIMBOLI | delle facce | | misurate (F7) € (17) ) or 0, CA OT: a 010 4 0.00 90.00 0.00 90.00 m 110 4 45.00 90,00 45.00 20,00 n 120 1 26.20 90.00 26.34 90.00 e 011 4 0.00 33.31 (*) 0.00 33.24 8 112 1 45.00 25.20 45.00 25.00 dol l 45.00 78.00 45.00 77.54 t 4.11.1 1 20.00 82.50 19.58 82,37 (*) I limiti delle misure di @ per (011) sono: 330.00 e 330,40”. Nel cristallo predominano le facce di (010) e di (110), alle quali se- guono quelle del diottaedro (011). Tutte le altre sono pochissimo sviluppate e ciascuna di esse è presente una sola volta. I due prismi (010) e (110) hanno all'incirca uguale sviluppo, ma una coppia delle faccie opposte di (110) è un po’ più estesa dell'altra, di modo che il cristallo risulta, secondo essa, leggermente appiattito. A differenza della sellaite di Gebroulaz, le facce di questi prismi non mostrano alcuna (®) Vedi A. Sella, Sulla sullaite e sui minerali che l'accompagnano. Memorie della R. Accad. dei Lincei, vol. IV. Roma 1888. (*) F. Zambonini, Mineralogia vesuviana. Atti dolla R. Accad. delle scienze fisiche e matematiche di Napoli, vol. XIV, pag. 43. Napoli 1910 Ste (E a) — 286 — striatura. Esse, al goniometro, riflettono nitide immagini. per cui si ha per- fetta corrispondenza fra gli angoli misurati e quelli teorici. Il cristallo, rotto ad una delle estremità, è terminato dall'altra drusi- camente dalle facce superiori del diottaedro (011), appartenenti a diversi individui isorientati ed in accrescimento parallelo con la parte sottostante del cristallo. Tali facce appaiono profondamente corrose, e perciò sono poco visibili ad occhio nudo. Però le loro plaghe inalterate spiccano al goniometro, dando immagini che, sebbene sbiadite, consentono discrete misure. Il prisma (120) è rappresentato da una faccetta sottilissima che dà scarso riflesso. Delle bipiramidi (112) e (551), la prima è lineare, mentre la seconda, pure assai piccola, è trapezoidale e presenta una superficie arrotondata. En- trambe queste facce compaiono al disopra di una nitidissima del prisma (110), su uno degli spigoli del quale compare la (4.11.1). La nuova bipiramide ottagona (4.11.1) è presente con una piccola faccia triangolare piana e brillante, sicchè credo di poter aggiungere questa forma alle 21 sin qui conosciute della sellaite, piuttosto che riferirla a quegli smussamenti arrotondati dei vertici dei prismi che il Sella indicò come ca- ratteristici di questo minerale. # Oltre agli angoli di posizione, sopra riportati, indico qui di seguito i valori di quelli che la nuova forma fa con i prismi (010) e (110): Misurato Calcolato (4.1.11): (010). —.220:14" 220.24' (401131): (10) = «269,503 SN 265100 Nel cristallo di sellaite di Carrara, oltre alla mancanza della striatura verticale dei prismi (che, del resto, non è sempre presente neppure in tutti quelli di Gebroulaz), è notevole l’assenza del diottaedro (111) comunissimo nei cristalli terminati di quest'ultima località, e del Vesuvio. Come nella sellaite di Gebroulaz, si notano nel cristallo che ho esami- nato inclusioni di solfo e di gesso. Il primo di questi minerali si presenta come una scheggia cristallina con contorno irregolare, visibile anche senza l’aiuto della lente, e con scarsi grumetti microscopici. Il secondo, incoloro o bianchiccio, forma varie inclusioni delle quali la più grande, laminare, e disposta quasi normalmente all'asse verticale del cristallo, misura circa 1mm. di larghezza. Il suo contorno è sfilacciato e l'interno è ip pàrte fibroso. Alla luce polarizzata mostra debole birifrangenza ed estinzione incli- nata, rispetto all’allungamento delle fibre. Oltre a queste inclusioni se ne vedono Altre microscopiche, anche esse laminari, ma a contorno rettangolare o quadratico. Una di tali inclusioni, mentre è incolora e trasparente per circa metà, presentando notevole biri- — 287 — trangenza, nell'altra assume struttura fibrosa e mostra i caratteri ottici del gesso, ciò che mi farebbe ritenere trattarsi di anidrite parzialmente idratata. Altre inclusioni, simili a queste per la forma, sono invece costituite da cri- stalli negativi che hanno il vano occupato da liquido meno rifrangente della . sellaite, la cui presenza è rivelata da quella di bollicine gassose. La durezza del minerale è uguale a quella dell'apatite. Il peso specifico, determinato col picnometro alla temperatura di 19° C, risultò di 3,17, valore assal prossimo a quello trovato dal Sella (3,15 a 16° C), ma che deve con- siderarsi approssimativo, in causa delle impurità del cristallo e dello scarso suo peso (gr. 0,0715). Una piccola scaglia mostrò tracce delle due sfaldature secondo (010) e secondo (110). Questa scaglia. esposta alla fiamma del cannello, imbianchì, fondendo superficialmente in uno smalto. Il minerale, inaitaccabile dagli acidi nitrico e cloridrico, lo fu invece, a caldo, dall'acido solforico. Con l'aggiunta di silice ebbi sviluppo di acido idrotluosilicico, la cui presenza, come quella del magnesio, controllai otte- nendo, con i noti processi microchimici, nitidi cristalli di idrofluosilicato sodico e di fosfato ammonico magnesiaco. Il cristallo, grazie alla specularità delle sue facce prismatiche, all’as- senza di striatura ed alla perfetta trasparenza, si è prestato egregiamente al controllo delle proprietà ottiche. Non potendo ricavarne una lamina (ciò che avrebbe portato. con sè la distruzione del prezioso esemplare) per l’osser- vazione alla luce convergente, ricorsi all’immersione in un liquido di indice uguale a quello della sellaite. adoperando all'uopo una soluzione acquosa di glicerina. Ottenni in tal modo una nitidissima immagine d'interferenza monoassica e di segno positivo. i Per gli indici di rifrazione, determinati con il metodo della riflessione totale, valendomi del piccolo refrattometro di Smith, ottenni i seguenti valori : cora =1,87 esa=1,38 (e @)ag=0,01. Le proprietà riscontrate corrispondono, dunque, a quelle della sellaite degli altri due giacimenti di questo minerale sin qui conosciuti, e mostrano una speciale analogia, per l'abito dei cristalli e per alcuni caratteri fisici, con quanto venne osservato nella sellaite savoiarda. Disgraziatamente il cri- stallo è distaccato dalla roccia, ciò che non permette di conoscere in modo preciso le condizioni paragenetiche. Debbo tuttavia notare a questo proposito che, mentre tali condizioni ci sono in parte rivelate dall'esistenza degli in- clusìi, il ritrovarsi, nel marmo di Carrara, di quasi tutti i minerali che ac- compagnano la sellaite di Gebroulaz (e cioè solfo, fluorite, dolomite, quarzo, albite e gesso) possa essere indizio di un'analogia di origine: molto più se si accetta l'ipotesi proposta dal Sella, secondo cui l’anidrite del gia- cimento savoiardo sarebbe dovuta al metamorfismo di preesistenti calcari. — 288 — Batteriologia agraria. — Contribuzioni alla conoscenza del- l’« arrabbiaticcio » 0 « calda-fredda » dei terreni ('). Nota di R. PEROTTI, presentata dal Socio G. CuBONI. In un terreno facente parte della fattoria di Fontesegale, presso Um- bertide (Perugia), di proprietà Boncompagni-Ludovisi, sono stati offerti al mio esame i tre seguenti principali casi di « arrabbiaticcio »: 1°) ristoppio, a lavorazione abbastanza profonda con Brabant-Melotte n. 3, eseguita in agosto e con terreno asciutto; 2°) ristoppio, rimasto non lavorato fino all’epoca della semina; 3°) guastaticcio dietro barbabietole, dipendente da zappatura superfi- ciale a metà maggio, dopo caduta una leggera pioggia. Secondo le informazioni avute sul posto, questi sarebbero i casi tipici di « arrabbiaticcio » che si ripetono in tutti i poderi della fattoria e, in ge- nerale, nei ringrani. Il caso più grave è il primo; il meno grave è il se- condo, nel quale non sempre i contadini riconoscono il carattere del guasta- ticcio. Tuttavia le anormalità di vegetazione del frumento sono anche in esso evidenti, pur non potendosene facilmente ascrivere la causa alla mancata tempera del terreno, circostanza la quale può invece ammettersi per il terzo caso. Nel primo caso la determinante del danno andrebbe posta in relazione al rimescolamento degli strati profondi umidi con i superficiali secchi. Comunque, in tutti i campi di frumento « arrabbiato » da me esaminato sì presentano vaste radure, nelle quali al frumento erano sostituite in abbon- danza male erbe, in specie rosolacei, senape arvense, avena fatua, ecc. Le piante avevano bassa statura, spesso sovrastata da quella delle erbe spontanee; e la spiga degl’individui, che riuscivano a completare alla meglio il ciclo vegetativo, era annerita e non conteneva che un piccolo numero di meschine cariossidi. Il prodotto discendeva fino a tre o quattro semenze. Particolarmente ridotto e manifestamente ostacolato nel suo sviluppo si presentava il sistema radicale, che spesso si dimostrava attaccato da micelii fungini. Sui terreni così danneggiati mi proposi di eseguire la misura dei po- teri di ammonizzazione, nitrificazione, denitrificazione e fissazione dell'azoto (*) Lavoro eseguito presso il laboratorio di batteriologia agraria della R. Stazione di patologia vegetale di Roma e, per le ricerche indilazionabili, presso il laboratorio con- sorziale d'igiene ed agraria in Arezzo. Per le cortesie e gli aiuti ricevuti presso questo Istituto, rivolgo particolari ringraziamenti all'on. prof. G. Sanarelli, presidente del Con- siglio di amministrazione del laboratorio, e al direttore del medesimo prof. Giuseppe Ficài. — 289 — elementare. Il metodo seguìto fu quello del Remy con le modificazioni a più riprese, da altri e da me stesso, apportatevi ('). 1°) Potere di ammonizzazione. — Cme. 10 di una soluzione di peptone Witte all'1,5% s'inocularono, dopo sterilizzazione in provette, con cme. 5 di una diluizione a pesi uguali di acqua e terreno da esaminarsi. Si coltivò a 20° C e, dopo quattro giorni, si distillò su magnesia usta l'ammoniaca pro- dottasi. 2°) Potere di nitrificazione. — Cme. 25 di una soluzione acquosa al 2°/o di solfato ammonico e fosfato potassico con aggiunta del 40 % di carbonato di magnesio in polvere, dopo sterilizzazione in piccole bevute, s'inocularono con cme. 10 della diluizione di terreno, come sopra. Si coltivò a 15°C in lenta corrente di aria sterile e dopo venti giorni si determinò colorimetricamente l'acido nitrico prodottosi. 3°) Potere di denitrificazione. — Ome. 50 della soluzione di Giltay, modificata dal Barthel, sterilizzati in piccole bevute, s’ inocularono con cme. 10 della diluizione di terreno suddetta. Si coltivò a 20° C; e qualitativamente, due volte nella giornata, si determinò la presenza dei nitrati fino alla loro totale scomparsa. 4°) Potere di fissazione dell'azoto elementare. — Ome. 250 di una so- luzione acquosa al 20 °/s0 di mannite e al 0,2 °/so di fosfato bipotassico ed aggiunta di creta in ragione del 5 °/»0, sterilizzati in grandi bevute, s' ino- cularono con cme. 20 della diluizione del terreno. Si coltivò in sottile strato a 20°C e si determinò l’azoto finale in rapporto all’ iniziale. I risultati ottenuti vengono riuniti nella tabella seguente: () Perotti R., Sopra i metodi di misura delle attività microbiche del terreno agrario. Rend. Acc. Lincei, XX, serie 5, 1° sem., fasc. 49, pag. 266. — 290 — Terreno normale | Terreno anormale Potere di ammonizzazione: . NH; gr. per litro - esame n. 1. . 3.349 3.366 ” ” DIECI 3.502 3.468 ” ” Desio 3.587 8.551 » ” spezie 3.949 3.485 Media . 3.446 3.467 Potere di nitrificazione: HNO; gr. per litro - esame n. 1. . 0.600 0.700 ” ” CROPIPARI: 0.700 0.700 Media . . 0.650 0.700 Potere di denitrificazione: Ore richieste per la totale scomparsa della-reazione: . uc n esame n. l 108 96 ”» » n 2 84 120 ” » » 8 96 108 Media . 95.9 108.0 Potere di fissazione dell'azoto. N gr. per litro - esame n. 1. . 0.640 0.480 ” ” 22, 0.560 0.900 Media lete 0.600 0.690 Queste cifre — tenuto anche conto delle riserve con cui è necessario accogliere i risultati del metodo seguìto — dimostrano non esistere apprez- zabili e sicure differenze fra il valore dei poteri di ammonizzazione, nitrifi- cazione, denitrificazione e fissazione dell'azoto nel terreno caldafreddato ed in quello testimone. Tanto l’uno quanto l’altro ammonizzano, nitrificano, deni- trificano e fissano azoto con intensità sensibilmente uguale; e perciò dalle presenti ricerche non trarrebbe sostegno ‘l'ipotesi che la « calda-fredda » avrebbe la sua causa in un disturbo della nitrificazione (*) od in un esalta- mento del potere di denitrificazione del suolo (2). (!) Peglion V., Sull’« arrabbiaticcio » 0 « calda-fredda n. Saggio monografico. Staz. sp. agr. ital., vol. XXXIV, fasc. 3°, pag. 219. (2) Lumia C., /l processo di denitrificazione nel terreno agrario e lu arrabbiaticcio » o « calda-fredda ». Ann. chim. applic., II, vol. IV, n. 1 e 2. — 291 — Se non si trattasse che della deficiente nutrizione azotata della pianta coltivata conseguente al disturbo dei naturali fenomeni che nel terreno pre- parano nitrati od altri composti azotati assimilabili, si potrebbe ovviare al danno con una razionale concimazione; invece concimazioni di nitrato e di calciocianamide, fatte ai terreni da me esaminati, non hanno apportato il benchè minimo giovamento. Volli pertanto indirizzare in altro senso le mie ricerche e mi proposi di procedere alla numerazione dei germi nei terreni in esame, valendomi di agar albumosa Heyden, in colture mantenute per venti giorni a temperatura ambiente (25° C). I risultati della numerazione sono qui riportati: Numero dei germi per cm di terreno Esame normale anormale 1 1.210.000 2.205.000 2 1.850.000 1.690.000 3 1.065.000 1.972.500 4 - 1.165.000 1.662.500 Medie 1.197.500 1882.5500 Fra questi germi si avevano corrispondentemente ifomiceti : Numero degli ifomiceti per cm8 di terreno Esame Î normale anormale 1 60.000 270.000 2 95.000 290,000 3 57.500 280.000 4 90.000 180.000 Medie "5.625 255.000 Qui ci troviamo di fronte a differenze di cifre veramente notevoli e tali da autorizzare alcune fondate conclusioni. Nel terreno guastato, in un cme. dì terra, si hanno 157 germi per ogni 100 che se ne trovano nello stesso volume di terreno normale; e per ogni 100 ifomiceti che si trovano in questo, se ne hanno 337 nel terreno anormale. Adunque risulta che, per effetto della intempestiva lavorazione del ter- reno, s? verifica în questo un rilevante aumento di germi, fra i quali acqui- stano notevole preponderanza gl’ ifomiceti. tENDIGONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 38 — 292 — Questo fatto sembra facilmente spiegabile qualora si consideri come, in seguito alla lavorazione, l'aereazione del suolo, più o meno umido per l'avvenuta pioggia od il rimescolamento degli strati profondi, nel più caldo periodo dell’anno, non possa non dare luogo ad una stragrande moltipli- cazione in esso di germi, e specialmente di quelli che, quanto meno negli strati superficiali, sono più resistenti alla siccità, e, cioè, degli ifomiceti. Ed allorchè, nella ripresa vegetativa della successiva primavera, ì germi, così aumentati di numero, vengono a trovarsi nuovamente in condizioni favorevoli di sviluppo, essi daranno luogo ad una rigogliosa vegetazione, specialmente fungina, che, coincidendo con il periodo di tallitura del frumento, deve pro- vocare l'intristimento e l'attacco parassitario delle piante. È noto quale danno rechi alle coltivazioni superiori, per i prodotti di metamorfosi regressiva che si formano, la presenza d'ifomiceti nel terreno in proporzioni anormali. Nella dotta monografia di V. Peglion, innanzi citata, la causa prima del deperimento del grano nei terreni guasti sarebbe attribuita alla insuffi- ciente alimentazione azotata nel periodo della tallitura, quando le esigenze del frumento in azoto sono marcatissime. Questa insufficiente alimentazione è a sua volta collegata al disturbato processo di nitrificazione, derivante dalla deficienza di umidità negli strati superficiali del terreno..... Ora, le osservazioni e ricerche da me riferite potrebbero, almeno in alcuni casi, auto- rizzare una diversa spiegazione del fenomeno dell’« arrabbiaticcio » 0 « calda- tredda ». Per effetto della lavorazione ed aereazione estiva dei terreni mal ba- gnati, él regime microbico di essi viene ad essere profondamente alterato. Sarebbe soprattutto il rigoglioso sviluppo di vegetazioni fungine, i cui germi sono particolarmente resistenti, che, oltre a disturbare in parte i normali poteri microrganici del suolo, inquina il terreno di prodotti di rifiuto noto- riamente dannosi a piante sensibili come il frumento ed a sistema radicale delicato. A questa dannosa azione, in uno dei più critici periodi del ciclo di sviluppo della graminacea, si aggiunge il facilitato attacco parassitario della pianta. Il risanamento di terreni così alterati non potrebbe ottenersi che me- diante profonde e necessariamente lente modificazioni, con sostituzione di col- ture plusannuali, a sistema radicale fittonante e resistente, indipendenti per quanto più è possibile dal naturale ciclo degli elementi della fertilità (primo fra essi l’azoto) che si compie nel terreno. Infatti, nei casi da me stu- diati, trattandosi di terreni leggermente guastati, il risanamento si è otte- nuto con erbai di trifoglio, mentre per i terreni profondamente guasti si è dovuto far ricorso al medicaio. tacita — 293 — Fisiologia. — Aicerche sulla natura del veleno dell’anquilla. III: Nuovi esperimenti sulla termostabilità dell’ ittiotossico ("). Nota del dott. G. BuGLIa, presentata dal Corrisp. V. Apucco (*). Recentemente pubblicai alcuni esperimenti, i quali dimostrano che il calore non distrugge il potere tossico del siero del sangue di anguilla adulta e dell’estratto acquoso del corpo di giovani anguille ancora trasparenti (cieche) (3). Per ciò ne trassi la conclusione che il veleno dell'anguilla è termostabile. I risultati riferiti li ottenni sperimentando sulle rane. Ora ho voluto estendere gli esperimenti ai cani, per vedere se la termostabilità del veleno sì può dimostrare anche riguardo agli effetti ch'esso produce allorchè viene iniettato direttamente nel circolo venoso di animali omotermi. È noto che non soltanto l'iniezione endovenosa di siero del sangue di anguilla (‘), ma anche quella di estratto di creche, di estratto di pelle di anguilla, e di liquido fante (*), produce nei cani modificazioni notevoli della funzione respiratoria e della funzione cardio-vascolare, consistenti essenzial- mente in un'alterazione del ritmo respiratorio, accompagnata da fenomeni convulsivanti, e in un rapido abbassamento della pressione arteriosa. Per brevità riporto soltanto alcuni degli esperimenti, che ho fatto con siero di sangue di anguilla e con estratto di czeche. 1° Esperimento (23 luglio 1919). — Cane 9 di kgr. 11. Contemporaneamente alla pressione arteriosa (carotide destra), si prende il tracciato normale della respirazione, applicando al torace un pneumografo del Marey. La pressione arteriosa corrisponde a 13 cm. di Hg; le pulsazioni cardiache sono 143 al 1’; il ritmo respiratorio non è molto regolare, poichè l’animale è alquanto agitato; si contano 36 atti respiratorî al 1. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologia della R. Università di Pisa diretto dal prof. V. Aducco. (3) Pervenuta all'Accademia il 12 settembre 1919. (8) G. Buglia, Ricerche sulla natura del veleno dell'anguilla. Nota I. Atti della R. Accad. dei Lincei, 1919. (4) A. Mosso. Un venin dans le sang des murenides. Arch. ital. de biol., X, 1888, pag. 141. (5) G. Buglia, Sulla tossicità degli estratti acquosi dei corpo delle giovani anguille ancora trasparenti (cieche). Atti della Soc. toscana di sc. nat., residente in Pisa. Memorie, vol. XXXII, 1919, pagg. 165-193 0 4 ge In 30” si iniettano, nella vena giugulare sinistra, 22 ce. di estratto di cieche, rì- scaldato a 100°C per 15” (1). Durante l'iniezione si osserva un lieve e temporaneo abbassamento della pressione ed una maggiore irregolarità del ritmo respiratorio. La pressione scende a 8 cm. di Hg, ma poco dopo risale all’altezza iniziale; le pul- sazioni cardiache diventano un poco meno energiche e più frequenti. Dopo 5’ si ripete l'iniezione di altri 12 cc. di estratto: nuovamente si osserva un lieve e fugace abbassamento della pressione, con leggera variazione del ritmo respiratorio. Le pulsazioni cardiache diventano più rade, ma più energiche. Dopo 10° circa, compaiono evidenti, sul tracciato della pressione, oscillazioni va- somotorie. Dopo 30’ la pressione si trova all'altezza iniziale. L'animale non presenta fenomeni di avvelenamento così gravi da farne prevedere prossima la morte. Si iniettano allora altri 12 cc. dell’estratto. La pressione arteriosa scende rapida- mente a 2 em. di Hg.; e l'animale, dopo 5’, in un accesso convulsivo, muore, presentando l’arresto del respiro prima dell'arresto delle pulsazioni cardiache. Si trovano coaguli nel cuore; la parte del sangue liquida, raccolta in un bicchiere, non coagula neppure dopo 24 ore e non emolizza. In questo esperimento si è ottenuta la morte dell'animale, dopo l'iniezione di 46 ce. di estratto, vale a dire 4 cc. di estratto per kgr. d’animale. 2° Esperimento (23 luglio 1919). — 50 cc. di estratto di cieche si riscaldano a 100° per 15”. Il precipitato fioccoso, fermatosi in seguito alla coagulazione delle sostanze albuminose, viene raccolto, filtrando nel vuoto, e macinato in mortaio con cristalli di quarzo. Alla poltiglia si aggiungono tanti cc. di soluz. fisiol. sino a portarla al volume di 50 cc. Questo liquido, di colore grigio-verdastro, a reazione leggermente alcalina, viene lasciato sedimentare e si raccoglie la parte sovrastante al sedimento. Cane & di kgr. 7. Come nel caso precedente, si prende il tracciato normale del respiro e della pressione arteriosa (carotide destra). La pressione corrisponde a 17 cm. di Hg; le pulsazioni cardiache sono in numero di 125 al 1’; gli atti respiratorî 34 al 1”. In 30”, circa, si iniettano nella vena giugulare sinistra 15 ce. del liquido sopra» detto. Non appena terminata l'iniezione, l’animile presenta fenomeni convulsivi. Gli atti respiratorî si fanno più ampî, più frequenti e ass.«i irregolari; la pressione arteriosa scende a 2 em. di Hg.; le pulsazioni cardiache si fauno più rade, debolissime e, dopo pochi mi- nuti, cessano quasi contemporaneamente agli «tti respiratorî. Si trovano coaguli nel sangue del cuore; la parte liquida, raccolta in un bicchiere, coagula dopo pochi minuti. 4 In questo esperimento la morte dell'animale avvenne rapidamente dopo l'iniezione di 2 cc. di estratto per kgr. d’animale. 3° Esperimento. — Cane > di kgr. 8. La pressione arteriosa corrisponde a 16 cm. di Hg.; le pulsazioni cardiache sono in numero di 195 al 1’; si contano 45 atti respira- torî, regolari, al 1°. Si iniettano rapidamente nella vena giugulare sinistra dell'animale 17 cc. di siero (') In questo esperimento e nei successivi, l’estratto di cieche venne preparato tri- tando, in mortaio con cristalli di quarzo, una determinata quantità (in peso) di cieche e aggiungendo alla poltiglia una quantità (in volume) di soluz. fisiol. (NaCl al 0,9 °/0), doppia di quella delle cieche. Quindi si agita e sì centrifuga. del sangue di anguilla, diluito al quinto (vale a dire em. 3,4 di siero schietto) e riscal- dato a 100°C per 15. Subito dopo l'iniezione, non si osserva alcuna variazione apprezzabile nè della pres- sione nè della respirazione. Dopo 1 ora e 80” si notano soltanto un lievissimo abbassamento della pressione e un rallentamento degli atti respiratorî (20 al 17). L'animale è calmo e non dà segni di avve- lenamento. Allora si iniettano nella stessa vena giugulare 9 cc. del siero precedente (diluito al quinto) riscaldato a 100° C per 15’ e poi macinato con cristalli di quarzo. Si nota subito un rilevante innalzamento della pressione (sale a 19 cm. di Hg), se- guìto, però, da un forte abbassamento (la pressione scende a 6 cm. di Hg) gli atti re- spiratorî fattisi più frequenti e irregolari, durante l'iniezione, diventano assai meno ampî e più radi. Dopo 10’ queste condizioni rimangono invariate. Si iniettano altri 3 cc. dello stesso liquido: la pressione si abbassa nuovamente e arriva a zero; l’animale muore, presen- tando l'arresto delle pulsazioni cardiache prima dell’arresto degli atti respiratorî. Il sangue, nel cuore, è completamente liquido; raccolto in bicchiere, coagula in 2°, e dopo 12 ore il coagulo è gelatinoso, laccato. In questo esperimento la morte dell'animale avvenne dopo l'iniezione di 12 cc. di siero diluiti al quinto, vale a dire 3 ce. di siero schietto per kgr. d’animale. Gli esperimenti riferiti dimostrano dunque chiaramente che la disgre- gazione meccanica dell'estratto di cieche e del siero di sangue di anguilla, riscaldati a 100° C per 15’, fa riacquistare a questi liquidi l’azione tossica, che normalmente manifestano allorchè vengono iniettati nelle vene di canì, e che in gran partè perdono sotto l'influenza del riscaldamento. Infatti, tanto il siero di anguilla, quanto l'estratto di czeche, riscaldati eppoi macinati in mortaio con cristalli di quarzo, producono irregolarità ed aumento di fre- quenza del ritmo respiratorio, abbassamento della pressione sanguigna e ra- pida morte dell'animale. Eguali risultati ottenni producendo la disgregazione dell'estratto di cieche riscaldato, per mezzo dell’azione termentativa (estratto pancreatico). Così questi esperimenti confermano la termostabilità del veleno dell’an- guilla, già dimostrata dagli esperimenti sulle rane. Laroggise MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI O. MUNERATI. Osservazioni e ricerche sulla barbabietola da zucchero. Pres. dal Socio PiROTTA. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Corrisp. F. MiLLosEvicH, a nome anche del Socio VioLa (relatore) legge una Relazione sulla Memoria del prof. E. BiLLows, avente] per titolo: Sulla tridimite di Zoron negli Euganei, proponendone la inserzione nei volumi accademici. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, messe ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il PRESIDENTE annuncia che colle norme stabilite dallo Statuto e dal Regolamento, l'Accademia procedette alla elezione di Corrispondenti. Le elezioni dettero i risultati seguenti per la Classe di scienze fisiche, mate- matiche e naturali: Nella Categoria I, per la Matematica: BerzoLaRI Luci; per la Mec- canica: Crocco G. ARTURO. Nella Categoria II, per la /isica: MaJoRANA QuiRINO. Nella Categoria III, per la Geologia e Paleontologia: DAINELLI GIOTTO. Nella Categoria IV, per la Zoologia e Morfologia: VeRrsARI RiccaRrDo. L'esito delle votazioni venne proclamato con Circolare del 10 ottobre 1919. Il PRESIDENTE aggiunge che alla seduta sono presenti il Socio stra- niero prof. Mitra LEFFLER e il prof. VeRSARI, ai quali porge il cordiale saluto della Classe. Il PRESIDENTE dà poscia il triste annuncio della morte dei seguenti Socî, avvenuta durante le ferie accademiche: Luciani Luiei, morto il 23 giugno 1919; era Socio nazionale per la Fisiologia dal 1° agosto 1895. Lord RayLEIGH STRUTT, mancato ai vivi il 30 giugno 1919; era Socio straniero per la Meccanica dal 6 agosto 1891. Briosi GiovaNNI, morto il 20 luglio 1919; era Socio nazionale per la Botanica dal 26 agosto 1896. i ki CLI RATTI — 297 —- ReTzius Gustavo, mancato ai vivi il 21 luglio 1919; era Socio stra- niero per la Zoologia e Morfologia dal 26 agosto 1907. BaccaRIN1I PASQUALE, morto il 24 luglio 1919; era Corrispondente per l’Agronomia dal 19 luglio 1908. HaEcKEL ERNESTO, morto il 10 agosto; era Socio straniero per la Zoologia e Morfologia, dal 9 agosto 1899. DaLLa Vepova GiusePPE, morto il 21 settembre 1919; era Socio na- zionale per la Geografia mat. e fisica dal 31 luglio 1903. Riccò ANNIBALE, morto il 23 settembre 1919; era Socio nazionale per l’Astronomia, dal 24 agosto 1911. Di tutti questi Accademici verrà in seguito fatta apposita commemora- zione; intanto il Presidente e il Socio PrroTtTA pronunciano alcune affet- tuose e commosse parole in ricordo del defunto collega prof. BACCARINI, dovendosi rispettare la disposizione del defunto di non volere orazioni funebri; la Classe delibera d'inviare un telegramma di condoglianza alla famiglia Baccarini. Il Socio E. MiLLosevicH legge la seguente commemorazione di ANNI- BALE Riccò: Può ben l'astro-fisica italiana vestir gramaglia, chè il nostro amato col- lega Annibale Riccò ne era il più autorevole rappresentante. Egli è morto come il soldato sulla breccia il 23 settembre qua a Roma; era arrivato qualche giorno prima per prender parte ad una Commissione antisismica; vi era giunto gia avvelenato dal virus malarico, e, quando il morbo fu accer- tato, i rimedî divennero inefficaci. Era nato a Modena a mezzo settembre del 1844, così che, in ossequio alla legge, Egli aveva da pochi giorni lasciata la cattedra d'astro-fisica e la direzione dell'Osservatorio di Catania e di quello sull’ Etna. Nel 1866 conseguiva la licenza in matematica nella R. Università di Modena, nel 1868 fu proclamato ingegnere nell'Istituto tecnico superiore di Milano, mentre laureavasi in scienze naturali nella patria università. Fu docente nelle scuole medie della sua città; più tardi tenne la cattedra di fisica tecnica nella R. Scuola d’applicazione degii ingegneri a Napoli, e finalmente entrò nella famiglia astronomica in qualità d'astronomo aggiunto nel R. Osservatorio di Palermo. Dal 1890 fino alla morte fu professore d'astro-fisica nella R. Uni- versità di Catania, direttore dell'Osservatorio e di quello ausiliario sull’ Etna e preposto ai servizi meteorologici e sismici della regione. Egli aveva con- seguito la cattedra su parere conforme d’una Commissione, presieduta da G. V. Schiaparelli, la quale lo proponeva al Governo in base all'articolo 69 dell'antica legge Casati. L'Osservatorio astro-fisico di Catania con la succursale sull'Etna è opera del caro estinto, consigliato e aiutato da Pietro Tacchini. Collabora- ESVOGRIZO tore nelle Memorie della Società degli spettroscopisti italiani quasi fino dalla prima ora, ìl Riccò ne divenne l’anima dopo la morte di Tacchini, sviluppando un'attività maravigliosa, così che sopra 300 si contano le Note inserite in quel periodico riguardanti in gran parte la fisica solare, alla quale erasi consacrato con ardore e fede scientilica. Ed in verità, è seduzione grandis- sima lo studiare, con tutti i mezzi dell’astro-fisica moderna, una stella del nostro sistema stellare che c' insegna il suo stato trovandosi a noi così vi- cina da rivelarcelo quale esso era circa otto minuti prima! Nè giorno sereno passava a Catania che Riccò non esaminasse la fotosfera nelle sue macchie e facole, l'orlo di essa nelle sue prominenze, e più di recente la investi- gasse, e non soltanto nell'orlo, ma in tutte le sue parti, collo spettroelio- grafo che egli aveva montato a Catania. Statistiche numerosissime potè egli formulare, nonchè mettere in luce relazioni importanti sulle variazioni della energia solare in base a ben otto lustri di osservazioni. L'ubicazione sul- l'orlo delle prominenze e quiescenti e eruttive durante il noto periodo unde- cennale, lo studio delle facole collo spettroeliografo, l'accertamento della struttura spirale delle macchie e dei connessi fenomeni magnetici e altri fatti riguardanti la fisica solare occuparono l'illustre defunto con cure così assidue, che potevasi arguire che tempo non gli rimanesse per dedicarsi ad altri studî, mentre nei frequenti terremoti della Sicilia orientale e nelle con- vulsioni dell’ Etna egli era sempre presente ed attivo. Benchè lo studio del sole fosse il suo prediletto, pure, se una cometa lucida appariva oppure una stella, prima non vista, egli ne analizzava la luce con lo spettroscopio; e poichè era abilissimo disegnatore, numerosi di- segni delle macchie sul disco di Giove lo tennero in passato occupato. Nel lavoro internazionale del Catalogo e della Carta del cielo, a Ca- tania venne assegnata la zona fra +46°6+55°. Questo impegno, che non era disgiunto da gravi esigenze economiche e da difficoltà tecniche, occupò e preoccupò vivamente il nostro collega, ed è da augurare che l'opera di lui trovi nei suo successore chi possa fronteggiare l'impresa e condurla a ter- miue, e che il Governo ne misuri con larghezza la responsabilità della scienza italiana di fronte alla scienza straniera. Poichè quando la luna copre totalmente il sole, gli studî sullo strato invertente e sulla corona interessano quasi da soli gli astronomi, volle Riccò far parte di ben quattro spedizioni italiane inviate in regioni della totalità, l’ultima, nel 1914, a Teodosia. In una di esse confermò l'esistenza di quelle prominenze bianche, che primo vide un nostro collega defunto, Pietro Tac- chini, e che sembra siano di natura intermedia fra le prominenze rosee ed i pennacchi della corona. | La produzione scientifica di Annibale Riccò, oltre che nelle Memorie devi. spettroscopisti, prima ricordate, trovasi diffusa e nei Comptes rendus dell’Accademia di Francia, e nelle Memorie ed Atti della nostra Accademia, — 299 della quale era membro nazionale sino dal 1911, e negli Atti dell’Accade- mia Gioenia, e nella Rivista d’astronomia, e nelle Astronomische Nachrich- ten, ecc. A parte gli accenni fatti d'astro-fisica, che interessò in modo spe- ciale il nostro collega, nelle fonti sopraccennate il lettore può trovare sva- riatissimi scritti di lui in meteorologia, in geo-fisica e in ottica pratica. I meriti di lui vennero riconosciuti in Italia e all'estero; per le sue ricerche solari conseguì premî lusinghieri, e la nostra Accademia gli assegnò il premio reale d'astronomia nel 1910; era membro di numerose Accademie e di molte Società scientifiche, prese parte a varie Commissioni internazio- nali, e da ultimo rappresentò l’Italia, insieme con altri colleghi, alle riu- nioni di Parigi e di Bruxelles nel Consiglio internazionale di ricerche. Nel- l’èmbito dell’ Università di Catania tenne la presidenza della Facoltà di scienze e fu per un triennio rettore. Questi pochi cenni non sono tali certamente da lumeggiare uno scien- ziato di un'attività maravigliosa; ma mi preme, nella brevità del tempo concessomi, di dirvi dell'uomo. Sanissimo di corpo, snello della persona, sopportava le fatiche dello studio, così che ad esso donava un gran numero delle ore del giorno; anche ora, in tarda età, viaggiava per l’ Europa senza sentirne disagio. Ammogliatosi non tanto presto, ebbe numerosa e bella figliolanza; la sua primogenita aveva sposato il nostro defunto collega, il prof. Lauricella; ai figli consacrò tutte le sue cure e i frutti del suo lavoro. La natura diedegli spiccata attitudine al disegno e alla meccanica pra- tica in una al gusto per le ricerche scientifiche; le doti dell'animo emersero in grado eccelso, perchè non poteva albergare in lui alcun sentimento che non fosse nobile e disinteressato; nell’intima conversazione egli trovava sem- pre la frase che giustificasse le deficienze o le debolezze altrui, anche quando la difesa gli si presentava difficile. Sentiva l'amicizia e la ricono- scenza ricordando, come io ebbi occasione più volte di verificare, beneficî e benefattori di assai vecchia data, il che è qualità purtroppo poco comune nella vita sociale. In un novennio scomparvero quattro che furono preposti ai nostri Osser- vatorî : Schiaparelli, Lorenzoni, Fergola e Riccò: O che bel camposanto da far invidia ai vivi! PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosEvIcH presenta le numerose pubblicazioni giunte in dono durante le ferie, segnalando fra queste la seconda edizione delle Lezioni di meccanica razionale di P. BurGaTTI; il Catalogo delle colle- RENDICONTI, 1919, Vol. XXVIII, 2° sem. 39 — 300 — zioni di Diatomee e di Funghi appartenenti ai Soci ab. conte Francescò Castracane degli Antelminelli e dott. Matteo Lanzi, possedute dalla Ponti- ficia Accademia dei Nuovi Lincei; il tomo IV delle Oeuvres de Charles Hermite, pubblicate, sotto gli auspici dell’Accademia delle scienze di Francia, dal prof. PicaRD, membro dell'Istituto; il fascicolo III, 1, dell’ Epistolario di Jac. Berselius; un volume di Treballs de la Societat de Biologia (1918) di Barcellona, pubblicati sotto la direzione di A. Pi SUNER; e il vol. VIII delle /cones Plantarum Formosanarum di Bunzò HAvYATA. COMUNICAZIONI VARIE Il PRESIDENTE presenta poscia un piego suggellato inviato dal dottor UmBERTO BRESCIANI, perchè sia conservato negli Archivi dell’Accademia. Lo stesso Presidente dà comunicazione di una lettera dell'Accademia delle scienze di Lisbona, contenente vive e cordiali congratulazioni per la vittoria dell’Italia e per la firma della pace. Un'altra lettera dell’Accademia rumena partecipa a quella dei Lincei una protesta in cui rivendica l’annes- sione di quelle regioni di popolazione rumena che erano aggregate alla disciolta Monarchia austro-ungarica. E finalmente alla Classe vien data co- municazione di un invito della Università di Strasburgo per le feste che da questa saranno celebrate il 22 novembre corrente, nell'anniversario dell’ in- gresso delle truppe francesi nella predetta città e della sua liberazione dal giogo straniero. E. M. — #90. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ ACCADEMIA presentate nella seduta del 2 novembre 1919. AGAMENNONE G. — Ulteriori ricerche sulla velocità di propagazione del terremoto Marsicano del 1916 (Estr. dal « Bol- lettino della Societa sismologica ita- liana », vol. XXII). Modena, 1919. 8°, pp. 1-104. Amopeo F. — Ambiente scientifico di Na- poli dal 1825 al 1860: Ferdinando de Luca - Divagazione di storia generale (Estr. dagli « Atti dell’Accademia Pon- taniana», vol. XLIX). Napoli, 1919. 8°, pp. 1-29. Amopeo F. — Giuseppe de Sangro, Giu- seppe Scorza, Felice Giannattasio e i periodici napoletani scientifici ante- riori al 1825. (Estr. dagli « Atti del- l'Accademia Pontaniana», vol. XLIX). Napoli, 1919. 8°, pp. 1-21. BeRzELIUS J. — Bref. B. III, 1. Uppsala, 1918. 89, pp. 1-67. BownaAPARTE (Le Prince). — Notes ptérido- logiques, fascicoli V e VII. Paris, 1917-18. 8°, pp. 1-131, 1-414. Bur@atTI P. — Lezioni di meccanica ra- zionale. Bologna, 1919. 8°, pp. ExI, 1-544, Capacci C. — Acquedotti ed acque pota- bili. Milano, 1918. 8°, pp. 1-xv, 1-626. Catalogo delle collezioni di diatomee e di funghi appartenute ai Soci Ab. conte Francesco Castracane Degli Antelmi- nolli e dott. Matteo Lanzi, possedute dalla Pontificia Accademia Romana dei Nuovi Lincei. Roma, 1918. 4°, pp. 1-169. De A. ALBUQUERQUE M. — A variagào dos calores atomicos em funegao da tem- peratura. Ponta Delgada, 1919. 89, pp 1-19. De A. ALBuqueRQUE M. — Catàlise (Separ, da « Revista de chimica pura e appli- cada», ano III). Porto, 1918. 89, pp. 1-22. De A. ALBuqgueRrguE M. — Oleatos e este- aratos(sa bTes) de alguns metaes(Separ. da « Revista de chimica pura e appli- cada », anno 1916). Porto, 1917. 8°, pp. 1-3. i De A. ALBuquerquE M. — Sobre una re- lego entre os espectros de absorpgào visiveis de alguns metaes nos seus de- rivados: M!YX7 e (Ma)"X” (saes de sesquioxydo). (Separ. da « Revista chi- mica pura e applicada », I anno). Porto, 1916. 8°, pp. 1-14. De AnceLIS D'Ossat G. — Sull’azione delle acque minerali (Estr. da « L’idro- logia, la climatologia e la terapia fisi- ca », anno XXX). Perugia, 1919. 8°, pp. 1-22. DE Angelis D'Ossat G. — Vertebrati fos- sili nella lignite presso S. Cosimato (valle dell'Aniene). (Estr. dal « Bol- lettino della Società geologica ita- liana », vol. XXXVIII, pp. 34-88). Roma, 1919. 8°. De Lurer G. — Ricevitori radiotelegrafici della R. Marina (Estr. dal giornale «l’ Elettrotecnica », anno 1919, n. 18). Milano, 1919. 4°, pp. 1-7. De Mirri A. — La fabbricazione delle materie coloranti derivate dal catrame di carbone fossile. Torino, 1919. 89, pp. I-XXXI, 1-539, DE Toni G. B. — Appunti su Giacinto Ce- stoni (Estr. dalla « Rivista di storia critica delle scienze mediche e natu- rali », anno X). Siena, 1919. 8°, pp. 1-6. De Toni G. B. — Commemorazione del membro effettivo Enrico Filippo Trois (Estr. dagli « Atti del R. Istituto ve- — 302 — neto di scienze, lettere ed arti », tomo LXXVIII, pp. 25-51). Venezia, 1917.89. DE Toni G. B. — Contributo alla terato- logia del genere Chrysanthemum L. (Estr. dagli « Atti della R. Accademia delle scienze », vol. LIV, pp. 253-257). Torino, 1918. 8°. DE Toni G. B. — Fabio Colonna e l’etero- carpia (Estr. dalla « Rivista di bio- - logia », vol. I). Roma, 1919. 8°, pp. 1-6. De Toni G. B. — Intorno un caso di diafisi floripara nella Digitalis purpurea L. Rocca S. Casciano, 1919. 8°, fol. De Toni G. — Notizie bio-bibliografiche intorno Evangelista Quattrami sempli- cista degli Estensi (Estr. dagli « Atti del R. Istituto di scienze, lettere ed arti », tomo LXXVII, pp. 373-396). Venezia, 1918. 89. De Toni G. — Notizie storiche sulla frut- tificazione del banano a Modena nel secolo XVIII (Estr. dagli « Atti e Me- morie della R. Deputazione di Storia patria per le provincie modenesi », vol. XII). Modena, 1919. 8°, pp. 1-8. De Tonr G. B. — Osservazioni botaniche e sperimentali intorno alla Digitalis lanata Ehrh. (Estr. dagli « Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», tomo LXXVIII, pp. 201-218). Venezia, 1919. 8°. DE Ton: G. B. — Spigolature Aldrovan- diane XVII; lettere inedite di Fran- cesco Barozzi matematico del secolo decimosesto (Estr.' da « L'Ateneo ve- neto n, vol. II). Venezia, 1917. 89, pp. 1-12. Favaro A. — Matteo Carasio: amici e cor- rispondenti di Galileo Galilei; XLI (Estr. dall’ « Archivio di Storia della scienza », diretto da Aldo Mieli, vol. I, pp. 28-38). Roma, 1919. 8°. Favaro À. — Passato, presente e avve- « nire delle edizioni Vinciane (Estr. dalla « Raccolta Vinciana », fasc. X, pp. 165- 219). Milano, 1919. 89. Fossa-Mancini E. — Un singolare echi- noide mesozoico dell'Appennino cen- trale (Anauchothuria n. gen.). (Estr. dagli « Atti della Società toscana di scienze naturali », vol. XXXIII). Pisa, 1919. 8°, pp. 1-18. Gosio B. — Annuario bibliografico ita- liano delle scienze mediche ed affini, vol. II. Roma, 1919. 89, pp. I-XXII, 1-451. i GranpI G. — Contributo alla conoscenza degli Agaonini (Aymenoptera Chal- cididae) di Ceylan e dell'India (Estr. dal « Bollettino del Laboratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore d’agricoltura in Por- tici », vol. XI, pp. 188-234). Portici, 1917085 Granpi G. — Contributo alla conoscenza degli Agaonini (//ymenoptera Chalci- didae) dell'America; Agaonini di Co- starica (Estr. dal « Bollettino del La- boratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore di agricol- tura in Portici », vol. XIII, pp. 15-56). Portici, 1919. 89. Granpi G. — Contributo alla conoscenza degli Agaonini (Aymenoptera Chalci- didae) di Giava (Estr. dal « Bollettino del Laboratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore di agricoltura in Portici n, vol. XII). Portici, 1917. 8°, pp. 1-60. GranpIi G. — Contributo alla conoscenza degli Agaonini (Aymenoptera Chalci- didae) dell’ Eritrea e dell’ Uganda (Estr. dal « Bullettino della Società entomologica italiana», anno XLVILI), — Firenze, 1917. 8°, pp. 1-42. Granpi G. — Contributo alla conoscenza delle metamorfosi del 7hychius.5 — punctatus (L.) (Coleoptera Curculio- nidae) (Estr. dal « Bollettino del La- boratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore d’agricoltura in Portici », vol. X, pp. 103-119). Por- tici, 1916. 8°. GranpI G. — Descrizione della larva e della pupa della Sitona humeralis Steph. ed osservazioni sulla morfologia del- l’adulto della medesima specie (Estr. dal « Bollettino del Laboratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore d’agricoltura in Por- La a tici », vol. VII, pp. 93-100). Portici, 1913. 8°. Granpi G. — Gli Agaonini (Aymenoptera Chalcididae) raccolti nell'Africa occi- dentale dal prof. Silvestri (Estr. dal « Bollettino del Laboratorio di zoo- logia generale e agraria della R. Scuola superiore d’'agricoltura in Portici », i vol. X, pp. 119-286). Portici, 1916. 8°. GranpI G. — Gli stati postembrionali dif di un Coleottero (Otiorrhynchus cri- bricollis Gyll.) a riproduzione parte-, nogenetica ciclica irregolare (Estr. dal? « Bollettino del Laboratorio di zoo- logia generale e agraria della R. Scuola superiore d’agricoltura in Portici, vol. VII). Portici, 1913. 89, pp. 72 90. GranpI G. — La forma come funzione della grandezza. Ricerche sul sistema muscolare degli Invertebrati (Sonder. aus dem « Archiv fùr Entwicklungsme- chanik der Organismen », B. XXXIV, Ss. 239-262). Leipzig, 1912. 8°. Granpi G. — Nota su due Agaonini (Hymenoptera Chalcididae) dell'Au- stralia (Estr. dal « Bollettino del La- boratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore di agricol- tura in Portici », vol. XI, pp. 145-159). Portici, 1916. 8°. GranpI G. — Ricerche sopra un Phoridae (Diptera) africano ( Aphiachaeta xan- tina Spetîs.), con particolare riguardo alla morfologia esterna della larva (Estr. dal « Bollettino del Laboratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore d’agricoltura in Portici », vol. III, pp. 242-268). Por- tici, 1914. 8°. GranpI G. — Studî sui Coccinellidi (Estr. dal « Bollettino del Laboratorio di zoologia generale e agraria della Regia Scuola superiore d’agricoltura in Por- tici », vol. VII, pp. 267-302). Portici, 1913. 8°. Granpi G. — Studî sui Coccinellidi. Nota sul gen. Solanophila Weise. (Estr. dal « Bollettino del Laboratorio di zoologia generale e agraria della Regia Scuola superiore d’agricoltura in Por- tici, vol. VIII). Portici, 1914. 8°, fol. Granpi G. — Un nuovo caso di parteno- genesi ciclica irregolare fra i Coleot- teri (Estr. dal « Bollettino del Labo- ratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore d’agricol- tura in Portici, vol. VII, pp. 17-18). Portici, 1912. 89. Guipi C. — Unioni di forza per travi di legno cimentate a trazione (Estr. dalla rivista « l'Industria », vol. XXXIII). Varese, 1919. 89, pp. 1-7. HaLkvarD E. — The fossil Foraminifera of the Blue Mail of the Cote des Basques, Biarritz (From the « Memoirs and Proceedings of the Manchester literary and philosophical Society », vol. 62). Manchester, 1918.8°, pp. -xx1v, 1-145. HayaATA B. — Icones plantarum Formo- sanarum, nec non et contributiones ad floram Formosanam, vol. VIII, Tai- hoku, 1919. 8°, pp. 1-164. Jamer C. — Sur la phylogènése de l’or- thobionte, Limoges, 1916. 8°, pp. 1-72. KLIGENSTIERNAS S. — Levnad och verk. I Levuadsteckning av H.Hildebrand Hildebrandsson. Uppsala, 1919. 89, pp. 1-88. Lacroix A. — Conférence interalliée des Académies scientifiques tenue a Paris du 26 au 29 novembre 1918. Paris, 1918. 4°, pp. 1-17. La Touche D. — A bibliography of In- dian geology and physical geography, voll. 2. Calcutta, 1917, 1918. 8°. pp. r-xxviI, 1-571; r-11, 1-490. LeeeNnDRE R. — Problèmes' scientifiques f d'’alimentation en France pendant la guerre. Paris, 1919. 8°, pp. 1-159. Lesne P. — Catalogue des Coléoptères de la region Malgache décrits ou men- tionnés par L. Fairmaire (1849-1906). Paris, 1917-18. 89, pp. 1-1v, 1-180. Lussana S. — Influenza della pressione sulla conducibilità calorifica ed elet- trica dei metalli e la legge di Wiede- mann-Franz. (Kstr. dal « Nuovo Ci- mento », vol. XV, pp. 129-170). Pisa, 1918. 8°. MarIE R. — Catalogue des Coléoptères de la region |Malgache décrits ou men- — 304 — tionnés par L. Fairmaire (1849-1906). Paris, 1917-18. 8°, pp. 1-1v, 1-180. MazzoccHi-ALEMANNI N. — L'agricoltura nella politica coloniale. Tripoli, 1919. 89, pp. 1-52. Pession G. — ll sistema di radiotelegrafia Poulsen (Estr. dal giornale « )’ Elet- trotecnica », 1919, n. 7). Milano, 1919. 4°, pp. 1-11. Perrovitca M. — {Les spectres numéri- ques. Paris, 1919. 8°, pp. 1 vi, 1-110. PeyRoneL B. — Sul nerume o marciume nero delle castagne (Estr. da « Le Sta- zioni sperimentali agrarie italiane », vol. LII, pp. 21-41). Modena, 1919. 8°. PicArRD E. — Conférence interalliée des Académies scientifiques tenue a Paris du 26 au 29 novembre 1918. Paris, 1918. 4°, pp. 1-17. Picarp E. — Oeuvres de Charles Hermite; tomo IV.* Paris, 1917. 89, pp. r-vI, 1-593. Relazione sul servizio sanitario svolto dal- l'Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Ordine Militare di Malta gdurante la Campagna nazionale 1916- 1918. Roma, 1919. 4°, pag. 1-58. RoncHETTI V. — Terapia dell'influenza (Estr. dal « Pensiero medico »). Mi- lano, 1919. 8°, pp. 1-26. 'l'oenoLt E. — Osservazioni botaniche e sperimentali intorno alla Digitalis la- nata Ehrh. (Estr. dagli « Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», tomo LXXVIII, pp. 201-218). Venezia, 1919. 89. Traverso G. B. — La «lebbra» ed il « vaiuolo » del Sommacco; due malattie nuove per l’Italia (Estr. da « Le Sta- zioni sperimentali agrarie italiane », vol. LII, pp. 213-225). Modena, 1919. 8°. 'reballs de la Societat de biologia; any 1918. Barcelona, 1918. 89, pp. 1-352. Usar G. — Sopra un’equazione integrale (Estr. dal « Giornale di matematiche di Battaglini », vol. LVI). Napoli, 1918. 4°, pp. 1-7. Usar G. — Sulle variazioni di un integrale doppio con le derivate quarte (Estr. dei « Rendiconti del R. Istituto lom- bardo di scienze e lettere », vol. LII, pp. 115-134). Milano, 1919. 8°. Usar G. — Una generalizzazione della lemniscata di Bernoulli (Estr. dal « Giornale di matematiche di Batta- glini », vol. LVI). Napoli, 1918. 49, pp. 1-16. Ventosa V. — Reflexiones acerca de la resolucién de las ecuaciones algébricas numéricas por el método de Graffe. Madrid, 1919. 8°, pp. 1-23. VaLLauri G. — Ricevitori radiotelegrafici della R. Marina (Estr. dal giornale « ]' Elettrotecnica », 1919, n. 13). Mi- lano, 1919. 49, pp. 1-7. CARENA Ma LAI piicttnictnicnbic PERSONAL E ACCADEMICO Roviti (Vicepresidente). Comuniez che seno stati eletti Conispinlenti i sigr ori: ZL. Berzolari, G. A. Crocco, Q. Majorana, G. Lainelli, R. Versari; e che alla seduta scno prcsenti il ‘Socio straniero Mittag Leffer e il prof. Versari . . Rap: Lo stesso Presidente dà anrurcio della morte dei Scci: Lucio Da UO Strutt, Briosi Giovanni, Retzius Gustavo, Baccarini Pusquole, Hoeckel Ernesto, Dalla Vedova CADI IAA MII RIE ICE A PERONI, Hillosevich. COMINCIANO CONAI ORARIA CO A e PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono durante le ferie, segna- lando quelle di P. Burgatti, del Catalogo delle collezioni dî Diatomee e di Funghi appar- tenenti al conte Castracane degli Antelmivelli e al dott Lanzi, del tomo IV delle Opere GIECAnORHerMIteNe CC MR E e AI AO Te Ra I tira COMUNICAZIONI VARIE Riti (Presidente). Presenta un piego suggellato inviato dal dett. Tmiderto Bresciani. . » Id. Dà comunicazione di una lettera dell'Accademia delle scienze di Lisbona e comunica un MEV COLI CIAU NIVGES ARE STASI RI 0 EBREI NOS BIBLIGGRAFICO ARR N e e ne * 296 297 299 RENDICONTI — Novembre 1919. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Sedute del 2- novembre 1919. Emery. La distribuzione geografica attuale delle formiche (*) . . . ......... Pag. Stefani. Rapporto funzionale tra cervelletto e labirinto non AGUEtiCi © Ara BESATE) Brusotti. Un teorema sui fasci reali dî curve algebriche (pres. dal Corrisp. Borsa) “na Bompiani. Invarianti e covarianti metrici nelle deformazioni di specie superiore delle super- ficie (pres. dal Socio Castelnuovo). . . . : Des Rs PR RESE) Lazzarino. Sopra alcuni casi singolari nella (ola dei giroscopi i aslingietaioi ‘polaat (pres. dal Corrisp. Marcolongo) . . . ERA) Picone. Nuove regole per la riduzione ‘degli ni malipli ii TT uni (pres. dal Socio Bianchi) . . . . . È DOO Na Serini. Deformazioni simmetriche del sen. sino ora nai Sécio Levi-Civita) AI Silla. Sopra i moti di precessione regolare del giroscopio simmetrico pesante (pres. /d.). » Trabacchi. La relazione fra l’effetto Corbino e l’effetto Hall al variare del campo magne- tico e della temperatura (pres. dal Socio Corbdino) . so : AIR, Giua, Ricerche sopra i nitroderivati aromatici. X: Sulla ditretione del duo i dal Socio Paternò). . . . È RESTA Meno) Pelloux. La sellaite del marmo odi Cani ‘pres. dal Corsini F ililioiaoioh) | GT Perotti. Contribuzioni alla conoscenza dell’ « arrabbiaticcio » o «calda-fredda n dei terreni (pres. dal Socio Cudont). RO REN ad BB Buglia. Ricerche sulla natura fool Li si III: Nuovi Siparimenta sulla termo- stabilità dell’ ittiotossico (pres. dal Corrisp. Aducco) . . LL... MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Munerati, Osservazioni e ricerche sulla barbabietola da zucchero (pres. del Socio Pirotta) » RELAZIONI DI COMMISSIONI Viola (relatore) e F. Millosevich. Relazione sulla Memoria del prof. Billows, avente per titolo: « Sulla tridimite di Zoron negli Euganei n... MRO) 296. ” (Segue in tersa pagina) E. Mancini Segretario d’ufficio responsabile. (*) Questi lavori saranno pubblicati nei volumi delle Memorie. FA Br - Pubblicazione bimensile. - N. 10 ATI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI | ANNO CCCXVI. 1919 SEU CENA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 30 novembre 41919. Volume XXVIII. — Fascicolo 10° 2° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1919 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE L Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : è , 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi | siche, matematiche e naturali si pubblicano re golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate ds Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico Dodici fascicoli compongono un volame; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagins di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 41/2. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, è 30 agli estranei: qualora l'autore ne desideri =n numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- . demia; tuttavia se | Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. i II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- — risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - «) Con una proposta a, stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- - mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. 3) Col desiderio di far conoscere teluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell'Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. À chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ______——"—""—- Seduta del 30 novembre 1919. F. D'Ovipro, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Sulla teoria elettronica delle forze elettromagne- tiche. Nota del Socio Augusto RIGHI. La presente ha lo scopo di rettificare un’asserzione inesatta contenuta in una Nota, avente il medesimo titolo, presentata a questa Accademia nella seduta del 1° giugno. giuuta però a mia conoscenza da poco, perchè il relativo fascicolo è stato pubblicato insieme col fascicolo successivo soltanto a metà novembre. Di questa rettitica non vi sarebbe gran bisogno, se non accadesse, che una Nota pubblicata in Atti accademici fosse letta anche da dotti, che professano scienze differenti da quella a cui ha attinenza. Infatti, chi è in grado di rendersi esatto conto della maniera, nella quale sono giunto alla mia formola finale, comprende subito, che essa non può essere in con- traddizione colla legge della forza elettromagnetica, e quindi coi fatti che con questa legge vanno d'accordo. Ed in vero questa è per così dire impli- citamente contenuta nelle premesse da cui ho preso le mosse, essendosi adottata l’espressione Heu per la forza agente sopra una carica e animata da una velocità v diretta perpendicolarmente alla direzione del campo ma- gnetico H in cui il movimento ha luogo; e questa è l’espressione che si deduce dalla nota legge della forza elettromagnetica. È quindi tanto più singolare l’asserzione: Che non basta in genere (la mia teoria) @ spiegare ogni azione meccamica esercitata do un ev» magnetico su di un circuito per- RENDICONTI. 1919. Vol. XXVITI, 2° Sem. 40 — 306 — corso da corrente ..... (veggasi a pag. 388 la citata Nota). Ciò non di meno quel calcolo, nel quale si è adottato quel grado di approssimazione da tutti riconosciuto accettabile in simile questione, non doveva essere omesso, non solo perchè l'espressione Heu può essere stabilita anche per altra via, come ha dimostrato il Larmor ('), ma anche perchè serve a mettere in piena evidenza l’ipotetico meccanismo dei fenomeni. Per lo scopo in vista giudico necessario di richiamare dapprima come la mia teoria abbia avuto origine. Alcune esperienze mi condussero incidentalmente a realizzare le così dette rotazioni ronomagnetiche (>), cioè certi moti di rotazione intorno ad assi paralleli alla direzione del campo magnetico, che assumono corpi mobili introdotti in un gas ionizzato esposto all’azione del magnetismo, od anche lo stesso recipiente contenente il gas, se dotato della necessaria mobilità. La spiegazione di questi fenomeni, di cui riuscii a dare una elementare teoria (*), può riassumersi nel modo seguente. I ioni contenuti in un gas (e gli elettroni, se ve ne sono) esercitano per proprio conto (come dal canto loro le molecole neutre) delle pressioni, cau- sate dai loro urti. L'effetto risultante di esse, sia sulla superficie di un corpo immerso nel gas, sia sulla intera parete del recipiente, è nullo, come lo è quello degli urti delle molecole; ma non è più così per gli urti degli elet- troni e dei ioni, quando agisca un campo magnetico. Supposto per semplicità che il campo sia uniforme, le traiettorie percorse fra due successive collisioni non sono più segmenti ‘di rette, ma invece archi di eliche; ed ho potuto dimostrare, che l'effetto complessivo degli urti non è più nullo, ma equi- vale a quello di una coppia ad asse parallelo alla direzione del campo. Una speciale esperienza dimostrativa (4) permette di far vedere, non solo che'si produce la rotazione del recipiente contenente il gas rarefatto e ionizzato, ma ancora, se il gas è percorso da una corrente, che lo spo- stamento risulta identico in grandezza e direzione a quello che si otter- rebbe, quando al gas venisse sostituito un metallo di egual forma e per- corso dalla stessa corrente. In altre parole, l'effetto risultante degli urti dei ioni e degli elettroni nel caso del gas è precisamente quello stesso che nel caso del metallo viene attribuito alla forza elettromagnetica agente a distanza. Questa esperienza è una delle tante, che sì possono improvvisare sosti- tuendo dei tubi da scarica ai conduttori mobili negli usuali apparecchi di Ampère e di altri, adoperati per le dimostrazioni delle forze elettromagne- (1) Vedi alla pag, 396 il recente volume: / fenomeni elettroatomici sotto l’azione del magnetismo: Bologna, Zanichelli ed. (2) Volume citato, pag. 261. (5) Ibidem, appendice D, pag. 384. (4) Veggasi a pag. 315 del libro citato. DÈ, — 307 — tiche ed elettrodinamiche. Ma intanto le numerosissime mie esperienze ave- vano messo fuori di dubbio, che i movimenti dei tubi sono dovuti agli urti delle particelle elettrizzate sulle pareti. Giunto a questo punto sorse naturalmente in me l’idea, che l'identità di comportamento fra le due specie di conduttori fosse la manifestazione di una profonda analogia nel meccanismo dei fenomeni, Come è noto si sup- pone oggi omai da tutti, che entro un metallo esistano sempre elettroni liberi (e certuni ammettono anche l'esistenza di particelle positive), dotati di rapidi moti senza direzioni preferite simili a quelli delle molecole in una massa gassosa. Una forza elettromotrice imprimerà agli elettroni una componente di velocità in una determinata direzione, cosicchè nel loro com- plesso essi costuiranno allora col ioro spostamento una corrente elettrica, precisamente come accadde nel caso di un elettrolito posto fra due elettrodi. Un campo magnetico di qualsiasi causa modificherà le traiettorie e quindi la distribuzione delle pressioni dovute agli urti degli elettroni, come restano modificate le traiettorie e le pressioni dei ioni in un gas rarefatto. Ed ora diviene chiaro qual sia l’errore, che ha dato origine alla strana obbiezione: affacciata nella citata Nota del 1° giugno. Chi l’ha redatta pre- tende, che la notissima esperienza della così detta ruota di Barlow non si possa spiegare colla mia teoria (ad onta della considerazione svolta in prin- cipio della presente Nota che gli è evidentemente sfuggita); e ciò in causa dell'aver preso troppo alla lettera l'analogia, che ha condotto alla nuova teoria medesima. L'A. ha ingenuamente creduto di poter considerare un metallo come un recipiente pieno di elettroni ed avente per parete la sua superticie esterna. Il disco di Barlow diventa allora l'analogo di una scatola cilindrica contenente un gas ionizzato, la quale, supposta mobile intorno al proprio asse situato parallelamente al campo, non può naturalmente essere messa in moto dagli urti. Basterà però che legga le prime linee della pag. 320 del mio libro per rendersi conto del proprio errore; ed allora comprenderà forse, che un elettrone dovrà generalmente urtare le molecole del metallo, le quali debbono essere considerate come facenti la parte di parete, in quanto esse limitano lo spazio entro il quale gli elettroni possono muoversi liberamente. Quanto poi agli elettroni, che tenderebbero ad uscire dalla massa metallica, è chiaro che il mancato urto compensa la reazione elettro- statica, la quale si oppone alla uscita medesima. Anche il fenomeno, chejè l'analogo di quello della ruota di Barlow nel caso del gas, cioè la rotazione della massa gassosa compresa fra elet- trodi cilindrici coassiali paralleli al campo, non si potrebbe spiegare, se non si prendessero in considerazione gli urti sulle molecole del gas, le quali limitano esse pure lo spazio lasciato libero agli ioni, e perciò devono essere considerati come parti di parete. Matematica. — UV principio di riduzione nello studio delle corrispondenze algebriche. Nota del Socio CorrADO SEGRE. 1. Il principio di cui intendo far cenno è già stato usato in qualche caso particolare; e si presenta oltremodo spontaneo. Per maggior chiarezza esporrò anzitutto alcuni esempi. Si abbia una corrispondenza (2,2) fra due campi binari, rappresentata da un'equazione /(x;y) =0, omogenea e quadratica tanto nella coppia di variabili x, x», quanto nelle y, ys. Ponendo (1) K.=21 A (2) Yo=yi , Ya=y1Y2 . Ya=y, quell'equazione si ridurrà ad un'equazione dileneare F(X; Y) = 0 tra le X; e le Yx. D'altra parte, assumendo queste due terne di quantità come coor- dinate di punti su due piani (distinti o no), le (1) e (2) servono a rappre- sentare i due campi binari sui punti X,Y di due coniche. La F =0 pone una reciprocità fra i piani di queste curve. E la data corrispondenza (2,2) risulta rappresentata da quella che intercede fra quei punti delle due co- niche, i quali son reciproci in quella reciprocità. Così l'ente « corrispondenza (2 , 2) fra campi binari » sì muta in quest'al- tro: « reciprocità fra due piani, su cui son fissate due coniche » (?). Ciò porta subito a considerare, per esempio, il discriminante della re- ciprocità. Esso sarà un invariante della corrispondenza (2,2). Il suo annul- larsi significa che la reciprocità degenera in una projettività tra due fasci di rette. Ora questi fasci segano, rispettivamente, sulle due coniche, due in- voluzioni. La corrispondenza (2,2) si riduce dunque, se quell’invariante è zero, a una projettività fra due involuzioni dei due campi binari (?). 2. Si tratti ora di studiare le corrispondenze trilineari fra due forme di 12 specie ed una forma S, che possiamo supporre di 12, od anche di 22, 38, ... specie. Se nelle prime due forme le coordinate omogenee sono 1, xe € 71%», esse compaiono nell'equazione trilineare per mezzo dei monomii (3) EVIDENTI (°) Dal n. 6 risulterà anche, nel caso ordinario, la rappresentazione col sistema di due coniche di un piano. (3) Cfr. A. Capelli. Sopra la corrispondenza (2,2) ecc., Giorn. di mat., 17 1879, pag. 69. Alla pag. 95 si trova il suddetto invariante. a bia) = Dini, LR. Ria SITA see ue A * — 309 — Perciò l’equazione sì riduce a forma dilineare nelle X; e nelle coordinate dell'elemento 4 di S. Per le (3), si posson riguardare le X; come coordinate di un punto su una quadrica fissa Q: quadrica che rappresenta coi suoi punti le coppie di elementi delle prime due forme geometriche (essendo queste forme riferite ai due regoli di Q, ecc.). L'equazione data si è ridotta, nelle variabili Xi, all’equazione di un piano, dipendente linearmente da z: e quindi variabile in un fascio, o in una stella, o in tutto lo spazio. A questo sistema lineare di piani è riferita la forma S. Le terne della trilinearità son figurate da punti di Q, presi con piani passanti per essi del fascio, stella, o spazio. Si riconoscon subito su questa rappresentazione tutte le proprietà note della corrispondenza trilineare tra forme di 1% specie. Così le coppie neutre delle prime due forme son date dai punti di Q situati sull'asse del fascio di piani; ecc. ecc. 3. Similmente una corrispondenza quadrilineare tra 4 forme di 1% spe- cie, di elementi x y 2 #, ha un'equazione che, poste le (3) e le analoghe (4) Vhe=4Aa Arr MESTRE si riduce ad un’equazione di/ineare fra X e Y. Si ha dunque una recipro- cità fra gli spazî delle due quadriche Q ,Q'. luoghi dei punti X, Y; e le quaderne della corrispondenza quadrilineare son rappresentate dalle coppie di punti di Q, Q' reciproci in quella reciprocità. Questa rappresentazione {con un'altra che ne deriva, analoga a quella del n. 6) si trova .svolta ed applicata in una mia Memoria, in corso di stampa negli Annali di Matematica, Sulle corrispondenze quadrilineari tra forme di 1° specie, ecc. 4. Generalizziamo alquanto la rappresentazione del n. 1. Si abbia cioè fra i due campi binari una corrispondenza (#, x) di gradi qualunque. Si tradurrà in un'equazione /(2;7y)=0, che sì può porre sotto forma d'una relazione bilineare F(X;Y)=0 tra le due serie di quantità (5) Ni (de) (6) VE ibn) Possiamo considerare queste came le coordinate dei punti di due curve ra- zionali normali, C? di Sn, C* di S,. L'equazione F=0 pone, fra i due spazi Sm,S, una reciprocità, nel senso più generale della parola: ossia una corrispondenza, che è una reciprocità ordinaria, se m =; mentre se, ad esempio, m > r, essa equivale ad un'o»dinaria reciprocità fra S, e la forma fondamentale di specie x costituita dagli spazi che, entro $,,, passano per un[m_n—- 1]. — 510 — La corrispondenza (mx) è rappresentata da quella che ha luogo fra punti X, Y di C#, C", i quali son reciproci nella F: cioè tali, anche se m>n., che X sta nell’iperpiano dì S,, corrispondente ad Y nella reciprocità. Si abbracciano tutti i casi possibili, anche di reciprocità degeneri, am- mettendo l’esistenza in Sm,Sn, rispettivamente, di due spazi singolari [m_-rT—1],[a—r— 1], per la reciprocità F: sicchè questa si riduce ad un'’ordinaria reciprocità, non degenere, tra le forme fondamentali composte degli spazi passanti per quei due. Allora, projettando da quegli spazi sin- golari. e segando con due S, di Sm,S,. avremo in questi S, due curve ra- zionali (in generale d'ordini nm, ), e fra gli spazi stessi una reciprocità non degenere, la quale servirà a definire fra i punti delle due curve la cor- rispondenza (Mm, n). 5. Il numero 7, ora introdotto, sì ottiene dalla data corrispondenza nel seguente modo. Posto f(x ;y) = Tani array, r +1 indica il rango, o caratteristica, della matrice |a;x|. Le forme d'’or- dine m delle x, che in / moltiplicano i singoli monomi nelle y, saranno combinazioni lineari di 7 + 1 forme, e non meno; e così pure le analoghe forme d'ordine n delle y. Ciò equivale a dire che / si può rappresentare come somma di 7 +1 prodotti (e non meno) di una forma delle x per una forma delle y: (7) f(e3y)= go) (MY) + + Pr(£) Wr(4). La corrispondenza (mx) associa, ai singoli elementi di un campo bi- nario, co? gruppi Gm 0 G, dell'altro campo: i quali staranno precisamente in un'involuzione co”, 97, 0 97, e non in una di dimensione minore di 7. È questo un significato geometrico del carattere 7 della corrispondenva. Se ora assumiamo (3) X=gi(x) , Y=w(7) ((=0,1,..7), i punti X,Y descriveranno in due S, due curve razionali (eventualmente multiple) di ordini #2, (supposto che la / non sia divisibile per una forma delle sole x, nè per una delle y). La nostra corrispondenza /(2;y)=0 sarà. per la (7), rappresentata su quelle curve dalla relazione (9) SAir0 che pone fra i due S, una reciprocità non degenere: come s'era ottenuto alla fine del n. 4. . 6. Ma potremo anche trarre dalle ultime formole un'altra rappresenta- zione. i = n ,* fa” ; P, hu — 811 — Interpretiamo cioè le X, come coordinate di punto, e le Y, come coor- dinate d’iperpiano, in uno stesso S,, rispetto ad uno stesso sistema di rife- rimento; sicchè la (9) sarà la condizione d'incidenza del punto X e del- l’iperpiano Y. Allora, per le (8), X descrive una curva razionale C* d'or- dine m, immersa in S,; e l’iperpiano Y una co' razionale d'iperpiani 1”, di classe 7, non conica, e però costituita dagl’iperpiani osculatori di una curva razionale immersa in S,. Su queste due varietà, C e I° son rappre- sentati i due campi binari (#),(y), fra cui si aveva la corrispondenza (m, n). E la corrispondenza stassa diventa quella che intercede fra punti di C” e iperpiani di 7” che si appartengono. Se la medesima corrispondenza (#7) viene rappresentata nello stesso modo con un'altra curva-luogo C? e una inviluppo TY, di un S,, esisterà una collineazione fra i due S,, che muta simultaneamente C e T° in C, e T,. Infatti, essendo il campo binario (x) riferito tanto a C quanto a C,, e così il campo (y) a TY e a T,, si ha tra C e C, una corrispondenza bi- univoca tale (per l'ipotesi) che ai gruppi Gm, segati su C dagli iperpiani di Z°, rispondono i gruppi Gm segati su C, dagli iperpiani di 7. Per con- seguenza, alla g7, di C, che congiunge tutti i primi Gm (n. 5), corrisponde la G7 di C, che congiunge i G,, considerati di questa. Ossia: alle sezioni iperpiane di C rispondono le sezioni iperpiane di C,; la corrispondenza bi- univoca fra i punti di C e C, è contenuta in una collineazione, la quale evidentemente farà anche corrispondere tra loro MY e 7. Da quest'osservazione deriva facilmente che: la geometria projettiva (teoria invariantiva) delle corrispondenze (72, x) fra due campi binari distinti (cioè soggetti a sostituzioni lineari indipendenti) equivale alla geometria projettiva di due curve razionali, l'una d'ordine m, l’altra di classe n, di uno stesso spazio S,: ove 7 è quello dei due numeri m,7 che non supera l’altro; 0, più in generale, - +1 indica il rango della matrice dei coeffi- cienti delle corrispondenze; ossia 7 è la dimensione della serie lineare (in- voluzione) che congiunge i gruppi di elementi dell’un campo binario corri- spondenti ai singoli elementi dell’altro campo (!). 7. Infine passiamo al caso più generale: che si abbia una corrispon- denza (o connesso) fra due o più campi, di qualsiansi dimensioni, rappre- (*) La rappresentazione ora considerata (n. 6), e quest’ultimo teorema, sono stati enunciati — sotto una forma che qui si è completata — da G. Kohn, U. eine geome- trische Deutung der Invarianten doppelt biniren Formen, Jabresb. Deutsch. Math. Ve- reinigung, 5, 1896, p. 58 [ Cfr. anche l’applicazione alle corrispondenze (3,3) e cubiche sghembe in Math. Ann., 52, 1899, p. 293]. Come verifica dell’ultimo teorema, si può notare che il numero degl’invarianti as- soluti indipendenti delle corrispondenze (m, x) di carattere r è uguale a quello degl’in- varianti assoluti che ha, entro S,, il sistema di due curve razionali, una d'ordine m, l’altra di classe #. Ambi i numeri valgono (r+1)(m+n)—r°— 6. — 312 — sentata da un'equazione algebrica (10) (Ni SUV dei gradi m,w,p... rispettivamente nei diversi gruppi di coordinate omo- genee. Si potrà allora ricorrere alla varietà, i cui punti han per coordinate i varî monomi di grado w nelle 2; e alle analoghe per le y,z,... Con ciò la (10) si ridurrà ad un'equazione plurilineare fra i punti di quelle varietà, e quindi ad una corrispondenza plurilineare tra i loro spazi. — Oppure si prenderanno insieme due o più elementi 4,7, ... considerando la varietà dei punti le cui coordinate si esprimono. colle forme di grado #m nelle x e di grado n nelle y,...; e similmente la varietà rappresentata in modo analogo coi rimanenti elementi, o con una parte di essi; proseguendo ulteriormente, se ancora rimangono elementi. Si otterrà così dalla (10) una relazione bili- neare; od anche plurilineare, ma fra un numero di campi ristretto quanto si vuole. La teoria delle reciprocità, e, in genere, delle corrispondenze plu- rilineari, troverà applicazioni. S7 verrà 4 fare una specie di riduzione: delle corrispondenze, di gradi qualunque, fra un certo numero di campi, in corri spondenze plurilineari, fra un numero di campi minore od uguale a quello. Così, in particolare, le corrispondenze plurilineari si ridurranno a cor- rispondenze plurilineari fra un minor numero di campi, introducendo le note varietà che rappresentano le coppie, terne, ... di punti di due, tre ... spazî. 8. Vi saranno da considerare dei caratteri come la 7 del n. 5. Si scin- dano cioè, comunque, gli spazî tra cui si ha la corrispondenza, in due gruppi. I punti di un gruppo siano «,%,...; quelli dell'altro {,v.... Un carattere del connesso sarà il minimo numero r tale che / si possa scrivere come somma di 7 + ] prodotti di una forma delle coordinate x,%,.. per una forma delle 4, w,... Similmente, spezzando i campi in 3, o più gruppi. Il significato geometrico di questi caratteri è analogo a quello indicato al n. 5, pel caso che là si considerava. Se si fa la riduzione ad un legame bdilzreare, si può anche, come al n. 6 o come nella mia Memoria citata al n. 3, dare a quel legame il si- gnificato di %rneidenza fra punti e iperpiani di un S,. Così sì otterranno rappresentazioni della corrispondenza (10) simili a quelle ora citate per le corrispondenze (#2, 2), e per quelle quadrilineari, fra campi binari. — 318 — Fisica. — Sulla gravitazione. Nota III del Corrisp. Q. Mayo- RANA. Considerazioni analitiche. — Cercherò ora di stabilire teoricamente la misura del fenomeno dell'assorbimento gravitazionale, partendo dai criterì qualitativi derivanti dalle ipotesi precedentemente fatte. Vedremo così, come sì possano ricavare gli elementi necessarî per realizzare un'esperienza di controllo, di parte delle ipotesi stesse. Fissiamo anzitutto le condizioni ge- nerali del problema. Occorre esprimere analiticamente il presunto fatto fisico dell’assorbimento, partendo da una modificazione della legge di Newton, tale che la forza agente fra due punti material:, pur manifestandosi sempre sulla congiungente dei due punti stessi, sia, al crescere della distanza di questi, sempre più piccola di quanto vorrebbe quella legge. Ciò, beninteso, se i due punti si trovano immersi in un mezzo materiale di densità diversa da zero e costante. Ammetterò, inoltre, che a traverso una piccola distanza, lo smorzamento della forza gravitazionale sia proporzionale alla densità del mezzo. Se poi la densità del mezzo fosse variabile, o subisse delle discon- tinuità, il problema si complica ancora più, e per ora non è mia intenzione di affrontarne la trattazione generale. D'altronde, dato lo scopo di questo studio, a me occorre soltanto una guida, anche grossolanamente approssimata, per poter realizzare le esperienze di cui dirò in seguito. La legge di smor- zamento, da sovrapporre a quella di Newton, può essere data da un fattore esponenziale, come ora farò vedere. Primo metodo di caleolo. — Un primo metodo, relativamente sém- plice ma poco preciso, col quale si può trattare il problema, è il seguente: Sia una sfera materiale piena, di raggio R, e di Vensità vera costante d». Essa eserciterebbe, secondo la legge di Newton, un'azione su un punto ma- teriale esterno, proporzionale direttamente alla sua massa, ed inversamente al quadrato della distanza del suo centro da quel punto. La sua massa, se- condo le cognizioni solite, è ciò che ora possiamo chiamare massa vera. 4 (1) M,=32nR?9,. 3 Immaginiamo suddivisa tale sfera in intiniti strati sferici concentrici, di spessore dr, e diciamo r il raggio di uno qualunque di essi; 7 sarà va- riabile fra O ed R. La massa vera di uno strato qualsiasi, sarà data da dM,=4r.#°3},07 e la sua azione su di un punto esterno equivale, secondo la legge di Newton, ReNDICONTI. 1919. Vol. XXVIII, 2" Sem, ; 41 — 314 — a quella di una massa di egual valore, collocata nel centro della sfera. Facciamo ora intervenire l'ipotesi dello smorzamento: vogliamo supporre che. lo strato esterno, non avendo su di sè altra materia, agisca ancora con tutto il valore della sua massa vera, sui punti materiali esterni, e cioè con 47 R°d,dr; ma che, man mano che sì considerino strati di raggio sempre più piccolo, sino ad arrivare al centro, l’azione gravitazionale vada sempre più smorzandosi, come se il valore della densità vera andasse decrescendo. E cioè, per il raggio 7, lo strato avrebbe una massa apparente: (2) dM,= 4rr* Ge FA? dr, dove H è un fattore di proporzionalità o di smorzamento. Questa espressione soddisfa alla condizione al limite, per R=7, dello smorzamento nullo, e dà uno smorzamento massimo al centro. Si osserva però che, così scritta, l'equazione (2) non risponde con esattezza alle condi- zioni enunciate in principio. Infatti, se sì considera un punto esterno soggetto all’azione dello strato superficiale della sfera, secondo quelle condizioni, do- vrebbe l’azione della parte dello strato prospiciente al punto, non subire smorzamento alcuno; mentre gli elementi della parte opposta (vedendo il punto esterno alla sfera, solo a traverso spessori di questa, variabili da 0 a 2R) subirebbero smorzamento nella loro azione; la differenza di smorza- mento esiste poi anche fra i punti di qualsiasi altro strato interno. Ma, ciò non per tanto, ho seritto la (2); per cuì effettivamente H non rappre- senta una costante, ma una funzione tanto di 7, quanto della distanza del punto esterno considerato dal centro della sfera. Prescindo da tali considerazioni e supponendo, per semplicità di cal- colo, H costante, si ha, integrando la (2), 2P2 (I HR — e" | 1). x x M, — 4rr % f p° eh”) dr = 9 () Chiamando con p il prodotto HR, si ha anche Ji È RA Ù ) IV = pini 3 _ h — A sv e aio a) 1l quale risultato ci può esprimere la definita massa apparente della sfera, dentro i limiti di approssimazione risultanti dalla supposta, e certa- mente non vera, costanza di H al variare di 7. Dicendo 1 L i Le (4) ®=6( ie si ha, per la (8), (5) Mi= ir 9, R@=M.®. I È I | È | | — 315 — Cioè, occorre moltiplicare la massa vera per ®, per avere la massa apparente. E facile di vedere che il limite, per p=0, ossia per un raggio della sfera piccolissimo, o per un coefficiente di smorzamento H nullo, è uguale ad 1, cioè lim®=1. p=0 Nella fig. 1 si è costruita la curva ®, che rappresenta il variare di questa funzione, i valori della quale sono riportati come ordinate; quelli di p sono ascisse. Quella curva parte dal valore 1, e poi, abbassandosi, di- venta assintotica all'asse delle p. Introducendo il concetto di densità apparente 4,, si ha evidentemente la relazione (6) M= jr B. Per cui, confrontando (5) con (6), si ha a . h ° da (7) i ; Passiamo ora ad una applicazione di questo risultato e . Come ho già detto, il caso della maggiore agglomerazione di materia, da noi ancora studiabile — 316 — è quello del sole. La ipotesi che il calore solare possa, in buona misura, essere generato da assorbimento gravitazionale, porterebbe alla necessaria conseguenza di una notevole apparente diminuzione della massa vera del sole, e quindi ad un valore di M, sensibilmente diverso da M,. Ora, il caso del sole è, come forse quello di qualsiasi altro corpo celeste, assai più com- | plesso di quello trattato analiticamente, giacchè la densità di quell’astro deve certamente variare dal centro alla superficie. Già dissi che, secondo varî autori, può quella densità mutare all'incirca da 80 al centro a 0 alla superficie, con una densità media di 1,41; questa cifra rappresenterebbe, secondo l’attuale ipotesi dello smorzamento. la densità media apparente, mentre la densità vera potrebbe essere assai maggiore, ed in ogni caso mi- nore di quella dei corpi più pesanti conosciuti (circa 25). Per cui, tanto per fissare un ordine di grandezza, supponiamo che la densità vera del sole sia costante ed uguale a 10, mentre la densità apparente sia quella ammessa dagli astronomi, cioè 1,41. Si ha per le (7) il valore della funzione ®: 1.4] 1 1 1 1 = ——— == ( = 6h pes = si 10 iii Fr p° Li DRSRE 5) i Per successive approssimazioni, si trova che il valore p= 19,11 sod- disfa alla precedente relazione. Essendo il raggio della fotosfera solare uguale a Rs= 6,95.10?!° cm., si ha: 10719—= 277.1071097 Si può introdurre ancora il concetto di smorzamento per unità di den- sità, supponendo che H varî proporzionalmente a %,. Il fattore corrispon- dente % sarebbe, nel caso numerico considerato (&, = 10), h= + eri dv L'ipotesi 4, = 10, se può avere un certo grado di probabilità, è del tutto arbitraria. Si possono dunque calcolare i valori di 4, corrispondenti ad altri valori ipotetici della densità vera. Si ha, supponendo sempre costante la densità apparente 4, =1,41, la tabella seguente : 4 acidi’ 2 5 10 15 20 EI 0,283 0,141 0,094 0,071 De 05 8,35 19,11 29,75 40,88 in = 00 1,11.10- 2,40.107!! 2,75.10-! 2,85.10-! 2,90.10-3 ci fi Ago Così, per una variazione della densità vera da 2 a 20, il coefficiente di smorzamento 4, rimane sempre dell'ordine di grandezza di circa 107. Si vede dunque che basta supporre una” densità vera del sole, anche di poco superiore all'apparente 1,41, perchè rimanga fissato l'ordine di grandezza della costante universale di smorzamento h. Questo risultato costituisce una guida sicura, in una ricerca sperimenlale di controllo delle fatte ipo- tesi, come farò in seguito vedere. Matematica. — /nvarianti e covarianti metrici nelle deforma- zioni di specie superiore delle superficie. Nota II di E. Bom- PIANI, presentata dal Socio G. UAsTELNUOVO. 1. Facendo seguito alla Nota precedente dallo stesso titolo ('), chia- miamo, per estensione della curvatura di Gauss, envarzanti e covarianti gaussiani di una deformazione di specie v —1 quelli trovati nel teorema fondamentale (n. 6), cioè il sistema delle spinte eseguite sulla forma sim- bolica L, (il cui quadrato serve a caratterizzare le deformazioni di specie v) e l'insieme dei covarianti e degli invarianti ottenuti operando sulle spinte stesse. Dal teorema fondamentale deriva subito il corollario: Gli invarianti e i covarianti (simbilici o effettivi), che si ottengono operando sul sistema di forme L,, Lg, ..., Lu1: e sui covarianti gaussiani, sono invarianti 0 covarianti nelle deformazioni di specie v —1; il che è evidente, perchè i termini di essi che contengono derivate di ordine v sono introdotti soltanto per effetto dei covarianti gaussiani, e i coefficienti di questi, appunto per il teorema fondamentale, non mutano per deforma- zioni di spezie vr — 1. 2. Per fare un'applicazione, cerchiamo gli invarianti in una deforma- zione di 2® specie. Si ha un solo covariante gaussiano (2* spinta su Ls) (L30 Lio — L51) duî + (Lso Los — Lai Lis) dé, duo + (Loi Los — Lîe) dui; quindi l’invariante gaussiano (relativo) (2% spinta del precedente) (Lz0 Los — Lei Lio)? — 4(L30 Lie — Lî1) (Lar Los — Lî2) mentre dalle forme Lî e Ls si hanno gli invarianti relativi (comuni alle applicabilità) EG—F?, L% Lo — Li. (1) Questi Rendiconti, fasc. prec. (2 novembre 1519). — 318 — Eseguendo poi le spinte fra il covariante gaussiano trovato e Lî o L, (cioè, trattandosi qui di tre forme quadratiche, costruendo i loro invarianti simultanei), si hanno ancora gli invarianti relativi ELe: si 2FL, + GLoo E(La, Los 27 Li») — F(Lso Los FE La Lis) + G (Ls0 Lis Ang da) Ls0 (Lo) Los — Lîs) — Lui (30 Los — La: Li») + Los (Ls0 Lie — Lia) Il primo ed il terzo sono invarianti simbolici; se ne ottengono due effettivi facendo il quadrato di ciascuno di essi. Dividendo i 6 invarianti ottenuti, ciascuno per una conveniente potenza di EG — F°, si ottengono i 5 invarianti assoluti di una deformazione di 2% specie (1). Per le deformazioni di 3 specie mi limito a formare le spinte eseguite sulla forma simbolica L, che sono (a meno di coefficienti numerici) (Lyo Leo — Ls.) dui + 2 (Luo Lis — L31 Loo) dui dus Lt + [(Luo Los — Lg1 L13) + 3 (Lai Lia — L8»)] dui dui + + 2 (Ls, ly = JiSs Liz) du, dui + (Lo: 9 =" 113) dui (28 spinta) Luo Los — L31 big — 3 (Lg: Lis — Lt2) (42 spinta); sì sono raggruppati i termini in modo da mostrare la loro invarianza nelle deformazioni di 3* specie. L'invariante assoluto che si deduce da quello re- lativo scritto è l'analogo della curvatura di Gauss; per avere quelli che si sono chiamati invarianti e covarianti gaussiani, bisogna ancora operare sulla 2° spinta. 8. Qual'è il significato dell’annullarsi identico degli invarianti e cova- rianti gaussiani? A questa domanda (che estende alle deformazioni di specie qualsiasi la ricerca delle superficie a curvatura nulla per le applicabilità) risponde il seguente teorema: Condizione necessaria e sufficiente perchè una superficie sia applica- bile di specie v—1 sopra una superficie di un Sp, essendo la dimensione degli S(v — 1)-osculatori generici della superficie data, è (1) Il prof. E. E. Levi, nella Memoria Saggio sulla teoria delle superficie a due limensioni immerse in un iperspazio [ Ann. R. Scuola Nurm. Pisa, vol. X], studiando le superficie rispetto al gruppo dei movimenti, aveva già trovato gli invarianti di 2° ordine di un tal gruppo (che sono appunto 5). Essi sono, come si vede subito, invarianti per deformazioni di 2* specie. La loro forma differisce però dalla nostra contenendo soltanto derivate seconde; per l'introduzione delle derivate terze era necessari» procurarsi l’esten- sione del teorema di Gauss, i - 319 — che si annullino identicamente tutti i covarianti (in particolare l inva- riante se v— 1 è dispari) costruiti con le spinte eseguite sulla sola Ly. Intanto è chiaro che per la superficie deformata, giacente in S;, sono nulle tutte le matrici che figurano nei coefficienti di Ly (qualunque sia il sistema di linee coordinate sulla superficie), quindi anche le differenze Luk Lim — Uniti Li+iym-1: 0 poichè queste non variano per deformazioni di specie v — 1, devono esser nulle pure per la superficie data, e quindi sono nulle le spinte ©" (Ly, Ly) (7 pari e =»). Viceversa, se queste sono iden- ticamente nulle, cioè se sono nulli i loro coefficienti, si annullano tutte le differenze scritte (formate con prodotti delle Lx). Basta osservare che tanto quelle differenze quanto quei coefficienti sono in numero di ve) cienti diversi, vi è accompagnata da fattori numerici differenti (perchè di- pendenti da 7); e in conseguenza di ciò il sistema di equazioni, ottenuto uguagliando.a zero quei coefficienti, risulta a determinante +0 (?). Per v=2 si hanno le superficie a curvatura nulla. 4. Il teorema precedente è affatto generale e nulla suppone sullo spazio d’immersione della superficie da deformare. Quando questo abbia dimensione 04 1 ovvero 0 + 2, si può caratterizzare facilmente la costruzione della superficie deformabile. Cerchiamo le superficie di So: deformabili di specie v — 1 in una su- perficie di So [come prima, o è la dimensione dello S(v — 1)-osculatore ge- nerico alla superticie]. Per effetto della dimensione ambiente (e non della deformabilità) la superficie possiede, in generale, v sistemi semplicemente infiniti di curve dotate della seguente proprietà: lo Sy osculatore ad una di esse in un suo punto è contenuto nello S(v — 1) osculatore alla super- e che, se una stessa differenza tigura in due coeffi- ficie nel punto (*). Può però accadere che questi v sistemi vengano a coin- cidere in uno solo. Nel primo caso, assunte come linee coordinate sulla su- perficie quelle di due sistemi distin02 fra i »v che possiede, le coordinate dei punti della superficie soddisfano a due equazioni a derivate parziali del tipo DR DI DI e sati ai ; i A Ui dUg (*) Il lettore può verificarlo per le deformazioni di 3* specie sulle espressioni delle spinte di Ly date al n. 2, (?) L’angustia dello spazio non mi concede di estendermi nella dimostrazione di questo fatto proiettivo, nè di quelli che seguono. Per il lettore cui siano famigliari i metodi della geometria proiettivo-differenziale, essi non presentano difficoltà; in quest’or- dine d’idee può vedersi la mia Nota Sullo spazio d’immersione di superficie possedenti dati sistemi di curve [ Ist. Lombardo, Rendie., vol. XLVII, pag. 177] e due Note attual- mente in corso di stampa negli stessi Rendiconti, Le curve qui indicate appartengono alla famiglia delle quasi-asintotiche. — 320 — ‘ove ì punti stanno ad indicare termini lineari nelle derivate parziali linear- mente indipendenti d'ordine <= »v — 1 (i coefficienti, funzioni di %;,%:, non dipendono dall’indice 7 della coordinata x;). Con questa scelta risultano nulli tutti i determinanti estratti dalle matrici Lyo, Loy (il che indicheremo brevemente scrivendo Ly, = Lo, =0) e quindi sono nulli tutti i prodotti nei quali entri Ly 0 Loy. Notiamo ancora che, se la superticie data non sta in So (nel qual caso il problema posto non esiste), uno 2!mene dei punti derivati d'ordine del SONIC TO È i x punto x, esclusi e , @ fuori dello S(r — 1)-osculatore in x; sia du 7dU> Sp UT dUs esser soddisfatte dai suoi punti equazioni lineari a derivate parziali del tipo per es. . Allora, per essere Ja superficie in Sp+1, dovranno ancora dar dx = &hk n) PIANA du are +. (h+%=) (esclusi per % i valori 0, v—1 e v; e per X i valori 0, 1 e #). I punti hanno lo stesso significato di prima; non è escluso che alcune (anche tutte le) n: siano nulle. Segue intanto di qua che Lnz Lum = @nk @im Li; quindi, se è nullo L$_11, sono nulli gli invarianti e covarianti gaussiani. Ma dal- l’annullarsi di Lyo Ly-2,g — Lia = — Li, segue appunto L3_,,=0: vx dani e perciò tutta la superficie, cioè, nel campo reale, che il punto contro l'ipotesi. sta in Sp. Rimane dunque da vedere se esistano superficie della specie voluta fra quelle sulle quali tutti i sistemi di quasi-asintotiche considerate coincidono. In tal caso, assunto questo come sistema v, (cioè vs = cost.), debbono va- lere le equazioni a derivate parziali lineari ed omogenee ION dI DIC «ee, ——___ rice RICROAS Sat i RE da IU ds dui dUÎ quindi sono nulle (indipendentemente dalle condizioni di deformabilità) tutte le Ly x, eccetto Liy. Ma siccome Liy non può entrare nelle differenze del tipo Lux Lim — Lh-r,kt+r Li+1i,m-1, queste sono tutte nulle; quindi ogni superficie di questo tipo soddisfa effettivamente al nostro problema. L'interpretazione geometrica delle’equazioni precedenti (sulla quale non sto a fermarmi) porta al risultato seguente: Le sole superficie di So+: applicabili di specie v —1 sopra una su- perficie di Sy, essendo 0 la dimensione dello spazio S(v —1)-osculatore generico, sono quelle contenenti curve negli Sos osculatori ad una curva. È poi chiaro che nella deformazione si conservano rigidi gli S oscu- latori alla curva ora nominata, e che la voluta deformazione si conseguisce iaia — 321 — appunto mediante rotazioni infinitesime di questi Sp intorno agli Sp_1 oscu- latori. (Per o=v=2 si hanno le superficie di Ss applicabili sul piano). 5. Cerchiamo ora le superficie di Sp+, deformabili di specie v —1 in superficie di Sì = S(v — 1)-osculatore. Bisogna anche qui, come nel caso precedente, distinguere le proprietà proiettive della superficie risultanti dalla dimensione ambiente (0 4 2), dalle proprietà (proiettive e metriche) dipendenti dalle condizioni di defor- mabilità. Si trova così che le superficie in esame posseggono un doppio sistema di curve (permanente nella deformazione) dotato delle seguenti proprietà : Gli Si (L=h=v—1)-osculatori alle curve di un sistema in v—Ah+1 punti successivi di una curva dell'altro stanno în uno S(v —1)- osculatore alla superficie. L'unica condizione, per la voluta deformabilità, che rimane ancora da considerare, è Lyo Loy — Ly-1,1 Liy-1= 0; quindi, per le precedenti, Lvo Loy =0. Condizione necessaria e sufficiente affinchè una superficie di Sp+s sia deformabile di specie v — 1 in una superficie di Sp, essendo v la dimen- sione dello S(v —1)-osculatore generico alla superficie, è che (quando non appartenga al tipo già determinato nel n. 4) possegga un doppio st- stema del tipo sopra specificato e che in ogni punto gli Sp+1, che dallo Sp ivi osculatore alla superficie proîiettano gli Sy ivi osculatori alle due curve del sistema che vi passano, siano fra loro ortogonali. Anche nel caso delle applicabilità (0 =v = 2) si ha un risultato che credo nuovo: le superficie di S, applicabili sul piano, quando non siano sviluppabili, posseggono un doppio sistema coniugato (ordinario) tale che gli Ss, che dal piano tangente in un punto alla superficie proiettano i piani osculatori alle due curve del sistema che vi passano, sono fra loro ortogo- nali. L'esempio portato dal Killing (') soddisfa appunto a questa condizione. (1) Killing, Die Nichteuklidischen Raumformen in Analytischer Behandlung[ Leipzig, Teubner, 1885], $ 12, pag. 241. RENDICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 42 — 322 — Matematica. — Sulle curve piane algebriche reali prive di punti reali. Nota di Luci BRUSOTTI, presentata dal Corrisp. L. BER- ZOLARI. 1. Una curva piana algebrica reale, cioè avente equazione a coefficienti reali rispetto ad elementi reali di riferimento, quando sia d'ordine pari 27, può essere priva di punti reali. D'altro lato, se si osserva che le parti reali delle curve reali di un fascio reale di curve piane algebriche costituiscono un fascio di curve grafiche (*) e che un fascio di curve grafiche può essere o rientrante in sè o dotato di estremi (?), appare ben lecito di applicare queste denominazioni direttamente al fascio reale di curve algebriche. Ciò posto, risulta in modo semplice che, se un fascio reale di curve piane algebriche contiene una curva reale priva di punti reali, esso è dotato di estremi. Precisamente le sue curve reali si ripartiscono in due continui, l'uno di curve dotate di punti reali, l'altro di curve prive di punti reali, continui separati dai due estremi, per ciascuno dei quali la parte reale è, in generale, ridotta ad un sol punto isolato. Per i fasci /opologicamente generici (*) è pur valida la reciproca. 2. Segue che, se le curve piane d'ordine 2m sì rappresentano cor punti di uno spazio S, ad r=m (2m-+3) dimensioni, in modo che immagini di curve reali siano punti reali, i punti-immagine di curve reali prive di punti reali riempiono una regione K, ad r dimensioni, convessa (od ovoide), quindi semplicemente connessa. Ed invero una retta reale di S,, la quale passi per un punto di K, è immagine di un fascio dotato di estremi ed ha perciò in comune con K un solo segmento, immagine del continuo costituito entro il fascio dalle curve reali prive di punti reali. Risulta pure che un punto generico del contorno di K è immagine di una curva la cui parte reale si riduce ad un punto isolato. Se inoltre si pon mente agli spazî reali subordinati ad S,, si deduce che, se le curve di un sistema lineare reale co! (t<7r) si rappresentano (1) Brusotti, Sui fasci di curve grafiche (Succ. Bruni. Pavia, 1919). Cfr. n. 34. (2) Ibid, $8e$ 9. (*) Per la definizione di fascio topologicamente generico vedasi ibid., n. 117; ed anche Brusotti, Un teorema sui fasci reali di curve algebriche (in questo volume di Rendiconti) j "CATO iairicicatani — 323 — coi punti di un Si reale in modo che immagini di curve reali siano punti reali, e se il sistema contiene curve reali prive di punti reali, è punti- immagine di queste ultime riempiono una regione a t dimensioni, convessa (quindi semplicemente connessa). 3. Con queste premesse sì può dimostrare che, se esiste un fascio reale (topologicamente generico) di curve piane di ordine 2m, contenente curve reali prive di punti reali e dotato di 2/,4-1 centri critici reali (*), allora, comunque si scelga il numero positivo h'< h, esistono pure fasci reali di ordine 2m, contenenti curve reali prive di punti reali e dotati di 2h'4-1 centri critici reali. Sia il fascio del tipo detto e dotato di 2h-+4-1 centri critici reali; sia g, un fascio pure del tipo detto, ma dotato di 3 centri critici reali, fascio di cui è nota l’esistenza (?). Supposti, come è lecito, pg e , in condizioni algebricamente generiche, essi appartengono ad un 00% reale ed algebricamente generico, rappresenta- bile nel modo indicato (n. 2) su di un S; reale. Siano allora (4) (g,) le rette (reali) immagini dei due fasci, e sia H la regione convessa luogo delle immagini delle curve reali prive di punti reali. In H, e rispettivamente su (4) (1), si prendano due punti P e P, e si consideri una retta reale, la quale passi con continuità (in S3) dalla po- sizione (g) alla (9), sempre appoggiandosi ad una linea congiungente P con P, e totalmente tracciata in H [il che è possibile, per esser H (n. 2) semplicemente connessa |. Si osservi che in S; le curve dotate di punto doppio sono rappresentate dai punti di una superficie 4, la cuì parte reale si compone: e) di una falda reale, con linee nodali e cuspidali rispondenti all’esi- stenza, nel sistema, di curve (reali) dotate di due punti doppî reali o di cu- spide reale; B) di linee doppie isolate, per l'esistenza di curve (reali) dotate di due punti doppî immaginario-coniugati. Punti eccezionali in numero finito spettano alla parte reale di 4 per la presenza, nel sistema, di curve reali con tre punti doppî o con tacnodo o con due punti doppî di euiì uno sia una cuspide. Per l’arbitrarietà del procedimento, si può supporre che la retta mo- bile, passando dalla posizione (g) alla (.), eviti codesti punti eccezionali. Così è da escludersi che la retta venga a toccare la falda reale di 7, perchè (1) Centro critico è (secondo Cayley) un punto doppio per una ed una sola curva del fascio, Se l’ordine è pari, il numero dei centri critici reali (come quello totale dei centri critici) è dispari. (*) Brusotti, Esistono fasci di curve piane d'ordine n a punti-base e centri critici tutti reali (Rend R. Ist. Lomb,, vol, LI, 1918). Vedasi la postilla alla prefazione. — 324 — in tal caso il fascio di cui la retta è immagine acquisterebbe punti-base reali ('), mentre esso possiede curve reali prive di punti reali in quanto la retta costantemente penetra in H. Non avendo le linee isolate di 4 influenza alcuna sulle caratteristiche topologiche del fascio variabile insieme colla retta, queste muteranno solo nel caso che la retta stessa attraversi linee nodali o cuspidali per la falda reale di 4. Ma la prima circostanza non altera il numero dei centri critici reali, mentre la seconda lo altera di due unità, perchè il fascio (attraverso ad un fascio dotato di curva cuspidata) acquista o perde una coppia di centri critici reali (l'uno nodale, l’altro isolato) (*). Segue che, nella deformazione continua corrispondente allo spostamento della retta, immagine, il fascio si conserva dotato di curve reali prive di punti reali, ma il numero dei centri critici reali assume almeno una volta ciascuno deì valori dispari compresi fra 2h4-+-1 e 3. Ed il teorema è così dimostrato. 4. Un risultato generale sui modelli algebrici dei fasci di curve grafiche (*) permette di estendere il teorema del n. 3 nel modo seguente: Se esiste un fascio reale (topologicamente generico) di curve piane d'ordine 2m, contenente curve reali prive di punti reali e dotato di 2h+-1 centri critici reali, comunque si scelgano î numeri (posttivi) mam, h=h, esistono fasci reali algebricamente generici di curve piane d'ordine 2m', î quali contengono curve reali prive di punti reali e posseggono 2h' +1 centri critici reali. (1) La rete delle curve del sistema passanti per un punto reale M ha per immagine il piano tangente alla falda reale di 4 nel punto-immagine della curva del sistema avente punto doppio in M. (2) Cfr. Sui fasci di curve grafiche (cit.), n. 83 (fig. 55). (3) Sui fasci di curve grafiche (cit.), nn. 117-118. SEDE pass * Idromeccanica. — Sul moto di un vortice puntiforme. Nota III di B. CALpONAZZO, presentata dal Socio T. LEVvI-UIVITA. 8. Solo dopo la pubblicazione delle mie due Note Sul moto di un vortice puntiforme (') sono venuto a conoscenza di alcuni lavori sullo stessso argomento. Il sig. L. Foppl ha studiato (*) il moto di una coppia di vortici in presenza di un cilindro circolare. È questo il caso che io considero in fine alla Nota II; i risultati che riportai allora contengono in sostanza quelli del Foppl. Dal lavoro del Fòppl apprendo inoltre che W. Kutta già da parecchio tempo aveva trattato il caso di una coppia di vortici in presenza di una lamina rettilinea, cui pure io accenno alla fine della Nota II, dando gli elementi essenziali per la determinazione del moto della coppia. Non sono riuscito tuttavia a prendere visione del lavoro del Kutta. Affrettandomi a restituire la dovuta priorità, mi permetto di rilevare che i sigg. Kutta e Foppl si sono limitati a problemi particolari, mentre nel mio lavoro la parte rigida limitante il campo del moto ha forma qual- siasi. Mi sembra inoltre un vantaggio non trascurabile l’introduzione della corrente C (vedi le due prime Note) che permette di dare ai risultati una forma semplice ed espressiva. Più recente è un lavoro del sig. Lagally (*). Egli rileva con quali cau- tele si possa impiegare la rappresentazione conforme del campo del moto, quando in questo esistano dei vortici isolati, per la ragione che la funzione di corrente è singolare nei punti occupati dai vortici. Mi sia permesso di notare che ciò è sostanzialmente contenuto in un lavoro del Routh (4) e del quale ho tenuto conto e mi sono utilmente giovato nelle due Note citate. Il Lagally considera quindi il moto di un vortice in un canale a pareti rettilinee per passare poi, con la rappresentazione conforme, ad un piano tagliato da una semiretta, considerato quale superticie viemanniana a due fogli. (1) In questi Rend., vol. XXVIII, pagg. 191-195 e pagg. 301-303. (2) L. Fòppl, IWirbelbewegung hinter cinem Kreiszylinder [Sitzungsber. der Kén. Bayerischen Akad. der Wiss. math.-physik. Klasse (1918) Miinken]. (3) M. Lagally, Veber die Bewegung einzelner Wirbel in einer stròmenden Flissig- keit [Sitzungsber. der Kén. Bayerischen Akad. der Wiss. math.-physik. Klasse (1915) Miîiuchen ]. (*) E. J. Routh, Some applications of coniugate functios [Proc. Lond. math. Soc,, 12 (1881), pag. 72]. — 325 — Mentre i lavori del Foppl e del Kutta mi esimono, pel momento, dal trattare diffusamente i casì interessanti di una coppia di vortici in presenza di un cilindro o di una lamina, come mi ero proposto di fare, il lavoro del Lagally mi ha indotto a pubblicare questa terza Nota sul moto di un vor- tice puntiforme in un canale a pareti qualisivogliano e percorso da una corrente C stazionaria irrotazionale. f Seguendo il criterio, introdotto utilmente nelle prime due Note, posso esprimere ancor qui tutti gli elementi del moto del vortice per mezzo di quelli di C, determinandone i punti d'arresto e la condizione per la loro stabilità. Pertanto, anche per un canale il moto di un vortice si può considerare determinato in tutti quei casi in cui sia stata determinata una qualsiasi corrente C stazionaria irrotazionale. Sussistono ancora i risultati qualitativi, già rilevati nelle Note prece- denti. In particolare risulta giustificato quanto si osserva nel caso reale, e cioè che i vortici si presentano di preferenza, sostandovi, in prossimità delle sporgenze e delle rientranze delle sponde. Faccio infine un'applicazione ad un caso particolare che permette di con- siderare il moto di una coppia di vortici in un canale, che si può risguar- dare costituito da un recipiente molto grande munito di imboccatura di Borda. Il luogo dei possibili punti d'arresto della coppia è interno al tubo costituente l’imboccatura e coincide con le linee isotachie della vena libera effluente nel caso di Borda. 9. Siano w e v le due pareti del canale, le quali si estendono indefi- nitamente a monte ed a valle. Con w si conviene indicare quella parete che risulta parete destra per una corrente C a portata 9g positiva. Il sistema di riferimento e le notazioni sono quelli già introdotti al n. 1. Perciò, se /= g + 1w è il potenziale complesso del moto di C, pos- siamo fissarne una determinazione, in guisa che risulti w= 0 su u, W=9 su», qualunque sia il segno della portata g. Si ponga ora La nuova variabile complessa Z = X + Y rappresenta manifestamente in modo conforme il campo A del moto sul semipiano Y => 0. Sostituendo nella (1) il 2° membro di questa, a meno di una inessenziale costante ad- dittiva, diviene È y | Laoitencalà strut do — 327 — Perciò la funzione di corrente del moto del vortice, composto del moto della corrente C e di quello proprio del vortice stesso, risulta I sen 7% ia che differisce dalla w* della Nota II, relativa al caso in cui una delle pa- reti del canale è a distanza infinita, per lo scambio di w in sen 7 w nel- l'argomento del log. Sono quindi traiettorie del vortice le linee EIA M_welseni yi a= cost. Vi La sua velocità V* è data da Vr deo + 1) V Mia orad 9 =(%; 2q 0 35 y 27 le) U che si può scrivere vet) £ cotg £ y+1)v— © t-4-—_ n (\2g q dre ds ) dr ds t ed m rappresentando sempre i vettori unitarî tangente e normale alla ve- velocità V della corrente C. I punti d’arresto del vortice evidentemente sono quelli in cui I 39 dT ras dI I È cotg 7 Y + 1)v La seconda di queste coincide con la relazione già trovata pel caso studiato nelle Note precedenti. Ancor qui essa individua una linea /, di ‘cui fa parte il luogo dei punti dove la velocità V di C ha un massimo od un minimo e sulla quale necessariamente si trovano i punti di arresto. Per la stabilità dell'arresto, seguendo lo stesso procedimento del n. 4, sì ritrova la condizione 3 2 o Ancor qui tutti gli eventuali punti angolari delle pareti appartengono alla linea /, per le stesse ragioni addotte nella Nota II. Ciò mette in evi- denza la possibilità che il vortice si presenti e sosti nelle vicinanze delle accidentalità delle sponde, come ho asserito nel n. precedente. — 328 — 10. In alcuni casi, non del tutto infrequenti, giova definire la corrente C, anzichè con una funzione /(z) della variabile complessa del campo del moto, con una relazione tra w ed f. Risulta allora V= V(g,%w); e per conse- guenza, ricordando che lungo una linea di flusso s di C è w= cost, di IALIA DS NED NEPI VP 39 _2_ ww. IE CORE AIA dI 2(T)e_ PIA asta dios IPY La linea / risulta così definita dall'equazione DV dp e la condizione di stabilità si modifica nella seguente : Ad es., peorz=/+e+1si ha wv=(14@)" (!). Si tratta di un canale la cui parete w è l'asse delle x, la parete v è costituita dai due bordi del taglio fatto con la semiretta y =, x <0. La corrente C sbocca dalla striscia compresa tra le due pareti nel restante semipiano y = 0. Si ha in questo caso oi V=(14 e? + 2e? cosy) è ; quindi se ne deriva dV 39 — V* e?(e® + cos ww). Questa mostra che la linea / è costituita dalle due sezioni normali alla vena C all’ co a monte ed a valle e dalla linea e? + cosyw= 0, avente per assintoto la retta y = ai Su questa linea è 3 O DV — Ve cetiseniy — CORI dY dP VU sen? y Ne segue (poichè nell'interno del campo è 0) (11) ai Coe 2(b-+ 6), dari a (L) +()+e en—_-2(6+0), ba 2 dI3 dI 2 da, nelle quali equazioni 0 = fn dx3; D e % sono due funzioni, a priori ar- bitrarie, dei soli argomenti x, e x». Formando le condizioni di integrabi- lità, si trova dD: Di — j ra => b) dI dA i dX 2 PHAI cioè le due funzioni D e & devono essere armoniche associate. Soddisfatta questa condizione, per teoremi generali ben noti, il sistema (11) ammette una sola soluzione, dipendente da tre cestanti arbitrarie (in generale fun- _ zioni di x3). Il sistema (11) caratterizza tutti i ds? della classe B). Abbiamo quindi anche qui una infinità di 4s? soddisfacenti alle condizioni poste, il grado di arbitrarietà essendo quello di una funzione armonica. Spero di esaurire la discussione del sistema (11) nella redazione della Memoria 7 extenso del presente lavoro. — 339 — Matematica. — Muove regole per la riduzione degli inte- grali multipli generalizzati di Riemann. Nota II di Mauro Pr- CONE, presentata dal Socio L. BIANCHI ('). Si ha, inversamente, il TrorEMA Il. — Se la funzione f è commutabile in G, essa pos- stede un integrule generalizzato (R) esteso al dominio E, ed è t) f. faP =(R) IL fab. Si ha invero 3 Ae ORI Î E f - pl © Sy / » Apps ( fi 7A ) a ( i 4 sa 1ò Possiamo, dopo i teoremi I e II, enunciare il TrorEMa III. — Se l'insieme Fin un dominio E dei punti singo- lari per l'integrabilità (R) di una funzione f è misurabile (J), condizione necessaria e sufficiente affinchè la funzione f ammetta un ‘integrale gene- ralizzato (R) esteso ad EB, è che essa sia sommabile in G=E—F. Si avrà allora (8) f /(2)aP= lim fia = f far. MaA==mG 3. Si consideri una particolare successione, avente per limite G —H, di dominii (3) ARDA AA tutti contenuti in G e, ciascuno, contenente il precedente. Può darsi che la successione (6) dh (VIP .., fd ammetta un limite determinato e finito, senza che la funzione / possieda un integrale generalizzato (R) esteso ad E; è però evidente che, se / pos- siede un tale integrale, poichè lim (m4,)="mG, esiste il limite della n= 90 successione (6), ed esso è l'integrale indicato. (*) Pervenuta all'Accademia il 25 settembre 1919. — 340 — Sussiste però il teorema, talvolta utile in pratica: Condizione necessaria e sufficiente affinchè la funzione f possieda un integrale generalizzato (R) esteso ad E, è che esista una particolare successione (3) per cui (7) IE 1/(P)} dB sta limitato rispetto ud n. La condizione è evidentemente necessaria. Dimostriamone la sufficienza. Se l'integrale (7) è limitato rispetto ad x. poichè esso non decresce al cre- scere di 7, comunque si assegni un numero positivo «, si potrà determinare un valore v di 7 tale che, qualunque sia il numero intiero e positivo #, risulti: | E {f(P)|dP — == _ (8) Jug PEN] I <5 Poichè |} è integrabile (R) in 4,, esiste un numero positivo d tale che, per ogni dominio 4, contenuto in 4, e di misura non superiore ad, sia Je = (6) c -° LI 1 bi(eB) or SE 05 dI uni TAIL). Queste, scritte sotto la forma equivalente TI ETRE e —{(—4rG}=r — 77 r6|=—r dr 2° “de * da 2 dr dànno, osservando le (2) (!), w°- (12) mr ai cosicchè. essendo nota G, si può renziale immediatamente integrab tale integrazione, occorre vedere ora ricavare / risolvendo l’equazione diffe- ile (11). Per eseguire in modo più elegante col Beltrami come si costruisca, partendo dalla funzione simmetrica armonica V, una doppia serie di funzioni armo- niche e relative associate. $ 3. Serre di funzioni armoniche simmetriche e relative associate (*). Il Beltrami osserva che le (2) possono essere interpretate separatamente come condizioni di integrabilità; nire due nuove funzioni V,,W,. e come tali possono essere usate per defi- che hanno ancora il carattere di funzione (1) Vedi Cerruti, Ricerche sull'equibrio dei corpi elastici isotropi, Memorie Ace. Lincei, XIII, 1882. (2) Vedi E. Beltrami, loc. cit. RenDICONTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sem. 45 SIAE armonica e relativa associata. La prima di esse dà (13) Vas tar=av,, e la seconda ‘ (13’) Wadz+ Vrdr=dW,. Si ha così (14) Ve Vi i denti d8 dr (14) vet ag e PODI dE quindi (15) dW, SE di al SV POME Salo si deduce di qui, come anche dalle (2), che V, è armonica e W, ne è la funzione associata. La serie si può continuare, deducendosi dalle Vi, W, altre due funzioni V,, W:; e così di seguito. Pel nostro scopo basta limi- tarci alle V,, W, che si deducono immediatamente dalle relazioni prece- denti. Si osserverà che, data V. si deducono con successive integrazioni di differenziali esatti tutte le altre funzioni W,V,,W,, ecc.; mentre, dati V. o W,., si ritorna indietro nella serie con sole derivazioni. $S 4. Applicazione alle deformazioni simmetriche. — Per ottenere il tipo generale di deformazione simmetrica, cì rimane da trovare la /. Essa è data dalla equazione differenziale (11) dove & è nota per la (12) (avendo supposto data @ e quindi ®). Avremo così, tenendo conto della (8), 21 SLA de gere 208 dr dr da Usando dei risultati ottenuti nei SS 1 e 3 potremo serivere PA I War oe Dee e quindi df L21090, SA 19W dei or de 2? DETTA Di qui 3 2 2° — 0? 1 (16') = a Tag i (0) dove (7) sarà da determinarsi in modo che le 0° = Uiog: O 4 V UTC _Uf Ia — 347 — diano du dv dwW PA — = 0, DUI " ag dE ossia che d/ , dw Lpt=o. (17) dig ni. Eseguendo i calcoli si trova che, affinchè sia soddisfatta la (17), deve essere 29(7) + rg) =0, ossia (18) (7) = Ceti con € costante. Questo termine porta nelle %,v i contributi Carey che diventano infiniti per x =y=0. Quindi, se il sistema ha punti sul- l’asse 2, deve essere C=0. Le (8) (9) (16’) [in quest ultima ponendo g(v)=0] risolvono il nostro problema mediante le due funzioni armoniche arbitrarie 0, V, tutte le altre deducendosi da queste con quadrature. Si 0s- servi però che, mediante tali operazioni, vengono introdotte costanti arbitrarie. Converrà quindi introdurre altre espressioni per le quali questo inconveniente non si verifichi e nelle quali appaiano esplicitamente le due funzioni armo- niche arbitrarie. A tal uopo servono le formole del $ 3. Si osservi infatti che, con evidente significato dei simboli, si ha 6 ? 6 dl) d? 6 9 SEL SARI eni dV (20) V= —,, ea, dE dr Si vede quindi che tutto si può osprimere mediante le due funzioni armoniche simmetriche #,, V, che chiameremo rispettivamente ®, ®. Quindi, concludendo: « Il tipo generale di deformazione simmetrica si ottiene dalle formole l 0° — 0° °D dI \ u="ef(ra)v—yf(ra), w=— xe sai 3a (21) pe RID20_ eat dt 1 — rr 20° de? Di dove 4°®(r,3)=0 , 4°%(r,3)=0 nei punti occupati dal corpo che si deforma. — 348 — Astronomia. — Nuovo calcolo dell’assorbimento totale dell’at- mosfera solare. Nota del prof. ALEssaNDRO AMERIO, presentata dal Corrisp. M. CANTONE. Nelle mie Ricerche sullo spettro e sulla temperatura della fotosfera solare (*) studiando la distribuzione dell'energia totale sul disco solare, dedussi (vedi pag. 57) che l'atmosfera trasmette il 55,6 °/, ed assorbe il 44,4°/ della energia che viene irradiata dalla fotosfera. Più oltre, nella stessa Memoria, (vedi pag. 63), sono calcolati i valori degli assorbimenti esercitati dall'atmosfera solare sulle singole radiazioni emesse dalla fotosfera e che giungono a noi. I valori trovati sono i seguenti: Lunghezza d’ouda Energia °fo Energia °/ (in 4) assorbita trasmessa 0,450 67,0 33,0 0,497 61,6 38,4 0,537 57,9 42,1 0,589 53.4 46,6 0,710 45,8 D4.2 0,785 42.3 37,0 1,035 37,9 62,5 1,24 54,1 65.9 1,72 29,4 i 70,6 2,14 26,0 RE AO 2.91 22,0 18,0 3,35 19,4 80,6 Da questi dati, e tenendo conto della distribuzione dell'energia nello spettro della fotosfera solare che si trova nella stessa memoria (tav. VI, curva III), si possono dedurre, per via completamente indipendente dalla grima, i valori delle frazioni di energia totale trasmessa e assorbita. Se infatti moltiplichiamo le percentuali di energia trasmessa per le ordi-” nate che nello spettro della fotosfera solare rappresentano l'energia irradiata per le lunghezze d'onda che si considerano, otteniamo le ordinate dello spettro solare normale corrispondenti alle stesse lunghezze d’onda (*). (!) Memorie della R. Accademia dei Lincei, 1914. (*) Si osservi che questa via per determinare lo spettro solare è solo apparente- mente più semplice di quella da me seguìta in altra Nota (Rend. Lincei, vol. 24). In — 949 — Questi dati sono raggruppati nella tabella seguente che nella seconda e quarta colonna contiene numeri proporzionali rispettivamente alle energie dello spettro della fotosfera e dello spettro solare, per le lunghezze d'onda segnate nella prima colonna. Lunghezza Spettro Percentuale Spettro d'onda fotosfera trasmessa solare 0,400 162,0 30,0 48,5 0,430 ire 33,0 58,8 0,497 160,0 38,4 61,4 0,537 145,0 42,1 61,0 0,589 126,6 | 46,6 59,0 0,710 91,0 04.2 49,3 0,885 16,2 57,7 44,0 1,085 40,1 02,5 25,1 1,24 23,6 65,9 . 15,5 72 8.2 10,6 5,9 2,14 4,2 74,0 3,1 2:91] i053, 78,0 1,9 3,95 1,9 80,6 1,0 I numeri della prima riga sono ottenuti per extrapolazione dai dati sperimentali. Se ora disegnamo nella stessa scala (vedi figura) lo spettro della foto- sfera solare e quello del sole mediante i dati della tabella, otteniamo gli spettri I e II, e se misuriamo le aree comprese tra le singole curve rappre- sentanti gli spettri e l'asse delle ascisse, e quella compresa tra le due curve, otteniamo rispettivamente dei valori proporzionali alle totali energie emesse dalla fotosfera o trasmesse dall'atmosfera o infine da questa assorbite, nel campo delle lunghezze d'onda che si considerano. Le misure vennero fatte con un planimetro di Amsler ed i risultati ottenuti sono i seguenti : | area abbracciata dallo spettro della fotosfera . . cm? 84,7 area abbracciata dallo spettro solare. . . . . » 483,9 QUCA:ZC0IMpresag one 2 Seo lot O n e 40:8 realtà poichè vi si deriva lo spettro solare da quello della fotosfera, si fa in definitiva il giro vizioso di determinare l’assorbimento dell’atmosfera solare per trovare lo spettro della fotosfera eliminandone l’effetto dagli spettri di alcuni punti del disco solare, per poi da questo spettro dedurre quello solare introducendo l’effetto dell’assorbimento un’altra volta. Questa via, che qui si segue solo per l’ultima parte, è però più comoda e più conveniente in questo caso speciale, nel quale si devono paragonare tra loro i due spettri. — 350 — Facendo il rapporto fra la seconda e la prima si ha la percentuale di energia totale trasmessa; il rapporto tra la terza e la prima ci darà l’as- sorbimento totale. I risultati sono: energia. totale trasmessa >. . i Cie e ” » © ASSOLDIVA, = Lula e AD rien SR LELETTA So Se si osserva che questo valore dell’assorbimento è stato ottenuto per una via che non ha alcun rapporto sperimentale con quella seguìta prece- dentemente, si vede che esso è una bella conferma del risultato sopradetto. Il metodo seguìto nella Memoria si potrebbe chiamare stréetico, men- - tre questo sarebbe analitico. i E poichè il primo metodo seguìto è tra i due il più diretto e il più esatto, è ovvio che al risultato ad esso dovuto si dia il maggior peso e si pessa quindi conchiudere che l’assorbimento totale esercitato dall’at mosfera solare durante le mie ricerche, e nel campo delle radiazioni che arrivano a noi, era del 45 °/, circa. — 351 — Fisica. — Sull’attrito interno del cobalto în campo magnetico vartabile (*). Nota I del prof. ERNESTO DRAGO, presentata dal Cor- rispondente M. CANTONE. I. Con lo scopo di recare nuovo contributo al capitolo complesso e de- licato della fisica molecolare ho voluto proseguire le mie ricerche sull’attrito interno del ferro e del nichel (*) in campo magnetico. E poichè nessuno sì è mai occupato di fare esperienze sull’attrito interno. del cobalto per la difficoltà che offre questo metallo ad essere tirato in fili, così credetti opportuno eseguire delle ricerche in proposito rivolgendomi intanto a varie officine di lavorazione dei metalli per avere fili di cobalto. Essendo riusciti infruttuosi i tentativi numerosi fatti per raggiungere lo scopo decisi di costruire io stesso i fili necessarî nella maniera seguente (?): Da una lamina di cobalto Kahlbaum dello spessore di mm. 0,3 feci tagliare con le cesoie strisce sottili che poi ridussi con ogni accuratezza in prismi a base quadrata, stringendo ciascuna striscia tra due grosse aste pri- smatiche d'acciaio ben lavorate e limando quindi uniformemente la striscia stessa. Fissai dopo in maniera opportuna il prisma ottenuto per un estremo al disco autocentrante del tornio e per mezzo di carta smerigliata lo ridussi a filo cilindrico del diametro di mm. 0,3, Non insisto sui dettagli tecnici necessarî per avere il filo suddetto di diametro sufficientemente uniforme (*), ma mi preme per ora soltanto far notare che i risultati soddisfacenti otte- nuti richiesero parecchi mesi di attento lavoro. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto fisico della R. Università di Catania, già diretto dal compianto prof. Giovan Pietro Grimaldi. (?) Relativamente a tali ricerche W. Brown dice : « With respect to the internal friction of materials, I would attention to a very interesting paper on the internal frietion of nichel in a variable magnetic field by prof. Ernesto Drago of the » R. Università of Catania, Italy. Vedi “in « the scientific Proceedings of the Royal Dublin Society», vol. XV, n. 1, 1916, pag. 12. (3) Grummach ha eseguito ricerche relative all'influenza della magnetizzazione tra- sversale sulla conducibilità elettrica dei metalli adoperando strisce di cobalto di 0,2 mm. di spessore e 0,5 di larghezza, (« Annalen der Physik und Chemie XXII,1907. pag. 141 »)). (4) Numerose misure da me fatte con un compasso a vite di Palmer mostrarono ehe soltanto in qualche punto il filo aveva il diametro di mm. 0,28. — 352 — Ottenuto così il filo lungo cm. 20,7 lo sospesi nello stesso sclenoide già adoperato per le mie ricerche sull'attrito interno del nichel (*), sottoponen- dolo alla stessa carica di gr. 218,6 ovvero quasi gr. 3,1 X 105 per em?. Quindi servendomi della stessa disposizione sperimentale utilizzata nelle citate ricerche feci esperienze circa l'influenza esercitata dalle scariche oscil- — latorie sull’attrito interno del filo predetto Al solito dapprima si fecero molte osservazioni di prova lasciando tra- scorrere il tempo necessario perchè il filo 2u0vo si accomodasse nello stato normale, contando i numeri d’oscillazione e le rispettive ampiezze in divi- sioni della scala a cominciare dalla divisione 400 corrispondente all’am- piezza angolare di 153° 40'(?), come si era fatto per il filo di nichel. Il filo di cobalto essendo stato sospeso il 12 agosto 1917, si credette di raggiungere quasi lo stato normale il 20 dello stesso mese. Fu allora che si determinò la rigidità e s' incominciarono le esperienze definitive (*) di cui alcuni risultati ottenuti sono consegnati nella seguente: TABELLA I (‘). Filo crudo di cobalto. rigidità = 900 X 10° [C. G.S]. Mi G AMPIEZZA DELLE SscILLAZIONI ì NumeRO | in divisioni della scala corrispondente ai campi magnetici: delle , | costante invertito oscillatorio oscillazioni semplici terrestre | oscillatorio continuo 173 gauss intermittonio i | | 1 0 | 400 400 400 | 400 5 | 303 | 588 386 881 10 386 376 371 363 15 | 379 | 365 1 357 346 20 | 372 353 343 329 25 | 366 343 831 312 30 | 360 334 28319. 297 {!) Rend. Acc, Lincei, 2° sem., luglio 1915, pag. 12; Nuovo Cimento, vol. X, 1916, pag. 448. (2) Torsione per em = 39’ 86”. (3) Come in tutte le precedeuti ricerche sull’attrito interno del ferro e del nichel nel campo magnetico, l'influenza della temperatura era bene studiata ed eventualmente eliminata. (4) I valori della rigidità dei fili di cobalto non si trovano nè nelle tabelle del Landolt nè nella raccolta di costanti fisiche della Società francese di fisica. Con un ci- lindro di cobalto ricotto lungo 22 cm. e del diametro di 1,082 cm. Honda trovò nel 1902 per il modulo di rigidità il valore 6,04 X 10'! e recentemente valori compresi fra 7,63 e 4,71 X 10. The Science Reports of the Tohoku Imp. University. April 1919, pag. 54. — 353 — dove nella prima colonna è contenuto il numero delle oscillazioni semplici, nella seconda l’ampiezza d’oseillazione corrispondente quando il filo oscil- lava nel campo magnetico terrestre, nella terza l'ampiezza medesima quando il filo oscillava nel campo prodotto dalle scariche oscillatorie, nella quarta l'ampiezza predetta quando si destava nella spirale magnetizzante il campo magnetico costante di 173 gauss soltanto al principio ed alla fine di ogni oscillazione semplice, avendo cura d'iuvertire alternativamente la corrente TE. SECO DE SELTCERZZIO be dic come già facevo nelle mie analoghe ricerche sul nichel, nella quinta colonna infine è contenuta l'ampiezza d'oscillazione corrispondente quando nel sole- noide s'inviavano i treni di scariche oscillatorie soltanto al principio ed alla fine di ogni oscillazione semplice eseguita dal tilo. Nel circuito delle scariche oscillatorie era inserita la capacità di 162 X 1074 w.F, e si trovò conveniente di mettere dentro una grande cassa piena d'acqua fredda l'interruttore Wehnelt per avere un funzionamento re- golare del medesimo. — La distanza esplosiva era di mm. 0,25, il coefficiente di autoinduzione del circuito anzidetto era uguale a 39617 [C.G.S.] e perciò mediante la RenpiconTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sem. 46 — 354 — formola Iy= V Vi sì poteva calcolare l'intensità massima della corrente oscillatoria (*). Se si rappresentano sull'asse delle ascisse i numeri delle oscillazioni semplici e sull'asse delle ordinate le ampiezze espresse in divisioni della scala, sì ottengono con le cifre della tabella I i diagrammi della fig. 1 ove la curva segnata a tratti (curva normale) mostra l'andamento dello smor- zamento delle oscillazioni torsionali del filo di cobalto crudo nel campo ma- gnetico terrestre. Fisica. — Curve caratteristiche e consumo di potenza negli interruttori funzionanti nel circuito primario di rocchetti di indu- zione. Nota di G. C. TRABACCHI, presentata dal Socio 0. M. Cor- BINO (°). Se si misura con un wattmetro il rendimento di un apparecchio desti- nato alla produzione dei raggi X, del tipo di quelli costituiti da un tra- sformatore direttamente collegato alla linea stradale e munito al secondario di un selettore che invia nell'ampolla tutti gli impulsi nel medesimo verso, e se si confronta tale rendimento con quello di un apparecchio, di potenza paragonabile, ma munito di interruttore al primario, si trova che, per otte- nere in una ampolla la medesima erogazione di energia sotto forma di raggi X occorre fornire al primario quantità di energia sensibilmente uguali in ambedue i casi (*). Da ciò si deduce che ben poca dovrebbe essere la energia spesa nell’in- terruttore (che manca nel primario degli apparecchi a trasformatore) e poca infatti tale energia si rivela in una misura diretta, eseguita derivando la spirale voltometrica del wattmetro alle lamine dell’ interruttore. Pur essendo sicuro l'ordine di grandezza di questo consumo, sorge il dubbio che le misure possano essere affètte da un errore in meno, dovuto al fatto che, per la impedenza della spirale voltometrica, la corrente assuma in essa i veri valori, corrispondenti alla differenza di potenziale esistente (1) Per la determinazione del campo magnetico oscillatorio e del relativo smorza- mento, vedi Tissot, Les oscillations électriques, O. Doin, Paris, pp. 173 e 179. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto fisico della R. Università di Roma. (3) Ciò risulta da esperienze da me eseguite sui segmenti apparecchi: 1°) apparec- chi a contatti giranti e senza interruttore, dei tipi Re/orme della « Veifa Werke », Snook di « Newton e Wright », Siemens, Scotti-Brioschi di « Gorla »; 2°) apparecchi a interruttore, Cordino-Trabacchi di « Balzarini » per corrente continua e alternata, e Corbino-Trabacchi di « Balzarini » per corrente trifase, modello 1918. — 355 — ai suoi estremi, con un ritardo tale che essi valori non vengano in ciascun istante moltiplicati per i corrispoudenti valori della intensità, ma per va- lori da questa assunti in tempi successivi, e quindi notevolmente più pic- coli. Infatti la tensione ha origine ai poli dell’interruttore solo all’inizio del periodo variabile di rottura, durante il quale la intensità della cor- rente che circola nella spirale amperometrica scende rapidamente verso zero. Non è sufficiente a tranquillizzarci sulla veridicità delle indicazioni wattmetriche il fatto che, se si misura la potenza complessiva assorbita dall'intero circuito primario e si paragonano i risultati ottenuti con le mi- sure eseguite sulle singole parti, si trovano risultati concordanti. Infatti in queste misure parziali, mentre può essere, per quanto sì è detto, errata 27 meno la misura corrispondente alla energia spesa nell'interruttore, si può, per analoghe ragioni, sospettare di errore 2n aumento la lettura corrispon- dente alla energia spesa nell'induttore del rocchetto. Ed invero, poichè durante il periodo variabile di rottura, la tensione ai poli dell'induttore è tale che (agendo quest'ultimo come generatore) l'equipaggio mobile del wattmetro riceve impulsi che tendono a ricondurlo a zero, mentre durante il periodo variabile di chiusura accade il contrario, ne risulta che, se si ammette la possibilità di un sensibile ritardo nello stabilirsi dei veri valori della cor- rente nella spirale voltometrica, questo ritardo agirà in modo da diminuire la coppia che tende a far rotare l'equipaggio del wattmetro verso zero e da aumentare invece quella che tende a far crescere la deviazione dello stru- mento. Infatti tale ritardo tende a dare per moltiplicatori, ai varî valori della corrente voltometrica, dei valori della corrente amperometrica più alti di quelli che in realtà vi corrispondono, in quanto che durante questo pe- riodo la corrente primaria anmenta continuamente. È scopo della presente Nota di riferire intorno ad una ricerca che ho istituito per chiarire tale questione. Disponendo di un tubo di Braun-Wehnelt, munito di laminette per esplorare, mediante le deviazioni elettrostatiche del fascetto catodico, le ten- sioni istantanee esistenti fra punti con esse collegati, le ho connesse con i poli di un interruttore inserito nel circuito primario di un rocchetto di indu- zione; disponendo le cose in modo che gli spostamenti del fascetto avessero luogo orizzontalmente. L'interruttore usato era del tipo a getto di mercurio tra lamine con- trapposte, racchiuse in una pignatta riempita di gas da illuminazione. La corrente circolante nel primario veniva fatta passare attraverso una bobina costituita da poche spire di grosso filo, la quale veniva disposta ri- spetto al tubo di Braun in modo da determinare spostamenti verticali del fascetto. Facendo agire il tubo Braun, mentre funziona il rocchetto il puntino luminoso generato dal fascetto catodico sullo schermo del tubo descrive una — 356 — traiettoria che è la composizione ortogonale dei valori istantanei della ten- sione esistente ai poli dell’interruttore e della intensità che lo attraversa. Quando il secondario è aperto, o eroga una debolissima corrente, la curva sopra descritta assume la forma del diagramma 1. Rrchel. O rappresenta il punto di riposo del fascetto catodico, corrispondente ai valori zero della tensione e della corrente; allo stabilirsi della corrente, esistendo tra le lamine dell'interruttore un vero corto circuito, la tensione è nulla, e il fascetto sale pertanto lungo l’ordinata che parte da 0; al- l’ istante della rottura, mentre la corrente scende rapidamente a zero, nasce la tensione, la quale, in virtà dell'autoinduzione (che, per essere il seconda- rio poco carico, è poco attenuata nei suoi etfetti dalla presenza di esso) sale fino ad un valore molto superiore a quello della linea, raggiungendo il massimo 0@ quando la intensità si è quasi annullata. Poi la tensione ridiscende anch'essa fino al valore della tensione di linea, rappresentato nel diagramma dalla posizione P, dove si vede indugiare il puntino luminoso durante la pausa che precede la successiva chiusura; a partire dalla quale si ripetono le medesimi vicissitudini. Man mano che aumenta il carico nel secondario, e cioè man mano che va scemando l'autoinduzione apparente del primario, la salita della tensione di rottura si fa meno rapida, in modo che, per grandi regimi, l’ipotenusa del triangolo 0MQ tende ad avvicinarsi al lato 20. Poichè, per quanto si sa intorno all'impiego delle laminette per la esplorazione della f. e. m., si ha ragione di ritenere che malgrado la loro capacità apparente, la deviazione elettrostatica del fascetto catodico segua senza ritardo sensibile le variazioni della tensione vera, il diagramma otte- nuto ci può servire come termine di confronto nella esplorazione dell’even- tuale ritardo nello stabilirsi della corrente nella spirale voltometrica del wattmetro, se sì paragona tale diagramma con quello che si ottiene sosti- tuendo alla azione elettrostatica delle laminette quella elettromagnetica di una bobina del tipo di quella voltometrica di un wattmetro. — 357 — Ho pertanto sostituito alle laminette, derivate ai poli dell interruttore, una bobinetta costituita da numerosissime spire accuratamente isolate fra loro con la tecnica in uso nella costruzione delle moderne bobine di induzione, e disposta in modo da agire elettromagneticamente sul fascetto, determi- nando spostamenti nello stesso piano in cui agivano le laminette. Per evitare ogni azione elettrostatica, un punto della bobina era messo a terra. Portando la bobina ad una distanza dal tubo tale da avere uno spo- stamento orizzontale massimo eguale a quello determinato nella precedente esperienza dalle laminette, si ottenevano nei varî casi sopra considerati del diagrammi che differivano da quelli ottenuti servendosi delle laminette solo per un lieve incurvamento della ipotenusa del triangolo verso l'interno. Ciò denota nella corrente (che, percorrendo la spiralina, dovrebbe rivelarci con gli spostamenti orizzontali del fascetto i valori istantanei della tensione) una lieve tendenza ad assumere con ritardc i valori che corrispondono a quelli della f. e. m. e che ci erano stati rivelati dalla osservazione fatta in precedenza con le laminette. Tale osservazione, se si riflette che il sistema delle due bobine impie- gate nell'ultima esperienza costituisce un sistema simile a quello esistente nel wattmetro, ci tranquillizza notevolmente nei riguardi dei dubbî sorti in principio, rivelandoci che, sebbene la tensione sorga ai poli della spirale voltometrica, derivata ai. poli dell'interruttore, assai bruscamente, e cresca fino a valori molto elevati durante il periodo variabile di apertura, il ri- tardo con cui sì raggiungono i varî valori della corrente rispetto alla f. e. m., in una ordinaria spirale voltometrica, non sono tali da dar luogo a errori sensibili nell'impiego del wattmetro in tali condizioni. Tra le condizioni date dalle laminette e quelle date dalla bobina, come è sopra descritto, si potrebbe fare anche un confronto diretto, componendone ortogonalmente gli effetti; però il trovare che il diagramma della loro com- posizione abbraccia un'area non perfettamente nulla, ‘come realmente ho osservato in questo caso, potrebbe facilmente trarci in inganno in un apprez- zamento quantitativo dell'errore che ci fa commettere l’impiego della spi- ralina. Basta infatti osservare che l’area abbracciata dal diagrt@mma in que- stione ci rivela il più lieve ritardo della corrente voltometrica rispetto alla f. e. m. mediante il paragone di due spostamenti della stessa ampiezza ‘e che sì compiono ambedue con la stessa grande rapidità, mentre a noi inte- ressa apprezzare praticamente il valore di un ipotetico ritardo nello stabi- lirsi della corrente voltometrica rispetto alle variazioni della intensità della corrente che circola nella spirale amperometrica, ritardo che dalle conside- razioni fatte ci si rivela di limitata efficacia. — 358 — Un'altra esperienza, che permette di rendersi conto della prontezza dello stabilirsi della corrente voltometrica rispetto alla f. e. m. è la seguente: se, lasciando le due bobine, amperometrica e voltometrica, al posto prece- "dentemente occupato, si deriva un condensatore ai poli dell’ interruttore, le due bobine saranno percorse, rispettivamente, una dalle oscillazioni della intensità, l'altra da quelle della tensione. Il diagramma che così si ottiene è quello della fig. 2. Fic. 2. Ripetendo la stessa esperienza, ma sostituendo alla spirale voltometrica le laminette, si ottiene una figura praticamente uguale, ma che denota una lieve tendenza dei rami orizzontali a fare un angolo minore con l'asse della tensione, confermando così il risultato sopra riferito. Sì può dunque concludere che il wattmetro può essere impiegato per la misura della potenza spesa in un interruttore funzionante nel primario di un rocchetto di induzione, senza timore che la rapida variabilità degli ele-- menti in giuoco possa dar luogo a gravi errori. — 359 — Meteorologia. — Za distribuzione della temperatura sulle pendici dell’ Etna. Nota di F. EREDIA, presentata dal Socio E. MiL- LOSEVICH. Vicino alla sommità del monte Etna e propriamente alla base del cono centrale, che si erge al confine nord del piano del lago, trovansi i locali del R. Osservatorio astrofisico e ivi si effettuano osservazioni meteorologiche quasi continue nei mesi estivi e, compatibilmente con le condizioni di via- bilità, nei rimanenti mesi. Le osservazioni raccolte dal 1892 al 1906 furono esaminate in una pubblicazione apparsa qualche anno fa (!). Da allora le osservazioni sì sono continuate, ma con poca regolarità a causa della man- canza di personale adatto e si sono limitate quasi a quei giorni in cui si effettuano scandagli internazionali dell'atmosfera; cosicchè l'aggiunta di queste nuove osservazioni non potrà spostare di molto ìi valori medî termo- metrici ottenuti precedentemente, attesa la lunghezza del periodo esaminato. Sulle pendici dell’ Etna trovansi scaglionate diverse stazioni meteoro- logiche, e alle falde del monte da molto tempo funzionano due osservatorî. L'esame di tutte queste osservazioni raccolte nell’anzidette località dal 1890 al 1915 consente di considerare la distribuzione dei fenomeni termici lungo il sistema orografico dell’ Etna. Le stazioni di cui si posseggono osservazioni riferibili al maggior nu- mero di anni compresi nell’anzidetto periodo e disposte nell’estesa zona di vegetazione favorita dal dolce declivio specialmente nel versante meridionale sono le seguenti: Catania (osservatorio astrofisico), Catania (regia scuola di viticultura), Viagrande, Sant'Alfio, Linguaglossa, Maniace. Randazzo e Riposto. Le osservazioni termometriche raccolte all’osservatorio Etneo furono anche esaminate dall’Hann (?) che espresse l'andamento annuale con la formola: T= — 1,104 7,59 sin. (253° 7 4a) +1°0 sin(73° +2 x) di cui il primo termine fu dedotto dai valori medî stagionali e il secondo termine, che è un termine di correzione, fu ottenuto approssimativamente dall'andamento annuale conosciuto per altre stazioni di altezza similmente poste. (') Itendiconti della R. Accademia dei Lincei, luglio 1907, vol. XVI, ser. 52, 2° sera., Tasca alo: (2) Ergebnisse der meteorologischen Beobachtungen am Aetna-Obesrvatorium. Meteorologi- sche Zeitschrift, Heft 12. 1907, — 3600 — Le osservazioni termometriche rilevate nelle stazioni poste sulle pen- dici e sulle falde dell’ Etna non riguardano lo stesso periodo, ma siccome sì riferiscono a periodi snperiori al decennio, possiamo ritenere perfettamente comparabili i valori medî ottenuti, e nella sottostante tabella trascriviamo le temperature medie mensili di ciascun luogo di osservazione (1). Dia io | ® E) 3 È E È z = ° 2 o È A 5 È s E E5| EE Cn E E Sto ea ae EEE Sala. | Se ERE eee una ® [G) Eu 5 < A (o) A < Vv ls) z a (o) o (o) (o) o 0 U) U o) 0) (o) o DI Etna. . . .| 2950) 1892-1906|— 7,3|— 7,6[— 6,8|— 4,2/— 0,1 4,3] 71 6,9) 4,1] 0,1|—3,6[— 6,1|— 1,1 Randazzo . . 750| 1890-1915] 4,5] 48) 7,2] 10,1) 15,1| 18,9) 23,2] 22,5] 19,2| 14,6| 9,8| 6,5] 13,3 Maniace . . 600| 1894-1915 5,2 5,8 7,4] 10,5] 13,9/ 18,0] 21,5] 21,6] 18,7] 14,8] 9,8 6,6| 12,8 Linguaglossa . 560] 1893-1915] 6,3] 6,9] 8,7] 11,4] 15,6] 19,3| 23,4] 23,1] 19,8| 15,5] 10,6] 7,8] 14,0 Sant'Alfio . . 550| 1895-1915] 7,1 7,6] 9,1) 11,8] 15,8) 19,7] 23,1| 23,2) 19,7] 16,0] 11,9] 8,9] 144 Viagrande . . 405| 1890-1915] 8,6 8,8) 11,2 13,8] 18,2) 22,2) 26,0] 25,8) 22,1/ 18,8] 14,5Î 10,6] 16,7 2 Catania (s.v.) 168] 1895-1913] 9,4] 9,7] 11,4) 13,7] 17,7] 20,8] 24,1] 25,4] 21,8| 17,8| 13,3) 10,4| 15,5 Catania (0.a.) 65) 1892-1915| 10,0] 10,7] 12,5] 14,9 18,6] 22,9] 25,6] 25,5] 23,5] 19,9f 15,2) 12,0|.17,6 9 Riposto. . . 14| 1892-1915] 11,38] 11,7] 13,1f 15,1] 18,71 22,4| 25,6] 25,5] 23,5) 20,3] 16,2] 12,8| 18,0 L'esame di dette osservazioni dà modo di determinare il seguente gra- diente medio mensile : G F M A M G L À S 0) N D 0,61 0,61 0,62 0,62 0,64 0,65 0,66 0,66 0,65 0,64 0,63 0.62 e i valori così ottenuti sono poco diversi da quelli ricavati dal Lugli (?) e da quelli impiegati dall’ Hann (*). L'isoterma 0° sul monte Etna, come deducesi dalla superiore tabella, raggiunge l'altitudine a cui trovasi l'osser- vatorio nei mesi di marzo e di ottobre; quindi nei mesi da novembre ad aprile la detta isoterma dovrà raggiungere altitudini minori, alla cui deter- minazione può giungersi con grande approssimazione, impiegando i gradienti (1) L'andamento di tali valori medii può rappresentarsi a mezzo delle seguenti formole: Randazzo T = 130,3 + 9,093 sin (242°.23" + 2) — 0,194 sin (255°.37 + 2 2) Maniace T = 129,8 + 8,369 sin (241°.08’ — 2) — 0,806 sin (2299.57’ + 2 x) Linguaglossa T = 149,0 + 8,494 sin (242°.01' + x) — 0,175 sin (2580.29’ 4- 2 2) Sant'Altio T = 149,4 + 8,119 sin (240°.13' + x) — 0,771 sin (2290.41' + 2 2) Viagrande T = 169,7 + 8,441 sin (240°.27’" 4 x) — 0,101 sin (2589.02’ 4- 2 2) Catania (s. v.) 1 = 159,5 + 8,047 sin (2390.46’ + <) — 0,130 sin (2630.14' + 2 2) Catania (0, a.) T = 179,6 4- 8,145 sin (240°,35’ + x) + 0,041 sin (2729.55’ 4- 2 2) (®) Lugli A, Annali del R. Ufficio di meteorologia e geodinamica, vol. IV, parte I, Roma, 1882. (3) Hann J., Ueber die Temperaturabnahme mit der Hohe bis 10 km. nach den Ergebe- missen der intern. Ballonaufstiege. E. Akad. der Wiss., Wien, April 1904. — 361 — termici anzidetti, e da tale calcolo si hanno le seguenti altitudini in metri (*). novembre 2388, dicembre 1966. gennaio 1774, febbraio 1704, marzo 1853, aprile 2273. Considerata la costanza che detti gradienti termici hanno in altre località montuose, essi potranno. impiegarsi per la determinazione delle temperature medie mensili ad altri livelli e con tanto maggiore ap- prossimazione quanto più ci si avvicina alla zona coltivata, poichè la mag- gior parte delle stazioni, i cui dati sono stati impiegati per questa ricerca, si trovano a quote non elevate. E l’approssimazione di siffatte determina- zioni è maggiore, se ci limitiamo a considerare la zone distanziate da 500 a 500 m. pel tratto compreso tra l'altitudine 2950 (osservatorio etneo) e 750 (Randazzo). La tabella seguente contiene le temperature così calcolate e di esse evidentemente diamo peso soltanto ai gradi. = ® | > = È ° 9° ° 8 pi S is E ARESE TS A RS SR = SSN CS a ATI (I 2 5 n Sa = so DI 5 +» a Si D D e Lu ES nei 5 o ® _ ° a & (A Fi < i Di fa < n ° Zi A Altitudine m. 2490. .|—-44|—46|—-3,7{— 11 3,1 7,6 10,4 10,2 7,8 3,4|—- 0,4 — ” » 1950. .|-11|-15|—-0,5 2,0 6,3 10,8 13,6 13,5 11,0 6,6 2,8 0,1 ”» n 1450 . . 2,0 do 2,5 5,1 9,5 14,1 15,9 16,3 14,3 9,9 6,0 3,2 ” nup:900/0 5,1 4,6 5,6 8,2 12,7 17,3 20,1 20,I 17,5 13,1 92). 6,3 L'insieme dei dati così ottenuti ci consente di esaminare la distribu- zione della temperatura dell'aria lungo il monte Etna servendoci della rap- presentazione isopleta (v. figura). Gli elementi impiegati in tale costruzione sono tutti quelli sopra riferiti e per le località come Linguaglossa, Sant’ Al- fio, poste ad altitudini poco diverse fra loro, si introdussero i valori medii delle anzidette località. i I livelli altimetrici di cui abbiamo calcolato le temperature medie, sono stati scelti anche in relazione con la distribuzione delle fonnazioni 0 associazioni vegetali e difatti i botanici vi hanno distinto le seguenti zone di vegetazione: zona inferiore con flora mediterranea, il cui limite superiore, tenuto conto della coltivazione della vite e dell'olivo, si estende ordinaria- mente ai 950 metri e talora si eleva ai 1200 m.; la zona montana. che può suddividersi in zona media o submontana ove predominano estesi boschi di castagno e che si estende fino ai m. 1600, e zona montana propriamente detta, ove si hanno boschi di pino e di faggio che si estende fino ai 2200 m. Le varie isoterme così disegnate presentano un andamento molto rego- (1) Hann ottenne per il detto periodo le seguenti altitudini : gennaio e febbraio 1760, aprile 2270, ottobre 2930. RenpiIcoNTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sem. 47 — 362 — lare, e altre ricerche fitogeogratiche potranno confermare il tracciamento delle medesime. Richiamiamo l'attenzione sull'andamento che le isoterme presentano tra il livello del mare e l’altitudine di m. 750 e, in ispecie, segnaliamo la persi- stenza del massimo di temperatura, nei mesi estivi, ad un'altitudine intorno ai 400 m., il che viene indicato chiaramente dalle osservazioni eseguite a Viagrande. Nei mesi estivi abbiamo quindi la tendenza delle isoterme ad elevarsi, cosicchè si viene ad avere intorno ai 400 m. un massimo vicinis- simo a quello che si accerta al livello del mare. E questa zona di elevata temperatura evidentemente si individuerebbe maggiormente se si fondasse l'esame sulle temperature massime assolute. Già il Gemellaro ('), confrontando le temperature massime osservate @ (1) Gemellaro C., Saggio sopra il clima di Catania, Atti dell’Acc. Gioenia di scienze naturali, serie I, tomo VI, Catania 1832. — 363 — Nicolosi e a Catania nel periodo 1817-1826 aveva notato che i calori estivi nei villaggi di Catania, benchè e'evati sul livello del mare sino a mille piedi parigini, sono maggiori che non alla costa. E questa minore temperatura che si ha a Catania potrebbe dipendere dal fatto che dalle 10° alle 16° in estate, a Catania domina il grecale, che rinfresca la regione circostante con- tribuendo a rendere meno elevati i massimi diurni della temperatura, il che non avviene nei villaggi posti a maggiore altitudine. Anche Schouw (') notò qualche cosa di simile, difatti egli esaminando le determinazioni -termometriche da lui eseguite dal 7 al 9 settembre 1819, fra Catania e il villaggio Nicolosi, notò in questa ultima località in estate una temperatura più elevata di quella contemporaneamente riscontrata a Ca- tania. Dalla presente ricerca rimane adunque maggiormente individuata questa zona di elevata temperatura estiva ad un'altitudine dove dovrebbe corrispondere una temperatura minore, e ciò è da ascriversi in particolar modo al dolce declivio del versante meridionale dell’ Etna che si riscalda molto, e non risente l’effetto rinfrescante del cosiddetto grecale che domina in tali mesì lungo il litorale. Chimica. — Aicerche sopra i nitroderivati aromatici. XI: Azione dell’idrato d’idrazina sopra i nitrocomposti aromatici (?). Nota di MicHELE GIUA, presentata dal Socio G. PATERNÒ (5). È noto da parecchio tempo che l’'idrazina, come la fenilidrazina, può ridurre facilmente il gruppo — NO; ad — NH,. R. van Rothenburg (4), trattando il nitrobenzene con l’idrato d'idrazina in soluzione alcoolica, a caldo, ha otte- nuto l’anilina. Uno studio molto importante sul comportamento dei nitro- composti aromatici verso l'idrato d’idrazina è stato fatto da Th. Curtius e collaboratori (*). Dal punto di vista del processo di sostituzione nell'anello benzenico è interessante di ricordare i risultati ottenuti dallo stesso Curtius con l' idrato d'idrazina e alcuni nitro-alogeno-composti, contenenti l'atomo alogenico labile. Prima del Curtius, A. Purgotti (5) ha fatto reagire l’ idrato d'idrazina col cloraro di picrile, ottenendo la 2,4,6-trinitro-fenilidrazina. Più tardiil Purgotti ha preparato questo stesso composto facendo reagire l’ idrato (1) Schouw J. F., Z’ableau du climat et de la végétation de l’Italie, vol. I, pag. 92. Copenhagne, 1839. (®) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica generale della R. Università di Sassari. (*) Pervenuta all'Accademia il 16 ottobre 1919, (4) Ber. 26, 2056 (1893), (5) Journ. prakt. Chem., 76, 233 seg. (1907) (9) Gazz. chim. ital., 24, I, 112 (1894). — 3604 — d'idrazina col trinitro-fenetolo. Recentemente G. Ponzio (') ha ottenuto la sostituzione del gruppo nitrico, legato ad un atomo di carbonio alifatico, col residuo dell’idrazina. Nulla ancora si conosce sul comportamento dell’idrato d’idrazina verso i nitro-composti aromatici contenenti un gruppo nitrico labile. Facendo reagire il trinitro-p-xilene, il 8- e il y-trinitro-toluene con l’idrato d'idrazina, ha luogo la sostituzione del gruppo nitrico labile, pre- sente in queste sostanze, col residuo idrazinico. Anche l’etere etilico o me- tilico del 2,4,6-trinitro-m-cresolo, nelle’ condizioni accennate, si trasforma nella metil-trinitro-fenilidrazina seguente: CH, ‘0,N7 \NO, ANFNH: No, Il rendimento e la grande facilità con cui avviene la trasformazione accennata rendono l’idrato d’idrazina uno dei reagenti più indicati per ottenere, nel caso di nitro-composti con gruppo nitrico labile, derivati della fenili- drazina. Dinitro-dimetil-fenilidrazina CH, / \NH.NH, O,N NO, CH; ottenuta da trinitro-p-xilene e idrato d’idrazina in soluzione alcoolica. Cri- stallizza dall'alcool in prismi gialli che fondono a 180° con decomposizione. Gr. 0,1052 di sostanza: ce. 23,8 di N((=2495 , H= 731 mm.) per CsH100,N, N% trovato 25,09 calcolato 24,78. B-acetilderivato. — Dall’ idrazina per ebollizione con anidride acetica. Lamelle lucenti, debolmente gialle. che fondono a 232° con decomposizione. Benzalderivato. — Dall’ idrazina per riscaldamento con aldeide benzoica. Aghi lunghi, giallo chiari, fusibili a 221° con decomposizione. (1) Gazz chim. ital., 44, II, 68 (1914). — 305 — Anisalderivato. — Aghi giallo-dorati fusibili a 224° con decomposizione. Dinitro-metil-fenilidrazina Si ottiene dal trinitro-toluene y ed idrato d’idrazina. Cristallizza dal- l’alcool in aghi giallo-rossastri che fondono a 194° con decomposizione. cc. 24,4 di N(6=23° , H=734,3 mm.) Gr. 0,1039 di sostanza: trovato 26,55 calcolato 26,42. per C'.Hs0,N, N So B-Acetilderivato. — Aghetti gialli fusibili a 175°. Trinitro-metil-fenilidrazina Si ottiene dall’etere etilico o metilico del trinitr-om-cresolo e idrato d’idrazina in soluzione alcoolica. Lamelle giallo-dorate, lucenti, che fondono a 176° con sviluppo gassoso. Gr. 0,1084 di sostanza: cc. 27,2 di N(# 40 Gr. 0,1023 di sostanza: cc. 24,7 di N(4 20 i=? 9 IL II. per C,H,0Ns3 N% trovato 27,56 27,20 calcolato 27,23. B-Acetilderivato. — Prismi gialli fusibili a 136°. Si ottiene dall’ idra- zina per ebollizione con acido acetico glaciale. a-B-Diacetilderivato. — Lamelle madraperlacee. fusibili a 216° con de- composizione. Si ottiene dall’idrazina per ebollizione con anidride acetica. Benzalderivato. — Prismi giallo-rossastri fusibili a 249°-250° con decom- posizione. Questo lavoro verrà pubblicato per esteso nella Gazzetta chimica italiana. — 360 -— Chimica. — Sopra alcuni sali a struttura p-0-, e m-chinoide. Nota di R. Crusa ('), presentata dal Socio G. CIAMICIAN. I p-nitrofenilidrazoni si colorano a contatto degli alcali — meglio se in soluzione acetonica — intensamente in violetto (*). Per aggiunta di acqua o per acidificazione sì riottiene inalterato l’idrazone di partenza. I sali cor- rispondenti si ottengono molto facilmente (vedi parte sperimentale). Che la costituzione di questi sali sia differente da quella del p-nitro- fenilidrazone di partenza lo dimostra il differente colore delle soluzioni ed il loro differente spettro di assorbimento. DO — O ©) m nm D i I | Ì VI Fic 1. — I p-Nitrofenilidrazone della benzaldeide: soluzione acetonica N/1000. II Sale sodico id. id. III p-Nitrofenilidrazone deila p-dimetilaminobenzaldeide: soluzione ace- tonica N/1000 IV Id. id : soluzione N/16000. V. Sale sodico id. id. N/1000 VI Sale sodico id. id. N/16000. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica generale della R. Università di Bologna. (2) E. Bamberger, Berichte 32, 1306 (1889). FIRE VR E IA PET — 3607 — i Per quanto, per mancanza di uno spettrografo adatto, mi sia dovuto limitare all'osservazione della parte visibile dello spettro (!), si può dedurre che nella salificazione è avvenuto un profondo cambiamento di struttura: i p-nitrofenilidrazoni debbono essere considerati come pseudo-acidi, ed i loro sali derivano dall’acido nitronico p-chinoide O,N.C,H,.NH.N:CH.C,H; > HO,N=C )=N.N:CH.CH; (2). Per rendersi però conto completamente del colore intenso dei sali cor- rispondenti, non basta la semplice costituzione chinoide: bisognerà prendere in considerazione una formula complessa III, nella quale il metallo sia legato per valenze secondarie al resto della molecola. Debbo infatti far osservare che i sali del mononitrotrifenilmetano sono gialli (1), mentre sono violetti quelli del bromodinitrotrifenilmetano (II) (*). Ddl: H,=NO, Me.--.-- (CsH;), C=CGH,=NO; Me Bi uv CoHj NO; RIA H I giallo II violetto NO Mera 0 H,7 ©N-[N:CH. 05 H;]= III violetta (5) Così non bisogna dimenticare, a maggior conferma, che, mentre i sali dei mononitroidrocarburi alifatici sono incolori, sono colorati invece quelli dei dinitroidrocarburi. Una tormula complessa analoga va attribuita a rutti i sali chinoidi dei quali mi occupo in questa Nota. Oltre il sale potassico p-chinoide del p-nitrofenilidrazone della benzal- deide (IV), ho preparato il sale bisodico del p-nitrofenilidrazone dell’acido benzalpiruvico (V), ed il sale bipotassico del p-nitrofenilidrazone dell'acido benzoilgliossilico (VI). (*) Mi riservo di comunicare la curva completa dell’assorbimento delle sostanze delle quali mi occupo in questa Nota, quando mi sarò procurato uno spettrografo a prisma e lenti di quarzo. (*) L'atomo di idrogeno metinico non prende parte alla trasformazione, perchè i p-nitrofenilidrazoni dei chetoni si comportano analugamente. La stessa osservazione vale per gli o-, e m-nitroidrazoni. (3) A. Hantzsch, Berichte, 52, 493. (4) Rimanendo per ora incerti sul punto d'attacco della valenza secondaria. — 368 — CsH;. CH:N.NH.CH,.N0, > CH; CH:N.N=C; H,=NO; Me giallo (*) IV violetto CH; CH:CH.C.COOK -—-> CH; CH:CH.C.C00K — I I N.NH.CsH,. NO; N.NH.C;H,.N0; rosso (°) rosso aranciato {*) -—- &H; CH:CH.C.C00K | N.N=CH,=N0O,K V. violetto CsH; CO.C. COOK co CeHs C0.C.COOK — | | N.NH.C;H,.NO, N.NH.GH,.N0, giallo giallo —> CH; C0.C.C00K | N.N=CsH4=NO,K VI violetto Anche gli o-nitvofenilidrazoni si sciolgono negli alcali in soluzione al- coolica, e meglio acetonica, con colorazione azzurra. Mentre non son riuscito ad ottenere sali cristallizzati dall’ o-nitrofenil- idrazone della beizaldeide (VII), il cui sale sodico esiste certamente in solu- zione, ho ottenuto un sale bipotassico dell’o-nitrofenilidrazone dell'acido ben- zoilgliossilico (VIII). (1) R. Ciusa e L. Vecchiotti., Rendiconti R. Accademia Lincei, XX, 1°, 803. (°) R. Ciusa, Gazzetta chimica italiana, XLIX, 1°, 166; R. Ciusa e A. Bernardi, Gazzetta chimica italiana, XLI, 1°, 144. (3) M. Busch (Berichte, 43, 1540) a proposito del p-nitrofenilidrazone del benzo- fenone — da lui preso in esame in occasione di ricerche di un ordine completamente differente dalle mie — attribuisce la colorazione che assumono le sue soluzioni a con- tatto della potassa alcoolica, alla formazione, di composti a struttura chinolica contenente una molecola d'alcool. I sali alcalini, dei quali mi occupo in questa Nota, non conten- gono alcool, come pure non contengono alcool alcuni sali analoghi, come per es. il sale potassico della picril-@- naftilamina, (Berichi», 43, 1540), ed il sale sodico dell’acetil- p-nitrofenilidrazone (Berichte, 32, 1814 — 369 — Lo spettro d'assorbimento della soluzione alcalina degli o-nitrofenil- idrazoni è differente da quello delle soluzioni dei nitroidrazoni corrispon- denti. Fic. 2. — I o-Nitrofenilidrazone della benzaldeide: soluzione acetonica N/1000. II Sale sodico id. id. Anche per gli o-nitroidrazoni bisogna ammettere quindi che nella sali- ficazione avvenga una trasformazione e che quindi i sali alcalini derivino da una forma o-chinoide. 4 n iz ne CH; CH:N. NEC» wi CH; CH:N. ia | NO; NO, Me giallo aranciato VII azzurro CsH; CO. C. COOK CsH; CO.C. COOK Zi N S EA — ve La —_ | NO; NO, giallo giallo CsHs. CO.C.COOK (E Se a > N.N s 7 NO, K VIII azzurro (!) A proposito dei m-nitroidrazoni era stato affermato che il m-nitrofenil- idrazone del benzofenone non sì salifica a contatto della potassa alcoolica (*) Osservando però attentamenfe, si vede che, per aggiunta di potassa alcoolica alla soluzione alcoolica di un m-nitrofenilidrazone, avviene un leggerissimo cambiamento di colore: se però sì scioghe un m-nitrofenilidrazone (compreso (*) Allo stato solido: cristalli splendenti color bronzo; dall’acetone: polvere azzurra. (*) Berichte, 49, 861. RenviconTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 48 — 370 — quello del benzofenone) in acetone, si ha, per aggiunta di potassa alcoolica, una colorazione verde. Per aggiunta di acqua si riottiene il m-nitroidrazone inalterato. Lo spettro d'assorbimento delle soluzioni alcaline, ossia delle soluzioni dei sali alcalini corrispondenti, anche in questo caso è differente da quello delle soluzioni dei metanitroidrazoni primitivi, e si mantiene tale anche per diluizione. Fic. 3. — I m-Nitrofenilidrazone della benzaldeide: soluzione acetonica N/1000. II Sale sodico id. id. Non sono peraltro riuscito ad ottenere sali cristallizzati: anche coi m-nitrofenilidrazoni dei composti carbonilici, i cui p- ed o-nitrofenilidrazoni mi avevano dato sali chinoidi ben cristallizzati, non ho avuto altro risul- tato se non che il colore delle soluzioni diventa verde oppure verde-scuro. Se però si ammette che la salificazione nei p- ed o-nitroidrazoni è ac- compagnata da un cambiamento di struttura e che i sali corrispondenti de- rivano da acidi p- ed o-chinonnitronici, non mi pare fuor di luogo ammet- tere anche in questo easo che la salificazione avvenga col passaggio dalla struttura benzoide a quella m-chinoide A # | verde NO; CH: CH:N. NH—C No LS 0H: CH N N=CH2 NON giallo (senza per altro voler entrare in merito alla questione della costituzione dei m-chinoni). Questi composti salini m-chinoidi sono certamente assai facilmente - idrolizzabili, e di ciò si può avere in certo qual modo una misura dal con- tegno dei tre nitrofenilidrazoni della benzaldeide cogli alcali. Il cambia- mento di colore comincia ad essere nettamente visibile per il p-nitrofenilidrazone: col carbonate sodico all'ebollizione ; per l’o-nitrofenilidrazone: con la potassa alcolica in soluzione alcoolica,; per il m-nitrofenilidrazone: con la potassa alcoolica in soluzione acetonia. — 371 — La formazione dei sali m-chinoidi per azione della potassa alcoolica sulla soluzione acetonica dei m-nitrofenilidrazoni va ammessa certamente con riserva, almeno per ora; non bisogna però dimenticare che l'esistenza di sali a struttura m-chinoide è ora generalmente ammessa, sia per considera- zioni d'indole puramente teorica ('), sia in seguito a risultati sperimentali (?). La tendenza a formare composti a struttura m-chinonica è certamente assai piccola. Per ora pare che l’unico composto a struttura m-chinonica, oltre ai sali dei m-nitrofenoli di Hantzsch (loc. cit.), sia il tribromoreso- chinone di Liebermann e Diller (*). Invece la struttura m-chinoide, per un certo tempo attribuita all'idrocarburo Cz» Hx (*) ottenuto dall'acido isoftalico allo stesso modo col quale Thiele ottenne il tetrafenil-p-xililene (I), è stata riconosciuta errata: Schlenk ba dimostrato che si tratta di un derivato del trifenilmetile con due atomi di carbonio trivalente (II) (?). Ciò sta ad indicare la difficoltà della formazione di un m-chinone. Tale difficoltà, come fa notare lo stesso Hantzsch, è minore per i composti m-chi- nonici salini (°). CS (CsHs), C=C,H,=C(0,H;); (C6Hs)a CC I C(05Hs); II La parte sperimentale sarà pubblicata altrove. (*) Baly, Edwards, and Stewart: Journal ot the chem. Society, 89, 520. (?) A. Hantzsch, Berichte, 40, 330. Questi (Berichte, 52, 506) dice che, secondo J. Lifschitz (Berichte, 48, 1738), anche i cianuri di o- m, e p-nitrobenzile Og N. Cs H.. CH2.CN forniscono sali violetti. Nei sunti del Central Blatt, del Bulletin e del Journal of the chem. Society, non ho trovato alcun dato ulteriore. Jl fascicolo corrispondente del 48° vo- lume dei Berichte (1915) manca in questo Istituto. (*) Annalen der Chemie, /69, 252; R. Meyer und Kurt Deramai, Berichte, 4/7, 2437, (4) Berichte, 46, 659, 2252, 2542; 47, 125. (5) Berichte, 48, 661. (9) I fenil- e benzil-fenilidrazoni delle o- m- e p-nitrobenzaldeide si colorano inten- samente in verde, per aggiunta di potassa alcoolica alla loro soluzione acetonica. Song7oz ne Chimica. — Sulle azioni fotochimiche nei cristalli ottenute me- diante la luce polarizzata. Nota di M. PADOA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Da una comunicazione fatta alla Deutsche Bunsen Gesellschaft (!) ri- sulta che F. ‘Weigert ebbe la buonissima idea di far agire la luce polariz- zata sopra sostanze cristalline sensibili alla luce. per vedere se vi fossero direzioni privilegiate rispetto all’intensità di tali azioni. I cristalli sui quali Weigert ha fatto agire la luce polarizzata (in un piano sono quelli della f-tetracloro-@-chetonaftalina di cui il Markwald (?) ha scoperto le proprietà fototropiche. Questi cristalli sono gialli inizialmente e si presentano colorati in verde quando la luce ha agito, ma non ugual- mente in tutte le direzioni. Weigert ha poi osservato che. a seconda del- l'orientamento dei cristalli rispetto al piano della luce polarizzata, si ha un'azione minima, oppure intensa; dall'insieme di questi fatti l'A. viene tratto a ritenere che la fototropia, anzichè consistere in una trasformazione chimica, sarebbe dovuta ad uno speciale assettamento degli atomi, tale da conferire proprietà ottiche speciali al reticolo cristallino (5). Le mie conclusioni su tale argomento sono diverse: in qualche caso la misura della velocità con la quale si compiono i processi fototropici mi ha fatto ritenere trattarsi di fotopolimerizzazioni reversibili; in ogni caso poi il com- plesso dei caratteri della fototropia mi apparve concordare con quello dei fenomeni fotochimici veri e proprî. La considerazione di tutti questi fatti mi ha convinto che le osserva- zioni intraprese dal Weigert avrebbero, con opportuna estensione, fornito un nuovo argomento in favore del mio modo di vedere, tanto più che l’attuale conoscenza della intima struttura dei cristalli fa pensare che le eventuali azioni fotochimiche non dovrebbero avere la stessa intensità in tutte le dire- zioni. Bisognava perciò fare agire la luce polarizzata sopra corpi cristallini che notoriamente subiscono trasformazioni fotochimiche; la scelta peraltro di questi corpi è circoscritta dalla difficoltà di ottenere individui cristallini ben (*) Zeitschrift fiir Elektrochemie /2/8, 222. (£) Insieme col cloridrato di chinochinolina (Zeitschrift fir physikalische Chemie, XXX, 140). (3) In via pregiudiziale vi sarebbe da osservare che qualunque spostamento o tra- sposizione di atomi nella molecola andrebbero considerati come una isomerizzazione, così come sarebbero da riguardare isomere le modificazioni polimorfe di uno stesse corpo. 5 — 373 — formati e dalla lentezza con la quale agisce spesso la luce. Citerò qui alcuni casi di corpi che la luce polimerizza allo stato cristallino: acido cinnamico (1); acido cinnamilidenmalonico (?); cumarina (*); cinnamilidenacetilacetone (‘); acido metilcinnamilidenacetico (°). Si traspongono o si trasformano: l'acido maleico (°), e corpi analoga- mente costituiti, nei relativi derivati fumarici; l’o-nitrobenzaldeide (7), e corpi analogamente costituiti (*), negli acidi o-nitrosobenzoici corrispondenti. Alcuni di questi corpi si alterano tanto allo stato cristallino quanto sciolti in altri corpi; altri, come l’acido cinnamico, non si trasformano che allo stato solido, appunto come accade per le sostanze fototrope (il che non esclude che altre sostanze siano fototrope in soluzione, nello stesso modo come l’'antracene si polimerizza alla luce soltanto in soluzione). A questo proposito ricorderò che, non essendomi risultato che fosse nota l’azione della luce sulle soluzioni dell'acido cinnamilidenmalonico, ho verificato che la po- limerizzazione di questo corpo segue in soluzione alcoolica in modo estrema- mente lento, mentre è rapidissima allo stato cristallino. Fra i corpi nominati ho pututo fare osservazioni coi seguenti: acido cinnamico; o-nitrobenzaldeide; acido cinnamilidenmalonico. I. L'acido cinnamico si può ottenere in cristalli appiattiti, in forma di parallelepipedi, da soluzioni alcooliche. Questi cristalli possono venire illuminati per varie ore con la luce solare, senza che si intorbidino; insi- stendo, però, si osserva un appannamento ed esaminandoli col microscopio si vedono dei noduli di nuova formazione. L'acido cinnamico passa al dimero (acido «-trussillico) (°): C,H,CH:CH . COOH C, Hy CH . CH. COOH | | HOOC. CH : CH .C,H, HOOC.CH .CH.C,H, (1) Bertram e Kirsten, Berichte 28 (IV), 387 (1895); Riiber, ibid., 25, 2908; Cia- mician e Silber, ibid., 35, 4128; 36, 4266. (°) Liebermann, Berichte, 28, 1440. (3) Ciamician e Silber. Berichte .20, 4206. (4) Ruhemann, Journal of the Chemical Society 85, 1453 (1904). (9) Macleod, Journal of the American chemical Society 44, 331 (1910). (8) Ciamician e Silber, Berichte .26, 4266. (9) Ciamician e Silber, Berichte 34, 2040. (8) Bamberger e Elger, Liebigs Annalen 27/7, 319. (*) Secondo H. Stobbe (Berichte 52 [1919], 1021), l’acilo @-trussillico avrebbe i carbossili voltati entrambi dalla stessa parte, e però sarebbe uno stereoisomero del 8-trus- sillico. Ciò farebbe apparire più facile la formazione di soluzioni solide con l'acido cin- namico. Lo stesso Stobbe [Berichte 52 (1919), 666] ha trovato che l’acido f-trussillico sì forma per illuminazione del cis-cinnamico, e l'acido «-trussillico dalla forma usuale dell’acido cinnamico, che è trans-. i — 374 — Non si può a meno di pensare che l’azione della luce cominci dai primi istanti d'illuminazione; pertanto, non manifestandosi segni di appan- namento nei cristalli se non dopo esposizione prolungata, è giusto di ammettere che si formino soluzioni solide fra il dimero e il monomero. Queste soluzioni solide saranno certamente soprasature; infatti, dalle seguenti esperienze ‘ erioscopiche si vede che l'acido @-trussillico si comporta crioscopicamente ‘in modo normale quando viene sciolto nell’acido cinnamico. Costante crioscopica dell'acido cinnamico ottenuta sciogliendovi naftalina : y==41,01 4 = 00,82 K:=—10539 Peso molecolare dell’acido «-trussillico in acido cinnamico: C= 0,587 4 = 09,20 M= 805 (M calcolato= 296) A confermare la formazione di soluzioni soprasature per azione della luce sull’acido cinnamico, sta il fatto che i cristalli illuminati fino .a scom- posizione appena iniziata fondono a 131-132°, mentre l'acido puro fondeva a 134°. Da miscele preparate per pesata si rileva che tale abbassamento corrisponde ad un contenuto di circa il 3 °/, di acido trussillico: questa sa- rebbe la concentrazione-limite delle soluzioni soprasature. Col fare agire la luce polarizzata sui cristalli di acido cinnamico, facendo coincidere il piano della luce polarizzata ora con la direzione dell'una coppia di spigoli paral- leli dei cristalli ed ora con la direzione normale, non ho ottenuto risultati nettamente diversi, come accade invece nelle seguenti esperienze. II. L'o-nitrobenzaldeide si può avere in aghi prismatici appiattiti, da soluzioni alcooliche, od in acido acetico glaciale. Questa sostanza si trasforma alla luce in acido o-nitrosobenzoico, secondo la bella reazione scoperta da Ciamician e Silber (loc. cit.): VAL 0 (GM ===> Gaieb NXCHO \C00H I cristalli di o-nitrobenzaldeide sulle prime diventano verdi, poi si in- torbidano e si imbiancano; l’interpretazione di questo fatto fu data da Lobry de Bruyn (') e da Bruni (?). Sull’inizio dell’azione si formano soluzioni solide dell’acido o-nitrosobenzoico nella o-nitrosobenzaldeide; queste soluzioni sono verdi perchè si tratta di un nitrosoderivato sciolto in molecole semplici. Ben presto la concentrazione di queste soluzioni solide passa il limite della sta- bilità, circa il 3°/,. e ne segue la scomposizione dei cristalli misti. (*) Lobry de Bruyn e Jungius, Recueil de travaux chimiques des Pays Bas, 22, 298 (1908). (3) Bruni e Callegari, questi Rendiconti 1904, I, 567. Ta La 1 Lea di — 375 — Le esperienze che ora descrivo furono fatte prendendo due dei cristalli prismatici di uguali dimensioni, anzi possibilmente due porzioni di uno stesso prisma, e disponendoli in croce in direzione normale l'una all'altra, sopra un vetro portaoggetti. L'illuminazione aveva luogo in un microscopio a pola- rizzazione, facendo giacere gli assi dei cristalli a 45° dal piano di polariz- zazione. Sorgente di luce era una lampada elettrica a filamento metallico da 100 candele, posta a breve distanza. Uno dei due cristalli, e cioè quello situato a 45° rispetto al piano di polarizzazione ed in posizione di oscura- mento, quando venga osservato anche attraverso il nicol analizzatore, appa- riva maggiormente alterato dell'altro per il processo di scomposizione più avanzato. Che le cose stessero realmente a questo modo, ho potuto consta- tare ripetendo le esperienze molte volte: sette su sei sono state favorevoli. Invece, con direzione rispettivamente coincidente e normale al piano di po- larizzazione, le differenze erano poco appariscenti. Ora, in base a ciò che era noto ed a ciò che ho esposto, ci si può per- suadere che il comportamento della o-nitrobenzaldeide è, all'infuori del pro- cesso di scomposizione dei cristalli misti, perfettamente analogo a quello osservato dal Weigert sui cristalli fototropi: se si preparassero dei grossi cristalli di o-nitrobenzaldeide, disponendo le cose come io ho fatto, si ve- drebbe il cristallo con l'asse giacente a 45° dal piano di polarizzazione ed in posizione di oscuramento colorarsi in verde assai più intensamente di quello con l'asse ad esso perpendicolare; se non si conoscesse il processo chimico che qui avviene, si potrebbe ritenere trattarsi di un caso di foto- tropia. III. I risultati più appariscenti si ottengono con l'acido cinnamil- idenmalonico. Questa sostanza si prepara (Liebermann, loc. cit.) facendo agire aldeide cinnamica ed acido malonico in presenza di acido acetico glaciale; si può cristallizzare dall'alcool in aghi gialli che fondono a 208°. Esposto alla luce, si trasforma rapidamente in un dimero. i . __C000H CH; CH.CH.CH:(C00H), 2 CH. CH: CH. CH:Cc men Ì O bed COOH (H00C). : CH .CH.CH.C,Hy A questo dimero si attribuisce la costituzione qui riprodotta perchè, ossidandolo, sì ottiene l'acido «-trussillico (vedi n. 1) ('); il dimero è bianco e fonde a 178°. Con qualche precauzione si possono ottenere cristalli di acido cinnamilidenmalonico nella forma di piccoli prismi allungati a sezione rombica molto schiacciata. Disponendo due cristalli in croce ed esponendoli, come nel caso prece- (') Riiber, Berichte 35, 2411 — 376 — dente, all’azione della luce polarizzata, in modo che uno dei cristalli sia col suo asse perpendicolare al piano di polarizzazione, non si osserva sulle prime nessuna differenza nè modificazione; entrambi i cristalli permangono intatti e trasparenti. Insistendo nel far agire la luce, dopo un tempo che varia, nelle nostre condizioni d'esperienza, da un'ora e 3/, a tre ore, a seconda delle dimensioni dei cristalli, si osserva, in quel cristallo che si trova con la direzione del suo asse perpendicolare al piano di polarizzazione, il distacco violento di una sua parte e spesso con proiezione a distanza. Talvolta si osservano soltanto delle segmentazioni trasversali che appaiono però sempre prima e più numerose nel cristallo predetto. Sopra sette esperienze, per ben sei volte saltava per primo il cristallo nella posizione descritta ('). Insistendo nell’illuminazione, tutto il cristallo vien distrutto per ripetute segmentazioni, e finalmente compaiono i noduli cristallini del dimero. A questi fatti si può, a mio parere, dare la seguente interpretazione: sul principio si formano delle soluzioni solide del dimero nel monomero; queste sono instabili a tal segno che si forma uno stato di tensione nel cristallo così da farlo, per così dire, esplodere. Che fin dal prin- cipio la luce trasformi parzialmente il monomero nel dimero, sebbene ciò non sì renda visibile, è dimostrato dal fatto che il punto di fusione dei cristalli apparentemente inalterati andava diminuendo man mano che sì pro- lungava l'azione della luce; dal p. f. iniziale, di 208°, si scendeva a 2049, e, dopo prolungata illuminazione, a 196° e 193°; proseguendo, avveniva la scomposizione. Per avere un'idea approssimativa della concentrazione alla quale si può arrivare senza che tale scomposizione avvenga, ho determinato il p. f. di miscele dei due corpi, preparate per pesata, e ne dedussì che i cristalli, i quali dopo illuminazione fondevano a 193°, potevano contenere dal 16 al 20 °/, del dimero; quelli semplicemente segmentati fondevano da 204° a 196° e potevano contenere dal 2 al 15°/°. Se si aggiunga che i cristalli, inizialmente gialli, tendono sempre più a divenire incolori, appa- rirà evidente l’analogia esteriore del comportamento dell'acido cinnamiliden- malonico e dei corpi fototropi. Sugli argomenti portati dal Weigert in appoggio alla sua tesi, sì può osservare quanto segue: 1°) L'identità degli spettrogrammi ottenuti coi raggi X sulle sostanze fototrope prima e dopo illuminazione, sembra contraddire l'ipotesi dello spostamento di gruppi atomici; tale identità si spiegherebbe piuttosto invocando o uno spostamento di legami senza movimento di gruppi, o lo spostamento di qualche atomo d’idrogeno, che non sembra facile distin- guere per la sua piccolezza. 2°) Che nei cristalli impiegati dal Weigert la legge fotochimica dell'assorbimento non sia valida, è cosa per la quale non (1) Collocando il cristallo a 45° dal piano di polarizzazione, il comportamento era il medesimo, sebbene la distinzione fosse un po’ meno netta. — 377 — si può dire che la sola spiegazione possibile sia nel negare l'esistenza di azione fotochimica: sul meccanismo di assorbimento della luce non si sa abbastanza per poter trarne conclusioni di questo genere; il fatto che la luce polarizzata agisce nei cristalli esaminati di preferenza in certe direzioni, fa- rebbe piuttosto pensare che in altre direzioni le molecole potrebbero bensì dar luogo ad assorbimento della luce. ma offrendo poca presa alle trasfor- mazioni chimiche. In quanto agli argomenti per ritenere che la fototropia sia da classi- ficare fra i fenomeni fotochimici veri e proprî, essi possono compendiarsi come segue: 1°) la fototropia è fenomeno reversibile, e la trasformazione va nei due sensi con luce di diversa lunghezza d'onda, precisamente come avviene in tanti equilibrî fotochimici di natura perfettamente chiarita ('); 2°) la ve- locità di trasformazione segue la legge dell’azione di massa ed è proporzio- nale all'intensità della luce (*); 3°) i coefficienti di temperatura delle trasfor- mazioni fototropiche hanno dei valori che corrispondono perfettamente a quelli trovati nelle altre azioni fotochimiche(*); 4°) gli stessi coefficienti crescono con la lunghezza d'onda, come io ho trovato per la prima volta in sostanze fototrope e come ho poi verificato per reazioni fotochimiche di carat- tere indiscutibile (‘); 5°) la fototropia è stata osservata in qualche caso anche in soluzione (°); 6°) la forma cristallina, che resta uguale, secondo Weigert, prima e dopo illuminata la -tetracloro-@-chetonaftalina, non sembra mutare neppure nelle azioni fotochimiche qui descritte (*) purchè non si lasci inoltrare l’azione della luce fino all'inizio della scomposizione dei cristalli misti; 7°) la luce polarizzata in un piano agisce differentemente sia sui cristalli di corpi fototropi sia su quelli soggetti a trasformazioni chimiche permanenti, a seconda della posizione in cui vengono esposti i cristalli stessi. Debbo qui ringraziare la signorina Sofia Morassutti, laureanda in chimica, che mi ha validamente coadiuvato nelle esperienze qui descritte. (') Stobbe, Licbigs Annalen, 259, IL (*) M. Padon e T. Minganti, questi Rendiconti. (1913), II, 500 (#) M. Padoa e G. Tabellini, ibid, (1912), II, 188; M. Padoa e B. Furesti, ibid., (LOT) NIITN5, (4) M. Palor e A. Zazzaroni, ibid. (1915), I, 828; M. Padoa e T. Minsanti, ibid. (1915), II, 97; M. Padoa e C. Batironi, ibid. (1916), IT, 215. (5) Schmidt e Lupp, Berichte, XLI, 4223; Foresti, questi Rendiconti (1914), IT 270, (*) Per darne migliore conferma si stanno tentando misure ceristalloerafiche. RenpIconTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 49 — 878 — Geologia. — Atrovamento di fossili nella dolomia del M. Gazzo presso Sestri Ponente (). Nota di E. RePOSSI, presen- tata dal Socîo E. ARTINI. Nell'Appennino Ligure, ad occidente di Genova, esistono, come ognuno sa, alcune masse calcareo-dolomitiche degne di molto interesse. Una si trova presso Cogoleto, una seconda presso Arenzano, e diverse altre, in serie quasi continua, si allineano in direzione meridiana tra Sestri Ponente e Voltaggio. Esse sì ritengono sottostanti ai calcescisti con ofioliti del gruppo di Voltri e. dal punto di vista tectonico, sulle tracce di quanto riconobbe per primo il Rovereto (*), sono generalmente considerate come nuclei di pieghe anti- clinali. La somiglianza con le masse dolomitiche a ponente di Savona (Bergeggi, Spotorno, Noli), abbastanza ricche di fossili, e coi grezzoni delle Alpi Apuane, le ha fatte attribuire fin da principio, in blocco, al tr7as medio (3); e le scar- sissime tracce di organismi in esse rinvenute poi (diplopore, crinoidi, gastero- podi indeterminabili). se confermano il riferimento loro al #rfas, non permet- tono una specificazione cronologica più precisa. Alcuni autori (De Stefani, Franchi), considerando in particolar modo la massa calcareo-dalomitica della Madonna del Gazzo presso Sestri Ponente e quelle che seguono verso settentrione, e basandosi specialmente sui caratteri litologici, hanno emesso l'ipotesi che in esse siano rappresentati diversi piani. Così, ad esempio, il Franchi (‘) attribuisce al (ri4s medio-superiore la parte inferiore, propriamente dolomitica, di tali masse, mentre riferisce dubitati- vamente al retico una formazione-calcareo-scistosa, a luoghi fossilifera, che, specie a Monti Torbi e ad Isoverde, si sviluppa sopra gli strati dolomitici. Il De Stefani (*) va anche più in là, distinguendo, sempre nelle stesse masse, (1) Lavoro eseguito uel laboratorio di mineralogia del Museo civico di storia natu- rale in Milano. (?) G. Rovereto, Za zona di ricoprimento del savonese e la questione dei calce- scisti (Boll. Soc. geol. ital., vol. 28, an. 1909). () L. Mazzuoli e A. Issel, Nota sulla zona di coscerdenza delle. formazioni ofioli- tiche cocenica e triasica della Liguria occidentale (Boll. com. geol., 1884). (4) S. Franchi, Relazioni preliminari sulla campagna geologica dell'anno 1911 (Boll. com. geol., 1912). (5) C. De Stefani, La zona serpentina della Liguria occidentale (Rend. Acc. d. Liucei, 1913). Questo autore si era già antecedentemente occupato della questione, giun- gendo a conclusioni crunologiche alquanio diverse, ma in parte più rispondenti agli ul- timi risultati ai quali ora si arriva, in diversi lavori: Sulle serpentine italiane (Atti Ist. veneto, 1884); L'Appennino fra il Colle dell’Altare e la Polcevera (Boll. Soc. geol. ital., vol. VI, 1887); / grezzoni triasici nell'Appennino Ligure e nelle Alpi Marittime (Proc. verb. Soc. tosc. sc. nat,, 13 novembre 1887). — 379 — tre gruppi di strati: 1) calcari compatti, cerulei, chiari, alquanto magne- siaci, da lui per primo riconosciuti identici ai grezzoni che nelle Alpi Apuane stanno alla base della formazione marmifera; 2) calcari ceruleo-scuri, com- patti, sottilmente stratificati, talora con qualche strato siliceo, spesso molto scistosi, simili ai calcari cerulei ed ai dardigli, talora scistosi, delle Alpi Apuane; 8) calcari terrosi, brecciosi, con frammenti di calcare compatto scuro e di scisti verdognoli. I primi sono ritenuti rispondenti al Muschelkalk; gli altri al /r/as superiore, giungendo forse, in qualche caso, all’in/ralias. Le ragioni che inducono il Franchi a riferire dubitativamente al retico gli strati superiori della massa di M. Torbi e di Isoverde stanno nelle ana- logie ch'essi presentano nella posizione, nella facies litologica e nei fossili, sebbene indeterminabili, che contengono, con formazioni retiche delle Alpi occidentali e della Valtellina. Da questo riferimento scaturisce come conse- guenza, confortata pure da analogie consimili, che le dolomie sottostanti debbono comprendere, oltre che il trias medio, anche i] superiore. Le ragioni del De Stefani sono invece ricavate dalle analogie che le masse calcareo-dolomitiche liguri presentano specialmente con le formazioni apuane. Le ragioni dell’uno. come dell’altro di questi autori, sono certamente di grande valore, ma, pur tuttavia, essenzialmente analogiche, perchè, come appare da quanto s’è detto, gli scarsi avanzi fossili trovati nelle masse cal- careo-dolomitiche in discorso sono appena sufficienti ad un lato riferimento cronologico. In tali condizioni di cose, può avere un'importanza non del tutto trascu- rabile (tanto più che la posizione tectonica di queste masse è sommamente interessante pel geologo) il rinvenimento casuale di alcuni fossili determina- bili in modo sicuro negli strati dolomitici della Mad. del Gazzo. Salendo verso questo santuario pel sentiero che ordinariamente percorre chi proviene da Sestri e dal Pian del Forno, a circa 300-320 m. sul livello del mare. e precisamente appena sotto un piccolo ripiano scavato artificialmente nella costa più sporgente del moute verso sud, trovai gli strati dolomitici abba- stanza ricchi di avanzi fossili. E sebbene tali avanzi. come tutti quelli con- tenuti nelle formazioni congeneri, non siano in uno stato di conservazione molto buono, e sia difficile, data la natura della roccia, ottenerne esemplari interi. tuttavia vi potei riconoscere le tracce sicure di almeno sez specie di- verse. di cui due determinabili in modo, a mio avviso, indiscusso. Le due specie determinabili sono: Macrodus Songavatii Stopp. sp. Myophoria Caroli-Rivai Tommasi Della prima specie. frequentissima in un tratto della roccia che per l'abbondanza di fossili si potrebbe chiamare una vera lumachella, si ricono- scono bene numerosi esemplari, generalmente piccoli (5-8 mm. nella massima dimensione), ma in soddisfacente stato di conservazione. — 380 — Nella figura 1 è rappresentato uno degli esemplari meno incompleti e migliori. Confrontando tra loro parecchi individui, che si completano reci- Fie. 1. — J/acrodus songavatii Stopp. sp. procamente, si ha un idea sutticiente di tutti i caratteri della specie, rispon- denti esattamente a quelli dati dagli autori (1). Della seconda specie, assai più appariscente della prima, possiedo pure parecchi esemplari, in parte ridotti a semplici impronte od al solo modello interno: il guscio fu spesso completamente asportato, lasciando un incavo caratteristico tra il modello interno e la superficie della roccia includente, ‘appezzata di minuti cristalli di dolomite. Anche sul riferimento di questa specie, fondata dal Tommasi proprio su esemplari da me raccolti nella dolomia principale delle vicinanze di Me- naggio. sul lago di Como, non nutro dubbio alcuno. La fig. 2 rappresenta due degli esemplari meno incompleti ed un mo- dello interno. La determinazione fu fatta, oltre che in base alla descrizione datane dal Tommasi (?), anche per confronto con materiale della località tipica posseduto dal Museo Civico di Milano. Fis. 2 — Myophoria Caroli Rivai Tomm. Questa elegante specie fu rinvenuta tinora solo tre volte, per quanto io so: a Velzo presso Menaggio; a Meride presso Mendrisio (Ticino), pure (1) Vedi, ad es.: A. l'ommasi, Revisione della fauna a molluschi della dolomia principale di Lombardia (Palaeontogr. ital, vol. IX, 1903). (2) A. Tommasi, Mem. cit. - 381 — nella dolomia principale, dove la raccolsi in buoni e numerosi esemplari; ed alla Madonna del Gazzo. Essa va sicuramente avvicinata alla Myophoria inaequicostata Klipst.. alla M. picta Leps. ed alla M. chenopus Laube, tutte specie del /rzas superiore 0 più propriamente della dolomia principale, formanti un gruppo che parmi assai caratteristico per questo piano. Insieme con questa Myophoria, nel materiale raccolto al Gazzo, tro- vansi numerosi frammenti che sono probabilmente riferibili ad un’altra Myo- phoria, ad essa molto somigliante, specie per lo sviluppo caratteristico di una costa a forma di carena staccata nettamente dalle altre, ma differente per un numero maggiore di coste quasi egualmente robuste alle due estremità della conchiglia e per una maggiore convessità, oltre che per un maggiore sviluppo. Essa appartiene certamente al gruppo delle Myophorie ora citate, e si avvicina bene alla M. picta, ma non credo di poterla determinare in modo sicuro. Pure in modo dubitativo avvicino alla Myophoria Balsami Stopp. alcuni esemplari, veramente un po’ piccoli, della dolomia del Gazzo, ed alla Myo- concha Cornalbae Stopp. sp. un modello interno alquanto incompleto. Nel materiale da me raccolto esistono pure molti altri frammenti di bivalvi, che possono far sperare in una più ampia mèsse con nuove ricerche sul posto, ma che non bastano ad un ravvicinamento qualsiasi a forme note. Non rari sono pure i modelli interni di piccoli gasteropodi turricolati, simili assai probabilmente a quelli rinvenuti dal Franchi a M. Torbi e da lui ritenuti confrontabili con Zororema trovati nei banchi superiori di molte masse dolomitiche delle Alpi Cozie e di Corona presso Savona. Tenendo conto delle diplopore trovate dal De Stefani, dal Rovereto e dallo stesso Franchi negli strati del Gazzo, gli avanzi fossili di questa massa dolomitica si possono adunque così elencare: Macrodus Songavatii Stopp. sp. Myophoria Caroli Rivai Tomm. M. cfr. picta Leps. M. cfr. Balsami Stopp. Myoconcha Cornalbae Stopp. sp. (2) Loconema sp. (?). Gyroporella sp. E se sì vuol ricavarne una conclusione cronologica, si può ritenere che la dolomia del Gazzo sia almeno in gran parte, se non nella sua totalità (esclusi, s'intende, i calcari neri scistosi del suo fianco orientale), riferibile alla dolomia principale, o, comprensivamente, al /rias superiore, escluso il retico. Difatti, sebbene tra i fossili finora rinvenuti manchino le specie più caratteristiche della dolomia principale (Gervilleia exilis, Megalodus, Worthenia), le specie sopra elencate sono tutte di tale livello o almeno del trias superiore. — 352 — Va inoltre notato che il punto in cui i fossili furono ritrovati è nel bel mezzo della serie degli strati costituenti, con un fascio pressochè verti- cale e diretto da sud a nord, il Bric del Gazzo. Se questi, come ritengono molti fra i valentissimi geologi che studiarono tectonicamente la regione, formano veramente un anticlinale, bisognerebbe concludere che almeno la ‘ parte affiorante della dolomia del Gazzo sia tutta appartenente alla parte superiore del trias. Nè voglio tralasciar di dire che anche i caratteri litolo- gici della dolomia del Gazzo ricordano in modo perfetto quelli della dolomia principale delle Prealpi Lombarde: si notano in quella le stesse tinte, la stessa cristallinità alquanto grossolana, la stessa farinosità superficiale, la stessa forma brecciata a rigature bianche sporgenti e rugose, le stesse par- ticolarità di modellamento superficiale che si osservano in questa. Chi conosce la dolomia principale lombarda, non può sottrarsi, salendo al Gazzo, all’im- pressione di trovarsi sopra una formazione perfettamente identica ad essa sin nei minimi particolari. Questa determinazione cronologica della parte superiore almeno della dolomia del Gazzo viene infine a confermare il riferimento al retico dei cal- carì scistosi soprastanti, fatto dal Franchi. Oltre che al M. Torbi e ad Iso- verde, anche in questi calcari neri scistosi del Gazzo, affioranti fra Panigaro e Serra in Val Chiaravagna, lungo il fianco orientale del complesso calcareo- dolomitico, ed anche un po’ sul lato sud, io rinvenni lumachelle scistose a bivalvi e calcari con tracce, pare, di brachiopodi che in tutta la loro fiso- nomia ricordano le formazioni retiche delle più classiche località lombarde. E nonostante che, sfortunatamente, non vi abbia finora rinvenuto forme determinabili, non esito ad associarmi completamente al Franchi nelle sue conclusioni sul riferimento cronologico di questi strati. Più difficile è giudicare che importanza abbia il rinvenimento di fossili del trias superiore nella dolomia del Gazzo in riguardo al riferimento cro- nologico delle altre masse dolomitiche accennate in principio, e specie quelle di Cogoleto e di Arenzano. Per conto mio ritengo, quantunque non possa affermar nulla di preciso in proposito, che queste ultime siano veramente da riferirsi al tr7as medio. Noto che esse sono petrograficamente molto di- verse dagli strati fossiliferi del Gazzo: sono più compatte, spesso quasi mar- moree, e se contengono tracce di fossili, queste sono di crinoidi spatizzati, assai simili a quelle delle dolomie del trias medio di Noli, Spotorno ece., alle quali parmi si avvicinino anche per la composizione chimica molto più che non a quella dei Gazzo. La questione, del resto, va oltre il modestis- simo còmpito che mi sono ora proposto e lascio ad altri, di me assai più competenti, il risolverla. — (989 — Geologia. — 2! problema dell’evoluzione dell’idrografia car- sica sotterranea. Nota I di P. SAvINI, presentata dal Socio E. Mi- LOSEVICH. J. Cvijié, l'illustre professore dell'Università di Belgrado, che da molti anni va occupandosi attivamente dello studio dei fenomeni carsici, nel fasci- colo IV del tomo VI della « Recueil des travaux de l’Institut de Géographie Alpine » (Grénoble, 1918), ci dà uno sguardo d’assieme dei fenomeni carsici, quali gli sono apparsi dallo studio delle cavità sotterranee delle regioni car- siche in genere e di quelle della sua patria in particolare. Già nel 1893 egli aveva pubblicato un lavoro complessivo sui fenomeni carsici, nel quale questi sono opportunamente classiticati e descritti secondo le conoscenze che se ne avevano allora;zed in seguito ci diede pure varî altri studî di regioni carsiche, d'interesse non solo regionale ma anche generale. Poche questioni poterono appassionare i geografi e gli idrologi in questi ultimi anni quanto quella delle condizioni della circolazione sotterranea delle acque entro i massicci calcarei, in altre parole, dell'idrologia carsica, e quella del così detto ciclo di erosione carsico. La controversia aveva assunto persino il carattere di polemica, e, ciò che è peggio, addirittura di polemica perso- nale. Data dunque l’importanza dell'argomento, che viene a conferire alla questione un nuovo carattere di attualità, sia anche perchè,recentemente cercai con altri concetti, non molto dissimili, di risolvere in modo definitivo lo stesso problema, credo di qualche interesse riassumere il succitato studio geologico-speleologico, rilevando le analogie e le divergenze che passano fra la teoria del geologo serbo e quella da me ideata. L'Autore, che considera il problema in una forma generale, esaminandolo dal punto di vista dello sviluppo delle idrografie sotterranee nelle regioni carsiche, svolge la tesi che questo sviluppo, il quale ha luogo a cominciare dalla superticie, in seguito ad un progressivo approfondimento delle idrogratie stesse, dà luogo, a processo compiuto, all'esistenza di tre successive zone idrografiche, cioè: 1) La zona secca, la quale è costituita dalla parte più superficiale del massiccio calcareo, ed è caratterizzata da una siccità quasi assoluta. Le fes- sure e le cavità sotterranee di questa zona sono percorse da qualche corrente d'acqua solo durante il periodo delle pioggie, e in essa mancano quasi del tutto le sorgenti, e il movimento delle acque è per lo più quello dall’alto in basso. I corsi d’acqua ascendenti, proprî della zona idrografica sottostante. ‘vi mancano quasi del tutto. -— 384 — 2) La comi di transizione idrografica, che presenta due caratteristiche, l'una permanente, l'altra temporanea. In questa si constata auzitutto l'esi- stenza di vene d'acqua costanti, talora veri corsi d'acqua; nel periodo delle pioggie, lo scarico delle acque verso il basso è rallentato localmente od ar- restato, sia da strozzature delle fessure e delle cavità sotterranee, sia dal- l'influenza di corsi d'acqua ascendenti, provenienti dalla zona soggiacente. Queste acque ascendenti appaiono allora, in forma di sorgenti, nelle depres- sioni carsiche, le quali però nelle altre stagioni rimangono asciutte. 3) La zona costantemente percorsa dall'acqua, che è la più profonda, tro- vandosi al di sotto del fondo delle depressioni carsiche. Essa è troncata solo dalle valli allogene incavate fino allo strato impermeabile. Tutte le fessure in questa zona sono percorse da masse d’acqua più o meno voluminose, che discendono lentamente verso la profondità, rallentate dall’aderenza, come pure dalla forma, grandezza e ramiticazione dei canali sotterranei, che sono spesso disposti a sifone. L'acqua è spesso arrestata e costretta a risalire, onde si sviluppano corsi d’acqua ascendenti, i quali, sotto la pressione idrostatica, penetrano in tutte le fessure e rimontano nella zona di transizione e, delle volte, più in alto ancora. È egualmente l’acqua di questa zona che sgorga nelle sorgenti sottomarine della costa adriatica. Queste tre zone idrogratiche non rimangono immutabili, ma, come s’ac- cennò, ciascuna tenderebbe a svilupparsi progressivamente verso il basso, mentre anche l’abbassamento del massiccio calcareo tino al livello impermea- bile si effettuerà costantemente per opera della degradazione atmosferica. Le tre zone non sono neppur sempre presenti, mentre, all’incontro, assai varie possono essere le particolari condizioui locali, come l’Autore cerca di far no- tare con alcuni esempi caratteristici. Da questo esame, la Memoria del Cvijié ci appare quindi, nel suo com- plesso, come un prezioso sguardo d’assieme dei fenomeni carsici, mentre in- vece non troppo chiara e non sempre convincente riesce la sua spiegazione allorquando essa giunge alla parte conclusiva. L'Autore stesso ci confessa (a pag. 379) che, assorbito da altre ricerche, ancor nel 1909 non era riuscito a coordinare i fatti, a rifletterli sufficientemente e a formarsi delle opinioni ben fissate, il che intese fare appena nel suo lavoro che pubblicò di re- cente. Questa imprecisione potrà apparire ancor meglio dalle sue stesse spie- gazioni, che ora esaminerò nelle loro particolarità, e ponendole di fronte agli accertamenti fatti, allorchè, anni or sono, mi accinsi a studiare le regioni car- siche della Venezia Giulia. Premesso che le condizioni idrologiche possano essere assai diverse da una regione carsica a un'altra (tra la Carsia Giulia con un'ossatura di cal- cari cretacei e la penisola balcanica, caratterizzata dalla presenza di calcari amorfi o dolomitizzati dell’èra triassica) a seconda dell'altezza e dell'esten- sione del rilievo carsico, del modo e del grado di fessurazione, del regime percorse — 389 — delle pioggie. della presenza e dell’estensione di strati impermeabili inter- calati o laterali, del tempo da cui il processo carsico si è iniziato, e final- mente dei movimenti orogenetici di innalzamento o di abbassamento che pos- sono essersi verificati o verificarsi nella regione, i risultati delle osservazioni non dovranno necessariamente essere gli stessi, indifferentemente se ottenuti da ricerche in territorî dei calcari cretacei o mesozoici. Questa circostanza, già rilevata dal Cvijié nel suo lavoro (a pag. 404), mentre ammette la pos- sibilità che la profonda conoscenza della costituzione geologica di una deter- minata regione possa modificare i principî generali dell'idrografia stati pre- cedentemente stabiliti per quei luoghi, non esclude invece il pericolo delle teorie troppo semplici e la mancanza di critica di chi le applica. Di fronte a quel complesso di argomenti e di fatti addotti dall’Au- tore nel suo lavoro, potrebbe sembrare di poco valore una statistica contra- dittoria, tanto più che questa dovrebbe essere studiata caso per caso, sul posto, tenuto conto delle speciali situazioni geologiche e idrologiche della regione. Pur tuttavia, uno di questi casì, che non rientra nello schema, troppo semplicista, del Cvijié, sarebbe quello che considera la particolare funzione di ogni singola zona idrografica, il quale non sembra destinato a mantenere e rafforzare di nuovi argomenti e di muove prove la posizione fondamentale che il professore serbo, con l'ideazione della sua teoria, erasi creata. Questo caso, che più degli altri viene a rendersi importante, ben differentemente è apparso dall'esplorazione stessa delle caverne, di quanto ce lo descrive il nostro Autore, la cui teoria, per vero dire, non sempre risponde a un concetto intuitivo. Le contraddizioni, in cui egli incorse, si renderanno maggiormente manifeste dai seguenti passi: (A pag. 395-396): « Les venues d’eau ascendante que nous rencontrerons souvent dans la zone hydrographique inférieure y manquent (nella zona secca) presque complétement: l’écoulement des eaurx dues aux précipitations n°Y est pas arrété par des cours d’eau ascendants ». A pag. 383 tale opinione vi si trova alquanto modificata, asserendo l'Autore che « dl y a méme des cas, rares assu- rément, où des sources sont apparues (indubbiamente attraverso la così detta zona secca) dans les maisons des paysans du Karst ». Alla pag. 398, ove tratta della ITI zona idrografica, l'Autore asserisce infine che in essa « se développent les cours d'eau ascendants qui, sous la pression hydrosta- tique, pénètrent dans toutes les fissures et remontent dans la zone de tran- sition, parfois méme plus haut encore. Dans cette zone, ils empéchent la descente des eaux venues de la partie supérieure et provoquent ainsi de nou- veaur courants ascendants qu'on voit apparaître au fond des poljes les plus élevés et méme des ouvalas les plus profondes ». Non sempre corrispondente è pure l’ipotesi che l'Autore emette (a pag. 397) in riguardo alla presenza o assenza di cavità ‘sotterranee nella « zona co- stantemente percorsa dall'acqua ». « Déjà dans la zone de transition — egli RanpIconTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 50 — 386 — scrive — les cavités souterraines sont. beaucoup moins nombreuses ;- ici, les grottes deviennent une rareté » . Per la spiegazione di tale sua teoria, il Cvijié tiene conto tanto delle idee del Martel, quanto di quelle del Grund, accostandosi però, nella parte sostanziale, decisamente a quelle dello speleologo francese. Per quanto egli non lo rilevi espressamente, dalla sua esposizione emerge chiaramente, che egli si appoggiò soprattutto a induzioni puramente logiche e a generalizzazioni forse troppo sempliciste. Rigettò, senza discuterle, le opinioni del Grund, il quale ritenne che la spiegazione più naturale per la circolazione sotterranea delle acque carsiche era quella di considerare il massiccio di calcare fessurato come imbevuto fino a una certa altezza da un'unica massa d'acqua, che do- vrebbe riempire tutte le fessure e le cavità intercomunicanti, analoga alle falde acquifere che imbevono i terreni alluvionali, dette falde freatiche, perchè da esse si attinge l’acqua coi pozzi. Egli chiamò perciò questa massa d’acqua profonda semplicemente « acqua di fondo » (Grundwasser) (*), e la im- maginò limitata da una superficie soggetta a forti oscillazioni coll’alternarsi dei periodi piovosi ed asciutti. Questa rappresentazione il Cvijié avrà avuto certamente presente quando iniziò lo studio delle regioni carsiche e delle acque sotterranee da cui quelle sono percorse. Fin dalle prime osservazioni dovette però trovarsi affatto disorientato, e la teoria dei così detti « pratici », seguìta da una valorosa schiera di esploratori, a capo dei quali era il Martel, dev’essergli sembrata certamente più corrispondente. Lo speleologo francese aveva spinto il suo ardimento nelle più profonde voragini e nelle più im- pervie caverne delle regioni calcaree di Francia, del Belgio, della Carsia (1) Scartai del tutto la definizione di « acque di fondo » (Grundwasser) per distinguere le acque sotterranee scorrenti su terreni non assorbenti, da quelle attraversanti entro ca- nali orizzontali i massicci calcarei, perchè assolutamente non appropriata. Qui si tratta in realtà di acque freatiche semplicemente scorrenti su terreni impermeabili soggiacenti ai massicci calcarei permsabilissimi. Di natura diversa sono invece le /alde freatiche sa- lienti, le quali alimentano i pozzi artesiani, e si trovano racchiuse entro strati imper: meabili. In nessun caso però queste acque possono considerarsi come « acque di fondo ». Nel loro lavorìo sotterraneo, esse giunsero a compenetrare appena uno strato superficialis- simo dell’epidermide, per così dire, della Terra, che è data dalla sua dura corteccia. Così che, se si riduce la Terra ad 1:10,000,000, ossia ad uno sferoide di circa metri 1,27 di diametro, persino le più vaste depressioni oceaniche, che oscillano fra i 4,000 e i 5,000 metri sotto il livello della superficie, non apparirebbero su tale sfera che come lievissime ammaccature di meno di mezzo millimetro di entità; e le più eccelse montagne ed i più profondi abissi del mare appena si potrebbero scorgere come leggeri increspamenti ed esigui infossamenti di meno d’un millimetro di grandezza. Dato adunque il loro ristretto raggio di azione, e data, soprattutto, la loro superficialità, come si possono ritenere tali acque sotterranee come « acque di fondo » ? Che rappresentano infatti sulla Terra quei sedimenti superficiali che esse riescono ad attraversare prima di trasformarsi in vapore ? Essi sono appena come lievi ammaccature di tre o quattro millimetri di entità sopra una sfera di tredici metri di diametro. — 387 — Giulia, di Grecia e degli Stati Uniti d'America, constatando in tal modo de visu l'andamento delle acque sotterranee. Egli discese con mirabile ardi- mento nei profondi pozzi o avens delle Cansses e con imbarcazioni portatili potè percorrere gran parte delle grotte di Postumia e delle altre cavità per- corse dalla Piuca sotterranea. In questo caso, egli, con Schmid], Kraus ed altri, potè affermare di aver seguìto il corso sotterraneo del fiume, che riappare a Nord sotto il nome di Oncia, per scomparire nuovamente e ritor- nare di nuovo alla luce nei pressi di Nauporto, col nome di Lubiana. Analo- gamente si potè seguire per lungo tratto nelle ampie caverne di S. Canlziano del Carso il Timavo superiore, che in esse sì precipita e scompare; poi l’acqua chiude ogni accesso ulteriore, costituendo un passaggio forzato foggiato a sifone; ma era convinzione popolare che il virgiliano Timavo, corpo d’acqua che sbocca come fiume già formato presso S. Giovanni di Duino nella baia di Monfalcone, e dopo soli 1750 metri di percorso va a perdersi in mare, non fosse altro che la risorgenza del Timavo superiore, nascente alle falde del monte Catalano. Tale tradizione parve confermata anche quando, il 6 aprile 1841, Antonio Federico Lindner, essendo riuscito a discendere, dopo un pa- ziente lavoro di sgombero di materiale franato, alla collina di sabbia esi- stente al fondo della grotta di Trebiciano, al cui piede, alla profondità di ben 322 metri, scorreva un vero fiume: evidentemente, sì disse, il Timavo sotterraneo. Questi esempî, e numerosi altri consimili, avevano formato la convin- zione che l'acqua scorresse entro i massicci calcarei in vene, ruscelli e fiumi, attraverso canali liberi, qualche volta interrotti da sifoni, ma che, prescin- dendo da ciò e da altre particolarità, somigliassero a corsi d’acqua super- ficiali, mentre mancherebbero falde acquee simili a quelle dei terreni di imbibizione. Di fronte a questo nuovo complesso di argomenti e di fatti, che si potrebbero moltiplicare, e con cui il concetto dei « teorici », capitanati dal Grund, certamente non venne a conciliarsi, gli speleologi non tralasciarono di mettere in evidenza le smentite che l'esperienza dava alla teoria, e tutti i fatti particolari che parevano in contraddizione con essa. Il Grund si di- fese caso per caso, cedendo, in trincee successive, un po' di terreno, ricono- scendo cioè una complessità di fenomeni che non rientrava tutta nello schema primitivo, secondo il suo dire, troppo semplicista. Ma nè allora nè poi il problema della circolazione sotterranea delle acque nelle regioni carsiche potè ritenersi definitivamente risolto. Coll'aumentare del numero degli studiosi della materia, si moltiplicarono pure le ipotesi; e la questione, che sino ad oggi aveva continuato a sfidare la perspicacia dei geologi e degli speleologi, non cessa perciò di rimanere un problema insoluto. Fisiologia. — ricerche sulla natura del veleno dell’anquilla. IV: Nuovi esperimenti sulla dializzabilità dell’ ittiotossico ('). Nota del dott. G. BuGLia, presentata dal Corrisp. V. Apucco (*). Per ciò che si riferisce alla proprietà del veleno dell'anguilla di essere o no dializzabile, riferii alcuni esperimenti in una nota precedente a que- sta (*). Da essi è risultato che l’acqua di dialisi del siero di anguilla e dell'estratto di czeche, antecedentemente sottoposti ad un'accurata azione disgregativa (di natura chimica o fisica), iniettata nell'addome delle rane, produce la morte, dando fenomeni tossici che si osservano anche nell’avve- lenamento per siero di anguilla e per estratto di cieche normali. Sebbene avessi contemporaneamente constatato che il siero normale, anche dopo prolungata dialisi, conserva la sua tossicità, mentre il siero e l'estratto, dializzati dopo disgregazione, diventano innocui, allorchè si iniet- tano nell'addome delle rane, non mì ritenni ancora autorizzato ad affermare che il veleno dell'anguilla sia una sostanza dializzabile, poichè desideravo avere maggiori prove di giudizio. A questo scopo ho ripetuto gli esperimenti, fatti precedentemente, sulle rane, con siero di anguilla e con estratto di cieche. associandovene altri, su cani e su conigli, con estratto di cieche, per indagare {come ho fatto nelle ricerche sulla termostabilità) (4) l’effetto dell'estratto, dializzato dopo accurata disgregazione, e l’etfetto dell'acqua di dialisi di questo estratto, sulla funzione respiratoria e cardio-vascolare di animali a sangue caldo. 1° Esperimento (21-VII-919). — Si macinano in mortaio con cristalli di quarzo 4 cc. di siero del sangue di anguilla e si mettono a dializzare entro un ditale dializza- tore in presenza di toluolo. Dopo poco tempo si osserva che la polvere di quarzo, deri- vante dai cristalli per l’effetto della macinazione, sedimenta al fondo del ditale, separan- dosi nettamente dal siero che rimane superiormente. Per 5 giorni (due volte al giorno) rinnovo l’acqua di dialisi e al 6° giorno la riunisco tutta insieme (cc. 400). È trasparente incolora ed, evaporata a bagnomaria, dà (*) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Fisiologia della R. Università di Pisa, diretto dal prof. V. Aducco. (2) Pervenuta all'Accademia il 12 settembre 1919. (8) G. Buglia, Aicerche sulla natura del veleno dell'anguilla, Nota II. Atti della R. Acc, dei Lincei, 1919. a Ì (4) G. Buglia, Ricerche sulla natura del veleno dell'anguilla. Nota I e III. Atti della R. Acc. dei Lincei, 1919. — 389 — un piccolo residuo che, sciolto in 12 cc. di soluz. fisiol (Na CI al 0,9 °/0), è di colore gialliccio ed ha reazione alcalina. Contemporaneamente raccolgo per decantazione il siero che, nell'interno del dia- lizzatore, trovasi superiormente alla massa compatta della polvere di quarzo suindicata. Lascio il siero per qualche tempo all’aria, sino a evaporazione completa del toluolo. Il suo volume è di 12 cc. La reazione leggermente alcalina. Aggiungo ad esso gr. 0,1 di Na CI. a) Smietto 3 cc. del siero, sottoposto alla dialisi, nell’addome di una rana. Non osservo alcun fenomeno tossico degno di nota. L'animale muore nel 4° giorno dopo l’inezione. 6) Inietto 3 cc. del liquido, derivante dall'acqua di dialisi, nell'addome di un’altra rana di peso pressochè eguale a quello della precedente, gr. 20 circa. L'animale pre- senta, dopo poco tempo, fenomeni catalettici, seguiti da paresi e paralisi degli arti poste- riori, e da leggero arrossamento del ventre e delle coscie. Dopo 1 ora circa, capovolto, dimostra grande difficoltà a raddrizzarsi spontaneamente, e nello sforzo ha tremori alle estremità degli arti posteriori. Dopo 10 ore, questi fenomeni persistono, anzi sono più gravi: la pelle dell'animale è diventata asciutta, e il corpo appare insecchito. Dopo 36 ore l’animale muore, 2° Esperimento (21-VII-919). — Si tritano in mortaio 20 grammi di cieche e se ne fa un estratto, aggiungendo alla poltiglia 40 ce. ‘di acqua distillata. Dopo centrifu- gazione si macinano accuratamente, con cristalli di quarzo, 80 ce. dell'estratto e si met- tono a dializzare entro tre ditali dializzatori, in presenza di tuololo. Come per il siero, dopo poco tempo osservo depositarsi, al fondo dei ditali, la polvere di quarzo. Dializzo per 5 giorni, rinnovando l’acqua due volte al giorno. Al 6° giorno riunisco tutta l’acqua di dialisi (cc. 1000) e la faccio evaporare a bagnomaria. Il residuo, sciolto in 25 cc. di soluz. fisiol., mi dà un liquido di colore gialliccio a reazione alcalina. Contemporanenmente raccolgo per decantazione l’estratto dializzato, che trovasi superiormente alla massa di polvere di quarzo, e lo lascio all'aria sino ad evaporazione completa del toluolo. Il volume è di 85 ce. Aggiungo ad esso gr. 0,25. Na CI. 1 a) Inietto 3 cc. dell’estratto dializzato nell’addome di una rana del peso di gr. 22. Non avverto alcun fenomeno tossico. L'animale muore nel 4° giorno dopo la iniezione. Inietto 17 cc. di questo stesso liquido nella vena giugulare di un coniglio o del peso di gr. 3000. Non si rileva alcuna apprezzabile modificazione nè della pressione arteriosa, nè della frequenga della pulsazioni cardiache. nè del ritmo respiratorio. b) Inietto 8 ce. del liquido, derivante dall’acqua di dialisi, nell’addome di una rana del peso di gr. 19. Dopo 1 ora circa si osservano fenomeni di paresi e paralisi agli arti posteriori. Capovolgendo l’animale, emette gridi e, sebbene compia sforzi per raddrizzarsi, non vi riesce. Alla mattina seguente si trova morto. Inietto 17 cc. di questo stesso liquido nella vena giugulare del coniglio, che aveva rivevuto l’iniezione dell'estratto dializzato. L'altezza della pressione arteriosa non subisce variazioni. Gli atti rospiratorî, dopo circa 10’, si fanno invece molto più ampî e meno frequenti (da 200 al 1’, diventano 74); le pulsazioni cardiache si rarefanno, ma diven- tano più energiche. L'animale diventa così calmo e tranquillo che sembra addormentata, Muore nella notte. Dagli esperimenti riferiti, risulta evidente che il liquido di dialisi del siero di anguilla e quello dell'estratto di ezeche macinati accuratamente, iniettati nell’addome di rane, producono la morte con fenomeni che si osservano anche — 390 — nell'avvelenamento da siero e da estratto normali. Essi però hanno preva- lentemente carattere paralizzante, così che assomigliano ai fenomeni di quella forma di intossicazione lenta che si ha con piccole dosi di siero, 0 quando si usa siero. che per natnra è poco tossico (!). Risulta inoltre, dall’esperimento fatto sul coniglio, che il liquido di dialisi dell’estratto di ezeche, iniettato nelle vene, produce un effetto seda- tivo, ipnotico, che si rileva dalla minore frequenza e maggiore ampiezza degli atti respiratorii, dalla rarefazione delle pulsazioni cardiache e dallo stato di sonnolenza da cui è preso l’animale. Il liquido dializzato invece (siero di sangue di anguilla ed estratto di cieche) non ha manifestato alcuna azione tossica immediata nè sugli ani- mali eterotermi (rane), nè sugli omotermi (coniglio). L'interpretazione di questi risultati mi lasciò dubbioso, poichè non avendo rilevato, nè col liquido di dialisi nè col liquido dializzato feno- meniì tossici convulsivanti accompagnati da alterazione del ritmo respira- torio e da modificazioni della pressione sanguigna (come sì osservano nor- malmente nell’avvelenamento da siero di anguilla e da estratto di cieche), ero condotto a pensare che, durante il processo di dialisi, il veleno venisse in parte alterato o distrutto. Ma, prima di giungere a questa conclusione, considerando che gli esperimenti sulla termostabilità avevano messo in evi- denza la notevole resistenza che il veleno offre alle azioni fisiche anche energiche, volli ripetere gli esperimenti con alcune modalità tecniche. 3° Esperimento (28-VII-919). — Si tritano in mortaio 20 gr. di cieche e, aggiun- gendo alla poltiglia 40 cc. di acqua distillata, se ne fa un estratto che viene centrifu- gato. 30 cc. di esso si macinano con cristalli di quarzo e si mettono a dializzare entro tre ditali dializzatori. Dopo 5 giorni di dialisi (durante i quali viene rinnovata l’acqua 2 volte al giorno), evaporo a bagnomaria tutta l’acqua di dialisi (ce. 1200). Sciolgo il residuo in 50 ce. di soluz. fisio.. e neutralizzo il liquido col qualche goccia di HCIF. Raccolgo per decantazione l'estratto dializzato e lavo la polvere di quarzo, deposi- tata al fondo dei tubi dializzatori, per tre volte con acqua, sbattendola ripetutamente: unisco quest’acqua di lavatura all’estratto decantato. Complessivamente ottengo 100. cc. di liquido (che chiamerò B), al quale, dopo neutralizzazione, aggiungo gr. 0,9 di Na Cl. a) Inietto 20 cc. del liquido dializzato (liquido B), corrispondenti a 6 cc. di estratto originale, nella vena giugulare sinistra di un coniglio o” di gr. 2300 (ce. 2,5 circa per kgr.). Non è ancora terminata la iniezione che la pressione carotidea si abbassa ra- pidamente. portandosi, da un’altezza corrispondente a cm. 10,5 di Hg, a quella corrispon- dente a cm. 1; contemporaneamente l’animale è preso da un accesso convulsivo, il ritmo respiratorio si fa irregolare e le oscillazioni respiratorie diventano più manifeste. Circa (*) L. Camus e E. Gley, Recheches sur l'action physsologique du sérum d’anguilie: contributiow ecc. Arch. internat. de pharmacodyn., vol. V, 1918, p. 247. Va sd 3 ai CA ii ci — 391 — . 2" dopo l’iniezione, cessano gli atti respiratorì. La pressione è a zero, e sul tracciato si osservano le ultime deboli pulsazioni cardiache. 55 ce. di questo stesso liquido (corrispondenti a cc. 16,5 di estratto originale) si iniettano, in tre riprese, nella vena giugulare sinistra di un cane o” di kgr. 7,800 (cc. 2 circa per kgr.). Anche in questo caso la morte dell’animale avviene coi fenomeni detti precedentemente: rapido abbassamento della pressione arteriosa, accesso convulsivo e irre- golarità del ritmo respiratorio. L’arresto del respiro avviene un poco prima dell’arresto delle pulsazioni cardiache. Durante l'esperimento l’animale ha avuto un'abbondante secre- zione salivare. 3) Inietto 80 cc. di liquido, proveniente dall’acqua di dialisi, nella vena giugu- lare sin. di un coniglio o? di gr. 2000. Non si hanno modificazioni della pressione arteriosa nè delle pulsazioni cardiache. Dopo 10’ circa, l'animale è così calmo e tranquillo come fosse addormentato; gli atti respiratorî sono diventati assai più ampî, regolari e meno frequenti. Dopo due giorni, durante i quali ha manifestato ripugn anza per il cibo, l’ani- male muore. Questo esperimento chiarisce perfettamente il risultato negativo di quelli precedenti, poichè dimostra che una parte del veleno, quella ad azione pre- valentemente convulsivante e che agisce sulle funzioni respiratoria e cardio- vascolare, non viene alterata o distrutta durante il processo di dialisi, ma semplicemente trascinata al fondo del dializzatore dalla polvere di quarzo, che si sedimenta. Volendo quindi riassumere i risultati ottenuti con la dialisi, nelle pre- senti ricerche e in quelle precedenti, si può così concludere: a) che il siero di anguilla e l'estratto di cieche, quando sono in precedenza sottoposti ad un'accurata azione disgregativa, lasciano dializzare una sostanza ad effetto prevalentemente paralizzante sugli animali eterotermi (rane), e sedativo. ipnotico sugli animali omotermi; 5) che i detti liquidi, disgregati e poi dia- lizzati, producono negli animali omotermi (cani, conigli) un effetto preva- - lentemente convulsivante (con alterazione del ritmo respiratorio e della pres- sione arteriosa) e rapidamente letale. Differente, dunque, risulta l’azione del liquido di dialisi da quella del liquido dializzato.-Questa differenza potrebbe interpretarsi, a mio modo di vedere, in due maniere: si potrebbe pensare che il veleno dell’anguilla sia costituito da un'unica sostanza la quale, in determinate condizioni (dipendenti da processi disgregativi), dializza soltanto in piccola quan- tità, e allora presenta un'azione paralizzante; la maggior quantità invece, non dializza perchè rimane legata a sostanze non dializzabili, e allora ha un'azione prevalentemente convulsivante. Ovvero si potrebbe supporre che i fenomeni tossici, che si osservano nell’avvelenamento da siero di anguilla, per l'azione dell’estratto di cieche ecc., siano dovuti all’azione di due diffe- renti sostanze, aventi in comune il carattere della termostabilità, di cui l'una (quella ad azione ipnotica, paralizzante) è dializzabile, l’altra (quella — 392 — ad azione convulsivante) non è dializzabile (1). Delle due interpretazioni, la seconda mi sembra per ora assai più attendibile e soddisfacente. E siccome il siero, che non è stato sottoposto ad azioni disgregative, conserva inalterata la sua azione tossica dopo prolungata dialisi, si potrebbe ammettere anche come propabile che, nel siero normale di anguilla, la so- stanza o le sostanze tossiche si trovino in un legame più o meno labile con altre sostanze contenute nel siero stesso (sostanze albuminose).Il calore avrebbe per effetto di aumentare la stabilità di questo legame, rendendo il siero quasi del tutto innocuo per semplice immobilizzazione, non per altera- zione o distruzione del veleno; le azioni disgregative, quali potrebbero essere una sufficiente macinazione con cristalli di quarzo od un processo fermentativo, romperebbero invece detto legame. L'azione disgregativa, dovuta ad un processo fermentativo, potrebbe così spiegare non soltanto la differente intensità dell'azione tossica del siero di anguilla sui varî tessuti e sui diversi animali (immunità naturale), ma anche spiegherebbe particolarmente perchè l'azione globulicida del siero di anguilla sì manifesti più intensa e più rapida a quelle temperature che rappresen- tano l'optimum per lo svolgersi dei processi fermentativi in genere. Ulteriori ricerche, specialmente con indirizzo chimico. potranno chiarire meglio la questione. Per ora, come primo tentativo di orientamento, posso riferire di aver constatato che il siero di anguilla e l'estratto di cieche (come anche l'estratto di pelle di anguilla e il liquido fante concentrato con l'evaporazione), sottoposti o non a macinazione con cristalli di quarzo, presentano tutti, coi reattivi del Pettenkofer, una colorazione, più o meno evidente, che ricorda quella dei sali biliari, e che questa stessa reazione (e non quella del biureto) la dà l’acqua di dialisi dei suddetti liquidi, quando in precedenza sono sottoposti ad accurata azione disgregativa. (3) Nel corso di queste ricerche ho fatto alcune prove per stabilire se l’azione emo- litica che hanno il siero di anguilla e l’estratto di cieche sul sangue di altri animali, sia dovuta alla sostanza che dializza 0, piuttosto, a quella che non dializza; ma non avendo potuto raccogliere dati sufficienti per giungere ad una sicura conclusione, mi riprometto di fare al riguardo nuove e più numerose indagini. — 393 — Fisiologia. — Contributo alla conoscenza degli enzimi. I: Ami- lasi dell'orzo germoqliato ('). Nota di D. MAESTRINI, presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI. La pianta, come è noto, a periodi di riposo alterna periodi di attività; in cui produce quantità di sostanze alimentari maggiori del bisogno, che de- posita nel così detto sistema di riserva (semi o spore). In questo sistema, all'epoca della germinazione, le proteine, i carboi- drati, i grassi e i lipoidi depositati, subiscono per opera di speciali fermenti, modificazioni, che li rendono utilizzabili dalla nuova pianta. Tra i fermenti, che operano queste profonde modificazioni, il più stu- diato fu l’amilasi, come è la più diffusa: essa trovasi in tutte le piante o parti di piante amilifere, nonchè in altre prive di amido, ma capaci di utilizzarlo (es., aspergillus, muffe ecc.). Le proteasi richiamarono pure l’attenzione dei ricercatori, furono divise in fermenti pepsici (agenti in ambiente acido), che dànno la sola peptoniz- zazione delle sostanze proteiche, ed in fermenti tripsici (agenti in ambienti alcalini), che trasformano i peptoni in aminoacidi. Nei funghi, ad es.: sa- rebbero fermenti pepsici, nei batterì, invece tripsici. Molto poco studiate al contrario turono le “past: dimostrate nelle piante inferiori (funghi, alghe, mute, ecc.), nelle piante superiori sono state ricer- cate soltanto nei semi oleiferi (?). Anche per molti altri fermenti (seminasi, citasi, pectinasi, emulsina, mirosina, ossidasi ecc.), le indagini possono dirsi appena iniziate (*). Sia dunque per le vaste lacune, che lo studio degli enzimi vegetali presenta, sia per l'utile pratico, che da indagini accurate e complete potrebbe derivare, sono state intraprese nel nostro Istituto una serie di ricerche. Di esse le prime sono state rivolte all'orzo germogliato. Nella presente Nota riferiamo i risultati sull’amilasi, riserbandoci di rife- rire sugli altri fermenti in Note successive. L'amilasi, scoperta nel 1914 da Kirchoff (*), fu lungamente oggetto di studio. (4) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologin della R. Università di Roma, diretto dal prof. S. Baglioni. (#) Cfr. C. Richet, Dict. de physiologie, tom. X. fase. I, pp. 158 160, anno 1919. (3) Cfr. Enciclop. agr. ital., parte I. Fisiologia vegetale, pag. 181, anno 1919. (*) Cfr. I. Efron, Les enzymes et leurs applications, pag. 121, an. 1899, Paris; e C. Richet, Dict. de phystol., tom. VI, pag. 317, an. 1993. ReENDICONTI. 1919, Vol, XXVIII, 2° Sem. 51 — 394 — La tecnica da noi seguìta fu: Farina di orzo, germogliato ed essiccato al disotto di 40° C., mescolata nelle proporzioni del 30°/ con acqua distillata (acidulata mediante ac. acetico al titolo di gr. 0,03 mole °/o0), è estratta per 6 ore alla temperatura di 20° C. circa, coll’aggiunta di timolo o di toluolo. L'estratto è filtrato, e, preso di esso varie parti aliquote uguali (di cui alcune bollite, per distruggere il fermento), si aggiunse a ciascuna una determinata quantità di soluzione di amido solubile (2°/), e si portarono tutte in termo- stato, a 37°-40° C. Dopo 24 o più ore di digestione, si calcolava lo zucchero invertito, seguendo, con qualche modificazione, il metodo di C. I. Litner(!). Terminata, cioè, la digestione, tutte le prove erano bollite per 10' e filtrate. Contemporaneamente si prepa- rano 6 provette, contenenti ciascuna 5 cm. di liquido di Fehling; si fanno cadere da una buretta quantità varie (per es., da 1-6 cc.) di ciascun filtrato da esaminare; sì por- tano le provette iu bagno-maria bollente, ove si tengono per 10’, indi, mediante acido acetico e ferrocianuro potassico si osserva la provetta, in cui la riduzione è completa, e quella immediatamente precedente, in cui è incompleta. Si ripete la prova più volte, usando quantità varie del liquido della buretta, comprese fra i limiti suddetti, finchè si giunge ad avere il risultato con errori assolutamente trascurabili. I risultati delle molteplici esperienze eseguite, furono: 1) l'amilasi dell’orzo germogliato è estraibile con acqua distillata; più attiva però si presenta nell’estratto acidulato con acido acetico, al titolo di gr. mole 0,03 °/.0; 2) per ottenere un liquido molto attivo l'estrazione deve avere una certa durata (almeno 6 ore); 3) l’amido solubile del commercio è da questo estratto molto fortemente scisso, anche in ambiente neutro (potere riducente di 1 cm? di estratto al 390%,= mmer. 9,6 di zucchero invertito); gli altro amidi (di orzo, di patate o di mais) non sono scissi, se prima non ridotti a salda, e se l'ambiente non ha un certo grado di acidità (ac. acetico al titolo di g. mole 0,03 */s0); 4) la diversa origine degli amidi non influisce sensibilmente sul- l’attività amilolitica; 5) l'ac. clorudrico e l'ac. acetico agevolano l’azione dell'amilasi pres: sochè nello stesso modo; 6) l’idrato di potassio al titolo di gr. mole 0,03 °/sey agendo per 10 ore, paralizza l'attività amilolitica. Mediante apparecchi simili a quelli di Shukoff, per la determinazione del punto di solidificazione (*), ho anche stabilito la temperatura di distruzione del fermento e la tem- paratura ottima di azione. Per determinare la prima si sono tenute varie quantità di estratto, per 1/2 ora a diverse temperature, indi si è proceduto, col solito metodo. alla digestione in termostato. Per ricercare la seconda, le varie miscele di estratto e di amido furono tenute nei suddetti apparecchi, per alcune ore, a determinate temperature. 7) Da 50° C. in su, il rendimento in zucchero invertito va dimi- nuendo: verso 70° C. è assolutamente nullo. IZ massimo rendimento è a circa 45° C. (*) E. Molinari, Chimica organica, pag. 238, an. 1912. (*) Shukoff, Chem. Zeit., 99, 1111, an. 1901. — 395 — Biologia. — Metodo per la determinazione dei piani del cranio (*). Nota del dott. SERGIO SERGI, presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI. Se imagino che una sorgente luminosa sia ridotta ad un punto, posso considerare il fascio di raggi lucidi che individuano un cono. Se un piano interseca detto fascio perpendicolarmente all'asse del cono, questo sarà retto e circolare. Il segmento di retta che taglia il cono, passando per l'asse, si proietta sulla base del cono passando per il centro del cerchio base. I segmenti di retta possono essere materializzati da fili che intercettano la luce, donde le ombre di essi sul piano base. Se fra la base del cono e un filo nelle condizioni sopraddette io col- loco un corpo opaco di figura qualsiasi, il filo, l'ombra del filo sul corpo opaco e la sua proiezione sulla base giacciono in un unico piano perpendi- colare alla base del cono. Un secondo filo, sempre passante per l’asse del cono, proietterà la sua ombra sul corpo opaco; e questa, il nuovo filo e la sua proiezione sulla base individuano un piano pur perpendicolare alla base. Questi due piani formano un diedro che può essere misurato; e l'angolo del diedro sarà l’angolo delle due proiezioni dei due fili sul cerchio base, e intanto sul corpo opaco si avranno le tracce dei due piani del predetto diedro. Per la determinazione dei piani del cranio dell’uomo e dei primati in genere, e conseguente orientamento del medesimo su uno di essi, mi valgo di questo principio nel modo che segue: La sorgente luminosa deve essere di una intensità notevole e deve avere una estensione possibilmente molto ridotta; la luce migliore è quella data da una lampada ad arco. Su un piano orizzontale, scelto per compiere l’osser- vazione ed esattamente controllato con il livello a bolla d’aria, determino con un filo a piombo il punto nel quale cade la perpendicolare dal centro della sorgente luminosa. La distanza di questa dal piano sì stabilisce spe- rimentalmente, avendo cura di fissare la lampada quando l'ombra del filo o dei fili, di cui parlerò qui sotto, è contemporaneamente più distinta sul piano orizzontale base e sul cranio. Questo saggio si compie una volta tanto, prima di incominciare le osservazioni. La verticale è l’asse del cono luminoso retto e circolare; il punto di incontro di esso con il piano orizzontale è il piede dell'asse. Il cerchio base del cono che considero è inscritto in un quadrato di lati uguali a quelli del cubocranioforo di Martin. Disegno sul piano il (') Lavoro eseguito nell'Istituto di Antropologia dell’ Università di Roma. — 396 — quadrato e due rette a novanta gradi che passano per il suò contra e di- vidono per metà ogni lato del quadrato. Le rette disegnate nel quadrato cadono su diametri della base del cono luminoso, perchè passano per il centro di esso. Pongo sul piano così preparato il cubocranioforo in modo che una delle sue facce coincida con il quadrato disegnato; l'asse verticale dello strumento allora coincide con la verticale della sorgente luminosa. Sulla faccia supe- riore del cranioforo applico un telaio quadrangolare, a lati uguali a quelli del cranioforo. Questo telaio porta due fili disposti ad angolo retto, che si incontrano nel mezzo di esso. L'apparecchio è orientato quando il punto di intersezione ‘dei fili si trova sulla verticale della sorgente luminosa, ed allora le ombre dei due fili si possono far coincidere con le rette inscritte nel piano base. Por determinare nel cranio la traccia di nn piano. sì fa ruotare il cranio sul cranioforo intorno ai suoi assi fino a che l'ombra di uno dei due fili coincide con i punti del cranio per i quali deve passare il piano prescelto. Il piano è indicato esattamente dall'ombra che si proietta sulla superficie del cranio, ed il suo tracciato può essere disegnato su di essa con la matita. Così il cranio è orientato verticalmente rispetto al piano prescelto, e quindi si fissa stabilmente allo strumento. Se si vuole orientarlo orizzontalmente rispetto al medesimo piano, basta rivolgere il cranioforo di novanta gradi su una delle facce perpendicolari a questo piano. Si può raccogliere il cra- niogramma 0 col diagrafo o col diottografo in una delle due posizioni se- condo i fini della ricerca. Tutto questo, finchè si mantiene rigorosamente l'orientamento tra telaio portafili e cubocranioforo secondo le norme suindi- cate. Se però si sposta il cranioforo dalla posizione primitiva e si fa ruo- tare tutto l’istrumento intorno al suo asse verticale con il cranio già fissato e orientato verticalmente rispetto ad un piano prescelto, avendo cura di man- tenere il telaio portafili in modo che il punto di intersezione dei fili cada sulla verticale della sorgente luminosa e l'ombra. dei due fili coincida sempre con due relative rette del piano base, sì possono disegnare, seguendo le re- lative ombre proiettate sulla superficie cranica, le tracce di tutti quei piani verticali che si vogliono studiare con quel dato orientamento del cranio. Rivoltato allora il cranioforo nella seconda posizione, e cioè di novanta gradi rispetto al piano già prescelto e secondo il quale il cranio si dispone oriz- zontalmente, si raccoglie il craniogramma e su questo si riportano anche i piani tracciati sulla superficie cranica. Sul eraniogramma sì potrà così com- piere la misura degli angoli che fanno fra loro i varî piani tracciati. Invece di muovere il cranioforo, si può far ruotare il telaio portatili: e per tale eve- nienza è opportuno di avere inscritto precedentemente un maggior numero di rette sul piano base, perchè queste sono necessarie a controllare la esatta posizione dell'apparecchio rispetto alla sorgente luminosa, non essendo possi- — 397 — bile per l'interposizione del cranio di vedere dal di sopra di esso il centro della. base, a meno che non si voglia determinarlo con il filo a piombo o meglio con le punte delle due asticelle del diagrafo. Un rilievo è ancora necessario di fare. La superficie illuminata del cranio, su cui si proietta l'ombra del filo, non contiene sempre tutti i punti per i quali si vuole far passare un dato piano. Ma uno di questi si può trovare sul cono d’ombra del corpo medesimo. In tal caso si ricorre, per l’orienta- mento, ad una di quelle asticelle orizzontali che si usano comunemente in craniometria per la determinazione dei punti: allora è sufficiente che l’asti- cella, che tocca con la sua estremità il punto nascosto, si trovi per intero nel piano dell'ombra proiettata dal filo, perchè il cranio sia orientato ri- spetto al punto indicato. Per misurare direttamente sul cranio l'angolo compreso tra due piani, si può ricorrere ad un altro apparecchio. Si applichi sulla faccia superiore del cranioforo un doppio anello circolare metallico, costituito cioè, come nel teodolite, di un anello esterno che può anche essere fissato mediante appo- site morse al cranioforo, e di un anello interno il quale si muove nell'interno del precedente senza cessare di toccarlo nel suo contorno. L'anello esterno è graduato; l'anello interno porta i due fili ad angolo retto. Dopo avere orientato l'apparecchio come nel caso precedente, in modo che uno dei due fili segni con la sua ombra la posizione sul cranio di un piano verticale — 398 — prescelto, si fissa l'anello esterno al cranioforo e si fa ruotare quello in- terno sino a che lo stesso filo segni con la sua ombra la proiezione di un altro piano verticale. Allora il filo ha descritto intorno all’anello esterno un arco che serve di misura all’angolo cercato e di cui si può calcolare il valore direttamente mediante la graduazione indicata. Il metodo descritto è suscettibile di complesse amplificazioni, delle quali non mi occupo oggi. Biologia vegetale. — Della supposta partenocarpia del. noc- ciuolo e dei suoi eventuali caratteri: osservazioni ed esperienze. Nota I di A. TROTTER, presentata dal Corrisp. P. A. SAccARDO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Patologia vegetale. — Intorno al comportamento di alcune varietà di Frumento rispetto alla Carte. Nota del prof. VitTORIO PEGLION, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. La campagna frumentaria 1919 resterà memorabile negli annali della agricoltura emiliana soprattutto per due ragioni: la prima è che contraria- mente alle previsioni pessimistiche suggerite dalle condizioni dei seminati sino a primavera avanzata, il prodotto fu abbondante: frequentissime furono le produzioni unitarie a tutta superficie superiori ai 30 quintali; la seconda nota saliente dell'annata è stata data da imponenti infezioni di carie che da ragguagli diretti, compiuti alla trebbiatura hanno abbassata la produ- zione per ettaro, negli appezzamenti colpiti, a 15-18 quintali di fronte ai 28-30 quintali ricavati negli appezzamenti immuni. La indagini compiute su 34 campioni, raccolti in campagna o prelevati successivamente da partite di frumento riconosciuto carbonato dalla Com- missione d'incetta dei cereali della provincia di Bologna, hanno rivelato che 14 di essi, provenienti da diverse località di quest'ultima provincia erano colpiti da TiZletia cartes (D.C.) Tul.; 20 provenienti dal Basso Ferrarese e da località diverse delle provincie di Bologna, Modena, Ravenna erano colpiti da 7. /aevis, Kihn. Alcuni campioni presentavano entrambe le specie di parassiti. I campioni di frumento esaminati erano riferibili alle varietà Gentil Rosso, Inallettabile, Rieti, Cologna ed uno proveniva da un campo coltivato a Carlotta Strampelli. —_99.— I danni più gravi sono stati risentiti dai seminati di Gentil Rosso ed. Inallettabile. Una spiccatissima resistenza che rasenta l'immunità pratica si è verificata invece nei seminati di Cologna, nei quali a parità di ogni circostanza era rarissima qualche spica cariata, mentre nello stesso fondo in appezzamenti contigui Gentil Rosso ed Inallettahile erano infettati al punto da diffondere l’ammorbante esalazione caratteristica nell'ambiente cir- costante ed il prodotto subiva una decurtazione che in taluni fondi fu di circa la metà. Il diverso grado di resistenza delle specie e varietà di frumento ri- spetto alle carie è stato oggetto di ricerche fra le quali sono specialmente istruttive quelle del Tuboenf('), Kirchner (?) ed Hecke (3). Queste ricerche dimostrano che il valore pratico di una varietà di frumento rispetto al com- portamento verso la carie è il risultato di due fattori: la resistenza intrin- seca ed il grado di energia germinativa. Varrebbero pertanto nel giudizio dei frumenti per quanto concerne la resistenza alla carie i medesimi cri- terî con cui si valuta il comportamento dei frumenti verso le ruggini. Come di fronte a /. graminis è stata sperimentalmente accertata la resistenza assoluta di talune stirpi di 7. durum, così di fronte a 7. carzes resulte- rebbe dalle prove di Kirchner e dell’ Hecke la resistenza abbastanza accen- tuata delle discendenze di 7. polonicum. Codesta resistenza intrinseca, con- siderata cioè come un attributo specifico di difesa dell'organismo rispetto al parassita è un carattere mendeliano come hanno dimostrato Biffen e so- prattutto Humphrey e collaboratori per quanto riflette la resistenza alle ruggini, come resulta dalle prove eseguite dall’ Hecke con un ibrido (Tri. polonicum X Tr. vulgare) studiato dal punto di vista della resistenza alla carie in confronto ai progenitori. La resistenza intrinseca è quindi indipendente dal grado di energia ger- minativa che influisce sul comportamento dei frumenti verso la carie pres- sochè alla stessa stregua della precocità del ciclo vegetativo rispetto alle ruggini. i I frumenti precoci, come il Cologna, sfuggono agli attacchi tanto che gli autori americani ed australiani li raggruppano sotto il nome di &ust- escaping: così le varietà di frumento dotate di notevole energia germinativa, come il frumento Ohio nelle ricerche di Tuboeuf ed Appel (*), appaiono suscet- (1) Tuboeuf K., Studien ueder Brandkrankh., Arb. Biol. Anst. 1902, II; Die Brand- krankh. des Getr., Stuttgart 1910. (2) Kircekner O., Veber Empfindl. versch. Weisensorten fur Steinbrand, Fihlings Landwirt. Ztg. 55 Zahrg., 57 Jahrg. (5) Hecke L., Hn/luss von Sorte und Temp. auf Steinbrand befall.-Zeitsch, Landw. Versuchs in Oesterr., 12 Jahr. 1909. (4) Appel O., Untersuch. ueber den Brand ecc., Mitteil. Kais. Biolog. Anstalt in Jahre, 1906. Berlin 1907. — 400 — tibili di sfuggire alla carie. Tuttavia resulterebbe dalle esperienze del Kirchner ‘confermate dall’ Hecke, che questo apprezzamento nou ha un valore assoluto ‘e come non si deve arguire da una bassa energia germinativa la predispo- sizione di una varietà a contrarre la carie, neppure un'alta energia germi- nativa è indizio sicuro di resistenza all’ infezione. Ne viene che deprimendo l'energia germinativa che è alla stretta di- pendenza delle condizioni di umidità e di temperatura a cui sì compie la germinazione è relativamente agevole porre in evidenza il grado di resistenza posseduta dalle varietà di frumento. Abbiamo applicato questo concetto allo studio di 13 famiglie di fru- mento, selezionate ed introdotte nella grande coltura dal collega prof. To- daro: i singoli campioni di seme sono stati uniformemente imbrattati colle spore provenienti dalla triturazione di 5 pseudo-semi colpiti da Ti//etza laevis. Parte è stata seminata in grandi vasi il 21 novembre 1918; il resto è stato seminato in piena terra, in file il 23 novembre. La germinazione fu lentissima in quanto soltanto il 15 dicembre spuntarono le prime piumette. I resultati avuti nello scorso luglio resultano dalla seguente tabella: Famiglie Totale delle spighe Spighe Spighe Percentuale A ottenute sane infette spighe infette Cologna 12 208 138 70 0, 33,6 Zucchetto 238 332 210 122 » 36,7 Cologna 29 184 101 83 » 45,1 Zucchetto 235 181 9 90 » 497 Carosello 112 229 99 130 » 56,7 Turgido 255 207 80 127 a odo Genti] rosso ) Qpnioni > 48 200 76 124 » 62.0 eniaristato | Marzuolo 83 821 297 524 » 63,8 ” 87 847 114 239 » 67,1 Romanello 211 169 50 119 » 70,4 Inalterabile 179 82 24 58 MATA Rieti 39 198 56 142 n IC Romanello 187 248 64 184 2 SIA Gli estremi di questa scala’ (Cologna 12 = 33,6 °/ — Romanello 187 = 74,1°/) sono assai più distanti di quelli che corrono tra 7riticum poloni- cum, Tr. polonicum X T. vulgare e T.vulgare nelle esperienze dell’Hecke, compresi tra 23,5 °/, e 40°. Coordinando questo resultato colla osserva- zione precedentemente riportata della quasi assoluta immunità del Cologna coltivato negli stessi fondi ove gli altri frumenti sono stati decimati dal- l'infezione si può trarne la conclusione che questo frumento così come lo Zucchetto è dotato di una notevole resistenza agli attacchi della 7. laevis, di cui si dovrebbe tener conto nelle imprese di perfezionamento delle va- rietà di frumento per selezione o per incrocio. 1 pagg — > sila e — 401 — Patologia. — Sull’infettività del sangue dei polli affetti da tumori sperimentali. Nota di FRANCESCO PENTIMALLI, presentata dal Corr. Gino GALEOTTI ('). Fu osservato da Rous (*), e confermato da Biirger (*), che il sangue di polli, affetti dal noto sarcoma trapiantabile e filtrabile, inoculato nel mu- scolo pettorale di animali sani, riproduce il tumore. Rous afferma che riesce infettivo anche il plasma di polli, che, oltre al tumore principale, presen- tano metastasi negli organi; ma questa affermazione non fu confermata da Biirger che ha mescolato il plasma proveniente da 7 polli moribondi per tumori, con metastasi, e l’ha inoculato, con esito negativo, nel muscolo pet- torale di altri animali. L'infettività del sangue può riferirsi tanto alla circolazione del virus, quanto a quella di cellule neoplastiche, ma non vi sono, fin'ora, eesperimenti che stabiliscano le condizioni di tale infettività. Per altri virus filtrabili è noto che agiscono anche a forti diluizioni: il virus del vaccino è attivo ad una diluizione di 1:1000 (*); l’epitelioma contagioso degli uccelli è viru- lento ad una diluizione di 1:2000 (°); il virus dell’afta epizootica è infet- tivo ad una diluizione di 1:5000 (5). Maggiora e Valenti (7) trovarono che, con 4 cem. di una diluizione 1:125,000,000 del virus della peste dei polli, sì può ancora produrre l'infezione. Secondo Celli e De Blasi(8), nell’aga- lassia contagiosa delle pecore, in alcuni casi basta il semplice fregamento dei capezzoli della mammella con latte contenente il virus, per far svilup- pare la malattia. i Le mie ricerche furono rivolte a delucidare varie questioni attinenti all’infettività del sangue dei polli affetti sperimentalmente dal sarcoma fu- socellullare di Rous. Infettità del sangue in toto. — Molti esperimenti furono compiuti ino- culando nel muscolo pettorale di polli sani 5 cem. di sangue proveniente (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di patologia generale della R. Università di Napoli. (?) The journal of the american medical Association, vol. LVIII, 1912. (3) Zeitschrift ftir Krebsforschung, Bd. XIV, 1914. (4) Riferito da Lipschitz in Kolle u. Wassermann, Handbuch d, Bakter. (5) Burnet, Ann. Inst. Pasteur, 1906. (8) Loffler, Centralblatt f. Bakter, 1908. (?) Zeitschrift f. Hyg. u. Infekt. Bd. 46 e 48. (8) Centralblatt f. Bakter, 1906. Ann. d’igiene sperim. 1906. RexpicontiI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 52 — 402 — da animali con grandi tumori nel punto di inoculazione del virus, ed estese metastasi negli organi interni. Questi esperimenti risultarono sempre posi- tivi, ed anzi questa è una delle vie di inoculazione da me frequentemente usata per la conservazione del ceppo del tumore. Esperimenti con samque diluito. — Risultano dall'annessa tabella : NUMERO DILGIZIONE SPINTA A 200, Re (in cms.) dogli liquido di Ringer SI RISULTATO È " del sangue di diluizione esperimenti infetto inoculata 1 10 °/ 8 positivo 2 ” 4 id. 9 » 2 id. 4 n 1 id. 5 1°/ 8 id. 6 b) 4 id. 7 ” 2 id. 8 ” 1 id. Esperimenti con corpuscoli rossi. —.Il sangue, prelevato dalla carotide, di.un pollo che presentava grossi tumori nel punto d’inoculazione e meta- stasi nel fegato e nei polmoni, viene defibrinato,: ed i corpuscoli rossi sono lavati con soluzione fisiologica e centrifugati, per :5 volte, in una centrifuga elettrica a 4000 giri al miuuto. L’inoculazione di una porzione di questi corpuscoli nel muscolo pettorale di due animali sani, ha dato risultato ‘po- sitivo, per quanto fu osservato che i tumori sì svilupparono con grande lentezza, in relazione ai controlli, costituiti da animali ai quali era stato: inoculato il sangue x toto. Esperimenti con siero di sangue. — Il siero di sangue dello stesso ani- male da cui provenivano i corpuscoli rossi usati nel precedente esperimento, separato mediante centrifugazione, è inoculato nel muscolo pettorale di due polli sani, con risultato pogitivo. È da notare, però, che il siero era riuscito leggermente colorato in rosso, per l’emoglobina proveniente dai corpuseoli rossi emolizzati. Un secondo esperimento, nelle identiche condizioni di questo sopra ri- ferito, ma con siero perfettamente giallo, ha dato risultato negativo. Le ricerche sopra riferite confermano che il sangue in toto dei polli, affetti dal sarcoma fusocellulare di Rous, con estese metastasi negli organi interni, è infettivo, se inoculato in altri animali, e dimostrano che tale in- fettività sussiste anche per notevoli diluizioni del sangue stesso. Lasciano ancora indecisa la questione se la causa dell’infettività risieda nei corpu- — 403 — scoli rossi, o anche nella parte liquida del sangue, ovvero se non siano addi- rittura le cellule neoplastiche circolanti che, durante la centrifugazione, sedimentano insieme con i corpuscoli rossi. Per chiarire questa questione, come pure per definire una eventuale importanza dei leucociti, sono in corso altri esperimenti, non ancora ultimati. Fisiologia. — Sulla secrezione spermatica. VIII: Alcune osservazioni su cani castrati e su cani sottoposti a escissione parziale dei deferenti. Nota di G. AMANTEA, presentata dal Corri- spondente S. BAGLIONI. È stato molto discusso, più che nel campo fisiologico in quello medico- legale, sulla possibilità che spermatozoi rimangano per un certo tempo nelle vie destinate alla loro normale eliminazione, dopo l’asportazione dei te- sticoli. Le numerose ricerche eseguite al riguardo permettono di trarre in generale conclusioni positive. Però tutti i ricercatori si sono finora limitati a stabilire, dopo un tempo più o meno lungo dalla castrazione, la presenza eventuale di spermatozoi nei deferenti o nelle vescichette seminali, sacrifi- cando l’animale e ricercando quindi col sussidio del microscopio gli ele- menti sessuali maschili nel lume degli organi suddetti. Si può logicamente porre la questione, se gli spermatozoi ivi rinvenuti non rimangano anche in condizioni da essere eliminati all'esterno, e, in caso positivo, con quali modificazioni della loro vitalità. Si potrebbe infatti pensare a una possibile alterazione del processo fisio - logico dell'ejaculazione conseguente all’ablazione dei testicoli; come pure si potrebbe dubitare, che gli spermatozoi rimasti nei deferenti non vi trovas- sero più dopo la castrazione tutte le condizioni necessarie al mantenimento della loro vitalità. Ho voluto pertanto approfittare di alcuni cani da me per altro scopo sottoposti alla castrazione. con proposito di destare in essi l’eccitamento sessuale a varia distanza dall'atto operativo, e insieme di determinare anche, se possibile, il coito fittizio ('), raccogliendo ed esaminando poi il liquido, che si sarebbe potuto così ottenere. Le esperienze presentavano molte difficoltà : era necessario utilizzare cani scelti tra i meglio adatti per indagini sulla secrezione spermatica; conveniva abituarli, senza esaurirli, e quindi lasciarli in riposo per un con- gruo periodo, prima di sottoporli all'operazione. Questa inoltre non poteva (1) G. Amantea, Atti della R. Accad. dei Lincei, vol. XXIII, serie 5*, 1° sem., fasc. 5°, an. 1914. — 404 — essere eseguita sotto narcosi, per non rischiare di deprimere troppo o troppo a lungo l'animale, specie quando fosse poi stato necessario tentare la rac- colta dello sperma a breve distanza; e nemmeno poteva ricorrersi ad ane- stesia locale, pel pericolo di nuocere alla vitalità degli spermatozoi dei de- ferenti (pericolo del resto sospettabile nel caso stesso della narcosi). Per tali motivi ho operato cani (di accertata capacità sessuale ed eccitati prima in maniera opportuna) senza anestesia, ma rapidamente e in condizioni asetti- che. In parecchi animali così castrati non mi fu mai possibile provocare, nè subito dopo l'operazione nè più tardi, l’ejaculazione; anzi in alcuni non sono riuscito a provocare mai nemmeno l'erezione. Ciò tuttavia costituì la regola nel solo caso di cani timidi, che dopo l'atto operativo rimasero quasi impau- riti. Infatti su altri ho potuto esattamente ottenere quanto desideravo, riu- scendo a provocare persino un vero coito fittizio con completa erezione e con ejaculazione anche a brevissima distanza dalla castrazione. Delle esperienze di cuì riporto i protocolli, le due ultime si riferiscono a un cane, in cui non fu praticata l'asportazione dei testicoli, ma solo il taglio bilaterale dei deferenti tra due legature, con escissione anche di un segmento (circa 2 cm.) dei deferenti stessi, poco avanti la loro penetrazione nell'anello inguinale esterno secondo il metodo da me proposto per la rac- colta del secreto prostatico (*). RISULTATI SPERIMENTALI. Esperienza I. 15 maggio 1914, ore 18. Cane sano di kgr. 7,700, in riposo sessuale da più giorni. Durata dell’ejaculazione 15’. Sperma eliminato = ce. 13,1. Spermatozoi = 801.300.000. 18 maggio 1914, ore 15. Si sottopone l’animale alla castrazione. 19 mag- gio 1914, ore 11,30. Si riesce a ottenere un coito completo. Movimenti di coito scarsi, erezione completa. Durata del c. 10”. Liquido raccolto cc. 4,7. Osservato al microscopio il liquido non presenta spermatozoi; lo centrifugo, e nel sedimento riesco a vederne qual- cuno ben conservato, ma immobile. 21 maggio 1914, ore 11. Ripeto la prova: erezione completa, ma alquanto ritardata. Durata dell’atto 9". Liquido raccolto cc. 0,8. È torbido, e al microscopio si presenta ricco di cristalli e di cellule epiteliali di sfaldamento, con qualche leucocito. Nel sedimento, dopo centifrugazione, rinvengo qualcho raro sperma- tozoo immobile. Esperienza II. 27 maggio 1914, ore 15. Cane adulto di kgr. 6,500, normale. Nei giorni precedenti è stato sottoposto a ripetute raccolte di sperma, eseguite a brevi inter- valli in ciascuna giornata, allo scopo di esaurirlo. Provoco anche oggi un’ejaculazione: durata del coito fittizio 2’, sperma eliminato cc. 0,1, spermatozoi assenti. Subito dopo la raccolta si procede alla castrazione. 29 maggio 1914, ore 9,30. Riesco solo adesso a pro- vocare un coito fittizio. Movimento di coito e amplesso vivacissimi, erezione completa. Durata del coito 4’, sperma ce. 0,1. spermatozoi assenti. (1) G. Amantea, Atti della R. Accad. dei Lincei, vol. XXIII. serie 5%, 2° sem., fasc. 12°, an. 1914. — 405 — Esperienza III. 5 giugno 1914, ore 11,30. Cane di kgr. 9, normale, piuttosto gio- vane. In riposo sessuale da 24 ore. Durata del coito fittizio 13’, sperma ce. 13,2, sper- matozoi eliminati 208.000.000. Ore 14, si castra l’animale. 6 giugno 1914, ore 16. Pro- voco ejaculazione: amplesso e movimenti di c. deboli ma evidenti, durata del c. fittizio 12’, sperma ce. 2,2, spermatozoi eliminati 15.620.000. Sono tutti immobili. 7 giugno 1914, ore 13,25. Eccitamento maggiore di ieri, amplesso netto e movimenti di c. evidenti. Durata del c. fittizio 2°, sperma cc. 0,9, spermatozoi eliminati 5.472.000. Tutti immobili. 10 giu- gno 1914, ore 11. Riesco solo a provocare erezione di circa 3" con movimenti di c. evidenti, ma senza ejaculazione. 13 giugno 1914, ore 14. Idem. 15 giugno 1914, ore 17. Movimenti di e. vivaci, durata del c. fittizio 15', sperma cc. 0,4; è privo di spermatozoi. Esperienza IV. 3 dicembre 1914, ore 13. Cane lupetto di kgr. 5, adulto e sano. Da più giorni in riposo sessuale. Provoco l’ejaculazione: movimenti di c. vivacissimi, durata del c. 15’, sperma ce. 3, spermatozoi eliminati 85.200.000. 2 gennaio 1915, ore 15,15. Si castra l’animale, recidendo i deferenti a 1 cm. circa dalla coda dell’epididimo. Ore 16,15 (un’ora dopo l’operazione). Tento di provocare l’ejaculazione, ottenendo movimenti di c. scarsi, e un c. fittizio della durata di 8’, sperma cc. 0,7, spermatozoi scarsissimi e im- mobili. 4 gennaio 1915, ore 15. Non riesco a provocare il c. fittizio. 16 gennaio 1915, ore 15. Movimenti di c. e amplesso vivaci. Durata del c. 77. Si raccolgono ce. 0,2 di li- quido privo di spermatozoi. Esperienza V. 3 dicembre 1914, ore 14. Cane adulto e sano, di kgr. 7,600, in ri- poso sessuale da 5 giorni. Provoco l’ejaculazione, movimenti di c. e amplesso vivacis- simi, durata c. fittizio 25”, sperma ce. 7,8, spermatozoi eliminati 536.640.000. 2 gennaio 1915, ore 14,30. Castrazione. I deferenti si recidono a circa 1 cm. di distanza dalla coda del- l’epididimo. Ore 13,30 (dopo un'ora dall'operazione) si provoca il c. fittizio: movimenti di c. e amplesso vivaci, contrazione dei muscoli perineali evidenti, durata 10’, sperma cc. 1,4, spermatozoi 60.200.000, tuttî mobili, sebbene non vivacemente. 4 gennaio 1915, ore 15,50. Provoco altro c. fittizio: amplesso e movimenti di c. vivaci, durata 9‘, sperma ce. 1,1, spermatozoi assenti. Esperienza VI. 25 gennaio 1915, ore 18. Cane lupetto, sano, adulto, di kgr. 8,800, in riposo sessuale da sei giorni. Provoco ejaculazione: amplesso e movimenti di c. vivaci, e contrazioni perineali nette, durata 16’, sperma cc. 3,5, spermatozoi eliminati 402.500.000. 81 gennaio 1915, ore 10,45. Castrazione con recisione dei deferenti in prossimità della coda dell’apididimo. Ore 11,45 (dopo un’ora dall’operazione), non mi riesce di provocare che una breve e incompleta erezione, senza’ vero eccitamento dell’animale, e senza ejacu- lazione. 2 febbraio 1915. Con varî tentativi durante la giornata lo stesso risultato. Nei giorni successivi pure eguale risultato. Esperienza VII. 26 febbraio 1915, ore 13. Cane normale di kgr. 7,300. In riposo sessuale da tre giorni. Durata del c. fittizio, preceduto da movimenti di c. e amplesso vi- vaci, 17’, sperma cc. 6,9, spermatozoi eliminati 112.470.000. Ore 14,30. Castrazione con reci- sione dei deferenti all'origine dall’epididimo. Ore 20,30 (dopo 6 ore dall'operazione). Non si riesce a provocare che una debole e breve erezione. 27 febbraio 1915, ore 19. Riesco a ottenere il c. fittizio, ma con una erezione non del tutto completa, amplesso netto, ma movimenti di c. poco evidenti, contrazioni perineali nette, durata del c. fittizio 7”, sperma cc. 1,1, spermatozoi assenti. Esperienza VIII. 23 febbraio 1915, ore 12,15. Cane adulto, normale, di kgr. 14,600. È in riposo sessuale da 6 giorni, Provoco il c. fittizio: movimenti di c. e amplesso viva- cissimi, durata del c. fittizio 6’, sperma cc. 4,8 spermatozoi 935.040.000. 27 febbraio 1915, ore 15,30. Al cane si recidono i due deferenti fra due legature, prima del loro ingresso nell'anello inguinale. Dei due deferenti si escide pure un tratto di 1 cm. fra le legature. — 406 — 28 febbraio 1915, ore 13,15. Provoco il c. fittizio: amplesso e movimenti di c. vivaci, durata del c. fittizio 6’, sperma cc. 4,3, spermatozoi 3.698.000 in grande maggioranza immobili, però alcuni si muovono distintamente. 12 marzo 1915, ore 12. Durata del c. fittizio 7/, sperma cc. 6,4, spermatozoi assenti. Esperienza LX. 24 marzo 1915, ore 16,15. Cane di kg. 10,300, adulto e sano. È in ri- poso sessuale da due giorni. Provoco di nuovo il c. fittizio: amplesso e movimento di c. vi- vacissimi, e contrazioni perineali nette, durata 18’, sperma cc. 8,4, spermatozoi 310.200.000. 7 aprile 1915, ore 11. Recisione bilaterale dei deferenti come nell’esperimento precedente. 8 aprile 1915, ore 14,30. Provoco il c. fittizio: poca partecipazione pel dolore che necea- sariamente si è costretti a destare, amplesso e movimenti di c. deboli, ma contrazioni peri- neali nette, durata 10”, sperma cc. 2,5, spermatozoi scarsi, ma in gran parte mobilissimi, (se ne contano in tutto 500.000). Varie altre prove eseguite nei giorni successivi non hanno permesso di rilevare presenza di spermatozoi. Seguendo successivamente tutti i cani castrati, in essi ho potuto inoltre sempre rilevare i seguenti fatti: diminuzione progressiva dei movimenti di c., delle contrazioni ritmiche dei muscoli perineali, della durata del c. fittizio e del volume di liquido elimi- nato; la sospensione della secrezione prostatica precede quella delle contrazioni perineali che l’accompagnano; scomparse anche queste, è ancora possibile provocare di solito una debole erezione ; infine quando anche questa più non si ottiene, il cane può ancora ecci- tarsi, come prima soleva, alla vista dello sperimentatore (eccitamento psichico). CONCLUSIONI E CONSIDBRAZIONI. I. Poco dopo la castrazione, e per un certo numero di giorni succes- sivi, è possibile nei cani provocare tanto l’erezione quanto l’ejaculazione, spesso del tutto simili nel decorso all’erezione e all’ejaculazione, che si potevano osservare negli stessi animali prima dell’atto operativo. Tuttavia la durata del coito fittizio diviene generalmente più breve. II. L’amplesso, i movimenti di coito, e le contrazioni dei muscoli perineali possono presentarsi anche molto vivaci per un certo tempo dopo la castrazione. III. Il volume dello sperma che si elimina dopo l'operazione è per solito sensibilmente ridotto. IV. Gli spermatozoi, rimasti nei deferenti, possono essere eliminati coll’ejaculazione durante i primi giorni consecutivi all'atto operativo, e talora anche in condizioni di ben conservata vitalità. Questa tuttavia si è trovata meglio conservata per gli spermatozoi rimasti nel tratto periferico dei defe- renti, quando si praticò l’escissione dei deferenti stessi fra due legature la- sciando ér sito i testicoli. i V. In un cane, in cui la castrazione seguì a un periodo di esauri- mento sessuale, non si ottenne eliminazione di spermatozoi col coito fittizio provocato dopo l'operazione. Il tatto bene accertato della durata sensibilmente più breve del coito fittizio dopo la castrazione è un fenomeno di deficienza, che mi sembra di- — 407 — mostrare quanto i centri nervosi risentano gli effetti dell'ablazione dei te- sticoli. E se è vero che talvolta la partecipazione dell'animale al coito fit- tizio è pressochè normale, e che talvolta l'erezione e l’ejaculazione possono ottenersi dopo l’operazione complete; è anche vero che ciò non costituisce la regola, e che la durata più che il grado e l'entità dell'erezione e del- l’ejaculazione deve assumersi come indice dell'attività dei centri. Comunque all’ulteriore e più esatta conoscenza di tali importanti rapporti tra centri dell'erezione e testicoli sarà dedicata una speciale serie di ricerche. La marcata riduzione del volume del liquido che si elimina dopo la operazione sta d'altra parte a provare l'influenza dell’asportazione dei testi- coli sull'attività prostatica, conformemente ai criterî utilizzati nello studio della secrezione spermatica, ed altrove già esposti (1) È probabile, che l'influenza della castrazione sulla secrezione prosta- tica non si esplichi solo sulla quantità del secreto, ma anche sulla qualità, e si potrebbe con ciò spiegare la debole vitalità o la mancanza assoluta di movimenti degli spermatozoi eliminati dopo l'operazione. Le osservazioni sui cani sottoposti a escissione parziale dei deferenti confermano, in linea generale, quanto sopra si è detto. Esse inoltre permettono ancora un'altra considerazione d’indole fisiolo- gica, relativa all’innervazione dei deferenti: infatti, nonostante l’escissione di un tratto di essi quasi a metà del loro decorso, si è rivelata possibile la contrazione del loro tratto periferico. Ciò ricorda l'osservazione del Mosso (?) sull’esofago, che cioè la sua onda peristaltica nella deglutizione non si arresta per effetto della legatura o sezione di esso, nè per l’estirpa- zione di un tratto di. esso, ma continua a propagarsi dal segmento supe- riore all’inferiore; e fa supporre che l’innervazione dei deferenti deve essere sul tipo di quella trovata dal Kronecker e Luescher (*) appunto per l’esofago. Come si vede le presenti osservazioni aprono la via a una serie di nuovi problemi circa i rapporti dei testicoli coi centri dell'erezione e dell’eja- culazione, circa l'influenza loro sulla secrezione prostatica e circa l’inner- vazione dei deferenti. Tali problemi saranno in seguito meglio svolti sulla base di nuove indagini. (1) G. Amantea, Atti della R. Accad. dei Lincei, vol. XXVIII, serie 52, 2° sem., fasc. 3°, 1919. (*) A. Mosso, Moleschott's Untersuchungen zur Naturlehre, vol. XI, fasc. 49, 1873. (*) H. Kronecker u. F. Liischer, Atti della R. Accad. dei Lincei, 1896; Arch. ital, de biol., tom. XXVI, pag. 308, an. 1896. RP. Repossi. Ritrovamento di fossili nella dolomia del M. Gazzo presso Sestri Ponente (pres. dal Socio Artini) . . spore ; bag, Savini. Il problema le dell'ilvograîa. carsica tenda ne dal ‘Bosio E. Mil- osenach):\ La. POSE) Buglia. Ricerche sulla eGIa co) "cn6 dell'anggilià. IV: Nori simona sua dializ- zabilità dell’ittiotossico (pres. dal Corrisp. Aducco) . . . È 00 Maestrini. Contributo alla conoscenza {no enzimi. I: N noi DIRO (pres. dal Corrisp. Baglioni) . . . . . . N pio dec n Sergi. Metodo per la SL nazione dei piani del cranio (pres. 140 SA) Trotter. Della supposta partenocarpia del nocciuolo e dei suoi Soa caratteri: osserva- ZIONISEA OSPErLENZe (1)... (000. +. e. SER LI) Peglion. Intorno al comportamento di alcune SEN di AVA ato più dario (pres. dal Socio Ciamician) . . .... : ” Pentimalli. Sull’infettività del sangue dei Di affetti ds Hliva scri eda dal Corrisp. Galeotti). . . . ‘ DIM DO ESTERA RESA, Amantea. Sulla secrezione Linities VI: 'Adcgia osservazioni su cani Iole e su cani sottoposti a escissione parziale dei deferenti (pres. dal Corrisp. Baglioni) . . ... . » (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 378 383 RENDICONTI — Novembre 1919. E Ad INDICE _—- Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Seduta del 30 novembre 1919. Righi. Sulla teoria elettronica delle forze elettromagnetiche . . +... ... + +. + Pag. 305 Segre. Un principio di riduzione nello studio delle corrispondenze algebriche stia ATA908 Majorana. Sulla gravitazione . . . SITA EIA - » 313 Bompiani. Invarianti e covarianti mettici ele delojmazioni di specie superiore delle super- ficie (pres. dal Socio Castelnuovo). . . . 7 Mr ABI Brusotti. Sulle curve piane algebriche ‘toa prive di punti reali Col dal ‘Con Ber- AOP OE CREARE I MEER RE Caldonazzo. Sul moto di un orie inline TA da Scie Levi-Civita) . Re Lazzarino. Sopra alcuni casi singolari nella teoria dei giroscopi asimmetrici Denti (pres: dal Corrisp. Mancolongo). tea a e n n slice est () Palatini. Spazî a tre dimensioni con una certa nulla e Ù alto dio squali ed opposte (pres. dal Socio Zevi-Civita) . sh MeV .. » 8334 Picone. Nuove regole per la SA degli idsemali. mlt A neraiiigati di Hier (pres. dal Socio Bianchi) . do a . + n 839 Sannia. Risoluzione dell'equazione di i con serie diliuaie sommi del Borel (pres: dal Socio £. d'Ovidio) (*). . a O RO I e Serini. Deformazioni simmetriche dei corpi elastici (pres. dal Socio Levi Givita)i E o) Amerio. Nuovo calcolo dell’assorbimento totale dell'atmosfera solare (pres. dai Corrisp, Cantone) . . . i Vaia t o) Drago. Sull'attrito REG del calato in eampo rimgmctido asili a: Id) eni Trabacchi. Curve caratteristiche e consumo di potenza negli interruttori funzionanti nel cir- cuito primario di rocchetti di induzione (pres. dal Socio Corbino) . . . . IDE Eredia. La distribuzione della temperatura sulle pendici dell'Etna (pres. dal Socio E. Mil- losevich) . e AI GR nd dd fini ce lena ga NOI Giua; Ricorso] sopra i itrodertipati aromatici. XI: Azione dell’idrato d’idrazina sopra i nitrocomposti aromatici (pres. dal Socio Paternò) . . .... ri. » 363 Ciusa: Sopra alcuni sali a struttura p-0-, e m-chinoide (pres. dal Socio Ciamician) . n 366 Padoa. Sulle azioni fotochimiche nei cristalli ottenute mediante la luce polarizzata Crt ECO OA SC SOIA) (Segue in terza pagina) E. Maneini Segretario d'ufficio responsabile. (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. sha; ‘ Pubblicazione bimensile. ; N. 11. È Ii DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI | ANNO CCCXVI. 1919 Seb EB: A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 dicembre 1919. Volume XXVIII. — Fascicolo 11° 2° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1919 i È»-ÈÙÈéé.eo;-;.-————_—@@___— I ti _—— ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IL Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; : due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4!/s. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se | Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione; essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II I. Le. Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre» cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANNO Seduta del ? dicembre 1919. A. RòrTi, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Geologia. — Zitonico e Cretacico nell'isola di Capri: re- visione dei fossili dei calcari coralligeni. Nota del Socio C. F. PA- RONA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Storia della matematica. — Evangelista Torricelli nella storia della geometria. Nota del Corrisp. Gino LoRIA. Evangelista Torricelli ha conseguito un posto elevato e sicuro nella storia della fisica, quantunque le relative notizie debbano venire faticosa- mente raccolte sfogliandone il carteggio scientitico o ricorrendo a dichiara- zioni di contemporanei: i procedimenti da lui adottati nella fabbricazione delle lenti per carnnocchiali, la sua partecipazione all'invenzione dei primi termometri a liquido, i lavori che lo fanno considerare come fondatore del- l’idrodinamica (*) e specialmente la scoperta da lui fatta della pressione atmosferica e dell’apparato per misurarla, hanno reso popolare il suo nome, non soltanto fra tutti i cultori delle scienzo d'osservazione, ma persino fra le persone di mediocre coltura. (1) E. Mach, Die Mechanick in ihrer Entwickelung historisch und kritisch darge- stellt, II Aufl. (Leipzig, 1889), pag. 377. RanpIcONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. : Da — 410 — Altrettanto non può certamente ripetersi riguardo all’opera del sommo discepolo di Galileo per quanto concerne la geometria, chè l’unico volume da lui dato alle stampe (!) è consultato e citato esclusivamente da coloro che s’ interessano della teoria dei moti e delle forze (2); eppure il solo fatto che quetso abbia offerto elementi sufficienti per rivendicare a lui il « metodo delle tangenti » di consueto attribuito a Roberval(*) è sufficiente a rivelare quali e quanti tesori geometrici esso racchiuda. Qualche — e non certo invi- diabile — notorietà provenne al Torrîtelli come geometra dal fatto che un pensatore, di fama mondiale, ma non sempre scrupoloso nel rispettare gli altrui diritti di proprietà (*), si compiacque di dipingerlo (?) sotto il ripu- gnante aspetto di un famigliare privo di coscenza, il quale, non appena spirato il suo principale, fruga fra le sue carte più gelose per rintracciarvi qualche gustosa informazione o qualche segreto a lui giovevole, riesce in tal modo ad avere contezza di alcune lettere di eccezionale importanza e, appropriandosene il contenuto, conquista una posizione eminente fra i ma- tematici del suo tempo. Ora questa fantastica quanto iniqua costruzione è da tempo crollata al suolo (5), essendosi definitivamente stabilito che, mentre manca di qualsiasi consistenza logica, è priva di ogni documentazione in appoggio ed è smentita da testimonianze a cui devesi accordare assoluta fiducia; perciò, sino dall’epoca di Wallis, sì ritiene che il Torricelli sia stato uomo di specchiata onestà, il quale, ditendendosi contro gli attacchi di Ro- berval, non si spogliò del carattere di scrupoloso ricercatore del vero sotto cui ci si presenta nell'atto di investigare i fenomeni naturali. * x x Molti lavori geometrici scritti dal Torricelli rimasero ignoti alla gene- ralità degli studiosi perchè tuttora inediti nel momento in cui la gelida (*) Opera geometrica (Flor. 1644). Un altro volume dal titolo: Erercitationes geo- metriae ab Ev. Torricellius opus postumum (Flor. 1647) citato dal Montucla, dal Marie e nel tom. I delle Qeuvres complètes di Huygens non ha mai esistito. i (*) Un’onorevole e devorosa eccezione va fatta a favore di’ R. Baltzer, che cita e dimostra (Stereometria, trad. Cremona, Genova, 1877, pag. 172), attribuendolo al Tor- ricelli, un teorema sui solidi sferali. (3) F. Jacoli, Evangelista Torricelli ed il metodv delle tangenti dette di Roberval (Bull. di bibl. e storia delle scienz mat. e fis., tom. VIII, 1875). (4) Si allude qui ai non ammirandi sforzi fatti da Pascal per appropriarsi la sco- perta della pressione esercitata dall'atmosfera; riguardo a tale interessante questione sto- rica si veggano i documentatissimi articoli di F. Mathieu sopra Pascal et l’expérience de Puy-de-Dòme inseriti nella Revue de Paris, 1906. (5) Si vegga B. Pascal, Histoire de la trochoide ou roulette appellée autrement trochoide ou cycloide (in data 10 ottobre 1658). {®) Il merito principale di tale risultato risale a Carlo Dati per la sua Lettera @ Filaleti di Timauro Antiate (Firenze, 1663); sopra questa spinosa questione di prio- rità si consultino le storie del Tiraboschi, del Montucla, del Cantor, del Marie, ecc. — 4ll — ala della morte sfiorò inopinatamente il sommo faentino. Quali fossero, quale sorte sia ad essi toccata, quanti tentativi infruttuosi siano stati fatti per diffonderli a mezzo della stampa, reputo superfluo di esporre oggi, essendo sufficiente che io rimandi a quanto sta scritto in una comunicazione presen- tata a questo grande sodalizio per mio desiderio da Luigi Cremona ('). Ripetere ciò sarebbe tanto meno opportuno oggi che, con la pubblicazione delle opere edite ed inedite di Evangelista Torricelli (@) — che ho l'onore di presentare in omaggio a questa illustre Accademia, per mandato avuto dal Mucicipio di Faenza, promotore della meritoria impresa — sono final- mente posti a disposizione degli studiosi tutti gli elementi per pronunziare un giudizio intorno al valore dei contributi dati alla geometria dall’uomo illustre che confortò Galileo Galilei sul suo letto di morte. | Gli scritti di Ev. Torricelli che finalmente affrontano la prova della pub- blicità, mentre completano e precisano i suoi lineamenti scientifici, mentre ne rendono la figura più ammiranda ed imponente, non costringono ad una revisione del giudizio che da tempo gli storici pronunciarono su di lui come matematico: profondo conoscitore ed assiduo promotore dei metodi geome- trici e meccanici recanti le firme di Euclide, di Archimede e di Cavalieri, egli ci si presenta come ultimo rampollo di quella gloriosa dinastia che Pi- tagora ha fondata e che venne abbattuta con l’avvento al potere della geo- metria analitica e dell’analisi infinitesimale: gli è quanto, se non c'’ingan- niamo, emerge dalle poche notizie e dalle brevi osservazioni che seguono. Un ragguardevole numero delle pagine da lui vergate contengono teo- remi e costruzioni concernenti le figure di cui si occupa la geometria ele- mentare; con i relativi enunciati piacque al Torricelli di comporre una va- riopinta miscellanea a cui impose il curioso titolo di Campo di tartuf. (1) Evangelista Torricelli e la prima rettificazione di una curva (questi Rendi. conti, seduta del 5 dicembre 1897), (3) Opere di Evangelista Torricelli edite in occasione del III centenario della nascita col concorso del comune di Faenza, da Gino Loria e Giuseppe Vassura (quattro volumi in-89, con numerose figure; Faenza, Istituti educativi riuniti, 1919). Nel $ XI dell’Introduzione sono dichiarati i criterî adottati nel pubblicare la parte sinora inedita. Riguardo al carteggio reputiamo utile far noto nella presente occasione come, della lete tera del Torricelli al Mersenne pubblicata a pp. 326-8 del vol. III delle Opere, esista a Vienna, nella Biblioteca già di corte, un esemplare più completo di quello che trovasi a Firenze (è forse l’originale ?); il sig. C. de Waand, che fu in condizione di esaminarla, notò che si chiude col seguente passo, il quale vede ora per la prima volta la luce: «In concavis verò hoc opus, hic labor est. Annvum iam absumpsi frustra, quod si quando mihi liceat et concava ad libitum conformare, tune fortasse manifestius apparet inventi uni fructus ». — 412 — Allo stesso ramo di scienza appartiene l'opuscoco Ve Tactionibus, il quale tratta [al pari dell'omonimo frammento composto nel 1646 dall'Huygens diciassettenne] (') della costruzione di un cerchio soggetto a condizioni ana- loghe, ma differenti, da quelle contemplate da Apollonio Pergeo in un no- tissimo lavoro oggi scomparso. Altrettanto si può ripetere riguardo al De proportionibus liber, il quale, sbocciato durante la convivenza di Torricelli con Galileo, corona nel modo più felice la collezione di lavori dedicati al V libro di Euclide nella scuola avente a duce questo sommo scienziato. Questa monografia merita la massima considerazione anche perchè l’ in- teressante esordio di essa contiene il piano di una completa trattazione si- stematica (naturalmente indipendente dall'uso di coordinate) di tutte le linee piane di cui, appunto in quel tempo, ed in parte per opera del Torricelli, sì era arricchita la geometria, cioè: parabole e iperboli di grado superiore, curva legaritmica (o « hemyperbola logarithmica » per usare la nomencla- tura torricelliana), spirali algebriche, spirale legaritmica e cicloidi (non solo l'ordinaria, ma anche le allungate ed accorciate, di cui il Torricelli aveva rilevata l’esistenza sino dal 1644). Benchè la morte inattesa abbia vietato che l’opera De lineis novis venisse composta, pure un grande numero di pagine (fra cui non vanno dimenticate alcune del carteggio scientifico), non solo pongono in grado di redigere un bilancio esatto dei risultati che vi avrebbero trovata dezna sede, ma permettono anche di farsi un concetto esatto delle vie che l’autore percorse per stabilirle. Con questo sruppo di ricerche il Torricelli proseguiva brillantemente nelle direzioni segnate da Archimede nei suoi famosi studî sulla quadratura della parabola e sulle spirali che portano il suo nome. Molte altre invece ce lo mostrano nell'atto di perfezionare l'antica stereometria quale si delinea negli scritti che il Siracusano dedicò a la sfera, il cilindro, le conoidi e le sferoidi, oppure di proseguire le investigazioni baricentriche da lui iniziate; i materiali da lui adunati furono religiosamente raccolti e sapientemente ordinati dai due più fedeli interpreti del pensiero torricelliano, L. Serenai e V. Viviani, i quali ne trassero un'estesa compilazione che intitolarono Nova per armillas stereometria(°). Poichè i limiti imposti alla presente comunicazione ci vietano di entrare in minuti particolari sul contenuto di questo scritto, ci restringeremo ad osservare come l'atteggiamento assunto in tale occasione dal nostro sommo connazionale manifesti un’ impressionante rassomiglianza con quello sotto cui ci si presentano alcuni geniali investi- gatori arabi i quali, dopo essersi pienamente assimilate le dottrine costi- (1) Ocuvres complètes de C. Huygens, tom. XI (La Haye, 1908), pp. 60-63. (® 3 in qu ta collezione che T. Perelli rinvenne un importante teorema concer- nente la misura dei conoidi e degli sferoidi che egli stampò in appendice alle Istituzioni delle sezioni coniche del padre D. Guido Grandi (Firenze MDCCXLIV) e corredò di con- vincente dimostrazione. — 413 — tueoti la geometria superiore dei Greci, vollero e seppero farvi qualche rile- vante aggiunta ('). Con l'importante opuscolo De maximis et minimis il Torricelli parte- cipò da par suo agli studî promossi da Fermat in tutta l’ Europa matema- tica, proponendo alcune difficili ed interessanti questioni aventi per iscopo la ricerca dei valori estremi di certe funzioni. Fra esse emerge, per singolare eleganza, la ricerca di un punto nel piano d’un triangolo tale che risulti minima la somma delle sue distanze dai vertici del triangolo ; è noto che Torricelli scoperse che, supposti tutti gli angoli del triangolo inferiori a 120°, il punto richiesto si trova all'incrocio dei tre archi di circolo, ognuno dei quali è il luogo geometrico dei punti da cui i lati del dato triangolo sono visti appunto sotto l'angolo di 120°. L'importanza di questo risultato, di cui il Torricelli si affrettò di dar notizia ai suoi corrispondenti, venne subito riconosciuta e ricevette una constatazione solenne quando quei cerchi vennero chiamati « cerchi di Torricelli » (?) e « punto di Torricelli » (?) quello che risolve il surriferito problema: è forza riconoscere che ben poche denominazioni del genere sono altrettanto giustificate! % x * Alcune poche pagine lasciate dal sommo faentino ci si presentano in forma pronta per la stampa (citiamo ad esempio la memoria De centro gra- vitatis sectoris circuli. ove la relativa ricerca è condotta prima col metodo degli antichi e poi applicando la geometria degli indivisibili); ma moltis- sime altre hanno tutto l’aspetto di una prima stesura, chè fra gli squarci redatti in latino, sono intercalati pagine in italiano e talora persino frasi ironiche ed osservazioni giocose. Nella generalità hanno carattere pretta- mente dottrinale, ma altre appartengono alla metodologia delle matematiche: fra queste vanno particolarmente ricordati i brani Contro gl’ infiniti, indi- scutibili testimonianze dei dubbii e delle incertezze che angosciarono i primi pensatori che si servirono del concetto d’infinito per scoprire le più riposte proprietà delle figure geometriche. K N Mentre con la pubblicazione degli scritti inediti e del carteggio del Torricelli ci si trova in possesso di quanto è necessario per chiarire la mag- gior parte dei punti oscuri esistenti nella. sua produzione scientifica, per (1) H. Suter, Die AZhandlung tiber die Ausmessung des Paraboloids von el-Hasan b. el-Hasan b. el-Haitham (Bibliotheca mathematica, II ser., tom. XII, 1911-12, pp. 289-232), e Die Abhandlungen T'habit è. Kurras und Abu Sahl al Kuhis ‘ber die Ausmessungy der Paraboloide (Sitzungber, d. phyr. med. Sozietit in Erlangen, tom. XLVIII, 1916). (3) E. Lucas, Sur les coordonnées tripolaires (Mathésis, tom. IX, 1889). (*) M. Filip, Sur le point de Torricelli (Gazeta matematica, tom. XIII, Bucarest, 1904). pae altri (è forza, con dolore, convenirne) l'attesa luce non si è fatta; ci sia lecito di segnalarne alcuni che ci sembrano più importanti. I. Scrive il Montucla (*): « Après les problèmes sur l’aire et les tangentes de la cycloide. ceux qui se présentent les premiers regardent les solides formés par sa rotation autour de sa base et de son axe. Roberval paroit avoir eu le merite de les trouver l'un et l’autre le premier. Le P. Mersenne mandait en 1614, è Torricelli, la raison du premier de ces corps avec le cylindre de méme base et de méme hauteur trouvé, par Roberval, savoir de 5 à 8, è quoi Torri- celli repondait aussitòt qu'il avait trouvé la mème chose quelques mois auparavant. À l'égard du dernier, qui est incomparablement plus difficile, le géomètre italien y échowa, et Roberval reste seul en possession d'avoir découverte sa mésure. Torricelli avait annoncé qu'il était è sòn cylindre circonscrit comme 11 a 18. Il est vrai que ce rapport approche assez du véritable; mais Roberval la (sic) donne... qui est le vraie... Or en pré- nant pour rapport du diamètre è la circonférence celui d’Archimède de 7 à 22, on trouve en nombres le rapport assigné par Roberval. étre celui de 11 791 à 17 303? 09 qui se rapproche, il est vrai de 11 à 18; mais enfin ne l’est a : 1 pas, et en diffère d’environ ol Orbene, mentre oggi si è in possesso dei ragionamenti usati dal Torri- celli per determinare la posizione del baricentro della cicloide e per calco- lare il volume che essa genera rotando attorno alla propria base, nessuna traccia fu possibile trovare, fra le sue carte, delle indagini da lui compiute per risolvere il secondo dei problemi riferiti dal Mersenne: perciò la que- stione storica sollevata dal Montucla è oggi nello stesso stato in cui si 3 sa; 11 trovava quando egli seriveva; tuttavia la prossimità del rapporto 18? quello trovato da Roberval ed il fatto che in molte occasioni Torricelli fece uso del valore 77 = sa di condividere il parere dello storico francese, che, di fronte a quel problema, il faentino abbia « échoué ».. II. Le dispute di priorità che il Torricelli ebbe più volte a soste- nere con geometri ultramontani lo indussero — quasi egli fosse presago di una prossima fine — a raccogliere gli enunciati delle proposizioni da lui comunicate ai colleghi francesi a partire dal 1643. Così ebbe origine l’in- teressante Racconto d'alcuni problemi che, per merito del Fabroni, si trova da più di un secolo a disposizione di tutti gli studiosi. In questo florilegio di verità, la cui dimostrazione si legge in gran parte nelle carte da lui re- ci sembrano consigliare la massima cautela prima (!) Histoire des mathématiques, tom. II. nouv. 6d. (Paris, an. VII), pag. 60. — 415 — litte, meritano una speciale attenzione due paragrafi di natura esclusivamente aritmetica. Nel XXIV è affermato essere primi tutti i numeri della forma 2°" +1. Tale asserzione è notoriamente errata, dal momento che, come osservò Eulero, 23° +1 è un numero composto; ma essa viene di solito attribuita a Fermat, perchè la si legge, sia pure sotto forma dubitativa, in una lettera da lui diretta a Frénicle nel corso dell'anno 1640 ('). Ora siccome su tale argomento non si trova neppure una sillaba nei mss. torricelliani, così si rimane titu- banti nel decidere se si sia in presenza di una coincidenza fortuita, oppure di una nuova prova di comunicazioni scientifiche fra l’Italia e la Francia. Aggiungiamo che il $ precedente, il XXIV, del succitato racconto con- tiene invece l'enunciato di una difficile questione sulla costruzione di trian- goli in numeri, di cui il Torricelli non parla altrove e che soltanto ai giorni nostri ha ricevuto una soluzione esauriente (?). * x x Gettando uno sguardo d'insieme alla produzione geometrica torricelliana, si deve ammirare la profonda conoscenza che egli aveva dei metodi escogi- tati dagli antichi matematici e da quelli che prelusero alla comparsa del calcolo infinitesimale, nonchè la disinvoltura, oggi sorprendente, con cui egli sapeva servirsi degli uni e degli altri per investigare figure già note o sug- geritegli dalla sua fervida fantasia. Certamente troppo sovente ci si trova di fronte a semplici abbozzi, cosicchè nulla autorizza a sentenziare che cosa egli avrebbe affidato alla stampa, che cosa invece egli giudicasse (come sta scritto in un punto dei suoì mss.) « fatica buttata via », e tanto meno quale sarebbe stata l'architettura degli edificì che egli avrebbe eretti con i ma- teriali assiduamente raccolti. Nè è possibile decidere se, ove egli fosse vis- suto, nelle fasi ulteriori della propria esistenza, avrebbe tenuto fede alle direttive scientifiche alle quali sempre si attenne o se, per converso, i nuovi metodi, che appunto allora stavano maturando, con la loro travolgente po- tenza, non avrebbero impressa una novella orientazione a tutta la sua men- talità: gravi e ponderosi problemi che lasciano titubanti e pensosi, rinno- vando oggi il lancilante cordoglio da cui furono colpiti coloro che assistettero alla inaspettata fine del geniale investigatore, i quali, ancor meglio di noi, erano in grado di misurare, quante speranze, una morte improvvisa, aveva per sempre infrante. Allo stato delle cose, egli ci si presenta come ultimo rappresentante di un indirizzo scientifico tramontato forse per sempre, come autore di Memorie di squisita fattura che saranno sempre cagione del più elevato godimento per tutti coloro che sono in grado di comprendere e gu- stare la bellezza di cui è ricco qualunque lavoro di puro ragionamento. (0) Osusres di Fermat, 6d. Tannery et. Henry, tom. II (Paris, 1894), pag. 206. (3) M. Cipolla, / triangoli di Fermat ed un problema di Torricelli (Atti dell’Ac- cademia Gioenia, ser. V, tom. XI, 1918). — 416 — Fisica. — Sulla gravitazione. Nota IV del Corrisp. QuIRINO MAJORANA. Secondo metodo di calcolo. — Il metodo che ora esporrò è notevol- mente più laborioso del precedente, ma consente di ottenere risultati più precisi. Una grandezza sui generis può essere definita e chiamata /lusso di azione gravitazionale o soltanto /lusso gravitazionale o d'attrazione. Essa risponde, come si è visto, forse necessariamente, al concetto della emissione di energia da parte della materia, ma per ora, non occorre pensare a tale necessità. Se si ha una particella materiale isolata dm, tanto piccola da poter ritenere che l'assorbimento gravitazionale nel suo interno sia nullo, possiamo supporre, secondo le fatte ipotesi, che essa emetta continuamente un certo flusso complessivo di azione, proporzionale a dm, cioè Xdm, unifor- memente irradiato in tutte le direzioni. Dal fatto. che questo flusso colpisce altra materia, scaturirebbe la formazione della forza di gravitazione. Se la particella dm trovasi nel vuoto, un angolo solido che sottenda alla distanza 1, la superficie elementare do, avente il vertice in dm, sarebbe traversato dal flusso: dm do (8) g= 15 Supponiamo ora che il mezzo traversato dal flusso abbia una densità di- versa da zero; sì verificherà allora e sempre secondo le fatte \ipotesi. il fenomeno dell'assorbimento. Di questo, si può così concretare la natura: la fig. 2 indica l’angolo solido predetto; considero uno strato di spessore dx, Fic. 2. Fia. 3. normale all'asse del cono così determinato, distante da dm per x. Il flusso, che nel caso di densità del mezzo nullo era costante, è ora variabile da sezione a sezione, e, nello strato dx, subisce una variazione negativa, in conseguenza dell'assorbimento. Si può come in altri fenomeni fisici, supporre ti i } È. — 417 — che tale assorbimento sia proporzionale allo spessore dx dello strato, alla: densità del mezzo assorbente è, ed al valore totale del flusso nel punto x. Si ha dunque: dp= — hpd,dx, dove %» è una costante di proporzionalità. Essa rappresenta il fattore di smorzamento gravitazionale, per unità di densità e di lunghezza. Sepa- rando le variabili nella precedente equazione differenziale, si ha che integrata dà: lggp=—hk9,x +A, od anche p= Be", essendo A e B delle costanti, la cui relazione è evidente. Ora, per x = 0, deve essere verificata la (8), e quindi, dicendo 24, = H, _kdmdo __hdmdo , mi ip o —HX (9) B Ciò posto, riprendiamo in esame il caso della sfera piena, di raggio R e di densità d,. Sia 0 il centro di tale sfera (fig. 3); di essa si consideri un punto interno P, nel quale sia concentrata la massa dm. Conduco il rag- gio PO della sfera, passante per P, ed un angolo infinitesimo QPB col ver- tice in P; conduco QA perpendicolare a PO. Dico OP = 7, PQ= x, QD = y. Facciamo ruotare il triangolo QPA, intorno all’asse PO; il segmento AQ descriverà l’area 277°. TQ. QA. Possiamo sostituire nella (9), al posto di do, questa superficie, riportata all'unità di distanza da P, e cioè divisa per ?. Si ha kadm.TQ.QA LARE 29° O Conducasi QD parallela ad OP; projetto B, normalmente a QD, in C; sarà QC=4dy. Dicasi PQO=«@, POQ=9. Si vede dalla figura che dy= QB sen 0; QA = QB cos a; per cui: Inoltre, TQ=Rsen0 ;; =|[/R+r°—27y; differenziando quest'ultima espressione: xda (i Agile È RENDICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. tt ig 4 dal triangolo OPQ si ha | r?=ax* + R° — 2xR cose, da cuì E RARI cos a = 27 3 e quindi kdm R?° — 7° Siae pg (14 RO Jero da. Chiamando dF il flusso di azione che emette la particella dm in to- tale e che riesce ad uscir tuori dalla sfera, esso sarà dato dall’ integrale di ‘questa espressione, esteso tra i limiti R +7 ed R—r. Si ha quindi dl = — R-r PRESENT) k dm (1+* r dr R+r Via )ewde. Ed eseguendo l'integrazione: K dm e Ha x ecB® eTBo R-r dl= 7 È bada +5 (8-0) f ae | R+fY Estendendo ai limiti ove è possibile: __k dm 4r fe (E St r) 1 R+r g_H® ___ po7H(R+Y) br n A rue TEST e (n DR r) H (R? )f - de | /Rer (10) dF L'integrale rimasto, di cui sono stati scambiati i limiti di integrazione e mutato il segno, è trascendente e non può ottenersi che sviluppandolo in serie. Il calcolo si complica così, grandemente, ed io non lo riporto, quantun- que, dopo averlo completato, me ne sia servito per le mie esperienze. Si può però evitare tale sviluppo mediante un elegante artifizio di calcolo, come mì ha suggerito gentilmente, il collega prof. Fubini. Chiamo intanto 42, non la sola massa contenuta nel punto P (fig. 3), ma quella di uno strato sferico di raggio 7 e di spessore dr, giacchè gli elementi di questo strato sono tutti nelle stesse condizioni della massa in P. Per cuì diremo dm = 4npS93075 e si avrà dei. kr r'dr: | acome mella (0a — 419 — Per ottenere il valore del flusso totate emergente da tutti i punti della sfera, occorre integrare questa espressione da O ad R; e si ha P=kr9, (dr [Eesecomesnella 0a (0) e quindi (11) DOZER i (a +R+r) pian -f E +R_r): —H (+) dr — H ( r(R°— r°) dr pa eT n de |. 0), anch'esso interno a P, la cuicirconferenza in- dicheremo con I. TrorEMa. — In ogni punto fissato A, interno al poligono P: 1°) la serie (3) è assolutamente ed uniformemente sommabile quando (x,y) varia nel quadrato R ed ha per somma H(x,y,%), ossia le serie (5) ua) SARI) 2 (= 0215205) n=0 n! sono convergenti uniformemente in R per ogni fissato @a = 0, gli integrali (c°) (6) il e N (AS A (70152020) (1) sono convergenti assolutamente ed uniformemente in R ed il primo vale H(2,Y,%o) (1); 2°) la serie (4) è assolutamente ed uniformemente sommabile nell'in- tervallo (a, b) ed ha per somma la soluzione (x) dell'equazione di Fredholm (1) per A=à, ossia le serie a” (7) Dar DI LD Pnerti (4) Ti (01240) sono convergenti uniformemente in R per ogni fissato a = 0, gli integrali (°°) (8) Î ev (a, x) da (Alea) 0 sono convergenti assolutamente ed uniformemente in Re il primo vale g(x), soluzione di (1) per 4 =. (*) Osserviamo per il seguito che proprietà analoghe valgono evidentemente per la serie che si deduce da (3) (con 4= 4) moltiplicandone tutti i termini per 40/(Y), ossia che questa serie è assolutamente ed uniformemente sommabile in R ed ha per somma do f(4) H(x 1Y) do). Me Pe N — 4391 — L'ampliamento del campo di validità delle (3) e (4), che ci assicura il teorema, è spesso considerevole. Così nel caso importante che 1 valori carat- teristici siano tutti reali (immaginari puri) (*), @ nuovo campo P è la striscia limitata dalle rette parallele all’asse immaginario (reale) condotte dai due punti caratteristici che sono più vicini ad O e da bande opposte rispetto a quell’asse. 3. Per dimostrare il teorema osserviamo che la (3), wm un punto fissato (x,y) di R, è una serie di potenze di 4 a coefficienti numerici, il cui raggio di convergenza non è nullo: quindi (*) ammette un poligono di som- mabilità P(x,y) in ogni punto % interno al quale (mai esterno, forse del contorno) è assolutamente sommabile (*) e ha per somma il valore per A=4, della funzione analitica che ha per elemento la (3), ossia H(x,y,4o)- ‘ Per costruirlo, si conduce la perpendicolare p ad ogni semiretta s uscente da O, da quello fra i punti singolari giacenti su s della funzione analitica H(x,y,4) definita dalla (3) che è il più vicino ad O: P(x,y) è allora costituito dai punti 4 che giacciono dalla parte di O rispetto a tutte le rette p. Variando il punto (x,y) di R, varia anche il poligono P(x,y) in ge- nerale; dunque, solo per ogni punto Z, interno alla regione comune a tutti è poligoni P(x,y) si può asserire che la serie (3) sarà sommabile assoluta- mente con somma H(x,7,%) qualunque sia (x,y) în R. Ora questa re- gione è appunto il poligono P dianzi definito: ciò risulta dalla costruzione stessa dei poligoni P e P(x,y) e dal fatto (noto) che ogni valore caratte- ristico di K(x,y) è punto singolare della funzione H(x,y,4) di 4 per al- meno un punto (x,y) di R, e viceversa. Per completare la dimostrazione della prima parte del teorema, resta da dimostrare che la convergenza delle (5) per ogni fissato a = 0 e degli integrali (6) è uniforme in R. i Per una (5), ciò segue subito dal fatto che i moduli dei suoi termini sono (‘) minori dei termini (costanti) corrispondenti della serie convergente n» r pe M(b-a)a — È n+ n n+ CRA 7 M” (5 — a) VAMICZALI 2 r M#+r+1() — a) na Passando ad un integrale (6), prendiamo a considerare la circonferenza T° introdotta al n. 2. Nei punti 4 di Z° e del suo interno H(x,7,4) è fun- zione olomorfa di 4, qualunque sia (x,y) in R; quindi i coefficienti del suo sviluppo (8) in serie di Mac-Laurin sono esprimibili, per ogni punto fissato (1) Come accade per es. se K(z,y) è simmetrico (gobbo-simmetrico). (*) E. Borel, Zecons sur les séries divergentes, chap. IV. (3) Cid vuol dire che nel punto fissato (2,y) di R le serie (5) sono convergenti assolutamente e gli integrali (6) sono convergenti assolutamente (per definizione di Borel). (4) Per le formole in fine di (1). — 432 — (x,y) di R, con la formola di Cauchy Ma. High 2) (Mm) (9) Kos) cn dA ; sicchè la (5) può scriversi (ex Sai H(a_,y.4) (10) us (A ere = quersi . da Quando 4 varia su Z° (ove non si annulla), la serie di potenze di % è convergente uniformemente; quindi, variando (x,y) inRe4su 7, è pure convergente uniformemente la serie .-Hla,y,4) e. 2 Mag i qn+ral “pure pri H(@, Y >» 2) e" ’ (11) 4 perchè si ottiene dalla precedente moltiplicandone tutti i termini per la fun- zione H(x,y,4):4"*! che è limitata per (x,y) su R e 4 su 7, ossia è tale che esiste una costante L > Q0 per cui risulti (12) (94) 451 eo qualunque sia (2,gy) in R e 4 su 7 (!). Dunque la (11) è integrabile ter- mine a termine rispetto a 4 lungo Z°, e perciò la (10) può scriversi À) Da TA CASE di HI ea CdA Se ne deduce, per la (12), che, qualunque sia (x,y) in R, è | e Cuor, Q, Y) 0 tale che risulti |D(4) 47+!| > lungo T. Poi lo sviluppo della prima in serie di potenze di 4 ha (come è noto) i moduli dei termini minori dei termini della serie convergente (44 |; (ce) n4l Di M#+1(9—a) (241) ? |A|:(2-+1)! n=0 indipendente da (4 ,y); sicchè se N è un numero maggiore della somma di questa serie su T, sarà a fortiori |D(2,y,4)| i £ costante invertito oscillatorio oscillazioni semplici terrestre I oscillatorio continuo | ni ‘intermittente 0 400 400 400 400 5 386, 377 370 368 10 372 356 342 887 15 358 336 315 305 20 345 517 289 29 25 333 | 300 267 251 30 321 285 246 281 che è stata compilata come la tabella I. Se al solito si rappresentano sull'asse delle ascisse i numeri delle oscillazioni an e sull'asse delle ordinate le cr espresse in divi- È Peio ARESE NIE RETTO Ela 2 sioni della scala si ottengono con le cifre della tabella II i diagrammi della figura 2, ove la curva normale è segnata a tratti. RADI III. Dall'esame delle cifre riportate nelle tabelle precedenti si deduce che l'attrito interno del filo crudo di cobalto cresce sotto l’azione dei campi magnetici variabili e che il più grande aumento si ottiene inviando nella spirale magnetizzante treni di scariche oscillatorie al principio ed alla fine di ogni oscillazione semplice di torsione del filo. Ciò era da aspettarsi in virtù della maggiore dissipazione d’energia che avviene quando magnetizza-. zione intermittente e rapidamente variabile agisce nel filo stesso. Ricuocendo il filo predetto in maniera da ridurre la sua rigidità del 4,5 °/, circa si ottiene come mostra la tabella II, un aumento più grande di attrito interno di quello che si era ottenuto con il filo crudo, e la varia- zione così prodotta raggiunge il massimo quando si crea nella spirale ma- gnetizzante il campo costante di 173 (!) gauss invertito nel solito modo. Se infatti si formano ordinatamente le differenze tra le ampiezze finali delle corrispondenti colonne per il filo crudo e ricotto nelle tabelle I e II si può compilare il seguente quadro: D:FFLFFNZA TRA LE ANFIFZZE FINALI corrispondenti ai campi magnetici: oscillatorio costante invertito oscillatorio terrestre continuo 173 gauss intermittente 360 334 319 297 321 285 246 231 39 49 (È) 66 da cui si vede che mentre l'ampiezza della 30 oscillazione semplice del filo di cobalto con la ricottura diminnisce del 10,3 °/, nel campo magnetico terrestre, diminuisce invece del 14,7 °/, nel campo magnetico prodotto dai treni di scariche oscillatorie, del 22,2 °/, nel campo analogo destato ed inver- tito nel modo già esposto. Appare intanto necessario di studiare con ulteriori ricerche se eventual- mente possa ottenersi una maggiore dissipazione d'energia rispetto a quella che si ottiene con i treni di scariche oscillatorie, facendo agire sul filo un campo costante invertito nel modo predetto ma con intensità superiore a 173 gauss, e nel contempo cercare la maniera più conveniente di annullarsi del campo perchè possa prodursi la dissipazione d'energia più grande. Si presenta intanto a me il dubbio che i risultati esposti nella presente Nota non siano confrontabili con quelli trovati nelle analoghe ricerche con i fili di ferro e di nichel di rigidità 815 X 10° [C. G. S.] perchè, come già (1) La disposizione sperimentale usata non permetteva di creare ‘un campo magne- tico d’intensità più grande senza che non intervenissero cause d’errore. rien per TEC, I — 437 — feci osservare, non mi fu possibile ridurre la rigidità del filo di cobalto ad un valore inferiore a 945 X 10° [C. G. S.] senza pericolo della rottura del filo sotto l’azione del peso tensore. Ripetute ricerche fatte accuratamente per mettere in evidenza una d7m22- nuzione di attrito interno, come già si era trovato per i fili di ferro e di nichel, diedero risultati negativi. Io credo che l'aumento di attrito interno trovato per i fili di cobalto debba dipendere dalle variazioni di elasticità che tale metallo subisce nel campo magnetico. In condizioni sperimentali identiche a quelle descritte nel presente lavoro già trovai (') che nei fili di ferro sotto l’azione dei campi magnetici oscillatorî l'attrito interno diminuisce @/ contrario di quanto si verifica per i fili di cobalto. Feci allora rilevare che mentre erano osservate le oscillazioni del filo di ferro si notava -una torsione dell’estremità libera del medesimo sotto l’azione delle scariche oscillatorie corrispondente in media ad 1,3 divisioni della scala. Osservai nel contempo che generalmente la detta estremità (vista dal di sopra) si torceva nel serso inverso delle lancette di un orologio, e ciò avveniva temporaneamente finchè agivano le scariche. Ora in queste ricerche eseguite con il filo di cobalto tanto crudo, quanto ricotto osservai analoga torsione dell'estremità predetta del filo; ma questa (vista sempre dal di sopra) si torceva nello stesso senso delle lancette di un orologio, cioè in senso contrario a quello già osservato con i fili di ferro. Sembra adunque probabile che vi sia qualche legame fra l’anzidetto mutamento di senso della deformazione di torsione nel campo magnetico oscillatorio ed il senso di variazione dell'attrito interno dei fili di ferro e di cobalto nel campo stesso. Honda, Shimizu, Kusakabe, Terada (2) hanno fatto importanti ricerche sul cambiamento delle costanti elastiche dei corpi ferromagnetici per mezzo della magnetizzazione costante. Credo che sarebbe forse interessante di cercare come tali costanti mutino con magnetizzazione variabile ed in modo parti- colare studiare il cambiamento del modulo di rigidità, ciò che procurerò di fare in ulteriori ricerche. Intanto se si ripetono esperienze analoghe a quelle esposte nella pre- sente Nota con campi magnetici costanti e d’intensità crescenti fino a 390 gauss sì osserva un piccolo aumento di attrito interno che si rende più grande in campi magnetici alternati a 50 periodi e della stessa intensità efficace; i risultati di ricerche fatte in proposito saranno espostiin altra Nota. IV. Da quanto precede si possono trarre le seguenti conclusioni: (1) Rend. Acc Lincei, vol. XX, serie 52, 2° sem. 1911, pag. 104. (*) Phylos. Magaz., vol. IV, 1902, pp. 459 e 537; vol. XHI, 1907, pag. 62. Physik. Zeitschr, 1905, pag. 622. — 438 — 1. L’attrito interno dei fili di cobalto aumenta sempre in campo magnetico variabile al contrario di quanto avviene peri fili di ferro e di nichel, 2. Nelle condizioni sperimentali esposte pare che il più grande aumento si ottenga con la magnetizzazione intermittente prodotta dai treni di scariche oscillatorie inviati al principio ed alla fine di ogni oscillazione semplice del filo. 3. La ricottura del filo rende più grande tale aumento di attrito interno e la sua influenza si fa maggiormente sentire con la magnetizzazione intermittente prodotta da un campo continuo di 173 gauss convenientemente destato ed invertito al principio di ogni oscillazione semplice del filo stesso. 4. Corrispondentemente a tale aumento di attrito interno si vroduce deformazione temporanea di torsione del filo di cobalto sotto l’azione delle scariche oscillatorie, però di senso contrario a quella analoga che fu già osservata con i fili di ferro. Mando un riverente saluto alla memoria del mio Maestro prof. Gri- maldi che vide iniziate queste ricerche e ringrazio gli studenti in fisica Galvano ed Arcidiacono che spesso mi aiutarono nelle esperienze. Geologia. — // problema dell’evoluzione dell idrografia car- sica sotterranea. Nota II di P. SAvinI, presentata dal Socio E. Mice LOSEVICH. Davanti ai risultati dei nuovi studî, che, come si disse nella I Nota, meglio sì conciliavano colla rappresentazione dell’idrografia carsica sotterranea, secondo il quadro degli speleologi, il Cvijié, armato di nuove osservazioni, ritorna in campo, e sulla base dell'ipotesi formata dai « pratici » fonda il concetto per la sua nuova teoria. Nella costruzione di questa, egli si ap- poggiò, come già si è osservato, molto — forse troppo — anche a induzioni puramente logiche e a generalizzazioni egualmente troppo sempliciste, pre- stando così il fianco agli assalti che certo gli muoveranno gli avversari. Perchè se la logica che non poggia sulle osservazioni, non può costruire delle realtà, nemmeno le osservazioni che non si appoggino a uno scheletro logico possono riunirsi e reggersi in un corpo vivo di fatti. L'Autore, pur condividendo il principio formulato dal Martel, nell’affret- tata svalutazione della teoria del Grund, non si cura di porre in evidenza quanto a tale teoria si contraddice dall’esplorazione stessa delle caverne. Per cui, come lamenta il Martel, se la teoria del Grund, fece sciupare molti denari in tentativi vani, non si potrà non ricordare al Cvijié che il programma del- l’ex-governo austriaco per il miglioramento della poglia della Lubiana, fon- rado de «è — 439 — dato sulla teoria delle comunicazioni dirette e indipendenti fra inghiottitoi e rigurgitatoi, naugragò completamente; e ciò naturalmente non in seguito alla fallacia di quella teoria, ma perchè troppo semplicista ed imperfetta. Per tali ragioni, doveva quindi apparire necessario al Cvijié, prima di escogitare delle ipotesi nuove, che meglio gli si conveniva per il suo lavoro, di conoscere dapprima le particolari ragioni per cui la teoria del Grund non si conciliava colla rappresentazione idrografica carsica sotterranea, secondo il quadro ch'erasi proposto di fornirci. Basandosi su l'ipotesi del Cvijié, non sì potrà perciò ancora risolvere il problema della circolazione delle acque sot- terranee carsiche, particolarmente di quelle della Venezia Giulia. Le seguenti considerazioni parmi valgano a confermare quest’asserzione : A pag. 385 l'Autore asserisce che « la partie supérieure (della cosiddetta zona secca), imbibée d’eau, se comporte presque comme une nappe. L'ean des fleuves qui se développent à la surface ne s’engouffre que très peu dans les fissures et, par suite, les cours d’eau peuvent approfondir leur lits et former des vallées normales ». Un concetto analogo sì fa il Cvijié pure per quel- l'acqua che va a raccogliersi sopra un terreno impermeabile intercalato. « Il se forme (scrive alla pag. 399) sur cette couche une nappe d’eau d’im- portance locale, ou méme réqionale: telies sont les nappes d'eau qu'on ren- contre dans le karst dinarique et qui sont liges soit au grès de Wengen et aux mélaphyres stratifiés et intercalés dans les couches du calcaire triasique, soit aux couches de dolomie et de calcaires bitumineux qui sont plus ou moins imperméables ». Ciò è contraddetto non solo dall’esplorazione stessa delle caverne, ma anche dalle teorie che vigono per spiegare la circolazione dell'acqua su ter- reni impermeabili. Costituisce, questo, uno di quei casi per cui l'ipotesi esco- gitata dal Grund non può reggere alle seguenti obiezioni: Se i massicci di calcare fessurato sovrastanti ai terreni impermeabili fossero imbevuti fino a una certa altezza da un’unica massa d’acqua da riempirne tutte le fessure e le cavità intercomunicanti (come in principio lo sosteneva il Grund ed ora anche il Cvijié, il quale ammette al di sopra degli strati impermeabili intercalati nei sedimenti calcarei delle regioni car- siche l'esistenza di una falda acquea locale o regionale), aliora: 1°) al di sopra delle caverne ora percorse dalle acque, non si trove- rebbero altri piani di caverne rimaste asciutte, che vengono generalmente riconosciute come antiche vie d'acqua, abbandonatef per quel processo di pro- gressivo sprofondamento delle acque carsiche ; 2°) non si spiegherebbe il prosciugamento delle numerose risorgenti, tanto intermittenti che perenni, che rappresentavano lo scarico esterno delle acque carsiche sotterranee ; 5°) non esisterebbero risorgenti perenni più alte di risorgenti inter- mittenti dipendenti dal medesimo bacino idrografico; — 440 — 4°) non sì spiegherebbe la presenza di vere risorgenti (e non di acque stagnanti) anche a livelli elevati, intercomunicanti con le acque circolanti sotterranee; ; 5°) non sarebbero ammissibili delle oscillazioni di livello anche di 80, 100 e più metri, cui, già in consegueuza a pochi centimetri di pioggia, le: acque carsiche sotterranee vanno soggette, e quindi l'inondazione di cavità superficiali. come le poglie (*), il cui fondo si trovi entro questo campo di oscil- lazione; e il ravvivarsi di risorgenti che erano asciutte quando le acque cir- colanti sotterranee erano più basse delle loro bocche; ; 6°) apparirebbe inesplicabile il comportamento di alcune poglie, che continuano a funzionare da inghiottitoi anche quando, essendo inondate, parrebbe che le acque carsiche sotterranee le avessero già riempite; feno- meno questo che, bene inteso, si verifica fino a quando la pressione esercitata dalle acque superficiali si mantiene maggiore di quella delle acque circolanti sotterranee ; 7°) ovunque noi troviamo un fiume che attraversa, senza essere assor- bito, una regione di calcari fessurati, esso dovrebbe scorrere sulla pretesa A acqua di fondo », mentre in realtà i sottostanti massicci calcarei non ven- gono a costituire che una zona d'infiltrazione inferiore, attraverso la quale gli spandimenti del corso d'acqua soprascorrente si raccolgono nella sotto- stante zona freatica, costituita da terreni impermeabili; 8°) nelle regioni carsiche si potrebbe attingere acqua dal sottosuolo, scavando dei pozzi fino a raggiungere la cosiddetta acqua di fondo, mentre all'incontro ì pozzi escavati nelle regioni carsiche, invece di dare acqua, riu- scirono assorbenti. Per le rilevate circostanze, le condizioni idrologiche nelle regioni car- siche non sì potranno perciò spiegare nè con l'ipotesi escogitata dal Grund e nemmeno con quella formulata dal Cvijié. Questa rappresentazione potrà invece apparire chiara e precisa quando essa potrà sostenere validamente le obiezioni che più sopra sono state enunciate, che sono quelle principali. Certamente per riuscir ad ottenere una siffatta teoria, che reggesse egual- mente bene a tutte le possibili contraddizioni, abbisognava che essa venisse studiata su di un territorio che presentasse, riuniti a breve distanza fra loro, i principali fenomeni carsici attualmente conosciuti. Questa regione non avrebbe potuto essere che il paese classico delle vallecole, degli abissi e delle acque sotterranee, vale a dire la Carsia Giulia, che, col bacino idrografico del vir- (1) Il nome « poglia », non inteso però nel significato odierno, ma semplicemente per indicare le campagne e le vallecole coltivate dell'Istria e della Carsia Giulia, lo tro- viamo già nel 1616. Bernardo Tiepolo, narrando della guerra scoppiata nel 1615 fra la Repubblica di San Marco e l’Austria, asserisce che per essa «è restata l’Istria somma- mente afflitta, e particolarmente gli abitanti delle Poglie e dei Carsi in somma calamità et miseria » (cfr. la Relazione di Bernardo Tiepolo al Veneto Senato, Archivio Veneto). — 441 — giliano Timavo, ci presenta il miglior campo di osservazione e di studio desiderabile, vero paradiso degli speleologi. Qui soltanto — tra i più bizzarri aggruppamenti di rocce corrose dalle acque, che prendono la forma di archi diroccati, di statue mutilate o di sculture strane e mostruose — s' incontrano le più imponenti cavità sotterranee, i più vasti ipogei decorati fantastica- mente dal secolare stillicidio; qui s’ incontrano i fiumi che spariscono sot- terra e vi circolano misteriosamente, compiendovi un’opera lenta ma continua di terebrazione; e qui infine, su questa terra seppellitrice, si scorgono le tracce d'uno splendore e d’una distruzione, che superano entrambi il nostro intendimento. È su questo territorio che si esercitarono i primi speleologi e per con- seguenza si formarono le prime teorie sulla circolazione sotterranea delle sue acque. Non dovrà perciò riuscir di meraviglia se uno studioso di queste terre si sentirà invogliato di recare il contributo dei proprî studî e delle proprie ricerche, e se le conoscenze acquisite in lunghi anni di studio e nelle peregrinazioni attraverso il paese natale lo indussero ad avanzare delle proprie ipotesi che gli sembrano più atte a risolvere, in modo defini- tivo, questo arduo problema. Osserverò perciò, innanzi tutto, che, per spiegare il problema della cir- colazione delle acque nelle regioni carsiche e quello del cosiddetto ciclo di erosione carsico, stimai opportuno di riconoscere in questi processi, a svi- luppo completo, l'esistenza di quattro successive zone idrografiche, cioè: 1°) La zona delle acque filtranti, o zona idrodietica (da V9we = acqua, e dietew= filtrare) supertore, la quale è costituita dalla parte più superficiale del massiccio calcareo. Non è mai perfettamente secca, perchè attraverso le sue fessurazioni interne le acque delle precipitazioni atmosferiche filtrano verso la profondità, e perchè essa va soggetta all'influenza di corsi d’acqua ascendenti, provenienti dalle zone soggiacenti. Queste acque ascendenti ali- mentano soltanto sorgenti temporanee, le quali inondano temporaneamente le depressioni carsiche anche le più elevate. 2°) La zona delle acque scorrenti, 0 zona idroreatica (da vdwo= acqua, e éew = scorrere), la quale è egualmente costituita da un massiccio calcareo, soggiacente alla zona precedente. In essa le acque delle precipitazioni atmo- sferiche, dopo aver erosa e abrasa l'argilla interstiziale, abbandonano il mo- vimento verticale per iniziare quello orizzontale. 3°) La zona idrodietica inferiore. In essa le acque esercitano una fun- zione analoga a quella della zona superficiale. Attraverso le fessurazioni dei sedimenti calcarei, parte delle sovrastanti acque scorrenti si smarriscono, esercitando un forte drenaggio sui calcari attraversati dalle acque incanalate. 4°) La zona freatica (da gogao = pozzo), cioè zona delle acque freatiche semplicemente scorrenti, racchiuse tra strati superiori permeabili e inferiormente da impermeabili, a differenza di quelle salzenti, che, racchiuse tra strati RENDICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. bi — 442 — impermeabili, alimentano i pozzi artesiani. Questa zona accoglie, attraverso le fessure dei massicci calcarei sovrastanti, gli spandimenti delle zone supe- riori. Per la speciale costituzione geologica delle rocce che la compongono, che sono impermeabili, le acque sono obbligate ad abbandonare il loro movi- mento verticale per riprendere quello orizzontale, cercando il loro deflusso ‘ verso il mare. Come nella soprastante zona idroreatica, anche in questa le acque scorrenti sono spesso arrestate e costrette a rimontare, onde si svilup- pano corsi d'acqua ascendenti, i quali, sotto la pressione idrostatica, pene- trano in tutte le fessure e rimontano nelle zone idrodietiche, tanto da uscire talvolta alla superficie. È anche l’acqua di questa zona, la quale mon forma una falda acquea locale e tanto meno regionale, ma un puro e semplice corso fluviale, del tutto simile a quelli superficiali, e il quale mantiene la sua in- dividualità indipendente, che sgorga nelle risorgenti sottomarine della costa adriatica. Le quattro zone idrografiche non sono immutabili, ma tendono anzi a svilupparsi verso la profondità; mentre, per opera della degradazione atmo- sferica e dei fenomeni endogeni diversi, procede anche la distruzione della massa calcarea fino al livello impermeabile. Le quattro zone non sono neppur sempre presenti, e, ove il manto calcareo è puco rilevante, potranno riscon- trarsi soltanto due di tali zone, cioè la prima e la quarta. In tali casi la prima è bensì seguìta dalla seconda, che però si fonde con quella quarta. Da questa esposizione emerge chiaramente che la circolazione delle acque nelle regioni carsiche si svolge in tre fasi successiye. La prima è caratterizzata da una zona di acque incanalate scorrenti. alla superficie del calcare, e da una sottostante zona d'infiltrazione, attra- verso cui gli spandimenti del corso d’acqua sovrascorrente, dopo aver eroso e abraso l'argilla interstiziale, si approfondiscono sempre più, fino a rag- giungere la sottostante zona freatica, costituita da terreni non assorbenti. La seconda fase sì differenzia dalla precedente per una zona percorsa da acque incanalate scorrenti attraverso i massicci calcarei, la quale sog- giace immediatamente alla zona d'infiltrazione superiore, ed è sottoposta. all'influenza di corsi d'acqua ascendenti provenienti dalla zona soggiacente. Nella terza fase, la zona delle acque incanalate e scorrenti orizzontal- mente, per quel processo di progressivo abbassamento delle acque carsiche, si fonde con la sottostante zona freatica, che alfine viene a trovarsi ricoperta da un'unica zona d' infiltrazione. 5 In quelle regioni ove lo spessore dei sedimenti calcarei è meno rile- vante di quanto lo è nei paesi carsici delle Giulie, le acque sotterranee raggiungono più rapidamente i terreni impermeabili, sottostanti ai massicci calcarei, e con ciò è spiegato il perchè in tali regioni la seconda fase del- l'evoluzione dell'idrografia carsica non riesce ad aver luogo. Per concludere, dirò ancora che, a processo compiuto, l'andamento delle acque sotterrane e carsiche diviene del tutto analogo a quello dei corsi d'acqua vie feci — 443 — superficiali sopra terreni impermeabili, essendo difatti in tale fase che la zona delle acque incanalate si fonde con quella freatica sottostante. In altri termini, i fiumi superficiali, che arrivano al calcare, come corpi d'acqua già formati entro bacini idrografici di rocce non assorbenti, continuano anche sotto terra a mantenere, salvo perdite e diramazioni, la loro individualità indipendente. Così pure le acque filtranti dalla superficie, attraverso gli in- ghiottitoi e le fessure dei massicci calcarei, vengono a raccogliersi, entro i condotti più ampî, in vene sotterranee, a conduttura ora libera ora forzata, secondo quel cammino che, per le accidentalità puramente fortuite della fessu- razione, esse trovano più facile sino a uno sbocco esterno. Questo sbocco può aprirsi in qualunque punto, a qualsiasi altezza, della superficie esteriore, o anche al di sotto del livello marino; basta che esso sia più basso delle bocche assorbenti, in modo da avere una pressione idrostatica sufficiente a mantenere il movimento di deflusso. Le maggiori cavità sotterranee comu- nicanti con l'esterno devono venir considerate come altrettanti sfiatatoi delle acque sotterrane scorrenti, le quali si raccolgono entro le vaste cavità interne, che per tal modo vengono a funzionare come bacini regolatori e di raccolta. Chè se, entro gli inghiottitoi e le cavità immagazzinanti, l’acqua, in un pe- riodo di siccità, si abbassa fino al livello della risorgente, questa si arre- sterà, spiegandosi così il regime intermittente di molte risorgenti. Il deflusso perenne o intermittente delle risorgenti dipende quindi non dalla loro posi- zione, ma dall'abbondanza delle acque iassorbite, dalla capacità dei bacini di raccolta e dal decorso dei condotti interni; e con ciò si spiega la pre- senza, sul medesimo versante di valle, di risorgenti perenni più alte delle risorgenti intermittenti. l’isiologia. — Aicerche sulla natura del veleno dell’anquilla. V: Azione tossica della bile di anquilla (*). Nota del dott. G. BuGLIA, presentata dal Corrisp. V. Apucco (°). Le presenti ricerche hanno lo scopo principale di stabilire un confronto fra l’azione tossica della bile. di anguilla e quella del siero di sangue di anguilla. Speciali ricerche sull'azione tossica della bile di anguilla non mi risulta siano state fatte. Il Wehrmann (*) trovò che la bile di anguilla neutralizza in vitro la tossicità del siero di questo animale. Camus e Gley (‘) consta- (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologia della R. Università di Pisa, diretto dal prof. V. Aducco. (2) Pervenuta all'Accademia il 12 settembre 1919. (8) C. Wehrmann, Recherches sur les propriétés toxiques et antitoriques du sang et de la bile des anguilles et des vipères. Ann. de l'Inst. Pasteur, XI, 1897, pag. 810. (4) L. Camus et E. Gley, Recherches sur l'action physiologique du sérum d'an- quille: contribution ecc. Arch. internat. de pharmacologie, V, 1898, pag. 247. — 444 — tarono che codesto liquido, anche in quantità relativamente elevata, ha una lieve azione globulicida: in alcuni casi, però, neutralizzando la bile (trovata leggermente acida alle cartine di tornasole), questi Autori osservarono che acquistava la proprietà di produrre una notevole diffusione dell'emoglobina. La quantità di bile, che ho potuto raccogliere dalla cistitellea delle anguille, è piccola: da anguille di circa 500 gr. ne ottenni 1/, cc., ma non sempre. Il colore per lo più è verde-cupo; spesso però si trova anche un colore bruno gial- lastro con qualche riflesso verde, più o meno marcato. Notai molte volte una certa cor- rispondenza fra il colore della bile e quello del sangue, nel senso che i riflessi verdastri di questo erano tanto più accentuati quanto più intensa era la colorazione verde del bile. La reazione, saggiata con le cartine di tornasole, mi risultò quasi sempre neutra, vale a dire che non arrossava le cartine azzurre, nè rendeva azzurre le cartine rosse. Ottenni costantemente positiva la reazicne di Pettenkofer. a) Azione tossica sugli animali. — Dagli esperimenti sulle rane (del peso medio di 20 gr.) è risultato che la bile di anguilla, iniettata nell’ad- dome in quantità di cc. 0.2-03, produce la morte entro un periodo di tempo variabile da ore 1 a 6 circa; in quantità inferiore, dà un intossicamento lento, e la morte avviene dopo molte ore od anche dopo alcuni giorni. Nell’avvelenamento rapidamente letale, i fenomeni tossici più salienti sono questi: appena fatta l’iniezione, si osservano movimenti vermiformi delle pareti addominali: dopo circa 15’, l’animale cade facilmente in istato catalettico, per cui, capovolto, rimane a lungo nella posizione in cui viene messo, se però viene stimolato, si risveglia e si raddrizza spontaneamente, dimostrando la vivacità normale; dopo 30’ circa, od anche meno, presenta fenomeni di paresi e paralisi, e gli arti posteriori assumono una posi- zione di semi-flessione; in questo periodo il ventre e il lato interno delle coscie sono arrossati; se si affatica l’animale, capovolgendolo più volte, durante gli sforzi che compie per raddrizzarsi, ha tremori e contratture; tremori e contratture agli arti posteriori si osservano anche in seguito a stimolazioni meccaniche, e, più di rado, spontaneamente; col progredire dell’intossicamento, la paralisi si accentua e l’animale, messo in posizione ‘supina, non è più capace di raddrizzarsi; il suo corpo è flaccido; le stimolazioni mec- caniche provocano soltanto qualche atto di doglutizione; la sensibilità corneale persiste sino alla morte; dopo morte, il cuore trovasi per lo più arrestato in sistole e l’arrossa- mento al ventre ed alle coscie è scomparso. Nelle forme di avvelenamento lento i feno- meni suddetti si manifestano molto più tardivamente e sono meno accentuati. La pelle dell'animale, negli ultimi periodi, diventa asciutta, e il corpo appare insecchito. Dal complesso dei risultati sperimentali si può dunque concludere che la bile di anguilla esercita, sugli animali eterotermi (rane), un'azione elet- tiva sul sistema nervoso, producendo fenomeni tossici a carattere prevalen- temente ipnotico e paralizzante. Fenomeni molto somiglianti si osservano anche nell’avvelenamento da siero di anguilla, così che si può stabilire, fra l’azione tossica dei due li. quidi, una certa analogia, còme risulta dalla seguente tabella in cui sono riuniti alcuni esperimenti, fatti contemporaneamente, con siero e bile di an- - guilla, su rane di peso pressochè eguale (20 gr.): DA BRA tit i 4 : 3 è ae — 445 (0[03SIS UL 07%3S -oLIig gono) ®a[duoo Isimuaed Q10}qRI}uo9 ‘TIOUI9I] ISIVZZIAPPRI Ip doedgouI QUOLZOLUL,] ©} IS (9109SIS UL 07©)S “olie 2I10n9) )}o[duroo Istquied 9107qg1}uo09 ‘TIOUIIII SISIBZZIIPPra Ip a0gdeour Quo]zZaIur,] è} 1S (9103SIS UI 07€9S «QI aI0n9) eJofduroo istpeaed Iistpeaed oIZIuI QUOIZAIUL,] Bp IS è}a]duroo Isteaed QUOIZE]OWIIYS ® ogmSas UL 9INJZRI}UOO ‘TIOUIII} Isteaed oIziur QUOIZAIUI ] V} 18 910 g7 odop eIonuI £ soRALA QUOIZAIUI | BJ IS (6601 08001 1896 106001 10301 1656 NASO 205001 189°6 GI ST 0611 160986 06 105°6 (14 210 UAU 90 8°0 0 T°0 ‘dso 06 20120 ALISSO 899 ‘101SY ‘20108 (otgmSur erigA ep enua7zo) VITINONY IA HI ‘99 Ud (,I 18 ‘zesmd g7 erd Woo aTonI ]1) epo]duroo rstimered ,cp [IT « QIN}RIZUOO ‘LIOUWIPIY ,GE'TI « ttortagsod mae Istpesed ,ca°[T @ Van dee GO 80 “ 09 (I 12 *zespod €g e1d “uo QTono ]I) #}o]dwroo Istuaed ,0C0T Qlup}eTuoo ‘Liow?13 ,OF0I € uor1ogsod mie Istpeaed ,0e'0I € MOLE Re oe, LAU 90 (oS (I Te “zespnd tpogop 09 ed -W09 AIOnI ]1) ISI[RIed ero]dwoo ,03°C1 « COIURO0QUI QUOIZE[OUIT]S ® oxIinSas ur aInppeIzuoo ‘TIOUL -91) SISIEZZIIPpeI Ip ooedeouI ci « tIO1I9}SOd mIe IsqIed OIZIUI 3I « MOTI RE e E 90 UU Cop (,I Ie ‘zespad 99 ard “UI09 FI0N9 ]T) ISTTeaed e3o[duro9 QI « COIUVIIQUI QUOIZE]OWII]S ® opmias Ul 9IN)}VI}UOI LIOWIII] CI « LIOLI9}sod T}Ie Ist[eaed oTziut 5I <« AI LA AES A AL LO 80 (000 (I 12 ‘zespad go ord -ur09 aIOno [t) ISTqeIEd ega[duroo ,e°LT1 « ISIBZZIIPpeI IP oogdeouI QST « SUOI ZO I OLA 0a Gai 8°0 c0 SOG QIONUI 9]30U V[[eu fOOVAIA Q o[euttut,] 0g « QUOIZOIUL,] 8} IS ,GG9I 910 60 TO dsa oI ‘99 199 U0L2DALSSSO *[o1sTH *Zn]os DIGIS (OTTInSUR atIgA Ip auSues [ep 07uu97z0) VITINONV IT HNONYS IT OUNIS — 446 — Un'altra evidente analogia fra bile e siero di anguilla sta nel carattere di termostabilità che presentano gli elementi tossici dell’una e dell'altro. Il calore non distrugge nè altera le sostanze tossiche della bile e del siero, .ma, in presenza di sostanze albuminose, esse vengono per così dire immobi- lizzate, e la loro azione tossica, in certo qual modo, è sospesa (*). Infatti, anche la bile che, sottoposta all’azione del calore, conserva inalterata la, sua tossicità, diventa innocua se si riscalda dopo l’aggiunta di sostanze albu- minose. E come i processi disgregativi fanno riacquistare al siero la tossicità perduta per effetto del riscaldamento (?), così anche accade per la bile, quando viene riscaldata in presenza di sostanze albuminose: (29-V-919). 1 cc. di bile, ottenuto da una grossa anguilla di gr. 1350, si diluisce con 6 ce. di soluzione fisiologica. Il liquido è di un bel colore verde; ha reazione neutra. Ore 9.30’:2 cc, della bile diluiti si iniettano nell’addome di una rana (di gr. 21). ” 9.35. L'animale, capovolto, è incapace di raddrizzarsi; ha contrattare agli arti posteriori; il ventre è arrossato. »n 11. Si trova morto l’animale. 3 cc. della bile diluiti si riscaldano a bagnomaria (70° C) per 30‘ Il liquido di- venta più trasparente e assume una colorazione verde-smeraldo; la reazione rimane neutra. Ore 10.30’: 2 cc. della bile così riscaldata si iniettano nell’addome di una rana (di gr. 23). » 10.55. L'animale presenta gli stessi fenomeni di intossicamento dell’animale precedente: paresi, paralisi, contratture e arrossamento addome. » 12. Muore. (12-V/-919). 1 ce. di bile, ottenuta da tre anguille, si diluisce con 3 cc. di soluz. fisiologica. Il liquido ha reazione neutra. Ore 17: 3 cc. della bile diluita si riscaldano a bagnomaria (100° C) per 30”. .» 17.45’: 2 cc. della bile così riscaldata si iniettano nell’addome di una rana (di gr. 20). a » 18.15’: paresi e paralisi agli arti posteriori; contratture in seguito a sti- molazione mecconica; arrossamento ventre e coscîe. ” 18.25’: tremori, contratture, morte. A 1 cc. della bile diluita si aggiunge 1 ce. di siero di anguilla e si riscalda la me- scolanza a 70° C per 30”. Il liquido rimane limpido. Ore 19: 2 ce. di questo liquido si iniettano nell’addome di una rana (di gr. 22). » 20: l’animale non presenta fenomeni tossici; è vivacissimo. 13-VI, ore 8, id. leto » id. 16 » » 15, muore. (1) Secondo Bayer (ved. Misiologia di Beaunis e Aducco, cap. Fisiologia della nutri- zione, pag. 375), le sostanze albuminose del siero sangnigno impedirebbero l’azione tossica dei sali biliari in genere, perchè tra essi e le sostanze proteiche del siero si formerebbe una combinazione sui gereris, essenzialmente consistente in un fenomeno di adsorbimento. (2) G. Buglia, Ricerche sulla natura del veleno dell'anguilla. Note I e INIL Atti della R. Acc. dei Lincei 1919. | i sibi È p° PAPA SA Ta PIRENEI, ORFEO EI O RO mita — 447 — (16-6-919). A 1cc. di bile diluita, con soluz. fisiol., al decimo , si aggiunge 1 ce. di soluz. fisiol. Ore 10.5’: si inietta la mescolanza nell’addome di una rana (di gr. 27) » 11.15’: inizio paresi e paralisi. ». 11.45’: l’animale, capovolto, è incapace di raddrizzarsi. » 11.50’: tremori spontanei agli arti posteriori e contratture in seguito a sti- molazione. “« 12.15’: muore. A 1cc. della stessa bile, diluita al decimo, si aggiunge 1 cc. di estratto di cieche (gr. 5 di cieche + cc. 10 di soluz. fisiol.). Si riscalda la mescolanza a bagnomaria (75° C) per 15”. Si forma un abbondante precipitato fioccoso. Ore 10.30’: si inietta la mescolanza nell’addome di una rana (di gr. 24). » 12: nessun fenomeno tossico ; l’animale è vivace. ” 205144 17-VI, ore 20, idem. 19 n » »” » 20 « » » movimenti torpidi. 21 » » 8, si trova morto l’animale. (9-VII-919). 2 cc. di bile, ottenuti da cinque anguille del peso medio di 300 gr., si diluiscono con 10 ce. di soluz. fisiol. Il liquido è di colore giallo-verdastro ; ha rea- zione neutra. A 1ce, della bile così diluita si aggiungono 2 ce. di soluz. fisiol. Si riscalda il liquido a 100° per 5‘. Ore 16.15’: 2 cc. si iniettano in una rana (di gr. 25). » 20: inizio paresi e paralisi arti posteriori. 10-VII, ore 8, si trova morto l’animale. A 2 cc, della bile diluita si aggiungono 4 cc. di estratto di muscoli di rana (mu- scoli gr. 5 + ce. 15 di soluz. fisiol.). Si riscalda la mescolanza a 100° C per 15. Si forma un precipitato fioccoso che si allontana con la centrifugazione. Ore 16.30’: 2 cc. del liquido centrifugato si iniettano in una rana (di gr. 28). -10-VII, ore 8. L’animaleznon presenta fenomeni tossici; è vivace. - 11 » » n» idem, 12,6 n » movimenti torpidi. 13 » » » si trova morto. 4 ce. della suddetta mescolanza (bile + estratto muscolare) si riscaldano a 100° C per 5’. Si macina il liquido in mortaio, con cristalli di quarzo. Ore 16.40’: 2 ce. di liquido macinato si iniettano in una rana (di gr. 24). » 20 inizio paresi e paralisi degli arti posteriori. » 22 L'animale è incapace di raddrizzarsi spontaneamente. 10-VII, ore 8, si trova morto. Ma, nonostante le sopraddette proprietà comuni alla bile e al siero, esiste, fra l'azione tossica di questi due liquidi, una divergenza sostanziale, consistente nel fatto che la bile non produce, negli animali a sangue caldo, quelle alterazioni del ritmo respiratorio e della funzione cardio-vascolare, che contribuiscono a dare uno speciale carattere all’avvelenamento da siero di anguilla. Difatti, inun esperimento che feci sul cane, sebbene iniettassi, in una delle giugulari, una quantità di bile corrispondente alla dose di siero rapidamente letale (cc. 0.3 per kg. d’animale), non ottenni notevoli — 448 — modificazioni nè del ritmo respiratorio nè della pressione arteriosa. L’ani- male, irrequieto, dopo l'iniezione diventò calmo e rimase per lungo tempo in uno stato di evidente torpore e sonnolenza (1). b) Azione emoltica. —, Più sopra ho ricordato le prove del Camus e del Gley sull’azione emolitica della bile di anguilla. In un caso soltanto (usando sangue defibrinato di bue), trovai che la bile di anguilla non esercitò azione emolitica in vitro. In molti altri casi invece (usando sangue defibrinato di cane) constatai che la bile ha un'azione emolitica abbastanza intensa e che non viene distrutta o alterata dal calore. L'aggiunta di alcali aumenta considerevolmente il potere emolitico della bile; ma è da ritenere che ciò sia dovuto all’azione emolitica propria del- l'alcali, azione che si aggiunge a quella della bile. Una differenza fra l’azione emolitica e vitro della bile e quella del siero di anguilla, consisterebbe nel fatto che l’azione della bile si manifesta più rapidamente. CONCLUSIONI. La bile di anguilla produce negli animali eterotermi (rane) un’ azione tossica prevalentemente ipnotica e paralizzante; negli omotermi (per via en- dovenosa) non dà notevoli alterazioni, nè del ritmo respiratorio, nè della pressione arteriosa. Nel primo caso esiste un'evidente analogia fra l’azione tossica della bile e quella del siero di anguilla; nel secondo caso, invece, v'è una sostanziale differenza fra l’azione tossica dei due liquidi. Il calore non distrugge nè altera l'azione tossica della bile: ma, se alla bile si aggiungono sostanze albuminose, il riscaldamento ha per effetto di renderla innocua, perchè le sostanze tossiche in essa contenute vengono immobilizzate (non distrutte nè alterate) dalla sostanza albuminosa. Il carattere di termostabilità della bile di anguilla e il suo comporta- mento in presenza di sostanza albuminosa trovano perfetta corrispondenza nel siero del sangue di questo stesso animale. La bile, come il siero del sangue di anguilla, ha un’evidente azione emolitica sul sangue defibrinato di cane. (*) Accenno di sfuggita che, sotto questo aspetto, l’azione tossica della bile di anguilla, invece che col siero normale, presenta affinità con l’azione tossica del liquido proveniente dalla dialisi del siero, che in antecedenza viene sottoposto ad un’azione di- sgregativa (v. G. Buglia, Ricerche sulla natura del veleno d’anguilla. Nota IV. Atti della R. Acc. dei Lincei, 1919). flacone — 449 — Anatomia. — Sopra lo sviluppo della porzione metencefalica del nucleo vescicolare. Nota del dott. PRIMO DoRELLO, presentata dal Corrisp. RiccARDO VERSARI. In un lavoro, pubblicato nel vol. XIX delle « Ricerche fatte nel labora- torio di anatomia normale di Roma », ho descritto lo sviluppo della porzione mesencefalica del nucleo vescicolare. In questa Nota riporto alcuni fatti importanti, che riguardano lo svi- luppo della porzione metencefalica. Questa risulta di due parti: una rostrale, che sta in stretto rapporto col peduncolo cerebellare superiore e che perciò chiamo peduncolare; l’altra più caudale, affondata nello spessore del ponte e che chiamo pontale. Queste due parti differiscono alquanto per il complesso dei loro caratteri; però il passaggio dell'una nell'altra avviene gradualmente, in modo che la parte pontale si presenta come risultante da un notevole sviluppo del seg- mento ventrale della peduncolare. La porzione peduncolare, come ho detto, presenta stretti rapporti col peduncolo cerebellare superiore, poichè nella sua parte rostrale sta immedia- tamente sotto il margine mediale del peduncolo, mentre che più indietro sì pone al di sotto della parte media di esso. Negli embrioni di maiale di mm. 65 questa parte sì presenta come una benderella longitudinale, che innanzi sì continua con la porzione mesen- cefalica del nucleo. Essa decorre lungo la metà rostrale del margine laterale del 4° ventricolo, e nella sezione trasversale si presenta di forma semilunare ed abbracciante con la sua concavità detto margine. Il corno ventrale della semiluna è più sviluppato del dorsale. La parte peduncolare del nucleo vescicolare è povera di cellule, special- mente nelle sezioni più rostrali; e le fibre, anche esse poco numerose, occu- pano di preferenza la parte ventrale del nucleo. Queste fibre in parte deri- vano dalle cellule della porzione mesencefalica e pel resto dalle cellule della parte peduncolare. È Le sue cellule sono simili a quelle della porzione mesencefalica ed il loro prolungamento principale, appena originatosi, si ripieywa caudalmente con decorso longitudinale, che mantiene finchè ‘entra in rapporto con la parte pontale del nucleo. Un grande numero delle cellule mostra questo solo prolungamento ; nelle altre si scorgono tozzi e brevi prolungamenti afferenti, che in alcupi casi raggiungono il numero di 3 o 4. Nelle sezioni più caudali della parte pe- duncolare il corno dorsale a poco a poco scompare, mentre quello ventrale RenpICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 58 — 450 — aumenta di volume e si sposta ventralmente e lateralmente, trasformandosi così nella parte pontale del nucleo vescicolare. È precisamente questa parte pontale che presenta interessanti compor- tamenti. Essa si distingue dalle altre perchè ha i suoi elementi molto più numerosi e raggruppati, dando luogo ad un bel cumulo posto dapprima poco sotto l’ependima, che riveste il margine laterale del quarto ventricolo, e poi più caudalmente in una posizione più ventrale e laterale. Le sue cellule sono più numerose nella parte mediale, mentre che nella laterale sono più scarse ed anche meno evolute. Presentano di prefe- renza la forma di pera con la parte rigonfia rivolta dorsalmente, mentre che la parte ristretta si continua in un robusto prolungamento conico diretto ven- tralmente e che ha dapprima gli stessi caratteri del corpo protoplasmatico: esso si porta ventralmente e si va a poco a poco assottigliando, finchè, preso un calibro uniforme ed un colorito nero intenso, assume i caratteri di un cilindrasse. Il tratto conico ha una lunghezza variabile, che per solito è maggiore della lunghezza del corpo cellulare, e nel punto in cui si continua col cilindrasse non mostra alcuno strozzamento; presenta però costantemente una inflessione ad angolo per lo più ottuso, talvolta acuto. Sopra 94 cellule, i cui contorni esaminai accuratamente, solo in 13 vidi, oltre al prolungamento principale, prolungamenti accessorii, che erano in nu- mero da 1 a 4 e si presentavano pallidi, corti, tozzi, a decorso tortuoso e per lo più terminanti bruscamente. Dalla confluenza di tutti i prolungamenti principali risulta un bel fascio, il quale si dirige ventralmente ed un po’ caudalmente e che può essere os- servato dalla sua origine sino alla sua terminazione in sezioni che abbiano una corrispondente direzione. Si vede così che le fibre che lo compongono non presentano apprezzabili cambiamenti di calibro durante il loro percorso. Il fascio, procedendo ventralmente, si appiattisce nel senso trasversale e decorre alquanto all’esterno del nucleo masticatorio e della radice motrice del V, ma non uniformemente lontano da queste formazioni, alle quali è assai vicino nella parte più rostrale, per allontanarsene sempre più verso la caudale. Giunte a livello della metà ventrale del nucleo masticatorio, le fibre emanate dal nucleo vescicolare nella loro totalità si piegano con stretta curva medialmente e passano in mezzo ai fascetti radicolari che emanano dal nu- cleo masticatorio ed i quali, siccome si originano prevalentemente dalla porzione dorso-mediale del corrispondente nucleo, hanno un decorso che ri- corda quello del facciale. Le fibre vescicolari, dopo aver incrociato ad angolo retto le fibre masti- catorie, in parte con decorso trasversale, in parte con decorso leggermente ricorrente, raggiungono la faccia esterna del nucleo masticatorio e terminano nella metà laterale di esso, formando un intreccio che rende questa parte 3 LA i Ù de? e Dit e ae nin Mt ARMA È ; ER RE STI Sn diiciiiaia tieni "eee pacca À — 451 — del nucieo più oscura della rimanente: parecchie cellule vescicolari accom- pagnano il fascio sino a che esso sì ripiega medialmente. Per quanto riguarda il modo di terminare di queste fibre, si vede che alcune di esse finiscono assottigliandosi rapidamente, altre invece dividendosi a pennello in parecchi sottili rametti. Nessuna fibra emanata dal nucleo ve- scicolare si vede in questo stato di sviluppo emettere collaterali nel suo tragitto o raggiungere la superficie esterna del ponte. Negli embrioni di cm. 10 la parte peduncolare, salvo il progresso nel- l’istogenesi dei suoi elementi, non mostra evidenti modificazioni. Invece nella parte pontale si osserva l'ulteriore evoluzione del prolun- gamento principale. Le cellule di questa parte, in grande maggioranza, sono piriformi e fornite di un solo e grosso prolungamento, il quale si dirige ventralmente ed un po’ caudalmente e lateralmente. Questi prolungamenti però ora non si conservano semplici durante tutto il loro tragitto; ma in rari casi nel punto in cui termina la parte conica, altre volte più ventral- mente, nelia maggior parte dei casi nel momento in cui si ripiegano medial- mente per penetrare in mezzo ai fascetti della radice masticatoria, sì dividono in due rami: uno di questi, che per solito ha un calibro leggermente più grande, come negli embrioni più giovani, sì va a ramificare in mezzo alle cel- lule del nucleo masticatorio; l’altro invece si mescola con le fibre emanate dal nucleo masticatorio, ed insieme con esse emerge dalla superficie del ponte. Negli embrioni più avanzati, cioè di 11 a 17 cm., si vede che il ramo di divisione, il quale si accolla alle fibre masticatorie, ha aumentato il suo calibro. Ma non tutti questi rami si mescolano con le fibre della radice ma- sticatoria, poichè alcuni si accollano semplicemente alla sua faccia laterale; altri invece decorrono separati o riuniti in scarso numero alquanto più al- l'esterno della radice stessa ed escono separatamente dal ponte; altri final- mente si accollano alla faccia antero-mediale della grossa radice del V. I fatti osservati ci inducono a ritenere che i rami inviati dalla radice mesencefalica al nucleo masticatorio p. d. non possono considerarsi quali col- laterali, ma rappresentano il vero prolungamento efferente delle cellule vesci- colari della porzione metencefalica. Gli altri rami, che si formano più tardi e si mettono in rapporto in gran parte con la piccola ed in piccola parte con la grande radice del V, debbono considerarsi come rami afferenti delle cellule vescicolari. Ho dimostrato in una precedente ricerca che rami afferenti ed efferenti delle cellule vescicolari mesencefaliche durante il loro sviluppo si uniscono in un tronco comune per una parte del loro tragitto. Gli stessi fatti potreb- bero ammettersi anche per le cellule della porzione metencefalica ; tanto più che le due specie di prolungamenti, per raggiungere un differente destino, hanno per un lungo tratto un percorso comune. Il complesso dei fatti da me osservati parla contro la funzione motrice delle cellule vescicolari. , — 452 — Fisiologia. — Acerche sulla secrezione spermatica. IX: Il rendimento del testicolo e della prostata nei rapporti con la massa dell’organo. Nota di G. AMANTEA, presentata dal Corrisp. S. BA- GLIONI. Profittando dei cani, sui quali ho potuto studiare la secrezione sperma- tica col metodo della vagina artificiale (o del coito fittizio) (*), mi sono pro- posto di stabilire sperimentalmente quale fosse il rendimento del testicolo e della prostata nei rapporti con la massa degli organi stessi. Il concetto fondamentale direttivo in queste ricerche è stato quello, su cui ho altrove (?) insistito: che cioè, pel cane, la quantità di liquido elimi- nato può, entro certi limiti, essere assunta come indice dell'attività della prostata (mancando il cane di vescichette seminali, e di glandole del Cowper), e il numero complessivo di spermatozoi come indice dell'attività testicolare (ed epididimale). Per n. 57 cani ho raccolto i dati seguenti: peso dell'animale, peso del testicolo destro (più l'epididimo), peso del testicolo sinistro (più l’epididimo), peso della prostata, quantità massima di sperma eliminato, numero massimo di spermatozoi eliminati. Nell'elaborazione di tali dati ho sesuìto il metodo del Gini sulla mi- sura delle relazioni tra le graduatorie di due caratteri. Il Gini ha infatti ideato un indice che chiama indice di cograduazione =I, il quale permette di misurare la relazione che lega la graduatoria di due caratteri (3). L'indice può assumere valori compresi tra —1 e +1. Se le graduatorie dei due caratteri variano nello stesso senso (ossia, crescendo o diminuendo l’uno, cresce 3 diminuisce anche l’altro, senza alcuna eccezione), l'indice è uguale a +1. Se invece vi sono eccezioni, l'indice, pur rimanendo positivo, è inferiore all'unità; ed è tanto più piccolo, quanto più tali (') G Amantea, Ricerche sulla secrezione spermatica: Nota I, La raccolta dello sperma nel cane. Rend. della R. Accad. dei Lincei, vol. XXIII, 1° sem., 1914. (*) G. Amantea, Ricerche sulla’ secrezione spermatica: Nota VII, Considerazioni generali sulla secrezione spermatica normale del cane e dell'uomo. Rend. della R. Accad. dei Lincei, vo!. XXVIII, 2° sem., 1919. (8) Vedasi Appendice alla monografia del Municipio di Roma, Le elezioni generali politiche del 1913 nel Comune di Roma, Roma, Cecchini 1914; C. Gini, Sulla misura delle relazioni tra le graduatorie di due caratteri. iimiezant i crt rina — 453 — eccezioni sono numerose. Se il numero delle volte, in cui si ha corrispon- denza, è uguale al numero delle volte in cui tale corrispondenza manca, l’ in- dice diventa 0, e in tal caso si dice che fra le graduatorie dei due carat- teri c'è indifferenza. Se il numero delle volte, in cui, crescendo o diminuendo un carattere, l'altro diminuisce o cresce, è maggiore del numero delle volte in cui si ve- rifica il caso opposto, l'indice diventa negativo e raggiunge il valore di —1 nel caso in cui ciò si verifichi senza alcuna eccezione. Ho calcolato l'indice di cograduazione servendomi dei dati della tabella annessa; ed ho ottenuto i seguenti valori, di cui cinque sono positivi ed uno negativo: Indice di cograduazione fra il peso del cane e il peso dei dilestesticoli: sbarre Bee 00086 Indice di cograduazione fra il numero degli spermatozoi e il peso del testicolo destro . . . . : . . I= + 0,3532 Indice di cograduazione fra il numero degli Sii e il peso del testicolo sinistro . . . SE . +. I= + 0,38532 Indice di cograduazione fra il numero oi snentiatizoi e il peso dei due testicoli . . . . . ua E H-:09625 Indice di cograduazione fra il peso della Sosia e il vo- lume dello sperma . . . "og «a 0 I=-+0,5948 Indice di cograduazione tra il VO Di sperma e il numero degli spermatozoi. . +... .-. +... + I=—0,2076 Il valore positivo più elevato si osserva per la cograduazione fra il peso del cane e il peso complessivo dei due testicoli, e prova che, ordinariamente, cani più pesanti hanno testicoli più pesanti. Un valore anche elevato si osserva per la cograduazione fra il peso della prostata e il volume massimo di sperma ottenuto, il che prova che sovente prostate più pesanti eliminano maggiori quantità di liquido. Valori invece minori sono tutti gli altri. Per testicoli più pesanti si ha l'eliminazione di un maggior numero di spermatozoi; ma la corrispondenza è meno regolare di quella tra il peso del cane e il peso dei testicoli, ciò che permette anche di affermare che tal- volta, ma non regolarmente, cani più grossi eliminano un Rogi numero di spermatozoi. Fra la quantità di liquido emesso e il numero degli spermatozoi con- tenuti in un ce. c'è invece una relazione negativa, sebbene non elevata. Sem- brerebbe di doverne concludere che 4 maggiori quantità di sperma corrisponde un numero di spermatozoi per ce. meno elevato, più sovente di quanto non si verifichi il fatto contrario. Lo sperma, tanto meno sarebbe denso (di sperma- tozoi), quanto più voluminoso; e viceversa. ba NUMERO Peso Peso PESO Peso QUANTITÀ MASSIMA|. NUMERO MASSIMO d’ordi dell'animale RE) d. PAESE s, |della prostata RO hi SRI RETI] in Kg. |più l’epididimo più l’epididimo| in gr. per una ejaculazione con in gr. in gr. in cme. una ejaculazione I, | 7,800 6,10 6,40 2,90 4,3 450.210.000 adulto | _ MI | 8,20 1,38 1,40 0,48 = Da giovanissimo III 9,700 8,20 8,20 9,10 = = vecohio | | 1 | 11,200 | 5,99 7,30 8,80 16,5 199.650.000 adulto ue ati s300 2,85 2,90 1,55 6,3 211.680.000 adulto VI 2,700 1,60 1,70 0,52 1,5 1.200.000 giovane VII 20,100 | 13,90 14,15 5,55 19,1 678.960.000 vecchio VIII 5,000 0,65 0,63. | 0,32 = = giovanissimo | Muri 9,400 0,75 0,78 | 0,65 - - giovanissimo X 5,600 4,80 5,20 1595 1,7 109.480.000 adulto XI | 6,700 6,75 6,10 1,20 2,7 130.680.000 adulto ; XII 11,100 6,00 5,20 2,00 DI, 548.340.000 giovane XIII 9,300 9,30 9,90 6,90 16,7 443.580.000 adulto | XIV 4,200 0,80 0:80 0,26 su SE giovanissimo | | XV 5,300 0,50 0,50. | 0,35 _ _ giovanissimo XVI 5,700 5,45 4,80 5,20 7,6 262.160.000 adulto SOI 7,700 9,20 8,90 2,20 13,1 301.300.000 adulto XVIII 5,300 5,50 5,90 | 3,60 10 260.000.000 adulto | XIX 6,500 8,70 8,90. | == _- 199.200.000 adulto | XX 8,200 6,55 6,70 195 3,5 95.480.000 adulto XXI 5,500 5,15 5,45 3,10 1,4 422.240.000 adulto XXII 9,000 7,50 ‘7,20 1,20 6,4 286.240.000 giovane ; XXIII 4,500 0,65 0,65 0,35 no) a giovanissimo XXIV 9,600 8,55 8,70 1,90 1,5 408.000.000 adulto XXV 6,200 5,20 5,00 2,85 2,8 . 8.280.000 adulto XXVI | 21,100 19,15 | 19,85 28,60 DI 167 200.000 vecchio XXVII 8,000 9,70 10,40 5,15 7,0 | 49.280.000 adulto XXVIII | 4,000 4,75 4,60 3,65 2,8 34.160.000 adulto 5 SETTI IRA a — 459 — A E i RE dell'animale | testicolo d. testicolo s. [della prostatu ottenuta eliminati d'ordine in Kg. |più l’epididimo/più l’epididimo in gr. per una ejaculazione con in gr. in gr. in eme. una ejaculazione XXIX 23,000 22,10 19,95 4,10 4,1 214.020.000 adulto XXX 22,200 23,10 21,70 6,25 4,8 975.360.000 adulto XXXI | 5,000 5,90 6,85 1,00 30 | 85.200.000 adulto XXXII | 7,600 5,70 5,70 536.640.000 adulto | | >O.0;@0L 8,800 4,55 4,90 1,40 4,9 597.120.000 adulto | XXXIV 8.600 4,20 | 4,55 2,30 4,8 356.320.000 adulto XXXV - 6,800 4,90. | 5,40 1,40 2,8 i 402.960.000 adulto LI | XXXV 5,800 6,10 5,95 | 179.080.000 adulto XXXVII 14,400 8,45 7,60 3,20 10,3 393.120.000 adulto XXXVIII| 18,600 12,80 11,80 11,75 21,2 96 096.000 vecchio ! XXXIX | 28,700 28,00 5,05 28,85 14,4 421.920.000 vecchio (atroflco) XL 18,200 9,35 23,00 18,20 17,5 e vecchio XLI 19,300 18.35 19,00 8,20 10,8 238.680.000 adulto XLII 6,700 5,85 7,50 2,15 4,3 328.560.000 giovane ; XLIII 11,400 7,45 7,45 2,05 6,0 1.085.280.000 adulto XLIV 7,300 7,65 8,45. | 1,40 7,0 112.470.000 giovane | i XLV 17,400 11;15 .| < 11,30 6,70 42 31.920.000 adulto | È i XLVI | 14,600 15,40 13,90 7,05 8,6 1.076.400,000 adulto XLVII 20,200 8,50 8,60 4,80 | 6,8 ‘31.680.000 adulto | XLVIII | 10,300 6,90 7,50 4,40 104 | 319200000 adulto XLIX 6,500 3,40 3,56 0,87 159 — giovane L 7,400 5,40 5,45 0,70 — = giovane LI 6,400 6,85 3,02 6,70 5,7 175.180.000 adulto LII 14,400 8,65 8,70 8,77 20,7 836.912.000 adulto LIII 14,700 10,64 14,45 6,73 6,4 401.912.000 adulto ; LIV 5,400 5,17 5,20 2,64 6,4 474.800.000 adulto 4 LV 12,200 2,56 2,50 0,66 — _ giovanissimo LVI 6,200 0,61 0,63 0,20 — _ giovanissimo f LVII 14,300 11,90 11,52 6,65 14,5 £01.360.000. adulto — 456 — Fisiologia. — Contributo alla conoscenza degli enzimi. II: La proteasi e la lipasi dell’orzo germogliato ('). Nota di D. MAE- STRINI, presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI. Proteasi. — Il potere proteolitico dell’orzo germogliato fu dimostrato da v. Gorup-Besanez (*), ed in seguito confermato da W. Windisch und B. Schellhor (3), da M. Fernbach e L. Hubert (‘), e più recentemente da Francesco Weis (°) e da altri. Le nostre ricerche furono continuate nel modo seguente: l'estratto aci- dulo di farina di orzo germogliato, ottenuto nel modo detto nella Nota pre- cedente (5), si passava per un setaccio metallico con maglie di 1 mmq. e, avendo nel liquido lattiginoso, così ottenuto, riconosciuto un rilevante potere proteolitico , coi motodi qualitativi fibranolitico e gelatinolitico furono fatte varie ricerche, determinando alla fine di ogni digestione la quantità degli amino- acidi formatisi, seguendo, in parte, una recente modificazione del metodo di S. P. L. Sorensen (7): « La miscela digerita si versa in un palloncino da 250 cm.8: si aggiunge un eccesso di soluzione satura di acetato di piombo, per precipitare ‘carbonati e fosfati; dopo alcune ore, si precipita l’eccesso di sale di piombo, mediante soluzione satura di solfato sodico purissimo, indi si porta a volume. Si filtra, si prende una parte aliquota, e si titola al formolo, con la scorta di un controllo, sino al rosso vivo, come consiglia Sorensen » (8). Mediante apparecchi Sukoff, già nella precedente Nota ricordati (?), si stabilì pure la temperatura ottima di azione e quella di distruzione. (1) Ricerche eseguite nell'Istituto di fisiologia della R. Università di Roma, diretto dal prof. S. Baglioni. (2) Von Gorup Besanez, Ber. d. deutsch, chem. Gesell. 1875, S. 1510. (8) W. Windisch u. B. Schellhor, Wochenschr. f. Brauerei, pp. 17, 334-336, 437-489, 449-452, 1900. (4) M. Fernbach et L. Hubert, I. Maly Th. 80, 929; Compt. Rend. Ace. sc., 130, 1783-1795, 1900. (5) Fr. Weis, Zeitschr. f. physiol. Chem. 1900-1901, 31, 78-79. (6) D. Maestrini, Rend. Acc. dei Lincei, ser. 52, sem. 29, pag. 393. (7?) L. Settimy. Arch. farm. sper., 1917, vol. XXIV, pag. 345,. (8) S. P. L. Sorensen, Biochem. Zeitschr. 1908, 7, 45-101. (9) Sukoff, Chem. Zeitschr. 1901, n. 99, S. 1111. bc ini ade — 457 — Dal complesso delle esperienze risulta: 1) la proteasi dell'orzo germogliato non è (a differenza dell’ analisi), estraibile con acqua: non si trova nel filtrato, ma nell’emulsione; 2) la sua azione non si manifesta, se l’emulsione fu eseguita con sem- plice acqua distillata; è invece rilevante con emulsione acidula con acido acetico, alla concentrazione di gr. mole 0,03 9/0; 3) per avere un fermento molto attivo, è necessario che il contatto della farina con l’acqua acidula si prolunghi almeno per 6 ore, ad una tempera- tura tra 20° e 30° C; 4) neutralizzando l'acidità dell'emulsione con KOH, al tornasole, ed acidificando con HCL sino al titolo di gr. mole 0,03 °/nc, il fermento mo- strasi meno attivo; 5) alcalinizzando, dopo aver neutralizzato come sopra al tornasole, con KOH sino al titolo di gr. mole 0,03 °/n, l’azione del fermento è anche mag- giormente attenuata; 6) la temperatura ottima di azione oscilla fra 45° e 50° C'; quella di distruzione fra 52°-55° C. * * x Bipasi. — Le lipasi vegetali furono principalmente studiate nelle piante inferiori; nelle piante superiori furono sinora ricercate soltanto nei semi oleiferi (1). Per rinkracciare questo fermento nell'orzo germogliato, abbiamo preparato un’emulsione acidula, come per la proteasi; indi, per calcolare la quantità di grasso scisso, ci siamo valsi di due diversi metodi, che si completano, cioè: del numero di acidità e del numero degli eteri. Col primo si è potuta calco- lare la quantità degli acidi grassi liberi, contenuta negli olii di mandorle dolci, prima e dopo le singole digestioni, e per differenza il grasso digerito ; col secondo la quantità degli eleri contenuti nello stesso grasso prima e dopo la digestione, e quindi il grasso indigerito. Numero di acidità. — In varî palloncini tarati si pesano esattamente 1-2 gr. di olio di mandorle dolci; si versa in ciascun palloncino una determinata quantità di emul- sione attiva, ovvero inattivata mediante ebollizione; in altri palloncini si versa soltanto uguale quantità di emulsione eruda o bollita, indi si portano tutti in termostato alla tempe- ratura di 35°-40° C. In altri palloncini, che servono di controllo, ugualmente preparati, si determina sul momento il numero di acidità. Si versano cioè in ogni palloncino da 50 a 60 em? di alcool a 95°, neutralizzato alla fenolftaleina; si riscalda ogni palloneino a bagno maria sino ad ebollizione incipiente, si raffredda rapidamente, si aggiungono 7-8 gocce di soluzione alcoolica di fenoltaleina (1°/,), indi si titola con una soluzione nor- male decima di idrato potassico. Dal numero dei cm.* di soluzione potassica impiegata, si calcola l'indice di acidità. Lo stesso metodo si segue dopo la digestione, e dalla differenza dei risultati tra il primo ed il secondo esame, si deduce la quantità degli acidi liberi, (*) Cfr. Ch. Richet, Dic. de Physiol., 1919, tom. X, fasc. I, pp. 158-160. RenpIconNTI. 1919, Vel. XXVIII, 2° Sem. 59 — 458 — formatisi durante il processo digestivo, che si esprime in acido oleico, in acido solforico o semplicemente in mmgr. di potassa (1). Per ottenere il numero degli eteri, poichè nel caso nostro si trattava di grassi, già contenenti acidi liberi, si è proceduto prima alla determinazione del numero di saponificazione, indi si è fatta la differenza tra questo e il numero di acidità. Numero di saponificazione. — In un palloncino tarato si pesano esattamente da 1 a 2 gr. di olio di mandorle dolci, indi si versa emulsione attiva di orzo germofliato; in un altro si versa sola emulsione, ed in un terzo solo olio di mandorle. Alla fine della digestione si aggiungono a ciascun palloncino 25 em* di soluzione alcoolica di KOH circa seminormale, si provvede ognuna di un tappo ad un foro, attraversato da un tubo di vetro lungo oltre un metro (refrigerante a riflusso), e si porta a bagno maria in ebollizione, ove si lascia, agitando di tanto in tanto, per mezz'ora o poco più. Tolto il palloncino dal ba- gno maria, vi si aggiungono 8-10 gocce di soluzione alcoolica di fenolftaleina (1/0) e si titola a caldo l'eccesso di potassa rimasto libero, mediante acido cloridrico esattamente seminormale. Si esegue pure una prova testimone: cioè si versano 25 cm* della soluzione al- coolica di potassa circa seminormale in un altro palloncino e si seguita ad operare per- fettamente come per le precedenti. Dalla differenza fra la quantità di acido cloridrico seminormale adoperata nella prova testimone, e quella adoperata nella prova con la materia grassa 0 con la emulsione, si calcola la quantità di idrato potassico occorsa, nei singoli casi, per la saponificazione com- pleta delle sostanze grasse; calcolando poi tale quantità di potassa in mmgr. per un grammo di sostanza grassa, si ha il numero di saponificazione (2). Sottraendo il numero di saponificazione da quello dell’acidità, contem- poraneamente in altre prove identiche determinato, si ottiene 1/ numero degli eteri, espressione della quantità di grasso rimasta indigerita. I risultati delle nostre ricerche sono: I. Nell’orzo germogliato esiste un fermento lipolitico; II. Questo fermento è soltanto dimostrabile nelle emulsioni; come la pro- teasî, anch'esso manca nel liquido filtrato ; III. In emulsione, eseguita con semplice acqua distillata, mostrasi molto debole; trovasi invece molto attivo nell'’emulsione acidulata con acido acetico alla concentrazione di gr. mole 0,03 °/50; IV. Sotto la sua azione l'olio di mandorle dolci (dopo 48 ore ed alla temperatura di 31°-40° C) presenta un numero di acidità, espresso di mmgr. di KOH, talvolta superiore a/ 3 °/, ed un numero di eteri che discende sino a 150; V. L'acido cloridrico, alla concentrazione di gr. mole 0,03 %/o, attenua l’azione della lipasi dell’orzo germogliato; VI. La temperatura ottima di azione è a circa 45°C, mentre quella di distruzione è a circa 55° C. (1) V. Villavecchia, Z'rattato di chimica analitica applicata, vol. I, pag. 495, 1916. (*) Ia. ibid., pp. 500-502, 1916. lira Patologia. — Osservazioni istopatologiche sulla roseola del tifo esantematico ('). Nota del dott. GAETANO BOMPIANI, presentata dal Socio Ert. MARCHIAFAVA. Nell’occasione dell'ultima epidemia di tifo esantematico, avutasi nella scorsa estate nei prigionieri di guerra e nella popolazione civile, ho studiato, per consiglio del prof. Marchiafava, le alterazioni istologiche delle roseole sulla traccia delle ultime ricerche di Fraenkel e degli autori che, dopo di lui, si occuparono dell'argomento. Il Fraenkel pubblicò, nel gennaio 1914, le seguenti osservazioni: Ebbe a riscontrare costantemente nella roseola del tifo esantematico una alterazione saltuaria dei piccoli vasi cutanei consistente in rigonfiamenti o noduli, e al- terazioni vasali diverse. Ritenne caratteristiche del processo morboso in pa- rola le suddette lesioni, non avendole mai riscontrate, in ricerche perseguite per oltre un decennio, nello studio della cute di altre malattie infettive I rigonfiamenti nodulari — secondo Fraenkel — ora occupano tutta la circonferenza del vaso, e appaiono come sferici, ora sono limitati ad una metà della circonferenza e formano rigonfiamenti semisferici. Corrispondono, come si rileva a forte ingrandimento, ad una infiltrazione della parete vasale con cellule tutte mononucleate, alcune del tipo dei piccoli }infowti, altre un po' più grandi, con corpo cellulare largo, rosso-chiaro, e nucleo più grande, alquanto « strutturato » ; infine, cellule con nucleo picnotico e protoplasma abbondante, rosso-eosina. A carico del vaso che attraversa il nodulo si nota, nei tratti ove la parete si rende visibile attraverso l’infiltrato un po' più rado, l’endotelio ri- gonfio, in qualche punto mancante, la muscolatura intatta, e, nel lume, un materiale amorfo finemente granuloso; in altri punti si trovano globuli rossi distinti. I reperti degli autori che, specialmente in Germania, sì occuparono del- l'argomento, aggiungono alcuni dettagli riferentisi alla composizione cellulare dei noduli o alle alterazioni dei vasi; ma resta fondamentale il reperto di Fraenkel. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di anatomia patologica della R. Università di Roma (diretto dal prof. Ett. Marchiafava), ES + * x Prelevai il materiale che ho potuto utilizzare da dieci malati, osservati in vario periodo della malattia (8, 10, 15, 22* e 27? giornata), ai quali furono asportati frammenti di cute di varie parti del corpo (arti superiori, inferiori e parete addominale), o in vita, o subito dopo la morte. Ebbi cura di asportare, insieme col derma, sempre una zolla abbastanza profonda di sot- tocutaneo, perchè il vaso colpito dalla alterazione caratteristica può essere situato — come fa noto Fraenkel — anche profondamente nel sottocutaneo. I pezzi furono fissati in varii liquidi fissatori e sottoposti in parte a tagli a congelazione, in parte inclusi e utilizzati per svariati metodi di esame. Per un esame rapido le sezioni ottenute al congelatore, previa fissazione in formalina al 10 °/, per 24-48 ore, si prestano ottimamente allo scopo. Per lo studio istologico furono adottati i seguenti metodi: colorazione alla ematossilina-eosina, van Gieson, Weigert per le fibre elastiche, e Weigert per la fibrina; inoltre la colorazione di Unna-Pappenheim col verde di metile- pironina, quella col bleu policromo di Unna, e il metodo di Mallory per il connettivo. palo Esporrò riassuntivamente — per quanto lo concede l’argomento — i risultati ottenuti dallo studio delle sezioni della cute, in varii periodi della malattia. Nelle roseole di malati in 82, 10* e 15? giornata potei riconoscere, dopo alcune ricerche di orientamento, le alterazioni caratteristiche descritte da Fraenkel. Esse consistono in accumuli cellulari di varie dimensioni, di forma mtondeggiante o irregolarmente poligonali, localizzati attorno alla se- zione di un vaso sanguigno che rimane per lo più eccentrico rispetto al nodulo. Detti focolai si trovano più frequentemente nello strato reticolato del derma o al confine fra derma e sottocutaneo. Sono caratterizzati da elementi cellulari grandi, mononucleati, di forma rotondeggiante o poligonale, con pro- toplasma abbondinte e nucleo ovale, pallido: ricordano le così dette cellule epitelioidi. A carico dei nuclei di queste cellule ho potuto notare una certa irrego- larità di forma (ora ovali, ora a contorno ineguale, talvolta lobati), e diffe- renze di grandezza; è sempre notevole la loro povertà di cromatina; questa si trova per lo più distribuita in tre o qualtro piccole masse nel nucleo ve- scicolare, e qualche volta raccolta in uno stato sottile contro la faccia in- terna della membrana nucleare, che ne disegna il contorno. Frammisti in varia misura alle precedenti, ma sempre in minor quan- tità, trovansi elementi con nucleo piccolo rotondo, intensamente colorato (a — 461 — differenza dei precedenti), del tipo dei linfociti. Come cellule isolate possono ancora riscontrarsi nei noduli poche plasmacellule e qualche cellula poligo- nale con protoplasma abbondante, omogeneo, tinto uniformemente in rosa dall’eosina e nucleo ben colorabile. Le alterazioni dei tratti di vasi, attorno ai quali si trova l’infiltrazione nodulare, verranno descritte complessivamente, dopo di avere enumerato i varii tipi morfologici che possono presentare gli infiltrati perivasali. Infatti, oltre al reperto ormai classico di Fraenkel, e perciò soltanto bre- vemente ricordato, ho potuto osservare, nei miei preparati, noduli più piccoli che chiamerò a tipo linfoide, e noduli cicatriziali, fibrosi;} inoltre focolari più ampî di infiltrazione cellulare diffusa. I noduli linfoidi e quelli fibrosi potei osservare in tagli di cute in stadî avanzati della malattia (22-27 giornata). I primi corrispondono a cumuli cellulari, di piccole dimensioni, roton- deggianti, e distribuiti sul decorso dei vasi cutanei più superficiali (strato papillare, e strati superiori della « pars reticularis » ); sono costituiti per la maggior parte da cellule coi caratteri dei comuni linfociti. Negli stessi no- duli ho osservato, solo in scarso numero, elementi dal nucleo fusato con estremi tozzi, disposti parallelamente all'asse longitudinale del vaso che at- traversa il nodulo. Nei secondi, cioè nei noduli fibrosi, prevalgono gli elementi a nucleo fusato. In essi è anche più manifesta la disposizione di tali elementi paral- lelamente all’asse longitudinale del vaso, in formazione di strati sovrapposti; i nuclei fusati, allungati, appaiono disposti quasi ad aspetto ondulato carat- teristico. i Fra i due tlpi di noduli esistono forme di passaggio, e spesso si, tro- vano le due sorta di noduli nello stesso preparato. Sembra logico pensare che essi rappresentino un esito in guarigione dei noduli di Fraenkel che nella loro evoluzione subirebbero, dapprima, una semplificazione — per così dire — della loro costituzione morfologica, e successivamente una metamorfosi connettivale. Il reperto di noduli fibrosi conferma una osservazione isolata di Fraenkel che vide la trasformazione connettivale di un nodulo, studiando la cute di un convalescente nel quale aveva provocato con la stasi la ricomparsa di roseole. Ho rimandato in ultimo la descrizione dei focolai d’infiltrazione cellu- lare diffusa perchè a me sembra che morfologicamente siano da tenersi di- stinti dalle alterazioni nodulari suddescritte, anche se ad esse equivalenti. Infatti detti focolai vecupano una estensione molto più ampia dei noduli ed hanno contini indistinti verso il tessuto circostante. Inoltre, non è sempre manifesto un rapporto loro con i vasi, trovandosi talora localizzati attorno alle ghiandole sudoripare, ai follicoli dei peli e, più raramente, alle ghian- — 462 — dole sebacee, indipendentemente dalla presenza di un vaso di un certo calibro. A questi infiltrati hanno accennato vagamente alcuni autori (Paltauf), ma senza darne una descrizione dettagliata. Nei preparati in cui mì è occorso osservarli — sempre nel periodo flo- rido della malattia —— potei notare che in quei focolai si ritrovano gli stessi elementi cellulari descritti da Fraenkel nei suoi noduli, ma con una propor- zione assai più varia e diversa da caso a caso. A me sembra che in questi infiltrati diffusi il polimorfismo cellulare raggiunga il massimo sviluppo. Elencherò i varii tipi cellulari: a) e d) cellule del tipo dei linfociti e cellule grandi, mononucleate, a tipo epitelioide, già descritte, e costituenti Ja maggior parte degli elementi nei noduli di Fraenkel; c) cellule fusiformi o stellate, a tipo fibroblastico, con nucleo ben tingibile, nucleolo distinto protoplasma raccolto ai poli del nucleo e termi- nante con estremi appuntiti; d) plasmacellale tipo Unna-Marchalvò, talora tanto numerose da costituire l'elemento predominante dell’infiltrato; e) piccoli nuclei, minori di quelli dei comuni linfociti, SDPRENVOMODI liberi, già notati da Fraenkel nella sua prima comunicazione; 7) possono essere presenti infine rare cellnle con protoplasma omo- geneo colorato intensamente dall’eosina, e nucleo ben tingibile; 9) e rari leucociti polinucleati. Come si è accennato, la proporzione in cui sì trovano frammisti questi elementi cellulari nel focolaio è diversa da caso a caso, con varia preva- lenza degli uni o degli altri. La descrizione delle alterazioni riscontrate nei vasi colpiti dal processo morboso collima in tutto con quelle date dagli autori. Nelle arterie più piccole e nei precapillari si può rilevare il distaccarsi degli endotelii rigonfi dalla parete; riconoscibili nel lume come nuclei ovali, grandi, pallidi. Nell’interno del vaso sono presenti globuli rossi, quasi sempre stipati, distinti fra loro, oppure conglobati in una massa omogenea, amorfa, colorata in rosso dall’eosina e che non occupa tutto il volume vasale. Nes- suna alterazione esiste manifesta a carico delle fibro-cellule muscolari. I vasi di calibro un po' superiore, al centro di un nodulo, e particolar- mente nella pars reticularis, possono dimostrare un restringimento del lume e l’ispessimento delle pareti risultanti di strati nucleati concentrici, nei quali non è più possibile una distinzione delle varie tuniche: il lume è per lo più libero. — 463 — Nelle arterie di maggior calibro, al confine tra derma e ipoderma, può riscontrarsi l’alterazione descritta da Fraenkel, cioè la lesione di un solo settore della circonferenza del vaso, e, per lo più, di quello rivolto verso la la parte ampia dell’infiltrato. L’endotelio è spesso rigonfio, sollevato o di- staccato dalla parete; in alcuni tratti è mancante. La membrana elastica interna è ben conservata, ciò che ha importanza diagnostica — come fa no- tare il Bauer — per distinguere il processo in parola dall’arteriosclerosi dei piccoli vasi, in cui al contrario si verifica la moltiplicazione degli elementi elastici e il loro reciproco allontanamento. La tunica muscolare è sana, nè sì notano infiltrati cellulari o depositi di fibrina nello spessore delle pareti. In due roseole potei riscontrare una trombosi parietale costituita da una masa omogenea, colorata in rosa dall’eosina, a figura di mezzaluna, che colpiva un solo settore del vaso. Trattavasi verosimilmente di trombi da agglutinazione di globuli rossi. In un altro caso il trombo era invaso da elementi del tipo di fibroblasti giovani, isolati e non numerosi, e vi notai la presenza di una cellula gigante. Sì può pensare a processi di sostituzione e organizzazione di detti trombi; ma non mì fu dato colpire, con i tagli, tratti in cui fosse dimo- strabile il processo di cicatrizzazione avvenuto. Dalla descrizione delle lesioni vasali, semplicemente degenerative, si rileva, ancora una volta, come la somiglianza del processo descritto dal Fraenkel, con la « periarterite nodosa » di Kussmaul e Maier, sia del tutto superficiale; ciò che affermò per il primo lo stesso Fraenkel. * * x Da ultimo riferirò sul comportamento del tessuto connettivo e del tes- suto elastico in corrispondenza dei noduli e degli infiltrati. Ho portato spe- ciale cura a tale studio, non risultandomi che vi si sia particolarmente sof- ermata l'attenzione degli AA. Trattando tagli di cute, ottenuti il più possibilmente sottili, con il me- todo di Mallory per il connettivo, si può mettere in evidenza, tra gli ele- menti cellulari dei focolai, un reticolo a fibre delicatissime, racchiudente in ogni maglia una singola cellula. Le esili fibre del reticolo si continuano, alla periferia del focolaio, con i fascetti del tessuto connettivo tibrillare cir- costante. Trattasi, con ogni verosimiglianza, di quel tessuto « reticolare », che può originarsi anche nell'adulto per suddivisione delle fibre grossolane del connettivo in fibre sempre più sottili, per la penetrazione tra essi degli ele- menti di infiltrazione e di neoformazione. Nell’infiltrato dei noduli floridi manca sempre il tessuto elastico o, vi è soltanto rappresentato da qualche frammento di fibra. Gli elementi ela- stici del corion si arrestano alla periferia del focolaio. — 464 — Negli stessi preparati, utilizzati per lo studio del comportamento del tessuto elastico nei focolai di infiltrazione, mi sembra certa la esistenza di una alterazione abbastanza evidente del reticolo elastico sottoepidermico. Questo finissimo intreccio di fibrille elastiche presenta, osservandolo in cor- rispondenza di tratti di pelle colpiti da roseola, aspetto di discontinuità per zone di estensione varia. Ivi gli elementi costituenti il reticolo appaiono dap- prima diradati e meno tingibili, fino a non rimanerne che tracce o a scom- parire completamente. In corrispondenza di tali alterazioni dell'elemento elastico, il connettivo appare edematoso, e, a qualche distanza, in profondità, dalla zona del reticolato si trovano spesso presenti comuni elementi d’infil- trazione. Accanto alle osservazioni istologiche, ora ricordate, ho praticato esami batterioscopici nelle sezioni di cute per ricercarvi la eventuale presenza di parassiti, ma con esito negativo. Adoperai, per l'esame, i metodi di Cram, di Giemsa e di Levaditi per l’impregnazione argentica. Inoltre tentai, per analogia a quanto si conosce per il virus vaccinico, di impiantare sulla cornea di conigli il succo ottenuto per scarificazione delle roseole. Non potei rilevare, neppure in questa seconda ricerca, alterazioni della cornea, in forma di inclusioni o di altra natura. Ma — poichè a me non consta che tale tentativo sia stato sinora eseguito da altri — ripetuto con più abbondante materiale e in condizioni, perciò, più svariate di esperi- mento, esso potrebbe forse condurre ad apprezzabili risultati. Xx SOCI Volendo riassumere, a guisa di conclusioni, le osservazioni fatte, può dirsi che: 1) Esse confermano pienamente il reperto di Fraenkel, abbastanza caratteristico perchè debba essergli ormai attribuito pieno valore diagnostico, in uno ai sintomi clinici della malattia; i 2) Nel periodo florido della malattia possono riscontrarsi, oltrechè i noduli tipici descritti da Fraenkel, ampî focolai di infiltrazione diffusa di composizione cellulare caratteristica e per lo più in rapporto con un vaso ; 3) Fu constatata la coesistenza di nodi linfoidi e di nodi fibrosi in periodi avanzati di malattia (22*-27* giornata); 4) Degno di nota è lo speciale comportamento, caratteristico, del tes- suto connettivale e del tessuto elastico in corrispondenza dei focolai d'’infil- trazione nodulare. Di più sembra certa l’esistenza di una particolare altera- zione del reticolo elastico sottoepidermico nella roseola del tifo esantematico. «Gunn — 465 — Fisiologia. — Sulla funzione di secrezione interna restaura- trice della mucosa intestinale durante la digestione e l’assorbi- mento dei lipoidi ('). Nota di CLEMENTI A., presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI. Mentre lo studio del problema della digestione e dell’assorbimento in- testinale dei grassi comuni ha ricevuto nell'ultimo cinquantennio il più va- lido e fecondo ausilio dall'impiego di metodi istochimici, manca finora la dimostrazione chimica o istochimica diretta dell’assorbimento intestinale dei lipoidi alimentari (*). Mi sono proposto colle presenti ricerche di col- mare tale lacuna mediante lo studio citochimico della mucosa intestinale, applicando qualcuno dei metodi istochimici elaborati recentemente per la ricerca dei lipoidi intracellulari, in speciali condizioni di dieta, nella spe- ranza di contribuire per questa via anche alla soluzione del problema riguar- dante l’intimo meccanismo dell’assorbimento intestinale der lipotdi. Circa il meccanismo dell’assorbimento intestinale dei lipoidi fosforati, di cui il rap- presentante tipico è la lecitina, esistono tra gli autori divergenze di pareri; alcuni so- stengono la teoria della emulsione, cioè a dire negano che la lecitina venga scissa dai fermenti lipolitici intestinali e sostengono che venga assorbita come tale allo stato di finissima emulsione (Stassano e Billon, Kalaboukoff e Terroine); altri AA. sostengono la teoria della soluzione, cioè a dire affermano che la lecitina sia scissa dai fermenti del tubo gastro-enterico (Bokay, Slowizow, Schumow-Simanowski e Sieber, Majer, Clementi) e siano assorbiti dalla mucosa intestinale i suoi prodotti di scissione solubili. Mentre si discute sull’assorbimento intestinale della lecitina, manca finora la dimostrazione speri- mentale diretta, dell’assorbimento dei fosfatidi alimentari in genere e della lecitina in ispecie da parte della mucosa intestinale. Per risolvere quest’ ultimo quesito e per contribuire alla soluzione del problema riguardante la forma sotto cui la lecitina è as- sorbita dalla mucosa intestinale. mi è sembrata importante la ricerca istochimica; infatti, se con metodi, che mettono in evidenza i fosfatidi, si può studiare e seguire l'as: sorbimento di essi attraverso la mucosa intestinale, è logico prevedere la possibilità di mettere in evidenza fatti nuovi, che parlino a favore dell'una o dell’altra teoria circa l’as- sorbimento intestinale dei fosfatidi e servano a risolvere un problema la cui soluzione si è lasciata attendere per molti anni e che, oltre ad avere importanza fisiologica, inte- ressa la fisiopatologia e la farmacologia. La conoscenza della distribuzione delle sostanze lipoidi nei tessuti e negli organi in condizioni normali e patologiche è molto progredita dopo che furono elaborati ed ap- (') Ricerche eseguite nell'Istituto di anatomia e fisiologia comparata della R, Uni- versità di Catania e nell'Istituto di fisiologia umana della R. Università di Roma. (@) E bene tenere presente che con la denominazione di lipoidi, io intendo riferirmi specialmente ai lipoidi fosforati (lecitina, cruorina, neottina ecc.), escludendo non solo gli eteri della glicerina, ma anche ie sterine o eteri della colesterina. RenpIconTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem. 60 2 — 466 — ‘plicati metodi chimici e mierochimici specifici per la ricerca dei lipoidi, Il metodo di Ciaccio è certamente il più attendibile metodo mierochimico, che possediamo finora, per per la ricerca dei lipoidi intracellulari; i diversi AA. che si sono occupati dello studio della specificità del metodo Ciaccio (Kaiserling, Kasarinoff, Kawamura, Bell, Rocchi, Biondi) sono concordi nell'ammettere che esso serve a mettere in evidenza i lipoidi (con questa denominazione intendendo i lipoidi fosforati c fosfatidi e i cerebrosidi), mentre non mette in evidenza certamente gli eteri della glicerina (grassi neutri) e gli eteri della colesterina (sterine): la sola eccezione sarebbe rappresentata dall’acido oleico libero, il quale, se la cromizzazione è prolungata, può essere messo in evidenza dal metodo Ciaccio. Applicando il metodu Ciaccio, sono state eseguite numerose ricerche circa la presenza e la distribu- zione dei lipoidi negli organi e nei tessuti più svariati (Ciaccio). Nessun A., che io mi sappia, ha finora studiato la distribuzione dei lipuidi nella mucosa intestinale, anche astraendo dalia fnnzione di assorbimento della medesima; da questo punto di vista le mie ricerche vengono a colmare anche una notevole lacuna per quanto si riferisce alla cono- scenza della distribuzione dei lipoidi intracellnlari. Nelle mie ricerche, come animali di esperimento furono adoperati gattini da poco tempo slattati. La ragione per cui fu scelto questo mammifero è duplice: anzitutto, data la difficoltà nota che presenta la fissazione e la sezione dell'intestino, è preferibile sce- gliere animali di piccole dimensioni; d’altra parte è preferibile scegliere un vertebrato abituato alla dieta di alimenti grassi e lipoidi. Queste condizioni sono presentate dai gat- tini di pochi mesi di età e da poco tempo slattati. Fu studiata la mucosa intestinale del tratto duodeno-digiunale di gattini tenuti a digiuno incompleto, di gattini alimentati con solo pane, di gattini alimentati con olio di uliva e di gattini alimentati con vitello di uovo di pollo. i Gli animali alimentati furono sacrificati alenne ore dopo l’ingestione degli alimenti determinati. I pezzi furono fissati e cclorati nella massima parte secondo il metodo Ciaccio 1° per la colorazione dei lipoidi e secondo il metodo Ciaccio 3° per la colorazione dei grassi e dei lipoidi alcuni furono trattati anche secondo il metodo di fissazione Benda. Dallo studio dei preparati ottenuti nelle condizioni sperimentali suc- cennate fissati e colorati secondo il metodo Ciaccio, sono risultati a carico della mucosa intestinale deì gattini i seguenti fatti principali: 1. Durante il digiuno, formazioni e inclusi di natura lipoidea (fosfa- tidi), rilevabili col metodo Ciaccio, mancano nel citoplasma delle cellule ‘ epiteliali del villo intestinale, nel chilifere centrale e nel citoplasma degli elementi cellulari dello stroma del villo, eccettuati alcuni speciali elementi cellulari. che sono stati descritti dal Ciaccio nel connettivo in genere col nome di cellule lecitiniche, aventi forma irregolare e protoplasma infarcito da fini granulazioni di colore rosso-arancio. 2. Nell'alimentazione protratta con pane, si può rilevare la presenza di materiale lipoide nelle cellule epiteliali del villo, materiale il quale si presenta sotto l'aspetto di scarsi granuli sferoidali di colore rosso-bruno, con predominante e caratteristica disposizione nella zona sottonucleare del cito- plasma, lungo la membrana basale della cellula. 3. Dopo la ingestione, e durante la digestione di vitello d'uovo (il quale, come è noto, possiede una percentuale altissima di fosfatidi in genere — 4607 — e di lecitine in ispecie), si può seguire l'assorbimento dei lipoidi attraverso gli elementi costituenti la mucosa intestinale. Nel lume intestinale si con- stata la presenza di materiale lipoide in forma di globuli e di ammassi li- poidi di varia grandezza. Nella cellula epiteliale villare si ha un quadro citochimico caratteristico, consistente nella mancanza assoluta di materiale lipoide nella cuticula striata e nel terzo esterno del citoplasma; mentre, a cominciare da una linea parallela alla cuticula striata trovantesi a una di- stanza intermedia tra cuticula striata e nucleo, il protoplasma, con netto e brusco distacco rispetto al terzo esterno, si presenta completamente infarcito da una grandissima quantità di materiale lipoide sino al polo esterno del nucleo e in alcuni casi lateralmente ed anche inferiormente ad esso. sotto l'aspetto di gra nuli e di globuli di colore rosso-arancio intenso, di dimen- sione svariatissima (dai granuli finissimi, appena percettibili al microscopio, fino aì globuli di volume doppio di quello di nun comune nucleolo). Questo quadro caratteristico e costante sì può spiegare ammettendo che la molecola dei fosfatidi è scissa nel lume intestinale e che nell'interno del protoplasma delle cellule epiteliali del villo intestinale del gatto, a co- minciare da una linea equidistante dalla cuticula del polo esterno del nucleo, _ha luogo la ricostituzione sintetica della molecola primitiva dei fosfatidi. Si verrebbe così ad avere nella cellula epiteliale villare una distin- zione fra zona mitocondriale esterna (corrispondente al terzo esterno del ci- toplasma secondo Champy e Corti), e zona in cui appare il prodotto della attività sintetica cellulare esercitata sui costituenti della molecola lipoidea assorbiti, analoga a quella rilevata dagli AA. nelle cellule secernenti delle comuni ghiandole ua -z0ua mitocondriale esterna e zona in cui sì accumula il prodotto della attività secretiva prima di essere escreto; tale disposizion& rappresenta un nuovo dato citologico a favore della dottrina, che identifica la funzione di assorbimento della cellula intestinale villare a quella di una cellula secernente. 4. Nel chilifero centrale del villo e nei capillari sanguigni del villo dei gattini sacrificati alcune ore dopo l'ingestione di vitello d'uovo, si può constatare la presenza di materiale lipoide in forma di ammassi globosi e di granulazioni di colore rosso-arancio 0 rosso-bruno, che infarciscono anche il lume dei vasi degli spazi connettivali interposti fra le ghiandole di Ga- leati e il lume dei vasi della sottomucosa. Questo fatto dimostra che le vie di assorbimento dei lipoidi alimentari non sono solo le vie linfatiche. ma anche le vie sanguigne. Le cellule migranti presenti nell'epitelio villare non lasciano rilevare in genere nel loro citoplasma inclusi di materiale lipoide, per cui si deve conchiudere che esse non partecipano al trasporto del mate- riale lipoide assorbito. 5. Dopo l’ingestione di olio di oliva nella stessa zona del protoplasma della cellula epiteliale villare, in cui si rileva la presenza di materiale — 463 — lipoide durante l' alimentazione con vitello d'uovo, sotto la forma di granuli e di globuli colorati in rosso-arancio intenso, si possono notare, nei preparati trattati col primo metodo Ciaccio, delle sferule circolari o di forma ovoidale incolori (grassi neutri), e nei preparati trattati secondo il terzo me- todo Ciaccio si rilevano granuli finissimi e globuli colorati in nero o in caffe- latte tendente al nero (grassi), mentre la metà esterna della zona sopranu- cleare del protoplasma è priva di granuli neri o di sferule incolori. Questo reperto rappresenta una conferma indiretta della natura lipoide dei granuli rilevati nelle cellule epiteliali villari durante l’alimentazione lipoidea, rispon- dendo ad una possibile obbiezione circa la non assoluta specificità del me- todo Ciaccio per la colorazione dei lipoidi. 6. Durante la dieta grassa e durante la dieta lipoidea si può con- statare la presenza di materiale lipoide o di grasso nel citoplasma delle cellule epiteliali delle ghiandole del Galeati, sotto l'aspetto di granuli o di globuli sferoidali di dimensioni uguali a quelle di un comune nucleolo disposti specialmente lungo la membrana basale della cellula al di sotto del nucleo. Tra le cellule epiteliali fondamentali si trovano cellule speciali, caratterizzate dalfatto che il loro citoplasma è infarcito da fittissime granu- lazioni aventi volume minore di quello di un comune nucleolo e differenti dai comuni granuli lipoidi osservati nella maggioranza delle cellule, per la loro colorazione grigio-verdastra. 7. La presenza delle cosiddette lacune di Griinhbagen e i distacchi del- l'epitelio dallo stroma appaiono più frequenti nei preparati degli animali sa- criticati durante il periodo della digestione, che non in quelli sacrificati in periodo di digiuno; ma nessun rapporto è dato stabilire tra la loro presenza e lo stato di attività assorbente in cui si trovano le cellule epiteliali del segmento corrispondente del villo rispetto al materiale lipoide e al grasso assorbito. L'insieme dei risultati delle ricerche surriferite rappresenta la dimo- strazione diretta, la quale finora mancava, che i lipoidi fosforati o fosfatidi introdotti nel tubo gastro-intestinale quale alimento sono assorbiti e si ritro- vano nei vasi linfatici e nei vasi sanguigni della mucosa intestinale e ci indu- cono ad ammettere, cho attraverso la cuticula striata e attraverso la metà esterna della zona sopranucleare del citoplasma delle cellule epiteliali del villo intestinale dei gattini passano i prodotti della scissione idrolitica della molecola dei fosfatidi, la quale viene ricostituita nell'interno del citoplasma delle cellule epiteliali villari e più specialmente nella metà interna della zona sopranucleare. h t MARI VI. OT | VPI RE E — 46) — PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente Ròrri apre la seduta dando la luttuosa notizia delle gravissime perdite da cui è stata colpita l'Accademia colla morte dei Col- leghi, professori Vincenzo REINA ed ELIA MiLLOSEViICH, Segretari entrambi della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali; il primo dall’anno corrente e il secondo sino dal 1906. Moriva il primo in Como, dopo lunga malattia, il 9 dello scorso novembre, e mancava il secondo per violento morbo il 5 corr. Il Presidente menziona ‘con affettuose parole le beneme- renze dei due illustri scienziati che dedicarono la propria costante attività al bene dell’Accademia; e dopo aver ricordato che ai funerali del prof. Reina l'Accademia fu rappresentata dai Colleghi SomiGLIANA e FanTòLI, tra il consenso unanime dei Colleghi propone l’invio delle condoglianze più vive alla famiglia del compianto prof. MiLLosEVICH. Il Socio CasrELNUOvo pronunzia le seguenti parole: « Avevo intenzione di aggiungere qualche parola in memoria di VIN- cenzo Retna a cui mi legava amicizia fraterna da quasi trent'anni. La nuova e grave perdita che l'Accademia ha subìto in questi giorni nella persona di ELta MrLLosevicH mì induce ad associare i due nomi ed a ri- cordarli insieme innanzi a voi. Molte affinità li univano. Cultori della stessa disciplina, appassionati della scienza, anzi di ogni forma di cultura, erano entrambi modesti, serupolosi nell'adempimento del dovere, disposti sempre a sacrificare ogni interesse personale per il bene delle istituzioni affidate alle loro cure: cuori nobilissimi, caratteri integri, esigentissimi verso sè stessi, indulgenti cogli altri. La loro scomparsa quasi simultanea ci addolora e ci sgomenta. L'Italia non è oggi così ricca di alti cultori della scienza da rendere agevole la sostituzione di chi ci abbandona con chi è destinato a succedergli. D'altra parte, nell’inquieto periodo che attraversiamo, in mezzo allo scatenarsi di tanti egoismi, riesce anche più doloroso veder sparire questi uomini che colla loro vita austera ci offrivano continuo esempio di altruismo e di devozione ai più alti interessi della scienza, della scuola e della società. « Ed ora vorrei trasmettere all'Accademia un voto che il prof. Millo- sevich mi esprimeva un anno fa, appena riavutosi da una grave malattia che ci aveva tenuti in ansia per molti giorni. «Il prof. Millosevich mi faceva notare le infelici condizioni dell’Osser- vatorio del Collegio Romano e mi diceva che il suo più vivo desiderio era — 470 — che sorgesse sul Monte Mario un grande osservatorio degno di Roma, nel quale potrebbero venir riuniti gli strumenti dei due attuali osservatorî del Collegio Romano e del Campidoglio. « Io vorrei che l’Accademia accogliesse questo voto e ne sostenesse la realizzazione presso il ministro, ottenendo sin da ora che il terreno sulla vetta del colle venisse riservato a questo scopo. « L'Accademia, promovendo la costruzione del nuovo Osservatorio, ren- derebbe un grande servizio alla scienza ed eleverebbe alla memoria del nostro caro collega il monumento più ambìto ». Il Presidente Rò:TI, coll'approvazione della Classe, dichiara che l'Ufficio di Presidenza farà tutte le pratiche necessarie perchè il voto del compianto Collega venga esaudito. Lo stesso Presidente partecipa un'altra perdita che deve deplorare la Classe, nella persona del Socio straniero prof. ApoLFo HoRwITZ, mancato ai vivi il 18 novembre 1919; apparteneva il defunto all'Accademia, per la Matematica, sino dal 27 luglio 1913. Dà poi comunicazione dei ringraziamenti inviati per la loro recente elezione, dai Corrispondenti BERZOLARI e DAINELLI, e dal Socio straniero OMORI. Il Presidente informa la Classe che in occasione del Congresso inter- nazionale di Fisiologia che si terrà prossimamente a Parigi, è stato invitato a pronunciare il discorso inaugurale il Socio sen. FANO; e si compiace di tale designazione che torna ad onore del Collega e dell'Accademia. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI G. L. Sera. Sui rapporti della conformazione della base del cranio colle forme craniensi e colle strutture della faccia nelle razze umane. Pres. dal SEGRETARIO. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio PirotTA, a nome anche del Socio MaTTIROLO, legge una rela- zione colla quale si propone la inserzione nei volumi accademici della Me- moria del prof. O. MUNERATI, intitolata: Osservazioni e ricerche sulla — 471 — barbabietola da zucchero. La proposta della Commissione esaminatrice, messa ai voti dal Presidente, è approvata dalla Classe, salvo le consuete riserve. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio PiRoTTA, che funge da Segretario, fa omaggio, a nome del Corrisp. LustIc, dell’opera: /{ dermotifo 0 tifo esantematico. Fa poi par- ticolare menzione di quattro volumi delle Opere di Evangelista Torricelli, edite in occasione del 3° centenario della nascita, col concorso del Comune di Faenza, da Gino Loria e GiuseppE Vassura. Il Socio PIROTTA ag- giunge che il Corrisp. Loria ha trasmesso una sua Nota riguardante questa pubblicazione ('). (1) V, pag. 409. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 7 dicembre 1919. Il progetto Beretta-Maiocchi per la via d’acqua di grande navigazione Milano- Lago di Como. Milano, 1918. 49, pp. 1-35. LustiG A. — Il dermotifo o tifo esante- matico.. Milano, 1919. 89, pp. 1-125. MeLI R. — Notizie preventive intorno a resti di mammiferi trovati nelle ligniti della Sabina (Estr. dagli « Atti della Pontificia Accademia Romana dei Nuovi Lincei »). Roma, 1919, 49, pp. 1-6. MeLI R. — Notizie sismo-geologiche su Soriano Calabro (Estr. dagli « Atti della Pontificia Accademia Romana nei Nuovi Lincei »). Roma, 1918. 4°, pp. 1-5. Meli R. — Presentazione di un raro opu-. scolo sul terremoto, risentito il giorno 11 giugno 1751 a S. Gemini, Cesi e Teria nell’Umbria (Curiosità biblio- grafiche) (Estr. dagli « Atti della Pon- tificin Accademia Romana dei Nuovi Lincei n). Roma, 1918. 4°, pp. 1-4. MeLI R. — Raccolte di carte geografiche, incise nella seconda metà del sec. XVI, possedute dalla Biblioteca Alessan- drina di Roma (Estr. dal « Bollettino della R. Società Geografica Italiana », anno 1918). Roma, 1918. 8°, pp. 1-15. MeLr R. — Sopra alcune impronte di Pteris aquilina Linn. nel tufo laziale della Villa Torlonia a Frascati (con indicazioni bibliografiche sulla Cava sperone) (Estr. dagli « Atti della Pontificia Accademia Romana dei Nuovi Lincei »). Roma, 1919. 49, pp. 1-16. TorRrIcELLI Ev. — Le opere di Ev. T. pub- — 472 — blicate da G. Loria e G. Vassura: vol. I, parte 1 e 2; II e III. Faenza 1919, 8°, pp.1i-xxxvin, 1-407; 1-482; 1-320; 1-521. WasuHinatoy H. S. — A feldspar from Linosa and the existence of soda anorthite (carnegieite) (From the « American Journal of Science n, vo- lume XXIX, pp. 31-70). New-Haven, 1910. 8°. WasgHineron H. S. — A suggestion for mineral nomenclature (From the « Ame- rican Jonrnal of Science », vol. XXXIII, pp. 137-151). New-Haven, 1912. 8°. WasHineton H. S. — Augite from Strom- boli (From the « American Journal of Science », vol. XLV, pp. 463-459). New-Haven, 1918. 8°, Wasuington H. S. — Contributions to the geology of New Hampshire: III, On red hill. Moultonboro (From the « American Journal of Science », vol. XXIII, pp. 257-447). New Haven, 1907. 89, Wasuineron H. S. — Magnetite basalt from North Park, Colorado (Repr. from « The Journal of the Washington Academy of Science », vol. III, pp.449- 452). Washington, 1913, 8°. WasHineton H. S. — Note on the forms of Arkansas diamonds (From the « American Journal. of Science n, vol. XXIV, pp. 275-276). New Haven, 1907. 8°. 4 WasuHineton H. S. — Persistence of vents at Stromboli and its bearing on vol- canic mechanism (Repr. from the « Bul. letin of the Geological Society of America », vol. XXVIII, pp. 249-278). New Haven, 1917. 89, l WasHIineton H. S. — Present condition of the volcanoes of svuthern Italy (Iepr. from the « Bulletin of the Geo- logical Society of America», vol. XXVI, pp. 375-388). New Haven, 1915. 8°. Wasgfineton H. S. — Some Javas of monte Arci, Sardinia (From the « American Journal of Science », vol. XXXVI, pp. 577-590). New Haven, 1913. 8°. WasHIneTton H. S.-- The Catalan volca- noes and their rocks (From the « Ame- rican Journal of Science », vol. XXIV, pp. 217-242). New Haven, 1907. 89. WasHineton H. S. — T'he constitution of some salic silicates (From the « Ame- rican Journal of Science», vol. XXXIV, pp. 555-571). New Haven, 1912. 89. WasuHinaton H. S. — The distribution of the elements in igneous rocks. New Haven, 1908. 8°, pp. 1-30. Wasnineron H. S. — The volcanic cycles in Sardinia (Congrès géologique inter- national.: Canada, 1913). s. 1., 1913. 8e* pp. 1-11: PERSONALE ACCADEMICO Roiti (Presidente). Annuneia la morte dei Soci V. Reina ed E. Millosevich, e ne parla. . Pag. 469 Castelnuovo, Aggiunge parole di rimpianto per la perdita del Socio Mellosevich. . . . » » Roiti (Presidente). Partecipa la morte del Socio straniero Hurwitz . . . .. gen ara dI, Id. Comunica i ringraziamenti inviati per la loro elezione dai Corrisp. Berzolari e Dainelli, CECOLISOCIOLSITANICLONO MORE ent et nto e VSC TERI) , Td. Dà la notizia che al prossimo Congresso internazionale di Fisiologia in Parigi il discorso inaugurale sarà pronunciato dal Socio ano. . ./.... +60 0000 » » MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Sera. Sui rapporti della conformazione della base del cranio colle forme craniensi e colle strutture della faccia nelle razze umane (pres. dal Segretario). . . ....... ”» o n RELAZIONI DI COMMISSIONI Pirotta (relatore) e Mattirolo, Relazione sulla Memoria del prof. Munerati, intitolata: « Osser- vazioni e ricerche sulla barbabietola da zucchero n. . +... 060 +» RIE PRESENTAZIONE DI LIBRI Pirotta (Segretario). Presenta una pubblicazione del Corrisp. Lustig e le (00 di Evange- lista Torricelli pubblicate dal Comune di Faenza 3... . D'LIE Ditero » 471 BUGLETTINOMBIBLIOGRARICONGI Lost Net E ee TI I ene Selene esere, I n . °° °‘’RENDICONTI — Dicembre 1919. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Seduta del 7 dicembre 1919. Parona. Titonico e Cretacico nell'isola di Capri: revisione dei fossili dei calcari coralli- geni (*). SU DIRE REZIERA OO N ee Pro Loria. Evdugelista Torricelli nella storia dela; Suotictaa REMI VAIO N Majorana. Sulla gravitazione . . ..<.. 0... 5 30 LICEO Lazzarino. Sul moto dei giroscopi asimmetrici tt or caso in cui i Pivano princi- pale S è costantemente nullo (pres. dal Corrisp. Marcolongo) . . . . PA tO, Picone. Nuove regole per la riduzione degli integrali RESTO generalizzati di a (pres. dal Socio Bianchi) . RATIO Ra) Sannia. Risoluzione dell'equazioli. di Fredholm con serie aio stai, del Borel (pres. dal Socio E. d'Ovidio) . Aran GE È RE) Drago. Sull’attrito interno del AO in campo i aGnelido ata a qui Corrispon- dente Cantone) . . . SETA : MS Savini. Il problema dell'evoluzione dell'ilugrarane carsica obici (ie dal Socio E. Mil- COSevic Oa DARI PESO, Buglia. Ricerche sulla PAR del veleno dell'anguilla. Do vota Logsica dela bile ai anguilla (pres. dal Corrisp, Aducco). . . . A e I IR o o) Dorello. Sopra lo sviluppo della porzione inetencataliba del imeleo vescicolare ‘ (pres; dal Cor- risp. Versari) . SARTI Regi to EMRIORE REAL AR STAI LRD I Amantea. Ricerche alle secrezione a IX: Il sato del testicolare e della pro- stata nei rapporti con la massa dell'organo (pres. dal Corrisp. Baglioni) . . .... » Maestrini. Contributo alla conoscenza degli enzimi. II: La proteasi e la lipasi dell’orzo germogliato (pres. /d.) . . .... Rd Bompiani, Osservazioni istopatulogiche sulla suesola del tifo cina et dal Socio Marchiafava) . ra COS ro Riano Sh A) Clementi. Sulla fonsiolie di secrezione i restauratrice della mucosa intestinale durante la digestione e l'assorbimento dei lipoidi (pres. dal Corrisp. Baglioni). . . . . .. » 409 È 416 422 426 429 484 ! 488 443. 449: 452 456 459 465 (Segue în tersa pagina) E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. “i % Pubblicazione bimensile. oa SUN IVES DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCHI ANNO CCCXVI. 1919 SihiRLITHr\\@U TIN'PLA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2A dicembre 1919. Volume XX VIII. — Fascicolo 12° e Indice del volume. 2° SEMESTRE. ROMA . TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DSL DOTT. PIO BEFANI 1919 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col I. Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano ‘una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: . 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 9 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a pagine 4!/a. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca» demia; tuttavia se 1 Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota ner iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indî- cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. = 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 80.se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. __T_TT_TwKCY]Z]JT wrFr'ilflC{f©--- Seduta del 21 dicembre 1919. F. D'Ovipro, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Geologia. — tonico e Cretacico nell'isola di Capri: revisione dei fossili dei calcari coralligeni. Nota del Socio 0. F. PARONA. Nel 1905 riassumevo una mia contribuzione alla fauna dei calcari di Capri [ Rend. Lincei, XIX (1°), pag. 69] con queste parole: « Allo stato attuale delle nostre cognizioni, mentre dobbiamo riconoscere la presenza di fossili di tipo titonico, dobbiamo inoltre ritenere, se non accertato, probabile assai, anche per quanto abbiamo detto sui rapporti fra il Titonico superiore ed il Neocomiano, che in parte la serie dei calcari con ellipsactinidi di Capri sia realmente titonica ». In seguito i professori Do Angelis e Airaghi estesero lo studio pa- leontologico, rispettivamente, ai corallarî ed agli echinodermi, illustrando un insieme di forme prevalentemente infracretaciche; e più tardi i pro- fessori De Lorenzo e Rovereto trattarono e discussero le questioni tectoniche. Al Rovereto poi e al prof. Bellini dobbiamo interessanti notizie sui giaci- menti fossiliferi e sui rapporti loro e successione stratigrafica (1). (1) C. Airaghi, Echinod. infracret. dell'is. di Capri, Riv. ital. di paleont., XI, 1905; G. De Angelis d’Ossat, / coralli del calc. di Venassino (is. di Capri), Mem. R. Acc. sc. Napoli, XII, 1905; G. Rovereto, L'i3. di Capri (stud. di geomorfol., VII), Genova, 1908; G. De Lorenzo, L'isola di Capri, Rend. R. Acc. Lincei, 1907. XVI; R. Bellini, Stud. sint. sulla geol. dell'is. di Capri, Atti soc. ital. sc. nat., Milano, LV, 1916. RenpICcONTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sem. 61 i — 474 — La Nota del Bellini, che è la più recente e riassuntiva per la tratta- zione della cronologia dei' calcari di Capri, prospetta come segue le cono- scenze attuali e le deduzioni che se ne possono trarre: « O nel calcare di Capri è compreso anche il piano titonico, essendo questo collegato al superiore (Parona); o s’accetta l’idea del Di Stefano sulla derivazione dei calcari urgoniani di Capri da preesistenti titonici (immis- sione di rimaneggiati fossili titonici in calcari sicuramente cretacei, secondo l'espressione del De Lorenzo); o si ammette che le specie titoniche, neoco- miane ed urgoniane abbiano avuto una persistenza maggiore di quella gene- ralmente ammessa (Rovereto) ». Il dubbio sulla reale esistenza di banchi effettivamente titonici alle base della massa dei calcari di Capri non è dunque finora risolto; è però io ritengo opportuno di riprendere in esame la questione, colla scorta dei risultati ottenuti dallo studio dei numerosi fossili, che si raccolsero in questi ultimi anni. La revisione della fauna di Capri mi fu possibile coll’esame della ricca collezione del museo geologico universitario di Napoli, cortesemente favori- tami in esame per consenso del senatore prof. De Lorenzo e per interessa- mento del prof. G. D’Erasmo. È formata da materiali raccolti in piccola parte dal Karsten, dall’Oppenkeim e dal Bassani e per grandissima parte dal sig. dott. I. Cerio, che la donò al museo, aggiungendo così nuova e se- gnalata benemereuza alle altre già acquistate verso la scienza colle appas- sionate sue ricerche nell'Isola. Altri materiali pregevoli io ebbi dallo stesso dott. Cerio e dai colleghi Rovereto e Bellini: a tutti questi signori esprimo la più viva riconoscenza ('). Presento subito gli elenchi delle forme riconosciute, ripartendole nelle divisioni stratigrafiche alle quali appartengono cronologicamente; e, perchè: si veda a colpo d'occhio l'entità di questo nuovo contributo alla paleontologia caprense, scrivo in corsivo i soli nomi delle forme, l’esistenza delle quali già era stata segnalata per i calcari di Capri. Dal confronto fra le faune succes- sìve risalta ad evidenza la prevalenza del Neogiurassico, costituente una ricca complessa omogenea fauna schiettamente titoniana, che toglie ogni dubbio (*) Non pochi fossili di questa collezione restano indeterminati, perchè troppo mal- conservati, o perchè non riferibili a specie a me note, probabilmente nuove, ad ogni modo attribuibili a generi con significato non caratteristico nel riguardo cronologico. Molti di questi fossili sono provenienti da Venassino, altri da Capo di Sopra, qualcuno da Scoglio di Faro; di molti non è indicato il punto preciso di provenienza. Queste indicazioni non dànno per altro elementi utili per l'attribuzione dei giacimenti all’uno o all’altro li- vello stratigrafico. Ne maggior profitto ebbi, a questo proposito, dalle rinnovate ricerche sui foraminiferi: oltre alle ooliti a miliolidi, posso segnalarne altre nelle quali invece si presentano abbondanti le textularie. Così resta incerto se la Linoporella capriotica (Opp.), non rara specialmente nel calcare brecciato, spetti al Titonico piuttosto che al Cretacico, o se, come parmi più probabile, sia comune al Titonico e agli orizzonti urgoniani. — 475 —— sulla reale esistenza in Capri di strati di età titoniana. Certe forme sono di costituzione troppo delicata e di conservazione troppo difficile perchè si possa supporce che si trovino nel calcare infracretacico come fossili rimestati, pur non escludendo che altri più resistenti abbiano subìto questa sorte e pur ammettendo che qualche forma titoniana sia sopravvissuta nel più antico Cretacico. Tironico. — Prosopon oxythyreiforme Gemm.; Galathea entecta Moe- ricke; Palaeastacus sp.?; Eryma sp. Perisphinetes colubrinus (Reinecke); Phylloceras ptychoicum (Quenst.); Nautilus sp. (cfr. N. siculus Gemm.). Acteonima amygdaloides Zitt., Act. utriculum Gemm., Act. Picteti Gemm.; Purpuroidea striata Zitt., Purp. Tschani (Oost.) Gemm., Purp. Lapierrea (Buv.) Gemm.; Bachytrema superba Zitt.; Petersia nebrodensis Gemm., Pet. costata Gemm., Pet. vitrix (Zitt.); Cypraea Gemmellaroi Di Stef., Cypr. tithonica Di Stef.; Alaria porrecta Zitt; Cerithium cochleoides Zitt., Cer. Suessi Gemm., Cer. Zeuschneri Gemm., Cer. euracense M. Gemm., Cer. forojuliense Pirona, Cer. (Ditretus) nodoso-striatum Peters, Cer. (Ditr.) pagoda Zitt., Cer. (Ne- rineopsis?) climax Zitt., Cer. (Terebrella) involvens Zitt.; Cerithiella brevis Zitt.; Nerinea Vosinskiana Zeuschn., Ner. bicostata Gemm., Ner. Lorioli Zitt., Ner. affinis Gemm., Ner. Zeuschneri Peters, Ner. Mojsisovichsi Gemm.?, Ner. (Endiatrachelus) subcylindrica d'Orb.; Ptygmatis carpatica (Zeuschn.), Ptygm. baculiformis (Gemm.), Pt. excavata (Gemm.), Pt. quinqueplicata (Gemm.), Pi. Schloenbachi (Gemm.), Pt. Clio (d'Orb.); Nerinella Taramellii (Pirona); Aptyxiella inornata (d'Orb.)?; Itieria Cabanetiana (d’Orb.); Phaneroptyxis Renevieri (de Loriol), Ph. Morgana (d’Orb.), Ph. obtusiceps (Zitt.), Ph. Ca- tulloi (Gemm.), Ph. decipiens (Pir.), Ph. melanioides (Zitt.); Criptoplocus pyramidalis (Miinst.) (C. pachyptyca Cossm.), Cr. (?) Zitteli Gemm.; Rissoina amoena Zitt.?; Purpurina incrassata Zitt.; Turritella tithonica Gemm.?; Pi- leolus minutus Zitt., Pil. siculus Gemm., Pil. imbricatus Gemm., Pil. granulatus Gemm., Pil. aequicostatus Gemm. (Di Stef.), Pil. problematicus (Zitt.) (non Patella), Pil. politus Gemm. (Di Stef.); Nerita sulcatina Buv. (Gemm.), Ner. Spadae Gemm.; Trochus (Calliostoma) elymum M. Gemm., Tr. (Call.) Massalongoi Gemm., Tr. (Tectus) fraternus Zitt., Tr. (Tect.) cras- siplicatus Etall., Tr. (Tect.) Beyrichi Zitt., Tr. cfr. daedalus d’Orb. (De Loriol); Turbo Bonjuri Etall.?, Turb. (Sarmaticus) stephanophorus Zitt.; Di- tremaria granulifera Zitt.?, Ditr. gracilis Zitt.; Scuria oxyconus Zitt. Diceras arietinum Lmk., Dic. (Heterodic.) Zuci Defr., Dic. (Plesiod.) valfinense Boehm.; Matheronia (Monnieria) Romani Paquier?; Astarte Da- mesi Boehm.?; Pecten Nebrodensis Gemm. et Di Blas., Pect. anastomoplicus Gemm. et Di Blas., Pect. Catulloi Gemm. et Di Blas., Pect. tithonius Gemm. et Di Blas.; Ostrea (Alectryonia) rostellaris Miinst. — 476 — Rhynchonella capillata Zitt.; Terebratula moravica Glock., Ter. pseudo- lagenalis Mòsch., Ter. pseudobisuffurcinata Gemm. Holectrpus corallinus d'Orb.; Cidaris glandifera Goldf., Cid. carinifera Agass., Cid. cfr. Bononiensis Wright, Cid. (Pseudocid.) tithonia Gemm., Cid. (Pseudocid.) dicosma Gemm., Cid. (Diplocid.) gigantea (Ag.) Des.; Pseudo- saccocoma Strambergense Rem. Heterocoenia verrucosa Koby; Pleurosmilia crassa Milasch.; Montli- vaultia obconica (Miinst.), Montl. crassisepta From.; Trochoseris corallina From. (1). INFRACRETACICO. — Phylloceras infundibulum (d'Orb.); Haploceras (Lissoceras) Gras: (d’Orb.). Nerinea gigantea d' H. F., Ner. Coquandiana d'Orb. Sphaera corrugata Sow ; Toucasia carinata Math.; Requienia am- monia (Goldf.); Ethra Munieri Math.; Pachytraga paradoxa Pit. et C.; Monopleura varians Math., Mon. imbricata Math., Mon. michaillensis Pict. et C.; Offneria rhodanica Paquier; Horiopleura Almerae Paquier; Valletta Tombecki Mun. Ch.; Zithodomus avellana d'Orb. (?). Terebratula moutoniana d'Orb., Ter. acuta Quenst. Cidaris Lardyi Des., Cid. muricata Roem., Cid. (Pseudocid.) clunifera (Agass), Cid. (Pseudoc.) crispicans De Lor.; Salenia prestensis Desor. Thamnastraea cfr. Favrei Koby; Dimorphastraea Lorioli Koby; Hydno- phora crassa From., Hydn. Pieteti Koby; Eugyra interrupta From., Eug. Cotteaui From., Eug. digitata Koby, Eug. pusilla Koby (var.); Cryptocenia (1) E nota l'abbondanza delle ellipsactinidi nei calcari di Capri : il Canavari (/droz. titon. della reg. medit. appart. alla fam. delle Ellipsactinidi, Mem. descr. carta geol. d’It., R. C. G., IV, Roma, 1892), riconobbe 5 specie di ellipsactinie e 1 sferactinia (ZI. ellipsoidea Steinm., £. tyrrhenica Can., E. micropora Can., E. caprense Can., E. ramosa Can., Sphaeractinia Steinmanni Can.) attribuendole tutte al titonico. Ritengo proba- bile che esse non siano esclusive dei calcari titoniani e che ne esistano anche nei calcari più recenti; ma non ho dati sicuri per affermarlo. Ebbi in esame upa trentina di cam- pioni di calcari contenenti esemplari di ellipsactinidi, ma in nessuno di essi riscontrai associazioni con altri elementi che potessero illuminarmi al riguardo. Con questo esame mi fu possibile d'altra parte di assicurarmi che idrozzari di altri generi accompagnano le ellipsactinidi. (®) Le recenti monografie sulle faune a /acies urgoniana (V. Paquier, Les rudistes urgon., Mém. S. g. d. Fr., Paléont., I, vol. XI, 1903; II, vol. XIII, 1905; M. Cossmann, Le Barrem. supér. è facies urgon. de Brouzet-Les-Alais (Gard), ibid., I, vol. XV, 1907; II (P. de Brun, C. Chatelet et M. Cossmann) ibid., vol. XXI, 1916; III (H. Douvillé) ibid., vol. XXII, 1918; M. Cossmann, Zes coquilles des calcaires d'Orgon, Bull. S. g. d. Fr., vol. XVI, 1916) mi furono assai utili per lo studio delle rudiste quanto per lo studio dei gasteropodi titoniani ed urgoniani di Capri, perchè i confronti di controllo per sceverare i gasteropodi dei due piani riuscirono più sicuri; ed è da notare a questo riguardo che le affinità fra la fauna a gasteropodi del Neogiurassico e dell’ Infracretacico sono nel gaso nostro altra causa di difficoltà nello studio. — 477 — Picteti Koby; Enallohelia Rathieri d'Orb.; Pleurosmilia neocomiensis From. (1). SoPRACRETACICcO. — Cesomaniano: Nerinea cfr. forojuliensis Pir.: Ca- prinula Boissyi d'Orb.; Monopleura forojuliensis Pir.; Himeraelites obliquatus (Di Stef.) Par., Himer. frontonis Par.; Caprotina (Sellaea) Zitteli Di Stef. Turoniano-senoniano: Plagioptychus Aguilloni (*) (d’Orb.) (turon.); Distefanella Bassanii Par. (turon.); Caprina communis Gemm. (senon.); Praeradiolites sp.?; Radiolites sp. (gruppo del R. angeiodes P. d. L.); Hyp- purites sp. (piccolissima valva inferiore di ippuritide, assai erosa sui fianchi: merita d’essere segnalata come altro documento che attesta la presenza di orizzonti del Cretacico superiore, e perchè si tratta di una forma conico- compressa, rapidamente crescente sulla base appuntita, con tre pieghe sup- plementari assai pronunciate, oltre alla legamentare ed ai due pilastri, così da ricordare la forma distinta da Futterer come £:hippurites plicatus, e spettante verisilmente al gen. Bazolites, per le affinità col Bat. tirolicus Douv. in quanto dipendono dalle pieghe supplementari); Glyphephyllia? (cfr. G. Dumortieri From. del Turon.). Fra le 106 forme componenti la fauna titoniana, sono numerose quelle comuni colla tipica fauna (a gasteropodi) di Stramberg; quante bastano per dimostrare sicuramente il sincronismo e la corrispondenza di facies. Parti- colarmente interessante è la evidente e stretta affinità col Titonico siciliano (*), del quale il calcare di Capri ripresenta gli elementi faunistici più caratte- ristici, per modo che la fauna di Capri, si può asserire, è quella stessa della Sicilia. Notevoli sono pure le corrispondenze con la fauna titoniana del Monte Cavallo in Friuli e della costa occidentale della Sardegna, più che con quella a brachiopodi e corallarî di Argentera (Stura di Cuneo): tutti depositi cal- carei a factes neritica, insulare o di costiera al geosinclinale titoniano medi- (1) L’Airaghi e il De Angelis (Mem. cit.) hanno descritto parecchie nuove forme dei calcari di Capri, attribuendole all’ Infracretacico; fra gli echinodermi, Hemicidaris ca- prensis, Rabdocidaris Cerioi;, fra i corallarii, Chaetetes Capri, Amphiastraea Waltheri, Aulastraeu Bassanii, Hydnopora Oppenheimi, Stylina Paronai, St. Steinmanni, Acan- thocoenia Cerioi, Dendrogyra Kobyi, Cyathophora De Lorenzoi, Pleurosmilia Di Stejanoi. (*) La sezione del frammento di gusci» (Capri), figurata e attribuita da Oppenheim (1889) al gen. Plagioptychus, appartiene invece con ogni probabilità alla Caprinula Boissyi del Cenomaniano, come mi risulta dall’esame fattone. (3) G. G. Gemmellaro, Stud. paleont. s. fauna del cale. a Ter. janitor del N. di Sicilia, Palermo, 1868-76; G. Di Stefano, Nuovi gaster. titon., Natur. sic., I, Palermo, 1882; id, Sopra altri foss. del Titon. inf. di Sicilia, Giorn. sc. nat. ed econ., Palermo, XVI, 1883; M. Gemmellaro, Nuove osservaz. paleont. sul Tit. inf. della prov. di Palermo, Palermo, 1909; id., Sopra un crinoide (Pseudosaccocoma Strambergense Rem.) del Titon. inf. e dell Urgon. della prov. di Palermo, Riv. it. di paleont., XXIV, 1919. — 478 — terraneo, come lo sono anche quelli del Gargàno e di Parenzo (Istria) (*). Nè sono da tacere le relazioni colla fauna di Calascio in Abruzzo (*), che per le incertezze riguardo alla sua giacitura, se cioè originaria oppure rime- stata nella zona cretacica, fu oggetto di discussione simile a questa, durata per tanto tempo, a proposito della fauna di Capri, ora qui nuovamente con- ‘siderata. È poi da ricordare il rinvenimento, nella valle del Sagittario, di calcari bianchi con Plerocardium corallinum e Diceras come altro non trascurabile indizio dello sviluppo del Neogiurassico coralligeno in Abruzzo (5). Il Rovereto ha rilevato una sezione attraverso la parte orientale del- l'isola di Capri (pag. 244, fig. 51), da Cala Caterola a Grotta Bianca, in corrispondenza dei più importanti affioramenti fossiliferi di Venassino e Capo di Sopra, attribuendo tutta la massa, in regolare piega non fratturata, dei calcari di costiera mesozoici, all’ Urgoniano. Ora, per logica deduzione dai risultati della revisione dei fossili, resta confermata l'età urgoniana dei cal- cari a rudiste di Capo di Sopra, mentre ne deriva che nella massa che sezue a sud a Venassino, interposta fra la serie a rudiste e quella dei cal- cari a struttura cristallina con ellipsactinidi, devesi far posto al Neogiurassico a factes titoniana. Se non che è noto il contrasto di idee sulla struttura dell'isola fra Rovereto e De Lorenzo, il quale ammette (pag. 855) una serie di fratture con rigetti dirette da sud-ovest a nord-est ed un'altra serie diretta da nord- ovest a sud-est limitanti le due grandi masse calcaree della parte orientale ed occidentale dell’isola, a loro volta frammentate in altri blocchi minori, come il Salto di Tiberio ecc., che però tutti conservano uniformemente la generale inclinazione degli strati verso nord-ovest, al pari della massa frat- turata della penisola di Sorrento, con cui sono geneticamente congiunti. Di- mostrata ormai la reale esistenza di calcari d'età titoniana in Capri, riuscirà forse meno difficile di verificare i loro rapporti con quelli infracretacici, ap- punto sulle traccie delle fratture con rigetti. E penso che i rapporti non siano qui molto diversi da quelli della serie sincrona e simile giura-creta- cica nel ricordato M. Cavallo in Friuli, nonchè della suna prosecuzione nelle (*) G. A. Pirona, Sulla fauna foss. giur. del M. Cavallo in Friuli, Mem. R. Ist. ven. sc., XX, 1878 (carta e prof. geol. del Taramelli); A. Portis, Sui terr. stratific. di Argentera, Mem. R. Ace. sc. Torino, XXXIV, 1881; K. Deninger, Die mesozoisch. Format. auf Sardinien, N. Jahrb. f. M. G. nu. P., XXIII BB., 1907: C. F. Parona, Affioram. di Titonico con Diceras Luci presso Parenzo in Istria, Rend. R. Acc. Lincei, XXI, 1912. (*) C. F. Parona, Nuovi dati paleont. sui terr. mesoz. dell'Abruzzo, Boll. R. Com. geol., Roma, 1908, P. L. Prever, Coralli giurass. del Gran Sasso d'Italia, Atti R. Ace. Torino, XLIV, 1909. (*) P. Zuffardi, Escursione alle gole del Sagittario e a Scanno, Boll. Soc. geol. ital., XXXII, .1913, pag. cxxnt. spal lf — 4799 — vicinanze di Gorizia, secondo il profilo del Kossmatt attraverso l’ Isonzo, dal Sabotino al M. Santo (*). Riguardo al Titonico non ripeterò le considerazioni d’ordine generale esposte nella mia Nota precedente (1905), notando per altro che i nuovi risultati ottenuti colla revisione presente confermano l’attribuzione a questo livello ed a questa età di parte dei calcari di Capri: attribuzione accolta nel mio Trattato di Geologia (1903, pp. 505 e 509). Ai fossili già citati nella precedente Nota (1905) a dimostrazione della presenza dell’Infracretacico nella serie dei calcari di Capri, altri ora ne aggiungo che l'attestano sempre meglio. Non è ancora il caso di precisare la ripartizione di questi fossili nei successivi orizzonti della parte inferiore del Cretacico: mi basta di far rilevare come qui sia tipica la /aczes urgo- niana, e di confermare quanto già dissi altrove rispetto a questi fossili accen- nanti ai livelli neocomiani, barremiani, aptiani (°). La fauna non è certo ricca, specialmente al confronto con quella titoniana; ma questo di Capri è tuttavia il giacimento italiano di età a faczes urgoniana più tipicamente rappresentativo e si può dire unico nel riguardo paleontologico. Per il Sopracretacico. ed in particolare per il Cenomaniano, ricordo che già Bassani e D'Erasmo hanno notato che calcari litologicamente identici a quelli ittiolitiferi di Capo d'Orlando si trovano in Capri nella regione Mi- gliora fra Torre della Guardia e il Cocuzzo e presso la cima del M. Solaro ed altrove (*). Ora i pochi fossili sopracitati dimostrano la presenza di questo sottopiano nella serie, ma colla /aczes caratteristica dei giacimenti di Ter- mini Imerese in Sicilia e dei Monti d'Ocre nell’Abruzzo aquilano. Sono pochi anche i fossili del nostro elenco, spettanti al Turoniano e al Senoniano; importanti tuttavia, perchè confermano l’esistenza e sviluppo delle divisioni superiori del Cretacico, d'altronde note fin dal 1886, da quando il Walther affermò che dei resti di rudiste (Sphaerulites, Radiolites) si tro- vano in tutti i punti dell’isola di Capri (*). (‘) F. Kossmatt. Der Atstenlindischen Hochkarst und seine tektonische Stellung. Verh. k. k. geol. R. A. Wien, 1909, pag. 80, fig. 1. (*) C. F. Parona, La fauna corallig. del Cret. dei M. d’Ocre nell'Abruzzo, Mem. p. serv. alle descr. d. carta gcol. d’Italia, V, 1909, pag. 39; id., Prospetto delle varie facies e loro success. nei calc. a rudiste dell’Apenn., Boll. Soc. geol., ital., XXXVII, 1918. (*) F. Bassani e G. D’Erasmo, Za ittiofauna del cale. cretacico di Capo d'Orlando pr. Castellamare (Napoli). Mem. Soc. ital. dei XL, tom. XVII, 1912, pag. 25, nota 5. (4) J. Walther, / vulcani sottomarini del golfo di Napoli, Boll. R. Com. geol., XVII, 1886, pag. 364. — 480 — Paleontologia. — Zsempi notevoli di icoliti. Nota del Corri- spondente A. IssEL. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Fisica. — Sulla gravitazione. Nota V del Corrisp. Q. Maso- RANA. Piano di ricerca del fattore h. — Le conclusioni a cui sono giunto nelle precedenti Note, si basano sulla ipotesi del fenomeno dell’assorbimento della forza gravitazionale, operato per parte della materia ponderabile; ciò corrisponde al fatto che il fattore % abbia un valore differente da zero ed apprezzabile. Se ora fosse dimostrata l’esistenza di fatti, o fosse possibile la formulazione di teorie capaci di lasciar concludere che effettivamente, nel sole, un fenomeno del genere si verifica, si potrebbe cercare di determinare la densità vera di questo astro, e quindi la costante di smorzamento A. Ma non sembra che questo sia il caso; almeno sino ad oggi; per cui, volendo verificare l'attendibilità delle formulate ipotesi, non resta che la ricerca di laboratorio; l'indirizzo di questa può essere facilitato dai risultati numerici a cuì sono precedentemente pervenuto. Vediamo intanto quale sia il significato fisico della grandezza 4. Suppo- niamo che si abbia una certa massa puntiforme #; il suo flusso di azione gravitazionale è, per quanto si è visto, f= km. Se ora supponiamo di porre la stessa massa al centro di una sfera di raggio 7 e di densità v, il flusso totale emergente od apparente allo esterno, sarà, per le fatte ipotesi, fa= med, Corrispondentemente, la massa vera e quella apparente staranno nel rapporto (19) SERI 100, —_ Mete Da tali considerazioni si potrebbe partire, nello immaginare una oppor- tuna esperienza per la ricerca di %. Si potrebbe operare così: si determini il valore di una piccola massa, prima isolata, e poi circondata da altra massa, sd - 481 — possibilmente di forma sferica col centro nella prima; tali determinazioni debbono essere fatte studiando l’azione newtoniana. Le misure di questi due valori corrisponderebbero alla determinazione delle grandezze ma ed my, della (19). Nel realizzare una tale esperienza, si deve scegliere la massa circondante la piccola massa m, in guisa che essa abbia la maggiore den- sità possibile e, nello stesso tempo, che soddisfi a criterî di costo non ecces- sivo, e di facile maneggio. Per cui, si deve preferire il mercurio od il piombo, le cui densità sono 13,50 ed 11,34. Il raggio della sfera circondante la piccola massa m, sarà dell'ordine di una diecina di centimetri, o, nell'ipotesi di esperienze più grandiose, di qualche metro: in ogni modo, di un ordine di grandezza assolutamente di!fe- rente da quello del raggio solare (6.95 .10'° cm.). Il prodotto 497, ammettendo per 4 un valore massimo di 107!', risul- terebbe dell'ordine di 10-° circa. Se questo fosse il caso, sarebbe lecito di scrivere la (19), più semplicemente, sviluppando in serie il secondo membro e trascurando i termini di grado superiore al primo, Ma=M(1—- hr). Cioè la massa m subirebbe una diminuzione e, per il fatto di essere cirdondata dal mantello di densità 4 e di spessore 7, data da (20) E MT, dalla quale si dedurrebbe il valore di /: E mydr = La (20) ci dice che, supposto il prodotto 44” dell'ordine di grandezza di 10-°, quello di s rimane fissato per la scelta di 7,. Se questa fosse di lgrammo, occorrebbe, con la progettata disposizione, apprezzare 107° grammi, cioè un milionesimo di milligrammo: il che sarebbe forse assai difficile. Adope- rando invece una massa dell'ordine del chilogrammo, la variazione « sarebbe dell'ordine dei millesimi di milligrammo: è questo il caso delle esperienze da me eseguite, e che ora comincerò a descrivere. Considerazioni preliminari sul problema sperimentale. — Sì è visto che tale problema consiste nel verificare se una piccola massa m, cambi di valore quando vien circondata da altra massa di forma sferica che chiamo M, disposta col centro sulla prima. Le condizioni sperimentali generali, che su- bito si intravedono, sono le seguenti: 1°) Evitare qualsiasi contatto o perturbazione reciproca fra m ed M; infatti, qualunque sia il metodo di determinazione di #m o delle sue varia- zioni, occorre che questa possa liberamente spostarsi (anche solo di pochis- RenDpICONTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sem. 62 — 482 — simo) nell'interno di M; per cui fra m ed M deve esistere una adeguata intercapedine. 2°) La massa M dovrebbe essere di forma sferica, con cavità centrale per allogarvi la massa wm. Ora, ciò sarebbe facile a reàlizzarsi se si trattasse di un corpo solido (p. es. piombo); ma volendo adoperare del mercurio, corpo che presenta il vantaggio di una densità alquanto maggiore e di maneggio più semplice e tranquillo, potendo finire attraverso tubi opportuni, è preferi- bile di adottare la forma cilindrica retta e a base circolare, di altezza all’in- circa uguale al diametro. 3°) La massa M deve essere in posizione tale, che le sue azioni newto- niane elementari su m si annullino esattamente; per cui occorre adoperare speciali disposizioni, atte ad eseguire i controlli del caso. 4°) Basterà fissare con piccola approssimazione il valore di 72, purchè poi si determinino con estrema precisione le sue eventuali variazioni di peso, per la presenza e per l'assenza di M; e cioè in guisa da poter raggiungere una approssimazione minima sull’unità di peso. e per unità di spessore del mantello e di unità di densità di questo. di circa 10-!2, come si è detto. 5°) È da scartarsi, per la determinazione di m e delle sue eventuali variazioni, il metodo della bilancia di Cavendish, che, per quanto perfezio- nato, non lascia sperare di raggiungere precisione superiore a 1073 o 1074. Ci si deve meglio servire della gravità terrestre, che genera sulle masse forze assai più notevoli; le variazioni assolute di queste saranno perciò assai mag- giori, e quindi più facilmente constatabili. Ora, il metodo più opportuno per apprezzare tali forze è quello della bilancia; un dinamometro, salvo quanto sarà detto, non offre garanzie sufficienti di sensibilità; ancora meno sensibile sarebbe un metodo fondato sulla osservazione di oscillazioni péen- dolari. 6°) Il giogo della bilancia deve sostenere la massa m da un lato, ed una massa 72, identica ad 7, dall’altro, quale contrappeso: l'influenza di M su 22’ deve essere presa in considerazione, nel calcolo delle osservazioni. 7°) Le posizioni di equilibrio della bilancia debbono essere determi- nate con specchio, raggio luminoso e scala verticale. Non è consigliabile lo studio di un apparecchio fondato sulla osservazione di frangie di interfe- renza: forse ciò potrebbe convenire in una disposizione dinamometrica; ma non ho, sinora. elementi per dir ciò con sicurezza. Si deve spingere al mas- simo la sensibilità della bilancia, sia con la opportuna conformazione del suo giogo, sia accrescendo la distanza della scala da essa. 8°) Il valore della sensibilità da raggiungere è, come si è detto, dell'ordine di 10-9, cioè 1 millesimo di mgr., su di 1 kgr., limite che ri- tengo non sia stato mai raggiunto nell'uso della bilancia. Intravisti così i criterî generali della progettata esperienza, cominciai, — 4839 — nell’ottobre 1918, a concretarne i particolari. La bilancia adoperata è una Rueprecht in ottime condizioni, con una lunghezza di giogo di 26 cm., della portata di circa 1 kgr. Le masse m ed m', scelte, sono due sfere di piombo del diametro di 60 mm., con un foro diametrale di 5 mm. di diametro, de- stinato a ricevere un cilindro di ottone per la sospensione delle sfere ai bracci della bilancia. Esse, come mi sono assicurato con la misura della loro densità, non hanno falle interiori. La quantità di mercurio, di cui posso disporre per la detta esperienza, è di circa 115 kgr.; di essi, 104 sono de- stinati a fluire in un apposito vaso cilindrico di legno, a pareti robuste, nel cui centro si trova l'involucro sferico racchiudente la sfera di piombo m; questa è sospesa alla bilancia mediante un sottil filo di ottone, protetto da un tubo di vetro. Tale è, in linea assai sommaria, la disposizione da me adottata. In una prima forma la realizzai nel dicembre 1918; ma successivamente dovetti perfezionarla, tanto che i primi esperimenti, che sembrarono darmi risultati positivi, non furono ottenuti che qualche mese dopo. Un perfezionamento assolutamente necessario, e sulla cui utilità non insisterei mai abbastanza, è stato quello di togliere completamente l’aria a contatto col giogo della bilancia e con le sfere # ed 72"; della opportunità di tale artificio (che come, sì comprende, rende assai più complicata tutta la disposizione) mi accorsi subito dopo i primi tentativi di osservazione del fenomeno. Infatti, non appena ebbi montato l'apparecchio per la prima volta, quando cioè non avevo ancora praticato il vuoto intorno all’equipaggio mobile, mi accorsi che l’affluire od il defluire del mercurio intorno ad #2, faceva subire alla posizione di equi- librio della bilancia, spostamenti assolutamente ivregolari, tanto per gran- dezza, quanto per segno. Dopo qualche tentativo riconobbi che il fatto era do- vuto a squilibrî di temperatura fra il mercurio e la sfera #1. È bene di rendersi preciso conto di una perturbazione di tale genere. Supponiamo che il mercurio, lasciato per un tempo sufficiente intorno ad 72, abbia finito per assumere esattamente la temperatura di questa sfera; e ciò a traverso l'involucro di protezione di 72, e l'aria contenutavi. Si pro- ceda ora all'allontanamento del mercurio, costringendolo a passare a traverso tubi ed a recarsi in serbatoi di temperatura, che difficilmente sarà uguale a quella della sfera #2; questa operazione può assai facilmente indurre nel mercurio variazioni di temperatura, anche dell'ordine di qualche decimo di grado. Quando il mercurio, in una fase successiva, sarà ritornato intorno alla sfera, esso potrà trasmettere quelle variazioni all'aria circondante questa; da ciò ne conseguono variazioni nella spinta idrostatica, non compensate, in generale, da un fenomeno analogo salla sfera 7, che è necessariamente lontana dal mercurio. Essendo di cm. 3 il raggio della sfera #, la misura di quella variazione, per 1° centigrado e nelle condizioni ordinarie di pres- — 484 — sione e di temperatura, sarà 4900.0013 3 2738 8" 0,09054 ; cioè di più di '/, mgr. Anche ammettendo la variazione di solo un cente- simo di grado, la variazione di spinta sarebbe di cinque millesimi di milli- grammo, cioè superiore all'ordine di grandezza del fenomeno ricercato. Il rimedio radicale contro tale inconveniente è di eliminare del tutto la spinta intorno all’equipaggio mobile, comprese le sfere 7 ed 7’; ed è quello da me adottato nella disposizione che ora descriverò. Descrizione della disposizione sperimentale. — Come si è detto, la bi- lancia adoperata è una Rueprecht, con giogo di 26 cm. e della portata di 1 kgr. Dovendola far funzionare nel vuoto, sarebbe stato difficile realiz- zare una custodia delle stesse dimensioni di quella fornita dal costruttore, capace di sostenere la pressione atmosferica esterna; notisi che la custodia deve in ogni modo permettere le manovre e le osservazioni necessarie nel corso delle esperienze, dal suo esterno. Per cui risolsi di costruire una cu- stodia di metallo sagomato, delle minime dimensioni possibili, che potesse resistere a quella pressione. Tale custodia consiste in una scatola a forma di T (fig. 4), che rac- chiude il giogo colla sua colonna di sostegno, tolto dalla sua protezione originale e sfornito di piattelli, senza altra modificazione. Essa ha le pareti costituite di lamine di ottone spesso 5 mm. e, di queste, l'anteriore è smon- tabile a mo’ di coperchio, fissabile al corpo della scatola con una quarantina di viti, disposte lungo il suo bordo. Sotto al coltello di destra del giogo si protende verso il basso, fissato alla scatola, un tubo D di vetro, sino a raggiungere il recipiente col mercurio U. Lungo l'asse di D sì trova un filo di ottone di 0,3 mm. di diametro, che serve a fissare al detto coltello, la sfera di piombo m. Sotto al coltello di sinistra è praticata un'apertura, che con- nette la scatola con un recipiente cilindrico, destinato a contenere la sfera di contrappeso 7; questo recipiente ha, dal basso, un coperchio orizzontale smontabile, per modo che è possibile di regolare i pesi F, per l'equilibrio della bilancia. Un tubo di vetro, che circonda i pesi F, permette di sorvegliarne le oscillazioni nelle operazioni preparatorie. Sul giogo, nel suo punto di mezzo, è stata adattata un’asticina rigida, portante uno specchietto S, sul quale arriva un raggio di luce a traverso il vetro spesso A, sostenuto da apposita armatura. Il giogo può essere liberato od alzato, mediante il congegno fornito dal suo costruttore; ma la chiave di comando G, di tale congegno, passa col suo gambo di 7 mm. a traverso un premistoppa di cuoio ben compresso, su cui si adagia del mercurio, per assicurarne la perfetta tenuta all’aria. Tale VI ILL LU — 485 — 44, 74 UU) = My Le Fio. 4. Ò = 486 — meccanismo, che non si vede nella figura, è del tutto analogo a quello rea- lizzato per lo spostamento del cavalierino e che vedesi in figura, in B. Il braccio C di comando del detto cavalierino può ruotare o spostarsi longitu- dinalmente. Quando la bilancia è completamente chiusa, cinque finestre circolari, come I, fornite di vetri spessi, permettono di esaminare dallo esterno la posizione del giogo, ed eventualmente di portare in posizione opportuna il cavalierino mediante la manovra di C. Una sesta finestra più bassa, H, per- mette di controllare la posizione dell'indice verticale del giogo sulla scala a lettura diretta. Tutta la bilancia, colla sua custodia, è portata da -una mensola L di marmo fissata al muro, in una stanza a pianterreno del laboratorio di fisica del Politecnico di Torino. La mensola è situata all'altezza di circa 80 cm. dal pavimento, ed ha un foro per lasciare passare il tubo D. Un attacco speciale, che non si vede in figura, connette l'ambiente della bilancia con una pompa rotativa a mercurio Gaede, fornita della pompa preparatoria a capsula. Dato il grande sviluppo del contorno del coperchio smontabile della custodia della bilancia, si è incontrata una grande difficoltà per ottenere una perfetta tenuta di vuoto: guarnizioni di cuoio, di gomma, grassi semisolidi, sì sono addimostrati inadatti allo scopo. D'altro canto, non potevasi adottare l'uso di un mastice fusibile a caldo (anche solo 50° o .60°), giacchè si sa- rebbe dovuta scaldare tutta la custodia contenente la bilancia, col rischio di far sviluppare, ed indi depositare sul giogo, sostanze volatili o vapor acqueo. Dopo molti e laberiosi tentativi(!), sono riuscito a trovare il modo di ottenere una tenuta del vuoto, praticamente perfetta; e ciò mediante un mastice facilmente fusibile e dotato di un grande potere adesivo. Esso è costituito così: cera vergine 35, colofonia 35, caoutchoue 18, olio di vasel- lina 12. Tale mastice ricorda il grasso di Ramsay, ma è alquanto più denso; la proporzione di olio di vasellina può venire cambiata a seconda della tem- peratura dell'ambiente: di estate la si fa più piccola che non d'inverno. Col detto mastice si spalmano i bordi delle parti da fissare con viti, prima di connetterle, e poi si serrano queste. Servendosi poi di una fiamma e di altro mastice, si completa l'operazione, avvertendo di formare poco alla volta uno spessore di mastice di uno o due millimetri sulle connessure. Con ciò si raggiunge il risultato di una ottima tenuta, senza bisogno di scaldare pre- ventivamente la scatola della bilancia. Infatti, manovrando la pompa Gaede, si arriva facilmente a ridurre la pressione a solo qualche centesimo di mm. di mercurio; fermata la pompa, quella pressione risale lentamente, ma per arrestarsi, dopo circa 24 ore, a 7 od 8 decimi di mm.: questa tensione rap- presenta forse quella dei vapori del mastice adoperato. (1) Soltanto per aprire e richiudere la bilancia occorrono da 4 a 7 giorni. — 487 — Al disotto della mensola che sostiene la bilancia, e sul pavimento della stanza di esperimento, si trova il recipiente U, destinato a ricevere il mer- curio. Esso è stato così ottenuto: quattro robusti dischi di legno, di 82 cm. di diametro ed alti circa 7 cm., sono insieme fissati con viti e con colla, in guisa che le loro fibre sieno incrociate. Nel blocco, così ottenuto, si è indi praticata al tornio, un’ incassatura cilindrica di circa 22 cm. di diametro e profonda altrettanto. Per assicurare poi la tenuta al mercurio, le pareti interne del recipiente sono state foderate con sottile e robusta carta, accu- ratamente incollata. Il recipiente U è sostenuto sul pavimento da tre piedi cilindrici di ferro, come i due E che si vedono nella figura, e per tentativi le sue pareti sono rese esattamente verticali col porre qualche lastrina me- tallica sotto i detti piedi; per semplicità costruttiva e per maggiore robu- stezza della disposizione, non ho adoperato viti calanti. L'asse verticale del recipiente U coincide esattamente con la verticale condotta dal coltello destro della bilancia. Una volta agginstata la posizione di U, questo viene fissato al pavimento, annegando in algi into mastice duro le estremità inferiori dei suoi tre piedi. Il recipiente U porta sul suo asse verticale due tubi, R e T, di 12 mm. di diametro, di ottone, fissati rispettivamente a traverso il suo fondo e ad una sbarra di legno, aggiustata con due robuste viti, sulla sommità di U. I due subi Re T, che sono in prolungamento, si raccordano verso il centro di U, mediante una sfera cava a pareti sottili V, di ottone, di 79 mm. di dia- metro. Questa sfera è smontabile mediante una giuntura a viti, nel suo piano diametrale orizzontale. Nell'interno di V trovasi una seconda sfera cava pure di ottone, V', concentrica con la prima e di diametro alquanto più piccolo, cioè di 70 mm. Essa è connessa mediante una canna di ottone N, situata coassialmente con il tubo T, col tubo di vetro D che scende dalla custodia della bilancia. La sfera V' e la canna N non toccano in alcun punto il recipiente I e le parti con esso fissate, come T,V, R. Uno speciale congegno, non indicato in figura, permette, al fine di evitare guasti nell'ap- parecchio, di tissare insieme T con N, quando non si fanno esperienze. L'in- volucro V' è scomponibile, come V, in due calotte semisferiche, svitabili l'una dall'altra. Si può così rinchiudere nel suo interno, la sfera m che, come si è detto, resta appesa al giogo della bilancia. Il filo di sospensione di 7 porta un cilindretto Z, visibile all'esterno del tubo di vetro D, e che serve al controllo della posizione dì 2 rispetto al recipiente U. La disposizione descritta permette, volendo, di far circolare una corrente d'aria dal tubo R, a traverso l’intercapedine esistente fra i due involucri V e V' ed il tubo T; con ciò si può assicurare maggiormente la indipendenza termometrica fra V e V'. Ma tale artilicio è stato riconosciuto, nel corso delle esperienze, del tutto inutile. Il recipiente U è destinato a ricevere dal basso il mercurio. Questo gi liquido può affluire, aprendo un grosso rubinetto di ebanite, non segnato in figura, che connette U con sei serbatoi di due litri circa ciascuno, in vetro, posti in parallelo, a m. 2,50 di distanza orizzontale, e a m. 0,50 di altezza dal suolo. I sei serbatoi sono chiusi ermeticamente. e da essi può venire estratta l'aria; con ciò il mercurio viene aspirato dal recipiente U. Così, a volontà, si può automaticamente lasciare affluire quel liquido in U, od allontanarnelo. Il comando della posizione del mercurio, sia col rubinetto, sia con la pompa per l'aspirazione dell’aria dai sei serbatoi, vien fatto a 12 metri di distanza dalla bilancia, dove si trova anche il posto di osservazione e di comando di tutte le altre operazioni sperimentali. Controllo della posizione del mercurio rispetto alla sfera m. — Oc- corre che questa posizione sia tale che l'azione newtoniana risultante, del mercurio sulla sfera di piombo 7, sia esattamente nulla. Ciò corrisponde alla condizione di esatta coincidenza dei centri di m, V', V ed U. Per ve- rificare che tale condizione sia rigorosamente soddisfatta, si procede così: Con un gomometro a cannocchiale e cerchio azimutale, si determina la distanza fra Z e regoli rettilinei verticali appoggiati alle pareti interne di U. Questa distanza deve essere costante. Essendosi verificato ciò, si può anche essere sicuri che il filo di sospensione di m passa, col suo prolungamento, per i centri di V e V'; infatti l’aggiustaggio di questi due involucri rispetto al recipiente U è, per costruzione, fatto colla necessaria esattezza. Quando il mercurio viene aspirato da U, si arresta l'operazione ad un livello presso al fondo, in figura indicato con linea tratteggiata. Il raggiun- gimento di tale livello è controllato dalla sparizione del contatto elettrico dell’estremità di una sottile verga di acciaio P col mercurio, e conseguen- temente dallo spegnimento di una lampadina elettrica, al posto di osserva- zione. Quando il mercurio affluisce nel recipiente U, se ne controlla il livello superiore mediante l'analogo contatto di una verga più corta P', che accende una seconda lampadina, posta accanto alla prima. Allo spegnimento della prima lampadina ed all'accensione della seconda, vien chiuso immediata- mente il rubinetto di ebanite, mediante il tiro di un cordoncino, provocando l'arresto del movimento del mercurio. Si comprende, da quanto si è detto, che il senso di tale movimento (verso U, oppure da U) è provocato mediante l'ingresso dell'aria nei sei serbatoi, o con l'aspirazione di essa; le quali operazioni vengono, al solito, comandate dal posto di osservazione. Un terzo contatto elettrico, non indicato in figura, controlla, con una terza lampadina, l’arrivo del mercurio ad un livello posto esattamente a metà altezza fra i due estremi predetti , e ciò per lo scopo che sarà spiegato in seguito. Ora si comprende che i due estremi del mercurio debbono essere posti esattamente in posizione simmetrica rispetto all’involucro V. Tale condizione — 489 — di cose vien verificata accuratamente col catetometro, puntando le estremità superiori delle asticine P_e P' e quelle di altri regoletti verticali che si appoggiano su punti di controllo speciali dell’involucro V’, che non sono segnati in figura. Le lunghezze delle asticine e dei regoli sono conosciute con precisione in precedenza. Essendo l'asticina P' foggiata a vite, si può agevolmente correggere l'errore di aggiustaggio, così constatato. Occorre infine che il centro della sfera mm sia situato esattamente nel piano mediano, fra i due livelli del mercurio. Tale condizione si verifica anch'essa col catetometro, puntando attraverso il tubo di vetro D, il cilin- dretto Z, la cui distanza dalla sfera m è stata determinata prima del mon- taggio dell’apparecchio. Meccanica. — Su! moto dei giroscopi asimmetrici pesanti nel caso in cui l’invariante principale S è costantemente nullo. Nota II di OrAZIO LAZZARINO, presentata dal Corrisp. R. MaRco- LONGO. 6. I mori ALLA MLODZJEJOWSKI SODDISFANO ALLE CONDIZIONI (16). — È facile vedere che per soddisfare alle (16), e per conseguenza alla (15), basta supporre (17) uAcu=0 , o'£0; infatti, per la prima delle (17), è identicamente soddisfatta la prima delle (16); inoltre dalla (8) si ha w.gX au=0 e quindi, per 0 £ 0, risulta gXau=0, c.d.d. Indicando poi con % un numero reale non nullo, le (17) si possono scrivere (17') ou=%nu , d40 ed esprimono che « l'asse di rotazione del giroscopio è asse principale « d'inerzia rispetto al punto fisso e che la velocità angolare del giroscopio «è funzione del tempo ». Nel caso dei giroscopi asimmetrici pesanti, si può soddisfare alle (17°) supponendo (18) u=k , x=0 , o +0 dove k è un vettore unitario parallelo ad uno qualunque degli assi princi- pali d'inerzia relativi al punto fisso e C è il momento d’inerzia dei giro- scopio rispetto al detto asse. Nelle ipotesi (18), l'equazione (5) del moto sì scrive (19) o .Ck=k, Ag ReNDICONTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sein. 63 — 490 — ed esprime che « durante il moto, l'asse di rotazione si mantiene orizzon- « tale, mentre il baricentro del giroscopio oscilla in un piano verticale, « cioè il giroscopio oscilla attorno ad un asse orizzontale come un ordi- «nario pendolo composto » (*). Se poi si tratta di un giroscopio simmetrico rispetto ad un asse, ad es. Ok, allora, indicando con A, 8, C i momenti principali” d'inerzia rispetto al punto fisso e supponendo A4= 2, si può soddisfare alle (17') ponendo (20) uXk=0. n= o Infatti, osservando che in questo caso l'omografia d'inerzia assume la forma (°) (21) _ a=A+a.H(k,k) dove a è numero reale, si deduce, tenendo conto della prima delle (20), au=Au+a.uXk.k=Au e quindi sussiste il ragionamento fatto per il caso precedente e si conclude che « nelle ipotesi (20) i giroscopi pesanti, simmetrici rispetto ad un « asse, compiono dei moti pendolari attorno ad un esse orizzontale, come «un ordinario pendolo fisico ». Bisogna però osservare che, per la condizione uXk=0, l’asse Qu di oscillazione può coincidere con una qualunque delle rette che passano per O e giacciono nel piano degli assi uguali d'inerzia; perciò in questo caso si ha che « gli assi di oscillazione dei moti pendolari formano un « fascio di rette che ha per centro è punto fisso e per piano quello degli «assi equali d'inerzia ». Tuttavia, poichè per ciascuno dei detti assi il giroscopio è plazare, questi moti possono chiamarsi, come quelli preceden- temente considerati per i giroscopi asimmetrici, « moti alla Mlodsjejowski ». Dopo ciò, si può concludere che « quando le equazioni (10) non sano « fra loro indipendenti, fra i moti possibili vi sono certamente î moti. « alla Mlodzjejowski » (5). Resta ora da vedere se, oltre questi, siano possibili, nel caso conside- rato, altri moti. (4) Se fosse w =0, cioè = cost, si avrebbe, per la (19), K1/\g=0, cioè: « du-. «rante il moto, il baricentro del giroscopio resterebbe sulla verticale e attorno a questa « il giroscopio ruoterebbe con moto uniforme; si ricadrebbe perciò nel caso di Staude, « già studiato ». ©) Cfr. O. Lazzarino, questi Rendiconti, 2° sem. 1917, pag. 284. (6) B. K. Mlodzjejowski, Arbeiter der phys. Section der Freunde der Naturkunde in. Moskau, 7, pag. 46 (1894). — 491 — 7. RICERCA GENERALE DI TUTTI I MOTI POSSIBILI QUANDO LE (16) NON SONO FRA LORO INDIPENDENTI. — Poichè tutti i moti possibili de- vono soddisfare necessariamente alle (16), la ricerca consiste sostanzialmente nel vedere a quali moti la coesistenza delle (16) possa condurre. Giova ri- cordare che nel caso S= cost., per avere l'equivalenza fra le equazioni di Hess-Schiff e quelle di Euler-Poisson, è necessario associare alle prime la equazione supplementare [v. loc. cit. (*) d)] (22) kg®* + 2U.gXQ+g/\aQ2XaQ =0 dove (23) k= a Xk, è la costante dell'integrale delle aree [v. loc. cit. (?) 4)]. Osservando ora che, per la (4), l'ultimo termine della (22) si annulla e ponendo, per sem- plicità di scrittura, (24) uXeu=24 , «a Xeu=2d dove 4 e » sono numeri costanti e positivi, dalle (1) si ha (25) NETTO RAISI e la (22) assume la forma ke + 2b0.gXu.oî=0, dalla quale si deduce, in cenerale, un valore costante per w (7). Perchè w possa essere funzione del tempo, come richiede la seconda delle (17), è necessario che coesistano le due condizioni (26) = @@Xk,—-0% (27) sXxu=0 le quali esprimono che « 7 momento, rispetto al punto fisso, dell'impulso «deve mantenersi orizzontale e l’asse Ou di oscillazione deve restare «normale al vettore del baricentro ». D'altra parte, essendo « dilatazione, la second. delle (15) può scriversi (28) agXu=0 e allora, indicando con / un numero reale non nullo, dalle (27) e (28) si ha (29) =l.g/ag e quindi (30) eu=/.a(g\ag)=/(ha.g/\ag—g/ ag). (7) Essendo, nel caso in esame, i vettori g,u fissi nel corpo e costanti in grar- dezza, sarà &Xu= cost. — 492 — Dopo ciò, la prima delle (16) può seriversi (gag) X(La.g\ag—-g ag) Ng e da qui, sviluppando e semplificando, si ottiene l'equazione (31) gt. gXap\atg=0. Indicando ora con È, 7, le coordinate del baricentro del giroscopio, rispetto alla terna O(i,j,K) precedentemente considerata, e con 4, B,C i momenti principali d'inerzia rispetto ad 0, la (31) assume la forma (31’) g°(B—C)(C—A)(A— B)Enf=0 e, poichè i numeri /* e g* non sono nulli, si conclude che la (31’), e quindi la (31). è soddisfatta quando, e solo quando, si verifica una delle seguenti condizioni: i (32) È=0, gp=0 , $= (33) B=0., .C=AGA°=B; cioè quando, e solo quando, il giroscopio è planare o simmetrico rispetto ad un asse. Supponendo ad es. é =0 e tenendo presenti la seconda delle (16) e la (27), si vede che in detta ipotesi devono coesistere, per ogni posizione di g, le tre condizioni (34) Ct=gXk=0 _, gXau=0 _, gXu=0 dalle quali risulta 7a= eu, K=u; si deducono perciò le (18) e si con- clude che « /e ipotesi (32) conducono ai moti alla Mlodzjejowski ». Nelle ipotesi (33), supposto ad es. A= 2, si ha, per la (21), cu=Au+4+a.uXk.k e quindi la seconda delle (16) assume la forma cuXg=A.uXg+a.wuXk.kXg=0 e da qui, per la (27), e osservando che è a=£0, si ottiene la relazione uxk.kXg=0 che è soddisfatta quando si verifica almeno una delle due condizioni gXxXk=l _, uXk=0. Per gXk=€=>0 si ripete il ragionamento precedente; per u X k=0 si osserva che questa condizione coincide con la prima delle (20) e che perciò si ha au= An, A=%, onde si deduce, tenendo presente quanto stabia Deli nt A — 493 — si è ottenuto dalle (20), che « anche le ipotesi (33) conducono ai moti « alla Mlodajejowski ». Avendo così dimostrato che « la coesistenza delle condizioni (16) e del- l'ipotesi «+0 conduce necessariamente ai moti alla Mlodzjejowski », si può concludere che « tutti i moti giroscopici possibili, per o' 40, € « quando le equazioni (10) non sono fra loro indipendenti, sono mott « alla Mlodzjejowski ». Per w = 0 si hanno, come si è già visto, i moti di Staude. Nei moti alla Mlodzjejowski, il cono di Staude si spezza in due piani, uno dei quali (primo piano di Staude) contiene il baricentro del giroscopio, e l’altro (secondo piano di Staude), a differenza di quanto accade nel caso di Hess, non coincide col piano S= 0. Questo piano, la cui equazione può scriversi ag Xu = 0, taglia i detti piani secondo le rette 0.«g, 0u, di cui la seconda coincide con l'asse di oscillazione del giroscopio. 8. DETERMINAZIONE DELL'ASSE DI OSCILLAZIONE NEI MOTI ALLA MLOD- ZIEJOWSKI. — Per determinare l'asse Ou di oscillazione, possono servire le equazioni (35) egXu=0, anuAgXu=0,uXu=1 che, nel caso in esame, sono tutte indipendenti fra loro. Da esse si deduce, con procedimento noto [v. loc. cit. (*) 4) pag. 328], la relazione (36) egX(eu/\g)/\u.u=ag (au A g) la quale permette di determinare il vettore u, essendo, per l’ indipendenza delle (35), (37) egX(cuAg)Au=*0. Tale condizione non è soddisfatta nell'ipotesi particolare (88) da\g= la quale però ron è compatibile con la condizione «uXg=0, trovata necessaria per l’esistenza dei moti alla Mlodzjejowski. Da ciò si deduce che « quando il momento, rispetto al punto fisso, dell'impulso è parallelo al « vettore del baricentro, è moti alla Mlodejejowski non sono possibili ». Non è però escluso che, in questo caso e per un giroscopio generale, possano sussistere delle rotazioni permanenti attorno alla retta di equa- zione (38), la quale appartiene al como di Staude. ASA Matematica. — Nuove regole per la riduzione degli inte- grali multipli generalizzati di Riemann. Nota IV di Mauro Pi- CONE, presentata dal Socio L. BIANCHI ('). EsempIo II. — Sia E un dominio piano la cui frontiera sia costi- tuita da una curva chiusa C semplice regolare di Jordan di equazioni pa- rametriche 2 = AMs),y=X(s), ove s designa l'arco di C. Le funzioni h(s),(s) sono supposte continue con le loro derivate prime e seconde in tutto il tratto (0.L), L designando la lunghezza di C. Supponiamo anche che la curva C abbia l’equazione /(2,y) = 0, essendo /(7,7) una funzione continua, con le sue derivate parziali prime e seconde, in un rettangolo A, a lati paralleli agli assi coordinati, contenente E, sempre positiva nei punti interni di E, riuscendo inoltre, su C. (/74+/7>0. Sia ora g(2,y) una funzione continua in tutto E, e consideriamo la funzione CANE CIN LC ove @ è una costante minore dell'unità. Questa funzione è continua in ogni dominio irterno ad E. Dico che essa ammette un integrale generalizzato (R) esteso ad E (?). Supponiamo che il verso degli archi crescenti su C sia quello positivo su C. Indicando con x la normale a C, vòlta verso l'interno di E, si ha: cos (2, n) = — E'(s), cos(y,n)= #'(s). La curvatura di C FEWETEWI, è, per ipotesi, (finita e) continna in tutto (0,L). Il minimo R, del raggio di curvatura R di C sarà perciò diverso da zero. Portiamo su #, a partire da C e nel verso positivo di 2, un segmento costante 0 < Ry; si ottiene la curva C, di equazioni (11) (e = hs) — e&'(5), (y=%(s) +oh'(8), che dico essere semplice, regolare e intieramente interna a E, non appena @ (1) Pervenuta all'Accademia il 25 settembre 1919. (2) Alle stesse conclusioni si giungerebbe per la funzione f(e,y)=g(0,y)llogl(@,mF, ove 8 è una qualunque quantità positiva. aires thai È sth A ssd i il ET Peng E e — 495 — è minore di un certo termine r assegnabile. La normale interna n in un punto P di C, corrispondente al valore s dell'arco, è incontrata dalla curva C, oltre che in P, in un insieme di punti diversi da P, sia p,(s) la distanza del punto P da questo insieme. Al variare di s, p,(s) è una funzione po- sitiva di s e, con un ragionamento di noto tipo, si dimostra che essa ha (0,L) un limite inferiore p, > 0. Consideriamo ora, con P, un punto Q variabile su C; l’asse del segmento PQ incontra il raggio n, determinando su di esso, al variare di 9, un insieme di punti dal quale P'ha una di- stanza p»s(s) diversa da zero ('); p»(s) è una funzione di s sempre positiva avente in (0, L) un limite inferiore p. > 0. Sia ora 7 minore della minore delle tre quantità p,,p», Ro. La curva (; risulterà intieramente interna ad E, poichè 0 <O0. Se designamo con K il massimo, in Eo,, di |g(e,y)|}1—0(14"—k4'h")}, si trova È HE Cond Sh IfGlazagzif "a (“7 (*) pa(s) è il limite inferiore dei raggi dei cerchi tangenti in P alla C, e giacenti dalla parte di x, che hanno almeno un ulteriore punto, diverso da P, in comune con C. Se pertanto fosse ps(s) = 0, ne seguirebbe che in P la curvatura di C sarebbe infinita. — 495 — ove (18) Uasy)=eh0,9+ 19). © designando un certo valore pasitivo, dipendente da s, minore di @. Si ha, d'altra parte, /0(0,5)= — /e(1,4)k + Ly(h,k)H'; e pertanto risulterà sempre, in (0, L), (0,5) +0, poichè, in caso diverso, avendosi identicamente /x(2,4)h'+2,(h,X)k =0, ne seguirebbe, contrariamente ad un'ipotesi fatta, l’esistenza di un punto di C in cui (2 = y=0. Sarà d’altra parte sempre /;(0,s) > 0, poichè /(2,7), nulla su C, è sempre positiva nell'interno di C. Diciamo w il minimo, in (0,L), di (0, s), sarà m>0; diciamo M il massimo di -|/e(0,s)| in Bor. Si dedurrà, dalla (13), (x,y) > om — 0?M. Prendiamo ora 0, e 0» entrambi minori di m:(2M); si avrà, in tutto E PaPa” (e,y)>e(m_-eM)>em/2. Ne segue, per gli indicati valori di 0, e 03, x 2*KL (e: do 1 d À di ns 1 LES TAAZÙI ue da m* if #0 4 0° ed il secondo membro di questa diseguaglianza è un infinitesimo con 0, e 03. È con ciò dimostrata la (12) e quindi l’integrabilità (R) in modo generalizzato della funzione /(x,g) nel dominio E. Diciamo «4; e as il minimo ed il massimo della x su C. Supponiamo ora, in particolare, che, se si esclude un insieme X di valori di £ in (@,,4s) di misura (lineare) nulla, la sezione del dominio E, con ogni retta a = £, sia un insieme Z($) misurabile (J). Si può asserire allora (cfr. l’osserva- zione al Corollario 1 del n. 5) che la funzione f(È,y) ammette sempre un integrale generalizzato (R) esteso a A(ì), escluso al più un insieme di valori di E in (a, , 43) di misura (lineare) nulla. Per ricercare i punti in (a,, a) di eccezione per l’integrabilità (R) in modo generalizzato di /(£,y) in 4($), supponiamo, ancor più in particolare, che ogni retta x = È, per È in/erno ad (a,, as), seghi la curva C in due soli punti y1(5), y2(€) , (E) < ys(8), le funzioni y1(£) e ys(5) essendo con- tinue in (a,, 4) (*). Supponiamo anche che esista su C soltanto un numero finito di punti nei quali la tangente a C è verticale (*). Si potrà allora di- videre l'intervallo (4, ,») in un numero finito di tratti (a;, 8;), nei punti interni di ciascuno dei quali è sempre 2,[2, (2)] > 0, We, ys(e)]>0. Dico che in ogni tratto (a, f";), înterno ad (@;,f;), l'integrale ge- neralizzato di Riemann Ys(2) ve y) d (= (MO /(2,) dy (') Le conclusioni a cui giungeremo sussistono per ipotesi molto più larghe. alii isti iii — 497 — ha un valore determinato e finito, ed esso è una funzione di x continua n (a, fi). Designino (7), indifferentemente, una delle due funzioni y;(2) 0 ys(2), m (m>0) il minimo in (&';, 2%) di |2,(2,7(2))|], M il massimo in E di 1|ly(@.y)|. Si ha I) =[[y — n(2)] he, n(@)]+3[y — (2) luo, 70], ove 7(x) è un valore intermedio fra y e (x). Ne segue che, per lr <> risulta Ke 9)>3 l|y—n|. Pertanto, se y'" e y" sono due qualisivogliano valori, entrambi contenuti o nel tratto (1 Yi + 501) o nel tratto (e 3 sv). si ha ("y° SHOE dy ly a n Sy lane ove H è il massimo di |g in E. Ciò intanto prova che /(2,y), per ogni valore di x in (@;,") ammette un integrale generalizzato (R) esteso al tratto [y:(4),ye(x)]. Per dimostrare ora che questo integrale g(<) è una funzione continua di % in (a', 8"), osserviamo che, se o designa una fissata quantità positiva per cui sia DS Host: & Mail" 90 e essendo un numero positivo arbitrariamente assegnato, risulterà, per ogni valore di x in (a;,f{), SI Y+ 0 (2,9) Yi “Va (14) dy | 12 9)4y <£ Ya 9 Esiste un numero positivo d tale che, per |[Zx|0, 1 n Bi fila, y)= 9,9) I: |boglavg 4 %yt el 9= 0, a 4-0 Hes2-05 1 Î ove g(x ,7) è continua in tutto E, la riduzione dell'integrale generaliz- zato (R) della funzione f esteso ad E si può effettuare come per quello di una funzione continua in tutto E. Osservazione III. Conclusioni analoghe sussistono nello spazio per la funzione f(2,4,8)=g(0,4,8):[M(2,y,2)]%. a<1. Osservazione IV. Gli esempî I e II, benchè particolari, illustrano bene la teoria svolta nella Note precedenti e ne confermano la notevole portata pratica. nissan ite rta rali nc ann dti RE O TI e A Vi - hi stiate — d99 — Geologia. — Osservazioni geologiche sul monte (rargano (°). Nota I del dott. G. CaEccHIA-RISPOLI, presentata dal Socio O. F. Pa- RONA. I risultati delle ricerche preliminari sulla formazione a rudiste dei din- torni di Vico Garganico hanno contribuito a schiarire in parte l'età della massa calcarea, che sta direttamente sui calcari marnosi con selce del Neo- comiano, finv allora riferita in modo vago all'‘ippuritico (*). Lo studio dei fossili eseguito dal prof. C. F. Parona ha dimostrato che in quella massa esistono diversi orizzonti del neocretacico, che da ulteriori osservazioni dovranno essere meglio distinti (*). Seguitando le ricerche nella regione settentrionale del promontorio gar- ganico, ho potuto raccogliere varî altri elementi che permettono una precisa determinazione dell'età di una parte, certamente la più importante, di quei calcari, che da Vico si sviluppano verso Ischitella, Rodi e Carpino. In questa parte del M. Gargano, sulla formazione neocomiana si osser- vano dei calcari bianchissimi e di un aspetto facilmente riconoscibile; in- fatti, si presentano generalmente bucherellati, semicristallini, tenacissimi e risultano di un impasto dl detriti di fossili. Localmente però, nella vasta formazione il calcare diventa compatto, o a struttare oolitica, oppure assume una consistenza tufacea o addirittura polvernlenta. Essi sono per lo più oscuramente stratificati, meno alla base della formazione, ove gli strati for- mati di roccia più compatta, sono sottili, ben distinti ed alternati con straterelli di sere varicolore, spesso giallastra. La selce si trova pure sotto forma di noduli di varia forma e grandezza. Così avviene anche che nella parte basale della formazione i fossili sono per lo più silicizzati. In alto la selce sembra mancare o deve essere rarissima; e i fossili, che pur sì rinven- sono qua e là, sono quasi sempre spatizzati e difticili ad essere isolati. Al contatto della formazione maruosa con quella calcarea, in varî punti tra Ischitella e Carpino, ho potuto constatare l’esistenza di minute breccio- line calcaree, a cemento marnoso, poco consistenti, ricche di Orbifolima di medie e piccole dimensioni. Nelle contrade Tartareto e Forchione la forte erosione ha messo in evi- denza sulla superficie del calcare, oppure ha quasi interamente liberati dalla (1) Lavoro eseguito nel R. Ufficio geologico. (2) G. Checchia-Rispoli, Osservazioni geologiche nei dintorni di Vico Garganico, Rendiconti d. R. Acc, dei Lincei, CI. sc. fis mat. e nat., vol. XXV, 1° sem. 1916. (3) C. F. Parona, Cenni sulle luune sopracretaciche a rudiste del. monte Gargano, ib, ib, — 500 — roccia, ì fossili che, per la loro natura silicea, hanno potuto resistere più a lungo all’azione degli atmosferili. Una collezione di questi fossili è stata. col consueto interessamento, studiata dal sullodato prof. Parona, che ha determinato le seguenti specie: Triploporella Frausi Steinm., Orbitolina bulgarica Desh., Orbitolina Paronai Prev., Apricardia Archiaci d'Orb.?, Monopleura forojuliensis Pir., Himeruelites Douvillei Di-Stef., Himeraelites sp. (cfr. H. frontonis Par.), Sphearucaprina sp., Trochus (Ziziphinus) sp., Nerinea forojuliensis Pir., Itieria ucteonellaeformis Schnarr, delle quali, r. Fraasî, A. Archiaci, Him. ctr. fronlonis, N. forojuliensis ed I. acteonellaeformis sinora non erano state indicate per il Gargano. Queste forme, nel loro insieme, rappresentano il Cenomaniano; la sola Mon. foroju- liensis passa anche nel Turoniano; tutte poi, ad eccezione dell'A. Archiaci, sono state ritrovate nel ricco, giacimento dei monti d'Ocre nell'Abruzzo aquilano. I fossili su indicati non sono i soli raccolti nella nota formazione ce- nomaniana garganica. In varie escursioni compiute nella primavera scorsa, ho raccolto, nei pressi della piscina Ventrella (Carpino). nei calcari buche- rellati a Monopleura forojuliensis, oltre a numerose orbitoline (Ord. bulgarica, Orb. Paronai, ecc.), parecchi molluschi, in predominanza gasteropodi, in per- fettissimo stato di conservazione. Questi non sono silicizzati, e si trovano esclusivamente là dove il calcare diventa tenero e quasi farinoso. Questi fos- sili sono caratterizzati dalle piccolissime dimensioni, che solo eccezional- mente sorpassano i cinque millimetri. Debbo fra essi segnalare anche una piccola ammonite liscia, l’unica di sicura provenienza di tutto il Gargano. Ho raccolto pure vari esemplari completi della 7yiploporella Fraasi, che per la loro perfetta conservazione meritano di essere illustrati, e diversi altri tossili (foraminiferi, briozoi, radioli di echinidi, ecc.), tutti di piccole di- mensioni. A destra poi della bassa vallecola d'Orlando, ad est di Carpino, nel calcare farinoso si trovano grossi radioli di un Cidaris, molto prossimo al Cid. Berthelini Cotteau del Cenomaniano. Infine, al di là di Piano Canale, presso la masseria Giuffrida, nei punti ove il calcare diventa tufaceo, insieme con varie Orbitolina, ho raccolto anche alcuni piccoli gasteropodi specificamente identici a quelli della piscina Ventrella. In tutta la formazione abbondano corallari, idrozoarî e briozoarî. RE RIT e n RA | I calcari ad orbitolina, monopleura, himeraelites, ecc., riposano, come s'è detto, sui calcari marnosi con selce del Neocomiano, che contengono in alcuni punti la Rhynehonella (Peregrinella Oehlert) multicarinata Lamk (= Terebra- tella peregrina L. v. Buch, 19835), segnalata la prima volta dal prof. L. Bucca (*). Nonostante vi sia discordanza fra il Neocomiano ed il (‘enomaniano, pur si nota spesso fra i due un parallelismo di strati. Per citare un caso evi- dente, basti ricordare quello che si osserva lungo il profondo vallone Romon- dato, tra Carpino ed Ischitella, presso Rocca di Pietra, ove eli strati del Cenomaniano e quelli del Neocomiano pendono entrambi di circa 30° ad ovest. Se si aggiunge poi che i primi strati del Cenomaniano contengono dei letti regolari di selce, che abbonda nel Neocomiano, si ha l'impressione che in quei punti vi sia stata una continuità di sedimentazione. Il che non è, perchè tra le due formazioni esiste in realtà discordanza, per quanto leggera. Così presso Vico, come ho scritto nella mia citata Nota, gli strati neocomiani pendono a N-E di circa 35°, mentre quelli cenomaniani di circa 15° ad E. La presenza poi della breccetta ad 0rbi/olina alla base del ('enomaniano sta ad indicare chiaramente la trasgressione. Il fatto è che la formazione neo- comiana, come tutte le altre formazioni geologiche del Gargano, sono poco disturbate. Il trovare poi la selce negli strati inferiori del ('enomaniano. anzi i fos- sili silicizzati, come avviene nel Neocomiano, vuol dire che il fenomeno della silicizzazione, molto accentuato nel cretaceo inferiore, si estese anche nel noecretacico. Nei dintorni di Vico, Ischitella e Rodi i calcari cenomaniani non for- mano un deposito continuo, per quanto si presertino in lembi estesi parecchi chilometri. In frammenti più limitati, e come resti di denudazione, s’incon- trano frequentemente qua e là suila formazione marnosa del Neocomiano. I ‘tre paesi di Vico. Ischitella e Rodi sono edificati sui caleari cenomaniani ed il piccolo promontorio di Rodi è pure formato da una rupe di detto calcare. Verso Carpino però il calcare assume un grande sviluppo sia per estensione, .sia per potenza, Infatti, l'ultimo sperone detto le coste di Carpino, che si (1) Recentemente il prof. Parona ha indicato per il Gargano lo Pterocera (Harpa- -godes) Ribeiroi Choffat del neocomizno superiore (auteriviano) del Portogallo, che fa parte della collezione Costa del Museo di geologia di Napoli. Questo fossile, senza indi- cazione precisa, come tutti quelli della collezione Costa, con molta probabilità deve pro- venire dagli strati marnosi a selce (vedi C. F. Parona, Prospetto delle varie «fovies n e loro successioni nei calcari a rudiste dell'Appennino, in Boll. Soc, Geol, Ital., vol. XXXVII, a. 1918). e 0 = diparte da Coppa Tre Confini — così detta perchè sulla sua sommità (m. 713) s'incontrano i confini dei comuni di Vico, Ischitella e Carpino, — è formato quasi interamente dal Neocomiano, sul quale si osserva una rivestitura poco spessa ed interrotta di calcare cenomaniano. Scendendo poi dalle coste verso il paese di Carpino, i calcari marnosi scompaiono sotto i calcari ad orbitolina e non riappariscono in tutta questa parte del promontorio, se non in lembi ristrettissimi nella regione a nord di Carpino verso il lago di Varano. I calcari cenomaniani invece formano da soli il monte di Iorio, l'Im- iersa delle Ripe, il monte di Mezzo; poi per il piano Vergato si estendono al monte di Lauro, al monte Pizzuto e al monte Vernone, scendendo di nuovo verso Carpino a formare il monte isolato di Pastromele, che è circon- dato quasi interamente dal tufo gialliccio del miocene. I calcari cenomaniani, oltre a formare la cerchia dei monti intorno a Carpino, si sviluppano irin- terrottamente verso nord-est, nella parte centrale del promontorio. La nuova strada provinciale Carpino-Montesantangelo, che attraversa da N-0 a S-E il Gargano per una lunghezza di circa 40 chilometri, è tagliata per lunghissimo tratto nei calcari del (‘enomaniano. Infatti da principio essa incontra .i calcari a corallari e briozoarî delle regioni Coppa e Copparone, poi i calcari ad Elipsactinia di Monte di Mezzo e della regione Iannetta, indi i calcari a struttura oolitica del piano Vergato, e continua a svolgersi per tutto il piano Canale, ove proprio in contrada Giuffrida i calcari assu- mono una consistenza tufacea e contengono piccoli gasteropodi ed orbitoline. + * x I calcari dei dintorni di Carpino, come quelli della regione centrale del Gargano sino alla masseria Giuffrida, fin dove ho potuto studiarli sino ad ora, erano riferiti al Giurassico e propriamente al Titonico. Ma la posi- zione di essi, sempre superiore alle marne con A. multicarinata del Neoco- miano ed il rinvenimento di fossili indiscutibilmente cenomaniani, ne modi- ficano profondamente l’età. Dopo questa constatazione, una estesa parte dei calcari ritenuti titonici per la presenza delle ellipsactinie, passano dal giurassico al cretaceo. Ciò non ostante, io non mi sento ancora antorizzato ad estendere i risultati delle presenti ricerche ai rimanenti calcari del Gargano, ritenuti già giurassici, per quanto tale riferimento sia stato messo in dubbio dal De Lorenzo e dal De Stefani e negato del tutto dal Cassetti, che considera la formazione neocomiana come il terreno basale del promontorio garganico. Lo studio dei fossili raccolti in altri punti dell’estesa regione, il quale è già in corso, e le nuove ricerche intraprese, diranno se nella carta geologica del Gargano i terreni giurassici debbano venire del tutto soppressi o circo- scritti in limiti meno estesi di quelli loro assegnati dai precedenti rile- vatori. ipso CISU rt Aranda isti i i MEI at Abitanti — 503 — Geologia. — Cenni descrittivi sulla morfolite di Castiglionee.lo. Nota di A. PELLOUX, presentata dal Socio A. IsseL. La magnesite del giacimento di Castiglioncello, nei monti livornesi, forma potenti filoni entro alle roccie verdi (serpentine ed eufotide). La mi- niera, scoperta nel 1913 dal Maggiore Attilio Gotti, è ora esercitata dalla Società « La Magnesite » che recentemente ne ricavava intorno alle 100 tonn. giornaliere, impiegando il minerale sia per la preparazione di mattoni refrat- tarî, sia per spedirlo grezzo. o calcinato, agli stabilimenti siderurgici ed alle fabbriche di prodotti chimici. Un grandioso stabilimento è annesso alla miniera e ne dista circa un km., trovandosi in riva al mare presso il paese di Castiglioncello (!). La magnesite è generalmente compatta, di colore bianco o gialliccio, qualche volta più intensamente colorata da idrossido di ferro od annerita da ossido di manganese, il quale ultimo si presenta anche polveralento od in dendriti. Sono frequenti le concrezioni e le forme brecciate della magnesite, dovute ad un rimaneggiamento del minerale, prodotto da acque circolanti. Rari i cristalli di abito lenticolare determinato dalla presenza di un romboedro molto ottuso. Accidentali le tinte rosee dovute a tracce di carbonato di man- ganese e quelle verdi dipendenti da sali di nichel o da tracce di ossido di cromo. In qualche luogo si osservano miscele di magnesite con silice calce- doriosa o resinite, ma tali impurità non sono frequenti, ciò che costituisce un pregio nella confezione dei refrattari. Ho raccolto le morfoliti presso l’affioramento di uno dei filoni che spor- gono dalla serpentina al hotro del Massacero. Non mi risulta che se ne siano trovate anche nei lavori interni delle miniere. dove la magnesite mi è sem- brata generalmente compatta. Le concrezioni più voluminose misurano cent. 1 e più di diametro e si trovano anche sparse nel terreno presso il filone da cui si distaccarono. La loro superficie esterna è sferoidale anzichè poliedrica, e sì presenta come (') Sul giacimento di magnesite di Castiglioncello vedansi specialmente: G.D'Achiardi, Magnesite di Castiglioncello (M. Livornesi), Atti Soc. tose. sc. nat. Processi verbali, vol. XXII, n. 5, 16 nov. 1918, Pisa; A. Stella, / giacimenti italiani di magnesite e la loro utilizzazione, nel periodico: L'industria chimica, mineraria e metallurgica, anno II, n. 19, pag. 298, Torino, 1915; C. De Castro, Rapporto sul servizio nel distretto di Fi- renze, nella Rivista del servizio minerario nel 1915, pag. 82, Roma, 1917; Le cave di giobertite di Castiglioncello e Monterufoli, nel periodico: La miniera italiana, anno I, Roma, 1915, pag. 138. ì — 504 — una buccia sottile, facilmente distaccabile dal nucleo e molto limonitica. Nelle più piccole tale superficie sferoidale è sostituita dall'insieme di 12 facce pentagonali che limitano i singoli pseudocristalli. Questi sono addos- satì fittamente gli uni contro gli altri, senza che a ciò contribuisca la pre- senza di un cemento qualsiasi, dimodochè gli aggregati si sgretolano facil- mente con la semplice pressione delle dita. Nei campioni formati da indi- — vidui cementati, il cemento è pure magnesiaco, Come ho detto, solo negii individui più piccoli è visibile l’abito penta- gonododecaedrico. Tali morfoliti misurano al massimo 5 mm. di diametro. Le facce pentagonali sono tutte leggermente concave nella loro parte centrale. Gli angoli, misurati con il goniometro di applicazione, corrispondono a quelli del pentagonododecaedro (210) e, cioè, si aggirano intorno ai 55° per gli angoli (210):(210) e sono di circa 66° per quelli di (210) con (120). Il colore di queste morfoliti è bianco gialliccio, generalmente più chiaro nella parte centrale. Sono qualche volta presenti piccole macchie limonitiche e dendriti di manganese. La superticie del minerale, anche ad occhio nudo, appare scabra. e questa scabrosità è dovuta a terminazioni cristalline rom- boedriche, meglio visibili con un debole ingrandimento, terminazioni che cor- rispondono a singoli cristalli prismatici da cui è costituita la parte periferica delle morfoliti. Questa struttura è resa evidente immergendo e togliendo rapidamente i pseudocristalli in una soluzione colorante, quindi spezzandoli per osservarne l'interno. Si vede allora che le singole morfoliti sono costituite da una buccia periferica il cui spessore varia da !/, mm. ad un millimetro ‘o poco più, e che, più permeabile in causa della sua struttura, rimane tinta dal liquido e da un nucleo che conserva il colore primitivo. La zona peri- ferica è formata dall'insieme di prismetti, o meglio di aghi a contorno in- deciso, disposti radialmente rispetto all'intera morfolite, ed è nettamente se- parata dal nucleo. Gli aghi, osservati alla luce polarizzata, mostrano estin- zione parallela al loro allungamento e forte birifrangenza. Nella parte costi- tuente il nucleo. il minerale ha struttura minutamente granosa e cristallina. I singoli grani. osservati al microscopio, non mostrano regolare contorno ed alla luce polarizzata presentano caratteri identici a quelli del minerale che costituisce la buccia. I saggi chimici dimostrano che sia questa, sia il nu- cleo, sono essenzialmente costituiti da carbonato di magnesio. Però, mentre nel nucleo non si hanno che traccie di ferro, nella buccia la quantità di questo elemento è più ragguardevole. Solo un'analisi quantitativa potrebbe decidere se si tratti soltanto di impurità o piuttosto di miscela isomorfa del carbonato di ferro con quello di magnesio: nel qual caso ciò potrebbe forse, in parte, spiegare la differenza di struttura che si vsserva nel nucleo e nella corteccia che lo avvolge. Non so se simili morfcliti di magnesite siano stati altrove trovati, ma molta analogia mi sembra presentino con dei noduli di aragonite descritti — 505 — dal Wada e trovati nelle sorgenti termali di Taira, nel Giappone. In questi però la forma pentagonododecaedrica pare si osservi piuttosto nei noduli di maggior mole che non in quelli più piccoli, mentre a Castiglioncello accade il contrario. Di più non sembra dalla descrizione, che la struttura del nucleo sia diversa da quella dell'involucro, ma sempre fibroso-raggiata. Inoltre non ho notato nelle morfoliti di Castiglioncello la esistenza di un frammento di roccia nel centro dei noduli come si verifica in quelle giapponesi. Altra differenza si ha nel contenuto in ferro, che, nell’aragonite del Giappone, è superiore nel centro che non alla periferia ('). Anche il giacimento di Castiglioncello, secondo il D'Achiardi, sarebbe dovuto al deposito di acque termali (*). Biologia vegetale. — Della supposta partenocarpia del noc- ciuolo e dei suoi eventuali caratteri: osservazioni ed esperienze. Nota I di A. TROTTER, presentata dal Corrisp. P. A. SACCARDO. Da varî anni, per interessamento della Direzione generale dell’Agricol- tura, mi sto occupando di un fenomeno patologico di grande pregiudizio ai nocciuoli coltivati ‘ nella Campania, e che può essere sinteticamente definito come una cascola prematura di frutti più o meno sviluppati e subapireni (fig. 1). Infatti, nella grande maggioranza delle nocciuole cadute, non può ancora parlarsi dell’esistenza di un vero seme, bensì o di un ovulo avviato a trasformarsi in seme, oppure di un seme piccolissimo, con- tenente per lo più un minuscolo, imperfetto embrione, più o meno atrofico, ridotto a due sottili lamine cellulari (tig. 5); talora anzi arrestatosi nel suo sviluppo prima ancora si sieno differenziate le due bozze cotiledonari. Perciò il tegumento del seme, che in molti casi può indipendentemente progredire alquanto nel suo accrescimento, morto l'embrione, si affloscia, e le pareti finiscono per accollarsi come se il tegumento stesso fosse un sacco privo di contenuto. (*) Vedi: T. Wada. Minerals of Japan. Tokyo, 1904, pag. 65. (*) Circa l’origine della magnesite G. D’Achiardi (op. cit.) così si esprime: « La genesi di questo giacimento è. con tutta probabilità, da ricercarsi nell'azione « di acque verosimilmente termali, carboniche, che si fanno strada attraverso alle rocce « verdi, presso il contatto con l’alberese, alterandole e dando luogo alla formazione « di carbonati e di silice calcedoniosa od opalina. La presenza di acque carboniche agli « Occhibolleri, vicinissimo cioè alla località ora descritta, viene in appoggio all’ipotesi « fatta ». RenpICONTI. 1919, Vol. XXVIII. 2° Sem. i 65 — 506 — Tale fenomeno assume anche grande importanza pratica (*), poichè in talune annate riduce una produzione promettente a proporzioni meschinis- II = " PRIZE RTLA TATTO | | | | | | | Fia. 1. — Nocciuole, al momento del raccolto, vuote o semivuote, con semi atrofici o più spesso arrestatisi nella fase ovulare e con il solo funicolo più o meno sviluppato (grand. nat.). = i 9 i I larve mn N III TOT MOTEL INIT UIORI i sime, e le nocciuole, verso la fine di luglio o ai'primi di agosto, cadono a terra immature ad ogni più piccola scossa, come una fitta gragnuola. (!) L'importanza pratica risulta da ciò, che nella Campania esistono circa 8000 ettari dedicati alla coltura più o meno specializzata del nocciuolo, con un prodotto medio annuo di nocciuole secche il quale può ragguagliarsi intorno ai 60000 quintali, e che ai prezzi attuali può rappresentare un valore di circa 20 milioni di lire. — 507 — I patologi, si sono occupati di questo fenomeno in epoca relativamente recente, quasi fosse stata una malattia nuova (Comes 1885, BrIzi 1897, Casali 1898, TrorTER 1904, PeTRI 1913); però, come sarà da me di- mostrato in un lavoro più ampio, riguardante il nocciuolo della Campania, essa è assai antica e può ritenersi anzi vi esista da epoca immemorabile. Dovendosi escludere un'azione specifica, diretta od indiretta, di parassiti, io avevo avanzata sin dal 1904 l'ipotesi (') (pag. 55, Nota I) che si fosse potuto trattare di fenomeno di partenocarpia. Allora non erano ancora apparsi i la- yori di EweRrT, di MueLLER-THURGAU, di NEGRI, di SoLAcOLU, di ZACHA- RIAS e di altri, destinati ad illustrare tale ordine di fenomeni, di una grande importanza teorica e pratica, od a richiamare su di essi la nostra attenzione; e perciò anche la mia ipotesi assumeva, già da allora, un particolare valore. Nel lavoro dell'EweRrT (?) ed anche in quello del NeGRI(*), che è la più recente compilazione su tale soggetto, troviamo anzi che il nocciuolo è segnalato tra le piante partenocarpiche. Non vi sarebbe perciò che da pren- dere atto di tale affermazione, e dare di conseguenza come spiegata la ca- scola; soffermandoci solo a discutere qualche carattere accessorio ed intimo del fenomeno partenocarpico o ad indagare le cause, facilmente reperibili in fatti meteorici, culturali, parassitarî ecc., concorrenti a turbare l' impollina- zione della pianta. Effettivamente però, le conclusioni di EweRT e di NEGRI uon sono de- sunte nè dalla mia ipotesi del 1904, nè da loro osservazioni od esperienze personali. Esse derivano invece da notizie antiche, contenute nella ben nota opera di GAERTNER (1844), il quale con ciò appare come il primo assertore della partenocarpia del nocciuolo (4). Ma da un attento esame dell’opera di GAERTNER, risulta però che pur collocando questi il nocciuolo tra le piante partenocarpiche (Fruchtungsvermogen der Pflanzen: pp. 443, 558, 562), la constatazione del fenomeno non è sua, ma è tratta da un brevissimo arti- colo di J. A. WEINMANN, che GAERTNER cita anzi erroneamente, essendo stampato in « Flora » nell’anno 1822 (Correspondenz, pp. 763-764) e non nel 1827. Vediamo quali sieno le notizie in esso contenute. Il WEINMANN afferma di avere osservata una pianta di nocciuolo pro- terandra, con tiori £ sviluppatisi dopo la scomparsa completa di tutti gli (*) TROTTER A., Osservazioni e ricerche sulla « malsania » del nocciuolo in pro- vincia di Avellino e sui mezzi atti a combatterla. « Redia », vol. 2°, fasc. I, 1904, pa- gine 37-67, con figure. . (?) Ewert R., Blùtenbiologie und Traglarkeit unserer Obstbiume. Landw. Jahrb., Bd. 35, 1906, pp. 259-287. (3) Neeri G., / frutti apireni. Ann. R. Acc. di Agr. Torino, vol. 55, 1912, 67 pag. (4) GaERTNER C. F., Versuche und Beobachtungen ber die Befruchtungsorgane der vollkommeneren Gewdichse und iiber die natùrliche und kunstliche Befruchtung durch den eigenen Pollen. Stuttgart, 1844, X-644 pag. (pp. 558, 562). — 508 — amenti o°, ma di aver tuttavia potuto raccogliere nell'estate 65 nocciuole; le quali poi, messe nel terreno, non germinarono, perchè, rotte, presentavano semi incompletamente sviluppati ed ammuffiti. Da queste semplici, anzi ru- dimentali osservazioni, ha avuto origine l'affermazione, tramandata alle opere recenti, che il nocciuolo sia partenocarpico ! Non vi è invece chi non veda come non sia possibile, sulle osservazioni ora ricordate, fondare alcuna solida conclusione. Anche a prescindere dal dubbio che le nocciuole di WEINMANN siano da considerare come frutti ve- ramente subapireni, paragonabili a quelli che caratterizzano la cascola della Campania (!), sipresentano alla nostra mente anche altre evidenti e neces- sarie riserve. Causa la non contemporanea schiusa dei fiori nel nocciuolo, ed il lungo periodo durante il quale questa può prolungarsi (talora per lo spa- zio di due mesi), non è improbabile possa essergli sfuggita una eventuale contemporanea esistenza degli ultimi fiori o* in antesi e dei più precoci $.. Ma circostanza anche più importante, il risultato delle sue osservazioni ci lascia anche sospettare, poichè il WEINMANN non ne parla, che nella me- desima località vi fosse stata per avventura qualche altra pianta, la quale (trattandosi di specie ad impollinazione anemofila), avesse potuto fornire il polline all'individuo proterandro caduto sotto la sua: osservazione. In tali condizioni di fatto, appare certamente come assai poco fondata l'affermazione della partenocarpia del nocciuolo, mentre l'indagine relativa e le conclusioni sono di gran peso in rapporto alla cascola patologica del nocciuolo. Qualora poi si volesse tener conto delle osservazioni di WEINMANN, divulgate più tardi da GAERTNER nel modo già ricordato, essendosi i frutti sviluppati senza impollinazione, o più precisamente senza uno stimolo vege- tativo del polline, si tratterebbe di quella forma di partenocarpia che Winx- LER (©) ha distinta col nome di vegetativa (autonoma di FirTING 1909, endodinama di Baccarini 1912). Ma, ripeto, le conclusioni di WEINMANN e di GAERTNER non sono accettabili, per cui mi apparve la necessità di dover stabilire con esperi- menti, per quanto possibile rigorosi, se nel nocciuolo esista o meno parte- nocarpia, ed in relazione a ciò, se le nocciuole affette da cascola sieno o non sieno da attribuire a fenomeno partenocarpico. È quanto vedremo in una prossima Nota. (') Egli scrive: « Dieser [cioè le nocciuole raccolte] kam, aber keine jungen Pflan- zen meiner ausgestieten Corylus Avellana. Ich untersuchte sie genau, und fand die Niisse fast alle wieder; allein die eigentlichen Kerne waren falle sammt und sonders verschiemmelt. Ob nun die unvolkommene Ausbildung der Kerne aus Mangel an voll- kommener Befruchtung an dem Nichtkeimen Schuld war, wage ich freylich nicht zu eròrten ». (?) WingLeR H., Parthenogenesis und Apogamie im Pflanzenreiche. Jena 1908, Progressus Rei Botanicae, II, 3, pp. 293-454, con 14 figure. RE — 509 — Fisiologia. — Contributo alla conoscenza degli enzimi. III: L’in- vertasi ed altri fermenti dell’orzo germogliato (*). Nota di D. MaE- STRINI, presentata dal Corrisp. S. BAGLIONI. Invertasi. — L'invertasi dell’orzo germogliato fu dimostrata da Kih- nemann (”), e confermata poi da H. T. Brow u. I. Heron(*). Più recente- mente E, Kòrber(*) ne ha negata l'esistenza, mentre H. I. I. Vandevelde (5) l’ha di nuovo affermata. Noi, riprendendone lo studio, abbiamo potuto nell’emulsione e nel fil- trato dell'estratto, dimostrare costantemente un. fermento, capace d' invertire il saccarosio. Abbiamo anche determinato, coi metodi già innanzi ricordati, la sua temperatura ottima di azione e quella di distruzione, nonchè inda- gata l’influenza degli acidi minerali e degli alcali. Dal complesso delle ricerche siamo in grado di concludere: 1) nell’orzo germogliato ed essiccato al disotto di 40° C. esiste un fermento, che inverte il saccarosio; 2) questa invertasi è solubile nell'acqua distillata acidulata (al ti- tolo di gr. mole 0,03 °/so con acido acetico); difatti è presente non soltanto nell'emulsione, ma anche nel filtrato dell'estratto; 3) per ottenere un liquido attivo, l'estrazione deve durare almeno 6 ore e possibilmente alla temperatura di 30°-35° C.; 4) l’idrato di potassio al titolo di gr. mole 0,03 °/0o, distrugge, dopo 48 ore, l’attività dell’invertasi del malto; 5) l'acido cloridrico al titolo di gr. mole 0,03 °/» agisce sull’ in- vertani come l’acido acetico a titolo equivalente; 6) la temperatura ottima di azione è a circa 50° C.; quella di di- struzione è a 55° C. Maltasi. — Nelle piante la maltasi fu primieramente segnalata da L. Cusenier (5) che potè metterla in evidenza, facendo macerare farina di (!) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Fisiologia della R. Università di Roma, diretto dal prof. S. Baglioni. () Kihnemann, citato da H. T. Brow u. I. Heron. (3) H. T. Brow. u. I. Heron, Bestrige zur Geschichte der Stirke und der Verwand= ungen derselben, Liebig*s Annalen, 199, 165-258, und I. Maly 20, 68-73, an. 1881. (4) E. Korber, Veber das vorkomen eines glycasichen und die Abwesenheit eines Sacca» rose invertirenden Fermentes im malze, Zeitschr. f. d. ges. Brauw., /8, 325-327, 334-336; u. I. Maly 25, 597; 1896. (5) I. I. Vandervelde, Biochem. Zeitschr. 28, 133-134, 1910. (9) Cusenier, Monit. scientif., 1886, pag. 718. — 510 — mais alla temperatura di 50° C.; M. V. Beyerinck ('), nello stesso anno, indicò il modo di preparazione. Secondo I. Effront(*) questo fermento è pre- sente nella maggior parte dei cereali, e C. Oppenheimer (*) lo ammetto pure nel malto. Z. Wierzchowski (*) invece, che più recentemente ha fatto uno studio molto accurato intorno alla maltasi, ha potuto dimostrare che essa, mentre esiste nel mais, è assente nell’estratto di malto. Il risultato segnalato da quest’ultimo ricercatore ha trovato conferma nelle nostre esperienze. Lattasi. — Nei semi di molte fanerogame (prunus, sorbus, cerasus, si- napis ecc.), ed anche in varie crittogame (pennicilium, aspergillus ecc.), fu rinvenuto un fermento capace di scindere il lattosio in galattosio e glicosio. A questo studio si dedicarono, fra gli altri, Brachin (°) e Nigeli ($). Dalla letteratura però non appare che alcuno abbia ricercato questo fermento nell'orzo germogliato. Valendoci quindi dei metodi altrove descritti, abbiamo voluto vedere, se il filtrato dell'estratto di malto o l’emulsione fossero capaci di scindere il lattosio. Le mostre ricerche furono numerose, ma con wisultato costantemente negativo. Coagulasi. — Molti si occuparono del lubfermento e lo trovarono assai diffuso nel regno vegetale (”). Alla sua presenza nel malto accennò per primo Francesco Weis (8), in un lavoro, in cui più specialmente si occupò del potere proteolitico. Più recentemente M. Soave (°) affermò pure che il succo dei semi germinanti di orzo, ottenuto mediante la pressa di Ed. Buchner, coagula il latte. Nel corso delle nostre esperienze ci siamo occupati anche di questo fermento, ed abbiamo ripetutamente visto che il latte è realmente coagu- lato tanto dall’emulsione quanto dall'estratto filtrato; ma si ha pure identica coagulazione con soluzione di acidi organici (acido acetico) od inorganici (acido cloridrico o solforico) aventi un titolo eguale a quello dei liquidi usati. Si può quindi pensare che la coagulazione del latte piuttosto che di- pendere da azione enzimatica, sia l'effetto dell'acidità degli estratti o dei succhi usati, i quali, anche se non furono preparati con soluzioni acide, in breve tempo, dopo la loro preparazione, presentano reazione acida al tor- nasole. (1) M. W. Beyerinck, Centralblatt f. Bact; Il Abth., 2 Iohrg., 1898. (*) I. Effront, Les enzymes et leurs applications, Paris, pag. 244, an. 1899. (3) C. Oppenheimer: Die Fermente und ihre Wirkungen, II, 32, Leipizig 1910. (4) Wierzchowski: Bioch. Zeit. 56, S. 209, e Liebig*s Annaten, 212-324; 1913. (5) Brachin, I. de pharm. et de chim., 20, 195-200; e Oppenheimer, Die Fermente und ihre Wirkungen, II, 44, an. 1910. (5) Nigeli, Die niederen Pilze, S 12, an. 1882, e C. Oppnheimer, loc. cit. (7?) C. Oppenheimer, loc. cit., II, 314-315. (8) Fr. Weis, Zeitschr. Phys. Chem. 3/, 79-97; 1900. (9) M. Soave, Annali R. Accad. Agricol. l'orino, XLVII, 1906. — 511 — Una conferma di questo modo di vedere si ha nel fatto che i nostri liquidi, anche dopo essere stati bolliti, davano con il latte identico coagulo. Ossidasi. — Pochi sono coloro che si occuparono dei fermenti ossidanti del malto. Fra questi mi limito a nominare H. von Lear('), che parla di una catalasi. Noi abbiamo rivolto l’attenzione anche a questi fermenti, ed abbiamo potuto constatare l'esistenza di un catalasi e di una ossidasi. La prima potè dimostrarsi, sia col metodo Koning(?) sia con quello di Lobeck (*): la seconda mediante la prova alla tintura alcoolica di guaiaco. * x x Dal complesso delle ricerche, sinora eseguite, e brevemente riassunte in questa e nelle Note precedenti, si può dunque concludere che nell’orzo germogliato si trovano presenti: amalasi, proteasi, lipasi, invertasi, catalasi ed ossidasi ; mentre sono assenti: maltasi, lattasi e il labfermento. Biologia. — Correlazioni e differenziazioni (sul « Triton cri- status»). Nota IV di GruLio CorRonzI (*), presentata dal Socio BATTISTA GRASSI. Nel corso delle mie ricerche sulle correlazioni e differenziazioni (*), ho voluto estendere agli Urodeli lo stesso metodo d'indagine adoperato da me per gli Anuri. Avendo precedentemente osservato come i migliori risultati si ottenevano, fra molti sali, con il cloruro di litio, mi sono servito unica- mente di esso nei miei esperimenti sulle uova in sviluppo di 7riton ers- status. La presente Nota si riferisce a un esperimento risultato positivo dopo varî tentativi andati a male. L'esperimento rimonta al 10 maggio 1916. Trattai molte uova di tritone dai varî stadii di segmentazioni fino alle varie fasi della gastrulazione con una soluzione TO di cloruro di litio: la durata con tale trattamento fu per 19 ore. Quasi tutte le uova finirono col soccombere; poche continuarono nello sviluppo e raggiunsero lo stadio lar- (1) H. Von Laer, Buil. d. Soc. chimiq. de Belgique, /9, 337-336; und I. Maly 35, 874. (8) C. I. Koning, Biol. u. Bioch. Studien iiber Milch Leipzig, 1906 u. 1908. (3) Lobeck, Bioch. Zeitschr. Bd. XXX, S. 334, 1911, (*) Lavoro eseguito nell’Istituto d’anatomia comparata della R. Università di Roma, (5) Cotronei Giulio, Correlazioni e differeziazioni. Nota I Rendiconti, R. Accademia dei Lincei, vol. XVIV, serie 5°, 1° sem., fasc. 12, 1915 — Nota II, Rend. R. Accademia Lincei, vol. XXIV, serie 52, 2° sem., fasc. 6, 1915. — Nota III, Rend. Accademia Lincei, vol. XXVIII, serie 5°, 2° sem., fasc. 5 e 6, 1919. — 512 — vale. Di queste larve, due presentavano lievi modificazioni che non potetti fare oggetto di studio per la perdita del materiale: una sola larva, che pre- sentava notevoli malformazioni, fu fissata in liquido di Zenker il 28 maggio, per farne oggetto di osservazioni microscopiche. Non curai più di ripetere gli esperimenti con il materiale indicato, perchè per il momento mi bastava avere ottenuto la conferma dei risultati che avevo raggiunto e che tuttavia minuziosamente analizzavo nella Rana esculenta è nel Bufo vulgaris. Con osservazioni fatte i foto con il microscopio binoculare si riscon- trava che le modificazioni apportate dall'azione sperimentale erano nella re- gione cefalica; non esisteva apertura boccale; nella regione olfattoria esiste- vano evidenti riduzioni per l’assenza delle due narici laterali. Gli occhi si vedeva che si erano spostati medialmente e per trasparenza sì riusciva a intravedere che i due occhi dovevano essersi fusi sulla linea mediana. In complesso la regione cefalica si presentava ridotta rispetto alla larva nor- male; per il resto, nulla di notevole. All'esame microscopico si convalida e spiega quanto si rilevava som- mariamente con l'esame i foto. È opportuno innanzi tutto fissare l’atten- zione sulla condizione presentata dal neurasse, che ci appare nella parte anteriore in stato di arretrato sviluppo : infatti si riscontra che la regione telencefalo-diencefalica è poco sviluppata: si nota un semplice accenno alla formazione degli emisferi cerebrali. Osservando la condizione presentata dai ventricoli, potremo desumere lo stato di sviluppo raggiunto dal neurasse. Si riscontra che anteriormente il ventricolo comune telencefalieo, a destra e a sinistra presenta una sottile e breve insenatura che si può considerare come un accenno del corno anteriore del ventricolo laterale (seguendo la ter- minologia usata dallo Studnicka). Posteriormente tanto a destra quanto a si- nistra, si nota un'altra sottile insenatura che considero come un accenno del corno posteriore (*) del ventricolo laterale. In realtà manca nel reperto in esame l'ulteriore sviluppo dei ventricoli laterali, che è poi l'indice dello sviluppo degli emisferi cerebrali; ne consegue; pertanto, che rispetto ai "controlli la regione anteriore del neurasse occupa un volume minore, onde si ottengono riduzioni nelle condizioni spaziali per la morfogenesi di quelle parti che le . nostre ricerche sperimentali convalidano essere sostenute e quindi di- rette nel loro sviluppo dallo sviluppo del neurasse. A conferma di quanto precede e analogamente a quanto abbiamo ri- scontrato negli Anuri, si nota, all'esame microscopico del nostro esemplare di Tritone, che tutti gli organi situati nella regione precordale hanno risen- tito l'azione sperimentale del cloruro di litio : il territorio olfattorio vien limi- (1) Non è superfluo avvertire che, pure usando tale terminologia, non intendo per nulla entrare nelle complesse questioni di omologie con ciò che si denomina ugualmente nelle forme superiori. — 513 — tato ad un unico ridotto e mediano organo olfattorio, che giunge ad aderire posteriormente al cervello anteriore ('). Manca ogni traccia di apertura boccale, che sta a significare il man- cato infossamento del seno boccale; è sviluppata invece la regione branchiale. Gli occhi hanno raggiunto un notevole grado di differenziamento. Scor- rendo le sezioni, per un buon tratto i due occhi appaioni come divisi; ma poi si nota che essi si fondono medianamente e ventralmente al cervello: si è formata durante lo sviluppo, a destra e a sinistra, la cavità del calice ottico e si nota a destra e a sivistra la presenza dei due cristallini. Nella regione di fusione dei due occhi si nota una sottile zona di tessuto nervoso, che sulle sezioni si segue fino al cervello. Gli occhi, così fusi, si vengono a trovare anteriormente alla coda dor- sale o, meglio, al rivestimento cartilagineo della corda, a livello della quale si arrestano le malformazioni o fusioni. Tutti gli organi che sono in rap- porto più o meno diretto con la corda si sono sviluppati e accresciuti se- condo la direzione di normale accrescimento: gli organi uditivi sono quindi nella posizione normale. In conclusione, anche per gli Urodeli possono valere le stesse conside- razioni fatte pet gli Anuri: in un determinato momento della morfogenesi vi sono due organi, la corda dorsale e la parte precordale del neurasse, che nello stesso tempo che servono di sostegno, dirigono, sviluppandosi, la mor- fogenesi degli organi da essi sostenuti; quindi se, per un'azione paraliz- zante esercitata dal sale di litio sullo sviluppo del neurasse, questo in un dato momento subisce un arresto di sviluppo, mentre la corda dorsale si sviluppa normalmente, ne consegue che gli organi che si vanno sviluppando nel territorio sostenuto dal neurasse precordale lo possono fare soltanto nel modo consentito dalle condizioni spaziali nelle nuove condizioni embrionali. (1) È importante notare la relazione che passa tra la riduzione del territorio olfat- torio e l’arresto di sviluppo cerebrale (nel modo riferito) queado si pensi che il cervello degli anfibî è del tipo olfattorio. Nota aggiunta. — In un recentissimo « Abstract Cards » del Bibliographic Ser- vice of the Wistar Institute, giunto in questi giorni, trovo un breve riassunto di un lavoro di A. Bellamy, pubblicato in Biological Bulletin, novembre 1919, che non è ancora per- venuto in Laboratorio: l’autore ha studiato la reazione differenziale che presentano le uova e gli embrioni di Rana a vari agenti nocivi, fra cui il Cloruro di litio, venendo alla conclusione che in generale quelle regioni che sono normalmente più attive nella cre- scita e nello sviluppo sono più suscettibili: i processi metabolici sono, secondo l’autore, primitivamente più attivi al polo apicale. Risk: RenpICONTI. 1919. Vol. XXVIII, 2° Sem. 66 — 514 — ERRATA-CORRIGE A pag. 175, riga 24, aggiungasi: —s)|s(9+:(7) [E|@0+ +e la] (+) A pag. 177, riga 18, invece di wu? leggasi u?. ” ” » n ’ » o=2 n os ” ” es e DINeR in i 0 * ” » 20 n » terso » secondo. 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IX: « Il rendimento del testicolo e della prostata nei rap- porti con la massa dell'organo n. 452. — e RInALDINI. « Ricerche sulla secrezione spermatica. V e VI: Osservazioni sulla secrezione spermatica dell’uomo ». 41; 59. Amerro. « Nuovo calcolo dell’assorbimento totale dell'atmosfera solare n. 348. ANDREOLI. « Un teorema su certe equa- zioni funzionali e sua interpretazione meccanica ». 223. ARMELLINI « Osservazioni fotometriche so- prala “Nova Aquilae” e sn ‘Gio- ve' n, 14. ARrnò. « L’‘audion’ come rivelatore di azioni elettrostatiche ». 51. B BaccaRINI. Annuncio della sua morte. 297. BerzoLARI. È eletto Socio corrispondente. 296; Ringrazia. 470. BrancHI. « Sulle superficie spirali ». 155 215. Bomprani. « Invarianti e covarianti me- trici nelle deformazioni di specie su- periore delle superficie ». 254; 317. — « Osservazioni istopatologiche sulla ro- seola del tifo esantematico ». 459. BorEL. « Sur les ensembles effectivement énumeérables et sur les définitions ef- fectives ». 163. BosinELLI. Ved. Ravenna. Briosi. Annuncio della sua morte. 296. BrusoTTI, « Un teorema sui fasci reali di curve algebriche ». 251. — «Sulle curve piane algebriche reali prive di punti reali». 322. BugGLIA. « A proposito di una comunica zione ‘Sur l'action hémolytique du sang des jeunes anguilles encore transparentes’ di £. Gley ». 39. — «Ricerche sulla natura del veleno del- l’anguilla. I: L'ittiotossico è termosta- bile ». 54; id. II: « Sulla dializzabilità dell’ittiotossico ». 97; id. III: « Nuovi esperimenti sulla termostabilità dell’it- tiotossico n. 293; id. IV: « Nuovi espe- — 516 — rimenti snlla dializzabilità dell’ ittio- tossico n. 388; id. V: « Azione tossica della bile di anguilla n. 443. C CaLponazzo. « Sul moto di un vortice pun- tiforme ». 325. Camis. « La glicosuria fisiologica nell'uomo sottoposto a rarefazione atmosferica ». 101. Carano. « L’erigeron karwinskia- nus, var, mucronatus è apogamo ». 94. CasteLnuovo. Aggiunge parole di rim- pianto per la perdita del Socio £. Mul- losevich. 469. CueccHia-RispoLi. « Osservazioni geologi- che sul monte Gargano r. 499. CHercuHI.. Ved. Giua. Ciusa. « Ricerche sulla stricnina e bru- cina ». 185. — « Sopra alcuni sali a struttura p-0, e m-chinoide n. 366. CLEMENTI. « Sulla funzione di secrezione interna restauratrice della mucosa in- testinale durante la digestione e l’as- sorbimento dei lipoidi n. 465. ComessattI. « Sopra una disuguaglianza fra i generi di una superficie alge- brica ». 65; 123. CostantINO. « Dispositivo per la determi- nazione volumetrica di piccole quantità di anidride carbonica, spostandola dai liquidi, mediante una forte corrente di aria a temperatura e pressione ordi- narie ». 118. CorronzI. « Correlazioni e differenziazio- nì ». 206. — « Correlazioni e differenziazioni (sul ‘Triton cristatus’) ». 511. Crocco, È eletto Socio corrispondente. 296. CrupELI. « Sulle onde progressive, di tipo permanente, oscillatorie (seconda ap- prossimazione) ». 174 (Ved. pag. 514). Cusmano. « Trasformazione di cicloesanoni in pirocatechine ». 30, D DarneLLI. È eletto Socio corrispondente. 296. Ringrazia. 470. DALLA Vepova. Annuncio della sua morte. 297. DorELLo. « Sopra lo sviluppo della por- zione metencefalica del nucleo vesci- colare n. 449. Drago. « Sull'attrito interno del cobalto in campo magnetico variabile n. 351; 434. E Emery. « La distribuzione geografica at- tuale delle formiche ». 251. Erepia. «La distribuzione della tempera- tura sulle pendici dell'Etna ». 359. E FERRETTI. « Un: caso notevole di riso- nanza torsionale n, 108. FrancHI. « Sul grande sviluppo dei ghiae- ciai plistocenici della Majella n. 139. FrepA. « Sulla teoria elettronica delle forze elettromagnetiche n. 20. G Giua. « Ricerche sopra i nitroderivati aro- matici, VIII: Azione della fenilidrazina sul trinitro-p-xilene e sugli eteri del 2, 4, 6-trinitro-m-cresolo n. 188; id. (e Caercai) IX: « Sul comportamento del trinitroanisolo». 234; id. X: « Sulla nitrazione del timolo ». 282; id. XI: « Azione dell’ idrato d’idrazina sopra i nitro-composti aromatici ». 363. Goa. « Sulla presenza, nelle piante, di composti ematoidi di ferro n. 146. Gortani e Vinassa DE ReGNY. « La tras- gressione neocarbonifera nelle Alpi Carniche e nelle Caravanche ». 143. ‘ H HarckeL. Annunzio della sua morte. 297. Hurwirz. Annunzio della sua morte. 470. I IsseL. « Esempî notevoli di icoliti n. 480. — 517 — L Lazzarino. « Sopra alcuni casi singolari nella teoria dei giroscopî asimmetrici pesanti n. 9; 259; 329. — «Sul moto dei giroscopî asimmetrici pesanti nel caso in cui l’invariante principale S è costantemente nullo ». 422; 489. Lorra. « Evangelista Torricelli nella storia della geometria n. 409. Luciani. Annunzio della sua morte. 296. M MaEsTRINI. « Contributo alla conoscenza degli enzimi. I: Amilasi dell’orzo ger- mogliato ». 393; id. II: « La proteasi e la lipasi dell’orzo germogliato ». 456; id. III: « L'invertasi ed altri fermenti dell’orzo germogliato ». 509. Masorana. È eletto Socio corrispondente. 296. — «Sulla gravitazione n. 165; 221; 313; 416; 480. MartIroLo. Ved. Pirotta. MazzuccHELLI « Sopra una dimostrazione termodinamica ». 47, MittosevicH E. (Segretario). Commemora- zione del Socio A. Ricco. 297. — Presenta le pubblicazioni giunte in dono durante le ferie, segnalando quelle di P. Burgatti, del Catalogo delle col- lezioni di diatomee e di funghi appar- tenenti al conte Castracane degli An- telminelli e al dott. Lauri, del tom. IV delle opere di Carlo Hermite, ecc. 299. — Annunzio della sua morte. 469. MitLLosevica F. Ved. Viola. MunERATI. Invia in esame la sua Memoria: « Osservazioni e ricerche sulla barba- bietola da zucchero n. 296, Sua appro» vazione. 470. P Papoa. « Calori di fusione, velocità di cri- stallizzazione ed affinità chimica nei cristalli ». 239. — « Sulle azioni fotochimiche nei cristalli ottenute mediante la luce polarizzata ». 372. Pars. A. « La fase di eccitamento nello sti- molo da raggi X ». 210. — « Radioeccitamento degli orguni ema- topoietici nella malaria». 248. PALATINI. « Spazî a tre dimensioni con una nuova curvatura nulla e le altre due uguali ed opposte n. 884. PanIcuI. « Ricerche petrografiche sul vul- cano di Roccamonfina ». 193. PaoLINI. « Sui carvomentoli isomeri e sulla scissione del carvomentolo inattivo ne- gli antipodi ottici ». 82; 184, — «Sui prodotti di riduzione del pule- gone: il pulegolo n. 190; 236.) PARONA. « Tl'itonico e cretacico nell’isola di Capri: revisione dei fossili dei calcari coralligeni n. 409; 473. PegL:ION. «La forma ascofora (Micro- sphaera quercina) dell’oidio della quercia nel Bolognese ». 197. — «Intorno al comportamento di alcune varietà di frnmento rispetto alla carie ». 398. — « Cenni descrittivi sulla morfolite di Castiglioncello ». 503. PeLLoux. « La sellaite del marmo di Car- rara n. 284. PENTIMALLI. « Sull’infettività del sangue dei polli affetti da tumori sperimen- tali ». 401. PeRroTTI. « Contribuzioni alla conoscenza dell’ “arrabbiaticcio’ o ‘calda fredda” dei terreni n. 288. Picone. « Le equazioni alle variazioni, per cause perturbatrici variabili, nel con- cetto di Volterra di variazione prima per una funzione di linea ». 127. — « Nuove regole per la riduzione degli integrali multipli generalizzati di Rie- mann n. 263; 339; 426; 494. PirortTA. «Osservazioni sul fiore dell’oli- vo n. 3. — Presenta una pubblicazione del Cor- risp. Lustig e le Opere di Evangelista Torricelli pubblicate dal Comune di Faenza. 471. — e MattiroLo. Relazione sulla Memoria del prof. Munerati, intitolata : « Osser- vazioni e ricerche sulla barbabietola da zucchero ». 470. — 518 — PoLaRa. « Sulla costituzione delle radia- zioni catodiche nel tubo Coolidge ». 73. Ponte. «La catastrofica esplosione dello Stromboli ». 89. R RaveNNA e BosineLti. « Sulla trasforma- zione dell'asparagina nel dipeptide del- l’acido aspartico ». 113; 137. RayLEIGH STRUTT. Annunzio della sua morte. 296. Reina. Annunzio della sua morte. 469. Repossi. « Ritrovamento di fossili nella do- lomia del M. Gazzo presso Sestri Po- nente ». 378. ReTzIus. Annunzio della sua morte. 297. Riccò. Annunzio della sua morte e sua com- memorazione. 297. Rini. « Sulla teoria elettronica delle forze elettromagnetiche ». 305. RinaLpinI. V_ Amantea. Rorri (Vicepresidente). Comunica che sono stati eletti Corrispondenti i signori: L. Berzolari, G. A. Crocco, Q. Majo- rana, G. Dainelli, R. Versari; e che alla seduta sono presenti il Socio stra- niero J/ittag Leffier e il prof. Versari. 296. — Dà annunzio della morte dei Soci: Zu- ciani Luigi, Rayleigh Strutt, Briosi Giovanni, Retzius Gustavo, Baccarini Pasquale, Haeckel Ernesto, Dalla Ve- dova Giuseppe, Riccò Annibale. 296. — Presenta un piego suggellato inviato dal dott. UV. Bresciani. 300. — Dà comunicazione di una lettera del- l’Accademia delle scienze di Lisbona e comunica un invito della Università di Strasburgo. 300. — Annuncia la morte dei Socî V. Reina ed E. Millosevich. 469. — Comunica i ringraziamenti inviati per la loro elezione dai Corrisp. Berzolari e Dainelli e dal Socio straniero Omori. 470. — Dà la notizia che al prossimo Con» gresso internaz. di fisiologia in Parigi il discorso inaugurale sarà pronunciato dal Socio Fano. 470. S Y SaccarDI. « Pirrolo e melanuria ». 85. SàLagHI. « Della volgarizzazione ed appli- cazione della fisica-matematica in me- dicina n. 131; 183. Sani. « Intorno all’attività riduttrice delle radici delle graminacee: la riduzione del nitrato di calcio per le radici delle graminacee ». 199; 244, SANNIA. « Classe derivata di una funzione n. 25. — « Risoluzione dell’equazione di Fredholm con serie assolutamente sommabili del Borel ». 343; 429. Savini. « Il problema dell’evoluzione della idrografia carsica sotterranea n. 383; 438. SeGRrE. « Un principio di riduzione nello studio delle corrispondenze algebriche ». 308. Sera. Invia per esame la sua Memoria: « Sui rapporti della conformazione della base del cranio con le forme craniensi e con le strutture della faccia nelle razze umane «. 470. SERGI; « Metodo perla determinazione dei piani del cranio ». 395. SERINI. « Deviazione dei raggi luminosi in un campo elettrico o magnetico uni- forme, secondo la teoria di Einstein ». 178. — « Deformazioni simmetriche del suolo elastico ». 229; 268; 343. SIBIRANI. « Sopra due classi di curve gobbe ». 26. SiLLa. « Sopra i moti di precessione rego- lare del giroscopio simmetrico pesante ». 271. SrEFAnI. « Rapporto funzionale tra cervel- letto e labirinto non acustico ». 251. STRAMPELLI. « Esperienze intorno alla ca- rie (Til. caries) del frumento ». 151. T Tenani. « Sulla determinazione delle pro» prietà d'un apparecchio aereo durante il volo in funzione della densità attuale dell'aria n. 34. — 519 — TeRRaciINI. « Sui sistemi coniugati perma- nenti nelle deformazioni di una super- ficie n. 69. TraBACCHI. « La relazione fra l’effetto Cor- bino e l’effetto Hall al variare del campo magnetico e della temperatura n. 276. — « Curve caratteristiche. e consumo di potenza negli interruttori funzionanti nel circuito primario di rocchetti di in- duzione ». 354. TRoTTER. « Della supposta partenocarpia del nocciuolo e dei suoi eventuali ca- ratteri: osservazioni ed esperienze ». 398; 505. V VERCELLI. « Sulla oscillazione barometrica; annua ». 78. VERSARI. È eletto Socio corrisp. 296. Vinassa De Reony. Ved. Gortani. VioLa e F. MiLLosevica. Relazione sulla Memoria del prof. Billows: « Sulla tri. dimite di Zoron negli Euganei ». 296, — 520 — INDICE PER MATERIE A ANATOMIA. « Sopra lo sviluppo della por- zione metencefalica del nucleo vesci- colare ». P. Dorello. 449. AstRoNOMIA, « Nuovo calcolo dell’assorbi- mento totale dell'atmosfera solare ». A. Amerio. 348. — « Osservazioni fotometriche sopra la ‘Nova Aquilae’e su‘Giove ». G. Armellini. 14. B BATTERIOLOGIA AGRARIA, « Contribuzioni alla conoscenza dell’ ‘arrabbiatic» cio'o‘calda-fredda’ dei terreni»n,3 R. Perotti. 288. BioLogia. « Correlazioni e differenzia» zioni ». G. Cotronei. 206. — « Correlazioni e differenziazioni (sul Triton cristatus)». /d. 511. — « Metodo per la determinazione dei piani del cranio n. S. Sergi. 395. BroLoGIA vEGETALE. «“ Osservazioni sul fiore dell'olivo ». AR. Pirotta. 3. — « Della supposta partenocarpia del noc- ciuolo e dei suoi eventuali caratteri: osservazioni ed esperienze n. A. Trotter. 398; 505. BOLLETTINO BIBLIOGRAFI00. 301; 471. C CrHimica. « Ricerche sopra i nitroderivati aromatici, VIII: Azione della fenilidra- zina sul trinitro-p-xilene e sugli eteri del 2, 4, 6-trinitro-m-cresolo ». VM. Giua. 188. — « Id. IX: Sul comportamento del trini- troanisolo n. M.Giua e F. Cherchi. 2384. — «Id. X: Sulla nitrazione del timolo ». M. Giua. 282. CHimica. «Id. XI: Azione dell’idrato di idrazina sopra i nitro-composti aroma= tici ». /d. 363. — « Ricerche sulla strienina e brucina ». RP. Ciusa. 185. — « Sopra alcuni sali a struttura p-o, e m-chinoide ». /d. 366. — « Trasformazione di cicloesanoni in pirocatechine n. G. Cusmano. 30. — « Sulle azioni fotochimiche nei cri» stalli ottenute mediante la luce pola- rizzata ». M. Padoa. 372. — « Sui carvomentoli isomeri e sulla scis- sione del carvomentolo inattivo negli antipodi ottici n. V. Paolini. 82; 134. — « Sui prodotti di riduzione del pule- gone: il pulegolo ». /d. 190; 236. — « Sulla trasformazione dell’asparagina nel dipeptide dell’acido aspartico n. C. Ravenna e G. Bosinelli. 113; 137. CHimica BIOLOGICA. « Pirrolo e melanuria ». P. Saccardi. 85. Caimica FISICA» « Calori di fusione, ve- locità di cristallizzazione ed affinità chimica nei cristalli ». M. Padoa. 239. — « Sopra una dimostrazione termodina» mica n. A. Mazzucchelli, 47. CHIMICA FIsroLoGIcA. « Dispositivo per la determinazione volumetrica di piccole quantità di anidride carbonica, spo- standola dai liquidi, mediante una forte corrente di aria, a temperatura e pres- sione ordinarie n. A. Costantino. 118. — « Intorno all’attività riduttrice delle radici delle graminacee: la riduzione del nitrato di calcio per le radici delle graminacee n. G. Sani. 199; 244. E = ELEZIONI pI soci. Sono eletti Corrispon- denti i signori L. Berzolari, G. A. Crocco, Q. Majorana, G. Dainelli e R. Versari. 296. —.odl:— EMBRIOLOGIA vEGETALE, « L’Erigeron karwinskianus var mucronatus è apogamo ». E. Carano. 94. E Fisica. « L'‘ Audion* come rivelatore di azioni elettrostatiche ». A. Arnò. 51. — « Sull’attrito* interno del cobalto in campo magnetico variabile n. £. Drago. 351; 434. — « Sulla teoria elettronica delle forze elettromagnetiche ». £. Freda. 20. — « Sulla gravitazione n. Q. Majorana. 165; 221; 313; 416; 480. — « Sulla costituzione delle radiazioni ca- todiche nel tubo Coolidge ». V. Po- lara n. 73. — « Sulla teoria elettronica delle forze elettromagnetiche n. A. Righi. 305. — « Sulla determinazione delle proprietà d'un apparecchio aereo durante il volo in funzione della densità attuale del- l’aria n. M. Tenani. 84. — « La relazione fra l’effetto Corbino e l’effetto Hall al variare del campo ma- gnetico e della temperatura ». C. Tra- bacchi. 276. — « Curve caratteristiche e' consumo di potenza negli interruttori funzionanti nel circuito primario di rocchetti di induzione ». /d. 354. FISICA TERRESTRE. « Sulla oscillazione ba- rometrica annua n. F. Vercelli. 78. FisioLocia. « Ricerche sulla secrezione spermatica. V e VI: Osservazioni sulla secrezione spermatica dell’uomo ». G. Amanteo e T. Rinaldini. 41; 59: VII: «Considerazioni generali sulla secrezione normale del cane e del- l’uomo ». G. Amantea. 105; VIII: = Al cune osservazioni su cani castrati e su cani sottoposti a escissione parziale dei deferenti ». /d. 403; IX: « Il rendi- mento del testicolo e della prostata nei rapporti con la massa dell'organo ». Id. 452. — « A proposito di una comunicazione ‘Sur l’action hémolytique du sang des eunes anguilles en- core transparentes’ di E. Gley», G. Buglia. 39. FisioLogia. « Ricerche sulla natura del veleno dell'anguilla. I: L’ittiotossico è termostabile ». Id. 54; II: «Sulla dializ- zabilità dell’ittiotossico ». /d. 97: III: « Nuovi esperimenti ‘sulla termostabi- lità dell’ittiotossico ». /d. 293; IV: « Nuovi esperimenti sulla dializzabilità dell’ittiotossico n. /d 388; V: « Azione tossica della bile di anguilla ». /d. 443. — « La glicosuria fisiologica nell’uomo sottoposto a rarefazione atmosferica n. M. Camis. 101. — « Sulla funzione di secrezione interna restauratrice della mucosa intestinale durante la digestione e l’assorbimento dei lipoidi n. A. Clementi. 465. — « Contributo alla conoscenza degli en- zimi. I: Amilasi dell’orzo germogliato ». D. Maestrini. 393; II: « La proteasi e la lipasi dell’orzo germogliato ». /d. 456; III: « L'invertasi ed altri fer- menti dell’orzo germogliato ». /d. 509. — « La fase di eccitamento nello stimolo del raggi X ». A. Pais. 210, — « Radioeccitamento degli organi ema- topoietici nella malaria ». /d. 248. — « Rapporto funzionale tra cervelletto e labirinto non acustico n. A. Stefani. 251. FisioLoGIA vEGETALE. « Sulla presenza, nelle piante, di composti ematoidi di ferro n. G. Gola. 146. G GroLoGIA. « Osservazioni geologiche sul monte Gargano ». G. Checchia-Rispoli. 499. — « Sul grande sviluppo dei ghiacciai plistocenici della Majella ». S. Franchi. 139. — « La trasgressione neocarbonifera nelle Alpi Carniche e nelle Caravanche ». M. Gortani e P. Vinassa de Regny. 143, — « 'l'itonico e Cretacico nell'isola di Capri: revisione aei fossili dei calcari coralligeni ». O. F. Parona. 409; 473. ReNDpICONTI. 1919, Vol. XXVIII, 2° Sem, 67 — 522 — GroLogia. « Cenni descrittivi sulla morfo- lite di Castiglioncello ». A. Pelloux. 503. — « Ritrovamento di fossili nella dolomia del M. Gazzo presso Sestri Ponente ». E. Repossi. 378. — « Il probl ma dell'evoluzione dell’idro- grafia carsica sotterranea ». P. Savini. 389; 488. IpromeccanICcA. « Sul moto di un vortice puntiforme ». B. Caldonazzo. 325. M MATRMATICA. «Un teorema su certe equa- zioni funzionali, e sua interpretazione meccanica ». G. Andreoli. 223. — « Sulle superficie spirali ». ZL. Bianchi. 155; 215 — « Invarianti e covarianti metrici nelle deformazioni di specie superiore delle superficie ». £. Bompiani. 254; 317. — « Snr les ensembles effectivement énu- mérables et sur les définitions effecti- ves n. E. Borel. 163. — « Un teorema sui fasci reali di curve algebriche n. L. Brusotti. 251. — « Sulle curve piane algebriche reali prive di punti reali ». /d. 322. — « Supra una disuguaglianza fra i ge- neri di una superficie algebrica n. A. Comessatti. 65: 123. — « Spazî a tre dimensioni con una cur- vatura nulla e le altre due uguali ed opposte n. A. Palatini. 384. — « Nuove regole per la riduzione degli integrali multipli generalizzati di Rie- mann n. A/. Picone. 263; 339; 426; 494, MATEMATICA APPLICATA. « Della volgariz- zazione ed applicazione della fisica- matematica in medicina n. S. Salaghi. 131; 183. — « Classe derivata di una funzione ». G. Sannia. 25. — « Risoluzione dell’equazione di Fred- noìm con serie assorutamente somma- bili del Borel ». /d. 343; 429. MATEMATICA APPLICATA. « Un principio di riduzione nello studio delle corrispon- deuze algebriche n. C. Segre. 308. — « Sopra due classi di curve gobbe n. PF. Sibirani. 26. — « Sui sistemi coniugati permanenti nelle deformazioni di una superficie ». A. T'erracini. 69. Meccanica. « Sulle onde ‘progressive, di tipo permanente, oscillatorie (seconda approssimazione) »n. UV. Crudeli. 174 (ved. pag. 514). — « Un caso notevole di risonanza tor- sionale ». P. Ferretti. 108. — « Sopra alcuni casi singolari nella teoria dei giroscopî asimmetrici pe- santi ». 0. Lazzarino. 9; 259; 329. — « Sul moto dei giroscopî asimmetrici pesanti nel caso in cui l’invariante principale S è costantemente nullo ». Id. 422; 489. — « Le equazioni alle variazioni, per cause perturbatrici variabili, nel concetto di Volterra di variazione prima per una funzione di linea ». IM. Picone. 127. — « Deviazione dei raggi luminosi in un campo elettrico o magnetico uniforme, secondo la teoria di Einstein ». R. Se- rini. 178. — « Deformazioni simmetriche del suolo elastico ». /d. 229; 268. — « Deformazioni simmetriche dei corpi elastici ». Id. 343. — « Soprai moti di precessione regolare del giroscopio simmetrico pesante n. ZL. Silla. 271. MeTeoroLoGIA. « La distribuzione della temperatura su le pendici dell'Etna ». P. Eredia. 359. MineraLogIa. « La sellaite del marmo di Carrara n. A. Pelloux. 284. N Neckor.ogie. Annuncio della morte dei Soci: Luciani, Rayleigh, Strutt, Briosi, Retzius, Baccarini, Haeckel, Dalla Vedova. 297, Annuncio della morte e commemorazione del Socio Ricco. 297. Annuncio della morte dei Socî Reina — 528 — ed FE. Millosevich e del Socio stra- niero Hurwitz. 470. P PALEONTOLOGIA. « Esempî notevoli di ico- liti n. A. Issel. 480. ParoLogia. « Ricerche sperimentali sulle cause che determinano la refrattarietà nei trapianti. V: Nuove ricerche sul- l’azione disintegratrice del siero di sangue di una specie animale per le proteine dei tessuti (nervi) di altra specie n. A. Albanese. 202. — « Osservazioni istopatologiche sulla ro- seola del tifo esantematico ». G. Bom- piani. 459. — « Sull’infettività del sangue dei polli affetti da tumori sperimentali ». F. Pentimalli. 401. PatoLoGIA veGETALE. « La forma asco- fora (Microsphaera quercina) dell’oidio della quercia nel Bolognese ». V. Peglion. 197. — « Intorno al comportamento di alcune varietà di frumento rispetto alla carie ». Id, 398. PATOLOGIA VEGETALE. « Esperienze intorno alla carie (Til. Carie s) del frumen- to n. N. Strampelli. 151. PETROGRAFIA, « Ricerche petrografiche sul | vulcano di Roccamonfina ». V. Pa- nichi. 193. S STORIA DELLA MATEMATICA. « Evangelista Torricelli nella storia della geometria ». G. Loria. 409. V VuLcanoLogIa. « La catastrofica esplosione dello Stromboli ». G Ponte. 89. VA ZooLogia. « La distribuzione geografica attuale delle formiche ». C. Emery. 251. ENCANI [CTER NE solttute entra RI O *. , t DI Db Fo sima I SA » o ) 3» PMT): ID? _P DDL VI) ) ) )) o pia» d dd. » fmi» 2) d PP D I Mi ))) 95 )PED_ I» DE d 1) }< I°) r o $- Pe )2OD0 DI D ) pd “> ) DI. LEQ 4, Dip PD _È da >, 2 » 1) >> DID) Pr) ) d) o ?) 5 Ii _ | PIP »bD> ) PP). —_ CP 2 >) de Y OL » Da 33 DD eo )) PZ. 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